Lorenzo Rossetti - L'altro Iran
Diario di viaggio in Iran. Acquista il libro su http://www.amazon.it/Laltro-Iran-Viaggio-pregiudizi-dellantica/dp/1518665373/
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L’altro<br />
<strong>Iran</strong><br />
Viaggio oltre i pregiudizi nelle<br />
terre dell’antica Persia<br />
<strong>Lorenzo</strong> <strong>Rossetti</strong>
L’altro <strong>Iran</strong><br />
«La vita non è che un viaggio, viaggiare significa vivere<br />
due volte»<br />
Omar Khayyam<br />
In copertina: particolare della Moschea Imperiale di Esfahan<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
Prefazione<br />
Fra i primi concetti che gli europei collocano nella sfera<br />
semantica dell’<strong>Iran</strong> vi sono la rivoluzione islamica, il<br />
governo del clero, il petrolio, la sharia, il mancato rispetto dei<br />
Diritti Umani, i barbuti Ayatollah, il programma nucleare, i<br />
Pasdaran e molte altre amenità.<br />
Potremmo dire in tal modo di avere un quadro completo<br />
e realistico di questo paese Niente affatto: la nostra visione,<br />
fortemente condizionata dai mezzi d’informazione, non è per<br />
nulla veritiera.<br />
È necessario recarsi sul luogo per entrare in contatto con<br />
la realtà delle persone comuni, che sono ben distanti dalla<br />
politica e dai palazzi del potere. L’<strong>Iran</strong> è ricco di monumenti<br />
e cultura che derivano dai suoi 2500 anni di storia: città<br />
come Esfahan, Yazd e Shiraz custodiscono numerosi siti<br />
patrimonio dell’UNESCO che in occidente non sono ancora<br />
noti a sufficienza. «L’altro <strong>Iran</strong>» rappresenta dunque la<br />
parte più bella e sconosciuta di quest’antica nazione, che<br />
desidero raccontare nelle pagine seguenti, senza trascurare i<br />
risvolti politici e le questioni sociali legate all’attualità.<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
15 marzo<br />
Verso terre ignote<br />
F<br />
a freddo, un debole sole buca la cortina della foschia<br />
che avvolge Torino. All’aeroporto di Caselle siamo in<br />
attesa del volo Turkish Airlines 1310 delle 14.35 per Istanbul.<br />
Dopo il decollo, la vista si apre sull’arco alpino occidentale<br />
con il Gran Paradiso, il Cervino e il Monte Rosa in primo<br />
piano. Giunti sopra l’Adriatico, avanzano dei banchi nuvolosi<br />
che celano la vista al panorama sottostante: poco o nulla si<br />
scorge lungo tutta la penisola balcanica. Dopo circa tre ore<br />
l’aeromobile inizia la lenta discesa: il traffico all’aeroporto<br />
Atatürk è assai intenso e il pilota è costretto ad effettuare un<br />
paio di virate sulla città, puntinata di luci, ormai immersa nel<br />
crepuscolo. Sono chiaramente distinguibili la torre di Galata,<br />
il Corno d’oro, Santa Sofia e le moschee dei sultani Ahmet e<br />
Selim.<br />
Atterraggio alle ore 19. Nelle prossime sei ore<br />
l’occupazione principale sarà d’ingannare il tempo nell’attesa<br />
della coincidenza per Tehran. Le prime due trascorrono tra<br />
i negozi duty-free ricchi di profumi, alcolici e riviste, ma<br />
anche dolci turchi come lokum e baklava. Poi, avvinti dalla<br />
stanchezza, troviamo una sistemazione sulle poltrone di un<br />
cancello d’imbarco semivuoto. Gli schermi delle partenze<br />
sono proprio di fronte a noi: ad un tratto è annunciato il<br />
volo Turkish Airlines 878 dell’1.20, previsto al cancello 208,<br />
esattamente nel posto dove ci siamo accomodati per riposare.<br />
Poco a poco gli altri partecipanti iniziano ad affluire<br />
nella sala, in arrivo da Roma, Milano e Venezia. I primi<br />
discorsi riguardano le questioni organizzative come cambio<br />
e contabilità della cassa comune.<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
16 marzo<br />
Primo impatto con l’<strong>Iran</strong><br />
L<br />
’aereo per Tehran è assai stipato: molti iraniani tornano<br />
in patria presso le loro famiglie in occasione della festa<br />
del Nowruz, il capodanno secondo il calendario persiano. Il<br />
volo, della durata di tre ore, è interamente notturno, anche<br />
se verso le quattro del mattino è già servita la colazione. I<br />
pasti a bordo della Türk Hava Yollari (Turkish Airlines)<br />
sono piuttosto soddisfacenti. Sorvolando il deserto buio,<br />
spicca solo la striscia dell’autostrada Tehran-Esfahan, un<br />
lunghissimo serpente d’asfalto, illuminato di luce arancione,<br />
che si snoda attraverso il nulla. Alle sei del mattino di<br />
sabato 16 marzo si atterra all’aeroporto internazionale<br />
“Imam Khomeini”. Il ritiro dei bagagli avviene in<br />
tempi relativamente brevi. Le ispezioni doganali non sono<br />
particolarmente severe, così come il controllo dei passaporti<br />
per la convalida del visto, che è svolto con fare svogliato da<br />
una guardia assonnata. Neppure noi siamo riposati: i nostri<br />
volti denunciano senza equivoco la veglia forzata.<br />
Già prima della discesa le donne debbono indossare il<br />
foulard, che in questo paese è obbligo di legge: su questo<br />
aspetto però, che tanto cruccia gli osservatori occidentali,<br />
avrò modo di soffermami in seguito.<br />
All’uscita è in attesa la guida di Tehran, dalla quale siamo<br />
condotti fino ad un pulmino parcheggiato appena fuori<br />
dall’aerostazione. Il sole sorge su un panorama abbastanza<br />
piatto e arido; l’atmosfera è polverosa e non lascia neppure<br />
intravvedere i rilievi a nord della capitale. Questo primo<br />
tragitto in autostrada non è breve: l’aeroporto “Imam<br />
Khomeini” dista ben cinquanta chilometri da Tehran ed<br />
è un’opera di recente costruzione. Nel 2004, dopo più di<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
trent’anni ed alcune perplessità in merito alla sicurezza<br />
della struttura, è stato finalmente inaugurato al trasporto<br />
dei passeggeri. Nelle intenzioni avrebbe dovuto sostituire<br />
il vecchio scalo di Mehrabad, situato quasi in centro città,<br />
mentre la sua apertura ha invece suscitato il bizzarro risultato<br />
dell’utilizzo indistinto di entrambi gli aeroporti sia per i voli<br />
nazionali che per quelli internazionali.<br />
Dopo qualche decina di chilometri, si scorgono verso est i<br />
minareti e le cupole del mausoleo dell’Imam Khomeini,<br />
luogo di sepoltura del grande Ayatollah che più di tutti ha<br />
influito sulla storia e la società contemporanea dell’<strong>Iran</strong>.<br />
Da oscuro e sconosciuto chierico qual era fino agli anni<br />
sessanta, la sua fama accrebbe per via delle dure parole<br />
pronunciate dalla sua roccaforte di Qom contro la monarchia<br />
di Mohammed Reza Pahlavi. Nel 1962, al grido de «lo scià<br />
deve andarsene», organizzò un fallimentare colpo di stato<br />
che lo costrinse ad un esilio lungo sedici anni. Durante<br />
questo periodo, che lo vide errante tra la Turchia, l’Iraq e<br />
Parigi, proseguì l’azione di disturbo contro il regime fino a<br />
quando quest’ultimo si sgretolò nel 1979 come un gigante<br />
dai piedi d’argilla: la “Grande Civiltà” dell’Impero pahlavide<br />
terminava in modo vile ed impietoso con la fuga all’estero<br />
dell’ultimo sovrano. Khomeini, rafforzato da un’indiscussa<br />
autorità morale, si mise a capo della nazione per guidarla<br />
fino al 1989, anno in cui morì di cancro. La sua figura è stata<br />
oggetto di un forte culto della personalità, che in certi casi<br />
ha sconfinato nella divinizzazione: alcune frange non hanno<br />
esitato ad identificarlo addirittura con il Mahdi, l’ultimo<br />
Imam dello sciismo duodecimano.<br />
Il pullman esce dall’autostrada, oltrepassa una garitta<br />
di cemento vuota e cadente e raggiunge un polveroso<br />
parcheggio. Molti pellegrini, giunti qui per venerare il<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
sepolcro dell’Ayatollah, sono accampati dappertutto nei<br />
dintorni: si possono addirittura vedere delle famiglie intere<br />
in tenda con al seguito vettovaglie e fornelli da campeggio.<br />
Le tende, date le scarse precipitazioni, vengono montate<br />
prive dello strato esterno impermeabile. Avvicinandosi<br />
al mausoleo, si nota con maggior chiarezza la sua natura<br />
d’opera incompiuta: il progetto, la cui costruzione prosegue<br />
da oltre vent’anni, prevede quattro minareti e varie cupole,<br />
oltre a portali ed elementi decorativi ricoperti d’oro ed<br />
argento. Nell’insieme l’edificio, costellato di ponteggi, appare<br />
oggi come un compendio d’artefatti di dubbio gusto, disposti<br />
apparentemente senza un disegno preciso.<br />
L’entrata maschile è divisa da quella femminile: è<br />
obbligatorio, dopo essersi levati le scarpe, depositare sia le<br />
borse che le macchine fotografiche. Le guardie non ispirano<br />
gran fiducia ma non è possibile evitarle. Sono costretto a<br />
togliere i documenti e il denaro dalla tracolla per infilarli<br />
alla rinfusa nelle tasche dei pantaloni e della camicia. Segue<br />
il momento della perquisizione: siamo analizzati col metal<br />
detector e perlustrati in modo approfondito persino nelle<br />
parti più nascoste.<br />
Superata la trafila, attraverso un corridoio foderato di<br />
teli da cantiere raggiungiamo la navata principale, sotto la<br />
cupola del mausoleo, ove riposano le spoglie dell’Ayatollah<br />
Khomeini. Il luogo vorrebbe denotare ampiezza e solennità,<br />
invece riesce a comunicare solo un’atmosfera d’incompiutezza<br />
dovuta ai lavori in corso.<br />
Nuovamente sull’autobus, riprendiamo la strada per<br />
Tehran (ab. 12 milioni, alt. 1300 m): ora s’intravvedono in<br />
lontananza i monti Alborz che, brillanti di neve, circondano<br />
la città sul lato settentrionale. La tangenziale è affollata e il<br />
parco automobilistico è assai vario: dalle moderne vetture<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
di fabbricazione europea e nazionale alle gloriose e storiche<br />
Paykan. Non è raro incontrare ancora queste vecchie carrette,<br />
la cui produzione fu avviata negli anni ‘60 sulla base di un<br />
modello inglese. La loro tecnologia però, rimasta fossilizzata<br />
a cinquant’anni fa, è altamente inefficiente e inquinante: il<br />
governo ha dovuto addirittura sovvenzionare la fabbrica<br />
per incentivarla non commercializzare più le Paykan.<br />
In passato questa vettura fu adatta ad avviare l’<strong>Iran</strong> al<br />
trasporto sulle quattro ruote: semplice, economica, robusta<br />
e avida di carburante, di cui non v’è mai stata penuria.<br />
L’attraversamento dei quartieri meridionali inizia a rivelare<br />
l’aspetto dell’hinterland cittadino: un denso agglomerato di<br />
condominî di cemento, alcuni abitati, altri ancora al rustico<br />
e mai terminati.<br />
Dalla strada afferiscono ad ogni palazzina delle grosse<br />
tubature di gas metano, articolo quasi regalato: la NIGC,<br />
società nazionale per il gas, con i suoi oltre 30.000 km di<br />
rete di distribuzione, rifornisce l’intero paese a prezzi irrisori.<br />
Essa è controllata dalla potente Sherkat-e Melli-ye Naft-e<br />
<strong>Iran</strong>, la compagnia petrolifera nazionale, anche conosciuta<br />
come NIOC o National <strong>Iran</strong>ian Oil Company.<br />
L’atmosfera è polverosa e si nota l’assenza di pioggia da<br />
parecchio tempo. Tehran è protetta dai venti settentrionali<br />
dalle vicine montagne, alcune delle quali di oltre 5000 metri<br />
d’altitudine, fattore che non favorisce il ricambio delle masse<br />
d’aria.<br />
Fra le prime necessità vi è quella del cambio di un’adeguata<br />
somma di denaro: l’unico accettato è quello contante, che<br />
si può reperire solamente in loco, poiché il rial iraniano<br />
non è una valuta convertibile. L’inflazione corre a livelli<br />
elevatissimi e la quotazione attuale, riferita alla banca statale<br />
Melli (primavera 2013) si attesta su 15.000 rial per euro. Il<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
divario con le quotazioni del mercato nero è però incolmabile:<br />
queste ultime, vicine invece ai 45.000 rial per euro, denotano<br />
lo scarso valore della moneta locale, quasi prossimo alla<br />
carta straccia. Dopo un tentativo di cambio, andato a vuoto<br />
per via delle botteghe ancora chiuse, proseguiamo a piedi in<br />
direzione del palazzo del Golestan. Il programma originario<br />
avrebbe dovuto includere il Museo Nazionale, seguito dal<br />
Museo dei Gioielli della Corona di Persia: la guida ha però<br />
deciso, a suo insindacabile giudizio, di variare il percorso.<br />
Il palazzo del Golestan (“giardino di rose”) è circondato<br />
dalle costruzioni d’un moderno quartiere dirigenziale, in<br />
origine un sobborgo incluso nell’Arg (cittadella) di Tehran.<br />
Iniziato nel XVI secolo, il complesso fu poi ingrandito e<br />
utilizzato come residenza ufficiale da parte dei sovrani della<br />
dinastia cagiara (1781–1925), ed infine parzialmente distrutto<br />
da Reza Scià per esigenze urbanistiche. È il palazzo più antico<br />
della capitale e uno dei pochi ad essersi conservati sino alla<br />
nostra epoca, poiché nel corso del XX secolo Tehran è stata<br />
oggetto di estesi progetti d’espansione, che ne hanno in larga<br />
parte cancellato la struttura originaria.<br />
Dall’ingresso si attraversano i giardini, ove campeggia<br />
una fontana priva d’acqua, arrivando fin sotto l’iwan (loggia)<br />
del “Trono di marmo”, monumentale scranno scolpito nella<br />
pietra bianca di Yazd, commissionato dello Scià cagiaro<br />
Fath Ali all’inizio del XIX secolo. Esso è ornato di figure<br />
antropomorfe, floreali ed animali di fine fattura, fra cui<br />
addirittura dei draghi, secondo un’iconografia più simile a<br />
quella dell’Asia centro-orientale che non a quella persiana.<br />
Poco oltre, sulla sinistra, si apre il padiglione conosciuto<br />
come Khalvat-e Karim Khani, costituito da un ampio<br />
porticato rivestito di tessere di mosaico, con un trono nel<br />
centro e delle fontane ai lati: qui gli Scià usavano rilassarsi<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
durante i pomeriggi e le serate di calura estiva, fumando la<br />
pipa ad acqua e dilettandosi a leggere poesie.<br />
L’attigua galleria del Negar Khaneh, accessibile da una<br />
porta sulla facciata meridionale del Palazzo, conserva una<br />
serie di dipinti di artisti locali ed europei: fra i primi sono da<br />
notare i ritratti degli imperatori della dinastia cagiara (più<br />
per il valore storico che per quello artistico), mentre fra i<br />
secondi non vi sono opere degne di attenzione.<br />
Da un altro ingresso si accede allo scalone d’onore, la cui<br />
volta è rivestita di tessere a specchio, una tecnica diffusa<br />
anche in altri edifici civili e religiosi. Al primo piano è situato<br />
il salone dei ricevimenti, riccamente decorato di stucchi e<br />
marmi, con un pavimento di piastrelle policrome. Lungo il<br />
percorso sono collocati numerosi doni (fra cui molte preziose<br />
porcellane e vasellame) che i sovrani hanno ricevuto dalle<br />
potenze straniere nell’arco di vari secoli. Al fondo della sala<br />
vi è una riproduzione del celeberrimo Trono del Pavone:<br />
l’originale, tempestato di decine di gemme vere, si trova<br />
presso il caveau della Banca Nazionale ed è visitabile con<br />
maggiori difficoltà.<br />
Nuovamente in cortile, terminiamo la visita del palazzo<br />
con i giardini e ci avviamo a piedi in direzione sud verso il<br />
Gran Bazar. La distanza è breve, appena cinque minuti<br />
di cammino per ritrovarsi immersi in un dedalo di stradine<br />
costellate di botteghe con merci di tutti i tipi: spezie, gioielli,<br />
metalli lavorati e molto altro. La classe dei bazari (bottegai<br />
del bazar) costituisce il fulcro della società conservatrice<br />
iraniana: nel trattare le questioni politiche essi sono da<br />
sempre alleati degli ulema (sacerdoti sciiti) e storicamente<br />
hanno saputo costituire delle notevoli forze d’urto, tali da<br />
costringere in molte occasioni il potere costituito alla resa.<br />
Come esempi si possono citare la Rivoluzione costituzionale<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
del 1906 o quella islamica del 1979, entrambe originatesi nel<br />
bazar con la benedizione del clero. In questi luoghi, più che in<br />
altri, conviene adeguarsi alle norme tradizionali in materia di<br />
comportamento e abbigliamento: mentre altrove è consentito<br />
rimanere col velo più lasco (per le donne) oppure più<br />
sbracciati (per gli uomini), qui le occhiate di disapprovazione<br />
rischiano di farsi più intense.<br />
Dopo mezz’ora di peregrinazione tra vicoli e<br />
caravanserragli, ci rechiamo in una fumeria: uno stretto<br />
uscio conduce, attraverso una ripida scala in discesa, ad un<br />
locale sotterraneo dove la clientela è intenta a bere tè e a<br />
fumare la pipa ad acqua. Gli avventori sono tutti uomini del<br />
luogo, ma l’ingresso non è precluso alle donne e agli stranieri:<br />
all’arrivo del nostro folto gruppo nessuno si è scomposto.<br />
Trovo anch’io una sedia libera e, dopo essermi accomodato,<br />
mi soffermo ad osservare la sala: l’aria è satura di fumo degli<br />
onnipresenti narghilè, mentre l’ambiente, di frequentazione<br />
popolare, è arredato in maniera semplice con un pavimento<br />
in piastrelle di marmo e delle volte ogivali decorate a stucco.<br />
Alle pareti sono appesi piatti lavorati, calligrafie e pitture<br />
che riproducono scene di vita della vecchia Persia rurale. È<br />
presente anche un ritratto idealizzato dell’Imam Ali, fatto<br />
che denota una sostanziale divergenza dalla tradizionale<br />
iconoclastia islamica. Il tè viene servito dentro dei comuni<br />
bicchieri di vetro insieme a degli zuccherini, montati su degli<br />
stuzzicadenti, dal colore e dal sapore di zafferano, che si<br />
possono sciogliere per qualche istante nella bevanda.<br />
Inizia a farsi tardi: usciamo dal bazar per riprendere<br />
l’autobus. Nel frattempo è stato effettuato il cambio della<br />
valuta che, per via del suo scarso valore, ci costringe a<br />
conservare nei portafogli un gran numero di mazzette di<br />
banconote a sei zeri. Fra le tasche di tutti siamo ora in possesso<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
di più di 50 milioni di rial, equivalenti a circa 1000 euro. Il<br />
tragitto verso l’aeroporto di Mehrabad, dove è prevista la<br />
partenza per Shiraz, trascorre contando a sei mani, non senza<br />
difficoltà, la grande massa di denaro contante.<br />
Complice un errore di valutazione dei tempi da parte della<br />
guida, stiamo accumulando un ritardo sempre maggiore<br />
sulla tabella di marcia. L’autista, per tentare di recuperare<br />
qualche minuto, s’immette su una corsia riservata ai mezzi<br />
pubblici, ma viene subito fermato dalla polizia, che gli infligge<br />
una multa piuttosto salata. Intanto le nostre occhiate agli<br />
orologi si fanno sempre più preoccupate, fino a quando non<br />
riprendiamo la strada con la dovuta rapidità. Non vi è neppure<br />
il tempo per fermarsi di fronte alla torre Azadi (“della<br />
Libertà”), monumento che fu inaugurato nel 1971 dallo Scià<br />
Mohammed Reza Pahlavi in occasione dei 2500 anni della<br />
fondazione dell’Impero Persiano. Questo edificio bianco e<br />
slanciato costituisce l’ingresso occidentale della città e, nel<br />
corso degli anni, ne è diventato il simbolo. All’epoca la sua<br />
posizione fu studiata un modo che i viaggiatori, in arrivo e in<br />
partenza coi voli internazionali, dovessero necessariamente<br />
transitargli accanto. In origine il suo nome era Shahyad<br />
Aryamehr, ovvero “Monumento dello Scià, Sole Ariano”:<br />
seguendo l’eco di vecchie teorie deliranti oggi discreditate,<br />
Mohammed Reza Pahlavi non esitò a identificare se stesso<br />
come capo del popolo ritenuto erede della cosiddetta “stirpe<br />
ariana”. I moderni studi antropologici hanno invece provato<br />
indiscutibilmente che fra le genti arie, indoeuropee o<br />
caucasiche (termini pressoché equivalenti) non vi è alcuna<br />
“razza eletta”, bensì una radice etnolinguistica comune.<br />
Quest’ultima si è originata circa cinquemila anni fa nelle<br />
steppe dell’Asia centrale, espandendosi nel corso delle età del<br />
bronzo e del ferro con l’uso dei cavalli e dei carri da guerra,<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
coprendo un vasto territorio dalle Alpi all’Himalaya. La<br />
parentela delle lingue indoeuropee evidenzia la somiglianza<br />
di moltissimi termini e costrutti: come esempio si può citare<br />
il latino mater, il persiano avestico matar ed il sanscrito<br />
