26.10.2014 Views

Fondazione Giovanni Valcavi

Fondazione Giovanni Valcavi

Fondazione Giovanni Valcavi

SHOW MORE
SHOW LESS

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.

<strong>Giovanni</strong> <strong>Valcavi</strong> • Scritti giuridici scelti<br />

GIOVANNI VALCAVI<br />

SCRITTI<br />

GIURIDICI<br />

SCELTI<br />

NICOLINI EDITORE


GIOVANNI VALCAVI<br />

SCRITTI<br />

GIURIDICI<br />

SCELTI<br />

NICOLINI EDITORE


Coordinamento editoriale<br />

Marco Tamborini<br />

Videoimpaginazione<br />

A.R. Service (pre-stampa) - Varese<br />

Realizzazione e stampa<br />

Grafiche Nicolini, Gavirate (Varese)<br />

© Nicolini Editore, Gavirate - 2005


Indice<br />

Introduzione ........................................................................................... 7<br />

SCRITTI DI DIRITTO CIVILE<br />

Prefazione del prof. Alberto Trabucchi ................................................. 11<br />

Sui criteri generali in materia di Responsabilità Civile<br />

Alcuni appunti in materia di rischio, di incidenza della mora e di perpetuatio<br />

obligationis ................................................................................... 17<br />

Sulla causalità giuridica nella Responsabilità Civile da inadempienza e da<br />

illecito ..................................................................................................... 27<br />

Sulla prevedibilità del danno da inadempienza colposa contrattuale ....... 43<br />

Evitabilità del maggior danno ex Art. 1227, 2° comma, c.c. e rimpiazzo<br />

della prestazione non adempiuta ............................................................. 59<br />

Sul tempo di riferimento nella stima del danno<br />

Il tempo di riferimento nella stima del danno .......................................... 73<br />

Sul risarcimento del danno da illecito o da inadempienza e di quello per il<br />

ritardo con cui è prestato l’indennizzo ..................................................... 119<br />

Sulle obbligazioni pecuniarie, le variazioni del potere di acquisto<br />

della moneta, del prezzo e degli interessi monetari<br />

Rivalutazione monetaria ed interessi di mercato ...................................... 137<br />

L’indennizzo del mero lucro cessante come criterio generale di risarcimento<br />

del danno da mora nelle obbligazioni pecuniarie ................................. 151<br />

Il problema degli interessi monetari nel risarcimento del danno .............. 163<br />

Sulle conseguenze dell’aumento del tasso legale di interesse ..................... 185<br />

Il problema dei crediti di valuta, dei crediti di valore e degli interessi monetari,<br />

all’avvento dell’Euro .................................................................... 195


Le obbligazioni in moneta straniera (Art. 1278, 1279 c.c.) ..................... 213<br />

Il corso di cambio e il danno da mora nelle obbligazioni in moneta<br />

straniera........................................................................................................ 215<br />

Intorno ad altri temi del diritto delle obbligazioni<br />

ntorno al divieto di patto commissorio, alla vendita simulata a scopo di<br />

garanzia ed al negozio fiduciario ............................................................. 241<br />

Se ed entro quali limiti la Fideiussione Omnibus sia invalida ................... 257<br />

Intorno ai concetti di novità estrinseca e di originalità, nella nuova<br />

disciplina dei brevetti per invenzioni industriali ....................................... 273<br />

In materia di diritto societario<br />

Sul problema concernente la modifica del rapporto di cambio nella conversione<br />

delle obbligazioni convertibili in azioni, dopo la riduzione del capitale<br />

sociale per perdite ai sensi dell’Art. 2420 bis, comma 6, cod. civ. .. 289<br />

La elezione degli amministratori di una società e le sue invalidità ........... 297<br />

Sulle responsabilità degli amministratori di fatto verso la società e i soci . 313<br />

A proposito dell’orientamento di alcune decisioni di merito che estendono<br />

i limiti di applicabilità delle clausole compromissorie per arbitri alle controversie<br />

societarie .................................................................................. 327<br />

Se una Banca cooperativa possa incorporarne una esistente in forma di<br />

Societa per azioni .................................................................................... 337<br />

SCRITTI DI DIRITTO PROCESSUALE<br />

Prefazione del prof. Enrico Allorio ....................................................... 343<br />

Intorno ai dati statistici del Processo Civile nel triennio 1985-1987 ........ 347<br />

Criteri direttivi proposti di riforma del Processo Civile............................. 361<br />

Intervento al IV Convegno nazionale delle camere civili<br />

(Milano, 2-3 giugno 1995) ...................................................................... 367<br />

La inutile illusione di accelerare il processo attraverso il giudice<br />

monocratico e la esecutorietà della sentenza di I grado<br />

(Intervento al Convegno di Verona del 29 e 30 giugno 1990) ................... 375<br />

Osservazioni e proposte sullo schema di progetto di riforma, del codice<br />

di procedura civile, per quanto riguarda la espropriazione forzata<br />

(Progetto Liebman) ................................................................................. 383


Alcune riflessioni sui Progetti Vassalli e Tarzia di riforma del codice di<br />

procedura civile (Progetto Vassalli e Progetto Tarzia) .............................. 407<br />

SCRITTI DI DIRITTO FALLIMENTARE<br />

Osservazioni e proposte sul nuovo Progetto di Riforma della Legge Fallimentare<br />

.................................................................................................. 419<br />

Se l’Art. 10 Legge Fallimentare sia applicabile alle Società imprenditrici 439<br />

Sulla esigenza di una integrazione legislativa dell’Art. 10 Legge Fallimentare<br />

.................................................................................................. 453<br />

Azionista Unico ex Art. 2362 cod. civ. e 147 Legge Fallimentare ed intestazione<br />

fiduciaria ................................................................................... 463<br />

Se bastino le rinunce alle insinuazioni perché possa pronunziarsi la chiusura<br />

del fallimento od occorrano quelle ai crediti .................................... 471<br />

Sulle vendite immobiliari nelle esecuzioni e nei fallimenti ....................... 481<br />

Sulla «meritevolezza» di una società di capitali nel concordato preventivo,<br />

con cessione dei beni ai creditori ............................................................. 487<br />

Sulla utilità di prevedere forme di concordato su domanda dei creditori,<br />

a fianco di quelle su offerta del debitore .................................................. 495<br />

Sul tempo, a cui riferire la determinazione del fabbisogno e la stima dell’attivo,<br />

nel concordato preventivo .......................................................... 505<br />

Appendici<br />

Corrispondenza con illustri giuristi .......................................................... 511<br />

Presentazione del volume “Ricordi” ......................................................... 536<br />

La <strong>Fondazione</strong> Studi Giuridici Avvocato <strong>Giovanni</strong> <strong>Valcavi</strong>....................... 554


Introduzione<br />

Questo volume raccoglie una selezione degli scritti giuridici più significativi<br />

dell’autore, da lui pubblicati sulle maggiori riviste giuridiche<br />

italiane nel corso di cinquant’anni di studi e riflessioni, sui<br />

temi della responsabilità civile, delle obbligazioni monetarie e degli<br />

interessi.<br />

Sono qui raccolti anche gli scritti sulle fideiussioni omnibus che anticiparono<br />

la recente abrogazione legislativa, quelli sulle invenzioni<br />

industriali, a proposito dei requisiti della originalità e della novità<br />

estrinseca, e infine quelli in materia di patto commissorio.<br />

Questi studi in precedenza vennero raccolti nel volume «L’espressione<br />

monetaria nella responsabilità civile e altri saggi», per i tipi<br />

della Cedam nel 1994, con la prefazione privilegiata del Prof. Alberto<br />

Trabucchi. Questi studi sono qui integrati dagli approfondimenti<br />

e dalle riflessioni più recenti dell’autore in materia di «Causalità<br />

giuridica» e, dopo l’introduzione dell’Euro nel nostro paese,<br />

da quelli dedicati alla distinzione tra la categoria dogmatica dei<br />

crediti di valore e quelli dei crediti di valuta, che fu da lui costantemente<br />

avversata in una serie di pubblicazioni.<br />

A tale prima parte seguono gli scritti più significativi pubblicati<br />

dall’autore sulle nostre maggiori riviste, dedicati ad argomenti di<br />

Diritto processuale civile.<br />

Essi furono raccolti nel 1994 sempre per i tipi della Cedam nel volume<br />

«problemi attuali e prospettive di riforma nel processo civile»<br />

che registrò la prefazione privilegiata del Prof. Enrico Allorio, che<br />

l’autore ricorda per i suoi rapporti durati fino agli ultimi anni.<br />

Questa parte è integrata altresì dalle proposte di riforma del processo<br />

civile, avanzate dall’autore nell’ambito della Commissione<br />

Ministeriale Tarzia, in materia di riforma del processo, ed ispirate<br />

ai principi di liberalizzazione dello stesso, che recentemente sono<br />

state riprese dalla Commissione Ministeriale Vaccarella.


All’autore è giunta in questi giorni altresì notizia che un suo precedente<br />

progetto di legge ampiamente motivato che introduce la responsabilità<br />

civile dei giudici per decisioni erronee affette da dolo o<br />

colpa grave e riprese da successivi parlamentari, sono approdate al<br />

lavoro della competente commissione senatoriale.<br />

Infine l’ultima parte raccoglie gli scritti più significativi, sempre<br />

dell’autore, da lui pubblicati sulla Rivista di Diritto Fallimentare<br />

del cui Comitato di Redazione è stato componente, per essere stato<br />

chiamato dalla fiducia del Prof. Giuseppe Ragusa Maggiore, purtroppo<br />

recentemente scomparso.<br />

La pubblicazione di questa selezione di scritti giuridici è dedicata<br />

alla memoria dell’illustre maestro e amico.<br />

<strong>Giovanni</strong> <strong>Valcavi</strong><br />

Varese, 26 aprile 2005


Scritti<br />

di Diritto Civile


Prefazione del prof. Alberto Trabucchi<br />

<strong>Valcavi</strong>: al nome si accompagna subito l’attesa di trovare nel libro<br />

una trattazione di problemi monetari. Sì, ma non soltanto di<br />

valute qui si parla, e anzi va detto subito che questa raccolta di<br />

esperienze e di studio non costituisce la semplice riproduzione di<br />

precedenti articoli e di note dell’autore.<br />

Il titolo che io avrei preferito per il volume sarebbe stato un’altro:<br />

«antico e nuovo nell’esperienza di un giurista moderno». Tema<br />

più vasto: perché, se gli studi in materia di moneta, di valutazione<br />

e di espressioni quantitative costituiscono la parte più cospicua,<br />

non meno interessanti appaiono altri argomenti qui svolti nel più<br />

vasto ambito del diritto patrimoniale.<br />

Antico e nuovo; e, infatti, sfogliando le pagine, si trova bensì la<br />

traccia per seguire una vasta approfondita esperienza che resta<br />

viva nei nostri interessi; ma, in più, l’autore ha voluto offrire al lettore<br />

di oggi, per ogni argomento di cui si riparla, una nuova messa<br />

a punto che vivifica l’informazione e vale a riproporre le questioni<br />

in termini di attualità. Le introduzioni informative ora preposte<br />

alla trattazione di ogni gruppo di argomenti offrono infatti utile<br />

espressione di ogni possibile moderno riferimento critico.<br />

Per dire della vastità degli interessi che qui trovano espressione<br />

anche al di fuori del tema ricorrente, basti segnalare, a titolo di<br />

esempio, alcuni argomenti, scelti tra quelli che sono tuttora oggetto<br />

di grande significato per la vita del diritto: la fideiussione omnibus,<br />

o i limiti al divieto del patto commissorio.<br />

Ma, come accennato fin dall’inizio, <strong>Valcavi</strong> va sopra tutto considerato<br />

un signore della materia monetaria, per gli studi svolti in<br />

concomitanza con le variazioni dei valori effettivi in gioco nel suc-<br />

Da «L’Espressione monetaria nella responsabilità civile», Cedam 1994.


12 Scritti di Diritto Civile<br />

cedersi di leggi restrittive del mercato valutario. La giurisprudenza,<br />

in continuo mutamento, ha trovato in lui un commentatore attento,<br />

e si può pensare che le critiche e le proposte risultanti dai numerosi<br />

studi da lui pubblicati nelle varie riviste abbiano influito sulla<br />

coscienza giuridica contemporanea. Diremo in più che, scorrendo<br />

le pagine di questo volume, al lettore non sfuggirà l’espressione<br />

di un non celato, ma meritato, compiacimento quando l’autore fa<br />

notare che alcune sue tesi, fortemente, e non sempre pacificamente<br />

propugnate, hanno trovato anche concreta attuazione, nella successiva<br />

giurisprudenza o nella stessa normativa della materia. Ad<br />

esempio, anche l’aumento del tasso legale degli interessi, addirittura<br />

raddoppiato in forza di una norma, diremmo extra vagante, può<br />

essere collegato alle vigorose critiche, sempre ribadite, dall’insufficiente<br />

considerazione dei valori effettivi in gioco in balia di ingiustificati<br />

ritardi. Più di recente, l’autore avrà potuto constatare che<br />

le sue tesi sono state applicate anche nei nuovi fondamentali accordi<br />

sul costo del lavoro e in tema di pensioni.<br />

Lo stesso titolo dato dall’autore a questo volume ci fa risalire a<br />

un’idea madre di grande rilievo, per essere la moneta lo strumento<br />

di cui si giova ogni sistema nel misurare i valori nell’ambito generale<br />

e generico della responsabilità: parlando di espressione monetaria<br />

della responsabilità civile, si è voluto intendere quest’ultima<br />

indicazione in ben vasta accezione, che comprende ogni funzione<br />

satisfattoria da ottenere in seguito alla lesione di un diritto.<br />

Mi piace sempre ricordare che Carnelutti alzava spesso la sua<br />

potente voce di ammonimento ai giuristi di dottrina, lamentando<br />

che noi non ci facciamo abbastanza sentire nella formazione di<br />

nuove leggi; egli sosteneva che, semmai, l’attività di proposizione<br />

legislativa dovesse fare premio sugli altri aspetti di interpretazione<br />

e applicazione del diritto vigente. Ora, in questo volume, <strong>Valcavi</strong><br />

mostra di non essere insensibile a questo tipo di vocazione; infatti,<br />

nei, sia pure, pochi mesi che lo hanno visto sedere tra i nostri<br />

senatori, egli ha voluto contribuire con immediato impegno a realizzare<br />

un vasto disegno di chiarificazione e di progresso; e appunto<br />

nell’appendice ora possiamo trovare succinta indicazione di<br />

tale vocazione messa subito all’opera. In un tempo come il nostro<br />

di grandi riforme, specialmente in tema di società, la sua esperienza,<br />

nel mondo, sia dei grandi affari, sia dell’attività bancaria


Scritti di Diritto Civile 13<br />

alla quale il nostro autore sembra aver dedicato appassionate<br />

cure, lo ha portato, diremo, almeno a risvegliare l’attività di produzione<br />

legislativa, il lettore trova conferma del significato di tali<br />

appassionati interventi confrontando le proposte di cui viene data<br />

notizia nell’ultima parte del volume con le più recenti riforme.<br />

Avendo noi già rilevato il significato riconosciuto dall’autore al<br />

rapporto tra i vari problemi toccati dai turbamenti monetari con<br />

la più generale visione della responsabilità civile, risulta particolarmente<br />

significativo notare che l’interessante rassegna dei disegni<br />

di legge proposti si apre con l’invocare un ritocco all’articolo<br />

1219 del codice, per assicurare che venga cancellato testualmente<br />

ogni ricordo dell’antico, ma superato, principio espresso con la<br />

formula «in illiquidis non fit mora».<br />

Ben costruito anche nella distribuzione della materia, il libro che<br />

presentiamo può venire a giusto titolo indicato come un modello di<br />

effettivo contributo per ciò che la vita del diritto può, con grande significato,<br />

attendere dai nostri più vivi e colti operatori.<br />

Padova, 11 luglio 1993<br />

Alberto Trabucchi


Sui criteri generali in materia<br />

di Responsabilità Civile


Alcuni appunti in materia di rischio,<br />

di incidenza della mora<br />

e di perpetuatio obligationis<br />

1. – Uno dei concetti che è andato richiamando, negli ultimi<br />

anni, una crescente attenzione da parte degli studiosi, è quello<br />

del rischio (1) .<br />

Al giorno d’oggi questo fenomeno non appare ancora adeguatamente<br />

indagato e tanto meno classificato, sul piano dogmatico.<br />

Quanto alla definizione del rischio, recentemente è stato scritto<br />

che «il rischio è la conseguenza economica di un evento incerto» (2) .<br />

Codesta formula non appare tuttavia completamente appagante.<br />

In effetti quel che rileva non è tanto l’incertezza dell’evento da<br />

cui viene fatta dipendere la conseguenza economica, quanto piuttosto<br />

di quest’ultima in sé considerata.<br />

Sotto questo profilo appare – a mio avviso – preferibile mettere<br />

in evidenza che l’essenza del rischio è costituita dalla incertezza nel<br />

conservare ciò che si ha o nel subire un pregiudizio, invece di acquisire<br />

un incremento, o viceversa.<br />

Da «L’Espressione monetaria nella responsabilità civile», Cedam 1994.<br />

(1) G. ALPA, Rischio, Enciclopedia del diritto 1989, vol. 40, pp. 1144 ss; Id., Rischio<br />

contrattuale, in Noviss. Dig., appendice, Torino, 1986, vol. VI, pp. 863 ss.; M. BESSONE,<br />

Adempimento e rischio contrattuale, Milano, 1975; ALPA-BESSONE-ROPPO, Rischio<br />

contrattuale e autonomia privata, Napoli, 1982; R. NICOLÒ, Alea, Enciclopedia del diritto,<br />

Milano, 1958, I, pp. 1024 ss.; C. CARAVELLI, Alea, Nuovo Digesto italiano, I, Torino,<br />

1937; G. DI GIANDOMENICO, Il contatto e l’alea, Padova, 1987, pp. 7 ss.; A.<br />

D’ANGELO, Contratto ed operazione economica, Giappicchelli 1992, pp. 296 ss.; G.<br />

GORLA, Del rischio e pericolo nelle obbligazioni, Padova, 1934, pp. 19 ss.; C.M. BIAN-<br />

CA, Dell’inadempimento delle obbligazioni, Milano, 1979, pp. 108 ss.<br />

(2) V. SALANDRA, Delle obbligazioni, in Trattato Scialoja e Branca, Bologna, 1966,<br />

sub art. 1893, pp. 235 ss.; G. ALPA, Rischio, Enciclopedia del diritto, 1989, vol. 40, p. 1146.


18 Scritti di Diritto Civile<br />

Il rischio, di cui discorriamo, appartiene indubbiamente all’ordine<br />

dei fenomeni economici e tuttavia trattasi del rischio giuridico,<br />

nel senso che quello economico è qui considerato sotto il profilo del<br />

suo «dovere essere e cioè chi ne è onerato è astretto dalla necessità<br />

di subirlo».<br />

Il rischio può riguardare chi è titolare di una posizione giuridica<br />

in essere, quale il proprietario di un bene, o, in divenire, come chi<br />

ha il diritto di ricevere quel bene dal suo debitore.<br />

Esso può avere carattere istantaneo o, richiedere una certa durata<br />

nel tempo, com’è il caso che si abbia a trattare di una obbligazione<br />

differita o continuata, o periodica (3) .<br />

Nel caso che il rischio inerisca ad una obbligazione, può suddividersi<br />

in contrattuale o extra-contrattuale.<br />

Quanto al rischio contrattuale si controverte (4) se esso vada riferito<br />

al negozio o all’obbligazione, che nasce da esso.<br />

Trattasi, tuttavia – a mio modo di vedere – di un falso problema,<br />

perché nell’un caso si ha riguardo al rischio per un impegno da<br />

prendere (5) , mentre nell’altro, a quello per un impegno già preso.<br />

Il primo aspetto pone il delicato problema del rapporto tra rischio<br />

contrattuale e causa negoziale (6) , che è ancora oggi un argomento<br />

tutto da riscoprire e da approfondire.<br />

Il divario tra il rischio inerente all’obbligazione e quello invece<br />

assunto al momento del negozio, appartiene al novero delle cose che<br />

naturalmente accadono.<br />

Ancora il rischio che ci si assume può essere quello proprio o in-<br />

(3) Di rischio statico e dinamico, sotto un diverso profilo, parla l’estensore della voce<br />

«rischio» in Enciclopedia Italiana di Scienze, lettere ed arti, Treccani, vol. XXIX, p. 420.<br />

(4) Nel senso che il rischio inerisca al contratto: G. PACCHIONI, Obbligazioni, Milano,<br />

1898, p. 344, n. 1; nel senso che inerisca, invece alle obbligazioni: G. GORLA, Dal rischio<br />

e pericolo nelle obbligazioni, Padova, 1934, p. 49 e 50.<br />

(5) Con riferimento al negozio giuridico, G.C. GRAZIOLA, in Enciclopedia Europea,<br />

Garzanti, vol. IV, voce Rischio, p. 754, definisce il rischio come «le condizioni in cui un<br />

soggetto compie una scelta ovvero prende una decisione e quando ogni singola decisione<br />

è associata ad una molteplicità di conseguenze, ciascuna delle quali corrisponde alla realizzazione<br />

di un particolare stato del mondo».<br />

(6) Per una storia recente del concetto di causa e la relativa bibliografia: v. L. FER-<br />

RIGNO, Contratto ed impresa, Padova, 1985, I, pp. 115 ss. Nel senso che il concetto di


Scritti di Diritto Civile 19<br />

vece quello altrui, com’è la ipotesi di un contratto di garanzia ed in<br />

ispecie di quello fidejussorio o di assicurazione (7) .<br />

Abbiamo detto sopra che un aspetto del rischio è la medesima insicurezza<br />

di potere conservare quello che si ha, inteso, in senso fisico<br />

o più prettamente, nel suo valore economico, e così lo si può perdere<br />

o accrescere. Questo è in particolare il rischio del proprietario<br />

di un bene al quale si riferisce la regola generale «res perit domino».<br />

Il continuo mutamento dei valori economici dei beni spiega il<br />

fondamento del luogo comune che la conservazione di ciò che si ha,<br />

è una delle cose più difficili.<br />

Così colui che ha un patrimonio liquido espresso ad es. nella moneta<br />

a corso legale o in una straniera, alla vigilia di una svalutazione<br />

sul mercato dei cambi, subirà l’effetto del proprio comportamento<br />

inerte e conservativo ove non la abbia per tempo cambiata<br />

in altra divisa, più stabile.<br />

Parimenti il detentore di un bene risentirà del suo deprezzamento<br />

se avrà conservato immutato l’investimento, invece di liquidarlo<br />

tempestivamente.<br />

Un’applicazione particolare del principio «res perit domino», si<br />

ha nella fattispecie di cui agli artt. 1376, 1378, 1465 c.c. per via<br />

degli effetti reali del contratto, mediante la regola integrativa «res<br />

perit ei qui adquirit».<br />

Il rischio assume la maggiore evidenza nei rapporti obbligatori<br />

a scadenza differita, continuata o periodica, che hanno per oggetto<br />

un genus.<br />

causa sia da tempo entrato in crisi e che esso si identifichi nel piano della distribuzione dei<br />

rischi predisposta dalle parti: M. BESSONE, Adempimento e rischio contrattuale, Milano,<br />

1975, pp. 207 ss., 227, 258 ss., 262, 268 ss., 273 ss., 258 ss.; ROPPO, Il contratto, Bologna,<br />

1977, pp. 175 ss.; A. D’ANGELO, Contratto ed operazione economica, Torino,<br />

1992, p. 291 ed altri tendono ad identificare la causa con la stessa operazione economica,<br />

che richiama il concetto di rischio.<br />

(7) Nei contratti di garanzia o di assicurazione, il garante o l’assicuratore copre il rischio<br />

altrui, sia nel conservare ciò che l’assicurato possiede, sia nel manlevare un rischio<br />

assunto dal garantito. Uno dei più grossi problemi recenti sollevato in dottrina ed in giurisprudenza,<br />

ha riguardato la determinabilità del rischio garantito e la nullità delle fidejussioni<br />

omnibus per indeterminabilità dell’oggetto, cioè del rischio altrui, garantito: G.<br />

VALCAVI, Se ed entro quali limiti la fidejussione omnibus sia invalida, Foro it., 1985, I,<br />

507; Id., Sulla fidejussione bancaria ed i suoi limiti, Foro it., 1990, I, pp. 558 ss.


20 Scritti di Diritto Civile<br />

Qui il rischio del perimento fisico è a carico del debitore, sia che<br />

questi abbia nel proprio patrimonio il bene da prestarsi, perché res<br />

perit domino, sia che se lo debba procurare aliunde per prestarlo al<br />

proprio creditore, perché et genus nunquam perit et casum sentit debitor.<br />

All’opposto la variazione economica della prestazione attesa è<br />

a favore o a carico del creditore della medesima, e con essa la maggiore<br />

o minore onerosità o vantaggiosità della stessa rispetto alla prestazione<br />

dovuta o debenda, e così in ultima analisi è a carico o a favore<br />

delle parti il reciproco rischio dell’affare, nel suo insieme.<br />

Cade qui acconcio il discorso sull’eccessiva onerosità che è<br />

causa di risoluzione del contratto, nella fattispecie prevista dall’art.<br />

1467 c.c., laddove la prestazione dovuta è divenuta eccessivamente<br />

onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari<br />

ed imprevedibili (8) .<br />

Ancora più pertinente è quivi il tema concernente l’alea normale<br />

del contratto che – a mio modo di vedere – richiede ulteriori investigazioni<br />

ed approfondimenti (9) .<br />

In un discorso organico sul rischio, rientra necessariamente anche<br />

quello sui rimedi di cui possono disporre le parti per limitare il<br />

rischio e massimizzare il risultato.<br />

Trattasi dei contratti a premio, in cui il rischio è limitato dai<br />

dont, dei contatti future, dei call e dei put (10) , a tacere degli acquisti<br />

di rimpiazzo e delle vendite di ricopertura.<br />

All’argomento dei contratti aleatori ed in contrapposizione a<br />

quelli non aleatori, deve riservarsi, ovviamente, uno spazio nettamente<br />

superiore a quello consentito da questi sommari appunti.<br />

2. – Un tema che va attentamente rimediato è quello della incidenza<br />

della mora sul rischio.<br />

Il nostro codice lo regola all’art. 1221, per quanto riguarda la<br />

(8) BOSELLI, La risoluzione del contratto per eccessiva onerosità, Torino, 1952, pp.<br />

171 ss., 221 ss.; MIRABELLI, La rescissione del contratto, Napoli, 1951, pp. 239 ss.<br />

(9) BOSELLI, Rischio, alea ed alea normale del contratto, in Riv. trim. dir., e Proc.<br />

civ., 1948, p. 769; G. DI GIANDOMENICO, op. cit., pp. 249 ss.<br />

(10) Sui dont, sui contatti di premio, sui call, e sui put: v. Dizionario di Banca e Borsa,<br />

Milano, 1979, sotto le rispettive voci dont, premio, on call, put.


Scritti di Diritto Civile 21<br />

mora del debitore (11) . La norma viene normalmente letta nel senso<br />

che il rischio abbia a gravare sul debitore moroso, come conseguenza<br />

di una ipotetica perennità dell’obbligazione di prestare la<br />

cosa dovuta, in dipendenza della mora.<br />

Dall’altra parte il creditore, durante la mora debitoris, rimarrebbe<br />

indenne dal rischio e avrebbe solo la sorte di guadagnare, perché<br />

continuerebbe ad aver diritto all’adempimento.<br />

Una interpretazione del genere appare del tutto erronea.<br />

La norma infatti non va intesa nel senso che il debitore in mora<br />

sia tenuto a prestare la cosa dovuta anche dopo il suo perimento e<br />

malgrado lo stesso, quanto piuttosto che normalmente è a carico del<br />

debitore moroso la impossibilità sopravvenuta della prestazione per<br />

causa a lui non imputabile, come recita l’art. 1207, 1° comma c.c,<br />

in ipotesi analoga.<br />

Ciò vuol dire, in altri termini, che nel caso in cui la cosa sia perita<br />

durante la mora del venditore, quest’ultimo non avrà diritto di<br />

pretendere il pagamento del prezzo dal compratore e dovrà restituirgli<br />

le anticipazioni ed i corrispettivi ricevuti.<br />

Cioè la impossibilità sopravvenuta viene posta a carico del debitore.<br />

Per quanto riguarda il creditore, una attenta lettura dell’art.<br />

1221 c.c. induce a ritenere che la mora del debitore non produce la<br />

sterilizzazione del rischio a carico del creditore, come in genere si è<br />

indotti a credere.<br />

L’ultima parte del 1° comma dell’art. 1221 c.c. introduce, infatti,<br />

l’eccezione, (con riguardo alla species debita) che laddove il debitore<br />

provi che «l’oggetto della prestazione sarebbe ugualmente perito<br />

presso il creditore», ove gli fosse stato prestato, la perdita viene<br />

posta a carico del creditore, anche se il debitore versasse in mora (12) .<br />

E così per stare all’ipotesi che precede, ed il venditore in mora<br />

(11) C.M. BIANCA, Dell’inadempimento delle obbligazioni, cit. sub artt. 1219, 1220,<br />

1221, 1222, pp. 183 ss., 232 ss.; A. MAGAZZÙ, Mora del debitore, in Enciclopedia del<br />

diritto, XXVI, pp. 934 ss.; U. NATOLI e L. BIGLIAZZI-GERI, Mora accipiendi e mora<br />

debendi, Milano 1975, pp. 223 ss.; M. GIORGIANNI, L’inadempimento, Milano, 1975, pp.<br />

87 ss., M. BARASSI, La teoria generale delle obbligazioni, III, Milano, 1948, pp. 247 ss.;<br />

RAVAZZONI, Mora del debitore, in Noviss. Dig. it., X, Torino, 1964, pp. 904 ss.; A. MON-<br />

TEL, La mora del debitore, Padova, 1930.<br />

(12) La eccezione già ammessa dal diritto romano classico (Ulp. Dig. 30, 47, 6), venne<br />

generalizzata da Giustiniano.


22 Scritti di Diritto Civile<br />

dimostri che la cosa sarebbe ugualmente perita presso il compratore,<br />

quest’ultimo, malgrado non abbia più a ricevere la cosa, dovrà<br />

ugualmente pagarne il prezzo e non potrà pretendere la restituzione<br />

dei corrispettivi anticipati o corrisposti.<br />

Non può qui sottovalutarsi la gravità del rischio che, sia pure nella<br />

limitata ipotesi considerata, continua ad incombere sul creditore,<br />

a dispetto di quanti reputano che la mora del debitore sterilizzi<br />

il rischio a carico dell’altra parte.<br />

Devesi dire, a questo proposito, che una interpretazione autorevole<br />

ha allargato la portata dell’art. 1221, 1° comma c.c., dal perimento<br />

fisico ad ogni evenienza di carattere economico, e cioè a quello<br />

in cui «la prestazione non sarebbe stata ugualmente utilizzabile<br />

dal creditore» (13) .<br />

Il rischio continua ad incombere, in ultima analisi, sia pure in via<br />

eccezionale, sul creditore malgrado la mora del debitore, sino a che<br />

egli non sarà liberato in senso pieno, con la sua cristallizzazione,<br />

cioè con il verificarsi della sopravvenuta impossibilità della prestazione<br />

o della risoluzione contrattuale, come avremo modo di dire<br />

successivamente.<br />

Questo aspetto è tra i più trascurati sia dalla dottrina, sia dalla giurisprudenza,<br />

ad eccezione di qualche cenno sulle difficoltà relative alla<br />

prova che il bene sarebbe ugualmente perito presso il creditore (14) .<br />

3. – A differenza della mora, il creditore diventa insensibile al rischio<br />

(a qualsiasi rischio) relativo alla prestazione attesa al verificarsi<br />

della perpetuatio obligationis, nei confronti del debitore. Al di<br />

là di quel che può sembrare dalla espressione letterale, per obbligazione<br />

perpetuata non deve intendersi la fissazione definitiva (perpetua)<br />

del vincolo di adempimento dell’obbligazione primaria del<br />

debitore di prestare la cosa e del creditore di prestare il prezzo.<br />

Tanto meno può intendersi la fissazione del vincolo del debitore<br />

a prestare (malgrado la sopravvenuta impossibilità) il bene perito<br />

(13) A. TRABUCCHI, G. ClAN, Commentario breve al codice civile, Padova, 1984,<br />

sub art. 1221, p. 816.<br />

(14) C.M. BIANCA, op. cit., Milano 1979, p. 238; P. PERLINGERI, Codice civile annotato,<br />

Torino 19, sub art. 1221, pp. 59 ss.


Scritti di Diritto Civile 23<br />

al prezzo convenuto, correndo il rischio delle successive quanto indeterminate<br />

variazioni di prezzo, per fare il caso della compravendita<br />

di una species, di quel bene a quel prezzo.<br />

Occorre qui in effetti ricordare che per effetto della mora (che è<br />

temporanea) e può essere purgata in qualsiasi momento, il rischio<br />

del perimento di una species debita si trasferisce temporaneamente<br />

dal creditore al debitore (in mora).<br />

A seguito del perimento, il rischio si è definitivamente trasferito<br />

dal creditore al debitore nel senso che casum sentit debitor, con la<br />

conseguenza che il creditore è definitivamente liberato dall’obbligo<br />

di pagare il prezzo ed il debitore è parimenti liberato da quello di<br />

prestare la cosa (trattandosi di species perita) ma questi deve ancora<br />

prestare il risarcimento del danno in essere al momento del perimento<br />

a titolo di responsabilità (perpetuatio obligationis) (15) .<br />

In ultima analisi, per stare al caso di una compravendita di una species<br />

debita, il venditore in mora subisce le conseguenze della perdita<br />

del bene nel senso che perde il diritto di pretendere la controprestazione<br />

del compratore e dovrà, per giunta, liquidargli un eventuale maggior<br />

valore del bene perito, rispetto al prezzo convenuto (a titolo di lucro<br />

cessante), così fissandosi, in via definitiva, il reciproco rapporto.<br />

Codesto rapporto diventa perpetuo al verificarsi della sopravvenuta<br />

impossibilità.<br />

Il rischio reciproco di quel venditore in mora e di quell’acquirente<br />

si cristallizza in tale momento, così che successivamente le parti<br />

non corrono alcun ulteriore rischio teorico in relazione alla prestazione<br />

primaria, reciprocamente attesa e divenuta impossibile.<br />

A seguito della cristallizzazione del rischio la situazione diventa<br />

definitiva anche nel senso che il creditore non corre più neppure il<br />

rischio previsto dall’art. 1221, 1° comma, ultima parte c.c. e cioè<br />

che egli possa venire chiamato a sopportare la perdita, perché il<br />

bene sarebbe ugualmente perito presso di lui ed il debitore (da parte<br />

sua) non può ulteriormente e per il tempo restante, opporgli una<br />

tale eventualità ed il rischio relativo.<br />

(15) P. PERLINGERI, op. cit., loc. ult. cit., e gli altri concordano infatti che l’art. 1221<br />

c.c. si applica al debitore di una species che si trovi in mora nella consegna della cosa, onde<br />

questa condizione rovescia su di lui la responsabilità che altrimenti competerebbe all’acquirente<br />

in relazione al principio res perit domino.


24 Scritti di Diritto Civile<br />

Ovviamente il creditore, dopo che è divenuto libero dal suo vincolo<br />

obbligatorio verso l’altra parte, e dopo che il rischio si è cristallizzato<br />

al momento del perimento, non può pretendere di trarre<br />

guadagni da successivi rialzi del prezzo di quel bene.<br />

La cristallizzazione del rischio, a seguito della perpetuatio obligationis,<br />

come scrissi a suo tempo (16) , e come è stato di recente insegnato<br />

correttamente dalla decisione 20 giugno 1990 n. 6200 della<br />

Suprema Corte opera nei due sensi, così che le parti divengono<br />

vicendevolmente insensibili alle eventuali successive sorti positive o<br />

negative della controprestazione, reciprocamente attesa che non<br />

deve esser loro più effettuata.<br />

Ciascuna di codeste due parti (compreso il creditore) non può temere<br />

per il futuro alcun pregiudizio, ma non può sperare neppure<br />

di trarre alcun vantaggio ad es. dal corso successivo dei prezzi e così<br />

dal loro rialzo o dal loro ribasso.<br />

Devesi qui sottolineare che il rischio contrattuale inerisce principalmente<br />

alla controprestazione che si attende dall’altra parte ed al<br />

suo collegamento economico con quella dovuta, così che la liberazione<br />

dell’obbligazione vicendevole determina la cessazione del rischio<br />

o meglio, nei rapporti di responsabilità, la sua cristallizzazione<br />

con riferimento al momento considerato.<br />

Quel che si è qui detto in materia di cristallizzazione del rischio<br />

e di perpetuatio obligationis, nella ipotesi di sopravvenuta<br />

impossibilità, può ripetersi per il caso di risoluzione del contratto<br />

ex art. 1453 e ss. c.c.<br />

Qui, tuttavia, gli effetti della pronuncia di risoluzione retroagiscono<br />

a sensi dell’art. 1458 c.c. al momento della inadempienza, liberando<br />

entrambi (cioè il creditore ed il debitore) dalle reciproche<br />

obbligazioni e fissando in tale momento il danno da risarcirsi.<br />

Nella risoluzione per inadempienza contrattuale la obbligazione<br />

si perpetua ed il rischio si cristalizza nel momento al quale vengono<br />

fatti risalire gli effetti della risoluzione.<br />

Da tale momento le parti non devono più adempiere alla propria<br />

(16) G. VALCAVI, Intorno al concetto di perpetuatio obligationis, e al tempo di riferimento<br />

nella stima del danno da risoluzione per inadempienza contrattuale, Riv. dir.<br />

civ., 1992, II, p. 399; Id., Il tempo di riferimento nella stima del danno, in Riv. dir. civ.,<br />

1987, II, pp. 31 ss.


Scritti di Diritto Civile 25<br />

prestazione e non possono più pretendere quella altrui (per effetto<br />

della reciproca liberazione dalle loro obbligazioni) e così nessuno<br />

dei due è più sensibile al rischio relativo alla prestazione reciprocamente<br />

attesa e da esse vicendevolmente non più dovuta.<br />

Ovviamente da quel momento in poi si reputerà in essere a carico<br />

ed a favore di ciascuno, il rischio relativo al bene che doveva essere<br />

in precedenza prestato e che, per gli effetti retro attivi della risoluzione,<br />

è tornato nella disponibilità del suo proprietario, secondo<br />

la regola res perit domino.<br />

Nella risoluzione ex art. 1454 c.c. la pepetuatio si attua nel momento<br />

in cui il contratto è risolto dopo la scadenza del termine previsto<br />

nella diffida.<br />

In quella di cui all’art. 1456 c.c. essa si verificherà nel momento<br />

in cui si verifica la risoluzione di diritto.<br />

Ciascuna parte, dopo l’intervento della risoluzione, nelle varie<br />

forme sopraindicate, tornerà invece a correre il rischio riguardante<br />

le cose che deve restituire all’altra.<br />

La obbligazione restitutoria avrà le medesime vicende di ogni<br />

obbligazione e così a propria volta risentirà delle conseguenze della<br />

mora e della eventuale cristallizzazione del rischio, e del relativo<br />

risarcimento del danno, di cui abbiamo parlato a proposito dell’obbligazione<br />

primaria.<br />

Il risarcimento del danno che segue alla cristallizzazione del rischio<br />

ed alla perpetuatio obbligationis dovrà essere prestata dalla<br />

parte che vi è tenuta all’altra con i relativi accessori.


Sulla causalità giuridica<br />

nella Responsabilità Civile<br />

da inadempienza e da illecito<br />

1. – Alcuni anni orsono sulle colonne di questa rivista ebbi a rimeditare<br />

questo tema con uno scritto dal titolo «Intorno al rapporto di<br />

causalità nel torto civile» (1) .<br />

Ho sottoposto a successivi approfondimenti questo argomento,<br />

non sembrandomi convincente nel diritto civile, l’opinione corrente<br />

del rapporto causale che viene mutuata da quegli autori di diritto<br />

penale che non distinguono la concezione della causalità giuridica<br />

da quella naturalistica.<br />

È infatti diffusa, anche nel civile, l’opinione che lega l’azione all’evento<br />

naturale che può spiegare al più l’an debeatur ma non lega<br />

il fatto (omissivo o commissivo) col danno, inteso nell’an e nel<br />

quantum debeatur.<br />

Alla base del dominante modo di vedere, vi è l’errore di ritenere<br />

che l’uomo possa uscire da sé medesimo ed entrare in contatto diretto<br />

con le cose ed i fenomeni naturali che si succedono nel tempo.<br />

Esso dimentica che la causalità non esiste in rerum natura (2) ed<br />

è solo un modello della nostra mente, con cui siamo soliti legare un<br />

antecedente ad un conseguente, sulla base della frequenza, con cui<br />

l’uno anticipa l’altro (3) .<br />

Da «Rivista di Diritto Civile» 2001, II, p. 409 e ss.<br />

(1) Rinvio per una integrazione, al mio scritto: Intorno al rapporto di causalità nel<br />

torto civile, in Riv. dir. civ., 1995, II, 481.<br />

(2) G. GORLA, Sulla così detta causalità giuridica: fatto dannoso e conseguenze, in<br />

Studi in onore di A. Cicu, Milano 1951, 433.<br />

(3) D. HUME, Opere filosofiche, Bari 1992, 63 ss.; KANT, Critica della Ragion pura,<br />

Milano 1995; PH. N. JOHNSON-LAIRD, Modelli mentali, Bologna 1983, 107.


28 Scritti di Diritto Civile<br />

Dalla continua osservazione dei fenomeni e delle loro rappresentazioni,<br />

che si succedono nel tempo, noi ricaviamo infatti un principio<br />

induttivo, che spiega codesta successione (4) .<br />

Procedendo a ritroso, noi formuliamo delle ipotesi e delle diagnosi<br />

plausibili concernenti l’antecedente causale, che verifichiamo<br />

con l’impiego del metodo deduttivo (5) .<br />

La congruenza dei loro risultati ci confermerà o escluderà l’ipotesi<br />

iniziale.<br />

La causalità, così intesa come modello mentale, si applicherà<br />

pertanto alle successioni in genere dei fenomeni più diversi, naturali,<br />

economici, sociali, giuridici e così via.<br />

2. – I concetti di causalità giuridica e materiale costituiscono due<br />

diverse applicazioni del più generale concetto di causalità.<br />

La causalità materiale, a differenza di quella giuridica è il modello<br />

che lega la condotta dell’uomo all’evento naturale, quando<br />

questo tiene dietro a quella e viene supposto necessariamente.<br />

Essa non ricorre e non è ipotizzabile in tutti i casi in cui alla condotta<br />

dell’uomo non segue un evento naturale, come negli illeciti di<br />

pura condotta ed in quelli omissivi in particolare.<br />

Tra questi si menzionano in via esemplificativa la inadempienza<br />

contrattuale (art. 1453 c.c.) e la omissione degli atti comandati dalle<br />

norme.<br />

Non si condivide la forzatura di quanti pur di tenere fermo il modello<br />

naturalistico, concepiscono la causalità nella omissione, come<br />

il rapporto che lega la c.d. condotta doverosa omessa ad un evento<br />

naturale, che conseguirebbe ad essa (6) . Questo non può mai consistere<br />

nella prestazione del bene che conseguirebbe al dovere omesso.<br />

Codesta opinione oltretutto finirebbe per dare una idea riduttiva<br />

del danno, di cui parleremo tra poco, nei casi in cui esso è circoscritto<br />

nei limiti di quello che gli antichi chiamavano «circa rem» (7)<br />

(4) J. STUART MILL, Sistema di logica deduttiva e induttiva, Torino 1988, I, 457.<br />

(5) G. VALCAVI, op. cit., 485.<br />

(6) F. REALMONTE, Il problema del rapporto di causalità nel risarcimento del danno,<br />

nella responsabilità civile, Milano 1967, p. 28, p. 42, p. 97, ss.; P. TRIMARCHI, Causalità<br />

e danno, Milano 1967, p. 14, 15, 19, 20.<br />

(7) F. PASTORI, Gli istituti romanistici come storia e vita del diritto, Milano 1992,<br />

1043; S. PEROZZI, Istituzioni di diritto romano, Roma 1928, II, 337.


Scritti di Diritto Civile 29<br />

ma non di quello extra rem, e più in generale di quello odiernamente<br />

inteso.<br />

La causalità giuridica, a differenza di quella materiale, di cui si<br />

è ora detto, è invece il modello dettato dal legislatore che concerne<br />

la successione dei fenomeni, nell’ambito della fattispecie descritta e<br />

la loro frequenza ideale (8) .<br />

L’antecedente causale non è qui costituito dalla mera condotta,<br />

ma «dal fatto», che è l’insieme di condotta e di evento naturale,<br />

quando questo c’è o di condotta senza evento, quando non c’è.<br />

L’effetto non è qui quello naturale che può non esserci, come si è<br />

visto, ma è quello giuridico, cioè «il danno», che c’è sempre (9) .<br />

Codesta distinzione era nota fin dai tempi degli antichi giuristi<br />

romani che tenevano distinta «la ruptio» dal danno (10) .<br />

Il danno è certamente una creazione della nostra mente e cioè<br />

è un’astrazione, non diversamente dal fatto ed è più particolarmente<br />

la lesione di quell’interesse, che doveva prevalere ed invece<br />

è stato sacrificato.<br />

Il danno è certamente fuori dal fatto o antecedente causale, perché<br />

ne costituisce la conseguenza, ma è dentro la fattispecie descritta<br />

dal legislatore, che comprende il fatto complessivo, il danno<br />

e la causa giuridica.<br />

L’unica cosa che è fuori dalla fattispecie è la sanzione del risarcimento<br />

(11) .<br />

Alcuni autori hanno enfatizzato l’evento naturalistico, fino al<br />

punto di negare la realtà del danno o lo hanno degradato ad una<br />

mera qualità dell’evento naturale che, come si è visto, può non esserci<br />

e comunque è un concetto diverso (12) .<br />

(8) Sul punto si ricorda la controversia tra Gorla e Carnelutti, a proposito delle censure<br />

circa la rispettiva posizione idealistica e di realismo ingenuo.<br />

(9) Per il danno come evento degli illeciti, tra gli altri: CARNELUTTI, Il reato e il danno,<br />

Padova 1926, 19 ss.; G. BETTIOL, Diritto Penale, Padova 1978, 304 ss.; G. DELITA-<br />

LA, Scritti di diritto penale, Milano 1976, 126 ss.; A. ROCCO, L’oggetto del reato, Roma 1932<br />

e gli autori ivi citati: F. CARRARA, Programma di diritto criminale, Firenze 1907, I, 193.<br />

(10) C. FERRINI, Enciclopedia Giuridica, 1880-1890, Danni (azioni di), 61 ss.; id.<br />

Manuale delle Pandette, Milano 1952, 457, ss., 576, ss.<br />

(11) Cataudella, voce Fattispecie in Enciclopedia del diritto, Milano 1966, XVI, nello<br />

stesso senso gli autori citati alla nota 9, C. MAIORCA, Noviss. Digesto, voce Fatto giuridico<br />

- Fattispecie VII s.a. ma Torino 1961, p. 122; contra P. NUVOLONE, Il sistema del<br />

diritto penale, Padova 1982, 173.<br />

(12) Tra gli altri: F. REALMONTE, op. loc. cit.


30 Scritti di Diritto Civile<br />

Non si condivide anche l’opinione di chi nega l’esistenza del<br />

lucro cessante, perché sarebbe un non ens et nullae sunt causae<br />

non entis (13) .<br />

Avremo all’interno del fatto la causalità materiale tra condotta<br />

ed evento naturale ed al di fuori di esso, ma dentro la fattispecie,<br />

avremo la causalità giuridica che corre tra fatto e danno. Qui la causalità<br />

giuridica coesisterà con quella materiale.<br />

Dove invece l’antecedente è costituito da un fatto omissivo o<br />

più in genere da una condotta priva di evento avremo solo la causalità<br />

giuridica tra il fatto omissivo e il danno; non avremo la<br />

causalità materiale.<br />

Questa osservazione spiega la ragione, per la quale l’autore di<br />

queste righe non accoglie l’opinione di quegli autori che sostengono<br />

la esistenza di un duplice nesso causale, tra la condotta e l’evento<br />

naturale da un lato e l’evento e il danno dall’altra (14) .<br />

La conseguenza della causalità giuridica, consiste ed è un tutt’uno<br />

col danno, inteso nel suo quantum, perché la dimensione del<br />

danno deve essere spiegata e legata alla causa (15) .<br />

Il discorso sin qui fatto sulla distinzione in genere tra causalità<br />

materiale e giuridica, sulla loro diversità concettuale e sulla possibile<br />

loro coesistenza, a mio modo, di vedere può essere considerato<br />

valido tanto per il civile quanto per il penale, pur riservandoci un<br />

più ampio discorso, che ci si propone di fare in altra occasione.<br />

Nei reati materiali l’evento naturale non ha bisogno di spiegazione<br />

nei casi di omicidio, di lesione, di danneggiamento ed altro.<br />

(13) V. CARBONE, Il rapporto di causalità nella responsabilità civile, Torino 1987,<br />

I, p. 139; id. Il fatto dannoso nella responsabilità civile, Napoli 1967, p. 167.<br />

(14) C.M. BIANCA, Dell’inadempimento delle obbligazioni in Commentario Scialoja e<br />

Branca, Bologna 1979 sub art. 1223 c.c.; V. CARBONE in Danno e responsabilità, 1996, p.<br />

430 ss.; note 37 e 39. Quella del duplice nesso è l’opinione dominante nella dottrina germanica:<br />

ENNECERUS-LEHMAN, Recht der Schuldverhältnissen, Tubingen, 1958; CAMMERER,<br />

Das problem der Üeberholenden Kausalitat, Karlsruhe 1962; STOLL, Begriff und Grenzen der<br />

Vermogenschadens, Heidelberg 1976; Grunsky in Riv. crit. dir. priv. 1982, 641. Essa è sostenuta<br />

nella common law da HART-HONORÉ, Causation in law, Oxford 1962, p. 79, nota 15.<br />

(15) Invece per l’unicità del rapporto causale tra inadempimento, illecito e danno: nella<br />

nostra dottrina più risalente: POLACCO, Le obbligazioni, Roma, 1915, 588; CHIRO-<br />

NI, Colpa extracontrattuale, Torino 1966, II, 314, nella dottrina francese: MAZEAUD<br />

TUNC, Traité theorique et pratique de la responsabilité civile, Parigi 1963, II, 407; SA-<br />

VATIER, Traité de la résponsabilité civile, Parigi 1959, II, 5. Nella common law, PROS-<br />

SER, Handbook of the law of Torts, S. Paul Minn., 1964, p. 240.


Scritti di Diritto Civile 31<br />

In quelli formali abbiamo la condotta senza evento (art. 365, 674<br />

2° comma etc. c.p.)<br />

La causalità giuridica corre tra il fatto-reato da un lato ed il danno<br />

criminale dall’altro.<br />

La distinzione tuttavia tra civile e penale è costituita dalle diverse<br />

regole causali che sono state specificatamente dettate dal legislatore<br />

per il primo dagli artt. 1223 e 2056 del c.c. e per l’altro dall’art.<br />

40 e 41 c.p. (16) .<br />

3. – Devesi ora aggiungere che la individuazione della causa materiale<br />

e di quella giuridica, si basano su regole diverse, per<br />

quanto riguarda la frequenza ideale della successione dei fenomeni,<br />

ritenuta necessaria o sufficiente, per riconoscere il rapporto<br />

causa-effetto.<br />

Nella causalità materiale, che è meta giuridica, dobbiamo riferirci<br />

solo ai metodi e alle regole delle scienze naturali.<br />

Il metodo scientifico ritiene che un evento naturale è prodotto da<br />

una causa, «quando sussiste una successione costante senza eccezioni,<br />

tra le due classi di fenomeni, a cui appartengono quelli concreti,<br />

di cui si tratta» (17) .<br />

Codesta sequenza costante senza eccezioni implica che il giudizio<br />

di causalità materiale debba essere suscettibile di un contro<br />

esempio e cioè sia «falsificabile» secondo una nota affermazione del<br />

Popper (18) perché si abbia la conferma e quindi la certezza.<br />

Ciò spiega la ragione, per cui il Giudice nominerà un perito, che<br />

sia esperto della singola scienza, alla quale appartengono le regole<br />

che egli applicherà, per riconoscere il rapporto causale tra condotta<br />

e l’evento naturale.<br />

Diversa è la fonte il metodo e la frequenza ideale che sono la base<br />

(16) In questo senso gli autori che pongono al centro della causalità il danno sopra citato<br />

nella nota 9, tra i molti. Nel senso invece di necessario legame con un evento naturale,<br />

nel penale: F. STELLA, La descrizione dell’evento, Milano 1970, p.45 ss.; ANTOLI-<br />

SEI, Il rapporto di causalità nel diritto penale, Milano 1934; A. SANTAMARIA, Enciclopedia<br />

del diritto, Milano1966, XVI, voce Evento, p. 118 e ss.<br />

(17) AMSTERDAMSKI, voce Causa-effetto in Enc. Einaudi, II, p. 823; B. DE FI-<br />

NETTI, voce Probabilità, ivi, X, p. 1146 ss.; STUART MILL, op. cit., p. 726; K. POPPER,<br />

Logica della scoperta scientifica, Torino, 1970.<br />

(18) K. POPPER, Poscritto alla logica della scoperta scientifica, Milano 1994, p. 293<br />

ss., 313 ss., 357 ss.


32 Scritti di Diritto Civile<br />

del rapporto di causalità giuridica, che corre tra il fatto commissivo<br />

od omissivo, di cui sopra si è detto ed il danno, che appartengono<br />

alla medesima fattispecie legale, descritta dal legislatore e a cui<br />

è correlata la sanzione.<br />

La fonte è data dalle norme, fissate dal legislatore e ad esse bisogna<br />

attenerci e non è costituita dalle scienze naturali.<br />

La sequenza ideale dei fenomeni nella causalità giuridica non<br />

è quella costante senza eccezioni come nella causalità materiale,<br />

ma è quella che si basa sulla normalità ed è perciò di tipo probabilistico,<br />

che indica solo il numero dei casi favorevoli rispetto a<br />

quelli possibili.<br />

La regola che è alla base della causalità giuridica è perciò quella<br />

di probabilità, quale è desunta dalle regole di esperienza che appartengono<br />

al patrimonio culturale medio della società.<br />

Il giudizio di probabilità, sul piano soggettivo si traduce in quello<br />

di prevedibilità.<br />

Entrambi possono essere a priori o a posteriori rispetto al fatto<br />

considerato. La probabilità a posteriori comprende il caso in<br />

esame nella frequenza ed è nota come probabilità di tipo bayesiano<br />

(19) . Il giudizio di causalità a posteriori, mette capo sul piano<br />

soggettivo alla prognosi postuma, rispetto a quella di mera prevedibilità,<br />

che è a priori.<br />

La confusione tra causalità giuridica e quella materiale e delle rispettive<br />

regole, è alla base del recente dibattito nelle aule di giustizia,<br />

se occorre fare riferimento per entrambe alle leggi scientifiche<br />

o a quelle probabilistiche (20) .<br />

La teoria della condicio sine qua non o della equivalenza delle<br />

condizioni, come espressione del metodo scientifico, è applicabile<br />

alla causalità materiale, ma non lo è altrettanto per quella giuridica,<br />

dove amplierebbe a dismisura il numero dei fattori causali (21) .<br />

A quest’ultima potrebbe in teoria apparire più corrispondente il<br />

(19) Enciclopedia Einaudi III, voce Caso-probabilità, p. 672; DE FINETTI, Teoria<br />

della probabilità, Torino 1970, p. 78 ss.<br />

(20) Negli ultimi decenni il criterio probabilistico è oscillato da quello statistico<br />

(Cass. civ. III, 3 giugno 1980 n. 3622) a quello basato su una regola di esperienza (Cass.<br />

civ. 3 marzo 1987 n. 1228) e infine alla probabilità verosimile (Cass. civ. 16 novembre<br />

1993, n. 11, p. 287).<br />

(21) La teoria della condicio sine qua non, inaugurata nel penale, a suo tempo dal von


Scritti di Diritto Civile 33<br />

criterio della adeguatezza o della normalità, che poggia sulle regole<br />

probabilistiche e previsionali e tuttavia ad un esame approfondito,<br />

si rivela pure non immune da critiche (22) .<br />

La confusione è oltremodo evidente nelle opinioni giurisprudenziali<br />

e dottrinali, secondo cui per la causalità materiale sarebbe<br />

sufficiente un giudizio di probabilità, nel civile come nel penale,<br />

dove il giudice sarebbe «autorizzato a ricorrere ad una serie di<br />

assunzioni nomologiche tacite ed a dare per presenti condizioni iniziali<br />

non conosciute o soltanto azzardate». Ciò perché altrimenti<br />

ragionando, «gli scopi preventivo-repressivi nel diritto penale verrebbero<br />

frustrati» (23) . Nella causalità materiale non ci si può accontentare<br />

di giudizi probabilistici oltretutto a priori, ma ci si deve<br />

riferire alle regole scientifiche.<br />

Anche per la causalità giuridica non si può concordare con quel-<br />

Buri e nel nostro paese dal Vannini, domina nella odierna giurisprudenza penale, dove si<br />

combina col criterio della causalità efficiente, nel caso dell’art. 41 c.p. Essa è tuttavia tipica<br />

di quel settore del penale, incentrato non sul danno ma sull’evento naturale dove esso<br />

appare il risultato di una serie di concause, di cui non è sempre individuabile la diversa<br />

efficacia causale, come nei reati della circolazione stradale. Oltretutto essa non appare<br />

adottata dal nostro sistema, neppure nel penale, nel caso della cooperazione colposa dove<br />

l’art. 113 c.p. richiede l’adesione dell’autore della concausa alle condotte altrui e la fusione<br />

in una unica causa (Cass. pen. sez. IV, 21 aprile 1988 tra le altre). Tale teoria è stata<br />

sostenuta nel civile da alcuni autori come il TRIMARCHI, Condicio sine qua non, causalità<br />

alternativa ipotetica e danno in Riv. Trim. 1964, p. 1431, e accolta in giurisprudenza<br />

da Cass. civ. 30 marzo 1985, n. 2231; Cass. civ. 16 giugno 1984, n. 3619, tra le altre.<br />

L’autore è particolarmente critico verso codesta teoria anche nel penale, perché essa si riduce<br />

solo a un criterio negativo idoneo ad escludere il nesso causale tra evenienze non condizionanti<br />

e l’evento naturale, ma non positivo per riconoscere l’esistenza dell’addebito<br />

causale alle evenienze naturali legate tra loro solo ad una condicio sine qua non. Esso è a<br />

fortiori inapplicabile nel civile dove il legame corre tra inadempienza, illecito e il danno<br />

diretto ed immediato e non con l’evento naturale.<br />

(22) Alla diversa teoria della causalità adeguata si ispirano nella nostra giurisprudenza<br />

molte decisioni quali Cass. civ. 1 giugno 1991, n. 6172; Cass. civ. 10 dicembre 1982,<br />

n. 6761; Cass. civ. 14 aprile 1991 n. 2847. Questa teoria, tratta dal penale, risale al von<br />

Kries ed è accolta dai nostri penalisti più autorevoli, quali il Delitala, il Bettiol, il Carnelutti,<br />

il Nuvolone, ed altri. Essa tuttavia è suscettibile di critiche, anche nel penale, perché<br />

codesto criterio si riduce ad un giudizio di prognosi a priori e non di diagnosi a posteriori,<br />

dell’evento naturale negli stessi reati commissivi, con evento. L’autore sottolinea che<br />

l’art. 1223 c.c. richiede un legame diretto ed immediato tra inadempienza, illecito e segnatamente<br />

il danno. Ad esso appare perciò più corrispondente il criterio della causalità<br />

efficiente, con il danno.<br />

(23) Cass. pen., sez. IV, 25 marzo 1975 nel caso Vajont; Cass. pen., sez. IV, 6 dicembre<br />

1990, nel caso Stava, in Foro it., 1991, II, c. 36.


34 Scritti di Diritto Civile<br />

la tendenza recentemente venuta in auge, per cui ci si dovrebbe accontentare<br />

della c.d. probabilità verosimile (24) . Qui il giudizio di<br />

probabilità viene degradato a quello di mera possibilità e cioè a<br />

quello di plausibilità che è proprio di chi forma una ipotesi, ma non<br />

ne verifica la confutazione, come deve essere di ogni ricerca e valutazione<br />

causale.<br />

Si esprime, a questo punto, un netto dissenso dalla opinione che<br />

accoglie, nel civile, il modello di causalità, corrente attualmente tra<br />

i penalisti, sbilanciato a favore della causalità materiale a scapito di<br />

quella giuridica. Da questo punto di vista gli artt. 1218 e 2043 c.c.<br />

non possono considerarsi un eco duplicativa degli artt. 40 e 41 c.p.,<br />

mentre occorre rimeditare i termini della stessa causalità penale (25) .<br />

La causalità dei civilisti, oltretutto diverge da quella dei penalisti,<br />

perché essa ricerca il nesso con il danno nell’an e nel quantum,<br />

come scritto in questa decisione e non solo con il mero an debeatur,<br />

per applicare la pena, come nel penale.<br />

4. – Le osservazioni, sin qui fatte, sulla priorità della causalità giuridica<br />

rispetto a quella materiale, del danno rispetto all’evento naturale,<br />

del fatto antigiuridico nel suo insieme, invece della semplice<br />

condotta, (come antecedente causale), trovano il loro riscontro<br />

nell’excursus storico del pensiero giuridico, dal diritto romano ai<br />

nostri giorni.<br />

I giuristi romani hanno posto al centro della responsabilità civile,<br />

contrattuale ed extra contrattuale il danno e non l’evento fisico<br />

e cioè da un lato «la omnis utilitas, quae circa rem consistit» (D 19.<br />

1, 21.3; D 19.2.19.1; D 9.2.21) e «il damnum iniura datum» e non<br />

l’evento fisico dall’altro.<br />

Tutto ciò sia che il fatto antigiuridico fosse commissivo od<br />

omissivo.<br />

Nella fase più antica, diedero rilievo alle condotte commissive<br />

con evento naturale e così al contatto fisico dell’agente con la cosa<br />

(corpore, copori). Tuttavia anche in questo caso i giuristi posero al<br />

(24) App. Genova 10 marzo 1997, Il danno e responsabilità, 1997, p. 470. Per una<br />

idea generale, K. POPPER, Congetture e confutazioni, il Mulino 1972, p. 36.<br />

(25) TRIMARCHI, op. cit. loc. cit.; F. REALMONTE, op. cit. loc. cit.; C. FERRINI,<br />

Enciclopedia giuridica, Danni (azioni di), op. cit. loc. cit.


Scritti di Diritto Civile 35<br />

centro del rapporto causale il damnum (o detrimento patrimoniale)<br />

e non la ruptio (o evento fisico) (26) .<br />

In un secondo momento acquistarono rilievo anche le condotte<br />

omissive (corpori ma non corpore) alle quale venne concesso una actio<br />

in factum o utilis ad exemplum legis aquiliae (Gaio III, 219) (27) .<br />

Nel diritto giustinianeo, si ammise il risarcimento dei danni recati<br />

né corpore né corpori ed esso giunse a noi per ogni danno extra<br />

contrattuale. Il danno peraltro era risarcibile solo nei limiti<br />

del duplum.<br />

In ultima analisi la causalità nel diritto romano era quella giuridica<br />

e non si identifica con quella materiale.<br />

Il rapporto causale sopra indicato comprendeva la perdita e il lucro<br />

cessante, e si richiedeva che il danno fosse la conseguenza diretta,<br />

e immediata dell’illecito (D 19.1.21.3 cit.).<br />

I danni circa rem o intrinseci (propter rem habitam) erano di per<br />

sé diretti ed immediati, come era il caso del vino trasformatosi in<br />

aceto, a causa di una botte difettosa o dello schiavo ucciso, dopo che<br />

era stato istituito erede. Analogamente nella responsabilità extra<br />

contrattuale si richiedeva che i danni fossero una conseguenza diretta<br />

e immediata.<br />

La interruzione causale era regolata da D 9.2.25.1; 43.24.7.4.<br />

La causalità alternativa ipotetica era contemplata da D 19.2.10.1.<br />

Codesti principii passarono ai giuristi del diritto comune (tra cui<br />

Bartolo e Donello) nei quali si consolidò la distinzione tra danni circa<br />

rem e danni extra rem, dove la causalità venne confusa con la<br />

prevedibilità.<br />

Essa era ancora in auge all’epoca del Pothier e fu poi abbandonata<br />

«perché dava luogo a troppe incongruenze», per cui il Pacifici-Mazzoni,<br />

ai suoi tempi concludeva che «la distinzione non<br />

trova luogo».<br />

5. – Lo spirito dei tempi moderni, improntato al favor debitoris, per<br />

cui il danno da inadempienza, nella causalità giuridica doveva es-<br />

(26) S. PEROZZI, Istituzioni di diritto romano, Milano 1928, II, p. 335; E. BET-<br />

TI, Diritto Romano, Padova 1935, p. 417 ss.; G. PUGLIESE, Istituzioni diritto romano,<br />

Torino 1990, p. 605 ss.<br />

(27) POTHIER, Traité des obligations, Paris 1777, n. 160; MOLINEO, De eo quod<br />

interest in Opera Omnia, Paris 1681.


36 Scritti di Diritto Civile<br />

sere giustificato da «una causa proxima et non remota» fu espresso<br />

dal Molineo e soprattutto dal Pothier (28) , mentre nel penale esso<br />

trovò un’eco nell’Oertman e nel Birkmeier (29) .<br />

Il punto di arrivo di questo processo è stata la formula dell’art.<br />

1151 codice Napoleone, adottato dal Consiglio di Stato francese,<br />

senza discussioni per la sua evidenza, per cui «nel caso in cui l’inadempimento<br />

provenga dal dolo del debitore i danni e gli interessi,<br />

relativi alla perdita sofferta dai creditori e al guadagno di cui fu privata,<br />

non devono estendersi se non a ciò che è una conseguenza immediata<br />

e diretta dall’inadempimento della convenzione».<br />

Il metodo accolto da tale legislatore era quello della causalità giuridica,<br />

che lega il fatto nel suo insieme (commissivo ed omissivo) al<br />

danno (sia esso emergente o lucro cessante) e non quello della causalità<br />

materiale (all’interno del fatto commissivo) che lega la condotta<br />

all’evento naturale.<br />

La formula adottata si precisò nel rapporto di causalità diretta<br />

ed immediata, da cui doveva escludersi quello di causalità<br />

indiretta.<br />

A questo proposito è particolarmente lucido l’insegnamento<br />

del Pothier per cui, nel caso di una mucca ammalata di peste,<br />

che avesse contagiato gli altri animali della stalla, che ne fossero<br />

morti, doveva escludersi il danno derivato dalla mancata coltivazione<br />

delle terre, dal conseguente mancato raccolto, dal dissesto<br />

sopravvenuto (30) .<br />

Il danno corrispondente al valore del bestiame morto o del<br />

vino tradottosi in aceto si considerava diretto a seguito del contagio<br />

con la mucca pestifera o del contatto del vino con la botte<br />

guasta ed era perciò risarcibile, mentre l’altro non lo era perché<br />

era un danno indiretto.<br />

Alla base della formula dell’art. 1151 Cod. Napoleonico c’è una<br />

sua logica, nel senso che se fossero considerati risarcibili i danni<br />

contrattuali indiretti, la situazione del debitore sarebbe risultata<br />

notevolmente deteriorata, malgrado l’orientamento dichiarato di<br />

(28) OERTMANN, Zur Leher Vom Kausalzusammennhang, Tubingen 1886, p. 268.<br />

(29) POTHIER, op. cit. loc. cit., sulle orme di Paolo, che escludeva la responsabilità<br />

per morte degli schiavi da parte del debitore che non aveva fornito il frumento.<br />

(30) DEMOLOMBE, Cours de code Napoleon, Paris 1873, p. 268; RIPERT, Traité de<br />

pratique de droit civil français, Paris 1902, VI, n. 445, p. 352.


Scritti di Diritto Civile 37<br />

moderazione verso il debitore, per essere stato abolito il limite del<br />

duplo di memoria giustinianea.<br />

La dottrina e la giurisprudenza francese hanno successivamente<br />

esteso la regola anche ai danni extra-contrattuali, forzando forse il<br />

testo della norma (Demolombe, Ripert ed in senso opposto Aubry e<br />

Rau, Planiol, Esmein (31) .<br />

Sul significato e sulla portata dei «danni diretti ed immediati»<br />

sono intervenuti molti scrittori francesi dal Marcadè allo Zachariae,<br />

dal Baudry-Lacantinerie, al Demogue, al Ripert, al Duranton, al<br />

Troplong al Savatier, al Mazeau ed al Marty (32) .<br />

Il Marcadè ha concluso che per danno diretto ed immediato deve<br />

intendersi quello che «deriva direttamente dal dolo, come sua unica<br />

causa e ne sia così poco lontano da non ingerirvisi altre cause<br />

estranee al dolo del debitore».<br />

Il Lalou ha detto che per «danno diretto deve intendersi quello<br />

che ha la causa unica nel fatto produttore del danno e per indiretto<br />

quello che è nato in occasione di un delitto o quasi delitto».<br />

Il Colmet de Santerre, con spirito sagace ha scritto che la norma<br />

escludeva che si potesse procedere «di congettura in congettura»<br />

perché altrimenti il debitore avrebbe finito per rispondere anche del<br />

suicidio del creditore.<br />

Assai meno chiaro è stato l’orientamento della giurisprudenza<br />

francese, a proposito della quale l’Esmein ha scritto che «i tribunali<br />

provvedevano senza un criterio preciso, per puro sentimento».<br />

L’art. 1151 Cod. Napoleone fu ripreso dall’art. 1107 del codice<br />

civile spagnolo, dall’art. 2100 del codice messicano, dall’art. 1242<br />

del codice sardo, dall’art. 1105 di quello delle Due Sicilie, dall’art.<br />

1124 del codice parmense, dall’art. 1201 codice estense.<br />

Nei paesi tedeschi l’art. 1323 del Codice civile austriaco e l’art.<br />

249 di quello germanico, a differenza delle legislazioni che trassero<br />

(31) Sulla accettazione incontrastata della formula nel Consiglio di Stato francese,<br />

v. Discussions du code Napoleon dans les Conseil d’Etat, Paris 1808, II, p. 264. Sugli<br />

autori richiamati: MARCADÉ, Spiegazione del codice di Napoleone, Palermo 1856, II,<br />

2, p. 332 ss.; ZACHARIAE, Corso di diritto civile, Paris 1888, II, p. 626; DEMOGUE,<br />

Traité des obligations en general, Paris 1932, n. 281, p. 316, ESMEIN, Rev. Trim.<br />

droit. Civil, 1934, p. 317; G. MARTY, rev. cit., op. cit., 1939, p. 685; SAVATIER,<br />

Theorie des obbligations 1967, p. 285.<br />

(32) GREGOIRE, Le droit anglo-americain de la responsabilité civile, Bruxelles n. 117, 119.


38 Scritti di Diritto Civile<br />

ispirazione dal Pothier, non hanno introdotto alcun limite per la<br />

causalità, la prevedibilità e la evitabilità del danno.<br />

In Gran Bretagna (il paese di Hume e di Mill) si è passati dalla<br />

teoria della prevedibilità, codificata nel 1850 dal giudice Pollock a<br />

quella del rapporto diretto nel 1921 della Corte di Appello nella decisione<br />

Re Polemis and Furness e nel 1961 si è ritornati alla teoria<br />

della prevedibilità con la decisione Overseas Tankship (33) .<br />

Nei paesi di Common Law un’opera importante in materia causale<br />

è la Causation in Law di H.L. Hart e Tony H. Honoré.<br />

6. – La formula del rapporto di «causalità immediata e diretta» tra<br />

il fatto e il danno dell’art. 1151 Cod. Napoleone, si è tradotta nell’art.<br />

1229 del codice civile 1865 ed il suo significato tornò evidente,<br />

al punto che non si trova cenno esplicativo nella relazione ministeriale,<br />

nei lavori parlamentari e nella commissione di coordinamento,<br />

che lo precedettero.<br />

Codesta formula sarà identica all’art. 1223 c.c. vigente.<br />

Essa si è rivelata pressoché insostituibile, per indicare la sequenza<br />

di ogni tipo di danno che comprenda anche il lucro cessante.<br />

Come ammettere il risarcimento dei «mancati guadagni indiretti»,<br />

concedendo tutela a quelli che Dernburg chiamava «i sogni di<br />

guadagno»?<br />

La formula del danno diretto ed immediato ha incontrato il favore<br />

della giurisprudenza che la estese al danno extra-contrattuale<br />

e di giuristi quali il Pacifici Mazzoni, il Giorgi, il Ricci, Il Mattei e<br />

numerosi altri (34) .<br />

Non mancarono voci critiche che la ritennero restrittiva. Il Gabba<br />

ed il Chironi, sulle orme del Sintenis e del Windscheid, proposero<br />

di sostituirla con quella di «conseguenze necessarie». Essa qui<br />

peraltro non coglieva l’essenza del giudizio causale perché era incentrata<br />

sul requisito diverso della non evitabilità oggi codificato<br />

dall’art. 1227, 2° comma c.c. (35) .<br />

Il Coviello andò più in là e propose di cancellare la dizione «di-<br />

(33) H. L. HART HONORÉ, Causation in law, Oxford, 1985, p. 93.<br />

(34) PACIFICI MAZZONI, Istituzioni di diritto civile, Torino, IV, p. 488; GIORGI, Teoria<br />

delle obbligazioni, Firenze 1924, II, p. 187 ss.; RICCI, Corso teorico pratico di diritto civile, Torino<br />

1912, VI, p. 275; MATTEI, Il codice civile italiano, Venezia 1874, IV, sub art. 1229, p. 317.<br />

(35) GABBA, Contributi alla teorica del danno e del risarcimento, in Nuove que-


Scritti di Diritto Civile 39<br />

rette ed immediate» perché assorbita dalla prevedibilità (36) . L’autore<br />

di queste righe ha osservato in precedenza che la prevedibilità<br />

cui il Coviello aveva riguardato era quella dal momento della inadempienza,<br />

mentre l’art. 1228 di quel codice la riferiva al momento<br />

della formazione del contatto, come fa l’odierno art. 1225 c.c.<br />

Ciò avrebbe ristretto eccessivamente l’area del danno doloso<br />

risarcibile, e all’opposto avrebbe esteso troppo quella del danno<br />

colposo, con l’eguagliare le conseguenze della inadempienza dolosa<br />

e colposa.<br />

7. – Il nuovo legislatore si è uniformato a quello precedente, con<br />

l’avere ripreso all’art. 1223 c.c. il medesimo testo dell’art. 1229<br />

del codice abrogato, che situa all’interno della fattispecie la causa<br />

individuata nel fatto antigiuridico (che identifica nell’inadempimento<br />

o nel ritardo) e l’evento nel danno, cioè la perdita subita<br />

dal creditore e il mancato guadagno, in quanto siano la conseguenza<br />

diretta e immediata.<br />

La formula adottata da questa norma come dall’art. 2056 c.c.,<br />

sulla scia del precedente art. 1229, attiene alla causalità giuridica e<br />

non a quella materiale.<br />

La commissione di un illecito aquiliano, la inadempienza o la<br />

mora non rilevano nel civile nella loro realtà fisica di azione o di<br />

omissione ma solo in termini di fattispecie normativa e cioè<br />

come commissione di un atto vietato o come omissione di un atto<br />

comandato.<br />

Si dissente da quanti ritengono che il combinato disposto degli<br />

artt. 1223-2056 c.c. vada integrato con gli artt. 40 e 41 del<br />

codice penale, perché «non vi è soluzione di continuità tra i vari<br />

rami del diritto».<br />

Nella fattispecie civile la causalità materiale rileva all’interno del<br />

fatto commissivo, come legame tra condotta ed evento naturale<br />

considerati nel loro insieme, mentre quello tra il fatto e il danno, costituisce<br />

la causalità giuridica, che coesisterà con la prima. Questa<br />

stioni del diritto civile, Torino, 1905; CHIRONI, La colpa nel diritto civile odierno, Torino,<br />

1897, p. 486.<br />

(36) N. COVIELLO, Intorno alla risarcibilità dei danni indiretti e mediati, in Giur.<br />

It. 1897, I, c.23 ss.; D. MANDRIOLI, Le conseguenze immediate e dirette dell’inadempimento<br />

doloso, in Riv. Dir. comm., 1921, I, p. 56.


40 Scritti di Diritto Civile<br />

è altresì l’unica forma di causalità ipotizzabile per i fatti omissivi o<br />

di mera condotta.<br />

Si è già detto che il danno è una rappresentazione astratto-empirica,<br />

come il fatto antigiuridico, che ne è la causa, e non può condividersi<br />

la opinione di coloro che arrivano a negare la esistenza del<br />

danno o del lucro cessante, perché sarebbero delle astrazioni. Essi<br />

sono delle realtà incontestabili.<br />

Il danno non può neppure degradarsi a livello di mero aggettivo<br />

di un evento naturale che può non esserci, come nei fatti<br />

omissivi, e la formula in uso di «evento dannoso» è equivoca. La<br />

perdita e il lucro cessante, che sono il contenuto del danno, sono<br />

fenomeni reali.<br />

In dottrina si discute sulla distinzione tra «danno-evento» che sarebbe<br />

dentro la fattispecie e «danno-conseguenze», che ne sarebbe<br />

fuori (37) . Il danno-conseguenze può essere giustificato solo da chi<br />

ammetta la risarcibilità dei danni indiretti, che non si condivide.<br />

Il c.d. «danno-ingiusto» è formula pleonastica, perché esso è tale<br />

in quanto deriva da un fatto antigiuridico.<br />

L’opinione che vorrebbe limitare il danno alla conclusione del<br />

solo an debeatur e non anche del quantum debeatur, non è accoglibile.<br />

L’an debeatur è solo una tappa del giudizio causale, nella economia<br />

dell’impegno intellettuale di chi giudica.<br />

Il combinato disposto degli artt. 1223, 2056 c.c., ha stabilito che<br />

il legame tra fatto e danno deve essere diretto ed immediato, come<br />

i precedenti legislatori, che adottarono la regola «in iure proxima et<br />

non remota causa spectatur».<br />

La causalità rilevante per il diritto è quella conforme al dettato<br />

legislativo, che prevale anche sulla giustificazione probabilistica a<br />

posteriori, di cui abbiamo in precedenza parlato.<br />

In precedenza si sono ricordate le osservazioni critiche del Gabba<br />

e del Chironi sulla formula del «danno diretto ed immediato»,<br />

ma esse non hanno ragione di porsi, dopo che l’art. 19 del progetto<br />

definitivo Grandi che parlava di «conseguenze necessarie» è stato<br />

(37) Per il danno evento: Cass. civ. sez. un. 27 febbraio 1962 n. 390, in Riv. Dir. civ.<br />

1963, II, p. 599, FORCHIELLI, Il rapporto di causalità nell’illecito civile, Padova, 1960,<br />

p. 21; CARNELUTTI, Perseverare diabolicum, Foro it. 1952, IV, c. 99. Per il danno-conseguenza:<br />

G. GORLA, op. cit., p. 433.


Scritti di Diritto Civile 41<br />

abbandonato dalle assemblee legislative che, superando tali obiezioni,<br />

hanno ripristinato la vecchia formula che il rapporto di causalità<br />

deve essere diretto ed immediato (38) .<br />

L’adozione del testo dell’art. 1223 c.c. indica la volontà non contestabile<br />

del legislatore vigente.<br />

L’aggettivo «diretto», indica il rapporto di consequenzialità e<br />

univocità logica tra il fatto antigiuridico e il danno, come è il caso<br />

noto della morte del bestiame contagiato dalla mucca pestifera o dal<br />

vino degenerato in aceto, a contatto con la botte difettosa.<br />

Quanto alle critiche all’aggettivo «immediato», si conviene che<br />

l’evento fisico può assumere forma definitiva, a seguito di uno sviluppo,<br />

col passare del tempo. Gli artt. 1223 e 2056 c.c. attengono<br />

tuttavia al rapporto tra il fatto, dopo la sua stabilizzazione evolutiva<br />

e il danno che deve essere diretto ed immediato.<br />

Non si condivide come si è detto, quella opinione, per quanto diffusa<br />

ed autorevole che sostituisce alla formula legislativa del rapporto<br />

diretto e immediato, quella meta-giuridica della condicio sine<br />

qua non, che peraltro verrebbe combinata con il criterio della causalità<br />

efficiente, nel caso sopravvenga un fatto interruttivo.<br />

Tale teoria rivela oltretutto la sua inaccettabilità, come è il caso<br />

di chi investa o ferisca una persona, che deceda successivamente,<br />

per un incendio dell’ospedale dove viene ricoverato o di un illecito<br />

di terzi, e tuttavia viene chiamato a rispondere della morte.<br />

La riprova è ancora costituita dalla comune opinione che richiede<br />

il rapporto di causalità diretta ed immediata per la compensatio<br />

lucri cum damno.<br />

Per quanto riguarda il risarcimento dei danni indiretti, riconosciuti<br />

in dottrina e in giurisprudenza, ove gli stessi rientrino in una<br />

logica di normalità, si deve osservare che gli artt. 1223 e 2056 c.c.<br />

hanno escluso il principio generale che causa causae est causa causati<br />

e che inoltre la limitazione ai danni indiretti normali non ha<br />

senso, perché una causalità anormale non ha rilievo né per i danni<br />

diretti, né per quelli indiretti (39) .<br />

Quanto alla interruzione della causalità giuridica, una ipotesi di<br />

(38) Vedi il mio scritto Intorno al rapporto di causalità nel torto civile, op. cit., p.<br />

491, nota 37.<br />

(39) DE CUPIS, Il danno, Milano 1966, II, p. 200.


42 Scritti di Diritto Civile<br />

rilievo è quella formulata dall’art. 1227, 2° comma c.c., per cui non<br />

è risarcibile quella parte di danno che poteva essere evitato dal creditore<br />

e non lo ha evitato (40) .<br />

Tirando alcune somme si può concludere che la disciplina della<br />

causalità giuridica non è solo limitata alle norme di cui agli<br />

artt. 1223 e 2056 c.c., ma in materia contrattuale comprende anche<br />

gli artt. 1218, 1225, 1227 2° comma e in quella extracontrattuale<br />

gli artt. 2043, 2056, con il richiamo all’art. 1223 e<br />

1227, 2° comma c.c.<br />

Altro scritto dell’autore sullo stesso argomento:<br />

– «Intorno al rapporto di causalità nel torto civile» - In Rivista di Diritto Civile<br />

1995, II, p. 481.<br />

(40) L’art. 1227, 2° comma c.c., ponendo a carico della parte danneggiata l’onere di<br />

evitare l’aggravamento del danno, crea un fattore interruttivo del rapporto causale in corso,<br />

in ordine allo sviluppo del quantum debeatur. Più in generale sulla interruzione del<br />

rapporto causale, si veda: U. GIULIANI BALESTRINO, La cd interruzione del nesso causale,<br />

come fatto normativo in Scritti in memoria di R. Dell’Andro, Bari 1994, p. 397.


Sulla prevedibilità del danno<br />

da inadempienza colposa contrattuale<br />

1. – La decisione rivendica l’autonomia del requisito della prevedibilità<br />

del danno (rispetto a quello concorrente della causalità) e riscopre<br />

il suo ruolo di «importante limite al risarcimento». Sulla<br />

scorta di un’autorevole corrente dottrinale, esso viene riferito alla<br />

determinazione del «quanto di danno» e non alla mera causa o alla<br />

serie causale, come ritenuto in passato da alcune decisioni.<br />

La comprensione di queste conclusioni richiede un discorso<br />

approfondito.<br />

Nel nostro sistema, il risarcimento del danno contrattuale, a differenza<br />

di quello aquiliano, è commisurato a ciò che poteva prevedersi<br />

al momento del sorgere dell’obbligazione, nel caso in cui dipenda<br />

da un’inadempienza colposa, invece che dolosa. L’art. 1225<br />

c.c., salvo qualche modifica (1) , sostanzialmente riprende l’art. 1150<br />

del codice napoleonico e l’art. 1228 del codice del 1865.<br />

Quale sia l’importanza del requisito della prevedibilità nel nostro<br />

ordinamento può essere avvertito da chiunque osservi che l’inadempienza<br />

deve presumersi come colposa, mentre quella dolosa va<br />

Da «Il Foro italiano», 1990, I, p. 1946 e ss. e da «L’Espressione monetaria nella responsabilità<br />

civile», Cedam 1994.<br />

Lo scritto annota la seguente massima:<br />

CORTE DI CASSAZIONE, sez. II, 26.5.1989, n. 2555, Pres. Parisi, Est. Volpe, P.M. Visalli<br />

(Concl. conf.); Rosin c/ Morgante: «Va cassata la sentenza di merito che, nel determinare<br />

il risarcimento del danno da inadempimento colposo del debitore, abbia omesso<br />

di esaminare le circostanze incidenti, sotto il profilo della prevedibilità, sulla misura del<br />

danno risarcibile».<br />

(1) Infatti, a differenza dei precedenti, l’art. 1225 c.c. non richiama anche «ciò che è<br />

stato previsto».


44 Scritti di Diritto Civile<br />

specificamente provata (2) . Il danno contrattuale, in altri termini,<br />

sulla base della presunzione di cui si è detto, dovrebbe essere liquidato,<br />

in linea di massima, nel limite del prevedibile. Accade all’opposto,<br />

nella prassi, che esso venga risarcito nella totalità, senza che<br />

si ponga neppure il problema se esso dipende da colpa o da dolo, e<br />

se era o meno prevedibile: come se si trattasse, in genere, di danno<br />

da inadempienza dolosa.<br />

Il requisito della prevedibilità appare in genere emarginato e<br />

nella migliore delle ipotesi viene inteso in modo assolutamente riduttivo:<br />

come testimonia, appunto, l’opinione che restringe la<br />

prevedibilità alla causa o alla serie causale ed esclude dal suo ambito<br />

il «quanto di danno», sul quale aspetto ci soffermeremo diffusamente<br />

più oltre.<br />

La correzione di tiro, operata dalla decisione in epigrafe, appare,<br />

dunque, importante proprio perché riscopre l’importanza del limite<br />

della previdibilità.<br />

2. – È quanto mai opportuno domandarsi anzitutto come sia stato<br />

possibile e da cosa dipenda la marginalizzazione del requisito della<br />

prevedibilità nella prassi liquidatoria del danno contrattuale.<br />

Ciò deve attribuirsi in primo luogo – a mio modo di vedere – all’influenza<br />

del dogma, dominante nella dottrina e nella giurisprudenza,<br />

secondo cui il nostro ordinamento perseguirebbe l’obiettivo<br />

dell’integrale risarcimento del danno (3) . Ciò equivale a dimenticare<br />

che il nostro sistema è ispirato all’opposto principio dell’indennizzo<br />

del danno «entro determinati limiti» (artt. 1225, 1227, 2°<br />

comma, e 2056, 2° comma, c.c.). Si ricorda, a questo proposito, che<br />

non è risarcibile quella parte di danno che si sarebbe potuta evitare<br />

(art. 1227, 2° comma); che nel nostro caso è risarcibile solo il<br />

(2) Ciò viene unanimemente desunto dagli artt. 1218 e 2697, 1° comma, c.c. In dottrina,<br />

tra gli altri: MESSlNEO, Manuale di diritto civile e commerciale, Milano, 1954, III,<br />

§ 114, p. 319; TRABUCCHI-CIAN, Commentario breve al codice civile, Padova, 1984,<br />

pp. 810 ss.; DE CUPIS, Il danno, Milano, 1966, p. 170; GIORGIANNI, L’inadempimento,<br />

Milano, 1975, p. 229. In giurisprudenza, ad es., Cass. 19 febbraio 1986, n. 1003, Foro<br />

it., Rep. 1986, voce Obbligazioni in genere, n. 26; 9 luglio 1984, n. 4020, id., Rep. 1984,<br />

voce Contratto in genere, n. 241.<br />

(3) Tra le molte decisioni: Cass. 12 gennaio 1982, n. 132, Foro it., Rep. 1982, voce<br />

Danni civili, n. 152; 25 ottobre 1982, n. 5580, ibid., n. 149.


Scritti di Diritto Civile 45<br />

danno che poteva prevedersi al momento del contratto (art. 1225);<br />

e che infine il lucro cessante deve essere liquidato «con equo apprezzamento<br />

delle circostanze del caso» (art. 2056, 2° comma).<br />

Il postulato dell’integrale risarcimento del danno, pur essendo<br />

privo di qualsiasi base normativa, ha tuttavia condotto la nostra<br />

giurisprudenza a svilire codesti limiti e così a ridurre l’evitabilità ad<br />

un comportamento passivo di mera attesa, e non di attiva cooperazione,<br />

sino al rimpiazzo del bene, eventualmente possibile, ed a praticare<br />

l’equo apprezzamento delle circostanze del caso, nella liquidazione<br />

del lucro cessante, solo in via di eccezione, e non di norma.<br />

Tale è anche il caso – come si è detto – del limite del prevedibile,<br />

di cui nella pratica non si tiene conto alcuno o che, nella migliore<br />

delle ipotesi, viene inteso in termini assolutamente riduttivi (4) .<br />

Questo modo di operare si risolve nel disapplicare l’art. 1225. A<br />

differenza di altri sistemi, che prevedono il risarcimento illimitato<br />

ed integrale del danno, tanto in caso di inadempienza colposa quanto<br />

dolosa (5) , o, all’opposto, lo contemplano solo nel limite del prevedibile<br />

anche nell’ipotesi di inadempienza dolosa (6) , il nostro ordinamento<br />

collega un risarcimento diverso secondo che si tratti dell’una<br />

o dell’altra ipotesi. In proposito è bene ricordare che la responsabilità<br />

nel limite del prevedibile, già contemplata dall’art.<br />

1228 c.c. del 1865, è stata reintrodotta all’art. 1225 del nostro codice,<br />

dopo che era stato abbandonato il testo dell’art. 19 del progetto<br />

preliminare, che all’opposto codificava appunto il principio<br />

dell’integrale risarcimento del danno (7) .<br />

La svalutazione del limite del prevedibile deve in secondo luogo<br />

attribuirsi al rovesciamento di prospettiva in forza del quale si finisce<br />

per presumere il dolo, mentre dovrebbe essere provata la colpa.<br />

È comunemente ritenuto in dottrina che la colpa lata o con previ-<br />

(4) Un esempio espressivo dell’orientamento di fatto dominante è offerto da Trib.<br />

Pisa 18 marzo 1983, Foro it., Rep. 1983, voce Danni civili, n. 46, secondo cui il prevedibile<br />

va inteso in senso assolutamente rigoroso e restrittivo; per un’interpretazione riduttiva<br />

dell’art. 1227 c.c., Cass. 6 agosto 1983, n. 5274, con note di VALCAVI e DI<br />

PAOLA, id., 1984, I, pp. 2819.<br />

(5) Così gli art. 249 c.c. germanico, 99 e 103 cod. obbligazioni svizzero.<br />

(6) In questo senso è l’art. 74 della convenzione dell’Aja, 1° luglio 1964.<br />

(7) Il cit., art. 19 del progetto preliminare, abbandonato dal nuovo codice, prevedeva<br />

«l’obbligo della reintegrazione nella situazione patrimoniale» in cui il danneggiato si sarebbe<br />

diversamente venuto a trovare.


46 Scritti di Diritto Civile<br />

sione dell’evento non debba parificarsi al dolo; sì che anche in tal<br />

caso deve rispettarsi il limite del prevedibile (8) . Senonché la direttiva<br />

viene messa in gran parte nel nulla dagli incerti confini tra dolo<br />

e colpa nell’inadempienza contrattuale. Ciò appare evidente laddove<br />

l’inadempienza dolosa viene intesa come quella che è accompagnata<br />

dalla consapevolezza della sua illiceità. Il dolo così descritto<br />

non sembra differenziarsi in modo apprezzabile dalla colpa lata o<br />

con previsione delle conseguenze dannose, sino a lasciar percepire<br />

l’assenza di una precisa demarcazione tra colpa e dolo. La coscienza<br />

dell’illiceità opera infatti sul piano della rappresentazione e non<br />

propriamente della volontà. È invero plausibile che l’inadempiente<br />

sia consapevole della contrarietà del suo comportamento rispetto al<br />

diritto e tuttavia la sua inadempienza può essere, in vario modo,<br />

giustificata, com’è il caso, ad esempio, di chi si trovi nell’impossibilità<br />

anche se quest’ultima fosse colpevole.<br />

Il dolo deve – a mio modo di vedere – individuarsi nell’inadempienza<br />

intenzionale, che non può presumersi, ma deve essere<br />

provata. Solo l’inescusabilità dell’inadempienza può farla presumere<br />

dolosa (9) .<br />

3. – Passiamo ora a vedere quale sia la motivazione per cui il<br />

danno da inadempienza colposa è risarcibile solo nel limite del<br />

prevedibile.<br />

Non sembra dubitabile che il legislatore abbia qui considerato il risarcimento,<br />

entro tale limite, come la sanzione proporzionata alla minore<br />

gravità dell’inadempienza colposa, rispetto a quella dolosa (10) .<br />

Trattasi cioè di una scelta motivata di politica legislativa, non controvertibile<br />

in quanto tale. Essa è coerente alla tendenza storica dei mo-<br />

(8) In questo senso, tra i molti, ClAN, in Riv. dir. civ., 1963, II, p. 148; BARASSI,<br />

Teoria generale delle obbligazioni, Milano, 1948, III, p. 303; BIANCA, in Commentario<br />

Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1979, sub art. 1225, pp. 311 ss.; Cass. 10 dicembre<br />

1956, n. 4398, Foro it., 1957, I, p. 389; contra, DE CUPIS, Il danno, Milano,<br />

1966, I, p. 251, nota 142.<br />

(9) L’inescusabilità è indice di proposito intenzionale, accompagnato dalla consapevolezza<br />

dell’illiceità (dolo). Si ha invece colpa quando, ad es., il debitore contesta il dovere<br />

senza versare nell’ipotesi di cui all’art. 96 c.p.c. (proposito privo della coscienza di illiceità)<br />

o quando non abbia i mezzi per adempiere o quando se ne dimentica (dove manca<br />

il proposito intenzionale).<br />

(10) BIANCA, cit., pp. 371 ss.


Scritti di Diritto Civile 47<br />

derni legislatori di limitare il risarcimento del danno, e fa trasparire<br />

la preoccupazione di depenalizzare il risarcimento.<br />

Risulta inoltre – come scrissi altrove (11) – in sintonia con l’influenza<br />

storica dello spirito del diritto canonico sulle moderne legislazioni,<br />

il cui apporto fondamentale è consistito nell’evitare le usure<br />

del creditore, da un lato, e la pena del debitore dall’altro. In questo<br />

contesto possono spiegarsi i limiti al risarcimento stabiliti anche<br />

nel caso dell’inadempienza dolosa (artt. 1227, 2° comma, 2056, 2°<br />

comma). La diversità essenziale ed esclusiva del trattamento dell’inadempienza<br />

colposa rispetto a quella dolosa si riduce al rispetto di<br />

codesto limite del prevedibile, con riferimento al momento della stipula<br />

del contratto e più in genere del sorgere dell’obbligazione.<br />

Sotto questo punto di vista, non può condividersi il tentativo<br />

di ancorare un’interpretazione riduttiva del contenuto del «prevedibile»<br />

alle particolari vicende dell’art. 47 dell’avanprogetto<br />

del codice napoleonico.<br />

4. – Esaminiamo ora quale sia la natura del fenomeno che va sotto<br />

il nome di previsione e, quindi, di prevedibilità. Questo discorso implica<br />

alcune considerazioni di ordine generale.<br />

Ogni attività umana – è oltremodo evidente – si svolge a cavallo<br />

tra passato e futuro. L’uomo infatti opera nel presente, ma è tuttavia<br />

proiettato nel futuro. Sotto questo aspetto devesi ammettere che<br />

egli è addirittura costretto ogni giorno ad investigare il futuro per<br />

fare qualsiasi scelta e tenere qualsiasi proprio comportamento. Torna<br />

qui a proposito, l’omnes nos prophetamus di San Paolo (12) . Codesto<br />

prevedere altro non è che l’immaginare gli avvenimenti futuri<br />

sulla base delle esperienze del passato e delle relative regole, quali<br />

sono conservate da ciascuno nella propria memoria o con altro<br />

mezzo. L’insieme di codeste regole di esperienza costituisce il patrimonio<br />

culturale del soggetto considerato. Esso consiste sia del ricordo<br />

delle esperienze proprie sia di quelle acquisite dall’esterno,<br />

specie oggigiorno, in un mondo dominato dai mass-media.<br />

(11) VALCAVI, Il tempo di riferimento nella stima del danno, in Riv. dir. civ., 1987,<br />

II, p. 35; Id., Indennizzo e lucro del creditore nel risarcimento del danno, in Quadrimestre,<br />

1986, p. 681.<br />

(12) In Lettera ai Corinti, 14.


48 Scritti di Diritto Civile<br />

A seconda che le esperienze del passato abbiano contemplato la<br />

successione degli avvenimenti, considerati in misura più o meno elevata<br />

di regolarità ed uniformità statistica (quod plerumque accidit),<br />

abbiamo la probabilità o la mera possibilità dell’accadimento di<br />

quelli futuri (13) . È fin troppo evidente che la previsione, se riguarda<br />

avvenimenti a medio o lungo termine, si presenta in termini di minore<br />

probabilità (14) , rispetto a quelli a breve termine. Il rapporto tra<br />

la cultura individuale o collettiva, come sopra intesa, ed il comportamento<br />

pratico (e così tra la gnosis e la praxis) venne colto da Comte<br />

laddove scrisse in modo espressivo che «conoscere è prevedere».<br />

La preveggenza di ogni uomo dipende dalla quantità delle regole<br />

di esperienza da lui conosciute, dalla sua prontezza a cogliere i<br />

sintomi presenti e l’evoluzione successiva alla loro luce e, in definitiva,<br />

dalla sua sagacia e perfino dalla sua capacità ad avere presentimenti.<br />

Ciò caratterizza il diverso temperamento profetico di ciascuno<br />

e cioè il suo carattere presago dell’avvenire e la diversa perspicacia<br />

individuale e la saggezza nel comportarsi.<br />

La previsione può riguardare i più diversi avvenimenti futuri,<br />

siano essi di ordine naturale, economico o di altro tipo ed in particolare<br />

le conseguenze delle proprie o delle altrui azioni od omissioni<br />

e la interrelazione tra cause, concause ed eventi. Una particolare<br />

importanza assume oggidì la previsione economica, sia che essa riguardi<br />

la sfera generale sia quella individuale. La previsione dei<br />

vantaggi e delle perdite che possano derivare dall’attuazione di un<br />

negozio o dall’inadempienza di un obbligo, precedentemente contratto,<br />

fa parte di questo secondo tipo di previsione economica.<br />

Altra è la previsione ed altra ancora è l’attesa (15) , la quale concerne<br />

un avvenimento per lo più favorevole a colui che prevede, in<br />

termini di grande probabilità così da realizzare quasi una sua scommessa<br />

sul suo verificarsi in futuro.<br />

(13) Da Dizionario di filosofia, Torino, 1971, voce Previsione, p. 693; da Enciclopedia<br />

Einaudi, I, 1977, voce Anticipazione, pp. 662 ss., nonché III, voce Caso/Probabilità,<br />

pp. 672 ss., e X, voce Previsione e possibilità, p. 1120, 1126.<br />

(14) Op. ult. cit., p. 1128.<br />

(15) DE FINETTI, Teoria della probabilità, Torino, 1970, pp. 721 ss.; GANDOLFO,<br />

Metodi di dinamica economica, Milano 1973, pp. 26 ss.; DE FELICE-PELLONI, Aspettative<br />

razionali, teoria economica e politiche di stabilizzazione, Milano, 1982, e bibliografia<br />

cit. a pp. 227 ss.


Scritti di Diritto Civile 49<br />

Lo scarto tra avvenimenti previsti e avvenimenti verificati si costituisce<br />

il rischio, la cui intima essenza è costituita dall’incognita<br />

del realizzarsi degli avvenimenti previsti. L’uomo, quando agisce<br />

sulla base delle previsioni, fa una scommessa sul futuro e perciò<br />

contrae un rischio.<br />

Tirando le somme, la previsione può definirsi come quel fenomeno<br />

per cui l’uomo anticipa, al momento considerato, i probabili<br />

o possibili accadimenti futuri, sulla base della sua conoscenza di<br />

quelli analoghi accaduti in passato.<br />

Passiamo ora ad individuare l’essenza della prevedibilità, alla<br />

quale si riferisce l’art. 1225. Questa norma ha riguardo solo al prevedibile,<br />

e non anche a ciò che è stato individualmente previsto,<br />

come al contrario contemplavano gli art. 1228 c.c. del 1865 e 1150<br />

del codice napoleonico. Il nostro ordinamento, cioè, non attribuisce<br />

un particolare rilievo alla capacità personale di prevedere, sia essa<br />

al di sopra o al di sotto di quella dell’uomo medio (16) . La previsione<br />

individuale normalmente si traduce in una prognosi a priori. La<br />

prevedibilità, ipotizzata dall’art. 1225, è invece quella propria dell’uomo<br />

medio, con un patrimonio culturale normale ed una sagacia<br />

non eccezionale. L’oggetto del prevedibile è dato dagli avvenimenti<br />

verificatisi ed in rapporto di effetto a causa con l’inadempienza.<br />

Non hanno rilievo gli avvenimenti prevedibili, ma non verificatisi o<br />

estranei al rapporto causale con l’inadempienza. L’ambito del prevedibile,<br />

ai sensi dell’art. 1225, è perciò limitato solo al danno da<br />

inadempienza verificatosi e che era anche prevedibile al momento<br />

del contratto.<br />

La prevedibilità, in definitiva, è un giudizio di prognosi postuma,<br />

con la quale il giudice si riporta mentalmente al momento del<br />

contratto, per stabilire quali conseguenze realizzatesi dall’inadempienza<br />

erano o meno prevedibili in quel momento dall’uomo medio<br />

(17) . Essa è altresì quella propria del debitore inadempiente medio,<br />

mentre altrove si ha riguardo ad entrambi i contraenti (18) . In-<br />

(16) Nel senso del risarcimento del danno previsto anche se non ordinariamente prevedibile,<br />

TRABUCCHI-ClAN, Commentario, cit., sub art. 1225, p. 822.<br />

(17) L’espressione è ripresa da V. HIPPEL, Diritto penale, II, pp. 144 ss.<br />

(18) Nel senso della prevedibilità astratta, secondo criteri di comune esperienza di fatti<br />

e circostanze normali, tra le molte Cass. 30 gennaio 1985, n. 619, Foro it., Rep. 1985,


50 Scritti di Diritto Civile<br />

fine, essa concerne – a mio modo di vedere – solo le conseguenze<br />

dannose probabili e non anche quelle meramente possibili (19) .<br />

5. – La Corte suprema sottolinea giustamente l’autonomia della<br />

prevedibilità rispetto ad altri requisiti concorrenti. L’aspetto più<br />

importante concerne la distinzione della prevedibilità rispetto<br />

alla causalità.<br />

La prevedibilità è stata a lungo, nella storia del diritto, confusa<br />

con la causalità (c.d. danni intrinseci o circa rem). E i confini concettuali<br />

rimangono, ancora oggi, sovente incerti ed indefiniti, sia<br />

nella dottrina, sia nella giurisprudenza (20) . È infatti frequente la<br />

tendenza a sovrapporre i due criteri quando si afferma che entrambi<br />

riguarderebbero le medesime «conseguenze normali» che derivano<br />

dall’inadempienza. Con la differenza che la causalità concernerebbe<br />

anche le conseguenze più remote, che sarebbero in definitiva<br />

risarcibili sulla base dell’art. 1223, mentre l’art. 1225 agirebbe da<br />

limite integrativo delle prime, riducendo il risarcimento a quelle, tra<br />

loro, che sono prevedibili.<br />

Codesta opinione rivela un erroneo modo di intendere sia il concetto<br />

di causalità, sia il suo limite; e rischia di estendere la risarcibilità<br />

alle conseguenze più remote. L’art. 1223, all’opposto, limita<br />

la risarcibilità alle sole conseguenze dirette ed immediate dell’inadempienza<br />

e, pur laddove siano ricomprese quelle indirette o mediate,<br />

deve tuttavia trattarsi esclusivamente di «conseguenze normali»<br />

(21) . Le «conseguenze remote» non possono essere considerate<br />

tali (22) . Il riferimento alle conseguenze normali postula una concezione<br />

della causalità basata sul principio della «causalità ade-<br />

voce Previdenza sociale, n. 495; 11 ottobre 1983, n. 5896, id., Rep. 1983, voce Responsabilità<br />

civile, n. 84; 28 maggio 1983, n. 3694, ibid., voce Danni civili, n. 44, nel common<br />

law si riferiva alla prevedibilità di entrambi i contraenti la giurisprudenza meno recente;<br />

v. BONELLI, in La vendita internazionale, Milano, 1981, p. 255, n. 6.<br />

(19) Per una via di mezzo, tra possibilità e probabilità: BARBERO, Sistema istituzionale<br />

di diritto privato, Milano, 1951, II, pp. 57 ss.<br />

(20) Anche recentemente Cass. 3694/83 incorre in codesta confusione laddove reputa<br />

sufficiente il nesso causale per affermare anche la prevedibilità del danno.<br />

(21) Sull’argomento, tra gli altri, DE CUPIS, in Giur. it., 1983, I, p. 1, 1525.<br />

(22) Di opposto parere è BELLINI, L’oggetto della prevedibilità del danno ai fini dell’art.<br />

1225 c.c., in Riv. dir. comm., 1954, II, p. 362, spec. 380.


Scritti di Diritto Civile 51<br />

guata» (23) , e non su quello della condicio sine qua non, che in pratica<br />

le estende all’infinito.<br />

A questa premessa segue il rilievo che le conseguenze rilevanti sul<br />

piano della causalità non coincidono con quelle rilevanti sul piano<br />

della prevedibilità, perché diversi sono gli ambiti di riferimento. Il<br />

tempo cui ha riguardo la causalità è diverso da quello cui ha riguardo<br />

la prevedibilità. Infatti, il tempo di riferimento della prima<br />

è costituito da quello dell’inadempienza, mentre quello della prevedibilità<br />

è costituito dal «tempo della stipula contrattuale».<br />

In definitiva, nel caso dell’inadempienza colposa sono risarcibili<br />

quelle conseguenze dannose, normalmente ricollegabili all’inadempienza,<br />

che erano anche prevedibili al momento della formazione<br />

del contratto. La causalità rappresenta uno scrimen prioritario; la<br />

prevedibilità è uno scrimen ulteriore, che distingue le conseguenze<br />

risarcibili, nel caso dell’inadempienza colposa, rispetto a quella dolosa.<br />

Ovviamente le conseguenze, anche se prevedibili al tempo del<br />

contratto, ma che tuttavia non si sono verificate a seguito dell’inadempienza,<br />

o non siano conseguenze normali di quest’ultima, non<br />

sono risarcibili.<br />

Anche la natura intrinseca dei due giudizi è assolutamente diversa.<br />

La causalità mette capo ad una postvisione o giudizio a posteriori,<br />

con riguardo all’inadempienza, mentre la prevedibilità si<br />

concreta in un giudizio di prognosi postuma, con riguardo al tempo<br />

della formazione del contratto. La previsione, a sua volta, si distingue<br />

dalla prevedibilità perché la prima è una prognosi a priori,<br />

mentre la seconda è una prognosi postuma.<br />

6. – Oggetto di possibile previsione può essere un qualsivoglia avvenimento<br />

esteriore e così un comportamento dell’uomo, un accadimento<br />

naturale, sociale od economico che interagisca con esso e<br />

le conseguenze che ne scaturiscono.<br />

Il danno appartiene – come si è detto – alla sfera delle conseguenze<br />

economiche del comportamento dell’uomo e dell’interazione<br />

con lo stesso di fenomeni tra i più diversi, ed in specie il rialzo o<br />

il ribasso dei prezzi, il livello di inflazione, il comportamento altrui,<br />

(23) Sulla causalità adeguata, risalente a V. HIPPEL e alla relativa elaborazione dogmatica,<br />

MEZGER, Diritto penale, Padova, 1935, pp. 139 ss.


52 Scritti di Diritto Civile<br />

in particolare del danneggiato, e così via. Quello contrattuale può<br />

definirsi «la lesione dell’interesse del creditore per la mancata prestazione<br />

puntuale del bene dovutogli dal debitore».<br />

Ogni bene può essere ricercato o per la sua utilità d’uso (quale,<br />

ad es., la materia prima o una macchina per un’industriale) o per il<br />

suo valore di scambio (quale la merce per il commerciante, abituato<br />

ad operare sulle differenze di prezzi). Così il danno dell’industriale<br />

non sarà limitato alla perdita od al mancato guadagno relativo<br />

al valore di scambio di quel bene, ma si estenderà alle conseguenze<br />

normali del mancato impiego di quel bene nel successivo<br />

processo di lavorazione di quell’industria. All’opposto, il danno del<br />

commerciante riguarderà principalmente le variazioni tra il prezzo<br />

pattuito delle merci e quello sopravvenuto all’inadempienza.<br />

Il bene, ancora, può essere costituito da una species (cioè infungibile)<br />

o da un genus (cioè rimpiazzabile). Ciò ha molto rilievo ai<br />

fini dell’assolvimento dell’onere di evitare l’aggravamento del danno<br />

previsto dall’art. 1227, 2° comma.<br />

In definitiva, l’impossibilità di rimpiazzare una species o, al contrario,<br />

il mancato rimpiazzo, pur possibile, di un bene fungibile o<br />

un rimpiazzo in ritardo ed il prezzo relativo avranno conseguenze<br />

diverse sulle dimensioni del danno di quell’industriale o di quel<br />

commerciante e sul relativo risarcimento. Nel caso di specie, si eccepiva<br />

che il venditore aveva alienato a terzi il bene, non ritirato<br />

dall’acquirente, ad un prezzo svilito, così da richiedere un risarcimento<br />

ritenuto imprevedibile.<br />

Il danno di cui si è parlato sopra corrisponde alle conseguenze<br />

normali, e non a quelle remote dell’inadempienza. La prevedibilità<br />

riguarda, negli esempi considerati dell’industriale o del commerciante,<br />

prima di tutto il comportamento economico del danneggiato<br />

e così l’impiego che sarebbe stato da lui fatto di quel bene e quale<br />

desumibile dalla sua destinazione di uso, dal tipo di attività professionale<br />

dell’altro contraente ed in genere dalle informazioni avute,<br />

al momento del contratto. Essa si estende altresì ai diversi avvenimenti<br />

che possano entrare in rapporto di interazione e così incidere<br />

sul danno e sulle sue dimensioni, quali, ad es., il probabile rialzo<br />

dei prezzi, a seguito di accadimenti naturali, dei quali esistono<br />

sintomi (la siccità) o sociali (tensioni internazionali), o di preferenza<br />

del pubblico e così via.


Scritti di Diritto Civile 53<br />

La prevedibilità si estenderà alle normali conseguenze dannose<br />

prossime dell’inadempienza. Si estenderà al tempo del danno e non<br />

perverrà al tempus rei iudicandae, che è del tutto imprevedibile.<br />

7. – Passiamo infine alla secolare controversia sviluppatasi intorno<br />

all’oggetto della prevedibilità: se essa riguardi l’evento o il<br />

danno, un danno astratto o, all’opposto, concreto, la causa o il<br />

«quanto di danno».<br />

Cominciamo col dire che oggetto del prevedibile non può reputarsi<br />

l’«evento», nella sua accezione naturalistica, ma il «danno».<br />

È qui decisivo il medesimo tenore letterale della norma. È stato,<br />

del resto, correttamente ritenuto in dottrina che nell’illecito è «essenziale<br />

il danno», e cioè la lesione o la messa in pericolo dell’interesse<br />

protetto, mentre l’effetto naturale è solo un «indice» o un<br />

modo di essere di tale lesione (24) , o ancora che il danno è una «conseguenza<br />

dell’evento» e non si identifica con lo stesso (25) . In questo<br />

senso, di recente, la Suprema Corte (sent. 18 luglio 1989, n. 3352),<br />

in modo penetrante, ha affermato che il «danno non è la distruzione<br />

di una cosa o la perdita di utilità o di godimento della stessa»,<br />

ma è «il pregiudizio economico» e cioè la diminuzione del patrimonio,<br />

sulla base del principio della Differenztheorie (26) .<br />

Esaminiamo ora la controversia di fondo a proposito della quale<br />

è emerso un lungo confronto di opinioni contrastanti nella dottrina<br />

e nella giurisprudenza italiana e francese. Essa concerne il<br />

problema se per oggetto della prevedibilità debba intendersi il danno<br />

in astratto o quello in concreto, la causa o la serie causale del<br />

danno o, all’opposto, il «quanto di danno».<br />

L’opinione, che ha dominato a lungo, è stata quella avanzata da<br />

Chironi, da Demolombe e da altri (27) , secondo la quale basta che<br />

(24) G. DELITALA, Il concetto di evento, in Scritti di diritto penale, Milano, 1976,<br />

pp. 121 ss. Nel senso che la prevedibilità dell’evento sia compatibile con l’imprevidibilità<br />

del danno, ad es., nell’illecito aquiliano: Cass. 28 aprile 1979, n. 2488, Foro it., Rep. 1979,<br />

voce Responsabilità civile, n. 70.<br />

(25) BELLINI, op. cit., p. 369.<br />

(26) Cass. 18 luglio 1989, n. 3352, Foro it., Mass., p. 492.<br />

(27) CHIRONI, Colpa contrattuale, Torino, 1987, pp. 581 ss.; BARASSI, Teoria generale<br />

delle obbligazioni, Milano, 1948, III, p. 1213; L. COVIELLO, L’obbligazione negativa,<br />

Napoli, 1934, II, p. 96. In giurisprudenza, tra le molte: Cass. 7 dicembre 1978,


54 Scritti di Diritto Civile<br />

l’inadempiente possa prevedere la «causa del danno» perché debba<br />

rispondere del pregiudizio verificatosi. In epoca più recente, una<br />

sua variante è stata proposta da Bellini, in un ampio e pregevole<br />

studio (28) , secondo il quale basta che l’inadempiente possa prevedere<br />

la «serie causale» perché debba rispondere per intero del danno,<br />

in quanto avvenimento all’interno della serie.<br />

Agli antipodi si colloca la contraria opinione sostenuta da Giorgi,<br />

da Messineo, da Bianca e da altri (29) , secondo la quale, invece,<br />

la prevedibilità riguarda anche il «quanto di danno» e si risponde<br />

nel limite in cui lo stesso era prevedibile.<br />

Quest’ultimo partito è stato ora accolto dalla decisione in esame.<br />

Esso appare preferibile all’autore di queste righe per le considerazioni<br />

che vengono qui enunciate.<br />

È opportuno prendere le mosse dall’esame del comune fondamento<br />

delle opinioni che riducono la prevedibilità alla causa o alla<br />

serie causale di un danno, privo di una dimensione quantitativa. È<br />

chiaro che si è al cospetto di un’interpretazione restrittiva dell’art.<br />

1225, intesa a rendere compatibile la prevedibilità con il principio<br />

dell’integrale risarcimento del danno, rispetto al quale costituirebbe<br />

un’eccezione.<br />

Questa opinione sostanzialmente si risolve nel disapplicare l’art.<br />

1225 a favore del dogma dell’integrale risarcimento del danno. A<br />

questo riguardo conviene qui ricordare il rilievo dato da Chironi al<br />

mancato accoglimento di un testo favorevole alla moderazione, da<br />

parte del legislatore più antico, per dedurne la conseguenza che il<br />

n. 5811, Foro it., Rep. 1978, voce Danni civili, n. 28; 21 ottobre 1969, n. 3438, id.,<br />

Rep. 1969, voce Danni per inadempimento di contratto, n. 5; 14 settembre 1963, n.<br />

2510, id., 1963, I, p. 2099.<br />

(28) BELLINI, op. cit., pp. 362 ss.; PERLINGIERI, Commento al codice civile, Torino,<br />

1980, IV, pp. 64 ss.; DELL’UTRI, cit., in giurisprudenza: Cass. 23 maggio 1972, n.<br />

1600, Foro it., Rep. 1972, voce Danni civili, n. 47.<br />

(29) GIORGI, Teoria delle obbligazioni, Firenze, 1903, II, pp. 187 ss.; MESSINEO,<br />

Manuale di diritto civile commerciale, Milano, 1954, III, § 115, pp. 338 ss.; BIANCA, op.<br />

cit., pp. 318 ss.; tra gli altri, nella dottrina francese: AUBRY RAU, Cours de droit civil<br />

français, Paris, 1871, IV, p. 105; PLANIOL-RIPERT, Traité elem., Paris, 1949, pp. 492<br />

ss.; H. e L. MAZEAUD, Traité théorique et pratique de la responsabilité civile, Paris,<br />

1950, III, pp. 492 ss.<br />

In giurisprudenza, Cass. 28 aprile 1979, n. 2488, cit.; App. Bologna 30 marzo 1950,<br />

Foro it., Rep. 1950, voce Responsabilità civile, n. 216; Cass. 17 maggio 1939, n. 1678,<br />

id., 1939, I, p. 1449.


Scritti di Diritto Civile 55<br />

danno va liquidato per intero. In modo ancora più esplicito, da parte<br />

sua, Bellini ribadiva «l’esigenza di limitare al massimo il carattere<br />

di eccezionalità della norma contenuta dall’art. 1225», rispetto<br />

«al principio generale del diritto (art. 1218, 2043 c.c., art. 40, 185<br />

c.p.), che colui che causa un danno deve procurare l’integrale risarcimento»,<br />

indipendentemente da qualsiasi considerazione dell’elemento<br />

psicologico del dolo o della colpa (30) . Su queste basi si è<br />

escluso che la prevedibilità possa estendersi al quanto di danno.<br />

In codeste proposizioni non pare si possa convenire perché –<br />

come si è detto – il dogma dell’integrale risarcimento non ha basi<br />

positive ed anzi collide col sistema accolto dal nostro legislatore, secondo<br />

cui il danno va risarcito entro certi limiti e non in via integrale<br />

(artt. 1223, 1227, 2° comma, 2056, 2° comma). Ciò anche<br />

nella colpa aquiliana o contrattuale dolosa.<br />

L’art. 1225 d’altra parte può, in questo senso, intendersi solo<br />

come eccezione che conferma la regola e ha carattere distintivo del<br />

danno contrattuale, rispetto a quello extracontrattuale.<br />

Si deve inoltre aggiungere che non è neppure, in teoria, ipotizzabile<br />

l’esistenza di un danno astratto, privo di dimensioni quantitative.<br />

Il danno – lo si è detto – è una lesione di interesse, cioè un avvenimento<br />

economico e come tale ha una dimensione quantitativa.<br />

Il danno, in altri termini, è per definizione concreto e la Differenztheorie<br />

postula di necessità un «quanto di danno». In questo<br />

senso è del resto l’orientamento pacifico della giurisprudenza, secondo<br />

la quale non può considerarsi esistente un danno, in sé e per<br />

sé, anche se avesse formato oggetto di condanna generica al risarcimento<br />

del danno. È comunemente ritenuto, infatti, che l’accertamento<br />

dell’effettiva esistenza del danno in sé non è scindibile da<br />

quella della sua misura e che la condanna generica non equivale<br />

neppure ad accertamento dell’esistenza di un danno, in una misura<br />

qualsiasi (31) . In ultima analisi, non è ipotizzabile la prevedibilità<br />

di un danno astratto e non concreto, di un danno in sé avulso dal<br />

«quanto di danno».<br />

(30) BELLINI, op. cit., pp. 372, 377 ss.<br />

(31) Cass. 23 gennaio 1987, n. 645, Foro it., Rep. 1987, voce Sentenza civile, n. 64;<br />

26 aprile 1977, n. 1556 e 5 maggio 1977, n. 1702, id., Rep. 1977, voce cit., nn. 66, 64.<br />

Nel senso della infrazionabilità legale del danno, Cass. 20 marzo 1972, n. 839, id.,<br />

1972, I, p. 2878.


56 Scritti di Diritto Civile<br />

L’argomento che l’art. 1225 discorre in genere di «danno» e non<br />

anche di un «quanto di danno» appare privo di rilievo. Non sembra<br />

accettabile, in alcuna guisa, la tesi che limita la prevedibilità alla<br />

causa del danno. Non è infatti seriamente discutibile che l’individuazione<br />

di una causa postula quella del «quanto di danno», come<br />

è dimostrato dal fatto che la causalità nel giudizio sull’an debeatur<br />

viene degradata a livello di mera idoneità causale (32) . A questa sostanzialmente<br />

si riducono, del resto, le serie causali di un danno privo<br />

di dimensione quantitativa.<br />

Al riguardo, va ribadito che la causa del danno è costituita dall’inadempienza<br />

medesima e va tenuta distinta da quei fattori interagenti<br />

di cui si discorse all’inizio e che sono le concause della dimensione<br />

del danno.<br />

È comunemente affermato dalla giurisprudenza che «l’esistenza<br />

di una causa concorrente nella produzione dell’evento dannoso, per<br />

definizione, è problema attinente al quantum e, in quanto tale, è irrilevante<br />

nel giudizio sull’an debeatur, perché influisce esclusivamente<br />

sulla misura del risarcimento» (33) .<br />

Deve ancora dirsi che la teorica delle «serie causali» non è accettabile<br />

in quanto essa postula la risarcibilità delle conseguenze<br />

remote, in contrasto con il criterio della normalità che è alla base<br />

di quello di causalità. Le «serie causali», addotte esemplificativamente<br />

dal loro sostenitore, sono catene di conseguenze remote<br />

e mediate (34) .<br />

8. – Sulla base di quanto siamo andati dicendo, a proposito dell’inscindibilità<br />

del danno dal suo quanto, si concluderà che la prevedibilità<br />

di cui all’art. 1225 si estende alla dimensione quantitativa del<br />

danno medesimo.<br />

La circostanza che la possibilità di prevedere le conseguenze normali<br />

dell’inadempienza sia riferita al momento della formazione del<br />

contratto equivale alla sua riconducibilità al rischio normale dello<br />

stesso. La prevedibilità delle conseguenze normali dell’inadem-<br />

(32) Cass. 29 aprile 1983, n. 2965, Foro it., Rep. 1983, voce Sentenza civile, n. 72;<br />

Cass. 1556/77, cit.<br />

(33) Cass. 6 gennaio 1983, n. 75, Foro it., Rep. 1983, voce Sentenza civile, n. 75.<br />

(34) Lo riconosce BELLINI, op. cit., p. 379, 380; v. altresì Cass. 19 luglio 1982, n.<br />

4236, Foro it., Rep. 1982, voce Previdenza sociale, n. 121.


Scritti di Diritto Civile 57<br />

pienza costituisce un’espressione del rischio normale, che il contraente<br />

assume a proprio carico, per l’ipotesi di propria inadempienza.<br />

Resta da ultimo a trattarsi dell’obiezione che non può prevedersi<br />

con precisione il «quanto di danno» (35) .<br />

Questo rilievo è superabile se si pensa che la prevedibilità riguarda<br />

una «banda di valori quantitativi» e non un importo preciso.<br />

In questo senso era orientato, del resto, il principale propugnatore<br />

del requisito della prevedibilità, il Pothier, che rivendicava il<br />

principio «in forza del quale non si può ritenere obbligato un debitore<br />

non in dolo al risarcimento dei danni da inadempienza, al di<br />

sopra della somma più alta cui ha potuto pensare, che fossero per<br />

ascendere», onde trattasi di un principio fondato sulla ragione e sull’equità<br />

naturale (36) .<br />

In altri termini, la portata del precetto di cui all’art. 1225 non si<br />

traduce nella proposizione che è risarcibile il «quanto di danno»<br />

prevedibile nel suo preciso ammontare, ma piuttosto il rovescio e<br />

cioè che non è risarcibile il «quanto di danno» imprevedibile al momento<br />

della formazione del contratto. A suo tempo è stato già sottolineato<br />

che trattasi di un giudizio di prognosi postuma in cui il<br />

giudice valuta le conseguenze normali dell’inadempienza, idealmente<br />

trasferendosi al momento del contratto.<br />

Questo giudizio è di tipo eminentemente empirico e si basa sulle<br />

massime di esperienza di chi si trova a giudicare a posteriori. Il<br />

miglior sintomo dell’imprevedibilità del «quanto di danno» è costituito<br />

dal carattere «sorprendente» della dimensione quantitativa<br />

del danno per chi trovasi a giudicare. Così, ad es., nel caso di<br />

una mancata fornitura di materia prima all’industriale, di cui si è<br />

discorso, il danno da risoluzione contrattuale non terrà conto di<br />

un arresto produttivo, durato più a lungo del prevedibile. Parimenti,<br />

quello da inadempienza di un acquirente di titoli o merci<br />

non potrà comprendere il maggior danno per un imprevedibile<br />

crollo dei prezzi. In ultima analisi, la prevedibilità riguarderà l’altrui<br />

comportamento, gli avvenimenti incidenti e tra essi il normale<br />

corso dei prezzi, per cui non potrà ritenersi prevedibile una loro<br />

impennata o caduta eccezionale per dimensione e/o durata, il cor-<br />

(35) Tra le altre, Cass. 14 settembre 1963, n. 2510, Foro it., 1963, I, p. 2099.<br />

(36) POITHIER, Traité des obligations, Paris, 1805, I, p. 88, 107.


58 Scritti di Diritto Civile<br />

so dei tassi di interessi e dell’inflazione, a proposito delle c.d. vampate<br />

inflazionistiche, e via dicendo.<br />

Il requisito della prevedibilità postula una soluzione compatibile<br />

del problema della determinazione del tempo di riferimento nella<br />

stima del danno. Questo tempo di riferimento è rappresentato da<br />

quello del verificarsi del danno, mentre quello posteriore, per il ritardo<br />

con cui l’indennizzo viene prestato, è risarcibile in termini di<br />

interessi moratori. L’adozione di altri criteri, quali quelli del tempus<br />

rei iudicandae, o la teorica del credito di valore, costituiscono<br />

la negazione del requisito della prevedibilità – come già scrissi altrove<br />

– a causa del loro automatismo (37) .<br />

È possibile d’altronde che il requisito di cui all’art. 1225 conduca<br />

ad abusi ed a risultati non consoni ad equità. Il giudice<br />

porrà qui la maggior attenzione a verificare che la mora, che matura<br />

di giorno in giorno, non si sia nel frattempo trasformata da<br />

colposa in dolosa.<br />

Infine la prevedibilità, costituendo un presupposto o una condizione<br />

del danno risarcibile, darà luogo ad una contestazione e non<br />

ad un’eccezione, in senso proprio, da chi è chiamato a risarcire.<br />

L’onere della prova della prevedibilità, in caso di contestazione,<br />

incomberà sul creditore del risarcimento (38) . Questo onere,<br />

peraltro, non è destinato ad assumere un rilievo rigoroso, perché<br />

le prove saranno costituite, per lo più, da circostanze notorie e<br />

presunzioni semplici basate su regole d’esperienza comune. Il<br />

giudice tuttavia – e ciò che conta – dovrà motivare adeguatamente<br />

in ordine all’esistenza della prevedibilità, perché questo<br />

costituisce – come detto in questa decisione – un importante limite<br />

al risarcimento del danno.<br />

Lo scritto è richiamato da:<br />

U. BRECCIA, Le obbligazioni, Milano, 1991, pp. 647, 658, 661.<br />

(37) VALCAVI, Il tempo di riferimento, cit.; Id., Indennizzo e lucro nel risarcimento<br />

del danno, cit.<br />

(38) BIANCA, op. cit., p. 386; PERLINGIERI, op. loc. cit.; Cass. 15 dicembre 1984,<br />

n. 4480, Foro it., Rep. 1954, voce Danni per inadempimento di contratto, n. 40.


Sulla evitabilità del maggior danno<br />

ex Art. 1227, 2° comma, c.c.<br />

e rimpiazzo della prestazione non adempiuta<br />

1. – Il problema è di sapere se il creditore sia tenuto ad evitare l’aggravamento<br />

del danno, anche ricorrendo (ove possa) ad una sostituzione<br />

aliunde del bene non prestato, come quando trovasi di fronte<br />

ad una prospettiva di rialzo dei prezzi, così da contenere il pregiudizio<br />

risarcibile, ovverossia se egli possa rifugiarsi in una inerte<br />

attesa della prestazione personale del debitore, chiamandolo comunque<br />

ad indennizzarla.<br />

Cass., sez. III, n. 2437/67 e, sulla sua scia, numerose corti di merito<br />

(1) hanno, a mio sommesso avviso, correttamente risposto che<br />

«se, tenuto conto delle circostanze di fatto, il procurarsi altrimenti<br />

il bene od il servizio non adempiuto dal debitore, costituisce un<br />

provvedimento richiesto dall’ordinaria diligenza, per evitare o contenere<br />

il danno, la parte che abbia trascurato di prendere tale provvedimento,<br />

non può sfuggire alle conseguenze previste dall’art.<br />

1227, 2° comma, c.c.».<br />

Da «Il Foro italiano», 1984, I, p. 2820 e ss. e da «L’Espressione monetaria nella responsabilità<br />

civile», Cedam 1994.<br />

Lo scritto annota la seguente massima:<br />

CORTE DI CASSAZIONE, sez. II, 6.8.1983, n. 5274, Pres. Palazzolo, Est. Anglani, P.M.<br />

La Valva (Concl. conf.); Soc.G.S.I. c/ Terminos: «Non può essere considerato colposo, o<br />

comunque non diligente, il comportamento del compratore che ometta di acquistare da<br />

altri la merce, anche se facilmente reperibile sul mercato, che il venditore era obbligato a<br />

consegnargli in forza del contratto».<br />

(1) Cass. 12 ottobre 1967, n. 2437, Foro it., 1968, I, 138; App. Bari 2 marzo 1979;<br />

App. Milano 11 novembre 1977; App. Napoli 30 settembre 1977.


60 Scritti di Diritto Civile<br />

La sezione II, con questa ed altre pronunzie (2) , compie invece un<br />

revirement, tornando ad un suo antico convincimento (3) , senza peraltro<br />

un adeguato ripensamento critico; e così, sull’asserto apodittico<br />

«essere costante opinione della dottrina e della giurisprudenza»,<br />

afferma «che il creditore ed il danneggiato sono tenuti a mente<br />

dell’art. 1227, 2° comma, c.c. soltanto ad un comportamento corretto<br />

rivolto a circoscrivere il pregiudizio subito e ad impedirne l’eventuale<br />

espansione, ma non anche al compimento di attività gravose<br />

e straordinarie come l’acquisto aliunde delle cose o l’intrapresa<br />

di iniziative tali da comportare sacrifici, con esborsi apprezzabili<br />

di denaro o assunzione di rischi di qualsiasi natura».<br />

È opportuno dire che il dovere del creditore di contenere il pregiudizio<br />

viene inteso diffusamente negli altri paesi a noi vicini (4) nel<br />

senso che egli sia tenuto a prendere anche iniziative operose e che<br />

un tale modo di vedere è stato anzi fatto proprio testualmente di recente<br />

dal nostro legislatore, in materia di risoluzione di compravendite<br />

internazionali, recependo l’art. 84 della convenzione dell’Aja<br />

1° luglio 1964 (5) e l’art. 77 della convenzione di Vienna 11<br />

aprile 1980 (6) . L’orientamento espresso dalla decisione qui annota-<br />

(2) Cass. 15 luglio 1982, n. 4174, Foro it., Rep. 1982, voce Danni civili, n. 53; 26 gennaio<br />

1981, n. 578, ibid., n. 56.<br />

(3) Cass. 21 ottobre 1966, n. 2403, Foro it., Rep. 1966, voce Danni per inadempimento<br />

di contratto, n. 48; 19 febbraio 1965, n. 275, id., Rep. 1965, voce cit., n. 61; 30<br />

dicembre 1964, n. 2984, id., Rep. 1964, voce cit., n. 8; 17 luglio 1963, n. 1597, id., Rep.<br />

1963, voce cit., n. 55; 15 marzo 1961, n. 582, id., Rep. 1961, voce cit., n. 33; 17 marzo<br />

1960, n. 541, id., Rep. 1960, voce Vendita, n. 212.<br />

(4) Nel diritto tedesco, il dovere di mitigare il danno mediante la cooperazione del creditore,<br />

è sancito dal § 254, 2° comma, BGB; per la dottrina germanica fra tutti v. EN-<br />

NECCERUS KIPP u. WOLFF, Lehrbuch des Burgerlichen Rechts, II, Tubingen, 1954, pp.<br />

71 ss.; nel diritto svizzero, v. l’art. 44 del cod. delle obbligazioni e per la dottrina THUR,<br />

Partie générale du code federal des obligations, Losanna, 1934, p. 90. Ciò è di comune<br />

applicazione nel diritto francese; v. MAZEAUD e TUNC, Traité théorique et pratique de<br />

la responsabilité civile, II, Paris, 1958, p. 434 e bibliografia citata; nel diritto spagnolo<br />

concordano dottrina e giurisprudenza (v. SANTOZ BRIZ, Derecho de daños, Madrid,<br />

1963, p. 66); per il diritto anglosassone è un principio basilare quello del dovere del creditore<br />

di mitigare il danno; v. CRISCUOLI, Il dovere di mitigare il danno subito (The duty<br />

of mitigation: a comparative approach), in Riv. dir. civ., 1972, I, pp. 553 ss., ove citazioni<br />

circa la giurisprudenza e la dottrina anglosassone (note 1, 2, 5 e 6).<br />

(5) Per l’art. 88 della convenzione dell’Aia 1° luglio 1964 ratificata con l. 21 giugno<br />

1971, n. 816, il creditore deve prendere tutte le misure ragionevoli per diminuire la perdita,<br />

mentre gli artt. 84 e 85 prevedono il rimpiazzo.<br />

(6) Sull’art. 77 della convenzione di Vienna 11 aprile 1980, sull’onere del rimpiazzo,


Scritti di Diritto Civile 61<br />

ta appare perciò anacronistico, dopo oltre un quarantennio da<br />

quando il legislatore motivò l’introduzione della norma in questione<br />

con una mutata concezione della responsabilità, ispirata ad esigenze<br />

«di solidarietà sociale» (7) preminenti rispetto ad una concezione<br />

individualistica che dichiarava superata.<br />

2. – È da osservarsi che il dovere di cooperazione ex art. 1227, 2°<br />

comma c.c., riguarda genericamente ogni prestazione inadempiuta<br />

di cui sia possibile il rimpiazzo. Si è soliti ridurre il problema a quello<br />

dell’onere o meno per il compratore di rimpiazzare la merce non<br />

fornitagli dal venditore: un risvolto dello stesso problema concerne<br />

se il venditore sia tenuto o meno a realizzare la merce non ritirata<br />

dal compratore. Analogo è il caso del creditore di somme di denaro<br />

di cui aveva programmato l’investimento e che non gli vennero consegnate<br />

o restituite dal suo debitore, se cioè debba o meno rimpiazzare<br />

quel denaro con altro in sua disponibilità o mutuato da terzi,<br />

limitando così l’indennizzo all’onere dei maggiori interessi bancari<br />

od invece debba chiamare il proprio debitore a rivalerlo delle ben<br />

più gravose conseguenze del mancato affare.<br />

Il problema di fondo, posto dalla norma, è perciò se sia un comportamento<br />

ispirato ad ordinaria diligenza quello del compratore<br />

che di fronte, puta caso, ad una prevedibile lievitazione di prezzi di<br />

una certa durata, si ostini ad aspettare oltre ogni tempo ragionevole<br />

la personale consegna delle merci acquistate dal proprio venditore;<br />

o del venditore che di fronte alla inadempienza del compratore,<br />

lasci ribassare i prezzi o addirittura deperire le merci, invece di realizzarli<br />

convenientemente. Per stare al caso del creditore insoddisfatto<br />

di somme di denaro, ci si chiede se sia comportamento<br />

conforme all’ordinaria diligenza che egli lasci cadere l’affare programmato,<br />

con tutte le conseguenze, invece che rimpiazzare quel<br />

denaro sia pure rivalendosi dei maggiori costi.<br />

La risposta di questo nuovo ed antico corso giurisprudenziale<br />

della sezione II della Suprema Corte, è che deve ritenersi conforme<br />

alla ordinaria diligenza il comportamento di quel creditore che si<br />

con ampi riscontri nel diritto straniero. v. F. BONELLI, La responsabilità per danni, in<br />

La vendita internazionale, Milano, 1981, pp. 262 ss.<br />

(7) Relazione del Guardasigilli al libro delle obbligazioni, pp. 30-34.


62 Scritti di Diritto Civile<br />

ostini, oltre ogni tempo, ad attendere la prestazione personale dal<br />

proprio debitore ed a chiamarlo quindi a rifondergli il maggior danno<br />

che deriva anche da codesta sua attesa.<br />

La decisione annotata e le altre dallo stesso cliché asseriscono che<br />

la norma in esame fa solo carico al creditore di operare in modo da<br />

«contenere il suo pregiudizio patrimoniale entro le naturali conseguenze<br />

del fatto altrui» (Cass. 570/80). L’espressione è così generica<br />

ed imprecisa da non consentire di ricavare alcuna indicazione<br />

positiva, a riguardo del contenuto interpretativo. Essa, da un lato,<br />

sembra comprendere qualsiasi sorta di attività omissiva o commissiva<br />

del creditore utile allo scopo di contenere il pregiudizio patrimoniale,<br />

e perciò anche di iniziativa. E tuttavia subito dopo, limitando<br />

l’ambito del contenimento del pregiudizio «alle naturali conseguenze<br />

del fatto altrui», e con l’escludere che si possa fare carico<br />

al creditore di iniziative qualsivoglia che comportino qualsiasi<br />

esborso di denaro o rischio di sorta, individua nel non fare nulla e<br />

nel lasciare lievitare all’in su i prezzi e con essi il danno risarcibile,<br />

il comportamento ragionevole voluto dalla norma.<br />

Non sembra che si possa concordare con una interpretazione<br />

siffatta.<br />

3. – La motivazione di codesta opinione è che il creditore, pur con<br />

riguardo a cose facilmente reperibili sul mercato e perciò rimpiazzabili<br />

(8) , non è tenuto al rimpiazzo perché questo in sé rappresenta<br />

un’attività gravosa, in quanto comporta esborsi di denaro o assunzione<br />

di rischi di sorta. Non si riesce a comprendere come e perché<br />

possa essere ritenuta attività gravosa quella del ricorrere all’acquisto<br />

di rimpiazzo di merci facilmente reperibili sul mercato, o non sia<br />

invece più gravoso il persistere in un’attesa che rischia di essere<br />

vana o di giungere quando non è più conforme ai mutati interessi<br />

del creditore. D’altro canto, il ricorrere al rimpiazzo non è in sé e<br />

per sé attività gravosa: può esserlo nell’ipotesi limite di beni di difficile<br />

reperibilità sul mercato, non lo è mai nei casi esaminati di<br />

(8) Cass. 2403/66, cit., supra, nota 3; in dottrina, sull’art. 1227, v. CIAN-TRABUC-<br />

CHI, Commentario breve al codice civile, Padova, 1984, pp. 823 ss.; BIANCA, Inadempimento<br />

delle obbligazioni, 2, in Commentario, a cura di SCIALOJA e BRANCA, Bologna-<br />

Roma, 1979, sub art. 1227; DE CUPIS, Fatti illeciti, 2, in Commentario, cit., 1971, sub<br />

art. 2056; CRISCUOLI, op. cit., p. 572 e ivi bibliografia citata.


Scritti di Diritto Civile 63<br />

merci facilmente reperibili. Tutto dipende dalle circostanze concrete<br />

su cui deve essere espresso il giudizio. La decisione qualifica come<br />

gravoso l’acquisto di rimpiazzo perché esso comporta un esborso di<br />

denaro. Certamente ciò sarà il caso di un compratore che ha già anticipato<br />

il prezzo al venditore inadempiente e non abbia altro denaro<br />

suo o a credito, con cui compiere l’acquisto sostitutivo. Ma, al<br />

di fuori di codesta ipotesi limite, non può accettarsi un’equiparazione<br />

tra onerosità in sé del rimpiazzo, così da escluderlo, ed occorrenza<br />

di esborso di denaro. Tale non è il caso dell’acquirente che sia<br />

provvisto di denaro proprio o di credito; e neppure quello di sopravvenuto<br />

ribasso dei prezzi. È ipotizzabile il caso che il compratore<br />

non abbia ancora pagato il prezzo della merce e lo debba versare<br />

alla consegna. L’acquisto di rimpiazzo qui si risolve nel destinare<br />

il prezzo che sarebbe dovuto al venditore inadempiente, a<br />

quello da cui si effettua la prestazione sostitutiva. Dipenderà perciò<br />

dalle circostanze concrete se l’acquisto di rimpiazzo possa configurare<br />

un comportamento di ordinaria diligenza o meno. Ciò si traduce<br />

in una valutazione del caso concreto alla luce del precetto<br />

astratto dell’art. 1227, 2° comma, che perciò si ritiene comprendere<br />

qualsiasi iniziativa operosa e non di mera attesa, utile allo scopo<br />

di evitare l’aggravamento del danno. Quel che si enuncia a proposito<br />

dell’acquisto di rimpiazzo può ripetersi per la vendita per conto<br />

del compratore inadempiente da parte del venditore e, più in genere,<br />

per il rimpiazzo di denaro non prestato o restituito dal debitore<br />

con altro di cui si può disporre anche a credito, e perciò con costi<br />

finanziari di mercato. In sostanza, per quanto altrove ebbi occasione<br />

di scrivere (9) , la norma ipotizza un tipo di creditore «che sia<br />

provvido del proprio e riguardoso dell’altrui e perciò di normale diligenza<br />

nei propri affari». La nostra giurisprudenza peraltro, ove il<br />

creditore di fatto abbia effettuato il rimpiazzo del bene o del denaro,<br />

o abbia monetizzato le merci non ritirate o pagate dal compratore,<br />

ammette che il creditore possa rivalersi delle differenze, in fatto<br />

di maggior prezzo pagato, di maggiori interessi corrisposti, ecc.<br />

In tal caso non si ipotizza che egli possa pretendere di più. La giurisprudenza<br />

corrente non si avvede così di finire con il premiare il<br />

(9) VALCAVI, Rivalutazione monetaria od interessi di mercato?, (nota a Cass. 4 luglio<br />

1979, n. 3776), in Foro it., 1980, I, p. 120.


64 Scritti di Diritto Civile<br />

creditore indolente che abbia persistito in una inerte attesa, rispetto<br />

a quello solerte e provvido dei propri interessi; ed è una conclusione<br />

che fa violenza alla logica ed alla volontà del legislatore<br />

espressa all’art. 1227, 2° comma, c.c., per esigenze di superiore solidarietà<br />

sociale.<br />

4. – L’opinione contraria a porre a carico del creditore una qualsivoglia<br />

iniziativa atta a ridurre il danno, come il rimpiazzo, ai sensi<br />

dell’art. 1227, 2° comma, non può sostenersi neppure con l’argomento<br />

secondo cui il nostro codice contempla il rimpiazzo solo<br />

come un diritto del creditore (v. artt. 1515 e 1516 c.c.) onde non<br />

sarebbe ipotizzabile un dovere di esercitare un diritto (10) . È stato<br />

correttamente osservato (11) che il dovere ex art. 1227, 2° comma,<br />

non è un dovere in senso tecnico, ma un onere. Il creditore è cioè<br />

libero di ricorrere o no, alla compravendita sostitutiva, ove pur vi<br />

sia coincidenza di ambito normativo, ma non può pretendere di vedersi<br />

risarcito l’aggravamento del danno che avrebbe potuto evitare<br />

con il rimpiazzo, non effettuato. Gli artt. 1515 e 1516 offrono<br />

invece, a parere di chi scrive, un rilevante argomento sistematico a<br />

favore della tesi che ricomprende l’onere del rimpiazzo nel dovere<br />

di cooperazione del creditore ai sensi dell’art. 1227, 2° comma. Le<br />

norme sopra citate lasciano libero il creditore di ricorrere o meno<br />

alla compravendita coattiva o di rimpiazzo, ma prescrivono che, se<br />

vi ricorre, lo deve fare «senza ritardo», sotto pena di non poter opporne<br />

le conseguenze al debitore (12) . La prescrizione normativa<br />

«senza ritardo» riafferma cioè il principio della sollecitudine operosa<br />

del creditore nell’evitare l’aggravamento del danno che è sancita<br />

dall’art. 1227, 2° comma, come un principio sistematico del<br />

nostro ordinamento.<br />

Non si vede perciò, in tesi di principio, come il dovere alla coo-<br />

(10) DISTASO, in Giur. Cass. civ., 1948, pp. 390 ss.; GRECO e COTTINO, Vendita,<br />

in Commentario, a cura di SCIALOJA e BRANCA, Bologna-Roma, 1980, sub artt. 1515-<br />

1516; MIRABELLI, Dei singoli contratti, in Commentario Utet, Torino, 1968, IV, pp. 158<br />

ss.; RUBINO, La compravendita, Milano, 1962, pp. 963 ss.<br />

(11) CRISCUOLI, op. cit., pp. 582 ss.; BONELLI, op. cit., p. 263.<br />

(12) La ragione del precetto «senza ritardo» è stata individuata nella esigenza di evitare<br />

il lucro del creditore. Sul punto v. VIVANTE, Trattato di diritto commerciale, Milano,<br />

1926, pp. 192 ss.; RUBINO, op. cit., p. 709.


Scritti di Diritto Civile 65<br />

perazione ai sensi dell’art. 1227, 2° comma, possa ridursi ad un<br />

mero comportamento passivo e non invece anche operoso e non<br />

debba potersi manifestare anche con l’onere del rimpiazzo. La valutazione<br />

in concreto se era doveroso un tale rimpiazzo è riservato<br />

al giudizio di prognosi, retrospettiva del giudice. È opportuno aggiungere<br />

che l’art. 1227, 2° comma, fa carico al creditore di un<br />

comportamento idoneo a non aggravare il danno, non anche a ridurlo<br />

(13) . È parimenti una valutazione riservata al giudice, nel<br />

quadro delle circostanze concrete, quando avrebbe dovuto essere<br />

presa una tale iniziativa per non aggravare il danno, nell’ambito di<br />

quella indicazione di maggiore sollecitudine espressa da quel «senza<br />

ritardo».<br />

5. – La svalutazione del dovere di cooperazione del creditore ex art.<br />

1227, 2° comma, così che questi è esonerato dall’onere di prendere<br />

iniziative che evitino l’aggravamento del danno ed è chiamato in<br />

buona sostanza a non far nulla, fa parte, a mio sommesso avviso, di<br />

un discorso più largo.<br />

Il nostro ordinamento, a differenza di altri (14) , è stato già rilevato<br />

(15) , si ispira a criteri di moderazione verso il debitore nel risarcimento<br />

del danno (16) . Sono norme chiave a riguardo quelle che dispongono<br />

la liquidazione equitativa e non integrale del lucro cessante<br />

(artt. 2056, 2° comma, e 1226 c.c.) (17) , la facoltà riservata al<br />

giudice di imporre il risarcimento per equivalente laddove la reintegrazione<br />

specifica risulti eccessivamente onerosa (art. 2058, 2°<br />

comma, c.c.), la non risarcibilità dell’aggravamento evitabile del<br />

danno (art. 1227, 2° comma) ed infine l’art. 1225 c.c. che limita il<br />

(13) In questo senso è la formula dell’art. 1227, 2° comma, c.c., anche sulla base dell’art.<br />

23 del progetto preliminare.<br />

(14) Per il codice svizzero delle obbligazioni il debitore «di regola è responsabile di<br />

ogni colpa» (art. 99) ed «è tenuto all’integrale risarcimento del danno» (art. 97). Sul punto<br />

v. THUR, op. cit., pp. 540 ss. Nello stesso senso è il codice germanico, che non adotta<br />

il limite del prevedibile per la inadempienza colposa.<br />

(15) CRISCUOLI, op. cit., pp. 580 ss.<br />

(16) Il nostro attuale codice ricorre al criterio equitativo ex artt. 2056, 2° comma, c.c.,<br />

1226 c.c., onde devesi pervenire a conclusioni opposte a quelle tradizionali, che si basavano<br />

sul fatto che era stato respinto l’art. 47 del progetto del codice napoleonico che prescriveva<br />

moderazione nei confronti del debitore in relazione all’insegnamento del Pothier.<br />

(17) BIANCA, op. cit., pp. 387 ss.


66 Scritti di Diritto Civile<br />

risarcimento a quel che poteva prevedersi al momento del contratto,<br />

in tutti i casi, di inadempienza, colposa contrattuale, che poi è<br />

la regola generalissima della casistica, dovendosi provare il dolo (18) .<br />

Codesto orientamento di fondo del nostro sistema non mi pare colto<br />

da quella giurisprudenza e da quella dottrina (19) che continua invece<br />

ad affermare che esso persegue l’integrale reintegrazione patrimoniaIe<br />

del danneggiato. E così alla luce di codesto orientamento,<br />

ispirato al favor creditoris, la tendenza è quella di liquidare in<br />

via integrale e non equitativa il lucro cessante (20) , non diversamente<br />

dal danno emergente, e di relegare l’art. 2058, 2° comma, c.c. all’ipotesi<br />

limite in cui la reintegrazione specifica avverrebbe maxima<br />

cum difficultate (21) ; la inadempienza contrattuale è generalmente<br />

trattata come dolosa, come se il dolo fosse presunto e dovesse dimostrarsi<br />

la colpa, onde raramente si pone il problema in ordine al<br />

limite del prevedibile. E laddove codesto problema è pur proposto,<br />

l’art. 1225 viene svalutato con il ridurre la prevedibilità al verificarsi<br />

dei fattori di danno e così alla variabilità astratta dei pezzi (22)<br />

e non all’ambito quantitativo, per approssimazione, della loro variazione<br />

(23) , e perciò dei danni in concreto prevedibili al momento<br />

del contratto. In tale modo i danni risultano sempre prevedibili nella<br />

loro interezza; e la parte di danno non prevedibile finisce per ridursi<br />

ad un’ipotesi di rara applicazione.<br />

In tale quadro va collocata la interpretazione, qui criticata, dal-<br />

(18) TRABUCCHI, Istituzioni di diritto civile, Padova, 1980, pp. 220, 569; MESSI-<br />

NEO, Manuale di diritto civile e commerciale, III, pp. 1, 2; MAJORCA, Colpa civile, voce<br />

dell’Enciclopedia del diritto, VII, pp. 565 ss. e bibliografia citata.<br />

(19) Nel senso dell’integrale reintegrazione del patrimonio del danneggiato Cass. 12<br />

gennaio 1982, n. 132. Foro it., Rep. 1982, voce Danni civili, n. 152; 6 febbraio 1982, n.<br />

693, ibid., n. 151; 25 ottobre 1982, n. 5580, ibid., n. 149, tra le molte. Con tale argomento<br />

si giustifica la rivalutazione nei crediti di valore e nelle obbligazioni pecuniarie.<br />

(20) Cass. 4 settembre 1982, n. 4816, Foro it., Rep. 1982, voce Danni civili, n. 51;<br />

App. Milano 7 luglio 1981, ibid., n. 81.<br />

(21) Nel senso che l’onerosità per il debitore sia anche sproporzione in eccesso rispetto<br />

all’interesse del creditore, v. DE CUPIS, in Commentario, a cura di SCIALOJA e BRAN-<br />

CA, Bologna-Roma, 1971, sub art. 2058, p. 145.<br />

(22) App. Bologna 30 marzo 1950, Foro pad., 1950, II, p. 57; App. Milano 6 febbraio<br />

1951; App. Bologna 14 novembre 1953 tra le molte; per lo stato della questione e la bibliografia.<br />

v. BELLINI, L’oggetto della prevedibilità del danno ai fini dell’art. 1225 c.c.,<br />

in Riv. dir. comm., 1954, II, pp. 302 ss.<br />

(23) Così invece, GIORGI, Teoria delle obbligazioni, Firenze, 1903, pp. 185 ss.


Scritti di Diritto Civile 67<br />

l’art. 1227, 2° comma, di cui si è detto. Codesto orientamento mostra<br />

di non essersi liberato dei residui di una certa mentalità che penalizza<br />

il debitore in mora (24) e premia il creditore, cui non di rado<br />

si indulge, al punto da preoccuparsi di consentirgli il lucro. Un tale<br />

modo di intendere il problema dell’indennizzo affonda le radici in<br />

epoca lontana che risulta particolarmente evidente nelle teorie vecchie<br />

e nuove del quanti plurimi (25) .<br />

Ciò torna attuale nel persistere ancora oggi dell’orientamento a<br />

stimare il danno con riguardo al tempus rei iudicandae, dov’è trasparente<br />

la preoccupazione di riconoscere al creditore il beneficio<br />

del rialzo dei prezzi, intervenuto tra danno e decisione (26) . Ho già<br />

altrove criticato l’opinione che riferisce la stima del danno al tempus<br />

rei iudicandae, ove non ci si perita di far correre al creditore l’alea<br />

di eventuale ribasso dei prezzi (27) pur di renderlo partecipe del<br />

rialzo (28) , come anche della teoria dei crediti di valore, che è una<br />

concezione di stima del danno solo al rialzo (29) . La stima del danno<br />

al suo verificarsi è la soluzione che si trae dalla retroattività degli<br />

effetti della risoluzione del contratto ex art. 1453 c.c. (30) .<br />

Lungi dal dare perciò una interpretazione estremamente riduttiva<br />

dell’art. 1227, 2° comma, così da disapplicarlo, con gli argomenti<br />

correnti che esso sarebbe legittimato dal criterio che «il vincolo<br />

contrattuale persiste fino alla pronuncia di risoluzione» o che<br />

«il danno deve essere stimato con riguardo al tempus rei iudican-<br />

(24) È insegnamento tradizionale che il debitore in mora non meriti alcun riguardo<br />

nella liquidazione del danno: v. SAVIGNY, Sistema di diritto romano attuale, VI, §<br />

275, p. 198.<br />

(25) Sulle teorie del quanti plurimi e per una rassegna, v. TEDESCHI, in Riv. dir.<br />

comm., 1934, pp. 241 ss.; WINDSCHEID, Diritto delle pandette, § 280, note 15, 102, 103<br />

e bibl. cit., della pandettistica.<br />

(26) Tale è la logica della stima del danno con riferimento ai valori della decisione, su<br />

cui V. TEDESCHI, Il danno ed il momento della sua determinazione, in Riv. dir. priv.,<br />

1933, I, pp. 263 ss.; dello stesso a. v. Riv. dir. comm., 1934, I, pp. 234-244; DE CUPIS, Il<br />

danno, Milano, 1966, I, pp. 269 ss.<br />

(27) G. VALCAVI, Riflessioni sui c.d. crediti di valore, sui crediti di valuta e sui tassi<br />

di interesse, in Foro it., 1981, I, p. 2114.<br />

(28) id., op. loc. cit.<br />

(29) id., op. loc. cit.<br />

(30) id., op. loc. cit. Di fronte alla retroattività ex art. 1458 c.c. non si coglie il senso<br />

del rilievo che il vincolo contrattuale persisterebbe sino alla pronunzia della risoluzione,<br />

come affermato da Cass. 12 ottobre 1967, n. 2437, cit., supra, nota 1.


68 Scritti di Diritto Civile<br />

dae», è invece da riconoscersi che una interpretazione corretta dell’art.<br />

1227, 2° comma, consente di ritenere inaccettabili codeste<br />

proposizioni. Il dovere di cooperazione del creditore ex art. 1227,<br />

2° comma, insieme al limite del prevedibile di cui all’art. 1225, mostra<br />

di essere il correttivo pragmatico, voluto dal legislatore per assicurare<br />

la necessaria flessibilità al sistema e che consente di sceverare<br />

quali danni, al loro verificarsi, e quali successivi siano in concreto<br />

risarcibili o no (31) .<br />

Il problema della successiva attualizzazione del risarcimento sino<br />

alla riparazione in concreto è diverso da quello della individuazione<br />

e della stima del danno risarcibile (32) . Esso concerne il risarcimento<br />

dell’ulteriore danno da ritardo nel prestare l’equivalente monetario<br />

e trova la sua soluzione non già nell’aggiornamento della stima<br />

ai nuovi prezzi, ma nella regola giurisprudenziale corrente che<br />

la mora è compatibile con i crediti illiquidi (33) e che gli interessi maturano<br />

anche a loro riguardo (34) ed in definitiva nell’applicazione<br />

delle comuni norme in fatto di mora delle obbligazioni pecuniarie,<br />

quali l’art. 1224, 20 comma, c.c., dove il maggior danno è dato dallo<br />

scarto tra l’inadeguato tasso legale e quello di mercato (35) . Diversamente<br />

opinando, l’aggiunta al credito illiquido anche degli interessi,<br />

non importa se dalla domanda (interessi che hanno una fun-<br />

(31) A proposito della funzione di correttivo pragmatico delle norme sul dovere di cooperazione<br />

del creditore nell’evitare il danno e sulla prevedibilità, nel sistema dell’art. 84<br />

della convenzione Aja e art. 77 della convenzione Vienna, che ha accolto, dopo grave discussione,<br />

il criterio del riferimento alla risoluzione, v. BONELLI, op. cit., p. 265.<br />

(32) Oltretutto i sostenitori dell’opinione della stima al momento della decisione o dei<br />

crediti di valore, lasciano scoperto il periodo dalla decisione alla riparazione, v. Cass. 22<br />

giugno 1982, n. 3802, Foro it., Rep. 1982, voce Danni civili, n. 155.<br />

(33) Nel senso che il nostro ordinamento non accoglie il principio in illiquidis non<br />

fit mora, tra le molte, v. Cass. 15 aprile 1959, n. 1105, Foro it., Rep. 1959, voce Obbligazioni<br />

e contratti, n. 200; 12 gennaio 1976, n. 73, id., Rep. 1977, voce Obbligazioni<br />

in genere, n. 42.<br />

(34) Nel senso della decorrenza degli interessi sul credito illiquido, nell’ipotesi di<br />

risarcimento del danno, dal giorno della domanda giudiziale, v. tra le molte, Cass. 17<br />

ottobre 1962, n. 3014, Foro it., Rep. 1962, voce Danni per inadempimento di contratto,<br />

n. 10; 25 giugno 1963, n. 1722, id., Rep. 1963, voce Interessi, n. 3; 5 dicembre<br />

1974, n. 3999, id., Rep. 1974, voce cit., n. 10; 31 gennaio 1978, n. 451, id., Rep.<br />

1978, voce cit., n. 17.<br />

(35) G. VALCAVI, Rivalutazione monetaria, cit., supra nota 9; nonché, dello stesso<br />

a., La stima del danno nel tempo, con riguardo all’inflazione, alla variazione dei prezzi e<br />

all’interesse monetario, in Riv. dir. civ., 1981, II, pp. 332, 341.


Scritti di Diritto Civile 69<br />

zione essenziale di saggio di attualizzazione) (36) , si rivelerebbe un<br />

indebito quanto inammissibile lucro del creditore.<br />

Lo scritto è richiamato da:<br />

DI PAOLA, Il dovere di non aggravare il danno, spunti per la rilettura, Foro it.,<br />

1984, I, 2825, note 2, 3; A. LUMINOSO, Della risoluzione per inadempimento,<br />

in Commentario Scialoja e Branca, Bologna, 1990, pp. 260, 265, 266, note 12,<br />

14, 16; V. MARICONDA, L’art. 1227, 2° comma c.c. ed il rapporto di causalità,<br />

Il corriere giuridico, 1990, p. 720; C. ROSSELLO, Il danno evitabile, Padova,<br />

1990, pp. 85 e 97, nota 44 e 47.<br />

(36) KEYNES, Occupazione, interesse, moneta, Torino, 1947, pp. 145 ss.


Sul tempo di riferimento<br />

nella stima del danno


Il tempo di riferimento<br />

nella stima del danno<br />

1. – Nella responsabilità civile il divario dei valori e dei prezzi, nell’intervallo<br />

che va dalla scadenza dell’obbligazione alla prestazione<br />

dell’indennizzo, ha posto delicati problemi economici di politica<br />

legislativa in ordine alla soluzione, più ispirata ad equità, nei<br />

rapporti di responsabilità tra debitore e creditore. E così da un<br />

lato un eventuale ribasso dei prezzi tra scadenza, mora e decisione,<br />

ha posto in rilievo il problema dell’indennizzo nel senso di fissarlo<br />

ad un certo tempo, quale appunto la scadenza, la messa in<br />

mora o la domanda, mettendo al riparo il creditore dalla successiva<br />

caduta dei prezzi.<br />

Dominante quivi, la preoccupazione di assicurare il risarcimento<br />

fermando il rischio contrattuale (alea) così che il creditore non<br />

sia chiamato a sopportare un eventuale ribasso o più in genere l’incognita<br />

del variare dei prezzi.<br />

A ciò si è pensato da chi ha elaborato il concetto della perpetuatio<br />

obligationis e ha fermato la stima del danno al suo verificarsi<br />

(dies obligationis), all’inizio della mora (tempus morae) o alla domanda<br />

giudiziale (tempus litis contestationis).<br />

Per contro l’evenienza di un possibile rialzo dei prezzi, che è anche<br />

l’ipotesi più frequente, in pratica ha posto il problema di evitare<br />

che il debitore possa acquisire questo lucro, come un arricchimento<br />

senza causa o premio della sua inadempienza, e di favorirne<br />

invece il creditore, che così viene chiamato a trarne un vantaggio. Il<br />

consentire al creditore codesta eventualità viene giustificato col riferire<br />

la stima al tempus rei judicandae, ossia «al momento presen-<br />

Da «Rivista di Diritto Civile», anno XXXIII, 1987, p. 31, ss. e da «L’Espressione monetaria<br />

nella responsabilità civile», Cedam 1994.


