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58° Congresso Nazionale SCIVAC: Oncologia veterinaria

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58° <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>SCIVAC</strong> • Milano, 7-9 Marzo 2008 • <strong>Oncologia</strong> <strong>veterinaria</strong> - Alle soglie del III Millennio<br />

CONSIGLIO DIRETTIVO <strong>SCIVAC</strong><br />

Dea Bonello Presidente<br />

Massimo Baroni Presidente Senior<br />

Federica Rossi Vice Presidente<br />

Guido Pisani Tesoriere<br />

Marco Bernardini Consigliere<br />

Alberto Crotti Consigliere<br />

Bruno Peirone Consigliere<br />

COMITATO SCIENTIFICO<br />

Paolo Buracco<br />

Med Vet, Dipl ECVS, Torino<br />

Laura Marconato<br />

Med Vet, Napoli<br />

Giorgio Romanelli<br />

Med Vet, Dipl ECVS, Cusano Milanino (MI)<br />

COORDINATORE SCIENTIFICO<br />

CONGRESSUALE<br />

Fulvio Stanga<br />

Med Vet, Cremona<br />

SEGRETERIA SCIENTIFICA<br />

Monica Villa<br />

Tel. +39 0372 403504 - E-mail: commscientifica@scivac.it<br />

SEGRETERIA MARKETING,<br />

SPONSOR E AZIENDE ESPOSITRICI<br />

Francesca Manfredi<br />

Tel. +39 0372 403538 - E-mail: marketing@evsrl.it<br />

SEGRETERIA ISCRIZIONI<br />

Paola Gambarotti<br />

Tel. +39 0372 403508 - Fax +39 0372 403512 - E-mail: info@scivac.it<br />

ORGANIZZAZIONE<br />

CONGRESSUALE<br />

EV - Eventi Veterinari<br />

Via Trecchi, 20 - 26100 CREMONA (Italia)<br />

1


SIONCOV<br />

SOCIETÀ CULTURALE ITALIANA VETERINARI<br />

PER ANIMALI DA COMPAGNIA<br />

SOCIETÀ FEDERATA ANMVI<br />

SOCIETÀ ITALIANA DI<br />

ONCOLOGIA VETERINARIA<br />

Richiesto accreditamento<br />

58° CONGRESSO NAZIONALE <strong>SCIVAC</strong><br />

ONCOLOGIA VETERINARIA<br />

alle soglie del III Millennio<br />

MILANO, ATAHOTEL QUARK<br />

7-9 MARZO 2008<br />

ATTI DEL CONGRESSO<br />

organizzato da certificata ISO 9001:2000<br />

<strong>SCIVAC</strong> ringrazia gli Sponsor per il sostegno dato all’evento


58° <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>SCIVAC</strong> • Milano, 7-9 Marzo 2008 • <strong>Oncologia</strong> <strong>veterinaria</strong> - Alle soglie del III Millennio<br />

RELATORI<br />

Giuliano Bettini<br />

Med Vet, Prof Ass, Bologna<br />

Laureato in Medicina Veterinaria a<br />

Bologna nel 1988 con una tesi sulla<br />

diagnostica citologica dei versamenti,<br />

è professore associato presso la facoltà<br />

di Medicina Veterinaria di Bologna, dove è titolare<br />

dei corsi di Anatomia Patologia Veterinaria I e di <strong>Oncologia</strong><br />

Veterinaria e vice-responsabile del servizio di<br />

anatomia patologica. Si occupa da oltre 10 anni di diagnostica<br />

citopatologica e istopatologica, e di tipizzazione<br />

immunoistochimica dei tumori. Ha partecipato<br />

come relatore a numerosi corsi di aggiornamento per<br />

Medici Veterinari ed è autore di circa 150 pubblicazioni<br />

scientifiche su riviste nazionali ed internazionali.<br />

Julia Buchholz<br />

Med Vet, Dipl ACVR-Radiation<br />

Oncology, Colorado, USA<br />

La dottoressa Buchholz studia medicina<br />

Veterinaria a Giessen, in Germania<br />

e a Nantes, in Francia. Si laurea<br />

a Giessen nel 2002. Dopo aver praticato in una clinica<br />

privata in Germania si trasferisce a Zurigo dove lavora<br />

presso il Dipartimento di Radioterapia Oncologica<br />

e Diagnostica per Immagini (2003-2005), qui<br />

completa la sua tesi in Terapia fotodinamica. Su questo<br />

argomento pubblica articoli su riviste nazionali ed<br />

internazionali e ne relaziona in diversi eventi nazionali<br />

ed internazionali. Nel 2005 inizia il Residency in<br />

Radioterapia Oncologica presso l’Università di Zurigo<br />

e nel 2006 lo completa presso la Colorado State University.<br />

Si diploma nel 2007 all’American College of<br />

Veterinary Radiology (ACVR) nella specialità di Radioterapia<br />

Oncologica.<br />

Paolo Buracco<br />

Med Vet, Dipl ECVS, Torino, Italia<br />

È professore ordinario di Clinica Chirurgica<br />

Veterinaria e Chirurgia presso<br />

la Facoltà di Med. Vet. di Grugliasco<br />

(Torino). Nel periodo settembre<br />

1987-dicembre 1988 è stato Visiting Assistant Professor<br />

presso la School of Vet. Med. (Purdue University,<br />

Indiana), con Borsa di Perfezionamento Ass. It. Ric.<br />

Cancro (AIRC), dove ha svolto attività clinica principalmente<br />

rivolta alla diagnosi e terapia dei tumori<br />

spontanei del cane e del gatto. È diplomato dal giugno<br />

1998 al Collegio Europeo dei Chirurghi Veterinari,<br />

piccoli animali (E.C.V.S.). È membro della Veterinary<br />

Cancer Society, della Società Ital. di Chir. Vet.,<br />

dell’Europ. Soc. of Vet. Oncology, della Società Italiana<br />

di <strong>Oncologia</strong> Veterinaria (SIONCOV) e dell’European<br />

College of VeterinarySurgeons. Dal 2005 è<br />

membro dell’Examination Committee dell’ECVS. Dal<br />

maggio 2006 è membro onorario della VSSO (Veterinary<br />

Society of Surgical Oncology, USA). Relatore in<br />

numerosi convegni nazionali e internazionali e autore<br />

di oltre 140 pubblicazioni su riviste italiane ed estere,<br />

comprese le comunicazioni congressuali.<br />

Giuseppe Curigliano<br />

Medico Oncologo, European Institute<br />

of Oncology, Milano, Italia<br />

Nato in Canada da immigrati italiani,<br />

ha ivi trascorso parte della sua infanzia<br />

nella fredda provincia del<br />

Quebec. Laureato in Medicina e Chirurgia “cum laude”<br />

presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di<br />

Roma nel 1993 ed ivi specializzato “cum laude” in<br />

<strong>Oncologia</strong> Medica nel 1997. Ha lavorato nel 1993<br />

presso il Dipartimento di Immunologia Clinica della<br />

South Carolina Medical School, Hollings Cancer Center,<br />

Charleston, U.S.A., occupandosi di immunofenotipizzazione<br />

dei tumori solidi ed applicazioni della citofluorimetria<br />

nella diagnosi precoce delle neoplasie.<br />

Dal 1994 al 1995 ha lavorato presso l’Herbert Irving<br />

Comprehensive Cancer Center della Columbia University,<br />

New York, U.S.A., occupandosi di epidemiologia<br />

molecolare (progetti di studio sulla cancerogenesi dei<br />

tumori vescicali). Ha proseguito la sua attività di ricerca<br />

in modelli traslazionali mirati alla diagnosi precoce<br />

dei tumori solidi (diagnosi molecolare con tecniche<br />

di biologia molecolare nei tumori della vescica, del<br />

colon e del polmone) presso il centro di Ricerche Oncologiche<br />

dell’Università Cattolica di Roma. È risultato<br />

vincitore di diversi grants finalizzati alla ricerca traslazionale<br />

in oncologia (Premio Tullio Terranova, premio<br />

dell’Istituto Toniolo dell’Università Cattolica del<br />

Sacro Cuore, grant Triennale della Federazione Italiana<br />

per la Ricerca sul Cancro per uno studio di ricerca<br />

traslazionale sulle neoplasie vescicali). Ha completato<br />

del 2006 il Dottorato di Ricerca in Fisiopatologia Medica<br />

e Farmacologia Clinica presso l’Università di Pisa,<br />

lavorando su un progetto di farmacogenomica nelle<br />

neoplasie vescicali. Dal 1999 lavora nell’ambito<br />

della ricerca clinica in fase I e fase II, presso la Divisione<br />

di <strong>Oncologia</strong> Medica del Dipartimento di Medicina<br />

dell’Istituto Europeo di <strong>Oncologia</strong>, in cui ricopre<br />

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58° <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>SCIVAC</strong> • Milano, 7-9 Marzo 2008 • <strong>Oncologia</strong> <strong>veterinaria</strong> - Alle soglie del III Millennio<br />

il ruolo di Vice Direttore. Il suo principale campo di interesse<br />

rimane la ricerca traslazionale, lo sviluppo clinico<br />

di terapie personalizzate mirate a massimizzare<br />

l’efficacia terapeutica e minimizzare gli effetti collaterali;<br />

si occupa delle sperimentazioni cliniche di fase I.<br />

È autore e coautore di circa 80 pubblicazioni “peer<br />

reviewed”.<br />

Davide De Lorenzi<br />

Med Vet, Dipl ECVCP, SMPA, Padova<br />

Laureato con lode presso la Facoltà<br />

di Medicina Veterinaria di Bologna,<br />

si specializza in Clinica e Patologia<br />

degli Animali da Affezione alla Facoltà<br />

di Medicina Veterinaria di Pisa quattro anni più<br />

tardi. È stato l’ideatore ed il responsabile per i primi<br />

5 anni di vita del Gruppo di Studio di Citologia della<br />

SICVAC (oggi Società Italiana di Citologia Veterinaria<br />

- SICIV).<br />

Autore e coautore di oltre quaranta fra articoli e relazioni<br />

su riviste ed a congressi nazionali ed internazionali,<br />

ha lavorato tre anni nella commissione scientifica<br />

della <strong>SCIVAC</strong> ed è stato membro del Consiglio Direttivo<br />

della medesima società negli anni 2004-2007. Nel<br />

2005 ha conseguito il Diploma del College Europeo di<br />

Patologia Clinica e svolge attualmente un Dottorato di<br />

Ricerca presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università<br />

di Perugia. Lavora a Forlì ed a Padova presso<br />

la Clinica Veterinaria S. Marco occupandosi prevalentemente<br />

di citologia diagnostica ed endoscopia.<br />

Barbara Kitchell<br />

DVM, PhD, Dipl ACVIM,<br />

Michigan, USA<br />

La dottoressa Barbara E. Kitchell si<br />

laurea nel 1979 alla School of Veterinary<br />

Medicine della Pardue University.<br />

Completa la sua internship presso l’Università<br />

del Minnesota per poi iniziare il suo residency in Medicina<br />

Interna alla UC Davis. Nel 1985 a Barkeley, in<br />

California, inizia uno Special Veterinary Services<br />

presso il centro referenze in <strong>Oncologia</strong>. Nel 1994 riceve<br />

il PhD (con particolare attenzione alla biologia<br />

del cancro) dal Dipartimento di Patologia Comparativa<br />

della UC Davis. Oltre a questo la dr.ssa Kitchell<br />

completa una fellowship post dottorato, dal 1990 al<br />

1994, presso il Dipartimento di Medicina Comparativa<br />

alla Stanford Medical School. Ritorna alla medicina<br />

accademica nel 1994 come Assistant Professor<br />

nel Dipartimento di Medicina Clinica Veterinaria dell’Università<br />

dell’Illinois.<br />

Nel 2004 si trasferisce nella facoltà dell’Università del<br />

Michigan dove attualmente è Direttore del Centro per<br />

l’oncologia Comparata. La dr.ssa Kitchell si è diplomata<br />

all’ACVIM nella specialità di medicina Interna<br />

Oncologica. Ha ricevuto numerose onorificenze tra<br />

cui il premio dal National Cancer Institute Physician<br />

Scientist, il Dean’s Postdoctoral Fellowship Award di<br />

Stanford e nel 1983 il Gaines Cycle “Golden Fido”<br />

award per il Veterinario dell’Anno. Fu selezionata come<br />

partecipante a 2 Workshops (Molecular Biology of<br />

Cancer nel 1993 and Methods in Clinical Cancer Research<br />

nel 1997), sponsorizzata dall’American Association<br />

for Cancer Research di cui è membro attivo. È<br />

presidente eletto della Veterinary Cancer Society. Autrice<br />

di numerose pubblicazioni scientifiche e capitoli<br />

è internazionalmente riconosciuta la sua autorità nell’oncologia<br />

Comparata.<br />

Laura Marconato<br />

Med Vet, Napoli<br />

Laureata a Milano in Medicina Veterinaria<br />

nel 1999 con 110 e lode. Dopo<br />

la laurea si trasferisce per tre anni negli<br />

Stati Uniti, a Philadelphia, dove frequenta<br />

dal 2000 al 2003 il Veterinary Oncology Service<br />

and Research Center, il centro di referenza per l’oncologia<br />

della Pennsylvania, occupandosi di oncologia<br />

medica dei piccoli animali. Dal 2001 fino al 2003 è anche<br />

fellow visitor all’università della Pennsylvania presso<br />

il Dipartimento di Patologia Veterinaria. Attualmente<br />

vive e lavora a Napoli, dove si occupa esclusivamente<br />

di oncologia dei piccoli animali. Nel 2003-2004 è professore<br />

a contratto presso la scuola di specializzazione<br />

di fisiopatologia della riproduzione dell’Università di<br />

Napoli Federico II. Nel 2007 è docente al Master di<br />

<strong>Oncologia</strong> presso la Facoltà di Medicina Veterinaria<br />

dell’Università di Pisa. Nel 2007-2008 è professore a<br />

contratto presso la facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università<br />

di Bologna. È stata relatrice a diversi seminari<br />

e corsi di oncologia. È autrice del testo di oncologia<br />

clinica del cane e del gatto per la Poletto Editore e<br />

di alcuni articoli su riviste nazionali ed internazionali.<br />

È membro della <strong>SCIVAC</strong>, della European Society of<br />

Veterinary Oncology (ESVONC), della Veterinary<br />

Cancer Society (VCS) e della European Society of Veterinary<br />

Internal Medicine (ESVIM). È vice-presidente<br />

della SIONCOV.<br />

Giorgio Romanelli<br />

Med Vet, Dipl ECVS,<br />

Cusano Milanino (MI)<br />

Laureato in Medicina Veterinaria nel<br />

1981 presso l’Istituto di Clinica Chirurgica<br />

della Facoltà di Medicina Veterinaria<br />

dell’Università di Milano, relatore il Prof. Re-<br />

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58° <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>SCIVAC</strong> • Milano, 7-9 Marzo 2008 • <strong>Oncologia</strong> <strong>veterinaria</strong> - Alle soglie del III Millennio<br />

nato Cheli. Subito dopo la laurea partecipa ad un<br />

programma di chirurgia sperimentale sul trapianto di<br />

cuore e di pancreas. Libero professionista lavora in<br />

provincia di Milano occupandosi totalmente di casi di<br />

riferimento di oncologia e chirurgia dei tessuti molli.<br />

Charter Member e, dal luglio 1993, diplomato all’European<br />

College of Veterinary Surgeons. Presidente<br />

<strong>SCIVAC</strong> nel periodo 1993-1995. Presidente SCVI nel<br />

periodo 1998-2004. Segretario SIONCOV. Ha presentato<br />

relazioni ad oltre 85 congressi e meeting nazionali<br />

ed internazionali. Editor e coautore del testo<br />

“<strong>Oncologia</strong> del cane e del gatto” edito da Elsevier-<br />

Masson. Ha soggiornato per periodi di studio presso<br />

le università di Cambridge (UK), North Carolina<br />

(USA) e Purdue-Indiana (USA). I suoi hobbies sono la<br />

pesca a mosca e la coltivazione di alberi bonsai.<br />

Federica Rossi<br />

Med Vet, SRV, Dipl ECVDI,<br />

Sasso Marconi (BO)<br />

Laureata nel novembre 1993 presso<br />

l’Università degli Studi di Bologna,<br />

con lode, nel 1997 ha conseguito il<br />

Diploma della Scuola di Specializzazione in Radiologia<br />

Veterinaria presso l’Università degli Studi di Torino<br />

e nel settembre 2003 il Diploma del College Europeo<br />

in Diagnostica per Immagini (ECVDI). È autrice di<br />

numerose pubblicazioni nazionali ed internazionali,<br />

revisore e coautore di testi di Diagnostica per Immagini.<br />

È Presidente della Società Italiana di Diagnostica<br />

per Immagini (SVIDI) e dall’agosto 2006 Presidente<br />

dell’EAVDI (Associazione Europea di Diagnostica per<br />

Immagini). È lettore ufficiale della Centrale di Lettura<br />

FSA per la displasia dell’anca e del gomito. Lavora<br />

come Libero Professionista referente in Diagnostica<br />

per Immagini nella propria Clinica a Sasso Marconi<br />

(BO), dove si occupa di Radiologia, Ecografia e Tomografia<br />

Computerizzata. Svolge attività di ricerca<br />

nel campo della ecografia con mezzi di contrasto.<br />

Damiano Stefanello<br />

Med Vet, PhD, Milano, Italia<br />

Laurea in Medicina Veterinaria nel<br />

1999 (Università degli Studi di Milano<br />

con 110/110 Lode). Consegue il<br />

titolo di Dottore di Ricerca in <strong>Oncologia</strong><br />

Veterinaria e Comparata nel 2004 (Università degli<br />

Studi di Milano, Università degli Studi di Torino).<br />

Dal 2003 ad oggi è titolare di un Assegno di Ricerca<br />

dal titolo “Studio del sarcoma indotto da iniezione del<br />

gatto: approccio tomografico, anatomo-patologico,<br />

angiogentico e clinico-terapeutico” (Università degli<br />

Studi di Milano). Svolge attività didattica e clinica relativa<br />

al progetto di ricerca, oltre a coadiuvare lo staff<br />

della Sezione di Clinica Chirurgica Veterinaria nell’attività<br />

di chirurgia oncologica e oncologia medica dei<br />

piccoli animali. Ha svolto attività di ricerca nell’ambito<br />

dei sarcomi dei tessuti molli della specie felina, dei<br />

mastocitomi, dei sarcomi dei tessuti molli e delle neoplasie<br />

dell’apparato genitale della specie canina. Autore<br />

e coautore di diverse pubblicazioni su riviste internazionali,<br />

ha presentato numerosi lavori sia a congressi<br />

nazionali che internazionali. Ha partecipato in<br />

qualità di relatore a numerosi congressi italiani aventi<br />

come tema l’oncologia <strong>veterinaria</strong>.<br />

Silvia Tasca<br />

Med Vet, Padova, Italia<br />

Si è laureata con lode presso la Facoltà<br />

di Medicina Veterinaria dell’Università<br />

di Padova nel 2003, discutendo<br />

una tesi sperimentale sui meccanismi<br />

immunopatologici nella leishmaniosi del cane.<br />

Ha presentato delle relazioni inerenti la patologia clinica<br />

alla Società Italiana di Medicina Interna della SCI-<br />

VAC nel 2003 e nel 2005 e alla Società Italiana di Nefrologia<br />

ed Urologia Veterinaria della <strong>SCIVAC</strong> nel<br />

2006. Ha discusso alcune comunicazioni di oncologia<br />

e biochimica al <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>SCIVAC</strong> 2004,<br />

2005 e 2006 e al <strong>Congresso</strong> Internazionale ECVIM-<br />

CA nel 2007. Ha partecipato al corso di Biochimica<br />

della <strong>SCIVAC</strong> nel 2005 e nel 2006 in qualità di relatrice,<br />

discutendo di tecniche diagnostiche. Ha collaborato<br />

alla realizzazione delle sessioni di ematologia clinica<br />

ed esami di laboratorio del Prontuario Veterinario<br />

<strong>SCIVAC</strong> 2004 e alla stesura del capitolo “Tumori linfo<br />

e mieloproliferativi” del testo “<strong>Oncologia</strong> del cane e<br />

del gatto” Elsevier-Masson/EV, Marzo 2007. È coautrice<br />

di alcuni articoli scientifici di ematologia e citologia<br />

<strong>veterinaria</strong> pubblicati in riviste internazionali.<br />

Attualmente lavora presso il Laboratorio d’Analisi Veterinarie<br />

San Marco di Padova, occupandosi di patologia<br />

clinica, con particolare interesse per l’ematologia,<br />

la citometria a flusso e l’elettroforesi urinaria<br />

(SDS-AGE).<br />

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58° <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>SCIVAC</strong> • Milano, 7-9 Marzo 2008 • <strong>Oncologia</strong> <strong>veterinaria</strong> - Alle soglie del III Millennio<br />

PROGRAMMA SCIENTIFICO<br />

VENERDÌ 7 MARZO 2008<br />

Moderatore: Paolo Buracco<br />

9.00 Registrazione dei partecipanti e verifica presenze<br />

10.45 Saluto ai partecipanti del presidente <strong>SCIVAC</strong>, presentazione dei relatori ed inizio dei lavori<br />

10.50 Approccio al paziente oncologico: si può o si deve scegliere?<br />

Laura Marconato (I)<br />

11.30 Approccio al proprietario del paziente oncologico: quali strategie comunicative adottare?<br />

Damiano Stefanello (I)<br />

12.10 Ritardo diagnostico e malpractice: diritti e bisogni<br />

Giorgio Romanelli (I)<br />

12.50 Discussione<br />

13.00 Pausa pranzo<br />

14.30 Il paziente oncologico anziano: approccio speciale a pazienti speciali<br />

Giorgio Romanelli (I)<br />

15.10 Considerazioni terapeutiche in un caso di carcinoma squamo cellulare in un furetto<br />

(Mustela putorius furo) - Mattia Bielli (I)<br />

Chirurgia oncologica dei tessuti molli: confronto tra due differenti geometrie di<br />

escissione avvalendosi del sarcoma iniezione indotto felino quale modello<br />

sperimentale - Alessandro Ferrari (I)<br />

Mastocitoma canino con coinvolgimento midollare: caratteristiche cliniche, patologiche<br />

ed opzioni terapeutiche per nell’era dell’imatinib - Claudio Giacoboni (I)<br />

15.50 Pausa caffè<br />

16.30 Diagnostica per Immagini in oncologia <strong>veterinaria</strong>: quello che la Radiologia e<br />

l’Ecografia hanno da dire<br />

Federica Rossi (I)<br />

17.10 Diagnostica per Immagini in oncologia <strong>veterinaria</strong>: abbiamo bisogno di TC e RM?<br />

Federica Rossi (I)<br />

17.50 Sangue e tumori: tutto quello che si può vedere in un prelievo<br />

Silvia Tasca (I)<br />

18.30 Discussione e termine della giornata<br />

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58° <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>SCIVAC</strong> • Milano, 7-9 Marzo 2008 • <strong>Oncologia</strong> <strong>veterinaria</strong> - Alle soglie del III Millennio<br />

SABATO 8 MARZO 2008<br />

Moderatore: Laura Marconato<br />

9.00 Laparo e toracoscopia: guardare gli organi da fuori<br />

Giorgio Romanelli (I)<br />

9.40 Endoscopia in oncologia: solo un esame complementare?<br />

Davide De Lorenzi (I)<br />

10.20 Pausa caffè<br />

10.30 DISCUSSIONE POSTER<br />

11.00 Indagine retrospettiva sull’espressione immunoistochimica di kit (cd117) nei tumori<br />

melanocitari del cane: un possibile bersaglio terapeutico? - Elvio Lepri (I)<br />

L’espressione della metalloproteinasi-2 e della metalloproteinasi-9 nel comportamento<br />

biologico del meningioma del cane e del gatto - Maria Teresa Mandara (I)<br />

Espressione di recettori per estrogeni e progesterone nei tumori mammari della cagna<br />

e della gatta - Alessandro Poli (I)<br />

11.40 Oltre la diagnosi: le magie del patologo<br />

Giuliano Bettini (I)<br />

12.20 Chemioterapia: farmaci noti per trattamenti standard e innovativi<br />

Barbara Kitchell (USA)<br />

13.00 Pausa pranzo<br />

14.30 Chemioterapia: farmaci meno noti per nuove frontiere<br />

Barbara Kitchell (USA)<br />

15.10 SESSIONE SPECIALE<br />

Chemioterapia e terapia a bersaglio molecolare nei tumori solidi dell’uomo<br />

Giuseppe Curigliano (I)<br />

15.50 Neoplasie linguali del cane: 15 casi - Diego Rossetti (I)<br />

Utilizzo della citometria a flusso per la tipizzazione di leucemia megacarioblastica<br />

acuta (aml-m7) in un cane - Fabio Valentini (I)<br />

97 casi di neoplasie negli animali giovani: istotipi tumorali, localizzazione<br />

Sara Verganti (I)<br />

16.30 Pausa caffè<br />

16.40 DISCUSSIONE POSTER<br />

17.10 Terapia fotodinamica: all’ombra della luce<br />

Julia Buchholz (USA)<br />

17.50 Radioterapia: quanta strada abbiamo fatto?<br />

Julia Buchholz (USA)<br />

18.30 Discussione e termine della giornata<br />

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58° <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>SCIVAC</strong> • Milano, 7-9 Marzo 2008 • <strong>Oncologia</strong> <strong>veterinaria</strong> - Alle soglie del III Millennio<br />

DOMENICA 9 MARZO 2008<br />

Moderatore: Giorgio Romanelli<br />

9.00 Nuove terapie farmacologiche in oncologia <strong>veterinaria</strong>: miraggio o realtà?<br />

Laura Marconato (I)<br />

SESSIONE SPECIALE:<br />

Stato dell’arte sul trattamento di neoplasie selezionate<br />

9.40 Terapia dell’osteosarcoma<br />

Paolo Buracco (I)<br />

10.20 Pausa caffè<br />

11.00 Terapia del linfoma<br />

Barbara Kitchell (USA)<br />

11.40 Terapia dei sarcomi felini indotti da iniezione<br />

Damiano Stefanello (I)<br />

12.20 Terapia dei tumori vescicali<br />

Barbara Kitchell (USA)<br />

12.50 Discussione, consegna degli attestati e termine del <strong>Congresso</strong><br />

POSTER E AUTORI<br />

Sarcoma istiocitico polmonare con metastasi cutanea in un cane - Maurizio Annoni<br />

Radioterapia in un caso di macroadenoma ipofisario in un cane - Elisa Antoniazzi<br />

Applicazione della ciclofosfamide in modalità metronomica nel trattamento palliativo<br />

di un caso di mastocitoma cutaneo canino - Nicoletta Bevere<br />

Un caso di cordoma di tipo condroide in un gatto: aspetti clinici e istopatologici<br />

Antonio Carminato<br />

Un tumore perianale in un cane… non il solito adenoma! - Alfredo Dentini<br />

Un caso di melanoma maligno cutaneo con metastasi a livello osseo e polmonare<br />

in un gatto - Guido Filomarino<br />

Leiomiosarcoma epiploico in uno Yorkshire terrier - Luca Lideo<br />

Limb-sparing in caso di osteosarcoma ulnare distale mediante ulnectomia e panartrodesi<br />

carpica: 5 casi - Federico Massari<br />

Adenocarcinoma tiroideo nel gatto: presentazione di un caso clinico - Paola Modesto<br />

Localizzazione congiuntivale di tumore venereo trasmissibile (tvt): segnalazione di un caso<br />

clinico - Annalisa Nieddu<br />

Tossicologia ambientale: animali sentinella e oncologia comparata - Luca Sala<br />

Descrizione di un caso di melanoma orale in un gatto - Monica Sforna<br />

Ruolo prognostico della categoria istopatologica “mastociti ben differenziati” dei margini<br />

di escissione chirurgica in 31 mastocitomi cutanei canini - Paola Valenti<br />

13


nr. 6312<br />

Sedazione<br />

IL PASSATO<br />

È FINITO<br />

Sedazione e Premedicazione<br />

IL FUTURO<br />

È ARRIVATO<br />

Il più selettivo tra gli alfa-2<br />

adrenorecettori agonisti<br />

Effetti sedativi, analgesici e di<br />

premedicazione uniformi e prevedibili<br />

Sicurezza elevata con minore<br />

possibilità di interazione tra i farmaci<br />

usati in associazione<br />

Per un superiore controllo della sedazione e della premedicazione<br />

DEXDOMITOR 0,5 mg/ml soluzione iniettabile. COMPOSIZIONE: Un ml contiene 0,5 mg di dexmedetomidina cloridrato. Specie di destinazione Cani e gatti. Indicazioni per l’utilizzo procedure ed esami non invasivi<br />

poco o moderatamente dolorosi che richiedono immobilizzazione, sedazione e analgesia. Nei gatti, premedicazione prima dell’induzione e mantenimento dell’anestesia generale con ketamina. Nei cani, in associazione<br />

con butorfanolo è indicato per indurre sedazione profonda e analgesia nelle procedure mediche e negli interventi chirurgici minori. Nei cani, per la premedicazione prima dell’induzione e mantenimento dell’anestesia generale.<br />

Controindicazioni Non utilizzare nei cani di età inferiore ai 6 mesi e nei gatti di età inferiore ai 5 mesi. Non utilizzare in animali con disturbi cardiovascolari. Non utilizzare in animali con gravi patologie sistemiche<br />

o cattive condizioni generali. Non utilizzare in casi di ipersensibilità nota verso il principio attivo o ad uno qualsiasi degli eccipienti del prodotto. Avvertenze speciali per ciascuna specie di destinazione La sicurezza della<br />

dexmedetomidina per i maschi destinati alla riproduzione non è stata confermata. Reazioni sfavorevoli riduzione della frequenza cardiaca e diminuzione della temperatura corporea, riduzione della frequenza respiratoria.<br />

Mucose pallide o bluastre. Vomito. Possono verificarsi bradipnea, respirazione irregolare, ipoventilazione e apnea. Bradiaritmia e tachiaritmia, bradicardia sinusale, blocchi atrioventricolari di primo e di secondo<br />

grado, arresto sinusale oppure perdita del ritmo sinusale, extrasistoli atriali, sopraventricolari e ventricolari. Utilizzazione durante la gravidanza, l’allattamento L’uso del prodotto durante la gravidanza e l’allattamento<br />

non è raccomandato. Interazione con altri medicinali veterinari ed altre forme d’interazione L’uso contemporaneo di altri farmaci depressivi del sistema nervoso centrale può potenziare l’effetto della dexmedetomidina,<br />

è quindi necessario modificarne le dosi in modo appropriato. Utilizzare con cautela gli anticolinergici con la dexmedetomidina. Dosi da somministrare e via di somministrazione: Cane: via endovenosa o intramuscolare.<br />

Gatto: via intramuscolare. Dosaggio: cane Le dosi, per il cane, sono stabilite sulla base della superficie corporea. Usato da solo per la sedazione e l’analgesia, la dose da somministrare per via endovenosa corrisponde<br />

a 375 mcg/m 2 di superficie corporea e quella per via intramuscolare corrisponde a 500 mcg/m 2 di superficie corporea. In associazione a butorfanolo (0,1 mg/kg) per la sedazione profonda e l’analgesia, la dose per via<br />

intramuscolare corrisponde a 300 mcg/m 2 di superficie corporea. Per la premedicazione è pari a 125-375 mcg/m 2 di superficie corporea. Gatto: sedazione, 40 mcg/kg, corrispondenti a 0,08 ml di Dexdomitor/kg. La<br />

stessa dose può essere utilizzata per la premedicazione. Sovradosaggio Cane: somministrare una dose di atipamezolo corrispondente a 10 volte la dose iniziale di dexmedetomidina (mcg/kg di peso corporeo o mcg/m<br />

di superficie corporea). Il volume del prodotto da somministrare contenente atipamezolo, alla concentrazione di 5 mg/ml, corrisponde al volume di Dexdomitor somministrato, indipendentemente dalla via di somministrazione<br />

di quest’ultimo. Gatto: somministrare atipamezolo per via intramuscolare ad una dose 5 volte la dose iniziale di dexmedetomidina, in mcg/kg di peso corporeo.


ESTRATTI<br />

DELLE RELAZIONI<br />

Questo volume di atti congressuali riporta fedelmente quanto fornito dagli autori<br />

che si assumono la responsabilità dei contenuti dei propri scritti.<br />

Traduzione dei testi inglesi: Dr. Maurizio Garetto e Dott.ssa Tiziana Binelli<br />

Gli estratti sono elencati in ordine alfabetico secondo il cognome del relatore<br />

e quindi in ordine cronologico di presentazione.


58° <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>SCIVAC</strong> • Milano, 7-9 Marzo 2008 • <strong>Oncologia</strong> <strong>veterinaria</strong> - Alle soglie del III Millennio<br />

Giuliano Bettini<br />

Med Vet, Bologna, Italia<br />

Oltre la diagnosi:<br />

le magie del patologo<br />

Sabato, 8 Marzo 2008, ore 11.40<br />

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58° <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>SCIVAC</strong> • Milano, 7-9 Marzo 2008 • <strong>Oncologia</strong> <strong>veterinaria</strong> - Alle soglie del III Millennio<br />

INTRODUZIONE<br />

In oncologia animale l’intervento del patologo nella gestione del paziente<br />

è nella maggior parte dei casi limitato al momento diagnostico di conferma<br />

del sospetto clinico e di definizione del tipo di neoplasia. Quello che cioè ci<br />

si aspetta dal patologo è una risposta alle domande: “È una neoplasia?”, “Che<br />

neoplasia è?”, “È una neoplasia benigna o maligna?”, che rappresentano sempre<br />

il presupposto indispensabile per iniziare correttamente l’iter di pianificazione<br />

terapeutica.<br />

Lo scopo di questa relazione è informare i veterinari che si approcciano alla<br />

gestione di un paziente oncologico sulle numerose altre domande che possono<br />

essere poste al patologo, dalle cui risposte possono scaturire indicazioni<br />

pratiche utili per una più precisa definizione della prognosi e per una migliore<br />

pianificazione terapeutica. Verrà inoltre posto l’accento sui pochi accorgimenti<br />

tecnici che il clinico dovrebbe seguire per permettere al patologo di<br />

trarre dal campione che gli è conferito il massimo delle informazioni.<br />

QUANTO È MALIGNO?<br />

In molti casi anche la semplice diagnosi istologica fornisce importanti<br />

indicazioni sul comportamento biologico del tumore e sulle più opportune<br />

modalità di stadiazione e di approccio terapeutico. Per esempio, il carcinoma<br />

squamocellulare e il fibrosarcoma hanno un’elevata propensione all’invasività<br />

locale, mentre carcinoma tiroideo ed emangiosarcoma tendono precocemente<br />

alla metastatizzazione. Nel caso di neoplasie poco differenziate,<br />

tuttavia, il solo esame morfologico può non essere sufficiente a raggiungere<br />

una diagnosi definitiva, e può essere necessario ricorrere all’immunoistochimica<br />

per evidenziare componenti tipici di specifiche linee cellulari.<br />

Fra i marker diagnostici più spesso utilizzati possono essere ricordati quelli<br />

per le cellule mesenchimali (vimentina, desmina, actina, ecc), epiteliali<br />

(citocheratine a diverso peso molecolare), nervose (GFAP, NSE, NFP), neuroendocrine<br />

(cromogranina e sinaptofisina) e gli svariati antigeni (CD, cluster<br />

of differentiation) che vengono ricercati per caratterizzare le neoplasie<br />

a cellule rotonde.<br />

Per molti tumori il patologo formula anche il grado istologico di malignità,<br />

che fornisce ulteriori informazioni sull’aggressività della neoplasia. Il grading<br />

istologico cerca infatti di stabilire un’associazione fra aspetto microscopico<br />

del tumore (differenziazione, numero di mitosi, invasività locale e altri<br />

parametri variabili da tumore a tumore) e comportamento biologico. Il potere<br />

prognostico del grado istologico è ovviamente inferiore rispetto a quello dello<br />

stadio clinico, ma a parità di stadio nella maggior parte dei tumori (carci-<br />

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nomi mammari, mastocitoma, tumori polmonari, carcinoma della vescica,<br />

sarcomi) il grado è direttamente collegato all’aggressività. Il limite maggiore<br />

della graduazione istologica risiede in una certa soggettività interpretativa di<br />

alcuni parametri morfologici. La tendenza attuale è pertanto quella di dare<br />

maggiore importanza ai parametri più oggettivi e quantificabili (es. indice mitotico),<br />

e di integrare il grado con marker prognostici quantificabili, quali<br />

espressione di proteine del ciclo cellulare (Ki67, PCNA) o del prodotto di oncogeni<br />

(c-Myc, K-ras, p53, Bcl2) e quantità di organizzatore nucleolare<br />

(AgNOR). Nel caso di alcune neoplasie, inoltre, il patologo deve accertare<br />

specifiche caratteristiche. Per esempio nel caso del linfoma un’informazione<br />

molto importante deriva dall’immunofenotipizzazione, in quanto i linfomi T<br />

(CD3+ CD79-) sono più aggressivi dei linfomi B (CD3- CD79+).<br />

RECIDIVERÀ?<br />

Quando tecnicamente realizzabile, l’asportazione chirurgica completa di<br />

una neoplasia è la terapia antitumorale più efficace. Se tuttavia rimangono in<br />

sede cellule neoplastiche si verifica inesorabilmente lo sviluppo di recidive,<br />

spesso più aggressive, più infiltranti e difficili da asportare, anche a causa del<br />

contesto tessutale alterato dal precedente intervento. L’unico sistema per valutare<br />

se l’asportazione di una massa è stata completa o no, e quindi predire<br />

la possibile comparsa di recidive, è l’osservazione istologica dei margini di<br />

escissione: se sul margine del pezzo asportato sono presenti cellule neoplastiche,<br />

è certo che altre cellule neoplastiche sono rimaste in situ, e potrà svilupparsi<br />

una recidiva. Rispetto alle normali tecniche di fissazione e preparazione<br />

di un pezzo istologico, che mirano alla sola formulazione diagnostica, quando<br />

è richiesta la “marginazione” di una neoplasia è necessario fissare tutta la<br />

parte asportata e non solo un campione di essa, avendo cura di “marcare” i<br />

margini chirurgici con inchiostro di china o altri coloranti appositi, per evitare<br />

di confondere un margine chirurgico con un margine creato durante la rifilatura<br />

del pezzo, e orientare opportunamente il pezzo. È da tenere presente<br />

che nel caso di neoplasie voluminose la valutazione dei margini di escissione<br />

comporta per il patologo un certo superlavoro, in quanto per esaminare una<br />

quantità significativa della periferia del pezzo asportato è necessario processare<br />

un numero elevato di campioni.<br />

METASTATIZZERÀ?<br />

La metastatizzazione è un evento cruciale nell’evoluzione di ogni malattia<br />

neoplastica, in grado di condizionare in modo determinante le scelte terapeu-<br />

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tiche. Il riscontro di emboli intravasali nella valutazione istologica di routine<br />

con la sola ematossilina eosina permette già di apprezzare che le cellule tumorali<br />

sono entrate nel torrente circolatorio e che con grande probabilità sono<br />

già presenti (micro)metastasi, quantomeno nel linfonodo regionale. Anche<br />

l’osservazione di un’intensa (neo)vascolarizzazione, che può essere meglio<br />

apprezzata in sezioni istologiche immunocolorate per evidenziare i vasi<br />

(FVIII, CD31) può dare indicazioni sul potenziale metastatico della neoplasia,<br />

in quanto più un tumore è vascolarizzato, più è ampia la sua “finestra” sul<br />

torrente circolatorio e maggiori sono le probabilità di riversare cellule neoplastiche<br />

nel sangue. È inoltre possibile valutare il “fenotipo metastatico” delle<br />

cellule tumorali apprezzandone la capacità di allontanarsi dalla massa primitiva<br />

(diminuita o alterata espressione di molecole di adesione, quali integrine<br />

e catenine), di infiltrare i tessuti circostanti e di interagire con il microambiente<br />

stromale (alterata espressione di glicoproteine di ancoraggio,<br />

quali laminina, collageno, fibronectina), di attecchire a distanza (CD44) e di<br />

fornirsi un supporto vascolare adeguato (VEGF).<br />

LA CHEMIOTERAPIA SARÀ EFFICACE?<br />

In linea generale quando l’immunoistochimica dimostra un’elevata attività<br />

proliferativa delle cellule tumorali (elevato Ki67/MIB-1 index, superiore a<br />

30-40%), il patologo può comunicare all’oncologo medico la probabile buona<br />

efficacia di una chemioterapia basata su farmaci attivi sulle cellule ciclanti<br />

(antiblastici). In taluni casi il patologo può però fornire indicazioni più precise,<br />

evidenziando l’espressione di costituenti cellulari correlabili alla risposta<br />

a determinati farmaci. La glicoproteina P, per esempio, è una proteina della<br />

membrana citoplasmatica che agisce come una pompa in grado di estrudere<br />

dalla cellula xenobiotici dannosi per la cellula stessa. In diverse neoplasie<br />

animali (linfoma, osteosarcoma, carcinoma uroteliale, ecc.) la resistenza ai<br />

farmaci antitumorali è associata alla sovraespressione della glicoproteina P e<br />

al conseguente instaurarsi di chemioresistenza nei confronti di farmaci substrato,<br />

quali vincristina, vinblastina e doxorubicina (fenomeno MDR - multiple<br />

drug resistance), che quindi in caso di sovraespressione della PGP dovrebbero<br />

essere esclusi dal protocollo.<br />

Un altro esempio molto attuale riguarda la terapia a bersaglio molecolare<br />

che, al contrario della chemioterapia tradizionale, non è aspecifica e quindi<br />

potenzialmente tossica per tutte le cellule, ma è attiva solo nei confronti delle<br />

cellule che possiedono un determinato bersaglio, generalmente un recettore<br />

indispensabile per la crescita cellulare e che il farmaco inibisce o blocca selettivamente.<br />

L’esempio più importante in oncologia <strong>veterinaria</strong> riguarda il<br />

mastocitoma canino, in cui la mutazione del gene c-kit può determinare la<br />

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produzione di un recettore transmembranario tirosin-chinasico (KIT o<br />

CD117) patologicamente autofosforilato, in grado di stimolare la proliferazione<br />

cellulare. Poiché tale condizione è generalmente accompagnata a sovraespressione<br />

e localizzazione citoplasmatica del recettore, con l’immunoistochimica<br />

per la proteina KIT è possibile predire nel singolo caso l’efficacia<br />

del trattamento con inibitori tirosin-chinasici.<br />

Un altro possibile bersaglio terapeutico su cui si sta concentrando l’attenzione<br />

deriva dalla recente acquisizione che in molte neoplasie maligne le cellule<br />

raggiungono una condizione di immortalizzazione attraverso la produzione<br />

di telomerasi, un enzima in grado di prevenire l’accorciamento dei telomeri<br />

cromosomiali, che nelle cellule somatiche normali si accorciano ad<br />

ogni divisione cellulare determinando una progressiva instabilità genomica e<br />

l’innesco dell’apoptosi. La presenza di attività telomerasica in una cellula tumorale,<br />

che può essere dimostrata con l’immunoistochimica utilizzando anticorpi<br />

diretti contro la subunità catalitica dell’enzima (h-TERT) o con metodi<br />

biomolecolari riproducendo in vitro l’attività dell’enzima (TRAP - Telomerase<br />

Repeat Amplification Protocol) dimostra che la cellula utilizza la via telomerasica<br />

per la sua sopravvivenza, e suggerisce una potenziale efficacia di<br />

farmaci, tuttora allo studio, in grado di inibire l’attività telomerasica (terapia<br />

genica, molecole antisenso, piccole molecole ad azione inibente).<br />

Numerosi studi hanno recentemente focalizzato l’attenzione anche sul<br />

ruolo della ciclossigenasi-2 nella progressione tumorale evidenziando in diverse<br />

neoplasie animali (carcinoma uroteliale, adenocarcinomi intestinali,<br />

osteosarcoma, ecc.) un’associazione fra sovraespressione immunoistochimica<br />

di COX-2 ed aggressività, che suggerisce una potenziale utilità in questi<br />

casi del trattamento con farmaci inibitori delle ciclossigenasi sia ad integrazione<br />

della chemioterapia tradizionale che nella prevenzione di eventuali<br />

recidive.<br />

PRIMARIO O SECONDARIO?<br />

Il riscontro di una patologia oncologica in organi frequente sede di metastasi<br />

(polmoni, fegato, reni) pone spesso dubbi riguardo alla natura primaria<br />

o secondaria di tali lesioni. In questi casi il patologo può tentare di individuare<br />

la sede primaria mettendo in evidenza marker diagnostici specifici di una<br />

sede piuttosto che di un’altra. Purtroppo i marker immunoistochimici specifici<br />

per singoli tipi di epitelio sono rari. Fra gli esempi più interessanti ricordiamo<br />

il TTF-1 (Thyroid Transcription Factor-1), che è specificamente<br />

espresso (oltre che nei carcinomi della tiroide) nei carcinomi polmonari primitivi<br />

e non in quelli metastatici, e l’uroplachina III, marker specifico per i<br />

carcinomi uroteliali.<br />

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COSA CAMBIERÀ NEL FUTURO?<br />

Anche se alla base di patogenesi e progressione tumorale stanno alterazioni<br />

genetiche, la diagnosi e la classificazione dei tumori si basa ancora sulla valutazione<br />

delle conseguenze di tali alterazioni (fenotipo istologico e immunoistochimico).<br />

La citogenetica tumorale è in effetti una scienza piuttosto<br />

giovane e in continua evoluzione. I sistemi tradizionalmente utilizzati per studiare<br />

le anomalie genetiche sono la PCR (Polymerase Chain Reaction), l’ISH<br />

(In Situ Hybridization) e la Real-time-PCR sono risultati poco adatti all’oncologia,<br />

perché permettono di studiare un solo gene per volta, mentre i tumori<br />

albergano spesso mutazioni in più geni contemporaneamente. Il limite è stato<br />

superato dalla genomica con la recente introduzione dei microarrays a<br />

DNA, che permettono di valutare su un solo supporto (“gene chip”) l’espressione<br />

di migliaia di geni. Tramite sistemi di analisi di immagine ed elaborazione<br />

statistica che confrontano l’espressione dei geni nelle cellule tumorali<br />

(selezionate tramite microdissezione laser) e normali dello stesso paziente<br />

(hierachical clustering) è possibile ottenere il profilo di espressione genica<br />

del tumore, da cui possono derivare importanti informazioni su istogenesi,<br />

tendenza a dare metastasi e sensibilità ai chemioterapici. Tuttavia, per la complessità<br />

delle dinamiche intracellulari, all’anomalia genetica non corrisponde<br />

necessariamente un prodotto alterato e attivo, così come il prodotto di un gene<br />

normale può andare incontro dopo la sintesi a modificazioni post-traslazionali<br />

(glicosilazione, fosforilazione, ecc.). Per questi motivi la ricerca si sta<br />

concentrando anche sulla proteomica, e cioè sulla caratterizzazione del preciso<br />

profilo proteico delle cellule tumorali.<br />

Scopo principale della definizione del profilo genomico e proteomico di<br />

una neoplasia (molecular profiling) consisterà nella formulazione di nuove<br />

classificazioni su base molecolare, che raggruppino i tumori non solo in base<br />

al loro aspetto istologico, ma anche e soprattutto in base alle caratteristiche<br />

biomolecolari correlate al decorso clinico e alla sensibilità a farmaci a bersaglio<br />

molecolare.<br />

COME COLLABORARE COL PATOLOGO?<br />

I campioni di tessuto su cui il patologo può eseguire le determinazioni presentate<br />

(e molte altre!) devono essere trattati in modo idoneo, al fine di non pregiudicare<br />

il percorso diagnostico intrapreso. I punti critici da ricordare sono:<br />

– biopsie: devono essere di dimensioni adeguate (alcuni millimetri), integre<br />

(se si frammentano quando messe nel fissativo sono probabilmente illeggibili),<br />

in numero adeguato (mai una soltanto, tanto più numerose quanto<br />

più voluminosa è la lesione), trattate con delicatezza e fissate subito;<br />

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– formalina: usare solo formalina tamponata per istologia, in quantità adeguata<br />

(il campione deve galleggiare nella formalina), non protrarre il periodo<br />

di fissazione (la fissazione oltre le necessarie 12-48 ore non altera le<br />

caratteristiche morfologiche, ma può precludere la possibilità di ricorrere<br />

ad approfondimenti immunoistochimici);<br />

– dimensioni del campione: a meno che non si fissi l’intero pezzo chirurgico<br />

per la valutazione dei margini, il campione deve avere uno spessore inferiore<br />

al centimetro, per permettere la completa penetrazione del fissativo<br />

prima che inizino i fatti putrefattivi;<br />

– contenitore: infrangibile, a chiusura ermetica, di dimensioni adeguate, con<br />

apertura sufficientemente ampia da permettere il comodo passaggio del<br />

pezzo fissato (la fissazione indurisce parecchio il tessuto);<br />

– informazioni di accompagnamento: fornire dati completi di segnalamento,<br />

anamnesi, sintomatologia, aspetto e localizzazione della neoformazione<br />

permette al patologo di articolare meglio le diagnosi differenziali e di fornire<br />

quindi responsi più accurati;<br />

– tempo e denaro: tutte le procedure ricordate in questa relazione richiedono attività<br />

di laboratorio che comportano l’uso di reagenti spesso costosi (anticorpi per<br />

immunoistochimica), la processazione di molti campioni (valutazione dei margini)<br />

e il lavoro di tecnici di laboratorio; non ci si deve quindi meravigliare se<br />

questi risultati vengono forniti dopo un intervallo di tempo più lungo rispetto ai<br />

tempi necessari per la sola istologia e a fronte di un eventuale sovrapprezzo.<br />

CONCLUSIONI<br />

Nonostante le informazioni diagnostico-prognostiche che il patologo può<br />

fornire “oltre la diagnosi” possano apparire complesse e riservate agli addetti ai<br />

lavori, si tratta in realtà di procedure che, quando standardizzate, sono piuttosto<br />

semplici e finalizzate a integrare il responso morfologico, e quindi soggettivo,<br />

con dati obiettivi e quantificabili, e che non hanno nulla di “magico”. Il vero<br />

“mago” era piuttosto il patologo del passato, che, utilizzando solo i suoi occhi<br />

e la sua esperienza era talvolta costretto a esercitare una sorta di “chiaroveggenza”<br />

istopatologica. E, come tutti i maghi, a volte sbagliava. Utilizzando le<br />

nuove tecniche la patologia del futuro cercherà di ridurre il margine di errore e<br />

di incrementare le informazioni utili per prognosi e terapia.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Giuliano Bettini<br />

Servizio di Anatomia Patologica - Dipartimento di Sanità Pubblica Veterinaria e Patologia Animale<br />

Facoltà di Medicina Veterinaria - Alma Mater Studiorum - Università di Bologna<br />

Via Tolara di Sopra 50, I - 40064 Ozzano Emilia (Bologna)<br />

Tel. ++39 051 2097969 - Fax ++39 051 2097968 - E-mail: giuliano.bettini@unibo.it<br />

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Julia Buchholz<br />

Dr Med Vet, Dipl ACVR (Radiation Oncology),<br />

Colorado, USA<br />

Terapia fotodinamica:<br />

all’ombra della luce<br />

Sabato, 8 Marzo 2008, ore 17.10<br />

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INTRODUZIONE<br />

In medicina <strong>veterinaria</strong> la terapia fotodinamica è una modalità piuttosto<br />

recente e raramente utilizzata come trattamento del cancro. La base del<br />

principio della terapia fotodinamica è l’interazione tra un fotosensibilizzatore,<br />

la luce e l’ossigeno. Una reazione fotodinamica descrive un processo<br />

fotochimico nel quale si verifica l’assorbimento della luce da parte del fotosensibilizzatore<br />

con conseguente creazione di radicali d’ossigeno reattivi.<br />

Il risultato è la distruzione del tessuto maligno. Già 3000 anni fa la fotosensibilizzazione<br />

era utilizzata in Egitto, Cina e India come trattamento di<br />

malattie della pelle: applicavano estratti di piante sulla pelle ed esponevano<br />

le parti trattate alla luce del sole. Nel 1904 Hermann von Tappeiner coniava<br />

il termine “Terapia fotodinamica” (PDT) per indicare il processo dipendente<br />

dall’ossigeno 14 , in questo modo già allora i pazienti oncologici venivano<br />

trattati con successo grazie alla PDT. Nell’anno 1924 il medico francese<br />

Albert Policard fece una scoperta importante: la lampada di Wood permetteva<br />

di mostrare l’accumulo selettivo di porfirina, uno dei fotosensibilizzatori<br />

più utilizzati in quel periodo 30 . Il successo della PDT avvenne nell’anno<br />

1975 dopo che Thomas Dougherty negli Stati Uniti trattò diverse<br />

neoplasie nell’uomo e negli animali. Le sue esperienze hanno contribuito<br />

molto alla conoscenza che oggi abbiamo sulla PDT 7 .<br />

MECCANISMO D’AZIONE DELLA PDT<br />

Il fotosensibilizzatore è capace d’assorbire la luce dopo essersi trasformato<br />

in uno stadio di eccitazione ionica. L’energia assorbita del fotosensibilizzatore<br />

si trasferisce principalmente all’ossigeno molecolare, da qui si sviluppa<br />

l’ossigeno singoletto, un radicale libero molto reattivo che reagisce e distrugge<br />

tutti i tessuti ossigenabili.<br />

Ci sono tre meccanismi per la distruzione del tumore mediante PDT: 1) distruzione<br />

diretta delle cellule tumorali 12 , 2) distruzione dei vasi associati al tumore<br />

6,8,9 e 3) attivazione di una risposta immunologica contro le cellule tumorali<br />

10,18 . Le ragioni per cui l’accumulo selettivo del fotosensibilizzatore si<br />

verifica, sono una permeabilità elevata nel sistema dei vasi tumorali, un impedimento<br />

del drenaggio linfatico, un abbassamento del pH delle cellule tumorali<br />

e cambiamenti nello stroma del tumore 35 . Questo accumulo può essere<br />

aumentato ancora di più utilizzando anticorpi monoclonali, liposomi oppure<br />

proteine a bassa densità 26 .<br />

I progressi sono costanti, non solo nel settore della luce (sorgente/applicazione),<br />

ma anche riguardo ai fotosensibilizzatori (selettività alta tumore verso<br />

tessuto normale), fotosensibilizzazione generalizzata per un periodo breve.<br />

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FONTE DI LUCE<br />

Dallo sviluppo del Laser (light amplification by stimulated emission of radiation)<br />

nell’anno 1960 la PDT è progredita ulteriormente grazie a qualità<br />

specifiche di quest’ultimo, di cui la più importante è la monocromasia (emissione<br />

di una sola lunghezza d’onda). La lunghezza d’onda specifica nella “finestra<br />

terapeutica” della PDT (600-800 nm) viene scelta in corrispondenza<br />

del massimo spettro di assorbimento del fotosensibilizzatore. La terapia dura<br />

normalmente pochi minuti.<br />

Ci sono diverse possibilità per l’applicazione della luce: la maggior parte<br />

delle volte si utilizza la “lente frontale”, specialmente per i tumori della pelle.<br />

I tumori degli organi cavi, come per esempio la vescica, sono invece trattati<br />

per via endoscopica 4 .<br />

FOTOSENSIBILIZZATORI<br />

I fotosensibilizzatori possono essere somministrati per via sistemica (orale,<br />

endovenosa) oppure per via topica. Con la somministrazione sistemica il<br />

paziente mostra una fotosensibilità generalizzata, mentre con la somministrazione<br />

topica il problema della fotosensibilità generalizzata è inesistente. Il fattore<br />

limitante con la somministrazione locale è la difficoltà di diffusione del<br />

fotosensibilizzatore nella profondità del tessuto 34 .<br />

OSSIGENO<br />

La quantità d’ossigeno nel tumore durante la PDT corrisponde all’efficacia<br />

clinica. Come nella radioterapia, il tessuto tumorale ipossico sembra molto<br />

più resistente alla terapia 5,36 .<br />

VANTAGGI E LIMITAZIONI<br />

La PDT è una terapia minimamente invasiva e può essere fatta ambulatorialmente<br />

e normalmente un trattamento è sufficiente. Una tossicità cumulativa<br />

non esiste e i risultati estetici sono ecellenti 27,33 .<br />

Purtroppo l’efficacia di trattamento dipende dallo spessore del tumore, al<br />

massimo 1-1,5 cm di profondità: per questo, la PDT funziona solo per i tumori<br />

superficiali. Benché la PDT sia considerata una terapia locale, esiste comunque<br />

una possibilità che il sistema immunitario venga attivato contro le cellule tumorali.<br />

