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A. LUZIO - R. RENI Eli<br />
IL LUSSO DI ISABELLA D’ESTE<br />
MARCHESA DI MANTOVA<br />
d a lla NUOVA ANTOLOGIA, v o l l . l x i v - l x v , s e r i e iv<br />
(Fascicoli: 16 luglio, 16 settembre e 16 ottobre 1896)<br />
ROMA<br />
FORZA NI E C. TIPOGRAFI DHL SENATO<br />
1896
IL LUSSO DI ISABELLA D’ ESTE<br />
M A R C H E S A<br />
D I M A N TO V A<br />
JJi<br />
ff V> LATITO \ %<br />
•X MwoGOTk,<br />
■/ -,<br />
i^vv<br />
p r o p r i e t à l e t t e r a r i a<br />
Due parole d’introduzione. — Le foglie italiane nel Rinascimento e l’influenza<br />
straniera. — Vani rimpianti dei laudatores temporis acti e inefficacia delle<br />
leggi suntuarie. — L’iniziativa individuale nella moda. — Isabella dittatrice<br />
d’eleganza.<br />
Della marchesana di Mantova non intendiamo qui d’ <strong>il</strong>lustrare<br />
quella specie di lusso che si riferisce alle arti maggiori o<br />
si esplica nelle pompe esterne della vita pubblica; non vogliamo,<br />
cioè, studiare la premura industre ed intelligente con cui Isabella<br />
d’Este arredò i suoi appartamenti, empiendoli di quadri dei<br />
migliori pittori del tempo, di statue, di anticaglie, od occuparci<br />
delle cure spese intorno a’ suoi giardini, degli spettacoli cortigiani<br />
che promosse ed ai quali tanto volentieri assisteva. Di tutto<br />
ciò e d’ altro parleremo altrove (1). La nostra attenzione vuol<br />
essere qui limitata al lusso personale della celebre gent<strong>il</strong>donna,<br />
vale a dire a tutta quella serie di fatti che ci attestano <strong>il</strong> suo<br />
(1) Nella monografia complessiva e definitiva su Isabella d1Este-<br />
Gonzaga, alla quale ormai siamo prossimi. Per le relazioni artistiche puòvedersi<br />
intanto la memoria su Isabelle
6 IL LUSSO DI ISABELLA D’ ESTE MARCHESA DI MANTOVA<br />
gusto nell' abbigliarsi ed ornarsi, ed inoltre a quei prodotti del-<br />
V arie applicala all’ industria (o delle arti minori che dir si<br />
voglia), i quali più comunemente si fanno rientrare nella categoria<br />
degli oggetti di lusso. Tema, quefeto, non agevole davvero<br />
ad esser trattato con la serietà e Compiutezza che meriterebbe,<br />
perchè in questa, come in tante altre provincie della storia del<br />
costume, noi siamo ancora, in Italia, ai più elementari principii,<br />
alla raccolta, cioè, del materiale bruto. Confrontarlo, vagliarlo,<br />
classificarlo sarà opera possib<strong>il</strong>e solo in seguito; e allora si fisseranno,<br />
come altrove s’ è fatto, in monografie ed in dizionari, i<br />
veri significati di certi termini tecnici e s’ <strong>il</strong>lustreranno degnamente<br />
<strong>il</strong> nostro antico mob<strong>il</strong>io, le stoffe, 1’ oreficeria, gli utens<strong>il</strong>i,<br />
le vesti e tutti i particolari della to<strong>il</strong>ette.<br />
Che fra noi questo genere di ricerca sia ancora così poco<br />
progredito è vieppiù deplorevole in quanto che l’ Italia del Rinascimento<br />
fu maestra all’ Europa, come di tante altre maggiori<br />
cose, anche del lusso. La ricchezza delle più cospicue città<br />
italiane era nel nostro Quattrocento enorme (1), e la ricchezza<br />
certamente, più che <strong>il</strong> bisogno d’ arte diffuso a tutte le abitudini<br />
della vita, riuscì ad essere fomite principale del lusso (2). F i<br />
renze, Venezia e Roma erano i tre principali centri del lusso<br />
italiano in quel tempo (3) : Venezia soprattutto, la città trionfante,<br />
che adottando le foggie occidentali v’ introdusse tutto lo<br />
sfarzo venutole dall’ Oriente; Venezia, ove nel 1433, a detta di<br />
un cronista, più di seicento dame andavano « fuori di casa vestite<br />
di seta, oro, argento, joje, che è una maestà vederle » (4).<br />
Ma <strong>il</strong> costume italiano del primo Rinascimento non era solamente<br />
ricco, era puranco elegante. Vedansi specialmente gli uomini nei<br />
mirab<strong>il</strong>i freschi del salone di Schifanoia e in quelli ancor più mirab<strong>il</strong>i<br />
di Andrea Mantegna a Padova e a Mantova ; si osservino<br />
(1) T e d i M u n t z , La Renaissance en Italie et en France à V époque<br />
■de Charles V <strong>il</strong>i, Paris, 1885, pag. 47 e segg. ; P a s t o r , Gesch. der Pdpste,<br />
voi. Ili, pag. 77.<br />
(2) C M e r k e l . Tre corredi m<strong>il</strong>anesi del Quattrocento, Roma, 1893,<br />
pag. 82.<br />
(3) Cfr. B a u d r i l l a r t , Histoire du luxe privé et public, Paris, 1880,<br />
voi. Ili, pag. 330 e segg.<br />
(4) M o l m e n t i , La storia di Venezia nella vita privata, Torino, 1890»<br />
pag. 296 e segg.; cfr. pagg. 229-230.<br />
IL LUSSO DI ISABELLA D’ ESTE MARCHESA DI MANTOVA 7<br />
uomini e donne nelle tele del Carpaccio, segnatamente nel ciclo<br />
della storia di sant’ Orsola, e si vedrà a qual progresso di sveltezza<br />
e di signor<strong>il</strong>e eleganza fossero giunte nel Quattrocento le<br />
nostre foggie (1). Il tratto fondamentale, che va r<strong>il</strong>evato, è la<br />
tendenza a seguire le forme del corpo, vale a dire quell’ att<strong>il</strong>latura<br />
che ad un cronista straniero, Matteo de Coucy, parve<br />
sì orrib<strong>il</strong>e, eh’ ei non esitò a paragonare gli uomini così vestiti<br />
alle scimmie: « ainsi comme l’on souloit vestir les singes». Questione<br />
d’ occhio ! Quelle mode att<strong>il</strong>late, che i Francesi presero<br />
da noi e che poi ritornarono di Francia in Italia, specie ne’ tempi<br />
di quel re cavalleresco e gent<strong>il</strong>e, di gusto schiettamente italiano,<br />
che fu Francesco I (2); quelle mode att<strong>il</strong>late composero sin d’allora<br />
<strong>il</strong> motivo comune di vestiario che, nonostanti le variazioni<br />
infinite, fu in seguito adottato da tutte le nazioni civ<strong>il</strong>i d’Eu<br />
ropa (3).<br />
Ma sulle prime quel ritorno delle foggie nostrane, elaborate<br />
variamente al di là delle Alpi, fu veduto con qualche dispetto,<br />
e non senza seria ragione, da chi deplorava <strong>il</strong> consolidarsi delle<br />
signorie straniere fra noi. Molte volte furono menzionate certe<br />
gravi e sennate parole che Baldassarre Castiglione mette in bocca<br />
ad uno degli interlocutori del suo Cortegiano (lib. II, § 26) : « Ma<br />
io non so per qual fato intervenga che la Italia non abbia, come<br />
soleva avere, abito che sia conosciuto per italiano; che benché<br />
lo aver posto in usanzia questi novi faccia parer quelli primi<br />
goffissimi, pure quelli forse erano segno di libertà, come questi<br />
sono stati augurio di servitù ; <strong>il</strong> qual ormai parmi assai chiaramente<br />
adempiuto». Questo rimpianto, in cui vibra tanto sentimento<br />
d’ italianità, ha riscontro, come notò <strong>il</strong> dotto e novissimo<br />
chiosatore del Cortegiano (4), in ciò che scrisse mezzo sul serio<br />
e mezzo burlando Andrea Calmo delle foze a la forastiera,<br />
e in ciò che disse, alla fine del secolo xv, <strong>il</strong> diarista Priuli, esservi<br />
a Venezia due cose diffic<strong>il</strong>i a sopprimersi, 1’ abitudine di bestemmiare<br />
e quella di vestire alla francese, non che in un ac<br />
(1) M ììn tz , Histoire de Vari pendant la Renaissance (Italie), voi. I,<br />
pagg. 310-324.<br />
(2) B a u d r i l l a r t , op. cit., voi. III, pagg. 391-94 e 401 e segg.<br />
(3) Giusto quanto osserva in proposito N. C a m p a n in i , Ars siricea<br />
Regii, Reggio Em<strong>il</strong>ia, 1888, pagg. 3(5-37.<br />
(4) V. Cian, a pag. 155 della sua edizione del Cortegiano.
