Studio sul Nome di Dio* - Messiev.altervista.org
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<strong>Stu<strong>di</strong>o</strong> <strong>sul</strong> <strong>Nome</strong> <strong>di</strong> <strong>Dio*</strong><br />
Autore: A. Quintavalle<br />
Nel cercare <strong>di</strong> capire la Bibbia, niente può sostituire la conoscenza degli antichi usi e<br />
costumi giudaici. Per esempio, ci sono insegnanti che argomentano che è sbagliato tradurre<br />
il nome <strong>di</strong> Dio con "Signore" o "Eterno", e che invece i traduttori dovrebbero usare "Geova"<br />
o "Yahweh". Tutto questo è il frutto <strong>di</strong> una mancanza <strong>di</strong> consapevolezza dei costumi<br />
giudaici e, nello stesso tempo, è un esempio dell’osservanza <strong>di</strong> Gesù delle decisioni e delle<br />
tra<strong>di</strong>zioni dei rabbini che sono venuti prima <strong>di</strong> lui. Per migliaia <strong>di</strong> anni, i giudei hanno<br />
considerato il nome <strong>di</strong> Dio come troppo santo per essere pronunciato. Non dobbiamo essere<br />
sorpresi se Gesù ha trattato il nome <strong>di</strong> Dio con la stessa riverenza <strong>di</strong> quanto facesse il resto<br />
del popolo.<br />
Le espressioni, "il nome del Signore/Eterno" e "il nome <strong>di</strong> Gesù" sono molto comuni nella<br />
Bibbia, per esempio: "Io prenderò il calice della salvezza e invocherò il nome dell’Eterno"<br />
(Sal. 116:13); "Io t’offrirò il sacrificio <strong>di</strong> lode e invocherò il nome dell’Eterno" (Sal.<br />
116:17); "Il nome dell’Eterno è una forte torre; il giusto vi corre, e vi trova un alto rifugio"<br />
(Prov. 18:10); "e in quel giorno <strong>di</strong>rete: Celebrate l’Eterno, invocate il suo nome, fate<br />
conoscere le sue opere tra i popoli, proclamate che il suo nome è eccelso" (Is. 12:4);<br />
"Poiché dal sol levante fino al ponente grande è il mio nome fra le nazioni, e in ogni luogo<br />
s’offrono al mio nome profumo e oblazioni pure; poiché grande è il mio nome fra le<br />
nazioni, <strong>di</strong>ce l’Eterno degli eserciti" (Mal. 1:11).<br />
Gran parte del ragionamento <strong>di</strong> certi stu<strong>di</strong>osi è basato su una eccessiva letteralità, cioè<br />
traduzione parola per parola dei passi ebraici della Bibbia. L'espressione ebraica, "il nome<br />
<strong>di</strong>", è stata, purtroppo, solitamente tradotta alla lettera. Di conseguenza, siamo <strong>di</strong>ventati così<br />
familiari con questo i<strong>di</strong>oma (che ricorre frequentemente nella Scrittura), che lo accettiamo<br />
come se fosse un buon italiano. Molti pre<strong>di</strong>catori ad<strong>di</strong>rittura si concentrano <strong>sul</strong>la parola<br />
"nome" nell’espressione "il nome del Signore", piuttosto che <strong>sul</strong>la parola "Signore". Per<br />
esempio, abbiamo avuto la <strong>di</strong>ffusione della dottrina per cui uno deve sapere come si<br />
pronuncia il tetragramma per essere salvato.<br />
1
Essi affermano che la salvezza <strong>di</strong> una persona è <strong>di</strong>pendente dall’utilizzo e dalla corretta<br />
pronuncia del <strong>Nome</strong> <strong>di</strong>vino. Questo si basa <strong>sul</strong>la <strong>di</strong>chiarazione, "chiunque invocherà il nome<br />
<strong>di</strong> YHWH sarà salvato" <strong>di</strong> Gioele 2:32 (citata in Atti 2:21). Secondo la loro interpretazione,<br />
uno non può invocare Dio ed essere salvato senza la conoscenza <strong>di</strong> questo nome. In realtà,<br />
però, "il nome <strong>di</strong> YHWH" è soltanto un sinonimo <strong>di</strong> "YHWH", un modo per evitare <strong>di</strong> parlare<br />
<strong>di</strong> Dio in maniera troppo famigliare o <strong>di</strong>retta.<br />
Un’altra prova testuale che viene portata a sostegno <strong>di</strong> questo ragionamento è Sal. 9:10,<br />
"quelli che conoscono il tuo nome confideranno in te". Sembra a certi insegnanti che il<br />
passaggio in<strong>di</strong>chi che le persone non possono venire alla fede in Dio a meno che non<br />
sappiano pronunciare correttamente il suo nome. Di nuovo, comunque, "il tuo nome" è un<br />
modo per evitare <strong>di</strong> <strong>di</strong>re "Te".<br />
Un altro testo proposto in sostegno <strong>di</strong> quelli che insegnano l'importanza <strong>di</strong> "preservare la<br />
corretta pronuncia del <strong>Nome</strong> <strong>di</strong> Dio" è: "Fino a quando durerà questo? Hanno essi in<br />
mente, questi profeti che profetizzano menzogne, questi profeti dell’inganno del cuor loro,<br />
pensano essi <strong>di</strong> far <strong>di</strong>menticare il mio nome al mio popolo coi loro sogni che si raccontan<br />
l’un l’altro, come i loro padri <strong>di</strong>menticarono il mio nome per Baal" (Ger. 23:26,27). La<br />
conclusione raggiunta <strong>sul</strong>la base <strong>di</strong> questo passo è che <strong>di</strong>menticare il nome <strong>di</strong> Dio è un<br />
peccato orribile. In realtà, però, il passo sarebbe meglio tradotto: "essi pensano <strong>di</strong> farmi<br />
<strong>di</strong>menticare al mio popolo coi loro sogni".<br />
Quando le Scritture Ebraiche <strong>di</strong>cono, "Benedetto sia il nome del Signore", vogliono<br />
significare, "Benedetto sia il Signore". In Prov. 18:10 non è "il nome" che è una forte torre,<br />
ma è "il Signore"! Quando Gesù ha detto, "Sia santificato il Tuo nome", egli voleva <strong>di</strong>re,<br />
"che Tu possa, o Padre, essere santificato".<br />
In ebraico "il nome del Signore" è un modo i<strong>di</strong>omatico per <strong>di</strong>re "il Signore". "Il nome<br />
dell’Eterno" è l’equivalente <strong>di</strong> "Eterno", e "Tuo nome" è un sinonimo <strong>di</strong> "Tu". Questo è<br />
<strong>di</strong>mostrato dai passi paralleli della Scrittura in cui ricorrono espressioni identiche, sia con il<br />
«nome» che senza <strong>di</strong> esso. Ad esempio, Sof. 3:12 include la frase, "un popolo umile e<br />
povero, che confiderà nel nome dell’Eterno", ma Sal. 5:11 ha: "si rallegreranno tutti quelli<br />
che in te confidano". È <strong>di</strong>mostrato anche dai sinonimi che ricorrono all’interno del<br />
2
parallelismo, la caratteristica ebraica del doppio verso, molto frequente, come per esempio<br />
in Ebr. 2:12 (una citazione <strong>di</strong> Sal. 22:22): "annunzierò il tuo nome ai miei fratelli; in mezzo<br />
alla raunanza canterò la tua lode" - dove "tua" è sinonimo <strong>di</strong> "tuo nome" - e in Sal. 34:3,<br />
"Magnificate meco l’Eterno, ed esaltiamo il suo nome tutti insieme" – dove "l’Eterno" è un<br />
