58° Congresso Nazionale SCIVAC: Oncologia veterinaria
58° Congresso Nazionale SCIVAC: Oncologia veterinaria
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58° <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>SCIVAC</strong> • Milano, 7-9 Marzo 2008 • <strong>Oncologia</strong> <strong>veterinaria</strong> - Alle soglie del III Millennio<br />
CONSIGLIO DIRETTIVO <strong>SCIVAC</strong><br />
Dea Bonello Presidente<br />
Massimo Baroni Presidente Senior<br />
Federica Rossi Vice Presidente<br />
Guido Pisani Tesoriere<br />
Marco Bernardini Consigliere<br />
Alberto Crotti Consigliere<br />
Bruno Peirone Consigliere<br />
COMITATO SCIENTIFICO<br />
Paolo Buracco<br />
Med Vet, Dipl ECVS, Torino<br />
Laura Marconato<br />
Med Vet, Napoli<br />
Giorgio Romanelli<br />
Med Vet, Dipl ECVS, Cusano Milanino (MI)<br />
COORDINATORE SCIENTIFICO<br />
CONGRESSUALE<br />
Fulvio Stanga<br />
Med Vet, Cremona<br />
SEGRETERIA SCIENTIFICA<br />
Monica Villa<br />
Tel. +39 0372 403504 - E-mail: commscientifica@scivac.it<br />
SEGRETERIA MARKETING,<br />
SPONSOR E AZIENDE ESPOSITRICI<br />
Francesca Manfredi<br />
Tel. +39 0372 403538 - E-mail: marketing@evsrl.it<br />
SEGRETERIA ISCRIZIONI<br />
Paola Gambarotti<br />
Tel. +39 0372 403508 - Fax +39 0372 403512 - E-mail: info@scivac.it<br />
ORGANIZZAZIONE<br />
CONGRESSUALE<br />
EV - Eventi Veterinari<br />
Via Trecchi, 20 - 26100 CREMONA (Italia)<br />
1
SIONCOV<br />
SOCIETÀ CULTURALE ITALIANA VETERINARI<br />
PER ANIMALI DA COMPAGNIA<br />
SOCIETÀ FEDERATA ANMVI<br />
SOCIETÀ ITALIANA DI<br />
ONCOLOGIA VETERINARIA<br />
Richiesto accreditamento<br />
58° CONGRESSO NAZIONALE <strong>SCIVAC</strong><br />
ONCOLOGIA VETERINARIA<br />
alle soglie del III Millennio<br />
MILANO, ATAHOTEL QUARK<br />
7-9 MARZO 2008<br />
ATTI DEL CONGRESSO<br />
organizzato da certificata ISO 9001:2000<br />
<strong>SCIVAC</strong> ringrazia gli Sponsor per il sostegno dato all’evento
58° <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>SCIVAC</strong> • Milano, 7-9 Marzo 2008 • <strong>Oncologia</strong> <strong>veterinaria</strong> - Alle soglie del III Millennio<br />
RELATORI<br />
Giuliano Bettini<br />
Med Vet, Prof Ass, Bologna<br />
Laureato in Medicina Veterinaria a<br />
Bologna nel 1988 con una tesi sulla<br />
diagnostica citologica dei versamenti,<br />
è professore associato presso la facoltà<br />
di Medicina Veterinaria di Bologna, dove è titolare<br />
dei corsi di Anatomia Patologia Veterinaria I e di <strong>Oncologia</strong><br />
Veterinaria e vice-responsabile del servizio di<br />
anatomia patologica. Si occupa da oltre 10 anni di diagnostica<br />
citopatologica e istopatologica, e di tipizzazione<br />
immunoistochimica dei tumori. Ha partecipato<br />
come relatore a numerosi corsi di aggiornamento per<br />
Medici Veterinari ed è autore di circa 150 pubblicazioni<br />
scientifiche su riviste nazionali ed internazionali.<br />
Julia Buchholz<br />
Med Vet, Dipl ACVR-Radiation<br />
Oncology, Colorado, USA<br />
La dottoressa Buchholz studia medicina<br />
Veterinaria a Giessen, in Germania<br />
e a Nantes, in Francia. Si laurea<br />
a Giessen nel 2002. Dopo aver praticato in una clinica<br />
privata in Germania si trasferisce a Zurigo dove lavora<br />
presso il Dipartimento di Radioterapia Oncologica<br />
e Diagnostica per Immagini (2003-2005), qui<br />
completa la sua tesi in Terapia fotodinamica. Su questo<br />
argomento pubblica articoli su riviste nazionali ed<br />
internazionali e ne relaziona in diversi eventi nazionali<br />
ed internazionali. Nel 2005 inizia il Residency in<br />
Radioterapia Oncologica presso l’Università di Zurigo<br />
e nel 2006 lo completa presso la Colorado State University.<br />
Si diploma nel 2007 all’American College of<br />
Veterinary Radiology (ACVR) nella specialità di Radioterapia<br />
Oncologica.<br />
Paolo Buracco<br />
Med Vet, Dipl ECVS, Torino, Italia<br />
È professore ordinario di Clinica Chirurgica<br />
Veterinaria e Chirurgia presso<br />
la Facoltà di Med. Vet. di Grugliasco<br />
(Torino). Nel periodo settembre<br />
1987-dicembre 1988 è stato Visiting Assistant Professor<br />
presso la School of Vet. Med. (Purdue University,<br />
Indiana), con Borsa di Perfezionamento Ass. It. Ric.<br />
Cancro (AIRC), dove ha svolto attività clinica principalmente<br />
rivolta alla diagnosi e terapia dei tumori<br />
spontanei del cane e del gatto. È diplomato dal giugno<br />
1998 al Collegio Europeo dei Chirurghi Veterinari,<br />
piccoli animali (E.C.V.S.). È membro della Veterinary<br />
Cancer Society, della Società Ital. di Chir. Vet.,<br />
dell’Europ. Soc. of Vet. Oncology, della Società Italiana<br />
di <strong>Oncologia</strong> Veterinaria (SIONCOV) e dell’European<br />
College of VeterinarySurgeons. Dal 2005 è<br />
membro dell’Examination Committee dell’ECVS. Dal<br />
maggio 2006 è membro onorario della VSSO (Veterinary<br />
Society of Surgical Oncology, USA). Relatore in<br />
numerosi convegni nazionali e internazionali e autore<br />
di oltre 140 pubblicazioni su riviste italiane ed estere,<br />
comprese le comunicazioni congressuali.<br />
Giuseppe Curigliano<br />
Medico Oncologo, European Institute<br />
of Oncology, Milano, Italia<br />
Nato in Canada da immigrati italiani,<br />
ha ivi trascorso parte della sua infanzia<br />
nella fredda provincia del<br />
Quebec. Laureato in Medicina e Chirurgia “cum laude”<br />
presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di<br />
Roma nel 1993 ed ivi specializzato “cum laude” in<br />
<strong>Oncologia</strong> Medica nel 1997. Ha lavorato nel 1993<br />
presso il Dipartimento di Immunologia Clinica della<br />
South Carolina Medical School, Hollings Cancer Center,<br />
Charleston, U.S.A., occupandosi di immunofenotipizzazione<br />
dei tumori solidi ed applicazioni della citofluorimetria<br />
nella diagnosi precoce delle neoplasie.<br />
Dal 1994 al 1995 ha lavorato presso l’Herbert Irving<br />
Comprehensive Cancer Center della Columbia University,<br />
New York, U.S.A., occupandosi di epidemiologia<br />
molecolare (progetti di studio sulla cancerogenesi dei<br />
tumori vescicali). Ha proseguito la sua attività di ricerca<br />
in modelli traslazionali mirati alla diagnosi precoce<br />
dei tumori solidi (diagnosi molecolare con tecniche<br />
di biologia molecolare nei tumori della vescica, del<br />
colon e del polmone) presso il centro di Ricerche Oncologiche<br />
dell’Università Cattolica di Roma. È risultato<br />
vincitore di diversi grants finalizzati alla ricerca traslazionale<br />
in oncologia (Premio Tullio Terranova, premio<br />
dell’Istituto Toniolo dell’Università Cattolica del<br />
Sacro Cuore, grant Triennale della Federazione Italiana<br />
per la Ricerca sul Cancro per uno studio di ricerca<br />
traslazionale sulle neoplasie vescicali). Ha completato<br />
del 2006 il Dottorato di Ricerca in Fisiopatologia Medica<br />
e Farmacologia Clinica presso l’Università di Pisa,<br />
lavorando su un progetto di farmacogenomica nelle<br />
neoplasie vescicali. Dal 1999 lavora nell’ambito<br />
della ricerca clinica in fase I e fase II, presso la Divisione<br />
di <strong>Oncologia</strong> Medica del Dipartimento di Medicina<br />
dell’Istituto Europeo di <strong>Oncologia</strong>, in cui ricopre<br />
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58° <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>SCIVAC</strong> • Milano, 7-9 Marzo 2008 • <strong>Oncologia</strong> <strong>veterinaria</strong> - Alle soglie del III Millennio<br />
il ruolo di Vice Direttore. Il suo principale campo di interesse<br />
rimane la ricerca traslazionale, lo sviluppo clinico<br />
di terapie personalizzate mirate a massimizzare<br />
l’efficacia terapeutica e minimizzare gli effetti collaterali;<br />
si occupa delle sperimentazioni cliniche di fase I.<br />
È autore e coautore di circa 80 pubblicazioni “peer<br />
reviewed”.<br />
Davide De Lorenzi<br />
Med Vet, Dipl ECVCP, SMPA, Padova<br />
Laureato con lode presso la Facoltà<br />
di Medicina Veterinaria di Bologna,<br />
si specializza in Clinica e Patologia<br />
degli Animali da Affezione alla Facoltà<br />
di Medicina Veterinaria di Pisa quattro anni più<br />
tardi. È stato l’ideatore ed il responsabile per i primi<br />
5 anni di vita del Gruppo di Studio di Citologia della<br />
SICVAC (oggi Società Italiana di Citologia Veterinaria<br />
- SICIV).<br />
Autore e coautore di oltre quaranta fra articoli e relazioni<br />
su riviste ed a congressi nazionali ed internazionali,<br />
ha lavorato tre anni nella commissione scientifica<br />
della <strong>SCIVAC</strong> ed è stato membro del Consiglio Direttivo<br />
della medesima società negli anni 2004-2007. Nel<br />
2005 ha conseguito il Diploma del College Europeo di<br />
Patologia Clinica e svolge attualmente un Dottorato di<br />
Ricerca presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università<br />
di Perugia. Lavora a Forlì ed a Padova presso<br />
la Clinica Veterinaria S. Marco occupandosi prevalentemente<br />
di citologia diagnostica ed endoscopia.<br />
Barbara Kitchell<br />
DVM, PhD, Dipl ACVIM,<br />
Michigan, USA<br />
La dottoressa Barbara E. Kitchell si<br />
laurea nel 1979 alla School of Veterinary<br />
Medicine della Pardue University.<br />
Completa la sua internship presso l’Università<br />
del Minnesota per poi iniziare il suo residency in Medicina<br />
Interna alla UC Davis. Nel 1985 a Barkeley, in<br />
California, inizia uno Special Veterinary Services<br />
presso il centro referenze in <strong>Oncologia</strong>. Nel 1994 riceve<br />
il PhD (con particolare attenzione alla biologia<br />
del cancro) dal Dipartimento di Patologia Comparativa<br />
della UC Davis. Oltre a questo la dr.ssa Kitchell<br />
completa una fellowship post dottorato, dal 1990 al<br />
1994, presso il Dipartimento di Medicina Comparativa<br />
alla Stanford Medical School. Ritorna alla medicina<br />
accademica nel 1994 come Assistant Professor<br />
nel Dipartimento di Medicina Clinica Veterinaria dell’Università<br />
dell’Illinois.<br />
Nel 2004 si trasferisce nella facoltà dell’Università del<br />
Michigan dove attualmente è Direttore del Centro per<br />
l’oncologia Comparata. La dr.ssa Kitchell si è diplomata<br />
all’ACVIM nella specialità di medicina Interna<br />
Oncologica. Ha ricevuto numerose onorificenze tra<br />
cui il premio dal National Cancer Institute Physician<br />
Scientist, il Dean’s Postdoctoral Fellowship Award di<br />
Stanford e nel 1983 il Gaines Cycle “Golden Fido”<br />
award per il Veterinario dell’Anno. Fu selezionata come<br />
partecipante a 2 Workshops (Molecular Biology of<br />
Cancer nel 1993 and Methods in Clinical Cancer Research<br />
nel 1997), sponsorizzata dall’American Association<br />
for Cancer Research di cui è membro attivo. È<br />
presidente eletto della Veterinary Cancer Society. Autrice<br />
di numerose pubblicazioni scientifiche e capitoli<br />
è internazionalmente riconosciuta la sua autorità nell’oncologia<br />
Comparata.<br />
Laura Marconato<br />
Med Vet, Napoli<br />
Laureata a Milano in Medicina Veterinaria<br />
nel 1999 con 110 e lode. Dopo<br />
la laurea si trasferisce per tre anni negli<br />
Stati Uniti, a Philadelphia, dove frequenta<br />
dal 2000 al 2003 il Veterinary Oncology Service<br />
and Research Center, il centro di referenza per l’oncologia<br />
della Pennsylvania, occupandosi di oncologia<br />
medica dei piccoli animali. Dal 2001 fino al 2003 è anche<br />
fellow visitor all’università della Pennsylvania presso<br />
il Dipartimento di Patologia Veterinaria. Attualmente<br />
vive e lavora a Napoli, dove si occupa esclusivamente<br />
di oncologia dei piccoli animali. Nel 2003-2004 è professore<br />
a contratto presso la scuola di specializzazione<br />
di fisiopatologia della riproduzione dell’Università di<br />
Napoli Federico II. Nel 2007 è docente al Master di<br />
<strong>Oncologia</strong> presso la Facoltà di Medicina Veterinaria<br />
dell’Università di Pisa. Nel 2007-2008 è professore a<br />
contratto presso la facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università<br />
di Bologna. È stata relatrice a diversi seminari<br />
e corsi di oncologia. È autrice del testo di oncologia<br />
clinica del cane e del gatto per la Poletto Editore e<br />
di alcuni articoli su riviste nazionali ed internazionali.<br />
È membro della <strong>SCIVAC</strong>, della European Society of<br />
Veterinary Oncology (ESVONC), della Veterinary<br />
Cancer Society (VCS) e della European Society of Veterinary<br />
Internal Medicine (ESVIM). È vice-presidente<br />
della SIONCOV.<br />
Giorgio Romanelli<br />
Med Vet, Dipl ECVS,<br />
Cusano Milanino (MI)<br />
Laureato in Medicina Veterinaria nel<br />
1981 presso l’Istituto di Clinica Chirurgica<br />
della Facoltà di Medicina Veterinaria<br />
dell’Università di Milano, relatore il Prof. Re-<br />
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nato Cheli. Subito dopo la laurea partecipa ad un<br />
programma di chirurgia sperimentale sul trapianto di<br />
cuore e di pancreas. Libero professionista lavora in<br />
provincia di Milano occupandosi totalmente di casi di<br />
riferimento di oncologia e chirurgia dei tessuti molli.<br />
Charter Member e, dal luglio 1993, diplomato all’European<br />
College of Veterinary Surgeons. Presidente<br />
<strong>SCIVAC</strong> nel periodo 1993-1995. Presidente SCVI nel<br />
periodo 1998-2004. Segretario SIONCOV. Ha presentato<br />
relazioni ad oltre 85 congressi e meeting nazionali<br />
ed internazionali. Editor e coautore del testo<br />
“<strong>Oncologia</strong> del cane e del gatto” edito da Elsevier-<br />
Masson. Ha soggiornato per periodi di studio presso<br />
le università di Cambridge (UK), North Carolina<br />
(USA) e Purdue-Indiana (USA). I suoi hobbies sono la<br />
pesca a mosca e la coltivazione di alberi bonsai.<br />
Federica Rossi<br />
Med Vet, SRV, Dipl ECVDI,<br />
Sasso Marconi (BO)<br />
Laureata nel novembre 1993 presso<br />
l’Università degli Studi di Bologna,<br />
con lode, nel 1997 ha conseguito il<br />
Diploma della Scuola di Specializzazione in Radiologia<br />
Veterinaria presso l’Università degli Studi di Torino<br />
e nel settembre 2003 il Diploma del College Europeo<br />
in Diagnostica per Immagini (ECVDI). È autrice di<br />
numerose pubblicazioni nazionali ed internazionali,<br />
revisore e coautore di testi di Diagnostica per Immagini.<br />
È Presidente della Società Italiana di Diagnostica<br />
per Immagini (SVIDI) e dall’agosto 2006 Presidente<br />
dell’EAVDI (Associazione Europea di Diagnostica per<br />
Immagini). È lettore ufficiale della Centrale di Lettura<br />
FSA per la displasia dell’anca e del gomito. Lavora<br />
come Libero Professionista referente in Diagnostica<br />
per Immagini nella propria Clinica a Sasso Marconi<br />
(BO), dove si occupa di Radiologia, Ecografia e Tomografia<br />
Computerizzata. Svolge attività di ricerca<br />
nel campo della ecografia con mezzi di contrasto.<br />
Damiano Stefanello<br />
Med Vet, PhD, Milano, Italia<br />
Laurea in Medicina Veterinaria nel<br />
1999 (Università degli Studi di Milano<br />
con 110/110 Lode). Consegue il<br />
titolo di Dottore di Ricerca in <strong>Oncologia</strong><br />
Veterinaria e Comparata nel 2004 (Università degli<br />
Studi di Milano, Università degli Studi di Torino).<br />
Dal 2003 ad oggi è titolare di un Assegno di Ricerca<br />
dal titolo “Studio del sarcoma indotto da iniezione del<br />
gatto: approccio tomografico, anatomo-patologico,<br />
angiogentico e clinico-terapeutico” (Università degli<br />
Studi di Milano). Svolge attività didattica e clinica relativa<br />
al progetto di ricerca, oltre a coadiuvare lo staff<br />
della Sezione di Clinica Chirurgica Veterinaria nell’attività<br />
di chirurgia oncologica e oncologia medica dei<br />
piccoli animali. Ha svolto attività di ricerca nell’ambito<br />
dei sarcomi dei tessuti molli della specie felina, dei<br />
mastocitomi, dei sarcomi dei tessuti molli e delle neoplasie<br />
dell’apparato genitale della specie canina. Autore<br />
e coautore di diverse pubblicazioni su riviste internazionali,<br />
ha presentato numerosi lavori sia a congressi<br />
nazionali che internazionali. Ha partecipato in<br />
qualità di relatore a numerosi congressi italiani aventi<br />
come tema l’oncologia <strong>veterinaria</strong>.<br />
Silvia Tasca<br />
Med Vet, Padova, Italia<br />
Si è laureata con lode presso la Facoltà<br />
di Medicina Veterinaria dell’Università<br />
di Padova nel 2003, discutendo<br />
una tesi sperimentale sui meccanismi<br />
immunopatologici nella leishmaniosi del cane.<br />
Ha presentato delle relazioni inerenti la patologia clinica<br />
alla Società Italiana di Medicina Interna della SCI-<br />
VAC nel 2003 e nel 2005 e alla Società Italiana di Nefrologia<br />
ed Urologia Veterinaria della <strong>SCIVAC</strong> nel<br />
2006. Ha discusso alcune comunicazioni di oncologia<br />
e biochimica al <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>SCIVAC</strong> 2004,<br />
2005 e 2006 e al <strong>Congresso</strong> Internazionale ECVIM-<br />
CA nel 2007. Ha partecipato al corso di Biochimica<br />
della <strong>SCIVAC</strong> nel 2005 e nel 2006 in qualità di relatrice,<br />
discutendo di tecniche diagnostiche. Ha collaborato<br />
alla realizzazione delle sessioni di ematologia clinica<br />
ed esami di laboratorio del Prontuario Veterinario<br />
<strong>SCIVAC</strong> 2004 e alla stesura del capitolo “Tumori linfo<br />
e mieloproliferativi” del testo “<strong>Oncologia</strong> del cane e<br />
del gatto” Elsevier-Masson/EV, Marzo 2007. È coautrice<br />
di alcuni articoli scientifici di ematologia e citologia<br />
<strong>veterinaria</strong> pubblicati in riviste internazionali.<br />
Attualmente lavora presso il Laboratorio d’Analisi Veterinarie<br />
San Marco di Padova, occupandosi di patologia<br />
clinica, con particolare interesse per l’ematologia,<br />
la citometria a flusso e l’elettroforesi urinaria<br />
(SDS-AGE).<br />
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58° <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>SCIVAC</strong> • Milano, 7-9 Marzo 2008 • <strong>Oncologia</strong> <strong>veterinaria</strong> - Alle soglie del III Millennio<br />
PROGRAMMA SCIENTIFICO<br />
VENERDÌ 7 MARZO 2008<br />
Moderatore: Paolo Buracco<br />
9.00 Registrazione dei partecipanti e verifica presenze<br />
10.45 Saluto ai partecipanti del presidente <strong>SCIVAC</strong>, presentazione dei relatori ed inizio dei lavori<br />
10.50 Approccio al paziente oncologico: si può o si deve scegliere?<br />
Laura Marconato (I)<br />
11.30 Approccio al proprietario del paziente oncologico: quali strategie comunicative adottare?<br />
Damiano Stefanello (I)<br />
12.10 Ritardo diagnostico e malpractice: diritti e bisogni<br />
Giorgio Romanelli (I)<br />
12.50 Discussione<br />
13.00 Pausa pranzo<br />
14.30 Il paziente oncologico anziano: approccio speciale a pazienti speciali<br />
Giorgio Romanelli (I)<br />
15.10 Considerazioni terapeutiche in un caso di carcinoma squamo cellulare in un furetto<br />
(Mustela putorius furo) - Mattia Bielli (I)<br />
Chirurgia oncologica dei tessuti molli: confronto tra due differenti geometrie di<br />
escissione avvalendosi del sarcoma iniezione indotto felino quale modello<br />
sperimentale - Alessandro Ferrari (I)<br />
Mastocitoma canino con coinvolgimento midollare: caratteristiche cliniche, patologiche<br />
ed opzioni terapeutiche per nell’era dell’imatinib - Claudio Giacoboni (I)<br />
15.50 Pausa caffè<br />
16.30 Diagnostica per Immagini in oncologia <strong>veterinaria</strong>: quello che la Radiologia e<br />
l’Ecografia hanno da dire<br />
Federica Rossi (I)<br />
17.10 Diagnostica per Immagini in oncologia <strong>veterinaria</strong>: abbiamo bisogno di TC e RM?<br />
Federica Rossi (I)<br />
17.50 Sangue e tumori: tutto quello che si può vedere in un prelievo<br />
Silvia Tasca (I)<br />
18.30 Discussione e termine della giornata<br />
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58° <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>SCIVAC</strong> • Milano, 7-9 Marzo 2008 • <strong>Oncologia</strong> <strong>veterinaria</strong> - Alle soglie del III Millennio<br />
SABATO 8 MARZO 2008<br />
Moderatore: Laura Marconato<br />
9.00 Laparo e toracoscopia: guardare gli organi da fuori<br />
Giorgio Romanelli (I)<br />
9.40 Endoscopia in oncologia: solo un esame complementare?<br />
Davide De Lorenzi (I)<br />
10.20 Pausa caffè<br />
10.30 DISCUSSIONE POSTER<br />
11.00 Indagine retrospettiva sull’espressione immunoistochimica di kit (cd117) nei tumori<br />
melanocitari del cane: un possibile bersaglio terapeutico? - Elvio Lepri (I)<br />
L’espressione della metalloproteinasi-2 e della metalloproteinasi-9 nel comportamento<br />
biologico del meningioma del cane e del gatto - Maria Teresa Mandara (I)<br />
Espressione di recettori per estrogeni e progesterone nei tumori mammari della cagna<br />
e della gatta - Alessandro Poli (I)<br />
11.40 Oltre la diagnosi: le magie del patologo<br />
Giuliano Bettini (I)<br />
12.20 Chemioterapia: farmaci noti per trattamenti standard e innovativi<br />
Barbara Kitchell (USA)<br />
13.00 Pausa pranzo<br />
14.30 Chemioterapia: farmaci meno noti per nuove frontiere<br />
Barbara Kitchell (USA)<br />
15.10 SESSIONE SPECIALE<br />
Chemioterapia e terapia a bersaglio molecolare nei tumori solidi dell’uomo<br />
Giuseppe Curigliano (I)<br />
15.50 Neoplasie linguali del cane: 15 casi - Diego Rossetti (I)<br />
Utilizzo della citometria a flusso per la tipizzazione di leucemia megacarioblastica<br />
acuta (aml-m7) in un cane - Fabio Valentini (I)<br />
97 casi di neoplasie negli animali giovani: istotipi tumorali, localizzazione<br />
Sara Verganti (I)<br />
16.30 Pausa caffè<br />
16.40 DISCUSSIONE POSTER<br />
17.10 Terapia fotodinamica: all’ombra della luce<br />
Julia Buchholz (USA)<br />
17.50 Radioterapia: quanta strada abbiamo fatto?<br />
Julia Buchholz (USA)<br />
18.30 Discussione e termine della giornata<br />
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58° <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>SCIVAC</strong> • Milano, 7-9 Marzo 2008 • <strong>Oncologia</strong> <strong>veterinaria</strong> - Alle soglie del III Millennio<br />
DOMENICA 9 MARZO 2008<br />
Moderatore: Giorgio Romanelli<br />
9.00 Nuove terapie farmacologiche in oncologia <strong>veterinaria</strong>: miraggio o realtà?<br />
Laura Marconato (I)<br />
SESSIONE SPECIALE:<br />
Stato dell’arte sul trattamento di neoplasie selezionate<br />
9.40 Terapia dell’osteosarcoma<br />
Paolo Buracco (I)<br />
10.20 Pausa caffè<br />
11.00 Terapia del linfoma<br />
Barbara Kitchell (USA)<br />
11.40 Terapia dei sarcomi felini indotti da iniezione<br />
Damiano Stefanello (I)<br />
12.20 Terapia dei tumori vescicali<br />
Barbara Kitchell (USA)<br />
12.50 Discussione, consegna degli attestati e termine del <strong>Congresso</strong><br />
POSTER E AUTORI<br />
Sarcoma istiocitico polmonare con metastasi cutanea in un cane - Maurizio Annoni<br />
Radioterapia in un caso di macroadenoma ipofisario in un cane - Elisa Antoniazzi<br />
Applicazione della ciclofosfamide in modalità metronomica nel trattamento palliativo<br />
di un caso di mastocitoma cutaneo canino - Nicoletta Bevere<br />
Un caso di cordoma di tipo condroide in un gatto: aspetti clinici e istopatologici<br />
Antonio Carminato<br />
Un tumore perianale in un cane… non il solito adenoma! - Alfredo Dentini<br />
Un caso di melanoma maligno cutaneo con metastasi a livello osseo e polmonare<br />
in un gatto - Guido Filomarino<br />
Leiomiosarcoma epiploico in uno Yorkshire terrier - Luca Lideo<br />
Limb-sparing in caso di osteosarcoma ulnare distale mediante ulnectomia e panartrodesi<br />
carpica: 5 casi - Federico Massari<br />
Adenocarcinoma tiroideo nel gatto: presentazione di un caso clinico - Paola Modesto<br />
Localizzazione congiuntivale di tumore venereo trasmissibile (tvt): segnalazione di un caso<br />
clinico - Annalisa Nieddu<br />
Tossicologia ambientale: animali sentinella e oncologia comparata - Luca Sala<br />
Descrizione di un caso di melanoma orale in un gatto - Monica Sforna<br />
Ruolo prognostico della categoria istopatologica “mastociti ben differenziati” dei margini<br />
di escissione chirurgica in 31 mastocitomi cutanei canini - Paola Valenti<br />
13
nr. 6312<br />
Sedazione<br />
IL PASSATO<br />
È FINITO<br />
Sedazione e Premedicazione<br />
IL FUTURO<br />
È ARRIVATO<br />
Il più selettivo tra gli alfa-2<br />
adrenorecettori agonisti<br />
Effetti sedativi, analgesici e di<br />
premedicazione uniformi e prevedibili<br />
Sicurezza elevata con minore<br />
possibilità di interazione tra i farmaci<br />
usati in associazione<br />
Per un superiore controllo della sedazione e della premedicazione<br />
DEXDOMITOR 0,5 mg/ml soluzione iniettabile. COMPOSIZIONE: Un ml contiene 0,5 mg di dexmedetomidina cloridrato. Specie di destinazione Cani e gatti. Indicazioni per l’utilizzo procedure ed esami non invasivi<br />
poco o moderatamente dolorosi che richiedono immobilizzazione, sedazione e analgesia. Nei gatti, premedicazione prima dell’induzione e mantenimento dell’anestesia generale con ketamina. Nei cani, in associazione<br />
con butorfanolo è indicato per indurre sedazione profonda e analgesia nelle procedure mediche e negli interventi chirurgici minori. Nei cani, per la premedicazione prima dell’induzione e mantenimento dell’anestesia generale.<br />
Controindicazioni Non utilizzare nei cani di età inferiore ai 6 mesi e nei gatti di età inferiore ai 5 mesi. Non utilizzare in animali con disturbi cardiovascolari. Non utilizzare in animali con gravi patologie sistemiche<br />
o cattive condizioni generali. Non utilizzare in casi di ipersensibilità nota verso il principio attivo o ad uno qualsiasi degli eccipienti del prodotto. Avvertenze speciali per ciascuna specie di destinazione La sicurezza della<br />
dexmedetomidina per i maschi destinati alla riproduzione non è stata confermata. Reazioni sfavorevoli riduzione della frequenza cardiaca e diminuzione della temperatura corporea, riduzione della frequenza respiratoria.<br />
Mucose pallide o bluastre. Vomito. Possono verificarsi bradipnea, respirazione irregolare, ipoventilazione e apnea. Bradiaritmia e tachiaritmia, bradicardia sinusale, blocchi atrioventricolari di primo e di secondo<br />
grado, arresto sinusale oppure perdita del ritmo sinusale, extrasistoli atriali, sopraventricolari e ventricolari. Utilizzazione durante la gravidanza, l’allattamento L’uso del prodotto durante la gravidanza e l’allattamento<br />
non è raccomandato. Interazione con altri medicinali veterinari ed altre forme d’interazione L’uso contemporaneo di altri farmaci depressivi del sistema nervoso centrale può potenziare l’effetto della dexmedetomidina,<br />
è quindi necessario modificarne le dosi in modo appropriato. Utilizzare con cautela gli anticolinergici con la dexmedetomidina. Dosi da somministrare e via di somministrazione: Cane: via endovenosa o intramuscolare.<br />
Gatto: via intramuscolare. Dosaggio: cane Le dosi, per il cane, sono stabilite sulla base della superficie corporea. Usato da solo per la sedazione e l’analgesia, la dose da somministrare per via endovenosa corrisponde<br />
a 375 mcg/m 2 di superficie corporea e quella per via intramuscolare corrisponde a 500 mcg/m 2 di superficie corporea. In associazione a butorfanolo (0,1 mg/kg) per la sedazione profonda e l’analgesia, la dose per via<br />
intramuscolare corrisponde a 300 mcg/m 2 di superficie corporea. Per la premedicazione è pari a 125-375 mcg/m 2 di superficie corporea. Gatto: sedazione, 40 mcg/kg, corrispondenti a 0,08 ml di Dexdomitor/kg. La<br />
stessa dose può essere utilizzata per la premedicazione. Sovradosaggio Cane: somministrare una dose di atipamezolo corrispondente a 10 volte la dose iniziale di dexmedetomidina (mcg/kg di peso corporeo o mcg/m<br />
di superficie corporea). Il volume del prodotto da somministrare contenente atipamezolo, alla concentrazione di 5 mg/ml, corrisponde al volume di Dexdomitor somministrato, indipendentemente dalla via di somministrazione<br />
di quest’ultimo. Gatto: somministrare atipamezolo per via intramuscolare ad una dose 5 volte la dose iniziale di dexmedetomidina, in mcg/kg di peso corporeo.
ESTRATTI<br />
DELLE RELAZIONI<br />
Questo volume di atti congressuali riporta fedelmente quanto fornito dagli autori<br />
che si assumono la responsabilità dei contenuti dei propri scritti.<br />
Traduzione dei testi inglesi: Dr. Maurizio Garetto e Dott.ssa Tiziana Binelli<br />
Gli estratti sono elencati in ordine alfabetico secondo il cognome del relatore<br />
e quindi in ordine cronologico di presentazione.
58° <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>SCIVAC</strong> • Milano, 7-9 Marzo 2008 • <strong>Oncologia</strong> <strong>veterinaria</strong> - Alle soglie del III Millennio<br />
Giuliano Bettini<br />
Med Vet, Bologna, Italia<br />
Oltre la diagnosi:<br />
le magie del patologo<br />
Sabato, 8 Marzo 2008, ore 11.40<br />
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58° <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>SCIVAC</strong> • Milano, 7-9 Marzo 2008 • <strong>Oncologia</strong> <strong>veterinaria</strong> - Alle soglie del III Millennio<br />
INTRODUZIONE<br />
In oncologia animale l’intervento del patologo nella gestione del paziente<br />
è nella maggior parte dei casi limitato al momento diagnostico di conferma<br />
del sospetto clinico e di definizione del tipo di neoplasia. Quello che cioè ci<br />
si aspetta dal patologo è una risposta alle domande: “È una neoplasia?”, “Che<br />
neoplasia è?”, “È una neoplasia benigna o maligna?”, che rappresentano sempre<br />
il presupposto indispensabile per iniziare correttamente l’iter di pianificazione<br />
terapeutica.<br />
Lo scopo di questa relazione è informare i veterinari che si approcciano alla<br />
gestione di un paziente oncologico sulle numerose altre domande che possono<br />
essere poste al patologo, dalle cui risposte possono scaturire indicazioni<br />
pratiche utili per una più precisa definizione della prognosi e per una migliore<br />
pianificazione terapeutica. Verrà inoltre posto l’accento sui pochi accorgimenti<br />
tecnici che il clinico dovrebbe seguire per permettere al patologo di<br />
trarre dal campione che gli è conferito il massimo delle informazioni.<br />
QUANTO È MALIGNO?<br />
In molti casi anche la semplice diagnosi istologica fornisce importanti<br />
indicazioni sul comportamento biologico del tumore e sulle più opportune<br />
modalità di stadiazione e di approccio terapeutico. Per esempio, il carcinoma<br />
squamocellulare e il fibrosarcoma hanno un’elevata propensione all’invasività<br />
locale, mentre carcinoma tiroideo ed emangiosarcoma tendono precocemente<br />
alla metastatizzazione. Nel caso di neoplasie poco differenziate,<br />
tuttavia, il solo esame morfologico può non essere sufficiente a raggiungere<br />
una diagnosi definitiva, e può essere necessario ricorrere all’immunoistochimica<br />
per evidenziare componenti tipici di specifiche linee cellulari.<br />
Fra i marker diagnostici più spesso utilizzati possono essere ricordati quelli<br />
per le cellule mesenchimali (vimentina, desmina, actina, ecc), epiteliali<br />
(citocheratine a diverso peso molecolare), nervose (GFAP, NSE, NFP), neuroendocrine<br />
(cromogranina e sinaptofisina) e gli svariati antigeni (CD, cluster<br />
of differentiation) che vengono ricercati per caratterizzare le neoplasie<br />
a cellule rotonde.<br />
Per molti tumori il patologo formula anche il grado istologico di malignità,<br />
che fornisce ulteriori informazioni sull’aggressività della neoplasia. Il grading<br />
istologico cerca infatti di stabilire un’associazione fra aspetto microscopico<br />
del tumore (differenziazione, numero di mitosi, invasività locale e altri<br />
parametri variabili da tumore a tumore) e comportamento biologico. Il potere<br />
prognostico del grado istologico è ovviamente inferiore rispetto a quello dello<br />
stadio clinico, ma a parità di stadio nella maggior parte dei tumori (carci-<br />
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nomi mammari, mastocitoma, tumori polmonari, carcinoma della vescica,<br />
sarcomi) il grado è direttamente collegato all’aggressività. Il limite maggiore<br />
della graduazione istologica risiede in una certa soggettività interpretativa di<br />
alcuni parametri morfologici. La tendenza attuale è pertanto quella di dare<br />
maggiore importanza ai parametri più oggettivi e quantificabili (es. indice mitotico),<br />
e di integrare il grado con marker prognostici quantificabili, quali<br />
espressione di proteine del ciclo cellulare (Ki67, PCNA) o del prodotto di oncogeni<br />
(c-Myc, K-ras, p53, Bcl2) e quantità di organizzatore nucleolare<br />
(AgNOR). Nel caso di alcune neoplasie, inoltre, il patologo deve accertare<br />
specifiche caratteristiche. Per esempio nel caso del linfoma un’informazione<br />
molto importante deriva dall’immunofenotipizzazione, in quanto i linfomi T<br />
(CD3+ CD79-) sono più aggressivi dei linfomi B (CD3- CD79+).<br />
RECIDIVERÀ?<br />
Quando tecnicamente realizzabile, l’asportazione chirurgica completa di<br />
una neoplasia è la terapia antitumorale più efficace. Se tuttavia rimangono in<br />
sede cellule neoplastiche si verifica inesorabilmente lo sviluppo di recidive,<br />
spesso più aggressive, più infiltranti e difficili da asportare, anche a causa del<br />
contesto tessutale alterato dal precedente intervento. L’unico sistema per valutare<br />
se l’asportazione di una massa è stata completa o no, e quindi predire<br />
la possibile comparsa di recidive, è l’osservazione istologica dei margini di<br />
escissione: se sul margine del pezzo asportato sono presenti cellule neoplastiche,<br />
è certo che altre cellule neoplastiche sono rimaste in situ, e potrà svilupparsi<br />
una recidiva. Rispetto alle normali tecniche di fissazione e preparazione<br />
di un pezzo istologico, che mirano alla sola formulazione diagnostica, quando<br />
è richiesta la “marginazione” di una neoplasia è necessario fissare tutta la<br />
parte asportata e non solo un campione di essa, avendo cura di “marcare” i<br />
margini chirurgici con inchiostro di china o altri coloranti appositi, per evitare<br />
di confondere un margine chirurgico con un margine creato durante la rifilatura<br />
del pezzo, e orientare opportunamente il pezzo. È da tenere presente<br />
che nel caso di neoplasie voluminose la valutazione dei margini di escissione<br />
comporta per il patologo un certo superlavoro, in quanto per esaminare una<br />
quantità significativa della periferia del pezzo asportato è necessario processare<br />
un numero elevato di campioni.<br />
METASTATIZZERÀ?<br />
La metastatizzazione è un evento cruciale nell’evoluzione di ogni malattia<br />
neoplastica, in grado di condizionare in modo determinante le scelte terapeu-<br />
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tiche. Il riscontro di emboli intravasali nella valutazione istologica di routine<br />
con la sola ematossilina eosina permette già di apprezzare che le cellule tumorali<br />
sono entrate nel torrente circolatorio e che con grande probabilità sono<br />
già presenti (micro)metastasi, quantomeno nel linfonodo regionale. Anche<br />
l’osservazione di un’intensa (neo)vascolarizzazione, che può essere meglio<br />
apprezzata in sezioni istologiche immunocolorate per evidenziare i vasi<br />
(FVIII, CD31) può dare indicazioni sul potenziale metastatico della neoplasia,<br />
in quanto più un tumore è vascolarizzato, più è ampia la sua “finestra” sul<br />
torrente circolatorio e maggiori sono le probabilità di riversare cellule neoplastiche<br />
nel sangue. È inoltre possibile valutare il “fenotipo metastatico” delle<br />
cellule tumorali apprezzandone la capacità di allontanarsi dalla massa primitiva<br />
(diminuita o alterata espressione di molecole di adesione, quali integrine<br />
e catenine), di infiltrare i tessuti circostanti e di interagire con il microambiente<br />
stromale (alterata espressione di glicoproteine di ancoraggio,<br />
quali laminina, collageno, fibronectina), di attecchire a distanza (CD44) e di<br />
fornirsi un supporto vascolare adeguato (VEGF).<br />
LA CHEMIOTERAPIA SARÀ EFFICACE?<br />
In linea generale quando l’immunoistochimica dimostra un’elevata attività<br />
proliferativa delle cellule tumorali (elevato Ki67/MIB-1 index, superiore a<br />
30-40%), il patologo può comunicare all’oncologo medico la probabile buona<br />
efficacia di una chemioterapia basata su farmaci attivi sulle cellule ciclanti<br />
(antiblastici). In taluni casi il patologo può però fornire indicazioni più precise,<br />
evidenziando l’espressione di costituenti cellulari correlabili alla risposta<br />
a determinati farmaci. La glicoproteina P, per esempio, è una proteina della<br />
membrana citoplasmatica che agisce come una pompa in grado di estrudere<br />
dalla cellula xenobiotici dannosi per la cellula stessa. In diverse neoplasie<br />
animali (linfoma, osteosarcoma, carcinoma uroteliale, ecc.) la resistenza ai<br />
farmaci antitumorali è associata alla sovraespressione della glicoproteina P e<br />
al conseguente instaurarsi di chemioresistenza nei confronti di farmaci substrato,<br />
quali vincristina, vinblastina e doxorubicina (fenomeno MDR - multiple<br />
drug resistance), che quindi in caso di sovraespressione della PGP dovrebbero<br />
essere esclusi dal protocollo.<br />
Un altro esempio molto attuale riguarda la terapia a bersaglio molecolare<br />
che, al contrario della chemioterapia tradizionale, non è aspecifica e quindi<br />
potenzialmente tossica per tutte le cellule, ma è attiva solo nei confronti delle<br />
cellule che possiedono un determinato bersaglio, generalmente un recettore<br />
indispensabile per la crescita cellulare e che il farmaco inibisce o blocca selettivamente.<br />
L’esempio più importante in oncologia <strong>veterinaria</strong> riguarda il<br />
mastocitoma canino, in cui la mutazione del gene c-kit può determinare la<br />
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produzione di un recettore transmembranario tirosin-chinasico (KIT o<br />
CD117) patologicamente autofosforilato, in grado di stimolare la proliferazione<br />
cellulare. Poiché tale condizione è generalmente accompagnata a sovraespressione<br />
e localizzazione citoplasmatica del recettore, con l’immunoistochimica<br />
per la proteina KIT è possibile predire nel singolo caso l’efficacia<br />
del trattamento con inibitori tirosin-chinasici.<br />
Un altro possibile bersaglio terapeutico su cui si sta concentrando l’attenzione<br />
deriva dalla recente acquisizione che in molte neoplasie maligne le cellule<br />
raggiungono una condizione di immortalizzazione attraverso la produzione<br />
di telomerasi, un enzima in grado di prevenire l’accorciamento dei telomeri<br />
cromosomiali, che nelle cellule somatiche normali si accorciano ad<br />
ogni divisione cellulare determinando una progressiva instabilità genomica e<br />
l’innesco dell’apoptosi. La presenza di attività telomerasica in una cellula tumorale,<br />
che può essere dimostrata con l’immunoistochimica utilizzando anticorpi<br />
diretti contro la subunità catalitica dell’enzima (h-TERT) o con metodi<br />
biomolecolari riproducendo in vitro l’attività dell’enzima (TRAP - Telomerase<br />
Repeat Amplification Protocol) dimostra che la cellula utilizza la via telomerasica<br />
per la sua sopravvivenza, e suggerisce una potenziale efficacia di<br />
farmaci, tuttora allo studio, in grado di inibire l’attività telomerasica (terapia<br />
genica, molecole antisenso, piccole molecole ad azione inibente).<br />
Numerosi studi hanno recentemente focalizzato l’attenzione anche sul<br />
ruolo della ciclossigenasi-2 nella progressione tumorale evidenziando in diverse<br />
neoplasie animali (carcinoma uroteliale, adenocarcinomi intestinali,<br />
osteosarcoma, ecc.) un’associazione fra sovraespressione immunoistochimica<br />
di COX-2 ed aggressività, che suggerisce una potenziale utilità in questi<br />
casi del trattamento con farmaci inibitori delle ciclossigenasi sia ad integrazione<br />
della chemioterapia tradizionale che nella prevenzione di eventuali<br />
recidive.<br />
PRIMARIO O SECONDARIO?<br />
Il riscontro di una patologia oncologica in organi frequente sede di metastasi<br />
(polmoni, fegato, reni) pone spesso dubbi riguardo alla natura primaria<br />
o secondaria di tali lesioni. In questi casi il patologo può tentare di individuare<br />
la sede primaria mettendo in evidenza marker diagnostici specifici di una<br />
sede piuttosto che di un’altra. Purtroppo i marker immunoistochimici specifici<br />
per singoli tipi di epitelio sono rari. Fra gli esempi più interessanti ricordiamo<br />
il TTF-1 (Thyroid Transcription Factor-1), che è specificamente<br />
espresso (oltre che nei carcinomi della tiroide) nei carcinomi polmonari primitivi<br />
e non in quelli metastatici, e l’uroplachina III, marker specifico per i<br />
carcinomi uroteliali.<br />
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COSA CAMBIERÀ NEL FUTURO?<br />
Anche se alla base di patogenesi e progressione tumorale stanno alterazioni<br />
genetiche, la diagnosi e la classificazione dei tumori si basa ancora sulla valutazione<br />
delle conseguenze di tali alterazioni (fenotipo istologico e immunoistochimico).<br />
La citogenetica tumorale è in effetti una scienza piuttosto<br />
giovane e in continua evoluzione. I sistemi tradizionalmente utilizzati per studiare<br />
le anomalie genetiche sono la PCR (Polymerase Chain Reaction), l’ISH<br />
(In Situ Hybridization) e la Real-time-PCR sono risultati poco adatti all’oncologia,<br />
perché permettono di studiare un solo gene per volta, mentre i tumori<br />
albergano spesso mutazioni in più geni contemporaneamente. Il limite è stato<br />
superato dalla genomica con la recente introduzione dei microarrays a<br />
DNA, che permettono di valutare su un solo supporto (“gene chip”) l’espressione<br />
di migliaia di geni. Tramite sistemi di analisi di immagine ed elaborazione<br />
statistica che confrontano l’espressione dei geni nelle cellule tumorali<br />
(selezionate tramite microdissezione laser) e normali dello stesso paziente<br />
(hierachical clustering) è possibile ottenere il profilo di espressione genica<br />
del tumore, da cui possono derivare importanti informazioni su istogenesi,<br />
tendenza a dare metastasi e sensibilità ai chemioterapici. Tuttavia, per la complessità<br />
delle dinamiche intracellulari, all’anomalia genetica non corrisponde<br />
necessariamente un prodotto alterato e attivo, così come il prodotto di un gene<br />
normale può andare incontro dopo la sintesi a modificazioni post-traslazionali<br />
(glicosilazione, fosforilazione, ecc.). Per questi motivi la ricerca si sta<br />
concentrando anche sulla proteomica, e cioè sulla caratterizzazione del preciso<br />
profilo proteico delle cellule tumorali.<br />
Scopo principale della definizione del profilo genomico e proteomico di<br />
una neoplasia (molecular profiling) consisterà nella formulazione di nuove<br />
classificazioni su base molecolare, che raggruppino i tumori non solo in base<br />
al loro aspetto istologico, ma anche e soprattutto in base alle caratteristiche<br />
biomolecolari correlate al decorso clinico e alla sensibilità a farmaci a bersaglio<br />
molecolare.<br />
COME COLLABORARE COL PATOLOGO?<br />
I campioni di tessuto su cui il patologo può eseguire le determinazioni presentate<br />
(e molte altre!) devono essere trattati in modo idoneo, al fine di non pregiudicare<br />
il percorso diagnostico intrapreso. I punti critici da ricordare sono:<br />
– biopsie: devono essere di dimensioni adeguate (alcuni millimetri), integre<br />
(se si frammentano quando messe nel fissativo sono probabilmente illeggibili),<br />
in numero adeguato (mai una soltanto, tanto più numerose quanto<br />
più voluminosa è la lesione), trattate con delicatezza e fissate subito;<br />
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– formalina: usare solo formalina tamponata per istologia, in quantità adeguata<br />
(il campione deve galleggiare nella formalina), non protrarre il periodo<br />
di fissazione (la fissazione oltre le necessarie 12-48 ore non altera le<br />
caratteristiche morfologiche, ma può precludere la possibilità di ricorrere<br />
ad approfondimenti immunoistochimici);<br />
– dimensioni del campione: a meno che non si fissi l’intero pezzo chirurgico<br />
per la valutazione dei margini, il campione deve avere uno spessore inferiore<br />
al centimetro, per permettere la completa penetrazione del fissativo<br />
prima che inizino i fatti putrefattivi;<br />
– contenitore: infrangibile, a chiusura ermetica, di dimensioni adeguate, con<br />
apertura sufficientemente ampia da permettere il comodo passaggio del<br />
pezzo fissato (la fissazione indurisce parecchio il tessuto);<br />
– informazioni di accompagnamento: fornire dati completi di segnalamento,<br />
anamnesi, sintomatologia, aspetto e localizzazione della neoformazione<br />
permette al patologo di articolare meglio le diagnosi differenziali e di fornire<br />
quindi responsi più accurati;<br />
– tempo e denaro: tutte le procedure ricordate in questa relazione richiedono attività<br />
di laboratorio che comportano l’uso di reagenti spesso costosi (anticorpi per<br />
immunoistochimica), la processazione di molti campioni (valutazione dei margini)<br />
e il lavoro di tecnici di laboratorio; non ci si deve quindi meravigliare se<br />
questi risultati vengono forniti dopo un intervallo di tempo più lungo rispetto ai<br />
tempi necessari per la sola istologia e a fronte di un eventuale sovrapprezzo.<br />
CONCLUSIONI<br />
Nonostante le informazioni diagnostico-prognostiche che il patologo può<br />
fornire “oltre la diagnosi” possano apparire complesse e riservate agli addetti ai<br />
lavori, si tratta in realtà di procedure che, quando standardizzate, sono piuttosto<br />
semplici e finalizzate a integrare il responso morfologico, e quindi soggettivo,<br />
con dati obiettivi e quantificabili, e che non hanno nulla di “magico”. Il vero<br />
“mago” era piuttosto il patologo del passato, che, utilizzando solo i suoi occhi<br />
e la sua esperienza era talvolta costretto a esercitare una sorta di “chiaroveggenza”<br />
istopatologica. E, come tutti i maghi, a volte sbagliava. Utilizzando le<br />
nuove tecniche la patologia del futuro cercherà di ridurre il margine di errore e<br />
di incrementare le informazioni utili per prognosi e terapia.<br />
Indirizzo per la corrispondenza:<br />
Giuliano Bettini<br />
Servizio di Anatomia Patologica - Dipartimento di Sanità Pubblica Veterinaria e Patologia Animale<br />
Facoltà di Medicina Veterinaria - Alma Mater Studiorum - Università di Bologna<br />
Via Tolara di Sopra 50, I - 40064 Ozzano Emilia (Bologna)<br />
Tel. ++39 051 2097969 - Fax ++39 051 2097968 - E-mail: giuliano.bettini@unibo.it<br />
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Julia Buchholz<br />
Dr Med Vet, Dipl ACVR (Radiation Oncology),<br />
Colorado, USA<br />
Terapia fotodinamica:<br />
all’ombra della luce<br />
Sabato, 8 Marzo 2008, ore 17.10<br />
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INTRODUZIONE<br />
In medicina <strong>veterinaria</strong> la terapia fotodinamica è una modalità piuttosto<br />
recente e raramente utilizzata come trattamento del cancro. La base del<br />
principio della terapia fotodinamica è l’interazione tra un fotosensibilizzatore,<br />
la luce e l’ossigeno. Una reazione fotodinamica descrive un processo<br />
fotochimico nel quale si verifica l’assorbimento della luce da parte del fotosensibilizzatore<br />
con conseguente creazione di radicali d’ossigeno reattivi.<br />
Il risultato è la distruzione del tessuto maligno. Già 3000 anni fa la fotosensibilizzazione<br />
era utilizzata in Egitto, Cina e India come trattamento di<br />
malattie della pelle: applicavano estratti di piante sulla pelle ed esponevano<br />
le parti trattate alla luce del sole. Nel 1904 Hermann von Tappeiner coniava<br />
il termine “Terapia fotodinamica” (PDT) per indicare il processo dipendente<br />
dall’ossigeno 14 , in questo modo già allora i pazienti oncologici venivano<br />
trattati con successo grazie alla PDT. Nell’anno 1924 il medico francese<br />
Albert Policard fece una scoperta importante: la lampada di Wood permetteva<br />
di mostrare l’accumulo selettivo di porfirina, uno dei fotosensibilizzatori<br />
più utilizzati in quel periodo 30 . Il successo della PDT avvenne nell’anno<br />
1975 dopo che Thomas Dougherty negli Stati Uniti trattò diverse<br />
neoplasie nell’uomo e negli animali. Le sue esperienze hanno contribuito<br />
molto alla conoscenza che oggi abbiamo sulla PDT 7 .<br />
MECCANISMO D’AZIONE DELLA PDT<br />
Il fotosensibilizzatore è capace d’assorbire la luce dopo essersi trasformato<br />
in uno stadio di eccitazione ionica. L’energia assorbita del fotosensibilizzatore<br />
si trasferisce principalmente all’ossigeno molecolare, da qui si sviluppa<br />
l’ossigeno singoletto, un radicale libero molto reattivo che reagisce e distrugge<br />
tutti i tessuti ossigenabili.<br />
Ci sono tre meccanismi per la distruzione del tumore mediante PDT: 1) distruzione<br />
diretta delle cellule tumorali 12 , 2) distruzione dei vasi associati al tumore<br />
6,8,9 e 3) attivazione di una risposta immunologica contro le cellule tumorali<br />
10,18 . Le ragioni per cui l’accumulo selettivo del fotosensibilizzatore si<br />
verifica, sono una permeabilità elevata nel sistema dei vasi tumorali, un impedimento<br />
del drenaggio linfatico, un abbassamento del pH delle cellule tumorali<br />
e cambiamenti nello stroma del tumore 35 . Questo accumulo può essere<br />
aumentato ancora di più utilizzando anticorpi monoclonali, liposomi oppure<br />
proteine a bassa densità 26 .<br />
I progressi sono costanti, non solo nel settore della luce (sorgente/applicazione),<br />
ma anche riguardo ai fotosensibilizzatori (selettività alta tumore verso<br />
tessuto normale), fotosensibilizzazione generalizzata per un periodo breve.<br />
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FONTE DI LUCE<br />
Dallo sviluppo del Laser (light amplification by stimulated emission of radiation)<br />
nell’anno 1960 la PDT è progredita ulteriormente grazie a qualità<br />
specifiche di quest’ultimo, di cui la più importante è la monocromasia (emissione<br />
di una sola lunghezza d’onda). La lunghezza d’onda specifica nella “finestra<br />
terapeutica” della PDT (600-800 nm) viene scelta in corrispondenza<br />
del massimo spettro di assorbimento del fotosensibilizzatore. La terapia dura<br />
normalmente pochi minuti.<br />
Ci sono diverse possibilità per l’applicazione della luce: la maggior parte<br />
delle volte si utilizza la “lente frontale”, specialmente per i tumori della pelle.<br />
I tumori degli organi cavi, come per esempio la vescica, sono invece trattati<br />
per via endoscopica 4 .<br />
FOTOSENSIBILIZZATORI<br />
I fotosensibilizzatori possono essere somministrati per via sistemica (orale,<br />
endovenosa) oppure per via topica. Con la somministrazione sistemica il<br />
paziente mostra una fotosensibilità generalizzata, mentre con la somministrazione<br />
topica il problema della fotosensibilità generalizzata è inesistente. Il fattore<br />
limitante con la somministrazione locale è la difficoltà di diffusione del<br />
fotosensibilizzatore nella profondità del tessuto 34 .<br />
OSSIGENO<br />
La quantità d’ossigeno nel tumore durante la PDT corrisponde all’efficacia<br />
clinica. Come nella radioterapia, il tessuto tumorale ipossico sembra molto<br />
più resistente alla terapia 5,36 .<br />
VANTAGGI E LIMITAZIONI<br />
La PDT è una terapia minimamente invasiva e può essere fatta ambulatorialmente<br />
e normalmente un trattamento è sufficiente. Una tossicità cumulativa<br />
non esiste e i risultati estetici sono ecellenti 27,33 .<br />
Purtroppo l’efficacia di trattamento dipende dallo spessore del tumore, al<br />
massimo 1-1,5 cm di profondità: per questo, la PDT funziona solo per i tumori<br />
superficiali. Benché la PDT sia considerata una terapia locale, esiste comunque<br />
una possibilità che il sistema immunitario venga attivato contro le cellule tumorali.<br />
Questo risulterebbe in una inibizione sistemica dello sviluppo metastatico 11 .<br />
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Illustrazione 1a. Illustrazione 1b.<br />
Effetti collaterali e fase del trattamento collaterali locali sono edema, iperemia,<br />
cianosi 3,24,33 , raramente prurito nei 2-4 giorni successivi alla terapia. La<br />
somministrazione sistemica del fotosensibilizzatore porta ad una fotosensibilizzazione<br />
generalizzata, la cui durata dipende dal veicolo utilizzato. Altri effetti<br />
collaterali descritti sono complicazioni cardiovascolari (soprattutto dopo<br />
trattamenti di tumori estesi ed invasivi) 24 . Dopo circa 3 giorni dal trattamento<br />
si verifica la formazione di una crosta (Illustrazione 1a) che, a seconda dello<br />
spessore e della profondità della lesione, dovrebbe cadere da sola nell’arco di<br />
2 - 8 settimane; al di sotto dovrebbe apparire una pelle riepitelializzata, un po’<br />
più sottile e glabra (Illustrazione 1b).<br />
INDICAZIONI CLINICHE<br />
Carcinoma squamoso (SCC) cutaneo del gatto<br />
Gli SCC cutanei del gatto sono i tumori dove la PDT trova le maggiori indicazioni:<br />
rappresentano circa il 15% di tutti i tumori cutanei del gatto, il loro<br />
comportamento è localmente invasivo ma metastatizzano raramente 37 .<br />
In uno studio Magne et al. hanno somministrato il fotosensibilizzatore<br />
HPPH in 51 gatti con SCC cutaneo: la remissione completa è stata registrata<br />
nel 49% dei gatti, nel 12% una remissione parziale, mentre il 39% non ha avu-<br />
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to una risposta. Il raggiungimento di una remissione totale e duratura del tumore<br />
era significativamente correlata con la dimensione del tumore e il suo<br />
grado di invasività (Stage del tumore). Tumori non invasivi con un diametro<br />
inferiore a 1,5 cm avevano una remissione completa nel 100% dei casi, tumori<br />
infiltrativi con diametro < 1,5 cm avevano una risposta del 56% e tumori invasivi<br />
con un diametro > 1,5 cm rispondevano solo nel 18% dei casi. Il controllo<br />
locale del tumore ad 1 anno dal trattamento era però del 61,7% 24 .<br />
Stell. et al. hanno ottenuto una remissione completa nel trattamento di<br />