Questo risulterebbe in una inibizione sistemica dello sviluppo metastatico 11 .<br />

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Illustrazione 1a. Illustrazione 1b.<br />

Effetti collaterali e fase del trattamento collaterali locali sono edema, iperemia,<br />

cianosi 3,24,33 , raramente prurito nei 2-4 giorni successivi alla terapia. La<br />

somministrazione sistemica del fotosensibilizzatore porta ad una fotosensibilizzazione<br />

generalizzata, la cui durata dipende dal veicolo utilizzato. Altri effetti<br />

collaterali descritti sono complicazioni cardiovascolari (soprattutto dopo<br />

trattamenti di tumori estesi ed invasivi) 24 . Dopo circa 3 giorni dal trattamento<br />

si verifica la formazione di una crosta (Illustrazione 1a) che, a seconda dello<br />

spessore e della profondità della lesione, dovrebbe cadere da sola nell’arco di<br />

2 - 8 settimane; al di sotto dovrebbe apparire una pelle riepitelializzata, un po’<br />

più sottile e glabra (Illustrazione 1b).<br />

INDICAZIONI CLINICHE<br />

Carcinoma squamoso (SCC) cutaneo del gatto<br />

Gli SCC cutanei del gatto sono i tumori dove la PDT trova le maggiori indicazioni:<br />

rappresentano circa il 15% di tutti i tumori cutanei del gatto, il loro<br />

comportamento è localmente invasivo ma metastatizzano raramente 37 .<br />

In uno studio Magne et al. hanno somministrato il fotosensibilizzatore<br />

HPPH in 51 gatti con SCC cutaneo: la remissione completa è stata registrata<br />

nel 49% dei gatti, nel 12% una remissione parziale, mentre il 39% non ha avu-<br />

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to una risposta. Il raggiungimento di una remissione totale e duratura del tumore<br />

era significativamente correlata con la dimensione del tumore e il suo<br />

grado di invasività (Stage del tumore). Tumori non invasivi con un diametro<br />

inferiore a 1,5 cm avevano una remissione completa nel 100% dei casi, tumori<br />

infiltrativi con diametro < 1,5 cm avevano una risposta del 56% e tumori invasivi<br />

con un diametro > 1,5 cm rispondevano solo nel 18% dei casi. Il controllo<br />

locale del tumore ad 1 anno dal trattamento era però del 61,7% 24 .<br />

Stell. et al. hanno ottenuto una remissione completa nel trattamento di<br />

SCC superficiali nell’85% dei casi dopo PDT topica con ALA, un’altra sostanza<br />

fotosensibilizzante e con l’uso di un LED al posto del Laser come sorgente<br />

di luce. La percentuale di recidiva era del 64% con un tempo libero da<br />

malattia di 21 settimane 33 . La somministrazione topica di ALA di Lucroy et<br />

al. non mostrava segni di tossicità epatica 19 od ematologica, a differenza della<br />

somministrazione intravenosa.<br />

Buchholz et al. hanno utilizzato una formulazione liposomale di fotosensibilizzatore<br />

somministrata per via intravenosa (mTHPC) in 20 SCC felini. La<br />

risposta completa iniziale era del 100% con un controllo locale del tumore ad<br />

1 anno dal trattamento del 75% e un tasso di recidiva del 20% (Tempo libero<br />

da malattia 172,25 giorni). La somministrazione sistemica del fotosensibilizzatore<br />

era ben tollerata dai gatti e grazie alla alta selettività della formulazione<br />

liposomale la fotosensibilizzazione generalizzata del paziente durava circa<br />

una settimana (periodo nel quale il gatto non deve essere esposto alla luce solare<br />

diretta) 2 .<br />

Reeds et al. hanno trattato con successo 9 carcinomi in cani ed in gatti con<br />

fotosensibilizzatore HPPH e un LED come fonte di luce: 8 di essi hanno mostrato<br />

una remissione completa e dopo 68 settimane il tempo medio di recidiva<br />

non era ancora raggiunto 31 .<br />

Carcinomi delle basse vie urinarie<br />

La PDT potrebbe svolgere un ruolo nel futuro nel trattamento di tumori<br />

delle vie urinarie ed in particolare per il carcinoma delle cellule di transizione<br />

(TCC) della vescica. Ridgway et al. hanno dimostrato che le cellule di<br />

TCC canino sono sensibili ad ALA in vitro 32 . In uno studio di Lucroy et al.<br />

ALA è stato somministrato oralmente a cani: il 70% dei cani mostrava vomito<br />

ma questo non influiva negativamente sulla farmacocinetica della sostanza.<br />

Inoltre è stata notata una concentrazione di metaboliti attivi 10 volte superiore<br />

nella mucosa rispetto alla sottomucosa ed alla muscolaris mucosae, che potrebbe<br />

significare una possibilità di terapia selettiva 20 . La PDT potrebbe quindi<br />

rivelarsi indicata nel trattamento di cani con TCC della vescica o di carcinoma<br />

prostatico.<br />

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ALTRI TUMORI<br />

In uno studio McCaw et al. hanno trattato 11 cani con SCC orale utilizzando<br />

HPPH in combinazione con la chirurgia. Nove di questi pazienti mostravano<br />

una remissione completa per una media di 17 mesi. Otto cani sono<br />

stati considerati guariti con una sopravvivenza media più lunga di 29 mesi con<br />

ottimi risultati estetici 27 .<br />

Payne et al. hanno avuto dei risulti promettenti nel trattamento combinato<br />

chirurgia - PDT di Emangiopericitomi e SCC orali canini 28 .<br />

Lucroy et al. hanno dimostrato in 3 cani ed 1 gatto un miglioramento dei<br />

sintomi clinici in tumori nasali 21 . Un report descrive una remissione parziale<br />

in un carcinoma squamoso dell’esofago dopo trattamento con PDT 13 .<br />

NUOVE INDICAZIONI<br />

È risaputo che sia batteri che funghi potrebbero essere uccisi mediante<br />

trattamento con PDT, il che apre eventualmente la strada a possibili applicazioni<br />

nelle infezioni croniche di pelle ed orecchie.<br />

In medicina umana si pensa anche ad un uso diagnostico di ALA per svelare<br />

intraoperativamente metastasi linfonodali o cellule tumorali ai margini di<br />

escissione 16 .<br />

Riassumendo, la terapia Fotodinamica trova indicazione in lesioni superficiali<br />

della pelle o di organi cavitari. Una potenziale combinazione con chirurgia<br />

27 , chemioterapia 23 e radioterapia 1 , ipertermia 15 o immunoterapia 18 dovrebbe<br />

essere auspicata nel futuro.<br />

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29


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Julia Buchholz<br />

Dr Med Vet, Dipl ACVR (Radiation Oncology),<br />

Colorado, USA<br />

La radioterapia - quanta strada<br />

abbiamo fatto?<br />

Sabato, 8 Marzo 2008, ore 17.50<br />

31


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INTRODUZIONE<br />

La radioterapia è stata utilizzata già pochi anni dopo la scoperta dei raggi<br />

x come trattamento di malattie croniche, infiammatorie e neoplastiche<br />

nell’uomo e negli animali. In medicina <strong>veterinaria</strong> le prime segnalazioni di<br />

radioterapia arrivano dall’Europa. Tra il 1895 e il 1920 il veterinario tedesco<br />

Richard Eberlein ha trattato animali con radioterapia con successo. Nel<br />

1938, il veterinario austriaco Alois Pommer presentava le sue esperienze<br />

con la radioterapia e proponeva 35 diverse indicazioni di trattamento in più<br />

di 1000 pazienti al congresso veterinario a Zurigo 1 . Da quel periodo in poi,<br />

purtroppo, la radioterapia <strong>veterinaria</strong> è stata dimenticata per tanti anni in<br />

Europa mentre negli Stati Uniti, al contrario, ha continuato ad avanzare 2 .<br />

Negli ultimi dieci anni comunque la radioterapia è tornata in auge anche in<br />

Europa, nonostante i centri che la propongono non siano ancora molti. Le<br />

ragioni della scarsità di macchine per radioterapia va cercata negli altissimi<br />

costi di gestione della macchina stessa e degli operatori necessari al controllo<br />

ed al funzionamento (fisici, tecnici). Inoltre un radio-oncologo dovrebbe<br />

sempre essere responsabile della creazione di piani di trattamento e<br />

della cura dei pazienti trattati.<br />

MECCANISMO D’AZIONE DELLA RADIOTERAPIA<br />

I raggi ionizzati possono distruggere le cellule: passano il tessuto e depositano<br />

l’energia all’interno delle cellule stesse. Il risultato è un danno diretto<br />

al DNA oppure danni indiretti via una ionizzazione dell’acqua. Questi<br />

danni sono gravi e risultano in una distruzione della cellula. L’unità della<br />

dose è il Gray (Gy) che significa l’assorbimento di 1 Joule per chilo di massa<br />

corporea.<br />

Purtroppo l’effetto della ionizzazione non è presente solo nelle cellule tumorali:<br />

anche le cellule normali, specialmente quelle che replicano di più<br />

(pelle, mucose, cellule intestinali, midollo osseo), mostrano un danno simile.<br />

Per questo motivo è necessario somministrare la dose totale in tante piccole<br />

porzioni (frazioni). Fortunatamente il tessuto sano ha una capacità di riparazione<br />

più alta del tessuto neoplastico che risulta in una “vittoria terapeutica”.<br />

PROTOCOLLI DI TERAPIA<br />

Come sopracitato si deve somministrare la radioterapia in più frazioni. In<br />

medicina umana di solito sono 20-30 frazioni suddivise in 6-7 settimane. Di<br />

solito i protocolli veterinari utilizzano una dose per frazione più alta e una do-<br />

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se totale più bassa, si somministrano così da 12 a 18 frazioni in 3 o 4 settimane<br />

per un trattamento curativo.<br />

In medicina <strong>veterinaria</strong> è purtroppo necessaria un’anestesia generale per<br />

ogni trattamento, affinché il paziente sia immobile, ma è comunque sufficiente<br />

che sia un’anestesia leggera, senza analgesici, dato che la radioterapia<br />

non è dolorosa.<br />

MACCHINE PER IL TRATTAMENTO<br />

In questa sede parliamo di radioterapia esterna (teleterapia), indicando<br />

un’irradiazione somministrata dall’esterno, al contrario della brachiterapia, in<br />

cui una sorgente radioattiva è impiantata direttamente nel tumore.<br />

All’inizio venivano utilizzate soprattutto macchine a raggi x con un’energia<br />

bassa se paragonata alle macchine più moderne. Il problema di queste<br />

macchine è che non permettono di trattare tumori profondi e che la dose somministrata<br />

all’osso è molto più alta di quella ricevuta dal tessuto molle. Oggi<br />

sono utilizzate le macchine a cobalto e gli acceleratori lineari: il vantaggio del<br />

cobalto sono i prezzi più contenuti di macchina e manutenzione, il vantaggio<br />

degli acceleratori lineari è che permettono trattamenti più precisi (meno penombra),<br />

il che è clinicamente rilevante soprattutto per i tumori del cervello e<br />

del naso. Un secondo vantaggio è l’assenza di una sorgente radioattiva. Inoltre<br />

con l’acceleratore lineare si possono utilizzare sia fotoni per i tumori profondi,<br />

che elettroni per trattare tumori superficiali in una maniera molto elegante<br />

senza somministrare una dose alta al tessuto normale sottostante.<br />

INDICAZIONI<br />

Indicazioni assolute<br />

Ci sono tumori in cui la radioterapia è considerata la prima scelta, come<br />

tumori nasali, tumori del cervello e linfoma localizzato (eventualmente in<br />

combinazione con chemioterapia).<br />

Indicazioni relative<br />

In questo caso i risultati della radioterapia sono comparabili ad altre modalità<br />

(es. chirurgia) ma il risultato estetico o funzionale ne è avvantaggiato.<br />

Esempi sono l’epulide acantomatosa, l’adenoma perianale e il carcinoma<br />

squamocellulare.<br />

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Radioterapia adiuvante<br />

La radioterapia è spesso utilizzata sinergicamente alla chirurgia come trattamento<br />

locale e con la chemioterapia per i tumori che hanno un alto rischio<br />

metastatico. Esempi sono il mastocitoma e i sarcomi dei tessuti molli.<br />

Radioterapia curativa<br />

L’obiettivo con questo tipo di radioterapia è la cura dell’animale dal tumore,<br />

oppure il controllo a lungo termine quando curare non fosse possibile<br />

(qualche anno). Sono dei protocolli intensi e spesso ci sono effetti collaterali<br />

acuti (da qualche giorno a circa due settimane) associati ad un decorso<br />

curativo.<br />

Radioterapia palliativa<br />

L’intento della radioterapia palliativa è il miglioramento della qualità di vita<br />

per il tempo che rimane al paziente. Il risultato è la diminuzione del dolore,<br />

una stabilizzazione della neoplasia oppure il cessare di sanguinamenti cronici.<br />

Sono solo poche frazioni che non risultano in effetti collaterali. Qualche<br />

volta c’è un prolungamento del tempo di sopravvivenza, ma non è l’obiettivo<br />

primario.<br />

Effetti collaterali<br />

Come già detto è soprattutto il tessuto che prolifera velocemente che mostra<br />

gli effetti secondari acuti. Una radioterapia curativa di un tumore cutaneo<br />

può risultare in una dermatite secca o umida. Di solito, le reazioni cominciano<br />

2 o 3 settimane dall’inizio del trattamento, raggiungono il picco intorno alla fine<br />

del ciclo e durano ancora circa altre 2 settimane. Per i tumori orali è la mucosa<br />

buccale che evidenzia un’infiammazione ed un aumento della salivazione.<br />

Queste alterazioni di pelle o mucosa (Illustrazione 1a: alla fine della radioterapia<br />

curativa; Illustrazione 1b: al controllo 3 settimane dopo la fine della radioterapia)<br />

vengono trattate con antibiotici e corticosteroidi sistemici e con impacchi<br />

di the nero, che ha un effetto lenitivo e calmante. È sconsigliato l’uso<br />

di creme o gel ed è fondamentale che gli animali non si lecchino o grattino nella<br />

zona irradiata (collare elisabettiano!) perché la pelle dopo l’irradiazione è<br />

molto sottile, delicata e si ulcera facilmente. Il pelo ricresce nell’arco di qualche<br />

mese, ma il colore ed anche la struttura del pelo può cambiare.<br />

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Illustrazione 1a. Illustrazione 1b.<br />

Gli effetti collaterali acuti con la radioterapia curativa dei tumori nasali è<br />

scolo nasale, starnuti, mucositi ed effetti collaterali agli occhi se sono stati<br />

compresi nel campo d’irradiamento. La radioterapia curativa di tumori cerebrali<br />

e del midollo spinale raramente risultano in effetti collaterali acuti.<br />

Per quanto riguarda gli effetti collaterali cronici, è necessario cercare di<br />

prevenirli in tutti i modi, dato che il controllo di alcuni di essi è molto difficile<br />

se non impossibile (necrosi cutanea, necrosi cerebrale, osteoradionecrosi).<br />

È responsabilità del radiooncologo di creare dei piani di radioterapia con il<br />

minor rischio possibile di provocare questi effetti collaterali cronici.<br />

TUMORI FREQUENTEMENTE TRATTATI<br />

CON LA RADIOTERAPIA<br />

Tumori orali (in ordine di radiosensibilità)<br />

Le epulidi acantomatose sono molto radioresponsive. Come con la chirurgia,<br />

il controllo del tumore è del 90% 3 . Il vantaggio della RT può essere che<br />

il risultato estetico è superiore a quello della chirurgia.<br />

Nel cane il carcinoma squamocellulare risponde bene alla radioterapia con<br />

circa 75% dei tumori controllati con sola radioterapia 4 . Una combinazione di<br />

chirurgia e radioterapia spesso risulta in un controllo superiore. La prognosi<br />

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dipende della localizzazione nella bocca: quelli rostrali rispondono molto meglio<br />

di quelli localizzati nelle zone caudali, i quali spesso metastatizzano velocemente<br />

nel corso della malattia.<br />

Il carcinoma squamocellulare orale nel gatto, al contrario, ha una prognosi<br />

infausta e anche con un trattamento locale aggressivo questi tumori non sono<br />

quasi mai controllati.<br />

I fibrosarcomi non sono tanto responsivi alla radioterapia da sola, ma una<br />

combinazione con la chirurgia aumenta la probabilità di controllare questo tipo<br />

di tumore che è molto aggressivo localmente (33-76% controllo dopo un anno) 4 .<br />

Il melanoma è il tumore orale più frequente nel cane ed è estremamente radioresponsivo<br />

(risposta nell’83-100% dei casi) 5,6,7 . Si utilizza di solito un protocollo<br />

palliativo con una dose alta per frazione dato che il melanoma eccezionalmente<br />

risponde meglio a grandi frazioni che non a trattamenti curativi;<br />

purtroppo la sopravvivenza è limitata dalla comparsa precoce di metastasi.<br />

Tumori nasali<br />

◊Tumori intranasali sono difficili da controllare con ogni tipo di trattamento,<br />

ma la RT rimane comunque la prima scelta. La sopravvivenza mediana<br />

e di circa 12-18 mesi nel cane 8,9 e di circa 12 mesi nel gatto 10 trattati con<br />

radioterapia curativa.<br />

Il linfoma intranasale nel gatto ha una prognosi molto buona con 24 mesi di<br />

sopravvivenza mediana 11 (circa 30 mesi con radioterapia e chemioterapia) 12 .<br />

È possibile ed auspicabile che, per i tumori intranasali, nuove tecniche come<br />

la radioterapia d’intensità modulata (IMRT) possano aumentare il controllo<br />

locale senza aumentare gli effetti collaterali.<br />

Tumori del piano nasale<br />

Il carcinoma squamocellulare nel gatto è un tumore abbastanza frequente<br />

e spesso la chirurgia esita in un risultato estetico non soddisfacente. Con la radioterapia<br />

si possono trattare tumori già abbastanza estesi (troppo grandi per<br />

la terapia fotodinamica) con successo: più del 90% risponde alla terapia. Circa<br />

il 65% ha un controllo del tumore dopo un anno 13,14 .<br />

Tumori cerebrali<br />

La radioterapia è un’ottima scelta per i tumori cerebrali. Pazienti con sintomi<br />

neurologici spesso stanno meglio già dopo poche sedute di radioterapia<br />

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e la sopravvivenza mediana è di 24 mesi 15 . I barbiturici devono essere continuati<br />

in caso di crisi epilettiche.<br />

Per i tumori ipofisari l’endocrinopatia spesso rimane anche se il tumore<br />

macroscopico è controllato con la radioterapia.<br />

Qualche volta, i sintomi clinici iniziali riappaiono circa 2-10 settimane dopo<br />

che la radioterapia è finita, ma in questo caso parliamo d’effetti collaterali<br />

specifici per il tessuto nervoso e che possono essere controllati con cortisone.<br />

È importante conoscere questo fenomeno e di non considerare la terapia<br />

inefficace.<br />

Tumori dell’osso<br />

La radioterapia è utilizzata per l’osteosarcoma in maniera palliativa. È una<br />

terapia efficace per il controllo del dolore e di solito l’effetto analgesico dura<br />

circa tre mesi. Qualche volta il dolore può aumentare dopo la prima seduta per<br />

poi scomparire nell’arco di 2 settimane, con una risposta del 74-92% 16,17 . La radioterapia<br />

può essere combinata con la somministrazione di bisfosfonati e<br />

FANS. Il ruolo della chemioterapia in combinazione alla radioterapia palliativa<br />

dell’osteosarcoma non è chiaro, ma non sembra aumentare la sopravvivenza.<br />

TUMORI DEL TRONCO E DELLE ESTREMITÀ<br />

Mastocitoma<br />

Prima scelta per la maggior parte dei mastocitomi (grado due) è la chirurgia.<br />

Se il chirurgo non riesce ad avere margini puliti e un’altra chirurgia non<br />

è possibile, una radioterapia curativa è indicata (controllo a due anni di 85-<br />

95%) 18,19,20 . Ci sono diverse situazioni in cui i linfonodi regionali sono inclusi<br />

nel campo d’irradiazione e in cui una chemioterapia adiuvante è indicata<br />

(linfonodo positivo, mastocitoma ad alto rischio: sopravvivenza mediana di<br />

circa tre anni) 21,22 . In qualche situazione, solo una combinazione di radioterapia<br />

palliativa e chemioterapia è ragionevole (per esempio un mastocitoma diffuso<br />

di grado tre con linfonodi positivi).<br />

Sarcomi dei tessuti molli<br />

I sarcomi dei tessuti molli sono molto invasivi localmente e devono essere<br />

trattati aggressivamente con le terapie locali. La scelta migliore in caso di<br />

sarcoma a margini sporchi dopo chirurgia è una radioterapia curativa posto-<br />

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peratoria (controllo e sopravvivenza a cinque anni in circa 75%) 23 . In alternativa,<br />

se è ovvio che non è possibile avere margini puliti oppure se dopo la chirurgia<br />

il tumore resta ancora macroscopico, una radioterapia curativa può anche<br />

essere effettuata in modo preoperatorio. Ci sono report di medicina umana<br />

che indicano che la probabilità/ rischio di avere complicazioni di cicatrizzazione<br />

sono più alti con la radioterapia preoperatoria.<br />

I sarcomi iniettivi dei gatti sono molto aggressivi localmente e anche se la<br />

chirurgia ha margini puliti istologicamente, una radioterapia curativa deve essere<br />

sempre considerata, poiché con sola chirurgia ad ampi margini il tasso di<br />

recidiva è del 50%. Se adiuvato a RT curativa, il tasso di recidiva scende a<br />

28% 24 . Rimane comunque un caposaldo che la prima chirurgia sia molto aggressiva,<br />

a margini puliti, visto che le recidive hanno sempre una prognosi<br />

peggiore rispetto al tumore primario.<br />

Altri tumori in cui la radioterapia è efficace sono: l’adenocarcinoma dei<br />

sacchi anali, l’adenocarcinoma perianale, il carcinoma della tiroide, il linfoma<br />

localizzato (vedi tumori intranasali).<br />

Indicazioni non neoplastiche in cui la radioterapia può essere utilizzata sono<br />

l’artrosi nel cane, gli eczemi (da leccamento), stomatite/gengivite del gatto<br />

e sialocele. Per queste lesioni benigne la dose utilizzata è molto più bassa.<br />

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Paolo Buracco<br />

Med Vet, Dipl ECVS, Grugliasco (TO), Italia<br />

Terapia dell’osteosarcoma<br />

Domenica, 9 Marzo 2008, ore 9.40<br />

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L’osteosarcoma (OSA) rappresenta nel cane l’85% dei tumori ossei primari.<br />

Colpisce soprattutto cani > 35 kg, di 5-7 anni di età ma anche più giovani<br />

(1,5-2 anni); nel 5% circa dei casi colpisce soggetti < 15 kg.<br />

I maschi sono colpiti in percentuale lievemente maggiore.<br />

Le femmine affette sono soprattutto di razza San Bernardo, Rottweiler e<br />

Alano. Predisposizione genetica famigliare è sino ad ora accertata nel S. Bernardo<br />

e Rottweiler. 1<br />

L’OSA appendicolare è localmente aggressivo. Insorge più spesso a livello<br />

metafisario (radio distale, omero prossimale, femore e tibia distali e prossimali,<br />

molto raro a radio prossimale e omero distale). È altamente metastatico<br />

ma solo nel 10% dei soggetti si ha, alla prima osservazione, evidenza radiografica<br />

di metastasi polmonari.<br />

Le metastasi linfatiche regionali sono rare; possibili inoltre a carico di<br />

molti organi e tessuti, compreso l’osso. Varianti biologiche sono l’OSA juxtacorticale<br />

(o parostale) che si appone in senso centrifugo sulla corticale di<br />

ossa lunghe o piatte con comportamento sarcomatoso tardivo, e l’OSA extrascheletrico<br />

(da mammella, tiroide, esofago, sottocute, muscoli, milza, omento,<br />

laringe-trachea, rene, fegato, occhio, etc.). Biologicamente simile all’OSA<br />

appendicolare è quello costale, mentre quello cranico è caratterizzato da tasso<br />

metastatico più limitato. Istologicamente è classificato come osteoblastico,<br />

condroblastico, fibroblastico, condro-fibroblastico, indifferenziato, telengiectasico<br />

e a cellule giganti. Tale classificazione è poco importante ai fini prognostici,<br />

per quanto il fibroblastico sia forse caratterizzato da prognosi migliore.<br />

Nell’OSA parosteale le diverse componenti rivelano gradi di malignità<br />

variabili. 1<br />

Clinicamente l’OSA si manifesta con tumefazioni dure e deformazioni di<br />

grado diverso, dolore e amiotrofia (specie l’appendicolare), espansioni intracavitarie<br />

(ad es. quello costale), disturbi funzionali (ad es. costipazione, segni<br />

neurologici, esoftalmo, difficoltà di apertura della bocca, etc.). Le fratture patologiche<br />

sono rare. In presentazione le condizioni generali del cane sono in<br />

genere buone. 1<br />

L’iter diagnostico (stadiazione clinica e chirurgica) prevede: 1) esame<br />

clinico; 2) esame radiografico della lesione primaria (con eventuale valutazione<br />

comparativa con la parte controlaterale sana). L’esame TAC è molto<br />

utile per pianificare la chirurgia, soprattutto quella conservativa; 3) scintigrafia<br />

ossea, se disponibile; 4) esami di laboratorio (di particolare interesse<br />

la calcemia e l’attività della fosfatasi alcalina); 5) biopsia ad ago sottile e<br />

con ago Jamshidi (lesione primaria e di ogni linfoadenopatia sospetta, specie<br />

se regionale; in caso di OSA, il linfonodo regionale è metastatico in <<br />

5% dei casi). 1<br />

L’OSA, radiograficamente, è classificato come osteoproduttivo, osteolitico,<br />

centrale, periostale, parosteale (o iuxtacorticale) e telengiectasico. 1<br />

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STADIAZIONE CHIRURGICA DELL’OSA<br />

– Grado istologico (G - G1 low grade, G2 high grade)<br />

– Valtazione anatomica (T - T1 o A - intracompartimentale,<br />

T2 o B - extracompartimentale)<br />

– Metastasi regionali o distanti (M - M0 nessuna metastasi, M1 metastasi)<br />

Stadio I: G1 / M0 (T1 o T2)<br />

Stadio II: G2 / M0 (T1 o T2)<br />

Stadio III: G1 o G2 / M1 (T1 o T2)<br />

N.B.: la maggior parte degli OSA è IIB in presentazione.<br />

A causa del suo elevato potenziale metastatico, il trattamento dell’OSA<br />

prevede terapie sia locali sia sistemiche. L’esclusivo controllo chirurgico<br />

della lesione primaria è palliativo e il 90% circa dei soggetti così trattati<br />

muore entro 5 mesi per metastasi polmonari. Al contrario, l’associazione<br />

chirurgia/chemioterapia consente in genere a 1 cane su 5 di sopravvivere almeno<br />

2 anni.<br />

Il trattamento della lesione primaria implica la sua asportazione ad ampio<br />

margine (en bloc). La chirurgia non conservativa per la forma appendicolare<br />

prevede: a) amputazione completa dell’arto (per i sarcomi della testa del femore<br />

si associa anche l’acetabolectomia). È il metodo più semplice di eradicazione<br />

ed è praticamente scevra da complicanze. Gli animali, anche pesanti,<br />

deambulano e svolgono le principali funzioni anche se privati di un arto, sia<br />

esso un anteriore o un posteriore (più funzionale). È controindicata in caso di<br />

patologie ortopediche e/o neurologiche concomitanti; b) pelvectomia parziale<br />

(più o meno amputazione dell’arto) o totale unilaterale. Nel gatto, dopo<br />

amputazione, la sopravvivenza è spesso prolungata (fino a 4 anni) visto che il<br />

tasso metastatico di tale neoplasia in questa specie è ridotto (15-20%); per<br />

quelli assiali la prognosi dipende dalla sua localizzazione (cioè dalla possibilità<br />

di eseguire una escissione en bloc). 1<br />

In alternativa alla chirurgia radicale, specie nel cane, sono utilizzabili per<br />

l’OSA appendicolare tecniche conservative di salvataggio dell’arto (c.d. “limb<br />

sparing”). Queste implicano la resezione en bloc del tumore basandosi su misurazioni<br />

eseguite su radiografia, scintigrafia (che sovrastima la lesione di circa<br />

il 30%), TAC o RMN preoperatorie. 2<br />

Tra queste tecniche, si ricordano:<br />

1) scapulectomia parziale o totale<br />

2) ulnectomia (OSA dell’ulna), associata o meno a panartrodesi carpica.<br />

L’autore sconsiglia tale procedura nella maggior parte dei casi in quanto i<br />

sarcomi dell’ulna sono spesso molto litici con invasione dei tessuti molli<br />

circostanti; essenziale comunque la loro valutazione mediante TAC o<br />

RMN prima di procedere<br />

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3) sostituzione del tumore escisso en bloc a) con innesto osseo corticale allogenico<br />

congelato di banca, 3 b) con lo stesso tumore escisso dopo sua pasteurizzazione<br />

(65° C per 40 minuti in soluzione fisiologica sterile), 4 c)<br />

con endoprotesi metalliche “composite” comprendenti sia la parte da sostituire<br />

sia la placca per realizzare la panartrodesi carpica, 5 e d) con trapianto<br />

autologo vascolarizzato (ad es. ulna distale). 6 Le procedure a) e b)<br />

sfruttano le capacità osteoinduttiva e osteoconduttiva del segmento impiantato;<br />

la stabilità del sistema può essere aumentata con cemento acrilico<br />

addizionato con gentamicina (per il controllo dell’infezione). L’osteotomia<br />

prossimale del radio (e quasi costantemente dell’ulna adiacente per<br />

ridurre la possibilità di recidiva) si esegue a 4 cm dal margine radiografico<br />

del tumore e non deve oltrepassare, per problemi di stabilità dell’impianto,<br />

la metà della lunghezza dell’osso. In generale tale tecnica è consigliabile<br />

solo per i tumori del radio distale<br />

4) ricostruzione della parte rimossa mediante “bone transport osteogenesis”<br />

(con apparato di Ilizarov) 7,8<br />

5) ricostruzioni più rare: a) protesi d’anca (per sarcomi del femore prossimale),<br />

b) ricostruzione con innesto osseo per OSA diafisari con risparmio dell’articolazione<br />

contigua. 9<br />

Il limb sparing mediante innesti ossei omologhi od autologhi non è scevro<br />

da complicanze: a) infezione (fino al 30-40% dei soggetti trattati), più spesso<br />

come fistole ricorrenti, controllabili in genere mediante periodica somministrazione<br />

di antibiotici e trattamento locale. Nei casi più gravi si assiste a infezioni<br />

trattabili solo con la rimozione del sistema (divenuto instabile per cedimento<br />

dei mezzi di sintesi) o l’amputazione dell’arto. I cani che sviluppano<br />

infezione sopravvivono più a lungo, per presumibile stimolazione del sistema<br />

immunitario; 10 b) recidiva locale (26-28%). La micro-invasione tumorale dei<br />

tessuti molli circostanti e dell’osso pari adiacente (radio od ulna) ne è la presumibile<br />

causa. L’applicazione di spugne a lento rilascio di cisplatino (OPLA)<br />

nella breccia operatoria consente di diminuire la percentuale di recidiva locale<br />

fino al 17%. 11 In caso di innesti ossei pasteurizzati, sia il trattamento termico<br />

sia la devascolarizzazione conseguente alla rimozione del tumore neutralizzano<br />

tutte le cellule tumorali. 4<br />

La chirurgia en bloc per altre localizzazioni dell’OSA prevede: a) resezione<br />

a pieno spessore della parete toracica (non più di 6-8 coste) e chiusura con<br />

reti di prolene, omento e flap muscolari. Se le coste resecate sono le caudali,<br />

si procede ad avanzamento del diaframma; b) mandibolectomia, maxillectomia,<br />

etc.<br />

La chemioterapia è, al momento attuale, utilizzata solo come adiuvante<br />

per il controllo delle metastasi; la sua efficacia, rispetto alla sola chirurgia, è<br />

comprovata da numerosi studi. 1 Tra i farmaci più utilizzati vi sono cisplatino,<br />

doxorubicina e carboplatino, somministrati singolarmente o in combinazio-<br />

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ne. 1 Il protocollo attualmente utilizzato dagli autori prevede l’uso combinato<br />

di cisplatino (50 mg/m 2 ) e doxorubicina (15 mg/m 2 ). 12 È stato riportato che<br />

l’inizio della chemioterapia dopo il 10° giorno dall’intervento non influenza<br />

la sopravvivenza. 13<br />

Per la palliazione si possono utilizzare: a) radioterapia, per alleviare il dolore<br />

per alcuni mesi. In unica dose elevata, in associazione a chemioterapia, è<br />

stata utilizzata con finalità più avanzate della palliazione. L’irradiazione è<br />

controindicata qualora sia in progetto un “limb sparing”. È stata anche proposta<br />

l’irradiazione in unica frazione (70 Gy) come tecnica di salvataggio dell’arto<br />

dopo osteotomia, esteriorizzazione ed irradiazione del tratto neoplastico<br />

il quale è poi solidarizzato mediante fissazione interna. Le complicanze sono<br />

state frequenti (infezione, frattura, cedimento dei mezzi di sintesi); 14-16 b)<br />

bifosfonati (es. alendronato, pamidronato), inibitori osteoclastici; 17,18 c) FANS<br />

o corticosteroidi. Il trattamento chemioterapico delle metastasi già evidenti è,<br />

secondo l’autore, discutibile; la loro escissione chirurgica è consigliabile solo<br />

in caso di lento accrescimento. 19 In prospettiva vi sono studi sperimentali<br />

di immunoterapia genica il cui obiettivo è il controllo della proliferazione cellulare<br />

neoplastica dopo stimolazione immunitaria dell’ospite.<br />

Principali fattori prognostici negativi:<br />

a) dimensioni: probabilmente correlate positivamente a malattia metastatica<br />

b) grado istologico 20<br />

c) metastasi più probabili in caso di invasione neoplastica dei tessuti molli<br />

adiacenti e di emboli endovasali<br />

d) linfoadenopatia regionale metastatica 21<br />

e) > frazione totale e ossea della fosfatasi alcalina (sia prima sia dopo trattamento)<br />

→ tendenza alla disseminazione 22<br />

f) mutazioni p53 → comportamento più aggressivo; inoltre, essendo associata<br />

al gene della multidrug resistance (MDR1), è prevedibile chemioresistenza<br />

g) espressione della COX-2 23 → uso in terapia?<br />

h) età inferiore ai 5 anni<br />

i) localizzazione omero prossimale e scapola<br />

Altri fattori:<br />

j) OSA (fibroblastico) e parostale → prognosi migliore<br />

k) OSA distali al carpo: sopravvivenze più protratte (mediana 466 gg)<br />

l) OSA mandibolari: sopravvivenza a 1 anno del 71% dopo escissione en<br />

bloc completa<br />

m) OSA cranici: tasso metastatico inferiore all’appendicolare ma sopravvivenza<br />

più breve rispetto ai mandibolari (mediana 5 mesi), probabilmente<br />

per difficoltà di escissione en bloc<br />

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n) OSA costali: prognosi non favorevole (sopravv. mediana di 8 mesi)<br />

o) OSA assiali: prognosi migliore nei cani al di sotto dei 40 kg e di taglia<br />

piccola.<br />

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irradiation for limb sparing in 13 dogs. Vet Surg 33: 446-56, 2004.<br />

16. Boston SE, Duerr F, Bacon N, LaRue S, Ehrhart EJ, Withow SJ. Intraoperative radiation for limb<br />

sparing of the distal aspect of the radius without transcarpal plating in five dogs. Vet Surg 36(4):314-<br />

23, 2007.<br />

17. Fan TM, de Lorimer LP, Charney SC, Hintermesister JG. Evaluation of intravenous pamidronate administration<br />

in 33 cancer-bearing dogs with primary or secondary bone involvement. J Vet Intern<br />

Med 19: 74-80, 2005.<br />

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18. Fan TM, de Lorimier LP., O’Dell-Anderson K, Lacoste HI, Charney SC. Single-agent pamidronate<br />

for palliative therapy of canine appendicular osteosarcoma bone pain. J Vet Inern Med 21(3):431-9,<br />

2007.<br />

19. Liptak JM, Monnet E, Dernell WS, Withrow SJ. Pulmonary metastesectomy in the management of<br />

four dogs with hypertrophic osteopathy. Veterinary and Comparative Oncology 2(1):1-12, 2004.<br />

20. Kirpensteijn J, Kik M, Rutteman GR, Teske F. Prognostic significance of a new histologic grading<br />

system for canine osteosarcoma. Vet Pathol 39: 240-6, 2002.<br />

21. Hillers KR, Dernell WS, Lafferty MH, Withrow SJ, Lana SE. Incidence and prognostic importance<br />

of lymph node metastases in dogs with appendicular osteosarcoma: 228 cases (1986-2003). JAVMA<br />

226: 1364-7, 2005.<br />

22. Garzotto C.K., Berg J., Hoffmann W.E., Rand W.M. Prognostic significance of serum alcaline phosphatase<br />

activity in canine appendicular osteosarcoma. J Vet Intern Med 14: 587-92, 2000.<br />

23. Mullins MN, Lana SE, Dernell WS, Ogilvie GK, Withrow SJ, Ehrhart EJ. Cyclooxygenase-2 expression<br />

in canine appendicular osteosarcomas. J Vet Intern Med 18: 859-65, 2004.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Paolo Buracco<br />

Med Vet, Prof. ordinario Clinica Chirurgica Veterinaria, Dipl ECVS,<br />

Facoltà di Medicina Veterinaria<br />

Via Leonardo da Vinci, 44 - 10095 Grugliasco (Torino), Italia<br />

Tel. 011-670 9063 (9157/8) - Fax 011 670 9165 - E-mail: paolo.buracco@unito.it<br />

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Giuseppe Curigliano<br />

Med Chir, Istituto Europeo di <strong>Oncologia</strong>, Milano<br />

New drugs<br />

for cancer treatment<br />

Sabato, 8 Marzo 2008, ore 15.10<br />

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A greater understanding of the pathogenesis and biology of cancer coupled<br />

with major advances in biotechnology has resulted in the identification of rationally<br />

designed, target-based anticancer therapeutics, with new therapeutic opportunities<br />

and high expectations for the future as well as developmental challenges.<br />

Because these agents appear to principally target malignant cells, it is expected<br />

that they will produce less toxicity at clinically effective doses than nonspecific<br />

cytotoxic agents. The innate complexity of the networks and cross-talks<br />

that contain elements targeted by these agents also decreases the probability that<br />

any single therapeutic manipulation will result in robust clinical activity and success<br />

when used alone, particularly in patients with solid malignancies that have<br />

multiple relevant signaling aberrations. The predominant therapeutic manifestation<br />

of new biological agents in preclinical studies is due to decreased tumor<br />

growth rates and will likely be similar in the clinic; however, such manifestations<br />

are not readily detectable and quantifiable using nonrandomized clinical evaluations.<br />

A lot of drugs have been discovered as active agents in cancer: gefitinib,<br />

erlotinib sunitinib, sorafenib and others. For the most part, these agents have modest<br />

activity when used as single agents in patients with previously treated cancer.<br />

A major disappointment has been the failure of these novel agents to improve<br />

survival when added to standard chemotherapy, calling into question the validity<br />

of the preclinical model systems. Understanding the reasons why so many<br />

compounds that appeared promising in preclinical and early-phase clinical studies<br />

did not fulfill that promise when taken to large-scale randomized trials is a<br />

critical question. Several key issues will need to be addressed in the investigation<br />

of other novel compounds still in early development, primarily concerning the<br />

selection, interpretation, and reporting of preclinical studies and the design and<br />

interpretation of Phase I/II studies. Industry has moved too precipitously to bring<br />

novel compounds into Phase III clinical trials in a competitive push to be the first<br />

with a new class of agents. This accelerated advance to Phase III clinical studies<br />

without better understanding of who may benefit from a given novel agent has<br />

had the support of regulatory authorities and academic researchers anxious to<br />

find effective regimens. A more thorough comprehension of the multiple growth<br />

signaling pathways and of the roles of cross-talk, redundancy, and up-regulation<br />

of compensatory mechanisms is essential to making targeted therapies effective<br />

for more than small, difficult-to-define subgroups of patients. More research<br />

needs to be directed at understanding basic mechanisms of tumor growth and resistance.<br />

The recent pattern of negative Phase III trials threatens the future of the<br />

field, if companies and other investors in research decide to reallocate resources<br />

to disease conditions with a higher likelihood of successful outcomes.<br />

Address for correspondence:<br />

Giuseppe Curigliano<br />

Department of Medicine - New Drugs Development Unit, European Institute of Oncology<br />

Via Ripamonti, 435 - Milano<br />

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Davide De Lorenzi<br />

Med Vet, Dipl ECVCP, SMPA, Padova<br />

Endoscopia in oncologia:<br />

solo un esame complementare?<br />

Sabato, 8 Marzo 2008, ore 9.40<br />

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L’esame endoscopico rappresenta spesso un fondamentale approfondimento<br />

diagnostico in presenza di una sospetta neoplasia. Il principale vantaggio<br />

di questa tecnica risiede indubbiamente nel potere visionare direttamente<br />

la lesione sospetta e nel potere raccogliere numerosi campioni bioptici da destinarsi<br />

ad indagini cito-istologiche.<br />

La maggior parte delle tecniche endoscopiche è assolutamente atraumatica<br />

e questo risulta particolarmente importate in presenza di una sospetta neoplasia<br />

dove il rischio di disseminazione di cellule tumorali aumenta all’aumentare<br />

del traumatismo durante la raccolta di campioni bioptici; se escludiamo<br />

infatti le indagini laparo- e toracoscopiche e la cistoscopia transcutanea<br />

prepubica che richiedono l’esecuzione di piccole manualità chirurgiche<br />

per la loro esecuzione, tutti gli altri campi di applicazione dell’indagine endoscopica<br />

sfruttano aperture naturali (bocca, ano, narici, meato urinario, condotto<br />

uditivo) per penetrare all’interno dell’organismo.<br />

La valutazione endoscopica in presenza di una sospetta patologia neoplastica<br />

non rappresenta, in genere, un esame di prima scelta ed è solo inserendo<br />

questa procedura in un iter diagnostico standardizzato che essa potrà esprimere<br />

tutte le sue potenzialità. Ad esempio, in presenza di una sospetta neoplasia<br />

endonasale l’endoscopia deve necessariamente essere preceduta da un adeguato<br />

studio di diagnostica per immagini (radiologia, TC o RM) sia perché la raccolta<br />

di biopsie spesso causa sanguinamento che può alterare il quadro radiografico<br />

ed anche perché l’esame endoscopico non permette di visionare nulla<br />

(lisi ossa nasali, coinvolgimento dello spazio retrobulbare, sfondamento lamina<br />

cribrosa etmoidale) all’esterno dalla superficie mucosale endonasale.<br />

Le procedure endoscopiche risultano di insostituibile valore nella individuazione<br />

e nel campionamento da lesioni localizzate nel tratto gastroenterico<br />

superiore (esofago, stomaco, parte del duodeno) ed inferiore (retto, colon e<br />

parte dell’ileo), nell’apparato respiratorio superiore (cavità nasali e sinusali, rinofaringe,<br />

laringe) medio (trachea) ed inferiore (bronchi), nell’apparato urinario<br />

inferiore (meato urinario, uretra e vescica) e nel condotto uditivo esterno.<br />

In questi atti congressuali verranno discussi gli aspetti principali dell’esame<br />

endoscopico riferito a patologie neoplastiche localizzate a vari distretti<br />

(digerente, respiratorio, urinario e orecchio) con particolare riferimento alla<br />

strumentazione, alle procedure investigative ed alle tecniche di prelievo di<br />

campioni cito-istologici. Testi specifici ed articoli utili per approfondimenti<br />

sugli argomenti trattati vengono elencati a fine capitolo.<br />

APPARATO DIGERENTE<br />

L’impiego sempre più diffuso dell’esame endoscopico nella pratica clinica<br />

<strong>veterinaria</strong> ha aumentato enormemente la possibilità di diagnosticare patologie<br />

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gastro-enteriche fino a dieci anni fa ritenute rare permettendo nel contempo di<br />

individuare con sempre maggiore tempestività patologie neoplastiche localizzate<br />

a stomaco ed intestino. Nel tratto gastrointestinale l’endoscopio può essere<br />

usato non solamente per una indagine ispettiva ed il prelievo di biopsie ma<br />

permette anche la rimozione di neoplasie peduncolate, l’utilizzo di laser per terapia<br />

citoriduttiva e l’introduzione di sonde gastro-entero-stomiche per la nutrizione<br />

parenterale di pazienti che non possono alimentarsi per via orale.<br />

Preparazione del paziente e tecniche di esame<br />

L’esame del tratto gastroenterico superiore deve essere preceduto da un digiuno<br />

di 24 ore e sospensione di acqua da 3-4 ore mentre la preparazione per<br />

l’ispezione del tratto gastroenterico inferiore risulta più complessa ma deve<br />

essere eseguita scrupolosamente poiché la mancata pulizia del colon non permetterebbe<br />

un’adeguata visualizzazione della mucosa.<br />

Per quanto certe lesioni siano suggestive di neoplasia, ogni irregolarità<br />

(neoformazione od erosione) deve essere adeguatamente campionata tramite<br />

biopsie multiple per cui prima dell’esame devono già essere preparati vetrini<br />

e barattoli contenenti formalina tamponata al 10% per l’esecuzione di vetrini<br />

citologici e di campioni istologici.<br />

Lo stomaco viene esaminato dopo moderata insufflazione di aria, grazie<br />

alla quale si ottiene la distensione delle pliche gastriche e l’esposizione della<br />

mucosa gastrica: la mancata distensione di una o più pliche gastriche deve essere<br />

valutata con sospetto poiché patologie neoplastiche infiltrative (ad es. linfoma<br />

e carcinoma) possono manifestarsi in questo modo. L’indagine prosegue<br />

valutando accuratamente il corpo, l’antro pilorico fino allo sfintere pilorico e,<br />

tramite manovra di retrovisione, il fondo gastrico fino ad individuare lo strumento<br />

che passa attraverso il cardias. Le aree più frequentemente colpite da<br />

lesioni neoplastiche nel cane (prevalentemente adenocarcinomi) sono la piccola<br />

curvatura, la zona di passaggio fra corpo ed antro, l’antro e, meno frequentemente<br />

piloro e cardia. L’ispezione con fibroscopio del tratto digerente<br />

inferiore viene eseguita dopo accurata palpazione digitale di ano e retto, preferibilmente<br />

con il paziente disteso sul fianco sinistro: questo impedisce agli<br />

organi endoaddominali di adagiarsi sulla valvola ileociecocolica, comprimendola.<br />

Le neoplasie colorettali, specialmente nel cane, sono più frequentemente<br />

benigne che maligne; maggiore incidenza è data dai polipi adenomatosi a<br />

localizzazione prevalente a livello di giunzioni colorettale o rettoanale. Il quadro<br />

endoscopico è sovrapponibile a quello già descritto per le analoghe neoplasie<br />

del tratto gastroenterico superiore. Ancora una volta preme sottolineare<br />

come la diagnosi definitiva debba essere ottenuta tramite valutazione microscopica<br />

delle linee cellulari coinvolte nella patologia tumorale.<br />

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APPARATO RESPIRATORIO<br />

L’esame endoscopico trova frequente applicazione nella diagnosi delle patologie<br />

neoplastiche dell’apparato respiratorio superiore (cavità nasali, laringe<br />

e trachea) mentre il suo impiego è minore in presenza di una sospetta neoplasia<br />

a carico delle strutture respiratorie intratoraciche, demandando ad altre<br />

tecniche diagnostiche (radiografia o tomografia computerizzata) la possibilità<br />

di localizzare e permettere il prelievo con ago sottile o Tru-cut di masse sospette.<br />

Va sottolineata l’importanza di fare precedere sempre le indagini endoscopiche<br />

al tratto respiratorio superiore ed inferiore da un adeguato studio<br />

di immagini acquisite per via radiografica o tomografica.<br />

Preparazione del paziente e tecniche di esame<br />

Non è necessaria una preparazione specifica per i pazienti da sottoporre a<br />

endoscopia del tratto respiratorio superiore od inferiore. L’esame endoscopico<br />

sia del tratto respiratorio superiore che di quello inferiore viene eseguito con il<br />

paziente in decubito sternale ed anestesia inalatoria. Prima dell’endoscopia è<br />

importante palpare accuratamente la zona sottomandibolare, cervicale fino alla<br />

base del collo, zigomatica ed ascellare alla ricerca di linfonodi aumentati di<br />

volume che devono essere sempre agoaspirati anche se solo moderatamente ingranditi.<br />

È buona regola ispezionare prima la cavità nasale apparentemente<br />

normale e quindi quella nella quale si sospetta la neoplasia e questo allo scopo<br />

di non trasportare sangue, muco e cellule potenzialmente pericolose da una<br />

zona malata ad una sana. Molto spesso si evidenziano notevoli accumuli di<br />

muco e sangue che devono necessariamente essere rimossi con lavaggi ed aspirazioni<br />

ripetute per permettere un’adeguata visualizzazione della mucosa sottostante;<br />

non di rado anche manovre di pulizia delicate provocano sanguinamento<br />

che rende l’indagine difficile. In questi casi è utile l’irrigazione con soluzione<br />

fisiologica fredda, l’applicazione di ghiaccio sulla superficie esterna<br />

delle cavità nasali oppure si possono applicare tamponi endonasali per qualche<br />

minuto allo scopo di favorire l’emostasi e riprendere l’indagine. La topografia<br />

delle cavità nasali deve essere seguita con attenzione, esplorando tutti i meati<br />

e arrivando fino a visualizzare le coane. Le neoplasie endonasali hanno aspetto<br />

estremamente variabile: in generale si manifestano come strutture che occupano<br />

uno o più meati, di colore più chiaro o più rosso dei turbinati circostanti<br />

che risultano spesso spostati e deformati dalla massa. Nel rinofaringe le neoplasie<br />

sono meglio evidenziabili, per la più semplice topografia della zona esaminata:<br />

in genere una o entrambe le coane non sono più visibili per la presenza<br />

di neoformazioni singole o multiple che possono avere anche in questo caso,<br />

aspetti endoscopici variabili e molto differenti. Non di rado la presenza di<br />

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una neoformazione endonasale si associa a una neoformazione evidenziabile<br />

anche a livello del rinofaringe; a questo livello è possibile evidenziare solamente<br />

sangue che deriva da emorragie causate dalla neoplasia endonasale.<br />

Un’attenta valutazione della laringe deve essere eseguita sia in corso di esame<br />

delle vie respiratorie superiori che inferiori: durante questa valutazione deve<br />

essere rimosso il tracheotubo per consentire una completa valutazione delle<br />

strutture che compongono la laringe: le neoplasie in questo organo possono<br />

manifestarsi in maniera estremamente variabile, da piccoli noduli localizzati<br />

sulle corde vocali a infiltrato sottomucoso che interessa tutta la superficie<br />

esplorabile dell’organo, causando una grave stenosi.<br />

La valutazione endoscopica delle strutture tracheobronchiali viene impiegata<br />

in presenza di tosse, emottisi o dispnea non spiegate da altri test diagnostici<br />

ed anche in presenza di lesioni ai campi polmonari (diffuse, nodulari, singole<br />

o multiple) evidenziate con radiogrammi o tomografia computerizzata<br />

quando tecniche di prelievo con ago sottile transtoracico non permettono la<br />

raccolta di materiale diagnostico.<br />

Lo strumento viene passato, attraverso speciali adattatori (c.d. adattatori a<br />

T), direttamente all’interno del tracheotubo consentendo così un apporto di ossigeno<br />

adeguato durante le manovre ispettive. Anche in questa sede, come in<br />

corso di rinoscopia, ogni neoformazione od erosione deve essere campionata<br />

poiché non esistono aspetti endoscopici patognomonici per le neoplasie maligne.<br />

Solo dopo avere eseguito una completa esplorazione dell’albero tracheobronchiale<br />

si eseguono i prelievi che devono essere, nell’ordine, lavaggio broncoalveolare,<br />

spazzolato ed eventuale biopsia in presenza di neoformazioni.<br />

APPARATO URINARIO<br />

Il sospetto di una neoplasia localizzata al tratto urinario inferiore rappresenta<br />

una forte indicazione all’ispezione endoscopica: essa permette infatti di<br />

valutare l’estensione della lesione e raccogliere campioni di tessuto per le indagini<br />

cito-istologiche. L’evenienza di disseminare cellule neoplastiche sul<br />

percorso dell’ago durante l’aspirazione di neoplasie intracavitarie è molto rara<br />

ed in medicina <strong>veterinaria</strong> sono segnalati pochissimi inconvenienti di questa<br />

natura; tuttavia questo problema si è avuto in presenza di carcinomi transizionali<br />

localizzati all’apparato urinario.<br />

Preparazione del paziente e tecniche di esame<br />

L’uretrocistoscopia viene eseguita sempre in anestesia generale; le femmine<br />

vengono posizionate indifferentemente sul fianco destro o sinistro, mentre<br />

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i maschi possono essere esaminati sia in decubito laterale che dorsale. La zona<br />

vulvare viene pulita e rasata solamente in animali con pelo molto lungo<br />

mentre nel maschio si ritrae il prepuzio e l’endoscopio flessibile viene inserito<br />

direttamente come un catetere urinario. L’endoscopio rigido, inserito in una<br />

cannula a sua volta collegata ad una sacca contenente soluzione fisiologica,<br />

viene introdotto nella vagina, mentre un aiuto mantiene chiuse le labbra vulvari.<br />

In questo modo, il liquido iniettato allarga la cavità vaginale e permette<br />

di individuare il meato urinario sul pavimento vaginale. Lo strumento viene<br />

quindi fatto avanzare delicatamente esaminando con attenzione l’uretra fino<br />

ad arrivare nella cavità vescicale; a questo punto, sempre utilizzando i rubinetti<br />

che sono nella cannula dell’endoscopio, la vescica viene svuotata completamente<br />

e l’urina viene rimpiazzata con soluzione fisiologica fino a quando<br />

questa appare perfettamente limpida e trasparente. La vescica viene esplorata<br />

completamente e gli sbocchi ureterali a livello di trigono devono essere<br />

localizzati. In genere i carcinomi transizionali si repertano nella zona del trigono<br />

ed appaiono endoscopicamente come neoformazioni singole o multiple,<br />

nodulari o frondose, a volte traslucide, friabili e facilmente sanguinanti, non<br />

di rado con mineralizzazioni. Tuttavia, anche proliferazioni mucosali micronodulari<br />

o peduncolate, singole ed apparentemente innocue devono essere<br />

campionate per la possibile presenza di una neoplasia maligna che può di fatto<br />

assumere ogni aspetto macroscopico.<br />

ORECCHIO ESTERNO E MEDIO<br />

L’impiego della video-otoscopia è particolarmente indicato in presenza di<br />

proliferazioni benigne o maligne del condotto uditivo esterno del cane e del<br />

gatto. Come noto, la presenza di neoformazioni in questa zona è causa di otiti<br />

croniche che non rispondono alle terapie empiriche generalmente instaurate<br />

per la mancata individuazione della neoformazione spesso ricoperta da pus<br />

e sangue o localizzata all’interno di un condotto uditivo stenotico. La localizzazione<br />

della neoformazione ed il prelievo di campioni cito-istologici significativi<br />

è alla base della corretta terapia di queste patologie.<br />

Strumentazione e tecniche di esame<br />

La video-otoscopia può essere eseguita sia con strumenti specificamente<br />

dedicati (Karl Storz - cat 67260 OS) che con ottiche rigide associate a cannule<br />

dotate di rubinetti e canale di lavoro. La preferenza personale di chi scrive<br />