sinonimo <strong>di</strong> "suo nome".<br />
Un’espressione ebraica, "chiamare il suo nome", ricorre nel Nuovo Testamento (Luca<br />
1:13,31) e la King James traduce letteralmente: «and thou shalt call his name John», «and<br />
shalt call his name Jesus». Questo è un i<strong>di</strong>oma ebraico, ma in italiano si <strong>di</strong>rebbe<br />
semplicemente, "lo chiamerai Giovanni/Gesù" (ve<strong>di</strong> versione CEI).<br />
Pronuncia<br />
Nel Vecchio Testamento il nome personale <strong>di</strong> Dio è scritto con quattro lettere ebraiche –<br />
yod ,(י) heh ,(ה) waw ,(ו) heh (ה) [YHWH] - e perciò chiamato il "tetragramma". Questo<br />
nome ricorre più <strong>di</strong> 6000 volte.<br />
Dai confronti linguistici con altre antiche lingue semitiche, molti stu<strong>di</strong>osi credono che il<br />
nome <strong>di</strong>vino era originariamente pronunciato yah-weh. La pronuncia della prima sillaba del<br />
tetragramma sarebbe confermata dalla forma abbreviata del nome <strong>di</strong> Dio yāh, che ricorre<br />
spesso nei Salmi (ve<strong>di</strong> Sal. 68:4). Sarebbe anche confermato dallo yāh messo come suffisso<br />
a molti nomi ebraici, come ’ēliyyāh (Elia) e ‘ōbadyāh (Ab<strong>di</strong>a). I nomi, però, seguono<br />
precise regole <strong>di</strong> lettura e non ci danno nessuna in<strong>di</strong>cazione <strong>di</strong> quale fosse la pronuncia<br />
originale. Se una parte del tetragramma è nella seconda parte <strong>di</strong> un nome la vocalizzazione<br />
cambia come esempio nei nomi: " yeshayahu" e "Yermiyahu".<br />
Ogni sforzo per risalire alla pronuncia originale è vano perché era proibito pronunciare il<br />
nome "come è scritto" e ciò significa, secondo una tra<strong>di</strong>zione ebraica, che le quattro lettere<br />
in<strong>di</strong>cano il modo della pronuncia <strong>di</strong> un altro nome scritto con altre consonanti. Il nome<br />
<strong>di</strong>vino scritto con il tetragramma è una particolare rivelazione esclusiva per il popolo<br />
ebraico e doveva rimanere orale.<br />
Il nome del Dio d’Israele è sempre stato usato con riverenza, e la reticenza a pronunciarlo<br />
era dovuta a una interpretazione molto letterale del terzo comandamento (Es. 20:7; Deut.<br />
3
5:11): "Non userai il nome <strong>di</strong> YHWH, il tuo Dio, invano". Invano è locuzione dovuta a<br />
Girolamono che così tradusse l’ebraico in latino: "non adsumes nomen Domini Dei tui in<br />
vanum" (Es. 20:7-Vulgata). Inizialmente veniva interpretato che non si può invocare il nome<br />
<strong>di</strong> Dio su ciò che è moralmente cattivo e contrario alla santità <strong>di</strong> Dio. Nel comandamento è<br />
coinvolto anche il modo <strong>di</strong> vivere e non solo quello <strong>di</strong> parlare (usare il nome per leggerezza<br />
o per bestemmia). Un’applicazione concreta è che non bisognava giurare il falso usando il<br />
nome <strong>di</strong> Dio (Lev. 19:12), o che bisognava mantenere i propri voti fatti nel nome <strong>di</strong> Dio<br />
(cioè con giuramento). Tuttavia, questo comandamento è stato in seguito inteso nel suo<br />
senso più stretto, e i rabbini sono arrivati a interpretarlo nel senso che non si deve utilizzare<br />
il nome sacro in maniera frivola o superficiale e quin<strong>di</strong>, per evitare il rischio <strong>di</strong> usare il<br />
nome <strong>di</strong>vino in maniera irriverente, hanno sentenziato che non bisogna pronunciarlo affatto<br />
nella conversazione. Nel periodo del Primo Tempio, almeno fino all’esilio babilonese, il<br />
nome <strong>di</strong>vino era regolarmente conosciuto e pronunciato [ve<strong>di</strong> Enciclope<strong>di</strong>a Giudaica, Nomi<br />
<strong>di</strong> Dio]. Ma dal III secolo a.C., il tetragramma, YHWH, poteva essere pronunciato solo nel<br />
Tempio (Sifre Num. 39), durante la bene<strong>di</strong>zione sacerdotale giornaliera (Mishnah Sotah<br />
7:6) e nella confessione del Sommo sacerdote nel Giorno delle Espiazioni (Mishnah Yoma<br />
6:2). I giudei, quando era necessario riferirsi a Dio nei <strong>di</strong>scorsi quoti<strong>di</strong>ani, hanno evitato<br />
l’uso del <strong>Nome</strong>, sostituendolo con altri nomi come hašem (il <strong>Nome</strong>), hamāqôm (il Luogo),<br />
hagābōah (l’Alto), halāšôn (Colui che Parla; lett., la Lingua), hagburah (la Potenza –<br />
ricorre in Luca 22:69) e šāmayim (Cielo, come in Mat. 21:25; Luca 15:18). Quando si<br />
leggeva la Scrittura, l’usanza era quella <strong>di</strong> sostituire il tetragramma con ’ a dōnāy ("Signore"),<br />
oppure con ’ æ lōhîm quando il tetragramma ricorreva insieme ad ’ a dōnāy.<br />
Per esempio, quando il tetragramma ricorreva nel testo biblico prima o dopo la parola<br />
’ a dōnāy, i Masoreti vi sovrapponevano le vocali <strong>di</strong> ’ æ lōhîm (Dio) – YHWH (e veniva letto<br />
’ æ lōhîm). Così, queste due combinazioni, ’ a dōnāy YHWH e YHWH ’ a dōnāy, erano<br />
pronunciate rispettivamente ’ a dōnāy ’ æ lōhîm e ’ æ lōhîm ’ a dōnāy. Di solito nelle traduzioni<br />
italiane sono tradotte con "Signore Eterno" o "Signore Id<strong>di</strong>o". Anche il meno <strong>di</strong>stintivo<br />
’ æ lōhîm (Dio), che poteva pure in<strong>di</strong>care i falsi "dèi", veniva evitato nella conversazione.<br />
Talmente seria era la proibizione contro il pronunciamento del tetragramma, che i rabbini<br />
hanno incluso i violatori tra quelli che non avrebbero fatto parte del mondo a venire<br />
(Mishnah Sanhedrin 10:1; cfr. 7:5).<br />
4
Nello stesso tempo, anche intorno ad ’ a dōnāy si venne a creare una certa atmosfera sacra, e<br />
fu utilizzato solo nella lettura delle Sacre Scritture e nella preghiera.<br />
Questa tra<strong>di</strong>zione è continua fino a oggi, anche tra i giudei secolari. I più ortodossi <strong>di</strong>cono<br />
anche ’ æ lōkîm per evitare <strong>di</strong> <strong>di</strong>re ’ æ lōhîm, e molti ebrei scrivono "D-o" invece <strong>di</strong> "Dio".<br />
Ogni lettera dell'alfabeto ebraico ha un valore numerico, e le lettere sono utilizzate per citare<br />
i versi e i capitoli della Bibbia. Tuttavia, le due combinazioni yod-he (10+5=15) e yod-waw<br />
(10+6=16) sono sostituite nei testi della Bibbia rispettivamente con tet-waw (9+6=15) e tetzain<br />
(9+7=16) in modo tale da impe<strong>di</strong>re la possibilità <strong>di</strong> scrivere il nome <strong>di</strong> Dio leggendo il<br />
numero yod-he come yah o il numero yod-waw come yo (il quale come yah è una<br />
abbreviazione del nome <strong>di</strong> Dio).<br />