SCC superficiali nell’85% dei casi dopo PDT topica con ALA, un’altra sostanza<br />
fotosensibilizzante e con l’uso di un LED al posto del Laser come sorgente<br />
di luce. La percentuale di recidiva era del 64% con un tempo libero da<br />
malattia di 21 settimane 33 . La somministrazione topica di ALA di Lucroy et<br />
al. non mostrava segni di tossicità epatica 19 od ematologica, a differenza della<br />
somministrazione intravenosa.<br />
Buchholz et al. hanno utilizzato una formulazione liposomale di fotosensibilizzatore<br />
somministrata per via intravenosa (mTHPC) in 20 SCC felini. La<br />
risposta completa iniziale era del 100% con un controllo locale del tumore ad<br />
1 anno dal trattamento del 75% e un tasso di recidiva del 20% (Tempo libero<br />
da malattia 172,25 giorni). La somministrazione sistemica del fotosensibilizzatore<br />
era ben tollerata dai gatti e grazie alla alta selettività della formulazione<br />
liposomale la fotosensibilizzazione generalizzata del paziente durava circa<br />
una settimana (periodo nel quale il gatto non deve essere esposto alla luce solare<br />
diretta) 2 .<br />
Reeds et al. hanno trattato con successo 9 carcinomi in cani ed in gatti con<br />
fotosensibilizzatore HPPH e un LED come fonte di luce: 8 di essi hanno mostrato<br />
una remissione completa e dopo 68 settimane il tempo medio di recidiva<br />
non era ancora raggiunto 31 .<br />
Carcinomi delle basse vie urinarie<br />
La PDT potrebbe svolgere un ruolo nel futuro nel trattamento di tumori<br />
delle vie urinarie ed in particolare per il carcinoma delle cellule di transizione<br />
(TCC) della vescica. Ridgway et al. hanno dimostrato che le cellule di<br />
TCC canino sono sensibili ad ALA in vitro 32 . In uno studio di Lucroy et al.<br />
ALA è stato somministrato oralmente a cani: il 70% dei cani mostrava vomito<br />
ma questo non influiva negativamente sulla farmacocinetica della sostanza.<br />
Inoltre è stata notata una concentrazione di metaboliti attivi 10 volte superiore<br />
nella mucosa rispetto alla sottomucosa ed alla muscolaris mucosae, che potrebbe<br />
significare una possibilità di terapia selettiva 20 . La PDT potrebbe quindi<br />
rivelarsi indicata nel trattamento di cani con TCC della vescica o di carcinoma<br />
prostatico.<br />
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ALTRI TUMORI<br />
In uno studio McCaw et al. hanno trattato 11 cani con SCC orale utilizzando<br />
HPPH in combinazione con la chirurgia. Nove di questi pazienti mostravano<br />
una remissione completa per una media di 17 mesi. Otto cani sono<br />
stati considerati guariti con una sopravvivenza media più lunga di 29 mesi con<br />
ottimi risultati estetici 27 .<br />
Payne et al. hanno avuto dei risulti promettenti nel trattamento combinato<br />
chirurgia - PDT di Emangiopericitomi e SCC orali canini 28 .<br />
Lucroy et al. hanno dimostrato in 3 cani ed 1 gatto un miglioramento dei<br />
sintomi clinici in tumori nasali 21 . Un report descrive una remissione parziale<br />
in un carcinoma squamoso dell’esofago dopo trattamento con PDT 13 .<br />
NUOVE INDICAZIONI<br />
È risaputo che sia batteri che funghi potrebbero essere uccisi mediante<br />
trattamento con PDT, il che apre eventualmente la strada a possibili applicazioni<br />
nelle infezioni croniche di pelle ed orecchie.<br />
In medicina umana si pensa anche ad un uso diagnostico di ALA per svelare<br />
intraoperativamente metastasi linfonodali o cellule tumorali ai margini di<br />
escissione 16 .<br />
Riassumendo, la terapia Fotodinamica trova indicazione in lesioni superficiali<br />
della pelle o di organi cavitari. Una potenziale combinazione con chirurgia<br />
27 , chemioterapia 23 e radioterapia 1 , ipertermia 15 o immunoterapia 18 dovrebbe<br />
essere auspicata nel futuro.<br />
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29
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30
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Julia Buchholz<br />
Dr Med Vet, Dipl ACVR (Radiation Oncology),<br />
Colorado, USA<br />
La radioterapia - quanta strada<br />
abbiamo fatto?<br />
Sabato, 8 Marzo 2008, ore 17.50<br />
31
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INTRODUZIONE<br />
La radioterapia è stata utilizzata già pochi anni dopo la scoperta dei raggi<br />
x come trattamento di malattie croniche, infiammatorie e neoplastiche<br />
nell’uomo e negli animali. In medicina <strong>veterinaria</strong> le prime segnalazioni di<br />
radioterapia arrivano dall’Europa. Tra il 1895 e il 1920 il veterinario tedesco<br />
Richard Eberlein ha trattato animali con radioterapia con successo. Nel<br />
1938, il veterinario austriaco Alois Pommer presentava le sue esperienze<br />
con la radioterapia e proponeva 35 diverse indicazioni di trattamento in più<br />
di 1000 pazienti al congresso veterinario a Zurigo 1 . Da quel periodo in poi,<br />
purtroppo, la radioterapia <strong>veterinaria</strong> è stata dimenticata per tanti anni in<br />
Europa mentre negli Stati Uniti, al contrario, ha continuato ad avanzare 2 .<br />
Negli ultimi dieci anni comunque la radioterapia è tornata in auge anche in<br />
Europa, nonostante i centri che la propongono non siano ancora molti. Le<br />
ragioni della scarsità di macchine per radioterapia va cercata negli altissimi<br />
costi di gestione della macchina stessa e degli operatori necessari al controllo<br />
ed al funzionamento (fisici, tecnici). Inoltre un radio-oncologo dovrebbe<br />
sempre essere responsabile della creazione di piani di trattamento e<br />
della cura dei pazienti trattati.<br />
MECCANISMO D’AZIONE DELLA RADIOTERAPIA<br />
I raggi ionizzati possono distruggere le cellule: passano il tessuto e depositano<br />
l’energia all’interno delle cellule stesse. Il risultato è un danno diretto<br />
al DNA oppure danni indiretti via una ionizzazione dell’acqua. Questi<br />
danni sono gravi e risultano in una distruzione della cellula. L’unità della<br />
dose è il Gray (Gy) che significa l’assorbimento di 1 Joule per chilo di massa<br />
corporea.<br />
Purtroppo l’effetto della ionizzazione non è presente solo nelle cellule tumorali:<br />
anche le cellule normali, specialmente quelle che replicano di più<br />
(pelle, mucose, cellule intestinali, midollo osseo), mostrano un danno simile.<br />
Per questo motivo è necessario somministrare la dose totale in tante piccole<br />
porzioni (frazioni). Fortunatamente il tessuto sano ha una capacità di riparazione<br />
più alta del tessuto neoplastico che risulta in una “vittoria terapeutica”.<br />
PROTOCOLLI DI TERAPIA<br />
Come sopracitato si deve somministrare la radioterapia in più frazioni. In<br />
medicina umana di solito sono 20-30 frazioni suddivise in 6-7 settimane. Di<br />
solito i protocolli veterinari utilizzano una dose per frazione più alta e una do-<br />
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se totale più bassa, si somministrano così da 12 a 18 frazioni in 3 o 4 settimane<br />
per un trattamento curativo.<br />
In medicina <strong>veterinaria</strong> è purtroppo necessaria un’anestesia generale per<br />
ogni trattamento, affinché il paziente sia immobile, ma è comunque sufficiente<br />
che sia un’anestesia leggera, senza analgesici, dato che la radioterapia<br />
non è dolorosa.<br />
MACCHINE PER IL TRATTAMENTO<br />
In questa sede parliamo di radioterapia esterna (teleterapia), indicando<br />
un’irradiazione somministrata dall’esterno, al contrario della brachiterapia, in<br />
cui una sorgente radioattiva è impiantata direttamente nel tumore.<br />
All’inizio venivano utilizzate soprattutto macchine a raggi x con un’energia<br />
bassa se paragonata alle macchine più moderne. Il problema di queste<br />
macchine è che non permettono di trattare tumori profondi e che la dose somministrata<br />
all’osso è molto più alta di quella ricevuta dal tessuto molle. Oggi<br />
sono utilizzate le macchine a cobalto e gli acceleratori lineari: il vantaggio del<br />
cobalto sono i prezzi più contenuti di macchina e manutenzione, il vantaggio<br />
degli acceleratori lineari è che permettono trattamenti più precisi (meno penombra),<br />
il che è clinicamente rilevante soprattutto per i tumori del cervello e<br />
del naso. Un secondo vantaggio è l’assenza di una sorgente radioattiva. Inoltre<br />
con l’acceleratore lineare si possono utilizzare sia fotoni per i tumori profondi,<br />
che elettroni per trattare tumori superficiali in una maniera molto elegante<br />
senza somministrare una dose alta al tessuto normale sottostante.<br />
INDICAZIONI<br />
Indicazioni assolute<br />
Ci sono tumori in cui la radioterapia è considerata la prima scelta, come<br />
tumori nasali, tumori del cervello e linfoma localizzato (eventualmente in<br />
combinazione con chemioterapia).<br />
Indicazioni relative<br />
In questo caso i risultati della radioterapia sono comparabili ad altre modalità<br />
(es. chirurgia) ma il risultato estetico o funzionale ne è avvantaggiato.<br />
Esempi sono l’epulide acantomatosa, l’adenoma perianale e il carcinoma<br />
squamocellulare.<br />
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Radioterapia adiuvante<br />
La radioterapia è spesso utilizzata sinergicamente alla chirurgia come trattamento<br />
locale e con la chemioterapia per i tumori che hanno un alto rischio<br />
metastatico. Esempi sono il mastocitoma e i sarcomi dei tessuti molli.<br />
Radioterapia curativa<br />
L’obiettivo con questo tipo di radioterapia è la cura dell’animale dal tumore,<br />
oppure il controllo a lungo termine quando curare non fosse possibile<br />
(qualche anno). Sono dei protocolli intensi e spesso ci sono effetti collaterali<br />
acuti (da qualche giorno a circa due settimane) associati ad un decorso<br />
curativo.<br />
Radioterapia palliativa<br />
L’intento della radioterapia palliativa è il miglioramento della qualità di vita<br />
per il tempo che rimane al paziente. Il risultato è la diminuzione del dolore,<br />
una stabilizzazione della neoplasia oppure il cessare di sanguinamenti cronici.<br />
Sono solo poche frazioni che non risultano in effetti collaterali. Qualche<br />
volta c’è un prolungamento del tempo di sopravvivenza, ma non è l’obiettivo<br />
primario.<br />
Effetti collaterali<br />
Come già detto è soprattutto il tessuto che prolifera velocemente che mostra<br />
gli effetti secondari acuti. Una radioterapia curativa di un tumore cutaneo<br />
può risultare in una dermatite secca o umida. Di solito, le reazioni cominciano<br />
2 o 3 settimane dall’inizio del trattamento, raggiungono il picco intorno alla fine<br />
del ciclo e durano ancora circa altre 2 settimane. Per i tumori orali è la mucosa<br />
buccale che evidenzia un’infiammazione ed un aumento della salivazione.<br />
Queste alterazioni di pelle o mucosa (Illustrazione 1a: alla fine della radioterapia<br />
curativa; Illustrazione 1b: al controllo 3 settimane dopo la fine della radioterapia)<br />
vengono trattate con antibiotici e corticosteroidi sistemici e con impacchi<br />
di the nero, che ha un effetto lenitivo e calmante. È sconsigliato l’uso<br />
di creme o gel ed è fondamentale che gli animali non si lecchino o grattino nella<br />
zona irradiata (collare elisabettiano!) perché la pelle dopo l’irradiazione è<br />
molto sottile, delicata e si ulcera facilmente. Il pelo ricresce nell’arco di qualche<br />
mese, ma il colore ed anche la struttura del pelo può cambiare.<br />
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Illustrazione 1a. Illustrazione 1b.<br />
Gli effetti collaterali acuti con la radioterapia curativa dei tumori nasali è<br />
scolo nasale, starnuti, mucositi ed effetti collaterali agli occhi se sono stati<br />
compresi nel campo d’irradiamento. La radioterapia curativa di tumori cerebrali<br />
e del midollo spinale raramente risultano in effetti collaterali acuti.<br />
Per quanto riguarda gli effetti collaterali cronici, è necessario cercare di<br />
prevenirli in tutti i modi, dato che il controllo di alcuni di essi è molto difficile<br />
se non impossibile (necrosi cutanea, necrosi cerebrale, osteoradionecrosi).<br />
È responsabilità del radiooncologo di creare dei piani di radioterapia con il<br />
minor rischio possibile di provocare questi effetti collaterali cronici.<br />
TUMORI FREQUENTEMENTE TRATTATI<br />
CON LA RADIOTERAPIA<br />
Tumori orali (in ordine di radiosensibilità)<br />
Le epulidi acantomatose sono molto radioresponsive. Come con la chirurgia,<br />
il controllo del tumore è del 90% 3 . Il vantaggio della RT può essere che<br />
il risultato estetico è superiore a quello della chirurgia.<br />
Nel cane il carcinoma squamocellulare risponde bene alla radioterapia con<br />
circa 75% dei tumori controllati con sola radioterapia 4 . Una combinazione di<br />
chirurgia e radioterapia spesso risulta in un controllo superiore. La prognosi<br />
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dipende della localizzazione nella bocca: quelli rostrali rispondono molto meglio<br />
di quelli localizzati nelle zone caudali, i quali spesso metastatizzano velocemente<br />
nel corso della malattia.<br />
Il carcinoma squamocellulare orale nel gatto, al contrario, ha una prognosi<br />
infausta e anche con un trattamento locale aggressivo questi tumori non sono<br />
quasi mai controllati.<br />
I fibrosarcomi non sono tanto responsivi alla radioterapia da sola, ma una<br />
combinazione con la chirurgia aumenta la probabilità di controllare questo tipo<br />
di tumore che è molto aggressivo localmente (33-76% controllo dopo un anno) 4 .<br />
Il melanoma è il tumore orale più frequente nel cane ed è estremamente radioresponsivo<br />
(risposta nell’83-100% dei casi) 5,6,7 . Si utilizza di solito un protocollo<br />
palliativo con una dose alta per frazione dato che il melanoma eccezionalmente<br />
risponde meglio a grandi frazioni che non a trattamenti curativi;<br />
purtroppo la sopravvivenza è limitata dalla comparsa precoce di metastasi.<br />
Tumori nasali<br />
◊Tumori intranasali sono difficili da controllare con ogni tipo di trattamento,<br />
ma la RT rimane comunque la prima scelta. La sopravvivenza mediana<br />
e di circa 12-18 mesi nel cane 8,9 e di circa 12 mesi nel gatto 10 trattati con<br />
radioterapia curativa.<br />
Il linfoma intranasale nel gatto ha una prognosi molto buona con 24 mesi di<br />
sopravvivenza mediana 11 (circa 30 mesi con radioterapia e chemioterapia) 12 .<br />
È possibile ed auspicabile che, per i tumori intranasali, nuove tecniche come<br />
la radioterapia d’intensità modulata (IMRT) possano aumentare il controllo<br />
locale senza aumentare gli effetti collaterali.<br />
Tumori del piano nasale<br />
Il carcinoma squamocellulare nel gatto è un tumore abbastanza frequente<br />
e spesso la chirurgia esita in un risultato estetico non soddisfacente. Con la radioterapia<br />
si possono trattare tumori già abbastanza estesi (troppo grandi per<br />
la terapia fotodinamica) con successo: più del 90% risponde alla terapia. Circa<br />
il 65% ha un controllo del tumore dopo un anno 13,14 .<br />
Tumori cerebrali<br />
La radioterapia è un’ottima scelta per i tumori cerebrali. Pazienti con sintomi<br />
neurologici spesso stanno meglio già dopo poche sedute di radioterapia<br />
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e la sopravvivenza mediana è di 24 mesi 15 . I barbiturici devono essere continuati<br />
in caso di crisi epilettiche.<br />
Per i tumori ipofisari l’endocrinopatia spesso rimane anche se il tumore<br />
macroscopico è controllato con la radioterapia.<br />
Qualche volta, i sintomi clinici iniziali riappaiono circa 2-10 settimane dopo<br />
che la radioterapia è finita, ma in questo caso parliamo d’effetti collaterali<br />
specifici per il tessuto nervoso e che possono essere controllati con cortisone.<br />
È importante conoscere questo fenomeno e di non considerare la terapia<br />
inefficace.<br />
Tumori dell’osso<br />
La radioterapia è utilizzata per l’osteosarcoma in maniera palliativa. È una<br />
terapia efficace per il controllo del dolore e di solito l’effetto analgesico dura<br />
circa tre mesi. Qualche volta il dolore può aumentare dopo la prima seduta per<br />
poi scomparire nell’arco di 2 settimane, con una risposta del 74-92% 16,17 . La radioterapia<br />
può essere combinata con la somministrazione di bisfosfonati e<br />
FANS. Il ruolo della chemioterapia in combinazione alla radioterapia palliativa<br />
dell’osteosarcoma non è chiaro, ma non sembra aumentare la sopravvivenza.<br />
TUMORI DEL TRONCO E DELLE ESTREMITÀ<br />
Mastocitoma<br />
Prima scelta per la maggior parte dei mastocitomi (grado due) è la chirurgia.<br />
Se il chirurgo non riesce ad avere margini puliti e un’altra chirurgia non<br />
è possibile, una radioterapia curativa è indicata (controllo a due anni di 85-<br />
95%) 18,19,20 . Ci sono diverse situazioni in cui i linfonodi regionali sono inclusi<br />
nel campo d’irradiazione e in cui una chemioterapia adiuvante è indicata<br />
(linfonodo positivo, mastocitoma ad alto rischio: sopravvivenza mediana di<br />
circa tre anni) 21,22 . In qualche situazione, solo una combinazione di radioterapia<br />
palliativa e chemioterapia è ragionevole (per esempio un mastocitoma diffuso<br />
di grado tre con linfonodi positivi).<br />
Sarcomi dei tessuti molli<br />
I sarcomi dei tessuti molli sono molto invasivi localmente e devono essere<br />
trattati aggressivamente con le terapie locali. La scelta migliore in caso di<br />
sarcoma a margini sporchi dopo chirurgia è una radioterapia curativa posto-<br />
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peratoria (controllo e sopravvivenza a cinque anni in circa 75%) 23 . In alternativa,<br />
se è ovvio che non è possibile avere margini puliti oppure se dopo la chirurgia<br />
il tumore resta ancora macroscopico, una radioterapia curativa può anche<br />
essere effettuata in modo preoperatorio. Ci sono report di medicina umana<br />
che indicano che la probabilità/ rischio di avere complicazioni di cicatrizzazione<br />
sono più alti con la radioterapia preoperatoria.<br />
I sarcomi iniettivi dei gatti sono molto aggressivi localmente e anche se la<br />
chirurgia ha margini puliti istologicamente, una radioterapia curativa deve essere<br />
sempre considerata, poiché con sola chirurgia ad ampi margini il tasso di<br />
recidiva è del 50%. Se adiuvato a RT curativa, il tasso di recidiva scende a<br />
28% 24 . Rimane comunque un caposaldo che la prima chirurgia sia molto aggressiva,<br />
a margini puliti, visto che le recidive hanno sempre una prognosi<br />
peggiore rispetto al tumore primario.<br />
Altri tumori in cui la radioterapia è efficace sono: l’adenocarcinoma dei<br />
sacchi anali, l’adenocarcinoma perianale, il carcinoma della tiroide, il linfoma<br />
localizzato (vedi tumori intranasali).<br />
Indicazioni non neoplastiche in cui la radioterapia può essere utilizzata sono<br />
l’artrosi nel cane, gli eczemi (da leccamento), stomatite/gengivite del gatto<br />
e sialocele. Per queste lesioni benigne la dose utilizzata è molto più bassa.<br />
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Paolo Buracco<br />
Med Vet, Dipl ECVS, Grugliasco (TO), Italia<br />
Terapia dell’osteosarcoma<br />
Domenica, 9 Marzo 2008, ore 9.40<br />
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L’osteosarcoma (OSA) rappresenta nel cane l’85% dei tumori ossei primari.<br />
Colpisce soprattutto cani > 35 kg, di 5-7 anni di età ma anche più giovani<br />
(1,5-2 anni); nel 5% circa dei casi colpisce soggetti < 15 kg.<br />
I maschi sono colpiti in percentuale lievemente maggiore.<br />
Le femmine affette sono soprattutto di razza San Bernardo, Rottweiler e<br />
Alano. Predisposizione genetica famigliare è sino ad ora accertata nel S. Bernardo<br />
e Rottweiler. 1<br />
L’OSA appendicolare è localmente aggressivo. Insorge più spesso a livello<br />
metafisario (radio distale, omero prossimale, femore e tibia distali e prossimali,<br />
molto raro a radio prossimale e omero distale). È altamente metastatico<br />
ma solo nel 10% dei soggetti si ha, alla prima osservazione, evidenza radiografica<br />
di metastasi polmonari.<br />
Le metastasi linfatiche regionali sono rare; possibili inoltre a carico di<br />
molti organi e tessuti, compreso l’osso. Varianti biologiche sono l’OSA juxtacorticale<br />
(o parostale) che si appone in senso centrifugo sulla corticale di<br />
ossa lunghe o piatte con comportamento sarcomatoso tardivo, e l’OSA extrascheletrico<br />
(da mammella, tiroide, esofago, sottocute, muscoli, milza, omento,<br />
laringe-trachea, rene, fegato, occhio, etc.). Biologicamente simile all’OSA<br />
appendicolare è quello costale, mentre quello cranico è caratterizzato da tasso<br />
metastatico più limitato. Istologicamente è classificato come osteoblastico,<br />
condroblastico, fibroblastico, condro-fibroblastico, indifferenziato, telengiectasico<br />
e a cellule giganti. Tale classificazione è poco importante ai fini prognostici,<br />
per quanto il fibroblastico sia forse caratterizzato da prognosi migliore.<br />
Nell’OSA parosteale le diverse componenti rivelano gradi di malignità<br />
variabili. 1<br />
Clinicamente l’OSA si manifesta con tumefazioni dure e deformazioni di<br />
grado diverso, dolore e amiotrofia (specie l’appendicolare), espansioni intracavitarie<br />
(ad es. quello costale), disturbi funzionali (ad es. costipazione, segni<br />
neurologici, esoftalmo, difficoltà di apertura della bocca, etc.). Le fratture patologiche<br />
sono rare. In presentazione le condizioni generali del cane sono in<br />
genere buone. 1<br />
L’iter diagnostico (stadiazione clinica e chirurgica) prevede: 1) esame<br />
clinico; 2) esame radiografico della lesione primaria (con eventuale valutazione<br />
comparativa con la parte controlaterale sana). L’esame TAC è molto<br />
utile per pianificare la chirurgia, soprattutto quella conservativa; 3) scintigrafia<br />
ossea, se disponibile; 4) esami di laboratorio (di particolare interesse<br />
la calcemia e l’attività della fosfatasi alcalina); 5) biopsia ad ago sottile e<br />
con ago Jamshidi (lesione primaria e di ogni linfoadenopatia sospetta, specie<br />
se regionale; in caso di OSA, il linfonodo regionale è metastatico in <<br />
5% dei casi). 1<br />
L’OSA, radiograficamente, è classificato come osteoproduttivo, osteolitico,<br />
centrale, periostale, parosteale (o iuxtacorticale) e telengiectasico. 1<br />
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STADIAZIONE CHIRURGICA DELL’OSA<br />
– Grado istologico (G - G1 low grade, G2 high grade)<br />
– Valtazione anatomica (T - T1 o A - intracompartimentale,<br />
T2 o B - extracompartimentale)<br />
– Metastasi regionali o distanti (M - M0 nessuna metastasi, M1 metastasi)<br />
Stadio I: G1 / M0 (T1 o T2)<br />
Stadio II: G2 / M0 (T1 o T2)<br />
Stadio III: G1 o G2 / M1 (T1 o T2)<br />
N.B.: la maggior parte degli OSA è IIB in presentazione.<br />
A causa del suo elevato potenziale metastatico, il trattamento dell’OSA<br />
prevede terapie sia locali sia sistemiche. L’esclusivo controllo chirurgico<br />
della lesione primaria è palliativo e il 90% circa dei soggetti così trattati<br />
muore entro 5 mesi per metastasi polmonari. Al contrario, l’associazione<br />
chirurgia/chemioterapia consente in genere a 1 cane su 5 di sopravvivere almeno<br />
2 anni.<br />
Il trattamento della lesione primaria implica la sua asportazione ad ampio<br />
margine (en bloc). La chirurgia non conservativa per la forma appendicolare<br />
prevede: a) amputazione completa dell’arto (per i sarcomi della testa del femore<br />
si associa anche l’acetabolectomia). È il metodo più semplice di eradicazione<br />
ed è praticamente scevra da complicanze. Gli animali, anche pesanti,<br />
deambulano e svolgono le principali funzioni anche se privati di un arto, sia<br />
esso un anteriore o un posteriore (più funzionale). È controindicata in caso di<br />
patologie ortopediche e/o neurologiche concomitanti; b) pelvectomia parziale<br />
(più o meno amputazione dell’arto) o totale unilaterale. Nel gatto, dopo<br />
amputazione, la sopravvivenza è spesso prolungata (fino a 4 anni) visto che il<br />
tasso metastatico di tale neoplasia in questa specie è ridotto (15-20%); per<br />
quelli assiali la prognosi dipende dalla sua localizzazione (cioè dalla possibilità<br />
di eseguire una escissione en bloc). 1<br />
In alternativa alla chirurgia radicale, specie nel cane, sono utilizzabili per<br />
l’OSA appendicolare tecniche conservative di salvataggio dell’arto (c.d. “limb<br />
sparing”). Queste implicano la resezione en bloc del tumore basandosi su misurazioni<br />
eseguite su radiografia, scintigrafia (che sovrastima la lesione di circa<br />
il 30%), TAC o RMN preoperatorie. 2<br />
Tra queste tecniche, si ricordano:<br />
1) scapulectomia parziale o totale<br />
2) ulnectomia (OSA dell’ulna), associata o meno a panartrodesi carpica.<br />
L’autore sconsiglia tale procedura nella maggior parte dei casi in quanto i<br />
sarcomi dell’ulna sono spesso molto litici con invasione dei tessuti molli<br />
circostanti; essenziale comunque la loro valutazione mediante TAC o<br />
RMN prima di procedere<br />
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3) sostituzione del tumore escisso en bloc a) con innesto osseo corticale allogenico<br />
congelato di banca, 3 b) con lo stesso tumore escisso dopo sua pasteurizzazione<br />
(65° C per 40 minuti in soluzione fisiologica sterile), 4 c)<br />
con endoprotesi metalliche “composite” comprendenti sia la parte da sostituire<br />
sia la placca per realizzare la panartrodesi carpica, 5 e d) con trapianto<br />
autologo vascolarizzato (ad es. ulna distale). 6 Le procedure a) e b)<br />
sfruttano le capacità osteoinduttiva e osteoconduttiva del segmento impiantato;<br />
la stabilità del sistema può essere aumentata con cemento acrilico<br />
addizionato con gentamicina (per il controllo dell’infezione). L’osteotomia<br />
prossimale del radio (e quasi costantemente dell’ulna adiacente per<br />
ridurre la possibilità di recidiva) si esegue a 4 cm dal margine radiografico<br />
del tumore e non deve oltrepassare, per problemi di stabilità dell’impianto,<br />
la metà della lunghezza dell’osso. In generale tale tecnica è consigliabile<br />
solo per i tumori del radio distale<br />
4) ricostruzione della parte rimossa mediante “bone transport osteogenesis”<br />
(con apparato di Ilizarov) 7,8<br />
5) ricostruzioni più rare: a) protesi d’anca (per sarcomi del femore prossimale),<br />
b) ricostruzione con innesto osseo per OSA diafisari con risparmio dell’articolazione<br />
contigua. 9<br />
Il limb sparing mediante innesti ossei omologhi od autologhi non è scevro<br />
da complicanze: a) infezione (fino al 30-40% dei soggetti trattati), più spesso<br />
come fistole ricorrenti, controllabili in genere mediante periodica somministrazione<br />
di antibiotici e trattamento locale. Nei casi più gravi si assiste a infezioni<br />
trattabili solo con la rimozione del sistema (divenuto instabile per cedimento<br />
dei mezzi di sintesi) o l’amputazione dell’arto. I cani che sviluppano<br />
infezione sopravvivono più a lungo, per presumibile stimolazione del sistema<br />
immunitario; 10 b) recidiva locale (26-28%). La micro-invasione tumorale dei<br />
tessuti molli circostanti e dell’osso pari adiacente (radio od ulna) ne è la presumibile<br />
causa. L’applicazione di spugne a lento rilascio di cisplatino (OPLA)<br />
nella breccia operatoria consente di diminuire la percentuale di recidiva locale<br />
fino al 17%. 11 In caso di innesti ossei pasteurizzati, sia il trattamento termico<br />
sia la devascolarizzazione conseguente alla rimozione del tumore neutralizzano<br />
tutte le cellule tumorali. 4<br />
La chirurgia en bloc per altre localizzazioni dell’OSA prevede: a) resezione<br />
a pieno spessore della parete toracica (non più di 6-8 coste) e chiusura con<br />
reti di prolene, omento e flap muscolari. Se le coste resecate sono le caudali,<br />
si procede ad avanzamento del diaframma; b) mandibolectomia, maxillectomia,<br />
etc.<br />
La chemioterapia è, al momento attuale, utilizzata solo come adiuvante<br />
per il controllo delle metastasi; la sua efficacia, rispetto alla sola chirurgia, è<br />
comprovata da numerosi studi. 1 Tra i farmaci più utilizzati vi sono cisplatino,<br />
doxorubicina e carboplatino, somministrati singolarmente o in combinazio-<br />
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ne. 1 Il protocollo attualmente utilizzato dagli autori prevede l’uso combinato<br />
di cisplatino (50 mg/m 2 ) e doxorubicina (15 mg/m 2 ). 12 È stato riportato che<br />
l’inizio della chemioterapia dopo il 10° giorno dall’intervento non influenza<br />
la sopravvivenza. 13<br />
Per la palliazione si possono utilizzare: a) radioterapia, per alleviare il dolore<br />
per alcuni mesi. In unica dose elevata, in associazione a chemioterapia, è<br />
stata utilizzata con finalità più avanzate della palliazione. L’irradiazione è<br />
controindicata qualora sia in progetto un “limb sparing”. È stata anche proposta<br />
l’irradiazione in unica frazione (70 Gy) come tecnica di salvataggio dell’arto<br />
dopo osteotomia, esteriorizzazione ed irradiazione del tratto neoplastico<br />
il quale è poi solidarizzato mediante fissazione interna. Le complicanze sono<br />
state frequenti (infezione, frattura, cedimento dei mezzi di sintesi); 14-16 b)<br />
bifosfonati (es. alendronato, pamidronato), inibitori osteoclastici; 17,18 c) FANS<br />
o corticosteroidi. Il trattamento chemioterapico delle metastasi già evidenti è,<br />
secondo l’autore, discutibile; la loro escissione chirurgica è consigliabile solo<br />
in caso di lento accrescimento. 19 In prospettiva vi sono studi sperimentali<br />
di immunoterapia genica il cui obiettivo è il controllo della proliferazione cellulare<br />
neoplastica dopo stimolazione immunitaria dell’ospite.<br />
Principali fattori prognostici negativi:<br />
a) dimensioni: probabilmente correlate positivamente a malattia metastatica<br />
b) grado istologico 20<br />
c) metastasi più probabili in caso di invasione neoplastica dei tessuti molli<br />
adiacenti e di emboli endovasali<br />
d) linfoadenopatia regionale metastatica 21<br />
e) > frazione totale e ossea della fosfatasi alcalina (sia prima sia dopo trattamento)<br />
→ tendenza alla disseminazione 22<br />
f) mutazioni p53 → comportamento più aggressivo; inoltre, essendo associata<br />
al gene della multidrug resistance (MDR1), è prevedibile chemioresistenza<br />
g) espressione della COX-2 23 → uso in terapia?<br />
h) età inferiore ai 5 anni<br />
i) localizzazione omero prossimale e scapola<br />
Altri fattori:<br />
j) OSA (fibroblastico) e parostale → prognosi migliore<br />
k) OSA distali al carpo: sopravvivenze più protratte (mediana 466 gg)<br />
l) OSA mandibolari: sopravvivenza a 1 anno del 71% dopo escissione en<br />
bloc completa<br />
m) OSA cranici: tasso metastatico inferiore all’appendicolare ma sopravvivenza<br />
più breve rispetto ai mandibolari (mediana 5 mesi), probabilmente<br />
per difficoltà di escissione en bloc<br />
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n) OSA costali: prognosi non favorevole (sopravv. mediana di 8 mesi)<br />
o) OSA assiali: prognosi migliore nei cani al di sotto dei 40 kg e di taglia<br />
piccola.<br />
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16. Boston SE, Duerr F, Bacon N, LaRue S, Ehrhart EJ, Withow SJ. Intraoperative radiation for limb<br />
sparing of the distal aspect of the radius without transcarpal plating in five dogs. Vet Surg 36(4):314-<br />
23, 2007.<br />
17. Fan TM, de Lorimer LP, Charney SC, Hintermesister JG. Evaluation of intravenous pamidronate administration<br />
in 33 cancer-bearing dogs with primary or secondary bone involvement. J Vet Intern<br />
Med 19: 74-80, 2005.<br />
45
58° <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>SCIVAC</strong> • Milano, 7-9 Marzo 2008 • <strong>Oncologia</strong> <strong>veterinaria</strong> - Alle soglie del III Millennio<br />
18. Fan TM, de Lorimier LP., O’Dell-Anderson K, Lacoste HI, Charney SC. Single-agent pamidronate<br />
for palliative therapy of canine appendicular osteosarcoma bone pain. J Vet Inern Med 21(3):431-9,<br />
2007.<br />
19. Liptak JM, Monnet E, Dernell WS, Withrow SJ. Pulmonary metastesectomy in the management of<br />
four dogs with hypertrophic osteopathy. Veterinary and Comparative Oncology 2(1):1-12, 2004.<br />
20. Kirpensteijn J, Kik M, Rutteman GR, Teske F. Prognostic significance of a new histologic grading<br />
system for canine osteosarcoma. Vet Pathol 39: 240-6, 2002.<br />
21. Hillers KR, Dernell WS, Lafferty MH, Withrow SJ, Lana SE. Incidence and prognostic importance<br />
of lymph node metastases in dogs with appendicular osteosarcoma: 228 cases (1986-2003). JAVMA<br />
226: 1364-7, 2005.<br />
22. Garzotto C.K., Berg J., Hoffmann W.E., Rand W.M. Prognostic significance of serum alcaline phosphatase<br />
activity in canine appendicular osteosarcoma. J Vet Intern Med 14: 587-92, 2000.<br />
23. Mullins MN, Lana SE, Dernell WS, Ogilvie GK, Withrow SJ, Ehrhart EJ. Cyclooxygenase-2 expression<br />
in canine appendicular osteosarcomas. J Vet Intern Med 18: 859-65, 2004.<br />
Indirizzo per la corrispondenza:<br />
Paolo Buracco<br />
Med Vet, Prof. ordinario Clinica Chirurgica Veterinaria, Dipl ECVS,<br />
Facoltà di Medicina Veterinaria<br />
Via Leonardo da Vinci, 44 - 10095 Grugliasco (Torino), Italia<br />
Tel. 011-670 9063 (9157/8) - Fax 011 670 9165 - E-mail: paolo.buracco@unito.it<br />
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Giuseppe Curigliano<br />
Med Chir, Istituto Europeo di <strong>Oncologia</strong>, Milano<br />
New drugs<br />
for cancer treatment<br />
Sabato, 8 Marzo 2008, ore 15.10<br />
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A greater understanding of the pathogenesis and biology of cancer coupled<br />
with major advances in biotechnology has resulted in the identification of rationally<br />
designed, target-based anticancer therapeutics, with new therapeutic opportunities<br />
and high expectations for the future as well as developmental challenges.<br />
Because these agents appear to principally target malignant cells, it is expected<br />
that they will produce less toxicity at clinically effective doses than nonspecific<br />
cytotoxic agents. The innate complexity of the networks and cross-talks<br />
that contain elements targeted by these agents also decreases the probability that<br />
any single therapeutic manipulation will result in robust clinical activity and success<br />
when used alone, particularly in patients with solid malignancies that have<br />
multiple relevant signaling aberrations. The predominant therapeutic manifestation<br />
of new biological agents in preclinical studies is due to decreased tumor<br />
growth rates and will likely be similar in the clinic; however, such manifestations<br />
are not readily detectable and quantifiable using nonrandomized clinical evaluations.<br />
A lot of drugs have been discovered as active agents in cancer: gefitinib,<br />
erlotinib sunitinib, sorafenib and others. For the most part, these agents have modest<br />
activity when used as single agents in patients with previously treated cancer.<br />
A major disappointment has been the failure of these novel agents to improve<br />
survival when added to standard chemotherapy, calling into question the validity<br />
of the preclinical model systems. Understanding the reasons why so many<br />
compounds that appeared promising in preclinical and early-phase clinical studies<br />
did not fulfill that promise when taken to large-scale randomized trials is a<br />
critical question. Several key issues will need to be addressed in the investigation<br />
of other novel compounds still in early development, primarily concerning the<br />
selection, interpretation, and reporting of preclinical studies and the design and<br />
interpretation of Phase I/II studies. Industry has moved too precipitously to bring<br />
novel compounds into Phase III clinical trials in a competitive push to be the first<br />
with a new class of agents. This accelerated advance to Phase III clinical studies<br />
without better understanding of who may benefit from a given novel agent has<br />
had the support of regulatory authorities and academic researchers anxious to<br />
find effective regimens. A more thorough comprehension of the multiple growth<br />
signaling pathways and of the roles of cross-talk, redundancy, and up-regulation<br />
of compensatory mechanisms is essential to making targeted therapies effective<br />
for more than small, difficult-to-define subgroups of patients. More research<br />
needs to be directed at understanding basic mechanisms of tumor growth and resistance.<br />
The recent pattern of negative Phase III trials threatens the future of the<br />
field, if companies and other investors in research decide to reallocate resources<br />
to disease conditions with a higher likelihood of successful outcomes.<br />
Address for correspondence:<br />
Giuseppe Curigliano<br />
Department of Medicine - New Drugs Development Unit, European Institute of Oncology<br />
Via Ripamonti, 435 - Milano<br />
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Davide De Lorenzi<br />
Med Vet, Dipl ECVCP, SMPA, Padova<br />
Endoscopia in oncologia:<br />
solo un esame complementare?<br />
Sabato, 8 Marzo 2008, ore 9.40<br />
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L’esame endoscopico rappresenta spesso un fondamentale approfondimento<br />
diagnostico in presenza di una sospetta neoplasia. Il principale vantaggio<br />
di questa tecnica risiede indubbiamente nel potere visionare direttamente<br />
la lesione sospetta e nel potere raccogliere numerosi campioni bioptici da destinarsi<br />
ad indagini cito-istologiche.<br />
La maggior parte delle tecniche endoscopiche è assolutamente atraumatica<br />
e questo risulta particolarmente importate in presenza di una sospetta neoplasia<br />
dove il rischio di disseminazione di cellule tumorali aumenta all’aumentare<br />
del traumatismo durante la raccolta di campioni bioptici; se escludiamo<br />
infatti le indagini laparo- e toracoscopiche e la cistoscopia transcutanea<br />
prepubica che richiedono l’esecuzione di piccole manualità chirurgiche<br />
per la loro esecuzione, tutti gli altri campi di applicazione dell’indagine endoscopica<br />
sfruttano aperture naturali (bocca, ano, narici, meato urinario, condotto<br />
uditivo) per penetrare all’interno dell’organismo.<br />
La valutazione endoscopica in presenza di una sospetta patologia neoplastica<br />
non rappresenta, in genere, un esame di prima scelta ed è solo inserendo<br />
questa procedura in un iter diagnostico standardizzato che essa potrà esprimere<br />
tutte le sue potenzialità. Ad esempio, in presenza di una sospetta neoplasia<br />
endonasale l’endoscopia deve necessariamente essere preceduta da un adeguato<br />
studio di diagnostica per immagini (radiologia, TC o RM) sia perché la raccolta<br />
di biopsie spesso causa sanguinamento che può alterare il quadro radiografico<br />
ed anche perché l’esame endoscopico non permette di visionare nulla<br />
(lisi ossa nasali, coinvolgimento dello spazio retrobulbare, sfondamento lamina<br />
cribrosa etmoidale) all’esterno dalla superficie mucosale endonasale.<br />
Le procedure endoscopiche risultano di insostituibile valore nella individuazione<br />
e nel campionamento da lesioni localizzate nel tratto gastroenterico<br />
superiore (esofago, stomaco, parte del duodeno) ed inferiore (retto, colon e<br />
parte dell’ileo), nell’apparato respiratorio superiore (cavità nasali e sinusali, rinofaringe,<br />
laringe) medio (trachea) ed inferiore (bronchi), nell’apparato urinario<br />
inferiore (meato urinario, uretra e vescica) e nel condotto uditivo esterno.<br />
In questi atti congressuali verranno discussi gli aspetti principali dell’esame<br />
endoscopico riferito a patologie neoplastiche localizzate a vari distretti<br />
(digerente, respiratorio, urinario e orecchio) con particolare riferimento alla<br />
strumentazione, alle procedure investigative ed alle tecniche di prelievo di<br />
campioni cito-istologici. Testi specifici ed articoli utili per approfondimenti<br />
sugli argomenti trattati vengono elencati a fine capitolo.<br />
APPARATO DIGERENTE<br />
L’impiego sempre più diffuso dell’esame endoscopico nella pratica clinica<br />
<strong>veterinaria</strong> ha aumentato enormemente la possibilità di diagnosticare patologie<br />
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gastro-enteriche fino a dieci anni fa ritenute rare permettendo nel contempo di<br />
individuare con sempre maggiore tempestività patologie neoplastiche localizzate<br />
a stomaco ed intestino. Nel tratto gastrointestinale l’endoscopio può essere<br />
usato non solamente per una indagine ispettiva ed il prelievo di biopsie ma<br />
permette anche la rimozione di neoplasie peduncolate, l’utilizzo di laser per terapia<br />
citoriduttiva e l’introduzione di sonde gastro-entero-stomiche per la nutrizione<br />
parenterale di pazienti che non possono alimentarsi per via orale.<br />
Preparazione del paziente e tecniche di esame<br />
L’esame del tratto gastroenterico superiore deve essere preceduto da un digiuno<br />
di 24 ore e sospensione di acqua da 3-4 ore mentre la preparazione per<br />
l’ispezione del tratto gastroenterico inferiore risulta più complessa ma deve<br />
essere eseguita scrupolosamente poiché la mancata pulizia del colon non permetterebbe<br />
un’adeguata visualizzazione della mucosa.<br />
Per quanto certe lesioni siano suggestive di neoplasia, ogni irregolarità<br />
(neoformazione od erosione) deve essere adeguatamente campionata tramite<br />
biopsie multiple per cui prima dell’esame devono già essere preparati vetrini<br />
e barattoli contenenti formalina tamponata al 10% per l’esecuzione di vetrini<br />
citologici e di campioni istologici.<br />
Lo stomaco viene esaminato dopo moderata insufflazione di aria, grazie<br />
alla quale si ottiene la distensione delle pliche gastriche e l’esposizione della<br />
mucosa gastrica: la mancata distensione di una o più pliche gastriche deve essere<br />
valutata con sospetto poiché patologie neoplastiche infiltrative (ad es. linfoma<br />
e carcinoma) possono manifestarsi in questo modo. L’indagine prosegue<br />
valutando accuratamente il corpo, l’antro pilorico fino allo sfintere pilorico e,<br />
tramite manovra di retrovisione, il fondo gastrico fino ad individuare lo strumento<br />
che passa attraverso il cardias. Le aree più frequentemente colpite da<br />
lesioni neoplastiche nel cane (prevalentemente adenocarcinomi) sono la piccola<br />
curvatura, la zona di passaggio fra corpo ed antro, l’antro e, meno frequentemente<br />
piloro e cardia. L’ispezione con fibroscopio del tratto digerente<br />
inferiore viene eseguita dopo accurata palpazione digitale di ano e retto, preferibilmente<br />
con il paziente disteso sul fianco sinistro: questo impedisce agli<br />
organi endoaddominali di adagiarsi sulla valvola ileociecocolica, comprimendola.<br />
Le neoplasie colorettali, specialmente nel cane, sono più frequentemente<br />
benigne che maligne; maggiore incidenza è data dai polipi adenomatosi a<br />
localizzazione prevalente a livello di giunzioni colorettale o rettoanale. Il quadro<br />
endoscopico è sovrapponibile a quello già descritto per le analoghe neoplasie<br />
del tratto gastroenterico superiore. Ancora una volta preme sottolineare<br />
come la diagnosi definitiva debba essere ottenuta tramite valutazione microscopica<br />
delle linee cellulari coinvolte nella patologia tumorale.<br />
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APPARATO RESPIRATORIO<br />
L’esame endoscopico trova frequente applicazione nella diagnosi delle patologie<br />
neoplastiche dell’apparato respiratorio superiore (cavità nasali, laringe<br />
e trachea) mentre il suo impiego è minore in presenza di una sospetta neoplasia<br />
a carico delle strutture respiratorie intratoraciche, demandando ad altre<br />
tecniche diagnostiche (radiografia o tomografia computerizzata) la possibilità<br />
di localizzare e permettere il prelievo con ago sottile o Tru-cut di masse sospette.<br />
Va sottolineata l’importanza di fare precedere sempre le indagini endoscopiche<br />
al tratto respiratorio superiore ed inferiore da un adeguato studio<br />
di immagini acquisite per via radiografica o tomografica.<br />
Preparazione del paziente e tecniche di esame<br />
Non è necessaria una preparazione specifica per i pazienti da sottoporre a<br />
endoscopia del tratto respiratorio superiore od inferiore. L’esame endoscopico<br />
sia del tratto respiratorio superiore che di quello inferiore viene eseguito con il<br />
paziente in decubito sternale ed anestesia inalatoria. Prima dell’endoscopia è<br />
importante palpare accuratamente la zona sottomandibolare, cervicale fino alla<br />
base del collo, zigomatica ed ascellare alla ricerca di linfonodi aumentati di<br />
volume che devono essere sempre agoaspirati anche se solo moderatamente ingranditi.<br />
È buona regola ispezionare prima la cavità nasale apparentemente<br />
normale e quindi quella nella quale si sospetta la neoplasia e questo allo scopo<br />
di non trasportare sangue, muco e cellule potenzialmente pericolose da una<br />
zona malata ad una sana. Molto spesso si evidenziano notevoli accumuli di<br />
muco e sangue che devono necessariamente essere rimossi con lavaggi ed aspirazioni<br />
ripetute per permettere un’adeguata visualizzazione della mucosa sottostante;<br />
non di rado anche manovre di pulizia delicate provocano sanguinamento<br />
che rende l’indagine difficile. In questi casi è utile l’irrigazione con soluzione<br />
fisiologica fredda, l’applicazione di ghiaccio sulla superficie esterna<br />
delle cavità nasali oppure si possono applicare tamponi endonasali per qualche<br />
minuto allo scopo di favorire l’emostasi e riprendere l’indagine. La topografia<br />
delle cavità nasali deve essere seguita con attenzione, esplorando tutti i meati<br />
e arrivando fino a visualizzare le coane. Le neoplasie endonasali hanno aspetto<br />
estremamente variabile: in generale si manifestano come strutture che occupano<br />
uno o più meati, di colore più chiaro o più rosso dei turbinati circostanti<br />
che risultano spesso spostati e deformati dalla massa. Nel rinofaringe le neoplasie<br />
sono meglio evidenziabili, per la più semplice topografia della zona esaminata:<br />
in genere una o entrambe le coane non sono più visibili per la presenza<br />
di neoformazioni singole o multiple che possono avere anche in questo caso,<br />
aspetti endoscopici variabili e molto differenti. Non di rado la presenza di<br />
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una neoformazione endonasale si associa a una neoformazione evidenziabile<br />
anche a livello del rinofaringe; a questo livello è possibile evidenziare solamente<br />
sangue che deriva da emorragie causate dalla neoplasia endonasale.<br />
Un’attenta valutazione della laringe deve essere eseguita sia in corso di esame<br />
delle vie respiratorie superiori che inferiori: durante questa valutazione deve<br />
essere rimosso il tracheotubo per consentire una completa valutazione delle<br />
strutture che compongono la laringe: le neoplasie in questo organo possono<br />
manifestarsi in maniera estremamente variabile, da piccoli noduli localizzati<br />
sulle corde vocali a infiltrato sottomucoso che interessa tutta la superficie<br />
esplorabile dell’organo, causando una grave stenosi.<br />
La valutazione endoscopica delle strutture tracheobronchiali viene impiegata<br />
in presenza di tosse, emottisi o dispnea non spiegate da altri test diagnostici<br />
ed anche in presenza di lesioni ai campi polmonari (diffuse, nodulari, singole<br />
o multiple) evidenziate con radiogrammi o tomografia computerizzata<br />
quando tecniche di prelievo con ago sottile transtoracico non permettono la<br />
raccolta di materiale diagnostico.<br />
Lo strumento viene passato, attraverso speciali adattatori (c.d. adattatori a<br />
T), direttamente all’interno del tracheotubo consentendo così un apporto di ossigeno<br />
adeguato durante le manovre ispettive. Anche in questa sede, come in<br />
corso di rinoscopia, ogni neoformazione od erosione deve essere campionata<br />
poiché non esistono aspetti endoscopici patognomonici per le neoplasie maligne.<br />
Solo dopo avere eseguito una completa esplorazione dell’albero tracheobronchiale<br />
si eseguono i prelievi che devono essere, nell’ordine, lavaggio broncoalveolare,<br />
spazzolato ed eventuale biopsia in presenza di neoformazioni.<br />
APPARATO URINARIO<br />
Il sospetto di una neoplasia localizzata al tratto urinario inferiore rappresenta<br />
una forte indicazione all’ispezione endoscopica: essa permette infatti di<br />
valutare l’estensione della lesione e raccogliere campioni di tessuto per le indagini<br />
cito-istologiche. L’evenienza di disseminare cellule neoplastiche sul<br />
percorso dell’ago durante l’aspirazione di neoplasie intracavitarie è molto rara<br />
ed in medicina <strong>veterinaria</strong> sono segnalati pochissimi inconvenienti di questa<br />
natura; tuttavia questo problema si è avuto in presenza di carcinomi transizionali<br />
localizzati all’apparato urinario.<br />
Preparazione del paziente e tecniche di esame<br />
L’uretrocistoscopia viene eseguita sempre in anestesia generale; le femmine<br />
vengono posizionate indifferentemente sul fianco destro o sinistro, mentre<br />
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i maschi possono essere esaminati sia in decubito laterale che dorsale. La zona<br />
vulvare viene pulita e rasata solamente in animali con pelo molto lungo<br />
mentre nel maschio si ritrae il prepuzio e l’endoscopio flessibile viene inserito<br />
direttamente come un catetere urinario. L’endoscopio rigido, inserito in una<br />
cannula a sua volta collegata ad una sacca contenente soluzione fisiologica,<br />
viene introdotto nella vagina, mentre un aiuto mantiene chiuse le labbra vulvari.<br />
In questo modo, il liquido iniettato allarga la cavità vaginale e permette<br />
di individuare il meato urinario sul pavimento vaginale. Lo strumento viene<br />
quindi fatto avanzare delicatamente esaminando con attenzione l’uretra fino<br />
ad arrivare nella cavità vescicale; a questo punto, sempre utilizzando i rubinetti<br />
che sono nella cannula dell’endoscopio, la vescica viene svuotata completamente<br />
e l’urina viene rimpiazzata con soluzione fisiologica fino a quando<br />
questa appare perfettamente limpida e trasparente. La vescica viene esplorata<br />
completamente e gli sbocchi ureterali a livello di trigono devono essere<br />
localizzati. In genere i carcinomi transizionali si repertano nella zona del trigono<br />
ed appaiono endoscopicamente come neoformazioni singole o multiple,<br />
nodulari o frondose, a volte traslucide, friabili e facilmente sanguinanti, non<br />
di rado con mineralizzazioni. Tuttavia, anche proliferazioni mucosali micronodulari<br />
o peduncolate, singole ed apparentemente innocue devono essere<br />
campionate per la possibile presenza di una neoplasia maligna che può di fatto<br />
assumere ogni aspetto macroscopico.<br />
ORECCHIO ESTERNO E MEDIO<br />
L’impiego della video-otoscopia è particolarmente indicato in presenza di<br />
proliferazioni benigne o maligne del condotto uditivo esterno del cane e del<br />
gatto. Come noto, la presenza di neoformazioni in questa zona è causa di otiti<br />
croniche che non rispondono alle terapie empiriche generalmente instaurate<br />
per la mancata individuazione della neoformazione spesso ricoperta da pus<br />
e sangue o localizzata all’interno di un condotto uditivo stenotico. La localizzazione<br />
della neoformazione ed il prelievo di campioni cito-istologici significativi<br />
è alla base della corretta terapia di queste patologie.<br />
Strumentazione e tecniche di esame<br />
La video-otoscopia può essere eseguita sia con strumenti specificamente<br />
dedicati (Karl Storz - cat 67260 OS) che con ottiche rigide associate a cannule<br />
dotate di rubinetti e canale di lavoro. La preferenza personale di chi scrive<br />
è per l’ottica rigida di 2,7 cm di diametro, 18 cm di lunghezza operativa ed<br />
angolo di visione frontale di 30°; questo strumento può essere utilizzato sia<br />
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nel gatto che in cani di grossa taglia e la camicia operatoria consente di lavare<br />
ed asciugare il condotto uditivo, procedura questa necessaria ogniqualvolta<br />
ci si trovi di fronte ad una otopatia cronica. Ricordo che solamente la visione<br />
del timpano nella sua completezza, quando possibile, è garanzia di un<br />
esame otoscopico eseguito correttamente. Le neoformazioni del condotto uditivo<br />
esterno hanno caratteristiche endoscopiche simili tra loro e non è possibile<br />
emettere una diagnosi precisa se non con le valutazioni cito-istologiche:<br />
in presenza di una neoformazione i prelievi citologici possono essere eseguiti<br />
con un ago fatto scorrere parallelamente all’endoscopio oppure impiegando<br />
aghi di lunghe dimensioni specificamente disegnati per entrare nel canale di<br />
lavoro della cannula. Allo stesso modo, le biopsie vengono eseguite con piccole<br />
pinze che possono essere fatte passare nel canale di lavoro della cannula<br />
oppure di fianco all’endoscopio, ma sempre sotto visione endoscopica diretta.<br />
L’esame videoendoscopico deve essere preceduto da esame radiografico o<br />
meglio, da tomografia computerizzata del cranio e del collo del paziente per<br />
valutare eventuali lisi della bolla timpanica, fuoriuscita della neoplasia dalle<br />
cartilagini auricolari e coinvolgimento di strutture linfonodali, tutti elementi<br />
che l’endoscopio non consente di valutare.<br />
Letture consigliate<br />
Lecoindre P (1999) Endoscopic and echoendoscopic presentations of gastric and colorectal tumors in the<br />
dog The European Journal of Comparative Gastroenterology, <strong>SCIVAC</strong> editions, suppl Vol 4, n° 1.<br />
Spinelli P (1996) Endoscopy in cancer palliation The European Journal of Comparative Gastroenterology,<br />
<strong>SCIVAC</strong> editions, Vol 1, n° 1.<br />
Tams TR (1999) Small Animal Endoscopy 2nd ed. Mosby St Louis;<br />
Mendelez L. (2001) Endoscopy The Veterinary Clinics of North America, WB Saunders Company<br />
Philadelphia.<br />
McCarthy TC (2005)Veterinary Endoscopy for the Small Animal Pratictioner, Elsevier Saunders St Louis.<br />
