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DENTRO GLI IRON CONDOR: LA VERITA’ SU<br />
UNA DELLE PIU’ <strong>DI</strong>FFUSE STRATEGIE<br />
NON <strong>DI</strong>REZIONALI SULLE OPZIONI<br />
UNA ANALISI STATISTICA <strong>DI</strong> LUNGO PERIODO SU TRE<br />
MERCATI EUROPEI SVELA LA LORO REALE PROFITTABILITA’<br />
E-<strong>BOOK</strong> A <strong>CURA</strong> <strong>DI</strong>:<br />
<strong>DOTT</strong>. <strong>DOMENICO</strong> <strong>DALL’OLIO</strong><br />
CULTORE <strong>DI</strong> FINANZA AZIENDALE, <strong>DI</strong>PARTIMENTO <strong>DI</strong><br />
SCIENZE DELL’INFORMAZIONE, UNIVERSITA’ <strong>DI</strong> BOLOGNA
IN<strong>DI</strong>CE DEI CONTENUTI<br />
INTRODUZIONE 3<br />
CONSIDERAZIONI PRELIMINARI 4<br />
L’ABC DELLE OPZIONI 5<br />
LO STRIKE PRICE E LA MONEYNESS 6<br />
SCADENZA, ESERCIZIO E STILE DELLE OPZIONI 7<br />
LA <strong>DI</strong>MENSIONE DEL CONTRATTO E IL PREMIO 9<br />
VALORE INTRINSECO E VALORE TEMPORALE 10<br />
SOTTOSTANTE 13<br />
STRIKE 14<br />
VOLATILITA' 14<br />
VITA RESIDUA 14<br />
TASSO <strong>DI</strong> INTERESSE PRIVO <strong>DI</strong> RISCHIO 15<br />
<strong>DI</strong>VIDEN<strong>DI</strong> 15<br />
UNO SGUARDO GLOBALE AI PARAMETRI QUANTIFICABILI 16<br />
VALORE E PAYOFF A SCADENZA DELLE OPZIONI CALL 16<br />
VALORE E PAYOFF A SCADENZA DELLE OPZIONI PUT 19<br />
COMBINARE LE OPZIONI PER PRODURRE STRATEGIE COMPLESSE 24<br />
L'IRON CONDOR 34<br />
<strong>DI</strong>STRIBUZIONE <strong>DI</strong> PROBABILITA' DEI REN<strong>DI</strong>MENTI 36<br />
2
METODO <strong>DI</strong> LAVORO 40<br />
DAI REN<strong>DI</strong>MENTI GIORNALIERI ALLE PROBABILITA' <strong>DI</strong> SUCCESSO <strong>DI</strong> UN IRON CONDOR 43<br />
GLI IRON CONDOR NELLA PRATICA 48<br />
IL MOMENTO GIUSTO PER APRIRE LA STRATEGIA 50<br />
GESTIONE DELL'IRON CONDOR 51<br />
UNA <strong>DI</strong>VERSA METODOLOGIA <strong>DI</strong> APERTURA DELLA POSIZIONE 53<br />
CONCLUSIONI 54<br />
INTRODUZIONE<br />
Uno dei tanti detti famosi nel mondo della Borsa è che per circa il 70% del tempo i mercati non si<br />
muovono in modo sensibile dai valori precedenti; in altre parole è diffusa l’idea che per circa due<br />
terzi abbondanti delle sedute di contrattazioni il mercato non faccia movimenti rilevanti rispetto alla<br />
sessione precedente, sia essa della durata di un giorno, una settimana, o anche un’ora o cinque<br />
minuti.<br />
Mentre, in simili situazioni, gli investimenti tradizionali come le azioni, gli ETF e i fondi non<br />
producono reddito per gli investitori (nemmeno perdite, a voler essere fiscali), vi sono strategie in<br />
opzioni che permettono di trarre beneficio proprio da questo ‘dolce far niente’ dei mercati.<br />
Una delle più diffuse è l’iron condor, che, come vedremo, è una semplice combinazione di due<br />
spread verticali, a loro volta semplici combinazioni di due opzioni. Ciò che mi accingo a fare è<br />
verificare - dati alla mano - la bontà di questa strategia nel tempo, ossia della sua applicazione<br />
costante, mese dopo mese, anno dopo anno, come strategia di investimento di medio e lungo<br />
termine.<br />
Premesso che un grandissimo lavoro in questo senso è stato fatto – sul mercato statunitense - da<br />
alcuni colleghi trader americani (si veda ad esempio Serenner E. & Phillips M., “Iron condor.<br />
Neutral strategy for uncommon profit”, Marketplace Books, Glenelg, Maryland, 2010), è mia<br />
intenzione ripercorrere studi simili su alcuni indici europei, onde verificare la bontà della strategia in<br />
esame anche sul mercato italiano (indice FTSE Mib) e quelli europei (indici Eurostoxx e Dax).<br />
La prima parte di questo lavoro è dedicata alla teoria sottostante l’iron condor; parlerò quindi<br />
brevemente di opzioni call e put, di cosa significa comprarle piuttosto che venderle allo scoperto e<br />
di come possano essere combinate per costruire alcune semplici strategie strutturate (gli spread<br />
verticali); successivamente vedremo come combinare più strategie semplici per arrivare all’iron<br />
condor e alle sue varianti più comuni (la butterfly, per esempio).<br />
3
Consiglio di leggere la prima parte anche a coloro che ritengono di avere già sufficiente<br />
conoscenza delle basi delle opzioni, perchè, ne sono convinto, troveranno interessanti spunti di<br />
riflessione; e riprendere brevemente concetti noti non fa comunque mai male!<br />
La seconda parte del lavoro sarà dedicata all'analisi della concreta applicabilità dell'iron condor<br />
come strategia primaria sugli indici europei di cui sopra.<br />
CONSIDERAZIONI PRELIMINARI<br />
Fare analisi a posteriori sulle opzioni non è agevole per una serie di ragioni, prima fra tutte la<br />
difficoltà di determinare prezzi di opzioni con diversi strike e scadenze nel passato (a meno di non<br />
disporre dei dati storici ovviamente, ma parliamo di database di dimensioni enormi, date le molte<br />
scadenze e i molti strike quotati in ogni istante); questa difficoltà è rappresentata soprattutto dal<br />
problema della volatilità implicita che concorreva al prezzo di una qualsiasi opzione con un<br />
qualsiasi strike price ad una qualsiasi data passata; vi è inoltre un problema che può verificarsi<br />
nell’utilizzo di dati storici, laddove i prezzi rilevati non sono riferiti a reali scambi, bensì a<br />
imputazioni basate sui prezzi denaro e lettera dei market maker in assenza di scambi effettivi.<br />
In considerazione di tutto ciò la colonna portante dell’analisi qui riportata non sarà quella della<br />
profittabilità monetaria delle strategie presentate, quanto più della loro profittabilità statistica<br />
teorica. L’obiettivo di questo lavoro è dunque semplice: assegnare delle probabilità statistiche alla<br />
profittabilità degli spread verticali e loro combinazioni, verificando, nel contempo, se sia possibile<br />
portare tali probabilità a proprio vantaggio in qualche maniera.<br />
La profittabilità statistica a prescindere da qualsiasi considerazione di carattere tecnico sul grafico<br />
del titolo su cui si costruisce la strategia, come vedremo, è solo in parte legata alla distribuzione<br />
probabilistica dei rendimenti del sottostante, poiché tale distribuzione non assume una forma fissa<br />
nel tempo, bensì una forma variabile. Posto infatti che l’aspetto di massima di una curva dei<br />
rendimenti di uno strumento finanziario sul lungo periodo è abbastanza simile alla Normale<br />
(seppure con alcune evidenti differenze che analizzeremo), l’ampiezza della campana<br />
probabilistica è variabile, in funzione della volatilità.<br />
Ciò porta ad una assai maggiore probabilità delle cosiddette code, ossia degli eventi estremi a<br />
probabilità solitamente molto ridotta, quando la volatilità è più alta della media; viceversa si verifica<br />
una maggiore concentrazione dei rendimenti intorno alla media quando la volatilità è molto bassa,<br />
con una conseguente forte riduzione della probabilità degli eventi estremi.<br />
4
Un elemento che complica però l’analisi è che la forma distributiva dei rendimenti passati non è un<br />
indice delle reali probabilità di successo di una strategia nel futuro, poiché la campana dei<br />
rendimenti alla scadenza di tale strategia potrà differire anche sensibilmente dalla campana nota al<br />
momento dell’apertura della posizione.<br />
Questo comporta un’aura di incertezza che va tenuta in conto in qualsiasi analisi che abbia per<br />
oggetto le opzioni finanziarie. Tutto ciò non è altro che un invito alla prudenza e a non considerare<br />
i risultati riportati in questo lavoro come numeri immutabili nel tempo e quindi totalmente affidabili.<br />
Come vedremo, l’iron condor ha mediamente alte probabilità di successo, ma le perdite che<br />
derivano dalle seppur poche situazioni sfavorevoli, se non gestite al meglio possibile, possono<br />
distruggere il lavoro di mesi, e portare a perdite molto elevate. Tutto ciò ne fa una strategia sì<br />
perseguibile, ma non consigliabile a chiunque.<br />
L’ABC DELLE OPZIONI<br />
Le opzioni sono contratti finanziari che possono essere di due tipi: call o put. Un investitore che<br />
acquista una opzione call acquista – dietro pagamento di un certo prezzo – il diritto di comprare<br />
uno strumento finanziario (detto sottostante) definito dal contratto, ad una o entro una certa data<br />
definita dal contratto e ad un certo prezzo (detto strike), definito anch’esso dal contratto.<br />
Se, per esempio, il titolo xyz quota 10€ e io voglio acquistarlo a 10€ non oggi, ma entro i prossimi<br />
tre mesi, allora posso comprare una opzione call strike 10€ sul titolo xyz con scadenza a 90 giorni,<br />
pagando un prezzo per avere il diritto di fare ciò ad una qualsiasi data compresa tra oggi e i<br />
prossimi 90 giorni, solo se per me sarà conveniente.<br />
Il vantaggio principale dell’opzione è proprio quello appena visto: la facoltà per chi detiene il<br />
contratto di scegliere se esercitare o meno il suo diritto, a seconda della convenienza di tale<br />
esercizio.<br />
Nel caso precedente, se il titolo xyz dovesse salire entro la scadenza dell’opzione, il possessore<br />
dell’opzione call potrebbe decidere di esercitare il suo diritto acquistato, facendosi consegnare le<br />
azioni xyz a 10€, quando magari valgono 11 o anche di più sul mercato.<br />
Se invece alla scadenza il prezzo fosse inferiore allo strike, poniamo 9€, il possessore dell’opzione<br />
call non avrebbe alcun vantaggio nel farsi consegnare le azioni a 10€; potrebbe quindi lasciar<br />
scadere il contratto senza fare nulla e acquistare poi le azioni sul mercato a 9€ l’una, avendo perso<br />
in questa operazione il solo costo del diritto acquistato all’inizio del periodo.<br />
Stiamo dunque parlando di diritti. Diritti che il compratore dell’opzione acquisisce dietro<br />
pagamento di una contropartita monetaria.<br />
Un investitore che acquista una opzione put, invece, acquista, dietro pagamento di un prezzo, il<br />
diritto di vendere un certo bene finanziario definito dal contratto, ad una o entro una certa data<br />
5
definita dal contratto e ad un prezzo (detto strike) definito dal contratto al momento della stipula<br />
dello stesso.<br />
L’opzione put è tipicamente un contratto assicurativo che può essere impiegato, ad esempio, per<br />
proteggersi dal rischio di discesa di un titolo che si possiede. Si supponga infatti di possedere le<br />
azioni xyz a 10€ e che si desideri prefissare il rischio massimo di perdita a 1€ per azione. Con<br />
l’acquisto di una put 9€ l’investitore acquisisce il diritto di cedere a terzi le sue azioni xyz al prezzo<br />
di 9€ ciascuna entro una certa data futura, assicurandosi dunque dall’eventualità di crolli dei<br />
prezzi.<br />
Se alla scadenza dell’opzione il prezzo delle azioni xyz fosse, ad esempio, 5€ - cioè se le azioni<br />
avessero perso la metà del loro valore – l’acquirente della put strike 9€ avrebbe il diritto di vendere<br />
le sue azioni a 9€, limitando così al 10% (più il costo di questa assicurazione, pagato nel momento<br />
dell’acquisto della opzione put) la sua perdita effettiva.<br />
Tutto ciò vale per il compratore delle opzioni. E se il compratore di una opzione paga un prezzo<br />
per avere dei diritti, allora il venditore di quella opzione incassa il prezzo e assume dei doveri…<br />
Se infatti, da un lato, il compratore di una opzione, sia essa call o put, acquisisce, dietro<br />
pagamento di una certa somma di denaro, il diritto di fare qualcosa entro una certa data futura, per<br />
converso il venditore dell’opzione incassa il pagamento del compratore, ma acquisisce l’obbligo di<br />
sottostare al volere di quest’ultimo.<br />
Come vedremo, tuttavia, essere compratori di opzioni non è necessariamente meglio dell’essere<br />
venditori, poiché ci sono vantaggi e svantaggi in entrambe le situazioni.<br />
La posizione del compratore di opzioni è l’espressione di una aspettativa di movimento del titolo<br />
sottostante in una specifica direzione entro una certa data futura. Il compratore di call si attende<br />
un movimento rialzista da parte del titolo sottostante, il compratore di put si attende un movimento<br />
ribassista (o magari lo teme, e desidera proteggersi da esso, vedi il caso dell’acquisto di put per<br />
limitare il rischio di una posizione in azioni).<br />
Sono dunque due le ipotesi implicite nel comportamento del compratore di opzioni: direzionalità del<br />
prezzo, e tempo necessario e sufficiente perché tale direzionalità si verifichi.<br />
Questa doppia ipotesi operativa implicita, come vedremo, è il nocciolo di tutta la disputa in materia<br />
dell’opportunità di essere compratori piuttosto che venditori di opzioni.<br />
Una gran parte della teoria delle opzioni si basa su una assunzione ben precisa: che le posizioni<br />
vengano mantenute aperte fino alla scadenza; ciò non sempre avviene, poiché uno dei vantaggi di<br />
questi strumenti è quello di essere fungibili, esattamente come le azioni e i futures, cioè le opzioni<br />
possono essere comprate e rivendute – o vendute allo scoperto e ricoperte - in qualsiasi momento<br />
prima della scadenza, senza dover aspettare di avere diritti da riscuotere o doveri da assolvere.<br />
6
Tuttavia, per comprendere almeno le basi di funzionamento del contratto di opzione è necessario<br />
ragionare avanti nel tempo, alla data di scadenza del contratto stesso, alla quale, come vedremo, il<br />
risultato della posizione del compratore e del venditore sarà un fatto certo e ben definito, mentre<br />
ad una qualsiasi data precedente la scadenza tale risultato può soltanto essere stimato.<br />
LO STRIKE PRICE E LA MONEYNESS<br />
Lo strike price è il primo tratto distintivo delle opzioni rispetto a qualsiasi altro strumento finanziario;<br />
detto anche base o prezzo d’esercizio, è il prezzo - indicato nel contratto – al quale il compratore<br />
dell’opzione può esercitare il suo diritto sul sottostante. Il compratore di opzioni call può quindi<br />
esercitare il suo diritto di acquisto al prezzo d’esercizio, il compratore di opzioni put può esercitare<br />
il suo diritto di vendita al prezzo d’esercizio.<br />
L’acquisto di opzioni call strike 10€ sul titolo xyz dà il diritto di farsi consegnare (dunque di<br />
acquistare) le azioni xyz a 10€ alla data di esercizio o entro la stessa; l’acquisto di opzioni put<br />
strike 10€ sul titolo xyz dà il diritto di consegnare (dunque vendere) le azioni xyz a 10€ alla data di<br />
esercizio o entro la stessa.<br />
In base alla reciproca posizione tra prezzo strike e prezzo del sottostante le opzioni vengono<br />
classificate in tre tipologie: in the money, at the money e out of the money.<br />
Le opzioni sono in the money quando il loro obiettivo – lo strike price – è stato raggiunto e<br />
superato; le call sono quindi in the money (o ITM) quando il prezzo del sottostante è maggiore<br />
dello strike, at the money (o ATM) quando il prezzo del sottostante è in prossimità dello strike<br />
(poco sopra, pari o poco sotto), out of the money (o OTM) quando il prezzo del sottostante è<br />
inferiore allo strike price.<br />
Il discorso va invertito per le put. Esse sono cioè in the money quando il sottostante è inferiore allo<br />
strike, at the money quando il sottostante è circa uguale allo strike (di nuovo poco sopra, pari o<br />
poco sotto), out of the money quando il sottostante è superiore allo strike.<br />
In parole semplici, posto che una opzione call rappresenta una scommessa rialzista, allora se tale<br />
scommessa è già vinta (nel senso che la condizione di successo è stata raggiunta), allora<br />
l’opzione è in the money, se il prezzo è molto prossimo alla condizione di successo l’opzione è at<br />
the money, altrimenti si dice che è out of the money, cioè deve ancora raggiungere il suo scopo.<br />
Stesso discorso, mutatis mutandis, per le opzioni put.<br />
SCADENZA, ESERCIZIO E STILE DELLE OPZIONI<br />
7
Se ad un certo punto il prezzo del sottostante raggiunge e supera lo strike price il possessore<br />
dell’opzione potrebbe trovare conveniente esercitare il diritto incorporato nell’opzione stessa e farsi<br />
consegnare il sottostante al prezzo strike. Questo esercizio anticipato, come viene definito, può<br />
avere luogo soltanto con alcune opzioni, mentre con altre è necessario attendere la scadenza per<br />