mata (per approfondimenti vedasi F. Villar, gli indoeuropei<br />
e l’origine dell’Europa, Il Mulino).<br />
Il vicino aeroscalo di Mehrabad, fino al 2004 l’unico<br />
della capitale, è oggi prevalentemente utilizzato per i voli<br />
interni, ma vi sono anche vari collegamenti esteri per i<br />
paesi del Golfo. È molto tardi, lasciamo la guida che ci<br />
ha accompagnato solo per oggi, affrettandoci al checkin<br />
ed ai controlli. Il volo <strong>Iran</strong> Aseman delle 13.05 è assai<br />
gremito poiché Shiraz (ab. 1.300.000) è una delle mete<br />
preferite degli iraniani durante le festività di capodanno.<br />
Atterriamo dopo circa un’ora e all’apertura delle porte si<br />
presenta un’atmosfera nettamente più secca e calda, che<br />
denota il passaggio dal clima continentale del nord a quello<br />
subdesertico della parte meridionale del paese. Qui è in<br />
attesa la guida che seguirà il nostro gruppo fino al termine<br />
del viaggio: è laureato in lingua e letteratura italiana ed è un<br />
profondo conoscitore sia del proprio paese che del nostro. La<br />
prima esigenza concerne la sistemazione in albergo, l’hotel<br />
Eram, situato sul viale Zand nei pressi del centro storico.<br />
Le stanze sono dotate ovunque di prese di tipo “F”, che non<br />
necessitano di adattatori per le normali spine Europlug<br />
(caricabatteria, piccoli elettrodomestici). La tensione è di<br />
220 V / 50 Hz, compatibile con le apparecchiature europee.<br />
Il tempo di una doccia e siamo già a piedi sulla strada, in<br />
direzione del vecchio bazar. Durante il tragitto qualcuno ne<br />
approfitta per cambiare dell’altro denaro per le spese correnti.<br />
Camminando in direzione est, s’incontra sulla sinistra l’Arg,<br />
fortezza costruita dal sovrano Karim Khan intorno al 1767. Il<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
chiarore diurno va intanto affievolendosi, mentre le mura e<br />
le torri del bastione acquistano un risalto particolare sotto la<br />
luce arancione dei fari, con lo sfondo del cielo di colore blu<br />
intenso.<br />
Molte persone s’accalcano attorno e dentro il bazar:<br />
fortunatamente la serata è solo agli inizi ed il momento<br />
della grande ressa non è ancora arrivato. Da oggi le botteghe<br />
faranno gli straordinari e chiuderanno, contrariamente al<br />
solito, a serata inoltrata.<br />
Gli articoli offerti dai venditori di spezie provengono per<br />
la maggior parte dall’India e dal sud-est asiatico perché<br />
l’<strong>Iran</strong> quasi non ne produce, ad eccezione dello zafferano:<br />
quest’ultimo è assai pregiato, ma è necessario analizzarlo<br />
prima dell’acquisto. Fra le truffe più diffuse vi sono quelle<br />
che contemplano l’uso della barba di granoturco e dei fiori<br />
di carciofo essiccati. Lo zafferano autentico è facilmente<br />
riconoscibile dall’intenso aroma che ne deriva spezzandone<br />
uno stelo tra i denti, mentre quello falso ne ha solo l’aspetto<br />
e l’odore.<br />
Oltre le spezie, gran parte della merce esposta non è di<br />
produzione nazionale: da quando sono state imposte le<br />
sanzioni da parte degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, la<br />
Cina non è rimasta ad osservare passivamente, subentrando<br />
nei rapporti commerciali che in precedenza l’<strong>Iran</strong><br />
intratteneva con l’Occidente. Ormai le case degli iraniani<br />
sono rifornite di elettrodomestici e mobili cinesi; il governo<br />
di Pechino è inoltre sempre più attivo nel settore delle grandi<br />
opere, con la partecipazione dei propri colossi industriali<br />
alla costruzione d’infrastrutture come centrali elettriche,<br />
elettrodotti ed autostrade. In campo economico il Celeste<br />
Impero sta velocemente colmando il vuoto lasciato dagli<br />
americani e dagli europei, rafforzandosi anche dal punto<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
di vista geopolitico. Nello storico bazar di Shiraz, persino<br />
le centinaia di lampade che lo illuminano quasi a giorno,<br />
siano esse elettroniche, al sodio o agli alogenuri metallici,<br />
sono di fabbricazione cinese. Fra i paesi esportatori verso<br />
l’<strong>Iran</strong>, dopo Cina e Giappone, l’Italia conserva comunque un<br />
ruolo preponderante, collocandosi al terzo posto con circa<br />
un quinto del totale delle merci. L’Italia è inoltre il primo<br />
importatore europeo di greggio iraniano, con più di 150.000<br />
barili al giorno.<br />
Dopo la visita dell’area mercatale, ci riposiamo qualche<br />
istante, attendendo l’ora di cena seduti su una panchina della<br />
piazza prospiciente l’ex hammam.<br />
Il ristorante, situato sul lato opposto, è un locale turistico<br />
che offre una discreta scelta di portate. S’inizia con un buffet<br />
di verdure crude e sott’aceto, zuppe di legumi, yogurt con erbe<br />
e cipolla, per proseguire con il piatto principale composto di<br />
carne: spiedini di vitello, spiedini di pollo e spiedini misti,<br />
bistecca ecc. Il tutto è accompagnato dall’immancabile pilav,<br />
il semplice riso bianco che non manca mai su qualsiasi tavola.<br />
Naturalmente non viene servita alcuna bevanda alcolica,<br />
proibita per legge: esistono però alcune birre analcoliche di<br />
produzione nazionale, parecchio costose, talvolta addizionate<br />
con aromi sintetici assai disgustosi. Il vino “di Shiraz” è ormai<br />
prodotto in altre parti del mondo, ma qui non esiste più da<br />
decenni. Dalle vigne ancora esistenti si ricava l’uva passa.<br />
La giornata è stata lunga: adesso è l’ora di rientrare in<br />
albergo per il giusto riposo.<br />
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Giappone per caso<br />
Trono di marmo (particolare), palazzo del Golestan<br />
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Giappone per caso<br />
Padiglione di Karim Khan, palazzo del Golestan<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
17 marzo<br />
Shiraz tra poeti e mausolei<br />
All’ora della sveglia la sala della colazione è ancora<br />
deserta. Siamo costretti ad attendere che il cameriere<br />
termini di apparecchiare i tavoli. Oltre le fette di pancarré<br />
con la marmellata, comuni in tutto il mondo, vi sono<br />
anche le specialità locali che comprendono il “minestrone<br />
del mattino” (un’ottima zuppa di legumi), le frittate, le<br />
spianate di pane, le salsicce, lo yogurt ed il formaggio fresco.<br />
Di fronte all’albergo, all’ora stabilita, ci attende un pulmino<br />
per la visita della città: la prima meta è la madrassa Khan,<br />
scuola coranica d’epoca safavide (XVII secolo), annoverata<br />
nell’elenco dei monumenti nazionali dell’<strong>Iran</strong>. Attraverso<br />
un’oscura anticamera, dotata di una finestra di pietra,<br />
si accede al cortile ove crescono varie piante di agrumi e<br />
palme da dattero. Anche se la madrassa non è più attiva,<br />
s’incontrano ugualmente molti religiosi a passeggio: alcuni<br />
portano il turbante nero, segno d’appartenenza al clan del<br />
profeta Maometto, mentre gli altri indossano quello bianco.<br />
Le pareti delle mura del cortile presentano una piastrellatura<br />
risalente all’epoca cagiara: la datazione è possibile mediante<br />
l’analisi dello stile, che reca i motivi e i colori caratteristici<br />
dell’epoca, come i disegni floreali e le tonalità rosate. Di<br />
ritorno verso la vicina strada principale, ne approfittiamo<br />
per acquistare della frutta fresca e secca: arance, banane,<br />
pistacchi per i pranzi al sacco.<br />
La tappa successiva è una casa-museo tradizionale, situata<br />
nelle vicinanze. Come spesso accade nei siti d’interesse<br />
turistico, anche qui è in vigore la politica del doppio<br />
prezzo, che obbliga i turisti stranieri a pagare dalle dieci alle<br />
venti volte di più rispetto ai visitatori locali. A noi è accaduto<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
varie volte di dover sborsare 100.000 rial a testa (circa 2 €),<br />
contro i 5000 rial (10 centesimi) dovuti dagli iraniani. È pur<br />
vero che, rispetto ai sistemi museali europei, queste cifre<br />
sono indubbiamente esigue, ma la questione di principio non<br />
è prescindibile: se il prezzo degli Uffizi fosse fissato a 5 € per<br />
gli italiani e a 100 € per gli altri visitatori, voi lo riterreste<br />
equo Il nostro gruppo all’unanimità condanna questa<br />
usanza: abbiamo affrontato un viaggio di varie migliaia di<br />
chilometri perché siamo amanti della storia e della cultura<br />
di questo paese, che dovrebbe essere accessibile a tutti alle<br />
medesime condizioni. Non comprendiamo i motivi di questa<br />
discriminazione che viene attuata nei nostri confronti e<br />
conveniamo di soprassedere alla visita come atto di protesta:<br />
«questo prezzo», sentenzia la guida, «è giustificato per<br />
entrare a Persepoli, ma per un museo come questo è<br />
esagerato». La prossima meta, non lontana, è la moschea<br />
di Nasir al-Mulk, risalente alla fine del XIX secolo.<br />
Sul lato nord del cortile si accede alla sala della preghiera<br />
invernale, un ambiente assai raccolto e silenzioso. Nella<br />
stagione fredda, questo ambiente viene riscaldato dai<br />
raggi solari che filtrano attraverso le vetrate policrome,<br />
creando dei giochi di luce assai raffinati, che si riflettono sul<br />
pavimento, sulle colonne e sul soffitto. In questo momento<br />
non è presente nessuno: entriamo scalzi ed in punta di piedi<br />
per non turbare la sacralità del luogo. I rumori sono attutiti<br />
dagli spessi tappeti su cui i fedeli s’inginocchiano durante la<br />
funzione religiosa. Solo un fotografo si aggira per cercare di<br />
ottenere, come noi, la prospettiva migliore. Sul lato opposto<br />
del cortile, rivolta a mezzanotte, vi è la sala della preghiera<br />
estiva, assai più fresca e disadorna, attualmente adibita a<br />
sede di un piccolo museo. Da un passaggio su questo lato si<br />
può inoltre accedere allo storico pozzo detto “delle vacche”.<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
Terminata la visita, il pulmino si avvia verso i margini<br />
nord-orientali della città, presso la tomba del poeta Saadi.<br />
L’arte della poetica in <strong>Iran</strong> è un fatto di cultura nazionale:<br />
molte persone, anche fra il popolo, sono in grado di citare<br />
a memoria le strofe degli autori più noti; non solo Saadi,<br />
ma anche Hafez, Firdusi, Omar Khayyam, Rumi e molti<br />
altri. La letteratura persiana è assai vasta e i generi classici,<br />
sviluppatisi a partire dal IX secolo, sono molteplici: dal<br />
panegirico all’epica, dal romanzo alla trattatistica, fino alle<br />
opere religiose e alla retorica.<br />
Il poeta Saadi è annoverato fra i massimi letterati della<br />
nazione, tanto da essere ben conosciuto anche all’estero.<br />
Nato a Shiraz nel 1210, fu costretto a lasciare il proprio<br />
paese in giovane età a causa dell’avanzata delle orde mongole,<br />
che lo spinsero a trovare rifugio verso occidente, in Turchia,<br />
Siria, Egitto ed Arabia. Dopo il ritiro dei mongoli viaggiò a<br />
lungo in Asia centrale, spingendosi fino in India. Negli ultimi<br />
anni di vita si ritirò nella propria città natale, ormai pacificata,<br />
a scrivere e ad insegnare. Fra le opere più note figurano il<br />
Bostan (Frutteto, 1257) e il Golestan (Roseto, 1258): mentre<br />
il primo, interamente in versi, tratta principalmente di<br />
argomenti attinenti la sfera morale, il secondo è in larga<br />
parte in prosa e contiene aneddoti personali e riflessioni sulla<br />
natura umana.<br />
Arrivati dinanzi al mausoleo, che per mancanza di tempo<br />
non possiamo visitare, alcuni di noi rimangono a bordo<br />
del bus, mentre altri si dirigono ad osservarne la struttura<br />
dall’esterno: da questa prospettiva spiccano la cupola azzurra<br />
e l’antistante porticato, dotato di colonne alte e squadrate.<br />
Riattraversato il viale, non senza una certa difficoltà per<br />
via della scarsa dimestichezza di molti automobilisti col<br />
codice della strada, proseguiamo in direzione della tomba<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
di Hafez, l’altro grande poeta sepolto a Shiraz.<br />
All’incirca contemporaneo del Petrarca, Hafez è forse<br />
l’artista più amato in <strong>Iran</strong>. Della sua vita poco si conosce: qui<br />
nato tra il 1315 ed il 1317, contrariamente al suo conterraneo<br />
Saadi, non intraprese molti viaggi ma spese gran parte della<br />
propria esistenza in questa regione, ove morì intorno al 1390.<br />
La sua opera principale, il Divan (Canzoniere), ha influenzato<br />
per secoli la poetica persiana ed è tuttora uno dei massimi<br />
componimenti della letteratura mondiale.<br />
Davanti all’entrata già s’incolonnano le persone giunte ad<br />
onorare le venerande spoglie. A causa della svalutazione, ad<br />
ognuno di noi è assegnato non un semplice biglietto, bensì un<br />
intero carnet, la cui somma corrisponde al prezzo fissato per<br />
il periodo corrente: probabilmente la settimana prossima, coi<br />
nuovi adeguamenti valutari, diventerà ancora più spesso…<br />
Il mausoleo è collocato all’interno di un lussureggiante<br />
giardino di pini, cipressi ed arbusti. Una breve scalinata<br />
conduce sino al porticato, dove si apre la vista sul padiglione<br />
ottagonale centrale, che ospita la tomba del poeta. Questa<br />
struttura non è antica ma è stata costruita nel 1935<br />
dall’architetto francese André Godard: questi fortunatamente<br />
non volle stravolgere i canoni dell’architettura tradizionale,<br />
né apportò elementi alloctoni all’estetica locale. Il giardino si<br />
armonizza efficacemente col monumento, la cui volta reca un<br />
mosaico con motivi geometrici di ottima fattura. La copertura<br />
di rame, movimentata e ben proporzionata, è stata modellata<br />
secondo il gusto dell’epoca cagiara.<br />
In molti si recano qui per tentare una singolare forma di<br />
divinazione: secondo una credenza assai diffusa, aprendo a<br />
caso una pagina del divan e leggendone i versi, si riuscirebbe<br />
a prevedere il proprio futuro. Questa meta è assai frequentata<br />
dagli iraniani, come lo è l’intera città di Shiraz, che viene presa<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
d’assalto durante le festività ufficiali: il giardino è gremito di<br />
turisti che passeggiano tra le aiuole, sostano sulle gradinate e<br />
scattano fotografie di gruppo.<br />
Dopo un momento dedicato a girovagare liberamente,<br />
l’itinerario riprende in direzione del mausoleo del Seyyed<br />
Aladdin Hussein, discendente del Profeta Maometto. L’Islam<br />
sciita è assai incentrato sul culto personale dei santi e dei<br />
martiri fin dai tempi dei suoi capostipiti, l’Imam Ali Abu Talib<br />
(599–661) e i figli Hassan (625–670) e Hussein (626–680),<br />
tutti periti di morte violenta a causa delle continue lotte tribali<br />
dell’epoca. Lo scisma con la confessione sunnita avvenne pochi<br />
anni dopo la morte di Maometto, poiché gli sciiti sostenevano<br />
che il potere religioso e quello politico sulla Umma (il popolo<br />
dei fedeli) dovessero coincidere nella persona dell’Imam Ali,<br />
genero del Profeta, e nei suoi discendenti. Alcune correnti<br />
come gli Ismailiti riconoscono solo sette successori (perciò<br />
detti settimani), mentre la corrente principale degli Imamiti<br />
o duodecimana ne riconosce il lignaggio fino a Muhammad<br />
ibn al-Hasan detto il Mahdi. Secondo i credenti, quest’ultimo<br />
non sarebbe stato assassinato nel 941 come vorrebbe la<br />
storia, bensì avrebbe scelto volontariamente di occultarsi<br />
per attendere di riapparire in un’epoca futura ed annunciare<br />
il regno dei cieli. I Sunniti invece, sostenuti dal potere<br />
politico del califfato Omayyade, divennero numericamente<br />
prevalenti e riconobbero nei soli califfi di Damasco la loro<br />
autorità. Ne nacque pertanto un conflitto ancora oggi irrisolto<br />
sul piano dottrinale, politico e sociale tra le due fazioni: lo<br />
sciismo divenne rapidamente la fede delle minoranze, degli<br />
emarginati, dei perseguitati e dei mistici, trovando nella<br />
regione iraniana un substrato socio-culturale adatto ad<br />
accoglierla. Questa forma d’Islam fu inizialmente adottata<br />
dagli strati più bassi della popolazione, da sempre insofferente<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
verso i poteri costituiti e le gerarchie, per diffondersi in<br />
seguito anche nelle altre classi: furono necessari circa nove<br />
secoli prima che lo sciismo fosse riconosciuto, ormai in epoca<br />
safavide, come religione ufficiale della Persia.<br />
La tomba del Seyyed Aladdin Hussein si presenta<br />
all’esterno come un edificio d’epoca cagiara di grandi<br />
dimensioni, ricoperto di piastrelle blu e gialle, sormontato<br />
da una cupola slanciata ed incorniciato da due minareti di<br />
sezione circolare. In teoria i non musulmani non potrebbero<br />
accedere a questi luoghi, ma per gruppi poco numerosi e<br />
discreti vengono fatte frequenti eccezioni: in tal caso il custode<br />
attenderà da parte vostra una generosa donazione. L’ingresso<br />
maschile e quello femminile sono separati già dal cortile, ove<br />
le donne sono tenute ad indossare una tunica appositamente<br />
fornita dal santuario. Gli uomini non devono presentarsi con<br />
sandali, pantaloni corti o maglie senza maniche. Le borse<br />
e le scarpe vanno depositate nel guardaroba. All’interno<br />
si cammina in silenzio sui tappeti, con attenzione a non<br />
disturbare le persone raccolte in preghiera. Le pareti e le volte<br />
sono interamente ricoperte di mosaici con tessere a specchio,<br />
una tecnica che rende la luce delle lampade omnidirezionale e<br />
multicolore, con un effetto studiato per simboleggiare la luce<br />
divina sul sepolcro del dotto sciita. Un particolare orologio<br />
indica a tutti i fedeli le ore canoniche, che variano in base<br />
alla durata stagionale del giorno. Il tempo è però tiranno:<br />
dopo mezz’ora siamo nuovamente per strada in direzione<br />
del centro storico. L’autobus ci lascia nei pressi dell’Arg, da<br />
dove prendiamo la direzione del bazar. Dopo un percorso<br />
impossibile da ricordare attraverso vicoli e stradine, si<br />
giunge presso la moschea dell’Atigh Jame, risalente al IX<br />
secolo, una delle più antiche dell’<strong>Iran</strong>. La struttura attuale, in<br />
corso di restauro, risale alla tarda epoca safavide (sec. XVII–<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
XVIII). Tratto caratteristico è costituito dal pregevole edificio<br />
della biblioteca presente al centro del cortile (Khodakhaneh).<br />
Questo luogo dà però l’impressione che i lavori vadano<br />
talmente a rilento da sembrare quasi fermi: la stessa moschea<br />
pare, se non abbandonata, perlomeno dismessa.<br />
Un forno nei pressi sta sfornando delle lunghe e morbide<br />
schiacciate di pane. Cogliamo l’occasione per fermarci<br />
qualche istante a pranzare velocemente, in piedi: un pane<br />
può essere lungo mezzo metro o anche più, ed è sufficiente<br />
per sfamare varie persone. Da qui s’intravvede la cupola del<br />
vicino santuario di Shah Cheragh, costruito nel XIII secolo<br />
con struttura attuale d’epoca cagiara. Esso conserva le spoglie<br />
di Ahmad (qui assassinato nell’835) e Muhammad, figli di<br />
Musa al-Kadhim e fratelli dell’Imam Ali Reza. L’ingresso è<br />
vietato ai non musulmani: si dice che qualche gruppo sia<br />
riuscito ad accedere con discrezione, ma noi non abbiamo<br />
avuto modo di visitarlo all’interno.<br />
Da questo punto si procede nuovamente attraverso il<br />
bazar, che nelle sue parti più antiche presenta una singolare<br />
architettura: in alcuni tratti le volte di mattoni che ne<br />
costituiscono il soffitto sono dotate di un pertugio al centro,<br />
in modo da far penetrare la luce solare all’interno senza<br />
riscaldarlo eccessivamente. Lungo il percorso si trovano<br />
alcuni caravanserragli abbastanza ben conservati, fra cui<br />
spicca il Serai Mushir, un ampio cortile su cui s’affacciano<br />
degli edifici a due piani che chiudono la struttura sui quattro<br />
i lati. L’ingresso ha un proprio cancello che viene chiuso sul<br />
far della sera, isolando il serraglio dal resto del bazar. Al<br />
pianterreno trovano posto le botteghe ed i magazzini mentre<br />
il piano superiore, oggi assai meno utilizzato, era un tempo<br />
adibito alle abitazioni.<br />