è per l’ottica rigida di 2,7 cm di diametro, 18 cm di lunghezza operativa ed<br />

angolo di visione frontale di 30°; questo strumento può essere utilizzato sia<br />

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nel gatto che in cani di grossa taglia e la camicia operatoria consente di lavare<br />

ed asciugare il condotto uditivo, procedura questa necessaria ogniqualvolta<br />

ci si trovi di fronte ad una otopatia cronica. Ricordo che solamente la visione<br />

del timpano nella sua completezza, quando possibile, è garanzia di un<br />

esame otoscopico eseguito correttamente. Le neoformazioni del condotto uditivo<br />

esterno hanno caratteristiche endoscopiche simili tra loro e non è possibile<br />

emettere una diagnosi precisa se non con le valutazioni cito-istologiche:<br />

in presenza di una neoformazione i prelievi citologici possono essere eseguiti<br />

con un ago fatto scorrere parallelamente all’endoscopio oppure impiegando<br />

aghi di lunghe dimensioni specificamente disegnati per entrare nel canale di<br />

lavoro della cannula. Allo stesso modo, le biopsie vengono eseguite con piccole<br />

pinze che possono essere fatte passare nel canale di lavoro della cannula<br />

oppure di fianco all’endoscopio, ma sempre sotto visione endoscopica diretta.<br />

L’esame videoendoscopico deve essere preceduto da esame radiografico o<br />

meglio, da tomografia computerizzata del cranio e del collo del paziente per<br />

valutare eventuali lisi della bolla timpanica, fuoriuscita della neoplasia dalle<br />

cartilagini auricolari e coinvolgimento di strutture linfonodali, tutti elementi<br />

che l’endoscopio non consente di valutare.<br />

Letture consigliate<br />

Lecoindre P (1999) Endoscopic and echoendoscopic presentations of gastric and colorectal tumors in the<br />

dog The European Journal of Comparative Gastroenterology, <strong>SCIVAC</strong> editions, suppl Vol 4, n° 1.<br />

Spinelli P (1996) Endoscopy in cancer palliation The European Journal of Comparative Gastroenterology,<br />

<strong>SCIVAC</strong> editions, Vol 1, n° 1.<br />

Tams TR (1999) Small Animal Endoscopy 2nd ed. Mosby St Louis;<br />

Mendelez L. (2001) Endoscopy The Veterinary Clinics of North America, WB Saunders Company<br />

Philadelphia.<br />

McCarthy TC (2005)Veterinary Endoscopy for the Small Animal Pratictioner, Elsevier Saunders St Louis.<br />

Si ringraziano la Casa Editrice Elsevier-Masson ed il Dr. Giorgio Romanelli per avere concesso l’utilizzo<br />

di brani del capitolo “DIAGNOSTICA ENDOSCOPICA” da me scritto e tratto dal libro “ONCOLOGIA<br />

DEL CANE E DEL GATTO”.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Davide De Lorenzi<br />

Clinica Veterinaria Privata “S.Marco” - Via Sorio, 114/C - PADOVA<br />

Tel. 0498561098 - E-mail: davide.delorenzi@fastwebnet.it<br />

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Barbara E. Kitchell<br />

DVM, PhD, Dipl ACVIM, Michigan, USA<br />

Chemotherapy:<br />

well known drugs<br />

for standard therapies and<br />

for new therapies<br />

Sabato, 8 Marzo 2008, ore 12.20<br />

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Cancer is recognized to be the leading cause of death in dogs and cats over<br />

10 years of age. As <strong>veterinaria</strong>ns become more successful in managing general<br />

health issues in geriatric patients, the incidence of cancer inevitably increases.<br />

Systemic therapy for cancer traditionally requires the use of cytotoxic chemotherapeutic<br />

agents that target rapidly dividing cell populations. Therefore, common<br />

adverse effects seen with chemotherapy use are related to damage to the<br />

cells of the body that have rapid and obligatory patterns of cell replication, such<br />

as bone marrow cells and gastrointestinal epithelium. Drug-specific and speciesspecific<br />

adverse effects are also of significant concern. This lecture will provide<br />

an overview of anticancer drugs commonly used in veterinary medicine. Before<br />

discussing the drugs themselves, it is important to note that anticancer cytotoxic<br />

drugs are potential mutagens and teratogens, adding a significant biohazard<br />

potential for staff administering the compounds, and for clients exposed to<br />

treated animals. Appropriate biohazard guidelines should be followed when anticancer<br />

chemotherapeutic agents are prescribed in veterinary medicine.<br />

ANTICANCER ALKYLATING AGENTS<br />

The alkylating agents are cytotoxic due to their ability to contribute alkyl<br />

groups to biologically important macromolecules such as DNA and proteins.<br />

Alkylating agents are classified as being either monofunctional or bifunctional,<br />

based on the number of reactive sites. The DNA adducts and cross-linkages<br />

caused by alkylation injury prevent DNA replication and ultimately result<br />

in cell death. The effects of alkylating agents are not cell-cycle phase specific.<br />

Mechanisms of cellular resistance to alkylating agents include altered cellular<br />

uptake, increased production of nucleophilic substances such as sulfated<br />

compounds, and increased DNA repair.<br />

CYCLOPHOSPHAMIDE<br />

Cyclophosphamide is the most commonly used alkylating agent worldwide in<br />

human and veterinary oncology. It was synthesized in 1958 and is used most often<br />

as a part of combination chemotherapy protocols for a wide variety of cancers, as<br />

well as being an immunosuppressive agent for treatment of autoimmune diseases.<br />

Mechanism of action<br />

Cyclophosphamide is classified as a bifunctional alkylating agent. The 7-<br />

N position of guanine is the preferred target for attack by this drug. Effects<br />

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are dependent on DNA/cellular proliferation but are not cell cycle specific.<br />

Toxicity is usually expressed when the cell enters the S-phase and is unable<br />

to replicate.<br />

Pharmacokinetics<br />

Cyclophosphamide can be administered orally (PO) or intravenously (IV).<br />

The oral administration route shows variable bioavailability ranging from 74-<br />

97%. Following IV administration maximal plasma concentration is achieved<br />

in 2-3 hours. Cyclophosphamide is widely distributed into body tissues. In veterinary<br />

medicine the recommended dosage for cyclophosphamide is 50<br />

mg/m 2 PO four days per week or a single dose of 250 mg/ m 2 every 3 weeks.<br />

Injectable cyclophosphamide is administered at doses ranging from 100-300<br />

mg/m 2 IV as often as once weekly, depending on the protocol involved.<br />

Cyclophosphamide is a prodrug that is activated by cytochrome p450 enzymes<br />

in the liver. The active 4-hydroxycyclophosphamide is rapidly metabolized<br />

to inactive 4-ketocyclophosphamide and carboxyphosphamide metabolites.<br />

Aldophosphamide spontaneously converts to phosphoramide mustard and<br />

acrolein. Phosphoramide mustard is the active anticancer agent. Acrolein is<br />

primarily responsible for the hemorrhagic cystitis complication. The main elimination<br />

route of cyclophosphamide and its metabolites is by renal excretion.<br />

Approximately 36-99% of the conventional dose is excreted in the urine within<br />

48 hours with about 5-30% being unchanged drug. Less than 4% of the<br />

dose is recovered in feces.<br />

Toxicity<br />

Dose limiting toxicity is myelosuppression with a nadir of 7-14 days, gastrointestinal<br />

side effects, a transient increase in liver enzymes, sterile hemorrhagic<br />

cystitis, anorexia, nausea, vomiting, alopecia in susceptible breeds, and<br />

infertility. Myelosuppression is exacerbated by other drugs in common chemotherapy<br />

combination protocols.<br />

Indications<br />

Cyclophosphamide is used widely in veterinary medicine for treatment of<br />

lymphomas, leukemias, carcinomas and sarcomas in dogs and cats, mainly in<br />

combination protocols. Cyclophosphamide may be prescribed for treatment<br />

autoimmune diseases in veterinary medicine.<br />

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Contraindications<br />

Myelosuppression, characterized by leukopenia and thrombocytopenia,<br />

necessitates dose delay. Treatment should be interrupted in patients who develop<br />

infections. Because of the importance of renal excretion, patients with<br />

renal failure should receive alternative alkylating agents or should have the<br />

dose reduced or interval increased. Guidelines for dose modification in the face<br />

of renal insufficiency have not been well established. Patients that develop<br />

sterile hemorrhagic cystitis should discontinue the use of cyclophosphamide,<br />

or should only receive the drug concurrently with the urothelial protectant<br />

compound 2-mercaptoethanesulphonate (mesna). Therapy should be discontinued<br />

in case of anaphylactic reactions, or known sensitivity.<br />

CHLORAMBUCIL<br />

Chlorambucil is an aromatic derivative of mustargen. It is the slowest acting<br />

and generally least toxic of the commonly used alkylating agents.<br />

Mechanism of action<br />

As with other classical alkylating agents, chlorambucil preferentially binds the<br />

7-N position of guanine. Chlorambucil is a bifunctional alkylator in that it can bind<br />

to two DNA strands as well as DNA and a macromolecule. DNA damage includes<br />

base mispairing, DNA template misreading, and spontaneous depurination.<br />

Pharmacokinetics<br />

Chlorambucil is readily absorbed after oral administration, leading to peak<br />

plasma levels after 2-4 hours. Food can interfere with absorption. The dose used<br />

in veterinary medicine ranges from 2-6 mg/m 2 PO given every other day, or up to<br />

20 mg/m 2 PO administered every 3 weeks. Chlorambucil is metabolized in the liver<br />

to an alkylating metabolite, phenyl-acetic acid mustard, which is degraded before<br />

being excreted by the kidneys. Chlorambucil is extensively protein bound.<br />

Toxicity<br />

Bone marrow suppression is the most significant side effect. Myelosuppression<br />

secondary to chlorambucil seems to be less severe than that of cyclo-<br />

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phosphamide and has a slower course of action. Gastrointestinal and dermatologic<br />

concerns are infrequent.<br />

Indications<br />

Useful in a variety of neoplastic diseases including chronic lymphocytic<br />

leukemia, and as a maintenance agent for treatment of canine and feline<br />

lymphosarcoma. Chlorambucil is also used in human medicine for treatment<br />

of multiple myeloma, polycythemia vera, macroglobulinemia, and ovarian<br />

adenocarcinoma. It may be substituted for cyclophosphamide in those<br />

lymphoma patients with sterile hemorrhagic cystitis, or for those patients<br />

with excessive adverse effects from cyclophosphamide. Useful as adjunctive<br />

therapy for some immune mediated conditions (eg. glomerulonephritis, nonerosive<br />

arthritis, or immune-mediated skin disease). Chlorambucil is the<br />

drug of choice of some clinicians for the treatment of feline immune-mediated<br />

dermatoses such as pemphigus foliaceus and feline eosiniphilic granuloma<br />

complex, because of the drug’s efficacy, small tablet size, and lack of severe<br />

toxicity.<br />

Contraindications<br />

Contraindicated in patients that are hypersensitive or who have demonstrated<br />

drug resistance. Used with caution in patients with preexisting bone<br />

marrow depression or infection.<br />

LOMUSTINE<br />

The nitrosourea class of alkylating agents was developed in the mid-<br />

1960’s, specifically as potential CNS tumor agents due to the high degree of<br />

lipophilicity of these compounds.<br />

Mechanism of action<br />

Alkylation of DNA results in intrastrand DNA cross-links, with preferential<br />

targeting of the O-6 position of guanine in DNA. Upregulation of O6 -<br />

alkylguanine-DNA alkyltransferase can repair the DNA lesion and allow the<br />

cell to survive. Upregulation of the nucleotide excision repair pathway is also<br />

associated with drug resistance.<br />

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Pharmacokinetics<br />

Lomustine is administered orally. The standard dose used in small animals<br />

ranges from 50 mg/m 2 to 90 mg/m 2 PO on a 3-week basis. Dose for cats has<br />

been reported at 60 mg/m 2 PO or as a 10 mg dose per cat every 3 weeks. Lomustine<br />

is widely distributed because of its lipid solubility. It penetrates the<br />

blood-brain barrier and CSF levels are 15-50% of plasma. Lomustine is extensively<br />

metabolized in the liver to both inactive and active metabolites. The<br />

half-life of the active metabolites ranges from 16 hours to 2 days. Lomustine’s<br />

active and inactive metabolites are excreted primarily in the urine. Prolongation<br />

of plasma concentration is thought to reflect a combination of protein<br />

binding and enterohepatic recirculation of metabolites.<br />

Toxicity<br />

The major toxic effect of lomustine therapy is acute and delayed (4-6 weeks<br />

post dosing) bone marrow suppression (especially thrombocytopenia and leukopenia).<br />

It is recommended that the practitioner monitor the CBC one week after<br />

dosing, and again immediately before the next dose is scheduled. Myelosuppression<br />

can occur for up to 6 weeks after dosing. Nausea and vomiting are rarely<br />

seen with lomustine use. Hepatic toxicity has been described in dogs. While<br />

most of the hepatic toxicity seen was manifested as reversible elevation of liver<br />

enzymes, a small percentage of dogs had progressive, fatal hepatic failure.<br />

Indications<br />

Veterinary indications include the treatment of refractory lymphosarcoma<br />

in dogs and cats, metastatic mast cell disease in dogs and cats, cutaneous<br />

lymphosarcomas, and central nervous system tumors.<br />

Contraindications<br />

Use with caution in dogs treated with drugs that need microsomal enzyme<br />

induction (ie phenobarbital) due to the possible changes in antineoplastic activity.<br />

Combination with other myelosuppressive drugs should be carefully<br />

monitored. Lomustine has been demonstrated to induce significant and even<br />

fatal hepatic toxicity in a limited number of canine patients; its use is therefore<br />

contraindicated in patients with pre-existing clinical hepatic dysfunction.<br />

Use should be discontinued in the face of elevating liver enzyme levels.<br />

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DACARBAZINE<br />

Dacarbazine is one of several imidazole carboxamide derivatives developed<br />

in the mid-1960’s.<br />

Mechanism of action<br />

Dacarbazine inhibits DNA and RNA synthesis by creation of 06-methyguanine<br />

adducts in DNA. Dacarbazine is cell cycle phase nonspecific.<br />

Pharmacokinetics<br />

Dacarbazine is a prodrug and is biotransformed by liver microsomal enzymes.<br />

Active and inactive byproducts may also be created through photodegradation,<br />

thus it should be protected from light. The drug has only modest binding<br />

to plasma proteins and tissues, and excretion is primarily by the kidneys.<br />

It may be administered as an 8-hour infusion or 800 mg/m 2 every 21 days. It<br />

is recommended that dogs be pretreated with dexamethasone through the intravenous<br />

catheter to prevent vasospasm and phlebitis associated with the administration<br />

of this drug. Treatment with butorphanol for injection discomfort<br />

may be helpful for dogs being treated with the 8-hour infusion protocol.<br />

Toxicity<br />

Myelosuppression and gastrointestinal signs can be seen in association<br />

with dacarbazine use. Dacarbazine can be a vascular irritant, and extravasation<br />

can cause severe local tissue reaction.<br />

Indications<br />

Dacarbazine is used to treat malignant melanoma and lymphomas. It has<br />

been used in veterinary medicine as a rescue agent for lymphoma, as well as<br />

for treatment of malignant melanoma and soft tissue sarcomas.<br />

Contraindications<br />

Known hypersensitivity to the drug and myelosuppression prior to administration<br />

are contraindications.<br />

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ANTIMICROTUBULE AGENTS<br />

The antimicrotubule agents include the vinca alkaloids, compounds that are<br />

derived from the periwinkle (Cantharanthus roseus, or Vinca rosea) plant. The<br />

mechanism of action of the vinca alkaloids is through binding microtubular<br />

proteins, which results in dissolution of the mitotic spindle and mitotic arrest.<br />

Drug resistance is due to mutation of the alpha or beta subunits of tubulin, or<br />

through increased expression of a cell membrane pump (P-glycoprotein).<br />

VINCRISTINE<br />

A naturally occuring vinca alkaloid, is an antimicrotubule antineoplastic<br />

agent. It is the dimeric alkaloid salt isolated from Cantharanthus roseus (Vinca<br />

rosea linn). The drugs vinblastine and vincristine were introduced in the 1960’s.<br />

Mechanism of action<br />

Inhibition of microtubule assembly occurs as a result of binding to tubulin<br />

subunits. Vincristine arrests cells in the G2/M phase of the cell cycle.<br />

Pharmacokinetics<br />

The principle route of administration of vincristine is intravenous. Doses used<br />

in veterinary medicine range from 0.5-0.75 mg/m 2 body surface area. The drug is<br />

rapidly and widely distributed following IV administration. Vincristine is excreted<br />

through the bile. Peak bile concentration occurs 2-4 hours after rapid IV injection.<br />

Toxicity<br />

Vincristine can cause myelosuppression, especially at the high end of the<br />

dosage range. Perivascular injection can result in tissue irritation and sloughing.<br />

Because of effects on microtubule function, the drug can result in neurotoxicity<br />

due to impairment of axonal transport, often manifested at GI ileus.<br />

Indications<br />

Vincristine is most often used in combination to treat lymphoma, leukemia,<br />

and sarcomas in dogs and cats. Vincristine is a successful single-agent<br />

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therapy for transmissible venereal tumors. Because vincristine can induce<br />

thrombocytosis it may also be employed in the treatment of immune-mediated<br />

thrombocytopenia.<br />

Contraindications<br />

Should be used with caution in patients with hepatic disease, leukopenia,<br />

infection, or preexisting neuromuscular disease.<br />

VINBLASTINE<br />

Vinblastine has essentially the same mechanism of action as vincristine.<br />

Pharmacokinetics<br />

Vinblastine is administered intravenously, at a dose of 2 mg/m 2 body surface<br />

area. Vinblastine binds extensively to blood and other cellular elements.<br />

The drug is metabolized in part in the liver to another active compound, deacetylvinblastine<br />

and is excreted primarily in bile.<br />

Toxicity<br />

Adverse reactions to vinblastine are dose related and reversible. Toxicity<br />

may be enhanced by the presence of hepatic insufficiency. Leukopenia is<br />

usually dose limiting. Nausea and vomiting are the most frequent adverse GI<br />

effects, and usually last less than 24 hours. Neurotoxicity is less frequently<br />

encountered than with vincristine. Tissue irritation, phlebitis and necrosis can<br />

result from extravasation.<br />

Indications<br />

Vinblastine is used for treatment of mast cell disease in dogs and cats, as<br />

well as for rescue therapy in lymphosarcoma.<br />

Contraindications<br />

Known hypersensitivity, and significant liver dysfunction are contraindications.<br />

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TOPOISOMERASE INHIBITORS<br />

Are drugs that interact with the physical structure and activity of DNA both<br />

in the production of RNA and replication of DNA. These drugs are typically natural<br />

products that inhibit the DNA unwinding enzyme topoisomerase.<br />

DOXORUBICIN<br />

Doxorubicin was discovered in Italy as an anthracycline antibiotic derivative<br />

of a soil fungus.<br />

Mechanism of action<br />

Doxorubicin is a particularly potent antineoplastic drug in part because it<br />

has several different actions that can result in cell death. Doxorubicin intercalates<br />

DNA, and by virtue of the presence of quinone and hydroquinone side<br />

chains can for covalent cross-links. The presence of doxorubicin in the DNA<br />

chain impairs DNA synthesis, RNA synthesis, topoisomerase activity, and helicase<br />

activity. Doxorubicin is capable of causing iron-mediated free-radical<br />

formation, which in turn leads to lipid peroxidation and cell membrane effects.<br />

Mechanism of drug resistance is largely through activation of the P-<br />

glycoprotein cell membrane pump. P-glycoprotein activity results in inability<br />

of the doxorubicin to insert itself into nuclear DNA.<br />

Pharmacokinetics<br />

Doxorubicin is administered intravenously at doses of 30 mg/m 2 body surface<br />

area in dogs or 1 mg/kg dose in cats and small dogs. Doxorubicin undergoes<br />

extensive biotransformation in the liver to active and inactive metabolites.<br />

The drugs is extensively protein abound in plasma and tissues and is<br />

excreted almost exclusively in bile in animal species.<br />

Toxicity<br />

In addition to having the broadest spectrum of activity of any of the commonly<br />

used antineoplastic drugs, doxorubicin also has perhaps the widest profile<br />

of commonly seen significant toxicities. Myelosuppression, gastrointestinal<br />

signs (particulary nausea, vomiting and colitis), and alopecia are all seen in pa-<br />

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tients treated with doxorubicin. In addition, anaphylaxis and urticarial reactions<br />

may be seen that can be dependent on rate of infusion and can be blocked by<br />

premedication with antihistamines and corticosteroids. Extravasation of the<br />

drug can result in severe tissue necrosis that can necessitate reconstructive surgery.<br />

Intravenous injection without extravasation can cause thrombophlebitis<br />

and venous sclerosis. Cardiac toxicity is dose limiting, and can be seen in acute<br />

and chronic forms. Acute cardiac toxicity results in arrhythmias, ST-T wave<br />

changes, sinus tachycardia, and extrasystolic contractions. Pretreatment cardiac<br />

assessment is indicated for dogs receiving doxorubicin therapy. Chronic cumulative<br />

cardiac toxicity is characterized by a progressing syndrome of congestive<br />

heart failure. Risk increases with increasing cumulative dose, typically in the<br />

range of 180-240 mg/m 2 in dogs. Caution should always be exercised as cardiotoxicity<br />

may occur at much lower cumulative doses in patients with preexisting<br />

heart disease. Dexrazoxane partially prevents anthracycline-induced cardiotoxicity<br />

by chelating free iron and preventing the formation of the anthracycline<br />

iron complex and resultant free radical generation. Cats are also susceptible<br />

to renal toxicity that can result in acute or acute on chronic renal failure.<br />

Indications<br />

Doxorubicin has one of the widest spectrums of activity of any of the anticancer<br />

agents, and is used for treatment of leukemias, lymphoma, sarcomas,<br />

and carcinomas.<br />

Contraindications<br />

Known hypersensitivity, preexisting cardiac disease, preexisting renal insufficiency<br />

in cats.<br />

MITOXANTRONE<br />

Mitoxantrone was developed as a synthetic aminoanthraquinone that was<br />

hoped to retain the antitumor spectrum of an anthracycline without causing<br />

cardiotoxicity.<br />

Mechanism of action<br />

As for doxorubicin, with the exception that mitoxantrone causes minimal<br />

free radical formation and lipid peroxidation.<br />

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Pharmacokinetics<br />

Mitoxantrone is administered by IV infusion at doses of 5.0-6.0 mg/m 2<br />

body surface area in dogs and cats. The drug is 78% bound to plasma proteins.<br />

The metabolism of mitoxantrone is not well known but is believed to<br />

be similar to that seen for other agents in the class. Elimination is also not<br />

well know, but 11% is recovered in urine over 5 days, and 25% recovered<br />

in feces over 5 days. No adjustment for renal or hepatic dysfunction is<br />

recommended.<br />

Toxicity<br />

Myelosuppression is the main dose limiting toxicity of mitoxantrone.<br />

Indications<br />

Mitoxantrone is used to treat lymphoma in dogs and cats, and has also<br />

been used to treat a variety of solid tumors including transitional cell carcinoma<br />

of the urinary bladder, squamous cell carcinoma, mammary carcinoma,<br />

and anal sac carcinoma.<br />

Contraindications<br />

Known hypersensitivity. Mitoxantrone should not be given during pregnancy<br />

as it is a teratogen.<br />

MISCELLANEOUS AGENTS<br />

A variety of different drugs with anticancer activity are classed as miscellaneous<br />

agents based on varied mechanisms of action, including hormones,<br />

receptor binding agents, and drugs with unique effects.<br />

ASPARAGINASE (also called L-asparaginase)<br />

Asparaginase is a high molecular weight enzyme extracted from bacteria,<br />

primarily Escherichia coli. It was originally discovered in 1953 as an antitumor<br />

activity in guinea pig serum that inhibited rodent tumors in cell culture.<br />

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Mechanism of action<br />

Asparaginase catalyzes the deamination of asparagine to aspartic acid and<br />

ammonia. Asparagine is found incorporated into most proteins and protein<br />

synthesis is halted in its absence with a resulting halt to cellular proliferation.<br />

Drug resistance occurs when cells induce the enzyme asparagines synthetase.<br />

Pharmacokinetics<br />

The usual dose of asparaginase in dogs is 10,000 units/m 2 administered intramuscularly,<br />

subcutaneously, or intraperitoneally. The dose in cats is 400<br />

units/kg body weight. After parenteral administration, asparaginase distributes<br />

into a body space that is only slightly larger than the plasma volume. Little<br />

asparaginase reaches the CSF, but depletion of plasma asparagines results<br />

in decrease of asparagine in CSF. It is believed that the drug is ultimately cleared<br />

by the reticuloendothelial system.<br />

Toxicity<br />

Toxicities associated with asparaginase are unique for an anticancer chemotherapeutic.<br />

Myelosuppression is rare, but may be seen particularly with<br />

concurrent vincristine administration in lymphoma induction. Coagulopathies<br />

and thrombosis have been observed in human patients, presumably as a result<br />

of inhibition of liver protein synthesis. Asparaginase can cause anaphylaxis,<br />

and acute, life-threatening necrotizing pancreatitis is also a rare complication.<br />

Indications<br />

Asparaginase is useful for treatment of acute lymphoblastic leukemia and<br />

lymphoblastic lymphoma in both human and veterinary medicine.<br />

Contraindications<br />

Contraindications include anaphylaxis and pancreatitis.<br />

Address for correspondence:<br />

Barbara E. Kitchell<br />

Professor and Director, Center for Comparative Oncology<br />

Michigan State University College of Veterinary Medicine<br />

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Barbara E. Kitchell<br />

DVM, PhD, Dipl ACVIM, Michigan, USA<br />

Chemotherapy:<br />

less known drugs<br />

for new frontiers<br />

Sabato, 8 Marzo 2008, ore 14.30<br />

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Advances in the medical treatment of cancer are constantly arriving. The<br />

challenge for the veterinary practitioner is to adapt new therapeutic agents developed<br />

in human oncology to the needs of companion animal patients with<br />

similar malignancies, or with mutational pathways to the human counterpart<br />

disease. The adaptation of traditional anticancer agents, the cytotoxic drugs,<br />

is well understood. Often the matter is as simple as discovering doses used in<br />

canine models in pre-clinical pharmacology/toxicology studies to arrive at an<br />

acceptable clinical dose for use in canine cancer patients. However, the issue<br />

with modifying drug doses in cats is a bit more challenging, since liver metabolism<br />

of drugs is quite different in this species.<br />

The more challenging aspect of adapting new therapies to veterinary oncology<br />

is the fact that many of the advances recently achieved in human oncology<br />

encompass biologic agents, such as monoclonal antibodies, that have<br />

been specifically engineered to work in human patients.<br />

Thus, the canine and feline immune systems would be expected to reject<br />

these agents as foreign proteins. Also, newly developed small molecular<br />

pathway interactive agents are difficult to apply on a routine clinical basis,<br />

as these drugs often require a molecular profile of the individual patient’s<br />

tumor to be able to determine the applicability of a given drug to the patient’s<br />

tumor.<br />

Finally, all new agents are costly, and the economics of veterinary medicine<br />

will often make such agents impractical simply from a cost perspective.<br />

Still, studies of newer agents are ongoing and merit discussion.<br />

TRADITIONAL CYTOTOXIC AGENTS<br />

While not new in human medicine, the following anticancer agents with<br />

traditional cytotoxic mechanisms of action have been used increasingly at Michigan<br />

State University.<br />

IFOSFAMIDE<br />

Ifosfamide was synthesized in the mid-1960’s as an isomer of cyclophosphamide.<br />

Initial studies with ifosfamide indicated severe dose-limiting urothelial<br />

toxicity. Concurrent administration of the free radical scavenger 2-<br />

mercaptoethanesulfonate (mesna) has resulted in the safe utilization of the<br />

compound in oncologic practice. Ifosfamide has been demonstrated to be more<br />

effective than cyclophosphamide for treatment of sarcomas and testicular<br />

tumors in human medicine, and it is therefore becoming more widely used in<br />

human and veterinary oncology.<br />

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Mechanism of action<br />

The mechanism of action is presumed to be the same as for cyclophosphamide.<br />

Subtle differences in the molecular pharmacology of the two drugs<br />

are possible because of the different locations of the two chloroethyl chains<br />

on ifosfamide.<br />

Pharmacokinetics<br />

Activation of the ifosfamide prodrug is by hydroxylation in the liver by<br />

cytochome p450. Ifosphamide becomes a strong electrophile by forming carbonium<br />

ions or transition complexes with target molecules in tissues.<br />

This results in the formation of covalent bonds through the alkylation of<br />

phosphate, amino, sulfhydryl, hydroxyl, carboxyl and imidazole groups. Its<br />

cytotoxic properties are due to its alkylating effects on DNA.<br />

Approximately 50% of the dose of active ifosfamide is excreted in the urine.<br />

The half-life in humans is schedule dependent; at high doses in human<br />

medicine the terminal half-life is 16 hours, while divided daily doses yield a<br />

terminal half-life of 7 hours.<br />

Ifsofamide has been used in veterinary medicine at doses of 350-375<br />

mg/m 2 IV in dogs, along with a vigorous intravenous diuresis protocol using<br />

mesna as a urothelial protectant.<br />

Surprisingly, dose escalation studies have shown the dose appropriate for<br />

cats is 900 mg/m 2 IV, with the diuresis protocol decribed hereafter.<br />

The diuresis protocol reported used mesna intravenously at 20% of the calculated<br />

mg dose of ifosfamide with 0.9% NaCl at a rate of 18.3 ml/kg/hour<br />

for 30 minutes prior to ifosfamide administration.<br />

Ifosfamide is given over 30 minutes, while intravenous saline diuresis is<br />

continued at the above infusion rate, with additional bolus doses of mesna as<br />

above at 2 and 5 hours. This protocol is repeated at 3-week intervals. The mechanism<br />

of resistance is presumed to be the same as for cyclophosphamide.<br />

Cross-resistance with cyclophosphamide is considered likely, although not<br />

absolute for all cases.<br />

Toxicity<br />

The primary toxicities of ifosfamide are myelosuppression and urothelial<br />

toxicity, but alopecia, nausea, vomiting and CNS effects have also been seen<br />

in human medicine. Ifosfamide can cause a Fanconi-like syndrome, as well as<br />

tubular and glomerular damage.<br />

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Indications<br />

Ifosfamide is used in human medicine for any indications appropriate for<br />

cyclophosphamide use. Ifosfamide appears to be more active than cyclophosphamide<br />

for treatment of human testicular cancers and sarcomas. This drug<br />

has been noted to induce remissions in metastatic hemangiosarcoma and<br />

osteosarcoma patients.<br />

Contraindications<br />

Known hypersensitivity reactions. Severe leukopenia, thrombocytopenia<br />

and severe renal and/or hepatic impairment. Ifosfamide should not be used in<br />

cases with known hemorrhagic cystitis. The drug should not be administered<br />

to patients with known renal insufficiency.<br />

PACLITAXEL (Taxol)<br />

Paclitaxel was discovered in the late 1960’s as part of a National Cancer<br />

Institute screening program involving 35,000 natural materials. It was initially<br />

approved for treatment of carcinomas of the ovary, breast, and lung in human<br />

medicine. The drug is commonly used to treat an expanding list of human<br />

cancers, and is finding more applications in veterinary oncology as well.<br />

Mechanism of action<br />

Paclitaxel is an antineoplastic agent that acts by disrupting the microtubular<br />

network in cells that it is essential for mitotic and interphase cellular functions.<br />

Taxol binds to free tubulin and promotes the assembly of tubulin into<br />

stable microtubules while simultaneously inhibiting their disassembly. This<br />

leads to production of microtubule bundles without normal function and to the<br />

stabilization of microtubules, which results in the inhibition of mitosis in<br />

cells.<br />

Pharmacokinetics<br />

Paclitaxel is highly lipophilic and insoluble in water. It is therefore available<br />

only in a diluent of polyoxyethylated castor oil (Cremaphor EL). The<br />

diluent has direct cytotoxic and anaphylactogenic effects in and of itself, and<br />

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contributes therefore to both the mechanism of action and significantly to the<br />

toxicity profile of the drug. The dose for dogs is reported to be 1.13 mg/kg,<br />

infused intravenously diluted to 0.6 mg/ml after extensive pretreatment with<br />

antihistamines and corticosteroids to prevent anaphylactic reaction. The dose<br />

in cats has been reported to be 5 mg/kg, Cats are much less sensitive to<br />

the anaphylactoid effects of paclitaxel. The pretreatment protocol involves 5<br />

days of oral prednisolone at 1 mg/kg, oral diphenhyrdamine 1 mg/kg and<br />

oral famotidine 0.5 mg/kg once daily for 5 days as a preparatory regimen.<br />

After parenteral administration, paclitaxel is metabolized in the liver by the<br />

cytochrome P450 system. It is avidly bound to proteins and less than 25% of<br />

the administered dose is recovered in urine as unchanged drug. Paclitaxel has<br />

a wide volume of distribution and biphasic plasma clearance, with half-lives<br />

of 1-6 hours and 5-17 hours for initial and terminal elimination phases, respectively.<br />

Hepatic metabolism is extensive, with high concentrations of the<br />

drug in bile.<br />

Docetaxel is an semisynthetic analog of paclitaxel that has been used in<br />

Europe and is reportedly less anaphylactogenic than the original compound.<br />

Docetaxel has been administered at 30 mg/m 2 IV.<br />

A new formulation of paclitaxel in under development in Europe with an<br />

indication for veterinary application. This agent is solublized without the use<br />

of cremophore, and thus should be much less toxic. The dose of this investigational<br />

agent is 175 mg/m 2 IV over 15-30 minutes every 21 days. Studies of<br />

this agent are ongoing but very promising response rates have been noted in<br />

the pilot studies.<br />

Toxicity<br />

Dose limiting toxicities include myelosuppression, hypersensitivity reactions,<br />

arrhythmias, and neuropathy in humans. The hypersensitivity reaction requires<br />

pretreatment prophylaxis with corticosteroids, diphenhydramine and an<br />

H2-receptor antagonist. Hypersensitivity reactions seen include head shaking,<br />

pruritus, edema, erythema, hypotension, bronchospasm, and bradycardia. Anorexia,<br />

nausea and vomiting can be seen. Hypersensitivity reactions may be dependent<br />

on rate of administration, and slow infusiton is recommended.<br />

Indications<br />

Therapeutic indications in veterinary medicine are still being explored, but<br />

it appears that paclitaxel may be useful for treatment of a variety of carcinomas<br />

in dogs and cats, including mammary and pulmonary carcinomas.<br />

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Contraindications<br />

Known severe hypersensitivity reactions, myelosuppression, and significant<br />

liver dysfunction are contraindications.<br />

GEMCITABINE (2,2’-difluorodeoxycytidine)<br />

Gemcitabine was synthesized as an analogue of cytarabine. It was the first<br />

drug licensed based not sole on antitumor efficacy but also on improved quality<br />

of life scores in the pivotal study of human patients with pancreatic carcinoma.<br />

The drug was licensed for human use in the late 1990’s.<br />

Mechanism of action<br />

Gemcitabine is incorporated into the replicating DNA chain in place of the<br />

normal deoxycytidine base, causing chain termination. It also increases its<br />

own intracellular concentration by a positive feedback loop of activation. The<br />

drug requires intracellular phosphorylation by deoxycytidine kinase in order<br />

to achieve the activated triphosphate form. The drug blocks ribonucleotide reductase<br />

function, which depletes the normal cytidine base. This results in<br />

greater incorporation of the gemcitabine in the DNA as fewer molecules of<br />

the normal base are available to compete for insertion. Resistance appears to<br />

be due to reduced nucleoside transport into the cells, and also by decreased<br />

activity of the enzyme deoxycytadine kinase.<br />

Pharmacokinetics<br />

Gemcitabine is administered by intravenous bolus or short (30 minute) infusion.<br />

The drug appears to be tolerated by both dogs and cats, and doses of<br />

300-400 mg/m 2 as a 20 minute infusion have been reported for weekly administration<br />

as a single agent. Dose and schedule optimization studies are ongoing<br />

and the reader is referred to the current veterinary literature or consultation<br />

with a veterinary oncologist for current dosing recommendations. The<br />

drug has a short plasma half-life and is cleared by a two-compartment model.<br />

Longer infusions result in longer half-life and significantly greater myelosuppression<br />

due to increased exposure of normal marrow cells passing through S-<br />

phase of the cell cycle. Gemcitabine is metabolized almost exclusively in the<br />

kidneys. This drug is synergistic in combination with carboplatin, where we<br />

have employed a fixed doublet dose of 2 mg/kg gemicitabine over 20 minu-<br />

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tes, followed by a four hour delay, then 10 mg/kg carboplatin (dose not to exceed<br />

300 mg/m 2 ) on a 3 week cycle, with gemicitabine given alone on week<br />

2 followed by a rest week.<br />

Toxicity<br />

Myelosuppression is dose limiting. Nausea and vomiting are rare and generally<br />

mild.<br />

Indications<br />

The drug is used in human medicine for treatment of pancreatic carcinoma,<br />

and has also been used in combination with other drugs for treatment<br />

of other gastrointestinal, genitourinary, and respiratory carcinomas.<br />

The drug appears to be synergistic with platinum agents and is a very potent<br />

radiosensitizer.<br />

Contraindications<br />

Significant hepatic or renal impairment, known hypersensitivity.<br />

VINORELBINE<br />

Vinorelbine is a semi-synthetic vinca alkaloid. The drug was invented in<br />

France in 1980 and licenced for treatment of lung cancer in people in 1991.<br />

Mechanism of action<br />

Inhibition of microtubule assembly occurs as a result of binding to tubulin<br />

subunits. Vinorelbine arrests cells in the G2/M phase of the cell cycle.<br />

Pharmacokinetics<br />

Vinorelbine is administered by intravenous bolus. An oral formulation of<br />

the drug have been available in Europe since 2004 as well. The drug appears<br />

to be tolerated by both dogs and cats, and doses of 15 mg/m 2 IV as a 5 minu-<br />

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te infusion has been reported for weekly administration as a single agent. The<br />

drug has a plasma half-life and is of approximately 24 hours. Vinorelbine is<br />

metabolized in the liver and excreted largely into the bile, with a small<br />

amount of renal excretion also. We have used the drug as a weekly injection<br />

on a 3 week on, one week rest schedule.<br />

Toxicity<br />

Myelosuppression is dose limiting. Nausea and vomiting are rare and generally<br />

mild. Extravascular injection results in perivascular injury and the<br />

drug induces phlebitis. Peripheral neuropathy has been reported in human<br />

patients.<br />

Indications<br />

The drug is used in human medicine for treatment of carcinomas, particularly<br />

of the lung, breat and prostate. We have seen responses in pulmonary<br />

carcinoma, metastatic mammary tumor, and also long term control of pleural<br />

effusion in thoracic mesothelioma.<br />

Contraindications<br />

Hepatobiliary dysfunction, known hypersensitivity.<br />

TEMOZOLOMIDE<br />

Temozolomide is the oral formulation of the active form of the imidazole<br />

carboxamide alkylating agent dacarbazine (DTIC). This drug was licensed for<br />

use in the United States in 1999 for treatment of anaplastic astrocytoma and<br />

glioblastoma multiforme. Since its original licensure, the drug has found expanded<br />

utility in the treatment of refractory lymphoma and sarcomas in veterinary<br />

oncology.<br />

Mechanism of action<br />

Temozolomide inhibits DNA and RNA synthesis by creation of 06-methyguanine<br />

adducts in DNA. Thus, this drug is cell cycle phase nonspecific.<br />

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Pharmacokinetics<br />

Dacarbazine is a prodrug and is biotransformed by liver microsomal<br />

enzymes into MTIC. Temozolamide does not require hepatic enzyme activation<br />

and therefore has a more predictable pharmacologic profile than dacarbazine.<br />

The drug has minimal binding to plasma proteins and tissues, and<br />

the half life of the active compound is 1.8 hours. The drug is spontaneously<br />

degraded in the body to inactive compound, so elimination is not a concern<br />

for this agent. The drug depletes the DNA repair enzyme 0-6 alkylguanyl<br />

alkyltransferase, which means that over the course of 5 days of drug administration<br />

every 21 days, the pills at the end of the 5 day administration<br />

cycle have more profound effect than those administered initially. As the<br />

agent causes DNA injury, the repair enzyme is depleted to late injuries are<br />

more damaging to the cancer cells as well as to normal replicating cells in<br />

the marrow.<br />

Toxicity<br />

Myelosuppression and gastrointestinal signs can be seen in association<br />

with temozolomide use. The drug is best absorbed on an empty stomach, but<br />

it is a gastric irritant. Thus it is recommended that the patient be fasted for<br />

at least one hour prior to drug administration, then fed in 20-30 minutes.<br />

Metaclopromide is helpful as an antiemetic. If the capsules are chewed by<br />

the dog, the drug can act as a mucosal irritant to care must be taken when<br />

pilling dogs. In cats, we have observed apparent cardiac adverse effects and<br />

pleural effusion in 20% of cats treated. We are currently not recommending<br />

this drug for use in cats until further study to predict the risk of significant<br />

toxicity is completed.<br />

Indications<br />

Temozolomide has been used to treat malignant melanoma and lymphomas<br />

in the dog, and has shown some effect in combination with doxorubicin<br />

and vincristine to treat hemangiosarcoma.<br />

Contraindications<br />

Known hypersensitivity to the drug and myelosuppression prior to administration<br />

are contraindications.<br />

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SMALL MOLECULAR INHIBITOR THERAPY<br />

While a variety of pathways have been established as anticancer treatment<br />

targets, signaling molecules in the receptor tyroinse kinase class seem to be<br />

the closest to providing a window to clinical applicability. The promiscuous<br />

RTKI imatinib mesylate (Gleevec) has been used in cats and dogs with mast<br />

cell disease with some success. The dose in cats is 10 mg/kg daily, but remission<br />

in visceral mast cell disease may take several weeks to be detectable. In<br />

the dog, the dose used has ranged from 5 mg/kg to 10 mg/kg daily, with significant<br />

hepatobiliary toxicity noted in some instances. Until the underlying<br />

mechanism of this potentially lethal toxicity has been identified so that at risk<br />

cases can be screed, the drug should be used with extreme care and clear<br />

client informed consent of risk in canine patients. Investigational therapy with<br />

a different small molecular inhibitor of receptor tyrosine kinase signaling,<br />

(SU11654 - newly named Palladia by Pfizer), which acts as an inhibitor of c-<br />

KIT a variety of RTKs including c-Kit, PDGFR, and VEGF, has been carried<br />

out in the dog. Response has been seen in 11/22 dogs with MCT, as well as<br />

limited numbers of dogs with soft tissue sarcomas, mammary carcinomas,<br />

and multiple myelomas. The overall response rated noted with this drug was<br />

28% (16/57 dogs) and those dogs with a receptor mutation were the ones most<br />

likely to respond. However, this product is not yet commercially available and<br />

remains in trials.<br />

Other small molecular pathway inhibitors are under investigation in the<br />

dog, with studies ongoing both in vitro and in vivo. This field of research is<br />

experiencing an explosive development phase in human oncology, with many<br />

pathways and molecules being explored as potential treatment targets. A large<br />

additional effort in funded clinical trials, and time for outcomes assessment,<br />

will tell which of these agents will prove most effective, safe, and practical<br />

for use in veterinary medicine in the future.<br />

ANTITUMOR VACCINES<br />

Long-term survival of dogs with advanced malignant melanoma was<br />

achieved after DNA vaccination with xenogeneic human tyrosinase antigen,<br />

available under limited license in the United States from Meriel. In this phase<br />

one trial, median survival for 9 dogs treated was 389 days, with complete<br />

responses reported and greater that 588-day survival for one dog with bulky<br />

non-resectable disease. Dogs that demonstrated antigen specific antibody responses<br />

were more likely to have positive responses clinically. Gene therapy<br />

has also been employed experimentally in dogs with malignant melanoma. Intratumoral<br />

administration of DNA encoding bacterial superantigen of staphy-<br />

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lococcal enterotoxin B combined with either genes for GM-CSF or IL-2 resulted<br />

in an overall response rate of 46% in 26 dogs treated. Intratumoral infiltration<br />

with CD4+ and CD8+ T cells and macrophages was noted, as well<br />

as high levels of antitumor cytotoxic T lymphocyte activity in peripheral<br />

blood. Dendritic cell vaccines have also been attempted, using ex-vivo differentiated<br />

bone marrow or peripheral blood derived dendritic cells have been<br />

created by exposing blood or bone marrow mononuclear cells to differentiation<br />

conditions in cell culture. These dendritic cells are then loaded with antigens<br />

(cell extracts, nucleosome fragments from apoptotic bodies created in<br />

primary tumor culture) then used as active specific tumor vaccine therapy<br />

against melanoma.<br />

Address for correspondence:<br />

Barbara E. Kitchell<br />

Professor and Director, Center for Comparative Oncology<br />

Michigan State University College of Veterinary Medicine<br />

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Barbara E. Kitchell<br />

DVM, PhD, Dipl ACVIM, Michigan, USA<br />

Treatment for lymphoma<br />

Domenica, 9 Marzo 2008, ore 11.00<br />

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Lymphoma treatment is characterized by early spectacular response, often<br />

followed by equally spectacular treatment failure. For the most part, lymphocytes<br />

have a limited life span. Each lymphocyte is committed to accomplish specific<br />

tasks, such as the production of antibodies, the recognition and destruction of<br />

viral infected or malignantly transformed cells, and the maintenance of memory<br />

so that antigens once recognized are less able to gain a foothold in the future. The<br />

immune effector cells of the body perform these tasks until the offending antigen<br />

is dealt with, then the simple economy of biology requires that what is no<br />

longer needed be down-regulated to conserve resources for other vital functions.<br />

In the case of lymphocytes, they accomplish this ecologic balancing act for the<br />

body by dying when they are no longer needed. Certain subsets of lymphocytes,<br />

such as stem cells and memory cells, have extremely long lifespans in the body,<br />

and may in fact be immortalized. However, the vast majority of the lymphocyte<br />

population is in a state of flux, constant cycling through birth and death. The<br />

most critical key to the successful eradication of cancer cells by modern medicine<br />

is the triggering of programmed cell death, or apoptosis. All normal cells have<br />

the ability to detect genotoxic insults and to undergo apoptosis as a biologically<br />

appropriate response to potential mutagens. Part of the reason for<br />

lymphocyte lability to therapeutic agents such as prednisone is that lymphocytes<br />

respond to these types of signals by rapid cell death. In the circumstance of treatment<br />

of lymphoma, we are simply exploiting the lymphocyte’s own highly refined<br />

cell death machinery to take out a susceptible population of cells. Unfortunately,<br />

cancers may arise clonally, but they are genetically unstable; after successive<br />

rounds of replication, more and more mutations accrue in cancer cells.<br />

This leads to the phenomenon of drug resistance, among other consequences.<br />

As yet, no consensus exists as to the most appropriate chemotherapy protocol<br />

for treatment of lymphomas in dogs and cats. The purpose of this discussion<br />

is to bring up the pros and cons of the currently available chemotherapy<br />

protocols in the context of known prognostic factors to better enable the<br />

practitioner to judge what might be the best approach for a given patient.<br />

EPIDEMIOLOGY<br />

Incidence rates for dogs with lymphoma have been reported at 24 cases/100,000<br />

dogs at risk/year. The disease affects a wide range of animals,<br />

from the very young to the geriatric. The disease is generally seen in middle<br />

aged to older dogs, with no sex predisposition reported. Breeds at increased<br />

risk have been reported, including boxers, German shepherds, and golden retrievers.<br />

Familial distribution has been reported in bull mastiffs. In addition to<br />

breed predisposition, exposure to the herbicide 2,4D is associated with an increased<br />

risk in humans and dogs. While retroviral etiology is known in cats,<br />

birds, rodents, and humans, no retrovirus has been identified in the dog as yet.<br />

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THE DISEASES WE CALL “LYMPHOMA”<br />

One of the reasons that our response rates and remission rates vary when<br />

lymphoma is treated is that lymphoma is highly variable in its biology. While<br />

all lymphocytes start with a common progenitor stem cell, many different<br />

molecular genetic changes occur to arrive at the mature functional B, T, or NK<br />

lymphocyte phenotype. Cells at different points in their maturation and development<br />

can become malignant as a result of a variety of insults, and this results<br />

in a variety of different biologic behaviors when cancers arise. In a sense,<br />

each malignant transformation is unique, but common themes of behavior<br />

can be seen. In veterinary medicine, we are at the point that a cytologic diagnosis<br />

of “lymphoma” may not be enough information to choose appropriate<br />

therapy; histologic grading is proving to be valuable as well. The Kiel classification<br />

system describes lymphomas on the basis of their corresponding stages<br />

of normal lymphopoiesis, while the Working Formulation incorporates<br />

natural history and clinical course (low-, intermediate- and high- grades).<br />

Most veterinary pathology studies have found a Working Formulation based<br />

approach to be most helpful (Carter et al, 1986; Greenlee et al, 1990; Teske,<br />

1993). Most canine lymphomas are diffuse (vs. nodular) and are usually high<br />

or intermediate grade. Most are classified morphologically as diffuse large<br />

cell, immunoblastic, and small lymphocytic.<br />

PROGNOSTIC FACTORS<br />

Given the above discussion that lymphomas vary in biologic behavior, several<br />

prognostic factors can be determined from retrospective and prospective<br />

studies of canine lymphoma. Survival time of completely untreated patients<br />

is short (median 6-12 weeks from diagnosis). The importance of some<br />

prognostic factors have been debated in different studies, however it is clear<br />

that stage of disease and substage (a = assymptomatic, b = symptomatic for<br />

disease), serum calcium status, immunophenotype, and response to therapy<br />

are important predictors of long-term survival. Newer prognostic markers include<br />

assays to detect apoptotic competence of lymphoblasts, such as p53 and<br />

caspase-3 immunostaining.<br />

CHEMOTHERAPY PROTOCOLS<br />

In human medicine, as many as a dozen different chemo-therapy protocols<br />

utilizing as many as 8 agents in combination are currently in use for the treatment<br />

of non-Hodgkin’s lymphoma. This underscores the fact that no protocol<br />

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can be clearly advanced as “best” in the treatment of the various diseases that<br />

fall under the heading of lymphoma. A variety of chemotherapy protocols are<br />

available for the treatment of canine lymphoma. In establishing an optimal<br />

protocol, one must take into account the efficacy (as determined by remission<br />

and survival times), toxicity, and cost of therapy. Successful therapy with single<br />

agents can be achieved for lymphoma patients. However, single agent remissions<br />

tend to be short due to the rapid evolution of drug resistance mechanisms.<br />

Drugs that have been shown to have single agent efficacy in canine<br />

lymphoma include: corticosteroids, cyclophosphamide, L-asparaginase,<br />

doxorubicin (Adriamycin), epirubicin, mitoxantrone, actinomycin D, and<br />

CCNU (Lomustine).<br />

COMBINATION CHEMOTHERAPY<br />

COP<br />

Most chemotherapy protocols currently in use for lymphoma are based on<br />

the combination cyclophosphamide, vincristine (oncovin) and prednisone (COP<br />

therapy). These drugs are given either concurrently or in sequential weeks. Median<br />

remission times of around 6 months can be expected for most lymphoma<br />

dogs using a COP protocol alone. Side effects may include leukopenia, alopecia,<br />

gastrointestinal upset, sterile hemorrhagic cystitis (cyclophosphamide) and<br />

the typical adverse effects of prednisone therapy. This combination can be economically<br />

reasonable, as vincristine is available in generic form.<br />

Rotating sequential protocols<br />

Variations on the COP protocol contain additions of drugs such as l-asparaginase,<br />

cytosine arabinoside, methotrexate, and/or doxorubicin. In one popular<br />

protocol advanced by the Animal Medical Center, and modified at the University<br />

of Wisconsin, Madison, a rotating sequential combination of vincristine, L-<br />

asparaginase, prednisone, cyclophosphamide, doxorubicin, and methotrexate<br />

was used. Some of the best chemotherapy responses to date have been reported<br />

using this protocol, with 80% of patients attaining a remission (this is comparable<br />

to that achieved by COP therapy alone), and with median survival times<br />

extending past 12 months. 25% of dogs treated with this protocol have been reported<br />

to live more than 2 years. These findings were confirmed in a study of<br />

55 dogs at the University of Wisconsin, in which 84% achieved a complete response,<br />

with median remission duration of 36 weeks and 25% of dogs alive at<br />

2 years. Overall median survival time for this group was 51 weeks. This same<br />

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protocol was used at UC Davis and 82 dogs were treated. 64% attained complete<br />

responses, with median relapse-free survival for those with complete remission<br />

being 217 days. Median overall survival durations for dogs with complete<br />

response was 366 days, with 26% 2 year survival reported for the UC Davis<br />

dogs. Disadvantages of this protocol include the fact that it is complicated<br />

in terms of scheduling and has the potential for the side effects described above<br />

for the combination drugs and Adriamycin alone. Side effects of varying severity<br />

can be seen in over 60% of patients treated with this protocol. The cost<br />

of this therapy is considerable, because of the expense of the drugs and monitoring<br />

for toxicity over the 2 year potential treatment period.<br />

ACOPA protocols<br />

Other combination chemotherapy include those used at Tufts University<br />

(ACOPA I and II protocols) and a short-term (12 weeks) fractionated combination.<br />

The Tufts protocols involved combinations of COP plus L-asparaginase<br />

(Elspar) and doxorubicin using different schedules. In the earlier ACO-<br />

PA I protocol reported by Stone et al in 1991, 76% of 41 dogs attained a complete<br />

remission, median remission duration 11 months and with 48% being in<br />

remission at one year. ACOPA I used vincristine, L-asparaginase and prednisone<br />

for induction and cyclophosphamide and doxorubicin for maintenance.<br />

ACOPA II was reported in 1997 and consisted of doxorubicin and prednisone<br />

induction with doxorubicin, vincristine, cyclophosphamide, prednisone<br />

and pulsed L-asparaginase maintenance therapy. ACOPA II was studied in 68<br />

dogs, of which 65% attained complete remission with a median remission duration<br />

in this subset of dogs of 9 months and 40% in remission at one year and<br />

21% at two years. Interestingly, 37% of patients on the ACOPA I trial required<br />

modifications in dose or scheduling of chemotherapy because of toxicity,<br />

as compared with 62% of patients on ACOPA II. Thus on the surface it would<br />

appear that the ACOPA I protocol was superior (higher remission rates, longer<br />

remission duration, and lower dose-limiting toxicities). However more patients<br />

with advanced (Stage V) disease were entered into the ACOPA II arm,<br />

and a substantial number were lost to follow up while in complete remission.<br />

These factors may have biased results against this protocol.<br />

COPLA protocol<br />

At Michigan State University, we are using an independently developed but<br />

similar version of combination chemotherapy for canine lymphoma. (See attached<br />

protocol). Currently, median survival times with this protocol, plus rescue<br />

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therapy, are around 50 weeks. However, we note only an 8- 15% adverse effect<br />

rate for dogs treated with this protocol. Thus we feel that while the response durations<br />

are not as good with some of the other protocols, the adverse effect rates<br />

are compelling particularly in the treatment of geriatric patients. Seventy-five<br />

dogs with cytologically or histologically confirmed lymphoma received CO-<br />

PLA/LVP between January 1994 and June 1997. Toxicity was evaluated using<br />

the National Cancer Institute (NCI) toxicity criteria. Age, weight, sex and response<br />

were evaluated for prognostic significance against first remission duration.<br />

A complete response was obtained in 61 dogs (80%), a partial response in<br />

9 dogs (12%) and no response in 5 dogs (8%). The median first remission duration<br />

was 25 weeks with 17% and 5% of the dogs in first remission at 1 and 2<br />

years respectively. Observed toxicity was low with 84% of dogs given and NCI<br />

score of 1 or 2. Median survival for dogs achieving complete response was 36<br />

weeks versus 4 weeks for those achieving partial response or no response.<br />

ALTERNATIVE THERAPIES<br />

Other forms of therapy that have been reported to be useful in the treatment<br />

of canine lymphoma include bone marrow transplantation and various<br />

immune therapies. Bone marrow transplantation has shown up to 25% long<br />

term survivals (cures), but 50% of patients so treated experienced a remission<br />

such as would be expected from chemotherapy and 25% of patients died as a<br />

consequence of toxicity.<br />

Tumor vaccines<br />

Autologous tumor cell vaccines have produced prolonged remission and<br />

survival times when administered to patients who were in complete remission<br />

at the time of their administration. Mean survival times of 341 days for vaccinated<br />

dogs as compared to 138 days for chemotherapy treatment alone have<br />

been reported. Unfortunately, such vaccine products are not routinely available.<br />