Vocalizzazione del testo<br />
Fino all’inizio del Me<strong>di</strong>o Evo, l’ebraico è stato scritto senza vocali. A mano a mano che la<br />
conoscenza dell’ebraico andava in declino, <strong>di</strong>ventava sempre più <strong>di</strong>fficile, ad ogni nuova<br />
generazione, ricordare la pronuncia delle parole del testo biblico. Già nel VI secolo, erano<br />
pochi quegli ebrei <strong>di</strong> nascita che parlavano bene l’ebraico, e la maggioranza <strong>di</strong> essi avevano<br />
solo una conoscenza passiva della lingua. Fu allora che fu sviluppato un sistema <strong>di</strong> segni<br />
vocalici dai Masoreti, stu<strong>di</strong>osi giudei del periodo, per aiutare il lettore nella pronuncia. I<br />
Masoreti hanno utilizzato i segni vocalici che essi stessi hanno creato, per vocalizzare il<br />
testo ebraico della Bibbia, che fino ad allora era composto esclusivamente <strong>di</strong> consonanti.<br />
Questo sistema prevedeva dei segni che venivano messi sopra, sotto o dentro le lettere (per<br />
lasciarle intatte, rispettandole), fungendo da vocali e da accenti. I Masoreti, quando<br />
incontravano il <strong>Nome</strong> <strong>di</strong> Dio, escogitarono un modo che perseguisse due obiettivi: lasciarlo<br />
intatto e far sì che si leggesse un’altra parola al posto del tetragramma. In pratica non furono<br />
inserite le vocali giuste ma quelle del nome che doveva sostituire nella lettura il<br />
tetragramma. I Masoreti hanno inserito i segni vocalici <strong>di</strong> ’ a dōnāy nelle quattro consonanti<br />
del nome <strong>di</strong> Dio. Questo era per ricordare al lettore che egli doveva stare attento a non<br />
pronunciare il nome in<strong>di</strong>cibile <strong>di</strong> Dio. Così YHWH veniva letto come ’ a dōnāy. C’è un<br />
piccola <strong>di</strong>fferenza tra le vocali <strong>di</strong> ’ a dōnāy e quelle del tetragramma. I Masoreti hanno<br />
mo<strong>di</strong>ficato la vocale "a" della prima sillaba in modo che i lettori non vedevano "yāh" e così<br />
5
non pronunciavano neanche inavvertitamente il nome in<strong>di</strong>cibile <strong>di</strong> Dio. La "a" è stata<br />
sostituita dalla vocale breve «e», che viene appenna accennata. La vocale "o" non appare in<br />
quanto la lettera waw (ו) assume essa stessa il suono <strong>di</strong> o. Pertanto יהוה <strong>di</strong>venta יְהוָה e<br />
YHWH <strong>di</strong>venta YeH(o)WaH.<br />
Soltanto un lettore non-ebreo, vedendo il tetragramma con i segni vocalici riportati, legge<br />
Yehova. Un lettore ebreo, quando leggeva il testo biblico, non commetteva errori perché<br />
sapeva <strong>di</strong> avere davanti agli occhi due parole in una: una tutta consonanti, l’altra richiamata<br />
dalle vocali. Egli non pronunciava mai Yehova (che sarebbe stato un assurdo), ma ’ a dōnāy.<br />
Era proprio l’assur<strong>di</strong>tà della parola che gli faceva ricordare che doveva <strong>di</strong>re ’ a dōnāy.<br />
Leggere Yehova è come se in italiano, alle vocali della parola Eterno si sostituissero le<br />
vocali della parola Signore. La parola Eterno <strong>di</strong>venterebbe Itorne, una parola senza alcun<br />
senso.<br />
Quando i primi stu<strong>di</strong>osi cristiani europei hanno iniziato a stu<strong>di</strong>are l’ebraico, hanno frainteso<br />
questo stratagemma che serviva da avvertimento. Essi erano anche privi della più<br />
elementare conoscenza della cultura e dei costumi giudaici, e il loro grave errore fu<br />
inevitabile. Nel 1518 nel suo De arcanis catholicae veritatis, un’importante opera del<br />
misticismo cristiano, un teologo italiano, il frate francescano Galatino, non si rese conto che<br />
i Masoreti avevano messo i segni vocalici <strong>di</strong> un’altra parola nelle consonanti YHWH, e fuse<br />
le vocali <strong>di</strong> ’ a dōnāy con le consonanti del nome <strong>di</strong>vino, dando così alla chiesa il nome<br />
«Jehovah», una parola che non ha alcun significato in ebraico. La prima consonante della<br />
parola, il suono "y", è stata traslitterato in latino con "j", e nella terza consonante il suono<br />
"w", con "v".<br />
Credo che come cristiani dovremmo essere sensibili all’antica tra<strong>di</strong>zione giudaica. Sebbene<br />
possiamo pensare che gli esegeti giudaici dell’antichità siano stati troppo puntigliosi nella<br />
loro interpretazione del terzo comandamento, dobbiamo ricordarci che Gesù stesso ha<br />
sempre evitato l’uso del nome <strong>di</strong>vino ed ha usato dei sostituti. I suoi ascoltatori sarebbero<br />
rimasti scandalizzati se non lo avesse fatto. Gesù si è dunque attenuto alle tra<strong>di</strong>zioni e alle<br />
decisioni dei rabbini che sono venuti prima <strong>di</strong> lui, e si è conformato al <strong>di</strong>vieto rabbinico<br />
contro l’utilizzo del nome in<strong>di</strong>cibile <strong>di</strong> Dio, anche se qualcuno potrebbe rimanere sorpreso<br />
6
che Gesù abbia trattato il nome <strong>di</strong> Dio con la stessa riverenza <strong>di</strong> quanto facesse il resto della<br />
gente.<br />
La parola più comune per Dio utilizzata da Gesù è stata "Cielo/i". Ricorre spesso nel<br />
Vangelo <strong>di</strong> Matteo nell’espressione "Regno dei Cieli". Marco e Luca hanno utilizzato<br />
"Regno <strong>di</strong> Dio", poiché la maggior parte dei loro lettori greci non potevano capire<br />
l’eufemismo. L'originale, comunque, è malkut hašāmayim (Regno dei Cieli), che è molto<br />
comune nella letteratura ebraica del periodo, mentre invece "Regno <strong>di</strong> Dio" non è mai<br />
utilizzato. In ebraico šāmayim è un "pluralia tantum", cioè fa parte <strong>di</strong> quei sostantivi che<br />
possiedono soltanto la forma plurale, come per esempio le nostre parole forbici o occhiali.<br />
In Mat. 21:25 Gesù chiede a quelli che nel Tempio avevano messo in dubbio la sua autorità:<br />
"Il battesimo <strong>di</strong> Giovanni, d’onde veniva? dal cielo (cioè, da Dio) o dagli uomini?"<br />
Similmente, nella parabola del figliuol pro<strong>di</strong>go (Luca 15:21), Gesù ha fatto <strong>di</strong>re al figlio nel<br />
suo <strong>di</strong>alogo con il padre: "ho peccato contro il cielo".<br />
Un altro eufemismo per il nome <strong>di</strong> Dio utilizzato da Gesù è stato hagburah (la Potenza).<br />
Quando era interrogato dai capi sacerdoti, a Gesù fu chiesto <strong>di</strong> confessare se egli era il<br />
Messia. La sua risposta, riportata in Mat. 26:64 e in Luca 22:69, è un classico esempio <strong>di</strong><br />
sofisma rabbinico: "Ma da ora innanzi vedrete il Figliuol dell’uomo sedere alla destra della<br />