poter godere del diritto incorporato.<br />
L’esercitabilità di una opzione alla, o entro la, scadenza è solitamente legata alla possibilità fisica di<br />
trasferire il bene controllato dal contratto. In questo ambito si inserisce il cosiddetto stile<br />
dell’opzione, che può essere europeo o americano.<br />
Le opzioni di stile americano possono essere esercitate in qualsiasi momento precedente la<br />
scadenza, oppure alla scadenza stessa; le opzioni di stile europeo sono invece esercitabili soltanto<br />
nel giorno di scadenza. Ciò che si rileva è che su sottostanti che possono essere effettivamente<br />
scambiati tra soggetti (azioni, futures, merci, valute) si hanno opzioni di stile americano e a volte<br />
anche europeo; su sottostanti che invece non possono essere fisicamente scambiati (ad esempio<br />
gli indici di Borsa), si hanno invece opzioni di stile soltanto europeo.<br />
Laddove vi è una consegna fisica il contratto si risolve con uno scambio effettivo del bene oggetto<br />
del contratto; il compratore ha pagato un prezzo per assumere il diritto di esercizio e di ricevere<br />
quindi il bene oggetto del contratto, il venditore ha incassato il prezzo pagato dal venditore e ha<br />
assunto l’obbligo di consegnare ad esso il bene oggetto del contratto.<br />
Laddove non vi è una consegna fisica di un bene, alla scadenza dei contratti vi è un regolamento<br />
monetario dei saldi di debito/credito relativi alle due controparti del contratto, in funzione della<br />
posizione relativa del prezzo del bene sottostante alla scadenza rispetto allo strike.<br />
Volendo riassumere le posizioni del compratore e del venditore di una opzione call o put in uno<br />
schema immediatamente consultabile si può costruire una tabella come la seguente:<br />
CALL<br />
PUT<br />
LONG<br />
Diritto di acquisto, cioè di farsi<br />
consegnare il sottostante<br />
Diritto di consegna (vendita)<br />
del sottostante<br />
SHORT<br />
Obbligo di consegna (vendita)<br />
del sottostante<br />
Obbligo di acquisto del<br />
sottostante<br />
A proposito di esercizio anticipato - ove consentito - il possessore di una call strike 10€ sul titolo<br />
xyz, ad esempio, potrebbe pensare che se il prezzo del titolo supera i 10€ portandosi, per dire, a<br />
11€, allora potrebbe essere conveniente farsi consegnare le azioni xyz a 10€ così da avere in<br />
portafoglio azioni acquistate a sconto sul loro vero valore corrente sul mercato.<br />
Analogamente, il possessore di una put strike 10€ sul titolo xyz potrebbe pensare che se il prezzo<br />
del titolo scende sotto i 10€ portandosi, per esempio, a 9€, allora potrebbe essere conveniente<br />
esercitare il diritto, vendere allo scoperto le azioni (se non possedute, oppure consegnare alla<br />
8
propria controparte le azioni possedute) a 10€ perché in questo momento valgono molto meno sul<br />
mercato.<br />
Sebbene sia possibile dimostrare matematicamente che l’esercizio di una opzione prima della sua<br />
scadenza non è praticamente mai conveniente, esso è comunque una facoltà implicita nel<br />
contratto, e a volte può avere luogo.<br />
Va precisato, al riguardo, che l’esercizio delle opzioni in the money è facoltativo per il possessore<br />
del diritto entro la scadenza del contratto, ma diviene una operazione automatica (se ne occupa il<br />
proprio intermediario) quando si giunge alla scadenza del contratto: il possessore di opzioni call<br />
strike 10€ sul titolo xyz, se alla scadenza il titolo quota oltre i 10€, si troverà le azioni xyz in<br />
portafoglio, caricate a 10€ ciascuna, in quantità pari a quanto stabilito dal contratto.<br />
Se non si desidera trovarsi le azioni in tasca alla scadenza della opzione call che finisce in the<br />
money è necessario chiudere la posizione sull’opzione prima della scadenza stessa (anche un<br />
minuto prima della scadenza, per intendersi), rivendendola sul mercato sul quale era stata<br />
precedentemente acquistata.<br />
Discorso analogo per il possessore di opzioni put che si trovano in the money alla scadenza: se<br />
non intende cedere le proprie azioni sulle quali è scritta l’opzione o trovarsi con una posizione di<br />
vendita allo scoperto sulle azioni stesse deve chiudere il contratto entro la scadenza,<br />
semplicemente rivendendolo sul mercato sul quale lo aveva precedentemente acquistato.<br />
LA <strong>DI</strong>MENSIONE DEL CONTRATTO E IL PREMIO<br />
Abbiamo visto in precedenza che il compratore di una opzione, sia essa call o put, acquisisce un<br />
diritto dietro pagamento di una contropartita.<br />
Il prezzo di una opzione viene definito premio e può essere espresso in euro e frazioni di euro, in<br />
misura correlata alla dimensione del contratto, oppure in punti, di valore variabile in funzione del<br />
bene sottostante.<br />
Sulle azioni italiane, ad esempio, le dimensioni contrattuali variano da titolo a titolo; su Eni il<br />
numero di azioni controllate da una opzione è pari a 500 (cinquecento), su Generali è pari a 100<br />
(cento), su Intesa San Paolo è pari a 1000 (mille), e così via; questi sono solo alcuni esempi<br />
ovviamente.<br />
Il valore totale dell’opzione su azioni è pari al prezzo che si rileva dal book moltiplicato per il lotto<br />
minimo del contratto. Se quindi, per fare un esempio, una call su Eni quota un prezzo pari a 0,276<br />
euro, allora il premio totale dell’opzione è 138 euro; se la stessa opzione fosse scritta su Generali<br />
varrebbe 27,6 euro, mentre se fosse scritta su Intesa San Paolo varrebbe 276 euro.<br />
9
La dimensione del contratto è pari alla dimensione che la posizione in opzioni avrebbe se venisse<br />
trasformata in una posizione equivalente sul sottostante, esercitando il diritto incorporato<br />
nell’opzione stessa, al prezzo strike. Se dunque, per esempio, il titolo abc quota 10€, le opzioni<br />
hanno lotto 1000 azioni, e lo strike di una opzione è 12€, allora tale opzione controlla dodicimila<br />
euro di controvalore, dietro pagamento del solo premio.<br />
Le opzioni sugli indici hanno solitamente un prezzo espresso in punti indice; il nostro indice FTSE<br />
Mib, ad esempio, ha un valore pari ai punti quotati moltiplicati per 5€ ciascuno; se quindi l’indice<br />
quota, poniamo, 20mila punti, allora esso vale 100mila euro.<br />
Le opzioni sull’indice FTSE Mib valgono 2,5 euro per punto, dunque la metà del valore dell’indice;<br />
se dunque una opzione call quota, poniamo, 400 punti, allora il suo valore è pari a mille euro; se<br />
quota 80 punti, allora vale 200 euro; e così via. La dimensione del contratto è invece pari a metà<br />
del valore dell’indice.<br />
Le opzioni sull’indice tedesco Dax30 valgono 5 euro a punto, un quinto del contratto futures (cioè<br />
ci vogliono cinque opzioni per avere una dimensione equivalente a quella di un futures), mentre le<br />
opzioni sull’indice Dow Jones Eurostoxx50 valgono 10 euro a punto, esattamente come il contratto<br />
futures scritto sul medesimo sottostante. La dimensione contrattuale delle opzioni sul Dax è quindi<br />
un quinto del valore dell’indice, valutato al prezzo strike dell’opzione considerata, mentre la<br />
dimensione contrattuale delle opzioni sull’indice Eurostoxx50 è esattamente pari al valore<br />
dell’indice sottostante, valutato allo strike dell’opzione considerata.<br />
Tutte queste informazioni sono rintracciabili nei siti delle singole Borse, alle pagine relative alle<br />
specifiche contrattuali dei contratti derivati.<br />
VALORE INTRINSECO E VALORE TEMPORALE<br />
Il premio di una opzione in ogni momento è l’espressione della somma di due componenti, una<br />
legata a quello che dovrebbe essere il valore effettivo dell’opzione nel giorno della sua scadenza,<br />
ossia come se fosse un diritto immediatamente fruibile, l’altra legata all’aspettativa che l’opzione<br />
possa avere effettivamente un valore positivo alla scadenza stessa. Queste due componenti<br />
vengono definite valore intrinseco e valore temporale.<br />
Il valore intrinseco è positivo soltanto per le opzioni in the money, mentre viene arbitrariamente<br />
fissato a zero per le opzioni at the money e out of the money.<br />
Pertanto, per le opzioni call, il valore intrinseco è pari alla differenza tra il prezzo del sottostante e<br />
lo strike price. Tale differenza è positiva soltanto quando il sottostante si trova oltre lo strike,<br />
dunque soltanto quando l’opzione è appunto in the money. Quando il sottostante è pari allo strike<br />
la differenza è nulla e tale è il valore intrinseco; quando invece il sottostante è inferiore allo strike la<br />
differenza è negativa, ma come da specifiche contrattuali si pone pari a zero il suo valore.<br />
10
Di nuovo, quindi, il valore intrinseco di una opzione può essere solo positivo o al limite nullo.<br />
Per le opzioni put il discorso è speculare: posto che le put sono in the money quando il sottostante<br />
è inferiore allo strike, il valore intrinseco di queste opzioni è pari alla differenza tra strike e<br />
sottostante, dunque è positivo in tutti i casi in cui il sottostante è inferiore allo strike – i casi cioè in<br />
cui la put è in the money – e nullo in tutti gli altri casi.<br />
Volendo utilizzare una formula unica, facendo però attenzione ad applicarla alle sole opzioni in the<br />
money, il valore intrinseco è pari al valore assoluto dello scarto tra sottostante e strike. In questo<br />
modo si supera l’inversione dei due termini nel passaggio da una opzione call ad una opzione put<br />
o viceversa. Ma di nuovo invito il lettore a ricordare che se si usa il valore assoluto è facile<br />
confondersi e attribuire un premio maggiore di zero anche ad opzioni put out of the money; si<br />
ricordi quindi che soltanto le opzioni in the money hanno un valore intrinseco positivo, mentre tutte<br />
le altre hanno un valore intrinseco nullo per definizione.<br />
Il valore intrinseco è la componente strettamente ‘logica’ del premio di una opzione. Supponiamo<br />
ad esempio che il titolo xyz quoti 8€. La call strike 5 rappresenta un diritto di acquisto di azioni xyz<br />
a 5 euro ciascuna, quando esse valgono molto di più sul mercato. Se io fossi un investitore<br />
razionale quale prezzo minimo pretenderei dunque per cedere a terzi il diritto di acquistare - da me<br />
- le azioni xyz a 5€ ciascuna? La risposta ovviamente è 3€ per azione! In questo modo infatti<br />
azzererei il vantaggio dell’opzione rispetto all’acquisto diretto delle azioni sottostanti, e non correrei<br />
il rischio di dover cedere le mie azioni a terzi ad un prezzo inferiore al loro valore corrente.<br />
Un aspetto importante è che nell’esempio soprastante non si è parlato di scadenze: il valore<br />
intrinseco non dipende infatti dall’orizzonte temporale dell’opzione, poiché il diritto di acquistare a<br />
5€ un qualcosa che ne vale 8 ha un prezzo minimo logico di 3€ a prescindere da quando tale<br />
diritto possa o intenda essere esercitato. Diciamo dunque che, a meno di casi particolari che<br />
vedremo tra poco, il valore intrinseco di una opzione è invariante rispetto alla scadenza<br />
dell’opzione stessa.<br />
Supponiamo ora un caso inverso: il titolo abc quota 12€ sul mercato. La put strike 18 rappresenta<br />
un diritto di vendere le azioni abc a 18€ ciascuna, quando sul mercato valgono molto meno. Quale<br />
deve essere il prezzo minimo di quella put per azzerare un profitto ingiustificato per il compratore<br />
di tale diritto? Ovviamente la risposta è 6€ per azione. Se infatti io esercito il diritto di vendere le<br />
azioni abc a 18 euro ciascuna e per ottenere tale diritto ho speso 6 euro per azione, allora è come<br />
se stessi vendendo le azioni a 12 euro ciascuna, proprio lo stesso prezzo che esse quotano ora<br />
sul mercato.<br />
Poco sopra ho parlato di possibili casi particolari. Quando un titolo paga un dividendo, tutte le<br />
opzioni che scadono ad una data successiva a quella del pagamento del dividendo stesso devono<br />
tenere conto di tale dividendo.<br />
Posto infatti che come da specifiche contrattuali il possessore di opzioni call (cioè di diritti di<br />
acquisto delle azioni ad una certa data) non ha diritto ad incassare il dividendo pagato entro la<br />
11
scadenza delle opzioni stesse, e considerando il fatto che il dividendo comporta un deprezzamento<br />
di pari valore del titolo nel giorno dello stacco, allora la presenza appunto di un dividendo si<br />
traduce in un evidente svantaggio per il possessore di opzioni call, che quindi dovrebbe pagare un<br />
prezzo ridotto per tali opzioni.<br />
La riduzione applicata al prezzo delle opzioni call tiene effettivamente conto del valore del<br />
dividendo che verrà pagato e della distanza temporale tra la data del calcolo e quella del<br />
pagamento del dividendo stesso.<br />
Per converso, in presenza di dividendi staccati ad una data precedente quella di scadenza delle<br />
opzioni put, queste ultime hanno un prezzo maggiorato in funzione dell’entità del dividendo e del<br />
tempo che separa la data del calcolo da quella del pagamento.<br />
Riassumendo, in presenza di dividendi si hanno quindi premi maggiorati per le opzioni put e<br />
decurtati per le opzioni call. Queste maggiorazioni e queste decurtazioni hanno effetto sul valore<br />
intrinseco delle opzioni stesse.<br />
La seconda componente che concorre al formarsi del premio totale di una opzione è quella<br />
cosiddetta temporale. Questa componente è l’espressione numerica, in termini di costo, della<br />
probabilità del verificarsi di un evento preciso: che il sottostante si trovi oltre lo strike dell’opzione<br />
alla scadenza della stessa.<br />
Questa quantificazione di una probabilità statistica è ovviamente una componente molto più<br />
complessa di un semplice valore intrinseco, poiché può dipendere allo stesso tempo da fattori<br />
oggettivi, immediatamente osservabili, e da fattori soggettivi: aspettative sul prossimo andamento<br />
di alcuni parametri di controllo.<br />
Gli elementi oggettivi, calcolabili, che incidono sul prezzo di una opzione sono sei: il prezzo del<br />
sottostante, lo strike price, il tasso di interesse privo di rischio, il numero di giorni che mancano alla<br />
scadenza, i dividendi (se presenti ovviamente), e la volatilità.<br />
Ognuno di questi fattori incide sul prezzo di una opzione in modo diverso, e l’esperienza insegna<br />
che è molto difficile isolare gli effetti delle variazioni di uno di essi dagli effetti concomitanti di tutti<br />
gli altri.<br />
Da quanto visto finora dunque emerge che in ogni istante il prezzo di una opzione è dato dalla<br />
somma di due componenti. Il valore intrinseco non può assumere valori negativi, ma può essere<br />
nullo anche molto tempo prima della scadenza. Anche il valore temporale non può assumere<br />
valori negativi, ma per definizione esso può essere nullo solo ed esclusivamente alla scadenza,<br />
quando non vi saranno più ipotesi formulabili sul prezzo del sottostante, né giorni o ore residui su<br />
cui quantificare probabilità di eventi favorevoli alla posizione assunta.<br />
Alla scadenza di una opzione dunque il prezzo, se positivo, è tutto e solo valore intrinseco. Prima<br />
della scadenza invece il prezzo di una opzione può essere dovuto o alla somma di valore<br />
intrinseco e valore temporale o esclusivamente a quest’ultimo. Ciò fa sì che anche opzioni con<br />
12
prezzi strike molto lontani dal valore corrente del sottostante quotino prezzi non nulli in ogni istante<br />
precedente la scadenza.<br />
Se alla scadenza una opzione ha un valore intrinseco maggiore di zero allora essa ha raggiunto il<br />
suo scopo: è in the money, dunque si è rivelata un investimento corretto.<br />
Esempio<br />
Supponiamo che il titolo abc quoti 22€ e che la call strike 25 con scadenza a tre mesi valga 0,5€.<br />
Si tratta di tutto e solo valore temporale, cioè aspettativa, poiché il valore intrinseco è nullo<br />
(negativo in effetti, poiché 22 – 25 = -3, dunque nullo). Se il prezzo del titolo abc a scadenza è<br />
pari a 28€, la call 25 vale 3€per azione, e si tratta di tutto e solo valore intrinseco, poiché il valore<br />
temporale alla scadenza è nullo (non ci può essere ormai alcuna aspettativa).<br />
Sei dunque sono, come abbiamo visto, i parametri che incidono sulla valutazione quantitiva<br />
