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La chimica nell’arte

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<strong>La</strong> <strong>chimica</strong> <strong>nell’arte</strong><br />

Le persone che studiano l’arte spesso si concentrano sulle qualità stilistiche, letterarie e formali della pittura,<br />

mentre l’opera d’arte è determinata in primo luogo dai materiali a disposizione dell’artista e dalla sua<br />

abilità nel manipolarli. I pigmenti non sono soltanto “colore” ma sostanze con attributi specifici: ad esempio<br />

il costo, la reperibilità, la possibile tossicità e la resistenza alla luce.<br />

Solo negli ultimi cinquant’anni è stato possibile trovare in tubetti belli e pronti tutti i colori dell’arcobaleno<br />

già confezionati, prima ciascun artista macinava e mescolava pigmenti nella propria bottega e possedeva<br />

notevoli conoscenze di <strong>chimica</strong> applicata. Durante il medioevo l’artista non era stimato per la sua fantasia,<br />

ma per la sua capacità di eseguire un lavoro ben fatto. Il pittore per necessità era una specie di chimico, in<br />

quanto l’apprendimento dell’arte richiedeva che si dedicasse altrettanta attenzione agli aspetti meccanici<br />

e pratici, quanto a quelli estetici e intellettuali.<br />

Come si genera il colore di un oggetto?<br />

<strong>La</strong> luce<br />

Nel 1665‐66 Newton dimostrò che la luce fatta passare attraverso un prisma si divideva in colori che non<br />

potevano essere ulteriormente scomposti da un secondo prisma; e che facendo passare questi colori attraverso<br />

una lente, si fondevano di nuovo in un fascio di luce bianca. Newton sollevò quindi la domanda: che<br />

cos’è dunque la luce? Passarono due secoli prima che Maxwell desse la risposta: la luce è una combinazione<br />

di campi elettrici e magnetici ( è un’onda elettromagnetica). <strong>La</strong> frequenza delle vibrazioni, indicata con la<br />

lettera ν, determina il colore della luce e aumenta in modo progressivo dall’estremità rossa a quella azzurra<br />

dello spettro. <strong>La</strong> lunghezza d’onda, indicata con la lettera λ, delle vibrazioni è inversamente proporzionale<br />

alla frequenza secondo la relazione: λ = c/ν; dove la lettera c indica la velocità della luce. <strong>La</strong> più bassa frequenza<br />

della luce che siamo in grado di vedere con i nostri occhi è la luce rossa, le più alte frequenze che<br />

siamo in grado di vedere appaiono violette e hanno frequenza circa doppia della luce rossa. <strong>La</strong> descrizione<br />

fu completata all’inizio del novecento quando ci si rese conto che la luce non è solo un’onda ma anche<br />

una particella. <strong>La</strong> luce si propaga sotto forma di quanti, ognuno dei quali contiene una quantità di energia<br />

proporzionale alla frequenza. Questi quanti di luce si chiamano fotoni. L’energia (E ) di un fotone è direttamente<br />

proporzionale alla sua frequenza (ν ) secondo l’equazione: E= h × ν. <strong>La</strong> lettera h indica la costante<br />

di Planck. Einstein propose questo concetto nel 1905, che più tardi gli valse il Nobel. <strong>La</strong> luce è una parte dello<br />

spettro elettromagnetico costituito da un insieme continuo di onde, diviso convenzionalmente in regioni<br />

a seconda della frequenza delle radiazioni. <strong>La</strong> sequenza completa in ordine di frequenza e quindi di energia<br />

crescenti è la seguente: radioonde –microonde –infrarosso ‐luce visibile –ultravioletto –raggi X – raggi<br />

gamma. <strong>La</strong> luce è energia che viene emessa da cariche elettriche che vibrano negli atomi di una sorgente.<br />

Interazione tra la luce e la materia<br />

Quando la luce incide sulla materia, gli elettroni del materiale vengono forzati a vibrare. Il colore di una sostanza<br />

può essere generato dall’assorbimento della luce, fenomeno regolato dalle frequenze di risonanza<br />

dei materiali. Queste risonanze coinvolgono le nubi elettroniche che circondano gli atomi: la luce viene assorbita<br />

se può elevare gli elettroni del materiale da uno stato di energia ad un altro. Solo raggi di determinate<br />

frequenze possiedono energia adatta a stimolare queste transizioni elettroniche che producono il<br />

colore. <strong>La</strong> frequenza risonante viene assorbita e viene tolto quindi un colore particolare allo spettro della<br />

luce. I raggi, le cui frequenze non corrispondono ad una frequenza risonante, attraversano il materiale se<br />

questo è trasparente o vengono riflessi se il materiale è opaco. Solo questi raggi raggiungono l’occhio umano.<br />

Se partiamo dalla luce bianca e sottraiamo qualche colore, il colore risultante apparirà come il complementare<br />

a quello sottratto. Le foglie appaiono verdi perché la clorofilla assorbe la maggior parte delle fre‐<br />

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quenze e riflette la parte verde della luce. <strong>La</strong> maggior parte degli oggetti tuttavia non riflette colori puri, costituiti<br />

cioè da un’unica frequenza, ma da una miscela di frequenze. Ad esempio i narcisi gialli riflettono anche<br />

il rosso ed il verde, oltre che il giallo. Un narciso illuminato di luce gialla appare giallo, illuminato di luce<br />

rossa appare rosso, illuminato di luce verde appare verde, ma poiché non è in grado di riflettere il blu, illuminato<br />

di luce blu appare nero.<br />

Un oggetto è capace di riflettere solo frequenze che sono presenti nella luce che lo illumina: perciò<br />

l’aspetto di un oggetto colorato dipende dal tipo di luce usata per illuminarlo. Una lampadina ad incandescenza<br />

emette una luce che è più ricca di frequenze basse (rosse) rispetto alla luce solare e quindi esalta i<br />

rossi quando illumina gli oggetti; una lampada fluorescente è più ricca di frequenze alte e quindi esalta i<br />

blu: per questo quando scegliamo un vestito ne valutiamo il colore uscendo per un attimo dal negozio ed<br />

esponendolo alla luce solare.<br />

Non tutti i colori si generano per assorbimento: l’arcobaleno non è causato dall’assorbimento della luce da<br />

parte delle gocce di pioggia ma dalla rifrazione: raggi di diversa lunghezza d’onda vengono deviati secondo<br />

angoli diversi passando dall’aria all’acqua delle goccioline sospese nell’aria. Questo è un esempio di modo<br />

fisico di produrre colore, l’assorbimento della luce dipende invece dalla composizione <strong>chimica</strong> della sostanza.<br />

Un’altra modalità fisica di produrre colore è la diffusione della luce. I fotoni collidono con le particelle<br />

delle molecole attraversate dalla luce e vengono deviate cambiando direzione. <strong>La</strong> luce viene diffusa<br />

con maggiore intensità quando i corpi che la diffondono sono di misura paragonabile alla lunghezza d’onda<br />

della luce diffusa. Ecco perché la macinazione di una polvere colorata può influire sulla tonalità: gli artisti<br />

del medioevo controllavano la sfumatura tramite la macinazione del colore. Il cielo appare blu perché le<br />

molecole di azoto e di ossigeno che formano l’atmosfera diffondono al massimo la radiazione violetta e blu,<br />

mentre la radiazione rossa viene diffusa 10 volte di meno.<br />

I colori primari<br />

Fra i sette colori dello spettro solare tre sono primari: il magenta, il giallo, e il blu cian I colori primari costituiscono<br />

una classe a sé stante, in quanto ciascuno di essi è diverso dall'altro, unico e non ottenibile come<br />

mescolanza di altri colori.<br />

I rimanenti colori dell'Iride si ottengono mescolando questi tre colori di base.<br />

Se mescoliamo blu e giallo, avremo come risultato il verde; con magenta e giallo otteniamo il rosso, che diventa<br />

arancione se aggiungiamo ancora giallo. Blu e magenta, invece, danno un violetto. L'indaco è considerato<br />

blu scuro, privo di giallo e influenzato dal magenta.<br />

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Ricapitolando, i colori dell'Iride sono: magenta, giallo e blu (o il colori<br />

primari), arancione, verde e violetto (o colori secondari) e l'indaco, che è<br />

una variazione del viola.).<br />

Questi 3 colori vengono definiti come primari se ci riferiamo alla sintesi<br />

sottrattiva del colore: sovrapponendo ad esempio filtri colorati giallo,<br />

blu cian e magenta otteniamo il nero (vedi figura). Ogni filtro sottrae una<br />

parte dello spettro luminoso ,da qui il termine sottrattivo. .In Inglese Yellow,<br />

Magenta, Cyan spesso sintetizzati dalla sigla YMC. Pittori e disegnatori<br />

per miscelare i colori stendono con pennelli (o matite) strati di colore sovrapposti sulla tela (o la carta)<br />

e quindi di fatto realizzano una serie di filtri colorati. Si tratta quindi di una sintesi sottrattiva, il colore che si<br />

ottiene è via via più scuro. Altro esempio di sintesi sottrattiva è quella utilizzata dalle pellicole foto e cinematografiche<br />

a colori: la pellicola è in effetti ricoperta di tre strati sovrapposti uno giallo, uno magenta, uno<br />

ciano.<br />

I tre colori fondamentali in sottrattivo sono i complementari dei tre colori fondamentali della<br />

sintesi additiva.<br />

Nella sintesi additiva vengono considerati primari i colori rosso, verde e blu ( in inglese Red‐Green‐Blue:<br />