Potenza", il quale si riferisce a due passaggi messianici della Scrittura, Dan. 7:13 e Sal.<br />
110:1. Anche se Gesù si stava riferendo a Dio in maniera riverente e in<strong>di</strong>retta, tutti si<br />
sarebbero resi conto che stava facendo una potente affermazione <strong>di</strong> essere il Messia<br />
promesso, il Figlio <strong>di</strong> Dio.<br />
Ci sono anche delle forme verbali sostitutive del tetragramma. Invce <strong>di</strong> mettere il<br />
tetragramma <strong>di</strong>vino, gli evangelisti a volte omettono il soggetto della frase e mettono il<br />
verbo al plurale. Questa procedura ri<strong>sul</strong>ta del tutto sconosciuta a chi non conosce bene la<br />
Bibbia. Il motivo è che il verbo al plurale che si trova nei testi originali suona male al nostro<br />
orecchio. Nelle traduzioni si preferisce quin<strong>di</strong> evitarlo, sostituendolo con il passivo<br />
impersonale. Qualche esempio chiarirà il punto. In Luca 6:38 Gesù <strong>di</strong>rebbe: "Vi sarà versata<br />
in seno buona misura, pigiata, scossa, traboccante". Si noti il passivo impersonale: "Vi sarà<br />
7
versata". In realtà Gesù si espresse <strong>di</strong>versamente. Il tetso originale ha: δώσουσιν (dōsousin),<br />
"daranno". In Luca 12:20 Gesù <strong>di</strong>rebbe: "Stolto, questa notte l’anima tua ti sarà<br />
ridomandata", ma il testo <strong>di</strong>ce: "Stolto, questa notte ti chiederanno [¢paitoàsin] la tua<br />
anima". Chi richiede la vita dello stolto è indubbiamente Dio. Gesù, secondo l’uso ebraico<br />
del tempo, evita la menzione <strong>di</strong> Dio e usa il verbo al plurale: "Ti chiederanno".<br />
Un altro esempio: Luca 16:9, "Fatevi degli amici con le ricchezze ingiuste; affinché,<br />
quand’esse verranno meno, quelli vi ricevano nei tabernacoli eterni". Il problema è nella<br />
seconda parte: "Quelli vi ricevano nei tabernacoli eterni". Così tradotto, quelli non può che<br />
riferirsi agli amici precedenti. Ci doman<strong>di</strong>amo come sia mai possibile che tali persone,<br />
<strong>di</strong>ventate amiche grazie alle ricchezze con<strong>di</strong>vise con loro, possano avere la facoltà <strong>di</strong><br />
accogliere nei tabernacoli eterni chi ha agito saggiamente con loro. Può darsi che essi stessi<br />
non entrino "nei tabernacoli eterni", ma – anche se ci entrassero – che potere avrebbero mai<br />
<strong>di</strong> accogliere colui che se li è fatti amici? Inoltre Gesù applica questa parabola ai rapporti<br />
con "quelli della loro generazione" (v. 8). Gesù sta parlando <strong>di</strong> cose quoti<strong>di</strong>ane, della vita <strong>di</strong><br />
tutti i giorni. Nel v. 9 il testo greco ha: ἵνα δέξωνται ὑµᾶς εἰς τὰς αἰωνίους σκηνάς (=<br />
affinché accolgano voi in le eterne tende). Siamo qui <strong>di</strong> fronte proprio a uno <strong>di</strong><br />
quei casi in cui per nominare Dio evitando il tetragramma si usa il verbo al plurale senza<br />
soggetto. Come abbiamo già osservato, nelle traduzioni italiane ciò si rende con il passivo.<br />
Se volessimo renderlo in italiano lasciando intatto il senso, avremmo: "Affinché vi si riceva<br />
nelle <strong>di</strong>more eterne".<br />
Certamente non bisogna creare nuovi nomi per Dio, come "Geova". I Testimoni <strong>di</strong> Geova<br />
hanno adottato ufficialmente questo nome, ma non sono stati gli unici a farlo e né i primi.<br />
Fortunatamente, per opposizione a loro (e soltanto per questo), è stato in gran parte<br />
abbandonato e usato soltanto occasionalmente. La non-parola "Geova" potrebbe anche<br />
essere considerata un <strong>di</strong>vertente errore se non illustrasse vividamente la storica mancanza <strong>di</strong><br />
comprensione dei cristiani della lingua e della pratica ebraica. Purtroppo c’è ancora chi<br />
continua a perpetrare questo errore nelle traduzioni della Bibbia.<br />
L’affermazione che uno è in errore se non utilizza esclusivamente la parola "Geova" o<br />
"Yahweh" in riferimento a Dio, è una forma <strong>di</strong> legalismo. L'uso <strong>di</strong> formule corrette e <strong>di</strong><br />
8
pronunce corrette è molto importante nei riti magici, ma non nel rapporto <strong>di</strong> una persona<br />
con il Dio d’Israele, che è «misericor<strong>di</strong>oso e pietoso, lento all’ira, ricco in benignità e<br />
fedeltà» (Es. 34:6). Un approccio sbagliato fa sì che ci si preoccupa più del nome <strong>di</strong> Dio e<br />
della sua corretta pronuncia che <strong>di</strong> Dio stesso.<br />
Significato del <strong>Nome</strong><br />
Come per tutti i nomi semitici in generale, è inteso per riflettere qualcosa del carattere <strong>di</strong><br />
Colui che lo porta. YHWH è connesso con la ra<strong>di</strong>ce h-w-h, «essere», e riflette l’eternità e<br />
l’infinità. Ma questo è soltanto l’inizio.<br />
Il <strong>Nome</strong> <strong>di</strong>vino era conosciuto sin dalla creazione del mondo. Le parole <strong>di</strong> Es. 6:3 - "Io sono<br />
YHWH, e apparii ad Abrahamo, ad Isacco e a Giacobbe, come l’Id<strong>di</strong>o onnipotente; ma non<br />
fui conosciuto da loro sotto il mio nome <strong>di</strong> YHWH" - sono troppo facilmente interpretate<br />
come se il nome YHWH non era conosciuto ai tre patriarchi. Questa è un’affermazione <strong>di</strong><br />
facile smentita, poiché leggiamo che Isacco <strong>di</strong>sse: "ora YHWH ci ha messi al largo, e noi<br />
prospereremo nel paese" (Gen. 26:22); e a Giacobbe Dio <strong>di</strong>sse: "Io sono YHWH, l’Id<strong>di</strong>o <strong>di</strong><br />
Abrahamo tuo padre e l’Id<strong>di</strong>o d’Isacco" (Gen. 28:13). E se questo nome era conosciuto da<br />
Isacco e da Giacobbe, era sicuramente conosciuto anche da Abrahamo. È evidente che<br />
quando Dio <strong>di</strong>ce a Mosè che non si fece conoscere da loro col suo nome YHWH, intende<br />
tutt’altro che far conoscere il "nome" in se stesso. Nella Bibbia il nome in<strong>di</strong>ca l’essenza<br />
stessa della persona; pertanto Dio stava per rivelare se stesso – nel linguaggio biblico, il suo<br />
"nome". Gli Israeliti avrebbero conosciuto il suo nome, ovvero egli stesso, quando<br />
avrebbero visto fino a che punto sarebbe arrivato per far sì che la sua cura per Israele si<br />
<strong>di</strong>spiegasse fino ion fondo. Gli Israeliti stavano per <strong>di</strong>ventare testimoni delle spaventose<br />
"<strong>di</strong>eci piaghe"; stavano per essere salvati attraverso il Mar Rosso; avrebbero poi ricevuto la<br />