Recently, some activity in the production of B cell anti-idiotype vaccines<br />

has been discussed. At this point, controlled trials have not been carried<br />

out to assess the efficacy of this approach.<br />

Monoclonal antibodies<br />

A monoclonal canine lymphoma antibody was produced against an unknown<br />

but apparently highly conserved surface epitope in canine lymphoma.<br />

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Median remission and survival times were reported in dogs receiving this treatment<br />

after induction of remission by standard chemotherapy as compared to<br />

chemotherapy alone. Jeglum et al reported on the results of a trial for 214 dogs<br />

treated with MAb 231 after induction therapy with 2 cycles of VCAA (L-asparaginase,<br />

vincristine, cyclophosphamide, and doxorubicin). 80% of the dogs<br />

achieved a complete response after induction with VCAA. The dogs that achieved<br />

a complete remission then received 5 days of slow IV infusion of the monoclonal<br />

antibody. Median first remission duration was 125 days, with median<br />

survival of 448 days. 41% of dogs were alive at one year. This monoclonal antibody<br />

product is no longer commercially available, however.<br />

RELATIONSHIP OF CLASSIFICATION OF LYMPHOMAS<br />

AND RESPONSE TO THERAPY<br />

One reason for a lack of clear consensus as to the best treatment for<br />

lymphoma in dogs and cats is that this malignancy represents a number of different<br />

clinical manifestations with different biologic behaviors. Stage at diagnosis,<br />

histologic grade of malignancy, immunophenotype of lymphoma, and<br />

involvement of extranodal locations are all factors that must be considered<br />

when evaluating chemotherapy protocols for comparable remission and survival<br />

times. See the above discussion of prognostic factors for details.<br />

RADIATION THERAPY CONSIDERATIONS<br />

Lymphoma is generally exquisitely sensitive to radiation therapy. Thus, radiation<br />

therapy has a definite role in the treatment of lymphomas in veterinary<br />

medicine. Local lymphomas may be effectively treated in an emergency setting<br />

to restore vital organ function in the short term. Examples of this indication<br />

include life threatening anterior mediastinal lymphoma and CNS<br />

lymphoma. Lymphoma may also be treated with curative intent by radiation<br />

therapy. Examples of this indication include treatment of lymphoma of the nasal<br />

sinus cavity. Dogs and cats treated for nasal lymphoma with full course radiation<br />

therapy are likely to be cured of local disease. Unfortunately, systemic<br />

relapse is expected so sequential or concurrent treatment with chemotherapy<br />

is necessary for these patients. Lymphoma may be treated with radiation therapy<br />

as a salvage procedure, as in the case of treating single refractory sites<br />

such as resistant peripheral nodal disease. These remissions may be short lived<br />

for patients with end stage lymphoma, but patient benefit may be achieved<br />

in the short term. Finally, radiation can be used adjuvantly for treatment<br />

of systemic lymphoma.<br />

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Half-body radiation therapy has been evaluated for dogs with generalized<br />

lymphoma (Abrams-Ogg, et al). In this randomized prospective Phase III trial,<br />

81 dogs with Stages III-IV lymphoma were induced into remission using a<br />

combination chemotherapy protocol that included asparaginase, cyclophosphamide,<br />

vincristine, epirubicin, and prednisone. Dogs were induced into a remission<br />

with this protocol for 6 weeks, then randomized into two treatment groups:<br />

maintenance chemotherapy (vincristine, cyclophosphamide, methotrexate) or<br />

half-body radiation therapy. The half- body radiation therapy arm consisted of<br />

patients treated with 800cGy to the cranial half of the body on week 8, followed<br />

by 800 cGy to caudal half of the body on week 12. To prevent relapse in the<br />

caudal half of the body before the radiation fraction, vincristine was administered<br />

on weeks 8 and 10. Remission was achieved by 74% of dogs after the induction<br />

protocol. Dogs in the maintenance chemotherapy group achieved a median<br />

remission duration of 30 weeks, with 27% of dogs in remission at 1 year.<br />

Dogs in the radiation therapy arm had a median remission duration of 33 weeks,<br />

with 36% still in remission at one year. Interestingly, this remission was durable<br />

for 6 patients, with 27% of the half-body radiation group still in remission<br />

at 3 years. Although the results are not statistically significant there is a trend<br />

toward longer tumor control for the group treated with half-body radiation.<br />

Whole body radiation with bone marrow transplantation could also be considered<br />

in an investigational setting for dogs with lymphoma.<br />

SUMMARY<br />

A great deal of effort and energy has been expended in the past few years<br />

to try to better establish prognostic factors for the treatment of lymphoma in<br />

dogs and cats. Several protocols are available, and factors related to the individual<br />

patient to be treated and the malignant behavior of that patient’s tumor<br />

should be considered when setting up chemotherapy protocols. Doxorubicin<br />

containing protocols would appear to be best used for high grade lymphoma<br />

and in patients with a poor prognosis, such as for histiocytic lymphomas, T<br />

cell disease in dogs, or for young animals. In older animals with less aggressive<br />

tumors, a COP protocol may achieve significant duration of remission<br />

without exposing the animal to the potential toxicities of doxorubicin until relapse,<br />

at which time doxorubicin can be used as an effective rescue agent.<br />

COMMON PROTOCOLS IN USE FOR CANINE LYMPHOMA<br />

The University of Wisconsin-Madison protocol is a rotating sequential<br />

protocol and is very dose intense, with arguably the longest overall survivial<br />

durations for the largest portion of patients (30% live beyond 2 years).<br />

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Week 1 - Vincristine (0.5-0.7 mg/m 2 IV), Asparaginase (400 IU/kg SC),<br />

Prednisone (2 mg/kg PO SID);<br />

Week 2 - Cyclophosphamide (250 mg/m 2 IV), Prednisone 1.5 mg/kg PO SID;<br />

Week 3 - Vincristine, prednisone (1.0 mg/kg PO SID);<br />

Week 4 - Doxorubicin (30 mg/m 2 IV), Prednisone (0.5 mg/kg PO SID);<br />

Week 6 - Vincristine;<br />

Week 7 - Cyclophosphamide;<br />

Week 8 - Vincristine;<br />

Week 9 - Doxorubicin.<br />

If in complete remission at week 9, this cycle is continued at 2-week intervals<br />

until week 19, at which time therapy is discontinued.<br />

The COPLA - LVP Protocol is a concurrent combination that is notable<br />

for low side effect rate and high induction of remission, although overall survival<br />

times are not as long as with the University of Wisconsin approach.<br />

COPLA protocol:<br />

• Cyclophosphamide 50 mg/m 2 , PO, eod for 56 days (8 weeks);<br />

• Vincristine (Oncovin) 0.5-0.7 mg/m 2 , IV, starting day 1, q 7 days for 77<br />

days (11 weeks), omitting weeks 6 and 9;<br />

• Prednisone 20 mg/m 2 , PO, sid for 7 days; then 20 mg/m 2 , PO, eod until relapse<br />

or adverse steroid effects, in which case taper dose and discontinue;<br />

• L-asparaginase 10,000 IU/m 2 , SC on days 1 and 8;<br />

• Doxorubicin (Adriamycin) 30 mg/m 2 , IV, on weeks 6, 9 and 12.<br />

CBC’s and lymph node/mass measurements should be obtained weekly, in<br />

order to modify treatment if deemed necessary.<br />

MAINTENANCE<br />

LVP protocol<br />

• (Chlorambucil) Leukeran 4 mg/m 2 , PO, eod;<br />

• Vincristine 0.5-0.7 mg/m 2 , IV, q 14 days for 2 doses, q 21 days for 3 doses,<br />

q 28 days thereafter;<br />

• Prednisone 20 mg/m 2 , PO, sid for 7 days; then 20 mg/m 2 , PO, eod until relapse<br />

or adverse steroid effects in which case taper dose and discontinue.<br />

Address for correspondence:<br />

Barbara E. Kitchell<br />

Professor and Director, Center for Comparative Oncology<br />

Michigan State University College of Veterinary Medicine<br />

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Barbara E. Kitchell<br />

DVM, PhD, Dipl ACVIM, Michigan, USA<br />

Treatment for bladder tumors<br />

Domenica, 9 Marzo 2008, ore 12.20<br />

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Bladder tumors comprise approximately 1% of all canine malignancies. It<br />

is more common in the dog than the cat. The theory behind this prevalence is<br />

that dogs secrete higher concentrations of the metabolites of tryptophan, a<br />

proposed carcinogen, than cats. Most tumors of the bladder are malignant,<br />

and the most common types include transitional cell carcinoma, squamous<br />

cell carcinoma, and adenocarcinomas. Bladder tumors usually affect older<br />

animals (mean age 10 years), with the exception of rhabdomyosarcomas that<br />

usually affect young animals. Etiology of bladder cancer in dogs and cats is<br />

unknown. However, risk of bladder cancer was found to be significantly increased<br />

in dogs exposed to two or more applications of topical insecticide<br />

commonly used for fleas and ticks, and also by obese body condition. It has<br />

been proposed that body fat acts as a storage depot for chemicals from insecticide<br />

dips resulting in gradual metabolism and excretion of the chemicals and<br />

prolonged exposure of the urothelium to the potential carcinogens. Cigarette<br />

smoking is associated with increased incidence of bladder cancer in people,<br />

and thus it is possible that second hand cigarette smoke exposure in animals<br />

living in smoking households may also play a part in the causation of bladder<br />

tumors. Cyclophosphamide has been incriminated in the development of TCC<br />

of the urinary bladder in dogs and humans. There is also a significant breed<br />

predisposition among dogs, with Scottish Terriers having an 18-fold increased<br />

risk compared to mixed breeds for TCC development. Other breeds with<br />

higher risk include the Beagle, Shetland Sheepdog, Wire Hair Fox Terrier,<br />

And West Highland White Terrier. This breed predisposition may be associated<br />

with differences in activation or detoxification pathways for specific carcinogens,<br />

although precise molecular pathways have yet to be identified.<br />

CLINICAL SIGNS<br />

Clinical signs most often associated with bladder tumors include hematuria,<br />

pollakiuria, and stranguria. Other clinical signs include polyuria, polydipsia,<br />

urinary incontinence, urinary obstruction, abdominal pain, tenesmus, ribbon-like<br />

stool, and lethargy. Physical exam findings may reveal caudal abdominal<br />

mass, prostatomegaly, bladder distention or obstruction, abdominal<br />

pain, weakness, and lymphadenomegaly. Most often, routine blood work and<br />

physical examination are normal and the bladder mass cannot be detected by<br />

abdominal palpation.<br />

DIAGNOSIS<br />

Urinalysis is often consistent with a bacterial cystitis (bacteruria, pyuria,<br />

hematuria, and proteinuria). Neoplastic cells can be identified in the urine se-<br />

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diment. There can be over interpretation of the criteria of malignancy in cells<br />

in the urine sediment as inflammation by itself can cause changes that closely<br />

mimic malignancy. Flow cytometry may be more sensitive in the evaluation<br />

of bladder cells in urine. Its use to identify cancer cells may be valuable<br />

in the recognition of malignant cells as well as a sensitive indicator of<br />

response to therapy.<br />

Secondary bacterial infection is also common and there is often reported<br />

an initial response to antibiotic therapy followed by a return of the clinical<br />

signs when antibiotic therapy ceases. A new urine-based diagnostic test is<br />

commercially available in the United States for screening for bladder cancer<br />

in the dog.<br />

This test is referred to as the VBTA test and detects an oncofetal antigen<br />

released by tumors into the urine of affected dogs. While this test is highly<br />

sensitive, it is very non-specific. The test had an overall sensitivity of 90%<br />

and a specificity of 78% in one study of 19 healthy control dogs, 20 dogs<br />

with TCC, and 26 dogs with non-neoplastic urinary disease. Any cause of<br />

hematuria can result in a false positive finding with this assay. For this reason,<br />

we are not commonly using the test and suggest that all positive tests<br />

in a screening setting be validated by careful cytologic, biopsy, and imaging<br />

studies.<br />

Radiography is probably the most valuable tool in the diagnosis of bladder<br />

tumors. Plain radiographs of the abdomen usually do not provide the diagnosis,<br />

however, positive and negative contrast cystograms readily identify mucosal<br />

irregularities, filling defects, and masses.<br />

Radiographs should also be examined for calcification of the bladder<br />

wall, sublumbar lymph node enlargement, prostatomegaly, caudal abdominal<br />

mass, bladder displacement, and periosteal reaction along the lumbar<br />

vertebrae or pelvis.<br />

Ultrasound can be used as a diagnostic tool to look for bladder masses as<br />

well as evaluate the kidneys, ureters, and sublumbar lymph nodes for metastatic<br />

disease. Further, masses within the bladder can be easily measured at<br />

each ultrasound and used to evaluate response to treatment.<br />

Intraveneous urograms are often not necessary to diagnose bladder masses<br />

unless urethral obstruction prevents urinary catheter passage. It is estimated<br />

that 20% of dogs with TCC have metastasis at the time of diagnosis, although<br />

this metastasis may be confined to sublumbar lymph nodes.<br />

Thoracic radiographs to detect evidence of lung metastasis should be performed<br />

at the time of diagnosis. Most typical patterns of pulmonary metastasis<br />

seen with TCC are interstitial nodular and diffuse interstitial patterns.<br />

While much can be gained from performing the above diagnostic tests, the<br />

final diagnostic step should include biopsy. Biopsy can be obtained by cystoscopy,<br />

traumatic catheterization, or cystotomy via laparotomy.<br />

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TREATMENT<br />

Surgical resection, if possible, is the treatment of choice and can be curative<br />

for small tumors located distant to the trigone. Unfortunately, most TCC<br />

are located in the trigone and may extend into the urethra, prostate, and ureters.<br />

If the cancer is located in the apex of the bladder, a very wide full-thickness<br />

partial cystectomy may be attempted. More than 80% of the bladder can<br />

be removed with eventual return to normal function and capacity. Even if surgical<br />

resection is possible, most patients will have local recurrence or metastsis<br />

within one year. Translocation of the ureters to the colon by performing a<br />

complete cystectomy and ureterocolonic transposition has been attempted.<br />

This surgery has been met with short-term success and a mean survival of<br />

only four months. Complications associated with these surgeries include<br />

chronic pyelonephritis, diarrhea, fecal incontinence, ureteral obstruction, and<br />

hyperchloremic acidosis.<br />

Maintaining Urinary Outflow - Surgery can also play a palliative role in<br />

management of bladder cancer, in the case of urethral obstructive disease that<br />

is refractory to other forms of therapy. Tube cystostomy can be performed to<br />

relieve urine outflow obstruction in the cases of unresectable masses located<br />

at the trigone or involving the urethra. Placement of permanent cystostomy tubes,<br />

while seemingly radical, can allow a dog to live comfortably for a number<br />

of weeks or months. Complications of cystostomy tube placement include<br />

urine or infectious peritonitis, hemorrhage, and urinary tract infection.<br />

Most recently, advances in the design and implementation of urinary stints have<br />

allowed these devices to be used in both the dog and cat. Human coronary<br />

artery stints may be used in the case of urethral tumor in cats, and larger stints<br />

have been successfully deployed to restore patency to both urethra and ureters<br />

in select canine cases.<br />

Systemic chemotherapy is palliative at best. One study of 12 dogs that received<br />

cisplatin for the treatment of TCC had a median survival time of 180<br />

days. Three of the dogs had partial responses, six dogs maintained stable disease,<br />

and the remaining three had progressive disease. Another study reported<br />

one dog that had a partial response of 31 weeks duration. In both of these studies,<br />

cisplatin was administered at a dose of 50mg/m 2 . Current doses range<br />

from 50-70mg/m 2 . Doxorubicin has also been investigated as a chemotherapy<br />

agent for TCC. In one study of 11 dogs treated with doxorubicin and cyclophosphamide,<br />

there was a reported median survival time of 259 days.<br />

Piroxicam is a nonsteroidal anti-inflammatory agent that acts as a non-selective<br />

cyclooygenase inhibitor. Piroxicam may be used orally (0.3mg/kg once<br />

daily) to provide some anti-tumor effect and palliative analgesia. The mechanism<br />

of anti-tumor activity is thought to be blockade of PGE 2 -mediated<br />

immunosuppression, but there is also some evidence to support cyclooxyge-<br />

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nase-2 signaling as a direct growth stimulant to urothelial cells. In one study<br />

of 34 dogs treated with piroxicam, there were 2 complete remissions, 4 partial<br />

remissions, 18 with stable disease, and 10 with progressive disease. The<br />

median survival time was 181 days, however, the quality of life was improved<br />

in all of the dogs. Other non-steroidal COX-2 inhibitors may also be useful<br />

in transitional cell carcinoma. A recent report of firocoxib at a dose of 5<br />

mg/kg PO daily combined with 60 mg/m 2 IV cisplatin every three weeks<br />

showing promise in the dog, with a 50% response rate noted for 12 dogs receiving<br />

this therapy.<br />

A multicenter trial sponsored by the Veterinary Cooperative Oncology<br />

Group revealed that 48% of 55 dogs enrolled had measurable responses to a<br />

combination of mitoxantrone and piroxicam. Mitoxantrone was administered<br />

at 5 mg/m 2 every 21 days for 4 cycles, and piroxicam was administered at 0.3<br />

mg/kg/day throughout the trial period. Of 48 evaluable dogs at the end of<br />

study, only one dog had a complete response, while 16 had partial responses<br />

and 22 had disease stabilization. Gastrointestinal toxicity and azotemia were<br />

the most common adverse effects, seen in 18% and 10% of treated dogs, respectively.<br />

Median time to treatment failure was 194 days, and median survival<br />

time was 350 days, demonstrating the indolent nature of TCC even in the<br />

case of incomplete response.<br />

Intravesicular therapy with such agents as cisplatin, methotrexate, cyclophosphamide,<br />

and 5-fluorouracil have been effective in humans. This form of<br />

therapy is most effective against superficial tumors that are not invasive into<br />

the bladder wall. Some evidence suggests that intravesicular therapy may irradicate<br />

residual disease after incomplete resection. Unfortunately, most bladder<br />

tumors in dogs are invasive at the time of diagnosis. Intralesional BCG at<br />

the time of partial cystectomy showed variable results. Two of seven dogs<br />

treated intraoperatively with BCG showed clinical benefit, but two dogs developed<br />

severe granulomatous reactions with secondary obstruction. Recently,<br />

intravesicular therapy with mitomycin C has been attempted in dogs<br />

with evident safety, but studies are preliminary.<br />

Radiation Therapy - There are few reports on the effectiveness of radiation<br />

therapy use in the control of bladder tumors. In one study, intraoperative radiation<br />

therapy followed by fractionated external beam irradiation resulted in<br />

poor local control and serious bladder fibrosis with resultant incontinence.<br />

Fractionated external beam irradiation alone requires using traditional fractionation<br />

of 3-4 gy/radiation fraction has been attempted with poor long term<br />

results due to the cumulative doses of radiation needed for eradication of the<br />

cancer. Significant risk of serious bowel injury can be reduced by utilizing<br />

small dose-per-fraction therapy over an extended time period (2.7 Gy x 20<br />

fractions). Combination of radiation with mitoxantrone and prioxicam has<br />

been reported to improve clinical signs in 7/10 dogs so treated.<br />

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PROGNOSIS<br />

Long-term prognosis is poor due to the invasiveness of the tumors and<br />

the advanced stage at the time of diagnosis. Benign tumors that are resectable<br />

carry a good prognosis and may be cured with resection. Survival may<br />

be prolonged with chemotherapy and control of secondary complications<br />

such as inflammation, urinary tract infections, urolithiasis, and urine outflow<br />

obstruction.<br />

Address for correspondence:<br />

Barbara E. Kitchell<br />

Professor and Director, Center for Comparative Oncology<br />

Michigan State University College of Veterinary Medicine<br />

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Laura Marconato<br />

Med Vet, Napoli, Italia<br />

Approccio al paziente<br />

oncologico: si può o si deve<br />

scegliere?<br />

Venerdì, 7 Marzo 2008, ore 10.50<br />

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Per “good clinical practice” s’intende l’insieme di procedure diagnostiche<br />

e terapeutiche tese a salvaguardare la miglior qualità di vita possibile del paziente<br />

oncologico, offrendo standard terapeutici impensabili solo due decenni<br />

fa. Il trattamento del paziente oncologico (sia chirurgico, sia medico, sia radiante)<br />

non può prescindere da un approccio integrato diagnostico-terapeutico<br />

della patologia neoplastica in atto e delle complicanze ad essa connesse.<br />

Per non compromettere la buona riuscita dell’intervento antineoplastico, è<br />

fondamentale conoscere precisamente il tumore (diagnosi corretta e puntuale) e<br />

stadiarlo accuratamente (per valutarne l’estensione) in fase pre-terapeutica. Ancora<br />

oggi, troppo spesso molti tumori vengono asportati chirurgicamente senza<br />

conoscerne l’istotipo (e quindi il comportamento biologico) e senza averli stadiati<br />

(e quindi ignorandone l’estensione). Dal momento che tendenzialmente ad ogni<br />

recidiva aumenta l’aggressività biologica del tumore, è facile intuire l’importanza<br />

di un intervento terapeutico possibilmente con finalità curative alla diagnosi.<br />

STADIAZIONE CLINICA<br />

Per stadiazione clinica o staging s’intende il complesso di indagini diagnostiche<br />

volte a stabilire, con la maggior precisione possibile, l’estensione<br />

del tumore, sia nella localizzazione primitiva (dimensioni, invasività, coinvolgimento<br />

di strutture adiacenti), sia negli eventuali siti metastatici (regionali o<br />

a distanza). Il tumore deve quindi essere obbligatoriamente stadiato alla diagnosi,<br />

perché il clinico possa fornire dati essenziali per la prognosi e per la<br />

scelta del trattamento. Lo staging non può prescindere dalla conoscenza dell’istotipo,<br />

dal momento che tumori diversi hanno diverso comportamento biologico,<br />

diverse modalità metastatiche (diffusione per via linfatica, ematogena,<br />

per continuità, per contiguità), e diversi organi bersaglio di metastatizzazione.<br />

Ad esempio, la valutazione del midollo osseo è fondamentale nella stadiazione<br />

di neoplasie ematopoietiche e mastocitomi, mentre è un esame inutile nella<br />

stadiazione, ad esempio, di tumori mammari.<br />

Da quanto detto emerge quindi che la stadiazione clinica del paziente oncologico<br />

è di cruciale importanza per diversi motivi: consente di formulare<br />

una prognosi, di mettere a punto un piano terapeutico complessivo basato sullo<br />

stadio raggiunto dalla malattia neoplastica, e di modificare radicalmente tipo<br />

di terapia ed intento in caso di metastasi a distanza.<br />

SISTEMA TNM<br />

L’estensione della malattia neoplastica è stata internazionalmente standardizzata<br />

mediante il sistema di classificazione TNM. 1-5 La classificazione<br />

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TNM costituisce un punto di riferimento comune e scientificamente valido;<br />

inoltre, essendo riproducibile, consente di confrontare le casistiche sia all’interno<br />

della stessa istituzione, sia tra istituzioni diverse. La stretta correlazione<br />

che esiste tra stadio clinico della neoplasia, opzioni terapeutiche e prognosi<br />

è di estrema importanza per il paziente oncologico, per il suo proprietario<br />

e per il veterinario curante. La classificazione TNM è costituita dalle<br />

voci T (dimensione ed invasività locale del tumore primitivo), N (stato dei<br />

linfonodi regionali), e M (presenza o meno di metastasi a distanza). Il sistema<br />

TNM è applicato per la valutazione di tumori solidi (come ad esempio<br />

mammari, polmonari, genito-urinari). La principale limitazione riguarda<br />

l’impossibilità di stadiare le neoplasie sistemiche e diffuse come linfomi e<br />

leucemie.<br />

Il sistema di stadiazione TNM propone una stadiazione clinica (cTNM),<br />

una chirurgica (sTNM) ed una patologica (pTNM). La stadiazione cTNM si<br />

basa sui risultati ottenuti prima dell’inizio della terapia, e si avvale di esami<br />

clinici (esame obiettivo generale e particolare) e strumentali (diagnostica per<br />

immagini, endoscopia, biopsia). Grazie allo sviluppo delle moderne tecniche<br />

di diagnostica per immagini, è infatti spesso possibile ottenere campioni diagnostici<br />

citologici o istologici mediante prelievo endoscopico o CT-guidato,<br />

senza dover ricorrere alla chirurgia.<br />

La chirurgia assume ruolo diagnostico quando le tecniche non-invasive si<br />

rivelano inapplicabili per la sede della lesione, oppure inefficaci a garantire<br />

campioni necessari per la prevalenza di materiale necrotico o per le ridotte dimensioni<br />

della lesione polmonare. STNM è particolarmente importante laddove<br />

l’esito patologico possa modificare l’estensione dell’intervento chirurgico<br />

o il tipo di approccio terapeutico.<br />

La stadiazione pTNM rappresenta un perfezionamento delle altre ed ha<br />

importanti implicazioni prognostiche e terapeutiche; essa si basa sulla valutazione<br />

del campione istologico asportato chirurgicamente. PTNM consente di<br />

valutare: radicalità di escissione del tumore (in caso di chirurgia radicale) valutando<br />

i margini di resezione, presenza di eventuale coinvolgimento intra-parenchimale<br />

e linfonodale, istotipo.<br />

La stadiazione clinica è quindi essenziale per la scelta della terapia, mentre<br />

la stadiazione patologica fornisce valide informazioni per formulare una<br />

prognosi e utili indicazioni sull’opportunità di eseguire o meno terapie adiuvanti.<br />

È importante sottolineare che, una volta stabilita, la stadiazione clinica<br />

non può più essere modificata, neanche se i dati forniti dall’intervento chirurgico<br />

(ad esempio linfadenectomia profilattica) indicano uno stadio più avanzato.<br />

Tale norma generale è fondamentale ai fini di un confronto scientificamente<br />

valido tra i risultati di chirurgia, chemioterapia, e/o radioterapia.<br />

In merito a T, T 0 indica assenza di tumore evidente (occulto o precedentemente<br />

rimosso), Tis un carcinoma in situ (cute e cornea), T 1,2,3,4 gradi crescenti<br />

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di estensione del tumore primitivo. Si indica T x quando non è possibile evidenziare<br />

il tumore primitivo (dati insufficienti).<br />

Per alcuni tumori la dimensione di T si correla alla prognosi (come ad<br />

esempio per neoplasie mammarie), per altri invece T si riferisce all’invasività<br />

locale (è il caso di neoplasie ossee, vescicali, testicolari e prostatiche). Per altri<br />

tumori ancora T è del tutto irrilevante, dal momento che ai fini prognostici<br />

è più importante la via di diffusione; è il caso ad esempio dei tumori ovarici<br />

e polmonari.<br />

In merito a N, è importante stabilire se i linfonodi regionali sono fissi o<br />

mobili, le loro dimensioni, la loro consistenza, il coinvolgimento singolo o<br />

multiplo, ipsilaterale o controlaterale, e l’eventuale distribuzione bilaterale.<br />

N 0 indica che non vi è evidenza clinica di metastasi ai linfonodi regionali.<br />

N 1,2,3,4 indicano gradi crescenti di interessamento dei linfonodi regionali.<br />

N x indica che non è possibile valutare i linfonodi regionali (dati insufficienti).<br />

Le metastasi ai linfonodi non regionali sono considerate metastasi<br />

a distanza.<br />

Lo stato N ha importantissime implicazioni prognostiche per molti tumori<br />

solidi, come ad esempio per le neoplasie di testa e collo, vescicali ed intestinali,<br />

dal momento che riflette l’impossibilità di intervenire efficacemente<br />

sul tumore primitivo. I linfonodi fissi (N 3 ) sono tipicamente chirurgicamente<br />

non rimovibili e pertanto si accompagnano ad una prognosi per lo più sfavorevole.<br />

Infine, il coinvolgimento linfonodale spesso riflette l’elevata probabilità<br />

di diffusione ematogena (neoplasie mammarie).<br />

In merito a M, M 0 indica che non c’è alcuna evidenza clinica di metastasi<br />

a distanza, mentre M 1 indica che vi sono metastasi (diverse dai linfonodi regionali),<br />

ed in questo caso è necessario specificarne la sede. M x indica che è<br />

impossibile verificare la presenza di metastasi.<br />

La presenza di metastasi a distanza definisce in modo chiaro i pazienti in<br />

operabili e si accompagna nella maggior parte dei casi a prognosi infausta.<br />

M può essere definito clinicamente, ma il più delle volte richiede indagini<br />

strumentali.<br />

Le indagini diagnostiche collaterali, quali radiografia, ecografia, endoscopia,<br />

CT e risonanza magnetica hanno notevolmente migliorato l’accuratezza<br />

della classificazione clinica TNM. Nel complesso, un tumore viene considerato<br />

tanto più avanzato quanto più è voluminoso ed esteso oltre l’organo sede<br />

primitiva d’insorgenza (ai linfonodi o all’intero organismo): la combinazione<br />

delle variabili descritte determina quindi l’assegnazione del tumore a uno stadio<br />

generalmente compreso fra il primo e il quarto. All’interno di ciascuno<br />

stadio l’esperienza scientifica ha messo e va progressivamente mettendo a<br />

punto il miglior protocollo di trattamento possibile, tenendo conto della oggettiva<br />

speranza di successo e dei possibili effetti collaterali della terapia su<br />

quel tumore in quello stadio.<br />

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SISTEMA WHO<br />

Stadio II:<br />

Le neoplasie emopoietiche (linfomi e leucemie) ed i mastocitomi vengono<br />

stadiati secondo il sistema WHO. 6,7<br />

In merito al linfoma del cane, il sistema WHO lo suddivide in base alla forma<br />

anatomica con cui si manifesta e raggruppa i pazienti secondo la distribuzione<br />

del coinvolgimento linfonodale (stadio I-III), epatico e/o splenico (stadio<br />

IV) e midollare, ematico e/o di altri organi (stadio V).<br />

La stadiazione clinica proposta è la seguente:<br />

Stadio I: interessamento limitato ad un singolo linfonodo o al tessuto linfoide<br />

di un singolo organo (incluso il mediastino craniale).<br />

interessamento regionale di più linfonodi, con o senza coinvolgimento<br />

tonsillare.<br />

Stadio III: interessamento linfonodale generalizzato.<br />

Stadio IV: interessamento di fegato e/o milza, con o senza coinvolgimento<br />

generalizzato dei linfonodi (stadio I-III).<br />

Stadio V:<br />

interessamento midollare, ematico e/o di altri organi extranodali<br />

(tratto gastroenterico, cute, reni, polmoni con o senza versamento<br />

pleurico, solo versamento pleurico se non è secondario a linfoadenopatia,<br />

occhio, pericardio, midollo spinale), con o senza gli altri<br />

stadi.<br />

Ogni stadio deve essere ulteriormente caratterizzato dalle lettere a o b, che<br />

indicano rispettivamente l’assenza o la presenza di sintomi sistemici. La presenza<br />

di ipercalcemia fa rientrare il paziente nel sottostadio b.<br />

La stadiazione clinica ha un valore prognostico limitato, infatti gli unici<br />

dati veramente importanti sono sottostadio e coinvolgimento midollare.<br />

Nella specie felina, la stadiazione clinica proposta è la seguente:<br />

Stadio I:<br />

Stadio II:<br />

neoplasia singola (extranodale), o interessamento di una sola area<br />

anatomica (nodale), compresa una neoplasia primitiva toracica.<br />

singola neoplasia extranodale con coinvolgimento del linfonodo<br />

regionale; interessamento di due o più aree nodali sullo stesso lato<br />

del diaframma; due neoplasie singole (extranodali) con o senza<br />

interessamento delle aree linfonodali regionali sullo stesso lato<br />

del diaframma; o neoplasia primitiva gastroenterica, ben asportabile,<br />

con o senza interessamento dei linfonodi meseraici.<br />

Stadio III: due neoplasie singole extranodali in regioni differenti rispetto al<br />

diaframma; interessamento di due o più aree nodali cranialmente<br />

e caudalmente al diaframma; lesioni primitive intraddominali<br />

estese e non asportabili; o neoplasie paraspinali o epidurali.<br />

Stadio IV: stadio I-III con coinvolgimento di fegato e/o milza.<br />

Stadio V:<br />

stadio I-IV con iniziale coinvolgimento del sistema nervoso centrale<br />

e/o del midollo osseo.<br />

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Anche nel gatto ogni stadio deve essere ulteriormente caratterizzato dalle<br />

lettere a o b, che indicano rispettivamente l’assenza o la presenza di sintomi<br />

sistemici.In merito alle leucemie, in medicina <strong>veterinaria</strong> non esiste alcun sistema<br />

di stadiazione specifico, pertanto tutti i pazienti leucemici sono classificati<br />

in V stadio secondo lo schema WHO.<br />

La stadiazione del mastocitoma del cane prevede i seguenti stadi:<br />

Stadio 0: un’unica lesione dermica, escissa senza radicalità, identificata come<br />

Stadio I:<br />

mastocitoma con la citologia, senza coinvolgimento linfonodale.<br />

un’unica lesione confinata al derma. Nessun’evidenza di coinvolgimento<br />

linfonodale, metastasi o malattia sistemica correlata.<br />

Stadio II: un’unica lesione confinata al derma, con coinvolgimento linfonodale.<br />

Stadio III: lesioni multiple dermiche o presenza di un tumore voluminoso infiltrante,<br />

con o senza coinvolgimento linfonodale. Nessuna evidenza<br />

di metastasi a distanza o malattia sistemica correlata.<br />

Stadio IV: lesioni multiple con metastasi lontane (incluso coinvolgimento<br />

ematico o midollare), oppure recidiva con metastasi. Evidenza di<br />

malattia sistemica correlata.<br />

Anche nel mastocitoma ogni stadio deve essere ulteriormente caratterizzato<br />

dalle lettere a o b, che indicano rispettivamente l’assenza o la presenza di<br />

sintomi sistemici.<br />

Bibliografia<br />

1. Owen LM: TNM Classification of tumors in domestic animals. Geneva, World Health Organization,<br />

1980.<br />

2. Sobin LH: TNM: principles, history, and relation to other prognostic factors. Cancer 91(8<br />

Suppl):1589-92, 2001.<br />

3. Sobin LH, Wittekind Ch (eds): TNM Classification of malignant tumors. UICC (International Union<br />

Against Cancer) 6th edition, 2002.<br />

4. Sobin LH: TNM: evolution and relation to other prognostic factors. Semin Surg Oncol. 21(1):3-7,<br />

2003.<br />

5. Sobin LH: TNM, 6th edition: new developments in general concepts and rules. Semin Surg Oncol.<br />

21(1):19-22, 2003.<br />

6. Vail DM, Young KM, (2007), Hematopoietic tumors. 699-756.<br />

7. Thamm DH, Vail DM, (2007), Mast cell tumors. 409.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Laura Marconato<br />

Clinica Veterinaria L’Arca<br />

Vico Cacciottoli, 46/47 - 80129 Napoli - E-mail: lauramarconato@yahoo.it<br />

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Laura Marconato<br />

Med Vet, Napoli, Italia<br />

Nuove terapie farmacologiche<br />

in oncologia <strong>veterinaria</strong>:<br />

miraggio o realtà?<br />

Domenica, 9 Marzo 2008, ore 9.00<br />

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Le principali modalità terapeutiche antiblastiche sono chirurgia, radioterapia<br />

e chemioterapia. La chemioterapia ha rappresentato per molti anni la principale<br />

strategia terapeutica farmacologica nelle neoplasie sistemiche o in fase<br />

avanzata (metastatiche). In medicina <strong>veterinaria</strong>, i farmaci citotossici non sono<br />

quasi mai curativi, inoltre nella maggior parte dei casi l’efficacia della chemioterapia<br />

è parziale e transitoria, riuscendo a garantire nella migliore delle<br />

ipotesi remissioni complete di variabile durata, ma non guarigione. Cause del<br />

fallimento della chemioterapia sono in gran parte attribuibili a resistenza farmacologica<br />

acquisita secondaria o intrinseca, instabilità genetica ed eterogeneità<br />

delle cellule neoplastiche, ed elevato indice mutazionale delle stesse.<br />

La migliore conoscenza degli eventi molecolari coinvolti nella progressione<br />

tumorale (tra cui pattern metabolici, caratteristiche enzimatiche ed assetto<br />

recettoriale delle cellule neoplastiche e dei siti molecolari critici per gli eventi<br />

proliferativi), nonché le caratteristiche biologiche del tumore, e la comprensione<br />

dei meccanismi che regolano crescita, sopravvivenza, capacità invasiva,<br />

metastatica e angiogenetica delle cellule neoplastiche, hanno consentito negli<br />

ultimi 20 anni di sviluppare nuove strategie terapeutiche antitumorali, tra cui<br />

inibizione dell’angiogenesi, terapia genica e bersagli molecolari. Questa nuova<br />

categoria di farmaci anitumorali è stata designata per ottenere maggiore<br />

specificità antineoplastica con conseguente riduzione della tossicità, e per individualizzare<br />

il trattamento secondo le caratteristiche biologiche del tumore.<br />

Oggi sono infatti disponibili tecniche particolarmente sofisticate per studiare<br />

i geni, i loro prodotti proteici, i vari aspetti del ciclo cellulare, la trasmissione<br />

dei segnali fra le cellule, le interazioni fra cellula e cellula e la matrice<br />

extracellulare. Grazie all’identificazione di molecole che interagiscono<br />

con un difetto molecolare specifico, l’approccio alla farmacologia antineoplastica<br />

è radicalmente cambiato, passando da una farmacologia basata sulla<br />

malattia ad una terapia trasversale mirata al difetto molecolare all’origine della<br />

malattia. In questo ambito, il ruolo dei fattori prognostici assume nuova rilevanza,<br />

dal momento che alcuni di questi possono fornire utili indicazioni<br />

sulle scelte terapeutiche individualizzate per il singolo paziente. Nel prossimo<br />

futuro il trattamento medico delle neoplasie diventerà dunque sempre più specifico<br />

e selettivo, e sarà guidato dalle caratteristiche biologiche del tumore,<br />

con evidenti vantaggi in termini di attività antitumorale e di ridotti effetti collaterali.<br />

Le nuove terapie biologiche, attualmente testate in pazienti con malattia<br />

avanzata, si presume possano essere più attive come trattamenti adiuvanti,<br />

per prevenire cioè le recidive dopo chirurgia radicale o combattere la<br />

malattia minima residua dopo chemioterapia.<br />

Seppur salutata con grande entusiasmo ed ottimismo in oncologia umana,<br />

la terapia molecolare è ancora in parte utopistica in medicina <strong>veterinaria</strong>. Le<br />

maggiori problematiche riguardano le tecnologie laboratoristiche e i costi della<br />

terapia.<br />

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Come anticipato, la terapia mirata comprende tutta una serie di farmaci antineoplastici<br />

di nuova generazione, volti ad interferire con specifici bersagli<br />

molecolari (tipicamente una proteina), ritenuti fondamentali nella crescita e<br />

progressione neoplastica. L’identificazione di bersagli appropriati si basa sulla<br />

comprensione dettagliata delle alterazioni molecolari del tumore. Questo<br />

approccio è in netto contrasto con la chemioterapia tradizionale. Infatti, l’enorme<br />

vantaggio della terapia oncologica mirata consiste nella selettività del<br />

bersaglio, dal momento che sono inibiti o alterati soltanto i meccanismi molecolari<br />

o alcune proteine alla base della trasformazione neoplastica. È noto<br />

che la chemioterapia ha una limitata finestra terapeutica perché non è in grado<br />

di risparmiare le cellule sane dell’organismo; al contrario, la terapia molecolare<br />

è capace di colpire selettivamente, efficacemente e definitivamente le<br />

cellule neoplastiche, senza determinare alcun danno a carico delle cellule sane.<br />

I nuovi farmaci antitumorali ad attività mirata interferiscono quindi solo<br />

con la crescita e la diffusione del tumore colpendo selettivamente la mutazione<br />

che dà origine a quello specifico tumore, senza produrre importanti effetti<br />

collaterali e senza compromettere la qualità di vita del paziente. Le cosiddette<br />

“molecole intelligenti” o “magic bullets” farmacologici segnano pertanto<br />

l’inizio dell’era dell’oncologia moderna. Lo sviluppo di questa nuova categoria<br />

di farmaci è un processo a tappe, che prevede innanzitutto l’individuazione<br />

del target tumorale e, in seguito, la molecola in grado di inibirlo.<br />

NUOVI AGENTI ANTITUMORALI<br />

Le cellule neoplastiche sono contraddistinte dalle seguenti sei caratteristiche:<br />

1) capacità di crescita autonoma<br />

2) insensibilità agli stimoli anti-proliferativi<br />

3) capacità replicativa illimitata<br />

4) capacità di evadere dai meccanismi apoptotici<br />

5) attività neoangiogenetica<br />

6) capacità invasiva e metastatica.<br />

I dati che arrivano dalla recente ricerca clinica mostrano la possibilità di impiegare<br />

un’ampia gamma di agenti indirizzati sui differenti bersagli molecolari.<br />

I principali target tumorali ad oggi identificati sono i recettori per fattori di<br />

crescita ad attività tirosinchinasica, i meccanismi di trasduzione del segnale,<br />

alcune proteine del ciclo cellulare (come cicline e chinasi cicline-dipendenti),<br />

i recettori che regolano angiogenesi e apoptosi, le telomerasi, ed il proteasoma.<br />

In particolare, alcuni tra i farmaci ad attività mirata, ampiamente utilizzati in<br />

medicina umana, comprendono: anticorpi monoclonali diretti al dominio extracellulare<br />

dei recettori per fattori di crescita; composti quinazolinici specifici<br />

inibitori delle proteine tirosin-chinasi associate a fattori di crescita; agenti<br />

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specifici per l’inibizione della tirosin-chinasi associata al recettore KIT; inibitori<br />

della farnesilazione della oncoproteina Ras; oligonucleotidi antisenso che<br />

interferiscono con l’mRNA della protein-chinasi C; modulatori della trascrizione<br />

che agiscono inibendo la deacetilazione degli istoni. Va precisato che tutti<br />

questi prodotti non sostituiscono la chemioterapia, ma ne sono un completamento,<br />

andando ad agire sulla malattia minima residua.<br />

Le piccole molecole ad attività inibente (inibitori tirosinchinasici) hanno<br />

basso peso molecolare (400 Da), pertanto possono essere somministrate per<br />

via orale perché subito assorbite senza degradazione intestinale. Potendo entrare<br />

all’interno delle cellule, le piccole molecole ad attività inibente agiscono<br />

interagendo con il dominio tirosinchinasico intracellulare di un recettore<br />

transmembrana. I recettori per le tirosinchinasi rappresentano eccellenti bersagli<br />

nella terapia molecolare, dal momento che sono coinvolti nel controllo<br />

della proliferazione cellulare e sono spesso amplificati nei tumori maligni.<br />

Imatinib (Glivec) può essere considerato il capostipite delle piccole molecole<br />

ad attività inibente. In medicina umana, imatinib si è dimostrato efficace<br />

nella cura della leucemia mieloide cronica e dei tumori dello stroma gastrointestinale,<br />

due neoplasie che presentano la stessa mutazione genetica. In<br />

medicina <strong>veterinaria</strong> sono stati pubblicati pochi lavori in merito all’efficacia<br />

di imatinib nel trattamento di pazienti oncologici. 1 La maggior parte degli studi<br />

riguarda i mastocitomi (sia nel cane [colture cellulari] sia nel gatto) ed i sarcomi<br />

iniettivi felini. 2,3 Al momento non sono ancora stati definiti dose ottimale<br />

e durata del trattamento. Al contrario, un altro inibitore tirosin-chinasico<br />

(SU11654) ha mostrato attività antiproliferativa su biopsie ottenute da mastocitomi<br />

canini, ed in vivo ha dato risposte misurabili. 4,5<br />

Della categoria dei farmaci target-oriented fanno parte anche altre molecole<br />

che hanno aperto prospettive interessanti nella terapia di tumori ad altissima<br />

frequenza dell’uomo, tra cui gli anticorpi monoclonali. Gli anticorpi monoclonali<br />

sono prodotti a partire da una plasmacellula resa immortale ed<br />

espansa in modo clonale che produce un anticorpo specifico contro una proteina.<br />

Di conseguenza, l’anticorpo monoclonale mostra elevata affinità e specificità<br />

per quella particolare proteina. Gli anticorpi monoclonali sono molecole<br />

grosse con elevato peso molecolare, pertanto non possono essere somministrati<br />

per via orale (perché verrebbero digeriti nell’intestino), ma soltanto<br />

per via parenterale. Inoltre, sempre a seguito delle grosse dimensioni, non<br />

penetrano all’interno delle cellule. Gli anticorpi monoclonali sono dunque diretti<br />

verso la porzione esterna (dominio extracellulare) del recettore coinvolto<br />

nella regolazione neoplastica. Una volta occupato dall’anticorpo monoclonale,<br />

il dominio non è più disponibile per il ligando naturale: il recettore non<br />

viene attivato ed il segnale di crescita cellulare è di conseguenza silenziato.<br />

Promettente è la terapia antiangiogenetica, soprattutto se intesa a coadiuvare<br />

terapie più tradizionali. Lo studio dell’angiogenesi ha consentito una mi-<br />

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gliore conoscenza dei meccanismi molecolari coinvolti nella crescita tumorale<br />

e nello sviluppo di metastasi e ha permesso lo sviluppo di nuovi agenti antitumorali,<br />

che inibiscono selettivamente i bersagli biochimici della neovascolarizzazione.<br />

Dal momento che un tumore non può crescere oltre 1 mm 3<br />

senza un adeguato supporto sanguigno, è cruciale ai fini della progressione<br />

neoplastica la neoangiogenesi, ovvero lo sviluppo di nuovi vasi sanguigni a<br />

partire da vasi preesistenti. La regolazione dell’angiogenesi è un processo<br />

complesso e rappresenta il risultato di un bilancio operato da peptidi stimolanti<br />

(tra cui Vascular Endothelial Growth Factor [VEGF], Fibroblastic<br />

Growth Factor [FGF], IL-4, IL-8) e fattori endogeni inibenti, tra cui trombospondina,<br />

angiostatina ed endostatina. Nell’angiogenesi tumore-associata tale<br />

bilancio risulta alterato secondariamente a ridotta produzione di fattori ad<br />

attività inibente, o eccessiva produzione e liberazione di sostanze ad azione<br />

proangiogenica. Gli inibitori dell’angiogenesi identificati ad oggi comprendono:<br />

inibitori naturali (angiostatina, endostatina), farmaci ad attività angiosoppressiva<br />

già utilizzati per patologie non neoplastiche (talidomide, minocicline),<br />

farmaci citotossici con parziale attività di inibizione dell’angiogenesi<br />

(tamoxifene, paclitaxel, retinoidi), nuovi agenti specificamente sviluppati come<br />

inibitori dell’angiogenesi (anticorpi monoclonali umanizzati anti VEGF e<br />

anti bFGF), e farmaci a bersaglio vascolare (immunoconiugati che selettivamente<br />

occludono i vasi sanguigni intratumorali).<br />

Attualmente è difficile e prematuro stabilire se i nuovi farmaci non chemioterapici<br />

saranno in grado di cambiare significativamente la prognosi delle<br />

neoplasie maligne non emopoietiche. Tra le nuove possibili strategie terapeutiche<br />

vi è l’impiego di tali agenti per tempi prolungati con l’obiettivo di "cronicizzare"<br />

la malattia neoplastica attraverso una protratta inibizione della crescita<br />

tumorale senza pretendere la completa regressione della malattia. La rapida<br />

riduzione della massa tumorale che avviene talvolta impiegando la chemioterapia<br />

è infatti invariabilmente seguita da una inesorabile recidiva difficilmente<br />

trattabile (perché chemioresistente). Alla luce di quanto osservato, le<br />

attuali strategie terapeutiche in medicina umana prevedono l’impiego combinato<br />

(sinergico) di chemioterapici e farmaci mirati. Infatti, mentre i primi sono<br />

citotossici, i secondi sono citostatici. Quindi, con la chemioterapia tradizionale<br />

ci si prefigge l’obiettivo di uccidere le cellule neoplastiche, al contrario<br />

per molti di questi nuovi approcci antineoplastici l’uccisione cellulare è un<br />

endpoint molto meno rilevante.<br />

A questo proposito sembra quindi necessario modificare il disegno degli<br />

studi prevedendo nella valutazione più che il tasso di risposta alla terapia il<br />

tempo alla progressione ed il beneficio clinico. Inoltre, i futuri trials clinici<br />

dovranno essere disegnati non solo per ottenere una valutazione dell’efficacia<br />

dei farmaci ma anche per individuare i determinanti biologici e molecolari<br />

della malattia e le caratteristiche genetiche del paziente predittivi della rispo-<br />

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sta al trattamento. Questo potrebbe consentire di ampliare lo spettro delle strategie<br />

terapeutiche antineoplastiche e al contempo di specializzare l’intervento<br />

terapeutico interferendo con specifici meccanismi coinvolti nella patogenesi<br />

molecolare di ogni determinata neoplasia e arrivare, attraverso i progressi<br />

della farmacogenomica, a individualizzare la terapia.<br />

Bibliografia<br />

1. London C, (2004), Kinase inhibitors in cancer therapy, Vet Comp Onc, 2: 177-193.<br />

2. Kobie K, Kawabata M, Hioki K, et al, (2007), The tyrosine kinase inhibitor imatinib [STI571] induces<br />

regression of xenografted canine mast cell tumors in SCID mice. Res Vet Sci; 82: 239-241.<br />

3. Lachowicz JL, Post GS, Brodsky E. A phase I clinical trial evaluating imatinib mesylate (Gleevec)<br />

in tumor-bearing cats. J Vet Intern Med 2005;19:860-864.<br />

4. Pryer NK, Lee LB, Zadovaskaya R, et al, (2003), Proof of target for SU11654: inhibition of KIT phosphorylation<br />

in canine mast cell tumors. Clin Cancer Res 9: 5729-5734.<br />

5. London CA, Hannah AL, Zadovoskaya R, et al, (2003), Phase I dose-escalating study of SU11654,<br />

a small molecule receptor tyrosine kinase inhibitor, in dogs with spontaneous malignancies. Clin<br />

Cancer Res, 9: 2755-2768.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Laura Marconato<br />

Clinica Veterinaria L’Arca<br />

Vico Cacciottoli, 46/47 - 80129 Napoli - E-mail: lauramarconato@yahoo.it<br />

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Giorgio Romanelli<br />

Med Vet, Dipl ECVS<br />

Cusano Milanino (MI), Italia<br />

Il paziente oncologico anziano:<br />

approccio speciale<br />

a pazienti speciali<br />

Venerdì, 7 Marzo 2008, ore 14.30<br />

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INTRODUZIONE<br />

L’incidenza del cancro aumenta con l’età e, sia in medicina umana che <strong>veterinaria</strong>,<br />

diversi studi epidemiologici evidenziano la maggiore rilevanza di<br />

malattie tumorali con l’invecchiamento.<br />

Anche se nel cane e nel gatto non è chiara la definizione esatta di vecchiaia,<br />

i cani di piccola taglia si considerano vecchi a 11,5 anni, quelli di taglia<br />

media a 10, quelli di grossa taglia a 9 anni ed i cani di taglia gigante a 7,5<br />

anni. I gatti sono considerati vecchi a 12 anni.<br />

L’allungamento della vita negli animali da compagnia è dovuto alla migliore<br />

nutrizione, alla regolarità nei trattamenti immunizzanti e preventivi e,<br />

soprattutto, alla maggiore attenzione dei proprietari verso i propri animali,<br />

che si traduce in una ricerca di terapie sempre migliori.<br />

L’invecchiamento è caratterizzato da un peggioramento progressivo di parte<br />

delle funzioni vitali, soprattutto della filtrazione glomerulare, della capacità<br />

respiratoria e della massima capacità d’esercizio; il risultato finale di questi<br />

cambiamenti fisiologici è che per l’animale anziano risulta più difficile<br />

adattarsi a situazioni di stress fisico.<br />

In queste circostanze, l’oncologo deve modulare le terapie perché siano<br />

meno nocive e adottare sempre il motto “la terapia non deve essere peggiore<br />

della malattia”.<br />

Ci sono spesso dei dubbi nell’utilizzo di trattamenti aggressivi, medici o<br />

chirurgici, in pazienti anziani; tuttavia deve essere chiaro che, conosciuti i<br />

cambiamenti metabolici e fisiologici, la chemioterapia può essere usata efficacemente<br />

e in modo ben tollerato anche negli animali vecchi, così come sono<br />

proponibili interventi chirurgici complessi.<br />

Nel trattamento oncologico di animali anziani si deve comunque sempre<br />

considerare l’impatto di malattie intercorrenti (es. epatiche, cardiache o renali)<br />

sull’aspettativa di vita e sulla tollerabilità da parte del paziente.<br />

L’attaccamento dei proprietari verso gli animali anziani è molto intenso ed è<br />

indispensabile una comunicazione chiara e sincera fra il veterinario ed i clienti.<br />

Per alcuni il mantenimento di una qualità di vita ottimale escluderà qualsiasi<br />

tipo di terapia con effetti potenzialmente pericolosi e spesso sceglieranno<br />

una terapia palliativa con eutanasia non appena le condizioni tenderanno a<br />

peggiorare.<br />

Per altri l’allungamento della vita, mantenendo una ragionevole qualità, risulterà<br />

accettabile e permetteranno anche interventi terapeutici medici e chirurgici<br />

più aggressivi.<br />

Altri ancora sceglieranno sempre e comunque qualsiasi terapia che possa<br />

allungare anche di poco la vita del proprio animale.<br />

In ogni momento è comunque basilare informare i proprietari dei rischi,<br />

dei benefici e delle possibili complicanze.<br />

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È però di molto peso ricordare che l’età, di per sé, non è una malattia e che la<br />

maggior parte dei pazienti anziani e vecchi può essere sottoposta a terapie oncologiche<br />

aggressive con risultati sorprendentemente buoni in termini di risposte.<br />

Quindi l’età non deve essere una scusante per suggerire terapie non ottimali.<br />