RGB) Sovrapponendo fasci di luce di questi 3 colori noi otteniamo luce bianca, ogni volta che aggiungiamo<br />

un fascio di luce , aggiungiamo dei fotoni e aumentiamo la luminosità.<br />

<strong>La</strong> sintesi additiva dei colori è quella usata dall'occhio umano e da molti<br />

dispositivi che l'occhio umano imitano, come le fotocamere digitali, le<br />

telecamere e i monitor, che sintetizzano i colori affiancando punti colorati<br />

diversamente. In pratica un'immagine è scomposta in tanti puntini<br />

(pixel) alternativamente rossi, verdi, blu. Storicamente il primo dispositivo<br />

per la sintesi additiva è stato il disco di Newton, sul quale sono disegnati<br />

molti settori circolari di colori vari. Facendo ruotare velocemente il disco i colori vengono mescolati<br />

e si ottiene un colore misto, che, se i colori sono dosati opportunamente, è un colore neutro al limite un<br />

bianco. I colori fondamentali per la sintesi additiva sono i tre a cui sono sensibili i coni dell'occhio umano. I<br />

colori misti sono visti come somma delle loro componenti RGB. Nella sintesi additiva sommando più colori<br />

si ottiene un colore più chiaro.<br />

Ma in che modo l’occhio umano percepisce i colori?<br />

Le cellule sensibili alla luce sono situate sul fondo della retina, là dove si innesta il nervo ottico, all’estremità<br />

di milioni di filamenti provenienti dal nervo ottico. Possono essere a forma di cono o di bastoncello, vi sono<br />

120 milioni di bastoncelli e 5 milioni di coni. I bastoncelli assorbono l’intero spettro del visibile, in particolar<br />

modo nella regione verde‐azzurra, i coni risentono solo del chiaro e dello scuro, senza operare distinzione<br />

tra i colori, essi sono importanti quando l’illuminazione è scarsa perché sono più sensibili. Se la luce è vivida<br />

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i bastoncelli sono “saturi” e incapaci di assorbire fotoni. Quando l’illuminazione diminuisce bruscamente i<br />

bastoncelli si rilassano e diventano in grado di trasmettere segnali, ma questo processo richiede alcuni minuti.<br />

Le cellule dei coni e dei bastoncelli sono cosparse di migliaia di molecole di proteine chiamate “foto<br />

pigmenti”. Tutti i foto pigmenti contengono una molecola chiamata “retinale”, molto simile al betacarotene,<br />

con molti doppi legami coniugati.<br />

Esistono nell’uomo 3 diversi tipi di coni rispettivamente sensibili al<br />

blu, al verde e al rosso (visione tricomatica), tutti gli altri colori si<br />

ottengono dalla somma degli stimoli provenienti dai 3 recettori di<br />

base. Quando un foto pigmento assorbe la luce, la sua unità retinale<br />

modifica la sua forma, mettendo in moto una serie di meccanismi<br />

molecolari che si traducono in impulsi elettrici nel nervo ottico che attivano una zona della corteccia. Quindi<br />

il nostro cervello elabora una tripletta di segnali che è rigorosamente caratteristica di una colorazione.<br />

Dopo aver parlato degli aspetti della percezione del colore, occorre spendere almeno due parole sulle a‐<br />

nomalie della visione dei colori.<br />

<strong>La</strong> cecità ai colori può essere totale (e in questo caso si parla di acromasia o acromatopsia) oppure parziale,<br />

il che è molto più comune: in questo caso si parla di discromatopsia o di dicromatismo. Il daltonismo, che è<br />

l'anomalia più conosciuta (così chiamato dal nome del suo scopritore, il chimico J. Dalton), è una forma di<br />

cecità per il canale cromatico rosso‐verde, che ha due sottospecie: la protanopia, una cecità più accentuata<br />

per il rosso, e la deuteranopia, una cecità più accentuata per il verde.<br />

Tralasciando ulteriori dettagli, quel che ci preme sottolineare è l'importanza per il grafico e l'impaginatore<br />

di conoscere non solo gli strumenti tecnici del proprio lavoro – i vari software e computer sul mercato – ma<br />

anche le teorie della visione e, con queste, i problemi legati ad anomalie genetiche o acquisite nella percezione<br />

dei colori, così da poter evitare, nei propri lavori, impaginazioni e soluzioni grafiche che potrebbero<br />

risultare parzialmente o totalmente invisibili, e perciò inutilizzabili, per l'utente affetto da una delle varie<br />

forme documentate di cecità ai colori. Nella figura sottostante sono riportati alcuni classici test per la diagnosi<br />

della discromatopsia. Se non riuscite a leggere i numeri nei cerchi, allora è bene che vi rechiate al più<br />

presto da un oculista…<br />

Concludendo: il colore è determinato dalle proprietà del materiale, dalle condizioni di illuminazione,<br />

dalla risposta dell’occhio e dalla rielaborazione da parte del cervello.<br />

Cosa sono i pigmenti e i coloranti?<br />

<strong>La</strong> presenza di pigmenti e coloranti genera il colore nelle opere d’arte. I pigmenti sono costituiti da granelli<br />

di materiali insolubili nella fase disperdente (medium), con la quale formano un impasto più o meno fluido.<br />

I legami chimici tra i granelli (formati da miliardi di particelle) e il mezzo sono deboli. Anche i coloranti allo<br />

stato puro si presentano sotto forma di polveri, però sono solubili nella fase disperdente, ogni singola mo‐<br />

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lecola di colorante forma legami chimici più o meno stabili con le molecole della fase disperdente. Nella pittura<br />

artistica i pigmenti sono di origine inorganica, i coloranti di origine organica. I coloranti vengono trasformati<br />

in pigmenti facendoli assorbire su polveri o gel di sostanze incolori e poi mescolati al medium,<br />

formando paste estensibili come quelle dei pigmenti. Quando il materiale che fa da supporto al colorante è<br />

un gel traslucido, si ottiene un materiale che mantiene una certa trasparenza e che prende il nome di lacca.<br />

In uno strato pittorico il componente che determina il colore è il pigmento perché il medium è trasparente<br />

e quasi incolore. Fino al 1800, secolo in cui vi fu l’avvento dei pigmenti sintetici moderni, molti dei colori<br />

usati in pittura erano minerali finemente macinati. I loro colori erano determinati dai metalli che questi<br />

minerali contengono, e questo è vero anche per molti colori sintetici. I colori forti contengono in genere<br />

metalli di transizione perché i loro ioni tendono ad avere frequenze di risonanza all’interno della gamma<br />

della luce visibile. Alla presenza di ferro è dovuto il colore rosso della ruggine e delle ocre rosse conosciute<br />

fin dalla preistoria. Il rame è collegato alla sfumatura verde‐ azzurra osservata sui paioli ossidati. Il blu è<br />

proprio del cobalto, il nichel è associato al verde mare, il cromo dà origine a composti variamente colorati.<br />

Le proprietà che un pigmento deve possedere sono: insolubilità nel legante, stabilità <strong>chimica</strong>, stabilità foto<strong>chimica</strong>,<br />

inerzia nei confronti di sostanze con cui devono essere mescolati.<br />

<strong>La</strong> classificazione dei pigmenti dal punto di vista chimico è la seguente ( nello schema M sta per “metallo”):<br />

Coloranti organici<br />

Mentre il quarzo rosa deve il suo colore a tracce di titanio e manganese, le rose non contengono questi metalli.<br />

Negli organismi viventi i colori sono composti organici, molecole che contengono catene di atomi di<br />

carbonio. Fino al 1800, quasi tutte le tinture organiche erano prodotti naturali: la porpora di Tiro era e‐<br />

stratta da un mollusco, l’indaco era estratto da un’erba, il rosso robbia da una radice, la cocciniglia da un<br />

insetto. Il rosso cremisi veniva estratto da un insetto privo di ali, il Kermes vermilio, il colore era ricavato<br />

schiacciando gli insetti e facendoli bollire nella lisciva. Il termine vermiglione deriva dal latini vermiculum<br />

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(piccolo verme) ed era usato per definire un pigmento rosso sintetico ottenuto da zolfo e mercurio, perché<br />

gli antichi ritenevano a torto che sostanze dal colore simile dovessero avere una composizione simile anche<br />

se l’origine era del tutto diversa! Il cremisi, come tutti i coloranti usati per tingere i tessili, ad eccezione<br />

dell’indaco, era troppo trasparente per dipingere intonaco, pietra o legno, gli egizi conoscevano una soluzione:<br />

la tinta cremisi solubile in acqua veniva fatta adsorbire su un vettore inorganico e incolore, in polvere,<br />

ne risulta una sostanza solida detta lacca. Oggi il termine lacca è generico, in antichità veniva usato solo<br />

per il colore rosso. Oggi praticamente tutti i coloranti sono prodotti di sintesi dell’industria <strong>chimica</strong>. Mentre<br />

nel mondo antico solo un dozzina di colori organici erano abbastanza stabili da poter essere utilizzati, oggi<br />

sono disponibili 4000 coloranti di sintesi. <strong>La</strong> comparsa del colore nei composti organici è dovuta alla presenza<br />

di estesi sistemi di doppi legami coniugati, ossia di un numero elevato di doppi legami carboniocarbonio<br />

alternati a legami semplici. In questi composti con una struttura rigida e planare, esiste la possibilità<br />

di delocalizzare gli elettroni messi in comune che possono muoversi sopra e sotto il piano della molecola,<br />

con transizioni ad orbitali elettronici ad energia superiore rispetto a quelli normalmente occupati. A queste<br />

transizioni legate ad assorbimento di energia radiante nel campo del visibile, è dovuta la comparsa del<br />

colore.<br />

Elementi di storia dei coloranti<br />

Gli autori delle pitture rupestri ricavavano i colori dall’ambiente: il rosso dall’ematite, un ossido di ferro cristallizzato<br />

con varie percentuali di acqua; il nero dal carbone vegetale; il marrone dall’ossido di manganese;<br />

il bianco dal gesso o da ossa macinate. L’ematite era ridotta in polvere finissima con mortaio e pestello e<br />

mescolata ad un legante organico come l’olio vegetale, dando luogo ad una specie di pittura ad olio.<br />

<strong>La</strong> tecnologia <strong>chimica</strong> esistente nell’antichità per produrre colori non fu sviluppata specificamente con questo<br />

scopo, ma era il frutto della pratica della produzione del vetro, del sapone o della ceramica. <strong>La</strong> creazione<br />

di pigmenti era una branca secondaria di un’industria <strong>chimica</strong> rivolta alla produzione di sostanze necessarie<br />

alla vita quotidiana. Nell’antichità un altro importante volano dell’innovazione nel campo dei colori fu<br />

la manifattura tessile, perché gli indumenti colorati segnavano la gerarchia sociale.<br />