74 Scritti di Diritto Civile<br />

te in cui essa stima ha luogo» (Betti) (1) , cioè «il calcolo congetturale<br />

del presumibile valore attuale della cosa» che è quanto dire «sulla<br />

base di un ipotetico adempimento al momento della pronunzia»,<br />

dove è fondamentale la preoccupazione di «attualizzare alla pronunzia<br />

il valore del danno».<br />

Codesta «attualizzazione» viene effettuata in modo rudimentale<br />

col prendere il valore attuale di quella stessa cosa.<br />

Lo spostamento della stima al tempo della pronunzia fa sì che lo<br />

stesso creditore corra però il rischio del ribasso, nel caso di caduta<br />

dei prezzi. Ciò è comunemente accettato da quegli autori e giudici<br />

che, nei vari ordinamenti giuridici, stimano il danno con riferimento<br />

alla pronunzia.<br />

A prevenire codesto inconveniente, così assicurando al creditore<br />

non solo la possibilità del vantaggio in caso di rialzo, ma anche mettendolo<br />

al riparo dal ribasso dei prezzi, hanno provveduto i sostenitori<br />

ed i sistemi giuridici imperniati sul quantum plurimi e in cui<br />

l’influenza di una concezione per un verso afflittiva e per un altro<br />

premiale, è ancora più trasparente.<br />

2. – Procediamo ora a un excursus storico e comparatistico per meglio<br />

intendere le dimensioni e i termini del problema.<br />

Nel diritto romano classico la dottrina più autorevole (2) insegna<br />

che nei giudizi di stretto diritto e in quelli di buona fede, aventi per<br />

oggetto un genus, si assumeva a momento di stima del danno contrattuale<br />

il termine per l’adempimento, qualora fosse stato pattuito<br />

(D. 45, 1, 59; D. 13, 3, 4; D. 12, 1, 22; D. 13, 6, 5); nel caso invece<br />

che esso non fosse stato fissato, si aveva riguardo all’inizio della<br />

mora (tempus morae) o a quello della domanda giudiziale (tempus<br />

litis contestationis, quanti ea res est: D. 17, 1, 37; D. 13, 3, 4) (3) .<br />

Nel caso di variazione al rialzo od al ribasso del prezzo tra la sca-<br />

(1) E. BETTI, La litis aestimatio in rapporto al tempo nelle varie specie di azioni e di<br />

giudizi, Camerino, 1919, p. 26.<br />

(2) E. BETTI, op. loc. citt.; E. BETTI, Diritto romano, Padova, 1935, pp. 515, 544,<br />

568, 578, 582; P. VOCI, Risarcimento del danno e processo formulare nel diritto romano,<br />

Milano, 1938, pp. 15 ss.; id., Risarcimento e pena privata nel diritto romano classico, Milano,<br />

1939, p. 47.<br />

(3) E. BETTI, La litis aestimatio, cit., pp. 8, 10 ss.; id., Diritto romano, cit., pp. 566<br />

ss., 570 ss.; P. VOCI, op. ult. cit., p. 20.


Scritti di Diritto Civile 75<br />

denza del termine e la domanda, nei sovraindicati giudizi di buona<br />

fede aventi per oggetto un genus, il creditore poteva scegliere alternativamente<br />

il maggior prezzo che fosse stato raggiunto dal bene<br />

alla scadenza o alla domanda (quanti plurimi).<br />

Nei giudizi di buona fede aventi per oggetto, invece, una species,<br />

la stima veniva effettuata con riguardo ai valori del tempo della decisione<br />

(rej judicandae tempus: D. 13, 6, 2, 2 Ulpianus 28 ad ed.;<br />

D. 19, 1, 3, 3 Pomponius 9 ad Sab.) (4) . Il riferimento al tempus rej<br />

judicandae era in una logica indennitaria, perché nel diritto classico<br />

non venivano riconosciuti gli interessi moratori per tutta la durata<br />

del processo dalla litis contestatio alla condanna (5) .<br />

Un’eventuale discrepanza tra la aestimatio rei alla decisione e<br />

l’id quod interest non era poi un ostacolo insuperabile, dato che,<br />

come è stato rilevato dal Siber (6) , la stima veniva effettuata ora<br />

sulla base del quanti ea res erit, ora dell’id quod interest, a seconda<br />

del tipo di formula usato, per cui la loro equivalenza era<br />

solo tendenziale.<br />

Lo stesso criterio del tempus rej judicandae era adottato anche<br />

per le azioni arbitrarie, dove la formula prevedeva che il giudice ordinasse,<br />

prima di ogni cosa, la restituzione (arbitratus de restituendo)<br />

e fissasse, in mancanza, l’equivalente (7) . Qui il quanti ea res erit<br />

era correlato al tempo differito della ipotizzata restituzione del<br />

bene, di cui era l’equivalente.<br />

Il danno extracontrattuale era stimato invece al valore più alto<br />

che fosse stato raggiunto nei 30 giorni anteriori al furto (D. 13, 1,<br />

8 § 1; D. 47, 2, 50) (8) .<br />

Nel diritto postclassico e giustinianeo ebbe a generalizzarsi, nei<br />

judicia bonae fidae, il ricorso al tempus rei judicandae (9) . Nel caso<br />

di ribasso dei prezzi il creditore poteva scegliere il quanti plurimi<br />

(4) E. BETTI, La litis aestimatio, cit., pp. 12, 26 ss.<br />

(5) P. VOCI, op. ult. cit., p. 13; G. CERVENCA, Contributo allo studio delle usure c.d.<br />

legali nel diritto romano, Milano, 1969, pp. 205, 273, n. 127.<br />

(6) H. SIBER, Romisches recht, Lipsia, 1982, 2, p. 241; P. VOCI, op. cit., pp. 2, 16.<br />

(7) M. KASER, Quanti ea res est, Münchener beitrage, 1935, XXIII; pp. 182, 195; P.<br />

VOCI, op. ult. cit., p. 2, nota 5. Sugli judicia arbitraria in genere, E. BETTI, Diritto romano,<br />

cit., p. 579.<br />

(8) P. BONFANTE, Istituzioni di diritto romano, Milano, 1952, p. 448.<br />

(9) P. BONFANTE, op. cit., p. 449; U. RATTI, in Bullettino di diritto romano,<br />

1932, p. 169.


76 Scritti di Diritto Civile<br />

tra il tempus morae e quello alla decisione (D. 19, 1, 3 § 3; D. 19,<br />

1, 21 § 3; D. 17, 1, 37).<br />

Il riferimento qui vi ai prezzi alla decisione aveva una sua giustificazione<br />

perché in esso vigeva il principio in illiquidis non fit<br />

mora. La impossibilità di calcolare gli interessi moratori sul credito<br />

illiquido di risarcimento del danno, rendeva inevitabile l’assunzione<br />

dei nuovi prezzi alla decisione, per lo più in rialzo, alla base<br />

della stima, per attualizzare l’indennizzo prestato in ritardo.<br />

3. – Nel diritto comune, Alciato, Duareno, Fabro (10) , assumevano<br />

alla base della stima del danno i valori correnti al momento della<br />

decisione nei giudizi di buona fede, se non c’era mora, e là dove invece<br />

essa c’era, quello dell’inizio della mora. Nei giudizi di stretto<br />

diritto si assumevano i valori in corso alla domanda.<br />

Il Donello (Comm. al D. 1, XII, tit. 1, 1, 22 nn. 5, 19-21; XIII,<br />

tit. 1, 3 nn. 12, 13, 25) adottava il tempo della domanda nelle azioni<br />

contrattuali aventi per oggetto un genus e precisava che quivi<br />

«non dovesse aversi riguardo alla mora» (11) .<br />

Nell’ipotesi della mora prevalse una concezione ispirata ad una<br />

logica ad un tempo afflittiva per il debitore e premiale per il creditore,<br />

col ricorso al quanti plurimi.<br />

Ciò era una diretta conseguenza, per un certo verso, del principio<br />

in illiquidis non fit mora di cui si è detto e che ha dominato da<br />

noi per tanti secoli e domina tutt’ora altrove e perciò della preoccupazione<br />

di procurare al creditore un vantaggio sostitutivo dei<br />

mancati interessi moratori, e per un altro verso dell’opinione che il<br />

debitore in mora è meritevole di ogni sanzione (12) .<br />

La scelta era inasprita dai glossatori e da Bartolo (ad lege 22 del<br />

rebus creditis) col rendere arbitro il creditore di scegliere il valore<br />

più alto che la cosa avesse raggiunto durante la mora sino al valore<br />

attuale alla decisione (13) .<br />

(10) ALCIATUS, De eo quod interest, Venezia, 1589, t. V, ff. 4-14; F. DUARENUS,<br />

Commentaria in Digesta, Lione, 1583; I. FABRO, Commentaria in Istitutiones justinianeas,<br />

Venezia, 1532.<br />

(11) H. DONELLUS, Commentaria Juris civilis, Opera omnia, Lucca, 1752, libro<br />

XXVI.<br />

(12) F.C. SAVIGNY, Sistema di diritto romano attuale, Torino, 1896, VI, § 275, p. 198.<br />

(13) BARTOLO DA SASSOFERRATO, Commentaria, Venezia, 1590, tomo II, p. 165.


Scritti di Diritto Civile 77<br />

Il Donello sostenne lo stesso partito (Comm. ad. D. 1, XII tit. 1,<br />

n. 22, n. 5, 19-21; XIII tit. III L. 3 n. 12, 13, 25) con riguardo alle<br />

azioni contrattuali, che avevano per oggetto una species.<br />

Nel diritto statutario il ricorso al quanti plurimi durante la mora<br />

è trasparente in più di uno Statuto, come ad es. quello di Pisa (Constit<br />

usus cap. XXXII, XXXIII, XXXIV).<br />

Il Vinnio (Select juris qua est I cap. 39), il Voet (Comm. ad.<br />

Pand. XIII, 3, 3), il Pacius (Conciliat cento 3 n. 72), il Fachineus<br />

(Controvers. 1, 2, cap. 74), il Saide (Decis, Frisiis, 1.3 tit. 4 def. 8)<br />

sostennero che nei giudizi stricti juris, in caso di mora, il creditore<br />

potesse scegliere il quanti plurimi tra l’inizio della mora e la litiscontestatio,<br />

e nei giudizi di buona fede, quello tra l’inizio della<br />

mora, la litiscontestatio e la decisione.<br />

4. – Contempliamo ora il quadro romanistico riferendo le opinioni<br />

emerse nella Pandettistica tedesca del secolo scorso. Il ricorso al<br />

quanti plurimi durante la mora da illecito è stato sostenuto da Puchta<br />

e da Arndts, ma criticato da Mommsen e da Sintenis (14) . La<br />

stima del danno contrattuale sulla base della maggior quotazione<br />

raggiunta da quel bene durante la mora, sino alla decisione, che sovente<br />

segna anche il valore più elevato, è stata sostenuta da Madai,<br />

Schilling, Fritz (15) . Savigny, Vangerow, Brinz hanno tuttavia ammesso<br />

la possibilità per il debitore di provare che il creditore non<br />

avrebbe venduto a quel prezzo (16) . In tal senso è anche Windscheid<br />

dopo aver abbandonato un partito più favorevole al debitore (17) .<br />

Si è sostenuto da altri autori che per riconoscere un tale maggior<br />

prezzo occorrerebbe che il creditore, il quale lamenta di aver subito<br />

danno da inadempienza nella prestazione di quel bene, dimostri<br />

e provi che lo «avrebbe venduto a quel prezzo» (così Sintenis) se gli<br />

fosse stato consegnato o quanto meno che «aveva intenzione ed oc-<br />

(14) T. MOMMSEN, Lehre von interesse, Brunswick, 1855, pp. 183, 208; C.F. SIN-<br />

TENIS, Prackt.gem. civilrecht, Lipsia, 1868, II, § 93, nota 41; F.G. PUCHTA, Pandeckten,<br />

Lipsia, 1838, § 268.<br />

(15) MADAI, Die lehre von der mora, Halle, 1835, § 45, p. 296.<br />

(16) F.C. SAVIGNY, op. cit., §§ 275-278, pp. 240-260; VANGEROW, Pandekten,<br />

Marburg, 1865-1876, v. 3, § 588; A. BRINZ, Pandekten, Erlangen, 1873, v. 2, § 273.<br />

(17) B. WINDSCHEID, Diritto delle pandette, Torino, 1930, II, pp. 103, 104 e la bibliografia<br />

cit. in nota 15.


78 Scritti di Diritto Civile<br />

casione di vendita» (così Unger) o almeno «occasione della vendita»<br />

(così Cohnfeldt) (18) .<br />

Il che è quanto esigere dal creditore la prova che egli avrebbe<br />

conservato l’investimento in quel bene sino al momento in cui esso<br />

ebbe a raggiungere la maggiore quotazione, che sovente coincide<br />

con «il valore attuale alla decisione».<br />

L’opinione dei Pandettisti pertanto, a differenza dei predecessori,<br />

ad eccezione di Madai, Schilling, Fritz, non è più nel senso di accordare<br />

al creditore una facoltà arbitraria di scelta del quanti plurimi<br />

in una logica penale nei confronti del debitore in mora. Essi<br />

hanno piuttosto posto l’accento sull’indennizzo, sia pure inteso<br />

come maggiore quotazione raggiunta medio tempore sino alla decisione.<br />

Il quanti plurimi era perciò visto in funzione di una presunzione<br />

di investimento in quel bene sino al momento in cui esso raggiungeva<br />

la quotazione più elevata, fosse anche il valore attuale al<br />

momento della decisione.<br />

Il vantaggio del rialzo dei prezzi veniva perciò attribuito al creditore<br />

come risultato di un disinvestimento ipotizzato in quel momento<br />

nel caso che il bene fosse stato a suo tempo consegnato. Ciò<br />

doveva equivalere a mettere il creditore nella condizione in cui si<br />

sarebbe trovato se non avesse subito il torto, vale a dire risarcire<br />

il suo danno.<br />

È evidente che i sostenitori dell’opinione che pone a carico del<br />

creditore la prova che a quel prezzo avrebbe venduto (Sintenis,<br />

Unger), è la più vicina a quella di risarcimento del danno, mentre<br />

se ne allontana di più quella che presume un realizzo al maggior<br />

prezzo, con l’onere della prova contraria a carico del debitore che<br />

a quel prezzo non avrebbe venduto (Savigny, Mommsen, Vangerow,<br />

Brinz).<br />

5. – La tradizione romanistica, come s’è visto, ha finito per privilegiare<br />

la aestimatio rei rispetto all’id quod interest, nel risarcimento<br />

del danno, pur avendone colto la differentia specifica.<br />

La stima sulla base dei prezzi alla decisione, per lo più in rialzo,<br />

ed in ispecie il quanti plurimi, sono infatti manifestazioni del crite-<br />

(18) COHNFELDT, Die lehre von interesse nach rom. Recht., Lipsia, 1865, pp. 196<br />

ss.; UNGER, System des oest. allg. Privatrechts, II, Lipsia, 1859, p. 132, nota 10.


Scritti di Diritto Civile 79<br />

rio oggettivo, in una logica afflittiva verso il debitore. Il diritto canonico<br />

ed i suoi interpreti si sono mossi nella direzione opposta che<br />

aveva al suo centro l’id quod interest.<br />

Esso, preoccupato di non secondare le usure, ha posto particolare<br />

attenzione a distinguere il danno emergente dal lucro cessante,<br />

la cui indennizzabilità, quando anche non esclusa (19) , era limitata<br />

da particolari cautele e da prove rigorose perché non trasmodasse<br />

nel lucro del creditore e perciò nell’usura. Ciò inevitabilmente<br />

presupponeva la definizione corretta dell’ambito dell’id<br />

quod interest cioè «della ricostruzione ideale della situazione in<br />

cui il creditore si sarebbe trovato, secondo l’ordinario corso delle<br />

cose, se non avesse subito il danno».<br />

Il lucro cessante che potesse derivare da mercanzie o negoziazioni<br />

doveva essere valutato al netto delle spese di custodia e gestione,<br />

doveva tener conto dell’incertezza del maggiore o minore<br />

guadagno e puranco della possibilità di perdite, secondo criteri di<br />

verosimiglianza, ecc.<br />

La maggior prudenza era consigliata anche a proposito di prove,<br />

posto che «con pochi soldi si procurano le fedi da sensali e notari<br />

delle pronte occasioni d’investire», e doveva aversi a termine di paragone<br />

«quel guadagno che il mutuante farebbe, comprando o rispettivamente<br />

vendendo la robba per il maggior o minor prezzo in<br />

riguardo del mutuo» (20) , che poi era l’interesse di mercato.<br />

La Rota Romana fissò come requisito di indennizzabilità del lucro<br />

cessante la previa notifica dal creditore al debitore del tipo di<br />

investimento prescelto insieme a tutti gli altri requisiti che, dall’autorità<br />

di Paolo di Castro, vennero definiti castrensi (21) . Anche<br />

le altre Rote, che seguivano l’opinione più moderata del Ruino,<br />

raccomandavano comunque di effettuare detrazioni da quella<br />

quantità di danno che pur apparisse provata, sia per l’incertezza<br />

del lucro, sia perché risultato di calcolo ipotetico e non di impegno<br />

e di rischio sofferto (22) .<br />

(19) C. NANI, La teoria dell’id quod interest sotto l’influenza della legislazione e delle<br />

dottrine canoniche, in Archivio Serafini, 1876, pp. 223, 229 nota 3, 229 nota 3.<br />

(20) G.B. DE LUCA, Il dottor volgare, Roma, 1673, pp. 406, 409.<br />

(21) C. NANI, op. cit., pp. 224, 226, nota 1.<br />

(22) C. NANI, op. cit., pp. 217-221, 226, n. 2.


80 Scritti di Diritto Civile<br />

Anche la stima del danno emergente era soggetta a cautele speciali<br />

dai tribunali dipendenti dalla Rota Romana, dove si richiedeva<br />

che il creditore portasse a notizia del debitore il programma di investimento<br />

e di spese, secondo l’opinione del Mohedano. La sussistenza<br />

della mora era subordinata a prove particolarmente severe.<br />

Il problema perciò intorno a quale tempo riferire la stima del<br />

danno si poneva in termini assolutamente diversi per il diritto canonico<br />

rispetto al diritto romano e a quello comune e si basava necessariamente<br />

sul momento del verificarsi del danno.<br />

Occorre qui sottolineare la modernità di concezione di questo diritto<br />

in questa materia, così sovente trascurata, che derivò dalla sensibilità<br />

nell’evitare le usure del creditore e dall’impegno a depenalizzare<br />

il risarcimento. L’omesso riferimento al tempus rei judicandae<br />

o al quanti plurimi va visto in questa ottica.<br />

6. – In linea di sviluppo col diritto canonico sono da considerare l’insegnamento<br />

del Pothier (23) e l’orientamento di fondo delle moderne<br />

legislazioni che il danno è risarcibile entro determinati limiti.<br />

È opinione dominante nel diritto moderno che il risarcimento si<br />

basa sull’id quod interest e non sulla aestimatio rei (24) .<br />

Si suole enfatizzare in genere l’assioma che il nostro e gli altri ordinamenti<br />

giuridici perseguirebbero l’obiettivo dell’integrale risarcimento<br />

del danno anche a distanza di tempo, così da trarre le conseguenze<br />

più onerose a carico del debitore (25) .<br />

Tale postulato contraddice i precisi limiti alla risarcibilità posti<br />

dagli odierni legislatori.<br />

Non è infatti risarcibile il danno che può essere evitato (26) , quello<br />

che dipende dal concorso della vittima, il danno contrattuale colposo<br />

non prevedibile al momento della formazione del contratto (27) .<br />

(23) POTHIER, Traité des obligations, Paris, 1764, nn. 159, 172.<br />

(24) Così da noi tra i molti, ad es., A. DE CUPIS, Il danno, Milano, 1966, n. 45, e bibliografia<br />

ivi cit.<br />

(25) Cass. civ., 12 gennaio 1982, n. 132, in Rep. Foro it., 1982, voce Danni civili, n.<br />

152; Cass. civ., 6 febbraio 1982, n. 693, ibidem, n. 151, tra le molte.<br />

(26) Art. 1227, 2° comma, c.c., in coerenza con il principio solidaristico affermato da<br />

Relazione min. al c.c., nn. 30-34; in Germania § 254, 2° comma, BGB; in Svizzera art. 34<br />

c. obbl.; esso è accolto anche nel diritto francese e spagnolo.<br />

(27) Art. 1225 c.c.; art. 1150 c.c. francese; art. 1107 c.c. spagnolo.


Scritti di Diritto Civile 81<br />

Il lucro cessante va liquidato tenendo conto delle circostanze del<br />

caso, cioè con moderazione (28) . La linea di tendenza dei legislatori<br />

è di accentuare i limiti di risarcibilità. Ciò delimita oggettivamente<br />

la risarcibilità alla sfera del danno più prossima.<br />

7. – La dottrina e la giurisprudenza contemporanea dei paesi europei<br />

si sono tuttavia, a mio avviso, attardate su una linea assai più<br />

arretrata di quella dei legislatori. L’influsso della cultura romanistica<br />

è trasparente.<br />

E così malgrado in teoria sia dominante il principio che solo l’id<br />

quod interest forma oggetto del risarcimento, in pratica si continua<br />

a privilegiare il ricorso alla aestimatio rei, come quando si liquida<br />

il danno sulla base dei prezzi correnti alla decisione.<br />

I limiti di cui si è parlato come indicativi dell’ambito temporale<br />

del danno prossimo al suo verificarsi, vengono a loro volta intesi in<br />

senso riduttivo e fuorviante.<br />

La prevedibilità non si estenderebbe così alla quantità sia pure<br />

approssimativa di danno, perché sarebbe in ogni caso prevedibile<br />

che i prezzi in sé variano (29) . Evitare il danno parimenti non equivarrebbe<br />

ad adoperarsi attivamente fino al rimpiazzo del bene distrutto,<br />

perito o non prestato, ma ad assumere un comportamento<br />

meramente passivo (30) .<br />

Su queste premesse passiamo ora in rassegna il quadro comparatistico<br />

delle opinioni dominanti nella dottrina e nella giurisprudenza<br />

dei vari paesi.<br />

In Germania. Il principio dominante in questo paese è che il calcolo<br />

vada effettuato sulla base dei prezzi correnti al momento in cui<br />

il danno viene concretamente indennizzato.<br />

Sotto l’aspetto processuale ciò si traduce nell’assumere prezzi e<br />

(28) Art. 2056, 2° comma, c.c.; così anche § 252, 2° comma, BGB. Nel senso della moderazione<br />

era l’insegnamento del POTHIER, op. cit., n. 168, che, trasfuso nell’art. 47 dell’avanprogetto<br />

del codice napoleonico, non venne tuttavia poi accolto.<br />

(29) Per una rassegna v. BELLINI, L’oggetto della prevedibilità del danno, in Riv. dir.<br />

comm., 1954, II, pp. 302 ss. Per l’estensione al quantum: C.M. BIANCA, Dell’inadempimento<br />

delle obbligazioni, nel Commentario del codice civile a cura di Scialoja e Branca,<br />

Libro quarto, Delle obbligazioni (artt. 1218-1229 2 ), Bologna-Roma, 1979, sub art. 1225,<br />

p. 389, nota 8; A. DE CUPIS, Il danaro, cit., pp. 345 ss.<br />

(30) Tra le molte, Cass. civ., 6 agosto 1983, n. 5274, in Foro it., 1984, I, c. 2819; Cass.<br />

civ., 15 luglio 1982, n. 4174, in Rep. Foro it., 1982, voce Danni civili, n. 53.


82 Scritti di Diritto Civile<br />

salari correnti al momento dell’ultimo dibattimento orale davanti al<br />

giudice dei fatti, nel qual caso è da considerare l’ulteriore sviluppo<br />

del danno fino alla prevedibile prestazione dell’indennizzo. Se dopo<br />

l’ultimo dibattito si realizzano altri danni, la parte lesa può farli valere<br />

con un nuovo processo, e in caso di diminuzione, può esercitare<br />

una controquerela esecutiva (31) . In taluni casi, tuttavia, l’ammontare<br />

del risarcimento può essere fissato secondo circostanze anteriori<br />

all’indennizzo. È il caso, per es., in cui il danneggiato abbia<br />

provveduto alla riparazione o all’acquisto di pezzi di ricambio ovvero<br />

si tratti di un indennizzo per un affare perduto che si sarebbe<br />

dovuto svolgere ad una certa data prefissata o dell’ipotesi in cui lo<br />

sviluppo dei danni si è concluso definitivamente per altre ragioni.<br />

Quanto agli interessi secondo il § 290 BGB ove durante la mora<br />

sia stato perduto l’oggetto o non possa essere restituito per altra ragione,<br />

il creditore ha diritto agli interessi legali del 4% sull’ammontare<br />

del danno a partire dal momento su cui si basa la definizione<br />

del valore: §§ 288, 290, 849 BGB (32) .<br />

In caso di sottrazione, di guasto di un oggetto, la persona offesa<br />

può chiedere gli interessi legali sull’ammontare da rimpiazzare a<br />

partire dal momento in cui il valore ridotto è stato determinato.<br />

Questo è generalmente il momento dell’intervento o dell’evento<br />

dannoso. Una pretesa più elevata non è esclusa.<br />

In Francia. L’orientamento meno recente stimava il danno con<br />

riferimento ai valori correnti al tempo del suo verificarsi (33) .<br />

La giurisprudenza dominante in seguito alle decisioni 24 marzo<br />

1942 della Chambre de Requêtes, 15 luglio 1943 e 12 gennaio 1948<br />

della Cour de Cassation, ha accolto l’opposto partito dei prezzi e salari<br />

correnti alla decisione, concludendo che «l’indemnité nécessaire<br />

pour compenser le préjuidice doit être calculée sur le valeur de<br />

dommage au jour du jugement» (34) .<br />

(31) GRUNSKY, Münchener-Kommentar, München, 1985, vor § 249 BGB Rnr. 124<br />

ff.; PALANDT, München, 1985, § 249, n. 9; STAUDINGER, Berlin, 1983, § 249 BGB<br />

Rnr. 238 ff.; GLOSSER, Der zeitpunkt der schadens bemessung im deliktsrecht, Freiburg,<br />

1977.<br />

(32) Tra i molti, BAUMBACH, DUDEN, HOPT, München, 1985, § 352, 353, HGB.<br />

(33) Giurisprudenza cit., in H. e L. MAZEAUD, in Traité théorique et pratique de la<br />

responsabilité civile, Paris, 1950, nn. 2420-8.<br />

(34) H. e L. MAZEAUD, op. cit., p. 544.


Scritti di Diritto Civile 83<br />

Lo stesso criterio è seguito dalla dottrina più autorevole. Il Mazeaud,<br />

il Savatier, il Lalou (35) tra i molti autori, assumono i prezzi<br />

alla decisione, sia in rialzo od in ribasso (hausse o baisse de prix),<br />

con il correttivo tuttavia che in caso di ribasso il creditore può provare<br />

che avrebbe venduto prima a prezzo più elevato, per ottenere<br />

l’indennizzo del maggior danno da ritardo (Mazeaud, n. 2423-5,<br />

Savatier n. 603). E ciò perché: «a perdu la chance de vendre ses titres<br />

aux cours pratiqués entre le vol et le jugement» e tale perdita<br />

di chanche deve essere risarcita (36) .<br />

Viene così riproposta indirettamente l’opinione che indulge al<br />

quanti plurimi.<br />

La medesima conclusione è adottata in materia di danno in moneta<br />

straniera dove si fa riferimento al cambio al pagamento (37) . Gli<br />

interessi moratori vengono fatti decorrere coerentemente dalla decisione<br />

(LALOU, op. cit., n. 73, MAZEAUD, op. cit., n. 2247). Non<br />

è invece seguita l’opinione di indicizzare il danno al costo della vita<br />

come da noi, nei crediti di valore.<br />

Il riferimento al tempo della decisione e la decorrenza degli interessi<br />

moratori da quest’ultima vengono fatti discendere in primis<br />

dal carattere attributivo e non semplicemente dichiarativo di quella<br />

parte della pronuncia che liquida il danno (LALOU, op. cit., n.<br />

73, MAZEAUD, op. cit., n. 2261, SAVATIER, op. cit., n. 602).<br />

È prevalente l’opinione che il danno sia unico e invariabile<br />

dal prodursi alla decisione (MAZEAUD, op. cit., n. 2420-14) e<br />

che la variazione dei prezzi, ritenuta in sé e per sé prevedibile,<br />

non comporta mutamento del danno. È stato al riguardo scritto<br />

che «le dommage, lui n’a pas varié, il est toujours de la perte de<br />

cet objet», mentre «sa valeur seule a changé» (MAZEAUD, op.<br />

cit., nn. 2422, 2435-5).<br />

Tuttavia vengono introdotti alcuni correttivi che minano la coerenza<br />

delle tesi di principio. E così, là dove il danneggiato abbia ri-<br />

(35) H. e L. MAZEAUD, op. cit., nn. 2420-6, 2421, 2423, 2423-9; R. SAVATIER,<br />

Traité de la responsabilité civile en droit français, Paris, 1951, II, p. 602; H. LALOU,<br />

Traité pratique de la responsabilité civile, Paris, 1962, n. 181.<br />

(36) In questo senso, MAZEAUD, op. cit., nn. 2423-5, parla di un pregiudizio<br />

supplementare.<br />

(37) R. SAVATIER, op. cit., n. 605; H. e L. MAZEAUD, op. cit., nn. 2423-13 ss.; H.<br />

LALOU, op. cit., n. 186, e giurisprudenza ivi cit.


84 Scritti di Diritto Civile<br />

parato da sé il danno, ci si deve riferire a quanto da lui speso (38) , e<br />

nel caso che chi abbia subito un’invalidità permanente, e successivamente<br />

muoia per causa autonoma, occorre basarsi sul salario in<br />

essere alla morte e non alla decisione (39) .<br />

Infine, si finiscono per far decorrere gli interessi dalla domanda<br />

che vengono qualificati compensativi invece che moratori, trasmodando<br />

nel lucro del danneggiato.<br />

Nel Belgio. La Cour de Cassation ha abbandonato il più antico riferimento<br />

al tempo del danno e ha adottato quello alla decisione (40) .<br />

In Spagna. La giurisprudenza assume a momento di riferimento<br />

el tiempo de ejercicio de la accion, cioè della domanda (41) .<br />

Non si propone il tempo alla decisione, perché ritenuto inconciliabile<br />

col principio di cui all’art. 359 del codice di procedura della<br />

congruenza tra sentenza e domanda.<br />

In genere si esclude che gli interessi moratori decorrano dalla domanda,<br />

perché «no exsiste mora cuando la cantitad solecitada resulta<br />

illiquida» (42) . Tale postulato è attualmente soggetto a revisione<br />

critica dalla dottrina (J. Santos Briz, L. Diez-Picazo, M. Albaladejo)<br />

che propende perciò per la loro decorrenza dalla domanda (43) .<br />

Una parte della più recente dottrina (J. Santos Briz, L. Diez-Picazo)<br />

e della giurisprudenza, sotto l’influenza italiana, va ora propugnando<br />

l’introduzione della categoria dei crediti di valore (44) .<br />

Questa categoria è definita come quella «dove el dinero functiona<br />

como un equivalente de otros bienes o de otros servicios» (45) e non<br />

(38) H. e L. MAZEAUD, op. cit., pp. 2423-2, e giurisprudenza ivi cit. alle note 2 e 3;<br />

SAVATIER, op. cit., n. 606.<br />

(39) H. e L. MAZEAUD, op. cit., n. 2419. Tuttavia in linea di principio si assume il<br />

salario alla decisione: MAZEAUD, op. cit., n. 2421; H. LALOU, op. cit., n. 181.<br />

(40) Cass. belge, 7 febbraio 1946, in MAZEAUD, op. cit., nn. 2480-8, nota 21.<br />

(41) Trib. Supremo, 30 ottobre 1956, e giurisprudenza consolidata, in J. SANTOS<br />

BRIZ, La responsabilidad civil en derecho sustantivo y procesal, Madrid, 1981, p. 289.<br />

(42) Trib. Supremo, 28 febbraio 1975 e 12 luglio 1973, in J. SANTOS BRIZ, op. cit.,<br />

pp. 343 ss.<br />

(43) L. DIEZ-PICAZO, Y ANTONIO GILLON, Sistema de derecho civil, Madrid,<br />

1978, II, p. 157; ALBALADEJO, Derecho civil, II, Derecho des obligationes, Barcellona,<br />

1980, § 32, p. 179.<br />

(44) J. SANTOZ BRIZ, op. cit., pp. 289 ss.; sentenza 20 maggio 1977, I Trib. Supremo,<br />

ibidem, p. 343.<br />

(45) L. DIEZ-PICAZO, Fundamentos del derecho civil patrimonial, Madrid, 1983, I,<br />

pp. 464-477.


Scritti di Diritto Civile 85<br />

come mezzo nominale di scambio. Si propende ad aggiungere gli interessi<br />

dalla domanda alla rivalutazione monetaria, come da noi,<br />

così duplicando il risarcimento, che trasmoda nel lucro (46) .<br />

In Gran Bretagna. La giurisprudenza e la dottrina assumono a<br />

riferimento i prezzi e salari del giorno della inadempienza (Philips<br />

v. Ward, 1956, J.W.L. 471) o del danno o dei danni successivi (v.<br />

autori citati da Mazeaud n. 2358 n. 2).<br />

Negli Stati Uniti d’America. Ci si riferisce al giorno del danno o<br />

del danno successivo, tenendo conto della svalutazione della moneta<br />

(v. HARPER AND JAMES, vol. II, § 25; RITA HAUSER, Breach<br />

oJ Contracts Damages during inflation, 23 Tulane Law Rev. 307,<br />

322, 1959, cit. da Mazeaud e Tunc, II, p. 567, nota 21).<br />

In Canadà. La giurisprudenza si basa sui valori e salari in corso<br />

alla inadempienza o all’illecito (47) . La legge 21 febbraio 1957 ha introdotto<br />

nel codice civile del Quebec l’art. 1056 che fa decorrere gli<br />

interessi dalla domanda giudiziaria, così superando il principio in<br />

illiquidis non fit mora.<br />

In Svizzera. Il danno viene stimato al suo verificarsi e ad esso si<br />

aggiungono gli interessi ed il maggior danno da mora ex art. 116 c.<br />

obbl. Le obbligazioni in moneta straniera vengono espresse in franchi<br />

svizzeri e le eventuali differenze di cambio posteriori sono liquidate<br />

solo come danno da mora ove si dimostri che si sarebbe<br />

cambiato (48) .<br />

Nelle convenzioni internazionali dell’Aja 1° luglio 1964 e di<br />

Vienna 11 aprile 1980. L’art. 84.1 della convenzione dell’Aja e l’art.<br />

76 di quella di Vienna, accolgono il criterio, nel caso di danno da<br />

risoluzione contrattuale, di riferirsi ai prezzi correnti al momento<br />

della risoluzione del contratto e non a quello in cui si sarebbe potuto<br />

risolvere. Ciò equivale, in via di approssimazione, a quello della<br />

domanda.<br />

La soluzione diede luogo a vivaci discussioni alla conferenza di<br />

Vienna e il medesimo Chairman la criticò perché avrebbe incorag-<br />

(46) Così SANTOS BRIZ, op. cit., p. 315.<br />

(47) P. AZARO, Jurisprudence et doctrine canadiennes en matiere de responsabilité<br />

civile (supplemento al trattato di H. LALOU, Paris, 1962, p. 18).<br />

(48) Trib. federale svizzero, in Raccolta decisioni, 1960, II, p. 340; 1947, II, p. 193;<br />

1946, II, p. 380; F. BOLLA, Repertorio di giurisprudenza patria, 1936, p. 472; SCH-<br />

NITZER, Manuale di diritto privato della Svizzera 3 , p. 667.


86 Scritti di Diritto Civile<br />

giato la parte risolvente a speculare in danno dell’altra. È stato tuttavia<br />

osservato che dovrebbe applicarsi il correttivo di escludere i<br />

maggiori danni evitabili ad es. con un rimpiazzo più tempestivo.<br />

È apprezzabile l’opinione dottrinale che tiene conto dei «costi benefici»<br />

nel calcolo del danno in genere (49) , mentre non pare coerente<br />

quella favorevole al cambio al pagamento.<br />

8. – E ora passiamo a vedere gli orientamenti affermatisi in Italia.<br />

All’epoca del codice civile del 1865, la giurisprudenza oscillò<br />

tra la stima del danno, specie se contrattuale, secondo il valore<br />

che la prestazione aveva al tempo della inadempienza (50) e quello<br />

invece al tempo del ripristino. In particolare questa opinione<br />

prevalse ove il creditore, invece della risoluzione, avesse chiesto<br />

e ottenuto la condanna all’adempimento e questa fosse rimasta<br />

ineseguita.<br />

Il calcolo della invalidità permanente della persona venne effettuato<br />

sul salario corrente al tempo del verificarsi del danno. Si aggiungevano<br />

per il periodo dall’inadempienza alla liquidazione gli<br />

interessi legali, qualificati come compensativi, per la loro evidente<br />

funzione di saggio di attualizzazione dell’indennizzo e non come<br />

moratori, per via del principio in illiquidis non fit mora.<br />

In dottrina Albertario, Ascoli, Brugi, Chironi, De Ruggiero, Stolfi<br />

(51) , sostennero che la stima andasse effettuata sulla base del valore<br />

della cosa al momento in cui avrebbe dovuto essere prestata<br />

mentre altri, tra cui in ispecie il Tedeschi, si riferirono a quello della<br />

decisione.<br />

I lavori del Tedeschi (52) si distinsero per apparato dottrinale e<br />

coerenza dogmatica ed influenzarono la dottrina successiva. In<br />

modo controverso fu affrontato anche il problema del corso di cam-<br />

(49) F. BONELLI, La responsabilità per danni, in La vendita internazionale, quaderno<br />

n. 39 di Giur. comm., Milano, 1981, pp. 265, nota 36, 265-266, 281 ss., 291 ss.<br />

(50) Cass. Firenze, 11 dicembre 1887, in Rass. compl. Giur. sul c.c., Milano, 1923, p.<br />

429, n. 204; App. Genova, 13 marzo 1900, ibidem, p. 768, n. 5439.<br />

(51) ALBERTARIO, Monitore dei tribunali, 1910, p. 22; ASCOLI, Codice civile annotato,<br />

Milano, 1920, sub art. 1931, n. 81; BRUGI, Istituzioni di diritto civile, Milano,<br />

1923, p. 265; CHIRONI, Colpa extracontrattuale, Milano, 1906, II, n. 434 bis, p. 369;<br />

id., Colpa contrattuale, pp. 584 s.; N. STOLFI, Diritto civile, Milano, 1934, III, n. 353.<br />

(52) TEDESCHI, Il danno e il momento della sua determinazione, in Riv. dir. priv.,<br />

1933, I, p. 263 ss.; id., in Riv. dir. comm., 1934, I, pp. 234-244.


Scritti di Diritto Civile 87<br />

bio, se alla scadenza o al pagamento, al quale andasse commisurata<br />

la prestazione in ritardo della moneta straniera (53) .<br />

Il nuovo legislatore del 1942 non intese risolvere il problema di<br />

fondo, là dove scrisse: «si è lasciata alla dottrina ed alla giurisprudenza<br />

la determinazione del momento, a cui deve aversi riguardo<br />

per la stima del danno» (54) .<br />

È stato tuttavia superato dall’art. 1219, 2° comma n. 1, c.c., il<br />

principio in illiquidis non fit mora, e l’art. 1227 c.c. ha imposto al<br />

creditore l’onere di evitare l’aggravamento del danno (55) . I riflessi<br />

di questi precetti non sono stati colti in tutta la loro ampiezza con<br />

riguardo al nostro problema.<br />

La giurisprudenza dominante, formatasi sul nuovo codice civile,<br />

ha qualificato il risarcimento del danno come credito di valore. Essa<br />

stima il danno al suo verificarsi e poi lo rivaluta in rapporto al successivo<br />

deprezzamento monetario fino alla liquidazione (56) .<br />

In epoca a noi più recente, si è venuto affermando l’orientamento<br />

alternativo di calcolare l’indennizzo sulla base dei prezzi e dei salari<br />

(57) al momento della liquidazione, perché – è stato ritenuto – i due<br />

metodi pervengono per vie diverse allo stesso risultato pratico (58) . Si<br />

aggiungono altresì gli interessi legali che si seguitano a qualificare<br />

compensativi e non moratori malgrado che sia ritenuto del tutto superato<br />

il principio in illiquidis non fit mora (59) . Essi sono ora calcolati<br />

sul capitale rivalutato (60) , ora sul capitale originario (61) .<br />

(53) Per una rassegna, di dottrina e giurisprudenza, v. G. VALCAVI, Il corso di cambio<br />

e il danno da mora nelle obbligazioni in moneta straniera, Rivista Dir. Civ., 1985, II,<br />

pp. 253 s., note 5, 6 e 7.<br />

(54) Relazione del Guardasigilli, n. 721.<br />

(55) Nel senso che il nostro ordinamento non accoglie il principio in illiquidis non fit<br />

mora: tra le molte Cass. civ., 12 gennaio 1976, n. 73, in Rep. Giur. it., 1976, c. 2968, n. 282.<br />

(56) Tra le moltissime, Cass. civ., 28 febbraio 1984, n. 1420; Cass. civ., 6 febbraio<br />

1984, n. 890, in Mass. Giust. civ., 1984, nn. 296, 452.<br />

(57) Cass. civ., 5 agosto 1982, n. 4297, in Rep. Giur. it., 1982, voce Danni, c. 815, n.<br />

55. Per il riferimento invece al fatto: App. Genova, 2 settembre 1966; App. Genova, 9 luglio<br />

1946: App. Genova, 4 marzo 1966, in Rep. Giur. it. 1944-47, voce Responsabilità civile,<br />

nn. 192, 195, 196.<br />

(58) Cass. civ., 4 luglio 1979, n. 3814, in Rep. Giust. civ., 1979, p. 732, n. 135.<br />

(59) Cass. civ., 30 marzo 1985, n. 2240, in Rep. Giust. civ., 1985, voce Danni, c. 731, n. 24.<br />

(60) Cass. civ., 13 luglio 1983, n. 475, in Mass. Giust. civ., 1983, n. 1677; Cass. civ.,<br />

sez. un., 19 luglio 1977, n. 3216, in Mass. Giust. civ., 1977, n. 1269.<br />

(61) Cass. civ., 9 luglio 1984, n. 3992 in Rep. Giur. it., 1984, c. 2182, n. 272, tra le molte.


88 Scritti di Diritto Civile<br />

Le tendenze della nostra dottrina, invece, sono molto più articolate<br />

e contrastanti. Il danno da illecito è stato stimato con riguardo<br />

al suo verificarsi da Greco (62) e Peretti Griva (63) , e invece alla liquidazione<br />

da Ascarelli (64) , De Cupis (65) , Nicolò (66) . Passiamo ora al<br />

danno contrattuale. Quello da risoluzione per inadempienza è stato<br />

calcolato sulla base dei valori correnti all’inadempienza da Nicolò (67)<br />

e da Greco (68) , alla domanda giudiziaria invece da Ascarelli (69) , Mengoni<br />

(70) , Raffaelli (71) e, infine, alla decisione, da Mosco (72) .<br />

Ascarelli e Greco procedono al successivo ragguaglio monetario<br />

(73) . Il danno da perimento fortuito del bene durante la mora è<br />

stato stimato con riguardo al momento del perimento da Mengoni e<br />

da Nicolò (74) , e invece alla decisione, da Ascarelli (75) . Quest’ultimo<br />

stima alla decisione anche il danno da mancata consegna della cosa,<br />

dopo la condanna all’adempimento. Egli è peraltro incline a soluzioni<br />

ispirate alla logica afflittiva del quanti plurimi (76) .<br />

Concordemente si aggiungono gli interessi monetari dalla domanda,<br />

che si reputano compensativi.<br />

Da ultimo l’autore di queste righe ha sostenuto che il danno debba<br />

essere stimato in linea generale con riguardo ai prezzi e salari in<br />

(62) P. GRECO, Debito pecuniario, debito di valore e svalutazione monetaria, in Riv.<br />

dir. comm., 1947, II, p. 112.<br />

(63) PERETTI GRIVA, Momento di valutazione del danno nell’illecito aquiliano, in<br />

Giur. it., 1947, I, 2, c. 51 ss.<br />

(64) T. ASCARELLI, Obbligazioni pecuniarie, nel Commentario del c.c. a cura di<br />

Scialoja e Branca, Libro quarto, Delle obbligazioni (artt. 1277-1284), Bologna-Roma,<br />

1963, sub art. 1279, n. 179, p. 522.<br />

(65) A. DE CUPIS, op. cit., I, p. 269.<br />

(66) R. NICOLÒ, Gli effetti della svalutazione della moneta, in Foro it., 1946, IV, c. 50 ss.<br />

(67) R. NICOLÒ, op. cit., c. 51.<br />

(68) P. GRECO, op. loc. cit.<br />

(69) T. ASCARELLI, op. cit., p. 526.<br />

(70) MENGONI, Rassegna critica di giurisprudenza, in Temi, 1946, pp. 581 ss.<br />

(71) G.A. RAFFAELLI, Intorno al momento della determinazione del danno, in Foro<br />

pad., 1946, I, c. 89 ss.; id. in Foro pad., 1946, I, c. 553.<br />

(72) MOSCO, Effetti giuridici della svalutazione, Milano, 1948, p. 83.<br />

(73) P. ASCARELLI, op. cit., p. 519; P. GRECO, op. loc. cit.<br />

(74) MENGONI, op. loc. cit.; R. NICOLÒ, op. cit., c. 51.<br />

(75) T. ASCARELLI, op. cit., p. 521, nota 1, e p. 525.<br />

(76) T. ASCARELLI, op. cit., pp. 523, 531, e 532, dove a nota 1 ripropone la distribuzione<br />

di presunzioni e dell’onere della prova contraria in modo analogo a quello proposto<br />

a suo tempo dai pandettisti.


Scritti di Diritto Civile 89<br />

corso al suo verificarsi (77) , mentre il successivo ritardo con cui viene<br />

prestato l’equivalente deve essere indennizzato ricorrendo alla<br />

norma chiave dell’art. 1224, 1° e 2° comma, c.c., che si applica anche<br />

alle obbligazioni pecuniarie illiquide, perché è caduto il criterio<br />

in illiquidis non fit mora.<br />

E così al capitale di risarcimento devono aggiungersi gli interessi<br />

legali e il maggior indennizzo moratorio ex art. 1224, 2° comma,<br />

c.c., che va individuato nello scarto tra i primi e il normale rendimento<br />

del danaro (78) . In tal modo, sommandosi al capitale originario<br />

il suo normale rendimento monetario successivo sino al pagamento,<br />

si ha il completo ristoro del danno.<br />

9. – Cominciamo ora da un esame critico del fondamento delle opinioni<br />

che nei diversi ordinamenti stimano il danno sulla base dei<br />

prezzi correnti in momenti più o meno prossimi all’indennizzo invece<br />

che al suo verificarsi.<br />

Passeremo poi a discorrere del fondamento delle opinioni che invece<br />

indicizzano i crediti al tasso di svalutazione o rivalutazione<br />

monetaria (c.d. crediti di valore).<br />

Da ultimo si proporrà una soluzione che meglio sembra corrispondere<br />

alla natura e ai vari aspetti del problema di cui l’Huberius,<br />

sulle orme di Cujacio, scriveva che «nihil est apud interpretes<br />

judicesque hac obscuritate celebrius» (79) .<br />

Cominciamo dal primo discorso, e partiamo dalla stima di quel<br />

danno che consiste nella sottrazione, danneggiamento, mancata<br />

consegna di una cosa.<br />

Le opinioni affermatesi hanno finito per basare tale stima sui valori<br />

correnti alla domanda giudiziale e soprattutto alla decisione.<br />

Un ruolo rilevante è stato giocato al riguardo dal principio in illi-<br />

(77) G. VALCAVI, Riflessioni sui c.d. crediti di valore, sui crediti di valuta e sui tassi<br />

di interesse, in Foro it., 1981, I, c. 2112; id., Evitabilità del maggior danno ex art. 1227,<br />

2° comma c.c. e rimpiazzo della prestazione non adempiuta, in Foro it., 1984, I, c. 2820;<br />

id., Ancora sul maggior danno da mora nelle obbligazioni pecuniarie: interessi di mercato<br />

o rivalutazione monetaria, in Foro it., 1986, I, c. 1540.<br />

(78) G. VALCAVI, Rivalutazione monetaria o interessi di mercato?, in Foro it., 1980,<br />

I, c. 118; id., La stima del danno nel tempo con riguardo alla inflazione alla variazione<br />

dei prezzi e all’interesse monetario, in Riv. Dir. Civ., 1981, II, pp. 332 ss.<br />

(79) HUBERIUS, Pralectiones iuris civilis, Lipsia, 1707, Tit. de condict. tritic. 3, in<br />

TEDESCHI, op. ult. cit., p. 242, nota 2.


90 Scritti di Diritto Civile<br />

quidis non fit mora largamente dominante anche da noi sino a non<br />

molto tempo fa.<br />

Esso non ha consentito di distinguere il danno da inadempienza<br />

(o da illecito) da quello derivante piuttosto dal ritardo nel prestare<br />

l’equivalente e così di ipotizzare un diverso e distinto risarcimento<br />

per l’uno e l’altro danno. Ciò ha condotto a fare di essi un tutt’uno.<br />

Codesto modo di intendere l’indennizzo è rudimentale e va escluso<br />

tanto più ora che il principio in illiquidis non fit mora è completamente<br />

abbandonato (80) .<br />

Sotto questa luce vanno lette le opinioni di quei giuristi stranieri<br />

che reputano il danno unico dal suo prodursi alla sua liquidazione<br />

e rimasto identico malgrado la variazione del valore.<br />

Invero non pare possa distinguersi tra danno e valore, dato che il<br />

danno è essenzialmente un valore economico (81) , sicché un suo mutamento<br />

ne modifica la sua ampiezza e la sua medesima esistenza.<br />

Così, nel caso ad es. di azioni industriali, un sopravvenuto rialzo del<br />

loro valore sarà ipotizzabile solo come un lucro cessante, mentre una<br />

perdita di valore delle stesse, perché ad es. la società fallisce, farà sì<br />

che il danno non possa dirsi immutato nel periodo di tempo. Codeste<br />

proposizioni appaiono tuttavia inaccettabili. Occorre perciò qui<br />

sottolineare che altro è il danno direttamente dipendente da illecito<br />

o da inadempienza (dolosa o colposa), e altro è quello causato dal ritardo<br />

con cui l’equivalente viene prestato (per lo più colposo), altre<br />

sono le regole e i contenuti dei rispettivi risarcimenti.<br />

Quanto al ritardo assume rilievo l’ordinario indennizzo moratorio<br />

delle obbligazioni pecuniarie che si applica certamente anche ai<br />

crediti illiquidi per l’abbandono del principio di cui si è detto. Non<br />

può convenirsi con l’altra opinione, secondo cui il creditore avrebbe<br />

diritto al valore alla decisione od alla maggiore quotazione intermedia,<br />

poiché ha diritto in ogni tempo alla cosa. Invero la logica<br />

che presiede al risarcimento del danno è diversa da quella che concerne<br />

la prestazione della cosa dovuta e cioè il suo adempimento<br />

specifico (82) . Quest’ultima è dovuta per le sue specifiche utilità qua-<br />

(80) H. e L. MAZEAUD, op. cit., nn. 2420-11, 2420-15, 2421, 2423.<br />

(81) H. e L. MAZEAUD, op. cit., n. 2389.<br />

(82) Su tale argomento si basano le opinioni dei sostenitori della stima alla decisione<br />

o al quanti plurimi. Tuttavia per un cenno critico: G. TEDESCHI, in Riv. dir.<br />

comm., cit., p. 243.


Scritti di Diritto Civile 91<br />

le che sia il suo valore di scambio, al rialzo o al ribasso, mentre ciò<br />

ha molto rilievo nel risarcimento del danno (83) .<br />

La scelta del creditore tra adempimento specifico e risarcimento<br />

del danno, ove possibile, non è perciò una scelta omogenea ed è virtualmente<br />

una scelta tra due diversi valori riferiti a due diversi momenti<br />

(84) . Opinando diversamente, l’obbligazione risarcitoria finirebbe<br />

per ridursi ad obbligazione alternativa rispetto a quella di<br />

adempimento e in quanto la prestazione pecuniaria fosse più appetibile<br />

di quella in natura equivarrebbe a un quanti plurimi.<br />

Tale modo di vedere ha qualche motivazione normativa solo in<br />

quegli ordinamenti diversi dal nostro in cui può chiedersi il risarcimento<br />

solo dopo che si sia agito infruttuosamente per l’adempimento<br />

(85) . Da noi non può accogliersi, perciò, la proposta di quegli autori<br />

che ritengono di stimare il danno alla decisione nel caso in cui il<br />

danneggiato abbia dapprima agito per l’adempimento (86) , perché la<br />

reintegrazione può essere esclusa dal giudice, ove sia ritenuta eccessivamente<br />

onerosa ex art. 2058, 2° comma, c.c., sicché il relativo valore<br />

non costituisce parametro certo dell’indennizzo per equivalente.<br />

Non è neppure accettabile l’altra giustificazione secondo la quale<br />

il creditore attenderebbe l’indennizzo per poter riparare il danno (87) .<br />

Codesta tesi è esclusa dal dovere di cooperazione incombente sul danneggiato<br />

di evitare l’aggravamento del danno, codificato dal nostro e<br />

da altri ordinamenti e che si estende al rimpiazzo sollecito del bene.<br />

La contraria opinione svilisce il dovere di solidarietà operosa ad<br />

un comportamento di mera attesa.<br />

L’adozione dei valori correnti alla decisione non si giustifica, parimenti,<br />

con la ragione di fondo di rendere partecipe il creditore del<br />

beneficio di un loro rialzo, invece del debitore che altrimenti trarrebbe<br />

ingiusto vantaggio (88) .<br />

(83) Codesto elemento differenziale venne già colto dai giuristi romani laddove precisavano<br />

che l’adempimento concerneva la omnis utilitas della cosa mentre il risarcimento<br />

invece il suo valore di scambio (e cioè il quanti ea res est, erit, fuit).<br />

(84) G. VALCAVI, Riflessioni sui c.d. crediti di valore, cit., loc. cit.<br />

(85) Così in Germania §§ 288, 290, 849 BGB.<br />

(86) T. ASCARELLI, op. cit., p. 523; L. MENGONI, op. loc. cit.<br />

(87) F. MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, Milano, 1954, II, §§ 115,<br />

257; G. TEDESCHI, in Riv. dir. priv., cit., p. 263.<br />

(88) Tale argomento si ritrova in TEDESCHI, in Riv. dir. comm., cit., p. 245.


92 Scritti di Diritto Civile<br />

Invero un loro rialzo è puramente virtuale perché essi possono essere<br />

piuttosto alla pari o addirittura in ribasso. In quest’ultimo caso,<br />

il danneggiato non riceverebbe neppure l’equivalente di quella cosa<br />

che gli era dovuta a suo tempo e tanto meno, un indennizzo, anche<br />

solo astrattamente forfettario, per il ritardo. E così per renderlo partecipe<br />

del rialzo, si finisce per gravarlo dalla incognita di un ribasso<br />

sovvertendo la regola del trapasso del rischio dal creditore conseguente<br />

alla mora con la perpetuatio obligationis.<br />

Ciò è stato avvertito dai giuristi che sono ricorsi al rimedio del<br />

quantum plurimi.<br />

Non può tuttavia concordarsi in una tale opinione manifestamente<br />

ispirata a una logica premiale per il creditore ed afflittiva per<br />

il danneggiante. Essa è comunque inadeguata là dove lascia scoperto<br />

in ogni caso il danno per il periodo che va dal momento del<br />

supposto disinvestimento alla maggior quotazione sino a quello della<br />

concreta prestazione dell’indennizzo.<br />

Il fatto che si finiscano per aggiungere comunque gli interessi a far<br />

tempo dall’illecito (o dalla domanda, nella responsabilità contrattuale)<br />

equivale a riconoscere loro la funzione di insostituibile saggio di attualizzazione<br />

temporale anche dei crediti illiquidi, invece che alla posteriore<br />

variazione dei valori così che il suo risultato coincida con quello<br />

più aggiornato della cosa sottratta, danneggiata e non prestata.<br />

Resta a vedersi se l’ipotesi che a trarre profitto da un rialzo<br />

dei prezzi per il debitore medesimo sia aberrante o abbia qualche<br />

motivazione.<br />

A mio avviso, la circostanza che costui non possa avvantaggiarsi<br />

da un sopravvenuto ribasso dei prezzi giustifica che non possa essere<br />

gravato da un eventuale rialzo. E viceversa non pare che il creditore<br />

possa beneficiare del rialzo, dato che non corre più il rischio<br />

del loro ribasso.<br />

Ciò rientra nella logica di quel trapasso del rischio sul debitore<br />

che è postulato dalla perpetuatio obligationis.<br />

Conviene a questo punto allargare il discorso sul significato da<br />

attri buire alla perpetuatio obligationis. Quest’ultima viene solitamente<br />

intesa come la mera cristallizzazione dell’oggetto della<br />

prestazione dovuta (89) . In tale modo il trapasso del rischio è vi-<br />

(89) In questo senso viene inteso da QUADRI, Le clausole monetarie, Milano, 1981,


Scritti di Diritto Civile 93<br />

sto sotto il limitato profilo della res debita, talché questa numquam<br />

perit.<br />

Tale modo di vedere è peraltro eccessivamente riduttivo.<br />

La perpetuatio obligationis, ad avviso di chi scrive, deve essere<br />

intesa invece come la cristalizzazione del rischio e cioè del valore<br />

economico della prestazione dovuta (90) . La stessa insensibilità del<br />

creditore a risentire del perimento della cosa dovuta va ricondotta<br />

a questa logica. Il trapasso del rischio deve essere inteso nei due sensi,<br />

così che in linea di principio un ribasso dei prezzi non nuocerà al<br />

creditore come non può giovargli il rialzo: e alla stessa stregua il debitore<br />

non trarrà vantaggio da un loro ribasso, ma non sarà danneggiato<br />

da un rialzo.<br />

Quel che si dice dei prezzi si estende a qualsiasi variazione dei<br />

valori in segno positivo o negativo, com’è il caso di un’azienda che<br />

vada incontro a rilevanti perdite, così da ridurre o azzerare il capitale,<br />

o viceversa attraversi un periodo di prosperità.<br />

Il calcolo delle successive perdite o profitti non può influenzare<br />

la stima del badwill o del goodwill, cioè del danno, né a carico né a<br />

favore del creditore (91) , né può accogliersi a fortiori quell’opinione<br />

che vorrebbe fermare la stima al momento del perimento (92) .<br />

Alla luce di queste riflessioni non pare che il debitore consegua<br />

ingiusto vantaggio col non essere gravato da un posteriore rialzo dei<br />

prezzi, così da attribuirlo al creditore, che per contro non corre più<br />

il rischio del loro ribasso. L’opposto modo di intendere finisce per<br />

non liberarsi dalle secche del quanti plurimi che è concezione tipicamente<br />

penale e come tale da rifiutare.<br />

10. – A un esame più penetrante le opinioni dominanti nei vari tempi<br />

ed ancora oggi, e di cui si è sopra detto, hanno in comune tra loro,<br />

a mio avviso, l’errore di fondo di privilegiare l’aestimatio rei all’id<br />

pp. 146 ss.; FAVARA, in Foro it., 1954, I, c. 742. Per un cenno più generale, M. BIANCHI<br />

FOSSATI VANZETTI, Perpetuatio obligationis, Padova, 1979, pp. 4 ss.<br />

(90) Cosi anche: F. CARNELUTTI, in Riv. dir. comm., 1929, I, pp. 47, 50; G. VAL-<br />

CAVI, Il corso di cambio e il danno da mora, cit., in Riv. Dir. Civ., 1985. II, p. 258; R. DE<br />

RUGGIERO, Istituzioni di diritto civile, Messina, 1967, III, p. 138; PESTALOZZA, in<br />

Giur. it., 1946, I, 2, c. 364.<br />

(91) Per cenni al riguardo, L. GUATRI, La valutazione delle aziende, Milano, 1984.<br />

(92) MENGONI, op. loc. cit.; T. ASCARELLI, op. cit., p. 521, nota I, e p. 525.


94 Scritti di Diritto Civile<br />

quod interest, in cui riposa invece da sempre, per comune opinione,<br />

l’essenza del danno e il suo corretto risarcimento. Occorre qui<br />

ricordare che l’id quod interest è la differenza in termini monetari<br />

risultante dal raffronto tra la situazione patrimoniaIe in cui il danneggiato<br />

si sarebbe trovato, secondo il normale corso degli eventi,<br />

se non avesse subito il torto e quella in cui invece si trova per effetto<br />

dello stesso (93) .<br />

L’aestimatio rei, per contro, si traduce nel prezzo, che è poi il valore<br />

istantaneo di quel bene in quel momento, dato che, come diceva<br />

Seneca, pretium enim pro-tempore est.<br />

Non si può escludere in teoria che talvolta il risarcimento calcolato<br />

in base all’interesse venga a corrispondere col valore oggettivo<br />

di una data cosa: ciò però accade, se mai, per corrispondenza occasionale<br />

e non per coincidenza di criteri (94) .<br />

È stato al riguardo scritto a proposito delle formule romane, che,<br />

mentre nel quanti ea res est, era assai più probabile l’occasionale<br />

convergenza dei due criteri, l’interesse e la vera rei aestimatio tendevano<br />

ad assumere in prosieguo di tempo, una posizione tra loro<br />

antitetica.<br />

Quanto siano discordanti tra loro i risultati dell’impiego dell’uno<br />

o dell’altro criterio, anche a volere assumere a riferimento il medesimo<br />

prezzo dello stesso tempo, è presto detto. Si prenda ad es. il<br />

prezzo al tempus rei judicandae, supponendolo in rialzo rispetto a<br />

quello dell’inadempienza.<br />

Il metodo dell’aestimatio rei condurrà a calcolare l’indennizzo<br />

sulla base di tale prezzo.<br />

Nel caso invece che si impieghi il criterio mirato all’id quod interest,<br />

si ipotizzerà la prestazione di quel bene al tempo debito, si<br />

supporrà la successiva conservazione dell’investimento di quel bene<br />

sino al momento della decisione (cosa che dovrà essere dimostrata<br />

dal danneggiato) e infine da quel guadagno lordo si dovranno detrarre<br />

le spese di conservazione e gli oneri finanziari che avrebbero<br />

(93) La differenztheorie è comunemente accolta nei vari ordinamenti compresi quelli<br />

anglosassoni; v. E. BETTI, Id quod interest, nel Noviss. Digesto it., VIII, s.d., ma Torino,<br />

1975, p. 133; A. DE CUPIS, Il danno, cit., pp. 49 ss. In tal senso il lucro cessante è definito<br />

dal § 252, 2° comma, del BGB germanico.<br />

(94) G. PUGLIESE, in Foro it., 1955, I, c. 578 ss.


Scritti di Diritto Civile 95<br />

inciso medio tempore su quell’investimento (95) . Un’eventuale plusvalenza,<br />

al netto dei costi, come si è detto, rileverà solo come lucro<br />

cessante da gain-capital, frutto di un investimento, ipotizzato con<br />

quella certa durata (il tutto da dimostrare) e non come danno emergente<br />

passato, stimato secondo i valori attuali alla decisione.<br />

Tale aspetto è stato colto dal Mengoni là dove, con riguardo alla<br />

proposta di indennizzare la distruzione o la perdita di una cosa da<br />

illecito, sulla base del prezzo alla decisione, ha escluso che si possa<br />

ulteriormente calcolare il lucro cessante, in quanto lo stesso «è già<br />

conglobato» nel prezzo attuale (96) .<br />

Un investimento in atto da epoca anteriore alla decisione è postulato<br />

da quanti ipotizzano, nel caso di ribasso, un disinvestimento<br />

a un maggior prezzo anteriore (sia presunto come quanti plurimi,<br />

sia provato). Esso spazia per tutto l’arco temporale in cui può<br />

aversi, in teoria, codesta maggiore quotazione, cioè dall’inadempienza<br />

alla decisione. Anche quivi si coglierà l’erroneità dell’aestimatio<br />

rei, là dove questa ipotizza il valore della cosa al momento di<br />

un ipotetico adempimento ritardato alla decisione, invece che come<br />

il prezzo del disinvestimento di un bene acquistato sin dal momento<br />

in cui l’adempimento era atteso e successivamente conservato<br />

fino a quando si ipotizza di disporne.<br />

Viene con ciò omessa la comparazione tra la situazione presente<br />

e quella frutto di ideale ricostruzione, secondo l’ordine naturale delle<br />

cose, se non fosse intervenuto il torto.<br />

Un’eventuale plusvalenza sopravvenuta non viene così colta nella<br />

sua intima essenza di ipotetico lucro cessante e viene piuttosto<br />

male intesa come nuovo e più aggiornato valore del danno emergente.<br />

Acquista fondamentale importanza l’esame dei «costi-benefici»<br />

di codesto investimento e del suo realizzo.<br />

L’analisi della situazione in cui il danneggiato si sarebbe trovato<br />

mette in rilievo che ciò sarebbe avvenuto: a) con certi costi (oneri<br />

finanziari relativi alla controprestazione dovuta, spese per la conservazione,<br />

la manutenzione e così via); b) con certi benefici (aumento<br />

del valore di scambio, frutti della cosa, al netto dei costi di<br />

(95) Alla depurazione dei costi posero attenzione i canonisti e tra questi G.B. DE<br />

LUCA, op. loc. cit.<br />

(96) L. MENGONI, op. loc. cit.


96 Scritti di Diritto Civile<br />

produzione); c) con un certo rischio che si sia voluto e si voglia correre<br />

(come quello posto dalla variabilità dei prezzi). Quest’ultimo<br />

elemento merita un particolare cenno (97) .<br />

Nel rischio a fronte dell’eventualità di guadagnare c’è quella di<br />

perdere, che ne costituisce il corrispettivo. In ciò si concreta la logica<br />

di quell’agire a proprio rischio, in cui si concreta l’autoresponsabilità<br />

e su cui si basa la imputabilità. A cose fatte, come nel caso<br />

di prezzi già quotati, manca l’incertezza che è essenziale al rischio.<br />

Sotto questo profilo il criterio dell’aestimatio rei si manifesta<br />

massimamente erroneo, perché esso finisce per calcolare il valore<br />

odierno del supposto investimento in quel bene, senza tuttavia detrarre<br />

i costi che sarebbero stati sopportati medio tempore a suo motivo<br />

e senza tenere conto alcuno del rischio.<br />

Tale calcolo al lordo e non al netto dei costi trasmoda in un lucro<br />

a favore del danneggiato e in una pena a carico del debitore. Lo<br />

stesso è a dirsi per chi attribuisca il beneficio del rialzo dei prezzi,<br />

sia pure al netto dei costi, a colui che agisca per la risoluzione del<br />

contratto che così rifiuta in tal modo di correre l’ulteriore rischio.<br />

Tutto ciò venne correttamente colto dagli antichi canonisti, sotto la<br />

preoccupazione di non indulgere alle usure, dal Pothier e dai legislatori<br />

successivi, che come il nostro art. 2056, 2° comma, c.c., prescrivono<br />

moderazione nella liquidazione del lucro cessante a differenza<br />

del danno emergente.<br />

11. – Passiamo ora a vedere che senso abbia, nel quadro sopra indicato,<br />

la stima del danno con riguardo a un momento diverso e posteriore<br />

al suo verificarsi, ossia a quello della decisione o dell’indennizzo<br />

o della domanda.<br />

L’adozione di un qualsiasi momento fra essi, equivale a codificare<br />

che quell’investimento in quel bene sarebbe a priori durato rispettivamente<br />

sino alla decisione o all’indennizzo o alla domanda<br />

ed il disinvestimento e il relativo risultato si sarebbero verificati secondo<br />

i valori e i prezzi correnti nel momento voluto. Non dipende<br />

cioè più dalla prova del danneggiato o dalla ricostruzione ideale della<br />

situazione ipotetica da comparare con quella verificatasi la de-<br />

(97) Il lucro cessante è stato correttamente individuato nella differenza tra ricavi e costi<br />

da Cass. civ., 28 ottobre 1975, n. 3619, in Rep. Giust. civ., 1975, p. 734, n. 115.


Scritti di Diritto Civile 97<br />

terminazione del danno, del suo tempo e del suo valore, ma questi<br />

sono risolti secondo lo schema astratto voluto e a priori imposto a<br />

tutti, danneggiato compreso.<br />

È piuttosto evidente che un’eventuale plusvalenza da rialzo dei<br />

valori dei prezzi, correnti al momento prescelto, non possa essere attribuita<br />

al danneggiato, se non come lucro cessante di quell’investimento,<br />

che viene supposto sino a quel momento.<br />

Si prescinde tuttavia, e in modo incomprensibile, dall’esame dei<br />

suoi «costi-benefici» così che il mancato guadagno è calcolato al lordo<br />

dei costi.<br />

Tuttavia i valori e i prezzi possono essere in ribasso o alla pari al<br />

momento della decisione (dell’indennizzo o della domanda) rispetto<br />

a quello in cui la cosa doveva essere prestata. Non pare dubbio<br />

che vada ugualmente compiuto l’esame dei «costi-benefici» dell’investimento<br />

a priori supposto, con quella durata, col risultato di aggravare<br />

il calcolo.<br />

Dallo schema risulta assolutamente trascurato qualsiasi riguardo<br />

al «rischio», e quel che è peggio risulta contraddetta la regola<br />

della perpetuatio obligationis.<br />

E poiché però è prevedibile che il danneggiato adduca che non<br />

avrebbe tenuto in essere quell’investimento, con quella durata e<br />

quel risultato, si finisce inevitabilmente per cadere nelle suggestioni<br />

della logica penale del quanti plurimi.<br />

O, il che è lo stesso, con il concedere al danneggiato di provare,<br />

col senno del poi, che avrebbe tenuto in essere l’investimento per<br />

quel poco o tanto da chiuderlo in guadagno o addirittura col maggior<br />

guadagno. Né si fa caso che egli dovrebbe comunque dare la<br />

dimostrazione del calcolo dei «costi-benefici», per cui alla fine lo si<br />

dispensa anche dalla prova del medesimo guadagno netto.<br />

La regola del trapasso del rischio finisce così per essere intesa in<br />

modo claudicante, come il trapasso dell’eventualità di perdere e il<br />

permanere di quella di guadagnare. Non è mestieri dire come ciò<br />

contrasti, prima di tutto, con la norma di cui al nostro art. 1223 c.c.<br />

e poi con quelle processuali sull’onere della prova e sulla corrispondenza<br />

del chiesto e pronunciato, giustamente messe in rilievo<br />

dai giuristi spagnoli.<br />

È appena il caso di osservare che lo schema implicito nella scelta<br />

del tempo della stima si risolve anche in una presunzione a priori che


98 Scritti di Diritto Civile<br />

quel danno era prevedibile e non evitabile. È cioè presunto dall’opinione<br />

criticata che il debitore potesse prevedere il comportamento<br />

economico del creditore e cioè che egli avrebbe conservato quell’investimento,<br />

per quella durata, e avrebbe fatto luogo al disinvestimento<br />

al livello dei prezzi desiderati. E poiché anche questo dovrebbe<br />

essere prevedibile, ci si dispensa da una dimostrazione al riguardo,<br />

sin dai tempi del Pothier, mediante l’assioma che ciascuno può<br />

prevedere che i prezzi variano in astratto e che non occorre la previsione<br />

sulla quantità di danno (98) . E ciò rappresenta una forzatura<br />

concettuale piuttosto evidente. A mio avviso, invece, con questo<br />

modo di vedere e questi discorsi, si finisce per codificare la disapplicazione<br />

della regola per la quale il danno deve essere prevedibile.<br />

Lo stesso è a dirsi per l’altro requisito che l’aggravamento del<br />

danno non avrebbe potuto essere evitato (art. 1227, 2° comma,<br />

c.c.). Il fatto che lo schema di cui si è detto sopra, adotti, ai fini della<br />

stima, i valori correnti alla decisione (o all’indennizzo, o alla domanda),<br />

equivale anche a riconoscere che quel danno, di quell’ampiezza,<br />

non poteva essere evitato. In tale modo, il dovere di cooperazione<br />

del creditore non può che ridursi ad un comportamento di<br />

mera attesa ed essere inteso in modo da svuotare di contenuto il precetto,<br />

ex art. 1227, 2° comma, c.c.<br />

L’opinione criticata finisce poi per aggiungere ai suoi calcoli anche<br />

gli interessi che definisce compensativi. Non è dato comprenderne<br />

la ragione. In linea di principio essi accedono a un credito pecuniario<br />

liquido. Codesto requisito della liquidità manifestamente<br />

non ricorre nell’obbligazione del risarcimento del danno che, se anche<br />

pecuniaria – come fermamente opino –, è tuttavia illiquida.<br />

Non si coglie tuttavia la coerenza dell’opinione dominante che<br />

addirittura, contro l’evidenza, nega il carattere pecuniario dell’obbligazione,<br />

per poi aggiungere codesti interessi monetari.<br />

La definizione del loro carattere compensativo costituisce, sotto<br />

questo profilo, un riconoscimento in più, in tesi di principio, della<br />

funzione di saggio di attualizzazione dei valori nel tempo, riservata<br />

all’interesse monetario.<br />

(98) La prevedibilità concerne il complessivo comportamento economico ed il relativo<br />

presumibile risultato che postula anche una valutazione se la variazione dei prezzi non<br />

sia anomala.


Scritti di Diritto Civile 99<br />

Non si vede però a questo punto quale senso abbia l’adozione dei<br />

maggiori valori e prezzi in corso successivamente per attualizzare il<br />

danno alla decisione, all’indennizzo o alla domanda ed aggiungervi<br />

gli interessi compensativi, così duplicando l’attualizzazione medesima.<br />

In tal senso maggiore coerenza era dimostrata nel diritto romano,<br />

e oggidì, da coloro che non aggiungono gli interessi monetari.<br />

Si è sopra parlato indifferentemente di valori e prezzi, mettendo<br />

tuttavia l’accento su questi ultimi. È opportuno dire che analoghe<br />

considerazioni possono ripetersi, tali e quali, anche per la variazione<br />

dei valori intrinseci dei beni.<br />

12. – Sembra ora il caso di aggiungere che nessuno dei vari momenti<br />

proposti (decisione, indennizzo, domanda) pare avere in sé una reale<br />

giustificazione.<br />

In realtà per chi si sforzi di far coincidere il valore del danno con<br />

quello dell’indennizzo, facendo leva sui prezzi più prossimi a quest’ultimo,<br />

una maggiore giustificazione sarebbe da riconoscere,<br />

come fa la dottrina e giurisprudenza germanica, al momento in cui<br />

il risarcimento è concretamente prestato.<br />

Esse ammettono che il creditore possa pretendere in un successivo<br />

giudizio la differenza originata dal rialzo dei prezzi dopo l’ultimo<br />

dibattimento orale di secondo grado e il debitore possa eccepire<br />

a propria volta un sopravvenuto ribasso mediante la controquerela<br />

esecutiva (99) .<br />

Non pare, per quel che si è detto sopra, che si possa condividere<br />

una tale scelta se non ammettendo un’eterna querelle che finisce per<br />

mettere in discussione la medesima autorità della cosa giudicata. A<br />

maggior ragione non si riesce a cogliere quale giustificazione abbiano<br />

momenti così lontani sia dall’indennizzo sia dal verificarsi del<br />

danno, quali quelli della domanda e della decisione. Essi non paiono<br />

armonizzarsi neppure con le regole del processo cui ineriscono.<br />

Cominciamo dalla domanda.<br />

È il criterio che venne usato, come s’è visto, nel diritto romano<br />

classico e comune, mediante il ricorso al quanti ea res est, e viene<br />

usato ancora oggi nel diritto spagnolo e da taluni nostri giuristi, a<br />

proposito del danno da risoluzione contrattuale. Esso viene moti-<br />

(99) PALANDT, op. loc. cit.; GRUNSKY, op. loc. cit.


100 Scritti di Diritto Civile<br />

vato col rilievo che il momento della domanda è generalmente ritenuto<br />

determinante in ogni procedimento giurisdizionale e in ispecie<br />

l’inadempimento può dirsi veramente definitivo solo dopo la proposizione<br />

della domanda di risoluzione che preclude l’adempimento<br />

ulteriore (100) .<br />

Questo criterio è piuttosto arbitrario perché il creditore, con lo<br />

scegliere il tempo in cui avanza la domanda giudiziale, finisce anche<br />

per scegliere il valore della cosa su cui si basa la stima. Esso va<br />

incontro a tutte le obiezioni di principio sia pure relativamente all’intervallo<br />

tra verificarsi del danno e domanda. Nel caso che la domanda<br />

sia proposta quando lo sviluppo del danno è ancora in corso,<br />

codesto riferimento è addirittura intempestivo. Esso lascia scoperto<br />

comunque l’indennizzo per il periodo che va dalla domanda<br />

alla prestazione del risarcimento.<br />

Il ricorso quivi all’espediente di calcolare gli interessi compensativi<br />

è sintomatico della fragilità delle basi su cui si fonda in quanto<br />

ciò presuppone il riconoscimento, al credito, del carattere pecuniario,<br />

e, all’interesse, della sua funzione di attualizzazione dei valori.<br />

Passiamo ora all’esame dell’opinione che assume il momento<br />

della decisione (tempus rei judicandae, quanti ea res erit).<br />

In genere questa scelta viene giustificata coi rilievi che essa trasformerebbe<br />

il credito in pecuniario ed avrebbe carattere attributivo<br />

e non dichiarativo (Savatier, Lalou, Mazeaud, ecc.).<br />

Codeste proposizioni non appaiono fondate, perché il credito all’equivalente<br />

è, per definizione, pecuniario all’origine, anche se illiquido,<br />

e non lo diventa per via della decisione, alla quale non è da<br />

riconoscere comunque carattere costitutivo (101) .<br />

La decisione viene generalmente identificata con quella di secondo<br />

grado.<br />

Codesta scelta pecca quivi per difetto perché si tratta di sentenza<br />

di secondo grado e perciò non definitiva. Esso però pecca anche<br />

per eccesso perché il giudice non può acquisire d’ufficio notizia dei<br />

(100) T. ASCARELLI, op. cit., p. 526; L. MENGONI, op. loc. cit.<br />

(101) Sul carattere dichiarativo della sentenza di condanna, CHIOVENDA, Principii<br />

di diritto processuale, Napoli, 1923, p. 174; CARNELUTTI, Sistema di diritto processuale<br />

civile, Padova, 1936, I, p. 149. Il carattere dichiarativo è riconosciuto anche<br />

da H. e L. MAZEAUD, op. cit., n. 2261, che tuttavia ravvisa un elemento attributivo<br />

nella efficacia esecutiva.


Scritti di Diritto Civile 101<br />

valori correnti al momento in cui emette la decisione e tantomeno<br />

dei costi-benefici, e della durata dell’investimento. La prova gli<br />

deve essere fornita dalle parti.<br />

A questo punto il tempo della decisione finisce per identificarsi<br />

col momento ultimo, in cui, in teoria, le parti possono offrire la prova.<br />

Molto opportunamente la dottrina germanica fissa sul piano<br />

processuale tale momento in quello dell’ultimo dibattimento orale<br />

avanti il giudice dei fatti e non alla decisione. Esso corrisponderebbe,<br />

nel nostro sistema, all’udienza di precisazione delle conclusioni<br />

del processo d’appello ex art. 352 c.p.c.; ma non si riesce a cogliere<br />

quale giustificazione possa avere un’udienza processuale del genere<br />

per ancorarvi la stima del danno.<br />

Ove anche le prove fossero dedotte in tale udienza, esse saranno<br />

sicuramente ammesse ed escusse solo successivamente.<br />

È da escludere, nel nostro processo, che si possano avere «in tempo<br />

reale» il corso dei valori, la loro acquisizione istruttoria e la liquidazione<br />

del danno. Ne deriva perciò la mancanza di coincidenza<br />

dei predetti momenti, per cui slittando in avanti l’assunzione<br />

istruttoria e ancor più la decisione, i valori non possono essere certamente<br />

valori attuali, ma del passato, e nessuno fra essi è più significativo<br />

di quello del verificarsi del fatto.<br />

Ciò è particolarmente evidente nei casi frequenti in cui la liquidazione<br />

presuppone lo svolgimento di perizie. La rincorsa dei valori<br />

e dei prezzi, sempre più aggiornati, postulerebbe la perenne necessità<br />

di sempre nuove perizie, di sempre nuove prove, circa i nuovi<br />

valori e così di una permanente attività istruttoria.<br />

È appena il caso di rilevare che, nel nostro ordinamento, l’ammissione<br />

di prove nuove in fase di appello non costituisce la norma,<br />

ma piuttosto l’eccezione e sicuramente concerne fatti e valori anteriori<br />

e fuori del processo.<br />

Il riferimento della stima ai prezzi e valori ultimi e più aggiornati,<br />

finisce così per sovvertire tutte le regole processuali conosciute e<br />

per rendere del tutto inutile l’istituto del giuramento estimatorio,<br />

che diverrebbe inconciliabile con la ricerca di nuovi valori (102) .<br />

Più in generale si deve però dire che non pare giustifichino coor-<br />

(102) Sulla compatibilità di nuove prove col giuramento estimatorio: C. LESSONA,<br />

Teoria delle prove, Firenze, 1985, pp. 451, 555.


102 Scritti di Diritto Civile<br />

dinare all’esercizio della tutela dei propri diritti e alla durata del<br />

processo, che appartiene alla sfera della pubblica attività, conseguenze<br />

penalizzanti per la parte, anche se limitate al rialzo dei prezzi.<br />

Altro è il caso in cui il danneggiante resista in mala fede che è l’ipotesi<br />

contemplata dall’art. 96 c.p.c. In questo caso il giudice potrà,<br />

ove lo riterrà, condannare il danneggiante che resiste in mala<br />

fede a liquidare anche lo scarto coi maggiori prezzi e valori correnti<br />

al termine del processo. Si tratterà di pena inflitta in ipotesi specifica.<br />

È quanto escluderla d’ordinario, non potendo procedersi a<br />

generalizzazioni inaccettabili.<br />

13. – La stima ai prezzi e al corso di cambio della decisione, e a fortiori<br />

al pagamento, non è poi accoglibile nel risarcimento del danno<br />

in moneta straniera, come già sostenni in uno scritto apparso in<br />

questa Rivista. Essa disapplica l’art. 1278 c.c. e fa correre al danneggiato<br />

il duplice rischio del ribasso dei prezzi e del corso di cambio,<br />

in contrasto con la perpetuatio obligationis (103) .<br />

Non si può neppure ricorrere al meccanismo artificioso di convertire<br />

la moneta straniera in lire, per poi rivalutarle (104) , perché lo<br />

straniero non può detenere e spendere lire di conto interno, sicché<br />

gli indici interni non lo riguardano. Anche qui la distinzione tra indennizzo<br />

del danno di base, secondo la stima ed il cambio al suo verificarsi,<br />

e di quello moratorio, in termini di interessi e di eventuale<br />

differenza di cambio, è l’unico consentito.<br />

14. – Parimenti erronea è la capitalizzazione del danno permanente<br />

alla persona sulla base del reddito (salario, stipendio, ecc.) corrente<br />

alla decisione (105) . Tale criterio non è accettabile.<br />

Non sembra giustificato infatti calcolare l’invalidità temporanea<br />

ad es. sul salario in essere all’evento lesivo, e quella permanente invece<br />

su quello alla decisione.<br />

Il salario o reddito alla decisione è influenzato dalle più diverse<br />

(103) Cfr. G. VALCAVI, Il corso di cambio, cit., pp. 256 ss., 263 ss., 266.<br />

(104) In senso contrario, G. CAMPEIS-A. DE PAULI, La r.c. dello straniero, Milano,<br />

1982, pp. 392 ss., 406 ss., 416 ss., e giurisprudenza cit. a p. 421. Nel segno del quanti<br />

plurimi, Cass. civ., 16 maggio 1981, n. 3239, in Foro it., 1982, I, c. 779.<br />

(105) Tra le molte, Cass. civ., 11 agosto 1983, n. 5351, in Mass. Giust. civ., 1983,<br />

n. 1894.


Scritti di Diritto Civile 103<br />

contingenze sopravvenute di ordine generale che concernano le condizioni<br />

della domanda e offerta sul mercato del lavoro, in quel momento.<br />

Esso è influenzato in ispecie, a maggior ragione, da quelle<br />

personali del soggetto di cui si tratta.<br />

È notorio che nel succedersi del tempo alcune categorie aumentano<br />

e altre diminuiscono la loro capacità di reddito, in dipendenza<br />

dei più diversi fattori legati all’organizzazione del lavoro, alle relazioni<br />

sindacali, al processo tecnologico e alla crescita o al recesso<br />

produttivo in genere.<br />

Anche a fronte dell’inflazione talune categorie sono regredite, altre<br />

sono avanzate, sicché a torto è stato ritenuto che il calcolo sulla<br />

base del salario alla decisione sia equivalente a quello dell’epoca del<br />

fatto lesivo, successivamente rivalutato.<br />

A maggior ragione non pare significativo il salario della persona<br />

offesa al momento della decisione che potrebbe essere anche<br />

disoccupato, pensionato e così via. In ogni caso esso dovrebbe<br />

scontare la diminuita capacità di reddito sulla base della minore<br />

capacità di lavoro di quel momento, onde non appare utilizzabile<br />

ai fini desiderati.<br />

Il reddito, ove non apparisse diminuito, sarebbe una base parametrica<br />

inidonea della perdita permanente di guadagno. Di solito<br />

poi si effettua il calcolo sulla base del salario alla decisione, mentre<br />

per la vita residua ci si riferisce al momento dell’evento lesivo (106) .<br />

Il risultato equivale a quello che si otterrebbe supponendo che il<br />

danneggiato, al momento dell’evento lesivo, fruisse del più alto reddito<br />

che avrà invece a notevole distanza, alla decisione.<br />

Il calcolo coerente dovrebbe basarsi su dati omogenei, come il<br />

salario e la vita residua riferite parimenti all’evento lesivo o alla<br />

decisione.<br />

È corrente opinione che, ove l’infortunato sia morto per causa indipendente<br />

prima della decisione, debba aversi riguardo al salario<br />

corrente alla morte (107) . Ciò contraddice la tesi di principio.<br />

Da quanto si è qui detto, si rileverà che il salario alla decisione,<br />

(106) Cass. civ., 11 gennaio 1969, in Mass. Giust. civ., 1969, n. 29; F. MASTRO-<br />

PAOLO, Il risarcimento del danno alla salute, Napoli, 1983, p. 394, nota 165 s., che pure<br />

critica l’incoerenza della giurisprudenza.<br />

(107) Cass. civ., 7 luglio 1979, n. 3900, in Mass. Giust. civ., 1979, n. 1715, tra<br />

le molte.


104 Scritti di Diritto Civile<br />

per avere rilievo, postula che il danneggiato non sia morto, né sia<br />

divenuto nel frattempo disoccupato, pensionato, ulteriormente invalido,<br />

non appartenga a categorie che siano scese nella scala retributiva<br />

e così via.<br />

Insomma trattasi di un criterio che finisce per essere eccessivamente<br />

ipotetico. Appare perciò assai più plausibile e razionale il riferimento<br />

al reddito (salario, stipendio, ecc.) ed alla vita residua, in<br />

corso al momento del verificarsi del danno (108) .<br />

15. – Passiamo ora all’altro criterio che va sotto il nome di «credito<br />

di valore» e che, per la verità, domina solo da noi. Esso si riduce,<br />

come si è detto, nello stimare il danno al suo verificarsi e<br />

nell’aggiustare successivamente il metro monetario alla decisione,<br />

in senso positivo o negativo, a seconda si abbia inflazione o<br />

deflazione (109) .<br />

La scelta di codesto momento ripropone il problema, già visto,<br />

se sia giustificato o meno riferirsi a una decisione non definitiva, invece<br />

che al giudicato o all’indennizzo.<br />

La costruzione teorica si concreta nel supporre un valore astratto<br />

e fisso dei beni (cioè non monetario) al quale corrisponda una<br />

quantità di moneta (cioè un valore monetario) mutevole in funzione<br />

del suo potere d’acquisto e così un’aestimatio distinta dalla taxatio<br />

(110) . Codesto modo di vedere, per quanto già scrissi altrove (111) ,<br />

non è fondato. Il valore intrinseco dei beni è in verità mutevole, anche<br />

indipendentemente dal corso della moneta.<br />

Tale è il caso, sopra considerato, delle azioni industriali che si sviliscano<br />

a seguito di sopraggiunte perdite aziendali o di una cosa, anche<br />

se non usata, che va incontro a un deprezzamento economico,<br />

col mero trascorrere inesorabile del tempo, a causa della nostra preferenza<br />

per le cose nuove rispetto alle vecchie.<br />

Il valore estrinseco varia inevitabilmente col variare di quello del<br />

bene assunto a parametro.<br />

(108) In questo senso da ultimo Cass. civ., 9 agosto 1982, n. 2192, in Arch. Giur. circ.,<br />

1983, p. 76.<br />

(109) T. ASCARELLI, op. cit., pp. 441 ss., 508 ss.<br />

(110) T. ASCARELLI, op. cit., p. 457.<br />

(111) G. VALCAVI, Riflessioni sui c.d. crediti di valore, cit., c. 2112; id., Ancora sul<br />

maggior danno da mora nelle obbligazioni pecuniarie, cit., c. 1540 ss.


Scritti di Diritto Civile 105<br />

Il bene a cui è da riconoscere valore immutabile nel tempo è, per<br />

definizione, la moneta, a causa del principio nominalistico, che la<br />

rende sempre eguale a se stessa, e perciò – come scrisse Savigny (112)<br />

– è l’unico valore veramente astratto.<br />

Essa, per le illimitate opzioni che l’accompagnano, per l’assenza<br />

di costi di conservazione, per il reddito temporale, facile a calcolarsi,<br />

per la preferenza generale di liquidità, è il metro di misura universale<br />

del valore di tutti i beni, cioè il comune strumento di conto<br />

(113) . Sotto questo profilo, può concludersi che nell’economia moderna,<br />

ogni valore è essenzialmente monetario.<br />

Non si può concordare con l’opinione criticata, la quale pone invece<br />

a fondamento del valore, il prezzo della moneta in termine di<br />

merci e cioè il suo potere di acquisto.<br />

È un’astrazione metafisica l’ipotizzare un potere di acquisto fisso<br />

ed immutabile nel tempo, dato che i prezzi relativi delle merci<br />

variano anche tra loro e così l’ipotizzare una moneta dallo stabile<br />

potere d’acquisto.<br />

Non è neppure immaginabile un unico prezzo relativo alla moneta,<br />

ma tanti prezzi, quante sono le merci, che è poi quello monetario<br />

dei beni, visto alla rovescia.<br />

L’esame comparativo dei poteri di acquisto in tempi diversi, si riduce<br />

– a ben vedere – a quello dei vari prezzi di «rimpiazzo a nuovo»<br />

delle merci, nei tempi considerati e cioè «a valori istantanei»,<br />

che non tengono conto dei costi di conservazione, dei diversi rendimenti<br />

e così via che un ipotizzabile trasferimento nel tempo delle<br />

merci medesime deve supporre.<br />

Devesi qui ricordare l’opinione espressa da un grande economista<br />

dell’800, come il Marshall, che «misurare il potere d’acquisto<br />

della moneta è non solo inattuabile, ma impensabile» (114) .<br />

Il vero «serbatoio del potere d’acquisto» – come bene ha scritto<br />

L. Einaudi (115) – è costituito dalla moneta medesima.<br />

I più recenti studi sull’importanza e sul ruolo delle scorte e dei<br />

saldi monetari, hanno messo in rilievo come, lungi dall’ipotizzare<br />

(112) F.C. SAVIGNY, Le obbligazioni, Torino, 1912, I, § 40, p. 377; § 41, p. 395.<br />

(113) J.M. KEYNES, Opere, Torino, 1978, p. 389.<br />

(114) MARSHALL, Opere, Torino, 1972, pp. 136, 137, 227, 356-9.<br />

(115) L. EINAUDI, Della moneta serbatoio dei valori, in Riv. di storia economica,<br />

1939, pp. 133 ss.


106 Scritti di Diritto Civile<br />

una fuga dalla moneta, questa conserva la sua funzione di «serbatoio<br />

dei valori» anche in epoca inflazionistica (116) . Ciò è stato dimostrato<br />

all’evidenza in epoca a noi vicina, dalla «nuova inflazione»<br />

(stagflazione, slumpflazione) caratterizzata da una elevata liquidità<br />

del sistema e dalla caduta della domanda e da un irregolare<br />

andamento dei prezzi dei titoli e delle merci (117) .<br />

La teorica del «credito di valore» è in ogni caso inapplicabile<br />

a un danneggiato estero-residente che, a causa dei divieti valutari,<br />

non può neppure spendere sovente nel paese, sicché il riferimento<br />

al potere di acquisto interno si tradurrebbe in una evidente<br />

forzatura (118) .<br />

Il criterio è assolutamente inadeguato anche rispetto a un danneggiato<br />

residente all’interno.<br />

È notorio infatti che gli indici sono molteplici e divergono tra<br />

loro, con riguardo alle stesse merci, com’è dei prezzi industriali,<br />

del commercio all’ingrosso, al minuto, e così via. I sostenitori della<br />

concezione valoristica identificano arbitrariamente il potere<br />

d’acquisto astratto nell’indice dei prezzi al minuto del ristretto paniere<br />

di merci, destinato al consumo di una famiglia tipo operaioimpiegatizia<br />

(119) .<br />

Una generalizzazione del genere, già inaccoglibile a lume di logica,<br />

è da negarsi ora anche alla luce di Cass., 5 aprile 1986, n.<br />

2368, che, se pur con riguardo al maggior danno da mora nelle obbligazioni<br />

pecuniarie, ha escluso possa presumersi un siffatto investimento<br />

e la conseguente perdita di potere d’acquisto da parte di<br />

chiunque (e così un operatore economico, un comune risparmiatore,<br />

un creditore occasionale) (120) .<br />

La circostanza che essa correttamente abbia relegato la rivalutazione<br />

monetaria, di cui si è detto, all’ipotesi marginale del modesto<br />

(116) DON PATINKIN, Moneta, interessi e prezzi, Padova, 1977, pp. 17, 26-30, 45<br />

ss., 128, 222 ss., 253 ss., 407 ss.<br />

(117) RUOZI, Inflazione, risparmio ed aziende di credito, Milano, 1973, pp. 538 ss.<br />

Nel senso che l’inflazione non è equiproporzionale; TREVITHICK, Inflazione, Milano,<br />

1979, pp. 17-23.<br />

(118) G. VALCAVI, Se il credito del lavoratore estero-residente sia rivalutabile, in Riv.<br />

Dir. Civ., 1984, II, p. 504; id., Il corso di cambio e il danno da mora, cit., loc. cit.<br />

(119) Cass. civ., sez. un., 23 novembre 1985, n. 5815, in Rep. Giust. civ., 1985, n.<br />

186, p. 749.<br />

(120) In Foro it., 1986, I, c. 1265.


Scritti di Diritto Civile 107<br />

consumatore, (operaio, pensionato, ecc.) porta ad escludere a fortiori,<br />

come già dissi altrove, che possa costruirsi in funzione di essa<br />

addirittura una categoria astratta e generale di crediti, come quelli<br />

di valore.<br />

L’estensione della rivalutazione automatica al credito di risarcimento<br />

del danno (come più in genere ad ogni ipotesi fatta rientrare<br />

in tale categoria), appare altresì del tutto incompatibile coi<br />

principii sistematici di fondo del nostro ordinamento, cosicché è<br />

da rifiutare.<br />

Così essa viola il principio nominalistico che va ritenuto applicabile<br />

ai crediti pecuniari illiquidi, non meno che a quelli liquidi<br />

(121) . Il criterio rivalutativo non tiene alcun conto e disapplica<br />

i principi sulla mora e le sue conseguenze.<br />

La rivalutazione infatti si applica automaticamente siavi e non siavi<br />

mora del debitore, o addirittura se ad essere in mora sia il creditore.<br />

Tale è il caso in cui il debitore abbia effettuato offerta reale di un<br />

importo risultato alla fine congruo o di un acconto rifiutato (122) .<br />

Parimenti il debitore in mora non subirà alcuna conseguenza nel<br />

caso che il tasso inflazionistico fosse nullo.<br />

Nel caso poi di un aumento del potere di acquisto della moneta<br />

– che è prospettiva con cui si deve far sempre più il conto anche sul<br />

piano teorico, ed è già realtà in alcuni paesi (123) – il debitore, anche<br />

in mora dovrà un indennizzo addirittura inferiore a quello dovuto<br />

in origine. Così il danneggiato non recupererà neppure la medesima<br />

quantità nominale sottrattagli o quella da lui spesa, per anticipare<br />

la riparazione del danno.<br />

Per ovviare a siffatte incongruenze, i sostenitori di tali opinioni<br />

ricorrono agli interessi monetari, qualificati da alcuni moratori (124)<br />

e dai più compensativi (125) . Ciò contraddice all’evidenza le premes-<br />

(121) F. PESTALOZZA, in Giur. it., 1946, I, 2, c. 353 ss.<br />

(122) U. NATOLI-BIGLIAZZI GERI, op. cit., pp. 89 ss.; FALZEA, L’offerta reale e la<br />

liberazione del debitore, Milano, 1947. La giurisprudenza in tali casi esclude la mora debitoris<br />

anche ex art. 1227, 2° comma, c.c.<br />

(123) Così attualmente in Germania, da noi l’indice dei prezzi all’ingrosso è da qualche<br />

tempo nullo (Corriere della Sera, 15 maggio 1986).<br />

(124) T. ASCARELLI, op. cit., n. 179, p. 534; Cass. civ., 26 aprile 1984, n. 2626, in<br />

Giur. it., 1985, I, 1, c. 500.<br />

(125) Così tra le molte, Cass. civ., 13 luglio 1983, n. 4759, in Mass. Giust. civ.,<br />

1983, p. 1677.


108 Scritti di Diritto Civile<br />

se della distinzione tra crediti di valore e crediti di valuta e si risolve<br />

nel riconoscere all’interesse monetario la sua insostituibile funzione<br />

di saggio di attualizzazione dei valori nel tempo a scapito della<br />

medesima rivalutazione.<br />

Infine codesto criterio non è compatibile neppure con gli artt.<br />

1225 e 1227 c.c., a meno di non dare sempre per prevedibile l’evoluzione<br />

del tasso inflazionistico e non evitabile il pregiudizio suddetto<br />

anche da quel danneggiato che abbia in concreto già riparato<br />

il danno con i propri mezzi (126) .<br />

Il rapido calo dell’inflazione, attualmente in corso, rende sempre<br />

più anacronistica la costruzione teorica dei crediti di valore, mentre<br />

le prospettive di una deflazione rendono quanto mai possibili le<br />

prospettive addirittura di una correzione negativa dell’ammontare<br />

risarcitorio a danno del danneggiato.<br />

16. – Tiriamo ora le somme di tutto questo discorso e vediamo di<br />

offrire il tipo di soluzione meglio rispondente alla logica giuridica<br />

ed ai vari aspetti sostanziali e processuali del nostro tema.<br />

Non pare dubbio che occorra partire dalla fondamentale distinzione<br />

tra danno da illecito o da inadempienza (dolosa o colposa) e danno<br />

per il ritardo con cui è prestato l’equivalente (per lo più colposo).<br />

Essi sono diversi e – come si disse – richiedono indennizzi diversi.<br />

L’esame comparativo della situazione ideale in cui il danneggiato<br />

si sarebbe diversamente trovato e quella invece verificatasi, consente<br />

infatti di individuare due tipi di danno, con tempi assolutamente<br />

diversi tra loro.<br />

Da un lato si ha il danno causato dal torto e la cui dimensione<br />

economica è inscindibilmente legata al patrimonio del danneggiato,<br />

quale è (e non può essere diversamente) secondo i valori del momento<br />

in cui si verifica. Trattasi del quod interest, che può ipotizzarsi,<br />

nel caso di immediato indennizzo.<br />

Dall’altro, per il caso che questo sia prestato in ritardo, si ha il diverso<br />

danno moratorio, che va dal momento in cui l’indennizzo avrebbe<br />

dovuto essere prestato a quello in cui è invece prestato in realtà.<br />

(126) Non si riesce a comprendere la ragione per cui le somme spese dal danneggiato<br />

sarebbero dei crediti di valore e non di valuta. Così tra le molte: Cass. civ., 6 luglio 1983,<br />

n. 4558, in Rep. Giur. it., 1983, c. 931, n. 203.


Scritti di Diritto Civile 109<br />

Codesta distinzione, nel nostro diritto, è codificata dall’art.<br />

1219, 2° comma n. 1, c.c., là dove sancisce che il danneggiante è in<br />

mora dall’illecito. È come dire che da quel momento costui deve anche<br />

l’indennizzo moratorio.<br />

Il fatto che il danno sia stato considerato come unico ed indistinto,<br />

dal suo verificarsi ai vari ed incerti momenti proposti (decisione,<br />

indennizzo, domanda), dipende – come s’è detto sopra – dal<br />

principio imperante fino quasi ai nostri giorni che in illiquidis non<br />

fit mora. Questo principio, ritenuto, a suo tempo da una nota sentenza<br />

della Cassazione romana (127) «un fossile della tradizione medioevale»<br />

ancora oggi è operante in numerosi paesi (128) . Mentre da<br />

noi, anche se superato, continua ad esercitare, sia pure a livello di<br />

crittotipo (129) , un’influenza specie per quanto riguarda il nostro<br />

tema, a causa della tradizione culturale.<br />

L’adozione dei valori correnti nei temi differenti sopra considerati<br />

(col ricorso al quanti plurimi in caso di ribasso ed attribuendo<br />

un lucro in caso di rialzo) dipende dalla mancata individuazione di<br />

codesto interesse del danneggiato, leso dal ritardo, come interesse<br />

del tutto diverso da quello leso invece dall’illecito o dall’inadempienza,<br />

a suo tempo intervenuti.<br />

A codesto crittotipo è da ricondursi la teoria dei crediti di valore<br />

che – si disse – è incompatibile con i principi sulla mora e tuttavia<br />

alle cui conseguenze negative vorrebbe porre rimedio, sia pure nella<br />

diversa ottica valoristica.<br />

Legato al principio in illiquidis non fit mora è ovviamente il problema<br />

degli interessi, sia che vengano considerati moratori o compensativi.<br />

Coerenti alla premessa da cui partono sono le opinioni di<br />

quei giuristi e le decisioni che non calcolano gli interessi per tutto il<br />

periodo sino alla decisione (130) .<br />

(127) Cass. Roma, 26 maggio 1903, est. Mortara, in G.C. MESSA, L’obbligazione degli<br />

interessi, Milano, 1932, p. 234.<br />

(128) Così esso è riconosciuto vigente dalla giurisprudenza spagnola. In tal senso tra<br />

le molte Trib. Supremo, 27 aprile 1978, 28 giugno 1978 e 11 dicembre 1978, in ALBA-<br />

LADEJO, op. cit., § 32, p. 179.<br />

(129) Muove riserve U. NATOLI, L. BIGLIAZZI GERI, Mora accipiendi e mora debendi,<br />

Milano, 1975, pp. 242 ss.<br />

(130) Cosi Cass. civ., 12 febbraio 1979, n. 4053, in Foro it., 1979, voce Interessi, n.<br />

18, e, incidenter, Corte cost., 22 aprile 1980, n. 60, in Foro it., 1980, I, c. 1249.


110 Scritti di Diritto Civile<br />

Lo stesso non può dirsi da noi per quel coro di opinioni che invece<br />

calcolano gli interessi dalla domanda, addirittura talora sul<br />

capitale rivalutato, sia che li qualifichino moratori (131) o compensativi,<br />

per ovviare all’inadeguatezza dei criteri accolti di stima<br />

del danno.<br />

L’abbandono del principio in illiquidis non fit mora, è ora generalmente<br />

riconosciuto nel nostro diritto, sicché esso non costituisce<br />

più un ostacolo teorico per distinguere i due diversi tipi di danno.<br />

In questa cornice generale trattiamo ora, più analiticamente, dei<br />

loro diversi momenti di riferimento al fine di commisurarvi il diverso<br />

indennizzo. Cominciamo dal tempo del danno di base, che nasce<br />

dall’illecito o dalla inadempienza. Il danno, consiste in una perdita<br />

o in un mancato guadagno (132) , è essenzialmente un avvenimento<br />

economico negativo e non un semplice accadimento naturale.<br />

Ogni qualvolta ciascuno di noi, un perito, un giudice, con una<br />

decisione stima un danno, compie un giudizio che è ad un tempo<br />

critico, ma anche storico (133) , nel senso che a quell’avvenimento dà<br />

una dimensione, secondo i valori economici del tempo in cui accade.<br />

Le norme processuali che impongono all’attore l’onere della domanda<br />

(art. 99 c.p.c.), e quello di dedurre la prova anche del quanto<br />

di danno sin dall’atto introduttivo del giudizio (artt. 115 e 163,<br />

n. 5, c.p.c.), le preclusioni successive, l’eventuale giuramento estimatorio<br />

(art. 241 c.p.c.), la corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato<br />

(art. 112 c.p.c.), situano la storicità del danno e della sua<br />

dimensione economica, in un tempo anteriore all’inizio del processo<br />

e cioè a quello del verificarsi del danno.<br />

Esso corrisponde anche al momento dell’ipotetica situazione favorevole<br />

che non si è potuta verificare a causa del torto, cioè all’id<br />

quod interest a suo tempo leso dallo stesso.<br />

(131) La diversa decorrenza dalla domanda o dall’illecito nei due diversi tipi di danno<br />

viene giustificato col diverso momento di inizio della mora e tuttavia incomprensibilmente<br />

si nega agli interessi carattere moratorio: Cass. civ., 25 ottobre 1982, n. 558; Cass.<br />

civ., 4 dicembre 1982, n. 6643, in Mass. Giust. civ., 1982, nn. 1921, 2241.<br />

(132) J.C. TOBEÑAS, Derecho civil espanol comun y foral, Madrid, 1986, III, p. 243,<br />

rileva che a differenza del danno emergente, il lucro cessante «partecipa de todas las vaguedades<br />

e incertidumbres propias de los conceptos imaginarios».<br />

(133) F. CARNELUTTI, Teoria generale del diritto, Roma, 1951, pp. 371 ss. Così si<br />

hanno anche prove storiche e critiche: F. CARNELUTTI, Sistema di diritto processuale,<br />

cit., I, pp. 681, 685, 711.


Scritti di Diritto Civile 111<br />

Codesto modo di vedere è coerente alla perpetuatio obligationis<br />

(art. 1221 c.c.), cui si è accennato.<br />

L’impiego combinato dei vari indici ulteriori di individuazione<br />

del danno risarcibile, offerti dal diritto sostanziale (artt. 1223,<br />

1225, 1227 c.c.), consente poi di affinare la localizzazione temporale<br />

del danno e l’ampiezza della sua dimensione.<br />

Il momento di riferimento potrebbe in teoria essere identificato<br />

in quello dell’illecito e della inadempienza (134) o della mora (135) o<br />

dell’avvenimento economico negativo, cioè del danno emergente e<br />

del lucro cessante (136) .<br />

Il tempo della mora, nel nostro diritto, coincide con quello dell’illecito<br />

o dell’inadempienza nelle obbligazioni portables (art.<br />

1219, 2° comma n. 1 e n. 3, c.c.) ed è assorbito dalla successiva inadempienza<br />

in quelle querables (137) , sicché esso, sotto questo profilo,<br />

non pare avere autonomo rilievo.<br />

L’illecito e l’inadempienza sono più propriamente le cause del<br />

danno invece che il danno medesimo. Esse sono «a monte» delle<br />

conseguenze economiche in cui si concreta il danno e ciò è di particolare<br />

evidenza nel lucro cessante.<br />

Il danno può avere un’evoluzione nel tempo, com’è l’ipotesi di<br />

un suo aggravamento successivo che può culminare anche nel perimento<br />

della cosa o nella morte della vittima. Non pare dubbio<br />

che il momento determinante sia quello del danno, anche nelle sue<br />

manifestazioni evolutive (138) e non della sua causa, il cui processo<br />

viene anzi supposto per esaurito. Il momento della condotta<br />

colpevole tuttavia rileva come quello dell’antecedente causale diretto<br />

ed immediato del danno, sicché esso serve nella seriazione<br />

(134) D. BARBERO, Sistema di diritto privato, I, n. 612, p. 709; Cass. civ., 15 maggio<br />

1946, n. 590, in Mass. Foro it., 1946, c. 143; la dottrina e la giurisprudenza francese<br />

in H. e L. MAZEAUD, op. cit., n. 2253, note 2, 3, 4, 5.<br />

(135) Per il riferimento alla domanda giudiziaria: DE RUGGIERO-MAORI, op.<br />

cit., II, p. 44.<br />

(136) Tra i molti: CHIRONI, Colpa extracontrattuale, cit., loc. cit.; G.A. RAFFAEL-<br />

LI, in Foro pad., 1946, I, c. 89; Cass. civ., 14 gennaio 1946, n. 31, in Foro it., 1944-46,<br />

I, c. 71; App. Genova, 2 settembre 1946; App. Genova, 9 luglio 1946; App. Bologna, 11<br />

agosto 1945, in Rep. Giur. it., 1944-47, voce Resp. civ., nn. 192, 195, 198.<br />

(137) Così anche U. NATOLI e L. BIGLIAZZI GERI, op. cit., pp. 224 ss.<br />

(138) È opinione accolta nei vari ordinamenti. Così da noi; Cass. Civ., 22 gennaio<br />

1982, n. 442, in Mass. Giust. civ., 1982, p. 157, tra le molte.


112 Scritti di Diritto Civile<br />

dei fenomeni ad individuare il momento successivo del danno, risarcibile<br />

(art. 1224 c.c.).<br />

In un sistema basato sul principio dell’integrale risarcimento del<br />

danno, il discorso dovrebbe finire qui.<br />

Il nostro ordinamento, a differenza di quanto comunemente si afferma<br />

(139) , è ispirato tuttavia – come si disse – all’opposto principio<br />

dell’indennizzo del danno entro certi limiti (artt. 1225, 1227, 2056,<br />

2° comma, c.c.).<br />

Si ricorda qui che non è risarcibile quella parte di danno che<br />

avrebbe potuto essere evitata (art. 1227, 2° comma, c.c.), o nell’inadempienza<br />

colposa è risarcibile solo quella parte dello stesso che<br />

poteva prevedersi al momento del contratto (art. 1225 c.c.).<br />

Non si concorda – giova ripeterlo – con l’opinione corrente che<br />

svilisce la evitabilità ad un comportamento meramente passivo e<br />

non di attiva cooperazione, sino al rimpiazzo del bene, in quanto<br />

possibile, come deve invece essere.<br />

Non è neppure accettabile che la prevedibilità sia ridotta alle<br />

conseguenze naturali e non anche a quelle economiche (cioè all’an<br />

e non al quantum) della condotta colpevole o che essa sia scontata<br />

a priori, come quando essa sia dedotta dall’astratta variabilità nei<br />

due sensi dei prezzi (140) . La prevedibilità deve riguardare la situazione<br />

favorevole, che non si è verificata a causa del torto, nel suo<br />

complesso, e cioè l’interesse leso in ogni suo aspetto, compresa la<br />

sua dimensione economica, e cioè il danno.<br />

Questo discorso è di particolare interesse per il lucro cessante<br />

dove a prevenire la risarcibilità dei «sogni di guadagno», l’art.<br />

2056, 2° comma c.c., impone «un equo apprezzamento delle circostanze<br />

del caso». Quivi si dovrà tener conto della prevedibilità del<br />

comportamento economico del creditore che avrebbe generato quel<br />

guadagno e delle dimensioni di questo.<br />

La conclusione, alla luce di tutti questi rilievi, è che il tempo<br />

di riferimento della stima è quello del verificarsi del danno e si<br />

ferma dove il suo aggravamento avrebbe potuto essere evitato, e,<br />

(139) Così invece tra le molte, Cass., 19 settembre 1985, n. 4710, in Rep. Giust. civ.,<br />

1985, p. 748, n. 166.<br />

(140) Non si concorda con Cass. civ., 28 maggio 1983, n. 3694, in Mass. Giust. civ.,<br />

1983, p. 1310, circa il carattere astratto della prevedibilità.


Scritti di Diritto Civile 113<br />

quanto all’inadempienza colposa, arriva fin dove il danno poteva<br />

essere previsto.<br />

Essi costituiscono così dei limiti di riferimento del danno risarcibile<br />

da accertarsi in concreto.<br />

A fortiori il danno non può essere stimato alla decisione, all’indennizzo<br />

o alla domanda. Quale sia la distanza tra questo modo di<br />

vedere e quello dominante, può misurarsi col dire che correntemente<br />

si stima il danno in funzione dell’indennizzo, mentre qui si<br />

propone di stimare l’indennizzo in funzione del danno, nel limite in<br />

cui è risarcibile. Il credito è certamente pecuniario, dato che concerne<br />

la quantità di danaro equivalente all’interesse leso dall’illecito<br />

o dalla inadempienza.<br />

Esso è illiquido, allo stato, nel senso che abbisogna della liquidazione<br />

perché la quantità di danaro resti indiscutibilmente fissata.<br />

Il principio nominalistico si applica a tutti i crediti pecuniari sia<br />

liquidi sia illiquidi ed è arbitrario ridurlo solo a quelli liquidi. Il credito<br />

all’equivalente, di cui si è detto, è perciò soggetto al principio<br />

nominalistico, e non può non esserlo. In questo senso si rifiuta la sua<br />

qualificazione corrente come credito di valore e la legittimità teorica<br />

della categoria.<br />

17. – Trattiamo ora dell’ulteriore e diverso danno causato dal ritardo<br />

con cui l’equivalente viene prestato.<br />

L’interesse leso è quello a poter disporre della quantità di danaro<br />

equivalente ed esso spazia per tutta la durata del ritardo colpevole<br />

dalla costituzione in mora (che invece rileva a questi fini) a<br />

quello in cui l’indennizzo è concretamente prestato.<br />

Il debitore è in mora nel prestare l’equivalente dall’inadempienza<br />

o dall’illecito, non occorrendo nuova costituzione in mora (141) .<br />

Il risarcimento del danno da ritardo, che va ad aggiungersi a<br />

quello da illecito e inadempienza, oggetto della stima, avviene attraverso<br />

i comuni modi di indennizzo previsti per le obbligazioni pecuniarie,<br />

alle quali appartiene quello di risarcimento per equiva-<br />

(141) Il fatto che l’indennizzo sia esigibile sin dal suo verificarsi, vale anche per il danno<br />

contrattuale e comporta che il danneggiante sia in mora da tale momento, ove si ritenga<br />

che la relativa prestazione debba essere effettuata al domicilio del creditore, ex art.<br />

1219, 2° comma, n. 3, c.c. Diversamente opinando, la mora decorrerà dalla richiesta di<br />

indennizzo ex art. 1219, 1° comma, c.c.


114 Scritti di Diritto Civile<br />

lente monetario. Si ricorre cioè alla norma chiave dell’art. 1224 c.c.<br />

di vasta applicazione ai crediti illiquidi non meno che a quelli liquidi.<br />

Il fatto che questa sia stata sin qui limitata ai crediti liquidi<br />

è da mettersi in relazione con il principio abbandonato e tuttavia<br />

ancora influente, a livello di crittotipo, di cui si è detto. Sono dovuti<br />

perciò gli interessi legali quali interessi moratori (142) .<br />

La regola, infatti, è che i crediti illiquidi non producono interessi,<br />

eccezion fatta per il caso della mora. Non a caso gli interessi non<br />

moratori presuppongono crediti liquidi: così gli interessi corrispettivi<br />

un credito liquido ed esigibile (art. 1282 c.c.) (143) , e quelli compensativi,<br />

un credito liquido e non esigibile (art. 1499 c.c.) (144) .<br />

Solo la mora giustifica che un credito illiquido, come il risarcimento<br />

del danno, generi degli interessi. Ciò si spiega col fatto che<br />

quivi il legislatore ha anticipato l’esigibilità del credito, al momento<br />

del verificarsi del danno, perché il tempo occorrente alla<br />

sua liquidazione trascorra in danno del danneggiante invece che<br />

del danneggiato (145) .<br />

È stato così codificato, per eminenti ragioni di politica legislativa,<br />

il principio che il danneggiante debba immediatamente l’indennizzo<br />

al danneggiato e versi anzi in ritardo colpevole sin dal suo verificarsi<br />

(mora ex re, mora quae inest).<br />

È incomprensibile come l’opinione dominante estenda gli interessi<br />

compensativi da un credito liquido e non esigibile, come quello<br />

ex art. 1499 c.c., ad un credito all’opposto illiquido ed esigibile,<br />

come quello del risarcimento del danno.<br />

Un credito di valore non è idoneo da parte sua a produrre gli<br />

interessi, sia perché – come si è detto – ad esso è estranea la<br />

mora, sia perché tra loro non c’è un rapporto di omogeneità. Gli<br />

interessi monetari sono infatti accessori, proporzionali e perio-<br />

(142) Sulla qualificazione moratoria convengono: MESSA, op. cit., p. 246; ASCA-<br />

RELLI, op. cit., pp. 340 ss.; DE CUPIS, op. cit., p. 487; GIORGIANNI, L’inadempimento,<br />

Milano, 1975, p. 163.<br />

(143) Il testo dell’art. 1282 c.c. ha abbandonato la tendenza ad estendere gli interessi<br />

corrispettivi ai crediti illiquidi che era emersa in sede di art. 17 del progetto<br />

preliminare.<br />

(144) È decisivo al riguardo il riferimento al «prezzo» ex art. 1499 c.c.<br />

(145) È soluzione opposta a quella sottesa al principio in illiquidis nonfit mora, che<br />

risaliva al passo di VENULEIO, secondo cui improbus non potest videri qui ignorat quantum<br />

solvere debeat.


Scritti di Diritto Civile 115<br />

dici rispetto ad una obbligazione pecuniaria e la presuppongono<br />

necessariamente (146) .<br />

Dalla mora quae inest nel prestare l’indennizzo pecuniario, deriva<br />

al danneggiante anche l’obbligo di risarcire il maggior danno<br />

da mora ex art. 1224, 2° comma, c.c., come accade in ogni obbligazione<br />

pecuniaria. Ciò si verifica nei limiti in cui è prevedibile ex<br />

art. 1225 c.c. poiché è normalmente colposo.<br />

Che cosa debba intendersi per codesto maggior danno da mora<br />

nelle obbligazioni pecuniarie è argomento ormai trattato da copiosa<br />

letteratura e giurisprudenza (147) .<br />

È tuttavia da escludere che esso possa individuarsi nella perdita<br />

del potere d’acquisto della moneta, per le ragioni esposte a proposito<br />

dei crediti di valore. L’autore si è occupato diffusamente di<br />

questo argomento nei vari scritti e segnatamente in questa Rivista,<br />

1981, II, pp. 332 ss., ai quali rinvia per una più ampia spiegazione.<br />

Codesto maggior danno, a mio modo di vedere, è da individuarsi<br />

nell’eventuale scarto tra il saggio dell’interesse legale e<br />

quello di mercato.<br />

Il recupero di tale scarto, in tale ottica, corrisponde ad un diritto<br />

di indennizzo del ritardo da parte del danneggiato al quale diversamente<br />

potrebbe aspirare nei limiti assai aleatori in cui si provi<br />

un arricchimento del danneggiante ex art. 1207 c.c. Tale soluzione<br />

costituisce perciò la migliore tutela del danneggiato, in linea<br />

col quod plerumque accidit (148) .<br />

Il complessivo danno moratorio viene così ad identificarsi nel lucro<br />

cessante presumibile di un nonnale impiego finanziario o col costo<br />

di rimpiazzo del danaro, cioè del mutuo. Esso è costituito dalla<br />

normale remunerazione del risparmio (interessi bancari passivi, dividendi<br />

dei titoli pubblici ecc.) ovvero, là dove si provi essere occorso<br />

un rimpiazzo, dall’interesse attivo.<br />

(146) In tal senso G.C. MESSA, op. cit., p. 435.<br />

(147) Sulla questione tra i molti: R. NICOLÒ, op. loc. citt.; GRECO, op. cit., pp. 103<br />

ss.; A. TORRENTE, in Foro it., 1949, I, c. 405; A. DE CUPIS, op. cit., p. 434; e da ultimo<br />

R. PARDOLESI, in Foro it., 1986, I, c. 1265 ss; A. AMATUCCI, in Foro it., 1986, I, c.<br />

1273; G. VALCAVI, in Foro it., 1986, I, c. 1540.<br />

(148) Il riferimento al tasso di interesse di mercato era già noto nel diritto romano giustinianeo<br />

dove era dato al giudice determinare il tasso di interesse secondo il mos regionis:<br />

v. CERVENCA, op. cit., p. 297, n. 8, p. 300.


116 Scritti di Diritto Civile<br />

Occorre aggiungere altresì, a questo punto, che l’interesse di<br />

mercato è notoriamente influenzato dalle attese inflazionistiche e<br />

dalle varie condizioni della domanda di credito. Esso è quindi prevedibile<br />

e non è ragionevolmente evitabile.<br />

Ora abbiamo interessi notevolmente al di sopra del tasso di inflazione<br />

(così detti interessi reali positivi), mentre sino a qualche<br />

tempo fa avevamo interessi al di sotto di esso (c.d. interessi reali negativi)<br />

a causa della liquidità esuberante. Oggidì, sommando agli<br />

interessi legali lo scarto rispetto al maggior tasso inflazionistico, si<br />

ha una misura al di sotto del quod plerumque accidit, mentre un<br />

tempo era esuberante.<br />

È ben prevedibile che, a causa del rapido calo della inflazione,<br />

sia sempre più abbandonato il riferimento al tasso inflazionistico a<br />

favore dell’interesse di mercato, che costituisce anche il prezzo della<br />

moneta nel succedersi del tempo. E così esso copre il minor valore<br />

della liquidità differita rispetto a quella immediatamente disponibile<br />

(c.d. utilitas temporis) in cui è da ravvisarsi il parametro più<br />

ragionevole di riferimento.<br />

Codesto modo di vedere è stato accolto recentemente, nella sua<br />

sostanza, dalle Sezioni Unite della nostra Suprema Corte di Cassazione,<br />

con sentenza 5 aprile 1986, alla quale si rinvia.<br />

Nel caso che il danneggiato sia un estero-residente e dimostri di<br />

avere subito un danno di cambio, egli avrà diritto al relativo differenziale,<br />

oltre al normale rendimento della moneta, nella quale<br />

avrebbe cambiato.<br />

18. – La conclusione di tutto questo discorso è in ultima analisi<br />

la seguente: si ha corretto risarcimento del danno, sommando al<br />

capitale corrispondente all’equivalente dell’interesse leso, stimato<br />

secondo i valori correnti al momento della lesione, il normale<br />

rendimento monetario successivo ex art. 1224 c.c. quale si sarebbe<br />

realizzato da un investimento finanziario non aleatorio per<br />

tutto il periodo di mora nell’adempimento dell’obbligazione pecuniaria<br />

relativa.<br />

In tal modo viene demotivato il ritardo del debitore ed il creditore<br />

è messo nella situazione in cui si sarebbe trovato se avesse riscosso<br />

l’indennizzo al momento del verificarsi del danno e lo avesse<br />

messo a normale frutto monetario, non aleatorio.


Scritti di Diritto Civile 117<br />

Lo scritto è stato richiamato da:<br />

F. PARRELLA, Inadempimento del debito di valuta: analisi ragionata dell’evoluzione<br />

del!a giurisprudenza tra indirizzo teorico ed esigenze concrete, in Riv. dir.<br />

comm.le, 1988, p. 69, nota 12; M. MAJENZA, Quantificazione dei danni patrimoniali<br />

e teoria della differenza, Il Corriere giuridico 1989, p. 1202; V. DE LO-<br />

RENZI, Obbligazione, Parte generale, sintesi di infonnazione, in Riv. dir. civ.,<br />

1990, p. 262; R. PARDOLESI, Crediti previdenziali, tutela differenziata e punitive<br />

damage, in Foro it., 1991, I, p. 1325; U. BRECCIA, Le obbligazioni, Milano,<br />

1991, pp. 658, 661; A. LUMINOSO, Della risoluzione per inadempimento,<br />

in Commentario Scialoja Branca, Bologna, 1990, pp. 121, 219, 221, 257, 260,<br />

266, 269, 270, 271, 272, 274, 276, 277, 281, 283, 288, 302, 313, 318; M.C.<br />

DAL BOSCO, Della compensazione giudiziale, ovvero di un’apparenza normativa,<br />

in Riv. dir. civ., 1991, p. 754, nota 12.<br />

Altri scritti dell’autore sullo stesso argomento:<br />

– «Ancora sul tempo di riferimento nella stima del danno», in Rivista di Diritto<br />

Civile 1991.<br />

– «Intorno al concetto di perpetuatio obligationis e al tempo di riferimento del risarcimento<br />

del danno da inadempienza contrattuale», in Rivista Diritto Civile<br />

1992, II, 385 e in L’Espressione monetaria nella responsabilità civile, Cedam<br />

1994, p. 293.<br />

– «Sulla natura dell’obbligo di restituzione e di quella di risarcimento del danno<br />

conseguenti alla risoluzione del contratto per inadempienza», in Foro Padano<br />

1992, I, p. 53 e ss, e in L’Espressione monetaria nella responsabilità civile,<br />

Cedam 1994, p. 309.


Sul risarcimento del danno da illecito<br />

o da inadempienza e di quello per il ritardo<br />

con cui è prestato l’indennizzo<br />

1. – La decisione in esame allarga il discorso dall’indennizzo di<br />

un bene illeggittimamente espropriato, al risarcimento del danno<br />

in genere.<br />

Essa, a questo proposito, fa una dichiarazione di principio di<br />

estrema importanza, laddove afferma che, in sede di liquidazione<br />

del danno non ci troviamo di fronte ad un danno unico, ma a due<br />

diversi danni, assolutamente distinti tra loro, e che richiedono anche<br />

indennizzi diversi.<br />

Il primo danno è quello che deriva dall’illecito o dalla inadempienza,<br />

mentre il secondo è quello che deriva invece dal ritardo con<br />

cui l’indennizzo viene prestato.<br />

A questo proposito, la Suprema Corte afferma correttamente «la<br />

piena autonomia sia sotto il profilo concettuale e della diversa disciplina<br />

positiva del ritardo rispetto all’inadempimento».<br />

La Corte, nel caso di un bene illegittimamente espropriato, individua<br />

il danno di base «nel valore economico del bene perdu-<br />

Da «Giurisprudenza italiana», 1991, I, 1, p. 1227 e ss. e da «L’Espressione monetaria nella<br />

responsabilità civile», Cedam 1994.<br />

Lo scritto annota la seguente massima:<br />

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 20.6.1990, n. 6209, Pres. Granata, Est. Carbone, P.M.<br />

Amirante (Concl. parz. diff.); ANAS c/ Scopelliti: «Il danno da inadempienza va liquidato<br />

con riferimento al momento in cui esso si verifica e non a quello della liquidazione. Il<br />

danno da ritardo consiste nella perdita della utilitas che il creditore avrebbe tratto dalla<br />

somma dovuta, al posto del bene se gli fosse stata tempestivamente prestata e va risarcita<br />

in via equitativa con gli interessi legali e, nel caso di perdita del potere di acquisto della<br />

moneta, con la rivalutazione. Gli interessi non vanno rapportati al momento finale della<br />

taxatio, ma ai diversi e successivi mutamenti del potere di acquisto periodico».


120 Scritti di Diritto Civile<br />

to» che deve essere valutato «con riguardo al momento della perdita<br />

subita».<br />

Quello che invece deriva da ritardo viene correttamente definito<br />

come «la diseconomia che grava sul creditore, per il mancato tempestivo<br />

godimento dell’equivalente di danaro del bene leso».<br />

Ciò equivale a stimare, in genere, il danno da illecito o da inadempienza,<br />

con riguardo al tempo in cui esso si verifica e non alla<br />

decisione (rei iudicandae tempus).<br />

Quello da ritardo si traduce, per dirla con la Suprema Corte,<br />

«nella perdita di quella utilitas che il creditore avrebbe tratto dalla<br />

somma originariamente dovuta al posto del bene» e spazia per tutta<br />

la durata del ritardo, sino a quando l’indennizzo, è concretamente<br />

prestato.<br />

Queste proposizioni hanno un loro precedente nella decisione del<br />

Trib. Roma, 22 febbraio 1988, in Foro it., 1989, I, p. 255, con nota<br />

e richiami in Foro it., 1989, I, p. 1988.<br />

Codesto ordine di idee è anche condiviso dall’autore di queste righe<br />

che lo anticipò altrove sin dal 1981 (1) e lo ha approfondito e ribadito<br />

negli scritti successivi (2) .<br />

Codesta distinzione dei due diversi tipi di danno (oltretutto quello<br />

da ritardo è presuntivamente colposo, a differenza di quello da<br />

illecito o da inadempienza, perché quest’ultima può essere dolosa o<br />

colposa), non costituisce il solo merito di questa decisione.<br />

La Suprema Corte ha avvertito altresì l’esigenza di un’approfondimento<br />

dei medesimi dogmi tralatici, dominanti nella<br />

responsabilità civile e si è posta correttamente il problema della<br />

giustificazione, nel nostro ordinamento, del cosiddetto debito<br />

di valore.<br />

A questo riguardo acquista grande rilievo quell’altro passo motivo,<br />

dove essa scrive «nessuno vuol negare l’origine empirica e casistica<br />

della categoria del debito di valore che, sebbene osteggiata<br />

dal punto di vista concettuale, continua a dimostrare una notevo-<br />

(1) G. VALCAVI, Riflessioni sui c.d. crediti di valore, sui crediti di valuta e sui tassi di<br />

interesse, in Foro it., 1981, I, pp. 2112 ss.<br />

(2) G. VALCAVI, Il tempo di riferimento nella stima del danno, in Riv. dir. civ., 1987,<br />

II, pp. 31 ss.; Id., Indennizzo e lucro del creditore nella stima del danno, in Quadrimestre,<br />

1986, p. 681; Id., Il problema degli interessi monetari nel risarcimento del danno, in Resp.<br />

civ. e prev., 1987, pp. 3 ss.; in Foro it., 1986, I, pp. 1540 ss. e in ivi, 1988, I, pp. 2318 ss.


Scritti di Diritto Civile 121<br />

le capacità espansiva, legittimandosi sul terreno della effettività<br />

giurisprudenziale».<br />

A chi è critico non da oggi, non solo sul piano concettuale, di codesta<br />

categoria – come è l’autore di queste righe – appare oltremodo<br />

significativo che la Suprema corte si sia astenuta dal prendere le<br />

difese di questa categoria, sul piano dognatico.<br />

Egli è sempre più convinto che non è ipotizzabile un debito che<br />

abbia per oggetto un valore astratto o una moneta astratta, la quale<br />

possa venire considerata metro di misura di quella avente corso<br />

legale, perché, a causa del principio nominalistico, mensura e mensuratum<br />

coincidono.<br />

Allo stesso modo gli appare agli antipodi del nostro sistema il fatto<br />

che il debitore, il quale non abbia a trovarsi in mora, debba prestare<br />

moneta rivalutata al creditore, e ciò è addirittura inconcepibile<br />

se ad essere in mora sia il medesimo creditore, per avere rifiutato<br />

l’offerta reale di una somma, rivelatasi poi adeguata.<br />

L’obbligazione illiquida – per suo fermo convincimento – è<br />

una obbligazione pecuniaria ed è governata dalla sua specifica<br />

disciplina.<br />

La sola attualizzazione ipotizzabile nel tempo, dei valori espressi<br />

comunque in moneta, è quella costituita dal computo del mero<br />

lucro cessante della quantità di moneta (quod interest secondo il<br />

quod plerumque accidit), nel periodo considerato.<br />

Il ricorso a costruzioni teoriche del tipo di quella del debito di<br />

valore, poteva avere una sua giustificazione quale ineludibile rimedio<br />

equitativo, in quei sistemi e per quei periodi che conobbero<br />

l’esperienza della iperinflazione (e del collegato ingigantire del<br />

normale rendimento del denaro durante il ritardo) e tuttavia essi<br />

non avevano a disposizione altro indennizzo legale che l’inadeguato<br />

interesse del 5%.<br />

Tale fu il caso emblematico della Germania degli anni ’20 e di<br />

molti paesi colpiti dalla iperinflazione (3) .<br />

Una esigenza del genere non ha più ragione d’essere dopo l’introduzione<br />

in più di un ordinamento di norme che ammettono «il<br />

risarcimento del maggior danno da mora» e così consentono di at-<br />

(3) G. SCADUTO, I debiti pecuniari e il deprezzamento monetario, Milano, 1924, pp.<br />

130 ss.; C.L. HOLTFRERICH, L’inflazione tedesca, 1914-23, Bari, 1989, p. 301.


122 Scritti di Diritto Civile<br />

tualizzare il debito, sulla base del complessivo rendimento normale<br />

del denaro (art. 1224, 2° comma, c.c., art. 106 cod. obbl. svizzero,<br />

art. 1153 c.c. francese, ecc.).<br />

La decisione in esame, pur non avvedendosene, abbandona per<br />

altro sul medesimo piano operativo, il metodo «valoristico» laddove<br />

è costretta sia pure da esigenze equitative, ad affermare che occorre<br />

procedere ad «una rivalutazione via via» del danno, per il periodo<br />

posteriore al suo verificarsi e non in un’unica soluzione da<br />

questa sino alla liquidazione.<br />

Ciò sia pure al fine di computare gli interessi legali.<br />

Tanto equivale ad attribuire – come diremo – all’obbligazione risarcitoria<br />

il carattere di debito pecuniario indicizzato, invece che di<br />

debito di valore e tuttavia la soluzione resta inaccettabile sia perché<br />

non legittimata da alcuna norma, sia perché approda a risultati superiori<br />

perfino al medesimo cumulo di rivalutazione e interessi.<br />

Passando a trattare degli interessi monetari, la Suprema corte<br />

compie un passo indietro rispetto alla precedente decisione n. 3352<br />

del 1989 (4) , laddove torna a qualificare gli interessi come compensativi<br />

invece che moratori.<br />

Essa per altro riconosce che tali interessi non sono giustificati «da<br />

alcuna norma» e si fondano solo sull’equità.<br />

Codesto richiamo all’equità appare un criterio, da un lato troppo<br />

generico, e dall’altro in contrasto con l’opposta soluzione della<br />

decisione n. 5299 del 1989 (5) delle Sezioni unite che esclude il cumulo<br />

di rivalutazione ed interessi, nel caso dei creditori di valuta ed<br />

addirittura di un pensionato. La disparità di trattamento e la virtuale<br />

incostituzionalità di un tale criterio, minano alla base il richiamo<br />

equitativo.<br />

Su tutto ciò, per l’importanza degli argomenti trattati, è necessario<br />

affrontare un discorso che non risulta necessariamente breve.<br />

2. – Cominciamo da quella parte della decisione, in cui, dopo avere<br />

correttamente distinto i due tipi di danno, si afferma che quello<br />

da illecito o da inadempienza, va stimato secondo i valori correnti<br />

al suo verificarsi.<br />

(4) Cass. civ., 18 luglio 1989, n. 3352, in Foro it., 1990, I, p. 933.<br />

(5) Cass. civ., Sez. un. 1° dicembre 1989, n. 5299, in Foro it., 1990, I, p. 427.


Scritti di Diritto Civile 123<br />

La direttiva della Suprema Corte, a questo riguardo, è inequivoca<br />

e perentoria.<br />

Essa, con riguardo ad una specie di fatto che pur prestavasi ad<br />

una liquidazione incline alla rei aestimatio, afferma ripetutamente<br />

che «al privato spetta il valore economico che al bene deve attribuirsi<br />

al momento del verificarsi della perdita».<br />

E, senza mezzi termini che la diseconomia «va liquidata con riferimento<br />

non al valore corrente del tempo della liquidazione, ma<br />

al valore così com’è stato stimato nel momento del verificarsi» della<br />

perdita.<br />

È quanto escludere, una volta per tutte, il riferimento al tempus<br />

rei iudicandae.<br />

Quest’ordine di idee venne anticipato dall’autore di queste righe<br />

ne «Il tempo di riferimento nella stima del danno» e negli altri scritti,<br />

alle cui ampie motivazioni rinvia, in senso ovviamente adesivo di<br />

questa decisione.<br />

Appare del resto un controsenso che possa supporsi la conservazione<br />

dell’investimento nel bene, in natura, così da postulare la liquidazione<br />

del danno sulla base di prezzi correnti alla decisione e<br />

nel contempo lo si consideri convertito in somma liquida, così da legittimare<br />

il godimento medio-tempore degli interessi legali per la ritardata<br />

corresponsione dell’indennizzo (6) .<br />

Di recente è stata riproposta in dottrina dal Luminoso (specialmente<br />

con riguardo al danno da risoluzione contrattuale) la opinione<br />

favorevole a fissarne la stima al momento della decisione, sia<br />

pure «in linea tendenziale».<br />

Alla soluzione ora accolta dalla Suprema corte è stato mosso il<br />

rilievo di avere poco seguito in dottrina e di essere poco articolata,<br />

non prevedendo, una pluralità di indicazioni (7) .<br />

Come se non fosse da preferirsi all’opposto, una soluzione di coerente<br />

applicazione, basata sul principio di non contraddizione. Tale<br />

autore desume dall’art. 2058 c.c. la regola che il danneggiato ha diritto<br />

all’equivalente calcolato al momento ultimo perché avrebbe<br />

(6) G. VALCAVI, L’indennizzo del mero lucro cessante come criterio generale di<br />

risarcimento del danno da mora nelle obbligazioni pecuniarie, in Foro it., 1990, I,<br />

pp. 2220 ss.<br />

(7) A. LUMINOSO, Il momento da prendere a base per la determinazione e la stima<br />

del danno da risoluzione, in Resp. civ. e prev., 1989, pp. 1072, 1075, nota 21, 1078.


124 Scritti di Diritto Civile<br />

diritto sino a quel momento alla reintegrazione specifica. In particolare<br />

il danno contrattuale dovrebbe valutarsi alla decisione, perché<br />

nella maggioranza dei casi tratterebbesi di beni che sarebbero<br />

rimasti (o così dovrebbesi presumere) nel patrimonio del danneggiato<br />

sino a quel momento.<br />

Un’eccezione riguarderebbe solo la mancata prestazione di denaro<br />

o di beni a consumo istantaneo, nel qual caso il danno andrebbe<br />

stimato al suo verificarsi (8) .<br />

L’inaccoglibilità di questo discorso è stata altrove dimostrata<br />

dall’autore di queste righe.<br />

È il caso qui solo di rilevare che non solo viene supposto arbitrariamente<br />

che i beni sarebbero rimasti sino alla decisione nel patrimonio<br />

del danneggiato, ma addirittura al valore di rimpiazzo a<br />

novo e per giunta, senza costi di conservazione, senza oneri finanziari<br />

e pure in contrasto con la perpetuatio obligationis (9) . Ciò è assolutamente<br />

difforme dal quod plerumque accidit.<br />

Devesi qui osservare che la regola sovra considerata non è desumibile<br />

dall’art. 2058 c.c. perché questa norma contempla solo il diritto<br />

al risarcimento del danno «mediante reintegrazione specifica»,<br />

nei casi in cui esso sia «possibile» e non risulti «eccessivamente oneroso<br />

rispetto a quello per equivalente» (10) . Trattasi di proposizione<br />

assolutamente diversa da quella che vorrebbe attribuire il diritto<br />

«all’adempimento specifico» sino alla decisione, anche dopo la domanda<br />

di risoluzione del contratto o la risoluzione ipso iure, in contrasto<br />

con l’art. 1453, 3° comma, c.c.<br />

È stato addirittura prospettato da tale autore che una stima del<br />

danno da risoluzione, riferita a un momento anteriore alla decisione,<br />

sarebbe «ingiustamente penalizzante per il danneggiato» perché<br />

la risoluzione non fa sparire l’inadempimento. È stato detto che<br />

questo, nonostante la vicenda risolutiva del contratto, «conserva e<br />

non può non conservare la sua rilevanza sia per il passato, sia per il<br />

futuro» (11) .<br />

Tale ordine di idee è assolutamente inaccettabile.<br />

(8) A. LUMINOSO, op. cit., pp. 1075 ss.<br />

(9) G. VALCAVI, Il tempo di riferimento, cit., in Riv. dir. civ., 1987, II, pp. 44 ss.<br />

(10) TRABUCCHI-CIAN, Commentario breve al codice civile, sub art. 2058 c.c.,<br />

p. 1435.<br />

(11) A. LUMINOSO, op. cit., p. 1085.


Scritti di Diritto Civile 125<br />

Non è detto che l’adempimento riesca sempre ed in ogni tempo<br />

di interesse del creditore e così il rimanere obbligato alla controprestazione<br />

al di là di un tempo ragionevole. Il creditore, nel caso<br />

che l’adempimento andasse troppo per le lunghe, con le conseguenti<br />

incognite soggettive ed oggettive, anche se il valore economico della<br />

prestazione attesa potesse astrattamente configurare un vantaggio,<br />

potrebbe preferire la soluzione di liberarsi dal vincolo della propria<br />

obbligazione, ricusando quella altrui e pretendendo il risarcimento<br />

del danno.<br />

L’ordinamento, in definitiva, lascia libero il creditore di provvedere<br />

ai propri interessi, secondo quello che più gli aggrada. Cos’altro<br />

può fare l’ordine giuridico, di fronte all’inadempienza del debitore,<br />

se non quello di offrire al creditore il rimedio di sospendere la<br />

propria prestazione (exceptio inadimpleti non est adimplendum) e<br />

di assicurargli la possibilità di scegliere la libertà dagli impegni presi<br />

ed il risarcimento del danno, in alternativa all’azione di adempimento<br />

con i conseguenti oneri ed il rischio relativo?<br />

La conclusione perciò di assumere a tempo di riferimento della<br />

stima del danno, quello del suo verificarsi, appare l’unica accettabile<br />

e coerente con quanto prescrivono l’art. 1223 c.c. in materia di<br />

risarcibilità delle conseguenze dirette ed immediate, l’art. 1225 c.c.<br />

in materia di prevedibilità del danno e del suo quanto e l’art. 1227,<br />

2° comma, c.c. in materia di evitabilità del danno (12) .<br />

Questo criterio appare anche il solo ipotizzabile, con riguardo<br />

alla concezione patrimoniale del danno, secondo la Differenztheorie,<br />

considerato anche che il danno può consistere nel mancato godimento<br />

del valore di uso del bene e non necessariamente nella perdita<br />

o nel mancato guadagno relativo al suo valore di scambio.<br />

3. – Passiamo ora a quell’altra parte della decisione, la quale,<br />

dopo aver correttamente distinto il danno da illecito e da inadempienza<br />

(da stimarsi con riferimento al tempo del suo verificarsi)<br />

dal danno successivo da ritardo, rivaluta poi il primo «per<br />

attualizzarlo alla decisione».<br />

(12) G. VALCAVI, Evitabilità del maggior danno ex art. 1227, 2° comma c.c., e rimpiazzo<br />

della prestazione non adempiuta, in Foro it., 1984, p. 2820; Id., Sulla prevedibilità<br />

del danno da inadempienza colposa contrattuale, in Foro it., 1990 I, pp. 1946 ss.


126 Scritti di Diritto Civile<br />

E a questo aggiunge gli interessi legali, come risarcimento del<br />

danno da ritardo.<br />

Questa conclusione intimamente contradditoria ed inadeguata, è<br />

stata in passato giustificata con la diversa natura dei crediti di valore<br />

(ai quali apparterrebbe il danno), rispetto a quelli di valuta.<br />

La legittimità di tale categoria è stata osteggiata, sul piano concettuale,<br />

dall’autore di queste righe e la Suprema Corte, mostrandosene<br />

informata, non solo non ne assume apertamente le difese,<br />

ma palesa di tenere le critiche in conto, laddove afferma che «nessuno<br />

vuol negarne l’origine empirica e casistica».<br />

Invero essa trasse origine all’epoca della iperinflazione germanica<br />

dell’altro dopoguerra, dal tentativo di ovviare alla inadeguatezza<br />

dell’interesse legale di fronte alla fuga dal marco fissando il<br />

valore della prestazione non pecuniaria con le giustificazioni teoriche<br />

«della conservazione della base della prestazione negoziale»,<br />

o «della presupposizione», o «della buona fede», ed in definitiva<br />

affermando che l’indennizzo è «sottratto al principio del valore<br />

nominale» (13) .<br />

Tuttavia è un dato di fatto che l’estrema fragilità di codesta distinzione<br />

e del tentativo di darle dignità teorica, si manifestò ben<br />

presto con la tendenza ad estendere la rivalutazione ai crediti pecuniari,<br />

di carattere ipotecario (14) e fu superata dalla successiva fase<br />

di stabilizzazione economica.<br />

Anche al giorno d’oggi in un altro paese afflitto dalla iperinflazione,<br />

quale il Brasile, la indicizzazione riguarda sia la prestazione<br />

pecuniaria sia la controprestazione non pecuniaria, così non distinguendosi<br />

tra le due (15) .<br />

A ben vedere, la spiegazione del concetto di «debito di valore»<br />

offerta dal suo più autorevole sostenitore e dagli altri, si risolve in<br />

una serie di apodittiche petizioni di principio.<br />

(13) Per i riferimenti bibliografici sulle giustificazioni teoriche nella dottrina germanica<br />

dell’altro dopoguerra (rispettivamente Oertmann, Rabel, Kruckmann, Nipperdey,<br />

Geiler, Walsmann ed altri) v. G. SCADUTO, I debiti pecuniari e il deprezzamento monetario,<br />

Milano, 1924, pp. 147 ss. In giurisprudenza: Corte Suprema del Reich, 21 settembre<br />

1920, in C.L. HOLTFRERICH, L’inflazione tedesca, 1914-1923, Bari, pp. 301 ss.<br />

(14) Corte Suprema del Reich, 28 novembre 1923, in C.L. HOLTFRERICH, op.<br />

ult. cit., p. 318.<br />

(15) Quivi sia le transazioni differite nel tempo, di denaro o di merci, sono indicizzate<br />

alle obbligazioni del Tesoro nazionale.


Scritti di Diritto Civile 127<br />

Questo non appare del resto definito in termini positivi, ma solo<br />

mediante il ricorso a criteri «meramente negativi» quali quelli che<br />

trattasi di debito «non soggetto al principio del valore nominale della<br />

moneta» (16) , o che «non è predeterminato quantitativamente e<br />

cioè è illiquido» (17) , o che «esso diviene evidente, in particolare, nel<br />

caso di aumento del potere di acquisto della moneta, invece della<br />

sua diminuzione» (18) , o infine che trattasi di un debito di «valore<br />

astratto», o «di potere di acquisto della moneta» (19) .<br />

È appena il caso di osservare che in genere non si riconosce carattere<br />

di debito di valore a quello relativo alla controprestazione<br />

non pecuniaria laddove il suo valore sia stato convenuto in moneta<br />

straniera (oggi poi oggetto dei provvedimenti di liberalizzazione valutaria)<br />

e che in sé ha evidente carattere pecuniario. Parimenti non<br />

appare giustificabile la estensione generalizzata della rivalutazione<br />

da un fenomeno di iperinflazione a qualunque variazione inflattiva<br />

e così dalla fuga dalla moneta a quello opposto della propensione a<br />

conservare gli averi in forma liquida, malgrado la diminuzione del<br />

valore di acquisto come è accaduto nei tempi a noi vicini (stagflazione,<br />

slumpflazione) (20) .<br />

Il terreno dove il concetto di debito di valore mostra la sua assoluta<br />

inadeguatezza riguarda l’obbligazione risarcitoria di un danno<br />

da illecito o da inadempienza che abbia per oggetto una somma di<br />

denaro.<br />

Le obbligazioni restitutorie di danaro, nel caso di risoluzione<br />

contrattuale, sono comunemente ritenute «debito di valuta» quando<br />

riguardino la parte incolpevole ed invece «di valore» quando riguardino<br />

quella inadempiente (21) .<br />

Sono considerati debiti di valuta quelle conseguenti a pronunce<br />

(16) T. ASCARELLI, Le obbligazioni pecuniarie, Bologna, 1963, pp. 443, 448.<br />

(17) T. ASCARELLI, op. cit., p. 472.<br />

(18) T. ASCARELLI, op. cit., p. 445.<br />

(19) T. ASCARELLI, op. cit., pp. 457 ss.<br />

(20) Tra i molti, DON PATINKIN, Moneta, interessi e prezzi, Padova, 1977, pp. 17,<br />

26 ss., 45 ss., 253 ss., e tra gli altri G. VALCAVI. Rivalutazione monetaria o interessi<br />

di mercato?, in Foro it. 1980, I, pp. 118 ss.; Id., La stima del danno sul tempo con riguardo<br />

alla inflazione. alla variazione dei prezzi e all’interesse di mercato, in Riv. dir.<br />

civ., 1981, II, pp. 332 ss.<br />

(21) Cass. civ., 12 giugno 1987, n. 5143; Id., 26 febbraio 1986, n. 1203, in Riv. dir.<br />

civ., 1990, II, pp. 264, 265.


128 Scritti di Diritto Civile<br />

di nullità, annullamento, rescissione o riduzione di prezzo (22) . È<br />

noto parimenti che il debito dell’assicuratore verso l’assicurato è ritenuto<br />

debito di valore e non di valuta (23) , mentre quello da responsabilità<br />

civile, all’opposto, è ritenuto debito di valuta (24) .<br />

Il credito dell’assicuratore verso il danneggiante è considerato<br />

credito di valore (25) , mentre quello fatto valere in rivalsa contro l’assicurato<br />

per le somme pagate al terzo, sarebbe credito di valuta (26)<br />

e così via.<br />

Non si riesce qui a cogliere la ragione della diversa classificazione<br />

dogmatica e del diverso trattamento di tali ipotesi. Analogamente<br />

non appare appagante la qualificazione del danno, come debito<br />

di valore, sul presupposto che qui dovrebbe distinguersi tra<br />

mensura e mensuratum (27) , che viene adottato anche da questa decisione,<br />

perché dovrebbesi dimostrare la fondatezza di tale presupposto<br />

in quanto in un sistema basato sul principio del valore nominale,<br />

mensura e mensuratum coincidono.<br />

Sotto un certo angolo visuale, la distinzione tra aestimatio e<br />

taxatio non è accettabile perché la prima riguarda il danno e la seconda<br />

si riferisce piuttosto al risarcimento dello stesso e cioè a due<br />

fenomeni diversi.<br />

Infine le varie ipotesi considerate dalla dottrina, non sembrano<br />

giustificare la costruzione di un’unica categoria dogmatica dei debiti<br />

di valore perché il nostro ordinamento non contempla la rivalutazione<br />

monetaria, per alcuna di esse, ma piuttosto fissa un momento<br />

per la stima del bene (28) .<br />

(22) Cass. civ., 12 novembre 1986, n. 6636, in Giur. it., 1987, I, pp. 1, 1852 ss.; Id.,<br />

6 febbraio 1989, n. 724, ivi, 1989, I, pp. 1, 1723.<br />

(23) Cass. civ., 4 giugno 1987, n. 4883, in Foro it., 1988, I, p. 503.<br />

(24) Cass. civ., Sez. un., 29 luglio 1983, nn. 5218, 5229, 5220, in Riv. dir. civ., 1990,<br />

II, pp. 264, 265; Cass. civ., 5 luglio 1985, n. 4064, in Foro it., 1985, I, p. 2588.<br />

(25) Cass. civ., Sez. un., 13 marzo 1987, n. 2639, in Riv. dir. civ., 1990, II, pp.<br />

264, 265.<br />

(26) Cass. civ., Sez. un., 13 marzo 1987, n. 2639, in Foro it., 1987, I, p. 3262; Cass.<br />

civ., 22 febbraio 1988, in Giur. it., 1988, I, pp. 1, 1440 ed ivi, 1989, I, p. 1, 526.<br />

(27) T. ASCARELLI, Le obbligazioni pecuniarie, cit., pp. 450 ss., 468 ss.<br />

(28) Così il tempo dell’aperta successione nell’ipotesi di cui all’art. 747 c.c., quello<br />

odierno ex art. 948 c.c.; il tempo della spesa e del miglioramento ex art. 936 c.c., quello<br />

della riconsegna delle scorte morte nell’ipotesi ex art. 1640, delle scorte vive ex art. 1641,<br />

nonché in quella ex art. 2163 c.c., quello dell’inizio della soccida o della divisione ex art.<br />

2181 c.c. e via dicendo.


Scritti di Diritto Civile 129<br />

4. – A questo punto, vediamo quali siano le ragioni adottate dalla<br />

Suprema Corte – sia pure su un piano empirico e casistico – per giustificare<br />

la rivalutazione del danno da illecito e da inadempienza,<br />

mentre l’interesse legale sarebbe chiamato ad indennizzare quello<br />

da ritardo. La decisione ha scritto, a questo proposito, che «la rivalutazione<br />

è volta a ripristinare la situazione patrimoniale del privato,<br />

ponendolo nelle condizioni in cui si sarebbe trovato se l’evento<br />

non si fosse verificato» ed in definitiva «adempie alla funzione tecnica<br />

di determinare esattamente l’oggetto della prestazione inadempiuta»,<br />

o per meglio dire, «ad attualizzarlo alla decisione». A<br />

differenza di questo, essa attribuisce invece all’interesse legale la<br />

funzione di coprire la diseconomia del danneggiato, causata dal ritardo,<br />

e cioè «dalla perdita della utilitas che il creditore avrebbe<br />

tratto dalla somma originariamente dovuta».<br />

In codeste proposizioni si cela tuttavia, l’errore di fondo di non avvedersi<br />

che i due rimedi sono chiamati, in definitiva, a risarcire il medesimo<br />

danno che proviene dal ritardo. Infatti, una volta che si sia<br />

correttamente fissato l’indennizzo puntuale, al momento del verificarsi<br />

del danno (29) , la successiva rivalutazione e l’interesse tendono<br />

sostanzialmente ad eliminare la posteriore diseconomia, causata dal<br />

ritardo con cui l’indennizzo di base viene prestato. A questo proposito,<br />

codesto cumulo non può non apparire errato, perché la funzione<br />

di attualizzare il minor valore di una prestazione differita nel tempo,<br />

viene in genere assegnata proprio all’interesse monetario, e ciò è in<br />

particolare riconosciuto anche da questa decisione (30) , laddove qualifica<br />

gli interessi come compensativi che altro non significa se non attribuire<br />

loro la funzione di attualizzare l’equivalente dovuto.<br />

Per rendersene conto, occorre far capo al quod interest secondo<br />

il quod plerumque accidit che costituisce la regola di fondo.<br />

Non sembra che si possa d’ordinario supporre che il danneggiato<br />

avrebbe ad un tempo acquisito o conservato nel suo patrimonio<br />

(29) Codesta regola si trae dall’introduzione dell’art. 1219, 2° comma, n. 1, c.c. che<br />

ha rovesciato il vecchio aforisma che in illiquidis non fit mora il quale risaliva ad un antico<br />

passo di Venuleio.<br />

(30) FISHER, Opere, Torino, 1974, pp. 814, 833; WICKSELL, Opere, Torino, 1977,<br />

p. 377; in questo senso, sia pure in via approssimativa, KEYNES, Opere, Torino, 1975, p.<br />

253; sul nostro tema G. VALCAVI, Riflessioni sui c.d. crediti di valore, cit., in Foro it.,<br />

1981, p. 2117.


130 Scritti di Diritto Civile<br />

il bene non prestato o tolto, così da giustificare l’attualizzazione del<br />

suo valore e dall’altro lato avrebbe anche avuto la disponibilità dell’equivalente<br />

pecuniario, così da fruire del suo rendimento, durante<br />

il ritardo ed a causa di questo. Codesto cumulo dell’attualizzazione<br />

del valore del bene non prestato o tolto, e dell’equivalente pecuniario<br />

in cui esso si concreta, è lontano da quanto sarebbe accaduto<br />

d’ordinario e contrasta con la distinzione dei due diversi danni<br />

confondendo anzi l’uno con l’altro.<br />

Sotto un altro angolo visuale, la rivalutazione non appare accettabile<br />

perché essa contraddice il postulato che il danno va stimato<br />

al momento del suo verificarsi. Infatti il criterio proposto si risolve,<br />

sia pure indirettamente, nello stimare il danno «alla decisione», invece<br />

che al suo verificarsi, sia pure attraverso la mediazione del mutato<br />

livello dei prezzi e cioè del valore attuale della moneta.<br />

Ciò, in definitiva, equivale a stimare il danno con riguardo al<br />

tempus rei judicandae. La stima del danno al momento del suo verificarsi,<br />

infatti, finisce per assumere il rilievo di un valore meramente<br />

storico, mentre quello ultimo e di stima vera e propria, sarebbe<br />

costituito da quello rivalutato alla decisione. Quello che poi<br />

non si riuscirebbe a cogliere, secondo tale modo di vedere, è la portata<br />

ed il ruolo dell’interesse.<br />

D’altro canto non appare assolutamente percorribile il ricorso alla<br />

sola rivalutazione, perché l’altezza di questa è variabile ed oggidì è anche<br />

notevolmente al di sotto del normale rendimento del denaro che<br />

rappresenta il quod interest secondo il quod plerumque accidit (31) .In<br />

un altro senso, tuttavia, il ricorso al solo interesse legale del 5%, non<br />

poteva e non può apparire adeguato a coprire il danno da ritardo, in<br />

relazione al normale rendimento del denaro, e così ad attualizzare il<br />

risarcimento del danno da illecito o da inadempienza.<br />

Ad ovviare a codesta inadeguatezza, è stato però a suo tempo,<br />

chiamato il risarcimento del maggior danno contemplato dall’art.<br />

1224, 2° comma, c.c., sempre che questo venga fatto coincidere per<br />

l’appunto, con il normale rendimento del denaro e per ritardo si intenda<br />

la mora, come si dirà.<br />

(31) Per un raffronto al riguardo, G. VALCAVI, L’indennizzo del mero lucro cessante,<br />

come criterio generale di risarcimento del danno da mora nelle obbligazioni pecuniarie,<br />

in Foro it., 1990, I, p. 2220.


Scritti di Diritto Civile 131<br />

La modifica recentemente contemplata dall’art. 1284 c.c. che<br />

aumenta il tasso legale dal 5 al 10% (32) , rende ancora più manifesta<br />

la plausibilità delle critiche sopra avanzate e della soluzione proposta,<br />

a meno di non volere procurare al danneggiato, un lucro ingigantito<br />

invece che il mero indennizzo, con il cumulare la rivalutazione<br />

e l’interesse del 10%, senza parlare di un suo eventuale calcolo<br />

sul capitale rivalutato.<br />

Non sembra per altro neppure accettabile la diversa ragione posta<br />

a base della rivalutazione dalla Suprema Corte e cioè che essa<br />

sarebbe giustificata dalla equità. Trattasi qui della medesima giustificazione<br />

contrastata dall’Ascarelli (33) , e per certi versi vicina a<br />

quella della buona fede proposta a suo tempo del Nipperdey (34) .<br />

Il richiamo all’equità non solo appare troppo generico, ma anche<br />

in contrasto con il normale trattamento riservato all’ordinario creditore<br />

di denaro, da cui non si scosta quello che attende l’adempimento<br />

di un’obbligazione illiquida.<br />

Si ha qui riguardo alla recente decisione delle nostre Sezioni<br />

Unite Civili (35) , che escludono, per le obbligazioni pecuniarie, il<br />

cumulo di cui si è detto, in quanto fonte di lucro e non di mero<br />

indennizzo.<br />

Infine non è accettabile anche l’altra ragione, avanzata dalla Suprema<br />

Corte in questa decisione, e cioè che si tratterebbe di un metodo<br />

che avrebbe il pregio di essere semplice e pratico. Infatti, ove<br />

pur non si pensasse alle conseguenze che potranno derivare dall’aumento<br />

dell’interesse legale al 10%, oggidì codesto metodo appare<br />

oltremodo macchinoso e confuso, come è dimostrato da quel<br />

passo della decisione che prescrive il calcolo dell’interesse sul capitale<br />

via via rivalutato e cioè periodicamente.<br />

Quest’ultima proposizione della Suprema Corte equivale a negare<br />

al credito la qualità di credito di valore ed a qualificarlo piuttosto<br />

come credito pecuniario indicizzato, anche questo ed alla medesima<br />

stregua non giustificato dalle esclusione della mora.<br />

È il caso qui di richiamare la distinzione tra credito di valore e<br />

(32) Art. 1 delle modifiche al codice di procedura civile divenuto recentemente legge.<br />

(33) ASCARELLI, Le obbligazioni pecuniarie, cit., p. 442.<br />

(34) NIPPERDEY, Kontrahierungzswang und diktierter Vertrag, 1920, pp. 140 ss.,<br />

nonché in DIZ, 1922, p. 659.<br />

(35) Cass. civ., Sez. un., 1°dicembre 1989, n. 5299, in Foro it., 1990, I, p. 427.


132 Scritti di Diritto Civile<br />

credito indicizzato, a suo tempo sottolineata dall’Ascarelli (36) , andando<br />

di contrario avviso rispetto al Nussbaum (37) .<br />

Codesta indicizzazione del risarcimento, non può tuttavia accogliersi,<br />

perché essa non è contemplata da alcuna norma di legge ed<br />

a maggior ragione da alcuna fonte negoziale.<br />

La conclusione appare in questo senso, perciò, arbitraria.<br />

5. – Passiamo, a questo punto, a trattare del risarcimento di quella<br />

diseconomia del danneggiato, che è causata da ritardo. Questa viene<br />

correttamente individuata nel mancato godimento di quella utilitas<br />

che il creditore avrebbe diversamente tratto, nel periodo del ritardo,<br />

dall’equivalente pecuniario, se questo gli fosse stato prestato per tempo.<br />

Questa proposizione – in cui si concorda – dimostra all’evidenza<br />

che la funzione di attualizzazione, è propria degli interessi monetari<br />

e non della rivalutazione monetaria, che risulta anzi pleonastica.<br />

Dove tuttavia, per altro, si dissente dalla decisione in esame, è<br />

nel punto in cui essa collega il pregiudizio risarcibile al mero ritardo<br />

e non alla mora e così qualifica gli interessi, come compensativi<br />

e non moratori. I casi in cui può ipotizzarsi un ritardo disgiunto<br />

dalla mora, sono assolutamente marginali (38) , ed il pregiudizio<br />

è risarcibile solo se deriva da un ritardo colpevole e qualificato,<br />

quale appunto la mora. L’inizio del ritardo nel prestare<br />

l’indennizzo, coincide con il sorgere della mora, nel danno da illecito<br />

o da inadempienza delle obbligazioni portables, ex art. 1219,<br />

2° comma, n. 1 e 3 c.c., mentre in quelle querables decorre dalla<br />

intimazione scritta ex art. 1219, 1° comma, c.c. che è rimessa alla<br />

mera volontà del creditore. Il risarcimento del danno da ritardo si<br />

identifica, in ultima analisi, con quello da mora.<br />

La Suprema Corte riconosce in questa decisione che l’aggiunta<br />

degli interessi cosiddetti compensativi, non è prevista da alcuna norma<br />

e che la loro giustificazione può individuarsi nella sola equità. Il<br />

richiamo equitativo è così posto alla base sia della rivalutazione, sia<br />

degli interessi cosiddetti compensativi. Ciò appare da un lato troppo<br />

generico e dall’altro francamente eccessivo.<br />

(36) T. ASCARELLI, Le obbligazioni pecuniarie, cit., pp. 474 ss.<br />

(37) NUSSBAUM, Money in the law, Chicago, 1939, pp. 180 ss.<br />

(38) BIGLIAZZI-GERI, Mora accipiendi e mora debendi, Milano, 1975, pp. 229 ss.