8 IL LUSSO DI ISABELLA D’ESTE MARCHESA DI MANTOVA<br />
cenno rii Paolo Giovio e in una sfuriala retorica di Pellegrino<br />
Moretto nel suo libro Del significalo dei colori (1). L’ antico<br />
Diario ferrarese si fa beffe fin dal 1494 di coloro che portano<br />
certi tabarri « con capuzini di drieto piccoli a la spagnola »,<br />
per cui « pareno buffoni » ; e nel 1500 e nel 1502 nota i vestiti<br />
a la franzese e al modo de Alemannia, che s’ erano introdotti<br />
in Ferrara (2). E un vecchio cortigiano brontolone di quella<br />
Corte, rammentando in una pagina notevolissima di certa sua geremiade<br />
le foggie cangiate in Ferrara nella prima metà del Cinquecento,<br />
conchiude: « quante usanze da quel tempo sin a oggi<br />
sono venute in Italia tutte sono state invenzione de’ Francesi,<br />
che sebbene lo Spagnuolo, 1’ Alemanno ed altro hanno apportato<br />
qualche novello costume, non è stato tanto variato, nè tanto imitato<br />
quanto <strong>il</strong> francese » (3). E <strong>il</strong> Sansovino, pure in quel torno,<br />
lamentava « che gli Italiani, dimenticatisi di esser nati in Italia,<br />
et seguendo le fattioni oltramontane, hanno co’ pensieri mutato<br />
lo habito della persona, volendo parere quando francesi e quando<br />
spagnuoli » (4). Non doveva correr molto tempo e si sarebbe <strong>il</strong><br />
dì della Sensa esposta ogni anno a Venezia in Merceria una pupattola<br />
che indicava 1’ ultimo modello parigino dei vestiti nuovi,<br />
uso che fu ben presto imitato anche in Toscana ed altrove.<br />
Ora, che in tutte queste recriminazioni, in tutti questi lamenti,<br />
vi sia del giusto, nessuno nega. La rapida evoluzione del costume<br />
nel nostro Cinquecento subì anche gl’ influssi della moda straniera<br />
(5). Ma ciò che non è punto vero (e uno studio analitico sul<br />
soggetto lo dimostrerebbe) è che sul lusso italiano di quel secolo<br />
abbia avuta efficacia unica od almeno preponderante l ’imitazione<br />
di mode forestiere. È questa un’ antica abitudine di dar la colpa<br />
agli stranieri di certe innovazioni che non approviamo. Sin dal<br />
secolo xiv G. V<strong>il</strong>lani gettava la colpa del lusso fiorentino sulle<br />
mode francesi venute in Firenze col duca d’Atene nel 1342,<br />
concludendo: « Questa stranianza d' abito, non bello nè onesto,<br />
(1) Cfr. anche Cian, Luci ed ombre nel Rinascimento italiano, in<br />
Gazzetta letteraria, anno XVIII, n. 41.<br />
(2) M u r a t o r i . R. 1. S., voi. XXIV, coll. 297, 387, 399.<br />
(3) A . S o l e r t i , La vita ferrarese nella prim a metà del secolo xvi,<br />
descritta da Agostino Mosti, Bologna, 1892, pag. 29.<br />
(4) F. M u t i n e l l i , Del costume veneziano, Venezia, 1831, pag. 91.<br />
(5) M u n t z , Renaissance, voi. II, pag. 167 e segg.<br />
IL LUSSO DI ISABELLA D’ ESTE MARCHESA DI MANTOVA 9<br />
fu di presenti) preso pei- gli giovani di Firenze, e per le donne<br />
giovani con disordinati manicottoli, come per natura siamo disposti<br />
noi vani cittadini alle mutazioni de’ nuovi abiti, e i strani<br />
contraffare oltre al modo d’ ogni altra nazione; ciò fu segno di<br />
futura mutazione di stato» (1). Ma a questa asserzione, che <strong>il</strong><br />
guardingo Muratori nella sua XXII dissertazione menò buona,<br />
traendone ammonimento contro la nazione francese infettante, a<br />
dir suo, l ’italica moderazione, fu giustamente opposto da altri (2)<br />
che prima di quel tempo Galvano Fiamma lamentava la mutazione<br />
dei costumi, cioè l’ introdursi delle vesti spagnuole, del taglio<br />
de’ capelli alla francese, del cavalcare alla tedesca, e chi<br />
più ne ha più ne metta. E si opposero le numerose leggi suntuarie<br />
anteriori, che stanno a dimostrare quanto antica fosse<br />
quella pianta sempre rifiorente del lusso.<br />
Gli è che nelle bisogne riguardanti la moda s’ è fatto sentire<br />
sempre, più stridente che in altre materie, <strong>il</strong> contrasto fra<br />
i novatori ed i conservatori; ed i conservatori sogliono essere<br />
sempre laudatores temporis acli. Non per nulla Dante, eh’ era<br />
un conservatore della più bell' acqua, metteva in bocca a Cacciaguida<br />
quell’ aspro rimbrotto ai cittadini della nova Firenze<br />
infiacchiti nel lusso ed alle loro femmine contigiate dal volto dipinto,<br />
come se entro la cerchia antica ogni donna vegliasse solamente<br />
a studio della culla ed ogni uomo fosse un Cincinnato!<br />
Illusione che si rinnoverà sempre finché esisteranno gli uomini<br />
e che trova una spiegazione psicologica analoga a quella che di<br />
certi rimpianti abituali nei vecchi diedero <strong>il</strong> Castiglione nel<br />
Cortegiano (II, 1) e Giacomo Leopardi nei Pensieri (n. 39). In<br />
realtà <strong>il</strong> lusso è sempre derivato da una condizione di ricchezza<br />
e di relativa civ<strong>il</strong>tà : solo esso ha assunto esplicazioni differenti<br />
a seconda dei tempi e dei luoghi. Se un giorno si farà (e sarebbe<br />
bello si facesse) la storia delle censure del lusso, sia da parte<br />
dei moralisti, sia da parte delle autorità civ<strong>il</strong>i, questa storia dimostrerà<br />
meglio d’ ogni altra cosa <strong>il</strong> ripresentarsi continuo del<br />
lusso e gli sforzi continui, quanto inut<strong>il</strong>i, per soffocarlo. Le leggi<br />
suntuarie romane sono già un’ imitazione di quelle greche pro-<br />
(1) Cronica, libro XII, cap 4.<br />
(2) Dal F e r r a r i o nell' indigesto operone 11 costume antico e moderno,<br />
IX, II, pag. 408 e segg., e poi dal Fabretti e da parecchi altri.
1 0 IL LUSSO DI ISABELLA D’ ESTE MARCHESA DI MANTOVA<br />
mulgate da Licurgo e da Solone. In Italia abbiamo un’ immensa<br />
letteratura di statuti suntuari, i quali da Messina, che ne ebbe<br />
già prestissimo essendo 1’ emporio di tutti i mercanti d’ Europa<br />
ne’ traffichi con 1’ Oriente, vennero su su in tutte le città italiane<br />
(1). Ed erano molte volte severissimi. Una legge bolognese<br />
del 1401 prescriveva che tutte le vesti nuove fossero bollate col<br />
sig<strong>il</strong>lo degli Anziani; limitava l’ oro e l’ argento da portarsi sul<br />
capo e nelle vesti; stab<strong>il</strong>iva <strong>il</strong> numero degli abiti di seta che poteva<br />
tenere ogni donna; proibiva le pelliccie di qualche ricchezza;<br />
imponeva persino la dimensione delle maniche e dei manicotti,<br />
la lunghezza delle gonne e ordinava come dovessero essere le<br />
frangie e le scarpe ! (2) Eppure non se ne risentì alcun vantaggio<br />
o fu effimero. Le leggi suntuarie antiche hanno l’aria delle<br />
leggi forestali moderne : più se ne bandiscono e meglio si trova<br />
11 modo di eluderle. V ’ ha uria novella del Sacchetti (la 137*) che<br />
c’ insegna quali loiche fossero «senza studiare o apparare leggi »<br />
le donne fiorentine, allorché si trattava di farla in barba agli<br />
ordinamenti suntuari. Ci mettevano tutta quella buona voglia e<br />
quella innegab<strong>il</strong>e ab<strong>il</strong>ità che oggi spiegano nel fare <strong>il</strong> contrabbando<br />
! La prova migliore dell’ inanità di quelle leggi sta nel<br />
fatto che in certe città, come ad esempio Firenze, si sentiva<br />
<strong>il</strong> bisogno di rinnovarle ogni dieci e persino ogni cinque anni.<br />
Venezia almeno, astuta in questa come in tante altre cose, promulgava<br />
le sue disposizioni repressive del lusso, ma poi accordava<br />
priv<strong>il</strong>egi, segnatamente ai nob<strong>il</strong>i, che erano quelli per<br />
cui in vero la proibizione aveva maggior ragione di essere (3).<br />
(1) Non che uno studio, manca di questi statuti persino una bibliografia.<br />
Qualche indicazione è in P a s t o r , Gesch. der Pdpsle, voi. Ili, pag. 36,<br />
n. 5; ma è appena un accenno alle fonti più note. Vedi B a u d r i l l a r t ,<br />
op. cit-, voi. Ili, pag. 630 e segg.; C a m p a n in i, op. cit., pag. 58 e seguenti,<br />
e la bella memoria di A . F a b r k t t i , Statuti e ordinamenti suntuarii<br />
in Perugia dui 1266 al 1536, in Mem. dell’Accad. di Torino,<br />
serie II, voi. 38, pag. 137 e segg. Che le leggi suntuarie messinesi<br />
del 1272 fossero proprio le prime d’ Italia, come afferma <strong>il</strong> S a lo m o n e - M a -<br />
r i n o in Arch. stor. Sic<strong>il</strong>iano, nuova serie, voi. I, pag. 220, non è del<br />
tutto vero; ma furono delle prime e non senza ragione.<br />
(2) V. D a l l a r i - G a n d i n i , Lo statuto suntuario bolognese del 1401<br />
e <strong>il</strong> registro delle vesti bollate, Bologna, 1889.<br />
(3) M o l m e n t i , op. cit., pagg. 310 e segg.; B a u d r i l l a r t , op. cit.,<br />
voi. Ili, pag. 345 e segg.<br />
IL LUSSO DI ISABELLA D’ ESTE MARCHESA DI MANTOVA 11<br />
Così le cose camminavano su per giù come prima. Nel 1514 si<br />
stab<strong>il</strong>ì in Venezia una speciale magistratura per frenare <strong>il</strong> lusso<br />
esorbitante, quella dei procvecl<strong>il</strong>ori alle pompe, che dovevano<br />
specialmente impedire l’ abuso delle gioie; ma neppure essi'rinnovarono<br />
<strong>il</strong> mondo. Nè giunsero a raddrizzare le gambe ai cani<br />
i predicatori e 1’ autorità ecclesiastica, che in luogo di multe e<br />
di carcere minacciavano scomuniche e inferno. Sin dal 1274 G regorio<br />
X proibì in tutto l’orbe cattolico gli ornamenti femmin<strong>il</strong>i;<br />
ma nel secolo xv, quando in Italia prima san Bernardino da<br />
Siena, poi frate Girolamo Savonarola, e in Francia <strong>il</strong> carmelitano<br />
Tommaso Connette bruciarono in piazza, con altre profanità,<br />
capelli finti e lisci e ging<strong>il</strong>li ed ogni altra maniera di bagaglio<br />
satanico, furono quelli di gran bei falò ! Eppure in pochi<br />
mesi s’ eia daccapo.<br />
Un particolare, peraltro, non va dimenticato quando si discorre<br />
di lusso e di quella capricciosa signora che lo fomenta,<br />
la moda. Instab<strong>il</strong>e costei fu sempre ed i lamenti sulla sua variab<strong>il</strong>ità<br />
risalgono molto indietro nella cronologia (1). Ma sta <strong>il</strong><br />
fatto che per ragioni storiche, artistiche, economiche diverse, in<br />
nessun tempo antico fu la moda così incostante, in nessun tempo<br />
v’ ebbe tante e così capricciose foggie come nel nostro Cinquecento.<br />
Ad uno scrittore ed artista vissuto in quel secolo, che ci<br />
lasciò <strong>il</strong> miglior libro sulle foggie del tempo suo, scappò detto che<br />
gli abiti donneschi erano allora « variab<strong>il</strong>i più che le forme della<br />
luna » (2). E in questa variab<strong>il</strong>ità v’ è pure un elemento, che oggi<br />
ormai non si conosce quasi più: l ’ elemento individuale. Oggi la<br />
moda muta spesso ; ma essa è una tiranna che tiene tutti i suoi<br />
sudditi sotto una disciplina ferrea. Nel Cinquecento invece, specie<br />
nella prima metà, all’ individuo era lasciata molto maggior libertà<br />
d’ azione. Il fatto fu già avvertito dal Burckhardt (3), ma<br />
non vorremmo vi si ravvisasse troppo quella tendenza all’ individualismo<br />
che 1’ erudito svizzero ha senza dubbio esagerata. Il<br />
capriccio personale non generava già 1’ anarchia: le foggie<br />
uniformi, di prammatica, erano anzi consacrate dall’ uso (4),<br />
(1) M e r k e l , Corredi, pag. 77.<br />
(2) C e s a r e V e c e l l i o , Habiti <strong>antichi</strong> et moderni, Venezia, 1598,<br />
pag. 109.<br />
(3) Civ<strong>il</strong>tà del Rinascimento, voi. II, pag. 128.<br />
(4) M e r k e l , Corredi, pag. 53.