La vicina moschea del Vakil (ovvero “Reggente”, titolo<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
che il sovrano Karim Khan attribuì a se stesso in luogo di<br />
quello più impegnativo di Scià), fu costruita tra il 1771 ed<br />
il 1773 e restaurata nel XIX secolo. Presenta un’estensione<br />
di quasi 9000 m² ed è dotata di due soli iwan anziché dei<br />
consueti quattro. Anche qui il vasto cortile è attualmente<br />
soggetto a lavori di restauro. Interessanti sono i decori e le<br />
piastrellature d’epoca cagiara che lo ornano. La parte più<br />
notevole è però forse lo Shabestan, una sala per le preghiere<br />
al coperto di 2700 m² d’estensione, sostenuta da 48 colonne<br />
tortili recanti capitelli di foglie d’acanto. All’interno è collocato<br />
un mihrab (pulpito orientato in direzione della Mecca)<br />
ricavato da un blocco unico di marmo dell’Azerbaigian.<br />
A metà pomeriggio il gruppo si divide ed ognuno è libero di<br />
proseguire la giornata secondo i propri itinerari. Rimasti in<br />
due, ci dirigiamo verso la fortezza, che in questo momento<br />
è aperta al pubblico. La costruzione fu completata tra il<br />
1766 e il 1767 dal sovrano Karim Khan della dinastia Zand,<br />
nel tentativo di contrastare il potere della città rivale di<br />
Esfahan. All’interno si rivela un lussureggiante agrumeto<br />
inframmezzato da una lunga fontana, dotata di più di venti<br />
zampilli. Qui, seduti su un gradino all’ombra delle mura,<br />
troviamo un attimo di ristoro nel sorseggiare un succo di frutta<br />
acquistato presso un negozio vicino. Ci intratteniamo ancora<br />
un po’ presso il piccolo museo storico della città. Sono inoltre<br />
presenti numerose botteghe artigiane, dove alcuni maestri<br />
sogliono lavorare il metallo, l’avorio, le pietre dure ed altri<br />
materiali con grandissima perizia. Uno di essi sta intarsiando<br />
una scatoletta e, vedendo il nostro interesse, ci illustra<br />
volentieri la sua tecnica. Se desiderate acquistare qualche<br />
oggetto, considerate che in questa sede gli spazi di manovra<br />
per un’eventuale contrattazione sono piuttosto scarsi: come<br />
regola generale, la possibilità di trattare è inversamente<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
proporzionale alla qualità della merce in vendita.<br />
All’uscita dalla fortezza avremmo voluto visitare il vicino<br />
museo regionale di storia del Fars: purtroppo anche qui<br />
agli stranieri è richiesta una cifra di venti volte superiore<br />
rispetto a quella prevista per gli iraniani. L’irremovibilità del<br />
custode di fronte alle nostre osservazioni sulla disparità di<br />
trattamento ci ha costretto a soprassedere alla visita, non del<br />
tutto irrinunciabile. Al contrario invece, in molti altri luoghi<br />
ci è stato concesso un generoso sconto (es.: due ingressi al<br />
prezzo di uno).<br />
Dopo un’altra ora passata a peregrinare nel bazar tra<br />
rigattieri e caravanserragli, il pomeriggio volge al termine e<br />
la stanchezza per la lunga giornata inizia a farsi sentire. La<br />
solita panca di pietra sulla piazza dell’Hammam ci accoglie<br />
nuovamente per sostare un istante ad osservare la gente che<br />
passa. Nessuno viene ad importunarci, né ci lancia occhiate<br />
o tenta di venderci qualcosa: ognuno prosegue intento nel<br />
proprio daffare. Non si vedono mendicanti, né quelle torme di<br />
sfaccendati che sono assai comuni a vedersi in altri paesi del<br />
Medio Oriente. Le città, né ricche né povere, sono costituite<br />
perlopiù da anonimi edifici di cemento e sono mediamente<br />
pulite, a volte più di alcune loro sorelle europee. Dobbiamo<br />
inoltre capacitarci, di fronte ai fatti, che questo paese è<br />
assai differente da come lo descrivono i mezzi mediatici<br />
internazionali: prima del nostro arrivo immaginavamo che la<br />
polizia fosse appostata ovunque dietro gli angoli delle strade,<br />
intenta a controllare l’abbigliamento ed il comportamento dei<br />
passanti. Pensavamo che i turisti avrebbero dovuto esibire<br />
ripetutamente il passaporto alle milizie: invece i documenti<br />
sono sempre rimasti in custodia presso gli alberghi (altrove<br />
nessuno li ha mai richiesti). Qualche volta abbiamo anche<br />
visto all’opera le forze di sicurezza, indaffarate… a dirigere il<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
traffico nei centri cittadini. Le moschee, tralasciando quelle<br />
storiche, sono piccole e defilate, spesso senza minareti.<br />
Gli onnipresenti richiami alla preghiera degli altri paesi<br />
musulmani quasi non si odono. Anche l’obbligo del velo non<br />
è così restrittivo come si potrebbe pensare: nei centri più<br />
grandi, per le giovani donne si riduce ad un semplice foulard,<br />
non di rado colorato e vivace, portato in modo da lasciare<br />
scoperta gran parte della capigliatura senza infrangere<br />
le legge. In sostanza il lungo velo nero (chador), che gli<br />
europei associano all’immagine dell’<strong>Iran</strong>, assume qui una<br />
connotazione di tradizionalismo culturale, di cui la religione<br />
è solo un fattore subordinato. A Tehran, come anche in altre<br />
città “progressiste”, quasi non vi è ragazza che esca di casa<br />
senza una buona dose di trucco: fondotinta, rossetto acceso<br />
ed eye-liner sono praticamente obbligatori. Presso il pubblico<br />
femminile riscuote grande successo anche la chirurgia<br />
plastica, particolarmente quella relativa al setto nasale, per<br />
la quale è assai frequente scorgere degli improbabili nasi<br />
“alla francese” su dei volti sinceramente persiani. Talvolta il<br />
chirurgo ha la mano poco felice, lavorando eccessivamente<br />
di lima e riducendo il povero naso ad un piccolo spuntone<br />
spigoloso ed appuntito, di forme del tutto innaturali.<br />
Sono trascorsi oltre trent’anni dai tempi della Rivoluzione<br />
Khomeinista, periodo nel quale l’<strong>Iran</strong> non è rimasto<br />
immobile: come esempio analogo si può citare la Cina<br />
che, pur avendo conservato intatte le istituzioni del proprio<br />
regime, non è più quella dei tempi di Mao. In secondo<br />
luogo, l’immagine che noi cosiddetti “occidentali” (europei,<br />
americani) abbiamo di questo paese, deriva in larga parte<br />
dall’opera di molti esuli e dissidenti che fuggirono negli anni<br />
successivi al 1979: costoro, in genere ex fedeli della monarchia<br />
pahlavide, propugnano ancora oggi nelle loro opere letterarie<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
e cinematografiche una visione del tutto anacronistica, avendo<br />
ormai perso il contatto con la realtà della loro patria. A prima<br />
vista invece, l’<strong>Iran</strong> appare oggi come un paese assai più laico<br />
e moderno rispetto a molti altri della regione mediorientale.<br />
La sfera della politica internazionale risulta assai distante dal<br />
cittadino comune, che preferisce concentrarsi sui problemi<br />
quotidiani anziché ascoltare i proclami del clero e del<br />
governo, o preoccuparsi del programma nucleare. «In questo<br />
momento ciò che preoccupa realmente il popolo», afferma<br />
la guida, «non è tanto la politica, quanto la crisi economica<br />
che affligge la vita delle famiglie». Oltre alle sanzioni,<br />
l’onda della depressione globale non ha risparmiato<br />
neppure quest’angolo di mondo, causando l’inflazione ed il<br />
brusco aumento del prezzo del petrolio, che in precedenza<br />
era sempre stato convenientissimo. In tal modo l’apparato<br />
produttivo iraniano, già di per sé vetusto e sofferente per<br />
via della congiuntura internazionale, è stato ulteriormente<br />
soffocato.<br />
È tempo di rientrare in albergo per una doccia prima di<br />
recarci in taxi al ristorante, piuttosto lontano ma eccellente.<br />
Le portate non variano rispetto alla sera precedente: tutti i<br />
locali servono pressappoco le stesse pietanze. Il percorso del<br />
ritorno è movimentato per via del disgraziato stile di guida del<br />
nostro tassista. Arrivati incolumi alla meta, rimane ancora<br />
un po’ di tempo per studiare il programma dell’indomani,<br />
che prevede 450 km di tragitto verso nord-est fino a Yazd,<br />
con numerose tappe intermedie.<br />
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Moschea di Nasir al-Mulk, sala delle preghiere invernali<br />
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Giappone per caso<br />
Il bazar di Shiraz<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
18 marzo<br />
Vestigia di antichi imperi<br />
S<br />
veglia presto questa mattina: alle sette l’autobus che<br />
ci accompagnerà fino a Tehran, al termine di questo<br />
viaggio, sta già attendendo dinanzi all’albergo. Chi fra noi è<br />
già sceso nella hall ne approfitta per navigare sull’internet e<br />
leggere la posta elettronica dal PC messo a disposizione per<br />
gli ospiti.<br />
Riguardo all’<strong>Iran</strong> si sente talvolta parlare di censura del<br />
web: noi non abbiamo però riscontrato alcuna restrizione<br />
nell’accesso ai servizi informatici. Anche i siti italiani<br />
considerati «poco sopportabili» (sic!) dal governo iraniano,<br />
come quelli dell’ANSA o de “La Repubblica”, sono sempre<br />
stati fruibili ovunque senza limitazioni. Intanto dall’Italia<br />
giungono notizie politiche poco incoraggianti: dopo i risultati<br />
delle recenti elezioni, si vocifera di un governo già morto<br />
prima ancora di nascere. Poco importa, al nostro ritorno ci<br />
aggiorneremo, adesso invece urge partire. Questi fatti, visti<br />
da qui, paiono piccoli e lontani.<br />
L’autobus, un grosso catorcio di fabbricazione cinese, si<br />
avvia arrancando sul pendio verso il limitare nord della città:<br />
qui si oltrepassa la porta detta “del Corano” per via di<br />
una copia storica, contenuta al suo interno, del libro sacro<br />
ai maomettani. Poi, attraversata una delle dorsali dei monti<br />
Zagros ed iniziata la discesa verso la zona subdesertica, il<br />
veicolo prende (si fa per dire) velocità, arrivando a sfiorare<br />
gli 80 chilometri l’ora. Una volta nella piana, è d’obbligo un<br />
momento di sosta per sgranchirsi qualche istante le gambe<br />
e per l’acquisto di frutta fresca in un mercato ai margini<br />
della strada. Dopo un’ulteriore ora di viaggio si raggiunge la<br />
città di Marv-e dasht, nei cui pressi sono situate le rovine di<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
Persepoli, capitale cerimoniale dell’impero achemenide,<br />
attualmente inclusa nel patrimonio mondiale dell’UNESCO.<br />
Persepoli fu edificata a partire dal 515 a.C. quando Dario I<br />
decise di trasferire qui la propria sede ufficiale da Pasargad. La<br />
città fu adibita per circa duecento anni alle celebrazioni civili<br />
e religiose dell’impero, non formando però un centro abitato<br />
vero e proprio: in questo luogo il sovrano achemenide usava<br />
solamente concedere le udienze e ricevere le ambascerie, ma<br />
la corte non vi dimorava in maniera stabile.<br />
Raggiunto il parcheggio, da un’ampia spianata si accede<br />
all’ingresso principale del sito archeologico, preceduto da<br />
una scalea di pietra. In cima ad essa troneggia la Porta<br />
delle Nazioni, che costituisce l’ingresso monumentale sul<br />
lato ovest. La struttura delimita una sala quadrangolare<br />
di circa 25 m di lato, la cui volta era sostenuta da quattro<br />
possenti pilastri: dinanzi ad essi sono collocate le statue<br />
dei lamassi, esseri con il corpo di animale e la testa umana,<br />
recanti le fattezze dell’imperatore. Proseguendo la visita in<br />
senso orario s’incontrano vari reperti ben conservati, come<br />
dei capitelli a forma di grifone e di toro: in questi esempi<br />
d’arte classica persiana si possono riscontrare degli alti gradi<br />
di stilizzazione e linearità, che ancora oggi sono ritenuti di<br />
gusto assai moderno. La vicenda di Persepoli, riscoperta<br />
solo in tempi recenti, ha inoltre consentito di preservare<br />
molti capolavori: dopo secoli di relativo abbandono, negli<br />
anni ’30 del XX secolo gli archeologi Ernst Herzfeld ed<br />
Erich Schmidt avviarono la prima campagna scientifica di<br />
scavi, riportando alla luce numerose opere rimaste sepolte<br />
sottoterra. Persepoli non sorse agli albori della dinastia<br />
achemenide, bensì durante il suo apogeo: nei monumenti si<br />
può già riscontrare una certa contaminazione di stili, dovuta<br />
ai contatti culturali con le estreme propaggini dell’impero;<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
a titolo d’esempio si possono citare l’introduzione della<br />
scanalatura delle colonne, di derivazione greca, e l’adozione<br />
dei capitelli a forma di loto, d’ispirazione indiana. Poco oltre<br />
si raggiunge l’Apadana, il palazzo più ricco e sontuoso di<br />
Persepoli, che ospitava la sala delle udienze del sovrano. Il<br />
fronte della scalea reca una serie di finissimi bassorilievi,<br />
fra i maggiori esempi dell’arte achemenide a noi pervenuti:<br />
il tema principale si compone di una teoria di dignitari e<br />
tributari nell’atto di porgere omaggio all’imperatore. Fra i<br />
vari popoli sottomessi, dall’analisi dei tratti iconografici si<br />
possono distinguere medi, elamiti, parti, battriani, gandhari,<br />
babilonesi, arabi, egiziani, greci, sciti, traci e molti altri. Per<br />
dimostrare la propria lealtà, ogni delegazione reca munifici<br />
doni quali montoni, tori, cammelli, incenso, spezie, vino,<br />
unguenti, metalli preziosi, monili e pietre dure. Primi fra<br />
tutti spiccano i guerrieri e i notabili persiani, padroni di casa,<br />
facilmente distinguibili dal copricapo cilindrico. La grande<br />
sala quadrata dell’Apadana misura all’incirca 60 metri di<br />
lato e un tempo presentava 72 colonne con capitelli di forma<br />
taurina, in gran parte andati perduti. Numerose iscrizioni in<br />
caratteri cuneiformi corredano le opere figurative con editti<br />
reali e proclami rivolti ai posteri. In uno di essi si legge:<br />
«Dario, grande re achemenide, re dei re, re delle nazioni,<br />
figlio di Istaspe, costruì questo palazzo». Su molti frontoni<br />
ed architravi si distingue il Faravahar, sacro simbolo del<br />
culto mazdeista: di questa religione tratterò più diffusamente<br />
in seguito, descrivendo la visita al tempio del Fuoco di Yazd.<br />
Assai diffusa è anche la rappresentazione del leone che morde<br />
il toro: alcuni storici la interpretano in modo strettamente<br />
religioso, ritenendo che il leone simboleggi la divinità benigna<br />
Ahura Mazda nell’atto d’attaccare Ahriman (lo spirito del<br />
male). Altri invece propendono per un’interpretazione più<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
ritualistica, identificando in essa il simbolo del Nowruz, il<br />
capodanno persiano, con l’allegoria dell’anno nuovo che<br />
annienta quello vecchio.<br />
Proseguendo lungo il percorso, sul lato meridionale<br />
sorgono i resti dei palazzi di Dario e Serse, mentre sul<br />
lato orientale trova posto la sala del trono, conosciuta anche<br />
come “sala delle cento colonne”. Più ad est ancora, inizia<br />
la salita sui pendii rocciosi circostanti che ospitano alcune<br />
tombe reali: da questo luogo la vista si apre su tutto il sito<br />
archeologico e sulla pianura circostante, piuttosto brulla<br />
e sfruttata con un’agricoltura di tipo estensivo. L’unica<br />
macchia d’alberi presente nei dintorni è un bosco artificiale,<br />
piantato nel 1971 per proteggere dal sole la tendopoli che<br />
ospitò gli invitati alle celebrazioni dei 2500 anni dell’impero<br />
persiano. In quell’occasione lo Scià Mohammed Reza Pahlavi<br />
volle stupire i sovrani e i delegati stranieri con alcuni giorni<br />
di festeggiamenti, rappresentazioni storiche e raffinati<br />
banchetti, conclusi con un grandioso spettacolo di suoni, luci<br />
e fuochi d’artificio. A testimonianza di ciò rimane solamente<br />
qualche struttura arrugginita in mezzo alla pineta.<br />
Prima di riprendere la strada vi è ancora il tempo d’inviare<br />
alcune cartoline, che sono arrivate a destinazione ben dopo<br />
di noi.<br />
La vicina Naqsh-e Rostam (la “e” non è congiunzione,<br />
bensì genitivo, in conformità ad antiche regole indoeuropee)<br />
si annuncia dopo una ventina di minuti di viaggio con una<br />
grande rupe calcarea, ove spiccano gli ingressi di quattro<br />
tombe monumentali d’epoca achemenide, appartenute a<br />
Dario I, Serse, Artaserse e Dario II. La loro costruzione<br />
richiese un periodo sicuramente non inferiore ad un secolo.<br />
Il luogo conserva inoltre dei notevoli reperti appartenenti ad<br />
un’altra epoca, quella sassanide (sec. III–VII), consistenti in<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
alcune grandi sculture rupestri. La più rilevante riguarda un<br />
episodio tanto glorioso per la storia persiana, quanto triste<br />
ed avvilente per la nostra: nel terzo secolo, mentre la potenza<br />
sassanide era al proprio apogeo, l’impero romano attraversava<br />
la peggiore crisi che si fosse verificata fino ad allora. Dopo<br />
l’estinzione della dinastia del Severi, la frammentazione<br />
politica e territoriale che ne derivò fu foriera della nomina<br />
d’una serie d’imperatori incapaci, che non seppero unire<br />
alle ormai anacronistiche ambizioni militari una politica<br />
che assicurasse loro la pace interna. Filippo l’Arabo, dopo<br />
la morte in battaglia del predecessore Gordiano, negoziò<br />
coi Sassanidi una pace sfavorevole che fu assai criticata dai<br />
contemporanei.<br />
Qualche anno più tardi Valeriano fu addirittura catturato<br />
dal re Sapore (Shapur), trovando la morte in terra straniera.<br />
Il bassorilievo alla base della necropoli rappresenta il trionfo<br />
di Sapore sui due imperatori romani: Valeriano in catene e<br />
Filippo l’Arabo nell’atto di sottomettersi al re sassanide.<br />
Il nome del sito, che significa “Immagine di Rostam”,<br />
rimanda alla figura del mitico eroe persiano narrato da<br />
Firdusi nello Shahnameh, da sempre associato dalla fantasia<br />
popolare a queste possenti figure equestri.<br />
Poche decine di metri sulla sinistra s’incontra l’edificio<br />
quadrangolare noto come “Kaaba di Zoroastro”, risalente al V<br />
secolo a.C. e probabilmente adibito a luogo di culto: si tratta<br />
di uno degli edifici meglio conservati dell’epoca achemenide.<br />
Dopo un millennio e mezzo di esistenza, la sua base si trova<br />
ormai qualche metro sotto l’attuale piano del terreno.<br />
L’ultimo punto d’interesse di Naqsh-e Rostam è costituito<br />
dal bassorilievo dell’investitura del re Ardashir da parte<br />
del dio Ahura Mazda: entrambe le figure presentano tratti<br />
iconografici simili e paiono assumere una posizione quasi<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
paritetica. In tal modo il sovrano evidenziava le proprie<br />
prerogative divine secondo una strategia di propaganda<br />
assai moderna, volta a suscitare l’ammirazione ed il timore<br />
del popolo.<br />
Un’altra ora di viaggio è necessaria per raggiungere<br />
Pasargad attraverso un brullo paesaggio di colline rocciose,<br />
intervallato qua e là da campi e cittadine. A metà percorso,<br />
raggiunto un centro di medie dimensioni, l’autobus si ferma<br />
per una breve pausa pranzo, consumato al volo con pane e<br />
frutta secca acquistati sul luogo.<br />
Il clima è caldo ma non insopportabile, con il cielo costellato<br />
di soffici nuvole che a tratti lasciano trasparire una luce<br />
solare assai vivida. Pasargad fu la prima capitale dell’impero<br />
persiano dal 546 a.C., sorta entro un’ampia pianura ricoperta<br />
solamente di erbe e cespugli. Dal terreno spuntano ancora<br />
pezzi di mura, colonne e perimetri degli antichi palazzi, che<br />
presentano le caratteristiche dell’arte achemenide degli inizi,<br />
come le colonne lisce e prive di scanalature. Le rovine sono<br />
diffuse su un’area assai vasta ed è necessario percorrere lunghi<br />
tratti a piedi tra un punto d’interesse e l’altro. Qui si conserva<br />
inoltre una statua di Ciro il Grande di gusto spiccatamente<br />
egiziano con qualche elemento babilonese, donata al<br />
sovrano dal popolo ebraico, riconoscente per la liberazione<br />
da Babilonia ad opera delle armate persiane. Il monumento<br />
principale di Pasargad è la tomba di Ciro: squadrata e<br />
possente, si erge come un monolito sulla piana circostante.<br />
Narra la leggenda che, all’arrivo degli invasori musulmani nel<br />
VI secolo, gli abitanti locali vollero proteggerla asserendo che<br />