Scritti di Diritto Civile 133<br />

Occorre, a questo proposito, sottolineare che i crediti illiquidi, non<br />

ammettono altro tipo di interessi, che non siano quelli moratori (39) .<br />

All’opposto quelli compensativi sono propri dei soli crediti liquidi e<br />

non esigibili, ex art. 1499 c.c. e quelli corrispettivi dei soli crediti liquidi<br />

ed esibili, ex art. 1282 c.c. Abbiamo sopra accennato che l’interesse<br />

legale del 5% è assolutamente inadeguato a risarcire il pregiudizio<br />

da ritardo, secondo criteri di normalità. L’interesse legale<br />

infatti pecca per difetto rispetto alla normale utilitas che il creditore<br />

avrebbe tratto dall’equivalente, espresso in moneta nazionale, durante<br />

il ritardo monetario. L’inadeguatezza ricorre poi all’evidenza<br />

nel caso in cui il danneggiato risieda all’estero, nel quale è da riconoscere<br />

sia l’eventuale differenza di cambio, sia il normale rendimento<br />

della moneta, in cui avrebbe cambiato.<br />

La possibilità di conseguire il risarcimento del maggior danno da<br />

ritardo, è ipotizzabile solo facendo ricorso all’art. 1224, 2° comma,<br />

c.c. Il Supremo Collegio esclude qui l’applicabilità dell’art. 1224,<br />

2° comma, c.c. perché essa non sarebbe prevista dall’art. 2056 c.c.<br />

Questo rilievo non appare tuttavia fondato, perché l’art. 2056 c.c.<br />

non contiene neppure il richiamo al 1° comma dell’art. 1224 c.c.,<br />

che invece viene utilizzato dalla decisione in esame.<br />

Il maggior danno di cui all’art. 1224, 2° comma, c.c., dopo l’aumento<br />

dell’interesse legale al 10%, può individuarsi nell’eventuale<br />

scarto tra questo e quello corrente, per sua natura variabile ed in<br />

particolare in quello con gli interessi sui prestiti bancari, per chi<br />

normalmente vi ricorra. Parimenti nel caso in cui il danneggiato risieda<br />

all’estero, dovrà tenersi conto sia dell’eventuale differenziale<br />

di cambio durante la mora, sia del normale rendimento della moneta<br />

in cui avrebbe cambiato.<br />

Tutto ciò corrisponde, in ultima analisi, complessivamente al<br />

quod interest secondo il quod plerumque accidit.<br />

6. – Guardiamo, infine, a quali risultati conduca la somma del tasso<br />

di rivalutazione annua e dell’interesse legale rispetto al normale<br />

rendimento del danaro. Questa somma è stata calcolata da chi scrive<br />

nel 22,58% per il periodo 1979-1983, rispetto al normale ren-<br />

(39) G. VALCAVI, L’indennizzo del mero lucro cessante, cit., in Foro it., 1990, I,<br />

pp. 2220 ss.


134 Scritti di Diritto Civile<br />

dimento del denaro pari al 17,09% ed in percentuali diverse, per i<br />

successivi periodi. Il calcolo dell’interesse legale sul capitale rivalutato,<br />

conduce ad una percentuale del 26,93% per il periodo 1979-<br />

1983, rispetto a quello del 17,09% del rendimento normale considerato<br />

nello stesso periodo, ed in percentuali diverse e divergenti<br />

per i successivi periodi.<br />

Questa decisione mostra di preoccuparsi di moderare quest’ultimo<br />

evidente eccesso, laddove propone il calcolo dell’interesse legale<br />

su un capitale «via via rivalutato».<br />

A questo proposito la Suprema Corte scrive che gli interessi legali<br />

vanno rapportati al valore del bene al momento del verificarsi del<br />

danno «tenendo conto dei successivi eventuali mutamenti del potere<br />

di acquisto della moneta fino al momento della decisione».<br />

Il calcolo accolto dalla Suprema Corte è tuttavia superiore alla<br />

medesima somma della rivalutazione e dell’interesse legale.<br />

L’aumento dell’interesse legale dal 5 al 10% ingigantisce i risultati<br />

di codesti metodi e mostra in definitiva quanto questi siano erronei<br />

ed inaccettabili. È appena il caso qui di considerare che la<br />

somma della svalutazione corrente calcolata mediamente nel 6,5%<br />

e dell’interesse legale, condurrà ad un indennizzo pari al 16,5% rispetto<br />

al normale rendimento del danaro, pari al 12,58% e il calcolo<br />

dell’interesse legale su un capitale rivalutato è destinato a procurare<br />

un lucro ancora più vistoso.<br />

Tutto ciò oltretutto, viene considerato al netto delle imposte. Per<br />

concludere, l’unico criterio accettabile, pare a chi scrive, quello di<br />

considerare il creditore che attende l’adempimento di una somma<br />

liquidanda, alla stessa stregua di chi è il creditore pecuniario e di<br />

calcolare l’indennizzo per il ritardo sulla base del normale quod interest<br />

ex art. 1224, 1° e 2° comma, c.c., che rappresenta l’unica ancora<br />

di sicuro riferimento.<br />

Infine ciò corrisponde anche all’odierno orientamento generale<br />

del legislatore che è contrario alla scala mobile e alle indicizzazioni.<br />

Altro scritto dell’autore sullo stesso argomento:<br />

– «In materia di criteri di liquidazione del danno in genere ed interessi monetari»,<br />

in Foro Italiano 1990, I, 933 e in L’Espressione monetaria nella responsabilità<br />

civile, Cedam 1994, p. 269.


Sulle obbligazioni pecuniarie,<br />

le variazioni del potere di acquisto<br />

della moneta, dei prezzi<br />

e degli interessi monetari


Rivalutazione monetaria<br />

ed interessi di mercato<br />

1. – Questa decisione offre lo spunto per un ripensamento ab imis<br />

del problema concernente i rapporti tra inflazione, mora del debitore<br />

ed obbligazioni pecuniarie.<br />

È da mettere in rilievo l’affermazione della sentenza che l’incidenza<br />

della svalutazione monetaria non configura in sé, un danno<br />

giuridico, come tale risarcibile, ma solo un’evenienza che può aggravare<br />

il danno. Con ciò si mette in discussione l’orientamento medesimo,<br />

favorevole alla rivalutazione dei crediti pecuniari. E mi<br />

pare del tutto a proposito.<br />

Noi viviamo in un’epoca contrassegnata da una inflazione strutturale<br />

e cioè ineluttabile, ora strisciante, ora galoppante di portata<br />

internazionale, che colpisce egualmente paesi capitalistici e paesi socialistici<br />

(1) . La vera e propria novità della «nuova inflazione» è che<br />

essa non si accompagna ad una fuga della moneta, come nella infla-<br />

Da «ll Foro italiano», 1980, I, 118 e da «L’Espressione monetaria nella responsabilità civile»,<br />

Cedam 1994.<br />

Lo scritto annota la seguente massima:<br />

CORTE DI CASSAZIONE, Sezioni unite civili, 4.7.1979 n. 3776, Pres. T. Novelli, Est.<br />

Scanzano, P.M. Berri (Concl. conf.); Izzo c/ Della Gatta: «In caso di inadempimento di obbligazione<br />

pecuniaria la svalutazione monetaria verificatasi durante la mora del debitore,<br />

non giustifica un risarcimento automatico nella misura della svalutazione stessa, sibbene<br />

un risarcimento commisurato all’effettivo pregiudizio patrimoniale del creditore in<br />

relazione all’impiego che egli avrebbe presumibilmente fatto del denaro, ove lo avesse tempestivamente<br />

ricevuto, secondo un criterio personalizzato di nomlalità; ed a tal fine è utilizzabile<br />

ogni mezzo di prova, compresi il notorio acquisto alla comune esperienza e le presunzioni<br />

desumibili dalle condizioni e qualità personali del creditore».<br />

(1) RUOZI, Inflazione, risparmio, aziende di credito, 1973, pp. 35 ss.; BAFFI, Studi<br />

sulla moneta, 1965.


138 Scritti di Diritto Civile<br />

zione tradizionale (memorabile fu la crisi del 1923 in Germania), ma<br />

bensì ad una generale propensione a conservare una elevata liquidità<br />

e ad una crisi degli investimenti in genere (stag-flazione, slumpflazione)<br />

che ricorda piuttosto la crisi di segno opposto e cioè di liquidazione<br />

dei beni, quale accadde nel 1929 (2) . La elevata liquidità<br />

del sistema – questa è l’altra novità importante – fà sì che gli interessi<br />

di mercato del denaro si sono mantenuti negli ultimi anni, vicini<br />

a questo scritto nella generalità dei paesi, ad un livello inferiore al<br />

tasso inflazionistico, e tanto meno hanno lasciato spazio ad una remunerazione<br />

superiore ad esso (3) . Occorre aggiungere che i provvedimenti<br />

governativi volti ora a frenare l’inflazione, ora a stimolare<br />

l’economia, hanno prodotto effetti ora recessivi, ora inflazionistici.<br />

La linea di tendenza dei prezzi ha un andamento contrastato e diseguale<br />

e risente sia della inflazione, sia della recessione. La inflazione<br />

ha prodotto altresì, cosa di non poco conto, una ridistribuzione<br />

dei redditi e delle ricchezze tra le varie classi sociali e categorie economiche<br />

ed incide sui risparmi monetari, che questa decisione considera<br />

correttamente «un fenomeno imponente» (4) . Ciò evidenzia<br />

quanto poco si concilii con una realtà così complessa il modo di vedere<br />

che vorrebbe fare pagare al debitore il costo inflazionistico,<br />

come conseguenza della sua mora. La rivalutazione monetaria, il cui<br />

tasso è stato superiore a quello degli interessi di mercato, si risolve<br />

nel procurare al creditore un arricchimento e nell’imporre una pena<br />

privata al debitore. Ciò va assai al di là dell’esigenza del ristorare il<br />

danno (non di meno, ma neppure di più).<br />

2. – La sentenza n. 3776/79 comincia con l’escludere che la rivalutazione<br />

automatica consegua alla mora sulla base dell’assunto che<br />

questa trasformerebbe il debito di valuta in debito di valore, come<br />

era stato ritenuto dalla sentenza della sez. III, 30 novembre 1978,<br />

(2) P.A. SAMUELSON, Worldwide stag-flation, in The Morgan Gurantee Survey,<br />

giugno 1974.<br />

(3) Gli indicatori del maggio 1979 davano i seguenti tassi di inflazione e di interessi a<br />

6 mesi: Italia, inflazione 13,7%, interessi 2%; U.S.A., inflazione 10,2%, interesse 10,7%;<br />

Svizzera, inflazione 2,60%, interesse 2%; Francia, inflazione 10,1%, interesse 9,5%; Germania,<br />

inflazione 3,5%, interesse 6%.<br />

(4) RUOZI, op. cit., pp. 153 ss.; L. SPAVENTA, Effetti distributivi del processo inflazionistico<br />

in Italia, in Moneta e credito, 1973, n. 4; BAFFI, Il risparmio in Italia oggi, in<br />

Bancaria, febbraio 1974.


Scritti di Diritto Civile 139<br />

n. 5670 (Foro it., 1979, I, p. 15). Un tale assunto è anzi stato ripudiato.<br />

Esso coglieva tuttavia un aspetto di verità, laddove evidenziava<br />

la fragilità del «distinguo» tra le due categorie di debiti. La<br />

componente «liquida», a mio avviso, «inerisce all’intero patrimonio»,<br />

come un valore d’insieme, ne indica la «solvibilità», come<br />

margine di sicurezza della medesima componente investita (5) . La<br />

mora provoca «una decelerazione del flusso di liquidità» e così crea<br />

un maggior immobilizzo ed in definitiva un «minor valore del patrimonio,<br />

considerato nel suo insieme» (6) .<br />

In questo senso il debito di valuta tende a confondersi col debito<br />

di valore ed il relativo confine dogmatico diventa impercettibile. La<br />

decelerazione del «flusso di liquidità» determina certamente il maggior<br />

danno ex art. 1224, 2° comma c.c., che dovrà risarcirsi come<br />

diremo appresso.<br />

È tuttavia in termini generali opinabile la tesi che dall’appartenenza<br />

alla categoria dei debiti di valore deduce la necessità della rivalutazione<br />

monetaria. Mi pare semplicistico ridurre il quanti ea res<br />

erit al quanti ea res fuit rivalutato secondo il costo della vita, in<br />

un’epoca dominata dall’inflazione, ma anche dalla caduta della domanda,<br />

da un andamento contrastato dei prezzi e da una ridistribuzione<br />

dei redditi e degli averi.<br />

Non è raro che la rivalutazione del reddito storico conduca assai<br />

al di là di quello in essere al momento della decisione, e così dicasi<br />

a proposito di un prezzo di una merce o servizio (7) .<br />

3. – Le osservazioni sub 1, sul pericolo che la rivalutazione ignara<br />

delle conseguenze della recessione metta capo ad un lucro del<br />

creditore, nelle obbligazioni pecuniarie, riguardano sia l’orientamento<br />

che subordina la rivalutazione alla prova di un mancato in-<br />

(5) La mora provoca una riduzione della liquidità disponibile, una minore solvibilità<br />

ed un maggior immobilizzo dell’intero patrimonio: KATONA, L’analisi psicologica del<br />

comportamento economico, pp. 285-290.<br />

(6) CODA ed altri, Indici di bilancio e flussi finanziari, 1979, pp. 80 s. È noto quale<br />

importanza abbiano oggi il grado di indebitamento, il grado di liquidità e l’autofinanziamento<br />

dell’impresa.<br />

(7) Si ricorda qui l’andamento ondulatorio dei prezzi delle merci, la impennata e caduta<br />

del prezzo di questa o quella merce rispetto all’indice medio, la rapida obsolescenza<br />

della moda e della tecnologia.


140 Scritti di Diritto Civile<br />

vestimento, pur programmato (8) , sia quello che lo desume da presunzioni,<br />

legate per lo più a qualità personali o sociali (9) , sia infine<br />

e da ultimo quello più radicale che lo voleva automatico (Cass.<br />

n. 5670/78, cit.).<br />

A dire il vero, tra esse vi è solo un diverso grado, il più prudente<br />

o il più spinto, di un identico modo di concepire il danno ex art.<br />

1224, 2° comma, c.c. come danno da mancato investimento, provato<br />

o presunto, di capitale liquido. Il danno da mancato impiego<br />

di denaro postula, come rimedio alla svalutazione, la fuga dalla liquidità.<br />

Ciò era senz’altro tipico dell’inflazione tradizionale, che era<br />

caratterizzata dal disincentivo a tenere i propri averi in forma liquida<br />

e da una elevata propensione all’investimento. Ma la «nuova<br />

inflazione» è, per contro, caratterizzata dalla propensione a conservare<br />

una elevata liquidità ed a non investire. I corsi azionari<br />

scendono, i prezzi hanno un andamento diseguale. In questi frangenti,<br />

è forse possibile ipotizzare come danno, l’avere conservato i<br />

propri averi in forma liquida, ed il non averli investiti, come del resto<br />

fanno i più malgrado la falcidia inflazionistica?<br />

La proposta estrema della sentenza n. 5670/78 si reggeva poi su<br />

una supposizione doppiamente erronea, e cioè che ciascuno di noi<br />

abbia un diritto alla conservazione del potere d’acquisto della moneta<br />

e che, in ogni caso, il creditore avrebbe messo al riparo dalla<br />

svalutazione quel denaro, se ricevuto per tempo. E così trasformava<br />

ingenuamente iussu iudicis il nostro paese in un’isola di stabilità<br />

monetaria, nel contesto di un mondo agitato dalle tempeste dell’inflazione.<br />

Codesto conservare il potere d’acquisto dei propri averi sul<br />

modulo del costo della vita è oggi un investimento che ha del miracoloso,<br />

e non può certo affidarsi a presunzioni più o meno concludenti,<br />

o a prove più o meno ipotetiche. In tempi, come gli odierni,<br />

di inflazione strutturale è il caso di dire che pecunia, dum in usu<br />

vertitur; consumitur et deterioratur (10) .<br />

(8) Da ultimo, Cass. 19 ottobre 1977, n. 4463, Foro it., 1978, I, p. 336, con nota di<br />

A. AMATUCCI; 13 aprile 1977, n. 1388, id., Rep. 1977, voce Danni civili, nn. 58, 59;<br />

SANTILLI, id., 1978, I, p. 1530.<br />

(9) Per FRIEDMAN, Factor affecting the level of interest rate, Chicago, 1968, i tassi<br />

di interessi sono determinati sul mercato da una prognosi che tiene conto dell’effetto di liquidità,<br />

di quello del reddito e delle aspettative inflazionistiche.<br />

(10) Si rovescia qui la frase di RAYMUNDI, Summa, tit. De Usuris G. 7.


Scritti di Diritto Civile 141<br />

4. – La sentenza n. 3776/79, dopo aver escluso che la svalutazione<br />

monetaria sia in sé un danno giuridico, fa coincidere il maggior<br />

danno ex art. 1224, 2° comma, c.c. con il presumibile guadagno<br />

monetario che ogni homo oeconomicus trae dal sistematico e ripetitivo<br />

modo di impiego del denaro, quale è tipico della sua categoria<br />

economica. E dappoiché nell’ambito della medesima categoria<br />

ciascun homo oeconomicus conserverebbe un suo temperamento ed<br />

ha un suo successo, si fa carico al giudice di ricercare «soluzioni personalizzate»<br />

che utilizzino presunzioni, fondate «su condizioni e<br />

qualità personali e sulle modalità di impiego del denaro coerenti».<br />

Una tale soluzione è pero inaccettabile: il rifarsi al «guadagno monetario<br />

presumibile» è, per un verso, la stessa cosa e, per un altro,<br />

assai peggio che il rivalutare sic et simpliciter sulla scorta di presunzioni.<br />

Un tale guadagno è assai più della medesima svalutazione<br />

monetaria, e verrebbe conseguito senza altro rischio che l’onere<br />

di presunzioni. E parimenti i debitori sarebbero tra loro scriminati<br />

a seconda della sorte di avere un creditore più o meno abile e dovrebbero<br />

pagare anche per il suo modo d’essere.<br />

Il «giudizio personalizzato» basato sulle qualità professionali,<br />

sull’attività pregressa, sulle condizioni di mercato (sic) si risolve nell’avventurarsi<br />

nel campo dell’opinabile, nel congetturare guadagni<br />

personali, nel sostituire il libero convincimento allo iudicare iuxta<br />

alligata et probata (11) . È fin troppo noto come il reddito non corrisponda<br />

sempre alle qualità professionali e come, se ogni categoria<br />

economica in astratto ha un suo sistematico e ripetitivo modo di impiego<br />

del denaro, l’investimento in sé, in un’epoca di crisi degli investimenti,<br />

non è sinonimo di guadagno monetario.<br />

La corte ha classificato i creditori in modo assai semplicistico:<br />

l’operatore economico, il risparmiatore, il creditore occasionale<br />

(sic), ogni altro creditore in genere (sic), il modesto consumatore,<br />

il ricco con impieghi compositi, ecc. A scorrere la motivazione di<br />

questa decisione si intravede un caso limite di creditore, scambiato<br />

come tipo medio. E così il creditore medio è un uomo che deb-<br />

(11) Già LAURENT, Corso elementare di diritto civile, II, sub art. 1153 code nap., n.<br />

577, p. 455, scriveva che le prove della perdita sono difficilissime perché il denaro può<br />

servire per mille impieghi e la «incertezza della valutazione avrebbe provocato liti senza<br />

fine e senza numero…, per cui la legge chiude la sorgente di queste contestazioni attribuendo<br />

l’interesse legale».


142 Scritti di Diritto Civile<br />

ba vendere i propri beni per provvedersi di denaro o debba rinunciare<br />

all’acquisto di altri beni per mancanza di esso, è un imprenditore<br />

che usa prevalentemente denaro proprio e poco o nulla<br />

quello altrui, che ha i libri contabili in regola, che sia talmente<br />

privo di risparmio e di credito da dovere mutuare il denaro «a condizioni<br />

eccessivamente onerose e cioè usurarie»; è uno che «per<br />

mettere i soldi in banca non debba mai averne avuto ed avere vinto<br />

i soldi al lotto». E così la nostra giurisprudenza ignora che nella<br />

realtà il tipo medio di creditore è, al contrario, un homo oeconomicus<br />

che normalmente ha altri risparmi e/o fidi bancari, è un<br />

consumatore che può comprare a credito o a rate, è un intermediario<br />

finanziario che pratica l’interesse di mercato e non l’usura.<br />

Ciò peraltro in un momento in cui vi è esuberanza di liquidità offerta<br />

a buon mercato ed in cui i tassi di interesse non coprono il<br />

tasso inflazionistico.<br />

Non mi pare infine configurabile un tipo medio di creditore, senza<br />

altro denaro che quello di cui attende il pagamento e tuttavia<br />

proteso all’investimento, come unico scampo alla svalutazione, in<br />

un momento di crisi degli investimenti e di generale propensione<br />

alla liquidità. Questa decisione, col rifarsi a un presumibile guadagno<br />

monetario, è errata perché: A) Verrebbe escluso il risarcimento<br />

del danno per chi lavora in perdita e ha più impellente bisogno di<br />

denaro. L’operatore economico che lavora in pareggio o in perdita<br />

non conseguirebbe il ristoro di quel danno che è ben superiore a<br />

quello di chi, lavorando in guadagno, ha più denaro a portata di<br />

mano. B) Quel che occorrerebbe dimostrare, oltretutto, non è il guadagno,<br />

ma la incidenza del credito sulla formazione del guadagno,<br />

cioè la sua rcdditività marginale.<br />

A questo riguardo, si deve osservare che il credito ha una redditività<br />

marginale inversamente proporzionale alla solidità finanziaria<br />

del creditore (indice di successo e di capacità operativa). Un operatore<br />

economico meno guadagna e più ha impellente bisogno di denaro,<br />

più guadagna (ed ha fido e riserve) meno è interessato al tempestivo<br />

pagamento del credito.<br />

Un operatore economicamente debole o in difficoltà non è forse<br />

impaziente di esigere il proprio credito e non risente di maggior<br />

danno in caso di mora? La maggiore tolleranza nell’esigere i crediti<br />

non è forse un’arma per consolidare la propria clientela e farsene


Scritti di Diritto Civile 143<br />

dell’altra a spese del concorrente impaziente, e alla lunga non è fonte<br />

di nuovi affari e così di guadagni?<br />

5. – Occorre ora, come si era detto sopra, rimeditare ad imis i rapporti<br />

tra mora, danno ed inflazione per individuare quale sia il maggior<br />

danno ex art. 1224 2° comma c.c. e quale sia il ristoro adeguato.<br />

Il problema di fondo è quello di realizzare l’obiettivo di ristorare<br />

il danno senza arricchire il debitore o il creditore. La relatività<br />

è nelle cose: chi parla di reintegrazione effettiva del patrimonio<br />

postula un giudizio di valore «a bocce ferme», come si suol dire,<br />

a distanza di tempo. Un tale giudizio a bocce ferme sarebbe possibile<br />

se tutti i rapporti economici e di mercato risultassero squilibrati<br />

dall’inflazione nella medesima proporzione ed ove fosse possibile<br />

una loro correzione col medesimo segno. Il che non è. A questo punto<br />

ogni danno diventa un danno che «non può essere provato nel<br />

suo preciso ammontare», per cui la aestimatio da parte del giudice<br />

deve ispirarsi a concreti e penetranti criteri di equità ex art. 1226<br />

c.c. La aestimatio del danno deve peraltro corrispondere alle seguenti<br />

esigenze peculiari: A) Il danno da risarcirsi deve essere la<br />

conseguenza diretta ed immediata della mora solvendi, ex art. 1223<br />

c.c. Il ritardo dell’adempimento delle obbligazioni pecuniarie produce<br />

nel creditore la privazione temporanea dell’atteso denaro contante.<br />

La conseguenza diretta ed immediata della mora è la decelerazione<br />

del corrispondente flusso di liquidità. B) La prestazione<br />

personale del debitore è solo strumentale a che il creditore consegua<br />

il denaro contante. La fungibilità caratterizza sia la prestazione sia<br />

il suo oggetto. Il denaro è il bene fungibile e liquido, per definizione.<br />

C) Il nostro ordine giuridico vuole che il creditore non si aspetti<br />

che la prestazione del debitore divenga eccessivamente onerosa a<br />

cagione del suo attender lungo (artt. 1125, 1226, 1467, 2056 c.c.),<br />

e che invece egli cooperi a non aggravare le conseguenze, usando<br />

l’ordinaria diligenza (artt. 1227, 1515, 1516). Esso cioè esige che<br />

il creditore sia provvido nella ricerca della propria soddisfazione e<br />

tuttavia riguardoso dell’altrui, talché non si esponga al rimprovero<br />

di essere coautore del maggior danno evitabile. Il creditore è chiamato<br />

pertanto, stante la fungibilità del denaro, a «ricoprirsi per<br />

tempo» rimpiazzando il denaro non ricevuto, con altrettanto preso<br />

a mutuo da terzi: realizzando in forma specifica quella «aspettati-


144 Scritti di Diritto Civile<br />

va di soddisfazione» che succede alla «delusa aspettativa di prestazione»<br />

(12) . Né egli potrebbe giustificare, ex art. 1227, 2° comma,<br />

c.c., di avere anteposto al soddisfacimento la mera attesa dell’attività,<br />

a ciò solo strumentale, del debitore moroso.<br />

Il corrente interesse bancario è il «costo di rimpiazzo» o «di ricopertura»<br />

del denaro, come bene fungibile, e di ripristino della condizione<br />

e del flusso di liquidità.<br />

L’interesse di mercato, sia esso la «ricompensa per l’uso del capitale<br />

in un mercato qualsiasi» (13) o «il premio di liquidità» (14) ,<br />

è regolato dal profitto che può ottenersi dall’impiego del capitale<br />

sul mercato del denaro, che è l’unico impiego ipotizzabile ai<br />

fini del danno da mora ex art. 1223 c.c. nelle obbligazioni pecuniarie<br />

(15) . Esso tiene conto del fattore inflazionistico, nei limiti<br />

della prognosi di mercato ex art. 1225 c.c., e non lascia spazio ad<br />

ulteriore risarcimento, se non a pena di duplicarlo, e nel contempo<br />

segna il grado normale di efficienza o di redditività marginale<br />

del credito.<br />

E poiché nella «nuova inflazione» di recente i tassi di interesse<br />

non incorporano tutto il tasso inflazionistico, risentendo della<br />

esuberanza di liquidità, è anche il costo minore per il debitore ex<br />

artt. 2056, 1225, 1467 c.c. Il maggior danno ex art. 1224, 2°<br />

comma, c.c. è quindi costituito dallo scarto tra tasso legale e tasso<br />

di mercato.<br />

La giurisprudenza favorevole alla rivalutazione monetaria<br />

suppone un interesse di mercato uguale o superiore al tasso inflazionistico<br />

(16) : il che non è. Essa scambia per tipo medio di creditore<br />

il caso limite di una persona, senza altro denaro che il credito<br />

in mora e tuttavia proteso all’investimento illiquido, come<br />

unico scampo alla svalutazione. In queste condizioni, a causa del-<br />

(12) BETTI, Teoria generale delle obbligazioni, 1953, II, pp. 35 ss., 55 ss.<br />

(13) MARSHALL, Principi di economia, 1972, pp. 150, 348, 695.<br />

(14) KEYNES, Occupazione, interesse, moneta (trad. it.), 1947, pp. 145 ss., 197 ss.<br />

(15) Il danno diretto ex art. 1223 c.c., è solo quello dell’impiego della liquidità nel<br />

mercato del credito; quello da mancato investimento in beni reali è indiretto e mediato,<br />

data la fungibilità del denaro.<br />

(16) Il rivalutare si traduce nell’attribuire gli interessi in misure pari all’indice di svalutazione.<br />

Per una riprova: ove i maggiori interessi moratori già convenzionali ex art.<br />

1224, 1° comma, c.c., fossero eguali o superiori all’indice di svalutazione, non esiste il<br />

maggior danno ex art. 1224, 2° comma.


Scritti di Diritto Civile 145<br />

le condizioni soggettive ipotizzate, il denaro è certamente infungibile<br />

e l’impiego in forma illiquida, oltre che irragionevole, contrasta<br />

con la generale propensione verso una elevata liquidità, a<br />

fronte della tendenza recessiva.<br />

La corte, senza avvedersene, ha centrato la soluzione, laddove<br />

ha scritto che il maggior danno ex art. 1224, 2° comma, c.c.<br />

«è una diretta conseguenza del fatto che l’interesse legale è rimasto<br />

fisso ad un saggio che, in tempi di notevole svalutazione<br />

monetaria, si risolve in un premio al debitore moroso» «e di gran<br />

lunga inferiore a quello degli interessi che si sogliono determinare<br />

convenzionalmente».<br />

La Corte ha compiuto una diligente disamina dei maggiori interessi<br />

dei crediti erariali, dei titoli di Stato, ecc., e si è riferita all’interesse<br />

di mercato, come costo di ricopertura del denaro, laddove<br />

accenna ai «maggiori sacrifici sopportati dal creditore per avere dovuto<br />

procurarsi altrimenti la somma di cui attendeva il pagamento».<br />

In tali premesse era contenuta in nuce la soluzione: se l’evenienza<br />

che aggrava il danno nasce dall’anacronistico tasso legale ex<br />

art. 1284 c.c., il maggior danno ex art. 1224, 2° comma, c.c. è costituito<br />

dallo scarto tra tasso legale e tasso di mercato, nel periodo<br />

della mora; esso va liquidato con tale differenza di interesse e non<br />

mediante la rivalutazione monetaria. Una tale conclusione tiene fermo,<br />

e non è cosa da poco, il principio nominalistico ex art. 1277 c.c.,<br />

ristora il danno, senza arricchire il creditore o il debitore, è un criterio<br />

oggettivo e perciò equo e non arbitrario.<br />

6. – È notorio che il tasso di interesse di mercato si stabilisce al<br />

punto in cui la domanda di investimento si equilibra con l’offerta<br />

di risparmio (17) , e così la produttività marginale del capitale con<br />

la disutilità marginale dell’attesa (18) . Alla base della combinazione<br />

di domanda ed offerta vi sono le aspettative razionali relative<br />

all’impiego di denaro e quindi al tasso inflazionistico. L’andamento<br />

del tasso di interesse bancario è strettamente correlato al<br />

tasso inflazionistico; ne è il termometro ed il rimedio di mercato.<br />

È stato anzi ritenuto che «per il livello generale dei prezzi mon-<br />

(17) CASSEL, Nature and necessity of interest, 1928, pp. 126 ss.<br />

(18) CARVER, Distribution of Weath, 1922, cap. 6.


146 Scritti di Diritto Civile<br />

diali» l’unico regolatore è «l’interesse bancario». Sono state elaborate<br />

dagli economisti, a proposito del variare dei tassi di interessi<br />

e dei prezzi delle merci, le leggi della c.d. correlazione diretta<br />

e della c.d. correlazione inversa.<br />

In base alla regola della correlazione diretta, l’andamento dei<br />

prezzi trascina all’in su il tasso corrente di interesse (19) .<br />

È stato notato il singolare coincidere dell’accelerazione dei tassi<br />

di interesse e dei prezzi all’ingrosso delle merci. In base alla c.d. correlazione<br />

inversa, l’incremento dei tassi di interesse decelera l’aumento<br />

dei prezzi (20) .<br />

L’interesse di mercato è il corrente interesse, praticato dalle<br />

banche per il credito a breve, sulla piazza del creditore, nel periodo<br />

della mora. Esso potrà equivalere al migliore interesse passivo<br />

bancario per la classe di importo espresso dal credito o, nel<br />

caso di operatore economico o di prova anche presuntiva, al più<br />

oneroso interesse attivo bancario, per la classe di clientela cui appartiene<br />

il creditore.<br />

Si ricorda che il cartello interbancario può essere assunto a base<br />

di orientamento.<br />

7. – Una tale soluzione corrisponde anche ad una penetrante interpretazione<br />

dell’art. 1224, 2° comma, c.c. Tale norma liquida i danni<br />

da mora al minimo attraverso gli interessi legali o nella maggiore<br />

misura prima dovuta. È fatto salvo «l’ulteriore risarcimento del<br />

maggior danno». A questo proposito ci si domanda: il nostro legislatore<br />

ha inteso garantire, nella mora, la stabilità della moneta ed<br />

assicurare, col tasso legale, anche un minimo di lucro cessante, al<br />

riparo dalla svalutazione? O per caso non ha affatto garantito la<br />

stabilità della moneta (21) , ma si è limitato a porre rimedio al male<br />

della svalutazione, già contenuto nel più vasto danno da mancata<br />

disponibilità di denaro, consentendo una determinazione di una<br />

maggiore misura giudiziale degli interessi rispetto a quelli di cui al<br />

primo comma? È opinione di chi scrive che il legislatore, in sede di<br />

(19) FISHER, The rate of interest, New York, 1930, p. 85; FISHER, Opere, 1974,<br />

pp. 1150 ss.<br />

(20) WICKSELL, Interesse bancario come regolatore dei prezzi delle merci, in Nuova<br />

Collana di Economisti, 1935, vol. 8.<br />

(21) Il principio nominalistico ex art. 1227 c.c. esclude una tale garanzia di stabilità.


Scritti di Diritto Civile 147<br />

art. 1224, 2° comma, c.c. ha avuto riguardo piuttosto al fenomeno<br />

indotto che più cresce l’inflazione, più crescono i tassi di interesse.<br />

In sostanza il legislatore non ha voluto pregiudicare il diritto del creditore<br />

alla differenza tra gli interessi moratori ex art. 1224, 1° comma,<br />

c.c. ed i migliori interessi di mercato, la cui variazione tiene<br />

conto del maggior tasso inflazionistico in atto. Né i maggiori interessi,<br />

cui avrà riguardo il giudice, andranno ad aggiungersi a quelli<br />

moratori ex art. 1224, 1° comma, c.c., se non a pena di duplicarli,<br />

dato che anche questi ultimi risarciscono il danno da mora nel quale<br />

era contenuto il tasso inflazionistico, considerato fisiologico all’epoca<br />

della previsione normativa (22) . La riprova ulteriore di tale interpretazione<br />

è data dall’ultima parte dell’art. 1224, 2° comma,<br />

c.c., che esclude la risarcibilità del maggior danno «se è stata convenuta<br />

la misura degli interessi moratori».<br />

Non si coglierebbe il senso della esclusione di chi ha convenuto<br />

una specifica misura di interessi moratori, se non ipotizzando<br />

che il maggior danno stava per maggiore misura di interessi e non<br />

meritava di tutelarsi chi aveva già provveduto a se stesso, pattuendo<br />

una specifica misura di interessi moratori. Chi ragionasse<br />

diversamente dimostrerebbe di avere una idea distorta degli<br />

interessi moratori ex art. 1224, 1° comma, c.c., che, anziché riparare<br />

il danno da mora, sarebbero intesi come un acconto sul lucro<br />

cessante al netto e non al lordo della svalutazione monetaria.<br />

Con che il legislatore all’art. 1224, 1° comma, c.c. si sarebbe<br />

preoccupato di fissare una tariffa al rialzo del prezzo del denaro,<br />

garantendo alla moneta stabile comunque un interesse non inferiore<br />

al 5%, a dispetto dell’opinione degli economisti che il denaro<br />

in sé non produce frutto, che ha un alto premio di liquidità<br />

nel quale è compreso il costo inflazionistico (23) . Una tale interpretazione<br />

si appalesa incoerente alla logica di mercato che presiede<br />

alla formazione degli interessi corrispettivi ex artt. 1282,<br />

1284 c.c., e minerebbe alla base gli istituti del mutuo, del conto<br />

(22) Sull’art. 1231 c. 1865 cfr., per tutti, ASCARELLI, in Riv. dir. comm., 1930, p.<br />

1379; in Mon. trib., 1932, p. 81.<br />

(23) Un cauto, problematico cenno in A. AMATUCCI, in Foro it., 1978, I, p. 310. Aggiungi<br />

che si ha quotazione piena di un titolo obbligazionario quando il suo dividendo è<br />

eguale all’interesse di mercato. Ciò per la correlazione tra interessi e valore capitale. Gli<br />

interessi sul capitale rivalutato violano l’art. 1283 c.c.


148 Scritti di Diritto Civile<br />

corrente, ecc. In effetti chi presta denaro ad interessi sa che esso<br />

gli verrà restituito svalutato.<br />

Non può infine dalla necessità della prova scritta ex art. 1284,<br />

3° comma, arguirsi un principio sistematico ostativo del riferimento<br />

all’interesse di mercato. La norma vuole solo frenare le pattuizioni<br />

di interessi corrispetti vi usurari.<br />

L’art. 1224, 2° comma, ult. parte, per contro, non esige la prova<br />

scritta nella stipulazione di interessi moratori in misura superiore<br />

al combinato disposto degli artt. 1224, 1° comma, e 1284,<br />

1° comma. Ciò esclude che possa ipotizzarsi un principio sistematico<br />

del genere.<br />

8. – L’opinione manifestata è rafforzata dalla disparità del corso di<br />

cambio col differenziale inflazionistico tra la nostra ed altre divise.<br />

Ciò è tanto più attuale ora che lo scarto tra l’inflazione del nostro<br />

paese ed altri nello S.M.E. è superiore alla modesta banda di flessibilità<br />

tra le varie divise. Si è detto sopra che l’inflazione ha carattere<br />

internazionale. Ci si chiede: perché dovrebbe essere garantita la<br />

stabilità della moneta e così la rivalutazione monetaria al creditore<br />

in lire, e non a quello con clausola corso valore in divisa estera sulla<br />

base anche del tasso inflazionistico di quel paese?<br />

Ne verrebbe come conseguenza che il creditore in lire guadagnerebbe<br />

più di quello in divisa straniera e che la medesima indicizzazione<br />

ad una moneta estera non avrebbe senso.<br />

E perché dovrebbe farsi eccezione al principio nominalistico per<br />

la nostra divisa rispetto a quella straniera?<br />

Ciò non è forse possibile causa di ulteriori turbamenti di cambio?<br />

Una tale discriminazione non è forse incostituzionale? Occorre<br />

tener presente che in altri paesi come la Francia (L. 11 luglio<br />

1975 n. 619) si contempla il maggior interesse di cui al tasso di<br />

sconto e non la rivalutazione monetaria.<br />

Che se si optasse per il partito della rivalutazione più o meno occulta<br />

per il debito in lire non resterebbe altro che concludere che il<br />

miglior investimento sarebbe di avere un credito nella nostra divisa<br />

e un debitore solvibile in mora, onde non si vede quale incentivo<br />

vi sarebbe di smobilitare un investimento così prezioso.


Scritti di Diritto Civile 149<br />

Lo scritto è stato richiamato da:<br />

A. TRABUCCHI, La giurisprudenza di merito insiste sulla svalutazione come<br />

danno da mora, in Riv. dir. civ., 1980, II, pp. 191, 196, 199; B. INZITARI, Profili<br />

in tema di interessi, in Credito e moneta, 1992, p. 615, nota 85, p. 629, nota<br />

111; Id., La moneta, p. 235, nota 26, p. 248, nota 53; M. TRIMARCHI, Svalutazione<br />

monetaria e ritardo nell’adempimento di obbligazioni pecuniarie, Milano,<br />

1983, pp. 6, 36, 72, 74, 75; G. VISINTINI, L’inadempimento delle obbligazioni,<br />

in Trattato di diritto privato, vol. 9, Torino, 1984, p. 217, nota 90; G. BER-<br />

NARDI, Sulla prova della quantificazione del danno da svalutazione monetaria,<br />

in Riv. dir. civ., 1984, p. 447, nota 4; G. PANZARINI, Lo sconto dei crediti e dei<br />

titoli di credito, Milano, 1985, p. 497, nota 137; R. PARDOLESI, Le Sezioni Unite<br />

su debiti di valuta ed inflazione: orgoglio (teorico) e pregiudizio economico, in<br />

Foro it., 1986, I, p. 1272; A. AMATUCCI, Svalutazione monetaria, preoccupazione<br />

della Cassazione e principi non ancora enunciati in materia di computo<br />

degli interessi, in Foro it., 1986, I, p. 1277, nota 7; E. DEL PRATO, Ritardo nell’adempimento<br />

delle obbligazioni pecuniarie: nesso tra inflazione e danno, Giur.<br />

it., 1986, I, 1, p. 224, nota 25; M. EROLI, Nominalismo e risarcimento nei debiti<br />

di valuta, Giur. it., 1986, I, 1, p. 1391; M. ANTINOZZI, Diritto e pratica delle<br />

assicurazioni, 1987, p. 364, nota 3; P. TARTAGLIA, Il risarcimento non automatico<br />

del danno da svalutazione e le categorie creditorie, Giust. civ., 1986,<br />

pp. 1611, 1612, note 10 e 12; F.M. CERVELLI, Ancora in tema di interesse nelle<br />

operazioni bancarie in conto corrente, in Giust. civ., 1987, p. 1302, nota 22;<br />

S. DE MARINIS, I più recenti sviluppi della giurisprudenza delle Sezioni Unite<br />

in tema di impresa e danno da svalutazione monetaria nelle obbligazioni pecuniarie,<br />

Riv. dir. comm., 1988, II, p. 300, nota; T. CAVALIERE, Nota in tema di<br />

risarcimento del danno da obbligazioni pecuniarie, in Giur. it., 1990, I, 1, pp.<br />

764, 767; V. REBUFFAT, Ipotesi di cumulabilità degli interessi moratori con la<br />

rivalutazione monetaria nella liquidazione del maggior danno nell’obbligazione<br />

pecuniaria, Giust. civ., 1990, p. 2116, nota 3.<br />

Altro scritto dell’autore sullo stesso argomento:<br />

– «La stima del danno nel tempo con riguardo all’inflazione, alla variazione dei<br />

prezzi e all’interesse monetario», in Rivista di Diritto Civile 1981, II, 332 e in<br />

L’Espressione monetaria nella responsabilità civile, Cedam 1994 (da p. 53 a<br />

78 Espressione Monetaria).


L’indennizzo del mero lucro cessante<br />

come criterio generale<br />

di risarcimento del danno da mora<br />

nelle obbligazioni pecuniarie<br />

1. – La decisione in rassegna è in linea con l’orientamento ora divenuto<br />

giustamente dominante e che è stato autorevolmente confermato<br />

dalla recente sentenza 5299/89 delle sezioni unite civili.<br />

Esso correttamente esclude che si possano cumulare gli interessi legali<br />

e l’intero tasso di rivalutazione per risarcire il danno da mora<br />

nelle obbligazioni pecuniarie.<br />

La pronuncia delle sezioni unite civili merita particolare attenzione<br />

perché ha avuto riguardo al caso emblematico di un modesto<br />

consumatore (nella specie, un pensionato) che avrebbe verosimilmente<br />

speso in beni di consumo i ratei di pensione (se li avesse<br />

ricevuti puntualmente). Il ragionamento della corte, sotto un<br />

certo punto di vista, non fa una grinza. Non può ipotizzarsi che<br />

quel pensionato avrebbe ad un tempo speso quel danaro in beni<br />

di consumo, così da fruire della rivalutazione, e per altro verso lo<br />

avrebbe anche risparmiato, così da beneficiare degli interessi. Ove<br />

infatti si assuma che avrebbe risparmiato quel danaro, così da ottenere<br />

il compenso per il risparmio (cioè gli interessi), dovrà anche<br />

ipotizzarsi che lo avrebbe poi normalmente speso in beni di<br />

Da «Il Foro italiano», 1990, I, p. 2220 e ss. e da «L’Espressione monetaria nella responsabilità<br />

civile», Cedam 1994.<br />

Lo scritto annota la seguente massima:<br />

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. lavoro, 15.2.1990 n. 1133, Pres. Menichino, Est. De Rosa,<br />

P.M. La Valva (Concl. conf.); Marcon c/ INPS: «Va rigettato il ricorso del pensionato che<br />

lamenti la mancata corresponsione degli interessi legali sugli importi liquidati a titolo di<br />

rivalutazione per il tardivo pagamento dei ratei di pensione».


152 Scritti di Diritto Civile<br />

consumo, al livello però dei nuovi e maggiori prezzi del differito<br />

momento del consumo.<br />

Ovviamente, questo discorso, se vale per il pensionato, vale in via<br />

di massima per tutti. Infatti, obbedisce a criteri elementari ed ineludibili<br />

di logica economica, che resta – a ben vedere – l’unico strumento<br />

cui affidarsi per individuare la situazione in cui il creditore<br />

si sarebbe trovato, se l’obbligazione fosse stata tempestivamente<br />

adempiuta (Differenztheorie).<br />

Il quod plerumque accidit non consente di ritenere che il creditore,<br />

in genere, avrebbe nel medesimo tempo speso e risparmiato<br />

l’importo dovuto se lo avesse ricevuto a tempo. Quanto dire che il<br />

quod interest non può essere identificato insieme nella rivalutazione<br />

dell’importo e nell’interesse monetario (1) : non può cumularsi qui<br />

il danno emergente con il lucro cessante (2) .<br />

L’ipotizzabilità di un danno emergente (per la perdita del potere<br />

di acquisto della moneta) è esclusa dal principio nominalistico<br />

contemplato dall’art. 1277 c.c., che viene troppo sovente ignorato,<br />

senza alcuna ragione. L’ipotesi normalmente configurabile di danno<br />

da inadempienza di un’obbligazione che abbia per oggetto una<br />

somma di danaro, avente corso legale (sia essa liquida dall’origine<br />

o da liquidarsi in seguito), è costituita dal lucro cessante. Esso coincide,<br />

secondo il quod plerumque accidit, con il normale rendimento<br />

che il creditore avrebbe tratto da un impiego omogeneo e cioè finanziario<br />

di carattere non aleatorio.<br />

(1) Nello stesso senso, Cass. 14 gennaio 1988, n. 260, Foro it., 1988, I, 384 e con nota<br />

di VALCAVI, ibid., 2318. Il danno emergente potrebbe essere ipotizzato solo laddove venga<br />

dimostrato dal creditore di avere dovuto mutuare il danaro e cioè come costo di rimpiazzo.<br />

In questo caso, tuttavia, non viene indennizzato il lucro cessante. Il cumulo di danno<br />

emergente e lucro cessante appare invece ipotizzabile solo con riguardo ad uno straniero<br />

che lamenti anche il ribasso di cambio della nostra moneta ex art. 1278 c.c. rispetto<br />

alla propria. Sul punto, v. VALCAVI, id., 1989, I, p. 1210.<br />

(2) Sull’art. 1224, 2° comma, c.c. ed i rimedi alla svalutazione: Cass. 4 luglio 1979,<br />

n. 3776, Foro it., 1979, I, p. 2622, con nota di PARDOLESI; 5 aprile 1986, n. 2368, id.,<br />

1986, I, p. 1265, con note di PARDOLESI e AMATUCCI, 1540, con nota di VALCAVI e<br />

3034, con nota di QUADRI, in dottrina: NICOLÒ, id., 1944-1946, IV, pp. 41 ss.; PAR-<br />

DOLESI, id., 1986, I, p. 1265; AMATUCCI, id., 1979, I, p. 1987; BIANCA, in Giur. it.,<br />

1979, IV, p. 129; BERNARDI, in Riv. dir. civ., 1984, II, p. 445; CAFFÉ, in Foro it., 1979,<br />

I, p. 1985; DI MAJO, in Giur. it., 1979, I, 1, p. 193; INZITARI, id., 1986, I, 1, p. 1161;<br />

TRABUCCHI, in Riv. dir. civ., 1980, II, p. 195; TRIMARCHI, Svalutazione monetaria e<br />

ritardo nell’adempimento delle obbligazioni pecuniarie, Milano, 1983.


Scritti di Diritto Civile 153<br />

Il predetto «normale rendimento del danaro» corrisponde al<br />

quod interest secondo il quod plerumque accidit, ripristina, in<br />

conformità a regole economiche generali, la situazione che si sarebbe<br />

avuta se l’obbligazione fosse stata adempiuta tempestivamente,<br />

ed è altresì in linea con gli artt. 1223, 1225, 1227, 2° comma, 2056,<br />

2° comma, c.c. (3) .<br />

L’interesse monetario, nella variegata gamma dei tassi, consente<br />

anche di personalizzare il risarcimento. In linea di massima<br />

esso corrisponderà al più elevato tasso del reddito fisso (BOT<br />

o formule di risparmio bancario), escludendosi gli impieghi aleatori<br />

in titoli azionari (4) .<br />

2. – La logica indennitaria, imperniata esclusivamente sul lucro<br />

cessante, soddisfa ad un tempo esigenze irrinunciabili di logica giuridica<br />

ed economica.<br />

In primis, postula un ritardo colpevole ed è ad esso coerente,<br />

mentre la logica «valoristica» prescinde dalla «mora», sino a porsi,<br />

in ultima analisi, al di fuori dei principi generali del sistema (5) , ed<br />

appare, altresì, intimamente contraddittoria, laddove, da un lato,<br />

prescinde dalla mora e, dall’altro, argomenta analogicamente dalla<br />

mora ex re, in materia di illecito, per poi generalizzarla, svincolandola<br />

da tale presupposto. Essa inoltre riconduce l’interesse alla sua<br />

funzione di risarcimento del lucro cessante, causato dalla mora, evitando<br />

il ricorso a figure anomale, quali, ad es., i c.d. interessi com-<br />

(3) Per il ricorso all’indennizzo del lucro cessante nel caso del risparmiatore, v. Cass.,<br />

Sez. un., 5 aprile 1986, n. 2368, cit. Invece come criterio generale di indennizzo: VAL-<br />

CAVI, in Foro it., 1980, I, p. 129; Id., id., 1981, I, p. 2112; Id., in Riv. dir. civ., 1981, II,<br />

p. 332; Id., in Foro it., 1986, I, p. 1540; Id., in Riv. dir. civ., 1987, II, pp. 31 ss.; Id., in<br />

Quadrimestre, 1986, pp. 681; Id., in Foro it., 1988, I, pp. 2318 ss.; Id., id., 1989, I, pp.<br />

1988 ss. Nel medesimo senso, più recentemente negli Usa sono ricorsi all’interesse monetario<br />

di mercato come opportuny cost KEIR and KEIR, Business Lawyer, 1983, p. 129.<br />

(4) Si ha qui riguardo al reddito fisso e non a quello variabile, come, ad es., l’investimento<br />

azionario per la sua aleatorietà. In senso contrario è un cenno di AMATUCCI, in<br />

Foro it., 1986, I, pp. 1273 ss. Il normale impiego del risparmio è oggidì quello effettuato<br />

in BOT o in titoli di debito pubblici, per l’alto rendimento, e ad esso hanno riguardo anche<br />

le gestioni patrimoniali effettuate dalle banche per la propria clientela.<br />

(5) Le Sezioni Unite, mentre escludono l’automatismo rivalutativo ed il cumulo con<br />

gli interessi, nel caso del pensionato, lo confermano a favore dei danneggiati in genere (crediti<br />

di valore). Non si avvedono, tuttavia, che ciò mette capo ad un lucro ed in ogni caso<br />

a disparità di trattamento ingiustificate quanto generalizzate.


154 Scritti di Diritto Civile<br />

pensativi, che obbediscono ad una logica del tipo di quella rifiutata<br />

dall’odierna giurisprudenza.<br />

Registriamo, a questo riguardo, un’ingiustificata estensione da<br />

ipotesi residuali, relative a crediti liquidi e non esigibili (ex art.<br />

1499 c.c.), ai crediti illiquidi e tuttavia esigibili (quale il risarcimento<br />

del danno da inadempienza). Questa prassi conduce a duplicare<br />

la rivalutazione e gli interessi, per cercare di risarcire lo specifico<br />

danno per il ritardo con cui viene prestato l’indennizzo per<br />

«equivalente» del danno.<br />

La recente decisione 3352/89 della Suprema corte ha correttamente<br />

riconosciuto a tali interessi il carattere moratorio. L’interesse<br />

legale, di cui al combinato disposto degli artt. 1224, 1° comma,<br />

e 1284 c.c., lungi dall’esaurire il lucro cessante derivato da<br />

ritardo colpevole, costituisce una misura forfettaria e presunta,<br />

non esaustiva, del «lucro cessante» che nella sua interezza deve<br />

essere integrato dal differenziale, rispetto al normale rendimento<br />

del danno. Questo differenziale costituisce il «maggior danno» ex<br />

art. 1224, 2° comma c.c.<br />

In tal senso è, del resto, tutta la storia delle discussioni legislative<br />

che precedettero la fissazione del saggio legale di interesse, dal<br />

codice napoleonico in poi (6) .<br />

3. – Sotto altro profilo, il ricorso all’indennizzo del mero lucro cessante<br />

(cioè, in termini di normale rendimento del danaro) costituisce<br />

anche la sola misura consona alle leggi economiche. È assolutamente<br />

vano ricercare il danno moratorio in un diminuito<br />

«valore della moneta», perché quest’ultima, a causa delle illimitate<br />

opzioni che l’accompagnano e del suo valore nominale, è un<br />

metro di misura assolutamente astratto. È stato a suo tempo scritto<br />

da illustri economisti che il serbatoio del potere di acquisto è<br />

costituito dalla medesima moneta (7) e che è impensabile misurarlo<br />

diversamente (8) . Appare perciò illusorio individuare il «valore»<br />

della moneta nell’indice di un potere di acquisto, per sua natura<br />

(6) Sulle discussioni intorno all’art. 1153 del codice napoleonico avanti il Consiglio di<br />

Stato francese dell’epoca: VALCAVI, in Riv. dir. civ., 1981, II, p. 332, nota 45.<br />

(7) EINAUDI, in Riv. storia economica, 1939, pp. 133 ss.<br />

(8) MARSHALL, Opere, Torino, 1972, pp. 136, 137, 227, 356-359.


Scritti di Diritto Civile 155<br />

variabile, fissandolo nel tempo (9) . II danno moratorio, al contrario,<br />

consiste più propriamente nel lucro cessante e quindi – come<br />

si è detto – in quel compenso che il creditore avrebbe normalmente<br />

tratto dal risparmio della somma considerata, per averne rinviato<br />

la spendita presente al futuro (in questo senso si parla di utilitas<br />

temporis, di time preference).<br />

Nel nostro caso si tratta del normale compenso per quella particolare<br />

forma di risparmio che è indotta forzatamente dall’inadempienza<br />

del debitore.<br />

L’interesse di mercato (BOT, CCT, interessi bancari nelle diverse<br />

forme) si stabilisce – come è stato evidenziato dagli studi economici<br />

– al punto in cui la domanda di credito si equilibra con l’offerta<br />

di mercato ed indennizza il lucro cessante, secondo il quod plerumque<br />

accidit (10) . Esso compensa, in via assorbente, ogni diverso<br />

deprezzamento conseguente al differimento temporale, tiene conto<br />

dei più diversi fattori e cioè del volume di liquidità, delle attese inflazionistiche,<br />

delle misure di raffreddamento dell’economia, dei<br />

corsi di cambio e così via (11) . La soluzione imperniata sul lucro cessante,<br />

vale a dire sul normale interesse monetario, è l’unica ad avere<br />

una giustificazione reale perché affonda le radici nella realtà economica,<br />

mentre quella basata sulla rivalutazione ha carattere artificioso<br />

ed arbitrario.<br />

L’importanza attribuita al lucro cessante, a scapito della rivalutazione,<br />

ha avuto conferma concreta nei fenomeni economici del<br />

nostro tempo e nella connaturale variabilità reciproca dei livelli dei<br />

prezzi delle merci e degli interessi monetari.<br />

L’inflazione più recente è stata caratterizzata, per un ampio periodo<br />

del decennio considerato (1979-1983), dal fenomeno assolutamente<br />

nuovo della caduta della domanda delle merci (stagflazione,<br />

slumpflazione) e, per conseguenza, da un’elevata propensione<br />

a conservare il risparmio in forma liquida, malgrado la<br />

diminuzione del potere di acquisto della moneta (c.d. effetto di<br />

(9) Per un superato precedente storico: L. EINAUDI, La moneta immaginaria da Carlo<br />

Magno alla rivoluzione francese, in Riv. storia economica, 1936; L. EINAUDI, R. BAH-<br />

REL, A.V. JUDGES, I prezzi in Europa dal XIII secolo ad oggi, Torino, 1980, pp. 531 ss.<br />

(10) Gli economisti citati in VALCAVI, in Foro it., 1980, I, p. 120, note 13, 14, 17,<br />

18, 19 e 20.<br />

(11) VALCAVI, in Foro it., 1986, I, pp. 1540 ss.


156 Scritti di Diritto Civile<br />

Harrod) (12) . L’interesse monetario, in tale periodo, si è mantenuto<br />

costantemente al di sotto del tasso inflazionistico.<br />

Nell’arco di tempo, invece, più a noi vicino (1984-1989), a seguito<br />

della stabilizzazione del potere di acquisto della moneta, si è<br />

avuto il fenomeno opposto di un accrescimento della domanda di<br />

beni e di una diminuzione della liquidità, con rilevanti effetti sugli<br />

interessi monetari, che sono saliti a livelli notevolmente al di sopra<br />

del tasso inflazionistico. Ciò è rappresentato dai dati che seguono:<br />

Anni<br />

Normale rendimento<br />

del danaro (Bot)<br />

Tasso di<br />

inflazione<br />

Prime rate<br />

79-83<br />

84-85<br />

86-88<br />

1989<br />

17,09%<br />

14,15%<br />

11,08%<br />

12,58%<br />

17,58%<br />

9,60%<br />

5,23%<br />

6,60%<br />

19,66%<br />

17,11%<br />

13,22%<br />

13,83%<br />

Nel mentre scriviamo, l’indennizzo del lucro cessante, e cioè il<br />

compenso per il risparmio, è molto al di sopra della misura di rivalutazione<br />

che dovrebbe Normale rendimento<br />

Cumulo<br />

Anni<br />

compensare il<br />

rivalutazione<br />

consumatore.<br />

e<br />

Devesi<br />

Prime<br />

qui<br />

rateag-<br />

giungere che la soluzione<br />

del danaro (Bot)<br />

imperniata interesse esclusivamente legale sul lucro cessante<br />

consente un indennizzo dei creditori più omogeneo e generalizzato<br />

79-83 ed un più razionale 17,09% e convincente 22,58% uso delle presunzioni. 19,66% Ciò<br />

evita 84-85 anche quelle disparità 14,15% di trattamento, 14,60% ad una delle 17,11% quali ha<br />

accennato<br />

86-88<br />

l’ordinanza<br />

11,08%<br />

7 febbraio 1990<br />

10,23%<br />

della Suprema corte,<br />

13,22%<br />

con i<br />

1989 12,58%<br />

11,60% 13,83%<br />

conseguenti problemi di costituzionalità normativa.<br />

4. – Torniamo ora al caso dell’indennizzo moratorio del nostro<br />

pensionato ed alla disparità del suo trattamento rispetto alle altre<br />

categorie di creditori, Normale che tiene Rivalutazione dietro divieto + interessi del cumulo della<br />

rivalutazione Anni e dell’interesse rendimento legale, legali correttamente sul capitale sancito Prime rate dalle<br />

sezioni unite.<br />

del danaro (Bot) rivalutato<br />

(12) 79-83 I più recenti studi 17,09% sull’importanza e sul ruolo 26,93% delle «scorte» e dei 19,63% «saldi monetari»<br />

nel 84-85 periodo della recente 14,15% inflazione hanno messo 15,50% in rilievo come, lungi 17,11% dall’ipotizzare<br />

una fuga 86-88 della moneta, quale 11,08% si verificò negli anni 11,01% ’20, questa ha conservato, 13,22% all’opposto,<br />

la funzione 1989 di serbatoio 12,58% dei valori: v. DON PATINKIN, 11,60% Moneta, interessi 13,83% e prezzi, Padova,<br />

1977, pp. 17, 26-30, 45 ss., pp. 128, 222, 253 ss., pp. 40 ss.


Scritti di Diritto Civile 157<br />

Il pensionato dovrebbe dunque accontentarsi della sola rivalutazione<br />

monetaria, ossia di un incremento nominale della somma dovuta<br />

del 17,58% per il periodo 1979-1983, del 9,60% per il 1984-<br />

1985, del 5,23% per il 1986-1988 e del 6,60% per il 1989.<br />

Non è chi non veda il carattere penalizzante e discriminatorio di<br />

un tale trattamento a danno di una così vasta categoria.<br />

Consideriamo ora l’opposta conclusione, che era precedentemente<br />

Anni in auge e che consentiva il cumulo della rivalutazione Prime mone-<br />

rate<br />

Normale rendimento Tasso di<br />

del danaro (Bot) inflazione<br />

taria e degli interessi legali. Devesi rilevare, preliminarmente, che<br />

non è dato vedere quale senso abbia sommare alla rivalutazione<br />

79-83<br />

17,09%<br />

17,58% 19,66%<br />

monetaria una quota del lucro cessante pari al 5%.<br />

84-85<br />

14,15%<br />

9,60% 17,11%<br />

Il cumulo<br />

86-88<br />

della rivalutazione<br />

11,08%<br />

e dell’interesse<br />

5,23%<br />

legale, posti<br />

13,22%<br />

a confronto<br />

1989 per i periodi considerati 12,58% con il parallelo 6,60% rendimento 13,83% dei titoli<br />

di debito pubblico (in ispecie BOT), mette tuttavia in evidenza i<br />

seguenti dati:<br />

Anni<br />

Normale rendimento<br />

del danaro (Bot)<br />

Cumulo<br />

rivalutazione e<br />

interesse legale<br />

Prime rate<br />

79-83<br />

84-85<br />

86-88<br />

1989<br />

17,09%<br />

14,15%<br />

11,08%<br />

12,58%<br />

22,58%<br />

14,60%<br />

10,23%<br />

11,60%<br />

19,66%<br />

17,11%<br />

13,22%<br />

13,83%<br />

Il cumulo porta qui ad un lucro (spropositato) di oltre cinque<br />

punti al di sopra del normale rendimento del denaro per il periodo<br />

Normale Rivalutazione + interessi<br />

1979-1983, mentre si attesta al di sotto per gli altri periodi. Ciò<br />

Anni rendimento legali sul capitale Prime rate<br />

porta a concludere<br />

del danaro<br />

che, dopo<br />

(Bot)<br />

la caduta<br />

rivalutato<br />

del tasso inflazionistico ai<br />

livelli odierni, il cumulo nell’ultimo periodo si mantiene addirittura<br />

al di sotto o al limite del normale rendimento del danaro.<br />

79-83 17,09%<br />

26,93% 19,63%<br />

Passiamo<br />

84-85<br />

ora a<br />

14,15%<br />

confrontare il caso<br />

15,50%<br />

del nostro pensionato<br />

17,11%<br />

con<br />

quello 86-88 in cui si procede 11,08% alla rivalutazione 11,01% automatica, con 13,22% l’aggiunta<br />

degli 1989 interessi legali 12,58% calcolati addirittura 11,60% sul capitale 13,83% rivalutato<br />

(quali i crediti da lavoro subordinato e quelli di valore).<br />

Il primo raffronto da fare, per l’appartenenza al medesimo ambito<br />

sociale, concerne il pensionato ed il lavoratore subordinato protetto<br />

dal combinato disposto degli artt. 429, 3° comma, c.p.c. e 150


158 Scritti di Diritto Civile<br />

disp. atto c.p.c. A suo tempo, l’autore di queste righe rilevò che il<br />

dato testuale dell’art. 429, 3° comma, a rigore non autorizzerebbe<br />

un’interpretazione diversa da quella prevista dall’art. 1224, 2°<br />

comma, ad esclusione della variante che qui la mora opererebbe ex<br />

re. Ed ebbe altresì ad osservare che la rivalutazione, prevista dall’art.<br />

150 disp. att., dovrebbe essere limitata alla sola eventualità<br />

che il tasso inflazionistico superasse l’interesse legale, e perciò a<br />

quella parte di inflazione che eccede il 5%.<br />

Questo avviso è rimasto senza seguito. All’opposto, è dominante<br />

l’opinione che procede alla rivalutazione monetaria nella sua interezza<br />

e vi aggiunge altresì gli interessi legali, calcolati addirittura sul<br />

capitale rivalutato. Questa conclusione incontra il medesimo rilievo<br />

di illogicità che è alla base del divieto del cumulo, ribadito dall’odierna<br />

giurisprudenza. In ogni caso, dovrebbe attribuirsi alla normativa<br />

speciale carattere anomalo. La disparità di trattamento tra il<br />

pensionato ed il lavoratore subordinato ha recentemente condotto,<br />

come si è detto, la sezione lavoro della Suprema Corte, con ordinanza<br />

7 febbraio 1990, a sollevare un problema di costituzionalità. È<br />

tuttavia prevedibile che tra non molto, saranno i lavoratori subordinati<br />

a dolersi dell’inadeguatezza del trattamento imperniato sulla rivalutazione,<br />

invece che sui più alti interessi monetari, e a sollevare<br />

gli stessi problemi di disparità di trattamento, per ragioni opposte.<br />

Il medesimo discorso, relativo alla disparità di trattamento, è da<br />

farsi tra il pensionato e chiunque appartenga alla categoria dei creditori<br />

di valuta, da un lato, ed il danneggiato, o chi appartenga in<br />

genere all’evanescente categoria dei crediti di valore, dall’altro.<br />

Anche in questo caso alla rivalutazione automatica, nella sua interezza,<br />

si aggiungono gli interessi legali sul capitale rivalutato. Le<br />

diseguaglianze finiscono qui per dilatarsi oltre ogni dire, e assumono<br />

dimensioni di enorme portata.<br />

È ormai tempo – a mio modo di vedere – che si proceda ad un<br />

riesame critico ab imis di codeste distinzioni e costruzioni dogmatiche,<br />

che non hanno alcuna base normativa e si fondano su alcuni<br />

abusati crittotipi. L’autore di queste righe, da parte sua, rinvia a<br />

quanto scrisse altrove (13) .<br />

(13) VALCAVI, in Riv. dir. civ., 1987, II, 56; Id., in Quadrimestre, 1986, II, pp. 681 ss.


Anni<br />

Cumulo<br />

Normale rendimento<br />

rivalutazione e Prime rate<br />

del danaro (Bot)<br />

Scritti di Diritto interesse Civile legale<br />

159<br />

79-83 17,09%<br />

22,58% 19,66%<br />

84-85 14,15%<br />

14,60% 17,11%<br />

Malgrado<br />

86-88<br />

questo,<br />

11,08%<br />

è tuttavia il caso di<br />

10,23%<br />

comparare il normale<br />

13,22%<br />

rendimento<br />

1989del danaro, 12,58% per i periodi considerati, 11,60% con il cumulo 13,83% della<br />

rivalutazione e degli interessi sul capitale rivalutato.<br />

Il quadro risultante è il seguente:<br />

Anni<br />

Normale<br />

rendimento<br />

del danaro (Bot)<br />

Rivalutazione + interessi<br />

legali sul capitale<br />

rivalutato<br />

Prime rate<br />

79-83<br />

84-85<br />

86-88<br />

1989<br />

17,09%<br />

14,15%<br />

11,08%<br />

12,58%<br />

26,93%<br />

15,50%<br />

11,01%<br />

11,60%<br />

19,63%<br />

17,11%<br />

13,22%<br />

13,83%<br />

Il raffronto ora operato dimostra quanto riesca ingigantita la differenza<br />

(quasi dieci punti) per il periodo 1979-1983, e come invece,<br />

per gli ultimi anni, il cumulo si attesti su valori al limite o al di<br />

sotto del normale rendimento del danaro: a riprova del carattere arbitrario<br />

delle soluzioni imperniate sulla rivalutazione monetaria e<br />

sugli interessi calcolati sul capitale rivalutato, e di come il sicuro e<br />

ragionevole punto di riferimento per l’indennizzo moratorio sia costituito<br />

solo dal risarcimento del lucro cessante, in termini di normale<br />

rendimento del danno.<br />

Ciò è stato avvertito di recente dall’art. 1 del progetto di modifiche<br />

al codice di procedura civile, approvato dal Senato il 28 febbraio<br />

1990, che aumenta l’interesse legale dal 5% al 10%. Ogni soluzione<br />

improntata a fissità è destinata nel tempo a peccare per eccesso o per<br />

difetto rispetto all’interesse di mercato, per sua natura variabile.<br />

Il risarcimento del maggior danno da mora, previsto dall’art.<br />

1224, 2° comma, c.c., finirebbe per perdere qualsiasi significato nella<br />

misura in cui l’interesse legale sopravanza quello di mercato, mentre<br />

all’opposto è da riconoscere a tale norma il ruolo di strumento di<br />

raccordo con il quod interest secondo il quod plerumque accidit.<br />

5. – Per concludere il nostro discorso, si dirà che il trattamento riservato<br />

al pensionato, limitato alla sola rivalutazione, appare quanto<br />

mai ingiusto.


160 Scritti di Diritto Civile<br />

La via di uscita non consiste tuttavia, nell’aggiungere gli interessi<br />

legali alla rivalutazione, ma nell’assicurare al pensionato il<br />

normale rendimento del danaro, che in questi anni è molto al di<br />

sopra addirittura del cumulo di cui si è detto. Per ottenere ciò, è<br />

sufficiente, che il pensionato deduca che non avrebbe speso, ma<br />

risparmiato la somma non ricevuta a suo tempo, in modo da presentarsi<br />

come risparmiatore o creditore occasionale, invece che<br />

consumatore. In effetti, le sezioni unite riconoscono tale trattamento<br />

al pensionato per le somme (più importanti) rappresentate<br />

dagli arretrati, per le quali è parso meglio ipotizzare una destinazione<br />

al risparmio, invece che all’acquisto di beni di consumo.<br />

Come dire che lo stesso pensionato dovrebbe ricevere un trattamento<br />

diseguale per le medesime somme di pensione che attende<br />

di ricevere, a secondo della loro consistenza.<br />

Il caso del pensionato è oltremodo significativo per verificare la<br />

validità della conclusione più generale secondo cui il quod interest<br />

dell’art. 1224 va individuato nel normale rendimento del denaro (o<br />

nel suo costo di rimpiazzo, se quest’ultimo sia stato sostenuto).<br />

Esso rappresenta altresì il coerente rimedio per risarcire lo specifico<br />

danno per il ritardo con cui viene prestato l’indennizzo, danno<br />

che va tenuto assolutamente distinto dal risarcimento dell’altro<br />

pregiudizio, di base, che nasce dall’illecito o dall’inadempienza.<br />

Quest’ultimo va stimato sulla base dei valori correnti nel tempo in<br />

cui esso si verifica.<br />

L’interesse monetario adempie anche alla funzione di raccordare<br />

i diversi valori, espressi in moneta, correnti in tempi diversi (c.d.<br />

saggio di attualizzazione).<br />

Ciò dimostra ulteriormente come i fenomeni economici non sono<br />

riducibili nei rigidi schemi di precostituite formule dogmatiche; all’opposto,<br />

la validità di queste va saggiata sul banco di prova della<br />

realtà economica. Occorre, in definitiva, avere sommo riguardo all’analisi<br />

economica del diritto, dalla quale non si può prescindere,<br />

specie in questa materia.


Scritti di Diritto Civile 161<br />

Lo scritto è stato richiamato da:<br />

A. LUMINOSO, Risoluzione per inadempimento, commentario Scialoja e Branca,<br />

Bologna, 1990, p. 325, nota 33; U. BRECCIA, Le obbligazioni, Milano, 1991,<br />

p. 340; P. TARTAGLIA, Il modesto consumatore va in pensione, in Foro it.CFTR,<br />

1991, I, 1331.<br />

Altro scritto dell’autore sullo stesso argomento:<br />

– «Sul risarcimento del maggior danno da mora», in Foro Italiano 1986, I, 1540<br />

e in L’Espressione monetaria nella responsabilità civile, Cedam 1994, p. 91 e ss.


Il problema degli interessi monetari<br />

nel risarcimento del danno<br />

1. – In questi ultimi anni da più parti (1) è stata sottolineata l’esigenza<br />

di un approfondimento del tema concernente gli interessi monetari<br />

in genere e la correttezza teorica e pratica della loro distinzione<br />

in compensativi, corrispettivi e moratori, sotto il profilo dell’identità<br />

o diversità della loro funzione.<br />

In particolare codesta esigenza è stata avvertita con riguardo al<br />

risarcimento del danno dove, non solo da noi (ma anche nella dottrina<br />

e nella giurisprudenza ad es. francese, spagnola e non so di<br />

quanti altri paesi) si continuano ad aggiungere gli interessi legali<br />

giustificati come interessi compensativi.<br />

Codesta aggiunta, invero, su un piano teorico, non consente di<br />

verificare appieno la adeguatezza o la inadeguatezza, sia per eccesso<br />

e anche per difetto (2) , di criteri di stima del danno, come quello<br />

basato sui prezzi alla decisione o di quello imperniato sulla rivalutazione<br />

o svalutazione automatica, in correlazione al tasso di inflazione<br />

o di deflazione (c.d. crediti di valore).<br />

Da «Responsabilità civile e previdenza», 1987, I, p. 3 ss. e da «L’Espressione monetaria<br />

nella responsabilità civile», Cedam 1994.<br />

(1) Ad es. il PASANISI nella prefazione del numero della sez. Lombardia di AIDA dedicato<br />

al Convegno del 24 marzo 1982 su Svalutazione e assicurazione, parla correttamente<br />

di «difficile marcia lungo gli incerti confini che dividono gli interessi moratori da<br />

quelli compensativi e corrispettivi». L’esistenza di tali confini è revocata in dubbio da<br />

GIORGIANNI, in L’inadempimento, Milano, 1975, p. 159 e dalla decisione 22 aprile 1980,<br />

n. 60, in Foro it., 1980, I, c. 1249 della Corte Costituzionale là dove accenna ad una identica<br />

funzione vista da due angolature diverse.<br />

(2) La somma degli interessi e della rivalutazione può peccare per eccesso e all’opposto,<br />

per difetto, in caso di deflazione. Lo stesso è a dirsi se gli interessi vengono aggiunti all’indennizzo<br />

stimato sulla base dei prezzi alla decisione, a seconda che siano in rialzo o in ribasso.


164 Scritti di Diritto Civile<br />

Su un piano pratico esso conduce sovente ad ingigantire l’ammontare<br />

del risarcimento, con esasperazioni come quelle di sommare<br />

gli interessi compensativi a quelli moratori (3) , o di calcolare<br />

gli interessi sul capitale rivalutato (4) od infine di rivalutare i medesimi<br />

(5) . Ora tuttavia il calo dell’inflazione a tassi pari od inferiori<br />

agli interessi legali (6) o addirittura negativi, come sta accadendo in<br />

Germania e la prospettiva di un possibile calcolo alla rovescia del<br />

capitale e degli interessi, calcolati su quello, induce a riconsiderare<br />

il problema in termini nuovi e più vasti.<br />

Alla fine molte proposizioni correnti saranno da rivedere: ciò<br />

passa tuttavia attraverso una migliore comprensione del fenomeno<br />

economico, nei suoi vari aspetti, quale presupposto dell’approfondimento<br />

di quello giuridico.<br />

Ed a questo riguardo, a mio sommesso avviso, la strada da percorrere<br />

che qui ci si sforza di delineare, è ancora parecchia.<br />

2. – È opportuno dire subito che le analisi compiute dai giuristi a<br />

proposito dell’interesse monetario hanno prevalentemente carattere<br />

descrittivo e così ne sottolineano l’aspetto pecuniario, accessorio,<br />

omogeneo, proporzionale e periodico (7) .<br />

L’essenza dell’interesse monetario non sembra tuttavia colta da<br />

essi nella sua ampiezza come quando esso viene inteso solo come il<br />

frutto per l’uso del capitale e quindi assimilato ai frutti naturali dei<br />

beni in dipendenza dell’assioma corrente circa la normale fecondità<br />

del denaro (8) .<br />

Non è a meravigliarsi che un tale modo di vedere finisca per condurre<br />

a considerare il calcolo degli interessi come d’obbligo sempre<br />

e comunque e per di più al netto del tasso inflazionistico.<br />

(3) Cass. civ., 22 settembre 1979, n. 4914, in Rep. Giust. civ., 1979, v. Lavoro, p. 484.<br />

(4) Cass. civ., 13 luglio 1983, n. 4759, in Mass. Giust. civ., 1983, n. 1677, tra le molte.<br />

(5) Cass. civ., 17 novembre 1979, n. 6004, in Rep. Giust. civ., 1979, v. Lavoro, p. 475.<br />

(6) In questo momento il tasso di inflazione è al di sotto del saggio legale di interessi. Quello<br />

relativo ai prezzi all’ingrosso è addirittura nullo (Corriere della Sera, 15 maggio 1986).<br />

(7) Così tra i molti: MESSA, L’obbligazione degli interessi e le sue fonti, Milano, 1932,<br />

pp. 6, 19, 21, 23; LIBERTINI, in Enciclopedia del diritto, XXII, v. Interessi, pp. 95 ss.;<br />

QUADRI, v. Interessi, in Trattato di dir. priv., Torino, 1984, vol. IX, p. 528.<br />

(8) Vedi per tutti i giuristi legati all’assioma della normale fruttuosità del denaro:<br />

MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, Milano, 1954, II, § 115, 345.


Scritti di Diritto Civile 165<br />

Ciò ha un ruolo amplificatore degli interessi compensativi e porta<br />

a considerare gli interessi legali, come altrettanti interessi reali,<br />

cioè al di sopra del tasso inflazionistico (9) .<br />

Codesta visuale è tuttavia erronea solo che si consideri che il denaro<br />

tesoreggiato non produce frutto e subisce, in fase inflazionistica,<br />

l’inesorabile erosione del potere di acquisto (10) .<br />

L’essenza dell’interesse è stato invece colta in modo penetrante<br />

dagli economisti moderni e tra questi dal Bohm-Bawerk nella sua<br />

natura di fenomeno legato al credito ed a quello pecuniario in ispecie,<br />

e perciò alla minor utilità percentuale di una prestazione differita<br />

di denaro rispetto a quella a pronti (11) .<br />

Nel che è compresa l’altra caratteristica concernente il premio di<br />

liquidità (12) .<br />

È piuttosto ovvio che gli interessi (siano convenzionali o legali,<br />

compensativi o moratori) trovano la loro spiegazione in codesta<br />

minore preferenza per il denaro disponibile a termine rispetto<br />

a quella a pronti e ne costituiscano perciò il tasso di sconto o<br />

di attualizzazione.<br />

Codesta funzione di attualizzazione dei valori svolta dall’interesse<br />

monetario, è intesa massimamente da chi attribuisce all’art.<br />

1499 c.c. la portata di norma generale, intesa al riequilibrio di una<br />

prestazione differita rispetto a quella a pronti.<br />

Un grosso fattore di malinteso è costituito dal divario tra il saggio<br />

legale e quello di mercato così che l’interesse legale appare qualcosa<br />

di diverso rispetto a quello ordinario.<br />

La storia delle relazioni tra tasso legale e tasso normale mostra<br />

come l’altezza di quello legale trae origine da quella di mercato, corrente<br />

in epoca prossima alla sua codificazione (13) .<br />

(9) Sino a tempo fa per il c.d. effetto di esuberanza di liquidità e la scarsa domanda<br />

di credito, gli interessi reali erano negativi. Ora sono invece largamente positivi. Sull’argomento:<br />

degli interessi reali e nominali si è tenuto il 14-15 settembre 1983, un convegno<br />

promosso dalla Società degli Economisti.<br />

(10) Può dirsi perciò che pecunia dum in usu vertitur; consumitur et deterioratur.<br />

(11) BOHM-BAWERK, The positive theory of capital, London, 1891, p. 249.<br />

(12) J.M. KEYNES, Opere, Torino, 1978.<br />

(13) Il tasso legale del 5% è stato codificato dall’art. 1153 codice napoleonico sulla<br />

base di quello di mercato corrente anteriormente, è stato conservato dall’art. 1231 c.c.<br />

1865 perché corrispondente a quello sui crediti a medio termine nell’800 ed infine dal-


166 Scritti di Diritto Civile<br />

Che il tasso legale, a causa della sua fissità, sia destinato a rimanere<br />

indietro o a sopravvanzare quello normale, in epoca di variazione<br />

dei tassi, è piuttosto evidente.<br />

Occorre tuttavia guardare all’interesse di mercato, come al solo<br />

saggio normale di attualizzazione di cui si è detto (14) .<br />

È a tutti noto che il tasso legale ha un ruolo esclusivamente<br />

supplettivo.<br />

Quel che appare assolutamente sottovalutato, è il riferimento del nostro<br />

sistema all’interesse di mercato e così il suo valore normativo (15) .<br />

Ciò è particolarmente trasparente nel caso in cui il tasso legale<br />

sia inferiore a quello di mercato.<br />

L’art. 1224, 2° comma, c.c., nel caso degli interessi moratori, e<br />

l’art. 1207, 2° comma, c.c., in quello degli interessi corrispettivi,<br />

consentono di recuperare lo scarto tra saggio legale e saggio di mercato,<br />

individuando così nella misura di quest’ultimo, quella correttamente<br />

dovuta secondo il quod plerumque accidit.<br />

Invero il maggior danno da mora di cui all’art. 1224, 2° comma,<br />

c.c., viene sempre più individuato dalla giurisprudenza, senz’altra<br />

prova che l’impiego di presunzioni, nello scarto con l’interesse sui<br />

depositi bancari, o col rendimento dei titoli di debito pubblico che<br />

il creditore avrebbe verosimilmente tratto dall’impiego finanziario<br />

del denaro, se ricevuto per tempo (16) .<br />

l’art. 1284 dell’odierno codice civile con la motivazione che esso corrispondeva al tasso<br />

ufficiale di sconto in vigore dal 1905. G. VALCAVI, La stima del danno nel tempo con riguardo<br />

all’inflazione alla variazione dei prezzi ed ai tassi di mercato, in Riv. dir. civ.,<br />

1981, II, pp. 342 ss. e nota 45. Per l’esperienza germanica: ROLL, Die hohe der verzugszinsen<br />

DRK oktober 1973, che contiene un’ampia dimostrazione della corrispondenza<br />

dell’interesse legale del 4% a quelli di mercato correnti negli ultimi decenni del XIX secolo<br />

fino al 1895, con particolare riguardo agli interessi ipotecari correnti in Prussia e alla<br />

rendita media del regno tedesco.<br />

(14) Questa è l’opinione comune tra gli economisti. Al contrario i giuristi sembrano<br />

considerare come tasso di attualizzazione l’interesse legale dando luogo a discrepanza di<br />

valori. Così LIBERTINI, op. cit., p. 118.<br />

(15) La valorizzazione dei riferimenti normativi al rendimento corrente del danaro, è piuttosto<br />

recente. Così oltre ai miei lavori in Rivalutazione monetaria od interessi di mercato?, in<br />

Foro it., 1980, I, p. 118; Riflessioni sui crediti di valore sui crediti di valuta e sui tassi di interessi,<br />

in Foro it., 1981, I, p. 2112; La stima del danno nel tempo, cit., loc. cit.; Ancora sul<br />

risarcimento del maggior danno da mora nelle obbligazioni pecuniarie, in Foro it., 1986, I,<br />

p. 1540, anche AMATUCCI in Foro it., 1986, I, p. 1273; R. PARDOLESI, ibidem, p. 1265.<br />

(16) Così di recente, Cass. civ., 5 aprile 1986, n. 2368, in Foro it., 1986, I, p. 1265.


Scritti di Diritto Civile 167<br />

E parimenti, poiché l’art. 1207, 2° comma, c.c., stabilisce la regola<br />

che il debitore, anche se non versasse in mora, deve al creditore,<br />

persino in mora, il frutto da lui goduto, medio-tempore, e questo<br />

può presumersi nella misura di quello corrente sopraindicato,<br />

occorrerà avere praticamente riguardo al saggio di mercato, specie<br />

se più alto di quello legale (17) .<br />

Ed è il caso ora di anticipare una nozione.<br />

L’interesse di mercato, come è stato avvertito di recente, anche dalla<br />

giurisprudenza (18) , incorpora le attese inflazionistiche, nel contesto<br />

delle condizioni contingenti del mercato del credito e del risparmio.<br />

Il rimedio usuale di ovviare all’inadeguatezza dell’interesse legale,<br />

sommando a questo il tasso di svalutazione monetaria, equivale<br />

a procurare al creditore un lucro, nella misura in cui tale operazione<br />

supera l’interesse di mercato.<br />

E viceversa, nella misura in cui essa resta ad un livello inferiore,<br />

apparirà indennizzo inadeguato.<br />

In entrambe le ipotesi, come si vedrà oltre, trattasi di proposta di<br />

rimedio inesatto.<br />

3. – Si è soliti classificare gli interessi in moratori e non moratori, a<br />

seconda che il differimento della prestazione pecuniaria avvenga o<br />

meno iniure da parte del debitore, per essere lo stesso costituito in<br />

mora (per volontà della legge ex art. 1219, 2° comma, nn. 1 e 3 o<br />

per interpellazione del creditore ex art. 1219, 1° comma, c.c.). Essi<br />

sono regolati dall’art. 1224 del nostro codice.<br />

Gli interessi moratori riguardano un credito pecuniario liquido<br />

od illiquido e tuttavia già esigibile (19) .<br />

Gli interessi non moratori vengono a loro volta distinti, non senza<br />

contrasti terminologici, in corrispettivi e compensativi (20) .<br />

(17) Il riferimento al tasso normale è quello corrente, nella giurisprudenza germanica,<br />

come maggior danno da mora: INZITARI, Profili in tema di interessi, credito e moneta,<br />

Milano, 1982, pp. 599 ss.<br />

(18) Così Corte Cost., 22 aprile 1980, n. 60, in Foro it., 1980, I, c. 1249.<br />

(19) Ciò è coerente all’abbandono del principio di illiquidis non fit mora, da parte<br />

del nostro sistema: Cass. civ., 20 maggio 1976, n. 1813, in Rep. giur. it., 1976, p. 2968,<br />

n. 282 tra le molte.<br />

(20) I termini della contrapposizione sono ritenuti invecchiati da GIORGIANNI,<br />

op. cit., p. 146.


168 Scritti di Diritto Civile<br />

I primi sono regolati dall’art. 1282 c.c. e concernono il semplice<br />

ritardo nel caso di un credito liquido e esigibile (21) .<br />

L’interesse compensativo è codificato dall’art. 1499 cod. civ. e riguarda<br />

un credito liquido e non ancora esigibile (22) .<br />

Entrambi perciò hanno per oggetto crediti pecuniari liquidi.<br />

La dottrina e la giurisprudenza, attraverso una forzatura dell’art.<br />

1499 c.c. hanno creato una categoria generale di interessi<br />

compensativi estendendo in via analogica la norma ai crediti illiquidi,<br />

come ad esempio quello al risarcimento del danno.<br />

Non si ha qui tuttavia alcun punto di contatto, che giustifichi la<br />

analogia se non un generico richiamo all’equità, nel caso in cui il<br />

debitore sia in possesso di somme debende al creditore.<br />

E ciò pare francamente eccessivo.<br />

A questo punto è opportuna una disgressione sul rapporto tra liquidità<br />

ed esigibilità del credito.<br />

È piuttosto diffusa l’opinione che un credito, per essere esigibile,<br />

debba essere già liquidato (23) .<br />

Essa si risolve nel porre a carico del creditore il tempo occorrente<br />

per la liquidazione, durante il quale non maturano gli interessi.<br />

Un tal modo di vedere, è accolto dal legislatore, per gli interessi non<br />

moratori.<br />

Un tempo esso riguardava anche gli interessi moratori e su tale<br />

fondamento si basava il principio in illiquidis non fit mora (24) .<br />

(21) In genere si tende a svalutare il requisito della liquidità del credito per gli interessi<br />

non moratori. Ciò è erroneo alla luce dell’abbandono dell’orientamento espresso dall’art.<br />

17 del progetto preliminare effettuato in sede di redazione definitiva del codice. V.<br />

Relazione al c.c., n. 34.<br />

(22) Gli interessi compensativi per il GIORGIANNI, op. cit., p. 147, sarebbero contraddistinti<br />

dalla sola non esigibilità del credito. Il GIORGIANNI, op. cit., loc. cit., il LI-<br />

BERTINI, op. cit., p. 110, il QUADRI, op. cit., p. 545 esprimono l’avviso che «dalla ratio<br />

si tende a ricavare l’irrilevanza della liquidità del credito». Codesta asserzione contrasta<br />

con il riferimento al «prezzo» di cui all’art. 1499 c.c. sinonimo di credito liquido.<br />

(23) La motivazione è ispirata al favor debitoris accolto fin dall’epoca di VENULEIO,<br />

1, 99, D. 50, 17, «non potest improbus videri qui ignorat quantum sol vere debeat»; per<br />

più ampi riferimenti E. ALBERTARIO, Della decorrenza degli interessi sulle somme liquidate<br />

per danno aquiliano, in Monitore dei Trib., 1910, p. 22.<br />

(24) È comprensibile tuttavia che là dove vi sia mora il legislatore moderno abbia<br />

mutato avviso inaugurando il principio opposto codificato dall’art. 1219, 2° comma,<br />

n. 1 c.c. e così indulgendo al favor creditoris. Sulla rilevanza di tale aspetto, GIOR-<br />

GIANNI, op. cit., p. 167.


Scritti di Diritto Civile 169<br />

In epoca a noi recente il legislatore, per non favorire immeritevolmente<br />

il debitore, a scapito del creditore, ha anticipato la esigibilità<br />

così che il tempo occorrente per la liquidazione del credito<br />

viene posto a carico del debitore, per scelta legislativa (art.<br />

1219, 2° comma, n. 1 c.c.).<br />

Una tale deroga concerne tuttavia solo gli interessi moratori ed è<br />

giustificata dalla mora colpevole del debitore.<br />

L’ipotesi di cui all’art. 1499 c.c., e così l’interesse compensativo,<br />

esula da un tale ambito, perché riguarda un credito non solo liquido<br />

ma anche, per definizione di legge, non ancora esigibile (25) .<br />

Si è detto sopra che l’interesse moratorio postula la costituzione<br />

in mora da parte del creditore, ove ciò non avvenga per legge.<br />

Da tale momento gli interessi moratori succedono a quelli corrispettivi,<br />

nel caso di un credito liquido, che così sono dagli stessi<br />

assorbiti.<br />

Tuttavia, con riguardo a questa fattispecie, tra interessi corrispettivi<br />

e moratori, vi è questa sensibile differenza e cioè che il recupero<br />

dello scarto tra saggio legale e saggio di mercato corrisponde ad un<br />

diritto di indennizzo, nel caso di mora, mentre, a proposito degli interessi<br />

corrispettivi, trattasi di interesse, tutelato solo con l’azione restitutoria<br />

da arricchimento senza causa ex art. 1207, 2° comma, c.c.<br />

Ed infine sia qui consentito un cenno sulla disciplina.<br />

Essa è comune a qualsiasi tipo di interesse, sia esso corrispettivo,<br />

compensativo o moratorio.<br />

E così ad essi si applica l’art. 1283 c.c. che concerne il divieto di<br />

anatocismo e l’art. 2948, n. 4 c.c. che riguarda la prescrizione quinquennale.<br />

Gli interessi sono assoggettati anche alle ordinarie imposte<br />

sul reddito.<br />

4. – Passiamo ora a discorrere degli interessi con riguardo all’indennizzo.<br />

Il problema di fondo del risarcimento del danno è l’attualizzazione<br />

dell’equivalente al momento della sua prestazione in concreto,<br />

che avviene in ritardo rispetto al verificarsi del danno. E così la<br />

copertura dello scarto temporale.<br />

(25) LIBERTINI, op. cit., p. 100.


170 Scritti di Diritto Civile<br />

Si è detto sopra che l’interesse monetario svolge in genere tale<br />

funzione e che il saggio normale di attualizzazione è quello corrente<br />

di mercato.<br />

Ciò dovrebbe condurre alla determinazione dell’indennizzo sulla<br />

base dei prezzi e valori al verificarsi del danno e quindi alla successiva<br />

aggiunta degli interessi correlati al ritardo con cui esso viene<br />

prestato.<br />

Si è anche detto sopra che il recupero dello scarto tra il tasso legale<br />

e tasso di mercato è possibile, mediante il solo impiego di presunzioni,<br />

ex art. 1224, 2° comma, c.c., nel caso degli interessi moratori,<br />

ex art. 1207, 2° comma, c.c. nel caso degli interessi corrispettivi.<br />

A questo punto il successivo discorso dovrebbe prendere le mosse<br />

dall’analisi di questa situazione e della natura di codesti interessi<br />

per andare oltre.<br />

Tale avviso, sostenuto dall’autore di queste righe, corrisponde<br />

alla situazione in cui il danneggiato si sarebbe trovato ove avesse riscosso<br />

a suo tempo l’indennizzo e lo avesse investito nelle forme di<br />

un normale risparmio.<br />

Il quadro delle opinioni dominanti nella dottrina e nella giurisprudenza,<br />

non solo italiana ma anche straniera è tuttavia assolutamente<br />

diverso.<br />

In genere l’indennizzo viene invece determinato sulla base dei<br />

prezzi e valori al momento della decisione di secondo grado (tempus<br />

rei judicandae) (26) ovvero, quand’anche stimato con riguardo<br />

al verificarsi del danno, esso viene poi rivalutato al tempo della decisione<br />

di secondo grado (credito di valore) (27) .<br />

All’ammontare così determinato secondo l’uno o l’altro criterio,<br />

(26) In giurisprudenza, tra le molte: Cass. civ., 5 agosto 1982, n. 4397, in Rep. giur.<br />

it., 1982, p. 815, n. 55. In dottrina: TEDESCHI, Il danno e il momento della sua determinazione,<br />

in Riv. dir. priv., 1933, I, pp. 263 ss.; ld., in Riv. dir. comm., 1934, I, pp. 234-<br />

244. Per il danno extra contrattuale: ASCARELLI, Obbligazioni pecuniarie, in Comm.<br />

Scialoja e Branca, n. 179; NICOLÒ, in Foro it., 1946, IV, p. 50; DE CUPIS, Il danno, Milano,<br />

1970, p. 269 tra i molti. Nella dottrina francese, tra i molti, H. e L. MAZEAUD,<br />

Traité théorique et pratique de la responsabilité civile, Parigi, 1950, nn. 2420-6, 2420-8<br />

e ivi giuris. cit., pp. 2421, 2423.<br />

(27) In giurisprudenza tra le molte: Cass. civ., 6 febbraio 1984, n. 890, in Mass. Giust.<br />

civ., 1984, n. 296; in dottrina: P. ASCARELLI, op. cit., loc. cit.; P. GRECO, Debito pecuniario,<br />

debito di valore e svalutazione monetaria, in Riv. dir. comm., 1947, II, pp. 112<br />

ss.; R. NICOLÒ, op. cit., loc. cit.; DE CUPIS, loc. cit. A favore di questa concessione in


Scritti di Diritto Civile 171<br />

vengono poi aggiunti sia da noi (28) che altrove (29) gli interessi, che<br />

sono qualificati compensativi, in via analogica ex art. 1499 c.c. perché<br />

compenserebbero il danneggiato dell’uso che il danneggiante<br />

avrebbe fatto medio tempore del capitale a lui dovuto.<br />

Codesto modo di vedere finisce tuttavia per compensare due volte<br />

il differimento della prestazione dell’indennizzo e così duplica<br />

l’attualizzazione del danno in termini di prezzi e contemporaneamente<br />

di interessi, sicché una delle due è di troppo.<br />

Non pare ragionevole, infatti, supporre che il creditore avrebbe<br />

medio tempore tenuto investito il suo capitale, così da conseguire il<br />

capital-gain, ed insieme lo avrebbe conservato liquido, così da fruire<br />

gli interessi.<br />

O analogamente da chi accoglie la teoria dei crediti di valore, che<br />

il danneggiato avrebbe verosimilmente speso a suo tempo il capitale<br />

nel paniere di merci di consumo, sui cui prezzi è costruito l’indice<br />

statistico, così da giustificare l’ipotesi del consumo sostitutivo<br />

odierno ai prezzi ora correnti, e contemporaneamente lo avrebbe<br />

anche risparmiato, così da fruire degli interessi.<br />

Codesti interessi corrisponderebbero anzi al costo finanziario del<br />

supposto investimento invece che al suo frutto.<br />

Ognuno avverte che quivi è messa in discussione la giustificazione<br />

funzionale dell’interesse monetario. La quale ha senso – come si<br />

disse – solo come compenso per il ritardo col quale è prestata quella<br />

quantità di denaro, in cui si concreta l’indennizzo, determinato<br />

però sulla base dei prezzi e valori al verificarsi del danno.<br />

Opinare diversamente conduce ad escludere il calcolo degli interessi,<br />

come un mero sovrappiù.<br />

Ciò torna di tutta evidenza per chi considera ammissibile il riferimento<br />

al normale interesse di mercato e recuperabile ex art.<br />

1224, 2° comma, e 1207, 2° comma, c.c. lo scarto tra saggio legale<br />

e questo ultimo.<br />

Spagna: Tribunale Supremo spagnolo, 28 febbraio 1975 in SANTOS BRIZ, La responsabilidad<br />

civil, p. 343; L. DIEZ PICAZO, Fundamentos de derecho civil patrimonial, Madrid,<br />

1983, I, pp. 464, 477.<br />

(28) Cass. civ., 14 dicembre 1985, n. 6336, in Rep. Giust. civ., 1985, v. Danni, n.<br />

28 tra le molte.<br />

(29) Così in Francia H. LALOU, Traité pratique de la responsabilité civile, Paris,<br />

1962, n. 111, p. 66; e in Spagna: J. SANTOS BRIZ, op. cit., p. 315.


172 Scritti di Diritto Civile<br />

5. – Esaminiamo ora come si ponga il problema degli interessi<br />

con riguardo all’opinione dominante nel nostro paese che considera<br />

il credito di risarcimento, come un credito di valore e perciò<br />

lo rivaluta.<br />

È opportuna qui una breve digressione a proposito di codesta costruzione<br />

dogmatica imperniata sul così detto credito di valore.<br />

Questa non pare all’autore di queste righe in alcun modo accettabile<br />

e fondata.<br />

Il credito di qualsiasi danneggiato viene infatti indicizzato ai<br />

prezzi relativi a consumi essenziali di una famiglia lavoratrice e di<br />

riflesso, al tenore di vita da essa conquistato, in epoca di grossi mutamenti<br />

sociali, senza che possa presumersi un tale impiego indistintamente<br />

da parte di chiunque (30) .<br />

Questo poi concernendo beni a consumo istantaneo, non sembra<br />

neppure ipotizzabile sicché si finisce per immaginare un loro perenne<br />

rimpiazzo a nuovo, sulla base fissa dei prezzi del passato (31) .<br />

Il quale investimento, a differenza di ogni altro, avverrebbe per<br />

giunta senza gli oneri finanziari ed i costi di conservazione postulati<br />

da qualsiasi trasferimento di beni nel tempo (32) .<br />

Che si tratti di costruzione ispirata ad una logica penale, è data<br />

dal fatto che il danno viene stimato in un’immaginaria moneta di<br />

conto, dallo stabile potere d’acquisto, invece che nella moneta avente<br />

potere solutorio legale (33) .<br />

Questo invero – come scrisse L. Einaudi (34) – è il solo «serbatoio<br />

del potere di acquisto» dato che, come venne a suo tempo rilevato<br />

dal Marshall (35) è non solo inattuabile, ma impensabile misurare diversamente<br />

il potere d’acquisto. Ciò è dimostrato dai nuovi studi<br />

(30) Contro una generalizzazione del genere, per le obbligazioni pecuniarie: Cass. civ.,<br />

5 aprile 1986, n. 2368 cit.<br />

(31) Le merci che costituiscono il paniere su cui si basa l’indice ISTAT, sono quelle<br />

destinate al consumo di una famiglia operaia e impiegatizia e perciò deperibili e non<br />

conservabili.<br />

(32) In genere si liquida così l’indennizzo sulla base dei prezzi alla decisione, al lordo<br />

e non al netto dei costi, attribuendo un lucro irragionevole.<br />

(33) G. VALCAVI, Riflessioni sui c.d. crediti di lavoro, cit., loc. cit.<br />

(34) L. EINAUDI, Della moneta serbatoio di valori e di altri problemi monetari, in<br />

Riv. di storia economica, 1939, p. 133.<br />

(35) MARSHALL, Opere, Torino, 1972, pp. 136, 177, 227, 356.


Scritti di Diritto Civile 173<br />

sulla persistenza e sulla portata delle scorte e dei saldi monetari in<br />

epoca inflazionistica (36) .<br />

La rivalutazione finisce poi per operare in via automatica, indipendentemente<br />

dalla mora e persino se ad essere in mora sia il creditore,<br />

come nel caso abbia rifiutato un’offerta di somma di danaro<br />

risultata alla fine congrua, sicché i principi sulla mora non sarebbero<br />

applicabili ai crediti di valore (37) .<br />

E ciò appare non conciliabile con le regole di fondo del nostro<br />

ordinamento.<br />

Siffatta costruzione si rivela sotto un certo profilo forzata e sotto<br />

un’altra inadeguata, laddove conduce a rivalutare il danno di un<br />

esteroresidente secondo gli indici del costo della vita interni dove gli<br />

è interdetto detenere monete di conto interno (38) .<br />

La caduta dell’inflazione a valori pari al saggio legale degli interessi<br />

e la prospettiva che possa assumere addirittura una dimensione<br />

perfino negativa, con la conseguenza di un calcolo alla rovescia,<br />

mostra i limiti della base teorica di un tale criterio.<br />

A codesta rivalutazione automatica sono poi comunemente aggiunti<br />

gli interessi monetari che vengono qualificati, come si disse,<br />

«compensativi» in quanto «fanno parte integrante del danno<br />

medesimo» (39) . Da un tale asserto viene derivato il corollario che<br />

essi, a differenza di quelli moratori, possono essere liquidati d’ufficio<br />

anche senza domanda del danneggiato (40) , ed in tal caso<br />

possono formare oggetto perfino di successivo gravame, senza<br />

andare incontro alla preclusione riguardante le domande nuove<br />

ex art. 345 c.p.c. (41) .<br />

Essi vengono calcolati sul capitale rivalutato sul presupposto che<br />

(36) DON PATINKIN, Moneta, interessi e prezzi, Padova, 1957, pp. 17, 26-30, 45 ss.,<br />

128, 222 ss., 253 ss., 407 ss.<br />

(37) Il credito di valore infatti viene rivalutato dal suo sorgere sino alla liquidazione<br />

indipendentemente dalla mora. Ad esso non seguono neppure interessi moratori come viene<br />

ritenuto dalla giurisprudenza, ma solo compensativi.<br />

(38) Legge 6 giugno 1956, n. 476; G. VALCAVI, Il corso di cambio ed il danno da<br />

mora nelle obbligazioni in moneta straniera, in Riv. dir. civ., 1985, II, pp. 253 ss.<br />

(39) Tra le molte: Cass. civ., 13 ottobre 1979, n. 5352, in Mass. Giust. civ., 1979, p.<br />

2357; Cass. civ., 6 gennaio 1984, n. 80, in Mass. Giust. civ., 1984, n. 33, li deduce addirittura<br />

dall’art. 2056, 2° comma c.c.<br />

(40) Tra le molte: Cass. civ., 20 dicembre 1976, n. 4694, in Arch. civ., 1977, p. 251.<br />

(41) Cass. civ., 18 settembre 1978, n. 4180, in Mass. Giust. civ., 1978, p. 1742.


174 Scritti di Diritto Civile<br />

«da rivalutazione costituisce una diversa espressione numeraria del<br />

medesimo danno originario» (42) .<br />

Codesto calcolo non viene ritenuto in contrasto con il divieto<br />

anatocistico, perché quest’ultimo avrebbe portata eccezionale e<br />

si limita ai crediti pecuniari cosicché non si applicherebbe a quelli<br />

di valore (43) .<br />

Infine, a differenza di quelli moratori, gli interessi compensativi<br />

non sono stati ritenuti soggetti alle imposte sul reddito (44) .<br />

Codeste proposizioni della giurisprudenza dominante ripetono<br />

sostanzialmente quelle correnti nei giudicati al tempo del codice civile<br />

del 1865, che a suo tempo le derivava da quella formatasi sul<br />

codice napoleonico.<br />

Il carattere compensativo di codesti interessi, è ritenuto anche<br />

dalla dottrina e dalla giurisprudenza francese.<br />

Discorde è la valutazione della nostra dottrina sul carattere compensativo<br />

o moratorio dei suddetti interessi.<br />

È a chiedersi anzitutto se il credito di valore generi degli interessi<br />

e se quelli aventi le caratteristiche delineate dalla nostra giurisprudenza<br />

siano da considerare dei veri interessi. Sembra corretto<br />

dovere dare una risposta negativa a tale domanda.<br />

Invero una caratteristica fondamentale degli interessi – come rilevò<br />

ai suoi tempi il Messa (45) – è che essi ineriscono ad una obbligazione<br />

pecuniaria e sono essi medesimi pecuniari.<br />

Si ricorda qui quanto si è scritto sopra a proposito della loro essenziale<br />

funzione tesa a esprimere e ovviare al minor valore di una<br />

prestazione differita di danaro rispetto a quella a pronti ed al premio<br />

di liquidità che è ad essi intrinseco.<br />

Il credito di valore, dal momento che è un credito assolutamente<br />

diverso ed alternativo a quello pecuniario, non può pertanto generare<br />

interessi monetari (46) .<br />

(42) Cass. civ. Sez. un., 19 luglio 1977, n. 3416, in Mass. Giust. civ., 1977, p. 1269;<br />

Cass. civ., 13 luglio 1983, n. 4759, in Mass. Giust. civ., 1983, p. 1677.<br />

(43) Cass. civ., 12 settembre 1978, n. 4123, in Mass. Giust. civ., 1978, p. 1719 tra le molte.<br />

(44) Cass. civ., 6 febbraio 1970, n. 264, in Mass. Giust. civ., 1970, p. 151.<br />

(45) MESSA, op. cit., p. 435.<br />

(46) Così MESSA, op. cit., loc. cit.; DE MARTINI, Rivalutazione del danno da fatto<br />

illecito e danno per ritardato pagamento, in Giur. compl. Cass. civ., 1951, pp. 1629 ss.;<br />

LIBERTINI, op. cit., p. 120.


Scritti di Diritto Civile 175<br />

Si rileverà come manca, a questo riguardo, anche l’ulteriore requisito<br />

distintivo dell’omogeneità tra debito di valore e debito per<br />

interessi, così da giustificare questi ultimi.<br />

I maggiori elementi di contrasto sono però offerti dall’anomala<br />

disciplina di codesti interessi, in materia di risarcimento del<br />

danno, come ritenuto dalla nostra giurisprudenza rispetto agli<br />

interessi ordinari.<br />

Si ha qui riguardo all’affermazione dominante che gli interessi<br />

farebbero parte integrante del danno così da giustificare una<br />

loro liquidazione d’ufficio e senza che sia stata neppure proposto<br />

dal danneggiato il gravame contro la decisione che li abbia omessi<br />

o negati.<br />

Lo stesso è a dirsi dell’ulteriore affermazione corrente che essi,<br />

diversamente da quelli ordinari, non incontrerebbero i limiti del divieto<br />

anatocistico e neppure sarebbero soggetti alle imposte sul reddito,<br />

perché inerirebbero a dei crediti di valore invece che di valuta,<br />

e ciò costituirebbe un corollario della precedente affermazione<br />

intorno al loro carattere integrativo del risarcimento del danno.<br />

Viene qui negata l’altra caratteristica di fondo del debito per interessi,<br />

cioè la sua autonomia rispetto a quello per il capitale (47) .<br />

E con essa è anche negato il carattere accessorio degli interessi<br />

rispetto all’indennizzo.<br />

Devesi perciò ritenere che l’affermazione dominante che codesti<br />

interessi farebbero parte integrante del danno medesimo, e non sarebbero<br />

ad esso accessori, conduce a negare, in definitiva, che essi<br />

siano dei veri e propri interessi.<br />

È quanto viene colto da quegli autori, i quali ritengono che gli<br />

interessi legali non siano in realtà tali, ma corrispondano ad un criterio<br />

forfettario di esperienza, per liquidare il danno (48) .<br />

Codesto modo di vedere, notevolmente equivoco e generico,<br />

non può tuttavia essere accolto perché porta a duplicare in definitiva,<br />

l’indennizzo, senza essere autorizzato ed anzi in contrasto<br />

con l’art. 2056 c.c. (49) .<br />

(47) Così anche QUADRI, op. cit., p. 548.<br />

(48) LIBERTINI, op. cit., p. 119; DE MARTINI, op. cit., loc. cit.<br />

(49) Utilizzo qui l’argomento usato invece da LIBERTINI, op. cit., loc. cit., per escludere<br />

l’applicabilità dell’art. 1224, 2° comma c.c. al risarcimento del danno.


176 Scritti di Diritto Civile<br />

La duplicazione del risarcimento è stata colta da quegli autori<br />

che l’hanno rilevata nel cumulo degli interessi e della rivalutazione<br />

monetaria (50) .<br />

È piuttosto trasparente, per quel che si disse sopra, che l’aggiungere<br />

gli interessi legali alla rivalutazione, porta a duplicare l’indennizzo<br />

per il ritardo, con cui è prestato l’equivalente.<br />

Ciò si traduce in ultima analisi, nel considerare dovuti, in modo<br />

arbitrario, degli interessi reali ex post (51) , in misura pari a quelli legali,<br />

in modo difforme dal quod plerumque accidit.<br />

Il che è quanto procurare al danneggiato un lucro ingiustificato.<br />

In codeste proposizioni non sembra davvero, a lume di logica, potersi<br />

convenire.<br />

6. – Si è sopra detto che la somma degli interessi all’indennizzo viene<br />

in genere giustificata sotto il profilo che si tratterebbe di «interessi<br />

compensativi».<br />

Che codesta qualificazione dogmatica sia una strada obbligata<br />

per chi considera il credito del danneggiato, un credito di valore, deriva<br />

dal rilievo sopra accennato che a questo tipo di credito viene<br />

considerato estraneo l’istituto della mora e perciò essa è priva di<br />

conseguenze.<br />

Sicché, una volta escluso il carattere moratorio degli interessi relativo<br />

ad un credito di valore, non resta che una loro giustificazione sulla<br />

base della generica considerazione equitativa di compenso dovuto<br />

per l’uso del capitale altrui, e cioè come interessi compensativi (52) .<br />

Ma codesto capitale di cui si discorre, in quanto non riveste carattere<br />

monetario, non sembra giustificare neppure sotto tale profilo,<br />

l’identificazione dei frutti del suo impiego, con quelli pecuniari.<br />

Sembra piuttosto che ciò sia costituito dalla sola rivalutazione<br />

monetaria, per chi accoglie tale categoria dei crediti di valore.<br />

(50) LIBERTINI, op. cit., p. 119; QUADRI, op. cit., p. 551; MICCIO in Giur. compl.<br />

Cass. civ., p. 1951, I, pp. 438 ss.; in questo senso si dissente dalla giurisprudenza<br />

Corrente (per tutte Cass. civ., 13 ottobre 1979, n. 5352, in Mass. Giust. civ., 1979, p.<br />

2357) secondo cui la rivalutazione non si cumulerebbe con gli interessi perché assolverebbero<br />

a funzioni diverse.<br />

(51) Tali sono quelli calcolati a posteriori al di sopra del tasso di inflazione.<br />

(52) Per un riferimento, tra i molti: QUADRI, op. cit., p. 548; Cass. civ., 13 giugno<br />

1972, n. 1853, in Rep. Foro it., 1972, v. Danni, p. 121.


Scritti di Diritto Civile 177<br />

Il carattere compensativo di codesti interessi, è poi da escludere<br />

per un altro ordine di ragioni.<br />

Essi vengono in genere giustificati con il richiamo analogico all’art.<br />

1499 c.c. la cui legittimità è stata correttamente revocata in<br />

dubbio in passato dal Messa e da altri (53) , dato il carattere tassativo<br />

della fattispecie e perciò non suscettibile di essere generalizzato.<br />

È però da escludersi che ricorrano gli estremi medesimi dell’analogia.<br />

Infatti l’interesse compensativo, per quanto si è detto sopra, è<br />

relativo ad un «credito liquido e non esigibile» quale è quello di<br />

cui all’art. 1499 c.c.<br />

Ciò non ricorre all’evidenza nel credito di risarcimento che è<br />

per sua natura «illiquido e tuttavia è esigibile» ex art. 1219, 2°<br />

comma, n. 1 c.c.<br />

Non è perciò consentito ipotizzare in via analogica interessi compensativi<br />

per il credito illiquido ed esigibile di risarcimento del danno.<br />

A tal credito, per le sue caratteristiche di illiquidità e tuttavia di<br />

esigibilità non può tener dietro altro tipo di interessi che quelli moratori,<br />

che sono gli unici ipotizzabili per un tale tipo di crediti.<br />

Nella qualificazione moratoria degli interessi afferenti il credito<br />

di risarcimento del danno, convengono molti autori dal Messa all’Ascarelli,<br />

dal Bianca al Giorganni ed al De Cupis (54) .<br />

Il carattere moratorio è del resto colto dalla dominante giurisprudenza,<br />

laddove essa giustifica gli interessi che pur qualifica<br />

compensativi come «compenso per il ritardo col quale è prestato<br />

l’equivalente».<br />

È quanto riconoscere ad essi qualità e fondamento moratorio.<br />

Il ricorso al profilo compensativo, del resto, trova la sua ragione<br />

d’essere al tempo del codice del 1865 e di quello napoleonico<br />

nella necessità di eludere il divieto in illiquidis non fit mora,<br />

che costituiva un ostacolo teorico al riconoscimento della loro<br />

qualità moratoria.<br />

(53) MESSA, op. cit., pp. 431 ss.<br />

(54) MESSA, op. cit., p. 246; ASCARELLI, op. cit., pp. 536, 566 ss.; BIANCA, Dell’inadempimento<br />

delle obbligazioni, in Comm. Scialoja e Branca, Bologna, 1979, pp. 340<br />

ss.; GIORGIANNI, op. cit., pp. 163 ss.; DE CUPIS, op. cit., p. 487. Non è dato tuttavia<br />

comprendere come ASCARELLI e gli altri sostenitori dei crediti di valore, qualifichino<br />

moratori gli interessi data la irrilevanza della mora per tale tipo di credito.


178 Scritti di Diritto Civile<br />

Oggi, tuttavia, dopo l’abbandono di codesto principio con<br />

l’art. 1219, 2° comma, n. 1, c.c., non sussiste più alcun ostacolo<br />

del genere.<br />

Questi interessi costituiscono infatti l’indennizzo dello specifico<br />

danno da ritardo (per lo più colposo) nel prestare l’equivalente e<br />

non del danno originario, che deriva dall’illecito o dall’inadempienza<br />

(dolosa o colposa).<br />

L’opinione che li considera fare parte integrante del danno è frutto<br />

di equivoco perché considera erroneamente unico il danno dal<br />

suo verificarsi alla sua liquidazione.<br />

Che si tratti di due tipi di danno assolutamente diversi per qualità,<br />

natura e contenuto, è piuttosto evidente: l’uno – ripetesi – è<br />

quello che deriva dall’illecito o dalla inadempienza (dolosa o colposa)<br />

e va stimato sulla base dei valori correnti al suo verificarsi e<br />

l’altro riguarda invece quello dipendente dal ritardo col quale è prestato<br />

l’equivalente e concerne: il periodo successivo (55) .<br />

Quest’ultimo è perciò quello moratorio nell’adempimento di<br />

quella obbligazione pecuniaria che ha per oggetto la somma di denaro,<br />

in cui si concreta l’equivalente.<br />

Questo tipo di obbligazione non si riduce a quella liquida, ma<br />

comprende anche quella liquidanda: conta che il suo oggetto sia costituito<br />

da una somma di denaro.<br />

Il risarcimento di codesto danno moratorio segue le regole dell’art.<br />

1224 c.c. (56) .<br />

Solo in tale modo è giustificabile l’aggiunta degli interessi, vale<br />

a dire di una prestazione pecuniaria, omogenea ed accessoria rispetto<br />

a quella differita dell’ammontare di denaro, che costituisce il<br />

capitale dovuto.<br />

Si è detto sopra che l’art. 1224, 2° comma, c.c., consente di recuperare<br />

lo scarto tra saggio legale e saggio normale, nel caso degli<br />

interessi moratori, e l’art. 1207, comma, c.c., per quelli corrispettivi<br />

ed in via analogica per quelli compensativi.<br />

Con questa differenza tuttavia: ciò corrisponde ad un diritto del<br />

(55) La distinzione è generalmente colta in dottrina ed in giurisprudenza là dove gli<br />

interessi vengono motivati con l’esigenza di «evitare il pregiudizio derivante dal ritardato<br />

conseguimento dell’equivalente pecuniario» (Cass. civ., 20 dicembre 1976, n. 4694, in<br />

Arch. civ., 1977, p. 251, tra le molte). In dottrina, per tutti, GIORGIANNI, op. cit., p. 164.<br />

(56) Nel senso dell’applicabilità dell’art. 1224, c.c., GIORGIANNI, op. cit., p. 164.


Scritti di Diritto Civile 179<br />

danneggiato, nel caso di quelli moratori, mentre per gli altri è possibile<br />

solo nell’ambito della minor tutela tesa ad evitare l’arricchimento<br />

del debitore. Anche sotto questo profilo, la qualifica moratoria<br />

di codesti interessi, protegge ben diversamente il danneggiato.<br />

Devesi a questo punto tirare la più importante conclusione pratica:<br />

codesti interessi moratori sono soggetti all’ordinaria disciplina<br />

che concerne ogni tipo di interessi.<br />

E così devono essere domandati, e non possono essere liquidati<br />

di ufficio e sono soggetti alle comuni preclusioni, compresa quella<br />

ex art. 345 c.p.c. E parimenti essi incontrano il limite del divieto<br />

anatocistico di cui all’art. 1283 c.c.; sono soggetti alla prescrizione<br />

di cui all’art. 2948, n. 4 c.c. ed alle ordinarie imposte sul reddito.<br />

Né si cumulano con la rivalutazione monetaria in quanto accessori<br />

ad un’obbligazione pecuniaria, quale è quella di prestare l’indennizzo,<br />

e non al c.d. debito di valore.<br />

7. – Passiamo ora all’altro discorso che concerne il momento dal<br />

quale gli interessi cominciano a decorrere.<br />

Il problema ha avuto diversa e contrastante soluzione nella storia<br />

del diritto e lo ha tuttora. Nel diritto romano ed in quello comune,<br />

in dipendenza del principio in liquidandis non fit mora, non<br />

venivano calcolati gli interessi sino alla decisione.<br />

Sotto l’impero dell’abrogato codice del 1865 mentre per il danno<br />

contrattuale venivano fatti decorrere dalla domanda, per quello<br />

extra contrattuale diedero luogo a grave controversia.<br />

L’opinione prevalente specie in giurisprudenza li reputava<br />

compensativi e li faceva decorrere dall’illecito (57) , un’altra invece<br />

dalla domanda (58) , ed infine una terza, peraltro autorevole,<br />

dalla liquidazione (59) .<br />

(57) CHIRONI, La colpa nel diritto civile, 1906, II, Colpa extracontrattuale, p.<br />

342; MESSA, op. cit., pp. 241, 432; Cass. Roma, 16 aprile 1903; Cass. Milano, 6 dicembre<br />

1900; Cass. Torino, 20 dicembre 1900; in Rep. Monit. dei Trib., 1898-1907,<br />

v. Interessi, nn. 15, 19.<br />

(58) Cass. Napoli, 19 luglio 1907, in Monit. dei Trib., 1908, p. 87; Cass. Torino, 14<br />

settembre 1986, in Giur. torinese, 1986, p. 772. In senso critico, il MESSA, op. cit., p. 250.<br />

(59) Tra le molte, Cass. Firenze, 30 dicembre 1911; Cass. Palermo, 31 dicembre 1918,<br />

in Rep. Monit. dei Trib., 1908-1923, p. 252, nn. 66, 68; in dottrina E. ALBERTARIO, op.<br />

cit., pp. 21, 25. In senso critico, il MESSA, op. cit., p. 249.


180 Scritti di Diritto Civile<br />

Il nuovo legislatore, con l’art. 1219, 2° comma, n. 1 c.c., codificò<br />

il primo criterio che equivaleva a ritenere in mora ex re dall’illecito<br />

il danneggiante.<br />

Esso è anche quello accolto dalla dominante dottrina e giurisprudenza<br />

odierna che retrotrae perciò gli interessi all’illecito a differenza<br />

di quelli concernenti il danno contrattuale che decorrerebbero<br />

dalla domanda (60) .<br />

Codesti interessi vengono tuttavia calcolati sull’ammontare rivalutato<br />

o addirittura su quello stimato, in base ai valori correnti alla<br />

decisione.<br />

Questo partito dà indubbiamente luogo ad un eccesso di indennizzo<br />

nella misura in cui cumula per lo stesso periodo di tempo che<br />

arriva sino alla decisione la rivalutazione o l’intervenuta lievitazione<br />

del prezzo del bene e gli interessi monetari.<br />

Ciò ha indotto un’autorevole opinione a riproporre la tesi che essi<br />

decorrerebbero solo dalla pronunzia (61) .<br />

La corretta soluzione del problema mi pare implicita alla qualità<br />

moratoria riconosciuta a codesti interessi e comunque da essa<br />

deducibile.<br />

È di tutta evidenza che gli interessi maturano dopo e non prima<br />

il momento in cui l’equivalente avrebbe dovuto essere prestato e<br />

non lo è stato.<br />

Ciò è in linea col carattere accessorio, proporzionale e periodico<br />

degli interessi.<br />

Questo postula che il momento di determinazione dell’indennizzo<br />

sia perciò anteriore e non posteriore rispetto a quello da cui cominciano<br />

a decorrere gli interessi.<br />

Apparirà così del tutto ovvio come non possa ipotizzarsi che gli<br />

interessi – come si ritiene – decorrano dall’illecito o dalla domanda,<br />

mentre l’indennizzo venga stimato alla successiva decisione o rivalutato<br />

a questa.<br />

Per contro apparirà del tutto ragionevole che il danno venga in-<br />

(60) La diversa decorrenza viene giustificata col rilievo che la mora nel danno extra<br />

contrattuale sorgerebbe dall’illecito, mentre in quello contrattuale, dalla domanda. Così<br />

per tutte, Cass. civ., 22 gennaio 1976, n. 185, in Arch. civ., 1976, p. 466.<br />

(61) Cass. civ., 12 luglio 1979, n. 4053, in Rep. Foro it., 1979, v. Interessi, n. 18 e incidentalmente<br />

Corte cost., 22 aprile 1980, n. 60, in Foro it., 1980, I, p. 1249.


Scritti di Diritto Civile 181<br />

vece stimato con riferimento ai valori al suo verificarsi e gli interessi<br />

decorrano dopo di esso e cioè dal momento in cui il danneggiato<br />

è in mora nel prestare l’equivalente.<br />

È opinione dell’autore di queste righe che il problema della decorrenza<br />

degli interessi dipenda da quello in cui l’equivalente<br />

avrebbe dovuto essere prestato.<br />

Ed in definitiva vada coordinato con il problema che concerne<br />

il tempo di riferimento nella stima del danno ed armonizzato<br />

con le controverse soluzioni, vale a dire al suo verificarsi (quanti<br />

ea res fuit), o alla domanda (quanti ea res est), o alla decisione<br />

(quanti ea res erit).<br />

Codesto nesso è stato colto in modo penetrante sotto l’impero<br />

dell’abrogato codice del 1865 dall’Albertario (62) ; dal Giorgi (63) , dal<br />

Messa (64) , e da altri, oltre che da copiosa giurisprudenza a proposito<br />

del danno extra contrattuale.<br />

La soluzione corretta per un complesso di ragioni, è – come dissi<br />

– quella di stimare il danno al suo verificarsi, e di far decorrere<br />

gli interessi dal sorgere della mora.<br />

E poiché il danneggiante è tenuto all’immediato indennizzo a<br />

sensi dell’art. 1219, 2° comma, n. 1 c.c., non pare dubbio che gli<br />

interessi moratori comincino a decorrere dall’illecito.<br />

Il problema deve essere posto in termini diversi ma analoghi, per<br />

quel che concerne il danno contrattuale.<br />

È opinione corrente – come si è visto – che gli interessi decorrano<br />

dalla domanda giudiziaria (65) .<br />

Quale logica abbia un tale criterio, non è dato vedere.<br />

Esso non coincide con il sorgere della mora che ha rilievo per gli<br />

interessi moratori né con quello in cui la prestazione pecuniaria<br />

avrebbe dovuto essere compiuta per quelli corrispettivi.<br />

Esso non ha alcuna base normativa nel nostro sistema.<br />

Codesto criterio è probabilmente a noi derivato dalla tradizione<br />

culturale formatasi sul testo dell’art. 1153 c.c. napoleonico che recitava<br />

«ils ne sont dus que du jour de la demande».<br />

(62) E. ALBERTARIO, op. cit., loc. cit.<br />

(63) GIORGI, Obbligazioni, Firenze, 1906, V, p. 346.<br />

(64) MESSA, op. cit., p. 435.<br />

(65) Cass. civ., 12 aprile 1983, in Mass. Giust. civ., 1983, p. 907 tra le molte.


182 Scritti di Diritto Civile<br />

Esso è tuttavia ancora meno comprensibile ai tempi nostri dato<br />

che lo stesso testo è stato modificato da quello «ils ne sont dus que<br />

du jour de la sommation de payer», così sostituendosi l’intimazione<br />

di pagamento alla domanda giudiziale (66) .<br />

Il criterio corretto anche per il danno contrattuale è quello di<br />

far decorrere gli interessi dal momento in cui il danneggiante versa<br />

in mora.<br />

L’individuazione di tale momento è una quaestio facti.<br />

La proposta avanzata di considerare l’obbligazione risarcitoria<br />

sempre «portable» ex art. 1182, 3° comma, c.c. e perciò il responsabile<br />

di tale danno contrattuale in mora sin dal suo sorgere<br />

ex art. 1219, 2° comma, n. 3 c.c., appare seducente e tuttavia<br />

schematica (67) .<br />

8. – Resta a vedersi come gli interessi vadano calcolati.<br />

Essi saranno computati sul capitale pecuniario in cui si concreta<br />

l’equivalente debendo, alla stregua di qualsiasi interesse moratorio.<br />

L’obbligazione di indennizzo è pecuniaria e perciò soggetta al principio<br />

nominalistico anche se l’esatto ammontare risulterà dalla determinazione<br />

giudiziale, come ogni obbligazione pecuniaria illiquida.<br />

Il danneggiato ha diritto – come si è detto – a recuperare a sensi<br />

dell’art. 1224, 2° comma, c.c. lo scarto tra il saggio legale e il maggior<br />

tasso corrente di mercato, che è poi il normale rendimento di<br />

ogni investimento finanziario non aleatorio del risparmio in cui possa<br />

presumersi che il danneggiato avrebbe investito i suoi averi o, in<br />

caso di prova, al costo normale dei prestiti bancari. Tutto ciò concreta<br />

la situazione in cui il danneggiato si sarebbe trovato secondo<br />

il quod plerumque accidit, se avesse ricevuto per tempo l’equivalente<br />

cui ha diritto.<br />

Esso costituisce anche il risarcimento corretto del maggior danno<br />

da mora ex art. 1224, 2° comma, c.c. secondo il più recente<br />

orientamento giurisprudenziale (68) .<br />

L’opinione dominante che considera invece l’obbligazione ri-<br />

(66) Così modificato dall’ord. 59-148 del 7 gennaio 1959. Nel senso del testo, QUA-<br />

DRI, op. cit., p. 541.<br />

(67) QUADRI, op. cit., p. 540.<br />

(68) Cass. civ., 5 aprile 1986, n. 2368, cit.


Scritti di Diritto Civile 183<br />

sarcitoria come un debito di valore, calcola gli interessi sull’ammontare<br />

rivalutato.<br />

L’eccesso di indennizzo cui ciò dà luogo, è sotto gli occhi di tutti.<br />

Esso si concreta nel supporre dovuto l’ammontare rivalutato<br />

nientemeno che dall’illecito o dalla domanda, invece che come risultato<br />

dalla quantificazione finale che ha luogo con la sentenza di<br />

secondo grado.<br />

Ciò appare contro ogni logica.<br />

Non diversamente da chi calcola gli interessi sul danno stimato<br />

in base ai valori correnti alla decisione che pure equivale a supporre<br />

un tale indennizzo dovuto fin dalla costituzione in mora di tale<br />

ammontare.<br />

Si deve aggiungere, in linea di principio, che il sommare gli interessi<br />

alla rivalutazione – come si rilevò – si traduce nel calcolare interessi<br />

reali ex post pari al 5%.<br />

Cioè neppure interessi reali ex antea in tale misura, come sarebbe<br />

più giustificato, dall’art. 1225 c.c., per il quale il tasso di inflazione<br />

dovrebbe risarcirsi nel limite della sua prevedibilità. Ciò viene<br />

giustificato attraverso la forzatura inaccoglibile che la inadempienza<br />

moratoria sarebbe sempre dolosa e non colposa (69) .<br />

Codesti calcoli imperniati sugli interessi reali, non hanno alcuna<br />

base normativa perché l’altezza del saggio legale concerne i soli interessi<br />

nominali che risultano così ingigantiti sovvertendosi il tasso<br />

stabilito dall’art. 1284 c.c. (70) .<br />

Non sembra parimenti accettabile, per le medesime ragioni, l’opinione<br />

più moderata che calcola gli interessi sul capitale via via rivalutato<br />

invece che su quello oggetto della rivalutazione ultima.<br />

Questo criterio a differenza di quello precedente preserva il carattere<br />

periodico dell’obbligazione degli interessi, mentre quella precedente<br />

si limitava a rispettare solo la caratteristica proporzionale.<br />

Anche questo metodo tuttavia viola il divieto di anatocismo, che<br />

è principio di fondo nel nostro ordinamento.<br />

A maggior ragione non si conviene nell’opinione che rivaluta gli<br />

interessi monetari.<br />

(69) Da ultimo M. EROLI, Nominalismo e risarcimento nei debiti di valuta, in Giur.<br />

it., 1986, I, c. 1394.<br />

(70) In tal modo viene fatta un’operazione normativa in contrasto col dato testuale.


184 Scritti di Diritto Civile<br />

Lo scritto è stato richiamato da:<br />

DE LORENZI, Obbligazioni, parte generale, sintesi di informazione, Riv. dir.<br />

civ., 1990, p. 262, nota a Cass. civ., 10 settembre 1990, n. 9311, in Giust. civ.,<br />

1991, p. 1528; P. CENDON, Indice bibliografico e commento al codice civile,<br />

Torino 1991, p. 2320.<br />

Altri scritti dell’autore sullo stesso argomento:<br />

– «In tema di indennizzo e lucro del creditore: a proposito di interessi e rivalutazione<br />

monetaria», in Foro Italiano 1988, I, 2318 e in L’Espressione monetaria<br />

nella responsabilità civile, Cedam 1994, p. 341.<br />

– «A proposito del lucro del creditore nel risarcimento del danno in genere, sul<br />

tema degli interessi e della rivalutazione monetaria», in Foro Italiano 1989,<br />

I, p. 1988 e ss. e in L’Espressione monetaria nella responsabilità civile, Cedam<br />

1994, p. 349.<br />

– «Sul carattere moratorio degli interessi nel risarcimento del danno», in Responsabilità<br />

Civile e Previdenza 1990, II, p. 97 e ss. e in L’Espressione monetaria<br />

nella responsabilità civile, Cedam 1994, p. 353.


Sulle conseguenze dell’aumento<br />

del tasso legale di interesse<br />

1. – Il recente aumento dell’interesse legale al dieci per cento introduce<br />

un notevole fattore di chiarezza intorno a come si debba risarcire<br />

il danno da mora nelle obbligazioni pecuniarie ed in ispecie<br />

cosa si debba intendere per «maggior danno» ai sensi dell’art. 1224,<br />

2° comma, c.c. Tale aumento è destinato altresì a contribuire, in<br />

modo decisivo, alla revisione critica di alcune opinioni correnti,<br />

come quella che classifica il debito di risarcimento quale debito di<br />

valore e così finisce per cumulare la rivalutazione monetaria e l’interesse<br />

legale, ingigantendone il risultato.<br />

La miglior bussola di orientamento, in questa materia, è costituita<br />

dal confine tra il mero indennizzo ed il lucro del creditore, rispetto<br />

all’interesse, basato sul quod plerumque accidit. Ogni soluzione<br />

che trasmodi nel lucro del danneggiato, invece di procurargli<br />

il solo risarcimento, non può che apparire erronea (1) .<br />

Da «Il Foro italiano», 1991, I, p. 873 e ss. e da «L’Espressione monetaria nella responsabilità<br />

civile», Cedam 1994.<br />

Lo scritto annota la seguente massima:<br />

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 12.3.1990, n. 2013, Pres. Vela, Est. Lipari, P.M. Donnarumma,<br />

(Concl. diff.); Oratorio Salesiano c/ ANAS: «Il danno da svalutazione non discende automaticamente<br />

ed immediatamente dall’inflazione invocata in giudizio come fatto notorio, ma va<br />

ravvisata, caso per caso, nel pregiudizio patito in concreto da quel determinato creditore per<br />

non aver potuto disporre tempestivamente della somma al tempo dell’adempimento».<br />

(1) G. VALCAVI, Indennizzo e lucro del creditore nella stima del danno, in Quadrimestre,<br />

1986, pp. 681 ss.; nonché dello stesso autore, L’indennizzo del mero lucro cessante,<br />

come criterio generale di risarcimento del danno da mora nelle obbligazioni pecuniarie,<br />

in Foro it., 1990, I, p. 2220; Le obbligazioni divisa straniera, il corso di cambio ed il maggiore<br />

danno da mora, id., 1989, I, p. 1210; In tema di indennizzo e lucro del creditore: a<br />

proposito di interessi e di rivalutazione monetaria, id., 1988, I, p. 2318.


186 Scritti di Diritto Civile<br />

L’intervenuto aumento dell’interesse legale acquista, sul piano<br />

pratico, il rilievo di prezioso banco di prova della correttezza delle<br />

opinioni correnti e dei risultati di calcolo, cui esse approdano. In<br />

questo senso si deve qui ricordare la motivazione posta a base dell’orientamento<br />

giurisprudenziale che (quando ancora il tasso legale<br />

era fermo al 5%) escluse il cumulo della rivalutazione e dell’interesse<br />

legale nel risarcimento del danno da mora nelle obbligazioni<br />

pecuniarie (2) .<br />

Cominciamo col dire che, al giorno d’oggi, il «maggior danno da<br />

mora» non può essere individuato nel differenziale tra tasso legale<br />

e tasso inflazionistico. Infatti, l’interesse legale è ora pari al 10% e<br />

perciò supera la percentuale di svalutazione monetaria, che è pari<br />

solo al 6,50%, così che non può farsi riferimento a questa per individuare<br />

«il maggior danno» rispetto all’interesse legale. Da questo<br />

punto di vista, appare ultronea anche la suddivisione dei creditori<br />

in diverse categorie economiche; e tra queste appare superata quella<br />

del mero consumatore, che consentirebbe di fare riferimento al<br />

tasso di inflazione.<br />

In ultima analisi, l’intervenuto aumento del tasso di interesse<br />

conferma la giustezza di quell’orientamento che – come si è detto –<br />

esclude il cumulo della rivalutazione monetaria e dell’interesse legale.<br />

Codesto cumulo condurrebbe, infatti, ad un rendimento complessivo<br />

pari al 16,50% (sommando il tasso di inflazione, pari al<br />

6,50%; e l’interesse legale del 10%), molto al di sopra del normale<br />

rendimento del danaro. Quest’ultimo è pari ora al 12,50% lordo per<br />

i BOT (10,75% netto), mentre quello dei certificati bancari è pari<br />

al 10,625% (netto 7,97%) e quello medio dei depositi bancari è addirittura<br />

del 6,70% lordo (4,70% netto).<br />

La percentuale del 16,50%, che deriverebbe dal cumulo della rivalutazione<br />

e dell’interesse legale, risulterebbe superiore perfino al<br />

prezzo normale dei prestiti bancari, che è pari al 13% per il primerate<br />

ed al 14,69% per i prestiti di maggiore rischio. Senza dimenticare<br />

che tali tassi attivi sui prestiti bancari vanno decurtati altresì<br />

dell’incidenza delle imposte.<br />

(2) Cfr. Cass, Sez. un., 1° dicembre 1989, n. 7299, Foro it., 1990, I, p. 427, con<br />

nota di PARDOLESI e commento di DI MAJO, Interessi e svalutazione tra risparmiatori<br />

e pensionati.


Scritti di Diritto Civile 187<br />

La decisione, adottata al tempo in cui il tasso legale era fermo al<br />

5%, mostra tutti i suoi limiti e non appare accettabile laddove reputa<br />

che il maggior danno vada individuato caso per caso, a seconda<br />

delle categorie alle quali i creditori apparterrebbero (3) . A dir<br />

poco, non sembra che possa distinguersi, ad esempio, tra consumatore<br />

o creditore occasionale e risparmiatore. Ogni creditore, del resto,<br />

pretenderà legittimamente di fruire dell’interesse legale del<br />

10%, che funge da indennizzo, presunto iuris et de iure, salvo il<br />

maggior danno.<br />

2. – L’intervenuto aumento del tasso legale di interesse costituisce –<br />

a mio modo di vedere – anche la riprova di quanto sia fondata l’opinione<br />

che individua il maggior danno ex art. 1224, 2° comma, nel<br />

differenziale tra esso e quello maggiore corrente sul mercato. II<br />

complessivo danno moratorio va infatti qui identificato nel normale<br />

lucro cessante che il creditore conseguirebbe da un investimento<br />

liquido (e che liquido si voglia far rimanere): appunto l’interesse,<br />

secondo il quod plerumque accidit (4) .<br />

Non può negarsi rilievo, da questo angolo di visuale, al fatto che<br />

l’aumento dell’interesse legale dal 5% al 10% ha ridotto l’ampiezza<br />

precedente del maggior danno. Portando l’interesse legale a misura<br />

più vicina a quello di mercato, il legislatore si è proprio prefisso<br />

di diminuire il differenziale di cui si è detto e che aveva dato luogo<br />

a così gravi controversie. Lo scarto esistente è ora pari al 2,50%,<br />

invece del precedente 7,50%, comparando il mutato tasso legale al<br />

rendimento lordo dei BOT, pari al 12,50%.<br />

La decisione in rassegna esclude, in obiter, un riferimento del<br />

genere perché – a suo dire – esso comporterebbe «un’operazione<br />

normativa» di aumento del tasso legale, in modo da ragguagliarlo<br />

(3) Cfr. tra le altre, Cass., Sez. un., 5 aprile 1986, n. 2368, Foro it., 1986, I, p. 1265,<br />

con osservazioni di PARDOLESI, Le Sezioni Unite su debiti di valuta e inflazione: orgoglio<br />

(teorico) e pregiudizio (economico).<br />

(4) V. le note di VALCAVI, L’indennizzo del mero lucro cessante, come criterio generale,<br />

cit.; Ancora sul risarcimento del maggior danno da mora delle obbligazioni pecuniarie:<br />

interessi di mercato o rivalutazione monetaria, in Foro it., 1986, I, p. 1540; Rivalutazione<br />

monetaria od interesse di mercato?, id., 1980, I, p. 118; La stima del danno nel<br />

tempo, con riguardo all’inflazione, alla variazione dei prezzi e all’interesse monetario, in<br />

Riv. dir. civ., 1981, II, p. 332.


188 Scritti di Diritto Civile<br />

a quello di mercato. Una siffatta affermazione non appare accettabile<br />

perché il riferimento al tasso corrente sul mercato è compiuto,<br />

come deve essere, in via di presunzione semplice (e perciò non<br />

iuris et de iure). Toccherà ovviamente al debitore offrire la prova<br />

contraria che il creditore non avrebbe investito in BOT, ma in modo<br />

diverso, ad esempio in depositi o certificati bancari che presentano<br />

un rendimento inferiore. Il «maggior danno» potrà invece calcolarsi<br />

sulla base del costo di rimpiazzo del danaro e cioè sotto il<br />

profilo di danno emergente (prime-rate o maggior interesse pagato),<br />

ove sia dimostrato il ricorso ai prestiti bancari. Esso andrà decurtato,<br />

peraltro, dell’incidenza sul reddito, quale costo fiscalmente<br />

deducibile.<br />

3. – Passiamo ora a vedere quali conseguenze siano ipotizzabili, a<br />

seguito dell’aumento dell’interesse legale, per il caso in cui il debitore<br />

sia in mora, nel prestare moneta straniera.<br />

Questo debito può essere classificato, secondo l’opinione dominante<br />

in dottrina, come «corso valore» o «corso effettivo».<br />

Cominciamo dall’obbligazione in moneta straniera corso-valore,<br />

regolata dall’art. 1278 c.c. In questo caso il debitore in mora dovrà<br />

prestare ove scelga di farlo in moneta nazionale – l’importo corrispondente<br />

al corso di cambio alla scadenza del debito. A questo dovrà<br />

aggiungere l’eventuale differenziale di cambio, rispetto al corso<br />

al momento del pagamento, tra moneta straniera in rialzo, in cui il<br />

creditore dimostri avrebbe cambiato, e il normale rendimento proprio<br />

di quest’ultima (5) .<br />

Per quanto riguarda, invece, l’obbligazione in moneta straniera<br />

corso-effettivo, c’è da chiedersi se debba applicarsi il nuovo interesse<br />

legale, pari al 10%.<br />

Non sembra a chi scrive che possa sostenersi un tal partito, perché<br />

il nostro tasso legale di interesse concerne esclusivamente la moneta<br />

nazionale e non anche quella straniera. Per quest’ultima dovrà<br />

farsi riferimento – come si è detto – al normale lucro cessante, pro-<br />

(5) Cfr., sempre dello stesso autore, Il corso di cambio e il danno da mora nelle obbligazioni<br />

in moneta straniera, in Riv. dir. civ., 1985, II, p. 251; Le obbligazioni in divisa<br />

straniera, cit.; In materia di liquidazione del danno di uno straniero, in Foro it.,<br />

1989, I, p. 1619.


Scritti di Diritto Civile 189<br />

prio di quest’ultima. L’applicazione del nostro tasso di interesse, anche<br />

alle monete straniere, procurerebbe un lucro evidente al creditore<br />

della moneta in rialzo, perché il corso di cambio corrente tiene<br />

già conto del differenziale degli interessi monetari.<br />

L’aggiunta del nostro interesse del 10% alla moneta straniera, invece<br />

di quello suo proprio, eventualmente minore, potrebbe peccare<br />

per eccesso e provocare effetti distorsivi anche in ordine al rapporto<br />

di cambio considerato.<br />

4. – Esaminiamo ora le conseguenze dell’aumento del tasso legale<br />

di interesse in materia di crediti di lavoro.<br />

L’opinione corrente reputa che questi crediti siano indicizzati al<br />

costo del vita e vadano altresì aggiunti gli interessi legali, da calcolarsi<br />

addirittura sul capitale rivalutato, con un risultato complessivo<br />

pari al 16,50% o addirittura al 17,15%, notevolmente al di sopra<br />

del normale rendimento o costo di rimpiazzo del danaro. È stato<br />

recentemente sostenuto che codesto trattamento non implicherebbe<br />

la mora del debitore e questa, ove ricorresse, darebbe luogo<br />

altresì all’ulteriore risarcimento del danno da mora (6) .<br />

Tali opinioni vanno assoggettate a revisione critica sulla base del<br />

banco di prova costituito dal confine tra l’indennizzo ed il lucro,<br />

quanto a conseguenze economiche. Si deve notare, anzitutto, che il<br />

combinato disposto degli art. 429, 3° comma, c.p.c. e 150 disp. atto<br />

c.p.c. è nato in un clima economico (assolutamente diverso da quello<br />

attuale), con inflazione a due cifre, mentre l’interesse legale era<br />

fermo al 5% e cioè ad un tasso di gran lunga inferiore a quello inflazionistico.<br />

Il precetto di cui all’art. 429, 3° comma, era perciò finalizzato<br />

a garantire al creditore comunque il maggior tasso inflazionistico<br />

rispetto all’interesse legale.<br />

A suo tempo chi scrive rilevò che l’orientamento dominante,<br />

che cumulava la rivalutazione e l’interesse legale, non poteva<br />

giudicarsi corretto e che il credito poteva essere rivalutato solo<br />

per la parte che superasse l’altezza dell’interesse legale. Nel caso<br />

in cui la norma avesse prescritto un cumulo del genere, avrebbe<br />

contemplato l’aggiunta, al capitale nominale, dell’interesse le-<br />

(6) Cfr. MASSETANI, Sui rapporti tra art. 1224 c.c. e art. 429, 3° comma, c.p.c., in<br />

Foro it., 1990, I, p. 3434.


190 Scritti di Diritto Civile<br />

gale e del «danno» (non del maggior danno) per la perdita del<br />

valore del credito (7) .<br />

Deve escludersi, a fortiori, il computo dell’interesse legale sul capitale<br />

rivalutato, perché la norma, in questo caso, avrebbe previsto,<br />

in primis, il risarcimento del danno per la perdita del valore del credito<br />

e solo successivamente il computo degli interessi legali. All’opposto<br />

l’art. 429, 3° comma, contempla l’aggiunta dell’interesse legale,<br />

come prima cosa, e solo successivamente la liquidazione dell’eventuale<br />

«maggior danno» per la perdita di valore del credito.<br />

Non pare possa condividersi altresì l’opinione che si tratti di un<br />

credito indicizzato addirittura svincolato dalla mora, il cui ristoro andrebbe<br />

perfino aggiunto. È un dato di fatto che il cumulo di interessi<br />

legali e di rivalutazione metterebbe in tutta evidenza l’incostituzionalità<br />

dell’art. 429, 3° comma. In effetti, si avrebbe un’ingiustificata<br />

disparità di trattamento del creditore di salario arretrato a scapito di<br />

quello corrente, per il quale è nota la tendenza alla progressiva eliminazione<br />

dell’aggancio alla scala mobile. Codesto trattamento metterebbe<br />

capo, infatti, ad una disuguaglianza tra lavoratore e lavoratore<br />

e tra questo e il pensionato, ed in genere ogni altro creditore.<br />

Ovviamente, le medesime considerazioni valgono anche per<br />

quelle norme similari che contemplano un cumulo analogo di rivalutazione<br />

ed interessi: è il caso dei crediti di professionisti e, più in<br />

genere, di lavoratori autonomi (8) .<br />

5. – Passiamo a vedere, da ultimo, quali conclusioni si debbano<br />

trarre dal predetto aumento dell’interesse legale a proposito del risarcimento<br />

del danno in genere.<br />

L’opinione corrente rivaluta il credito ed aggiunge altresì l’interesse<br />

legale, calcolato addirittura sul capitale rivalutato. Ciò mette<br />

capo alla percentuale annua del 17,15% (sui dati odierni), che pro-<br />

(7) Cfr. VALCAVI, La stima del danno nel tempo, con riguardo all’inflazione, cit.,<br />

p. 349 ss.<br />

(8) Così, tra le altre, la disposizione comune alle tariffe di avvocato e procuratore, di<br />

cui al D.M. 24 novembre 1990 n. 392.<br />

Con riguardo all’art. 429 c.p.c., di «quasi inevitabile… denuncia di illegittimità costituzionale…,<br />

data la sua palese (sopravvenuta) arbitrarietà» da nuovo tasso legale<br />

parla E. QUADRI, Commento all’art. 1 legge 26 novembre 1990 n. 353, in Corriere<br />

giur., 1991, pp. 12, 19.


Scritti di Diritto Civile 191<br />

cura al danneggiato un vistoso lucro e non il mero ristoro. Sotto<br />

questo profilo l’aumento del tasso legale d’interesse costituisce la<br />

migliore riprova dell’erroneità del metodo comunemente accettato<br />

e delle sue giustificazioni.<br />

A proposito di queste ultime, la classificazione del credito del risarcimento<br />

come credito di valore e non di valuta, non appare accettabile<br />

sul piano dogmatico, per quanto l’autore di queste righe<br />

ebbe a scrivere nei contributi ai quali rinvia (9) , e per le riserve al riguardo,<br />

di recente, delle medesima Suprema Corte.<br />

Quest’ultima, nella sua decisione n. 6209 del 20 giugno 1990<br />

(Foro it., 1990, I, p. 2808) ha testualmente scritto, in proposito:<br />

«nessuno vuol negare l’origine empirica e casistica della categoria<br />

del credito di valore che, sebbene osteggiata dal punto di vista concettuale,<br />

continua a dimostrare una notevole capacità espansiva»,<br />

per la sua comodità pratica di strumento di conto. Appare, qui, oltremodo<br />

significativo il fatto che il Supremo collegio si è guardato<br />

dal prendere le difese di codesta categoria, sul piano dogmatico, salvo<br />

suggerire un metodo di computazione molto macchinoso, dato<br />

che l’indennizzo va rivalutato di anno in anno e gli interessi devono<br />

essere calcolati sul capitale via via rivalutato (10) .<br />

Parimenti inaccettabile è l’altra giustificazione offerta del cumulo,<br />

che parte dalla corretta distinzione tra danno da illecito e da inadempienza<br />

(da stimarsi con riferimento al tempo del suo accadimento,<br />

escludendo quello alla decisione) e quello successivo per la<br />

diseconomia causata dal ritardo (con cui l’indennizzo viene prestato)<br />

e tuttavia dà ingresso alla rivalutazione monetaria, perché ripristinerebbe<br />

la situazione patrimoniale anteriore all’evento dannoso,<br />

con l’aggiunta dell’interesse, che indennizzerebbe la diseconomia<br />

per il ritardo.<br />

(9) Cfr. VALCAVI, Il tempo di riferimento nella stima del danno, in Riv. dir. civ., 1987,<br />

II, p. 31; In materia di criteri di liquidazione del danno in genere e di interessi monetari,<br />

in Foro it., 1990, I, p. 933; Ancora sul risarcimento del maggior danno da mora, cit.; Riflessioni<br />

sui c.d. crediti di valore, sui crediti di valuta e sui tassi di interesse, id., 1981, I,<br />

2112; Indennizzo e lucro del creditore nella stima del danno, in Quadrimestre 1986.<br />

(10) All’opposto, il riferimento al normale rendimento del denaro, si presenta molto<br />

più agevole in quanto il giudice può riferirsi ai dati degli accordi interbancari in vigore,<br />

sempre in via presuntiva, e con la facoltà di ricorrere a criteri equitativi, ex art. 1226 c.c.<br />

e 2056, 2° comma, c.c.


192 Scritti di Diritto Civile<br />

Queste proposizioni sono viziate dall’errore di fondo di non avvedersi<br />

che i due rimedi, in ultima analisi, sono chiamati a risarcire<br />

il medesimo danno, che proviene dal ritardo. Infatti, una volta<br />

che si sia correttamente fissato l’indennizzo puntuale al momento<br />

del verificarsi del danno, la successiva rivalutazione e l’interesse<br />

tendono entrambi ad eliminare la posteriore diseconomia per il ritardo<br />

con cui l’indennizzo di base viene prestato.<br />

In questa materia, occorre fare riferimento alla regola di fondo<br />

del quod interest secondo il quod plerumque accidit. Non sembra,<br />

al riguardo, che si possa di norma supporre che il danneggiato<br />

avrebbe ad un tempo acquisito o conservato nel suo patrimonio il<br />

bene non prestato o tolto (così da giustificare l’attualizzazione del<br />

suo valore) e mantenuto anche la disponibilità dell’equivalente pecuniario<br />

(così da fruire del suo rendimento) durante il ritardo.<br />

Nel nostro sistema non è ipotizzabile un credito indicizzato, perché<br />

l’indicizzazione non è contemplata da alcuna norma. Tanto meno<br />

può giustificarsi il cumulo di rivalutazione e di interesse legale, sulla<br />

base di un generico ricorso all’«equità», come ha fatto la citata sentenza<br />

6209/90, perché all’opposto la percentuale richiamata del<br />

17,15% all’anno procura al danneggiato un lucro ed evidenzia una<br />

disparità di trattamento nei confronti di ogni altro creditore.<br />

La soluzione del problema di fondo, in materia di risarcimento<br />

del danno in genere, passa attraverso la giusta distinzione dei due<br />

diversi tipi di danno: il danno da illecito o da inadempienza e quello<br />

posteriore, dipendente dal ritardo con cui è prestato l’indennizzo.<br />

Il primo danno dev’essere stimato con riferimento al valore del<br />

bene non prestato o tolto, nel momento in cui l’evento dannoso si<br />

verifica e non al tempus rei iudicandae, come in passato è stato sostenuto<br />

da molti. Il diverso danno da ritardo nel prestare l’indennizzo<br />

è stato correttamente identificato «nella perdita della utilitas<br />

che il creditore avrebbe tratto dalla somma di danaro originariamente<br />

dovuta». Il risarcimento di questo particolare danno richiama<br />

l’applicazione dell’art. 1224, 1° e 2° comma, che va applicato<br />

ad ogni obbligazione pecuniaria, sia essa liquida o illiquida, come<br />

quella in esame. Anche l’indennizzo di un’obbligazione illiquida riguarda<br />

«la perdita della utilitas che il creditore avrebbe tratto dalla<br />

somma originariamente dovuta», e cioè il lucro cessante di un<br />

credito pecuniario, quale in definitiva è anche quello illiquido.


Scritti di Diritto Civile 193<br />

Per concludere, appare evidente l’erroneità del cumulo di rivalutazione<br />

e di interesse legale (a maggior ragione, se addirittura calcolato<br />

sul credito rivalutato). Occorre piuttosto metter capo all’interesse<br />

legale del 10%, integrato del maggior danno di cui al 2°<br />

comma dell’art. 1224, da individuarsi nel differenziale rispetto al<br />

normale rendimento o costo del danaro.<br />

Lo scritto è stato richiamato da:<br />

R. PARDOLESI, Crediti previdenziali, tutela differenziale e punitive damage,<br />

Foro it., 1991, I, p. 1324; A. TODARO, La rivalutazione delle prestazioni di previdenza<br />

sociale, Giust. civ., 1991, I, p. 2887, nota 13; R. CARANTA, La rivalutazione<br />

automatica dei crediti previdenziali: un arret de reglement della Corte<br />

Costituzionale, in Resp. civ. e previdenza, 1991, p. 444, note 3 e 15; G. D’AJET-<br />

TI, R. FRASCA, E. MANZI, C. MIELE, La riforma del processo civile, il giudice<br />

di primo grado, Milano 1991, I, p. 7, 9; P. TARTAGLIA, Il modesto consumatore<br />

va in pensione…, Foro it., 1991, I, 1331, nota 16; B. INZITARI, Le riforme<br />

della giustizia civile, Torino 1993, p. 21, nota 26.


Il problema dei crediti di valuta,<br />

dei crediti di valore e degli interessi monetari,<br />

all’avvento dell’Euro<br />

1. – Il recente ingresso del nostro paese nel sistema monetario europeo<br />

con le conseguenze, molto a breve, della sostituzione della nostra<br />

vecchia «lira» (1) con la moneta unica, nominata Euro, pone in<br />

una luce completamente nuova i problemi sin qui trattati delle obbligazioni<br />

pecuniarie con riguardo ai tassi d’interesse e all’inflazione<br />

monetaria.<br />

Esso induce una radicale revisione di molte idee sin qui correnti,<br />

come quella anche attualmente imperante della distinzione tra<br />

crediti di valuta e crediti di valore e d’interessi compensativi, a fianco<br />

di quelli corrispettivi e moratori.<br />

L’avvento dell’Euro conduce a vedere in termini totalmente diversi<br />

da quelli in essere il problema del danno moratorio della nostra<br />

moneta, specie con riguardo alle altre divise dei paesi facenti<br />

parte del sistema monetario europeo e così fa venir meno il differenziale<br />

di cambio e dei rispettivi interessi, come danno di mora.<br />

L’autore di queste righe, sin dal lontano 1980 (2) attraverso una<br />

lunga serie di scritti, pubblicati periodicamente sulle riviste giuridiche,<br />

è autore della opinione, rimasta sin qui isolata, che la categoria<br />

dei crediti di valore non è fondata sul piano dogmatico e non<br />

ha alcuna giustificazione in quello economico.<br />

Da «Rivista di Diritto Civile» 1999, II, p. 469 e ss.<br />

(1) I paesi aderenti al Trattato di Maastrich sono oltre al nostro paese, la Germania, la<br />

Francia. il Belgio, l’Olanda, il Lussemburgo, la Spagna, il Portogallo, la Finlandia, l’Austria<br />

e l’Irlanda.<br />

(2) G. VALCAVI, Rivalutazione monetaria o interessi di mercato, in Foro it., 1980,<br />

I, c. 118.


196 Scritti di Diritto Civile<br />

Essa si riduce in definitiva ad un normale credito di valuta, che<br />

comprende ogni obbligazione che è espressa e deve estinguersi in<br />

danaro, come tale fungibile e versatile ad ogni impiego.<br />

Il mezzo attraverso il quale la prestazione di una quantità di moneta<br />

viene adeguata nel tempo, secondo gli economisti, è l’interesse<br />

monetario, che copre la minore utilità di una prestazione di denaro<br />

differita nel tempo rispetto alla medesima a pronti, per la nostra<br />

preferenza nei confronti di una prestazione immediata rispetto<br />

alla stessa che fosse differita (utilitas temporis, time preference) (3) .<br />

L’interesse monetario si articola in una serie composita, quali<br />

sono gli interessi legali, quelli convenzionali, gli interessi corrispettivi<br />

e moratori, a tacere della marginale ipotesi d’interessi<br />

compensativi (4) .<br />

I tassi d’interesse e il loro ammontare, è altrettanto noto, sono<br />

parimenti diversi, com’è quello legale, di sconto, di mercato, sui risparmi<br />

e sui prestiti (tra questi ultimi il tasso lombard, il primerate,<br />

il top-rate e così via).<br />

Il tasso legale è quello fissato dalla legge (art. 1284, co. 1° c.c.)<br />

nei rapporti di diritto privato, ed è posto a carico presuntivamente<br />

del debitore verso il creditore.<br />

Il tasso di mercato è il costo o il rendimento normale del denaro<br />

che è quello abitualmente stabilito dal mercato, attraverso i suoi intermediari<br />

e i loro strumenti e corrisponde all’id quod interest secondo<br />

il quod plerumque accidit degli antichi romani (c.d. tasso di<br />

mercato).<br />

Esso non è determinato dalla legge ma dal mercato, sulla base<br />

dei diversi volumi e fattori che condizionano la domanda e l’offerta<br />

e così, tra l’altro, l’esservi maggiore o minore liquidità e il tasso<br />

d’inflazione monetaria.<br />

In un mercato caratterizzato da un’elevata liquidità, l’interesse<br />

di mercato sarà ovviamente minore quanto maggiore è la quantità<br />

di denaro che i risparmiatori offrono agli investitori.<br />

(3) BOHM-BAWERK, The positive theory of capital, London, 1891, p. 249 ss.; I.<br />

FISHER, La teoria dell’interesse determinata dalla impazienza di spendere il reddito<br />

e dalla opportunità di investirlo, in Opere, Torino, 1974, p. 799 ss., p. 814 ss., p. 836<br />

ss., p. 854 ss.<br />

(4) G. VALCAVI, Il problema degli interessi monetari nel risarcimento del danno, in<br />

Resp. civ. prev., 1987, I, p. 3 ss.


Scritti di Diritto Civile 197<br />

All’opposto, in quello caratterizzato da scarsa liquidità, come accade<br />

nelle fasi di recessione, l’interesse sarà maggiore, perché la domanda<br />

degli investitori è superiore alla offerta dei risparmiatori.<br />

Analogamente l’interesse sarà più elevato normalmente nei periodi<br />

di accentuata inflazione e della conseguente propensione degli operatori<br />

a domandare maggiori prestiti di moneta, da convertire in<br />

beni reali, cercando di mettere il risparmio al riparo della erosione<br />

inflazionistica.<br />

A seconda del fatto che il tasso legale sia inferiore a quello di<br />

mercato o al tasso di inflazione, si pone il problema dei rispettivi<br />

differenziali.<br />

La copertura di codesto differenziale, nel caso della mora, rientra<br />

nel «maggiore danno da mora» previsto e disciplinato dal legislatore<br />

con l’art. 1284 c.c.<br />

Un discorso a sé che merita approfondimento è quello dei rapporti<br />

tra tasso di svalutazione della moneta e interesse di mercato,<br />

su cui indugeremo oltre.<br />

Occorre ora dire che il tasso legale di interesse, per oltre ottanta<br />

anni, dal 1905 sino al 1990 venne fissato dal nostro ordinamento<br />

nella misura del 5% e questa fu motivata dal fatto<br />

che l’antico legislatore la ebbe a giustificare con il fatto che essa<br />

corrispondeva al tasso di interessi sui crediti, praticato per 150<br />

anni, dall’epoca napoleonica in poi, sulle principali piazze finanziarie<br />

europee (5) .<br />

Successivamente dalla fine del 1990 a quella del 1996 esso fu<br />

elevato al 10% (6) , per poi ritornare al 5%, dall’inizio del 1997 alla<br />

fine del 1998 (7) .<br />

A partire dal 1° gennaio 1999 esso fu ridotto al 2,50% annuo.<br />

2. – Il secolo in cui ci siamo trovati a vivere ha avuto al suo epicentro<br />

le conseguenze economiche e giuridiche, che sono derivate alla<br />

(5) La relazione ministeriale al codice civile ebbe a motivare il mantenimento del saggio<br />

legale al 5% col fatto che esso corrispondeva al tasso ufficiale di sconto fermo a quella<br />

misura dal 1905. Sul saggio legale si era svolta un’ampia discussione al Consiglio di<br />

Stato francese sugli art. 1153 e 1907 del codice napoleonico nelle sedute dell’11 brumaio<br />

e 7 piovoso dell’anno XII°. Sul codice 1865, la Relazione Pisanelli al Senato sul libro III.<br />

(6) V. art. 11, 26 novembre 1990, n. 353.<br />

(7) V. art. 185.1, 23 dicembre 1996, n. 662.