dell’aspettativa che viene inclusa nei prezzi delle opzioni. Ora vedremo uno ad uno questi sei<br />
fattori quantificabili e i loro effetti isolati sui prezzi delle opzioni.<br />
Una premessa fondamentale: dipendendo da sei parametri, il prezzo di una opzione è descritto<br />
graficamente da una cosiddetta ipercurva in uno spazio geometrico a sette dimensioni, che<br />
ovviamente non può essere disegnato, bensì soltanto, e con fatica, immaginato.<br />
Descrivere l’effetto di una singola variabile sul valore di tale curva immaginaria significa dunque<br />
calcolare quella che matematicamente parlando viene definita una derivata prima parziale, ossia il<br />
calcolo di quanto una piccola variazione in uno dei parametri indipendenti comporti in termini di<br />
variazione sul valore della ipercurva, quando tutte le altre variabili indipendenti non si spostano di<br />
una virgola.<br />
In altri termini, isolare l’effetto di una piccola variazione di prezzo del sottostante sul valore di una<br />
opzione è possibile soltanto immaginando che le altre cinque variabili non si muovano affatto.<br />
Tutto quanto riportato nei paragrafi seguenti va dunque letto tenendo bene a mente tre concetti<br />
fondamentali: il primo è che tutti gli altri parametri si considerano immobili; il secondo è che tale<br />
ipotesi è una notevole distorsione della realtà del mercato, nel quale una variazione in uno dei<br />
parametri fondamentali incide a volte anche in maniera rilevante su tutti gli altri.<br />
Il terzo concetto, senza entrare troppo nel merito perché il discorso si complica notevolmente, è<br />
che nel trading in opzioni solitamente non sono le piccole variazioni dei parametri che interessano<br />
(o meglio preoccupano) il trader, bensì gli scostamenti di una certa entità, sui quali le derivate<br />
parziali della ipercurva del prezzo sono ben più difficilmente valutabili, a causa della forte<br />
interazione che si scatena tra le singole variabili a fronte di movimenti rilevanti in una di esse.<br />
13
SOTTOSTANTE<br />
Posto che una opzione call rappresenta un diritto di acquisto su un dato sottostante ad un certo<br />
prezzo, va da sé che più il sottostante sale, maggiore sarà il valore di tale diritto.<br />
Maggiore prezzo del sottostante significa quindi maggiore prezzo per tutte le opzioni call.<br />
Viceversa, posto che l’opzione put ha un valore protettivo a fronte delle discese dei prezzi, tanto<br />
più i prezzi scendono tanto più diventa apprezzabile tale funzione assicurativa, e viceversa<br />
trascurabile quando i prezzi salgono; maggiore valore del sottostante implica quindi minori prezzi<br />
per le opzioni put, e viceversa.<br />
STRIKE<br />
Lo strike è un obiettivo al quale il sottostante deve tendere per dare un valore oggettivo all’opzione,<br />
altrimenti il valore dell’esercizio di un diritto che non apporta alcun vantaggio tende ovviamente a<br />
zero.<br />
Più lo strike price è elevato, minore è la probabilità che il sottostante lo raggiunga entro una certa<br />
data, quindi minore è il valore delle opzioni call; specularmente, tanto più basso è lo strike price,<br />
tanto minore è la probabilità che il sottostante scenda così tanto da raggiungerlo entro la data di<br />
scadenza, dunque minore è il valore del diritto sotteso all’opzione put.<br />
Maggiore strike price significa quindi minori premi per le opzioni call e maggiori premi per le<br />
opzioni put, e viceversa.<br />
VOLATILITA’<br />
La volatilità è una misura statistica dell’ampiezza delle oscillazioni del prezzo del sottostante; tanto<br />
più alta è la volatilità, tanto maggiore è la probabilità che il prezzo del sottostante subisca<br />
variazioni percentuali rilevanti, ossia che possano essere raggiunti prezzi molto elevati o anche<br />
molto bassi.<br />
Ciò si traduce in una maggiore probabilità di esercizio di opzioni put e call anche con strike molto<br />
lontani dal prezzo corrente del sottostante, dunque in prezzi più elevati per tutte le opzioni.<br />
VITA RESIDUA<br />
14
Più la scadenza si avvicina, minore è la probabilità che il sottostante effettui un movimento tale da<br />
portare in the money opzioni che al momento corrente si trovano out of the money, e viceversa.<br />
Ciò si traduce semplicemente in prezzi più alti per le opzioni, sia call che put, che hanno scadenze<br />
lontane; viceversa, minore è la vita residua, minori sono i prezzi sia delle call che delle put, perché<br />
minore è la probabilità che esse assumano un valore positivo alla scadenza.<br />
TASSO <strong>DI</strong> INTERESSE PRIVO <strong>DI</strong> RISCHIO<br />
Secondo la teoria economica, se i tassi di interesse aumentano i prezzi delle call crescono e quelli<br />
delle put calano.<br />
A dimostrazione di ciò è necessario formulare alcune ipotesi: che il denaro possa essere prestato e<br />
preso a prestito senza vincoli e allo stesso tasso di interesse, che non vi siano limitazioni alle<br />
vendite allo scoperto di derivati e titoli sottostanti e all’utilizzo dei proventi di tali vendite scoperte<br />
(si rammenti che vendendo allo scoperto si incassa il controvalore, che tuttavia non può essere<br />
reimpiegato in altre operazioni, poiché vincolato fino alla chiusura dell’operazione).<br />
Considerando valide le ipotesi soprastanti, posto che le opzioni comportano esborsi molto minori<br />
rispetto alla corrispondenti posizioni dirette sui titoli sottostanti, con tassi più elevati è di norma più<br />
conveniente comprare una call e salvare liquidità che può essere investita e/o prestata a tassi di<br />
interesse elevati, che non impiegare tutta la liquidità oppure prendere a prestito denaro per<br />
comprare il sottostante, dunque aumenta la domanda di opzioni call, dunque aumenta il loro<br />
prezzo.<br />
Specularmente, è molto più conveniente vendere allo scoperto il sottostante, incassare il<br />
controvalore e prestarlo al tasso privo di rischio (ammesso e non concesso che tutte queste<br />
operazioni siano effettivamente fattibili), che non comperare una put, dunque la domanda di<br />
opzioni put cala, dunque cala anche il loro prezzo.<br />
<strong>DI</strong>VIDEN<strong>DI</strong><br />
I dividendi si traducono in una depressione di pari incidenza sul prezzo delle azioni, abbassando i<br />
premi delle call e facendo aumentare quelli delle put.<br />
15
Nel momento in cui i dividendi sono noti al mercato i premi delle opzioni tengono subito conto di<br />
questo valore conosciuto; in tutti gli altri casi il prezzo delle opzioni tiene conto di stime dei valori<br />
dei dividendi che verranno pagati.<br />
In ogni caso lo stacco di un dividendo atteso dal mercato non ha alcun effetto ‘sorpresa’ sui premi<br />
delle opzioni, poiché tale effetto è già incorporato a priori. Diverso ovviamente il caso di dividendi<br />
straordinari, che per definizione non possono essere previsti, né tantomeno scontati nei prezzi<br />
correnti.<br />
UNO SGUARDO GLOBALE AI PARAMETRI QUANTIFICABILI<br />
La tabella seguente mostra in forma sintetica l’effetto dei sei parametri quantificabili sui prezzi delle<br />
opzioni, sotto l’ipotesi che le singole variabili si muovano una alla volta, mentre le altre cinque<br />
rimangono ferme.<br />
se i parametri crescono<br />
se calano<br />
variabile call put call put<br />
sottostante + - - +<br />
strike price - + + -<br />
vita residua + + - -<br />
tasso interesse + - - +<br />
dividendi - + + -<br />
volatilità + + - -<br />
Le due colonne di sinistra mostrano l’effetto di una crescita nei valori delle singole variabili sui<br />
prezzi delle opzioni; le due colonne di destra mostrano invece l’effetto di un calo nei valori delle<br />
variabili.<br />
Alcuni dei parametri e i rispettivi effetti sui prezzi delle opzioni meriterebbero approfondimenti a<br />
vario livello, ma questo discorso esula dagli obiettivi di questo lavoro; perciò più avanti ci<br />
limiteremo a commentare come le variabili incidono sulle posizioni complessive delle strategie che<br />
andremo ad esaminare nel dettaglio, cercando comunque di mantenere il discorso su un piano<br />
immediatamente comprensibile per qualunque lettore.<br />
VALORE E PAYOFF A SCADENZA DELLE OPZIONI CALL<br />
16
Un concetto che a molti di coloro che si affacciano alle opzioni per la prima volta può rimanere a<br />
lungo poco compreso è che per capire cosa succede ad una posizione in opzioni alla scadenza<br />
bisogna essere in grado di attribuire il giusto valore ad ogni singolo ingrediente del portafoglio.<br />
E’ dunque opportuno distinguere tra valore a scadenza di una opzione e relativo payoff.<br />
Il valore di una opzione a scadenza, lo ricordo, è pari al suo valore intrinseco. E’ quindi nullo per<br />
tutte le opzioni out of the money o al limite esattamente at the money; è positivo, e pari alla<br />
differenza in valore assoluto tra sottostante e strike, per le sole opzioni in the money.<br />
Possiamo quindi rappresentare graficamente il valore di una opzione call a scadenza come segue.<br />
Valore dell’opzione call a scadenza<br />
strike<br />
Sottostante a scadenza<br />
Sull’asse orizzontale sono espressi i prezzi del sottostante, su quello verticale il valore<br />
dell’opzione, in questo caso una call.<br />
La call vale quindi zero per qualsiasi prezzo del sottostante a scadenza pari o inferiore allo strike;<br />
da quest’ultimo in avanti l’opzione si apprezza proporzionalmente alla salita: se il sottostante sale<br />
di un euro oltre lo strike, la call vale un euro per azione, e così via.<br />
Facciamo quindi un passo indietro e ricordiamoci che una opzione call rappresenta un diritto di<br />
fare qualcosa, dunque ha un prezzo che viene pagato per avere tale diritto. Questo prezzo, una<br />
volta pagato, è perso, nel senso che anche in caso di esercizio del diritto non verrà mai restituito al<br />
compratore dell’opzione.<br />
Ma siccome l’opzione alla peggio può perdere per intero il suo valore, il premio pagato rappresenta<br />
sempre il massimo rischio possibile per il compratore: più di quello non può essere perso.<br />
Se quindi vogliamo rappresentare graficamente il risultato monetario della posizione di acquisto su<br />
una opzione call dobbiamo prendere il grafico del valore a scadenza dell’opzione stessa e farlo<br />
scendere lungo l’asse verticale in misura pari al premio pagato. Quello che segue è quindi il<br />
grafico del payoff – cioè del risultato dell’investimento sulla opzione call - a scadenza:<br />
17
Payoff della posizione sulla opzione call comprata<br />
Call comprata<br />
strike<br />
Sottostante a scadenza<br />
Qualsiasi prezzo del sottostante a scadenza pari o inferiore allo strike si traduce in una perdita<br />
totale del premio pagato.<br />
Come si può ben vedere dal grafico precedente, superare lo strike non implica necessariamente il<br />
conseguimento di un profitto, anzi, per guadagnare denaro oltre al recupero del premio pagato è<br />
necessario che il sottostante si muova oltre un livello ben preciso, pari alla somma dello strike e<br />
del premio pagato.<br />
Se quindi, per esempio, si acquista una opzione call strike 10€ al prezzo di 0,7€, il prezzo che<br />
deve essere raggiunto per recuperare almeno il premio pagato è pari a 10,7€. Solo oltre tale livello<br />
si matura un reale profitto sulla posizione di acquisto sull’opzione call.<br />
Comincia dunque a delinearsi il quadro dei vantaggi e degli svantaggi dell’essere compratori di<br />
opzioni call: da un lato si può subire al massimo una perdita prefissata e perfettamente nota nel<br />
momento stesso in cui la posizione viene aperta; dall’altro lato per ottenere un profitto è necessario<br />
che il sottostante non solo si muova a favore, ma almeno per una certa entità; e, come se non<br />
bastasse, entro una certa data.<br />
La posizione del compratore di opzioni è quindi quella di chi investe contemporaneamente su due<br />
variabili: prezzo e tempo. Riprenderemo questi concetti più avanti.<br />
Ora riflettiamo sulla posizione del venditore allo scoperto dell’opzione call. Innanzitutto il valore<br />
dell’opzione a scadenza è sempre quello di cui al primo grafico visto in questo paragrafo; il valore<br />
dell’opzione a scadenza non dipende quindi dalla posizione assunta su di essa dagli investitori.<br />
Posto quindi ora che per il compratore la massima perdita possibile è pari all’intero premio pagato,<br />
la stessa quantità di denaro deve specularmente essere il massimo profitto potenziale del<br />
venditore.<br />
Il venditore incassa quindi il premio, e lo conserverà per intero per qualsiasi prezzo del sottostante<br />
a scadenza pari o inferiore allo strike; a partire da quest’ultimo valore in poi si avrà una riduzione<br />
graduale della quantità di denaro trattenuta, fino al raggiungimento di un punto di pareggio,<br />
18
localizzato esattamente allo stesso valore del punto di pareggio del compratore dell’opzione. Oltre<br />
il punto di pareggio il profitto del compratore si traduce in una equivalente perdita per il venditore<br />
allo scoperto.<br />
Il payoff della posizione in call venduta allo scoperto è dunque simmetrico - rispetto all’asse<br />
orizzontale – a quello della posizione in call comprata, come da grafico seguente.<br />
Payoff della posizione sulla opzione call venduta allo scoperto<br />
strike<br />
Sottostante a scadenza<br />
Call venduta<br />
allo scoperto<br />
Se dunque il compratore dell’opzione call ha un rischio massimo predefinito e un profitto almeno<br />
teoricamente infinito, il venditore allo scoperto ha un profitto massimo potenziale predefinito e un<br />
rischio almeno teoricamente infinito.<br />
Questi sono concetti fondamentali che vanno analizzati quando è necessario valutare la<br />
convenienza dell’essere compratori piuttosto che venditori di opzioni; un problema che<br />
riprenderemo tra poco, dopo aver analizzato anche le posizioni del compratore e del venditore di<br />
put.<br />
VALORE E PAYOFF A SCADENZA DELLLE OPZIONI PUT<br />
Il valore di una opzione put a scadenza dipende dalla sua moneyness, analogamente a quanto<br />
visto per le opzioni call. Posto che l’opzione put offre un vantaggio al compratore soltanto se il<br />
sottostante si deprezza, va da sé che la put vale zero per qualsiasi prezzo del sottostante pari o<br />
superiore allo strike, e si apprezza proporzionalmente alla discesa del sottostante a partire dallo<br />
strike. Il grafico del valore della put a scadenza è dunque il seguente.<br />
Valore dell’opzione put a scadenza<br />
Anche nel caso di una opzione put il premio una volta pagato è perso, quindi di nuovo esso<br />
rappresenta una perdita certa, ma predefinita, perfettamente nota al momento dell’acquisto della<br />
opzione.<br />
strike<br />
Sottostante a scadenza<br />
19
Da ciò discende che per passare dal grafico del valore dell’opzione put a scadenza a quello del<br />
suo payoff a scadenza è necessario far scivolare verso il basso il grafico soprastante, lungo l’asse<br />
verticale, in misura pari al premio pagato, come da grafico seguente.<br />
Payoff della posizione sulla opzione put comprata<br />
Put comprata<br />
strike<br />
Sottostante a scadenza<br />
Una prima differenza rispetto all’acquisto di opzioni call è data dal potenziale di profitto massimo:<br />
mentre per la call è teoricamente infinito, per la put esiste un massimo naturale al profitto, dato dal<br />
caso in cui il sottostante vada a zero.<br />
Come per il passaggio dall’opzione call comprata a quella venduta allo scoperto, per passare dal<br />
payoff a scadenza della put comprata a quello della put venduta allo scoperto è sufficiente ribaltare<br />
il grafico rispetto all’asse orizzontale.<br />
Payoff della posizione sulla opzione put venduta allo scoperto<br />
strike<br />
Sottostante a scadenza<br />
Put venduta<br />
allo scoperto<br />
Le quattro posizioni fondamentali, long e short, su call e su put, possono essere facilmente<br />
memorizzate con un semplice schema che possa radunarle tutte insieme in modo immediato; tale<br />
schema è riportato qui di seguito:<br />
20
Le quattro operazioni di base in un unico colpo d’occhio<br />
LONG<br />
CALL<br />
PUT<br />
SHORT<br />
Così, da sinistra a destra e verso l’alto si ha la call long, verso il basso la call short; da destra a<br />