1 2 ' IL L a s so DI ISABELLA D’ ESTE MARCHESA DI MANTOVA<br />
tanto è vero che <strong>il</strong> dottor bolognese Alessandro Ach<strong>il</strong>lini (uno<br />
degli esempi additati dal Burckhardt per sostenere l ’ indipendenza<br />
delle mode individuali) quando se n’ andava « modulatis<br />
passibus, coccina in toga exoleti moris, astrictas videlicet habente<br />
manicas, et nullis a tergo defluentibus rugis, lutrina pelle fimbriatus*,<br />
faceva ridere gli scolari, «ridendus videbatur» (1).<br />
Segno manifesto che l ’individualismo non salvava dal ridicolo<br />
chi, senz’ essere in una posizione priv<strong>il</strong>egiata, voleva introdurre<br />
delle eccentriche innovazioni nell’abito. Non per nulla la Raffaella<br />
ammaestrava: « Voglio che una giovene ogni pochi giorni muti<br />
veste, e non lasci mai foggia che sia buona ; e se ’l suo giudicio<br />
le bastasse a trovar foggie nuove e belle, sarebbe molto al proposito<br />
che spesso ne mettesse innanzi qualcuna; ma, non le bastando<br />
<strong>il</strong> giudicio, appicchisi a quelle delle altre che sien tenute<br />
migliori » (2). Dunque l’iniziativa individuale si consentiva, anzi<br />
si lodava ed ammirava; ma solo nei casi chetale iniziativa movesse<br />
da persona ragguardevole e d’ eletta intelligenza artistica.<br />
Costei poteva trovare le foggie: a costei era dato guidare la<br />
volub<strong>il</strong>e dea della moda, anziché seguirla ciecamente.<br />
Nella marchesa di Mantova, che per tanti anni tenne lo<br />
scettro d’ ogni eleganza e d’ogni gusto d’ arte, noi vedremo precisamente<br />
una delle creature priv<strong>il</strong>egiate a cui fu concesso di<br />
esercitare un impero anche nel regno della moda.<br />
I.<br />
Il guardaroba di Isabella d’ Este.<br />
Vesti di seta e broccati. — Imprese e divise intessute. — «Albernie» e «camorre».<br />
— L’uso delle maniche separate. — I vestiti da lutto. — La<br />
biancheria personale. — Beatrice Sforza e Isabella d’Este inventrici di<br />
mode. — Rivalità e gelosia tra Isabella e Lucrezia Borgia. —La Regina<br />
di Francia in gara col lusso delle gent<strong>il</strong>donne italiane.<br />
Allorché <strong>il</strong> 23 febbraio 1490 fu fissata la dote d’ Isabella<br />
d Este, che sedicenne doveva andar sposa a Francesco Gonzaga,<br />
le furono assegnate, oltre i gioielli ed altre preziosità di cui<br />
(1) Giovio, Elogia vir. lit. <strong>il</strong>i, Bas<strong>il</strong>ea, 1577, pag. 112.<br />
(2) A l e s s . P i c c o l o m i n i , La Raffaella, M<strong>il</strong>ano, 1862, pag. 18.<br />
I. - IL GUARDAROBA DI ISABELLA D’ ESTE 13<br />
discorreremo in seguito, « vestas quamplures ex sirico diversorum<br />
colorum, et ex auro et argento, et ex utroque egregie laboratas,<br />
drapamentaque quamplurima ornatissime laborata ». E<br />
dalle vesti appunto, per imporci un po’ d’ ordine, comincieremo<br />
<strong>il</strong> nostro esame del lusso della marchesa.<br />
Nelle parole or ora trascritte dell’ istrumento dotale si parla<br />
di vesti di seta e di vesti intessute d’ oro e d’argento. L’ uso delle<br />
vesti intessute di seta e d' oro fu recato in Italia dall’ Oriente nel<br />
secolo xii con l’ industria dei drappi serici, che ben presto dalla<br />
Sic<strong>il</strong>ia passò in Toscana e di là in altre parti della penisola (1).<br />
I broccati dei tempi più <strong>antichi</strong> solevano, seguendo 1’ uso orientale,<br />
esser disegnati ad animali realmente esistenti, come aqu<strong>il</strong>e,<br />
fagiani, pavoni, tigri, leopardi, ecc., o ad animali fantastici, come<br />
liocorni e grifoni, od anche a pomi, palme, barre e fascie di<br />
ogni genere. Gli esempi ne sono infiniti: trascegliamone alcuni.<br />
In un corredo ferrarese del secolo xiv ci imbattiano in « unam<br />
cotam pani zetaioli cum foietis argenti et deauratis » e in<br />
« unum gabanum pani verdis cum foietis argenti »(2). Anna Sforza,<br />
quando andò a marito, aveva una veste fatta a leoni (3). Nel corredo<br />
di Nannina de’ Medici edito dal Marcotti (4) troviamo delle<br />
saie a uccellini, e nel famoso tesoro del re Giannino non mancava<br />
un drappo d'oro fino a pappagalli (5). L’imponente corredo<br />
d’ Ippolita Sforza ha, fra i molti altri, « tessuto uno morello<br />
chiaro broccato d’ argento a la damaschina relevato a raze et<br />
colombine cum uno fornimento d’oro cum zoie » (6). Ma <strong>il</strong> moltiplicare<br />
sim<strong>il</strong>i citazioni sarebbe troppo agevole, onde riuscirà<br />
(1) Fa. M i c h e l , Recherches sur le commerce, la fabrication et<br />
l’usage des ètoffes de soie, d’or et d’argent en Occident, Paris, 1852,.<br />
voi. I, pag. 74 e segg. Cfr. L. A. G a n d i n i , De arte textrina, Roma, 1887,.<br />
pag. 11 e segg.<br />
(2) S o l e r t i , Due corredi di nozze nel secolo xiv, in Gazz. lett.,<br />
a. XII, n. 11.<br />
(3) G. A. V e n t u r i , Anna Maria Sforza sposa ad Alfonso d’ Este,<br />
per nozze Callaini-Luciani, Firenze, 1880, pag. 29.<br />
(4) Un mercante fiorentino e la sua fam iglia, per nozze Nardi-<br />
Arnaldi, Firenze, 1881.<br />
(5) C. Mazzi, Il tesoro d’ un Re, per nozze Gorrini-Cazzola, Roma,<br />
1892, pag. 15.<br />
(fi) M o t t a , N ozze principesche nel Quattrocento, per nozze Trivulzio-Della<br />
Somaglia, M<strong>il</strong>ano, 1894, pag. 76.<br />
2
I l<br />
IL LUSSO DI ISABELLA D 'E STE MARCHESA DI MANTOVA<br />
più ut<strong>il</strong>e 1’ avvertire che fin da tempi <strong>antichi</strong> accade di trovare,<br />
presso ai disegni senza parole intessuti nelle stoffe, anche dei<br />
disegni simbolici e delle iscrizioni. È questo pure un uso orientale<br />
passato in Occidente, ove troviamb già nel xiv e nel xv secolo<br />
le stoffe così dette litera la e (ì). Lettere e d ivise (2) erano<br />
ora intessute, ora ricamate. Nel corredo di Elisabetta Gonzaga<br />
Montefeltro v’ è « uno paro de maniche de raso cremesino cum<br />
recami de perle facti a lettere » (3). Nel menzionato corredo di<br />
Ippolita Sforza troviamo « tessuto uno de cremes<strong>il</strong>e d’ oro a la<br />
damaschina relevato cum el cane et pino », cioè l’impresa di Francesco<br />
Sforza. E al bollo bolognese, secondo lo statuto del 1401,<br />
fu presentata anche una veste che, non senza umorismo, è così<br />
descritta: «Domina Francisca, uxor Iacobi de Sanutis notarii<br />
dominorum defensorum artium et libertatis civitatis Bononiae, presentavi<br />
ex d<strong>il</strong>etione quam gerit dicte sue uxori, sibi gratiam faciendo,<br />
unam vestem turlizatam ad undas, de veluto grane cum<br />
foliis auratis, ac scarlato mixto cum veluto in dictis undis, qui<br />
licentiam habet navigandi in dicta veste et per dictas undas prosperis<br />
ventis aflantibus » (4). Onde non è meraviglia che Isabella<br />
Gonzaga, poco dopo <strong>il</strong> matrimonio, scrivesse a Ferrara,<br />
ove 1’ arte tess<strong>il</strong>e dei broccati era assai progredita (5), facendosi<br />
inviare da Bernardino Prosperi i « desegni de le nostre arme<br />
et divise di drappi » (6). Ma nonostante quest’ uso, dovettero i<br />
Ferraresi stupire allorché comparve nella città loro, l'anno 1493,<br />
Beatrice Sforza, la fastosa sorella della marchesa di Mantova, con<br />
« una camòra de tabbi cremexino rachamata al porto del fanale,<br />
et supra le maniche teniva due torre per cadauna et due altre nel<br />
pecto et due de dreto» e secolei Anna Sforza con « una vesta de<br />
damasco beretino et morello cerchiata de raso cremexino cum al<br />
(1) P. L a n z a d i S c a l e a , Donne e gioielli in Sic<strong>il</strong>ia, Palermo, 1892,<br />
pagg. 158-59.<br />
(2) Questo termine francese fu usato spesso per indicare le imprese<br />
cosi care ai nostri vecchi ; ma in molti casi riteniamo che la divisa sia<br />
differente dall’ impresa in questo, che mentre l’ impresa doveva avere<br />
anim a e corpo (cioè motto e disegno), la divisa recava solo <strong>il</strong> corpo.<br />
(3) L u z i o - R e n i e r , Mantova e Urbino, Torino, 1893, p a g g . 294 e 302.<br />
(4) D a l l a r i- G a n d i n i, o p . c i t , p a g . 45.<br />
(5) L . N. C i t t a d e l l a , Notizie relative a Ferrara, Ferrara, 1864,<br />
pag. 501 e segg.<br />
(6) Copialettere del marchese, L. 136, data 18 giugno 1890.<br />
I. - IL GUARDAROBA DI ISABELLA D’ ESTE 15<br />
cune lettere de oro masizo » (1). Evidentemente quelle lettere e<br />
quelle divise non erano intessute, ma r<strong>il</strong>evate, anzi cucite nella<br />
stoffa. Altrimenti non si spiegherebbe <strong>il</strong> curioso fatto che Amico<br />
Maria della Torre riferiva al giovinetto Federigo Gonzaga, nel<br />
narrargli d’ un solenne banchetto offerto da Isabella a certi suoi<br />
ospiti <strong>il</strong>lustri: «Sedendo a tavola M.a vostra matre alla cena<br />
soprascritta, havendo una veste la Ex.u“ Sua indosso da li candelerii<br />
d' oro, che la porta per insignia et impresa, gli ne furono<br />
robbati setti denanti da la veste ». Dalla sorella Beatrice<br />
probab<strong>il</strong>mente, che in un paio d’ anni s’ era fatti ottantaquattro<br />
vestiti nuovi (2), ebbe Isabella nuovo stimolo alla ricchezza degli<br />
abiti. Nei soggiorni m<strong>il</strong>anesi la buona marchesa avrà dovuto commettere<br />
di gran peccati di desiderio ! E certo la bella lettera<br />
con cui Beatrice la informava delle nozze straordinariamente<br />
sfarzose di Bianca Maria (3), ove la giovane imperatrice comparve<br />
con la veste « de raso cremesino, recamata richissimamente a<br />
razi d’ oro, cum lo burbo pieno de zoye » (4) e Beatrice medesima<br />
con la famosa camòra che aveva « la balzana del passo<br />
cum li vincii d’ oro masizo » (5), dovette dare alla marchesa assente<br />
una specie di capogiro. Gent<strong>il</strong>e pensiero fu quello del Moro<br />
di regalare alla marchesa, nel 1494, tredici braccia di panno<br />
d’ oro « rizo sopra rizo facto a la divisa sua della colombina » (6).<br />
Del resto, già nel 1492, <strong>il</strong> Moro 1’ aveva condotta a scegliere<br />
una stoffa preziosa da un mercante di M<strong>il</strong>ano. Isabella scelse<br />
« uno rizo soprarizo d’ oro cum qualche argento, lavorato ad<br />
una sua divisa che si dimanda el fanale, zoè el porto de Genua,<br />
che sono due torre cum uno breve che dice : Tal trabajo m ’es<br />
piacer por tal thesauro no perder » (7). Quella stoffa costava<br />
quaranta ducati <strong>il</strong> braccio, cioè 440 delle nostre lire, e tenendo<br />
(1) L u z i o - R e n i e r , Relazioni d’Isabella con Ludovico e Beatrice<br />
Sforza, M<strong>il</strong>ano, 1890, pag. 78.<br />
(2) Ibid, pag. 69.<br />
(3) Ibid., pag. 89 e segg.<br />
(4) T r . C a l c h i , Residua, M<strong>il</strong>ano, 1644, pag. 105.<br />
(5) Fatto fare su d’ una fantasia del poeta Niccolò da Correggio.<br />
L u z i o - R e n i k r , Relazioni cit., pagg. 87-88.<br />
(6) Relazioni cit., pag. 106.<br />
(7) Relazioni c it, pag. 62. Sanammo alla meglio lo spagnuolo del<br />
motto, così deturpato nel documento: Tal trabalio mes plases par tal<br />
thesauros non perder.