198 Scritti di Diritto Civile<br />

nostra moneta dalla inflazione, che è stata ora strisciante, ora galoppante,<br />

fino a trasmodare nella iperinflazione (8) .<br />

Possiamo distinguere due diversi tipi di fenomeni inflazionistici.<br />

Il primo è stato quello caratterizzato dalla caduta del potere di<br />

acquisto della moneta, quale si ebbe negli anni trenta (9) , e durante<br />

l’ultima guerra mondiale (10) , contro bilanciato da un rialzo notevole<br />

degli interessi di mercato che nel medio periodo finì per andare a<br />

pareggiare i tassi inflazionistici.<br />

Il secondo è stato invece quello verificatosi da noi nel periodo dal<br />

1979 al 1983, allorché si è avuto l’insolito accoppiarsi di una elevata<br />

inflazione ad oltre il 17% e di una rilevante liquidità per la propensione<br />

degli operatori a non investire in beni reali ed a conservare<br />

i loro averi in forma liquida, malgrado la perdita inflazionistica<br />

(stag flazione, slump flazione), che si è tradotta in tassi di interesse<br />

sui risparmi bancari, al di sotto del tasso di inflazione, al 10% (11) .<br />

In quest’ultimo periodo in definitiva i tassi di svalutazione si<br />

sono mantenuti al di sopra degli interessi di mercato, che non hanno<br />

recuperato la perdita, per il permanere della liquidità.<br />

Successivamente negli anni che vanno dal 1986 al 1992 la inflazione<br />

si è stabilizzata a livelli tra il 5% e il 6%.<br />

In questi anni, anche a causa del crescente indebitamento dello<br />

Stato con le sue emissioni di titoli pubblici, i tassi di interesse sui risparmi<br />

bancari si sono mantenuti notevolmente al di sopra di quelli<br />

dell’inflazione.<br />

Infatti nel periodo 1986-1992, con un tasso ufficiale di sconto<br />

mantenutosi intorno al 13%, i tassi sui depositi bancari sono oscillati<br />

tra il 9,5% e il 7,5%, quelli sui Buoni ordinari del Tesoro a 12<br />

mesi tra il 13% e il 14%, quelli sugli impieghi tra il 15% e il 12%<br />

(8) Tra gli altri, TREVITHICK, Inflazione, Milano, 1979, pp. 17-23; RUOZI, Inflazione,<br />

risparmio e aziende di credito, Milano, 1973 p. 439 ss.; KEYNES, Teoria generale<br />

dell’occupazione, dell’interesse della moneta, Torino, 1978, p. 477 ss. Vedi altresì G. VAL-<br />

CAVI, La stima del danno nel tempo con riguardo all’inflazione, alla variazione dei prezzi<br />

e all’interesse monetario, in Riv. dir. civ., 1981, II, p. 332 ss.<br />

(9) Negli anni tra il 1936 e il 1940 la inflazione crebbe dell’80%.<br />

(10) Il potere di acquisto della lira durante l’ultima guerra dal 1941 al 1945 scese dall’indice<br />

1038 a 44,80.<br />

(11) V., sul così detto effetto di Harrod, in RUOZI, op. cit., p. 538 ss.; vedi G. VAL-<br />

CAVI, La stima del danno nel tempo con riguardo all’inflazione, alla variazione dei patti<br />

e all’interesse monetario, in Riv. dir. civ., 1981, II, p. 332 ss.


Scritti di Diritto Civile 199<br />

a fronte di una inflazione in quegli anni attestata, come si è detto,<br />

tra il 5% e il 6%.<br />

Negli ultimi tre anni 1996-1998 a fronte di una inflazione caduta<br />

dal 3,9% all’1,5%, i tassi di interesse sono parimenti rimasti molto<br />

al di sopra di essa pur essendo il tasso ufficiale di sconto sceso<br />

dall’8% da ultimo al 3%, i rendimenti sui B.O.T. a 12 mesi dal 7%<br />

al 3,20%, i tassi primari sugli impieghi bancari sono scesi dal<br />

10,5% al 7,5%.<br />

Il discorso che precede conduce ad individuare nell’interesse normale<br />

di mercato l’unico elemento certo sul piano economico, per la<br />

relativa inadeguatezza di tutti gli altri tassi, a cui ancorare il danno<br />

da mora nelle obbligazioni pecuniarie, il cui concetto non deve essere<br />

ridotto alla limitata categoria di quelle liquide dall’origine ma va<br />

estesa anche a quelle che devono essere liquidate da un giudice.<br />

Tale è, come diremo, l’obbligazione di risarcimento del danno,<br />

che non può essere snaturata col classificarla come un credito di<br />

valore, il cui concetto – come diremo – non ha alcun fondamento<br />

dogmatico.<br />

Per obbligazione pecuniaria si devono intendere tutte le obbligazioni<br />

che hanno per oggetto danaro, siano esse liquide dall’origine<br />

o lo divengano a seguito di una decisione.<br />

L’unico danno da mora ipotizzabile per una qualsivoglia obbligazione<br />

pecuniaria, non importa se liquida o illiquida, è che abbia<br />

comunque per oggetto del danaro, il quale è regolato dal principio<br />

del proprio valore nominale, è il lucro cessante (12) .<br />

Il lucro cessante di una obbligazione pecuniaria corrisponde all’interesse<br />

monetario che compensa, secondo criteri di normalità, il<br />

minor valore di una prestazione di danaro differita nel tempo rispetto<br />

ad una a pronti, come abbiamo scritto in precedenza.<br />

Le obbligazioni pecuniarie sono disciplinate in ogni ordinamento<br />

da una consolidata e secolare disciplina, che prevede il risarcimento<br />

del danno da mora.<br />

Sia la nostra legge sia quelle di altri paesi dispongono, oltre all’interesse<br />

legale il «risarcimento del maggior danno da mora» (art.<br />

1224, comma 2° c.c.).<br />

(12) G. VALCAVI, L’indennizzo del mero lucro cessante come criterio generale del<br />

danno da mora nelle obbligazioni pecuniarie, in Foro it., 1990, I, c. 2220.


200 Scritti di Diritto Civile<br />

Negli anni che vanno dalla fine ’70 ai primi ’80, in cui il tasso di<br />

inflazione superava l’interesse monetario, una lontana decisione, rimasta<br />

isolata, assunse il danno da inflazione, come danno emergente<br />

dell’obbligazione di moneta (13) .<br />

Codesta tesi era tuttavia profondamente erronea perché essa violava<br />

il principio nominalistico, codificato dall’art. 1277 c.c., della<br />

moneta, mentre il lucro cessante è l’unico compatibile con essa.<br />

Solo l’indennizzo del lucro cessante oltre a corrispondere a principi<br />

generali di carattere economico (come si è visto in precedenza),<br />

è stato suffragato dalla evoluzione dei tassi di interesse, assai al di<br />

sopra dell’inflazione.<br />

Esso è il criterio guida adottato dalle esemplari e puntuali decisioni<br />

4 luglio 1979, n. 3776 delle nostre Sezioni unite civili (14) e successivamente<br />

ribadito sempre dalle Sezioni unite della Suprema<br />

Corte, 5 luglio 1986, n. 8368 (15) .<br />

Esse hanno correttamente escluso che il danno da mora andasse<br />

identificato nel fenomeno inflattivo, quanto invece «nel presumibile<br />

guadagno monetario, che ogni uomo economico trae dal sistematico<br />

e ripetitivo modo di impiego del danaro tipico della sua categoria<br />

economica», e in particolare dei risparmiatori.<br />

Anche laddove il maggior danno da mora fosse considerato sotto<br />

il profilo del danno emergente la nostra giurisprudenza lo ha correttamente<br />

individuato, data la sua rimpiazzabilità e la sua versatilità<br />

ad ogni impiego, nel costo di sostituzione della prestazione<br />

mancata e cioè nei prestiti bancari.<br />

Ciò costituisce una corretta applicazione dell’onere di evitare il<br />

maggior danno con un comportamento solerte a sensi dell’art.<br />

1227, comma 2° c.c. (16) .<br />

(13) Cass., 30 novembre 1978, n. 5678, in Foro it., 1979, I, c. 15 ss.<br />

(14) Cass., Sez. un., 4 luglio 1979, n. 3776, in Foro it., 1980 I, c. 118.<br />

(15) Vedi G. VALCAVI, Le sezioni unite precisano i criteri da applicare nelle obbligazioni<br />

pecuniarie per il risarcimento dei danni da svalutazione, in Riv. dir. civ.,<br />

1986, II, p. 195.<br />

(16) R. PARDOLESI, Interessi moratori e maggior danno da svalutazione: appunti di<br />

analisi economica del diritto, in Foro it., 1979, I, c. 2622; A. AMATUCCI, Certezza acquisita<br />

e dubbi residui in materia di incidenza della svalutazione monetaria sulla responsabilità<br />

del debitore. in Foro it., 1978, I, c.; 337. Le due decisioni, della Suprema Corte<br />

a Sezioni Unite, indicate in precedenza, differiscono tra loro per la maggiore o minore<br />

ampiezza dei criteri presuntivi che possono essere adottati a prova. In questo medesimo


Scritti di Diritto Civile 201<br />

La evoluzione comparativa dei tassi di interesse e della inflazione<br />

quale è stata descritta in precedenza, ha confermato con la inoppugnabilità<br />

dei fatti accaduti, le opinioni sopra sostenute, che coincidevano<br />

con le conclusioni degli economisti.<br />

Il maggior danno da mora di cui all’art. 1224, comma 2° c.c. si<br />

identificherà in definitiva quanto meno nel differenziale tra l’interesse<br />

legale e il maggiore interesse bancario per i risparmi o come<br />

costo dei prestiti da sopportare dall’imprenditore.<br />

Esso assorbe e compensa anche il danno inflattivo, perché l’interesse<br />

bancario come diceva il famoso economista Wicksell (17) è il supremo<br />

regolatore dei prezzi delle merci, in un mercato qualsiasi.<br />

Queste idee sono state fatte proprie negli ultimi anni, con acume,<br />

dal nostro legislatore attraverso la nuova formulazione dell’art.<br />

1284, co. 1° c.c. a proposito del saggio legale di interesse (che è il<br />

minimo) laddove lo ha fatto dipendere da un provvedimento del Ministro<br />

del Tesoro che di anno in anno lo stabilisce «sulla base del<br />

rendimento medio annuo lordo dei titoli di stato di durata non superiore<br />

a dodici mesi e tenuto conto del tasso di inflazione registrato<br />

nell’anno» (18) .<br />

Esso lascia tuttavia da indennizzarsi il maggior danno da mora<br />

che il creditore possa dimostrare anche con argomenti presuntivi<br />

con l’unico limite di non violare la proibizione dell’interesse usurasenso<br />

dal lontano 1980 ad oggi l’autore di queste righe, si è parimenti mosso attraverso<br />

una lunga serie di scritti sulle principali riviste che hanno annotato le varie decisioni intervenute.<br />

V .G. VALCAVI, Inflazione monetaria o interessi di mercato? in Foro it., 1980,<br />

I, c. 118. La stima del danno nel tempo, con riguardo all’inflazione, alla variazione dei<br />

prezzi e all’interesse monetario, in Riv. dir. civ., 1981, II, p. 332 ss.; Ancora sul risarcimento<br />

del maggior danno da mora nelle obbligazioni pecuniarie: interessi di mercato<br />

o rivalutazione monetaria, in Foro it., 1986, I, c. 15540 ss.; L’indennizzo del mero<br />

lucro cessante come criterio generale del danno da mora nelle obbligazioni pecuniarie,<br />

in Foro it., 1990, I, c. 2220 ss.; Sulle conseguenze dell’aumento del tasso legale di<br />

interesse, in Foro it., 1991, I, c. 873 ss.; ora raccolti in L’espressione monetaria nella<br />

responsabilità civile, con prefazione di A. Trabucchi, Padova, 1994, p. 41 ss., p. 53 ss.,<br />

p. 91 ss., p. 111 ss., p. 121 ss. Nello stesso senso si ricordano gli scritti puntuali e perspicaci<br />

di R. Pardolesi e di A. Amatucci che sono stati tra i primi sostenitori di questo ordine<br />

di idee.<br />

(17) WICKSELL, Interesse monetario e prezzi dei beni, Torino, 1977, p. 370 ss.<br />

(18) La L. 23 dicembre1996, n. 662 ha modificato la formula dell’art. 1284, co. 1°<br />

c.c. oltre a ridurre il tasso dal 10% al 5%.


202 Scritti di Diritto Civile<br />

rio stabilito dalla 17 marzo 1996, n. 108 che lo ha stabilito nel 50%<br />

al di sopra dei tassi di mercato rilevati periodicamente.<br />

Ci si è in passato occupati del danno da mora nelle obbligazioni<br />

in moneta straniera, in cui l’art. 1278 c.c. consente al debitore il pagamento<br />

in moneta nazionale al corso di cambio della scadenza; in<br />

quella occasione si individuò il danno da mora nel caso di scelta della<br />

moneta nazionale in ribasso rispetto alla straniera, nel differenziale<br />

di cambio con quest’ultima e degli interessi monetari (19) .<br />

A seguito dell’entrata in vigore «dell’Euro» nel nostro paese, il<br />

suo tasso legale del 2,5% varrà ovviamente anche per le obbligazioni<br />

che hanno per oggetto la nuova moneta e la duttilità del nuovo<br />

testo dell’art. 1284, co. 1° c.c. ne consente un costante aggiornamento<br />

anche nel futuro.<br />

Ad esso peraltro si applicherà l’art. 1224, comma 2° c.c. che stabilisce<br />

la risarcibilità, «del maggior danno da mora» e il divieto dei<br />

tassi usurari, sanciti dal legislatore con la legge 7 marzo 1996, n.<br />

108, che nel nostro paese è pertanto norma di ordine pubblico.<br />

Ovviamente resterà intangibile il principio di fondo della libertà<br />

delle parti di determinare i tassi convenzionali di interesse anche<br />

della nuova moneta, come resterà la classificazione dei tassi in corrispettivi<br />

moratori e corrispettivi, sui risparmi e sui prestiti.<br />

A titolo informativo si aggiungerà che alla fine del 1998 il tasso<br />

ottenibile dai clienti da parte di banche primarie sui mercati internazionali<br />

evidenziava una grande convergenza di quelli della lira<br />

con le altre divise del sistema europeo perché l’Ecu era al 2,80%, la<br />

lira al 2,91%, il marco e il franco francese al 2,80%, quello belga<br />

(19) In precedenza era corrente l’opinione che si dovesse assumere nelle obbligazioni<br />

in moneta straniera, il corso di cambio al pagamento invece che alla scadenza: Cass., 16<br />

marzo 1987, n. 2691, in Foro it., 1989, I, c. 1210; CAMPEIS-DE PAOLI, La responsabilità<br />

civile dello straniero, Milano, 1982, p. 421 ss. L’ASCARELLI, Obbligazioni pecuniarie,<br />

nel Commentario del cod. civ. a cura di Scialoja e Branca, Bologna, 1959, p. 441 ss.,<br />

p. 457 ss., p. 508 ss., invece propendeva per una rivalutazione del danno oltre agli interessi<br />

legali, nel caso in cui il debitore scegliesse di pagare nella nostra moneta a sensi dell’art.<br />

1278 c.c. In questo senso G. VALCAVI, Il corso di cambio ed il danno da mora nelle<br />

obbligazioni in moneta straniera, in Riv. dir. civ., 1985, II, p. 251 s.; Le obbligazioni in<br />

divisa straniera, il corso di cambio ed il maggior danno da mora, in Foro it., 1989, I, c.<br />

1210; In materia di liquidazione del danno subito dallo straniero, in Foro it., 1989, I, c.<br />

1619; Il danno da mora nelle obbligazioni in moneta straniera, nella attuale disciplina<br />

di liberalizzazione valutaria, in questa Rivista, 1992, II, p. 861 ss., ed ora in L’espressione<br />

monetaria, cit., p. 131 ss., p. 151 ss., p. 159 ss., p. 165 ss., p. 183 ss.


Scritti di Diritto Civile 203<br />

al 2,88%, la pesetas al 2,91% e cioè ad un dipresso erano sostanzialmente<br />

equivalenti (20) .<br />

Il tasso di sconto delle monete dei paesi facenti parti di codesto<br />

sistema variava intorno al 3%.<br />

Quanto al tasso di interessi della nuova moneta «Euro», quello<br />

praticato per calcolare lo sconto delle cambiali, praticato dalle principali<br />

banche internazionali oscillava tra il 2,75% e il 3,25% e un<br />

dipresso erano sia il tasso Lombard, sui titoli costituibili in pegno<br />

alla banca dai clienti, sia il tasso primario per i prestiti ai migliori<br />

clienti (prime rate).<br />

Sempre alla stessa data il tasso interbancario in Euro (Euribor)<br />

oscillava tra il 3,22% e il 3,05% e quello praticato dalle banche londinesi<br />

(Libor) oscillava tra il 3,20% e il 3,084% (21) .<br />

Ovviamente il differenziale sia di cambio sia di interesse tra la<br />

nostra moneta e quella degli altri paesi appartenenti al sistema europeo<br />

è destinato a perdere qualsiasi valore, mentre permarrà la risarcibilità<br />

del differenziale tra l’Euro e le monete dei paesi al di fuori<br />

del nostro sistema, quali ad es. il dollaro, la sterlina, lo yen, il<br />

franco svizzero e le divise nazionali dei singoli paesi.<br />

L’Euro – mentre stiamo scrivendo – a distanza di un mese dalla<br />

sua introduzione ha perso punti sul mercato dei cambi rispetto alla<br />

quotazione del dollaro, per le diverse aspettative di crescita economica<br />

e il diverso interesse monetario.<br />

Qui peraltro acquisteranno sempre più rilievo le norme delle convenzioni<br />

internazionali.<br />

3. – Abbiamo scritto sopra che quella che è destinata ad un radicale<br />

ripensamento e a non avere altro seguito nel nostro paese è la<br />

categoria dei c.d. crediti di valore oltre a quella dei c.d. interessi<br />

compensativi.<br />

Occorre cominciare a dire che la distinzione tra crediti di valuta<br />

e crediti di valore non è giustificata da alcuna norma legislativa ed<br />

è di esclusiva fonte giurisprudenziale.<br />

Per credito di valuta si intendono correntemente le sole obbliga-<br />

(20) Vedi dati da Il Sole 24 Ore del 5 gennaio 1999.<br />

(21) Il tasso dell’Euribor ad una settimana era quotato 3,294 e quello ad un anno<br />

3,259, il tasso del Libor da 3,25 a 3,19: sempre da Il Sole 24 Ore del 5 gennaio 1999.


204 Scritti di Diritto Civile<br />

zioni pecuniarie che siano liquide dall’origine mentre il termine<br />

«credito di valore» viene abitualmente riferito a quelle, altre obbligazioni<br />

che hanno bisogno della liquidazione del giudice, come è ad<br />

esempio quella del risarcimento del danno (22) .<br />

Ho già scritto altrove che il concetto di credito di valore è di per<br />

sé arbitrario, perché con esso si vuol indicare un credito pecuniario<br />

in una moneta immaginaria, che non sarebbe retta dal principio del<br />

valore nominale ed avrebbe all’opposto uno stabile potere di acquisto<br />

nel tempo.<br />

Più precisamente si tratta di un credito in una moneta immaginaria<br />

di cui si considera fermo il potere di acquisto, con l’aggiustare<br />

il metro monetario secondo i numeri indici del suo potere<br />

d’acquisto per le famiglie degli operai e degli impiegati, nel<br />

tempo considerato (23) .<br />

Il principale sostenitore di questa categoria (24) distingue la aestimatio<br />

o stima del bene al tempo del verificarsi del danno dalla<br />

taxatio o stima aggiornata al pagamento, ricalcolata sulla base dei<br />

numeri indici di perdita del potere di acquisto della moneta, come<br />

se essa avesse conservato quello originario e così distingue la mensura<br />

dal mensuratum.<br />

Il concetto in sé del credito di valore fece la sua prima comparsa,<br />

per un breve periodo del 1923, nella Germania dell’epoca che<br />

attraversò una fase economica di fuga dal marco e a cui i giuristi tedeschi<br />

dell’epoca cercarono di porre un rimedio equitativo col fissare<br />

il valore nel tempo di una prestazione non pecuniaria con le<br />

giustificazioni teoriche «della conservazione della base della pre-<br />

(22) T. ASCARELLI, Delle obbligazioni pecuniarie, nel Commentario del cod. civ. a<br />

cura di Scialoja e Branca, 1979, Bologna sub art. 1277, p. 94 ss., pp. 173-180 ss., p. 241<br />

ss., p. 41 ss. Non si riesce a cogliere la ragione perché il concetto di obbligazione pecuniaria<br />

venga limitato a quelle liquide dall’origine, mentre quelle da liquidarsi in moneta<br />

siano ritenute costi di valore.<br />

(23) ASCAREI.LI, op. cit., p. 444.<br />

(24) ASCARELLI, op. cit., p. 173, p. 180, p. 241 ss. La predetta costruzione che<br />

è basata sull’aestimatio al verificarsi del danno e la taxatio alla decisione si riallaccia<br />

a quei tentativi di storici dell’economia che come il Wiebe, ricorrevano ad un metro non<br />

monetario (come l’oro e l’argento) per comparare valori monetari, prezzi e salari di<br />

tempi e luoghi diversi. L’artificiosità di codesto metodo è stata dimostrata da L. EI-<br />

NAUDI, Teoria della moneta immaginaria da Carlo Magno alla Rivoluzione francese,<br />

in Riv. storia econ., 1936.


Scritti di Diritto Civile 205<br />

stazione negoziale» «della presupposizione», «della buona fede»,<br />

così sottraendo l’indennizzo al principio del valore nominale (25) .<br />

La fragilità estrema di codesta distinzione e del tentativo di darle<br />

dignità teorica si manifestò di lì a poco con l’estendere la rivalutazione<br />

agli stessi crediti peculiari liquidi dall’origine e fu superata<br />

dalla successiva fase di stabilizzazione economica (26) .<br />

Tale categoria fu importata nel nostro paese, alla fine dell’ultima<br />

guerra mondiale dal lontano Brasile dal compianto Ascarelli che conobbe<br />

l’iperinflazione di quel paese, che per altro si ripete anche in<br />

tempi a noi vicini (27) .<br />

Egli ha tenuto a precisare che il credito di valore non equivaleva<br />

al credito indicizzato, pure non previsto da alcuna norma legislativa,<br />

perché l’aggiustamento del metro monetario doveva effettuarsi,<br />

sia nel caso di aumento o di diminuzione del potere di acquisto della<br />

moneta.<br />

Questo concetto o categoria del credito di valore, come del resto<br />

quello degli interessi compensativi sono stati da noi tenacemente<br />

contrastati, in una lunga serie di scritti (28) .<br />

Si è in particolare criticato il carattere totalmente astratto del<br />

concetto della categoria del credito di valore e la sua incompatibilità<br />

con principi fondamentali, quali quelli concernenti la mora.<br />

Infatti la rivalutazione monetaria di un danno viene concessa al<br />

creditore, perfino nel caso in cui egli versi in mora, come quello in<br />

cui abbia rifiutato la offerta reale dal danneggiante di una somma<br />

che si riveli adeguata a posteriori (29) .<br />

(25) In questo senso le opinioni di OERTMANN-RABEL-KRUCKMANN-NIPPER-<br />

DEY citati da G. SCADUTO, in I debiti pecuniari e il deprezzamento monetario, Milano,<br />

1924, p. 147; nella giurisprudenza: Corte Suprema del Reich, 21 settembre 1920, in G.L.<br />

HOLTFRERICH, L’inflazione tedesca 1914-1923, Bari, 1989, p. 301 ss.<br />

(26) Corte Suprema del Reich, 28 novembre 1923, in G.L. HOLTFRERICH, op.<br />

ult. cit., p. 318.<br />

(27) Le transazioni in merci e danari in Brasile, anche in epoca recente, sono avvenuti<br />

in obbligazioni del tesoro nazionale, indicizzate al costo della vita.<br />

(28) V. G. VALCAVI, Riflessioni sui c.d. crediti di valore, sui crediti di valuta e sui tassi<br />

di interesse, in Foro it., 1981, I, c. 2112; Indennizzo e lucro del creditore nella stima del<br />

danno, in Quadrimestre, 1986, p. 681 ss.; Sul risarcimento del danno da illecito o da inadempienza<br />

e di quello per il ritardo con cui è prestato l’indennizzo, in Giur. it., 1991. I,<br />

1, c. 1227 ss., ed ora in L’espressione monetaria, cit., p. 191 ss., p. 249 ss., p. 279 ss.<br />

(29) G. VALCAVI, L’espressione monetaria nella responsabilità civile ed altri saggi,<br />

Padova, 1994, p. 53 ss., p. 91 ss., p. 279 ss., p. 321 ss., p. 341 ss., p. 349 ss.


206 Scritti di Diritto Civile<br />

Queste critiche sono state accolte, sia pur a distanza di tempo,<br />

della importante pronuncia della Suprema Corte 20 giugno 1990,<br />

n. 6209, nel punto in cui ha riconosciuto funditus che «nessuno vuol<br />

negare l’origine empirica e casistica della categoria del debito di valore,<br />

che sebbene osteggiata dal punto di vista concettuale, continua<br />

a dimostrare una notevole capacità espansiva, legittimandosi<br />

sul piano della effettività giurisprudenziale (sic!)» (30) .<br />

E quanto riconoscere che la categoria del credito di valore non<br />

ha alcun fondamento dogmatico ed ha solo carattere di accorgimento<br />

empirico ed equitativo.<br />

In altra parte della motivazione di tale pronuncia, si è affermato che<br />

«la rivalutazione monetaria rappresenta soltanto l’attualizzazione del<br />

debito di valore… così che il danaro rilevi solo come espressione del<br />

potere di acquisto e non come oggetto della prestazione (sic!)».<br />

L’adozione della rivalutazione per attualizzare il danno è profondamente<br />

errata perché essa confonde due problemi diversi, quale<br />

quello della quantificazione della entità del danno e quello del tempo<br />

di riferimento della stima.<br />

Essa sposta il tempo di riferimento dal suo verificarsi al tempus<br />

rei iudicandae, malgrado che la stessa pronuncia del Supremo Collegio,<br />

sopra indicata abbia in altra parte perentoriamente affermato<br />

che «il danno da inadempienza va liquidato con riferimento al momento<br />

in cui esso si verifica e non a quello della liquidazione» (31) .<br />

Codesto metodo appare altresì erroneo perché non assume neppure<br />

i prezzi effettivi dei beni correnti al momento della decisione o<br />

del pagamento ma solo la comparazione degli indici statistici astratti<br />

dei prezzi (così detto valore della moneta).<br />

Trattasi di una soluzione – come ebbi a scrivere altrove – solo al<br />

rialzo dei prezzi, alla decisione che preserva anche dalla caduta di<br />

quello del singolo bene non prestato o distrutto o sottratto (32) .<br />

Il punto nodale della crisi del carattere equitativo di codesto<br />

metodo è laddove i suoi sostenitori aggiungono alla rivalutazione<br />

o al capitale rivalutato, anche gli interessi legali, come se si<br />

(30) In Riv. dir. civ., 1991, II, p. 67 ss.<br />

(31) Cass., 18 luglio 1989, n. 3352, in Foro it., 1990, I, c. 933 ss.<br />

(32) G. VALCAVI, Riflessioni sui c.d. crediti di valore, sui crediti di valuta e sui tassi<br />

d’interesse, in Foro it., 1981, I, c. 2112.


Scritti di Diritto Civile 207<br />

fosse in presenza di un debito nella comune moneta retta dal<br />

principio nominalistico.<br />

A questo riguardo la sopra indicata illuminante sentenza della<br />

Corte Suprema ha aggiunto che dovendosi aggiungere al danno da<br />

illecito o da inadempienza, da stimarsi con riguardo al tempo del<br />

suo verificarsi, anche quello da ritardo «per la perdita di quella utilitas<br />

che il creditore avrebbe tratto dalla somma originariamente<br />

dovuta al posto del bene perduto, più strettamente legato al concetto<br />

di mora» quest’ultima dovrebbe essere risarcita in misura corrispondente<br />

agli interessi legali.<br />

In tale modo la decisione ha contraddittoriamente finito per<br />

identificare il credito di valore con quello di valuta quale è quello<br />

costituito «dalla somma originariamente dovuta al posto del bene<br />

perduto».<br />

Il concetto di interesse compensativo è stato esteso erroneamente<br />

dalla marginale ipotesi dell’art. 1499 c.c. ad ogni credito che abbia<br />

bisogno della liquidazione del giudice e si è finito per procurare<br />

al danneggiato, contro ogni equità, un lucro spropositato, invece<br />

che il mero indennizzo (33) .<br />

Chi scrive ha osservato che codesta somma di rivalutazione e interessi<br />

costituiva una ingiusta duplicazione del risarcimento del<br />

danno da mora sia pure sotto forme diverse, per il medesimo periodo<br />

di tempo in cui la prestazione del risarcimento monetario è differita<br />

nel tempo (34) .<br />

Non è chi non veda infatti che gli interessi legali hanno la funzione<br />

di attualizzare nel tempo tutti i valori calcolati nella moneta<br />

e se gli interessi legali sono inadeguati rispetto a quelli normali essi<br />

vanno integrati con l’indennizzo del maggior danno previsto dall’art.<br />

1224, comma 2° c.c. e cioè col differenziale rispetto al nor-<br />

(33) G. VALCAVI, Indennizzo e lucro del creditore nella stima dei danno, in Quadrimestre,<br />

1986, p. 681 ss.<br />

(34) G. VALCAVI, Il problema degli interessi monetari nel risarcimento del danno, in<br />

Resp. civ., 1987, I, p. 3; In tema di indennizzo e lucro del creditore: a proposito di interessi<br />

e rivalutazione monetaria, in Foro it., 1988, I, c. 2318 ss.; A proposito del lucro del<br />

creditore nel risarcimento del danno in genere, in Foro it., 1989, I, c. 1988; Sul carattere<br />

moratorio degli interessi nel risarcimento del danno, in Resp. civ., 1990, II, p. 97 ss. ed<br />

infine Risarcimento del danno, interessi e rivalutazione, in Il danno, 1996, p. 3, p. 4, p. 5<br />

ss., ed ora in L’espressione monetaria, cit., p. 321 ss., p. 341 ss., p. 349 ss.


208 Scritti di Diritto Civile<br />

male interesse di mercato e non aggiungendoli ad un diverso e maggiore<br />

potere di acquisto.<br />

La giurisprudenza dominante, con una lunga serie di pronunce,<br />

nel periodo che va sino al 1994 ha finito per calcolare all’opposto<br />

gli interessi legali denominati compensativi sul capitale rivalutato<br />

da ultimo.<br />

Lo sproposito di codesto lucro è stato avvertito dalla Suprema<br />

Corte con la sua pronuncia 9 settembre 1994, n. 7943 (35) che l’ha<br />

corretta, affermando che gli interessi dovevano essere fatti decorrere<br />

solo dalla pronuncia giudiziaria, con che prima di essa il creditore<br />

dovrebbe accontentarsi della sola rivalutazione.<br />

E poiché nel frattempo quest’ultima era scesa al 5% o 6% e gli<br />

interessi legali erano saliti ex lege al 10% codesta soluzione non poteva<br />

che rivelarsi inadeguata a risarcire il danno da mora.<br />

Le Sezioni Unite della Suprema Corte con sentenza 17 febbraio<br />

1995, n. 1712 (36) hanno corretto ulteriormente il tiro stabilendo che<br />

gli interessi legali non dovevano essere calcolati sul capitale rivalutato<br />

da ultimo ma su quello via via rivalutato di anno in anno e per<br />

giunta ad un tasso non necessariamente eguale a quello legale (in<br />

quel momento ancora del 10%) ma anche inferiore secondo la prova<br />

che il danneggiato avesse dato per la perdita dei frutti dei beni<br />

in natura.<br />

Sempre la Suprema Corte con la sua successiva sentenza 19 maggio<br />

1995, n. 5595 (37) ha finalmente sancito che «non possono attribuirsi<br />

al creditore comportamenti alternativi, quale ad esempio<br />

che egli avrebbe contemporaneamente investito la somma in un<br />

bene diverso dal danaro (così da pretenderne la rivalutazione) e<br />

dall’altro la avrebbe conservata liquida (così da fruire degli interessi<br />

monetari)».<br />

La decisione ha correttamente concluso: «se possono presumersi<br />

degli interessi, non può presumersi anche la conservazione del potere<br />

di acquisto, in nessun caso sul credito di valore sono dovuti gli<br />

interessi legali».<br />

La sola rivalutazione nel frattempo discesa al tasso del 5% men-<br />

(35) In Foro it., 1995, I, c. 842.<br />

(36) In Foro it., 1995, I, c. 1470 ss. e in Con. giur., 1995, 4, p. 462.<br />

(37) In Riv. dir. civ., 1996, p. 417.


Scritti di Diritto Civile 209<br />

tre gli interessi legali per tutto il 1996 si erano mantenuti al livello<br />

del 10%, per scendere poi al 5%, non appariva perciò uno strumento<br />

adeguato.<br />

Da ultimo a fare giustizia di codeste categorie è intervenuto finalmente<br />

il legislatore.<br />

Questi con L. 23 dicembre 1996, n. 662 ha modificato radicalmente<br />

la formula dell’art. 1284, co. 1° c.c., concernente la formazione<br />

del tasso degli interessi legali (38) .<br />

Essa ha abbandonato la precedente fissità aprioristica del tasso<br />

legale, destinata ad essere sopravanzata o a rimanere indietro rispetto<br />

al rendimento del danaro e al tasso inflazionistico.<br />

Il nuovo testo dell’art. 1284, co. 1° c.c. stabilisce che il saggio legale<br />

è quello flessibile che di anno in anno viene adottato con decreto<br />

del Ministro del Tesoro.<br />

E aggiunge che la misura sarà determinata «sulla base del rendimento<br />

annuo lordo dei titoli di stato di durata non superiore a dodici<br />

mesi e tenuto conto del tasso di inflazione registrato nell’anno».<br />

Con questa formula il legislatore ha riconosciuto all’interesse la<br />

funzione di coprire in ogni suo aspetto la perdita dell’utilitas temporis<br />

di una prestazione differita del danaro rispetto la medesima<br />

a pronti.<br />

Il riferimento alla media del rendimento lordo dei titoli di stato<br />

mette in evidenza il suo essenziale carattere di lucro cessante.<br />

Con il riferimento «al tasso della inflazione registratasi nell’anno»<br />

il legislatore in armonia con le conclusioni degli economisti, ha<br />

voluto dire che l’interesse è anche l’unico strumento che pone rimedio<br />

all’inflazione.<br />

La formula adottata perciò indica che non è consentito sommare<br />

gli interessi alla rivalutazione, sotto pena di duplicare il risarcimento<br />

del medesimo danno.<br />

Il c.d. danno inflazionistico è perciò compreso nel maggior danno<br />

che è compensato dall’interesse, a sensi dell’art. 1284, co. 1° c.c.,<br />

perché il tasso legale è determinato, tenuto conto di quello inflazionistico<br />

registratosi nell’anno precedente, oltre alla media del rendimento<br />

lordo dei titoli di stato.<br />

Con codesto riferimento al tasso di inflazione non vi è più spazio<br />

(38) V. art. 185 della legge 23 dicembre 1996, n. 662.


210 Scritti di Diritto Civile<br />

né per il credito di valore e tanto meno per un calcolo aggiuntivo<br />

dell’interesse compensativo.<br />

La determinazione ministeriale del tasso legale tiene infatti<br />

già conto – come si è visto – di quello della inflazione che assume<br />

la caratteristica di evento compreso nella perdita della utilitas<br />

temporis.<br />

Ovviamente il tasso legale può essere integrato – come si è visto<br />

– dal differenziale tra lo stesso e il maggiore interesse praticato sul<br />

mercato dei risparmi o dei prestiti.<br />

A seguito della introduzione dell’Euro, che ha sostituito la nostra<br />

vecchia «lira» è venuta a mancare ogni prospettiva per il permanere<br />

di codeste costruzioni giuridiche.<br />

La categoria del credito di valore è infatti una concezione esclusivamente<br />

italiana e sconosciuta agli altri paesi dal sistema monetario<br />

europeo (39) .<br />

Con l’avvento dell’Euro, non può ipotizzarsi per il futuro un credito<br />

di valore in Euro, sulla base di indici statistici sconosciuti della<br />

inflazione dell’intera area del sistema monetario europeo e comunque<br />

inapplicabili per i diversi paesi.<br />

Come ricorrere agli indici dell’inflazione del nostro paese per una<br />

moneta sopra nazionale come l’Euro?<br />

La risposta negativa è ora venuta dai fatti, con la loro inoppugnabilità<br />

del reale e non solo dal legislatore attraverso la nuova formula<br />

dell’art. 1284, co. 1° c.c.<br />

4. – La scomparsa delle categorie del credito dell’interesse compensativo<br />

non deve condurre i nostri cultori di diritto a compiere un<br />

passo indietro, ancora più irragionevole, come sarebbe il caso in cui<br />

essi finissero per assumere il prezzo o valore del singolo bene, corrente<br />

alla decisione definitiva, quale quello a cui riferire la stima del<br />

danno, come ha ipotizzato in via alternativa una isolata decisione<br />

della nostra Suprema Corte.<br />

Questa erronea conclusione non può essere giustificata col tentativo<br />

di mettersi in sintonia con le arretrate opinioni che ancora oggi<br />

(39) Solo una corrente dottrinale spagnola (I.-. DIEZ-PICAZO y ANTONIO GILLON,<br />

Sistema de derecho civil, II, Madrid, 1978, p. 157) ebbe a propugnare di accogliere la teoria<br />

dei crediti di valore senza per altro che ciò avesse seguito.


Scritti di Diritto Civile 211<br />

prevalgono nei sistemi di alcuni importanti paesi del sistema monetario<br />

europeo.<br />

A questo riguardo occorre dire che in Germania (40) , in Francia (41) ,<br />

nel Belgio (42) , viene abitualmente adottato dalla dottrina e dalla giurisprudenza<br />

di quei paesi il valore e il prezzo del singolo bene, che il<br />

debitore non ha prestato o ha distrutto o ha sottratto, al momento della<br />

decisione definitiva o al pagamento.<br />

In Spagna invece si assume a tempo di riferimento quello della<br />

domanda (el tiempo de ejercicio de la accion) (43) .<br />

In altri paesi estranei al nostro sistema monetario come sono la<br />

Gran Bretagna e la Svizzera viene adottato correttamente quello del<br />

verificarsi del danno (44) .<br />

Questa conclusione è l’unica conforme a ragione e fu da noi sostenuta<br />

con ampiezza di motivazione (45) .<br />

Questo è anche il criterio che è stato adottato dalla importante<br />

pronuncia della nostra Suprema Corte 20 giugno 1990, n. 6209 e<br />

da quelle che sono succedute dal medesimo orientamento e ormai<br />

formano la giurisprudenza consolidata che «il danno da inadempienza<br />

o da illecito va liquidato con riferimento al momento in cui<br />

esso si verifica e non a quello della liquidazione».<br />

Questa è l’opinione correttamente dominante nel nostro ordinamento.<br />

(40) In Germania, il calcolo viene effettuato sulla base di prezzi correnti al momento<br />

in cui il danno è indennizzato: GRUNSKY, in PALANDT, Münchener-Kommentar, München,<br />

1985, sub art. 249 BGB, 1985, n. 9 tra gli altri.<br />

(41) In Francia vedi H.L. MAZEAUD in Traité theorique et pratique de la responsabilité<br />

civile, Paris, 1950, n. 2420-8 e la giurisprudenza citata a p. 544.<br />

(42) Cass. Belge, 7 febbraio 1946, in MAZEAU, op. cit., n. 2480-8, nota 21.<br />

(43) Trib. Supremo, 30 ottobre 1956 e giurisprudenza in J. SANTOS BRIZ, La responsabilidad<br />

civil in en derecho sostantivo y processal, Madrid, 1981, p. 289.<br />

(44) F. BOLLA, Repertorio di giurisprudenza patria, 1936, p. 472.<br />

(45) Cfr. G. VALCAVI, Il tempo di riferimento nella stima del danno, in Riv. dir. civ.,<br />

1987, p. 31 ss.; si rinvia per completezza anche ai successivi: Ancora sul tempo di riferimento<br />

nella stima del danno, in Riv. dir. civ., 1991, II, p. 267; Sul risarcimento del danno<br />

da illecito o da inadempienza e di quello per il ritardo con cui è prestato l’indennizzo,<br />

in Giur. it., 1991, I, 1, c. 1227 ss.; Intorno al concetto di perpetuatio obligationis e al tempo<br />

di riferimento nel risarcimento del danno da inadempienza contrattuale, in Riv. dir.<br />

civ., 1992, II, p. 385 ss., ed ora in L’espressione monetaria, cit., p. 207 ss., p. 273 ss., p.<br />

279 ss., p. 293 ss., p. 309 ss.


Le obbligazioni in moneta straniera<br />

(Art. 1278, 1279 c.c.)<br />

Lo scritto «Il corso di cambio ed il danno da mora nelle obbligazioni<br />

in moneta straniera» sostiene doversi fare esclusivo riferimento<br />

al corso di cambio alla scadenza secondo il dato normativo dell’art.<br />

1278 c.c., mentre il danno da mora va risarcito mediante gli<br />

interessi e l’eventuale maggior danno da cambio nel caso che il creditore<br />

provi che secondo l’id quod plerumque accidit avrebbe cambiato<br />

la moneta dedotta in obbligazione o prestata in facultate solutionis<br />

in un’altra, in rialzo rispetto alla prima.<br />

Ancora ne «Le obbligazioni in divisa straniera, il corso di cambio<br />

ed il maggior danno da mora» ha ribadito che la liquidazione<br />

del maggior danno da cambio dipende dalla dimostrazione che<br />

il creditore possa dare che avrebbe normalmente cambiato la moneta<br />

che gli fosse stata prestata tempestivamente in un’altra, che<br />

sarebbe risultata in rialzo (è il caso ad esempio di un creditore<br />

estero residente).<br />

Anche l’eventuale ribasso della moneta straniera dovuta rispetto<br />

a quella a corso legale va risarcito se chi avrebbe dovuto ricevere<br />

la prima l’avrebbe cambiata con la seconda (ad esempio un creditore<br />

residente all’interno).<br />

La medesima conclusione vale anche per il danno da mora nelle<br />

obbligazioni in moneta straniera «corso effettivo».<br />

A seguito della sopravvenuta liberalizzazione valutaria, l’autore<br />

pubblicò lo scritto «Il danno da mora nelle obbligazioni in<br />

moneta straniera nell’attuale disciplina di liberalizzazione valutaria»,<br />

in cui sostenne che deve escludersi che il creditore possa<br />

Da «L’Espressione monetaria nella responsabilità civile», Cedam 1994.


214 Scritti di Diritto Civile<br />

pretendere la differenza di cambio, sulla base di un mero programma<br />

di investimento addotto a posteriori e non del quod interest<br />

secondo il quod plerumque accidit.<br />

L’opinione dominante in dottrina e in giurisprudenza seguita ad<br />

essere quella che assume invece a riferimento il cambio al pagamento:<br />

in questo senso Cass. civ. 16 marzo 1987 n. 2691.<br />

Nello scritto «In materia di liquidazione del danno di uno straniero»<br />

si sostiene che il danno aquiliano causato ad uno straniero<br />

nel nostro paese, va liquidato nella moneta a corso legale mentre<br />

un’eventuale differenza di cambio della moneta straniera in cui il<br />

danneggiato l’avrebbe cambiata potrebbe essere pretesa, solo a titolo<br />

di danno da mora.<br />

L’autore, in dissenso da Cass. Civ. Sez. Lav. 16 maggio 1981,<br />

3239 nello scritto «Se il credito di un lavoratore estero-residente<br />

debba essere rivalutato ex art. 429 3° comma c.p.c.» esclude che ciò<br />

possa essere praticato.<br />

I vari scritti hanno avuto qualche eco in dottrina come è dimostrato<br />

dalla bibliografia a fianco di ciascuno indicata.<br />

Infine, per sopperire ad una lacuna legislativa riguardante la<br />

mancata determinazione degli interessi legali di una obbligazione<br />

in moneta straniera, sempre l’autore ha proposto nella X Legislatura<br />

al Senato della Repubblica, il disegno di legge n. 2812 facendoli<br />

coincidere con lo specifico tasso ufficiale di sconto della moneta<br />

considerata.<br />

Esso è stato ripresentato nella XI legislatura con il disegno di<br />

legge n. 50 al Senato della Repubblica e n. 1235 alla Camera dei<br />

Deputati.


Il corso di cambio e il danno da mora<br />

nelle obbligazioni in moneta straniera<br />

1. – Ricordiamo quanto stabilisce l’art. 1278 c.c. per il caso che<br />

non sia pattuito il pagamento effettivo di moneta straniera: «se la<br />

somma dovuta è determinata in una moneta non avente corso legale<br />

nello Stato, il debitore ha facoltà di pagare in moneta legale<br />

al corso di cambio del giorno della scadenza e nel luogo stabilito<br />

per il pagamento».<br />

Ove il debitore paghi in ritardo e la moneta legale siasi svilita nel<br />

frattempo, si pone il problema se la quantità di essa da prestarsi sia<br />

da calcolare sulla base del corso di cambio alla scadenza, o invece<br />

di quello in cui avviene il pagamento in ritardo.<br />

Peraltro anche la moneta straniera prestata in ritardo può essersi<br />

nelle more deprezzata sul mercato dei cambi e il problema non è,<br />

a ben vedere, dissimile.<br />

Il discorso, nei suoi termini più generali, concerne dunque la regola<br />

di cambio sotto il profilo del rischio della sua variazione per chi<br />

paghi o riceva il pagamento in ritardo.<br />

In genere l’argomento è trattato con riguardo solo alla ipotesi in<br />

cui il pagamento della moneta in facultate venga effettuato in ritardo<br />

e questa sia svilita rispetto a quella straniera e non invece nell’ipotesi<br />

in cui ad essere svilita sia la moneta straniera, prestata in<br />

ritardo. Come se il pagamento della moneta straniera, dopo la scadenza,<br />

dovesse considerarsi sempre esatto, mentre non lo è al pari<br />

di quella legale, perché entrambi lasciano virtualmente scoperto il<br />

danno da mora.<br />

Da «Rivista di Diritto Civile», 1985, II, p. 251 e ss. e da «L’Espressione monetaria nella<br />

responsabilità civile», Cedam 1994.


216 Scritti di Diritto Civile<br />

Il modo disarticolato di porre il problema, per cui l’adempimento<br />

specifico della moneta in obligatione sarebbe sinonimo di adempimento<br />

esatto, a differenza di quella in facultate, mette poi capo ad<br />

una soluzione inaccettabile, perché tutela il creditore straniero dalla<br />

svalutazione della moneta nazionale, e non il creditore nazionale dalla<br />

svalutazione della moneta straniera. Il tema invero è unico e deve<br />

trovare coerente ed armonica soluzione sia che si tratti di obbligazioni<br />

in moneta straniera «corso effettivo» o «non effettivo», sia in<br />

questo caso che il pagamento avvenga in moneta legale o straniera.<br />

Alla base delle attuali difficoltà sta il fatto che si assume a regola<br />

la ragione di cambio del pagamento in ritardo della moneta straniera<br />

e non di quello tempestivo, con la conclusione che esso codifica<br />

contro ogni logica un lucro o una perdita a favore o a danno del<br />

creditore rispetto a quello che avrebbe dovuto essere.<br />

La regola del corso di cambio alla scadenza può peraltro consentire<br />

al debitore un’esecuzione meno onerosa della prestazione, rispetto<br />

a quella tardiva, ma non è questo che rileva, quanto piuttosto<br />

se quest’ultima si traduce o meno in un danno per il creditore,<br />

che va risarcito.<br />

È il caso che il pagamento avvenga nella moneta del creditore,<br />

sia essa quella legale o quella straniera, e questa sia in ribasso rispetto<br />

a quella del debitore in rialzo.<br />

L’argomento offre l’occasione per una rimeditazione, rispetto<br />

alla letteratura giuridica e alle decisioni correnti.<br />

2. – Cominciamo dall’ipotesi, cui si sono ristrette dottrina e giurisprudenza,<br />

del deprezzamento della moneta legale in facultate,<br />

rispetto a quella straniera in obligatione, per poi passare a<br />

quest’ultima.<br />

Le riflessioni per l’una sono utilizzabili anche per l’altra. Conviene<br />

prendere le mosse dallo stato delle opinioni, sotto il precedente<br />

ed analogo art. 39 c.co., così importanti anche per intendere<br />

quelle sull’attuale art. 1278 c.c.<br />

L’aspetto che ebbe a colpire, e tutt’ora colpisce, l’attenzione degli<br />

autori e dei giudici, riguarda l’evenienza che il debitore possa<br />

trarre vantaggio dalla sua inadempienza col prestare moneta legale,<br />

in ribasso rispetto a quella straniera durante la mora.<br />

È ritenuto contrario al sistema che il debitore possa trarre un lu-


Scritti di Diritto Civile 217<br />

cro dalla propria inadempienza e si tende perciò a fissare l’opposta<br />

regola del corso di cambio al pagamento.<br />

Si sottolinea a questo proposito che la moneta in facultate solutionis<br />

debba equivalere a quella in obligatione (1) anche al momento<br />

del pagamento effettivo, e in ciò traspare l’influenza della concezione<br />

valoristica (2) .<br />

Si è tentato di superare l’indiscutibile ostacolo dell’argomento<br />

letterale con l’osservare che il riferimento al corso di cambio della<br />

scadenza, è stato fissato nella supposizione che il pagamento sia<br />

puntuale e non in ritardo (3) . Il corso di cambio alla scadenza sarebbe<br />

così sinonimo di pagamento puntuale, e da ciò si dovrebbe<br />

trarre la regola più generale del cambio al pagamento.<br />

Questo modo di vedere è in sintonia con la soluzione in genere<br />

accolta nella stima del danno, che viene aggiornato ai nuovi prezzi<br />

in corso al momento della decisione, invece di quelli al verificarsi<br />

del danno (4) .<br />

L’adozione del corso di cambio al pagamento è stata anche teorizzata,<br />

per la probabilità di rialzo della moneta straniera, come una<br />

liquidazione forfettaria del danno da mora (5) . Sulla più antica dottrina<br />

e giurisprudenza ha influito l’adozione del cambio al pagamento,<br />

fatta dal § 244 BGB, malgrado le gravi controversie cui ha<br />

dato luogo (6) . Codeste opinioni sono state in passato avversate da<br />

(1) Per un riferimento critico al presupposto di equivalenza, MAZZONE, in Riv. dir.<br />

comm., 1922, I, p. 177. Su tale equivalenza si basa la teorica dei crediti di valore.<br />

(2) Il principio del valore nominale si applica anche alla moneta straniera. Vedi VAS-<br />

SALLI, in Riv. dir. comm., 1922, II, p. 260.<br />

(3) ASCOLI, in Riv. dir. civ., 1920, p. 404; Id., in Riv. dir. civ., 1921, p. 383; Id., in<br />

Riv. dir. civ., 1922, p. 296.<br />

(4) MOMMSEN, Die Lehre von dem Interesse, Braunschweig, 1855, pp. 218 ss.;<br />

DERNBURG, Pandette, II, trad. it. 1903, Berlin, p. 183; M. et L. MAZEAOU, Traité theorique<br />

et pratique de la responsabilité civile, III, Paris, 1939, p. 586; TEDESCHI, Il danno<br />

e il momento della sua determinazione, in Riv. dir. priv., 1933, I, pp. 263 ss.; Id., in<br />

Riv. dir. comm., 1934, I, pp. 234-244; PACCHIONI, Dei delitti e quasi delitti, Milano,<br />

1940, p. 118; DE CUPIS, Il danno, Milano, 1979, I, pp. 269 ss.<br />

(5) ASCOLI, in Riv. dir. civ., 1920, p. 404; Id., in Riv. dir. civ., 1921, p. 383; Id. in<br />

Riv. dir. civ., 1922, p. 296; COBIANCHI, in Riv. dir. comm., 1922, II, p. 67; GUIDI, in Dir.<br />

e prat. comm., 1922, I, p. 22; COGLIOLO, in Riv. dir. comm., 1922, II, p. 303. In giurisprudenza,<br />

App. Genova, 5 luglio 1919, in Mon. trib., 1920, p. 597; App. Genova, 19<br />

maggio 1922, in Foro it., 1922, II, C. 757.<br />

(6) Per una rassegna, v. VASSALLI, op. cit., p. 254, nota b). Per il giorno della sca-


218 Scritti di Diritto Civile<br />

quegli autori (7) che, privilegiando il tenore letterale della norma,<br />

hanno tenuto fermo il riferimento al cambio alla scadenza. Si è osservato<br />

che nel caso di deprezzamento della moneta straniera rispetto<br />

a quella legale, la regola del cambio al pagamento equivale<br />

ad autorizzare il debitore a pagare meno lire di quelle occorrenti alla<br />

scadenza, e perciò a codificare la non risarcibilità del danno da<br />

mora (8) . Un lucro del creditore da rialzo della moneta straniera non<br />

è giustificato dai princìpi generali sul risarcimento del danno, mentre<br />

non vedesi come la variazione di cambio possa costituire una liquidazione<br />

forfettaria (9) .<br />

Da taluni autori si concludeva perciò per il riferimento al corso<br />

di cambio alla scadenza e l’indennizzo dell’eventuale successiva<br />

svalutazione della moneta legale, secondo i principi generali, reputandosi<br />

non applicabile il limite dell’interesse moratorio legale, ex<br />

art. 1231 c.c. 1865, alle obbligazioni in moneta straniera (10) .<br />

Queste opinioni non furono recepite nella giurisprudenza formatasi<br />

sull’art. 39 c.co.<br />

Il progetto preliminare del libro delle obbligazioni, all’art. 11,<br />

adottava la regola del corso di cambio al pagamento (11) , reputan-<br />

denza: SCHOLLMEYER-OERTMANN-KUHLENBECK-KOBEN, Kommentar zum BGB,<br />

§ 244, Berlin, 1914. Per il giorno del pagamento NUSSBAUM, Valutafragen, in Juristische<br />

Wochenschrift, 1920, p. 14; COSAK, Lehrb. d. Handelsrechts 5 , 1900, n. 2, p. 136.<br />

(7) Per il giorno della scadenza, a proposito dell’art. 39 c.co., cfr. VIVANTE, Tratt. di<br />

dir. comm., IV, Milano, 1926, n. 1568, p. 63; VASSALLI, op. cit.; ASCARELLI, Studi giuridici<br />

sulla moneta, Milano, 1928, pp. 173, 190, 191; MAZZONE, in Riv. dir. comm.,<br />

1922, I, pp. 170 ss.; RAMELLA, in Riv. dir. comm., 1922, II, p. 60; BOTTURI, in Mon.<br />

trib., 1921, p. 193. In giurisprudenza, Trib. Trieste, 25 ottobre 1921, in Riv. dir. comm.,<br />

1922, II, p. 252. Il corso di cambio alla scadenza è quello generalmente accolto nelle varie<br />

legislazioni. Così art. 37 della legge di cambio germanica del 1848, art. 336 c.co. germanico<br />

del 1861, art. 336, 2° comma c.co. generale austriaco, art. 338 c.co. francese, art.<br />

296 trattato di Versaglia, §§ d), s), trattato di San Germano. In Italia, in tal senso, art.<br />

228 c.co. 1865, art. 39 c.co. 1882.<br />

(8) VASSALLI, op. loc. citt.; MAZZONE, op. loc. citt.; BOTTURI, op. loc. citt.<br />

(9) Criticano tale profilo VASSALLI, op. cit., p. 255; MAZZONE, op. cit., p. 175.<br />

(10) TALLACHINI-MAZZONE, op. loc. citt., contra ASCOLI, op. loc. citt.; VAS-<br />

SALLI, op. loc. citt.<br />

(11) L’art. 11 del progetto preliminare adottava il corso di cambio al pagamento,<br />

seguendo analoga soluzione dell’art. 24 del progetto italo-francese, Delle obbligazioni<br />

e contratti, e l’art. 303, del progetto D’Amelio. La relazione della Commissione reale<br />

del progetto preliminare, motivava che tale regola «corrispondeva a quello che è l’oggetto<br />

dovuto».


Scritti di Diritto Civile 219<br />

dosi che il lucro da eventuale rialzo andasse a compensare il danno<br />

da mora (12) , poiché per altra via si proponeva la soppressione dell’art.<br />

122 che prevedeva il risarcimento del maggior danno nelle obbligazioni<br />

pecuniarie (13) .<br />

Nel testo definitivo del codice, si è ritornati al corso di cambio<br />

alla scadenza con l’art. 1278 c.c. e si è codificato, all’art. 1224, 2°<br />

comma, il risarcimento del danno maggiore da mora. Il Guardasigilli,<br />

nella Relazione (14) , considerava il deprezzamento di cambio<br />

come maggior danno.<br />

3. – L’opinione prevalente nel codice vigente è quella espressa da<br />

Ascarelli (15) che prevede il riferimento al corso di cambio al pagamento,<br />

e non alla scadenza, nel caso di sopravvenuta svalutazione<br />

della moneta legale. È stato ritenuto che il ritardo del debitore non<br />

può assoggettare il creditore alle sorti di un’unità di misura dei valori,<br />

diversa da quella propria del debito, nel periodo anteriore alla<br />

scadenza. E si è concluso che «il debitore potrà pagare in moneta<br />

nazionale la somma equivalente al corso di cambio del giorno del<br />

pagamento della moneta estera dovuta, continuando a correre anche<br />

dopo la scadenza quel rischio valutario che correva prima mentre,<br />

allorché cade in mora, dovrà risarcire il danno derivato dall’impossibilità<br />

di sottrarsi, attraverso opportuni investimenti, alla<br />

perdita del potere di acquisto dell’unità di misura adottata».<br />

Così il risarcimento del «maggior danno» verrebbe a identificarsi<br />

con quello del danno inflazionistico della moneta straniera con la<br />

conclusione aberrante che in Italia si garantirebbe oltre il lucro da<br />

(12) In tale senso Asquini e altri, nella riunione del 30 maggio 1940, della Commissione<br />

delle Assemblee legislative, sul progetto preliminare.<br />

(13) In precedenza anche l’art. 343 del progetto Vivante del Codice di commercio<br />

proponeva l’adozione del cambio alla scadenza e la liquidazione della differenza di cambio<br />

solo come maggior danno da mora. L’ASCARELLI, in Studi giuridici sulla moneta,<br />

op. cit., p. 201, così scriveva: «così si tronca ogni discussione sul corso di cambio, con<br />

l’adozione di quello alla scadenza, come suggeriscono l’equità e la logica giuridica». Il<br />

risarcimento del maggior danno in genere era già codificato dal § 288, 2° comma c.c.<br />

germanico, dall’art. 106 codice svizzero delle obbligazioni e dalla giurisprudenza formatasi<br />

sui §§ 283 e 284 dell’abrogato codice di commercio germanico. Per cenni storici,<br />

v. VASSALLI, op. cit., pp. 265, 266.<br />

(14) Relazione del Guardasigilli sul c.c., n. 36, p. 26.<br />

(15) ASCARELLI, op. cit., nn. 134, 137, pp. 388 n. 3, 390 n. 1, 395, 396, 397 n. 3.


220 Scritti di Diritto Civile<br />

rialzo di cambio, anche l’azzeramento del suo deprezzamento inflazionistico<br />

interno. L’opinione ha trovato seguito, anche recente,<br />

in dottrina (16) .<br />

La tesi favorevole al corso di cambio alla scadenza, salvo l’indennizzo<br />

del suo deprezzamento successivo rispetto alla moneta<br />

straniera, solo come maggior danno da dimostrarsi, è stata sostenuta<br />

da autorevoli giuristi, con riguardo al caso diverso delle obbligazioni<br />

in moneta estera-valore, e cioè in moneta italiana con clausola<br />

di adeguamento a una moneta straniera (17) .<br />

Anche qui tuttavia si è da altri sostenuto il ricorso al cambio del<br />

pagamento perché non sarebbe equo pretendere dal creditore una<br />

prova rigorosa del danno (18) . Invero ciò risente di una concezione<br />

ispirata a un irragionevole favor creditoris, che è alla base della concezione<br />

valoristica.<br />

La dominante giurisprudenza (19) ritiene che il debitore moroso<br />

il quale paghi moneta legale ex art. 1278 c.c., deprezzatasi<br />

durante il ritardo, debba pagare anche la differenza di cambio,<br />

anche se il creditore non ha dato la prova di aver subìto un<br />

danno. Con ciò, l’adozione del corso di cambio al pagamento, è<br />

trasparente.<br />

Essa invece nega rilievo al deprezzamento della moneta stranie-<br />

(16) BARASSI, La teoria generale delle obbligazioni, Milano, 1948, III, n. 246, pp.<br />

81 ss.; DI STASO, voce Somma di danaro, (debito di), nel Noviss. Digesto it., XVII, s.d.,<br />

ma Torino, 1980, p. 879; DI MAJO, Obbligazioni pecuniarie, in Enc. del dir., XXIX, s.d.,<br />

ma Milano, 1978, p. 281; PERLINGIERI, Codice civile commentato, Torino, 1980, sub<br />

art. 1278 c.c. p. 173.<br />

(17) ANDRIOLI, in Foro it., 1955, I, c. 320; ASQUINI, in Riv. dir. Comm., 1955, II,<br />

pp. 257 ss.; CARBONETTI, voce Clausole di indicizzazione, in Diz. del dir. priv., a cura<br />

di Irti, Milano, 1980, p. 145.<br />

(18) Così QUADRI, Le clausole monetarie, Milano, 1981, pp. 141, 146, 150 ss. In tal<br />

senso Cass. civ., 24 giugno 1980, n. 3971, in Giust. civ., 1980, I, p. 2469.<br />

(19) Cass. 21 giugno 1955, n. 1912 in Giust. civ. 1955, I, p. 1823; Cass. civ. 24 gennaio<br />

1958, n. 178, in Rep. giur. it., 1958, voce Moneta, n. 7; Cass. 16 giugno 1958, n.<br />

178, ibidem n. 4; Cass. 17 giugno 1959, n. 1888; Cass. 17 aprile 1964, n. 929, in Giust.<br />

civ., 1964, I, p. 1361. Sostanzialmente tale orientamento è confermato, estendendolo in<br />

via analogica, alle obbligazioni con clausola di adeguamento alla moneta straniera, da<br />

Cass. 24 giugno 1980, n. 3971. Cit. in antinomia, con quanto ritenuto per le clausole oro,<br />

da Cass. 27 aprile 1954, n. 1296, in Rep. Foro it., 1954, c. 1731, n. 10, criticata da ASCA-<br />

RELLI, op. cit., n. 135, p. 393. Tale orientamento è indirettamente confermato come una<br />

delle ipotesi di scelta del lavoratore da Cass., Sez. lav., 16 maggio 1981, n. 3239, in Foro<br />

it. 1982, I, p. 779.


Scritti di Diritto Civile 221<br />

ra rispetto a quella legale, oltre agli interessi (20) . Ciò è stato oggetto<br />

di critica, perché il problema è unico, sia che il deprezzamento<br />

riguardi la moneta nazionale sia che riguardi quella straniera (21) .<br />

Un’eccezione è stata fatta dalla giurisprudenza per i crediti di lavoro<br />

di chi risiede all’estero dove si dà facoltà al creditore di scegliere<br />

tra il corso di cambio al pagamento o la conversione in moneta nazionale,<br />

al cambio della scadenza, procedendosi poi a rivalutazione<br />

monetaria ex art. 429, 30°comma, c.p.c. (22) .<br />

4. – L’opinione dominante, a mio avviso, non è fondata, e contrasta<br />

con il sistema vigente. Le scelte del legislatore del 1942, invero,<br />

sono espresse dal combinato disposto degli artt. 1278 c.c. e<br />

1224, 2° comma; vale a dire che occorre riferirsi al cambio della<br />

scadenza, e non del pagamento, e che il successivo deprezzamento<br />

della moneta nazionale in facultate, sarà indennizzabile solo<br />

come eventuale maggior danno da mora nei limiti degli artt. 1223,<br />

1225, 227 c.c.<br />

Le diverse enunciazioni della dottrina e della giurisprudenza dominanti,<br />

non resistono a un approfondito vaglio critico. Innanzitutto<br />

colpisce la grave disarmonia sistematica per cui il deprezzamento<br />

della moneta straniera, durante il ritardo, non è risarcibile dal<br />

debitore moroso a differenza di quella nazionale, ove sia stata fatta<br />

la scelta ex art. 1278 c.c. Non si riesce a cogliere la ragione per<br />

la quale la legge dovrebbe proteggere il creditore straniero dalla<br />

svalutazione della moneta nazionale, e non, al contrario, il creditore<br />

italiano dalla svalutazione della moneta straniera.<br />

Il ricorso al cambio del pagamento mostra di non sapere dare<br />

una risposta sistematica, e perciò globale, al problema del danno<br />

di cambio durante la mora, e non è accoglibile. La opinione prevalente<br />

in giurisprudenza, in definitiva usa due pesi e due misure<br />

secondo che si tratti di moneta nazionale o straniera, e non può<br />

essere condivisa.<br />

Non sembra parimenti fondato il discorso a suo tempo avanzato<br />

dall’Ascoli e che tanto favore ha avuto sino ai nostri giorni, per cui<br />

(20) Cass. 30 marzo 1966, n. 842, in Giust. civ., 1966, I, p. 983.<br />

(21) ASCARELLI, op. cit., n. 136, pp. 393 ss.<br />

(22) Cass. (sez. lav.) 16 maggio 1981, n. 3239, cit.


222 Scritti di Diritto Civile<br />

il riferimento letterale operato dalla norma al corso di cambio alla<br />

scadenza, dovrebbe essere letto come sinonimo di pagamento puntuale,<br />

e più in generale, di cambio al pagamento, perciò anche tardivo;<br />

esso è insieme una forzatura e una contraddizione (23) .<br />

Non v’è dubbio che pagamento alla scadenza sia sinonimo di pagamento<br />

puntuale, ma non si vede come quest’ultimo possa dilatarsi<br />

sino a comprendere il pagamento tout court, anche quello in<br />

ritardo, e come possa essere sostituita la regola del cambio alla scadenza<br />

con quella diametralmente opposta.<br />

La dottrina tedesca, con migliore logica, interpretò il riferimento<br />

al cambio al pagamento del § 244 BGB come sinonimo di pagamento<br />

puntuale e quindi alla scadenza, che è il rovescio di quanto<br />

sostenuto da noi (24) .<br />

D’altro canto in teoria, potrebbe avere senso dedurre la perdita<br />

della facultas solutionis dal mancato pagamento puntuale; non ha<br />

senso invece ritenere che il debitore conservi tale facultas, ma ad un<br />

corso di cambio diverso, e cioè a quello al pagamento effettuato in<br />

ritardo che, in caso di deprezzamento della moneta straniera, gli<br />

riuscirebbe anche più vantaggioso a spese del creditore.<br />

La decadenza della facultas non è però autorizzata da alcuna<br />

norma testuale, e l’art. 1278 c.c. dovrà applicarsi anche al pagamento<br />

in ritardo.<br />

Invero l’ordinamento con l’art. 1278 c.c. utilizza il tornaconto<br />

del debitore e perciò una sua scelta per realizzare un fine di pubblico<br />

interesse, che va al di là della scadenza dell’obbligazione, e<br />

non decade con essa. Trattasi del pubblico interesse a non vedere<br />

depauperato il patrimonio statale di valuta straniera e a vederlo<br />

anzi incrementato (25) .<br />

È una via diversa e più flessibile, e tuttavia tesa al medesimo sco-<br />

(23) VASSALLI, op. cit., p. 255, scrisse a proposito di tale argomento dell’Ascoli che<br />

«sembra il sovvertimento di ogni buon criterio esegetico».<br />

(24) SCHOLLMEYER-OERTMANN-KUHLENBECK-KOBER, cit. supra alla nota 6.<br />

(25) Il pubblico interesse è alla base della normativa valutaria italiana fortemente vincolistica<br />

e penalmente sanzionata: R.D.L. 8 dicembre 1934 n. 1942, D.L. 6 giugno 1956<br />

n. 476, legge 30 aprile 1976, n. 159, legge 8 ottobre 1976, n. 689; v. FAZIO, Fondamenti<br />

economici della normativa valutaria, in Giust. Valut. Italiana, Milano, 1981, pp. 20 ss.;<br />

v. MERUSI, Il regime delle valute e l’offerta in cessione, ibidem, pp. 415 ss.; OPPO, Ordinamento<br />

valutario ed autonomia privata, ibidem, pp. 346 ss.


Scritti di Diritto Civile 223<br />

po di quella di altri ordinamenti che contemplano la conversione<br />

obbligatoria della moneta straniera in quella a corso legale (26) . Non<br />

v’è alcuna ragione perché debba esercitarsi in un termine acceleratorio<br />

la facultas solutionis finalizzata a un pubblico interesse, non<br />

temporaneo, ma permanente, quale è quello relativo al patrimonio<br />

valutario nazionale, rispetto al quale quello privato è solo mediato<br />

e strumentale.<br />

Ma torniamo all’opinione dominante: essa non può essere accolta<br />

nel suo punto nodale, dove ritiene che «il creditore continui a correre<br />

durante la mora, le sorti dell’unità di valori prescelta» e cioè il<br />

rischio di cambio della moneta straniera. Si ha quivi, a mio sommesso<br />

avviso, una disapplicazione del principio del passaggio del rischio<br />

di cambio dal creditore al debitore, a seguito della mora, e uno<br />

stravolgimento del concetto medesimo di perpetuatio obligationis,<br />

nelle obbligazioni in moneta straniera (27) .<br />

La perpetuatio obligationis cristallizza il rischio contrattuale del<br />

creditore incolpevole al momento della mora, per cui da tale momento<br />

in poi il rischio passa al debitore, con la conseguenza che a<br />

questi farà carico il deprezzamcnto e gli competerà il vantaggio di<br />

un eventuale apprezzamento (28) . L’opinione corrente, al contrario,<br />

(26) Così USA e Svizzera. In Svizzera l’art. 67 della legge federale sull’esecuzione,<br />

e la dottrina sull’art. 232 della legge in materia fallimentare, sanciscono che il credito<br />

deve essere espresso in valuta legale svizzera. Di recente v., decisione del Tribunale di<br />

Lugano nella causa Interchange. Per cenni di diritto comparato, v. ASCARELLI, op.<br />

cit., n. 96, p. 308.<br />

(27) Sulla perpetuatio obligationis come cristallizzazione del rischio, M. BIANCHI<br />

FOSSATI VANZETTI, Perpetuatio obligationis, Padova, 1979, pp. 4 s. Sovente essa viene<br />

male intesa come perpetuazione della prestazione, nella sua identità, senza riguardo al<br />

rischio economico che così continua a correre a danno ed a vantaggio del creditore: in tal<br />

senso, ad es. FAVARA, in Foro it., 1954, I, c. 742, o come perpetuazione del debitum nel<br />

contesto dei patti contrattuali come da QUADRI, Le clausole monetarie, cit., pp. 146 ss.<br />

Correttamente l’ANDRIOLI, in Foro it., 1955, I, c. 321, ha criticato il richiamo alla perpetuatio<br />

obligationis del Favara, osservando come esso non ha senso, per chi accetti la<br />

concezione valoristica. Per l’assimilazione della diminuzione di prezzo alla parziale impossibilità<br />

della prestazione, WINDSCHEID, Diritto delle pandette, Torino, 1930, II, § 28,<br />

p. 103, nota 15, anche se poi risolve il problema nel senso della teorica del quanti plurimi<br />

corrente nel diritto comune.<br />

(28) Ciò è una conseguenza del fatto che l’inadempienza rende attuale il momento della<br />

responsabilità (Haftung). Sul trapasso del rischio ed in genere sulla perpetuatio obligationis,<br />

TRABUCCHI, Istituzioni di diritto civile 25 , Padova, 1980, p. 538; BARASSI, op.<br />

cit., III, pp. 247 ss., 369.


224 Scritti di Diritto Civile<br />

ipotizza che il creditore continui a correre il rischio contrattuale e<br />

così le sorti del ribasso come del rialzo della moneta convenuta. È<br />

da ritenere d’altro canto che il creditore, in caso di ribasso, non può<br />

pretendere anche il quantum plurimi alla scadenza, perché ciò si risolverebbe<br />

in un’obbligazione con garanzia di cambio (29) ed è tesi<br />

non autorizzata da alcuna norma.<br />

L’opinione dianzi riferita conduce poi alla conclusione che il creditore<br />

non può rivalersi del ribasso della moneta straniera convenuta,<br />

ma anche nell’ipotesi eventuale di rialzo, il debitore moroso<br />

riceverà incentivo a far decorrere altro tempo, in attesa di un successivo<br />

ribasso, così da speculare sul creditore, senza incontrare alcuna<br />

avversa alea di cambio. La perpetuatio obligationis, con il trasferire<br />

il rischio nei suoi contra e nei suoi pro al debitore in mora,<br />

giustifica l’ipotesi che egli possa trarre un lucro dalla sua inadempienza,<br />

se a questa non si accompagna un danno del creditore, che<br />

ove sussistente, va comunque risarcito.<br />

D’altro canto il creditore non potrebbe trarre lucro dal rialzo di<br />

cambio durante la mora, dato che egli ove avesse ricevuto pagamento<br />

puntuale in moneta straniera, avrebbe dovuto cederla immediatamente<br />

all’Ufficio Italiano Cambi (30) .<br />

Il corso di cambio al pagamento gli farebbe così correre solo il rischio,<br />

della perdita e non anche del lucro.<br />

È stato infine osservato giustamente, che vanno distinti due ordini<br />

di problemi diversi, quali quelli del cambio ex art. 1278 c.c. e<br />

quello del risarcimento del maggior danno da mora, ex art. 1224,<br />

2° comma, c.c. (31) .<br />

Coloro che pretendono di risolvere questo problema con l’adottare<br />

il cambio al pagamento, invece che alla scadenza, confondono<br />

appunto due ordini diversi di problemi.<br />

È impensabile pretendere che il danno da mora trovi il suo risarcimento<br />

nell’equivalenza di eventualità di guadagni e di perdite<br />

che conseguono all’adozione del corso di cambio al pagamento.<br />

Il risarcimento del danno deve essere effettivo e non sperato (sen-<br />

(29) ASCARELLI, op. cit., pp. 224, 225, 227 note.<br />

(30) Entro sette giorni la divisa straniera deve essere ceduta all’UIC ai sensi dell’art.<br />

8, D.L. 6 giugno 1956; n. 476, D.M. 6 maggio 1976.<br />

(31) ASCARELLI, op. cit., n. 135, p. 390.


Scritti di Diritto Civile 225<br />

za dire della probabilità di ulteriori perdite nell’ipotesi pessimistica)<br />

e deve avvenire nei limiti degli artt. 1223, 1225, 1227 c.c. La<br />

risoluzione del problema del risarcimento del danno da mora nelle<br />

obbligazioni in moneta straniera, attraverso la scelta di questo o di<br />

quel corso di cambio, osta quindi ai principi.<br />

Da questo punto di vista non può ipotizzarsi una liquidazione<br />

forfettaria del danno da mora, e comunque il ricorso al<br />

cambio è scelta inidonea allo scopo. In effetti è assolutamente<br />

raro e del tutto casuale che il rialzo di cambio abbia a corrispondere<br />

alla perdita subita così da poterla compensare; un<br />

eventuale ribasso del cambio, che è un dato istantaneo, non<br />

consente di ipotizzare l’indennizzo del danno da mora, che è<br />

danno di durata (32) .<br />

Devesi preferire l’opinione che interpreta l’art. 1278 c.c. nel senso<br />

del cambio alla scadenza per due ulteriori rilievi. Ove si adotti il<br />

cambio al pagamento, le obbligazioni «non corso effettivo» metterebbero<br />

capo a risultato identico a quello «corso effettivo», lasciando<br />

scoperto il danno da deprezzamento della moneta straniera durante<br />

la mora.<br />

In secondo luogo, l’adozione del cambio al pagamento non sarebbe<br />

applicabile comunque, ad esempio, al caso in cui il tasso di<br />

cambio sia stato convenzionalmente stabilito, onde la variazione di<br />

cambio successiva alla scadenza potrebbe essere risarcita solo come<br />

maggior danno da mora, mettendo in evidenza l’inadeguatezza anche<br />

sistematica del ricorso al cambio al pagamento.<br />

È da concludersi che l’adozione del valore della moneta straniera<br />

al momento del pagamento, come parametro fisso anche di quella<br />

in facultate, si basa sull’erroneo presupposto che esatto adempimento<br />

sia sinonimo di prestazione della moneta estera convenuta,<br />

qualunque ne sia il valore, rispetto alla scadenza, e cioè dell’adempimento<br />

specifico.<br />

Il ricorso al cambio del pagamento si risolve perciò nel disapplicare<br />

l’art. 1224, 2° comma, c.c. al deprezzamento di cambio delle<br />

obbligazioni in moneta straniera durante la mora.<br />

(32) Così, criticando la stima al prezzo della decisione del danno da risarcirsi, VAL-<br />

CAVI, Riflessioni sui c.d. crediti di valore, sui crediti di valuta e sui tassi di interessi, in<br />

Foro it., 1981, I, c. 2114.


226 Scritti di Diritto Civile<br />

5. – Ritengo pertanto che l’opinione dominante, ancorata come s’è<br />

visto al corso di cambio al pagamento, non sia in linea con le scelte<br />

del nostro legislatore.<br />

Il codice vigente affida al debitore la scelta di pagare moneta<br />

straniera o moneta nazionale al corso di cambio della scadenza, salva<br />

l’aggiunta nell’uno e nell’altro caso dell’indennizzo dell’eventuale<br />

deprezzamento di cambio ex art. 1224, 2° comma c.c. Tale indennizzo<br />

deve trovar luogo anche nelle obbligazioni in moneta straniera<br />

«corso effettivo».<br />

Il divario tra questa soluzione e quella corrente si coglierà, ove si<br />

pensi che essa potrebbe rivelarsi assai più onerosa rispetto al valore<br />

di cambio della moneta straniera, al momento del pagamento. Il<br />

debitore è chiamato tuttavia a scegliere tra adempiere in moneta legale<br />

al corso di cambio alla scadenza o in moneta straniera. Non gli<br />

è invece dato di prestare moneta legale al cambio più favorevole<br />

quale quello del pagamento.<br />

L’eventuale deprezzamento di cambio della moneta nazionale,<br />

ove ciò siasi verificato, non va liquidato d’altro canto a qualsiasi<br />

creditore di moneta straniera sia esso nazionale o straniero, indipendentemente<br />

dalla prova di aver subìto un danno (33) , ma solo nei<br />

limiti in cui il creditore dimostri che esso si è tradotto in effettivo<br />

danno, diretto ex art. 1223 c.c., prevedibile ex art. 1225 c.c., non<br />

evitabile ex art. 1227 c.c. Ove il creditore, sia esso nazionale o residente<br />

in Paese terzo, non dimostri ciò, o addirittura dal rialzo della<br />

moneta avrebbe tratto un lucro, non avrà liquidata la differenza<br />

di cambio della moneta nazionale che gli fosse prestata ex art. 1278<br />

c.c. rispetto a quella straniera. Il maggior danno da mora, ove non<br />

rilevi l’oscillazione di cambio, riguarderà i comuni pregiudizi indennizzabili<br />

ex art. 1224, 2° comma, c.c.<br />

Lo stesso è a dirsi per il pagamento in ritardo di moneta straniera.<br />

Il creditore quivi ha diritto di rivalersi nei confronti del debitore<br />

moroso della perdita di cambio della moneta straniera convenuta<br />

rispetto a quella in cui avrebbe cambiato, ove ci fosse stato pagamento<br />

puntuale. Ciò sarà presunto nel caso di un creditore che risieda<br />

in Paese con moneta legale diversa ed in rialzo rispetto a quella<br />

straniera convenuta.<br />

(33) Così motiva la giurisprudenza cit. alla nota 35 ed in genere la dottrina.


Scritti di Diritto Civile 227<br />

Non sembra dubbio che il nostro legislatore abbia adottato la regola<br />

del cambio alla scadenza per il caso che il debitore si avvalga<br />

della facultas solutionis.<br />

In questo senso depone il non equivoco testo dell’art. 1278 c.c. e<br />

la norma dell’art. 1224, 2° comma, c.c. per cui l’argomento letterale<br />

e quello sistematico convergono in modo univoco. Ciò è confortato<br />

dal medesimo rilievo che la formulazione dell’art. 1278 c.c. ha<br />

ripristinato la regola del cambio alla scadenza, mettendo da parte<br />

tutte le discussioni e le opposte interpretazioni della dottrina e della<br />

giurisprudenza, sull’identico testo dell’art. 39 c.co. ed abbandonando<br />

il riferimento al corso di cambio al pagamento, che era stato<br />

accolto dall’art. 11 del progetto preliminare.<br />

L’adozione del corso di cambio alla scadenza ha tutta una sua<br />

logica.<br />

L’ordine giuridico, realizzando con l’art. 1278 c.c. un fine di<br />

pubblico interesse, di cui si dirà ancora infra, ha rimesso la facultas<br />

solutionis alla scelta del debitore e non del creditore, come<br />

invece ha fatto l’art. 47 legge cambiaria. Il debitore farà la sua<br />

scelta secondo il suo tornaconto e così adotterà la soluzione per<br />

lui più vantaggiosa, che sarà quella di pagare in moneta nazionale,<br />

se nel frattempo si svilirà rispetto a quella straniera, o di<br />

pagare in moneta straniera, se viceversa questa si svilisse rispetto<br />

a quella nazionale.<br />

Il legislatore, nel rimettere al debitore la facultas solutionis, ha<br />

voluto però tenere ferma la regola dell’esatto adempimento dell’obbligazione,<br />

che è poi la regola della scadenza ex art. 1184 c.c.<br />

Ove non si fosse tenuta ferma questa regola, o addirittura si fosse<br />

adottata quella del cambio al pagamento, il diritto del creditore<br />

all’esatta prestazione sarebbe stato rimesso alla mercé del debitore<br />

cui compete la scelta.<br />

Il legislatore ha tenuto fermo il principio che a fare la scelta, anche<br />

dopo la scadenza, sia il debitore, non avendo comminato al riguardo<br />

alcuna limitazione o decadenza, ma si è preoccupato di evitare<br />

che il creditore subisca danno, mercé il risarcimento, ex art.<br />

1224, 2° comma, c.c. Il nostro codice, in definitiva, si preoccupa di<br />

preservare il danno ma non anche che possa derivare un lucro di<br />

cambio, per il rialzo della moneta straniera durante la mora.<br />

La facultas solutionis, ex art. 1278 c.c., può essere invero eser-


228 Scritti di Diritto Civile<br />

citata durante la mora, senza danno di cambio per il creditore o con<br />

danno di cambio.<br />

Il debitore straniero adempirà la sua obbligazione nei confronti<br />

del creditore italiano, in moneta legale, se questa risulterà svilita; il<br />

debitore italiano adempirà la propria verso il creditore straniero in<br />

moneta straniera se questa fosse svilita rispetto a quella nazionale.<br />

Si ipotizza, per economia, quivi che il creditore straniero risieda nel<br />

paese dove la moneta straniera ha corso legale. Nel caso sopra ricordato,<br />

il debitore farà la scelta per lui più conveniente, lo si è visto,<br />

ma senza recare alcun danno al creditore. Invero né il creditore<br />

italiano risente danno da cambio dall’avere ricevuto moneta italiana,<br />

né quello straniero per aver ricevuto la propria moneta, in<br />

quanto non ricorra alcuna necessità di cambiare la moneta ricevuta<br />

con un’altra.<br />

L’aspettativa, ad esempio, del creditore italiano di ricevere la<br />

moneta straniera pattuita, non è garantita, perché si è affidata la<br />

scelta al debitore.<br />

La facultas solutionis può tuttavia realizzarsi, anche con danno<br />

al creditore e l’ordine giuridico si preoccupa di predisporre l’indennizzo<br />

all’art. 1224, 2° comma, c.c.<br />

Il debitore straniero sceglierà così, secondo il suo interesse, di<br />

adempiere il debito verso il creditore italiano nella moneta straniera<br />

pattuita, se questa si svilisse rispetto alla prima, e viceversa il debitore<br />

italiano si avvarrà dell’art. 1278 c.c., pagando moneta nazionale<br />

al creditore straniero, se essa risultasse deprezzata durante<br />

la mora.<br />

Il nostro sistema si è preoccupato, all’art. 1224, 2° comma,<br />

c.c., di preservare il risarcimento del danno da mora, senza togliere<br />

al debitore il diritto di scegliere, ex art. 1278 c.c. Una riflessione<br />

tuttavia si impone: quello che non ha alcuna logica è l’adozione<br />

del cambio al pagamento, sostenuto dalla dominante<br />

dottrina e giurisprudenza. Invero l’adozione del cambio al pagamento<br />

sovverte la regola dell’esatto adempimento alla scadenza,<br />

quella non meno importante del passaggio del rischio al debitore<br />

intrinseca alla perpetuatio obligationis, intesa come cristallizzazione<br />

del rischio di cambio col sorgere della mora, e si preoccupa<br />

di garantire al creditore il possibile lucro di cambio e non<br />

invece il risarcimento danno. Anzi, tale regola se accolta, garan-


Scritti di Diritto Civile 229<br />

tirebbe il lucro a chi non deve cambiare e lascerebbe senza tutela<br />

il danno del creditore che deve cambiare.<br />

Con lo stabilire come regola assoluta un’equivalenza di cambio<br />

tra moneta in obligatione e moneta in facultate al tempo del pagamento,<br />

in caso di ribasso della moneta straniera, il debitore straniero<br />

presterà al creditore italiano un valore inferiore rispetto a<br />

quello della scadenza.<br />

Viceversa, in caso di rialzo della moneta straniera, rispetto a<br />

quella italiana, il creditore italiano riceverebbe un lucro di cambio<br />

anche se il debitore si avvalesse dell’art. 1278 c.c. Nel primo<br />

caso il creditore italiano risentirà danno dal sopravvenuto deprezzamento<br />

della moneta straniera in obligatione, che avrebbe<br />

evitato da una prestazione puntuale, senza poter contare per<br />

giunta su alcun risarcimento.<br />

Si tratterebbe cioè di un danno irrisarcibile, contro ogni logica ed<br />

equità, ancora più evidente se, ipotizzando l’esercizio dell’art. 1278<br />

c.c., si confronta la quantità di moneta legale che si sarebbe ricevuta<br />

con il cambio alla scadenza, con quella minore che risulterà<br />

dall’adozione del cambio al pagamento.<br />

Nel secondo caso al creditore verrebbe addirittura garantito un<br />

inconcepibile lucro dal rialzo di cambio.<br />

Certamente il creditore nazionale non avrebbe conseguito tale lucro<br />

se avesse ricevuto tempestivamente la quantità di moneta legale<br />

al cambio di scadenza, ovvero se avesse ricevuto la convenuta<br />

quantità di moneta straniera, che tuttavia avrebbe dovuto cambiare<br />

immediatamente in lire, cedendola all’Ufficio Italiano Cambi. È<br />

infatti sulla base delle leggi vigenti al momento in cui scriviamo<br />

proibito al connazionale di tenere in essere posizioni in moneta straniera<br />

o di convertire liberamente moneta nazionale in moneta straniera.<br />

È appena il caso di aggiungere che il lucro derivante dalla regola<br />

del cambio al pagamento contrasta in modo netto con la facoltà<br />

di scelta del debitore. Si è detto all’inizio che le scelte legislative<br />

sono fortemente influenzate dall’intento di utilizzare l’iniziativa<br />

privata per raggiungere fini di pubblico interesse. Ed in primis<br />

quello a vedere il meno possibile depauperato ed il più possibile incrementato<br />

il patrimonio valutario nazionale. Ove si fosse scelto il<br />

cambio al pagamento della moneta straniera, il debitore italiano, in<br />

caso di rialzo di questa, e perciò di ribasso della moneta nazionale,


230 Scritti di Diritto Civile<br />

sarebbe stato più gravato. Questo, per giunta, in un paese nettamente<br />

importatore come il nostro.<br />

E, viceversa, nel caso di ribasso della moneta straniera, il creditore<br />

italiano sarebbe rimasto pregiudicato, senza possibilità di alcun<br />

risarcimento. È appena il caso di ricordare la politica valutaria<br />

del tempo e la famosa quota 90 del discorso di Pesaro.<br />

L’adozione del cambio alla scadenza, in caso di successivo deprezzamento<br />

della moneta nazionale, ex art. 1278 c.c., è nella logica<br />

del sostegno dato da ogni ordinamento al cambio della propria<br />

moneta.<br />

La logica del pubblico interesse, nel caso di deprezzamento, è di<br />

vedere uscire moneta nazionale al prezzo più alto e di vedere entrare<br />

moneta straniera a quello più basso.<br />

A prima vista potrebbe sembrare che sussista un pubblico interesse<br />

a che il creditore italiano abbia a ricevere moneta straniera a<br />

un corso in rialzo e così a vedersi garantito un eventuale lucro di<br />

cambio, che poi si potrebbe tradurre in un incremento del patrimonio<br />

valutario nazionale. A ben vedere così non è stato ritenuto con<br />

l’avere mantenuto l’art. 1278 c.c. È interesse pubblico infatti, quello<br />

di disincentivare il residente dallo speculare contro la moneta nazionale,<br />

ed un possibile modo di speculare è quello di ritardare l’incasso<br />

del credito dallo straniero.<br />

Ciò è riconosciuto correntemente, come elemento perturbatore<br />

della moneta nazionale sul mercato valutario.<br />

6. – Passiamo ora alle obbligazioni in moneta straniera «corsoeffettivo»<br />

ex art. 1279 c.c. ed a quelle ex art. 1278 c.c. in cui il<br />

debitore non si avvalga della facultas e presti moneta straniera<br />

convenuta.<br />

Va risarcita ex art. 1224, 2° comma, c.c. la perdita di cambio<br />

che il creditore possa dimostrare di avere subito durante la mora,<br />

per il deprezzamento della moneta straniera prestata in ritardo,<br />

rispetto alla moneta avente corso legale nel suo paese o di sua<br />

abituale spendita.<br />

Si dissente quivi dalla dottrina e dalla giurisprudenza dominanti.<br />

Il deprezzamento va inteso nella sua relazione con un’altra moneta:<br />

potrà trattarsi di deprezzamento della moneta straniera nei<br />

confronti di quella legale italiana o di altra moneta straniera, qua-


Scritti di Diritto Civile 231<br />

le ad esempio il caso di un creditore americano, di somma convenuta<br />

in marchi tedeschi e prestatigli in ritardo dal debitore italiano.<br />

Ovviamente ciò suppone la dimostrazione di un’esigenza anche<br />

virtuale di cambio.<br />

Il problema si pone in modo diverso secondo che si tratti di cambi<br />

fissi o fluttuanti, di ordinamenti valutari vincolistici o liberi. Il<br />

corso di cambio rilevante sarà quello dell’inizio della mora. Nel caso<br />

di stipulazione «corso effettivo» ex art. 1279 c.c., non si pone la<br />

problematica del lucro del creditore in quanto tratterebbesi di una<br />

conseguenza del pagamento della moneta straniera pattuita e del<br />

fatto che l’ordinamento non ha apprestato al debitore il rimedio dell’autotutela<br />

della facultas solutionis.<br />

In materia di risarcimento del maggior danno, in questo caso,<br />

troveranno applicazione tutti i principi e le regole ordinarie di cui<br />

si è trattato a proposito dell’altra ipotesi ex art. 1278 c.c. È sufficiente<br />

qui avere ricondotto questo particolare problema ai lineamenti<br />

sistematici più generali ed unitari.<br />

7. – Conviene ora esaminare alcuni problemi specifici in materia di<br />

risarcimento del maggior danno da mora ex art. 1224, 2° comma,<br />

c.c. Si ricorda che ogni danno è risarcibile in quanto sia conseguenza<br />

diretta ed immediata dell’inadempienza ex art. 1223 c.c., in<br />

quanto sia prevedibile ove dipenda da colpa e non da dolo ex art.<br />

1225 c.c. ed in quanto non sia evitabile ex art. 1227 c.c. Si tratta<br />

di norme pressoché comuni ai vari ordinamenti giuridici con talune<br />

variazioni anche di rilievo com’è il caso, ad esempio, del limite<br />

della prevedibilità che compare in taluna anche ove vi sia dolo.<br />

Una deroga del genere è entrata anche da noi con l’art. 74 della<br />

Convenzione dell’Aja 1° luglio 1964, ratificata dal nostro paese con<br />

legge 21 giugno 1971, n. 816, in materia di compravendita di cose<br />

mobile corporali.<br />

È d’uopo soffermarsi sul limite del prevedibile legato al carattere<br />

colposo dell’inadempienza. È comunemente ritenuto che l’inadempienza<br />

è da colpa quando non ci sia dolo (34) e non dipenda da<br />

(34) Il dolo è generalmente inteso come volontarietà della inadempienza con la coscienza<br />

della sua illiceità. V. TRABUCCHI, Istituzioni di diritto civile, cit., pp. 220, 569;<br />

MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, III, I, p. 2; MAJORCA, voce Colpa


232 Scritti di Diritto Civile<br />

caso fortuito o forza maggiore. Non è detto che l’inadempienza colposa<br />

rimanga tale; essa, in itinere, può trasformarsi in dolosa, come<br />

sostanzialmente prevede l’art. 96 c.p.c., e in questo caso viene meno<br />

il limite del prevedibile.<br />

In realtà colui che non adempie colposamente perché ad esempio<br />

confida in certe sue ragioni, strada facendo può acquistare coscienza<br />

della illiceità e persistere nella mora per motivi egoistici ed<br />

emulativi, come ad esempio per sfruttare l’inadeguata sanzione dell’interesse<br />

legale moratorio.<br />

È nota la controversia intorno all’oggetto del prevedibile e cioè<br />

se esso riguardi il danno e i suoi coefficienti in astratto o anche la<br />

quantità di danno (35) .<br />

Il risarcimento riguarderà altresì quella parte di danno che non<br />

poteva essere evitata ex art. 1227 c.c. ricorrendo in tal caso anche<br />

al rimpiazzo.<br />

Passando a considerare il tipo di danno risarcibile, quello inflazionistico,<br />

a differenza di quanto sostenuto da altri non pare indennizzabile,<br />

per le dimensioni mondiali del fenomeno e la generale<br />

avversione verso l’indicizzazione (36) . Ove ciò fosse accolto farebbe<br />

del nostro Paese l’unico al mondo dove verrebbe garantita la stabilità<br />

del potere d’acquisto interno ad ogni moneta, sia nostra sia<br />

altrui. Né un tale danno appare indennizzabile per ragioni più ge-<br />

civile, in Enc. del sir., s.d., ma Milano, 1962, p. 565 e bibl. cit. Utilizzando i risultati più<br />

avanzati della dottrina penalistica, rinverrei il criterio discretivo del dolo nell’inadempienza<br />

rispetto a quello dell’illecito civile nella «volontà di non adempiere o di ritardare<br />

la prestazione dovuta (dolo generico) al fine di procurarsi un vantaggio ingiusto con altrui<br />

danno (dolo specifico)». Questo dolo specifico, sinonimo di malafede, è qualcosa di<br />

più della mera consapevolezza dell’illiceità e manca totalmente nella colpa. Si risponde,<br />

di regole per colpa, salva la prova del dolo o del fortuito, e tuttavia, nella prassi giudiziaria<br />

di ogni giorno, non facendosi gran conto del limite del prevedibile, si finisce per trattare<br />

e presumere l’inadempienza come dolosa.<br />

(35) Per la rassegna della dottrina e giurisprudenza, v. BELLINI, L’oggetto della prevedibilità<br />

del danno, ai fini dell’art. 1225 c.c., in Riv. dir. comm., 1954, II, pp. 302 ss. Nel<br />

senso che la prevedibilità riguardi anche il quanto di danno, v. MESSINEO, Manuale di<br />

diritto civile e commerciale, cit., III, § 115, p. 338; BIANCA, Dell’inadempimento delle obbligazioni,<br />

nel Commentario del codice civile, a cura di Scialoja e Branca, Libro quarto,<br />

Delle obbligazioni (artt. 1218-1229-2), Bologna, 1979, sub art. 1225, p. 384, nota 8.<br />

(36) Ogni moneta perde più o meno potere di acquisto ed è generale l’avversione all’indicizzazione,<br />

ritenuta causa di nuova inflazione, ad es. dal rapporto Radcliff, v. RUO-<br />

ZI, Inflazione, risparmio e aziende di credito, pp. 433, 434, 437, 483, 484, 485, 510. È<br />

attuale la discussione, per tale motivazione, della nostra scala mobile salariale.


Scritti di Diritto Civile 233<br />

nerali (37) , dato che il residente all’estero non risente dell’erosione<br />

del livello dei prezzi interni di un Paese dove egli non vive, non<br />

spende e sovente gli sarebbe anche interdetto di spendere.<br />

Esaminiamo ora il deprezzamento di cambio come maggior<br />

danno da mora. Esso è stato ritenuto generalmente dai giuristi<br />

stranieri e dai nostri a proposito dell’esercizio della facultas solutionis<br />

ex art. 1278 c.c.<br />

È stata già anticipata anche da chi scrive l’opinione che tale<br />

deprezzamento ipotizzi il maggior danno da mora ex art. 1224,<br />

2° comma, c.c. In tal senso si ricorda la testuale enunciazione della<br />

Relazione del Guardasigilli al c.c. (n. 36) sulle orme dell’art.<br />

434 del progetto Vivante-Mortara del codice di commercio, che<br />

conteneva un’espressa previsione al riguardo (38) . La differenza di<br />

cambio rileverà dall’inizio della mora all’adempimento, rimanendo<br />

fuori il risarcimento dalla scadenza all’inizio della mora,<br />

ma ciò è da ricondursi al modo e al tempo con cui il creditore<br />

esercita l’autotutela, con la costituzione in mora. Si è detto sopra<br />

che, nell’inadempienza colposa, è risarcibile il danno prevedibile<br />

e si discute se esso riguardi il danno in sé o il quanto di danno;<br />

nel caso in esame ciò si risolve nel problema se basta potersi<br />

prevedere che i cambi come i prezzi siano variabili in sé od anche<br />

di quanto possano variare al massimo per approssimazione.<br />

Il debitore a mio avviso, deve poter prevedere ex art. 1225 c.c.<br />

non solo che il creditore avrebbe effettuato quel cambio della moneta<br />

da lui ricevuta in quell’altra moneta, ma anche che la prima<br />

si sarebbe deprezzata rispetto alla seconda, nonché di quanto<br />

al massimo avrebbe potuto deprezzarsi, al di sopra del quale<br />

una svalutazione è da ritenere imprevedibile. Si dovrà cioè tener<br />

conto della quantità di svalutazione «attesa» dagli operatori e dai<br />

mass-media e la previsione varia secondo che si tratti di cambi<br />

fissi o fluttuanti. Il giudizio dovrà essere necessariamente penetrante<br />

nelle circostanze di fatto, e si farà largo uso delle presun-<br />

(37) VALCAVI, La stima del danno nel tempo, con riguardo all’inflazione, alla variazione<br />

dei prezzi ed ai tassi di interesse, in Riv. dir. civ., 1981, II, pp. 332 ss.; Id., Rivalutazione<br />

monetaria o interessi di mercato?, in Foro it., 1980, I, c. 118.<br />

(38) La relazione del Guardasigilli, al n. 36, p. 26, testualmente recita «un maggior<br />

danno può essere risarcito (ad es. differenza di cambio nei debiti di moneta estera)».


234 Scritti di Diritto Civile<br />

zioni; sarà così agevole presumere, ad esempio, che il creditore<br />

con moneta legale diversa da quella pattuita, cambierà questa<br />

nella propria e così via.<br />

Si è visto altresì all’inizio di questo studio, che ci sono cambi per<br />

contanti e cambi a termine. L’art. 39 c.co. testualmente richiamava<br />

il cambio «a vista» e cioè per contanti; ciò non è più detto dall’art.<br />

1278 c.c. anche se potrebbe opinarsi essere presupposto.<br />

Ove si accolga la tesi che la prevedibilità riguardi anche la quantità<br />

di danno, appare maggiormente indicativo il differenziale di<br />

cambio sul mercato a termine, rispetto a quello sul mercato per contanti,<br />

che è differenziale ricavato a posteriori.<br />

Quivi l’aggio e il disaggio di una moneta rispetto ad un’altra,<br />

tendono a coincidere col differenziale dei rispettivi interessi monetari<br />

(39) , onde il danno da mora della moneta deprezzata tende a<br />

coincidere con il più alto tasso di interesse della moneta in ribasso,<br />

ponendo il problema di evitare una duplicazione di risarcimento.<br />

Si è visto altresì sopra che il risarcimento del danno va limitato<br />

a quello che non poteva essere evitato ex art. 1227 c.c. anche ricorrendo<br />

ad idoneo rimpiazzo, nel qual caso esso sarebbe limitato<br />

al suo costo. Una tipica operazione di rimpiazzo che limita il rischio<br />

di cambio, è quella di vendere a termine una moneta, e di acquistare<br />

pure a termine un’altra (40) .<br />

Il discorso del ricorso al cambio a termine, per valutare i limiti<br />

della prevedibilità e della evitabilità del danno, ha un senso pregnante<br />

nel caso che il creditore sia aduso ad operare sul mercato dei<br />

cambi. La internazionalizzazione degli istituti di credito, necessario<br />

tramite delle operazioni sui cambi, mette a disposizione di schiere<br />

sempre più vaste servizi e consulenze sempre più specializzate al riguardo.<br />

Il discorso dovrà essere ulteriormente approfondito quanto<br />

meno de iure condendo.<br />

(39) KEYNES, La riforma monetaria, Milano, 1975, pp. 90 ss.; FERRO, Il mercato<br />

dei cambi a termine, Padova, 1973, pp. 41 ss., 61 ss., 132 ss., 294 ss., 425 ss., 551 ss.<br />

(40) Si accenna alla copertura del rischio di cambio con le varie operazioni di mercato<br />

quali i contratti di riporto (Swap), di riporto staccato (engineered swap transation),<br />

al contro-riporto (swap-swap), al contratto di cambi con opzione (option ex change<br />

contract) v. HEINZ RIEHL-RODRIGUEZ, Il mercato dei cambi, Bologna, 1983, pp.<br />

155 ss., 197 ss., 255 ss.


Scritti di Diritto Civile 235<br />

8. – Il risarcimento del danno da mora, è infine dato dall’interesse<br />

moratorio. Esso è chiamato a compensare il risparmio forzato imposto<br />

dal debitore al creditore con la sua mora. Esso misura precentualmente<br />

il deprezzamento di una quantità di una data moneta<br />

prestata in tempo differito, rispetto alla stessa prestata a pronti:<br />

misura cioè la utilitas temporis.<br />

Il rendimento della moneta è dato dall’interesse nominale e non<br />

da quello reale (41) ; questi ultimi oggi sono abbastanza generali, e tipico<br />

è il caso odierno del dollaro mentre alcuni anni or sono gli interessi<br />

reali erano negativi.<br />

Vi sono diversi saggi e famiglie di saggi di interesse: quello corrente<br />

di mercato, quello ufficiale di sconto, e così via.<br />

Il rendimento normale è quello di mercato; sue indicazioni standardizzate,<br />

anche se per difetto, possono individuarsi nel tasso ufficiale<br />

di sconto, nel prime rate per gli impieghi e nel rendimento<br />

dei titoli pubblici per il risparmio.<br />

Un discorso a sé merita il tasso legale di interessi, ex artt. 1224,<br />

1° comma, 1284 c.c. ancorato alla misura anacronistica del 5%. Altrove<br />

ho individuato il maggior danno da mora ex art. 1224, 2° comma,<br />

c.c. a proposito della moneta a corso legale, nello scarto tra esso<br />

e quello corrente di mercato garantendo così al danaro la sua remunerazione<br />

normale. È lecito dubitare che il saggio legale di interessi<br />

inerisca anche alla moneta straniera (42) . Va considerato che il saggio<br />

legale del 5%, così inadeguato per la moneta legale, appare sovente<br />

al limite o al di sopra dell’interesse di mercato per talune monete<br />

straniere (43) . Sembra da preferire il partito di riferirsi al rendimento<br />

di mercato della moneta straniera o meglio a quelle espressioni<br />

standardizzate dello stesso, come fa l’art. 83 della Convenzione del-<br />

(41) Gli interessi reali sono dati dalla percentuale al di sopra del tasso inflazionistico<br />

di quelli nominali.<br />

(42) Nel senso dell’inapplicabilità del tasso legale di interesse al debito di moneta<br />

estera, sull’art. 1231 c.c. 1865, v. ASCARELLI, Studi giuridici sulla moneta, cit., p.<br />

195; COBIANCHI, in Riv. dir. comm., 1922, II, p. 67; MAZZONE, op. cit., p. 170; nel<br />

senso invece dell’applicabilità ASCOLI, op. loc. citt.; VASSALLI, op. loc. citt., PAC-<br />

CHIONI, op. loc. citt.<br />

(43) L’interesse nominale corrente sul franco svizzero è tutt’ora del 4,50%, sul mercato<br />

germanico è del 5,25%, sullo yen è del 5,75%, sul fiorino olandese è del 6%, al lordo<br />

e non al netto del tasso di inflazione.


236 Scritti di Diritto Civile<br />

l’Aja che lo indica in un punto al di sopra del tasso ufficiale di sconto.<br />

In tal caso anche l’interpretazione da noi offerta per la moneta<br />

nazionale, a proposito dell’art. 1224, 2° comma, c.c., finisce per essere<br />

omologa a quella della moneta straniera; entrambe avrebbero<br />

in comune il rispettivo rendimento normale, durante il periodo della<br />

mora. L’interesse compensativo ex art. 1282 c.c. sarà applicabile<br />

anche alla moneta straniera per il periodo che va dalla scadenza dell’obbligazione<br />

alla costituzione in mora e là dove si preferisca il ricorso<br />

al rendimento normale della moneta straniera invece che al nostro<br />

saggio legale: si avrà così una uniforme e razionale attualizzazione<br />

del debito pecuniario in moneta straniera dalla scadenza al pagamento.<br />

Si è anche detto che il differenziale di cambio comprende<br />

il differenziale degli interessi monetari, e di ciò andrà tenuto conto,<br />

evitando di continuare a ricorrere dopo la rivalutazione, all’interesse<br />

della moneta in ribasso, che di solito è più alto di quella in rialzo.<br />

9. – Un discorso a sé merita il problema delle obbligazioni in moneta<br />

italiana con clausola di adeguamento della moneta straniera,<br />

per il periodo successivo alla scadenza dell’obbligazione.<br />

Esso si pone nel caso che le parti non abbiano convenuto l’operatività<br />

della clausola di adeguamento fino al pagamento effettivo,<br />

ma sino alla scadenza, ed è quaestio facti (44) il ricercare la volontà<br />

delle parti.<br />

La soluzione mi pare implicita nel fatto che si tratta di un’obbligazione<br />

in moneta italiana per cui l’adeguamento a quella straniera<br />

non può andare oltre il termine convenuto dalle parti (45) . Un elemento<br />

rafforzativo in tal senso può trarsi dalla medesima conclusione<br />

per il caso, per certi versi analogo, dell’obbligazione, con tasso<br />

di cambio convenzionale, che pure si ferma alla sua scadenza.<br />

Il successivo danno da mora di questa obbligazione verrà risarcito<br />

alla stregua dei comuni criteri ex art. 1224, 2° comma, c.c.<br />

È stato tuttavia di recente (46) , sotto l’influsso della concezione<br />

(44) Così correttamente ASQUINI, op. cit., p. 445. Contra, QUADRI, op. cit., p. 121<br />

ed ivi nota 35.<br />

(45) ASQUINI, op. loc. citt.; ANDRIOLI, op. loc. citt.<br />

(46) QUADRI, op. cit., pp. 141 ss., 152 ss. tende a risolvere la questione secondo l’automatismo<br />

valoristico.


Scritti di Diritto Civile 237<br />

valoristica, sostenuto che anche in questo caso il debito dovrebbe<br />

continuare ad adeguarsi al corso di cambio della moneta straniera,<br />

fino al pagamento.<br />

È il caso di rilevare che esso potrebbe risultare fonte di danno per<br />

il creditore, invece che di vantaggio per l’ipotesi di ribasso di tale<br />

moneta di riferimento.<br />

Mi sembra che tale soluzione e la sua logica siano da rifiutare.<br />

Lo scritto è stato richiamato da:<br />

G. CAMPEIS-A. DE PAOLI, Il processo civile italiano e lo straniero, Milano,<br />

1986, p. 261, nota 39; A. NIGRA, Inadempimento di obbligazioni pecuniarie,<br />

due motivi per riconoscere il cumulo tra interessi legali e rivalutazione monetaria,<br />

in Foro pad., 1989, II, p. 98; V. DE LORENZI, Obbligazione, parte generale,<br />

sintesi di informazione, in Riv. dir. civ., 1990, p. 270; U. BRECCIA, Le obbligazioni,<br />

Milano, 1991, p. 310.<br />

Altri scritti dell’autore sullo stesso argomento:<br />

– «Le obbligazioni in divisa straniera, il corso di cambio, ed il maggior danno da<br />

mora», in Foro Italiano 1989, I, 1210 e in L’Espressione Monetaria nella responsabilità<br />

civile, Cedam 1994, p. 151.<br />

– «A quale corso di cambio si debba prestare la moneta in facultate solutionis ex<br />

art. 1278 c.c.», in Giurisprudenza Italiana 1989, I, 2, p. 435 e in L’Espressione<br />

monetaria nella responsabilità civile, Cedam 1994, p. 159.<br />

– «In materia di liquidazione del danno subito da uno straniero», in Foro Italiano<br />

1989, I, 1619, 435 e in L’Espressione monetaria nella responsabilità civile,<br />

Cedam 1994, p. 165.<br />

– «Se il credito di un lavoratore estero residente debba essere rivalutato ex art.<br />

429 comma 3 c.p.c.», in Rivista Diritto Civile 1984, II, 504 e in L’Espressione<br />

Monetaria nella responsabilità civile, Cedam 1994, p. 171.<br />

– «Il danno da mora nelle obbligazioni in moneta straniera nell’attuale disciplina<br />

di liberalizzazione valutaria», in Rivista di Diritto Civile 1992, II, p. 861, e<br />

in L’Espressione Monetaria nella responsabilità civile, Cedam 1994, p. 182.


Intorno ad altri temi<br />

del diritto delle obbligazioni


Intorno al divieto di patto commissorio,<br />

alla vendita simulata a scopo di garanzia<br />

ed al negozio fiduciario<br />

1. – La decisione delle Sezioni unite ribadisce testualmente quella<br />

precedente del medesimo collegio 1611/89 (1) . Il caso deciso è lineare<br />

e non offre specificità di fatto, che consenta alcuna riserva<br />

sull’inequivocità ed ampiezza del dictum, come Mariconda ebbe<br />

problematicamente ad adombrare su quella precedente (2) .<br />

Le Sezioni unite confermano qui il recente orientamento ini-<br />

Da «Il Foro italiano», 1990, I, p. 205 ss. e da «L’Espressione monetaria nella responsabilità<br />

civile», Cedam 1994.<br />

Lo scritto annota la seguente massima:<br />

CORTE DI CASSAZIONE, Sezioni unite, 21.4.1989, n. 1907; Pres. Brancaccio, Est. Meriggiola,<br />

P.M. Amatucci E. (Concl. conf.); Castiglione c/ Leotta: «Sono nulle perché vietate<br />

dall’art. 2744 c.c. sia le vendite a scopo di garanzia in cui il bene è trasferito in definitiva<br />

proprietà del creditore nel caso di mancata restituzione della somma mutuata, ma<br />

anche le vendite in cui il bene è invece trasferito immediatamente, ma con la clausola risolutiva<br />

nella ipotesi in cui il venditore, entro una certa data restituisca all’acquirente<br />

l’importo convenuto (con riguardo al caso che l’acquirente sia il creditore e l’importo sia<br />

stato precedentemente versato a titolo di mutuo). Nelle vendite a scopo di garanzia, quest’ultima<br />

assurge a causa del contratto, in quanto il trasferimento della proprietà trova<br />

obiettiva giustificazione nel fine della garanzia ed il versamento del danaro non costituisce<br />

pagamento del prezzo, ma esecuzione di un mutuo. Il trasferimento del bene non integra<br />

l’attribuzione al compratore, ma la costituzione di una posizione di garanzia innegabilmente<br />

provvisoria nonostante le apparenze. La provvisorietà costituisce un elemento<br />

rivelatore della causa di garanzia e quindi della diversità tra causa tipica del negozio<br />

e determinazione causale delle parti. La vendita in se lecita e non puramente formale assume<br />

la figura di contratto in frode alla legge (art. 1344 c.c.)».<br />

(1) In Foro it., 1989, I, p. 1428, con note adesive di V. MARICONDA e F. REAL<br />

MONTE.<br />

(2) In Foro it., 1989, I, p. 1429.


242 Scritti di Diritto Civile<br />

ziato da Cass. 3800/83 e dalle altre che sono seguite (3) e superano<br />

l’isolato revirement della 7385/86 (4) . Esse concludono altresì<br />

una lunga controversia nel senso che reputano d’obbligo l’interpretazione<br />

estensiva dell’art. 2744 c.c. perché non trattasi di norma<br />

eccezionale ed anzi, all’opposto, esprime «un principio comune<br />

a molti istituti».<br />

La pronuncia ha, nel caso in esame, particolare riguardo alle disposizioni<br />

commissorie che si rinvengono a proposito delle c.d. garanzie<br />

«occulte», quali sono le vendite a scopo di garanzia. Essa<br />

conferma, in modo inequivoco, che il divieto di patto commissorio<br />

comprende sia le vendite a scopo di garanzia, sotto condizione sospensiva,<br />

sia quelle sotto condizione risolutiva (quali le vendite con<br />

patto di riscatto, di retrovendita, di retroacquisto).<br />

La diversità delle due ipotesi negoziali come delle rispettive condizioni,<br />

è ritenuta giustamente più apparente che reale. Nel primo<br />

caso, infatti, la vendita (e così l’acquisto) diviene definitiva alla<br />

mancata restituzione del prestito; nell’altro, l’acquisto (e così la<br />

vendita) lo diviene alla mancata restituzione del prezzo di riscatto<br />

(che altro non è se non il medesimo importo mutuato).<br />

Le Sezioni unite colgono nel segno, laddove sottolineano che le<br />

due ipotesi sono infatti «espressive della medesima realtà».<br />

Il dato comune ad esse è infatti costituito dalla loro funzione di<br />

garantire il credito sino alla sua estinzione, che si verificherà alternativamente<br />

con la solutio o la prevista cessione definitiva del<br />

bene in garanzia.<br />

La pronuncia afferma correttamente che le due ipotesi sono «dominate<br />

dall’intento primario di garanzia» e che in entrambe «lo scopo<br />

perseguito non è diverso». Partendo da codesta premessa, la corte<br />

sottolinea che in questi casi si ha «una consapevole divergenza<br />

tra lo scopo pratico di garanzia, voluto dalle parti, e la causa tipica<br />

della vendita» e così questa, come tale, è da giudicarsi simulata. Si<br />

ha qui una risposta corretta e pertinente alla lunga controversia se<br />

(3) In Foro it., 1984, I, p. 212, con nota di MACARIO; in Giur. it., 1984, I, 1, p. 1648,<br />

con nota di DANUSSO; in Giust. civ., 1983, I, p. 2953, con nota di AZZARITI; in Nuova<br />

giur. civ., 1985, I, p. 97, con nota di Rocco. Tale orientamento è stato confermato da Cass.<br />

7271/83, Foro it., 1984, I, p. 426; 3784/87, id., Rep. 1988, voce Patto commissorio, n.<br />

4; 46/88, id., 1988, I, p. 387.<br />

(4) In Foro it., 1987, I, p. 799.


Scritti di Diritto Civile 243<br />

la vendita sotto condizione risolutiva (a scopo di garanzia) sia da<br />

considerare simulata (e la simulazione sia perciò da ritenere ammissibile),<br />

o invece sia piuttosto vera e reale e di tipo fiduciario.<br />

Ove per avventura si dovesse rimanere ancorati all’opposto profilo<br />

di un negozio fiduciario, comunque le enunciazioni in obiter<br />

della decisione imporrebbero conclusioni radicalmente nuove, in<br />

ordine al medesimo modo di intenderlo. A scorrere la parte motiva<br />

della decisione in esame, quello che esce scosso dalle fondamenta, e<br />

da giudicarsi del tutto improponibile, è lo schema romanistico della<br />

fiducia cum creditore, accolto sin qui (5) .<br />

Si ha riguardo a quel passo della decisione che qualifica «causale<br />

e non astratto il trasferimento». La «causa» è stata – come si<br />

è detto correttamente individuata «nel patto interno di garanzia,<br />

voluto dalle parti», e non nella fiduciae causa, astrattamente considerata,<br />

che induceva a svalutare il patto interno a livello di semplice<br />

motivo (6) . La medesima proprietà, di cui si ipotizza il trasferimento,<br />

è qui intesa come «provvisoria» e non «piena e definitiva»,<br />

come sempre sostenuto in precedenza. In ogni caso anche<br />

un negozio di tipo fiduciario del genere viene ritenuto, dalle Sezioni<br />

unite, del tutto illecito e nullo, sotto il profilo della frode alla<br />

legge ex art. 1344 c.c. (7) .<br />

2. – Cominciamo a vedere, in modo più penetrante, quale sia il fenomeno<br />

contemplato dal divieto di patto commissorio.<br />

Il patto commissorio può definirsi come «l’accordo con cui il debitore<br />

destina in proprietà definitiva del proprio creditore, a soddisfo<br />

per compensazione (totale o parziale) del proprio debito, un<br />

(5) G. MESSINA, Negozi fiduciari, in Scritti giuridici, Milano, 1948, pp. 1-32, 52-<br />

101, 105-120; C. GRASSETTI, in Riv. dir. comm., 1936, I, p. 345; N. LIPARI, Il negozio<br />

fiduciario, Milano, 1964, pp. 334 ss.; R. NITTI, Negozio fiduciario, voce del Novissimo digesto,<br />

Torino, 1965, XI, p. 202; V.M. TRIMARCHI, Negozio fiduciario, voce dell’Enciclopedia<br />

del diritto, Milano, 1978, XXVIII, p. 32; G. PUGLIESE, in Giur. Cass. civ., 1945,<br />

II, p. 156; nonché id., 1946, I, p. 87 e in Riv. dir. civ., 1955, II, p. 1064. Nel senso della<br />

fiducia germanistica: A. DE MARTINI, in Giur. it., 1946, 1, 1, p. 321; U. CARNEVALI,<br />

in Dizionario del diritto privato, Milano, 1980, pp. 455 ss., e bibliografia ivi citata. In senso<br />

critico, in genere: S. PUGLIATTI, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1950, pp. 298 ss.; M.<br />

BIANCA, II divieto di patto commissorio, Milano, 1957, p. 298.<br />

(6) GRASSETTI, op. cit., pp. 348, 353, 358-362, 363-372, 375-377.<br />

(7) In questo senso anche G. PUGLIESE, in Giur. Cass. civ., 1946, I, pp. 87 ss.


244 Scritti di Diritto Civile<br />

bene in garanzia per il caso di propria inadempienza, senza alcuna<br />

previsione di stima del suo valore, sulla base di quelli correnti in tale<br />

momento». Essa può riguardare un debito che viene assunto contemporaneamente<br />

alla stipulazione (in continenti) o lo sia stato in<br />

precedenza (ex intervallo). Questo ricorre sovente nell’ipotesi in cui<br />

il debito, precedentemente sorto, venga prorogato (8) .<br />

La convenzione commissoria riguarda necessariamente, come si è<br />

detto, il bene costituito in garanzia del credito, e non un qualsiasi altro<br />

bene nel patrimonio del debitore. La disposizione commissoria,<br />

sul piano dogmatico, ha perciò carattere accessorio rispetto al vincolo<br />

di garanzia e, in definitiva, al negozio da cui questo è sorto. Ciò appare<br />

di tutta evidenza nel caso in cui il bene formi oggetto di pegno,<br />

ipoteca, anticresi (c.d. garanzie palesi). La distinzione concettuale è<br />

invece assai meno percepibile nelle c.d. garanzie occulte, quale la vendita<br />

a scopo di garanzia, considerata da questa decisione (9) .<br />

Occorre dire, a questo proposito, che in genere «la vendita a scopo<br />

di garanzia» non appare manifesta, ed a maggior ragione viene<br />

occultata la disposizione commissoria. Il negozio apparente di solito<br />

è rappresentato da una vendita pura e semplice di un bene, dal<br />

debitore al creditore. Sarà il quadro delle concrete circostanze in cui<br />

si colloca la vendita, e così gli accordi interni intervenuti e la documentazione<br />

formata dalle parti, a svelare che la vendita pura e semplice<br />

ha carattere simulatorio e dissimula la sottostante funzione di<br />

garanzia e la collegata disposizione commissoria. Ciò ricorre in<br />

modo evidente laddove le parti considerino il debito ulteriormente<br />

in vita rispetto alla vendita ed all’ipotetica compensazione con il<br />

presunto prezzo, e calcolino per giunta, gli ulteriori interessi.<br />

La distinzione di un negozio di garanzia e di una disposizione<br />

commissoria è tuttavia in teoria ammissibile, sul piano dogmatico<br />

nell’ipotesi di una garanzia occulta, ove si ipotizzino due negozi in<br />

unico contesto e non un solo negozio.<br />

Il carattere illecito (e non semplicemente nullo) del profilo commissorio<br />

comporta la più ampia libertà di prova sia orale che presuntiva,<br />

anche tra le parti, ai sensi dell’art. 1417 c.c. Il discorso ri-<br />

(8) M. BIANCA, in Foro pad., 1958, I, p. 457, nonché id., 1961, I, p. 49, e in Riv. dir.<br />

civ., 1987, II, pp. 117 ss. (v. anche Il divieto, cit., pp. 79 ss.).<br />

(9) Tra i molti: BIANCA, op. ult. cit., pp. 114 ss.


Scritti di Diritto Civile 245<br />

guarda, come risulta da questa decisione, sia le stipulazioni commissorie<br />

sotto condizione sospensiva, sia quale sotto condizione risolutiva.<br />

In particolare, potrà ritenersi che la vendita con patto di<br />

riscatto ha carattere simulato e che al di sotto di essa vi è un mutuo<br />

con patto commissorio. Le caratteristiche fondamentali della disposizione<br />

commissoria sono in definitiva costituite:<br />

A) dal fatto che il bene destinato a soddisfo del debito è quello<br />

specifico in garanzia (e non già un bene qualsiasi nel patrimonio<br />

del debitore);<br />

B) dal fatto che tale cessione avviene senza alcuna garanzia di<br />

una giusta valutazione del bene, con riguardo al momento in cui<br />

esso entra definitivamente nel patrimonio del creditore (10) ;<br />

C) infine, dal fatto che il creditore non acquista il bene in concorrenza<br />

con altri possibili acquirenti (come teoricamente avviene<br />

perfino nelle vendite all’asta).<br />

Codeste circostanze delineano il pericolo che il creditore possa locupletarsi<br />

a danno del debitore e giustificano l’interesse sociale. Si<br />

comprende altresì perché da sempre si consideri lecito il c.d. patto<br />

marciano (con la connessa stima del bene) (11) , e infine, come sia ritenuto<br />

nullo anche il c.d. patto commissorio, con effetto obbligatorio,<br />

e il suo epilogo conclusivo (12) .<br />

3. – Passiamo ora a considerare il problema di principio concernente<br />

quale interpretazione sia da ritenersi preferibile, problema risolto dalla<br />

decisione in rassegna in senso favorevole a quella estensiva.<br />

La questione si pose, sotto il precedente codice, a proposito dell’estensione<br />

del divieto del patto commissorio dal pegno all’ipoteca<br />

(che non era compresa). La dottrina dominante (13) e la giurisprudenza<br />

più antica delle cassazioni regionali (14) propendevano per<br />

(10) Significativo in questo senso l’intervento di Gianquinto, nella seduta del 4 luglio<br />

1940, sugli artt. 690 e 691 del progetto preliminare al codice civile.<br />

(11) U. CARNEVALI, Patto commissario, voce dell’Enciclopedia del diritto, Milano,<br />

1982, XXXII, pp. 501 ss.; BIANCA, Il divieto, cit., pp. 202 ss.<br />

(12) Tra i molti: BIANCA, op. cit., pp. 177 ss.<br />

(13) G.P. CHIRONI, in Riv. dir. comm., 1917, II, p. 708; E. ALBERTARIO, id., 1924,<br />

II, p. 233; E. BETTI, id., 1931, II, p. 688.<br />

(14) Tra le molte: Cass. Roma, 15 maggio 1914, Foro it., Rep. 1914, voce Mutuo, n.<br />

3; Cass. Napoli, 23 febbraio 1991, id., Rep. 1911, voce cit., n. 6.


246 Scritti di Diritto Civile<br />

l’interpretazione estensiva. La Corte suprema, dopo la decisione<br />

delle Sezioni unite del 28 luglio 1923 (15) , e Brugi (16) sostennero, all’opposto,<br />

il partito restrittivo, sulla base del preteso carattere eccezionale<br />

e del divieto di analogia desumibile dall’art. 4 delle preleggi<br />

del tempo. Questa controversia si è riproposta con il nuovo codice<br />

(che ha esteso il divieto all’ipoteca ed al patto ex intervallo) a<br />

proposito delle vendite a scopo di garanzia. La tesi restrittiva, accolta<br />

dalla giurisprudenza meno recente, ampliava il divieto sino a<br />

comprendere la vendita a scopo di garanzia sotto condizione sospensiva,<br />

ma lo escludeva nel caso di quella sotto condizione risolutiva<br />

(17) . Il nuovo orientamento seguito alla decisione di legittimità<br />

3800/83 e la dominante dottrina (18) si sono dichiarati, in via di<br />

principio, favorevoli invece all’interpretazione estensiva.<br />

Ora le Sezioni unite pongono fine alla controversia su questo<br />

punto, affermando, senza mezzi termini, che l’interpretazione letterale<br />

deve essere totalmente disattesa e non ha alcun fondamento.<br />

La motivazione appare del tutto corretta. In effetti l’orientamento<br />

restrittivo, di cui si è parlato, è contraddittorio. L’interpretazione<br />

restrittiva poteva aver senso se il divieto fosse stato limitato<br />

alle sole ipotesi del pegno, dell’ipoteca e dell’anticresi, ai sensi degli<br />

artt. 1963 e 2744 c.c. Quella che si rivela priva di coerenza è l’opinione<br />

che amplia il divieto al caso non previsto della vendita a<br />

scopo di garanzia, sotto condizione sospensiva (così praticando<br />

un’interpretazione estensiva), mentre ricorre a quella restrittiva per<br />

escluderne quella sotto condizione risolutiva.<br />

Si hanno qui due pesi e due misure totalmente ingiustificati. Le<br />

Sezioni unite continuano ad individuare la ratio del divieto nella<br />

duplice esigenza di tutelare la parte economicamente più debole di<br />

fronte alla possibilità «di una coazione morale del creditore» e dal-<br />

(15) In Foro it., 1923, I, p. 935, e in Riv. dir. comm., 1924, II, 233, con nota di<br />

ALBERTARIO.<br />

(16) In Riv. dir. comm., 1929, II, p. 46.<br />

(17) Tra le molte: Cass. 6005/82, Foro it., Rep. 1982, voce Patto commissorio, n. 3;<br />

2854/80, id., Rep. 1980, voce cit., n. 2; 1390/73, id., Rep. 1973, voce Vendita, n. 80.<br />

(18) F. CARNELUTTI, in Riv. dir. proc., 1946, II, p. 156; BIANCA, op. loc. cit.; G.<br />

STOLFI, in Foro pad., 1957, I, p. 767; DALMAZZO, in Riv. dir. comm., 1957, I, p. 80;<br />

ANDRIOLI, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1955, sub art. 2744; ed in<br />

genere gli annotatori di Cass. 3800/83, cit.


Scritti di Diritto Civile 247<br />

l’altra di proteggere l’aspettativa alla par condicio degli altri creditori<br />

(19) . Codesta formulazione non è stata ritenuta in passato del<br />

tutto appagante da alcuni autori (20) . In realtà, l’ammissibilità del patto<br />

marciano mostra come il nostro ordinamento si preoccupi, in senso<br />

molto relativo, di proteggere, in questa sede, la par condicio (21) .<br />

L’investigazione della ratio va ulteriormente approfondita. In particolare,<br />

si pone il problema di individuare quella ratio, le cui ultime<br />

conseguenze non si risolvano nel negare la libertà del debitore e del<br />

creditore di dare e ricevere cosa diversa da quella dovuta, ai sensi dell’art.<br />

1197 c.c., e sia, anzi, conciliabile con codesta norma. Si tratta<br />

qui di cogliere il rapporto differenziale tra cessio in solutum, in sé valida,<br />

e patto commissorio, all’opposto, invalido.<br />

Il discorso merita di essere ampliato.<br />

È stato sopra osservato che la cessione commissoria riguarda solo<br />

la destinazione, a soddisfo del credito, di quel bene che è vincolato<br />

a sua garanzia e non di qualsiasi altro bene nel patrimonio del creditore.<br />

Nel caso in esame, la condizione vincolata del bene limita di<br />

fatto la possibilità di alienarlo a terzi, a maggior prezzo, perché costoro<br />

sono resi diffidenti e disincentivati dal concorrere all’acquisto,<br />

così che tale bene appare in partenza destinato ad avere, come inevitabile<br />

acquirente ed «alle sue condizioni», solo il creditore.<br />

Il nostro ordinamento, in queste condizioni, si preoccupa di preservare<br />

al debitore sino al momento in cui disporrà del bene (eventualmente<br />

anche a favore dello stesso creditore) le opportunità e le<br />

chanches di realizzare in via alternativa quel bene a terzi interessati<br />

all’acquisto. Il nostro legislatore non esclude cioè che il debitore<br />

possa cedere quel medesimo bene ex art. 1197 al creditore, ma vieta<br />

che possa impegnarsi in tal senso in anticipo o che addirittura lo<br />

ceda al medesimo sia pure in linea eventuale, perché ciò equivarrebbe<br />

a privarlo della libertà contrattuale. La libertà è qui intesa nel<br />

senso concreto di compiere scelte alternative e non in via astratta.<br />

La ratio del divieto può in definitiva così formularsi: la cessione<br />

(19) F. CARNELUTTI, in Riv. dir. comm., 1916, II, pp. 887 ss.<br />

(20) Si è osservato correttamente che, ai fini del patto commissorio, è irrilevante il fatto<br />

che il valore del bene sia superiore al prestito e che in concreto si abbia approfittamento<br />

del creditore in danno del debitore, che potrebbe ricorrere al rimedio ex art. 1448 c.c.<br />

(21) Il patto marciano legittima il soddisfacimento preferenziale del singolo creditore<br />

a scapito della par condicio.


248 Scritti di Diritto Civile<br />

del bene in garanzia al creditore deve essere espressione inequivoca<br />

di una volontà libera ed il debitore non deve essere privato sino all’ultimo<br />

della possibilità di vendere tale bene a terzi. Il creditore può<br />

rendersene cessionario in linea di massima esclusivamente sulla<br />

base di una stima.<br />

La motivazione delle nostre Sezioni unite, a questo riguardo, è<br />

quanto mai penetrante e coglie nel segno laddove giustifica la tutela<br />

legislativa con l’esigenza di evitare che il proprietario-debitore sia<br />

«privato della libertà di contrattare». In questo senso il divieto si<br />

pone come conferma e presidio della libertà contrattuale e della medesima<br />

proprietà.<br />

La motivazione delle Sezioni unite appare penetrante anche laddove<br />

ritiene il principio «comune a molti istituti». In linea generale,<br />

infatti, si ricava dal nostro sistema un disfavore nei confronti dell’assegnazione<br />

che prescinda dalla stima del bene. Così, l’art. 2798<br />

c.c. prevede l’assegnazione del bene in pegno al creditore esclusivamente<br />

«secondo la stima da farsi con perizia e secondo il prezzo corrente,<br />

se la cosa ha un prezzo di mercato».<br />

Così, nell’esecuzione forzata, l’assegnazione del bene pignorato<br />

è ammessa solo dopo la diserzione del primo incanto e sempre<br />

ad un valore minimo vincolato a quello di base della vendita,<br />

malgrado che il nuovo incanto si terrà a qualsiasi offerta (artt.<br />

506, 538, 2° comma, 536, 2° comma, c.p.c.). Parimenti, l’assegnazione<br />

di un immobile è contemplata solo dopo l’esito negativo<br />

della vendita e ad un prezzo vincolato a quello di stima (artt.<br />

588 e 589 c.p.c.). Nel medesimo senso depone, in particolare, la<br />

disciplina della cessione dei beni ai creditori. Essa è ipotizzata,<br />

da noi, solo come cessione pro solvendo e non pro soluto, dove i<br />

creditori sono titolari di poteri di amministrazione e liquidazione<br />

(artt. 1977-89 c.c.) con il controllo del debitore, al quale compete<br />

in ogni caso un eventuale residuo attivo (artt. 1982-83 c.c.).<br />

Il diritto di espropriare i beni ceduti continua ad appartenere agli<br />

altri creditori anteriori. Per concludere, a questo punto, si comprenderà<br />

che il nostro ordinamento proibisce qualsiasi patto o<br />

atto con cui si destina preventivamente il bene, oggetto di garanzia,<br />

all’eventuale soddisfo del creditore, perché intende tutelare<br />

la residuale libertà del proprietario debitore di disporre dello<br />

stesso. Si rileverà altresì come sia del tutto irrilevante la circo-


Scritti di Diritto Civile 249<br />

stanza che tale disposizione sia subordinata a condizione sospensiva,<br />

piuttosto che risolutiva.<br />

4. – Nel contesto sopra descritto, si deve riconoscere che la vendita<br />

a scopo di garanzia configura un’ipotesi oltremodo significativa di<br />

disposizione commissoria vietata. In effetti, essa sottrae il bene al<br />

potere dispositivo del proprietario-debitore, costituendolo in una<br />

sorta di pegno atecnico del creditore e nel contempo lo destina anticipatamente<br />

a soddisfo della sua ragione di credito. A questo riguardo<br />

poco conta che la disposizione sia subordinata a condizione<br />

sospensiva o risolutiva. Sotto un certo aspetto, quest’ultima ipotesi<br />

rientra a maggior titolo nel divieto, perché quivi la libertà residuale<br />

del debitore di disporre del bene è ancora minore dell’altra ed il<br />

bene viene «da subito», considerato di proprietà del creditore e destinato<br />

al soddisfo eventuale della sua ragione creditoria. In quest’ordine<br />

di idee, poco conta – come si è detto all’inizio – che l’alienazione<br />

commissoria venga ipotizzata sul piano dogmatico come<br />

negozio fiduciario «fiducia cum creditore», invece che come contratto<br />

innominato proibito. Non può dedursi dall’eventuale qualificazione<br />

fiduciaria (intesa in senso romanistico piuttosto che germanistico<br />

e viceversa) (22) alcuna giustificazione di validità di un negozio<br />

comunque illecito ai sensi dell’art. 1344 c.c. In questo senso<br />

non ha neppure pregio la ricerca se la vendita con patto di riscatto,<br />

a scopo di garanzia, mascheri in realtà una disposizione commissoria<br />

vietata sotto condizione sospensiva (23) . Entrambe le ipotesi sono<br />

vietate. Esse hanno, del resto, in comune la «mancanza di un prezzo»,<br />

lo «scopo di garanzia», mentre la proprietà definitiva viene acquisita<br />

dal creditore solo a seguito della mancanta restituzione dell’importo<br />

a suo tempo corrisposto.<br />

Le Sezioni unite a ragione affermano che in codesto tipo negoziale<br />

«il versamento non costituisce pagamento del prezzo, ma l’esecuzione<br />

di un mutuo, mentre il trasferimento del bene è l’atto costitutivo<br />

di una garanzia innegabilmente provvisoria e suscettibile<br />

di evolversi, a seconda che il debitore adempia o non restituisca la<br />

somma ricevuta».<br />

(22) PUGLIESE, in Giul. Cass. civ., 1946, Il, pp. 87 ss.<br />

(23) BIANCA, in Foro pad., 1958, I, p. 456.


250 Scritti di Diritto Civile<br />

Sotto un altro angolo visuale le decisioni della Suprema corte offrono<br />

all’interprete un chiaro elemento diagnostico per distinguere<br />

la disposizione commissoria sotto condizione risolutiva, vietata dalla<br />

legge, dalla vendita con patto di riscatto, in sé lecita e valida ex<br />

artt. 1500 ss. c.c. Trattasi qui di vedere se la vendita con patto di<br />

riscatto abbia, o meno, uno scopo di garanzia, perché in questo caso<br />

devesi concludere per il carattere commissorio del negozio e la sua<br />

conseguente illiceità.<br />

5. – È il caso ora di offrire un contributo di approfondimento intorno<br />

alla complessa problematica sviluppatasi in passato intorno<br />

alla vendita con scopo di garanzia.<br />

Il fatto che questo negozio, comunque qualificato sul piano dogmatico,<br />

sia stato ritenuto dalle nostre Sezioni unite in ogni caso illecito<br />

e nullo, toglie praticamente tutto il valore alla disputa. Che<br />

rilievo può avere la diversa classificazione teorica di un negozio comunque<br />

illecito?<br />

Vediamo tuttavia, per completezza di discorso, di che si tratta.<br />

La vendita con scopo di garanzia è realizzabile mediante l’impiego<br />

di un negozio simulato di vendita al fine di realizzare, nell’immediato,<br />

una funzione di garanzia e, quindi, al verificasi dell’inadempienza,<br />

una cessione definitiva.<br />

Cominciamo a vedere quale sia il significato da attribuirsi a codesta<br />

espressione di «garanzia». Devesi anzitutto escludere che il creditore<br />

rilevi, da codesta «garanzia», un diritto di prelazione nei confronti<br />

degli altri creditori, che continueranno a poter agire esecutivamente<br />

su quel bene, in ragione del proprio diritto e della propria<br />

prelazione. Il creditore non ha, cioè, alcun diritto reale di garanzia o<br />

di prelazione, nella comune accezione nei confronti dei terzi. Di per<br />

sé, tale garanzia non attribuisce al creditore neppure il potere di alienare<br />

il bene e, tantomeno, di soddisfarsi sullo stesso, se non in forza<br />

di uno specifico mandato, con obbligo di rendiconto (24) . La prelazione<br />

di cui il creditore potrà fruire nei confronti dei terzi è di mero<br />

fatto, nel limite in cui costoro scambieranno la proprietà apparente<br />

per reale e si asterranno dall’aggredirlo in executivis. Ciò dipende in<br />

(24) La mancanza dell’obbligo del rendiconto lo trasformerebbe in patto commissario.


Scritti di Diritto Civile 251<br />

buona parte – è stato a suo tempo rilevato (25) – dalla segretezza delle<br />

parti in ordine a codesta apparenza. In questo senso si parla correttamente<br />

di «garanzia occulta».<br />

La garanzia contemplata nel nostro caso, a favore del creditore,<br />

si rivolge sostanzialmente nei confronti del debitore proprietario, al<br />

quale vuole impedire di disporre del bene, così sottraendolo al diritto<br />

di pegno (in senso atecnico) proprio di ogni creditore su ogni bene<br />

del debitore e cioè a generica garanzia correlata alla responsabilità<br />

illimitata ex art. 2740 c.c. Si vuole sottrarre quel bene al potere del<br />

proprietario debitore di disporre in pregiudizio del creditore o quantomeno<br />

di rendere estremamente difficile la sua realizzabilità.<br />

Il termine garanzia in definitiva, come fu a suo tempo rilevato (26) ,<br />

viene qui impiegato nel significato di «garanzia in senso economico<br />

o pregiuridico», e più propriamente di «misura cautelare».<br />

Essa pare ipotizzare una forma anomala di sequestro convenzionale<br />

di tipo conservativo, invece che giudiziario, ai sensi degli artt.<br />

1798 ss. c.c. (27) . Codesto negozio non è da reputarsi, di per sé, vietato<br />

finché si limita a prevedere il sorgere del vincolo cautelare e non<br />

contempla anche la cessione della proprietà del bene al creditore,<br />

nella quale si concreta la disposizione commissoria.<br />

Tale negozio non appare tuttavia ammissibile nel nostro ordinamento,<br />

perché esso non prevede la custodia da parte del creditore,<br />

ma solo di un terzo ex art. 1798 c.c.<br />

L’attuazione di un vincolo di garanzia di tale genere (nel senso<br />

di cautela) può conseguirsi in astratto attraverso la disintestazione<br />

del bene dal debitore proprietario e la sua intestazione al creditore.<br />

È il caso dell’impiego della fiducia germanistica (28) , coordinata ad<br />

un mandato anche nell’interesse del creditore e perciò irrevocabile<br />

ai sensi dell’art. 1723, 2° comma, c.c. o più genericamente ad un<br />

accordo di ritenzione lato sensu (29) .<br />

(25) BIANCA, Il divieto, cit., pp. 114 ss., 243 ss.<br />

(26) PUGLIATTI, op. cit., pp. 306 ss.<br />

(27) NICOLETTI, in Giust. civ., 1969, I, p. 1226; Cass. 3252/57, Foro it., Rep. 1957,<br />

voce Sequestro, n. 79.<br />

(28) Ciò è praticabile nel caso di intestazioni fìduciarie di partecipazioni societarie.<br />

(29) BETTI, op. cit., p. 705, accenna ad una ritenzione convenzionale in genere. Essa<br />

viene ritenuta illecita per contrarietà al patto commissorio, a mio avviso erroneamente, da<br />

W. D’AVANZO, Ritenzione, voce del Novissimo digesto, Torino, 1969, XVI, pp. 68, 172 ss.


252 Scritti di Diritto Civile<br />

Il trasferimento della sola intestazione (o proprietà formale)<br />

del bene dal debitore al creditore nei confronti dei terzi è ammessa<br />

dal nostro ordinamento limitatamente ai titoli, alle quote<br />

societarie ed ai titoli di credito dalle leggi 23 novembre 1939,<br />

n. 1966 e 13 aprile 1987, n. 148 sulle società fiduciarie. In questo<br />

caso la proprietà economica o sostanziale (30) resta al debitore.<br />

Il trasferimento della mera legittimazione formale dal debitore<br />

al creditore dei titoli sopra riferiti può assolvere ad una<br />

funzione di garanzia pura e semplice. In questo caso esso, di per<br />

sé, non rientra nell’ambito del divieto del patto commissorio,<br />

purché il suo impiego si limiti a codesta funzione di garanzia e<br />

non si estenda alla cessione della proprietà economica o sostanziale<br />

del bene.<br />

Quando, all’opposto, quest’ultima evenienza dovesse verificarsi,<br />

si avrà un’ipotesi molto diversa, e cioè un’intestazione a titolo di garanzia,<br />

e la cessione definitiva, vale a dire un patto commissorio.<br />

Con riguardo ai titoli di cui si è detto, ciò accadrà allorquando non<br />

venga effettuata semplicemente la girata o il transfert sul libro soci,<br />

ma venga trasferita la proprietà piena (e cioè anche economica) a<br />

mezzo di fissato bollato di vendita dal debitore al creditore ed a soddisfo<br />

del credito. Tale negozio realizza un patto commissorio vietato,<br />

non diversamente da ogni altra ipotesi di vendita con scopo di<br />

garanzia di cui parleremo ora.<br />

6. – Quello che non è attuabile nel nostro ordinamento è l’intestazione<br />

fiduciaria, a fine di garanzia, di un immobile dal debitore<br />

al creditore.<br />

Ciò non può, a maggior ragione, verificarsi attraverso un negozio<br />

che realizzi una fiducia cum creditore, in senso romanistico (31) .<br />

A dir poco, codeste cessioni fiduciarie non sono trascrivibili sugli<br />

immobili perché esulano dal numerus clausus delle ipotesi di cui al-<br />

(30) CARNEVALI, op. loc. cit.; CARIOTA-FERRARA, I negozi fiduciari, Padova,<br />

1933, p. 85. La distinzione è abituale nella giurisprudenza germanica e svizzera, dove<br />

il negozio è assoggettato alle regole del mandato e dove i conti fìduciari non vengono<br />

portati in bilancio.<br />

(31) Da una ricerca eseguita non esiste traccia di trascrizioni nei registri immobiliari<br />

dei negozi fìduciari o di decisioni al riguardo. Quelle teoricamente favorevoli alla loro ammissibilità<br />

non si spingono a sostenerne anche la trascrivibilità.


Scritti di Diritto Civile 253<br />

l’art. 2643 c.c. (32) e anche di quelle identificabili per l’analogo effetto<br />

sulla base dell’art. 2645 c.c. (33) .<br />

Entrambe, non essendo trascrivibili, non possono in definitiva<br />

procurare la disintestazione dell’immobile dal proprietario debitore<br />

e la sua intestazione al creditore. Esse non possono cioè assolvere<br />

ad una funzione di garanzia, sia pure nel senso cautelare<br />

sopra indicato.<br />

Tanto meno sono trascrivibili nella loro essenza di negozi dissimulati.<br />

In passato, la vendita sotto condizione risolutiva (con patto<br />

di riscatto, di retrovendita o di retro acquisto) a scopo di garanzia<br />

è stata riguardata come un caso di cessione fiduciaria di tipo<br />

romanistico. Sotto questo profilo, si è posto l’accento sull’esuberanza<br />

del mezzo rispetto allo scopo, sul fatto che sarebbe vera e<br />

reale e non suscettibile di essere simulata, che darebbe luogo ad un<br />

contratto innominato a causa astratta (fiduciae causa) dove il patto<br />

interno costituirebbe un semplice motivo, sostanzialmente privo<br />

di rilievo (34) . Codesta qualificazione dogmatica non è a mio<br />

modo di vedere accettabile e la medesima fiducia romanistica non<br />

pare ammissibile nel nostro ordinamento.<br />

Il discorso sopra riferito, del resto, si risolve in una petizione di<br />

principio, laddove parte dalle premesse indimostrate che tratterebbesi<br />

di una vendita con patto di riscatto effettiva e non simulata e<br />

che inoltre sarebbe valida perché realizzerebbe una fiducia romanistica,<br />

ammissibile nel nostro ordinamento.<br />

In realtà, l’opinione che la simulazione ripugni alla vendita con<br />

patto di riscatto è da rifiutarsi, perché qualsiasi negozio può essere<br />

simulato (35) . Occorre quivi indagare, in altri termini, se le par-<br />

(32) In tal senso, tra i molti, PUGLIATTI, op. cit., pp. 302 ss.<br />

(33) G. MARICONDA, La trascrizione, in Trattato diretto da RESCIGNO, 19, Torino,<br />

1986, pp. 100 ss.<br />

(34) In questo senso e per l’ammissibilità del negozio fiduciario, con le caratteristiche<br />

indicate, nel nostro ordinamento: Cass. 5663/88 Foro it., 1989, I, p. 101; 560/85, id., Rep.<br />

1987, voce Contratto in genere, n. 295; 6423/84, id., Rep. 1985, voce Simulazione civile,<br />

n. 8. Per l’esecuzione specifica del pactum fiduciae è Cass. Sez. Un., 6478/84, id., 1985,<br />

I, p. 2325, con nota di MAZZIA. Non si condivide codesto orientamento privo di supporti<br />

legislativi e – a mio modo di vedere – superato dalla decisione in rassegna.<br />

(35) Si incorre nell’opposto errore laddove si reputa il lease-back equivalere al patto<br />

commissorio. Infatti, quivi la stima del bene acquistato, il tipo professionale svolto dalle<br />

società di leasing, la mancanza di una causa credendi non autorizzano la generalizzazio-


254 Scritti di Diritto Civile<br />

ti nei rapporti vicendevoli non abbiano voluto né comperare né<br />

vendere, ma solo garantirsi. Un accordo a due, del resto, non può<br />

metter capo ad un’interposizione reale, ma solo a quella fittizia.<br />

Devesi all’evidenza escludere che un negozio simulato possa produrre<br />

quei medesimi effetti che nascerebbero dallo stesso, se fosse<br />

vero e reale. A questo contraddittorio risultato approda invece<br />

l’opinione che lo inquadra nell’ambito della fiducia di tipo romanistico.<br />

Si deve perciò ammettere, invece, con coerenza, che il simulato<br />

venditore può rivendicare il bene, i suoi creditori lo possono<br />

espropriare, la sua eventuale massa fallimentare lo può acquisire<br />

sotto pena di bancarotta fraudolenta (artt. 216, 1° comma,<br />

n. 1, e 3° comma, legge fallimentare).<br />

La decisione delle nostre Sezioni unite mostra di essere in questo<br />

ordine di idee nel passo motivo in cui osserva che nella vendita con<br />

patto di riscatto, a scopo di garanzia, si ha una consapevole divergenza<br />

tra l’intento primario delle parti e la causa tipica della vendita<br />

(36) . È quanto affermarne il carattere simulato.<br />

La novità di maggior pregio di questa decisione – a mio modo di<br />

vedere – ricorre proprio laddove essa liquida la fiducia romanistica<br />

nei suoi aspetti caratterizzanti. Si ha riguardo a quei passi che considerano<br />

il trasferimento del bene come causale e non astratto (o fiduciae<br />

causa) ed il patto interno tra le parti come causa del negozio<br />

e non suo semplice motivo (37) . Assume rilievo altresì l’altro passo,<br />

dove si esclude che possa aversi qui una cessione definitiva della<br />

proprietà piena, di tipo analogo alla mancipatio romanistica,<br />

mentre al più, e all’opposto, è ipotizzabile quello di una proprietà<br />

ne di una tale conclusione. Ciò non esclude che possa aversi, con riguardo a specifiche circostanze<br />

di fatto, patto commissorio.<br />

(36) Per tale profilo: E. BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, Torino, 1943,<br />

pp. 248 ss.<br />

(37) Il negozio fiduciario, ammesso dall’ordinamento svizzero, è stato giudicato causale<br />

(causa mandati), dal Tribunale federale svizzero, con decisione 13 luglio 1973 che<br />

annullava quella 21 settembre 1971 del Tribunale di Lugano in causa Fallimento Banca<br />

Vallugano e ha superato l’opposto orientamento favorevole all’astrattezza. Di recente,<br />

in Italia, è stato introdotto l’art. 30 D.L. 2 marzo 1989 n. 69, convertito nella legge<br />

27 aprile 1989 n. 151, che assoggetta ad imposizione fiscale a carico del fiduciante le<br />

proprietà fiduciarie, intestate ad altri. Ciò costituisce l’ultimo argomento in più contro<br />

la fiducia romanistica.


Scritti di Diritto Civile 255<br />

provvisoria (38) . L’unica fiducia ammissibile, nel nostro ordinamento,<br />

limitatamente ai casi in cui essa è consentita, e con sicura esclusione<br />

dei beni immobili, resta in definitiva quella concernente la titolarità<br />

formale (e cioè la fiducia di tipo germanistico).<br />

7. – Dopo questa digressione, torniamo al discorso concernente la<br />

vendita a scopo di garanzia di un immobile.<br />

Perché si abbia a produrre la disintestazione dal proprietario debitore<br />

e la sua intestazione al creditore, è giocoforza ricorrere ad un<br />

negozio apparente che sia trascrivibile, la cui forma più usuale è la<br />

compravendita simulata. Essa però, perché simulata, è destinata a<br />

non produrre, in teoria, alcun effetto traslativo e così la proprietà<br />

resta al venditore ed il creditore non ne diviene proprietario.<br />

La simulazione e la conseguente mancanza di effetti richiedono<br />

tuttavia del tempo per essere consacrata da un giudicato; nel<br />

frattempo il proprietario-debitore ha «le mani legate» e non è libero<br />

di disporre del bene nei confronti dei terzi. Tale situazione<br />

rientra nell’ambito della ratio che è alla base del divieto del patto<br />

commissorio.<br />

Oltre a codesta situazione cautelare di mero fatto, perché possa<br />

aversi una fattispecie di patto commissorio occorre anche che le parti<br />

siano d’accordo altresì in un’eventuale cessione definitiva del bene<br />

al creditore e a soddisfo del credito. Tale cessione è virtualmente<br />

compresa nella vendita a scopo di garanzia e la disposizione, sia pure<br />

eventuale, del bene al creditore deve presumersi sino a prova contraria.<br />

La vendita «maschera perciò una disposizione commissoria»,<br />

che può provarsi ex art. 1417 c.c. Essa in effetti è preordinata alla<br />

compensazione con il credito, garantito dall’intestazione cautelare e<br />

non allo scambio del bene contro un prezzo. Anche sotto questo profilo<br />

la vendita, nella sua parte dispositiva, è apparente e dissimula<br />

un patto commissorio. Quel che non è certamente ipotizzabile, nel<br />

nostro caso, è un negozio indiretto, perché si impiegherebbe un negozio<br />

simulato, come mezzo, in vista di uno scopo ulteriore (39) .<br />

(38) Sulla proprietà provvisoria, M. ALLARA, La proprietà temporanea, in Il circolo<br />

giuridico, 1930, pp. 69 ss.; U. NATALI, La proprietà, Milano, 1962, pp. 145-154; PE-<br />

LOSI, La proprietà risolubile, Milano, 1975.<br />

(39) Il negozio indiretto presuppone che il negozio-mezzo sia vero e non simulato.


256 Scritti di Diritto Civile<br />

Tirando le somme, a questo punto, non può non concludersi che<br />

il negozio mascherato dalla vendita a scopo di garanzia, sia essa subordinata<br />

a condizione sospensiva o risolutiva, nella sua fisionomia<br />

unitaria (assorbente cioè della funzione di garanzia e di quella satisfattiva)<br />

è costituito proprio e per l’appunto dal patto commissorio<br />

di cui alla fattispecie vietata dall’art. 2744 c.c. e alla stregua della<br />

ratio sopra individuata.<br />

Lo scritto è stato richiamato da:<br />

L. BARBIERA, Codice civile commentato, Giuffré, 1991, p. 237, p. 247 (dove<br />

dissente dalla mia tesi della inapplicabilità di negozi fiduciari agli immobili);<br />

C.M. BIANCA, La vendita e la permuta, Torino 1993, I, p. 686, nota 15; G. GIT-<br />

TI, Diritto del patto commissorio ecc., in Riv. trim. Dir. e proc. civ., 1993, I, p.<br />

461, nota 9.


Se ed entro quali limiti<br />

la Fideiussione Omnibus sia invalida<br />

1. – Ancora una volta la Corte di Cassazione ribadisce in modo categorico<br />

la validità della fideiussione omnibus.<br />

A fronte di tanta certezza, permane tuttavia una vasta area di<br />

perplessità, dimostrata dalla frequenza sempre maggiore onde la<br />

questione è sollevata. Ciò dipende dal fatto che lo stato delle opinioni<br />

non sembra, a mio sommesso avviso, dei più soddisfacenti; ed<br />

al di là della contrapposizione di tesi radicali, l’argomento merita<br />

nuovi approfondimenti e più penetranti riflessioni. È auspicabile<br />

che ciò avvenga nel più breve volgere di tempo, e questo scritto vuole<br />

offrire un contributo per una rimeditazione.<br />

Il problema viene abitualmente risolto con riguardo esclusivo<br />

alla attività bancaria, alle garanzie ed alla fiducia che queste imprese,<br />

animatrici di sviluppo economico, suscitano. Ciò presenta<br />

tuttavia un grosso limite perché il problema deve essere posto nei<br />

suoi termini più generali e cioè chiunque sia il creditore fideiusso e<br />

qualunque garanzia o fiducia soggettiva esso incoraggi. Si vuol dire<br />

che il problema deve essere affrontato con riguardo al modello contrattuale<br />

in sé, come un istituto di diritto comune e non di una par-<br />

Da «Il Foro italiano», 1985, I, p. 507 e ss. e da «L’Espressione monetaria nella responsabilità<br />

civile», Cedam 1994.<br />

Lo scritto annota la seguente massima:<br />

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 31.8.1984, n. 4738, Pres. Sandulli, Est. Racchi, P.M.<br />

Caristo (Fall. soc.); INCES c/ Credito Lombardo: «Non è nulla per indeterminatezza o indeterminabilità<br />

dell’oggetto la fidejussione prestata genericamente a favore di una banca<br />

(c.d. fidejussione omnibus) a garanzia di qualsiasi obbligazione presente e futura del<br />

debitore garantito. Non è nullo il contratto di fidejussione omnibus che preveda la rinunzia<br />

del fidejussore alla decadenza ex art. 1957 c.c.».


258 Scritti di Diritto Civile<br />

ticolare categoria di imprese. Dalla specificità di certe motivazioni,<br />

viene il sospetto che la soluzione potrebbe essere diversa se il creditore<br />

garantito fosse un soggetto qualsiasi. E ciò non sarebbe né giusto<br />

né coerente.<br />

2. – I principali tratti distintivi della fideiussione omnibus sono dati<br />

dal fatto che essa garantisce in via illimitata qualsiasi credito non<br />

solo presente, ma anche futuro, non solo diretto, ma anche indiretto,<br />

nei confronti di un dato debitore, anche per fideiussioni da lui<br />

prestate, in futuro a favore dello stesso creditore a garanzia di terzi.<br />

Un’ulteriore nota caratteristica è data dal fatto che il garante dispensa<br />

preventivamente il creditore dai doveri di prudenza e di diligenza<br />

impliciti negli artt. 1956 e 1957 c.c. e dal medesimo dovere<br />

di informativa.<br />

Il dato che più colpisce è che il fideiussore si assume in tal modo<br />

qualsiasi rischio di ogni entità che il creditore anche in futuro voglia<br />

fargli correre, col far credito al debitore senza alcun suo consenso<br />

o autorizzazione (1) .<br />

Un tal aspetto non sembra superabile con l’argomento adombrato<br />

da questa o da altre pronunzie che il fideiussore sovente è interessato,<br />

in via diretta o mediata, al credito ottenuto dal debitore.<br />

È una forzatura il ravvisare un perenne sodalizio di interessi così<br />

da giustificare una permanente comunanza di sorti, peraltro a senso<br />

unico, del garante e del debitore garantito, nel caso in cui egli<br />

presti fideiussione per vincolo di coniugio (2) , di parentela o di amicizia<br />

(3) o di chi sia socio non totalitario e sovente neppure amministratore<br />

di una società di capitali (4) . E pur laddove il garante sia<br />

(1) Così anche G. STOLFI, In tema di fideiussione generale, in Riv. dir. civ.,<br />

1972, I, pp. 529 ss.<br />

(2) Sul punto v. rassegna in RASCIO, Fideiussione «omnibus», in Dizionario del diritto<br />

privato, a cura di N. IRTI, Diritto civile, Milano, 1980, I, pp. 389 ss. Con riferimento<br />

alla fideiussione prestata da un coniuge: Cass., 15 gennaio 1973, n. 118, Foro it., Rep.<br />

1973, voce Fideiussione, n. 4.<br />

(3) Con riguardo ad un genitore: Cass., 11 ottobre 1960, n. 2647, Foro it., Rep. 1960,<br />

voce Fideiussione, n. 19, per esteso in Banca, borsa, ecc., 1960, II, p. 506; ed invece ad<br />

una sorella: Trib. Firenze, 17 dicembre 1962, Foro it., Rep. 1963, voce cit., n. 21.<br />

(4) Il socio di minoranza sovente non decide e non è neppure informato, anche se fideiussore.<br />

Con riguardo alla fattispecie: Cass. 28 aprile 1975, n. 1631, Foro it., Rep. 1975,<br />

voce Fideiussione, n. 15.


Scritti di Diritto Civile 259<br />

socio ed amministratore, non è detto che egli rimanga tale nel corso<br />

della evoluzione del rapporto garantito, né che vi sia sintonia di<br />

interessi o che il meccanismo garantisca alla volontà manifestata<br />

nell’interesse della società debitrice, di tenere qualche conto del<br />

suo contrario interesse di garante, dato che l’antagonismo di interessi<br />

è nelle cose. In genere non è una buona regola l’indulgere a<br />

trasformare la responsabilità limitata dei soci in quella illimitata<br />

così da snaturare l’essenza della moderna società di capitali (5) . Ad<br />

una conseguenza del genere di quella sovra accennata non è neppure<br />

adeguato rimedio la facoltà di recesso dalla fideiussione, perché<br />

sino a tale momento il garante risponderà di ogni ampliamento<br />

del rischio, nel frattempo intervenuto, e sovente alla revoca consegue<br />

l’effetto controproducente di essere subito chiamati a restituire,<br />

senza dilazione, le somme mutuate. È immaginabile come il<br />

garante, di fronte ad una tale angosciosa prospettiva, si induca a<br />

lasciare le cose come stanno, ed a correre anche gli ulteriori rischi<br />

che il creditore riterrà di fargli correre, dato che egli è ormai arbitro<br />

delle sue sorti.<br />

3. – La validità del negozio è valutata in genere ed anche da questa<br />

decisione sotto illimitato profilo di una eventuale nullità per l’indeterminabilità<br />

o meno dell’oggetto ex art. 1346 c.c. e del carattere<br />

potestativo o meno del potere del creditore garantito, di ampliare il<br />

rischio coperto dal fideiussore (6) .<br />

(5) Ciò è assai meno apprezzabile rispetto a quella dei soci di una società di persone,<br />

che è illimitata verso tutti i creditori e non verso alcuni, quali le banche, come nel nostro<br />

caso. Quivi poi tutto si risolve in una gara contro il tempo a garantirsi una anteriorità cronologica<br />

in fatto di ingiunzioni e di iscrizioni ipotecarie, salvo poi il cercare di strappare<br />

una estensione di garanzie, sotto minacce di fallimento e di revoche.<br />

(6) La decisione in epigrafe conferma la sentenza della Corte d’appello di Milano in<br />

data 23 1982, che riformava a sua volta Trib. Milano 6 settembre 1979, e cioè la decisione<br />

rimasta isolata che aveva dichiarato nulla la fideiussione omnibus. Si ribadisce<br />

cioè la validità di questo tipo di fideiussione, nel segno della giurisprudenza consolidata:<br />

Cass., 5 gennaio 1981, n. 23, Foro it., 1981, I, p. 704; 27 gennaio 1979, n. 615, id.,<br />

Rep. 1979, voce Fideiussione, n. 8; 1631/75; 6 febbraio 1975, n. 438, id., Rep. 1975,<br />

voce cit., n. 17, fra le molte. Sull’argomento in dottrina: FRAGALI, Fideiussione, voce<br />

dell’Enciclopedia del diritto, Milano, 1968, XVII, pp. 346 ss.; Id., in Commentario a<br />

cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1962, sub artt. 1936, 1959; Id., La fideiussione<br />

generale, in Banca, borsa, ecc., 1971, I, p. 321; RAVAZZONI, La fideiussione,<br />

Milano, 1967; Id., Fideiussione, voce del Novissimo digesto, Torino, 1961, VII, p. 274;


260 Scritti di Diritto Civile<br />

È data per scontata, da questa sentenza come da altre, la validità<br />

dalla dispensa del creditore dai limiti ex artt. 1956 e 1957<br />

c.c. e dagli impliciti doveri di prudenza e diligenza, su cui ci soffermeremo<br />

oltre.<br />

La fideiussione omnibus sarebbe in ogni caso legittima, secondo<br />

la decisione, anche sotto il diverso profilo di contratto autonomo<br />

di garanzia, di cui viene ribadita l’ammissibilità nel nostro<br />

ordinamento.<br />

Per seguire l’ordine di questi discorsi, cominceremo da quello<br />

relativo alla determinabilità dell’oggetto. La corte, dopo aver detto<br />

che può prestarsi garanzia per debiti futuri ex art. 1938 c.c.,<br />

afferma esattamente che tuttavia questi devono essere, se non determinati,<br />

almeno determinabili. Ciò si traduce nella determinabilità<br />

del rischio altrui che il garante assume a proprio carico e da<br />

cui il garantito vuol essere manlevato, ed in cui consiste più propriamente<br />

l’oggetto di questo, come di ogni negozio di garanzia.<br />

Non è dubbio, infatti, che il rischio per inadempienza dei debiti<br />

futuri, debba essere determinato o determinabile, al pari di questi<br />

ultimi: anche nell’assicurazione e persino nel gioco, il rischio<br />

non è mai indeterminabile (7) .<br />

La corte afferma correttamente che codesti debiti futuri, del cui<br />

rischio per inadempienza si tratta, devono essere determinabili in<br />

base ad un criterio preventivamente convenuto dalle parti, e capace<br />

«di individuare in modo rigorosamente oggettivo il rapporto obbligatorio<br />

principale». Un esempio nel campo dell’attività bancaria,<br />

al riguardo, è dato dalla fideiussione prestata a garanzia di una linea<br />

di credito ancora da concedere e tuttavia in corso di istruttoria<br />

sulla base di una domanda già avanzata. Il credito quivi è futuro,<br />

perché sorgerà solo dopo la concessione del credito ed il suo utiliz-<br />

RESCIGNO, Il problema della validità delle fideiussioni cosiddette «omnibus», in Banca,<br />

borsa ecc., 1972, II, p. 92; STOLFI, cit.; DE MARCO SPARANO, La fideiussione<br />

bancaria, Milano, 1978; SALVESTRONI, La solidarietà fideiussoria, Padova, 1977;<br />

RASCIO, cit.; MACCARONE, Contratto autonomo di garanzia, in Dizionari, cit., Diritto<br />

commerciale, Milano, 1981, III, p. 379; PORTALE, Fideiussione e «Garantieverlrag»,<br />

in Le operazioni bancarie, Milano, 1978, II, p. 1054.<br />

(7) Così J. HUIZINGA, Homo ludens, Torino, 1982, p. 60; VALSECCHI, Il gioco e la<br />

scommessa, Milano, 1954, pp. 30-32; V. SALANDRA, in Commentario a cura di Scialoja<br />

e Branca, Bologna-Roma, 1966, sub art. 1898, pp. 264 ss.