Si ringraziano la Casa Editrice Elsevier-Masson ed il Dr. Giorgio Romanelli per avere concesso l’utilizzo<br />
di brani del capitolo “DIAGNOSTICA ENDOSCOPICA” da me scritto e tratto dal libro “ONCOLOGIA<br />
DEL CANE E DEL GATTO”.<br />
Indirizzo per la corrispondenza:<br />
Davide De Lorenzi<br />
Clinica Veterinaria Privata “S.Marco” - Via Sorio, 114/C - PADOVA<br />
Tel. 0498561098 - E-mail: davide.delorenzi@fastwebnet.it<br />
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Barbara E. Kitchell<br />
DVM, PhD, Dipl ACVIM, Michigan, USA<br />
Chemotherapy:<br />
well known drugs<br />
for standard therapies and<br />
for new therapies<br />
Sabato, 8 Marzo 2008, ore 12.20<br />
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Cancer is recognized to be the leading cause of death in dogs and cats over<br />
10 years of age. As <strong>veterinaria</strong>ns become more successful in managing general<br />
health issues in geriatric patients, the incidence of cancer inevitably increases.<br />
Systemic therapy for cancer traditionally requires the use of cytotoxic chemotherapeutic<br />
agents that target rapidly dividing cell populations. Therefore, common<br />
adverse effects seen with chemotherapy use are related to damage to the<br />
cells of the body that have rapid and obligatory patterns of cell replication, such<br />
as bone marrow cells and gastrointestinal epithelium. Drug-specific and speciesspecific<br />
adverse effects are also of significant concern. This lecture will provide<br />
an overview of anticancer drugs commonly used in veterinary medicine. Before<br />
discussing the drugs themselves, it is important to note that anticancer cytotoxic<br />
drugs are potential mutagens and teratogens, adding a significant biohazard<br />
potential for staff administering the compounds, and for clients exposed to<br />
treated animals. Appropriate biohazard guidelines should be followed when anticancer<br />
chemotherapeutic agents are prescribed in veterinary medicine.<br />
ANTICANCER ALKYLATING AGENTS<br />
The alkylating agents are cytotoxic due to their ability to contribute alkyl<br />
groups to biologically important macromolecules such as DNA and proteins.<br />
Alkylating agents are classified as being either monofunctional or bifunctional,<br />
based on the number of reactive sites. The DNA adducts and cross-linkages<br />
caused by alkylation injury prevent DNA replication and ultimately result<br />
in cell death. The effects of alkylating agents are not cell-cycle phase specific.<br />
Mechanisms of cellular resistance to alkylating agents include altered cellular<br />
uptake, increased production of nucleophilic substances such as sulfated<br />
compounds, and increased DNA repair.<br />
CYCLOPHOSPHAMIDE<br />
Cyclophosphamide is the most commonly used alkylating agent worldwide in<br />
human and veterinary oncology. It was synthesized in 1958 and is used most often<br />
as a part of combination chemotherapy protocols for a wide variety of cancers, as<br />
well as being an immunosuppressive agent for treatment of autoimmune diseases.<br />
Mechanism of action<br />
Cyclophosphamide is classified as a bifunctional alkylating agent. The 7-<br />
N position of guanine is the preferred target for attack by this drug. Effects<br />
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are dependent on DNA/cellular proliferation but are not cell cycle specific.<br />
Toxicity is usually expressed when the cell enters the S-phase and is unable<br />
to replicate.<br />
Pharmacokinetics<br />
Cyclophosphamide can be administered orally (PO) or intravenously (IV).<br />
The oral administration route shows variable bioavailability ranging from 74-<br />
97%. Following IV administration maximal plasma concentration is achieved<br />
in 2-3 hours. Cyclophosphamide is widely distributed into body tissues. In veterinary<br />
medicine the recommended dosage for cyclophosphamide is 50<br />
mg/m 2 PO four days per week or a single dose of 250 mg/ m 2 every 3 weeks.<br />
Injectable cyclophosphamide is administered at doses ranging from 100-300<br />
mg/m 2 IV as often as once weekly, depending on the protocol involved.<br />
Cyclophosphamide is a prodrug that is activated by cytochrome p450 enzymes<br />
in the liver. The active 4-hydroxycyclophosphamide is rapidly metabolized<br />
to inactive 4-ketocyclophosphamide and carboxyphosphamide metabolites.<br />
Aldophosphamide spontaneously converts to phosphoramide mustard and<br />
acrolein. Phosphoramide mustard is the active anticancer agent. Acrolein is<br />
primarily responsible for the hemorrhagic cystitis complication. The main elimination<br />
route of cyclophosphamide and its metabolites is by renal excretion.<br />
Approximately 36-99% of the conventional dose is excreted in the urine within<br />
48 hours with about 5-30% being unchanged drug. Less than 4% of the<br />
dose is recovered in feces.<br />
Toxicity<br />
Dose limiting toxicity is myelosuppression with a nadir of 7-14 days, gastrointestinal<br />
side effects, a transient increase in liver enzymes, sterile hemorrhagic<br />
cystitis, anorexia, nausea, vomiting, alopecia in susceptible breeds, and<br />
infertility. Myelosuppression is exacerbated by other drugs in common chemotherapy<br />
combination protocols.<br />
Indications<br />
Cyclophosphamide is used widely in veterinary medicine for treatment of<br />
lymphomas, leukemias, carcinomas and sarcomas in dogs and cats, mainly in<br />
combination protocols. Cyclophosphamide may be prescribed for treatment<br />
autoimmune diseases in veterinary medicine.<br />
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Contraindications<br />
Myelosuppression, characterized by leukopenia and thrombocytopenia,<br />
necessitates dose delay. Treatment should be interrupted in patients who develop<br />
infections. Because of the importance of renal excretion, patients with<br />
renal failure should receive alternative alkylating agents or should have the<br />
dose reduced or interval increased. Guidelines for dose modification in the face<br />
of renal insufficiency have not been well established. Patients that develop<br />
sterile hemorrhagic cystitis should discontinue the use of cyclophosphamide,<br />
or should only receive the drug concurrently with the urothelial protectant<br />
compound 2-mercaptoethanesulphonate (mesna). Therapy should be discontinued<br />
in case of anaphylactic reactions, or known sensitivity.<br />
CHLORAMBUCIL<br />
Chlorambucil is an aromatic derivative of mustargen. It is the slowest acting<br />
and generally least toxic of the commonly used alkylating agents.<br />
Mechanism of action<br />
As with other classical alkylating agents, chlorambucil preferentially binds the<br />
7-N position of guanine. Chlorambucil is a bifunctional alkylator in that it can bind<br />
to two DNA strands as well as DNA and a macromolecule. DNA damage includes<br />
base mispairing, DNA template misreading, and spontaneous depurination.<br />
Pharmacokinetics<br />
Chlorambucil is readily absorbed after oral administration, leading to peak<br />
plasma levels after 2-4 hours. Food can interfere with absorption. The dose used<br />
in veterinary medicine ranges from 2-6 mg/m 2 PO given every other day, or up to<br />
20 mg/m 2 PO administered every 3 weeks. Chlorambucil is metabolized in the liver<br />
to an alkylating metabolite, phenyl-acetic acid mustard, which is degraded before<br />
being excreted by the kidneys. Chlorambucil is extensively protein bound.<br />
Toxicity<br />
Bone marrow suppression is the most significant side effect. Myelosuppression<br />
secondary to chlorambucil seems to be less severe than that of cyclo-<br />
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phosphamide and has a slower course of action. Gastrointestinal and dermatologic<br />
concerns are infrequent.<br />
Indications<br />
Useful in a variety of neoplastic diseases including chronic lymphocytic<br />
leukemia, and as a maintenance agent for treatment of canine and feline<br />
lymphosarcoma. Chlorambucil is also used in human medicine for treatment<br />
of multiple myeloma, polycythemia vera, macroglobulinemia, and ovarian<br />
adenocarcinoma. It may be substituted for cyclophosphamide in those<br />
lymphoma patients with sterile hemorrhagic cystitis, or for those patients<br />
with excessive adverse effects from cyclophosphamide. Useful as adjunctive<br />
therapy for some immune mediated conditions (eg. glomerulonephritis, nonerosive<br />
arthritis, or immune-mediated skin disease). Chlorambucil is the<br />
drug of choice of some clinicians for the treatment of feline immune-mediated<br />
dermatoses such as pemphigus foliaceus and feline eosiniphilic granuloma<br />
complex, because of the drug’s efficacy, small tablet size, and lack of severe<br />
toxicity.<br />
Contraindications<br />
Contraindicated in patients that are hypersensitive or who have demonstrated<br />
drug resistance. Used with caution in patients with preexisting bone<br />
marrow depression or infection.<br />
LOMUSTINE<br />
The nitrosourea class of alkylating agents was developed in the mid-<br />
1960’s, specifically as potential CNS tumor agents due to the high degree of<br />
lipophilicity of these compounds.<br />
Mechanism of action<br />
Alkylation of DNA results in intrastrand DNA cross-links, with preferential<br />
targeting of the O-6 position of guanine in DNA. Upregulation of O6 -<br />
alkylguanine-DNA alkyltransferase can repair the DNA lesion and allow the<br />
cell to survive. Upregulation of the nucleotide excision repair pathway is also<br />
associated with drug resistance.<br />
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Pharmacokinetics<br />
Lomustine is administered orally. The standard dose used in small animals<br />
ranges from 50 mg/m 2 to 90 mg/m 2 PO on a 3-week basis. Dose for cats has<br />
been reported at 60 mg/m 2 PO or as a 10 mg dose per cat every 3 weeks. Lomustine<br />
is widely distributed because of its lipid solubility. It penetrates the<br />
blood-brain barrier and CSF levels are 15-50% of plasma. Lomustine is extensively<br />
metabolized in the liver to both inactive and active metabolites. The<br />
half-life of the active metabolites ranges from 16 hours to 2 days. Lomustine’s<br />
active and inactive metabolites are excreted primarily in the urine. Prolongation<br />
of plasma concentration is thought to reflect a combination of protein<br />
binding and enterohepatic recirculation of metabolites.<br />
Toxicity<br />
The major toxic effect of lomustine therapy is acute and delayed (4-6 weeks<br />
post dosing) bone marrow suppression (especially thrombocytopenia and leukopenia).<br />
It is recommended that the practitioner monitor the CBC one week after<br />
dosing, and again immediately before the next dose is scheduled. Myelosuppression<br />
can occur for up to 6 weeks after dosing. Nausea and vomiting are rarely<br />
seen with lomustine use. Hepatic toxicity has been described in dogs. While<br />
most of the hepatic toxicity seen was manifested as reversible elevation of liver<br />
enzymes, a small percentage of dogs had progressive, fatal hepatic failure.<br />
Indications<br />
Veterinary indications include the treatment of refractory lymphosarcoma<br />
in dogs and cats, metastatic mast cell disease in dogs and cats, cutaneous<br />
lymphosarcomas, and central nervous system tumors.<br />
Contraindications<br />
Use with caution in dogs treated with drugs that need microsomal enzyme<br />
induction (ie phenobarbital) due to the possible changes in antineoplastic activity.<br />
Combination with other myelosuppressive drugs should be carefully<br />
monitored. Lomustine has been demonstrated to induce significant and even<br />
fatal hepatic toxicity in a limited number of canine patients; its use is therefore<br />
contraindicated in patients with pre-existing clinical hepatic dysfunction.<br />
Use should be discontinued in the face of elevating liver enzyme levels.<br />
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DACARBAZINE<br />
Dacarbazine is one of several imidazole carboxamide derivatives developed<br />
in the mid-1960’s.<br />
Mechanism of action<br />
Dacarbazine inhibits DNA and RNA synthesis by creation of 06-methyguanine<br />
adducts in DNA. Dacarbazine is cell cycle phase nonspecific.<br />
Pharmacokinetics<br />
Dacarbazine is a prodrug and is biotransformed by liver microsomal enzymes.<br />
Active and inactive byproducts may also be created through photodegradation,<br />
thus it should be protected from light. The drug has only modest binding<br />
to plasma proteins and tissues, and excretion is primarily by the kidneys.<br />
It may be administered as an 8-hour infusion or 800 mg/m 2 every 21 days. It<br />
is recommended that dogs be pretreated with dexamethasone through the intravenous<br />
catheter to prevent vasospasm and phlebitis associated with the administration<br />
of this drug. Treatment with butorphanol for injection discomfort<br />
may be helpful for dogs being treated with the 8-hour infusion protocol.<br />
Toxicity<br />
Myelosuppression and gastrointestinal signs can be seen in association<br />
with dacarbazine use. Dacarbazine can be a vascular irritant, and extravasation<br />
can cause severe local tissue reaction.<br />
Indications<br />
Dacarbazine is used to treat malignant melanoma and lymphomas. It has<br />
been used in veterinary medicine as a rescue agent for lymphoma, as well as<br />
for treatment of malignant melanoma and soft tissue sarcomas.<br />
Contraindications<br />
Known hypersensitivity to the drug and myelosuppression prior to administration<br />
are contraindications.<br />
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ANTIMICROTUBULE AGENTS<br />
The antimicrotubule agents include the vinca alkaloids, compounds that are<br />
derived from the periwinkle (Cantharanthus roseus, or Vinca rosea) plant. The<br />
mechanism of action of the vinca alkaloids is through binding microtubular<br />
proteins, which results in dissolution of the mitotic spindle and mitotic arrest.<br />
Drug resistance is due to mutation of the alpha or beta subunits of tubulin, or<br />
through increased expression of a cell membrane pump (P-glycoprotein).<br />
VINCRISTINE<br />
A naturally occuring vinca alkaloid, is an antimicrotubule antineoplastic<br />
agent. It is the dimeric alkaloid salt isolated from Cantharanthus roseus (Vinca<br />
rosea linn). The drugs vinblastine and vincristine were introduced in the 1960’s.<br />
Mechanism of action<br />
Inhibition of microtubule assembly occurs as a result of binding to tubulin<br />
subunits. Vincristine arrests cells in the G2/M phase of the cell cycle.<br />
Pharmacokinetics<br />
The principle route of administration of vincristine is intravenous. Doses used<br />
in veterinary medicine range from 0.5-0.75 mg/m 2 body surface area. The drug is<br />
rapidly and widely distributed following IV administration. Vincristine is excreted<br />
through the bile. Peak bile concentration occurs 2-4 hours after rapid IV injection.<br />
Toxicity<br />
Vincristine can cause myelosuppression, especially at the high end of the<br />
dosage range. Perivascular injection can result in tissue irritation and sloughing.<br />
Because of effects on microtubule function, the drug can result in neurotoxicity<br />
due to impairment of axonal transport, often manifested at GI ileus.<br />
Indications<br />
Vincristine is most often used in combination to treat lymphoma, leukemia,<br />
and sarcomas in dogs and cats. Vincristine is a successful single-agent<br />
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therapy for transmissible venereal tumors. Because vincristine can induce<br />
thrombocytosis it may also be employed in the treatment of immune-mediated<br />
thrombocytopenia.<br />
Contraindications<br />
Should be used with caution in patients with hepatic disease, leukopenia,<br />
infection, or preexisting neuromuscular disease.<br />
VINBLASTINE<br />
Vinblastine has essentially the same mechanism of action as vincristine.<br />
Pharmacokinetics<br />
Vinblastine is administered intravenously, at a dose of 2 mg/m 2 body surface<br />
area. Vinblastine binds extensively to blood and other cellular elements.<br />
The drug is metabolized in part in the liver to another active compound, deacetylvinblastine<br />
and is excreted primarily in bile.<br />
Toxicity<br />
Adverse reactions to vinblastine are dose related and reversible. Toxicity<br />
may be enhanced by the presence of hepatic insufficiency. Leukopenia is<br />
usually dose limiting. Nausea and vomiting are the most frequent adverse GI<br />
effects, and usually last less than 24 hours. Neurotoxicity is less frequently<br />
encountered than with vincristine. Tissue irritation, phlebitis and necrosis can<br />
result from extravasation.<br />
Indications<br />
Vinblastine is used for treatment of mast cell disease in dogs and cats, as<br />
well as for rescue therapy in lymphosarcoma.<br />
Contraindications<br />
Known hypersensitivity, and significant liver dysfunction are contraindications.<br />
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TOPOISOMERASE INHIBITORS<br />
Are drugs that interact with the physical structure and activity of DNA both<br />
in the production of RNA and replication of DNA. These drugs are typically natural<br />
products that inhibit the DNA unwinding enzyme topoisomerase.<br />
DOXORUBICIN<br />
Doxorubicin was discovered in Italy as an anthracycline antibiotic derivative<br />
of a soil fungus.<br />
Mechanism of action<br />
Doxorubicin is a particularly potent antineoplastic drug in part because it<br />
has several different actions that can result in cell death. Doxorubicin intercalates<br />
DNA, and by virtue of the presence of quinone and hydroquinone side<br />
chains can for covalent cross-links. The presence of doxorubicin in the DNA<br />
chain impairs DNA synthesis, RNA synthesis, topoisomerase activity, and helicase<br />
activity. Doxorubicin is capable of causing iron-mediated free-radical<br />
formation, which in turn leads to lipid peroxidation and cell membrane effects.<br />
Mechanism of drug resistance is largely through activation of the P-<br />
glycoprotein cell membrane pump. P-glycoprotein activity results in inability<br />
of the doxorubicin to insert itself into nuclear DNA.<br />
Pharmacokinetics<br />
Doxorubicin is administered intravenously at doses of 30 mg/m 2 body surface<br />
area in dogs or 1 mg/kg dose in cats and small dogs. Doxorubicin undergoes<br />
extensive biotransformation in the liver to active and inactive metabolites.<br />
The drugs is extensively protein abound in plasma and tissues and is<br />
excreted almost exclusively in bile in animal species.<br />
Toxicity<br />
In addition to having the broadest spectrum of activity of any of the commonly<br />
used antineoplastic drugs, doxorubicin also has perhaps the widest profile<br />
of commonly seen significant toxicities. Myelosuppression, gastrointestinal<br />
signs (particulary nausea, vomiting and colitis), and alopecia are all seen in pa-<br />
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tients treated with doxorubicin. In addition, anaphylaxis and urticarial reactions<br />
may be seen that can be dependent on rate of infusion and can be blocked by<br />
premedication with antihistamines and corticosteroids. Extravasation of the<br />
drug can result in severe tissue necrosis that can necessitate reconstructive surgery.<br />
Intravenous injection without extravasation can cause thrombophlebitis<br />
and venous sclerosis. Cardiac toxicity is dose limiting, and can be seen in acute<br />
and chronic forms. Acute cardiac toxicity results in arrhythmias, ST-T wave<br />
changes, sinus tachycardia, and extrasystolic contractions. Pretreatment cardiac<br />
assessment is indicated for dogs receiving doxorubicin therapy. Chronic cumulative<br />
cardiac toxicity is characterized by a progressing syndrome of congestive<br />
heart failure. Risk increases with increasing cumulative dose, typically in the<br />
range of 180-240 mg/m 2 in dogs. Caution should always be exercised as cardiotoxicity<br />
may occur at much lower cumulative doses in patients with preexisting<br />
heart disease. Dexrazoxane partially prevents anthracycline-induced cardiotoxicity<br />
by chelating free iron and preventing the formation of the anthracycline<br />
iron complex and resultant free radical generation. Cats are also susceptible<br />
to renal toxicity that can result in acute or acute on chronic renal failure.<br />
Indications<br />
Doxorubicin has one of the widest spectrums of activity of any of the anticancer<br />
agents, and is used for treatment of leukemias, lymphoma, sarcomas,<br />
and carcinomas.<br />
Contraindications<br />
Known hypersensitivity, preexisting cardiac disease, preexisting renal insufficiency<br />
in cats.<br />
MITOXANTRONE<br />
Mitoxantrone was developed as a synthetic aminoanthraquinone that was<br />
hoped to retain the antitumor spectrum of an anthracycline without causing<br />
cardiotoxicity.<br />
Mechanism of action<br />
As for doxorubicin, with the exception that mitoxantrone causes minimal<br />
free radical formation and lipid peroxidation.<br />
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Pharmacokinetics<br />
Mitoxantrone is administered by IV infusion at doses of 5.0-6.0 mg/m 2<br />
body surface area in dogs and cats. The drug is 78% bound to plasma proteins.<br />
The metabolism of mitoxantrone is not well known but is believed to<br />
be similar to that seen for other agents in the class. Elimination is also not<br />
well know, but 11% is recovered in urine over 5 days, and 25% recovered<br />
in feces over 5 days. No adjustment for renal or hepatic dysfunction is<br />
recommended.<br />
Toxicity<br />
Myelosuppression is the main dose limiting toxicity of mitoxantrone.<br />
Indications<br />
Mitoxantrone is used to treat lymphoma in dogs and cats, and has also<br />
been used to treat a variety of solid tumors including transitional cell carcinoma<br />
of the urinary bladder, squamous cell carcinoma, mammary carcinoma,<br />
and anal sac carcinoma.<br />
Contraindications<br />
Known hypersensitivity. Mitoxantrone should not be given during pregnancy<br />
as it is a teratogen.<br />
MISCELLANEOUS AGENTS<br />
A variety of different drugs with anticancer activity are classed as miscellaneous<br />
agents based on varied mechanisms of action, including hormones,<br />
receptor binding agents, and drugs with unique effects.<br />
ASPARAGINASE (also called L-asparaginase)<br />
Asparaginase is a high molecular weight enzyme extracted from bacteria,<br />
primarily Escherichia coli. It was originally discovered in 1953 as an antitumor<br />
activity in guinea pig serum that inhibited rodent tumors in cell culture.<br />
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Mechanism of action<br />
Asparaginase catalyzes the deamination of asparagine to aspartic acid and<br />
ammonia. Asparagine is found incorporated into most proteins and protein<br />
synthesis is halted in its absence with a resulting halt to cellular proliferation.<br />
Drug resistance occurs when cells induce the enzyme asparagines synthetase.<br />
Pharmacokinetics<br />
The usual dose of asparaginase in dogs is 10,000 units/m 2 administered intramuscularly,<br />
subcutaneously, or intraperitoneally. The dose in cats is 400<br />
units/kg body weight. After parenteral administration, asparaginase distributes<br />
into a body space that is only slightly larger than the plasma volume. Little<br />
asparaginase reaches the CSF, but depletion of plasma asparagines results<br />
in decrease of asparagine in CSF. It is believed that the drug is ultimately cleared<br />
by the reticuloendothelial system.<br />
Toxicity<br />
Toxicities associated with asparaginase are unique for an anticancer chemotherapeutic.<br />
Myelosuppression is rare, but may be seen particularly with<br />
concurrent vincristine administration in lymphoma induction. Coagulopathies<br />
and thrombosis have been observed in human patients, presumably as a result<br />
of inhibition of liver protein synthesis. Asparaginase can cause anaphylaxis,<br />
and acute, life-threatening necrotizing pancreatitis is also a rare complication.<br />
Indications<br />
Asparaginase is useful for treatment of acute lymphoblastic leukemia and<br />
lymphoblastic lymphoma in both human and veterinary medicine.<br />
Contraindications<br />
Contraindications include anaphylaxis and pancreatitis.<br />
Address for correspondence:<br />
Barbara E. Kitchell<br />
Professor and Director, Center for Comparative Oncology<br />
Michigan State University College of Veterinary Medicine<br />
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Barbara E. Kitchell<br />
DVM, PhD, Dipl ACVIM, Michigan, USA<br />
Chemotherapy:<br />
less known drugs<br />
for new frontiers<br />
Sabato, 8 Marzo 2008, ore 14.30<br />
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Advances in the medical treatment of cancer are constantly arriving. The<br />
challenge for the veterinary practitioner is to adapt new therapeutic agents developed<br />
in human oncology to the needs of companion animal patients with<br />
similar malignancies, or with mutational pathways to the human counterpart<br />
disease. The adaptation of traditional anticancer agents, the cytotoxic drugs,<br />
is well understood. Often the matter is as simple as discovering doses used in<br />
canine models in pre-clinical pharmacology/toxicology studies to arrive at an<br />
acceptable clinical dose for use in canine cancer patients. However, the issue<br />
with modifying drug doses in cats is a bit more challenging, since liver metabolism<br />
of drugs is quite different in this species.<br />
The more challenging aspect of adapting new therapies to veterinary oncology<br />
is the fact that many of the advances recently achieved in human oncology<br />
encompass biologic agents, such as monoclonal antibodies, that have<br />
been specifically engineered to work in human patients.<br />
Thus, the canine and feline immune systems would be expected to reject<br />
these agents as foreign proteins. Also, newly developed small molecular<br />
pathway interactive agents are difficult to apply on a routine clinical basis,<br />
as these drugs often require a molecular profile of the individual patient’s<br />
tumor to be able to determine the applicability of a given drug to the patient’s<br />
tumor.<br />
Finally, all new agents are costly, and the economics of veterinary medicine<br />
will often make such agents impractical simply from a cost perspective.<br />
Still, studies of newer agents are ongoing and merit discussion.<br />
TRADITIONAL CYTOTOXIC AGENTS<br />
While not new in human medicine, the following anticancer agents with<br />
traditional cytotoxic mechanisms of action have been used increasingly at Michigan<br />
State University.<br />
IFOSFAMIDE<br />
Ifosfamide was synthesized in the mid-1960’s as an isomer of cyclophosphamide.<br />
Initial studies with ifosfamide indicated severe dose-limiting urothelial<br />
toxicity. Concurrent administration of the free radical scavenger 2-<br />
mercaptoethanesulfonate (mesna) has resulted in the safe utilization of the<br />
compound in oncologic practice. Ifosfamide has been demonstrated to be more<br />
effective than cyclophosphamide for treatment of sarcomas and testicular<br />
tumors in human medicine, and it is therefore becoming more widely used in<br />
human and veterinary oncology.<br />
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Mechanism of action<br />
The mechanism of action is presumed to be the same as for cyclophosphamide.<br />
Subtle differences in the molecular pharmacology of the two drugs<br />
are possible because of the different locations of the two chloroethyl chains<br />
on ifosfamide.<br />
Pharmacokinetics<br />
Activation of the ifosfamide prodrug is by hydroxylation in the liver by<br />
cytochome p450. Ifosphamide becomes a strong electrophile by forming carbonium<br />
ions or transition complexes with target molecules in tissues.<br />
This results in the formation of covalent bonds through the alkylation of<br />
phosphate, amino, sulfhydryl, hydroxyl, carboxyl and imidazole groups. Its<br />
cytotoxic properties are due to its alkylating effects on DNA.<br />
Approximately 50% of the dose of active ifosfamide is excreted in the urine.<br />
The half-life in humans is schedule dependent; at high doses in human<br />
medicine the terminal half-life is 16 hours, while divided daily doses yield a<br />
terminal half-life of 7 hours.<br />
Ifsofamide has been used in veterinary medicine at doses of 350-375<br />
mg/m 2 IV in dogs, along with a vigorous intravenous diuresis protocol using<br />
mesna as a urothelial protectant.<br />
Surprisingly, dose escalation studies have shown the dose appropriate for<br />
cats is 900 mg/m 2 IV, with the diuresis protocol decribed hereafter.<br />
The diuresis protocol reported used mesna intravenously at 20% of the calculated<br />
mg dose of ifosfamide with 0.9% NaCl at a rate of 18.3 ml/kg/hour<br />
for 30 minutes prior to ifosfamide administration.<br />
Ifosfamide is given over 30 minutes, while intravenous saline diuresis is<br />
continued at the above infusion rate, with additional bolus doses of mesna as<br />
above at 2 and 5 hours. This protocol is repeated at 3-week intervals. The mechanism<br />
of resistance is presumed to be the same as for cyclophosphamide.<br />
Cross-resistance with cyclophosphamide is considered likely, although not<br />
absolute for all cases.<br />
Toxicity<br />
The primary toxicities of ifosfamide are myelosuppression and urothelial<br />
toxicity, but alopecia, nausea, vomiting and CNS effects have also been seen<br />
in human medicine. Ifosfamide can cause a Fanconi-like syndrome, as well as<br />
tubular and glomerular damage.<br />
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Indications<br />
Ifosfamide is used in human medicine for any indications appropriate for<br />
cyclophosphamide use. Ifosfamide appears to be more active than cyclophosphamide<br />
for treatment of human testicular cancers and sarcomas. This drug<br />
has been noted to induce remissions in metastatic hemangiosarcoma and<br />
osteosarcoma patients.<br />
Contraindications<br />
Known hypersensitivity reactions. Severe leukopenia, thrombocytopenia<br />
and severe renal and/or hepatic impairment. Ifosfamide should not be used in<br />
cases with known hemorrhagic cystitis. The drug should not be administered<br />
to patients with known renal insufficiency.<br />
PACLITAXEL (Taxol)<br />
Paclitaxel was discovered in the late 1960’s as part of a National Cancer<br />
Institute screening program involving 35,000 natural materials. It was initially<br />
approved for treatment of carcinomas of the ovary, breast, and lung in human<br />
medicine. The drug is commonly used to treat an expanding list of human<br />
cancers, and is finding more applications in veterinary oncology as well.<br />
Mechanism of action<br />
Paclitaxel is an antineoplastic agent that acts by disrupting the microtubular<br />
network in cells that it is essential for mitotic and interphase cellular functions.<br />
Taxol binds to free tubulin and promotes the assembly of tubulin into<br />
stable microtubules while simultaneously inhibiting their disassembly. This<br />
leads to production of microtubule bundles without normal function and to the<br />
stabilization of microtubules, which results in the inhibition of mitosis in<br />
cells.<br />
Pharmacokinetics<br />
Paclitaxel is highly lipophilic and insoluble in water. It is therefore available<br />
only in a diluent of polyoxyethylated castor oil (Cremaphor EL). The<br />
diluent has direct cytotoxic and anaphylactogenic effects in and of itself, and<br />
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contributes therefore to both the mechanism of action and significantly to the<br />
toxicity profile of the drug. The dose for dogs is reported to be 1.13 mg/kg,<br />
infused intravenously diluted to 0.6 mg/ml after extensive pretreatment with<br />
antihistamines and corticosteroids to prevent anaphylactic reaction. The dose<br />
in cats has been reported to be 5 mg/kg, Cats are much less sensitive to<br />
the anaphylactoid effects of paclitaxel. The pretreatment protocol involves 5<br />
days of oral prednisolone at 1 mg/kg, oral diphenhyrdamine 1 mg/kg and<br />
oral famotidine 0.5 mg/kg once daily for 5 days as a preparatory regimen.<br />
After parenteral administration, paclitaxel is metabolized in the liver by the<br />
cytochrome P450 system. It is avidly bound to proteins and less than 25% of<br />
the administered dose is recovered in urine as unchanged drug. Paclitaxel has<br />
a wide volume of distribution and biphasic plasma clearance, with half-lives<br />
of 1-6 hours and 5-17 hours for initial and terminal elimination phases, respectively.<br />
Hepatic metabolism is extensive, with high concentrations of the<br />
drug in bile.<br />
Docetaxel is an semisynthetic analog of paclitaxel that has been used in<br />
Europe and is reportedly less anaphylactogenic than the original compound.<br />
Docetaxel has been administered at 30 mg/m 2 IV.<br />
A new formulation of paclitaxel in under development in Europe with an<br />
indication for veterinary application. This agent is solublized without the use<br />
of cremophore, and thus should be much less toxic. The dose of this investigational<br />
agent is 175 mg/m 2 IV over 15-30 minutes every 21 days. Studies of<br />
this agent are ongoing but very promising response rates have been noted in<br />
the pilot studies.<br />
Toxicity<br />
Dose limiting toxicities include myelosuppression, hypersensitivity reactions,<br />
arrhythmias, and neuropathy in humans. The hypersensitivity reaction requires<br />
pretreatment prophylaxis with corticosteroids, diphenhydramine and an<br />
H2-receptor antagonist. Hypersensitivity reactions seen include head shaking,<br />
pruritus, edema, erythema, hypotension, bronchospasm, and bradycardia. Anorexia,<br />
nausea and vomiting can be seen. Hypersensitivity reactions may be dependent<br />
on rate of administration, and slow infusiton is recommended.<br />
Indications<br />
Therapeutic indications in veterinary medicine are still being explored, but<br />
it appears that paclitaxel may be useful for treatment of a variety of carcinomas<br />
in dogs and cats, including mammary and pulmonary carcinomas.<br />
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Contraindications<br />
Known severe hypersensitivity reactions, myelosuppression, and significant<br />
liver dysfunction are contraindications.<br />
GEMCITABINE (2,2’-difluorodeoxycytidine)<br />
Gemcitabine was synthesized as an analogue of cytarabine. It was the first<br />
drug licensed based not sole on antitumor efficacy but also on improved quality<br />
of life scores in the pivotal study of human patients with pancreatic carcinoma.<br />
The drug was licensed for human use in the late 1990’s.<br />
Mechanism of action<br />
Gemcitabine is incorporated into the replicating DNA chain in place of the<br />
normal deoxycytidine base, causing chain termination. It also increases its<br />
own intracellular concentration by a positive feedback loop of activation. The<br />
drug requires intracellular phosphorylation by deoxycytidine kinase in order<br />
to achieve the activated triphosphate form. The drug blocks ribonucleotide reductase<br />
function, which depletes the normal cytidine base. This results in<br />
greater incorporation of the gemcitabine in the DNA as fewer molecules of<br />
the normal base are available to compete for insertion. Resistance appears to<br />
be due to reduced nucleoside transport into the cells, and also by decreased<br />
activity of the enzyme deoxycytadine kinase.<br />
Pharmacokinetics<br />
Gemcitabine is administered by intravenous bolus or short (30 minute) infusion.<br />
The drug appears to be tolerated by both dogs and cats, and doses of<br />
300-400 mg/m 2 as a 20 minute infusion have been reported for weekly administration<br />
as a single agent. Dose and schedule optimization studies are ongoing<br />
and the reader is referred to the current veterinary literature or consultation<br />
with a veterinary oncologist for current dosing recommendations. The<br />
drug has a short plasma half-life and is cleared by a two-compartment model.<br />
Longer infusions result in longer half-life and significantly greater myelosuppression<br />
due to increased exposure of normal marrow cells passing through S-<br />
phase of the cell cycle. Gemcitabine is metabolized almost exclusively in the<br />
kidneys. This drug is synergistic in combination with carboplatin, where we<br />
have employed a fixed doublet dose of 2 mg/kg gemicitabine over 20 minu-<br />
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tes, followed by a four hour delay, then 10 mg/kg carboplatin (dose not to exceed<br />
300 mg/m 2 ) on a 3 week cycle, with gemicitabine given alone on week<br />
2 followed by a rest week.<br />
Toxicity<br />
Myelosuppression is dose limiting. Nausea and vomiting are rare and generally<br />
mild.<br />
Indications<br />
The drug is used in human medicine for treatment of pancreatic carcinoma,<br />
and has also been used in combination with other drugs for treatment<br />
of other gastrointestinal, genitourinary, and respiratory carcinomas.<br />
The drug appears to be synergistic with platinum agents and is a very potent<br />
radiosensitizer.<br />
Contraindications<br />
Significant hepatic or renal impairment, known hypersensitivity.<br />
VINORELBINE<br />
Vinorelbine is a semi-synthetic vinca alkaloid. The drug was invented in<br />
France in 1980 and licenced for treatment of lung cancer in people in 1991.<br />
Mechanism of action<br />
Inhibition of microtubule assembly occurs as a result of binding to tubulin<br />
subunits. Vinorelbine arrests cells in the G2/M phase of the cell cycle.<br />
Pharmacokinetics<br />
Vinorelbine is administered by intravenous bolus. An oral formulation of<br />
the drug have been available in Europe since 2004 as well. The drug appears<br />
to be tolerated by both dogs and cats, and doses of 15 mg/m 2 IV as a 5 minu-<br />
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te infusion has been reported for weekly administration as a single agent. The<br />
drug has a plasma half-life and is of approximately 24 hours. Vinorelbine is<br />
metabolized in the liver and excreted largely into the bile, with a small<br />
amount of renal excretion also. We have used the drug as a weekly injection<br />
on a 3 week on, one week rest schedule.<br />
Toxicity<br />
Myelosuppression is dose limiting. Nausea and vomiting are rare and generally<br />
mild. Extravascular injection results in perivascular injury and the<br />
drug induces phlebitis. Peripheral neuropathy has been reported in human<br />
patients.<br />
Indications<br />
The drug is used in human medicine for treatment of carcinomas, particularly<br />
of the lung, breat and prostate. We have seen responses in pulmonary<br />
carcinoma, metastatic mammary tumor, and also long term control of pleural<br />
effusion in thoracic mesothelioma.<br />
Contraindications<br />
Hepatobiliary dysfunction, known hypersensitivity.<br />
TEMOZOLOMIDE<br />
Temozolomide is the oral formulation of the active form of the imidazole<br />
carboxamide alkylating agent dacarbazine (DTIC). This drug was licensed for<br />
use in the United States in 1999 for treatment of anaplastic astrocytoma and<br />
glioblastoma multiforme. Since its original licensure, the drug has found expanded<br />
utility in the treatment of refractory lymphoma and sarcomas in veterinary<br />
oncology.<br />
Mechanism of action<br />
Temozolomide inhibits DNA and RNA synthesis by creation of 06-methyguanine<br />
adducts in DNA. Thus, this drug is cell cycle phase nonspecific.<br />
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Pharmacokinetics<br />
Dacarbazine is a prodrug and is biotransformed by liver microsomal<br />
enzymes into MTIC. Temozolamide does not require hepatic enzyme activation<br />
and therefore has a more predictable pharmacologic profile than dacarbazine.<br />
The drug has minimal binding to plasma proteins and tissues, and<br />
the half life of the active compound is 1.8 hours. The drug is spontaneously<br />
degraded in the body to inactive compound, so elimination is not a concern<br />
for this agent. The drug depletes the DNA repair enzyme 0-6 alkylguanyl<br />
alkyltransferase, which means that over the course of 5 days of drug administration<br />
every 21 days, the pills at the end of the 5 day administration<br />
cycle have more profound effect than those administered initially. As the<br />
agent causes DNA injury, the repair enzyme is depleted to late injuries are<br />
more damaging to the cancer cells as well as to normal replicating cells in<br />
the marrow.<br />
Toxicity<br />
Myelosuppression and gastrointestinal signs can be seen in association<br />
with temozolomide use. The drug is best absorbed on an empty stomach, but<br />
it is a gastric irritant. Thus it is recommended that the patient be fasted for<br />
at least one hour prior to drug administration, then fed in 20-30 minutes.<br />
Metaclopromide is helpful as an antiemetic. If the capsules are chewed by<br />
the dog, the drug can act as a mucosal irritant to care must be taken when<br />
pilling dogs. In cats, we have observed apparent cardiac adverse effects and<br />
pleural effusion in 20% of cats treated. We are currently not recommending<br />
this drug for use in cats until further study to predict the risk of significant<br />
toxicity is completed.<br />
Indications<br />
Temozolomide has been used to treat malignant melanoma and lymphomas<br />
in the dog, and has shown some effect in combination with doxorubicin<br />
and vincristine to treat hemangiosarcoma.<br />
Contraindications<br />
Known hypersensitivity to the drug and myelosuppression prior to administration<br />
are contraindications.<br />
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SMALL MOLECULAR INHIBITOR THERAPY<br />
While a variety of pathways have been established as anticancer treatment<br />
targets, signaling molecules in the receptor tyroinse kinase class seem to be<br />
the closest to providing a window to clinical applicability. The promiscuous<br />
RTKI imatinib mesylate (Gleevec) has been used in cats and dogs with mast<br />
cell disease with some success. The dose in cats is 10 mg/kg daily, but remission<br />
in visceral mast cell disease may take several weeks to be detectable. In<br />
the dog, the dose used has ranged from 5 mg/kg to 10 mg/kg daily, with significant<br />
hepatobiliary toxicity noted in some instances. Until the underlying<br />
mechanism of this potentially lethal toxicity has been identified so that at risk<br />
cases can be screed, the drug should be used with extreme care and clear<br />
client informed consent of risk in canine patients. Investigational therapy with<br />
a different small molecular inhibitor of receptor tyrosine kinase signaling,<br />
(SU11654 - newly named Palladia by Pfizer), which acts as an inhibitor of c-<br />
KIT a variety of RTKs including c-Kit, PDGFR, and VEGF, has been carried<br />
out in the dog. Response has been seen in 11/22 dogs with MCT, as well as<br />
limited numbers of dogs with soft tissue sarcomas, mammary carcinomas,<br />
and multiple myelomas. The overall response rated noted with this drug was<br />
28% (16/57 dogs) and those dogs with a receptor mutation were the ones most<br />
likely to respond. However, this product is not yet commercially available and<br />
remains in trials.<br />
Other small molecular pathway inhibitors are under investigation in the<br />
dog, with studies ongoing both in vitro and in vivo. This field of research is<br />
experiencing an explosive development phase in human oncology, with many<br />
pathways and molecules being explored as potential treatment targets. A large<br />
additional effort in funded clinical trials, and time for outcomes assessment,<br />
will tell which of these agents will prove most effective, safe, and practical<br />
for use in veterinary medicine in the future.<br />
ANTITUMOR VACCINES<br />
Long-term survival of dogs with advanced malignant melanoma was<br />
achieved after DNA vaccination with xenogeneic human tyrosinase antigen,<br />
available under limited license in the United States from Meriel. In this phase<br />
one trial, median survival for 9 dogs treated was 389 days, with complete<br />
responses reported and greater that 588-day survival for one dog with bulky<br />
non-resectable disease. Dogs that demonstrated antigen specific antibody responses<br />
were more likely to have positive responses clinically. Gene therapy<br />
has also been employed experimentally in dogs with malignant melanoma. Intratumoral<br />
administration of DNA encoding bacterial superantigen of staphy-<br />
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lococcal enterotoxin B combined with either genes for GM-CSF or IL-2 resulted<br />
in an overall response rate of 46% in 26 dogs treated. Intratumoral infiltration<br />
with CD4+ and CD8+ T cells and macrophages was noted, as well<br />
as high levels of antitumor cytotoxic T lymphocyte activity in peripheral<br />
blood. Dendritic cell vaccines have also been attempted, using ex-vivo differentiated<br />
bone marrow or peripheral blood derived dendritic cells have been<br />
created by exposing blood or bone marrow mononuclear cells to differentiation<br />
conditions in cell culture. These dendritic cells are then loaded with antigens<br />
(cell extracts, nucleosome fragments from apoptotic bodies created in<br />
primary tumor culture) then used as active specific tumor vaccine therapy<br />
against melanoma.<br />
Address for correspondence:<br />
Barbara E. Kitchell<br />
Professor and Director, Center for Comparative Oncology<br />
Michigan State University College of Veterinary Medicine<br />
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Barbara E. Kitchell<br />
DVM, PhD, Dipl ACVIM, Michigan, USA<br />
Treatment for lymphoma<br />
Domenica, 9 Marzo 2008, ore 11.00<br />
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Lymphoma treatment is characterized by early spectacular response, often<br />
followed by equally spectacular treatment failure. For the most part, lymphocytes<br />
have a limited life span. Each lymphocyte is committed to accomplish specific<br />
tasks, such as the production of antibodies, the recognition and destruction of<br />
viral infected or malignantly transformed cells, and the maintenance of memory<br />
so that antigens once recognized are less able to gain a foothold in the future. The<br />
immune effector cells of the body perform these tasks until the offending antigen<br />
is dealt with, then the simple economy of biology requires that what is no<br />
longer needed be down-regulated to conserve resources for other vital functions.<br />
In the case of lymphocytes, they accomplish this ecologic balancing act for the<br />
body by dying when they are no longer needed. Certain subsets of lymphocytes,<br />
such as stem cells and memory cells, have extremely long lifespans in the body,<br />
and may in fact be immortalized. However, the vast majority of the lymphocyte<br />
population is in a state of flux, constant cycling through birth and death. The<br />
most critical key to the successful eradication of cancer cells by modern medicine<br />
is the triggering of programmed cell death, or apoptosis. All normal cells have<br />
the ability to detect genotoxic insults and to undergo apoptosis as a biologically<br />
appropriate response to potential mutagens. Part of the reason for<br />
lymphocyte lability to therapeutic agents such as prednisone is that lymphocytes<br />
respond to these types of signals by rapid cell death. In the circumstance of treatment<br />
of lymphoma, we are simply exploiting the lymphocyte’s own highly refined<br />
cell death machinery to take out a susceptible population of cells. Unfortunately,<br />
cancers may arise clonally, but they are genetically unstable; after successive<br />
rounds of replication, more and more mutations accrue in cancer cells.<br />
This leads to the phenomenon of drug resistance, among other consequences.<br />
As yet, no consensus exists as to the most appropriate chemotherapy protocol<br />
for treatment of lymphomas in dogs and cats. The purpose of this discussion<br />
is to bring up the pros and cons of the currently available chemotherapy<br />
protocols in the context of known prognostic factors to better enable the<br />
practitioner to judge what might be the best approach for a given patient.<br />
EPIDEMIOLOGY<br />
Incidence rates for dogs with lymphoma have been reported at 24 cases/100,000<br />
dogs at risk/year. The disease affects a wide range of animals,<br />
from the very young to the geriatric. The disease is generally seen in middle<br />
aged to older dogs, with no sex predisposition reported. Breeds at increased<br />
risk have been reported, including boxers, German shepherds, and golden retrievers.<br />
Familial distribution has been reported in bull mastiffs. In addition to<br />
breed predisposition, exposure to the herbicide 2,4D is associated with an increased<br />
risk in humans and dogs. While retroviral etiology is known in cats,<br />
birds, rodents, and humans, no retrovirus has been identified in the dog as yet.<br />
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THE DISEASES WE CALL “LYMPHOMA”<br />
One of the reasons that our response rates and remission rates vary when<br />
lymphoma is treated is that lymphoma is highly variable in its biology. While<br />
all lymphocytes start with a common progenitor stem cell, many different<br />
molecular genetic changes occur to arrive at the mature functional B, T, or NK<br />
lymphocyte phenotype. Cells at different points in their maturation and development<br />
can become malignant as a result of a variety of insults, and this results<br />
in a variety of different biologic behaviors when cancers arise. In a sense,<br />
each malignant transformation is unique, but common themes of behavior<br />
can be seen. In veterinary medicine, we are at the point that a cytologic diagnosis<br />
of “lymphoma” may not be enough information to choose appropriate<br />
therapy; histologic grading is proving to be valuable as well. The Kiel classification<br />
system describes lymphomas on the basis of their corresponding stages<br />
of normal lymphopoiesis, while the Working Formulation incorporates<br />
natural history and clinical course (low-, intermediate- and high- grades).<br />
Most veterinary pathology studies have found a Working Formulation based<br />
approach to be most helpful (Carter et al, 1986; Greenlee et al, 1990; Teske,<br />
1993). Most canine lymphomas are diffuse (vs. nodular) and are usually high<br />
or intermediate grade. Most are classified morphologically as diffuse large<br />
cell, immunoblastic, and small lymphocytic.<br />
PROGNOSTIC FACTORS<br />
Given the above discussion that lymphomas vary in biologic behavior, several<br />
prognostic factors can be determined from retrospective and prospective<br />
studies of canine lymphoma. Survival time of completely untreated patients<br />
is short (median 6-12 weeks from diagnosis). The importance of some<br />
prognostic factors have been debated in different studies, however it is clear<br />
that stage of disease and substage (a = assymptomatic, b = symptomatic for<br />
disease), serum calcium status, immunophenotype, and response to therapy<br />
are important predictors of long-term survival. Newer prognostic markers include<br />
assays to detect apoptotic competence of lymphoblasts, such as p53 and<br />
caspase-3 immunostaining.<br />
CHEMOTHERAPY PROTOCOLS<br />
In human medicine, as many as a dozen different chemo-therapy protocols<br />
utilizing as many as 8 agents in combination are currently in use for the treatment<br />
of non-Hodgkin’s lymphoma. This underscores the fact that no protocol<br />
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can be clearly advanced as “best” in the treatment of the various diseases that<br />
fall under the heading of lymphoma. A variety of chemotherapy protocols are<br />
available for the treatment of canine lymphoma. In establishing an optimal<br />
protocol, one must take into account the efficacy (as determined by remission<br />
and survival times), toxicity, and cost of therapy. Successful therapy with single<br />
agents can be achieved for lymphoma patients. However, single agent remissions<br />
tend to be short due to the rapid evolution of drug resistance mechanisms.<br />
Drugs that have been shown to have single agent efficacy in canine<br />
lymphoma include: corticosteroids, cyclophosphamide, L-asparaginase,<br />
doxorubicin (Adriamycin), epirubicin, mitoxantrone, actinomycin D, and<br />
CCNU (Lomustine).<br />
COMBINATION CHEMOTHERAPY<br />
COP<br />
Most chemotherapy protocols currently in use for lymphoma are based on<br />
the combination cyclophosphamide, vincristine (oncovin) and prednisone (COP<br />
therapy). These drugs are given either concurrently or in sequential weeks. Median<br />
remission times of around 6 months can be expected for most lymphoma<br />
dogs using a COP protocol alone. Side effects may include leukopenia, alopecia,<br />
gastrointestinal upset, sterile hemorrhagic cystitis (cyclophosphamide) and<br />
the typical adverse effects of prednisone therapy. This combination can be economically<br />
reasonable, as vincristine is available in generic form.<br />
Rotating sequential protocols<br />
Variations on the COP protocol contain additions of drugs such as l-asparaginase,<br />
cytosine arabinoside, methotrexate, and/or doxorubicin. In one popular<br />
protocol advanced by the Animal Medical Center, and modified at the University<br />
of Wisconsin, Madison, a rotating sequential combination of vincristine, L-<br />
asparaginase, prednisone, cyclophosphamide, doxorubicin, and methotrexate<br />
was used. Some of the best chemotherapy responses to date have been reported<br />
using this protocol, with 80% of patients attaining a remission (this is comparable<br />