Torah (= insegnamento) <strong>di</strong>vina al monte Sinai, in circostanze tali da farli tremare<br />
terrorizzati. In seguito sarebbero stati protetti nel deserto, e poi fatti entrare nella terra<br />
promessa. Le parole <strong>di</strong> Es. 6:3 significano dunque che Dio, quando ha fatto le promesse ai<br />
padri, era inimmaginabile come sarebbero state portate a compimento, perché riferite ad<br />
un'epoca futura. Al tempo <strong>di</strong> Mosè Dio si fa conoscere con l'essenza del suo nome, quello<br />
delle promesse, perché era arrivato il tempo dell'adempimento delle promesse per mezzo <strong>di</strong><br />
Mosè che è il goel che trae fuori il popolo dall'Egitto. Non <strong>di</strong>ce che Dio rivela il suo nome a<br />
9
Mosè, altrimenti in ebraico sarebbe scritto in maniera <strong>di</strong>versa. Non rivela un nome nuovo,<br />
<strong>di</strong>ce che con le gesta che sta per fare mostrerà pubblicamente la Sua vera Essenza che<br />
consiste nell'adempimento delle promesse fatte ai padri.<br />
Infatti, se nell’ebraico biblico si vuole chiedere il nome <strong>di</strong> qualcuno non si <strong>di</strong>ce come in Es.<br />
3:13 "quale (mah) è il suo nome? " o "quale è il tuo nome", ma "chi (mî) sei tu?", "chi è<br />
lui?", "chi (mî) è il tuo nome?", "<strong>di</strong>mmi il tuo nome". Laddove invece la parola "quale/che<br />
cosa" appare legata alla parola "nome", ci si chiede cosa si nasconda o si esprima nel nome.<br />
Quando l’essere celeste con il quale Giacobbe lotta al guado <strong>di</strong> Iabbok gli chiede (Gen.<br />
32:27): "Qual è il tuo nome?" vuol <strong>di</strong>re che a questo nome è legata la vergognosa<br />
interpretazione: "che afferra il calcagno" (cfr. Gen. 27:36; Os. 12:4); ora, con l’attribuzione<br />
del nuovo nome – Israele - la vergogna del nome vecchio deve essere cancellata per colui<br />
che ha dato buona prova <strong>di</strong> sé: "Non Giacobbe, colui che afferra il calcagno, deve essere il<br />
tuo nome". Questo processo ritorna quando Dio compie quello che ha promesso (Gen.<br />
35:10). Dal popolo, Mosè si aspetta la domanda <strong>sul</strong> senso e <strong>sul</strong>l’essenza <strong>di</strong> un nome da essi<br />
già conosciuto.<br />
In Es. 6:3 YHWH <strong>di</strong>chiara a Mosè <strong>di</strong> essere apparso ai padri come ’ēl šaddāy, cioè nella<br />
qualità <strong>di</strong> un Dio-šaddāy, "ma non fui conosciuto da loro sotto il mio nome <strong>di</strong> YHWH". Cosa<br />
sia šaddāy possiamo supporlo in base alla lettera del testo e al contesto in cui il nome<br />
compare nella storia dei patriarchi; esso in<strong>di</strong>ca evidentemente la <strong>di</strong>vinità come onnipotenza<br />
e cioè, come sembra (poiché lo in<strong>di</strong>cano cinque dei sei passi della Genesi in cui il nome si<br />
trova) come la potenza che rende feconda la famiglia umana e fonda così la stirpe umana;<br />
qui si tratta effettivamente della nascita biologica d’Israele intesa come opera <strong>di</strong>vina.<br />
Tra tutte le supposizioni <strong>sul</strong>l’uso del nome YHWH da parte degli ebrei nell’epoca delle<br />
origini, la più atten<strong>di</strong>bile è quella espressa da Bernard Duhm in una conferenza a Gottinga:<br />
"Forse il nome è in un certo qual modo solo un ampliamento <strong>di</strong> hû’ – egli – come Dio è<br />
anche chiamato da altre tribù arabe in momenti <strong>di</strong> trasporto religioso". Il grido dei dervisci,<br />
"Ya-hû’!" significa infatti "oh! Egli!". La forma originaria del grido può essere stata Yahuwà<br />
se nell’arabo huwa – egli – possiamo riconoscere la forma protosemitica del pronome<br />
"egli" che in ebraico si <strong>di</strong>ce hû’. Il nome Ya-huwa significherebbe allora "oh! Egli". Da<br />
questo Ya-huwa si può spiegare sia Yahu che Yahweh. Tale nome, ha carattere interamente<br />
10
orale e ha bisogno in realtà <strong>di</strong> una integrazione tramite gesti, come per esempio alzare un<br />
braccio.<br />
Si spiega così perché nel periodo premosaico ci sono pochi nomi <strong>di</strong> persona costruiti con<br />
questo nome <strong>di</strong>vino. È caratteristico il fatto che nel corso delle generazioni, soprattutto in un<br />
periodo <strong>di</strong> crescente lassismo religioso, come è stato quello egiziano, non solo l’elemento <strong>di</strong><br />
eccitazione legato al nome si indebolì, ma il nome degenerò in un suono vuoto e insieme<br />
estraneo, quasi <strong>di</strong>menticato. Ma poi viene il momento in cui il popolo affronta l’uomo che<br />
gli porta un messaggio del Dio dei padri con la domanda: "Che <strong>di</strong>ci del suo nome?", vale a<br />
<strong>di</strong>re "Che tipo <strong>di</strong> Dio è in realtà?". Per gli antichi il nome <strong>di</strong> una persona in<strong>di</strong>cava il suo<br />
carattere. Ma nella domanda c’è qualcos’altro, c’è l’espressione <strong>di</strong> un’esperienza negativa<br />
che il popolo in schiavitù ha fatto con questo suo Dio: "Per tutto il tempo Egli non si è<br />
occupato <strong>di</strong> noi! Come potremo essere certi <strong>di</strong> Lui? Come possiamo invocare il suo nome?<br />
Che vuol <strong>di</strong>re il suo nome?".<br />
Alla domanda <strong>di</strong> Mosè riguardo al nome, Dio dà una duplice risposta: una risposta nel v. 14<br />
e un’altra nel v. 15. La prima dà una spiegazione introduttiva del significato del nome, cioè,<br />
descrive l'attributo <strong>di</strong> Dio espresso da tale designazione; la seconda rivela questo nome e lo<br />
proclama in termini <strong>di</strong> esaltazione.<br />
La prima risposta è: אהיה אשר אהיה ’ehyeh ’ašer ’ehyeh (lett. = sono chi sono). Di solito<br />
viene interpretato nel senso che YHWH definisce se stesso come COLUI CHE È in eterno,<br />
colui che persiste immutabilmente nel suo essere. Ma questo sarebbe semplicemente un tipo<br />
<strong>di</strong> astrazione; il verbo, nella lingua biblica, non rende affatto questo significato <strong>di</strong> esistenza<br />
pura. Queste parole contengono un’idea molto semplice, connessa con la parola אֶהְיֶה ’ehyeh<br />
[io sono], già usata nel v. 12 quando Dio <strong>di</strong>ce a Mosè: Io sarò אֶהְיֶה] ’ehyeh] con te. Ci viene<br />
data una spiegazione del nome YHWH che la collega con la ra<strong>di</strong>ce hāyāh הָיָה ['essere'].<br />
In<strong>di</strong>pendentemente dall’etimologia stessa del nome (su cui ci sono molte teorie), la Torah lo<br />
considera come derivante dalla ra<strong>di</strong>ce הָיָה-הָוָה hāyāh-hāwāh. Il significato ad esso attribuioto<br />