Una menzione speciale va alla scoperta della biacca, in uso già presso gli egizi e poi ininterrottamente fino<br />

al 1800, quando è caduto in disuso a causa della sua tossicità, ma fino ad allora era l’unico pigmento bianco<br />

per dipingere ad olio. <strong>La</strong> biacca è carbonato basico di piombo 2PbCO 3 .Pb(OH) 2 Veniva ottenuto attraverso<br />

una sostanza intermedia, l’acetato di piombo che si forma quando l’acido acetico corrode il piombo. <strong>La</strong> viticoltura<br />

era praticata presso gli egiziani e l’aceto era ben noto. Si ponevano striscioline di piombo in vasi di<br />

terracotta che avevano uno scomparto separato per l’aceto; questi venivano impilati in un deposito sigillato<br />

insieme a concime animale. I vapori dell’aceto ossidavano il piombo formando il piombo acetato, mentre<br />

l’anidride carbonica proveniente dalla fermentazione del letame reagendo con l’acqua formava acido carbonico;<br />

ciò favoriva la trasformazione dell’acetato in carbonato basico di piombo. Era necessario anche più<br />

di un mese perché la biacca fosse pronta. Il verderame era prodotto con un procedimento simile, corrodendo<br />

il minerale di rame con vapori d’aceto. Nei colori per artisti il verderame è quindi l’acetato di rame,<br />

mentre in viticoltura si usa il solfato di rame come antiparassitario e viene chiamato ugualmente verderame.<br />

Nel medioevo si introdussero nuovi pigmenti tra cui il blu oltremare dai lapislazzuli, pietre semipreziose<br />

estratte da giacimenti in Afganistan. Il fatto che tali pietre provenissero da lontano (oltremare) e fossero<br />

ottenute con un procedimento laborioso ne fecero un pigmento caro quanto l’oro. Un blu meno caro era<br />

ricavato dall’azzurrite, un carbonato basico di rame, proveniente da giacimenti più vicini, era frequente il<br />

tentativo di spacciare questo pigmento per blu oltremare e i pittori dovevano stare attenti alle frodi.<br />

L’azzurrite era adatta a dipingere i cieli, se macinata molto finemente aveva una tonalità pallida, per una<br />

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tonalità più scura occorreva macinare in modo più grossolano, ma per applicarlo occorreva legarlo con colla<br />

animale piuttosto che con tempera all’uovo. A queste tinte azzurre si aggiunse il tornasole, ricavato da una<br />

pianta che si volgeva verso il sole (come i girasoli). Questo colorante con il tempo tendeva al rosso a causa<br />

della leggera acidità dell’ambiente (dovuta alla presenza di CO 2 ) essendo una sostanza sensibile ai cambiamenti<br />

di pH.<br />

<strong>La</strong> porpora di Tiro, un dibromoderivato dell'indaco (la struttura dell’indaco è riportata in fondo alla pagina),<br />

era il miglior colorante dell'antichità. Essa veniva estratta in piccole quantità dalle ghiandole di certi<br />

molluschi raccolti al largo delle coste dell' Asia Minore. <strong>La</strong> porpora era un colore riservato ai re in quanto<br />

era estratta in piccole quantità ed il suo costo era elevatissimo. Estratta la parte molle della conchiglia, questa<br />

veniva spremuta e mescolata con acqua di mare o semplicemente con sale. Ottenuta una sorta di poltiglia<br />

si esponeva al sole per tre giorni in maniera tale che il liquido si separasse dal resto. Quindi, il succo veniva<br />

fatto bollire con l’acqua per dieci giorni in vasi di piombo fintanto che risultasse ridotto almeno della<br />

metà. A questo punto, finalmente, si potevano immergere le stoffe di lino o di lana che successivamente<br />

venivano esposte all’aria per provocare l’ossidazione che avrebbe consentito di raggiungere la tinta rossastra.<br />

Ne scaturivano bellissime ed intense colorazioni che potevano assumere diverse tonalità: dal rosa al<br />

violetto più scuro, a seconda che i materiali trattati fossero drappi, vestiti o tappeti e tendaggi.<br />

Fino al XX secolo il vermiglione non ebbe rivali come pigmento rosso nel campo artistico, ma si fece ricorso<br />

anche a lacche –pigmento ottenute da coloranti. Una tintura rossa era estratta dalla radice del brasile che<br />

veniva importata prima della scoperta dell’America da Cylon. Questa pianta cresce anche in nell’America<br />

del sud, e da qui fu importata in seguito, dando il suo nome ad un’intera nazione! <strong>La</strong> tintura veniva estratta<br />

dal legno ridotto in polvere facendolo bollire con lisciva, poi si aggiungeva allumina che precipitava impregnandosi<br />

di tinta. Aggiungendo durante il procedimento sostanze bianche come il gesso, la biacca o la polvere<br />

di marmo si otteneva un pigmento rosato. Tale lacca era più economica della lacca chermes ricavata<br />

da insetti. Nel tardo medioevo comparve anche il rosso robbia dal nord Europa, estratta dalla radice di una<br />

pianta, più duratura della lacca ricavata dal brasile. Un’altra lacca cremisi era ottenuta dalla cocciniglia, un<br />

parassita di una pianta erbacea che veniva estirpata per raccogliere il grumo di insetti, il cui raccolto durava<br />

solo 2 settimane, dopo la festa di S. Giovanni il 24 Giugno. Questa lacca costava il doppio del chermes.<br />

L’indaco era importato dall’India, dalla quale deriva appunto il suo nome. Si ricava dalle foglie dell'Isatis tintoria,<br />

che vengono tagliate e fatte fermentare in acqua. Il liquido giallo‐verde che si ottiene dalla fermentazione<br />

viene fatto ossidare all'aria in ampie vasche, nelle quali viene costantemente agitato. Man mano che<br />

progredisce l'ossidazione, il colore della soluzione vira gradualmente fino a diventare un blu‐violaceo caratteristico.<br />

Viene quindi raccolto il deposito melmoso che si è formato in quanto il colorante non è solubile in<br />

acqua ma precipita sotto forma di fiocchi, riscaldandolo per bloccarne la fermentazione. Una volta asciugato,<br />

viene messo in commercio in forma di pani. Oggi viene anche prodotto per sintesi <strong>chimica</strong>. Adolf Von<br />

Baeyer, premio Nobel nel 1913, per primo mise a punto questo processo di sintesi. Nella pianta il colorante<br />

blu non è presente ma esiste l'indacano, un suo precursore, stabile. L'indacano è un β‐D‐glucoside dal quale<br />

la fermentazione elimina il glucosio e, mediante ossidazione all'aria, si trasforma in indaco. Tale colorante<br />

può essere utilizzato per tingere il cotone o per la preparazione di colori ad acquarello.<br />

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<strong>La</strong> doratura<br />

Almeno fino al XIV secolo le pale d’altare non avevano come sfondo i cieli o la natura ma un campo d’oro<br />

che per l’artista medioevale era un colore a pieno titolo. Alle tavole stuccate veniva applicata una lamina<br />

sottile, la foglia d’oro. Gli artigiani del medioevo, non vincolati da leggi a protezione della moneta, si fabbricavano<br />

la foglia d’oro battendo ripetutamente le monete, fino a renderle quasi senza peso. Albume, gomma,<br />

miele o succhi vegetali erano usati per far aderire la foglia d’oro alle pergamene, venivano chiamati<br />

mordenti all’acqua, ovvero sostanze solubili in acqua che “mordenzavano” cioè mordevano (fissavano)<br />

l’oro. Poiché l’umidità stacca i mordenti al’acqua occorreva fissare con una vernice, in alternativa si usavano<br />

i mordenti all’olio. <strong>La</strong> superficie veniva poi lisciata con un oggetto duro, per riacquistare lo splendore del<br />

metallo. L’oro era usato anche come pigmento in polvere, ma poiché si tratta di un metallo tenero e duttile,<br />

mentre lo si pesta nel mortaio le particelle tendono a fondersi insieme invece di frantumarsi. Veniva quindi<br />

fatta un amalgama con mercurio, questa è una pasta dura e fragile che può essere frantumata, il mercurio<br />

viene poi vaporizzato, lasciando l’oro in polvere. In alternativa una foglia d’oro sottilissima veniva macinata<br />

in presenza di sale, per evitare che i granellini si saldassero insieme. Un succedaneo dell’oro era<br />

l’orpimento, solfuro d’arsenico As2S3, minerale tossico fu usato fino al tardo medioevo.<br />

L’avvento della pittura ad olio<br />

Con il passaggio dal medioevo all’umanesimo cambiò anche il modo di concepire l’opera d’atre: Giotto fu il<br />

grande innovatore, egli mostrò oggetti in rilievo con luci ed ombre. L’osservatore non “legge” le figure come<br />

se leggesse un libro, ma è presente sulla scena, testimone dell’azione, per questo nelle sue opere sono<br />

presenti ad esempio personaggi ripresi di schiena o con i volti nascosti, come accade nella vita reale.<br />

L’immagine non è più un simbolo immutabile, ma viene fissata nella fuggevolezza dell’attimo. Si arrivò con<br />

il rinascimento all’esatta collocazione degli oggetti nello spazio e quindi alla prospettiva lineare introdotta<br />

da Brunelleschi. Per rappresentare la natura l’artista deve studiarla scientificamente, per esempio conoscere<br />

l’anatomia. Il desiderio di riprodurre fedelmente la natura si scontrava con la limitatezza dei colori a disposizione.<br />

Fino a quando l’avvento della pittura ad olio non rese più accettabile la miscelazione dei colori,<br />

la gamma a disposizione era poco più ampia di quella dell’artista medioevale: la natura ha più sfumature di<br />

quelle a disposizione del pittore. L’arte italiana dell’alto Rinascimento ha un enorme debito verso<br />

un’innovazione tecnica importata dall’olanda, che il Vasari scrive essere stata inventata da Jan Van Eyck<br />