Uno dei problemi che si incontrano nel trattamento oncologico è legato al<br />

fatto che molti clienti hanno avuto direttamente od indirettamente esperienze<br />

con trattamenti antineoplastici e ne sono spaventati.<br />

È quindi importante che il medico enfatizzi che la chemioterapia negli animali<br />

non provoca la stessa tossicità riscontrate nell’uomo.<br />

CARCINOGENESI ED INVECCHIAMENTO<br />

La carcinogenesi è un processo multistage che prevede la trasformazione<br />

di una cellula normale in una maligna, e che richiede un passo che fissi le cellule<br />

ad un basso stadio di differenziazione con una concomitante preservazione<br />

della capacità proliferativa attraverso una mutazione genomica.<br />

Una volta iniziato, il processo richiede la promozione da parte di fattori<br />

che inducono danno cellulare a livello replicativo e la progressione da cellula<br />

danneggiata a tumore conclamato.<br />

Le cellule che replicano più volte hanno una maggiore propensione ad<br />

esprimere una proliferazione incontrollata, motivo della maggiore incidenza<br />

dei carcinomi rispetto ai sarcomi, soprattutto in età anziana.<br />

Le cellule in invecchiamento dimostrano un declino nella loro capacità di riparazione<br />

e i meccanismi d’eliminazione dei radicali liberi sono meno efficaci.<br />

Dopo l’iniziazione mediante un agente fisico o chimico, ci vuole solitamente<br />

dal 10 al 20% della durata della vita prima che una massa di 1 cm 3 sia<br />

identificata. Questo intervallo può contribuire al riconoscimento dei tumori<br />

negli animali vecchi.<br />

Da un altro punto di vista, il processo d’invecchiamento potrebbe contrastare<br />

la carcinogenesi mediante perdita di stimolazione neoplastica ormonale<br />

e diminuzione del pool di cellule immature.<br />

APPROCCIO AL PAZIENTE ONCOLOGICO ANZIANO<br />

La chiave del successo nel trattamento antineoplastico risiede in una diagnosi<br />

precoce che, nell’animale anziano, è spesso complicata dalla presenza<br />

di malattie concomitanti aventi segni clinici simili.<br />

Inoltre i proprietari (ed i veterinari) hanno l’idea di non proseguire oltre<br />

con la diagnostica e le eventuali terapie perché “tanto nulla può essere fatto a<br />

quest’età”.<br />

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Negli animali da compagnia, al contrario dell’uomo, i test di screening tumorale<br />

non sono diffusi e la diagnosi precoce si attua educando i proprietari<br />

(ed i veterinari) al riconoscimento di segni clinici sospetti quali:<br />

1. Gonfiori anormali che tendono a persistere o a crescere nel tempo<br />

2. Ulcere che non tendono a guarire<br />

3. Perdita di peso<br />

4. Perdita o diminuzione progressiva dell’appetito<br />

5. Vomito e/o diarrea incoercibili<br />

6. Poliuria e polidipsia<br />

7. Emorragia o scolo da qualsiasi sito anatomico<br />

8. Odori particolari<br />

9. Difficoltà nella prensione, nella masticazione o nella deglutizione<br />

10. Decadimento delle condizioni generali e dell’attività fisica<br />

11. Zoppia persistente<br />

12. Difficoltà nella respirazione, nell’urinazione o nella defecazione.<br />

Una volta ottenuta una diagnosi definitiva, è necessario stadiare il paziente<br />

per conoscere l’estensione della neoplasia.<br />

Il work-up completo nel paziente anziano prevede tutti quegli esami atti a<br />

scoprire malattie intercorrenti (renali, epatiche e/o cardiache) che potrebbe influenzare<br />

negativamente il trattamento chirurgico o medico.<br />

TERAPIA<br />

Stabilita la diagnosi e determinata l’estensione della malattia, si può procedere<br />

con la terapia. Nella definizione di un protocollo terapeutico devono<br />

essere considerati un insieme di fattori che includono:<br />

• Presenza di malattie concomitanti e aspettativa di vita legata a tali malattie<br />

• “Performance status” del paziente<br />

• Aspettative del proprietario<br />

• Costi della terapia<br />

• Diminuzione delle riserve fisiologiche del paziente con possibile aumento<br />

di tossicità<br />

• Alterazione della farmacocinetica del paziente.<br />

I veterinari sono spesso portati a terapie conservative o per il non trattamento<br />

nei pazienti anziani e anche nell’uomo, si è notato che l’età è spesso<br />

legata a metodi di cura sub ottimali.<br />

CHIRURGIA<br />

Le tecniche chirurgiche applicate nel paziente anziano seguono le regole<br />

generali della chirurgia oncologica e ancora di più è necessario eseguire un in-<br />

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tervento definitivo la prima volta, visto che l’animale potrebbe non sopportare<br />

una seconda chirurgia.<br />

In medicina umana è stato dimostrato che la mortalità operatoria aumenta<br />

dopo i 70 anni ma è anche evidente che la percentuale dei decessi si correla<br />

di più con il numero di malattie preesistenti piuttosto che con l’età come fattore<br />

isolato.<br />

L’età di per sé non è una controindicazione per un intervento ma è necessaria<br />

la massima attenzione nella valutazione preoperatoria, nel planning, nell’anestesia<br />

e nelle cure postoperatorie.<br />

Fatte salve quindi le particolari attenzioni dovute, la chirurgia è il più delle<br />

volte perfettamente sopportata anche da pazienti in età avanzata, con malattie<br />

intercorrenti.<br />

RADIOTERAPIA<br />

Il principale ostacolo nella radioterapia risiede nella necessità di anestesie<br />

ripetute nel tempo. Inoltre sembra che, nell’anziano, il tessuto normale sia<br />

meno resistente agli effetti delle radiazioni.<br />

CHEMIOTERAPIA<br />

La parola chemioterapia suscita spesso una connotazione negativa nei proprietari<br />

ed è evidente che i farmaci usati hanno un indice terapeutico molto<br />

basso.<br />

Non sono noti, in <strong>veterinaria</strong>, studi sulla chemioterapia nei soggetti anziani<br />

ma, nell’uomo, non sembra esserci gran differenza di tossicità fra pazienti<br />

giovani e vecchi.<br />

Anche se possono non essere clinicamente evidenti, è necessario però tenere<br />

a mente alcune alterazioni farmacologiche e farmacocinetiche che si possono<br />

evidenziare in età avanzata (Tab. 1).<br />

Nell’uomo è anche controversa la differenza di cardiotossicità della doxorubicina<br />

nel giovane e nell’anziano.<br />

TERAPIE DI SOSTEGNO<br />

Il trattamento nei pazienti geriatrici prevede anche un’adeguata attenzione<br />

alle terapie supportive, soprattutto riguardo alla terapia nutrizionale, antiemetica<br />

ed antidolorifica.<br />

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Tabella 1 - Cambiamenti farmacocinetici associati all’età<br />

Parametro Cambiamento Farmaci possibilmente influenzanti<br />

Assorbimento Possibile leggera diminuzione, Chemioterapici orali<br />

probabilmente immutato<br />

(ciclofosfamide, metotrexato,<br />

melphalan, clorambucile)<br />

Distribuzione Diminuzione relativa dei farmaci BCNU, CCNU, doxorubicina,<br />

solubili in acqua ed aumento melphalan e cis-platino<br />

di quelli solubili in grassi.<br />

(aumento della tossicità)<br />

Diminuzione delle proteine<br />

plasmatiche<br />

Metabolismo Diminuzione della attivazione/ Ciclofosfamide<br />

epatico in attivazione microsomiale (diminuzione dell’attività)<br />

Doxorubina, alcaloidi della vinca<br />

(aumento della tossicità)<br />

Eliminazione Diminuzione molto variabile, Cis-platino, metotrexato, bleomicina,<br />

renale talvolta clinicamente significativa melphalan, ciclofosfamide<br />

SUPPORTO ALIMENTARE<br />

Ogni paziente che non riesce in modo autonomo a mantenere un corretto<br />

stato nutrizionale deve essere aiutato sia farmacologicamente che tramite<br />

un’opportuna integrazione alimentare mediante sonda rinogastrica, esofagostomica,<br />

gastrosomica o duodenale.<br />

Proprio la malnutrizione è infatti responsabile direttamente o indirettamente<br />

della riduzione del rapporto rischio/beneficio del trattamento anti-tumorale<br />

e dell’aumento del tasso di mortalità nei pazienti malati tumorali. La<br />

terapia nutrizionale è fondamentale nel controllo della cachessia neoplastica<br />

e, al fine di ottenere il massimo beneficio, deve essere iniziata precocemente<br />

nel decorso della malattia; ma è altrettanto importante ricordare che la terapia<br />

nutrizionale ha un senso solamente quando applicata in combinazione a terapie<br />

mirate nei confronti della patologia tumorale e che quindi non dovrebbe<br />

essere utilizzata nei pazienti moribondi.<br />

TERAPIA ANTIEMETICA<br />

La nausea ed il vomito, indotti dalla malattia neoplastica o dal trattamento<br />

farmacologico, possono esacerbare i problemi nutrizionali pre-esistenti in<br />

questi pazienti.<br />

Inoltre, la perdita di liquidi e di elettroliti può peggiorare uno stato metabolico<br />

alterato e scompensare una insufficienza renale od epatica in atto.<br />

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Quindi è necessario trattare farmacologicamente tutti i pazienti con vomito<br />

o che si pensa possano averlo a causa della malattia o della terapia.<br />

I farmaci più usati sono la metoclopramide, gli antiserotoninici (ondasetron<br />

e dolasetron) ed il maropitant.<br />

TERAPIA ANTIDOLORIFICA<br />

Il trattamento del dolore è una delle parti più importanti della terapia antineoplastica<br />

e deve essere perseguito in tutti i modi.<br />

I farmaci principalmente usati sono i FANS e gli oppioidi.<br />

Va al di là di questa relazione l’analisi di tutti i tipi di antidolorifici utilizzabili<br />

e ci sono ottimi lavori che si concentrano sul loro utilizzo.<br />

L’uso dei FANS ha una reale utilità oltre che nel controllo del dolore neoplastico<br />

anche nell’uso in patologie concomitanti comuni nel paziente anziano<br />

(es. osteoartrosi).<br />

Inoltre una parte delle forme neoplastiche esprime recettori per i COX e<br />

può beneficiare in termini di controllo dall’uso di sostanze COX agoniste.<br />

Un discorso a parte meritano i corticosteroidi. Mentre da un lato sono benefici<br />

aumentando l’appetito ed il livello di attività del paziente, dall’altro<br />

possono mascherare il quadro clinico di alcune neoplasie (es. linfoma) ed<br />

esercitare un effetto immunosoppressivo.<br />

CONCLUSIONI<br />

L’oncologia <strong>veterinaria</strong> ha fatto passi enormi negli ultimi anni e molti pazienti<br />

sono trattati mediante chirurgia, chemioterapia, radioterapia od una loro<br />

combinazione.<br />

L’aumento del numero di pazienti in età avanzata fa sì che ci sia una sempre<br />

maggiore richiesta di terapie antineoplastiche.<br />

Le decisioni terapeutiche negli animali più vecchi non si devono basare su<br />

un mero aspetto anagrafico ma su una corretta valutazione dello stato generale<br />

di salute del paziente, sull’aspettativa di vita e sulla qualità di vita con una<br />

determinata terapia.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Giorgio Romanelli<br />

Clinica Veterinaria Nerviano<br />

Via Lampugnani, 3 - 20014 Nerviano (MI)<br />

Tel. 0331415263 - Fax 0331415369 - E-mail: giorgioromanelli@alice.it<br />

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Giorgio Romanelli<br />

Med Vet, Dipl ECVS<br />

Cusano Milanino (MI), Italia<br />

Laparoscopia e toracoscopia:<br />

guardare gli organi da fuori<br />

Sabato, 8 Marzo 2008, ore 9.00<br />

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INTRODUZIONE<br />

La laparoscopia e la toracoscopia sono procedure mini-invasive ideate per<br />

l’ispezione e la chirurgia delle cavità addominale e toracica. In medicina umana<br />

queste tecniche vengono usate comunemente e sono considerate routine. In<br />

ambito veterinario l’utilizzo è notevolmente aumentato negli ultimi 10 anni.<br />

Le basi tecniche richieste per la laparoscopia e per la toracoscopia sono simili<br />

e l’applicazione di queste tecniche sembra limitata solamente dalla taglia<br />

del paziente e dall’abilità e fantasia del chirurgo.<br />

INDICAZIONI<br />

Stadiazione di patologie neoplastiche, valutazione della possibilità di<br />

asportazione di masse o altre lesioni, biopsie sotto diretta visualizzazione,<br />

diagnosi e trattamento dello pneumotorace spontaneo e traumatico, diagnosi<br />

e trattamento di versamenti pleurici e pericardici, biopsie intestinali.<br />

PROCEDURE DIAGNOSTICHE<br />

• Esplorazione addominale e toraciche per stadiazione<br />

• Biopsie epatiche, renali, intestinali, mesenteriche, pancreatiche, pleuriche,<br />

peritoneali, pericardiche, polmonari, mediastiniche e linfonodali<br />

• Colecistocentesi e dranaggio biliare<br />

• “Second look” laparo e toracoscopica<br />

• Posizionamento di accessi addominali e toracici per trattamento chemioterapico<br />

endocavitario.<br />

ATTREZZATURA<br />

Gli strumenti per laparo e toracoscopia sono fondamentalmente gli<br />

stessi.<br />

SET DI BASE<br />

• Ottiche da 5 a 10 mm di diametro, solitamente a 0° di inclinazione<br />

• Trocar e cannule di diversi diametri e tipologie<br />

• Ago di Verres (solo per laparoscopia)<br />

• Fonte di luce<br />

• Cavo porta luce<br />

• Insufflatore di CO 2 (solo per laparoscopia)<br />

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• Palpatore<br />

• Pinza ovale per biopsie<br />

• Pinze da presa atraumatiche<br />

• Forbici<br />

• Video camera e monitor<br />

• Attrezzatura per raccolta immagini.<br />

PREPARAZIONE<br />

Il campo chirurgico DEVE essere preparato come per una qualsiasi procedura<br />

chirurgica standard (ampia tricotomia, disinfezione e drappeggio) e<br />

bisogna essere pronti in ogni momento a cambiare la procedura da mininvasiva<br />

a tradizionale. L’ottica è collegata alla fonte di luce e alla telecamera.<br />

La telecamera (a 1 o a 3 ccd) può essere sterilizzata secondo i dettami<br />

della ditta produttrice oppure avvolta in apposite guaine sterili. A<br />

questo punto viene inserito il primo trocar (torace) o l’ago di Verres (addome<br />

- per creare lo pneumoperitoneo) e, di seguito, l’ottica attraverso la<br />

cannula. Il training e la pratica sono essenziali per formare una buona<br />

squadra chirurgica. L’operatore della telecamera, il chirurgo, l’assistente e<br />

l’anestesista devono essere perfettamente in sincronia in modo da rendere<br />

più efficace questa procedura. Inoltre sono fondamentali un’ottima conoscenza<br />

dell’anatomia, dell’attrezzatura e un corretto approccio alla preparazione<br />

dell’intervento. Quest’ultimo punto, potrà evitare complicanze<br />

quali: penetrazione del polmone con il trocar, entrare in cavità dalla parte<br />

sbagliata, penetrare visceri addominali, operare in corso di ernia diaframmatica<br />

e altro ancora.<br />

Tutte le procedure endoscopiche con ottiche rigide richiedono la creazione<br />

di uno spazio di lavoro (pneumoperitoneo o pneumotorace).<br />

Pneumoperitoneo<br />

Per insufflare la cavità addominale si utilizza anidride carbonica che viene<br />

immessa all’interno della cavità attraverso l’Ago di Verres. Quest’ultimo<br />

viene inserito in cavità addominale attraverso una piccola incisione cutanea.<br />

A questo punto una volta verificato il corretto posizionamento dell’ago si può<br />

iniziare l’insufflazione della cavità addominale. L’addome dovrebbe distendersi<br />

uniformemente e la pressione al suo interno dovrebbe essere inizialmente<br />

bassa (2-3 mmHg) per aumentare gradualmente e lentamente fino a 8-<br />

10 mmHg. NON arrivare mai a superare i 15 mmHg, poiché si verificherebbero<br />

gravi problemi legati ad alterata ventilazione e perfusione.<br />

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Pneumotorace<br />

Durante l’inserimento del trocar, il polmone collassa creando uno spazio di lavoro<br />

sufficiente per una rapida valutazione diagnostica ed operativa. Un’alternativa<br />

consiste nella ventilazione mono-polmonare ottenuta tramite intubazione selettiva.<br />

Il polmone escluso collassa facilitando così la visualizzazione dell’ilo, le<br />

biopsie e le lobectomie. Le conseguenze sono aumento della PaCO 2 e una lieve<br />

flessione della PaO 2 . L’insufflazione del torace con CO 2 pur essendo una tecnica<br />

pubblicata, può portare a disastrose conseguenze (si crea uno pneumotorace iperteso<br />

iatrogeno) anche se la pressione viene mantenuta al di sotto dei 5 mmHg.<br />

PROCEDURE<br />

Esplorazione addominale<br />

Si esegue inserendo solitamente l’ottica in corrispondenza dell’ombelico. Si<br />

visualizza l’addome anteriore (fegato e cistifellea) quindi lo stomaco, il rene sinistro<br />

e poi, girando lo strumento, tutto il compartimento caudale (vescica, prostata<br />

e corpo dell’utero). Per la visualizzazione del rene destro, è necessario spostare<br />

verso sinistra il pacchetto intestinale mediante un retrattore. Se necessario, si<br />

può inserire, attraverso un altro trocar, un palpatore per apprezzare la consistenza<br />

degli organi. Degli organi si possono notare l’aspetto, il colore, la trama vascolare,<br />

le eventuali alterazioni superficiali, le eventuali deformazioni e la consistenza.<br />

Esplorazione toracica<br />

Si esegue con il paziente in decubito dorsale inserendo l’ottica in posizione<br />

paraxifoidea destra o sinistra.<br />

Una volta inserito il trocar, si crea lo pneumotorace che permette una buona<br />

visualizzazione della cavità toracica. Non è necessaria l’intubazione selettiva<br />

ma il paziente deve essere mantenuto in ventilazione controllata.<br />

Si esamina quindi la superficie del pericardio, dei lobi polmonari, della<br />

pleura, del mediastino anteriore e dei linfonodi mediastinici.<br />

Girando l’ottica si esaminano il diaframma ed il recesso costo-diaframmatico.<br />

Biopsia<br />

La biopsia epatica, linfonodale, pancreatica, pleurica, mesenterica e peritoneale<br />

si eseguono con l’apposito strumento; la biopsia renale e linfonodale,<br />

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mediante l’uso di un ago di Tru-Cut fatto passare direttamente attraverso la<br />

parete addominale.<br />

La biopsia pericardica si esegue con forbici e pinze di presa, mentre la<br />

biopsia polmonare con l’uso di suture particolari o esteriorizzando un pezzo<br />

di polmone verso l’esterno mediante un mini approccio toracotomico.<br />

Colecistocentesi e drenaggio biliare<br />

In determinati casi può essere necessario drenare temporaneamente il deflusso<br />

biliare quando sussiste interruzione meccanica a livello del dotto biliare<br />

comune o del suo sbocco nell’intestino, per neoplasie biliari, pancreatiche<br />

o duodenali.<br />

Il drenaggio si attua mediante l’uso di cateteri appositi.<br />

“Second Look”<br />

In alcuni casi può essere necessario ricontrollare la cavità addominale o toracica<br />

dopo una terapia medica o chirurgica, per valutare l’efficacia della terapia,<br />

soprattutto quando le eventuali alterazioni neoplastiche non sono visibili<br />

con altri mezzi diagnostici.<br />

Esempi tipici sono le metastasi peritoneali da emangiosarcoma o il controllo<br />

del mesotelioma pleurico.<br />

La laparoscopia e la toracoscopia sono un’ottima alternativa al tradizionale<br />

accesso chirurgico.<br />

Posizionamento di cateteri per drenaggio e terapia endocavitaria<br />

In pazienti con versamento cronico o nei quali è necessaria una terapia endocavitaria<br />

è possibile posizionare con tecnica mininvasiva un catetere connesso<br />

ad un accesso esterno, per rendere meno traumatiche le manovre.<br />

COMPLICANZE<br />

Hanno una bassa incidenza quando le procedure vengono applicate in maniera<br />

corretta. Le maggiori complicanze sono di carattere anestesiologico<br />

(ipercapnia, acidosi, ipotensione, shunt polmonare). Altre complicanze comprendono:<br />

lesioni causate dall’inserimento dell’ago di Verres o dei trocars a<br />

organi cavi o parenchimatosi (milza), rotture di organi durante manipolazio-<br />

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ne o biopsia, insufflazione dello spazio retroperitoneale, legamento falciforme,<br />

sottocute o mesentere e lesioni causate dall’utilizzo dell’elettrobisturi.<br />

Inoltre è stata descritta nell’uomo la diffusione di neoplasie alla parete o alle<br />

sierose nel caso in cui frammenti bioptici vengano rimossi attraverso piccole<br />

brecce create nella parete della cavità. Embolismo gassoso è una letale conseguenza<br />

causata dall’insufflazione di CO 2 all’interno di vasi o di organi parenchimatosi.<br />

Ernie incisionali e sieromi sono rari.<br />

EMERGENZE<br />

Emorragie non controllabili sono l’indicazione più comune per la conversione<br />

ad una procedura aperta. Se le capacità o l’attrezzatura non sono idonee<br />

per un intervento chirurgico aperto d’urgenza, le procedure mini-invasive<br />

NON devono essere eseguite, specialmente in pazienti traumatizzati in cui il<br />

rischio di emorragie è elevato.<br />

Ringrazio il dott. Luca Formaggini per avermi gentilmente fornito parte<br />

del materiale.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Giorgio Romanelli<br />

Clinica Veterinaria Nerviano<br />

Via Lampugnani, 3 - 20014 Nerviano (MI)<br />

Tel. 0331415263 - Fax 0331415369 - E-mail: giorgioromanelli@alice.it<br />

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Federica Rossi<br />

Med Vet, SRV, Dipl ECVDI<br />

Sasso Marconi (Bologna), Italia<br />

Diagnostica per immagini<br />

in oncologia <strong>veterinaria</strong><br />

Venerdì, 7 Marzo 2008, ore 16.30<br />

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INTRODUZIONE<br />

La Diagnostica per Immagini in oncologia <strong>veterinaria</strong> è un passo obbligato<br />

sia per la diagnosi che per la stadiazione di una neoplasia. Se la presenza<br />

di una lesione neoplastica può essere sospettata dalla visita clinica e dai risultati<br />

degli esami di laboratorio, la diagnostica per immagini è in molti casi<br />

indispensabile per confermarne la presenza, inoltre è importante per stabilirne<br />

la sede e l’estensione. Queste informazioni sono necessarie prima di procedere<br />

a qualsiasi tipo di trattamento. L’approccio moderno al paziente oncologico<br />

si basa sulla stadiazione TNM di una neoplasia, che include la conoscenza<br />

delle dimensioni e dell’estensione del tumore primitivo (T), della presenza<br />

o assenza di metastasi a carico dei linfonodi regionali (N) e della presenza<br />

o assenza di metastasi a distanza (M). Questo permette di stabilire anche<br />

una corretta prognosi. Radiologia, Ecografia, Tomografia Computerizzata<br />

e Risonanza Magnetica sono metodiche di Diagnostica per Immagini oggi<br />

ampiamente disponibili anche in <strong>Oncologia</strong> Veterinaria che possono essere<br />

utilizzate per la stadiazione TNM.<br />

QUELLO CHE LA RADIOLOGIA<br />

E L’ECOGRAFIA HANNO DA DIRE<br />

La RADIOLOGIA è la metodica di diagnostica per immagini che spesso<br />

va utilizzata per prima sia per indagare la presenza di una neoplasia primaria<br />

sia per la stadiazione del tumore. Anche se le informazioni fornite richiedono<br />

quasi sempre di essere successivamente approfondite con altre tecniche, l’esame<br />

radiografico mantiene ancora oggi un ruolo importante perché consente<br />

di esaminare ampi settori nei quali si possono studiare contemporaneamente<br />

i tessuti molli ed i tessuti duri, è poco costoso, di veloce esecuzione ed alla<br />

portata di qualsiasi struttura <strong>veterinaria</strong>.<br />

La possibilità di diagnosticare mediante la radiologia una neoplasia dipende<br />

dalle sue dimensioni e dalla sua localizzazione, in particolare dal rapporto<br />

tra la sua radiopacità e quella delle strutture che la circondano. Le dimensioni<br />

di una massa rappresentano un limite per la sua visualizzazione soprattutto<br />

se questa è circondata da tessuto con le stesse caratteristiche di radiopacità.<br />

Per esempio, se una lesione che origina dai tessuti molli addominali deve<br />

avere dimensioni ragguardevoli per poter essere riconosciuta come massa<br />

addominale in quanto circondata da tessuti ed organi con radiopacità simile.<br />

Per identificare l’origine di una formazione occupante spazio nell’addome, è<br />

utile studiare come gli organi adiacenti vengono dislocati. Se la lesione si sviluppa<br />

invece all’interno di un lobo polmonare ed è circondata da aria potrà essere<br />

riconosciuta anche se di dimensioni relativamente più piccole. Da questo<br />

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ragionamento si comprende come nella maggior parte dei casi la radiologia<br />

da sola non ci consenta di effettuare una diagnosi precoce della neoplasia, ma<br />

spesso ci dia informazioni quando il paziente è già in una situazione di malattia<br />

avanzata. Pertanto, un quadro radiologico normale in un paziente con<br />

sospetto tumore va approfondito mediante altre metodiche. Questo concetto<br />

diventa particolarmente importante quando si effettua un esame radiografico<br />

del torace per la ricerca di noduli polmonari di possibile origine metastatica.<br />

Il limite radiografico di visualizzazione di un nodulo polmonare, in un radiogramma<br />

di eccellente qualità radiografica, è di 4-5 mm, tuttavia noduli anche<br />

di maggiori dimensioni possono non essere identificati perché non circondati<br />

da sufficiente quantità di parenchima polmonare aerato che produce un sufficiente<br />

contrasto radiografico. Per esempio, spesso non vengono diagnosticati<br />

noduli a localizzazione subpleurica, costo-diaframmatica o situati nel polmone<br />

declive, che non è ben ventilato a causa di una parziale atelettasia dovuta<br />

al posizionamento. Per questo motivo, attualmente si suggerisce l’utilizzo di<br />

tre proiezioni radiografiche (due laterali ed una sagittale) per la ricerca di metastasi<br />

polmonari 1,2 . Quando i noduli polmonari sono di piccole dimensioni,<br />

può essere difficile differenziarli da vasi polmonari che decorrono parallelamente<br />

al fascio radiogeno e da piccoli foci di osso eterotopico (osteomi polmonari).<br />

I criteri di seguito riportati sono utili per differenziare questi tre tipi<br />

di radiopacità nodulare:<br />

Vasi polmonari Noduli polmonari Osteomi polmonari<br />

Associati a vasi visualizzati Non sono sempre associati Forma più irregolare<br />

longitudinalmente e/o bronchi a vasi visualizzati se ispezionati da vicino<br />

longitudinalmente e/ bronchi<br />

Rispetto ai vasi adiacenti Rispetto ai vasi adiacenti Piccole dimensioni<br />

visualizzati longitudinalmente, visualizzati longitudinalmente,<br />

hanno diametro simile hanno diametro variabile<br />

Rispetto ai vasi adiacenti Rispetto ai vasi adiacenti Radiopacità maggiore<br />

visualizzati longitudinalmente, visualizzati longitudinalmente, di un vaso delle stesse<br />

hanno maggiore radiopacità hanno radiopacità simile dimensioni,<br />

spesso disomogenea<br />

Meno numerosi alla periferia<br />

Più frequente<br />

localizzazione ventrale<br />

La radiologia è il metodo diagnostico di prima scelta anche in caso di<br />

neoplasie che coinvolgono lo scheletro. Le neoplasie ossee producono un tipo<br />

di lesione radiologicamente definita come “lesione osteoaggressiva”.<br />

Questo concetto si basa su quattro parametri radiografici: 1. presenza di distruzione<br />

ossea (soprattutto se coinvolgente la corticale) 2. tipo di lisi: lisi<br />

geografica, a morso di tarma o permeativa descrivono un grado di aggressi-<br />

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vità incrementante. 3. reazione periostale: reazioni di tipo liscia, multilamellare,<br />

a palizzata, a raggio di sole, amorfa. 4. caratteristiche della zona di<br />

transizione: ben delimitata nelle lesioni di tipo benigno, impossibile da determinare<br />

con lesioni ad elevata aggressività. La categoria delle lesioni<br />

osteoaggressive include, oltre alle neoplasie, anche le infezioni dell’osso.<br />

Anche se non è possibile distinguere solo sulla base dell’aspetto radiografico<br />

una delle due categorie di lesioni, la valutazione delle caratteristiche di<br />

osteoaggressività radiografica insieme ad altri elementi (numero e sede delle<br />

lesioni, segnalamento, anamnesi, risultati di esami di laboratorio) consente<br />

nella maggior parte dei casi di raggiungere una corretta diagnosi, che tuttavia<br />

va confermata mediante prelievo dalla lesione.<br />

La presenza di versamento, sia toracico che addominale, rende difficile<br />

la identificazione di una eventuale massa associata al versamento. Questa<br />

situazione è invece vantaggiosa per effettuare una indagine ECOGRAFI-<br />

CA dell’addome o del torace. Nella valutazione di una lesione che origina<br />

dai tessuti molli addominali, l’ecografia fornisce precise informazioni riguardo<br />

la sede, le dimensioni ed i rapporti di una lesione con le strutture circostanti<br />

(T). L’utilizzo del Doppler consente di studiare la vascolarizzazione<br />

di una lesione. L’indagine ecografica è fondamentale per la valutazione<br />

dei linfonodi addominali, primo passo nella stadiazione della neoplasia<br />

(N). È necessario quindi conoscere la sede ed i caratteri di normalità dei linfonodi<br />

addominali. In un animale normale, non tutti i linfonodi addominali<br />

sono visibili ecograficamente, ciò dipende dal soggetto esaminato, soprattutto<br />

dalle sue dimensioni. In un cane di media taglia i linfonodi che normalmente<br />

si riescono ad identificare sono i linfonodi iliaco mediale ed i linfonodi<br />

mesenterici.<br />

I criteri ecografici che possono aiutare nella differenziazione tra una linfoadenomegalia<br />

reattiva ed un maligna sono i seguenti 3 (da Nyman et al., Vet<br />

Rad & Ultras 2005):<br />

Caratteristiche ecografiche Linfoadenomegalia Linfoadenomegalia<br />

valutabili benigna maligna<br />

Forma Ovale (rapporto 0,59) Più rotondeggiante<br />

(rapporto asse corto/asse lungo) (rapporto 0,71)<br />

Dimensioni medie 2 cm 2,5-3 cm<br />

Ecogenicità Spesso mista Più frequentemente<br />

ipoecogeni<br />

Acoustic enhancement Meno frequente Più frequente<br />

Distribuzione dei vasi Ilari Periferici<br />

RI < 0,68 > 0,68<br />

PI < 1,49 > 1,49<br />

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Quando si identifica una possibile lesione neoplastica primaria, tutti gli altri<br />

organi addominali vanno valutati con accuratezza per identificare possibili<br />

lesioni metastatiche.<br />

L’ecografia non consente di indagare con completezza strutture contenenti<br />

aria o totalmente mineralizzate. Infatti in queste due situazioni gli ultrasuoni<br />

vengono riflessi e non forniscono informazioni se non della superficie delle<br />

strutture esaminate. È il caso del polmone aerato e dell’apparato scheletrico.<br />

Quando invece il polmone perde il suo contenuto gassoso a causa di una<br />

lesione solida a contatto con la parete toracica o l’osso va incontro ad osteolisi,<br />

l’ecografia può essere utilizzata anche per studiare questo tipo di lesioni.<br />

Il maggiore limite delle indagini radiografica ed ecografica è quello di avere<br />

bassa specificità. Ciò significa che l’identificazione di una neoformazione<br />

occupante spazio sia nell’addome che nel torace non deve portare automaticamente<br />

alla diagnosi di neoplasia, ma tra le diagnosi differenziali vanno tenute<br />

in considerazione lesioni benigne come ascessi, ematomi, cisti o granulomi<br />

e spesso solo l’esame citologico o istologico consente una diagnosi definitiva.<br />

Per aumentare la specificità della metodica ecografica nella caratterizzazione<br />

di una sospetta lesione neoplastica, è stata sviluppata una metodica,<br />

la CEUS (Contrast Enhanced Ultrasound) che consente di studiare meglio<br />

la vascolarizzazione e la perfusione delle lesioni addominali. L’obiettivo<br />

è quello di poter differenziare, in base alla distribuzione delle microbolle nei<br />

vasi e soprattutto nei capillari, le lesioni benigne da quelle maligne ed i diversi<br />

tipi di neoplasia. I primi risultati in Medicina Veterinaria dimostrano che questa<br />

metodica è utile anche nei piccoli animali nel caratterizzare le lesioni del<br />

fegato e della milza 4,5 .<br />

Ultima ma non meno importante indicazione dell’ecografia è quella di<br />

consentire prelievi mirati (aghi aspirati, biopsie) da quasi tutti i tipi di lesione,<br />

che possono essere eseguiti con estrema accuratezza riducendo i rischi legati<br />

al prelievo.<br />

ABBIAMO BISOGNO DI TC E RM?<br />

La sempre maggiore disponibilità di attrezzature rendono possibile l’utilizzo<br />

di queste metodiche anche nei piccoli animali. Tomografia Computerizzata<br />

(TC) e Risonanza Magnetica (RM) hanno il vantaggio, rispetto alle metodiche<br />

convenzionali, di fornire immagini tomografiche caratterizzate da una<br />

elevata risoluzione spaziale e di contrasto. Ciò comporta innumerevoli vantaggi<br />

nella esatta identificazione di una lesione occupante spazio, che può esser<br />

studiata in modo ottimale definendone con grande precisione la sede, le<br />

dimensioni, i rapporti con le strutture circostanti ed il tipo di vascolarizzazione.<br />

Anche se accomunate dal fatto di esaminare un volume attraverso lo stu-<br />

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dio di numerosi piani di scansione, TC e RM sono metodiche diagnostiche<br />

concettualmente completamente diverse e questo comporta un loro diverso<br />

utilizzo nella diagnostica clinica anche nei piccoli animali. Ricordiamo quali<br />

sono le loro principali indicazioni in oncologia <strong>veterinaria</strong>:<br />

TC<br />

è la tecnica maggiormente indicata per la diagnosi e la stadiazione di una<br />

neoplasia poiché, rispetto a tutte le altre metodiche di diagnostica per immagini<br />

ha i seguenti vantaggi:<br />

1. consente di esaminare ampi settori corporei in tempi molto brevi (poche<br />

decine di secondi con le tecnologie di ultima generazione), pertanto, mediante<br />

un unico esame effettuato con una breve anestesia, è possibile lo<br />

studio di una neoplasia primaria e contemporaneamente la ricerca di lesioni<br />

metastatiche polmonari o in altri settori.<br />

2. Fornisce una ottima visualizzazione sia dei tessuti molli che dei tessuti duri.<br />

Con i dati ottenuti con una unica acquisizione, il software è in grado di<br />

visualizzare immagini adatte allo studio dei diversi settori corporei (cranio,<br />

torace, addome, scheletro).<br />

3. È la metodica più sensibile per la ricerca di metastasi polmonari. Possono<br />

essere rilevati noduli polmonari di dimensioni fino ad 1 mm di diametro,<br />

localizzati anche in aree polmonari di difficile valutazione radiografica. In<br />

un recente studio 6 che includeva cani con diversi tipi di neoplasie primarie,<br />

il 39% di animali aveva radiografie toraciche normali ma noduli polmonari<br />

visibili in TC. L’utilizzo della metodica HRCT consente di evidenziare<br />

lesioni infiltrative polmonari associate a metastasi non identificate<br />

radiologicamente 7 .<br />

4. Mediante scansioni effettuate dopo la somministrazione del mezzo di contrasto,<br />

consente di valutare in modo accurato la componente vascolare di una<br />

neoplasia e di stabilirne i rapporti con le strutture vascolari adiacenti, dato<br />

fondamentale soprattutto prima di un approccio chirurgico alla lesione.<br />

5. Grazie alle ricostruzioni biplanari e tridimensionali, da informazioni spaziali<br />

di una lesione, facilitando la pianificazione di un intervento chirurgico.<br />

6. Consente di effettuare prelievi mirati dalle lesioni visualizzate (aghi aspirati<br />

o biopsie), anche da lesioni polmonari circondate da aria, quindi non<br />

visibili all’esame ecografico.<br />

7. È indispensabile per una precisa pianificazione terapeutica prima di eseguire<br />

un trattamento di radioterapia.<br />

8. Può esser utilizzata anche in presenza di impianti metallici o microchip.<br />

RM<br />

1. È l’indagine di elezione per la valutazione delle neoplasie del SNC (soprattutto<br />

per le lesioni localizzate nella fossa posteriore) e SNP.<br />

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2. Fornisce informazioni accurate in caso di lesioni in settori non in movimento,<br />

soprattutto se originanti dai tessuti molli (es. collo, arti, cavità pelvica<br />

e retroperitoneale).<br />

3. Acquisisce immagini dirette in qualsiasi piano dello spazio.<br />

4. Ha limiti nella valutazione delle lesioni dell’addome craniale e del torace<br />

a causa di artefatti dovuti al movimento.<br />

5. Ha tempi di acquisizione più lunghi della TC.<br />

6. È penalizzata da artefatti causati da impianti metallici o microchip.<br />

In conclusione, l’approccio moderno al paziente oncologico deve far riferimento<br />

sempre più alle metodiche di diagnostica per immagini avanzate. La<br />

TC rappresenta uno strumento che talvolta è indispensabile per la diagnosi di<br />

una neoplasia ma che è sempre estremamente importante per un’accurata stadiazione<br />

della malattia.<br />

Letture consigliate<br />

1. Forrest LJ: Radiology corner- advantages of the three view thoracic radiographic examination in instances<br />

other than metastasis, Vet Radiol 33:340, 1992.<br />

2. Barthez PY, Hornof WJ, Theon AP et al: Sensitivity of radiographic protocols when screening dogs<br />

for pulmonary metastasis, J Am Vet Med Assoc 204:237, 1994.<br />

3. Nyman HT et al., Characterization of normal and abnormal canine superficial lymph nodes using<br />

gray-scale B-mode, Color flow mapping, Power, and spectral Doppler ultrasonography: a multivariate<br />

study, Vet Rad & Ultras 2005.<br />

4. O’ Brian B, Iani M, Matheson J, Delaney F, Young K: Contrast Harmonic Ultrasound of spontaneous<br />

liver nodules in 32 dogs, Vet Radiol & Ultrasound 2004; 45:547-553.<br />

5. Rossi F, Leone VF, Vignoli M, Terragni R: Use of contrast-enhanced ultrasound for characterization<br />

of focal splenic lesions, Vet Radiol & Ultrasound 2008; 49:154-164.<br />

6. Nemanic S, London CA, Wisner ER. Comparison of thoracic radiographs and single breath-hold helical<br />

CT for detection of pulmonary nodules in dogs with metastatic neoplasia. J Vet Intern Med.<br />

2006; 20:508-515.<br />

7. Johnson VS, Ramsey IK, Thompson H, Cave TA, Barr FJ, Rudorf H, Williams A, Sullivan M Thoracic<br />

high-resolution computed tomography in the diagnosis of metastatic carcinoma. J Small Anim<br />

Pract. 2004 Mar; 45(3):134-43.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Federica Rossi<br />

Clinica Veterinaria dell’Orologio<br />

Via Gramsci, 1/4 - 40037 Sasso Marconi (Bologna)<br />

E-mail: chiccarossi@yahoo.it<br />

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Damiano Stefanello<br />

Med Vet, PhD, Milano, Italia<br />

Approccio al proprietario<br />

del paziente oncologico:<br />

quali strategie comunicative<br />

adottare?<br />

Venerdì, 7 Marzo 2008, ore 11.30<br />

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La comunicazione rappresenta lo strumento primario del rapporto interpersonale<br />

che viene utilizzato in qualsiasi ambito lavorativo e non per ottenere<br />

e dare informazioni. Infatti è ampiamente riconosciuto che ogni rapporto<br />

interpersonale inizia, prosegue si modifica e finisce attraverso un rapporto di<br />

comunicazione. Il medico veterinario che svolge la propria attività relazionandosi<br />

con proprietari di cani e gatti utilizza costantemente la comunicazione<br />

come strumento di interazione.<br />

Lo scopo di questa relazione è di concentrare l’attenzione sul ruolo della<br />

comunicazione in oncologia <strong>veterinaria</strong>, in quanto è proprio in questa branca<br />

specialistica che più spesso vengono messe a dura prova le abilità comunicative<br />

del medico-veterinario. Per questo motivo cercheremo di dare seppur parzialmente<br />

una descrizione dei meccanismi e degli elementi della comunicazione<br />

per meglio introdurre e comprendere l’importanza di una buona gestione del<br />

proprietario del paziente oncologico ed indagare i suoi potenziali meccanismi<br />

decisionali nelle diverse fasi della malattia oncologica (comunicazione della<br />

diagnosi, della terapia, dell’eventuale fallimento terapeutico e dell’eutanasia).<br />

Per ottenere una corretta comunicazione è innanzitutto importante riconoscere<br />

la comunicazione come un processo dinamico che prevede che qualsiasi<br />

cosa detta e fatta di fronte ad un interlocutore è un messaggio che sarà codificato.<br />

Lo scambio di messaggi e la successiva decodifica avviene tra i due<br />

attori della comunicazione che nel caso specifico della medicina <strong>veterinaria</strong><br />

sono: l’emittente che si identifica con il medico veterinario e il ricevente che<br />

si identifica con il proprietario-genitore. È fondamentale che il medico veterinario<br />

interagisca con il proprietario utilizzando una comunicazione cosiddetta<br />

bidirezionale dove a codificare e decodificare i messaggi è l’emittente e<br />

il ricevente simultaneamente. Tuttavia è anche importante ricordare che il modo<br />

in cui i messaggi vengono codificati e decodificati sia dall’emittente che<br />

dal ricevente dipendono da: atteggiamenti, conoscenze, valori e aspettative. 1<br />

Gli atteggiamenti, le conoscenze, i valori e le aspettative riassumono la<br />

personalità e le esperienze vissute di una persona e pertanto ne condizionano<br />

il suo modo di codificare e decodificare un messaggio. Da questo si deduce<br />

che le variabili che possono condizionare il processo comunicativo sono molteplici<br />

e non sarà possibile indagarli tutti in questa relazione. 1<br />

È invece possibile grazie all’aiuto fornito dalla letteratura delineare seppur<br />

a grandi linee le idee e le convinzioni che risiedono nel proprietario del cane<br />

e del gatto affetto da tumore. La conoscenza di queste, per quanto generiche,<br />

consente al medico-veterinario di affrontare in modo corretto almeno il primo<br />

consulto che da sempre è considerato quello cruciale anche in oncologia umana<br />

per conquistare la fiducia condizionata e non condizionata del ricevente.<br />

La prima regola che l’attore principale deve tenere sempre ben presente per<br />

costruire una giusta comunicazione è che la sola competenza tecnica non è in<br />

grado di conquistare la fiducia del proprietario se non accompagnata da buone<br />

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capacità comunicative. Le capacità comunicative del medico veterinario possono<br />

dipendere ovviamente dalla sua cultura tecnico scientifica e dalla sua capacità<br />

di interazione che può essere innata oppure costruita attraverso l’uso delle<br />

tecniche di comunicazione verbale e non verbale. I criteri generali della comunicazione<br />

verbale possono essere così riassunti: mantenere un atteggiamento positivo,<br />

utilizzare voce chiara, organizzare le informazioni, essere semplici, brevi<br />

e non utilizzare termini troppo tecnici, lasciare il tempo di comprendere, utilizzare<br />

forme interrogative dirette, incoraggiare le domande, ascoltare l’interlocutore<br />

senza interrompere, accettare i sentimenti dell’interlocutore, esprimere i<br />

propri sentimenti e non assumere un atteggiamento critico o di rimprovero. La<br />

comunicazione non verbale può essere distinta in due approcci differenti con la<br />

dimostrazione pantomimica (ad esempio mostrare come somministrare una<br />

compressa o fare un’iniezione) e la metacomunicazione caratterizzata da espressioni<br />

facciali, gesti del corpo che possono alterare o sottolineare le parole espresse.<br />

I consigli per utilizzare la metacomunicazione sono: mantenere un contatto<br />

visivo, mantenersi alla stessa altezza dell’interlocutore per non imporre la propria<br />

autorità, non tenere braccia e gambe accavallate poiché rappresentano un<br />

segno di difesa, ridurre la distanza tra sé e l’interlocutore, non lasciare il luogo<br />

del colloquio perché indicherebbe imbarazzo e disapprovazione ed infine usare<br />

voce calma e rassicurante perché se troppo alta e veloce potrebbe comunicare<br />

ansia e insicurezza. La comunicazione non verbale è più efficace di quella verbale<br />

a codificare i messaggi e questo aspetto è molto chiaro soprattutto se c’è<br />

discrepanza tra quello che è detto e quello che è manifestato con il corpo. 2<br />

La seconda regola si identifica con la conoscenza del nostro interlocutore.<br />

Come prima accennato non è possibile veramente conoscere il nostro interlocutore<br />

soprattutto se interagite con lui per la prima volta e il vostro tempo a<br />

disposizione non è superiore ad un’ora. Tuttavia è possibile evitare passi falsi<br />

se si prendono in considerazione che l’unicità del rapporto tra proprietario<br />

e cane e gatto condizionerà le scelte proposte dall’attore principale. Il rapporto<br />

tra uomo e gli animali è oggetto di molti studi ma nel caso di un consulto<br />

veterinario per una malattia oncologica la tipologia del rapporto può giustificare<br />

una difficoltà di interazione tra proprietario e veterinario nell’atto comunicativo.<br />

Questo accade perché può essere difficile dedurre durante la visita<br />

quale sia il rapporto esistente tra proprietario ed il suo cane. Oggi il cane e il<br />

gatto sono sempre più percepiti come effettivi componenti della famiglia e per<br />

questo motivo il proprietario del “Pet” si può identificare con il proprietariogenitore.<br />

Le motivazioni di questo mutamento sono differenti ma le caratteristiche<br />

neoteniche, la presenza di un rapporto mediato e la dipendenza del tutore<br />

li fanno spesso coincidere almeno idealmente con un figlio, di fatto speciale,<br />

perché a differenza dei figli il cane e il gatto mantengono per tutta la loro<br />

vita le caratteristiche tipiche dei cuccioli tanto che l’appellativo animali da<br />

compagnia può essere tranquillamente sostituito da “Bambini per sempre”.<br />

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Il senso di responsabilità che può essere inteso sia come legame affettivo<br />

o come dipendenza dal pet e/o del pet si acuisce ulteriormente nella comunicazione<br />

delle cattive notizie di tipo medico. Infatti come succede in medicina<br />

umana anche in medicina <strong>veterinaria</strong> alla parola cancro si associano sentimenti<br />

negativi legati al dolore, alla sofferenza, alla prognosi infausta e non ultima<br />

alla sentenza di morte imminente che incombe sul paziente. Questo<br />

aspetto è di fondamentale importanza perché la consapevolezza da parte del<br />

medico veterinario dell’esistenza di questa associazione gli permette di prevedere<br />

possibili reazioni del proprietario che possono concretizzarsi con una<br />

vasta gamma di reazioni sentimentali che vanno dalla rassegnazione passiva<br />

all’aggressività verbale e non. Questo ultimo aspetto è cruciale e la sua conoscenza<br />

nonché la sua percezione da parte del medico-veterinario durante il<br />

consulto gli consente non solo di adottare una comunicazione corretta ma di<br />

instaurare una comunicazione flessibile che sia in grado di adattarsi alla singola<br />

personalità. 2<br />

La comunicazione deve essere non solo flessibile ma efficace nel senso di<br />

far decodificare al nostro interlocutore il nostro messaggio in modo da consentirci<br />

di attuare il miglior atteggiamento diagnostico, terapeutico, prognostico<br />

per la malattia neoplastica. Affinché la comunicazione sia bidirezionale,<br />

corretta e flessibile non basta sapere che esiste un rapporto unico tra il proprietario<br />

e il paziente e che la comunicazione della diagnosi di cancro ha ispirato<br />

solo pensieri funesti. È necessario prevedere quali siano gli stati d’animo<br />

del proprietario-genitore in modo da avvertire la sua capacità sia di decodificare<br />

i nostri messaggi che di codificarne dei suoi in funzione degli stadi del dolore.<br />

Gli stati del dolore che si possono identificare dopo la comunicazione di<br />

una cattiva notizia nell’interlocutore sono nell’ordine: shock, reazione, elaborazione,<br />

accettazione. È ovvio che i tempi e i modi necessari a superare ogni<br />

singolo stadio sono personali ma, la massima interazione con l’interlocutore è<br />

ottenuta nella fase di accettazione. Rimane quindi a discrezione dell’attore<br />

principale riconoscere in modo oggettivo in quale stadio del dolore si trovi l’interlocutore<br />

dopo la comunicazione della diagnosi o del fallimento delle terapie<br />

per decidere quando affrontare gli argomenti successivi alla comunicazione<br />

delle cattive notizie (come il proporre una stadiazione clinica o una terapia oppure<br />

come proporre l’eutanasia), per aspirare ad avere la massima interazione<br />

del proprietario. La massima disponibilità del proprietario ad ascoltare i consigli<br />

prettamente tecnico-scientifici è fondamentale per evitare rifiuti terapeutici<br />

ingiustificati o imbarazzanti incomprensioni nel proporre l’eutanasia.<br />

A questo punto è facile capire che la conoscenza del nostro interlocutore almeno<br />

a grandi linee è una strategia da adottare di fondamentale importanza e<br />

lo studio della comunicazione in medicina umana ha permesso di classificare<br />

l’interlocutore in quattro categorie che riassumono le generali caratteristiche di<br />

interazione tra medico e paziente. Prima di presentarle è utile ricordare che la<br />

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stessa classificazione può essere adottata anche in medicina <strong>veterinaria</strong> dove<br />

l’interlocutore del medico non è direttamente il paziente ma il suo tutore come<br />

avviene comunemente in pediatria. Le categorie psicologiche identificate sono:<br />

a) remissivo/tradizionale che riconosce al medico l’autorità di decidere per<br />

la terapia; b) informato/manager che considera il medico tecnico e consigliere<br />

e che si riserva ogni decisione; c) panico che non è in grado di controllare l’ansia<br />

e di integrare le notizie, d) normale che riesce a controllare l’ansia ed integra<br />

le informazioni tecniche fornite dal medico con la sua cultura e le sue preferenze.<br />

1 La tipologia psicologica normale è quella ideale con il quale il medico<br />

può creare un rapporto empatico di collaborazione.<br />

Alle prime due regole da adottare per ottenere una comunicazione corretta<br />

e flessibile abbiamo dedicato uno spazio maggiore rispetto a quelle che andiamo<br />

ora ad illustrare che tuttavia hanno un ruolo chiave: il dove, il come e<br />

il quando.<br />

Il luogo in cui comunichiamo può condizionare l’esito della comunicazione.<br />

L’obiettivo principale è quello di evitare che la comunicazione sia di dominio<br />

pubblico (evitare la sala d’attesa) e che sia costantemente interrotta da<br />

collaboratori estranei alla comunicazione o dal telefono. È dimostrato che le<br />

continue interruzioni e la presenza di persone passive creano un distacco tra<br />

emittente e ricevente ingenerando una comunicazione di tipo unidirezionale<br />

che come tale non può essere flessibile. 1,2 La durata del consulto non è sempre<br />

di facile definizione ma sicuramente la scelta di quando fornire un consulto<br />

oncologico è fondamentale perché se fatto in un momento sbagliato della<br />

giornata il tempo che saremo in grado di fornire potrebbe essere troppo limitato.<br />

Pertanto dobbiamo assicurarci che sia il “quanto” che il “quando” ci<br />

permettano di incoraggiare le domande del nostro interlocutore e soprattutto<br />

che l’eccessiva brevità del consulto non comunichi all’interlocutore un distacco<br />

sia fisico che emotivo. 1,2<br />

È altresì vero che consulti molto lunghi per eccessive domande del proprietario<br />

o per consulti molto prolissi siano stati associati ad un più probabile<br />

rifiuto delle proposte terapeutiche enunciate dal medico-veterinario.<br />

Come ultimo aspetto da tenere in considerazione tra le varie strategie comunicative<br />

da adottare sta nella ricerca di una modalità di comunicazione verbale<br />

che per quanto affinata da esperienze e capacità personali può rifarsi a tre<br />

stili comunicativi: a) netto e senza sentimenti, caratterizzato dall’univocità<br />

dell’informazione; b) gentile e triste che tuttavia conferisce scarso supporto<br />

emotivo ed incoraggiamento; c) comprensivo e positivo. 3 L’atteggiamento<br />

comprensivo e positivo è considerato il migliore per stabilire un rapporto,<br />

conquistare la fiducia ed evitare incomprensioni.<br />

Una corretta comunicazione è quindi necessaria in oncologia durante tutto<br />

il periodo di collaborazione tra il medico-veterinario e il proprietario, ma,<br />

nell’ambito di un così lungo lasso di tempo, si riconosce un momento fonda-<br />

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mentale che è il primo consulto, durante il quale è comunicata la diagnosi di<br />

cancro. 1,2<br />

Lo scopo del medico-veterinario durante il primo consulto sarà di fornire<br />

le possibili opzioni terapeutiche e descrivere, dal suo punto di vista, le caratteristiche<br />

di una buona qualità di vita del paziente, evitando l’accanimento o<br />

il precoce ricorso all’eutanasia, permettendo al proprietario di scegliere in<br />

modo consapevole integrando le informazioni tecniche con la sua concezione<br />

di qualità di vita. 2<br />

In questa relazione abbiamo indagato le strategie comunicative relative soprattutto<br />

alla prima visita, tuttavia le indicazioni proposte hanno la medesima<br />

importanza in tutti i momenti principali dell’interazione tra medico-veterinario<br />

e proprietario. Sicuramente una comunicazione corretta ed empatica deve<br />

essere considerata anche nel proporre l’eutanasia e nel gestire l’evento anche<br />

se spesso l’insuccesso terapeutico è avvertito come sconfitta non solo dal proprietario<br />

ma anche dal medico-veterinario. In questa situazione un’errata formulazione<br />

e decodifica di un messaggio può ingenerare spiacevoli equivoci<br />

nel proprietario con reazioni dello stesso imprevedibili. Queste considerazioni<br />

non trovano sempre il giusto peso nella formazione del medico-veterinario<br />

e spesso per quanto oggi ci sia sempre più attenzione da parte di tutti, la strada<br />

segnata dall’esperienza e dalla ricerca americana deve essere presa ad<br />

esempio perché trovi spazio anche nella nostra quotidianità clinica. 4<br />

Concludo ricordando che tutti gli aspetti qui indagati sottolineano l’importanza<br />

del ruolo svolto dal clinico all’interno del processo comunicativo in<br />

oncologia. Egli deve cercare sempre di modulare i tempi e i modi della comunicazione,<br />

mediante un’attenta valutazione e interpretazione delle reazioni<br />

dell’interlocutore, per ottenere una riduzione del livello d’ansia e quindi una<br />

maggiore comprensione delle informazioni.<br />

Bibliografia<br />

1. Scanni A, Celerino R, (1995), Il rapporto medico-paziente in oncologia Franco Angeli, 1nd ed, 1-148.<br />

2. Lagoni L, Butler C, Withrow SJ, (1996), Small animal clinical oncology, 2nd ed, WB Saunders Company,<br />

547-559.<br />

3. Brewin TB, (1991), Three ways of giving bad news, Lancet 337:1207-1209.<br />

4. Lagoni L, (2007), Withrow & MacEvens Small Animal Clinical Oncology, 4nd ed, Saunders Elsevier<br />

333-346.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Damiano Stefanello<br />

Sezione di Clinica Chirurgica Veterinaria - Dipartimento di Scienze Cliniche Veterinarie<br />

Università degli Studi di Milano - Via Ponzio, 7 - 20133 Milano<br />

Tel. 0250317800 - Fax 0250317817 - E-mail: damiano.stefanello@unimi.it<br />

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58° <strong>Congresso</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>SCIVAC</strong> • Milano, 7-9 Marzo 2008 • <strong>Oncologia</strong> <strong>veterinaria</strong> - Alle soglie del III Millennio<br />

Damiano Stefanello<br />

Med Vet, PhD, Milano, Italia<br />

Terapia dei sarcomi felini<br />

indotti da iniezione<br />

Domenica, 9 Marzo 2008, ore 11.40<br />

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Il sarcoma felino indotto da iniezione è una neoplasia maligna del sottocute<br />

di origine mesenchimale che si sviluppa in corrispondenza di siti di inoculo di<br />

farmaci, vaccini o in presenza di suture chirurgiche. Notevoli sono stati gli investimenti<br />

economici volti a studiare i differenti aspetti di questa neoplasia quali<br />

l’eziologia, l’epidemiologia, la patogenesi, la prevenzione, la diagnosi e la terapia.<br />

La peculiare associazione tra flogosi e neoplasia ha suscitato anche un timido<br />

interesse della medicna umana mentre in medicina <strong>veterinaria</strong> ha sollevato<br />

non poche discussioni circa l’utilità e la validità clinica della profilassi vaccinale<br />

e il rischio di sviluppo della neoplasia nella specie felina. La reale incidenza<br />

in Italia non è conosciuta ma si ritiene che l’incidenza proposta dagli studi<br />

fatti oltre oceano (1/1000 a 3,6/10000 casi) possa essere addirittura superata.<br />

Lo scopo di questa relazione non sarà di investigare i vari aspetti eziologici,<br />

epidemiologici, patogenetici di questa malattia oncologica ma sarà quello<br />

di descrivere le differenti e concomitanti terapie proposte dalla letteratura.<br />