sinistra e verso l’alto la put long, verso il basso la put short.<br />
Un altro modo di vedere le quattro posizioni di base è dato dalla tabella successiva, nella quale la<br />
chiave di lettura è quella che nei miei anni di esperienza di docente su questa materia mi ha<br />
permesso di far sempre comprendere ai miei studenti in modo immediato il significato - in termini di<br />
opportunità e rischio - delle singole posizioni.<br />
L’idea è quella di considerare le opzioni call come strumenti ‘positivi’, data la loro natura di<br />
investimenti rialzisti, e le put come strumenti negativi, data la loro natura di investimenti ribassisti.<br />
In questo senso la lettura delle quattro caselle della tabella seguente dovrebbe risultare subito<br />
chiara.<br />
CALL<br />
PUT<br />
LONG<br />
SHORT<br />
+ +<br />
posizione rialzista<br />
- +<br />
posizione NON<br />
rialzista<br />
+ -<br />
posizione ribassista<br />
- -<br />
Posizione NON<br />
ribassista<br />
21
Nel riquadro superiore sinistro la lettura è la seguente: "ho un atteggiamento positivo (il primo “+”),<br />
su uno strumento positivo (il secondo “+”, da cui la simbologia “+ +”)". In altre parole il pensiero<br />
del trader che acquista una opzione call è “ho una aspettativa di rialzo sul sottostante”.<br />
La cella sottostante, quadrante inferiore sinistro, va letto come l’opposto rispetto alla prima parte, e<br />
lo stesso segno per la seconda parte: "ho un atteggiamento negativo su uno strumento positivo".<br />
In altre parole il pensiero del trader che vende allo scoperto una opzione call è “non ho una<br />
aspettativa di rialzo sul sottostante”.<br />
Da qui scaturisce una delle fondamentali distinzioni nel trading in opzioni: il fatto di non avere<br />
una aspettativa di rialzo è equivalente all’avere una aspettativa di ribasso? Forse il 99% delle<br />
persone che non si occupano di trading in opzioni risponderebbe in modo affermativo, non<br />
cogliendo la sottile differenza tra le due situazioni.<br />
Ma per un trader in opzioni questa è una differenza fondamentale, che va compresa appieno per<br />
poter utilizzare questi strumenti nel modo più appropriato.<br />
Il quadrante superiore destro indica l’avere una aspettativa positiva su uno strumento negativo,<br />
ossia una aspettativa di ribasso sul sottostante; in altre parole il significato della posizione long su<br />
una put è “penso che il sottostante scenderà”.<br />
E ora sorge spontanea una domanda molto importante: è la stessa cosa affermare “non penso che<br />
salirà” piuttosto che “penso che scenderà”?<br />
Anche se le due affermazioni possono sembrare equivalenti, la differenza tra di loro, in termini di<br />
trading sulle opzioni, è enorme.<br />
Fermiamoci un momento a pensare a un concetto molto banale: quando si apre una posizione di<br />
investimento su un qualsiasi strumento finanziario quanti sono gli scenari di massima possibili<br />
dopo un certo lasso di tempo?<br />
La risposta immediata è “tre”: o sale, o scende, o rimane stabile. Di questi tre scenari uno è<br />
favorevole, uno è neutrale, uno infine è sfavorevole.<br />
Per un trader in opzioni gli scenari di massima che devono interessarlo sono in realtà cinque, non<br />
tre: o rimane pressoché stabile, o sale poco, o sale molto, o scende poco, o scende molto.<br />
Il perché delle distinzioni tra il salire o lo scendere poco o molto è presto spiegato: dal momento<br />
che al compratore di opzioni call non è sufficiente che il sottostante salga per avere un profitto,<br />
allora va da sé che gli scenari a lui favorevoli sono uno solo su cinque; non è infatti sufficiente che<br />
il sottostante salga per farlo guadagnare: deve salire molto, e - come se ciò non bastasse - deve<br />
salire molto in un tempo limitato.<br />
22
La posizione del venditore allo scoperto di opzioni call è ben diversa: generalmente ha tre scenari<br />
favorevoli (scende molto, scende poco, rimane stabile), uno neutrale (sale poco, perché alla<br />
peggio restituisce tutto il premio pagato ma non perde soldi) e uno solo sfavorevole (sale molto).<br />
Discorso analogo, mutatis mutandis, per le opzioni put: se il sottostante sale molto, sale poco o<br />
rimane stabile ottiene un profitto; se il sottostante scende poco non guadagna ma nemmeno<br />
perde, se scende molto perde. Di nuovo dunque tre scenari favorevoli, uno neutrale e uno solo<br />
sfavorevole.<br />
A grandi linee quindi il venditore allo scoperto di opzioni – sia put che call - parte sempre con un<br />
60% di probabilità di guadagnare, e un 80% di probabilità di non perdere. Questo è un aspetto<br />
fondamentale del trading in opzioni. E si tratta di un aspetto che i più ignorano per molto tempo,<br />
quando non per sempre, ingannati dalla trappola mentale del premio come massima perdita nota a<br />
priori della posizione lunga.<br />
Per enfatizzare il concetto dell’opportunità di essere venditori allo scoperto piuttosto che<br />
compratori di opzioni si consideri nuovamente un concetto già introdotto: comprare opzioni<br />
significa dover fare previsioni su due variabili contemporaneamente, prezzo e tempo.<br />
Io chiedo una cosa molto semplice ai lettori: avete mai visto una agenzia di rating attribuire un<br />
lasso temporale alle proprie previsioni di target price per questa o quella azienda quotata?<br />
Ovviamente no: nessuna agenzia di rating si sognerà mai di dire entro quanto tempo prevede che<br />
possa essere raggiunto il target price annunciato.<br />
Né del resto si può pretendere che le agenzie di rating si sbilancino in tal senso: non possono di<br />
certo fare previsioni temporali per il verificarsi degli eventi attesi; sarebbe veramente troppo.<br />
Eppure il fattore tempo non è affatto una variabile trascurabile nel trading in opzioni, anzi, è proprio<br />
la variabile principe del trading in opzioni. Il tempo che passa è ciò che più di ogni altra cosa<br />
segna il confine tra il profitto e la perdita del compratore e del venditore di opzioni.<br />
La posizione del compratore di opzioni è dunque quella di un investitore talmente bravo a fare<br />
analisi da poter assegnare lassi temporali ad analisi di prezzo; una cosa assai complessa. La<br />
posizione del venditore allo scoperto di opzioni è invece quella di un analista che cerca su un<br />
grafico livelli di prezzo che difficilmente potranno essere significativamente oltrepassati entro un<br />
certo lasso di tempo.<br />
E c’è un altro aspetto fondamentale di cui tenere conto: la possibilità di difendere una posizione<br />
piuttosto che un’altra.<br />
Il compratore di una opzione call, per fare un esempio (che comunque può essere trasposto –<br />
mutatis mutandis – anche al caso dell’opzione put), cosa può fare per difendersi da un sottostante<br />
che non sale verso lo strike prescelto entro la scadenza dell’opzione? Assolutamente nulla…<br />
23
L’unico modo di forzare il mercato a dargli ragione sarebbe l’avere una liquidità sufficiente da<br />
consentirgli di acquistare il sottostante in misura tale da condizionarne l’andamento, spingendolo<br />
oltre lo strike dell'opzione. Ammesso e non concesso che tale comportamento fosse<br />
effettivamente perseguibile (al di là delle possibili complicazioni ‘legali’ derivanti dal fatto che si sta<br />
compiendo un aggiotaggio), ciò comporterebbe l’esporsi due volte nella stessa direzione del<br />
mercato, pur di avere ragione a tutti i costi. Un comportamento dichiaratamente folle.<br />
Viceversa, il venditore allo scoperto di opzioni posto di fronte ad un sottostante che non sale deve<br />
solo attendere la scadenza per conservare il premio incassato, e se proprio il sottostante deve<br />
salire e arrivare a minacciare la base venduta è sufficiente acquistare il sottostante per invertire<br />
immediatamente il segno dell’operazione, senza aumentare il rischio effettivo: lo si inverte soltanto<br />
di segno, perché a quel punto il rischio è che la salita sia fasulla e il sottostante torni sui propri<br />
passi, nel qual caso basterebbe chiudere la posizione su di esso per ritornare alla short call<br />
originaria.<br />
Mentre il chiudere in stop loss una posizione lunga su una opzione che sembra essere diretta ad<br />
una scadenza senza valore comporta inequivocabilmente una perdita, una posizione short che<br />
viene difesa in seguito ad una minaccia conserva intatta la possibilità iniziale di produrre un utile; il<br />
discorso quindi è ben diverso, anche in termini operativi e non solo teorici.<br />
COMBINARE LE OPZIONI PER PRODURRE STRATEGIE COMPLESSE<br />
Le opzioni possono essere combinate in moltissimi modi e produrre così – in termini della somma<br />
algebrica di tutte le singole posizioni – profili di payoff a scadenza molto diversi, adattabili<br />
pressoché a qualsiasi scenario atteso sul sottostante.<br />
Opzioni di diverso tipo, cioè call e put, possono essere combinate per investimenti mirati a trarre<br />
vantaggio da forti movimenti del sottostante a prescindere dalla sua direzione, oppure dall’esatto<br />
opposto, ossia dalla eventualità che il sottostante oscilli all’interno di range specifici di valori, senza<br />
oltrepassare sensibilmente né un valore specifico di resistenza né un altro valore specifico di<br />
supporto.<br />
Le più note strategie in tal senso sono gli straddle e gli strangle, e loro varianti, come gli strip e gli<br />
strap.<br />
Se queste strategie vengono acquistate allora mirano a sfruttare un forte movimento direzionale<br />
del sottostante, in una qualsiasi delle due direzioni; se invece vengono vendute allo scoperto esse<br />
mirano a trarre beneficio dal mancato movimento sensibile del sottostante entro un certo lasso di<br />
tempo.<br />
24
Stiamo dunque entrando nel merito delle considerazioni alla base di questo lavoro: l’ipotesi<br />
fondamentale di partenza, ancora da dimostrare, è che i mercati per circa il 70% del tempo non si<br />
muovano in modo rilevante.<br />
Se due opzioni, una call e una put, aventi lo stesso strike e la stessa scadenza vengono acquistate<br />
insieme, danno origine alla strategia nota come straddle, il cui payoff a scadenza è illustrato in<br />
figura seguente.<br />
Payoff a scadenza di uno straddle comprato<br />
Call comprata + put comprata<br />
La put comprata (stessi comporta strike e scadenza) l’esborso di un premio che rappresenta la sua massima perdita<br />
possibile; stesso discorso per la call comprata. La somma dei due premi pagati dunque è la<br />
massima perdita possibile.<br />
strike<br />
Questa perdita a scadenza si materializza<br />
Sottostante<br />
per<br />
a<br />
intero<br />
scadenza<br />
in un solo punto preciso: lo strike delle due<br />
opzioni. Si consideri infatti che per qualsiasi prezzo superiore allo strike la opzione put comporta<br />
la perdita integrale del premio pagato, ma la call produce per lo meno un rientro parziale del<br />
premio pagato, poiché si trova gradualmente sempre più in the money.<br />
La somma algebrica delle due posizioni produce quindi un risultato che dalla massima perdita<br />
possibile gradualmente rientra verso la parità.<br />
I punti di pareggio sono dati dalla somma e dalla sottrazione del premio totale pagato per le due<br />
opzioni e del loro strike. Se, ad esempio, lo strike è pari a 10€, e il premio della call e della put è<br />
0,65€, allora il massimo rischio è pari a 1,30€ (0,65 + 0,65). Tale è la perdita che si registra se a<br />
scadenza il prezzo del sottostante è proprio pari a 10€.<br />
Dal momento che la proporzione tra movimento del sottostante e profitto è di 1 a 1, affinché si<br />
verifichi un rientro di 1,30€ il sottostante deve allontanarsi proprio di tale distanza dallo strike, in<br />
una qualsiasi delle due direzioni.<br />
I due punti di pareggio sono pertanto localizzati a 8,7€ e a 11,3€. Al di fuori di uno qualsiasi di<br />
questi due valori la posizione complessiva va in profitto; all’interno si ha una perdita, la cui entità<br />
dipende dal prezzo del sottostante alla scadenza.<br />
Facciamo ancora un computo rapido. Posto che 1,30 euro su 10€ sono il 13%, l’area di perdita<br />
per la strategia long straddle è di ampiezza pari al 26%, il 13% per parte.<br />
Finché il sottostante non compie un movimento di almeno il 13% in una specifica direzione e<br />
mantiene poi la direzionalità acquisita la posizione rimane in perdita. Questo vale ovviamente per<br />
il compratore delle due opzioni, mentre la posizione del venditore è esattamente speculare: non<br />
perde finché il sottostante non esce da uno dei due punti di pareggio.<br />
25
Payoff a scadenza di uno straddle venduto allo scoperto<br />
Call venduta allo scoperto + put venduta allo scoperto<br />
(stessi strike e scadenza)<br />
strike<br />
Sottostante a scadenza<br />
Ovviamente un movimento del 26% non lo si vede molto spesso sui mercati finanziari, ma come si<br />
evince dal grafico se per una qualsiasi ragione il movimento del sottostante è veramente molto<br />
violento la perdita per il venditore allo scoperto di straddle può essere devastante, visto che in<br />
entrambe le direzioni si ha una perdita costantemente crescente.<br />
Lo short straddle è - come vedremo più avanti - uno degli ingredienti di un particolare caso di iron<br />
condor: la butterfly, o spread a farfalla.<br />
Una piccola variante dello straddle, detta strangle, si ottiene combinando una put e una call con<br />
stessa scadenza ma strike differenti; in particolare, lo strike della put inferiore a quello della call.<br />
Un esempio di long strangle è raffigurato nella figura seguente.<br />
Payoff a scadenza di uno strangle comprato<br />
Call comprata + put comprata<br />
(strike della put inferiore a quello della call e stessa scadenza)<br />
strike<br />
put<br />
strike<br />
call<br />
Sottostante a scadenza<br />
In questo caso la massima perdita potenziale, che è sempre pari alla somma dei premi pagati per<br />
l'acquisto delle due opzioni, non è più localizzato in un punto soltanto, bensì in una area, quella<br />
compresa tra i due strike.<br />
Vi è dunque uno svantaggio rispetto al caso dello straddle, ma vi è anche un vantaggio: mentre lo<br />
straddle è fatto di due opzioni pressoché entrambe at the money, dunque molto care, lo strangle è<br />
solitamente costituito dalla somma di due opzioni out of the money, quindi meno care; in altri<br />
termini la massima perdita si verifica sì in una area di prezzo anziché in corrispondenza di un<br />
prezzo preciso, ma è di entità minore rispetto a quella dello straddle.<br />
La posizione del venditore allo scoperto di uno strangle si ottiene ribaltando il payoff della figura<br />
precedente rispetto all'asse orizzontale, come da figura seguente.<br />
26
Payoff a scadenza di uno strangle venduto allo scoperto<br />
Sottostante a scadenza<br />
strike<br />
put<br />
strike<br />
call<br />
Call venduta allo scoperto + put venduta allo scoperto<br />
(strike della put inferiore a quello della call e stessa scadenza)<br />
Lo short strangle, come vedremo più avanti, è uno degli ingredienti dell'iron condor.<br />
Ora dobbiamo introdurre le strategie verticali, fatte di opzioni dello stesso tipo (o solo call o solo<br />
put), aventi la stessa scadenza e strike diversi, una comprata e l'altra venduta allo scoperto.<br />
Le posizioni che si possono ottenere con simili combinazioni sono chiamate spread verticali, e<br />
possono essere fondamentalmente di due tipi: a debito e a credito.<br />
In funzione dei due tipi di opzioni e dei due tipi di spread verticali appena nominati si possono<br />
dunque costruire quattro diversi spread:<br />
1. il bull call vertical spread (spread verticale di call al rialzo) è costituito da una call comprata e<br />
una call venduta, con lo strike della comprata inferiore a quello della venduta; si tratta di uno<br />
spread a debito, poiché il premio che si paga per l'acquisto della call con strike inferiore è sempre<br />
matematicamente più alto del premio che si incassa dalla vendita della call con strike superiore; il<br />
saldo differenziale è quindi un esborso che si sopporta; il payoff è riportato in figura seguente.<br />
Payoff a scadenza di un bull call vertical spread<br />
Call comprata + call venduta allo scoperto<br />
(strike della comprata inferiore a quello della venduta e stessa scadenza)<br />
strike call<br />
comprata<br />