(1390‐1441), cioè la pittura ad olio. In realtà Van Eyck non fu il primo a servirsene, ma scoprì come sfruttare<br />

il vero potenziale di questo strumento. Gli oli usati per impastare i pigmenti sono detti “oli siccativi”, di lino,<br />

di noce o di papavero che asciugando formano una pellicola elastica resistente all’acqua. L’olio deve essere<br />

raffinato con cura perché asciughi in modo soddisfacente , a volte vengono usati agenti essiccanti come sali<br />

di metalli, in ogni caso l’asciugatura è più lenta di quella della tempera d’uovo: richiede ore o giorni invece<br />

di minuti. Il processo di essiccamento consiste in un meccanismo di polimerizzazione con formazione di<br />

una rete tridimensionale. Questi oli erano usati già dai romani, la trasparenza della pittura ad olio era usata<br />

per ricoprire di un sottile strato di rosso (velatura) l’oro per farlo sembrare più brillante. Van Eyck si rese<br />

conto che il procedimento di velatura poteva avere un enorme valore per l’artista, si potevano ottenere colori<br />

profondi, ricchi e stabili, mai eguagliati dalla sola tempera all’uovo. Egli stese i colori ad olio su un fondo<br />

a tempera abbinando la l’asciugatura rapida di quest’ultima alla possibilità di mescolanze offerte dagli<br />

oli. <strong>La</strong> commistione di tempera ed oli è molto comune <strong>nell’arte</strong> del XV secolo. Nell’olio ogni particella di<br />

pigmento è isolata da uno strato di fluido, per cui pigmenti che nella tempera possono reagire tra di loro,<br />

sono combinati stabilmente nell’olio. Il fatto che asciughi lentamente permette di sfumare i toni e i contorni,<br />

cosa che si addice particolarmente alla rappresentazione delle tonalità della pelle. L’indice di rifrazione<br />

dell’olio è diverso da quello del tuorlo d’uovo: i pigmenti non mantengono necessariamente lo stesso colore:<br />

l’oltremare è più scuro che nella tempera all’uovo ed occorre mescolare un po’ di biacca; la malachite<br />

8


verde come il verderame diventano piuttosto trasparenti ed occorre mescolare biacca o giallo di piombo<br />

per restituire capacità coprente. Divenne popolare un verde alternativo, un “resinato di rame” ottenuto da<br />

verderame e trementina estratta dai pini, ci si accorse però che invecchiando il colore tende a diventare<br />

marrone. L’aspirazione ad imitare la natura creò una forte domanda di verde e di nuovi coloranti. Gli artisti<br />

presero a mescolare gli azzurri e i gialli a questo scopo.<br />

Man mano che i materiali perdevano la loro connotazione simbolica, le scelte coloristiche dei pittori divennero<br />

puramente finanziarie, il listino prezzi delle spezierie (i principali fornitori di pigmenti), riporta enormi<br />

differenze di prezzo tra i pigmenti, molto maggiori di quelle riscontrabili ai giorni nostri. L’artista poi doveva<br />

rifornirsi nelle più importanti città commerciali: Firenze, Colonia e soprattutto Venezia. I veneziani usarono<br />

le tele come supporto intorno al1440, prima che nel resto d’Italia, incentivati dalla presenza dell’industria<br />

che produceva tessuti per le vele.<br />

Non vi furono sostanziali innovazioni nei materiali fino alla fine del 1700, con la nascita dell’industria delle<br />

vernici, quando si aprì il dilemma tra l’utilizzo dei consolidati materiali tradizionali e la sperimentazione di<br />

quelli nuovi che si tradusse anche in uno stile artistico innovativo.<br />

Classificazione dei principali pigmenti per cromia<br />

Bianchi<br />

Bianco di Piombo<br />

composizione: carbonato basico di Piombo<br />

altri nomi: Biacca, Bianco d'Argento, origine: artificiale; periodo d'uso: noto ed usato dai tempi piu antichi. E<br />

stato il bianco più utilizzato fino al XIX secolo; in seguito parzialmente sostituito dal Bianco di Zinco e nel XX<br />

secolo dal Bianco di Titanio. Resistenza: ha tendenza a scurire per azione dell'acido solfidrico, che può essere<br />

presente nell'aria, trasformandosi in PbS nero, limitatamente tuttavia all'impiego in tempere su carta.<br />

Per ossidazione si trasforma in ossido di piombo marrone quando è utilizzato in pittura murale in leganti<br />

magri e in presenza di umidità..Compatibilità: nelle tecniche a olio, risultandone le particelle protette da un<br />

film di olio, è compatibile con tutti i pigmenti. Nelle tecniche ad acqua è sensibile a molti pigmenti costituiti<br />

da solfuri che potrebbero trasformarlo in PbS Tecniche: utilizzato soprattutto nelle tecniche a tempera<br />

d'uovo e a olio su tavola e tela; occasionalmente in pittura murale.<br />

Bianco di Zinco<br />

Composizione: ossido di Zinco ZnO (qualche volta addizionato di Bianco di Piombo)<br />

altri nomi: Bianco Cinese, Zinc White. Origine: artificiale. Periodo d'uso: noto dal 1782 è stato commercialmente<br />

disponibile verso la metà del XIX secolo. Bianco con buon potere coprente; fluorescente sotto U.V.<br />

Buona resistenza alla luce e discreta agli agenti atmosferici; tende a trasformarsi in carbonato di Zinco altrettanto<br />

bianco. E' solubile in soluzioni acide e basiche. Compatibilità: compatibile con tutti i pigmenti.<br />

Sembra però accelerare lo sbiadimento di alcuni pigmenti organici di sintesi. Tecniche: usato in tutte le tecniche<br />

comprese quelle "ad acqua" nelle quali è noto col nome di Bianco Cinese.<br />

Bianco di Titanio<br />

composizione: biossido di Titanio TiO 2 altri nomi: Titanox, Titanium White. Origine: artificiale<br />

periodo d'uso: disponibile dal 1920. Colore: bianco con ottimo potere coprente. Resistenza: <strong>chimica</strong>mente<br />

assai inerte. Tecniche: usato in tutte le tecniche. Per quelle ad olio, non avendo autonomamente proprietà<br />

siccative, deve essere addizionato con sostanze che abbiano tali caratteristiche.<br />

Bianco di Calce<br />

composizione: carbonato di Calcio CaCO 3 . Altri nomi: Bianco San Giovanni, Whiting, Chalk, Lime White<br />

origine: naturale minerale e artificiale.Periodo d'uso: noto dall'antichità. Oggi per lo più non utilizzato come<br />

pigmento ma piuttosto come inerte, per "dar corpo" ad alcuni coloranti organici.<br />

colore: più o meno bianco a seconda dell'origine e della granulazione con modeste proprietà coprenti ad<br />

eccezione che su intonaco<br />

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esistenza: abbastanza resistente ai normali agenti atmosferici escluso quelli acidi<br />

tecniche: come pigmento è stato usato quasi esclusivamente in pittura murale. Come inerte è stato spesso<br />

utilizzato nelle preparazioni, al posto del gesso, soprattutto nei paesi d'oltralpe<br />

Bolo Bianco<br />

composizione: silicato di Alluminio idrato. Altri nomi: China Clay, Caolino. Tecniche: è stato utilizzato come<br />

additivo di pigmenti o per diminuire il potere coprente nelle preparazioni per doratura insieme ai più comuni<br />

bolo rosso e arancio. Più diffuso è I'impiego in ceramica.<br />

Azzurrite<br />

Blu<br />

composizione: carbonato basico di Rame. Altri nomi: Mountain Blue, Azzurro della Magna<br />

origine: naturale minerale. Periodo d'uso: noto e usato come più importante pigmento blu per tutta l'antichità<br />

fino al XVII secolo. Colore: azzurro intenso se macinato non molto fine altrimenti perde colore e potere<br />

coprente. Resistenza: di notevole stabilità nelle normali condizioni ambientali. Ha tendenza a diventare<br />

verde trasformandosi in altri sali basici rameici nelle pitture murali, sotto I'azione dell'umidità e di altri a‐<br />

genti. E' solubile in acidi.. Tecniche: è stato impiegato in tutte le tecniche ma soprattutto nella tempera su<br />

tavola e nella pittura murale (comunque disperso in tempere)<br />

<strong>La</strong>pislazuli<br />

composizione: approssimativamente silicato di Sodio e Alluminio contenente solfuri + spato calcareo + tracce<br />

di pirite (minerale <strong>La</strong>zurite). Altri nomi: Oltremare Naturale, Naturale Ultramarine, Armenian Blue. Origine:<br />

naturale minerale. Periodo d'uso: noto e usato dall'antichità fino a tutto il XVIII secolo. Colore: azzurro<br />

semitrasparente più brillante nelle tempere che negli olii. Spesso mescolato con un pigmento bianco. Resistenza:<br />

stabile ai normali agenti atmosferici; si decompone e decolora con gli acidi. Tecniche: adatto a tutte<br />

le tecniche ma soprattutto per le tempere su tavola e secondariamente per la pittura murale<br />

Smaltino<br />

composizione: vetro potassico contenente ossidi di Cobalto. Altri nomi: Smalto, Smalt, Dumont Blue, Hungary<br />

Blue. Origine: artificiale. Periodo d'uso: noto dalla fine del XV secolo ma probabilmente assai prima;<br />

usato soprattutto nel XVII e XVIII secolo. Colore: da blu porpora a blu chiaro a seconda della purezza del<br />

minerale di partenza. Ha scarso potere coprente e viene macinato grossolanamente per conservare il colore.<br />

Resistenza: resistente a tutti gli agenti. Compatibilità: ha una notevole tendenza a catalizzare processi<br />

alterativi dei leganti organici (tempere) che tendono di conseguenza ad assumere frequentemente un tono<br />

bruno, scuro. Tecniche: usato in tutte le tecniche ma soprattutto nell'affresco per il quale è molto adatto a<br />

ragione dell'elevata resistenza<br />

Blu di Cobalto<br />

composizione: alluminato di Cobalto. Altri nomi: Cobalt Blue, Blu di Thenard. Origine: artificiale<br />

periodo d'uso: scoperto agli inizi del 1800. Colore: azzurro intenso di tonalità pura con buon potere coprente.<br />