fosse la tomba della madre di Salomone anziché quella di un<br />
re pagano. Probabilmente sotto l’erba di questa landa rimane<br />
ancora molto da scavare; sul luogo incombe però la pesante<br />
minaccia della costruzione del bacino idroelettrico di Sivand<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
che, se realizzato, sommergerebbe buona parte della zona<br />
archeologica, per un totale di oltre cento siti che andrebbero<br />
definitivamente perduti. Attualmente sono al lavoro alcune<br />
squadre di archeologi provenienti da varie parti del mondo,<br />
per tentare di portare alla luce quanto possibile prima che si<br />
creino danni irreparabili. I notevoli ritrovamenti stanno però<br />
ritardando i lavori della diga, inducendo qualcuno a sperare<br />
che si fermino del tutto. Anziché perseguire la costruzione di<br />
queste “grandi opere”, figlie della retorica di qualche decennio<br />
fa, sarebbe invece auspicabile lo sviluppo del turismo<br />
culturale e della ricerca mediante l’istituzione di un “distretto<br />
archeologico”, che potrebbe facilmente comprendere i siti<br />
di tutta l’area, da quelli maggiori a quelli minori tuttora in<br />
scavo. La politica rimane però sorda a queste istanze.<br />
È già tardo pomeriggio ma abbiamo davanti ancora<br />
parecchie ore di viaggio: durante il tragitto attraverso il<br />
deserto roccioso, molti di noi ne approfittano per assopirsi.<br />
Io non ho sonno e rimango ad osservare il paesaggio fuori dal<br />
finestrino, scattando di tanto in tanto qualche fotografia. In<br />
<strong>Iran</strong> le strade sono generalmente ben tenute e non destano<br />
eccessivi problemi di buche e sobbalzi. La superstrada che<br />
stiamo percorrendo è dotata di due corsie per senso di<br />
marcia, corsia d’emergenza e guardrail. Le barriere laterali<br />
sono quasi prive d’utilità: grazie all’abbondanza di spazio,<br />
il distanziamento tra i due sensi non è mai inferiore ad una<br />
ventina di metri.<br />
Dopo circa sessanta chilometri si lascia la strada n.65 per la<br />
n.78 in direzione nord-est. Sul far del tramonto raggiungiamo<br />
Abarkuh, cittadina nota per le antiche cisterne dell’acqua<br />
dotate di copertura in laterizi e per il suo imponente cipresso<br />
di 400 anni d’età (c’è chi, poco realisticamente, dice 4000).<br />
Mentre la luce diurna va affievolendosi, il fresco investe<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
l’atmosfera costringendo tutti a dotarsi d’un abbigliamento<br />
più pesante.<br />
Ormai la stanchezza inizia a farsi sentire, la notte sta<br />
calando ed ancora 150 chilometri ci separano dalla meta. Già<br />
in vista di Yazd, l’autista si accorge d’aver saltato per errore il<br />
posto di blocco obbligatorio: quasi un’ora è spesa per tornare<br />
indietro a convalidare l’itinerario. Ogni autobus di lunga<br />
percorrenza è tenuto a rispettare una tabella di marcia assai<br />
restrittiva, che viene controllata dalla polizia all’entrata e<br />
all’uscita dalle città per impedire che gli autisti guidino più<br />
del consentito.<br />
I mezzi sono dotati di rilevatore tachimetrico e di<br />
ricetrasmettitore satellitare: dall’analisi del tracciato GPS, se<br />
la lunghezza del tragitto oppure la velocità media non sono<br />
conformi alla legge, al conducente viene automaticamente<br />
inflitta una multa salatissima che include, nei casi più gravi,<br />
il ritiro della patente.<br />
Sono ormai le dieci di sera: inutile passare a depositare<br />
i bagagli in albergo ed allungare ulteriormente i tempi.<br />
Raggiungiamo direttamente il ristorante, già in attesa del<br />
nostro arrivo da due ore. La cena a buffet è assai ricca di<br />
carni, spiedini, riso, legumi e verdure. Gli altri avventori non<br />
sono ancora del tutto scemati ma, con il passare del tempo, la<br />
sala si svuota progressivamente.<br />
Il tragitto del ritorno è anch’esso difficoltoso per via<br />
del traffico intenso dovuto ai giorni di festività. All’entrata<br />
dell’hotel Dad è presente un tavolo che reca i sette simboli<br />
di buon auspicio del capodanno: germogli di frumento,<br />
minestra d’orzo germogliato, frutti secchi d’olivastro,<br />
aglio, mele, bacche di somacco ed aceto. Completano la<br />
composizione specchi, candele, uova dipinte, acqua di rose,<br />
pesci rossi, giacinti, tulipani ed altri oggetti. Nella sala attigua<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
è in corso un banchetto nuziale: qualcuno di noi si sporge dalla<br />
porta per osservare la scena e viene subito invitato a sedersi<br />
al tavolo per consumare un po’di pietanza. Le camere, ampie<br />
e pulite, sono un vero ristoro dopo le fatiche della giornata.<br />
Peccato che sia già mezzanotte: come di consueto domani è<br />
prevista una levata di buon’ora.<br />
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Giappone per caso<br />
Persepoli<br />
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Giappone per caso<br />
Dignitari assiri in un rilievo di Persepoli<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
19 marzo<br />
Da Yazd ad Esfahan: l’<strong>Iran</strong> del deserto<br />
M<br />
i sveglio la mattina dopo un sonno profondo: inutile<br />
aggiungere che avrei riposato ancora volentieri per<br />
qualche istante. Colazione con una scodella di minestrone,<br />
yogurt bianco, qualche dattero e una tazza di caffè.<br />
La prima meta della giornata, raggiunta sotto un cielo<br />
piuttosto grigio, sono le Torri del Silenzio (dakhma),<br />
imponenti strutture di pietra edificate ai margini della città.<br />
Entro il loro perimetro, gli zoroastriani solevano esporre i<br />
cadaveri alla mercé degli avvoltoi nel corso del loro funerale<br />
celeste, rituale che presenta similitudini apparenti con quello<br />
tibetano. I due culti divergono però notevolmente: in Tibet<br />
il funerale celeste traeva origine dalla natura geografica del<br />
luogo, caratterizzato da un suolo prevalentemente roccioso<br />
e congelato per buona parte dell’anno, rendendo difficoltose<br />
le sepolture, mentre le cremazioni non erano possibili per<br />
via dell’esiguità di legname. I fedeli di Zoroastro ritenevano<br />
invece che il corpo del defunto non dovesse venire a contatto<br />
con la terra, considerata sacra, né potesse essere cremato<br />
poiché il sacro fuoco sarebbe stato contaminato dalle spoglie<br />
impure.<br />
Nel XX secolo il funerale zoroastriano era ormai in<br />
declino, quando negli anni ’70 una legge lo proibì del tutto:<br />
i pochi seguaci di questo culto hanno ora adottato sia la<br />
sepoltura, sia la cremazione. Fuori dall’<strong>Iran</strong> rimangono<br />
ancora alcuni nuclei di tradizionalisti, dislocati soprattutto<br />
nel subcontinente indiano, che continuano ad utilizzare le<br />
torri del silenzio.<br />
Nell’area, assai vasta ed inserita in un contesto desertico,<br />
sono presenti un piccolo villaggio disabitato e due colline<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
brulle, su cui si ergono le torri vere e proprie: una riservata<br />
alle donne e l’altra agli uomini. Al nostro arrivo il recinto<br />
esterno è ancora chiuso: dobbiamo attendere i custodi presso<br />
un vasto piazzale polveroso. Nel frattempo l’autista se n’è<br />
andato, chissà dove, con l’autobus carico dei nostri bagagli…<br />
tornerà<br />
Dal villaggio, che ospita le rovine di alcune strutture tipiche<br />
dell’architettura del deserto come gli ab anbar, cisterne<br />
sotterranee provviste di torri d’aerazione, si prosegue a piedi<br />
fino alla collina più bassa, sede della torre delle donne. Salendo<br />
sul clivo, la vista si apre sulla città di Yazd (ab. 423.000, alt.<br />
1200 m) e sui dintorni aridi e rocciosi. S’intravvede anche<br />
il recinto del nuovo cimitero, ove i morti vengono ormai<br />
seppelliti da alcuni decenni. Le torri sono circolari, delimitate<br />
da uno spesso muraglione di pietra e fango; il pavimento<br />
interno è ricoperto da un lastricato su cui venivano deposti<br />
i cadaveri. Al centro vi è una fossa di scolo, che raccoglieva<br />
i resti del lavoro dei saprofagi, anche se al giorno d’oggi non<br />
è più visibile nulla poiché tutto è stato rimosso: se non se<br />
ne conoscesse la destinazione d’uso tramite le testimonianze<br />
storiche, queste costruzioni parrebbero fortezze. Lascio<br />
scemare il gruppo verso la pianura e rimango in solitudine<br />
qualche istante: il vento, le rocce, la fine dell’esistenza.<br />
«Ognuno sta solo sul cuor della terra», scriveva Quasimodo:<br />
in questo luogo tali parole paiono più vere che altrove. Ad un<br />
tratto, con uno sguardo all’orologio, mi accorgo di dovermi<br />
affrettare per raggiungere gli altri. Scendendo, scorgo degli<br />
altri compagni di viaggio a fil di cielo sull’altra collina, già<br />
di ritorno dalla torre degli uomini, una struttura assai simile<br />
ma più diroccata della precedente.<br />
La mattinata prosegue nell’ambito della cultura<br />
zoroastriana con la visita al tempio del Fuoco (Atashkedh)<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
di Yazd, fra i principali luoghi di culto che questa fede abbia<br />
conservato fino ai nostri giorni. La struttura attuale risale al<br />
1932 ma la fiamma che vi arde all’interno è assai più antica,<br />
con 1500 anni di vita alle spalle. Si tratta dell’unico Atash<br />
Behram (Fuoco della Vittoria) presente in <strong>Iran</strong>, caratterizzato<br />
dal massimo grado di sacralità, derivante dall’unione di sedici<br />
fuochi di diversa provenienza, che includono il fulmine, la<br />
pira funeraria, vari tipi di fornaci e di bracieri. Un passaggio<br />
del libro sacro dell’Avesta recita: «annuncio questa offerta<br />
a te, o fuoco, figlio di Ahura Mazda, insieme a tutti i fuochi,<br />
alle acque pure e alle piante create da Mazda» (Yasna, I, 12).<br />
Gli altri otto templi di questo tipo sopravvivono invece tutti<br />
in India.<br />
Da un ampio cortile, dotato di una fontana nel centro, si<br />
accede al porticato dell’edificio, che presenta uno stile assai<br />
sobrio. Sul frontone figura il Faravahar, sacro simbolo<br />
della fede zoroastriana. Questo culto di origini antichissime<br />
trae il nome da Zoroastro (o Zarathustra), personalità<br />
vissuta intorno al VI secolo a.C. tra la Persia orientale e<br />
la Battriana. Quell’epoca fu foriera di un grande fervore<br />
filosofico e religioso in tutta l’Asia centrale: molti erano<br />
i riformatori che predicavano il rinnovamento dei vecchi<br />
culti indoeuropei. Fra i contemporanei di Zoroastro, in<br />
India era attivo Buddha, impegnato a divulgare la propria<br />
teoria della Liberazione dalle cose terrene, ed a scalzare il<br />
predominio della casta brahmanica nella sfera religiosa.<br />
L’opera di Zoroastro fu invece volta alla trasformazione dei<br />
culti autoctoni in un sistema di pensiero più organico: egli<br />
operò una polarizzazione focalizzata su due principi basilari,<br />
quello del bene e del male, identificati nelle divinità di Ahura<br />
Mazda ed Angra Mainyu (Ahriman). Lo zoroastrismo (anche<br />
detto mazdeismo) si sviluppò sull’idea, rintracciabile nei<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
testi dell’Avesta, della contrapposizione tra queste due forze<br />
primigenie, con la promessa che alla fine dei tempi, dopo una<br />
lunga lotta, il bene avrebbe finalmente prevalso sul male. In<br />
epoche più tarde questa teoria si radicalizzò ulteriormente,<br />
escludendo gli aspetti estranei al dualismo bene/male,<br />
portando alla fondazione di una corrente autonoma che<br />
prese il nome di manicheismo. Entro tali paradigmi non è<br />
difficile riconoscere le basi dottrinali che contribuirono<br />
alla definizione delle tre grandi religioni monoteistiche:<br />
l’Ebraismo, il Cristianesimo e l’Islam. La nemesi storica volle<br />
però che, con l’arrivo delle armate musulmane in territorio<br />
persiano (VII sec. d.C.), il mazdeismo fosse progressivamente<br />
perseguitato e scoraggiato. Oggi questo culto è praticato<br />
nel mondo da circa un milione di persone e la sua eredità<br />
culturale è assai vasta: nel Medio Oriente, in Asia Centrale e<br />
nel subcontinente indiano sono numerosissime le persone,<br />
anche di altre religioni, che tuttora festeggiano il capodanno<br />
secondo l’antico rito del Nowruz.<br />
La fila per entrare nel tempio è lunga. Transitiamo<br />
velocemente di fronte al braciere del fuoco sacro, protetto<br />
da una spessa barriera di vetro, e lasciamo immediatamente<br />
il posto agli altri pellegrini, che già s’accalcano alle nostre<br />
spalle con le macchine fotografiche. L’osservanza indiana per<br />
i templi di questo rango è invece assai differente: l’accesso ai<br />
non zoroastriani è proibito, mentre il luogo dove si custodisce<br />
la fiamma è tenuto completamente all’oscuro.<br />
Da qui raggiungiamo con l’autobus il centro storico fino<br />
alla piazza di Amir Chakhmagh, che prende nome dalla<br />
moschea situata sul lato sudorientale. Questo complesso<br />
d’epoca timuride (XV secolo) presenta una facciata di oltre<br />
50 m di lunghezza con tre piani, due alti minareti e numerose<br />
arcate illuminate di notte dalla luce artificiale. Sotto ad esse<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
hanno trovato rifugio numerosi profughi afghani ed iracheni<br />
nel corso delle recenti guerre, le cui comunità si stanno<br />
lentamente integrando nel tessuto sociale urbano.<br />
Osservando le decorazioni degli edifici civili e religiosi,<br />
si può notare che ogni città vanta una propria tonalità di<br />
blu: quello di Yazd tende al verde acqua, mentre quello di<br />
Shiraz presenta riflessi d’ametista e quello di Esfahan è più<br />
scuro e brillante. Il blu di Yazd si sposa tradizionalmente<br />
col marrone chiaro delle terre locali. A lato della piazza<br />
è collocato il nakhl, grande struttura lignea che viene<br />
mobilizzata da parecchie persone durante l’Ashura, festa<br />
sciita celebrata in memoria del martirio dell’Imam Hussein<br />
e dei suoi seguaci. Sul lato opposto invece, attraversata la<br />
trafficata via intitolata a Khomeini, è presente l’ingresso<br />
del museo dell’acqua di Yazd. Le popolazioni del<br />
deserto hanno da sempre sfruttato ogni fonte idrica a loro<br />
disposizione, arrivando a creare dei veri e propri capolavori<br />
d’ingegneria con scarsi mezzi d’opera: questo museo vuole<br />
ricordare la fatica ed il merito di tutti quegli uomini che, nel<br />
corso dei secoli, hanno permesso alla città di svilupparsi dal<br />
nulla. Uno stretto passaggio conduce, dopo qualche gradino<br />
in discesa, ad un cortile dove sono esposte varie attrezzature<br />
per il pompaggio dell’acqua, oltre a giare di terracotta per<br />
il trasporto sulla breve distanza. All’interno l’esposizione<br />
prosegue con le tecniche ed i materiali di scavo dei qanat,<br />
canali sotterranei che convogliano l’acqua dalle sorgenti<br />
poste anche a molti chilometri dall’agglomerato urbano.<br />
Infine, al livello inferiore dell’edificio, scesa un’ulteriore<br />
rampa di scale, ci si può avvicinare all’imbocco di un tunnel<br />
per sbirciarvi all’interno: le dimensioni sono ridottissime,<br />
appena sufficienti al passaggio del minatore. Alcuni di questi<br />
qanat sono tuttora funzionanti e continuano ad alimentare<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
l’acquedotto della città.<br />
Dopo la visita al museo ci si addentra nel centro storico: la<br />
principale moschea di Yazd è quella del Jameh (venerdì),<br />
che si annuncia con un portale piastrellato, coronato dai due<br />
minareti più alti dell’<strong>Iran</strong>. Nella piazza antistante trova posto<br />
un mercato, rifornito di vari articoli: dalle derrate alimentari<br />
fino alle scarpe ed all’abbigliamento. Nel cortile interno<br />
invece, riservato alla preghiera e ricoperto di tappeti, vi è<br />
l’accesso alla parte interna della moschea, finemente rivestita<br />
di mosaici policromi e dotata di un mihrab di notevole fattura,<br />
risalente al 1365. Da questo punto si può apprezzare meglio<br />
il complesso, edificato in stile Azero tra il XII e il XIV secolo.<br />
Molte persone, incuriosite dalla presenza di turisti stranieri,<br />
si avvicinano a scambiare qualche parola in un’inglese<br />
piuttosto sgangherato. I sentimenti sono in genere di rispetto<br />
e curiosità, ma quando si cita l’Italia… è necessario essere<br />
preparati a qualche inevitabile allusione ad un certo nostro ex<br />
presidente del Consiglio e al suo «bunga-bunga», stereotipo<br />
ormai diffuso quanto «mafia-pizza-mandolino-osolemio»!<br />
Clichés a parte, non v’è certo disinformazione rispetto a ciò<br />
che accade nel mondo: parlando con la gente del posto, sono<br />
venuto casualmente a sapere che la moglie di Beppe Grillo è<br />
iraniana, fatto largamente noto, che personalmente ignoravo.<br />
Da qui ci inoltriamo nel dedalo di vicoli e stradine della<br />
città vecchia: gli edifici sono tutti di fango, pietra e mattoni<br />
e, nonostante le piogge scarse, tendono a deteriorarsi<br />
velocemente per via del vento e dell’incoerenza dei materiali.<br />
Le porte di alcune case presentano due batacchi simili, ma<br />
non identici: uno è riservato alle donne e l’altro agli uomini,<br />
in modo da stabilire a priori il genere del visitatore. A<br />
seconda dal suono, ad aprire la porta di casa sarà la moglie<br />
o il marito. Yazd, città tradizionalista, mantiene ancora vive<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
molte antiche usanze, che altrove parrebbero anacronistiche.<br />
Anche l’abbigliamento è piuttosto conservatore; non è<br />
infrequente incontrare donne vestite col chador, il lungo velo<br />
nero che lascia scoperto solo il volto. Un’altra particolarità<br />
architettonica è costituita dalla presenza dei bad gir, torri<br />
d’aerazione che fanno fluire l’aria dall’esterno delle case<br />
verso i cunicoli sotterranei dei qanat. Nelle condotte forzate<br />
il flusso si raffredda, afferendo agli edifici per mezzo della<br />
corrente creata dalle torri, che fungono da tiraggio: un<br />
efficace sistema di condizionamento ante litteram.<br />
Più avanti si raggiunge il perimetro della cosiddetta<br />
“prigione di Alessandro Magno”, con la sua cupola<br />
a tamburo ottagonale, che secondo la leggenda servì al<br />
grande condottiero macedone per detenere i suoi oppositori.<br />
L’edificio non è in realtà così antico, poiché si tratta di una<br />
scuola coranica risalente al XV secolo. Nei pressi è conservata<br />
la “tomba dei 12 Imam”, di cui un’iscrizione esterna riporta<br />
i nomi: com’è ovvio nessuno di essi riposa in questo sepolcro,<br />
che ha solamente la funzione di cenotafio.<br />
Intanto un bambino è seduto sulla soglia della propria casa,<br />
intento a controllare due pulcini che altrimenti fuggirebbero<br />
chissà dove: un attimo immortalato al volo in uno scatto<br />
fotografico del tutto fortuito ed inaspettato. Il nucleo antico<br />
della città pare sopravvissuto ai secoli, ed è probabilmente<br />
rimasto tale dai tempi in cui vi sostavano i mercanti in<br />
transito sulla via della Seta.<br />
Nel 1298 Marco Polo ne scrisse: «Iadis è una cittade di<br />
Persia molto bella, grande, e di grandi mercatantie. Quivi si<br />
lavora drappi d’oro e di seta, che si (chi)ama ias[d]i, e che si<br />
portano per molte contrade. Egli adorano Malcometto» (Il<br />
Milione, cap. XXXIII, «Della città di Iadis»).<br />
Rimane ancora un’ora prima di riprendere la strada<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
verso altre mete. Su un lato della piazza principale vi è una<br />
zurkaneh (lett. “casa della forza”), luogo ove si pratica il<br />
Varzesh-e pahlavani, un’antica forma di arte marziale che<br />
unisce lo sport alla spiritualità. Da un vicolo retrostante si<br />
accede alla porta d’ingresso, bassa a tal punto da doversi<br />
chinare per entrare. Questa particolarità è spiegata in<br />
modi differenti: c’è chi sostiene che essa derivi dai tempi in<br />
cui nelle zurkaneh si organizzavano riunioni clandestine,<br />
mentre altri propendono invece per una spiegazione che<br />
concerne la necessità dell’adepto di chinarsi di fronte a Dio<br />
in segno d’umiltà. All’interno si apre una vasta sala con il<br />
pavimento ribassato: in occasione degli allenamenti, gli<br />
atleti vi eseguono i loro esercizi, che comprendono flessioni,<br />
pesi, attrezzi e movimenti coordinati. Le sessioni sono<br />