1 6 IL LUSSO DI ISABELLA D 'E S T E MARCHESA DI MANTOVA<br />
conto che <strong>il</strong> denaro aveva allora un valore quasi quintuplo di<br />
quello che ha oggi, potremmo calcolare quel broccato a circa<br />
duem<strong>il</strong>a lire <strong>il</strong> braccio.<br />
1 broccati d'oro ricci sopra ricci] o sopraricci che dir si<br />
vogliano, contavano infatti fra i più preziosi e occorrono spesso<br />
nei corredi principeschi. Delle dame veneziane dice l’ Aretino<br />
nel Marescalco (atto II, scena 5): « Esse sono tanto belle quanto<br />
nob<strong>il</strong>i, e tanto nob<strong>il</strong>i quanto altere, et essendo così, i ricci sopra<br />
ricci, gli cremesi, gli squarciamenti, i ricami, le gioie e le foggie<br />
sariano da esse usate di maniera, che <strong>il</strong> tesoro ammontato da<br />
la virtù veniziana si consumeria, come la neve al sole ». Il soprariccio<br />
era un tessuto a trama doppia del riccio o ricciuto (1),<br />
<strong>il</strong> quale a sua volta, più comune, aveva <strong>il</strong> pelo non tagliato,<br />
in modo che <strong>il</strong> f<strong>il</strong>o d’ oro « ergendosi sul piano dell’ ordito, formava<br />
piccoli anelli o virgole d’ oro, risplendenti ora sì ora no,<br />
come fanno le lucciole » (2). L’ Urbani de Glieltof ha offerto al<br />
pubblico dei disegni di damaschi e broccati rizadi e soprarizzo (3).<br />
Ma chi voglia vederne degli splendidi campioni, ricorra alle tele<br />
di quel gran pittore di stoffe che è Carlo Crivelli (4) ed alle colossali<br />
statue di bronzo che circondano <strong>il</strong> sarcofago dell’ imperatore<br />
Massim<strong>il</strong>iano nella chiesa dei Francescani ad Innsbruck.<br />
Ma queste stoffe e queste vesti di parata non erano certo d’uso<br />
comune. Le commissioni d’Isabella, che fioccavano veramente,<br />
soprattutto nei primi anni del suo matrimonio, ai suoi corrispondenti<br />
veneziani, specie a Giorgio Brognolo (5), ed ai ferraresi,<br />
specie a Girolamo Z<strong>il</strong>iolo, riguardavano più spesso velluti, rasi,<br />
sete, tabi (6). A Mantova stessa si fondò nel 1523 una fabbrica<br />
(1) « Sed et eumdem habitum multifariam variantes, rasis aliis et levigato<br />
operi sim<strong>il</strong>limis, crispis aliis pexis ac squammosis, duplici etiam<br />
gradu superfluente materia, quales bis ricios pannos vocare vulgus<br />
solet». Ta. C a l c h i , Resìdua, pag. 64.<br />
(•2) L. A . G a n o i n i , in L u z i o - R e n i e b , Mantova e Urbino, p a g . 297.<br />
(3) Les arts industriels à Venise, Yenise, 1885, pagg. 141-142.<br />
(4) D’ una splendida stoffa uccellala è <strong>il</strong> manto della Vergine del<br />
Crivelli nella galleria di Pest, quadro che rammentiamo qui perchè meno<br />
noto e meno in vista degli altri suoi.<br />
(5) Fu anche oratore del marchese di Mantova a Venezia e poi a<br />
M<strong>il</strong>ano. Vedi S a n u d o . Diarii, voi. I, pagg. 665, 682 e 832; voi. II, pagine<br />
26, 51, 63, 66, ecc. Pare morisse intorno al 1500<br />
(6) Una specie di broccatello (vedi M e r k e l , Tre corredi, pagg. 73-74),<br />
[. - IL GUARDAROBA DI ISABELLA D’ ESTE 17<br />
di velluti, rasi e damaschi; e quando Isabella poteva attirare<br />
alla sua Corte qualche valente artefice anche in questa partita,<br />
n’era ben paga. Così accettò subito, nel 1491, « una donna greca<br />
che lavora d’ ago delicatissimamente » (certo una ricamatrice) (1),<br />
offertale da Costanza d' Àvalos. Ma in genere amava rivolgersi<br />
fuori di Mantova, e i luoghi a cui faceva capo di solito erano,<br />
come notammo, F errara e Venezia. Tutto <strong>il</strong> suo vivo, anzi irruente,<br />
desiderio di novità eleganti traspare in una lettera allo Z<strong>il</strong>iolo<br />
del 2 apr<strong>il</strong>e 1491, che figura nel copialettere. Essa manda cento<br />
ducati d’oro con una lista di cose da comperare, « protestandove<br />
che non habiati a retornare alcuno indreto \de' ducati], perchè<br />
comparate queste cose, s’el ve restasse dinari in mane, spendeteli<br />
in qualche cadenella o cosa gallante et nova, et in quello vui<br />
judicareti ce habia a gustare. Et se questi dinari non bastaranno,<br />
meteteli de li vostri, che subito ve li restituiremo et saremo più<br />
contenta de esser vostra debitrice che creditrice, purché ne portati<br />
diverse gallantarie, ma in specie queste sono le cose che volemo».<br />
E qui segue la lista, con amatiste intagliate, paternostri d’ ambra<br />
neri e d’oro, panno celeste per una camòra, panno nero per una<br />
albernia « de quello che non avesse paragone al mondo, et non<br />
guardate a dinari s’el costasse ben dece ducati el brazo, pur eh’ el<br />
sia in tutta excellentia, perchè quando fusse de quello che avesse<br />
de li altri parangoni, voressimo più presto che lassasti stare ».<br />
Ordina pure tela rensa della più bella ed altro; e in fine raccomanda<br />
di « cavar de sotto terra qualche cosetta galantissima,<br />
che non ce potresti fare cosa più grata ». In questa lettera è<br />
tutta Isabella nelle sue voglie impetuose di sposa non ancor diciottenne.<br />
I capi di vestiario che la marchesa nomina più di frequente<br />
sono la camòra e la sbernia, o albernia, com' ella preferisce<br />
chiamarla. Nel dicembre del 1492 aveva ordinato una camòra<br />
che altri definisce « grosso taffetà ondato, ossia marezzato ». B o r z e l l i ,<br />
in Rassegna stor. napolitana, I, 138.<br />
(1) Non appare dai documenti nostri che Isabella facesse grande<br />
uso di ricami. Qualche attestazione importante in proposito è in M e -<br />
l a n i , Svaghi artistici fem m in<strong>il</strong>i, M<strong>il</strong>ano, 1891, pag. 42. Il 16 ottobre 1524<br />
ordinava a Firenze, un crocifisso a ricamo « perchè sapemo che in<br />
Firenze sono meliori maestri de recami che non sono qua in Mantova<br />
».