Resistenza: ha resistenza elevata a tutti gli agenti. Tecniche: utilizzato in tutte le tecniche<br />

Blu di Prussia<br />

composizione: ferrocianuro ferrico. Altri nomi: Prussian Blue, Blu di Berlino, Blu di Parigi, Blu di Anversa,<br />

Turnbull's Blue. Origine: artificiale. Periodo d'uso: scoperto agli inizi del XVIII secolo ma usato solo dalla seconda<br />

metà del secolo. Colore: blu intenso con lieve sotto?tono verdastro, elevato potere coprente e granulazione<br />

così fine da apparire quasi simile a un colorante. Resistenza: abbastanza resistente ai normali a‐<br />

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genti e agli acidi diluiti, viene decomposto dagli alcali che lo trasformano in idrossidi ferrici bruni<br />

tecniche: non può essere usato per gli affreschi. Nelle altre tecniche è stato estensivamente impiegato fino<br />

alla prima metà del XX secolo.<br />

Indaco<br />

altri nomi: Indigo, Indian Blue. Origine: naturale vegetate o sintetica dalla fine del XIX secolo. Periodo d'uso:<br />

noto fin dall'antichità. Colore: blu intenso con sottotono violetto; granulazione finissima. Resistenza: in film<br />

sottili ed esposto a intensa luce solare tende a sbiadire. E' <strong>chimica</strong>mente stabile. Tecniche: può essere usato<br />

in pittura ad olio, ma risulta migliore nelle tempere e in acquerello<br />

Malachite<br />

Verdi<br />

Composizione: carbonato basico di Rame. Altri nomi: Mountain Green, Hungarian Green. Origine: naturale<br />

minerale. Periodo d'uso: usato dai tempi più antichi fino al XIX secolo colore. Colore: verde bottiglia chiaro.<br />

Presenta di solito una macinazione grossolana. Resistenza: è risultato resistente e stabile alle normali condizioni<br />

ambientali. E però sensibile ad acidi a basi. Tecniche: usato in tutte le tecniche ma con migliori risultati<br />

nelle tempere piuttosto che negli olii<br />

Verderame<br />

composizione: acetati di Rame, variamente basici e idrati. Altri nomi: Verdigris, Verde di Grecia, Montpellier<br />

Green. Origine: sintetica; anticamente per corrosione del Rame con l'aceto (o I'acido acetico)<br />

periodo d'uso: preparato e utilizzato dal tempo dei Greci e dei Romani fino al XIX secolo. Colore: verde non<br />

intenso con toni azzurri. Resistenza: buona resistenza alla luce ma scarsa agli agenti atmosferici. Ha tendenza<br />

a sbiadire o annerire compatibilità: annerisce facilmente se mescolato con pigmenti a base di solfuri. Si è<br />

dimostrato più resistente nell'impiego in miniatura. Tecnche: utilizzato in molte tecniche, particolarmente<br />

in quelle ad olio della pittura italiana<br />

Verderame Trasparente<br />

composizione: resinato di Rame ottenuto per fusione a caldo di un sale di Rame (di solito lo stesso Verderame)<br />

in una resina. Altri nomi: Transparent Copper Green, Van Eyck Green. Origine: artificiale. Modo d'uso:<br />

usato dall'VIII alla metà del XVI secolo. Colore: verde intenso trasparente omogeneo<br />

resistenza: ha una spiccata tendenza alla foto‐decomposizione che lo scurisce (bruno grigio), fenomeno osservabile<br />

in una grandissima quantità di dipinti a olio. Tecniche: usato soprattutto nelle velature ma anche,<br />

mescolato a pigmenti bianchi, in imprimiture, sottofondi ecc.<br />

Terra Verde<br />

composizione: miscela di due silicoalluminati di Fe(+II), Mg e K. Altri nomi: Green Earth, Terre Verte, Terra<br />

di Verona. Origine: naturale minerale. Periodo d'uso: conosciuto ed usato dai tempi più antichi, fino al XIX<br />

secolo. Colore: assai variabile a seconda delle località di origine da un verde opaco a un verde intenso con<br />

sfumature giallastre; resistenza: come pigmento è resistente a tutti gli agenti ma il film pittorico talvolta in<br />

pittura murale tende a disgregarsi. Tecniche: usato soprattutto per tecniche a fresco, dove presenta buon<br />

potere coprente, e nelle tecniche a tempera. Nella pittura italiana fu usato come sottofondo per gli incarnati<br />

("verdaccio") che oggi appaiono spesso verdastri per la consunzione della pittura rosa di superficie.<br />

Ossido di Cromo Verde, Opaco<br />

composizione: ossido cromico anidro. Altri nomi: Chromium Oxide Green Opaque. Origine: artificiale. Periodo<br />

d'uso: da circa la metà del XIX secolo. Colore: verde pallido opaco. Resistenza: motto stabile agli agenti<br />

chimici e fisici. E il più stabile dei pigmenti verdi. Tecniche: utilizzabile in tutte le tecniche ma poco impiegato<br />

dagli artisti per il tono poco brillante<br />

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Ossido di Cromo Verde, Trasparente<br />

composizione: ossido cromico idrato. Altri nomi: Guignet's Green, Viridian, Verde Smeraldo. Origine: artificiale.<br />

Periodo d'uso: dalla seconda metà del XIX secolo. Colore: verde brillante, intenso, trasparente, con<br />

limitato potere coprente. Resistenza: motto stabile in tutti i medium e a tutti gli agenti. Tecniche: utilizzato<br />

in tutte le tecniche<br />

Verde Smeraldo<br />

composizione: aceto‐arsenito di Rame. Altri nomi: Schweinfurt Green, Paris Green. Origine: artificiale<br />

periodo d'uso: usato poco e solo nel XIX secolo in quanto tossico. Colore: verde‐blu brillante, completamente<br />

diverso da tutti gli altri pigmenti verdi. Ha un buon potere coprente.. Resistenza: poco resistente soprattutto<br />

in atmosfera solforosa. Viene facilmente decomposto da acidi e alcali. Compatibilità: annerisce se<br />

mescolato con pigmenti solfurati. Tecniche: risulta abbastanza stabile in olio<br />

Verde di Cromo<br />

composizione: miscela di Blu di Prussia e Giallo di Cromo da non confondere con i verdi ossido di Cromo<br />

(cfr.). Altri nomi: Cinnabar Green, Oil Green. Origine: artificiale. Periodo d'uso: dall'inizio del XIX secolo<br />

colore: variabile da verde erba a verde blu, con elevato potere coprente e granulazione molto fine<br />

resistenza: poco resistente alla luce sotto la cui azione tende a virare al blu. Presenta inoltre i difetti del Blu<br />

di Prussia e del Giallo di Cromo. Tecniche: non utilizzato in pitture murali per la sua sensibilità agli alcali; i‐<br />

noltre, a causa della scarsa resistenza alla luce non risulta molto adatto neppure nelle altre tecniche pittoriche<br />

Verde di Ftalocianina<br />

composizione: ftalocianina rameica clorurata. Altri nomi: Intense Green, Windsor Green<br />

origine: sintetica;periodo d'uso: dopo il 1936 colore: verde Smeraldo brillante, trasparente<br />

Gialli<br />

Ocre Gialle<br />

composizione: terre naturali costituite da silice e silicoalluminati, colorate in giallo da ossidi di ferro idrati<br />

altri nomi: Terra Gialla, Ocra Romana, Golden Ochre. Origine: naturale, minerale. Periodo d'uso: conosciute<br />

ed utilizzate fin dai tempi preistorici. Colore: giallo opaco con diverse tonalità a seconda del materiale d'origine<br />

con buon potere coprente. Resistenza: generalmente assai resistenti a tutti gli agenti. Tecniche: utilizzate<br />

in tutte le tecniche, in special modo per gli affreschi<br />

Giallo di Cadmio<br />

composizione: solfuro di Cadmio. Origine: artificiale. Periodo d'uso: dalla metà del XIX secolo<br />

colore: di tonalità variante dal giallo limone all'arancio a seconda del metodo di preparazione. Ha buon potere<br />

coprente. Resistenza: permanente e stabile alla luce, è anche resistente agli altri agenti atmosferici<br />

compatibilità: il prodotto moderno, privo di Zolfo in eccesso, è compatibile con la maggior parte degli altri<br />

pigmenti ad eccezione di quelli a base di Piombo e di Rame. Tecniche: usato soprattutto in olio<br />

Gialli di Piombo<br />

Esistono vari gialli a base di Piombo con tonalità cromatiche non molto vivaci (salvo eccezioni) che vanno<br />

dal semplice ossido (cfr. Massicot, Litargirio) alto stannato, all'antimoniato o composti misti e miscele<br />

I prodotti più antichi sono I'ossido e quelli contenenti Stagno; in tempi più recenti si sono aggiunti gli altri<br />

con I'Antimonio. Fondamentalmente si tratta di pigmenti abbastanza simili la cui composizione è tuttora<br />

non sempre ben definita. Altri nomi: Giallo di Napoli, Giallo di Stagno, Giallo d'Antimonio,Giallorino, Giallolino.<br />

Origine: essenzialmente artificiale anche se esistono composti minerali naturali. Periodo d'uso: sembra<br />

siano stati usati fin dai tempi dei Babilonesi. Colore: variabile da giallo pallido a giallo arancio a seconda della<br />

composizione. Resistenza: gli antimoniati e gli stannati sono <strong>chimica</strong>mente assai stabili; più aggredibile<br />

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I'ossido (cfr.). Tecniche: maggiormente utilizzati nelle tecniche ad olio che in quelle a tempera<br />