I sarcomi dei tessuti molli sono ben documentati nel gatto ma le peculiarità<br />

della tipologia iniezione indotta è da attribuire a specifiche sedi di insorgenza e<br />

a caratteristici aspetti istopatologici. Relativamente alla sede i sarcomi felini indotti<br />

da iniezione sono prevalentemente localizzati sul tronco (con maggior incidenza),<br />

al garrese, alla regione scapolare, alla regione paralombare e alla porzione<br />

dorso-laterale del torace. Il riscontro di questa neoplasia previa diagnosi<br />

istologica di conferma sugli arti posteriori è un’evenienza possibile soprattutto<br />

in virtù del fatto che la regione della coscia è stata suggerita come sede di inoculo<br />

alternativo alle altre sedi per garantire una chirurgia radicale.<br />

Le caratteristiche istopatologiche sono patognomoniche e ripetitive per il<br />

riscontro di una flogosi peritumorale, una costante presenza di necrosi e un<br />

indice mitotico medio alto. Per quanto non sia stata applicata la classificazione<br />

in gradi come per altre neoplasie maligne mesenchimali, in studi non pubblicati<br />

si è vista una maggior incidenza del terzo grado. L’elevata aggressività<br />

locale e un basso potenziale metastatico (12-26%) sono invece le due caratteristiche<br />

cliniche più conosciute di questa neoplasia.<br />

L’aggressività locale spesso menzionata e richiamata in molti lavori non deve<br />

essere intesa come stretta adesione ai piani sottostanti, ma è riferita agli estesi rapporti<br />

di contiguità piuttosto che di continuità che questa neoplasia contrae sia con<br />

i tessuti molli che con i tessuti duri. Generalmente la sua presentazione clinica<br />

può essere riconducibile ad una lesione ben definita e mobile e un approccio<br />

escissionale non consapevole può esitare in margini infiltrati e nella recidiva.<br />

Questa serie di eventi è tipica dei sarcomi dei tessuti molli perché sono costituiti<br />

non da una capsula ma bensì da una pseudocapsula che di solito circoscrive solo<br />

la parte che viene percepita dal clinico come macroscopica ma non la porzione<br />

microscopica che può estendersi anche per alcuni centimetri in tutte le direzioni.<br />

È facile intendere che una escissione di una tale neoplasia senza il rispetto di margini<br />

di sicurezza aumenta l’incidenza dei margini infiltrati e della recidiva locale.<br />

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Questa premessa relativa all’aggressività locale è necessaria per sottolineare<br />

l’atteggiamento aggressivo chirurgico e non applicato a questa neoplasia<br />

che purtroppo presenta percentuali di recidiva del 30-70%.<br />

L’oncologia chirurgica è una disciplina ben definita e riconosciuta in medicina<br />

<strong>veterinaria</strong> che si basa su regole rigide e solide che conducono, se rispettate,<br />

al miglior approccio possibile. Quando si parla di escissione chirurgica di un<br />

sarcoma felino indotto da iniezione ci si riferisce sempre ad una chirurgia ad<br />

ampi margini e radicale che deve avvalersi di una buona esperienza del chirurgo<br />

e di una buona programmazione sia per la fase demolitiva sia per la fase ricostruttiva.<br />

Infatti è riportato che una chirurgia marginale produce un tempo libero<br />

da malattia di 79 giorni contro i 325-419 della chirurgia ad ampi margini<br />

o radicale. Inoltre è stato dimostrato che se la chirurgia è eseguita da chirurghi<br />

oncologi referenziati il tempo libero da malattia è di 274 contro i 66 giorni se<br />

eseguita da chirurghi non referenziati. 1 Il primo approccio chirurgico è ritenuto<br />

essere quello in grado di ottenere i tempi liberi da malattia più lunghi. Per questo<br />

è preferibile avvalersi di chirurghi referenziati quando questi sarcomi sono<br />

localizzati in sedi anatomiche ostiche quali la regione interscapolare, la parete<br />

laterale del torace e dell’addome. 2 Le sedi anatomiche appena indicate rappresentano<br />

una sfida per la chirurgia oncologica in quanto se il tumore ha estesi<br />

rapporti di contiguità con i piani sottostanti il rispetto dei dettami della chirurgia<br />

ad ampi margini e l’eventuale chirurgia radicale può risultare difficile da ottenere.<br />

Questa considerazione trova conferma nel fatto che in alcuni studi, a dispetto<br />

di un intento chirurgico aggressivo e curativo, un’asportazione completa<br />

è ottenuta in meno del 50% dei casi. 1 In uno studio non pubblicato è stato recentemente<br />

suggerito di asportare non 3 centimetri di tessuto sano intorno alla<br />

neoplasia ma bensì 5 cm e di asportare due piani fasciali profondi anziché uno.<br />

Con questo approccio applicato a sedi differenti la percentuale di casi con<br />

asportazione completa è del 97% con una percentuale di recidiva del 11%. 1<br />

In tutti questi studi che valutano l’impatto della chirurgia sul tasso di recidiva<br />

tuttavia non si menzionano le dimensioni medie dei tumori arruolati e se la<br />

chirurgia è stata preceduta da una stadiazione mediante tomografia computerizzata<br />

a raggi X. Il suo ausilio per la definizione dei rapporti di contiguità e di<br />

continuità è di estrema importanza per definire l’estensione della chirurgia in<br />

modo consapevole e non basandosi sull’estensione clinica macroscopica della<br />

neoplasia. In uno studio è stato dimostrato che il clinico con la palpazione sottostima<br />

di circa 4 volte le dimensioni verificate con la tomografia computerizzata.<br />

2 Questo dato offre un ulteriore appoggio al divieto assoluto di eseguire<br />

biopsie escissionali o chirurgie marginali in lesioni sottocutanee localizzate in<br />

aree sensibili per l’insorgenza dei sarcomi felini indotti da iniezione senza prima<br />

avere una diagnosi citologica e/o istologica di conferma. L’esecuzione della<br />

tomografia computerizzata a raggi X oltre a favorire un corretto e approfondito<br />

studio della malattia locale consente di evidenziare in modo non costante<br />

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le cosiddette “skip metastasis” meglio conosciute anche come metastasi a salto<br />

e costituite da cellule neoplastiche o gruppi di cellule neoplastiche che sono generalmente<br />

esterne alla pseudocapsula e non sono mai macroscopicamente evidenti.<br />

Questa caratteristica è generalmente associata ai sarcomi dei tessuti molli<br />

soprattutto se di alto grado istologico. La loro mancata asportazione può favorire<br />

la recidiva in sarcomi ritenuti sulla base istologica asportati completamente,<br />

anche se relativamente alla discrepanza tra esito dei margini e recidiva<br />

nei sarcomi felini indotti da iniezioni molto deve essere ancora ricercato e pubblicato.<br />

Sempre relativamente alla chirurgia ad ampi margini o radicale, sono ritenute<br />

importanti sia la fase cosiddetta demolitiva che quella ricostruttiva. La<br />

scarsa aggressività chirurgica nei confronti di una neoplasia può dipendere da<br />

numerosi fattori ma tra questi la scarsa attitudine a ricostruire difetti cutanei ampi<br />

di forme geometriche che coincidono con la forma rettangolare, quadrata o<br />

ellittica possono inficiare l’esecuzione di una corretta fase demolitiva comportando<br />

un risparmio di cute e sottocute e quindi di ottenere un potenziale margine<br />

di escissione esiguo o infiltrato. Per quanto è difficile ritrovare nei testi e negli<br />

articoli esplicitato il pattern di escissione suggerito, quello quadrato e rettangolare<br />

sono di fatto i più utilizzati. La ricostruzione di questi difetti può esitare<br />

in ferite a forma di X, Y, doppia Y o H. La ferita lineare solitamente è auspicata<br />

perché si riduce la probabilità di necrosi e deiscenza della ferita, tuttavia<br />

quando il pattern rettangolare e quadrato vengono impiegati con la creazione<br />

di ampi difetti una chiusura lineare è difficile da ottenere senza il rischio di<br />

avere una ferita sotto tensione. Pertanto in questi casi è sempre consigliato impiegare<br />

pattern di ricostruzione di difetti rettangolari e quadrati delle ferite a Y,<br />

X, doppia Y o H anche se nei punti di incrocio è più probabile avere contenute<br />

aree di deiscenza che difficilmente condizionano il postoperatorio.<br />

L’approccio chirurgico rappresenta uno strumento insostituibile per la gestione<br />

terapeutica dei sarcomi felini indotti da iniezione e non solo, tuttavia è<br />

opinione comune che gli alti tassi di recidiva suggeriscano l’impiego di terapie<br />

adiuvanti quali la radioterapia, come prima opzione, la chemioterapia, l’elettrochemioterapia<br />

e l’immunoterapia.<br />

L’approccio radioterapico quale terapia neoadiuvante o adiuvante alla chirurgia<br />

ad ampi margini è invocato da molti autori. Il valore terapeutico della<br />

radioterapia è indiscusso sia in medicina umana che in medicina <strong>veterinaria</strong>,<br />

tuttavia in Italia la momentanea assenza di questo prezioso ausilio terapeutico<br />

non sempre consente a tutti i potenziali fruitori di accedervi con facilità dato<br />

che le strutture disponibili risiedono all’estero. Questo aspetto logistico comunque<br />

non deve in alcun modo inibire la proposta nei consulti oncologici<br />

dato che per la prevenzione della recidiva locale la radioterapia rimane il miglior<br />

ausilio terapeutico ad oggi disponibile.<br />

La radioterapia è una terapia che principalmente viene applicata localmente<br />

a differenza della chemioterapia per la quale si riconosce soprattutto l’im-<br />

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piego sistemico. Nel controllo della malattia locale il suo impiego può essere<br />

preoperatorio e postoperatorio. L’impiego neoadiuvante o preoperatorio, si<br />

prefigge di avere una maggiore efficacia dato che le cellule resistenti sono teoricamente<br />

presenti in una piccola percentuale e la distribuzione della vascolarizzazione<br />

non è alterata. L’attività citoriduttiva esplicata dalla radioterapia<br />

preoperatoria dovrebbe facilitare la successiva exeresi chirurgica e ridurre il rischio<br />

di disseminazione intraoperatoria di cellule neoplastiche, tuttavia l’effetto<br />

collaterale temuto è la deiscenza della ferita chirurgica. Relativamente all’impiego<br />

postoperatorio si ritiene che la sua efficacia possa essere ottima dato<br />

che le radiazioni ionizzanti agiscono sulle particelle tumorali microscopiche<br />

lasciate dalla chirurgia definitiva. L’impiego adiuvante presenta alcuni limiti<br />

quali: l’area da irraggiare è molto più vasta, potenzialmente ci potrebbero essere<br />

più cellule radioresistenti ipossiche da alterata vascolarizzazione indotta<br />

dalla chirurgia ed inoltre l’intervallo di tempo tra la chirurgia e l’inizio della<br />

radioterapia può favorire la ripopolazione delle cellule tumorali.<br />

Solo due studi hanno indagato l’impatto della radioterapia adiuvante sul<br />

tasso di recidiva e i risultati emersi dimostrano tassi di recidiva del 32% per<br />

margini infiltrati e del 42% per margini liberi anche se l’intervallo libero da<br />

malattia per i margini esenti da cellule neoplastiche era soddisfacente con<br />

700-986 giorni di mediana. 1<br />

L’applicazione postoperatoria della radioterapia nel trattamento multimodale<br />

del sarcoma felino indotto da iniezione, ha prodotto risultati simili con tassi<br />

di recidiva del 41% e un tempo libero da malattia mediano di 405 giorni. 3 In un<br />

altro studio al trattamento radioterapico è stata associata la chemioterapia con<br />

doxorubicina e la percentuale di recidiva è stata del 28% con un tempo libero<br />

da malattia mediano di 661 giorni. L’intervallo di tempo che intercorre tra la<br />

chirurgia e l’inizio della radioterapia non dovrebbe essere superiore ai 10-14<br />

giorni ed è stato accertato che l’aumento di questo intervallo di tempo si traduce<br />

in una riduzione del tempo di recidiva locale e del tempo di sopravvivenza.<br />

L’alto tasso di recidiva non giustifica in questo caso, così come in altri,<br />

l’assunto che la radioterapia preoperatoria e/o postoperatoria sia fallimentare<br />

o poco incoraggiante in quanto pochi sono gli studi eseguiti soprattutto sul<br />

sarcoma iniezione indotto e molte sono le variabili che possono aver inficiato<br />

il risultato come: istotipo, modalità di valutazione dei margini e dimensioni<br />

delle neoplasie arruolate allo studio. Sicuramente dovranno essere istituiti<br />

protocolli di radioterapia più aggressivi.<br />

La chemioterapia rappresenta ancora un capitolo decisamente meno indagato<br />

se si osservano gli studi clinici che valutano l’efficacia di alcune molecole<br />

come doxorubicina, carboplatino, ciclofosfamide, imatinib, ifosfamide. Tuttavia<br />

in vitro alcuni studi hanno dimostrato una buona attività antineoplastica<br />

che in molti casi non è riconfermata in vivo. Da questo si deduce il motivo per<br />

cui il ruolo della chemioterapia nella terapia dei sarcomi felini iniezione indotti<br />

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e più in generale nei sarcomi dei tessuti molli non sia ben definito anche se la<br />

sua applicazione è in funzione più che per il controllo locale della malattia per<br />

la prevenzione della sua evoluzione metastatica. In medicina umana i protocolli<br />

in polichemioterapia con doxorubicina hanno dimostrato in modo statisticamente<br />

significativo la loro efficacia clinica nella modalità adiuvante dopo<br />

40 anni di studi. Relativamente ai sarcomi felini iniezione indotti l’associazione<br />

doxorubicina + ciclofosfamide in neoplasie non trattate chirurgicamente ha<br />

portato alla riduzione del 39-50% delle dimensioni del tumore ma il tempo di<br />

sopravvivenza andava da 125 ai 242 giorni in due distinti studi.<br />

Quando associata a chirurgia i risultati appaiono comunque discordanti.<br />

Nel lavoro di Poirier et al. il suo impiego adiuvante consente di ottenere intervalli<br />

liberi da malattia confortanti con 393 giorni rispetto ad un gruppo di<br />

controllo storico di 94 giorni con sola chirurgia. 3 Nello studio di Martano et<br />

al. la doxorubicina è stata impiegata sia con modalità neoadiuvante che adiuvante<br />

riscontrando tassi di recidiva del 41% nel gruppo neoadiuvante e del<br />

35% nel gruppo adiuvante. 4 Il tasso metastatico riportato in questo studio era<br />

del 12 e 10% rispettivamente per il gruppo neoadiuvante e adiuvante. L’impiego<br />

di protocolli in monochemioterapia rende meno probabili gli effetti tossici,<br />

tuttavia si ricorda di selezionare i pazienti ammissibili a questi protocolli<br />

previ meticolosi screen ematologici.<br />

Concludiamo ricordando che terapie decisamente promettenti sono state proposte<br />

come l’elettrochemioterapia e l’immunoterapia. Inoltre si vuole riaffermare<br />

che, per quanto la recidiva sia comunque possibile, il protocollo che viene consigliato<br />

è: chirurgia ad ampi margini/radicale associato a terapie adiuvanti come<br />

radioterapia, chemioterapia o elettrochemioterapia 5 e immunoterapia 1 .<br />

Bibliografia<br />

1. Liptak JM, Forrest LJ, (2007), Withrow & MacEvens Small Animal Clinical Oncology, 4th ed, Saunders<br />

Elsevier, 425-454.<br />

2. McEntee MC, Page RL, (2001), Feline vaccine associated sarcomas, J Vet Inter Med, 15: 176-182.<br />

3. Poirier VJ, Thamm DH, Kurzman ID et al (2002) Liposome-encapsulated doxorubicin (Doxil) and<br />

doxorubicin in the treatment of vaccine-associated sarcomas in cats. J Vet Intern Med, 16:726-731.<br />

4. Martano M, Morello E, Ughetto M et al. (2005), Surgery alone versus surgery and doxorubicin for<br />

the treatment of feline injection site sarcomas: a report on 69 cases, Vet J, 170: 84-90.<br />

5. Spugnini EP, Baldi A, Vincenzi B et al. (2006), Intraoperative versus postoperative electrochemotherapy<br />

in high grade soft tissue sarcomas: a preliminary study in a spontaneous feline model, Cancer<br />

Chemother Pharmacol, 59: 375-381.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Damiano Stefanello<br />

Sezione di Clinica Chirurgica Veterinaria - Dipartimento di Scienze Cliniche Veterinarie<br />

Università degli Studi di Milano - Via Ponzio, 7 - 20133 Milano<br />

Tel. 0250317800 - Fax 0250317817 - E-mail: damiano.stefanello@unimi.it<br />

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Silvia Tasca<br />

Med Vet, Padova, Italia<br />

Sangue e tumori:<br />

tutto quello che si può vedere<br />

in un prelievo<br />

Venerdì, 7 Marzo 2008, ore 17.50<br />

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Alle soglie del terzo millennio, il crescente interesse in <strong>veterinaria</strong> per<br />

l’oncologia ha permesso negli ultimi anni lo sviluppo di nuove tecniche diagnostiche<br />

atte a garantire e migliorare la qualità del lavoro. Anche la medicina<br />

di laboratorio, in questo contesto di importanti sviluppi, ha acquisito<br />

un’applicabilità su larga scala, grazie alla maggior disponibilità di procedure<br />

diagnostiche in medicina <strong>veterinaria</strong> e alla presa di coscienza generale dell’importanza<br />

di tale scienza nell’approccio clinico al paziente. A seguito di un<br />

evento neoplastico, in particolar modo, si possono generare molteplici alterazioni<br />

di laboratorio (segni clinici) causate dall’espansione locale e/o a distanza<br />

(metastasi) del tumore o indotte da fattori umorali (citochine, ormoni), secreti<br />

dal tessuto neoplastico o dal sistema immunitario contro il tumore stesso<br />

(sindrome paraneoplastica). L’identificazione di tali alterazioni risulta di<br />

notevole importanza in quanto le stesse possono essere manifestazioni precoci<br />

di un evento neoplastico, possono risultare letali o influenzare la scelta terapeutica<br />

e/o chirurgica. La selezione di quali alterazioni descrivere si basa<br />

principalmente sulla frequenza del segno clinico e sulla specificità dello stesso.<br />

Si prendono in esame di seguito: l’anemia, la leucocitosi, i disordini emostatici,<br />

la gammopatia monoclonale, l’eritrocitosi e l’eosinofilia, come alterazioni<br />

ematologiche e l’ipercalcemia e l’ipoglicemia in qualità di alterazioni<br />

metaboliche ed endocrine.<br />

L’anemia, alterazione molto frequente in oncologia, riconosce cinque<br />

meccanismi patogenetici:<br />

• da flogosi cronica<br />

• da soppressione midollare<br />

• emolitica<br />

• emorragica<br />

• da sequestro.<br />

L’anemia da flogosi cronica è tipicamente un’anemia normocitica nomocromica<br />

lieve/moderata non rigenerativa. Le citochine (interleuchina 1 - IL-1,<br />

interferone - INF, tumor necrosis factor - TNF e tumor growth factor-beta -<br />

TGF-β) rilasciate a seguito di un evento flogistico riducono infatti, l’emivita<br />

eritrocitaria, alterano l’utilizzo del ferro e rendono i precursori eritroidi refrattari<br />

all’eritropoietina (Epo).<br />

L’anemia da soppressione midollare generalmente si accompagna anche<br />

ad altre citopenie periferiche (neutropenia e piastrinopenia). L’effetto mieloftisico<br />

e citotossico sono i due meccanismi coinvolti: il primo prevede la compressione<br />

e relativa sostituzione delle filiere ematopoietiche residenti (eritroide,<br />

granulo-monocitaria e megacariocitaria) ad opera della proliferazione<br />

neoplastica (es. leucemie acute o croniche, metastasi di tumori solidi), mentre<br />

il secondo dipende dal rilascio di sostanze citotossiche dalle cellule neoplastiche<br />

(es. estrogeni in corso di neoplasie testicolari ed ovariche).<br />

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L’anemia emolitica consegue o alla produzione di anticorpi contro gli eritrociti<br />

(anemia emolitica immunomediata) o ad un danno ossidativo a carico<br />

della membrana eritrocitaria (eccentrociti, corpi di Heinz) o ad un danno meccanico,<br />

con conseguente frammentazione eritrocitaria (schistocitosi) per un<br />

alterato microcircolo da deposizione di fibrina a livello vascolare (microangiopatia<br />

conseguente a DIC - disseminated intravascular coagulation) o per<br />

effetto diretto del tumore (es. emangiosarcoma). Non è infrequente registrare<br />

la presenza contestuale di più meccanismi.<br />

L’anemia emorragica può presentarsi come acuta o cronica. L’evento<br />

emorragico acuto si realizza in ambito neoplastico a seguito di rottura d’organo<br />

(es. emangiosarcoma splenico) o di coagulopatie. L’evento emorragico<br />

cronico può dipendere da lesioni a carico delle mucose (es. tumori gastroenterici<br />

o urinari), causate direttamente dalla crescita tumorale o da sostanze rilasciate<br />

dal tumore stesso (es. istamina). A seguito di un evento emorragico<br />

cronico si registra una perdita di ferro con conseguente deficit di sintesi dell’emoglobina<br />

e sviluppo di un’anemia ferropriva (anemia microcitica ipocromica),<br />

che si accompagna frequentemente a leucocitosi, piastrinosi, iposideremia<br />

e ipoferritinemia.<br />

L’anemia da sequestro, con relativa organomegalia, si ha in corso di neoplasie<br />

che infiltrano in modo diffuso il parenchima di organi altamente vascolarizzati<br />

(es. disordini linfoproliferativi splenici o epatici).<br />

La leucocitosi è un’altra alterazione comune in ambito neoplastico. I meccanismi<br />

coinvolti sono molteplici:<br />

• fattori di crescita ematopoietici (interleuchina 3 - IL-3, granulocyte-colony<br />

stimulating factor - G-CSF, granulocyte/macrophage-colony stimulating<br />

factor - GM-CSF) prodotti dall’organismo in risposta all’evento neoplastico<br />

o dal tumore stesso (es. polipo adenomatoso rettale)<br />

• processi flogistici conseguenti al danno tissutale o ad infezioni opportuniste<br />

• disordini neoplastici ematopoietici leucemici (es. leucemie mieloidi e linfoidi<br />

acute e croniche).<br />

I disordini emostatici, si dividono in primari e secondari. I primi, riconoscono<br />

la piastrinopenia, la piastrinopatia e la piastrinosi.<br />

La piastrinopenia può dipendere da quattro diversi meccanismi:<br />

• aumentato consumo (DIC)<br />

• distruzione (tromobocitopenia immunomediata)<br />

• mancata produzione (insufficienza midollare)<br />

• sequestro (organomegalia).<br />

La piastrinopatia rientra in ambito neoplastico nella sindrome da iperviscosità,<br />

che si verifica a seguito di un incremento della viscosità del sangue<br />

con conseguenti ipoperfusione, ipossia tissutale (rene, cervello) e difetto di<br />

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adesione piastrinica. Si osserva in corso di ipergammaglobulinemia o eritrocitosi<br />

marcate (vedi oltre).<br />

La piastrinosi in ambito neoplastico si associa a:<br />

• flogosi (piastrinosi reattiva)<br />

• corticosteroidi (es. adenoma/adenocarcinoma ipofisario o surrenalico)<br />

• anemia ferropriva (tumori gastroenterici o urinari)<br />

• disordini mieloproliferativi cronici primari a carico della sola filiera megacariocitaria<br />

(Trombocitemia Essenziale - TE) o associati a contestuale<br />

iperplasia mieloide ed eritrocitaria (Policitemia Vera - PV)<br />

• neoplasie polmonari.<br />

Nei disordini emostatici secondari rientrano la DIC e l’iperfibrinogenolisi<br />

primaria. Quest’ultima si definisce come un’eccessiva attività fibrinogenolitica,<br />

caratterizzata da una spontanea attivazione del plasminogeno in plasmina,<br />

con conseguente ipofibrinogenemia, aumento degli FDP’s, del PT e dell’aPTT<br />

e D-dimeri nella norma. Segnalata in corso di disordini linfoproliferativi,<br />

carcinomi uroteliali ed emangiosarcomi.<br />

La gammopatia monoclonale, si verifica a seguito della produzione clonale<br />

di immunoglobuline A-M-G (IgA, IgM, IgG) ad opera di disordini linfoproliferativi<br />

neoplastici quali, il mieloma multiplo (MM), la macroglobulinemia<br />

di Waldenstrom, il linfoma e la leucemia linfocitica cronica (CLL).<br />

L’eritrocitosi si distingue in assoluta e relativa. La relativa, conseguente<br />

ad una ridistribuzione della massa eritrocitaria, da disidratazione o da contrazione<br />

splenica, non è primariamente di interesse oncologico. L’eritrocitosi assoluta,<br />

che prevede un aumento della massa eritrocitaria si osserva in corso di<br />

talune patologie neoplastiche. L’eritrocitosi assoluta primaria si realizza nei<br />

disordini mieloproliferativi primariamente eritroidi (sindrome di Vasquez) e<br />

nella PV. In questi casi, trattandosi di disordini neoplastici non eritropoietina<br />

(Epo) dipendenti, la concentrazione di Epo e la pressione parziale di ossigeno<br />

(pO 2 ) dovrebbero essere nella norma; tuttavia l’iperviscosità secondaria fa<br />

spesso registrare una riduzione della pO 2 e un aumento della concentrazione<br />

di Epo. L’eritrocitosi assoluta secondaria si distingue ulteriormente in appropriata<br />

e inappropriata. L’appropriata si realizza a seguito di cardiopatie/pneumopatie,<br />

dove una caduta della pO 2 fa registrare un incremento nella sintesi<br />

di Epo con relativa eritrocitosi (eritrocitosi ipossica). L’inappropriata invece,<br />

si nota in corso di neoplasie Epo “secernenti”. L’aumentata secrezione di Epo<br />

si deve o a una produzione da parte del tessuto neoplastico (epatomi/epatoblastomi)<br />

o ad un evento ipossico locale renale (linfomi e carcinomi renali).<br />

L’eosinofilia è stata descritta in corso di linfomi, mastocitomi, sarcomi (fibrosarcomi),<br />

carcinomi mammari anaplastici e uroteliali. Nel corso di tali<br />

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eventi neoplastici, la produzione di alcune citochine da parte del tessuto neoplastico<br />

è considerata responsabile di tale alterazione ematologica (eosinofilia<br />

paraneoplastica). L’interleuchina 5 (IL-5), che promuove la differenziazione<br />

in senso eosinofilico dei precursori mieloidi, risulta primariamente coinvolta.<br />

D’altra parte gli eosinofili possono mediare una risposta citotossica<br />

antitumorale: l’infiltrazione eosinofilica locale, che spesso si documenta in<br />

ambito istopatologico, potrebbe rappresentare il tentativo dell’organismo di<br />

circoscrivere il tumore stesso. In vitro, infatti, alcuni studi hanno dimostrato<br />

la capacità degli eosinofili di produrre proteine in grado di distruggere le cellule<br />

neoplastiche.<br />

L’eosinofilia può essere inoltre osservata nei disordini mieloproliferativi<br />

acuti e cronici (es. leucemia mastocitaria, leucemia eosinofilica cronica,<br />

PV).<br />

L’ipercalcemia, alterazione elettrolitica molto frequente in ambito oncologico<br />

si associa:<br />

• ad aumentato riassorbimento osseo e/o intestinale del Ca ++ per<br />

✓ aumentata produzione del paratormone (PTH) o di una proteina correlata<br />

al PTH (PTH-rp) da parte del tessuto neoplastico (ipercalcemia<br />

umorale - HHM)<br />

✓ fenomeni osteolitici (ipercalcemia osteolitica locale), secondari al rilascio<br />

di un fattore attivante gli osteoclasti (OAF), di prostaglandine di tipo<br />

E, di interleuchina 1-beta (IL-1β) e del tumor necrosis factor-beta<br />

(TNF-β) in corso di neoplasie che interessano primariamente o secondariamente<br />

il tessuto osseo<br />

✓ incremento della vitamina D (ipervitaminosi D)<br />

• ad un aumento delle proteine leganti il calcio (con conseguente diminuzione<br />

del calcio ionico e aumento del PTH).<br />

A fronte di un’ipercalcemia sierica è necessario procedere al dosaggio contestuale<br />

del calcio ionico (Ca ++ ) e del PTH.<br />

Si possono verificare le seguenti combinazioni:<br />

• PTH diminuito e Ca ++ aumentato, considerare in diagnosi differenziale<br />

→ neoplasie PTH-rp secernenti<br />

✓ linfoma<br />

✓ adenocarcinoma delle ghiandole apocrine (es. adenocarcinoma dei sacchi<br />

anali)<br />

✓ carcinoma tiroideo, timico, mammario, ovarico e squamoso<br />

✓ mieloma multiplo<br />

✓ leucemia linfocitica cronica<br />

✓ melanoma<br />

→ ipervitaminosi D<br />

✓ linfoma<br />

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✓ adenocarcinoma delle ghiandole apocrine (es. adenocarcinoma dei sacchi<br />

anali)<br />

→ tumori associati ad osteolisi (primari e secondari)<br />

✓ osteosarcoma<br />

✓ mieloma multiplo<br />

✓ metastasi ossee<br />

• PTH aumentato e Ca ++ normale/diminuito<br />

✓ insufficienza renale cronica<br />

• PTH normale/aumentato e Ca ++ normale/aumentato<br />

✓ adenoma/carcinoma delle paratiroidi (iperparatiroidismo primario)<br />

✓ mieloma multiplo<br />

✓ iperparatiroidismo terziario.<br />

L’ipoglicemia, riconosce quattro diversi meccanismi:<br />

• eccessiva secrezione di insulina o fattori insulino-simili (insulin growth<br />

factor - I-II, IGF - I-II)<br />

• eccessivo consumo di glucosio<br />

• inibizione della glucogenolisi<br />

• inibizione della gluconeogenesi.<br />

È stata documentata in corso di: insulinomi (adenocarcinoma delle cellule<br />

beta del pancreas), carcinomi epatocellulari e polmonari, leiomiomi e leiomiosarcomi,<br />

emangiosarcomi, disordini linfo e mieloproliferativi e tumori<br />

metastatici al fegato, con conseguente insufficienza d’organo.<br />

Letture consigliate<br />

Dobson JM, Lascelles BDX, (2004), Manual of canine and feline oncology, 2nd ed, BSAVA.<br />

Ettinger SJ, Feldman EC, (2005), Textbook of veterinary internal medicine, 6th ed, Saunders.<br />

Marconato L, Del Piero F, (2005), <strong>Oncologia</strong> medica dei piccoli animali, Poletto.<br />

Meuten DJ, (2002), Tumors in Domestic Animal, 4th ed, Blackwell.<br />

Romanelli G, (2007), <strong>Oncologia</strong> del cane e del gatto, Masson.<br />

Stockhman ST, Scott MA, (2002), Fundamentals of veterinary clinical pathology, Blackwell.<br />

Withrow SJ, Vail D, (2007), Small animal clinical oncology, 4th ed, Saunders.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Silvia Tasca<br />

DVM, Laboratorio privato d’analisi veterinarie “San Marco”<br />

Via Sorio, 114/c - 35141 Padova<br />

Tel. 049-8561098 - Fax 02-700518888 - E-mail: st@sanmarcovet.it<br />

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COMUNICAZIONI<br />

BREVI<br />

Gli estratti sono elencati in ordine alfabetico secondo il cognome del relatore<br />

e quindi in ordine cronologico di presentazione.


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CONSIDERAZIONI TERAPEUTICHE IN UN CASO<br />

DI CARCINOMA SQUAMO-CELLULARE IN UN FURETTO<br />

(Mustela putorius furo)<br />

Mattia Bielli 1 Med Vet; Giordano Nardini 2 Med Vet<br />

Massimo Vignoli 3 Med Vet, SRV<br />

1<br />

Libero Professionista, Novara, No<br />

2<br />

Libero Professionista, Spilamberto, Mo<br />

3<br />

Libero Professionista, Sasso Marconi, Bo<br />

Introduzione. Per quanto l’incidenza di malattie neoplastiche nel furetto sia<br />

estremamente elevata 1,2 , il carcinoma squamo-cellulare (CSC) risulta di relativo<br />

raro riscontro 3 e in letteratura è possibile rintracciare solamente due casi<br />

in cui sia stato tentato un controllo della patologia tramite l’impiego di chemioterapici<br />

3,4 .<br />

Dal momento che esistono oggettive difficoltà nel condurre studi controllati<br />

per valutare tossicità ed efficacia dei farmaci antitumorali, risulta importante,<br />

soprattutto nelle specie “non convenzionali”, raccogliere le informazioni<br />

aneddotiche al riguardo 5 .<br />

Descrizione del caso. Noè, furetto “Marshall”, maschio castrato di 2 anni e 5<br />

mesi, è stato presentato alla visita per una tumefazione localizzata al labbro<br />

superiore destro, un esame del cavo orale in anestesia generale evidenziava<br />

una neoformazione iperemica di circa 8x4 mm interessante la gengiva e il vestibolo<br />

buccale di destra in corrispondenza dei due premolari.<br />

L’esame ematobiochimico rilevava come unica alterazione un aumento di<br />

ALKP a valori di 242 U/l (9-84 U/l 6 ) mentre l’esame istopatologico di un<br />

campione bioptico ha successivamente permesso di evidenziare un carcinoma<br />

squamo-cellulare.<br />

I successivi approfondimenti diagnostici (esame radiografico del torace, ecografia<br />

addominale e TC della lesione) hanno permesso di determinare le dimensioni<br />

e l’estensione della neoplasia e di escludere la presenza di metastasi<br />

evidenti in atto.<br />

Discussione. Nel caso esposto, apportando alcune modifiche rispetto a quanto<br />

segnalato 4 , si è impiegato un protocollo a base di bleomicina al dosaggio di<br />

20 U/m 2 /il associata a due trattamenti di doxorubricina al dosaggio di 25<br />

mg/m 2 /iv ai giorni 1 e 15.<br />

La terapia proposta, è tutt’ora in atto da circa 45 giorni e la neoplasia sembra<br />

aver arrestato il suo rapido accrescimento verificatosi dal momento dell’iniziale<br />

biopsia all’inizio del trattamento; il soggetto è in buona salute e i riscontri<br />

ematobiochimici non evidenziano alterazioni imputabili al progredire<br />

della neoplasia.<br />

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Sebbene risulti prematuro trarre conclusioni sulla piena efficacia, è possibile<br />

affermare che la terapia è ben tollerata e appare in grado di limitare l’espansione<br />

della lesione.<br />

Bibliografia<br />

1. Li X, Fox JG, Padrid PA. Neoplastic diseases in ferrets: 574 cases (1968-1997) J. Am. Vet. Med. Assoc.<br />

1998; 212(9):1402-6.<br />

2. Williams BH, Weiss CA. Ferret neoplasia. In: Quesenberry KE, Carpenter JW, eds. Ferrets, rabbits<br />

and rodents: clinical medicine. 2nd edition. St. Louis (MO), Saunders; 2003:91-106.<br />

3. Antinoff N., Hahn K. Ferret oncology: diseases, diagnostics, and therapeutics. Vet. Clin. Exotic<br />

Anim. 7 (2004):579-625.<br />

4. Hamilton TA, Morrison WB. Bleomycin chemotherapy for metastatic squamous cell carcinoma in a<br />

ferret. J. Am. Vet. Med. Assoc. 1991; 198(1):107-8.<br />

5. Kent MS. The use of chemotheraphy in exotic animals. Vet. Clin. Exotic Anim.7 (2004):807-820.<br />

6. Fox JG. Normal clinical and biological perameters. In: Fox Jg (ed.): Biology and Diseases of the ferret.<br />

Lea & Febiger, 1988: 159-173.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Mattia Bielli<br />

Ambulatorio Veterinario<br />

V.le M. Buonarroti, 20/a - 28100 Novara (NO)<br />

E-mail: mattia.bielli@fastwebnet.it<br />

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CHIRURGIA ONCOLOGICA DEI TESSUTI MOLLI:<br />

CONFRONTO TRA DUE DIFFERENTI GEOMETRIE DI ESCISSIONE<br />

AVVALENDOSI DEL SARCOMA INIEZIONE INDOTTO FELINO<br />

QUALE MODELLO SPERIMENTALE<br />

Alessandro Ferrari 1 Med Vet; Damiano Stefanello 2 Med Vet, PhD<br />

Stefano Romussi 3 Med Vet, PhD; Matteo Cantatore 4 Med Vet<br />

Giuliano Ravasio 5 Med Vet, PhD; Lucia Borghi 6 Med Vet<br />

Valeria Grieco 7 Med Vet, PhD; Mauro Di Giancamillo 8 Med Vet, PhD<br />

1,2,3,4,5,6<br />

Sezione di Clinica Chirurgica Veterinaria, Dipartimento di Scienze<br />

Cliniche Veterinarie, Università degli Studi di Milano<br />

7<br />

Sezione di Anatomia Patologica Veterinaria e Patologia Aviare,<br />

Dipartimento di Patologia Animale, Igiene e Sanità Pubblica Veterinaria,<br />

Università degli Studi di Milano<br />

8<br />

Sezione di Radiologia Veterinaria Clinica e Sperimentale, Dipartimento<br />

di Scienze Cliniche Veterinarie, Università degli Studi di Milano<br />

Scopo del lavoro. Confrontare l’escissione fusiforme con l’escissione rettangolare<br />

nella chirurgia oncologica ad ampi margini/radicale, utilizzando come<br />

modello il sarcoma iniezione indotto felino (SIIF).<br />

Materiali. SIIF diagnosticati istologicamente, sottoposti a chirurgia ad ampi<br />

margini/radicale.<br />

Metodi impiegati. Sono stati inclusi allo studio i casi che rispettassero i seguenti<br />

criteri assoluti di inclusione: localizzazione della neoplasia al tronco,<br />

nessuna terapia neo-adjuvante, assenza di metastasi, follow-up minimo di 130<br />

giorni. I pazienti sono stati arruolati in maniera consecutiva e non randomizzata.<br />

I pazienti sono distinti in due gruppi denominato A se il tumore è stato asportato<br />

con escissione fusiforme e B se rettangolare. Inoltre sono stati riportati il<br />

segnalamento, la presentazione clinica, la sede ed il volume della neoplasia (calcolato<br />

utilizzando la formula 4/3πr 3 , considerando r la metà del diametro maggiore<br />

misurato in TC). La durata della chirurgia è stata calcolata dalla dieresi<br />

iniziale al termine della sintesi del piano cutaneo. La chirurgia è stata eseguita<br />

sempre dallo stesso chirurgo. La sintesi del difetto chirurgico è risultata lineare,<br />

qualora applicabile, oppure a Y, a doppia Y o ad H. I margini sono stati classificati<br />

istopatologicamente come puliti o infiltrati. Per la valutazione post-operatoria<br />

della ferita chirurgica sono state considerate le complicanze precoci, occorse<br />

nei primi 15 giorni (deiscenza, necrosi, infezione, sieroma, ematoma od<br />

emorragia). Il risultato estetico (buono o scarso) e funzionale (conservato o non)<br />

sono stati valutati a 130 giorni dalla chirurgia. Il Mann-Whitney test è stato utilizzato<br />

per comparare il volume ed il tempo della chirurgia tra i due gruppi mentre<br />

il test Chi-quadro per comparare le differenze tra i gruppi in termini di complicanze<br />

e margini di escissione (P


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Risultati ottenuti. Quarantaquattro SIIF appartenenti a 44 gatti sono stati arruolati<br />

allo studio: 20 nel gruppo A e 24 nel B. In 7 su 20 nel gruppo A e 5 su 24 nel<br />

B si trattava di recidive locali. Nel gruppo A, 6 erano localizzati nella regione interscapolare,<br />

6 nella regione toracica e 8 sulla parete addominale laterale. Nel<br />

gruppo B, 14 erano interscapolari, 7 sulla parete toracica, 2 a livello lombare e 1<br />

sulla parete addominale laterale. Il volume mediano è stato significativamente inferiore<br />

nel gruppo A rispetto al B (6,2 cm 3 contro 33,7 cm 3 con P=0,021). La durata<br />

mediana della chirurgia è stata di 60 e 120 minuti rispettivamente in A e B<br />

(P=0,001). La sintesi finale è stata lineare in 19 casi e ad Y in un caso nel gruppo<br />

A, mentre nel B è stata in un caso ad H, in 10 ad Y semplice e in 13 a doppia<br />

Y. I margini di escissione sono risultati puliti in 15 casi su 20 nel gruppo escissione<br />

fusiforme e in 16 su 24 nel gruppo escissione rettangolare; tale differenza<br />

non è statisticamente significativa (P=0,546). Le complicanze della guarigione<br />

della ferita hanno interessato 4 casi su 20 (20%) nel gruppo A e 9 su 24 (37,5%)<br />

nel gruppo B in assenza di differenze statisticamente significative (P=0,205). Tre<br />

gatti, tutti appartenenti al gruppo B e senza alcuna complicanza postoperatoria,<br />

hanno manifestato prurito cronico risoltosi spontaneamente nell’arco di 3 mesi.<br />

Il tempo di guarigione mediano per entrambi i gruppi è stato di 15 giorni. Il risultato<br />

estetico è stato giudicato buono in tutti i pazienti tranne in uno nel gruppo<br />

B; il risultato funzionale è stato conservato in tutti i casi.<br />

Conclusioni. L’esecuzione corretta di una escissione fusiforme che consideri l’adeguatezza<br />

dei margini e il rispetto del rapporto lunghezza:larghezza di 3:1 risulta<br />

poco praticabile nell’approccio chirurgico ad ampi margini, rispetto all’escissione<br />

rettangolare che deve unicamente rispettare il margine di sicurezza. L’escissione<br />

rettangolare si associa a tempi chirurgici più lunghi, sebbene ciò sia da<br />

imputare non solo alle più complesse tecniche di ricostruzione ma in buona parte<br />

anche alla maggiore dimensione delle neoplasie nel gruppo B. I risultati ottenuti<br />

evidenziano come l’escissione rettangolare consenta l’asportazione di neoplasie<br />

significativamente più voluminose senza influenzare l’evoluzione postoperatoria<br />

della ferita chirurgica e garantendo al contempo l’adeguatezza dei margini.<br />

Bibliografia<br />

Gilson S.D., Stone E.A.: Principles of oncologic surgery. Compendium for Continuing Education for the<br />

Practicing Veterinarian 1990; 12(6): 827-839.<br />

Pavletic M.M.: Atlas of small animal reconstructive surgery (second edition) ed. WB Saunders Company,<br />

Philadelphia 1999.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Damiano Stefanello<br />

Sezione di Clinica Chirurgica Veterinaria, Dipartimento di Scienze Cliniche Veterinarie,<br />

Facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Milano<br />

Via Celoria 10 - 20133 Milano, Italia<br />

Tel. +39 0250317800 - Fax +39 0250317817 - E-mail: damiano.stefanello@unimi.it<br />

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MASTOCITOMA CANINO CON COINVOLGIMENTO MIDOLLARE:<br />

CARATTERISTICHE CLINICHE, PATOLOGICHE<br />

ED OPZIONI TERAPEUTICHE PER NELL’ERA DELL’IMATINIB<br />

Laura Marconato 1 Med Vet; Giuliano Bettini 2 Med Vet, Prof Ass<br />

Claudio Giacoboni 1 Med Vet; Giorgio Romanelli 3 Med Vet, Dipl ECVS<br />

Alessandro Cesari 2 Med Vet; Andrea Zatelli 4 Med Vet<br />

Eric Zini 5 Med Vet, Dipl ECVIM<br />

1<br />

Libero professionista, Clinica Veterinaria L’Arca, Napoli<br />

2<br />

Dipartimento di Sanità Pubblica e Patologia Animale,<br />

Università di Bologna, Ozzano Emilia<br />

3<br />

Libero professionista, Clinica Veterinaria Nerviano, Nerviano (MI)<br />

4<br />

Libero professionista, Clinica Veterinaria Pirani, Reggio Emilia<br />

5<br />

Clinic for Small Animal Internal Medicine, Vetsuisse Faculty,<br />

University of Zürich, Zürich<br />

Introduzione. Il coinvolgimento neoplastico midollare in corso di mastocitoma<br />

è da considerarsi un raro evento, contraddistinto da decorso clinico aggressivo<br />

e rapido, e prognosi inevitabilmente infausta. Il trattamento è perlopiù<br />

sintomatico. La somministrazione di chemioterapici deve essere attentamente<br />

valutata, dal momento che l’infiltrazione neoplastica midollare si accompagna<br />

generalmente a citopenie periferiche. Ad oggi non esistono studi<br />

prospettici su trattamenti volti a eradicare l’infiltrazione midollare.<br />

Scopo del lavoro. Descrivere le caratteristiche clinico-patologiche di mastocitomi<br />

canini con infiltrazione midollare e confrontare in senso prospettico il<br />

decorso clinico di pazienti sottoposti a terapia sintomatica, chemioterapia e<br />

terapia a bersaglio molecolare.<br />

Materiali e Metodi. Venivano inclusi cani con mastocitoma cutaneo sottoposti<br />

a stadiazione completa con infiltrazione neoplastica midollare (mastociti>10%<br />

di tutte le cellule nucleate o, se atipici, >5%). I cani venivano assegnati<br />

ai seguenti gruppi: trattamento sintomatico con antistaminici e cortisone;<br />

lomustina in monochemioterapia; imatinib. A causa del costo elevato<br />

del trattamento con imatinib, l’assegnazione nei gruppi non era randomizzata.<br />

Per valutare la risposta antitumorale, la stadiazione veniva ripetuta<br />

mensilmente.<br />

Risultati. Venivano inclusi 13 cani: 10 avevano un nodulo cutaneo singolo e<br />

3 avevano noduli multipli. Il coinvolgimento di linfonodi regionali, milza o<br />

fegato era comune; in tutti i cani era dimostrato coinvolgimento midollare<br />

(mastociti: 17-85% di ANC). L’esame emocromocitometrico evidenziava comunemente:<br />

anemia non rigenerativa, leucopenia o trombocitopenia. In 4 cani<br />

si osservavano mastociti circolanti. In 4 cani non si evidenziava alcuna anomalia<br />

ematologica, nonostante infiltrazione midollare pari a 17-33%. L’ema-<br />

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tochimica evidenziava aumento di fosfatasi alcalina e alanina transferasi in 11<br />

e 10 cani, rispettivamente.<br />

Otto cani erano trattati con lomustina, 2 con imatinib e 3 con trattamento sintomatico.<br />

Imatinib era somministrato soltanto se il tumore mostrava espressione<br />

immunocitochimica aberrante (citoplasmatica) di KIT.<br />

Il trattamento con lomustina induceva remissione parziale in un caso su 8, con<br />

sopravvivenza mediana di 43 giorni (range, 14-57). I 2 cani trattati con imatinib<br />

ottenevano remissione completa, con sopravvivenza di 117 e 159 giorni.<br />

I cani trattati solo con terapia sintomatica venivano sottoposti ad eutanasia dopo<br />

1, 14 e 32 giorni, senza alcuna risposta evidenziabile.<br />

Conclusioni. Il mastocitoma può avere comportamento biologico estremamente<br />

variabile, pertanto la stadiazione completa è fondamentale per valutare<br />

l’estensione neoplastica. In particolare, la scrupolosa valutazione clinica e<br />

laboratoristica rappresentano un valido aiuto nell’identificare pazienti con infiltrazione<br />

midollare. Questo studio conferma aggressività e scarsa trattabilità<br />

di mastocitoma con infiltrazione midollare e suggerisce per la prima volta<br />

il potenziale vantaggio terapeutico di imatinib in pazienti selezionati.<br />

Bibliografia<br />

1. Thamm DH, Vail DM. Mast cell tumors. In: Withrow & MacEwen’s Small Animal Clinical Oncology,<br />

4th ed. Philadelphia: WB Saunders Co; 2007: 402-424.<br />

2. O’Keefe DA, Couto CG, Burke-Schwartz C, Jacobs RM. Systemic mastocytosis in 16 dogs. J Vet Intern<br />

Med 1987; 1:75-80.<br />

3. Takahashi T, Kadosawa T, Nagase M, et al. Visceral mast cell tumors in dogs: 10 cases (1982-1997).<br />

J Am Vet Med Assoc 2000; 216:222-226.<br />

4. Bookbinder PF, Butt MT, Harvey HJ. Determination of the number of mast cells in lymph node, bone<br />

marrow, and buffy coat cytologic specimens from dogs. J Am Vet Med Assoc 1992; 200:1648-1650.<br />

5. McManus PM. Frequency and severity of mastocytemia in dogs with and without mast cell tumors:<br />

120 cases (1995-1997). J Am Vet Med Assoc 1999; 215:355-357.<br />

6. Endicott MM, Charney SC, McKnight JA, et al. Clinicopathological findings and results of bone<br />

marrow aspiration in dogs with cutaneous mast cell tumours: 157 cases (1999-2002). Vet Comp Onc<br />

2007; 5:31-37.<br />

7. Webster JD, Yuzbasiyan-Gurkan V, Kaneene JB, et al. The role of c-KIT in tumorigenesis: evaluation<br />

in canine cutaneous mast cell tumors. Neoplasia 2006; 8:104-111.<br />

8. Webster JD, Kiupel M, Kaneene JB, et al. The use of KIT and tryptase expression patterns as prognostic<br />

tools for canine cutaneous mast cell tumors. Vet Pathol 2004; 41:371-377.<br />

9. London C. Kinase inhibitors in cancer therapy. Vet Comp Onc 2004; 2(4):177-193.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Laura Marconato<br />

Clinica Veterinaria L’Arca<br />

Vico Cacciottoli, 46/47 - 80129 Napoli<br />

E-mail: lauramarconato@yahoo.it<br />

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INDAGINE RETROSPETTIVA<br />

SULL’ESPRESSIONE IMMUNOISTOCHIMICA DI KIT (CD117)<br />

NEI TUMORI MELANOCITARI DEL CANE:<br />

UN POSSIBILE BERSAGLIO TERAPEUTICO?<br />

Elvio Lepri 1 Med Vet, PhD, Dipl ECVP<br />

Chiara Brachelente 1 Med Vet, PhD, Dipl ECVP; Alfredo Dentini 2 Med Vet<br />

Matteo Neroni 2 Med Vet; Giovanni Ricci 1 Med Vet, PhD<br />

Monica Sforna 1 Med Vet, PhD; Luca Mechelli 1 Med Vet Prof. Ord. Pat Gen Vet.<br />

1<br />

Dipartimento di Scienze Biopatologiche Veterinarie,<br />

Facoltà di Medicina Veterinaria Perugia<br />

2<br />

Libero professionista, Clinica Veterinaria Tyrus (Terni)<br />

Scopo del lavoro. Il CD117 (KIT), prodotto del gene c-kit, è un recettore transmembranario<br />

tirosino-chinasico coinvolto nell’omeostasi di molti tipi cellulari,<br />

tra cui mastociti e melanociti; in questi ultimi esso regola svariate attività cellulari<br />

comprese proliferazione, differenziazione, melanogenesi e migrazione.<br />

In medicina <strong>veterinaria</strong> il KIT è studiato soprattutto nei mastocitomi cutanei<br />

del cane, in cui l’aumentata immunoreattività corrisponde spesso alla presenza<br />

di mutazioni di c-kit che ne determinano un’attivazione costituzionale, con<br />

implicazioni prognostiche e terapeutiche.<br />

Il suo coinvolgimento nella patogenesi dei melanomi umani è ancora oggetto<br />

di discussione. Alcuni studi descrivono una riduzione dell’espressione di KIT<br />

sincrona con la progressione neoplastica; recenti lavori propongono una classificazione<br />

dei melanomi umani in sottogruppi (mucosale, cutaneo acrale, cutaneo<br />

con esposizione solare cronica, cutaneo senza esposizione solare cronica)<br />

distinti per frequenza di mutazioni di c-kit e conseguente immunoespressione<br />

di KIT, ipotizzando su questa base una terapia con farmaci inibitori della<br />

tirosina chinasi per i tumori che esprimono KIT.<br />

I tumori melanocitari del cane sono comuni ed hanno un comportamento biologico<br />

ed una prognosi correlata a localizzazione anatomica ed aspetti istologici.<br />

La loro patogenesi non è stata oggetto di studi approfonditi ed in particolare<br />

mancano in letteratura dati relativi al possibile coinvolgimento di KIT.<br />

Scopo del lavoro è valutare l’espressione immunoistochimica di KIT nelle<br />

neoplasie melanocitarie del cane.<br />

Materiali e Metodi. Sono stati valutati 39 tumori melanocitari del cane a diversa<br />

insorgenza (14 cutanei, 11 orali, 4 palpebrali, 3 digitali, 3 oculari e 4 tumori<br />

metastatici da sedi primarie non note) e diverso grado istologico.<br />

I tumori sono stati sottoposti a colorazione immunoistochimica con anticorpo<br />

policlonale anti KIT umano (DAKO); di ciascun tumore sono state esaminate<br />

aree multiple a diversa intensità di pigmentazione e valutate con un sistema<br />

a punteggio soggettivo semiquantitativo che ha consentito di attribuire a<br />

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ciascun tumore un grado immunoistochimico (IIC) alto (High:H), medio<br />

(Medium:M) o basso (Low:L).<br />

Risultati. È stata riscontrata immunoreattività nei confronti di KIT in 29/39<br />

(74%) tumori esaminati. In particolare 9/11 tumori orali, 11/14 tumori cutanei,<br />

4/4 tumori palpebrali, 2/3 tumori digitali, 1/3 tumori oculari e 2/4 tumori<br />

metastatici hanno mostrato un grado variabile di positività.<br />

L’immunoreattività variava da forte-diffusa (grado IIC H: 10 casi) a intermedia-focale<br />

o debole-diffusa (grado IIC M: 10 casi) fino a debole-focale (grado<br />

IIC L: 9 casi). Nel dettaglio i tumori con immunoreattività intensa (grado<br />

IIC H) sono risultati per lo più orali (6) o metastatici (2), con singoli casi di<br />

neoplasia cutanea e digitale.<br />

I tumori orali sono stati classificati con grado IIC H (6 casi) o M (3 casi),<br />

mentre la maggior parte dei tumori cutanei è risultata di grado M (5 casi) o L<br />

(5 casi). I tumori provenienti altre sedi anatomiche hanno manifestato una immunoreattività<br />

da media a debole. Sono stati riscontrati modelli di immunoreattività<br />

eterogenei anche nell’ambito della stessa neoplasia, con una colorazione<br />

che andava da membranaria a citoplasmatica granulare o diffusa, analogamente<br />

a quanto riportato nei mastocitomi cutanei canini.<br />

Conclusioni. Il riscontro di immunoreattività per KIT in una elevata percentuale<br />

di tumori esaminati potrebbe suggerire il coinvolgimento di questo recettore,<br />

e di alcune delle vie di segnalamento intracellulare da esso attivate,<br />

nello sviluppo dei melanomi del cane. In particolare la frequente marcata immunoreattività<br />

dei melanomi orali potrebbe essere correlata al comportamento<br />

biologico spesso maligno di queste neoplasie se confrontato con quello,<br />

tendenzialmente più benigno, dei tumori cutanei o di altre sedi.<br />

L’eterogeneità dei modelli di immunocolorazione spesso compresenti nella<br />

stessa neoplasia, parallelamente al polimorfismo cellulare tipico dei melanomi,<br />

ne rende difficile l’interpretazione in senso prognostico, a differenza di<br />

quanto proposto nei mastocitomi. Sebbene basato su un ridotto numero di casi<br />

e non correlato a dati di follow-up, questo studio retrospettivo rappresenta,<br />

nella nostra opinione, un punto di partenza per ulteriori studi prospettici in cui<br />

l’espressione del KIT venga confrontata con dati relativi all’evoluzione dei tumori.<br />

Il possibile riscontro pratico di tale valutazione potrebbe essere l’applicazione<br />

anche ai melanomi del cane delle terapie a bersaglio molecolare attualmente<br />

in fase di valutazione nei mastocitomi.<br />

Bibliografia disponibile su richiesta all’autore.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Elvio Lepri<br />

Dipartimento di Scienze Biopatologiche ed Igiene delle Produzioni Animali ed Alimentari<br />