1 8 IL LOSSO DI ISABELLA D’ESTE MARCHESA DI MANTOVA<br />
de raso berelino et morello (1) ad Alberto da Bologna; ma costui<br />
tirava troppo per le lunghe, ed ecco Isabella che monta in<br />
furia e lo fulmina con queste righe: « INJe pare che non solamente<br />
babbi perso la memoria per la cascata che dici facesti qua,<br />
ma che el male che hai adosso te abbia anche privo di cervello<br />
o che te abbi cavato li occhi, che non possi legere. Et però havemo<br />
voluto replicarti minutamente quello che volemo, doppo che<br />
cognossemo che non intendi <strong>il</strong> testo senza commento. Togli fora<br />
de salvarobba el cavezo de raso berettino et morello d^a le liste<br />
larghe che facessimo fare a Venetia; et in esso fa tagliare una<br />
camora che abbia le bande al pecto a la francese, fodrate de veluto<br />
negro et cusì alle maneghe, facendola ornare pur de veluto<br />
negro, et gli farai mettere le stringhe negre che siano longhe<br />
corno furono quelle che nui aconzassimo a la camora de veluto<br />
negro (2). Nel resto ce remetemo a la d<strong>il</strong>igentia et sufficientia<br />
che sei solito usare quando ne sei apresso». V ’è <strong>il</strong> zuccherino<br />
in fondo. Ed avendo Alberto eseguito gli ordini, la buona quanto<br />
focosa giovinetta lo assicurava <strong>il</strong> 13 dicembre che le lettere rebuffalorie<br />
erano state scritte per schirzo. Le camóre della Gonzaga<br />
sembra anche godessero d’ una certa celebrità, perchè troviamo<br />
che nel 1506 la marchesa di Cotrone, cioè la moglie di<br />
don Antonio Centiglies, conte della Rocella, marchese di Cotrone<br />
e duca di Catanzaro (3), gliene fece chiedere una per modello,<br />
ed Isabella si lasciò indurre di buon grado a mandargliela. Ciò<br />
r<strong>il</strong>eviamo dalla seguente lettera da lei diretta <strong>il</strong> 12 ottobre 1500<br />
a Fioramonte Brognolo : «Il vostro cancelliere me ha dicto da<br />
(1) Il berettino era color cenerognolo spesso tendente al violaceo<br />
(cfr. M u s s a p ia , Iìeitrag, Wien, 1 '73. pag. 33; B o r z e l l i , in Rassegna<br />
stor. napoletana, I, 138; G a n d i n i , De arte textrina, Roma 1887, pag 6,<br />
e <strong>il</strong> nostro Mantova e Urbino, pag. 3 i0); <strong>il</strong> morello era <strong>il</strong> nostro<br />
p av o D a z z o , o violato purpureo, come lo chiama 1' E q u i c o l a (Mantova e<br />
Urbino, pag. 297).<br />
(2) Queste stringhe devono essere i nastrini che si vedono svolazzare<br />
dalle maniche di Beatrice Sforza, tanto nel ritratto di lei eh' è nella<br />
pala di Brera, attribuita a Zenale, quanto nella statua che copre <strong>il</strong> suo<br />
sarcofago nella Certosa di Pavia. Il V e c e l l i o , Habiti, pag 164. ne fa<br />
una caratteristica della foggia m<strong>il</strong>anese.<br />
(3) Isabella la conobbe a Ferrara, in occasione delle nozze di Alfonso<br />
con Lucrezia Borgia, e poi 1' ebbe secc a Mantova. S a n u d o , Diarii,<br />
voi. IV, pag. 234.<br />
I. - IL GUARDAROBA DI ISABELLA D 'E S T E 19<br />
parte de la sig.“ Marchesa di Cotrono che la desiderarla avere<br />
una de le nostre camore per monstra per sua figliola, che viene<br />
cum la regina de Aragona; avemone facto dare una al dicto<br />
cancellere de veluto leonato listata de tela de arzente et fodrata<br />
de cendale alexandrino (l), qual gli l'areti apresentare da nostra<br />
parte». Di albernie la marchesa parla spessissimo. Nel luglio<br />
del 1490 scrive allo Z<strong>il</strong>iolo d’aver ricevuto l’albernia inviatale.<br />
E a Giorgio Brognolo <strong>il</strong> 12 novembre del medesimo anno ordina:<br />
« Desiderando nui avere una bella fuodra de zebellini per una<br />
albernia, volemo ne compriati ottanta che siano in tutta excellentia<br />
et beleza, se ben dovessi circar tutta Venetia, et veder<br />
de trovarne uno da portare in mane cum l’osso de la testa, se<br />
ben costasse dece ducati, che pur sia bello non ce agravarà la<br />
spesa. E t ultra di questo volimo ce mandiate otto braza de raso<br />
cremesino del più bello se trovi lì a Venetia et sia da parangone,<br />
perchè lo volemo per fare dieta albernia, et per Dio usateli la<br />
solita d<strong>il</strong>igentia vostra, chè non ce potresti fare cosa più grata».<br />
Pochi giorni dopo, <strong>il</strong> 28 novembre 1490, raccomanda a Iacopo<br />
Trotti di «far ritrovar dece gatti di Spagna de li più belli et<br />
grandi che sia a M<strong>il</strong>ano, per fare fodra ad una albernia». E<br />
un’ altra albernia riceveva da Genova nel gennaio 1491.<br />
Camòra e albernia o sbernia o bernia sono designazioni<br />
comunissime nell’ Italia superiore, come in Toscana la gamurra,<br />
ìa.cioppa e la giornea. Fantastiche sono le derivazioni di sbernia<br />
da vestis hiberna o peggio ancora dall’ arabo (2). Occorre bernia<br />
nello spagnuolo e bernie in francese, ed <strong>il</strong> vocabolo deriva da<br />
Hibernia (Irlanda), significando dapprima una stoffa lanosa e vellosa,<br />
che si fabbricava in Irlanda, poi, con passaggio ideologico<br />
comune, i mantelli che con quella stoffa si usava di fare (3). Come<br />
si può vedere anche dai documenti sovra esposti, eranvi sbernie<br />
(1) Stoffa leggera di seta tinta in azzurro. Cfr. G a n d i n i in Mantova<br />
e Urbino, pag. 296.<br />
(2) h'albornusium m onscum , che figura nel corredo della contessa<br />
Tornambene, è certamente veste orientale ( L a n z a d i S c a l e a , Donne e<br />
gioielli, pag. 161), ma non ha a che fare con la sbernia.<br />
(3) D ie z , Etym. Wórterb., pag. 49, e K o e r t i n g , Lai. Rom. Wórterb.,<br />
n 3945. Afferma <strong>il</strong> B i o n d e l l i (Dialetti gallo-italici) che bergna<br />
in Piemonte vale «vestito rozzo contadinesco»; ma <strong>il</strong> Sant’Albino non<br />
conosce questo vocabolo.
2 0 IL LUSSO DI ISABELLA D’ ESTE MARCHESA DI MANTOVA<br />
foderate di seta per 1’ estate, ed altre foderate di pelliccia per<br />
l ’inverno. Anche nel corredo di Elisabetta Gonzaga v’ ha una<br />
«sbergnia de raso cremesino fodrà di ermellini » e una « sbergnia<br />
de pan morello fodrà de zandal turchino » (1). Nel ricchissimo<br />
corredo di Bianca Maria Sforza trovasi una sezione intera di<br />
sbergne, tre delle quali foderate con pelo (2). Come precisamente<br />
le sbernie fossero fatte ci dice, sotto l ’anno 1494, <strong>il</strong> Diario ferrarese:<br />
« E t le donne suso le camóre di seta, d’oro et d’ argento,<br />
et di panno, maxime chi lo può fare, portano li mantelli corti<br />
ad armacollo, buttandoli in spalla a la apostolica, chiamate<br />
bernie» (3). Un manto ampio e lungo, adunque, fissato sulle<br />
spalle, che si poteva, volendo, gettare anche attorno al collo, ovvero<br />
adagiare sul braccio. Potevasi anche la sbernia portar puntata<br />
o annodata sul dinanzi, come mostra una dama genovese<br />
descritta dal Vecellio (4). Ma la si voleva pur sempre ampia, sicché<br />
l’Aretino motteggiando scrisse: « Lo pose nel catalogo de’ pazzi,<br />
menandolo in pubblico con un tappeto adosso in foggia di sbernia<br />
» (5). E <strong>il</strong> Piccolomini d<strong>il</strong>eggia le sbernie meschine, dicendo<br />
delle donne di Siena che vanno per la città «con le loro sberniette,<br />
che non gli arrivano al culo a una spanna, e aggirandosene<br />
una parte al collo, e tenendone un lembo in mano, col<br />
qual si copron mezzo <strong>il</strong> viso, van facendo le mascare per la<br />
strada» ; e altrove : « chi porta la sbernia tutta avvolta sul collo;<br />
chi se la lascia cadere di dosso per non parer di pensarvi » (6).<br />
La lunghezza della sbernia è altresì confermata dall’elenco dei<br />
doni fatti a Vittoria Colonna sposa, ove troviamo distinta accuratamente<br />
la sbernia dalla mantiglia (7). Solevasi la sbernia fissare<br />
sulla camòra, sicché sbernia e camòra formavano <strong>il</strong> vestito<br />
compiuto, o meglio una delle foggie di vestito compiuto, della<br />
gent<strong>il</strong>donna del Rinascimento. La camòra, o camòrra, detta anche<br />
(1) Mantova e Urbino, pag. 294, e <strong>il</strong>lustraz. Gandini, a pag. 302.<br />
(2) C a l v i , Bianca Maria Sforza- Visconti, M<strong>il</strong>ano, 1888, pagg 135-36.<br />
(3) M u r a t o r i , R. I. S., voi. XXIV, col. 297.<br />
(4) Habiti, pag. 178.<br />
(5) Ragionam. delle Corti, ediz. 1589, parte I, c. 11 r.<br />
(6) La Raffaella, pagg. 19, 34.<br />
(7) «Due mantiglie di broccato rizio sopra rizio» e «una bernia di<br />
damasco turchino guarnito di francie d’oro ». Napoli nob<strong>il</strong>issima,<br />
voi. Ili, pag. 67.<br />
I. - IL GUARDAROBA DI ISABELLA D 'ESTE 21<br />
zippa (1), era una veste che giungeva sino ai piedi, comprendendo<br />
la gonna ed <strong>il</strong> corpetto. Come la voce gamurra in Toscana, di cui<br />
forse è un'alterazione, aveva la parola camòra talvolta <strong>il</strong> significato<br />
di semplice gonna (2); così almeno intendiamo certa lettera<br />
di Beatrice Sforza alla madre Leonora d' Aragona riguardante<br />
una camòra che doveva ricamarle <strong>il</strong> ricamatore spagnuolo Jurba<br />
o Jorba. Infatti Beatrice vorrebbe che <strong>il</strong> ricamatore facesse i fioroni<br />
«più stretti de sopra secondo la larghezza della camòra»,<br />
essendo, com’ella stessa soggiunge, « razonevolmente la camòra<br />
più stretta de sopra che da basso ». Alla forma di una gonna ciò<br />
s’attaglia benissimo (3). Però in genere, come notammo, non consisteva<br />
nella gonna soltanto, ma anche nel corpo, altrimenti non s’intenderebbe<br />
come Beatrice potesse chiedere in prestito alla sorella<br />
marchesa <strong>il</strong> petto della camòra delle lacrime, eh’ era di broccato<br />
d'oro riccio, donato a Isabella dalla madre (4). Da molti documenti<br />
ci risulta che sopra la camòra tenevasi <strong>il</strong> manto o la sbernia (5).<br />
Nei grandi corredi, come in quello d’Ippolita Sforza e in quello<br />
di Bianca Maria Sforza, vi sono categorie speciali destinate a registrare<br />
le camòre (6) ; nel corredo di Leonora d’Aragona, quale<br />
si desume dai registri di guardaroba dell’ archivio Estense, se ne<br />
(1) G a n : ; i n i , in Mantova e Urbino, pag. 300.<br />
(2) Nel volgare perugino camorrino significò per lungo tempo sottana.<br />
Vedi F a b r k t t i nella Mem. cit., pagg. 187, 213 e 222<br />
(3) Il documento fu edito da A d . V e n t u r i , in Arch. stor. lombardo,<br />
voi. XII, pag. 2 5 3 ; ma per una di quelle strane sviste a cui vanno talora<br />
soggetti anche gli ottimi fra gli studiosi, egli scambiò la camòra<br />
con una camera! Il ricamatore Jurba fu anche alla Corte dei Gonzaga,<br />
e Isabella lo disputava a Beatrice<br />
(4) Vedi le nostre Relazioni d' Isabella con gli Sforza, pag. 88,<br />
n. 1. Anche gam urra ebbe <strong>il</strong> significato di veste intera. Il S e r c a m b i<br />
(ediz. Renier, pag 193) facendo spogliare la contessa d’Artois, le toglie<br />
prima lapalandra, quindi la gam urra, poi <strong>il</strong> p<strong>il</strong>iccione di dossi di vaio.<br />
E resta in camicia.<br />
(5) Fra i molti si vedano quelli in cui sono descritti i vestiti di Lucrezia<br />
Borgia: D 'A r c o , Notizie d’ Isabella Estense, Firenze, 1845, pagina<br />
102; L u z i o - R b n ie r , Buffoni, nani e schiavi dei Gonzaga, Roma, 1891.<br />
pag. 31. Nella solenne entrata in Ferrara Lucrezia aveva una sbernia<br />
« tutta aperta da un canto », quindi di foggia alquanto diversa dalla<br />
più comune, una sopraveste lunga e aderente.<br />
(6) M o t t a , Nozze principesche, pag. 7 5 ; C a l v i , Bianca Maria<br />
Sforza, pagg. 134-3 5 .