nel nostro passo corrisponde al presente. La forma del verbo che oggi in ebraico è chiamata<br />
‘futuro’ [cioè l'imperfetto] potrebbe significare nel linguaggio biblico qualsiasi tempo –<br />
passato, presente, o futuro – e avvicinarsi in alcuni casi all’uso del ‘presente’ dell’ebraico<br />
11
moderno. Il nome YHWH, è il tempo ‘futuro’, terza persona, ed è interpretato nel nostro<br />
testo nel senso <strong>di</strong> יָהְיֶה yah e yeh [letteralmente, 'Egli sarà']. Quin<strong>di</strong>, quando la spiegazione è<br />
data da YHWH stesso, il verbo appare nella prima persona (così il Rashbam [Rabbi Samuel<br />
ben Meir]): אֶהְיֶה ’ehyeh [io sono]. Il significato è: Io sono con tutte le mie creature nei loro<br />
momenti <strong>di</strong> <strong>di</strong>fficoltà e <strong>di</strong> bisogno – come già ti ho detto: "E io sarò יֶהאֶהְ) ’ehyeh) con te" (v.<br />
12) - per aiutarle e salvarle. E io sono colui che sono, sempre, e proprio come io sono con<br />
te, così sono con tutti i figli d’Israele che sono schiavi, e con chiunque ha bisogno del mio<br />
aiuto, sia ora che in futuro.<br />
È anche implicito in questa interpretazione il pensiero <strong>di</strong> attuare le promesse: Io sono colui<br />
che sono sempre, sempre uguale, e <strong>di</strong> conseguenza io sono fedele alla mia parola e la porto a<br />
compimento. Quando gli Israeliti hanno realizzato, dopo il loro esodo dall'Egitto e la<br />
liberazione dall’esercito <strong>di</strong> Faraone, che in realtà il Signore era con loro e che ha mantenuto<br />
le Sue promesse, essi hanno proclamato nel Cantico del Mare (Es.15:3): "il suo nome è<br />
YHWH", cioè, lui e il suo nome sono degni l'uno dell'altro, le sue opere sono in accordo<br />
con il suo nome. Dio promette che sarà presso colui che ha scelto, rimarrà accanto a lui, lo<br />
aiuterà. La risposta data a Mosè comprende solo queste parole: "Io sono chi sono", niente <strong>di</strong><br />
più. Nella seconda parte del v. 14, per rendere chiaro senza frainten<strong>di</strong>menti che la parola<br />
<strong>di</strong>retta ’ehyeh spiega il nome in<strong>di</strong>retto, Mosè viene incaricato, in una ar<strong>di</strong>tissima avventura<br />
linguistica, <strong>di</strong> <strong>di</strong>re al popolo "’ehyeh, [Io sono] mi ha mandato da voi", cioè: Colui che mi<br />
ha mandato a voi è il Dio che <strong>di</strong>ce <strong>di</strong> se stesso: Io sono.<br />
’Ehyeh non è un nome, non si può chiamare così Dio; solo questa volta, in questo unico<br />
momento della trasmissione della sua parola Mosè può e deve pronunciare la definizione<br />
che Dio dà <strong>di</strong> se stesso nel suo nome. Ma quando, poco prima della catastrofe del regno<br />
settentrionale d’Israele il profeta Osea, per far capire la svolta del destino del popolo chiama<br />
il figlio appena nato Lo-ammi, non mio popolo (Os. 1:9), giustifica l’imposizione <strong>di</strong> questo<br />
nome con le parole <strong>di</strong>vine: "voi non siete mio popolo, e io non sono ’ehyeh". Ci si<br />
aspetterebbe <strong>di</strong> sentire "…e io non sono più il vostro Dio". invece è detto "io non sono più<br />
’ehyeh, l’Io sono". Il popolo infedele è privato della presenza del proprio Dio, il nome<br />
rivelato gli si nasconde <strong>di</strong> nuovo.<br />
12
La seconda risposta viene introdotto dalla frase: Id<strong>di</strong>o <strong>di</strong>sse ancora a Mosè, dove la parola<br />
ancora in<strong>di</strong>ca che qui vi è un qualcosa <strong>di</strong> aggiuntivo. Poi seguono le parole che Mosè deve<br />
<strong>di</strong>re agli Israeliti: in primo luogo, il nome specifico <strong>di</strong> Dio, YHWH. YHWH è l’Id<strong>di</strong>o dei<br />
vostri padri, seguito da tre clausole che enfatizzano la continuità: l’Id<strong>di</strong>o d’Abrahamo,<br />
l’Id<strong>di</strong>o d’Isacco e l’Id<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Giacobbe. Dopo la solenne proclamazione del <strong>Nome</strong>, viene<br />
menzionato il fatto della missione: mi ha mandato a voi. Anche se noi ci <strong>di</strong>mentichiamo del<br />
suo nome, egli non si <strong>di</strong>mentica <strong>di</strong> noi. Si è ricordato del suo patto con i nostri padri, e mi ha<br />
mandato a voi per compiere questo patto. Tale è il mio nome in perpetuo, tale la mia<br />
ricordanza [cioè, titolo] per tutte le generazioni. Abbiamo qui un parallelismo tra שֵׁם šēm<br />
(nome) e זֵכֶר zēker (ricordanza), nonché tra perpetuo e tutte le generazioni.<br />
YHWH annuncia che si prenderà cura del suo popolo. "Io sono colui che sarà sempre<br />
presente". YHWH <strong>di</strong>ce che sarà sì sempre presente, ma come colui che sarà presente in ogni<br />
singolo momento. Promette la sua presenza continua, la sua assistenza continua, ma rifiuta<br />
<strong>di</strong> legarsi a forme <strong>di</strong> rivelazione ben definite, come nei riti magici pagani. Non c’è bisogno<br />
che Dio venga evocato, come nel paganesimo, perché è sempre presente. Nel <strong>di</strong>scorso del<br />
roveto la religione viene demagificata.<br />
YHWH dunque è colui che sarà presente. Il nome esprime il suo carattere ed assicura ai suoi<br />
fedeli la presenza protettiva del Signore, ed è Dio stesso che rivela in tal modo il suo nome.<br />
L’antica esclamazione ne era la forma nascosta, il verbo è la sua rivelazione.<br />
Ogni volta che nel racconto Dio <strong>di</strong>ce: "Allora gli egiziani riconosceranno che io sono<br />
YHWH", oppure, "Voi riconoscerete che io sono YHWH" non s’intende evidentemente il<br />
nome in quanto formazione fonetica ma ci si riferisce al senso in esso celato, ad esso<br />
prestato; gli egiziani devono riconoscere che io (a <strong>di</strong>fferenza dei loro dèi) sono colui che è<br />
veramente presente, colui che sta e agisce in mezzo agli uomini. E frasi come "Io sono<br />
YHWH; tale è il mio nome" (Is. 42:8) o, ancora più chiaramente, "il mio popolo conoscerà<br />
il mio nome; perciò saprà, in quel giorno, che sono io che ho parlato: Eccomi!" (Is. 52:6)<br />
non devono essere intese altrimenti.<br />
Una interessante curiosità<br />
13
Girolamo, in una lettera scritta da Roma nel 384 <strong>di</strong>ce: "Il nono [nome <strong>di</strong> Dio] è composto <strong>di</strong><br />
quattro lettere; lo si pensava anecfòneton, cioè ineffabile, e si scrive con queste lettere: yod,<br />
he, waw, he .[יהוה] Ma alcuni non l’hanno decifrato a motivo della rassomiglianza dei segni<br />
e quando lo hanno trovato nei libri greci l’hanno letto <strong>di</strong> solito PIPI”. - Girolamo, Le lettere,<br />
Roma, 1961, vol. 1, pagg. 237, 238.<br />