to that achieved by COP therapy alone), and with median survival times<br />
extending past 12 months. 25% of dogs treated with this protocol have been reported<br />
to live more than 2 years. These findings were confirmed in a study of<br />
55 dogs at the University of Wisconsin, in which 84% achieved a complete response,<br />
with median remission duration of 36 weeks and 25% of dogs alive at<br />
2 years. Overall median survival time for this group was 51 weeks. This same<br />
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protocol was used at UC Davis and 82 dogs were treated. 64% attained complete<br />
responses, with median relapse-free survival for those with complete remission<br />
being 217 days. Median overall survival durations for dogs with complete<br />
response was 366 days, with 26% 2 year survival reported for the UC Davis<br />
dogs. Disadvantages of this protocol include the fact that it is complicated<br />
in terms of scheduling and has the potential for the side effects described above<br />
for the combination drugs and Adriamycin alone. Side effects of varying severity<br />
can be seen in over 60% of patients treated with this protocol. The cost<br />
of this therapy is considerable, because of the expense of the drugs and monitoring<br />
for toxicity over the 2 year potential treatment period.<br />
ACOPA protocols<br />
Other combination chemotherapy include those used at Tufts University<br />
(ACOPA I and II protocols) and a short-term (12 weeks) fractionated combination.<br />
The Tufts protocols involved combinations of COP plus L-asparaginase<br />
(Elspar) and doxorubicin using different schedules. In the earlier ACO-<br />
PA I protocol reported by Stone et al in 1991, 76% of 41 dogs attained a complete<br />
remission, median remission duration 11 months and with 48% being in<br />
remission at one year. ACOPA I used vincristine, L-asparaginase and prednisone<br />
for induction and cyclophosphamide and doxorubicin for maintenance.<br />
ACOPA II was reported in 1997 and consisted of doxorubicin and prednisone<br />
induction with doxorubicin, vincristine, cyclophosphamide, prednisone<br />
and pulsed L-asparaginase maintenance therapy. ACOPA II was studied in 68<br />
dogs, of which 65% attained complete remission with a median remission duration<br />
in this subset of dogs of 9 months and 40% in remission at one year and<br />
21% at two years. Interestingly, 37% of patients on the ACOPA I trial required<br />
modifications in dose or scheduling of chemotherapy because of toxicity,<br />
as compared with 62% of patients on ACOPA II. Thus on the surface it would<br />
appear that the ACOPA I protocol was superior (higher remission rates, longer<br />
remission duration, and lower dose-limiting toxicities). However more patients<br />
with advanced (Stage V) disease were entered into the ACOPA II arm,<br />
and a substantial number were lost to follow up while in complete remission.<br />
These factors may have biased results against this protocol.<br />
COPLA protocol<br />
At Michigan State University, we are using an independently developed but<br />
similar version of combination chemotherapy for canine lymphoma. (See attached<br />
protocol). Currently, median survival times with this protocol, plus rescue<br />
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therapy, are around 50 weeks. However, we note only an 8- 15% adverse effect<br />
rate for dogs treated with this protocol. Thus we feel that while the response durations<br />
are not as good with some of the other protocols, the adverse effect rates<br />
are compelling particularly in the treatment of geriatric patients. Seventy-five<br />
dogs with cytologically or histologically confirmed lymphoma received CO-<br />
PLA/LVP between January 1994 and June 1997. Toxicity was evaluated using<br />
the National Cancer Institute (NCI) toxicity criteria. Age, weight, sex and response<br />
were evaluated for prognostic significance against first remission duration.<br />
A complete response was obtained in 61 dogs (80%), a partial response in<br />
9 dogs (12%) and no response in 5 dogs (8%). The median first remission duration<br />
was 25 weeks with 17% and 5% of the dogs in first remission at 1 and 2<br />
years respectively. Observed toxicity was low with 84% of dogs given and NCI<br />
score of 1 or 2. Median survival for dogs achieving complete response was 36<br />
weeks versus 4 weeks for those achieving partial response or no response.<br />
ALTERNATIVE THERAPIES<br />
Other forms of therapy that have been reported to be useful in the treatment<br />
of canine lymphoma include bone marrow transplantation and various<br />
immune therapies. Bone marrow transplantation has shown up to 25% long<br />
term survivals (cures), but 50% of patients so treated experienced a remission<br />
such as would be expected from chemotherapy and 25% of patients died as a<br />
consequence of toxicity.<br />
Tumor vaccines<br />
Autologous tumor cell vaccines have produced prolonged remission and<br />
survival times when administered to patients who were in complete remission<br />
at the time of their administration. Mean survival times of 341 days for vaccinated<br />
dogs as compared to 138 days for chemotherapy treatment alone have<br />
been reported. Unfortunately, such vaccine products are not routinely available.<br />
Recently, some activity in the production of B cell anti-idiotype vaccines<br />
has been discussed. At this point, controlled trials have not been carried<br />
out to assess the efficacy of this approach.<br />
Monoclonal antibodies<br />
A monoclonal canine lymphoma antibody was produced against an unknown<br />
but apparently highly conserved surface epitope in canine lymphoma.<br />
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Median remission and survival times were reported in dogs receiving this treatment<br />
after induction of remission by standard chemotherapy as compared to<br />
chemotherapy alone. Jeglum et al reported on the results of a trial for 214 dogs<br />
treated with MAb 231 after induction therapy with 2 cycles of VCAA (L-asparaginase,<br />
vincristine, cyclophosphamide, and doxorubicin). 80% of the dogs<br />
achieved a complete response after induction with VCAA. The dogs that achieved<br />
a complete remission then received 5 days of slow IV infusion of the monoclonal<br />
antibody. Median first remission duration was 125 days, with median<br />
survival of 448 days. 41% of dogs were alive at one year. This monoclonal antibody<br />
product is no longer commercially available, however.<br />
RELATIONSHIP OF CLASSIFICATION OF LYMPHOMAS<br />
AND RESPONSE TO THERAPY<br />
One reason for a lack of clear consensus as to the best treatment for<br />
lymphoma in dogs and cats is that this malignancy represents a number of different<br />
clinical manifestations with different biologic behaviors. Stage at diagnosis,<br />
histologic grade of malignancy, immunophenotype of lymphoma, and<br />
involvement of extranodal locations are all factors that must be considered<br />
when evaluating chemotherapy protocols for comparable remission and survival<br />
times. See the above discussion of prognostic factors for details.<br />
RADIATION THERAPY CONSIDERATIONS<br />
Lymphoma is generally exquisitely sensitive to radiation therapy. Thus, radiation<br />
therapy has a definite role in the treatment of lymphomas in veterinary<br />
medicine. Local lymphomas may be effectively treated in an emergency setting<br />
to restore vital organ function in the short term. Examples of this indication<br />
include life threatening anterior mediastinal lymphoma and CNS<br />
lymphoma. Lymphoma may also be treated with curative intent by radiation<br />
therapy. Examples of this indication include treatment of lymphoma of the nasal<br />
sinus cavity. Dogs and cats treated for nasal lymphoma with full course radiation<br />
therapy are likely to be cured of local disease. Unfortunately, systemic<br />
relapse is expected so sequential or concurrent treatment with chemotherapy<br />
is necessary for these patients. Lymphoma may be treated with radiation therapy<br />
as a salvage procedure, as in the case of treating single refractory sites<br />
such as resistant peripheral nodal disease. These remissions may be short lived<br />
for patients with end stage lymphoma, but patient benefit may be achieved<br />
in the short term. Finally, radiation can be used adjuvantly for treatment<br />
of systemic lymphoma.<br />
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Half-body radiation therapy has been evaluated for dogs with generalized<br />
lymphoma (Abrams-Ogg, et al). In this randomized prospective Phase III trial,<br />
81 dogs with Stages III-IV lymphoma were induced into remission using a<br />
combination chemotherapy protocol that included asparaginase, cyclophosphamide,<br />
vincristine, epirubicin, and prednisone. Dogs were induced into a remission<br />
with this protocol for 6 weeks, then randomized into two treatment groups:<br />
maintenance chemotherapy (vincristine, cyclophosphamide, methotrexate) or<br />
half-body radiation therapy. The half- body radiation therapy arm consisted of<br />
patients treated with 800cGy to the cranial half of the body on week 8, followed<br />
by 800 cGy to caudal half of the body on week 12. To prevent relapse in the<br />
caudal half of the body before the radiation fraction, vincristine was administered<br />
on weeks 8 and 10. Remission was achieved by 74% of dogs after the induction<br />
protocol. Dogs in the maintenance chemotherapy group achieved a median<br />
remission duration of 30 weeks, with 27% of dogs in remission at 1 year.<br />
Dogs in the radiation therapy arm had a median remission duration of 33 weeks,<br />
with 36% still in remission at one year. Interestingly, this remission was durable<br />
for 6 patients, with 27% of the half-body radiation group still in remission<br />
at 3 years. Although the results are not statistically significant there is a trend<br />
toward longer tumor control for the group treated with half-body radiation.<br />
Whole body radiation with bone marrow transplantation could also be considered<br />
in an investigational setting for dogs with lymphoma.<br />
SUMMARY<br />
A great deal of effort and energy has been expended in the past few years<br />
to try to better establish prognostic factors for the treatment of lymphoma in<br />
dogs and cats. Several protocols are available, and factors related to the individual<br />
patient to be treated and the malignant behavior of that patient’s tumor<br />
should be considered when setting up chemotherapy protocols. Doxorubicin<br />
containing protocols would appear to be best used for high grade lymphoma<br />
and in patients with a poor prognosis, such as for histiocytic lymphomas, T<br />
cell disease in dogs, or for young animals. In older animals with less aggressive<br />
tumors, a COP protocol may achieve significant duration of remission<br />
without exposing the animal to the potential toxicities of doxorubicin until relapse,<br />
at which time doxorubicin can be used as an effective rescue agent.<br />
COMMON PROTOCOLS IN USE FOR CANINE LYMPHOMA<br />
The University of Wisconsin-Madison protocol is a rotating sequential<br />
protocol and is very dose intense, with arguably the longest overall survivial<br />
durations for the largest portion of patients (30% live beyond 2 years).<br />
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Week 1 - Vincristine (0.5-0.7 mg/m 2 IV), Asparaginase (400 IU/kg SC),<br />
Prednisone (2 mg/kg PO SID);<br />
Week 2 - Cyclophosphamide (250 mg/m 2 IV), Prednisone 1.5 mg/kg PO SID;<br />
Week 3 - Vincristine, prednisone (1.0 mg/kg PO SID);<br />
Week 4 - Doxorubicin (30 mg/m 2 IV), Prednisone (0.5 mg/kg PO SID);<br />
Week 6 - Vincristine;<br />
Week 7 - Cyclophosphamide;<br />
Week 8 - Vincristine;<br />
Week 9 - Doxorubicin.<br />
If in complete remission at week 9, this cycle is continued at 2-week intervals<br />
until week 19, at which time therapy is discontinued.<br />
The COPLA - LVP Protocol is a concurrent combination that is notable<br />
for low side effect rate and high induction of remission, although overall survival<br />
times are not as long as with the University of Wisconsin approach.<br />
COPLA protocol:<br />
• Cyclophosphamide 50 mg/m 2 , PO, eod for 56 days (8 weeks);<br />
• Vincristine (Oncovin) 0.5-0.7 mg/m 2 , IV, starting day 1, q 7 days for 77<br />
days (11 weeks), omitting weeks 6 and 9;<br />
• Prednisone 20 mg/m 2 , PO, sid for 7 days; then 20 mg/m 2 , PO, eod until relapse<br />
or adverse steroid effects, in which case taper dose and discontinue;<br />
• L-asparaginase 10,000 IU/m 2 , SC on days 1 and 8;<br />
• Doxorubicin (Adriamycin) 30 mg/m 2 , IV, on weeks 6, 9 and 12.<br />
CBC’s and lymph node/mass measurements should be obtained weekly, in<br />
order to modify treatment if deemed necessary.<br />
MAINTENANCE<br />
LVP protocol<br />
• (Chlorambucil) Leukeran 4 mg/m 2 , PO, eod;<br />
• Vincristine 0.5-0.7 mg/m 2 , IV, q 14 days for 2 doses, q 21 days for 3 doses,<br />
q 28 days thereafter;<br />
• Prednisone 20 mg/m 2 , PO, sid for 7 days; then 20 mg/m 2 , PO, eod until relapse<br />
or adverse steroid effects in which case taper dose and discontinue.<br />
Address for correspondence:<br />
Barbara E. Kitchell<br />
Professor and Director, Center for Comparative Oncology<br />
Michigan State University College of Veterinary Medicine<br />
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Barbara E. Kitchell<br />
DVM, PhD, Dipl ACVIM, Michigan, USA<br />
Treatment for bladder tumors<br />
Domenica, 9 Marzo 2008, ore 12.20<br />
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Bladder tumors comprise approximately 1% of all canine malignancies. It<br />
is more common in the dog than the cat. The theory behind this prevalence is<br />
that dogs secrete higher concentrations of the metabolites of tryptophan, a<br />
proposed carcinogen, than cats. Most tumors of the bladder are malignant,<br />
and the most common types include transitional cell carcinoma, squamous<br />
cell carcinoma, and adenocarcinomas. Bladder tumors usually affect older<br />
animals (mean age 10 years), with the exception of rhabdomyosarcomas that<br />
usually affect young animals. Etiology of bladder cancer in dogs and cats is<br />
unknown. However, risk of bladder cancer was found to be significantly increased<br />
in dogs exposed to two or more applications of topical insecticide<br />
commonly used for fleas and ticks, and also by obese body condition. It has<br />
been proposed that body fat acts as a storage depot for chemicals from insecticide<br />
dips resulting in gradual metabolism and excretion of the chemicals and<br />
prolonged exposure of the urothelium to the potential carcinogens. Cigarette<br />
smoking is associated with increased incidence of bladder cancer in people,<br />
and thus it is possible that second hand cigarette smoke exposure in animals<br />
living in smoking households may also play a part in the causation of bladder<br />
tumors. Cyclophosphamide has been incriminated in the development of TCC<br />
of the urinary bladder in dogs and humans. There is also a significant breed<br />
predisposition among dogs, with Scottish Terriers having an 18-fold increased<br />
risk compared to mixed breeds for TCC development. Other breeds with<br />
higher risk include the Beagle, Shetland Sheepdog, Wire Hair Fox Terrier,<br />
And West Highland White Terrier. This breed predisposition may be associated<br />
with differences in activation or detoxification pathways for specific carcinogens,<br />
although precise molecular pathways have yet to be identified.<br />
CLINICAL SIGNS<br />
Clinical signs most often associated with bladder tumors include hematuria,<br />
pollakiuria, and stranguria. Other clinical signs include polyuria, polydipsia,<br />
urinary incontinence, urinary obstruction, abdominal pain, tenesmus, ribbon-like<br />
stool, and lethargy. Physical exam findings may reveal caudal abdominal<br />
mass, prostatomegaly, bladder distention or obstruction, abdominal<br />
pain, weakness, and lymphadenomegaly. Most often, routine blood work and<br />
physical examination are normal and the bladder mass cannot be detected by<br />
abdominal palpation.<br />
DIAGNOSIS<br />
Urinalysis is often consistent with a bacterial cystitis (bacteruria, pyuria,<br />
hematuria, and proteinuria). Neoplastic cells can be identified in the urine se-<br />
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diment. There can be over interpretation of the criteria of malignancy in cells<br />
in the urine sediment as inflammation by itself can cause changes that closely<br />
mimic malignancy. Flow cytometry may be more sensitive in the evaluation<br />
of bladder cells in urine. Its use to identify cancer cells may be valuable<br />
in the recognition of malignant cells as well as a sensitive indicator of<br />
response to therapy.<br />
Secondary bacterial infection is also common and there is often reported<br />
an initial response to antibiotic therapy followed by a return of the clinical<br />
signs when antibiotic therapy ceases. A new urine-based diagnostic test is<br />
commercially available in the United States for screening for bladder cancer<br />
in the dog.<br />
This test is referred to as the VBTA test and detects an oncofetal antigen<br />
released by tumors into the urine of affected dogs. While this test is highly<br />
sensitive, it is very non-specific. The test had an overall sensitivity of 90%<br />
and a specificity of 78% in one study of 19 healthy control dogs, 20 dogs<br />
with TCC, and 26 dogs with non-neoplastic urinary disease. Any cause of<br />
hematuria can result in a false positive finding with this assay. For this reason,<br />
we are not commonly using the test and suggest that all positive tests<br />
in a screening setting be validated by careful cytologic, biopsy, and imaging<br />
studies.<br />
Radiography is probably the most valuable tool in the diagnosis of bladder<br />
tumors. Plain radiographs of the abdomen usually do not provide the diagnosis,<br />
however, positive and negative contrast cystograms readily identify mucosal<br />
irregularities, filling defects, and masses.<br />
Radiographs should also be examined for calcification of the bladder<br />
wall, sublumbar lymph node enlargement, prostatomegaly, caudal abdominal<br />
mass, bladder displacement, and periosteal reaction along the lumbar<br />
vertebrae or pelvis.<br />
Ultrasound can be used as a diagnostic tool to look for bladder masses as<br />
well as evaluate the kidneys, ureters, and sublumbar lymph nodes for metastatic<br />
disease. Further, masses within the bladder can be easily measured at<br />
each ultrasound and used to evaluate response to treatment.<br />
Intraveneous urograms are often not necessary to diagnose bladder masses<br />
unless urethral obstruction prevents urinary catheter passage. It is estimated<br />
that 20% of dogs with TCC have metastasis at the time of diagnosis, although<br />
this metastasis may be confined to sublumbar lymph nodes.<br />
Thoracic radiographs to detect evidence of lung metastasis should be performed<br />
at the time of diagnosis. Most typical patterns of pulmonary metastasis<br />
seen with TCC are interstitial nodular and diffuse interstitial patterns.<br />
While much can be gained from performing the above diagnostic tests, the<br />
final diagnostic step should include biopsy. Biopsy can be obtained by cystoscopy,<br />
traumatic catheterization, or cystotomy via laparotomy.<br />
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TREATMENT<br />
Surgical resection, if possible, is the treatment of choice and can be curative<br />
for small tumors located distant to the trigone. Unfortunately, most TCC<br />
are located in the trigone and may extend into the urethra, prostate, and ureters.<br />
If the cancer is located in the apex of the bladder, a very wide full-thickness<br />
partial cystectomy may be attempted. More than 80% of the bladder can<br />
be removed with eventual return to normal function and capacity. Even if surgical<br />
resection is possible, most patients will have local recurrence or metastsis<br />
within one year. Translocation of the ureters to the colon by performing a<br />
complete cystectomy and ureterocolonic transposition has been attempted.<br />
This surgery has been met with short-term success and a mean survival of<br />
only four months. Complications associated with these surgeries include<br />
chronic pyelonephritis, diarrhea, fecal incontinence, ureteral obstruction, and<br />
hyperchloremic acidosis.<br />
Maintaining Urinary Outflow - Surgery can also play a palliative role in<br />
management of bladder cancer, in the case of urethral obstructive disease that<br />
is refractory to other forms of therapy. Tube cystostomy can be performed to<br />
relieve urine outflow obstruction in the cases of unresectable masses located<br />
at the trigone or involving the urethra. Placement of permanent cystostomy tubes,<br />
while seemingly radical, can allow a dog to live comfortably for a number<br />
of weeks or months. Complications of cystostomy tube placement include<br />
urine or infectious peritonitis, hemorrhage, and urinary tract infection.<br />
Most recently, advances in the design and implementation of urinary stints have<br />
allowed these devices to be used in both the dog and cat. Human coronary<br />
artery stints may be used in the case of urethral tumor in cats, and larger stints<br />
have been successfully deployed to restore patency to both urethra and ureters<br />
in select canine cases.<br />
Systemic chemotherapy is palliative at best. One study of 12 dogs that received<br />
cisplatin for the treatment of TCC had a median survival time of 180<br />
days. Three of the dogs had partial responses, six dogs maintained stable disease,<br />
and the remaining three had progressive disease. Another study reported<br />
one dog that had a partial response of 31 weeks duration. In both of these studies,<br />
cisplatin was administered at a dose of 50mg/m 2 . Current doses range<br />
from 50-70mg/m 2 . Doxorubicin has also been investigated as a chemotherapy<br />
agent for TCC. In one study of 11 dogs treated with doxorubicin and cyclophosphamide,<br />
there was a reported median survival time of 259 days.<br />
Piroxicam is a nonsteroidal anti-inflammatory agent that acts as a non-selective<br />
cyclooygenase inhibitor. Piroxicam may be used orally (0.3mg/kg once<br />
daily) to provide some anti-tumor effect and palliative analgesia. The mechanism<br />
of anti-tumor activity is thought to be blockade of PGE 2 -mediated<br />
immunosuppression, but there is also some evidence to support cyclooxyge-<br />
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nase-2 signaling as a direct growth stimulant to urothelial cells. In one study<br />
of 34 dogs treated with piroxicam, there were 2 complete remissions, 4 partial<br />
remissions, 18 with stable disease, and 10 with progressive disease. The<br />
median survival time was 181 days, however, the quality of life was improved<br />
in all of the dogs. Other non-steroidal COX-2 inhibitors may also be useful<br />
in transitional cell carcinoma. A recent report of firocoxib at a dose of 5<br />
mg/kg PO daily combined with 60 mg/m 2 IV cisplatin every three weeks<br />
showing promise in the dog, with a 50% response rate noted for 12 dogs receiving<br />
this therapy.<br />
A multicenter trial sponsored by the Veterinary Cooperative Oncology<br />
Group revealed that 48% of 55 dogs enrolled had measurable responses to a<br />
combination of mitoxantrone and piroxicam. Mitoxantrone was administered<br />
at 5 mg/m 2 every 21 days for 4 cycles, and piroxicam was administered at 0.3<br />
mg/kg/day throughout the trial period. Of 48 evaluable dogs at the end of<br />
study, only one dog had a complete response, while 16 had partial responses<br />
and 22 had disease stabilization. Gastrointestinal toxicity and azotemia were<br />
the most common adverse effects, seen in 18% and 10% of treated dogs, respectively.<br />
Median time to treatment failure was 194 days, and median survival<br />
time was 350 days, demonstrating the indolent nature of TCC even in the<br />
case of incomplete response.<br />
Intravesicular therapy with such agents as cisplatin, methotrexate, cyclophosphamide,<br />
and 5-fluorouracil have been effective in humans. This form of<br />
therapy is most effective against superficial tumors that are not invasive into<br />
the bladder wall. Some evidence suggests that intravesicular therapy may irradicate<br />
residual disease after incomplete resection. Unfortunately, most bladder<br />
tumors in dogs are invasive at the time of diagnosis. Intralesional BCG at<br />
the time of partial cystectomy showed variable results. Two of seven dogs<br />
treated intraoperatively with BCG showed clinical benefit, but two dogs developed<br />
severe granulomatous reactions with secondary obstruction. Recently,<br />
intravesicular therapy with mitomycin C has been attempted in dogs<br />
with evident safety, but studies are preliminary.<br />
Radiation Therapy - There are few reports on the effectiveness of radiation<br />
therapy use in the control of bladder tumors. In one study, intraoperative radiation<br />
therapy followed by fractionated external beam irradiation resulted in<br />
poor local control and serious bladder fibrosis with resultant incontinence.<br />
Fractionated external beam irradiation alone requires using traditional fractionation<br />
of 3-4 gy/radiation fraction has been attempted with poor long term<br />
results due to the cumulative doses of radiation needed for eradication of the<br />
cancer. Significant risk of serious bowel injury can be reduced by utilizing<br />
small dose-per-fraction therapy over an extended time period (2.7 Gy x 20<br />
fractions). Combination of radiation with mitoxantrone and prioxicam has<br />
been reported to improve clinical signs in 7/10 dogs so treated.<br />
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PROGNOSIS<br />
Long-term prognosis is poor due to the invasiveness of the tumors and<br />
the advanced stage at the time of diagnosis. Benign tumors that are resectable<br />
carry a good prognosis and may be cured with resection. Survival may<br />
be prolonged with chemotherapy and control of secondary complications<br />
such as inflammation, urinary tract infections, urolithiasis, and urine outflow<br />
obstruction.<br />
Address for correspondence:<br />
Barbara E. Kitchell<br />
Professor and Director, Center for Comparative Oncology<br />
Michigan State University College of Veterinary Medicine<br />
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Laura Marconato<br />
Med Vet, Napoli, Italia<br />
Approccio al paziente<br />
oncologico: si può o si deve<br />
scegliere?<br />
Venerdì, 7 Marzo 2008, ore 10.50<br />
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Per “good clinical practice” s’intende l’insieme di procedure diagnostiche<br />
e terapeutiche tese a salvaguardare la miglior qualità di vita possibile del paziente<br />
oncologico, offrendo standard terapeutici impensabili solo due decenni<br />
fa. Il trattamento del paziente oncologico (sia chirurgico, sia medico, sia radiante)<br />
non può prescindere da un approccio integrato diagnostico-terapeutico<br />
della patologia neoplastica in atto e delle complicanze ad essa connesse.<br />
Per non compromettere la buona riuscita dell’intervento antineoplastico, è<br />
fondamentale conoscere precisamente il tumore (diagnosi corretta e puntuale) e<br />
stadiarlo accuratamente (per valutarne l’estensione) in fase pre-terapeutica. Ancora<br />
oggi, troppo spesso molti tumori vengono asportati chirurgicamente senza<br />
conoscerne l’istotipo (e quindi il comportamento biologico) e senza averli stadiati<br />
(e quindi ignorandone l’estensione). Dal momento che tendenzialmente ad ogni<br />
recidiva aumenta l’aggressività biologica del tumore, è facile intuire l’importanza<br />
di un intervento terapeutico possibilmente con finalità curative alla diagnosi.<br />
STADIAZIONE CLINICA<br />
Per stadiazione clinica o staging s’intende il complesso di indagini diagnostiche<br />
volte a stabilire, con la maggior precisione possibile, l’estensione<br />
del tumore, sia nella localizzazione primitiva (dimensioni, invasività, coinvolgimento<br />
di strutture adiacenti), sia negli eventuali siti metastatici (regionali o<br />
a distanza). Il tumore deve quindi essere obbligatoriamente stadiato alla diagnosi,<br />
perché il clinico possa fornire dati essenziali per la prognosi e per la<br />
scelta del trattamento. Lo staging non può prescindere dalla conoscenza dell’istotipo,<br />
dal momento che tumori diversi hanno diverso comportamento biologico,<br />
diverse modalità metastatiche (diffusione per via linfatica, ematogena,<br />
per continuità, per contiguità), e diversi organi bersaglio di metastatizzazione.<br />
Ad esempio, la valutazione del midollo osseo è fondamentale nella stadiazione<br />
di neoplasie ematopoietiche e mastocitomi, mentre è un esame inutile nella<br />
stadiazione, ad esempio, di tumori mammari.<br />
Da quanto detto emerge quindi che la stadiazione clinica del paziente oncologico<br />
è di cruciale importanza per diversi motivi: consente di formulare<br />
una prognosi, di mettere a punto un piano terapeutico complessivo basato sullo<br />
stadio raggiunto dalla malattia neoplastica, e di modificare radicalmente tipo<br />
di terapia ed intento in caso di metastasi a distanza.<br />
SISTEMA TNM<br />
L’estensione della malattia neoplastica è stata internazionalmente standardizzata<br />
mediante il sistema di classificazione TNM. 1-5 La classificazione<br />
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TNM costituisce un punto di riferimento comune e scientificamente valido;<br />
inoltre, essendo riproducibile, consente di confrontare le casistiche sia all’interno<br />
della stessa istituzione, sia tra istituzioni diverse. La stretta correlazione<br />
che esiste tra stadio clinico della neoplasia, opzioni terapeutiche e prognosi<br />
è di estrema importanza per il paziente oncologico, per il suo proprietario<br />
e per il veterinario curante. La classificazione TNM è costituita dalle<br />
voci T (dimensione ed invasività locale del tumore primitivo), N (stato dei<br />
linfonodi regionali), e M (presenza o meno di metastasi a distanza). Il sistema<br />
TNM è applicato per la valutazione di tumori solidi (come ad esempio<br />
mammari, polmonari, genito-urinari). La principale limitazione riguarda<br />
l’impossibilità di stadiare le neoplasie sistemiche e diffuse come linfomi e<br />
leucemie.<br />
Il sistema di stadiazione TNM propone una stadiazione clinica (cTNM),<br />
una chirurgica (sTNM) ed una patologica (pTNM). La stadiazione cTNM si<br />
basa sui risultati ottenuti prima dell’inizio della terapia, e si avvale di esami<br />
clinici (esame obiettivo generale e particolare) e strumentali (diagnostica per<br />
immagini, endoscopia, biopsia). Grazie allo sviluppo delle moderne tecniche<br />
di diagnostica per immagini, è infatti spesso possibile ottenere campioni diagnostici<br />
citologici o istologici mediante prelievo endoscopico o CT-guidato,<br />
senza dover ricorrere alla chirurgia.<br />
La chirurgia assume ruolo diagnostico quando le tecniche non-invasive si<br />
rivelano inapplicabili per la sede della lesione, oppure inefficaci a garantire<br />
campioni necessari per la prevalenza di materiale necrotico o per le ridotte dimensioni<br />
della lesione polmonare. STNM è particolarmente importante laddove<br />
l’esito patologico possa modificare l’estensione dell’intervento chirurgico<br />
o il tipo di approccio terapeutico.<br />
La stadiazione pTNM rappresenta un perfezionamento delle altre ed ha<br />
importanti implicazioni prognostiche e terapeutiche; essa si basa sulla valutazione<br />
del campione istologico asportato chirurgicamente. PTNM consente di<br />
valutare: radicalità di escissione del tumore (in caso di chirurgia radicale) valutando<br />
i margini di resezione, presenza di eventuale coinvolgimento intra-parenchimale<br />
e linfonodale, istotipo.<br />
La stadiazione clinica è quindi essenziale per la scelta della terapia, mentre<br />
la stadiazione patologica fornisce valide informazioni per formulare una<br />
prognosi e utili indicazioni sull’opportunità di eseguire o meno terapie adiuvanti.<br />
È importante sottolineare che, una volta stabilita, la stadiazione clinica<br />
non può più essere modificata, neanche se i dati forniti dall’intervento chirurgico<br />
(ad esempio linfadenectomia profilattica) indicano uno stadio più avanzato.<br />
Tale norma generale è fondamentale ai fini di un confronto scientificamente<br />
valido tra i risultati di chirurgia, chemioterapia, e/o radioterapia.<br />
In merito a T, T 0 indica assenza di tumore evidente (occulto o precedentemente<br />
rimosso), Tis un carcinoma in situ (cute e cornea), T 1,2,3,4 gradi crescenti<br />
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di estensione del tumore primitivo. Si indica T x quando non è possibile evidenziare<br />
il tumore primitivo (dati insufficienti).<br />
Per alcuni tumori la dimensione di T si correla alla prognosi (come ad<br />
esempio per neoplasie mammarie), per altri invece T si riferisce all’invasività<br />
locale (è il caso di neoplasie ossee, vescicali, testicolari e prostatiche). Per altri<br />
tumori ancora T è del tutto irrilevante, dal momento che ai fini prognostici<br />
è più importante la via di diffusione; è il caso ad esempio dei tumori ovarici<br />
e polmonari.<br />
In merito a N, è importante stabilire se i linfonodi regionali sono fissi o<br />
mobili, le loro dimensioni, la loro consistenza, il coinvolgimento singolo o<br />
multiplo, ipsilaterale o controlaterale, e l’eventuale distribuzione bilaterale.<br />
N 0 indica che non vi è evidenza clinica di metastasi ai linfonodi regionali.<br />
N 1,2,3,4 indicano gradi crescenti di interessamento dei linfonodi regionali.<br />
N x indica che non è possibile valutare i linfonodi regionali (dati insufficienti).<br />
Le metastasi ai linfonodi non regionali sono considerate metastasi<br />
a distanza.<br />
Lo stato N ha importantissime implicazioni prognostiche per molti tumori<br />
solidi, come ad esempio per le neoplasie di testa e collo, vescicali ed intestinali,<br />
dal momento che riflette l’impossibilità di intervenire efficacemente<br />
sul tumore primitivo. I linfonodi fissi (N 3 ) sono tipicamente chirurgicamente<br />
non rimovibili e pertanto si accompagnano ad una prognosi per lo più sfavorevole.<br />
Infine, il coinvolgimento linfonodale spesso riflette l’elevata probabilità<br />
di diffusione ematogena (neoplasie mammarie).<br />
In merito a M, M 0 indica che non c’è alcuna evidenza clinica di metastasi<br />
a distanza, mentre M 1 indica che vi sono metastasi (diverse dai linfonodi regionali),<br />
ed in questo caso è necessario specificarne la sede. M x indica che è<br />
impossibile verificare la presenza di metastasi.<br />
La presenza di metastasi a distanza definisce in modo chiaro i pazienti in<br />
operabili e si accompagna nella maggior parte dei casi a prognosi infausta.<br />
M può essere definito clinicamente, ma il più delle volte richiede indagini<br />
strumentali.<br />
Le indagini diagnostiche collaterali, quali radiografia, ecografia, endoscopia,<br />
CT e risonanza magnetica hanno notevolmente migliorato l’accuratezza<br />
della classificazione clinica TNM. Nel complesso, un tumore viene considerato<br />
tanto più avanzato quanto più è voluminoso ed esteso oltre l’organo sede<br />
primitiva d’insorgenza (ai linfonodi o all’intero organismo): la combinazione<br />
delle variabili descritte determina quindi l’assegnazione del tumore a uno stadio<br />
generalmente compreso fra il primo e il quarto. All’interno di ciascuno<br />
stadio l’esperienza scientifica ha messo e va progressivamente mettendo a<br />
punto il miglior protocollo di trattamento possibile, tenendo conto della oggettiva<br />
speranza di successo e dei possibili effetti collaterali della terapia su<br />
quel tumore in quello stadio.<br />
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SISTEMA WHO<br />
Stadio II:<br />
Le neoplasie emopoietiche (linfomi e leucemie) ed i mastocitomi vengono<br />
stadiati secondo il sistema WHO. 6,7<br />
In merito al linfoma del cane, il sistema WHO lo suddivide in base alla forma<br />
anatomica con cui si manifesta e raggruppa i pazienti secondo la distribuzione<br />
del coinvolgimento linfonodale (stadio I-III), epatico e/o splenico (stadio<br />
IV) e midollare, ematico e/o di altri organi (stadio V).<br />
La stadiazione clinica proposta è la seguente:<br />
Stadio I: interessamento limitato ad un singolo linfonodo o al tessuto linfoide<br />
di un singolo organo (incluso il mediastino craniale).<br />
interessamento regionale di più linfonodi, con o senza coinvolgimento<br />
tonsillare.<br />
Stadio III: interessamento linfonodale generalizzato.<br />
Stadio IV: interessamento di fegato e/o milza, con o senza coinvolgimento<br />
generalizzato dei linfonodi (stadio I-III).<br />
Stadio V:<br />
interessamento midollare, ematico e/o di altri organi extranodali<br />
(tratto gastroenterico, cute, reni, polmoni con o senza versamento<br />
pleurico, solo versamento pleurico se non è secondario a linfoadenopatia,<br />
occhio, pericardio, midollo spinale), con o senza gli altri<br />
stadi.<br />
Ogni stadio deve essere ulteriormente caratterizzato dalle lettere a o b, che<br />
indicano rispettivamente l’assenza o la presenza di sintomi sistemici. La presenza<br />
di ipercalcemia fa rientrare il paziente nel sottostadio b.<br />
La stadiazione clinica ha un valore prognostico limitato, infatti gli unici<br />
dati veramente importanti sono sottostadio e coinvolgimento midollare.<br />
Nella specie felina, la stadiazione clinica proposta è la seguente:<br />
Stadio I:<br />
Stadio II:<br />
neoplasia singola (extranodale), o interessamento di una sola area<br />
anatomica (nodale), compresa una neoplasia primitiva toracica.<br />
singola neoplasia extranodale con coinvolgimento del linfonodo<br />
regionale; interessamento di due o più aree nodali sullo stesso lato<br />
del diaframma; due neoplasie singole (extranodali) con o senza<br />
interessamento delle aree linfonodali regionali sullo stesso lato<br />
del diaframma; o neoplasia primitiva gastroenterica, ben asportabile,<br />
con o senza interessamento dei linfonodi meseraici.<br />
Stadio III: due neoplasie singole extranodali in regioni differenti rispetto al<br />
diaframma; interessamento di due o più aree nodali cranialmente<br />
e caudalmente al diaframma; lesioni primitive intraddominali<br />
estese e non asportabili; o neoplasie paraspinali o epidurali.<br />
Stadio IV: stadio I-III con coinvolgimento di fegato e/o milza.<br />
Stadio V:<br />
stadio I-IV con iniziale coinvolgimento del sistema nervoso centrale<br />
e/o del midollo osseo.<br />
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Anche nel gatto ogni stadio deve essere ulteriormente caratterizzato dalle<br />
lettere a o b, che indicano rispettivamente l’assenza o la presenza di sintomi<br />
sistemici.In merito alle leucemie, in medicina <strong>veterinaria</strong> non esiste alcun sistema<br />
di stadiazione specifico, pertanto tutti i pazienti leucemici sono classificati<br />
in V stadio secondo lo schema WHO.<br />
La stadiazione del mastocitoma del cane prevede i seguenti stadi:<br />
Stadio 0: un’unica lesione dermica, escissa senza radicalità, identificata come<br />
Stadio I:<br />
mastocitoma con la citologia, senza coinvolgimento linfonodale.<br />
un’unica lesione confinata al derma. Nessun’evidenza di coinvolgimento<br />
linfonodale, metastasi o malattia sistemica correlata.<br />
Stadio II: un’unica lesione confinata al derma, con coinvolgimento linfonodale.<br />
Stadio III: lesioni multiple dermiche o presenza di un tumore voluminoso infiltrante,<br />
con o senza coinvolgimento linfonodale. Nessuna evidenza<br />
di metastasi a distanza o malattia sistemica correlata.<br />
Stadio IV: lesioni multiple con metastasi lontane (incluso coinvolgimento<br />
ematico o midollare), oppure recidiva con metastasi. Evidenza di<br />
malattia sistemica correlata.<br />
Anche nel mastocitoma ogni stadio deve essere ulteriormente caratterizzato<br />
dalle lettere a o b, che indicano rispettivamente l’assenza o la presenza di<br />
sintomi sistemici.<br />
Bibliografia<br />
1. Owen LM: TNM Classification of tumors in domestic animals. Geneva, World Health Organization,<br />
1980.<br />
2. Sobin LH: TNM: principles, history, and relation to other prognostic factors. Cancer 91(8<br />
Suppl):1589-92, 2001.<br />
3. Sobin LH, Wittekind Ch (eds): TNM Classification of malignant tumors. UICC (International Union<br />
Against Cancer) 6th edition, 2002.<br />
4. Sobin LH: TNM: evolution and relation to other prognostic factors. Semin Surg Oncol. 21(1):3-7,<br />
2003.<br />
5. Sobin LH: TNM, 6th edition: new developments in general concepts and rules. Semin Surg Oncol.<br />
21(1):19-22, 2003.<br />
6. Vail DM, Young KM, (2007), Hematopoietic tumors. 699-756.<br />
7. Thamm DH, Vail DM, (2007), Mast cell tumors. 409.<br />
Indirizzo per la corrispondenza:<br />
Laura Marconato<br />
Clinica Veterinaria L’Arca<br />
Vico Cacciottoli, 46/47 - 80129 Napoli - E-mail: lauramarconato@yahoo.it<br />
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Laura Marconato<br />
Med Vet, Napoli, Italia<br />
Nuove terapie farmacologiche<br />
in oncologia <strong>veterinaria</strong>:<br />
miraggio o realtà?<br />
Domenica, 9 Marzo 2008, ore 9.00<br />
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Le principali modalità terapeutiche antiblastiche sono chirurgia, radioterapia<br />
e chemioterapia. La chemioterapia ha rappresentato per molti anni la principale<br />
strategia terapeutica farmacologica nelle neoplasie sistemiche o in fase<br />
avanzata (metastatiche). In medicina <strong>veterinaria</strong>, i farmaci citotossici non sono<br />
quasi mai curativi, inoltre nella maggior parte dei casi l’efficacia della chemioterapia<br />
è parziale e transitoria, riuscendo a garantire nella migliore delle<br />
ipotesi remissioni complete di variabile durata, ma non guarigione. Cause del<br />
fallimento della chemioterapia sono in gran parte attribuibili a resistenza farmacologica<br />
acquisita secondaria o intrinseca, instabilità genetica ed eterogeneità<br />
delle cellule neoplastiche, ed elevato indice mutazionale delle stesse.<br />
La migliore conoscenza degli eventi molecolari coinvolti nella progressione<br />
tumorale (tra cui pattern metabolici, caratteristiche enzimatiche ed assetto<br />
recettoriale delle cellule neoplastiche e dei siti molecolari critici per gli eventi<br />
proliferativi), nonché le caratteristiche biologiche del tumore, e la comprensione<br />
dei meccanismi che regolano crescita, sopravvivenza, capacità invasiva,<br />
metastatica e angiogenetica delle cellule neoplastiche, hanno consentito negli<br />
ultimi 20 anni di sviluppare nuove strategie terapeutiche antitumorali, tra cui<br />
inibizione dell’angiogenesi, terapia genica e bersagli molecolari. Questa nuova<br />
categoria di farmaci anitumorali è stata designata per ottenere maggiore<br />
specificità antineoplastica con conseguente riduzione della tossicità, e per individualizzare<br />
il trattamento secondo le caratteristiche biologiche del tumore.<br />
Oggi sono infatti disponibili tecniche particolarmente sofisticate per studiare<br />
i geni, i loro prodotti proteici, i vari aspetti del ciclo cellulare, la trasmissione<br />
dei segnali fra le cellule, le interazioni fra cellula e cellula e la matrice<br />
extracellulare. Grazie all’identificazione di molecole che interagiscono<br />
con un difetto molecolare specifico, l’approccio alla farmacologia antineoplastica<br />
è radicalmente cambiato, passando da una farmacologia basata sulla<br />
malattia ad una terapia trasversale mirata al difetto molecolare all’origine della<br />
malattia. In questo ambito, il ruolo dei fattori prognostici assume nuova rilevanza,<br />
dal momento che alcuni di questi possono fornire utili indicazioni<br />
sulle scelte terapeutiche individualizzate per il singolo paziente. Nel prossimo<br />
futuro il trattamento medico delle neoplasie diventerà dunque sempre più specifico<br />
e selettivo, e sarà guidato dalle caratteristiche biologiche del tumore,<br />
con evidenti vantaggi in termini di attività antitumorale e di ridotti effetti collaterali.<br />
Le nuove terapie biologiche, attualmente testate in pazienti con malattia<br />
avanzata, si presume possano essere più attive come trattamenti adiuvanti,<br />
per prevenire cioè le recidive dopo chirurgia radicale o combattere la<br />
malattia minima residua dopo chemioterapia.<br />
Seppur salutata con grande entusiasmo ed ottimismo in oncologia umana,<br />
la terapia molecolare è ancora in parte utopistica in medicina <strong>veterinaria</strong>. Le<br />
maggiori problematiche riguardano le tecnologie laboratoristiche e i costi della<br />
terapia.<br />
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Come anticipato, la terapia mirata comprende tutta una serie di farmaci antineoplastici<br />
di nuova generazione, volti ad interferire con specifici bersagli<br />
molecolari (tipicamente una proteina), ritenuti fondamentali nella crescita e<br />
progressione neoplastica. L’identificazione di bersagli appropriati si basa sulla<br />
comprensione dettagliata delle alterazioni molecolari del tumore. Questo<br />
approccio è in netto contrasto con la chemioterapia tradizionale. Infatti, l’enorme<br />
vantaggio della terapia oncologica mirata consiste nella selettività del<br />
bersaglio, dal momento che sono inibiti o alterati soltanto i meccanismi molecolari<br />
o alcune proteine alla base della trasformazione neoplastica. È noto<br />
che la chemioterapia ha una limitata finestra terapeutica perché non è in grado<br />
di risparmiare le cellule sane dell’organismo; al contrario, la terapia molecolare<br />
è capace di colpire selettivamente, efficacemente e definitivamente le<br />
cellule neoplastiche, senza determinare alcun danno a carico delle cellule sane.<br />
I nuovi farmaci antitumorali ad attività mirata interferiscono quindi solo<br />
con la crescita e la diffusione del tumore colpendo selettivamente la mutazione<br />
che dà origine a quello specifico tumore, senza produrre importanti effetti<br />
collaterali e senza compromettere la qualità di vita del paziente. Le cosiddette<br />
“molecole intelligenti” o “magic bullets” farmacologici segnano pertanto<br />
l’inizio dell’era dell’oncologia moderna. Lo sviluppo di questa nuova categoria<br />
di farmaci è un processo a tappe, che prevede innanzitutto l’individuazione<br />
del target tumorale e, in seguito, la molecola in grado di inibirlo.<br />
NUOVI AGENTI ANTITUMORALI<br />
Le cellule neoplastiche sono contraddistinte dalle seguenti sei caratteristiche:<br />
1) capacità di crescita autonoma<br />
2) insensibilità agli stimoli anti-proliferativi<br />
3) capacità replicativa illimitata<br />
4) capacità di evadere dai meccanismi apoptotici<br />
5) attività neoangiogenetica<br />
6) capacità invasiva e metastatica.<br />
I dati che arrivano dalla recente ricerca clinica mostrano la possibilità di impiegare<br />
un’ampia gamma di agenti indirizzati sui differenti bersagli molecolari.<br />
I principali target tumorali ad oggi identificati sono i recettori per fattori di<br />
crescita ad attività tirosinchinasica, i meccanismi di trasduzione del segnale,<br />
alcune proteine del ciclo cellulare (come cicline e chinasi cicline-dipendenti),<br />
i recettori che regolano angiogenesi e apoptosi, le telomerasi, ed il proteasoma.<br />
In particolare, alcuni tra i farmaci ad attività mirata, ampiamente utilizzati in<br />
medicina umana, comprendono: anticorpi monoclonali diretti al dominio extracellulare<br />
dei recettori per fattori di crescita; composti quinazolinici specifici<br />
inibitori delle proteine tirosin-chinasi associate a fattori di crescita; agenti<br />
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specifici per l’inibizione della tirosin-chinasi associata al recettore KIT; inibitori<br />
della farnesilazione della oncoproteina Ras; oligonucleotidi antisenso che<br />
interferiscono con l’mRNA della protein-chinasi C; modulatori della trascrizione<br />
che agiscono inibendo la deacetilazione degli istoni. Va precisato che tutti<br />
questi prodotti non sostituiscono la chemioterapia, ma ne sono un completamento,<br />
andando ad agire sulla malattia minima residua.<br />
Le piccole molecole ad attività inibente (inibitori tirosinchinasici) hanno<br />
basso peso molecolare (400 Da), pertanto possono essere somministrate per<br />
via orale perché subito assorbite senza degradazione intestinale. Potendo entrare<br />
all’interno delle cellule, le piccole molecole ad attività inibente agiscono<br />
interagendo con il dominio tirosinchinasico intracellulare di un recettore<br />
transmembrana. I recettori per le tirosinchinasi rappresentano eccellenti bersagli<br />
nella terapia molecolare, dal momento che sono coinvolti nel controllo<br />
della proliferazione cellulare e sono spesso amplificati nei tumori maligni.<br />
Imatinib (Glivec) può essere considerato il capostipite delle piccole molecole<br />
ad attività inibente. In medicina umana, imatinib si è dimostrato efficace<br />
nella cura della leucemia mieloide cronica e dei tumori dello stroma gastrointestinale,<br />
due neoplasie che presentano la stessa mutazione genetica. In<br />
medicina <strong>veterinaria</strong> sono stati pubblicati pochi lavori in merito all’efficacia<br />
di imatinib nel trattamento di pazienti oncologici. 1 La maggior parte degli studi<br />
riguarda i mastocitomi (sia nel cane [colture cellulari] sia nel gatto) ed i sarcomi<br />
iniettivi felini. 2,3 Al momento non sono ancora stati definiti dose ottimale<br />
e durata del trattamento. Al contrario, un altro inibitore tirosin-chinasico<br />
(SU11654) ha mostrato attività antiproliferativa su biopsie ottenute da mastocitomi<br />
canini, ed in vivo ha dato risposte misurabili. 4,5<br />
Della categoria dei farmaci target-oriented fanno parte anche altre molecole<br />
che hanno aperto prospettive interessanti nella terapia di tumori ad altissima<br />
frequenza dell’uomo, tra cui gli anticorpi monoclonali. Gli anticorpi monoclonali<br />
sono prodotti a partire da una plasmacellula resa immortale ed<br />
espansa in modo clonale che produce un anticorpo specifico contro una proteina.<br />
Di conseguenza, l’anticorpo monoclonale mostra elevata affinità e specificità<br />
per quella particolare proteina. Gli anticorpi monoclonali sono molecole<br />
grosse con elevato peso molecolare, pertanto non possono essere somministrati<br />
per via orale (perché verrebbero digeriti nell’intestino), ma soltanto<br />
per via parenterale. Inoltre, sempre a seguito delle grosse dimensioni, non<br />
penetrano all’interno delle cellule. Gli anticorpi monoclonali sono dunque diretti<br />
verso la porzione esterna (dominio extracellulare) del recettore coinvolto<br />
nella regolazione neoplastica. Una volta occupato dall’anticorpo monoclonale,<br />
il dominio non è più disponibile per il ligando naturale: il recettore non<br />
viene attivato ed il segnale di crescita cellulare è di conseguenza silenziato.<br />
Promettente è la terapia antiangiogenetica, soprattutto se intesa a coadiuvare<br />
terapie più tradizionali. Lo studio dell’angiogenesi ha consentito una mi-<br />
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gliore conoscenza dei meccanismi molecolari coinvolti nella crescita tumorale<br />
e nello sviluppo di metastasi e ha permesso lo sviluppo di nuovi agenti antitumorali,<br />
che inibiscono selettivamente i bersagli biochimici della neovascolarizzazione.<br />
Dal momento che un tumore non può crescere oltre 1 mm 3<br />
senza un adeguato supporto sanguigno, è cruciale ai fini della progressione<br />
neoplastica la neoangiogenesi, ovvero lo sviluppo di nuovi vasi sanguigni a<br />
partire da vasi preesistenti. La regolazione dell’angiogenesi è un processo<br />
complesso e rappresenta il risultato di un bilancio operato da peptidi stimolanti<br />
(tra cui Vascular Endothelial Growth Factor [VEGF], Fibroblastic<br />
Growth Factor [FGF], IL-4, IL-8) e fattori endogeni inibenti, tra cui trombospondina,<br />
angiostatina ed endostatina. Nell’angiogenesi tumore-associata tale<br />
bilancio risulta alterato secondariamente a ridotta produzione di fattori ad<br />
attività inibente, o eccessiva produzione e liberazione di sostanze ad azione<br />
proangiogenica. Gli inibitori dell’angiogenesi identificati ad oggi comprendono:<br />
inibitori naturali (angiostatina, endostatina), farmaci ad attività angiosoppressiva<br />
già utilizzati per patologie non neoplastiche (talidomide, minocicline),<br />
farmaci citotossici con parziale attività di inibizione dell’angiogenesi<br />
(tamoxifene, paclitaxel, retinoidi), nuovi agenti specificamente sviluppati come<br />
inibitori dell’angiogenesi (anticorpi monoclonali umanizzati anti VEGF e<br />
anti bFGF), e farmaci a bersaglio vascolare (immunoconiugati che selettivamente<br />
occludono i vasi sanguigni intratumorali).<br />
Attualmente è difficile e prematuro stabilire se i nuovi farmaci non chemioterapici<br />
saranno in grado di cambiare significativamente la prognosi delle<br />
neoplasie maligne non emopoietiche. Tra le nuove possibili strategie terapeutiche<br />
vi è l’impiego di tali agenti per tempi prolungati con l’obiettivo di "cronicizzare"<br />
la malattia neoplastica attraverso una protratta inibizione della crescita<br />
tumorale senza pretendere la completa regressione della malattia. La rapida<br />
riduzione della massa tumorale che avviene talvolta impiegando la chemioterapia<br />
è infatti invariabilmente seguita da una inesorabile recidiva difficilmente<br />
trattabile (perché chemioresistente). Alla luce di quanto osservato, le<br />
attuali strategie terapeutiche in medicina umana prevedono l’impiego combinato<br />
(sinergico) di chemioterapici e farmaci mirati. Infatti, mentre i primi sono<br />
citotossici, i secondi sono citostatici. Quindi, con la chemioterapia tradizionale<br />