22 IL LUSSO DI ISABELLA D 'E STE MARCHESA DI MANTOVA<br />
trovano più di sessanta (1). Ma quando si dice che la camòra<br />
comprendeva anche <strong>il</strong> corpo, non s’intendono incluse anche le<br />
maniche. Queste nel vestiario femmin<strong>il</strong>e del tempo erano spessissime<br />
volte separate, e quasi sempre d’altra stoffa che <strong>il</strong> rimanente<br />
corpetto. F ra i m<strong>il</strong>le esempi che se ne potrebbero arrecare<br />
nell’arte, si vedano i due ritratti di Piero della Francesca, quello<br />
rappresentante Battista Sforza nella galleria degli Uffizi, e quello<br />
d’ ignota giovane nel museo Poldi Pezzoli. L'uso delle maniche<br />
uguali nella stoffa al vestito prevalse col procedere del Cinquecento,<br />
in ispecie quando si fecero strada le maniche a sbuffi dell’uso<br />
spagnuolo, che andaron di pari passo con le lattughe al collo.<br />
Nel corredo d’ Ippolita Sforza è sempre indicato quali camòre<br />
abbiano le maniche e di quale stoffa esse siano ; anche in quello<br />
di Anna Sforza si nota espressamente esservi varie camòre « cum<br />
le sue maniche» (2). Alle maniche si dava un’importanza speciale<br />
e si solevano tener separate. Nel corredo di Elisabetta Gonzaga<br />
si menzionano diverse paia di maniche, e talora una manica<br />
sola è ricamata con gemme, l’altra no (3). Nella nozze di<br />
Giangaleazzo con Isabella d’ Aragona «fuerunt », dice <strong>il</strong> Calco(4),<br />
«qui und manicd septem m<strong>il</strong>lium aureorum pretio gestarunt».<br />
Il Vecellio dice chiaro, parlando delle zitelle napolitane (5), che<br />
la loro veste « ha i braccialetti a’ quali sono appese le maniche<br />
le quali cuoprono le braccia: <strong>il</strong> verno dette damigelle portano<br />
<strong>il</strong> giubbone, et di state vanno in maniche di camicia ». Nelle vesti<br />
di Lucrezia Tornabuoni, le maniche sono sempre di stoffa e di<br />
colori diversi da quelli del vestito (6), e «sette para di maniche<br />
staccate» troviamo ancora nel corredo d'isabella infanta di Savoia<br />
andata sposa nel 1608 ad Alfonso d’ Este (7). In una nota<br />
di panni d’Alessandra Strozzi v’è « un paio di maniche di panno<br />
(1) Comunicazione del conte L. A. Gandini di Modena, uno dei pochi<br />
studiosi seri della storia del nostro antico costume che s’ abbiano in Italia.<br />
(2) Ediz. cit. di G. A Venturi, pagg. 29-30.<br />
(3) Mantova e Urbino, pagg. 294, 295, 306.<br />
(4) Residua, pag. 63.<br />
(5) Habiti, pag. 222.<br />
(6) G. L e v a n t i n i - P i e r o n i , Lucrezia Tornabuoni, Firenze, 1888, pagine<br />
28-29.<br />
(7) A. M a n n o , nelle Curiosità e ricerche di storia subalpina, voume<br />
II, pag. 164.<br />
I. - IL GUARDAROBA DI ISABELLA D’ ESTE 2 3<br />
bianco comesse a l'an tica» (1). Onde non v’è da maravigliarsi<br />
se <strong>il</strong> 14 giugno 1491 Isabella inviò in regalo ad una signora «lo<br />
brocato per uno paro de manege ». Chè non è punto vero, come<br />
sembra ritenere <strong>il</strong> Rezasco, che quest’uso delle maniche separate<br />
dall’ imbusto sia dovuto a ragioni d’ economia, per « scemare <strong>il</strong><br />
danno del logoro » (2). Anzi 1’ uso avea una ragione tutta di sfarzo.<br />
Alla ricchezza delle maniche si dava una grande importanza (3).<br />
Qualche volta si portavano lunghe (4): lunghe sino a terra usavano<br />
averle le spose veneziane della fine del secolo xv, quando<br />
andavano a marito (5). Bianca Maria Sforza nella cerimonia dello<br />
sposalizio le aveva siffattamente lunghe, che « parevano doe<br />
ale » (6), tanto che, mentre Galeazzo Pallavicino le sollevava<br />
l’enorme strascico, <strong>il</strong> conte Corrado di Landò ed <strong>il</strong> conte Manfredo<br />
Tornielli le portavano una manica pei' ciascuno ! Persino<br />
nelle camicie aveva le maniche lunghe sino a terra quella povera<br />
principessa (7), che fu mandata come una bambola suntuosamente<br />
abbigliata a recitare la parte d’ imperatrice !<br />
La nostra marchesa, nelle sue ordinazioni di stoffe, oltreché<br />
al proprio abbigliamento, aveva da pensare anche ai patii. Nelle<br />
corse dei cavalli usavasi dare in premio ai vincitori stoffe<br />
preziose, panni alessandrini, zetani, velluti, broccati (8). Isabella,<br />
che era appassionatissima pei cavalli, e nella scuderia dei Gonzaga<br />
aveva i migliori corridori d’ Italia, più di una volta ebbe<br />
a farsi venire delle stoffe col fine di assegnarle a chi si distingueva<br />
nelle corse.<br />
Anche nei lutti, non infrequenti e talora gravi, essa amava<br />
distinguersi per eleganza. Il 23 ottobre 1493, dovendo vestire<br />
in lutto per la morte della madre, si fa mandare dalla sorella<br />
Beatrice dei veli de bambace da portare in testa (9). E nel tempo<br />
(1) G u a s t i , Lettere d'una gent<strong>il</strong>donna fiorentina, Firenze, 1877, pagina<br />
611.<br />
(2) Segno delle meretrici, in tìiorn. Ligustico, XVII, pag. 162.<br />
(3) Vedi buone osservazioni in M e r k e l , Tre corredi, pagg. 52-54.<br />
(4) V e c e l l i o , Habiti, pagg. 186 e 2 4.<br />
(5) M o l m e n t i , op. cit.. pag 269.<br />
(6) Relaz. con gli Sforza, pag. 90. Maniche ad ali sono anche nel<br />
corredo d 'Ippolita Sforza. Vedi M o t t a , Nozze principesche, pag. 72.<br />
(7) C a l v i , op. cit., pag. 141.<br />
(8) G a n d i n i , De arte textrina, pag. 17.<br />
(9) Relaz. con gli Sforza, pag. 86
2 4 IL LCSSO DI ISABELLA D’ ESTE MARCHESA DI MANTOVA I. - IL GUARDAROBA DI ISABELLA D’ ESTE<br />
stesso incarica segretamente un informatore di descriverle <strong>il</strong> vestito<br />
a corrotto della sorella. E Aristeo <strong>il</strong> 25 ottobre le notifica<br />
che Sua Eccellenza «porta un vestito in( corpo di panno bruno<br />
cum maniche di panno bruno et una sbernia sopra pur di panno<br />
bruno assai longa, et in testa una scuffia di seta bruna cum li<br />
veleti di sopra non gialli nè greggi, ma pur bianchi ». Era ben<br />
diverso questo lutto civettuolo da quello della povera duchessa<br />
Isabella, quando le morì <strong>il</strong> marito Giangaleazzo. Essa vestiva<br />
« uno abito a modo una capa da frate larga et longa, che andava<br />
per terra, de uno pano da quatro soldi el brazo, negro non cimato<br />
et uno pezo di buratto tinto in capo che li copriva li occhi » (1).<br />
In quella occasione del lutto per la madre, la marchesa scrive<br />
a posta in Francia (3 gennaio 1494) alla cognata Clara Gonzaga<br />
Montpensier, «perchè sciò che in quello paese sonno panni negri<br />
molto più fini che sono questi nostri », acciò gliene invii per fare<br />
«una camorra cum le manighe et coda». Non dispiaceva, del<br />
resto, a Isabella <strong>il</strong> vestire di scuro, e senza far torto alla sincerità<br />
della sua devozione possiamo sospettare che questa pred<strong>il</strong>ezione<br />
la inducesse ai voti frequenti di vestir berettino. Come<br />
spesso le accadeva di far dei viaggi per adempiere a un voto (<strong>il</strong><br />
che a lei viaggiatrice nell’ anima non poteva tornare disaggradevole),<br />
così le avveniva anche di vestire per voto un costume<br />
scuro. Beatrice de’ Contrari, la fidatissima damigella, così scriveva<br />
al marchese <strong>il</strong> 9 luglio 1491 « Se la S. V. vedesse la Illm“ Marchesana<br />
vestita de beretino, gli piaceria tanto in questo abito<br />
che la non se poteria partire. S. Ex. s’è vestita per un voto che<br />
l’aveva già più de uno anno, et avendolo a portare solamente<br />
un mese, ha voluto tuorlo adesso che la S. V. non è qui ». Il<br />
6 giugno 1500 Isabella stessa informa <strong>il</strong> padre: « Come scià V. Ex.,<br />
da alcuni mesi in qua vesto per voto beretino».<br />
A differenza di molte altre dame del tempo (2), Isabella poneva<br />
anche cura alla finezza della biancheria, e non solamente<br />
della propria. Abbiamo più d’ una ordinazione di tela. Il 10 mag<br />
(1) Relazioni sudd., pag. 104<br />
(2) Fu notato da più d'uno che accanto al più smodato lusso esteriore<br />
riusciva talora assai deficiente, nelle nostre Corti del Rinascimento,<br />
la biancheria personale e quella da tavola e da letto. Vedi M e r k e l , Tre<br />
corredi, p a g 20. e G a n d i n i , Saggio degli usi e delle costumanze della<br />
Corte di Ferrara al tempo di Niccolò 111, Bologna, 1891, pagg. 5-6.<br />
gio 1492 commette a Giorgio Brognolo: «Vogliamo che con là<br />
solita vostra d<strong>il</strong>igenzia vediati retrovare una pezza de tela de renso<br />
sut<strong>il</strong>e et più bella che la intraclusa monstra» e ciò «perchè al<br />
presente ce occorre fare de le camisie a lo <strong>il</strong>i"10 sigr nostro consorte».<br />
Onde <strong>il</strong> figlio Federico, quand’era in Francia, si rivolgeva<br />
senz’altro alla madre per avere delle camicie alla lodesca:<br />
« Perchè qua si usa portar camise alla todesca col colaro alto,<br />
portando <strong>il</strong> scuffiotto, et <strong>il</strong> re ora le porta' et altri principi et<br />
gent<strong>il</strong>omini, prego V. Ex. sia contenta farmine far qualcune lavorate<br />
<strong>il</strong> colaro et maniche » (Lione, 27 apr<strong>il</strong>e 1516). La tela di<br />
renso trovasi continuamente menzionata nei ricchi corredi del<br />
tempo, ed è la tela di Reims nella Champagne, alla quale allora<br />
contendeva <strong>il</strong> primato solo la tela di Germania, detta tela di Reno,<br />
non essendo ancora in voga la teleria fiamminga, « che 1’ una e<br />
l’ altra caccierà di nido»(l).<br />
Molte ordinazioni particolari di oggetti di vestiario nei nostri<br />
documenti non ricorrono. Usava Isabella di farsi spedire la<br />
materia prima, che poi si lavorava sotto la sua direzione. Tuttavia<br />
in una lettera diretta a Ferrara a Bernardino Prosperi<br />
l’ ultimo di settembre del 1511 si mostra contenta eh’egli provveda<br />
«al Spagnolo» (forse <strong>il</strong> ricamatore Jurba da noi rammentato)<br />
certa seta «per bisogno dii borsotto». Qui si tratta evidentemente<br />
d’ una di quelle borsette, di solito ricamate e talora<br />
splendidamente gemmate, che le dame portavano appese alla cintura<br />
e che in Francia si chiamarono aumònières. Alla sorella<br />
Beatrice scriveva da Marmirolo 1’ 11 agosto 1491 : «Intendo che<br />
Hieronimo de Z<strong>il</strong>iolo portoe de Franza a la S. V. uno certo cordono<br />
d’ oro da cingere. Pregola voglia per mio singoiar contento<br />
far fare uno designo de epso et mandarcelo, che la me farà piacere».<br />
Il cordone da cingere sarà stato di quella foggia che<br />
troviamo portare intorno alla vita Leonora d’ Urbino nel ritratto<br />
tizianesco degli Uffìzi o di quella che occorre nel ritratto di Barbara<br />
Schwartz fatto da Cristoforo Amberger nella raccolta Schubart<br />
di Monaco.<br />
Con la sorella Beatrice, del resto, la Gonzaga soleva, per<br />
quanto i mezzi glielo consentivano, gareggiare nel lusso; e quindi,<br />
(1) Sul renso vedi le belle osservazioni del M e r k e l , Tre corredi,<br />
pagg. 28-31 e 87.