accompagnate dagli strumenti rituali (campana, tamburo)<br />
e sono sempre terminate con una preghiera da parte del<br />
Maestro di Cerimonia. Non sono inoltre infrequenti le<br />
declamazioni di brani tratti dai poemi epici, primo fra tutti<br />
lo Shahnameh di Firdusi. In questo momento non è presente<br />
nessuno. Per terra si vedono un’ottantina di mil (pesi di<br />
legno) di varie grandezze, mentre appoggiati al muro vi sono<br />
una ventina di sang (scudi di legno con un buco al centro<br />
per l’impugnatura). Ai lati sono allineate alcune sedie per il<br />
pubblico, tradizionalmente maschile, che può assistere agli<br />
allenamenti serali. Mediante una scala si sale fin sul tetto,<br />
che offre un’ampia vista sulla trafficata piazza sottostante.<br />
L’accesso è libero e consente di avvicinarsi alla cupola ed ai<br />
quattro bad ghir (torri a vento). È però necessario prestare<br />
attenzione ai propri passi, poiché non è presente alcun<br />
parapetto.<br />
Trascorriamo l’ultima mezz’ora tra il bazar e la<br />
città vecchia, quando scatta infine l’ora della partenza.<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
Cinquanta chilometri a nord-ovest di Yazd vi è Meybod (ab.<br />
58.000), centro posto in mezzo al deserto lungo la statale<br />
71. Qui sorge l’antico castello di Narin, costruito in pietra<br />
e fango con delle fondazioni che si ritengono risalenti, se<br />
non all’epoca achemenide, perlomeno a quella sassanide.<br />
È circa metà pomeriggio e il sole, piuttosto franco, scalda<br />
parecchio l’atmosfera brillando in un cielo blu cobalto: per<br />
via della scarsa umidità il clima non risulta però soffocante.<br />
Dalla grande spianata esterna si raggiungono i bastioni del<br />
fortilizio fino ad un severo e massiccio portale. Sugli spalti<br />
del castello, delimitati qua e là da alcuni torrioni decorati<br />
con motivi geometrici, si ha una vista totale della città verso<br />
tutti i punti cardinali, spaziando fino alle montagne, 30 km<br />
verso occidente. Una parte dell’edificio è stata recentemente<br />
consolidata e restaurata con cura, ma la rocca rivela i pesanti<br />
segni inferti dal tempo, con alcune sue parti in definitiva<br />
rovina.<br />
Da qui, ulteriori 120 km ci separano da Na’in (ab.<br />
24.000), altra città del deserto. Durante il tragitto si solleva<br />
una tempesta di sabbia, che si acquieta entro qualche decina<br />
di minuti. Al nostro arrivo il sole, già al tramonto, spande<br />
una debole luce radente sui vecchi edifici del centro storico.<br />
La moschea del venerdì, ancora oggi in uso, è una delle<br />
più antiche dell’<strong>Iran</strong>, risalente all’epoca buyide (X sec.) e<br />
rimaneggiata in epoca selgiuchide (XI sec.). Essa costituisce<br />
uno degli esempi più significativi e meglio conservati di<br />
architettura religiosa protoislamica di stile khorasani, con<br />
influenze d’epoca anteriore. Sotto le arcate del portico si<br />
conserva un notevole pulpito ligneo decorato. Nel frattempo<br />
l’aria inizia a rinfrescarsi per via di una brezza pungente:<br />
proseguendo la visita è necessario dotarsi di giacca a vento.<br />
Poco oltre si scende lungo una scala per raggiungere la parte<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
più antica della moschea, la cripta, probabilmente realizzata<br />
già nei primi anni del dominio musulmano. In questi bassi<br />
cunicoli scavati nel tufo la temperatura è assai stabile: un<br />
tempo le persone vi si potevano rifugiare, oltre che per ragioni<br />
strategiche, anche per trovare sollievo dalla calura estiva.<br />
Dal piazzale esterno si ha una buona vista su questa<br />
parte della città, le cui case di fango paiono sciogliersi<br />
progressivamente per via dell’azione degli agenti atmosferici.<br />
In lontananza si scorge l’antico forte, anch’esso in stato di<br />
avanzata rovina. Sui viali d’accesso al paese è affissa una<br />
serie di gigantografie delle vittime del sanguinoso conflitto<br />
tra <strong>Iran</strong> e Iraq (1980–1988). Questo modo di celebrare<br />
i caduti di guerra è diffuso ovunque, dai piccoli centri fino<br />
alla capitale, dove i ritratti assumono la forma di grandi<br />
dipinti murali. Conformemente ai precetti dello sciismo, che<br />
vede nella morte violenta per giusta causa l’anticamera del<br />
paradiso, i caduti per la patria islamica sono venerati come<br />
santi e martiri. La guerra contro l’Iraq, combattuta dai due<br />
paesi per l’egemonia sull’area del golfo Persico, non vide<br />
né vincitori né vinti, ma lasciò sul suolo oltre un milione di<br />
cadaveri. Gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica avevano armato<br />
e finanziato più o meno segretamente i due contendenti, nella<br />
speranza che si annientassero a vicenda: la guerra invece unì<br />
il popolo iraniano nello sforzo bellico, rafforzando la giovane<br />
Repubblica Islamica. In Iraq invece, il regime di Saddam<br />
Hussein durò per altri tre lustri fino alla sua rimozione manu<br />
militari (2003).<br />
Ormai, mentre percorriamo l’ultima tratta della giornata<br />
di 140 chilometri, cala il buio. Sulle colline e nei campi<br />
si accendono i tradizionali falò della vigilia dell’ultimo<br />
mercoledì dell’anno, per celebrare un antico rituale di<br />
origine zoroastriana: le persone saltano sulle pire intonando<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
una formula («O fuoco, io ti lascio il mio giallo pallore, tu<br />
donami il tuo rosso vigore»), in cui si invocano le forze della<br />
natura affinché allontanino le malattie e la sfortuna nell’anno<br />
venturo.<br />
Purtroppo, in tempi recenti, molti giovani sciagurati<br />
hanno iniziato ad interpretare l’usanza in maniera assai più<br />
pericolosa, praticando il salto non attraverso le fiamme, bensì<br />
sui petardi.<br />
L’originaria e pittoresca cerimonia, ancora in auge nelle<br />
zone rurali, ha pertanto lasciato il passo nelle città ad<br />
un’anonima serata di baldoria e baccano.<br />
Arrivati a tarda sera ad Esfahan (ab. 1.600.000, alt. 1600<br />
m), raggiungiamo subito il ristorante, assai affollato per via<br />
delle festività in corso. Il mio pasto si compone di formaggio<br />
fresco con cipolle, minestra di legumi, cotoletta di vitello<br />
impanata e riso pilav.<br />
Dopo cena, il gruppo si divide in due alberghi a causa della<br />
scarsa disponibilità di camere. Il nostro, l’hotel Part, è situato<br />
in una tranquilla stradina a neppure 2 km dal centro storico<br />
(20 minuti a piedi), nella zona commerciale di corso Chahar<br />
Bagh-e Abbasi, non distante dal ponte Si-o-Seh. Le camere<br />
sono spaziose e pulite: qui dormiremo ben tre notti, poiché<br />
i prossimi due giorni sono interamente dedicati alla città di<br />
Esfahan.<br />
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Giappone per caso<br />
Yazd, Torre del Silenzio<br />
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Giappone per caso<br />
Yazd, moschea del Venerdì<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
20 marzo<br />
Capodanno 1392<br />
Q<br />
uesta mattina l’orario di levata è più clemente,<br />
consentendoci di dedicare qualche altro istante alla<br />
colazione. In questo albergo, oltre le portate locali, vi sono<br />
anche quelle “continentali”, con salsiccia, uova strapazzate<br />
ecc.<br />
La giornata è ben soleggiata e si annuncia lievemente afosa:<br />
meglio indossare un abbigliamento leggero e tenere nello<br />
zaino l’eventuale vestiario aggiuntivo. I bagagli rimarranno<br />
in albergo e noi usciremo solo con lo stretto indispensabile:<br />
da non trascurare l’acqua minerale e qualche spuntino di<br />
frutta e pane.<br />
La prima destinazione consiste nella serie di ponti<br />
storici sul fiume Zayande. Il più antico, quello di<br />
Shahrestan, risale all’XI secolo e presenta un’architettura<br />
poderosa e lineare, come si addice ad un monumento d’epoca<br />
selgiuchide. Il ponte è stato recentemente isolato dal resto<br />
del fiume per prevenire danni alla sua già fragile struttura:<br />
adesso giace in un bacino artificiale, che risulta secco per<br />
gran parte dell’anno. Qualche decina di metri più in là, oltre il<br />
moderno edificio della fiera internazionale, scorre lo Zayande<br />
nella sua nuova sede.<br />
Percorsi cinque chilometri verso est, si raggiunge il ponte<br />
Khaju, d’epoca più recente e di diversa fattura, costruito<br />
verso la metà del XVII secolo in piena epoca safavide. Qui<br />
le linee sono più raffinate: il notevole impegno artistico si<br />
estrinseca in un gioco assai complesso di archi e prospettive.<br />
Esso presenta anche un padiglione, che un tempo serviva da<br />
fumeria e sala da tè. Il fiume però, attualmente in secca, non<br />
offre più quegli scorci che erano stati pensati dai costruttori<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
del ponte: la regolamentazione delle acque dello Zayande<br />
per gli usi agricoli ha purtroppo decretato il sacrificio del<br />
paesaggio in nome dell’approvvigionamento idrico.<br />
Proseguendo sulla stessa strada per ulteriori due<br />
chilometri, si raggiunge il ponte Si-o-seh. Anch’esso d’epoca<br />
safavide, è conosciuto per i suoi 33 archi a sesto acuto, di<br />
grande pulizia stilistica, opera degli ingegneri militari dello<br />
Scià Abbas intorno al 1600. Con i suoi 300 metri di campata,<br />
è il ponte storico più lungo di Esfahan.<br />
Ripreso l’autobus, si percorre un breve tratto di strada<br />
fino al quartiere meridionale di Jolfa, che ospita una<br />
numerosa comunità armena, insediatasi in questo luogo<br />
quattro secoli fa per scampare alle persecuzioni ottomane.<br />
Fu lo stesso Scià Abbas (1587–1629) a concedere agli armeni<br />
il privilegio di restare, convinto che la loro presenza sarebbe<br />
stata preziosa per lo sviluppo delle attività commerciali. Il<br />
tempo gli diede ragione: Jolfa, col passare degli anni, divenne<br />
uno dei principali centri di lavorazione della seta di tutta la<br />
Persia.<br />
Agli armeni è stato inoltre permesso di mantenere la<br />
propria cultura e la propria religione, il Cristianesimo, di<br />
cui si conservano vari edifici di culto. Fra essi, la chiesa<br />
del Salvatore costituisce un esempio notevole d’arte<br />
armena: nel cortile trova posto un grande ciborio di pietra<br />
e mattoni, mentre all’interno si può ammirare un pregevole<br />
ciclo di affreschi sul tema della vita di Gesù Cristo. Assai<br />
notevole è inoltre il Giudizio Universale, che presenta<br />
delle figure di grande espressività e vivacità. Di questo stile<br />
colpisce la somiglianza con quello europeo del Quattrocento<br />
borgognone, anche se non vi è alcun rapporto diretto tra i<br />
due. La struttura della chiesa risponde invece a canoni più<br />
locali: dall’esterno parrebbe a prima vista una moschea,<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
eccezion fatta per l’aggiunta dell’abside e del campanile.<br />
Il complesso include l’antico monastero (da cui il nome<br />
in lingua armena, spesso citato, di Vank), che oggi è in parte<br />
adibito a museo. L’esposizione, assai vasta, comprende<br />
non solo oggetti e testi religiosi, ma anche fotografie e<br />
testimonianze storiche relative a questa comunità. Uno<br />
spazio è stato inoltre allestito per ricordare il genocidio<br />
armeno, perpetrato dall’impero Ottomano nel 1915.<br />
Alla memoria della tragica vicenda è dedicato<br />
un monumento installato in un angolo del cortile.<br />
Da questo punto si torna verso il centro della città fino alla<br />
Moschea del Venerdì, il luogo di culto più vasto dell’<strong>Iran</strong>,<br />
esempio supremo dell’architettura d’epoca selgiuchide. Pur<br />
avendo delle fondamenta risalenti all’VIII secolo, la struttura<br />
attuale risale in larga parte alla metà dell’XI secolo, quando<br />
Esfahan divenne la capitale dell’impero selgiuchide per<br />
volontà del sultano turco Toghrul Beg.<br />
L’ora della preghiera si avvicina e i visitatori non sarebbero<br />
più ammessi; dopo alcune insistenze il custode accetta di<br />
farci entrare, a condizione di mantenere un comportamento<br />
discreto. Un passaggio piuttosto dimesso dà l’accesso al grande<br />
cortile, su cui si affacciano quattro iwan, tutti diversi fra loro,<br />
collegati da un porticato a due ordini di arcate. All’interno si<br />
può apprezzare lo stile in laterizio per cui questa moschea è<br />
famosa. Attraversata una sala dotata di un ampio colonnato,<br />
si arriva sotto la cupola meridionale: edificata nel 1086 circa,<br />
presenta un’altezza di 30 m e un diametro di 15. Per scaricare<br />
il peso in maniera uniforme, la semisfera sommitale s’innesta<br />
sopra un tamburo quadrato mediante un sofisticato gioco di<br />
archi: dalla forma rotonda si passa gradualmente a quella<br />
esadecagonale, poi a quella ottagonale, terminando infine<br />
sulla base quadrata. La soluzione è ingegnosa, assai differente<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
da quelle che in Europa saranno adottate, secoli più tardi, dal<br />
Brunelleschi e da Michelangelo, per voltare rispettivamente<br />
le cupole di Santa Maria del Fiore (Firenze) e del Vaticano<br />
(Roma). Proseguendo attraverso le sale di preghiera, grande<br />
interesse riveste il trecentesco mihrab, ornato a stucco con<br />
elaborati motivi floreali e versetti delle Sacre Scritture.<br />
La cripta, assai spaziosa e ricoperta di tappeti, è anch’essa<br />
dedicata alle funzioni religiose.<br />
Nuovamente al pianterreno, si attraversa una sala<br />
inframmezzata da molte colonne, dotata di un soffitto con<br />
innumerevoli cupolette di varia fattura, i cui mattoni sono<br />
disposti a spina di pesce, ad opera quadrata e reticolata, a<br />
spirale ecc. Poco oltre si raggiunge la cupola settentrionale,<br />
gemella di quella descritta precedentemente. Le forme sono<br />
simili, ma non del tutto identiche: quest’ultima, di qualche<br />
anno posteriore, presenta una struttura più definita ed<br />
una maggiore coesione stilistica. È stata costruita con la<br />
medesima tecnica, probabilmente dalle stesse maestranze.<br />
L’idea della seconda cupola scaturì da un avversario politico<br />
del committente della prima, al fine di rivaleggiare con esso<br />
in splendore e munificenza.<br />
Sono le due del pomeriggio. Alcuni di noi desiderano<br />
acquistare un tappeto: ci fermiamo presso un negozio,<br />
conosciuto dalla guida, ove ne è esposta una ricca rassegna.<br />
Anche per coloro che non sono interessati a questo tipo di<br />
merce, risulta utile trascorrere mezz’ora ad analizzare i vari<br />
tessuti: dopo aver visto dei veri tappeti persiani, una volta<br />
tornati in patria, si potrà essere difficilmente imbrogliati su<br />
questo argomento. I prezzi di base sono piuttosto elevati e<br />
la possibilità di contrattazione è inversamente proporzionale<br />
alla qualità del manufatto.<br />
S’è fatta ormai fatta l’ora di raggiungere la piazza<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
dell’Imam, fulcro della città di Esfahan. Questo nome<br />
è però assai recente: prima della rivoluzione del 1979 era<br />
denominata “Piazza dello Scià”, anche se gli abitanti locali<br />
vi si riferiscono da sempre come Naqsh-e Jahan, ovvero<br />
“Immagine del Mondo” per via della sua vastità (circa 90.000<br />
m², equivalente a tredici campi da calcio).<br />
Torme di persone, sia in piedi che accampate, vi sono<br />
già affluite ad attendere l’ora del capodanno, che coincide<br />
sempre con l’equinozio d’ariete (primaverile) e può verificarsi<br />
in qualsiasi momento della giornata del 20 o del 21 marzo. Vi<br />
sono dunque stati anni in cui i festeggiamenti sono avvenuti<br />
in piena notte ed altri, come questo, in cui l’evento ha avuto<br />
luogo nel primo pomeriggio.<br />
Nell’attesa ci addentriamo tra le vie intorno alla piazza<br />
alla ricerca di qualcosa per il pranzo. I negozi non offrono<br />
molto: assai diffusa è una scura brodaglia calda, dall’aspetto<br />
poco invitante, che ribolle nei pentoloni fuori da alcuni<br />
bugigattoli. Varie persone sono sedute a sorbire la minestra,<br />
ma noi preferiamo ripiegare su un po’ di frutta.<br />
Il momento fatidico si avvicina: una crescente concitazione<br />
sfocia in un concerto di auguri e petardi. Buon anno, siamo<br />
finalmente passati dal 1391 al 1392! Ovunque la gente si<br />
abbraccia e si scambia convenevoli: siamo coinvolti da una<br />
persona che, incontrata per caso, desidera felicitarsi con noi,<br />
che volentieri contraccambiamo. Poi, esaurito il fragore dei<br />
primi istanti, ci soffermiamo con lui a scambiare qualche<br />
parola. Poco oltre ritroviamo il resto del gruppo, presso una<br />
famiglia indaffarata nel proprio picnic sulla grande distesa<br />
erbosa al centro della piazza. Tutti sono assai socievoli: alcuni<br />
colgono l’occasione per confrontarsi con degli stranieri, assai<br />
rari per via dell’assenza di turismo estero. Non di rado il<br />
colloquio inizia con la frase «cosa pensa dell’<strong>Iran</strong>». Il popolo<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
persiano è orgoglioso, ma sempre attento all’opinione che ne<br />
hanno gli altri: il problema dell’immagine internazionale di<br />
questo paese è assai sentito da tutti. Altri interlocutori ne<br />
approfittano invece per esercitarsi a parlare in inglese.<br />
Intanto la nostra famiglia ospite ha preparato il tè. Il<br />
padre trae il bollitore dal fornello e, distribuendo ad ognuno<br />
un bicchiere, ne offre a tutti. Mezz’ora più tardi ringraziamo<br />
e ci congediamo da queste squisite persone, che ci hanno<br />
consentito di trascorrere il Capodanno fra loro e come loro.<br />
La giornata prosegue con il periplo della piazza,<br />
percorrendola in senso antiorario, partendo dal lato sud ove<br />
sorge la moschea dell’Imam (di cui parlerò più diffusamente<br />
in seguito). I portici, lunghi oltre un chilometro, ospitano<br />
una parte del bazar, specializzata nelle lavorazioni dei<br />
metalli e nelle antichità. Ognuno prende una strada diversa,<br />
soffermandosi sugli articoli di proprio interesse, poiché<br />
abbondano anche altri generi di merci. Così trascorre il resto<br />
del pomeriggio, con il giorno che volge ormai all’imbrunire.<br />
Dopo il ritorno in albergo, seguito da una doccia ristoratrice<br />
e dalla cena, si prospetta l’opportunità di un’uscita notturna<br />
verso il ponte Si-o-seh. È la sera di Capodanno, moltissime<br />
persone indugiano nelle strade fino a tardi. Sul ponte,<br />
illuminato da numerosi fari di luce arancione (uno sotto<br />
ogni arcata), è addirittura difficoltoso farsi largo tra la gente.<br />
Ad un tratto un capannello di giovani, visibilmente alterati,<br />
inizia ad additare il nostro gruppo e a lanciare insulti: senza<br />
indugio allunghiamo il passo verso l’altra sponda. La guida,<br />
interpellata in proposito, non ha voluto riferire la natura<br />
delle ingiurie proferite, sostenendo che fossero «insulti<br />
non ripetibili». Purtroppo anche qui esistono l’alcolismo e<br />
la droga, fenomeni favoriti dalla crescente disoccupazione<br />
giovanile. Nonostante il divieto, l’alcool e gli stupefacenti<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
sono largamente disponibili sul mercato nero, che vede le<br />
sue principali piazze nei retrobottega e negli stretti giri di<br />
conoscenze. Anche se il proibizionismo vige per legge,<br />
secondo alcune statistiche non ufficiali l’<strong>Iran</strong> presenta, fra i<br />
paesi del Medio Oriente, un elevato consumo di alcolici pro<br />
capite. Fra la borghesia cittadina è assai diffusa l’abitudine di<br />
organizzare feste private fra le mura di casa, al riparo dagli<br />
occhi indiscreti e su invito di persone fidate. Il proibizionismo<br />
favorisce inoltre l’importazione di prodotti alcolici di bassa<br />
qualità, commercio esercitato principalmente da parte di<br />
cittadini non musulmani, in teoria non vincolati al rispetto<br />
delle prescrizioni islamiche.<br />
Preferiamo riguadagnare la riva nord del fiume<br />
attraversandone il greto secco; da questo punto si gode fra<br />
l’altro di una prospettiva assai pittoresca del ponte. Nelle<br />
vicinanze è allestita una vasta tavola simbolica del<br />
Nowruz, larga parecchi metri, dove tutti fanno la fila per<br />
mettersi in posa: vi sono esposti i già citati simboli rituali,<br />