ci si prefigge l’obiettivo di uccidere le cellule neoplastiche, al contrario<br />
per molti di questi nuovi approcci antineoplastici l’uccisione cellulare è un<br />
endpoint molto meno rilevante.<br />
A questo proposito sembra quindi necessario modificare il disegno degli<br />
studi prevedendo nella valutazione più che il tasso di risposta alla terapia il<br />
tempo alla progressione ed il beneficio clinico. Inoltre, i futuri trials clinici<br />
dovranno essere disegnati non solo per ottenere una valutazione dell’efficacia<br />
dei farmaci ma anche per individuare i determinanti biologici e molecolari<br />
della malattia e le caratteristiche genetiche del paziente predittivi della rispo-<br />
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sta al trattamento. Questo potrebbe consentire di ampliare lo spettro delle strategie<br />
terapeutiche antineoplastiche e al contempo di specializzare l’intervento<br />
terapeutico interferendo con specifici meccanismi coinvolti nella patogenesi<br />
molecolare di ogni determinata neoplasia e arrivare, attraverso i progressi<br />
della farmacogenomica, a individualizzare la terapia.<br />
Bibliografia<br />
1. London C, (2004), Kinase inhibitors in cancer therapy, Vet Comp Onc, 2: 177-193.<br />
2. Kobie K, Kawabata M, Hioki K, et al, (2007), The tyrosine kinase inhibitor imatinib [STI571] induces<br />
regression of xenografted canine mast cell tumors in SCID mice. Res Vet Sci; 82: 239-241.<br />
3. Lachowicz JL, Post GS, Brodsky E. A phase I clinical trial evaluating imatinib mesylate (Gleevec)<br />
in tumor-bearing cats. J Vet Intern Med 2005;19:860-864.<br />
4. Pryer NK, Lee LB, Zadovaskaya R, et al, (2003), Proof of target for SU11654: inhibition of KIT phosphorylation<br />
in canine mast cell tumors. Clin Cancer Res 9: 5729-5734.<br />
5. London CA, Hannah AL, Zadovoskaya R, et al, (2003), Phase I dose-escalating study of SU11654,<br />
a small molecule receptor tyrosine kinase inhibitor, in dogs with spontaneous malignancies. Clin<br />
Cancer Res, 9: 2755-2768.<br />
Indirizzo per la corrispondenza:<br />
Laura Marconato<br />
Clinica Veterinaria L’Arca<br />
Vico Cacciottoli, 46/47 - 80129 Napoli - E-mail: lauramarconato@yahoo.it<br />
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Giorgio Romanelli<br />
Med Vet, Dipl ECVS<br />
Cusano Milanino (MI), Italia<br />
Il paziente oncologico anziano:<br />
approccio speciale<br />
a pazienti speciali<br />
Venerdì, 7 Marzo 2008, ore 14.30<br />
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INTRODUZIONE<br />
L’incidenza del cancro aumenta con l’età e, sia in medicina umana che <strong>veterinaria</strong>,<br />
diversi studi epidemiologici evidenziano la maggiore rilevanza di<br />
malattie tumorali con l’invecchiamento.<br />
Anche se nel cane e nel gatto non è chiara la definizione esatta di vecchiaia,<br />
i cani di piccola taglia si considerano vecchi a 11,5 anni, quelli di taglia<br />
media a 10, quelli di grossa taglia a 9 anni ed i cani di taglia gigante a 7,5<br />
anni. I gatti sono considerati vecchi a 12 anni.<br />
L’allungamento della vita negli animali da compagnia è dovuto alla migliore<br />
nutrizione, alla regolarità nei trattamenti immunizzanti e preventivi e,<br />
soprattutto, alla maggiore attenzione dei proprietari verso i propri animali,<br />
che si traduce in una ricerca di terapie sempre migliori.<br />
L’invecchiamento è caratterizzato da un peggioramento progressivo di parte<br />
delle funzioni vitali, soprattutto della filtrazione glomerulare, della capacità<br />
respiratoria e della massima capacità d’esercizio; il risultato finale di questi<br />
cambiamenti fisiologici è che per l’animale anziano risulta più difficile<br />
adattarsi a situazioni di stress fisico.<br />
In queste circostanze, l’oncologo deve modulare le terapie perché siano<br />
meno nocive e adottare sempre il motto “la terapia non deve essere peggiore<br />
della malattia”.<br />
Ci sono spesso dei dubbi nell’utilizzo di trattamenti aggressivi, medici o<br />
chirurgici, in pazienti anziani; tuttavia deve essere chiaro che, conosciuti i<br />
cambiamenti metabolici e fisiologici, la chemioterapia può essere usata efficacemente<br />
e in modo ben tollerato anche negli animali vecchi, così come sono<br />
proponibili interventi chirurgici complessi.<br />
Nel trattamento oncologico di animali anziani si deve comunque sempre<br />
considerare l’impatto di malattie intercorrenti (es. epatiche, cardiache o renali)<br />
sull’aspettativa di vita e sulla tollerabilità da parte del paziente.<br />
L’attaccamento dei proprietari verso gli animali anziani è molto intenso ed è<br />
indispensabile una comunicazione chiara e sincera fra il veterinario ed i clienti.<br />
Per alcuni il mantenimento di una qualità di vita ottimale escluderà qualsiasi<br />
tipo di terapia con effetti potenzialmente pericolosi e spesso sceglieranno<br />
una terapia palliativa con eutanasia non appena le condizioni tenderanno a<br />
peggiorare.<br />
Per altri l’allungamento della vita, mantenendo una ragionevole qualità, risulterà<br />
accettabile e permetteranno anche interventi terapeutici medici e chirurgici<br />
più aggressivi.<br />
Altri ancora sceglieranno sempre e comunque qualsiasi terapia che possa<br />
allungare anche di poco la vita del proprio animale.<br />
In ogni momento è comunque basilare informare i proprietari dei rischi,<br />
dei benefici e delle possibili complicanze.<br />
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È però di molto peso ricordare che l’età, di per sé, non è una malattia e che la<br />
maggior parte dei pazienti anziani e vecchi può essere sottoposta a terapie oncologiche<br />
aggressive con risultati sorprendentemente buoni in termini di risposte.<br />
Quindi l’età non deve essere una scusante per suggerire terapie non ottimali.<br />
Uno dei problemi che si incontrano nel trattamento oncologico è legato al<br />
fatto che molti clienti hanno avuto direttamente od indirettamente esperienze<br />
con trattamenti antineoplastici e ne sono spaventati.<br />
È quindi importante che il medico enfatizzi che la chemioterapia negli animali<br />
non provoca la stessa tossicità riscontrate nell’uomo.<br />
CARCINOGENESI ED INVECCHIAMENTO<br />
La carcinogenesi è un processo multistage che prevede la trasformazione<br />
di una cellula normale in una maligna, e che richiede un passo che fissi le cellule<br />
ad un basso stadio di differenziazione con una concomitante preservazione<br />
della capacità proliferativa attraverso una mutazione genomica.<br />
Una volta iniziato, il processo richiede la promozione da parte di fattori<br />
che inducono danno cellulare a livello replicativo e la progressione da cellula<br />
danneggiata a tumore conclamato.<br />
Le cellule che replicano più volte hanno una maggiore propensione ad<br />
esprimere una proliferazione incontrollata, motivo della maggiore incidenza<br />
dei carcinomi rispetto ai sarcomi, soprattutto in età anziana.<br />
Le cellule in invecchiamento dimostrano un declino nella loro capacità di riparazione<br />
e i meccanismi d’eliminazione dei radicali liberi sono meno efficaci.<br />
Dopo l’iniziazione mediante un agente fisico o chimico, ci vuole solitamente<br />
dal 10 al 20% della durata della vita prima che una massa di 1 cm 3 sia<br />
identificata. Questo intervallo può contribuire al riconoscimento dei tumori<br />
negli animali vecchi.<br />
Da un altro punto di vista, il processo d’invecchiamento potrebbe contrastare<br />
la carcinogenesi mediante perdita di stimolazione neoplastica ormonale<br />
e diminuzione del pool di cellule immature.<br />
APPROCCIO AL PAZIENTE ONCOLOGICO ANZIANO<br />
La chiave del successo nel trattamento antineoplastico risiede in una diagnosi<br />
precoce che, nell’animale anziano, è spesso complicata dalla presenza<br />
di malattie concomitanti aventi segni clinici simili.<br />
Inoltre i proprietari (ed i veterinari) hanno l’idea di non proseguire oltre<br />
con la diagnostica e le eventuali terapie perché “tanto nulla può essere fatto a<br />
quest’età”.<br />
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Negli animali da compagnia, al contrario dell’uomo, i test di screening tumorale<br />
non sono diffusi e la diagnosi precoce si attua educando i proprietari<br />
(ed i veterinari) al riconoscimento di segni clinici sospetti quali:<br />
1. Gonfiori anormali che tendono a persistere o a crescere nel tempo<br />
2. Ulcere che non tendono a guarire<br />
3. Perdita di peso<br />
4. Perdita o diminuzione progressiva dell’appetito<br />
5. Vomito e/o diarrea incoercibili<br />
6. Poliuria e polidipsia<br />
7. Emorragia o scolo da qualsiasi sito anatomico<br />
8. Odori particolari<br />
9. Difficoltà nella prensione, nella masticazione o nella deglutizione<br />
10. Decadimento delle condizioni generali e dell’attività fisica<br />
11. Zoppia persistente<br />
12. Difficoltà nella respirazione, nell’urinazione o nella defecazione.<br />
Una volta ottenuta una diagnosi definitiva, è necessario stadiare il paziente<br />
per conoscere l’estensione della neoplasia.<br />
Il work-up completo nel paziente anziano prevede tutti quegli esami atti a<br />
scoprire malattie intercorrenti (renali, epatiche e/o cardiache) che potrebbe influenzare<br />
negativamente il trattamento chirurgico o medico.<br />
TERAPIA<br />
Stabilita la diagnosi e determinata l’estensione della malattia, si può procedere<br />
con la terapia. Nella definizione di un protocollo terapeutico devono<br />
essere considerati un insieme di fattori che includono:<br />
• Presenza di malattie concomitanti e aspettativa di vita legata a tali malattie<br />
• “Performance status” del paziente<br />
• Aspettative del proprietario<br />
• Costi della terapia<br />
• Diminuzione delle riserve fisiologiche del paziente con possibile aumento<br />
di tossicità<br />
• Alterazione della farmacocinetica del paziente.<br />
I veterinari sono spesso portati a terapie conservative o per il non trattamento<br />
nei pazienti anziani e anche nell’uomo, si è notato che l’età è spesso<br />
legata a metodi di cura sub ottimali.<br />
CHIRURGIA<br />
Le tecniche chirurgiche applicate nel paziente anziano seguono le regole<br />
generali della chirurgia oncologica e ancora di più è necessario eseguire un in-<br />
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tervento definitivo la prima volta, visto che l’animale potrebbe non sopportare<br />
una seconda chirurgia.<br />
In medicina umana è stato dimostrato che la mortalità operatoria aumenta<br />
dopo i 70 anni ma è anche evidente che la percentuale dei decessi si correla<br />
di più con il numero di malattie preesistenti piuttosto che con l’età come fattore<br />
isolato.<br />
L’età di per sé non è una controindicazione per un intervento ma è necessaria<br />
la massima attenzione nella valutazione preoperatoria, nel planning, nell’anestesia<br />
e nelle cure postoperatorie.<br />
Fatte salve quindi le particolari attenzioni dovute, la chirurgia è il più delle<br />
volte perfettamente sopportata anche da pazienti in età avanzata, con malattie<br />
intercorrenti.<br />
RADIOTERAPIA<br />
Il principale ostacolo nella radioterapia risiede nella necessità di anestesie<br />
ripetute nel tempo. Inoltre sembra che, nell’anziano, il tessuto normale sia<br />
meno resistente agli effetti delle radiazioni.<br />
CHEMIOTERAPIA<br />
La parola chemioterapia suscita spesso una connotazione negativa nei proprietari<br />
ed è evidente che i farmaci usati hanno un indice terapeutico molto<br />
basso.<br />
Non sono noti, in <strong>veterinaria</strong>, studi sulla chemioterapia nei soggetti anziani<br />
ma, nell’uomo, non sembra esserci gran differenza di tossicità fra pazienti<br />
giovani e vecchi.<br />
Anche se possono non essere clinicamente evidenti, è necessario però tenere<br />
a mente alcune alterazioni farmacologiche e farmacocinetiche che si possono<br />
evidenziare in età avanzata (Tab. 1).<br />
Nell’uomo è anche controversa la differenza di cardiotossicità della doxorubicina<br />
nel giovane e nell’anziano.<br />
TERAPIE DI SOSTEGNO<br />
Il trattamento nei pazienti geriatrici prevede anche un’adeguata attenzione<br />
alle terapie supportive, soprattutto riguardo alla terapia nutrizionale, antiemetica<br />
ed antidolorifica.<br />
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Tabella 1 - Cambiamenti farmacocinetici associati all’età<br />
Parametro Cambiamento Farmaci possibilmente influenzanti<br />
Assorbimento Possibile leggera diminuzione, Chemioterapici orali<br />
probabilmente immutato<br />
(ciclofosfamide, metotrexato,<br />
melphalan, clorambucile)<br />
Distribuzione Diminuzione relativa dei farmaci BCNU, CCNU, doxorubicina,<br />
solubili in acqua ed aumento melphalan e cis-platino<br />
di quelli solubili in grassi.<br />
(aumento della tossicità)<br />
Diminuzione delle proteine<br />
plasmatiche<br />
Metabolismo Diminuzione della attivazione/ Ciclofosfamide<br />
epatico in attivazione microsomiale (diminuzione dell’attività)<br />
Doxorubina, alcaloidi della vinca<br />
(aumento della tossicità)<br />
Eliminazione Diminuzione molto variabile, Cis-platino, metotrexato, bleomicina,<br />
renale talvolta clinicamente significativa melphalan, ciclofosfamide<br />
SUPPORTO ALIMENTARE<br />
Ogni paziente che non riesce in modo autonomo a mantenere un corretto<br />
stato nutrizionale deve essere aiutato sia farmacologicamente che tramite<br />
un’opportuna integrazione alimentare mediante sonda rinogastrica, esofagostomica,<br />
gastrosomica o duodenale.<br />
Proprio la malnutrizione è infatti responsabile direttamente o indirettamente<br />
della riduzione del rapporto rischio/beneficio del trattamento anti-tumorale<br />
e dell’aumento del tasso di mortalità nei pazienti malati tumorali. La<br />
terapia nutrizionale è fondamentale nel controllo della cachessia neoplastica<br />
e, al fine di ottenere il massimo beneficio, deve essere iniziata precocemente<br />
nel decorso della malattia; ma è altrettanto importante ricordare che la terapia<br />
nutrizionale ha un senso solamente quando applicata in combinazione a terapie<br />
mirate nei confronti della patologia tumorale e che quindi non dovrebbe<br />
essere utilizzata nei pazienti moribondi.<br />
TERAPIA ANTIEMETICA<br />
La nausea ed il vomito, indotti dalla malattia neoplastica o dal trattamento<br />
farmacologico, possono esacerbare i problemi nutrizionali pre-esistenti in<br />
questi pazienti.<br />
Inoltre, la perdita di liquidi e di elettroliti può peggiorare uno stato metabolico<br />
alterato e scompensare una insufficienza renale od epatica in atto.<br />
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Quindi è necessario trattare farmacologicamente tutti i pazienti con vomito<br />
o che si pensa possano averlo a causa della malattia o della terapia.<br />
I farmaci più usati sono la metoclopramide, gli antiserotoninici (ondasetron<br />
e dolasetron) ed il maropitant.<br />
TERAPIA ANTIDOLORIFICA<br />
Il trattamento del dolore è una delle parti più importanti della terapia antineoplastica<br />
e deve essere perseguito in tutti i modi.<br />
I farmaci principalmente usati sono i FANS e gli oppioidi.<br />
Va al di là di questa relazione l’analisi di tutti i tipi di antidolorifici utilizzabili<br />
e ci sono ottimi lavori che si concentrano sul loro utilizzo.<br />
L’uso dei FANS ha una reale utilità oltre che nel controllo del dolore neoplastico<br />
anche nell’uso in patologie concomitanti comuni nel paziente anziano<br />
(es. osteoartrosi).<br />
Inoltre una parte delle forme neoplastiche esprime recettori per i COX e<br />
può beneficiare in termini di controllo dall’uso di sostanze COX agoniste.<br />
Un discorso a parte meritano i corticosteroidi. Mentre da un lato sono benefici<br />
aumentando l’appetito ed il livello di attività del paziente, dall’altro<br />
possono mascherare il quadro clinico di alcune neoplasie (es. linfoma) ed<br />
esercitare un effetto immunosoppressivo.<br />
CONCLUSIONI<br />
L’oncologia <strong>veterinaria</strong> ha fatto passi enormi negli ultimi anni e molti pazienti<br />
sono trattati mediante chirurgia, chemioterapia, radioterapia od una loro<br />
combinazione.<br />
L’aumento del numero di pazienti in età avanzata fa sì che ci sia una sempre<br />
maggiore richiesta di terapie antineoplastiche.<br />
Le decisioni terapeutiche negli animali più vecchi non si devono basare su<br />
un mero aspetto anagrafico ma su una corretta valutazione dello stato generale<br />
di salute del paziente, sull’aspettativa di vita e sulla qualità di vita con una<br />
determinata terapia.<br />
Indirizzo per la corrispondenza:<br />
Giorgio Romanelli<br />
Clinica Veterinaria Nerviano<br />
Via Lampugnani, 3 - 20014 Nerviano (MI)<br />
Tel. 0331415263 - Fax 0331415369 - E-mail: giorgioromanelli@alice.it<br />
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Giorgio Romanelli<br />
Med Vet, Dipl ECVS<br />
Cusano Milanino (MI), Italia<br />
Laparoscopia e toracoscopia:<br />
guardare gli organi da fuori<br />
Sabato, 8 Marzo 2008, ore 9.00<br />
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INTRODUZIONE<br />
La laparoscopia e la toracoscopia sono procedure mini-invasive ideate per<br />
l’ispezione e la chirurgia delle cavità addominale e toracica. In medicina umana<br />
queste tecniche vengono usate comunemente e sono considerate routine. In<br />
ambito veterinario l’utilizzo è notevolmente aumentato negli ultimi 10 anni.<br />
Le basi tecniche richieste per la laparoscopia e per la toracoscopia sono simili<br />
e l’applicazione di queste tecniche sembra limitata solamente dalla taglia<br />
del paziente e dall’abilità e fantasia del chirurgo.<br />
INDICAZIONI<br />
Stadiazione di patologie neoplastiche, valutazione della possibilità di<br />
asportazione di masse o altre lesioni, biopsie sotto diretta visualizzazione,<br />
diagnosi e trattamento dello pneumotorace spontaneo e traumatico, diagnosi<br />
e trattamento di versamenti pleurici e pericardici, biopsie intestinali.<br />
PROCEDURE DIAGNOSTICHE<br />
• Esplorazione addominale e toraciche per stadiazione<br />
• Biopsie epatiche, renali, intestinali, mesenteriche, pancreatiche, pleuriche,<br />
peritoneali, pericardiche, polmonari, mediastiniche e linfonodali<br />
• Colecistocentesi e dranaggio biliare<br />
• “Second look” laparo e toracoscopica<br />
• Posizionamento di accessi addominali e toracici per trattamento chemioterapico<br />
endocavitario.<br />
ATTREZZATURA<br />
Gli strumenti per laparo e toracoscopia sono fondamentalmente gli<br />
stessi.<br />
SET DI BASE<br />
• Ottiche da 5 a 10 mm di diametro, solitamente a 0° di inclinazione<br />
• Trocar e cannule di diversi diametri e tipologie<br />
• Ago di Verres (solo per laparoscopia)<br />
• Fonte di luce<br />
• Cavo porta luce<br />
• Insufflatore di CO 2 (solo per laparoscopia)<br />
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• Palpatore<br />
• Pinza ovale per biopsie<br />
• Pinze da presa atraumatiche<br />
• Forbici<br />
• Video camera e monitor<br />
• Attrezzatura per raccolta immagini.<br />
PREPARAZIONE<br />
Il campo chirurgico DEVE essere preparato come per una qualsiasi procedura<br />
chirurgica standard (ampia tricotomia, disinfezione e drappeggio) e<br />
bisogna essere pronti in ogni momento a cambiare la procedura da mininvasiva<br />
a tradizionale. L’ottica è collegata alla fonte di luce e alla telecamera.<br />
La telecamera (a 1 o a 3 ccd) può essere sterilizzata secondo i dettami<br />
della ditta produttrice oppure avvolta in apposite guaine sterili. A<br />
questo punto viene inserito il primo trocar (torace) o l’ago di Verres (addome<br />
- per creare lo pneumoperitoneo) e, di seguito, l’ottica attraverso la<br />
cannula. Il training e la pratica sono essenziali per formare una buona<br />
squadra chirurgica. L’operatore della telecamera, il chirurgo, l’assistente e<br />
l’anestesista devono essere perfettamente in sincronia in modo da rendere<br />
più efficace questa procedura. Inoltre sono fondamentali un’ottima conoscenza<br />
dell’anatomia, dell’attrezzatura e un corretto approccio alla preparazione<br />
dell’intervento. Quest’ultimo punto, potrà evitare complicanze<br />
quali: penetrazione del polmone con il trocar, entrare in cavità dalla parte<br />
sbagliata, penetrare visceri addominali, operare in corso di ernia diaframmatica<br />
e altro ancora.<br />
Tutte le procedure endoscopiche con ottiche rigide richiedono la creazione<br />
di uno spazio di lavoro (pneumoperitoneo o pneumotorace).<br />
Pneumoperitoneo<br />
Per insufflare la cavità addominale si utilizza anidride carbonica che viene<br />
immessa all’interno della cavità attraverso l’Ago di Verres. Quest’ultimo<br />
viene inserito in cavità addominale attraverso una piccola incisione cutanea.<br />
A questo punto una volta verificato il corretto posizionamento dell’ago si può<br />
iniziare l’insufflazione della cavità addominale. L’addome dovrebbe distendersi<br />
uniformemente e la pressione al suo interno dovrebbe essere inizialmente<br />
bassa (2-3 mmHg) per aumentare gradualmente e lentamente fino a 8-<br />
10 mmHg. NON arrivare mai a superare i 15 mmHg, poiché si verificherebbero<br />
gravi problemi legati ad alterata ventilazione e perfusione.<br />
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Pneumotorace<br />
Durante l’inserimento del trocar, il polmone collassa creando uno spazio di lavoro<br />
sufficiente per una rapida valutazione diagnostica ed operativa. Un’alternativa<br />
consiste nella ventilazione mono-polmonare ottenuta tramite intubazione selettiva.<br />
Il polmone escluso collassa facilitando così la visualizzazione dell’ilo, le<br />
biopsie e le lobectomie. Le conseguenze sono aumento della PaCO 2 e una lieve<br />
flessione della PaO 2 . L’insufflazione del torace con CO 2 pur essendo una tecnica<br />
pubblicata, può portare a disastrose conseguenze (si crea uno pneumotorace iperteso<br />
iatrogeno) anche se la pressione viene mantenuta al di sotto dei 5 mmHg.<br />
PROCEDURE<br />
Esplorazione addominale<br />
Si esegue inserendo solitamente l’ottica in corrispondenza dell’ombelico. Si<br />
visualizza l’addome anteriore (fegato e cistifellea) quindi lo stomaco, il rene sinistro<br />
e poi, girando lo strumento, tutto il compartimento caudale (vescica, prostata<br />
e corpo dell’utero). Per la visualizzazione del rene destro, è necessario spostare<br />
verso sinistra il pacchetto intestinale mediante un retrattore. Se necessario, si<br />
può inserire, attraverso un altro trocar, un palpatore per apprezzare la consistenza<br />
degli organi. Degli organi si possono notare l’aspetto, il colore, la trama vascolare,<br />
le eventuali alterazioni superficiali, le eventuali deformazioni e la consistenza.<br />
Esplorazione toracica<br />
Si esegue con il paziente in decubito dorsale inserendo l’ottica in posizione<br />
paraxifoidea destra o sinistra.<br />
Una volta inserito il trocar, si crea lo pneumotorace che permette una buona<br />
visualizzazione della cavità toracica. Non è necessaria l’intubazione selettiva<br />
ma il paziente deve essere mantenuto in ventilazione controllata.<br />
Si esamina quindi la superficie del pericardio, dei lobi polmonari, della<br />
pleura, del mediastino anteriore e dei linfonodi mediastinici.<br />
Girando l’ottica si esaminano il diaframma ed il recesso costo-diaframmatico.<br />
Biopsia<br />
La biopsia epatica, linfonodale, pancreatica, pleurica, mesenterica e peritoneale<br />
si eseguono con l’apposito strumento; la biopsia renale e linfonodale,<br />
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mediante l’uso di un ago di Tru-Cut fatto passare direttamente attraverso la<br />
parete addominale.<br />
La biopsia pericardica si esegue con forbici e pinze di presa, mentre la<br />
biopsia polmonare con l’uso di suture particolari o esteriorizzando un pezzo<br />
di polmone verso l’esterno mediante un mini approccio toracotomico.<br />
Colecistocentesi e drenaggio biliare<br />
In determinati casi può essere necessario drenare temporaneamente il deflusso<br />
biliare quando sussiste interruzione meccanica a livello del dotto biliare<br />
comune o del suo sbocco nell’intestino, per neoplasie biliari, pancreatiche<br />
o duodenali.<br />
Il drenaggio si attua mediante l’uso di cateteri appositi.<br />
“Second Look”<br />
In alcuni casi può essere necessario ricontrollare la cavità addominale o toracica<br />
dopo una terapia medica o chirurgica, per valutare l’efficacia della terapia,<br />
soprattutto quando le eventuali alterazioni neoplastiche non sono visibili<br />
con altri mezzi diagnostici.<br />
Esempi tipici sono le metastasi peritoneali da emangiosarcoma o il controllo<br />
del mesotelioma pleurico.<br />
La laparoscopia e la toracoscopia sono un’ottima alternativa al tradizionale<br />
accesso chirurgico.<br />
Posizionamento di cateteri per drenaggio e terapia endocavitaria<br />
In pazienti con versamento cronico o nei quali è necessaria una terapia endocavitaria<br />
è possibile posizionare con tecnica mininvasiva un catetere connesso<br />
ad un accesso esterno, per rendere meno traumatiche le manovre.<br />
COMPLICANZE<br />
Hanno una bassa incidenza quando le procedure vengono applicate in maniera<br />
corretta. Le maggiori complicanze sono di carattere anestesiologico<br />
(ipercapnia, acidosi, ipotensione, shunt polmonare). Altre complicanze comprendono:<br />
lesioni causate dall’inserimento dell’ago di Verres o dei trocars a<br />
organi cavi o parenchimatosi (milza), rotture di organi durante manipolazio-<br />
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ne o biopsia, insufflazione dello spazio retroperitoneale, legamento falciforme,<br />
sottocute o mesentere e lesioni causate dall’utilizzo dell’elettrobisturi.<br />
Inoltre è stata descritta nell’uomo la diffusione di neoplasie alla parete o alle<br />
sierose nel caso in cui frammenti bioptici vengano rimossi attraverso piccole<br />
brecce create nella parete della cavità. Embolismo gassoso è una letale conseguenza<br />
causata dall’insufflazione di CO 2 all’interno di vasi o di organi parenchimatosi.<br />
Ernie incisionali e sieromi sono rari.<br />
EMERGENZE<br />
Emorragie non controllabili sono l’indicazione più comune per la conversione<br />
ad una procedura aperta. Se le capacità o l’attrezzatura non sono idonee<br />
per un intervento chirurgico aperto d’urgenza, le procedure mini-invasive<br />
NON devono essere eseguite, specialmente in pazienti traumatizzati in cui il<br />
rischio di emorragie è elevato.<br />
Ringrazio il dott. Luca Formaggini per avermi gentilmente fornito parte<br />
del materiale.<br />
Indirizzo per la corrispondenza:<br />
Giorgio Romanelli<br />
Clinica Veterinaria Nerviano<br />
Via Lampugnani, 3 - 20014 Nerviano (MI)<br />
Tel. 0331415263 - Fax 0331415369 - E-mail: giorgioromanelli@alice.it<br />
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Federica Rossi<br />
Med Vet, SRV, Dipl ECVDI<br />
Sasso Marconi (Bologna), Italia<br />
Diagnostica per immagini<br />
in oncologia <strong>veterinaria</strong><br />
Venerdì, 7 Marzo 2008, ore 16.30<br />
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INTRODUZIONE<br />
La Diagnostica per Immagini in oncologia <strong>veterinaria</strong> è un passo obbligato<br />
sia per la diagnosi che per la stadiazione di una neoplasia. Se la presenza<br />
di una lesione neoplastica può essere sospettata dalla visita clinica e dai risultati<br />
degli esami di laboratorio, la diagnostica per immagini è in molti casi<br />
indispensabile per confermarne la presenza, inoltre è importante per stabilirne<br />
la sede e l’estensione. Queste informazioni sono necessarie prima di procedere<br />
a qualsiasi tipo di trattamento. L’approccio moderno al paziente oncologico<br />
si basa sulla stadiazione TNM di una neoplasia, che include la conoscenza<br />
delle dimensioni e dell’estensione del tumore primitivo (T), della presenza<br />
o assenza di metastasi a carico dei linfonodi regionali (N) e della presenza<br />
o assenza di metastasi a distanza (M). Questo permette di stabilire anche<br />
una corretta prognosi. Radiologia, Ecografia, Tomografia Computerizzata<br />
e Risonanza Magnetica sono metodiche di Diagnostica per Immagini oggi<br />
ampiamente disponibili anche in <strong>Oncologia</strong> Veterinaria che possono essere<br />
utilizzate per la stadiazione TNM.<br />
QUELLO CHE LA RADIOLOGIA<br />
E L’ECOGRAFIA HANNO DA DIRE<br />
La RADIOLOGIA è la metodica di diagnostica per immagini che spesso<br />
va utilizzata per prima sia per indagare la presenza di una neoplasia primaria<br />
sia per la stadiazione del tumore. Anche se le informazioni fornite richiedono<br />
quasi sempre di essere successivamente approfondite con altre tecniche, l’esame<br />
radiografico mantiene ancora oggi un ruolo importante perché consente<br />
di esaminare ampi settori nei quali si possono studiare contemporaneamente<br />
i tessuti molli ed i tessuti duri, è poco costoso, di veloce esecuzione ed alla<br />
portata di qualsiasi struttura <strong>veterinaria</strong>.<br />
La possibilità di diagnosticare mediante la radiologia una neoplasia dipende<br />
dalle sue dimensioni e dalla sua localizzazione, in particolare dal rapporto<br />
tra la sua radiopacità e quella delle strutture che la circondano. Le dimensioni<br />
di una massa rappresentano un limite per la sua visualizzazione soprattutto<br />
se questa è circondata da tessuto con le stesse caratteristiche di radiopacità.<br />
Per esempio, se una lesione che origina dai tessuti molli addominali deve<br />
avere dimensioni ragguardevoli per poter essere riconosciuta come massa<br />
addominale in quanto circondata da tessuti ed organi con radiopacità simile.<br />
Per identificare l’origine di una formazione occupante spazio nell’addome, è<br />
utile studiare come gli organi adiacenti vengono dislocati. Se la lesione si sviluppa<br />
invece all’interno di un lobo polmonare ed è circondata da aria potrà essere<br />
riconosciuta anche se di dimensioni relativamente più piccole. Da questo<br />
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ragionamento si comprende come nella maggior parte dei casi la radiologia<br />
da sola non ci consenta di effettuare una diagnosi precoce della neoplasia, ma<br />
spesso ci dia informazioni quando il paziente è già in una situazione di malattia<br />
avanzata. Pertanto, un quadro radiologico normale in un paziente con<br />
sospetto tumore va approfondito mediante altre metodiche. Questo concetto<br />
diventa particolarmente importante quando si effettua un esame radiografico<br />
del torace per la ricerca di noduli polmonari di possibile origine metastatica.<br />
Il limite radiografico di visualizzazione di un nodulo polmonare, in un radiogramma<br />
di eccellente qualità radiografica, è di 4-5 mm, tuttavia noduli anche<br />
di maggiori dimensioni possono non essere identificati perché non circondati<br />
da sufficiente quantità di parenchima polmonare aerato che produce un sufficiente<br />
contrasto radiografico. Per esempio, spesso non vengono diagnosticati<br />
noduli a localizzazione subpleurica, costo-diaframmatica o situati nel polmone<br />
declive, che non è ben ventilato a causa di una parziale atelettasia dovuta<br />
al posizionamento. Per questo motivo, attualmente si suggerisce l’utilizzo di<br />
tre proiezioni radiografiche (due laterali ed una sagittale) per la ricerca di metastasi<br />
polmonari 1,2 . Quando i noduli polmonari sono di piccole dimensioni,<br />
può essere difficile differenziarli da vasi polmonari che decorrono parallelamente<br />
al fascio radiogeno e da piccoli foci di osso eterotopico (osteomi polmonari).<br />
I criteri di seguito riportati sono utili per differenziare questi tre tipi<br />
di radiopacità nodulare:<br />
Vasi polmonari Noduli polmonari Osteomi polmonari<br />
Associati a vasi visualizzati Non sono sempre associati Forma più irregolare<br />
longitudinalmente e/o bronchi a vasi visualizzati se ispezionati da vicino<br />
longitudinalmente e/ bronchi<br />
Rispetto ai vasi adiacenti Rispetto ai vasi adiacenti Piccole dimensioni<br />
visualizzati longitudinalmente, visualizzati longitudinalmente,<br />
hanno diametro simile hanno diametro variabile<br />
Rispetto ai vasi adiacenti Rispetto ai vasi adiacenti Radiopacità maggiore<br />
visualizzati longitudinalmente, visualizzati longitudinalmente, di un vaso delle stesse<br />
hanno maggiore radiopacità hanno radiopacità simile dimensioni,<br />
spesso disomogenea<br />
Meno numerosi alla periferia<br />
Più frequente<br />
localizzazione ventrale<br />
La radiologia è il metodo diagnostico di prima scelta anche in caso di<br />
neoplasie che coinvolgono lo scheletro. Le neoplasie ossee producono un tipo<br />
di lesione radiologicamente definita come “lesione osteoaggressiva”.<br />
Questo concetto si basa su quattro parametri radiografici: 1. presenza di distruzione<br />
ossea (soprattutto se coinvolgente la corticale) 2. tipo di lisi: lisi<br />
geografica, a morso di tarma o permeativa descrivono un grado di aggressi-<br />
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vità incrementante. 3. reazione periostale: reazioni di tipo liscia, multilamellare,<br />
a palizzata, a raggio di sole, amorfa. 4. caratteristiche della zona di<br />
transizione: ben delimitata nelle lesioni di tipo benigno, impossibile da determinare<br />
con lesioni ad elevata aggressività. La categoria delle lesioni<br />
osteoaggressive include, oltre alle neoplasie, anche le infezioni dell’osso.<br />
Anche se non è possibile distinguere solo sulla base dell’aspetto radiografico<br />
una delle due categorie di lesioni, la valutazione delle caratteristiche di<br />
osteoaggressività radiografica insieme ad altri elementi (numero e sede delle<br />
lesioni, segnalamento, anamnesi, risultati di esami di laboratorio) consente<br />
nella maggior parte dei casi di raggiungere una corretta diagnosi, che tuttavia<br />
va confermata mediante prelievo dalla lesione.<br />
La presenza di versamento, sia toracico che addominale, rende difficile<br />
la identificazione di una eventuale massa associata al versamento. Questa<br />
situazione è invece vantaggiosa per effettuare una indagine ECOGRAFI-<br />
CA dell’addome o del torace. Nella valutazione di una lesione che origina<br />
dai tessuti molli addominali, l’ecografia fornisce precise informazioni riguardo<br />
la sede, le dimensioni ed i rapporti di una lesione con le strutture circostanti<br />
(T). L’utilizzo del Doppler consente di studiare la vascolarizzazione<br />
di una lesione. L’indagine ecografica è fondamentale per la valutazione<br />
dei linfonodi addominali, primo passo nella stadiazione della neoplasia<br />
(N). È necessario quindi conoscere la sede ed i caratteri di normalità dei linfonodi<br />
addominali. In un animale normale, non tutti i linfonodi addominali<br />
sono visibili ecograficamente, ciò dipende dal soggetto esaminato, soprattutto<br />
dalle sue dimensioni. In un cane di media taglia i linfonodi che normalmente<br />
si riescono ad identificare sono i linfonodi iliaco mediale ed i linfonodi<br />
mesenterici.<br />
I criteri ecografici che possono aiutare nella differenziazione tra una linfoadenomegalia<br />
reattiva ed un maligna sono i seguenti 3 (da Nyman et al., Vet<br />
Rad & Ultras 2005):<br />
Caratteristiche ecografiche Linfoadenomegalia Linfoadenomegalia<br />
valutabili benigna maligna<br />
Forma Ovale (rapporto 0,59) Più rotondeggiante<br />
(rapporto asse corto/asse lungo) (rapporto 0,71)<br />
Dimensioni medie 2 cm 2,5-3 cm<br />
Ecogenicità Spesso mista Più frequentemente<br />
ipoecogeni<br />
Acoustic enhancement Meno frequente Più frequente<br />
Distribuzione dei vasi Ilari Periferici<br />
RI < 0,68 > 0,68<br />
PI < 1,49 > 1,49<br />
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Quando si identifica una possibile lesione neoplastica primaria, tutti gli altri<br />
organi addominali vanno valutati con accuratezza per identificare possibili<br />
lesioni metastatiche.<br />
L’ecografia non consente di indagare con completezza strutture contenenti<br />
aria o totalmente mineralizzate. Infatti in queste due situazioni gli ultrasuoni<br />
vengono riflessi e non forniscono informazioni se non della superficie delle<br />
strutture esaminate. È il caso del polmone aerato e dell’apparato scheletrico.<br />
Quando invece il polmone perde il suo contenuto gassoso a causa di una<br />
lesione solida a contatto con la parete toracica o l’osso va incontro ad osteolisi,<br />
l’ecografia può essere utilizzata anche per studiare questo tipo di lesioni.<br />
Il maggiore limite delle indagini radiografica ed ecografica è quello di avere<br />
bassa specificità. Ciò significa che l’identificazione di una neoformazione<br />
occupante spazio sia nell’addome che nel torace non deve portare automaticamente<br />
alla diagnosi di neoplasia, ma tra le diagnosi differenziali vanno tenute<br />
in considerazione lesioni benigne come ascessi, ematomi, cisti o granulomi<br />
e spesso solo l’esame citologico o istologico consente una diagnosi definitiva.<br />
Per aumentare la specificità della metodica ecografica nella caratterizzazione<br />
di una sospetta lesione neoplastica, è stata sviluppata una metodica,<br />
la CEUS (Contrast Enhanced Ultrasound) che consente di studiare meglio<br />
la vascolarizzazione e la perfusione delle lesioni addominali. L’obiettivo<br />
è quello di poter differenziare, in base alla distribuzione delle microbolle nei<br />
vasi e soprattutto nei capillari, le lesioni benigne da quelle maligne ed i diversi<br />
tipi di neoplasia. I primi risultati in Medicina Veterinaria dimostrano che questa<br />
metodica è utile anche nei piccoli animali nel caratterizzare le lesioni del<br />
fegato e della milza 4,5 .<br />
Ultima ma non meno importante indicazione dell’ecografia è quella di<br />
consentire prelievi mirati (aghi aspirati, biopsie) da quasi tutti i tipi di lesione,<br />
che possono essere eseguiti con estrema accuratezza riducendo i rischi legati<br />
al prelievo.<br />
ABBIAMO BISOGNO DI TC E RM?<br />
La sempre maggiore disponibilità di attrezzature rendono possibile l’utilizzo<br />
di queste metodiche anche nei piccoli animali. Tomografia Computerizzata<br />
(TC) e Risonanza Magnetica (RM) hanno il vantaggio, rispetto alle metodiche<br />
convenzionali, di fornire immagini tomografiche caratterizzate da una<br />
elevata risoluzione spaziale e di contrasto. Ciò comporta innumerevoli vantaggi<br />
nella esatta identificazione di una lesione occupante spazio, che può esser<br />
studiata in modo ottimale definendone con grande precisione la sede, le<br />
dimensioni, i rapporti con le strutture circostanti ed il tipo di vascolarizzazione.<br />
Anche se accomunate dal fatto di esaminare un volume attraverso lo stu-<br />
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dio di numerosi piani di scansione, TC e RM sono metodiche diagnostiche<br />
concettualmente completamente diverse e questo comporta un loro diverso<br />
utilizzo nella diagnostica clinica anche nei piccoli animali. Ricordiamo quali<br />
sono le loro principali indicazioni in oncologia <strong>veterinaria</strong>:<br />
TC<br />
è la tecnica maggiormente indicata per la diagnosi e la stadiazione di una<br />
neoplasia poiché, rispetto a tutte le altre metodiche di diagnostica per immagini<br />
ha i seguenti vantaggi:<br />
1. consente di esaminare ampi settori corporei in tempi molto brevi (poche<br />
decine di secondi con le tecnologie di ultima generazione), pertanto, mediante<br />
un unico esame effettuato con una breve anestesia, è possibile lo<br />
studio di una neoplasia primaria e contemporaneamente la ricerca di lesioni<br />
metastatiche polmonari o in altri settori.<br />
2. Fornisce una ottima visualizzazione sia dei tessuti molli che dei tessuti duri.<br />
Con i dati ottenuti con una unica acquisizione, il software è in grado di<br />
visualizzare immagini adatte allo studio dei diversi settori corporei (cranio,<br />
torace, addome, scheletro).<br />
3. È la metodica più sensibile per la ricerca di metastasi polmonari. Possono<br />
essere rilevati noduli polmonari di dimensioni fino ad 1 mm di diametro,<br />
localizzati anche in aree polmonari di difficile valutazione radiografica. In<br />
un recente studio 6 che includeva cani con diversi tipi di neoplasie primarie,<br />
il 39% di animali aveva radiografie toraciche normali ma noduli polmonari<br />
visibili in TC. L’utilizzo della metodica HRCT consente di evidenziare<br />
lesioni infiltrative polmonari associate a metastasi non identificate<br />
radiologicamente 7 .<br />
4. Mediante scansioni effettuate dopo la somministrazione del mezzo di contrasto,<br />
consente di valutare in modo accurato la componente vascolare di una<br />
neoplasia e di stabilirne i rapporti con le strutture vascolari adiacenti, dato<br />
fondamentale soprattutto prima di un approccio chirurgico alla lesione.<br />
5. Grazie alle ricostruzioni biplanari e tridimensionali, da informazioni spaziali<br />
di una lesione, facilitando la pianificazione di un intervento chirurgico.<br />
6. Consente di effettuare prelievi mirati dalle lesioni visualizzate (aghi aspirati<br />
o biopsie), anche da lesioni polmonari circondate da aria, quindi non<br />
visibili all’esame ecografico.<br />
7. È indispensabile per una precisa pianificazione terapeutica prima di eseguire<br />
un trattamento di radioterapia.<br />
8. Può esser utilizzata anche in presenza di impianti metallici o microchip.<br />
RM<br />
1. È l’indagine di elezione per la valutazione delle neoplasie del SNC (soprattutto<br />
per le lesioni localizzate nella fossa posteriore) e SNP.<br />
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2. Fornisce informazioni accurate in caso di lesioni in settori non in movimento,<br />
soprattutto se originanti dai tessuti molli (es. collo, arti, cavità pelvica<br />
e retroperitoneale).<br />
3. Acquisisce immagini dirette in qualsiasi piano dello spazio.<br />
4. Ha limiti nella valutazione delle lesioni dell’addome craniale e del torace<br />
a causa di artefatti dovuti al movimento.<br />
5. Ha tempi di acquisizione più lunghi della TC.<br />
6. È penalizzata da artefatti causati da impianti metallici o microchip.<br />
In conclusione, l’approccio moderno al paziente oncologico deve far riferimento<br />
sempre più alle metodiche di diagnostica per immagini avanzate. La<br />
TC rappresenta uno strumento che talvolta è indispensabile per la diagnosi di<br />
una neoplasia ma che è sempre estremamente importante per un’accurata stadiazione<br />
della malattia.<br />
Letture consigliate<br />
1. Forrest LJ: Radiology corner- advantages of the three view thoracic radiographic examination in instances<br />
other than metastasis, Vet Radiol 33:340, 1992.<br />
2. Barthez PY, Hornof WJ, Theon AP et al: Sensitivity of radiographic protocols when screening dogs<br />
for pulmonary metastasis, J Am Vet Med Assoc 204:237, 1994.<br />
3. Nyman HT et al., Characterization of normal and abnormal canine superficial lymph nodes using<br />
gray-scale B-mode, Color flow mapping, Power, and spectral Doppler ultrasonography: a multivariate<br />
study, Vet Rad & Ultras 2005.<br />
4. O’ Brian B, Iani M, Matheson J, Delaney F, Young K: Contrast Harmonic Ultrasound of spontaneous<br />
liver nodules in 32 dogs, Vet Radiol & Ultrasound 2004; 45:547-553.<br />
5. Rossi F, Leone VF, Vignoli M, Terragni R: Use of contrast-enhanced ultrasound for characterization<br />
of focal splenic lesions, Vet Radiol & Ultrasound 2008; 49:154-164.<br />
6. Nemanic S, London CA, Wisner ER. Comparison of thoracic radiographs and single breath-hold helical<br />
CT for detection of pulmonary nodules in dogs with metastatic neoplasia. J Vet Intern Med.<br />
2006; 20:508-515.<br />
7. Johnson VS, Ramsey IK, Thompson H, Cave TA, Barr FJ, Rudorf H, Williams A, Sullivan M Thoracic<br />
high-resolution computed tomography in the diagnosis of metastatic carcinoma. J Small Anim<br />
Pract. 2004 Mar; 45(3):134-43.<br />
Indirizzo per la corrispondenza:<br />
Federica Rossi<br />
Clinica Veterinaria dell’Orologio<br />
Via Gramsci, 1/4 - 40037 Sasso Marconi (Bologna)<br />
E-mail: chiccarossi@yahoo.it<br />
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Damiano Stefanello<br />
Med Vet, PhD, Milano, Italia<br />
Approccio al proprietario<br />
del paziente oncologico:<br />
quali strategie comunicative<br />
adottare?<br />
Venerdì, 7 Marzo 2008, ore 11.30<br />
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La comunicazione rappresenta lo strumento primario del rapporto interpersonale<br />
che viene utilizzato in qualsiasi ambito lavorativo e non per ottenere<br />
e dare informazioni. Infatti è ampiamente riconosciuto che ogni rapporto<br />
interpersonale inizia, prosegue si modifica e finisce attraverso un rapporto di<br />
comunicazione. Il medico veterinario che svolge la propria attività relazionandosi<br />
con proprietari di cani e gatti utilizza costantemente la comunicazione<br />
come strumento di interazione.<br />
Lo scopo di questa relazione è di concentrare l’attenzione sul ruolo della<br />
comunicazione in oncologia <strong>veterinaria</strong>, in quanto è proprio in questa branca<br />
specialistica che più spesso vengono messe a dura prova le abilità comunicative<br />
del medico-veterinario. Per questo motivo cercheremo di dare seppur parzialmente<br />
una descrizione dei meccanismi e degli elementi della comunicazione<br />
per meglio introdurre e comprendere l’importanza di una buona gestione del<br />
proprietario del paziente oncologico ed indagare i suoi potenziali meccanismi<br />
decisionali nelle diverse fasi della malattia oncologica (comunicazione della<br />
diagnosi, della terapia, dell’eventuale fallimento terapeutico e dell’eutanasia).<br />
Per ottenere una corretta comunicazione è innanzitutto importante riconoscere<br />
la comunicazione come un processo dinamico che prevede che qualsiasi<br />
cosa detta e fatta di fronte ad un interlocutore è un messaggio che sarà codificato.<br />
Lo scambio di messaggi e la successiva decodifica avviene tra i due<br />
attori della comunicazione che nel caso specifico della medicina <strong>veterinaria</strong><br />
sono: l’emittente che si identifica con il medico veterinario e il ricevente che<br />
si identifica con il proprietario-genitore. È fondamentale che il medico veterinario<br />
interagisca con il proprietario utilizzando una comunicazione cosiddetta<br />
bidirezionale dove a codificare e decodificare i messaggi è l’emittente e<br />
il ricevente simultaneamente. Tuttavia è anche importante ricordare che il modo<br />
in cui i messaggi vengono codificati e decodificati sia dall’emittente che<br />
dal ricevente dipendono da: atteggiamenti, conoscenze, valori e aspettative. 1<br />
Gli atteggiamenti, le conoscenze, i valori e le aspettative riassumono la<br />
personalità e le esperienze vissute di una persona e pertanto ne condizionano<br />
il suo modo di codificare e decodificare un messaggio. Da questo si deduce<br />
che le variabili che possono condizionare il processo comunicativo sono molteplici<br />
e non sarà possibile indagarli tutti in questa relazione. 1<br />
È invece possibile grazie all’aiuto fornito dalla letteratura delineare seppur<br />
a grandi linee le idee e le convinzioni che risiedono nel proprietario del cane<br />
e del gatto affetto da tumore. La conoscenza di queste, per quanto generiche,<br />
consente al medico-veterinario di affrontare in modo corretto almeno il primo<br />
consulto che da sempre è considerato quello cruciale anche in oncologia umana<br />
per conquistare la fiducia condizionata e non condizionata del ricevente.<br />
La prima regola che l’attore principale deve tenere sempre ben presente per<br />
costruire una giusta comunicazione è che la sola competenza tecnica non è in<br />
grado di conquistare la fiducia del proprietario se non accompagnata da buone<br />
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capacità comunicative. Le capacità comunicative del medico veterinario possono<br />
dipendere ovviamente dalla sua cultura tecnico scientifica e dalla sua capacità<br />
di interazione che può essere innata oppure costruita attraverso l’uso delle<br />
tecniche di comunicazione verbale e non verbale. I criteri generali della comunicazione<br />
verbale possono essere così riassunti: mantenere un atteggiamento positivo,<br />
utilizzare voce chiara, organizzare le informazioni, essere semplici, brevi<br />
e non utilizzare termini troppo tecnici, lasciare il tempo di comprendere, utilizzare<br />
forme interrogative dirette, incoraggiare le domande, ascoltare l’interlocutore<br />
senza interrompere, accettare i sentimenti dell’interlocutore, esprimere i<br />
propri sentimenti e non assumere un atteggiamento critico o di rimprovero. La<br />
comunicazione non verbale può essere distinta in due approcci differenti con la<br />
dimostrazione pantomimica (ad esempio mostrare come somministrare una<br />
compressa o fare un’iniezione) e la metacomunicazione caratterizzata da espressioni<br />
facciali, gesti del corpo che possono alterare o sottolineare le parole espresse.<br />
I consigli per utilizzare la metacomunicazione sono: mantenere un contatto<br />
visivo, mantenersi alla stessa altezza dell’interlocutore per non imporre la propria<br />
autorità, non tenere braccia e gambe accavallate poiché rappresentano un<br />
segno di difesa, ridurre la distanza tra sé e l’interlocutore, non lasciare il luogo<br />
del colloquio perché indicherebbe imbarazzo e disapprovazione ed infine usare<br />
voce calma e rassicurante perché se troppo alta e veloce potrebbe comunicare<br />
ansia e insicurezza. La comunicazione non verbale è più efficace di quella verbale<br />
a codificare i messaggi e questo aspetto è molto chiaro soprattutto se c’è<br />
discrepanza tra quello che è detto e quello che è manifestato con il corpo. 2<br />
La seconda regola si identifica con la conoscenza del nostro interlocutore.<br />
Come prima accennato non è possibile veramente conoscere il nostro interlocutore<br />
soprattutto se interagite con lui per la prima volta e il vostro tempo a<br />
disposizione non è superiore ad un’ora. Tuttavia è possibile evitare passi falsi<br />
se si prendono in considerazione che l’unicità del rapporto tra proprietario<br />
e cane e gatto condizionerà le scelte proposte dall’attore principale. Il rapporto<br />
tra uomo e gli animali è oggetto di molti studi ma nel caso di un consulto<br />
veterinario per una malattia oncologica la tipologia del rapporto può giustificare<br />
una difficoltà di interazione tra proprietario e veterinario nell’atto comunicativo.<br />
Questo accade perché può essere difficile dedurre durante la visita<br />
quale sia il rapporto esistente tra proprietario ed il suo cane. Oggi il cane e il<br />
gatto sono sempre più percepiti come effettivi componenti della famiglia e per<br />
questo motivo il proprietario del “Pet” si può identificare con il proprietariogenitore.<br />
Le motivazioni di questo mutamento sono differenti ma le caratteristiche<br />
neoteniche, la presenza di un rapporto mediato e la dipendenza del tutore<br />
li fanno spesso coincidere almeno idealmente con un figlio, di fatto speciale,<br />
perché a differenza dei figli il cane e il gatto mantengono per tutta la loro<br />
vita le caratteristiche tipiche dei cuccioli tanto che l’appellativo animali da<br />
compagnia può essere tranquillamente sostituito da “Bambini per sempre”.<br />
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Il senso di responsabilità che può essere inteso sia come legame affettivo<br />
o come dipendenza dal pet e/o del pet si acuisce ulteriormente nella comunicazione<br />
delle cattive notizie di tipo medico. Infatti come succede in medicina<br />
umana anche in medicina <strong>veterinaria</strong> alla parola cancro si associano sentimenti<br />
negativi legati al dolore, alla sofferenza, alla prognosi infausta e non ultima<br />
alla sentenza di morte imminente che incombe sul paziente. Questo<br />
aspetto è di fondamentale importanza perché la consapevolezza da parte del<br />
medico veterinario dell’esistenza di questa associazione gli permette di prevedere<br />
possibili reazioni del proprietario che possono concretizzarsi con una<br />
vasta gamma di reazioni sentimentali che vanno dalla rassegnazione passiva<br />
all’aggressività verbale e non. Questo ultimo aspetto è cruciale e la sua conoscenza<br />
nonché la sua percezione da parte del medico-veterinario durante il<br />
consulto gli consente non solo di adottare una comunicazione corretta ma di<br />
instaurare una comunicazione flessibile che sia in grado di adattarsi alla singola<br />
personalità. 2<br />
La comunicazione deve essere non solo flessibile ma efficace nel senso di<br />
far decodificare al nostro interlocutore il nostro messaggio in modo da consentirci<br />
di attuare il miglior atteggiamento diagnostico, terapeutico, prognostico<br />
per la malattia neoplastica. Affinché la comunicazione sia bidirezionale,<br />
corretta e flessibile non basta sapere che esiste un rapporto unico tra il proprietario<br />
e il paziente e che la comunicazione della diagnosi di cancro ha ispirato<br />
solo pensieri funesti. È necessario prevedere quali siano gli stati d’animo<br />
del proprietario-genitore in modo da avvertire la sua capacità sia di decodificare<br />
i nostri messaggi che di codificarne dei suoi in funzione degli stadi del dolore.<br />
Gli stati del dolore che si possono identificare dopo la comunicazione di<br />
una cattiva notizia nell’interlocutore sono nell’ordine: shock, reazione, elaborazione,<br />
accettazione. È ovvio che i tempi e i modi necessari a superare ogni<br />
singolo stadio sono personali ma, la massima interazione con l’interlocutore è<br />
ottenuta nella fase di accettazione. Rimane quindi a discrezione dell’attore<br />
principale riconoscere in modo oggettivo in quale stadio del dolore si trovi l’interlocutore<br />
dopo la comunicazione della diagnosi o del fallimento delle terapie<br />
per decidere quando affrontare gli argomenti successivi alla comunicazione<br />
delle cattive notizie (come il proporre una stadiazione clinica o una terapia oppure<br />
come proporre l’eutanasia), per aspirare ad avere la massima interazione<br />
del proprietario. La massima disponibilità del proprietario ad ascoltare i consigli<br />
prettamente tecnico-scientifici è fondamentale per evitare rifiuti terapeutici<br />
ingiustificati o imbarazzanti incomprensioni nel proporre l’eutanasia.<br />