Scritti di Diritto Civile 261<br />

zo, e tuttavia è oggettivamente determinabile con riferimento alla<br />

domanda, che fungerà anche da massimale.<br />

Ma può dirsi tale un generico rinvio non si sa a quali crediti, per<br />

quali fidi, che saranno domandati e concessi in futuro, di cui si ignora<br />

tutto e cioè se, quando e per quali importi interverranno come<br />

nel caso della fideiussione omnibus?<br />

La corte, in linea con il suo costante orientamento, ha risposto<br />

affermativamente, col dire che «l’oggetto della fideiussione quanto<br />

ai debiti futuri è quivi determinabile appunto per relationem, con<br />

riferimento cioè all’oggetto delle obbligazioni che saranno assunte<br />

verso la banca dal debitore garantito» (8) . In codesto ordine di idee,<br />

a mio modo di vedere, non può concordarsi. Un generico rinvio «a<br />

tutte le obbligazioni che sorgeranno a carico del debitore principale»<br />

non può costituire invero un criterio di determinazione per relationem.<br />

Si tratta di un rinvio in bianco a debiti futuri che sono<br />

chiamati a determinare se medesimi e perciò di una petizione di<br />

principio bella e buona. La decisione assume poi, ad elemento di riferimento<br />

per la determinabilità di codesto debito futuro (e del rischio<br />

della sua inadempienza assunta a proprio carico dal garante),<br />

il contenuto del negozio giuridico da cui il predetto debito deriva.<br />

Un primo rilievo concerne il momento in cui codesta determinabilità<br />

deve ricorrere. Non pare dubbio che sia il debito sia il rischio<br />

devono essere determinabili al presente, cioè ncl momento in cui si<br />

presta la garanzia (ora per allora) e non esserlo al futuro e quando<br />

verrà in essere il negozio, con quel contenuto, da cui sorgerà quel<br />

debito e quel rischio (allora per allora).<br />

Codesto requisito deve cioè ricorrere al presente, quando si presta<br />

la garanzia e non in futuro, quando essa opererà (arg. ex artt.<br />

1225, 1346, 1467 c.c.) (9) .<br />

Il torto del corrente modo di vedere è quello di intendere la determinabilità<br />

come un mero giudizio a posteriori, per cui essa ricorre<br />

sempre, e non invece come un giudizio di prognosi postuma<br />

(8) Tra le molte, Cass., 4 marzo 1981, n. 1262, Foro it., Rep. 1981, voce Fideiussione,<br />

n. 15; Cass. 23/81 e 615/79, dove il concetto di determinabilità è così sfumato<br />

da scrivere che «occorre sia in qualche maniera (sic!) determinato il limite dell’obbligazione<br />

stessa».<br />

(9) Così anche STOLFI, cit., pp. 532, 533, 534, 537.


262 Scritti di Diritto Civile<br />

ex antea (cioè riferita alla conclusione del contratto di garanzia)<br />

come deve essere. Si vuol dire che l’operazione di determinazione<br />

per relationem sarà formulata dopo, ma la determinabilità deve ricorrere<br />

prima, com’è il caso di ogni giudizio di prognosi. Una determinabilità<br />

solo a posteriori è irrilevante e non significante. Sotto<br />

questo riguardo, i debiti futuri determinabili solo in futuro, con<br />

riferimento a negozi che verranno in essere anche a livello di ipotesi<br />

solo in futuro, non possono dirsi determinabili al presente (10) .<br />

Un ulteriore rilievo è dato dal fatto che ben può ammettersi, a<br />

criterio di determinazione della prestazione vicaria di quella prevista<br />

come inadempiuta dal debitore, il contenuto ipotetico del futuro<br />

negozio collegato, che è fonte del debito principale, sempre che<br />

si tratti di ipotesi concreta, specifica, non sul vago né sull’indeterminato,<br />

come tale preventivamente convenuta dalle parti medesime<br />

del contratto di garanzia.<br />

L’oggetto della fideiussione deve altrimenti reputarsi indeterminabile<br />

se lo è al presente la ipotesi del contratto collegato a cui si fà<br />

riferimento (11) .<br />

Non si vede, diversamente opinando, a cosa finisca per ridursi<br />

quel criterio preventivamente convenuto dalle parti ritenuto capace<br />

di «individuare in un modo rigorosamente oggettivo» il rapporto<br />

obbligatorio principale.<br />

La corte, varcata la soglia, si spinge tanto oltre nel campo dell’indeterminabile,<br />

da scrivere testualmente: «il concetto di determinabilità<br />

della garanzia non comporta implicazioni di carattere soggettivo<br />

o psicologico nel senso che il fideiussore debba conoscere,<br />

prevedere od immaginare il debito garantito». Come può dirsi determinabile<br />

un credito neppure immaginabile? La migliore riprova<br />

(10) Non può approvarsi, ad es., Cass., 6 febbraio 1975, n. 438, Foro it., 1976, I, p.<br />

2474, laddove dalla postulata identità dell’oggetto della fideiussione e della obbligazione<br />

principale, si conclude: «sicché l’indeterminatezza dell’oggetto della fideiussione può essere<br />

dedotto solo se sia indeterminabile quello della obbligazione principale». Ciò non vale<br />

per il debito futuro la cui determinabilità è rimessa al tempo del negozio che gli darà vita,<br />

mentre quella della fideiussione deve essere anticipata al tempo del contratto di garanzia,<br />

e perciò occorre che le parti del negozio fideiussorio abbiano pattuito preventivamente a<br />

quale ipotesi di negozio futuro, con quale contenuto, si riferiscano.<br />

(11) Con riguardo al collegamento tra negozio di garanzia e negozio principale: G.<br />

SCHIZZEROTTO, Il collegamento negoziale, Napoli, 1983, pp. 119, 121.


Scritti di Diritto Civile 263<br />

della determinabilità – non è chi non lo veda – è data dal fatto che<br />

il debito garantito possa essere previsto od almeno immaginato dal<br />

garante che se ne assume a proprio carico il rischio della inadempienza.<br />

Il fideiussore deve, infatti, poter valutare il rischio che assume<br />

e così prevedere le conseguenze dell’impegno di manleva.<br />

Qui si tocca il nesso tra determinabilità e prevedibilità. Non a<br />

caso alea normale del contratto e responsabilità per danni da inadempienza<br />

contrattuale nel limite del prevedibile, quest’ultimo inteso<br />

anche sul piano quantitativo ove vi sia colpa e non dolo, sono<br />

termini correlativi e che si integrano vicendevolmente. Ciò è anche<br />

alla base della autoresponsabilità privata in cui si concreta l’agire a<br />

proprio rischio ed in senso lato della imputabilità.<br />

La determinabilità del rischio si traduce nella prevedibilità delle<br />

conseguenze.<br />

4. – Passiamo ora a vedere se la fideiussione in questione riveli un<br />

carattere potestativo o meno.<br />

È lecito domandarsi se la fideiussione «per crediti a piacere<br />

delle altre parti» (12) secondo la formula si quoties et quantum<br />

Sempronio credere volueris fidejubeo realizza o meno un impegno<br />

potestativo. La decisione, in linea con i precedenti della stessa<br />

corte (13) , lo esclude perché il far credito ed il riceverlo non configurerebbe<br />

un tal tipo di attività. Viene qui sottinteso che l’impegno<br />

potestativo equivale a quello rimesso all’arbitrio del creditore<br />

garantito, senza la motivazione neppure di un calcolo di<br />

convenienza (14) e cioè a capriccio.<br />

(12) Quivi, stante la gratuità, alla discrezionalità non fà neppure da contrappeso la<br />

onerosità, come nella c.d. somministrazione a piacere; CORRADO, La somministrazione,<br />

Torino, 1959, p. 60, nota 3.<br />

(13) V., ad es., Cass. 23/81.<br />

(14) L’errore qui consiste nell’identificare «potestativo» con «meramente potestativo»<br />

cioè con «nuda volontà», «volere o disvolere il negozio», «volontà immotivata», «al di fuori<br />

ogni giuoco di interessi e di convenienza», mutandolo dall’art. 1355 c.c. (tra le molte<br />

Cass., 3 ottobre 1973, n. 2484, Foro it., Rep. 1973, voce Contratto in genere, p. 625; 2<br />

settembre 1971, n. 2602, id., Rep. 1971, voce cit., n. 219). Non si considera che una tale<br />

interpretazione riduttiva ha senso, nell’art. 1355, solo perché la potestatività è quivi riferita<br />

al debitore e non al creditore, come è invece il caso della fideiussione, onde per potestativo<br />

devesi intendere il negozio rimesso alla volontà del creditore, senza altra limitazione<br />

che il suo mero interesse.


264 Scritti di Diritto Civile<br />

Codesta tesi non è accoglibile perché eccessivamente riduttiva. Il<br />

carattere potestativo, a mio avviso, ricorre generalmente laddove un<br />

soggetto sia in condizioni di dover subire gli effetti della volontà<br />

operata dalla controparte, secondo il suo mero interesse. È decisivo<br />

che il titolare della scelta possa effettuarla secondo il proprio mero<br />

ed esclusivo interesse, determinando conseguenze in capo ad un altro<br />

chiamato a subirle. La scelta a capriccio è un aspetto della insindacabilità<br />

di una condizione potestativa, e ne è l’ipotesi limite.<br />

Nel caso ex art. 1355 c.c. essa è intesa in quest’ultimo senso perché,<br />

essendone investito il medesimo obbligato, questi può al massimo<br />

mirare solo alla libertà dall’impegno preso senza ulteriori conseguenze,<br />

onde se ne riconosce in genere la validità, a meno che non<br />

sia contemplato l’esercizio a capriccio. Diverso è il caso in cui la<br />

scelta sia rimessa ad libitum del creditore, come nella fideiussione,<br />

perché questi potrebbe ampliare l’impegno altrui a dismisura secondo<br />

il proprio interesse. Qui ricorre l’invalidità a causa delle conseguenze<br />

che derivano dall’arbitrio.<br />

Certamente il far credito in sé non è attività meramente potestativa,<br />

con riguardo ai soggetti del rapporto creditizio che sono liberi<br />

di contrarlo o no, ma lo è invece nei confronti del garante, alla loro<br />

mercé. Né pare che il debitore garantito possa qualificarsi terzo ai<br />

fini dell’arbitrium delegato, come si legge in questa ed altre decisioni,<br />

dato che egli è il principale interessato ad allargare l’ambito<br />

della garanzia, secondo i suoi bisogni ed i suoi programmi di investimento<br />

e di lavoro.<br />

5. – Queste ed altre pronunzie sembrano infine escludere il carattere<br />

potestativo con l’argomento specifico che l’attività bancaria sarebbe<br />

attività di rigore (15) . Esso è troppo specifico per essere concludente<br />

in senso più generale. La tesi avrebbe poi qualche fondamento<br />

se la concessione del credito fosse da qualificarsi «attività di<br />

rigore» in base a regole giuridiche e non solo tecniche, finalizzate al<br />

mero interesse dell’istituto di credito (16) . Il nostro ordinamento non<br />

(15) Tra le altre, Cass. 615/79; Cass. 23/81.<br />

(16) Perfino l’art. 218 legge fall. è inteso come finalizzato al solo interesse di cui concede<br />

credito: P. NUVOLONE, Il diritto penale del fallimento, Padova, 1955, p. 405; U.<br />

GIULIANI, La bancarotta, Milano, 1983, pp. 416 ss.


Scritti di Diritto Civile 265<br />

prevede norme che diano carattere «rigoroso» alla decisione di far<br />

credito e prevengono la sua concessione abusiva (17) : la sorveglianza<br />

dell’ispettorato pubblico è troppo generica per avere rilievo, senza<br />

dire delle perplessità sulla parificazione del banchiere pubblico<br />

a quello privato (18) .<br />

È tuttavia la logica medesima del far credito sulla base di una<br />

fideiussione ad escludere che possa garantirsi al terzo il contenimento<br />

del fido futuro nei limiti di quel che il debitore valga e non<br />

oltre. La fideiussione amplia la capacità di indebitamento del debitore<br />

nella misure della rispondenza del garante. Il banchiere fa<br />

fido regolandosi necessariamente anche sul patrimonio del garante,<br />

per valutare quel rischio di insolvenza che con gli indici di redditività<br />

del rapporto dà la misura del suo interesse. Come può egli<br />

ad un tempo garantire al fideiussore che i futuri ampliamenti di<br />

fido tengano conto solo di quello che il debitore merita e non anche<br />

di quello che abbia a meritare per la fideiussione prestata? E<br />

come può considerarsi finalizzata ad una concessione «rigorosa»<br />

del credito quella fideiussione omnibus che a causa delle numerose<br />

dispense ex artt. 1955, 1956, 1957 c.c. sembra piuttosto orientata<br />

nella direzione opposta?<br />

Tutto ciò appare troppo contraddittorio. Non si vogliono qui certamente<br />

sottovalutare le regole di alta professionalità ed il corpus di<br />

(17) Non hanno portata pregnante le norme troppo generiche di cui agli art. 35, 2°<br />

comma, lett. c e d, ed art. 87 legge bancaria. È tuttora aperto il dibattito sulla responsabilità<br />

extracontrattuale della banca per concessione abusiva di credito verso i terzi<br />

danneggiati, com’è ammesso in Francia ed in Belgio. Allo stato, de iure condito, viene<br />

escluso il divieto della concessione abusiva di credito, come fonte di responsabilità verso<br />

terzi, anche se esso tuttavia opera a livello di autoresponsabilità ex art. 1227 c.c. con<br />

riguardo all’art. 1176, 2° comma, c.c., nonché opera nei riguardi di quei terzi qualificati<br />

che sono i garanti in relazione alla norma speciale dell’art. 1956 c.c., che ha introdotto<br />

una pena di diritto privato. Sul più vasto dibattito in corso circa la responsabilità<br />

extracontrattuale per concessione abusiva di credito, v. Funzione bancaria, rischio e responsabilità<br />

della banca, Atti del Convegno di Siena del giugno 1980; R. CLARIZIA,<br />

in Banca, borsa, ecc., 1976, I, p. 361; A. NIGRO, in Giur. comm., 1981, I, p. 287; C.M.<br />

PRATIS, id., 1982, I, p. 841.<br />

Sulla incriminabilità dell’abuso di concessione di credito, v. art. 10 del disegno di<br />

legge approvato dal senato il 21 aprile 1982. Ciò indica, tuttavia, il crescente rilievo,<br />

del pubblico interesse.<br />

(18) Cass., 10 ottobre 1981, Carfi, Foro it., 1981, II, p. 553, con nota di F. CA-<br />

PRIGLIONE.


266 Scritti di Diritto Civile<br />

norme regolamentari, su cui vigilano gli ispettori interni delle aziende<br />

di credito. Esse tuttavia sono poste a presidio dell’interesse di chi<br />

fa credito e non di chi lo garantisce. La loro inosservanza è peraltro<br />

testimoniata dagli «sconfinamenti» in cui la gestione reale del credito<br />

si traduce ogni giorno e che è la causa primaria dell’ingigantirsi<br />

del contenzioso bancario.<br />

Non può certo considerarsi di rigore l’attività che è sanzionata<br />

dalle revocatorie dei pagamenti, effettuati a rientro di codesti<br />

«sconfinamenti» (19) .<br />

Ciò mostra la inadeguatezza dell’argomento.<br />

6. – Esaminiamo, a questo punto, se gli artt. 1955, 1956, 1957 c.c.<br />

siano derogabili o no.<br />

In genere si propende per la loro derogabilità, sostenendosi che è<br />

nelle facoltà delle parti il distribuire il rischio in modo diverso da<br />

quello legale (20) , e, a proposito dell’art. 1957 c.c., che si tratterebbe<br />

di decadenza in materia di diritti disponibili, la cui disciplina è<br />

modificabile dalle parti ex art. 2968 c.c. (21) . Si avverte tuttavia che<br />

codeste deroghe snaturano la causa tipica della fideiussione, laddove<br />

si cerca di offrirne una giustificazione, sotto il profilo di un contratto<br />

atipico (22) od autonomo di garanzia (23) .<br />

Le norme ex art. 1955, 1956, 1957 sono invece, a mio modo di<br />

vedere, inderogabili e di ordine pubblico ed ogni patto contrario è<br />

nullo. Esse certamente sono poste a tutela del garante nei confronti<br />

del creditore garantito.<br />

(19) Cass., 18 ottobre 1982, n. 5413, Foro it., 1983, I, p. 69; 29 ottobre 1983, n. 6430,<br />

id., Rep. 1983, voce Fallimento, n. 336.<br />

(20) Così: Cass. 1631/75; 7 agosto 1967, n. 2104, Foro it., 1968, I, p. 493, e in Banca,<br />

borsa, ecc., 1967, II, p. 520, con nota di FAVARA, tra le molte.<br />

(21) FRAGALI, voce Fideiussione, cit., p. 496; RAVAZZONI, voce Fideiussione,<br />

cit., p. 56; Cass., 18 ottobre 1960, n. 2811, Foro it., Rep. 1960, voce Fideiussione, n.<br />

34; 11 gennaio 1983, n. 183, id., Rep. 1983, voce cit., n. 27; 9 agosto 1983, n. 5310,<br />

ibid., n. 32.<br />

(22) Tra gli altri, S. MACCARONE, La fideiussione bancaria come contratto atipico,<br />

in Le garanzie reali e personali nei contratti bancari, Milano, 1976, p. 154. Altrove (Contratto<br />

autonomo, cit., p. 395), egli considera la fideiussione omnibus come una ipotesi atipica<br />

di contratto autonomo di garanzia.<br />

(23) PORTALE, Fideiussione e «Garantievertrag», cit., p. 1052; MACCARONE, op.<br />

ult. cit., p. 388.


Scritti di Diritto Civile 267<br />

Codesti precetti non si esauriscono tuttavia nella tutela di quegli<br />

specifici interessi del garante che sono posti a repentaglio dalla condotta<br />

contraria degli art. 1955, 1956, 1957, ma piuttosto li trascendono<br />

e presidiano il pubblico interesse al rispetto dei valori sociali di<br />

condotta (art. 1175, 1176, 2° comma, 1227, 1° e 2° comma, c.c.).<br />

Gli art. 1955, 1956, 1957 non si limitano infatti, come sarebbe<br />

diversamente, a comminare la non responsabilità del garante per<br />

quella parte in cui non può aver luogo la surroga ex art. 1955 (24)<br />

o per quella parte di rischio consapevolmente corso del creditore<br />

ed esuberante rispetto alle condizioni patrimoniali del debitore ex<br />

art. 1956 (25) o per quella parte del debito, che non possa recuperarsi<br />

a causa del tardivo e negligente perseguimento del debitore<br />

ex art. 1957 (26) .<br />

(24) Così sarebbe se non avesse carattere sanzionatorio.<br />

(25) Dall’art. 1227, 1° comma, c.c., con riferimento alla trasgressione della doverosa<br />

prudenza del bonus argentarius, ex art. 1176, 2° comma, c.c., già deriverebbe la impossibilità<br />

per il creditore, di rivalersi sul garante per l’insolvenza del nuovo credito concesso<br />

in condizione di rischio aggravato. Una massima di esperienza del banchiere è quella<br />

di «non correre dietro al denaro perso, per non perderne dell’altro». Ma l’art. 1956 c.c. va<br />

più in là, onde «il fideiussore per l’obbligazione futura è liberato per intero e non nella sola<br />

misura in cui è stato concesso incautamente nuovo credito», come rivela Appe. Bologna,<br />

13 settembre 1974, Foro it., Rep. 1975, voce Fideiussione, n. 22. Tale profilo di pena di<br />

diritto privato corrisponde al disegno del legislatore (rel. min. al c.c., sub n. 766) «quale<br />

responsabilità per la trasgressione di un obbligo di condotta di non fare credito» cioè come<br />

sanzione per la concessione abusiva di credito nei confronti di quei terzi qualificati che<br />

sono i fideiussori. L’art. 1956 c.c. è norma nuova rispetto al codice del 1865 e già il presidente<br />

della commissione legislativa, sull’art. 731 del progetto ministeriale, rileva che<br />

«questo articolo darà luogo a molte controversie, ma è giusto da un punto di vista morale».<br />

Non è ipotizzabile dispensa preventiva dal dovere di non concedere abusivamente credito,<br />

né dal dovere di prudenza, di diligenza, e dall’autoresponsabilità ex art. 1227 c.c.<br />

Può aversi rinuncia successiva ai diritti che derivano dalla liberazione, non rinuncia preventiva<br />

alla liberazione medesima.<br />

(26) Il mancato perseguimento del debitore principale di per sé legittimerebbe la mancata<br />

rivalsa nel limite del danno evitabile ex art. 1227, 2° comma, c.c. Ciò è qui assorbito<br />

dalla più grave sanzione ex art. 1957, c.c., non suscettibile di rinuncia preventiva, che<br />

pure configura un caso di pena di diritto privato, per la trasgressione del dovere di solerzia<br />

nell’agire verso il debitore principale, nei sei mesi della scadenza e di diligenza nel coltivare<br />

le successive istanze, affinché il fideiussore resti vincolato, «solo lo stretto necessario»<br />

(U. SALVESTRONI, op. cit., p. 104). La ritenuta compatibilità dell’art. 1957 con il<br />

carattere solidale dell’obbligazione fideiussoria (Cass., 2 marzo 1976, n. 688, Foro it.,<br />

Rep. 1976, voce Fideiussione, n. 19), dimostra la inadeguatezza della concezione corrente<br />

basata sulla decadenza.


268 Scritti di Diritto Civile<br />

Essi vanno oltre codesti limiti e sanzionano l’estinzione della fideiussione<br />

con la liberazione integrale del garante da ogni responsabilità<br />

per ogni rischio. La sanzione è coordinata alla trasgressione del<br />

dovere di correttezza e di buona fede, ex art. 1175 c.c. come ha precisato<br />

la relazione del guardasigilli al codice civile (27) . Si tratta di<br />

pena privata ex lege che si aggiunge ad un’ampia casistica (28) dove<br />

il trasgressore viene a subire uno svantaggio superiore al vantaggio<br />

che gli deriva dalla violazione e per contro illeso viene a conseguire<br />

un vantaggio che supera il danno ipotizzato. È trasparente la loro finalizzazione<br />

a provocare un certo tipo di condotta, quale quello voluto<br />

dal modello legale ed in cui si realizza il dovere di buona fede.<br />

Non pare davvero ipotizzabile dispensa preventiva dal dovere di correttezza,<br />

nell’esercizio del diritto, che certamente appartiene all’ordine<br />

pubblico ed al buon costume, come non può aversi dispensa<br />

preventiva dai doveri di prudenza e diligenza ex art. 1176 e da quello<br />

di cooperazione ex art. 1227, come insegnava Emilio Betti (29) .<br />

Per scendere alle singole norme l’art. 1955 è ritenuto diritto non<br />

disponibile (30) .<br />

L’art. 1956 tutela il garante, nel caso di aggravamento del rischio,<br />

come l’art. 1898, 2° comma, c.c. tutela l’assicuratore e l’art.<br />

1476 c.c. il contraente: le norme sono riconducibili alla conservazione<br />

del rebus sic stantibus. Quivi l’art. 1956 commina la liberazione<br />

del garante da tutto il rischio per punire il creditore che ha<br />

concesso fido ad un debitore, senza speciale autorizzazione, con la<br />

consapevolezza delle mutate condizioni del debitore. L’art. 1956<br />

sanziona con una pena privata ope iuris una condotta colposa; e<br />

trattasi di colpa con previsione dell’evento, che è il tipo più grave di<br />

violazione ex art. 1175 e 1176, 2° comma.<br />

Per quanto riguarda l’art. 1957, è da escludere che esso si riduca<br />

a comminare una decadenza, la cui disciplina oltretutto sarebbe<br />

modificabile dalle parti. La norma, in tal caso, avrebbe previsto la<br />

perpetuazione della garanzia una volta proposte le istanze del cre-<br />

(27) Relazione ministeriale al c.c., sub n. 766.<br />

(28) E. MOSCATI, Pena di diritto privato, voce dell’Enciclopedia del diritto, Milano,<br />

1982, XXXII, pp. 770, 773, 775, 778, 779, 783, A p. 779 è indicata una certa casistica,<br />

come la decadenza dal beneficio del termine, dal beneficio di inventario, ecc.<br />

(29) E. BETTI, Teoria generale delle obbligazioni, Milano, 1953, I, pp. 105, 136, 151.<br />

(30) U. SALVESTRONI, La solidarietà fideiussoria, cit., p, 52.


Scritti di Diritto Civile 269<br />

ditore nei sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione. Così non è, perché<br />

la norma aggiunge la comminatoria della liberazione del garante,<br />

se il creditore «non le ha con diligenza continuate». Ciò attesta<br />

che non si è in presenza di una decadenza ma di una sanzione<br />

per disvalori sociali di condotta, anche processuale.<br />

7. – Vediamo infine se la fideiussione omnibus sia legittima sotto il<br />

profilo del contratto autonomo di garanzia o quanto meno di un contratto<br />

atipico e se si tratti di negozi ammissibili nel nostro ordinamento.<br />

Il contratto autonomo di garanzia è una figura residuale ricorrente<br />

nell’ambito esclusivo dei contatti internazionali per grandi<br />

opere pubbliche (31) . Non si vede come possa generalizzarsene il tipo.<br />

Anche sul suo terreno, codesta garanzia è tuttavia limitata ad un massimale<br />

od a precisi ricavi, così che nel nostro caso si finisce per costruire<br />

in astratto un contratto diverso da quello cui ci si riferisce.<br />

In ogni caso non si colgono le ragioni per cui il nostro ordinamento<br />

dovrebbe apprezzare ex art. 1322, 2° comma, c.c., come socialmente<br />

rilevante la funzione di un tale tipo speciale di garanzia.<br />

Non sembra davvero possa ravvisarsene la ragione in un pubblico<br />

interesse alla promozione del credito, che, scompagnato da quei limiti<br />

di rigore inderogabili (32) , lo trasformerebbe in credito facile e<br />

perciò dissipatore di ricchezza.<br />

Codesta garanzia, comunque la si qualifichi, come contratto autonomo<br />

di garanzia o contratto atipico, è agli antipodi dei principi<br />

di fondo del nostro ordinamento e del nostro costume che si concreta<br />

nell’«agire a proprio rischio» e non «a rischio altrui» (33) . Ciò<br />

è alla base del nostro sistema della responsabilità ed autoresponsabilità<br />

privata, che si traduce nel rispondere per fatto proprio e si<br />

basa sulla imputabilità (34) .<br />

(31) Sul contratto predetto, tra i molti, PORTALE, op. cit., pp. 1045 ss., e la bibliografia<br />

a p. 1075. L’ammissibilità dell’istituto è controversa nei vari ordinamenti: v. MAC-<br />

CARONE, op. cit., pp. 385-388, cui si rinvia anche per altri aspetti.<br />

(32) RASCIO, op. cit., pp. 387, 457.<br />

(33) E. BETTI, Diritto romano, Padova, 1935, pp. 258, 385, 411, 412; Id., Teoria generale<br />

del negozio giuridico, Torino, 1943, p. 104.<br />

(34) S. PUGLIATTI, Autoresponsabilità, voce dell’Enciclopedia del diritto, Milano,<br />

1959, IV, pp. 453, 464, correttamente rileva come l’art. 1227 c.c. codifica la colpa verso<br />

se stessi, e l’art. 2043 c.c. la colpa verso gli altri.


270 Scritti di Diritto Civile<br />

La ipotesi di responsabilità per fatto altrui sono residuali e pur<br />

laddove contemplate dagli art. 2047, 2048, 2049, si riducono pur<br />

sempre ad ipotesi di omissioni colpose proprie rispetto a doveri di<br />

vigilanza su altri e si concretano in fatti commissivi per ommissione.<br />

La garanzia della quale trattiamo, se in ipotesi valida come contratto<br />

autonomo od atipico, inaugurerebbe una svolta eversiva e codificherebbe<br />

un diverso sistema basato sull’agire «a rischio altrui»<br />

che, allo stato, è incompatibile col nostro ordinamento e col medesimo<br />

nostro costume.<br />

Codeste figure nuove di garanzia non appaiono accettabili<br />

proprio laddove vogliono mettere da canto quei limiti che esprimono<br />

lo sfavore per garanzie dalle conseguenze rovinose la cui<br />

preoccupazione risale ai tempi di Salomone (35) . In ciò si dissente<br />

dalla decisione.<br />

8. – Tiriamo ora le somme di tutto il nostro discorso.<br />

Si sostiene in genere da chi oppugna la fideiussione omnibus che<br />

tratterebbesi di contratto radicalmente nullo, in ogni sua parte, così<br />

che il garante sarebbe totalmente liberato.<br />

Certamente l’adozione di un contratto autonomo di garanzia od<br />

atipico conduce ad una conclusione del genere. Tale non è però l’opinione<br />

dell’autore di questa nota, che ritiene non potersi dare al<br />

negozio classificazione diversa da quella di contratto fideiussorio.<br />

Occorre fare corretta applicazione dell’art. 1419 c.c. in cui si concreta<br />

il ditterio utile per inutile non vitiatur, così distinguendo la<br />

parte valida da quella invalida della fideiussione ombibus. Non<br />

può presumersi che i contraenti avrebbero stipulato la fideiussione<br />

solo se si fossero garantiti in contesto anche i debiti futuri non<br />

immaginabili o rimessi alla potestatività altrui. E così sarà valido<br />

l’impegno di garanzia per i debiti presenti determinati o determinabili<br />

e per quelli futuri determinabili con riferimento a domanda<br />

di fido già avanzata od a concrete ipotesi od operazioni specifiche<br />

o nel limite di un certo massimale e così via, contemplate nel contratto<br />

di fideiussione.<br />

E non si terrà conto delle rinunce preventive agli art. 1955, 1956<br />

(35) CAMPOGRANDE, Trattato della fideiussione, Torino, 1902, p. 2.


Scritti di Diritto Civile 271<br />

e 1957 e così si richiederà la speciale autorizzazione di fare credito<br />

ex art. 1956 e si perseguirà il debitore nel termine e con la diligenza<br />

come vuole l’art. 1957.<br />

9. – La conclusione cui si è pervenuti de iure condito, potrebbe apparire<br />

a prima vista a sfavore di una meritoria categoria di imprese,<br />

quali quelle bancarie.<br />

Nulla giova ad esse, tuttavia, più di quel che contribuisca a valorizzarne<br />

l’essenza, o per meglio dire l’anima che distingue il banchiere<br />

da chi non lo è, e cioè il calcolo del rischio e la passione per<br />

il rischio calcolato.<br />

Lo scritto è stato richiamato da:<br />

Foro it., 1986, I, p. 835, nota 1 nota a Pretura Legnano 13 giugno 1985; V.<br />

MARICONDA, Sulla fideiussione omnibus e sul contratto autonomo di garanzia,<br />

Il Corriere Giuridico, 1987, p. 1167; V. MARICONDA, Fideiussione omnibus<br />

e principio di buona fede: la Cassazione a confronto, Foro it., 1989, I, pp.<br />

3104, 3105, nota 7; M. CORONA, Ancora sulla validità della c.d. clausola<br />

estensiva della fideiussione omnibus, Giust. civ., 1989, pp. 2169, 2173, note 3<br />

e 17; M. JACUANIELLO-BRUGGI, La fideiussione omnibus inossidabile Cassazione<br />

ed i nuovi modelli ABI, Giur. it., 1989, I, 1, p. 1745; M. OLGIATI, Si<br />

acuisce il contratto tra giudici di merito e Cassazione in tema di fideiussione<br />

omnibus, Giur. comm.le, 1989, p. 578, nota 20; A. DI MAJO, La fideiussione<br />

omnibus ed il limite della buona fede, Foro it., 1989, pp. 2753, 3754; E. GA-<br />

BRIELLI, Il pegno anomalo, Padova, 1990, p. 150, note 47, 48, 49; M. JA-<br />

CUANIELLO-BRUGGI, Fideiussione omnibus: chi ha paura dell’art. 1956<br />

c.c., in Giur. it., 1990, I, 2, pp. 474, 479, 482, note 68 e 82; M. VALIGNIANI,<br />

Fideiussione bancarie e buona fede, Giur. it., 1990, I, 2, p. 1138; M. ROMA-<br />

NO, Validità della fideiussione omnibus in funzione della agevolazione del credito,<br />

in Giur. it., 1990, I, 2, p. 831, nota; GIANLUCA SICCHIERO, L’enginering,<br />

la Joint venture, i contratti di informatica, i contratti atipici di garanzia,<br />

Torino, 1991, pp. 167, 168, 171, 172, 177, 184, 192; P. TARTAGLIA, Limiti<br />

alla fideiussione omnibus e disciplina della trasparenza bancaria, Foro it.,<br />

1992, I, p. 1397, nota 1; p. 1398, nota 18; Giust. civ., 1990, p. 404, nota 1,<br />

nota a Cass. civ., 20 luglio 1989, n. 2287.


272 Scritti di Diritto Civile<br />

Altri scritti dell’autore sullo stesso argomento:<br />

– «Ancora a proposito della validità della fideiussione omnibus con riguardo ai<br />

nuovi moduli bancari», in Foro Italiano 1988, I, p. 1947 e in L’Espressione monetaria<br />

nella responsabilità civile, Cedam 1994, p. 387.<br />

– «Sulla fideiussione bancaria ed i suoi limiti», Pubblicato in Foro Italiano 1990,<br />

I, e in L’Espressione monetaria nella responsabilità civile, Cedam 1994, p. 395.<br />

– «Sulla inadeguatezza del principio di buona fede a proteggere il fideiussore»,<br />

in Giurisprudenza Italiana 1990, I, 1, p. 622 e in L’Espressione monetaria nella<br />

responsabilità civile, Cedam 1994, p. 409.<br />

– «Sulla inderogabilità dell’art.1957 c.c.», in Giurisprudenza Italiana 1990,<br />

I, 1, p. 460 e in L’Espressione monetaria nella responsabilità civile, Cedam<br />

1994, p. 415.<br />

– «Sulle nullità ope legis delle fidueiussioni omnibus e sulle relative conseguenze»,<br />

in Foro Italiano 1992, I, p. 791 e in L’Espressione monetaria nella responsabilità<br />

civile, Cedam 1994, p. 421.<br />

– «Sul carattere interpretativo della norma che vieta la fideiussione omnibus<br />

e sulla sua applicazione retrospettiva alle liti pendenti», in Foro Italiano<br />

1993, I, 2171 e in L’Espressione Monetaria nella responsabilità civile, Cedam<br />

1994, p. 429.


Intorno ai concetti di novità estrinseca<br />

e di originalità, nella nuova disciplina<br />

dei brevetti per invenzioni industriali<br />

1. – Circa 40 anni fa, nel lavoro che precede, escludevo che la vendita<br />

di una macchina senza patto di segretezza (e così la comunicazione<br />

dall’anteriore scopritore ad un terzo o la violazione dell’obbligo<br />

di segreto da colui che ne fosse stato reso partecipe dall’inventore),<br />

inducesse di per sé la predivulgazione della invenzione che<br />

è causa di nullità della privativa industriale.<br />

All’opposto concludevo che occorresse effettuare indagini sulla<br />

dimensione effettiva assunta dalla circolazione dell’idea inventiva<br />

nella società e che dovesse reputarsi divulgata solo quella invenzione<br />

che ha avuto una diffusione tale da potersi considerare entrata a<br />

far parte del patrimonio culturale della classe di operatori che è ad<br />

essa interessata.<br />

In ultima analisi osservavo che si doveva avere riguardo solo alla<br />

divulgazione prodottasi nella realtà e non a quella potenziale o virtuale<br />

e così occorresse che la invenzione venisse partecipata ad un<br />

numero indeterminato di persone, mentre quella limitata ad un solo<br />

o a qualche terzo isolamente considerato e tale rimasta, avrebbe al<br />

più consentito l’acquisto del pre-uso da costui, ovviamente, con il<br />

concorso di idonee circostanze.<br />

Tale opinione dell’autore di queste righe rimase isolata per il periodo<br />

successivo e sino all’evento del D.P. 22 giugno 1979 n. 338,<br />

mentre sia la dottrina sia la giurisprudenza continuarono a reputare<br />

predivulgata la invenzione che fosse venuta a notizia anche di un<br />

Da «Rivista di diritto industriale», 1993 e da «L’Espressione monetaria nella responsabilità<br />

civile», Cedam 1994.


274 Scritti di Diritto Civile<br />

solo terzo a causa di una specifica informativa da questi ottenuta o<br />

l’acquisto di una macchina senza patto di segreto dell’anteriore scopritore.<br />

L’articolo cui ebbe ad accennarsi all’inizio ha tracciato un<br />

quadro delle opinioni allora correnti sull’argomento e ad esso necessariamente<br />

si rinvia per una più ampia informativa.<br />

Alla base del modo di vedere così radicato, vi è un concetto della<br />

novità estrinseca così assoluto e così individualistico da apparire<br />

in contrasto con la medesima idea di divulgazione (o di notorietà)<br />

quale viene percepito dal senso comune.<br />

Da un’angolatura parimenti assoluta ed individualistica, autori e<br />

giudici hanno riguardato anche l’altro requisito della novità intrinseca<br />

od originalità, che è stato reputato sinonimo di «un apporto di progresso<br />

tecnico, che obbiettivizza un travaglio intellettuale creativo».<br />

In tale maniera si è finito (sempre al tempo della previgente<br />

legge 1127/39) per non cogliere in modo penetrante il nesso tra le<br />

due ipotesi di novità (estrinseca ed intrinseca) anche se non<br />

mancò chi intuì che ci si trovava di fronte ad «aspetti coordinati<br />

e reciprocamente integrantesi di un complesso requisito, sostanzialmente<br />

unico» (1) .<br />

Ciò era reso palese dall’errore di prospettiva, laddove il rapporto<br />

dei due aspetti della novità venne sintetizzato dalla dottrina e<br />

dalla giurisprudenza con la formula «non è sempre nuovo ciò che è<br />

originale, è sempre originale ciò che è nuovo» (2) .<br />

All’indomani di quel lontano studio l’autore di queste righe ebbe<br />

ad approfondire ulteriormente i concetti della originalità, della divulgazione<br />

ed i rispettivi rapporti.<br />

In quella occasione egli intese che doveva attribuirsi ad essi un<br />

significato non assoluto, ma relativo e cioè riferito necessariamente<br />

«alla nostra cultura» (Kohler) o meglio, al patrimonio culturale della<br />

classe di operatori, interessati alla invenzione.<br />

La logica dell’ordinamento giuridico era infatti, per suo fermo<br />

convincimento, quella di provocare la divulgazione di quelle idee<br />

(1) EULA, Rassegna della Giurisprudenza della Corte Suprema in materia di privative<br />

industriali, in Riv. dir. comm., 1946, I, 1, pp. 2 ss.<br />

(2) BENEDICENTI, Rassegna di giurisprudenza della Corte Suprema in materia di<br />

privativa industriale, (1947-1954) in Riv. dir. comm., 1956, I, pp. 470 ss., 472; Cass. civ.,<br />

20 maggio 1950, n. 1299.


Scritti di Diritto Civile 275<br />

inventive che altrimenti sarebbero destinate a rimanere individuali<br />

e riservate, così procurando un arricchimento del comune<br />

patrimonio culturale attraverso la concessione di esclusiva a titolo<br />

di premio incentivante.<br />

Sotto tale profilo può comprendersi la mancanza di pubblico interesse<br />

a tutelare una invenzione notoria e cioè già divulgata.<br />

L’idea divulgata è sinonimo di quella appartenente al comune<br />

patrimonio culturale. Tale concetto postula una conoscenza diffusa<br />

e non limitata della invenzione.<br />

Analogamente – a suo parere – la originalità non andava intesa<br />

con riferimento alla paternità morale o al travaglio intellettuale dell’inventore,<br />

come premio al di lui merito individuale, come si era inteso<br />

in passato. La invenzione andava invece considerata originale,<br />

anche in assenza di codesti requisiti, laddove essa non si presentasse<br />

come una implicazione piuttosto ovvia del patrimonio culturale,<br />

cui si fa riferimento.<br />

A questo punto si coglierà come la precedente formula che sintetizzava<br />

il rapporto tra i due aspetti (estrinseco ed intrinseco) della<br />

novità, non era corretta e più esatta appariva invece la formula: «ciò<br />

che è notorio non è mai originale, ciò che non è notorio può essere<br />

originale o meno».<br />

L’autore di queste righe maturò codesto ordine di idee in tempi<br />

ormai lontani e cioè poco dopo quel lontano studio e quale sviluppo<br />

dello stesso.<br />

Egli ha avuto la ventura in prosieguo di tempo di vedere le medesime<br />

idee codificate dagli artt. 14 e 16 del D.P. 22 giugno 1979<br />

n. 338 nel contesto della recente normativa europea (3) .<br />

2. – La nuova disciplina continua a richiedere, come per il passato,<br />

la novità (nei due aspetti di originalità e di mancanza di divulgazione)<br />

perché la invenzione possa essere brevettata, ma fissa i loro<br />

concetti in termini oltremodo precisi.<br />

L’art. 14, 1° comma D.P. 339/79 stabilisce che la invenzione<br />

non divulgata è quella «che non è compresa nello stato della tecnica».<br />

Il 2° comma definisce l’ambito di codesto stato della tecnica<br />

che è formula equivalente a quella di patrimonio culturale de-<br />

(3) V. art. 54 n. 1 e 2 codice dei brevetti europei.


276 Scritti di Diritto Civile<br />

gli esperti del ramo. Il successivo art. 16 a sua volta precisa che<br />

l’originalità ricorre laddove «la invenzione non risulti evidente<br />

dallo stato della tecnica».<br />

Entrambi i requisiti non solo si presentano come due aspetti del<br />

medesimo concetto di novità, ma hanno a comune riferimento lo<br />

stato della tecnica.<br />

Quel che in definitiva trattasi di vedere è se la invenzione faceva<br />

parte in modo esplicito o come implicito piuttosto ovvio del<br />

comune patrimonio culturale, al momento del deposito della domanda<br />

di brevetto.<br />

Da ciò si dedurrà la correttezza della conclusione che «la invenzione<br />

notoria non è mai originale» e viceversa che la invenzione originale<br />

presuppone la mancanza di notorietà.<br />

3. – Il carattere innovativo della recente normativa mostra tuttavia<br />

di non essere compreso laddove, come è il caso della nostra giurisprudenza,<br />

questa continua a considerare predivulgata una invenzione<br />

di cui sia stato alienato a terzi un solo esemplare, senza alcun<br />

obbligo di segreto.<br />

Ciò mostra la esigenza di ulteriormente approfondire l’argomento<br />

ed alcune sue premesse di carattere generale.<br />

Occorre rilevare che il progresso delle scienze (che costituisce<br />

tanta parte di quello dell’umanità) si basa sulla circolazione dei<br />

prodotti della cultura individuale nell’ambito della società e sul fenomeno<br />

del loro assorbimento da parte della cultura collettiva. La<br />

cultura individuale se pur assai volte si presenta come arretrata rispetto<br />

a quella collettiva (ed indicherà il grado di ignoranza dell’individuo)<br />

talora può notevolmente sopravanzarla (com’è il caso<br />

di ingegni o talenti eccezionali). L’invenzione rappresenta indubbiamente<br />

un prodotto della cultura individuale.<br />

L’ordinamento giuridico, quando protegge delle opere dell’ingegno<br />

e così riserva loro una privativa, non si propone come obiettivo<br />

primario quello di assicurare la proprietà al suo autore, quanto<br />

piuttosto di favorire l’arricchimento della cultura collettiva ad<br />

opera di quella individuale ed in definitiva la osmosi tra di esse.<br />

Ciò spiega la ragione per la quale il brevetto viene concesso a chi<br />

presenta per primo la relativa domanda e non a chi ne sia l’anteriore<br />

scopritore in assoluto e perché i requisiti di novità estrinse-


Scritti di Diritto Civile 277<br />

ca e di originalità della invenzione vengano essenzialmente riferiti<br />

alla cultura collettiva.<br />

È opportuno analizzare, a questo punto, quel fenomeno che va<br />

sotto il nome di circolazione dell’idea inventiva nella società. Quest’ultima,<br />

finché si trova allo stato puro di res cogitata, può essere<br />

conservata dal soggetto pensante, con quel mezzo effimero che è la<br />

memoria (dove basta che l’autore ne perda il ricordo perché smarrisca<br />

l’idea) e non è suscettibile, in quanto tale, di comunicazione e<br />

di divulgazione a terzi (4) .<br />

È fin troppo evidente che l’idea inventiva, per poter essere conservata<br />

più durevolmente dal suo autore e per potere circolare, deve<br />

essere fissata in un dato oggettivo (la macchina in cui si materializza,<br />

un disegno, un discorso orale o scritto, una formula, ecc.).<br />

L’idea inventiva, come ogni idea, in quanto fissata in un dato oggettivo,<br />

acquista una autonomia anche di fronte al pensiero che l’ha<br />

pensata. Il dato oggettivo può provocare una ideazione di contenuto<br />

identico, a distanza di tempo, nel suo medesimo autore, ed ovviamente<br />

in altri soggetti che ne erano prima ignari ed in questo<br />

caso assolve alla funzione di mezzo rappresentativo dell’idea (5) .<br />

Tale è il caso della macchina industriale, di un manoscritto, di un<br />

libro, di un disegno, di un nastro registrato.<br />

La capacità rappresentativa del mezzo può essere adeguata o<br />

non esserlo affatto: così alcuni appunti sommari possono risvegliare<br />

l’idea nell’autore o provocarla in terzi e, se incompleti, non raffigurarla<br />

per nulla in alcuno. Analogo è il caso di un disegno o di un<br />

discorso parlato o scritto il cui codice di lettura sia più o meno noto<br />

o del tutto ignoto.<br />

Il possesso del mezzo rappresentativo e la sua circolazione comporta<br />

lo stesso fenomeno per l’idea inventiva. La circolazione di<br />

questa, tuttavia può essere autonoma dal primo: basta la lettura del<br />

disegno o del libro e non anche l’acquisto di questo (6) .<br />

(4) Esempio classico di inventore che portò nella tomba il proprio segreto inventivo, non<br />

confidandolo ad altri, fu Gerolamo Segato, per il processo di pietrificazione dei cadaveri.<br />

(5) Non è qui la medesima idea di Tizio che si trasferisce a Caio per cui il primo se ne<br />

spoglia (come nella traditio di cosa corporale), ma invece è una idea cogitata da Caio e di<br />

contenuto identico a quella pensata da Tizio che può dirsi solo in senso traslato essere trasferita<br />

dall’uno all’altro.<br />

(6) G.G.F. HEGEL, Lineamenti di filosofia del diritto, Bari, 1913, p. 74.


278 Scritti di Diritto Civile<br />

Il mezzo rappresentativo in quanto provoca una ideazione di<br />

contenuto identico in soggetti, che ne erano ignari, assolve alla funzione<br />

di mezzo di comunicazione.<br />

L’idea inventiva, una volta oggettivizzata, come si è detto, è destinata<br />

ad uscire dalla sfera individuale del suo autore ed a propagarsi<br />

a quella di coloro che ne vengono a conoscenza e così finisce<br />

per arricchire il loro patrimonio culturale (e non solo questo). Questi<br />

ultimi potranno perfino domandare il brevetto per quella medesima<br />

invenzione, ove essa non abbia formato oggetto di alcuna anteriore<br />

domanda da veruno.<br />

L’inventore può rischiare di trovarsi preceduto da costui oltre che<br />

da un autonomo scopritore, al quale sia venuta in mente la medesima<br />

idea (7) . Ciò spiega l’interesse dell’inventore a conservare per<br />

sé ed a non comunicare ad altri la invenzione ed il mezzo che la rappresenta,<br />

cioè a tener segreta la invenzione da lui scoperta, almeno<br />

sino al momento al quale è riferita la priorità.<br />

4. – A seconda che l’invenzione si trovi al riparo dalla possibile<br />

conoscenza di terzi estranei, oppure sia ormai entrata in circolazione<br />

e nella misura che questa sia più o meno ampia, essa potrà<br />

dirsi allo stato di «segreto» od invece essere nota ad una cerchia<br />

ristretta di individui oppure divenuta di pubblico dominio e cioè<br />

divulgata.<br />

Cominciamo da qualche cenno sul «segreto».<br />

Segreta può reputarsi quella invenzione, che viene conservata<br />

per sé da chi la conosce ed è celata agli estranei (8) . Non basta che<br />

l’invenzione sia tenuta segreta; occorre anche che essa non sia altrimenti<br />

nota (9) .<br />

Il segreto può essere assoluto (top-secret) o relativo.<br />

Essa può finire con la sua rivelazione a chi non dovrebbe sapere<br />

(7) La domanda di privativa dell’inventore può infatti essere preceduta da quella<br />

non solo di un autonomo scopritore, ma anche da colui al quale l’inventore abbia confidato<br />

l’idea inventiva.<br />

(8) U. RUFFOLO, Segreto, (in Dir. priv.) Enciclopedia del diritto, Milano, 1989, vol.<br />

41°, pp. 1015 ss. e Bibl. a pp. 1027 ss. Il segreto è il risultato della condotta umana, cioè<br />

del «tener segreto».<br />

(9) In questo senso il tener segreta una invenzione nota è comunemente detto «segreto»<br />

di Pulcinella.


Scritti di Diritto Civile 279<br />

o con l’acquisto della sua notizia da parte di un estraneo, per effetto<br />

di un’attività di spionaggio (10) .<br />

Il segreto può essere diversamente classificato sulla base dell’interesse<br />

che protegge (11) . Esso può altresì riguardare il mezzo di comunicazione<br />

tra iniziati, quale un linguaggio convenzionale (codice<br />

segreto), l’ambiente in cui è conservato il bene protetto (archivio<br />

segreto), il gruppo di persone addette (servizio segreto), e così via.<br />

La conservazione del «segreto» di per sé esclude che l’invenzione<br />

divenga notoria.<br />

È ipotizzabile il caso che l’inventore (o l’autonomo scopritore)<br />

riveli ad un terzo o ad un numero determinato di persone la idea<br />

inventiva, con patto di segreto, o all’opposto senza alcun limite<br />

di riservatezza.<br />

In entrambi i casi sono da ricercare le effettive dimensioni raggiunte<br />

dalla diffusione della notizia della invenzione nella società e<br />

qual’è il patrimonio culturale (se quello individuale o quello collettivo)<br />

che è stato arricchito dalla informazione.<br />

Deve ritenersi che la comunicazione con patto di segreto, di per<br />

sé non esclude il formarsi di un processo divulgativo che è causa di<br />

nullità del brevetto.<br />

Un fenomeno di questo genere è stato descritto a suo tempo in<br />

modo quanto mai espressivo ne «I Promessi sposi», cap. XI dal<br />

Manzoni, laddove ebbe a scrivere: «Una delle più grandi consolazioni<br />

di questa vita è l’amicizia e una delle consolazioni dell’amicizia<br />

è quell’avere a cui confidare un segreto. Ora gli amici non sono<br />

a due a due come gli sposi; ognuno, generalmente parlando, ne ha<br />

più d’uno: il che forma una catena, di cui nessuno potrebbe trovare<br />

la fine. Quando dunque un amico si procura quella consolazione<br />

di deporre un segreto nel seno di un altro, dà a costui la voglia di<br />

procurarsi la stessa consolazione anche a lui. Lo prega, è vero di non<br />

dir nulla a nessuno: e una tale condizione, chi la prendesse nel senso<br />

rigoroso delle parole, troncherebbe immediatamente il corso delle<br />

consolazioni. Ma la pratica generale ha voluto che obblighi sol-<br />

(10) Lo spionaggio non implica divulgazione perché chi viene a conoscere per tale via<br />

è normalmente interessato a che altri, specie se concorrenti, non vengano a conoscenza.<br />

(11) Così abbiamo il segreto di Stato, quello militare, bancario, aziendale, professionale,<br />

ecc.


280 Scritti di Diritto Civile<br />

tanto a non confidare il segreto, se non a chi sia un amico ugualmente<br />

fidato ed imponendogli la stessa condizione. Così d’amico fidato<br />

in amico fidato, il segreto gira e gira per quella immensa catena,<br />

tanto che arriva all’orecchio di colui e di coloro a cui il primo<br />

che ha parlato intendeva appunto di non lasciarlo arrivare mai.<br />

Avrebbe però ordinariamente, a stare un gran pezzo in cammino, se<br />

ognuno non avesse che due amici: quello che gli dice e quello a cui<br />

ridice la cosa da tacersi. Ma ci sono degli uomini privilegiati che li<br />

contano a centinaia e quando il segreto è venuto a uno di questi uomini,<br />

i giri divengono sì rapidi e sì molteplici, che non è più possibile<br />

seguirne la traccia».<br />

Analogamente una comunicazione da parte dell’inventore o<br />

dell’autonomo scopritore, ad un numero determinato di persone<br />

terze, senza alcun vincolo di riservatezza, di per sé non basta ad<br />

ipotizzare uno stato di predivulgazione, se non è seguito da una<br />

diffusione della notizia, tale da considerarla divenuta di pubblico<br />

dominio. Nel caso sopra indicato quello che deve considerarsi arricchito<br />

dalla informazione è il patrimonio culturale individuale e<br />

non quello collettivo.<br />

All’opposto, laddove si verificherà una effettiva ed ampia diffusione<br />

della notizia inventiva ad un numero indeterminato di persone,<br />

così che la stessa debba considerarsi ormai divenuta accessibile<br />

al pubblico, avremo una divulgazione ed il trovato dovrà considerarsi<br />

ormai notorio.<br />

Questi concetti avrebbero dovuto trovare la loro piena applicazione<br />

sotto l’impero del R.D. 29 giugno 1939 che richiedeva come<br />

requisito di un brevetto valido la mancanza di predivulgazione (che<br />

è per definizione fenomeno di ampia diffusione) e non che la invenzione<br />

fosse stata taciuta a chicchessia.<br />

All’opposto, come si è visto nel lavoro che precede, la nostra<br />

dottrina e la giurisprudenza (12) , sotto l’influenza di quella fran-<br />

(12) Tra le molte opere dedicate all’argomento: BONELLI, Privativa per invenzione<br />

industriale, Noviss. Dig., Torino, 1957, XIII, pp. 899 ss.; G. BAVETTA, Invenzioni industriali,<br />

in Encicl. del diritto, Milano, 1972, XXII, pp. 642 ss.; GRECO e VERCELLONE,<br />

Le invenzioni ed i modelli industriali, in Trattato di dir. civ., UTET, 1968; ASCARELLI,<br />

Teoria della concorrenza e dei beni immateriali, Milano, 1960; R. CORRADO, Opere dell’ingegno.<br />

Privative industriali, Milano, 1961, p. 62; GHIRON, Corso di diritto industriale,<br />

Roma, 1948, II, p. 106; AULETTA-MANGINI, Opere dell’ingegno ed invenzioni indu-


Scritti di Diritto Civile 281<br />

cese (13) , muovendo da una concezione individualistica ed assoluta,<br />

ebbero ad identificare la divulgazione con la mancanza di conservazione<br />

del segreto ed a negare rilievo alle dimensioni della diffusione<br />

della informazione, che invece appare essenziale.<br />

La rivelazione dell’invenzione, senza vincolo di segreto, secondo<br />

tale orientamento dominante, equivaleva a divulgazione.<br />

In maggiore dettaglio, occorre dire che autori e giudici distinguevano<br />

la rivelazione proveniente dall’inventore, che doveva presumersi<br />

a titolo riservato, da quella proveniente da un autonomo<br />

scopritore, che doveva presumersi a titolo di pubblicità.<br />

Nel primo caso si escludeva che la rivelazione dell’inventore<br />

equivalesse a divulgazione, mentre all’opposto, lo si affermava nel<br />

secondo caso.<br />

Con riguardo all’ipotesi della vendita anche di un solo o pochi<br />

esemplari, senza vincolo di segretezza, la giurisprudenza, anche negli<br />

ultimi anni prima della riforma del ’79, confermava, purtroppo,<br />

lo sfavorevole orientamento anteriore, attribuendo a tale vendita il<br />

rilievo di una potenziale divulgazione.<br />

In tal senso si annoverano le decisioni seguenti: Trib. Milano, 25 luglio<br />

1977 in Giur. annotata di dir. ind., 1980, 481; Trib. Milano, 1<br />

giugno 1973; Trib. Bologna, 21 febbraio 1973, in Giur. Dir. ind.,<br />

1973, 735, 440; nonché Trib. Mantova, 27 marzo 1971 ibidem, 1972,<br />

105; Trib. Genova, 29 aprile 1971; Trib. Varese, 11 agosto 1971.<br />

Solamente una isolata decisione della Corte d’Appello di Catania<br />

15 luglio 1974, in Giur. Dir. ind., 1974, p. 1000 affermò che la vendita<br />

di due soli esemplari non costituiva divulgazione.<br />

La dottrina dominante si muoveva nello stesso ordine di idee della<br />

giurisprudenza.<br />

5. – Anche se un’interpretazione restrittiva della novità estrinseca,<br />

quale si è vista sopra non era fondata prima della riforma del 1979,<br />

striali, (Commentario Scialoja e Branca) Bologna, 1987, p. 67. M. ROTONDI, Diritto industriale,<br />

Milano, 1942, pp. 182-183; RAMELLA, Trattato della proprietà industriale,<br />

Roma, 1909, I, p. 599.<br />

(13) Tra i testi più significativi: BEDARRIDE, Commentaire des lois sur les brevets<br />

d’invention, Parigi, 1878-94, n. 375, pp. 362-263; PUILLET, Traité theorique et pratique<br />

des brevets d’invention et de contrefaçon industrielle, Parigi, 1909, nn. 371-445; PI-<br />

CARD e OLIN, Traité des brevets et de contrefaçon industrielle, Parigi, 1869, n. 137.


282 Scritti di Diritto Civile<br />

essa appare ora in aperto contrasto con la nuova normativa entrata<br />

in vigore a seguito del D.P.R. 22 giugno 1979, n. 838 ed i cui<br />

aspetti fondamentali sono stati tratteggiati all’inizio.<br />

In particolare si è detto che l’art. 14 fa riferimento allo «stato della<br />

tecnica» che è sinonimo di comune patrimonio culturale degli<br />

esperti del settore, ed il cui contenuto è descritto dalla norma in<br />

modo quanto mai preciso ed ampio.<br />

Abbiamo visto all’inizio che la logica sottesa alla novità estrinseca,<br />

nel nostro ordinamento, risiede nel pubblico interesse ad acquisire<br />

al dominio delle conoscenze ed utilità collettive quello che altrimenti<br />

sarebbe destinato ad appartenere esclusivamente alla sfera<br />

riservata ed individuale dell’inventore.<br />

È sin troppo ovvio che un siffatto pubblico interesse non esiste<br />

nel caso di un’invenzione notoria e ciò spiega la nullità di un brevetto<br />

che fosse concesso a protezione di essa.<br />

La esistenza del riferito pubblico interesse è invece innegabile<br />

nel caso di quelle invenzioni la cui informazione è entrata nel patrimonio<br />

solo individuale di persone diverse dall’inventore ed è<br />

rimasta anche successivamente in codeste sfere individuali, senza<br />

divenire notoria e cioè entrare nel patrimonio delle conoscenze<br />

ed utilità collettive.<br />

Non può controvertersi che lo spirito e la lettera della nuova legge<br />

sia in questo senso.<br />

Tra la formula più antica dell’art. 3 del R.D. 30 ottobre 1859<br />

che considerava «nuova la invenzione mai prima conosciuta»,<br />

quella successiva degli artt. 15 e 59 delle R.D. 29 giugno 1939 che<br />

reputava «nuova l’invenzione non divulgata» e l’odierna degli<br />

artt. 14 e 15 per cui è nuova la invenzione «non compresa nello<br />

stato della tecnica» vi è una successione di formule di cui va colta<br />

la specifica differenza.<br />

Lo «stato della tecnica» raffrontato con quello precedente, non<br />

può essere inteso altrimenti che come l’epilogo e la conclusione della<br />

divulgazione medesima, ammesso e non concesso che questa ultima<br />

potesse essere intesa come sinonimo di un processo divulgativo,<br />

in fieri, sin dalla rivelazione da parte dell’inventore. Torneremo<br />

tra poco sulla portata della nuova normativa.<br />

Conviene tuttavia dire tosto che il senso degli artt. 14 e 15<br />

della riforma del 1979, non pare colto oggigiorno dall’odierna


Scritti di Diritto Civile 283<br />

dottrina e giurisprudenza. È infatti dato leggere in dottrina,<br />

dove non si avverte alcuna radicale correzione di orientamento<br />

rispetto alle opinioni anteriori (14) che «in linea generale i problemi<br />

che il concetto di divulgazione poneva alla giurisprudenza<br />

precedente, si ripropongono negli stessi termini, dopo la riforma<br />

del ’79» (15) .<br />

Quanto alla giurisprudenza, la maggior parte delle decisioni si<br />

muove sulla falsa riga di quelle precedenti e così reputa che la vendita<br />

di una macchina ad un terzo senza obbligo di riservatezza,<br />

comporta la divulgazione non diversamente dalla rivelazione senza<br />

obbligo di segreto.<br />

In questo senso si notano: Trib. Milano, 19 novembre 1981; App.<br />

Milano, 21 giugno 1982; Trib. Milano, 25 ottobre 1984, in Giur. annotata<br />

di dir. ind. Rep. sist., 1972-1987, 2, 1.1.2.<br />

Più recentemente il Tribunale di Milano, con decisione 6 ottobre<br />

1988 in Giur. annotata, di dir. ind., 1988, p. 773, ha scritto testualmente:<br />

«sussiste predivulgazione della invenzione quando prima<br />

del deposito della domanda sia stata venduto un esemplare del<br />

prodotto che, benché chiuso ed assai compatto, possa essere, seppur<br />

non agevolmente visionato».<br />

Codesto ordine di idee è – a mio avviso – agli antipodi del combinato<br />

disposto degli artt. 14 e 15 del D.P.R. 22 giugno 1979, n. 838.<br />

La nuova normativa, di cui si è detto sopra ha superato decisamente<br />

la precedente problematica.<br />

Lo «stato della tecnica» riguarda l’appartenenza dell’invenzione<br />

al comune patrimonio delle conoscenze ed utilità collettive e ciò<br />

suppone che la divulgazione sia ormai effettiva ed attuale e non più<br />

solo potenziale o virtuale.<br />

È da escludere rilievo al pericolo di divulgazione, mentre è da attribuirsi<br />

esclusivamente rilievo alla divulgazione effettiva. Tutta la<br />

(14) Anche nelle recenti edizioni dei testi sull’argomento, la dottrina è ferma ad affermare<br />

che basta una divulgazione potenziale dell’invenzione, che al limite basta che la<br />

stessa sia comunicata anche ad una persona soltanto e che la circolazione dell’idea con obbligo<br />

di segretezza non dà luogo a divulgazione: AULETTA-MANGINI, loc. cit., p. 67;<br />

AMMENDOLA, Invenzione, marchio, opera dell’ingegno, Milano, 1977, p. 219; GRECO-<br />

VERCELLONE, op. cit., I, pp. 118, 355; SENA, I diritti sulle invenzioni e sui modelli industriali,<br />

Milano, 1984, p. 124, nota 57.<br />

(15) SENA, op. cit., p. 123.


284 Scritti di Diritto Civile<br />

precedente problematica e le presunzioni in ordine alle rivelazioni<br />

che sarebbero da classificare a titolo di segreto, se provenienti dall’inventore,<br />

o all’opposto, di pubblicità, se provenienti dall’autonomo<br />

scopritore, deve intendersi superata. L’art. 14, laddove in dettaglio<br />

precisa che lo «stato della tecnica è costituito da tutto ciò che<br />

è stato reso accessibile al pubblico», mediante una descrizione orale<br />

o scritta o un uso o i più diversi mezzi nel territorio dello stato o<br />

all’estero, stabilisce fuori di ogni dubbio che assumono rilievo le dimensioni<br />

della diffusione della notizia inventiva.<br />

Si avrà divulgazione laddove destinatario della rivelazione sia un<br />

numero indeterminato di persone, mentre all’opposto essa è da negarsi<br />

se riguarderà una cerchia culturale di una o più persone, individualmente<br />

considerate e non il comune patrimonio culturale degli<br />

operatori del settore, così da potersi dire «accessibile al pubblico».<br />

6. – Passiamo ora al discorso che riguarda l’altro requisito e cioè la<br />

originalità (o novità intrinseca).<br />

Essa venne a suo tempo intesa sotto il profilo di apporto rilevante<br />

di progresso tecnico, che obiettivizza un travaglio intellettuale<br />

creativo dell’inventore (16) . Il riferimento soggettivo non appare tuttavia<br />

essenziale al concetto di originalità, perché il diritto al brevetto<br />

non compete tanto a chi dimostra di essere il padre dell’idea<br />

inventiva, quanto a chi se ne mostra in possesso. Tali sono i casi dell’erede<br />

dell’inventore, del cessionario, del datore di lavoro per la invenzione<br />

del dipendente, di chi è venuto a notizia per rivelazione<br />

(lecita o illecita) e, a suo tempo, del brevetto di importazione.<br />

Il trovato, del resto, può essere il risultato di una sofferta attività<br />

creatrice da parte dell’autore che tuttavia ignorava essere stato in<br />

precedenza scoperto da altri o che era comunque noto altrimenti.<br />

In prosieguo, una parte della giurisprudenza, intese riduttivamente<br />

la originalità come equivalente a mero apporto di progresso<br />

tecnico (17) , mentre altra parte della giurisprudenza e la unanime<br />

dottrina (18) , la individuò nell’invenzione che «un tecnico medio del<br />

(16) EULA, op. cit. loc. cit.<br />

(17) App. Milano, 29 settembre 1981; Trib. Milano, 26 giugno 1975; Trib. Roma, 5<br />

novembre 1974; App. Milano, 29 maggio 1973; App. Bologna, 11 aprile 1973.<br />

(18) Trib. Milano, 23 luglio 1974; Trib. Milano, 29 settembre 1980; Trib. Vicenza, 9


Scritti di Diritto Civile 285<br />

settore non saprebbe produrre». In epoca posteriore si affermò in<br />

giurisprudenza un orientamento di sintesi (c.d. concezione dualistica<br />

della originalità) (19) .<br />

Da ultimo, a seguito della nuova normativa, nel contesto anche<br />

di quella europea, l’art. 16 del D.P.R. 22 giugno 1979, n. 838, è arrivato<br />

alla conclusione di definire la invenzione originale, come<br />

quella che «non risulta evidente dallo stato della tecnica, per una<br />

persona esperta del ramo».<br />

Al mero progresso tecnico, in sé e per sé considerato, viene attribuito<br />

solo il valore di «indizio di evidenza».<br />

Il nuovo legislatore mostra qui di intendere la originalità come<br />

«novità relativa alla nostra cultura» e più precisamente nel senso a<br />

suo tempo sostenuto da Kohler.<br />

Questi infatti ebbe a definire a suo tempo «originale» quel<br />

trovato che non si pone come implicazione logica o svolgimento<br />

di cognizioni preesistenti in sé considerate o per effetto del coordinamento<br />

tra loro. Quel che all’opposto vi rientra, non può dirsi<br />

originale.<br />

Lo «stato della tecnica» al quale si riferisce il nuovo dettato normativo,<br />

è stato correttamente ritenuto come «il bagaglio delle cognizioni<br />

del tecnico medio del settore al quale attiene la invenzione».<br />

Devesi pertanto ritenere «originale» quella invenzione che non<br />

rappresenta una implicazione logica o uno svolgimento delle cognizioni<br />

dell’operatore medio del settore considerato (20) .<br />

La giurisprudenza, nel suo insieme, interpreta correttamente il<br />

dato normativo e così numerose decisioni hanno ritenuto originale<br />

quella invenzione che rappresenta un miglioramento della tecnica<br />

preesistente, una soluzione superiore alla portata del tecnico medio<br />

di un problema (Cass. civ., 5 settembre 1990, n. 9143; Cass. civ.,<br />

14 aprile 1988, n. 2965; Cass. civ., 8 aprile 1982, n. 2168; Cass.<br />

civ., 16 ottobre 1980 n. 5570; App. Roma, 1 febbraio 1988; Trib.<br />

Modena, 19 maggio 1988, ecc.).<br />

novembre 1974; App. Torino, 13 luglio 1972; Trib. Milano, 23 gennaio 1972; ed in dottrina:<br />

SENA, op. cit., p. 139; AULETTA-MANGINI, op. cit., p. 42, tra gli altri.<br />

(19) Cass. civ. 83/6435; App. Torino, 13 luglio 1972; Trib. Milano, 23 luglio 1984.<br />

(20) DI CATALDO, L’originalità dell’invenzione, pp. 69 ss.


286 Scritti di Diritto Civile<br />

7. – Quanto al rapporto tra novità estrinseca e novità intrinseca,<br />

esso venne – come si disse – erroneamente sintetizzato da Cass. civ.,<br />

20 maggio 1950, n. 1209 nella formula «non è sempre nuovo ciò<br />

che è originale, è sempre originale ciò che è nuovo». L’autore di queste<br />

righe ha più sopra osservato che tale rapporto avrebbe dovuto<br />

essere correttamente espresso con la formula «ciò che è notorio non<br />

è mai originale, ciò che non è notorio, può essere originale o meno».<br />

Il rapporto tra i due tipi di novità non viene tuttora colto ed è frainteso<br />

com’è il caso di Cass. civ., 9 novembre 1987 n. 8263 laddove<br />

afferma che «il requisito della novità estrinseca va riscontrato dopo<br />

il positivo accertamento della novità intrinseca», o in dottrina del<br />

Franzosi (21) , secondo cui la distinzione tra i due tipi di novità sarebbe<br />

superfluo perché «la novità estrinseca è necessariamente ricompresa<br />

nella novità intrinseca».<br />

Trattasi di proposizioni erronee, che rovesciano il corretto rapporto,<br />

perché non appare controvertibile, che l’accertamento della<br />

novità estrinseca è preliminare e prioritario rispetto a quella intrinseca,<br />

in quanto appare inutile la ricerca del carattere originale di<br />

una invenzione notoria o predivulgata.<br />

Ciò mostra, a mio modo di vedere, che non si coglie ancora<br />

oggi la essenza intima dei due tipi di novità che rappresentano<br />

due successivi gradi di differenziazione del trovato rispetto al patrimonio<br />

tecnologico.<br />

Altro scritto dell’autore sullo stesso argomento:<br />

– «Se la vendita di una macchina senza patto di segretezza prima della domanda<br />

di privativa induca alla divulgazione ex art.1559 R.D. 29/07/1939 n. 127»,<br />

in Foro Padano 1954, III, p. 161 e in L’Espressione monetaria nella responsabilità<br />

civile, Cedam 1994, p. 485.<br />

(21) FRANZOSI, L’invenzione, pp. 46 ss.


In materia di diritto societario


Sul problema concernente<br />

la modifica del rapporto di cambio<br />

nella conversione delle obbligazioni<br />

convertibili in azioni, dopo la riduzione<br />

del capitale sociale per perdite<br />

ai sensi dell’Art. 2420 bis, comma 6, cod. civ.<br />

1. – L’autore di queste righe riprende a trattare, dopo il suo lontano<br />

scritto pubblicato in Riv. dir. civ., 1983, II, 485, questo problema<br />

che non ha trovato ancora una soluzione, tanto meno appagante<br />

dalla giurisprudenza e al quale la dottrina ha dato una<br />

risposta insoddisfacente, di ampi consensi, a mio modo di vedere<br />

ingiustificata.<br />

Esso si sostanzia nel quesito quale significato dare all’art. 2420<br />

bis comma sesto, che testualmente recita: «Nei casi di aumento del<br />

capitale, mediante imputazione di riserva e di riduzione del capitale<br />

per perdite, il rapporto di cambio è modificato in proporzione alla<br />

misura dell’aumento o della riduzione».<br />

La dottrina dominante (1) sostiene che nel caso in cui il capitale<br />

sociale sia ridotto per perdite e con esso il valore nominale delle<br />

azioni in circolazione, anche il titolare delle obbligazioni converti-<br />

Da «Diritto Fallimentare e delle Società Commerciali», 2001, n. 1.<br />

(1) In tal senso: BUONOCORE, Le obbligazioni convertibili in azioni nella legge di<br />

riforma, in Giur. comm., 1974, I, 724; R. CAVALLO BORGIA, Le obbligazioni convertibili<br />

in azioni, Milano, 1978, p. 166 segg., nota 77; B. COLUSSI, Problemi delle obbligazioni<br />

convertibili in azioni, in Riv. dir. civ., 1974, I, 606; F. FERRARA, Gli imprenditori e<br />

le società, Milano, 1974, p. 560; R. NOBILI-M. VITALE, La riforma delle società per azioni,<br />

Milano, 1975, pag. 254 segg.; F. FAZZUTI, Obbligazioni convertibili e modifica del<br />

rapporto di cambio, in Giur. comm., 1977, I, 928.


290 Scritti di Diritto Civile<br />

bili subisce le conseguenze della riduzione e riceve la stessa quantità<br />

di azioni a suo tempo promessa, con un valore nominale ridotto<br />

per le perdite.<br />

Al contrario in quel lontano studio chi scrive ha sostenuto con<br />

convinzione la tesi che l’obbligazionista convertibile, che non abbia<br />

ancora chiesto la conversione a mente del comma quarto ha diritto<br />

di ricevere quella diversa maggiore quantità di azioni dal valore nominale<br />

ridotto, il cui prodotto con quest’ultimo, sia pari al valore<br />

nominale delle obbligazioni convertibili in suo possesso. In pratica,<br />

se a seguito della riduzione per perdite il capitale sociale sia dimezzato<br />

e con esso il valore nominale delle azioni in circolazione, il creditore<br />

obbligazionista riceverà una quantità doppia delle azioni del<br />

valore nominale dimezzato.<br />

Questa soluzione è rimasta isolata e non è stata seguita dagli autori<br />

che successivamente si sono occupati dell’argomento senza aggiungere<br />

peraltro alcun elemento convincente a sostegno della opinione<br />

dominante (2) .<br />

Si ritorna su questo argomento in questa sede, convinti che l’opinione<br />

dominante è contraria alla interpretazione sia letterale che<br />

logica della norma in esame e si offrano le ulteriori riflessioni che<br />

dimostrano come l’opinione avanzata in precedenza costituisce la<br />

più rigorosa applicazione della legge.<br />

2. – L’art. 2420 bis, comma 1, cod. civ. stabilisce che l’assemblea<br />

straordinaria che delibera la emissione delle obbligazioni convertibili<br />

in azioni, «determina il rapporto di cambio e le modalità e il<br />

successivo comma secondo aggiunge che essa delibera l’aumento<br />

del capitale sociale, per un ammontare corrispondente al valore nominale<br />

delle azioni da attribuire in conversione».<br />

Il comma quinto dispone ancora che la società non può disporre<br />

la riduzione del capitale esuberante.<br />

Il comma sesto, come si è visto, prescrive che «nel caso di riduzione<br />

per perdite, il rapporto di cambio è modificato, in proporzione<br />

alla misura della riduzione».<br />

Il rapporto di cambio e le modalità di conversione deliberate dell’assemblea<br />

che le ha emesse sono indicate espressamente dal certi-<br />

(2) P. CASELLA, Le obbligazioni convertibili in azioni, Milano, 1983, p. 140 segg.


Scritti di Diritto Civile 291<br />

ficato della obbligazione convertibile, quale un possesso del creditore<br />

convertibile.<br />

La dottrina dominante, che vuole invece assegnare all’obbligazione<br />

convertibile la stessa quantità di azioni, però dal valore nominale<br />

ridotto, si traduce nella modifica in peius del rapporto di<br />

conversione originariamente deliberato dall’assemblea e promesso<br />

ai creditori. Essa cioè stravolge il disposto dell’ultima parte del<br />

comma sesto là dove esso dispone che il rapporto di conversione<br />

deve essere modificato «in proporzione alla misura della riduzione».<br />

La modifica del rapporto in definitiva deve essere inversamente<br />

proporzionale alla riduzione per perdite e la società è tenuta a corrispondere<br />

quella quantità di azioni dal valore ridotto per perdite,<br />

il cui prodotto sia uguale al valore della partecipazione cui aveva<br />

diritto all’origine.<br />

Il titolare delle obbligazioni convertibili ha diritto a conseguire,<br />

nel rapporto di cambio, una partecipazione che abbia un valore nominale<br />

uguale a quello delle obbligazioni come promesso in origine.<br />

La società non ha alcun diritto a non adempiere l’obbligo da essa<br />

contratto.<br />

L’aumento di capitale, deliberato al momento della emissione<br />

delle obbligazioni convertibili, a sensi del comma terzo, è insensibile<br />

alla riduzione, perché esso è solo futuro e virtuale, a differenza di<br />

quello in essere e circolante degli azionisti, perciò, suscettibile della<br />

riduzione.<br />

L’obbligazionista convertibile ha cioè diritto di ricevere quella<br />

quantità di azioni dal valore nominale, fissato nella delibera di riduzione,<br />

che corrisponde al valore nominale delle obbligazioni, in<br />

suo possesso e che cambierà in azioni.<br />

Chi opina diversamente fa una grossa confusione tra il capitale<br />

sociale circolante, in possesso degli azionisti dopo la riduzione per<br />

perdite e quello invece risultante dalla delibera di aumento a sensi<br />

dell’art. 2420 bis comma 3, che è virtuale e riservato solo ai titolari<br />

delle obbligazioni convertibili.<br />

Del resto i titolari delle azioni circolanti sono imputabili direttamente<br />

o indirettamente, come fonte di nomina degli organi amministrativi,<br />

delle scelte gestionali, che hanno creato le perdite.<br />

La dottrina dominante che vuole assoggettare alle perdite anche<br />

le obbligazioni convertibili, sempre che il diritto di conversione non


292 Scritti di Diritto Civile<br />

sia stato esercitato prima della delibera di riduzione, deve essere respinto<br />

sulla base del tenore del sesto comma che dispone testualmente<br />

«che il rapporto di cambio è modificato in proporzione alla<br />

misura della riduzione».<br />

Si tratta cioè di una modifica del rapporto di cambio a favore degli<br />

obbligazionisti e più precisamente di una modifica inversamente<br />

proporzionale alla riduzione per perdite che è stata deliberata e<br />

deve gravare solo sugli azionisti.<br />

La contraria opinione dominante attribuisce all’opposto al tenore<br />

letterale della norma il significato non di una modifica ma di una<br />

conservazione del rapporto meramente quantitativo delle azioni dal<br />

valore nominale dimezzato delle obbligazioni convertibili.<br />

La società, con la delibera di emissione delle obbligazioni convertibili<br />

e l’aumento del capitale riservato ai creditori, ha assunto<br />

l’impegno e si è obbligata a dare ad essi azioni per un certo valore<br />

e assicurare loro un rapporto di conversione tale che esaurisca<br />

l’intero aumento di capitale riservato esclusivamente ai soli<br />

obbligazionisti.<br />

L’aumento di capitale deliberato, a sensi del terzo comma, non<br />

può essere d’altra parte revocato o modificato in danno dei creditori<br />

convertibili perché esso fa parte dello statuto della società ed è<br />

menzionato come impegno nello stesso certificato circolante del titolo<br />

obbligazionario, quale impegno della emittente a mente del settimo<br />

comma dell’art. 2420 bis.<br />

Si deve distinguere infatti tra i capitali di una società quale in essere<br />

e circolante dopo la delibera di riduzione, dell’aumento futuro<br />

e riservato agli obbligazionisti, e così anche le azioni circolanti da<br />

quelle che sono solo di futura emissione.<br />

3. – È ripetutamente affermato nella nostra dottrina l’argomento<br />

che, ove si intendesse che l’obbligazionista fosse al riparo dalle perdite,<br />

nella modifica del rapporto di cambio, come da noi esposto,<br />

l’obbligazionista convertibile si avvantaggerebbe delle perdite della<br />

società, con sconvolgimento del rapporto tra esso e l’azionista.<br />

La tesi è infondata. L’obbligazionista non si avvantaggia infatti<br />

alla evidenza di alcune perdite ma è solo messo al riparo dalla<br />

stessa, perché le perdite non sono a lui imputabili, neppure indirettamente.


Scritti di Diritto Civile 293<br />

Chi opinasse diversamente avvantaggerebbe contro ogni logica<br />

delle perdite gli azionisti che sono collettivamente responsabili delle<br />

scelte gestionali degli amministratori da essi nominati in danno<br />

degli obbligazionisti.<br />

È forse giusto che a trarre vantaggio dalle perdite della società<br />

sia il titolare delle azioni in circolazione che è imputabile anche<br />

indirettamente delle stesse, a carico della società e del creditore<br />

convertibile?<br />

La società è certamente vincolata a garantire all’obbligazionista<br />

la partecipazione corrispondente al diritto di conversione assicurato<br />

con la delibera della emissione e perciò ad adempiervi. Essa ha però<br />

anche un interesse proprio a conservare a sé stessa la prospettiva dell’afflusso<br />

dell’aumento del capitale deliberato a sensi dell’art. 2420<br />

bis comma 2, cod. civ. riservato ai creditori convertibili.<br />

Codesto interesse è tanto più rilevante quanto addirittura maggiori<br />

sono le perdite, come è il caso che esse azzerino il capitale.<br />

La opinione dominante finisce per proteggere contro ogni logica<br />

gli interessi degli azionisti in danno della società e della sua sopravvivenza<br />

e dei creditori convertibili.<br />

Essa codifica il principio che la società si renda inadempiente agli<br />

obblighi contratti con la delibera di emissione, con proprio danno,<br />

nei confronti degli obbligazionisti.<br />

Il fatto che solo gli azionisti subiscano la riduzione per perdite,<br />

oltre che per la ragione indicata è che trattasi di una conseguenza<br />

della incidenza del rischio in essere a loro carico.<br />

Per quale ragione la delibera di riduzione per perdite dovrebbe<br />

essere estesa all’aumento di capitale, non ancora in essere e perciò<br />

al momento solo virtuale, e perché chiamare l’obbligazionista convertibile<br />

a sopportarla malgrado sia un estraneo anche indirettamente<br />

alle vicende giuridiche della società? Questi non si avvantaggia<br />

ma è solo messo al riparo dalle perdite che altrimenti renderebbero<br />

inconvertibile il di lui credito.<br />

Questa è una mera conseguenza della delibera di emissione<br />

e dell’aumento di capitale a cui corrisponde la modifica dello<br />

statuto della società e la menzione dell’impegno nel certificato<br />

obbligazionario.<br />

La opinione dominante, qui avversata, finisce per violare il duplice<br />

limite del patrimonio netto e del rispetto del valore nominale.


294 Scritti di Diritto Civile<br />

Un argomento di fondo che rafforza l’opinione qui sostenuta è<br />

data dal disposto dell’art. 2412 cod. civ.<br />

Esso dispone non solo che la società, la quale ha emesso le obbligazioni,<br />

non può ridurre il capitale sociale se non in proporzione<br />

alle obbligazioni rimborsate, ma anche che «nel caso di riduzioni<br />

per perdite, la riserva legale deve continuare a calcolarsi, sulla base<br />

del valore del capitale sociale esistente al tempo della emissione».<br />

Ciò fino a che «l’ammontare del capitale sociale e della riserva<br />

legale non eguagli l’ammontare delle obbligazioni in circolazione».<br />

La lettura di questa norma non pare legittimare la opinione dottrinale<br />

equivalente.<br />

Infine la circostanza che non possa essere neppure deliberata una<br />

riduzione del capitale che fosse ritenuta esuberante è un argomento<br />

in più per la non modificabilità del rapporto di cambio in peius<br />

per l’obbligazione.<br />

4. – I sostenitori dell’opinione qui avversata, la giustificano infine<br />

con l’argomento che gli obbligazionisti convertibili sarebbero chiamati<br />

dall’art. 2420 bis, sesto comma cod. civ. a beneficiare di un<br />

aumento di capitale che fosse disposto, per cui ragioni di simmetria<br />

vorrebbero che essi partecipassero alle perdite, nel rapporto di cambio,<br />

nel caso convertissero i loro titoli di credito in azioni.<br />

Il disposto invero va inteso come riferito alla ipotesi normale che<br />

l’aumento sia destinato alla imputazione delle riserve.<br />

Ciò avviene in particolare quando queste vengono imputate a copertura<br />

delle perdite.<br />

Questo argomento rafforza la conclusione opposta sostenuta da<br />

chi scrive, nel senso che il creditore convertibile è messo al riparo<br />

dalle conseguenze di un utilizzo di riserve per coprire perdite, che<br />

fosse disposto dall’azionista.<br />

Anche laddove peraltro l’aumento di capitale fosse disposto «per<br />

imputazione delle riserve» non a copertura delle perdite, la estensione<br />

del beneficio agli obbligazionisti convertibili vuole metterli al riparo<br />

da delibere degli azionisti che pregiudicassero i loro interessi.<br />

Le riserve in definitiva non sono disponibili in danno degli obbligazionisti<br />

convertibili perché esse appartengono anche a questi<br />

ultimi virtualmente.<br />

La norma in definitiva cristallizza la situazione patrimoniale del-


Scritti di Diritto Civile 295<br />

la società al momento della emissione della obbligazione e come l’art.<br />

2412 cod. civ. mette al riparo il creditore convertibile da un deterioramento<br />

delle condizioni di conversione, che deliberata dagli azionisti,<br />

come vuole anche l’art. 2420 bis, quinto comma cod. civ.<br />

Questa protezione degli interessi dell’obbligazionista è in linea<br />

con tutte le garanzie previste per i suoi diritti ed interessi anche dagli<br />

art. 2413, 2414, 2415 segg. cod. civ.<br />

Questo complesso di regole codicistiche è finalizzato a sottrarre<br />

l’obbligazionista convertibile a delibere in suo danno degli azionisti.<br />

La tutela prestata risponde del resto al fatto che l’obbligazionista<br />

anche non convertibile, a sensi dell’art. 2413 cod. civ., ha diritto a<br />

conseguire le garanzie previste e a beneficiare dei poteri delle assemblee<br />

degli obbligazionisti previste dagli art. 2415 segg. cod. civ.<br />

Il potere conferito agli obbligazionisti, che detengano un ventesimo<br />

dei titoli emessi e non rimborsati, di convocare l’assemblea<br />

degli obbligazionisti, consente ad essi di poter prevenire e<br />

paralizzare qualsiasi delibera in loro danno fosse adottata dagli<br />

azionisti.<br />

La tesi che vuole l’obbligazionista convertibile al riparo da una<br />

riduzione per perdite vale ovviamente, a fortiori, per il caso di azzeramento<br />

del capitale sociale per perdite.<br />

Da ultimo deve dirsi che quanto si è detto vale solo per l’obbligazionista<br />

convertibile che non abbia chiesto e ottenuto anticipatamente<br />

la conversione prima che fosse adottata la delibera di riduzione<br />

per perdite.<br />

Quest’ultimo infatti è divenuto un azionista come tutti gli altri e<br />

su lui incombe il rischio di delibere per riduzione del capitale, che<br />

non tocca invece l’obbligazionista che non ha convertito i suoi titoli<br />

di credito in azioni.<br />

5. – Qualcuno potrebbe infine obiettare che il nostro legislatore, con<br />

questa disciplina, avrebbe penalizzato eccessivamente gli azionisti<br />

e premiato gli obbligazionisti.<br />

A prescindere dalla imputabilità anche indiretta all’azionariato<br />

delle perdite conseguenti alla gestione attuata dagli amministratori<br />

da esso scelti e comunque dalla logica del rischio sui titoli circolanti,<br />

non è corretto ipotizzarla nei confronti degli obbligazionisti.<br />

Il nostro coordinamento accorda gli azionisti, a tutela dei loro in-


296 Scritti di Diritto Civile<br />

teressi anche nei confronti degli obbligazionisti il rimedio disposto<br />

dall’art. 2447 cod. civ.<br />

Questa norma prevede che, nel caso di perdite oltre il terzo del<br />

capitale sociale e per la ipotesi che questi scenda sotto il limite legale,<br />

gli amministratori devono «senza indugio convocare l’assemblea<br />

per deliberare la riduzione del capitale e il contemporaneo aumento<br />

del medesimo».<br />

Al di là di questa specifica ipotesi, a portata generale nel senso<br />

che l’azionariato che voglia conservare la sua partecipazione al capitale<br />

nella entità in cui trovavasi alla emissione delle obbligazioni<br />

e non subire la modifica in peius a favore dei creditori convertibili,<br />

può ricorrere ad un reintegro del capitale, per assorbire le perdite.<br />

Questo va considerato riservato solo agli azionisti, se esso è contemporaneo<br />

alla riduzione.<br />

L’obbligazionista convertibile in definitiva, come non subisce le<br />

perdite, non può beneficiare dell’aumento o reintegro del capitale,<br />

che fosse deliberato ed eseguito dagli azionisti a loro copertura.<br />

Altro scritto dell’autore sullo stesso argomento:<br />

– «Modifica del rapporto di cambio delle obbligazioni convertibili e riduzione per<br />

perdite del capitale sociale», in Rivista del diritto civile, 1983, II, p. 485 e in<br />

L’Espressione monetaria nella responsabilità civile, Cedam 1994, p. 463.


La elezione<br />

degli amministratori di una società<br />

e le sue invalidità<br />

1. – Premessa. – Un argomento importante, che non appare talora<br />

trattato in forma organica, è quello che riguarda le operazioni elettorali<br />

e la nomina degli amministratori delle società, siano queste di<br />

capitale o cooperative.<br />

L’autore di queste righe, si propone di corredare lo studio con<br />

una serie di riflessioni, che sono nate anche da una lunga esperienza<br />

personale, come presidente e amministratore di società, accompagnate<br />

dalla sua sensibilità di giurista.<br />

Egli qui ricorda che, si è andata sviluppando una numerosa classe<br />

di professionisti che partecipano alle assemblee attivamente in<br />

difesa o in chiave critica, sovente mostrando capacità ed acume, ed<br />

orientano le opinioni dei soci.<br />

La importanza dell’argomento si commenta da sola, ove si pensi<br />

che la scelta degli uomini chiamati a comporre gli organi amministrativi<br />

è destinata ad influenzare la vita delle società e la sorte<br />

delle aziende.<br />

La delibera assembleare che nomina gli amministratori segue<br />

ad una serie di operazioni, che la precedono e con queste costituisce,<br />

secondo una nota espressione giuridica, «una fattispecie<br />

procedimentale».<br />

Questo termine indica che siamo in presenza di una successione<br />

di atti collegati e coordinati, con caratteristiche funzionali specifiche,<br />

ciascuno dei quali condiziona il successivo e da luogo ad un<br />

succedersi di fasi, di cui discorreremo.<br />

Da «Il Diritto Fallimentare e delle Società Commerciali», 2001 n. 1.


298 Scritti di Diritto Civile<br />

2. – La disciplina. – È opportuno cominciare con l’accennare in<br />

modo riassuntivo alle fonti normative delle varie regole, che disciplinano<br />

in concreto il procedimento di nomina degli amministratori,<br />

tenendo conto della diversità specifica del tipo di società (come<br />

ad esempio le società per azioni, o a responsabilità limitata o le cooperative)<br />

a cui essi saranno preposti.<br />

Le fonti normative a cui abbiamo accennato in ordine gerarchico<br />

sono:<br />

A) Anzitutto è la legge generale come quella codicistica che detta<br />

alcune linee di disciplina dall’artt. 2363 all’art. 2383 c.c. per le<br />

società di capitali e dall’art. 2532 all’art. 2535 c.c. per le società<br />

cooperative, che da noi hanno un rilevante ruolo in settori importanti,<br />

come quello delle banche popolari, nel settore del credito.<br />

La disciplina generale è sovente integrata da leggi specifiche,<br />

volta a volta, emanate dal legislatore, per assicurare una rappresentanza<br />

equilibrata dalle minoranze almeno in società, che hanno<br />

titoli quotati sulla borsa valori, come è stato il caso recente della<br />

legge Draghi.<br />

Queste ultime sono integrate anche dalle istruzioni specifiche<br />

sull’argomento emanate dalla Commissione Nazionale per le Società<br />

e la Borsa sempre per le società con titoli quotati in borsa.<br />

B) Una ulteriore fonte delle norme è dato dallo statuto delle singole<br />

società.<br />

Abbiamo ad es. statuti nei quali compete al Consiglio di amministrazione<br />

la elezione del presidente, del vice presidente e del comitato<br />

esecutivo o dell’amministratore delegato, mentre alcuni altri<br />

attribuiscono all’assemblea la nomina del presidente e di uno o<br />

più vice presidenti (1) , talora del comitato esecutivo.<br />

C) Alcune società sono dotate di un regolamento assembleare (2)<br />

che disciplina le operazioni elettorali per la nomina di amministratori<br />

e in questo caso esso costituisce una fonte normativa.<br />

D) Altra fonte di regole è costituita da patti para-sociali come è<br />

il caso in cui essi legano tra loro taluni gruppi di controllo della<br />

maggioranza del capitale o di una quota di riferimento.<br />

Uno dei casi più noti è ad es. quello del sindacato azionario Medio<br />

(1) Così lo statuto della Banca Popolare di Milano.<br />

(2) Così la Banca Popolare di Novara.


Scritti di Diritto Civile 299<br />

banca e di altri pubbliche company come le Assicurazioni Generali.<br />

E) Una ulteriore fonte è data dalla prassi o consuetudine in uso<br />

nella società che peraltro valgono in quanto richiamate da contratti<br />

para-sociali o vengono spontaneamente osservate, fino a quanto<br />

non vengono mutate.<br />

F) Infine, in assenza di fonti specifiche, in sede interpretativa alcune<br />

regole vengono tratte in via di ricorso ai principi sistematici<br />

dal sistema elettorale pubblico, in via di analogia.<br />

In tal senso si ricorda l’orientamento a suo tempo espresso dalla<br />

Corte di legittimità.<br />

3. – Le fasi del procedimento. – Passiamo ora a discorrere delle varie<br />

fasi del procedimento di nomina degli amministratori.<br />

La norma dell’art. 2383 c.c. che attribuisce la nomina degli amministratori<br />

alla competenza dell’assemblea è ritenuta inderogabile<br />

dalla dottrina e dalla giurisprudenza ad esclusione dei nuovi amministratori<br />

che possono essere nominati dai sottoscrittori nell’atto<br />

costitutivo, a sensi dell’art. 2383 c.c., o mediante cooptazione dai<br />

residui amministratori nel caso che venga a mancare taluno di essi<br />

ex art. 2386 c.c. (3) .<br />

L’art. 2368, 1° comma, c.c. prevede che l’atto costitutivo può stabilire<br />

norme particolari per la nomina alle cariche sociali ma questa<br />

viene ridotta a particolari regole che disciplinano la costituzione dell’assemblea,<br />

i quorum di maggioranza o i sistemi di votazione, per<br />

garantire una eventuale rappresentanza alla minoranza (4) .<br />

La clausola che attribuisse la nomina degli amministratori a un<br />

limitato numero di soci è generalmente ritenuta nulla (5) .<br />

(3) Cass. Civ. 23 gennaio 1965 n. 136 in Foro it. 1965, I, 427; Trib. Catania 23 luglio<br />

1965, in Dir. fall. 1965, II, 940; App. Milano 27 agosto 1969 in Giur. It. 1970, I, 2, 546;<br />

Trib. Milano 29 gennaio 1982, in Giur. Comm. 1983, II, 125 tra i molti.<br />

In dottrina MINERVINI, Gli amministratori delle società per azioni, Milano 1956, p.<br />

14; MIGNOLI-NOBILI, Enc. Di Diritto, voce Amministratori di società, in Enc. Dir., I, Milano,<br />

1954; FERRI, Le società, Torino 1971, p. 492; COTTINO, Diritto commerciale, Padova<br />

1976, p. 661; FRE, La società per azioni, in Commentario al cod. civ. di Scialoja e<br />

Branca, sub art. 2364 e 2380; SCALFI, in Riv. Società, 1971, p. 40.<br />

(4) PESUCCI-PACCHI, in Riv. Società 1974, 606; BIGIAVI, in Riv. Dir. Civ. 1956,<br />

1023; SCALFI, Riv. società, 1971, p. 40.<br />

(5) App. Milano 27 agosto 1969; COTTINO, Diritto commerciale p. 660; FERRI,<br />

Le società, p. 498.


300 Scritti di Diritto Civile<br />

4. – L’elezione assembleare. – La elezione assembleare di amministratori<br />

si realizza con la scelta degli amministratori tra più e diversi<br />

candidati dai soci e dagli azionisti riuniti in assemblea.<br />

Occorre qui descrivere le varie fasi di questo procedimento:<br />

La convocazione dell’assemblea<br />

L’assemblea per la elezione degli amministratori deve anzitutto<br />

essere convocata dall’organo legittimato e competente, quale il consiglio<br />

di amministrazione ex 2363, 2366 c.c., e in sua assenza il collegio<br />

sindacale e nel caso che fosse richiesta dalla minoranza dal<br />

presidente del tribunale a sensi dell’art. 2367 c.c.<br />

Con la pubblicazione dell’avviso di convocazione, si dà inizio al<br />

procedimento di formazione dell’assemblea (Cass. Civ. 2 agosto<br />

1977 n. 3422, in Riv. società 1977, II, 76, 77).<br />

La mancata convocazione con l’avviso predetto e secondo il prevalente<br />

orientamento della dottrina e della giurisprudenza è causa<br />

di inesistenza delle deliberazioni (6) .<br />

Una assemblea convocata da un soggetto privo di legittimazione,<br />

come ad esempio un amministratore o un collegio di fatto, secondo<br />

talune decisioni è inesistente e tali sono gli atti e le delibere del procedimento<br />

di essa).<br />

È stato, altresì, ritenuto che la convocazione dell’assemblea da<br />

parte di un solo amministratore in carica e non dal collegio determinerebbe<br />

l’annullabilità e non la nullità (Cass. Civ. 2 agosto<br />

1977 n. 3422).<br />

È controverso in giurisprudenza se una convocazione irregolare<br />

dell’assemblea determini la inesistenza (App. Milano 23 luglio 1957<br />

in Mass. Giur. Civ. 1957, 61) o la sua annullabilità (Cass. Civ. 3<br />

febbraio 1965 n. 175, in Dir. Fall. 1965, II, 298).<br />

Parimenti sono state ritenute in giurisprudenza inesistente una<br />

assemblea e le delibere susseguenti adottate, nel caso che l’organo<br />

competente, a convocare, si sia riunito in modo irregolare.<br />

(6) Cass. Civ. 28 novembre 1981 n. 6340 in Giur. comm. 1982, II, 424; Cass. Civ. 25<br />

gennaio 1965, n. 136, in Foro it. 1965, I, 1599; Cass. Civ. 20 aprile 1961, n. 886 in Foro<br />

it. 1961, I, 1711.<br />

In Dottrina: GIANATTASIO in Giust. civ. 1961, I, 1305; CANDIAN in Temi, 1955, p.<br />

69; ASCARELLI, Riv. dir. comm. 1950, I, p. 169; TRIMARCHI, Riv. società 1957, p. 451;<br />

contra ROMANO PAVONI, Le deliberazioni, in Foro Padano 1953, I, 59.


Scritti di Diritto Civile 301<br />

Questo è il caso di amministratori, alcuni dei quali, si sono riuniti,<br />

senza una convocazione plenaria col congruo anticipo previsto<br />

dallo statuto o col ricorso a mezzi di comunicazione urgenti, là<br />

dove previsti.<br />

Diverso è invece il caso di riunioni cui partecipi una minoranza<br />

del collegio degli amministratori o sindaci seguita però ad una regolare<br />

convocazione di tutti i suoi componenti, sempre che lo statuto<br />

non lo escluda.<br />

La convocazione dei soci si effettua mediante un annuncio pubblicato<br />

su un mezzo di informazione specifica designato dalla legge<br />

o dallo statuto, come può essere il caso della Gazzetta ufficiale, del<br />

Foglio annunci legali, con l’anticipo dovuto rispetto al giorno stabilito<br />

per la assemblea, stabilito dallo statuto o dalla legge.<br />

È stato deciso in giurisprudenza che «la mancata comunicazione<br />

ad alcuni soci della convocazione di assemblea provoca solo la<br />

annullabilità e non la nullità assoluta (Trib. Napoli 9 luglio 1957).<br />

Esso poi può e deve essere integrato, dove lo statuto o la prassi<br />

così disponga, da un avviso personalizzato ai soci da inviarsi al loro<br />

domicilio che indica il giorno e l’ora dell’assemblea, il luogo, e l’ordine<br />

del giorno della riunione e altre modalità.<br />

Nel caso non sia osservato il termine di legge tra l’avviso e la riunione<br />

si ritengono le delibere annullabili (7) .<br />

È stato ritenuto che una delibera di assemblea su oggetto non indicato<br />

nell’avviso di convocazione è valida ed efficace se non è impugnata<br />

ex art. 2377 c.c. vale a dire è annullabile (Cass. Civ. 11<br />

marzo 1977 n. 989).<br />

I soci vengono invitati a manifestare alla società la loro volontà<br />

di partecipare all’assemblea inviando alla stessa una richiesta del<br />

biglietto di ammissione, che di solito è pre-stampato, con la indicazione<br />

eventualmente di uno schema di delega ad altro socio<br />

o azionista.<br />

Una delle modalità, che rientrano nella prassi è costituita dall’invio<br />

ai soci di eventuale materiale cartaceo per il loro riconoscimento,<br />

l’accesso e l’esercizio del diritto di voto da parte di ciascuno<br />

(quale il biglietto di ammissione all’assemblea e numero di voti an-<br />

(7) App. Bari 3 gennaio 1978, in Dir. Fall. 1978, II, 230; Trib. Napoli 20 giugno 1979,<br />

in Giur. comm. 1980, II, 569.


302 Scritti di Diritto Civile<br />

che per delega), che presenta analogie col certificato elettorale delle<br />

elezioni pubbliche.<br />

Il biglietto di ammissione all’assemblea può essere spedito al domicilio<br />

oppure ritirato dal socio presso l’ufficio designato che si occupa<br />

dell’organizzazione dell’assemblea, eventualmente con altro<br />

materiale elettorale.<br />

La costituzione dell’assemblea<br />

Gli artt. 2368, 2369, 2369 bis c.c., per l’assemblea ordinaria<br />

stabiliscono un quorum di presenze di soci che rappresentino almeno<br />

la metà del capitale sociale, escluse dal computo le azioni<br />

a voto limitato.<br />

Se manca il numero legale la assemblea è stata ritenuta inesistente<br />

da Trib. Napoli 10 febbraio 1958 in Dir. giur. 1958, 917.<br />

Parimenti è inesistente una assemblea cui partecipano estranei,<br />

il cui numero risulta determinante mediante la prova per resistenza.<br />

L’accertamento della regolare costituzione dell’assemblea deve<br />

precedere immediatamente una votazione su qualsiasi argomento.<br />

È stato affermato che «i vizi relativi alla costituzione dell’assemblea,<br />

in quanto tutelano gli interessi dei soci e non della società comportano<br />

solo la sua annullabilità» (Cass. Civ. 13 marzo 1975, n.<br />

938, in Giur. comm. 1976, II, 14).<br />

Essa delibera a maggioranza assoluta, salvo una più alta maggioranza,<br />

se prevista dallo statuto.<br />

La norma recita «per la nomina alle cariche sociali, l’atto costitutivo<br />

può stabilire norme particolari».<br />

Il quorum per avere una valida costituzione dell’assemblea è stato<br />

ritenuto fissato sotto pena di inesistenza dell’assemblea (Tribunale<br />

Napoli 10 febbraio 1958 in Dir. giur. 1958, p. 917).<br />

Si è ritenuto in giurisprudenza che l’accertamento deve precedere<br />

immediatamente la votazione di un determinato argomento e<br />

che, tale mancato accertamento, determina la nullità della delibera<br />

(Trib. Venezia 18 maggio 1959, in Giur. it. I, p. 278).<br />

Per le delibere nelle assemblee ordinarie in prima convocazione<br />

si richiede la maggioranza assoluta, per quelle straordinarie si richiede<br />

almeno la metà del capitale sociale.<br />

La partecipazione all’assemblea di estranei al corpo sociale non


Scritti di Diritto Civile 303<br />

diversamente legittimati, è motivo per ritenere inesistenti le delibere,<br />

ove essi risultino determinanti nel raggiungimento del quorum<br />

di presenze o annullarla per mancanza del quorum.<br />

Le candidature e la loro presentazione<br />

I candidati alle cariche di amministratori o sindaci, per essere votati<br />

dai soci, riuniti in assemblea possono o devono possedere alcuni<br />

requisiti, stabiliti dalla legge o dallo statuto o dal regolamento di<br />

assemblea.<br />

I più frequenti requisiti legali ai sensi dell’art. 2382 c.c., sono che<br />

il candidato abbia compiuto la maggiore età (sempre che non sia<br />

autorizzato all’esercizio del commercio), non sia interdetto, inabilitato,<br />

fallito o condannato ad una pena che importa l’interdizione<br />

anche temporanea dai pubblici uffici o l’incapacità ad esercitare uffici<br />

direttivi.<br />

In genere può essere nominato anche il non socio salvo che lo statuto<br />

disponga diversamente, come è sovente il caso degli statuti di<br />

cooperativa, quali ad esempio quelle bancarie.<br />

Certamente il possesso della qualità di socio attribuisce al candidato<br />

una condizione di credibilità morale, mostrandolo interessato<br />

alla società e al suo buon governo.<br />

Particolari requisiti di professionalità e onorabilità, sono richiesti<br />

dalle competenti autorità di governo e dalla CONSOB, per chi si<br />

candida a funzioni di amministrazione, direzione e controllo in banche<br />

o enti finanziari (art. 14 della L. Draghi).<br />

Un ulteriore requisito perché la delibera assembleare di nomina<br />

sia valida è che il candidato non sia stato revocato in precedenza<br />

dall’incarico, per gravi irregolarità dall’autorità giudiziaria (Trib.<br />

Milano 9 maggio 1991, in Giur. comm. 1992, 342).<br />

Il candidato diviene usualmente tale, quando è presentato da altri<br />

soci o gruppi di soci, ma può anche proporsi da sé, spontaneamente<br />

o essere votato dai soci senza essere presentato da alcuno.<br />

La presentazione è perciò una fase eventuale e non necessaria<br />

e pertanto può essere omessa e il candidato può non essere presentato<br />

da alcuni.<br />

Il gruppo che propone una candidatura può essere numeroso o<br />

ridursi ad un singolo soggetto, portatore di interessi di rilievo o<br />

meno e così via.


304 Scritti di Diritto Civile<br />

In genere nella pubblica company e nelle cooperative di credito,<br />

la candidatura è accreditata nella misura in cui essa è sostenuta da<br />

un numero di presentatori credibili.<br />

Il candidato, per divenire amministratore deve essere votato dai<br />

soci riuniti in assemblea e raggiungere il quorum necessario e sufficiente<br />

per essere eletto.<br />

I soci hanno il diritto di elettorato attivo e i candidati quello di<br />

elettorato anche passivo cioè di essere votati.<br />

La votazione e i suoi metodi in genere<br />

Il voto è una manifestazione di volontà espressa, diretta o a mezzo<br />

di procuratore, libera ed omogenea e si esprime secondo modalità<br />

convenzionali, che vengono fissate da chi presiede l’assemblea<br />

o dall’assemblea stessa, se non dallo statuto.<br />

L’assemblea ordinaria può essere chiamata a votare su una pluralità<br />

di argomenti e la scelta del metodo compete di regola a chi la<br />

presiede, coadiuvato dal segretario e dagli scrutatori.<br />

L’oggetto può essere il più diverso, come è il caso della discussione<br />

e approvazione del bilancio, della relazione del consiglio di<br />

amministrazione e dei sindaci e più in genere le diverse proposte<br />

sottoposte all’assemblea, come ad esempio la delibera di una azione<br />

di responsabilità nei confronti degli amministratori.<br />

Lo statuto può talora prevedere che a presiedere l’assemblea sia<br />

lo stesso presidente della società e non chi è chiamato dai soci.<br />

La nomina del segretario e degli scrutatori è di solito proposta<br />

dal presidente ed è deliberata dall’assemblea.<br />

Può essere stabilito che a fungere da segretario sia persona iscritta<br />

all’ordine dei notai, come diremo.<br />

Il voto è una manifestazione di volontà espressa, diretta o a mezzo<br />

di procuratore, libera ed omogenea e si esprime attraverso modalità<br />

convenzionali che vengono fissate da chi presiede l’assemblea<br />

o dall’assemblea stessa se non dallo statuto o dal regolamento.<br />

Il voto deve avere anzitutto una forma espressa e non può essere<br />

tacito o implicito e presunto (8) .<br />

(8) Non sono ammesse «delibere implicite»: Cass. Civ. 24.7.1968 n° 2672 in Riv. dir.<br />

comm. 1969, II, 181; FERRO LUZZI, in Riv. dir. comm. 1969, II, 181; FERRO LUZZI,<br />

in Riv. dir. comm. 1969, II, 181; GRISENTI, in Riv. soc. 1968, 598.


Scritti di Diritto Civile 305<br />

Un voto non espresso è un non voto.<br />

I casi sovente sono monotematici, e la scelta dei soci è semplice<br />

e si traduce in un «sì» o un «no» o un «non so».<br />

Il voto può esprimersi per alzata di mano, per scheda nell’urna,<br />

o in altro modo.<br />

Si è detto che i metodi di votazione possono essere diversi tra<br />

loro, pur dovendo essere uniforme il criterio di votazione.<br />

Si ha un metodo ugualitario o democratico nel caso in cui il socio<br />

è chiamato ad esprimere un voto per testa.<br />

Esso ricorre nel caso in cui si vota per alzata di mano, per alzata<br />

e seduta, per la separazione nella sala, per appello nominale o per<br />

congegno elettronico, in caso di assemblee sovraffollate (9) .<br />

Nelle cooperative, in cui il voto per testa è quello conforme alla<br />

sua caratteristica di società persone, può aversi un voto plurimo,<br />

come si è detto, nel caso di deleghe ricevute da altri soci o che il socio<br />

sia rappresentante legale di figli minori e così via.<br />

In questo caso il socio eserciterà più voti a seconda delle deleghe<br />

conferitegli, nel limite delle prescrizioni statutarie o di coloro di cui<br />

abbia la rappresentanza legale.<br />

Il numero dei voti espressi in proprio e per delega può essere indicato<br />

con un cartellino distintivo, che indica il numero dei voti di<br />

cui è portatore l’elettore, ed è mostrato con la mano alzata.<br />

Il voto egualitario può essere discrezionalmente adottato anche<br />

dalle assemblee di società di capitali, dove solitamente il diritto di<br />

voto compete al socio in proporzione alle azioni, da lui possedute in<br />

proprio e per delega.<br />

Una società azionista a sua volta può essere detentrice di azioni<br />

in proprio o per delega e il voto è esercitato dal suo rappresentante<br />

pro tempore o da persona munita di procura.<br />

La votazione può essere anche diseguale, come è il caso in cui<br />

essa viene esercitata dai soci convenuti in assemblea per la quantità<br />

di azioni possedute o rappresentate. Questo voto può essere manifestato<br />

col sistema della votazione per appello nominale, dove la<br />

presidenza prenderà atto della manifestazione di voto, e attribuirà<br />

una rilevanza secondo le azioni in possesso di ciascuno.<br />

(9) Una assemblea del genere fu stata quella del Credito Italiano a Genova, qualche<br />

anno fa, che suscitò opposizioni in sede di convalida.


306 Scritti di Diritto Civile<br />

Un metodo più conforme al diverso possesso azionario, si ha con<br />

l’uso di schede che esprimono anche la quantità dei voti elettorali<br />

di ciascuno.<br />

La votazione degli amministratori in particolare<br />

La nomina degli amministratori dipende da una votazione molto<br />

più articolata che consiste nella scelta delle persone da eleggere<br />

dall’assemblea che non nel caso di un voto monotematico come<br />

quello precedente.<br />

Le caratteristiche sopra indicate sono evidenti.<br />

Il voto deve perciò essere espresso, diretto o a mezzo di procuratore,<br />

assicurare al socio la libertà di manifestazione ed essere<br />

omogeneo.<br />

È certamente principio inderogabile che il voto degli amministratori,<br />

sia esso favorevole, contrario e astenuto deve essere espresso<br />

e non può essere né tacito né presunto.<br />

Deve considerarsi inesistente una votazione che raccolga solo i<br />

voti contrari e gli astenuti mentre vengono presunti «per differenza»<br />

come favorevoli i soci presenti che non hanno votato contro o si<br />

sono astenuti.<br />

Essa è una votazione inesistente perché non è espressa ed è solo<br />

supposta in via congetturale, al pari di ogni manifestazione tacita o<br />

implicita.<br />

È quanto talora è accaduto all’esito di talune assemblee, con la<br />

giustificazione di soverchianti esigenze di celerità (10) che giustificherebbero<br />

il venire meno a principi giuridici inderogabili.<br />

Altro requisito è che il voto deve corrispondere ad una ineliminabile<br />

libertà di scelta da parte dell’azionista e così egli deve potere cancellare<br />

o sostituire i candidati proposti con persone di suo gradimento.<br />

È anche inesistente una votazione disomogenea come nel caso<br />

che i soci favorevoli siano chiamati ad esprimersi in modo diverso<br />

da quelli contrari od astenuti, al di fuori della logica della prova<br />

e controprova.<br />

Lo statuto può prevedere particolari sistemi elettorali e in assenza<br />

di ciò, la loro scelta è stabilita dal presidente e dall’assemblea.<br />

(10) È stata ritenuta erroneamente esistente e valida una votazione del genere dal Trib.<br />

Varese 1 marzo 1999, n. 75/99 inedita.


Scritti di Diritto Civile 307<br />

Taluni statuti prevedono altresì sistemi che assicurano la rappresentanza<br />

a minoranze nel consiglio di amministrazione e nel collegio<br />

sindacale.<br />

Il voto può essere ugualitario, come nel caso in cui il socio è chiamato<br />

ad esprimere un voto pro capite.<br />

Esso si manifesta, come si è detto, col voto per alzata di mano,<br />

per alzata e seduta, per separazione dei soci nell’aula, per appello<br />

nominale, per schede nell’urna.<br />

Nel caso indicato il socio può esprimere più voti, solo quando è<br />

delegato da altri o era la rappresentanza legale di incapaci.<br />

In questo caso si alza la mano che reca ad es. un cartellino, con<br />

il numero dei voti di cui è portatore.<br />

Nel sistema elettorale, imperniato sul voto per quantità di azioni,<br />

l’azionista inserisce nelle urne elettorali le schede di voto che l’azionista<br />

compila con il nome delle persone prescelte, e recano la<br />

quantità di voti elettorali, mentre in altra urna sono deposte quelle<br />

che servono ad identificare il votante.<br />

È stato in giurisprudenza ritenuto contrario a norme imperative<br />

lo statuto di una società per capitali che prevede il voto per scrutinio<br />

segreto (11) .<br />

Ispirato al principio di garantire all’azionista la libertà di scegliere<br />

l’amministratore è quella giurisprudenza che ritiene nulli i<br />

voti espressi in schede prestampate di candidati che, non richiamano<br />

l’attenzione del socio dalla sua libertà di voto e non consentano<br />

la cancellatura e la sostituzione di un nominativo con un altro, in<br />

spazio in bianco a latere di quello proposto (vedi nota 17).<br />

Deve reputarsi pertanto nulla una votazione mediante schede che<br />

contengano un elenco di candidati non suscettibile di sostituzioni,<br />

cioè sia bloccata.<br />

Talune decisioni hanno ritenuto valido il voto di lista dei candi-<br />

(11) Trib. Milano 21 giugno 1988 in Giur. It. 1989, I, 2, 12; Trib. Trieste 26 settembre<br />

1984, in Società 1985, 60; Trib. Milano 27 settembre 1982, in Società 1983, 638;<br />

App. Firenze 14 gennaio 1965 in Foro it. 1965, I, 317. La dottrina è divisa: per la ammissibilità:<br />

GRAZIANI, Diritto delle società, Napoli 1963, p. 311; FRÉ, Società per azioni<br />

in Commentario al cod.civ. Scialoja e Branca, Bologna-Roma 1982, p. 350; GALGA-<br />

NO, La Società per azioni, Padova 1984, p. 214; invece per la inammissibilità ROMANO<br />

PAVONI, Le delibere delle assemblee delle società, Milano 1951, p. 204; SENA, Il voto<br />

nelle assemblea delle società per azioni, Milano 1961, p. 425.


308 Scritti di Diritto Civile<br />

dati (12) sempre che rispettino la libertà di sostituzione dei candidati<br />

con altri di gradimento dell’azionista.<br />

In questo caso il votante all’interno della lista può operare cancellazioni<br />

o preferenze, ove sia previsto.<br />

Altri soci potrebbero proporre una lista alternativa di candidati<br />

ed in questo caso sarebbero proclamati amministratori coloro che<br />

raccolgono il maggior numero di voti, al di sopra del quorum.<br />

Taluni statuti prevedono particolari sistemi elettorali e garantiscono<br />

una rappresentanza proporzionale alle minoranze o riservano<br />

alla maggioranza un numero di seggi inferiore.<br />

È in genere escluso che possano considerarsi eletti amministratori<br />

che non abbiano riscosso voti espressi favorevoli, ma solo voti calcolati<br />

in via congetturale, con il detrarre dal numero dei soci presenti quelli<br />

che abbiano votato solo negativamente o si siano astenuti.<br />

Tale può essere il caso in cui l’assemblea sia chiamata solo ad esprimere<br />

per alzata di mano i voti contrari o astenuti e non anche i soci<br />

favorevoli. È fondamentale assicurare la libertà di scelta all’azionista.<br />

Altra è la votazione e altra è la sua rilevazione<br />

Chi vota sono i soci, chi rileva è il presidente dell’assemblea o il<br />

segretario (quest’ultimo in specie mediante la sua attestazione nelle<br />

assemblee straordinarie).<br />

La rilevazione non si esprime nel voto ma nella conta dei voti (e<br />

così nel numero delle mani alzate, delle persone alzate e sedute, o<br />

riunite in parti diverse dell’aula, o dei voti secondo le azioni corrispondenti<br />

al possesso di chi vota).<br />

Nelle assemblee composte da numerosi soci e in cui la conta appare<br />

complessa, si procede alla nomina di scrutatori fin dall’inizio<br />

dell’assemblea, ed essi sono chiamati a collaborare con la presidenza.<br />

La rilevazione può essere automatica come quella che si effettua<br />

col sistema elettronico.<br />

La votazione e la rilevazione, sono sovente confuse come se si<br />

trattasse di un fenomeno unico.<br />

(12) Cass. Civ. 19 ottobre 1990, n. 10121; App. L’Aquila 24 agosto 1998 in Giur. it.<br />

1999, 1252 e in Rassegna 1999 p. 252; App. Bologna 4 maggio 1992 in Giur. Comm.<br />

1993, II, 621; Appello Torino 11 febbraio 1987 in Giur. it. 1987, I, 2, 389; Tribunale Bari<br />

20 dicembre 1988 in Giur. comm. 1989, II, 74.


Scritti di Diritto Civile 309<br />

È vero che la votazione si manifesta con la sua rilevazione da parte<br />

della presidenza, del segretario ed eventualmente degli scrutatori,<br />

con la conta dei voti, siano essi a testa o per azioni. Trattasi però<br />

di fenomeni distinti.<br />

Il lavoro di rilevazione è sovente complesso come quando si hanno<br />

numerose cancellature e sostituzioni.<br />

Essa può durare diverse ore, specie nelle assemblee affollate e richiede<br />

l’intervento di numerosi scrutatori.<br />

Alla fine la rilevazione è documentata attraverso il verbale dell’assemblea,<br />

che riporta i voti elettorali conseguiti da ciascun candidato.<br />

È stato a suo tempo correttamente insegnato che «il fatto che le<br />

delibere devono constare da verbale sottoscritto dal presidente e dal<br />

segretario o notaio deve intendersi avere fissato l’esigenza della forma<br />

scritta ad substantiam» (Cass. Civ. 26 giugno 1956, n. 2286, in<br />

Dir. fall. 1956, II, p. 699).<br />

I due momenti di rilevazione e di verbalizzazione possono essere<br />

fissati in modo autonomo. Il verbale è analitico o sintetico.<br />

Il verbale di una assemblea ordinaria è considerato sintetico, anche<br />

quando partecipa alla sua redazione un segretario-notaio, perché<br />

esso è un atto para notarile e non è atto pubblico.<br />

In questo caso il segretario attesta – come si è detto – solo le<br />

dichiarazioni del presidente o la volontà dell’assemblea attraverso<br />

le sue parole, ma non anche la congruenza del verbale con i<br />

fatti espressi.<br />

Diverso è il verbale dell’assemblea straordinaria, che deve rispondere<br />

ai requisiti della legge notarile, sotto pena di nullità.<br />

Esso per avere efficacia di atto pubblico deve essere immune dai<br />

quei vizi che lo renderebbero nullo perché, in questo caso il verbale<br />

non potrebbe far fede fino a querela di falso.<br />

Una votazione non rilevata e non verbalizzata dà luogo ad un<br />

procedimento di nomina inesistente, sul piano giuridico (Cass. Civ.<br />

28 novembre 1981, n. 6340).<br />

Della verbalizzazione fanno parte anche gli allegati, prescritti<br />

dalla Consob che riportano i nomi di coloro che votano contro o si<br />

sono astenuti, ai fini di provare la legittimazione di chi è interessato<br />

alla impugnazione.<br />

Non è prescritto l’elenco di voti favorevoli perché non si pone il<br />

problema di una loro legittimazione ad impugnare la delibera.


310 Scritti di Diritto Civile<br />

La proclamazione del risultato<br />

Essa è compito di chi presiede l’assemblea e del segretario, che<br />

insieme redigono il verbale con la proclamazione: se vi sono gli scrutatori,<br />

il verbale è sottoscritto anche da essi, pur non essendo richiesto<br />

a pena di inesistenza della delibera.<br />

La proclamazione non si limita alla sola comunicazione dell’esito<br />

numerico dei voti favorevoli, contrari o astenuti, ma consiste nella<br />

dichiarazione solenne di chi presiede l’assemblea, che la proposta<br />

è approvata o respinta sulla base della conta dei voti favorevoli<br />

o contrari, effettuati dalla presidenza e verbalizzata.<br />

Nel caso di nomina degli amministratori viene proclamato chi è<br />

stato eletto e sovente i primi non eletti, per l’eventualità che essi siano<br />

chiamati a succedere a quelli dichiarati eletti ove qualcuno di<br />

essi rinunci all’incarico o siano dichiarati decaduti. Di solito si dà<br />

atto anche del quorum necessario e dei voti riportati da ciascuno.<br />

La mancata proclamazione del risultato e della elezione dà luogo<br />

alla inesistenza della nomina.<br />

5. – Le invalidità dell’Assemblea e delle deliberazioni. – Le invalidità<br />

sono di tre tipi: quella più radicale è costituita dalla inesistenza,<br />

e successivamente dalla nullità, e infine dall’annullabilità (13) .<br />

Si ha invalidità quando l’assemblea e le delibere non sono prese<br />

in conformità della legge e dell’atto costitutivo, come recita l’art.<br />

2377 2° comma c.c.<br />

A) Si ha inesistenza quando il procedimento di formazione della<br />

delibera non viene in essere o è interrotto per l’intervento di un<br />

fattore positivo o negativo che impedisce la sua realizzazione, secondo<br />

lo scopo.<br />

È stato autorevolmente precisato che ricorre la inesistenza<br />

quando la fattispecie procedimentale manca dei requisiti indispensabili<br />

per la formazione di una delibera imputabile alla società,<br />

col risultato di determinare una fattispecie apparente che<br />

non è sussumibile nella categoria giuridica delle delibere assembleari,<br />

per inadeguatezza strutturale o funzionale rispetto<br />

al modello normativo.<br />

È giurisprudenza costante tra i vari casi che «è inesistente la de-<br />

(13) BIGIAVI in Riv. dir. civ. 1956, 1023.


Scritti di Diritto Civile 311<br />

libera societaria» (14) quando: a) è mancata la convocazione dell’assemblea,<br />

b) è mancata la votazione, c) non è stata raggiunta la maggioranza<br />

richiesta dalla legge, d) è mancata la rilevazione e la verbalizzazione<br />

(Cass. Civ. 24 gennaio 1995 n. 835 cit.), e) è mancata<br />

la proclamazione del risultato.<br />

È stato altresì ritenuta inesistente una delibera adottata alla quale<br />

siano concorse persone prive del diritto di voto (15) .<br />

Essa è stata anche ritenuta (16) , quando sia mancato il raggiungimento<br />

della maggioranza richiesta dalla legge per aversi votazione.<br />

B) Si ha invece nullità quando ricorra la violazione di norma<br />

ispirata a tutela degli interessi generali e non del singolo socio che<br />

è titolare del diritto di impugnazione (17) .<br />

Tale è il caso di una delibera adottata da una assemblea non totalitaria<br />

che sia stata convocata e si sia svolta con violazione delle<br />

norme di legge (18) . La nullità è di due tipi e cioè quella usuale e cioè<br />

prescrittibile e convalidabile o quanto meno suscettibile di conversione<br />

e quella eccezionale prevista dall’art. 2379 c.c., che è tale «per<br />

impossibilità o illiceità dell’oggetto» e cioè non prescrittibile e per<br />

cui la convalida non è ammissibile.<br />

Non è raro nella dottrina in particolare ridurre la nullità a quest’ultima<br />

ipotesi mentre quella che la norma in esame considera<br />

prescrittibile e convalidabile, viene generalizzata con effetti identici<br />

a quelli della annullabilità.<br />

Tale modo di vedere è – a mio modo di vedere – inesatto perché<br />

il genus della nullità non può ridursi alla species della nullità per<br />

impossibilità e illiceità dell’oggetto e quella normale confondersi<br />

con la annullabilità.<br />

Quest’ultima ipotesi ricorre quando il risultato complessivo è<br />

controverso, perché ad esempio sono stati considerati validi o nulli<br />

dei voti determinanti sul risultato complessivo.<br />

(14) Cass. Civ. 28 novembre 1981 n. 6340; Trib. Milano 14 novembre 1977 in Rep.<br />

giust. civ. 1979, II, p. 3397; Trib. Milano 9 ottobre 1975 in Giur. comm. 1976, II, p.<br />

521 tra le molte.<br />

(15) Cass. 9 novembre 1974, n. 3491, in Giur. comm. 1975, II, 305.<br />

(16) Cass. Civ. 24 gennaio 1995 n. 835; Cass. Civ. 14 gennaio 1993 n. 403; Trib. Milano<br />

23 maggio 1995 in Giur. it. 1996, 808; Cass. Civ. 4 marzo 1963 n. 511, in Dir. Fall.<br />

1963, II, 255, in Giur. it. 1963, I, 1, 576.<br />

(17) Cass. Civ. 4 gennaio 1966 n. 45 in Dir. fall. 1966, II, 226.<br />

(18) Cass. Civ. 9 novembre 1974 n. 3421 in Giur. comm. 1975, II, 305.


312 Scritti di Diritto Civile<br />

È stata considerata nulla la delibera assembleare quando, pur<br />

dando atto dell’esistenza di voti contrari, non indica il nome dei dissenzienti<br />

ai fini della facoltà di impugnazione (19) .<br />

Ancora è nulla l’assemblea non totalitaria che sia stata convocata<br />

o si sia svolta con violazione delle norme di legge o di statuto (20) .<br />

C) Sono annullabili tutte le delibere che non sono inesistenti o nulle.<br />

Le ipotesi di annullabilità ritenute dalla giurisprudenza sono<br />

quanto mai varie e appaiono prive di un criterio unitario.<br />

Così ad esempio è stato deciso che in genere comportano l’annullabilità<br />

i «vizi relativi alla costituzione dell’assemblea in quanto<br />

tutelano gli interessi dei soci e non della società» (21) .<br />

È tale una assemblea convocata da un solo amministratore se<br />

non dal consiglio di amministrazione e in genere convocata in modo<br />

irregolare (22) .<br />

E così «una delibera assembleare adottata su un oggetto non indicato<br />

nell’avviso di convocazione».<br />

E parimenti è annullabile una delibera presa da tutti i soci riuniti<br />

in luogo diverso da quello indicato nell’avviso di convocazione<br />

anche se manchi il collegio sindacale (23) .<br />

E ancora importano annullabilità i «vizi relativi alla costituzione<br />

dell’assemblea in quanto tutelano gli interessi dei soci e non<br />

della società».<br />

Altro scritto dell’autore sullo stesso argomento:<br />

– «Alcune osservazioni sulle linee del progetto Pajardi di riforma dell’amministrazione<br />

controllata e del concordato preventivo», in Problemi attuali e prospettive<br />

di riforma del processo civile, p. 435.<br />

(19) App. Milano 24 settembre 1967, in Giur, it. 1968, I, 2, 236.<br />

(20) Trib. Milano 3 settembre 1990 in Riv. Notar. 1991, II, 499.<br />

(21) Trib. Genova 22 ottobre 1987, in Società 1988, 392.<br />

(22) Trib. Milano 3 settembre 1990 in Riv. notar. 1991, II, 499; App. Milano 24 settembre<br />

1967 in Giur. It. 1968, I, 2, 236; App. Milano 22 ottobre 1987 in Società 1988,<br />

39; Cass. Civ. 13 marzo 1975 n. 938 in Giur. comm. 1976, II, 14.<br />

(23) Cass. Civ. 2 agosto 1977 n. 3422; Cass. Civ. 11 marzo 1977 n. 989; Trib. Milano<br />

27 gennaio 1986 in Dir. fall. 1986, 623.


Sulle responsabilità<br />

degli amministratori di fatto<br />

verso la società e i soci<br />

1. – È ritenuto amministratore di fatto colui che esercita funzioni di<br />

amministrazione in una società di capitali, cioè prende decisioni e<br />

compie atti di gestione, a nome e per conto della stessa, senza essere<br />

stato investito da una deliberazione, giuridicamente esistente,<br />

sulla base della legge o dello statuto.<br />

La categoria delle deliberazioni inesistenti, che si aggiunge a<br />

quelle latamente invalide (cioè nulle o annullabili) è ormai ammessa<br />

da gran tempo dalla dominante giurisprudenza sia di legittimità<br />

sia di merito (1) .<br />

La stessa categoria è ormai accolta anche dalla prevalente dottrina<br />

(2) , salvo alcune voci critiche che si manifestarono in passato (3) .<br />

Da «Il Diritto Fallimentare e delle Società Commerciali» 2001, parte I - Dottrina.<br />

(1) La categoria della inesistenza è ormai pacificamente ammessa: v. Cass. Civ.<br />

14.1.1993 n. 403; Cass. Civ. 4.12.1990 n. 11609; Cass. Civ. 15.3.1980 n. 1768; Cass.<br />

Civ. 1.4.1982 n. 2009; Cass. Civ. 11.3.1977 n. 989; Cass. Civ. 4.3.1963 n. 511. Per una<br />

rassegna delle decisioni di merito: QUINTARELLI, Le deliberazioni assembleari inesistenti<br />

di società per azioni, in Giur. comm. 1984, I, 1158 ss.<br />

(2) Nella dottrina: L. FARENGA, «La deliberazione di società come atto a struttura<br />

procedimentale e la teoria giuridica della inesistenza» e bibliografie citate; TRIMARCHI,<br />

Invalidità delle deliberazioni di assemblea di società per azioni, Milano 1957, p. 451 e ss.;<br />

GIANNATTASIO, Ancora sulla inesistenza giuridica delle deliberazioni assembleari, Giust.<br />

Civ. 1966, I, p. 490; ASCARELLI, Inesistenza e nullità, in Riv. dir. proc. 1946, p. 61;<br />

RAGUSA MAGGIORE, La responsabilità degli amministratori, Milano 1969, 81; BOR-<br />

GIOLI, in Giur. comm. 1981, II, 699; FERRARA-CORSI, Gli imprenditori, Milano, 1987,<br />

p. 489; G. COTTINO, Diritto Commerciale, I, Padova 1993.<br />

(3) FERRI, Le società in Trattato di diritto civile del Vassalli, Torino 1987, p. 635 e<br />

ss.; MIGNOLI, In tema di nullità e annullabilità delle delibere assembleari, in Riv. Società<br />

1948, I, 432; COTTINO, Diritto commerciale, I, 1987, p. 429.


314 Scritti di Diritto Civile<br />

La deliberazione inesistente ricorre per comune definizione «allorché<br />

manca un elemento costitutivo della fattispecie procedimentale<br />

di formazione della deliberazione, tale da non consentire l’inizio<br />

o da provocare l’interruzione dell’iter legale necessario, con il risultato<br />

di determinare una fattispecie apparente non sussumibile<br />

nella categoria giuridica delle deliberazioni per inadeguatezza<br />

strutturale e funzionale, rispetto alla fattispecie normativa» (4) .<br />

Il caso ricorrente nella nostra giurisprudenza è quello riferibile<br />

ad una deliberazione assembleare ma potrebbe ricorrere anche per<br />

qualsiasi altra deliberazione collegiale, come è il caso della nomina<br />

del comitato esecutivo, da parte del consiglio di amministrazione.<br />

Sono stati ritenuti casi di delibere assembleari inesistenti ad esempio<br />

quelle «prese da un organo sfornito di potere deliberante» (5) ,<br />

«quelle adottate da una assemblea convocata da un organo non legittimato»<br />

(6) o «da un consiglio di amministrazione irregolarmente<br />

convocato» (7) o «da assemblea riunita in luogo diverso dall’avviso di<br />

convocazione» (8) o «in cui sia mancato il quorum per la sua costituzione»<br />

(9) o «quella in cui sia mancata la votazione» (10) o «qualora<br />

non sia stato raggiunto il prescritto quorum per una votazione» (11) o<br />

«quella in cui i voti siano espressi in modo disomogeneo» (12) o «nel<br />

caso di mancata redazione del verbale» (13) e così via.<br />

Una delibera inesistente di nomina degli amministratori trascina<br />

a catena la inesistenza delle successive assemblee e delibere, per-<br />

(4) In questo senso tra le molte: Cass. Civ. 14.1.1993; Cass. Civ. 4.12.1990 n. 11609;<br />

Cass. 15.3.11986 n. 1768 in Giur. Comm. 1987, II, p. 83 e ss.; FERRO-LUZZI, in Contratti<br />

associativi, Milano 1976, p. 134 ss. tre le molte.<br />

(5) Cass. Civ. 1.10.1960 n. 2542 in Giur it. 1961, I, 1, c. 420.<br />

(6) App. Brescia 1.12.1965 in Giust. Civ. 1966 p. 1208.<br />

(7) App. Milano 23.7.1957 in Rep. giur. it. 1958, Società p. 90; Trib. Roma 10.2.1962<br />

in Dir. fall. 1962, II, 694; Trib. Trani 27.3.1979 in Giur. Comm. 1980, II, 997; Trib. Roma<br />

13.7.1990 in Riv. Dir. comm. 1991, II, 197.<br />

(8) Cass. Civ. 14.1.1993, n. 403 in Riv. dir. comm. 1993, II, 202.<br />

(9) Cass. Civ. 13.1.1987 n. 133 in Giur. it. 1987, I, 1, 1724; Trib. Milano 24.9.1990<br />

in Riv. dir. comm. 1991, II, 243.<br />

(10) Cass. Civ. 1.10.1960 n. 2542 in Giur. it. 1961, I, 1, 420.<br />

(11) Cass. Civ. 20.4.1961 n. 511, Dir. fall. 1961, II, 783; Cass. Civ. 4.1.1966 n. 45<br />

Foro it. 1967, I, c. 827; Trib. Perugia 22.4.1983 in Società 1984, 1335.<br />

(12) Tale è il caso in cui l’assemblea sia chiamata a esprimere voti favorevoli per alzata<br />

di mano e i voti contrari e astenuti per scheda.<br />

(13) Cass. Civ. 26.6.1956 n. 2286 in Riv. dir. comm. 1958, II, p. 4.


Scritti di Diritto Civile 315<br />

ché sono convocate da amministratori di fatto e non di diritto e cioè<br />

produce un effetto «domino».<br />

Diverso rispetto alla precedente categoria è il caso in cui la fattispecie<br />

procedimentale è affetta da qualche vizio che comporta la<br />

nullità o l’annullamento della delibera assembleare.<br />

In quest’ultimo caso, poiché l’annullamento produce i suoi effetti<br />

solo ex nunc, l’amministratore deve considerarsi de jure sino al<br />

momento dell’annullamento.<br />

Diverso è il caso in cui la nomina dell’amministratore sia da ritenersi<br />

nulla ex art. 2379 c.c. perché essa forma oggetto di una pronuncia<br />

di accertamento che opera ex tunc.<br />

In ogni caso la delibera assembleare inesistente non può essere<br />

oggetto di convalescenza.<br />

Una figura diversa di amministratore di fatto rispetto a quella<br />

sopra indicata è quella in cui le decisioni siano prese da un estraneo<br />

che si ingerisca nella gestione amministrativa, con la tolleranza,<br />

nelle veci o in concorso con l’amministratore de jure.<br />

2. – L’amministratore di fatto è equiparato dalla nostra giurisprudenza<br />

penale a quello di diritto e perciò viene integralmente assoggettato<br />

ai divieti e alle sanzioni previste dalle leggi penali per gli atti<br />

da entrambi commessi (14) .<br />

Una diversa soluzione condurrebbe a considerare che l’attività<br />

penalmente illecita dell’amministratore di fatto non costituirebbe<br />

reato per mancanza di investitura nella carica, a differenza di quella<br />

posta in essere dall’amministratore di diritto ed il primo sarebbe<br />

ingiustamente esonerato da ogni responsabilità penale.<br />

La giurisprudenza dominante assoggetta l’amministratore di fatto<br />

alle norme penali nel loro contenuto sostanziale e ritiene corret-<br />

(14) Cass. Pen. 14 maggio 1993, input. Delle Fave; Cass. pen 29 dicembre 1972, input.<br />

Zito in Giust. pen. 1973, II, 591; Cass. pen. 5 dicembre 1966 imput. Savoldo in Dir.<br />

fall. 1967, II, 974; Cass. pen. 8 maggio 1964, input. Esposito, in Rep. Foro It. 1965, Voce<br />

Società, n° 220, 223; Cass. pen. 1 luglio 1963, input. De Angelis in Rep. Foro It. 1964,<br />

246. In dottrina: ANTOLISEI, Manuale di diritto penale. I reati fallimentari, Milano 1959,<br />

p. 109; ZUCCALÀ, Il delitto di false comunicazioni sociali, Padova, 1954, p. 53; CONTI<br />

- BRUTI LIBERATI, Il diritto penale nelle società commerciali, Milano 1971, p. 119; C.<br />

PEDRAZZI, Gestione di impresa e responsabilità penale, in Società 1962, p. 220; F. BO-<br />

NELLI, La responsabilità dell’amministratore di fatto in Giur. comm. 1984, p. 107; M.<br />

ABBIANI, Gli amministratori di fatto delle società di capitali, Milano 1998, p. 200 e ss.


316 Scritti di Diritto Civile<br />

tamente che nel diritto penale, la responsabilità rilevi sulla base della<br />

effettiva gestione della società che prevale su quello formale della<br />

assunzione della carica.<br />

Le singole fattispecie delittuose sono configurate dal diritto penale,<br />

non in base al titolo, in forza del quale è esercitata l’attività di<br />

amministrazione ma «in base alla constatazione fattuale che la attività<br />

stessa sia esercitata in concreto».<br />

Il discorso vale per le ipotesi di reati societari e fallimentari, quali<br />

di bancarotta, di false comunicazioni sociali, di conflitto di interessi<br />

e così via.<br />

La società danneggiata può costituirsi parte civile contro l’amministratore<br />

di fatto, per i vari reati societari e fallimentari, anche<br />

senza una preventiva delibera assembleare di promovimento dell’azione<br />

di responsabilità, contro l’amministratore di fatto.<br />

Anche l’azionista può costituirsi parte civile, sia in via surrogatoria<br />

della società sia in proprio, come individualmente danneggiato<br />

dato che il perseguimento della responsabilità per colpa aquiliana<br />

è a lui assicurato dall’art. 2395 c.c.<br />

3. – La dottrina e la giurisprudenza assoggettano l’amministratore di<br />

fatto anche alla responsabilità civile aquiliana prevista per l’amministratore<br />

di diritto con motivazioni analoghe a quella penale.<br />

Cioè ricorrono alla motivazione che diversamente l’amministratore<br />

di fatto godrebbe una protezione di interessi, contraria al<br />

sistema giuridico per gli atti di mala gestio dolosi e colposi da lui<br />

compiuti, mentre rimarrebbero senza tutela quelli del socio e del<br />

terzo creditore.<br />

La dottrina e la giurisprudenza hanno richiamato l’attenzione<br />

soprattutto sui danni cagionati dall’amministratore di fatto per<br />

colpa aquiliana.<br />

Il problema non è stato invece da esse affrontato nella sua unitarietà<br />

con riguardo ai danni da colpa sia contrattuale sia extra<br />

contrattuale.<br />

Le opinioni correnti, secondo l’autore di queste righe, appaiono<br />

inadeguate rispetto ad un problema che richiede una analisi approfondita<br />

ed articolata dei suoi multiformi aspetti.<br />

Un ulteriore discorso riguarda il problema della legittimazione<br />

del soggetto danneggiato ad agire contro l’amministratore di fatto.


Scritti di Diritto Civile 317<br />

Cominciamo il discorso dunque dalla responsabilità civile aquiliana<br />

dell’amministratore di diritto da cui trarremo argomento analogico per<br />

contribuire a risolvere il problema della applicazione a quello di fatto.<br />

L’illecito penale, causato dal predetto amministratore, come si è<br />

detto, dà luogo ad una responsabilità aquiliana per i danni civili subiti<br />

dalla società e dal socio.<br />

È generalmente ammesso anche l’esercizio individuale, da parte del<br />

socio, dell’azione prevista dall’art. 2395 c.c. per perseguire il risarcimento<br />

dei danni da lui direttamente risentiti, che non sono il riflesso<br />

di quelli cagionati al patrimonio societario, per colpa aquiliana (15) .<br />

L’autore di queste righe ritiene questa interpretazione eccessivamente<br />

riduttiva, per un duplice ordine di motivi.<br />

Anzitutto la limitazione dell’azione del socio ex art. 2395 c.c.,<br />

solo ai danni causati dall’amministratore per colpa aquiliana non<br />

appare giustificata.<br />

Essa viene in genere argomentata dalla formula legislativa che si<br />

riferisce al socio «direttamente danneggiato» dagli atti degli amministratori<br />

per cui si limita il danno risarcibile a quello diretto e si<br />

esclude quello riflesso dal patrimonio sociale, e in definitiva il danno<br />

sopportato dalla partecipazione societaria del singolo socio, anche<br />

se cagionata da una attività dolosa e colposa.<br />

Questa interpretazione riduce l’azione individuale esperibile ex<br />

art. 2395 c.c. ad una ipotesi assolutamente marginale.<br />

Essa non sembra a chi scrive giustificata dal termine «danno diretto»<br />

usata all’art. 2395 c.c.<br />

La formula si limita ad affermare che tra la condotta dolosa e<br />

colposa dell’amministratore e il danno deve intercorrere un rapporto<br />

di causalità diretta, come è negli artt. 1223 e 2056 c.c. e cioè<br />

indica una relazione di univocità logica, mentre il termine immediato<br />

esprime quello di una conseguenzialità storica (16) .<br />

(15) Cass. Civ. 19.12.1985, n. 6493; Cass. Civ. 2.6.1989 n. 2685 in Giur. it. 1989, I,<br />

1, Cass. Civ. 3.11.1983 n. 6469 in Dir. fall. 1984, II, p. 250; Cass. Civ. 28.3.1996, n. 2850<br />

in Società, 1996, 1397; Cass. Civ. 4.4.1997 n. 2934; Cass. Civ. 3.7.1998 n. 6519; In questo<br />

senso è tra gli altri FERRI, Le Società, Torino 1985, p. 686; G. MINERVINI, Gli amministratori<br />

di S.p.A., Padova 1969.<br />

(16) G. VALCAVI, Intorno al rapporto di causalità nel torto civile, in Riv. dir. civ.<br />

1995, II, 481; Id. Sulla causalità giuridica nella responsabilità civile in «Danno e responsabilità»,<br />

1998, p. 1007 e ss.


318 Scritti di Diritto Civile<br />

Non sembra a chi scrive che dall’aggettivo «diretto» possa trarsi argomento<br />

per ridurre l’ambito dei diversi danni risarcibili del socio, solo<br />

a quelli estranei alla sua partecipazione societaria, mentre anche questo<br />

è una conseguenza diretta, che rientra nell’art. 2043 c.c.<br />

Ciò non vuol dire che non debbano essere usate grandi cautele per<br />

accertare la responsabilità aquiliana di un amministratore di diritto,<br />

che è assistito da una presunzione di legittimità del suo operato.<br />

È discutibile, come ho detto, che il pregiudizio risentito dal singolo<br />

azionista alla sua partecipazione al capitale della società non<br />

venga tutelato, anche se è riflesso di quello al patrimonio sociale, a<br />

seguito degli atti di mala gestio, che costituiscono illeciti aquiliani<br />

dell’amministratore di diritto.<br />

La interpretazione riferita pecca da un lato per difetto, perché essa<br />

condurrebbe ad escludere dalla responsabilità aquiliana dell’amministratore,<br />

il pregiudizio subito alla partecipazione societaria anche<br />

nel caso in cui gli illeciti, costituiscano reato.<br />

Non è invece discutibile che l’azionista possa fare valere il suo diritto<br />

al risarcimento dello specifico danno, che è risentito dalla sua<br />

partecipazione individuale, anche se è e riflesso rispetto a quello subito<br />

dalla società.<br />

Quanto sopra riguarda l’amministratore di diritto.<br />

Appare assai più vasto e ad un tempo diverso il discorso che riguarda<br />

la responsabilità aquiliana dell’amministratore di fatto invece<br />

che di diritto.<br />

Questi non è assistito dalla presunzione di legittimità del suo operato<br />

che non può perciò dirsi finalizzato a perseguire l’interesse della<br />

società e il pregiudizio subito dalla società e dai soci, a seguito del<br />

suo comportamento doloso o colposo di tipo aquiliano, deve essere<br />

da lui risarcito.<br />

Il fatto che ci sia un amministratore di fatto e manchi invece quello<br />

di diritto fa sì che il danno che deriva dal suo comportamento al<br />

patrimonio societario e alla individuale partecipazione azionaria sarebbero<br />

condannati diversamente a non essere entrambi risarciti, per<br />

la mancanza del legittimo organo sociale che deve provvedervi da un<br />

lato e per le erronea interpretazione che vorrebbe escludere la partecipazione<br />

azionaria dall’ambito dell’art. 2395 c.c. dall’altro.<br />

Il socio perciò ha diritto di perseguire direttamente l’amministratore<br />

di fatto con l’azione ex art. 2395 c.c., per il pregiudizio


Scritti di Diritto Civile 319<br />

da lui subito dagli atti dolosi o colposi che generano la responsabilità<br />

aquiliana degli amministratori di diritto e a fortiori di quelli<br />

di fatto, anche se dipendente da quella subita dalla società al<br />

suo patrimonio.<br />

Deve pure ammettersi che dall’azione individuale non è escluso<br />

l’ulteriore scopo di promuovere il risarcimento causato dall’amministratore<br />

di fatto anche al patrimonio della società, quanto meno<br />

in via surrogatoria della stessa.<br />

4. – Passiamo ora a delineare un quadro sintetico della responsabilità<br />

civile non aquiliana degli amministratori di una società di capitali,<br />

nei confronti dei soci e dei creditori.<br />

Per quanto concerne gli amministratori di diritto la disciplina<br />

che li concerne è dettata dall’art. 2392 c.c. che prescrive che essi<br />

debbano adempiere ai doveri imposti dalla legge e dall’atto costitutivo<br />

con la diligenza del mandatario, che è poi quella del buon padre<br />

di famiglia e stabilisce che essi in via solidale debbano rispondere<br />

dei danni cagionati.<br />

Il quadro normativo è altresì precisato dall’art. 1711 per il<br />

quale le conseguenze degli atti che esorbitano dai limiti del mandato<br />

restano a carico del mandatario e dall’art. 1712 per cui questi<br />

deve in ogni caso «senza ritardo comunicare la esecuzione al<br />

mandante».<br />

Gli amministratori di diritto, nell’ambito della sfera discrezionale<br />

delle decisioni loro riservate, hanno una libertà di scelte decisionali,<br />

che non è suscettibile di sindacato del giudice.<br />

La loro responsabilità per danni obbedisce ad un paradigma obiettivo<br />

onde ai soci compete la prova del dolo o della colpa grave, mentre<br />

agli amministratori convenuti la controprova della normalità.<br />

La responsabilità per danni, nascendo da contratto, è limitata a<br />

quelli ordinariamente prevedibili, a sensi dell’art. 1225 c.c.<br />

La promozione dell’azione di responsabilità è riservata ad<br />

una delibera assembleare della società dall’art. 2393 c.c. o dall’art.<br />

2409 c.p.c.<br />

Un orientamento dominante nella dottrina (17) e nella giurispru-<br />

(17) RAGUSA MAGGIORE, La responsabilità degli amministratori, cit. p. 93; MI-<br />

NERVINI, Gli amministratori, p. 363 ss.; COTTINO, op. cit., I, p. 676.


320 Scritti di Diritto Civile<br />

denza (18) , tuttavia anche se resistito da una opinione minoritaria<br />

esclude che il singolo socio possa esperire l’azione per colpa e danni<br />

ex art. 2395 c.c. a titolo di responsabilità contrattuale con riguardo<br />

ai danni da lui subiti alla partecipazione societaria (19) .<br />

Esaminiamo ora invece la diversa disciplina della responsabilità<br />

degli amministratori di fatto che è estranea alla violazione del principio<br />

del neminem ledere, e compariamola con quella contrattuale<br />

ex art. 2392 c.c. degli amministratori di diritto.<br />

L’autore di queste righe reputa che non è configurabile una responsabilità<br />

contrattuale degli amministratori di fatto verso la società<br />

e i soci, in analogia a quella degli amministratori di diritto ma<br />

solo lo è quella non contrattuale, anche se non coincidente e diversa<br />

da quella aquiliana che si riduce alla semplice violazione del divieto<br />

del neminem ledere.<br />

Infatti l’amministratore di fatto non è legato alla società da un<br />

rapporto organico e non si può ipotizzare che egli abbia i diritti e gli<br />

obblighi del mandatario, rispetto ai quali abbia a rispondere per<br />

colpa contrattuale.<br />

Ciò si desume dall’art. 1711 c.c. che contempla che le conseguenze<br />

degli atti, che esorbitano dai limiti del mandato restano a<br />

carico del mandatario così da risponderne in proprio.<br />

A fortiori deve pervenirsi alla stessa conclusione, laddove non<br />

esiste addirittura un mandato, come è il caso degli amministratori<br />

di fatto che perciò non risultano investiti da una delibera assembleare<br />

giuridicamente esistente.<br />

Non è perciò configurabile una responsabilità contrattuale dell’amministratore<br />

di fatto sotto il profilo dei c.d. rapporti contrattuali<br />

di fatto, che «assumerebbero una rilevanza giuridica, a prescindere<br />

dalla esistenza della corrispondente fattispecie negoziale».<br />

Non si condivide la esistenza di una categoria del genere perché<br />

tale assunto si basa su una petizione di principio ed è assolutamente<br />

generica.<br />

(18) Cass. Civ. 3.8.1988 n. 4817; Cass. Civ. 6.1.1982 n. 14; Cass. Civ. 16.11.1977 n.<br />

5011; Cass. Civ. 7.2.1974 n. 327; Trib. Milano 31.1.1983 in Società, 1984, 323; Trib. Milano<br />

28.1.1980 in Giur. Com. 1981, II, p. 699.<br />

(19) FRÈ, Società per azioni, p. 503 e ss.; BONELLI, Gli amministratori di società<br />

per azioni, Milano 1985.


Scritti di Diritto Civile 321<br />

Di recente si è ritenuto di superare l’ostacolo della mancata investitura<br />

dell’amministratore di fatto alla carica, col richiamo alla<br />

parte finale dell’art. 1173 c.c., di cui si è forzato il tenore con una<br />

integrazione inammissibile che è stata estranea al legislatore.<br />

La norma indica tra le fonti delle obbligazioni a fianco dei negozi<br />

e degli illeciti «ogni altro fatto idoneo a produrle in conformità<br />

all’ordinamento giuridico» e si argomenta che ciò legittimerebbe<br />

una pretesa categoria generale dei rapporti contrattuali di fatto.<br />

Ciò appare inammissibile perché la formula dell’art. 1173 c.c. in<br />

assenza di una norma specifica dell’ordinamento, non consente una<br />

opinione del genere.<br />

Più di recente una decisione isolata di legittimità, da cui si dissente<br />

(20) si è rifatta all’istituto della gestione degli affari altrui per<br />

tentare di giustificare la responsabilità dell’amministratore di fatto<br />

sotto il profilo contrattuale, ma il richiamo analogico è erroneo.<br />

La equiparazione tra gestione d’affari altrui e il rapporto dell’amministratore<br />

di fatto della società è inammissibile perché l’utilis<br />

gestio richiede la impossibilità del dominus di provvedere ai suoi<br />

interessi e la sua non consapevolezza degli atti del gestore.<br />

Essa concerne il caso in cui l’attività del gestore ha per oggetto<br />

uno o più singoli determinati affari, mentre tale non è il caso dell’amministratore<br />

di fatto, la cui attività è caratterizzata non da singoli<br />

atti di intromissione nella gestione, ma deve protrarsi per un rilevante<br />

arco di tempo, con ripetuti compimenti di atti tipici dell’amministratore<br />

di una società (21) .<br />

La forzatura dei limiti di un istituto speciale e residuale, quale la<br />

utilitas gestio per trarre la giustificazione generale di un’intera categoria<br />

che esula dall’istituto indicato deve essere rifiutata.<br />

Una conclusione del genere in ogni caso contrasta con la disciplina<br />

specifica dell’istituto dell’utile gestione.<br />

Infatti l’utilis gestor – ammesso che lo sia stato – risponde in proprio<br />

delle conseguenze dei suoi atti e delle obbligazioni, là dove opera contro<br />

la proibizione dell’interessato, a sensi dell’art. 2031, 2° comma c.c.<br />

(20) In questo senso Cass. Civ. 6.3.1999, n. 1925, Pres. Cantillo, Est. Marziale, Diritto<br />

e pratica della società in Il Sole 24 ore 8.11.1999 n. 20, con nota di A. Manzini.<br />

(21) A. MANZINI, Commento alla sentenza di Cass. Civ. 6.3.1999, n. 1925 in Diritto<br />

e pratica delle società, cit., p. 47 e ss.


322 Scritti di Diritto Civile<br />

Deve ritenersi che l’amministratore di fatto, agendo in difetto di<br />

un mandato opera contro il consenso della società e dei soci interessati,<br />

perché il consenso e la autorizzazione devono essere manifestati,<br />

secondo le regole statutarie e civilistiche, che sono condizioni<br />

per la esistenza della fattispecie procedimentale e delle delibere<br />

e non arbitrariamente supposto.<br />

Ad ipotizzare del resto una esplicita proibizione degli interessati,<br />

con le conseguenze ex art. 2031 2° comma c.c., potrebbe bastare<br />

che provenga in qualsiasi momento, dal socio in surroga o meno<br />

della società una semplice diffida rivolta all’amministratore di fatto,<br />

perché desista dall’operare o una domanda giudiziale di accertamento<br />

giudiziale, che devono scontarsi come evenienze di ordinario<br />

accadimento.<br />

Da ciò si desume che anche il richiamo alla utilis gestio non giustifica<br />

il profilo di una responsabilità contrattuale corrente tra la società<br />

e l’amministratore di fatto.<br />

All’amministratore di fatto si addice piuttosto la qualità di falsus<br />

procurator, al quale una recentissima decisione attribuisce una<br />

responsabilità per danni da colpa non contrattuale anche se non riduttivamente<br />

aquiliana.<br />

Dalla esclusione della responsabilità contrattuale tra amministratori<br />

di fatto, società, soci e creditori interessati deriva che i danni<br />

non sono risarcibili nei limiti della prevedibilità ex art. 1225 c.c.<br />

Da essa dipende che l’amministratore di fatto non fruisce di una<br />

sfera discrezionale di attività, sulla base del paradigma di normalità<br />

che lascerebbe presumere la correttezza, salvo l’onere della prova<br />

inversa da parte della società e dei soci.<br />

Essa anche se si svolge in limiti di normalità è sindacabile da parte<br />

del giudice di merito.<br />

Concludendo si reputa che non è possibile estendere la responsabilità<br />

contrattuale ex artt. 2392, 1710, 1225 c.c. agli amministratori<br />

di fatto in via analogica a quelli di diritto.<br />

La opposta opinione che vuole desumere la responsabilità contrattuale<br />

dell’amministratore di fatto dalla utilis gestio o dalla fictio<br />

di un presunto mandato analogo a quello dell’amministratore di<br />

diritto, ignorando peraltro l’art. 1708 e le sue implicazioni, si risolve<br />

nel negare e contraddire la categoria autonoma delle delibere assembleari<br />

inesistenti, rispetto a quelle solo invalide che è ritenuta


Scritti di Diritto Civile 323<br />

dalla opinione dominante, e finisce per esonerare l’amministratore<br />

di fatto dalle ampie conseguenze risarcitorie dei suoi atti.<br />

La delibera inesistente non produce certamente come suo effetto<br />

la responsabilità contrattuale per l’amministratore di fatto ma invece<br />

quella non contrattuale anche se non coincide ed è diversa da<br />

quella aquiliana.<br />

5. – Esaminiamo ora quale sia la logica e l’ampiezza della responsabilità<br />

civile dell’amministratore di fatto nei confronti della società,<br />

dei soci e dei creditori.<br />

L’art. 1708 c.c., come si è detto, pone a carico dell’amministratore<br />

di una società le conseguenze del suo operato quando questo<br />

esorbita dai limiti del mandato.<br />

Analogamente l’art. 2031, 2° comma c.c. chiama l’utilis gestor a<br />

rispondere della sua condotta, ove intraprenda o continui la propria<br />

attività, malgrado la proibizione dell’interessato.<br />

Si è visto che queste norme a fortiori giustificano il principio per<br />

cui l’amministratore che agisce senza un mandato giuridicamente<br />

esistente, deve rispondere illimitatamente delle conseguenze delle<br />

sue scelte o dei propri atti.<br />

Questo principio è una espressione della regola generale che chi<br />

agisce lo fa a proprio rischio.<br />

Ciò vale incondizionatamente per l’amministratore di fatto.<br />

Una impostazione del genere è l’unica rispettosa del sistema che<br />

scoraggia iniziative di arbitraria supplenza da parte di soggetti non<br />

legittimati, che sono in contrasto con la disciplina attuale ispirata al<br />

rispetto di una rigorosa legalità e degli interessi degli investitori, come<br />

è il caso delle società con azioni quotate sui mercati regolamentati che<br />

sono disciplinati dalle norme che tutelano i diritti della minoranza,<br />

con pubblici istituti preposti al controllo come la Consob.<br />

La conclusione cui si è giunti che l’amministratore di fatto agisce<br />

a proprio rischio è anche una regola di riequilibrio degli interessi<br />

che vede da un lato l’obbligo della società a sopportare le conseguenze<br />

degli atti di amministratori di fatto per il principio di apparenza<br />

che tutela chi contrae con essi in buona fede e dall’altra il<br />

diritto di questa a rivalersi nei confronti dell’amministratore di fatto<br />

delle conseguenze di cui questi è responsabile.<br />

Quest’ultimo, deve in ogni caso garantire la società e i soci dalle


324 Scritti di Diritto Civile<br />

perdite e dalle obbligazioni, e cioè un risultato utile e non una semplice<br />

obbligazione di mezzi, come l’amministratore di diritto.<br />

La erroneità della opinione che modella la responsabilità civile<br />

dell’amministratore di fatto sullo schema di quella contrattuale degli<br />

amministratori di diritto è che essa suppone la fictio di un mandato<br />

in anticipo, senza tener conto che per questi ultimi, là dove<br />

operano fuori dai limiti del mandato a sanatoria occorre una ratifica<br />

dell’interessato ex art. 2032 c.c., che non si reputa neppure ipotizzabile<br />

per quelli di fatto, secondo i principi generali.<br />

Una equiparazione tra l’amministratore di fatto e di diritto non<br />

può trarsi a fortiori dall’orientamento formatosi della giurisprudenza<br />

penale, perché la responsabilità penale tutela il pubblico interesse<br />

a prevenire l’allarme sociale e a punire il reo.<br />

Da ultimo l’opinione che reputa che l’amministratore di fatto<br />

soggiaccia alla responsabilità contrattuale ex art. 2392 c.c., è smentita<br />

da quella giurisprudenza di legittimità che ritiene la responsabilità<br />

del falsus procurator, come extra contrattuale (22) .<br />

6. – Vediamo ora chi possa agire per ottenere una pronuncia di responsabilità<br />

dell’amministratore di fatto e quali formalità debbano<br />

essere osservate.<br />

Certamente legittimati sono la società e i soci utendo iuribus della<br />

stessa.<br />

Non occorre una preventiva delibera assembleare di promovimento<br />

dell’azione di responsabilità come previsto degli artt. 2393 e<br />

2409 5° comma c.c. nel caso in cui gli atti di mala gestio sono posti<br />

in essere invece dell’amministratore di diritto.<br />

La necessità di una tale delibera è strettamente legata alla presunzione<br />

di legittimità dell’operato di quest’ultimo mentre ciò non<br />

ricorre per l’amministratore di fatto.<br />

Ciò si desume dal testo dell’art. 2393 3° comma, c.c. per cui la<br />

delibera assembleare ha come effetto l’immediata revoca degli amministratori<br />

di diritto, mentre esso non ha alcun senso ove riferito<br />

all’amministratore di fatto.<br />

I soci sono legittimati a provvedersi individualmente contro<br />

(22) Per la responsabilità extra contrattuale del falsus procurator: Cass. Civ.<br />

19.9.2000, n. 12969; Cass. Civ. 16.1.1997, n. 6488.