insieme a due gigantografie degli ayatollah Khomeini e<br />
Khamenei.<br />
Si è ormai fatto tardi, dobbiamo tornare sui nostri passi:<br />
la serata, fresca e piacevole, consente un tranquillo ritorno a<br />
piedi verso l’albergo.<br />
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Giappone per caso<br />
Esfahan, mirhab della moschea del Venerdì (particolare)<br />
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Giappone per caso<br />
Capodanno in piazza Naqsh-e Jahan<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
21 marzo<br />
Esfahan imperiale<br />
L<br />
a mattina riprendiamo a piedi la strada, ormai<br />
conosciuta a memoria, fino alla piazza principale.<br />
Sul lato ovest sorge il palazzo di Ali Qapu, costruito<br />
per volere dello Scià Abbas al principio del XVII secolo. Esso<br />
si compone di sei piani e raggiunge un’altezza di circa 50<br />
m. La pianta quadrangolare e l’impiego di mattoni a vista<br />
con ampie arcate a sesto acuto gli conferiscono un’aura di<br />
possanza ed austerità, intento voluto deliberatamente da<br />
parte dei sovrani safavidi. Man mano che si salgono i piani, le<br />
stanze si fanno più larghe e decorate: qui operarono gli artisti<br />
più celebri dell’epoca, come il pittore Reza Abbasi e gli allievi<br />
della sua scuola. I motivi sono perlopiù geometrici, floreali ed<br />
a grottesca, con dei colori che tendono sovente alle tonalità<br />
pastello. Fra le strutture più evidenti del palazzo vi è la grande<br />
balconata orientale, affacciata sulla piazza e sostenuta da<br />
numerose colonne lignee di circa 20 m d’altezza. Da qui i<br />
sovrani si dilettavano a seguire le parate e le competizioni<br />
sportive che erano allestite nell’area sottostante, toccando<br />
con lo sguardo tutta la città, fino alle colline circostanti.<br />
L’ultimo piano, il sesto, ospita alcune superbe sale, fra cui<br />
quella della musica, decorata a stucco con motivi di strumenti<br />
musicali. Il resto del piano, che comprende gli ambienti di<br />
rappresentanza dello Scià, è purtroppo chiuso a causa di<br />
lavori di restauro.<br />
Tornati in basso, si raggiunge il lato sud della piazza fino<br />
alla moschea dell’Imam. Il cielo è coperto e pioviggina<br />
debolmente. L’atmosfera, assai grigia, riflette il suo colore<br />
sugli edifici. Sotto il porticato del bazar acquisto una bandiera<br />
iraniana, con la quale l’intero gruppo ha scattato una foto<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
commemorativa, dinanzi allo sguardo perplesso dei passanti.<br />
Alle nostre spalle vi è l’entrata della moschea, voluta<br />
anch’essa dallo Scià Abbas quale suggello del suo imponente<br />
piano urbanistico per la città. Edificata a partire dai primi<br />
anni del ‘600, fu completata in brevissimo tempo: verso il<br />
1629 la cupola risultava già voltata, mentre le decorazioni<br />
erano in fase avanzata di allestimento. L’ambizioso monarca<br />
poté vedere concretizzato il proprio progetto mentre era<br />
ancora in vita. Oltrepassato l’iwan d’ingresso, si svolta a<br />
destra di 45 gradi, senso nel quale è orientato il resto della<br />
costruzione. Con quest’ingegnosa soluzione gli architetti<br />
imperiali riuscirono a direzionare la moschea verso la Mecca<br />
senza creare degli sgradevoli effetti estetici rispetto alla<br />
geometria della piazza. Il grande cortile misura quasi 100<br />
metri di lato ed è incorniciato da una serie di porticati a due<br />
ordini di arcate: vi si affacciano quattro minareti alti quanto<br />
un palazzo di 14 piani. La cupola, ancora più alta, supera i 50<br />
metri. La maggior parte delle decorazioni è stata realizzata<br />
in piastrelle blu e gialle d’Esfahan, con motivi floreali ed<br />
iscrizioni tratte dal Corano. Molti particolari minori, ma di<br />
grande pregio, sono invece stati pazientemente composti per<br />
mezzo di tessere di mosaico. L’ambiente sotto la cupola non<br />
è buio nonostante il tempo nuvoloso grazie alla presenza di<br />
alcune grandi finestrature, che coadiuvano la capacità delle<br />
piastrelle di riflettere la scarsa luce ambientale. Volgendo lo<br />
sguardo verso l’alto, si può inoltre notare un curioso effetto<br />
luminoso a forma di coda di pavone sulla superficie interna<br />
della cupola.<br />
Gli iwan laterali del cortile conducono a due madrasse<br />
annesse al complesso, entrambe in disuso.<br />
La loro struttura rimane però integra, con i ricchi<br />
ornamenti che continuano a ricordare la grandezza e la<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
potenza d’un tempo: qui giungevano studenti non solo<br />
dalla Persia, ma anche dalle regioni limitrofe quali l’Impero<br />
ottomano, l’India, la Tartaria, il Turkestan ecc.<br />
Sul lato ovest della piazza sorge invece la moschea intitolata<br />
allo sceicco Lutfallah, conosciuta anche come “moschea delle<br />
Donne”. Questa è la meno appariscente e la più appartata<br />
fra le due: costruita negli stessi anni della precedente, fu<br />
destinata all’uso privato da parte della corte dello Scià<br />
Abbas. Anche gli spazi sono meno ampi della precedente, ma<br />
le opere decorative sono di altissimo livello, al punto che in<br />
molti la reputano artisticamente superiore. Si nota inoltre<br />
un particolare appariscente: l’assenza di minareti, che non<br />
furono costruiti, si dice, per non suscitare paragoni con la<br />
prospiciente moschea imperiale.<br />
Nei pressi dell’entrata si avvicina una persona sospetta,<br />
vestita in giacca e cravatta, parlando in un perfetto francese.<br />
Dopo gli abituali convenevoli di presentazione, il discorso<br />
inizia a prendere una piega diversa dal solito: con fare di finta<br />
cortesia, costui inizia a porre domande sempre più personali<br />
(«perché siete venuti in <strong>Iran</strong>», «lei che lavoro fa»).<br />
Non volendo riferire dettagli, rispondo con uno sbrigativo<br />
«siamo turisti, e io sono un impiegato». Lui incalza: «ah, un<br />
impiegato… e dove» Fornisco una risposta generica. Data<br />
la mia reticenza, l’individuo cambia argomento e passa alla<br />
politica: «cosa pensate del programma nucleare iraniano».<br />
A questo proposito avrei piacere di esprimergli un parere<br />
approfondito, ma preferisco ripiegare su un laconico «non<br />
siamo interessati alle questioni politiche».<br />
Poi, ancora non pago dell’interrogatorio, prosegue: «quali<br />
sono i principali prodotti d’esportazione dell’<strong>Iran</strong> verso<br />
l’Italia» Fingo di non sapere che il Bel Paese è il primo<br />
importatore europeo di greggio iraniano, e termino con un<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
lapidario «i pistacchi, credo…». Dopo quest’ultima battuta,<br />
complice un istante di perplessità del nostro interlocutore, ci<br />
allontaniamo con fare fulmineo, accelerando il passo verso<br />
l’ingresso della moschea dello sceicco Lutfallah.<br />
All’interno l’ambiente, piuttosto buio, è illuminato dalla<br />
luce artificiale anche di giorno. Sotto la cupola vi sono alcune<br />
finestre, ornate con motivi in pietra, assai decorative ma<br />
poco funzionali. Il colore predominante della volta è il giallo<br />
oro, contrariamente al blu della moschea dell’Imam. Se qui<br />
risaltano i particolari e le cesellature, nell’altra predominano<br />
invece le grandi volumetrie e le superfici estese. Di nuovo<br />
all’esterno, le pozzanghere della piazza riflettono il cielo<br />
azzurro tra le nuvole bianche: il tempo sta volgendo al bello<br />
e, nel giro di qualche decina di minuti, il sole inizia a scaldare<br />
l’atmosfera. Esfahan è posizionata alla latitudine di Tripoli:<br />
complice un clima di matrice continentale, le variazioni<br />
meteorologiche di questo periodo dell’anno possono<br />
costringere in breve tempo al passaggio dall’impermeabile<br />
alle maniche di camicia.<br />
In cinque minuti di cammino si arriva al palazzo di<br />
Chehel Sotun, anche detto delle “40 colonne”. Il complesso,<br />
che annovera un padiglione circondato da un ampio<br />
giardino, fu voluto dallo Scià Abbas II (1632–1666) come<br />
luogo di rappresentanza e di svago, oltre ad essere una valida<br />
alternativa estiva al più opprimente palazzo di Ali Qapu.<br />
All’entrata si scorge il fantoccio d’un personaggio vestito<br />
di rosso, con un alto cappello del medesimo colore, il volto<br />
pitturato di nero ed un tamburello in mano: si tratta di un Haji<br />
Firuz, l’araldo del Nowruz, che ha il compito di percorrere le<br />
contrade della città annunciando l’arrivo dell’anno nuovo,<br />
recitando brevi sentenze, filastrocche e canzoni per rallegrare<br />
l’umore in occasione della festa. Si ritiene questa figura<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
derivi dagli antichi custodi dei templi del fuoco che, vestiti<br />
anch’essi di rosso, presiedevano le cerimonie dell’equinozio<br />
di primavera.<br />
Costeggiando il viale lungo l’ampia vasca della fontana,<br />
si raggiunge l’edificio principale, dotato di un porticato<br />
sostenuto da 20 pilastri lignei. Il nome delle “40 colonne”<br />
è dovuto all’aspetto che assume il palazzo riflettendosi<br />
nell’antistante bacino artificiale. All’interno è presente una<br />
serie di affreschi raffiguranti battaglie e momenti della vita di<br />
corte d’epoca safavide. Gli stili artistici sono assai differenti:<br />
in alcune opere è distinguibile un chiaro influsso centroasiatico<br />
e mongolico, mentre in altre si riscontrano dei canoni<br />
derivanti dall’arte indiana, mentre in altre ancora figurano<br />
reminescenze europee.<br />
Da qui il gruppo si divide per proseguire liberamente<br />
l’itinerario. Rimasti in due, torniamo verso la piazza<br />
principale per dedicare la giusta attenzione al bazar. Una<br />
difficoltà consiste nel distinguere gli oggetti antichi dalle<br />
riproduzioni contemporanee, spacciate per autentiche:<br />
un esempio riguarda i coltelli, talvolta invecchiati ad<br />
arte mediante ossidazioni, battiture e bruniture. Alcuni<br />
negozianti vorrebbero addirittura vendervi il coltello “del<br />
proprio nonno”, in realtà fabbricato la settimana precedente.<br />
Gli oggetti si possono però distinguere e valutare facilmente:<br />
alcuni venditori, che inizialmente hanno tentato di spacciare<br />
un coltello come «risalente all’epoca safavide», sono in<br />
seguito stati costretti ad ammettere che l’oggetto era nuovo.<br />
Per gli articoli di un certo valore si può invece tentare la<br />
contrattazione, ma il prezzo non scenderà sensibilmente:<br />
se tentate di giocare eccessivamente al ribasso su un pezzo<br />
importante, potreste essere messi alla porta senza troppi<br />
complimenti. A tal proposito, ad un membro del nostro<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
gruppo è accaduto che, dopo un’offerta troppo bassa per<br />
un coltello autentico, il negoziante abbia opposto un ferreo<br />
«no», chiudendo la trattativa e riponendo l’oggetto sugli<br />
scaffali: l’anziano e battagliero bazari non ha voluto cedere<br />
di un millimetro. La parte più interna del bazar, il cui accesso<br />
è situato sul lato settentrionale della piazza, si sviluppa in<br />
un dedalo di stradine, piazzette e caravanserragli in cui, con<br />
un po’ di pazienza, si può anche scovare l’abile artigiano del<br />
metallo oppure la vera antichità d’epoca cagiara o safavide.<br />
Durante la visita è necessario porre attenzione ai frequenti<br />
borseggiatori, adottando tutte le precauzioni in merito (un<br />
membro del nostro gruppo ne ha fatto le spese, o meglio,<br />
qualcun altro s’è fatto la spesa al posto suo).<br />
Siccome la giornata si è progressivamente rasserenata<br />
dopo la pioggia mattutina, cogliamo l’occasione per tornare<br />
alla Moschea dell’Imam per scattare qualche fotografia<br />
con una luce migliore: ora le cupole, le logge e gli iwan,<br />
interamente decorati a piastrelle e tessere di mosaico,<br />
brillano d’un colore saturo che varia dal predominante blu<br />
al giallo, al bianco e al verde. Riguadagniamo poi la piazza,<br />
soffermandoci per una ventina di minuti su una panchina<br />
ad osservare la folla. Il sole tramonta dietro il palazzo di Ali<br />
Qapu, ed in breve tempo l’aria si raffredda, costringendoci<br />
ad indossare la giacca. Prima di rientrare ci rechiamo ancora<br />
una volta al negozio dell’anziano bazari, azzardando una<br />
nuova offerta per il coltello: il proprietario si lascerà ora<br />
convincere Nulla da fare: è irremovibile.<br />
Torniamo sui nostri passi: nella strada che s’immette sul<br />
lato sud-ovest della piazza vi è la bottega di un artigiano<br />
miniaturista di fama internazionale (Hossein Fallahi), le cui<br />
creazioni sono senz’altro da ammirare, se non da acquistare.<br />
L’arte della miniatura, con almeno otto secoli di storia alle<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
spalle, è assai tradizionale in <strong>Iran</strong> e spazia su molteplici stili<br />
che si sono affermati nel corso d’epoche differenti. Anche in<br />
questo campo si possono di volta in volta distinguere chiari<br />
influssi mongoli, indiani, turchi ed europei. L’artista di cui<br />
stiamo osservando le opere, degno erede di Reza Abbasi,<br />
aderisce principalmente alla scuola d’ispirazione classica,<br />
temperata da tratti e motivi centro-asiatici. Anche se lui non<br />
è presente di persona (la figlia ci informa che è in viaggio di<br />
lavoro negli Stati Uniti), la sua scuola è sempre frequentata<br />
dagli allievi. Questi ultimi si cimentano alacremente nella<br />
produzione di miniature, pur pregevoli, che però non reggono<br />
il confronto con quelle del maestro.<br />
Ormai fa buio: costeggiando i giardini del palazzo di Ali<br />
Qapu e la scuola teologica Chahar Bagh, si raggiunge l’albergo<br />
per un attimo di riposo dopo l’intera giornata trascorsa a<br />
camminare. Poi, di nuovo in strada: sul percorso verso il<br />
ristorante sostiamo presso il caravanserraglio dello<br />
Scià Hussein, costruito a cavallo tra il ‘600 e il ‘700 per<br />
fornire un adeguato riparo ai mercanti delle vie carovaniere.<br />
Fu restaurato negli anni ‘50 dall’architetto francese Godard<br />
(lo stesso che ideò il mausoleo di Hafez a Shiraz) per essere<br />
destinato ad ospitare un hotel di lusso. Questo è uno dei<br />
pochi giorni dell’anno in cui la visita è consentita anche ai<br />
visitatori esterni, poiché solitamente è accessibile solo da<br />
parte dei clienti. La facciata esterna non lascia intuire ciò<br />
che è celato poco oltre: varcata la soglia ed attraversata la<br />
hall, un’apertura s’immette nel giardino curatissimo e ricco<br />
di fiori e piante, da dove si può apprezzare adeguatamente<br />
la struttura del caravanserraglio, ampia e ben proporzionata.<br />
Sotto una debole pioviggina si raggiunge la piazza Naqsh-e<br />
Jahan ove è previsto l’incontro con il resto del gruppo. Questa<br />
condizione meteorologica crea un effetto ancor più pittoresco<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
per via del riflesso delle luci variopinte sul selciato: nell’attesa<br />
di tutti mi soffermo a scattare qualche fotografia notturna. La<br />
guida s’incammina in mezzo ad una folla assai fitta, fino al<br />
lato nord della piazza: ad un tratto la fiumana di persone si<br />
dirada e ci ritroviamo, quasi senza accorgercene, nel cuore<br />
del vecchio bazar, dove le botteghe sono ormai chiuse. Ci<br />
fermiamo un instante: il conto dei presenti non torna…<br />
qualcuno s’è perso durante il tragitto. Mentre la guida torna<br />
a cercare i latitanti, noi rimaniamo ad ingannare il tempo<br />
sotto il porticato deserto, illuminato da un fioco lampione.<br />
Le luci e la vita della piazza, pur non distanti, paiono lontani<br />
chilometri. Dal buio appare ogni tanto qualche passante, che<br />
prosegue per la strada polverosa senza neppure notare la<br />
nostra presenza. Finalmente, dopo una ventina di minuti, i<br />
ritardatari s’intravvedono all’orizzonte. Dopo un altro tratto<br />
di strada, non brevissimo, si annuncia finalmente l’ingresso<br />
del “Malek Sultan Jarchi Bashi”, un locale ricavato dentro<br />
un antico hammam restaurato ad arte. Il menù è simile a<br />
quello degli altri ristoranti, ma la preparazione del cibo è<br />
assai curata. La struttura del vecchio bagno turco non è stata<br />
stravolta, rimanendo fortunatamente com’era un tempo:<br />
dai padiglioni alle vasche, tutto è stato recuperato e lasciato<br />
dov’era. Transitando di sala in sala è addirittura necessario<br />
prestare attenzione ai propri passi per non ritrovarsi gambe<br />
all’aria dentro una piscina, piena o vuota. In alcune salette<br />
laterali, un tempo dedicate ai bagni di vapore, si può cenare<br />
alla maniera tradizionale persiana, seduti per terra su dei<br />
cuscini, servendosi da un grande tappeto apparecchiato. I<br />
tavoli normali, fra cui il nostro, costituiscono la maggioranza<br />
dei posti a sedere. Fra le portate classiche vi è il baghali polo,<br />
riso con aneto e fave, che può essere accompagnato da carni ed<br />
altre pietanze. Se presentato come piatto a sé, può facilmente<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
assumere la forma di timballo o di palla. Oltre alla consueta<br />
carne alla griglia (perlopiù bovini e volatili da cortile), vi sono<br />
anche gli stufati che si abbinano al riso bianco (chelo) oppure<br />
al riso cotto con altri ingredienti (polo).<br />
Terminato il pasto, si ritorna per la medesima via verso<br />
la piazza principale. Sono circa le dieci di sera e le persone<br />
in circolazione sono scarse. La prospettiva notturna,<br />
assai suggestiva, evidenzia i volumi ed i colori degli edifici<br />
illuminati: la moschea dell’Imam, quella dello sceicco<br />
Lutfallah ed il palazzo di Ali Qapu. Anziché utilizzare un taxi,<br />
preferiamo tornare verso l’albergo a piedi. Data l’ora tarda,<br />
la guida si raccomanda di non indugiare lungo il percorso,<br />
anche se le città iraniane non sono più pericolose di quelle<br />
europee. La giornata termina transitando nuovamente dal<br />
caravanserraglio dello Scià Hussein, per consentirne la visita<br />
anche a chi fra noi non era presente all’andata.<br />
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Giappone per caso<br />
Esfahan, moschea dell’Imam<br />
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Cupola della moschea dello sceicco Lutfallah<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
22 marzo<br />
Villaggi, impianti nucleari e città sante<br />
D<br />
i buon mattino, l’autobus attende il gruppo per<br />
affrontare la lunga tratta di 500 km in direzione della<br />
capitale Tehran. L’autostrada corre attraverso il deserto piatto<br />
e roccioso, costellato di cespugli secchi e spinosi. Inizialmente<br />
si viaggia verso nord-est per 130 km, poi si costeggiano le<br />
falde del monte Karkas, di quasi 4000 m d’altitudine, che<br />
si vede nitidamente da una piazzuola di servizio. Da questo<br />
punto la strada svolta di 90 gradi in direzione nord-ovest, con<br />
la catena dei monti Zagros ad ovest ed il Grande Deserto<br />
Salato (Dasht-e Kavir) dalla parte opposta. Non distante si<br />
scorgono alcune installazioni militari, fra cui una batteria<br />
contraerea dotata di quattro cannoni mascherati con teli<br />
mimetici: siamo ormai in prossimità di alcuni siti strategici<br />
del programma nucleare iraniano.<br />
Ad un bivio dopo Natanz si lascia il percorso principale<br />
in pianura per raggiungere, dopo numerosi tornanti, il<br />
villaggio di Abyaneh, ad oltre 2200 m sul livello del mare.<br />
Quest’insediamento presenta delle peculiarità sociali ed<br />
antropologiche ormai scomparse nel resto del paese. Si<br />
narra che la comunità che lo abita fosse stata costretta<br />
a rifugiarsi su queste montagne ai tempi dell’invasione<br />
musulmana, conservando nei secoli alcune usanze<br />
antichissime, addirittura di origini sassanidi e preislamiche.<br />
Queste popolazioni montane sono sempre state bellicose<br />
e refrattarie nei confronti delle orde che sono transitate<br />
attraverso le pianure sottostanti: una situazione che<br />
presenta molte affinità con quella dei berberi marocchini.<br />
Le case, costruite in legno e fango rosso, sono adagiate su<br />
un clivo esposto a mezzogiorno, in un contesto di montagne<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
brulle e rocciose. Verso il fondovalle e lungo i corsi d’acqua<br />
crescono anche piante ad alto fusto (principalmente pioppi)<br />