A questo punto è facile capire che la conoscenza del nostro interlocutore almeno<br />
a grandi linee è una strategia da adottare di fondamentale importanza e<br />
lo studio della comunicazione in medicina umana ha permesso di classificare<br />
l’interlocutore in quattro categorie che riassumono le generali caratteristiche di<br />
interazione tra medico e paziente. Prima di presentarle è utile ricordare che la<br />
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stessa classificazione può essere adottata anche in medicina <strong>veterinaria</strong> dove<br />
l’interlocutore del medico non è direttamente il paziente ma il suo tutore come<br />
avviene comunemente in pediatria. Le categorie psicologiche identificate sono:<br />
a) remissivo/tradizionale che riconosce al medico l’autorità di decidere per<br />
la terapia; b) informato/manager che considera il medico tecnico e consigliere<br />
e che si riserva ogni decisione; c) panico che non è in grado di controllare l’ansia<br />
e di integrare le notizie, d) normale che riesce a controllare l’ansia ed integra<br />
le informazioni tecniche fornite dal medico con la sua cultura e le sue preferenze.<br />
1 La tipologia psicologica normale è quella ideale con il quale il medico<br />
può creare un rapporto empatico di collaborazione.<br />
Alle prime due regole da adottare per ottenere una comunicazione corretta<br />
e flessibile abbiamo dedicato uno spazio maggiore rispetto a quelle che andiamo<br />
ora ad illustrare che tuttavia hanno un ruolo chiave: il dove, il come e<br />
il quando.<br />
Il luogo in cui comunichiamo può condizionare l’esito della comunicazione.<br />
L’obiettivo principale è quello di evitare che la comunicazione sia di dominio<br />
pubblico (evitare la sala d’attesa) e che sia costantemente interrotta da<br />
collaboratori estranei alla comunicazione o dal telefono. È dimostrato che le<br />
continue interruzioni e la presenza di persone passive creano un distacco tra<br />
emittente e ricevente ingenerando una comunicazione di tipo unidirezionale<br />
che come tale non può essere flessibile. 1,2 La durata del consulto non è sempre<br />
di facile definizione ma sicuramente la scelta di quando fornire un consulto<br />
oncologico è fondamentale perché se fatto in un momento sbagliato della<br />
giornata il tempo che saremo in grado di fornire potrebbe essere troppo limitato.<br />
Pertanto dobbiamo assicurarci che sia il “quanto” che il “quando” ci<br />
permettano di incoraggiare le domande del nostro interlocutore e soprattutto<br />
che l’eccessiva brevità del consulto non comunichi all’interlocutore un distacco<br />
sia fisico che emotivo. 1,2<br />
È altresì vero che consulti molto lunghi per eccessive domande del proprietario<br />
o per consulti molto prolissi siano stati associati ad un più probabile<br />
rifiuto delle proposte terapeutiche enunciate dal medico-veterinario.<br />
Come ultimo aspetto da tenere in considerazione tra le varie strategie comunicative<br />
da adottare sta nella ricerca di una modalità di comunicazione verbale<br />
che per quanto affinata da esperienze e capacità personali può rifarsi a tre<br />
stili comunicativi: a) netto e senza sentimenti, caratterizzato dall’univocità<br />
dell’informazione; b) gentile e triste che tuttavia conferisce scarso supporto<br />
emotivo ed incoraggiamento; c) comprensivo e positivo. 3 L’atteggiamento<br />
comprensivo e positivo è considerato il migliore per stabilire un rapporto,<br />
conquistare la fiducia ed evitare incomprensioni.<br />
Una corretta comunicazione è quindi necessaria in oncologia durante tutto<br />
il periodo di collaborazione tra il medico-veterinario e il proprietario, ma,<br />
nell’ambito di un così lungo lasso di tempo, si riconosce un momento fonda-<br />
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mentale che è il primo consulto, durante il quale è comunicata la diagnosi di<br />
cancro. 1,2<br />
Lo scopo del medico-veterinario durante il primo consulto sarà di fornire<br />
le possibili opzioni terapeutiche e descrivere, dal suo punto di vista, le caratteristiche<br />
di una buona qualità di vita del paziente, evitando l’accanimento o<br />
il precoce ricorso all’eutanasia, permettendo al proprietario di scegliere in<br />
modo consapevole integrando le informazioni tecniche con la sua concezione<br />
di qualità di vita. 2<br />
In questa relazione abbiamo indagato le strategie comunicative relative soprattutto<br />
alla prima visita, tuttavia le indicazioni proposte hanno la medesima<br />
importanza in tutti i momenti principali dell’interazione tra medico-veterinario<br />
e proprietario. Sicuramente una comunicazione corretta ed empatica deve<br />
essere considerata anche nel proporre l’eutanasia e nel gestire l’evento anche<br />
se spesso l’insuccesso terapeutico è avvertito come sconfitta non solo dal proprietario<br />
ma anche dal medico-veterinario. In questa situazione un’errata formulazione<br />
e decodifica di un messaggio può ingenerare spiacevoli equivoci<br />
nel proprietario con reazioni dello stesso imprevedibili. Queste considerazioni<br />
non trovano sempre il giusto peso nella formazione del medico-veterinario<br />
e spesso per quanto oggi ci sia sempre più attenzione da parte di tutti, la strada<br />
segnata dall’esperienza e dalla ricerca americana deve essere presa ad<br />
esempio perché trovi spazio anche nella nostra quotidianità clinica. 4<br />
Concludo ricordando che tutti gli aspetti qui indagati sottolineano l’importanza<br />
del ruolo svolto dal clinico all’interno del processo comunicativo in<br />
oncologia. Egli deve cercare sempre di modulare i tempi e i modi della comunicazione,<br />
mediante un’attenta valutazione e interpretazione delle reazioni<br />
dell’interlocutore, per ottenere una riduzione del livello d’ansia e quindi una<br />
maggiore comprensione delle informazioni.<br />
Bibliografia<br />
1. Scanni A, Celerino R, (1995), Il rapporto medico-paziente in oncologia Franco Angeli, 1nd ed, 1-148.<br />
2. Lagoni L, Butler C, Withrow SJ, (1996), Small animal clinical oncology, 2nd ed, WB Saunders Company,<br />
547-559.<br />
3. Brewin TB, (1991), Three ways of giving bad news, Lancet 337:1207-1209.<br />
4. Lagoni L, (2007), Withrow & MacEvens Small Animal Clinical Oncology, 4nd ed, Saunders Elsevier<br />
333-346.<br />
Indirizzo per la corrispondenza:<br />
Damiano Stefanello<br />
Sezione di Clinica Chirurgica Veterinaria - Dipartimento di Scienze Cliniche Veterinarie<br />
Università degli Studi di Milano - Via Ponzio, 7 - 20133 Milano<br />
Tel. 0250317800 - Fax 0250317817 - E-mail: damiano.stefanello@unimi.it<br />
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58° <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>SCIVAC</strong> • Milano, 7-9 Marzo 2008 • <strong>Oncologia</strong> <strong>veterinaria</strong> - Alle soglie del III Millennio<br />
Damiano Stefanello<br />
Med Vet, PhD, Milano, Italia<br />
Terapia dei sarcomi felini<br />
indotti da iniezione<br />
Domenica, 9 Marzo 2008, ore 11.40<br />
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Il sarcoma felino indotto da iniezione è una neoplasia maligna del sottocute<br />
di origine mesenchimale che si sviluppa in corrispondenza di siti di inoculo di<br />
farmaci, vaccini o in presenza di suture chirurgiche. Notevoli sono stati gli investimenti<br />
economici volti a studiare i differenti aspetti di questa neoplasia quali<br />
l’eziologia, l’epidemiologia, la patogenesi, la prevenzione, la diagnosi e la terapia.<br />
La peculiare associazione tra flogosi e neoplasia ha suscitato anche un timido<br />
interesse della medicna umana mentre in medicina <strong>veterinaria</strong> ha sollevato<br />
non poche discussioni circa l’utilità e la validità clinica della profilassi vaccinale<br />
e il rischio di sviluppo della neoplasia nella specie felina. La reale incidenza<br />
in Italia non è conosciuta ma si ritiene che l’incidenza proposta dagli studi<br />
fatti oltre oceano (1/1000 a 3,6/10000 casi) possa essere addirittura superata.<br />
Lo scopo di questa relazione non sarà di investigare i vari aspetti eziologici,<br />
epidemiologici, patogenetici di questa malattia oncologica ma sarà quello<br />
di descrivere le differenti e concomitanti terapie proposte dalla letteratura.<br />
I sarcomi dei tessuti molli sono ben documentati nel gatto ma le peculiarità<br />
della tipologia iniezione indotta è da attribuire a specifiche sedi di insorgenza e<br />
a caratteristici aspetti istopatologici. Relativamente alla sede i sarcomi felini indotti<br />
da iniezione sono prevalentemente localizzati sul tronco (con maggior incidenza),<br />
al garrese, alla regione scapolare, alla regione paralombare e alla porzione<br />
dorso-laterale del torace. Il riscontro di questa neoplasia previa diagnosi<br />
istologica di conferma sugli arti posteriori è un’evenienza possibile soprattutto<br />
in virtù del fatto che la regione della coscia è stata suggerita come sede di inoculo<br />
alternativo alle altre sedi per garantire una chirurgia radicale.<br />
Le caratteristiche istopatologiche sono patognomoniche e ripetitive per il<br />
riscontro di una flogosi peritumorale, una costante presenza di necrosi e un<br />
indice mitotico medio alto. Per quanto non sia stata applicata la classificazione<br />
in gradi come per altre neoplasie maligne mesenchimali, in studi non pubblicati<br />
si è vista una maggior incidenza del terzo grado. L’elevata aggressività<br />
locale e un basso potenziale metastatico (12-26%) sono invece le due caratteristiche<br />
cliniche più conosciute di questa neoplasia.<br />
L’aggressività locale spesso menzionata e richiamata in molti lavori non deve<br />
essere intesa come stretta adesione ai piani sottostanti, ma è riferita agli estesi rapporti<br />
di contiguità piuttosto che di continuità che questa neoplasia contrae sia con<br />
i tessuti molli che con i tessuti duri. Generalmente la sua presentazione clinica<br />
può essere riconducibile ad una lesione ben definita e mobile e un approccio<br />
escissionale non consapevole può esitare in margini infiltrati e nella recidiva.<br />
Questa serie di eventi è tipica dei sarcomi dei tessuti molli perché sono costituiti<br />
non da una capsula ma bensì da una pseudocapsula che di solito circoscrive solo<br />
la parte che viene percepita dal clinico come macroscopica ma non la porzione<br />
microscopica che può estendersi anche per alcuni centimetri in tutte le direzioni.<br />
È facile intendere che una escissione di una tale neoplasia senza il rispetto di margini<br />
di sicurezza aumenta l’incidenza dei margini infiltrati e della recidiva locale.<br />
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Questa premessa relativa all’aggressività locale è necessaria per sottolineare<br />
l’atteggiamento aggressivo chirurgico e non applicato a questa neoplasia<br />
che purtroppo presenta percentuali di recidiva del 30-70%.<br />
L’oncologia chirurgica è una disciplina ben definita e riconosciuta in medicina<br />
<strong>veterinaria</strong> che si basa su regole rigide e solide che conducono, se rispettate,<br />
al miglior approccio possibile. Quando si parla di escissione chirurgica di un<br />
sarcoma felino indotto da iniezione ci si riferisce sempre ad una chirurgia ad<br />
ampi margini e radicale che deve avvalersi di una buona esperienza del chirurgo<br />
e di una buona programmazione sia per la fase demolitiva sia per la fase ricostruttiva.<br />
Infatti è riportato che una chirurgia marginale produce un tempo libero<br />
da malattia di 79 giorni contro i 325-419 della chirurgia ad ampi margini<br />
o radicale. Inoltre è stato dimostrato che se la chirurgia è eseguita da chirurghi<br />
oncologi referenziati il tempo libero da malattia è di 274 contro i 66 giorni se<br />
eseguita da chirurghi non referenziati. 1 Il primo approccio chirurgico è ritenuto<br />
essere quello in grado di ottenere i tempi liberi da malattia più lunghi. Per questo<br />
è preferibile avvalersi di chirurghi referenziati quando questi sarcomi sono<br />
localizzati in sedi anatomiche ostiche quali la regione interscapolare, la parete<br />
laterale del torace e dell’addome. 2 Le sedi anatomiche appena indicate rappresentano<br />
una sfida per la chirurgia oncologica in quanto se il tumore ha estesi<br />
rapporti di contiguità con i piani sottostanti il rispetto dei dettami della chirurgia<br />
ad ampi margini e l’eventuale chirurgia radicale può risultare difficile da ottenere.<br />
Questa considerazione trova conferma nel fatto che in alcuni studi, a dispetto<br />
di un intento chirurgico aggressivo e curativo, un’asportazione completa<br />
è ottenuta in meno del 50% dei casi. 1 In uno studio non pubblicato è stato recentemente<br />
suggerito di asportare non 3 centimetri di tessuto sano intorno alla<br />
neoplasia ma bensì 5 cm e di asportare due piani fasciali profondi anziché uno.<br />
Con questo approccio applicato a sedi differenti la percentuale di casi con<br />
asportazione completa è del 97% con una percentuale di recidiva del 11%. 1<br />
In tutti questi studi che valutano l’impatto della chirurgia sul tasso di recidiva<br />
tuttavia non si menzionano le dimensioni medie dei tumori arruolati e se la<br />
chirurgia è stata preceduta da una stadiazione mediante tomografia computerizzata<br />
a raggi X. Il suo ausilio per la definizione dei rapporti di contiguità e di<br />
continuità è di estrema importanza per definire l’estensione della chirurgia in<br />
modo consapevole e non basandosi sull’estensione clinica macroscopica della<br />
neoplasia. In uno studio è stato dimostrato che il clinico con la palpazione sottostima<br />
di circa 4 volte le dimensioni verificate con la tomografia computerizzata.<br />
2 Questo dato offre un ulteriore appoggio al divieto assoluto di eseguire<br />
biopsie escissionali o chirurgie marginali in lesioni sottocutanee localizzate in<br />
aree sensibili per l’insorgenza dei sarcomi felini indotti da iniezione senza prima<br />
avere una diagnosi citologica e/o istologica di conferma. L’esecuzione della<br />
tomografia computerizzata a raggi X oltre a favorire un corretto e approfondito<br />
studio della malattia locale consente di evidenziare in modo non costante<br />
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le cosiddette “skip metastasis” meglio conosciute anche come metastasi a salto<br />
e costituite da cellule neoplastiche o gruppi di cellule neoplastiche che sono generalmente<br />
esterne alla pseudocapsula e non sono mai macroscopicamente evidenti.<br />
Questa caratteristica è generalmente associata ai sarcomi dei tessuti molli<br />
soprattutto se di alto grado istologico. La loro mancata asportazione può favorire<br />
la recidiva in sarcomi ritenuti sulla base istologica asportati completamente,<br />
anche se relativamente alla discrepanza tra esito dei margini e recidiva<br />
nei sarcomi felini indotti da iniezioni molto deve essere ancora ricercato e pubblicato.<br />
Sempre relativamente alla chirurgia ad ampi margini o radicale, sono ritenute<br />
importanti sia la fase cosiddetta demolitiva che quella ricostruttiva. La<br />
scarsa aggressività chirurgica nei confronti di una neoplasia può dipendere da<br />
numerosi fattori ma tra questi la scarsa attitudine a ricostruire difetti cutanei ampi<br />
di forme geometriche che coincidono con la forma rettangolare, quadrata o<br />
ellittica possono inficiare l’esecuzione di una corretta fase demolitiva comportando<br />
un risparmio di cute e sottocute e quindi di ottenere un potenziale margine<br />
di escissione esiguo o infiltrato. Per quanto è difficile ritrovare nei testi e negli<br />
articoli esplicitato il pattern di escissione suggerito, quello quadrato e rettangolare<br />
sono di fatto i più utilizzati. La ricostruzione di questi difetti può esitare<br />
in ferite a forma di X, Y, doppia Y o H. La ferita lineare solitamente è auspicata<br />
perché si riduce la probabilità di necrosi e deiscenza della ferita, tuttavia<br />
quando il pattern rettangolare e quadrato vengono impiegati con la creazione<br />
di ampi difetti una chiusura lineare è difficile da ottenere senza il rischio di<br />
avere una ferita sotto tensione. Pertanto in questi casi è sempre consigliato impiegare<br />
pattern di ricostruzione di difetti rettangolari e quadrati delle ferite a Y,<br />
X, doppia Y o H anche se nei punti di incrocio è più probabile avere contenute<br />
aree di deiscenza che difficilmente condizionano il postoperatorio.<br />
L’approccio chirurgico rappresenta uno strumento insostituibile per la gestione<br />
terapeutica dei sarcomi felini indotti da iniezione e non solo, tuttavia è<br />
opinione comune che gli alti tassi di recidiva suggeriscano l’impiego di terapie<br />
adiuvanti quali la radioterapia, come prima opzione, la chemioterapia, l’elettrochemioterapia<br />
e l’immunoterapia.<br />
L’approccio radioterapico quale terapia neoadiuvante o adiuvante alla chirurgia<br />
ad ampi margini è invocato da molti autori. Il valore terapeutico della<br />
radioterapia è indiscusso sia in medicina umana che in medicina <strong>veterinaria</strong>,<br />
tuttavia in Italia la momentanea assenza di questo prezioso ausilio terapeutico<br />
non sempre consente a tutti i potenziali fruitori di accedervi con facilità dato<br />
che le strutture disponibili risiedono all’estero. Questo aspetto logistico comunque<br />
non deve in alcun modo inibire la proposta nei consulti oncologici<br />
dato che per la prevenzione della recidiva locale la radioterapia rimane il miglior<br />
ausilio terapeutico ad oggi disponibile.<br />
La radioterapia è una terapia che principalmente viene applicata localmente<br />
a differenza della chemioterapia per la quale si riconosce soprattutto l’im-<br />
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piego sistemico. Nel controllo della malattia locale il suo impiego può essere<br />
preoperatorio e postoperatorio. L’impiego neoadiuvante o preoperatorio, si<br />
prefigge di avere una maggiore efficacia dato che le cellule resistenti sono teoricamente<br />
presenti in una piccola percentuale e la distribuzione della vascolarizzazione<br />
non è alterata. L’attività citoriduttiva esplicata dalla radioterapia<br />
preoperatoria dovrebbe facilitare la successiva exeresi chirurgica e ridurre il rischio<br />
di disseminazione intraoperatoria di cellule neoplastiche, tuttavia l’effetto<br />
collaterale temuto è la deiscenza della ferita chirurgica. Relativamente all’impiego<br />
postoperatorio si ritiene che la sua efficacia possa essere ottima dato<br />
che le radiazioni ionizzanti agiscono sulle particelle tumorali microscopiche<br />
lasciate dalla chirurgia definitiva. L’impiego adiuvante presenta alcuni limiti<br />
quali: l’area da irraggiare è molto più vasta, potenzialmente ci potrebbero essere<br />
più cellule radioresistenti ipossiche da alterata vascolarizzazione indotta<br />
dalla chirurgia ed inoltre l’intervallo di tempo tra la chirurgia e l’inizio della<br />
radioterapia può favorire la ripopolazione delle cellule tumorali.<br />
Solo due studi hanno indagato l’impatto della radioterapia adiuvante sul<br />
tasso di recidiva e i risultati emersi dimostrano tassi di recidiva del 32% per<br />
margini infiltrati e del 42% per margini liberi anche se l’intervallo libero da<br />
malattia per i margini esenti da cellule neoplastiche era soddisfacente con<br />
700-986 giorni di mediana. 1<br />
L’applicazione postoperatoria della radioterapia nel trattamento multimodale<br />
del sarcoma felino indotto da iniezione, ha prodotto risultati simili con tassi<br />
di recidiva del 41% e un tempo libero da malattia mediano di 405 giorni. 3 In un<br />
altro studio al trattamento radioterapico è stata associata la chemioterapia con<br />
doxorubicina e la percentuale di recidiva è stata del 28% con un tempo libero<br />
da malattia mediano di 661 giorni. L’intervallo di tempo che intercorre tra la<br />
chirurgia e l’inizio della radioterapia non dovrebbe essere superiore ai 10-14<br />
giorni ed è stato accertato che l’aumento di questo intervallo di tempo si traduce<br />
in una riduzione del tempo di recidiva locale e del tempo di sopravvivenza.<br />
L’alto tasso di recidiva non giustifica in questo caso, così come in altri,<br />
l’assunto che la radioterapia preoperatoria e/o postoperatoria sia fallimentare<br />
o poco incoraggiante in quanto pochi sono gli studi eseguiti soprattutto sul<br />
sarcoma iniezione indotto e molte sono le variabili che possono aver inficiato<br />
il risultato come: istotipo, modalità di valutazione dei margini e dimensioni<br />
delle neoplasie arruolate allo studio. Sicuramente dovranno essere istituiti<br />
protocolli di radioterapia più aggressivi.<br />
La chemioterapia rappresenta ancora un capitolo decisamente meno indagato<br />
se si osservano gli studi clinici che valutano l’efficacia di alcune molecole<br />
come doxorubicina, carboplatino, ciclofosfamide, imatinib, ifosfamide. Tuttavia<br />
in vitro alcuni studi hanno dimostrato una buona attività antineoplastica<br />
che in molti casi non è riconfermata in vivo. Da questo si deduce il motivo per<br />
cui il ruolo della chemioterapia nella terapia dei sarcomi felini iniezione indotti<br />
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e più in generale nei sarcomi dei tessuti molli non sia ben definito anche se la<br />
sua applicazione è in funzione più che per il controllo locale della malattia per<br />
la prevenzione della sua evoluzione metastatica. In medicina umana i protocolli<br />
in polichemioterapia con doxorubicina hanno dimostrato in modo statisticamente<br />
significativo la loro efficacia clinica nella modalità adiuvante dopo<br />
40 anni di studi. Relativamente ai sarcomi felini iniezione indotti l’associazione<br />
doxorubicina + ciclofosfamide in neoplasie non trattate chirurgicamente ha<br />
portato alla riduzione del 39-50% delle dimensioni del tumore ma il tempo di<br />
sopravvivenza andava da 125 ai 242 giorni in due distinti studi.<br />
Quando associata a chirurgia i risultati appaiono comunque discordanti.<br />
Nel lavoro di Poirier et al. il suo impiego adiuvante consente di ottenere intervalli<br />
liberi da malattia confortanti con 393 giorni rispetto ad un gruppo di<br />
controllo storico di 94 giorni con sola chirurgia. 3 Nello studio di Martano et<br />
al. la doxorubicina è stata impiegata sia con modalità neoadiuvante che adiuvante<br />
riscontrando tassi di recidiva del 41% nel gruppo neoadiuvante e del<br />
35% nel gruppo adiuvante. 4 Il tasso metastatico riportato in questo studio era<br />
del 12 e 10% rispettivamente per il gruppo neoadiuvante e adiuvante. L’impiego<br />
di protocolli in monochemioterapia rende meno probabili gli effetti tossici,<br />
tuttavia si ricorda di selezionare i pazienti ammissibili a questi protocolli<br />
previ meticolosi screen ematologici.<br />
Concludiamo ricordando che terapie decisamente promettenti sono state proposte<br />
come l’elettrochemioterapia e l’immunoterapia. Inoltre si vuole riaffermare<br />
che, per quanto la recidiva sia comunque possibile, il protocollo che viene consigliato<br />
è: chirurgia ad ampi margini/radicale associato a terapie adiuvanti come<br />
radioterapia, chemioterapia o elettrochemioterapia 5 e immunoterapia 1 .<br />
Bibliografia<br />
1. Liptak JM, Forrest LJ, (2007), Withrow & MacEvens Small Animal Clinical Oncology, 4th ed, Saunders<br />
Elsevier, 425-454.<br />
2. McEntee MC, Page RL, (2001), Feline vaccine associated sarcomas, J Vet Inter Med, 15: 176-182.<br />
3. Poirier VJ, Thamm DH, Kurzman ID et al (2002) Liposome-encapsulated doxorubicin (Doxil) and<br />
doxorubicin in the treatment of vaccine-associated sarcomas in cats. J Vet Intern Med, 16:726-731.<br />
4. Martano M, Morello E, Ughetto M et al. (2005), Surgery alone versus surgery and doxorubicin for<br />
the treatment of feline injection site sarcomas: a report on 69 cases, Vet J, 170: 84-90.<br />
5. Spugnini EP, Baldi A, Vincenzi B et al. (2006), Intraoperative versus postoperative electrochemotherapy<br />
in high grade soft tissue sarcomas: a preliminary study in a spontaneous feline model, Cancer<br />
Chemother Pharmacol, 59: 375-381.<br />
Indirizzo per la corrispondenza:<br />
Damiano Stefanello<br />
Sezione di Clinica Chirurgica Veterinaria - Dipartimento di Scienze Cliniche Veterinarie<br />
Università degli Studi di Milano - Via Ponzio, 7 - 20133 Milano<br />
Tel. 0250317800 - Fax 0250317817 - E-mail: damiano.stefanello@unimi.it<br />
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Silvia Tasca<br />
Med Vet, Padova, Italia<br />
Sangue e tumori:<br />
tutto quello che si può vedere<br />
in un prelievo<br />
Venerdì, 7 Marzo 2008, ore 17.50<br />
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Alle soglie del terzo millennio, il crescente interesse in <strong>veterinaria</strong> per<br />
l’oncologia ha permesso negli ultimi anni lo sviluppo di nuove tecniche diagnostiche<br />
atte a garantire e migliorare la qualità del lavoro. Anche la medicina<br />
di laboratorio, in questo contesto di importanti sviluppi, ha acquisito<br />
un’applicabilità su larga scala, grazie alla maggior disponibilità di procedure<br />
diagnostiche in medicina <strong>veterinaria</strong> e alla presa di coscienza generale dell’importanza<br />
di tale scienza nell’approccio clinico al paziente. A seguito di un<br />
evento neoplastico, in particolar modo, si possono generare molteplici alterazioni<br />
di laboratorio (segni clinici) causate dall’espansione locale e/o a distanza<br />
(metastasi) del tumore o indotte da fattori umorali (citochine, ormoni), secreti<br />
dal tessuto neoplastico o dal sistema immunitario contro il tumore stesso<br />
(sindrome paraneoplastica). L’identificazione di tali alterazioni risulta di<br />
notevole importanza in quanto le stesse possono essere manifestazioni precoci<br />
di un evento neoplastico, possono risultare letali o influenzare la scelta terapeutica<br />
e/o chirurgica. La selezione di quali alterazioni descrivere si basa<br />
principalmente sulla frequenza del segno clinico e sulla specificità dello stesso.<br />
Si prendono in esame di seguito: l’anemia, la leucocitosi, i disordini emostatici,<br />
la gammopatia monoclonale, l’eritrocitosi e l’eosinofilia, come alterazioni<br />
ematologiche e l’ipercalcemia e l’ipoglicemia in qualità di alterazioni<br />
metaboliche ed endocrine.<br />
L’anemia, alterazione molto frequente in oncologia, riconosce cinque<br />
meccanismi patogenetici:<br />
• da flogosi cronica<br />
• da soppressione midollare<br />
• emolitica<br />
• emorragica<br />
• da sequestro.<br />
L’anemia da flogosi cronica è tipicamente un’anemia normocitica nomocromica<br />
lieve/moderata non rigenerativa. Le citochine (interleuchina 1 - IL-1,<br />
interferone - INF, tumor necrosis factor - TNF e tumor growth factor-beta -<br />
TGF-β) rilasciate a seguito di un evento flogistico riducono infatti, l’emivita<br />
eritrocitaria, alterano l’utilizzo del ferro e rendono i precursori eritroidi refrattari<br />
all’eritropoietina (Epo).<br />
L’anemia da soppressione midollare generalmente si accompagna anche<br />
ad altre citopenie periferiche (neutropenia e piastrinopenia). L’effetto mieloftisico<br />
e citotossico sono i due meccanismi coinvolti: il primo prevede la compressione<br />
e relativa sostituzione delle filiere ematopoietiche residenti (eritroide,<br />
granulo-monocitaria e megacariocitaria) ad opera della proliferazione<br />
neoplastica (es. leucemie acute o croniche, metastasi di tumori solidi), mentre<br />
il secondo dipende dal rilascio di sostanze citotossiche dalle cellule neoplastiche<br />
(es. estrogeni in corso di neoplasie testicolari ed ovariche).<br />
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L’anemia emolitica consegue o alla produzione di anticorpi contro gli eritrociti<br />
(anemia emolitica immunomediata) o ad un danno ossidativo a carico<br />
della membrana eritrocitaria (eccentrociti, corpi di Heinz) o ad un danno meccanico,<br />
con conseguente frammentazione eritrocitaria (schistocitosi) per un<br />
alterato microcircolo da deposizione di fibrina a livello vascolare (microangiopatia<br />
conseguente a DIC - disseminated intravascular coagulation) o per<br />
effetto diretto del tumore (es. emangiosarcoma). Non è infrequente registrare<br />
la presenza contestuale di più meccanismi.<br />
L’anemia emorragica può presentarsi come acuta o cronica. L’evento<br />
emorragico acuto si realizza in ambito neoplastico a seguito di rottura d’organo<br />
(es. emangiosarcoma splenico) o di coagulopatie. L’evento emorragico<br />
cronico può dipendere da lesioni a carico delle mucose (es. tumori gastroenterici<br />
o urinari), causate direttamente dalla crescita tumorale o da sostanze rilasciate<br />
dal tumore stesso (es. istamina). A seguito di un evento emorragico<br />
cronico si registra una perdita di ferro con conseguente deficit di sintesi dell’emoglobina<br />
e sviluppo di un’anemia ferropriva (anemia microcitica ipocromica),<br />
che si accompagna frequentemente a leucocitosi, piastrinosi, iposideremia<br />
e ipoferritinemia.<br />
L’anemia da sequestro, con relativa organomegalia, si ha in corso di neoplasie<br />
che infiltrano in modo diffuso il parenchima di organi altamente vascolarizzati<br />
(es. disordini linfoproliferativi splenici o epatici).<br />
La leucocitosi è un’altra alterazione comune in ambito neoplastico. I meccanismi<br />
coinvolti sono molteplici:<br />
• fattori di crescita ematopoietici (interleuchina 3 - IL-3, granulocyte-colony<br />
stimulating factor - G-CSF, granulocyte/macrophage-colony stimulating<br />
factor - GM-CSF) prodotti dall’organismo in risposta all’evento neoplastico<br />
o dal tumore stesso (es. polipo adenomatoso rettale)<br />
• processi flogistici conseguenti al danno tissutale o ad infezioni opportuniste<br />
• disordini neoplastici ematopoietici leucemici (es. leucemie mieloidi e linfoidi<br />
acute e croniche).<br />
I disordini emostatici, si dividono in primari e secondari. I primi, riconoscono<br />
la piastrinopenia, la piastrinopatia e la piastrinosi.<br />
La piastrinopenia può dipendere da quattro diversi meccanismi:<br />
• aumentato consumo (DIC)<br />
• distruzione (tromobocitopenia immunomediata)<br />
• mancata produzione (insufficienza midollare)<br />
• sequestro (organomegalia).<br />
La piastrinopatia rientra in ambito neoplastico nella sindrome da iperviscosità,<br />
che si verifica a seguito di un incremento della viscosità del sangue<br />
con conseguenti ipoperfusione, ipossia tissutale (rene, cervello) e difetto di<br />
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adesione piastrinica. Si osserva in corso di ipergammaglobulinemia o eritrocitosi<br />
marcate (vedi oltre).<br />
La piastrinosi in ambito neoplastico si associa a:<br />
• flogosi (piastrinosi reattiva)<br />
• corticosteroidi (es. adenoma/adenocarcinoma ipofisario o surrenalico)<br />
• anemia ferropriva (tumori gastroenterici o urinari)<br />
• disordini mieloproliferativi cronici primari a carico della sola filiera megacariocitaria<br />
(Trombocitemia Essenziale - TE) o associati a contestuale<br />
iperplasia mieloide ed eritrocitaria (Policitemia Vera - PV)<br />
• neoplasie polmonari.<br />
Nei disordini emostatici secondari rientrano la DIC e l’iperfibrinogenolisi<br />
primaria. Quest’ultima si definisce come un’eccessiva attività fibrinogenolitica,<br />
caratterizzata da una spontanea attivazione del plasminogeno in plasmina,<br />
con conseguente ipofibrinogenemia, aumento degli FDP’s, del PT e dell’aPTT<br />
e D-dimeri nella norma. Segnalata in corso di disordini linfoproliferativi,<br />
carcinomi uroteliali ed emangiosarcomi.<br />
La gammopatia monoclonale, si verifica a seguito della produzione clonale<br />
di immunoglobuline A-M-G (IgA, IgM, IgG) ad opera di disordini linfoproliferativi<br />
neoplastici quali, il mieloma multiplo (MM), la macroglobulinemia<br />
di Waldenstrom, il linfoma e la leucemia linfocitica cronica (CLL).<br />
L’eritrocitosi si distingue in assoluta e relativa. La relativa, conseguente<br />
ad una ridistribuzione della massa eritrocitaria, da disidratazione o da contrazione<br />
splenica, non è primariamente di interesse oncologico. L’eritrocitosi assoluta,<br />
che prevede un aumento della massa eritrocitaria si osserva in corso di<br />
talune patologie neoplastiche. L’eritrocitosi assoluta primaria si realizza nei<br />
disordini mieloproliferativi primariamente eritroidi (sindrome di Vasquez) e<br />
nella PV. In questi casi, trattandosi di disordini neoplastici non eritropoietina<br />
(Epo) dipendenti, la concentrazione di Epo e la pressione parziale di ossigeno<br />
(pO 2 ) dovrebbero essere nella norma; tuttavia l’iperviscosità secondaria fa<br />
spesso registrare una riduzione della pO 2 e un aumento della concentrazione<br />
di Epo. L’eritrocitosi assoluta secondaria si distingue ulteriormente in appropriata<br />
e inappropriata. L’appropriata si realizza a seguito di cardiopatie/pneumopatie,<br />
dove una caduta della pO 2 fa registrare un incremento nella sintesi<br />
di Epo con relativa eritrocitosi (eritrocitosi ipossica). L’inappropriata invece,<br />
si nota in corso di neoplasie Epo “secernenti”. L’aumentata secrezione di Epo<br />
si deve o a una produzione da parte del tessuto neoplastico (epatomi/epatoblastomi)<br />
o ad un evento ipossico locale renale (linfomi e carcinomi renali).<br />
L’eosinofilia è stata descritta in corso di linfomi, mastocitomi, sarcomi (fibrosarcomi),<br />
carcinomi mammari anaplastici e uroteliali. Nel corso di tali<br />
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eventi neoplastici, la produzione di alcune citochine da parte del tessuto neoplastico<br />
è considerata responsabile di tale alterazione ematologica (eosinofilia<br />
paraneoplastica). L’interleuchina 5 (IL-5), che promuove la differenziazione<br />
in senso eosinofilico dei precursori mieloidi, risulta primariamente coinvolta.<br />
D’altra parte gli eosinofili possono mediare una risposta citotossica<br />
antitumorale: l’infiltrazione eosinofilica locale, che spesso si documenta in<br />
ambito istopatologico, potrebbe rappresentare il tentativo dell’organismo di<br />
circoscrivere il tumore stesso. In vitro, infatti, alcuni studi hanno dimostrato<br />
la capacità degli eosinofili di produrre proteine in grado di distruggere le cellule<br />
neoplastiche.<br />
L’eosinofilia può essere inoltre osservata nei disordini mieloproliferativi<br />
acuti e cronici (es. leucemia mastocitaria, leucemia eosinofilica cronica,<br />
PV).<br />
L’ipercalcemia, alterazione elettrolitica molto frequente in ambito oncologico<br />
si associa:<br />
• ad aumentato riassorbimento osseo e/o intestinale del Ca ++ per<br />
✓ aumentata produzione del paratormone (PTH) o di una proteina correlata<br />
al PTH (PTH-rp) da parte del tessuto neoplastico (ipercalcemia<br />
umorale - HHM)<br />
✓ fenomeni osteolitici (ipercalcemia osteolitica locale), secondari al rilascio<br />
di un fattore attivante gli osteoclasti (OAF), di prostaglandine di tipo<br />
E, di interleuchina 1-beta (IL-1β) e del tumor necrosis factor-beta<br />
(TNF-β) in corso di neoplasie che interessano primariamente o secondariamente<br />
il tessuto osseo<br />
✓ incremento della vitamina D (ipervitaminosi D)<br />
• ad un aumento delle proteine leganti il calcio (con conseguente diminuzione<br />
del calcio ionico e aumento del PTH).<br />
A fronte di un’ipercalcemia sierica è necessario procedere al dosaggio contestuale<br />
del calcio ionico (Ca ++ ) e del PTH.<br />
Si possono verificare le seguenti combinazioni:<br />
• PTH diminuito e Ca ++ aumentato, considerare in diagnosi differenziale<br />
→ neoplasie PTH-rp secernenti<br />
✓ linfoma<br />
✓ adenocarcinoma delle ghiandole apocrine (es. adenocarcinoma dei sacchi<br />
anali)<br />
✓ carcinoma tiroideo, timico, mammario, ovarico e squamoso<br />
✓ mieloma multiplo<br />
✓ leucemia linfocitica cronica<br />
✓ melanoma<br />
→ ipervitaminosi D<br />
✓ linfoma<br />
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✓ adenocarcinoma delle ghiandole apocrine (es. adenocarcinoma dei sacchi<br />
anali)<br />
→ tumori associati ad osteolisi (primari e secondari)<br />
✓ osteosarcoma<br />
✓ mieloma multiplo<br />
✓ metastasi ossee<br />
• PTH aumentato e Ca ++ normale/diminuito<br />
✓ insufficienza renale cronica<br />
• PTH normale/aumentato e Ca ++ normale/aumentato<br />
✓ adenoma/carcinoma delle paratiroidi (iperparatiroidismo primario)<br />
✓ mieloma multiplo<br />
✓ iperparatiroidismo terziario.<br />
L’ipoglicemia, riconosce quattro diversi meccanismi:<br />
• eccessiva secrezione di insulina o fattori insulino-simili (insulin growth<br />
factor - I-II, IGF - I-II)<br />
• eccessivo consumo di glucosio<br />
• inibizione della glucogenolisi<br />
• inibizione della gluconeogenesi.<br />
È stata documentata in corso di: insulinomi (adenocarcinoma delle cellule<br />
beta del pancreas), carcinomi epatocellulari e polmonari, leiomiomi e leiomiosarcomi,<br />
emangiosarcomi, disordini linfo e mieloproliferativi e tumori<br />
metastatici al fegato, con conseguente insufficienza d’organo.<br />
Letture consigliate<br />
Dobson JM, Lascelles BDX, (2004), Manual of canine and feline oncology, 2nd ed, BSAVA.<br />
Ettinger SJ, Feldman EC, (2005), Textbook of veterinary internal medicine, 6th ed, Saunders.<br />
Marconato L, Del Piero F, (2005), <strong>Oncologia</strong> medica dei piccoli animali, Poletto.<br />
Meuten DJ, (2002), Tumors in Domestic Animal, 4th ed, Blackwell.<br />
Romanelli G, (2007), <strong>Oncologia</strong> del cane e del gatto, Masson.<br />
Stockhman ST, Scott MA, (2002), Fundamentals of veterinary clinical pathology, Blackwell.<br />
Withrow SJ, Vail D, (2007), Small animal clinical oncology, 4th ed, Saunders.<br />
Indirizzo per la corrispondenza:<br />
Silvia Tasca<br />
DVM, Laboratorio privato d’analisi veterinarie “San Marco”<br />
Via Sorio, 114/c - 35141 Padova<br />
Tel. 049-8561098 - Fax 02-700518888 - E-mail: st@sanmarcovet.it<br />
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COMUNICAZIONI<br />
BREVI<br />
Gli estratti sono elencati in ordine alfabetico secondo il cognome del relatore<br />
e quindi in ordine cronologico di presentazione.
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CONSIDERAZIONI TERAPEUTICHE IN UN CASO<br />
DI CARCINOMA SQUAMO-CELLULARE IN UN FURETTO<br />
(Mustela putorius furo)<br />
Mattia Bielli 1 Med Vet; Giordano Nardini 2 Med Vet<br />
Massimo Vignoli 3 Med Vet, SRV<br />
1<br />
Libero Professionista, Novara, No<br />
2<br />
Libero Professionista, Spilamberto, Mo<br />
3<br />
Libero Professionista, Sasso Marconi, Bo<br />
Introduzione. Per quanto l’incidenza di malattie neoplastiche nel furetto sia<br />
estremamente elevata 1,2 , il carcinoma squamo-cellulare (CSC) risulta di relativo<br />
raro riscontro 3 e in letteratura è possibile rintracciare solamente due casi<br />
in cui sia stato tentato un controllo della patologia tramite l’impiego di chemioterapici<br />
3,4 .<br />
Dal momento che esistono oggettive difficoltà nel condurre studi controllati<br />
per valutare tossicità ed efficacia dei farmaci antitumorali, risulta importante,<br />
soprattutto nelle specie “non convenzionali”, raccogliere le informazioni<br />
aneddotiche al riguardo 5 .<br />
Descrizione del caso. Noè, furetto “Marshall”, maschio castrato di 2 anni e 5<br />
mesi, è stato presentato alla visita per una tumefazione localizzata al labbro<br />
superiore destro, un esame del cavo orale in anestesia generale evidenziava<br />
una neoformazione iperemica di circa 8x4 mm interessante la gengiva e il vestibolo<br />
buccale di destra in corrispondenza dei due premolari.<br />
L’esame ematobiochimico rilevava come unica alterazione un aumento di<br />
ALKP a valori di 242 U/l (9-84 U/l 6 ) mentre l’esame istopatologico di un<br />
campione bioptico ha successivamente permesso di evidenziare un carcinoma<br />
squamo-cellulare.<br />
I successivi approfondimenti diagnostici (esame radiografico del torace, ecografia<br />
addominale e TC della lesione) hanno permesso di determinare le dimensioni<br />
e l’estensione della neoplasia e di escludere la presenza di metastasi<br />
evidenti in atto.<br />
Discussione. Nel caso esposto, apportando alcune modifiche rispetto a quanto<br />
segnalato 4 , si è impiegato un protocollo a base di bleomicina al dosaggio di<br />
20 U/m 2 /il associata a due trattamenti di doxorubricina al dosaggio di 25<br />
mg/m 2 /iv ai giorni 1 e 15.<br />
La terapia proposta, è tutt’ora in atto da circa 45 giorni e la neoplasia sembra<br />
aver arrestato il suo rapido accrescimento verificatosi dal momento dell’iniziale<br />
biopsia all’inizio del trattamento; il soggetto è in buona salute e i riscontri<br />
ematobiochimici non evidenziano alterazioni imputabili al progredire<br />
della neoplasia.<br />
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Sebbene risulti prematuro trarre conclusioni sulla piena efficacia, è possibile<br />
affermare che la terapia è ben tollerata e appare in grado di limitare l’espansione<br />
della lesione.<br />
Bibliografia<br />
1. Li X, Fox JG, Padrid PA. Neoplastic diseases in ferrets: 574 cases (1968-1997) J. Am. Vet. Med. Assoc.<br />
1998; 212(9):1402-6.<br />
2. Williams BH, Weiss CA. Ferret neoplasia. In: Quesenberry KE, Carpenter JW, eds. Ferrets, rabbits<br />
and rodents: clinical medicine. 2nd edition. St. Louis (MO), Saunders; 2003:91-106.<br />
3. Antinoff N., Hahn K. Ferret oncology: diseases, diagnostics, and therapeutics. Vet. Clin. Exotic<br />
Anim. 7 (2004):579-625.<br />
4. Hamilton TA, Morrison WB. Bleomycin chemotherapy for metastatic squamous cell carcinoma in a<br />
ferret. J. Am. Vet. Med. Assoc. 1991; 198(1):107-8.<br />
5. Kent MS. The use of chemotheraphy in exotic animals. Vet. Clin. Exotic Anim.7 (2004):807-820.<br />
6. Fox JG. Normal clinical and biological perameters. In: Fox Jg (ed.): Biology and Diseases of the ferret.<br />
Lea & Febiger, 1988: 159-173.<br />
Indirizzo per la corrispondenza:<br />
Mattia Bielli<br />
Ambulatorio Veterinario<br />
V.le M. Buonarroti, 20/a - 28100 Novara (NO)<br />
E-mail: mattia.bielli@fastwebnet.it<br />
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CHIRURGIA ONCOLOGICA DEI TESSUTI MOLLI:<br />
CONFRONTO TRA DUE DIFFERENTI GEOMETRIE DI ESCISSIONE<br />
AVVALENDOSI DEL SARCOMA INIEZIONE INDOTTO FELINO<br />
QUALE MODELLO SPERIMENTALE<br />
Alessandro Ferrari 1 Med Vet; Damiano Stefanello 2 Med Vet, PhD<br />
Stefano Romussi 3 Med Vet, PhD; Matteo Cantatore 4 Med Vet<br />
Giuliano Ravasio 5 Med Vet, PhD; Lucia Borghi 6 Med Vet<br />
Valeria Grieco 7 Med Vet, PhD; Mauro Di Giancamillo 8 Med Vet, PhD<br />
1,2,3,4,5,6<br />
Sezione di Clinica Chirurgica Veterinaria, Dipartimento di Scienze<br />
Cliniche Veterinarie, Università degli Studi di Milano<br />
7<br />
Sezione di Anatomia Patologica Veterinaria e Patologia Aviare,<br />
Dipartimento di Patologia Animale, Igiene e Sanità Pubblica Veterinaria,<br />
Università degli Studi di Milano<br />
8<br />
Sezione di Radiologia Veterinaria Clinica e Sperimentale, Dipartimento<br />
di Scienze Cliniche Veterinarie, Università degli Studi di Milano<br />
Scopo del lavoro. Confrontare l’escissione fusiforme con l’escissione rettangolare<br />
nella chirurgia oncologica ad ampi margini/radicale, utilizzando come<br />
modello il sarcoma iniezione indotto felino (SIIF).<br />
Materiali. SIIF diagnosticati istologicamente, sottoposti a chirurgia ad ampi<br />
margini/radicale.<br />
Metodi impiegati. Sono stati inclusi allo studio i casi che rispettassero i seguenti<br />
criteri assoluti di inclusione: localizzazione della neoplasia al tronco,<br />
nessuna terapia neo-adjuvante, assenza di metastasi, follow-up minimo di 130<br />
giorni. I pazienti sono stati arruolati in maniera consecutiva e non randomizzata.<br />
I pazienti sono distinti in due gruppi denominato A se il tumore è stato asportato<br />
con escissione fusiforme e B se rettangolare. Inoltre sono stati riportati il<br />
segnalamento, la presentazione clinica, la sede ed il volume della neoplasia (calcolato<br />
utilizzando la formula 4/3πr 3 , considerando r la metà del diametro maggiore<br />
misurato in TC). La durata della chirurgia è stata calcolata dalla dieresi<br />
iniziale al termine della sintesi del piano cutaneo. La chirurgia è stata eseguita<br />
sempre dallo stesso chirurgo. La sintesi del difetto chirurgico è risultata lineare,<br />
qualora applicabile, oppure a Y, a doppia Y o ad H. I margini sono stati classificati<br />
istopatologicamente come puliti o infiltrati. Per la valutazione post-operatoria<br />
della ferita chirurgica sono state considerate le complicanze precoci, occorse<br />
nei primi 15 giorni (deiscenza, necrosi, infezione, sieroma, ematoma od<br />
emorragia). Il risultato estetico (buono o scarso) e funzionale (conservato o non)<br />
sono stati valutati a 130 giorni dalla chirurgia. Il Mann-Whitney test è stato utilizzato<br />
per comparare il volume ed il tempo della chirurgia tra i due gruppi mentre<br />
il test Chi-quadro per comparare le differenze tra i gruppi in termini di complicanze<br />
e margini di escissione (P
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Risultati ottenuti. Quarantaquattro SIIF appartenenti a 44 gatti sono stati arruolati<br />
allo studio: 20 nel gruppo A e 24 nel B. In 7 su 20 nel gruppo A e 5 su 24 nel<br />
B si trattava di recidive locali. Nel gruppo A, 6 erano localizzati nella regione interscapolare,<br />
6 nella regione toracica e 8 sulla parete addominale laterale. Nel<br />
gruppo B, 14 erano interscapolari, 7 sulla parete toracica, 2 a livello lombare e 1<br />
sulla parete addominale laterale. Il volume mediano è stato significativamente inferiore<br />
nel gruppo A rispetto al B (6,2 cm 3 contro 33,7 cm 3 con P=0,021). La durata<br />
mediana della chirurgia è stata di 60 e 120 minuti rispettivamente in A e B<br />
(P=0,001). La sintesi finale è stata lineare in 19 casi e ad Y in un caso nel gruppo<br />
A, mentre nel B è stata in un caso ad H, in 10 ad Y semplice e in 13 a doppia<br />
Y. I margini di escissione sono risultati puliti in 15 casi su 20 nel gruppo escissione<br />
fusiforme e in 16 su 24 nel gruppo escissione rettangolare; tale differenza<br />
non è statisticamente significativa (P=0,546). Le complicanze della guarigione<br />
della ferita hanno interessato 4 casi su 20 (20%) nel gruppo A e 9 su 24 (37,5%)<br />
nel gruppo B in assenza di differenze statisticamente significative (P=0,205). Tre<br />
gatti, tutti appartenenti al gruppo B e senza alcuna complicanza postoperatoria,<br />
hanno manifestato prurito cronico risoltosi spontaneamente nell’arco di 3 mesi.<br />
Il tempo di guarigione mediano per entrambi i gruppi è stato di 15 giorni. Il risultato<br />
estetico è stato giudicato buono in tutti i pazienti tranne in uno nel gruppo<br />
B; il risultato funzionale è stato conservato in tutti i casi.<br />
Conclusioni. L’esecuzione corretta di una escissione fusiforme che consideri l’adeguatezza<br />
dei margini e il rispetto del rapporto lunghezza:larghezza di 3:1 risulta<br />
poco praticabile nell’approccio chirurgico ad ampi margini, rispetto all’escissione<br />
rettangolare che deve unicamente rispettare il margine di sicurezza. L’escissione<br />
rettangolare si associa a tempi chirurgici più lunghi, sebbene ciò sia da<br />
imputare non solo alle più complesse tecniche di ricostruzione ma in buona parte<br />
anche alla maggiore dimensione delle neoplasie nel gruppo B. I risultati ottenuti<br />
evidenziano come l’escissione rettangolare consenta l’asportazione di neoplasie<br />
significativamente più voluminose senza influenzare l’evoluzione postoperatoria<br />
della ferita chirurgica e garantendo al contempo l’adeguatezza dei margini.<br />
Bibliografia<br />
Gilson S.D., Stone E.A.: Principles of oncologic surgery. Compendium for Continuing Education for the<br />
Practicing Veterinarian 1990; 12(6): 827-839.<br />
Pavletic M.M.: Atlas of small animal reconstructive surgery (second edition) ed. WB Saunders Company,<br />
Philadelphia 1999.<br />
Indirizzo per la corrispondenza:<br />
Damiano Stefanello<br />
Sezione di Clinica Chirurgica Veterinaria, Dipartimento di Scienze Cliniche Veterinarie,<br />
Facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Milano<br />
Via Celoria 10 - 20133 Milano, Italia<br />
Tel. +39 0250317800 - Fax +39 0250317817 - E-mail: damiano.stefanello@unimi.it<br />
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MASTOCITOMA CANINO CON COINVOLGIMENTO MIDOLLARE:<br />
CARATTERISTICHE CLINICHE, PATOLOGICHE<br />
ED OPZIONI TERAPEUTICHE PER NELL’ERA DELL’IMATINIB<br />
Laura Marconato 1 Med Vet; Giuliano Bettini 2 Med Vet, Prof Ass<br />
Claudio Giacoboni 1 Med Vet; Giorgio Romanelli 3 Med Vet, Dipl ECVS<br />
Alessandro Cesari 2 Med Vet; Andrea Zatelli 4 Med Vet<br />
Eric Zini 5 Med Vet, Dipl ECVIM<br />
1<br />
Libero professionista, Clinica Veterinaria L’Arca, Napoli<br />
2<br />
Dipartimento di Sanità Pubblica e Patologia Animale,<br />
Università di Bologna, Ozzano Emilia<br />
3<br />
Libero professionista, Clinica Veterinaria Nerviano, Nerviano (MI)<br />
4<br />
Libero professionista, Clinica Veterinaria Pirani, Reggio Emilia<br />
5<br />
Clinic for Small Animal Internal Medicine, Vetsuisse Faculty,<br />
University of Zürich, Zürich<br />
Introduzione. Il coinvolgimento neoplastico midollare in corso di mastocitoma<br />
è da considerarsi un raro evento, contraddistinto da decorso clinico aggressivo<br />
e rapido, e prognosi inevitabilmente infausta. Il trattamento è perlopiù<br />
sintomatico. La somministrazione di chemioterapici deve essere attentamente<br />
valutata, dal momento che l’infiltrazione neoplastica midollare si accompagna<br />
generalmente a citopenie periferiche. Ad oggi non esistono studi<br />
prospettici su trattamenti volti a eradicare l’infiltrazione midollare.<br />
Scopo del lavoro. Descrivere le caratteristiche clinico-patologiche di mastocitomi<br />
canini con infiltrazione midollare e confrontare in senso prospettico il<br />
decorso clinico di pazienti sottoposti a terapia sintomatica, chemioterapia e<br />
terapia a bersaglio molecolare.<br />
Materiali e Metodi. Venivano inclusi cani con mastocitoma cutaneo sottoposti<br />
a stadiazione completa con infiltrazione neoplastica midollare (mastociti>10%<br />
di tutte le cellule nucleate o, se atipici, >5%). I cani venivano assegnati<br />
ai seguenti gruppi: trattamento sintomatico con antistaminici e cortisone;<br />
lomustina in monochemioterapia; imatinib. A causa del costo elevato<br />
del trattamento con imatinib, l’assegnazione nei gruppi non era randomizzata.<br />
Per valutare la risposta antitumorale, la stadiazione veniva ripetuta<br />
mensilmente.<br />
Risultati. Venivano inclusi 13 cani: 10 avevano un nodulo cutaneo singolo e<br />
3 avevano noduli multipli. Il coinvolgimento di linfonodi regionali, milza o<br />
fegato era comune; in tutti i cani era dimostrato coinvolgimento midollare<br />
(mastociti: 17-85% di ANC). L’esame emocromocitometrico evidenziava comunemente:<br />
anemia non rigenerativa, leucopenia o trombocitopenia. In 4 cani<br />
si osservavano mastociti circolanti. In 4 cani non si evidenziava alcuna anomalia<br />
ematologica, nonostante infiltrazione midollare pari a 17-33%. L’ema-<br />
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tochimica evidenziava aumento di fosfatasi alcalina e alanina transferasi in 11<br />
e 10 cani, rispettivamente.<br />
Otto cani erano trattati con lomustina, 2 con imatinib e 3 con trattamento sintomatico.<br />
Imatinib era somministrato soltanto se il tumore mostrava espressione<br />
immunocitochimica aberrante (citoplasmatica) di KIT.<br />
Il trattamento con lomustina induceva remissione parziale in un caso su 8, con<br />
sopravvivenza mediana di 43 giorni (range, 14-57). I 2 cani trattati con imatinib<br />
ottenevano remissione completa, con sopravvivenza di 117 e 159 giorni.<br />
I cani trattati solo con terapia sintomatica venivano sottoposti ad eutanasia dopo<br />
1, 14 e 32 giorni, senza alcuna risposta evidenziabile.<br />
Conclusioni. Il mastocitoma può avere comportamento biologico estremamente<br />
variabile, pertanto la stadiazione completa è fondamentale per valutare<br />
l’estensione neoplastica. In particolare, la scrupolosa valutazione clinica e<br />
laboratoristica rappresentano un valido aiuto nell’identificare pazienti con infiltrazione<br />
midollare. Questo studio conferma aggressività e scarsa trattabilità<br />
di mastocitoma con infiltrazione midollare e suggerisce per la prima volta<br />
il potenziale vantaggio terapeutico di imatinib in pazienti selezionati.<br />
Bibliografia<br />
1. Thamm DH, Vail DM. Mast cell tumors. In: Withrow & MacEwen’s Small Animal Clinical Oncology,<br />
4th ed. Philadelphia: WB Saunders Co; 2007: 402-424.<br />
2. O’Keefe DA, Couto CG, Burke-Schwartz C, Jacobs RM. Systemic mastocytosis in 16 dogs. J Vet Intern<br />
Med 1987; 1:75-80.<br />
3. Takahashi T, Kadosawa T, Nagase M, et al. Visceral mast cell tumors in dogs: 10 cases (1982-1997).<br />
J Am Vet Med Assoc 2000; 216:222-226.<br />
4. Bookbinder PF, Butt MT, Harvey HJ. Determination of the number of mast cells in lymph node, bone<br />
marrow, and buffy coat cytologic specimens from dogs. J Am Vet Med Assoc 1992; 200:1648-1650.<br />
5. McManus PM. Frequency and severity of mastocytemia in dogs with and without mast cell tumors:<br />
120 cases (1995-1997). J Am Vet Med Assoc 1999; 215:355-357.<br />
6. Endicott MM, Charney SC, McKnight JA, et al. Clinicopathological findings and results of bone<br />
marrow aspiration in dogs with cutaneous mast cell tumours: 157 cases (1999-2002). Vet Comp Onc<br />
2007; 5:31-37.<br />
7. Webster JD, Yuzbasiyan-Gurkan V, Kaneene JB, et al. The role of c-KIT in tumorigenesis: evaluation<br />
in canine cutaneous mast cell tumors. Neoplasia 2006; 8:104-111.<br />
8. Webster JD, Kiupel M, Kaneene JB, et al. The use of KIT and tryptase expression patterns as prognostic<br />
tools for canine cutaneous mast cell tumors. Vet Pathol 2004; 41:371-377.<br />
9. London C. Kinase inhibitors in cancer therapy. Vet Comp Onc 2004; 2(4):177-193.<br />
Indirizzo per la corrispondenza:<br />
Laura Marconato<br />
Clinica Veterinaria L’Arca<br />
Vico Cacciottoli, 46/47 - 80129 Napoli<br />
E-mail: lauramarconato@yahoo.it<br />
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INDAGINE RETROSPETTIVA<br />
SULL’ESPRESSIONE IMMUNOISTOCHIMICA DI KIT (CD117)<br />
NEI TUMORI MELANOCITARI DEL CANE:<br />
UN POSSIBILE BERSAGLIO TERAPEUTICO?<br />