Sezione di Patologia e Igiene Veterinaria - Via S. Costanzo, 4 - 06126 Perugia<br />

Tel. 075 5857638 - Fax 075 5857738 - E-mail: elvio.lepri@unipg.it<br />

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L’ESPRESSIONE DELLA METALLOPROTEINASI-2<br />

E DELLA METALLOPROTEINASI-9 NEL COMPORTAMENTO<br />

BIOLOGICO DEL MENINGIOMA DEL CANE E DEL GATTO<br />

Maria Teresa Mandara 1 DVM; Silvia Pavone 2 DVM, PhD<br />

Giuliano Bettini 3 DVM; Luciana Mandrioli 4 DVM, PhD<br />

1-2<br />

Dip. di Scienze Biopatologiche Veterinarie,<br />

Facoltà di Medicina Veterinaria, Università di Perugia, Italia<br />

3-4<br />

Dip. di Sanità Pubblica Veterinaria e Patologia Animale,<br />

Facoltà di Medicina Veterinaria, Università di Bologna, Italia<br />

Scopo del lavoro. Scopo del lavoro è quello di indagare l’espressione dell’attività<br />

metalloproteinasica (MMP2 e MMP9) nei meningiomi del cane e del gatto,<br />

mettendola in relazione con l’espressione dell’attività telomerasica (h-<br />

TERT) e dei recettori per il progesterone (PR88), al fine di individuare parametri<br />

significativi nella valutazione prognostica di tali tumori. Sebbene le MMP<br />

siano state indagate in molte neoplasie del cane e del gatto, nulla emerge ancora<br />

riguardo alla loro specifica espressione nel meningioma di queste specie.<br />

Materiali e Metodi. In questo studio sono stati selezionati ventisei meningiomi,<br />

rispettivamente 11 di cane e 15 di gatto. In 13 casi (5 di cane e 8 di gatto)<br />

il tumore era rappresentato da un campione bioptico, mentre nei restanti<br />

esso è stato campionato durante la necroscopia. Dal tessuto neoplastico fissato<br />

in formalina e incluso in paraffina sono state allestite sezioni di 5 µm, colorate<br />

con EE e sottoposte ad indagine immunoistochimica mediante metodo<br />

avidina-biotina-perossidasi (ABC), utilizzando anticorpi monoclonali umani<br />

anti-MMP2 e MMP9, anti-h-TERT e anti-PR88. Per indagare l’indice di proliferazione<br />

dei tumori sono stati utilizzati l’anticorpo monoclonale anti-proteina<br />

Ki67 umana (clone Mib-1) e anti-PCNA. Per quantificare l’espressione<br />

di ogni specifico marker, è stata eseguita un’indagine morfometrica mediante<br />

analisi di immagine per h-TERT e PR88, e una conta microscopica diretta per<br />

i restanti markers. Per ogni campione, è stato calcolato il valore medio in percentuale<br />

delle cellule positive ottenuto in 10 campi istologici. I risultati così<br />

ottenuti sono stati sottoposti ad indagine statistica (p″0,05).<br />

Risultati. Un esame istologico preliminare ha rivelato l’espressione citoplasmatica<br />

di entrambe le MMP. L’espressione della MMP2 andava da 0,13% a<br />

20,3%, per la MMP9 da 0,13% a 8,16%. Tutti i tumori hanno espresso PCNA,<br />

mentre il ki67 è risultato negativo in cinque casi, due dei quali consistevano in<br />

meningiomi maligni. Il PR ha fatto registrare un range di 1,06-91,22%, mentre<br />

l’h-TERT di 2-92%. I risultati statistici di maggior rilievo sono stati i seguenti:<br />

1. L’indice di proliferazione espresso dal PCNA ha mostrato una deviazione<br />

significativa (P=0,05); tale espressione è risultata più alta nei meningiomi<br />

classificati istologicamente come maligni rispetto ai meningiomi benigni;<br />

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2. L’espressione della MMP2 ha mostrato una significativa relazione lineare<br />

diretta con l’espressione della MMP9 in tutti i casi (P=0,02); tuttavia, l’espressione<br />

di entrambe non è risultata correlata in modo significativo al tipo<br />

istologico di meningioma;<br />

3. L’espressione della MMP2 e della MMP9 non ha mostrato alcuna correlazione<br />

significativa con l’indice di proliferazione espresso dalla PCNA (P=<br />

0,7 per MMP-2, P= 0,19 per MMP-9). Solo l’espressione della MMP2 ha<br />

mostrato una correlazione lineare diretta significativa con l’indice di proliferazione<br />

nei casi che esprimevano Ki67 (P=0,005);<br />

4. L’espressione della MMP2 e della MMP9 non ha mostrato una deviazione<br />

significativa rispetto alla tipologia del campione (bioptico/necroscopico)<br />

(P= 0,37 per MMP-2, P= 0,14 per MMP-9);<br />

5. L’espressione della MMP2 e della MMP9 ha mostrato una deviazione significativa<br />

quando associata alla differenza di specie: sia l’espressione della<br />

MMP2 (P=0,001) che quella della MMP9 (P=0,05) sono risultate significativamente<br />

più elevate nel meningioma di gatto.<br />

6. Solo l’espressione della MMP2 ha mostrato una correlazione lineare significativa<br />

con l’espressione di PR88 (P= 0,02);<br />

7. L’espressione di entrambe le metalloproteinasi non ha mostrato alcuna relazione<br />

lineare significativa con l’attività telomerasica.<br />

Conclusioni. Nel nostro studio abbiamo dimostrato che sia il meningioma di cane<br />

che quello di gatto esprimono MMP2 e MMP9. Tale espressione risulta indipendente<br />

dall’indice proliferativo, come osservato nel meningioma dell’uomo, e<br />

dall’attività telomerasica. Ancora da verificare il rapporto esistente tra attività metalloproteinasica<br />

ed espressione di PR. Nessuna delle MMPs indagate ha mostrato<br />

di essere correlata alla malignità morfologica del tumore. Ciò suggerisce che<br />

l’espressione delle metalloproteinasi non possa prescindere da altri marker biologici,<br />

come l’edema peritumorale e la neoangiogenesi. In ultimo, e contro le nostre<br />

aspettative, l’espressione delle metalloproteinasi è risultata sempre maggiore nel<br />

meningioma di gatto, notoriamente meno aggressivo rispetto a quello di cane.<br />

Bibliografia<br />

Okada M et al: Matrix metalloproteinase-2 and matrix metalloproteinase-9 expressions correlate with the<br />

recurrence of intracranial meningioma. J Neuroncol 66:29-37, 2004.<br />

Von Randow AJ et al: Expression of extracellular matrix-degrading proteins in classic, atypical, and anaplastic<br />

meningiomas. Pathol Res Pract 202:365-372, 2006.<br />

Mandrioli L et al: Immunohistochemical expression of h-telomerase reverse transcriptase in canine and feline<br />

meningiomas. J Vet Sci 2:111-115, 2006.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Maria Teresa Mandara<br />

Dip. di Scienze Biopatologiche ed Igiene delle Produzioni Animali e Alimentari<br />

Facoltà di Medicina Veterinaria, Università di Perugia - Via S. Costanzo, 4 - 06126 Perugia<br />

Tel. 075-5857730 - Fax 075-5857730 - E-mail: mandara@unipg.it<br />

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ESPRESSIONE DI RECETTORI PER ESTROGENI E PROGESTERONE<br />

NEI TUMORI MAMMARI DELLA CAGNA E DELLA GATTA<br />

Francesca Millanta 1 DVM; Iacopo Vannozzi 2 DVM, PhD<br />

Lorenzo Ressel 1 DVM; Alessandro Poli 1 DVM, Dipl ECVP<br />

1<br />

Dipartimento di Patologia Animale, Profilassi ed Igiene degli Alimenti<br />

2<br />

Dipartimento di Clinica Veterinaria, Facoltà di Medicina Veterinaria,<br />

Università di Pisa<br />

Scopo del lavoro. Le neoplasie mammarie rappresentano il 25-50% di tutti i<br />

tumori nella specie canina. Il 50% sono classificate come maligne e, pertanto,<br />

il carcinoma mammario risulta la neoplasia più frequente nella cagna (Madewell<br />

e Theilen, 1987). I tumori mammari rappresentano circa il 17% dei totale<br />

dei tumori nella gatta ed almeno l’85% di tali neoplasie sono maligne (Lana<br />

et al., 2007). L’insorgenza di tumori mammari nella cagna è ormono-dipendente.<br />

Nella gatta il ruolo degli ormoni ovarici non risulta ancora ben definito,<br />

anche se è stato recentemente dimostrato che l’ovariectomia effettuata<br />

prima del sesto mese di età può ridurre del 91% il rischio di sviluppo di neoplasie<br />

(Overley et al., 2005). L’attività di promozione neoplastica degli ormoni<br />

ovarici si esplica essenzialmente attraverso il legame con recettori specifici,<br />

stimolando la proliferazione cellulare. Il ruolo dell’espressione di recettori per<br />

estrogeno (ER) e progesterone (PR) risulta comunque ancora non completamente<br />

chiaro, anche se è stata dimostrata una diminuzione dell’espressione di<br />

ER e PR nella progressione da tessuto sano a forme iperplastico-displastiche e<br />

neoplastiche nella cagna ed una precoce perdita dell’ormono-dipendenza, con<br />

perdita prevalentemente dell’espressione di ER, nella gatta (Martìn de Las Mulas,<br />

2005; Millanta et al., 2005). Lo scopo del lavoro è stato di valutare l’espressione<br />

di ER e PR in carcinomi mammari infiltranti di cagna e di gatta e<br />

valutare differenze tra le due specie nell’espressione recettoriale.<br />

Materiali. Sono stati valutati in maniera retrospettiva 54 casi di carcinomi infiltranti<br />

di gatta e 51 carcinomi infiltranti di cagna, di cui 19 clinicamente riferibili<br />

a carcinomi infiammatori.<br />

Metodi impiegati. Le lesioni sono state classificate secondo i criteri del WHO<br />

(Misdorp et al., 1999); è stato inoltre attribuito un “grading” istologico secondo<br />

lo schema classificativo di Elson ed Ellis (1991). L’espressione recettoriale è<br />

stata valutata mediante immunoistochimica, utilizzando per i tessuti di cane un<br />

anticorpo primario policlonale di coniglio anti-ER-α (Zymed labs, USA) ed un<br />

monoclonale di topo anti-PR (clone PR 4-12, Oncogene Res Prod. USA) e per<br />

quelli felini un primario di topo anti-ER (clone 6F11, Novocastra Labs, UK) ed<br />

un primario monoclonale anti-PR (Clone PR88, Novocastra Labs, UK).<br />

Risultati ottenuti. Nella cagna, l’espressione di ER è stata riscontrata in<br />

30/32 (62,5%) carcinomi infiltranti non-infiammatori ed in 0/19 carcinomi in-<br />

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fiammatori, mentre l’espressione di PR è stata rilevata in 10/32 (10,6%) carcinomi<br />

infiltranti non-infiammatori ed in 0/19 carcinomi infiammatori. Nella<br />

gatta, 5 casi su 54 (9,2%) sono risultati ER+, mentre 36/54 (66,7%) sono risultati<br />

PR+.<br />

Conclusioni. Tali risultati confermano una differenza nell’espressione recettoriale<br />

nella cagna e nella gatta, confermano anche il ruolo dei tumori spontanei<br />

canini e felini come modello animale per i tumori ormono-dipendenti ed indipendenti,<br />

rispettivamente, del seno e la necessità di approcci terapeutici differenti<br />

nelle due specie. La perdita dell’espressione dei recettori steroidei nel<br />

carcinoma infiammatorio della cagna conferma il comportamento biologico<br />

particolarmente aggressivo e la prognosi infausta di tale tipo di neoplasia.<br />

Bibliografia<br />

Elston, C.W., Ellis, I.O. Pathological prognostic factors in breast cancer. Value of histological grade breast<br />

cancer: experience from a large study with a long-term follow-up. Histopathology 19: 403-410,<br />

1991.<br />

Lana SE., Rutteman GR., Withrow SJ. Tumors of the Mammary Gland. In: Withrow SJ., Vail DM (eds),<br />

Withrow & Mac Ewen’s Small Animal Clinical Oncology, 4th edition, Saunders Elsevier, pp 619-<br />

636, 2007.<br />

Madewell BR., Theilen GH.Tumors of the mammary gland. In: Theilen GH., Madewell BS (Eds), Veterinary<br />

Cancer Medicine, second edition, Lea & Fabiger, Philadelphia, pp 327-344, 1987.<br />

Overley B., Schofer FS., Goldschmidt MH et al.: Association between ovariohysterectomy and feline<br />

mammary carcinoma. J Vet Intern Med 19: 560-563, 2005.<br />

Martìn de Las Mulas J., Millan Y., Dios R. A prospective analysis of immunohistochemically determined<br />

estrogen receptor a and progesterone receptor expression and host and tumor factors as predictors of<br />

disease free period in mammary tumors of the dog. Vet Pathol 42: 200-212, 2005.<br />

Millanta F., Calandrella M., Bari G et al: Comparison of steroid receptor expression in normal, dysplastic,<br />

and neoplastic canine and feline mammary tissues. Res Vet Sci 79: 225-232, 2005.<br />

Misdorp W., Else RW., Helmén E., Lipscomb TP. WHO International Histological Classification of Mammary<br />

Tumours of the Dog and Cat. Second Series, Vol 7. The Armed Forced Institute of Pathology,<br />

American Registry of Pathology, Washington DC, 1999.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Alessandro Poli<br />

Dipartimento di Patologia Animale, Profilassi ed Igiene degli Alimenti<br />

Facoltà di Medicina Veterinaria<br />

Viale delle Piagge, 2 - 56124 Pisa<br />

Tel. 050 2216982 - Fax 050 2216941 - E-mail: apoli@vet.unipi.it<br />

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NEOPLASIE LINGUALI DEL CANE: 15 CASI<br />

Diego Rossetti 1 Med Vet; Giorgio Romanelli 2 Med Vet, Dipl ECVS<br />

Paolo Buracco 3 Med Vet, Dipl EVCS<br />

1<br />

Libero professionista, Nerviano<br />

2<br />

Libero professionista, Nerviano<br />

3<br />

Facoltà di Medicina Veterinaria, Università di Torino<br />

Introduzione. I tumori della lingua, rappresentano nel cane il 4% di tutti i tumori<br />

orofaringei. I tipi istologici più frequenti sono: carcinoma squamocellulare<br />

(CCS), melanoma (MM), mastocitoma (MCT), emangiosarcoma (EMS)<br />

e il fibrosarcoma (FSA). La terapia, se possibile, è rappresentata dalla glossectomia<br />

parziale e chemioterapia adiuvante.<br />

Materiali e Metodi. Quindici cani valutati nel periodo maggio 1996 novembre<br />

2007 presso la Clinica Veterinaria Nerviano e il Dipartimento di Patologia<br />

Animale di Grugliasco. Di ogni paziente si sono considerati: razza, sesso,<br />

età, dimensione e sede del tumore, trattamento chirurgico e medico, istotipo,<br />

eventuale completezza di escissione, positività linfonodale, metastatizzazione<br />

a distanza, recidiva e sopravvivenza. Tutti i pazienti sono stati sottoposti a stadiazione<br />

preoperatoria mediante esami di laboratorio, Rx torace nelle 2 proiezioni<br />

laterali, palpazione ed eventuale esame citologico dei linfonodi tributari.<br />

La chirurgia utilizzata è consistita in glossectomia parziale mediante incisione<br />

a tutto spessore della lingua con 1-2 cm di margine rispetto alla neoplasia<br />

e, dopo accurata emostasi, sutura dei piani mucosi con punti staccati in<br />

poliglecaprone 3 o 4/0 (Monocryl ® ). In 6 casi si è proceduto ad effettuare la<br />

linfadenectomia regionale.<br />

Risultati. Sono risultati: 2 Golden Retriever, 2 Schnauzer, 1 Rottweiler, 1 Cane<br />

Corso, 1 Husky, 1 Bassotto, 1 Pastore Tedesco, 1 Labrador, 1 Terranova e<br />

4 meticci di età compresa dai 2,7 anni ai 15,1 anni (media 8,7, mediana 8,2),<br />

9 maschi e 6 femmine. La dimensione tumorale è variata da 1 a 9 cm (media<br />

3,2 cm). Tre tumori (20%) erano in posizione caudale, 4 (26%) centrale laterale,<br />

4 (26%) centrale ventrale, 2 (13%) centrale bilaterale ed 1 (7%) craniale<br />

destra. In un caso la sede non è stata annotata.<br />

Due cani non sono stati trattati per volere del proprietario ed 1 è stato sottoposto<br />

ad eutanasia immediatamente dopo la stadiazione a causa di metastatizzazione<br />

polmonare diffusa.<br />

Dodici pazienti sono stati trattati chirurgicamente e in 6 casi si è eseguita anche<br />

la linfadenectomia regionale. Dall’esame istologico sono risultati 6 CCS,<br />

2 MCT, 3 MM, 2 neoplasie di origine istiocitaria, 1 FSA e 1 tumore delle<br />

guaine nervose periferiche (PNST). I margini chirurgici sono risultati infiltrati<br />

in 3 casi: un CCS, un PNST (che sono entrambi recidivati dopo 5 mesi), ed<br />

un MM, unico con interessamento iniziale dei linfonodi tributari che non è re-<br />

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cidivato localmente ma ha sviluppato metastasi 7 mesi dopo. Sei tumori<br />

(50%) sono recidivati: 4 CCS, 1 PNST ed 1 FSA. Considerando solo i CCS,<br />

il tasso di recidiva è stato del 66,6% dei casi. In 5 pazienti con margini infiltrati,<br />

recidiva locale o metastasi accertate (2 MM e 3 CCS) si è proceduto ad<br />

effettuare chemioterapia adiuvante, in 1 caso con cisplatino alla dose di 60<br />

mg/m 2 ogni 3 settimane e nei restanti 4 con carboplatino alla dose di 300<br />

mg/m 2 ogni 3 settimane in combinazione con piroxicam a 0,3 m/kg/die.Tre<br />

pazienti (20%) sono deceduti per recidiva, 2 CCS ed un FSA, in media 10,3<br />

mesi dopo. Un caso di MM è deceduto 7 mesi dopo per recidiva e metastasi.<br />

Tre pazienti (20%) sono deceduti 2 anni dopo la chirurgia per cause non correlate<br />

alla neoplasia. La sopravvivenza complessiva è variata da 2 a 24 mesi<br />

(media 12,9; mediana 11). Per quanto concerne il CCS questa è stata di 2-24<br />

mesi (media 15,6; mediana 19,5). Nei pazienti trattati solo con chirurgia (6),<br />

2 sono ancora vivi, i restanti 4 sono sopravissuti in media 22 mesi. Nei pazienti<br />

trattati con chirurgia e chemio (5), un caso è ancora vivo (1 anno), nei<br />

restanti la sopravvivenza media è stata di 6,8 mesi. Tre sono i pazienti ancora<br />

vivi, a 2 mesi dall’intervento.<br />

Conclusioni. Lo studio, in accordo con la letteratura, conferma il CCS come<br />

il tumore linguale più frequente. La terapia di scelta è rappresentata dalla<br />

glossectomia parziale e dalla linfadenectomia regionale. Questa tecnica chirurgica<br />

non ha causato deficit nella prensione degli alimenti e nella suzione<br />

dei liquidi perché limitatasi al massimo alla metà trasversale o longitudinale<br />

dell’organo. Il trattamento medico con cisplatino o carboplatino in associazione<br />

al piroxicam non si è rivelato utile per il controllo delle metastasi o della<br />

recidiva.<br />

Bibliografia<br />

Boria PA, Murry DJ, Bennett PF, Glickman NW et al. JAVMA. 2004 Feb 1; 224(3):388-94.<br />

Dennis MM, Ehrhart N, Duncan CG, et al. JAVMA 2006 May 15; 228(10):1533-7.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Diego Rossetti<br />

Clinica Veterinaria Nerviano<br />

Via Lampugnani, 3 - 20014 Nerviano (MI)<br />

Tel. 0331415263 - Fax 0331415369 - E-mail: tesem83@hotmail.com<br />

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USE OF FLOW CYTOMETRY IN THE CHARACTERIZATION<br />

OF ACUTE MEGAKARYOBLASTIC LEUKEMIA (AML-M7)<br />

IN A DOG<br />

UTILIZZO DELLA CITOMETRIA A FLUSSO PER LA TIPIZZAZIONE<br />

DI LEUCEMIA MEGACARIOBLASTICA ACUTA (AML-M7)<br />

IN UN CANE<br />

Fabio Valentini 1 Med Vet, MS; Silvia Tasca 2 Med Vet;<br />

Valentina Caon 3 Med Vet<br />

1,3<br />

Libero Professionista (Roma)<br />

2<br />

Libero Professionista (Padova)<br />

Acute megakaryoblastic leukemia is a rare form of myeloid leukemia first described<br />

in 1931. Megakaryoblastic leukemia in human beings may occur as a<br />

spontaneous disease or as a therapy-related acute leukemia. Cytogenetic abnormalities<br />

of chromosome 21 have been associated with megakaryoblastic<br />

leukemia in human beings. The simultaneous use of several differentiation<br />

markers is required to diagnose this type of leukemia in people.<br />

Megakaryoblastic leukemia is a rare myeloproliferative disorder in domestic<br />

animals. Recently, thanks to the major availability of immunophenotypical<br />

techniques the diagnosis is more accessible. The morphological evaluation<br />

alone in fact has its limitations especially in the study of poorly differentiated<br />

cells. Few reports have described AML-M7 in dogs with the use of flow cytometry.<br />

This clinical case describes the utility of flow cytometry in the characterization<br />

of acute megakaryoblastic leukemia (AML-M7) in a dog.<br />

Clinical case. A 3-year-old, female spayed German shepherd was presented<br />

for severe weakness, lethargy, anorexia and weight loss of several weeks duration.<br />

Physical examination revealed pale mucous membrane, generalized<br />

muscolar athrophy, tachycardia and mild hypothermia. Upon palpation, the<br />

abdomen revealed a splenic enlargement. Initial diagnostic evaluation consisted<br />

of a complete blood cell count (CBC), serum biochemical analysis and<br />

urinalysis. Chest x-rays and abdominal ultrasound were performed as well.<br />

CBC revealed severe anemia (Hct, 11,9%; reference range, 37 to 55%; Hb,<br />

4,4 g/dl; reference range, 12,0 to 18, 0 g/dl), severe thrombocytopenia (9,000<br />

platelets/µl; reference range, 150,000 to 500,000 platelets/µl) and mild leukopenia<br />

(5,600 WBC/µl; reference range, 6,000 to 17,000 WBC/µl). Circulating<br />

blast cells (30%) were detected. Bone marrow and spleen aspiration biopsy<br />

was performed. The former revealed a good cellularity and adequate cell morphology;<br />

all of the three hemopoietic cell lines (erithroyd, myeloid and megacaryocytic)<br />

were almost completely substituted with large, variably sized<br />

and round shaped blast cells, often bi- or multinucleated and with a marked<br />

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increased N/C ratio. The nuclear chromatin was dense and fine and one or<br />

more distinct nucleoli were visible. Cytoplasmic microvacuolizations, basophilia<br />

and blebbing were reported. Based on these findings, the sample was<br />

suggestive of an acute myeloid leukemia probably of megakaryoblastic origin.<br />

The latter revealed the same leukemic cells scattered in the splenic parenchyma.<br />

In order to precisely characterize this type of myeloproliferative<br />

disorder, samples (blood and bone marrow) were submitted to a referral laboratory<br />

for flow cytometry analysis.<br />

The immunological panel revealed a 7,2% CD3 positivity (T lymphocytes),<br />

5,8% CD79 (panB-lymphocytes), 2,3% CD34 (blast cells), 4,0% CD14 (monocytes),<br />

64,5% CD9 (platelets), 59,5% CD61 (platelets), 17,7% CD18 (b2-<br />

integrins). Based on the immunological profile a diagnosis of acute megakaryoblastic<br />

leukemia was made.<br />

A trasfusion of 250 ml of fresh canine blood was given. Ampicillin (20 mg/kg<br />

TID) and metronidazol (7 mg/kg TID) were administered. The blood trasfusion<br />

increased the PCV to 18,5%. Following stabilization, chemotherapy with<br />

100 mg/m 2 of cytosine arabinoside divided 4 times daily was started. The dog<br />

did not respond to chemotherapy and after four days Hct dropped again to<br />

12%. At this time the owners elected to euthanize the dog.<br />

Discussion. The lineage of an immature neoplastic population can not be determined<br />

morphologically alone. Nowadays the association between morphological<br />

and immunophenotypical evaluation can, with no doubt, grows<br />

the accuracy of the diagnosis. Compared to immunohistochemistry, flow<br />

cytometry can be used with blood and/or bone marrow samples with no need<br />

of tissue or core biopsy. Furthermore flow cytometry allows the evaluation<br />

of several parameters in few seconds and provides the clinician of daily results.<br />

In the present work, flow cytometry has established megakaryocytic lineage<br />

showing the presence of two megakaryocyte/platelet associated antigens<br />

(CD9, CD61). In human medicine CD9 is commonly used as a platelets<br />

and megakaryocytes marker. There is evidence of cross-reactivity of human<br />

anti-CD9 monoclonal antibody with canine samples. In particular, to<br />

our knowledge, the use of CD9 was never described before, for this use in<br />

the dog.<br />

Bibliografia disponibile su richiesta all’autore.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Fabio Valentini<br />

Ospedale Veterinario “Gregorio VII”<br />

Piazza di Villa Carpegna, 52 - 00165 Roma<br />

Fax 06-66068250 - E-mail: f.valentini@email.it<br />

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97 CASI NEOPLASIE NEGLI ANIMALI GIOVANI:<br />

ISTOTIPI TUMORALI, LOCALIZZAZIONE ED INCIDENZA<br />

Sara Verganti 1 Med Vet; Giorgio Romanelli 2 Med Vet, Dipl ECVS<br />

Laura Marconato 3 Med Vet; Paolo Buracco 4 Med Vet, Dipl ECVS<br />

1<br />

Libero professionista, Milano<br />

2<br />

Libero professionista, Nerviano<br />

3<br />

Libero professionista, Napoli<br />

4<br />

Facoltà di Medicina Veterinaria, Università di Torino<br />

Scopo del lavoro. I tumori negli animali giovani sono rari ed hanno comportamento<br />

generalmente aggressivo 1 . I dati presenti in letteratura sono scarsi 1 :<br />

l’incidenza reale nel cane


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(100% fibrosarcomi a carico degli arti posteriori; predisposizione di razza nel<br />

Dogo Argentino, 66,7%). Negli animali di 12-18 mesi, l’incidenza era del<br />

12,5% con predilezione per cavo orale (40%) ed ossa (29%) (osteosarcoma<br />

dell’ulna distale, 100%).<br />

La maggior parte delle neoplasie si sviluppava in cani di 18-24 mesi (66,3%).<br />

I tumori ossei erano i più rappresentati (32%), interessando soprattutto maschi<br />

(71,4%), di taglia grande-gigante (in particolare Rottweiler 35,7% e meticci<br />

28,6%), a localizzazione appendicolare (85,7%, arti posteriori 66,7%). L’istotipo<br />

più frequente era l’osteosarcoma (82,4%).<br />

Si osservavano poi tumori cutanei (28,3%), in particolare mastocitomi<br />

(86,7%) ben differenziati (86,4%) (senza predisposizione di razza-sesso, sopravvivenza<br />

media >16,9 mesi), anche se in alcuni casi (15,4%) mostravano<br />

comportamento aggressivo (Shar-pei, Boxer). Seguivano neoplasie ematopoietiche<br />

(13,2%) (soprattutto linfomi 71,5%) e del cavo orale (11,3%), in<br />

particolare fibrosarcomi (50%) mascellari (100%). Altre neoplasie osservate<br />

erano: carcinoma mammario (5,6%), rabdomiosarcoma vescicale botrioide<br />

(1,9%), schwannoma (1,9%) e chemodectoma (1,9%).<br />

Conclusioni. Da questo studio emerge che, in accordo con la letteratura 1,2 ,i<br />

tumori negli animali giovani sono rari (2,38%).<br />

Nel gatto i tumori più frequenti erano linfoma, fibrosarcoma e CSC auricolare.<br />

Nonostante siano segnalati tumori in gatti 18 mesi.<br />

Nei cani l’incidenza delle neoplasie aumentava con l’età (massima nei soggetti<br />

di 18-24 mesi); erano interessati soprattutto animali di taglia grande-gigante, tra<br />

cui meticci, Rottweiler e Pastore Tedesco. Le forme maligne erano più frequenti.<br />

A differenza dei dati bibliografici 1,2 , le neoplasie più comuni erano: tumori<br />

ossei (28,8%), cutanei (21,2%), del cavo orale (18,8%) e del sistema ematopoietico<br />

(10%). L’istiocitoma, il più frequente tumore cutaneo giovanile, non<br />

è stato probabilmente riscontrato (1 solo caso) per mancato invio a consulto.<br />

Bibliografia<br />

1. Morrison WB. Cancer of young dogs and cats. In: Cancer in dogs and cats. 2nd Ed., Teton NewMedia,<br />

2002:689-691.<br />

2. REF Keller ET, Madewell BR. Locations and types of neoplasms in immature dogs: 69 cases (1964-<br />

1989), JAVMA 1992; 200:1530-1532.<br />

3. Fossati-Bellani F. Neoplasie solide dell’infanzia. In: Bonadonna G., Medicina oncologica. VII Ed.,<br />

Masson. 2003:1177-1181.<br />

4. Carpenter JL, Andrews LK, Holzworth J, Averill DR, Harbison ML, Moore FM. Tumors and tumorlike<br />

lesions. In: Holzworth J, ed. Diseases of the cat: medicine and surgery. Philadelphia: W.B: Saunders<br />

Co., 1987:406-596.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Sara Verganti<br />

Clinica Veterinaria Nerviano - Via Lampugnani, 3 - Nerviano (MI)<br />

Tel. 0331415263 - Fax 0331415369 - E-mail: sakli@libero.it<br />

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POSTER<br />

Gli estratti sono elencati in ordine alfabetico secondo il cognome del relatore<br />

e quindi in ordine cronologico di presentazione.


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SARCOMA ISTIOCITICO POLMONARE<br />

CON METASTASI CUTANEA IN UN CANE<br />

Maurizio Annoni 1 Med Vet; Lisa Barber 2 DVM, DACVIM (Oncology)<br />

Kristine Burgerss 3 DVM, DACVIM (Oncology)<br />

1<br />

Clinica Veterinaria “M.E.Miller”, Cavriago (RE)<br />

2,3<br />

Harrington Oncology Program, Foster Hospital for Small Animals,<br />

Cummings School of Veterinary Medicine, Tufts University, North Grafton,<br />

Massachusetts, USA<br />

Introduzione. Il sarcoma istiocitico canino (HS) è una rara neoplasia di derivazione<br />

dalle cellule dendritiche mieloidi, rappresentante meno dell’1% dei<br />

tumori canini del sistema linforeticolare. Può presentarsi in forma localizzata<br />

con coinvolgimento di un solo organo, oppure come forma disseminata in diversi<br />

organi. Entrambe le forme costituiscono, in base alla più recente classificazione,<br />

il complesso del sarcoma istiocitico (histiocytic sarcoma complex).<br />

Particolarmente riscontrato nel Bovaro del Bernese, Rottweiler, Golden e Labrador<br />

Retriever, colpisce primariamente milza, linfonodi, polmoni, midollo<br />

osseo, cute e sottocute (soprattutto degli arti). Le metastasi coinvolgono fegato<br />

e polmoni (in caso di tumore splenico primario) oppure i linfonodi ilari (se<br />

il sito primario è polmonare). Qui è riportato un caso di HS polmonare localizzato<br />

con successiva comparsa di una metastasi cutanea.<br />

Caso clinico. Reilly, cane Rottweiler, femmina sterilizzata ipotiroidea di nove<br />

anni, venne riferita per una massa toracica rinvenuta occasionalmente dal<br />

veterinario curante. Il sospetto di una neoformazione polmonare venne confermato<br />

mediante esame tomografico da noi eseguito che rilevò una massa lobulata<br />

definita dall’esame citologico compatibile con neoplasia di origine<br />

istiocitica o mesenchimale. Venne effettuata una lobectomia parziale del lobo<br />

medio destro e biopsia del linfonodo tributario. L’esame istologico comprensivo<br />

di immunoistochimica confermò la diagnosi di sarcoma istiocitico polmonare,<br />

mentre il tessuto linfonodale risultò non interessato da cellule neoplastiche.<br />

La stadiazione del tumore fu completata con esame ematochimico,<br />

ecografia addominale e citologia midollare. A un mese dalla presentazione<br />

presso la nostra struttura, in concomitanza con il primo ciclo di chemioterapia,<br />

Reilly venne sottoposta ad un controllo radiografico del torace al fine di<br />

escludere un’eventuale progressione locale della malattia. Come primo protocollo<br />

chemioterapico venne utilizzata la lomustina. Al momento della somministrazione<br />

della seconda dose però, riscontrammo una nuova neoformazione<br />

sottocutanea, rotondeggiante, di 2 cm di diametro a livello cervicale<br />

dorsale. L’esame citologico confermò il sospetto di metastasi cutanea e quindi<br />

la progressione della malattia. Si decise di passare a un differente protocollo<br />

chemioterapico a base di vincristina e ciclofosfamide somministrati set-<br />

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timanalmente. Ottenemmo un’immediata riduzione in dimensione e successiva<br />

scomparsa della metastasi cutanea cervicale. Purtroppo, al momento della<br />

settima somministrazione, si riscontrarono una nuova metastasi cutanea e linfomegalia<br />

del linfonodo ilare. La nuova neoformazione metastatica, di 1 cm<br />

di diametro, localizzata in corrispondenza del processo spinoso dell’VIII vertebra<br />

cervicale, era intimamente adesa allo strato muscolare sottostante. Periodici<br />

controlli ecografici addominali, continuarono a non evidenziare alcun<br />

coinvolgimento dei visceri. Venne dunque utilizzato un ulteriore nuovo protocollo<br />

a base di dacarbazina che permise una riduzione definitiva del linfonodo<br />

ilare interessato, ma solo temporanea della metastasi cervicale. Infatti, dopo<br />

due mesi dall’inizio del trattamento, le dimensioni di tale metastasi aumentarono<br />

a 4 cm di diametro. Il successivo utilizzo di doxorubicina non fermò<br />

la crescita della massa che arrivò a 5 cm. L’inarrestabile progressione della<br />

malattia ci indusse quindi ad utilizzare la vinblastina prima settimanalmente<br />

per otto cicli e poi ogni quindici giorni. I risultati furono esaltanti; la metastasi<br />

cervicale si ridusse fino a non essere più apprezzata alla palpazione.<br />

A tutt’oggi, dopo 15 mesi dall’inizio della terapia multimodale, di cui gli ultimi<br />

cinque di trattamento con la vinblastina, la patologia di Reilly continua a<br />

mantenersi in fase stazionaria. Viene periodicamente monitorata mediante<br />

esami clinici, ecografici addominali e radiografie toraciche.<br />

Discussione. La scelta di un protocollo chemioterapico multimodale, dopo<br />

exeresi chirurgica della neoformazione polmonare, si è rivelata particolarmente<br />

adatta nel trattamento del HS canino. In particolare l’utilizzo della vinblastina,<br />

non riportato in letteratura come prima scelta nel trattamento del<br />

suddetto tumore, ha permesso una remissione temporanea della malattia per<br />

un lungo periodo (5 mesi). Motivare i proprietari e non arrendersi alla prima<br />

mancata risposta alla chemioterapia, quando possibile, aumenta le possibilità<br />

di riuscita e può dare risultati inaspettati.<br />

Bibliografia<br />

Clifford CA, Skorupski KA. Histiocytic Diseases. In: Withrow S, MacEwen E, eds. Small Animal Clinical<br />

Oncology, 4th ed. Philadelphia, PA: WB Saunders; 2007:814-823.<br />

Fulmer AK, Mauldin GE. Canine histiocytic neoplasia: An overview. Can Vet J 2007; 48:1041-1050.<br />

Moore PF. The histiocytic disease complex. Proceedings of American College of Veterinary Internal Medicine,<br />

annual meeting, June 9-12, 2004, Minneapolis, MN.<br />

Moore PF. The UC Davis Canine Histiocytic site. Histiocytic sarcoma and malignant histiocytosis. Available<br />

from: http://www.histiocytosis.ucdavis.edu/.<br />

Skorupski KA, et al. CCNU for the Treatment of Dogs with Histiocytic Sarcoma. J Vet Intern Med 2007;<br />

21:121-126.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Maurizio Annoni<br />

Clinica Veterinaria “M.E. Miller” - Via della Costituzione, 10 - 42025 Cavriago (RE)<br />

E-mail: annoni.maurizio@gmail.com<br />

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RADIOTERAPIA IN UN CASO DI MACROADENOMA IPOFISARIO<br />

IN UN CANE<br />

Elisa Antoniazzi 1 Med Vet; Raffaele Gilardini 2 Med Vet<br />

Roberto Martinengo 3 Med Vet, Spec. in Clinica Malattie dei Piccoli Animali<br />

1,2<br />

Liberi professionisti, Voghera<br />

3<br />

Libero professionista, Alessandria<br />

Introduzione. Si descrive il caso di un cane affetto da macroadenoma ipofisario<br />

trattato con radioterapia, per sottolinearne l’efficacia e la validità, nonostante<br />

le difficoltà logistiche, i rischi (anestesie ripetute in paziente anziano)<br />

ed i costi ragguardevoli.<br />

Descrizione del caso. Jonny, cane, meticcio, maschio, di 12 anni d’età, viene<br />

condotto alla visita per grave malessere generale ed ipertermia. L’anamnesi è<br />

di terapia con trilostano da due mesi per morbo di Cushing ipofisario diagnosticato<br />

con test di soppressione a basse dosi di desametazone. L’episodio acuto<br />

viene correlato a complicanza infiammatoria- infettiva, ma non si esclude<br />

una crisi addisoniana: viene sospeso il trilostano, senza evidenze (cliniche,<br />

monitoraggio P.S. urinario e cortisolo urinario) nei mesi successivi di recidiva<br />

del Cushing.<br />

Tre mesi dopo Jonny manifesta depressione progressiva del sensorio, anteropulsione,<br />

risposta depressa al test di minaccia bilateralmente, atassia, circling<br />

destro, tremori.<br />

La risonanza magnetica evidenzia una massa voluminosa estesa dalla fossa<br />

ipofisaria dorsalmente, che sulla base dei sintomi clinici viene ascritto ad un<br />

adenoma ipofisario.<br />

Viene proposta la terapia radiante, prima della quale risulta necessaria, dato<br />

l’aggravamento neurologico, una terapia cortisonica a dosaggio anti-infiammatorio.<br />

Il protocollo eseguito è di 16 trattamenti (uno al dì per cinque giorni alla settimana)<br />

per un totale di 48 Gray.<br />

A tre mesi dalla conclusione della radioterapia Jonny gode di buona salute. La<br />

terapia cortisonica, seppure a dosaggio minimo, è ancora in corso; si registrano<br />

aumento del peso corporeo e PU\PD, riferibili alla somministrazione di<br />

cortisone, ma non segni riferibili a Cushing.<br />

Discussione. In letteratura la terapia radiante per i macroadenomi ipofisari del<br />

cane si è rivelata efficace nel controllo dei segni neurologici correlati alle dimensioni<br />

della neoplasia, ma, al contrario che in medicina umana, non altrettanto<br />

dei sintomi relativi alla secrezione ormonale nei tumori ACTH-secernenti.<br />

È stata comunque evidenziata una prognosi migliore nei cani irradiati<br />

con macroadenoma secernente rispetto a quelli non. Nel cane, a differenza<br />

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dell’uomo, la prognosi dopo radioterapia non è correlata alla dimensione della<br />

neoplasia, ma piuttosto alla gravità delle manifestazioni neurologiche, con<br />

esito migliore in soggetti con segni non gravi. L’effetto della radioterapia è<br />

una riduzione progressiva delle dimensioni della neoplasia ipofisaria, che perdura<br />

anche 20 mesi.<br />

Sono registrati effetti collaterali acuti, in genere di modica entità e rapidamente<br />

reversibili, ed a lungo termine, invece gravi ed irreversibili. I primi<br />

comprendono lieve eritema e/o ipotricosi della zona irradiata, faringite, lieve<br />

otite esterna, raramente sonnolenza e ricomparsa dei segni neurologici 2 o 3<br />

settimane dopo la fine della terapia, con miglioramento spontaneo o secondario<br />

a somministrazione di corticosteroidi. A lungo termine (da mesi ad anni<br />

dopo il trattamento) sono descritti: depigmentazione localizzata del mantello,<br />

cheratocongiuntivite secca, danno vestibolare o del trigemino, sordità, necrosi<br />

e fibrosi cerebrale. L’incidenza di questi gravi effetti (3-5%) dipende dall’estensione<br />

del tessuto nervoso irradiato e dal protocollo utilizzato (incidenza<br />

minore con protocollo microfrazionato rispetto all’ipofrazionato).<br />

Nel nostro caso è stato utilizzato un protocollo microfrazionato, ben tollerato<br />

dal paziente tranne che per la prima seduta, alla quale è seguito un aggravamento<br />

neurologico, risolto con l’uso di corticosteroidi.<br />

Non sono stati segnalati altri effetti collaterali acuti; non è invece ancora possibile<br />

valutare eventuali effetti a lungo termine.<br />

Si prevede CT di controllo a sei mesi dalla radioterapia per monitorare le dimensioni<br />

della neoplasia.<br />

Bibliografia<br />

de Fornel P, Delisle F, et al. Effects of radioterhapy on pituitarycorticotroph macrotumors in dogs: a retrospective<br />

study of 12 cases. Can Vet J. 2007 May; 48(5): 481-6.<br />

Mayer MN, Treuil PL. Radiation therapy for pituitary tumors in the dog and cat. Can Vet J. 2007 Mar;<br />

48(3):316-8.<br />

Moore AS. Radiation therapy for the treatment of tumors in small companion animals. Vet J. 2002 Nov;<br />

164(3):176-87. Review.<br />

Behrend EN, Kemppainen RJ et al. Treatment of hyperadrenocorticism in dogs: a survey of internists and<br />

dermatologists. J Am Vet Med Assoc. 1999 Oct 1; 215(7):938-43.<br />

Brearley MJ,Jeffery ND, et al. Hypofractionated Radiation therapy of brain masses in dogs: a retrospective<br />

analysis of survival of 83 cases (1991 – 1996). J Vet Intern Med. 1999 Sep-Oct; 13(5):408-12.<br />

Theon AP, Feldman EC. Megavoltage irradiation of pituitary macrotumors in dogs with neurologic signs.<br />

J Am VetMedAssoc. 1998 Jul 15; 213(2):225-31.<br />

Goossens MM, Feldman EC, et al. Efficacy of cobalt 60 radiotherapy in dogs with pituitary-dependent<br />

hyperadrenocorticism. J Am Vet Med Assoc. 1998 Feb 1; 212(3):374-6.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Elisa Antoniazzi<br />

Presso Clinica Veterinaria “Città di Voghera”<br />

Via Cappelletta, 2 - 27058 VOGHERA (PV)<br />

Tel. e Fax 0383/367226 - E-mail: el.antoniazzi@libero.it<br />

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APPLICAZIONE DELLA CICLOFOSFAMIDE<br />

IN MODALITÀ METRONOMICA NEL TRATTAMENTO PALLIATIVO<br />

DI UN CASO DI MASTOCITOMA CUTANEO CANINO<br />

Nicoletta Bevere Med Vet, PhD,<br />

Specialista in Clinica e Patologia degli Animali d’Affezione<br />

Libero Professionista, Milano<br />

Introduzione. La ciclofosfamide, se somministrata in dosi più basse rispetto<br />

al suo tradizionale utilizzo e in modo continuativo nel tempo, manifesta<br />

un’azione antitumorale che sembra conseguenza di un’attività inibitoria sulla<br />

neoangiogenesi neoplastica. Tale modalità di utilizzo della ciclofosfamide,<br />

come di altri agenti citotossici, caratterizzata da bassi dosaggi e dall’assenza<br />

di lunghi intervalli tra un trattamento e l’altro, è nota con il nome di<br />

chemioterapia metronomica (CM). Nella Medicina Umana la CM rappresenta<br />

un possibile approccio terapeutico per la malattia oncologica avanzata<br />

e dal 2003 la ciclofosfamide in modalità metronomica è stata applicata<br />

nella terapia di varie tipologie istologiche differenti dal mastocitoma. In<br />

Medicina Veterinaria è scarsamente riportato sia il trattamento palliativo<br />

della recidiva di mastocitoma cutaneo, sia l’uso della ciclofosfamide in modalità<br />

metronomica, descritto recentemente nella terapia palliativa dell’emangiosarcoma<br />

canino.<br />

Nel cane il mastocitoma rappresenta il tumore più comune della cute ed è caratterizzato<br />

da possibili recidive locali e moderata tendenza a dare metastasi.<br />

Il suo comportamento clinico è correlato al grado istologico, tuttavia ne è ben<br />

documentato l’andamento imprevedibile soprattutto se riferito al grado II. In<br />

assenza di metastasi a distanza, il trattamento elettivo è chirurgico; la radioterapia<br />

è indicata per favorire il controllo locale dopo exeresi, mentre la chemioterapia<br />

è consigliata in presenza di metastasi a distanza e linfonodali, mastocitomi<br />

di terzo grado e mastocitomi multipli che non possano godere di approccio<br />

chirurgico.<br />

In questa sede viene riportato il caso di una recidiva di mastocitoma cutaneo<br />

canino di II grado trattato palliativamente con ciclofosfamide metronomica.<br />

Descrizione del caso. Un mastocitoma cutaneo canino di II grado, localizzato<br />

a livello di un arto posteriore di un cane di piccola taglia, è stato sottoposto<br />

nel 2003 a stadiazione clinica e ad exeresi, la quale ha prodotto margini<br />

infiltrati. Il soggetto, in previsione di una revisione chirurgica, è stato trattato<br />

per un mese con vinblastina (2,5 mg/m 2 e.v. ogni 7 giorni) e prednisone (1<br />

mg/kg a scalare). Al termine della terapia è venuto a mancare il consenso sia<br />

per la revisione chirurgica sia per la radioterapia successivamente proposta e,<br />

dopo 10 settimane dall’intervento, è stata evidenziata la recidiva locale della<br />

neoplasia.<br />

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È stato successivamente eseguito per 36 mesi un trattamento palliativo, utilizzando<br />

non continuativamente corticosteroidi (prednisone orale o triamcinolone<br />

intralesionale). Al termine di tale periodo la lesione, di circa 10 x 7<br />

cm, si dimostrava inequivocabilmente resistente ai corticosteroidi ed è stato<br />

deciso di sospendere ogni trattamento. Nel maggio 2007, dopo una nuova stadiazione<br />

clinica, è stato intrapreso il trattamento con ciclofosfamide metronomica<br />

(40 mg/m 2 ogni 48 ore per 6 mesi). Il farmaco ha determinato rapidamente<br />

la riduzione della lesione che, dopo il sesto mese di terapia, misurava<br />

circa 5 x 4 cm. Durante la chemioterapia il cane è andato incontro a tre diversi<br />

episodi di zoppia (sede algica a carico della III falange di tre diverse dita) risoltisi<br />

dopo antibioticoterapia ed imputati a sospette infezioni ungueali. Questi<br />

episodi, assieme ad una neutropenia lieve, sono stati considerati possibili<br />

effetti avversi del trattamento. Gli eventi avversi sono stati tutti classificati di<br />

grado 1 secondo VCOG-CTCAE.<br />

Discussione. Il mastocitoma cutaneo di questo soggetto, resistente ai corticosteroidi,<br />

si è dimostrato sensibile all’attività della ciclofosfamide metronomica<br />

in assenza di effetti collaterali gravi. La compliance del proprietario, molto<br />

scarsa nei confronti di altri interventi terapeutici (amputazione, radioterapia),<br />

è stata buona e il trattamento è stato giudicato positivamente per semplicità<br />

di esecuzione, costo e tollerabilità.<br />

Questa limitata e preliminare esperienza suggerisce che nella CM, analogamente<br />

a quanto rilevato nella Medicina Umana, esistano potenzialità che sarebbe<br />

interessante esplorare per poter disporre, quando altre modalità terapeutiche<br />

non siano indicate o non siano possibili, di un trattamento palliativo<br />

a basso costo e ben tollerato sia dal paziente sia dal proprietario.<br />

Bibliografia<br />

1. Emmenegger U Mol Cancer Ther. 2007 Aug;6(8):2280-9. Pharmacodynamic and pharmacokinetic<br />

study of chronic low-dose metronomic cyclophosphamide therapy in mice.<br />

2. Lana S. Continuous low-dose oral chemotherapy for adjuvant therapy of splenic hemangiosarcoma<br />

in dogs. J Vet Intern Med 2007, 21 (4): 764-769.<br />

3. Samaritani R BMC Cancer. 2007 Apr 15;7:65 Cyclophosphamide “metronomic” chemotherapy for<br />

palliative treatment of a young patient with advanced epithelial ovarian cancer.<br />

4. Thamm D. Mast Cell Tumors. In: Small Animal Clinical Oncology. 4th edn. Eds S.J. Withrow and<br />

E. G. MacEwen. W.B. Saunders, Philadelphia: 402-42.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Nicoletta Bevere<br />

Ambulatorio Veterinario Rucellai<br />

Via M. Lutero, 4 - 20126 Milano<br />

Tel. 02 2551224 - 328 8679239 - E-mail: n.bevere@infinito.it<br />

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A CASE OF COCCYGEAL CHONDROID CHORDOMA IN A CAT:<br />

CLINICAL AND HISTOPATHOLOGICAL FEATURES<br />

UN CASO DI CORDOMA DI TIPO CONDROIDE IN UN GATTO:<br />

ASPETTI CLINICI E ISTOPATOLOGICI<br />

Antonio Carminato 1 MedVet; Marta Vascellari 1 MedVet<br />

Franco Mutinelli 1 MedVet, Dipl ECVP<br />

1<br />

Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Legnaro (PD), Italy<br />

Introduction. Chordoma is an uncommon neoplasm arising from remnants of<br />

notochord. Chondroid chordoma has been reported in rats, minks and ferrets<br />

(Dunn et al., 1991), mostly located on the tail. Few canine and only one feline<br />

cases of chordoma have been reported (Carpenter et al., 1990). A case of<br />

feline chondroid chordoma without recurrence after surgery is described.<br />

Case report. On August 2007, a 4-year-old, intact female, shorthair cat was<br />

examined by the referring <strong>veterinaria</strong>n for a 2.5 x 2 cm mass, developed beyond<br />

the last coccygeal vertebral segment 10 months before and recently fast<br />

growing. A complete physical examination excluded any further clinical alteration.<br />

Following the <strong>veterinaria</strong>n’s advice, the owner decided to have the<br />

mass removed. Apical caudectomy was performed with a 2 coccygeal vertebral<br />

surgical margin. The tissue was immediately fixed in 10% neutral buffered<br />

formalin, routinely processed and paraffin embedded, for histopathological<br />

examination. Histologically, a well demarcated nodular mass involving<br />

the last vertebral coccygeal segment and the surrounding subcutaneous tissue<br />

was detected. The nodule was composed of three components concentrically<br />

arranged: lobules of vacuolated polygonal cells (physaliferous cells) at the periphery,<br />

surrounding cartilage and a central core of trabecular bone which<br />

contained marrow and haematopoietic cells. The physaliferous cells were focally<br />

surrounded by a mucinous extracellular matrix that gradually differentiated<br />

into the cartilaginous zones. Periodic acid-Schiff (PAS) staining highlighted<br />

cartilage component of the tumour besides a small quantity of intense<br />

pink granules in the cytoplasm of the vacuolated cells. Negative staining with<br />

Oil-red-O performed on frozen sections of the tumour excluded the presence<br />

of adipocytes. Immunohistochemistry was performed on 3.5 mm tissue sections<br />

for the presence of keratin (CK AE1-AE3, Dako) and vimentin (V9, Dako)<br />

intermediate filaments, and S-100 protein (Dako). Immunohistochemical<br />

staining patterns were consistent with the results of previous studies of chordoma<br />

in various species. The tumour demonstrated dual expression of keratin<br />

and vimentin intermediate filaments. In details, the lobules of physaliferous<br />

cells were intensely and diffusely positive for cytokeratin, weekly and inconstantly<br />

positive for vimentin and S-100 protein. The presence of cytokeratin<br />

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clearly differentiated chordoma from chondrosarcoma. A diagnosis of chondroid<br />

chordoma was made. No recurrence of the tumour was present 5 months<br />

after surgery.<br />

Discussion. Chordoma is an uncommon neoplasm arising from remnants of<br />

notochord. The notochord defines the cranial-caudal axis of the embryo, induces<br />

the formation of the head and central nervous system and serves as an<br />

organizing development centre of the vertebral bodies and the basal portions<br />

of the sphenoid and occipital bones. The nucleus pulposus is believed to be<br />

the only derivative of notochordal tissue. Three distinct types are recognized<br />

in human beings: 1) the classic chordoma, 2) chondroid chordoma, and 3)<br />

chordoma with a malignant spindle cell component. The classic chordoma is<br />

a slow-growing, locally aggressive neoplasm with high rate of recurrence,<br />

particularly those of sacrococcygeal or vertebral origin, while chondroid<br />

chordoma arises primarily in the spheno-occipital region and is characterized<br />

by chondromatous and chordomatous features, showing a better prognosis<br />

compared to classic chordoma (Unni and Inwards 2000). Besides human<br />

being, chondroid chordoma has been reported in rats, minks and ferrets (Dunn<br />

et al., 1991), and is frequently located on the tail. Only one case of cervical<br />

non cartilaginous chordoma with metastasis to prescapular lymph nodes was<br />

reported in the cat (Carpenter et al., 1990). The feline case reported here<br />

shows histological characteristics similar to those of the chondroid chordoma<br />

described in ferret. It may be the greater degree of differentiation that accounts<br />

for its better prognosis when compared with classic chordoma. Only<br />

an accurate histological and immunohistochemical diagnostic approach allows<br />

a proper distinction of chondroid chordoma from other tumours of the<br />

tail with cartilaginous differentiation.<br />

References<br />

1. Dunn DG, Harris RK, Meis JM, Sweet DE 1991 A histomorphologic and immunohistochemical<br />

study of chordoma in twenty ferrets (Mustela putorius furo). Vet Pathol 28: 467-473.<br />

2. Carpenter JL, Stein BS, King NW Jr, Dayal YD, Moore FM 1990 Chordoma in a cat. J Am Vet Med<br />

Assoc 197: 240-242.<br />

3. Unni KK, Inwards CY 2000 Tumors of the osteoarticular system. In Fletcher CDM Ed. Diagnostic<br />

Histopathology of Tumors, 2nd ed., pp. 1584-1585. Churchill Livingstone, London.<br />

Corresponding author:<br />

Antonio Carminato<br />

Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie<br />

Viale dell’Università, 10 - 35020 Legnaro (PD), Italy<br />

Phone ++39 049 8084260 - Fax ++39 049 8084258 - E-mail: acarminato@izsvenezie.it<br />

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UN TUMORE PERIANALE IN UN CANE…<br />

NON IL SOLITO ADENOMA!<br />

Alfredo Dentini 1 Med Vet; Selina Iussich 2 Med Vet<br />

Elvio Lepri 3 Med Vet, PhD, Dipl ECVP; Luigi Settimi 4 Med Vet<br />

Paolo Buracco 5 Prof. Ord. Clinica Chir. Vet. Dipl ECVS<br />

1<br />

Libero professionista, Clinica Veterinaria Tyrus (Terni)<br />

2,5<br />

Dip. Patologia Animale, Facoltà di Med. Vet. Grugliasco (Torino)<br />

3<br />

Dip. Scienze Biopatologiche Veterinarie, Facoltà di Med. Vet. Perugia<br />

4<br />

Libero professionista, Todi (PG)<br />

Introduzione. I tumori perianali canini originano prevalentemente dalle<br />

ghiandole epatoidi circumanali o dalle ghiandole apocrine dei seni paranali. I<br />

primi sono per lo più adenomi (58-96% dei tumori paranali), più raramente<br />

adenocarcinomi (3-21%). Questi ultimi sono localmente aggressivi, le metastasi<br />

sono rare (15% dei casi), tardive ed associate a tumori di grandi dimensioni.<br />