Si noti che il tetragramma viene definito da Girolamo il "nono" nome <strong>di</strong> Dio e che il<br />
tetragramma era talmente sconosciuto che fu confuso con una parola greca senza significato.<br />
Mostriamo il confronto, da cui si vede la somiglianza tra le lettere ebraiche e greche che<br />
<strong>di</strong>ede a<strong>di</strong>to all’equivoco:<br />
Ebraico י ה ו ה YHWH<br />
Greco Π Ι Π Ι PIPI<br />
Chi lesse così non sapeva neppure che l’ebraico si legge da destra a sinistra. Lo lesse,<br />
infatti, da sinistra a destra come il greco.<br />
Il <strong>Nome</strong> Divino nel Nuovo Testamento ebraico<br />
Quando le Scritture Ebraiche furono tradotte in greco nel III secolo a.C., il tetragramma è<br />
stato spesso sostituito con la parola greca kyrios, che significa "Signore". Questo causa una<br />
piccola complicazione quando leggiamo, perché c'è già una parola per <strong>di</strong>re "Signore" in<br />
ebraico, che a volte viene usata in riferimento a Dio nella sua forma singolare, ’ādôn, o<br />
come plurale con il suffisso pronominale della prima persona singolare, ’ādōnay, Signore<br />
(lett.: "miei signori"). 1<br />
Questo problema non esiste quando si traduce il Nuovo Testamento nella maggior parte<br />
delle lingue: i traduttori utilizzano solo la parola per Signore. Comunque, nella traduzione<br />
ebraica del Nuovo Testamento è stato necessario decidere per ogni ricorrenza <strong>di</strong> kyrios se<br />
renderlo ’ādōnay o YHWH o qualcos’altro. Nel caso delle citazioni dalle Scritture Ebraiche<br />
la decisione è abbastanza semplice. In un passo come Mat. 22:44, il moderno Nuovo<br />
Testamento ebraico si rifà all’originale del Sal. 110:1 e legge, "n e ’um yhwh la’dōnî" che la<br />
Diodati traduce: "Il Signore ha detto al mio Signore".<br />
14
Notiamo in questo esempio che Matteo cita delle parole che Gesù ha detto in pubblico.<br />
Gesù, o qualunque altro nel Nuovo Testamento, avrebbe pronunciato il <strong>Nome</strong> Divino? La<br />
risposta deve essere no. Tuttavia, i traduttori si sono sentiti giustificati a lasciare la <strong>di</strong>citura<br />
originale del Salmo, anche se Gesù avrebbe detto le parole "n e ’um ’ādōnay la’dōnî",<br />
sostituendo il tetragramma con la parola ’ādōnay. In questo caso essi hanno copiato dal<br />
Salmo originale piuttosto che citare le parole effettive che sono uscite dalla bocca <strong>di</strong> Gesù.<br />
Il testo greco <strong>di</strong> Matteo usa qui la parola kyrios due volte. La Septuaginta usa la parola<br />
kyrios per tradurre tre<strong>di</strong>ci <strong>di</strong>verse parole ebraiche. Quin<strong>di</strong>, quando ritraduciamo in ebraico<br />
possiamo scegliere quale <strong>di</strong> quelle parole è più appropriata al contesto e alla situazione. Se<br />
viene usato YHWH, il lettore Israelita <strong>di</strong>rà ancora "’ādōnay". Oggi, come ai tempi <strong>di</strong> Gesù,<br />
gli è consentito copiare il tetragramma ma non <strong>di</strong> pronunciarlo.<br />
Altri esempi dove Dio viene pronunciato in un <strong>di</strong>scorso <strong>di</strong>retto sono nelle parole <strong>di</strong><br />
Elisabetta, Maria e Zaccaria in Luca 1:25,46,68. In tutti questi casi il moderno Nuovo<br />
Testamento ebraico utilizza la parola YHWH per tradurre kyrios, anche se le tre persone<br />
avrebbero detto ’ādōnay,<br />
I traduttori della Septuaginta, che avevano la tendenza a essere abbastanza letterali nella<br />
loro traduzione, si trovarono <strong>di</strong> fronte al problema opposto: come potevano far <strong>di</strong>stinzione<br />
tra ’ādōnay e YHWH nella loro traduzione dall’ebraico al greco? La soluzione che in linea<br />
generale hanno scelto è stata quella <strong>di</strong> rendere ’ādōnay con ho kyrios (il Signore) e YHWH<br />
semplicemente con kyrios senza l’articolo determinativo. Questo è stato fatto senza alcuna<br />
<strong>di</strong>stinzione se il brano era un <strong>di</strong>scorso <strong>di</strong>retto o narrativo. La Septuaginta è stata tradotta<br />
durante un periodo <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse generazioni, e questa regola non sempre è stata seguita dai<br />
suoi <strong>di</strong>versi traduttori.<br />
È interessante osservare che il greco del Nuovo Testamento ha entrambe le forme, kyrios e<br />
ho (oppure tou o ton) kyrios, a volte uno a fianco dell’altro (per esempio, Luca 1:9,11;<br />
1:25,28,32; 1:45,47). Per rendere le cose ancora più complicate, la forma kyrios senza<br />
l’articolo è a volte usato da Gesù, come per esempio in Luca 2:11 (…è nato [un] salvatore,<br />
che è Messia, [il] Signore). Due manoscritti del Nuovo Testamento del settimo secolo (b e<br />
r 1 ) hanno cambiato "Signore" nel genitivo, cioè: "…che è Messia [del] Signore", una<br />
espressione più ebraica (Mashiaḥ YHWH).<br />
15
La prima e<strong>di</strong>zione della United Bible Societies’ Hebrew New Testament, salvo qualche<br />
eccezione, ha seguito la pratica della Septuaginta come <strong>di</strong>rettiva per tradurre ’ādōnay con ho<br />
kyrios, e YHWH con kyrios senza l’articolo. Però, alcuni membri del comitato <strong>di</strong> redazione<br />
hanno sollevato la questione. Innanzitutto, la <strong>di</strong>stinzione non sarebbe stata chiara ai lettori<br />
moderni ai quali poteva sembrare strano trovare il tetragramma in un <strong>di</strong>scorso <strong>di</strong>retto. In<br />
secondo luogo, i lettori Israeliani pronunciano ’ādōnay quando nel testo incontrano YHWH.<br />
Nel cercare <strong>di</strong> prendere una decisione, è stato chiesto a molti Israeliani con una buona<br />
preparazione accademica nella lingua ebraica, se la traduzione doveva mantenere il nome<br />
yhwh o invece sostituirlo con un’abbreviazione come H’ o ‘’, molto comuni nella letteratura<br />
ebraica e che vengono letti come ’ādōnay o ha-shem, "il nome". Le opinioni erano <strong>di</strong>vise,<br />
anche se la maggior parte era a favore del mantenimento <strong>di</strong> YHWH, tranne che nel <strong>di</strong>scorso<br />
<strong>di</strong>retto. Qualcuno ha suggerito che usare H’ o ‘’ avrebbe dato l’impressione che il Nuovo<br />
Testamento è semplicemente un altro libro secolare con meno santità della Bibbia Ebraica.<br />
Quelli che hanno argomentato contro l’utilizzo <strong>di</strong> YHWH hanno detto che tale nome non è<br />
mai stato utilizzato al <strong>di</strong> fuori della Bibbia Ebraica, dall’antichità sino ad oggi. Inoltre, essi<br />
hanno aggiunto, è più probabile che molti Israeliani leggerebbero il Nuovo Testamento se<br />