Scritti di Diritto Civile 325<br />

l’amministratore di fatto, che è responsabile anche ricorrendo alla<br />

tutela di cui all’art. 2395 c.c.<br />

Questa norma è di lata eccezione e utilizza l’interesse dell’azionista<br />

per realizzare lo scopo anche di proteggere quello della società<br />

alla tutela della legalità dei suoi atti.<br />

La funzione surrogatoria è in re ipsa, senza bisogno che il socio<br />

ricorra alla formalistica dichiarazione di agire in surroga.<br />

In questo senso l’autore ricorda a se stesso una lontana decisione<br />

del Tribunale di Milano 15 ottobre 1987 (pres. Baldi-Est. Quadraro,<br />

pubblicata in Giur. It. 1988, I, 2, 418), che affermò in modo<br />

penetrante che «una delibera inesistente può essere impugnata anche<br />

da ciascun socio individualmente interessato alla tutela della legalità<br />

degli atti sociali».<br />

Una pregevole nota redazionale aggiunse: «se un atto o fatto giuridico<br />

non esiste, non fa parte dell’ordinamento. Non è tamquam<br />

non esset, ma è semplicemente non est. È interesse generale del sistema<br />

e quindi di tutti, anche a sensi dell’art. 100 c.p.c. rimuovere<br />

l’ingannevole apparenza evitando che un semplice riflesso venga<br />

scambiato per una realtà che appunto non esiste, sicché la legittimazione<br />

ad agire dovrebbe competere a chiunque, a qualunque socio<br />

e solo l’intento di pura chicane potrebbe rappresentare un limite<br />

all’iniziativa ad un tale senso».<br />

Diversamente opinando, come è il caso di quanti confondono<br />

gli amministratori di fatto con quelli di diritto, risulterebbe<br />

smentita e superflua la premessa della «inesistenza di delibere assembleari»<br />

che finirebbero per identificarsi con quelle semplicemente<br />

annullabili.<br />

La sovversione del principio di diritto, che una delibera inesistente<br />

non è suscettibile di poter essere sanata in alcun modo, sarebbe<br />

illegittimamente superata dall’aforisma cosa fatta capo ha!


A proposito dell’orientamento<br />

di alcune decisioni di merito<br />

che estendono i limiti di applicabilità<br />

delle clausole compromissorie<br />

per arbitri alle controversie societarie<br />

1. – La dominante giurisprudenza di legittimità e di merito (1) insegna<br />

che «non sono compromettibili per arbitri le controversie che<br />

coinvolgono gli interessi della società o violano le norme poste a tutela<br />

dell’interesse collettivo dei soci o dei terzi, perché si tratta di accertamenti<br />

sottratti all’autonomia delle parti».<br />

Nello stesso senso è la dottrina prevalente (2) .<br />

Un principio del genere è stato di recente affermato in modo tassativo,<br />

per le impugnative di bilancio da Cass. Civ. Sez. Unite 21<br />

febbraio 2000 in Giur. It. 2000 I, II, 1210 e ss.<br />

La giurisprudenza di legittimità condiziona altresì la operatività<br />

della clausola arbitrale, in presenza di un rapporto con pluralità di<br />

parti, come quello societario, alla circostanza che la lite abbia ca-<br />

Da «Il Diritto Fallimentare e delle Società Commerciali» 2002, n. 1.<br />

(1) Per le decisioni di legittimità: Cass. Civ. 30 marzo 1998 n° 3322, Cass. Civ. 18<br />

febbraio 1988 in 1739 in Società 1988, p. 476 e ss.; per quelle di merito, tra le molte,<br />

Tribunale Milano 4 giugno 1990 in Giur. It. 1991, I, II, 175, App. Milano 11 febbraio<br />

1997 in Società 1997, p. 1149.<br />

(2) SATTA, Commentario al codice di procedura civile, IV, Milano 1959-1968, p. 206;<br />

SILINGARDI, Il compromesso in arbitri nelle società di capitali, Milano 1979; JAEGER,<br />

Appunti sull’arbitrato e le società commerciali, in Giur. Comm. 1990, I, p. 299, ss.; RO-<br />

VELLI, Competenza degli arbitri nella risoluzione delle controversie sociali in società,<br />

1991, p. 761; TETI, L’arbitrato nelle società, Riv. Arbitrato 1993, 297 ss.; RUBINO -<br />

SANMARTANO in Diritto dell’arbitrato, Padova 1994 p. 131 e ss.; DE FERRA, Clausole<br />

arbitrali nel diritto delle società, in Riv. arbitrato 1995, p. 185 ss.


328 Scritti di Diritto Civile<br />

rattere bipolare, per cui le parti possano essere a posteriori raggruppate<br />

in due centri di interessi omogenei e contrapposti (ciò si<br />

esprime col dire che la clausola deve avere carattere binario) (3) .<br />

Le controversie societarie, con pluralità di parti, non riducibili a<br />

due centri di interesse, omogenei e contrapposti, come sono i procedimenti<br />

«multipolari» non vengono ritenute compromettibili per<br />

arbitri e la clausola è invalida e inapplicabile.<br />

Ciò spiega anche la ragione per cui gli arbitri devono essere in<br />

numero dispari e vengano designati dai titolari di centri da interesse<br />

contrapposti.<br />

Da alcuni anni, in aperto contrasto con questa giurisprudenza<br />

prevalente, si è mosso il Tribunale di Milano che con decisione 4 giugno<br />

1990 in Giur. It. 1991 I, II, 175 e ss. e altre di pugno dello stesso<br />

estensore, ha inaugurato una svolta, fin qui però rimasta isolata.<br />

Il Tribunale di Milano ha affermato che le controversie societarie<br />

sono in genere materia compromettibile per arbitri «ancorché regolata<br />

da norme di interesse generale».<br />

Secondo questo orientamento l’azionista sarebbe cioè libero di<br />

esercitare i propri diritti nelle forme di legge e secondo le clausole<br />

arbitrali.<br />

Lo stesso Tribunale ha ribadito questa sua svolta poi con successiva<br />

sentenza di 10.1.2000 in Giur. It. 2000, I, addirittura in materia<br />

di bilancio. Sempre lo stesso Tribunale di Milano con l’ultima<br />

decisione 13.11.2001 n. 11132 che qui si annota, è andato oltre<br />

compiendo una fuga in avanti.<br />

Essa ha portato questo suo isolato orientamento alle estreme<br />

conseguenze, stabilendo il principio che sono compromettibili<br />

per arbitri tutte le liti che si riferiscono a diritti in astratto disponibili,<br />

ad esclusione di quelle che non sono disponibili per la<br />

sola illiceità del negozio e che, come tali, non sono transigibili a<br />

sensi dell’art. 1972 c.c.<br />

Tutte le controversie societarie rientrerebbero, secondo questa linea,<br />

nella sfera di applicazione della clausola compromissoria per<br />

arbitri, salvo le liti non transigibili, per la illiceità del negozio.<br />

(3) MANDRIOLI, Corso diritto procedurale civile, Torino 1995 III, 360 e ss. Tra le<br />

molte decisioni: Cass. Civ. 15 aprile 1998 n. 2983 in Società 1988, 585; Cass. Civ. 13 aprile<br />

1998 n° 2940; Trib. Napoli 18 dicembre 1987 in Società 1988, 591.


Scritti di Diritto Civile 329<br />

Di conseguenza il Tribunale con la decisione in esame, ha declinato<br />

la propria competenza, quale giudice ordinario, a favore di un<br />

collegio di arbitri rituali, e ha ritenuto compromettibile la controversia<br />

che era chiamato a decidere.<br />

È opportuno puntualizzare che, nel caso di specie, l’attore aveva<br />

impugnato perché simulata ed inesistente una delibera assembleare,<br />

concernente un vistoso aumento di capitale e aveva<br />

eccepito che la delibera di collocamento successiva degli amministratori<br />

era inesistente perché gli stessi non si erano riuniti e<br />

che il versamento dell’aumento di capitale era solo apparente e<br />

non era avvenuto.<br />

Dall’esito della causa dipendeva la sopravvivenza della stessa società,<br />

perché in caso di accoglimento delle domande, essa doveva<br />

considerarsi sciolta per effetto delle gravi perdite cui era andata incontro,<br />

se l’aumento di capitale non fosse stato effettuato.<br />

La controversia, in ogni caso contestava che la situazione patrimoniale<br />

della società rispondesse al principio di verità e questa era<br />

parte importante dei bilanci annuali che di per sé non erano compromettibili<br />

per arbitri, secondo la sopra indicata decisione delle<br />

nostre sezioni civili unite n° 27/2000. Questa medesima decisione<br />

del Tribunale di Milano n° 11132/2001, con motivazione contraddittoria<br />

nel respingere la eccezione di incompetenza mossagli a favore<br />

dell’arbitrato, per la parte che riguardava una serie di bilanci<br />

impugnati, confermava che si trattava di materia di esclusiva competenza<br />

del giudice ordinario.<br />

A fortiori lo stesso partito doveva trarsi, per analogia, da quell’orientamento<br />

che non considera compromettibili le controversie in<br />

materia di revoca di un aumento di capitale e dalle deliberazioni assembleari<br />

di scissione e incorporazione di una società.<br />

2. – Il Tribunale di Milano pone a fondamento del suo orientamento,<br />

che generalizza a gran parte delle controversie societarie la applicabilità<br />

delle clausole compromissorie, la esigenza di assicurare<br />

la maggiore celerità ed efficacia della loro definizione, rispetto agli<br />

odierni tempi lunghi.<br />

Codesta ratio, mentre concerne tutti i procedimenti civili, non<br />

giustifica che ad essa sia sacrificato il prevalente interesse pubblico<br />

alla imparzialità e alla necessaria ponderazione delle decisioni giu-


330 Scritti di Diritto Civile<br />

diziarie (4) , in un settore dove è richiesto il rispetto delle regole in<br />

quelle imprese economiche che hanno forma societaria.<br />

Il pubblico interesse qui sacrificato rispetto a quello meno importante<br />

della celerità, aveva motivato il legislatore della recente<br />

riforma processuale nel predisporre il rito collegiale invece di quello<br />

monocratico, per questo tipo di controversie.<br />

Il pubblico interesse al rispetto delle regole societarie è alla base<br />

della istituzione della Consob e delle sue competenze.<br />

In un momento di globalizzazione dei mercati finanziari, che<br />

coinvolgono sempre più grandi sfere di risparmiatori ed investitori,<br />

la certezza delle regole societarie è condizione primaria degli investimenti<br />

e quindi dello sviluppo economico del paese.<br />

Da questo punto di vista l’orientamento a compromettere per arbitri<br />

privati le controversie appare in netta controtendenza ed in<br />

una linea involutiva rispetto agli obbiettivi di politica legislativa comunemente<br />

avvertiti.<br />

Il Tribunale di Milano estende la compromettibilità per arbitri di<br />

questo tipo di controversie sino al limite estremo previsto dall’art.<br />

1972 c.c. che dispone la non transigibilità per i negozi relativi a contratti<br />

illeciti.<br />

Questa forzatura non è condivisibile perché essa concerne una<br />

ipotesi marginale e residuale, che non è suscettibile di assumere valore<br />

di principio di diritto.<br />

I limiti della compromettibilità per arbitri sono fissati in genere<br />

dagli artt. 806 e 808 c.p.c. e quelli da essi richiamati della non transigibilità<br />

dei diritti dall’art. 1966 c.c.<br />

Questa ultima norma al primo comma fissa il requisito che chi<br />

transige abbia «la capacità di disporre i diritti che formano oggetto<br />

della lite» e al secondo comma stabilisce «la nullità della transazione<br />

se tali diritti per loro natura o per disposizione di legge, sono<br />

sottratti alla disponibilità della parti».<br />

Il richiamo alla non transigibilità del diritto per potersi compromettere<br />

per arbitri una lite appare riferirsi alle clausole compromissorie<br />

che prevedono arbitrati irrituali invece di quelli rituali,<br />

(4) Cass. Civ. 30 agosto 1999 n° 9157; App. Milano 6 novembre 1992 in Società 1993,<br />

781 e ss.; Trib. Milano 4 giugno 1990 in Giur. It. 1991 I., II 1175 che qualificano l’imparzialità<br />

un principio indisponibile di ordine pubblico.


Scritti di Diritto Civile 331<br />

dato che i primi configurano ipotesi negoziali, la cui logica e il loro<br />

risultato partecipano di quelli della transazione. Sotto questo profilo<br />

il riferimento della non compromettibilità della lite alla non<br />

transigibilità dei diritti appare inadeguata.<br />

La interpretazione dell’art. 1966 c.c. ha dato luogo a serie controversie<br />

da parte dei cultori del diritto.<br />

È noto che per taluni di essi il 1° comma si riferisce alla capacità di<br />

agire in senso tecnico, mentre il 2° comma riguarda tra l’altro piuttosto<br />

la legittimazione di chi transige (5) . Per altri il 1° comma contempla<br />

anche la legittimazione, mentre il 2° comma riguarderebbe più<br />

propriamente un requisito dell’oggetto della transazione (6) . Su questa<br />

linea è la giurisprudenza (Cass. Civ. 30 gennaio 1990 n. 635 in Giur.<br />

It. 1990, I, 1, 1102 tra le altre). Il 2° comma stabilisce la nullità della<br />

transazione se i diritti «per loro natura o per espressa disposizione di<br />

leggi sono sottratti alla disponibilità delle parti». A quest’ultima categoria<br />

appartengono le controversie che riguardano la materia di lavoro<br />

e di previdenza, le questioni di stato, la separazione personale tra<br />

coniugi e in genere i diritti non disponibili. In ogni caso la circostanza<br />

che varie ipotesi dei 2 commi dell’art. 1966 c.c. configurino casi di nullità,<br />

toglie rilevanza alla loro distinzione, ai nostri fini.<br />

Con una evidente petizione di principio l’art. 806 c.p.c. definisce<br />

non compromettibili le liti relative ai diritti non transigibili, e<br />

l’art. 1966 c.c. come non transigibili le liti concernenti i diritti, sottratti<br />

alla disponibilità delle parti. È abbastanza evidente che il requisito<br />

per cui colui che transige o compromette per arbitri una controversia<br />

deve avere la disponibilità del diritto, coincide con la sua<br />

legittimazione a poterne disporre in via esaustiva, per cui è compreso<br />

nel 2° comma.<br />

Può accadere che colui che transige o compromette per arbitri<br />

un suo diritto, non pregiudica l’eguale diritto alla impugnativa di<br />

altri azionisti e in questo caso assistiamo al fenomeno della diffusione<br />

dei diritti tra quanti sono i soci. In questa ipotesi costoro<br />

possono trarre profitto ma non essere pregiudicati da un giudica-<br />

(5) PUGLIATTI, Della transazione 1949, p. 466 ss.<br />

(6) CARRESI, Transazione, in Noviss. Dig. 1973, 130 e ss., SANTORO PASSAREL-<br />

LI, La transazione 1975-1997; in questo senso Cass. Civ. 16 febbraio 1957 n° 565 in Foro<br />

It. 1958 I, 1758; Cass. Civ. 5 luglio 1993 n° 7319 in Foro It. 1995, I, 650.


332 Scritti di Diritto Civile<br />

to formatosi tra estranei, in base al principio res iudicata tertiis<br />

juvant sed non nocet.<br />

3. – Condizione di validità e di operatività della clausola compromissoria<br />

per arbitri, come si è detto sopra e che essa abbia carattere<br />

binario e cioè che la lite abbia consistenza bipolare.<br />

Quando si ha una lite con pluralità di parti, come è il caso di una<br />

controversia societaria, la clausola compromissoria, opera se si determina<br />

a posteriori uno spontaneo raggruppamento degli interessi<br />

in due gruppi omogenei e contrapposti e così abbiamo due parti.<br />

Non basta che gli interessi siano in astratto raggruppabili in due<br />

poli omogenei, ma occorre che i soggetti che ne sono titolari decidano<br />

spontaneamente di raggrupparsi e designino un arbitro di comune<br />

fiducia. Un raggruppamento coatto non è ipotizzabile.<br />

Nel caso in cui diversi azionisti propongano impugnazioni di delibere<br />

assembleari, con arbitri diversi di loro fiducia, non si può avere<br />

la riunione.<br />

Non è neppure ipotizzabile un intervento autonomo di un singolo<br />

azionista in un procedimento pendente, promosso da altri, ove si<br />

pretenda nominare un arbitro diverso.<br />

Quando le parti sono più di due e non avviene uno spontaneo<br />

raggruppamento, il procedimento arbitrale non può svolgersi e si<br />

deve ricorrere al giudice ordinario.<br />

La clausola binaria, non opera neppure quando alle due parti<br />

contrapposte (sole o raggruppate) si aggiunge la società come polo<br />

autonomo di interessi (7) .<br />

Questo è il caso in cui sono impugnate ad esempio le delibere assembleari<br />

di scissione e incorporazione (8) , di aumenti di capitale (9) ,<br />

di revoca (10) , di approvazione di bilanci (11) e così via.<br />

(7) Cass. Civ. 15.4.1988 n. 2983; Cass. Civ. 13.4.1998 n. 2940; Cass. Civ. 18.2.1988<br />

n. 1739; App. Milano 4.6.1990 in Giur. It. 1991, I, 2, 175; op. cit. loc. cit.<br />

(8) Trib. Pescara 17 novembre 1992, in Società 1993, 528; RUBINO - SAMMARTA-<br />

NO, op. cit., 131 e ss.; Contra Trib. Milano 2 dicembre 1992, in Società 1992, p. 631.<br />

(9) Tra le molte Trib. Roma 25.7.1984, 492 con nota di A. RORDORF, Deferibilità ad arbitri<br />

di controversie relative a deliberazioni assembleari, in Società 1985; G. SIRINGARDI, op. cit.<br />

loc. cit.; Trib. Como 26.5.1989, Società 1989, 951; Trib. Napoli 6.3.1993, Società 1993, 982.<br />

(10) Trib. Lecce 3 luglio 1997 in Società 1988, p. 636.<br />

(11) SALAFIA, Competenza arbitrale controversie di bilancio, in Società 1989, p. 951;


Scritti di Diritto Civile 333<br />

Ciò non ricorre nelle ipotesi in cui la controversia abbia per oggetto<br />

la impugnazione di una delibera, adottata da una assemblea<br />

di cui si eccepiscano i vizi che riguardano la convocazione (12) , la<br />

costituzione, il funzionamento dell’assemblea (13) e la legittimità<br />

formale (14) .<br />

Ciò si verifica a fortiori quando i vizi determinano la inesistenza<br />

giuridica dell’assemblea e perciò della delibera (15) .<br />

Analogamente la clausola compromissoria non può operare nel<br />

caso in cui una impugnazione concerna una delibera che promuove<br />

una azione sociale di responsabilità contro alcuni amministratori,<br />

perché essa mette capo ad un procedimento multipolare (16) .<br />

Lo stesso è da dirsi se la controversia riguarda il recesso o la<br />

esclusione di un socio di una società di persone (17) che conduca lo<br />

scioglimento della società o lo liberi dalle sue illimitate responsabilità<br />

contratte in via addiattizia alla società.<br />

4. – L’orientamento del Tribunale di Milano di cui si è detto sopra,<br />

sembra essere stato fatto proprio di recente dal legislatore della legge<br />

delega 3.10.2001 n. 366 di riforma del diritto societario.<br />

Essa amplia a dismisura la compromettibilità per arbitri delle<br />

controversie societarie.<br />

La legge all’art. 12, 3° comma recita: «il governo può altresì<br />

prevedere la possibilità che gli statuti delle società commerciali<br />

contengono clausole compromissorie anche in deroga agli artt.<br />

806, 808 c.p.c., per tutte o alcune tra le controversie societarie di<br />

G.E. COLOMBO, Bilancio di esercizio e consolidato, Trattato Società, VII, Torino 1991,<br />

p. 57 e ss.; COTTINO, Le società, Padova 1999, p. 486 e 487, in giurisprudenza Cass.<br />

sez. uniti civ. 21 febbraio 2000 in Giur. It. 2000, 1, 2, 1210 ss.; Cass. Civ. 10 ottobre 1962<br />

n° 2910; Trib. Padova 18 dicembre 1986 Società 1986, 1092.<br />

(12) Trib. Pescara, 17 novembre 1992 Società 1993, 528, Trib. Ascoli Piceno 4 ottobre<br />

1993, ibidem.<br />

(13) App. Milano, 11 febbraio 1997, Società 1997, 1149; Trib. Pavia 7 dicembre<br />

1987, Società 1988, 280; Trib. Vicenza 7 ottobre 1982, Società 1983, 1888.<br />

(14) MARULLI, Impugnazione di delibere per vizi di forma e competenza degli arbitri,<br />

in Società 1993, 356, DE FERRA, op. cit., p. 189, JAEGER, op. cit., 124.<br />

(15) G. VALCAVI in Riv. Dir. Fall. 2001, p. 88 ss., 99 ss.<br />

(16) Cass. Civ. 18 febbraio 1988 n° 1739 in Società 1988, 476 ss.; Cass. Civ. 15 aprile<br />

1988 n° 2983 tra le altre.<br />

(17) Cass. Civ. 3 agosto 1988 n° 7814, Società 1988 - 1135; Trib. Trieste 12 dicembre<br />

1990 Società 1991, p. 818; Trib. Roma 26 marzo 1994 in Riv. Arbitrato 1995, p. 457.


334 Scritti di Diritto Civile<br />

cui al comma 1. Nel caso che la controversia concerna questioni<br />

che non possono formare oggetto di transazione, la clausola compromissoria<br />

dovrà riferirsi ad un arbitrato secondo diritto restando<br />

escluso il giudizio di equità e il lodo sarà impugnabile anche<br />

per violazione di legge.<br />

Una affrettata riforma, così radicale, della normativa esistente in<br />

questa materia, suscita gravi perplessità che essa risponda al pubblico<br />

interesse della economia del paese.<br />

Il ricorso alla giustizia alternativa nelle società di capitale o di<br />

persone, aumenta a dismisura i costi e le anticipazioni occorrenti<br />

per instaurare un procedimento e come tale privilegia quegli azionisti<br />

che hanno importanti interessi, mentre non offre agli altri (specie<br />

ai minori azionisti) garanzie di necessaria imparzialità e un lodo<br />

esecutivo, come ad esempio negli arbitrati irrituali.<br />

Gli arbitrati costituiscono ancora oggi un fenomeno elitario,<br />

che non è riuscito ad entrare nella prassi dei contratti economici<br />

tra produttori, malgrado le raccomandazioni degli organi delle camere<br />

di commercio.<br />

La classe dei professionisti, cui attingere arbitri è poco numerosa<br />

e ruota per lo più attorno alle stesse persone, che vengono chiamate<br />

ad alternarsi tra un arbitrato e l’altro.<br />

Le clausole compromissorie al presente si traducono nella previsione<br />

di forme di tutela sovente assai appiattite sui gruppi e amministratori<br />

di controllo della società, la cui influenza risulta esaltata.<br />

I tempi normalmente ristretti di un arbitrato offrono poco spazio<br />

per l’assunzione di prove e per pronunce approfondite, così che<br />

sotto l’urgenza del decidere e la preoccupazione che scadano i termini<br />

concessi dalle parti, la prassi induce a giudizi sommari e conferma<br />

che «presto e bene non conviene».<br />

Ciò spiega la scarsa preferenza dei nostri soci e azionisti verso<br />

questo tipo di giustizia e spiega la ragione per cui queste clausole<br />

finiscono per disincentivare le scelte degli investitori al capitale<br />

della società.<br />

La legge delega, prevede altresì clausole compromissorie per arbitrati<br />

rituali, secondo diritto, estendendole alle controversie che<br />

hanno per oggetto diritti che non possono formare oggetto di transazione,<br />

e ciò rappresenta un grosso limite alla generale impugnabilità<br />

delle deliberazioni societarie.


Scritti di Diritto Civile 335<br />

Queste previsioni normative unite alle recenti riforme del falso<br />

in bilancio, divenuto perseguibile a querela di parte, e comunque<br />

oggi, soggetto a prescrizione ridotta, non raccomandano certamente<br />

le nostre società agli investitori di capitali in un mercato finanziario<br />

globalizzato.<br />

Resta poi il problema pressocché insolubile, di ridurre allo schema<br />

«binario» una controversia con pluralità di parti, come è quella<br />

societaria.<br />

Le controversie in cui c’è di mezzo la società, come polo autonomo<br />

di interessi, presenti o potenziali, e plurimi soci e azionisti, non<br />

portatori di interessi omogenei e contrapposti o che fanno scelte di<br />

arbitri di loro fiducia diversi, sono «multipolari» e non possono essere<br />

ridotte allo schema bipolare.<br />

Così sono, tra le molte, come si è detto, le impugnative in materia<br />

di scissione, incorporazione, bilanci, revoca di amministratori e<br />

azioni di responsabilità nei loro confronti, promosse dalle assemblee<br />

societarie o da singoli soci, in surroga della società.<br />

La clausola compromissoria, in ipotesi di questo tipo non può<br />

funzionare.


Se una Banca cooperativa<br />

possa incorporarne una esistente<br />

in forma di Societa per azioni<br />

1. – Per banche cooperative si devono intendere sia le banche popolari,<br />

che sono assoggettate alla speciale disciplina degli artt. 29-<br />

32 del t.u. 1993 n. 385, sia quelle regolate dagli artt. 33-37 della<br />

stessa legge bancaria. Entrambe queste banche hanno in comune il<br />

voto capitario dei soci, la clausola di gradimento e il limite del loro<br />

possesso azionario.<br />

Le banche popolari, nel nostro paese ebbero per pioniere Luigi<br />

Luzzati ed hanno in genere dimensioni più importanti di quelle a<br />

credito cooperativo.<br />

All’estero esse sono diffuse in vari paesi, quali la Germania, la<br />

Francia e perfino il Canada e il Marocco.<br />

Esse sono riunite nella Confederation du Crédit Populaire, che<br />

ha la sua sede a Parigi.<br />

Le banche di credito cooperativo sono disciplinate dagli artt. 33-<br />

37 del t.u. indicato e si distinguono da quelle «popolari» perché oltre<br />

alle precedenti caratteristiche, esse devono destinare una ragguardevole<br />

quota di utili netti annuali a fondi mutualistici.<br />

Esse in genere sono di minori dimensioni rispetto alle prime e<br />

sono particolarmente diffuse nei paesi austro-tedeschi.<br />

La indicazione di «banca popolare» nella ragione sociale non è<br />

sempre sinonimo di banca popolare cooperativa, regolata dagli artt.<br />

29/32 del t.u. 1993, perché a volte ciò costituisce solo il marchio e<br />

distingue la sua origine storica, perché nel tempo si è trasformata<br />

da cooperativa in società per azioni.<br />

Da «Il Diritto Fallimentare e delle Società Commerciali», 2003, n. 1.


338 Scritti di Diritto Civile<br />

Codeste banche sono, a tutti gli effetti, assoggettate alla disciplina<br />

codicistica degli artt. 23-25, 24-57 cod. civ. e non hanno a che<br />

fare con le precedenti e le loro limitazioni.<br />

Il problema di cui ci occupiamo è se una banca popolare, vera e<br />

propria, possa incorporarne una che abbia invece forma e la struttura<br />

giuridica di società per azioni.<br />

Al tempo dell’anteriore normativa, il problema non era disciplinato<br />

dalla legge del tempo che non conteneva alcuna limitazione o<br />

divieto in tal senso.<br />

Nel senso contrario, al tempo della legge 127/1971 di una incorporazione<br />

di una Banca, costituita in forma di società per azioni in una<br />

Banca popolare cooperativa si erano pronunciati OPPO, Scritti giuridici,<br />

II, Padova, 1994; GALGANO, Le società, p. 474; MARASÀ, in<br />

Banca e borsa, 1997, I, 2503; SERRA, La trasformazione e la fusione<br />

delle società, in Trattato diretto dal Rescigno, Torino, 1985, XVII,<br />

p. 315; TANTINI, Trasformazione e fusione delle società, in Trattato<br />

diretto da Galgano; CAMPOBASSO, Diritto commerciale, 2, Diritto<br />

delle società, 1955, p. 543; DI SABATO, Manuale delle società, Torino,<br />

1995, p. 805. Invece nel senso che la incorporazione dovesse essere<br />

deliberata all’unanimità dai soci: COTTINO, Diritto commerciale,<br />

Padova, 1994, p. 866; CABRAS, Le trasformazioni, in Trattato delle<br />

società per azioni di Colombo e Portale, Torino, vol. VII, p. 147.<br />

La giurisprudenza di merito oscillava tra il diniego assoluto (Tribunale<br />

Napoli, 17 luglio 1989, in Rep. Foro it., 90, Società, 898) e<br />

la necessità del consenso di tutti i soci (Tribunale Verona, 11 giugno<br />

1985, in Foro it., 1986, n. 2316).<br />

In assenza di una disposizione di legge contraria anni fa si sono<br />

avuti alcuni esempi di incorporazione di Banche per azioni in Popolari<br />

cooperative. Tali sono stati quelli della soc. per az. Credito<br />

Varesino già appartenenti al gruppo Ambrosiano-Calvi nella Popolare<br />

di Bergamo o della soc. per az. Industria Gallaratese nella Banca<br />

Popolare di Lodi.<br />

2. – Questa ultima incorporazione che si è verificata l’8 giugno 1992<br />

sotto l’impero della legge 127/1971, fu giudicata ammissibile, malgrado<br />

l’orientamento contrario della dottrina e giurisprudenza della<br />

suprema Corte di cassazione nella sua sentenza 14 luglio 1997 n.<br />

6349, in Foro it., 1998, I, 558.


Scritti di Diritto Civile 339<br />

Tuttavia la sentenza nella sua motivazione al punto 3.2 pag. 561<br />

ha precisato che la massima si riferiva esclusivamente al caso di specie<br />

in quanto esso si era verificato sotto l’impero della vecchia legge<br />

127/71, che nulla disponeva e non si applicava perciò ai casi verificatesi<br />

successivamente all’entrata in vigore dell’art. 31, t.u. 385/93.<br />

La motivazione infatti della decisione indicata, di fronte al richiamo<br />

dei ricorrenti alla dottrina e alla giurisprudenza di merito<br />

formatasi sotto l’impero della precedente legge nonché all’art. 31<br />

del t.u. 385/93, che si voleva avesse il significato di una interpretazione<br />

autentica della precedente normativa, ha rifiutato l’applicabilità<br />

retroattiva dell’art. 31 della nuova legge bancaria.<br />

La decisione ha quindi ribadito la piena applicabilità in tutto il<br />

suo rigore dell’art. 331 cit. successivamente alla entrata in vigore<br />

della nuova legge.<br />

Essa infatti ha testualmente scritto: «la verifica della legittimità e<br />

quindi della validità della delibera di incorporazione deve essere effettuata<br />

con riferimento alle norme vigenti nel momento in cui è stata<br />

adottata (8 giugno 1992) e pertanto non possono, a tal fine assumere<br />

rilievo disposizione emanante in epoca successiva (come quelle<br />

del d.l. 14 dicembre 1992 n. 481 e del d.l. 1° settembre 1993 n. 305)».<br />

In definitiva la decisione della suprema Corte ribadiva che il proprio<br />

dictum era regolato dal criterio tempus regit actum e perciò la<br />

legge 385/93 si applicava solo a far tempo dalla sua entrata in vigore.<br />

Essa riaffermava che non è ipotizzabile una incorporazione di una<br />

banca esistente in società per azioni in una popolare cooperativa.<br />

A non diversa conclusione si deve pervenire nell’ottica della<br />

riforma del diritto societario.<br />

L’art. 9 delle norme di attuazione e transitorie, comma B N, dello<br />

schema di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri<br />

il 29-30 settembre 2002 sulla riforma del diritto societario recita<br />

all’art. 223 terdecies «alle banche popolari e i consorzi agrari<br />

continuano ad applicarsi le norme vigenti alla data di entrata in vigore<br />

della legge delega».<br />

Il problema avrebbe forse potuto porsi in modo diverso, se fosse<br />

stata adottata per le banche popolari una disciplina diversa che<br />

avesse accolto per esse lo statuto di società per azioni di diritto speciale,<br />

con una norma diversa da quella in essere.


Scritti di<br />

Diritto Processuale


Prefazione del prof. Enrico Allorio<br />

Conosco ed ho per amico l’avv. <strong>Giovanni</strong> <strong>Valcavi</strong> fin dal lontano<br />

1949: in quell’anno egli mi venne a trovare, all’indomani<br />

della sua laurea, in seguito alla segnalazione che me ne aveva<br />

fatta uno studioso della fama e del valore di Emilio Betti, che lo<br />

aveva avuto allievo e ne apprezzava la passione per i problemi di<br />

costruzione giuridica.<br />

Da allora in poi, <strong>Valcavi</strong> avviò, negli anni che seguirono, una intensa<br />

collaborazione alla Giurisprudenza Italiana ed alla Rivista<br />

di Diritto Processuale, attraverso una serie di saggi e note a decisioni,<br />

su controversi casi clinici, riguardanti il processo civile.<br />

Il libro che ho l’onore, oltre che il piacere, di presentare, raccoglie<br />

gli scritti pubblicati nell’arco di alcuni decenni: essi hanno in<br />

comune la caratteristica di esprimere le riflessioni maturate in un<br />

uomo coltissimo del Foro dalla viva partecipazione al processo.<br />

La raccolta risulta di una prima parte dedicata alle «Prospettive<br />

di riforma»: vi si prendono le mosse dalla giusta premessa che fa<br />

dipendere la crisi attuale del processo soprattutto da cause organizzative,<br />

l’intervento sulle quali riveste importanza preminente per<br />

una soluzione del problema.<br />

L’Autore ha riservato approfonditi studi negli anni compresi tra<br />

il 1978 ed il 1989 all’analisi quantitativa delle strutture giudiziarie<br />

esistenti, al loro carico di lavoro ed alla loro capacità di esaurire<br />

con decisioni le liti, il numero delle quali è in continuo crescendo.<br />

Questo tipo di indagine appare oggi notevolmente trascurato e<br />

si deve dar il merito all’Autore di aver affrontato un ordine di problemi<br />

tanto impegnativo. Il panorama che risulta da queste anali-<br />

Da «Problemi attuali e prospettive di riforma del processo civile», Cedam 1994, p. XI,<br />

XII, XIII.


344 Scritti di Diritto Processuale<br />

si addita il limite dei progetti coi quali ci si propone di risolvere la<br />

crisi attuale mediante la riforma del modello processuale, senza<br />

prevedere interventi di adeguamento delle strutture giudiziarie. A<br />

questo proposito non sembrano consentire facile ottimismo alcune<br />

recenti riforme, come quella riguardante la introduzione del Giudice<br />

di pace, come è stato osservato da più parti anche nel corso del<br />

XXII Congresso Nazionale Forense.<br />

Sono da ricordare ancora l’intervento critico in ordine all’introduzione<br />

del Giudice di pace; nonché le interrogazioni rivolte al Ministro<br />

della Giustizia dall’Autore (il <strong>Valcavi</strong> stesso, fu Senatore nella<br />

X legislatura), quale quella che si legge in «Problemi attuali»,<br />

1994 a p. 387 o altre, favorevoli ad istituire lo studio dell’ordinamento<br />

giudiziario e della statistica giudiziaria, come materie complementari<br />

all’insegnamento universitario.<br />

Alla parte dedicata alle «Prospettive di riforma» appartengono<br />

anche gli studi intorno ai vari progetti di modificazione del codice,<br />

che ebbero a precedere la legge del 26 novembre 1990, n. 353. Si ha<br />

qui il modo non solo di osservare le diverse proposte di legge, ma soprattutto<br />

di cogliere il contributo critico e propositivo che nasce da<br />

un’esperienza di vita forense intensamente attraversata. Vanno ricordate,<br />

sotto questo profilo, le osservazioni intorno al progetto Rognoni,<br />

a quello successivo Vassalli ed infine a quello Tarzia, riguardanti<br />

il processo di cognizione, nonché il saggio dedicato al progetto<br />

Liebman, per quello che concerne il processo di esecuzione.<br />

Questi lavori analizzano i diversi disegni di legge con riferimento<br />

ai problemi affrontati e la loro adeguatezza o meno a risolverli.<br />

Su un piano più generale vengono avanzate riserve a proposito<br />

della enfatizzazione dei principii della oralità, concentrazione ed<br />

immediatezza, la cui prassi richiede la disponibilità di strutture<br />

giudiziarie molto superiori rispetto a quelle proprie del processo<br />

scritto e non concentrato: si sottolinea la necessità di armonizzare<br />

i mezzi disponibili e il modello processuale adottato, con l’esigenza<br />

di un costante controllo del funzionamento del servizio pubblico<br />

della giustizia.<br />

La seconda parte del libro, dedicata ai «Problemi attuali», raccoglie<br />

i vari scritti, che videro la luce nel corso degli anni, su particolari<br />

controversie riguardanti sia il processo di cognizione, sia, soprattutto,<br />

quello di esecuzione.


Scritti di Diritto Processuale 345<br />

Tra i primi meritano di essere segnalati gli scritti intorno al processo<br />

cancellato dal ruolo; al confronto tra testimoni in sede di<br />

istruzione preventiva; alla forma del provvedimento di rigetto di un<br />

ricorso ex art. 700 cod. proc. civ. Tra i secondi, quello sulla sorte<br />

dei beni pignorati dopo la deserzione del secondo incanto e quello<br />

sull’intervento dei creditori nella esecuzione forzata.<br />

Dalle ampie citazioni formulate in calce al testo, si rileva l’eco<br />

che le opinioni espresse trovarono in sede dottrinale: tali tesi ebbero<br />

la ventura di essere accolte dalla Giurisprudenza della Suprema<br />

Corte, come il lettore potrà rilevare nelle prime pagine.<br />

Alla soluzione dei «Problemi attuali» vanno ricondotti anche<br />

gli svariati disegni di legge presentati dall’Autore stesso nel corso<br />

della X legislatura, al quale egli ebbe a prender parte in qualità<br />

di parlamentare.<br />

Meritano fra essi particolare menzione quello contenente proposte<br />

per una più completa disciplina della astensione e della ricusazione<br />

del giudice: come quella riguardante la modificazione degli<br />

artt. 189 e 352 cod. proc. civ. e, in particolar modo, quello relativo<br />

al concorso dei creditori nella esecuzione individuale.<br />

Fanno parte, lato sensu, degli scritti su temi di Diritto processuale<br />

civile, anche quelli dedicati al Diritto fallimentare.<br />

Tra i disegni di legge proposti, si distinguono quelli che hanno<br />

previsto la introduzione del concordato fallimentare e di quello preventivo<br />

su domanda dei creditori, in alternativa a quello su offerta<br />

del debitore.<br />

Milano, 28 gennaio 1994<br />

Enrico Allorio


Intorno ai dati statistici<br />

del Processo Civile<br />

nel triennio 1985-1987<br />

1. – Nel precedente studio pubblicato sulla Rivista di Diritto Processuale,<br />

1989, I, pp. 193-223 abbiamo offerto un quadro quanto<br />

più completo possibile relativo alla giustizia civile negli anni 1978-<br />

1982. Tale studio, come abbiamo riferito, non ha precedenti almeno<br />

editi in Italia. I criteri seguiti in quello studio sono stati indicati<br />

a pp. 195, 202, 204 ss., 213.<br />

L’autore, ritiene, tuttavia, che i dati relativi al carico di lavoro ed<br />

al rendimento pro-capite dei singoli uffici, erano, nel periodo considerato<br />

largamente influenzati dal processo inflazionistico in atto,<br />

che ha continuato ad abbassare, in linea di fatto, il valore delle controversie<br />

di competenza dei pretori, in misura crescente entro limiti<br />

bagatellari.<br />

La competenza per valore dei Tribunali, all’opposto, a mano a<br />

mano che l’inflazione progrediva finiva per ampliarsi ad un numero<br />

crescente di procedure.<br />

La legge 30 luglio 1984, n. 399, ha modificato le norme sulla<br />

competenza per valore dei pretori, così da comprendere in quella<br />

del Giudice Conciliatore le controversie mobiliari fino a lire<br />

1.000.000, ed in quelle del Pretore le cause di valore non superiore<br />

a lire 5.000.000, in luogo delle precedenti rispettive competenze<br />

fino a lire 50.000 e fino a lire 750.000. Ne è risultato che i procedimenti<br />

al di sotto dei nuovi limiti di valore sono rispettivamente di<br />

competenza dei Giudici Conciliatori e dei Pretori.<br />

Da «Rivista di diritto processuale», 1993, p. 491 ss. e da «Problemi attuali e prospettive<br />

di riforma del processo civile», Cedam 1994.


348 Scritti di Diritto Processuale<br />

La competenza dei Tribunali è risultata alleggerita di tutti quei<br />

procedimenti che, ora rientrano nei maggiori limiti della competenza<br />

pretorile.<br />

La modifica di cui alla legge 30 luglio 1984, n. 399, ha indotto<br />

l’autore a elaborare un nuovo quadro della giustizia civile, relativo<br />

al triennio 1985-1986-1987 con cenni comparativi rispetto ai dati<br />

per il periodo 1978-1982 precedentemente offerti.<br />

Occorre tuttavia qui osservare, in linea preliminare, che solo la<br />

quantità dei «processi sopravvenuti» nel periodo 1985-1987 è in linea<br />

con le nuove disposizioni di modifica della competenza per valore,<br />

perché l’art. 8 delle norme transitorie ha conservato in carico presso<br />

i singoli uffici giudiziari (Pretori, Tribunali) le cause già radicate<br />

presso gli stessi, sulla base della precedente competenza per valore.<br />

Ciò interessa ed in misura annualmente decrescente, i «processi<br />

esauriti» o «decisi» e quelli «pendenti».<br />

Questo studio parte dai dati numerici dei giudici civili (Pretori,<br />

Tribunali, Corti d’Appello, Corte di Cassazione) precedentemente<br />

pubblicati da p. 196 a p. 204 in Rivista di Diritto processuale,<br />

1989, I, sia relativi all’intero Paese, sia alle varie circoscrizioni<br />

giudiziarie e suddiviso per i vari uffici. In particolare rinviamo<br />

alle tavole a pp. 219, 220, 221.<br />

Infatti nel periodo 1985-1987 non è intervenuta alcuna modifica<br />

di organico rispetto a quello in essere nel periodo 1978-1982. Devesi<br />

per altro rilevare come a suo tempo avevamo riferito a p. 195 che<br />

il numero dei magistrati in servizio posto alla base del precedente elaborato,<br />

era quello relativo all’anno 1987 (per il lieve scostamento rispetto<br />

ai dati del periodo precedente) e perciò di particolare attualità<br />

per il periodo considerato 1985-1987. In definitiva i dati numerici<br />

delle strutture giudiziarie, precedentemente pubblicati, devono essere<br />

tenuti fermi per il periodo quivi in esame, e ad esso ci riferiamo.<br />

2. – Il presente studio segue l’ordine di quello precedente. Esso intraprende<br />

a trattare l’andamento della litigiosità nel triennio considerato<br />

1985-1987 rispetto al quinquennio precedente 1978-<br />

1982 e perciò calcola per ogni mille abitanti i processi sopravvenuti<br />

e quelli pendenti, per i diversi uffici giudiziari, relativamente<br />

all’intero Paese ed alle fasce geografiche più rilevanti dello stesso.<br />

I dati quantitativi dei «processi sopravvenuti» e di quelli «pen-


Scritti di Diritto Processuale 349<br />

denti» sono tratti dagli annuari di statistica giudiziaria editi dall’ISTAT,<br />

come i precedenti.<br />

Il quadro riassuntivo che ne risulta è quello qui di seguito<br />

pubblicato.<br />

LITIGIOSITÀ SUDDIVISA PER AREE<br />

E CONFRONTO ’78-’82 DEL TRIENNIO ’85-’87<br />

Aree geografiche<br />

Aree geografiche<br />

Aree geografiche<br />

Italia<br />

Italia<br />

Setten.<br />

Italia<br />

Setten. Centrale<br />

Italia Setten. Centrale Merid.<br />

Italia Centrale Merid. Insulare<br />

Italia Merid. Insulare<br />

Italia Insulare<br />

N. Processi<br />

sopravvenuti<br />

N. Processi<br />

sopravvenuti<br />

N. Processi<br />

sopravvenuti 770.270<br />

770.270 257.173<br />

770.270 257.173 232.727<br />

257.173 232.727 201.093<br />

232.727 201.093 79.277<br />

201.093 79.277<br />

79.277<br />

‰<br />

abit.<br />

‰<br />

abit. ‰<br />

13,61 abit.<br />

13,61 11,79<br />

13,61 11,79 14,61<br />

11,79 14,61 15,71<br />

14,61 15,71 11,73<br />

15,71 11,73<br />

11,73<br />

‰<br />

’78-’82<br />

‰<br />

’78-’82 ‰<br />

’78-’82 13,94<br />

13,94 11,48<br />

13,94 11,48 14,00<br />

11,48 14,00 17,03<br />

14,00 17,03 13,85<br />

17,03 13,85<br />

13,85<br />

N. Processi<br />

pendenti<br />

N. Processi<br />

N. pendenti Processi<br />

1.543.048 pendenti<br />

1.543.048 433.948<br />

1.543.048 433.948 465.337<br />

433.948 465.337 434.673<br />

465.337 434.673 209.090<br />

434.673 209.090<br />

209.090<br />

‰<br />

abit.<br />

‰<br />

abit. ‰<br />

27,28 abit.<br />

27,28 19,80<br />

27,28 19,80 29,20<br />

19,80 29,20 33,00<br />

29,20 33,00 30,94<br />

33,00 30,94<br />

30,94<br />

‰<br />

’78-’82<br />

‰<br />

’78-’82 ‰<br />

’78-’82 23,16<br />

23,16 17,15<br />

23,16 17,15 23,60<br />

17,15 23,60 30,55<br />

23,60 30,55 27,34<br />

30,55 27,34<br />

27,34<br />

Aree geografiche<br />

Aree geografiche<br />

Aree geografiche<br />

Italia<br />

Italia<br />

Setten.<br />

Italia<br />

Setten. Centrale<br />

Italia Setten. Centrale Merid.<br />

Italia Centrale Merid. Insulare<br />

Italia Merid. Insulare<br />

Italia Insulare<br />

N. Processi<br />

sopravvenuti<br />

N. Processi<br />

sopravvenuti<br />

N. Processi<br />

sopravvenuti 475.562<br />

475.562 142.668<br />

475.562 142.668 136.333<br />

142.668 136.333 144.000<br />

136.333 144.000 51.923<br />

144.000 51.923<br />

51.923<br />

PRETURE<br />

‰<br />

abit.<br />

‰<br />

abit. ‰<br />

abit. 8,30<br />

8,30 6,58<br />

8,30 6,58 8,56<br />

11,25 6,58 8,56<br />

11,25 8,56 7,68<br />

11,25 7,68<br />

7,68<br />

‰<br />

’78-’82<br />

‰<br />

’78-’82 ‰<br />

’78-’82 8,43<br />

8,43 6,21<br />

8,43 6,21 8,57<br />

11,75 6,21 8,57<br />

11,75 8,57 8,88<br />

11,75 8,88<br />

8,88<br />

N. Processi<br />

pendenti<br />

N. Processi<br />

N. pendenti Processi<br />

562.000 pendenti<br />

562.000 124.000<br />

562.000 124.000 165.000<br />

124.000 165.000 194.667<br />

165.000 194.667 78.333<br />

194.667 78.333<br />

78.333<br />

‰<br />

abit.<br />

‰<br />

abit. ‰<br />

abit. 9,82<br />

9,82 5,68<br />

10,36 9,82 5,68<br />

10,36 15,23 5,68<br />

10,36 15,23 11,59<br />

15,23 11,59<br />

11,59<br />

‰<br />

’78-’82<br />

‰<br />

’78-’82 ‰<br />

’78-’82 10,99<br />

10,99 6,39<br />

10,99 10,29 6,39<br />

10,29 17,92 6,39<br />

10,29 17,92 14,17<br />

17,92 14,17<br />

14,17<br />

Aree geografiche<br />

Aree geografiche<br />

Aree geografiche<br />

Italia<br />

Italia<br />

Setten.<br />

Italia<br />

Setten. Centrale<br />

Italia Setten. Centrale Merid.<br />

Italia Centrale Merid. Insulare<br />

Italia Merid. Insulare<br />

Italia Insulare<br />

N. Processi<br />

sopravvenuti<br />

N. Processi<br />

sopravvenuti<br />

N. Processi<br />

sopravvenuti 295.351<br />

295.351 114.505<br />

295.351 114.505 96.394<br />

114.505 96.394 57.093<br />

96.394 57.093 27.354<br />

57.093 27.354<br />

27.354<br />

TRIBUNALI ‰ ‰<br />

abit.<br />

‰<br />

abit. ‰<br />

abit. 5,15<br />

5,15 5,24<br />

5,15 5,24 6,05<br />

5,24 6,05 4,50<br />

6,05 4,50 4,04<br />

4,50 4,04<br />

4,04<br />

’78-’82<br />

‰<br />

’78-’82 ‰<br />

’78-’82 5,52<br />

5,52 5,28<br />

5,52 5,28 6,28<br />

5,28 6,28 5,24<br />

6,28 5,24 5,04<br />

5,24 5,04<br />

5,04<br />

N. Processi<br />

pendenti<br />

N. Processi<br />

N. pendenti Processi<br />

949.000 pendenti<br />

949.000 308.800<br />

949.000 308.800 99.580<br />

308.800 240.000 99.580<br />

240.000 101.000 99.580<br />

240.000 101.000<br />

101.000<br />

‰<br />

abit.<br />

‰<br />

abit. ‰<br />

16,56 abit.<br />

16,56 14,11<br />

16,56 14,11 18,81<br />

14,11 18,81 18,77<br />

18,81 18,77 17,62<br />

18,77 17,62<br />

17,62<br />

‰<br />

’78-’82<br />

‰<br />

’78-’82 ‰<br />

’78-’82 12,18<br />

12,18 10,74<br />

12,18 10,74 13,33<br />

10,74 13,33 12,56<br />

13,33 12,56 13,31<br />

12,56 13,31<br />

13,31


350 Scritti di Diritto Processuale<br />

Aree geografiche<br />

Aree geografiche<br />

CORTI D’APPELLO<br />

N. Processi<br />

N. sopravvenuti Processi<br />

sopravvenuti<br />

‰<br />

abit. ‰<br />

abit.<br />

‰<br />

’78-’82 ‰<br />

’78-’82<br />

N. Processi<br />

N. pendenti Processi<br />

pendenti<br />

‰<br />

abit. ‰<br />

abit.<br />

‰<br />

’78-’82 ‰<br />

’78-’82<br />

Italia<br />

Italia Setten.<br />

Italia Setten. Centrale<br />

Italia Centrale Merid.<br />

Italia Merid. Insulare<br />

Italia Insulare<br />

29.935<br />

29.935 10.725<br />

10.725 9.214<br />

9.214 6.563<br />

6.563 3.466<br />

3.466<br />

0,52<br />

0,52 0,49<br />

0,49 0,57<br />

0,57 0,51<br />

0,51<br />

0,51<br />

0,41<br />

0,41 0,37<br />

0,37 0,46<br />

0,46 0,39<br />

0,39 0,42<br />

0,42<br />

70.266<br />

70.266 22.300<br />

22.300 23.600<br />

23.600 14.560<br />

14.560 8.775<br />

8.775<br />

1,22<br />

1,22 1,29<br />

1,29 1,84<br />

1,84 1,30<br />

1,30 1,29<br />

1,29<br />

0,89<br />

0,89<br />

0,89 0,68<br />

0,68 1,20<br />

1,20 0,94<br />

0,94<br />

CASSAZIONE<br />

N. Processi ‰ ‰ N. Processi ‰ ‰<br />

Aree geografiche<br />

N. sopravvenuti Processi abit. ‰ ’78-’82 ‰ N. pendenti Processi abit. ‰ ’78-’82 ‰<br />

Aree geografiche<br />

sopravvenuti abit. ’78-’82 pendenti abit. ’78-’82<br />

Italia 9.930 0,17 0,15 30.505 0,53 0,44<br />

Italia 9.930 0,17 0,15 30.505 0,53 0,44<br />

Il primo quadro si riferisce alla litigiosità di 1° grado (Pretori e<br />

Tribunali) nel periodo 1985-1987 ed è comparata con i dati relativi<br />

alla media del quinquennio precedente.<br />

Dallo stesso risulta un lieve calo percentuale dei processi sopravvenuti<br />

e relativi ad entrambi gli uffici per il 1985-1987 rispetto<br />

al 1978-1982 ed all’opposto, un incremento di rilievo dei<br />

processi arretrati.<br />

Il quadro delle Preture evidenzia una particolare flessione dei<br />

processi «sopravvenuti» per l’Italia insulare e dei processi «pendenti»<br />

per tutte le fascie del Paese.<br />

Relativamente ai Tribunali si registra una flessione percentuale<br />

dei processi «sopravvenuti» ed un notevole incremento (sempre per<br />

mille abitanti) dei processi arretrati.<br />

Ancora, per i procedimenti davanti alla Corte d’Appello, abbiamo<br />

un notevole incremento della litigiosità (per mille abitanti) sia<br />

relativamente ai processi sopravvenuti, sia per i processi pendenti.<br />

Quanto alla Corte di Cassazione, il quadro apposito, manifesta un<br />

incremento sia dei processi sopravvenuti, sia di quelli pendenti, rispetto<br />

al quinquennio precedente.


Scritti di Diritto Processuale 351<br />

3. – Passiamo ora ad un esame comparativo del carico medio dei<br />

processi «sopravvenuti» nel triennio 1985-1987 per ciascun Giudice<br />

dei vari uffici giudiziari (preture, tribunali, Corti d’Appello e<br />

Corte Suprema di Cassazione), rispetto al quinquennio precedente.<br />

I dati sono oltremodo significativi perché mettono in evidenza<br />

il carico medio per giudice e la variazione percentuale comparata<br />

dei due periodi.<br />

In particolare ciò mette in evidenza come si possano nutrire poche<br />

speranze dalla introduzione in futuro del giudice monocratico,<br />

atteso che il carico medio è già calcolato sulla base di un calcolo capitario<br />

per singolo giudice, e non è esauribile nell’anno. Gli elementi<br />

che ne risultano sono i seguenti:<br />

PROCESSI SOPRAVVENUTI<br />

PRETURE<br />

Aree geografiche<br />

Aree geografiche<br />

Italia<br />

Italia Setten.<br />

Italia Centrale Setten.<br />

Italia Merid. Centrale<br />

Italia Insulare Merid.<br />

Italia Insulare<br />

Giudici<br />

Giudici<br />

843<br />

268 843<br />

253 268<br />

225 253<br />

225 97<br />

97<br />

Sopravven.<br />

1985-1987 Sopravven.<br />

1985-1987<br />

475.562<br />

142.668 475.562<br />

136.333 142.668<br />

144.000 136.333<br />

144.000 51.923<br />

51.923<br />

Carico<br />

medio Carico<br />

medio<br />

564<br />

530 564<br />

536 530<br />

645 536<br />

535 645<br />

535<br />

Sopravven.<br />

1978-1982 Sopravven.<br />

1978-1982<br />

481.915<br />

134.099 481.915<br />

137.924 134.099<br />

150.417 137.924<br />

150.417 59.475<br />

59.475<br />

Carico<br />

medio Carico<br />

medio<br />

574<br />

500 574<br />

542 500<br />

678 542<br />

613 678<br />

613<br />

%<br />

variaz %<br />

variaz<br />

–1,74<br />

+6,90 –1,74<br />

–1,10 +6,90<br />

–4,80 –1,10<br />

–13 –4,80<br />

–13<br />

Aree geografiche<br />

Aree geografiche<br />

Italia<br />

Italia Setten.<br />

Italia Centrale Setten.<br />

Italia Merid. Centrale<br />

Italia Insulare Merid.<br />

Italia Insulare<br />

Giudici<br />

Giudici<br />

1.249<br />

1.249 419<br />

358 419<br />

336 358<br />

136 336<br />

136<br />

TRIBUNALI<br />

Sopravven.<br />

1985-1987 Sopravven.<br />

1985-1987<br />

295.351<br />

114.505 295.351<br />

114.505 96.394<br />

57.093 96.394<br />

27.354 57.093<br />

27.354<br />

Carico<br />

medio Carico<br />

medio<br />

236<br />

273 236<br />

269 273<br />

169 269<br />

201 169<br />

201<br />

Sopravven.<br />

1978-1982 Sopravven.<br />

1978-1982<br />

316.010<br />

113.950 316.010<br />

101.186 113.950<br />

101.186 67.087<br />

33.787 67.087<br />

33.787<br />

Carico<br />

medio Carico<br />

medio<br />

253<br />

272 253<br />

283 272<br />

200 283<br />

248 200<br />

248<br />

%<br />

variaz %<br />

variaz<br />

–6,72<br />

–6,72 =<br />

–5 =<br />

–15,5 –5<br />

–18,95 –15,5<br />

–18,95


352 Scritti di Diritto Processuale<br />

CORTI D’APPELLO<br />

Aree geografiche<br />

Giudici<br />

Sopravven.<br />

1985-1987<br />

Carico<br />

medio<br />

Sopravven.<br />

1978-1982<br />

Carico<br />

medio<br />

%<br />

variaz<br />

Italia<br />

Italia Setten.<br />

Italia Centrale<br />

Italia Merid.<br />

Aree geografiche<br />

Italia Insulare<br />

397<br />

133<br />

115<br />

97<br />

Giudici<br />

52<br />

29.935<br />

10.725<br />

9.214<br />

Sopravven. 6.563<br />

1985-1987 3.466<br />

75<br />

80<br />

80<br />

Carico 68<br />

medio 67<br />

23.181<br />

8.041<br />

7.366<br />

Sopravven. 4.945<br />

1978-1982 2.829<br />

58<br />

60<br />

64<br />

Carico 51<br />

medio 53<br />

+29<br />

+33<br />

+25<br />

+33 %<br />

variaz +26<br />

Italia Dai dati predetti 397 si rileva 29.935 una flessione 75 accentuata 23.181 del carico 58 medio +29<br />

Italia Setten. 133 10.725 80 8.041 60 +33<br />

pro-capite dei processi sopravvenuti Sopravven. per Carico l’Italia Sopravven. insulare nelle Caricopreture % e<br />

Aree Italia geografiche Centrale Giudici 115 9.214 80 7.366 64 +25<br />

nell’Italia meridionale ed insulare 1985-1987 per medio i Tribunali. 1978-1982 Ciò può medio essere variaz<br />

Merid.<br />

spiegato<br />

Giudici Italia solo Insulare con 1985-1987 il basso 52 contenuto medio 3.466 economico 1978-1982 67 che occupava 2.829 medio codesti 53 % +26 uffici<br />

Sopravven. 97 Carico 6.563 Sopravven. 68 4.945 Carico 51 Variazione +33<br />

nell’Italia meridionale 397ed insulare. 29.935 Sempre 75 dai dati 23.181 sopraindicati 58 si +29 evidenzia,<br />

132 all’opposto, 9.930 un notevole 75 incremento 8.545 dei processi 65 sopravvenuti<br />

+15,30<br />

Italia Setten. 133 10.725 80 8.041 60 +33<br />

Italia Centrale 115 9.214 80 7.366 64 +25<br />

presso le Corti d’Appello. Quanto alla Suprema corte di Cassazione.<br />

Italia Merid.<br />

Italia Insulare<br />

Giudici<br />

Sopravven.<br />

1985-1987<br />

97<br />

52<br />

6.563<br />

3.466<br />

Carico<br />

medio<br />

67<br />

Sopravven.<br />

1978-1982<br />

2.829<br />

Carico<br />

medio<br />

53 +26<br />

Variazione<br />

%<br />

132 9.930 75 Pendenti 8.545 Carico Pendenti 65 Carico +15,30%<br />

Aree geografiche Giudici<br />

1985-1987 medio 1978-1982 medio variaz<br />

Sopravven. Carico Sopravven. Carico Variazione<br />

Giudici<br />

Si offre, 1985-1987 a questo punto, medio il quadro 1978-1982 comparativo mediodel carico % medio<br />

Italia<br />

843 563.000 668 481.915 574 +16<br />

dei «processi pendenti» nel triennio 1985-1987, per ciascun giudice<br />

132 dei vari uffici 9.930<br />

Italia Setten. 268 124.000 461 134.099 500 –7,8<br />

Italia Centrale giudiziari 75 (preture, 8.545 tribunali, 65<br />

253<br />

Corti d’Appello +15,30<br />

165.000 649 137.924 542 +19 e<br />

Corte Italia Suprema Merid. di 225 Cassazione) 194.667 Pendenti rispetto Carico 872al quinquennio 150.417 Pendenti Carico 678 precedente. +28 %<br />

Aree geografiche Giudici<br />

Tale Italia quadro Insulare è il seguente. 97 1985-1987 78.333 medio 807 1978-1982 59.475 medio 613 variaz +31<br />

68<br />

4.945<br />

51<br />

+33<br />

Italia<br />

Italia Setten.<br />

Aree Italia geografiche Centrale<br />

Italia Merid.<br />

Italia Insulare<br />

Italia<br />

Italia Setten.<br />

Italia Centrale<br />

Italia Merid.<br />

Italia Insulare<br />

843<br />

268<br />

Giudici 253<br />

225<br />

97<br />

843<br />

268<br />

253<br />

225<br />

97<br />

563.000 PRETURE 668<br />

124.000 461<br />

Pendenti<br />

165.000 649<br />

194.667 872<br />

78.333 807<br />

1985-1987<br />

563.000<br />

124.000<br />

165.000<br />

194.667<br />

78.333<br />

Carico<br />

medio<br />

668<br />

461<br />

649<br />

872<br />

807<br />

481.915<br />

134.099<br />

Pendenti<br />

137.924<br />

1978-1982<br />

150.417<br />

59.475<br />

481.915<br />

134.099<br />

137.924<br />

150.417<br />

59.475<br />

574<br />

500<br />

Carico<br />

542<br />

medio<br />

678<br />

613<br />

574<br />

500<br />

542<br />

678<br />

613<br />

+16<br />

–7,8<br />

%<br />

+19<br />

variaz<br />

+28<br />

+31<br />

+16<br />

–7,8<br />

+19<br />

+28<br />

+31


Scritti di Diritto Processuale 353<br />

TRIBUNALI<br />

Aree geografiche<br />

Aree geografiche<br />

Italia Aree geografiche<br />

Italia<br />

Italia<br />

Setten.<br />

Italia<br />

Italia<br />

Centrale<br />

Setten.<br />

Italia<br />

Italia<br />

Merid.<br />

Centrale<br />

Italia<br />

Italia<br />

Insulare Setten.<br />

Merid.<br />

Italia Centrale<br />

Italia Insulare<br />

Italia Merid.<br />

Italia Insulare<br />

Aree geografiche<br />

Aree geografiche<br />

Italia Aree geografiche<br />

Italia<br />

Italia<br />

Setten.<br />

Italia<br />

Italia<br />

Centrale<br />

Setten.<br />

Italia<br />

Italia<br />

Merid.<br />

Centrale<br />

Italia<br />

Italia<br />

Insulare Setten.<br />

Merid.<br />

Italia Centrale<br />

Italia Insulare<br />

Italia Merid.<br />

Italia Insulare<br />

Pendenti Carico Pendenti Carico<br />

Giudici<br />

1985-1987 medio 1978-1982 medio<br />

Pendenti Carico Pendenti Carico<br />

Giudici<br />

1985-1987 medio 1978-1982 medio<br />

Pendenti Carico Pendenti Carico<br />

1.249 Giudici 949.000 760 696.568 557<br />

1985-1987 medio 1978-1982 medio<br />

1.249<br />

419 308.800<br />

949.000<br />

736<br />

760<br />

231.983<br />

696.568<br />

554<br />

557<br />

358<br />

419<br />

399.580<br />

308.800<br />

836<br />

736<br />

214.656<br />

231.983<br />

599<br />

554<br />

1.249 336<br />

358<br />

240.000 949.000<br />

399.580<br />

714 760<br />

836<br />

160.768 696.568<br />

214.656<br />

479 557<br />

599<br />

136 419<br />

336<br />

101.000 308.800<br />

240.000<br />

742 736 231.983<br />

714 160.768<br />

89.161 656 554<br />

479<br />

358 399.580 836 214.656 599<br />

136 101.000 742 89.161 656<br />

336 240.000 714 160.768 479<br />

136 101.000 742 89.161 656<br />

CORTI Pendenti D’APPELLO Carico Pendenti Carico<br />

Giudici<br />

1985-1987 medio 1978-1982 medio<br />

Pendenti Carico Pendenti Carico<br />

Giudici<br />

1985-1987 medio 1978-1982 medio<br />

Pendenti Carico Pendenti Carico<br />

Giudici 397 70.266 177 50.811 127<br />

1985-1987 medio 1978-1982 medio<br />

133<br />

397<br />

22.300<br />

70.266<br />

167<br />

177<br />

14.679<br />

50.811<br />

110<br />

127<br />

115<br />

133<br />

23.600<br />

22.300<br />

205<br />

167<br />

19.299<br />

14.679<br />

166<br />

110<br />

397<br />

115<br />

14.560 70.266<br />

23.600<br />

150 177<br />

205<br />

10.505 50.811<br />

19.299<br />

108 127<br />

166<br />

133 52 22.300<br />

97 14.560<br />

8.775 168 167 14.679<br />

150 10.505<br />

6.328 119 110<br />

108<br />

115 23.600 205 19.299 166<br />

52 8.775 168 6.328 119<br />

97 14.560 150 10.505 108<br />

52 8.775 168 6.328 119<br />

%<br />

variaz<br />

%<br />

variaz<br />

%<br />

+36<br />

variaz<br />

+33<br />

+36<br />

+39<br />

+33<br />

+49 +36<br />

+39<br />

+13 +33<br />

+49<br />

+39<br />

+13<br />

+49<br />

+13<br />

%<br />

variaz<br />

%<br />

variaz<br />

%<br />

+39<br />

variaz<br />

+51<br />

+39<br />

+23<br />

+51<br />

+38 +39<br />

+23<br />

+41 +51<br />

+38<br />

+23<br />

+41<br />

+38<br />

+41<br />

Pendenti Carico Pendenti Carico Variazione<br />

Giudici<br />

1985-1987 CORTE medio DI CASSAZIONE<br />

1978-1982 medio %<br />

Pendenti Carico Pendenti Carico Variazione<br />

Giudici<br />

1985-1987 medio 1978-1982 medio %<br />

132 30.505 Pendenti 231 Carico 25.211 Pendenti 191 Carico Variazione<br />

Giudici<br />

+21<br />

1985-1987 medio 1978-1982 medio %<br />

132 30.505 231 25.211 191 +21<br />

132 30.505 231 25.211 191 +21<br />

Dai quadri sopra riferiti risulta che, a fronte di una flessione dei<br />

processi sopravvenuti nel triennio 1985-1987 rispetto al quinquennio<br />

precedente, si ha un notevole incremento dei processi pendenti<br />

per le preture ed i tribunali.<br />

L’incremento dell’arretrato nelle Corti superiori è di notevole entità<br />

rispetto al quinquennio precedente e quale risulta dalla colonna<br />

dedicata alla percentuale di variazione.


354 Scritti di Diritto Processuale<br />

4. – Occorre ora procedere all’esame comparativo dei processi<br />

esauriti pro-capite nei vari uffici giudiziari (preture, tribunali,<br />

Corti d’Appello).<br />

Dalla colonna dedicata alla variazione si rileva una notevole caduta<br />

delle percentuali dei processi esauriti in pretura e un incremento<br />

di quelli esauriti nei tribunali con un andamento fortemente<br />

contrastato nelle Corti d’Appello, nel triennio 1985-1987 rispetto<br />

al quinquennio 1978-1982.<br />

Ciò risulta dai quadri seguenti:<br />

PROCESSI ESAURITI PRO-CAPITE<br />

PRETURE<br />

Aree geografiche<br />

Aree geografiche<br />

Giudici<br />

Giudici<br />

Esauriti<br />

1985-1987 Pro-Capite Pro-Capite<br />

Esauriti<br />

1978-1982<br />

1985-1987 Pro-Capite Pro-Capite<br />

1978-1982<br />

Variazione<br />

Variazione %<br />

%<br />

Italia<br />

Italia<br />

Setten.<br />

Italia Setten. Centrale<br />

Italia Centrale Merid.<br />

Italia Merid. Insulare<br />

Italia Insulare<br />

843<br />

843 268<br />

268 253<br />

253 225<br />

225 97<br />

97<br />

336.263<br />

336.263 116.144<br />

116.144 94.243<br />

117.514 94.243<br />

117.514 38.301<br />

38.301<br />

434<br />

434 431<br />

431 371<br />

371 526<br />

526 395<br />

395<br />

607<br />

607 470<br />

470 645<br />

645 704<br />

704 658<br />

658<br />

–28,50<br />

–28,50 –8,20<br />

–8,20 –42,40<br />

–42,40 –25,20<br />

–25,20 –39,96<br />

–39,96<br />

Aree geografiche<br />

Aree geografiche<br />

Giudici<br />

Giudici<br />

TRIBUNALI<br />

Esauriti<br />

1985-1987 Pro-Capite Pro-Capite<br />

Esauriti<br />

1978-1982<br />

1985-1987 Pro-Capite Pro-Capite<br />

1978-1982<br />

Variazione<br />

Variazione %<br />

%<br />

Italia<br />

Italia<br />

Setten.<br />

Italia Setten. Centrale<br />

Italia Centrale Merid.<br />

Italia Merid. Insulare<br />

Italia Insulare<br />

1.249<br />

1.249 419<br />

419 358<br />

358 336<br />

336 136<br />

136<br />

287.191<br />

287.191 110.518<br />

110.518 96.502<br />

96.502 55.883<br />

55.883 24.260<br />

24.260<br />

229<br />

229 263<br />

263 269<br />

269 166<br />

166 178<br />

178<br />

200<br />

200 222<br />

222 225<br />

225 148<br />

148 193<br />

193<br />

+14,50<br />

+14,50 +18,50<br />

+18,50 +19,80<br />

+19,80 +12,16<br />

+12,16 –7,70<br />

–7,70


Scritti di Diritto Processuale 355<br />

CORTI D’APPELLO<br />

Aree geografiche<br />

Giudici<br />

Esauriti<br />

1985-1987 Pro-Capite Pro-Capite<br />

1978-1982<br />

Variazione<br />

%<br />

Italia<br />

Italia Setten.<br />

Italia Centrale<br />

Italia Merid.<br />

Italia Insulare<br />

397<br />

133<br />

115<br />

97<br />

52<br />

23.206<br />

8.355<br />

7.300<br />

4.738<br />

2.812<br />

58<br />

62<br />

63<br />

49<br />

54<br />

56<br />

53<br />

63<br />

52<br />

56<br />

+3,57<br />

+16,98<br />

=<br />

–3<br />

–3,57<br />

A questo punto abbiamo ritenuto di ragguardevole utilità calcolare<br />

la percentuale media dei processi esauriti su quelli sopravvenuti<br />

nel triennio 1985-1987<br />

% Esauriti surispetto %<br />

al<br />

Esauriti<br />

quinquennio<br />

su<br />

Variazione 1978-1982.<br />

Aree geografiche sopravvenuti sopravvenuti<br />

Il dato dei processi esauriti è «spurio», in quanto esso %<br />

1985-1987 1978-1982<br />

comprende<br />

sia i processi esauriti «senza decisione» sia quelli esauriti<br />

«con Italia decisione» e non è 77 perciò indicativo 106del rendimento –27,35 dell’attività<br />

Italia giudiziaria Setten. che all’opposto 81 risulterà 94dai quadri relativi –13 alle<br />

Italia Centrale 79 Esauriti<br />

percentuali<br />

Aree geografiche<br />

dei processi<br />

Giudici<br />

118<br />

–33,05<br />

esauriti con o senza decisione e dai quadri<br />

Italia comparativi Insulare dei numeri 83 delle decisioni 107per singolo giudice. –28,91 Of-<br />

Italia Merid.<br />

82<br />

1985-1987 Pro-Capite Pro-Capite Variazione<br />

105<br />

1978-1982<br />

–21,90<br />

%<br />

friamo Italia qui di seguito 397il quadro 23.206 relativo 58alle percentuali 56 dei +3,57 «processi<br />

Italia esauriti» Setten. rispetto 133 a quelli 8.355 «sopravvenuti» 62 nei 53 due periodi +16,98 e la<br />

variazione Italia Centrale comparativa. 115 7.300 63 63 =<br />

Italia Merid. 97 4.738 49 52 –3<br />

Italia Insulare 52 2.812 54 56 –3,57<br />

PRETURE<br />

Aree geografiche<br />

% Esauriti su<br />

sopravvenuti<br />

1985-1987<br />

% Esauriti su<br />

sopravvenuti<br />

1978-1982<br />

Variazione<br />

%<br />

Italia<br />

Italia Setten.<br />

Italia Centrale<br />

Italia Merid.<br />

Italia Insulare<br />

77<br />

81<br />

79<br />

82<br />

83<br />

106<br />

94<br />

118<br />

105<br />

107<br />

–27,35<br />

–13<br />

–33,05<br />

–21,90<br />

–28,91


356 Scritti di Diritto Processuale<br />

TRIBUNALI<br />

Aree geografiche<br />

Aree geografiche<br />

Italia<br />

Italia<br />

Setten.<br />

Italia Setten. Centrale<br />

Italia Centrale Merid.<br />

Italia Merid. Insulare<br />

Italia Aree Insulare geografiche<br />

% Esauriti su<br />

% sopravvenuti Esauriti su<br />

sopravvenuti 1985-1987<br />

1985-1987<br />

97<br />

97 96<br />

100 96<br />

100 98<br />

% Esauriti 98 89 su<br />

sopravvenuti 89<br />

1985-1987<br />

% Esauriti su<br />

% sopravvenuti Esauriti su<br />

sopravvenuti 1978-1982<br />

1978-1982<br />

79<br />

79 81<br />

81 79<br />

79 74<br />

% Esauriti 74 78 su<br />

sopravvenuti 78<br />

1978-1982<br />

Variazione<br />

Variazione<br />

+22,78<br />

+22,78 +18,51<br />

+18,51 +26,50<br />

+26,50 +32,40<br />

+32,40 +14,10<br />

+14,10 Variazione<br />

Italia<br />

Italia Setten.<br />

Aree Italia geografiche Centrale<br />

Aree Italia geografiche Merid.<br />

Italia Insulare<br />

Italia<br />

Italia<br />

Setten.<br />

Italia Setten. Centrale<br />

Italia Centrale Merid.<br />

Italia Merid. Insulare<br />

Italia Aree Insulare geografiche<br />

97<br />

79<br />

CORTI D’APPELLO<br />

96<br />

81<br />

100<br />

79<br />

98<br />

74<br />

89<br />

78<br />

78<br />

97<br />

78<br />

97 87<br />

78 79<br />

101 87<br />

79 48<br />

101 102<br />

48 82<br />

102<br />

82<br />

102<br />

% Esauriti su<br />

% sopravvenuti Esauriti su<br />

sopravvenuti 1985-1987<br />

1985-1987<br />

% Esauriti su<br />

sopravvenuti<br />

1985-1987<br />

% Esauriti su<br />

% sopravvenuti Esauriti su<br />

sopravvenuti 1978-1982<br />

1978-1982<br />

% Esauriti su<br />

sopravvenuti<br />

1978-1982<br />

+22,78<br />

+18,51<br />

Variazione +26,50<br />

Variazione +32,40<br />

+14,10<br />

–19,50<br />

–19,50 –10,30<br />

–10,30 –21,70<br />

–21,70 –52,90<br />

–52,90 –19,61<br />

–19,61 Variazione<br />

Italia<br />

78<br />

97<br />

–19,50<br />

5. – Italia Passiamo Setten. ora ad esaminare 78 per il triennio 87 1985-1987 –10,30 il quadroItalia<br />

dei processi Centrale esauriti 79 «con decisione» Esauriti 101 e %«senza Esauriti decisione», %–21,70<br />

Esauritie le<br />

Aree geografiche Giudici<br />

percentuali<br />

Italia Merid.<br />

relative.<br />

48 1985-1987 102 con decisione senza –52,90<br />

Esauriti % Esauriti % Esauriti decisione<br />

Aree Italia geografiche Insulare Giudici 82<br />

Il quadro medio considerato 1985-1987 per il triennio con 102decisione<br />

in esame, senza –19,61<br />

è il seguente:<br />

decisione<br />

Italia<br />

843 366.263 50<br />

50<br />

Italia<br />

Setten. 843 268 366.263 116.144<br />

40,50 50 59,50<br />

Italia Setten. Centrale 268 253 94.243 49,60 50,40<br />

PRETURE 116.144 40,50 59,50<br />

Italia Centrale Merid. 253 225 117.514 94.243 49,60 58<br />

50,40 42<br />

Italia Merid. Insulare 225 97 117.514 38.301<br />

Esauriti % 58 54<br />

Esauriti % 42 46<br />

Esauriti<br />

Italia Aree Insulare geografiche Giudici 97 38.301 54<br />

46<br />

1985-1987<br />

con decisione<br />

senza decisione<br />

Italia<br />

Italia Setten.<br />

Italia Centrale<br />

Italia Merid.<br />

Italia Insulare<br />

843<br />

268<br />

253<br />

225<br />

97<br />

366.263<br />

116.144<br />

94.243<br />

117.514<br />

38.301<br />

50<br />

40,50<br />

49,60<br />

58<br />

54<br />

50<br />

59,50<br />

50,40<br />

42<br />

46


Scritti di Diritto Processuale 357<br />

TRIBUNALI<br />

Aree<br />

Aree<br />

geografiche<br />

geografiche<br />

Giudici<br />

Giudici<br />

Esauriti<br />

Esauriti<br />

1985-1987<br />

1985-1987<br />

%<br />

Esauriti<br />

Esauriti<br />

con<br />

con<br />

decisione<br />

decisione<br />

%<br />

Esauriti<br />

Esauriti<br />

senza<br />

senza<br />

decisione<br />

decisione<br />

Italia Italia<br />

Italia Italia Setten.<br />

Italia Italia Centrale<br />

Italia Italia Merid.<br />

Italia Italia Insulare<br />

Aree geografiche<br />

1.249<br />

419 419<br />

358 358<br />

336 336<br />

136 136<br />

Giudici<br />

287.191<br />

110.518<br />

96.502<br />

55.883<br />

24.260 Esauriti<br />

1985-1987<br />

34,93<br />

32,70<br />

34 34<br />

38 38<br />

38 38 % Esauriti<br />

con decisione<br />

65,07<br />

67,30<br />

66 66<br />

62 62<br />

62 62 % Esauriti<br />

senza decisione<br />

Italia<br />

Italia Setten.<br />

Italia Centrale<br />

Aree<br />

Aree<br />

geografiche<br />

geografiche Italia Merid.<br />

Italia Insulare<br />

1.249 287.191<br />

CORTI 419 D’APPELLO 110.518<br />

358 96.502<br />

Esauriti<br />

Esauriti<br />

336 55.883<br />

1985-1987<br />

1985-1987<br />

136 24.260<br />

Giudici<br />

Giudici<br />

34,93<br />

32,70<br />

34<br />

%<br />

Esauriti<br />

Esauriti<br />

38<br />

con<br />

con<br />

decisione<br />

decisione<br />

38<br />

65,07<br />

67,30<br />

66<br />

%<br />

Esauriti<br />

Esauriti<br />

62<br />

senza<br />

senza<br />

decisione<br />

decisione<br />

62<br />

Italia Italia<br />

Italia Italia Setten.<br />

Italia Italia Centrale<br />

Italia Italia Merid.<br />

Italia Italia Insulare<br />

Aree geografiche<br />

397 397<br />

133 133<br />

115 115<br />

97 97<br />

52 52<br />

Giudici<br />

23.206<br />

8.355<br />

7.300<br />

4.738<br />

2.812 Esauriti<br />

1985-1987<br />

80,60<br />

78,80<br />

81,70<br />

80,90<br />

82,60 % Esauriti<br />

con decisione<br />

19,40<br />

21,20<br />

18,30<br />

19,10<br />

17,40 % Esauriti<br />

senza decisione<br />

Il quadro Italia comparativo 397per il triennio 23.206 1985-1987 80,60 rispetto 19,40 al<br />

Italia Setten.<br />

quinquennio Triennio 1978-1982<br />

Triennio<br />

1985-1987<br />

1985-1987 133<br />

della quantità Quinquennio<br />

Quinquennio 8.355<br />

media 1978-1982<br />

1978-1982 78,80<br />

di decisioni Variaz.<br />

Variaz. 21,20<br />

nei vari<br />

Italia Centrale 115 7.300 81,70 ’85-’87<br />

’85-’87 18,30<br />

uffici giudiziari Italia Merid. (preture, tribunali, Corti d’Appello)<br />

su<br />

su pro-capite<br />

triennio<br />

triennio è<br />

n.<br />

n.<br />

decisioni<br />

decisioni<br />

n.<br />

n.<br />

decisioni<br />

decisioni 97 n.<br />

n.<br />

decisioni<br />

decisioni 4.738 n.<br />

n.<br />

decisioni<br />

decisioni 80,90 19,10<br />

quello che risulta medie annue dalla pro-capite tavola sottoriportata:<br />

medie annue pro-capite ’78-’82<br />

’78-’82<br />

Italia Insulare 52 2.812 82,60 17,40<br />

Aree<br />

Aree<br />

geografiche<br />

geografiche<br />

medie annue<br />

pro-capite<br />

medie annue<br />

pro-capite<br />

Italia Italia<br />

183.040 217 217<br />

PRETURE<br />

245.006 291 291<br />

–25%<br />

Italia Italia Setten.<br />

47.040 174 174<br />

61.330 229 229<br />

–24%<br />

Italia Italia Centrale<br />

46.797 184 184<br />

69.334 274 274<br />

–32%<br />

Triennio 1985-1987 Quinquennio 1978-1982 Variaz.<br />

Italia Italia Merid.<br />

68.547 307 307<br />

79.362 357 357<br />

–14%’85-’87<br />

Aree geografiche<br />

Italia Italia Insulare<br />

20.782 n. decisioni 214 214 n. decisioni<br />

34.981 n. decisioni 360 360 n. decisioni<br />

–40% su triennio<br />

’78-’82<br />

medie annue<br />

pro-capite<br />

medie annue<br />

pro-capite<br />

Italia<br />

Italia Setten.<br />

Italia Centrale<br />

Italia Merid.<br />

Italia Insulare<br />

183.040<br />

47.040<br />

46.797<br />

68.547<br />

20.782<br />

217<br />

174<br />

184<br />

307<br />

214<br />

245.006<br />

61.330<br />

69.334<br />

79.362<br />

34.981<br />

291<br />

229<br />

274<br />

357<br />

360<br />

–25%<br />

–24%<br />

–32%<br />

–14%<br />

–40%


358 Scritti di Diritto Processuale<br />

TRIBUNALI<br />

Aree geografiche<br />

Aree geografiche<br />

Italia<br />

Italia Setten.<br />

Italia Centrale<br />

Italia Merid. Setten.<br />

Italia Insulare Centrale<br />

Italia Merid.<br />

Italia Insulare<br />

Triennio 1985-1987 Quinquennio 1978-1982 Variaz.<br />

’85-’87<br />

n. Triennio decisioni 1985-1987 n. decisioni Quinquennio n. decisioni 1978-1982 n. decisioni su Variaz. triennio<br />

medie annue pro-capite medie annue pro-capite ’78-’82 ’85-’87<br />

n. decisioni n. decisioni n. decisioni n. decisioni su triennio<br />

medie annue pro-capite medie annue pro-capite ’78-’82<br />

100.625 80 104.197 83 –3,6%<br />

36.332 86 33.726 79 +8,8%<br />

100.625 33.465 93 80 104.197 33.107 92 83 –3,6% =<br />

21.495 36.332 63 86 24.432 33.726 72 79 +8,8% –12%<br />

33.465 9.342<br />

21.495<br />

9.342<br />

68 93<br />

63<br />

68<br />

12.933 33.107<br />

24.432<br />

12.933<br />

95 92<br />

72<br />

95<br />

–28% =<br />

–12%<br />

–28%<br />

Aree geografiche<br />

Aree geografiche<br />

Italia<br />

Italia Setten.<br />

Italia Centrale<br />

Italia Merid. Setten.<br />

Italia Insulare Centrale<br />

Italia Merid.<br />

Italia Insulare<br />

CORTI D’APPELLO<br />

Triennio 1985-1987 Quinquennio 1978-1982 Variaz.<br />

’85-’87<br />

n. Triennio decisioni 1985-1987 n. decisioni Quinquennio n. decisioni 1978-1982 n. decisioni su Variaz. triennio<br />

medie annue pro-capite medie annue pro-capite ’78-’82 ’85-’87<br />

n. decisioni n. decisioni n. decisioni n. decisioni su triennio<br />

medie annue pro-capite medie annue pro-capite ’78-’82<br />

18.722 47 17.824 45 +4,5%<br />

6.591 49 5.386 40 +22%<br />

18.722 5.969 52 47 17.824 5.960 51 45 +2% +4,5%<br />

3.836 6.591 39 49 4.043 5.386 42 40 +22% –7%<br />

2.325 5.969 45 52 2.435 5.960 46 51 +2% –2%<br />

3.836 39 4.043 42 –7%<br />

2.325 45 2.435 46 –2%<br />

I dati statistici sopra esposti mettono in evidenza la forte diminuzione<br />

dei processi esauriti pro-capite con decisione rispetto a<br />

quelli esauriti senza decisione nel triennio 1985-1987 rispetto al<br />

quinquennio 1978-1982, specialmente nelle preture. Acquista particolare<br />

rilievo la caduta del numero dei processi «decisi» nell’Italia<br />

settentrionale, centrale ed insulare.<br />

Quando ai tribunali assume rilievo la caduta dei processi decisi<br />

specie nell’Italia meridionale ed insulare, mentre in passato,<br />

queste zone, erano caratterizzate da una percentuale di processi<br />

esauriti con decisione, assai più elevata che non rispetto all’Italia<br />

settentrionale.


Scritti di Diritto Processuale 359<br />

Ciò costituisce la riprova della caduta del rendimento dell’attività<br />

dei giudici di tribunale, anche in codeste aree che erano<br />

caratterizzate da un’elevata percentuale di procedimenti decisi.<br />

Solo i tribunali dell’Italia centrale mantengono l’elevato<br />

standard precedente.<br />

Quanto alle Corti d’Appello, la quantità delle decisioni pro-capite<br />

nel triennio considerato, presenta un andamento contrastato per<br />

l’Italia settentrionale, rispetto a quello meridionale, nel quinquennio<br />

precedente.<br />

6. – Assume un importante rilievo trattare da ultimo i dati statistici<br />

relativi, per il triennio considerato, alla percentuale annua per i<br />

vari uffici giudiziari, dei processi esauriti «con decisione» rispetto a<br />

quelli complessivamente esauriti.<br />

La tabella sotto riportata indica un quadro tendenziale annuo<br />

della percentuale dei processi decisi su quelli complessivamente<br />

esauriti. Esso mette in evidenza la tendenza ad una progressiva diminuzione<br />

in tutte le zone del Paese nelle preture, nei tribunali, e<br />

nelle Corti d’Appello dei processi «decisi con sentenza». Il ché costituisce<br />

la riprova della tendenziale sfiducia dei litiganti ad attendere<br />

le decisioni dei magistrati ed a preferire o le composizioni stragiudiziale<br />

o l’abbandono delle liti.<br />

Ciò è dimostrato in modo evidente dalla tavola che segue:<br />

PRETURE<br />

Aree<br />

geografiche<br />

Giudici<br />

Esauriti<br />

con sentenza<br />

1985<br />

% su<br />

esauriti<br />

Esauriti con<br />

sentenza<br />

1986<br />

% su<br />

esauriti<br />

Esauriti<br />

con sentenza<br />

1987<br />

% su<br />

esauriti<br />

Italia<br />

Italia Sett.<br />

Italia Centr.<br />

Italia Merid.<br />

Italia Insul.<br />

843<br />

269<br />

254<br />

223<br />

97<br />

181.807<br />

44.181<br />

47.934<br />

70.006<br />

19.606<br />

52<br />

39,7<br />

53,5<br />

61<br />

57,6<br />

181.002<br />

45.356<br />

43.766<br />

70.548<br />

21.432<br />

49,60<br />

32,5<br />

48,6<br />

58,4<br />

54,4<br />

187.277<br />

51.584<br />

48.693<br />

65.692<br />

21.308<br />

48,8<br />

42,2<br />

47,2<br />

56<br />

51,3


360 Scritti di Diritto Processuale<br />

TRIBUNALI<br />

Aree<br />

geografiche<br />

Giudici<br />

Esauriti<br />

con sentenza<br />

1985<br />

% su<br />

esauriti<br />

Esauriti con<br />

sentenza<br />

1986<br />

% su<br />

esauriti<br />

Esauriti<br />

con sentenza<br />

1987<br />

% su<br />

esauriti<br />

Italia<br />

Italia Aree Sett.<br />

Italia<br />

geografiche<br />

Centr.<br />

Italia Merid.<br />

Italia Insul.<br />

Italia<br />

Italia Sett.<br />

Italia Centr.<br />

Italia Merid.<br />

Italia Insul.<br />

Aree<br />

geografiche<br />

1.249<br />

Giudici 419<br />

358<br />

336<br />

136<br />

1.249<br />

419<br />

358<br />

336<br />

136<br />

Giudici<br />

Esauriti 102.004 con<br />

sentenza 37.622<br />

33.059 1986<br />

22.154<br />

9.169<br />

102.004<br />

37.622<br />

33.059<br />

22.154<br />

9.169<br />

Esauriti con<br />

sentenza<br />

1986<br />

CORTI D’APPELLO<br />

34 % su<br />

32,1 esauriti<br />

32,9<br />

38,4<br />

36,11<br />

34<br />

32,1<br />

32,9<br />

38,4<br />

36,11<br />

% su<br />

esauriti<br />

106.180 Esauriti % 36,1 su<br />

con 37.410 sentenza esauriti<br />

32,6<br />

36.374 1985 37<br />

21.784<br />

10.612<br />

106.180<br />

38,5<br />

42,5<br />

36,1<br />

37.410 32,6<br />

36.374 37<br />

21.784 38,5<br />

10.612 42,5<br />

Esauriti % su<br />

con sentenza esauriti<br />

1985<br />

% 35su<br />

esauriti<br />

33,8<br />

33,9<br />

38,5<br />

36,7<br />

35<br />

33,8<br />

33,9<br />

38,5<br />

36,7<br />

% su<br />

esauriti<br />

Esauriti 93.691<br />

con 33.935 sentenza<br />

30.962 1987<br />

20.549<br />

8.245<br />

93.691<br />

33.935<br />

30.962<br />

20.549<br />

8.245<br />

Esauriti<br />

con sentenza<br />

1987<br />

Italia<br />

Italia Aree Sett.<br />

Italia<br />

geografiche<br />

Centr.<br />

Italia Merid.<br />

Italia Insul.<br />

Italia<br />

Italia Sett.<br />

Italia Centr.<br />

Italia Merid.<br />

Italia Insul.<br />

397<br />

Giudici 133<br />

115<br />

97<br />

52<br />

397<br />

133<br />

115<br />

97<br />

52<br />

Esauriti 18.107<br />

con sentenza 6.374<br />

1985 5.890<br />

3.729<br />

2.253<br />

18.107<br />

6.374<br />

5.890<br />

3.729<br />

2.253<br />

Esauriti 20.466 con<br />

sentenza 7.213<br />

1986 6.260<br />

4.324<br />

2.669<br />

20.466<br />

7.213<br />

6.260<br />

4.324<br />

2.669<br />

Esauriti 18.273<br />

con sentenza 6.330<br />

1987 6.004<br />

3.596<br />

2.343<br />

18.273<br />

6.330<br />

6.004<br />

3.596<br />

2.343<br />

% 82 su<br />

esauriti<br />

84<br />

77<br />

84<br />

95<br />

82<br />

77<br />

84<br />

84<br />

95<br />

% 81,9 su<br />

esauriti<br />

81,1<br />

84,2<br />

80,5<br />

81,9<br />

81,9<br />

81,1<br />

84,2<br />

80,5<br />

81,9<br />

% 81 su<br />

esauriti<br />

81<br />

79<br />

82<br />

85<br />

81<br />

79<br />

81<br />

82<br />

85<br />

Questi ultimi dati numerici, collegati col crescente successo della<br />

giustizia arbitrale e da ultimo con la introduzione del giudice di<br />

pace da un lato e del giudice monocratico del tribunale dall’altro,<br />

danno la misura della crisi attuale della giustizia civile e delle incognite<br />

che riserva l’avvenire, ad essa.


Criteri direttivi proposti<br />

di riforma del Processo Civile<br />

Lo svolgimento del processo davanti il tribunale,<br />

va ispirato ai seguenti criteri<br />

- Previsione del succedersi di tre frasi distinte: una prima di carattere<br />

introduttivo, una seconda di trattazione e istruzione della causa<br />

ed infine l’ultima, di discussione e decisione.<br />

- Conservazione dell’attuale articolazione tra giudice istruttore e<br />

collegio per tutte le cause e soppressione del giudice unico di tribunale.<br />

Previsione che il presidente del tribunale, in via eccezionale,<br />

per cause delicate o importanti, disponga che il processo si svolga<br />

avanti l’intero collegio.<br />

- Previsione che le parti, di comune accordo, per cause documentali<br />

o riguardanti essenzialmente questioni di diritto, possano saltare<br />

il primo grado e sottoporre la controversia direttamente alla decisione<br />

del giudice di secondo grado.<br />

- La fase introduttiva deve essere caratterizzata dallo scambio diretto<br />

tra le parti delle difese scritte e delle deduzioni istruttorie, secondo<br />

uno schema di legge, senza la necessità di partecipare ad<br />

udienze davanti al giudice. La presenza di questi va limitata alla discussione<br />

ed alla decisione di eventuali domande cautelari o provvedimenti<br />

per risolvere incidenti sorti tra le parti.<br />

- Soppressione della citazione ad udienza fissa (con ritorno al sistema<br />

originario del codice del ’42) sostituendola con una citazione<br />

che invita il convenuto a comunicare le proprie difese ed a costituirsi<br />

nei termini prefissati dalla legge.<br />

Da «Proposte di riforma del processo civile viste da un avvocato», Cedam 1995.


362 Scritti di Diritto Processuale<br />

- Aggiungere un settimo requisito ai primi sei dell’art. 163 comma<br />

2° c.p.c. che prescriva l’invito dell’attore al convenuto alla osservanza<br />

di precisi termini successivi, predeterminati dalla legge, per<br />

la rispettiva replica, duplica ed un ulteriore periodo per il libero<br />

scambio di scritti integrativi, pure predeterminato dalla legge.<br />

- Previsione che la comunicazione degli scritti e di copia dei documenti<br />

che si producono, possa avvenire coi moderni mezzi telematici,<br />

tra difensori. Successivo loro deposito in cancelleria, al<br />

momento della costituzione od entro breve termine dalla comunicazione.<br />

La comunicazione degli scritti difensivi sana i vizi dei<br />

precedenti atti.<br />

- Previsione che la costituzione delle parti avvenga secondo le formalità<br />

in vigore.<br />

- La preclusione a dedurre e produrre va fissata con riferimento al<br />

momento dell’esaurimento della fase introduttiva. È ammessa la<br />

produzione di nuovi documenti o la deduzione di nuove istanze di<br />

prova nel caso eccezionale che si provi che esse non hanno potutto<br />

essere effettuate prima della chiusura della fase introduttiva, com’è<br />

il caso che siano stati scoperti successivamente. Previsione nel caso<br />

diverso e sempre che documenti e prove risultassero decisivi, dell’addebito<br />

a carico di chi se ne giova delle spese ed onorari anche<br />

irripetibili che sono state inutilmente causate alla controparte, indipendentemente<br />

dal principio della soccombenza, così modificando<br />

l’art. 92 c.p.c.<br />

- Esaurito lo scambio degli scritti e la comunicazione di copia dei<br />

documenti, seguito dal loro deposito, il passaggio alla fase di trattazione<br />

ed istruzione, dovrebbe essere preceduto dalla richiesta di<br />

una delle parti al giudice istruttore perché fissi la prima udienza di<br />

trattazione. Contemporanea iscrizione della causa nel ruolo speciale<br />

delle cause da trattare ed istruire. Presunzione di abbandono nel<br />

caso di omissione degli oneri che precedono.<br />

- Limitare ai soli difensori la comparizione alla prima udienza di<br />

trattazione per lo scopo di fornire al giudice le precisazioni da lui richieste<br />

e fare il punto della causa e delle questioni. La comparizione<br />

personale delle parti dovrebbe essere disposta, solo nel caso in<br />

cui venga prospettato o non escluso un esito favorevole di un tentativo<br />

di conciliazione.<br />

- All’esito della prima udienza di trattazione nel corso della stessa


Scritti di Diritto Processuale 363<br />

o fuori udienza entro breve termine successivo, il giudice deve pronunciare<br />

i provvedimenti sulle richieste istruttorie delle parti o, nel<br />

caso che la causa sia ritenuta matura per la decisione, invito di questi<br />

alle parti perché precisino le conclusioni.<br />

- Conservazione della facoltà di reclamo al collegio contro la ordinanza<br />

sulle richieste istruttorie.<br />

- Svolgimento della istruzione della causa, secondo lo schema in vigore.<br />

- Precisazione delle conclusioni su specifico foglio riassuntivo, da<br />

depositarsi in cancelleria, senza bisogno di partecipare ad apposita<br />

udienza.<br />

- Il passaggio alla terza fase va preceduto dalla richiesta di una delle<br />

parti al Presidente del tribunale perché designi il collegio ed il relatore<br />

e fissi la udienza di spedizione a decisione. Presunzione di abbandono<br />

nel caso di inosservanza degli oneri precedenti.<br />

- Scambio di comparse e memorie conclusionali dalle parti e loro<br />

deposito in cancelleria, entro un termine fissato dal presidente, con<br />

congruo anticipo rispetto all’udienza di spedizione.<br />

- Abolizione della esecutorietà della sentenza di 1° grado e ripristino<br />

della disciplina previgente in materia di concessione della provvisoria<br />

esecuzione.<br />

- Reclamabilità al collegio delle ordinanze di sospensione o interruzione,<br />

pronunciate dal giudice istruttore.<br />

- Conservazione dell’attuale disciplina in materia di estinzione nel<br />

processo con l’aggiunta della specifica ipotesi di cessasione della<br />

materia del contendere secondo l’orientamento giurisprudenziale<br />

corrente.<br />

La disciplina dovrebbe essere ispirata ai seguenti criteri<br />

- Conservazione dei termini, della loro decorrenza, della loro decadenza<br />

e del luogo di notifica, come disciplinato dalla legge vigente.<br />

- Onere de jure della integrazione del contradditorio nei confronti<br />

delle altre parti litis consorti nelle cause inscindibili e scindibili dipendenti,<br />

non presenti nel processo senza bisogno di un provvedimento<br />

ad hoc del giudice.<br />

Conseguenza dell’inosservanza: la sospensione del processo e


364 Scritti di Diritto Processuale<br />

non la inammissibilità della impugnazione.<br />

Norma oggetto della proposta art. 331 c.p.c.<br />

- Preclusione, a seguito di decorrenza dei termini, alla integrazione<br />

del contradditorio nel caso di cause scindibili autonome.<br />

La disciplina dell’appello dovrebbe essere ispirata<br />

ai seguenti criteri<br />

- Effetto sospensivo dell’appello e ripristino della normativa previgente<br />

in materia di concessione, sospensione e revoca della provvisoria<br />

esecuzione.<br />

- Competenza esclusiva del pretore a giudicare gli appelli contro le<br />

decisioni del giudice di pace.<br />

- Soppressione della citazione ad udienza fissa e sua sostituzione<br />

con citazione contenente l’invito a comunicare gli scritti difensivi ed<br />

a costituirsi in giudizio.<br />

- Previsione nei giudizi avanti i tribunali e le corti d’appello di una<br />

fase introduttiva caratterizzata dallo scambio di comparse e memorie<br />

anche via fax tra le parti e seguita dalla loro costituzione, senza<br />

bisogno di partecipare ad udienze davanti al giudice.<br />

- Ammissibilità delle parti a produrre documenti e dedurre istanze<br />

istruttorie sino all’esaurimento della fase introduttiva, salvo<br />

addebito delle spese ed onorari irripetibili, fatte sopportare inutilmente<br />

a controparte ed evitabili con un comportamento più diligente.<br />

- Previsione dell’onere a carico della parte più diligente di inoltrare<br />

al presidente della Corte (entro un termine predeterminato,<br />

dopo l’esaurimento della fase introduttiva) una domanda specifica<br />

per la designazione del Collegio giudicante, del relatore e la<br />

fissazione di udienza di spedizione a sentenza. Contemporanea<br />

iscrizione del processo nel ruolo degli appelli da trattarsi e discutersi.<br />

Inammissibilità dell’appello nel caso di inosservanza degli<br />

oneri precedenti.<br />

- Previsione di delega del Collegio giudicante ad un componente<br />

della escussione delle prove che fossero disposte, salvo che questo<br />

ultimo ritenga necessario che esse siano escusse davanti allo<br />

stesso.


Scritti di Diritto Processuale 365<br />

* * *<br />

- Sopprimere l’effetto sospensivo del regolamento di giurisdizio sulla<br />

procedura di merito.<br />

- Prevedere la improponibilità dei ricorsi ex art. 111 della Costituzione<br />

per motivazione insufficiente e contradditoria.<br />

- Ammettere la riunione dei processi che presentano identità di questioni.<br />

- Prevedere il rigetto del ricorso, con rito camerale, per manifesta<br />

infondatezza.<br />

La disciplina del processo esecutivo va ispirata<br />

ai seguenti criteri<br />

- Prevedere nella parte generale una disciplina più completa ed organica<br />

di quella esistente ispirata alla maggiore semplicità. Essa<br />

concerne norme integrative sulla ricerca delle cose da pignorare,<br />

sulla vendita e l’assegnazione di cose mobili, sull’intervento dei creditori,<br />

sulla introduzione della moratoria del concordato e la reclamabilità<br />

dei più importanti provvedimenti del giudice.<br />

- Estendere la impignorabilità a tutti gli arredi domestici senza distinzione<br />

e privi di pregio.<br />

- Attribuire agli ufficiali giudiziari il potere di indagine patrimoniale<br />

sul debitore dietro disposizione del giudice di esecuzione.<br />

- Anticipare gli effetti del pignoramento immobiliare alla trascrizione<br />

rispetto alla ingiunzione al debitore.<br />

- Delegare al perito la ricerca della documentazione ipocatastale.<br />

- Aggiornare al mercato odierno le norme sulla pubblicità delle vendite<br />

forzate.<br />

- Prevedere che le offerte all’incanto, anche per i mobili, siano fatte<br />

in busta chiusa, con successiva gara.<br />

- Eliminare la previsione che il secondo incanto mobiliare avvenga<br />

a qualsiasi offerta ed all’opposto prevedere la successione di incanti,<br />

su domanda ed anticipi a carico del creditore.<br />

- Abbassare il prezzo minimo di assegnazione dopo che sono andati<br />

deserti gli incanti.


366 Scritti di Diritto Processuale<br />

- Regolare in modo compiuto l’intervento dei creditori con la previsione<br />

di un termine perché l’intervento sia tempestivo ed il successivo<br />

vaglio del giudice e la ammissione del credito con provvedimento<br />

da considerare titolo esecutivo endo-processuale.<br />

- Introdurre l’istituto di una moratoria temporanea del debitore e la<br />

relativa procedura.<br />

- Prevedere la introduzione del concordato con garanzia di terzi e<br />

con cessione dei beni.<br />

- Introdurre la reclamabilità nel merito dei provvedimenti del giudice<br />

di esecuzione al tribunale che pronuncia con rito camerale, in<br />

materia di vendita ed assegnazione del compendio pignorato, omologa<br />

della moratoria e del concordato, del provvedimento di estinzione<br />

del processo.


Intervento al IV Convegno nazionale<br />

delle camere civili<br />

(Milano, 2-3 giugno 1995)<br />

Cari amici e colleghi,<br />

mentre siamo qui riuniti ricorre il 40° giorno della nostra astensione<br />

dalle udienze.<br />

Eppure noi avvertiamo che, tra tutte, questa manifestazione non<br />

trae motivo alcuno da interessi corporativi, ma coincide con quella<br />

del paese ad avere una giustizia pubblica che risponda ad esigenze<br />

minimali per i cittadini.<br />

Il Ministro della giustizia in occasione dell’incontro con la Commissione<br />

di riforma, e ieri il Primo Presidente della Corte d’Appello,<br />

hanno parlato di prossimo collasso della giustizia civile.<br />

C’è da dubitare della legittimità di questa manifestazione e della<br />

sua durata, in un contesto del genere?<br />

Certamente i cittadini che hanno i mezzi per ricorrere alla giustizia<br />

arbitrale non hanno problemi del genere. Ma il ricorso alla giustizia<br />

privata è un fatto che deve essere anomalo in uno Stato di diritto.<br />

E poiché il tempo è breve, mi è necessario sintetizzare l’intervento<br />

in poche riflessioni. Rinvio un più appropriato contributo di analisi e<br />

di proposte allo studio più articolato che ho avanzato all’interno della<br />

Commissione ministeriale alla cui partecipazione ho titolo per il<br />

fatto che faccio attivamente l’avvocato da oltre 43 anni e da altrettanti<br />

studio i problemi del processo dall’angolatura di un avvocato.<br />

Da «Proposte di riforma del processo civile viste da un avvocato», Cedam 1995.<br />

Il Convegno ha avuto al suo centro le prospettive negative del d.l. 121 del 21.4.95 che<br />

ha istituito le sezioni stralcio e l’entrata in vigore della «novella processuale» e del giudice<br />

di pace.


368 Scritti di Diritto Processuale<br />

La prima riflessione mi viene suggerita dal tema di questo convegno<br />

«Costi sociali ed economici delle disfunzioni della giustizia<br />

civile».<br />

Esso richiama alla mia mente la correttezza e modernità del metodo<br />

dell’analisi economica del diritto, come metodo scientifico di<br />

studio del processo, a cui bisogna ricorrere.<br />

In ultima analisi la domanda a cui occorre dare una risposta è<br />

questa: date certe risorse disponibili (in uomini e mezzi) quale è<br />

l’insieme delle regole (cioè il modello del processo) che meglio produce<br />

un risultato compatibile con le aspirazioni di giustizia del cittadino<br />

interessato?<br />

La risposta richiede l’esame di una quantità di dati conosciuti relativamente<br />

poco dagli addetti ai lavori e cioè i dati statistici ed organizzativi<br />

della giustizia civile.<br />

Noi siamo soliti privilegiare la filosofia del processo e cioè la ricerca<br />

di un modello metafisico e perfetto di processo che risolva tutti<br />

i problemi del contingente.<br />

Come quando assumiamo il modello Chiovendiano che dovrebbe<br />

realizzare i principii della oralità, della concentrazione e della<br />

immediatezza.<br />

E poiché esso ci deriva da quello austriaco del 1895 del Klein, ne<br />

ho chiesto all’Associazione magistrati austriaci ed ho avuto la risposta<br />

che i loro dati non sono confrontabili con i nostri, in termini<br />

di carico di lavoro pro-capite.<br />

Ogni giorno siamo alle prese con il compito di fare i verbali di<br />

udienza e con la crisi del dibattimento penale che è la realizzazione<br />

di quei principii.<br />

Il rincorrere questo modello in queste condizioni è una fuga dalla<br />

realtà.<br />

È molto meglio studiare il processo sulla base scientifica delle<br />

condizioni concrete in cui esso vive, dei dati statistici della litigiosità,<br />

dei mezzi disponibili e delle regole che in base alla nostra esperienza<br />

possono ottimizzare il risultato.<br />

La seconda riflessione nasce dalle condizioni presenti della giustizia.<br />

Dal 1942 al 1981 il contenzioso civile era aumentato intorno al<br />

300% ed è continuato successivamente ad aumentare di anno in<br />

anno di punti percentualmente rilevanti.


Scritti di Diritto Processuale 369<br />

Questo fenomeno ha la sua origine nello sviluppo economico del<br />

paese e nell’accesso dei ceti popolari al servizio della giustizia.<br />

All’opposto l’organico complessivo dei giudici addetti alla giustizia<br />

civile e penale è rimasto fermo intorno a poco più di 6.000 giudici<br />

rispetto, ad esempio, alla Germania federale che ne ha più del<br />

doppio e così via.<br />

Il carico medio nel quinquennio ’87-’91 ci dice che i processi che<br />

si formano ogni anno sono mediamente 703 per ogni pretore, e 287<br />

per ogni giudice di Tribunale (come se questo fosse già organizzato<br />

sulla base di giudici unici) mentre quello dei processi pendenti (cioè<br />

comprensivi dell’arretrato) era di 946 per ogni pretore ed 871 per<br />

ogni giudice di tribunale. I più recenti dati statistici del giugno ’94<br />

indicano per ciascun giudice di tribunale un carico medio di 350<br />

processi sopravvenuti e di 1180 processi pendenti.<br />

Ogni anno i processi che si esauriscono sono al di sotto di quelli<br />

di nuova formazione e grazie alla elasticità del processo esistente di<br />

cui parlava Carnelutti, esso sopravvive.<br />

In pretura il 50% dei processi esauriti è definito con decisione,<br />

nei tribunali solo il 35%.<br />

Gran parte delle procedure che si esauriscono e pur al di sotto di<br />

quelle che sopravvengono trovano una loro definizione al di fuori<br />

delle decisioni dei giudici.<br />

È quanto dire che le cancellazioni delle cause dal ruolo danno un<br />

contributo determinante nella sopravvivenza della giustizia.<br />

A fronte di questa situazione dal ’42 ad oggi l’orario di lavoro degli<br />

addetti all’amministrazione della giustizia si è fortemente ridotto.<br />

Il rapporto gerarchico all’interno degli uffici si è allentato, i dati<br />

relativi alla quantità di decisioni annue pro-capite è in flessione.<br />

Le regole del processo sono rimaste sostanzialmente quelle di un<br />

tempo.<br />

In sostanza i mali presenti della giustizia civile hanno cause di<br />

tipo organizzativo (risorse disponibili in uomini e mezzi, regole organizzative,<br />

produttività individuale secondo regole e criteri della<br />

organizzazione moderna del lavoro).<br />

I rimedi che possono opporsi vanno quindi ricercati sul terreno<br />

organizzativo, prima di ogni altra cosa, nel rispetto tuttavia dei<br />

principii di fondo della giurisdizione senza dei quali la sentenza non<br />

è avvertita come giusta.


370 Scritti di Diritto Processuale<br />

Le regole processuali possono essere mutate, ma non ci si può illudere<br />

che solo ricorrendo alla riforma della legge si possa modificare<br />

un risultato che ha essenzialmente cause organizzative.<br />

La terapia deve essere pertanto affrontata sul piano organizzativo<br />

e prima di tutto su quello dell’adeguamento degli organici dei<br />

giudici alle nuove e crescenti dimensioni del contenzioso civile, al<br />

reclutamento dei posti in organico, alla modifica dell’ordinamento<br />

giudiziario.<br />

Carnelutti, a suo tempo, dichiarava che la crisi del processo nato nel<br />

’42, traeva origine dalla mancata riforma dell’ordinamento giudiziario.<br />

A furia di dimenticarci di questa realtà siamo arrivati alle dichiarazioni<br />

circa il prossimo collasso.<br />

La terza riflessione concerne i recenti provvedimenti legislativi riguardanti<br />

il processo civile e quale futuro del processo prevediamo<br />

in base ad essi.<br />

Cominciamo dal provvedimento estemporaneo e privo di buon<br />

senso, oltre che di rispetto verso la giurisdizione quale è costituito<br />

dalla introduzione degli uffici stralcio.<br />

I processi pendenti sono, sulla base degli ultimi dati medi del<br />

triennio ’91-’94, circa 2 milioni, 946 per ogni pretore ed 871 per<br />

ogni giudice di Tribunale. Quelli ultimi, ancora più gravi.<br />

Gli uffici stralcio sono destinati a lavorare a metà organico, salvo<br />

la immissione di alcuni vice-pretori onorari.<br />

Cosa vuol dire questo?<br />

Esso significa che i tempi insopportabilmente lunghi del giorno<br />

d’oggi per definire il carico di processi che di per sé richiederebbero<br />

anni ed anni di lavoro se pur tutte le energie fossero a ciò dedicate,<br />

sono destinate a raddoppiare.<br />

Siamo di fronte ad un sostanziale diniego di giustizia. Passiamo<br />

ai famosi giudici di pace.<br />

È inutile che io ripeta quel che l’avvocatura va dicendo, giustamente,<br />

e cioè che non è serio per uno Stato di diritto, affidare la giustizia<br />

ai giudici di seconda mano raccolti in modo estemporaneo,<br />

con scarsa preparazione ed esperienza giudiziaria, per non adeguare<br />

gli organici alle necessità di un contenzioso triplicato.<br />

Altrove questi giudici di seconda mano si hanno, ma sono destinati<br />

a compiti amministrativi e non giudiziari veri e propri.


Scritti di Diritto Processuale 371<br />

In ogni caso l’appello verso la loro decisione è riservato al<br />

tribunale.<br />

E gli appelli si devono trattare ed istruire con rito collegiale, sulla<br />

base della novella.<br />

È facile concludere che i nostri tribunali saranno oberati più di<br />

prima del lavoro di correggere gli errori e le storture delle decisioni<br />

dei giudici di pace.<br />

C’è da chiedersi se tutto questo sia sensato.<br />

Ma il futuro dei nostri tribunali induce ad un ulteriore pessimismo.<br />

Oggi come oggi la procedura registra un collo di bottiglia nel passaggio<br />

dall’istruttore al collegio ed i tempi lunghi della decisione.<br />

Con la legge di riforma del 1990 viene introdotto una ulteriore e<br />

anche più grave strozzatura, per i processi di competenza dei tribunali<br />

in 1° grado.<br />

L’articolo 183 c.p.c. dispone che il giudice alla 1ª udienza deve<br />

interrogare le parti personalmente e tentare la conciliazione.<br />

Tutti per esperienza sappiamo quanto durino le udienze di comparizione<br />

delle parti, per ogni processo.<br />

È facile prevedere che le prime udienze assorbiranno quella parte<br />

di lavoro, che non è assorbita dal compito di correggere le decisioni<br />

dei giudici di pace.<br />

E poiché i tribunali lavorano a ranghi dimezzati per i processi<br />

di nuova formazione annua, è facile prevedere il grave deterioramente<br />

dell giustizia civile in futuro rispetto alle condizioni<br />

presenti.<br />

I processi di nuova formazione annua nel quinquiennio ’87-’91<br />

erano 703 per ogni pretore e 287 pro-capite, per ogni giudice di tribunale,<br />

a ranghi completi. Quelli poste non sono ancora più gravi.<br />

Essi sono pertanto destinati a raddoppiare a ranghi dimezzati<br />

senza tener conto della dispersione richiesta dalla trattazione collegiale<br />

degli appelli contro le sentenze dei giudici di pace e del tempo<br />

occorrente per le prime udienze.<br />

A fronte di tutto questo, per altro, la novella processuale del ’90<br />

con le preclusioni, le sentenze esecutive, ed i giudici unici di tribunale,<br />

oltre a non portare alcun sollievo, dequalifica gravemente<br />

l’immagine della giurisdizione e le garanzie del cittadino.<br />

Sul piano del corso del processo la preclusione è un rimedio teso<br />

ad accelerarlo.


372 Scritti di Diritto Processuale<br />

Nel contesto delle condizioni sopra indicate è una corsa verso la<br />

paralisi della procedura.<br />

C’è da chiedersi se tutto questo sia sensato.<br />

È per la logica della preclusione che in un contesto del genere viene<br />

a mancare.<br />

La preclusione alla 1ª udienza ha senso se essa non si riduce ad<br />

una formalità ed effettivamente dall’interrogatorio libero delle parti<br />

i difensori vengano a conoscenza di circostanze ed aspetti della<br />

causa per cui sono chiamati a correggere il tiro delle precedenti difese<br />

nel corso dell’udienza stessa o nel successivo deposito nel termine<br />

non superiore a 30 giorni per precisare e modificare le domande<br />

ed eccezioni già proposte, se attore, o di replica se convenuto,<br />

a sensi del V comma del predetto art. 183.<br />

Ma se i chiarimenti non vengono dati nel corso dello interrogatorio<br />

libero sopraindicato, della 1ª udienza, anche la logica che è<br />

alla base della preclusione non è giustificata ed assume piuttosto il<br />

senso di una logica penale.<br />

La istituzione del giudice unico nei tribunali e la esecutività della<br />

sentenza di 1° grado, costituiscono per altro il divorzio del processo<br />

introdotto dalla legge 353/90 rispetto alla tradizione collegiale<br />

della civiltà giuridica italiana per cui sei occhi vedono meglio<br />

di due ed un giudizio collegiale è più ponderato ed offre maggiori<br />

garanzie di quello di un uno solo.<br />

E poiché i tempi lunghi per il deposito delle decisioni nascono da<br />

quelli occorrenti per stendere le motivazioni, non è ragionevole prevedere<br />

dei tempi più brevi. Non c’è di che essere ottimisti per i processi<br />

davanti alle Corti d’Appello.<br />

Quanto alle Corti d’Appello il discorso non migliora e le prospettive<br />

sono destinate ad aggravarsi perché quivi in media la percentuale<br />

dei processi che è definita con decisione sale all’80% rispetto<br />

al 35% dei tribunali ed al 50% delle preture.<br />

I dati statistici denotano da alcuni anni un aggravamento progressivo<br />

del carico di lavoro e una ancora più pesante formazione<br />

dell’arretrato.<br />

La quarta riflessione riguarda i rimedi.<br />

Alle cause organizzative bisogna rispondere con terapie della<br />

stessa natura.


Scritti di Diritto Processuale 373<br />

Gli organici vanno adeguati ai carichi di lavoro presenti ed a<br />

quelli ragionevolmente prevedibili per il prossimo futuro attraverso<br />

la simulazione degli effetti, ben nota in campo organizzativo.<br />

All’adeguamento degli organici occorre che tenga dietro la loro<br />

copertura.<br />

L’avvocatura italiana che è la più interessata anche perché ha già<br />

dato ottime prove in altri tempi (intendo riferirmi al reclutamento<br />

straordinario tra le classi forensi a suo tempo effettuato dai Guardasigilli<br />

Mortara e Togliatti ed ai vice-pretori onorari che hanno<br />

dato un contributo rilevante se ancora oggi vengono deputti a comporre<br />

i collegi delle così dette sezioni-stralcio), ha il diritto di opporsi<br />

a qualsiasi discriminazione nell’accesso, previo concorso, alla<br />

magistratura togata sia pure attraverso un concorso riservato.<br />

Il ricorso ai giudici di pace e ai vice-pretori onorari, neppure adeguatamente<br />

compensati, costituisce una grave forma di discriminazione<br />

contro la quale dobbiamo opporre un deciso «no».<br />

Un’altra misura riguarda la riforma del processo civile e perciò<br />

il riordino delle regole.<br />

Anche qui l’avvocatura deve essere chiamata sulla base della<br />

propria esperienza di lavoro a comporre in modo determinante le<br />

commissioni di riforma.<br />

In ogni caso l’avvocatura deve porre la sua esperienza al servizio<br />

della riforma nell’interesse del Paese.<br />

È quanto mai indispensabile che essa non si limiti solamente a<br />

dire dei no ed ad attendere il prossimo immancabile fallimento del<br />

processo pubblico, ma concorra con proposte costruttive alle riforme<br />

della giustizia civile facendo valere il preponderante peso politico<br />

proprio e di rappresentanza degli interessi del Paese.<br />

Milano, 2 giugno 1995


La inutile illusione di accelerare il processo<br />

attraverso il giudice monocratico<br />

e la esecutorietà della sentenza di I grado<br />

(Intervento al Convegno di Verona<br />

del 29 e 30 giugno 1990)<br />

Io sono un avvocato che vive da 40 anni la vita quotidiana del<br />

processo civile e che ha maturato da molti anni numerose riflessioni<br />

sia teoriche sia pratiche, su riviste giuridiche intorno al codice<br />

di procedura vigente. Il progetto di cui stiamo discutendo nel<br />

testo approvato dalla Commissione senatoriale, andando al di là<br />

del disegno di legge ministeriale, ha introdotto il giudice monocratico.<br />

Condivido tutte le perplessità esposte stamane dal Prof.<br />

Verde a proposito di questo istituto estraneo alla prevalente esperienza<br />

giuridica, non solo italiana, ma anche europea. Per ragioni<br />

di tempo rinvio a quello che ebbi a scrivere, sull’argomento, in<br />

Giurisprudenza italiana, 1987, IV, c. 496, ed ai motivi proposti a<br />

sostegno di tale punto di vista.<br />

L’introduzione del giudice monocratico non corrisponde alle attese<br />

della gente che vuole una giustizia garantita, perché tale è anche<br />

il senso del referendum sulla responsabilità civile del giudice<br />

che ha riscosso in passato un consenso molto vasto. Ha perfettamente<br />

ragione il Prof. Andrioli quando ha osservato che sei occhi<br />

vedono meglio di due e soprattutto, a mio modo di vedere, servono<br />

ad assicurare una giustizia più imparziale. Gli stati d’animo ed i<br />

Da «La riforma del processo civile», 1992, p. 155 e da «Problemi attuali e prospettive di<br />

riforma del processo civile», Cedam 1994.<br />

Si è trattato di un intervento al Convegno tenutosi a Verona nei giorni alla vigilia dell’improvvisa<br />

approvazione degli emendamenti Acone-Lipari.


376 Scritti di Diritto Processuale<br />

personali punti di vista del singolo giudice, sono depurati attraverso<br />

il filtro del Collegio.<br />

Occorre in ogni caso sfatare una pericolosa illusione e cioè che la<br />

soppressione della garanzia del Collegio, e l’attribuzione al singolo<br />

giudice monocratico anche del potere di decidere la lite con sentenza<br />

esecutiva, possa migliorare di qualcosa i tempi di svolgimento del<br />

processo civile e così accelerarlo. In altri termini ritengo che il sacrificio<br />

della collegialità non sarà in alcun modo compensato da una<br />

maggiore accelerazione del processo civile.<br />

In un recente studio apparso sulla Rivista di diritto processuale,<br />

1989, I, pp. 193 ss., ho cercato di offrire il contributo all’analisi per<br />

il periodo 1978-1982 dell’andamento della litigiosità, del carico di<br />

lavoro per giudice, delle percentuali di esaurimento dei processi con<br />

o senza decisione, della quantità di decisioni pro-capite, avuto riguardo<br />

ai vari organi giurisdizionali, sia in termini di media nazionale,<br />

o per zone del Paese o per i vari distretti di Corte d’Appello. A<br />

questo proposito devo dire che parlare del processo come sin troppo<br />

si finisce per fare, in termini di filosofia o di arte, è a mio modo<br />

di vedere, una fuga dalla realtà.<br />

Occorre misurarci, con molta modestia, sui dati statistici che<br />

esprimono la realtà del processo vivente meglio di ogni altro angolo<br />

visuale e offrono la individuazione delle cause della crisi attuale<br />

del processo: sono a parere di molti, solo cause di tipo organizzativo<br />

della giustizia civile e della adeguatezza o meno delle strutture<br />

rispetto al carico di lavoro che vengono chiamate a svolgere. Queste<br />

strutture sono assolutamente inadeguate a reggere la quantità<br />

crescente di liti e la necessità del loro adeguamento aumenta in relazione<br />

al maggior sviluppo economico ed alla sua diffusione su tutto<br />

il territorio nazionale ed al crescente sviluppo dei traffici.<br />

In quello studio, che è stato citato qui da illustri studiosi, ebbi a<br />

rilevare che il numero dei giudici risultava nel quinquennio 1978-<br />

1982, mediamente superiore al 10%, rispetto al 1941, ma la litigiosità<br />

era cresciuta al 300% sempre con riferimento al 1941. Ebbi<br />

altresì a rilevare per il quinquennio 1978-1982, che il carico medio<br />

dei processi sopravvenuti di anno in anno, era di 573 processi per<br />

ogni pretore e di 253 processi per ogni giudice di Tribunale.<br />

Quand’anche, per un miracolo imprevisto, potessimo azzerare tutto<br />

l’arretrato e ripartire di nuovo, col fermo proposito di non crea-


Scritti di Diritto Processuale 377<br />

re altro arretrato a breve distanza, ciò riuscirebbe assolutamente<br />

vano solo che si abbiano a calcolare quanti processi realisticamente<br />

possono essere esauriti annualmente dai nostri pretori e dai nostri<br />

giudici di tribunale.<br />

L’inidoneità della proposta di risolvere la crisi del processo civile<br />

attraverso riforme processuali, è stata recentemente dimostrata<br />

per il periodo 1985-1987, dai risultati della riforma delle competenze<br />

giudiziarie effettuate nel 1984. L’autore di questo intervento<br />

pensava che probabilmente la crisi dipendesse anche dall’avere tenuto<br />

fermi i limiti di competenza per valore dei vari giudici, quando<br />

il valore delle cause continuava a risentire della svalutazione monetaria<br />

che di anno in anno sviliva quello delle cause di competenza<br />

dei vari tipi di giudici. Tuttavia, a causa della crescita di litigiosità,<br />

dopo la riforma del 1984, ho calcolato che per il periodo 1985-<br />

1987, ogni pretore ha un carico medio di 564 processi invece che di<br />

574 ed ogni giudice di tribunale di 236 invece che di 253, con l’ovvia<br />

conseguenza che l’aumento delle competenze del conciliatore e<br />

del pretore, non ha diminuito in modo apprezzabile il carico di lavoro<br />

dei tribunali, con esclusivo riferimento per altro, ai processi<br />

nuovi affluenti ogni anno.<br />

Nello stesso periodo di tempo 1985-1987, l’arretrato di lavoro<br />

per giudice di tribunale è aumentato del 40% rispetto al precedente<br />

arco di tempo.<br />

Ho detto sopra che l’introduzione del giudice monocratico non<br />

è destinata ad accelerare i processi, perché la causa consiste nell’eccessivo<br />

carico di lavoro per il giudice, con riguardo alla crescente<br />

litigiosità.<br />

I calcoli sopra riferiti in termini di carico di lavoro e di quantità<br />

di decisioni, per i tribunali, sono stati effettuati pro-capite e cioè per<br />

ciascun giudice di tribunale e non per collegio. Ne consegue che l’introduzione<br />

del giudice monocratico non alleggerisce in alcuna misura<br />

codeste cifre calcolate pro-capite.<br />

È bensì vero che il pretore appare avere una maggiore efficienza<br />

nell’esaurimento con decisioni delle liti, e perciò ad accelerare il<br />

processo, ma ciò è frutto di un’illusione ottica in quanto non si tiene<br />

conto dell’apporto notevole di una quantità di vice-pretori onorari<br />

che sostanzialmente raddoppiano il numero di pretori a disposizione<br />

del cittadino.


378 Scritti di Diritto Processuale<br />

Da questo punto di vista, mi pare altresì pericoloso il farsi illusioni<br />

sul giudice di pace sia perché esso sostanzialmente va a tenere<br />

il posto, nella migliore delle ipotesi, dei vicepretori onorari, che è<br />

un’istituzione ben collaudata nella tradizione del nostro paese, sia<br />

perché l’analisi delle strutture giudiziarie fa intravedere una propensione<br />

a rifuggire dagli incarichi giudiziari onorari. In ogni caso<br />

anche a proposito del giudice di pace, è mancata qualsiasi analisi e<br />

simulazione di calcoli per giudicare in anticipo quale potrà essere il<br />

contributo di un tal giudice ad alleviare la crisi presente.<br />

L’introduzione delle preclusioni o di altri rimedi acceleratori,<br />

a mio modo di vedere, è destinato ad aggravare la crisi presente<br />

in quanto va a sopprimere il pregio della elasticità del processo<br />

vigente, di cui parlava a suo tempo Carnelutti e che consente di<br />

vedere esauriti senza decisione il 65% dei processi rispetto al<br />

35% con decisione.<br />

La tendenza anche nelle circoscrizioni meridionali è nel senso<br />

dell’aumento dei processi esauriti senza decisione rispetto al<br />

quinquennio precedente. Aumentare gli impegni dei giudici attraverso<br />

rimedi acceleratori, senza avere la quantità di giudici in<br />

grado di decidere le liti, costituisce una fuga dalla realtà, assolutamente<br />

sbagliata.<br />

Ce la immaginiamo noi l’udienza davanti al Giudice istruttore<br />

che oggi si occupa di una quantità di processi e dedica pochi minuti<br />

a ciascuna, con la collaborazione dei difensori, trattare all’opposto<br />

causa per causa? E perché non chiederci, in un tal sistema, a<br />

quando cadrà la seconda udienza di un tal processo? E quale risulterà<br />

il numero dei processi arretrati pendenti?<br />

È prevista dalla riforma la trattazione collegiale avanti le Corti<br />

d’Appello e così anche l’istruttoria. Come non chiederci se ciò aggraverà<br />

sensibilmente il lavoro in Corte d’Appello attraverso un sistema<br />

che fa perdere tempo ad una quantità di giudici proprio<br />

quando il lavoro in Corte d’Appello sta crescendo ed è destinato a<br />

crescere ancora di più?<br />

Per concludere su questi punti credo che la strada da seguire è<br />

quella già percorsa da altri paesi come la Germania attraverso l’adeguamento<br />

delle strutture giudiziarie e la istituzione di accademie<br />

per la formazione permanente dei giudici.<br />

Al presente l’aumento del numero dei magistrati passa anche at-


Scritti di Diritto Processuale 379<br />

traverso la immissione straordinaria di uomini provenienti dalle<br />

professioni forensi, come avvenne in altri momenti di crisi nel primo<br />

e secondo dopoguerra.<br />

Sulla Corte di Cassazione io sono d’accordo con il Prof. Montesano<br />

che l’obbligatorietà della motivazione mi pare una garanzia<br />

assolutamente ineliminabile.<br />

Altri scritti dell’autore sullo stesso argomento:<br />

Sul processo di cognizione e sui procedimenti speciali<br />

– «Se la Selezione di un partito politico possa stare in giudizio», in Foro Padano,<br />

fasc. 1, 1952 e in Problemi attuali e prospettive di riforma del processo civile,<br />

Cedam 1994, p. 139.<br />

– «Il procedimento cancellato dal ruolo è pendente ex art. 39, 1° comma cpc?»,<br />

in Giurisprudenza italiana, 1954, I, 2, 953 e in Problemi attuali e prospettive<br />

di riforma del processo civile, Cedam 1994, p. 145.<br />

– «Se la parte possa chiedere al collegio la revoca di una ordinanza collegiale<br />

prima della remissione, ex art. 189 e 352 cpc», in Foro it., 1954, I, p. 684<br />

e in Problemi attuali e prospettive di riforma del processo civile, Cedam<br />

1994, p. 155.<br />

– «L’ordinanza di sospensione del processo ex art. 295 cpc è revocabile?», in Giurisprudenza<br />

italiana, 1954, I, 2, p. 434 e in Problemi attuali e prospettive di<br />

riforma del processo civile, Cedam 1994, p. 163.<br />

– «Il giudice d’appello può pronunciare in rescissorio, dopo avere dichiarato la<br />

incompetenza del primo giudice?», in Giurisprudenza completa della Corte Suprema<br />

di Cassazione, Sezioni Civili, 1954, p. 680 e in Problemi attuali e prospettive<br />

di riforma del processo civile, Cedam 1994, p. 169.<br />

– «Sulla rilevabilità d’ufficio dell’eccezione di cosa giudicata», in Rivista di diritto<br />

processuale, 1953, II, p. 168, e in Problemi attuali e prospettive di riforma<br />

del processo civile, Cedam 1994, p. 183.<br />

– «In tema di notifica di un’opposizione a decreto ingiuntivo presso il procuratore<br />

del ricorrente», in Foro italiano, 1960, I, p. 853 e in Problemi attuali e prospettive<br />

di riforma del processo civile, Cedam 1994, p. 189.<br />

– «Dell’influenza di una opposizione irrituale sulla inefficacia di un decreto ingiuntivo»,<br />

in Rivista di diritto processuale, 1952, II, p. 203, e in Problemi attuali<br />

e prospettive di riforma del processo civile, Cedam 1994, p. 195.


380 Scritti di Diritto Processuale<br />

– «È ammissibile un confronto di testimoni in sede di istruzione preventiva?», in<br />

Giurisprudenza italiana, 1959, I, 2, p. 604 e in Problemi attuali e prospettive<br />

di riforma del processo civile, Cedam 1994, p. 201.<br />

– «A proposito della forma del diniego di un provvedimento cautelare», in Giurisprudenza<br />

italiana, 1960, I, 2, p. 809 e in Problemi attuali e prospettive di<br />

riforma del processo civile, Cedam 1994, p. 207.<br />

Sul processo di esecuzione<br />

– «Il Giudice competente per l’opposizione a precetto per irregolarità formale»,<br />

in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile», 1954, I, p. 173 e in Problemi<br />

attuali e prospettive di riforma del processo civile, Cedam 1994, p. 219.<br />

– «Davanti a quale giudice si propone l’opposizione a precetto ex art. 167, 1°<br />

comma, cpc», in Il Foro Italiano, 1954, I, p. 1522 173 e in Problemi attuali e<br />

prospettive di riforma del processo civile, Cedam 1994, p. 235.<br />

– «Il processo esecutivo prosegue oltre la diserzione del secondo incanto», in Giurisprudenza<br />

italiana, 1955, I, 2, p. 1049 e in Problemi attuali e prospettive di<br />

riforma del processo civile, Cedam 1994, p. 245.<br />

– «Se sia ammissibile ed a quale prezzo un’assegnazione mobiliare, dopo la diserzione<br />

del secondo incanto», in Giurisprudenza completa della Corte Suprema<br />

di Cassazione, 1955, I, p. 420 e in Problemi attuali e prospettive di riforma<br />

del processo civile, Cedam 1994, p. 257.<br />

– «Ancora sulla sorte dei mobili rimasti invenduti al secondo incanto», in Giurisprudenza<br />

italiana, 1958, I, 2, p. 237 e in Problemi attuali e prospettive di<br />

riforma del processo civile, Cedam 1994, p. 267.<br />

– «A proposito di una antinomia: in tema di prosieguo della espropriazione mobiliare<br />

ed immobiliare, dopo che sia andato deserto il secondo incanto», in Il<br />

Foro italiano, 1958, IV, p. 64 e in Problemi attuali e prospettive di riforma del<br />

processo civile, Cedam 1994, p. 275.<br />

– «A proposito della procedura da seguire nella espropriazione esattoriale dei<br />

beni indivisi», in Giurisprudenza italiana, 1960, IV, p. 47 e in Problemi attuali<br />

e prospettive di riforma del processo civile, Cedam 1994, p. 282.<br />

– «Alcune questioni in materia di intervento nella espropriazione forzata», in Rivista<br />

di diritto processuale, 1960, I, p. 54 47 e in Problemi attuali e prospettive<br />

di riforma del processo civile, Cedam 1994, p. 293.<br />

– «Creditori intervenuti e giudizi di opposizione all’esecuzione», in Rivista di diritto<br />

civile, 1960, I, p. 424 47 e in Problemi attuali e prospettive di riforma del<br />

processo civile, Cedam 1994, p. 305.<br />

– «La distinzione tra intervenuti tempestivi e tardivi nella espropriazione forzata<br />

e la prima udienza fissata per la autorizzazione della vendita o della asse-


Scritti di Diritto Processuale 381<br />

gnazione», in Il Foro italiano, 1960, V, p. 54 e in Problemi attuali e prospettive<br />

di riforma del processo civile, Cedam 1994, p. 317.<br />

– «Alcuni problemi in materia di concorso dei creditori nella esecuzione speciale<br />

su autoveicoli iscritti al P.R.A.», in Rivista temi, 1960, p. 654 e in Problemi attuali<br />

e prospettive di riforma del processo civile, Cedam 1994, p. 324.<br />

– «Concorso dei creditori ed esecuzione esattoriale per imposte dirette», in Diritto<br />

e pratica tributaria, 1960, I, p. 389 e in Problemi attuali e prospettive di<br />

riforma del processo civile, Cedam 1994, p. 335.<br />

– «Come interpretare l’art. 629, 1° comma, codice di procedura civile?», in Giurisprudenza<br />

italiana, 1959, I, 1, p. 629 e in Problemi attuali e prospettive di<br />

riforma del processo civile, Cedam 1994, p. 345.


Osservazioni e proposte<br />

sullo schema di progetto di riforma,<br />

del codice di procedura civile,<br />

per quanto riguarda la espropriazione forzata<br />

(Progetto Liebman)<br />

1. – Numerosi lustri or sono, dalle colonne di questa rivista (1) e di<br />

altre (2) , auspicammo che il futuro legislatore dedicasse ogni impegno<br />

ad una compiuta riforma di quella cenerentola dell’ordinamento<br />

processuale che è l’esecuzione forzata. E così indicavamo alcuni<br />

problemi di rilevante importanza pratica a riprova dell’incompiutezza<br />

della normativa in vigore: dalla sorte del processo esecutivo<br />

dopo la diserzione del secondo incanto (3) alla complessa e<br />

grave tematica del concorso dei creditori nella esecuzione (4) , dove<br />

Da «Rivista di Diritto Processuale», 1985, I, pp. 89 ss. e da «Problemi attuali e prospettive<br />

di riforma del processo civile», Cedam 1994.<br />

(1) Già sul progetto Gonella, v. mio scritto, Il concorso dei crediti nell’esecuzione ed il progetto<br />

ministeriale di modificazione al codice di proc. civ., in Riv. dir. proc., 1962, pp. 282 ss.<br />

(2) Tra gli altri, in Foro it., 1960, IV, pp. 54 ss.<br />

(3) V. miei scritti, Il processo esecutivo prosegue oltre la diserzione del secondo incanto?,<br />

in Giur. it., 1955, I, 2, p. 1050; Id., Se sia ammissibile ed a quale prezzo un’assegnazione<br />

mobiliare, dopo la diserzione del secondo incanto, in Giur. commpl. Cass. civ.,<br />

1955, 34°, 1°, trim., p. 148; Id., Ancora sulla sorte dei mobili rimasti invenduti al secondo<br />

incanto, in Giur. it., 1958, I, 2, p. 238; Id., A proposito di un’antinomia in tema di prosieguo<br />

della espropriazione mobiliare ed immobiliare, dopo che sia andato deserto il secondo<br />

incanto, in Foro it., 1958, IV, pp. 64 ss.<br />

(4) V. miei scritti, Come interpretare l’art. 629, 1° comma, c.p.c.?, in Giur. it., 1959,<br />

I, 2, p. 628; Id., Alcune questioni in materia di intervento nella espropriazione forzata, in<br />

Riv. dir. proc. civ., 1960, I, pp. 56 ss.; Id., Creditori intervenuti e giudizi di opposizione<br />

all’esecuzione, in Riv. dir. civ., 1960, I, pp. 429 ss.; Id., La distinzione tra intervenuti tempestivi<br />

e tardivi nella espropriazione forzata e la prima udienza fissata per l’autorizzazione<br />

della vendita o della assegnazione, in Foro it., 1960, IV, pp. 54 ss.; ed a proposito


384 Scritti di Diritto Processuale<br />

era ed è lasciato all’arbitrio di chicchesia di sedersi al banchetto dell’esecutato,<br />

senza alcun controllo preventivo del giudice, in così grave<br />

contrasto con le ampie garanzie del processo di cognizione, infine<br />

allo spreco di competenza per valore del giudice chiamato a decidere<br />

dell’opposizione a precetto per irregolarità formale ex art.<br />

617, 1° comma, c.p.c. (5) , e così via.<br />

Alcune di quelle soluzioni affacciate de jure condito, trovarono<br />

dissensi in dottrina (6) e tuttavia vennero accolte dalla Suprema corte<br />

regolatrice (7) che così ha autorevolmente raccomandato la problematica<br />

all’attenzione del riformatore.<br />

È giusto riconoscere che il progetto della Commissione Liebman<br />

(8) , lo schema di riforma del codice di procedura nel disegno<br />

di legge governativo (9) , la relazione che l’accompagna (10) corri-<br />

del concorso nelle esecuzioni speciali; Id., Il concorso dei creditori ed esecuzione esattoriale<br />

per imposte dirette, in Diritto e pratica tributaria, 1960, I, pp. 389 ss.; Id., Alcuni<br />

problemi in materia di concorso dei creditori nella esecuzione speciale sui autoveicoli<br />

iscritto al PRA, Temi, 1960, p. 654.<br />

(5) V. miei scritti, Il giudice competente per l’opposizione a precetto per irregolarità formale,<br />

in Riv. trim. diritto e procedura civile, 1954, pp. 173 ss.; Id., Davanti a quale giudice<br />

si propone l’opposizione a precetto ex art. 617, 1° comma, c.p.c., in Foro it., 1954, II, p. 1522.<br />

(6) Per la tesi della prosecuzione oltre il 2° incanto deserto, SATTA, Commentario al<br />

Codice di Procedura civile, III, Milano, 1966, pp. 297-298; Id., Diritto processuale civile,<br />

Padova, 1981, p. 645; Contra: D’ONOFRIO, Regime processuale dei beni invenduti dopo<br />

il 2° incanto, in Giur. it., 1956, I, 2, p. 711; CASTORO, Il processo di esecuzione nel suo<br />

aspetto pratico, Milano, 1979, p. 342. Sull’art. 629, 1° comma c.p.c., e più in generale<br />

contro le tesi sostenute nei miei scritti, v. GARBAGNATI, Concorso dei creditori, in Enciclopedia<br />

del diritto, vol. VIII, pp. 539, note 34 e 36, 540 note 41 e 42.<br />

(7) Sulla prosecuzione oltre la diserzione del secondo incanto Cass. civ., 6 ottobre<br />

1958, n. 3113, in Giust. civ., 1959, I, p. 100; nel senso che si richieda la rinuncia anche<br />

dei creditori, tardivamente intervenuti, se muniti di titolo esecutivo: Cass. civ., 10 novembre<br />

1979, n. 5798, in Giust. civ., Milano, 1979, p. 2557; Cass. civ., 21 maggio 1977,<br />

n. 2126; ibidem 1977, p. 890; Cass. civ., 22 aprile 1977, n. 1508, ibidem 1977, p. 648;<br />

Cass. civ. 28 luglio 1975, n. 2922; ibidem 1975, p. 1371; Cass. civ., 2 maggio 1975, n.<br />

1691; ibidem 1975, I, p. 1074; Cass. civ., 13 maggio 1969, n. 1663; ibidem 1969, V, p.<br />

1773; Cass. civ., 7 maggio 1968, n. 750, in Foro it., 1968, I, p. 1518; Cass. civ., 10 gennaio<br />

1963, n. 31, in Giust. civ., 1963, I, p. 792.<br />

(8) Il progetto, in Riv. dir. proc., 1981, pp. 504 ss., ed il risultato della Commissione<br />

presieduta dal prof. E. T. Liebman, istituita con decreto 6 dicembre 1978, venne trasmesso<br />

il 25 febbraio 1981.<br />

(9) Lo schema risulta dal testo del disegno di legge delega, n. 1463, in Riv. trim. dir.<br />

e proc. civ., 1981, pp. 6480 ss.<br />

(10) La Relazione Ministeriale approvata l’8 maggio 1981, in Riv. trim. dir. e proc.<br />

civ., 1981, p. 645.


Scritti di Diritto Processuale 385<br />

spondono agli auspici allora formulati e parecchie proposte avanzate<br />

allora de jure condendo (11) si trovano ivi espresse.<br />

Sembra tuttavia doveroso fare quivi seguire osservazioni e proposte<br />

in aggiunta a quelle da altri (12) avanzate in passato, come contributo<br />

di perfettibilità per la discussione delle linee di riforma e la<br />

codificazione del legislatore delegato.<br />

2. – Il nuovo processo esecutivo è delineato dal punto 17 al 23 del<br />

disegno di legge delega e presenta le seguenti caratteristiche rispetto<br />

alla normativa in vigore:<br />

A) Si riconferma gran parte dell’attuale disciplina, né poteva<br />

essere diversamente e così: la notifica del titolo esecutivo e<br />

del precetto inaugurano la fase preliminare (Relazione punto<br />

17 lett. c); l’espropriazione forzata ha inizio col pignoramento<br />

(Relazione punto 18 lett. c, ora artt. 523 ss., 543 ss., 555 ss.,<br />

599 ss., 602 ss.).<br />

B) Una novità è data dalla possibilità offerta dal punto n. 18 lett.<br />

a, di riunire, per connessione, avanti lo stesso giudice, diverse procedure<br />

contro lo stesso esecutato, così cumulando più espropriazioni<br />

immobiliari o mobiliari con le immobiliari.<br />

C) Si ribadisce che il giudice d’esecuzione dirige con ampi poteri<br />

la espropriazione, compresa la facoltà di sostituire al bene pignorato<br />

una somma di danaro da versarsi anche ratealmente (punto 18<br />

lett. a, ora art. 495, c.p.c.). Al debitore è dato di proporre opposizione<br />

agli atti per contestare la idoneità dell’espropriazione a causa<br />

del modesto valore dei beni o al contrario perché hanno un valore<br />

eccessivo e più in generale nei confronti di ogni provvedimento non<br />

diversamente contestabile.<br />

Si conferma negli incanti immobiliari, la possibilità di offerte in<br />

aumento del sesto, con nuova gara di offerenti (punto 18 lett. g,<br />

ora art. 584, c.p.c.).<br />

Non si prevede praticabile l’abolizione degli Istituti di Vendite<br />

Giudiziarie, né una gestione diretta dello Stato, né che Monti di<br />

(11) Così l’ammissibilità dell’assegnazione-acquisto dei beni pignorati al punto 18,<br />

lett. h e la verifica degli interventi al punto 18, lett. e.<br />

(12) T. CARNACINI, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1981, I, pp. 430 ss.; VERDE, Rivista<br />

di diritto processuale, 1982, pp. 92 ss.; G. BORRÉ, in Foro it., 1983, V, pp. 134 ss.


386 Scritti di Diritto Processuale<br />

Pietà o Casse di Risparmio siano interessati ad assumere in modo<br />

generalizzato, incarichi di vendite all’asta.<br />

Si prevede la possibilità di vendita a grandi lotti di beni compresi<br />

in più vendite, con riparto proporzionale del ricavo e la facoltà<br />

al giudice di sospendere le vendite all’asta nel caso di situazioni<br />

che impediscano la realizzazione del giusto prezzo o che<br />

ostacolino il regolare e corretto svolgimento della procedura (Relazione<br />

punto 18 lett. g).<br />

D) A proposito della vexata quaestio sulla sorta della esecuzione<br />

dopo che sia andato deserto il secondo incanto, si ricorda la polemica<br />

de jure condito tra l’autore di queste righe (13) che sostenne doversi<br />

ritenere che la espropriazione prosegua indefinitamente finché<br />

il creditore abbia interesse ad anticipare le spese per i successivi incanti<br />

e d’Onofrio (14) , Castoro (15) , ed altri secondo i quali il processo<br />

si estinguerebbe alla diserzione del secondo incanto, perché il<br />

compendio sarebbe divenuto res nullius valoris, non avendo trovato<br />

acquirenti a nessun prezzo.<br />

De jure condendo proponevo poi, perché l’esecuzione trovasse<br />

esito positivo, che il creditore potesse domandare ed ottenere l’assegnazione<br />

dopo il secondo incanto deserto senza il vincolo del prezzo<br />

di cui all’art. 538, 2° comma, in relazione all’art. 535, 2° comma,<br />

c.p.c., e perciò a qualsiasi prezzo, al quale i beni del resto non<br />

avevano trovato acquirenti.<br />

Il disegno di legge al punto 18 lett.) confermando de jure condito<br />

la tesi che il processo prosegue indefinitamente e tuttavia preoccupandosi<br />

che esso possa distruggere ricchezza e così girare a vuoto,<br />

come diceva il compianto D’Onofrio (16) limita a due soli incanti<br />

deserti la durata della procedura di vendita all’asta, dopo di che<br />

il processo si estingue; se il creditore non domanda l’assegnazione,<br />

senza il limite di prezzo di cui all’art. 535, 2° comma, c.p.c., come<br />

a suo tempo proposto.<br />

La Relazione Ministeriale dice che in tal modo l’istituto di una<br />

assegnazione-acquisto si è venuto ad affiancare all’assegnazione<br />

(13) In Giur. it., 1955, I, 2, p. 1050 ed in Giur. it., 1958, I, 2, p. 238.<br />

(14) D’ONOFRIO, in Giur. it., 1956, I, 2, p. 711; Id., Commentario al codice di procedura<br />

civile, 1917, II, p. 107.<br />

(15) CASTORO, op. cit. loc. cit.<br />

(16) D’ONOFRIO, in Giur. it., 1956, I, 2, p. 712.


Scritti di Diritto Processuale 387<br />

propriamente detta, da cui si distingue nettamente perché, essendo<br />

svincolata dal prezzo, non ha più fine e risultato satisfattivo.<br />

E) La più grossa e positiva novità è da riconoscere alla disciplina<br />

del concorso dei creditori.<br />

Si conferma che possono intervenire nella esecuzione anche i creditori<br />

sforniti di titolo esecutivo, ma a differenza della normativa in<br />

vigore, si pretende che il credito sia assistito da prova documentale,<br />

intesa questa come quella bastevole ad ottenere un decreto ingiuntivo<br />

(Relazione al punto 18 lett. e), vale a dire ridotta alle scritture<br />

dell’imprenditore.<br />

L’odierno codice di procedura distingue i creditori in tempestivi<br />

ed in tardivi a seconda che intervengano prima o dopo l’udienza fissata<br />

per disporre la vendita e sancisce che i primi partecipano alla<br />

espropriazione anche se privi di titolo esecutivo, mentre i secondi<br />

partecipano solo alla fase satisfattiva, anche se muniti di titolo.<br />

Gli intervenuti tardivi concorrono, se chirografari, su quanto residuato<br />

al soddisfo dei chirografari tempestivi a sensi degli artt.<br />

528, 556, 565 c.p.c.<br />

Codesta distinzione tra concorrenti tempestivi e tardivi venne a<br />

suo tempo criticata da chi scrive (17) , perché sostanzialmente non è<br />

giustificata, dato che il concorrente tardivo avente privilegio sulle<br />

cose pignorate, non è postergato a quelli tempestivi a sensi dell’art.<br />

528, 2° comma, c.p.c., e la postergazione dei chirografari tardivi<br />

appare affidata al caso di una udienza peraltro controversa (18) .<br />

L’equivoco cresce se si passa dalla enunicazione astratta degli<br />

art. 526 e 564 c.p.c., a vedere come sono distribuiti i poteri dispositivi<br />

tra gli uni e gli altri.<br />

Invero ne risulta un quadro di incoerenze e contraddizioni. E così<br />

l’intervenuto chirografario tardivo può chiedere l’assegnazione che<br />

è insieme atto satisfattivo ed espropriativo, anche se è privo di titolo<br />

esecutivo e non partecipa all’espropriazione (19) . L’art. 629, 1°<br />

comma, c.p.c., richiede la rinuncia del concorrente tardivo munito<br />

(17) Rivista di dir proc. civ., 1960, I, pp. 56 ss.<br />

(18) Foro it., 1960, IV, pp. 54 ss.; SATTA, Diritto processuale civile, 1959, pp. 494<br />

ss.; FURNO, Questioni sulla ritualità dell’intervento nell’espropriazione verso terzi, in Riv.<br />

trim. dir. proc. civ., 1957, pp. 620 ss.<br />

(19) SANTI, La distribuzione del ricavo e l’opposizione alla esecuzione, in Riv. dir.<br />

proc., 1953, I, pp. 98 ss.


388 Scritti di Diritto Processuale<br />

di titolo esecutivo, anche se non partecipa alla espropriazione, come<br />

fu opinione avanzata dall’autore di queste righe (20) avversata dal<br />

Garbagnati (21) , ma accolta dalla Suprema corte (22) .<br />

E per contro non si pretende la rinuncia dell’intervenuto tempestivo,<br />

mancante di titolo esecutivo, malgrado che l’art. 526<br />

c.p.c., dica che esso partecipa all’espropriazione, con la conseguenza<br />

che esso non riceve maggiore tutela dell’omologo tardivo,<br />

che non vi partecipa.<br />

Dopo la vendita all’asta, per aversi estinzione, si richiede la rinuncia<br />

di tutti i concorrenti tempestivi e tardivi, muniti o privi di<br />

titolo esecutivo, a sensi dell’art. 629, 2° comma, c.p.c. Comunque<br />

ciascuno ha diritto di veto con il non accettare la rinuncia altrui a<br />

sensi dell’art. 629, 3° comma, c.p.c. (23) .<br />

Il nuovo schema di progetto fa giustizia di tutto ciò ed abolisce<br />

la distinzione tra concorrenti tempestivi e tardivi così che tutti<br />

si soddisfano secondo il grado del loro credito, senza la postergazione<br />

dei chirografari tardivi, ad esclusione di coloro che non<br />

hanno pignorato in estensione (Relazione al punto 18, lett. e, ora<br />

art. 521 c.p.c.).<br />

Esso rappresenta un grosso passo avanti nel senso della chiarezza<br />

e del razionale.<br />

La più importante e giusta novità dello schema, che era attesa da<br />

gran tempo, è però laddove viene introdotta la verifica degli interventi<br />

da parte del giudice d’esecuzione, con qualche analogia con il<br />

fallimento. La verifica ha luogo all’udienza in cui si dispone la vendita<br />

o l’assegnazione come «termine ultimo e definitivo» (Relazione<br />

sub. 18, lett. e), e potrà essere anticipata nel caso di rinuncia del<br />

creditore precedente, ove residuino solo creditori privi di titolo esecutivo<br />

o nel caso di estensione ad altri beni.<br />

Il provvedimento «potrà avere la forma della ordinanza immediatamente<br />

esecutiva, la quale non avrà effetti di giudicato in<br />

ordine alla esistenza ed all’ammontare del credito, ma avrà solo<br />

(20) Giur. it., 1959, I, 2, p. 628.<br />

(21) GARBAGNATI, Enciclopedia del Diritto, Concorso dei creditori, op. cit., vol.<br />

VIII, nota 41.<br />

(22) Cass. civ., 10 novembre 1979, n. 5798 e giurisprudenza cit. a nota 7.<br />

(23) Contra, GARBAGNATI, Enciclopedia del diritto, Concorso dei creditori, op.<br />

cit., nota 36.


Scritti di Diritto Processuale 389<br />

effetti endoprocessuali, limitati cioè al processo in corso» (v. Relazione<br />

citata).<br />

La opposizione all’ammissione o all’esclusione dell’intervento<br />

sarà trattata come controversia di merito, che non può paralizzare<br />

la espropriazione, ma può condurre alla sospensione della distribuzione,<br />

se riguarda l’esistenza o l’ammissibilità dell’intervento (Relazione<br />

al punto 18, lett. l, e punto 22 alla fine). Le controversie in<br />

sede di distribuzione del ricavo dovrebbero infine riguardare fatti<br />

sopraggiunti o la contestazione dei privilegi e potrebbero rimanere<br />

affidate al giudice della esecuzione, escludendo qualsiasi spostamento<br />

per ragioni di competenza.<br />

F) Il sistema delle opposizioni è contraddistinto da numerose novità.<br />

La competenza a decidere l’opposizione all’esecuzione ex art.<br />

615 c.p.c., è affidata al giudice dell’esecuzione, non diversamente<br />

che l’opposizione agli atti ex art. 617 c.p.c.<br />

La decisione nel primo caso è appellabile, a differenza del secondo.<br />

Anche per l’opposizione all’esecuzione si contempla un termine<br />

perentorio, come per l’opposizione dagli atti.<br />

Lo schema di progetto mentre introduce limiti all’opposizione<br />

all’esecuzione, allarga il ventaglio delle possibilità di proporre<br />

opposizione agli atti esecutivi con cui si possano contestare non<br />

solo le irregolarità, ma anche la loro idoneità ed utilità. L’opposizione<br />

ex art. 617 c.p.c., è esperibile non solo dal debitore, «ma<br />

da qualunque interessato contro qualsiasi atto che non sia altrimenti<br />

contestabile».<br />

L’opposizione di terzo infine è consentita anche a chi non faccia<br />

valere un diritto di proprietà e più in genere un diritto reale, ma «una<br />

situazione giuridica prevalente rispetto all’esecuzione» (punto 21).<br />

Accanto alle opposizioni agli atti vi sono i rimedi contro le<br />

semplici «difficoltà insorte prima e/o nel corso della esecuzione<br />

concernenti la individuazione delle parti o dei beni, la interpretazione<br />

del titolo esecutivo ed in genere le modalità della esecuzione»<br />

(punto 17 lett. c).<br />

G) Si conferma che la sospensione della esecuzione è data dal<br />

giudice dell’esecuzione, per gravi motivi, con ordinanza e nei casi<br />

di urgenza con decreto. L’opposizione concernente la esistenza del<br />

credito o l’ammissibilità degli interventi ha efficacia sospensiva ope<br />

juris della distribuzione (punto 22).


390 Scritti di Diritto Processuale<br />

H) Il processo si estingue per inosservanza di un termine perentorio<br />

o per rinuncia del creditore precedente e dei creditori intervenuti<br />

ed ammessi (punto 23).<br />

3. – Una volta delineata la fisonomia del nuovo processo esecutivo,<br />

ci sia consentito di aggiungere alcune osservazioni e proposte, che<br />

qui seguono.<br />

1. – Sul titolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed esigibile<br />

Non sembra, a chi scrive, opportuno ripetere la formula dell’art.<br />

474 c.p.c., tale e quale: «l’esecuzione forzata non può avere<br />

luogo che in virtù di un titolo esecutivo per un diritto certo, liquido<br />

ed esigibile».<br />

Esso invero suscita varie perplessità.<br />

Cosa vuol dire «non può aver luogo?». Che l’esecuzione non<br />

può essere iniziata od anche che non può proseguire senza un titolo<br />

esecutivo?<br />

In quest’ultimo caso, essa appare contraddetta dalla regola fissata<br />

dal punto 18 lett. b, che la esecuzione, dopo la vendita prosegue<br />

d’ufficio, anche se alla stessa partecipassero solo creditori, privi<br />

di titolo esecutivo.<br />

Come ad esempio laddove il creditore procedente sia stato tacitato<br />

o intervenga una decisione che accolga l’opposizione nei suoi<br />

confronti.<br />

La inesattezza non è rimediabile sostituendo «l’espropriazione<br />

forzata» ad «esecuzione forzata» così da limitarla alla fase espropriativa<br />

propriamente detta, sia perché il principio ex art. 474<br />

c.p.c., riguarda ogni tipo di esecuzione, sia perché la distinzione<br />

tradizionale tra fase espropriativa e fase satisfattiva, non appare<br />

più giustificata e comunque il ricavo appartiene al debitore fino<br />

al provvedimento di distribuzione che glielo espropria per assegnarlo<br />

al creditore (24) .<br />

(24) SATTA, Rivista di diritto processuale, 1953, I, p. 98, A. SCARDACCIONE, Rivista<br />

di diritto civile, pp. 489 ss.