Elvio Lepri 1 Med Vet, PhD, Dipl ECVP<br />
Chiara Brachelente 1 Med Vet, PhD, Dipl ECVP; Alfredo Dentini 2 Med Vet<br />
Matteo Neroni 2 Med Vet; Giovanni Ricci 1 Med Vet, PhD<br />
Monica Sforna 1 Med Vet, PhD; Luca Mechelli 1 Med Vet Prof. Ord. Pat Gen Vet.<br />
1<br />
Dipartimento di Scienze Biopatologiche Veterinarie,<br />
Facoltà di Medicina Veterinaria Perugia<br />
2<br />
Libero professionista, Clinica Veterinaria Tyrus (Terni)<br />
Scopo del lavoro. Il CD117 (KIT), prodotto del gene c-kit, è un recettore transmembranario<br />
tirosino-chinasico coinvolto nell’omeostasi di molti tipi cellulari,<br />
tra cui mastociti e melanociti; in questi ultimi esso regola svariate attività cellulari<br />
comprese proliferazione, differenziazione, melanogenesi e migrazione.<br />
In medicina <strong>veterinaria</strong> il KIT è studiato soprattutto nei mastocitomi cutanei<br />
del cane, in cui l’aumentata immunoreattività corrisponde spesso alla presenza<br />
di mutazioni di c-kit che ne determinano un’attivazione costituzionale, con<br />
implicazioni prognostiche e terapeutiche.<br />
Il suo coinvolgimento nella patogenesi dei melanomi umani è ancora oggetto<br />
di discussione. Alcuni studi descrivono una riduzione dell’espressione di KIT<br />
sincrona con la progressione neoplastica; recenti lavori propongono una classificazione<br />
dei melanomi umani in sottogruppi (mucosale, cutaneo acrale, cutaneo<br />
con esposizione solare cronica, cutaneo senza esposizione solare cronica)<br />
distinti per frequenza di mutazioni di c-kit e conseguente immunoespressione<br />
di KIT, ipotizzando su questa base una terapia con farmaci inibitori della<br />
tirosina chinasi per i tumori che esprimono KIT.<br />
I tumori melanocitari del cane sono comuni ed hanno un comportamento biologico<br />
ed una prognosi correlata a localizzazione anatomica ed aspetti istologici.<br />
La loro patogenesi non è stata oggetto di studi approfonditi ed in particolare<br />
mancano in letteratura dati relativi al possibile coinvolgimento di KIT.<br />
Scopo del lavoro è valutare l’espressione immunoistochimica di KIT nelle<br />
neoplasie melanocitarie del cane.<br />
Materiali e Metodi. Sono stati valutati 39 tumori melanocitari del cane a diversa<br />
insorgenza (14 cutanei, 11 orali, 4 palpebrali, 3 digitali, 3 oculari e 4 tumori<br />
metastatici da sedi primarie non note) e diverso grado istologico.<br />
I tumori sono stati sottoposti a colorazione immunoistochimica con anticorpo<br />
policlonale anti KIT umano (DAKO); di ciascun tumore sono state esaminate<br />
aree multiple a diversa intensità di pigmentazione e valutate con un sistema<br />
a punteggio soggettivo semiquantitativo che ha consentito di attribuire a<br />
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ciascun tumore un grado immunoistochimico (IIC) alto (High:H), medio<br />
(Medium:M) o basso (Low:L).<br />
Risultati. È stata riscontrata immunoreattività nei confronti di KIT in 29/39<br />
(74%) tumori esaminati. In particolare 9/11 tumori orali, 11/14 tumori cutanei,<br />
4/4 tumori palpebrali, 2/3 tumori digitali, 1/3 tumori oculari e 2/4 tumori<br />
metastatici hanno mostrato un grado variabile di positività.<br />
L’immunoreattività variava da forte-diffusa (grado IIC H: 10 casi) a intermedia-focale<br />
o debole-diffusa (grado IIC M: 10 casi) fino a debole-focale (grado<br />
IIC L: 9 casi). Nel dettaglio i tumori con immunoreattività intensa (grado<br />
IIC H) sono risultati per lo più orali (6) o metastatici (2), con singoli casi di<br />
neoplasia cutanea e digitale.<br />
I tumori orali sono stati classificati con grado IIC H (6 casi) o M (3 casi),<br />
mentre la maggior parte dei tumori cutanei è risultata di grado M (5 casi) o L<br />
(5 casi). I tumori provenienti altre sedi anatomiche hanno manifestato una immunoreattività<br />
da media a debole. Sono stati riscontrati modelli di immunoreattività<br />
eterogenei anche nell’ambito della stessa neoplasia, con una colorazione<br />
che andava da membranaria a citoplasmatica granulare o diffusa, analogamente<br />
a quanto riportato nei mastocitomi cutanei canini.<br />
Conclusioni. Il riscontro di immunoreattività per KIT in una elevata percentuale<br />
di tumori esaminati potrebbe suggerire il coinvolgimento di questo recettore,<br />
e di alcune delle vie di segnalamento intracellulare da esso attivate,<br />
nello sviluppo dei melanomi del cane. In particolare la frequente marcata immunoreattività<br />
dei melanomi orali potrebbe essere correlata al comportamento<br />
biologico spesso maligno di queste neoplasie se confrontato con quello,<br />
tendenzialmente più benigno, dei tumori cutanei o di altre sedi.<br />
L’eterogeneità dei modelli di immunocolorazione spesso compresenti nella<br />
stessa neoplasia, parallelamente al polimorfismo cellulare tipico dei melanomi,<br />
ne rende difficile l’interpretazione in senso prognostico, a differenza di<br />
quanto proposto nei mastocitomi. Sebbene basato su un ridotto numero di casi<br />
e non correlato a dati di follow-up, questo studio retrospettivo rappresenta,<br />
nella nostra opinione, un punto di partenza per ulteriori studi prospettici in cui<br />
l’espressione del KIT venga confrontata con dati relativi all’evoluzione dei tumori.<br />
Il possibile riscontro pratico di tale valutazione potrebbe essere l’applicazione<br />
anche ai melanomi del cane delle terapie a bersaglio molecolare attualmente<br />
in fase di valutazione nei mastocitomi.<br />
Bibliografia disponibile su richiesta all’autore.<br />
Indirizzo per la corrispondenza:<br />
Elvio Lepri<br />
Dipartimento di Scienze Biopatologiche ed Igiene delle Produzioni Animali ed Alimentari<br />
Sezione di Patologia e Igiene Veterinaria - Via S. Costanzo, 4 - 06126 Perugia<br />
Tel. 075 5857638 - Fax 075 5857738 - E-mail: elvio.lepri@unipg.it<br />
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L’ESPRESSIONE DELLA METALLOPROTEINASI-2<br />
E DELLA METALLOPROTEINASI-9 NEL COMPORTAMENTO<br />
BIOLOGICO DEL MENINGIOMA DEL CANE E DEL GATTO<br />
Maria Teresa Mandara 1 DVM; Silvia Pavone 2 DVM, PhD<br />
Giuliano Bettini 3 DVM; Luciana Mandrioli 4 DVM, PhD<br />
1-2<br />
Dip. di Scienze Biopatologiche Veterinarie,<br />
Facoltà di Medicina Veterinaria, Università di Perugia, Italia<br />
3-4<br />
Dip. di Sanità Pubblica Veterinaria e Patologia Animale,<br />
Facoltà di Medicina Veterinaria, Università di Bologna, Italia<br />
Scopo del lavoro. Scopo del lavoro è quello di indagare l’espressione dell’attività<br />
metalloproteinasica (MMP2 e MMP9) nei meningiomi del cane e del gatto,<br />
mettendola in relazione con l’espressione dell’attività telomerasica (h-<br />
TERT) e dei recettori per il progesterone (PR88), al fine di individuare parametri<br />
significativi nella valutazione prognostica di tali tumori. Sebbene le MMP<br />
siano state indagate in molte neoplasie del cane e del gatto, nulla emerge ancora<br />
riguardo alla loro specifica espressione nel meningioma di queste specie.<br />
Materiali e Metodi. In questo studio sono stati selezionati ventisei meningiomi,<br />
rispettivamente 11 di cane e 15 di gatto. In 13 casi (5 di cane e 8 di gatto)<br />
il tumore era rappresentato da un campione bioptico, mentre nei restanti<br />
esso è stato campionato durante la necroscopia. Dal tessuto neoplastico fissato<br />
in formalina e incluso in paraffina sono state allestite sezioni di 5 µm, colorate<br />
con EE e sottoposte ad indagine immunoistochimica mediante metodo<br />
avidina-biotina-perossidasi (ABC), utilizzando anticorpi monoclonali umani<br />
anti-MMP2 e MMP9, anti-h-TERT e anti-PR88. Per indagare l’indice di proliferazione<br />
dei tumori sono stati utilizzati l’anticorpo monoclonale anti-proteina<br />
Ki67 umana (clone Mib-1) e anti-PCNA. Per quantificare l’espressione<br />
di ogni specifico marker, è stata eseguita un’indagine morfometrica mediante<br />
analisi di immagine per h-TERT e PR88, e una conta microscopica diretta per<br />
i restanti markers. Per ogni campione, è stato calcolato il valore medio in percentuale<br />
delle cellule positive ottenuto in 10 campi istologici. I risultati così<br />
ottenuti sono stati sottoposti ad indagine statistica (p″0,05).<br />
Risultati. Un esame istologico preliminare ha rivelato l’espressione citoplasmatica<br />
di entrambe le MMP. L’espressione della MMP2 andava da 0,13% a<br />
20,3%, per la MMP9 da 0,13% a 8,16%. Tutti i tumori hanno espresso PCNA,<br />
mentre il ki67 è risultato negativo in cinque casi, due dei quali consistevano in<br />
meningiomi maligni. Il PR ha fatto registrare un range di 1,06-91,22%, mentre<br />
l’h-TERT di 2-92%. I risultati statistici di maggior rilievo sono stati i seguenti:<br />
1. L’indice di proliferazione espresso dal PCNA ha mostrato una deviazione<br />
significativa (P=0,05); tale espressione è risultata più alta nei meningiomi<br />
classificati istologicamente come maligni rispetto ai meningiomi benigni;<br />
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2. L’espressione della MMP2 ha mostrato una significativa relazione lineare<br />
diretta con l’espressione della MMP9 in tutti i casi (P=0,02); tuttavia, l’espressione<br />
di entrambe non è risultata correlata in modo significativo al tipo<br />
istologico di meningioma;<br />
3. L’espressione della MMP2 e della MMP9 non ha mostrato alcuna correlazione<br />
significativa con l’indice di proliferazione espresso dalla PCNA (P=<br />
0,7 per MMP-2, P= 0,19 per MMP-9). Solo l’espressione della MMP2 ha<br />
mostrato una correlazione lineare diretta significativa con l’indice di proliferazione<br />
nei casi che esprimevano Ki67 (P=0,005);<br />
4. L’espressione della MMP2 e della MMP9 non ha mostrato una deviazione<br />
significativa rispetto alla tipologia del campione (bioptico/necroscopico)<br />
(P= 0,37 per MMP-2, P= 0,14 per MMP-9);<br />
5. L’espressione della MMP2 e della MMP9 ha mostrato una deviazione significativa<br />
quando associata alla differenza di specie: sia l’espressione della<br />
MMP2 (P=0,001) che quella della MMP9 (P=0,05) sono risultate significativamente<br />
più elevate nel meningioma di gatto.<br />
6. Solo l’espressione della MMP2 ha mostrato una correlazione lineare significativa<br />
con l’espressione di PR88 (P= 0,02);<br />
7. L’espressione di entrambe le metalloproteinasi non ha mostrato alcuna relazione<br />
lineare significativa con l’attività telomerasica.<br />
Conclusioni. Nel nostro studio abbiamo dimostrato che sia il meningioma di cane<br />
che quello di gatto esprimono MMP2 e MMP9. Tale espressione risulta indipendente<br />
dall’indice proliferativo, come osservato nel meningioma dell’uomo, e<br />
dall’attività telomerasica. Ancora da verificare il rapporto esistente tra attività metalloproteinasica<br />
ed espressione di PR. Nessuna delle MMPs indagate ha mostrato<br />
di essere correlata alla malignità morfologica del tumore. Ciò suggerisce che<br />
l’espressione delle metalloproteinasi non possa prescindere da altri marker biologici,<br />
come l’edema peritumorale e la neoangiogenesi. In ultimo, e contro le nostre<br />
aspettative, l’espressione delle metalloproteinasi è risultata sempre maggiore nel<br />
meningioma di gatto, notoriamente meno aggressivo rispetto a quello di cane.<br />
Bibliografia<br />
Okada M et al: Matrix metalloproteinase-2 and matrix metalloproteinase-9 expressions correlate with the<br />
recurrence of intracranial meningioma. J Neuroncol 66:29-37, 2004.<br />
Von Randow AJ et al: Expression of extracellular matrix-degrading proteins in classic, atypical, and anaplastic<br />
meningiomas. Pathol Res Pract 202:365-372, 2006.<br />
Mandrioli L et al: Immunohistochemical expression of h-telomerase reverse transcriptase in canine and feline<br />
meningiomas. J Vet Sci 2:111-115, 2006.<br />
Indirizzo per la corrispondenza:<br />
Maria Teresa Mandara<br />
Dip. di Scienze Biopatologiche ed Igiene delle Produzioni Animali e Alimentari<br />
Facoltà di Medicina Veterinaria, Università di Perugia - Via S. Costanzo, 4 - 06126 Perugia<br />
Tel. 075-5857730 - Fax 075-5857730 - E-mail: mandara@unipg.it<br />
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ESPRESSIONE DI RECETTORI PER ESTROGENI E PROGESTERONE<br />
NEI TUMORI MAMMARI DELLA CAGNA E DELLA GATTA<br />
Francesca Millanta 1 DVM; Iacopo Vannozzi 2 DVM, PhD<br />
Lorenzo Ressel 1 DVM; Alessandro Poli 1 DVM, Dipl ECVP<br />
1<br />
Dipartimento di Patologia Animale, Profilassi ed Igiene degli Alimenti<br />
2<br />
Dipartimento di Clinica Veterinaria, Facoltà di Medicina Veterinaria,<br />
Università di Pisa<br />
Scopo del lavoro. Le neoplasie mammarie rappresentano il 25-50% di tutti i<br />
tumori nella specie canina. Il 50% sono classificate come maligne e, pertanto,<br />
il carcinoma mammario risulta la neoplasia più frequente nella cagna (Madewell<br />
e Theilen, 1987). I tumori mammari rappresentano circa il 17% dei totale<br />
dei tumori nella gatta ed almeno l’85% di tali neoplasie sono maligne (Lana<br />
et al., 2007). L’insorgenza di tumori mammari nella cagna è ormono-dipendente.<br />
Nella gatta il ruolo degli ormoni ovarici non risulta ancora ben definito,<br />
anche se è stato recentemente dimostrato che l’ovariectomia effettuata<br />
prima del sesto mese di età può ridurre del 91% il rischio di sviluppo di neoplasie<br />
(Overley et al., 2005). L’attività di promozione neoplastica degli ormoni<br />
ovarici si esplica essenzialmente attraverso il legame con recettori specifici,<br />
stimolando la proliferazione cellulare. Il ruolo dell’espressione di recettori per<br />
estrogeno (ER) e progesterone (PR) risulta comunque ancora non completamente<br />
chiaro, anche se è stata dimostrata una diminuzione dell’espressione di<br />
ER e PR nella progressione da tessuto sano a forme iperplastico-displastiche e<br />
neoplastiche nella cagna ed una precoce perdita dell’ormono-dipendenza, con<br />
perdita prevalentemente dell’espressione di ER, nella gatta (Martìn de Las Mulas,<br />
2005; Millanta et al., 2005). Lo scopo del lavoro è stato di valutare l’espressione<br />
di ER e PR in carcinomi mammari infiltranti di cagna e di gatta e<br />
valutare differenze tra le due specie nell’espressione recettoriale.<br />
Materiali. Sono stati valutati in maniera retrospettiva 54 casi di carcinomi infiltranti<br />
di gatta e 51 carcinomi infiltranti di cagna, di cui 19 clinicamente riferibili<br />
a carcinomi infiammatori.<br />
Metodi impiegati. Le lesioni sono state classificate secondo i criteri del WHO<br />
(Misdorp et al., 1999); è stato inoltre attribuito un “grading” istologico secondo<br />
lo schema classificativo di Elson ed Ellis (1991). L’espressione recettoriale è<br />
stata valutata mediante immunoistochimica, utilizzando per i tessuti di cane un<br />
anticorpo primario policlonale di coniglio anti-ER-α (Zymed labs, USA) ed un<br />
monoclonale di topo anti-PR (clone PR 4-12, Oncogene Res Prod. USA) e per<br />
quelli felini un primario di topo anti-ER (clone 6F11, Novocastra Labs, UK) ed<br />
un primario monoclonale anti-PR (Clone PR88, Novocastra Labs, UK).<br />
Risultati ottenuti. Nella cagna, l’espressione di ER è stata riscontrata in<br />
30/32 (62,5%) carcinomi infiltranti non-infiammatori ed in 0/19 carcinomi in-<br />
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fiammatori, mentre l’espressione di PR è stata rilevata in 10/32 (10,6%) carcinomi<br />
infiltranti non-infiammatori ed in 0/19 carcinomi infiammatori. Nella<br />
gatta, 5 casi su 54 (9,2%) sono risultati ER+, mentre 36/54 (66,7%) sono risultati<br />
PR+.<br />
Conclusioni. Tali risultati confermano una differenza nell’espressione recettoriale<br />
nella cagna e nella gatta, confermano anche il ruolo dei tumori spontanei<br />
canini e felini come modello animale per i tumori ormono-dipendenti ed indipendenti,<br />
rispettivamente, del seno e la necessità di approcci terapeutici differenti<br />
nelle due specie. La perdita dell’espressione dei recettori steroidei nel<br />
carcinoma infiammatorio della cagna conferma il comportamento biologico<br />
particolarmente aggressivo e la prognosi infausta di tale tipo di neoplasia.<br />
Bibliografia<br />
Elston, C.W., Ellis, I.O. Pathological prognostic factors in breast cancer. Value of histological grade breast<br />
cancer: experience from a large study with a long-term follow-up. Histopathology 19: 403-410,<br />
1991.<br />
Lana SE., Rutteman GR., Withrow SJ. Tumors of the Mammary Gland. In: Withrow SJ., Vail DM (eds),<br />
Withrow & Mac Ewen’s Small Animal Clinical Oncology, 4th edition, Saunders Elsevier, pp 619-<br />
636, 2007.<br />
Madewell BR., Theilen GH.Tumors of the mammary gland. In: Theilen GH., Madewell BS (Eds), Veterinary<br />
Cancer Medicine, second edition, Lea & Fabiger, Philadelphia, pp 327-344, 1987.<br />
Overley B., Schofer FS., Goldschmidt MH et al.: Association between ovariohysterectomy and feline<br />
mammary carcinoma. J Vet Intern Med 19: 560-563, 2005.<br />
Martìn de Las Mulas J., Millan Y., Dios R. A prospective analysis of immunohistochemically determined<br />
estrogen receptor a and progesterone receptor expression and host and tumor factors as predictors of<br />
disease free period in mammary tumors of the dog. Vet Pathol 42: 200-212, 2005.<br />
Millanta F., Calandrella M., Bari G et al: Comparison of steroid receptor expression in normal, dysplastic,<br />
and neoplastic canine and feline mammary tissues. Res Vet Sci 79: 225-232, 2005.<br />
Misdorp W., Else RW., Helmén E., Lipscomb TP. WHO International Histological Classification of Mammary<br />
Tumours of the Dog and Cat. Second Series, Vol 7. The Armed Forced Institute of Pathology,<br />
American Registry of Pathology, Washington DC, 1999.<br />
Indirizzo per la corrispondenza:<br />
Alessandro Poli<br />
Dipartimento di Patologia Animale, Profilassi ed Igiene degli Alimenti<br />
Facoltà di Medicina Veterinaria<br />
Viale delle Piagge, 2 - 56124 Pisa<br />
Tel. 050 2216982 - Fax 050 2216941 - E-mail: apoli@vet.unipi.it<br />
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NEOPLASIE LINGUALI DEL CANE: 15 CASI<br />
Diego Rossetti 1 Med Vet; Giorgio Romanelli 2 Med Vet, Dipl ECVS<br />
Paolo Buracco 3 Med Vet, Dipl EVCS<br />
1<br />
Libero professionista, Nerviano<br />
2<br />
Libero professionista, Nerviano<br />
3<br />
Facoltà di Medicina Veterinaria, Università di Torino<br />
Introduzione. I tumori della lingua, rappresentano nel cane il 4% di tutti i tumori<br />
orofaringei. I tipi istologici più frequenti sono: carcinoma squamocellulare<br />
(CCS), melanoma (MM), mastocitoma (MCT), emangiosarcoma (EMS)<br />
e il fibrosarcoma (FSA). La terapia, se possibile, è rappresentata dalla glossectomia<br />
parziale e chemioterapia adiuvante.<br />
Materiali e Metodi. Quindici cani valutati nel periodo maggio 1996 novembre<br />
2007 presso la Clinica Veterinaria Nerviano e il Dipartimento di Patologia<br />
Animale di Grugliasco. Di ogni paziente si sono considerati: razza, sesso,<br />
età, dimensione e sede del tumore, trattamento chirurgico e medico, istotipo,<br />
eventuale completezza di escissione, positività linfonodale, metastatizzazione<br />
a distanza, recidiva e sopravvivenza. Tutti i pazienti sono stati sottoposti a stadiazione<br />
preoperatoria mediante esami di laboratorio, Rx torace nelle 2 proiezioni<br />
laterali, palpazione ed eventuale esame citologico dei linfonodi tributari.<br />
La chirurgia utilizzata è consistita in glossectomia parziale mediante incisione<br />
a tutto spessore della lingua con 1-2 cm di margine rispetto alla neoplasia<br />
e, dopo accurata emostasi, sutura dei piani mucosi con punti staccati in<br />
poliglecaprone 3 o 4/0 (Monocryl ® ). In 6 casi si è proceduto ad effettuare la<br />
linfadenectomia regionale.<br />
Risultati. Sono risultati: 2 Golden Retriever, 2 Schnauzer, 1 Rottweiler, 1 Cane<br />
Corso, 1 Husky, 1 Bassotto, 1 Pastore Tedesco, 1 Labrador, 1 Terranova e<br />
4 meticci di età compresa dai 2,7 anni ai 15,1 anni (media 8,7, mediana 8,2),<br />
9 maschi e 6 femmine. La dimensione tumorale è variata da 1 a 9 cm (media<br />
3,2 cm). Tre tumori (20%) erano in posizione caudale, 4 (26%) centrale laterale,<br />
4 (26%) centrale ventrale, 2 (13%) centrale bilaterale ed 1 (7%) craniale<br />
destra. In un caso la sede non è stata annotata.<br />
Due cani non sono stati trattati per volere del proprietario ed 1 è stato sottoposto<br />
ad eutanasia immediatamente dopo la stadiazione a causa di metastatizzazione<br />
polmonare diffusa.<br />
Dodici pazienti sono stati trattati chirurgicamente e in 6 casi si è eseguita anche<br />
la linfadenectomia regionale. Dall’esame istologico sono risultati 6 CCS,<br />
2 MCT, 3 MM, 2 neoplasie di origine istiocitaria, 1 FSA e 1 tumore delle<br />
guaine nervose periferiche (PNST). I margini chirurgici sono risultati infiltrati<br />
in 3 casi: un CCS, un PNST (che sono entrambi recidivati dopo 5 mesi), ed<br />
un MM, unico con interessamento iniziale dei linfonodi tributari che non è re-<br />
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cidivato localmente ma ha sviluppato metastasi 7 mesi dopo. Sei tumori<br />
(50%) sono recidivati: 4 CCS, 1 PNST ed 1 FSA. Considerando solo i CCS,<br />
il tasso di recidiva è stato del 66,6% dei casi. In 5 pazienti con margini infiltrati,<br />
recidiva locale o metastasi accertate (2 MM e 3 CCS) si è proceduto ad<br />
effettuare chemioterapia adiuvante, in 1 caso con cisplatino alla dose di 60<br />
mg/m 2 ogni 3 settimane e nei restanti 4 con carboplatino alla dose di 300<br />
mg/m 2 ogni 3 settimane in combinazione con piroxicam a 0,3 m/kg/die.Tre<br />
pazienti (20%) sono deceduti per recidiva, 2 CCS ed un FSA, in media 10,3<br />
mesi dopo. Un caso di MM è deceduto 7 mesi dopo per recidiva e metastasi.<br />
Tre pazienti (20%) sono deceduti 2 anni dopo la chirurgia per cause non correlate<br />
alla neoplasia. La sopravvivenza complessiva è variata da 2 a 24 mesi<br />
(media 12,9; mediana 11). Per quanto concerne il CCS questa è stata di 2-24<br />
mesi (media 15,6; mediana 19,5). Nei pazienti trattati solo con chirurgia (6),<br />
2 sono ancora vivi, i restanti 4 sono sopravissuti in media 22 mesi. Nei pazienti<br />
trattati con chirurgia e chemio (5), un caso è ancora vivo (1 anno), nei<br />
restanti la sopravvivenza media è stata di 6,8 mesi. Tre sono i pazienti ancora<br />
vivi, a 2 mesi dall’intervento.<br />
Conclusioni. Lo studio, in accordo con la letteratura, conferma il CCS come<br />
il tumore linguale più frequente. La terapia di scelta è rappresentata dalla<br />
glossectomia parziale e dalla linfadenectomia regionale. Questa tecnica chirurgica<br />
non ha causato deficit nella prensione degli alimenti e nella suzione<br />
dei liquidi perché limitatasi al massimo alla metà trasversale o longitudinale<br />
dell’organo. Il trattamento medico con cisplatino o carboplatino in associazione<br />
al piroxicam non si è rivelato utile per il controllo delle metastasi o della<br />
recidiva.<br />
Bibliografia<br />
Boria PA, Murry DJ, Bennett PF, Glickman NW et al. JAVMA. 2004 Feb 1; 224(3):388-94.<br />
Dennis MM, Ehrhart N, Duncan CG, et al. JAVMA 2006 May 15; 228(10):1533-7.<br />
Indirizzo per la corrispondenza:<br />
Diego Rossetti<br />
Clinica Veterinaria Nerviano<br />
Via Lampugnani, 3 - 20014 Nerviano (MI)<br />
Tel. 0331415263 - Fax 0331415369 - E-mail: tesem83@hotmail.com<br />
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USE OF FLOW CYTOMETRY IN THE CHARACTERIZATION<br />
OF ACUTE MEGAKARYOBLASTIC LEUKEMIA (AML-M7)<br />
IN A DOG<br />
UTILIZZO DELLA CITOMETRIA A FLUSSO PER LA TIPIZZAZIONE<br />
DI LEUCEMIA MEGACARIOBLASTICA ACUTA (AML-M7)<br />
IN UN CANE<br />
Fabio Valentini 1 Med Vet, MS; Silvia Tasca 2 Med Vet;<br />
Valentina Caon 3 Med Vet<br />
1,3<br />
Libero Professionista (Roma)<br />
2<br />
Libero Professionista (Padova)<br />
Acute megakaryoblastic leukemia is a rare form of myeloid leukemia first described<br />
in 1931. Megakaryoblastic leukemia in human beings may occur as a<br />
spontaneous disease or as a therapy-related acute leukemia. Cytogenetic abnormalities<br />
of chromosome 21 have been associated with megakaryoblastic<br />
leukemia in human beings. The simultaneous use of several differentiation<br />
markers is required to diagnose this type of leukemia in people.<br />
Megakaryoblastic leukemia is a rare myeloproliferative disorder in domestic<br />
animals. Recently, thanks to the major availability of immunophenotypical<br />
techniques the diagnosis is more accessible. The morphological evaluation<br />
alone in fact has its limitations especially in the study of poorly differentiated<br />
cells. Few reports have described AML-M7 in dogs with the use of flow cytometry.<br />
This clinical case describes the utility of flow cytometry in the characterization<br />
of acute megakaryoblastic leukemia (AML-M7) in a dog.<br />
Clinical case. A 3-year-old, female spayed German shepherd was presented<br />
for severe weakness, lethargy, anorexia and weight loss of several weeks duration.<br />
Physical examination revealed pale mucous membrane, generalized<br />
muscolar athrophy, tachycardia and mild hypothermia. Upon palpation, the<br />
abdomen revealed a splenic enlargement. Initial diagnostic evaluation consisted<br />
of a complete blood cell count (CBC), serum biochemical analysis and<br />
urinalysis. Chest x-rays and abdominal ultrasound were performed as well.<br />
CBC revealed severe anemia (Hct, 11,9%; reference range, 37 to 55%; Hb,<br />
4,4 g/dl; reference range, 12,0 to 18, 0 g/dl), severe thrombocytopenia (9,000<br />
platelets/µl; reference range, 150,000 to 500,000 platelets/µl) and mild leukopenia<br />
(5,600 WBC/µl; reference range, 6,000 to 17,000 WBC/µl). Circulating<br />
blast cells (30%) were detected. Bone marrow and spleen aspiration biopsy<br />
was performed. The former revealed a good cellularity and adequate cell morphology;<br />
all of the three hemopoietic cell lines (erithroyd, myeloid and megacaryocytic)<br />
were almost completely substituted with large, variably sized<br />
and round shaped blast cells, often bi- or multinucleated and with a marked<br />
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increased N/C ratio. The nuclear chromatin was dense and fine and one or<br />
more distinct nucleoli were visible. Cytoplasmic microvacuolizations, basophilia<br />
and blebbing were reported. Based on these findings, the sample was<br />
suggestive of an acute myeloid leukemia probably of megakaryoblastic origin.<br />
The latter revealed the same leukemic cells scattered in the splenic parenchyma.<br />
In order to precisely characterize this type of myeloproliferative<br />
disorder, samples (blood and bone marrow) were submitted to a referral laboratory<br />
for flow cytometry analysis.<br />
The immunological panel revealed a 7,2% CD3 positivity (T lymphocytes),<br />
5,8% CD79 (panB-lymphocytes), 2,3% CD34 (blast cells), 4,0% CD14 (monocytes),<br />
64,5% CD9 (platelets), 59,5% CD61 (platelets), 17,7% CD18 (b2-<br />
integrins). Based on the immunological profile a diagnosis of acute megakaryoblastic<br />
leukemia was made.<br />
A trasfusion of 250 ml of fresh canine blood was given. Ampicillin (20 mg/kg<br />
TID) and metronidazol (7 mg/kg TID) were administered. The blood trasfusion<br />
increased the PCV to 18,5%. Following stabilization, chemotherapy with<br />
100 mg/m 2 of cytosine arabinoside divided 4 times daily was started. The dog<br />
did not respond to chemotherapy and after four days Hct dropped again to<br />
12%. At this time the owners elected to euthanize the dog.<br />
Discussion. The lineage of an immature neoplastic population can not be determined<br />
morphologically alone. Nowadays the association between morphological<br />
and immunophenotypical evaluation can, with no doubt, grows<br />
the accuracy of the diagnosis. Compared to immunohistochemistry, flow<br />
cytometry can be used with blood and/or bone marrow samples with no need<br />
of tissue or core biopsy. Furthermore flow cytometry allows the evaluation<br />
of several parameters in few seconds and provides the clinician of daily results.<br />
In the present work, flow cytometry has established megakaryocytic lineage<br />
showing the presence of two megakaryocyte/platelet associated antigens<br />
(CD9, CD61). In human medicine CD9 is commonly used as a platelets<br />
and megakaryocytes marker. There is evidence of cross-reactivity of human<br />
anti-CD9 monoclonal antibody with canine samples. In particular, to<br />
our knowledge, the use of CD9 was never described before, for this use in<br />
the dog.<br />
Bibliografia disponibile su richiesta all’autore.<br />
Indirizzo per la corrispondenza:<br />
Fabio Valentini<br />
Ospedale Veterinario “Gregorio VII”<br />
Piazza di Villa Carpegna, 52 - 00165 Roma<br />
Fax 06-66068250 - E-mail: f.valentini@email.it<br />
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97 CASI NEOPLASIE NEGLI ANIMALI GIOVANI:<br />
ISTOTIPI TUMORALI, LOCALIZZAZIONE ED INCIDENZA<br />
Sara Verganti 1 Med Vet; Giorgio Romanelli 2 Med Vet, Dipl ECVS<br />
Laura Marconato 3 Med Vet; Paolo Buracco 4 Med Vet, Dipl ECVS<br />
1<br />
Libero professionista, Milano<br />
2<br />
Libero professionista, Nerviano<br />
3<br />
Libero professionista, Napoli<br />
4<br />
Facoltà di Medicina Veterinaria, Università di Torino<br />
Scopo del lavoro. I tumori negli animali giovani sono rari ed hanno comportamento<br />
generalmente aggressivo 1 . I dati presenti in letteratura sono scarsi 1 :<br />
l’incidenza reale nel cane
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(100% fibrosarcomi a carico degli arti posteriori; predisposizione di razza nel<br />
Dogo Argentino, 66,7%). Negli animali di 12-18 mesi, l’incidenza era del<br />
12,5% con predilezione per cavo orale (40%) ed ossa (29%) (osteosarcoma<br />
dell’ulna distale, 100%).<br />
La maggior parte delle neoplasie si sviluppava in cani di 18-24 mesi (66,3%).<br />
I tumori ossei erano i più rappresentati (32%), interessando soprattutto maschi<br />
(71,4%), di taglia grande-gigante (in particolare Rottweiler 35,7% e meticci<br />
28,6%), a localizzazione appendicolare (85,7%, arti posteriori 66,7%). L’istotipo<br />
più frequente era l’osteosarcoma (82,4%).<br />
Si osservavano poi tumori cutanei (28,3%), in particolare mastocitomi<br />
(86,7%) ben differenziati (86,4%) (senza predisposizione di razza-sesso, sopravvivenza<br />
media >16,9 mesi), anche se in alcuni casi (15,4%) mostravano<br />
comportamento aggressivo (Shar-pei, Boxer). Seguivano neoplasie ematopoietiche<br />
(13,2%) (soprattutto linfomi 71,5%) e del cavo orale (11,3%), in<br />
particolare fibrosarcomi (50%) mascellari (100%). Altre neoplasie osservate<br />
erano: carcinoma mammario (5,6%), rabdomiosarcoma vescicale botrioide<br />
(1,9%), schwannoma (1,9%) e chemodectoma (1,9%).<br />
Conclusioni. Da questo studio emerge che, in accordo con la letteratura 1,2 ,i<br />
tumori negli animali giovani sono rari (2,38%).<br />
Nel gatto i tumori più frequenti erano linfoma, fibrosarcoma e CSC auricolare.<br />
Nonostante siano segnalati tumori in gatti 18 mesi.<br />
Nei cani l’incidenza delle neoplasie aumentava con l’età (massima nei soggetti<br />
di 18-24 mesi); erano interessati soprattutto animali di taglia grande-gigante, tra<br />
cui meticci, Rottweiler e Pastore Tedesco. Le forme maligne erano più frequenti.<br />
A differenza dei dati bibliografici 1,2 , le neoplasie più comuni erano: tumori<br />
ossei (28,8%), cutanei (21,2%), del cavo orale (18,8%) e del sistema ematopoietico<br />
(10%). L’istiocitoma, il più frequente tumore cutaneo giovanile, non<br />
è stato probabilmente riscontrato (1 solo caso) per mancato invio a consulto.<br />
Bibliografia<br />
1. Morrison WB. Cancer of young dogs and cats. In: Cancer in dogs and cats. 2nd Ed., Teton NewMedia,<br />
2002:689-691.<br />
2. REF Keller ET, Madewell BR. Locations and types of neoplasms in immature dogs: 69 cases (1964-<br />
1989), JAVMA 1992; 200:1530-1532.<br />
3. Fossati-Bellani F. Neoplasie solide dell’infanzia. In: Bonadonna G., Medicina oncologica. VII Ed.,<br />
Masson. 2003:1177-1181.<br />
4. Carpenter JL, Andrews LK, Holzworth J, Averill DR, Harbison ML, Moore FM. Tumors and tumorlike<br />
lesions. In: Holzworth J, ed. Diseases of the cat: medicine and surgery. Philadelphia: W.B: Saunders<br />
Co., 1987:406-596.<br />
Indirizzo per la corrispondenza:<br />
Sara Verganti<br />
Clinica Veterinaria Nerviano - Via Lampugnani, 3 - Nerviano (MI)<br />
Tel. 0331415263 - Fax 0331415369 - E-mail: sakli@libero.it<br />
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POSTER<br />
Gli estratti sono elencati in ordine alfabetico secondo il cognome del relatore<br />
e quindi in ordine cronologico di presentazione.
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SARCOMA ISTIOCITICO POLMONARE<br />
CON METASTASI CUTANEA IN UN CANE<br />
Maurizio Annoni 1 Med Vet; Lisa Barber 2 DVM, DACVIM (Oncology)<br />
Kristine Burgerss 3 DVM, DACVIM (Oncology)<br />
1<br />
Clinica Veterinaria “M.E.Miller”, Cavriago (RE)<br />
2,3<br />
Harrington Oncology Program, Foster Hospital for Small Animals,<br />
Cummings School of Veterinary Medicine, Tufts University, North Grafton,<br />
Massachusetts, USA<br />
Introduzione. Il sarcoma istiocitico canino (HS) è una rara neoplasia di derivazione<br />
dalle cellule dendritiche mieloidi, rappresentante meno dell’1% dei<br />
tumori canini del sistema linforeticolare. Può presentarsi in forma localizzata<br />
con coinvolgimento di un solo organo, oppure come forma disseminata in diversi<br />
organi. Entrambe le forme costituiscono, in base alla più recente classificazione,<br />
il complesso del sarcoma istiocitico (histiocytic sarcoma complex).<br />
Particolarmente riscontrato nel Bovaro del Bernese, Rottweiler, Golden e Labrador<br />
Retriever, colpisce primariamente milza, linfonodi, polmoni, midollo<br />
osseo, cute e sottocute (soprattutto degli arti). Le metastasi coinvolgono fegato<br />
e polmoni (in caso di tumore splenico primario) oppure i linfonodi ilari (se<br />
il sito primario è polmonare). Qui è riportato un caso di HS polmonare localizzato<br />
con successiva comparsa di una metastasi cutanea.<br />
Caso clinico. Reilly, cane Rottweiler, femmina sterilizzata ipotiroidea di nove<br />
anni, venne riferita per una massa toracica rinvenuta occasionalmente dal<br />
veterinario curante. Il sospetto di una neoformazione polmonare venne confermato<br />
mediante esame tomografico da noi eseguito che rilevò una massa lobulata<br />
definita dall’esame citologico compatibile con neoplasia di origine<br />
istiocitica o mesenchimale. Venne effettuata una lobectomia parziale del lobo<br />
medio destro e biopsia del linfonodo tributario. L’esame istologico comprensivo<br />
di immunoistochimica confermò la diagnosi di sarcoma istiocitico polmonare,<br />
mentre il tessuto linfonodale risultò non interessato da cellule neoplastiche.<br />
La stadiazione del tumore fu completata con esame ematochimico,<br />
ecografia addominale e citologia midollare. A un mese dalla presentazione<br />
presso la nostra struttura, in concomitanza con il primo ciclo di chemioterapia,<br />
Reilly venne sottoposta ad un controllo radiografico del torace al fine di<br />
escludere un’eventuale progressione locale della malattia. Come primo protocollo<br />
chemioterapico venne utilizzata la lomustina. Al momento della somministrazione<br />
della seconda dose però, riscontrammo una nuova neoformazione<br />
sottocutanea, rotondeggiante, di 2 cm di diametro a livello cervicale<br />
dorsale. L’esame citologico confermò il sospetto di metastasi cutanea e quindi<br />
la progressione della malattia. Si decise di passare a un differente protocollo<br />
chemioterapico a base di vincristina e ciclofosfamide somministrati set-<br />
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timanalmente. Ottenemmo un’immediata riduzione in dimensione e successiva<br />
scomparsa della metastasi cutanea cervicale. Purtroppo, al momento della<br />
settima somministrazione, si riscontrarono una nuova metastasi cutanea e linfomegalia<br />
del linfonodo ilare. La nuova neoformazione metastatica, di 1 cm<br />
di diametro, localizzata in corrispondenza del processo spinoso dell’VIII vertebra<br />
cervicale, era intimamente adesa allo strato muscolare sottostante. Periodici<br />
controlli ecografici addominali, continuarono a non evidenziare alcun<br />
coinvolgimento dei visceri. Venne dunque utilizzato un ulteriore nuovo protocollo<br />
a base di dacarbazina che permise una riduzione definitiva del linfonodo<br />
ilare interessato, ma solo temporanea della metastasi cervicale. Infatti, dopo<br />
due mesi dall’inizio del trattamento, le dimensioni di tale metastasi aumentarono<br />
a 4 cm di diametro. Il successivo utilizzo di doxorubicina non fermò<br />
la crescita della massa che arrivò a 5 cm. L’inarrestabile progressione della<br />
malattia ci indusse quindi ad utilizzare la vinblastina prima settimanalmente<br />
per otto cicli e poi ogni quindici giorni. I risultati furono esaltanti; la metastasi<br />
cervicale si ridusse fino a non essere più apprezzata alla palpazione.<br />
A tutt’oggi, dopo 15 mesi dall’inizio della terapia multimodale, di cui gli ultimi<br />
cinque di trattamento con la vinblastina, la patologia di Reilly continua a<br />
mantenersi in fase stazionaria. Viene periodicamente monitorata mediante<br />
esami clinici, ecografici addominali e radiografie toraciche.<br />
Discussione. La scelta di un protocollo chemioterapico multimodale, dopo<br />
exeresi chirurgica della neoformazione polmonare, si è rivelata particolarmente<br />
adatta nel trattamento del HS canino. In particolare l’utilizzo della vinblastina,<br />
non riportato in letteratura come prima scelta nel trattamento del<br />
suddetto tumore, ha permesso una remissione temporanea della malattia per<br />
un lungo periodo (5 mesi). Motivare i proprietari e non arrendersi alla prima<br />
mancata risposta alla chemioterapia, quando possibile, aumenta le possibilità<br />
di riuscita e può dare risultati inaspettati.<br />
Bibliografia<br />
Clifford CA, Skorupski KA. Histiocytic Diseases. In: Withrow S, MacEwen E, eds. Small Animal Clinical<br />
Oncology, 4th ed. Philadelphia, PA: WB Saunders; 2007:814-823.<br />
Fulmer AK, Mauldin GE. Canine histiocytic neoplasia: An overview. Can Vet J 2007; 48:1041-1050.<br />
Moore PF. The histiocytic disease complex. Proceedings of American College of Veterinary Internal Medicine,<br />
annual meeting, June 9-12, 2004, Minneapolis, MN.<br />
Moore PF. The UC Davis Canine Histiocytic site. Histiocytic sarcoma and malignant histiocytosis. Available<br />
from: http://www.histiocytosis.ucdavis.edu/.<br />
Skorupski KA, et al. CCNU for the Treatment of Dogs with Histiocytic Sarcoma. J Vet Intern Med 2007;<br />
21:121-126.<br />
Indirizzo per la corrispondenza:<br />
Maurizio Annoni<br />
Clinica Veterinaria “M.E. Miller” - Via della Costituzione, 10 - 42025 Cavriago (RE)<br />
E-mail: annoni.maurizio@gmail.com<br />
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RADIOTERAPIA IN UN CASO DI MACROADENOMA IPOFISARIO<br />
IN UN CANE<br />
Elisa Antoniazzi 1 Med Vet; Raffaele Gilardini 2 Med Vet<br />
Roberto Martinengo 3 Med Vet, Spec. in Clinica Malattie dei Piccoli Animali<br />
1,2<br />
Liberi professionisti, Voghera<br />
3<br />
Libero professionista, Alessandria<br />
Introduzione. Si descrive il caso di un cane affetto da macroadenoma ipofisario<br />
trattato con radioterapia, per sottolinearne l’efficacia e la validità, nonostante<br />
le difficoltà logistiche, i rischi (anestesie ripetute in paziente anziano)<br />
ed i costi ragguardevoli.<br />
Descrizione del caso. Jonny, cane, meticcio, maschio, di 12 anni d’età, viene<br />
condotto alla visita per grave malessere generale ed ipertermia. L’anamnesi è<br />
di terapia con trilostano da due mesi per morbo di Cushing ipofisario diagnosticato<br />
con test di soppressione a basse dosi di desametazone. L’episodio acuto<br />
viene correlato a complicanza infiammatoria- infettiva, ma non si esclude<br />
una crisi addisoniana: viene sospeso il trilostano, senza evidenze (cliniche,<br />
monitoraggio P.S. urinario e cortisolo urinario) nei mesi successivi di recidiva<br />
del Cushing.<br />
Tre mesi dopo Jonny manifesta depressione progressiva del sensorio, anteropulsione,<br />
risposta depressa al test di minaccia bilateralmente, atassia, circling<br />
destro, tremori.<br />
La risonanza magnetica evidenzia una massa voluminosa estesa dalla fossa<br />
ipofisaria dorsalmente, che sulla base dei sintomi clinici viene ascritto ad un<br />
adenoma ipofisario.<br />
Viene proposta la terapia radiante, prima della quale risulta necessaria, dato<br />
l’aggravamento neurologico, una terapia cortisonica a dosaggio anti-infiammatorio.<br />
Il protocollo eseguito è di 16 trattamenti (uno al dì per cinque giorni alla settimana)<br />
per un totale di 48 Gray.<br />
A tre mesi dalla conclusione della radioterapia Jonny gode di buona salute. La<br />
terapia cortisonica, seppure a dosaggio minimo, è ancora in corso; si registrano<br />
aumento del peso corporeo e PU\PD, riferibili alla somministrazione di<br />
cortisone, ma non segni riferibili a Cushing.<br />
Discussione. In letteratura la terapia radiante per i macroadenomi ipofisari del<br />
cane si è rivelata efficace nel controllo dei segni neurologici correlati alle dimensioni<br />
della neoplasia, ma, al contrario che in medicina umana, non altrettanto<br />
dei sintomi relativi alla secrezione ormonale nei tumori ACTH-secernenti.<br />
È stata comunque evidenziata una prognosi migliore nei cani irradiati<br />
con macroadenoma secernente rispetto a quelli non. Nel cane, a differenza<br />
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dell’uomo, la prognosi dopo radioterapia non è correlata alla dimensione della<br />
neoplasia, ma piuttosto alla gravità delle manifestazioni neurologiche, con<br />
esito migliore in soggetti con segni non gravi. L’effetto della radioterapia è<br />
una riduzione progressiva delle dimensioni della neoplasia ipofisaria, che perdura<br />
anche 20 mesi.<br />
Sono registrati effetti collaterali acuti, in genere di modica entità e rapidamente<br />
reversibili, ed a lungo termine, invece gravi ed irreversibili. I primi<br />
comprendono lieve eritema e/o ipotricosi della zona irradiata, faringite, lieve<br />
otite esterna, raramente sonnolenza e ricomparsa dei segni neurologici 2 o 3<br />
settimane dopo la fine della terapia, con miglioramento spontaneo o secondario<br />
a somministrazione di corticosteroidi. A lungo termine (da mesi ad anni<br />
dopo il trattamento) sono descritti: depigmentazione localizzata del mantello,<br />
cheratocongiuntivite secca, danno vestibolare o del trigemino, sordità, necrosi<br />
e fibrosi cerebrale. L’incidenza di questi gravi effetti (3-5%) dipende dall’estensione<br />
del tessuto nervoso irradiato e dal protocollo utilizzato (incidenza<br />
minore con protocollo microfrazionato rispetto all’ipofrazionato).<br />
Nel nostro caso è stato utilizzato un protocollo microfrazionato, ben tollerato<br />
dal paziente tranne che per la prima seduta, alla quale è seguito un aggravamento<br />
neurologico, risolto con l’uso di corticosteroidi.<br />
Non sono stati segnalati altri effetti collaterali acuti; non è invece ancora possibile<br />
valutare eventuali effetti a lungo termine.<br />
Si prevede CT di controllo a sei mesi dalla radioterapia per monitorare le dimensioni<br />
della neoplasia.<br />
Bibliografia<br />
de Fornel P, Delisle F, et al. Effects of radioterhapy on pituitarycorticotroph macrotumors in dogs: a retrospective<br />
study of 12 cases. Can Vet J. 2007 May; 48(5): 481-6.<br />
Mayer MN, Treuil PL. Radiation therapy for pituitary tumors in the dog and cat. Can Vet J. 2007 Mar;<br />
48(3):316-8.<br />
Moore AS. Radiation therapy for the treatment of tumors in small companion animals. Vet J. 2002 Nov;<br />
164(3):176-87. Review.<br />
Behrend EN, Kemppainen RJ et al. Treatment of hyperadrenocorticism in dogs: a survey of internists and<br />
dermatologists. J Am Vet Med Assoc. 1999 Oct 1; 215(7):938-43.<br />
Brearley MJ,Jeffery ND, et al. Hypofractionated Radiation therapy of brain masses in dogs: a retrospective<br />
analysis of survival of 83 cases (1991 – 1996). J Vet Intern Med. 1999 Sep-Oct; 13(5):408-12.<br />
Theon AP, Feldman EC. Megavoltage irradiation of pituitary macrotumors in dogs with neurologic signs.<br />
J Am VetMedAssoc. 1998 Jul 15; 213(2):225-31.<br />
Goossens MM, Feldman EC, et al. Efficacy of cobalt 60 radiotherapy in dogs with pituitary-dependent<br />
hyperadrenocorticism. J Am Vet Med Assoc. 1998 Feb 1; 212(3):374-6.<br />
Indirizzo per la corrispondenza:<br />
Elisa Antoniazzi<br />
Presso Clinica Veterinaria “Città di Voghera”<br />
Via Cappelletta, 2 - 27058 VOGHERA (PV)<br />
Tel. e Fax 0383/367226 - E-mail: el.antoniazzi@libero.it<br />
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APPLICAZIONE DELLA CICLOFOSFAMIDE<br />
IN MODALITÀ METRONOMICA NEL TRATTAMENTO PALLIATIVO<br />
DI UN CASO DI MASTOCITOMA CUTANEO CANINO<br />
Nicoletta Bevere Med Vet, PhD,<br />
Specialista in Clinica e Patologia degli Animali d’Affezione<br />
Libero Professionista, Milano<br />
Introduzione. La ciclofosfamide, se somministrata in dosi più basse rispetto<br />
al suo tradizionale utilizzo e in modo continuativo nel tempo, manifesta<br />
un’azione antitumorale che sembra conseguenza di un’attività inibitoria sulla<br />
neoangiogenesi neoplastica. Tale modalità di utilizzo della ciclofosfamide,<br />
come di altri agenti citotossici, caratterizzata da bassi dosaggi e dall’assenza<br />
di lunghi intervalli tra un trattamento e l’altro, è nota con il nome di<br />
chemioterapia metronomica (CM). Nella Medicina Umana la CM rappresenta<br />
un possibile approccio terapeutico per la malattia oncologica avanzata<br />
e dal 2003 la ciclofosfamide in modalità metronomica è stata applicata<br />
nella terapia di varie tipologie istologiche differenti dal mastocitoma. In<br />
Medicina Veterinaria è scarsamente riportato sia il trattamento palliativo<br />
della recidiva di mastocitoma cutaneo, sia l’uso della ciclofosfamide in modalità<br />
metronomica, descritto recentemente nella terapia palliativa dell’emangiosarcoma<br />
canino.<br />
Nel cane il mastocitoma rappresenta il tumore più comune della cute ed è caratterizzato<br />
da possibili recidive locali e moderata tendenza a dare metastasi.<br />
Il suo comportamento clinico è correlato al grado istologico, tuttavia ne è ben<br />
documentato l’andamento imprevedibile soprattutto se riferito al grado II. In<br />
assenza di metastasi a distanza, il trattamento elettivo è chirurgico; la radioterapia<br />
è indicata per favorire il controllo locale dopo exeresi, mentre la chemioterapia<br />
è consigliata in presenza di metastasi a distanza e linfonodali, mastocitomi<br />
di terzo grado e mastocitomi multipli che non possano godere di approccio<br />
chirurgico.<br />
In questa sede viene riportato il caso di una recidiva di mastocitoma cutaneo<br />
canino di II grado trattato palliativamente con ciclofosfamide metronomica.<br />
Descrizione del caso. Un mastocitoma cutaneo canino di II grado, localizzato<br />
a livello di un arto posteriore di un cane di piccola taglia, è stato sottoposto<br />
nel 2003 a stadiazione clinica e ad exeresi, la quale ha prodotto margini<br />
infiltrati. Il soggetto, in previsione di una revisione chirurgica, è stato trattato<br />
per un mese con vinblastina (2,5 mg/m 2 e.v. ogni 7 giorni) e prednisone (1<br />
mg/kg a scalare). Al termine della terapia è venuto a mancare il consenso sia<br />
per la revisione chirurgica sia per la radioterapia successivamente proposta e,<br />
dopo 10 settimane dall’intervento, è stata evidenziata la recidiva locale della<br />
neoplasia.<br />
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È stato successivamente eseguito per 36 mesi un trattamento palliativo, utilizzando<br />
non continuativamente corticosteroidi (prednisone orale o triamcinolone<br />
intralesionale). Al termine di tale periodo la lesione, di circa 10 x 7<br />
cm, si dimostrava inequivocabilmente resistente ai corticosteroidi ed è stato<br />
deciso di sospendere ogni trattamento. Nel maggio 2007, dopo una nuova stadiazione<br />
clinica, è stato intrapreso il trattamento con ciclofosfamide metronomica<br />
(40 mg/m 2 ogni 48 ore per 6 mesi). Il farmaco ha determinato rapidamente<br />
la riduzione della lesione che, dopo il sesto mese di terapia, misurava<br />
circa 5 x 4 cm. Durante la chemioterapia il cane è andato incontro a tre diversi<br />
episodi di zoppia (sede algica a carico della III falange di tre diverse dita) risoltisi<br />
dopo antibioticoterapia ed imputati a sospette infezioni ungueali. Questi<br />
episodi, assieme ad una neutropenia lieve, sono stati considerati possibili<br />
effetti avversi del trattamento. Gli eventi avversi sono stati tutti classificati di<br />
grado 1 secondo VCOG-CTCAE.<br />
Discussione. Il mastocitoma cutaneo di questo soggetto, resistente ai corticosteroidi,<br />
si è dimostrato sensibile all’attività della ciclofosfamide metronomica<br />
in assenza di effetti collaterali gravi. La compliance del proprietario, molto<br />
scarsa nei confronti di altri interventi terapeutici (amputazione, radioterapia),<br />
è stata buona e il trattamento è stato giudicato positivamente per semplicità<br />
di esecuzione, costo e tollerabilità.<br />
Questa limitata e preliminare esperienza suggerisce che nella CM, analogamente<br />
a quanto rilevato nella Medicina Umana, esistano potenzialità che sarebbe<br />
interessante esplorare per poter disporre, quando altre modalità terapeutiche<br />
non siano indicate o non siano possibili, di un trattamento palliativo<br />
a basso costo e ben tollerato sia dal paziente sia dal proprietario.<br />
Bibliografia<br />
1. Emmenegger U Mol Cancer Ther. 2007 Aug;6(8):2280-9. Pharmacodynamic and pharmacokinetic<br />
study of chronic low-dose metronomic cyclophosphamide therapy in mice.<br />
2. Lana S. Continuous low-dose oral chemotherapy for adjuvant therapy of splenic hemangiosarcoma<br />
in dogs. J Vet Intern Med 2007, 21 (4): 764-769.<br />
3. Samaritani R BMC Cancer. 2007 Apr 15;7:65 Cyclophosphamide “metronomic” chemotherapy for<br />
palliative treatment of a young patient with advanced epithelial ovarian cancer.<br />
4. Thamm D. Mast Cell Tumors. In: Small Animal Clinical Oncology. 4th edn. Eds S.J. Withrow and<br />
E. G. MacEwen. W.B. Saunders, Philadelphia: 402-42.<br />
Indirizzo per la corrispondenza:<br />
Nicoletta Bevere<br />
Ambulatorio Veterinario Rucellai<br />
Via M. Lutero, 4 - 20126 Milano<br />
Tel. 02 2551224 - 328 8679239 - E-mail: n.bevere@infinito.it<br />
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A CASE OF COCCYGEAL CHONDROID CHORDOMA IN A CAT:<br />
CLINICAL AND HISTOPATHOLOGICAL FEATURES<br />
UN CASO DI CORDOMA DI TIPO CONDROIDE IN UN GATTO:<br />
ASPETTI CLINICI E ISTOPATOLOGICI<br />
Antonio Carminato 1 MedVet; Marta Vascellari 1 MedVet<br />
Franco Mutinelli 1 MedVet, Dipl ECVP<br />
1<br />
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Legnaro (PD), Italy<br />
Introduction. Chordoma is an uncommon neoplasm arising from remnants of<br />
notochord. Chondroid chordoma has been reported in rats, minks and ferrets<br />
(Dunn et al., 1991), mostly located on the tail. Few canine and only one feline<br />
cases of chordoma have been reported (Carpenter et al., 1990). A case of<br />
feline chondroid chordoma without recurrence after surgery is described.<br />
Case report. On August 2007, a 4-year-old, intact female, shorthair cat was<br />
examined by the referring <strong>veterinaria</strong>n for a 2.5 x 2 cm mass, developed beyond<br />
the last coccygeal vertebral segment 10 months before and recently fast<br />
growing. A complete physical examination excluded any further clinical alteration.<br />
Following the <strong>veterinaria</strong>n’s advice, the owner decided to have the<br />
mass removed. Apical caudectomy was performed with a 2 coccygeal vertebral<br />
surgical margin. The tissue was immediately fixed in 10% neutral buffered<br />
formalin, routinely processed and paraffin embedded, for histopathological<br />
examination. Histologically, a well demarcated nodular mass involving<br />
the last vertebral coccygeal segment and the surrounding subcutaneous tissue<br />
was detected. The nodule was composed of three components concentrically<br />
arranged: lobules of vacuolated polygonal cells (physaliferous cells) at the periphery,<br />
surrounding cartilage and a central core of trabecular bone which<br />
contained marrow and haematopoietic cells. The physaliferous cells were focally<br />
surrounded by a mucinous extracellular matrix that gradually differentiated<br />
into the cartilaginous zones. Periodic acid-Schiff (PAS) staining highlighted<br />
cartilage component of the tumour besides a small quantity of intense<br />
pink granules in the cytoplasm of the vacuolated cells. Negative staining with<br />
Oil-red-O performed on frozen sections of the tumour excluded the presence<br />
of adipocytes. Immunohistochemistry was performed on 3.5 mm tissue sections<br />
for the presence of keratin (CK AE1-AE3, Dako) and vimentin (V9, Dako)<br />
intermediate filaments, and S-100 protein (Dako). Immunohistochemical<br />
staining patterns were consistent with the results of previous studies of chordoma<br />
in various species. The tumour demonstrated dual expression of keratin<br />
and vimentin intermediate filaments. In details, the lobules of physaliferous<br />
cells were intensely and diffusely positive for cytokeratin, weekly and inconstantly<br />
positive for vimentin and S-100 protein. The presence of cytokeratin<br />
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clearly differentiated chordoma from chondrosarcoma. A diagnosis of chondroid<br />
chordoma was made. No recurrence of the tumour was present 5 months<br />
after surgery.<br />
Discussion. Chordoma is an uncommon neoplasm arising from remnants of<br />
notochord. The notochord defines the cranial-caudal axis of the embryo, induces<br />
the formation of the head and central nervous system and serves as an<br />
organizing development centre of the vertebral bodies and the basal portions<br />
of the sphenoid and occipital bones. The nucleus pulposus is believed to be<br />
the only derivative of notochordal tissue. Three distinct types are recognized<br />