2 6 II- LUSSO DI ISABELLA D 'E STE MARCHESA DI MANTOVA<br />
malgrado le gent<strong>il</strong>ezze che si scambiavano a vicenda, Isabella<br />
mostrava una segreta rivalità nella premura speciale con cui chiedeva<br />
a’ suoi corrispondenti m<strong>il</strong>anesi minute notizie dei vestiti<br />
della duchessa. Questa brama d’ informazioni copiose e precise<br />
riguardanti la to<strong>il</strong>ette femmin<strong>il</strong>e è una singolarità della nostra<br />
marchesa. Ad ogni dama ragguardevole, che avesse pregio di eleganza<br />
nel vestire, ella metteva attorno qualche dabben cortigiano,<br />
che le descriveva a puntino i suoi abbigliamenti. Questo accadde<br />
specialmente con Beatrice Sforza, con Lucrezia Borgia, con Renata<br />
d’Este. Beatrice era novarum vestium inventrix, come la<br />
chiama <strong>il</strong> Muralto, e <strong>il</strong> Moro dice che di certa foggia a la turchesca<br />
« è stata lo auctore la predicta mia consorte » (1). Essa aveva<br />
dunque raggiunto quel certo grado di celebrità in cui è lecito<br />
inventare la moda ; e siccome Isabella non si sentiva da meno,<br />
si comprende bene che tra inventrici, per quanto sorelle amorevoli,<br />
dovesse intercedere un pizzico di gelosia. Di questa specie<br />
di curiosa privativa morale, che era riservata alle invenzioni<br />
nel vestiario della marchesa, abbiamo parecchie testimonianze. Il<br />
12 novembre del 1493, Beatrice, quantunque si dichiari poco disposta<br />
a « far inventione nove », chiede alla sorella s’ ella ha<br />
già eseguito la « fantasia del passo cum li vincii » proposta da<br />
Niccolò da Correggio, dacché, se Isabella non l’avesse già messa<br />
ad effetto, vorrebbe tentarla ella medesima in una sua camóra (2).<br />
E Susanna Gonzaga, <strong>il</strong> 15 apr<strong>il</strong>e 1512, indirizza alla marchesa<br />
queste significantissime righe:<br />
Haveria gran'”" desiderio portare una maya pelosa facta cum quelli<br />
canoncini d’oro come porta la Ex. V. perchè mi piace molto quella fogia,<br />
ma perchè gli sono serva dubitando farli dispiacere portandone, ho prima<br />
voluto intendere da lei, essendo sua inventione, se la si contenta eh’ io<br />
ne porti.<br />
Se però nei rapporti con Beatrice quel po’ di gelosia non<br />
toglie nulla all’ affetto sincero che si ricambiavano le due sorelle,<br />
la cosa è tutt’ altra nei rapporti d’ Isabella con la Borgia, nei<br />
quali cordialità vera non fu mai, per quanto si salvassero le apparenze.<br />
La Borgia aveva gusto e ingegno d’ arte, e proveniva da<br />
(1) Relazioni con gli Sforza, pagg. 19 e 45.<br />
(ì) Relazioni suddette, pag. 87.<br />
I. - IL GUARDAROBA DI ISABELLA D’ ESTE 27<br />
un gran centro, dove molto avea potuto vedere. Bonaventura’<br />
Pistof<strong>il</strong>o le attribuisce bensì <strong>il</strong> vanto d’ avere alquanto moderato<br />
certe foggie licenziose delle dame ferraresi, dicendo eh’ esse prima<br />
« usavano abiti ne’ quali mostravano le carni nude del petto e<br />
delle spalle », mentre la Borgia « introdusse <strong>il</strong> portare ed uso di<br />
gorgiere, che velavano tutta quella parte dalle spalle sin sotto<br />
i capelli » (1); ma che davvero quella donna ambiziosissima e<br />
corrotta potesse servire d’ esempio di castigatezza e di modestia<br />
nel vestire, è cosa che nessuno ammetterà. Infatti sappiamo da<br />
una lettera di Bernardino Prosperi a Isabella del 23 gennaio 1514<br />
che in quel tempo si pensava di far « provisione » in Ferrara,<br />
oltreché contro 1’ abuso delle carrette, anche contro le donne<br />
che portavano « i calzoni a la galeota ». Pensava <strong>il</strong> Prosperi di<br />
mandarne copia alla marchesa per farla ridere, perchè « multe<br />
de le nostre donne se erano sublevate cum dolerse de tal provisione,<br />
credendo dovesse andare innanci, perchè <strong>il</strong> se dava arbitrio<br />
sin a cazar le mano sotto a le done per sentir se avevano<br />
i calzoni, ma quando altri l'avesse facto et non trovato che la<br />
dona li avesse, cadeva a la pena d’ esserli tagliata la mano ».<br />
Era questa la morigeratezza fatta prevalere da Lucrezia?<br />
Comunque sia, dal momento che fu concluso <strong>il</strong> parentado<br />
della Borgia con Alfonso d’ Este, Isabella ebbe sempre abbondanti<br />
e particolareggiate notizie de’ portamenti ed abbigliamenti di lei<br />
dal prete da Correggio, famigliare di mess. Niccolò (2). Nè solo<br />
da lui, ma anche dal fratello Ferrante d’ Este, che accompagnò<br />
pure la sposa da Roma a Ferrara. Le lettere di Ferrante non ci<br />
sono conservate, ma abbiamo nel copialettere d’ Isabella due risposte<br />
molto esplicite. Una di esse, del 14gennaio 1502, suona così:<br />
« Io non poria restar meglio satisfacta de quello che facio per<br />
<strong>il</strong> scriver che la S. V. me ha facto minutamente ne le sue del<br />
ultimo dii passato et secundo de questo de li varii et diversi habiti<br />
di quella <strong>il</strong>i.'"" M." nostra comune cognata. Sichè la ringratio<br />
suinamente, et pregola ad perseverare questo d<strong>il</strong>igente suo<br />
Officio in lo avvenire, secundo che a la giornata la p.“*M.a va-<br />
(1) Vita d’Alfonso I d' Este, ediz. Cappelli, Modena, 1867, pag. 17.<br />
(2) Possono vedersi questi documenti nel notissimo libro del G reqorovius<br />
su Lucrezia Borgia. Sul prete cfr. Giorn. stor. d. lett. italiana,<br />
XXII, pag. 66 e segg.
2 8 IL LUSSO DI ISABELLA D 'ESTE MARCHESA DI MANTOVA I. - IL GUARDAROBA DI ISABELLA D’ ESTE 2 9<br />
riarà in vestimenti et habiti : che in vero non poria haverlo da<br />
lei più grato ». Quale gara di eleganza e di lusso si stab<strong>il</strong>isse<br />
.poco appresso in F errara tra Isabella e Luarezia, allorché la novella<br />
sposa vi fece la sua entrata solenne, lo sappiamo dai ragguagli<br />
del Sanudo e dalle preziose lettere della marchesa al<br />
marito edite dal D’ Arco. La marchesa di Cotrone notificava allora<br />
a Francesco Gonzaga che sua moglie « vestita di una bella<br />
camora richamata di quella invencione di tempi e pause » (1)<br />
superava tutte in bellezza ed eleganza, onde se la sposa avesse<br />
potuto prevederlo sarebbe entrata « a lume di doppieri ». Lucrezia<br />
da parte sua non annetteva minore importanza a conoscere le<br />
foggie d’ Isabella. V’ è in proposito una bella lettera alla marchesa<br />
direttale <strong>il</strong> 18 dicembre 1502 da Laura Gonzaga. Vi narra<br />
una visita alla Borgia, e dice che dopo le amorevoli accoglienze<br />
« conducendomi a sedere presso sè me interrogoe cum mirab<strong>il</strong>e<br />
amorevoleza de V. Ex , dicendomi nel progresso del parlare che<br />
la saperia volentieri de li habiti de la Cei. V. et maxime de la conciatura<br />
de la testa, e poi devenendo in ragionamento de certe sue<br />
camise spagnole me disse che se 1’ havesse cosa che fosse in suo<br />
proposito et gli piacesse, che essendone recerchata da lei gliene<br />
compiacerà de bona voglia, monstrandomi haver caro de, gratificare<br />
a V. Ex. in qualche cosa de le sue, ma dice che la voria<br />
che quella gli scrivesse qualche volta et usasse più domesticheza<br />
seco che non fa, et me dimandoe del parentato de V. S. cum <strong>il</strong><br />
Duca Valentino (2). L’ habito suo che ha havuto hozi è una camora<br />
de raso nero cum frappe de oro a foliami, et da la balzana<br />
in suso cum fiame pur de oro, et cussi le maniche facte a la<br />
fogia che porta V. S., al collo uno vezo de belissime perle, la<br />
testa concia al modo usato cum uno lucidissimo smeraldo in<br />
fronte et scufia verde lavorata de oro batuto. Li modi et gesti<br />
de S. S. me pareno tutti gratiosi, domestica et aiegra assai, benché<br />
sii alquanto più magretta del consueto, ma non sta male ». Anni<br />
dopo, Lucrezia Bentivoglio Gonzaga si recò a visitare la Borgia,<br />
che faceva una cura. Così ne scrive <strong>il</strong> 25 giugno 1511 a Isabella:<br />
(1) Le note musicali, curiosa maniera d’impresa, che Isabella fece<br />
scolpire ne1suoi camerini a Mantova.<br />
(2) Il disegnato matrimonio del bambino Federico Gonzaga con la<br />
figliuola di Cesare Borgia. Vedi Mantova e Urbino, pag. 126 e segg.<br />
« Ritrovassimo S. Ex. posta sopra un letto vestita com una cen--<br />
dalina negra com le maniche strette increspate presso la mano,<br />
uno scufflotto in testa di sopra da le orecchie, et da quella fossemo<br />
opimamente accarezate, et doppoi molti ragionamenti me<br />
interroghette de le portature mantuane et in che foggia se andava,<br />
comendandome molto 1’ ornamento mio de la testa, 'per<br />
modo nanti che se partessemo da essa me preposse ad doverli far<br />
fare alcuni scuffiotti secondo se usa et mandargeli, et ancora li<br />
piacette assai certe rosette eh’ io haveva in fronte et cusì me le<br />
rechiedette sino a tanto le havesse monstrate ad un horifice per<br />
fare la sim<strong>il</strong>itudine di esse ».<br />
Allorché più tardi una principessa francese, Renata, d’ indole<br />
per vero assai diversa dalla Borgia, fu impalmata da un<br />
Estense, Isabella, per quanto già avanzata in età, mostrò desiderio<br />
di conoscere sempre i suoi abbigliamenti, e si presero la<br />
cura d’ informamela Battista Stabellino, che ora firmava Apollo<br />
ora Demogorgon, e Girolamo da Sestola detto Coglia (1). Ci sarebbe<br />
assai agevole <strong>il</strong> moltiplicare gli esempi di siffatte curiosità;<br />
ma ci limiteremo ad un’ altra sola. Quando nel 1518 seguirono<br />
le nozze della Regina di Polonia, Gian Tommaso Manfredi non<br />
solamente descrisse a Isabella tutta la pompa di quella cerimonia<br />
e lo sfarzo della sposa; ma volle inviarle persino « l’inventario<br />
delle robbe sue ». Tuttavia la marchesa, non ancor soddisfatta,<br />
volle leggere quanto ne aveva scritto ai fratelli Ludovico Di<br />
Bagno !<br />
L’ estimazione che generalmente godeva <strong>il</strong> gusto d’ Isabella<br />
ci è comprovata da testimonianze contemporanee di valore non<br />
dubbio. Nel 1533 la duchessa di Camerino, Caterina Cibo Varano,<br />
faceva fare a Mantova i suoi vestiti sotto la direzione della m archesa,<br />
e così pure madama di Orléans. Il 19 agosto di quell’anno<br />
Isabella ne scriveva alla V arano: « Voglio che sappi già essersi<br />
dato principio a lavorar le vesti, et spero che habbino tutte a<br />
riuscir tali et perchè <strong>il</strong> desiderio che tengo di vederle di tutta<br />
belleza è infinito et perchè in questa cittade sono persone che<br />
in recamare hanno quella scientia che habbino altri in Italia, clie<br />
(1) Le lettere di costoro sono pubblicate integralmente da B. F o n <br />
t a n a nell’ opera sua su Renata di Francia, duchessa di Ferrara,<br />
Roma, 1889-93.