non contenesse il nome <strong>di</strong> Dio. La prima <strong>di</strong> queste obiezioni non è sostenibile: il nome<br />
<strong>di</strong>vino è stato trovato nel materiale non biblico dei Rotoli del Mar Morto e in particolare nel<br />
Rotolo del Tempio. La seconda obiezione non è affatto vera. Probabilmente quegli Israeliani<br />
che sono interessati alla lettura del Nuovo Testamento non saranno scoraggiati<br />
dall’esistenza del tetragramma. Quelli che si rifiutano <strong>di</strong> leggere il Nuovo Testamento lo<br />
fanno per avversione verso Gesù e Paolo e per come i "cristiani" hanno trattato i Giudei nel<br />
corso della storia; cambiare YHWH in H’ o ‘’ non farà alcuna <strong>di</strong>fferenza per loro.<br />
È stato deciso <strong>di</strong> abbandonare la soluzione della Septuaginta e trattare ogni caso a parte.<br />
Ognuna delle 300 e passa ricorrenze <strong>di</strong> kyrios nel Nuovo Testamento doveva essere<br />
considerato nel suo contesto. Dove c’era un <strong>di</strong>scorso <strong>di</strong>retto, poteva essere tradotto con<br />
ha’ādôn, il Signore, ’ādōnay, o anche ’ æ lōhîm, Dio, come gli stessi traduttori della<br />
Septuaginta hanno a volte fatto (in <strong>di</strong>rezione inversa, naturalmente). L’unica eccezione a<br />
questo è laddove colui che parla cita un verso dalla Bibbia Ebraica che include il<br />
tetragramma. In questi casi, come nell'esempio <strong>di</strong> Mat. 22:44 citato sopra, è stato mantenuto<br />
16
l’originale YHWH. Nelle sezioni narrative YHWH è stato tolto dalla maggior parte delle<br />
traduzioni. Ci sono dei casi nei Vangeli in cui il nome <strong>di</strong> Dio è normale che rimanga, come<br />
per esempio nel caso <strong>di</strong> malak YHWH, l’angelo del Signore, yom YHWH, il giorno del<br />
Signore, yad YHWH, la mano del Signore e kebod YHWH, la gloria del Signore. In questi<br />
casi, il Nuovo Testamento ebraico ha conservato la frase famigliare.<br />
In alcuni casi c’è bisogno <strong>di</strong> una decisione ai limiti del teologico per stabilire come tradurre<br />
kyrios. Che cosa si dovrebbe fare, per esempio, in una situazione come quella <strong>di</strong> Luca<br />
19:31,34: "…<strong>di</strong>rete così: Il Signore ne ha bisogno". Il proprietario doveva capire che Gesù<br />
aveva bisogno del puledro o che YHWH aveva bisogno <strong>di</strong> esso? In ebraico moderno è<br />
possibile tradurre kyrios sia come ha’ādôn, il Signore, che ’ādōnay, Signore. I moderni<br />
traduttori ebraici hanno deciso <strong>di</strong> usare ha’ādôn, lasciando possibile l’interpretazione che<br />
Gesù, il maestro dei <strong>di</strong>scepoli, aveva bisogno del puledro. È inevitabile che la traduzione, a<br />
volte implica l’interpretazione ed in questo caso l'interpretazione può spingere da una parte<br />
come dall’altra.<br />
O, per portare un altro esempio simile, come dobbiamo intendere le parole <strong>di</strong> Gesù in Mar.<br />
5:19: "Va’ a casa tua dai tuoi, e racconta loro le gran<strong>di</strong> cose che HO KYRIOS ti ha fatto"? La<br />
prima e<strong>di</strong>zione ebraica del Nuovo Testamento ha usato YHWH, ma non doveva essere così<br />
inequivocabile dal momento che Gesù non pronunciava il nome <strong>di</strong>vino. È chiaro che Gesù<br />
ha detto o ’ādōnay o ha’ādôn. Rendere kyrios con ’ādōnay farebbe perdere qualsiasi<br />
ambiguità, ma è meglio tradurre con ha’ādôn, che poteva essere inteso dall’indemoniato<br />
appena guarito (come anche dai lettori <strong>di</strong> oggi) in riferimento a YHWH o a Gesù. A<br />
giu<strong>di</strong>care dal verso 20, l’ex indemoniato aveva inteso quest’ultimo, poiché se ne andò a<br />
proclamare per la Decapoli "le gran<strong>di</strong> cose che Gesù avea fatto per lui".<br />
Come regola generale è stato deciso che il moderno Nuovo Testamento ebraico usi ’ādôn,<br />
Signore, o ’ādōnay, Signore, per kyrios piuttosto che usare il tetragramma, YHWH. Le<br />
eccezioni sono le citazioni dalla Bibbia Ebraica in cui ricorre YHWH nell’originale. Altre<br />
eccezioni secondarie si possono trovare in quei posti dove il contesto sembra richiedere<br />
l’uso <strong>di</strong> YHWH (ad esempio, Apoc. 19:6).<br />
Yeshua o Yahshua<br />
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V’è un altro "<strong>Nome</strong> Sacro" che presenta problemi. Ci sono degli insegnanti che <strong>di</strong>cono<br />
riguardo il nome <strong>di</strong> Gesù, che i cristiani quando si rivolgono a lui dovrebbero pronunciarlo<br />
Yahshua. Essi <strong>di</strong>cono che il nome <strong>di</strong> Gesù è composto <strong>di</strong> due parti: Yah (un'abbreviazione <strong>di</strong><br />
Yahweh), e Shua (Salvatore). Così, essi <strong>di</strong>cono che "Yahshua" significa Yahweh-Salvatore.<br />
Il tentativo <strong>di</strong> stabilire un collegamento linguistico tra Yahweh, la supposta pronuncia<br />
originale del tetragramma, e Yeshua, la forma ebraica del nome <strong>di</strong> Gesù, ha le sue ra<strong>di</strong>ci in<br />
un malinteso. La sillaba iniziale <strong>di</strong> Yeshua (Gesù) non è yah ma ye. Yeshua è<br />
un'abbreviazione <strong>di</strong> yehoshua, Giosuè. Yehoshua è stato evidentemente accorciato in yeshua<br />
man mano che la lingua parlata ha lasciato cadere la "h" con la sua vocale "o".<br />
Verso la fine del periodo biblico il nome yeshua aveva già iniziato a sostituire yehoshua.<br />
Giosuè il figlio <strong>di</strong> Nun è anch’esso chiamato "Yeshua il figlio <strong>di</strong> Nun" (Neh. 8:17 – ve<strong>di</strong><br />
King James e Testo Ebraico). La forma yeshua ricorre ventinove volte nella Scrittura,<br />
ventisette volte nei libri <strong>di</strong> Esdra e Nehemia, e una volta ciascuno in 1 e 2 Cronache. (Tutti e<br />
quattro i libri sono datati intorno al 400-450 a.C.). Solo una volta, in 1 Cron. 7:27, la forma<br />
yehoshua ricorre in questi stessi libri.<br />
__________________________<br />
1. Il plurale <strong>di</strong> ’ādôn è ’ādōnim. Il plurale regolare con il suffisso pronominale della prima persona singolare<br />
è ’ādōnay, "miei signori". Nel testo Masoretico, quando ci si riferisce a Dio e non ai " miei signori", la parola<br />
è punteggiata (l’unica eccezione su 425 ricorrenze è ’ādōnay in Giud. 13:8). Così, non è sempre possibile<br />
nella Septuaginta <strong>di</strong>re se l’originale ebraico sottostante che faceva riferimento a Dio era il tetragramma,<br />
’ādōnay, o qualche altra parola.<br />
* Il presente stu<strong>di</strong>o è soggetto a revisioni e aggiornamenti<br />
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