Orpimento<br />

composizione: trisolfuro di Arsenico. Altri nomi: King's Yellow, Giallo d'Arsenico, Giallo Cinese. Origine: naturale<br />

minerale e dal XVIII secolo artificiale. Periodo d'uso: usato fin dai tempi più antichi (arte egiziana,<br />

persiana,cinese) è stato abbandonato dal secolo scorso a causa della elevata tossicità. Colore: dal giallo oro<br />

brillante all'arancio, con discreto potere coprente. Resistenza: abbastanza stabile. Compatibilità: trattandosi<br />

di un solfuro è incompatibile con i pigmenti a base di Rame e con alcuni di Piombo con i quali reagisce<br />

formando solfuri neri<br />

Giallo di Stronzio<br />

composizione: cromato di Stronzio. Altri nomi: Giallo Limone, Giallo Oltremare. Origine: artificiale. Periodo<br />

d'uso: dalla metà del XIX secolo. Colore: giallo limone più intenso e brillante del Giallo di Bario rispetto al<br />

quale presenta anche maggior potere coprente. Resistenza: leggermente solubile in acqua, solubile in alcali<br />

e acidi diluiti. Esposto a forte luce solare assume toni verdastri per formazione di ossido di Cromo<br />

tecniche: nelle tecniche in cui è usato (olio soprattutto) è preferito al Giallo di Bario<br />

Giallo di Zinco<br />

composizione: cromato di Zinco. Origine: artificiale. Periodo d'uso: dalla metà del XIX secolo<br />

colore: giallo limone puro, brillante, molto simile al Giallo di Stronzio. Resistenza: parzialmente solubile in<br />

acqua e acidi, non è molto resistente alla luce diventando grigio verde per formazione di ossido di Cromo<br />

come tutti i cromati. Tecniche: usato soprattutto negli anni recenti per tecniche ad olio e ad acqua<br />

Massicot<br />

composizione: monossido di Piombo. Altri nomi: Litargirio. Origine: artificiale. Periodo d'uso: conosciuto<br />

dall' antichità, è stato usato soprattutto a partire dal XV fino agli inizi del XIX secolo. Colore: il Massicot è<br />

una varietà gialla; il Litargirio una varietà più arancio. Tecniche: mentre il Massicot è stato usato anche come<br />

pigmento, il Litargirio è stato impiegato soprattutto come siccativo degli olii<br />

Litopone di Cadmio Giallo<br />

composizione: solfuro di Cadmio miscelato con circa il 60% di Bario solfato. Origine: artificiale. Periodo d'uso:<br />

introdotto nel 1927. Resistenza: resistente a luce e calore come il Giallo di Cadmio, ha però un potere<br />

coprente minore ed è più economico<br />

Vermiglione<br />

Rossi<br />

composizione: solfuro di Mercurio rosso. Altri nomi: Cinabro, Vermiglione Cinese. Origine: naturale minerale<br />

e artificiale. Periodo d'uso: conosciuto dalla antichità inizialmente col nome di minio; diffusamente usato<br />

tutt'oggi anche se spesso adulterato. Colore: rosso brillante puro, con elevato potere coprente; resistenza:<br />

è resistente a tutti gli agenti, sebbene nell'uso in tempera possa diventare scuro alla luce. Compatibilità:<br />

nonostante sia un solfuro è compatibile con tutti i pigmenti. Tecniche: usato in tutte le tecniche compresa<br />

la pittura murale del periodo romano;<br />

Rosso Arancio di Cadmio<br />

composizione: solfoseleniuro di Cadmio. oorigine: artificiale. Periodo d'uso: dagli inizi del XX secolo<br />

colore: variabile da rosso scarlatto a rosso arancio secondo le condizioni di preparazione e dei rapporti fra<br />

Solfo e Selenio. Resistenza: resistente alla luce e agli agenti atmosferici in condizioni ordinarie<br />

Minio<br />

composizione: ossido misto di Piombo. Altri nomi: Red Lead, Arancio Minerale. Origine: artificiale<br />

periodo d'uso: conosciuto ed usato dall'antichità. Colore: arancio con buon potere coprente<br />

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esistenza: non molto stabile alla luce e all'aria. Nelle pitture murali in climi umidi lo si trova spesso ossidato<br />

di colore marrone intenso. Nella pittura ad olio ha una lieve tendenza a sbiadire se all'esterno, normalmente<br />

è abbastanza stabile. Tecniche: in relazione a quanto sopra si tende oggi ad usarlo più limitatamente che<br />

in passato. Dall'impiego del minio nella pittura a tempera per decorare i manoscritti nel Medioevo è derivato<br />

il termine "miniare" e "miniatura". E' stato usato in tutte le tecniche.<br />

Ocra Rossa<br />

composizione: I'ossido ferrico varia il suo colore da rosso a giallo a seconda del grado di idratazione. L'Ocra<br />

Rossa è ossido ferrico anidro impuro d'argille. Altri nomi: Rosso Sinopia. Origine: naturale minerale a sintetica.<br />

Periodo d'uso: conosciuto dalla più remota antichità. Colore: tonalità assai varie dal rosso al rosso bruno.<br />

Tecniche: usato in tutte le tecniche<br />

Ematite<br />

composizione: ossido ferrico. Origine: naturale minerale. Periodo d'uso: dall'antichità. Colore: rosso scuro,<br />

saturo. Tecniche: I'Ematite era usata soprattutto come pietra per la brunitura dell'oro in foglia<br />

<strong>La</strong>cca di Robbia<br />

composizione: colorante organico a base soprattutto di Alizarina. Altri nomi: Madder <strong>La</strong>ke, Garanza, Rose<br />

Madder. Origine: naturale vegetate oggi sostituita da Alizarina artificiale. Periodo d'uso: usato dal periodo<br />

egiziano. Colore: rosso rubino più caldo rispetto alle lacche con sola Alizarina, quasi trasparente. Esistono<br />

anche varietà brune chiamate "<strong>La</strong>cche di Robbia bruciate". Resistenza: pur essendo di natura organica è assai<br />

stabile. Naturalmente come tutti i coloranti organici è sensibile alla luce. Tecniche: usato in forma di lacca<br />

soprattutto con idrossido di Alluminio in tutte le tecniche<br />

Alizarina Cremisi<br />

composizione: colorante organico costituito da 1,2‐diidrossiantrachinone<br />

altri nomi: Alizarin Crimson. Origine: artificiale. Periodo d'uso: dalla seconda metà del XIX secolo<br />

colore: rosso porpora brillante trasparente con potere coprente maggiore della <strong>La</strong>cca di Robbia<br />

resistenza: è piu resistente allla luce e in generate più stabile della <strong>La</strong>cca di Robbia. Tecniche: le stesse delta<br />

<strong>La</strong>cca di Robbia<br />

<strong>La</strong>cca Carminio o di Cocciniglia<br />

composizione: colorante organico a base di acido carminico. Altri nomi: Cochineal, Crimson <strong>La</strong>ke<br />

origine: naturale animale. Oggi con questo nome vengono commerciate anche lacche con coloranti sintetici<br />

periodo d'uso: comparsa in Europa alla metà del XVI secolo, è stata usata fino al XIX secolo. Colore: variabile<br />

da scarlatto a porpora a seconda dell'inerte. Resistenza: quasi stabile in olio, è invece meno resistente in<br />

colori a tempera con tendenza a imbrunire e poi a decolorarsi per azione della luce. Tecniche: usata soprattutto<br />

a olio ma anche nelle tecniche ad acqua<br />

Chermes<br />

composizione: colorante organico a base di acido chermesico. Altri nomi: Kermes <strong>La</strong>ke, Grana, Crimson <strong>La</strong>ke.<br />

Origine: naturale animale. Periodo d'uso: usata nell'antichità, in seguito sostituita da varie altre lacche<br />

colore: meno brillante delle lacche sopra citate<br />

Porpora<br />

composizione: colorante organico. Altri nomi: Tyrian Purple, Murex Purple, Porpora degli antichi<br />

origine: naturale animale da una specie di molluschi (Murex Brandaris). Periodo d'uso: colore molto prezioso<br />

usato quasi esclusivamente al tempo dei Romani soprattutto per la tintura di tessuti di pregio ed anche<br />

per decorare manoscritti del codice bizantino. Colore: rosso porpora. Resistenza: molto resistente<br />

Coloranti Rossi Sintetici<br />

A partire dal 1856 con la sintesi del colorante Malva (Mauve) si è sviluppata una vasta gamma di prodotti<br />

colorati sintetici, spesso denominati con il termine generico di "colori d'anilina" (essendo I'anilina un importante<br />

intermedio per la loro sintesi) che hanno parzialmente o totalmente, sostituito i più costosi coloranti<br />

organici naturali.<br />

Tali sostanze, sia sotto forma di lacche sia mescolati con inerti in polvere per dar loro "corpo", fanno parte<br />

della composizione di numerosi pigmenti attualmente in commercio.<br />

Fra questi possono essere citati il Litho Red, il Magenta o Fucsina, il Quinacridone Red, la Rodamina, il Ros‐<br />

14


so Toluidina e numerosi altri.<br />

Molti di questi composti non hanno tuttavia caratteristiche di stabilità da poter essere utilizzati nella pittura<br />

artistica neppure in interventi di ritocco pittorico.<br />

Essendo in gran parte solubili in solventi organici quali gli alcoli, l'acetone ecc, formano soluzioni colorate<br />

che possono tornare utili a riconoscere la loro presenza in pigmenti dichiarati minerali e di conseguenza<br />

non solubili.<br />

Pigmenti Bruni<br />

Terra di Siena<br />

composizione: ossidi ferrici con silicati argillosi e piccole quantità di biossido di Manganese<br />

altri nomi: varietà: Terre, Terra di Siena Naturale (Raw Sienna) Terra di Siena Bruciata (Burnt Sienna)<br />

origine: naturale minerale. Le varietà pùl scure sono ottenute per arrostimento<br />

periodo d'uso: usate in tutte le epoche<br />

colore: dal bruno arancio di tono caratteristico fino al marrone scuro semitrasparente<br />

resistenza: trattandosi di composti silicatici e ossidi insolubili presentano un'ottima resistenza a tutti gli a‐<br />

genti<br />

tecniche: usate in tutte le tecniche e i tempi, anche come pigmenti per velature per la loro finezza e parziale<br />

trasparenza<br />

Tossicità dei pigmenti<br />

I colori in commercio una volta erano tossici. Ed era sconsigliato stenderli con le dita. In particolar modo i<br />

seguenti colori erano nocivi alla salute a causa del forte contenuto di piombo o altre sostanze più o meno<br />

velenose:<br />

Il CINABRO = Solfurio di Mercurio.<br />

I colori a base di Zinco, Antimonio come il GIALLO di NAPOLI.<br />

Quelli a base di cromo come i GIALLI, ROSSI, e i VERDI di Cromo (Antimoniato di Piombo).<br />