strike call<br />
venduta<br />
Sottostante a scadenza<br />
27
Come si ottiene il payoff soprastante è presto detto: per qualsiasi prezzo del sottostante a<br />
scadenza pari o inferiore allo strike della call comprata (quello più a sinistra) si perde l'intero<br />
premio della call comprata e si mantiene incassato l'intero premio della call venduta.<br />
Essendo essi due valori fissi, è fisso anche il differenziale tra loro; tale differenziale, infine, è<br />
negativo, poiché la call comprata è più cara di quella venduta.<br />
Se il sottostante sale oltre lo strike della call comprata si recupera gradualmente il premio pagato<br />
per il suo acquisto, fino a maturare un profitto proporzionale, mentre dalla call venduta si mantiene<br />
il premio incassato (fino ad un certo punto però, ci arriveremo tra poco).<br />
La sommatoria di queste due componenti fa dunque un valore crescente insieme al prezzo del<br />
sottostante (dunque verso destra); il punto di taglio dell'asse orizzontale (cioè il punto di pareggio,<br />
o breakeven) è dato dallo strike della call comprata più il premio netto pagato (cioè il premio<br />
pagato per la call comprata meno il premio incassato dalla call venduta).<br />
La crescita del profitto non è però costante: per qualsiasi valore del sottostante a scadenza pari o<br />
superiore allo strike della call venduta allo scoperto si ha infatti da un lato un profitto crescente<br />
sulla call comprata, ma dall'altro una perdita - tanto più elevata quanto più il sottostante sale - sulla<br />
call venduta allo scoperto (si rivedano i payoff delle singole posizioni se ci si sta perdendo).<br />
La sommatoria del profitto sulla call comprata e della perdita sulla call venduta è pari a zero in<br />
qualsiasi punto superiore allo strike della call venduta, perciò oltre tale strike il payoff non può più<br />
mutare rispetto al valore assunto in corrispondenza di esso.<br />
Con uno spread verticale di call al rialzo si definiscono dunque fin dall'inizio una massima perdita<br />
potenziale - il premio totale netto pagato - e un massimo profitto potenziale, dato da una semplice<br />
formula:<br />
(strike della call venduta - strike della call comprata) - premio netto pagato<br />
In altri termini, il massimo profitto potenziale è dato dallo scarto tra gli strike meno il premio netto<br />
pagato.<br />
Se, ad esempio, si costruisce uno spread verticale di call rialzista sul titolo xyz fatto di long call 9 e<br />
short call 10, il premio per la call 9 comprata è pari a 0,70€ e il premio incassato dalla call 10<br />
venduta allo scoperto è 0,25 euro, allora il premio netto pagato, ossia la massima perdita<br />
potenziale, è pari a 0,45€ per azione, mentre il massimo profitto potenziale è dato da (10 - 9) -<br />
0,45€, cioè 0,55€ per azione.<br />
Ora dobbiamo porci una domanda importante: qual è lo scopo di una strategia di questo tipo?<br />
Tecnicamente il bull call vertical spread risponde all'aspettativa che il sottostante non scenda al di<br />
sotto di un valore definito (lo strike della call venduta), combinato con una protezione del capitale<br />
in caso di errore di analisi.<br />
28
Si tratta cioè - almeno teoricamente - di investire sullo scenario di non rottura di un supporto, con<br />
la possibilità di trarre un profitto indipendentemente dal fatto che su tale supporto i prezzi<br />
inneschino poi un rimbalzo forte, debole o anche semplicemente un movimento laterale. I già citati<br />
(e desiderati) tre scenari favorevoli su cinque.<br />
Più avanti, tuttavia, vedremo cosa significa costruire con dati reali i quattro tipi di spread verticali<br />
possibili (quello appena mostrato e i tre successivi), e noteremo in realtà che un bull call vertical<br />
spread di norma lo si costruisce con opzioni out of the money, perchè altrimenti ha poco senso, e<br />
in tal caso per trarre profitto il sottostante deve salire oltre lo strike comprato, ma preferibilmente<br />
non troppo, altrimenti la vendita della call con strike superiore diventa penalizzante. E si rientra<br />
così nel ben più sfavorevole caso di un unico scenario profittevole (la salita decisa del sottostante),<br />
accompagnato alla auto-imposizione di un tetto massimo al profitto anche nella fortunata ipotesi<br />
che si azzecchi una difficile previsione di prezzo e di tempo.<br />
Dunque il discorso va ribaltato rispetto a quanto detto poco fa: non si tratta di investire su un<br />
supporto confidando nella sua tenuta, bensì di scommettere sulla rottura di una resistenza (lo<br />
strike comprato), ipotizzando però che da tale rottura non si generi abbastanza forza da spingere i<br />
prezzi oltre una successiva resistenza (lo strike venduto). In pratica si sta facendo una<br />
scommessa di prezzo e di tempo - cosa, come già detto, assai complessa - e ci si tarpa subito le<br />
ali nel caso fortuito in cui tale scommessa vada a buon fine!<br />
Tra poco vedremo diversi esempi, che chiariranno meglio queste problematiche.<br />
2. il bear call vertical spread (spread verticale di call al ribasso) è costituito nuovamente da una call<br />
comprata e una call venduta, ma questa volta gli strike sono in posizione invertita: lo strike della<br />
comprata è superiore a quello della venduta; si tratta di uno spread a credito, poiché il premio che<br />
si paga per l'acquisto della call con strike superiore è sempre matematicamente più basso del<br />
premio che si incassa dalla vendita della call con strike inferiore; il saldo è quindi un premio che si<br />
incassa; il payoff è riportato in figura seguente.<br />
Payoff a scadenza di un bear call vertical spread<br />
Call comprata + call venduta allo scoperto<br />
(strike della comprata superiore a quello della venduta e stessa scadenza)<br />
strike call<br />
comprata<br />
Sottostante a scadenza<br />
strike call<br />
venduta<br />
29
In questo caso il premio netto non è pagato, bensì è incassato, poiché ciò che si incassa dalla<br />
vendita della call con strike inferiore è maggiore di ciò che si paga per l'acquisto della call con<br />
strike superiore.<br />
Il premio netto incassato rappresenta il massimo profitto potenziale, mentre la massima perdita<br />
potenziale è pari alla distanza tra i due strike meno il premio netto incassato.<br />
Il payoff globale si ottiene con ragionamenti analoghi a quelli visti nel caso del bull call vertical<br />
spread: per qualsiasi prezzo del sottostante pari o inferiore allo strike minore si ha la perdita<br />
completa del premio pagato per la call comprata, ma anche l'incasso totale del premio incassato<br />
dalla call venduta, superiore al premio pagato per quella comprata; dunque globalmente si ha un<br />
profitto, pari al premio netto incassato.<br />
A salire dallo strike venduto allo scoperto si ha un profitto decrescente, poiché si restituisce via via<br />
una parte del premio incassato dalla vendita, fino alla restituzione totale, quindi il punto di<br />
pareggio, che si ha in corrispondenza dello strike venduto più il premio netto incassato; oltre il<br />
punto di pareggio si va in zona di perdita, crescente fino a un massimo che poi rimane costante.<br />
La perdita trova infatti un tetto in corrispondenza dello strike della call comprata, oltre il quale la<br />
perdita sulla call venduta viene bilanciata sempre perfettamente dal profitto sulla call comprata.<br />
Tutte le considerazioni che si possono fare in merito allo scopo di una simile strategia sono l'esatto<br />
opposto di quelle fatte per lo spread verticale di call al rialzo.<br />
Si tratta quindi di vendere allo scoperto una resistenza, sperando che non verrà oltrepassata,<br />
ponendo però fin da subito un tetto alle perdite nel caso l'aspettativa si rivelasse errata.<br />
Non dovendo fare ipotesi di prezzo e di tempo, bensì soltanto formulare ipotesi su un valore di<br />
prezzo che difficilmente potrà essere superato entro una certa data, si torna finalmente nel caso<br />
dei tre scenari favorevoli su cinque, uno neutrale, e uno solo infine sfavorevole, con l'aggiunta che<br />
comunque lo scenario sfavorevole produce una perdita limitata e nota a priori.<br />
E' ora di vedere un po' di esempi su dati reali.<br />
Quella che segue è una porzione di tabella delle opzioni sull'indice FTSE Mib con una scadenza a<br />
circa 15 giorni di calendario di distanza, quando il sottostante quota poco sotto i 20000 punti,<br />
prelevata dal sito di Borsa Italiana:<br />
30
Nella colonna centrale appaiono gli strike price, sulla sinistra le call, sulla destra le put. Nella parte<br />
sinistra della tabella, da sinistra verso destra le colonne riportano il prezzo denaro, il prezzo lettera,<br />
l'ultimo prezzo scambiato, e infine la "c" che indica che si tratta di opzioni call; nella parte destra<br />
della tabella, da sinistra verso destra le colonne riportano la "p" che indica che si tratta di put,<br />
l'ultimo prezzo scambiato, il prezzo denaro e infine il prezzo lettera.<br />
Supponiamo allora di voler costruire uno spread verticale al rialzo di call, con una distanza di 500<br />
punti tra gli strike negoziati.<br />
Poiché il sottostante quota circa 20000 punti, tutte le call con strike pari o inferiore a 19750 sono in<br />
the money, la call 20000 è at the money, tutte le call, infine, con strike pari o superiore a 20250<br />
sono out of the money.<br />
Ipotizziamo di poter sempre ottenere un eseguito ad un prezzo baricentrico tra denaro e lettera, e<br />
di negoziare sempre una opzione per volta. Cominciamo poi dalle opzioni in the money:<br />
caso 1<br />
Long call 19000, short call 19500: il premio che si paga è pari a 1020 punti (ogni punto vale 2,5<br />
euro), il premio che si incassa è pari a 635 punti. Dunque l'esborso netto è pari a 385 punti. Il<br />
massimo profitto potenziale è pari allo scarto tra gli strike negoziati meno il premio netto pagato,<br />
dunque 115 punti. Sostanzialmente dunque si rischiano 962,5€ per poterne incassare al massimo<br />
287,5. Il profitto massimo si concretizza per qualsiasi valore a scadenza del sottostante pari o<br />
superiore a 19500 punti. Essendo l'indice al momento intorno ai 20000 punti, l'importante è che<br />
esso non si trovi a più del 2,5% in meno dalle quotazioni attuali al giorno di scadenza delle opzioni.<br />
caso 2<br />
Long call 19500, short call 20000: si pagano 635 punti, se ne incassano 328; il premio netto<br />
pagato è quindi 307 punti. Il profitto massimo potenziale è pari a 193 punti. Si rischiano dunque<br />
31
767,5€ per incassarne al massimo 482,5. Ma per avere questo profitto l'indice deve rimanere<br />
sopra 20000 punti alla scadenza<br />
caso 3<br />
Long call 20000, short call 20500: si pagano 328 punti, se ne incassano 128; il premio netto<br />
pagato è quindi 200 punti. Il profitto massimo potenziale è pari a 300 punti. Si rischiano dunque<br />
500€ per incassarne fino a 750. Ma per avere questo profitto l'indice deve salire almeno fino a<br />
20500 punti al giorno di scadenza.<br />
caso 4<br />
Long call 20500, short call 21000: si pagano 128 punti, se ne incassano 36; il premio netto pagato<br />
è quindi 92 punti. Il profitto massimo potenziale è pari a 408 punti. Si rischiano dunque 230€ per<br />
incassarne fino a 1020. Ma per avere questo profitto l'indice deve salire almeno fino a 21000 punti<br />
al giorno di scadenza.<br />
Conclusioni<br />
Il rapporto tra il massimo profitto e la massima perdita è tanto più favorevole quanto più out of the<br />
money sono gli strike negoziati; ma ciò implica anche una minore probabilità di successo, poiché il<br />
movimento del sottostante necessario a portare la posizione in guadagno è sensibile.<br />
Lo spread verticale di call al ribasso si ottiene invertendo le posizioni, e dunque anche i conteggi,<br />
degli esempi soprastanti.<br />
Ne deriva che mentre l'investitore che compra la call 20500 e vende la call 21000 di cui al caso 4<br />
scommette su una crescita dell'indice FTSE Mib del 5% entro 15 giorni, fissando in questo modo<br />
un massimo rischio pari a meno di un quarto del massimo profitto potenziale; l'investitore che apre<br />
le posizioni invertite spera che il valore di 21000 punti non verrà superato nei prossimi 15 giorni di<br />
calendario e per mettere in opera questa sua aspettativa assume un rischio pari ad oltre quattro<br />
volte il suo massimo potenziale beneficio.<br />
Così di primo acchito viene spontaneo attribuire al primo investitore un comportamento prudente e<br />
al secondo un comportamento pericoloso, ma la domanda fondamentale a cui finora non abbiamo<br />
risposto è: quali sono le probabilità statisticamente a favore dell'uno e dell'altro?<br />
Questa è la vera domanda da porsi, perchè le probabilità a favore dell'uno e dell'altro sono<br />
la vera discriminante in questa situazione.<br />
Riprenderemo questi concetti più avanti.<br />
3. il bull put vertical spread (spread verticale di put al rialzo) è costituito da una put comprata e una<br />
put venduta, con lo strike della comprata inferiore a quello della venduta; si tratta di uno spread a<br />
credito, poiché il premio che si paga per l'acquisto della put con strike inferiore è sempre<br />
32
matematicamente più basso del premio che si incassa dalla vendita della put con strike superiore;<br />
il saldo è quindi un premio che si incassa; il payoff è riportato in figura seguente.<br />
Payoff a scadenza di un bull put vertical spread<br />
Put comprata + put venduta allo scoperto<br />
(strike della comprata inferiore a quello della venduta e stessa scadenza)<br />
strike put<br />
comprata<br />
strike put<br />
venduta<br />
Sottostante a scadenza<br />
Per qualsiasi prezzo a scadenza pari o superiore allo strike della put venduta si mantiene l'intero<br />
premio netto incassato; a scendere dallo strike venduto si restituisce gradualmente il premio<br />
incassato fino al suo azzeramento, che avviene in corrispondenza del livello dato dallo strike<br />
venduto meno il premio netto incassato; successivamente la posizione complessiva va in perdita,<br />
fino ad un tetto, in corrispondenza dello strike comprato e per qualsiasi valore inferiore ad esso,<br />
pari alla differenza tra lo scarto tra gli strike e il premio netto incassato.<br />
4. il bear put vertical spread (spread verticale di put al ribasso) è costituito nuovamente da una put<br />
comprata e una call venduta, ma questa volta lo strike della comprata è superiore a quello della<br />
venduta; questa volta si tratta di uno spread a debito, poiché il premio che si paga per l'acquisto<br />
della put con strike superiore è sempre matematicamente più alto del premio che si incassa dalla<br />
vendita della put con strike inferiore; il saldo è quindi un esborso che si sopporta; il payoff è<br />
riportato in figura seguente.<br />
Payoff a scadenza di un bear put vertical spread<br />
Put comprata + put venduta allo scoperto<br />
(strike della comprata superiore a quello della venduta e stessa scadenza)<br />
strike put<br />
comprata<br />
Sottostante a scadenza<br />
strike put<br />
venduta<br />
Per qualsiasi prezzo a scadenza pari o superiore allo strike della put comprata si perde l'intero<br />
premio netto pagato; a scendere dallo strike comprato si rientra gradualmente del premio pagato<br />
fino al suo rientro totale, che avviene in corrispondenza del livello dato dallo strike comprato meno<br />
il premio netto pagato; successivamente la posizione complessiva va in profitto, fino ad un tetto, in<br />
33
corrispondenza dello strike venduto e per qualsiasi valore inferiore ad esso, pari alla differenza tra<br />
lo scarto tra gli strike e il premio netto pagato.<br />
Utilizzando i prezzi di cui alla tabella già utilizzata per i quattro casi di spread verticali di call è<br />
possibile dimostrare che anche nel caso delle put gli spread a debito sono tanto più performanti<br />
quanto più out of the money sono le opzioni trattate.<br />
Due parole vanno spese sullo spread verticale di put al rialzo (quello a credito cioè): esso risponde<br />
all'aspettativa che le quotazioni non scenderanno al di sotto di un valore predefinito, lasciando<br />
all'investitore un profitto predefinito sia nel caso in cui il prezzo salga molto, sia in quello in cui<br />
salga poco, sia infine in quello in cui il prezzo rimanga stabile. Ancora una volta, tre scenari a<br />
favore su cinque.<br />