Al contrario gli adenocarcinomi apocrini dei sacchi sviluppano metastasi<br />

frequenti e precoci, associate a tumori primari anche di piccole dimensioni,<br />

talora difficilmente evidenziabili. La terapia è prevalentemente chirurgica,<br />

mentre la chemioterapia è riportata in modo anedottico.<br />

Descrizione del caso. Cocker Americano maschio intero di 12 anni presentato<br />

per diarrea acuta e depressione. La visita clinica evidenziava dolore addominale<br />

associato alla presenza di una massa addominale a contorni irregolari;<br />

nella regione perianale si evidenziavano due piccoli noduli di 5-7 mm di diametro<br />

ed un ispessimento irregolare del sacco anale di sinistra.<br />

L’esame ultrasonografico dell’addome evidenziava una neoformazione “complex<br />

mass” a margini irregolari, multilobata, con diametro maggiore di 6 cm,<br />

topograficamente localizzata nella sede dei linfonodi iliaci.<br />

L’esame citologico eseguito per FNA dai noduli perianali evidenziava una popolazione<br />

di cellule aggregate in clusters con prevalente citoarchitettura papillare<br />

e rari clusters con sovrapposizione cellulare e disposizione caotica. Alcuni<br />

clusters apparivano organizzati attorno a strutture endoteliali. Le cellule<br />

erano grandi (30-40 micron), di forma rotondeggiante con margini cellulari<br />

definiti, citoplasma granulare basofilo, nucleo centrale con piccoli nucleoli,<br />

media anisocitosi ed anisomacrocariosi. Il quadro citologico era compatibile<br />

con neoplasia delle ghiandole epatoidi ben differenziata con modici criteri di<br />

atipia. Si eseguiva poi un agoaspirato dalla neoformazione addominale, il cui<br />

quadro citologico era sovrapponibile al precedente, con alcuni campi caratterizzati<br />

da criteri di atipia ancor meno spiccati. La stadiazione del tumore con<br />

esame radiografico del torace in tre proiezioni e TAC escludeva metastasi toraciche<br />

ed evidenziava lo stretto contatto della neoformazione addominale<br />

con i grandi vasi che apparivano compressi ma non infiltrati. In considerazio-<br />

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ne di questo venne ritenuta possibile, sebbene con prognosi riservata, l’asportazione<br />

della neoformazione addominale contestualmente ai noduli perianali<br />

e ad entrambi i sacchi paranali. Si istituiva inoltre un protocollo chemioterapico<br />

neoadiuvante con Doxorubicina (1 mg/kg, giorno 1) e Carboplatino (150<br />

mg/m 2 , giorno 2), seguito da tre cicli adiuvanti ogni 21 giorni.<br />

A distanza di 12 giorni dal primo ciclo di chemioterapia si effettuava un’ecografia<br />

addominale di controllo che evidenziava la riduzione del diametro maggiore<br />

della massa da 6 a 4 cm. La chirurgia, effettuata in quarta settimana, era<br />

suddivisa in due fasi: escissione marginale dei sacchi anali e dei noduli perianali<br />

con margine non superiore a 0,5 cm per salvaguardare lo sfintere; celiotomia<br />

con accurato scollamento della massa (presumibilmente un linfonodo iliaco<br />

mediale) posta tra le 4 iliache ed adesa anche all’uretere; l’asportazione di<br />

tale massa era assolutamente marginale, con residuo di minuscoli frammenti di<br />

neoplasia adesi alla parete delle arterie; la rimozione non si associava ad alcuna<br />

complicanza intraoperatoria ed il decorso post-operatorio era regolare.<br />

L’esame istopatologico evidenziava aspetti sovrapponibili in tutti i campioni<br />

(noduli perianali, sacchi paranali e linfonodo) rappresentati da crescita infiltrativa<br />

di una popolazione monomorfa di cellule epatoidi con criteri variabili di atipia<br />

e pleomorfismo. Si emetteva pertanto la diagnosi di adenocarcinoma metastatico<br />

delle ghiandole epatoidi. Il ciclo chemioterapico era ripetuto 6 giorni dopo<br />

la chirurgia. Il follow-up complessivo, ad oggi, è di 45 giorni e l’animale è<br />

tuttora in vita, in ottima salute e senza segni di metastasi o recidiva locale.<br />

Discussione. Il caso in questione ci è sembrato interessante per diversi aspetti.<br />

Innanzitutto la rarità degli adenocarcinomi delle ghiandole epatoidi con metastasi<br />

linfonodali, presentazione molto più comune per i tumori delle ghiandole<br />

dei sacchi paranali; i sacchi paranali risultavano inoltre ispessiti ed infiltrati<br />

dal tumore delle ghiandole epatoidi, complicando ancor più la diagnosi<br />

differenziale tra le due neoplasie, tuttavia agevolmente chiarita dall’esame citologico<br />

ed istologico delle masse primarie e della metastasi addominale.<br />

Un altro aspetto degno di nota è l’applicazione di un protocollo chemioterapico<br />

neoadiuvante, esitato in una sensibile riduzione delle dimensioni della<br />

massa addominale che ne ha reso l’asportazione chirurgica più agevole.<br />

Bibliografia<br />

Withrow SJ e Vail DM. Withrow & MacEwen’s Small Animal Clinical Oncology. 4th ed. Saunders St.<br />

Louis, 2007.<br />

Vail DM, Withrow SJ, Schwarz PD et al.; Perianal adenocarcinoma in the canine male: a retrospective<br />

study of 41 cases. JAAHA 26: 329-334, 1990.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Alfredo Dentini<br />

Clinica Veterinaria Tyrus - Via del Lanificio, 9/a - 05100 Terni<br />

Tel. e Fax 0744 425003 - E-mail: alfredo.dentini@tele2.it<br />

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UN CASO DI MELANOMA MALIGNO CUTANEO<br />

CON METASTASI A LIVELLO OSSEO E POLMONARE IN UN GATTO<br />

Guido Filomarino 1 Med Vet; Giovanni Tortorella 2 Med Vet<br />

1<br />

Libero Professionista, Barletta<br />

2<br />

Servizio Sanità Animale ASL, Lecce<br />

Introduzione. Il melanoma maligno cutaneo è una neoplasia rara nel gatto. È<br />

più frequente nei gatti anziani e si localizza prevalentemente a livello del padiglione<br />

auricolare o alla base dell’orecchio, nella regione frontale, sul naso e<br />

alle estremità distali degli arti. Può avere aspetto, colore e dimensioni variabili<br />

e può presentarsi anche ulcerato. Ha un elevato grado di malignità e tende<br />

a metastatizzare a livello di linfonodi regionali, polmone e altri organi. La<br />

morfologia cellulare è altrettanto variabile e ne sono stati descritti 5 tipi (epitelioide,<br />

a cellule fusate, misto, con cellule a castone e balloniforme). La prognosi<br />

è spesso infausta per l’alto tasso metastatico e la frequenza delle recidive<br />

locali.<br />

Descrizione del caso. Ketty, gatto europeo femmina sterilizzata di 15 anni,<br />

viene condotta a visita per disoressia, debolezza, poliuria/polidipsia. Diciotto<br />

mesi prima era stata sottoposta a conchectomia per l’asportazione di una neoplasia<br />

cutanea bottoniforme, di circa 1,5 cm, al margine mediale del padiglione<br />

auricolare sinistro, presente da almeno un anno, gradualmente aumentata di<br />

volume e infine ulceratasi. I proprietari rifiutarono qualsiasi indagine collaterale<br />

volta alla stadiazione del tumore e pretesero esclusivamente l’escissione<br />

chirurgica. L’esame citologico era compatibile con melanoma. L’esame istologico<br />

della neoformazione, asportata con margini liberi, confermò il sospetto citologico<br />

di melanoma. Trattavasi di un melanoma pigmentato, con prevalente<br />

morfologia epitelioide, con spiccato epidermotropismo (evidente attività giunzionale<br />

- melanoma composto) fino all’ulcerazione, infiltrante la cartilagine<br />

della pinna. Mitosi 6 - 7 x 10 HPF. Si osservavano cellule giganti e nuclei atipici<br />

e irregolari con grosso nucleolo centrale e mitosi atipiche. In alcune aree<br />

le cellule neoplastiche assumevano aspetto balloniforme. All’esame citologico<br />

i linfonodi regionali risultarono apparentemente indenni.<br />

Alla seconda presentazione la paziente appare in scadente stato di nutrizione,<br />

disidratata e dispnoica. All’esame radiologico del torace si riscontrano noduli<br />

polmonari multipli compatibili con neoplasia metastatica. Vengono inoltre<br />

evidenziate lesioni ossee litiche a carico della vertebra L3 e del terzo distale<br />

della diafisi femorale destra. Gli esami di laboratorio mostrano lieve iperfosfatasemia<br />

e lieve ipercalcemia, urine ipostenuriche. Dopo alcuni giorni di terapia<br />

medica, la gatta manifesta paraplegia ed i proprietari optano perciò per<br />

l’eutanasia. All’esame necroscopico si rinvengono una neoformazione ovalare<br />

di colore grigiastro, a superficie regolare, adesa alla faccia mediale del ter-<br />

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zo distale della diafisi femorale dx, e una neoformazione simile a localizzazione<br />

paravertebrale lombare sinistra. A carico dei polmoni si evidenziano numerose<br />

lesioni nodulari di colore nero e dimensioni variabili, mentre in cavità<br />

addominale non sono rilevabili lesioni macroscopiche. L’esame istologico<br />

ha confermato la presenza di metastasi multiple di melanoma negli organi con<br />

lesioni macroscopiche evidenti.<br />

Discussione. In letteratura sono rare le segnalazioni di metastasi ossee da<br />

melanoma maligno cutaneo, tumore di per sé poco comune nel gatto. Il caso<br />

qui presentato è parso interessante per la localizzazione ossea multipla<br />

delle metastasi.<br />

Bibliografia<br />

1. van der Linde-Sipman JS, et al. Cutaneous malignant melanomas in 57 cats: identification of (amelanotic)<br />

signet-ring and balloon cell types and verification of their origin by immunohistochemistry,<br />

electron microscopy, and in situ hybridization. Vet Pathol 34:31-38, 1997.<br />

2. Luna LD, et al. Feline non-ocular melanoma: a retrospective study of 23 cases (1991-1999). J Feline<br />

Med Surg 2:173-181, 2000.<br />

3. Ramos-Vara JA, et al. Melan A and S100 protein immunohistochemistry in feline melanomas: 48 cases.<br />

Vet Pathol 39:127-132, 2002.<br />

4. Smith SH, et al. A comparative review of melanocytic melanomas. Vet Pathol 39: 651-678, 2002.<br />

5. Goldschmidt M. H. and Shofer F.S., Skin tumors of the dog and cat. Pergamon press. 1992.<br />

6. Gross T.L., et al. Skin disease of the dog and the cat. Clinical and histopathologic diagnosis. II ed.<br />

Blackwell 2005.<br />

7. Goldschmidt M.H., et al. WHO International histological classification of tumors of domestic animals<br />

II series. Vol. III. 1998.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Guido Filomarino<br />

Via Boccaccio, 23 - 70051 Barletta(BA)<br />

Tel. 0883 533000 - 3407749869 - E-mail: guidofilomarino@libero.it<br />

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LEIOMIOSARCOMA EPIPLOICO IN UNO YORKSHIRE TERRIER<br />

Luca Lideo Med Vet; Roberto Milan Med Vet;<br />

Giuliana Bonetti Med Vet; Ermenegildo Baroni Med Vet<br />

Clinica Veterinaria Baroni, Rovigo<br />

Introduzione. La degenerazione neoplastica maligna delle cellule della muscolatura<br />

liscia viene definita con il nome di leiomiosarcoma; questa patologia,<br />

nella specie canina, viene sovente descritta a carico del tratto gastrointestinale,<br />

con coinvolgimento di stomaco, digiuno e cieco, oppure a carico di<br />

milza e fegato.<br />

La localizzazione omentale di questo tipo di tumore viene considerata un<br />

evento raro e soprattutto viene descritto come sito metastatico di lesioni primarie<br />

agli organi elencati sopra.<br />

Descrizione del caso. Questo lavoro descrive il caso di un leiomiosarcoma<br />

epiploico repertato in uno Yorkshire Terrier maschio di sette anni, del peso di<br />

9,2 kg.<br />

Alla visita clinica il cane presentava abbattimento, anoressia, normotermia e<br />

addome gonfio. L’esame radiografico addominale evidenziava perdita di dettaglio,<br />

indice di probabile presenza di versamento addominale. Gli esami<br />

ematochimici e delle urine rivelavano la presenza di infiammazione (WBC<br />

25,47, NEU 20,12), ipoproteinemia (3,1 g/dl) ipoalbuminemia (1,57 g/dl) ipocalcemia<br />

(5,3 mg/dl) diminuzione dell’ALT (11 U/l) aumento della GGT (10<br />

U/l), iperamilasemia (2842) ed alcalosi ipercloremica, PU/CU urinario iniziale<br />

di 3,71 e di 0,19 tre giorni dopo. L’esame del sedimento urinario non era<br />

indicativo di patologia specifica. L’elettroforesi urinaria indicava una marcata<br />

proteinuria mista glomerulare e tubulare al momento del ricovero e bande<br />

appena visibili alle dimissioni a conferma di una nefropatia proteino-disperdente<br />

che causava l’ipoproteinemia.<br />

L’esame ecotomografico addominale permetteva di individuare una massa<br />

delle dimensioni di 0,7 cm posteriormente al rene destro; al controllo eseguito<br />

il giorno successivo la stessa massa è stata identificata dietro al rene sinistro.<br />

L’ecografia confermava inoltre la presenza di un versamento cavitario,<br />

aspirato per via percutanea. L’esame del liquido addominale era compatibile<br />

con un trasudato e la valutazione citologica non era significativa di patologia<br />

specifica. Dopo aver corretto la disprotidemia e iniziato una terapia antibiotica<br />

ad ampio spettro il paziente è stato dimesso in prognosi riservata in attesa<br />

della risposta dell’esame istologico eseguito su biopsia ottenuta con ago-trucut<br />

percutanea, eco-guidata, della massa.<br />

A distanza di venti giorni il paziente è stato ricoverato per recidiva dei sintomi<br />

iniziali. L’esito dell’esame istologico diagnosticava la presenza di un leiomiosarcoma<br />

omentale ad alta capacità infiltrativa. Di fronte alla mancata vo-<br />

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lontà di eseguire una laparotomia esplorativa ed alle condizioni generali scadenti<br />

del cane, è stata richiesta da parte del proprietario l’eutanasia ed è stata<br />

rifiutata la necroscopia.<br />

Discussione. La diagnosi di Leiomiosarcoma omentale ha permesso di comprendere<br />

perché tale massa si presentava in posizioni differenti ai controlli<br />

ecografici.<br />

La biopsia eco guidata, si è rivelata una tecnica diagnostica efficace in quanto,<br />

nella letteratura consultata, le diagnosi di leiomiosarcoma sono state fornite<br />

in seguito a laparotomia esplorativa o a necroscopia. Nel nostro caso invece<br />

la tecnica percutanea ha permesso di fornire una diagnosi, pur con le difficoltà<br />

di campionare una massa che non aveva una localizzazione fissa, evitando<br />

di dover sottoporre a laparotomia esplorativa un paziente disprotidemico.<br />

L’assenza di altre anomalie e la descrizione istopatologica ci fanno ritenere<br />

che il sito primario di formazione di questa neoplasia possa essere stato<br />

proprio l’omento, anche se la bibliografia consultata riporta tale sede solo per<br />

metastasi. Siamo coscienti che la mancanza di un esame necroscopico non<br />

permette di escludere la presenza di metastasi non ancora visibili con l’ausilio<br />

dei comuni mezzi diagnostici. Tuttavia, recentemente nel cavallo è stato<br />

decritto un caso di leiomioma localizzato al solo omento senza il coinvolgimento<br />

di altri organi addominali a conferma che anche nel nostro caso possa<br />

trattarsi della versione maligna dello stesso processo neoplastico con sito primario<br />

atipico rispetto alle comuni descrizioni.<br />

Bibliografia<br />

1. Swamm H.M., Holt D.E., Canine gastric adenocarcinoma and leiomyosarcoma: a retrospective studyof<br />

21 cases (1986-1999) and literature review, JAAHA, 2002; 38 (2): 157-164.<br />

2. Kapatkin A.S., Mullen H.S., Matthiesen D.T., Patnaik A.K., Leiomyosarcoma in dogs:44 cases<br />

(1983-1988), JAVMA, 1992; 201 (7): 1077-1079.<br />

3. Sato K., Hikasa Y., Morita T., Shimada A., Ozaki K., Kagota K, Secondary erythrocytosis associated<br />

with high plasma erythropoietin concentrations in a dog with cecal laiomyosarcoma, JAVMA, 2002;<br />

220 (4): 486-490.<br />

4. Schaudien D., Muller J.M.V., Baumgartner W., Omental Leyomioma in a male adult Horse, Vet Pathol,<br />

2007, 44:722-726.<br />

5. MacEwen E.G., Powers B.E., Macy D., Withrow S.J., Small animal clinical oncology, Cap 17,<br />

2001, 287.<br />

6. Kirpensteijn J., Rutteman G.R., BSAVA manual of canine and feline oncology, Cap 16, 2003, 201.<br />

Indirizzo per corrispondenza:<br />

Luca Lideo<br />

Clinica Veterinaria Baroni<br />

Via Martiri di Belfiore, 69/D - 45100 Rovigo<br />

Tel. 0425/471076 - 0425/404918<br />

E-mail: lucalideo@clinica<strong>veterinaria</strong>baroni.com - www.clinica<strong>veterinaria</strong>baroni.com<br />

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LIMB-SPARING IN CASO DI OSTEOSARCOMA ULNARE DISTALE<br />

MEDIANTE ULNECTOMIA E PANARTRODESI CARPICA: 5 CASI<br />

Federico Massari 1 MedVet; Giorgio Romanelli 2 Med Vet, Dipl ECVS<br />

1,2<br />

Libero professionista, Clinica Veterinaria Nerviano, Nerviano (MI)<br />

Scopo del lavoro. Le tecniche di limb-sparing prevedono l’uso di un allotrapianto<br />

(congelato o irradiato), di osso autologo pasteurizzato, tecniche di distrazione-fusione,<br />

autotrapianto vascolarizzato ed impianto metallico 2 . Segnalazioni<br />

di ulnectomia rimangono casi isolati, viste anche le complicanze<br />

anatomiche post-intervento che generano instabilità articolare in caso di<br />

asportazione del processo stiloide ulnare. Lo scopo è quello di valutare complicanze<br />

peri e post-operatorie e stile di vita di cani trattati per osteosarcoma<br />

di ulna distale mediante ulnectomia e artrodesi antebrachiocarpica.<br />

Materiali e Metodi. Cinque cani con neoplasia ossea primaria di ulna distale<br />

riscontrata radiograficamente e diagnosticata istologicamente. Tutti sono<br />

stati stadiati mediante emogramma, esame biochimico completo, esame delle<br />

urine ed Rx torace in 2 proiezioni laterali. In 2 pazienti è stato eseguito un<br />

esame TC total body. Il segmento osseo interessato è stato sottoposto ad esame<br />

Rx in 2 proiezioni ortogonali e, in 2 casi, a TC con ricostruzione assiale,<br />

MPR e 3D.<br />

Di ogni paziente sono stati presi in considerazione razza, sesso, età, peso,<br />

estensione neoplastica, stadio TNM, percentuale di ulna asportata, interessamento<br />

radiale, lunghezza della placca, numero di viti utilizzate, istotipo, tipo<br />

di trattamento chemioterapico postoperatorio, giorni senza carico dell’arto,<br />

qualità di vita e uso dell’arto, eventuali complicanze, recidiva locale e sopravvivenza.<br />

I pazienti sono stati posizionati in decubito dorso-laterale. Cute<br />

e sottocute sono stati incisi sulla faccia dorso-laterale dal gomito fino all’articolazione<br />

metacarpofalangea e separati dal piano muscolare sottostante per<br />

via smussa; i tessuti molli sono stati scollati fino a raggiungere la pseudocapsula<br />

tumorale prestando attenzione a non penetrare il tumore. Mediante l’utilizzo<br />

di una sega oscillante si è eseguita una osteotomia 3-5 cm prossimalmente<br />

al margine neoplastico radiografico prossimale (quando possibile distalmente<br />

al legamento interosseo) ed incisa, distalmente, la capsula articolare,<br />

mantenendosi vicino alla fila prossimale delle ossa carpali. Se la neoplasia<br />

è risultata tomograficamente o visivamente estesa medialmente si è proceduto<br />

alla osteotomia sagittale della corticale radiale interessata. L’avambraccio<br />

è stato quindi stabilizzato con una fissazione compressiva, usando una<br />

placca DCP da 3,5 mm sul radio e sul 3° osso metacarpale appena prossimalmente<br />

all’articolazione metacarpofalangea. Lavata la ferita, si è proceduto alla<br />

sutura per piani previa applicazione di un drenaggio in aspirazione attiva.<br />

È stato quindi applicato un bendaggio rigido per 45 giorni.<br />

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Risultati. Sono stati trattati 2 Labrador, 1 Rottweiler, 1 Maremmano e 1 Boxer,<br />

4 maschi ed 1 femmina tra 1 e 8 anni, e fra 28 e 46 kg. Tutti senza metastasi<br />

polmonari evidenti ed in stadio T 2 N 0 M 0 . La neoplasia occupava dal 29,4<br />

al 35,3% dell’osso. La percentuale di ulna asportata è risultata essere tra 53,7<br />

e 69,8%, con osteotomia sagittale della corticale radiale (21,2 e 63,9%) in 2<br />

pazienti. Il numero di viti utilizzate è stato tra 6 e 8 per il radio e tra 5 e 6 per<br />

il carpo-metacarpo, variando in totale da 12 (4 casi) a 13 (1). La lunghezza<br />

della placca è variata da 12 a 18 fori. Istologicamente sono risultati 4 OSA<br />

osteoblastico e 1 OSA teleangectasico tutti asportati con margini istologici<br />

considerati indenni. In 4 pazienti è stato usato un protocollo chemioterapico<br />

adiuvante: 2 con cisplatino (70 mg/m 2 ogni 3 settimane) e 2 con cisplatino (50<br />

mg/m 2 ) e doxorubicina (15 mg/m 2 ). In un caso la chemioterapia è stata rifiutata<br />

dal proprietario.<br />

I pazienti hanno riguadagnato l’appoggio già il giorno dopo l’intervento senza<br />

alcun sintomo di dolorabilità e buon movimento. Non si sono riscontrate<br />

complicanze post-operatorie. In nessun paziente è stata rimossa la placca.<br />

In un caso (l’unico non trattato chemioterapicamente) c’è stata recidiva locale.<br />

I giorni di sopravvivenza sono variati da 80 a 1860 (media 568, mediana 200).<br />

Conclusioni. Visti gli ottimi risultati funzionali, senza le complicanze da utilizzo<br />

di materiale estraneo, oltre all’eccellente qualità di vita nel peri e postoperatorio,<br />

anche a lungo termine, la tecnica di limb-sparing con artrodesi metacarpale<br />

in caso di neoplasia ossea primaria dell’ulna distale risulta la tecnica<br />

chirurgica d’elezione.<br />

Bibliografia<br />

1. Straw, Withrow, Powers: Primary osteosarcoma of the ulna in 12 dogs; JAAHA 1991 May-June,<br />

Vol. 27.<br />

2. Dernell WS, Ehrhart NP, Straw RC, Vail DM Tumors of the skeletal system in Withrow - Vail Small<br />

Animal Clinical Oncology IV ed. pag 540-582 Saunders Ed.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Federico Massari<br />

Clinica Veterinaria Nerviano - 20014 Nerviano (MI)<br />

Tel. 0331415263 - Fax 0331415369 - E-mail: fidomas@hotmail.com<br />

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ADENOCARCINOMA TIROIDEO NEL GATTO:<br />

PRESENTAZIONE DI UN CASO CLINICO<br />

Paola Modesto 1 Med Vet<br />

Paolo Buracco 2 Prof Ord Clin Chir Vet Dipl ECVS<br />

Alessandra Ratto 3 Med Vet; Angelo Ferrari 4 Med Vet<br />

1,3,4<br />

Centro di Referenza <strong>Nazionale</strong> per l’<strong>Oncologia</strong> Veterinaria e<br />

Comparata (CEROVEC), Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte,<br />

Liguria e Valle d’Aosta, Sez. Genova<br />

2<br />

Dip. di Patologia Animale, Facoltà di Medicina Veterinaria, Grugliasco (TO)<br />

Introduzione. I tumori della tiroide sono le neoplasie endocrine più diffuse<br />

nel gatto, osservate generalmente in soggetti anziani, senza predisposizione di<br />

razza o sesso. Nella maggioranza dei casi sono adenomi, spesso bilaterali (70-<br />

80%), ormonosecernenti, associati ad ipertiroidismo. Nel 3-5% dei casi questa<br />

condizione è riferibile ad adenocarcinoma, con comportamento aggressivo<br />

e tendenza a metastatizzare ai linfonodi regionali e/o a distanza in meno<br />

del 50% dei casi. Le neoplasie funzionali possono essere escisse chirurgicamente<br />

o controllate con farmaci antitiroidei.<br />

Descrizione del caso<br />

Segnalamento. Gatto europeo maschio castrato di 13 anni.<br />

Anamnesi recente. Portato alla visita clinica dopo rilevamento di un nodulo di<br />

1,6 cm nella porzione ventrale del collo, destro, solido, non dolente, mobile,<br />

palpabile solo dopo estensione dorsale. Da 1 mese presentava alterazioni<br />

comportamentali (iperattività, eliminazione inappropriata, toelettatura eccessiva,<br />

lieve polifagia e polidipsia).<br />

Esame fisico. A parte il rilievo della massa, non si riscontravano ulteriori<br />

anomalie.<br />

Approfondimenti diagnostici. Il gatto veniva sottoposto a: a) biopsia ad ago sottile<br />

della massa ed esame citologico; b) esame emocromocitometrico e profilo biochimico;<br />

c) dosaggio del T4, d) esame radiografico del torace nelle 3 proiezioni,<br />

e) esame ecografico dell’addome, e f) scintigrafia tiroidea. Citologicamente si evidenziava<br />

l’origine tiroidea della lesione, con presenza di clusters riferibili ad adenoma<br />

ed altri con caratteristiche border-line. I valori di ALT, AST e γ-GT erano<br />

superiori al range; il T4 risultava elevato (7 µg/dl, valori di riferimento 1,5-5,0<br />

µgr/dl). La scintigrafia rivelava un’area con margine ventrale disomogeneo avida<br />

di radiofarmaco nella regione ventrale destra del collo, con rapporto di counts<br />

5,5:1 con la ghiandola salivare ipsilaterale. Non si notavano tessuti avidi di tecnezio<br />

metastatici o ectopici. L’esame radiografico non rilevava immagini anomale.<br />

Diagnosi. ipertiroidismo secondario a nodulo monolaterale destro.<br />

Terapia. Si instaurava una terapia con metimazolo: 2,5 mg BID, poi ridotto a<br />

1,25 mg BID per 1 mese. Comparsa di anoressia e letargia marcate. In consi-<br />

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derazione dei pesanti effetti collaterali della terapia e delle indicazioni apportate<br />

dalla scintigrafia (assenza di tessuto tiroideo funzionale ectopico e presenza<br />

di un solo lobo tiroideo ormonoattivo) si procedeva all’asportazione del lobo<br />

destro, avvenuta senza complicanze. Dopo l’intervento i valori di T4 scendevano<br />

sotto il range e tornavano nella norma nei 2 mesi successivi (T4 1,48 µg/dl);<br />

la normalizzazione clinica si verificava nell’arco delle prime due settimane.<br />

Diagnosi istologica. Carcinoma tiroideo a prevalente struttura follicolare costituito<br />

da cellule colonnari con nuclei polimorfi, occasionalmente in mitosi.<br />

Follow-up. A 18 mesi dalla chirurgia il soggetto è in buone condizioni e non<br />

manifesta segni clinici ascrivibili ad ipertiroidismo; tutti i test di laboratorio<br />

(compreso il T4) risultano nella norma. Normali anche l’esame radiografico<br />

del torace e l’ecografia dell’addome.<br />

Discussione. Prima del 1980 l’ipertiroidismo era scarsamente diagnosticato;<br />

oggi è una delle più comuni malattie endocrine del gatto adulto. L’apparente incremento<br />

dell’incidenza, almeno in Italia, potrebbe essere correlata all’aumento<br />

dei gatti anziani visitati, all’uso routinario dei test di valutazione della funzionalità<br />

tiroidea, al riconoscimento più agevole dell’ipertiroidismo da parte dei<br />

clinici. Nel registro tumori animali del CEROVEC su 3479 neoplasie feline<br />

(2811 maligne), sono presenti 9 tumori tiroidei, di cui 6 maligni, 4 risalenti agli<br />

ultimi 5 anni. Poiché i dati in letteratura sono limitati, sorge il dubbio che le basse<br />

percentuali riportate siano dovute alle scarse indagini cliniche e alle anche<br />

più esigue escissioni chirurgiche condotte fino ad oggi. La possibilità di trattare<br />

i soggetti con farmaci che, pur non rallentando la crescita tumorale, riescono<br />

a controllare i sintomi, influisce sulla reale incidenza della malattia visto che la<br />

supposta origine benigna della lesione fa spesso optare i proprietari per il non<br />

intervento. L’asportazione precoce di masse secernenti unilaterali accertate con<br />

l’esame scintigrafico potrebbe al contrario rivelarne la reale natura benigna vs.<br />

maligna e modificare i dati riguardanti la tendenza alla metastatizzazione.<br />

Bibliografia<br />

Capen C.C, Tumors of the endocrine glands. In: Tumors in Domestic Animals. Ed. D.J. Meuten, 4th edition.<br />

Iowa State Press, Ames, IA 2002. pag. 607-696.<br />

Marconato L., Tumori endocrini. In: Marconato L., Del Piero F. <strong>Oncologia</strong> medica dei piccoli animali. Ed<br />

Poletto, 2005 pag. 383-429.<br />

Turrel JM et al. Thyroid carcinoma causing hyperthyroidism in cats: 14 cases (1981-1986). JAVMA 1988<br />

Aug 1; 193(3):359-64.<br />

Buracco P. Tumori tiroidei del gatto. In <strong>Oncologia</strong> del cane e del gatto, a cura di Romanelli G, Elsevier<br />

Masson, 2007, pp. 392-4.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Paola Modesto<br />

Centro di Referenza <strong>Nazionale</strong> per l’<strong>Oncologia</strong> Veterinaria e Comparata (CEROVEC),<br />

Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Sez. Genova<br />

P.zza Borgo Pila, 39/24 - 16129 Genova<br />

Tel. 010542274 - Fax 010566654 - E-mail: cerovec@izsto.it<br />

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LOCALIZZAZIONE CONGIUNTIVALE DI TUMORE VENEREO<br />

TRASMISSIBILE (TVT): SEGNALAZIONE DI UN CASO CLINICO<br />

Annalisa Nieddu 1 Med Vet; Maria Pia Pasolini 1 Med Vet, Phd<br />

Orlando Paciello 2 Med Vet, Phd; Barbara Lamagna 1 Med Vet, Phd<br />

Luigi Navas 1 Med Vet, Phd; Francesco Lamagna 1 Med Ve<br />

1<br />

Dipartimento di Scienze Cliniche Veterinarie, Sezione di Clinica Chirurgica,<br />

Università degli Studi di Napoli “Federico II”<br />

2<br />

Dipartimento di Patologia e Sanità Animale, Settore di Anatomia Patologica,<br />

Università degli Studi di Napoli “Federico II”<br />

Introduzione. Il TVT è una neoplasia del cane di origine istiocitaria, con localizzazione<br />

prevalente a carico dei genitali esterni. Tale neoplasia rappresenta<br />

l’unico esempio di tumore spontaneo contagioso trasmesso per via sessuale<br />

1 ; essa può essere trasmessa, inoltre, tramite lambimento o contatto diretto<br />

della massa neoplastica con le mucose (genitale, orale, oculare, nasale) 1,2,3 .<br />

Il TVT è una neoplasia maligna che tende raramente a metastatizzare, con<br />

modalità ancora non note, per lo più nei soggetti immunocompromessi 1,2,3,4 .<br />

Le localizzazioni extragenitali, in assenza di lesioni genitali primarie, sono rare<br />

e sono state segnalate a livello cutaneo, nasale ed oculare 3,4,5,6,7,8,9,10,11 .<br />

Questo lavoro descrive un insolito caso di localizzazione congiuntivale del<br />

TVT, in concomitanza di lesioni a carico della mucosa buccale e della cute del<br />

tronco e in assenza di lesioni genitali.<br />

Descrizione del caso. Un cane meticcio di taglia media, maschio, dell’età di<br />

9 mesi, è stato condotto a visita per la presenza di alcuni noduli che protrudevano<br />

dalla superficie interna della palpebra superiore dell’occhio destro associata<br />

a difficoltà nella masticazione persistenti da 20 giorni. Il cane viveva<br />

in un regime di semilibertà ed era stato sottoposto a regolare protocollo vaccinale.<br />

Alla visita clinica si evidenziava la presenza di neoformazioni nodulari,<br />

iperemiche e tendenti a confluire tra di loro, diffuse su tutta la superficie<br />

della congiuntiva della palpebra superiore dell’occhio destro. Erano presenti,<br />

inoltre, numerosi noduli sulla mucosa gengivale e un piccolo nodulo cutaneo<br />

sulla superficie laterale destra del collo. All’esame clinico non si evidenziavano<br />

altre anomalie. Si provvedeva quindi ad effettuare un prelievo citologico<br />

mediante aspirazione con ago sottile sia delle neoformazioni gengivali che<br />

del nodulo cutaneo, mentre, le neoformazioni congiuntivali venivano campionate<br />

mediante citobrush. Si effettuavano, inoltre, un prelievo di sangue per<br />

esami ematochimici completi e sierologici (Ehrlichia canis e Leishmania infantum),<br />

esame delle feci, radiografia del torace ed eco addome. Tutti gli esami<br />

collaterali risultavano essere nella norma.<br />

L’esame citologico mostrava una popolazione cellulare numerosa costituita<br />

da cellule monomorfe di grandi dimensioni, con citoplasma abbondante chia-<br />

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ro e spesso vacuolizzato. I nuclei erano rotondi, con cromatina grossolana e<br />

uno o due nucleoli prominenti. Si osservavano diverse figure mitotiche e spesso<br />

piccoli linfociti associati alle cellule neoplastiche. Sulla base di questi risultati<br />

fu posta diagnosi di TVT e il soggetto, quindi, sottoposto al protocollo<br />

chemioterapico standard con vincristina (0,7 mg/m 2 e.v. 1 volta a settimana<br />

per 4 volte). In seguito al trattamento si otteneva la completa remissione di<br />

tutte le lesioni, in assenza di effetti collaterali. A un follow-up a 3 anni è stata<br />

confermata l’assenza di recidive e la completa guarigione del soggetto.<br />

Discussione. In base alle nostre conoscenze, esistono in letteratura quattro segnalazioni<br />

relative a localizzazioni congiuntivali del TVT 4,9,10,11 ; tra queste,<br />

solo in due lavori 9,10 le lesioni congiuntivali vengono descritte in assenza di<br />

tumore genitale primitivo.<br />

Nel caso clinico da noi descritto è possibile ipotizzare che, a causa del regime<br />

di semilibertà in cui viveva il soggetto affetto, le lesioni congiuntivali e<br />

gengivali siano state trasmesse da un soggetto infetto in seguito allo strofinamento<br />

del muso sui genitali esterni. Il nodulo cutaneo potrebbe rappresentare<br />

la conseguenza di una diffusione metastatica, per quanto non siano state evidenziate<br />

altre patologie o terapie determinanti uno stato di immunocompromissione<br />

del soggetto.<br />

In conclusione, è opportuno sottolineare che, nonostante le localizzazioni atipiche<br />

del TVT siano estremamente rare in assenza di lesioni genitali, esse devono<br />

essere tenute in considerazione nella diagnostica differenziale delle lesioni<br />

neoplastiche in sede non genitale del cane.<br />

Bibliografia<br />

1. Marconato L., Del Piero F. <strong>Oncologia</strong> medica dei piccoli animali, Poletto editore (2005).<br />

2. Concannon P.W. et al., Recent Adavances in Small Animal Reproduction, International Veterinary<br />

Information Service, Ithaca NY, 25 apr 2005.<br />

3. Pereira J.S. et al., Vet Ophthalmol 2000, 3(1): 43-47.<br />

4. Boscos C.M. et al., Vet Ophthalmol 1998, 1(2,3): 167-170.<br />

5. Albanese F. et al., Vet. Dermatol. 2002 oct, 13(5): 243-246.<br />

6. Levy E. et al., Vet Clin Pathol 2006 Mar, 35(1): 115-118.<br />

7. Marcos R. et al., Vet Clin Pathos 2006 Mar, 35(1): 106-109.<br />

8. Papazoglou L.G. et al., J Vet Med Physiol Pathos Clin Med 2001 Sep, 46(7): 391-400.<br />

9. Abbot PK, Australian veterinary Journal 1966, 42: 29.<br />

10. Komnenou A et al., abstract n.33 of ECVO and ESVO congress, Brugge (Belgium), 10-14 may 2006<br />

11. Stubbs et al., American Journal of Pathology 1934, 10: 275-286.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Annalisa Nieddu<br />

c/o Dipartimento di Scienze Cliniche Veterinarie - Sezione di Clinica Chirurgica<br />

Università degli Studi di Napoli “Federico II”<br />

Via Federico Delpino, 1 - 80137 Napoli<br />

Tel. 0812536020 - Fax 0812536021 - E-mail: annalisanieddu@libero.it<br />

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TOSSICOLOGIA AMBIENTALE: ANIMALI SENTINELLA<br />

E ONCOLOGIA COMPARATA<br />

Luca Sala Med Vet; Carlo Brini Med Vet<br />

Servizio Sanità Pubblica Veterinaria,<br />

Azienda Sanitaria Locale n. 12 di Biella<br />

Scopo del lavoro. I Medici Veterinari, Libero-Professionisti e Dipendenti<br />

ASL, operano nell’ambito della Prevenzione Primaria.<br />

Si espongono alcune esperienze e una proposta di lavoro, per concretizzare un<br />

Piano di Salute che preveda il monitoraggio continuo e permanente delle più<br />

importanti sostanze inquinanti e xenobiotiche secondo metodiche di tossicologia<br />

ambientale e l’impiego di animali sentinella, sia domestici che selvatici.<br />

Materiali e Metodi. Gli indicatori biologici hanno acquisito negli ultimi decenni<br />

un ruolo rilevante per la ricerca scientifica, indirizzata principalmente<br />

alla Tutela della Salute dell’uomo e degli animali e anche alla protezione dei<br />

beni ambientali, che caratterizzano il nostro Paese.<br />

È oramai assodato che le cause vere della mortalità in l’Italia, sono così<br />

individuate:<br />

10% sono connesse al funzionamento della Sanità,<br />

20% hanno origini genetiche,<br />

30% sono connesse con le politiche ambientali,<br />

40% dipendono dagli stili di vita dei cittadini.<br />

Il Piano <strong>Nazionale</strong> della Prevenzione 2005-2007, individua, fra gli interventi<br />

prioritari da porre in atto, quelli nei confronti delle malattie cardiovascolari e<br />

delle complicazioni da diabete, gli screening oncologici, le vaccinazioni e la<br />

prevenzione degli incidenti.<br />

A prima vista questi interventi non sembrano coinvolgere le attività dei Medici<br />

Veterinari, sia pubblici che privati. Se invece si analizzano le diverse patologie<br />

elencate ed i fattori di rischio che le determinano, appare evidente come attività<br />

di epidemio-tossicologia ambientale, mirate all’individuazione dei fattori determinanti<br />

di alcune patologie, siano strumenti utilizzabili per fare Prevenzione.<br />

Nella programmazione degli interventi appare quindi imprescindibile porre attenzione<br />

ad ambiti d’azione mirati a prevenire fattori di rischio, individuabili nel<br />

campo di studio dell’epidemiologia ambientale, ferma restando la necessità di<br />

validare le attività con strumenti che offrano ragionevoli certezze sulla loro efficacia,<br />

secondo metodi fondati sull’Evidence Based Prevention.<br />

Risultati e Conclusioni. Tradizionalmente il potenziale oncogenico dei diversi<br />

agenti viene analizzato e valutato, in condizioni sperimentali, sugli animali<br />

da laboratorio.<br />

D’altro canto, l’uso degli animali domestici e selvatici per lo studio di fattori<br />

ambientali, come fattori causali di malattie acute o croniche, cancro compre-<br />

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so, ha da sempre destato l’attenzione di molti Ricercatori. Ai fini della presente<br />

ricerca sono stati comparati alcuni studi, eseguiti dal Servizio di Sanità<br />

Pubblica Veterinaria dell’ASL 12 di Biella e vari Partner scientifici:<br />

a) dal 2002 ad oggi sono state analizzate dall’Istituto di Anatomia Patologica<br />

della Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Torino<br />

oltre 350 forme neoplastiche, prelevate da Veterinari Libero professionisti<br />

in animali d’affezione. I referti non hanno consentito di estrapolare<br />

significativi elementi di correlazione fra le neoplasie indagate e cause di<br />

origine ambientale;<br />

b) uno studio, condotto su base provinciale dal 2001 ad oggi, per rilevare la presenza<br />

di metalli pesanti e PCB in organi bersaglio di oltre 300 animali selvatici<br />

(camosci, caprioli e cinghiali), analizzati presso l’Università degli Studi<br />

di Padova e l’Istituto Zooprofilattico del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta,<br />

ha consentito di individuare un “rumore di fondo”, relativo alla presenza di<br />

questi elementi in matrici ambientali quali acqua, vegetali, aria e terreno;<br />

c) un’indagine preliminare, svolta nel 2005 in collaborazione col Dipartimento<br />

di Biologia Animale e dell’Uomo dell’Università degli Studi La Sapienza<br />

di Roma, sugli effetti stocastici provocati dal Radon in alcuni cavalli,<br />

esposti all’emissione naturale di tale gas (persistenza di micronuclei<br />

nei globuli rossi), ha evidenziato effetti statisticamente significativi provocati<br />

da tale esposizione, rispetto ai controlli.<br />

Questi risultati ci spingono a promuovere un tavolo di concertazione fra Medici<br />

Veterinari, siano essi Libero-Professionisti o Dipendenti del SSN, Esperti<br />

ed interessati a questi fondamentali argomenti, dal quale possa nascere un<br />

Progetto comune, rivolto alla creazione di un Osservatorio permanente. In<br />

questo modo sarà possibile coinvolgere anche le altre figure professionali che<br />

studiano i possibili rischi di salute, umana ed animale, provocati da sostanze<br />

tossiche di origine ambientale.<br />

Bibliografia<br />

1. Massimo Valsecchi - Evidenced Based Prevention e Dipartimenti di Prevenzione. Seminario Regionale,<br />

Conegliano - 2002.<br />

2. Montagna e salute. INM. Atti workshop Roma 13-14 aprile 2005. ISS.<br />

3. Liliana Cori, Loredana Musumeci - Politiche e strumenti internazionali in materia di ambiente e salute:<br />

indicazioni per il Piano di azione in Italia. 2006. ISS.<br />

4. Analisi della Salute degli animali domestici nei comuni dell’intorno di Malpensa. Regione Lombardia.<br />

Parco del Ticino.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Luca Sala<br />

Servizio Sanità Pubblica Veterinaria ASL 12 Biella<br />

Via don Sturzo, 20 - 13900 Biella (BI)<br />

Tel. 0153503667 - Fax 0153503005 - Cell. 3285304776<br />

E-mail: luca.sala@asl12.piemonte.it<br />

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DESCRIZIONE DI UN CASO DI MELANOMA ORALE<br />

IN UN GATTO<br />

Monica Sforna 1 Med Vet, PhD<br />

Chiara Brachelente 1 Med Vet, PhD, Dipl ECVP; Alfredo Dentini 2 MedVet<br />

Elvio Lepri 1 Med Vet, PhD, Dipl ECVP; Giovanni Ricci 1 Med Vet, PhD<br />

Luca Mechelli 1 MedVet<br />

1<br />

Dipartimento di Scienze Biopatologiche Veterinarie,<br />

Università degli Studi di Perugia<br />

3<br />

Libero professionista, Terni<br />

Introduzione. I tumori della cavità orale nel gatto sono relativamente comuni,<br />

rappresentando dal 3 al 12% di tutte le neoplasie feline, l’89% delle quali<br />

di natura maligna. Le forme di più frequente riscontro sono rappresentate dal<br />

carcinoma squamoso e dal fibrosarcoma mentre le altre forme neoplastiche,<br />

tra le quali i tumori di origine melanocitaria, appaiono estremamente rare. Il<br />

melanoma orale, in particolare, viene riferito come una neoplasia di difficile<br />

riscontro nella specie felina con un comportamento biologico estremamente<br />

aggressivo e con tempi medi di sopravvivenza inferiori ai 2 mesi.<br />

Descrizione del caso. Un gatto, europeo, femmina di 11 anni è stato portato<br />

a visita con una sintomatologia riferibile a disfagia, scialorrea e difficoltà alla<br />

deglutizione. All’esame obiettivo generale l’animale mostrava una tumefazione<br />

non calda né dolente coinvolgente la regione labiale e zigomatica sinistra,<br />

ricoperta da cute integra. All’esame della cavità orale si osservava una<br />

massa delle dimensioni di circa 2,5x2x2 cm, multilobulata, di colore biancastro,<br />

focalmente emorragica che interessava la gengiva superiore sinistra, parte<br />

del palato duro e che imprigionava il canino superiore sinistro con avulsione<br />

degli incisivi. L’esame citologico metteva in evidenza una cellularità abbondante<br />

costituita da cellule disgiunte, pleomorfe, di grandi dimensioni, singole<br />

o lassamente coese, con anisocitosi ed anisomacrocariosi, macronucleoli<br />

prominenti, cromatina finemente granulare ed irregolare. Alcuni nuclei mostravano<br />

forme aberranti da riferirsi a “Monster cells”; il citoplasma appariva<br />

modicamente basofilo. Si osservavano inoltre numerose cellule binucleate, altre<br />

giganti multinucleate associate a molte figure mitotiche aberranti. La diagnosi<br />

citologica indicava una neoplasia maligna con elevato grado di anaplasia<br />

(D/D sarcoma anaplastico, variante giganto-cellulare, e melanoma amelanotico).<br />

Dopo 1 mese dalla visita il gatto veniva sacrificato con metodo eutanasico<br />

a motivo dell’aggravamento delle condizioni generali. La necroscopia<br />

metteva in evidenza, oltre alla massa in cavità orale, l’aumento bilaterale dei<br />

linfonodi mandibolari ed un nodulo a livello del lobo basale polmonare di sinistra.<br />

L’esame istopatologico mostrava reperti simili nella massa orale, nei<br />

linfonodi mandibolari e nel nodulo polmonare rappresentati da una prolifera-<br />

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zione non delimitata, non capsulata, infiltrante di cellule, prevalentemente rotondeggianti,<br />

organizzate in nidi e foglietti, con un ampio citoplasma vitreo,<br />

eosinofilo, nuclei di forma rotondeggiante, ovalare o fusata contenenti spesso<br />

grandi nucleoli. Era presente una marcata anisocitosi ed anisocariosi; l’attività<br />

mitotica era elevata (da 3 a 5 per hpf) con numerose figure mitotiche atipiche.<br />

Erano inoltre presenti cellule binucleate e giganti multinucleate accanto<br />

ad occasionali infiltrati linfoplasmacellulari e a metaplasia ossea presente solo<br />

nella massa principale. Il campione proveniente dalla cavità orale appariva<br />

diffusamente ulcerato e focalmente necrotico; aree di necrosi erano presenti<br />

anche nei campioni linfonodali e polmonari. Altri reperti riscontrati all’esame<br />

anatomo-istopatologico sono stati una grave enterite linfoplasmacellulare e<br />

lesioni nodulari mesenteriche riconducibili a FIP. Sulla base di questi reperti<br />

è stata formulata una diagnosi di sarcoma scarsamente differenziato riconducibile<br />

ad un melanoma amelanotico del sottotipo “giant epithelioid”. Questa<br />

tipologia di melanoma deve essere distinta da altre neoplasie rotondo-cellulari,<br />

quali il mastocitoma e l’istiocitosi progressiva felina. Le colorazioni Giemsa<br />

e PAS non hanno evidenziato materiale citoplasmatico. Sono state effettuate<br />

indagini immunoistochimiche nei confronti di vari antigeni, tra i quali<br />

S100 e Melan A. I risultati hanno mostrato una netta positività, prevalentemente<br />

nucleare per S100, mentre per Melan A si è osservata una tenue colorazione<br />

di occasionali cellule neoplastiche.<br />

Discussione. Il melanoma nel gatto rappresenta un tumore di raro riscontro.<br />

Le localizzazioni più frequenti sono rappresentate dalla regione oculare, dalla<br />

cute e dalla cavità orale. Il sottotipo “giant epithelioid” rappresenta una variante<br />

di melanoma che si manifesta più comunemente nel gatto ed in cui la<br />

gran parte delle cellule mostra un aspetto epitelioide spesso associato ad elementi<br />

epitelioidi giganti. Il caso da noi osservato evidenzia dei dati immunoistochimici<br />

in accordo con la modesta bibliografia presente sia nei confronti di<br />

S-100 che di Melan-A, sottolineando come quest’ultimo marker abbia una<br />

bassa affinità nei confronti dei melanomi amelanotici felini.<br />

Bibliografia<br />

1. Gross et al. Skin Diseases of The Dog And Cat, Blackwell Science, 2005.<br />

2. J.A.Ramos-Vara et al. Melan A and S100 Protein Immunohistochemistry in Feline Melanomas: 48<br />

cases; Veterinary Pathology 39:127-132 (2002).<br />

3. S. H. Smith et al. A Comparative Review of Melanocytic Neoplasms, Veterinary Pathology 39:651-<br />

678, 2002.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Monica Sforna<br />

Dipartimento di Scienze Biopatologiche ed Igiene delle Produzioni Animali e Alimentari<br />

Sezione Patologia ed Igiene Veterinaria - Università degli Studi di Perugia<br />

Via S. Costanzo, 4 - 06126 Perugia<br />

Tel. 075 5857629 - Fax 075 5857739 - E-mail: monica.sforna@unipg.it<br />

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RUOLO PROGNOSTICO DELLA CATEGORIA ISTOPATOLOGICA<br />

“MASTOCITI BEN DIFFERENZIATI”<br />

DEI MARGINI DI ESCISSIONE CHIRURGICA<br />

IN 31 MASTOCITOMI CUTANEI CANINI<br />

Paola Valenti 1 Med Vet; Valentina Fiorbianco 2 Med Vet<br />

Giuseppe Sironi 3 Med Vet, PhD, Prof; Valeria Grieco 4 Med Vet, PhD, Prof<br />

Valerio Bronzo 5 Med Vet, PhD; Stefano Romussi 6 Med Vet, PhD, Prof<br />

Damiano Stefanello 7 Med Vet, PhD<br />

1,2,6,7<br />

Dipartimento di Scienze Cliniche Veterinarie, Milano<br />

3,4,5<br />

Dipartimento di Patologia Animale,<br />

Igiene e Sanità Pubblica Veterinaria, Milano<br />

Scopo del lavoro. Valutare retrospettivamente la correlazione tra la categoria<br />

istopatologica “mastociti ben differenziati” dei margini chirurgici nel mastocitoma<br />

cutaneo canino sul tasso di recidiva locale e sull’intervallo libero da<br />

malattia.<br />

Materiali. Mastocitomi cutanei (MC) escissi con chirurgia ad ampi margini.<br />

Metodi impiegati. Criteri di inclusione assoluti sono stati: 1) diagnosi citologica<br />

di mastocitoma, 2) nessuna terapia neoadiuvante e adiuvante 3) assenza<br />

di metastasi loco-regionali e a distanza 4) valutazione del grado istologico<br />

(classificazione di Patnaik), 5) stato dei margini, distinto in puliti, infiltrati<br />

(infiltrati+ esigui), mastociti ben differenziati (presenza di mastociti perivascolari<br />

o in cluster disgiunti dalla neoplasia principale), 6) follow-up minimo<br />

di 365 giorni per i casi che non hanno presentato recidiva. Per ciascun caso<br />

sono stati inoltre valutati la sede (distinta in testa/collo, tronco, estremità) e le<br />

dimensioni (distinte in < 2 cm, 2-5 cm e > 5 cm). Evento finale dello studio è<br />

stata considerata la recidiva locale, confermata citologicamente e/o istologicamente.<br />

Sono quindi stati valutati: la distribuzione del campione per sede, dimensione,<br />

grado istologico e stato dei margini e il tasso di recidiva del campione.<br />

Lo stato dei margini è stato correlato a sede, dimensione e grado istologico<br />

mediante test Chi-quadro di Pearson (p


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no nel 96,8% dei casi minori a 5 cm (15/31 minori di 2 cm, 15/31 comprese<br />

tra 2-5 cm) e in un caso maggiori di 5 cm. Il grado istologico maggiormente<br />

rappresentato era il II grado. Le categorie di margini sono risultate pulite nel<br />

48,4% dei casi, infiltrate nel 25,8% e con mastociti ben differenziati nel<br />

25,8% casi. Le recidive si sono verificate in 4 casi (13%), tutti di II grado, di<br />

cui 2 con margini infiltrati, uno con margini puliti e uno con mastociti ben differenziati.<br />

Le metastasi, accompagnate da recidiva locale in 3 casi, si sono verificate<br />

in 4 casi (13%) di cui 3 mastocitomi di II e 1 di III grado. Il tempo libero<br />

da malattia medio è stato di 756,7 giorni (intervallo di confidenza 95%<br />

622,1-891,4+/- 68,7 giorni). Al momento sono vivi 18 pazienti mentre 13 sono<br />

deceduti, 4 dei quali per cause relative al tumore e di questi il tempo di sopravvivenza<br />

medio è di 476 giorni (intervallo di confidenza 50,8-901,154 +/-<br />

216 giorni). È stata accertata una correlazione statisticamente positiva con test<br />

Chi-quadro di Pearson tra lo stato dei margini e le dimensioni (p=0,027) mentre<br />

non è stata riscontrata nessuna correlazione statisticamente positiva tra stato<br />

dei margini e: sede (p=0,783), grado istologico (p=0,390) e il tasso di recidiva<br />

(p=0,458).<br />

Conclusioni. I risultati ottenuti in questo campione dimostrano che l’esito dei<br />

margini non condiziona il tempo libero da malattia e il tasso di recidiva. L’assenza<br />

di correlazioni statisticamente significative tra le categorie di margini<br />

può essere giustificata dalla scarsa numerosità del campione e dalla bassa incidenza<br />

della recidiva locale. La correlazione positiva tra stato dei margini e<br />

dimensioni conferma che mastocitomi di dimensioni maggiori hanno una<br />

maggior probabilità di avere margini infiltrati. La presenza di mastociti ben<br />

differenziati ai margini di escissione chirurgica del MC è documentata da diversi<br />

Autori che ammettono di non conoscere la loro reale influenza sul tasso<br />

di recidiva locale. Lo studio da noi condotto, pur non attribuendo un ruolo<br />

prognostico alla categoria di margine “mastociti ben differenziati”, è il primo<br />

compiuto in questa direzione, ma necessita di un campione più ampio e di<br />

strumenti più affinati, come la valutazione immunoistochimica dell’espressione<br />

della proteina Kit, nell’intento di distinguere tra mastociti normali e mastociti<br />

neoplastici.<br />

Indirizzo per la corrispondenza:<br />

Damiano Stefanello<br />

Sezione di Clinica Chirurgica, Dipartimento di Scienze Cliniche Veterinarie<br />

Facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Milano<br />

Via Ponzio, 7 - 20133 Milano<br />

Fax 0250317817 - E-mail: damiano.stefanello@unimi.it<br />

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Finito di stampare<br />

nel mese di Marzo 2008<br />

dalla Press Point s.r.l.<br />

di Abbiategrasso - MI

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