e qualche orto di sussistenza. Raggiunto l’unico parcheggio e<br />
lasciatovi l’autobus, si prosegue a piedi per le strette strade<br />
in terra battuta. Un chiosco vende pane appena sfornato e<br />
tè caldo, assai graditi, dato il vento freddo e pungente. Oltre<br />
la popolazione locale vi sono alcuni turisti, esclusivamente<br />
iraniani. Probabilmente sono abitanti di Tehran che, diretti<br />
a Esfahan o a Shiraz per le vacanze, hanno effettuato questa<br />
digressione.<br />
Il panorama urbanistico di Abyaneh è piuttosto modesto<br />
ma tutte le costruzioni, anche quelle più simili a catapecchie<br />
che case, sono dotate di gas metano. Nei giardini celati dietro<br />
ai muretti a secco iniziano a fiorire i pruni e gli albicocchi,<br />
che conferiscono al paesaggio delle macchie bianche e rosa,<br />
ben armonizzate con il rosso della terra e delle rocce. Salendo<br />
sulla collina retrostante, la vista si apre su tutta la vallata, sul<br />
villaggio e, più in lontananza, sui monti spolverati di neve:<br />
un panorama che ricorda fortemente quello delle alte vallate<br />
himalayane. All’inverso è presente la mole di un antico forte<br />
sassanide, di cui si conservano solo le mura perimetrali. In<br />
lontananza, sui versanti alle nostre spalle, alcuni pastori<br />
menano al pascolo le loro pecore. Le donne indossano il<br />
costume tipico di questa regione, che include un grosso<br />
foulard bianco, decorato con motivi floreali.<br />
Da Abyaneh si ripercorrono in senso opposto i circa trenta<br />
chilometri (venti di tornanti) per riprendere l’autostrada n.7<br />
in direzione nord. Lungo il percorso verso Kashan, si transita<br />
non lontano dal sito nucleare di Natanz, dotato di varie<br />
migliaia di centrifughe per l’arricchimento dell’uranio. Gli<br />
edifici sono ben visibili dalla strada, ma dall’esterno appaiono<br />
come un complesso di capannoni industriali: la maggior<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
parte degli spazi operativi di 50.000 m² si colloca parecchi<br />
metri sotto il livello del suolo.<br />
Il programma nucleare iraniano non rappresenta<br />
una velleità esclusiva dell’attuale regime: già nel 1974 lo<br />
scià Reza Pahlavi costituì l’Organizzazione iraniana per<br />
l’energia atomica, finalizzata alla costruzione di reattori per<br />
la produzione di energia elettrica. Negli anni successivi alla<br />
rivoluzione islamica il progetto venne trascurato, per essere<br />
successivamente ripreso dopo la fine della guerra con l’Iraq.<br />
A partire dagli anni ’90, con gli occidentali ormai assenti da<br />
oltre un decennio, l’<strong>Iran</strong> si è avvicinato alla Russia, che ha<br />
fornito la tecnologia per il primo reattore a scopo civile del<br />
paese (Bushehr I, un VVER-1000 connesso alla rete nel 2011).<br />
Le problematiche politiche attuali non riguardano tanto gli<br />
impianti per il funzionamento delle centrali elettronucleari,<br />
che operano sotto l’egida dell’Agenzia Internazionale per<br />
l’Energia Atomica, bensì quelli che potrebbero essere<br />
potenzialmente utilizzati per la produzione di materiale<br />
bellico. L’<strong>Iran</strong> non ha però intenzione d’innescare alcuna<br />
guerra (dalla quale uscirebbe annientato), semmai è vero il<br />
contrario: mediante l’effetto deterrente creato dalla minaccia<br />
del possesso delle armi atomiche, esso persegue una politica<br />
volta a conquistare il tanto agognato ruolo di potenza<br />
regionale del Medio Oriente, che in passato gli è sempre stato<br />
negato dalle nazioni imperialiste.<br />
Ultimamente, dopo l’elezione alla presidenza del moderato<br />
Hassan Rohani al posto di Mahmud Ahmadinejad (agosto<br />
2013), la comunità internazionale ha iniziato a riallacciare i<br />
rapporti con l’<strong>Iran</strong>, coinvolgendolo nei colloqui sulla questione<br />
siriana e sullo Stato Islamico (ISIS). In contemporanea, il<br />
nuovo presidente ha annunciato notevoli aperture sul fronte<br />
della denuclearizzazione. Se il ruolo dell’<strong>Iran</strong> continuerà<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
ad essere riconosciuto dalle altre nazioni, la rilevanza del<br />
programma nucleare decrescerà progressivamente. In caso<br />
contrario, Tehran potrà tornare facilmente a perseguire una<br />
politica aggressiva. Da un punto di vista geopolitico non si<br />
comprende inoltre perché l’<strong>Iran</strong>, se si dotasse della bomba<br />
atomica, possa costituire una minaccia maggiore rispetto ai<br />
nove stati che già la possiedono (fra cui Pakistan, Cina, Corea<br />
del nord e altri). Non mi si fraintenda, non sto avallando alcuna<br />
corsa agli armamenti. Personalmente auspico l’abolizione<br />
di qualsiasi ordigno nucleare, in ogni luogo: sempre vivo è<br />
dentro di me il ricordo del sacrario di Hiroshima in Giappone,<br />
lugubre monito di un’inutile strage che non s’ha da ripetere.<br />
Da parte sua, l’<strong>Iran</strong> ha ribadito il diritto all’arricchimento<br />
dell’uranio per scopi pacifici, in ossequio al Trattato di non<br />
Proliferazione Nucleare, di cui è firmatario. Il governo ha<br />
inoltre dichiarato di aver costantemente adempiuto agli<br />
obblighi internazionali sanciti dall’Agenzia Internazionale<br />
per l’Energia Atomica.<br />
Il viaggio prosegue in questo soleggiato pomeriggio<br />
sull’autostrada n.7 fino alla periferia di Kashan (ab. 250.000,<br />
alt. 1600 m). La città è nota non solo per i giardini e le dimore<br />
storiche, ma anche per i notevoli ritrovamenti archeologici<br />
delle colline di Sialk, pochi chilometri fuori dall’agglomerato<br />
urbano (che per mancanza di tempo non abbiamo avuto<br />
modo di visitare). I reperti comprendono numerose terraglie<br />
decorate d’epoca preistorica, ora conservate al museo<br />
nazionale di Tehran, mentre sul luogo rimangono i resti di<br />
una costruzione a forma di ziggurat. Attraverso delle strade<br />
sterrate di campagna raggiungiamo i giardini Fin, fra i<br />
meglio conservati di Persia.<br />
Commissionati dallo Scià Abbas nel 1590, furono in<br />
seguito ingranditi dal nipote Abbas II. Intorno alla metà<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
del XIX secolo, il sovrano cagiaro Fath Ali volle ampliarli<br />
ulteriormente, aggiungendo alcuni elementi della propria<br />
epoca all’originario stile safavide. L’area copre oltre due<br />
ettari piantumati con cipressi, inframmezzati da viali, prati<br />
ed aiuole fiorite. Grande rilevanza è riservata all’elemento<br />
acquatico: una sorgente situata a monte alimenta una rete<br />
di canali, vasche e fontane, che si fanno strada attraverso<br />
i percorsi lastricati e la vegetazione. L’ambiente ricorda<br />
in modo assai fedele il concetto di Paradiso espresso nel<br />
Corano: «Iddio annuncia la lieta novella a coloro che hanno<br />
creduto e compiuto il bene: saranno padroni di giardini<br />
dove scorrono ruscelli» (Sura II, ver. 25). Che sia focalizzato<br />
sull’aspetto architettonico o su quello naturalistico, situato in<br />
un contesto pubblico o privato, di stile classico o moderno, il<br />
giardino persiano segue sempre uno schema fondamentale: la<br />
pianta è generalmente divisa in quattro quadranti, delimitati<br />
da camminamenti o da corsi d’acqua. Nel centro trova posto<br />
una fontana, mentre verso il fondo, sul lato opposto rispetto<br />
all’entrata, sorge un palazzo od un padiglione. I giardini Fin<br />
sono un raro esempio ancora esistente di chahar bagh, il<br />
giardino privato di tipo formale, un tempo accessibile solo<br />
dal padrone di casa e dai suoi ospiti.<br />
È metà pomeriggio, il sole è caldo e intenso. Dopo una<br />
breve sosta all’ombra delle piante per riposare qualche<br />
minuto, riprendiamo la strada in direzione della Casa<br />
Borujerdi, residenza di un ricco mercante, commissionata<br />
nel 1857 ad un famoso architetto dell’epoca. Oltrepassato<br />
l’ingresso, si apre un passaggio che conduce ad un cortile<br />
chiuso sui quattro lati. Nel centro vi è una fontana, circondata<br />
da alcune aiuole fiorite secondo lo schema testé descritto. Lo<br />
stile architettonico è quello caratteristico del periodo cagiaro:<br />
l’ampio porticato è sormontato da una facciata riccamente<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
elaborata con stucchi e laterizi. Gli esterni presentano<br />
tonalità avorio e mattone chiaro, mentre all’interno si svela<br />
una serie di affreschi variopinti con soggetti umani e motivi<br />
a grottesca. Fra i bassorilievi spicca il tema degli animali<br />
reali e fantastici: si riconoscono leoni, draghi, tori e cani,<br />
ivi compresa la classica rappresentazione del leone che<br />
aggredisce il toro, simbolo del rinnovamento perpetuo e<br />
della vittoria delle forze del bene su quelle del male. Sul tetto<br />
svettano i bad gir, camini per la ventilazione forzata della<br />
dimora. Prima di riprendere la strada sorseggiamo un tè<br />
bollente, che sarà d’aiuto per rimanere vigili fino al termine<br />
della giornata. All’approssimarsi di Qom il paesaggio diventa<br />
sempre più verde e pianeggiante, con la presenza di campi<br />
coltivati estensivamente. Alcuni pastori portano al pascolo le<br />
greggi di pecore e capre sulla striscia d’erba che intercorre<br />
tra l’autostrada e gli appezzamenti agricoli, larga una decina<br />
di metri. Il viaggio da Kashan dura da circa un’ora e mezza e<br />
ormai s’intravvede l’urbanizzazione di Qom (ab. 1.000.000,<br />
alt. 900 m), città santa della fede sciita. Le numerose<br />
madrasse ed i seminari sono popolati da decine di migliaia di<br />
studenti convenuti da tutto il mondo musulmano. Molte sono<br />
le figure religiose legate a questo luogo, prima fra tutte quella<br />
dell’Imam Khomeini, che qui spese gran parte della propria<br />
vita (quando non era in esilio), di cui si conserva ancora<br />
la casa. Il principale punto d’interesse, centro spirituale e<br />
materiale della città, è il mausoleo di Fatima Masumeh,<br />
figlia dell’Imam Musa al-Kazim e sorella dell’Imam Ali Reza.<br />
Costruito inizialmente nel IX secolo, fu in seguito distrutto<br />
dalle orde mongole e ricostruito nelle forme attuali nel XVI<br />
secolo, in epoca safavide, dopo l’adozione dello sciismo come<br />
religione di Stato. I pinnacoli del mausoleo si scorgono già<br />
da lontano. Lasciato l’autobus e rimasti a piedi, la guida<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
raccomanda di non perdere l’orientamento attraverso la calca<br />
assai fitta. Per le donne non è sufficiente il consueto foulard:<br />
prima di accedere al santuario viene loro fornito un lungo<br />
telo per coprirsi da capo a piedi, formalità che ha attirato la<br />
divertita attenzione degli altri pellegrini. Un guardiano del<br />
santuario, verificato l’abbigliamento ortodosso, acconsente a<br />
guidarci oltre il cancello. Il grande cortile, strutturato come<br />
spazio di preghiera, è utilizzato in occasione delle ricorrenze<br />
più importanti e costituisce l’unica parte del complesso<br />
accessibile dai visitatori non sciiti. Siamo condotti fino alla<br />
soglia del portale interno, il cui iwan è ricoperto di lamine<br />
d’oro e di mosaici. Da questo punto non possiamo spingerci<br />
oltre, e torniamo sui nostri passi.<br />
Qom è anche nota per essere la città natale di Hassan-i<br />
Sabbah (ca. 1050–1124), fondatore dell’ordine dei<br />
Nizariti, seguaci dell’Aga Khan. Questa corrente<br />
eterodossa è minoritaria nell’ambito sciita, ma prevalente<br />
fra gli Ismailiti. Mentre questi ultimi sono generalmente<br />
d’osservanza settimana, ovvero ritengono che la successione<br />
degli Imam storici termini al settimo e non al dodicesimo<br />
discendente del lignaggio, i Nizariti ritengono invece che la<br />
successione degli Imam non abbia subìto alcuna interruzione<br />
fino ai giorni nostri, riconoscendo l’Aga Khan come proprio<br />
attuale rappresentante. Nel corso dei secoli il suo ruolo si<br />
è progressivamente mondanizzato, per diventare in tempi<br />
recenti un capitano d’industria fra i più ricchi al mondo,<br />
assiduo frequentatore di salotti e uomini politici di caratura<br />
internazionale.<br />
Ormai sono circa le sette di sera, su Qom il sole è già<br />
tramontato. Tehran dista più di 150 chilometri (almeno<br />
due ore di viaggio alla nostra andatura). Difficile pensare<br />
di trovare, una volta arrivati a destinazione, un ristorante<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
ancora disposto a servire la cena: preferiamo sostare lungo<br />
l’autostrada presso una stazione di servizio, analoga ad<br />
un nostro autogrill, con un ricco self service comprendente<br />
antipasti, zuppe, carni, verdure e dolci. Dopo l’ottimo pasto<br />
si affronta l’ultimo tratto di strada: calate le tenebre, il<br />
paesaggio avvolto nella fitta oscurità non lascia più scorgere<br />
alcun particolare, tranne il lungo nastro d’asfalto, illuminato<br />
dai lampioni fino all’orizzonte. Il resto del viaggio trascorre<br />
sonnecchiando fino ai primi sobborghi di Tehran, che si<br />
annunciano con le luci dell’aeroporto, seguite dal mausoleo<br />
dell’Imam Khomeini ed infine dall’agglomerato urbano della<br />
metropoli.<br />
Il nostro albergo, l’hotel Enghelab, risale agli anni settanta<br />
e, pur pulito e spazioso, presenta gli inevitabili segni del<br />
tempo. Pare di essere tornati ai tempi dello Scià quando in<br />
queste strutture, allora classificate di lusso, venivano ospitati<br />
diplomatici, industriali ed affaristi stranieri. Di tutto ciò<br />
rimangono a testimonianza dei grandi saloni vuoti, sovrastati<br />
da monumentali lampadari spenti e camere arredate come<br />
quarant’anni fa. In compenso la sistemazione è tranquilla:<br />
fra gli interventi di ammodernamento, i serramenti sono<br />
stati recentemente rinnovati con materiale antirumore.<br />
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Giappone per caso<br />
Veduta del villaggio di Abyaneh<br />
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Giappone per caso<br />
Il mausoleo di Fatima Masumeh a Qom<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
23 marzo<br />
Tehran: ultimo giorno tra musei e montagne<br />
I<br />
l ristorante dell’hotel, situato al sedicesimo piano, è<br />
dotato di una piattaforma girevole che funziona solo di<br />
sera. Adesso, all’ora di colazione, è ferma. Il panorama che si<br />
ha da questa stanza spazia a 360 gradi sui dintorni: 70 km ad<br />
est s’innalza la piramide vulcanica perennemente innevata<br />
del monte Damavand (5610 m). A nord si estende la catena<br />
dei monti Alborz (circa 4000 m d’altitudine), che divide la<br />
conca di Tehran dal Mar Caspio, distante circa 100 chilometri<br />
in linea d’aria. Ai piedi delle montagne si situano i quartieri<br />
settentrionali, tradizionalmente abitati dalla borghesia e<br />
dalle classi abbienti (industriali, professionisti, dirigenti<br />
e politici). In direzione nord-est spicca la forma affusolata<br />
della torre Milad, che con i suoi 435 m d’altezza è una delle<br />
costruzioni più alte del mondo: un’ardita sfida ingegneristica<br />
in un territorio fortemente sismico. Verso la pianura (a sud)<br />
si estendono invece i numerosi quartieri popolari. Ovunque<br />
si guardi, risulta estremamente difficile scorgere un minareto<br />
od una moschea, così comuni nelle città degli altri paesi<br />
musulmani: anche i richiami alla preghiera sono rarissimi ad<br />
udirsi.<br />
La colazione, di stile continentale, è varia ed abbondante.<br />
La prima meta della giornata è il Museo Nazionale iraniano,<br />
che contiene la più vasta raccolta al mondo di reperti d’arte<br />
persiana dalla preistoria in poi. La zona in cui esso sorge, pur<br />
centrale, è moderna e presenta numerosi esempi d’architettura<br />
razionalista: verso la metà degli anni Trenta fu Reza Scià<br />
(1878–1944) ad ordinare lo sventramento di parte del centro<br />
storico per far posto a questo nuovo quartiere direzionale.<br />
Egli considerava l’antico impianto della città come un<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
ostacolo alla realizzazione del suo progetto per una capitale<br />
al passo coi tempi. Quegli anni non furono forieri solamente<br />
d’innovazioni urbanistiche, ma anche di cambiamenti<br />
culturali: il nuovo monarca, d’estrazione militare, dopo aver<br />
rovesciato la decadente dinastia cagiara, bandì le espressioni<br />
della “vecchia cultura”, considerata antiquata e inadatta al<br />
XX secolo. Per sua espressa volontà, il nome dello Stato mutò<br />
da «Persia» in «<strong>Iran</strong>», antico toponimo dal significato di<br />
“paese degli ariani”. Similmente al contemporaneo Atatürk,<br />
egli volle avviare un processo di laicizzazione della società, ma<br />
non seppe conciliare le velleità di modernizzazione con una<br />
politica che gli assicurasse l’appoggio della popolazione. Fra<br />
i suoi principali errori vi fu quello di sottovalutare il legame<br />
tra clero e classe mercantile, motore economico del paese.<br />
Quando nel 1928 Reza Scià umiliò pubblicamente un alto<br />
prelato di Qom, la frattura tra monarchia e società produttiva<br />
poté dirsi insanabile. Nell’arco di pochi anni la fortuna del<br />
sovrano dal pugno di ferro decadde e, abbandonato anche<br />
dagli alleati stranieri per sospette simpatie fasciste (in realtà<br />
per via dell’intransigenza sulle concessioni petrolifere), fu<br />
deposto ed esiliato in Sudafrica. Al suo posto fu insediato il<br />
figlio Mohammed Reza (1919–1980), considerato più duttile<br />
nei confronti delle potenze occidentali.<br />
A Reza Scià sopravvissero molte opere concrete da lui<br />
concepite, come il Museo Nazionale iraniano, costruito<br />
dall’architetto francese André Godard in un misto di stile<br />
razionalista e tradizionale. Il percorso espositivo inizia dalla<br />
preistoria, con una rassegna di manufatti di terracotta,<br />
idoli, armi e figure antropomorfe datate tra il 7000 e il 1000<br />
a.C. Su alcuni oggetti susiani ed elamiti sono chiaramente<br />
riconoscibili degli animali, fra cui uno stambecco con le sue<br />
lunghe corna arcuate, ma anche altri ungulati e bovini, simbolo<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
della transizione a metodi di agricoltura ed allevamento più<br />
efficienti. Con l’entrata nella storia, intorno al VII secolo a.C.,<br />
si riscontrano le prime produzioni artistiche classiche d’epoca<br />
achemenide, con la successiva assimilazione di canoni greci,<br />
babilonesi e indiani, dovuta all’espansione dell’impero<br />
persiano. Di questo periodo è notevole il cosiddetto “cilindro<br />
di Ciro”, un editto in caratteri cuneiformi, che il sovrano<br />
promulgò nei confronti dei babilonesi, in seguito alla presa<br />
della loro città. Esso è stato interpretato da alcuni storici<br />
come una dichiarazione dei diritti dell’Uomo ante litteram,<br />
poiché i vinti sono trattati con grande tolleranza. A loro è<br />
stato concesso di mantenere la propria cultura, la propria<br />
religione e le proprie consuetudini. Dalle parole dello stesso<br />
Ciro: «Il mio grande esercito ha marciato pacificamente su<br />
Babilonia e l’intero paese non ha avuto nulla da temere. Ho<br />
rispettato la città di Babilonia e tutti i suoi santuari. [...] io<br />
sono stato in grado di far vivere tutte le terre in pace».<br />
Quale grande stratega, egli era conscio che si governano<br />
meglio i popoli trattati con magnanimità che quelli<br />
oppressi. Fra gli altri reperti achemenidi spicca un grande<br />
bassorilievo in basalto raffigurante l’imperatore, circondato<br />
dai suoi dignitari, mentre riceve l’omaggio del re di Media,<br />
tradizionale alleato dei persiani. Poco oltre vi sono i resti di<br />
una statua colossale con il volto del monarca e il corpo dalle<br />
fattezze leonine, alla maniera assiro-babilonese. È presente<br />
inoltre una colonna, proveniente dal sito di Persepoli, che<br />
reca un capitello taurino di puro stile achemenide.<br />
Proseguendo nel percorso espositivo e nelle epoche, un<br />
baffuto guerriero partico di grandezza superiore al naturale<br />
scruta i visitatori col suo sguardo immobile. Un secolo più tardi<br />
avverrà in territorio persiano l’islamizzazione: l’arte cambierà<br />
allora radicalmente, lasciando uno spazio sempre maggiore<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