Possiamo ora finalmente unire tutti i pezzi del puzzle e giungere alla figura dell'iron condor, vero<br />
oggetto di questo lavoro.<br />
L'IRON CONDOR<br />
Se lo spread verticale al ribasso di call è una figura che permette di trarre profitto da uno scenario<br />
non rialzista, e lo spread verticale al rialzo di put è una figura che permette di trarre profitto da uno<br />
scenario non ribassista, allora la loro combinazione produce una figura che permette di trarre<br />
profitto da uno scenario di sostanziale lateralità del mercato, non sotto un certo valore che si<br />
considera valido supporto e non oltre un certo altro valore che si considera valida resistenza.<br />
Il payoff di questa combinazione è riportato alla figura seguente.<br />
Payoff a scadenza di un iron condor<br />
Bull put spread + Bear call spread<br />
strike put<br />
comprata<br />
strike call<br />
comprata<br />
Sottostante a scadenza<br />
strike put<br />
venduta<br />
strike call<br />
venduta<br />
Da un altro punto di vista, l'iron condor può essere interpretato anche come uno short strangle a<br />
cui sono stati posti due limiti alle perdite potenziali, grazie ad acquisti di opzioni molto out of the<br />
money a copertura del rischio delle opzioni vendute.<br />
34
L'iron condor segue le stesse logiche di profitto dei due spread verticali che lo compongono,<br />
quanto a dire che maggiore è l'area che si tiene compresa tra i due strike venduti, quello della call<br />
e quello della put scoperte, minore è il potenziale ritorno, a fronte di un rischio elevato.<br />
Ma vi è anche una buona notizia: più è sfavorevole il rapporto tra rischio e rendimento massimi<br />
potenziali, maggiori sono le probabilità che alla scadenza a materializzarsi effettivamente sia il<br />
profitto e non la perdita.<br />
Ecco quindi il payoff tipico di un iron condor che molto verosimilmente l'investitore si troverà più<br />
facilmente a porre in essere:<br />
Payoff a scadenza di un iron condor tipico<br />
Bull put spread + Bear call spread<br />
strike put<br />
comprata<br />
strike call<br />
comprata<br />
strike put<br />
venduta<br />
strike call<br />
venduta<br />
Sottostante a scadenza<br />
Un caso particolare è dato dalla cosiddetta butterfly, e si può ottenere in due modi diversi, e<br />
sostanzialmente equivalenti.<br />
Combinando uno spread verticale di call al rialzo e uno spread verticale di call al ribasso nei quali<br />
la call venduta coincide, e il suo strike è baricentrico rispetto agli strike acquistati, si ottiene un<br />
payoff come da figura seguente.<br />
Payoff a scadenza di una butterfly<br />
Bull call spread + Bear call spread<br />
strike call<br />
comprata<br />
strike call<br />
comprata<br />
Sottostante a scadenza<br />
strike call venduta<br />
(due vendite)<br />
E di nuovo questa figura può essere letta in un modo diverso dalla somma di due spread verticali:<br />
come uno short straddle al quale sono stati messi due tappi di sicurezza alle estremità negative,<br />
per abbassare il rischio derivante da un errore grave di analisi.<br />
35
Lo stesso payoff si può ottenere anche combinando uno spread verticale al rialzo di put con uno<br />
spread verticale al ribasso di call: basta infatti che lo strike della put e della call vendute coincidano<br />
e che esso sia baricentrico rispetto agli strike della put e della call comprate.<br />
L'aspettativa dell'investitore che apre una butterfly è che il sottostante oscilli in un range<br />
abbastanza ridotto di prezzo fino alla scadenza delle opzioni. Se, da un lato, la estrema riduzione<br />
dell'area profittevole è un significativo svantaggio rispetto all'iron condor, dall'altro la notizia<br />
positiva è che la butterfly è solitamente caratterizzata da un rapporto di rischio rendimento molto<br />
favorevole.<br />
Qui si chiude la parte teorica. Ora affronteremo il vero cuore del problema, ossia l'assegnazione di<br />
probabilità statistiche alle figure dell'iron condor su diversi sottostanti, basandoci sui dati dell'ultimo<br />
decennio e sulle forme distributive delle probabilità di movimento dei prezzi in periodi ben definiti di<br />
tempo.<br />
Da qui in avanti dovrò introdurre un po' di concetti di statistica, ma cercherò di essere il più chiaro<br />
e il meno tecnico possibile.<br />
<strong>DI</strong>STRIBUZIONE <strong>DI</strong> PROBABILITA' DEI REN<strong>DI</strong>MENTI<br />
Per poter attribuire probabilità statistiche ad un qualsiasi fenomeno è necessario sapere come tali<br />
probabilità siano distribuite su tutti i valori possibili del fenomeno stesso, a fronte di un numero di<br />
osservazioni sufficientemente ampio.<br />
Una larga parte dell'ingegneria finanziaria moderna si basa sull'ipotesi, che come vedremo è<br />
abbastanza ragionevole, che i rendimenti giornalieri di un qualsiasi strumento finanziario possano<br />
essere descritti da una campana Gaussiana, o distribuzione Normale.<br />
Per chi non avesse mai sentito parlare di questa distribuzione statistica apro una breve parentesi<br />
per parlarne in modo - spero - sufficientemente chiaro ed esaustivo, e sufficiente a rendere più<br />
comprensibili i concetti che seguiranno.<br />
Per cominciare diamo una occhiata alla figura seguente.<br />
36
fonte: internet<br />
Quella in figura è una tipica campana Gaussiana, con l'indicazione di alcuni parametri di cui ora ci<br />
occuperemo.<br />
Il punto M lungo l'asse orizzontale identifica la media della distribuzione dei valori. I valori da 1 a<br />
3, con i segni positivi (a destra) e negativi (a sinistra) identificano punti di scostamento dalla media<br />
pari a una, due e tre volte la deviazione standard della distribuzione (di cui parlerò tra poco).<br />
La media è il valore caratterizzato dalla più alta probabilità statistica; nei modelli finanziari viene<br />
convenzionalmente assunta pari a zero per gli scostamenti giornalieri di un qualsiasi strumento. In<br />
parole semplici il prezzo di chiusura di domani più probabile di un qualsiasi strumento finanziario è<br />
esattamente il prezzo di chiusura di oggi: ci si aspetta cioè che da oggi a domani sia molto più<br />
facile che non accada nulla di particolare piuttosto che si verifichi un forte movimento direzionale.<br />
Più avanti vedremo se questa assunzione possa considerarsi ragionevole o meno.<br />
La deviazione standard è invece un parametro statistico che serve a quantificare la probabilità<br />
che un nuovo valore del fenomeno oggetto di studio si trovi nelle vicinanze dalla media piuttosto<br />
che lontano da essa.<br />
Si tratta di una informazione piuttosto importante, perchè la media della distribuzione è sì il valore<br />
che apparirà più spesso, essendo essa caratterizzata dalla massima probabilità statistica, ma si<br />
tratta di una informazione non sufficiente se - e questo è proprio il nostro interesse - l'obiettivo è<br />
quello di assegnare delle probabilità ad aree di valori anziché a valori specifici.<br />
Ricordiamo qual è l'obiettivo di chi costruisce un iron condor: è quello di tenere il sottostante<br />
compresso entro due valori precisi, all'interno dei quali il profitto è massimo.<br />
Avere quindi uno strumento statistico che permetta di dire che con una alta probabilità un nuovo<br />
valore osservato sarà compreso entro un certo intervallo è un vantaggio piuttosto rilevante.<br />
Torniamo quindi alla curva gaussiana. Ogni punto della curva identifica la probabilità di un evento<br />
preciso: il valore corrispondente sull'asse orizzontale.<br />
37
L'area racchiusa tra la curva, l'asse orizzontale e due valori precisi sull'asse stesso identifica<br />
invece la cosiddetta densità di probabilità. Quell'area è l'informazione che ci serve per poter<br />
attribuire delle probabilità di successo agli iron condor.<br />
Ebbene, l'area compresa negli intervalli pari a una, due o tre volte la deviazione standard intorno<br />
alla media della distribuzione gaussiana, ossia la probabilità di osservare un valore compreso nei<br />
suddetti intervalli, è pari rispettivamente al 68,3%, al 95,5% e al 99,7%.<br />
La deviazione standard di una serie di rendimenti di uno strumento finanziario è strettamente<br />
legata alla volatilità dello stesso; la volatilità storica di un titolo (cioè la volatilità calcolata su dati<br />
pregressi, solitamente 20 giorni) si misura infatti come deviazione standard dei logaritmi naturali<br />
dei rendimenti giornalieri, moltiplicata convenzionalmente per la radice quadrata di 252, il numero<br />
di giorni lavorativi in un anno (perchè la volatilità si esprime sempre su base annua).<br />
Maggiore deviazione standard significa dunque maggiore volatilità, ma anche viceversa: una<br />
maggiore volatilità è infatti il risultato di rendimenti giornalieri molto variabili; ciò porta a una<br />
maggiore deviazione standard. La relazione tra le due grandezze è dunque valida in entrambe le<br />
direzioni.<br />
Questo ci porta a un primo fondamentale problema: la volatilità è un parametro soggetto a continui<br />
mutamenti, quindi l'ampiezza degli intervalli di valori all'interno dei quali si concentrano probabilità<br />
predefinite di intervalli di rendimento per un qualsiasi strumento finanziario non è fissa, bensì<br />
variabile.<br />
Ciò significa, per esempio, che la probabilità di vedere un prezzo dell'indice FTSE Mib compreso<br />
tra i due valori x ed y oggi può essere significativamente diversa domani, per effetto di una<br />
variazione nella volatilità dell'indice stesso.<br />
In altre parole la volatilità è un indice del grado di concentrazione della curva rispetto alla<br />
media dei valori dell'asse orizzontale: maggiore volatilità comporta un aumento delle probabilità<br />
che si verifichino movimenti rilevanti di prezzo anche in tempi relativamente brevi; minore volatilità<br />
comporta una maggiore probabilità di vedere valori molto vicini alla media piuttosto che lontani da<br />
essa.<br />
Ancora, maggiore volatilità comporta uno schiacciamento verso il basso della parte centrale della<br />
curva e un contestuale innalzamento delle sue code; viceversa, minore volatilità comporta un<br />
abbassamento delle code e un innalzamento della parte centrale della curva, che tenderà a<br />
concentrarsi sulla sua media. La figura seguente mostra tre esempi di questi concetti.<br />
38
d<br />
fonte: internet<br />
b<br />
c<br />
a<br />
La curva più schiacciata verso il basso (la a) è il risultato di situazioni di forte volatilità; quelle<br />
intermedie (b e c) sono legate a situazioni di volatilità normale, quella più stretta e alta (la d)si<br />
manifesta in condizioni di volatilità ridotta.<br />
E' abbastanza intuitivo ora come il 70% dell'area sottesa alla curva stia in un intervallo molto<br />
ristretto nel caso della curva più stretta e alta, e viceversa molto ampio nel caso della curva<br />
schiacciata sull'asse orizzontale, corrispondente ad una elevata volatilità.<br />
L'impossibilità di prevedere la volatilità futura di uno strumento finanziario è una seria difficoltà di<br />
cui il trader in opzioni deve quindi tenere conto quando deve stimare a priori le probabilità di<br />
successo di un iron condor, o di una qualsiasi altra strategia: le probabilità che possiamo attribuire<br />
oggi al successo di un iron condor con scadenza tra N giorni potrebbero infatti modificarsi<br />
sensibilmente domani, o tra una settimana, due, o più.<br />
Ultimo, ma non meno importante, come vedremo più avanti la curva dei rendimenti giornalieri di<br />
uno strumento finanziario è sì simile alla Normale, ma con alcune importanti differenze. La<br />
prima tra queste è che una tipica curva dei rendimenti finanziari è più simile alla curva da bassa<br />
volatilità per quanto riguarda l'area intorno alla media, ma più simile alla curva da altissima<br />
volatilità per quanto riguarda l'area delle code, che tendono quindi ad essere più sollevate.<br />
Ciò significa che le probabilità di osservare rendimenti molto vicini alla media sono generalmente<br />
molto elevate (più elevate di quelle derivanti dalla vera distribuzione Normale); ma allo stesso<br />
tempo si possono osservare rendimenti estremi con probabilità molto maggiori di quanto ci<br />
si aspetterebbe con una distribuzione Normale.<br />
Ora sono quindi tre i risultati che mi accingo a dimostrare: il primo è che la media dei rendimenti<br />
giornalieri di uno strumento finanziario è nulla; il secondo è che la distribuzione dei rendimenti<br />
giornalieri è effettivamente molto simile alla Normale; il terzo è che la sostanziale differenza di cui<br />
parlavo poco sopra è effettivamente concreta, dunque si ha una maggiore concentrazione dei<br />
valori intorno alla media e allo stesso tempo una probabilità delle code più alta di quella attesa.<br />
39
METODO <strong>DI</strong> LAVORO<br />
Gli strumenti analizzati di seguito sono tre: l'indice FTSE Mib, l'indice Dax e l'indice Dow Jones<br />
Eurostoxx 50.<br />
La scelta di studiare tre indici anziché tre titoli è assolutamente non casuale. Posto infatti che l'iron<br />
condor è una strategia che mira a trarre profitto da una sostanziale lateralità del sottostante, la<br />
scelta del sottostante stesso è già uno dei fattori chiave di successo a priori. Un iron condor<br />
applicato ad un titolo mediamente volatile ha probabilità ben diverse di successo da quello<br />
applicato ad un titolo molto volatile, o molto poco volatile.<br />
Più il sottostante ha un andamento mediamente stabile nel tempo, maggiore è la probabilità di<br />
trarne giovamento con strategie non direzionali come gli iron condor; e maggiore è la serenità del<br />
trader che deve gestire le posizioni una volta aperte.<br />
La base dati è più che decennale (dal 3 gennaio 2000 al 30 giugno 2011). Per quanto riguarda il<br />
nostro indice, essendo esso stato introdotto soltanto in tempi recenti, i dati pregressi sono stati<br />
ovviamente ricostruiti all'indietro dal fornitore di dati.<br />
Per quanto riguarda l'operazione di rappresentazione grafica dei rendimenti c'è una complicazione<br />
di cui si deve tenere conto. Questa complicazione è data dal fatto che i valori dei rendimenti sono<br />
numeri reali con molte cifre decimali, il che significa che a meno di troncamenti è difficile trovare<br />
due volte lo stesso identico valore di rendimento tra due diverse osservazioni.<br />
Se si pongono su un grafico tutti questi valori di rendimento - sull'asse orizzontale - e sull'asse<br />
verticale si pone la loro frequenza assoluta (cioè il numero di volte che un dato rendimento è<br />
apparso), ciò che si ottiene lavorando sui dati puri è una serie di punti tutti allineati su una retta.<br />
La figura seguente mostra ad esempio il grafico di uno spaccato dei valori dell'indice FTSE Mib, e<br />
dovrebbe chiarire meglio la natura del problema.<br />
In figura soprastante compaiono tutti i rendimenti giornalieri dell'anno 2000. Come si può notare,<br />
innanzitutto, sono tutti compresi nell'intervallo che va dal -3,5% circa fino al +3,5% circa (i valori<br />
dell'asse orizzontale, espressi come numero decimale anziché come percentuale).<br />
40
Si noterà poi che i punti sul grafico tendono ad addensarsi maggiormente al centro, il che già ci fa<br />
pensare che effettivamente vi sia una alta concentrazione intorno ad una media bene o male<br />
baricentrica.<br />
Ma si noterà anche che questo grafico così com'è non ci dice nulla sulla forma distributiva dei<br />
rendimenti, poiché ogni singolo valore possibile di rendimento appare sempre soltanto una volta<br />
(ecco perchè tutti i punti sono allineati su una retta parallela all'asse orizzontale).<br />
Il problema si risolve in un modo solo: bisogna ragionare per intervalli di rendimento e non per<br />
valori singoli di rendimento.<br />
Quanto grandi si debbano prendere gli intervalli di rendimento è una scelta arbitraria, ma ho<br />
personalmente potuto verificare tramite studi approfonditi che la forma distributiva bene o male non<br />
risente troppo di diverse ampiezze degli intervalli; diciamo che più si va nel dettaglio, più si vede<br />
immediatamente una sorta di campana gaussiana; più invece si tengono ampi gli intervalli di<br />
rendimento, più la forma a campana risulta approssimata.<br />
Ai fini di questo studio ho considerato classi di ampiezza pari allo 0,5%, più che sufficienti per<br />
