19_2 - Il Templum alla prova del tempo
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<strong>19</strong>.2_ Ci Sono Anch’io<br />
<strong>Il</strong> <strong>Templum</strong> <strong>alla</strong> <strong>prova</strong> <strong>del</strong> <strong>tempo</strong><br />
A distanza di dieci anni d<strong>alla</strong> sua nascita abbiamo ritenuto opportuno effettuare dei controlli su alcuni dei primi<br />
cantieri in cui è stato utilizzato il <strong>Templum</strong> Stucco, la malta epossidica largamente utilizzata nelle ricostruzioni di<br />
elementi lapidei.<br />
In particolare il <strong>Templum</strong> Stucco risulta superiore alle tradizionali stuccature a calce (variamente addittivate),<br />
quando sono presenti situazioni di stress meccanico o ambientale.<br />
Data l’origine “toscana” <strong>del</strong> prodotto, non poteva mancare la tipologia Verde di Prato, un tipo di marmo<br />
(serpentino), largamente utilizzato in abbinamento all’altro marmo <strong>del</strong>la zona, il più famoso Bianco Carrara. <strong>Il</strong><br />
contrasto tra il verde scuro ed il bianco candido è stato utilizzato per realizzare le cromie che sottolineano le<br />
architetture di numerose chiese e palazzi toscani, tra cui ricordiamo il Duomo di Pistoia e quello di Prato, con i<br />
rispettivi campanili, a Firenze il Duomo con il Battistero, Santa Croce e San Miniato, la Collegiata a Empoli.<br />
Al contrario <strong>del</strong> marmo carrarino, d<strong>alla</strong> tessitura fine e compatta, quello pratese presenta una struttura<br />
stratificata, che lo rende più attaccabile dagli elementi e meno resistente anche meccanicamente. La<br />
conseguenza è che possiamo osservare un degrado differenziato, con perdita degli elementi di Verde, su cui si è<br />
intervenuti tradizionalmente procedendo <strong>alla</strong> sostituzione. La chiusura <strong>del</strong>le cave ha però portato all’interruzione<br />
di questa pratica, oppure all’utilizzo di marmi “forestieri” come il Verde Alpi, d<strong>alla</strong> tonalità molto diversa.<br />
Pavimentazione <strong>del</strong>la Cappella di<br />
S.Giacomo, Cattedrale di Santa Maria<br />
<strong>del</strong> Fiore – Firenze (anno 2001)<br />
Le cromie <strong>del</strong> mosaico sono in marmo<br />
Bianco Carrara, Rosso Ammonitico e<br />
Verde di Prato. Queste ultime<br />
mostravano il degrado maggiore, e<br />
sono state ricostruite dal personale<br />
<strong>del</strong>l’Opera <strong>del</strong> Duomo con <strong>Templum</strong><br />
Stucco Verde di Prato<br />
Un problema di degrado completamente diverso è invece quello connesso ad un’altra tipologia di pietre molto<br />
diffuse, le arenarie, ossia la perdita <strong>del</strong> mo<strong>del</strong>lato. Ne soffrono particolarmente quegli elementi finemente lavorati<br />
che sono esposti alle intemperie e al dilavamento <strong>del</strong>la pioggia. <strong>Il</strong> fenomeno, innescato dalle microlesioni causate<br />
d<strong>alla</strong> lavorazione stessa, si è poi accelerato nell’ultimo secolo per effetto <strong>del</strong>l’inquinamento, soprattutto da<br />
anidride solforosa.<br />
Oltre <strong>alla</strong> perdita di mo<strong>del</strong>lato le arenarie sono poi soggette all’usura da calpestio, dato che sono frequentemente<br />
impiegate come elementi per pavimentazioni.<br />
Dato che il colore <strong>del</strong>l’arenaria nuova è molto diverso da quella invecchiata, per fenomeni di ossidazione <strong>del</strong>la<br />
componente ferrosa contenuta, anche la sostituzione degli elementi ammalorati pone poi il problema di effettuare<br />
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patinature per integrarne il colore, oltre a porre il problema “etico” di una progressiva perdita <strong>del</strong>l’originalità<br />
<strong>del</strong>l’oggetto stesso.<br />
Gli esempi sottostanti si riferiscono proprio alle due situazioni sopra descritte, risolte con l’uso di <strong>Templum</strong><br />
Stucco.<br />
<strong>19</strong>98 2009<br />
Scala di un cortile <strong>del</strong>la Certosa di<br />
Firenze (anno <strong>19</strong>98). La scala in pietra<br />
serena era stata utilizzata<br />
quotidianamente dai frati, e la<br />
consunzione caratteristica l’aveva resa<br />
pericolosa, in particolare quando la<br />
pioggia rendeva viscidi i gradini. Invece<br />
di procedere <strong>alla</strong> sostituzione, e quindi<br />
<strong>alla</strong> completa perdita <strong>del</strong>la scala<br />
originale, si è deciso di ricostruire la<br />
parte perduta con <strong>Templum</strong> Stucco<br />
Arenaria Grigia.<br />
Si è quindi trattato di un intervento<br />
semplice, di basso costo, e che ha<br />
lasciato integro il materiale originale.<br />
L’integrazione può essere rimossa con<br />
uso di solventi appositi.<br />
Tabernacolo di Via dè Palchetti a<br />
Firenze (anno 2001)<br />
Realizzato con una friabile arenaria<br />
gi<strong>alla</strong>, e collocato sull’angolo tra via dè<br />
Palchetti e Via <strong>del</strong>la Vigna Nuova, era<br />
esposto a pioggia e vento. <strong>Il</strong> mo<strong>del</strong>lato<br />
<strong>del</strong> lato sinistro <strong>del</strong> tabernacolo era<br />
quasi completamente perduto, mentre<br />
quello sul lato destro, più riparato, era<br />
in buone condizioni. La ricostruzione<br />
speculare è stata effettuata con<br />
<strong>Templum</strong> Stucco Arenaria Gi<strong>alla</strong>.<br />
Conclusioni<br />
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<strong>Il</strong> <strong>Templum</strong> Stucco si è ben comportato con il passare degli anni, non solo nei casi qui presentati, ma in molte<br />
altre situazioni sotto esame, senza presentare variazioni cromatiche o perdita di coesione.<br />
Le stuccature e le ricostruzioni rimangono perfettamente aderenti al materiale lapideo originale, senza<br />
formazione di fessurazioni.<br />
<strong>Il</strong> materiale lapideo adiacente la ricostruzione che non appare degradato in maniera differenziata, fatto invece<br />
usuale nelle ricostruzioni a cemento o malta bastarda.<br />
Le ricostruzioni soggette a stress meccanico (scale, pavimentazioni), appaiono perfettamente integre, e non si<br />
evidenziano sfarinamenti o <strong>del</strong>aminazioni.<br />
E’ <strong>del</strong> tutto impossibile effettuare una previsione di durata, anche se 10 anni senza subire alterazioni è già un<br />
buon risultato, e per questo CTS continuerà il monitoraggio <strong>del</strong>le ricostruzioni.<br />
Al di là <strong>del</strong>le necessarie prove di invecchiamento accelerato in camera climatica, che pure effettuiamo e<br />
valutiamo con attenzione (come evidenziato in altri numeri <strong>del</strong> Bollettino CTS), sappiamo bene che solo il dato<br />
sperimentale rilevato in situ potrà dirci come ogni materiale si comporterà <strong>alla</strong> <strong>prova</strong> <strong>del</strong> <strong>tempo</strong>.<br />
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