ai temi religiosi, all’architettura sacra e alle composizioni<br />
astratte. Anche se l’Islam è generalmente iconoclasta, tale<br />
assunto non è sempre stato rispettato con rigore. Nel corso<br />
della storia si sono avute varie rappresentazioni di santi,<br />
profeti, angeli, personaggi biblici e addirittura dello stesso<br />
Maometto, perlopiù sottoforma di miniature a corredo delle<br />
Sacre Scritture.<br />
Verso l’uscita si può vedere una copia del Codice di<br />
Hammburabi, il cui originale, scoperto nel 1901 a Susa, è oggi<br />
conservato al museo del Louvre di Parigi.<br />
Non distante dal museo nazionale vi è il museo dei vetri<br />
e delle ceramiche. Esso è ospitato in una vecchia villa<br />
d’epoca cagiara, riconvertita in spazio espositivo negli anni<br />
‘70 per volere dell’imperatrice Farah Diba. Dal pianterreno la<br />
visita inizia con una rassegna di oggetti, recipienti e bottiglie<br />
risalenti agli albori preistorici dell’arte vetraria e della<br />
ceramica, passando poi al periodo achemenide e a quello<br />
sassanide, epoche in cui furono perfezionate le tecniche di<br />
modellazione della creta, della soffiatura e del taglio del vetro.<br />
Al secondo piano trova posto la collezione d’epoca islamica,<br />
con fini esempi di cesellature in oro e turchesi, recanti<br />
iscrizioni sacre, poemi e miniature. Anche in quest’ambito<br />
si può distinguere la successione cronologica degli stili; in<br />
particolare si notano le influenze esogene dovute ai contatti<br />
della Persia con le altre culture: fra le opere di questo tipo<br />
spiccano quelle d’influenza mongolica dell’epoca ilkhanide<br />
(sec. XIII).<br />
Il museo dei tappeti non dista che qualche minuto<br />
d’autobus. La manifattura del tappeto è un’antichissima arte<br />
persiana riconducibile, secondo le indagini archeologiche,<br />
all’età del bronzo.<br />
Di quell’epoca si sono conservati pochi esemplari per via<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
della delicatezza dei tessuti utilizzati, principalmente lana e<br />
cotone. La maggior parte dei tappeti esposti risale al periodo<br />
compreso tra l’epoca selgiuchide e quella cagiara (secoli<br />
XIII–XIX), con un’esaustiva rassegna di tecniche di tessitura<br />
e di decorazioni tradizionali, fra cui motivi astratti, animali e<br />
vegetali, ma anche scene di vita di nobiluomini e della corte<br />
imperiale. La struttura del museo, spiccatamente moderna, è<br />
stata progettata da Farah Diba ed inaugurata nel 1978.<br />
Nel periodo di capodanno parecchi negozi della capitale<br />
sono chiusi, compreso il bazar. Gli abitanti sono partiti per le<br />
vacanze verso le località di villeggiatura e Tehran appare ora<br />
svuotata. Sulla strada è aperto un forno, dove acquistiamo<br />
delle schiacciate di pane e dei dolci all’aneto. Un’altra<br />
bottega vicina offre invece una discreta scelta di frutta secca.<br />
Procedendo a piedi in direzione sud, si raggiunge Piazza<br />
della Rivoluzione (Meydan-e Enghelab), luogo simbolo<br />
di tutti i moti contemporanei. Fra i più recenti si ricorda il<br />
Movimento Verde, colore adottato nel 2009 dai sostenitori di<br />
Mir-Hossein Mussavi, sfidante di Ahmadinejad alle elezioni<br />
presidenziali. La vittoria di quest’ultimo, che all’epoca si<br />
apprestava ad iniziare il secondo mandato, è stata sospettata<br />
di brogli a causa delle forti incongruenze nei risultati dello<br />
spoglio, come la partecipazione superiore al 100% (sic!) degli<br />
aventi diritto in alcuni distretti chiave, unita all’aumento<br />
eccessivo dei voti per i conservatori in collegi spiccatamente<br />
progressisti. La protesta ha avuto il largo supporto di studenti<br />
e intellettuali, che non proponevano il rovesciamento del<br />
velayat-e faqih (il governo del clero), bensì ne auspicavano la<br />
riforma, per renderlo adeguato alle esigenze del ventunesimo<br />
secolo. Alla maggior parte dei giovani mobilitati poco<br />
importava della forma di stato e di governo adottata,<br />
purché essa rispettasse i diritti civili, le libertà individuali e<br />
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garantisse i servizi pubblici fondamentali per un’esistenza<br />
dignitosa. I giovani iraniani inoltre, anche se molti non lo<br />
ammettono, si sentono fieri del proprio paese e della propria<br />
cultura: la maggior parte di essi sono musulmani credenti,<br />
ma in modo assai più laico dei loro avi; seguono le mode<br />
occidentali come fattore d’aggregazione sociale ma non<br />
amano necessariamente l’occidente; detestano soprattutto<br />
l’arroganza con cui molti altri paesi continuano a trattare il<br />
loro.<br />
Sempre viva è l’umiliazione del 1953, quando il tentativo<br />
del Primo Ministro Mohammed Mossadeq di emancipare<br />
l’<strong>Iran</strong> dal controllo anglo-americano fu stroncato da un colpo<br />
di stato, organizzato dalla CIA e dall’MI6 con il benestare<br />
dello Scià. Da allora il popolo non ha mai smesso di nutrire un<br />
certo malumore nei confronti del potere costituito, tendenza<br />
smentita neppure sotto l’attuale regime, quando gli alti<br />
rappresentanti del clero sciita sono stati accusati d’arricchirsi<br />
mediante la corruzione ed i proventi del greggio. Lo scandalo<br />
spianò a suo tempo la strada all’elezione di Ahmadinejad,<br />
primo Presidente d’estrazione laica dai tempi di Bani Sadr.<br />
Neppure quest’ultimo si é però salvato dal giudizio negativo<br />
della gente: rivelatosi populista ed incapace di risolvere i veri<br />
problemi del paese, ha suscitato l’onda lunga delle proteste<br />
del Movimento Verde, che si è protratta dal 2009 al 2012. I<br />
dimostranti, dopo gli ultimi raduni a favore della Primavera<br />
Araba, si sono infine diradati, complice sul fronte interno<br />
l’avvicinamento della fine del mandato di Ahmadinejad, e<br />
su quello estero la dissoluzione dei moti egiziani per mano<br />
militare.<br />
Esauriti i principali poli d’interesse della città, decidiamo di<br />
spendere l’ultimo pomeriggio in <strong>Iran</strong> con una scampagnata<br />
verso i monti Alborz. Dalla piazza raggiungiamo la più<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
vicina stazione della metropolitana. Il servizio di trasporto<br />
sotterraneo di Tehran è moderno e veloce, composto di<br />
quattro linee disposte a raggiera che servono in modo<br />
efficiente tutta la città. Dall’inaugurazione della prima tratta<br />
nel 1999 la rete si è rapidamente espansa fino a raggiungere<br />
anche i borghi più esterni, costituendo ad oggi la risposta<br />
più efficace ai problemi del traffico e dell’inquinamento della<br />
capitale. Le stazioni sono ampie e ben illuminate, mentre<br />
nelle carrozze non vi sono separazioni tra i generi, eccetto<br />
che per la presenza di un vagone, in testa o in coda al treno,<br />
riservato alla sola utenza femminile; negli altri spazi uomini<br />
e donne siedono gli uni accanto alle altre. Mediante la linea 4<br />
si raggiunge in tre fermate Darwazet Dowlat, dove si cambia<br />
per la linea 1. Da qui si percorre un lungo tratto di tredici<br />
fermate fino al capolinea di Tajrish, quartiere settentrionale<br />
adagiato sulle prime balze montuose. La fermata è assai<br />
profonda sotto il livello del suolo: è necessario affrontare<br />
una lunga serie di scale mobili per raggiungere la superficie.<br />
Dalla piazza fermiamo alcuni taxi per proseguire qualche<br />
chilometro in direzione di Darband, l’ultimo sobborgo di<br />
Tehran verso settentrione. Da un certo punto la strada, sempre<br />
più in salita, è chiusa ai veicoli a motore: lasciamo alle spalle<br />
l’urbanizzazione cittadina per addentrarci a piedi in una<br />
valletta dalle pareti scoscese e rocciose. Il percorso termina<br />
presso una borgata, piuttosto frequentata dagli abitanti locali<br />
come meta di scampagnate fuori porta: qui sono presenti<br />
numerosi ristoranti e alberghetti. Mentre il nostro gruppo<br />
si ferma in una casa da tè per riposare e fumare la pipa ad<br />
acqua, rimasti solo in tre, prendiamo la vicina seggiovia per<br />
raggiungere un punto ancora più elevato, a circa 2000 metri<br />
sul livello del mare. Il panorama verso la città è chiuso dai<br />
rilievi circostanti, ma da questa posizione la vista si apre verso<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
la catena dei monti Alborz, che incombono innevati a breve<br />
distanza. È circa metà pomeriggio, disponiamo ancora di<br />
parecchio tempo: per tornare in basso decidiamo di scendere<br />
a piedi lungo il sentiero. Il paesaggio è brullo e sassoso,<br />
non particolarmente attraente, ma assai rappresentativo<br />
dell’orografia locale, costituita in larga parte da formazioni di<br />
rocce sedimentarie risalenti al periodo post-cretaceo (circa<br />
60 milioni di anni fa).<br />
Tentiamo una digressione sul versante esposto a<br />
mezzogiorno, ma siamo purtroppo fermati da una cortina<br />
di filo spinato: l’area è sotto il controllo militare e non è<br />
possibile proseguire oltre. In meno di mezz’ora (circa 200 m<br />
di dislivello), raggiungiamo nuovamente il fondovalle. Dopo<br />
esserci ricongiunti con il resto del gruppo, torniamo in città<br />
mediante un taxi. La prossima notte saremo già sul volo<br />
verso Istanbul, dunque ne approfittiamo preparare i bagagli<br />
e riposare un paio d’ore. In occasione della nostra ultima<br />
cena in terra iraniana è prevista l’uscita in un ristorante<br />
di buon livello nella zona settentrionale della città. L’autista,<br />
in vena di festeggiare, ordina addirittura l’agnello, una<br />
delle portate più costose. Da buona forchetta qual é sempre<br />
stato, avrebbe dovuto divorarlo: purtroppo invece, vinto da<br />
una leggera indisposizione al coronamento delle proprie<br />
fatiche, non è riuscito a dar fondo al piatto. La sistemazione<br />
e l’arredamento sono in stile tradizionale: la tavola è<br />
apparecchiata sopra un grande tappeto disteso per terra,<br />
da cui ci si serve seduti, a gambe incrociate. Le portate sono<br />
simili a quelle descritte in precedenza per gli altri ristoranti.<br />
Terminato il pasto, salutiamo la guida che ci ha accompagnato<br />
con grande competenza durante questo viaggio alla scoperta<br />
dell’<strong>Iran</strong>. Tornati in albergo, rimangono a disposizione un<br />
paio d’ore di sonno prima della partenza.<br />
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Giappone per caso<br />
Museo Nazionale: statua di guerriero sassanide<br />
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Giappone per caso<br />
Panorama di Tehran<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
24 marzo<br />
Ritorno a casa<br />
A<br />
ll’una di notte già suona la sveglia in camera. Tutta<br />
la città è avvinta dal sonno e dalle tenebre, i corridoi<br />
dell’hotel sono vuoti, la hall è buia e silenziosa. Dopo aver<br />
consegnato le chiavi delle stanze al portiere di notte,<br />
carichiamo i bagagli sull’autobus. Solo noi siamo in procinto<br />
di lasciare questo paese Pare quasi di uscire dalla scena in<br />
punta di piedi, senza voler disturbare nessuno con la nostra<br />
presenza. I viali sono deserti, sulla tangenziale ogni tanto<br />
compaiono alle nostre spalle i fari di qualche automobile,<br />
che lentamente ci supera e scompare dopo qualche minuto<br />
in lontananza. Con l’approssimarsi dell’aerostazione<br />
internazionale “Imam Khomeini” dobbiamo ridestarci<br />
forzatamente dal torpore: ringraziamo ancora l’autista, con<br />
cui abbiamo percorso 1500 chilometri attraverso il paese.<br />
Il volo Turkish Airlines n.875 lascia il suolo iraniano alle<br />
4.35 diretto ad Istanbul. Da questa destinazione intermedia<br />
il gruppo si separa: chi rientra su Milano, chi su Venezia, chi<br />
ancora su Roma. In pochi siamo diretti a Torino, l’ultimo dei<br />
voli verso l’Italia. Al nostro arrivo il buio ha ormai sommerso<br />
la pianura Padana: è il momento di ritrovare la propria casa<br />
per un momento di meritato riposo, domani si torna già al<br />
lavoro… almeno fino al prossimo viaggio.<br />
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95<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
Postfazione<br />
G<br />
li stereotipi sono purtroppo duri a morire. La visione<br />
dell’<strong>Iran</strong> che si ha in occidente è pesantemente<br />
condizionata da molti pregiudizi senza fondamento. Anche<br />
i più informati tra noi, una volta arrivati, non hanno potuto<br />
che prendere atto d’una realtà ancora differente da quella<br />
immaginata. Basandomi su ciò che ho visto, posso constatare<br />
come la società iraniana sia di fatto più laica e moderna rispetto<br />
a quella di altri paesi del Medio Oriente che si proclamano<br />
secolari. Le apparenze, costituite dal velo e dai turbanti dei<br />
religiosi, nascondono invece una società orgogliosa, conscia<br />
della propria storia e desiderosa di trovare un posto nel<br />
mondo attuale. Se il Governo del Clero (Velayat-e Faqih)<br />
saprà cogliere questa sfida intraprendendo la strada delle<br />
riforme sarà un bene per tutti; in caso contrario il popolo<br />
iraniano ha da sempre dimostrato di mal tollerare i governi<br />
sordi e autoritari: sia la Rivoluzione Costituzionale del 1906<br />
che quella islamica del 1979 sono scaturite dal basso per<br />
rovesciare dei poteri considerati dispotici.<br />
Riguardo al futuro, molto dipenderà dalla volontà della<br />
classe dirigente, che dovrà innanzitutto fronteggiare<br />
le problematiche dovute alla crisi economica, come la<br />
disoccupazione, l’inflazione e la conseguente perdita di<br />
potere d’acquisto delle famiglie. Al fine di adottare un’efficace<br />
politica economica, l’<strong>Iran</strong> avrebbe innanzitutto la necessità<br />
di differenziare le proprie fonti energetiche, svincolandosi<br />
progressivamente dal petrolio (destinato ad esaurirsi nel<br />
lungo periodo), per incentivare invece la produzione di<br />
energie rinnovabili, quali l’eolico ed il fotovoltaico, di cui può<br />
disporre in abbondanza. I relativi proventi dovrebbero essere<br />
utilizzati per la realizzazione d’infrastrutture compatibili con<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
il delicato ambiente naturale, promuovendo il disincentivo<br />
dell’automobile, i mezzi di trasporto pubblici, l’istruzione,<br />
la sanità e la regolamentazione delle acque per espandere<br />
l’agricoltura nei territori attualmente incolti.<br />
La società dovrebbe poter essere in grado di esprimere<br />
la propria cultura nell’ambito di una costituzione laica e<br />
democratica, che non imponga obblighi di carattere religioso<br />
o morale. Il velo Né vietato né obbligatorio, lo porti chi lo<br />
desidera: la questione, rispetto ai problemi reali del paese,<br />
è pressoché irrilevante. Per incoraggiare le riforme sarà<br />
fondamentale il ruolo della Comunità Internazionale, in<br />
particolare dei paesi “occidentali”, che dovranno adottare<br />
un atteggiamento di dialogo e confronto con l’<strong>Iran</strong> anziché<br />
continuare a reputarlo una minaccia.<br />
Queste mie considerazioni hanno un carattere strettamente<br />
personale e non chiedo ad alcuno di condividerle: le ho esposte<br />
solo per amore di questo paese, al quale auguro un’epoca di<br />
pace e di prosperità, che la storia gli ha raramente concesso.<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
Dati riassuntivi<br />
Questo viaggio, effettuato dal 15 al 24 marzo 2013, è stato<br />
auto-organizzato da parte di un gruppo di quattordici<br />
partecipanti con l’operatore Avventure nel Mondo seguendo<br />
la traccia proposta dall’itinerario “<strong>Iran</strong> Suite”.<br />
Voli dell’andata: Torino–Istanbul (3 ore), Istanbul–Tehran<br />
(3 ore), Tehran–Shiraz (1 ora).<br />
Voli del ritorno: Tehran–Istanbul (3 ore), Istanbul–Torino<br />
(3 ore).<br />
Il percorso, a grandi linee, è stato: Tehran, Shiraz, Persepoli,<br />
Naqsh-e Rostam, Pasargad, Abarquh, Yazd, Meybod, Nain,<br />
Esfahan, Kashan, Qom, Tehran.<br />
Totale km percorsi:<br />
In aereo 8.300 (13 ore)<br />
In autobus 1.500 (ca. 30 ore)<br />
Con mezzi urbani 16 (ca. ½ ora)<br />
A piedi 50 (ca. 35 ore)<br />
Note: le informazioni pratiche presenti in questo racconto<br />
sono riferite al momento in cui è stato effettuato il viaggio<br />
(2013) e potrebbero risultare non più valide o attuali.<br />
Per una lettura meno ostica, in questo racconto ho<br />
preferito utilizzare la grafia più comune per indicare i nomi<br />
di cose, luoghi e persone, a scapito dell’esatta traslitterazione.<br />
Si troverà pertanto Tehran anziché Tehrān, Esfahan anziché<br />
Esfahān, Scià anziché Šāh, ecc. È inoltre necessario ricordare<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
che il persiano è una lingua tendenzialmente tronca, il cui<br />
accento tonico cade generalmente sull’ultima sillaba, con<br />
numerosi suoni non rappresentati nella nostra lingua.<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
Per viaggiare<br />
Guide<br />
• AA.VV., Lonely Planet–<strong>Iran</strong>, EDT, Torino, ultima<br />
edizione.<br />
• AA.VV., <strong>Iran</strong>, tesori di Persia, Abaco, Forlì, ultima<br />
edizione.<br />
Mappe<br />
• <strong>Iran</strong>, scala 1:1.500.000, Reise know-how verlag, Bielefeld,<br />
ultima edizione.<br />
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100<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
Bibliografia<br />
Storia<br />
• Abrahamian E., Storia dell’<strong>Iran</strong> dai primi del Novecento<br />
a oggi, Feltrinelli, Milano, 2013.<br />
• Axworthy M., Breve storia dell’<strong>Iran</strong>, Einaudi, Torino,<br />
2010.<br />
• Gelvin J. L., Storia del Medio Oriente moderno, Einaudi,<br />
Torino, 2009.<br />
• Redaelli R., L’<strong>Iran</strong> contemporaneo, Carocci, Roma, 2013.<br />
• Sabahi F., Storia dell’<strong>Iran</strong>, B. Mondadori, Milano, 2006.<br />
• Wiesehöfer J., La Persia antica, Il Mulino, Bologna, 2003.<br />
Cultura, politica, costume e società<br />
• AA.VV., Limes – L’<strong>Iran</strong> torna in campo, Editoriale<br />
l’Espresso, Roma, 2013.<br />
• AA.VV., Persian poems, Yassavoli, Tehran, 2008.<br />
• Guolo R., Il fondamentalismo islamico, Laterza, Bari,<br />
2002.<br />
• Guolo R., L’Islam è compatibile con la democrazia,<br />
Laterza, Bari, 2004.<br />
• Kapuscinski R., Shah-in-Shah, Feltrinelli, Milano, 2004.<br />
• Sabahi F., Un’estate a Teheran, Laterza, Bari, 2007.<br />
Religione<br />
• A cura di Peirone F., Il Corano, A. Mondadori, Milano,<br />
1979.<br />
• Branca P., introduzione all’Islam, ed. San Paolo, Alba,<br />
2005.<br />
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101<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
• Sul sito Avesta.org si può trovare la traduzione in inglese<br />
del libro sacro degli zoroastriani.<br />
Album fotografici<br />
• AA.VV., Tehran past & present, Yassavoli, Tehran, 2011.<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
Sommario<br />
Prefazione 3<br />
15 marzo. Verso terre ignote 4<br />
16 marzo. Primo impatto con l’<strong>Iran</strong> 5<br />
17 marzo. Shiraz tra poeti e mausolei 18<br />
18 marzo. Vestigia di antichi imperi 31<br />
19 marzo. Da Yazd ad Isfahan: l’<strong>Iran</strong> del deserto 42<br />
20 marzo. Capodanno 1392 55<br />
21 marzo. Isfahan imperiale 64<br />
22 marzo. Tra villaggi, impianti nucleari e città sante 75<br />
23 marzo. Tehran: ultimo giorno tra musei e montagne 85<br />
24 marzo. Ritorno a casa 95<br />
Postfazione 96<br />
Dati riassuntivi 98<br />
Per viaggiare 100<br />
Bibliografia 101<br />
<strong>Lorenzo</strong> <strong>Rossetti</strong>, classe 1984, è<br />
laureato in Relazioni Internazionali<br />
e tutela dei Diritti Umani (Scienze<br />
Politiche).<br />
Vive in Val di Susa e lavora<br />
presso l’Ufficio Stampa del Parco<br />
Nazionale Gran Paradiso.<br />
Fra i suoi interessi figurano i<br />
viaggi alla scoperta di altre civiltà<br />
e lo studio degli aspetti storici e<br />
culturali dei paesi visitati.<br />
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103<br />
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L’altro <strong>Iran</strong><br />
Questo diario è disponibile sul sito web<br />
http://www.lorenzorossetti.it/<br />
© 2013 <strong>Lorenzo</strong> <strong>Rossetti</strong>, tutti i diritti riservati<br />
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104<br />
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