Scritti di Diritto Processuale 391<br />

Il riferimento ad «un diritto certo, liquido ed esigibile» non appare<br />

parimenti adeguato.<br />

La relazione ministeriale al punto 17, lett. a, ribadisce per un<br />

verso che il titolo esecutivo «deve rifarsi ad un diritto certo, liquido<br />

ed esigibile» e per un altro, scrive che codesti requisiti sono «da riconsiderare»<br />

ed accenna in particolare ai problemi della esigibilità,<br />

con riguardo ai crediti a termine. Con riguardo al credito a termine,<br />

sembra a chi scrive che debba fissarsi una regola che riguardi la<br />

attualizzazione del credito, non ancora scaduto, perché altrimenti<br />

il creditore ricaverebbe un lucro ingiustificato.<br />

Il requisito della certezza del credito è fra tutti quello che lascia<br />

maggiormente perplessi.<br />

Infatti, per intraprendere un’esecuzione occorre un titolo esecutivo<br />

e non anche il possesso di una cosa giudicata, che è poi la unica<br />

a dare certezza di diritto. A quale diversa certezza ci si riferisce<br />

e da quale diversa fonte la si dovrebbe trarre? Occorre qui ricordare<br />

le pagine indimenticabili di Piero Calamandrei (25) sul relativismo<br />

processuale per cui verità è sinonimo di verosimiglianza, sulla portata<br />

della cosa giudicata che, se non crea «né una presunzione né<br />

una finzione di verità crea però la irrevocabilità giuridica del comando<br />

e perciò essa sola dà la certezza ai rapporti».<br />

Ciò ha tanto maggior rilievo se si pon mente al fatto che sia l’attuale<br />

codice sia lo schema della riforma, non richiedono la regiudicata<br />

e neppure un titolo esecutivo alla base degli interventi dei creditori,<br />

ma si accontentano di una domanda in carta da bollo che ora<br />

si vuole accompagnata almeno da una fattura (punto 18 lett. e).<br />

Né pare giustificato il richiamo alla certezza, come criterio<br />

normativo per il giudice, dato che questi è chiamato a compiere<br />

una cognizione, tanto meno approfondita quanto più sbrigativa<br />

e scompagnata dalle garanzie della competenza giudiziale per valore<br />

e materia.<br />

Sulla base di queste premesse, sembra a chi scrive, di poter concludere<br />

raccomandando una formula di questo tipo «l’esecuzione<br />

forzata non può essere intrapresa che in virtù di un titolo esecutivo<br />

per un diritto liquido ed esigibile».<br />

(25) R. CALAMANDREI, Verità e verosimiglianza nel processo civile, in Studi sul processo<br />

civile, 1958, VI, pp. 111 ss.


392 Scritti di Diritto Processuale<br />

Sembra meritevole di conferma anche la normativa dall’art. 474,<br />

2° comma, all’art. 479 c.p.c.<br />

2. – Sul precetto<br />

Gli artt. 480-481-482 c.p.c., non sembrano porre esigenze di innovazione<br />

ad eccezione dell’art. 480, 3° comma, c.p.c.<br />

Questa norma prescrive nel precetto la elezione di domicilio nel<br />

comune dove ha sede il giudice competente per l’esecuzione e l’art.<br />

617 c.p.c., lo designa a giudicare l’opposizione.<br />

È nota l’ampia controversia cui essa ha dato luogo in sede di interpretazione<br />

dell’art. 617, 1° comma c.p.c., dato che l’opponente<br />

è chiamato sostanzialmente ad indovinare quale esecuzione intraprenderà<br />

il creditore, se mobiliare o immobiliare, che poi implicano<br />

giudici diversi.<br />

Si è risolto in passato il rompicapo sulla base di equivoci criteri<br />

sintomatici, quali in passato il diverso taglio della carta da bollo<br />

usata dal procedente, il fatto che il comune sia sede solo di pretura<br />

e non anche il tribunale e così via.<br />

Lo schema di riforma è destinato ad aggravare la dimensione<br />

della controversia perché esso devolve da un lato anche l’odierna<br />

opposizione ex art. 615 c.p.c., al giudice d’esecuzione e dall’altro<br />

lato chiama codesto giudice, da ricavarsi presuntivamente dal precetto,<br />

a risolvere le difficoltà che insorgano nella fase preliminare a<br />

proposito della interpretazione del titolo esecutivo, della individuazione<br />

delle parti e dei beni e delle modalità.<br />

La relazione al punto 17, lett. c, scrive al riguardo che se non è<br />

ancora individuato il giudice d’esecuzione, tale deve ritenersi «quello<br />

indicato come tale dal creditore procedente».<br />

Codesta soluzione non è tra le più felici, non apparendo corretto<br />

rimettere all’arbitrio del creditore procedente la scelta della competenza<br />

giudiziaria e non essendo neppure garantito che egli la compia<br />

in modo univoco e non incerto.<br />

Tutto sommato mi sembra che l’art. 480, 3° comma, c.p.c.,<br />

debba modificarsi nel senso che laddove è scritto «in mancanza,<br />

le opposizioni si propongono avanti il giudice del luogo», debba<br />

scriversi «davanti al pretore del luogo», ecc., dato che il pretore è


Scritti di Diritto Processuale 393<br />

il giudice generalmente competente per le esecuzioni ad eccezione<br />

di quella immobiliare.<br />

Nel caso poi che il procedente scelga un tipo di esecuzione come<br />

quella immobiliare che si celebrerà davanti al tribunale, sarà sufficiente<br />

che il pretore rimetta poi la causa d’opposizione allo stesso.<br />

3. – Sul pignoramento e sulla vendita<br />

Non sembra che la normativa odierna dall’art. 491 all’art. 497<br />

c.p.c., richieda un mutamento, ad esclusione dell’art. 491 c.p.c.,<br />

che sopprimerei.<br />

Questa norma, per cui l’espropriazione comincerebbe con il pignoramento,<br />

è per un verso inutile, come in genere è il caso di ogni<br />

enunciazione classificatoria e per altro verso è incoerente, dato che<br />

la Relazione Ministeriale sub. 17 lett. c, esclude l’«istituzione formale<br />

di una fase preliminare rispetto all’inizio dell’esecuzione» avuto<br />

anche riguardo alla problematica trattata sopra a proposito dell’art.<br />

480, 3° comma, c.p.c. destinata a perpetuarsi a sensi del detto<br />

punto 17 lett. c.<br />

Lo schema di progetto al punto 18 lett. b prevedeva un’estensione<br />

del pignoramento anche alle aziende ed alle università di beni<br />

«allo scopo di evitare i danni conseguenti al pignoramento dei beni<br />

individualmente considerati, che può produrre l’arresto dell’attività<br />

produttiva e la perdita definitiva dell’avviamento» e quindi il fallimento<br />

(Relazione al punto 18 lett. b). Un ulteriore ampliamento è<br />

previsto per le quote sociali delle società personali (Relazione sub.<br />

18 lett. d).<br />

In attesa di conoscere le idee sulla disciplina preannunciata, quel<br />

che lascia fortemente perplessi è il fatto che il rimedio sembra superiore<br />

al male se si dovesse pignorare nella sua interezza l’azienda<br />

del debitore, tutte le volte che sarebbe bastevole pignorare qualche<br />

elemento magari non fondamentale della stessa.<br />

A ciò conseguirebbe proprio quel fallimento che ci si propone di<br />

evitare senza dire che una tale soluzione metterebbe capo a una esecuzione<br />

esorbitante contro la quale si accorda al debitore la facoltà<br />

di opporsi (punto 21).<br />

Nel caso dell’azienda sembra perciò partito preferibile evitare


394 Scritti di Diritto Processuale<br />

una tale forzatura, stante anche la possibilità del ricorso alle procedure<br />

concorsuali, a garanzia della conservazione della unità<br />

aziendale, nell’interesse della par condicio creditorum. Ciò a<br />

meno che non si pervenga alla opposta conclusione della loro<br />

complessiva impignorabilità.<br />

La proposta sembra avere invece meno controindicazioni a riguardo<br />

delle altre universitas rerum, come collezioni, ecc.<br />

Lo schema del progetto annuncia il proposito di estendere l’impignorabilità<br />

a quei beni che se anche non impediscono, comprometterebbero<br />

gravemente l’attività lavorativa ed in ciò non si può<br />

non essere d’accordo.<br />

A mio avviso l’impignorabilità va estesa nella ipotesi ex art. 514,<br />

2° comma, c.p.c., in genere ai mobili dell’abitazione del debitore<br />

che non abbiano un valore di rilievo e cioè escludendosi quelli di<br />

antiquariato ed altri.<br />

Oggi come oggi la norma fa un puntiglioso elenco dei mobili impignorabili<br />

e si tratta di quelli che normalmente arredano la cucina<br />

e la camera da letto del debitore oltre agli elettrodomestici, cosicché<br />

restano fuori e sono perciò pignorabili la sala da pranzo, il soggiorno<br />

e poco altro.<br />

Si propone di estendere la impignorabilità anche a questi e cioè<br />

a tutti i mobili di casa che non abbiano un particolare valore.<br />

Si ricordano le ragioni già espresse a suo tempo dal legislatore<br />

nella sua Relazione alla legge 8 maggio 1971, n. 302, a proposito<br />

degli elettrodomestici, laddove ha affermato che occorre avere rispetto<br />

dei vincoli famigliari dell’esecutato e che «da altra parte è notorio<br />

che in pratica dall’esecuzione mobiliare cadente sugli arredamenti<br />

domestici, il creditore poco o nulla realizza dopo la deduzione<br />

delle spese giudiziarie ed a seguito di vendite che non danno il<br />

migliore realizzo per le interferenze ben note di speculatori».<br />

Il recente convegno svoltosi a Viareggio in 20 e 21 ottobre 1984<br />

e promosso dagli Istituti per le Vendite Giudiziarie ha stimato il realizzo<br />

degli incanti degli arredamenti domestici in misura inferiore<br />

al 10% del loro valore complessivo.<br />

Ciò rappresenta una grossa distruzione di quelle ricchezze del<br />

povero, che è data dagli arredi del domicilio di niun pregio, senza<br />

soddisfare un’apprezzabile interesse del creditore.<br />

I creditori traggono i loro ricavi non tanto dalla vendita quanto


Scritti di Diritto Processuale 395<br />

dal pagamento coatto indotto dalla minaccia di sottrarre loro mobili<br />

aventi un valore affettivo più che venale.<br />

La proposta obbedisce alla medesima logica dello schema di<br />

riforma che al punto 21 accorda al debitore la facoltà «di contestare,<br />

con opposizione agli atti esecutivi, l’utilità dell’espropriazione a<br />

causa del modesto valore dei beni pignorati» (Relazione Ministeriale<br />

al detto punto 21) e di altre legislazioni che, come ad esempio<br />

l’art. 92, n. 1 del codice svizzero sulle esecuzioni dichiara impignorabili<br />

i mobili da cui possano presumersi ricavi che non giustificano<br />

il loro realizzo.<br />

La soluzione della impignorabilità dei mobili porrebbe fine ad<br />

esecuzioni caratterizzate da rinvii senza fine e da notevole spreco di<br />

attività giudiziarie, nonché alla farsa di vendite simulate e coeve<br />

conduzioni con la moltiplicazione di liti per rivendiche di proprietà<br />

ex art. 629 c.p.c. Essa ha il pregio rispetto a quella accolta dallo<br />

schema di progetto di evitare che alla dichiarazione di impignorabilità<br />

si pervenga attraverso innumeri opposizioni agli atti esecutivi,<br />

come vuole il punto 21, evitando spreco di attività processuale.<br />

Non si deve concludere d’altra parte che ciò comporti sacrifici insopportabili<br />

ai creditori, dato che essi si rivarranno di regola sulla<br />

parte pignorabile dei crediti salariali, alle quali del resto guarda chi<br />

fa credito, come ad esempio il minutante, senza dire che gli alti prezzi<br />

nelle vendite a rate compensano anche la ipotesi di insolvenze.<br />

L’attestazione di incapienza, consentirà al creditore il ben più<br />

grosso vantaggio di dedurre le perdite nei confronti dell’Erario.<br />

Si propone di modificare altresì l’art. 514, n. 3, c.p.c., nel senso<br />

di aumentare da uno a due mesi, la quantità impignorabile di<br />

commestibili e combustibili necessari per il mantenimento della<br />

famiglia del debitore e di estenderla alle somme necessarie per<br />

comperarle come fa l’art. 92, n. 5 del codice svizzero sull’esecuzione<br />

e sul fallimento.<br />

Con riguardo all’art. 515 c.p.c., per il caso di azienda agricola,<br />

sembra doversi preferire una normativa più specifica della nostra,<br />

come ad esempio fa l’art. 92, n. 4 del cit. codice svizzero.<br />

Ed ora passiamo al realizzo dei beni pignorabili (od. art. 501-<br />

508 per la parte generale, 529-540 per la esecuzione mobiliare,<br />

552-554 per la espropriazione verso terzi, 567-595 per la espropriazione<br />

immobiliare).


396 Scritti di Diritto Processuale<br />

Il progetto e la Relazione Ministeriale – si è detto – pongono agli<br />

operatori il giusto obiettivo (punto 18 lett. g) che si debba cercare<br />

di perseguire «il giusto prezzo» nel realizzo dei beni pignorati.<br />

Con tale motivazione è correttamente data al giudice la facoltà<br />

anche di sospendere la vendita, in presenza di date situazioni. Sembra<br />

tuttavia incoerente con tali premesse quel passo della Relazione<br />

(sub. punto 18 lett. g, ultimo periodo) dove si ipotizza la eventuale<br />

soppressione dell’istituto dell’amministrazione giudiziaria di<br />

cui agli art. 592 e seguenti dell’attuale codice. Invero questo deve<br />

essere anzi valorizzato estendendone la applicazione all’esecuzione<br />

mobiliare, per la sua adattabilità alle universitas rerum e tra esse<br />

all’azienda, data la sua utile funzione di consentire il superamento<br />

di contingenti e anomale avversità di mercato che renderebbero vili<br />

i risultati dell’alienazione o dell’assegnazione (26) .<br />

Perché la vendita forzata sia finalizzata al tentativo di perseguire<br />

il giusto prezzo e di evitare la distruzione dei valori economici dei<br />

beni pignorati, occorre che lo stesso legislatore compia un salto culturale<br />

di qualità e si liberi dall’abituale schema di identificare la<br />

vendita esecutiva con quella per pubblici incanti, di cui il secondo<br />

si tenga a qualsiasi prezzo (art. 538 c.p.c.).<br />

Il fatto medesimo che le vendite giudiziarie avvengano sempre e<br />

necessariamente su un canale tipico ed a tutti noto di realizzi coattivi,<br />

costituisce di per sé una rinuncia alla speranza di ottenere maggiori<br />

ricavi. Si può tentare di cogliere il prezzo giusto con lo sperimentare,<br />

dove è possibile, la vendita sul mercato normale senza che<br />

l’acquirente sappia in partenza che si tratti di una vendita coatta.<br />

Non si vuole qui negare il ruolo e la utilità della vendita per pubblici<br />

incanti, si vuole solo auspicare che il legislatore dedichi la migliore<br />

attenzione a disciplinare in modo complessivo ed articolato<br />

tutte le varie possibili forme di vendita e così estenda anche al caso<br />

dei mobili e delle universalità di mobili, le vendite per commissionario,<br />

per trattativa privata, a quelle senza incanto come agli art.<br />

532 ss., 570 ss., in aggiunta alla vendita all’asta.<br />

Nel caso di vendita all’asta delle universitas rerum (quali azien-<br />

(26) Così R. PROVINCIALI, Amministrazione giudiziaria, in Enciclopedia del diritto,<br />

1958, II, pp. 213 ss.; ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, 1957, III, p.<br />

280; ZANZUCCHI, Diritto processuale civile, 1964, III, pp. 238 ss.


Scritti di Diritto Processuale 397<br />

de, collezioni, ecc.) proporrei che si adotti almeno la normativa in<br />

vigore per gli immobili, che contempla incanti con limite di ribassi<br />

e con la possibilità di offerte in aumento.<br />

Per l’importanza che hanno assunto i valori mobiliari nella economia<br />

contemporanea non mi sembra bastevole la soluzione (Relazione<br />

sub. 18 lett. g) di «lasciare al giudice d’esecuzione i più ampi<br />

poteri discrezionali circa la determinazione delle modalità di custodia<br />

dei beni pignorati e della vendita forzata degli stessi, al fine di<br />

realizzare… il massimo ricavato col minore costo».<br />

Occorre a mio avviso che si dia adeguato spazio legislativo a disciplinare<br />

in modo flessibile e tuttavia non totalmente discrezionale le<br />

varie forme di vendita di cui sopra si è detto, con particolare riguardo<br />

alle stime, all’entità di ribassi, alle modalità in genere e così via.<br />

Un punto qualificante della nuova riforma, che non sembra<br />

tuttavia risultare dallo schema di progetto, deve essere l’abolizione<br />

della norma in vigore per l’espropriazione mobiliare, per<br />

cui il secondo incanto si tiene a qualsiasi prezzo e cioè ad offerta<br />

libera.<br />

La norma in vigore è agli antipodi dell’obiettivo di evitare distruzioni<br />

di ricchezza, giustamente colto dallo schema di progetto.<br />

Tempo fa fu sollevata la questione di incostituzionalità (27) ed anche<br />

se tale questione è stata disaccolta dalla decisione 12 luglio<br />

1972, n. 130 della Corte Costituzionale, il dubbio non era certo peregrino<br />

perché la norma contrasta con il modo di sentire e le istanze<br />

sociali del tempo d’oggi.<br />

La vendita all’asta a qualsiasi prezzo in sede di secondo incanto<br />

ha sollevato giustamente un mare di critiche e se n’è proposta la<br />

soppressione anche al recente convegno di Viareggio.<br />

È peraltro determinante nel senso della radicale modificazione<br />

della norma nel senso di ribassi anche di rilievo, ma sempre con soglia<br />

minima, la esperienza ora diffusa presso numerose ed autorevoli<br />

curie (28) per cui il secondo incanto non si tiene più a qualsiasi<br />

offerta, ma con un limite minimo.<br />

(27) La Pretura di Orvieto 3 luglio 1970, Giust. civile, 1971, III, p. 28, La decisione<br />

della Corte Costituzionale 12 luglio 1972, n. 130 è in Foro it., 1972, I, p. 3014.<br />

(28) Consta che le preture di Firenze e Roma ad esempio praticano il secondo incanto<br />

con il limite di ribasso del 50% rispetto alla stima ed il terzo incanto del 70%. Altrove<br />

il secondo incanto si tiene invece con un ribasso limitato al solo 20% rispetto alla stima.


398 Scritti di Diritto Processuale<br />

La vendita all’asta a qualsiasi offerta, come è emerso dal Convegno<br />

di Viareggio, è un anacronismo storico e contraddice anche il<br />

pubblico interesse ad un commercio ordinato e non rovinoso (29) .<br />

Sembra altresì di doversi dare soluzione positiva al problema<br />

che lo stesso debitore possa rendersi acquirente dei beni (30) dato<br />

che egli è quello più interessato alla valorizzazione dei risultati<br />

vendita degli stessi.<br />

Va totalmente approvata la soluzione (di cui al punto 18, lett. h,<br />

dello schema di progetto) che accoglie una proposta a suo tempo<br />

avanzata da chi scrive de jure condendo, che il creditore possa chiedere<br />

l’assegnazione del bene pignorato, senza il vincolo di prezzo<br />

che la impedisce di cui agli odierni artt. 506, 508 c.p.c.<br />

Va tuttavia precisato che la assegnazione deve aver luogo ad<br />

un prezzo non inferiore a quello del precedente incanto andato<br />

deserto e comunque con la riserva che il giudice d’esecuzione può<br />

negarla con riguardo alle concrete condizioni economiche in cui<br />

avverebbe.<br />

Sembra doversi infine dare soluzione al problema che si è posto<br />

in dottrina (31) nel caso di domanda di assegnazione da più<br />

creditori in concorrenza fra loro, nel senso di dare al giudice la<br />

possibilità di aprire fra essi una gara o quantomeno di accogliere<br />

la proposta più alta.<br />

4. – Sul concorso dei creditori<br />

Passiamo ora a trattare questo tema che riveste particolare<br />

importanza.<br />

(29) Oggi la legge 19 marzo 1980, n. 80, disciplina le vendite di liquidazione, a tutela<br />

del commercio normale. Nel senso che le vendite sottocosto siano atti di concorrenza<br />

sleale: Cass. civ. 21, aprile 1983, n. 2743, in Foro it., 1983, I, p. 1824 con nota<br />

di R. Pardolesi.<br />

(30) Sono per l’affermativa: F. CARNELUTTI, Istituzioni del nostro processo civile,<br />

1951, III, pp. 740, 773; ZANZUCCHI, Diritto processuale civile, 1946, III, p. 148. Sono<br />

invece per la negativa: SATTA, L’esecuzione forzata, 1952, pp. 129, 130; ANDRIOLI,<br />

Commento al Codice di procedura civile, 1957, III, p. 176.<br />

(31) SATTA, L’esecuzione forzata, cit., p. 130; CARNELUTTI, op. cit., p. 52; AN-<br />

DRIOLI, Commentario al codice di procedura civile, III, p. 177.


Scritti di Diritto Processuale 399<br />

A) Sul credito dell’interveniente, sulla prova<br />

e sulla verifica giudiziale.<br />

Lo schema di progetto, a giusta ragione, è decisamente innovatore<br />

in questa materia.<br />

L’art. 525 c.p.c., richiede un credito certo, liquido ed esigibile da<br />

parte di chi interviene. Ma chi giudicherà se il credito esiste se sia<br />

liquido ed esigibile e come evitare l’ingresso di pretese infondate?<br />

A questo riguardo le vie praticabili sono in alternativa due: o si<br />

ammette solo il creditore munito di titolo esecutivo, come sosteneva<br />

il Carnelutti (32) e come proponevano gli artt. 473, 519 del suo<br />

progetto preliminare od al contrario si ammette l’intervento anche<br />

di chi ne sia sprovvisto ed in questo caso si tratta di organizzare la<br />

verifica degli interventi.<br />

Il più grosso difetto del codice in vigore, sulla scia di una lunga<br />

tradizione (33) è quello di ammettere, da un canto, ad intervenire anche<br />

i creditori, privi di titolo esecutivo, ed anzi neppure in possesso<br />

di idonea documentazione (34) e di prevedere, dall’altro, un vaglio<br />

del credito solo dopo che ne sia esplicitamente contestata la esistenza,<br />

a seguito di opposizione del debitore o di un creditore interessato<br />

(35) e non prima.<br />

Sicché il processo esecutivo ha porte addirittura spalancate a chi<br />

creda di vantare delle pretese e questi si trova nella posizione privilegiata<br />

di esercitare subito, dal momento dell’intervento, grossi poteri<br />

nei confronti del debitore e di tutti gli altri, condizionandone il<br />

comportamento.<br />

Non è chi non veda come un tale accertamento posticipato al sorgere<br />

della contestazione, rovesci la logica che è alla base dei principi<br />

sistematici, in fatto di cognizione, degli oneri di iniziativa e di<br />

prova, incombenti su chi avanzi delle domande e delle garanzie accordate<br />

a chi resista.<br />

Che senso ha pretendere tanto perché un creditore si premunisca<br />

del riconoscimento del diritto, prima di agire, per poi ammettere<br />

(32) F. CARNELUTTI, Lezioni di diritto processuale civile, processo di esecuzione,<br />

1929, I, pp. 296 ss.; pp. 320 ss., 353 ss.<br />

(33) E. GARBAGNATI, Il concorso dei creditori, Milano, 1938, pp. 47 ss., 55 ss.<br />

(34) VERDE, Intervento e prova del credito nella espropriazione forzata, Milano,<br />

1968, pp. 126, 146 ss., 150 ss.<br />

(35) E. GARBAGNATI, op. ult. cit., pp. 272 ss.


400 Scritti di Diritto Processuale<br />

chiunque a soddisfare le sue pretese in danno dell’esecutato, senza<br />

neppure un vaglio tempestivo di un giudice?<br />

È stato già osservato come codesto sistema di rinviare l’accertamento<br />

alla fase di riparto, espone il processo esecutivo non solo ad<br />

un mare di incertezze, ma a dir poco, «a grave pericolo di ritardo in<br />

contrasto con le necessità della sua funzione» (36) .<br />

Lo schema di riforma, sul punto 18 lett. e, conferma che può intervenire<br />

anche il creditore sprovvisto del titolo esecutivo, ma pretende<br />

che sia già «in possesso di prova documentale, da cui risulti<br />

l’ammontare del credito» e la Relazione cit., precisa che basta che<br />

il creditore «risulti da atti o scritture, che costituirebbero prova valida<br />

per il rilascio di un decreto ingiuntivo» come è il caso delle scritture<br />

dell’imprenditore (art. 634 c.p.c.).<br />

La parte più qualificante dello schema di riforma, come si disse,<br />

è però laddove esso prevede «la verifica, con effetti limitati al processo<br />

in corso, dell’ammissibilità degli interventi, ad opera del giudice<br />

d’esecuzione nell’udienza in cui si dispone la vendita o l’assegnazione».<br />

La Relazione ipotizza poi che la verifica dell’ammissibilità<br />

possa essere disposta con ordinanza immediatamente esecutiva, la<br />

quale non avrà effetti di giudicato, ma avrà solo effetti endo-processuali,<br />

limitati cioè al processo in corso. È stato al riguardo ritenuto<br />

che si tratta della formazione di titoli esecutivi endo-processuali (37) .<br />

La soluzione adottata, se pur da approvarsi nelle sue linee di<br />

fondo, abbisogna di talune rettifiche di qualche rilievo, per essere<br />

accettata.<br />

Mi sembra anzitutto, e ad un tempo troppo e troppo poco, pretendere<br />

dall’interveniente il possesso in partenza di un documento<br />

ad hoc, mentre la prova ex art. 634 c.p.c., non è di per sé idonea<br />

a produrre l’ammissione del credito allo stato passivo del fallimento<br />

(38) , senza dire che privilegerebbe gli imprenditori. Come<br />

può sostenersi che il credito, anche se esistente al tempo del documento,<br />

non sia venuto poi meno e sussista ancora al momento dell’intervento,<br />

dato che di questo si tratta?<br />

(36) F. CARNELUTTI, op. ult. cit. loc. cit.<br />

(37) G. VERDE, Riv. dir. proc., 1982, p. 95. Si considera che anche lo stato passivo<br />

nel fallimento produce effetti endo-processuali, v. BONFATTI, La formazione dello stato<br />

passivo nel fallimento, 1981, pp. 117 ss.<br />

(38) BONFATTI, op. cit., pp. 31 ss.


Scritti di Diritto Processuale 401<br />

I mezzi di prova ex art. 634 c.p.c., sono idonei ad ottenere un<br />

provvedimento provvisorio, quale è la ingiunzione e solo la mancata<br />

opposizione o la conferma della stessa darà loro valore probatorio<br />

definitivo.<br />

Nel nostro caso chi interviene aspira addirittura a vedere soddisfatte<br />

le proprie pretese, che è quanto dire vederle riconosciute in<br />

modo definitivo.<br />

A questo punto non subordinerei l’intervento al possesso di una<br />

prova documentale, pur prescrivendo che chi intervenga indichi i<br />

mezzi di prova anche documentali del suo credito.<br />

Prevederei piuttosto una verifica giudiziale più penetrante di<br />

quella ipotizzata dallo schema di riforma e cioè non tanto un’esame<br />

dell’ammissibilità degli interventi, quanto piuttosto una vera e propria<br />

verifica dei crediti con provvedimenti di ammissione e di esclusione,<br />

sul tipo di quelli adottati nello stato passivo fallimentare.<br />

Nel caso che si accettassero interventi anche successivi all’udienza<br />

per deliberare sulla vendita o l’assegnazione (39) , i provvedimenti<br />

saranno adottati, come nella procedura fallimentare, di volta in<br />

volta all’udienza disposta per la comparizione della parti ad hoc.<br />

La formula adottata dallo schema e dalla Relazione concernente<br />

una verifica di ammissibilità degli interventi, suggerisce l’idea di<br />

una ricognizione prevalentemente formale delle domande di intervento<br />

e così se dalla documentazione risulti che il credito sia certo,<br />

liquido ed esigibile, ancorché contestato. Ciò mi sembra troppo limitativo<br />

e scarsamente affidante.<br />

Inadeguato appare poi il sistema adottato in materia di forme dei<br />

provvedimenti di verifica dei crediti ed in ordine al loro riesame.<br />

Il punto 18 lett. e sancisce che il giudice d’esecuzione provveda<br />

sugli interventi all’udienza di comparizione per fissare la vendita,<br />

con ordinanza immediatamente esecutiva, senza dire se sia impugnabile<br />

o meno. Dal punto 22 si deduce che la controversia successiva<br />

verrebbe introdotta con la forma dell’opposizione all’esecuzione<br />

con effetti sospensivi sulla distribuzione del ricavo.<br />

Una soluzione del genere suscita perplessità in quanto in un primo<br />

tempo si offrono scarse garanzie ed in quello successivo se ne<br />

danno forse troppe.<br />

(39) In questo senso, sia pure in via problematica, G. VERDE, op. ult. cit., p. 94.


402 Scritti di Diritto Processuale<br />

A mio sommesso avviso sarebbe da preferirsi un sistema sul<br />

tipo di quello adottato in materia fallimentare col prevedere che<br />

il provvedimento di ammissione o di esclusione possa essere opposto<br />

dal contro interessato in un termine perentorio avanti lo<br />

stesso giudice d’esecuzione.<br />

In caso di mancata opposizione il provvedimento diventerà definitivo<br />

e, se di ammissione, si avrà un titolo esecutivo endoprocessuale.<br />

In caso invece di opposizione, il giudice d’esecuzione potrebbe<br />

essere chiamato ad istruire la causa, rimettendola poi per la sola<br />

decisione al collegio, in aderenza a quella riserva di collegialità a cui<br />

accenna la Relazione Ministeriale al punto 18 lett. a.<br />

Si potrebbe prevedere che codesta decisione sia appellabile o<br />

anche solo ricorribile in Cassazione a secondo che si preferisca una<br />

soluzione che non ritardi eccessivamente il riparto. Al di fuori dell’esecuzione,<br />

il debitore potrebbe in ogni caso ripetere dal creditore,<br />

ammesso al passivo, quanto da lui riscosso oltre eventualmente<br />

ai danni, in linea col principio di cui alla relazione di cui al<br />

punto 18 lett. e, dove si dice che il provvedimento di ammissione<br />

non costituisce giudicato tra le parti ed in coerenza con la più lata<br />

riserva di legalità che traspare ad esempio dall’ultimo passo al<br />

punto 21 della Relazione.<br />

B) Sul tempo dell’intervento e le sue conseguenze.<br />

Lo schema di progetto va lodato laddove abolisce la distinzione<br />

tra concorrenti tempestivi e tardivi ammettendoli tutti a soddisfarsi<br />

su ricavo sul piano di parità, secondo le legittime cause di prelazione<br />

(punto 18 lett. e).<br />

Con ciò è destinata a venire meno una fonte di equivoci a non finire<br />

per quel che concerne i poteri differenziati di disporre del rapporto<br />

processuale esecutivo riconosciuti agli uni ed agli altri e di cui<br />

sopra si disse.<br />

Sembra invero, a leggere la relazione, che più che unificare non<br />

sia consentito al creditore di intervenire dopo l’udienza fissata per<br />

deliberare sulla vendita o sull’assegnazione (40) anche se non è mancato<br />

chi reputa invece possibile l’intervento anche dopo tale udienza,<br />

senza che ciò comporti postergazione nel soddisfo.<br />

(40) BORRÉ, op. cit., p. 138.


Scritti di Diritto Processuale 403<br />

A voler essere esatti rimane una categoria di creditori postergati,<br />

vale a dire coloro che a fronte della indicazione del procedente di<br />

altri beni del debitore non hanno esteso il pignoramento o non hanno<br />

anticipato le spese.<br />

Ciò costituisce un grosso pericolo al riproporsi della complessa<br />

problematica in essere onde abolirei una regola del genere. Si dirà<br />

che in tal caso il creditore procedente sarebbe ingiustamente penalizzato<br />

rispetto agli altri e così disincentivato perché si sobbarcherebbe<br />

a spese rendendo partecipi dei frutti tutti i concorrenti.<br />

A ciò sembra adeguato rimedio il prevedere che il procedente<br />

venga ammesso al privilegio, in via assolutamente prioritaria per le<br />

spese in senso lato occorse ed occorrende per il processo esecutivo,<br />

ivi comprendosi anche gli onorari del suo patrono (41) .<br />

Sembra altresì consigliabile ammettere gli interventi anche dopo<br />

l’udienza fissata per deliberare sulla vendita, come è stato ritenute<br />

dal Verde (42) , senza che a ciò consegua disparità di trattamento nel<br />

soddisfo, analogamente alle insinuazioni tardive nel fallimento. L’onere<br />

di spese processuali irrecuperabili, andrebbe a gravare sul ritardatario<br />

e si rivelerebbe adeguato motivo di disincentivazione.<br />

5. – Sul sistema delle opposizioni<br />

Lo schema del progetto va infine approvato laddove annuncia di<br />

volere conservare la tradizionale tripartizione tra opposizione all’esecuzione,<br />

opposizione agli atti esecutivi, e opposizione di terzo.<br />

La diversità più rimarchevole nel trattamento, sembra risiedere<br />

nell’appellabilità delle sentenze in materia di opposizione all’esecuzione<br />

e opposizione di terzi e nella inappellabilità invece nelle opposizioni<br />

agli atti.<br />

Una certa perplessità nasce dalla considerazione che mentre la<br />

opposizione all’esecuzione viene limitata dalla prefissione di termini<br />

perentori, invece cresce a dismisura l’ambito delle opposizioni<br />

agli atti esecutivi, concesse non solo al debitore, ma anche a non me-<br />

(41) La Relazione Ministeriale sub 18, lett. e, parla dell’udienza per la fissazione dell’asta,<br />

come del «termine ultimo per gli interventi».<br />

(42) G. VERDE, op. cit. loc. cit.


404 Scritti di Diritto Processuale<br />

glio precisati terzi interessati (ed in ciò non può convenirsi) per contestare<br />

non solo la nullità negli atti esecutivi, ma in genere perfino<br />

la loro idoneità.<br />

Una soluzione del genere, agli antipodi del sistema vigente, finirebbe<br />

per paralizzare la speditezza del processo esecutivo, per ragioni<br />

di forma e non di sostanza, se non addirittura per disparità di<br />

opinioni sulla idoneità di certi atti esecutivi. Sembra preferibile<br />

mantenere l’attuale sistema che contempla ipotesi tassative e notevoli<br />

preclusioni in materia di opposizione agli atti.<br />

Una ulteriore perplessità sorge a proposito dell’art. 619 c.p.c.,<br />

per il fatto che questa opposizione viene accordata a qualsiasi terzo<br />

titolare di una generica e non ben definita situazione prevalente.<br />

L’allargamento della possibilità di opposizione ex artt. 617 e 619<br />

c.p.c., mal si concilia con la negazione dell’effetto sospensivo, ai<br />

sensi del punto 22 che sembra porre l’accento sull’interesse al rapido<br />

corso dell’esecuzione.<br />

Si avverte infine un’esigenza di meglio coordinare l’opposizione<br />

all’esecuzione con la disciplina delle controversie di merito dei creditori<br />

intervenuti.<br />

L’opposizione all’esecuzione è sostanzialmente lo stesso rimedio<br />

nei confronti del solo creditore procedente.<br />

Ove le soluzioni delle controversie degli intervenuti siano riportate<br />

nell’ambito del processo esecutivo, come si è ipotizzato sopra,<br />

occorre valutare la possibilità di una soluzione analoga anche per il<br />

caso del procedente.<br />

Ha infatti senso l’esperimento dell’opposizione all’esecuzione fin<br />

quanto essa abbia carattere individuale, non ha senso una dualità<br />

di sistemi, dal verificarsi del concorso in poi e così un’opposizione<br />

all’esecuzione nei confronti del creditore procedente, ed una verifica<br />

dei crediti per i creditori concorrenti, come si ipotizza.<br />

Tanto più che il ruolo del procedente, nell’evenienza del concorso<br />

è destinato a perdere di importanza come si coglie nella Relazione<br />

al punto 18 lett. a, laddove si afferma che il processo esecutivo<br />

prosegue d’ufficio dopo la vendita dei beni, onde anche un accoglimento<br />

dell’opposizione all’esecuzione non avrebbe conseguenze<br />

sulla sorte complessiva dell’esecuzione.<br />

Resta infine da accennarsi alla soluzione adottata di chiamare il<br />

giudice d’esecuzione ad istruire e decidere in primo od in unico gra-


Scritti di Diritto Processuale 405<br />

do di merito le opposizioni all’esecuzione, quelle di terzo e le controversie<br />

sulle domande di intervento, fin qui affidate al giudice<br />

competente secondo le norme ordinarie della cognizione.<br />

Possono comprendersi le ragioni di economia processuale alla<br />

base della scelta che sono poi quelle della generalizzazione del giudice<br />

monocratico in prima istanza.<br />

È da ritenersi tuttavia che fra non molto assisteremo con ogni<br />

probabilità alla paralisi del giudice monocratico, sommerso da una<br />

quantità crescente di competenze, in una ricerca affannosa di una<br />

via d’uscita per una maggiore tempestività ed efficienza che dovrebbe<br />

essere invece raggiunta altrimenti (43) .<br />

È infatti da considerarsi in genere un passo indietro il fatto<br />

che l’ordinamento non dia più le garanzie e le cautele di prima<br />

al cittadino.<br />

Altra è però l’importanza di codeste cautele per l’istruzione ed<br />

altra è per la decisione, come venne colto dall’attuale codice, con<br />

l’introduzione del giudice istruttore.<br />

Se per la prima, le ragioni di economia processuale possono infatti<br />

ritenersi prevalenti, per la seconda, che è poi il momento magico<br />

dell’attuazione del diritto, prevalenti devono intendersi le ragioni<br />

che vogliono la decisione tanto più autorevole quanto meno<br />

anticipabile ed arrischiata. Ognuno avverte che la formazione del<br />

consenso in un organo collegiale, dà il maggior affidamento di una<br />

decisione ponderata e perciò giusta (44) .<br />

Una esigenza del genere sembra accolta a proposito delle oppo-<br />

(43) In questo senso concordo con chi valuta i problemi della giustizia alla stregua della<br />

maggiore esigenza di mezzi e di uomini di cui nel nostro paese c’è ricchezza, per le grandi<br />

leve di giovani che escono dalla Facoltà di giurisprudenza, solo che si organizzi l’accesso<br />

alla magistratura in modo meno elitario, e si ponga cura di conservare una distribuzione<br />

uniforme come è postulato da cui propone concorsi regionali. Non sono a mio avviso<br />

un buon esempio di sagace utilizzo delle risorse umane, i recenti provvedimenti che<br />

decentrano le cause, fin qui di competenza pretorile, a livello dei giudici conciliatori, per<br />

lo più privi di studi di diritto, con una logica centrifuga dal capoluogo di mandamento, a<br />

livello dei singoli comuni, in controtendenza rispetto alla erogazione centralizzata dei servizi,<br />

postulata dallo sviluppo moderno dei mezzi di locomozione e dall’accorciamento delle<br />

distanze. Né sembrano una conquista della scienza del diritto, le pronunzie inappellabili<br />

e secondo equità dei giudici conciliatori che si troveranno investiti di una massa imponente<br />

di controversie.<br />

(44) In tale senso, ZAGREBELSKY, Il giudice monocratico: prospettive di riforma, in<br />

Riv. dir. proc., 1981, I, pp. 330 ss.


406 Scritti di Diritto Processuale<br />

sizioni all’esecuzione dal cenno della Relazione Ministeriale ai punti<br />

18 lett. a, e 21 alla «riserva di collegialità».<br />

Tale cenno ha tuttavia un senso solo se si ipotizza una rimessione<br />

ad un giudice, che per essere collegiale, è necessariamente diverso da<br />

quello dell’esecuzione, in tutti i casi in cui questi è monocratico, com’è<br />

in tutte le esecuzioni, ad esclusione di quella immobiliare.<br />

In questo caso o si limita la riserva di collegialità alle sole opposizioni<br />

all’espropriazione immobiliare, escludendo tutte le altre (ed<br />

in ciò non può convenirsi) ovvero si ipotizza una rimessione al tribunale,<br />

quale giudice di cognizione, ratione valoris o materiae.<br />

Non sembra sia il caso di negare le ragioni che sono alla base della<br />

riserva di collegialità e che si sostanziano nella esigenza di cautele<br />

circa la maggior ponderazione della decisione, per amore di linee<br />

architettoniche e per evitare a priori una divaricazione tra giudice<br />

d’esecuzione e giudice d’opposizione, come è stato detto (45) .<br />

Ipotizzerei piuttosto un’istruttoria curata dal giudice d’esecuzione,<br />

scilicet dal pretore, nelle esecuzioni diverse dalla immobiliare,<br />

ed una rimessione al tribunale per la sola decisione, in relazione<br />

alla normale competenza ratione valoris e materia, evitando i due<br />

estremi che sono quelli di rimettere il tutto anche per l’istruttoria,<br />

con gli immaginabili ritardi, od il non farvi luogo neppure per la decisione,<br />

frustrando le garanzie, sottintese alla riserva di collegialità.<br />

A questo punto il discorso tende ad allargarsi anche alla fisionomia<br />

del nuovo processo di cognizione, dove sono apprezzabili le norme<br />

tese a dare snellezza al corso del processo, quali divisate dal progetto,<br />

salva la perplessità di fondo nella tendenza a generalizzare il<br />

carattere monocratico del giudice, con i pericoli di minori garanzie<br />

per il cittadino ed i rischi così bene descritti altrove da un giudice (46) .<br />

Ma il discorso finisce qui per andare oltre i limiti dell’argomento<br />

proposto.<br />

Lo scritto è stato richiamato da:<br />

A. DOLMETTA, La data certa. Conflitto dei creditori e di disciplina dell’impresa,<br />

Milano, 1986, p. 2, nota 2.<br />

(45) Così BORRÉ, in Foro it., 1983, V, p. 134.<br />

(46) ZAGREBELSKY, op. cit. loc. cit.


Alcune riflessioni<br />

sui Progetti Vassalli e Tarzia<br />

di riforma del codice di procedura civile<br />

(Progetto Vassalli e Progetto Tarzia)<br />

1. – L’8 agosto 1988 il Ministro Guardasigilli Vassalli ha presentato<br />

alle Camere il Disegno di legge n. 1288 concernente «I provvedimenti<br />

urgenti per il processo civile».<br />

In precedenza, sulle colonne di Giur. it., 1988, IV, col. 257 ss., il<br />

Prof. G. Tarzia, esimio docente dell’Università di Milano, pubblicò<br />

un progetto di riforma da lui predisposto.<br />

I due progetti hanno in comune il merito di aver conservato la<br />

collegialità dei tribunali ed il processo scritto, cioè di aver fatto un<br />

passo indietro rispetto alla fuga in avanti compiuta da quello precedente<br />

dell’On. Rognoni, che rincorreva il modello di chiovendiana<br />

memoria, basato sul Giudice monocratico e sulla attuazione dei<br />

principii di oralità, concentrazione ed immediatezza (1) .<br />

Entrambi i progetti hanno posto finalmente su basi realistiche<br />

la riforma del processo civile, invece che su astratte preferenze<br />

di scuola.<br />

Qualche tempo fa, in Giur. it., 1987, IV, col. 496 ss., criticai il<br />

progetto Rognoni perché trascurava la natura essenzialmente organizzativa<br />

delle cause dell’attuale crisi della giustizia civile.<br />

Queste da un lato sono costituite dalla assoluta inadeguatezza<br />

Da «Giur. It.», 1987, IV, p. 496 e da «Problemi attuali e prospettive di riforma del processo<br />

civile», Cedam 1994.<br />

(1) Per un’ampia esposizione, sul punto, G. VALCAVI, Osservazioni critiche sul disegno<br />

di legge concernente le cosiddette misure urgenti di riforma del processo di cognizione,<br />

in Giur. it., 1987, IV, pp. 496 ss.


408 Scritti di Diritto Processuale<br />

del numero dei giudici in servizio rispetto alla dimensione esplosiva<br />

assunta dalla litigiosità, sia che questa venga riferita ai processi<br />

che sopravvengono di anno in anno, sia che essa venga riferita,<br />

con particolare riguardo, ai processi pendenti (cioè comprensivi<br />

dell’arretrato).<br />

Da un altro lato queste cause sono costituite dal basso rendimento<br />

dei giudici in servizio, per la mancanza di criteri manageriali<br />

nella organizzazione del lavoro, per l’assenza di una penetrante<br />

direzione e di controlli gerarchici e per la incontrollabilità<br />

dell’effettivo orario di lavoro, svolto giornalmente dai giudici, nel<br />

loro insieme.<br />

A proposito della inadeguatezza delle strutture giudiziarie rispetto<br />

alle esigenze poste dalla quantità crescente delle procedure e<br />

da una loro ragionevole durata nell’attesa delle decisioni, questo<br />

tema è stato da me trattato nell’altro saggio pubblicato sulla Rivista<br />

di diritto processuale, 1990, I, dal titolo «Sullo stato presente<br />

della giustizia civile in Italia».<br />

Quivi il calcolo per il quinquennio 1978-1982 ha avuto per oggetto<br />

il carico medio di lavoro «pro-capite» dei giudici, con particolare<br />

riguardo ai Tribunali, alle Corti d’Appello ed alla Corte Suprema<br />

di Cassazione, sia che esso venga riferito ai processi di nuova<br />

affluenza, sia a quelli pendenti (e cioè comprensivi dcll’arretrato),<br />

nonché anche al numero medio di decisioni procapite di<br />

ciascun giudice, mettendo a nudo la situazione esistente, nel periodo<br />

considerato.<br />

In epoca più recente ho portato avanti codesto esame per il triennio<br />

1985-1987 e cioè dopo l’adeguamento delle nuove norme sulla<br />

competenza per valore che ha attribuito ai «conciliatori» ed ai pretori<br />

un numero di cause prima di competenza dei pretori e dei tribunali<br />

così alleggerendoli. Da questo ulteriore studio non è emersa<br />

alcuna inversione di tendenza rispetto al periodo precedente ed<br />

anzi, all’opposto, il volume medio dei processi pendenti al termine<br />

del triennio considerato, è apparso lievitato in notevole percentuale.<br />

E quel che più conta, l’appesantimento dell’arretrato non è apparso<br />

giustificato da una crescita dei processi sopravvenuti, nei tribunali<br />

e si è addirittura accompagnato ad una diminuzione percentuale<br />

dei processi esauriti con decisione, anche nelle aree meridionali<br />

ed insulari dove esso in passato appariva sostenuto.


Scritti di Diritto Processuale 409<br />

Il carico medio di lavoro «pro-capite» calcolato sulla base dei<br />

processi che sopravvengono ogni anno non appare, nei suoi valori<br />

assoluti, annualmente esauribile così da evitare la formazione di ulteriore<br />

arretrato.<br />

Ciò conduce alla importante conclusione che ove si introducesse<br />

il giudice monocratico non si avrebbe alcun effetto risolutivo<br />

appunto perché i dati di lavoro sono stati calcolati per medie<br />

pro-capite, come se tutti gli organismi giudiziari fossero di<br />

tipo monocratico.<br />

La soppressione grave della garanzia collegiale non apparirebbe<br />

perciò compensata dalla speranza di un corso celere dei processi,<br />

che appare invece affidata, piuttosto, ad un maggior adeguamento<br />

delle strutture giudiziarie rispetto alle esigenze ed alla adozione di<br />

un diverso modo e ritmo di lavoro, al quale fanno da ostacolo le garanzie<br />

esistenti e lo spirito corporativo.<br />

A proposito del giudice monocratico, rinvio a quello che ebbi a<br />

scrivere in Giur. it., 1987, IV, col. 5, p. 496.<br />

Quanto invece all’opinione radicata dei sostenitori della scuola<br />

chiovendiana che un modello processuale ispirato ai valori della<br />

immediatezza, concentrazione e oralità abbia a risolvere i mali<br />

presenti della giustizia civile, essa non solo si risolve in una chimera,<br />

ma quel che è peggio, a causa dell’incompatibilità di un<br />

tale modello con la entità delle strutture esistenti, sarebbe destinata<br />

ad aggravare, oltre ogni misura, i mali presenti sino a provocarne<br />

la paralisi.<br />

Occorre anzitutto intendersi sul significato della «concentrazione»<br />

sopraindicata, dato che vi sono due modi assolutamente diversi<br />

di realizzarla.<br />

Essa può essere riferita alla trattazione concentrata di una moltitudine<br />

di cause in una singola udienza o, all’opposto, alla concentrazione<br />

degli atti del singolo processo che così finisce per essere<br />

trattato uno per volta.<br />

Non sembra dubbio che la trattazione individuale del singolo<br />

processo va a scapito di quella di tutti gli altri, che entrerebbero a<br />

far parte di interminabili liste di attesa. Quello che viene accelerato<br />

è solo la durata del processo che viene trattato per primo, mentre<br />

viene ritardato il corso di tutti i processi, nel loro insieme.<br />

La trattazione contemporanea di molte cause e così la loro con-


410 Scritti di Diritto Processuale<br />

centrazione in udienze comuni, consente al giudice di ottimizzare la<br />

trattazione complessiva del proprio carico di lavoro. In questo caso<br />

egli, tuttavia, può riservare alla singola causa solo poco tempo e l’economia<br />

complessiva del processo viene realizzata, come accade,<br />

mediante la supplenza dei patroni in compiti talora riservati al giudice<br />

(come quella di raccogliere le testimonianze che abbiano a non<br />

presentare problemi) ovviamente a scapito dell’immediatezza o a<br />

redigere verbali cui dovrebbero attendere i cancellieri.<br />

La trattazione concentrata degli atti del singolo processo, da celebrarsi<br />

uno per volta, come si è detto, pregiudica l’economia temporale<br />

dell’insieme e rappresenta un lusso incompatibile con le<br />

strutture giudiziarie attuali.<br />

Ciò vorrebbe dire allungare enormemente i tempi già lunghi delle<br />

cause odierne.<br />

Anche un’applicazione ridotta dell’oralità e della immediatezza<br />

alla semplice presa di contatto del giudice con le parti personalmente,<br />

alla prima udienza, finalizzata ad uno scopo anche conciliativo,<br />

si risolverebbe nel protrarre di molto i tempi del processo,<br />

solo che si abbia esperienza della perdita di tempo che una comparizione<br />

di parti impone agli altri processi, che attengono.<br />

A proposito dell’oralità deve dirsi che questa è la forma più arcaica,<br />

più dispersiva e che fa perdere più tempo a tutti per intendersi<br />

tra loro. Correttamente l’antico Guardasigilli De Foresta, nella<br />

sua relazione al progetto del codice di procedura sardo scriveva<br />

che «mediante la trattazione scritta nel minor tempo si discute il numero<br />

maggiore di cause» ed il Carnelutti parlava di «carattere effimero<br />

della comunicazione parlata» (2) .<br />

Il medesimo Chiovenda (3) ebbe ad ammettere ai suoi tempi che<br />

«la forma orale è un mezzo espressivo assai meno perfetto di quello<br />

scritto» (4) senza dire che il giudice non riesce a ricordare le sensazioni<br />

del momento che passa.<br />

L’attuazione dei principi della concentrazione, della oralità e della<br />

immediatezza richiede, in definitiva, un numero di giudici e di<br />

collaboratori e perfino strutture edilizie maggiori di quelle che pos-<br />

(2) Relazione del Ministro Guardasigilli De Foresta, al codice di procedura sardo.<br />

(3) G. CHIOVENDA, Principi di diritto processuale civile, Napoli, 1933, X, 44, p. 681.<br />

(4) F. CARNELUTTI, in Studi di diritto processuale, Padova, 1939, IV, p. 388.


Scritti di Diritto Processuale 411<br />

sono essere richieste da una celere trattazione scritta e, ovviamente,<br />

costituiscono un sogno impensabile per la situazione presente.<br />

Il nostro processo, con le sue imperfezioni, riesce a sopravvivere<br />

a se stesso per il grande pregio della sua elasticità correttamente rimarcata<br />

dal Carnelutti (5) e di cui è componente la circostanza che<br />

attraverso la possibilità di rinvii delle varie udienze, le parti possono,<br />

attraverso accordi stragiudiziali, porre fine alle liti.<br />

Devesi qui rimarcare che nel triennio 1985-1987 i processi esauriti<br />

«con sentenza» nei tribunali erano intorno al 35%, mentre quelli<br />

esauriti «senza decisione» erano intorno al 65%, mentre nelle preture,<br />

quelli esauriti «con decisione» erano intorno al 50% e parimenti<br />

del 50% erano quelli esauriti «senza decisione».<br />

La inadeguatezza delle nostre strutture giudiziarie consente, perciò,<br />

al processo civile, di continuare a sopravvivere sulla base di un<br />

loro impegno quantitativo di questo tipo.<br />

La introduzione di rilevanti preclusioni acceleratorie, quali quelle<br />

proposte in precedenza dal progetto Rognoni, si risolve nell’aumentare<br />

notevolmente la proporzione dei processi esauriti «con decisione»<br />

rispetto a quelli «senza decisione» e ciò appare una corsa<br />

verso la paralisi se il maggior impegno richiesto ai giudici non viene<br />

preceduto da misure riguardanti il loro adeguamento numerico<br />

e il rendimento del loro lavoro.<br />

2. – Appare ora opportuno soffermarsi a fare un quadro riassuntivo<br />

delle concordanze e delle discordanze tra il progetto Tarzia<br />

ed il disegno di legge Vassalli, con qualche cenno rispetto alle<br />

precedenti proposte.<br />

Cominciamo dal processo di primo grado.<br />

Il primo problema che si pone è quello rappresentato dalla disciplina<br />

delle preclusioni a modificare le domande, a sollevare le eccezioni,<br />

a produrre documenti ed a chiedere nuovi mezzi di prova.<br />

È noto che l’art. 184 novellato nel 1950 assicurava alle parti la<br />

facoltà di modificare le domande e dedurre nuovi mezzi di prova<br />

sino alla rimessione della causa al Collegio.<br />

(5) F. CARNELUTTI, Carattere del nuovo processo civile, in Riv. dir. proc., 1941, I,<br />

pp. 35 ss.; Id., Lineamenti della riforma del processo civile di cognizione, in Studi di diritto<br />

processuale, Padova, 1939, IV, pp. 388 ss.


412 Scritti di Diritto Processuale<br />

Il testo originario del 1940 limitava invece codesta facoltà «alla<br />

prima udienza di trattazione, od a quella successiva a cui la causa<br />

fosse rinviata a tale scopo (art. 183)». Per quanto riguardava il prosieguo,<br />

tuttavia l’art. 184 consentiva al giudice «quando concorrono<br />

gravi motivi» di autorizzare le parti a proporre nuove eccezioni,<br />

produrre nuovi documenti, dedurre nuovi mezzi di prova.<br />

Il progetto Rognoni, sulla base di una concezione oltremodo restrittiva,<br />

proibiva qualsiasi modifica delle conclusioni nell’ulteriore<br />

corso del processo, dopo l’udienza di trattazione.<br />

Rispetto ad esso, il progetto Tarzia adotta una disciplina più liberale<br />

ed organica laddove consente alle parti di modificare le conclusioni,<br />

di produrre documenti e di dedurre nuovi mezzi di prova,<br />

non solo alla prima udienza di trattazione, ma anche in un successivo<br />

termine che fosse fissato dal Giudice e, nel caso che ciò fosse richiesto<br />

dalla modifica delle domande e dalle produzioni di controparte,<br />

di nuovamente eccepire, produrre e dedurre entro un ulteriore<br />

termine da fissarsi dal Giudice.<br />

Il progetto Vassalli (art. 11) tiene fermo che la «allegazione dei<br />

fatti storici» effettuata alla prima udienza di trattazione, non può<br />

essere modificata successivamente, ma per il resto consente di precisare<br />

e modificare le conclusioni e produrre nuovi documenti anche<br />

in un successivo termine che fosse disposto dal giudice per il deposito<br />

di memorie «ove ricorrono giusti motivi» (6) .<br />

Sia il progetto Tarzia (art. 186 bis), sia il progetto Vassalli (art. 14),<br />

sulla scia dell’art. 5 di quello Rognoni, hanno contemplato la introduzione<br />

di una ordinanza di pagamento delle somme non contestate (7) .<br />

Analogamente il progetto Tarzia e quello Vassalli (art. 15) hanno<br />

previsto la introduzione di una ingiunzione di pagamento o consegna<br />

da parte del giudice, con facoltà di opposizione da parte dell’ingiunto,<br />

nel caso in cui il convenuto sia contumace e ricorrano i<br />

presupposti di cui all’art. 633 (8) .<br />

Ancora i progetti Tarzia (artt. 705 bis e 705 ter) e Vassalli (artt.<br />

(6) L’impianto del progetto Vassalli è stato recepito dagli artt. 17 e 18 della legge<br />

353/90 che ha modificato il codice di procedura civile.<br />

(7) La stessa modifica è stata fatta propria dall’art. 20 della legge 353/90.<br />

(8) A differenza dei progetti Tarzia e Vassalli, l’art. 21 della nuova legge 353/90, consente<br />

l’emissione dell’ingiunzione anche nel caso in cui il convenuto si sia costituito, sulla<br />

base della semplice esistenza dei presupposti di cui all’art. 633.


Scritti di Diritto Processuale 413<br />

51 e 52) prevedono la reclamabilità e la revocabilità dei provvedimenti<br />

cautelari, possessori e di urgenza, non diversamente dall’art.<br />

6 dell’anteriore progetto Rognoni (9) .<br />

Il progetto Tarzia si differenzia però da quello Vassalli laddove<br />

formula in modo diverso gli artt. 51, 52 e 53 del codice, in materia<br />

di astensione e ricusazione ed introduce una nuova disciplina della<br />

sospensione proponendo che il provvedimento di sospensione necessaria<br />

disposto dal Collegio abbia forma di sentenza impugnabile<br />

in via di regolamento di competenza. A fianco di tale previsione<br />

il progetto Tarzia contempla la sospensione su istanza di parte per<br />

6 mesi, prorogabile di altri 6 mesi.<br />

Il progetto Vassalli, all’art. 17, recependo sul punto una esplicita<br />

previsione di quello Rognoni, dispone la provvisoria esecuzione<br />

della sentenza di primo grado, così modificando l’art. 282 c.p.c. (10) .<br />

Il progetto Tarzia, non prevede una eventualità di questo genere.<br />

Passiamo ora al giudizio di appello.<br />

Prendiamo le mosse dallo jus novorum.<br />

Il progetto Tarzia non introduce alcuna limitazione o divieto a<br />

questo riguardo, mentre l’art. 33 del progetto Vassalli esclude la<br />

proponibilità di nuove domande, nuove eccezioni, nuovi mezzi di<br />

prova ad esclusione del giuramento (11) .<br />

A proposito della improcedibilità, il testo dell’art. 348 nel progetto<br />

Tarzia è il più severo in quanto ricollega la improcedibilità alternativamente<br />

sia all’ipotesi che l’appellante non si sia costituito,<br />

sia a quella in cui non sia comparso, o non abbia presentato il fascicolo.<br />

Al contrario l’art. 34 del progetto Vassalli lega la improcedibilità<br />

solo alla mancata costituzione e nel caso di mancata comparizione<br />

prevede che solo la diserzione ad una ulteriore udienza disposta<br />

dal giudice, determini la improcedibilità (12) .<br />

La trattazione della causa davanti al Giudice d’appello è previ-<br />

(9) L’impianto del progetto Vassalli è rimasto fermo con gli artt. 669 decies e 699<br />

terdecies della legge 353/90 che prevedono la revoca e la reclamabilità dei provvedimenti<br />

cautelari.<br />

(10) Così ha disposto l’art. 33 della legge 353/90.<br />

(11) Nel senso del divieto di nuove domande ed eccezioni è l’art. 52 della legge 353/90,<br />

mentre questa ammette i nuovi mezzi di prova «che il Collegio ritenga indispensabili ai<br />

fini del decidere o la parte dimostri di non averli potuti produrre prima».<br />

(12) Esso è recepito dall’art. 54 della legge 353/90.


414 Scritti di Diritto Processuale<br />

sta come Collegiale, sia dall’art. 350 del progetto Tarzia, sia dal<br />

progetto Vassalli (13) .<br />

Quanto all’istruttoria l’art. 356 del progetto Tarzia prevede che<br />

essa sia eseguita dal Consigliere istruttore, mentre il progetto Vassalli,<br />

contempla che la istruttoria si svolga davanti al Collegio (14) .<br />

Quanto infine al giudizio davanti alla Corte di Cassazione.<br />

I vari progetti ammettono il ricorso al Giudice di legittimità anche<br />

nei confronti delle sentenze dei giudici conciliatori.<br />

I progetti Tarzia e Vassalli concordano nell’introdurre la correzione<br />

degli errori materiali e la revocazione delle sentenze della<br />

Suprema Corte (15) .<br />

3. – Abbiamo ricordato poco sopra come il processo civile ha potuto sopravvivere<br />

sino ad ora alla inadeguatezza delle sue strutture per quello<br />

che Carnelutti individuava come il grande pregio della sua elasticità.<br />

Questo si è concretamente manifestato nella elevata percentuale dei processi<br />

esauriti «senza decisione» rispetto a quelli esauriti «con decisione».<br />

I nuovi progetti a parere di chi scrive, vanno nella direzione opposta<br />

e così introducono fattori di rigidità che aumentano la esigenza<br />

di «esaurire i processi con decisione», senza alcun adeguamento<br />

del numero dei giudici chiamati a decidere.<br />

In particolare la disciplina delle decadenze e delle preclusioni in<br />

primo grado, introdotta precedentemente dal progetto Rognoni ed<br />

ora, sia pure con qualche attenuazione dal progetto Vassalli, costituisce<br />

una misura acceleratoria, nel segno di una corsa verso una<br />

decisione della lite, incompatibile con lo stato delle strutture ed in<br />

definitiva in una corsa verso la paralisi del processo.<br />

Da questo punto di vista è da riconoscere maggior pregio al progetto<br />

Tarzia per la disciplina assai più articolata e liberale della preclusione<br />

e per il fatto che esso prevede una sospensione su istanza di<br />

(13) Nello stesso senso è l’art. 55 della legge 353/90.<br />

(14) Anche la legge 353/90 prevede che l’istruttoria si svolga davanti al Collegio.<br />

(15) La nuova legge 353/90 disciplina in modo più completo il procedimento davanti<br />

alla Corte di Cassazione. E così l’art. 64 prevede che le declaratorie di inammissibilità<br />

del ricorso o di estinzione del processo siano adottate in Camera di Consiglio. L’art. 66 dispone<br />

che la Cassazione, enunciato il principio di diritto, qualora non siano necessari ulteriori<br />

accertamenti di fatto, possa decidere la causa nel merito. L’art. 67 introduce la correzione<br />

di errori materiali e la revocazione delle sentenze della Cassazione.


Scritti di Diritto Processuale 415<br />

parte rinnovabile, che assicura una maggiore elasticità al processo.<br />

Dall’angolo visuale dei diritti delle parti a produrre e dedurre mezzi<br />

di prova, deve riconoscersi che l’art. 184 dell’originario testo del<br />

’40, assicurava una maggiore garanzia che non i progetti recenti.<br />

Devesi condividere la parte dei progetti in cui è prevista la ordinanza<br />

di pagamento delle somme non contestate e altresì la introduzione<br />

del reclamo contro i provvedimenti cautelari.<br />

Non si condivide invece il progetto Tarzia, laddove prevede come<br />

forma del provvedimento di sospensione necessaria quella della<br />

sentenza, impugnabile in via di regolamento di competenza, apparendo<br />

congrua l’attuale forma dell’ordinanza.<br />

Sulle proposte Tarzia, in ordine ad una riformulazione degli artt.<br />

51 e seguenti, in materia di ricusazione del giudice, si approva il loro<br />

impianto e tuttavia si osserva che esse sono manchevoli laddove non<br />

viene previsto che a decidere sulla ricusazione sia un giudice diverso<br />

e superiore rispetto a quello ricusato e non i colleghi di questo e pur<br />

laddove non è prevista la ricusazione dell’intero Organo collegiale.<br />

A proposito dell’ingiunzione la formulazione dei progetti Tarzia<br />

e Vassalli che la limitano al caso della contumacia del convenuto e<br />

della ricorrenza dei presupposti di cui all’art. 633 c.p.c. appare preferibile<br />

rispetto alla generalizzazione di un tale strumento, quale era<br />

nel progetto Rognoni. Ciò anche se l’autore di queste righe non condivide<br />

la introduzione di una tale rimedio.<br />

Si dissente dal progetto Vassalli laddove, sulla scia di quello Rognoni,<br />

ha previsto che tutte le sentenze di primo grado siano provvisoriamente<br />

esecutive. A questo riguardo va dato merito al progetto<br />

Tarzia di avere escluso un’ipotesi del genere.<br />

Relativamente alla fase d’appello si deve rilevare come la trattazione<br />

ed ancor più la istruttoria collegiale esaspererà la inadeguatezza<br />

di queste strutture, la insopportabilità del carico di lavoro<br />

del giudice d’appello e l’inaccoglibilità delle proposte dei<br />

fautori del processo orale concentrato di chiovendiana memoria,<br />

che viene qui effettuata.<br />

La paralisi lamentata per i procedimenti d’appello acquisterà<br />

quivi un’evidenza non discutibile.<br />

Quanto al procedimento davanti alla Corte di Cassazione si reputa<br />

che la impugnabilità delle decisioni dei giudici conciliatori<br />

moltiplicherà il carico di lavoro per procedimenti bagatellari.


Scritti<br />

di Diritto Fallimentare


Osservazioni e proposte<br />

sul nuovo Progetto di Riforma<br />

della Legge Fallimentare<br />

1. – Da qualche tempo si vanno succedendo convegni in materia<br />

concorsuale (1) nei quali si prospettano le linee e le soluzioni<br />

del nuovo progetto di riforma, predisposto dall’apposita<br />

commissione ministeriale presieduta dal prof. P. Pajardi (2) e<br />

consegnato il 22 giugno 1984 al guardasigilli. Il testo e la relazione<br />

sono state pubblicate nella rivista Giurisprudenza commerciale<br />

ed in uno specifico Quaderno (3) edito dalla stessa rivista.<br />

La trattazione sin qui seguita ha avuto carattere divulgativo<br />

delle proposte formulate.<br />

In linea generale, le linee architettoniche di questo progetto appaiono<br />

armoniche e moderne e buona parte della problematica ha<br />

trovato adeguata risposta. Di ciò va dato merito alla commissione<br />

composta da autorevoli ed esperti cultori della materia (4) . Sembra<br />

a chi scrive non inutile tratteggiare quivi le caratteristiche più rimarchevoli<br />

del progetto ed avanzare nel contempo alcuni cenni critici,<br />

in vista di un ulteriore approfondimento.<br />

Da «Rivista di diritto civile», 1986, n. 3, parte seconda.<br />

(1) Convegno di Palermo, 11-12 maggio 1984, in Dir. fall. 1984, I, p. 590 ss.; Convegni<br />

promossi da SISCO in Milano, 10 novembre 1984, in Varese 8 febbraio 1986 e prossimamente<br />

a Brescia.<br />

(2) L’incarico fu conferito con d. min. 30 maggio 1983.<br />

(3) In Giur. comm., 1985, I, p. 154 ss.; Quaderno n. 72 di Giur. comm.<br />

(4) Presidente prof. P. Pajardi; membri: Bibolini, Cardarelli, Carnevale, Casella, Chiaraviglio,<br />

Chirico, Conti, Curcuruto, Cambino, Jaeger, Locascio, Marazzi, Paluchowski, Picardi,<br />

Proto, Scanzano, Viale.


420 Scritti di Diritto Fallimentare<br />

2. – Cominciamo a descrivere le linee di fondo del nuovo progetto<br />

di riforma.<br />

Il fallimento, il concordato preventivo, l’amministrazione straordinaria,<br />

la liquidazione coatta amministrativa, seguitano ad avere<br />

in comune il presupposto dello stato di insolvenza dell’imprenditore,<br />

che viene assoggettato ad essa senza più riguardo alla sua dimensione<br />

od al tipo di attività esercitata (5) .<br />

Quello dell’amministrazione controllata viene individuato, in<br />

luogo delle temporanee difficoltà finanziarie, nello stato di crisi dell’impresa<br />

(art. 30), inteso come insufficienza dei ricavi della gestione<br />

ordinaria a coprire i relativi costi.<br />

Le procedure di fallimento, sia ordinaria che sommaria, di concordato<br />

preventivo, di liquidazione coatta e di amministrazione<br />

straordinaria, si articolano in due fasi distinte.<br />

La prima fase è neutra e comune fra esse e si conclude con la sentenza<br />

dichiarativa di insolvenza (art. 6.8) o con decreto di rigetto.<br />

Nel primo caso viene nominato il giudice delegato ed un commissario.<br />

Codesta fase consente altresì di determinare l’ammontare debitorio<br />

dell’impresa oltre al suo attivo.<br />

La seconda fase è invece specifica e si sostanzia nell’attività<br />

propria del fallimento, del concordato preventivo e delle altre<br />

procedure e comincia con un decreto ad hoc del tribunale (art.<br />

6.11, 6.12). Nel caso di insufficienza di attivo o di mancanza di<br />

domande al passivo, si avrà invece un decreto di chiusura della<br />

procedura (art. 6.13).<br />

Alla declaratoria di insolvenza seguono il controllo autorizzativo<br />

anche degli atti di ordinaria amministrazione del debitore<br />

(che tuttavia resta nel possesso dei beni), la inibitoria delle azioni<br />

esecutive e la inefficacia dell’acquisto di diritti di prelazione e<br />

la sospensione del corso degli ulteriori interessi dei crediti chirografari<br />

(art. 6.14).<br />

Questi ultimi, tuttavia, andranno a maturare ed a collocarsi sull’eventuale<br />

residuo attivo che risultasse dal progetto di riparto finale<br />

del fallimento (art. 18.3).<br />

(5) Per una rassegna bibliografica sulla legge vigente, tra le molte: REIBALDI e VIT-<br />

TORIA, Il formulario del fallimento, 1979, p. 20 ss., note 18, 27, 29; PROVINCIALI, Trattato<br />

di diritto fallimentare, Milano, 1974, I, p. 256 nota 99.


Scritti di Diritto Fallimentare 421<br />

Sono previsti l’impugnazione della sentenza dichiarativa di<br />

insolvenza, nonché i reclami avverso i decreti di rigetto della<br />

stessa, i decreti di apertura e di chiusura della seconda fase, ecc.<br />

(art. 7, 7.1, 7.2, 7.3).<br />

Ed ora passiamo a vedere quest’ultima. Per quanto concerne il<br />

fallimento, gli organi sono rimasti tali e quali.<br />

È stato accentuato l’aspetto garantista ed è prevista la possibilità<br />

di reclamo non solo contro gli atti del curatore al giudice delegato<br />

e di questi al Tribunale, ma anche contro gli atti del tribunale<br />

alla Corte d’appello (art. 9.2, 9.4, 9.5).<br />

La competenza funzionale del Tribunale è stata ampliata a<br />

tutte le controversie in cui il fallendo è o diviene parte, eccezion<br />

fatta per i processi pendenti già in secondo o terzo grado (art.<br />

10, 10.1, 10.2).<br />

Il periodo sospetto per la revoca degli atti pregiudizievoli viene<br />

fatto decorrere dalla dichiarazione dello stato di insolvenza<br />

(art. 19.1).<br />

Con riguardo all’accertamento del passivo, due sono le novità di<br />

rilievo: il fallito può muovere contestazioni ed i provvedimenti di<br />

ammissione del credito, anche se resi nella forma del decreto, acquistano<br />

efficacia di giudicato esterno alla procedura, a differenza<br />

dei provvedimenti di esclusione (art. 22, 22.1, 22.9, 22.12).<br />

Sono devolute al Tribunale fallimentare anche le rivendicazioni<br />

di beni immobili (art. 22.14).<br />

Nella liquidazione dell’attivo si privilegia la vendita unitaria<br />

dell’azienda o dei singoli rami di essa, e la vendita ad offerta privata<br />

o senza incanto è preferita a quella dall’incanto (art. 23,<br />

23.1, 23.2, 23.3, 23.4).<br />

Il progetto ha ridisegnato l’amministrazione controllata.<br />

La domanda dev’essere accompagnata da un piano di risanamento<br />

per la durata di un biennio (art. 30.2, 30.4), che può essere<br />

eventualmente prorogato di un altro biennio. Nelle more le azioni<br />

esecutive sono sospese; è prevista – e questa è la grossa novità – la<br />

riduzione del tasso di interesse convenzionale a quello legale ed è<br />

sospesa perfino l’escussione dei terzi coobbligati e dei soci illimitatamente<br />

responsabili (art. 30.5).<br />

La disciplina del concordato preventivo è rimasta sostanzialmente<br />

la stessa, con queste particolarità: è abolito il concordato con


422 Scritti di Diritto Fallimentare<br />

cessione dei beni (art. 31.2), la domanda il concordato può essere<br />

avanzata anche da un terzo garante (art. 31.1), i crediti sorti durante<br />

la procedura sono prededucibili (art. 31.7). Anche i creditori<br />

privilegiati partecipano al voto in classe distinta (art. 31.13), come<br />

pure nell’amministrazione controllata.<br />

Nella liquidazione coatta amministrativa, il commissario governativo<br />

è preposto alla liquidazione dell’impresa; ad esso ne viene affiancato<br />

uno giudiziale oltre al giudice delegato ed al Tribunale, per<br />

attuare la tutela dei creditori (art. 44, 44.1, 44.2, 44.3).<br />

Quanto all’amministrazione straordinaria viene affermato il<br />

principio che il risanamento dell’impresa ad opera della pubblica<br />

amministrazione non deve scaricarsi sul patrimonio del debitore,<br />

danneggiando la massa creditoria.<br />

Si propone infine, l’abrogazione del fallimento fiscale, la inibitoria<br />

anche delle esecuzioni esattoriali, la possibilità che il creditore<br />

anticipi la evidenziazione fiscale delle perdite sui crediti.<br />

L’articolato poi appunta la soluzione di numerosi problemi dibattuti<br />

da tempo in dottrina ed in giurisprudenza.<br />

3. – Passiamo ora ad esaminare analiticamente le novità sopra descritte<br />

ed a puntualizzare alcune osservazioni e proposte critiche<br />

con lo scopo di contribuire al perfezionamento del progetto.<br />

Si deve convenire sulla proposta che tutti gli imprenditori individuali<br />

e collettivi, compresi quelli agricoli, i piccoli imprenditori e<br />

gli artigiani siano assoggettati alla legge fallimentare (art. 4.1, 4.2)<br />

e che le società cooperative siano oggetto della procedura ordinaria<br />

e non più della liquidazione coatta (art. 28.4). Si deve pure valutare<br />

positivamente la previsione (art. 4.3) che anche le società non<br />

possano più fallire dopo un certo tempo dalla cessazione dell’impresa<br />

e dalla cancellazione dal registro delle imprese, non diversamente<br />

dall’imprenditore individuale, superandosi così l’annosa e<br />

grave controversia sull’art. 10 dell’odierna legge fallimentare (6) .<br />

(6) Nel senso della inapplicabilità dell’art. 10 L. fall. alle società e perciò della loro<br />

fallibilità sine die, finché sussistono dei loro debiti, sono la dottrina e la giurisprudenza<br />

dominante. In tal senso, per la dottrina tra i molti: PROVINCIALI, Manuale di Diritto fallimentare,<br />

Milano, 1955, I, p. 215 ss.; SATTA, Istituzioni diritto fallimentare 3 , Bologna-<br />

Roma, p. 76 ss.; CANDIAN, Il processo di fallimento, Padova, 1934, p. 107; VIVANTE,<br />

Trattato dir. comm., Milano, 1922, II, p. 820; BRUNETTI, Dir. fall., Milano, 1923, p. 90


Scritti di Diritto Fallimentare 423<br />

Sembra tuttavia eccessivo il richiedere per le società un periodo<br />

di 5 anni dalla cancellazione dal registro delle imprese e più congrua<br />

una sua riduzione a 3 anni. Sono infine da apprezzare le<br />

proposte in tema di gruppo societario e di concentrazione presso<br />

un unico giudice delle procedure concorsuali delle imprese dello<br />

stesso gruppo (art. 28.3), la assoggettabilità al fallimento dei soci<br />

illimitatamente responsabili, dell’unico azionista e del socio tiranno<br />

(art. 28, 28.1, 28.2).<br />

4. – Devesi approvare la conferma dello stato di insolvenza (art.<br />

4.6) come presupposto oggettivo del fallimento, del concordato<br />

preventivo, della liquidazione coatta e dell’amministrazione<br />

straordinaria.<br />

Non pare invece accettabile la proposta di individuare il presupposto<br />

dell’amministrazione controllata (7) non più nelle temporanee<br />

difficoltà, ma nello stato di crisi dell’impresa, inteso come insufficienza<br />

dei ricavi della gestione ordinaria a coprire i relativi costi<br />

(art. 30 del progetto).<br />

Codesto requisito finisce per peccare da un lato per difetto e dall’altro<br />

per eccesso.<br />

Esso pecca per difetto perché non verrebbe ammessa all’amministrazione<br />

controllata un’impresa – ed è caso frequente – che avesse<br />

una gestione ordinaria in pareggio o in utile e tuttavia versasse in<br />

ss.; SRAFFA, Il fallimento delle società commerciali, Firenze, 1896, p. 85 ss. Per la giurisprudenza:<br />

Cass. civ., 30 marzo 1977, n. 1221, in Mass. Giust. civ., 1977, p. 522; Cass.<br />

civ., 29 novembre 1978, n. 5642, in Rep. Foro it., 1978, c. 872; Cass. civ., 24 novembre<br />

1981, n. 6236, in Mass. Giust. civ., 1981.<br />

In senso contrario e cioè per l’applicabilità dell’art. 10 L. fall. alle società, facendo decorrere<br />

l’anno dalla cessazione dell’impresa e non dalla liquidazione come per l’imprenditore<br />

individuale: VALCAVI, Se l’art. 10 L. fall. sia applicabile alle società imprenditrici,<br />

in Dir. fall., 1954, II, p. 463 ss.; Id., Ancora a proposito dell’applicabilità dell’art. 10<br />

L. fall. alle società in liquidazione, in Foro it., 1959, I, C. 1568 ss.; ed in giurisprudenza:<br />

App. Milano, 29 settembre 1978, n. 801, in Rep. Foro it., 1978, C. 871; Trib. Milano, 7<br />

giugno 1979, in Fallimento, 1981, p. 130; App. Milano, 20 giugno 1958, in Foro it., 1959,<br />

1, 1, c. 1578; Trib. Chiavari, 7 marzo 1960, in Dir. fall., 1960, II, p. 704; Trib. Lanciano,<br />

25 giugno 1962, in Giust. civ., 1962, I, p. 1142.<br />

(7) Relaz. XI, p. 128, Quaderno cit.; CAMBINO, ibidem, p. 49. L’art. 30 del progetto<br />

riprende il concetto di cui all’art. 34 dello Statuto di impresa, in Giur. comm., 1984, I, p.<br />

150 ss. In senso critico, G. RAGUSA MAGGIORE in Dir. fall., 1984, I, p. 640, in senso favorevole<br />

D. MAZZOCCA, ibidem, p. 640.


424 Scritti di Diritto Fallimentare<br />

difficoltà a causa di eccessivi immobilizzi e dei relativi oneri finanziari<br />

e quindi di uno squilibrio della gestione straordinaria. Esso<br />

pecca per eccesso nel caso inverso di un’impresa che pur avendo<br />

una gestione ordinaria in perdita, non versi tuttavia in difficoltà finanziarie,<br />

perché ad es. dispone di ricavi della gestione straordinaria<br />

e di liquidità adeguata per capitali e riserve esistenti. Non si vede<br />

perché questa impresa dovrebbe essere ammessa all’amministrazione<br />

controllata.<br />

Mi pare assai pericoloso d’altro canto il finalizzare l’amministrazione<br />

controllata al risanamento delle gestioni ordinarie in perdita<br />

dell’impresa, mediante la riduzione al 5% dei maggiori interessi<br />

convenzionali.<br />

È prevedibile una corsa agli sportelli giudiziari per fruire di codesti<br />

tassi agevolati e perciò dell’amministrazione controllata. Va<br />

tenuto fermo perciò a mio avviso l’odierno presupposto costituito<br />

dalle temporanee difficoltà finanziarie dell’impresa, quale che sia la<br />

causa, comprendendosi anche una gestione ordinaria in perdita.<br />

5. – È razionale e va approvata l’articolazione del procedimento<br />

concorsuale (con esclusione dell’amministrazione controllata) in<br />

due fasi: la prima che si conclude con la sentenza dichiarativa di<br />

insolvenza e la seconda che comincia, in un tempo differito, col decreto<br />

di fallimento o di avvio delle altre procedure concorsuali. È<br />

stato qui generalizzato lo schema previsto dall’art. 195, l. fall. vigente,<br />

per la liquidazione coatta amministrativa, e dall’art. 1, comma<br />

2°, l. 3 aprile 1979, n. 95, per l’amministrazione straordinaria<br />

delle Imprese.<br />

I vantaggi di codesta articolazione si concretano nel dar tempo<br />

e modo al debitore di domandare l’ammissione al concordato preventivo,<br />

o alla pubblica amministrazione di chiedere l’amministrazione<br />

straordinaria, o infine al Tribunale di emettere un decreto<br />

di chiusura della procedura in caso di insussistenza di attivo<br />

o di passivo (art. 6.13).<br />

In particolare si rimedia qui a quella lacuna della normativa vigente,<br />

come ad es. nel caso ex art. 192, comma 3°, l. fall., dove si<br />

consente al debitore di prevenire la declaratoria di fallimento con<br />

l’avanzare una domanda di concordato preventivo, ma però non gli<br />

si dà tempo di proporla, è modo di vedere previamente verificata la


Scritti di Diritto Fallimentare 425<br />

sussistenza dell’insolvenza (8) . E superata anche la problematica<br />

sulla chiusura della procedura per mancanza di passivo (9) . Sono da<br />

condividersi le proposte che contemplano l’iniziativa anche d’ufficio,<br />

l’intervento del pubblico ministero e di altri creditori, le garanzie<br />

di contradditorio e di difesa, le regole sulla speditezza del processo,<br />

la possibilità di provvedimenti cautelari reclamabili.<br />

Qualche riserva si propone sulla previsione troppo generica e<br />

poco garantistica dell’art. 6.3 di «forme semplificate di notifica»<br />

della convocazione del fallendo davanti al giudice.<br />

L’amministrazione controllata, a differenza di oggi, è disposta ex<br />

art. 30.3 con sentenza impugnabile e si svolge in unica fase.<br />

6. – In relazione alla bipartizione delle fasi, di cui si è detto, correttamente<br />

gran parte degli effetti vengono correlati alla sentenza dichiarativa<br />

di insolvenza (art. 6.14), ad esclusione di quelli propri e<br />

specifici delle varie procedure.<br />

E per cominciare dagli effetti patrimoniali sul debitore, il progetto<br />

prevede la conservazione da parte sua dell’amministrazione<br />

ordinaria e straordinaria dei beni, sotto la direzione e con la<br />

previa autorizzazione del giudice delegato e sotto il controllo del<br />

commissario.<br />

Nel caso che alla dichiarazione di insolvenza succeda il concordato<br />

preventivo, il debitore continua a conservare l’amministrazione<br />

sino alla sentenza di omologazione (10) .<br />

Ove subentri invece il fallimento, il relativo decreto priva il debitore<br />

dell’amministrazione e la attribuisce all’ufficio fallimentare<br />

(art. 8).<br />

Lo stesso accade nei casi di amministrazione straordinaria e di<br />

liquidazione coatta a favore del liquidatore giudiziale od a quello<br />

governativo (art. 33.4, 44.6).<br />

Nella ipotesi infine di amministrazione controllata, è previsto che<br />

(8) L’art. 192, comma 3°, L. fall., pur facendo salva la facoltà del debitore di proporre<br />

domanda di concordato preventivo, tuttavia non gli dà modo e tempo di avanzarla, nel<br />

caso in cui il G.D. ravvisi la inutilità della prosecuzione dell’amministrazione controllata<br />

sicché ne deriverebbe che prior tempore potior Jure.<br />

(9) Ci si riferisce alla problematica se la procedura fall. possa chiudersi per mancanza<br />

di insinuazioni tempestive, anche se pendessero quelle tardive.<br />

(10) Relaz. cit., Quaderno cit., p. 108.


426 Scritti di Diritto Fallimentare<br />

il tribunale possa investirne il commissario giudiziale in alternativa<br />

al debitore (art. 30.7).<br />

Serie perplessità suscita, a mio avviso, la conservazione incondizionata<br />

dell’amministrazione da parte del debitore per il periodo intercorrente<br />

tra la dichiarazione di insolvenza ed il decreto di fallimento,<br />

che potrebbe protrarsi a lungo.<br />

La mancanza di apposizione di sigilli, l’infelice formula per<br />

cui il giudice sarebbe chiamato a dirigere e ad autorizzare anche<br />

gli atti di amministrazione ordinaria dell’insolvente, mentre il<br />

commissario sarebbe chiamato solo a controllarla, accrescono i<br />

forti dubbi. Il più delle volte l’insolvenza è riconducibile a scelte<br />

errate e ad inadeguatezza imprenditoriale del debitore per cui sovente<br />

è da revocarsi in dubbio l’utilità di conservarlo alla testa<br />

dell’amministrazione.<br />

A mio modo di vedere, sulla linea di quanto è previsto per l’amministrazione<br />

controllata, dovrebbe almeno prevedersi che il tribunale,<br />

ove lo ravvisi, possa attribuire al commissario giudiziale l’amministrazione<br />

con la sentenza che dichiara l’insolvenza o anche con<br />

provvedimento successivo.<br />

Quest’ultima ipotesi acquista particolare rilievo nel concordato<br />

preventivo dove non si può più ipotizzare la dichiarazione di fallimento,<br />

come sanzione dell’immeritevolezza, come nel caso ex art.<br />

173, comma 2°, dell’odierna l. fall., perché il concordato è stato<br />

svincolato dal requisito della meritevolezza.<br />

Ciò giustifica piuttosto la sostituzione del commissario al debitore<br />

nell’amministrazione, con provvedimento successivo.<br />

Quanto agli altri effetti sui creditori, sugli atti pregiudizievoli e<br />

sui rapporti giuridici preesistenti, essi correttamente vengono correlati<br />

alla declaratoria di insolvenza.<br />

I creditori continuano a ricevere tutela – e non potrebbe essere<br />

diversamente – dal complesso di norme che mirano ad attuare la<br />

par condicio: inibitorie di azioni esecutive, comprendendosi ora<br />

anche quelle esattoriali, ricostituzione dell’attivo mediante revocatorie<br />

delle altre; nazioni dei beni nel periodo sospetto e risoluzione<br />

dei contratti ineseguiti, ecc., da un lato; inibitoria di acquisizione<br />

di prelazioni e revocatorie di quelle concesse in periodo sospetto,<br />

dall’altro (art. 6.14).<br />

Il progetto giustamente, per evitare l’aggravarsi delle perdite con


Scritti di Diritto Fallimentare 427<br />

il decorso del tempo, sottolinea l’esigenza della celerità della procedura,<br />

prevede l’obbligo del curatore di effettuare riparti parziali,<br />

con facoltà di reclamo al giudice in caso di ritardo (art. 24), contempla<br />

il corso ulteriore degli interessi, sia pure con possibilità di<br />

soddisfacimento sul residuo e, nel caso di crediti di lavoro, di rivalutazione<br />

monetaria (artt. 18.3, 2.5).<br />

È certamente da approvarsi, in questa logica, la nuova disposizione<br />

che si propone di mitigare le perdite, mediante la possibilità<br />

offerta al creditore ammesso al passivo di portare a perdita il proprio<br />

credito, ove insoddisfatto, entro un certo termine dall’apertura<br />

della procedura (art. 1.3, questioni tributarie), favorendo così un<br />

recupero indiretto di carattere fiscale, salvo l’obbligo di evidenziare<br />

le successive sopravvenienze attive.<br />

Sono da approvarsi le varie proposte che confermano la distinzione<br />

tra atti inefficaci ed atti revocabili (anormali e normali), l’inclusione<br />

tra gli atti anormali del pagamento dei crediti non scaduti,<br />

ma con scadenza anteriore alla dichiarazione di insolvenza (11) , la<br />

presunzione muciana per il coniuge in regime di separazione di beni,<br />

la revocabilità dei beni acquisiti con danaro del coniuge in regime di<br />

comunione (12) , i diritti come contradditore riconosciuti al debitore<br />

insolvente ed infine la sostituzione dell’obbligo di reperibilità a quello<br />

di non allontanarsi dalla residenza (art. 6.14, 6.15, 6.19, 6.20).<br />

7. – Gli organi della prima fase della procedura concorsuale, successiva<br />

alla declaratoria di insolvenza, sono il tribunale, il giudice<br />

delegato ed il commissario.<br />

Quelli delle successive fasi sono gli stessi di oggi, salvo qualche<br />

variante. E così per il fallimento, il tribunale, il giudice delegato, il<br />

curatore del fallimento, il comitato dei creditori; per l’amministrazione<br />

straordinaria e la liquidazione coatta il tribunale, il giudice<br />

delegato, il commissario giudiziale, il comitato dei creditori, ed infine<br />

il commissario governativo ed il comitato di sorveglianza.<br />

Per la prima fase c’è da temere che il giudice delegato ed il commissario<br />

finiscano oberati dai compiti di direzione e di controllo<br />

estesi all’amministrazione ordinaria.<br />

(11) Relaz. cit., III, Quaderno cit., p. 117; JAEGER, Quaderno cit., p. 18 s.<br />

(12) Relaz. cit., III, Quaderno cit., p. 117; JAEGER, Quaderno cit., p. 19.


428 Scritti di Diritto Fallimentare<br />

A mio avviso, si attribuisce un ruolo eccessivamente marginale al<br />

comitato dei creditori ed alle assemblee degli stessi relegate a funzione<br />

di occasionale e passiva consultazione, come anche accade oggi.<br />

Non è dubbio che i creditori siano i veri protagonisti interessati<br />

al buon governo ed al migliore esito delle procedure e perciò<br />

i più sensibili a cogliere i rischi e le eventuali discrasie di esse rispetto<br />

allo scopo.<br />

Sembra invece importante democratizzare il processo fallimentare<br />

organizzando il consenso dei creditori con una periodica informazione<br />

ed un coinvolgimento più attivo del comitato dei creditori<br />

e delle assemblee degli stessi. Non può approvarsi l’esclusione del<br />

comitato dei creditori dal potere di reclamo (13) . Il comitato dei creditori<br />

dovrebbe poter convocare da sé le assemblee dei creditori.<br />

Questo discorso ha un rilievo particolare nel caso di amministrazione<br />

controllata.<br />

Si prevede quivi che l’attuazione del piano di risanamento della<br />

impresa «venga verificata con relazioni semestrali del commissario<br />

giudiziario». Non si vede perché le assemblee dei creditori ed il comitato<br />

non debbano svolgere un ruolo più attivo nella verifica delle<br />

relazioni semestrali.<br />

8. – È da approvarsi l’attribuzione al tribunale fallimentare di tutte<br />

le cause in cui il fallendo sia o possa divenire parte (14) e non<br />

solo, come vuole l’odierno art. 24 l. fall., di quelle che derivano<br />

dal fallimento. L’estensione della competenza anche alle controversie<br />

immobiliari, attualmente escluse, è pure da apprezzarsi. Un<br />

discorso più lungo merita il problema delle regole procedurali.<br />

Oggigiorno i giudizi concernenti l’opposizione alla dichiarazione<br />

di fallimento, le revocatorie, il recupero dei crediti, le rivendiche<br />

di beni immobili, ed in genere le impugnative, seguono l’iter ordinario<br />

del processo di cognizione.<br />

Le opposizioni allo stato passivo, le insinuazioni tardive e le rivendiche<br />

mobiliari, pur dipartendosi in più punti (15) , vengono<br />

(13) Relaz. cit., Quaderno cit., II, p. 111.<br />

(14) Relaz. cit., Quaderno cit., II, p. 114.<br />

(15) Così l’estinzione ex art. 98, comma 3°, L. fall., le regole del simultaneus processus<br />

e della pronuncia cumulativa sulle opposizioni ecc.


Scritti di Diritto Fallimentare 429<br />

istruite secondo il rito ordinario, stante il riferimento degli artt. 99<br />

e 101 L. Fall. agli artt. 175 ss. e 189 ss. c.p.c. Non è un mistero per<br />

nessuno che proprio i tempi lunghi della istruttoria, e così le regole<br />

che la governano, sono oggi sul banco degli accusati (16) . In particolare<br />

si rimprovera alla nostra istruttoria che essa sia dispersiva e<br />

tutt’altro che concentrata.<br />

Il nuovo progetto della legge fallimentare sottolinea a più riprese<br />

l’esigenza di fondo della celerità, della speditezza e della<br />

concentrazione. Esso giustamente lamenta che una delle principali<br />

cause del protrarsi delle procedure fallimentari sono le lungaggini<br />

giudiziarie (17) .<br />

Il progetto tuttavia non va più in là e non dice quale diversa normativa<br />

sopperirebbe a codeste esigenze. Il richiamo alle norme di<br />

rito ordinario viene anzi talora espressamente riaffermato, com’è il<br />

caso delle controversie riguardanti immobili.<br />

Nessuna altra soluzione mi sembra più appropriata di quella che<br />

contemplasse la ricezione e l’applicazione ai nostri casi delle regole<br />

proprie del processo del lavoro. Il rito del lavoro è stato di recente<br />

assunto dalla commissione Liebman a modello del nuovo processo<br />

di cognizione.<br />

Ove pur si nutrano perplessità su una generalizzazione del genere,<br />

non pare tuttavia dubbio che una tale disciplina, con le sue preclusioni,<br />

le sue decadenze ecc. realizzi il massimo di celerità e concentrazione<br />

postulati dal carattere pubblicistico del procedimento<br />

concorsuale, non diversamente da quello del lavoro. Anzi, il fatto<br />

che queste ultime verrebbero decise dal giudice fallimentare costituisce<br />

un argomento in più.<br />

Ovviamente anche le impugnazioni saranno regolate dalla medesima<br />

disciplina ed avranno le medesime forme.<br />

Un discorso a sé meritano i reclami.<br />

Questi possono classificarsi in due diverse categorie.<br />

La prima concerne i reclami giurisdizionali che tendono ad un<br />

riesame dei provvedimenti prioris istantiae, di contenuto decisorio.<br />

(16) Ciò è risultato dal più recente convegno tenutosi a Milano il 14 febbraio<br />

1986 su 40 anni di processo civile.<br />

(17) Relaz. cit., II, p. 113. Nel nostro senso anche F. FERINA, Dir. fall., 1984, I,<br />

p. 701.


430 Scritti di Diritto Fallimentare<br />

A questo tipo appartengono i previsti reclami alla Corte d’appello<br />

contro il decreto del Tribunale di rigetto della dichiarazione di insolvenza<br />

(art. 7), contro i provvedimenti cautelari non soggetti a<br />

convalida (art. 6.7), contro il decreto di fallimento, di amministrazione<br />

straordinaria, di liquidazione coatta (18) , contro il decreto di<br />

chiusura del procedimento per mancanza di attivo o di passivo (art.<br />

6.13), contro la sentenza sulla collocazione dei crediti e l’ordine della<br />

distribuzione (art. 24.3).<br />

Alla seconda categoria appartengono invece i reclami che più<br />

propriamente hanno la funzione di ricorsi gerarchici, volti a provocare<br />

un controllo sostitutivo dell’organo superiore nei confronti degli<br />

atti amministrativi dell’organo inferiore. A questa appartengono<br />

il reclamo al giudice delegato contro gli atti di gestione del curatore<br />

(art. 9.2), al tribunale contro quelli del giudice delegato (art.<br />

9.4), ed infine alla Corte d’appello contro le ordinanze del Tribunale<br />

(art. 9.5).<br />

Ai reclami tiene dietro il compimento di attività, in una certa misura,<br />

in contradditorio.<br />

Un primo rilievo da proporsi concerne la contraddizione che è<br />

dato cogliere tra il progetto e la Relazione allo stesso sulla posizione<br />

del giudice delegato nel collegio. L’art. 9 del progetto ammette il<br />

G.D. a far parte del Tribunale fallimentare, senza limite alcuno «in<br />

sede di riesame dei suoi provvedimenti».<br />

La Relazione invece, pur confermando in genere che egli possa<br />

far parte del Tribunale, esclude che ciò avvenga qualora il collegio,<br />

«operi in via di gravame su provvedimento dello stesso giudice o su<br />

situazioni da lui preventivamente esaminate» (19) .<br />

Uno dei commissari, da parte sua, ha scritto che in questo caso<br />

egli continuerebbe a far parte del collegio di riesame, ma la funzione<br />

di relatore verrebbe affidata ad altri (20) .<br />

A mio sommesso avviso è importante assicurare l’indipendenza<br />

del collegio e non comprometterla con la partecipazione del giudice<br />

delegato al riesame dei suoi provvedimenti.<br />

A questo punto la medesima importanza del reclamo verrebbe<br />

(18) Relaz. cit., Quaderno cit., I, p. 109.<br />

(19) Relaz. cit., Quaderno cit., II, p. 110.<br />

(20) SCANZANO, Quaderno cit., p. 23.


Scritti di Diritto Fallimentare 431<br />

messa in dubbio e frustrata. Sembra partito preferibile quello enunciato<br />

dalla Relazione di escludere il giudice delegato dal collegio, in<br />

sede di riesame dei suoi provvedimenti.<br />

9. – Deve essere approvato l’onere generalizzato di insinuazione dei<br />

crediti al passivo.<br />

Si dissente invece dall’enunciato onde il provvedimento di ammissione<br />

del credito, malgrado la forma del decreto, sia suscettibile<br />

di divenire giudicato esterno (art. 22.9).<br />

E ciò a differenza del provvedimento di esclusione del credito<br />

che, anche se adottato nella forma di sentenza, non avrebbe tale<br />

idoneità (21) . L’uso di due pesi e due misure, a senso unico, ed a solo<br />

vantaggio dei creditori, non appare giustificato e non può essere<br />

condiviso. A mio modo di vedere, pare partito preferibile quello di<br />

riconoscere che i provvedimenti mettono capo a titoli esecutivi endoprocessuali<br />

(22) e come tali non possono acquistare efficacia di<br />

giudicato esterno.<br />

Si concorda sull’opportunità di conservare la disciplina vigente<br />

per le insinuazioni tardive e le rivendiche mobiliari.<br />

A riguardo di quelle immobiliari, pur approvandosi la loro devoluzione<br />

al tribunale fallimentare, si nutrono riserve sulla applicazione<br />

ad esse del rito ordinario (23) .<br />

10. – È apprezzabile la modernità di quella parte del progetto che<br />

contempla la preferenza della vendita unitaria dell’azienda, o di<br />

singoli rami, rispetto a quella dei singoli beni (art. 23), ed in genere<br />

valorizza la vendita ad offerta privata o senza incanto (art. 23.2).<br />

Ciò corrisponde a proposte nel medesimo senso del progetto di riforma<br />

Liebman del c.p.c. di cui ai punti 18 lett. b e h (24) . Devesi an-<br />

(21) Relaz. cit., V, p. 119; SCANZANO, Quaderno cit., p. 24. In senso favorevole F.<br />

FERINA, op. loc. citt., p. 701; in senso critico, G. RAGUSA MAGGIORE, Dir. fall., 1984,<br />

I, p. 605; LUGARO, loc. ult. cit., p. 623.<br />

(22) RAGUSA MAGGIORE, Dir. fall., Napoli, 1974, II, p. 569; SATTA, Dir. fall., Padova,<br />

1974, p. 246; BONFATTI, La formazione dello stato passivo nel fallimento, Quaderni<br />

di Giur. comm., 1981, n. 38, p. 110 ss. ed ivi la giurisprudenza richiamata.<br />

(23) Si nutrono dubbi sull’attualità della disciplina differenziata per gli immobili, data<br />

la crescente importanza dei valori mobiliari.<br />

(24) In Riv. trim., 1981, pp. 645 ss. e 6480 ss.


432 Scritti di Diritto Fallimentare<br />

che approvare la proposta che la procedura possa chiudersi quando<br />

sia accertato che l’impresa per un sopraggiunto miglioramento<br />

dei suoi conti sia tornata in condizioni da assicurare l’adempimento<br />

normale delle sue obbligazioni ed i creditori convengano in un regolamento.<br />

È pure da convenirsi nelle proposte concernenti il concordato<br />

fallimentare e di cui si è detto sopra.<br />

11. – Si è sopra criticata l’indicazione del nuovo presupposto proponendosi<br />

di conservare alla base dell’istituto dell’amministrazione<br />

controllata le odierne «temporanee difficoltà finanziarie».<br />

Il progetto prevede la riduzione degli interessi convenzionali al<br />

saggio legale del 5%.<br />

Ciò è nella linea di tendenza di gravare le banche del costo di salvataggio<br />

delle aziende (emblematico è il caso Elettrolux-Zanussi),<br />

come se esse fossero qualcosa di diverso dal pubblico risparmio e<br />

poi non riversassero i loro costi sull’economia nazionale.<br />

Gli interessi attualizzano i crediti nel tempo ed il 5% un tempo<br />

corrispondeva al tasso di mercato (25) . Oggi non è più così e correttamente<br />

è stato riconosciuto che questa proposta si risolve nell’abbattimento<br />

del capitale mutuato dalle banche (26) .<br />

Questa grave riduzione degli interessi crea un clima di condizioni<br />

anormali intorno all’impresa oggetto della procedura, così che il<br />

suo andamento finisce per avere scarsa affidabilità prognostica di<br />

un suo ritorno alle condizioni di normale mercato.<br />

Codesta riduzione di interessi, nel caso di imprese sottocapitalizzate<br />

o eccessivamente immobilizzate, si risolve nel disincentivare la<br />

ricapitalizzazione ed in un lucro per il debitore che sull’altro fronte<br />

può contare sulla rivalutazione degli immobilizzi. E così in definitiva<br />

si avrà un premio all’imprenditore che ha sbagliato le scelte di investimento.<br />

L’abbattimento del capitale finisce per essere assai rilevante<br />

in caso di proroga ad un successivo biennio. Ciò contrasta con la<br />

previsione ex art. 18.3 del progetto per cui gli interessi continuerebbero<br />

a maturare nella misura convenzionale anche durante il fallimento,<br />

andando a soddisfarsi sull’eventuale supero al riparto finale.<br />

(25) Sul problema, VALCAVI, Riflessioni sui c.d. crediti di valore, sui crediti di valuta<br />

e sui tassi di interesse, in Foro it., 1981, I, C. 2114 ss.<br />

(26) CAMBINO, Quaderno cit., p. 51.


Scritti di Diritto Fallimentare 433<br />

Se dovessi avanzare una proposta, contemplerei anche nel caso<br />

del nostro istituto, nel rispetto della par condicio con gli altri crediti,<br />

che pure hanno ragione di essere attualizzati, non tanto una riduzione<br />

definitiva, come quella proposta, ma una mera postergazione<br />

degli interessi extralegali, così che essi possano soddisfarsi sul<br />

residuo, non diversamente dagli altri ex art. 18.3. Un altro punto<br />

del progetto che suscita grosse perplessità è la sospensione della<br />

escussione dei terzi fidejussori prevista dall’art. 30.5 del progetto.<br />

Mentre si può comprendere come ispirata alla par condicio la sospensione<br />

della escussione dei soci illimitatamente responsabili, non<br />

si riesce invece a cogliere la ragione di pubblico interesse del favore<br />

reso al garante. Mi sembra invece consigliabile estendere la revocatoria<br />

alle ipoteche giudiziali nei confronti dei garanti per evitare<br />

l’attuale corsa alle iscrizioni di garanzia sui beni del garante, il<br />

pignoramento di comodo per prevenirle ed i patteggiamenti tra creditori<br />

per estendere la garanzia.<br />

12. – È da approvarsi l’abolizione del requisito della meritevolezza<br />

per il concordato preventivo apparendo preminente l’esigenza di<br />

soddisfare i creditori e di salvare, nel limite del possibile, l’impresa.<br />

Sembra pure da condividersi la possibilità che un terzo garante<br />

possa prendere l’iniziativa di proporre il concordato, senza passare<br />

attraverso il necessario tramite del debitore.<br />

Suscita invece perplessità la previsione troppo generica che la<br />

proposta di concordato possa essere sorretta da non meglio definite<br />

garanzie atipiche, senza alcuna delimitazione.<br />

Non diversamente appare eccessiva l’ipotesi di proroga di esecuzione<br />

del concordato per un secondo anno.<br />

La partecipazione al voto dei creditori privilegiati in classe distinta<br />

dai chirografari appare meno giustificata nel concordato che<br />

nell’amministrazione controllata, data la proposta abolizione del<br />

concordato per cessione dei beni e perciò la sua esecuzione esclusivamente<br />

per contanti.<br />

Chi scrive non concorda tuttavia su codesta proposta di abolire<br />

il concordato per cessione di beni.<br />

Quest’ultimo viene correntemente inteso dalla nostra giurisprudenza<br />

in termini riduttivi è cioè come mandato a vendere in ogni<br />

caso, con la restituzione del residuo al debitore, ex art. 1977 ss. c.c.,


434 Scritti di Diritto Fallimentare<br />

e cioè pro solvendo e non pro soluto (27) . Anche così concepito codesto<br />

mandato a vendere, affidato ai creditori, come ai migliori interessati<br />

al migliore realizzo, ha tutta una sua logica.<br />

E l’ha, a maggior ragione, nel caso del c.d. concordato misto, in<br />

cui la cessione dei beni è accompagnata dalla garanzia di un terzo.<br />

Ma ha una ragione d’essere ancora più importante nel caso in cui<br />

esso venga inteso in senso ampio, così da comprendere la cessio pro<br />

soluto. In tal senso è orientata una parte autorevole della dottrina (28)<br />

e così, soprattutto, si è espressa la Relazione alla legge vigente.<br />

Il legislatore ebbe a scrivere di avere voluto codificare questo istituto<br />

per evitare la prassi incontrollata di accordi stragiudiziali,<br />

eversivi della par condicio (29) .<br />

E più oltre, ribadendo di rifuggire da schemi rigidi di cessione,<br />

aggiungeva: «così la cessione, potrà assumere la forma del trasferimento<br />

dei beni in proprietà o quella di una procura irrevocabile o<br />

quella di una liquidazione giudiziale». Ed infine «non è del resto da<br />

escludere che i creditori possano mettersi d’accordo per rilevare<br />

l’impresa e gestirla nell’interesse comune» (30) .<br />

Ciò acquista un rilievo particolare nel caso che la proposta di cessione<br />

dei beni, che diventeranno perciò comuni, sia accompagnata<br />

da impegni di affittanza o di acquisto differito da parte di terzi. All’offerta<br />

di cessione dei beni, ex latere debitoris, fa riscontro simmetrico<br />

in teoria, la domanda di assegnazione dei beni ex latere<br />

creditoris. Quest’ultimo istituto è ben noto nel nostro codice di rito.<br />

Trattasi del medesimo fenomeno (devoluzione dei beni ai creditori<br />

a soddisfazione delle loro ragioni) con la differenza che il concor-<br />

(27) La giurisprudenza prevalente reputa che la cessione dei beni nel concordato preventivo<br />

integri solo un mandato in rem propriam al creditore di gestire e liquidare i beni,<br />

così: Cass. civ., 27 giugno 1981, n. 4177, in Foro it., 1982, I, c. 603; Cass. civ., 5 gennaio<br />

1972, n. 2, in Mass. Giust. civ., 1972, p. 2; Cass. civ., 22 gennaio 1970, n. 140, in Mass.<br />

Giust. civ., 1970, p. 85. In dottrina: CASANOVA, Risoluzione di concordato preventivo<br />

con cessione dei beni ai creditori, in Riv. dir. comm., 1963, I, p. 93 ss.; PAJARDI, Man.<br />

dir. fall., 1969, p. 694.<br />

(28) SATTA, Dir. fall., Padova, 1974, I, p. 390 ed ivi nota n. 783; DE SEMO, Dir. fall.,<br />

1964, p. 538 ss.; PROVINCIALI, op. cit., III, p. 2122; BRUNETTI, Dir. concorsuale, Padova,<br />

1944, p. 283 ss., nota 222; DE MARTINI, La cessio bonorum nel concordato preventivo,<br />

in Riv. dir. comm., 1958, p. 85.<br />

(29) Relaz. a vigente l. fall., n. 37.<br />

(30) Ibidem.


Scritti di Diritto Fallimentare 435<br />

dato è visto in funzione dell’offerta del debitore e la assegnazione in<br />

funzione della domanda dei creditori.<br />

Il problema non è, a mio modo di vedere, quello di sopprimere il<br />

concordato per cessione dei beni, specie se inteso come trasferimento<br />

di proprietà (ciò priverebbe la procedura di un’utile alternativa)<br />

quanto piuttosto di allargarne il ventaglio di possibilità, legittimando<br />

i creditori o gruppi di creditori a conseguire tale cessione,<br />

su loro domanda, realizzando ad un tempo uno scopo espropriativo<br />

e satisfattivo (31) .<br />

Ciò con l’ovvio obbligo di liquidare quei creditori che non intendessero<br />

far parte della cordata.<br />

Non si tratterebbe cioè di una decisione a maggioranza, vincolante<br />

per chi non ci sta, ma di una iniziativa impegnativa solo per i<br />

creditori che ci stanno a rilevare, a liquidare gli altri, correndo i relativi<br />

rischi. Codesta possibilità concorrerebbe con la offerta di concordato<br />

nelle sue varie forme da parte del debitore ed ora con quella<br />

proveniente in modo autonomo da parte di un terzo. Nel caso di<br />

più domande si aprirà una gara fra esse, come nel codice di rito.<br />

Non si coglie la ragione per cui non sarebbe consentito ai creditori,<br />

che sono in definitiva i più interessati a valorizzare i beni, quel<br />

che è consentito ad un terzo estraneo. E ciò senza dovere, per conseguire<br />

il medesimo obiettivo, altrimenti celarsi dietro un prestanome,<br />

effettuare esborsi gravosi, anche in corrispondenza dei loro crediti,<br />

che riavranno a distanza di tempo.<br />

Tutto ciò fa parte di un’ottica penalizzante per i creditori. Una<br />

tale soluzione è testualmente prevista dal progetto nel caso di concordato<br />

fallimentare, dove si riconosce che esso può essere proposto<br />

«anche da un creditore» (32) .<br />

Ciò si risolve in una domanda di assegnazione, e non vedesi perché<br />

quel che è valido per il concordato fallimentare non lo dovrebbe<br />

essere anche per quello preventivo.<br />

Al fondo della cessio bonorum, specie se oggetto sia un’impresa<br />

in esercizio, vi è la logica economica della conversione dei crediti in<br />

capitali di rischio e della conservazione dell’impresa.<br />

(31) In questo senso è il nuovo tipo di assegnazione-espropriazione di cui al punto 18,<br />

lett. h, del progetto Liebman di riforma del c.p.c., in Riv. trim., 1981, p. 645 ss.<br />

(32) Relaz. cit., VII, p. 123.


436 Scritti di Diritto Fallimentare<br />

Codesta logica in altri paesi (33) ha indotto il legislatore a prevedere<br />

una conversione ope judicis, con la emissione di nuove azioni<br />

della società debitrice.<br />

Sarebbe auspicabile che il nostro ordinamento favorisse a tale<br />

scopo la costituzione di società di creditori con agevolazioni fiscali<br />

per quanto riguarda il conferimento dei crediti in capitali di rischio<br />

ed il rilievo di attività, in analogia alla proposta di cui all’art. 39, in<br />

materia di amministrazione straordinaria.<br />

È altresì da auspicarsi l’estensione dell’art. 26.3 del progetto<br />

dal concordato fallimentare anche a quello preventivo, sulla possibilità<br />

che il realizzo del patrimonio delle società di capitale avvenga<br />

anche attraverso assunzioni di partecipazioni di capitali,<br />

fusioni e scorpori (34) .<br />

Da esse non possono venire esclusi i creditori che così convertirebbero<br />

i crediti in partecipazioni al capitale ed in definitiva acquisirebbero<br />

beni a soddisfazione delle ragioni.<br />

La proposta abolizione del concordato per cessione dei beni,<br />

d’altro canto, non pare motivarsi, come è stato fatto, «con i gravissimi<br />

rischi connessi con la sostanziale aleatorietà di tale istituto», in<br />

quanto una tale preoccupazione non appare giustificata.<br />

D’altra parte, in alternativa alla cessio bonorum, le soluzioni praticabili<br />

sarebbero peggiori, quali la inevitabilità del fallimento, ove<br />

manchi una proposta di concordato con garanzia di terzi, o il ritorno<br />

alla prassi incontrollata dei concordati stragiudiziali che l’odierno<br />

legislatore vedeva con sfavore.<br />

13. – Si concorda con l’indicazione delle condizioni dell’amministrazione<br />

straordinaria (società quotate in borsa, imprese individuali<br />

o collettive con oltre 500 dipendenti ed un fatturato medio annuo<br />

di lire 100 miliardi negli ultimi 3 anni) nonché sulla estensione<br />

a questo istituto delle regole per il fallimento.<br />

Si approva altresì la previsione che l’attuazione del piano di risanamento<br />

avvenga senza danno per i creditori e solo a spese della<br />

pubblica amministrazione, nel quadro di un suo intervento o definitivo<br />

con rilievo dell’azienda al valore di stima fallimentare o tem-<br />

(33) Così in USA in cap. X del Chandler Act 1938.<br />

(34) Relaz. cit., p. 124; CASELLA, Quaderno cit., p. 42.


Scritti di Diritto Fallimentare 437<br />

poraneo con pagamento di una indennità di occupazione, da compensarsi<br />

con gli eventuali miglioramenti ed addizioni.<br />

Si dissente invece dalla possibilità che le imprese non dichiarate<br />

insolventi del medesimo gruppo possano esperire l’azione revocatoria<br />

fallimentare (35) .<br />

Si concorda più in genere sulle innovazioni alla disciplina della<br />

liquidazione coatta amministrativa sopra descritte.<br />

14. – Il progetto non si discosta notevolmente dall’attuale normativa<br />

penalistica. Si deve concordare con la proposta di una sensibile<br />

riduzione delle pene nel caso di particolare tenuità del pregiudizio<br />

e viceversa di aumento nel caso di speciale gravità. È apprezzabile<br />

la nuova disciplina del ricorso abusivo al credito, come<br />

reato svincolato dall’apertura della procedura concorsuale, nonché<br />

l’incriminazione di una serie di inadempienze anche colpose,<br />

nel corso della procedura, e di fraudolento ricorso all’ammissione<br />

alle procedure conservative.<br />

(35) Relaz. cit., Quaderno cit., p. 136.


Se l’Art. 10 Legge Fallimentare<br />

sia applicabile<br />

alle Società imprenditrici<br />

1. – Il tribunale di Varese, con la sentenza annotata, si è occupato<br />

di una opposizione a sentenza dichiarativa di fallimento di una società<br />

che da oltre un anno aveva cessato qualsiasi attività commerciale,<br />

ma non era stata messa ancora in liquidazione. Assumeva la<br />

società opponente che il fallimento non poteva essere dichiarato, in<br />

quanto era decorso il termine annuale di cui all’art. 10 del R.D. 16<br />

marzo 1942, n. 267 (che sostanzialmente riproduce l’art. 690 dell’abrogato<br />

codice commerciale). Il tribunale di Varese ha risposto<br />

che sino a quando la società ha da compiere delle attività obbligatorie,<br />

come la liquidazione, data la loro natura commerciale, essa è<br />

soggetta al fallimento, anche se ha cessato di fatto l’esercizio dell’attività<br />

imprenditoriale da oltre un anno.<br />

Viene con ciò sostanzialmente ed in termini di una esemplificazione<br />

quasi scolastica, riproposto un vecchio e tormentato problema<br />

che per oltre cinquanta anni ha occupato la dottrina e la giurisprudenza<br />

più autorevole: quello dell’applicazione dell’art. 10 cit.<br />

alle società commerciali. Essenzialmente il problema fu visto sin qui<br />

sotto due aspetti: 1) se la società, la cui liquidazione si protragga per<br />

Da «Il diritto fallimentare e delle società commerciali», 1952, II, pp. 463 ss. e da «Problemi<br />

attuali e prospettive di riforma del processo civile», Cedam 1994, p. 445.<br />

Lo scritto annota la seguente massima:<br />

TRIBUNALE DI VARESE, 12 luglio 1952, Pres. Martucci; Est. Savorelli; Coop. Alleanza<br />

Lavoratori c/ Fall.to Coop. Alleanza: «L’esercizio dell’impresa non può dirsi cessato (agli<br />

effetti dell’art. 10 legge fall.re) ogni qualvolta resti all’imprenditore da compiere anche<br />

una soltanto delle attività che la legge pone a suo carico: scioglimento, liquidazione, e<br />

cancellazione dal registro delle imprese».


440 Scritti di Diritto Fallimentare<br />

oltre un anno, possa essere dichiarata fallita; 2) se la chiusura della<br />

liquidazione formale possa far decorrere l’anno per precludere il<br />

fallimento. Intorno alla prima questione si è avuta una risposta affermativa,<br />

partendo dall’idea che gli atti di liquidazione sono atti di<br />

natura commerciale. Quanto invece alla seconda, sono state proposte<br />

tre opinioni contrastanti: a) parte degli autori sostiene che sino<br />

a quando tutti i creditori non siano stati soddisfatti, la società può<br />

fallire senza limiti di tempo; b) altri invece ritengono che con la liquidazione<br />

formale e la cancellazione dal registro, l’ente sociale non<br />

può fallire, perché viene meno il soggetto passivo del fallimento; c)<br />

altri ancora affermano che dalla chiusura della liquidazione formale<br />

decorre l’anno previsto dal cit. art. 10.<br />

La sentenza annotata, così come gran parte delle impostazioni<br />

teoriche, mi sembra basata su una equivocazione dei termini: società,<br />

impresa, azienda.<br />

2. – L’esame del caso di specie richiama ovviamente, per quanto<br />

con caratteristiche proprie, gli altri due innanzi esposti. In fondo,<br />

il problema rimane sempre lo stesso: se, cioè, il decorso di un anno<br />

dalla cessazione dell’impresa (sia questa costituita dalla dismissione<br />

del commercio, o dall’inizio o chiusura della liquidazione)<br />

precluda o meno la declaratoria di fallimento di una società commerciale.<br />

I rapporti interni, poi, sono assai stretti. Valga considerare<br />

che, se si dovesse negare natura commerciale agli atti di liquidazione,<br />

nessuna illazione dall’obbligo di detta attività sarebbe<br />

consentita. Se poi la chiusura della liquidazione non precludesse<br />

il fallimento, ne deriverebbe a fortiori l’inapplicabilità della<br />

norma al caso di specie. Al contrario, ancora: se la chiusura della<br />

liquidazione accompagnata dalla cancellazione inibisse il fallimento,<br />

altro caso fuorché quello esposto, non configurerebbe l’ipotesi<br />

dell’art. 10. I suddetti rapporti non sono però necessari. Infatti,<br />

una volta ammessa la qualificazione commerciale degli atti<br />

di liquidazione, l’art. 10 intanto è applicabile in quanto un atto di<br />

liquidazione sia stato posto in essere e ad esso ci si riferisca come<br />

ultima manifestazione commerciale della società.<br />

Tali considerazioni ci inducono ad analizzare risultati ed impostazioni<br />

dell’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale sin<br />

qui formatasi.


Scritti di Diritto Fallimentare 441<br />

I primi due temi che si presentano sono i seguenti: 1) gli atti<br />

di liquidazione possono ritenersi atti di esercizio dell’impresa?;<br />

2) la liquidazione è la forma necessaria della cessazione dell’esercizio<br />

dell’impresa?<br />

Scrive il Satta (1) : «Dopo l’abbandono dell’attività commerciale<br />

l’imprenditore entra normalmente in un periodo di liquidazione,<br />

durante il quale non si può dire che l’imprenditore abbia cessato,<br />

anche se l’esercizio dell’impresa ha ormai per oggetto unicamente<br />

la liquidazione». La Corte d’Appello di Napoli (2) ha affermato<br />

a sostegno: «l’attività diretta alla liquidazione dell’azienda<br />

rientra nell’esercizio dell’impresa e non elimina la preesistente<br />

qualità di imprenditore».<br />

La tesi riferita può in pratica giustificarsi con l’osservazione che<br />

non è infrequente che la liquidazione implichi un’attività, oggettivamente<br />

non difforme da quella commerciale: per es., la vendita dei<br />

prodotti. Ma non pare che essa basti. La vigente legislazione non<br />

prevede il tipo di atti di commercio in senso oggettivo (3) . Atti commerciali<br />

possono solo ritenersi quelli posti in essere dall’imprenditore<br />

nell’esercizio dell’impresa (4) . Con la messa in liquidazione si<br />

può aggiungere che la «professionalità» nel commercio viene meno,<br />

dal momento che la liquidazione non è un tipo di attività che si possa<br />

«esercitare in modo professionale», almeno ove venga attuata dal<br />

titolare dell’azienda. La vendita dei singoli elementi che componevano<br />

l’organizzazione strumentale non può neppure avere il carattere<br />

di attività continuativa. Un industriale tessile, esempligrazia,<br />

non ha mai inteso e non intende esercitare il commercio della vendita<br />

dei macchinari, se vende le proprie macchine in sede di liquidazione<br />

che al postutto potrebbero ridursi ad una sola, ovvero essere<br />

vendute con un solo atto, quale la cessione di azienda. L’eterogeneità<br />

dei beni determina l’asistematicità dell’attività negoziale.<br />

Ma anche oggettivamente la qualificazione commerciale viene<br />

(1) SATTA, Istituzioni di diritto fallimentare, 3ª ed., pp. 70 ss.<br />

(2) Appello Napoli, 29 luglio 1947, in Dir. fall. e soc. comm., 1947, II, p. 221.<br />

(3) MANARA, Gli atti di commercio, Torino, 1887, pp. 40 ss.; «l’atto di commercio è<br />

un atto di intromissione tra produttori e consumatori rivolto alla circolazione delle ricchezze<br />

e fatto a scopo di lucro».<br />

(4) IBIDEM, pp. 62-63: «sono quegli atti che il commerciante compie a ragione dell’esercizio<br />

mercantile».


442 Scritti di Diritto Fallimentare<br />

meno: l’alienazione delle scorte non configura sic et simpliciter<br />

una attività di intermediazione dei beni tra produttori e consumatori,<br />

se è pur vietato al liquidatore di effettuare nuove operazioni<br />

commerciali. Si ha in ciò una componente, ma non l’attività<br />

di intermediazione essenzialmente bilaterale. Le vendite senza acquisti,<br />

come gli acquisti senza vendite, non ipotizzano l’esercizio<br />

di alcuna impresa commerciale. Né alla liquidazione è necessariamente<br />

coordinato, il possesso di una azienda, onde possa qualificarsene<br />

esercizio imprenditoriale; giacché altra è quella di cui ci<br />

si disfa ed altra è quella che dovrebbe essere necessaria all’esercizio<br />

dell’impresa… di liquidazione!<br />

La tesi contraria implica poi, a stretto rigore, la costruzione artificiosa<br />

di ritenere che i soci, nel mentre sciolgono la società, contestualmente<br />

col deliberare la messa in liquidazione, ne costituirebbero<br />

un’altra risultante dall’oggetto sociale differente, quando poi<br />

quest’ultima non dovrebbe essere che ancora la medesima di prima.<br />

Ciò non è accoglibile.<br />

V’è ancora di più. L’elemento dimensionale dell’azienda qualifica<br />

l’impresa come grande, media e piccola. Quale criterio adoperare<br />

per giudicare… l’impresa di liquidazione? Forse le dimensioni<br />

dell’azienda, oggetto della liquidazione? Ma è risaputo che una media<br />

impresa può essere tale e ciò nondimeno disporre di mezzi quantitativamente<br />

assai modesti, di guisa che l’impresa di liquidazione<br />

sarebbe da catalogarsi tra le piccole. Nel caso che si verificasse siffatta<br />

ipotesi, l’imprenditore individuale non sarebbe soggetto al fallimento<br />

neppure entro l’anno dal ritiro dal commercio, in quanto<br />

abbia intrapreso le operazioni di liquidazione!<br />

Ma ove la liquidazione fosse giunta allo stadio del pagamento dei<br />

debiti, sarà in queste operazioni a vedersi un esercizio di un’impresa?<br />

Il fatto che la surriferita idea degli atti di liquidazione come atti<br />

commerciali non sia stata applicata all’imprenditore individuale<br />

conforta per una risposta negativa in ogni caso. Il Provinciali, ben<br />

intuendo ciò, si è limitato a dire che «la liquidazione rappresenta lo<br />

strascico ideale dell’esercizio commerciale, anche se è cessato» (5) .<br />

La formula non giustifica nulla, giacché la medesima cosa è a dirsi<br />

dell’imprenditore individuale, onde anche per lui l’anno dovrebbe<br />

(5) PROVINCIALI, Manuale di diritto fallimentare, 2ª ed., D. 73, p. 157.


Scritti di Diritto Fallimentare 443<br />

riferirsi all’ultimo atto di liquidazione. Né si può aderire all’opinione<br />

dello Sraffa (6) «che la società liquidandosi, si ritira dal commercio»,<br />

se tale ritiro venisse visto come un processo regressivo, in<br />

quanto rimarrebbe pur sempre a determinarsi quale atto di liquidazione<br />

sia ancora atto commerciale e quale altro non lo sia più. Mi<br />

pare, quindi, più calzante l’osservazione del De Martini (7) , anche se<br />

poi incongruamente propone la datazione dalla fine della liquidazione<br />

per le società, che «con la messa in liquidazione, la società cessa<br />

indubbiamente l’esercizio dell’impresa sociale mediante attive<br />

operazioni di commercio, rimanendo in piedi per ben altro scopo (di<br />

liquidazione) che non sia l’esercizio dell’impresa».<br />

A mio sommesso avviso, l’esercizio dell’impresa è già cessato prima<br />

dell’inizio della liquidazione.<br />

3. – L’avere intravisto nella liquidazione la continuazione dell’attività<br />

commerciale, ha condotto gli autori a riferire il problema della<br />

decorrenza dell’anno al relativo esaurimento. Questo almeno per le<br />

società. Ne è derivato che quivi (tanto più sotto l’impero del vecchio<br />

codice di commercio) i due fenomeni: liquidazione e estinzione della<br />

società, hanno a lungo reagito reciprocamente. Gli uni sono stati<br />

indotti a ritenere che sinché anche l’ultimo credito non sia stato<br />

soddisfatto, la società vive ed è passibile di fallimento; gli altri al<br />

contrario a giudicare che, morta la società, essa non può più fallire.<br />

È assai interessante vagliare criticamente i motivi di siffatte soluzioni,<br />

anche a prescindere dal vizio dell’impostazione generale innanzi<br />

richiamato.<br />

Angelo Sraffa ha osservato nella soggetta materia: «finché non<br />

siano definiti i rapporti col creditori, dura lo stato di liquidazione e<br />

quindi esiste la società». «Se dura la personalità della società anche<br />

durante la liquidazione, è perché sino a quando i debiti non sono<br />

stati tutti pagati, la società continua a vivere, perché si addivenga<br />

alla definizione dei suoi rapporti coi terzi». Il Brunetti (8) , aderendo<br />

alla tesi dell’illustre commercialista, ha osservato che per patrimonio<br />

deve intendersi quello giuridico, dal che deriva che sino a quan-<br />

(6) SRAFFA, Il fallimento delle società commerciali, Firenze, 1897, pp. 85 ss.<br />

(7) DE MARTINI, in Dir. fall. e soc. comm., 1943, I, pp. 49-50.<br />

(8) BRUNETTI, Diritto fallimentare italiano, Roma, 1932, n. 35, pp. 90 ss.


444 Scritti di Diritto Fallimentare<br />

do ogni rapporto non sia definito, v’è l’ente cui tale patrimonio riferire:<br />

cioè la società. Egli scrive: «la chiusura della liquidazione<br />

formale, anche se pubblicata, costituisce un atto interno dell’ente<br />

sociale attinente all’interesse dei soci, cui compete il diritto di opposizione.<br />

I terzi vi rimangono estranei. Dal momento che i debiti<br />

non sono pagati, la società viene a trovarsi in stato di fallimento».<br />

Egli argomenta anche dal rilievo del Vivante (9) , che: «se dopo la distribuzione<br />

dell’attivo, si scoprano nuove attività, ogni socio può<br />

chiedere la ricostruzione dell’ufficio di liquidazione e l’organismo<br />

sociale ripiglierà le sue funzioni».<br />

Hanno caldeggiato pure tale tesi il Navarrini (10) , il Soprano (11) ,<br />

lo Stolfi (12) , e un argomento di sostegno, infine, si può rinvenire nella<br />

osservazione acuta del Candian (13) , che: «debiti e obbligazioni<br />

sono fatti dalla persona, ma la responsabilità è la funzione del patrimonio.<br />

Ed il concorso si attua per gli effetti patrimoniali e non<br />

personali: la morte non ha influenza sul rapporto tra beni patrimoniali<br />

e obbligazioni».<br />

Gli argomenti addotti da tutti questi autori, se partono dalla lodevole<br />

esigenza della tutela degli interessi dei terzi creditori, non<br />

sembrano invincibili, almeno nella vigente legislazione.<br />

Al Brunetti quando scrive, per es., «che la società, finché dura la<br />

liquidazione, intesa come definizione di ogni e ciascun rapporto, è<br />

commerciante in servizio attivo e non un ex-commerciante», è facile<br />

rispondere che così si forza il termine «servizio attivo» per arrivare<br />

ad un paradosso. Ammettere ciò, anche ai tempi del vecchio<br />

codice del commercio, significava rimettere la vita della società alla<br />

discrezione del terzo creditore, che colla remissione del credito ne<br />

opererebbe la estinzione e con la interruzione della prescrizione ne<br />

determinerebbe la proroga. E ciò quando più non sussiste il soggetto<br />

che possa opporre l’eccezione di prescrizione. Ma allora la società,<br />

pur dopo la propria cancellazione, è soggetta agli obblighi legali<br />

di cui alle norme in materia societaria? Non pare ammissibile.<br />

(9) VIVANTE, Trattato diritto commerciale, Milano, 1923, II, n. 817, p. 517.<br />

(10) NAVARRINI, in Giur. it., 1935, I, 1, p. 896.<br />

(11) SOPRANO, Trattato teorico pratico delle società commerciali, Torino, 1934,<br />

II, p. 820.<br />

(12) M. STOLFI, Liquidazione delle società commerciali, Milano, 1938, p. 217.<br />

(13) CANDIAN, Il processo di fallimento, Padova, 1934, n. 76, p. 107.


Scritti di Diritto Fallimentare 445<br />

D’altra parte, che l’esistenza di uno o più atomi del patrimonio sociale<br />

basti per ritenere esistente il patrimonio stesso, non pare, dal<br />

momento che caratteristica di questo è proprio la sintesi dei rapporti<br />

giuridici tanto attivi che passivi. Sotto questo aspetto si può<br />

dire che venga meno anche la considerazione del Candian, giacché<br />

se con la ripartizione dell’attivo scompaiono i beni della società, non<br />

è più il caso di invocarsi il concetto di responsabilità in quanto manca<br />

il termine attivo del rapporto tra obbligazioni e beni. Ma anche<br />

ove si dovesse concedere, in denegata ipotesi, alla visione atomistica<br />

del patrimonio, ciò non significa che si debba ritenere per viva la<br />

società sciolta e cancellata, né tanto meno che conservi la qualità di<br />

imprenditrice. Anche ove, infatti, si dovesse consentire – il che<br />

escludiamo – con la vecchia formula della Rota di Genova: durat<br />

affectus societatis dum fuerit exactum omne id quod pertinet ad societatem<br />

(14) , non pertanto si dovrebbe ravvisarsi la qualità di imprenditore.<br />

Oggi non è stata riprodotta la formula dell’art. 8 codice<br />

commerciale, che assegnava alle società la qualità imprenditoriale<br />

senz’altra aggiunta. L’affermazione del Brunetti che dal momento<br />

in cui un debito non sia stato pagato, la società perciò solo<br />

verrebbe a trovarsi in stato fallimentare, non pare accoglibile, dal<br />

momento che il mancato pagamento di un debito non significa per<br />

ciò solo cessazione dei pagamenti (15) .<br />

L’aspetto paradossale dell’opinione sostenuta da tanti autorevoli<br />

giuristi è data dal fatto che per rispondere alla domanda se la società<br />

può fallire o meno, si ricorre all’estinzione dell’ultimo debito,<br />

quando con esso l’interrogativo non si porrebbe neppure. De jure<br />

condendo è certamente proponibile ed auspicabile l’adozione del sistema<br />

del vecchio codice di commercio germanico, che stabiliva una<br />

triplice intimazione ai creditori (K.O., § 207) con che verificavasi<br />

una specie di decadenza (16) .<br />

(14) STRACCA, Dec. Rotae Genuae, LXXI, 7. Che al riparto dell’attivo non sopravviva<br />

un’azione di ripetizione a favore della società verso i soci il cui surrogarsi è<br />

arguibile dall’art. 31 ultimo comma c.c. Ai terzi è data un’azione di arricchimento nei<br />

confronti dei beneficiari della devoluzione. Veggasi EULA, in Commento al codice civile,<br />

Firenze, 1940, I, art. 28.<br />

(15) Appello Roma, 4 marzo 1937, I, 1318, con nota di PROVINCIALI, Chiusura<br />

di liquidazione e cessazione dei pagamenti. Da ultimo, Cassazione, 11 agosto 1952, n.<br />

2658, in Dir. fall. e soc. comm., 1952, II, p. 392; ivi, in nota, richiamo dei precedenti.<br />

(16) COSACK, Lehrbuch d. H.R., § 236, pp. 530 ss.


446 Scritti di Diritto Fallimentare<br />

4. – Disaccolta l’opinione dello Sraffa e del Brunetti, rimane a vedersi<br />

quella del Bonelli (17) : non essere la società liquidata e cancellata<br />

più soggetta al fallimento, in quanto è venuto meno il fallendo.<br />

A stretto rigore la conclusione potrebbe anche non riguardare il caso<br />

in esame, giacché quest’ultimo concerne tutt’altra fattispecie: quella<br />

di una società non ancora liquidata. Alla opinione del Bonelli<br />

aderirono il Cuzzeri (18) , il Bolaffio (19) e il Parenzo (20) ed ora il De<br />

Semo (21) . Un argomento in tal senso è anche ricavabile dalla sentenza<br />

della Cassazione 19 luglio 1946, n. 924 (22) .<br />

In effetti, la tesi del nostro sommo fallimentarista si giustifica, oltre<br />

che teoricamente, anche praticamente, colla considerazione che<br />

a cancellazione avvenuta, non esiste più, nonché la società, neppure<br />

l’organo di rappresentanza, in persona del quale possa chiedersi<br />

il fallimento. Tale non può essere considerato l’ex liquidatore.<br />

Per contro il Carnelutti (23) , il Satta (24) , il Provinciali (25) , il De<br />

Majo (26) , il Rocchi (27) , il De Martini (28) , hanno espresso l’avviso che<br />

dalla data della chiusura della liquidazione decorra l’anno entro il<br />

quale è possibile far dichiarare il fallimento. Mentre la maggior parte<br />

pone a giustificazione di ciò l’art. 10 della legge fallimentare, il De<br />

Majo invece argomenta in via analogica dalla disposizione a proposito<br />

dell’imprenditore defunto (art. 11). La giustificazione riposerebbe<br />

quindi sul tenore della norma di legge e in pratica sull’opportunità<br />

di conciliare gli interessi dei terzi con l’estinzione della persona<br />

giuridica, in modo da non andare oltre certi limiti di tempo.<br />

La controversia dottrinale ha indubbiamente riflessi nel caso di<br />

specie. Il problema posto dal Bonelli può infatti sorgere laddove la<br />

(17) BONELLI, Del fallimento, Milano, 1938, I, pp. 313 ss.<br />

(18) CUZZERI, Del fallimento, in Il codice di commercio commentato, Verona,<br />

1901, pp. 73-74.<br />

(19) BOLAFFIO, Verbale XXX Commissione revisione codice commercio.<br />

(20) PARENZO, ibidem.<br />

(21) DE SEMO, Diritto fallimentare, Firenze, 1948, pp. 75-76.<br />

(22) In Dir. fall. e soc. comm., 1946, II, p. 295.<br />

(23) CARNELUTTI, in Riv. dir. comm., 1913, II, p. 467.<br />

(24) SATTA, Istituzioni dir. fallim., cit., p. 70.<br />

(25) PROVINCIALI, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 1948, pp. 56-57.<br />

(26) DE MAJO, Il fallimento, Roma, 1950, pp. 33 ss.<br />

(27) ROCCHI, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, Milano, 1950, pp. 21 ss.<br />

(28) DE MARTINI, in Dir. fall. e soc. comm., 1943, I, pp. 49-50.


Scritti di Diritto Fallimentare 447<br />

società sia stata liquidata e cancellata prima dell’anno della cessazione<br />

dall’esercizio dell’impresa. In questo caso, nel periodo di tempo<br />

posteriore alla cancellazione, ma anteriore alla scadenza dell’anno<br />

dalla cessazione dell’impresa, sarà la società soggetta al fallimento?<br />

Si intende che in tale fattispecie le teoriche hanno un minimo<br />

comune denominatore: la società può fallire sino alla cancellazione<br />

dal registro. Ma nel caso che la liquidazione si protragga oltre<br />

l’anno, sarà la società assoggettabile alla procedura concorsuale,<br />

almeno sino a che essa non sia cancellata?<br />

A chi scrive sembra che altra cosa sia l’estinzione della persona<br />

giuridica ed altra ancora il ritiro del commercio. L’esercizio dell’impresa<br />

può venire meno anche senza l’estinzione della società,<br />

così come la sua costituzione non equivale per ciò solo ad inizio dell’esercizio<br />

commerciale. Né la cessazione dell’esercizio dell’impresa<br />

storicamente si identifica con la chiusura della liquidazione: tanto<br />

meno concettualmente, come diremo. Conseguentemente, sembra<br />

errato il prendere riferimento da un momento che attiene alla vita<br />

formale del soggetto o alla disgregazione dell’azienda anziché alla<br />

vita sostanziale dell’impresa. Tanto ciò è vero, che quegli stessi autori<br />

esigono che la chiusura della liquidazione o la cancellazione sia<br />

accompagnata dalla dismissione effettiva del commercio (29) . Di qui<br />

si ricava che non tanto importante è la estinzione della persona giuridica,<br />

quanto piuttosto la cessazione di fatto dell’esercizio dell’impresa:<br />

se ne dedurrà inoltre che quest’ultima non è neppure assorbita<br />

necessariamente dalla prima.<br />

Né può trarsi argomento dall’opinione dello Sraffa, che ritiene<br />

non essere possibile distinzione tra società morta e ritirata dal commercio,<br />

in quanto colle operazioni di liquidazione la società si ritira<br />

dal commercio, e la società muore ritirandosi dal commercio.<br />

Tale conclusione pecca per difetto, in quanto la giurisprudenza, coll’esigere<br />

oltre la cancellazione l’effettiva dismissione dell’impresa,<br />

dimostra come atti commerciali possano essere compiuti oltre la<br />

morte formale, ma pecca anche per eccesso, giacché la società può<br />

ritirarsi dal commercio e non morire, come laddove il ricavato dalla<br />

vendita di un’azienda venga accantonato in vista di altro reim-<br />

(29) Veggasi cit. sent. Appello Roma, 4 marzo 1937, e Cass., 17 luglio 1941, n. 2205,<br />

in Dir. fall. e soc. comm., 1941, II, p. 385.


448 Scritti di Diritto Fallimentare<br />

piego. Del resto, se la liquidazione determinasse la morte del soggetto,<br />

come sarebbe concepibile la revoca degli atti di liquidazione?<br />

E del pari, se col ritiro l’ente venisse meno, come potrebbe rientrare<br />

nel commercio? La morte della società non ha alcuna rilevanza<br />

al fine della decorrenza dell’anno, ove si pensi che ad essa non è applicabile<br />

la norma per l’imprenditore defunto, se è pur vero che la<br />

società non lascia né eredi né eredità.<br />

5. – Per arrivare alla conclusione che proponiamo: datazione dell’anno<br />

dal momento della cessazione dell’impresa, che non è né liquidazione<br />

dell’azienda, né estinzione della società, occorre ancora vedere<br />

se l’art. 10 legge falllim. sia in sé e per sé applicabile alle società commerciali<br />

o solo all’imprenditore individuale. A questo proposito mi<br />

pare che il Carnelutti abbia eloquentemente ed in modo irrefutabile<br />

dimostrato già in sede di art. 690 codice commerciale, come la norma<br />

riguardi l’imprenditore in senso lato, sia esso persona giuridica<br />

che fisica. Per amore di brevità rimandiamo a tale scritto (30) .<br />

L’art. 10 cit. discorre di anno dalla «cessazione dell’esercizio dell’impresa».<br />

Tale locuzione non può legittimamente consentirci di<br />

fare richiamo ad altro termine che non sia la dismissione dell’attività<br />

imprenditoriale.<br />

Cessazione dell’impresa, estinzione della società, liquidazione<br />

dell’azienda sono tre fenomeni distinti. Si può avere cessazione dell’impresa<br />

senza liquidazione dell’azienda, liquidazione dell’azienda<br />

senza estinzione della società e viceversa (31) . Nel linguaggio corrente<br />

si usa anche l’espressione di liquidazione della società o dell’impresa,<br />

ma con significato del tutto improprio: per indicare la liquidazione<br />

del patrimonio sociale, cioè dell’azienda. Società e patrimonio<br />

sono due diverse realtà giuridiche. Non è certo contestabile<br />

che senza il patrimonio la società si sciolga necessariamente e del<br />

pari è inconcepibile attività d’impresa, ma di qui ad inferire che i<br />

fenomeni attinenti ai tre termini debbano essere confusi corre una<br />

bella differenza.<br />

(30) CARNELUTTI, op. loc. cit.<br />

(31) La società può infatti estinguersi senza liquidazione. Veggasi MARGHIERI, Società<br />

ed associazioni commerciali, in Il codice di comm. commentato, Verona, 1904, n.<br />

660, p. 495; Cass., 9 giugno 1950, n. 1454, in Dir. fall. e soc. comm., 1950, II, pp. 217,<br />

e 1951, II, p. 430, con nota DE MAJO; contro, alcune corti di merito.


Scritti di Diritto Fallimentare 449<br />

In verità, la confusione di cessazione dell’impresa colla liquidazione<br />

e l’estinzione del soggetto giuridico, va forse messa in relazione<br />

cogli stessi sforzi di enucleazione dei tre concetti. Non è mancato,<br />

infatti, chi ha visto nell’azienda il soggetto dei diritti anzi il vero<br />

soggetto del commercio (32) , come chi ha istituito un rapporto di<br />

identità concettuale tra azienda ed impresa (33) . Ma oggi la dottrina<br />

commercialistica più perfezionata ha saputo introdurre le necessarie<br />

distinzioni definendo l’azienda come l’organizzazione dei beni e<br />

servizi e l’impresa come l’attività professionale dell’imprenditore, il<br />

quale ultimo è nella fattispecie rappresentato dalla società esercente<br />

l’attività di impresa (34) . L’azienda, come bene mobile immateriale<br />

(35) , è un oggetto unitario di negozi e rapporti giudici (36) che<br />

non comportano necessariamente effetti diretti né sull’impresa né<br />

sul soggetto giuridico imprenditoriale. Come tale, ben si capisce<br />

come imprenditore possa essere qualificato l’usufruttuario dell’azienda<br />

e non già il proprietario, le quali posizioni giuridiche sono<br />

suscettibili di autonoma circolazione. Né il fallimento del proprietario<br />

dell’azienda, ove pur esso avesse veste di imprenditore commerciale,<br />

può condurre alla liquidazione dell’azienda, pregiudicando<br />

i diritti dell’usufruttuario, né viceversa, nel caso di fallimento<br />

dell’usufruttuario. Dal che si deduce come non sia esatto condizionare<br />

la cessazione dell’esercizio dell’impresa alla liquidazione del-<br />

(32) ENDEMANN, Das deutsche Handelsrecht sistematisch dargestellt, Heidelberg,<br />

1887.<br />

(33) MOSSA, Trattato del nuovo diritto commerciale, Milano, 1942, p. 337; SAN-<br />

TORO, in Riv. dir. comm., 1942, I, p. 390; GRECO, in Atti Accademia Torino, vol. 77,<br />

1942, pp. 48 ss.<br />

(34) Per la storia dell’elaborazione concettuale veggasi: FADDA e BENSA, Note alle<br />

Pandette del WINDSCHEID, Torino, 1930, V, n. 44, p. 59; BEKKER, Pandekten, 1886,<br />

§§ 42 e 43; Id., Zweckvennogen, insbesondere Peculium Handelsvennogen und Aktiengesellschaften,<br />

in Z. f. d. ges. Handelsrecht, IV, 1861, p. 500; VALERY, Maison de commerce<br />

et fonds de commerce, in Annales de droit comm., 1902, p. 209; F. FERRARA, Trattato<br />

dir. civ., Roma, 1921, pp. 811 ss.; CARNELUTTI, in Riv. dir. comm., 1924, I, p. 156; VA-<br />

LERI, in Riv. dir. comm., 1928, II, p. 108; GHIRON, in Nuovo Digesto, voce Azienda; F.<br />

FERRARA JR., La teoria giuridica dell’azienda, Firenze, 1948, pp. 76 ss.; FRANCE-<br />

SCHELLI, Corso dir. comm., Milano, 1944, I, pp. 27 ss.; BIGIAVI, La piccola impresa,<br />

Milano, 1947, pp. 85 ss.; CARNELUTTI, Sulle nuove posizioni del diritto commerciale,<br />

in Riv. dir. comm., 1942, I, p. 67; MESSINEO, Manuale dir. civ. e comm., I, pp. 148 ss.;<br />

ASQUINI, Profili dell’impresa, in Riv. dir. comm., 1943, I, p.l.<br />

(35) F. FERRARA JR., op. loc. cit., pp. 123 ss.<br />

(36) DE MARTINI, L’usufrutto dell’azienda, Milano, 1950, pp. 15 ss.


450 Scritti di Diritto Fallimentare<br />

l’azienda, così come l’organizzazione dei beni aziendali non significa<br />

per ciò solo che siavi impresa (37) .<br />

Ma cosa si deve intendere per cessazione dell’esercizio dell’impresa:<br />

l’ultimo atto d’esercizio od un atto che esprima la volontà<br />

di cessarlo?<br />

Opino che per cessazione dell’esercizio imprenditoriale si debba<br />

intendere l’ultimo atto d’esercizio. L’impresa allo stato di quiete non<br />

è più impresa ed è solo azienda. In termini carneluttiani la prima è<br />

un cinemafotogramma, mentre la seconda è un fotogramma. L’impresa<br />

è l’azienda in movimento, promosso, diretto e controllato dal<br />

soggetto imprenditoriale. Tanto più che il fermo del ritmo aziendale<br />

va visto dall’osservatore collocato al di là di un anno dopo una<br />

inerzia assoluta, onde essa, accompagnata dalla cessazione dei pagamenti,<br />

non può non avere tutte le caratteristiche della cessazione<br />

dell’esercizio dell’impresa.<br />

Non può neppure essere addotta l’eventuale mancata cancellazione<br />

dal registro delle imprese di cui all’art. 2188 c.c. per ritenere<br />

che, sino a che non intervenga la cancellazione, ininfluente sarebbe<br />

la cessazione dell’impresa, in sé considerata. Infatti, in generale si<br />

può dire che non tanto un soggetto è imprenditore, in quanto sia<br />

iscritto in detto registro, quanto invece, che è iscritto nel registro chi<br />

è imprenditore. A proposito, poi, della società, essa è soggetta all’obbligo<br />

dell’iscrizione, sempre che esso ricorra, per la sua natura<br />

tipica «anche se non esercita un’attività commerciale» (art. 2200,<br />

1° comma). Come avverte l’art. 2331 c.c. colla iscrizione nel registro<br />

delle imprese «la società acquista la personalità giuridica» e per<br />

simmetria la cancellazione ne determina la perdita della personalità.<br />

È comunemente ritenuto, almeno per il caso dell’imprenditore<br />

individuale, che la decorrenza dell’anno inizi dalla cessazione effettiva<br />

dell’attività d’impresa sia o non sia intervenuta la cancellazione<br />

dal citato registro: a fortiori l’argomento vale per le società, le<br />

quali, ove abbiano pur cessato l’impresa ai sensi dell’art. 200, non<br />

sono legittimate a ottenere perciò la cancellazione, ove non si accompagni<br />

l’estinzione della società.<br />

A questi argomenti se ne può aggiungere un altro: la soluzione<br />

che qui si offre mi sembra implicata dallo stesso testo dell’art.<br />

(37) FRANCESCHELLI, op. cit., p. 102.


Scritti di Diritto Fallimentare 451<br />

31 ultimo comma c.c. in cui intravedo un’espressione normativa<br />

di vasta portata.<br />

Se la chiusura della liquidazione produce l’estinzione dei diritti dei<br />

terzi verso la persona giuridica, ovviamente l’anno entro cui è possibile<br />

ottenere la pronunzia fallimentare non può che essere compreso<br />

fra la cessazione del commercio (dies a qua) e la chiusura della liquidazione.<br />

Con ciò si ammette che se la chiusura della liquidazione e la<br />

cancellazione avvengono prima del compimento dell’anno dalla cessazione<br />

del commercio, dinanzi a tali eventi il decorso si arresta.<br />

Per concludere, riteniamo: a) che l’art. 10 legge fallimentare sia<br />

perfettamente applicabile alle società commerciali; b) che la data a<br />

cui riferire il decorso dell’anno è segnata dall’ultima manifestazione<br />

dell’esercizio dell’impresa e non dalla chiusura della liquidazione,<br />

né dalla cancellazione dal registro delle imprese; c) che il dies<br />

ad quem non può in ogni caso superare questi ultimi due; d) che,<br />

oltre tutto, gli atti di liquidazione non possono qualificarsi atti di<br />

natura commerciale, non ipotizzando alcun tipo di attività di impresa<br />

e non essendo confortati dai requisiti di professionalità e continuatività<br />

onde l’attività si aggettiva come imprenditoriale.<br />

Lo scritto è stato richiamato da:<br />

V. ANDRIOLI, Il fallimento, raccolta di Giurisprudenza, Napoli, 1955, p. 29; G.<br />

DE FERRA, Inapplicabilità degli artt. 10 e 11 della legge fallimentare alle società<br />

commerciali, Foro it., 1958, I, col. 464; R. PROVINCIALI, Manuale di diritto<br />

fallimentare, Milano, 1964, I, p. 205, nota 7; I. SCHETTINI, Da quando<br />

debba decorrere il termine per la dichiarabilità del fallimento nel caso previsto<br />

dall’art. 10 della legge fallimentare, Riv. dir. fall. e delle società commerciali,<br />

1964, II, pp. 342-343; JORIO, Gli artt. 10 e 11 della legge fallimentare e le società<br />

commerciali, Riv. società, 1969, pp. 287, 311, 314; BUONOCORE, Fallimento<br />

e impresa, Napoli, 1969, p. 257, nota 61; G. RAGUSA MAGGIORE, La<br />

cessazione dell’impresa commerciale ed il fallimento, Riv. dir. civ., 1977, I, p.<br />

205; REIBALDI VITTORIA, Formulario del fallimento e delle altre procedure<br />

concorsuali, Milano, 1979, pp. 91, 96; A. BONSIGNORI, Il fallimento, in Trattato<br />

di Diritto commerciale, Padova, 1986, IX, p. 179, nota 44; G. ALESSI, Le<br />

società, Milano, 1989, vol. VII, sub art. l; F. FERRARA, Il fallimento, Milano,<br />

989, p. 133; G.M. FERRARIO, A proposito dell’art. 10 della legge fallimentare<br />

e delle società, Foro pad., 1991, I, p. 199.


Sulla esigenza<br />

di una integrazione legislativa dell’Art. 10<br />

Legge Fallimentare<br />

1. – Con giusta ragione, il Prof. Ragusa Maggiore (1) , con la sensibilità<br />

che lo contraddistingue, recentemente su queste pagine, ha<br />

manifestato la profonda delusione propria e di molti cultori del diritto<br />

di fronte alla decisione della nostra Corte Costituzionale, 20<br />

maggio 1998, n. 1190, che ha respinto la eccezione di incostituzionalità<br />

di quella interpretazione giurisprudenziale, consolidata<br />

da tempo, che nega la applicazione dell’identico testo dell’art. 10<br />

legge fallim. alle società imprenditrici, mentre lo applica solo all’imprenditore<br />

individuale.<br />

Egli si è domandato correttamente quanto dovremo ancora<br />

aspettare per vedere ricondotta a ragionevolezza ed a chiarezza la<br />

interpretazione distorsiva della norma, su un argomento che da oltre<br />

un secolo è tra i più tormentati della nostra disciplina.<br />

L’autore di queste righe ebbe a manifestare il proprio dissenso<br />

dalla opinione dominante, che risale allo Sraffa in due lontani scritti<br />

apparsi l’uno su queste colonne nel lontano 1952 (in questa Rivista,<br />

1952, II, 463 segg.) e l’altro in Foro it., 1959, I, 1568 segg.<br />

affermando che anche l’imprenditore collettivo, come quello individuale,<br />

non può essere dichiarato fallito dopo un anno dalla cessazione<br />

dell’esercizio dell’impresa.<br />

Da «Il Diritto Fallimentare e delle Società Commerciali», 1999, n. 4, I, p. 739.<br />

(1) RAGUSA MAGGIORE, in Dir. fall. e soc. comm., 1998, II, 1033 segg.; Id., Dirtto<br />

fallimentare, Napoli, 1974; Id., Istituzioni di diritto fallimentare, Padova, 1994; Id.,<br />

Le procedure concorsuali, Il fallimento, trattato diretto da Ragusa Maggiore e Costa,<br />

I, Torino, 1997.


454 Scritti di Diritto Fallimentare<br />

Egli comprende la delusione del nostro direttore, malgrado<br />

che egli sia un personale estimatore del relatore della decisione,<br />

in esame.<br />

In effetti avvertiamo che la Corte costituzionale negli ultimi anni<br />

ha perso lo smalto innovativo di un tempo, appiattendosi sulle opinioni<br />

tralaticie dei nostri giudici di legittimità, rifacendosi a motivazioni<br />

come quella del rispetto «al diritto vivente» che almeno in<br />

questa fase non giustificano alcunché.<br />

Un precedente della Corte costituzionale che pure è ricorsa alla<br />

motivazione del rispetto al diritto vivente è quell’altra decisione<br />

pure a noi vicina e pure in presenza di un intervento interpretativo<br />

del legislatore che non lascia dubbi, che ha disatteso la censura di<br />

disparità di trattamento tra fideiussori a seconda del tempo a cui risale<br />

l’atto di garanzia, confondendo la applicazione retroattiva con<br />

quella retrospettiva della norma (2) .<br />

Sembra a parecchi di noi che orientamenti appiattiti su talune<br />

decisioni dominanti nella nostra giurisprudenza siano riconducibili<br />

alla influenza di quella componente togata, che proviene dalla<br />

corte di legittimità e non avverte che altro è il compito del giudice<br />

delle leggi e altro è quello del diritto.<br />

A questo punto ci si chiede che fare per ricondurre a coerenza<br />

normativa e a eguaglianza di trattamento per i suoi destinatari in<br />

presenza dell’identico testo.<br />

Le strade che abbiamo davanti sono due: o attendere, i tempi biblici<br />

di una inversione di rotta della giurisprudenza di legittimità o<br />

auspicare l’intervento del legislatore.<br />

L’autore di queste righe ricorda a se stesso di avere presentato al<br />

Senato della Repubblica, nella decima legislatura il disegno di legge<br />

n. 2858 che proponeva di integrare il testo del nostro art. 10, con<br />

un comma 2, che ponesse fine alla tormentata controversia interpretativa,<br />

riducendola a coerenza.<br />

Esso è purtroppo caduto con la fine di quella legislatura ed è di<br />

comune esperienza che i tempi, perché un disegno di legge di iniziativa<br />

parlamentare finisca per tradursi in un provvedimento legislativo<br />

richiede l’arco di due o tre legislature, sempre che il proponente<br />

sia rieletto a lungo e permanga la sua volontà propositiva.<br />

(2) Corte costituzionale, 27 giugno 1997, n. 204, in Giur. it., 1998, I, 1, 3.


Scritti di Diritto Fallimentare 455<br />

2. – Per renderci conto della disparità di trattamento che si perpetuerà<br />

nel tempo, non essendo stata ravvisata dalla Corte costituzionale<br />

che col richiamo del diritto vivente si perpetuerà nel tempo,<br />

tracceremo qui un quadro riassuntivo delle diverse opinioni che si<br />

sono manifestate in proposito sia in dottrina che in giurisprudenza.<br />

L’art. 10 legge fallim., nel suo dato testuale recita che «l’imprenditore<br />

può fallire entro un anno dalla cessazione dell’esercizio<br />

di impresa, purché l’insolvenza si sia manifestata anteriormente o<br />

entro il predetto anno».<br />

La norma non distingue tra imprenditore individuale e imprenditore<br />

collettivo e secondo la comune logica essa dovrebbe<br />

trovare applicazione in entrambi i casi, data la latitudine del testo<br />

e la identità della ratio che è quella «di evitare un comportamento<br />

preordinato a dissolvere l’impresa che vanifichi la tutela<br />

del ceto creditorio».<br />

Questa è stata l’opinione espressa dall’autore di queste righe<br />

in lontani scritti come in quelli dianzi citati e rimasta isolata<br />

tranne alcune adesioni a suo tempo registrate presso alcuni giudici<br />

di merito (3) .<br />

La opinione dominante più antica e recente sia in dottrina che<br />

in giurisprudenza, come diremo risale allo Sraffa (4) , fu seguita<br />

dal Brunetti (5) dal Navarrini (6) dal M. Stolfi (7) , dal Candian (8) e<br />

dal De Ferra (9) .<br />

Essa limita la norma al solo imprenditore individuale mentre la<br />

nega a quello collettivo ed è ora avallata dalla Corte costituzionale.<br />

Le società di capitali e quelle di persone, siano con personalità<br />

giuridica, siano di fatto sono ritenute suscettibili di fallimento, secondo<br />

codesta opinione senza limiti di tempo finché resta anche un<br />

solo debito da estinguere.<br />

(3) Tribunale Asti, 11 gennaio 1952, in Rep. Foro it., 52, Società, nn. 393, 394; Tribunale<br />

Firenze, 3 novembre 1952, ivi, 1953, n. 435; Tribunale Ancona, 9 dicembre 1957,<br />

ivi, 1958, n. 454.<br />

(4) A. SRAFFA, Il fallimento delle società commerciali, Firenze, 1897, pp. 85 segg.<br />

(5) A. BRUNETTI, Diritto fallimentare italiano, Roma, 1932, pp. 90 segg.<br />

(6) U. NAVARRINI in Giur. it., 1935, I, 1, 896.<br />

(7) M. STOLFI, Liquidazione delle società commerciali, Milano, 1938, pp. 217 segg.<br />

(8) A. CANDIAN, Il processo di fallimento, Padova, 1934, pp. 107 segg.<br />

(9) DE FERRA, in Foro it., 1958, I, 464.


456 Scritti di Diritto Fallimentare<br />

Le motivazioni addotte dagli autori sono per lo più apodittiche<br />

come quella dello Sraffa che «finché i debiti non sono stati tutti pagati,<br />

la società continua a vivere» o del Navarrini che «la liquidazione<br />

rappresenta uno strascico ideale dell’esercizio delle imprese»<br />

o del Vivante che «se dopo la distribuzione dell’attivo si scoprono<br />

nuove attività, l’ufficio della liquidazione deve ricostituirsi e l’organismo<br />

sociale ripiglia le sue funzioni».<br />

Non appaiono persuasivi gli argomenti specificatamente adottati<br />

per negare la applicazione della norma all’imprenditore collettivo<br />

che potrebbe perciò fallire senza alcun limite di tempo, anche se<br />

la società fosse non solo liquidata ma perfino cancellata dal registro<br />

delle imprese.<br />

E così è quello per cui la fase di liquidazione nella impresa collettiva<br />

è obbligatoria (arg. ex artt. 2312, 2324, 2456, 2464, 2497<br />

cod. civ.) a differenza dell’imprenditore individuale o che sarebbe<br />

più difficile la identificazione della cessazione dell’esercizio dell’impresa<br />

per le società «al punto da rendere praticamente impossibile<br />

la estensione della norma».<br />

Codesta opinione che nega l’applicazione dell’art. 10 legge fallim.,<br />

pure in presenza del medesimo dato testuale e della identità<br />

della ratio che lo giustificherebbe per entrambe le figure di imprenditore,<br />

come si è detto è quella che domina in giurisprudenza.<br />

Nel senso che la società sia di capitali che di persone esista e sia<br />

fallibile, finché ci sia un debito da liquidare si è espressa anche recentemente<br />

della Corte di cassazione con le decisioni nn. 6953/88<br />

in Fallimento, 1989, 519; 1221/77, 801/78, 1335/78.<br />

Così è anche la dominante giurisprudenza di merito: tra l’altro<br />

Tribunale Milano, 24 ottobre 1994, 11 aprile 1994 in Giur. it., 1995<br />

1, 2, 123; Appello Bologna, 12 settembre 1994, in Fallimento,<br />

1995, 99; Tribunale Torino, 30 gennaio 1986, ivi, 86, 691; Tribunale<br />

Palermo, 30 novembre 1988.<br />

Tale orientamento venne esteso come si è detto alle società di fatto<br />

da Cassazione, 30 marzo 1977, n. 1221; 7 novembre 1974, n.<br />

3393; 22 ottobre 1965, n. 2187; 26 maggio 1967, n. 1152.<br />

La medesima società cancellata dal registro delle imprese è stata<br />

ritenuta fallibile senza limiti di tempo finché vi è un debito da<br />

Cassazione, 11 luglio 1966 n. 1180; in Giur. it., 1967, 11, 76.<br />

La stessa teoria è stata estesa alla società che abbia venduto in


Scritti di Diritto Fallimentare 457<br />

blocco i propri beni e perciò non vi è bisogno degli atti di liquidazione,<br />

non diversamente dall’imprenditore individuale da Cassazione,<br />

7 febbraio 1970, n. 288 in Giust. civ., 70, I, 350.<br />

Da ultimo è stato ritenuto che il socio illimitatamente responsabile<br />

anche se receduto può fallire oltre il limite dell’anno finché vi<br />

sia un debito.<br />

Delineato questo quadro di autori e giudici la tesi proposta non<br />

sembra avere alcun supporto razionale ove si faccia corretta applicazione<br />

come diremo nelle norme di diritto.<br />

Secondo una diversa opinione espressa autorevolmente in dottrina<br />

dal Carnelutti (10) , dal Provinciali (11) , dal Satta (12) , dal De<br />

Majo (13 ), l’art. 10 legge fallim. si applicherebbe all’imprenditore<br />

collettivo ma l’anno decorerebbe dalla chiusura della liquidazione.<br />

Infine per Gustavo Bonelli la società liquidata non sarebbe in<br />

alcun modo suscettibile di fallire perché essa non esiste più.<br />

3. – La opinione dominante che discrimina l’imprenditore collettivo;<br />

che pertanto può fallire senza alcun limite di tempo, da<br />

quello individuale, si traduce in una evidente disparità di trattamento,<br />

pure in presenza del medesimo testo normativo e della<br />

identica ratio.<br />

Quest’ultima – come si disse – è stata correttamente individuata<br />

nella esigenza di tutela del ceto creditorio così da evitare comportamenti<br />

dell’imprenditore-debitore preordinati a dissolvere l’impresa,<br />

a danno dei creditori.<br />

Codesta ratio ricorre all’evidenza e con la medesima intensità,<br />

sia per l’imprenditore collettivo sia per quello individuale.<br />

All’opposto la maggiore facilità per quest’ultimo di porsi in liquidazione<br />

in linea di puro fatto, senza alcuna esteriorizzazione formale,<br />

dovrebbe condurre a rovesciare l’assunto e a rendere a fortiori<br />

non applicabile la norma al solo imprenditore individuale.<br />

L’argomento, pure sostenuto secondo cui la società deve attraversare<br />

una fase necessaria della liquidazione dell’impresa, a diffe-<br />

(10) F. CARNELUTTI, Sul fallimento della società commerciale disciolta, in Riv. dir.<br />

comm., 1913, II, 467.<br />

(11) R. PROVINCIALI, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 1948.<br />

(12) S. SATTA, Istituzioni di diritto fallimentare, Roma, 1964, pp. 96 segg.<br />

(13) DE MAJO, Il fallimento, Roma, 1950, pp. 33 segg.