in human beings: 1) the classic chordoma, 2) chondroid chordoma, and 3)<br />
chordoma with a malignant spindle cell component. The classic chordoma is<br />
a slow-growing, locally aggressive neoplasm with high rate of recurrence,<br />
particularly those of sacrococcygeal or vertebral origin, while chondroid<br />
chordoma arises primarily in the spheno-occipital region and is characterized<br />
by chondromatous and chordomatous features, showing a better prognosis<br />
compared to classic chordoma (Unni and Inwards 2000). Besides human<br />
being, chondroid chordoma has been reported in rats, minks and ferrets (Dunn<br />
et al., 1991), and is frequently located on the tail. Only one case of cervical<br />
non cartilaginous chordoma with metastasis to prescapular lymph nodes was<br />
reported in the cat (Carpenter et al., 1990). The feline case reported here<br />
shows histological characteristics similar to those of the chondroid chordoma<br />
described in ferret. It may be the greater degree of differentiation that accounts<br />
for its better prognosis when compared with classic chordoma. Only<br />
an accurate histological and immunohistochemical diagnostic approach allows<br />
a proper distinction of chondroid chordoma from other tumours of the<br />
tail with cartilaginous differentiation.<br />
References<br />
1. Dunn DG, Harris RK, Meis JM, Sweet DE 1991 A histomorphologic and immunohistochemical<br />
study of chordoma in twenty ferrets (Mustela putorius furo). Vet Pathol 28: 467-473.<br />
2. Carpenter JL, Stein BS, King NW Jr, Dayal YD, Moore FM 1990 Chordoma in a cat. J Am Vet Med<br />
Assoc 197: 240-242.<br />
3. Unni KK, Inwards CY 2000 Tumors of the osteoarticular system. In Fletcher CDM Ed. Diagnostic<br />
Histopathology of Tumors, 2nd ed., pp. 1584-1585. Churchill Livingstone, London.<br />
Corresponding author:<br />
Antonio Carminato<br />
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie<br />
Viale dell’Università, 10 - 35020 Legnaro (PD), Italy<br />
Phone ++39 049 8084260 - Fax ++39 049 8084258 - E-mail: acarminato@izsvenezie.it<br />
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UN TUMORE PERIANALE IN UN CANE…<br />
NON IL SOLITO ADENOMA!<br />
Alfredo Dentini 1 Med Vet; Selina Iussich 2 Med Vet<br />
Elvio Lepri 3 Med Vet, PhD, Dipl ECVP; Luigi Settimi 4 Med Vet<br />
Paolo Buracco 5 Prof. Ord. Clinica Chir. Vet. Dipl ECVS<br />
1<br />
Libero professionista, Clinica Veterinaria Tyrus (Terni)<br />
2,5<br />
Dip. Patologia Animale, Facoltà di Med. Vet. Grugliasco (Torino)<br />
3<br />
Dip. Scienze Biopatologiche Veterinarie, Facoltà di Med. Vet. Perugia<br />
4<br />
Libero professionista, Todi (PG)<br />
Introduzione. I tumori perianali canini originano prevalentemente dalle<br />
ghiandole epatoidi circumanali o dalle ghiandole apocrine dei seni paranali. I<br />
primi sono per lo più adenomi (58-96% dei tumori paranali), più raramente<br />
adenocarcinomi (3-21%). Questi ultimi sono localmente aggressivi, le metastasi<br />
sono rare (15% dei casi), tardive ed associate a tumori di grandi dimensioni.<br />
Al contrario gli adenocarcinomi apocrini dei sacchi sviluppano metastasi<br />
frequenti e precoci, associate a tumori primari anche di piccole dimensioni,<br />
talora difficilmente evidenziabili. La terapia è prevalentemente chirurgica,<br />
mentre la chemioterapia è riportata in modo anedottico.<br />
Descrizione del caso. Cocker Americano maschio intero di 12 anni presentato<br />
per diarrea acuta e depressione. La visita clinica evidenziava dolore addominale<br />
associato alla presenza di una massa addominale a contorni irregolari;<br />
nella regione perianale si evidenziavano due piccoli noduli di 5-7 mm di diametro<br />
ed un ispessimento irregolare del sacco anale di sinistra.<br />
L’esame ultrasonografico dell’addome evidenziava una neoformazione “complex<br />
mass” a margini irregolari, multilobata, con diametro maggiore di 6 cm,<br />
topograficamente localizzata nella sede dei linfonodi iliaci.<br />
L’esame citologico eseguito per FNA dai noduli perianali evidenziava una popolazione<br />
di cellule aggregate in clusters con prevalente citoarchitettura papillare<br />
e rari clusters con sovrapposizione cellulare e disposizione caotica. Alcuni<br />
clusters apparivano organizzati attorno a strutture endoteliali. Le cellule<br />
erano grandi (30-40 micron), di forma rotondeggiante con margini cellulari<br />
definiti, citoplasma granulare basofilo, nucleo centrale con piccoli nucleoli,<br />
media anisocitosi ed anisomacrocariosi. Il quadro citologico era compatibile<br />
con neoplasia delle ghiandole epatoidi ben differenziata con modici criteri di<br />
atipia. Si eseguiva poi un agoaspirato dalla neoformazione addominale, il cui<br />
quadro citologico era sovrapponibile al precedente, con alcuni campi caratterizzati<br />
da criteri di atipia ancor meno spiccati. La stadiazione del tumore con<br />
esame radiografico del torace in tre proiezioni e TAC escludeva metastasi toraciche<br />
ed evidenziava lo stretto contatto della neoformazione addominale<br />
con i grandi vasi che apparivano compressi ma non infiltrati. In considerazio-<br />
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ne di questo venne ritenuta possibile, sebbene con prognosi riservata, l’asportazione<br />
della neoformazione addominale contestualmente ai noduli perianali<br />
e ad entrambi i sacchi paranali. Si istituiva inoltre un protocollo chemioterapico<br />
neoadiuvante con Doxorubicina (1 mg/kg, giorno 1) e Carboplatino (150<br />
mg/m 2 , giorno 2), seguito da tre cicli adiuvanti ogni 21 giorni.<br />
A distanza di 12 giorni dal primo ciclo di chemioterapia si effettuava un’ecografia<br />
addominale di controllo che evidenziava la riduzione del diametro maggiore<br />
della massa da 6 a 4 cm. La chirurgia, effettuata in quarta settimana, era<br />
suddivisa in due fasi: escissione marginale dei sacchi anali e dei noduli perianali<br />
con margine non superiore a 0,5 cm per salvaguardare lo sfintere; celiotomia<br />
con accurato scollamento della massa (presumibilmente un linfonodo iliaco<br />
mediale) posta tra le 4 iliache ed adesa anche all’uretere; l’asportazione di<br />
tale massa era assolutamente marginale, con residuo di minuscoli frammenti di<br />
neoplasia adesi alla parete delle arterie; la rimozione non si associava ad alcuna<br />
complicanza intraoperatoria ed il decorso post-operatorio era regolare.<br />
L’esame istopatologico evidenziava aspetti sovrapponibili in tutti i campioni<br />
(noduli perianali, sacchi paranali e linfonodo) rappresentati da crescita infiltrativa<br />
di una popolazione monomorfa di cellule epatoidi con criteri variabili di atipia<br />
e pleomorfismo. Si emetteva pertanto la diagnosi di adenocarcinoma metastatico<br />
delle ghiandole epatoidi. Il ciclo chemioterapico era ripetuto 6 giorni dopo<br />
la chirurgia. Il follow-up complessivo, ad oggi, è di 45 giorni e l’animale è<br />
tuttora in vita, in ottima salute e senza segni di metastasi o recidiva locale.<br />
Discussione. Il caso in questione ci è sembrato interessante per diversi aspetti.<br />
Innanzitutto la rarità degli adenocarcinomi delle ghiandole epatoidi con metastasi<br />
linfonodali, presentazione molto più comune per i tumori delle ghiandole<br />
dei sacchi paranali; i sacchi paranali risultavano inoltre ispessiti ed infiltrati<br />
dal tumore delle ghiandole epatoidi, complicando ancor più la diagnosi<br />
differenziale tra le due neoplasie, tuttavia agevolmente chiarita dall’esame citologico<br />
ed istologico delle masse primarie e della metastasi addominale.<br />
Un altro aspetto degno di nota è l’applicazione di un protocollo chemioterapico<br />
neoadiuvante, esitato in una sensibile riduzione delle dimensioni della<br />
massa addominale che ne ha reso l’asportazione chirurgica più agevole.<br />
Bibliografia<br />
Withrow SJ e Vail DM. Withrow & MacEwen’s Small Animal Clinical Oncology. 4th ed. Saunders St.<br />
Louis, 2007.<br />
Vail DM, Withrow SJ, Schwarz PD et al.; Perianal adenocarcinoma in the canine male: a retrospective<br />
study of 41 cases. JAAHA 26: 329-334, 1990.<br />
Indirizzo per la corrispondenza:<br />
Alfredo Dentini<br />
Clinica Veterinaria Tyrus - Via del Lanificio, 9/a - 05100 Terni<br />
Tel. e Fax 0744 425003 - E-mail: alfredo.dentini@tele2.it<br />
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UN CASO DI MELANOMA MALIGNO CUTANEO<br />
CON METASTASI A LIVELLO OSSEO E POLMONARE IN UN GATTO<br />
Guido Filomarino 1 Med Vet; Giovanni Tortorella 2 Med Vet<br />
1<br />
Libero Professionista, Barletta<br />
2<br />
Servizio Sanità Animale ASL, Lecce<br />
Introduzione. Il melanoma maligno cutaneo è una neoplasia rara nel gatto. È<br />
più frequente nei gatti anziani e si localizza prevalentemente a livello del padiglione<br />
auricolare o alla base dell’orecchio, nella regione frontale, sul naso e<br />
alle estremità distali degli arti. Può avere aspetto, colore e dimensioni variabili<br />
e può presentarsi anche ulcerato. Ha un elevato grado di malignità e tende<br />
a metastatizzare a livello di linfonodi regionali, polmone e altri organi. La<br />
morfologia cellulare è altrettanto variabile e ne sono stati descritti 5 tipi (epitelioide,<br />
a cellule fusate, misto, con cellule a castone e balloniforme). La prognosi<br />
è spesso infausta per l’alto tasso metastatico e la frequenza delle recidive<br />
locali.<br />
Descrizione del caso. Ketty, gatto europeo femmina sterilizzata di 15 anni,<br />
viene condotta a visita per disoressia, debolezza, poliuria/polidipsia. Diciotto<br />
mesi prima era stata sottoposta a conchectomia per l’asportazione di una neoplasia<br />
cutanea bottoniforme, di circa 1,5 cm, al margine mediale del padiglione<br />
auricolare sinistro, presente da almeno un anno, gradualmente aumentata di<br />
volume e infine ulceratasi. I proprietari rifiutarono qualsiasi indagine collaterale<br />
volta alla stadiazione del tumore e pretesero esclusivamente l’escissione<br />
chirurgica. L’esame citologico era compatibile con melanoma. L’esame istologico<br />
della neoformazione, asportata con margini liberi, confermò il sospetto citologico<br />
di melanoma. Trattavasi di un melanoma pigmentato, con prevalente<br />
morfologia epitelioide, con spiccato epidermotropismo (evidente attività giunzionale<br />
- melanoma composto) fino all’ulcerazione, infiltrante la cartilagine<br />
della pinna. Mitosi 6 - 7 x 10 HPF. Si osservavano cellule giganti e nuclei atipici<br />
e irregolari con grosso nucleolo centrale e mitosi atipiche. In alcune aree<br />
le cellule neoplastiche assumevano aspetto balloniforme. All’esame citologico<br />
i linfonodi regionali risultarono apparentemente indenni.<br />
Alla seconda presentazione la paziente appare in scadente stato di nutrizione,<br />
disidratata e dispnoica. All’esame radiologico del torace si riscontrano noduli<br />
polmonari multipli compatibili con neoplasia metastatica. Vengono inoltre<br />
evidenziate lesioni ossee litiche a carico della vertebra L3 e del terzo distale<br />
della diafisi femorale destra. Gli esami di laboratorio mostrano lieve iperfosfatasemia<br />
e lieve ipercalcemia, urine ipostenuriche. Dopo alcuni giorni di terapia<br />
medica, la gatta manifesta paraplegia ed i proprietari optano perciò per<br />
l’eutanasia. All’esame necroscopico si rinvengono una neoformazione ovalare<br />
di colore grigiastro, a superficie regolare, adesa alla faccia mediale del ter-<br />
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zo distale della diafisi femorale dx, e una neoformazione simile a localizzazione<br />
paravertebrale lombare sinistra. A carico dei polmoni si evidenziano numerose<br />
lesioni nodulari di colore nero e dimensioni variabili, mentre in cavità<br />
addominale non sono rilevabili lesioni macroscopiche. L’esame istologico<br />
ha confermato la presenza di metastasi multiple di melanoma negli organi con<br />
lesioni macroscopiche evidenti.<br />
Discussione. In letteratura sono rare le segnalazioni di metastasi ossee da<br />
melanoma maligno cutaneo, tumore di per sé poco comune nel gatto. Il caso<br />
qui presentato è parso interessante per la localizzazione ossea multipla<br />
delle metastasi.<br />
Bibliografia<br />
1. van der Linde-Sipman JS, et al. Cutaneous malignant melanomas in 57 cats: identification of (amelanotic)<br />
signet-ring and balloon cell types and verification of their origin by immunohistochemistry,<br />
electron microscopy, and in situ hybridization. Vet Pathol 34:31-38, 1997.<br />
2. Luna LD, et al. Feline non-ocular melanoma: a retrospective study of 23 cases (1991-1999). J Feline<br />
Med Surg 2:173-181, 2000.<br />
3. Ramos-Vara JA, et al. Melan A and S100 protein immunohistochemistry in feline melanomas: 48 cases.<br />
Vet Pathol 39:127-132, 2002.<br />
4. Smith SH, et al. A comparative review of melanocytic melanomas. Vet Pathol 39: 651-678, 2002.<br />
5. Goldschmidt M. H. and Shofer F.S., Skin tumors of the dog and cat. Pergamon press. 1992.<br />
6. Gross T.L., et al. Skin disease of the dog and the cat. Clinical and histopathologic diagnosis. II ed.<br />
Blackwell 2005.<br />
7. Goldschmidt M.H., et al. WHO International histological classification of tumors of domestic animals<br />
II series. Vol. III. 1998.<br />
Indirizzo per la corrispondenza:<br />
Guido Filomarino<br />
Via Boccaccio, 23 - 70051 Barletta(BA)<br />
Tel. 0883 533000 - 3407749869 - E-mail: guidofilomarino@libero.it<br />
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LEIOMIOSARCOMA EPIPLOICO IN UNO YORKSHIRE TERRIER<br />
Luca Lideo Med Vet; Roberto Milan Med Vet;<br />
Giuliana Bonetti Med Vet; Ermenegildo Baroni Med Vet<br />
Clinica Veterinaria Baroni, Rovigo<br />
Introduzione. La degenerazione neoplastica maligna delle cellule della muscolatura<br />
liscia viene definita con il nome di leiomiosarcoma; questa patologia,<br />
nella specie canina, viene sovente descritta a carico del tratto gastrointestinale,<br />
con coinvolgimento di stomaco, digiuno e cieco, oppure a carico di<br />
milza e fegato.<br />
La localizzazione omentale di questo tipo di tumore viene considerata un<br />
evento raro e soprattutto viene descritto come sito metastatico di lesioni primarie<br />
agli organi elencati sopra.<br />
Descrizione del caso. Questo lavoro descrive il caso di un leiomiosarcoma<br />
epiploico repertato in uno Yorkshire Terrier maschio di sette anni, del peso di<br />
9,2 kg.<br />
Alla visita clinica il cane presentava abbattimento, anoressia, normotermia e<br />
addome gonfio. L’esame radiografico addominale evidenziava perdita di dettaglio,<br />
indice di probabile presenza di versamento addominale. Gli esami<br />
ematochimici e delle urine rivelavano la presenza di infiammazione (WBC<br />
25,47, NEU 20,12), ipoproteinemia (3,1 g/dl) ipoalbuminemia (1,57 g/dl) ipocalcemia<br />
(5,3 mg/dl) diminuzione dell’ALT (11 U/l) aumento della GGT (10<br />
U/l), iperamilasemia (2842) ed alcalosi ipercloremica, PU/CU urinario iniziale<br />
di 3,71 e di 0,19 tre giorni dopo. L’esame del sedimento urinario non era<br />
indicativo di patologia specifica. L’elettroforesi urinaria indicava una marcata<br />
proteinuria mista glomerulare e tubulare al momento del ricovero e bande<br />
appena visibili alle dimissioni a conferma di una nefropatia proteino-disperdente<br />
che causava l’ipoproteinemia.<br />
L’esame ecotomografico addominale permetteva di individuare una massa<br />
delle dimensioni di 0,7 cm posteriormente al rene destro; al controllo eseguito<br />
il giorno successivo la stessa massa è stata identificata dietro al rene sinistro.<br />
L’ecografia confermava inoltre la presenza di un versamento cavitario,<br />
aspirato per via percutanea. L’esame del liquido addominale era compatibile<br />
con un trasudato e la valutazione citologica non era significativa di patologia<br />
specifica. Dopo aver corretto la disprotidemia e iniziato una terapia antibiotica<br />
ad ampio spettro il paziente è stato dimesso in prognosi riservata in attesa<br />
della risposta dell’esame istologico eseguito su biopsia ottenuta con ago-trucut<br />
percutanea, eco-guidata, della massa.<br />
A distanza di venti giorni il paziente è stato ricoverato per recidiva dei sintomi<br />
iniziali. L’esito dell’esame istologico diagnosticava la presenza di un leiomiosarcoma<br />
omentale ad alta capacità infiltrativa. Di fronte alla mancata vo-<br />
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lontà di eseguire una laparotomia esplorativa ed alle condizioni generali scadenti<br />
del cane, è stata richiesta da parte del proprietario l’eutanasia ed è stata<br />
rifiutata la necroscopia.<br />
Discussione. La diagnosi di Leiomiosarcoma omentale ha permesso di comprendere<br />
perché tale massa si presentava in posizioni differenti ai controlli<br />
ecografici.<br />
La biopsia eco guidata, si è rivelata una tecnica diagnostica efficace in quanto,<br />
nella letteratura consultata, le diagnosi di leiomiosarcoma sono state fornite<br />
in seguito a laparotomia esplorativa o a necroscopia. Nel nostro caso invece<br />
la tecnica percutanea ha permesso di fornire una diagnosi, pur con le difficoltà<br />
di campionare una massa che non aveva una localizzazione fissa, evitando<br />
di dover sottoporre a laparotomia esplorativa un paziente disprotidemico.<br />
L’assenza di altre anomalie e la descrizione istopatologica ci fanno ritenere<br />
che il sito primario di formazione di questa neoplasia possa essere stato<br />
proprio l’omento, anche se la bibliografia consultata riporta tale sede solo per<br />
metastasi. Siamo coscienti che la mancanza di un esame necroscopico non<br />
permette di escludere la presenza di metastasi non ancora visibili con l’ausilio<br />
dei comuni mezzi diagnostici. Tuttavia, recentemente nel cavallo è stato<br />
decritto un caso di leiomioma localizzato al solo omento senza il coinvolgimento<br />
di altri organi addominali a conferma che anche nel nostro caso possa<br />
trattarsi della versione maligna dello stesso processo neoplastico con sito primario<br />
atipico rispetto alle comuni descrizioni.<br />
Bibliografia<br />
1. Swamm H.M., Holt D.E., Canine gastric adenocarcinoma and leiomyosarcoma: a retrospective studyof<br />
21 cases (1986-1999) and literature review, JAAHA, 2002; 38 (2): 157-164.<br />
2. Kapatkin A.S., Mullen H.S., Matthiesen D.T., Patnaik A.K., Leiomyosarcoma in dogs:44 cases<br />
(1983-1988), JAVMA, 1992; 201 (7): 1077-1079.<br />
3. Sato K., Hikasa Y., Morita T., Shimada A., Ozaki K., Kagota K, Secondary erythrocytosis associated<br />
with high plasma erythropoietin concentrations in a dog with cecal laiomyosarcoma, JAVMA, 2002;<br />
220 (4): 486-490.<br />
4. Schaudien D., Muller J.M.V., Baumgartner W., Omental Leyomioma in a male adult Horse, Vet Pathol,<br />
2007, 44:722-726.<br />
5. MacEwen E.G., Powers B.E., Macy D., Withrow S.J., Small animal clinical oncology, Cap 17,<br />
2001, 287.<br />
6. Kirpensteijn J., Rutteman G.R., BSAVA manual of canine and feline oncology, Cap 16, 2003, 201.<br />
Indirizzo per corrispondenza:<br />
Luca Lideo<br />
Clinica Veterinaria Baroni<br />
Via Martiri di Belfiore, 69/D - 45100 Rovigo<br />
Tel. 0425/471076 - 0425/404918<br />
E-mail: lucalideo@clinica<strong>veterinaria</strong>baroni.com - www.clinica<strong>veterinaria</strong>baroni.com<br />
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LIMB-SPARING IN CASO DI OSTEOSARCOMA ULNARE DISTALE<br />
MEDIANTE ULNECTOMIA E PANARTRODESI CARPICA: 5 CASI<br />
Federico Massari 1 MedVet; Giorgio Romanelli 2 Med Vet, Dipl ECVS<br />
1,2<br />
Libero professionista, Clinica Veterinaria Nerviano, Nerviano (MI)<br />
Scopo del lavoro. Le tecniche di limb-sparing prevedono l’uso di un allotrapianto<br />
(congelato o irradiato), di osso autologo pasteurizzato, tecniche di distrazione-fusione,<br />
autotrapianto vascolarizzato ed impianto metallico 2 . Segnalazioni<br />
di ulnectomia rimangono casi isolati, viste anche le complicanze<br />
anatomiche post-intervento che generano instabilità articolare in caso di<br />
asportazione del processo stiloide ulnare. Lo scopo è quello di valutare complicanze<br />
peri e post-operatorie e stile di vita di cani trattati per osteosarcoma<br />
di ulna distale mediante ulnectomia e artrodesi antebrachiocarpica.<br />
Materiali e Metodi. Cinque cani con neoplasia ossea primaria di ulna distale<br />
riscontrata radiograficamente e diagnosticata istologicamente. Tutti sono<br />
stati stadiati mediante emogramma, esame biochimico completo, esame delle<br />
urine ed Rx torace in 2 proiezioni laterali. In 2 pazienti è stato eseguito un<br />
esame TC total body. Il segmento osseo interessato è stato sottoposto ad esame<br />
Rx in 2 proiezioni ortogonali e, in 2 casi, a TC con ricostruzione assiale,<br />
MPR e 3D.<br />
Di ogni paziente sono stati presi in considerazione razza, sesso, età, peso,<br />
estensione neoplastica, stadio TNM, percentuale di ulna asportata, interessamento<br />
radiale, lunghezza della placca, numero di viti utilizzate, istotipo, tipo<br />
di trattamento chemioterapico postoperatorio, giorni senza carico dell’arto,<br />
qualità di vita e uso dell’arto, eventuali complicanze, recidiva locale e sopravvivenza.<br />
I pazienti sono stati posizionati in decubito dorso-laterale. Cute<br />
e sottocute sono stati incisi sulla faccia dorso-laterale dal gomito fino all’articolazione<br />
metacarpofalangea e separati dal piano muscolare sottostante per<br />
via smussa; i tessuti molli sono stati scollati fino a raggiungere la pseudocapsula<br />
tumorale prestando attenzione a non penetrare il tumore. Mediante l’utilizzo<br />
di una sega oscillante si è eseguita una osteotomia 3-5 cm prossimalmente<br />
al margine neoplastico radiografico prossimale (quando possibile distalmente<br />
al legamento interosseo) ed incisa, distalmente, la capsula articolare,<br />
mantenendosi vicino alla fila prossimale delle ossa carpali. Se la neoplasia<br />
è risultata tomograficamente o visivamente estesa medialmente si è proceduto<br />
alla osteotomia sagittale della corticale radiale interessata. L’avambraccio<br />
è stato quindi stabilizzato con una fissazione compressiva, usando una<br />
placca DCP da 3,5 mm sul radio e sul 3° osso metacarpale appena prossimalmente<br />
all’articolazione metacarpofalangea. Lavata la ferita, si è proceduto alla<br />
sutura per piani previa applicazione di un drenaggio in aspirazione attiva.<br />
È stato quindi applicato un bendaggio rigido per 45 giorni.<br />
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Risultati. Sono stati trattati 2 Labrador, 1 Rottweiler, 1 Maremmano e 1 Boxer,<br />
4 maschi ed 1 femmina tra 1 e 8 anni, e fra 28 e 46 kg. Tutti senza metastasi<br />
polmonari evidenti ed in stadio T 2 N 0 M 0 . La neoplasia occupava dal 29,4<br />
al 35,3% dell’osso. La percentuale di ulna asportata è risultata essere tra 53,7<br />
e 69,8%, con osteotomia sagittale della corticale radiale (21,2 e 63,9%) in 2<br />
pazienti. Il numero di viti utilizzate è stato tra 6 e 8 per il radio e tra 5 e 6 per<br />
il carpo-metacarpo, variando in totale da 12 (4 casi) a 13 (1). La lunghezza<br />
della placca è variata da 12 a 18 fori. Istologicamente sono risultati 4 OSA<br />
osteoblastico e 1 OSA teleangectasico tutti asportati con margini istologici<br />
considerati indenni. In 4 pazienti è stato usato un protocollo chemioterapico<br />
adiuvante: 2 con cisplatino (70 mg/m 2 ogni 3 settimane) e 2 con cisplatino (50<br />
mg/m 2 ) e doxorubicina (15 mg/m 2 ). In un caso la chemioterapia è stata rifiutata<br />
dal proprietario.<br />
I pazienti hanno riguadagnato l’appoggio già il giorno dopo l’intervento senza<br />
alcun sintomo di dolorabilità e buon movimento. Non si sono riscontrate<br />
complicanze post-operatorie. In nessun paziente è stata rimossa la placca.<br />
In un caso (l’unico non trattato chemioterapicamente) c’è stata recidiva locale.<br />
I giorni di sopravvivenza sono variati da 80 a 1860 (media 568, mediana 200).<br />
Conclusioni. Visti gli ottimi risultati funzionali, senza le complicanze da utilizzo<br />
di materiale estraneo, oltre all’eccellente qualità di vita nel peri e postoperatorio,<br />
anche a lungo termine, la tecnica di limb-sparing con artrodesi metacarpale<br />
in caso di neoplasia ossea primaria dell’ulna distale risulta la tecnica<br />
chirurgica d’elezione.<br />
Bibliografia<br />
1. Straw, Withrow, Powers: Primary osteosarcoma of the ulna in 12 dogs; JAAHA 1991 May-June,<br />
Vol. 27.<br />
2. Dernell WS, Ehrhart NP, Straw RC, Vail DM Tumors of the skeletal system in Withrow - Vail Small<br />
Animal Clinical Oncology IV ed. pag 540-582 Saunders Ed.<br />
Indirizzo per la corrispondenza:<br />
Federico Massari<br />
Clinica Veterinaria Nerviano - 20014 Nerviano (MI)<br />
Tel. 0331415263 - Fax 0331415369 - E-mail: fidomas@hotmail.com<br />
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ADENOCARCINOMA TIROIDEO NEL GATTO:<br />
PRESENTAZIONE DI UN CASO CLINICO<br />
Paola Modesto 1 Med Vet<br />
Paolo Buracco 2 Prof Ord Clin Chir Vet Dipl ECVS<br />
Alessandra Ratto 3 Med Vet; Angelo Ferrari 4 Med Vet<br />
1,3,4<br />
Centro di Referenza <strong>Nazionale</strong> per l’<strong>Oncologia</strong> Veterinaria e<br />
Comparata (CEROVEC), Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte,<br />
Liguria e Valle d’Aosta, Sez. Genova<br />
2<br />
Dip. di Patologia Animale, Facoltà di Medicina Veterinaria, Grugliasco (TO)<br />
Introduzione. I tumori della tiroide sono le neoplasie endocrine più diffuse<br />
nel gatto, osservate generalmente in soggetti anziani, senza predisposizione di<br />
razza o sesso. Nella maggioranza dei casi sono adenomi, spesso bilaterali (70-<br />
80%), ormonosecernenti, associati ad ipertiroidismo. Nel 3-5% dei casi questa<br />
condizione è riferibile ad adenocarcinoma, con comportamento aggressivo<br />
e tendenza a metastatizzare ai linfonodi regionali e/o a distanza in meno<br />
del 50% dei casi. Le neoplasie funzionali possono essere escisse chirurgicamente<br />
o controllate con farmaci antitiroidei.<br />
Descrizione del caso<br />
Segnalamento. Gatto europeo maschio castrato di 13 anni.<br />
Anamnesi recente. Portato alla visita clinica dopo rilevamento di un nodulo di<br />
1,6 cm nella porzione ventrale del collo, destro, solido, non dolente, mobile,<br />
palpabile solo dopo estensione dorsale. Da 1 mese presentava alterazioni<br />
comportamentali (iperattività, eliminazione inappropriata, toelettatura eccessiva,<br />
lieve polifagia e polidipsia).<br />
Esame fisico. A parte il rilievo della massa, non si riscontravano ulteriori<br />
anomalie.<br />
Approfondimenti diagnostici. Il gatto veniva sottoposto a: a) biopsia ad ago sottile<br />
della massa ed esame citologico; b) esame emocromocitometrico e profilo biochimico;<br />
c) dosaggio del T4, d) esame radiografico del torace nelle 3 proiezioni,<br />
e) esame ecografico dell’addome, e f) scintigrafia tiroidea. Citologicamente si evidenziava<br />
l’origine tiroidea della lesione, con presenza di clusters riferibili ad adenoma<br />
ed altri con caratteristiche border-line. I valori di ALT, AST e γ-GT erano<br />
superiori al range; il T4 risultava elevato (7 µg/dl, valori di riferimento 1,5-5,0<br />
µgr/dl). La scintigrafia rivelava un’area con margine ventrale disomogeneo avida<br />
di radiofarmaco nella regione ventrale destra del collo, con rapporto di counts<br />
5,5:1 con la ghiandola salivare ipsilaterale. Non si notavano tessuti avidi di tecnezio<br />
metastatici o ectopici. L’esame radiografico non rilevava immagini anomale.<br />
Diagnosi. ipertiroidismo secondario a nodulo monolaterale destro.<br />
Terapia. Si instaurava una terapia con metimazolo: 2,5 mg BID, poi ridotto a<br />
1,25 mg BID per 1 mese. Comparsa di anoressia e letargia marcate. In consi-<br />
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derazione dei pesanti effetti collaterali della terapia e delle indicazioni apportate<br />
dalla scintigrafia (assenza di tessuto tiroideo funzionale ectopico e presenza<br />
di un solo lobo tiroideo ormonoattivo) si procedeva all’asportazione del lobo<br />
destro, avvenuta senza complicanze. Dopo l’intervento i valori di T4 scendevano<br />
sotto il range e tornavano nella norma nei 2 mesi successivi (T4 1,48 µg/dl);<br />
la normalizzazione clinica si verificava nell’arco delle prime due settimane.<br />
Diagnosi istologica. Carcinoma tiroideo a prevalente struttura follicolare costituito<br />
da cellule colonnari con nuclei polimorfi, occasionalmente in mitosi.<br />
Follow-up. A 18 mesi dalla chirurgia il soggetto è in buone condizioni e non<br />
manifesta segni clinici ascrivibili ad ipertiroidismo; tutti i test di laboratorio<br />
(compreso il T4) risultano nella norma. Normali anche l’esame radiografico<br />
del torace e l’ecografia dell’addome.<br />
Discussione. Prima del 1980 l’ipertiroidismo era scarsamente diagnosticato;<br />
oggi è una delle più comuni malattie endocrine del gatto adulto. L’apparente incremento<br />
dell’incidenza, almeno in Italia, potrebbe essere correlata all’aumento<br />
dei gatti anziani visitati, all’uso routinario dei test di valutazione della funzionalità<br />
tiroidea, al riconoscimento più agevole dell’ipertiroidismo da parte dei<br />
clinici. Nel registro tumori animali del CEROVEC su 3479 neoplasie feline<br />
(2811 maligne), sono presenti 9 tumori tiroidei, di cui 6 maligni, 4 risalenti agli<br />
ultimi 5 anni. Poiché i dati in letteratura sono limitati, sorge il dubbio che le basse<br />
percentuali riportate siano dovute alle scarse indagini cliniche e alle anche<br />
più esigue escissioni chirurgiche condotte fino ad oggi. La possibilità di trattare<br />
i soggetti con farmaci che, pur non rallentando la crescita tumorale, riescono<br />
a controllare i sintomi, influisce sulla reale incidenza della malattia visto che la<br />
supposta origine benigna della lesione fa spesso optare i proprietari per il non<br />
intervento. L’asportazione precoce di masse secernenti unilaterali accertate con<br />
l’esame scintigrafico potrebbe al contrario rivelarne la reale natura benigna vs.<br />
maligna e modificare i dati riguardanti la tendenza alla metastatizzazione.<br />
Bibliografia<br />
Capen C.C, Tumors of the endocrine glands. In: Tumors in Domestic Animals. Ed. D.J. Meuten, 4th edition.<br />
Iowa State Press, Ames, IA 2002. pag. 607-696.<br />
Marconato L., Tumori endocrini. In: Marconato L., Del Piero F. <strong>Oncologia</strong> medica dei piccoli animali. Ed<br />
Poletto, 2005 pag. 383-429.<br />
Turrel JM et al. Thyroid carcinoma causing hyperthyroidism in cats: 14 cases (1981-1986). JAVMA 1988<br />
Aug 1; 193(3):359-64.<br />
Buracco P. Tumori tiroidei del gatto. In <strong>Oncologia</strong> del cane e del gatto, a cura di Romanelli G, Elsevier<br />
Masson, 2007, pp. 392-4.<br />
Indirizzo per la corrispondenza:<br />
Paola Modesto<br />
Centro di Referenza <strong>Nazionale</strong> per l’<strong>Oncologia</strong> Veterinaria e Comparata (CEROVEC),<br />
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Sez. Genova<br />
P.zza Borgo Pila, 39/24 - 16129 Genova<br />
Tel. 010542274 - Fax 010566654 - E-mail: cerovec@izsto.it<br />
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LOCALIZZAZIONE CONGIUNTIVALE DI TUMORE VENEREO<br />
TRASMISSIBILE (TVT): SEGNALAZIONE DI UN CASO CLINICO<br />
Annalisa Nieddu 1 Med Vet; Maria Pia Pasolini 1 Med Vet, Phd<br />
Orlando Paciello 2 Med Vet, Phd; Barbara Lamagna 1 Med Vet, Phd<br />
Luigi Navas 1 Med Vet, Phd; Francesco Lamagna 1 Med Ve<br />
1<br />
Dipartimento di Scienze Cliniche Veterinarie, Sezione di Clinica Chirurgica,<br />
Università degli Studi di Napoli “Federico II”<br />
2<br />
Dipartimento di Patologia e Sanità Animale, Settore di Anatomia Patologica,<br />
Università degli Studi di Napoli “Federico II”<br />
Introduzione. Il TVT è una neoplasia del cane di origine istiocitaria, con localizzazione<br />
prevalente a carico dei genitali esterni. Tale neoplasia rappresenta<br />
l’unico esempio di tumore spontaneo contagioso trasmesso per via sessuale<br />
1 ; essa può essere trasmessa, inoltre, tramite lambimento o contatto diretto<br />
della massa neoplastica con le mucose (genitale, orale, oculare, nasale) 1,2,3 .<br />
Il TVT è una neoplasia maligna che tende raramente a metastatizzare, con<br />
modalità ancora non note, per lo più nei soggetti immunocompromessi 1,2,3,4 .<br />
Le localizzazioni extragenitali, in assenza di lesioni genitali primarie, sono rare<br />
e sono state segnalate a livello cutaneo, nasale ed oculare 3,4,5,6,7,8,9,10,11 .<br />
Questo lavoro descrive un insolito caso di localizzazione congiuntivale del<br />
TVT, in concomitanza di lesioni a carico della mucosa buccale e della cute del<br />
tronco e in assenza di lesioni genitali.<br />
Descrizione del caso. Un cane meticcio di taglia media, maschio, dell’età di<br />
9 mesi, è stato condotto a visita per la presenza di alcuni noduli che protrudevano<br />
dalla superficie interna della palpebra superiore dell’occhio destro associata<br />
a difficoltà nella masticazione persistenti da 20 giorni. Il cane viveva<br />
in un regime di semilibertà ed era stato sottoposto a regolare protocollo vaccinale.<br />
Alla visita clinica si evidenziava la presenza di neoformazioni nodulari,<br />
iperemiche e tendenti a confluire tra di loro, diffuse su tutta la superficie<br />
della congiuntiva della palpebra superiore dell’occhio destro. Erano presenti,<br />
inoltre, numerosi noduli sulla mucosa gengivale e un piccolo nodulo cutaneo<br />
sulla superficie laterale destra del collo. All’esame clinico non si evidenziavano<br />
altre anomalie. Si provvedeva quindi ad effettuare un prelievo citologico<br />
mediante aspirazione con ago sottile sia delle neoformazioni gengivali che<br />
del nodulo cutaneo, mentre, le neoformazioni congiuntivali venivano campionate<br />
mediante citobrush. Si effettuavano, inoltre, un prelievo di sangue per<br />
esami ematochimici completi e sierologici (Ehrlichia canis e Leishmania infantum),<br />
esame delle feci, radiografia del torace ed eco addome. Tutti gli esami<br />
collaterali risultavano essere nella norma.<br />
L’esame citologico mostrava una popolazione cellulare numerosa costituita<br />
da cellule monomorfe di grandi dimensioni, con citoplasma abbondante chia-<br />
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ro e spesso vacuolizzato. I nuclei erano rotondi, con cromatina grossolana e<br />
uno o due nucleoli prominenti. Si osservavano diverse figure mitotiche e spesso<br />
piccoli linfociti associati alle cellule neoplastiche. Sulla base di questi risultati<br />
fu posta diagnosi di TVT e il soggetto, quindi, sottoposto al protocollo<br />
chemioterapico standard con vincristina (0,7 mg/m 2 e.v. 1 volta a settimana<br />
per 4 volte). In seguito al trattamento si otteneva la completa remissione di<br />
tutte le lesioni, in assenza di effetti collaterali. A un follow-up a 3 anni è stata<br />
confermata l’assenza di recidive e la completa guarigione del soggetto.<br />
Discussione. In base alle nostre conoscenze, esistono in letteratura quattro segnalazioni<br />
relative a localizzazioni congiuntivali del TVT 4,9,10,11 ; tra queste,<br />
solo in due lavori 9,10 le lesioni congiuntivali vengono descritte in assenza di<br />
tumore genitale primitivo.<br />
Nel caso clinico da noi descritto è possibile ipotizzare che, a causa del regime<br />
di semilibertà in cui viveva il soggetto affetto, le lesioni congiuntivali e<br />
gengivali siano state trasmesse da un soggetto infetto in seguito allo strofinamento<br />
del muso sui genitali esterni. Il nodulo cutaneo potrebbe rappresentare<br />
la conseguenza di una diffusione metastatica, per quanto non siano state evidenziate<br />
altre patologie o terapie determinanti uno stato di immunocompromissione<br />
del soggetto.<br />
In conclusione, è opportuno sottolineare che, nonostante le localizzazioni atipiche<br />
del TVT siano estremamente rare in assenza di lesioni genitali, esse devono<br />
essere tenute in considerazione nella diagnostica differenziale delle lesioni<br />
neoplastiche in sede non genitale del cane.<br />
Bibliografia<br />
1. Marconato L., Del Piero F. <strong>Oncologia</strong> medica dei piccoli animali, Poletto editore (2005).<br />
2. Concannon P.W. et al., Recent Adavances in Small Animal Reproduction, International Veterinary<br />
Information Service, Ithaca NY, 25 apr 2005.<br />
3. Pereira J.S. et al., Vet Ophthalmol 2000, 3(1): 43-47.<br />
4. Boscos C.M. et al., Vet Ophthalmol 1998, 1(2,3): 167-170.<br />
5. Albanese F. et al., Vet. Dermatol. 2002 oct, 13(5): 243-246.<br />
6. Levy E. et al., Vet Clin Pathol 2006 Mar, 35(1): 115-118.<br />
7. Marcos R. et al., Vet Clin Pathos 2006 Mar, 35(1): 106-109.<br />
8. Papazoglou L.G. et al., J Vet Med Physiol Pathos Clin Med 2001 Sep, 46(7): 391-400.<br />
9. Abbot PK, Australian veterinary Journal 1966, 42: 29.<br />
10. Komnenou A et al., abstract n.33 of ECVO and ESVO congress, Brugge (Belgium), 10-14 may 2006<br />
11. Stubbs et al., American Journal of Pathology 1934, 10: 275-286.<br />
Indirizzo per la corrispondenza:<br />
Annalisa Nieddu<br />
c/o Dipartimento di Scienze Cliniche Veterinarie - Sezione di Clinica Chirurgica<br />
Università degli Studi di Napoli “Federico II”<br />
Via Federico Delpino, 1 - 80137 Napoli<br />
Tel. 0812536020 - Fax 0812536021 - E-mail: annalisanieddu@libero.it<br />
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TOSSICOLOGIA AMBIENTALE: ANIMALI SENTINELLA<br />
E ONCOLOGIA COMPARATA<br />
Luca Sala Med Vet; Carlo Brini Med Vet<br />
Servizio Sanità Pubblica Veterinaria,<br />
Azienda Sanitaria Locale n. 12 di Biella<br />
Scopo del lavoro. I Medici Veterinari, Libero-Professionisti e Dipendenti<br />
ASL, operano nell’ambito della Prevenzione Primaria.<br />
Si espongono alcune esperienze e una proposta di lavoro, per concretizzare un<br />
Piano di Salute che preveda il monitoraggio continuo e permanente delle più<br />
importanti sostanze inquinanti e xenobiotiche secondo metodiche di tossicologia<br />
ambientale e l’impiego di animali sentinella, sia domestici che selvatici.<br />
Materiali e Metodi. Gli indicatori biologici hanno acquisito negli ultimi decenni<br />
un ruolo rilevante per la ricerca scientifica, indirizzata principalmente<br />
alla Tutela della Salute dell’uomo e degli animali e anche alla protezione dei<br />
beni ambientali, che caratterizzano il nostro Paese.<br />
È oramai assodato che le cause vere della mortalità in l’Italia, sono così<br />
individuate:<br />
10% sono connesse al funzionamento della Sanità,<br />
20% hanno origini genetiche,<br />
30% sono connesse con le politiche ambientali,<br />
40% dipendono dagli stili di vita dei cittadini.<br />
Il Piano <strong>Nazionale</strong> della Prevenzione 2005-2007, individua, fra gli interventi<br />
prioritari da porre in atto, quelli nei confronti delle malattie cardiovascolari e<br />
delle complicazioni da diabete, gli screening oncologici, le vaccinazioni e la<br />
prevenzione degli incidenti.<br />
A prima vista questi interventi non sembrano coinvolgere le attività dei Medici<br />
Veterinari, sia pubblici che privati. Se invece si analizzano le diverse patologie<br />
elencate ed i fattori di rischio che le determinano, appare evidente come attività<br />
di epidemio-tossicologia ambientale, mirate all’individuazione dei fattori determinanti<br />
di alcune patologie, siano strumenti utilizzabili per fare Prevenzione.<br />
Nella programmazione degli interventi appare quindi imprescindibile porre attenzione<br />
ad ambiti d’azione mirati a prevenire fattori di rischio, individuabili nel<br />
campo di studio dell’epidemiologia ambientale, ferma restando la necessità di<br />
validare le attività con strumenti che offrano ragionevoli certezze sulla loro efficacia,<br />
secondo metodi fondati sull’Evidence Based Prevention.<br />
Risultati e Conclusioni. Tradizionalmente il potenziale oncogenico dei diversi<br />
agenti viene analizzato e valutato, in condizioni sperimentali, sugli animali<br />
da laboratorio.<br />
D’altro canto, l’uso degli animali domestici e selvatici per lo studio di fattori<br />
ambientali, come fattori causali di malattie acute o croniche, cancro compre-<br />
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so, ha da sempre destato l’attenzione di molti Ricercatori. Ai fini della presente<br />
ricerca sono stati comparati alcuni studi, eseguiti dal Servizio di Sanità<br />
Pubblica Veterinaria dell’ASL 12 di Biella e vari Partner scientifici:<br />
a) dal 2002 ad oggi sono state analizzate dall’Istituto di Anatomia Patologica<br />
della Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Torino<br />
oltre 350 forme neoplastiche, prelevate da Veterinari Libero professionisti<br />
in animali d’affezione. I referti non hanno consentito di estrapolare<br />
significativi elementi di correlazione fra le neoplasie indagate e cause di<br />
origine ambientale;<br />
b) uno studio, condotto su base provinciale dal 2001 ad oggi, per rilevare la presenza<br />
di metalli pesanti e PCB in organi bersaglio di oltre 300 animali selvatici<br />
(camosci, caprioli e cinghiali), analizzati presso l’Università degli Studi<br />
di Padova e l’Istituto Zooprofilattico del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta,<br />
ha consentito di individuare un “rumore di fondo”, relativo alla presenza di<br />
questi elementi in matrici ambientali quali acqua, vegetali, aria e terreno;<br />
c) un’indagine preliminare, svolta nel 2005 in collaborazione col Dipartimento<br />
di Biologia Animale e dell’Uomo dell’Università degli Studi La Sapienza<br />
di Roma, sugli effetti stocastici provocati dal Radon in alcuni cavalli,<br />
esposti all’emissione naturale di tale gas (persistenza di micronuclei<br />
nei globuli rossi), ha evidenziato effetti statisticamente significativi provocati<br />
da tale esposizione, rispetto ai controlli.<br />
Questi risultati ci spingono a promuovere un tavolo di concertazione fra Medici<br />
Veterinari, siano essi Libero-Professionisti o Dipendenti del SSN, Esperti<br />
ed interessati a questi fondamentali argomenti, dal quale possa nascere un<br />
Progetto comune, rivolto alla creazione di un Osservatorio permanente. In<br />
questo modo sarà possibile coinvolgere anche le altre figure professionali che<br />
studiano i possibili rischi di salute, umana ed animale, provocati da sostanze<br />
tossiche di origine ambientale.<br />
Bibliografia<br />
1. Massimo Valsecchi - Evidenced Based Prevention e Dipartimenti di Prevenzione. Seminario Regionale,<br />
Conegliano - 2002.<br />
2. Montagna e salute. INM. Atti workshop Roma 13-14 aprile 2005. ISS.<br />
3. Liliana Cori, Loredana Musumeci - Politiche e strumenti internazionali in materia di ambiente e salute:<br />
indicazioni per il Piano di azione in Italia. 2006. ISS.<br />
4. Analisi della Salute degli animali domestici nei comuni dell’intorno di Malpensa. Regione Lombardia.<br />
Parco del Ticino.<br />
Indirizzo per la corrispondenza:<br />
Luca Sala<br />
Servizio Sanità Pubblica Veterinaria ASL 12 Biella<br />
Via don Sturzo, 20 - 13900 Biella (BI)<br />
Tel. 0153503667 - Fax 0153503005 - Cell. 3285304776<br />
E-mail: luca.sala@asl12.piemonte.it<br />
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DESCRIZIONE DI UN CASO DI MELANOMA ORALE<br />
IN UN GATTO<br />
Monica Sforna 1 Med Vet, PhD<br />
Chiara Brachelente 1 Med Vet, PhD, Dipl ECVP; Alfredo Dentini 2 MedVet<br />
Elvio Lepri 1 Med Vet, PhD, Dipl ECVP; Giovanni Ricci 1 Med Vet, PhD<br />
Luca Mechelli 1 MedVet<br />
1<br />
Dipartimento di Scienze Biopatologiche Veterinarie,<br />
Università degli Studi di Perugia<br />
3<br />
Libero professionista, Terni<br />
Introduzione. I tumori della cavità orale nel gatto sono relativamente comuni,<br />
rappresentando dal 3 al 12% di tutte le neoplasie feline, l’89% delle quali<br />
di natura maligna. Le forme di più frequente riscontro sono rappresentate dal<br />
carcinoma squamoso e dal fibrosarcoma mentre le altre forme neoplastiche,<br />
tra le quali i tumori di origine melanocitaria, appaiono estremamente rare. Il<br />
melanoma orale, in particolare, viene riferito come una neoplasia di difficile<br />
riscontro nella specie felina con un comportamento biologico estremamente<br />
aggressivo e con tempi medi di sopravvivenza inferiori ai 2 mesi.<br />
Descrizione del caso. Un gatto, europeo, femmina di 11 anni è stato portato<br />
a visita con una sintomatologia riferibile a disfagia, scialorrea e difficoltà alla<br />
deglutizione. All’esame obiettivo generale l’animale mostrava una tumefazione<br />
non calda né dolente coinvolgente la regione labiale e zigomatica sinistra,<br />
ricoperta da cute integra. All’esame della cavità orale si osservava una<br />
massa delle dimensioni di circa 2,5x2x2 cm, multilobulata, di colore biancastro,<br />
focalmente emorragica che interessava la gengiva superiore sinistra, parte<br />
del palato duro e che imprigionava il canino superiore sinistro con avulsione<br />
degli incisivi. L’esame citologico metteva in evidenza una cellularità abbondante<br />
costituita da cellule disgiunte, pleomorfe, di grandi dimensioni, singole<br />
o lassamente coese, con anisocitosi ed anisomacrocariosi, macronucleoli<br />
prominenti, cromatina finemente granulare ed irregolare. Alcuni nuclei mostravano<br />
forme aberranti da riferirsi a “Monster cells”; il citoplasma appariva<br />
modicamente basofilo. Si osservavano inoltre numerose cellule binucleate, altre<br />
giganti multinucleate associate a molte figure mitotiche aberranti. La diagnosi<br />
citologica indicava una neoplasia maligna con elevato grado di anaplasia<br />
(D/D sarcoma anaplastico, variante giganto-cellulare, e melanoma amelanotico).<br />
Dopo 1 mese dalla visita il gatto veniva sacrificato con metodo eutanasico<br />
a motivo dell’aggravamento delle condizioni generali. La necroscopia<br />
metteva in evidenza, oltre alla massa in cavità orale, l’aumento bilaterale dei<br />
linfonodi mandibolari ed un nodulo a livello del lobo basale polmonare di sinistra.<br />
L’esame istopatologico mostrava reperti simili nella massa orale, nei<br />
linfonodi mandibolari e nel nodulo polmonare rappresentati da una prolifera-<br />
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zione non delimitata, non capsulata, infiltrante di cellule, prevalentemente rotondeggianti,<br />
organizzate in nidi e foglietti, con un ampio citoplasma vitreo,<br />
eosinofilo, nuclei di forma rotondeggiante, ovalare o fusata contenenti spesso<br />
grandi nucleoli. Era presente una marcata anisocitosi ed anisocariosi; l’attività<br />
mitotica era elevata (da 3 a 5 per hpf) con numerose figure mitotiche atipiche.<br />
Erano inoltre presenti cellule binucleate e giganti multinucleate accanto<br />
ad occasionali infiltrati linfoplasmacellulari e a metaplasia ossea presente solo<br />
nella massa principale. Il campione proveniente dalla cavità orale appariva<br />
diffusamente ulcerato e focalmente necrotico; aree di necrosi erano presenti<br />
anche nei campioni linfonodali e polmonari. Altri reperti riscontrati all’esame<br />
anatomo-istopatologico sono stati una grave enterite linfoplasmacellulare e<br />
lesioni nodulari mesenteriche riconducibili a FIP. Sulla base di questi reperti<br />
è stata formulata una diagnosi di sarcoma scarsamente differenziato riconducibile<br />
ad un melanoma amelanotico del sottotipo “giant epithelioid”. Questa<br />
tipologia di melanoma deve essere distinta da altre neoplasie rotondo-cellulari,<br />
quali il mastocitoma e l’istiocitosi progressiva felina. Le colorazioni Giemsa<br />
e PAS non hanno evidenziato materiale citoplasmatico. Sono state effettuate<br />
indagini immunoistochimiche nei confronti di vari antigeni, tra i quali<br />
S100 e Melan A. I risultati hanno mostrato una netta positività, prevalentemente<br />
nucleare per S100, mentre per Melan A si è osservata una tenue colorazione<br />
di occasionali cellule neoplastiche.<br />
Discussione. Il melanoma nel gatto rappresenta un tumore di raro riscontro.<br />
Le localizzazioni più frequenti sono rappresentate dalla regione oculare, dalla<br />
cute e dalla cavità orale. Il sottotipo “giant epithelioid” rappresenta una variante<br />
di melanoma che si manifesta più comunemente nel gatto ed in cui la<br />
gran parte delle cellule mostra un aspetto epitelioide spesso associato ad elementi<br />
epitelioidi giganti. Il caso da noi osservato evidenzia dei dati immunoistochimici<br />
in accordo con la modesta bibliografia presente sia nei confronti di<br />
S-100 che di Melan-A, sottolineando come quest’ultimo marker abbia una<br />
bassa affinità nei confronti dei melanomi amelanotici felini.<br />
Bibliografia<br />
1. Gross et al. Skin Diseases of The Dog And Cat, Blackwell Science, 2005.<br />
2. J.A.Ramos-Vara et al. Melan A and S100 Protein Immunohistochemistry in Feline Melanomas: 48<br />
cases; Veterinary Pathology 39:127-132 (2002).<br />
3. S. H. Smith et al. A Comparative Review of Melanocytic Neoplasms, Veterinary Pathology 39:651-<br />
678, 2002.<br />
Indirizzo per la corrispondenza:<br />
Monica Sforna<br />
Dipartimento di Scienze Biopatologiche ed Igiene delle Produzioni Animali e Alimentari<br />
Sezione Patologia ed Igiene Veterinaria - Università degli Studi di Perugia<br />
Via S. Costanzo, 4 - 06126 Perugia<br />
Tel. 075 5857629 - Fax 075 5857739 - E-mail: monica.sforna@unipg.it<br />
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RUOLO PROGNOSTICO DELLA CATEGORIA ISTOPATOLOGICA<br />
“MASTOCITI BEN DIFFERENZIATI”<br />
DEI MARGINI DI ESCISSIONE CHIRURGICA<br />
IN 31 MASTOCITOMI CUTANEI CANINI<br />
Paola Valenti 1 Med Vet; Valentina Fiorbianco 2 Med Vet<br />
Giuseppe Sironi 3 Med Vet, PhD, Prof; Valeria Grieco 4 Med Vet, PhD, Prof<br />
Valerio Bronzo 5 Med Vet, PhD; Stefano Romussi 6 Med Vet, PhD, Prof<br />
Damiano Stefanello 7 Med Vet, PhD<br />
1,2,6,7<br />
Dipartimento di Scienze Cliniche Veterinarie, Milano<br />
3,4,5<br />
Dipartimento di Patologia Animale,<br />
Igiene e Sanità Pubblica Veterinaria, Milano<br />
Scopo del lavoro. Valutare retrospettivamente la correlazione tra la categoria<br />
istopatologica “mastociti ben differenziati” dei margini chirurgici nel mastocitoma<br />
cutaneo canino sul tasso di recidiva locale e sull’intervallo libero da<br />
malattia.<br />
Materiali. Mastocitomi cutanei (MC) escissi con chirurgia ad ampi margini.<br />
Metodi impiegati. Criteri di inclusione assoluti sono stati: 1) diagnosi citologica<br />
di mastocitoma, 2) nessuna terapia neoadiuvante e adiuvante 3) assenza<br />
di metastasi loco-regionali e a distanza 4) valutazione del grado istologico<br />
(classificazione di Patnaik), 5) stato dei margini, distinto in puliti, infiltrati<br />
(infiltrati+ esigui), mastociti ben differenziati (presenza di mastociti perivascolari<br />
o in cluster disgiunti dalla neoplasia principale), 6) follow-up minimo<br />
di 365 giorni per i casi che non hanno presentato recidiva. Per ciascun caso<br />
sono stati inoltre valutati la sede (distinta in testa/collo, tronco, estremità) e le<br />
dimensioni (distinte in < 2 cm, 2-5 cm e > 5 cm). Evento finale dello studio è<br />
stata considerata la recidiva locale, confermata citologicamente e/o istologicamente.<br />
Sono quindi stati valutati: la distribuzione del campione per sede, dimensione,<br />
grado istologico e stato dei margini e il tasso di recidiva del campione.<br />
Lo stato dei margini è stato correlato a sede, dimensione e grado istologico<br />
mediante test Chi-quadro di Pearson (p
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no nel 96,8% dei casi minori a 5 cm (15/31 minori di 2 cm, 15/31 comprese<br />
tra 2-5 cm) e in un caso maggiori di 5 cm. Il grado istologico maggiormente<br />
rappresentato era il II grado. Le categorie di margini sono risultate pulite nel<br />
48,4% dei casi, infiltrate nel 25,8% e con mastociti ben differenziati nel<br />
25,8% casi. Le recidive si sono verificate in 4 casi (13%), tutti di II grado, di<br />
cui 2 con margini infiltrati, uno con margini puliti e uno con mastociti ben differenziati.<br />
Le metastasi, accompagnate da recidiva locale in 3 casi, si sono verificate<br />
in 4 casi (13%) di cui 3 mastocitomi di II e 1 di III grado. Il tempo libero<br />
da malattia medio è stato di 756,7 giorni (intervallo di confidenza 95%<br />
622,1-891,4+/- 68,7 giorni). Al momento sono vivi 18 pazienti mentre 13 sono<br />
deceduti, 4 dei quali per cause relative al tumore e di questi il tempo di sopravvivenza<br />
medio è di 476 giorni (intervallo di confidenza 50,8-901,154 +/-<br />
216 giorni). È stata accertata una correlazione statisticamente positiva con test<br />
Chi-quadro di Pearson tra lo stato dei margini e le dimensioni (p=0,027) mentre<br />
non è stata riscontrata nessuna correlazione statisticamente positiva tra stato<br />
dei margini e: sede (p=0,783), grado istologico (p=0,390) e il tasso di recidiva<br />
(p=0,458).<br />
Conclusioni. I risultati ottenuti in questo campione dimostrano che l’esito dei<br />
margini non condiziona il tempo libero da malattia e il tasso di recidiva. L’assenza<br />
di correlazioni statisticamente significative tra le categorie di margini<br />
può essere giustificata dalla scarsa numerosità del campione e dalla bassa incidenza<br />
della recidiva locale. La correlazione positiva tra stato dei margini e<br />
dimensioni conferma che mastocitomi di dimensioni maggiori hanno una<br />
maggior probabilità di avere margini infiltrati. La presenza di mastociti ben<br />
differenziati ai margini di escissione chirurgica del MC è documentata da diversi<br />
Autori che ammettono di non conoscere la loro reale influenza sul tasso<br />
di recidiva locale. Lo studio da noi condotto, pur non attribuendo un ruolo<br />
prognostico alla categoria di margine “mastociti ben differenziati”, è il primo<br />
compiuto in questa direzione, ma necessita di un campione più ampio e di<br />
strumenti più affinati, come la valutazione immunoistochimica dell’espressione<br />
della proteina Kit, nell’intento di distinguere tra mastociti normali e mastociti<br />
neoplastici.<br />
Indirizzo per la corrispondenza:<br />
Damiano Stefanello<br />
Sezione di Clinica Chirurgica, Dipartimento di Scienze Cliniche Veterinarie<br />
Facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Milano<br />
Via Ponzio, 7 - 20133 Milano<br />
Fax 0250317817 - E-mail: damiano.stefanello@unimi.it<br />
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Finito di stampare<br />
nel mese di Marzo 2008<br />
dalla Press Point s.r.l.<br />
di Abbiategrasso - MI