VERDE VERONESE, VERDE MINERALE, VERDE INGLESE e MALACHITE (il Verde Veronese contiene Arsenicato<br />

di Rame).<br />

Il BLU DI PRUSSIA (Ferrocianuro di Potassio, più pericoloso del piombo)<br />

I GIALLI di CADMIO e di BARITE, il ROSSO di SATURNO (ossido di Piombo).<br />

la BIACCA e il BIANCO di KEMNITS (Carbonato Basico di Piombo)<br />

Molti dei colori che ho elencato non sono più in produzione, le grandi marche non vogliono correre rischi...<br />

ad esempio i gialli di cromo, etc. non si producono più da almeno vent'anni. Il piombo proprio a<br />

causa della sua tossicità non è più utilizzato per la produzione dei colori ad olio, con la sola eccezione<br />

del bianco di piombo. Tale bianco (carbonato basico di piombo) è detto anche bianco d'argento e si<br />

produce ancora per esigenze particolari (restauro etc.), ma non è più indispensabile alla pittura. Si può<br />

utilizzare tranquillamente il bianco di titanio, che è un ottimo sostituto, anzi il miglior bianco in circolazione.<br />

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Schema generale della struttura stratigrafica di un dipinto<br />

SUPPORTO: parete, tavola lignea, tela, carta, ceramica, metallo<br />

PREPARAZIONE: di colore bianco, rende la superficie idonea a ricevere i pigmenti.<br />

STRATO PITTORICO: sospensione di pigmenti/coloranti in un medium trasparente (il legante)<br />

VERNICE: film trasparente con funzione protettiva ed estetica<br />

Le principali tecniche pittoriche<br />

Possono essere catalogate in base al tipo di supporto o al tipo di legante utilizzato:<br />

Tecnica pittorica Tipo di supporto Tipo di legante<br />

Pittura murale a fresco intonaco Ca(OH) 2 calce<br />

Pittura murale a secco intonaco Proteico/proteico+olio siccativo<br />

Pittura su tavola a tempera o olio Tavola lignea Proteico (tempera)‐ oli siccativi<br />

Pittura su tela a tempera o ad olio Tela di lino o cotone Proteico (tempera)‐ oli siccativi<br />

Miniatura pergamena Proteico e polisaccaride<br />

Acquarello carta polisaccaridi<br />

I supporti<br />

a) pittura murale, tecnica dell’affresco<br />

Il muro, di pietra o mattoni, secco e senza dislivelli, viene preparato stendendovi l’arriccio, una malta composta<br />

da calce spenta o grassello e sabbia grossolana e acqua, viene steso dello spessore di 1 cm. L’intonaco<br />

(intonachino) è l'elemento portante dell'intero affresco. È composto di un impasto fatto con sabbia fine,<br />

polvere di marmo, o pozzolana setacciata, calce ed acqua. Il colore, che è obbligatoriamente steso sull'intonaco<br />

ancora umido (da qui il nome, "a fresco"), è di natura minerale, poiché deve resistere all'alcalinità<br />

della calce. <strong>La</strong> tecnica usata a Pompei e descritta da Vitruvio prevedeva l’applicazione di ben 6 strati di intonaco:<br />

i primi 3 con sabbia via via più sottile e gli ultimi con marmo polverizzato per ottenere una finitura<br />

dura e lucente. <strong>La</strong> principale difficoltà di questa tecnica è il fatto che non permette ripensamenti: una volta<br />

lasciato un segno di colore, questo verrà immediatamente assorbito dall'intonaco. Eventuali correzioni sono<br />

comunque possibili a secco, ovvero mediante tempere applicate sull'intonaco asciutto: sono però più<br />

facilmente degradabili. Un'altra difficoltà consiste nel capire quale sarà la tonalità effettiva del colore: l'in‐<br />

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tonaco bagnato, infatti, rende le tinte più scure, mentre la calce tende a sbiancare i colori. Per ovviare al<br />

problema, è possibile eseguire delle prove su una pietra pomice o su un foglio di carta fatto asciugare con<br />

aria calda. Nel XIV secolo la tecnica dell'affresco conosce in area centro e sud europea una grande diffusione.<br />

Due importanti innovazioni sono introdotte dalle maestranze dell'epoca: l'uso del disegno preparatorio<br />

(la sinopia) e lo svolgimento del lavoro a giornate.<br />

Lo svolgimento dell'affresco diventa il frutto di una pianificazione meticolosa delle maestranze che devono,<br />

prima di stendere l'intonachino, decidere quale parte eseguire e valutarne la fattibilità nella giornata.<br />

Fenomeni chimici coinvolti nella presa dell’intonaco:<br />

<strong>La</strong> calce viva (ossido di calcio CaO) viene preparata a per cottura (calcinazione o arrostimento) della pietra<br />

da calce (CaCO 3 ). Essa si decompone liberando anidride carbonica e trasformandosi in calce viva. A contatto<br />

con acqua questa si trasforma con una reazione esotermica in calce spenta. Se alla calce spenta in polvere<br />

aggiungiamo 3 o 4 parti di acqua otteniamo il grassello dalla consistenza fluida. <strong>La</strong> malta è costituita da<br />

grassello e 2 o 3 parti di sabbia di fiume <strong>La</strong> calce fa presa in diverse fasi: inizialmente perde acqua per evaporazione,<br />

cioè cristallizza, in seguito si ha la carbonatazione, che avviene solo negli strati più esterni e richiede<br />

più tempo, in questo processo si riforma carbonato di calcio<br />

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) Pittura murale: tecnica a secco<br />

Mentre all'affresco viene attribuito un ruolo più importante, la pittura murale viene utilizzata per le decorazioni<br />

più marginali o per ritoccare eventuali errori nelle stesure degli affreschi. Questo diverso ruolo è dovuto<br />

al diverso grado di difficoltà delle due tecniche; infatti, mentre l'affresco è considerata, una tecnica di alto<br />

livello, la pittura murale a secco viene un po’ surclassata per la sua relativa semplicità di esecuzione.<br />

Nella pittura murale a secco i pigmenti vengono mescolati a delle sostanze collanti per farli aderire all'intonaco<br />

asciutto e prendono il nome di tempera, a differenza dell'affresco in cui i pigmenti vengono mescolati<br />

direttamente con acqua. <strong>La</strong> preparazione delle tempere è un processo molto lungo che segue una procedura<br />

ben precisa: innanzitutto si deve mescolare il pigmento con acqua e lasciarlo "marcire" per un periodo di<br />

qualche settimana, dopodiché viene aggiunta alla soluzione la sostanza collante. Fino ai primi anni del 1500<br />

il collante era generalmente a base di uovo, che veniva usato intero o solamente il rosso diluito in acqua,<br />

oppure si trattava di colle naturali ottenute in vario modo(per esempio la colla di "carnicci" ottenuta facendo<br />

bollire dei ritagli di carta pecorina in acqua), invece dopo questo periodo iniziano a nascere le prime<br />

tempere a olio, che usavano come collante olio di lino che veniva aggiunto all'uovo o usato tal quale. Alla<br />

tempera cosi ottenuta veniva aggiunto dell'aceto per diminuire la carica batterica e impedire che il collante<br />

irrancidisse perdendo la sua efficacia e comportando il distacco del pigmento dalla superficie murale. L'intonaco<br />

nella pittura murale a secco deve essere evidentemente asciutto prima di poter applicare il colore.<br />

Questo diverso tipo di modo di operare comporta un'altra conseguenza, infatti mentre nella pittura murale<br />

a secco la tempera aderisce grazie al collante, nell'affresco i pigmenti vengono intrappolati dall'intonaco<br />

che asciuga comportando una variazione cromatica del colore rendendo molto difficile il lavoro dell'artista.<br />

Comunque anche la pittura murale a secco richiede alcuni accorgimenti, infatti come si è detto in precedenza,<br />

l'adesione della tempera avviene grazie al collante, ma per permettere ciò devono essere eliminate<br />

tutte le possibili fonti di assorbimento dalla superficie. A tale scopo viene steso sull'intonaco un primo stra‐<br />

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to di una soluzione costituita dal medesimo collante della tempera a cui viene aggiunta un po’ di calce, sul<br />

quale viene steso un secondo strato di collante puro che ha lo scopo di isolante fra l'intonaco e la tempera.<br />

c) Pittura su tavola o tela<br />

<strong>La</strong> pittura su tavola è stato il principale supporto delle opere pittoriche europee dal medioevo al XVI secolo,<br />

prima di venire quasi completamente sostituita dalla pittura su tela. <strong>La</strong> "tavola" lignea era di solito preparata<br />

scegliendo alcune assi di legno stagionato alcuni anni (affinché non fosse più soggetto a deformazioni),<br />

coperte da una preparazione di gesso. I colori venivano in genere applicati con tempere ammorbidite nel<br />

tuorlo d'uovo. In Italia e nel sud Europa si sceglievano legni semplici come quelli di pioppo, di tiglio o di cipresso,<br />

mentre nell'area fiamminga si usavano legni più rari e pregiati: in ogni caso i risultati in termini di<br />

durata nel tempo entrambi i metodi si sono rivelati ottimi. L'importante era evitare legni che contenessero<br />

alte quantità di tannino (come il castagno), una sostanza di alcuni alberi che talvolta rifioriva anche sulle tavole<br />

stagionate macchiando di nero lo strato preparatorio o addirittura la pellicola pittorica. Esistono testimonianza<br />

di pittura su legno sia nella Grecia antica sia a Roma, ma solo alcuni frammenti ci sono pervenuti,<br />

mentre, per ragioni climatiche, abbiamo ben più esempi provenienti dall'Antico Egitto. <strong>La</strong> pittura su tavola<br />

divenne popolare in Europa nel XII secolo, per via delle nuove pratiche liturgiche che prevedevano la celebrazione<br />

della messa con il sacerdote davanti e non oltre l'altare, il quale diveniva così liberò per esservi<br />

poste immagini sacre (dossali e crocifissi sagomati). Nel XV secolo, con l'umanesimo e il Rinascimento gli<br />

schemi tradizionali vennero superati, con una superficie pittorica trattata in maniera più libera e meno rigida.<br />