458 Scritti di Diritto Fallimentare<br />

renza dell’imprenditore individuale, non giustifica la disparità di<br />

trattamento tra le due figure di imprenditori e il diniego di applicare<br />

la norma all’imprenditore collettivo.<br />

Non può perciò condividersi l’argomento di quegli autori e giudici<br />

che affermano che la norma non sarebbe applicabile all’imprenditore<br />

collettivo, perché in questo caso «sarebbero maggiori le<br />

difficoltà a identificare il momento di cessazione dell’impresa e ciò<br />

renderebbe praticamente impossibile l’estensione ad esso dell’art.<br />

10 legge fallim.».<br />

Come si è visto nella impresa collettiva, la fase di liquidazione<br />

rende maggiormente identificabile la cessazione dell’impresa dagli<br />

atti dell’esercizio che lo precedono e più giustificata la estensione ad<br />

essa della norma in esame.<br />

Devesi aggiungere, come scrissi a suo tempo (14) che gli atti di liquidazione<br />

anche oggettivamente non possono confondersi con<br />

quelli di esercizio dell’impresa a differenza di quanto a suo tempo<br />

ritenuto dal Del Pozzo (15) e la legge inibisce altresì all’imprenditore<br />

di compiere nuove operazioni di esercizio dell’impresa.<br />

Nella liquidazione l’imprenditore non vende per ricomprare e<br />

non compera per rivendere (16) .<br />

Ciò a tacere della diversa dimensione rilevante per la pronuncia di<br />

fallimento dell’impresa di liquidazione da quella in liquidazione (17) .<br />

La maggiore presenza di organi di controllo nell’impresa collettiva<br />

rispetto all’imprenditore individuale come ad esempio quella<br />

del collegio sindacale assicura un maggior rispetto delle norme che<br />

proibiscono il compimento di nuove operazioni.<br />

La fase di liquidazione può non essere necessaria nell’impresa<br />

collettiva com’è il caso di chi venda in blocco i propri beni, non diversamente<br />

dall’imprenditore individuale.<br />

Qui non è tuttavia giustificato l’uso di due pesi e di due misure.<br />

Codesto argomento è altresì smentito dall’opinione che l’impresa<br />

collettiva può essere liquidata e tuttavia è suscettibile di fallimento<br />

senza il limite temporale di cui all’art. 10 cit.<br />

(14) G. VALCAVI, in Problemi attuali e prospettive di riforma del processo civile, Padova,<br />

1994, pp. 445 segg.<br />

(15) DEL POZZO in Diritto fallimentare, 1956, I, 228 segg.<br />

(16) G. VALCAVI, op. cit., pp. 447 segg.<br />

(17) G. VALCAVI, op. cit., pp. 460 segg.


Scritti di Diritto Fallimentare 459<br />

L’ulteriore opinione proposta a suo tempo dal De Ferra (18) che<br />

vorrebbe introdurre alla interpretazione dominante l’eccezione per<br />

quelle imprese collettive che non siano costituite in forma di società<br />

commerciali e non abbiano l’oggetto commerciale è eccessivamente<br />

riduttiva e inaccettabile.<br />

Da ultimo il corollario tratto che il socio receduto da una società<br />

di persone, illimitatamente responsabile potrebbe essere dichiarato<br />

fallito, malgrado il recesso, senza alcun limite di tempo, pur non<br />

avendo più alcun potere di concorrere alla formazione della volontà<br />

dell’ente collettivo, è opinione estrema e che rivela il grado di inaccoglibilità<br />

del preteso diritto vivente.<br />

Il diverso orientamento che vuol far decorrere l’anno dalla chiusura<br />

della liquidazione perché la dichiarazione di fallimento di una<br />

società commerciale possa essere pronunciato non sembra essere<br />

giustificato dal dato testuale della norma e dalla sua ratio.<br />

4. – Le soluzioni date dalla nostra giurisprudenza e da ultimo dalla<br />

stessa Corte costituzionale devono essere rimeditate in modo innovativo<br />

che conduce a conclusioni diverse alla luce della normativa<br />

di cui alla legge 580/93 e al regolamento di attuazione del febbraio<br />

1996, che ha introdotto nel nostro paese il registro delle imprese,<br />

le cui iscrizioni e cancellazioni hanno carattere costitutivo.<br />

Occorre dire che prima della nuova legislazione esisteva un registro<br />

delle ditte cui non era dato valore di fonte di pubblicità legale,<br />

e non aveva perciò alcuna efficacia costitutiva.<br />

Con gli articoli 7 e 8 del regolamento di attuazione la situazione<br />

è completamente cambiata.<br />

A seguito di essa la iscrizione, le modifiche, la cancellazione sono opponibili<br />

ai terzi in quanto esse siano iscritti nel registro delle imprese.<br />

Si hanno iscrizioni o cancellazioni nei registri di sezioni speciali<br />

per gli artigiani e le piccole imprese.<br />

Si hanno iscrizioni o cancellazioni su domanda dell’interessato o<br />

iscrizioni e cancellazioni di ufficio, come è il caso che sia stata disposta<br />

la restituzione della licenza commerciale per l’imprenditore<br />

o sia venuta la messa in liquidazione, lo scioglimento e la cancellazione<br />

di una società a cura del notaio.<br />

(18) DE FERRA, in Foro it., 1959, I, 1568 segg.


460 Scritti di Diritto Fallimentare<br />

La cancellazione d’ufficio è prevista dall’art. 17 ed è ordinata dal<br />

tribunale.<br />

L’art. 4 prevede il giudice del registro che ha compiti di vigilanza<br />

sull’ufficio.<br />

Gli uffici del registro sussistono anche in modo decentrato presso<br />

le varie camere di commercio distribuite sul territorio e si ha addirittura<br />

lo sportello telematico ed automatico Sesamo, per acquisire<br />

informazioni a distanza dalla banca-dati telematica esistente.<br />

La pubblicità legale dei dati iscritti nel registro delle imprese ha<br />

piena efficacia di pubblicità legale, mentre la iscrizione nelle sezioni<br />

speciali ha natura ed effetti di certificazione anagrafica e di pubblicità<br />

notizia (19) .<br />

Di fronte ad un mutamento così radicale che è costituito dalla entrata<br />

in vigore della pubblicità legale del registro delle imprese in<br />

conseguenza della legge 580/93 e del regolamento di attuazione del<br />

febbraio 1996 le conclusioni da trarre sono evidentemente diverse.<br />

La vecchia teoria secondo cui la società vive finché c’è un debito<br />

da pagare e i corollari tratti concernenti la fallibilità della società<br />

senza limiti di tempo, con la disapplicazione dell’art. 10, legge fallim.<br />

e parimenti quella dell’imprenditore receduto e quanto si è<br />

scritto sopra, assume carattere sempre più anacronistico nella nostra<br />

giurisprudenza.<br />

Potrebbe a questo punto riemergere di attualità la opinione di<br />

Gustavo Bonelli secondo il quale la società cancellata dal registro<br />

delle imprese non potrebbe più fallire, perché viene meno il soggetto<br />

fallibile.<br />

A mio modo di vedere tuttavia appare più razionale che ai sensi<br />

dell’art. 10, legge fallim. l’imprenditore, individuale o collettivo,<br />

possa fallire entro un anno dalla cancellazione dal registro<br />

delle imprese, per la motivazione che si è sopra vista che la ratio<br />

della legge è quella di evitare che l’imprenditore precostituisca la<br />

dissoluzione dell’impresa a danno del ceto creditorio, vanificando<br />

le di lui aspettative.<br />

Nel contesto di un ripensamento deve peraltro affermarsi che la<br />

esenzione dalla fallibilità dell’imprenditore collettivo, non diversamente<br />

da quello individuale, non toglie che il creditore possa agire<br />

(19) In Notariato, 11/96.


Scritti di Diritto Fallimentare 461<br />

nei confronti del debitore imprenditore con l’azione esecutiva individuale<br />

che consenta la realizzazione del credito.<br />

Non bisogna identificare la tutela del credito esclusivamente nelle<br />

forme di una esecuzione concorsuale, che presuppongono uno<br />

stato di insolvenza, che suppone la pluralità di debiti verso una pluralità<br />

di creditori, per cui come ha rilevato correttamente il Lo Cascio,<br />

la teoria che suppone la soggezione alla procedura concorsuale<br />

di un’impresa collettiva con un solo debito, appare è una contraddizione<br />

in termini.<br />

A questo punto tuttavia si pone il problema di una maggiore<br />

chiarezza della norma dell’art. 10 legge fallim. attraverso una integrazione<br />

legislativa.<br />

Il progetto Pajardi prevedeva che l’imprenditore collettivo potesse<br />

non essere più dichiarato fallito col maturare di un quinquennio<br />

dalla cancellazione dal registro delle imprese, a differenza di<br />

quello individuale per cui rimarrebbe il limite di un anno.<br />

Il periodo previsto da tale progetto, appare eccessivamente lungo<br />

e d’altra parte sembra di dover richiedere maggiori garanzie per<br />

evitare che l’imprenditore si ponga al riparo dalla dichiarazione di<br />

fallimento solo a seguito di una formale cancellazione dal registro<br />

delle imprese che non sia preceduta da fatti che le attribuiscono un<br />

significato rispondente alla realtà.<br />

L’autore di queste righe fa presente e ripropone in questa sede<br />

il disegno di legge n. 2858 da lui presentato il 30 maggio 1991<br />

alla Presidenza del Senato della Repubblica e assegnato alla<br />

Commissione Giustizia di tale assemblea il 18 giugno 1991 del<br />

seguente tenore:<br />

«Art. 10 - Fallimento dell’imprenditore che ha cessato l’esercizio<br />

dell’impresa:<br />

1. - “L’imprenditore individuale che, per qualunque causa ha<br />

cessato l’esercizio dell’impresa, può essere dichiarato fallito entro<br />

un anno dalla cessazione dell’impresa, se l’insolvenza si è manifestata<br />

anteriormente alla medesima o entro l’anno successivo”.<br />

2. - “La società imprenditrice può essere dichiarata fallita entro<br />

due anni dalla cancellazione dal registro delle imprese che sia seguita<br />

alla chiusura della liquidazione”».


Azionista Unico ex Art. 2362 cod. civ.<br />

e 147 Legge Fallimentare<br />

ed intestazione fiduciaria<br />

1. – Il Tribunale di Milano conferma qui il proprio orientamento,<br />

inaugurato con la decisione n. 1001/95 del 19 ottobre 1995, ed<br />

estende il fallimento da una società di capitali alla persona fisica,<br />

ritenuta socia unica anche se questa era direttamente intestata solo<br />

di una parte di azioni, mentre le altre lo erano invece ad una società<br />

fiduciaria, di cui essa era la fiduciante.<br />

La ratio dell’estensione dell’art. 147 legge fallim. è stata individuata<br />

nell’appartenenza di tutte le quote ad un unico interessato,<br />

il cui criterio sarebbe indicato dagli artt. 2362 e 2497 cod.<br />

civ. al di là del fatto che la titolarità sarebbe solo apparentemente<br />

frazionata.<br />

La decisione ha negato rilievo ai fini di decidere, al fatto che la<br />

intestazione al diverso soggetto sia ritenuta fittizia o reale.<br />

Essa assume a criterio generale di imputazione della responsabilità<br />

per tutti gli obblighi dell’impresa, la situazione di dominio<br />

della stessa (1) .<br />

Il socio unico sarebbe esposto al fallimento per ripercussione, a<br />

titolo di responsabilità oggettiva, come conseguenza della sua sovranità<br />

della impresa, senza che si indaghi sulla sua propria solvibilità<br />

o una insolvenza distinta da quella della società di capitali.<br />

Da «Il Diritto Fallimentare e delle Società Commerciali», 1998, II, 1142.<br />

(1) S. SCOTTI CAMUZZI, Unico azionista, Milano 1979, pag. 861, 864; L. NATA-<br />

LONI, La società a responsabilità limitata con unico socio, Milano, 1994, p. 67 segg.; Appello<br />

Milano, 5 febbraio 1982, in Giur. comm., 1982, II, 614; Cassazione, 7 ottobre 1982,<br />

n. 5144, in Giur. comm., 1983, II, 683.


464 Scritti di Diritto Fallimentare<br />

In definitiva, il beneficio della limitazione della responsabilità a<br />

favore di ciascun socio di una società di capitali verrebbe a mancare,<br />

quando manchi la pluralità di soci (2) .<br />

Occorre dire che questo orientamento del Tribunale di Milano si<br />

diparte dall’opinione dominante che considera eccezionale l’art.<br />

2362 cod. civ., e di portata latamente fideiussoria (3) .<br />

Questa opinione prevalente reputa correttamente che l’applicazione<br />

dell’art. 147 legge fallim. non segue automaticamente quella<br />

dell’art. 2362 cod. civ., perché la responsabilità illimitata riguarda,<br />

come vuole il testo della norma, solo il fascio delle obbligazioni sorte<br />

nel periodo in cui il soggetto si trova ad essere unico azionista (4) .<br />

La recente introduzione nel nostro ordinamento della società<br />

e responsabilità limitata a carattere unipersonale, mostra la tendenza<br />

del legislatore a limitare la responsabilità dell’unico azionista,<br />

anche se l’art. 2475 bis cod. civ. richiede l’assolvimento di<br />

oneri di pubblicità, per tutelare l’affidamento dei terzi, che contrattano<br />

con la società.<br />

L’occorrenza di questo requisito non induce tuttavia a sottovalutare<br />

l’orientamento politico del legislatore, conforme alla direttiva<br />

della CEE 21 dicembre 1989 n. 667 (5) .<br />

Viene qui offerta l’occasione di ripensare alla problematica risolta<br />

dal Tribunale di Milano ed in particolare al quesito se si abbia<br />

socio unico, illimitatamente responsabile ex art. 2362 cod. civ. e fallibile<br />

ex art. 147 legge fallim., quando lo stesso sia oltre che azionista<br />

in proprio, anche interessato in un rapporto di intestazione fiduciaria<br />

per le altre.<br />

(2) Cass. sez. un., 24 febbraio 1986, in Giur. comm., 1986, II, 537, per la unicità sul<br />

piano giuridico.<br />

(3) A. GRAZIANI. Diritto delle società, Napoli, 1963, p. 126; F. FERRARA, Gli imprenditori<br />

e le società, Milano, 1978, p. 359; Cassazione, 9 dicembre 1982, n. 6712, in<br />

Giur. comm., 1983, II, 683.<br />

(4) Per la responsabilità come fascio delle obbligazioni del periodo, tra le altre Appello<br />

Firenze, 3 marzo 1962, in Giur. tosc., 1962, 774. Nel senso che le procedure fallimentari<br />

del socio e della società sono autonome e che il concordato preventivo delle società non<br />

si estende al socio unico, Cassazione, 15 dicembre 1992, n. 11275. Nel senso che la chiusura<br />

del fallimento non determina quella del socio illimitatamente responsabile: P. PAJAR-<br />

DI, Codice del fallimento, Milano, 1997, sub art. 147, p. 1000; Appello Roma, 19 maggio<br />

1990, in Dir. fall. e soc. comm., 1991, II, 853.<br />

(5) F. GALGANO - A. BONSIGNORI, Fallimento della società, in Commentario della<br />

legge fallim. della Zanichelli, Bologna-Roma, 1997, sub art. 147, p. 271.


Scritti di Diritto Fallimentare 465<br />

2. – Il tribunale ha individuato la ratio dell’art. 2362 cod. civ. nel<br />

criterio di appartenenza delle azioni o delle quote al medesimo soggetto<br />

come fondamento della sua responsabilità illimitata.<br />

Questo modo di vedere considera a carico dell’unico azionista<br />

una responsabilità oggettiva, e lo ritiene una sorta di fideiussore<br />

omnibus di tutte le obbligazioni della società, anche<br />

se una parte delle azioni siano intestate ad estranei, con lui, in<br />

rapporto fiduciario.<br />

Nel caso di coniugi in comunione di beni ex art. 177 cod. civ. entrambi<br />

sono considerati responsabili in solido delle obbligazioni sociali,<br />

applicando in tale modo l’art. 2362 cod. civ. (6) .<br />

È però opinione autorevole che non ricorre azionista unico,<br />

quando una parte delle azioni o quote siano gravate da diritti reali<br />

minori, a favore di terzi, quale ad esempio l’usufrutto o il pegno.<br />

In genere si ritiene azionista unico, chi dispone di tutti i diritti di<br />

voto assembleari.<br />

In questo caso si considera azionista unico chi dispone della totalità<br />

dei voti assembleari, anche attraverso uno o più diritti reali<br />

diversi sulle azioni, come è il caso del socio che è proprietario del<br />

40% delle quote, usufruttuario di un altro 30% e creditore pignoratizio<br />

infine di un pacchetto azionario, ammontante ad un ulteriore<br />

30% e così detenga tutti i diritti di voto (7) .<br />

Al contrario delle ipotesi considerate, non si ritiene rientrare nella<br />

ipotesi dell’art. 2362 cod. civ., chi ha la nuda proprietà dell’intero<br />

pacchetto azionario, senza il diritto di voto.<br />

Si considera perfino azionista unico anche chi ha colpito tutte le<br />

azioni altrui con sequestro conservativo o giudiziario, e al contrario<br />

non rientra nell’art. 2362 cod. civ. l’azionista totalitario le cui azioni<br />

siano però sequestrate in parte da terzi (8) .<br />

3. – Il problema affrontato dal tribunale è se ricorra la ipotesi di<br />

azionista unico nel caso in cui il socio unico abbia intestato in via<br />

fiduciaria una parte del suo possesso azionario ad un terzo, sia questi<br />

persona fisica o persona giuridica.<br />

(6) S. SCOTTI CAMUZZI, op. cit., p. 69.<br />

(7) L. NATALONI, op. cit., p. 69.<br />

(8) Op. cit., p. 70.


466 Scritti di Diritto Fallimentare<br />

I giudici hanno risposto che la intestazione fiduciaria non muta<br />

la situazione di fatto della appartenenza di tutte le azioni ad un unico<br />

soggetto, e cioè della esistenza di un azionista unico con la conseguente<br />

applicazione dell’art. 2362 cod. civ.<br />

Essi peraltro hanno reputato che la intestazione delle azioni a società<br />

fiduciaria sarebbe nulla per illiceità della causa, in quanto effettuata<br />

per eludere l’applicazione della norma imperativa dell’art.<br />

2362 cod. civ. (9) .<br />

La motivazione di questa decisione mostra di avere idee poco<br />

chiare in fatto di patto fiduciario, e di avere per contro una concezione<br />

dell’azionista unico, così assolutistica ed a posteriori, da suscitate<br />

non poche perplessità e più di una ragione di dissenso.<br />

La sentenza in esame parte dal concetto, peraltro problematico,<br />

che l’orientamento prevalente nel nostro ordinamento sia ispirato<br />

alla concezione della «fiducia romanistica» così che la proprietà delle<br />

azioni apparterebbe al fiduciario e il fiduciante avrebbe solo un<br />

diritto di credito nei suoi confronti (10) . Dopo una tale premessa ci<br />

sarebbe da attendere una risposta esattamente contraria a quella<br />

accolta dal tribunale.<br />

In effetti, se l’art. 2362 cod. civ. si base sulla proprietà del socio<br />

unico di tutte le azioni e il fiduciario è proprietario di quelle a lui<br />

intestate, la concezione romanistica della fiducia, condurrebbe a<br />

concludere per la esistenza di una pluralità di azionisti, ciascuno<br />

proprietario delle azioni a lui intestate, ed è da escludere che si abbia<br />

un socio esclusivo.<br />

La circostanza che il fiduciante abbia un rapporto di natura<br />

obbligatoria verso il fiduciario che si sovrapporrebbe sulla pro-<br />

(9) Nel senso che la intestazione dell’intero capitale attraverso una fiduciaria induca<br />

la nullità e la responsabilità del fiduciante come socio unico: Cassazione, 29 novembre<br />

1983, n. 7152; 17 maggio 1986 n. 3266. Nel senso contrario, nel caso che le azioni di minoranza<br />

sono intestate ad una società di capitali posseduta per intero dall’azionista di<br />

maggioranza: Cassazione, 1982, n. 5143.<br />

(10) In genere sulla fiducia nel nostro sistema GROSSO, Fiducia nel diritto romano,<br />

in Enc. dir., XVII, p. 385; BURDESE, Fiducia, in Noviss. dig. it., p. 294; MESSINA, Scritti<br />

giuridici, Milano, 1948, I, p. 32, 52-101, 105-120; CARIOTA FERRARA, I negozi fiduciari,<br />

Padova, 1933; GRASSETTI, Il negozio fiduciario, in Riv. dir. comm., 1936, I,<br />

345; N. LIPARI, Il negozio fiduciario, Milano, 1964.<br />

Nel senso che il nostro sistema è ispirato alla fiducia romanistica: Cassazione, sez. un.,<br />

10 dicembre 1984, n. 6478; 18 ottobre 1988, n. 5663.


Scritti di Diritto Fallimentare 467<br />

prietà di quest’ultimo, conferma che siamo in presenza di più<br />

azionisti e non di uno solo.<br />

Questa conclusione è coerente con la premessa legata alla concezione<br />

romanistica della fiducia, che il tribunale ha posto alla<br />

base della sua decisione, ed è anche la unica che va nel segno di<br />

favorire un adeguato sviluppo delle società fiduciarie nel nostro<br />

paese, che oggi le interpretazioni correnti come quella accolta in<br />

materia di art. 2362 cod. civ., emarginano, come prive di interesse<br />

e di prospetti (11) .<br />

Anche a volere accogliere la concezione germanistica (12) del<br />

rapporto fiduciario, non sembra che si possa pervenire alla conclusione<br />

cui è giunto il tribunale di negare rilievo alla presenza di<br />

una società fiduciaria per concludere che siamo in presenza di un<br />

azionista unico.<br />

È noto che in materia di mandato fiduciario, anche accogliendo<br />

la concezione germanistica, occorre distinguere tra la fiducia cum<br />

creditore e quella cum amico.<br />

Non può dubitarsi che, nel caso della fiducia cum creditore, il fiduciario<br />

esprima un diritto di voto nel proprio interesse e sia da ritenere<br />

azionista a tutti gli effetti.<br />

Non è dato vedere la ragione per la quale si avrebbero più azionisti<br />

nel caso in cui siano presenti dei creditori che, come sopra si è<br />

detto, abbiano un diritto di pegno su tutte o una parte delle azioni<br />

ed invece saremmo di fronte ad un azionista unico laddove il creditore,<br />

invece del pegno, sia intestato di quelle azioni attraverso il<br />

mandato della intestazione fiduciaria cum creditore, e perciò sia titolare<br />

di un diritto di ritenzione.<br />

Le conclusioni nei due casi non possono essere diverse, e cioè in<br />

(11) Le nostre fiduciarie sono in effetti condannate alla sterilità nel loro sviluppo, che<br />

meriterebbero, come le straniere, per opinioni pregiudizialmente ostili come queste.<br />

(12) Sulla fiducia germanistica, tra gli altri: CARNEVALI, Dizionario di diritto privato<br />

diretto da N. IRTI, Milano, 1981, 3, p. 853.<br />

Nel senso che da ultimo il nostro diritto appare ispirato alla fiducia germanistica è l’art.<br />

30, legge 27 aprile 1989, n. 159, che assoggetta il fiduciante e non il fiduciario alla impostazione<br />

fiscale.<br />

Per un contributo ad una disciplina completa e organica dell’istituto in Italia, l’autore<br />

di queste righe propose personalmente al Senato della repubblica nella X legislatura il<br />

22 maggio 1991 il disegno di legge n. 2853, che fu riproposto in quella successiva.


468 Scritti di Diritto Fallimentare<br />

entrambi i casi siamo in presenza di una pluralità di soci e al di fuori<br />

della ipotesi dell’azionista unico contemplato dall’art. 2362 cod.<br />

civ. il discorso appare analogo nel caso che ricorra il rapporto della<br />

fiducia cum amico tra socio originario e società fiduciaria, nell’ambito<br />

della concezione germanistica della fiducia.<br />

È un dato di fatto che codesto rapporto è di solito regolato contrattualmente<br />

ed il fiduciario ha dei diritti di credito nei confronti<br />

del fiduciante, quanto meno per i corrispettivi, le spese, le commissioni<br />

di sua pertinenza e avvisa avere in definitiva un diritto di ritenzione<br />

verso il fiduciante.<br />

Come negare in un caso del genere che il fiduciario esprima un<br />

diritto di voto anche nel proprio interesse, non diversamente da<br />

quello cum creditore?<br />

Il problema di dimostrare e provare che l’azionista sia unico,<br />

malgrado la presenza di fiduciari intestati di azioni e così ci si trovi<br />

di fronte ad una applicazione dell’art. 2362 cod. civ., è a dir poco<br />

complesso e non può essere ipotizzato a priori, negando rilievo alla<br />

intestazione fiduciaria.<br />

L’onere della prova comunque graverebbe su chi vuole dimostrare<br />

che la pluralità dei soci è solo apparente e che ci si trova in<br />

presenza di un azionista unico illimitatamente responsabile.<br />

Non può essere condivisa, perché aprioristica e radicale, l’opinione<br />

che l’intestazione di azioni ad una società fiduciaria sarebbe<br />

nulla per illiceità della causa perché essa sarebbe preordinata ad<br />

eludere l’applicazione dell’art. 2362 cod. civ.<br />

Ciò equivarrebbe a mettere al bando dal nostro sistema, tutti<br />

i negozi e le intestazioni fiduciarie, che sono ammesse e regolate<br />

esplicitamente dalla legge, come è il caso tra l’altro della nostra<br />

legge 23 novembre 1939 n. 1966 e di tutta la normativa collegata,<br />

e che hanno avuto uno sviluppo normativo nei principali<br />

paesi e a cui si è accompagnato un non minore e secolare sviluppo<br />

dottrinale.<br />

Tanto meno si comprende la aprioristica supposizione, a senso<br />

unico, che i mandati fiduciari sarebbero finalizzati alla elusione dell’art.<br />

2362 cod. civ., che è proposizione inaccettabile.<br />

Da ultimo l’opinione avversata supponendo la frode di ogni<br />

negozio fiduciario, laddove ravvisa la illiceità della causa, esclude<br />

al tempo stesso che possa ritenersi che l’intestazione sia simu-


Scritti di Diritto Fallimentare 469<br />

lata e con ciò nega la base stessa dell’assunto su cui si fonda il richiamo<br />

all’art. 2362 cod. civ. (13) .<br />

Infine essa si risolve in un giudizio che potrebbe essere formulato<br />

solo col senno del poi in taluni limitati casi.<br />

4. – Il tribunale riconosce che la dominante dottrina e giurisprudenza<br />

escludono che al fallimento di una società di capitale segua<br />

per ripercussione quella del socio unico e tuttavia opta contro corrente,<br />

per quest’ultima soluzione.<br />

È noto che la opinione più autorevole e maggioritaria di autori<br />

(14) e giudici (15) considera inapplicabile l’art. 147 legge fallim.<br />

alla ipotesi dell’art. 2362 cod. civ. tra l’altro, perché la perdita<br />

della limitazione della responsabilità del socio unico è limitato e<br />

temporanea al periodo in cui il capitale è concentrato nelle sue<br />

mani, per cui in codesto periodo si ha dissociazione, responsabilità<br />

tra la società e il socio.<br />

La motivazione opposta dal tribunale non può in alcun modo<br />

essere condivisa come è il passo in cui si afferma che la responsabilità<br />

del socio non sarebbe limitata al fascio delle obbligazioni<br />

sociali che maturano in questo periodo, ma investirebbe l’intero<br />

patrimonio del socio.<br />

Tanto meno può giustificarsi una lettura estensiva dell’art. 147<br />

legge fallim. con l’argomento erroneo basato sulla supposizione che<br />

la regola anche nelle società di capitali, alle quale ha riguardo l’art.<br />

2362 cod. civ., sarebbe quello della responsabilità illimitata che invece<br />

riguarda le sole società di persone.<br />

È affermato in dottrina e in giurisprudenza prevalente correttamente<br />

che non basta che vi siano soci a responsabilità illimitata, ma<br />

(13) Su interposizione fittizia e fiduciaria, dell’azionista unico L. NATALONI,<br />

op, cit., p. 61.<br />

(14) R, PROVINCIALI, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 1974, I, p. 220; F.<br />

FERRARA, Il fallimento, Milano. 1989, p. 634; SATTA, Diritto fallimentare, Padova,<br />

1990, p. 341; DE SEMO, Diritto fallimentare, Padova, 1964, p. 504; RAGUSA MAG-<br />

GIORE, Diritto fallimentare, Napoli, 1974; P. PAJARDI, Manuale di diritto fallimentare,<br />

Milano, 1986, p. 744. Contra, F. DI SABATO, Fallimento, Napoli, 1965.<br />

(15) Cassazione, 28 aprile 1994, n. 4111, in Diritto Fallimentare, 1995, II, 30; 14 dicembre<br />

1981, n. 6594, in Foro it, 1982, II, 2411; 19 novembre 1981, n. 6151, in Diritto<br />

Fallimentare, 1982, II, 303.


470 Scritti di Diritto Fallimentare<br />

occorrono «società con soci dall’origine a responsabilità illimitata»,<br />

il che non nel caso dell’art. 2362 cod. civ. (16) .<br />

Il richiamo a casi di soci a responsabilità illimitata quale il socio<br />

accomandatario o la responsabilità dei soci di una società di capitali<br />

dopo la sua trasformazione in società di persone sono eccezioni<br />

che confermano l’opposta regola per trarre argomenti in materia<br />

dall’art. 2362 cod. civ.<br />

Analogamente non può prescindersi ai fini della dichiarazione di<br />

fallimento del socio illimitatamente responsabile, dall’accertamento<br />

della sua propria e distinta insolvenza.<br />

Tanto meno può estendersi al socio unico, il fallimento della<br />

società che può dipendere anche da particolari circostanze proprie<br />

di questa ultima ed essere il risultato di erronee valutazioni<br />

e presupposti oltre ad essere suscettibile di gravami per motivi di<br />

merito e di diritto.<br />

Altri scritti dell’autore sullo stesso argomento:<br />

– «A proposito della riduzione delle garanzie nelle operazioni contro le sentenze<br />

di fallimento inaugurate da una recente sentenza delle Sezioni Unite», in Il Diritto<br />

Fallimentare e delle Società Commerciali, 1998, I, p. 1366.<br />

– «A proposito della estensione del fallimento ad un avvocato provocata da un suo<br />

ex cliente che aveva prospettato una inesistente società di fatto», in Il Diritto<br />

Fallimentare e delle Società Commerciali, 1998, II, p. 713.<br />

– «Ancora sulla conseguenza della omessa o tardiva iscrizione a ruolo della opposizione<br />

allo stato passivo», in Il Foro italiano, 1955, IV, p. 190, e in Problemi<br />

attuali e prospettive di riforma del processo civile, Cedam 1994, p. 483.<br />

– «Si può riassumere la causa di opposizione allo stato passivo ai sensi dell’art.<br />

307 c.p.c.?», in Il diritto fallimentare e delle società commerciali,<br />

1955, II, p. 651, e in Problemi attuali e prospettive di riforma del processo<br />

civile, Cedam 1994, p. 469.<br />

– «Sugli effetti della immediata esecutorietà della revoca ai sensi degli artt. 282 e<br />

337 c.p.c. della sentenza che ha pronunciato il fallimento», in Il Diritto Fallimentare<br />

e delle Società Commerciali, 1998, I, dottrina, p. 655.<br />

(16) F. FERRARA, Il fallimento, Milano, 1974, p. 634. Contra, A. NIGRO, Fallimento<br />

del socio illimitatamente responsabile, Milano, 1974.


Se bastino le rinunce alle insinuazioni<br />

perché possa pronunziarsi<br />

la chiusura del fallimento<br />

od occorrano quelle ai crediti<br />

1. – Nel caso di specie, il debitore aveva domandato la chiusura del<br />

proprio fallimento deducendo che i creditori ammessi avevano dichiarato<br />

di rinunciare alle loro «insinuazioni» o al «concorso», anche<br />

se tuttavia e contemporaneamente dichiaravano di far salvi i<br />

loro diritti in altra sede. Il tribunale ha ritenuto che codeste rinunce<br />

alle insinuazioni erano sufficienti ad integrare la ipotesi di chiusura<br />

del fallimento ex art. 118, n. 2, legge fallim. Questa tuttavia<br />

non veniva pronunciata perché c’erano alcuni creditori esclusi ed<br />

opponenti, non rinuncianti, ai quali non era stato offerto accantonamento<br />

o garanzia alcuna.<br />

L’opinione che basti la sola rinuncia agli atti e non sia invece richiesta<br />

la estinzione del diritto è, a mio avviso, da reputarsi erronea,<br />

per più ragioni.<br />

Vediamole separatamente. L’art. 118 legge fallim. prevede<br />

espressamente due distinte ipotesi di chiusura del fallimento.<br />

La prima è quella regolata dal n. 1 e concerne il caso in cui<br />

alla udienza di verifica non vi sono domande di ammissione, per<br />

non essere state presentate o, se presentate, per essere state rinunciate.<br />

La seconda è invece quella disciplinata dal n. 2 e riguarda<br />

l’ipotesi opposta in cui vi sono domande di ammissione e<br />

addirittura sono seguiti provvedimenti di ammissione dei crediti<br />

da parte del giudice delegato.<br />

Da «Il Diritto Fallimentare e delle Società Commerciali», 1987, II, Giurisprudenza, p. 993.


472 Scritti di Diritto Fallimentare<br />

In questo caso si richiede assai di più e cioè la estinzione del diritto.<br />

La chiusura della procedura è infatti qui prevista nel caso in cui<br />

«le ripartizioni ai creditori raggiungano l’intero ammontare dei crediti<br />

ammessi o questi sono in altro modo estinti».<br />

Occorre sottolineare la circostanza che la fattispecie è tassativamente<br />

limitata alla «estinzione dei crediti» che è proposizione di per<br />

sé chiarissima. È un corollario del tutto evidente della stessa che non<br />

possa ipotizzarsi che i crediti estinti sopravvivano alla chiusura del<br />

fallimento o addirittura possano essere successivamente esercitati.<br />

A ben vedere il soddisfo, del credito, a seguito di riparto, è un<br />

caso di estinzione del credito, per avvenuto pagamento da parte<br />

della curatela.<br />

Occorre ora chiedersi quali siano gli altri modi di estinzione dei<br />

crediti, diversi riparto, cui segue la chiusura del fallimento ex art.<br />

118, n. 2, legge fallim.<br />

L’elemento determinante della estinzione del credito è costituito<br />

dal fatto che il creditore abbia a rinunciare al proprio credito o a liberare<br />

comunque il debitore fallito dalla obbligazione nei suoi confronti.<br />

La casistica al riguardo è varia e comprende le ipotesi di remissione<br />

pure e semplici del debito (art. 1236 cod. civ.) o di liberazione<br />

del debitore fallito, a seguito di pagamento ricevuto da un terzo,<br />

senza surrogarlo nei suoi diritti (art. 1180 cod. civ.) o di novazione<br />

soggettiva (art. 1235 cod. civ.) o di espromissione o accollo<br />

privativi (art. 1272, 1273 cod. civ.).<br />

Invece non potranno condurre alla chiusura del fallimento, il<br />

pagamento ricevuto da un terzo con surroga volontaria o legale<br />

(artt. 1201, 1205 cod. civ.), la cessione o la novazione soggettiva<br />

o una espromissione o accollo, senza liberazione del debitore<br />

originario fallito.<br />

In questi casi il credito non può essere considerato estinto. E poiché<br />

altra è la rinuncia al diritto che è fenomeno estintivo ed altra è<br />

quella agli atti di insinuazione che non lo è specie se tenga dietro a<br />

negozi non liberatori, come nei casi sopra riferiti, è da escludersi che<br />

possa bastare una siffatta rinuncia. Nel caso di specie ciò risulta<br />

maggiormente evidente perché i creditori dichiaravano di rinunciare<br />

agli atti di insinuazione o al concorso, ma contemporaneamente<br />

facevano salvi i loro diritti, in vista di un loro diverso esercizio dopo<br />

la chiusura del fallimento.


Scritti di Diritto Fallimentare 473<br />

2. – L’opinione dianzi avversata che ritiene la rinuncia alle sole insinuazioni<br />

o al concorso (non perciò ai crediti), seppure espressa dalla<br />

collettività dei creditori, sufficiente a determinare la chiusura del fallimento,<br />

ex art. 118, n. 2, legge fallim., non è parimenti accettabile,<br />

perché finisce per attribuire ai creditori il potere di disporre del procedimento<br />

concorsuale a favore di quello non concorsuale.<br />

Quali siano le conseguenze prevedibili della chiusura del fallimento<br />

è detto dall’art. 120 legge fallim.: gli organi fallimentari<br />

decadono ed i creditori ed il debitore riacquistano il libero esercizio<br />

dei loro diritti. Il debitore fallito, subentrato alla curatela, potrà<br />

così gestire il contraddittorio all’opposizione alla dichiarazione<br />

di fallimento, in modo da favorirne piuttosto una possibile revoca,<br />

rinuncerà alla costituzione di parte civile in un processo di<br />

bancarotta in cui fosse imputato e così via. I creditori potranno,<br />

da parte loro, aggredire e soddisfarsi di nuovo sul patrimonio del<br />

debitore secondo la regola del prior tempore potior iure, invece<br />

che secondo quella della par condicio, saranno liberati dalle revocatorie<br />

iniziate, ormai divenute prive di scopo, sia che riguardino<br />

garanzie o pagamenti e via dicendo.<br />

Un orientamento che fa dipendere la chiusura del fallimento e<br />

conseguenze di tal genere, dalle rinunce alle sole insinuazioni dei<br />

creditori (e perciò dalla loro possibile raccolta) equivale ad attribuire<br />

loro il potere di disporre della procedura concorsuale e così di<br />

derogare alla par condicio. Una siffatta conclusione è contraria ai<br />

principi e segnatamente a quello per cui la procedura non è disponibile<br />

dalle parti. Che il fallimento, in quanto processo tendente a<br />

realizzare un’esecuzione universale sul patrimonio dell’imprenditore<br />

insolvente, per soddisfare tutti i creditori in modo proporzionale,<br />

sia di ordine pubblico e, come tale, indisponibile è proposizione<br />

comunemente accolta (1) .<br />

Il fallimento è infatti così caratterizzato dal pubblico interesse<br />

da contraddistinguersi per la sua natura ufficiosa e perciò esso<br />

(1) PROVINCIALI, Trattato di diritto fallimentare, 1, Milano, 1974, n. 5, p. 11; RA-<br />

GUSA MAGGIORE, Diritto fallimentare, Napoli, 1974, pp. 13 segg.; PAJARDI, Manuale<br />

di diritto fallimentare, Milano, 1976, § 7, pp. 21 segg.; SATTA, Istituzioni di diritto fallimentare,<br />

Roma, 1964, n. 15, p. 33; ANDRlOLI, Fallimento, in Enc. Di., XVI, Milano,<br />

1967, n. 3-5, pp. 265 segg.


474 Scritti di Diritto Fallimentare<br />

viene dichiarato anche d’ufficio e prescinde poi dall’impulso di<br />

parte. Un’autorevole opinione nega ai creditori perfino il ruolo e<br />

la qualità di parte (2) .<br />

La par condicio viene riconosciuta come una regola assoluta<br />

quanto ferrea al punto che il soddisfo preferenziale mette capo addirittura<br />

ad ipotesi penalmente sanzionata (3) .<br />

Sotto questo profilo appare manifestamente incongrua l’opinione<br />

di coloro che, da un lato, convengono in codeste premesse<br />

e dall’altro rimettono all’arbitrio dei creditori di disporre della<br />

procedura fallimentare, mediante la semplice rinuncia alle insinuazioni<br />

e al concorso (4) .<br />

Diversamente lineare è la posizione di Gustavo Bonelli, che già<br />

sotto l’impero dell’art. 817 dell’abrog. cod. di comm. ammoniva:<br />

«una rinuncia non può ammettersi se non con significato di rinuncia<br />

al credito (renuntiatio causae, non renuntiatio liti), perché una<br />

rinuncia alla procedura, una volta costituita la massa, non è lecita,<br />

almeno per la nostra legge, in sede di fallimento». Ed ancora più oltre:<br />

«il procedimento fallimentare non è, per noi, una mera dipendenza<br />

dalla volontà dei creditori: date le condizioni per la sua esistenza<br />

è nell’interesse pubblico che esso si svolga ed abbia il suo corso<br />

conforme alle norme di legge» (5) .<br />

3. – Resta ora a vedersi se la chiusura del fallimento debba ammettersi<br />

con la motivazione che a seguito delle rinunce alle insinuazioni<br />

o al concorso sarebbe venuta meno la massa passiva e perciò la<br />

necessità di ripartire l’attivo.<br />

A prima vista sembrerebbe non potersi dubitare del potere del<br />

creditore ammesso, di disporre del suo diritto al concorso e della<br />

non ipotizzabilità di attribuirgli un riparto, contro la sua volontà.<br />

Che una tale evenienza ricorra quando il creditore abbia rinunciato<br />

al suo credito e liberato il debitore fallito, non pare dubbio ed è san-<br />

(2) Così PROVINCIALI, op. cit., n. 13, p. 28.<br />

(3) PAJARDI, op. cit., § 6, p. 20.<br />

(4) Gli autori accennano a generiche «rinunce», che sembrano riferirsi ai crediti, come<br />

in PROVINCIALI, op. cit., II, n. 640, p. 1591 Invece PAJARDI, op. cit., § 118, p. 571 ipotizza<br />

anche la «rinuncia agli atti», e FERRARA, Il fallimento, 3ª ed., Milano, 1974, n. 242,<br />

nota 40, accenna ad una «rinuncia all’ammissione».<br />

(5) BONELLI, Del fallimento, Milano, 1939, II, n. 551, nota 6 e III, n. 707, nota 7.


Scritti di Diritto Fallimentare 475<br />

cito dall’art. 118, n. 2, legge fallim. laddove prevede la chiusura del<br />

fallimento, ove i crediti ammessi siano «in altro modo estinti».<br />

Trattasi di vedere se ciò si verifichi anche quando il creditore<br />

si limiti a rinunciare al concorso o alla domanda, ma non rinuncia<br />

al credito.<br />

In genere è a dirsi che non sembrano trasferibili in una procedura<br />

proseguibile d’ufficio, come questa, il modello e le regole del processo<br />

ordinario, basato sulla volontà condizionante del creditore nel<br />

tenere ferma o nel disporre della domanda o puranco dell’azione (6) .<br />

Che una rinuncia all’azione esecutiva, in sé e per sé, non abbia<br />

rilievo nel fallimento, è desumibile dal fatto che quella individuale<br />

è inibita dall’art. 51 legge fallim. e quella concorsuale collettiva è<br />

irrinunciabile dai singoli creditori, come ebbe a rilevare a suo tempo<br />

l’Andrioli (7) . In senso più ampio c’è da dubitare della medesima<br />

ipotizzabilità in astratto di un’azione esecutiva nel fallimento, sia<br />

che venga intesa come diritto dei creditori concorrenti alle prestazioni<br />

dell’ufficio concorsuale, o anche come il potere dei partecipi<br />

della massa passiva di aggredire quella attiva, che è destinata dal<br />

suo nascere al loro soddisfo e forma piuttosto con la prima un patrimonio<br />

separato, in via di liquidazione d’ufficio (8) .<br />

È da negare parimenti rilievo, sempre ai fini del n. 2 dell’art. 118<br />

legge fallim. ad una rinuncia dei creditori al concorso o al diritto di<br />

concorrere come distinto dal credito o dai crediti. Occorre qui ricordare<br />

che la migliore dottrina processuale dal Carnelutti al Garbagnati<br />

(9) esclude possa ipotizzarsi un tale diritto, come diritto ver-<br />

(6) Mi sembra infatti influenzata da una visione privatistica la opinione del PAJARDI,<br />

op. cit., § 35, p. 114.<br />

(7) ANDRIOLI, in BONELLI, op. cit. loc. ult. cit.<br />

(8) Sui profili dell’azione esecutiva, CARNELUTTI, Lezioni di diritto processuale,<br />

Processo di esecuzione, I, Padova, 1929, n. 190, pp. 339 segg.; Id., Sistema del diritto processuale,<br />

I, Padova, 1936, n. 358, p. 902; SATTA, L’esecuzione forzata, I, Torino, 1952,<br />

n. 14, p. 34. Sull’analogia tra procedura fallimentare e liquidazione dell’eredità giacente,<br />

condivido il richiamo di PAJARDI, op. cit., § 35, p. 114, nota 122. A mio modo di vedere,<br />

sottolineo peraltro le analogie con la liquidazione dell’eredità beneficiata dove si ha parimenti<br />

la inibitoria di esecuzioni individuali ex art. 506 cod. civ., la formazione di uno<br />

stato passivo di graduazione ex artt. 499 e 509 cod. civ. le opposizioni allo stesso ex art.<br />

501 cod. civ. e la cessio bonorum ex art. 507 cod. civ.<br />

(9) CARNELUTTI, Lezioni, cit., I, pp. 390 segg., III, pp. 31 e 71; Id., Sistema, cit.,<br />

loc. cit.; GARBAGNATI, Il concorso dei creditori, Milano, 1938, pp. 142 segg.


476 Scritti di Diritto Fallimentare<br />

so gli altri creditori o più in genere verso terzi, anche nella ipotesi<br />

di un creditore privilegiato.<br />

Trattasi piuttosto – come è stato autorevolmente osservato (10) –<br />

di una relazione di fatto che viene ad instaurarsi tra le varie pretese<br />

concorrenti, nel senso che si limitano reciprocamente nel soddisfo<br />

sui medesimi beni.<br />

Codesta relazione di fatto non è disponibile separatamente dal<br />

diritto.<br />

Si deve ancora escludere che le rinunce dei creditori alle sole insinuazioni<br />

conducano alla chiusura del fallimento, a sensi dell’art.<br />

118, n. 2, legge fallim.<br />

A codesta conclusione pervenne già il Ferrara (11) , il quale ebbe<br />

ad osservare acutamente che l’art. 306 cod. proc. civ. non è applicabile<br />

in questa sede.<br />

Occorre distinguere a questo proposito, tra rinunce alle insinuazioni,<br />

presentate prima o dopo la scadenza dei termini stabiliti nella<br />

sentenza a sensi dell’art. 16, n. 4, legge fallim.<br />

La prima ipotesi dà luogo alla fattispecie regolata dal n. 1 dell’art.<br />

118 legge fallim.<br />

Trattasi di norma eccezionale che conferma piuttosto la opposta<br />

regola fissata dal n. 2 dello stesso articolo secondo il quale occorre<br />

la rinuncia al credito, e non solo alla insinuazione per chiudere il<br />

fallimento.<br />

Quale sia la ratio dell’opposto trattamento delle rinunce agli atti,<br />

nelle due diverse ipotesi, è presto detto.<br />

È assolutamente diverso il caso in cui la massa passiva non siasi<br />

ancora formata da quello in cui essa si sia già formata con l’intervento<br />

dell’ufficio concorsuale.<br />

Nel primo caso è trasparente la esigenza del legislatore di incentivare<br />

i creditori a collaborare alla tempestiva formazione della<br />

massa passiva, attraverso la sanzione della chiusura del fallimento.<br />

Quando invece la massa passiva si sia già formata, la procedura<br />

tende a realizzare motu proprio i suoi fini istituzionali che<br />

sono poi quelli di attuare i diritti sostanziali dei creditori, sulla<br />

base della par condicio attraverso i vari riparti od il concordato<br />

(10) CARNELUTTI, Sistema, cit., pp. 902, 903.<br />

(11) FERRARA, Il fallimento, cit., n. 242, nota 40.


Scritti di Diritto Fallimentare 477<br />

fallimentare. Si comprenderà così che la procedura si chiuderà<br />

solo quando i crediti siano stati soddisfatti o siano in altro modo<br />

estinti (n. 2 e 3 art. 118 legge fallim.) o non resti altra prospettiva<br />

di soddisfo (n. 14 cit. norma).<br />

Del resto la opinione contraria che attribuisce ad una rinuncia alla<br />

insinuazione fuori della ipotesi di cui al n. 1 dell’art. 118 legge fallim.,<br />

la idoneità a portare alla chiusura del fallimento, viola i limiti<br />

tassativi della norma eccezionale e stravolge la lettera e la ratio della<br />

previsione normativa di cui al n. 2 dell’art. 118 legge fallim.<br />

Essa finirebbe per consentire ai creditori di sovvertire di continuo<br />

ed a loro discrezione lo stato passivo e ciò è contrario al buon<br />

ordine della procedura ed impedisce che essa raggiunga il suo scopo<br />

istituzionale.<br />

Occorre qui ricordare l’opinione dominante che in genere nega<br />

ai creditori la qualità di parti della procedura, della quale essi<br />

sono piuttosto i beneficiari che i protagonisti. Il creditore in definitiva<br />

non ha altra via che quella di rinunciare al credito invece<br />

che alla insinuazione.<br />

È da escludere a questo punto, a maggior ragione, anche l’altra<br />

opinione che giustifica la chiusura del fallimento con la motivazione<br />

che i creditori rinuncerebbero alle ammissioni dei loro crediti<br />

piuttosto che alle insinuazioni (12) .<br />

Invero abbiamo visto come sia proprio la ammissione del credito<br />

al passivo a rendere irretrattabile la insinuazione.<br />

Il pubblico interesse esige infatti che il censimento autoritativo<br />

dello stato debitorio dell’impresa insolvente non venga radicalmente,<br />

di continuo, rimesso in discussione e sovvertito a causa delle rinunce<br />

dei creditori ammessi.<br />

Uno spazio di deliberazione se mai, all’opposto, è riservato al creditore<br />

escluso che può indirettamente disporre della sua domanda<br />

con l’astenersi dal proporre opposizione allo stato passivo o col rinunciare<br />

a quella avanzata (13) .<br />

(12) FERRARA, op. cit., n. 272, p. 551.<br />

(13) In definitiva è da riconoscere al creditore il potere di influire sulla sorte del fallimento<br />

sino a provocarne la chiusura, col rinunciare in genere al credito ed eccezionalmente<br />

col non insinuarsi o col rinunciare alla insinuazione proposta, nella fase anteriore alla verifica<br />

dei crediti e successivamente col non opporsi allo stato passivo o col rinunciare alla<br />

opposizione proposta da parte del creditore escluso.


478 Scritti di Diritto Fallimentare<br />

Ciò è tuttavia nella medesima logica del rispetto del provvedimento<br />

giudiziale.<br />

La opinione che ritiene rinunciabile l’ammissione indipendentemente<br />

dal credito, non è accoglibile anche perché rivela una concezione<br />

atomistica dello stato passivo, dove questo viene inteso riduttivamente<br />

come una serie di titoli esecutivi endoprocessuali emessi<br />

con atto contestuale nell’interesse dei singoli creditori e non come<br />

un unico provvedimento che accerti il complessivo stato debitorio<br />

dell’impresa insolvente e perciò infrazionabile, come invece è. È stato<br />

già osservato sopra, che i creditori sono i beneficiari piuttosto che<br />

i protagonisti di quella procedura d’ufficio, che è il fallimento, e ciò<br />

esclude un tal modo di intendere.<br />

Infine non sembra potersi ammettere una rinuncia preventiva<br />

del creditore al diritto al riparto, perché codesto diritto sorge solo<br />

dopo la formazione del progetto di riparto e non è ipotizzabile –<br />

a mio sommesso avviso – un «diritto all’aspettativa» (14) o «un diritto<br />

eventuale» (15) .<br />

Non mi pare infine rinunciabile il diritto al riparto neppure dopo<br />

che sia stato depositato il relativo progetto, ove il creditore escluda<br />

di rinunciare tuttavia al credito.<br />

Infatti il riparto deve corrispondere al progetto e questo a sua<br />

volta non può essere difforme dallo stato passivo.<br />

4. – Infine è da esaminare la obiezione secondo la quale sarebbe fuori<br />

dell’ordinario la conclusione della procedura fallimentare con<br />

l’attribuzione di un riparto al creditore, contro la sua volontà.<br />

Essa è tuttavia più seducente che fondata.<br />

Non è detto che solo il creditore abbia interesse all’adempimento;<br />

può averlo anche il debitore ad effettuarlo. Ciò è alla base della<br />

mora creditoris, dove all’offerta del debitore si contrappone la renitente<br />

volontà del creditore. Codesto interesse può avere la più diversa<br />

motivazione quale ad es. quello di evitare la rivalutazione monetaria<br />

e gli interessi, proprii dei crediti di lavoro e così via.<br />

Ciò ricorre anche nella procedura fallimentare dove, per stare al<br />

(14) VON THUR, Der allgemeine teil des deutschen biirgerlichen Rechts, I, Lipsia,<br />

1910, pp. 184 segg.<br />

(15) GARBAGNATI, op. cit., p. 144.


Scritti di Diritto Fallimentare 479<br />

caso indicato, è interesse di tutti, creditori concorrenti compresi, che<br />

ad es. i debiti di lavoro siano pagati quanto più celermente (16) . Lo<br />

stesso debitore fallito può avere interesse ad es. ad un concordato<br />

fallimentare e perciò al persistere della procedura (17) . In genere può<br />

dirsi che nel fallimento vige la regola del pagamento dei creditori,<br />

nonostante la loro renitente volontà.<br />

Essa è codificata dall’art. 117, ult. comma legge fallim. laddove,<br />

prevede il deposito liberatorio del riparto al creditore renitente e latitante<br />

come epilogo della procedura, e quindi un interesse a ciò.<br />

Alla base del fallimento c’è infatti il pubblico interesse a che tutti i<br />

creditori, partecipi della massa passiva, siano pagati proporzionalmente,<br />

sulla base della par condicio. Non c’è alcun pubblico interesse<br />

a che un creditore rinunci e altri se ne avvantaggino. Un eventuale<br />

interesse di questi ultimi non coincide con quello pubblico e<br />

non giustifica la efficacia che si vorrebbe attribuire alla rinuncia<br />

alla sola insinuazione.<br />

Se così è, non v’è ragione perché la procedura debba chiudersi<br />

quando vengano presentate delle rinunce alle insinuazioni e tuttavia<br />

si facciano salvi i relativi crediti e così continui ad esistere la<br />

massa passiva.<br />

5. – È da ultimo da negarsi che il pubblico interesse esiga la affrettata<br />

chiusura del fallimento e così la diminuzione del carico di lavoro<br />

degli uffici fallimentari, quando non ne ricorrano le condizioni<br />

previste dalla legge.<br />

Una siffatta giustificazione non è assolutamente ipotizzabile,<br />

come è di ogni altra basata su esigenze degli uffici, che devono trovare<br />

la loro risposta in rimedi di tipo organizzativo.<br />

(16) Ciò accadrà specialmente dopo il nuovo corso inaugurato da Corte costituzionale<br />

31 dicembre 1986, n. 300, in Foro it., 1987, I, 320, che ammette la rivalutazione dei<br />

crediti di lavoro durante le procedure concorsuali.<br />

(17) Egli sarebbe alla totale mercé dei creditori ove essi potessero unilateralmente provocare<br />

la chiusura del fallimento, anche nel caso che questo fosse stato dichiarato su istanza<br />

del debitore. Con semplici rinunce da parte loro alle insinuazioni.


Sulle vendite immobiliari<br />

nelle esecuzioni e nei fallimenti<br />

1. – Durante una recente tavola rotonda che aveva per oggetto l’esame<br />

delle innovazioni apportate dalla legge 302/98 alla espropriazione<br />

immobiliare, abbiamo avuto l’opportunità di confrontare<br />

le nostre rispettive riflessioni, nate in uno degli autori dall’esercizio<br />

dell’avvocatura e più recentemente dalla sua partecipazione ai lavori<br />

della commissione Tarzia, e nell’altro autore dalla esperienza<br />

alla testa della sezione fallimentare di uno dei più attivi tribunali<br />

del nostro paese, quali il Tribunale di Monza.<br />

Dal confronto delle rispettive esperienze abbiamo tratto alcune<br />

identità di vedute sulle carenze che impediscono alle procedure<br />

espropriative di realizzare i loro scopi e sulla diagnosi di parecchie<br />

cause che ne sono alla base.<br />

Codeste cause, in buona parte, ricorrono anche nei realizzi fallimentari<br />

degli immobili.<br />

Cominceremo col dire che quel che colpisce ogni operatore di diritto<br />

è la macroscopica discrepanza tra scopo e risultato della liquidazione<br />

espropriativa e il notevole scarto tra il soddisfacimento del<br />

creditore e il sacrificio sopportato dal debitore.<br />

Ormai può dirsi che la attuazione della sanzione esecutiva individuale<br />

o concorsuale obbedisce ad una logica penale invece che a<br />

quella a carattere satisfattivo.<br />

Ciò dipende da un complesso di fattori, taluni socio economici,<br />

quali la marginalità del mercato interessato ai beni da realizzare,<br />

tal’altri dipendenti dal mancato impiego di idonei messaggi pubblicitari,<br />

per provocare la domanda di acquisto o per la tecnica del-<br />

Da «Il Diritto fallimentare e delle Società Commerciali», 1999, I, p. 505.


482 Scritti di Diritto Fallimentare<br />

le vendite impiegate (per incanto piuttosto che per commissionario)<br />

o ancora dal mancato ricorso a intermediari capaci di raggiungere<br />

il mercato, in un epoca in cui sono presenti nel nostro paese importanti<br />

organizzazioni intermediarie con reti capillari di agenti.<br />

È un dato di fatto che all’alba del 2000 le nostre procedure<br />

espropriative individuali o concorsuali non conoscono altro tipo di<br />

mercato che quello anacronistico di pubblici incanti che sovente si<br />

riduce a quel poco che residua ad indebiti accordi sottobanco tra<br />

speculatori che gareggiano senza scrupoli.<br />

Ad essere vittime della distruzione di ricchezza non sono solo i<br />

debitori, ma gli stessi creditori concorrenti e il grado con cui essi dovrebbero<br />

soddisfarsi secondo diritto.<br />

La nuova legge che si occupa delle esecuzioni sugli immobili e sui<br />

mobili registrati si limita sostanzialmente ad alleggerire le incombenze<br />

dei giudici chiamando i notai a supplire ad essi in una serie<br />

di atti processuali dell’esecuzione forzata.<br />

Questa scelta legislativa costituisce ad un tempo una scorciatoia<br />

ed una illusione che non può porre rimedio alle gravi lacune della<br />

esecuzione forzata, che restano immutate.<br />

È noto che il mercato espropriativo è contrassegnato da una<br />

povertà di offerenti perché gli interessati all’acquisto non sono<br />

raggiunti dalla pubblicità o da ricerche personalizzate attraverso<br />

intermediari.<br />

La domanda di acquisto è monopolizzata troppo sovente da pochi<br />

offerenti, non di rado senza scrupoli e che non incontrano dei<br />

reali concorrenti o li stornano con accordi sottobanco.<br />

C’è di che essere perplessi sul fatto che lo svolgimento delle vendite<br />

davanti a notai attenui e non accentui i mali denunciati.<br />

In paesi liberisti, come la vicina Svizzera, la esecuzione forzata è<br />

riservata ad un pubblico ufficio specializzato quale l’ufficio di esecuzione<br />

e fallimenti che è composto da pubblici funzionari a spese<br />

del Cantone o della Confederazione.<br />

2. – La nuova legge appare da un lato abbassare le difese e dall’altro<br />

lascia immutata la gestione dell’espropriazione che affida a soggetti<br />

con una competenza a compiere più che altro atti formali e mancano<br />

della specializzazione per assicurare il miglior esito alla procedura.<br />

Appare discutibile che il notaio delegato possa provvedere alla


Scritti di Diritto Fallimentare 483<br />

determinazione del valore di realizzo sulla base della rendita catastale<br />

perché essa non costituisce un prezzo effettivo di mercato e le<br />

vendite effettuate su tale base si prestano ai peggiori abusi.<br />

Il buon fine del processo esecutivo e il realizzo del compendio è<br />

condizionato fortemente dai messaggi pubblicitari, con cui la offerta<br />

di vendita raggiunge il mercato, stante il ruolo essenziale della<br />

pubblicità al giorno d’oggi.<br />

Sotto questo profilo appare anacronistica la conservazione della<br />

pregressa disciplina di cui all’art. 490 2° comma c.p.c. che prevede<br />

«la inserzione dell’avviso nei fogli degli annunci legali della provincia»<br />

che è letto da una ristretta cerchia di addetti ai lavori.<br />

La pubblicazione «uno o più volte in determinati giornali» e<br />

quando occorre «con la forma della pubblicità commerciale» è prevista<br />

come straordinaria, per cui la sua mancanza può dare luogo<br />

solo all’opposizione agli atti a sensi dell’art. 617 c.p.c. secondo la<br />

nostra dottrina e giurisprudenza per la quale è previsto il termine<br />

abbreviato di cinque giorni.<br />

Appare a questo punto di fondamentale importanza per il<br />

buon esito, il più ampio ricorso alla pubblicità e ai messaggi su<br />

giornali commerciali o quanto meno locali che costituiscono i veicoli<br />

indispensabili per informare gli interessati a concorrere alla<br />

vendita.<br />

Assume altresì una importanza a mio modo di vedere rilevante<br />

la ricerca personalizzata di chi è interessato all’acquisto.<br />

Ove tutto questo non si verificasse c’è da credere che una secolare<br />

esperienza negativa delle carenze della espropriazione e della<br />

vendita coatta rimarrà senza alcun correttivo.<br />

La legge 302/98 si è soprattutto limitata al correttivo formale di<br />

decentrare buona parte dei compiti dal giudice ai notai mentre rimane<br />

il difetto di fondo che essa prevede come forma pressoché<br />

esclusiva la pratica del realizzo attraverso i pubblici incanti, quando<br />

essa è sconfessata dall’esperienza di ogni giorno.<br />

Un maggiore utilizzo delle vendite senza incanto, per commissario<br />

(oggi agevolato dalla presenza di grosse agenzie immobiliari con<br />

vasta clientela), accompagnato o meno dall’amministrazione giudiziaria<br />

dell’immobile di cui all’art. 582 c.p.c. che per certi versi si<br />

pone in una logica analoga a quella dell’amministrazione controllata<br />

nelle procedure fallimentari a scapito del ricorso alle vendite al-


484 Scritti di Diritto Fallimentare<br />

l’incanto, potrà favorire il raggiungimento di un esito meno negativo<br />

del presente.<br />

Questa indicazione è soprattutto rivolta ai giudici più che ai notai.<br />

Si deve ancora considerare che un altro fattore contrario al<br />

buon esito della procedura è da individuarsi nel fatto che le realizzazioni<br />

dei beni avvengono solo per contanti senza che sia contemplato<br />

il ricorso a prestazioni di garanzie fideiussorie di tipo<br />

bancario o assicurativo da parte di chi compra, mentre per contro<br />

le somme ricavate non vengono messe poi ad un normale frutto<br />

del mercato bancario.<br />

In questa antinomia dispersiva di valori è la logica perversa e le<br />

disattenzioni più colpevoli del nostro sistema.<br />

Per concludere su questo punto, la nostra legge rivela una scarsa<br />

cultura economica del nostro legislatore e dei nostri operatori a<br />

cui conviene porre rimedio.<br />

3. – Considerazioni, in larga parte analoghe a quelle generali sopra<br />

enunciate, possono essere fatte anche nelle vendite di immobili, nelle<br />

liquidazioni fallimentari.<br />

In genere si lamenta un andamento insoddisfacente delle vendite<br />

anche per la scarsa partecipazione dei cittadini e una esasperante<br />

lentezza della attività liquidatoria.<br />

La sezione fallimentare del Tribunale di Monza ha il merito<br />

fuori del comune di essersi impegnata nella diagnosi degli ostacoli<br />

da rimuovere, per raggiungere una migliore efficienza e di<br />

fare proposte propositive che ci auguriamo non abbiano a restare<br />

senza seguito.<br />

È importante che la prassi giudiziaria dei nostri Tribunali, come<br />

quella inaugurata in senso innovativo da curie di altri paesi (tra queste<br />

è ben noto il gruppo di Stoccarda), dia un rilevante contributo al<br />

nostro paese, per il miglioramento del nostro sistema giudiziario, di<br />

cui avvertiamo sovente i ritardi e le carenze del legislatore.<br />

Il Tribunale di Monza, di cui pubblichiamo ampie relazioni, ha<br />

individuato i principali difetti dell’andamento insoddisfacente, nei<br />

seguenti fattori: a) carenze di informazione da parte dei cittadini<br />

che li stimolino ad accedere a questo tipo di mercato; b) turbative<br />

d’asta; c) difficoltà dei candidati all’acquisto di disporre del liquido<br />

per effettuare pagamenti per contanti.


Scritti di Diritto Fallimentare 485<br />

Esso ha notato nell’importante lavoro che qui pubblichiamo, che<br />

la scarsezza di informazioni può riguardare: le aste, i vantaggi offerti<br />

dagli acquisti, le loro modalità e in defintiva la identificazione<br />

del bene e le sue caratteristiche, la stima e il prezzo e in particolare<br />

se e quando tali immobili vengano messi in vendita e si vendano.<br />

Si auspica il superamento delle difficoltà con il realizzare un<br />

migliore standard delle stime, la comparabilità tra loro, il cenno<br />

ai vincoli ambientali ed il mettere a disposizione del cittadino<br />

quanto più tempestivamente le informazioni delle perizie e delle<br />

ordinanze di vendita.<br />

Il Tribunale di Monza pone giustamente il proprio accento sulla<br />

necessità di eliminare al massimo le turbative d’asta che ineriscono<br />

alle vendite con incanto.<br />

Nelle vendite con incanto ciascuno può partecipare solamente<br />

con una domanda non impegnativa di partecipazione alla gara e<br />

con il deposito di una cauzione che può ritirare di lì a qualche giorno,<br />

e così individuare il concorrente allo stesso acquisto, e tentare<br />

di raggiungere accordi al ribasso.<br />

I rimedi possibili individuati dal tribunale, per rendere più efficiente<br />

e ampia la partecipazione di chi è interessato e può candidarsi<br />

seriamente ad un acquisto, vengono individuati con apprezzabile<br />

sagacia in una serie di misure esperimentate con profitto.<br />

Un primo posto di rilievo è stato individuato dal tribunale nella<br />

sua esperienza con il riunire la pubblicità prenotando periodicamente<br />

per il Tribunale una pagina di un quotidiano di tiratura nazionale,<br />

quale ad esempio da noi il Corriere della Sera e ricorrendo<br />

anche ad altri mezzi, quali Internet, manifesti e fax.<br />

Una seconda proposta concerne lo sforzo a combattere le turbative<br />

d’asta con l’accordare la normale preferenza alle vendite senza<br />

incanto rispetto a quelle con incanto.<br />

Una ulteriore proposta, che ha formato oggetto dello studio e<br />

di iniziative da parte del tribunale è stata quella riguardante il<br />

reperimento di prestiti bancari all’acquirente per superare le difficoltà<br />

poste dalla necessità del pagamento per contanti dei beni<br />

del fallimento.<br />

I problemi di vario tipo che si sono affacciati e segnatamente<br />

quello della stabilità del trasferimento dell’immobile, per la conservazione<br />

dell’ipoteca, sono stati al presente risolti con la emissione


486 Scritti di Diritto Fallimentare<br />

da parte del giudice delegato del fallimento di un decreto di trasferimento<br />

del bene, subordinato ad un integrale pagamento.<br />

Può reputarsi che la caduta dei tassi di interesse bancari e la<br />

rincorsa degli Istituti di Credito alla necessità di maggiori impieghi<br />

nei prestiti a futuri clienti costituiscano una prospettiva favorevole<br />

a maggiori disponibilità creditizie in futuro per i candidati<br />

agli acquisti.<br />

De iure condendo certamente una norma che preveda uno speciale<br />

consolidamento delle ipoteche in un brevissimo lasso di tempo<br />

favorirebbe di molto la crescita di un tale mercato.<br />

Dopo avere detto quanto sopra appare agli autori importante ed<br />

utile offrire ai nostri operatori delle procedure fallimentari, una relazione<br />

propositiva del Tribunale di Monza, basata sulla propria<br />

concreta esperienza, concernente «la modifica delle prassi in materia<br />

di vendita immobiliare».


Sulla «meritevolezza» di una società di capitali<br />

nel concordato preventivo,<br />

con cessione dei beni ai creditori<br />

1. – Il caso, in esame, concerne il concordato per cessio bonorum di<br />

una società di capitali che, dopo una fase di amministrazione controllata,<br />

era stata ammessa alla procedura del concordato ed aveva altresì<br />

riportato il voto favorevole della grande maggioranza dei creditori.<br />

Gli amministratori e soci avevano aggiunto altresì di proprio, ovviamente<br />

sotto condizione dell’omologa, la rinuncia alle loro rivalse<br />

(ex art. 1950 cod. civ.) verso la società per i debiti da essi fideiussi<br />

verso un gruppo di banche ed alle quali avevano diritto di surroga.<br />

Il tribunale, chiamato a giudicare sulla isolata opposizione di due<br />

creditori, oltretutto privilegiati, non ha omologato il concordato ed<br />

ha dichiarato il fallimento della società.<br />

Esso ha ribadito che occorre il requisito della «meritevolezza»<br />

anche per le società, seguendo l’orientamento, tra gli altri, di Cassazione,<br />

sez. un., 6 settembre 1990, n. 9201.<br />

Il collegio giudicante, partendo dalla premessa che l’imprenditore<br />

insolvente trarrebbe beneficio dal concordato, ha ritenuto a di lui<br />

carico la prova degli elementi della meritevolezza, invece che a carico<br />

degli opponenti quella della non meritevolezza.<br />

Esso, nel caso di specie, pur affermando che «nessuna condotta,<br />

oggettivamente suscettibile di rilievo, può essere addebitata agli organi<br />

della società», ha individuato la non meritevolezza nel fatto<br />

che essa aveva protratto per l’intero periodo dell’amministrazione<br />

controllata una gestione risultata alla fine passiva, invece di interromperla<br />

in anticipo.<br />

Da «Il Diritto Fallimentare e delle Società Commerciali», 1998, II, p. 741.


488 Scritti di Diritto Fallimentare<br />

Pur addebitando alcuni altri rilievi, non li ha però ritenuti influenti<br />

sul giudizio di meritevolezza.<br />

La decisione del Tribunale non può essere condivisa, per il suo<br />

schematismo, quanto meno nel presumere «immeritevole l’imprenditore»<br />

sino a di lui prova contraria e con l’attribuirgli la responsabilità<br />

delle perdite, per non avere richiesto in anticipo la fine dell’amministrazione<br />

controllata.<br />

Il giudice che si è trovato a giudicare con il senno del poi, ha ignorato<br />

che a sensi dell’art. 192 legge fallim., toccava agli organi della<br />

stessa procedura, a tacere dei creditori, il promuovere la fine dell’amministrazione<br />

controllata.<br />

Questa sentenza, pertanto, ci offre alcuni spunti per approfondire<br />

taluni aspetti della c.d. meritevolezza di una società, dato anche<br />

che trattavasi di un concordato per cessio bonorum.<br />

2. – Nel caso di specie il concordato era stato ritenuto «conveniente»<br />

dai principali interessati e cioè dai creditori, ma è stata rifiutata<br />

l’omologa perché la società «non avrebbe dato la prova della propria<br />

meritevolezza».<br />

È noto che secondo un orientamento autorevole, la finalità prevalente<br />

del concordato preventivo sarebbe in genere quella di preservare<br />

l’impresa nell’interesse della collettività «e di salvaguardia<br />

dei creditori» (1) .<br />

Esso considera meritevole chi avanza una proposta di concordato<br />

preventivo, che va in queste direzioni.<br />

La proposta conveniente, secondo questo orientamento, è anche<br />

meritevole.<br />

E nota che nel passato si svolse una ampia discussione se conservare<br />

o addirittura abolire il requisito della meritevolezza e la proposta<br />

di soppressione fu fatta propria addirittura dal progetto Pajardi (2) .<br />

(1) Tra le altre: Cassazione, 13 dicembre 1989, n. 5568, in Fallimento, 1990, 580;<br />

22 gennaio 1986, n. 603, in Mass giur. it., 1986; AZZOLINA, Trattato di diritto fallimentare,<br />

p. 1549; S. PACCHI PESUCCI, Dalla meritevolezza dell’imprenditore alla<br />

meritevolezza del complesso aziendale, Milano, 1989; F. CORSI, Impresa e mercato<br />

nella nuova legge fallimentare, p. 335; VILLANACCI, Il requisito della meritevolezza,<br />

in questa rivista, 1991, II, 374.<br />

(2) Bozza di legge delega, in P. PAJARDI, MannaIe di diritto fallimentare, Milano,<br />

1986, p. 975, 976.


Scritti di Diritto Fallimentare 489<br />

Esso ebbe a motivare che il concordato preventivo aveva ormai<br />

perso il carattere di beneficio per il debitore ed aveva acquistato invece<br />

quello di strumento nell’interesse dei creditori, per superare lo<br />

stato di dissesto dell’impresa.<br />

La pronuncia annotata segue non solo l’opposto orientamento,<br />

tuttora dominante (3) , che concepisce l’omologa del concordato in<br />

una logica di premio all’imprenditore onesto e tuttavia sfortunato;<br />

ma va più in là perché presume la immeritevolezza dell’imprenditore<br />

che non dia la prova contraria della sua meritevolezza. Il rifiuto<br />

dell’omologa ed il conseguente fallimento si spiegano perciò in<br />

una logica lato sensu sanzionatoria.<br />

Essa è agli antipodi dell’opinione autorevolmente manifestata<br />

secondo cui perfino «comportamenti fraudolenti del debitore trovano<br />

adeguata sanzione in sede penale, ma non sono più idonei a<br />

giustificare se la reiezione della domanda quando, per il sistema<br />

delle garanzie in atto, la soluzione concordataria conservi tutta la<br />

sua utilità».<br />

La concezione della meritevolezza accolta dalla decisione annotata<br />

è quella secondo cui il requisito della meritevolezza ha per oggetto<br />

soprattutto profili etici dell’imprenditore e dei suoi comportamenti<br />

passati.<br />

3. – La valutazione della meritevolezza è per altro quanto mai<br />

sfumata nel suo contenuto. È corrente l’opinione che la «legge»<br />

non detta parametri specifici e predeterminati né esige una gestione<br />

imprenditoriale, immune da critiche o addebiti, ma affida<br />

al giudice un apprezzamento complessivo della correttezza morale<br />

e professionale del debitore, al di là degli errori e delle imprudenze<br />

in singoli casi (4) .<br />

Secondo alcune pronuncie, la immeritevolezza presuppone, al di<br />

là di un giudizio di irreprensibilità, addirittura dei fatti penalmen-<br />

(3) In questo senso tra gli altri: Cassazione, 20 aprile 1990, n. 3305, in Mass. Giur.<br />

it., 1990; 4 dicembre 1985, n. 6065, ivi, 1985; SATTA, Diritto fallimentare, Roma,<br />

1974; FERRARA, Il fallimento, Milano, 1995, p. 166; A. BONSIGNORI, Del concordato<br />

preventivo nel Commentario della legge fallimentare della Zanichelli, Bologna -<br />

Roma, 1979, pp. 431 segg.<br />

(4) Cassazione. 18 giugno 1992, n. 7557, in Giur it., 1993, I, 1, 1008.


490 Scritti di Diritto Fallimentare<br />

te sanzionati (5) che restringono di molto l’area della immeritevolezza<br />

e ciò non ricorreva nel caso di specie.<br />

Il principale difetto di questa impostazione della «meritevolezza<br />

sotto il profilo etico» è che essa si concreta in un giudizio volto «al<br />

passato» e non proiettato «al futuro», come pur deve essere. Il fatto<br />

che l’imprenditore sia stato onesto, ma sfortunato, non garantisce<br />

in alcuna guisa i creditori.<br />

Per dare un giudizio complessivo di convenienza del sacrificio<br />

loro richiesto, essi devono sapere quale sorte li aspetta per il futuro,<br />

specie nel caso che l’impresa continui a vivere.<br />

Al di là degli errori del passato, che ormai appartengono alla storia,<br />

i creditori ed in ispecie il tribunale che decide l’omologazione o<br />

meno, sono chiamati a valutare «la idoneità della proposta» nel suo<br />

insieme, che per lo più suppone «la affidabilità professionale di chi<br />

guiderà l’impresa nel futuro».<br />

Quella di chi ha guidato l’impresa nel passato è in un certo senso<br />

nota dal risultato verificatosi: ciò che conta è il risultato atteso<br />

per il futuro, come esso è previsto dai creditori.<br />

4. – La inadeguatezza del modo di intendere retrospettivamente<br />

la meritevolezza dell’imprenditore sotto un profilo etico, è piuttosto<br />

evidente.<br />

Lo è nel caso in cui l’impresa finisce col concordato, quando esso<br />

è proposto come soluzione a stralcio per contanti dei debiti.<br />

Lo è ancora più nel caso di un concordato per cessio bonorum,<br />

perché da quel momento in poi l’imprenditore insolvente, non è più<br />

in grado di fare una scelta.<br />

In questa ipotesi, poi – ed era il caso di specie – non si vede quale<br />

beneficio egli poteva trarre dal concordato, se egli aveva ceduto<br />

ai creditori tutti i suoi beni, così da giustificare a di lui carico, come<br />

ha fatto il tribunale, l’onere della prova della meritevolezza.<br />

Diverso è il caso in cui il debitore, della cui meritevolezza si tratta,<br />

continui personalmente l’esercizio dell’impresa, anche dopo il<br />

concordato ed in cui la valutazione morale del passato può essere<br />

indicativa per il futuro.<br />

È sempre più frequente che il concordato avvenga con cessione<br />

(5) Tribunale Firenze, 21 marzo 1995, in Giur. comm., 1996, 430.


Scritti di Diritto Fallimentare 491<br />

dei beni e sia accompagnato dall’offerta di un diverso soggetto, che<br />

liquiderà i creditori.<br />

Qui il giudizio di meritevolezza avrebbe senso se riguardasse costui,<br />

ma non l’imprenditore insolvente del passato.<br />

In ogni caso il discorso ha un senso in tutti i casi in cui non vi è<br />

coincidenza tra l’imprenditore del passato e quello del futuro.<br />

5. – Il compito di giudicare la metitevolezza è sempre più difficile<br />

nell’economia moderna, in cui l’impresa è catatterizzata da una<br />

pluralità di centri decisionali.<br />

Ciò è soprattutto ricorrente nel caso in cui l’imprenditore sia una<br />

società di capitali, come era il caso di specie (6) .<br />

Qui si afferma che il requisito della meritevolezza, a sensi dell’art.<br />

181, n. 4, legge fallim. «si desume dagli atti e dai comportamenti,<br />

che sono imputabili alla società, in virtù del rapporto organico»<br />

(Cassazione, 9 agosto 1994, n. 7347, in Fallimento, 1995,<br />

284, tra le molte). Codesto giudizio, invero, si rivela sempre più<br />

semplicistico, per chi abbia esperienze societarie.<br />

La pluralità degli organi decisionali di una società, quali possono<br />

essere i consigli di amministrazione, i comitati esecutivi, gli amministratori<br />

delegati e la loro mutevolezza nel tempo, rendono<br />

tutt’altro che facile la imputazione alla società degli atti da porte a<br />

base del giudizio di meritevolezza.<br />

Di solito poi, a fianco di essi, operano una direzione generale ed<br />

un management.<br />

La ripartizione dei poteri decisionali rende complesso il giudizio<br />

di imputazione alla società.<br />

Ove si considerino la espressione del dissenso negli organi collegiali,<br />

la impugnabilità delle loro delibere (art. 2391 cod. civ.), la<br />

esperibilità di azioni di responsabilità sociale (ex art. 2409 cod.<br />

(6) Per l’assoggettamento delle società di capitali al giudizio di meritevolezza, Cassazione,<br />

sez. un., 6 settembre 1990, n. 9201 tra le altre. La dottrina è controversa: P. PAJAR-<br />

DI, La meritevolezza di una società di capitali nel concordato preventivo, in Foro pad.,<br />

1965, 680; A. MAFFEI ALBERTI, Applicabilità del giudizio di meritevolezza alle società<br />

di capitali, in Giur it., 1963, I, 2, e. 649; A. DI LAURO, La merzievolezza nell’amministrazione<br />

controllata, in Dir. Fall. Soc. Comm., 1983, II, 263; P. LOCATELLI - G. GIA-<br />

NERI, La meritevolezza degli enti società, ivi, 1991, II, 602; E. LORENZINI, La meritevolezza<br />

nel concordato preventivo, ivi, 1993, II, 470.


492 Scritti di Diritto Fallimentare<br />

civ.), ci si renderà conto della problematicità della imputazione ad<br />

essa degli atti di cui si è detto.<br />

In genere può dirsi che le prospettive e le sorti delle imprese dipendono<br />

sempre più dalla fortuna di avere alle leve uomini di perspicaci<br />

intuizioni e di capacità professionali, più che di passata probità.<br />

Basta che un’impresa in gravi difficoltà venga a disporre di uno<br />

di questi uomini che sappiano antivedere e cogliere le opportunità<br />

future di mercato, perché le prospettive future mutino radicalmente<br />

nell’ottica dei creditori.<br />

Questo discorso vale anche per le imprese individuali che abbiano<br />

una organizzazione decisionale policentrica, un management.<br />

6. – Il problema della meritevolezza va impostato – a mio avviso –<br />

diversamente.<br />

La ammissione di un imprenditore individuale o società alla procedura<br />

di concordato fa presumere la sua meritevolezza.<br />

Il decreto con cui il Tribunale lo ammette alla procedura di concordato<br />

a sensi dell’art. 163 legge fallim. è fonte di presunzione di<br />

meritevolezza là dove esso riconosce che egli si trova nelle condizioni<br />

di cui all’art. 160 nn. 2 e 3 legge fallim.<br />

Ciò ricorre a fortiori nel caso in cui esso era stato preceduto da<br />

una amministrazione controllata.<br />

La correttezza e la trasparenza della condotta dell’imprenditore,<br />

in occasione e durante la procedura è garantita dall’art. 173 legge<br />

fallim., con pene particolarmente severe.<br />

Se poi la proposta di concordato riporta, come era il caso di specie,<br />

il voto favorevole delle maggioranze, previste dalla legge, la presunzione<br />

di meritevolezza si coniuga con quella di convenienza e<br />

forma un insieme unico.<br />

L’imprenditore insolvente, soggetto alle ispezioni e valutazioni<br />

del commissario giudiziale a sensi dell’art. 172 legge fallim., non è<br />

tenuto a fornire altre prove di meritevolezza, tenuto conto anche che<br />

ciò si risolverebbe in una prova negativa (di non immeritevolezza)<br />

e in quanto tale inammissibile.<br />

Il tribunale può ritenere la immeritevolezza o d’ufficio sulla base<br />

delle relazioni del commissario a sensi dell’art. 172 legge fallim. o<br />

a seguito di opposizione di un creditore, che deve perciò offrire la<br />

prova, senza inversione alcuna a carico di controparte.


Scritti di Diritto Fallimentare 493<br />

La immeritevolezza, dopo il voto favorevole della maggioranza<br />

dei creditori, non concerne solo un giudizio etico del passato, anzi<br />

di per sé scarsamente rilevante e indicativo del futuro, ma un giudizio<br />

complessivo, ad un tempo di convenienza e di correttezza.<br />

Ciò che rileva ai fini dell’omologa è che la proposta di concordato<br />

non sia ad un tempo immeritevole e non conveniente.<br />

Nel caso in cui si prospetti che l’impresa continui a vivere, anche<br />

dopo il concordato, il giudizio di immeritevolezza si estenderà ai<br />

programmi del futuro e al valore professionale del nuovo imprenditore,<br />

del nuovo management.<br />

Nel caso di una società di capitali, ciò riguarderà i nuovi amministratori<br />

e specialmente quelli operativi, con riguardo ad eventuali<br />

insuccessi e dissesti passati.<br />

Ciò ha un rilievo particolare nel caso di un concordato con cessione<br />

dei beni.<br />

La presenza sul mercato di una impresa con o senza futuro, con<br />

uomini abili o non abili professionalmente, può essere di vantaggio<br />

e di danno per tutti e quindi anche ai creditori, fornitori, dipendenti<br />

del futuro, che è ciò che conta.


Sulla utilità di prevedere forme di concordato<br />

su domanda dei creditori,<br />

a fianco di quelle su offerta del debitore<br />

1. – Mi è gradito riprendere qui alcune idee innovative, concernenti<br />

le procedure di concordato preventivo e fallimentare, che<br />

ebbi a suo tempo occasione di proporre al Senato della Repubblica,<br />

in forma di disegni di legge di iniziativa parlamentare (1) e<br />

che non sono state successivamente più riprese da alcuno, malgrado<br />

la loro innegabile utilità.<br />

Si vuole qui auspicare che esse non cadano nel dimenticatoio, ma<br />

vengano riproposte da taluno nelle debite sedi.<br />

Il dato comune della disciplina attuale delle diverse procedure di<br />

concordato sia preventivo sia fallimentare è che esse sono previste<br />

solo a seguito dell’offerta del debitore mentre si ignora che esse possano<br />

essere prese su domanda dei creditori, che sono poi maggiori<br />

interessati al buon fine economico della procedura.<br />

È quanto invece accade nella esecuzione individuale con la istanza<br />

di assegnazione dei beni e in taluni paesi stranieri anche nelle<br />

procedure concorsuali.<br />

Si avverte qui l’esigenza di prevedere che oltre al debitore, l’iniziativa<br />

di offrire il concordato possa essere presa anche da singoli creditori<br />

o gruppi di essi, se non dalla loro totalità, che vogliano rendersi<br />

cessionari dei beni dell’imprenditore insolvente, contro il loro impegno<br />

di soddisfare i residui creditori anche in misura percentuale.<br />

Da «Il Diritto Fallimentare e delle Società Commerciali», 1999, I, p. 977.<br />

(1) Essi furono presentati il 15 maggio e il 30 maggio 1991 alla Presidenza del Senato<br />

durante la decima legislatura sotto i nn. 2853 e 2813.


496 Scritti di Diritto Fallimentare<br />

Appare qui opportuno trattare le proposte di cui si è sopra detto,<br />

distintamente con riguardo al concordato preventivo e a quello<br />

fallimentare, stante la loro diversa specificità.<br />

Cominceremo dal concordato preventivo, per la sua maggiore ricorrenza<br />

e ampiezza e poi passeremo a quello fallimentare.<br />

2. – Con riguardo al concordato preventivo (2)<br />

È noto che l’art. 160, comma 2, legge fallim. prevede che il debitore,<br />

in difficoltà, offra ai creditori un concordato preventivo per<br />

il pagamento dei suoi debiti con la cessione di tutti i propri beni nel<br />

caso che essi facciano fondatamente ritenere un soddisfo nella misura<br />

di almeno il 40%.<br />

Questo istituto, tuttavia, ha due rilevanti limiti, ai quali è opportuno<br />

porre rimedio.<br />

Anzitutto esso viene comunemente inteso come cessione pro solvendo,<br />

in sintonia con il disposto dell’art. 1977 cod. civ.<br />

In altri termini la cessione equivarrebbe ad una sorta di mandato<br />

del debitore ai propri creditori a liquidare i beni ceduti sino al<br />

completo soddisfo dei loro crediti, ma nel caso rimanesse una eventuale<br />

eccedenza, questa spetterebbe al debitore cedente (tra gli altri<br />

F. FERRARA, Il fallimento, Milano, 1974, 188; CASANOVA, Risoluzione<br />

di concordato preventivo con cessione dei beni al creditore,<br />

in Riv. dir. comm., I, 93 segg., così anche Cassazione, n. 4177 del<br />

27 giugno 1981). Ciò rappresenta un grosso limite all’istituto in<br />

esame, perché raffredda l’interesse dei creditori che non potrebbero<br />

considerarsi proprietari dei beni e verrebbe loro tolta anche la<br />

prospettiva teorica di un ipotetico guadagno.<br />

Questo modo di vedere sostanzialmente attribuisce alla cessione<br />

dei beni, la funzione di uno strumento di smobilizzo dell’attivo, a<br />

rischio dei creditori.<br />

Di fatto codesto realizzo dell’attivo si traduce in una distruzione<br />

dei valori, con attribuzione percentuale irrisoria di soddisfo.<br />

È raro che si raggiunga una percentuale che giustifichi l’obiettivo<br />

del concordato.<br />

(2) Esso è stato presentato nella decima legislatura come disegno di legge n. 2853 alla<br />

Presidenza del Senato e nella undicesima legislatura come disegno di legge n. 1227 al presidente<br />

della camera dei deputati.


Scritti di Diritto Fallimentare 497<br />

A carico dei creditori rimane la totale perdita dei valori, concretamente<br />

verificatasi.<br />

Ciò ha condotto, a suo tempo, la Commissione Pajardi, incaricata<br />

di elaborare un progetto di riforma della legge fallimentare, a<br />

proporre l’abolizione del concordato preventivo per cessione dei<br />

beni. La soluzione non appare tuttavia accettabile, perché essa finisce<br />

per riservare all’attivo la esclusiva sorte di venire liquidato dal<br />

curatore fallimentare, con la perdita della speranza di un realizzo al<br />

meglio da parte dei creditori.<br />

Il rilancio dell’istituto del concordato preventivo con cessione dei<br />

beni, passa attraverso un maggiore coinvolgimento dei creditori alla<br />

liquidazione dell’attivo.<br />

Esso richiede che la cessio bonorum venga considerata, sin dall’inizio,<br />

pro saluto e che il realizzo in ultima analisi sia considerato<br />

di totale spettanza dei creditori.<br />

Questo modo di intendere la cessione dei beni pro saluto corrisponde<br />

a quanto affermò il n. 37 della medesima relazione ministeriale,<br />

alla odierna legge fallimentare.<br />

Il testo dell’art. 160, comma 2, n. 2 legge fallim. viene qui integrato<br />

con la precisazione che la cessione dei beni avverrebbe<br />

pro saluto. Il secondo grosso limite dell’attuale disciplina è che la<br />

proposta del concordato preventivo, in ogni sua forma, passa attraverso<br />

la indispensabile iniziativa del debitore insolvente ed è<br />

ad essa subordinata.<br />

Non è cioè previsto che i creditori (e tanto meno taluno o una<br />

cordata di essi) possano prendere alcuna iniziativa, a questo riguardo,<br />

e che possano essi proporre un concordato per la acquisizione<br />

dei beni.<br />

Ciò, almeno nel caso che il debitore non possa o non voglia farlo.<br />

A questo proposito appare emblematico il caso dell’imprenditore<br />

insolvente che non si trova nelle condizioni soggettive di cui al<br />

comma 1 del citato art. 160.<br />

In questa ipotesi i creditori possono solo rendersi promotori della<br />

dichiarazione di fallimento.<br />

Solo una concezione penale della procedura fallimentare a carico<br />

dell’imprenditore insolvente (che ormai è andata persa da gran<br />

tempo nella società), o una visione ottimistica del metodo di realizzo<br />

(che all’opposto è smentita ogni giorno dal carattere distruttivo


498 Scritti di Diritto Fallimentare<br />

del valori), possono giustificare codesto ruolo passivo, quando subalterno,<br />

dei creditori.<br />

La società contemporanea privilegia correttamente soluzioni che<br />

mirano a preservare, all’opposto, i valori e tendono in ogni caso al<br />

maggior realizzo possibile.<br />

Il valore economico e sociale dell’impresa, e del suo avviamento<br />

e l’esigenza avvertita di preservare un numero di posti di lavoro<br />

quanto più ampio possibile, richiedono la mobilitazione di ogni<br />

energia finalizzata al risultato più costruttivo. Sotto questo profilo<br />

i creditori appaiono i principali interessati a valorizzare i beni del<br />

comune debitore. Essi sovente conoscono meglio di altri i concreti<br />

valori di tali beni.<br />

La disciplina vigente, che esclude i creditori dalla possibilità di<br />

rilevare tali beni, li condanna ad attendere il momento remoto in<br />

cui i valori aziendali non esisteranno più e il curatore deciderà di<br />

venderli in modo frazionato.<br />

Da un altro punto di vista non appare soluzione adeguata quella<br />

che riserva la cessione dei beni alla collettività di tutti i creditori<br />

e non a chi invece è concretamente interessato.<br />

A codesto grave limite può sopperire l’introduzione nel nostro ordinamento<br />

del concordato preventivo su domanda di quei creditori<br />

che vogliono rendersi cessionari dei beni.<br />

Si tratta di una soluzione analoga a quella dell’assegnazione dei<br />

beni pignorati nell’ambito dell’esecuzione forzata artt. 529, 530 e<br />

538, comma 2, 552, 553 e 589 cod. proc. civ.<br />

La domanda di concordato da parte di creditori costituirà un<br />

mezzo residuale di soddisfo dei crediti rispetto al concordato preventivo<br />

su offerta dal debitore. Quest’ultimo, rappresenterà la<br />

soluzione che avrà la precedenza per il rispetto dovuto alla proprietà<br />

dell’azienda.<br />

Tuttavia si danno casi in cui il debitore non possa proporre una<br />

domanda di concordato preventivo, come si è visto quando non<br />

ricorrano i requisiti di meritevolezza di cui all’art. 160, comma<br />

1, legge fallim. o nel caso in cui non si reperiscano possibilità di<br />

garanzie o di un assuntore o lo stesso debitore non voglia proporre<br />

il concordato.<br />

In una situazione del genere non appare socialmente apprezzabile<br />

una soluzione che renda inevitabile la liquidazione fallimentare,


Scritti di Diritto Fallimentare 499<br />

senza offrire ai creditori la possibilità di rendersi cessionari dei beni<br />

contro l’offerta di estinguere almeno in via percentuale i debiti.<br />

L’offerta di concordato da parte dei creditori indubbiamente è<br />

destinata ad avere un ruolo subordinato rispetto alla facoltà riservata<br />

in via prioritaria al debitore.<br />

L’iniziativa dei creditori non deve tradursi in un loro potere di<br />

espropriare quest’ultimo.<br />

È opportuno che essa venga limitata – in attesa di una disciplina<br />

più vasta – alle ipotesi previste dagli artt. 162, 173, 179, 181,<br />

comma 2, 186, commi 2 e 3 legge fallim., nelle quali il debitore ha<br />

avanzato domanda di concordato preventivo e tuttavia, a seguito<br />

della declaratoria della inammissibilità o della mancata approvazione<br />

da parte dei creditori o della mancata omologa del Tribunale,<br />

l’unica prospettiva resterebbe la dichiarazione di fallimento.<br />

Parimenti l’iniziativa dei creditori potrebbe essere autorizzata<br />

anche nel caso di cui all’art. 193, comma 2, legge fallim. con riguardo<br />

a verificarsi della scadenza dell’amministrazione controllata,<br />

senza un esito positivo.<br />

Per il nuovo istituto dovrebbero prevedersi le seguenti regole:<br />

A) Non si richiede che la domanda venga avanzata collettivamente<br />

da tutti i creditori perché ciò appare una evenienza piuttosto<br />

rara, e dall’altro lato non pare giusto che ogni singolo creditore corra<br />

il rischio deciso dalla maggioranza.<br />

A proporre la domanda può essere una cordata di creditori o anche<br />

uno solo o più tra essi che offrano a stralcio di liquidare gli altri<br />

creditori, con liberazione del debitore a fronte del rilievo delle attività.<br />

In particolare la domanda deve essere finalizzata alla prospettiva<br />

di conservare l’impresa.<br />

B) La domanda può essere avanzata anche attraverso meccanismi<br />

societari quali una società controllata dal creditore offerente o<br />

costituita allo scopo specifico.<br />

In altri paesi (ad esempio gli U.S.A. in base al capitolo X del<br />

Chandler Act del 1938) quel legislatore ha previsto la conversione<br />

ope iudicis dei crediti in capitali di rischio, nella logica della conservazione<br />

dell’imprese.


500 Scritti di Diritto Fallimentare<br />

È auspicabile che il nostro ordinamento favorisca con agevolazioni<br />

fiscali la conversione dei crediti in capitali di rischio di società<br />

di creditori e il rilievo di attività, come ha fatto l’art. 39 del progetto<br />

Pajardi in materia di amministrazione straordinaria.<br />

Codeste agevolazioni finalizzate a conservare l’impresa e a esonerare<br />

la tassazione di plusvalenze non può apparire un sacrificio<br />

insopportabile perché il nostro sistema assicura ai creditori detrazioni<br />

per le perdite dei crediti.<br />

C) La domanda deve assumere la forma del ricorso al Tribunale<br />

del luogo in cui si trova la sede principale dell’impresa.<br />

Essa deve contenere la richiesta di aggiudicazione delle attività,<br />

l’offerta della percentuale ai creditori chirografari e dell’intero importo<br />

dovuto a quelli privilegiati, con l’impegno di liberare il debitore<br />

nel caso positivo.<br />

La domanda deve anche contenere la descrizione della propria<br />

situazione patrimoniale, del piano economico predisposto per la<br />

conservazione dell’azienda e l’impegno a conservare l’impresa, anche<br />

mediante opportune ristrutturazioni.<br />

L’offerta dovrà contemplare anche l’indicazione di garanzie e potrebbero<br />

offrirsi anche garanzie atipiche, sulla falsa riga del progetto<br />

Pajardi.<br />

D) Il Tribunale sentirà il debitore e il comitato dei creditori e quindi,<br />

previ gli accertamenti del caso, procederà alla verifica della ammissibilità<br />

della proposta e nel caso positivo disporrà la convocazione<br />

dei creditori per la votazione sulla proposta di concordato.<br />

A questa si applicheranno le norme di cui agli artt. da 174 a 178<br />

della legge fallim. e poi si procederà alla omologazione del concordato<br />

cui si applicheranno gli artt. 180 segg. della legge fallimentare.<br />

E) L’articolato proposto potrebbe essere ad esempio del seguente<br />

tenore:<br />

L’art. 160 - comma 2, n. 2, è sostituito dal seguente:<br />

2. «Che il debitore offra ai creditori per il pagamento dei suoi<br />

beni la cessione pro soluto di tutti i beni esistenti nel suo patrimonio<br />

alla data della proposta del concordato, tranne quelli indicati


Scritti di Diritto Fallimentare 501<br />

dall’art. 46, sempre che la valutazione di tali beni faccia fondatamente<br />

ritenere che i creditori potranno essere soddisfatti almeno<br />

nella misura indicata nel n. 1».<br />

Dopo l’art. 162 è inserito il seguente:<br />

«Art. 162 bis - Concordato su proposta dei creditori.<br />

1. Il Tribunale pronuncia la sentenza di fallimento nella ipotesi<br />

di cui all’art. 162, comma 2, e in quelle previste dagli artt. 163,<br />

comma 2, 173, 179, 181, comma 2, e 193, comma 2, ove non sia<br />

stata avanzata nel termine di sessanta giorni dai creditori o da taluno<br />

di essi una offerta di concordato finalizzata alla conservazione<br />

dell’impresa anche mediante un programma di ristrutturazione.<br />

La domanda deve essere proposta sotto forma di ricorso al tribunale<br />

del luogo dove l’impresa ha la sua sede principale.<br />

2. La domanda di cui al comma 1 deve contenere la proposta di<br />

rilevare le attività dal debitore, anche a nome e per conto di società<br />

all’uopo costituite, con l’offerta di pagare al cento per cento i debiti<br />

privilegiati e una percentuale non inferiore al 40% ai crediti chirografari<br />

con la promessa impegnativa della liberazione del debitore,<br />

in caso di omologazione. La proposta deve altresì contenere<br />

l’enunciazione dello scopo della conservazione dell’azienda anche<br />

mediante una sua ristrutturazione.<br />

3. La domanda di cui ai commi 1 e 2 deve essere corredata dalla<br />

descrizione della situazione patrimoniale del proponente e dal<br />

programma economico di conservazione dell’azienda. Essa indica<br />

altresì le garanzie da offrire nel caso fossero eventualmente richieste<br />

ai fini dell’omologazione del concordato.<br />

4. Il tribunale sentiti il debitore e il comitato dei creditori dichiara<br />

o meno ammissibile la domanda di concordato e in caso positivo<br />

ordina la convocazione dei creditori per la liberazione della proposta<br />

di concordato e da provvedimenti per la successiva omologazione. Al<br />

concordato su proposta dei creditori si applicano in quanto compatibili<br />

le norme di cui ai capi IV; V e VI del presente titolo III».<br />

All’art. 186, è aggiunto, il seguente comma:<br />

«Nel caso di concordato su proposta dei creditori questo viene dichiarato<br />

risolto anche nella ipotesi di liquidazione dell’impresa oggetto<br />

dell’impegno di conservazione».


502 Scritti di Diritto Fallimentare<br />

3. – Con riguardo al concordato fallimentare (3)<br />

È sotto gli occhi di tutti quanto sia povera la realtà dei realizzi<br />

fallimentari, sovente perseguiti in modo assolutamente ignaro dei<br />

valori economici e dispersivo dell’azienda fallita.<br />

In alternativa a codesta liquidazione, a cura del curatore, gli artt.<br />

124 segg. delle disposizioni in materia di procedure concorsuali,<br />

contemplano il concordato fallimentare nelle forme del concordato<br />

con garanzie o mediante assuntore.<br />

Esso tuttavia è rimesso all’esclusiva iniziativa del debitore fallito.<br />

I creditori, in entrambi i casi considerati, sono chiamati ad un<br />

ruolo prevalentemente passivo e molto marginale.<br />

Essi finiscono ad assistere al realizzo dispersivo dei valori economici<br />

dell’azienda ad opera del curatore e sono alla mercé dell’iniziativa<br />

del fallito, che ormai non gode della credibilità necessaria<br />

per suscitare e cogliere da terzi le opportunità del caso.<br />

Anche nel caso in cui il concordato riesca a concretarsi, difficilmente<br />

si avrà il risultato desiderabile.<br />

La nostra legge non prevede che i creditori possano assumere una<br />

autonoma iniziativa per proporre un concordato fallimentare. Essi,<br />

anche laddove fossero interessati al rilievo, devono passare attraverso<br />

l’iniziativa indispensabile del debitore fallito.<br />

Questa soluzione non appare ragionevole, perché i creditori sono<br />

i più interessati alla valorizzazione delle attività fallimentari ed alle<br />

residue prospettive produttive dell’azienda fallita. La mancanza di<br />

uno strumento del genere appare del resto in disarmonia con i principi<br />

sistematici del nostro ordinamento che legittimano, nell’esecuzione<br />

civile, ciascuno dei creditori concorrenti a domandare l’assegnazione<br />

del compendio pignorato.<br />

Esso è destinato a concorrere con quello tradizionale, su proposta<br />

del debitore, previsto dall’art. 124 legge fallim.<br />

Si tratta di uno strumento di realizzazione in più di quello che è<br />

attualmente previsto.<br />

Al fondo della proposta avanzata vi è la logica economica della<br />

conversione dei crediti in capitali di rischio.<br />

(3) Esso è stato presentato come disegno di legge n. 2814 durante la decima legislatura<br />

alla Presidenza del Senato e nella undicesima come disegno di legge n. 1225 alla Presidenza<br />

della Camera dei Deputati.


Scritti di Diritto Fallimentare 503<br />

Per il nuovo istituto si propongono le seguenti regole:<br />

A) Non si richiede che la domanda venga avanzata da tutti i creditori,<br />

in quanto da un lato ciò appare una evenienza piuttosto rara<br />

e difficile da verificarsi, e dall’altra non si ritiene giusto che una<br />

maggioranza di creditori possa imporre al singolo creditore di correre<br />

un’alea non voluta.<br />

A proporre la domanda può essere una cordata di creditori o anche<br />

uno solo o più tra essi.<br />

Nel caso di più offerte è preferita quella che offre maggiori prospettive<br />

di conservazione dell’impresa da rilevare.<br />

B) La domanda può essere avanzata anche attraverso meccanismi<br />

societari, quale una società controllata dal creditore offerente,<br />

o costituita allo scopo specifico del rilievo delle attività fallimentari.<br />

È auspicabile che il nostro ordinamento abbia a favorire la costituzione<br />

di società di creditori, con agevolazioni fiscali, per quanto<br />

riguarda il conferimento dei crediti in capitali di rischio ed il rilievo<br />

di attività, in analogia a quanto il progetto di riforma della legge<br />

fallimentare, elaborato nel 1984 dalla commissione Pajardi, ha<br />

previsto all’art. 39 in materia di amministrazione straordinaria.<br />

Codeste agevolazioni, del resto, appaiono indispensabili ad incentivare<br />

la conversione dei crediti in capitali di rischio e così ad assicurare<br />

una esenzione da una tassazione delle plusvalenze che dovessero<br />

evidenziarsi successivamente.<br />

Ciò in relazione allo scopo, non può apparire un sacrificio insopportabile,<br />

tanto più che il nostro sistema assicura codesta esenzione<br />

ai creditori in ordine alle perdite sui crediti.<br />

Quanto sopra è proposto all’art. 124 bis.<br />

C) La domanda deve assumere la forma e contenere le indicazioni<br />

prescritte dall’art. 124 in materia di concordato fallimentare<br />

su proposta del debitore.<br />

Oltre a tali indicazioni l’art. 124 ter, di cui si propone qui l’introduzione<br />

richiede che l’offerente produca una descrizione della<br />

propria situazione patrimoniale ed eventualmente anche del piano<br />

economico predisposto per la conservazione dell’azienda.<br />

A differenza di quanto previsto dall’art. 124, comma 1, legge fal-


504 Scritti di Diritto Fallimentare<br />

lim., non si richiede necessariamente l’offerta di garanzie in quanto<br />

esse possono rendersi non necessarie alla base della situazione<br />

patrimoniale dell’offerente.<br />

In questo senso la proposta corrisponde alle atipiche garanzie<br />

prospettate dal progetto Pajardi di riforma della legge fallimentare.<br />

Ovviamente, anche per i creditori proponenti, valgono le norme<br />

di cui all’art. 124, comma 2 e 3, legge fallim.<br />

D) Nei casi sopra considerati di concordato su iniziativa dei creditori,<br />

il giudice deve ovviamente sentire il debitore ed assegnargli<br />

un termine per sue eventuali osservazioni sulla domanda di concordato<br />

proposto.<br />

Questa previsione consegue alla circostanza che, nel concordato<br />

su proposta dei creditori, il debitore interessato e la sua collaborazione<br />

può assumere un ruolo positivo nell’interesse delle decisioni<br />

degli organi giurisdizionali.<br />

E) L’articolato proposto potrebbe essere del seguente tenore:<br />

«Art. 124 bis - Concordato su proposta dei creditori. - I creditori<br />

o taluno di essi possono domandare l’assegnazione delle attività<br />

fallimentari; mediante l’estinzione delle passività chirografiche,<br />

in via percentuale. L’assegnazione può essere disposta<br />

anche a favore di società da essi costituita a tale scopo o comunque<br />

da essi controllata.<br />

È preferita la domanda che offra maggiori garanzie di conservazione<br />

dell’impresa anche attraverso ristrutturazioni economiche e<br />

conversioni produttive.<br />

Art. 124 ter - Requisiti della domanda. - La domanda di concordato<br />

di cui all’art. 124 bis deve essere avanzata e contenere<br />

le indicazioni prescritte dall’art. 124 e deve altresì contenere la<br />

descrizione della situazione patrimoniale dell’offerente e del piano<br />

economico eventualmente predisposto per la conservazione<br />

dell’impresa».<br />

All’art. 125 è aggiunto infine il seguente comma: «Nel caso previsto<br />

dagli artt. 124 bis e 124 ter il giudice delegato sente altresì il<br />

debitore e gli assegna un termine non inferiore a venti giorni né superiore<br />

a trenta giorni dall’annata del provvedimento, per sue eventuali<br />

osservazioni».


Sul tempo,<br />

a cui riferire la determinazione del fabbisogno<br />

e la stima dell’attivo,<br />

nel concordato preventivo<br />

1. – È tuttora aperta la controversia sul problema quale sia il momento,<br />

al quale coordinare i requisiti di legge per omologare il concordato<br />

preventivo.<br />

Gli orientamenti sin qui emersi in giurisprudenza sul tempo di<br />

determinazione del fabbisogno non appaiono in una certa misura<br />

univoci.<br />

Una decisione del tribunale di Lecce 7 marzo 1972 in Dir. Fall.<br />

1972, II, 528 ha adottato il momento del decreto che ammette l’impresa<br />

al concordato, a sensi dell’art. 163 L.F.<br />

Invece le decisioni del tribunale di Alessandria 15 aprile 1985 in<br />

Fall. 1985, p. 972, dell’App. Torino 15 aprile 1986 in Fall. 1987, p.<br />

610, del trib. di Bologna 1 giugno 1987 in Dir. Fall. 1989, II, 600; del<br />

trib. Piacenza 13 giugno 1989 in Fall. 1989 p. 1251, hanno preso a<br />

riferimento la situazione esistente al momento dell’omologazione.<br />

Per quest’ultimo indirizzo, in dottrina: LO CASCIO, Concordato<br />

preventivo, p. 194; P. PAJARDI, Codice Fallimentare commentato,<br />

Milano 1997 sub art. 181 p. 1107; BONSIGNORI, Commentario<br />

Scialoja e Branca alla legge fallimentare, sub art. 181, p. 421.<br />

Il problema del tempo di riferimento è destinato ad acquistare<br />

particolare importanza nell’esame comparativo ai fini dell’omologa<br />

delle possibilità satisfattive offerte dal concordato preventivo e<br />

quelle alternative del realizzo fallimentare, per esprimere un giudizio<br />

di convenienza e perciò di preferenza per l’una o per l’altra<br />

Da «Il Diritto Fallimentare e delle Società Commerciali», 2001, I, p. 1120.


506 Scritti di Diritto Fallimentare<br />

(Cass. Civ. 12 luglio 1991 in Giur. It. 1992, I, 1, 1117; Cass. Civ. 13<br />

dicembre 1989 n. 5568 tra le altre e in dottrina: G. RAGUSA MAG-<br />

GIORE, Diritto fallimentare, II, Napoli 1974, 1056; BONSIGNORI, in<br />

Commentario Scialoja e Branca, p. 417; P. PAJARDI, Codice del fallimento,<br />

p. 1106-1107; LO CASCIO, Concordato preventivo, 1986).<br />

Tra le due soluzioni alternative, cioè quella di riferirsi al tempo<br />

dell’ammissione alla procedura o a quello dell’omologa, la recente<br />

decisione di App. Milano Sez. IV, n. 2566/2000 Pres. est. Micinelli<br />

nella causa Burro Lago Monate contro Fall.to id. e Banco Ambro<br />

Veneto, ha confermato il diniego di omologa del giudice di 1° grado<br />

con la motivazione che il fabbisogno deve essere determinato<br />

«aggiungendo gli interessi sui debiti privilegiati e prededucibili, con<br />

un calcolo proiettato nel futuro, non essendo bloccato il loro corso<br />

con una previsione di stima all’epoca dei riparti».<br />

È ovvio che il medesimo criterio, se vale per stabilire il fabbisogno<br />

deve essere adottato anche per determinare la stima dei<br />

beni che vengono offerti ai creditori, nel caso che si tratti di concordato<br />

preventivo con cessio bonorum, perché il giudizio di convenienza<br />

è unico.<br />

In questo senso: Cass. Civ. 17 settembre 1993, n. 9580 in Dir.<br />

fall. 1994, II, 234.<br />

2. – L’autore di queste righe ritiene che il requisito del concordato<br />

preventivo che concerne la convenienza economica per i creditori<br />

deve essere determinato con riferimento ad un unico e identico<br />

momento, come è quello dell’ammissione alla procedura a<br />

sensi dell’art. 163 L.F.<br />

La interpretazione letterale e logica della normativa non consente<br />

di identificare un criterio diverso.<br />

Esso non può riferirsi alla pronuncia dell’omologa, perché<br />

questo provvedimento, come esprime lo stesso verbo non ha carattere<br />

ed effetto costitutivo ma di verifica e conferma di un giudizio<br />

precedente.<br />

Esso in ogni caso richiederebbe che la omologa sia passata in giudicato<br />

e ciò si tradurrebbe nel rimettere la determinazione del fabbisogno<br />

alla mercè del creditore che si oppone.<br />

L’opinione che determina il fabbisogno, aggiungendo gli interessi,<br />

che vanno a maturare sui crediti privilegiati o prededucibili,


Scritti di Diritto Fallimentare 507<br />

dopo l’ammissione al concordato, fino al giudicato di omologa, fa<br />

slittare – a mio avviso – senza ragione l’ammontare del fabbisogno<br />

ad un aumento successivo, che non è neppure prevedibile.<br />

Tanto meno può adottarsi un criterio addirittura posteriore<br />

all’omologa, come è quello dei riparti successivi, che è stato stabilito<br />

dalla decisone da ultimo indicata e che non sono neppure<br />

prevedibili.<br />

Nel caso in cui si abbiano dei debiti di valore, come ad es. il risarcimento<br />

del danno, che postulano il cumulo di rivalutazione e di<br />

interessi, secondo la giurisprudenza da noi formatasi, pur dissentita<br />

da chi scrive la determinazione del fabbisogno risulterebbe addirittura<br />

impossobile.<br />

Il criterio di riferimento all’omologa, ove fosse accolto, dovrebbe<br />

essere applicato anche alla stima dei beni che sono offerti<br />

ai creditori nel concordato con cessio bonorum ed esso postulerebbe<br />

una continua mutevolezza nel tempo della stima dell’attivo,<br />

con il variare dei loro valori al rialzo e al ribasso, così che il<br />

suo rapporto con il fabbisogno, ed in ultima analisi il giudizio di<br />

convenienza, sarebbe continuamente rimesso in discussione con<br />

il trascorrere del tempo.<br />

Il tempo di riferimento non può essere neppure quello dell’approvazione<br />

ex art. 174 L.Fall., perché i creditori sono salvaguardati<br />

nell’esprimere un giudizio di convenienza, dalla loro facoltà di negare<br />

l’approvazione invece di concederla.<br />

L’approvazione dei creditori, ove da essi accordata, mostra tuttavia<br />

quale sia la loro valutazione comparativa del risultato da essi<br />

previsto del realizzo concordatario rispetto a quello fallimentare,<br />

dato che essi sono direttamente interessati, e perciò i più informati<br />

e competenti. Non appare ragionevolmente che il giudice presti protezione<br />

ad interessi contro le convinzioni dei loro titolari, col rischio<br />

di deluderne le aspettative satisfative e di provocarne le reazioni.<br />

La pronuncia del giudice che omologa il concordato d’altro canto<br />

avviene «ora per allora» (per quest’ultimo termine s’intende il<br />

momento ex art. 163 L.Fall.) e non «ora per ora» come è implicito<br />

nel partito di chi assume a tempo il riferimento del fabbisogno e della<br />

stima il momento della pronuncia di omologa ed a fortiori quello<br />

del suo passaggio in giudicato o addirittura dell’adempimento<br />

posteriore, da cui si dissente.


Appendici


Corrispondenza con illustri giuristi


512 Appendici<br />

Francesco Carnelutti, 1 aprile 1952


Enrico Allorio, 24 maggio 1949<br />

Appendici 513


514 Appendici


Enrico Allorio, 23 gennaio 1958<br />

Appendici 515


516 Appendici<br />

Enrico Allorio, 28 dicembre 1988


Enrico Tullio Liebman, 13 giugno 1952<br />

Appendici 517


518 Appendici<br />

Enrico Tullio Liebman, 17 dicembre 1952


Enrico Tullio Liebman, 22 novembre 1984<br />

Appendici 519


520 Appendici<br />

Carlo Scialoja, 14 aprile 1954<br />

Carlo Scialoja, 4 luglio 1955


Carlo Scialoja, 21 agosto 1954<br />

Appendici 521


522 Appendici<br />

Carlo Scialoja, 14 luglio 1955


Tito Carnacini, 25 novembre 1952<br />

Appendici 523


524 Appendici<br />

Tito Carnacini, 30 marzo 1953


Tito Carnacini, 28 aprile 1953<br />

Appendici 525


526 Appendici<br />

Renzo Provinciali, 25 luglio 1952<br />

Renzo Provinciali, 7 ottobre 1955


Renzo Provinciali, 29 novembre 1965<br />

Appendici 527


528 Appendici<br />

Paolo D’Onofrio, 20 dicembre 1954


Appendici 529<br />

Salvatore Galgano, 18 febbraio 1955<br />

Adolfo Beria di Argentine, 7 aprile 1980


530 Appendici<br />

Giuseppe Tarzia, 11 aprile 1988


Giuseppe Grechi, 7 maggio 1988<br />

Appendici 531


532 Appendici<br />

Universiteits-Bibliotheek, Amsterdam, 5 febbraio 1982


Yale Law School, New Haven (USA), 14 luglio 1994<br />

Appendici 533


534 Appendici<br />

University Library, Cambridge (GB), 30 gennaio 1987


536 Appendici<br />

Presentazione del volume “Ricordi”<br />

Il 25 gennaio 2005, nell’Aula Magna dell’Università degli Studi<br />

dell’Insubria di Varese, è stato presentato il volume di <strong>Giovanni</strong><br />

<strong>Valcavi</strong>, Ricordi. Vita professionale e pubblica per il diritto e per<br />

Varese, Nicolini Editore, alla presenza di illustri relatori: Renzo<br />

Dionigi, rettore dell’Università dell’Insubria, Paolo Mantegazza,<br />

rettore emerito dell’Università degli Studi di Milano, Alberto<br />

Sdralevich, prorettore dell’Università dell’Insubria, Roberto Pardolesi,<br />

direttore della rivista giuridica “Il Foro Italiano”, Giuseppe<br />

Armocida, docente all’Insubria e presidente della Società Storica<br />

Varesina, <strong>Giovanni</strong> Rizzi, dell’Associazione Amici della Banca<br />

Popolare di Luino e di Varese.<br />

Pardolesi, <strong>Valcavi</strong>, Mantegazza, Armocida, Rizzi


Appendici 537<br />

Lettera del 20 gennaio 2005 con cui il Capo dello Stato On. Carlo Azelio<br />

Ciampi esprime il suo apprezzamento per l’opera dell’avv. <strong>Giovanni</strong> <strong>Valcavi</strong>.


538 Appendici<br />

Discorso del prof. Mantegazza – già Rettore Magnifico dell’Università<br />

degli Studi di Milano<br />

Sono veramente lieto di poter brevemente esprimere alcune considerazioni<br />

sul libro “Ricordi” del caro amico avv. <strong>Valcavi</strong>.<br />

Un libro che ho letto con vivo interesse apprezzandone il contenuto:<br />

scritto in modo chiaro e lineare tanto da rendere piacevole<br />

ed immediata la lettura e tenere costantemente viva l’attenzione.<br />

Credo che il modo coinvolgente di raccontare i fatti, caratteristica<br />

fondamentale del libro, trovi le radici nella lunga, qualificata,<br />

stimata e brillante attività professionale del <strong>Valcavi</strong>, attività che<br />

richiede tra l’altro la capacità di saper comunicare, anche per<br />

iscritto, in modo semplice ma efficace.<br />

D’altra parte il <strong>Valcavi</strong> ha sempre amato scrivere. Già da studente<br />

universitario, quando era segretario della Federazione Provinciale<br />

dei giovani socialisti di Varese, tenne a battesimo il settimanale<br />

“l’Umanità” e collaborò assiduamente anche con la rivista<br />

“Critica Sociale”, fondata da Filippo Turati.<br />

La sua cultura, la ricchezza di idee e la passione per lo scrivere<br />

fece sì che egli, dopo aver conseguito la laurea in Giurisprudenza<br />

alla Statale di Milano, collaborasse attivamente alla “Rivista<br />

di Diritto Processuale”, diretta allora dal prof. Liebman, a quella<br />

di “Giurisprudenza Italiana” diretta dal prof. Allorio e alla<br />

“Rivista di Diritto Civile” diretta dal prof. Trabucchi dell’Università<br />

di Padova. Grazie a questi apprezzati scritti l’Università<br />

avrebbe desiderato, ed in particolar modo il prof. Betti, che il<br />

<strong>Valcavi</strong> percorresse una carriera accademica: egli ha invece preferito<br />

dedicarsi alla libera professione.<br />

Non saprei dire a quale genere letterario appartenga questo libro<br />

che, fatto non comune, è arricchito da numerose testimonianze,<br />

che ne commentano e ne integrano il contenuto rendendo più<br />

viva, più interessante e coinvolgente la lettura. Verrebbe pertanto<br />

da dire che è un libro scritto a più mani, un libro che in coloro<br />

che hanno vissuto più o meno direttamente (e sono molti) gli<br />

avvenimenti narrati, saprà risvegliare lontani sopiti ricordi e destare<br />

immancabili emozioni. È, comunque, una sintesi della propria<br />

vita raccontata con impegno, puntualità e soprattutto con<br />

molta obiettività: una vita costellata di onerose responsabilità, di


Appendici 539<br />

grandi gratificazioni, di meritate vittorie, ma anche di difficoltà<br />

ed amarezze, di speranze e delusioni.<br />

Credo che nel lettore nasca spontaneo chiedersi perché il <strong>Valcavi</strong><br />

abbia voluto raccogliere queste memorie. All’interrogativo ha appena<br />

risposto esaurientemente egli stesso introducendo questa<br />

giornata. Io vorrei invece ulteriormente sottolineare che non c’è<br />

nulla nel testo che faccia nascere il sospetto che <strong>Valcavi</strong> abbia voluto<br />

autocelebrarsi. Colpisce anzi il fatto che egli descrive gli episodi<br />

vissuti più da spettatore che da protagonista, senza mai enfatizzare<br />

il ruolo svolto. Infatti non perde mai l’occasione di mettere<br />

in evidenza, con molta generosità, i meriti di coloro che gli<br />

sono stati a fianco e che con lui hanno vissuto e vinto non facili<br />

battaglie.<br />

Ritengo quindi che il <strong>Valcavi</strong> abbia scritto questo libro unicamente<br />

per mettere in giusta luce episodi vissuti, talvolta con intensa<br />

partecipazione, dalla cittadinanza di Varese e per consentire<br />

una più completa, corretta ed oggettiva interpretazione di avvenimenti<br />

noti finora quasi esclusivamente attraverso versioni<br />

giornalistiche.<br />

Pertanto sento di poter completamente condividere l’opinione del<br />

prof. Armocida, Presidente della Società Storica Varesina, il quale<br />

conclude la sua bella presentazione del libro dicendo: “Le memorie<br />

raccolte in questo libro sono una fonte preziosa di informazioni<br />

e un documento indispensabile per avvicinarsi a capitoli<br />

ancora non esplorati delle nostre più recenti vicende e la Società<br />

Storica Varesina è ben lieta di salutarne oggi la pubblicazione”.<br />

Mi piace, in proposito, anche ricordare che il <strong>Valcavi</strong> ha recentemente<br />

scritto “La storia della nascita dell’Università a Varese”:<br />

una raccolta degli episodi più significativi che hanno permesso il<br />

raggiungimento di questo obiettivo grazie al ruolo sicuramente<br />

essenziale da lui svolto. Mi permetterei in merito di sottolineare<br />

che senza il suo contributo l’Università di Varese forse non sarebbe<br />

mai nata.<br />

Mi auguro che egli possa un giorno rallegrarsi nel vedere le sue<br />

memorie, i suoi libri diventare preziose fonti di consultazione per<br />

gli storici che rivolgeranno l’attenzione agli avvenimenti vissuti<br />

dalla città di Varese.


540 Appendici<br />

Intervento del prof. Roberto Pardolesi – Direttore della Rivista<br />

di Diritto “Il Foro Italiano” e Ordinario all’Università<br />

Luiss di Roma<br />

1. Di <strong>Giovanni</strong> <strong>Valcavi</strong>, delle sue molte doti di uomo, professionista,<br />

politico (e quant’altro) è stato sin qui fornito un quadro<br />

minuzioso, caratterizzato da una cifra che, con qualche concessione<br />

al riduzionismo, potrei definire della “territorialità”. L’attività<br />

di <strong>Giovanni</strong> <strong>Valcavi</strong>, la sua storia personale, sono state ricostruite,<br />

non senza punte di vivida commozione, in una prospettiva<br />

che lo lega ai luoghi che lo hanno visto protagonista in<br />

prima persona: vicende, eventi, contingenze che il pubblico di<br />

questa sala sentiva e sente come proprie.<br />

Non c’è nulla che io abbia ad aggiungere a questa chiave di lettura<br />

del personaggio. Vengo da lontano, ho poca dimestichezza –<br />

e molto me ne rammarico – con Varese, con i luoghi circostanti,<br />

con la trama sociale che l’innerva e la rende così vivida. Ma un<br />

contributo alla conoscenza dell’uomo mi è, tuttavia, possibile<br />

fornirlo, anche se da una prospettiva diversa, forse più asettica,<br />

ma non per questo priva, io credo, d’un qualche interesse. Vi posso<br />

parlare di <strong>Giovanni</strong> <strong>Valcavi</strong> scrittore di cose giuridiche.<br />

2. Vi spiego perché. Da molti lustri mi è stata affidata la responsabilità<br />

della sezione civilistica (nonché della parte relativa all’antitrust)<br />

di una prestigiosa rivista giuridica, direi – con qualche<br />

orgoglio di bottega – “la” rivista per eccellenza, il risalente<br />

ma per niente vetusto Foro italiano. Ciò implica molte scelte, difficili<br />

quando non dolorose. Fra le quali, quella di dire: no, grazie.<br />

Proprio così, fra i miei compiti figura quello del buttafuori.<br />

Tocca a me valutare se un articolo o una nota a sentenza in materia<br />

civilistica, sottoposti alla direzione della rivista, meritino, o<br />

non, la pubblicazione. Ovvio che tante, troppe volte si debba rispondere<br />

negativamente; altrettanto scontato che, quante volte lo<br />

si fa, i toni cortesi con cui tenti di spiegare perché lo scritto non<br />

interessa non ti mettono al riparo dal risentimento convinto di chi<br />

si vede opporre un rifiuto. In questo modo, nemmeno a dirlo, mi<br />

sono fatto tanti nemici, perché, appunto, ho detto no, senza guardare<br />

in faccia a nessuno.<br />

Le cose vanno, grosso modo, così. Ricevo un lavoro e, appena


Appendici 541<br />

possibile, lo vaglio col massimo distacco di cui sono capace: il che<br />

significa, in soldoni, non lasciarsi punto influenzare dalla firma,<br />

prestigiosa o ignota, dell’autore. Tutto semplice se il giudizio è<br />

positivo; semplice ancora, ma sanguinoso, se lo scrutinio ha esito<br />

irreversibilmente negativo; a dir poco complicato se il discorso<br />

si avvita su un apprezzamento contornato da rilievi critici, che<br />

mi spingono a tentare un difficile dialogo con il padre, di norma<br />

gelosissimo, della creatura sotto esame.<br />

3. <strong>Giovanni</strong> <strong>Valcavi</strong> venne a me come tutti gli altri. Nessun canale<br />

diretto, nessun ammiccamento: giusto una nota a sentenza,<br />

passatami routinariamente dalla direzione. Accadde cinque lustri<br />

fa, ma ricordo ancora distintamente la mia reazione, a mezza via<br />

fra lo sconcerto e la fascinazione. Sconcerto perché la prosa di<br />

<strong>Giovanni</strong> <strong>Valcavi</strong> poco concedeva all’eleganza, anzi sembrava disdegnarla<br />

per principio. Fascinazione per la forza delle idee presentate.<br />

Mi spiego. Non era lontana l’eco dei miei studi in quel di<br />

Chicago. Avevo assistito alle prove generali di quella che, di lì a<br />

poco, sarebbe stata la ‘presa di potere’ – concettuale, s’intende,<br />

anche se destinata a tradursi in ripercussioni, a livello di politica<br />

del diritto, di enorme spessore – ad opera di un manipolo di studiosi<br />

fin lì normalmente liquidati come una lunatic fringe: molto<br />

meno, dunque, di una minoranza eccentrica. Nell’arco di pochi<br />

anni, quella stessa pattuglia avrebbe cominciato a fare incetta di<br />

premi Nobel e ad esercitare un’influenza preponderante sul pensiero<br />

giuridico nord-americano, assumendo i contorni – magari<br />

vituperati, ma di straordinaria consistenza – della Scuola di Chicago.<br />

Avevo, così, metabolizzato molte cose, che andavano ben al<br />

di là del tradizionale bagno di common law, tipico delle esperienze<br />

di studio d’Oltre Manica o Atlantico. Avevo, soprattutto,<br />

cominciato ad assorbire gli insegnamenti di analisi economica del<br />

diritto, destinati a scompaginare il quadro sin lì ricevuto e a riformularlo<br />

in modo inopinato – algebra e pandette! –, ma assai coeso<br />

e provvido di aperture capaci di offrire il destro a rivisitazioni<br />

(decisamente innovative) di loci classici ormai quasi consunti<br />

dall’uso passivo e dalla ripetitività tralatizia. Ebbene, con mia<br />

grande sorpresa, <strong>Giovanni</strong> <strong>Valcavi</strong> arrivava, da posizioni e con<br />

strumenti molto diversi da quelli in mio possesso, alle stesse conclusioni<br />

che mi era parso di poter delineare, facendo tesoro del


542 Appendici<br />

mio retroterra privilegiato.<br />

Mi risolsi, allora, ad onorare il merito; e misi le mani nel contributo,<br />

per correggere alcune espressioni troppo scoscese e semplificare<br />

frasi in odore di eccessiva prolissità: l’una e l’altra forma<br />

d’intervento mi sembravano necessarie per assicurare al lavoro la<br />

presa che il torno, nitido, delle idee sottese postulava. Direte: così<br />

si viola il diritto morale dell’autore all’integrità dell’opera; ed è<br />

forse per questo che i miei interventi vengono spesso accolti con<br />

– mi rifugio nell’eufemismo – tiepidezza. Non fu così per <strong>Giovanni</strong><br />

<strong>Valcavi</strong>. Gli rimandai la nota, rimaneggiata a fin di bene;<br />

ne ebbi una risposta di asciutto (ma avrei scoperto poi: sincero)<br />

ringraziamento.<br />

4. Fu l’inizio di un affaire, mai veramente interrotto. <strong>Giovanni</strong><br />

<strong>Valcavi</strong> ha continuato a scrivere sulle colonne del Foro italiano,<br />

e su altre riviste giuridiche, con uno stile che, talora, gridava vendetta<br />

al cielo, usando l’ “a capo” al posto del punto, rovesciando<br />

accenti acuti e gravi, impiegando circonlocuzioni troppo elaborate<br />

– dai tre e più genitivi in fila ad altre asperità – , che avrebbero<br />

risvegliato le ire di critici ben più tolleranti di Mérimée: ma<br />

la profondità del pensiero continuava a dispiegare, in ogni pagina,<br />

una sussiegosa capacità di catturare il lettore in un avviluppo<br />

di considerazioni che avrebbero finito con lo spianare qualunque<br />

resistenza. Io, per parte mia, ho continuato a correggerlo;<br />

e <strong>Giovanni</strong>, dando prova di intemerata umiltà, ad accettare le<br />

correzioni che non stravolgessero l’identità del suo pensiero.<br />

Di questa long-lasting relationship sono molto fiero. Appartiene<br />

senza incertezze al ristretto novero dei ricordi – quelli davvero<br />

preziosi – che porterò in ogni caso con me.<br />

5. Di là dalla dimensione soggettiva, peraltro, il portato dell’elaborazione<br />

scientifica di <strong>Giovanni</strong> <strong>Valcavi</strong> è sotto gli occhi di tutti.<br />

Non compete a me parlarvi della sua produzione sul versante<br />

processualistico: produzione che pure mi sembra alquanto impressiva.<br />

Ma posso certamente parlarvi di come il nostro autore<br />

abbia contribuito a disperdere ambiguità ed opacità in materia<br />

di obbligazioni pecuniarie: argomento impervio, che nelle mani<br />

di <strong>Giovanni</strong> <strong>Valcavi</strong> è sempre stato dipanato con lucido controllo<br />

e chiarezza d’orizzonti. Sarei tentato di entrare nel dettaglio,<br />

ma temo che, per questa via, finirei con l’annoiare un pubblico


Appendici 543<br />

che non merita punizioni così gravi; sicché ritengo più utile limitarmi<br />

a rilevare che le idee di <strong>Giovanni</strong> <strong>Valcavi</strong> – talora fieramente<br />

avversate, qualche volta non appieno comprese – hanno finito<br />

per spostare il baricentro del discorso: ed è proprio quella la frontiera<br />

su cui oggi si misura la dottrina più accorsata. Valga il vero:<br />

pochi giorni fa, in nota ad una sentenza non ancora edita, un giovane<br />

annotatore faceva il punto della situazione e constatava che<br />

la scelta interpretativa doveva in ogni caso fare i conti con la posizione,<br />

da sempre propugnata da <strong>Giovanni</strong> <strong>Valcavi</strong>, che la distinzione<br />

fra crediti di valuta e di valore sia posticcia e fuorviante,<br />

atta a creare più guasti di quanti contribuisca a risolverne.<br />

6. La forza delle idee resta, di là dagli anni. E <strong>Giovanni</strong> <strong>Valcavi</strong>,<br />

scrittore giuridico aspro ma profondo, ha profuso tesori di saggezza<br />

scientifica e forgiato idee destinate a durare nel tempo.<br />

Intervento del prof. Alberto Sdralevich – Professore di Economia<br />

all’Univesità degli Studi dell’Insubria di Varese<br />

L’Avvocato <strong>Valcavi</strong> è stato testimone privilegiato, e molto spesso<br />

coinvolto in prima persona, nelle vicende che hanno segnato la<br />

storia dell’economia e della società varesina durante la seconda<br />

metà del secolo scorso. I suoi “Ricordi” sono un resoconto di questa<br />

partecipazione, e una miniera di aneddoti e di annotazioni<br />

personali.<br />

Va detto che, se le attività varesine sono al centro dei “Ricordi”,<br />

le sortite di <strong>Valcavi</strong> da questo mondo in cui è radicato non sono<br />

trascurabili, né le pagine ad esse dedicate le meno interessanti.<br />

Anzi, quando parla di persone e luoghi lontani, o di viaggi – forse<br />

per via dell’eccitazione prodotta dall’uso del mezzo aereo, che<br />

sembra detestare – si direbbe che <strong>Valcavi</strong> trovi una vena più libera,<br />

a volte quasi lirica: come quando racconta dei suoi rapporti<br />

con Edmond Rotschild, o con i fratelli Gucci (Rodolfo e Aldo,<br />

“l’americano”) o del suo viaggio in Giappone e della signorina<br />

Iudiko.<br />

Io mi limiterò alla dimensione locale, e alle vicende economiche;<br />

ma anche così sarebbe impossibile dare in qualche minuto un


544 Appendici<br />

quadro completo del materiale che i “Ricordi” ci forniscono. Toccherò<br />

soltanto, e con accenni brevissimi, due temi che anche oggi<br />

sembrano centrali per il futuro della città e della provincia: la<br />

scomparsa delle attività tradizionali, la perdita delle banche locali.<br />

La chiusura del Calzaturificio di Varese e quella della Banca di<br />

Luino sono qualcosa di più di due episodi dei “Ricordi”. A me<br />

paiono i due termini, anche temporali, tra i quali si tendono la<br />

preoccupazione ed il pessimismo di <strong>Valcavi</strong> circa le sorti del territorio<br />

varesino: e sono questi i sentimenti che dominano la seconda<br />

parte delle sue memorie.<br />

I “Ricordi” dedicano parecchie pagine interessanti alla vicenda<br />

del Calzaturificio di Varese: l’uscita della famiglia Trolli (prima<br />

Pierluigi e poi Marco), l’allargamento della partecipazione azionaria<br />

ad Aldo Ravelli; il passaggio della maggioranza al gruppo<br />

Benetton, la sorprendente vicenda della liquidazione sottocosto<br />

degli stock, e poi le controversie giudiziarie che opposero i vecchi<br />

soci al nuovo, ma non impedirono la scomparsa del nome e<br />

dell’azienda varesina.<br />

Vicenda esemplare non soltanto perché si tratta della prima, o<br />

delle prime imprese varesine tradizionali a passare sotto controllo<br />

esterno (in questo caso per essere poi rapidamente azzerata)<br />

ma anche perché la crisi coincide con il cambio generazionale e<br />

con la difficoltà o l’incapacità, o l’impossibilità, di adeguare il<br />

modello di controllo e gestione famigliare alle nuove esigenze. Un<br />

tema classico di studio per gli economisti aziendali che si occupano<br />

delle piccole e medie imprese del territorio.<br />

L’impegno di <strong>Valcavi</strong> nel mondo bancario è stato il secondo pilastro<br />

della sua attività, insieme a quello della professione. Ha fatto<br />

parte del Consiglio di amministrazione della Banca Popolare<br />

di Milano dal 1964 al 1975, e in questa veste per cinque anni è<br />

stato componente del Comitato direttivo della Confédération Internationale<br />

du Crédit Populaire; vicepresidente della Banca Privata<br />

Edmond de Rotschild di Lugano dal 1972 al 1976; membro<br />

del Consiglio di amministrazione della Banca Popolare di Luino<br />

dal 1966 al 1988 e presidente dall’88 al ‘96.<br />

Negli anni centrali della sua vita, si è trovato in una posizione che<br />

da un lato lo rendeva partecipe delle necessità e dei problemi del


Appendici 545<br />

territorio, dall’altro lo esponeva a idee e ad ambizioni non provinciali.<br />

Credo che la dialettica tra questi due poli possa spiegare<br />

parecchio della sua personalità.<br />

La relazione tra <strong>Valcavi</strong> e la Banca Popolare di Luino è durata<br />

trent’anni. Il suo libro ci descrive le difficoltà e le strategie seguite<br />

in quel periodo: l’ammodernamento della gestione (è notevole<br />

che <strong>Valcavi</strong>, uomo di diritto, dedichi tanta attenzione ai problemi<br />

organizzativi e all’introduzione di tecniche informatiche, sia<br />

nell’ambito delle sue responsabilità nella Banca di Luino e della<br />

Popolare di Milano, sia come presidente dell’Ospedale di Circolo);<br />

lo sviluppo delle attività nel basso varesotto e nell’alto milanese,<br />

il tentativo di costruire una rete di collaborazione con le altre<br />

banche minori che consentisse il rafforzamento senza la perdita<br />

di identità; i rapporti con le banche minori che consentisse<br />

il rafforzamento senza la perdita di identità; i rapporti con le<br />

banche svizzere.<br />

Quanto conta, in un mondo globalizzato, la presenza di banche<br />

“locali” per la crescita del territorio? Se ne può discutere, e si può<br />

concludere che alla fine è la vitalità del territorio che giustifica il<br />

radicamento di una banca e non il contrario; oppure – ancor più<br />

semplicemente – che quando mancano le convinzioni oggettive,<br />

sociali, culturali per lo sviluppo di attività di impresa, è naturale<br />

che neppure siano presenti quelle necessarie a far nascere e<br />

prosperare una banca.<br />

Come che sia, mi par difficile dissentire da <strong>Valcavi</strong> quando vede<br />

una perdita difficilmente rimediabile nella scomparsa dell’unica<br />

banca varesina superstite.<br />

La vicenda è storia recente, e non mi stupirei se non tutti condividessero<br />

la lettura di <strong>Valcavi</strong>, parte in causa nel senso proprio<br />

del termine; e forse pochi condivideranno fino in fondo la sua<br />

amarezza. Ma nessuno potrà contestare la rilevanza della sua ricostruzione,<br />

anche in particolari che a qualcuno non fanno onore;<br />

e mi pare anche difficile che si possano mettere in dubbio il<br />

coraggio, la tenacia, e soprattutto la ferma convinzione di operare,<br />

al di là di interessi personali, per la difesa di una tradizione e<br />

di una identità collettiva. E poi, lasciatemelo dire: <strong>Valcavi</strong> non è<br />

il marchese di Saint Simon (del resto neanche Varese è Versailles),<br />

la sua prosa sempre chiara è spesso affrettata, a volte persi-


546 Appendici<br />

no sciatta, ma queste descrizioni dei retroscena, queste battaglie<br />

viste con gli occhi del protagonista, anche il rifiuto del distacco<br />

che in qualche caso il tempo o la prudenza giustificherebbero;<br />

tutto questo è per me lettura affascinante, e per lo storico materiale<br />

prezioso.<br />

Ho toccato due temi importanti per le sorti del territorio varesino,<br />

ma ve ne sarebbero altri. Per esempio, quello dell’isolamento.<br />

I “Ricordi” rievocano il tentativo interessante di approfittare<br />

dei progetti svizzeri di raddoppio della linea del Gottardo, con un<br />

intervento sul tratto meridionale della ferrovia, rivitalizzando la<br />

stazione di Luino. La prospettiva era quella di aprire il collegamento<br />

diretto Novara-Genova, dando per scontato che Lugano<br />

sarebbe stato il terminale del traffico su Milano.<br />

L’aspetto più notevole di questa storia mi sembra la costituzione<br />

di una società cui partecipavano la Banca di Luino, la Camera di<br />

Commercio, la Provincia di Varese, e poi aziende private tra cui<br />

la Impregilo. <strong>Valcavi</strong> (che era allora nella Giunta della Camera)<br />

ne ebbe la presidenza. Non sono in grado di valutare se l’esperimento<br />

sia fallito per l’evoluzione delle circostanze di fatto, o per<br />

altre ragioni; si tratta però di una iniziativa importante, e dubito<br />

che dopo di allora sia stato fatto un tentativo di questo livello.<br />

Armocida e il prof. Mantegazza hanno ricordato l’attività di <strong>Valcavi</strong><br />

per la nascita dell’Università, e per quella della Facoltà di<br />

Medicina in particolare. Mi sembra giusto aggiungere una nota a<br />

proposito della Facoltà di Economia. Se nel caso di Medicina l’interesse<br />

di <strong>Valcavi</strong> era almeno in parte sostenuto da motivazioni<br />

istituzionali (<strong>Valcavi</strong> era allora presidente dell’Ospedale di Circolo),<br />

mi ha sempre colpito la sua attenzione per la Facoltà di<br />

Economia, che nasceva da una precisa consapevolezza delle esigenze<br />

del territorio varesino, ma anche, credo, da altre motivazioni<br />

di cui dirò tra un attimo.<br />

Consentitemi una nota personale: la prima bozza della delibera<br />

che avrebbe portato alla richiesta dell’istituzione della Facoltà da<br />

parte del Senato Accademico di Pavia è stata stesa materialmente<br />

da me insieme a <strong>Valcavi</strong>, che premeva impaziente, su un tovagliolo<br />

di carta del ristorante Montello.<br />

Con tutto questo, dai “Ricordi” trapela qualche volta una sana<br />

diffidenza per il mondo accademico. Scrive, a proposito delle di-


Appendici 547<br />

scussioni nell’ambito della Commissione Tarzia per la riforma del<br />

Codice di procedura civile, e dei loro esiti deludenti: “Ciò mi ha<br />

ulteriormente convinto che laddove si voglia riformare una legge<br />

occorre badare che non sia preminente la componente universitaria,<br />

legata a schemi teorici”. E aggiunge sornione: “A mio avviso,<br />

gli universitari dovrebbero avere come compito principale<br />

quello di insegnare ai loro allievi”.<br />

Forse proprio questo atteggiamento critico, indirizzato soprattutto<br />

verso l’area giuridica, aiuta a spiegare il suo atteggiamento<br />

nei confronti della facoltà di Economia: dove si può pensare che<br />

lo studio del diritto sia più raramente separato dall’attenzione<br />

allo svolgersi e al combinarsi degli interessi che le regole giuridiche<br />

devono tutelare.<br />

Io mi sento personalmente debitore a <strong>Valcavi</strong> non solo per il suo<br />

ruolo nella nascita del nostro ateneo e della Facoltà di Economia<br />

in particolare, ma per l’attenzione costante, premurosa e lucida,<br />

con cui della Facoltà ha seguito i primi passi, e poi la crescita:<br />

informandosi, suggerendo, stimolando, criticando. Ho sempre<br />

creduto nelle nostre iniziative, prima e più che del sostegno materiale.<br />

Anche per questo il libro di <strong>Valcavi</strong> mi riguarda da vicino, e anche<br />

per questo ho accettato volentieri di partecipare a questa presentazione.<br />

Vi è però qualcosa di più. Perché, se le memorie sono<br />

la registrazione di una serie di fallimenti e di sconfitte per Varese<br />

e il suo territorio, è alla fine soltanto nell’Università (nei suoi<br />

docenti, nel personale, e soprattutto negli studenti) che <strong>Valcavi</strong><br />

sembra vedere ancora una possibilità per il futuro.<br />

Possiamo soltanto augurarci che non si sbagli, e che, per la nostra<br />

parte di responsabilità, siamo in grado di rispondere alle sue<br />

speranze.<br />

Ad un certo punto della vita, quando ci pare che i giochi siano<br />

fatti, può diventare irresistibile il bisogno di fissare per iscritto la<br />

propria storia: di spiegare quello che si è fatto, di non lasciare che<br />

di sé rimanga un’immagine che ci pare sfuocata o addirittura falsa,<br />

insomma il bisogno di ridefinire una identità che soltanto a<br />

noi pare davvero di conoscere.<br />

Nei “Ricordi” troviamo anche questo. Ma l’uomo non è incline<br />

alle introspezioni, e non va cercando simpatie. La sua prosa, non


548 Appendici<br />

per caso, non aspira all’eleganza. <strong>Valcavi</strong> è uomo (e scrittore) di<br />

battaglia: se il rischio è di farsi dei nemici, non si tira indietro.<br />

Le sue memorie sono sincere, compromettenti, spesso dure, a volte<br />

aggressive. Di certo <strong>Valcavi</strong> le considera soprattutto come l’ultimo<br />

in ordine di tempo dei mezzi per combattere una guerra –<br />

durata tutta la seconda metà del secolo – per le istituzioni, per<br />

far crescere Varese, e poi per impedirne il declino: guerra contro<br />

la perdita di controllo a favore di poteri esterni, contro la miopia<br />

dei gruppi locali, contro le piccinerie e le pigrizie mentali. Guerra<br />

per lo più solitaria, scomparsi i personaggi della “seconda generazione”.<br />

E forse neppure riproponibili i loro obiettivi.<br />

Si può essere d’accordo oppure no con <strong>Valcavi</strong> su molte questioni;<br />

in ogni caso nei suoi “Ricordi” c’è molto che merita attenzione<br />

e meditazione da parte di tutti noi. Scriveva Calvino: “La memoria<br />

conta veramente – per gli individui, le collettività, le civiltà<br />

– non solo se tiene insieme l’impronta del passato e il progetto del<br />

futuro, se permette di fare senza dimenticare quel che si voleva<br />

fare, di diventare senza smettere di essere, di essere senza smettere<br />

di diventare”.<br />

Intervento del prof. Giuseppe Armocida – Professore Università<br />

degli Studi dell’Insubria di Varese e Presidente della<br />

Società Storica Varesina di Varese<br />

<strong>Giovanni</strong> <strong>Valcavi</strong> è un uomo dall’animo lieto e dai sentimenti sereni,<br />

tra gli amici, le autorità accademiche e cittadine e tante persone<br />

che gli testimoniano affetto ed ammirazione nella serata in<br />

cui presentiamo il libro dei suoi ricordi. Per questa presentazione<br />

ha desiderato ed ha ottenuto dal Magnifico Rettore l’aula magna<br />

dell’Università non tanto a significare il ruolo che egli ebbe<br />

nel far nascere qui i corsi pareggiati di medicina e chirurgia con<br />

il suo impegno di presidente dell’Ospedale più di trenta anni fa,<br />

ma piuttosto per affermare quello in cui crede e per dirci dunque<br />

che oggi l’Università degli Studi dell’Insubria con i professori, gli<br />

studenti, i funzionari e l’alta cultura accademica porta a Varese<br />

il suo prezioso servizio ad una città che purtroppo non è più ser-


Appendici 549<br />

vita dai poteri industriali, finanziari ed economici che fino a<br />

qualche decennio fa la facevano orgogliosamente risplendere tra<br />

le piccole città italiane.<br />

Un libro di storia e di ricordi personali informa sul passato, ma<br />

il riflettere sui motivi che guidarono le nostre azioni non è un gioco<br />

dilettevole e nostalgico della memoria perché serve anche a richiamarci<br />

ai nostri doveri nel presente e confrontarci con le nostre<br />

aggiornate esigenze.<br />

Ha un senso proprio perché nell’espressione della nostra identità,<br />

anche di quella progettuale nel futuro, dobbiamo conservare la<br />

coerenza con noi stessi e la nostra storia. Siamo tutti, più o meno<br />

consapevolmente, avventurati sempre tra memoria e progetti, ricordi<br />

e speranze, rimpianti e desideri e non possiamo collocarci<br />

in una soltanto di queste prospettive. È difficile imparare a muoversi<br />

tra le due attrazioni del passato e del futuro, avvalendosi di<br />

entrambe e senza riconoscere che ognuna di esse presa da sola costituisce<br />

inevitabilmente una prospettiva fuorviante.<br />

Così, nel farsi del presente, ci troviamo a scoprire come cambiano<br />

le idee e come cambia il modo di vedere e capire, come è facile<br />

dimenticare le vecchie passioni per seguire quelle nuove.<br />

<strong>Valcavi</strong> presta questa sera la sua intelligenza e il suo pensiero ad<br />

una cerimonia festosa, ma so che tiene chiuso in sé anche qualche<br />

sentimento di rammarico per la scena di oggi, sulla quale<br />

vede cambiati atteggiamenti importanti, regole di relazione tra<br />

forze politiche, graduatorie di interessi e di impegno per la città.<br />

<strong>Giovanni</strong> <strong>Valcavi</strong> ha operato negli incarichi pubblici con l’energia<br />

del temperamento personale, ma anche con la sensibilità, l’educazione<br />

e la passione civile proprie di quella generazione che<br />

negli anni della giovinezza si trovò ad affrontare con coraggio i<br />

gravi pericoli di una scelta di libertà. È stato protagonista di una<br />

lunga e fortunata stagione di confronti politici nel parlamento<br />

nazionale e nel governo degli enti locali; una lunga stagione in cui<br />

si operò nelle differenze e nel rispetto reciproco con la forza degli<br />

ideali e anche con la forza democratica dei partiti e delle loro<br />

idee. Una stagione in cui si assumevano cariche politiche per<br />

mettersi al servizio delle istituzioni, non per esserne i padroni. Ed<br />

egli fu sempre al servizio delle cariche che ricoprì, per fare crescere<br />

e migliorare questa città di Varese in cui arrivò bambino.


550 Appendici<br />

Una città che egli vorrebbe ancora fiorente di iniziative, di spirito<br />

di impresa e di avventura.<br />

Quando superati tanti ostacoli, nel gennaio 1973 si tenne la prima<br />

lezione di medicina agli studenti, in una aula attrezzata all’interno<br />

dell’ospedale, ognuno sapeva che, insieme a Mario Cherubino,<br />

Antonio Fornari a Fausto Franchi e pochi altri, l’avvocato<br />

<strong>Valcavi</strong> era tra i protagonisti di quella difficile, ma illuminata<br />

scommessa sul futuro cittadino. E lo vedemmo poi condividere<br />

l’entusiasmo di tutti noi quando nacque l’Università dell’Insubria,<br />

nel 1998, con la guida del Rettore Renzo Dionigi.<br />

Questo volume si apre con le pagine che descrivono le difficili<br />

giornate di una Varese tribolata nei frangenti della guerra e ci<br />

conducono poi lungo più di mezzo secolo di avvenimenti, osservati<br />

e vissuti dall’avvocato in Italia e fuori d’Italia, in tanti campi<br />

di impegno civile, professionale e politico, compresa la intesa<br />

e breve stagione in Senato. Il qualificato osservatorio del protagonista<br />

presenta scenari spesso inediti, episodi, fatti, figure e personalità<br />

che hanno avuto una parte nella lunga esperienza di vita<br />

di <strong>Valcavi</strong>, uomini e donne della politica, delle professioni, dell’impresa,<br />

degli affari e della finanza, della cultura.<br />

Una narrazione del passato condotta solo sui documenti e sulle<br />

carte ufficiali non può mai avere la freschezza dei volumi di memorie,<br />

nei quali soprattutto si svelano i sentimenti umani, le idee,<br />

i desideri, le emozioni, le tensioni, le speranze e le delusioni, i valori<br />

in cui riconoscersi, costruire identità e progettare il futuro. In<br />

questo genere letterario, Varese aveva già avuto l’eccellente prova<br />

di un altro indimenticabile avvocato ed amministratore pubblico<br />

di primo Novecento, Federico Della Chiesa, autore di memorie<br />

che oggi costituiscono l’unica fonte di informazione accessibile<br />

per scoprire certi aspetti della vita cittadina a cavallo di un<br />

secolo fa.<br />

Anche se aperte su orizzonti ben più vasti di quelli della città, i<br />

ricordi di <strong>Valcavi</strong> sono una fonte preziosa di informazioni e un<br />

documento indispensabile per avvicinarsi a capitoli ancora non<br />

esplorati delle vicende più recenti e tutti noi stasera vogliamo ringraziare<br />

il caro avvocato, condividendo la lieta atmosfera di questa<br />

cerimonia.


Appendici 551<br />

Intervento del rag. <strong>Giovanni</strong> Rizzi – In rappresentanza dell’Associazione<br />

Amici ed Azionisti della Banca Popolare di<br />

Luino e Varese<br />

A nome della Associazione Amici ed Azionisti della Banca Popolare<br />

di Luino e Varese porto qui la testimonianza ed il riconoscimento<br />

al caro avvocato <strong>Giovanni</strong> <strong>Valcavi</strong> per quanto ha fatto nell’interesse<br />

del nostro territorio, talora in lotte combattute senza<br />

risparmio.<br />

Devo ricordare che la città ed il territorio – fino a pochi decenni<br />

fa – annoverava importanti industrie, quali: il Calzaturificio di<br />

Varese che aveva 70 negozi ed aveva una notorietà nazionale,<br />

frutto di tanti anni di lavoro delle nostre genti; la Ignis di <strong>Giovanni</strong><br />

Borghi; la Bassani Ticino; il Cementificio Rusconi e molte<br />

altre piccole e medie aziende.<br />

Di tutto questo patrimonio dobbiamo lamentare purtroppo: la<br />

scomparsa traumatica del Calzaturificio di Varese; la incorporazione<br />

della Ignis di <strong>Giovanni</strong> Borghi nella multinazionale Whirlpool;<br />

la Bassani Ticino nella Legrand di Parigi; il Cementificio<br />

Rusconi al gruppo Colacem.<br />

La perdita dell’identità territoriale di queste industrie segna la<br />

decadenza del nostro territorio.<br />

A questo dobbiamo anche aggiungere – ed è il fatto più grave –<br />

la perdita delle banche locali, quali il Credito Varesino assorbito<br />

anni fa dalla Banca Popolare di Bergamo; la Banca Alto Milanese<br />

e la Banca Industriale Gallaratese, rispettivamente assorbite<br />

dal Banco Lariano.<br />

Rimaneva la Banca Popolare di Luino e di Varese che da 120 anni<br />

operava come banca locale indipendente.<br />

Recentemente si è voluta assorbirla nonostante l’art. 31 della legge<br />

bancaria che vieta una fusione eterogenea di una “banca società<br />

per azioni”, quale era la Luino – caratterizzata dal voto dei<br />

soci per quantità di azioni in loro possesso – in “banca cooperativa”,<br />

quale la BPU caratterizzata dal voto “capitario”.<br />

La gravità di tutti questi eventi può essere avvertita da ciascuno<br />

per le conseguenze che inevitabilmente subiranno gli utenti del<br />

credito della nostra provincia ed in particolare le piccole e medie<br />

aziende che costituiscono quanto sopravvive nell’economia di


552 Appendici<br />

<strong>Valcavi</strong> tra Pardolesi e Mantegazza<br />

Sdralevich, Pardolesi, <strong>Valcavi</strong>, Mantegazza


Appendici 553<br />

tanto grandioso passato.<br />

Riconosciamo quindi all’avvocato <strong>Valcavi</strong> di avere avvertito per<br />

primo la gravità di questa situazione e di essersi battuto per cercare<br />

di impedire quello che per altri, invece, era ineluttabile.<br />

È una lotta contro l’impoverimento crescente del nostro territorio<br />

ed è opportuno che i varesini lo sappiano e si muovano con<br />

decisione per evitare il decadimento progressivo.<br />

Come è scritto nel libro dell’avv. <strong>Valcavi</strong>, l’unica cosa che resta<br />

alla città, in questo momento, in cui riporre il nostro futuro, è<br />

l’Università dell’Insubria da lui voluta con pochi altri.<br />

Le migliaia di studenti che la frequentano lasciano ancora sperare<br />

nel futuro.<br />

Grazie avvocato <strong>Valcavi</strong> per quanto ha fatto e farà ancora per la<br />

nostra città.


554 Appendici<br />

La <strong>Fondazione</strong> Studi Giuridici<br />

Avvocato <strong>Giovanni</strong> <strong>Valcavi</strong><br />

“<strong>Fondazione</strong> <strong>Valcavi</strong>”, una scuola per giovani avvocati<br />

Dalla “Prealpina”, 22 aprile 2005<br />

In un futuro non troppo lontano l’inaugurazione di una Scuola<br />

forense; da subito la promozione di corsi di aggiornamento e di<br />

specializzazione, master, stage e seminari di studio per la formazione<br />

dei giovani avvocati e di chi, dopo il diploma di laurea, nel<br />

corso del praticantato o all’inizio della professione, si ritrova a<br />

muovere i primi passi nelle aule di giustizia sperimentando l’inadeguatezza<br />

degli esordi.<br />

Questo il compito che, liberamente, si sono assunti ieri l’avvocato<br />

<strong>Giovanni</strong> <strong>Valcavi</strong> e il gruppo di colleghi che il noto legale varesino<br />

ha voluto al proprio fianco come testimoni e primi dirigenti<br />

della <strong>Fondazione</strong> di studi giuridici intitolata a suo nome.<br />

L’atto costitutivo è stato sottoscritto, allo scoccare del mezzogiorno,<br />

nello studio del notaio Carlo Gaudenzi, a due passi dal<br />

Palazzo del Tribunale. La <strong>Fondazione</strong>, che ha sede in città, nasce<br />

dalla positiva esperienza maturata nell’ultimo decennio all’interno<br />

della Camera civile di Varese con l’organizzazione di seminari<br />

di cultura giuridica rivolti ai neo laureati in giurisprudenza,<br />

ma ancor più dalla consapevolezza che l’aumento esponenziale<br />

del numero degli avvocati in attività nel foro del capoluogo<br />

(576 ai quali si aggiungono 326 praticanti abilitati) e in<br />

quello di Busto Arsizio (537 più 88 praticanti) pone oggi con forza<br />

il problema dell’aggiornamento professionale e la necessità di<br />

percorsi di specializzazione.<br />

“È una necessità oggettiva e pressante – sottolinea <strong>Giovanni</strong> <strong>Valcavi</strong><br />

–, della quale ci facciamo carico animati da spirito civico e<br />

di servizio. Lo stesso Consiglio nazionale forense ha indicato i


Alla firma dell’atto costitutivo della <strong>Fondazione</strong><br />

Appendici 555


556 Appendici<br />

criteri per l’istituzione di scuole di formazione post laurea che in<br />

Italia sono solo 76”.<br />

La “<strong>Fondazione</strong> Studi Giuridici Avvocato <strong>Giovanni</strong> <strong>Valcavi</strong>” nasce<br />

con un patrimonio di 516mila euro interamente messo a disposizione<br />

dal legale che ne ha assunto la presidenza, affiancato<br />

dall’avvocato Marco Ascoli nel ruolo di vicepresidente operativo<br />

e da un consiglio di amministrazione nel quale siederanno il rettore<br />

pro tempore dell’Università dell’Insubria Renzo Dionigi, il<br />

presidente pro tempore dell’Ordine degli avvocati di Varese Sergio<br />

Martelli, l’avvocato notaio luganese Valeria Galli Butti, il medico<br />

chirurgo Paola Bassani e gli avvocati Lucio Paliaga, Giorgio<br />

Coscia e Alberto Olivieri. Saranno loro, nelle prossime settimane,<br />

a dettare l’agenda della fondazione che si propone anche come<br />

soggetto di promozione culturale attraverso “la creazione di un<br />

centro studi che svolga attività divulgativa e di approfondimento<br />

su problemi e questioni di natura legislativa, giudiziaria e dottrinale<br />

onde far conoscere anche ai cittadini meno garantiti le<br />

leggi che li riguardano”. Insomma, un impegno a tutto campo,<br />

incluso quello telematico con la costituzione di una struttura di<br />

servizio che assicurerà ai giovani avvocati varesini l’accesso a<br />

banche dati e alla più autorevole e aggiornata pubblicistica nazionale<br />

e internazionale in materia di diritto.<br />

“I corsi di formazione, aggiornamento professionale e di cultura<br />

– osserva ancora l’avvocato <strong>Valcavi</strong> – si svolgeranno in base a<br />

programmi di carattere teorico e pratico stabiliti dagli organi della<br />

<strong>Fondazione</strong>, che potranno avvalersi anche di un Comitato tecnico<br />

scientifico. Saranno tenuti da docenti incaricati ad hoc e saranno<br />

aperti a coloro che, in possesso dei requisiti professionali,<br />

si dichiareranno pronti a frequentarli con assiduità e profitto nell’ambito<br />

dei circondari dei Tribunali del distretto delle Corti<br />

d’Appello di Milano, Torino e del Cantone Ticino”.<br />

Gianfranco Giuliani


Pagine tratte dall’atto costitutivo della <strong>Fondazione</strong><br />

Appendici 557


558 Appendici


Finito di stampare<br />

nel mese di giugno 2005<br />

dalle Grafiche Nicolini - Gavirate (VA)

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!