ottenere frequenze significative e ottenere una chiara forma grafica. Qui di seguito sono riportati i<br />
risultati dal 3 gennaio 2000 al 30 giugno 2011 sui tre indici oggetto di questo lavoro.<br />
Una distribuzione molto simile alla campana Normale quindi, come ci aspettavamo. Questa forma<br />
diventa tanto più evidente quanto più si aumenta il dettaglio dell'analisi, riducendo l'ampiezza delle<br />
classi di rendimento.<br />
41
Le due classi sulle quali si concentrano le maggiori frequenze sono quelle a cavallo dello zero; in<br />
effetti la media aritmetica di tutti i rendimenti storici sui 2900 giorni considerati è pari al più che<br />
significativo valore di -0.01%: praticamente zero. Vediamo ora gli altri due indici.<br />
42
Ancora due distribuzioni molto simili a campane Normali dunque; e ancora due valori medi molto<br />
prossimi allo zero: -0.01% sull'Eurostoxx, +0.02% sul Dax.<br />
Abbiamo dunque dimostrato che i rendimenti giornalieri sono distribuiti secondo un modello<br />
piuttosto simile a quello Normale, con media praticamente nulla.<br />
Da tutto ciò deriva che in funzione del valore corrente della deviazione standard è almeno<br />
teoricamente possibile assegnare probabilità statistiche al vedere un rendimento compreso entro<br />
un certo intervallo di valori.<br />
Rimane comunque integro il problema principale: il fatto che essendo la deviazione standard un<br />
parametro abbastanza mutevole nel tempo il computo delle probabilità dei vari intervalli può<br />
essere spesso suscettibile di errori, che purtroppo si scopriranno solo a posteriori, quando<br />
ormai non ci si potrà fare più nulla.<br />
Non sarà infine sfuggito al lettore attento un altro problema comune alle distribuzioni dei rendimenti<br />
giornalieri dei vari strumenti finanziari: la curva non è simmetrica, come invece è la Normale.<br />
La differenza di comportamento delle due code non è chiarissima ad una occhiata veloce, ma<br />
diventa assai evidente ad una lettura attenta: le frequenze dei rendimenti negativi degradano molto<br />
più lentamente di quelle dei rendimenti positivi.<br />
Tutto ciò ha un significato molto preciso: la probabilità di osservare rendimenti molto negativi è<br />
generalmente più alta di quella di osservare rendimenti molto positivi.<br />
DAI REN<strong>DI</strong>MENTI GIORNALIERI ALLE PROBABILITA' <strong>DI</strong> SUCCESSO <strong>DI</strong> UN IRON CONDOR<br />
Il trader in opzioni normalmente costruisce strategie con orizzonti temporali di qualche settimana, o<br />
anche qualche mese.<br />
Studi approfonditi compiuti oltreoceano (si vedano in proposito i già citati studi dei nostri colleghi<br />
americani) hanno dimostrato che l'iron condor è statisticamente più profittevole quando ha una<br />
scadenza compresa tra i 10 e i 40 giorni.<br />
Ciò è dovuto al modo in cui il decadimento temporale colpisce le opzioni: prima in modo quasi<br />
lineare, molto lento, quando la scadenza è lontana (oltre i novanta giorni), in modo più prossimo<br />
all'esponenziale a poche settimane dalla scadenza, drammaticamente negli ultimi 10-15 giorni di<br />
vita.<br />
L'obiettivo dell'iron condor è proprio quello di beneficiare del passaggio del tempo prima che il<br />
sottostante possa compiere un movimento sufficiente a minacciare gli strike venduti allo scoperto.<br />
43
Fino a qui abbiamo visto le distribuzioni dei rendimenti degli indici a un giorno, ma non sappiamo<br />
ancora nulla delle distribuzioni a dieci, o a venti, o ad un numero ancora maggiore di giorni.<br />
Ho personalmente verificato in miei precedenti studi (non pubblicati) che la forma della curva di<br />
distribuzione dei rendimenti a venti giorni dell'indice FTSE Mib è ancora simile alla Normale, e<br />
mantiene rispetto ad essa le stesse differenze formali tipiche della curva dei rendimenti<br />
giornalieri: maggiore concentrazione intorno alla media e code più spesse.<br />
Per semplificare il lavoro si può procedere direttamente con l'analisi delle frequenze degli intervalli<br />
di rendimento ad un certo numero di giorni, senza costruire classi e porre su grafici i risultati.<br />
Da qui in avanti non riporto quindi più i grafici delle distribuzioni dei rendimenti, perchè vado invece<br />
direttamente al nocciolo del problema: quali sono le probabilità di avere movimenti di un dato<br />
sottostante specifico compresi entro certi limiti percentuali, in un dato arco temporale; in altri<br />
termini adesso vado a studiare quanto devo aprire l'intervallo degli strike venduti con l'iron condor<br />
per avere una certa probabilità di successo.<br />
La domanda a cui voglio rispondere ora è quindi la seguente: qual è l'ampiezza dell'intervallo che<br />
devo considerare a 10, 20, 30 e 40 giorni per avere il 68,3%, il 95,5% o il 99,7% di probabilità di<br />
avere un rendimento compreso in tale intervallo?<br />
Ecco le tabelle che mostrano queste informazioni per l'indice FTSE Mib:<br />
tabella degli intervalli dei rendimenti stimati e reali per l'indice FTSE Mib<br />
Le prime due righe riportano i valori della media e della deviazione standard dei rendimenti a uno,<br />
dieci, venti, trenta e quaranta giorni, basati sui dati degli ultimi undici anni e mezzo.<br />
Gli intervalli basati sulla distribuzione Normale (tabella centrale), sono quelli corrispondenti ai tre<br />
intervalli di cui abbiamo già parlato in precedenza: 68,3%, 95,5% e 99,7%.<br />
44
La tabella in basso è quella che ci interessa più di ogni altra. Essa riporta infatti le ampiezze degli<br />
intervalli che è necessario considerare per avere effettivamente le tre probabilità di cui sopra di<br />
osservare un rendimento compreso nell'intervallo stesso.<br />
Ho centrato gli intervalli basati sulla distribuzione reale sulla mediana (cioè il valore centrale della<br />
distribuzione anziché il valore medio) anziché sulla media per ottenere intervalli bilanciati in termini<br />
di numero di osservazioni, da una parte e dall'altra.<br />
Si noti come sia effettivamente verificata l'anomalia distributiva di cui parlavo in precedenza; si<br />
consideri, ad esempio, l'intervallo dei rendimenti a 1 giorno. Se i rendimenti seguissero una vera<br />
distribuzione Normale, per avere il 68,3% di contenere il rendimento bisognerebbe considerare un<br />
intervallo di ampiezza da -1,49% a +1,46%; ma i veri estremi dell'intervallo che racchiude il 68,3%<br />
di rendimenti sugli ultimi undici anni e mezzo di storia sono -1,19% e +1,14%, molto più vicini tra<br />
loro di quelli basati sulla distribuzione Normale.<br />
I rendimenti reali del mercato sono quindi effettivamente molto più concentrati sulla media<br />
di quanto risulterebbe se la loro distribuzione fosse proprio Normale.<br />
Ora diamo una occhiata agli estremi degli intervalli che racchiudono il 95,5% di probabilità.<br />
Secondo i parametri della Normale l'intervallo andrebbe da -2,97% a +2,94%; i rendimenti reali<br />
sono invece compresi tra -3,24% e +2,96%.<br />
Si comincia a riscontrare l'anomalia delle code della distribuzione: per avere il 95,5% di probabilità<br />
di cadere entro un intervallo di rendimento bisogna aprire maggiormente l'intervallo stesso.<br />
Il fenomeno è esasperato passando al 99,7% di probabilità: per rimanere all'interno dell'intervallo<br />
con la distribuzione reale dei rendimenti bisogna aprire l'intervallo stesso di oltre due punti verso il<br />
basso, e di oltre tre punti e mezzo verso l'alto.<br />
Spostandosi verso destra, dunque verso rendimenti a molti giorni, si nota un progressivo<br />
amplificarsi delle dinamiche viste sui rendimenti a un giorno: minore ampiezza dell'intervallo che<br />
racchiude il 68,3%, e maggiore ampiezza degli intervalli che racchiudono percentuali maggiori di<br />
rendimenti.<br />
Si nota inoltre già a partire dai rendimenti a 10 giorni come l'estremo inferiore sia molto più lontano<br />
dallo zero che non l'estremo superiore: i rendimenti molto negativi tendono ad avere maggiori<br />
probabilità di quelli molto positivi.<br />
Ma si nota anche una anomalia invertita nei rendimenti a 30 e 40 giorni per il range avente<br />
probabilità del 99,7%: gli estremi degli intervalli sul lato positivo sono molto più lontani dallo zero di<br />
quelli sul lato negativo. Si tratta di una anomalia che riguarda soltanto il nostro indice: come<br />
vedremo, sia l'indice Eurostoxx che l'indice Dax non sono affetti da simili 'stranezze'.<br />
45
La tabella di pagina 44 ci fornisce anche la risposta più importante nell'ottica del trading basato<br />
sugli iron condor: se è vero che per circa il 70% del tempo i mercati oscillano in lentamente intorno<br />
alla loro media, quanto è necessario aprire l'intervallo tra gli strike venduti dell'iron condor per<br />
avere una simile probabilità di profitto massimo a scadenza?<br />
L'intervallo che copre il 70% circa dei rendimenti a 10 giorni per l'indice FTSE MIb ha una<br />
ampiezza di circa 7 punti percentuali (3,77 al ribasso e 3,14 al rialzo); bisogna allargarsi a 10 punti<br />
percentuali su un orizzonte di 20 giorni, a circa 13 punti percentuali per un orizzonte di 30 giorni e<br />
infine a circa 14 punti percentuali per un orizzonte di 40 giorni.<br />
Ma di nuovo devo avvertire il lettore: i valori sopra riportati sono stati determinati su un orizzonte<br />
più che decennale, dunque sono una media di molteplici situazioni di mercato, assai diverse tra<br />
loro: la crisi scatenata dagli attentati di New York City, il lento mercato rialzista degli anni 2003-<br />
2007, la grande crisi dei mercati dal 2007 al 2009, il grande trend laterale degli ultimi due anni<br />
circa.<br />
In alcuni momenti di mercato sarà sufficiente aprire molto meno gli intervalli degli iron<br />
condor per ottenere elevate probabilità di successo; in altri momenti non vi sarà ampiezza<br />
sufficiente a contenere la direzionalità del mercato.<br />
Tutto ciò si traduce nuovamente in un invito alla prudenza: i dati qui riportati devono fornire una<br />
indicazione di massima delle potenzialità della strategia analizzata. L'iron condor può essere una<br />
eccellente scelta operativa, ma come tutte le situazioni richiede non solo le capacità tecniche per<br />
la sua costruzione, ma anche e forse soprattutto le competenze per la sua gestione. Più avanti<br />
vedremo anche come un iron condor possa essere gestito nel tempo.<br />
Vediamo ora le tabelle degli intervalli di profittabilità dell'indice Eurostoxx.<br />
tabella degli intervalli dei rendimenti stimati e reali per l'indice DJ Eurostoxx 50<br />
46
Le dinamiche sono le stesse osservate sull'indice FTSE Mib: gli intervalli reali di ampiezza 68,3%<br />
sono più concentrati sulla media rispetto a quelli basati sulla distribuzione Normale, a qualsiasi<br />
orizzonte temporale. Viceversa, al crescere dell'area probabilistica l'ampiezza dell'intervallo reale<br />
tende via via ad allargarsi sempre più rispetto a quello teorico.<br />
Si noti come l'Eurostoxx manifesti effettivamente una maggiore probabilità degli eventi estremi<br />
negativi piuttosto che positivi, a prescindere dall'orizzonte temporale della strategia.<br />
Si noti anche come anche su basi relativamente lunghe di tempo gli intervalli di rendimento<br />
dell'indice Eurostoxx siano molto più contenuti di quelli dell'indice FTSE Mib; ciò rende senza<br />
dubbio molto più attraente in ottica di strategie di tipo iron condor l'indice Eurostoxx rispetto al<br />
FTSE Mib.<br />
Vediamo infine le tabelle dell'indice Dax.<br />
tabella degli intervalli dei rendimenti stimati e reali per l'indice Dax 30<br />
Ancora una dimostrazione della effettiva presenza delle dinamiche già osservate sugli altri indici.<br />
Inutile ripetere per la terza volta gli stessi concetti, validi anche in questo caso. Pare intressante<br />
soltanto sottolineare come l'indice Dax mostri ampiezze degli intervalli di massima probabilità a<br />
favore di strategie come l'iron condor molto più ampie di quelle dei corrispondenti intervalli per<br />
l'indice Eurostoxx, sebbene assai lontane da quelle del FTSE Mib.<br />
Rimangono ora da vedere alcuni aspetti prettamente operativi in argomento iron condor: quali<br />
risorse siano necessarie per costruire la strategia, quando sia più opportuno costruirla, come sia<br />
più corretto gestirla.<br />
47
GLI IRON CONDOR NELLA PRATICA<br />
In quest'ultimo paragrafo vedremo alcuni concetti prettamente legati agli aspetti pratici della<br />
operatività in iron condor.<br />
Un primo concetto importante è la quantificazione del capitale necessario alla strategia.<br />
Ricordiamo che un iron condor è dato dalla sommatoria di due spread verticali a credito, che questi<br />
ultimi sono combinazioni di opzioni comprate e vendute, e che per ogni lato vi è un rischio<br />
massimo predefinito dato dalla differenza tra lo scarto tra gli strike negoziati e il premio netto<br />
incassato.<br />
Nel trading sulle opzioni il capitale necessario alla messa in opera di una qualsiasi strategia è<br />
strettamente legato con il rischio della strategia stessa.<br />
Nelle situazioni in cui si aprono soltanto posizioni di acquisto non vi sono margini di garanzia, e<br />
quando è stato versato il premio totale necessario per l'acquisto delle opzioni prescelte gli obblighi<br />
in termini di capitale sono esauriti.<br />
Nelle situazioni in cui si aprano posizioni che coinvolgono anche soltanto una singola posizione di<br />
vendita scoperta si può avere un rischio variabile, del quale i sistemi di marginazione tengono<br />
conto sulla base di parametri statistici fissati dalle borse.<br />
Nel caso degli spread verticali si hanno sempre posizioni vendute allo scoperto, ma anche sempre<br />
posizioni di acquisto a protezione delle vendite; ciò fa sì che mai possa aversi un rischio di perdite<br />
imprevedibili. Essendo i margini di garanzia sempre strettamente legati al rischio attuale e<br />
prospettico delle posizioni, i margini richiesti per l'operatività in iron condor trovano dunque sempre<br />
un massimo prefissato, pari al rischio massimo di perdita di uno dei due spread verticali che<br />
concorrono alla strategia complessiva.<br />
Questo massimo rischio dipende ovviamente da quanta distanza viene tenuta tra gli acquisti e le<br />
vendite.<br />
Inoltre bisogna considerare il fatto che ormai tutte le principali borse applicano meccanismi di<br />
compensazione dei rischi sulle strategie bidirezionali, come gli iron condor, in base al semplice<br />
principio teorico che due posizioni contrapposte aventi la stessa scadenza non possono trovarsi<br />
entrambe in perdita alla scadenza stessa.<br />
Da ciò deriva che fatta X la distanza tra gli strike venduti e acquistati sul lato put e sul lato call, il<br />
rischio pari ad X può verificarsi soltanto su uno dei due lati e in ogni caso a tale rischio va<br />
decurtata la somma dei premi netti incassati dai due spread.<br />
Vediamo un esempio pratico. Si supponga di costruire un iron condor con orizzonte temporale di<br />
40 giorni circa sull'indice Eurostoxx50 fatto di una put 2650 venduta allo scoperto a 25 punti (nota:<br />
il valore di un punto delle opzioni sull'indice Eurostoxx50 è pari a 10 euro), una put 2400<br />
48
acquistata a 6 punti, una call 2950 venduta a 24 punti e una call 3200 acquistata a 0,8 punti. Il<br />
rischio massimo lordo su una qualsiasi delle due code della strategia è pari a 250 punti, 2500<br />
euro. Ma a questo rischio massimo teorico vanno sottratti i premi incassati, poiché essi resteranno<br />
incassati qualunque cosa succeda, alla scadenza; 19 punti vengono incassati dallo spread di put,<br />
23,2 da quello di call; si ha dunque un incasso totale netto pari a 42,2 punti, 422 euro. Ne deriva<br />
che il margine massimo applicato da un intermediario che utilizza la compensazione dei rischi sarà<br />
pari a 2078 euro.<br />
Dall'esempio soprastante emerge anche una prima indicazione della profittabilità di strategie di<br />
questo tipo: 422 euro di profitto massimo potenziale su un capitale massimo necessario pari a<br />
2078 euro significa che il profitto atteso è pari al 20,3% sul capitale che è necessario allocare alla<br />
strategia.<br />
Si tratta soltanto di un esempio, ottenuto sì su dati reali, ma soltanto uno tra i mille iron condor che<br />