I nuovi ceti borghesi e mercantili richiedevano opere di nuovo formato come i ritratti, mentre si delineava<br />

un maggiore realismo con la scomparsa del fondo oro. Nel XV secolo nei Paesi Bassi si iniziò a dipingere<br />

su tela, un supporto che aveva l'innegabile pregio della maggior trasportabilità, la relativa economicità e<br />

l'ottima resa. Gradualmente la tela si diffuse in tutta Europa e in Italia si affermo nel XVI secolo. Tradizionalmente<br />

essa è formata dall'intreccio di fibre di lino, di canapa o juta ma, con l'età moderna è largamente<br />

invalso anche l'uso del cotone e delle fibre sintetiche. Le diverse trame dei tessuti hanno una notevole influenza<br />

sulla resa pittorica: trame fini come quella del lino consentono finiture più minuziose (come quelle<br />

a velatura della pittura fiorentina del Rinascimento), la canapa o la juta sono invece adatte ad esecuzioni<br />

pittoriche più libere o a opere di grandi dimensioni (come nella pittura di scuola veneta). Originariamente la<br />

tela veniva applicata mediante colle sulle tavole di legno (se di grandi dimensioni costituite da più tavole<br />

opportunamente saldate tra loro con incastri) ed aveva la funzione di uniformare la superficie nonché di<br />

ovviare ai problemi legati alle escursioni cui è soggetto il legno per il calore o l'umidità. Solo a partire dal Rinascimento<br />

la tela comincia ad essere inchiodata e tesa su telai mobili, dotati di chiavi per garantirne la<br />

tensione, creando il tipo di supporto che ancora oggi è il più largamente diffuso tra gli artisti. Questo sistema<br />

garantisce una tensione costante della tela, consente di sostituire il telaio nel caso di deformazioni col<br />

passare del tempo e facilita il trasporto delle opere, in quanto la tela può essere agevolmente rimossa dal<br />

telaio e arrotolata riducendone notevolmente l'ingombro.<br />

Prima di essere dipinta la tela necessita di due operazioni:<br />

l'incollaggio, con cui viene stabilizzata la trama della tela ed eliminati eventuali peli presenti sulla superficie<br />

utilizzando una miscela di colla e gesso<br />

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l'imprimitura che costituisce il primo fondo di materia atto a ricevere la pittura, generalmente uno strato<br />

ad olio di colore omogeneo, nei primi tempi era costituito da biacca e olio di lino al fine di impermeabilizzare<br />

la preparazione a gesso e colla sottostante. In alternati casi potevano applicare più mani di<br />

colla animale (collatura)<br />

d) miniatura<br />

<strong>La</strong> parola miniatura deriva dal latino minium, ovvero un colore rosso composto da tetrossido di piombo, ed<br />

indica un'immagine appartenente ad antichi manoscritti. Le decorazioni dei primi codici, infatti, furono realizzate<br />

con l'uso di questo prezioso colore. Il fatto che le immagini fossero disegnate in piccola scala, soprattutto<br />

nel periodo medievale, portò ad una confusione etimologica del termine, facendolo derivare dalla sua<br />

dimensione. <strong>La</strong> miniatura non è, come si pensa correntemente, solo il colore applicato al capolettera dai<br />

copisti o scrivani, all'inizio del capitolo o del paragrafo. <strong>La</strong> miniatura a volte si trova in mezzo al testo ed a<br />

volte non ha nessun rapporto con esso. <strong>La</strong> miniatura occidentale si trova principalmente su pergamena. <strong>La</strong><br />

difficoltà di approvvigionarsi di papiro portò alla diffusione della pergamena. <strong>La</strong> pergamena adatta a ricevere<br />

un testo miniato si ottiene dalle pelli più sottili di animali come le pecore e la capra. <strong>La</strong> pergamena più<br />

raffinata è la velina, che indica le pelli di animali giovani. I manoscritti su velina erano più costosi. Ancora al<br />

giorno d'oggi, la velina del vitello è l'unico supporto usato dagli ebrei per copiare la Torah. Le pelli di vitello,<br />

capra, pecora o cervo, venivano seccate, tese e raschiate per ottenere una superficie liscia e trattate <strong>chimica</strong>mente<br />

con alcali per estrarne gli oli e trattate con allume per renderle più dure.<br />

Proprio al loro culmine, le miniature ricevettero un duro colpo dall'avvento dei libri stampati.<br />

d) acquerello<br />

L'acquerello è una tecnica pittorica che prevede l'uso di pigmenti finemente tritati e mescolati con un fissante<br />

come la gomma arabica, diluiti in acqua. Il supporto più usato per questa tecnica è la carta che viene<br />

usata preferibilmente ad alta percentuale di cotone puro, in quanto la fibra lunga di questo vegetale non si<br />

modifica a contatto con l'acqua. Il colore viene di solito diluito in modo da lasciar trasparire la superficie su<br />

cui si dipinge, in genere carta trattata con ammoniaca. Vengono cioè usati in stesure molto liquide e trasparenti.<br />

Le gradazioni tonali vengono ottenute sovrapponendo più strati di colore. L'acquerello si presta bene<br />

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alla creazione di effetti atmosferici e fu molto usato dai paesaggisti inglesi del diciottesimo e diciannovesimo<br />

secolo.<br />

e) colori acrilici<br />

Per esempio le emulsioni acriliche sono composte da numerosi tipi di monomeri di partenza. Sebbene in<br />

molti casi vengano impiegati degli omopolimeri, la maggior parte delle resine acriliche sono dei copolimeri,<br />

ottenuti usando come base di partenza 2, 3 o 4 monomeri. <strong>La</strong> <strong>chimica</strong> dei composti acrilici si basa sulla formula<br />

fondamentale:<br />

che caratterizza i componenti di questa classe come monomeri di tipo vinilico, capaci di subire tutta una serie<br />

di trasformazioni molecolari. Il doppio legame tra i primi due atomi d carbonio offre la possibilità di polimerizzazione<br />

per ottenere resine termoplastiche. I radicali R' e R possono essere sostituiti da gruppi alchilici<br />

con ‐CH 3 ,‐C 2 H 5 ecc. Se R'e R sono idrogeni abbiamo l'acido acrilico<br />

CH2 = CH – COOH<br />

Se c'e' ‐CH 3 si ha l'acido metacrilico. Sostituendo R con ‐CH3 otteniamo l'acrilato di Metile e il Metacrilato di<br />

Metile<br />

Invece la particolare reazione del doppio legame, per cui il monomero si combina con se stesso e' nota come<br />

reazione di polimerizzazione. Se polimerizzano dei monomeri tutti uguali si ottiene un omopolimero; se<br />

invece polimerizziamo monomeri diversi si ottengono i copolimeri<br />

I Leganti che a noi interessano per i prodotti vernicianti sono quelli che si ottengono per polimerizzazione in<br />

emulsione. In poche parole si sciolgono in acqua un emulsionante e un catalizzatore e a questa soluzione si<br />

aggiunge il monomero disperdendolo per agitazione. Il controllo della polimerizzazione in emulsione dipende<br />

dalla scelta di un buon tensioattivo, che deve servire prima come agente disperdente poi come protettivo<br />

per prevenire la coagulazione ed infine come agente di sospensione per le particelle solide del polimero.<br />

Si definisce polimero in emulsione una sospensione ragionevolmente permanente di particelle piccolissime<br />

di polimero in mezzo acquoso. I monomeri usati sono l'Acrilato di Etile, il Metacrilato di Metile, A‐<br />

crilmetile, l'Acido Acrilico, l'Acido Metacrilico.<br />

I colori acrilici sono un materiale molto simile alla tempera dove però i pigmenti sono acrilici e quindi hanno<br />

le stesse prestazioni di una buona pittura a tempera, con un effetto ottico finale di maggiore luminosità.<br />

Asciugano con estrema facilità e sono facilmente amalgamabili tra loro. I colori acrilici sono molto più facili<br />

da usare dei colori a olio. Non servono accorgimenti particolari per stendere strati successivi di colore, in<br />

quanto asciugano molto rapidamente e non si corre il rischio che si formino crepe sulla superficie dipinta..<br />

Di solito, a ogni modo, l'artista sceglie il colore acrilico per l'infinita versatilità cromatica che permette<br />

.Spesso i colori acrilici vengono usati in tecniche "trasparenti" diluendoli al massimo come se fossero acquerelli.<br />

Applicando un secondo strato di colore, questo si depositerà sul primo senza "coprirlo" completamente,<br />

ma dando luogo alla formazione di un terzo colore, che presenterà una maggiore profondità rispetto<br />

allo stesso colore ottenuto sulla tavolozza. In questo caso consigliamo di usare come supporto la carta<br />

per acquerelli, dove i risultati sono più facili da controllare. Similmente alla tempera i colori acrilici sono<br />

molto semplici da usare, si possono tranquillamente diluire con acqua, asciugano molto velocemente e<br />

quindi sono ideali su carta, ma le superfici su cui si può dipingere sono molte, si può usare la tela, la carta, il<br />

legno il cartone. A differenza della tempera i colori acrilici non screpolano e non si sfaldano, nemmeno se<br />

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asciugati con il phon. Un'altra caratteristica fondamentale è che i colori acrilici una volta asciugati sono impermeabili,<br />

difatti anche bagnandoli non si sciolgono più, per questo motivo si può stendere sopra un altro<br />

colore senza paura che si mescoli a quello sotto, cosa che non si può fare con le tempere.<br />

I leganti e le componenti organiche nella pittura<br />

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