si potrebbero costruire. E già una buona indicazione di una situazione concreta.<br />
Da un punto di vista meramente operativo i consigli che ritengo opportuno dare sono pochi e<br />
relativamente semplici:<br />
1. Effettuare prima gli acquisti, e soltanto dopo avere avuto le conferme degli eseguiti procedere<br />
con le vendite; questo perchè - anche se magari soltanto in rari casi - può capitare di assistere ad<br />
un brusco movimento del sottostante proprio mentre si sta costruendo la strategia; e trovarsi con<br />
posizioni scoperte senza poter affiancare le posizioni di copertura a prezzi convenienti può essere<br />
un problema concreto.<br />
2. Onde evitare situazioni di cui al punto 1 è preferibile costruire strategie combinate in momenti di<br />
calma relativa dei mercati; si sconsiglia vivamente di aprire posizioni di questo genere in prossimità<br />
di importanti comunicazioni del mercato, come dati macroeconomici, annunci sui tassi di interesse,<br />
ecc... la tarda mattinata e il tardo pomeriggio sono solitamente i momenti migliori per l'apertura di<br />
strategie combinate.<br />
3. Il procedere prima agli acquisti e poi alle vendite serve anche a contenere le richieste di liquidità<br />
da parte del proprio intermediario; posto infatti che, in riferimento ad esempio all'iron condor di cui<br />
all'esempio soprastante, il capitale massimo necessario è pari a 2078 euro, va segnalato che se si<br />
aprono prima le posizioni di vendita allo scoperto i margini istantanei applicati dal proprio broker<br />
possono anche essere significativamente maggiori di tale importo, poiché esso è il risultato di una<br />
posizione avente un rischio massimo predefinito in ogni caso, il che non si verifica con l'apertura di<br />
una vendita allo scoperto come prima operazione.<br />
4. Ogni mercato presenta degli spread nei book; sebbene la tentazione di provare a spuntare<br />
sempre prezzi il più possibile bassi sia forte, va tenuto presente che quando si devono costruire<br />
strategie combinate quello che conta è il risultato complessivo; se per l'ostinazione di ottenere un<br />
risparmio di pochi euro ci si trova poi con il sottostante che si muove a sfavore rispetto alla<br />
posizione che si sta cercando di aprire, quello che si ottiene è un peggioramento della<br />
performance globale della strategia; d'accordo quindi posizionarsi con prezzi bene o male<br />
49
aricentrici nei book (meglio mettersi già un po' a favore del market maker nella direzione della<br />
posizione che si sta cercando di aprire), ma se poi entro 1-2 minuti non si viene eseguiti tanto vale<br />
spostarsi verso il market maker, a piccoli passi.<br />
IL MOMENTO GIUSTO PER APRIRE LA STRATEGIA<br />
A scanso di equivoci mi pare opportuno fare una premessa: ciò che segue è il risultato di semplici<br />
ragionamenti basati sui dati statistici presentati nelle pagine precedenti. L'iron condor non è una<br />
strategia esente da rischi, né è ipotizzabile pensare di poter trovare un modo infallibile per metterla<br />
in pratica: tutto ciò che si può provare di ottenere è partire sempre con le probabilità il più possibile<br />
a proprio favore.<br />
Nel momento in cui si dispone di tabelle dei rendimenti statistici di uno strumento finanziario, con i<br />
rispettivi intervalli probabilistici, è possibile formulare un minimo di strategia su cui costruire di volta<br />
in volta le proprie posizioni.<br />
Se, ad esempio, io so che normalmente si ha l'80% di probabilità di osservare un valore compreso<br />
tra 1000 e 2000 punti per uno strumento finanziario, e ad un certo punto io mi trovo ad osservare<br />
un valore pari a 900, posso azzardare due ipotesi: la prima è che la probabilità che il valore si<br />
riduca ulteriormente è ormai molto bassa; la seconda è che, specularmente, la probabilità che il<br />
valore torni sui propri passi verso valori nuovamente compresi tra 1000 e 2000 è piuttosto elevata.<br />
Da ciò deriva che costruire un iron condor in un qualsiasi momento di mercato potrebbe essere<br />
una scelta poco intelligente, ma costruirlo in seguito ad un movimento direzionale di mercato<br />
di una certa entità potrebbe invece essere una scelta molto intelligente.<br />
Riprendiamo ad esempio le tabelle dei rendimenti statistici dell'indice Eurostoxx50. Posto che a 10<br />
giorni si ha una probabilità del 95,5% di osservare un rendimento compreso tra il -10% e il +8%<br />
circa, e che a 30 giorni tali estremi salgono al -17% e +13% circa, allora se effettivamente dopo i<br />
primi 10 giorni da una certa data ci si trova ad osservare un rendimento prossimo ad uno dei due<br />
estremi, diciamo al -10%, la probabilità di osservare una ulteriore forte discesa nei successivi 20<br />
giorni sarà molto più bassa che non all'inizio del periodo, quando con 30 giorni di tempo davanti si<br />
sarebbe potuto verificare un movimento del -17% con una certa probabilità.<br />
Tutto ciò ci porta a pensare che un iron condor aperto in seguito ad un movimento di una certa<br />
ampiezza percentuale dovrebbe avere almeno teoricamente maggiori probabilità di successo<br />
rispetto ad uno creato quando il mercato si trova in una fase di calma relativa.<br />
In questo anche la volatilità gioca un ruolo importante: in fasi laterali la volatilità si comprime,<br />
rendendo più bassi i premi di tutte le opzioni; ciò significa che costruire iron condor quando il<br />
mercato è fermo è difficile, per almeno due ragioni: i premi minori di tutte le opzioni costringono a<br />
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optare per strike più vicini per le vendite allo scoperto; il minore incasso in termini di premi netti<br />
rende inoltre più ristretto l'intervallo di profittabilità della strategia.<br />
Viceversa, in seguito ad un movimento direzionale di una certa ampiezza (specialmente quando<br />
questo movimento si è verificato verso il basso) è facile che i premi di tutte le opzioni siano più<br />
'gonfi' del solito, il che comporta un allargamento dell'area profittevole degli iron condor.<br />
GESTIONE DELL'IRON CONDOR<br />
Una volta che si è aperto un iron condor la speranza è che il sottostante continui ad oscillare<br />
all'interno degli strike venduti allo scoperto per tutta la durata della posizione, massimizzando l'utile<br />
della posizione stessa.<br />
Le statistiche presentate alle pagine precedenti mostrano abbastanza chiaramente come simili<br />
situazioni siano piuttosto frequenti sui mercati.<br />
Ma ciò che sovente si osserva è che gli investitori che aprono posizioni di tipo iron condor non<br />
sanno cosa fare nelle non rare volte in cui il mercato va decisamente contro le posizioni aperte.<br />
Vi è inoltre un elemento che non risulta dalle tabelle presentate nelle pagine di questo lavoro:<br />
quante volte il sottostante esce dagli intervalli più probabili durante la vita delle posizioni aperte,<br />
per poi trovarsi nuovamente all'interno di tali intervalli alla scadenza delle opzioni negoziate.<br />
Quando una posizione viene minacciata durante la sua vita utile non si può rimanere inerti in<br />
attesa di scoprire cosa succederà alla scadenza delle opzioni, perchè se il sottostante non torna<br />
sui propri passi le perdite possono essere rilevanti, e distruggere i guadagni accumulati con fatica<br />
in molti mesi precedenti.<br />
I modi di gestire un iron condor che va in sofferenza sono sostanzialmente due: chiusura in stop<br />
loss (parziale o totale), oppure rolling delle posizioni minacciate.<br />
Personalmente sono più favorevole all'applicazione di uno stop loss alle posizioni, specialmente<br />
quando la scelta degli estremi venduti non si basa meramente su parametri statistici ma anche e<br />
soprattutto su valori importanti a livello grafico (sul sottostante ovviamente).<br />
Se, per esempio, si scelgono come strike delle opzioni scoperte due importanti valori di supporto e<br />
di resistenza grafici, allora la loro violazione dovrebbe essere un indice del fatto che l'analisi di<br />
fondo è errata, e portare quindi alla chiusura almeno di uno dei due lati della strategia.<br />
In pratica io personalmente mi comporto in questo modo:<br />
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a. vendo allo scoperto il primo strike successivo a quello nelle cui vicinanze si trova il valore di<br />
supporto o resistenza che considero importante<br />
b. fisso uno stop loss al superamento in chiusura giornaliera del supporto o della resistenza<br />
Questa scelta nasce dal fatto che il prezzo di una opzione subisce la massima accelerazione<br />
quando da lievemente out of the money diviene at the money; quando il prezzo del sottostante<br />
oltrepassa lo strike immediatamente precedente quello venduto si manifesta progressivamente la<br />
massima accelerazione della perdita potenziale, da cui la scelta di stoppare le posizioni; tutto ciò<br />
anche perchè l'accelerazione del prezzo delle opzioni acquistate a copertura non è altrettanto<br />
forte, quindi non vi è bilanciamento tra le perdite e i profitti cumulati.<br />
Simili considerazioni vanno fatte sul lato della posizione che va in utile: l'utile sulle opzioni vendute<br />
è maggiore della perdita su quelle comprate, ma il deprezzamento delle prime non bilancia<br />
l'apprezzamento delle corrispondenti opzioni sul lato in sofferenza, che quindi producono una<br />
perdita non contrastabile sulla posizione globale.<br />
Quella adottata da me non è l'unica scelta perseguibile ovviamente, ma è una scelta dettata da<br />
considerazioni, a mio avviso, più che logiche.<br />
In merito alla chiusura parziale dell'iron condor va segnalato, per completezza, che può capitare<br />
che la posizione venga minacciata prima da un lato e poi dall'altro, anche se questa eventualità è<br />
tanto meno probabile quanto maggiore è l'ampiezza dell'intervallo tra gli strike venduti.<br />
Non va comunque sottovalutato il fatto che una chiusura del solo lato che si trova in sofferenza<br />
potrebbe avere anche risvolti negativi, nel caso la rottura di uno dei due estremi della posizione<br />
fosse una falsa partenza e il movimento vero si sviluppasse poi nella direzione opposta.<br />
L'alternativa alla chiusura di una posizione in stop loss è rappresentata dal rolling. Il rolling di una<br />
posizione consiste semplicemente nella sua chiusura e nel suo contestuale spostamento in<br />
posizione più cautelativa.<br />
Se dunque, per esempio, una put venduta si trovasse ad essere minacciata, la si potrebbe<br />
chiudere in perdita per aprire poi una nuova put venduta su uno strike inferiore, dunque in<br />
posizione più difensiva rispetto al prezzo del sottostante.<br />
Se la scelta degli strike venduti è dettata da considerazioni di carattere grafico, il rolling è<br />
concettualmente sbagliato, a meno che il nuovo strike negoziato non rappresenti a sua volta un<br />
valore graficamente significativo.<br />
Se invece le scelte operative sono basate unicamente su considerazioni di carattere statistico e<br />
probabilistico, allora il rolling può essere una scelta logica: ampliare la base profittevole dell'iron<br />
condor può solo aumentare la base probabilistica favorevole.<br />
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UNA <strong>DI</strong>VERSA METODOLOGIA <strong>DI</strong> APERTURA DELLA POSIZIONE<br />
L'iron condor, come già evidenziato in precedenza, è una strategia a-direzionale, nel senso che<br />
mira a sfruttare la sostanziale lateralità che caratterizza la maggior parte della vita di un qualsiasi<br />
strumento finanziario.<br />
Il rischio è dato ovviamente da forti movimenti improvvisi del sottostante. La scelta di operare su<br />
indici anziché su titoli risolve in buona parte questo problema.<br />
Tenere ampio il più possibile l'intervallo tra gli strike venduti è un altro modo di ridurre il rischio di<br />
incorrere in perdite, ma c'è anche il rovescio della medaglia: più si allarga l'intervallo, minore è il<br />
premio netto che si incassa dalle due parti, e maggiore è contestualmente il rischio massimo<br />
potenziale (si ricordino i quattro casi esaminati alle pagine 31-32).<br />
Esiste comunque una alternativa operativa, tecnicamente chiamata legging into a position: l'iron<br />
condor viene costruito in due momenti diversi (cioè con due gambe - da cui il termine inglese<br />
legging - separate) anziché in un unico momento: si apre il credit put spread su una presunta base<br />
di prezzo (supporto) e il credit call spread su un presunto top di mercato, ovviamente in due<br />
momenti distinti di tempo (e non necessariamente nell'ordine qui riportato).<br />
Si tratta di una scelta che ha vantaggi e svantaggi. Il principale vantaggio è che generalmente si<br />
riesce ad allargare l'area di massimo profitto.<br />
Ma mettere in pratica questa tecnica non è così semplice. Innanzitutto è una scelta difficile da<br />
perseguire sempre con successo, perchè comunque richiede la capacità di individuare con una<br />
buona precisione i top e i bottom di mercato. In questo senso un buon trading system, capace di<br />
individuare con buona probabilità i punti di inversione del mercato è sicuramente uno strumento<br />
utile; anzi, molto utile.<br />
Vi è però - contrariamente a ciò che si potrebbe pensare - un vantaggio statistico. Riprendiamo<br />
infatti un problema che ho sollevato in un momento precedente: se è vero che con un intervallo<br />
sufficientemente ampio posso avere il 70% circa di probabilità di contenere il prezzo entro una<br />
certa scadenza, è anche vero che non è affatto infrequente che durante la vita utile della strategia<br />
il sottostante vada rompere uno dei due estremi dell'area massimamente profittevole, per poi<br />
chiudere all'interno della stessa alla scadenza.<br />
Se la posizione viene gestita attivamente, questi sono i casi in cui si chiude almeno uno dei due lati<br />
della strategia in stop loss.<br />
Per mia esperienza diretta posso dire che l'applicazione di uno stop loss è comunque la scelta<br />
migliore, anche se comporta il chiudere in perdita posizioni che in un 10-15% circa di casi<br />
sarebbero poi profittevoli a scadenza, perchè questo comportamento operativo ripaga più che<br />
proporzionalmente in quei casi in cui il movimento prosegue nella direzione che causerebbe<br />
perdite rilevanti alle posizioni lasciate correre.<br />
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Ciò significa però che le percentuali di profitto reali dell'iron condor di ampiezza sufficiente a<br />
coprire il 68,3% di probabilità statistica di rendimento a scadenza si riducono mediamente di un 10-<br />
15% per effetto della gestione delle posizioni nelle situazioni di rottura di uno dei due estremi.<br />
In considerazione di questi concetti non è sbagliato, né concettualmente, né praticamente,<br />
adottare la tecnica del legging in, a patto, lo ripeto, di avere uno strumento di supporto alle<br />
decisioni di entrata sulle singole componenti della posizione globale, e una profonda conoscenza<br />
dei mercati sottostanti.<br />
CONCLUSIONI<br />
In questo lavoro ho analizzato gli iron condor in termini delle loro probabilità di successo a<br />
prescindere da qualsiasi considerazione di carattere economico e finanziario.<br />
Nella mia esperienza ormai decennale di trading, sia sulle opzioni che su altri strumenti, non<br />
esistono strategie profittevoli a prescindere da una buona analisi dello strumento prescelto e da<br />
considerazioni di carattere pratico oltre che teorico.<br />
Anche l'iron condor è soggetto a queste regole, pertanto non va applicato senza una conoscenza<br />
profonda delle opzioni e dei mercati sottostanti, e senza una programmazione precisa e puntuale<br />
dei comportamenti da adottare in tutte le possibili situazioni.<br />
La statistica ci può aiutare a costruire strategie provviste di probabilità altamente favorevoli a priori,<br />
ma ciò non significa che sia possibile ottenere profitti sempre senza una accurata gestione delle<br />
situazioni che possono materializzarsi.<br />
Invito dunque un'ultima volta il lettore a ponderare con accuratezza tutte le sue scelte operative,<br />
senza dare nulla per scontato.<br />
Un buon lavoro e un sincero in bocca al lupo a tutti.<br />
Domenico Dall'Olio<br />
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