3 0 IL LO SSO DI ISABELLA I)' ESTE MARCHESA DI MANTOVA<br />
et la p .‘“ M.°‘“ d’Orliens et, V. S. rimaranno satisfatte. Non si<br />
mancherà di tener sollecitati gli maestri perchè finiscano l’opera<br />
con quella prestezza che si potrà maggiore»», ecc. E infatti quelle<br />
vesti piacquero sommamente alle due gent<strong>il</strong>donne. Ma allora ormai<br />
la Gonzaga era prossima alla sessantina, onde si valeva, più che<br />
altro, dell’ esperienza fatta ne’ tempi trascorsi. La quale dovette<br />
esser davvero straordinaria se <strong>il</strong> Re di Francia medesimo, <strong>il</strong> cavalleresco<br />
Francesco I, faceva scrivere da Federigo Gonzaga alla<br />
madre che egli desiderava « una puva (1) vestita a la fogia che<br />
va lei di camisa, di maniche, de veste di sotto e di sopra et<br />
de ab<strong>il</strong>iamenti et aconciatura di testa et de li cap<strong>il</strong>li... perchè<br />
S. M.li designa far fare alcuni di quelli habiti per donare a donne<br />
in Franza » (19 novembre 1515). Al che la marchesa rispondeva<br />
subito modestamente : « Volentieri per satisfare al desiderio de<br />
la M.” Chr.m" faremo fare la puva con tutti li acconciamenti di<br />
dosso et testa che portiamo nui, anchora che Sua M.* non vederà<br />
cosa alcuna nova, perchè quelli che portamo nui si usano<br />
anche lì in M<strong>il</strong>ano da le gent<strong>il</strong>donne m<strong>il</strong>anese». — Fatto sta per<br />
altro che quando, due anni appresso, Isabella si recò in Francia,<br />
1’ ammirazione per le sue foggie fu generale. Giovanni Mussi di<br />
Cremona, che l ’accompagnava, ne forniva queste notizie da Lione<br />
<strong>il</strong> 4 giugno 1517 a Federico : « Sapi la S. V. che quando ella<br />
passa per le contrade tutti gli homini et donne de ogni sorta a<br />
le porte et finestre et sopra le strate sono a riguardar cum marav<strong>il</strong>ia<br />
le foze de Madama et sue donzelle, et dicono molte donne<br />
de qui che le foze nostre de le donne sono molto più belle de<br />
le sue, et alchune gent<strong>il</strong>donne... me hano detto che non pono<br />
credere a pena che Madama sii matre de la S. V., che ella pare<br />
sorella sua ».<br />
Ma non tutti avevano degli abbigliamenti francesi un concetto<br />
così sfavorevole. Estremamente caratteristica è in proposito<br />
una lettera che <strong>il</strong> 14 gennaio 1510 inviava dalla Francia a Isabella<br />
Iacopo d’ Atri conte di Pianella. Si discorreva allora di<br />
una prossima venuta in Italia della Regina di Francia:<br />
El S. Vesconte me ha dicto esserse retrovato in rasonamento cum<br />
<strong>il</strong> Re et Regina dove se diceva dii venir in Italia d’ essa Regina, ad-<br />
(1) Cioè pupattola.<br />
I. - IL GUARDAROBA DI ISABELLA D' ESTE 31<br />
vertendola <strong>il</strong> savio Re nel modo havesse ad venire che trovaria bello<br />
contrasto che converria se stringasse se la volesse stare al parangone,<br />
cum narrarli che trovaria V. S. per la prima et la Duchessa de Ferrara<br />
et molte altre che la faria ben stare al segno, subj ungendoli che<br />
la veria ad retrovare la nova sposa vostra figlia se la fosse ben andata<br />
in l’ultimo angulo de Italia et seria bastante a buttarla per terra cum<br />
tutte le altre, laudandola sopra modo de belleza, de prudentia et d’ o-<br />
gni virtù, et tale impressione gli ha dato de ley che pare che tutte<br />
le altre liabia ad superare. Dove la sapientissima Regina che poco se<br />
persuade de sè, che è tanto magior argumento dii suo gran valore, pare<br />
che confirmava <strong>il</strong> parlare dii Re che non potria comparere in parangone<br />
de le italiane, cum dire che menaria cum Sua M.la quatro madame de<br />
bona sorte, cioè la Marchesa de Monferato, reputandola francese et de<br />
le sue, M.ma de Niverse, M.'”a di Longav<strong>il</strong>la et un altra bretona, che sono<br />
tutte de belleza et de estimatione grande. Et essa andaria sempre vestita<br />
de panno negro o panno tanè, et nuli' altra pompa nè fogia portaria,<br />
perchè considerava ben che la minima de voi altre la superarla,<br />
et qui monstrava de temere de venir in parangone. Dove ad me pare conoscere<br />
in effecto altramente, che venendoli, corno essa desidera sopra<br />
tutte le cose del mondo, se monstrarà cum tanta recheza et pompa che<br />
tutto <strong>il</strong> mondo insieme non li potrà contrastare, et farasse conoscere<br />
che è Regina non solamente de Franza ma degna Regina de l’universo.<br />
Credo che essa non farà pompa de panni nè brochati, per monstrar tanto<br />
più la sua grandeza, ma le sue cyamarere, o fanticelle in nostra lingua,<br />
farà stupire le brigate: et ley che è de animo glorioso farà de le cose<br />
che in Franza nè in Italia mai forno imaginate, et ben ha <strong>il</strong> modo de<br />
posserlo fare : et se vorà fare monstra de zoye sapiate che ne ha la parte<br />
sua. Tutta volta se le foge che hora se usano in Italia fossero de honestà<br />
che sono queste: cioè de li capelli et dii monstrare <strong>il</strong> pecto, crederia che<br />
per aventura seriano reguardate di cosi bono ochio le lombarde corno<br />
li cyapparoni franzesi, et le zoye seriano le manco stimate; ma quelli<br />
capelli (1) corno garzoni et quello tanto monstrare dii pecto dubito che<br />
non piaceriano molto ad costoro, et se ben quelli franzesi che sono stati<br />
in Italia hanno laudato la fogia, non è dubio che per adulatione 1’ hanno<br />
dicto, et io lo so per la verità, essendome retrovato in molti luoghi<br />
dove è stato damnato et io non 1' ho saputo negare perchè la honestà<br />
(1) Qui e sopra intendi cappelli. Lo indica <strong>il</strong> cyapparoni, che deve<br />
essere una storpiatura di chaperon francese.
3 2 IL LUSSO DI ISABELLA D’ ESTE MARCHESA DJ MANTOVA<br />
è più assai che alcuna altra cosa. Sì che preparative se la viene ad<br />
posser comparire et fare honore al gran nome latino...<br />
In questo documento è tutto <strong>il</strong> carattere di Anna di Brettagna,<br />
regina colta e seria, che amava la ricchezza, ma non <strong>il</strong><br />
lusso riprovevole, e specialmente non la mutab<strong>il</strong>ità soverchia della<br />
moda, nè la procacia di certe foggie fortunate. Garde toi, diceva<br />
<strong>il</strong> suo poeta ufficiale Jean Marot,<br />
Garde toi bien d’ estre l’ inventeresse<br />
D’habitz nouveaux; car mainte pécheresse<br />
Tantost sur toi prendroit son exemplaire (1).<br />
In seguito, nel secolo xvi avanzato e più nel secolo x v i i , si<br />
giunse in Francia alla demenza del lusso. 11 Brantòme ci narra<br />
che quando Francesco I sposò al duca di Clèves sua nipote Margherita,<br />
che non aveva ancora tredici anni, essa era così carica<br />
di pietre preziose e di panni d’ oro e d’ argento, che per la debolezza<br />
della sua persona non poteva camminare, onde <strong>il</strong> Re<br />
dovette ordinare al connestab<strong>il</strong>e di Montmorency che la prendesse<br />
in braccio e la portasse in chiesa. Nel 1570 si vide in Francia<br />
uno strascico lungo ventiquattro metri, che tre principesse del<br />
sangue portavano ad Elisabetta d’ Austria sposa di Carlo IX. In<br />
certi ricevimenti Luigi XIV aveva addosso tanti diamanti sulle<br />
vesti ricamate, che si calcolò valessero sino a quattordici m<strong>il</strong>ioni<br />
di lire (2). Ma allo sfarzo non era pari 1’ eleganza; mentre<br />
in Italia quasi sempre, pel gusto ingenito nel popolo nostro, si<br />
serbava una certa moderazione e si curava in ispecie la sapiente<br />
combinazione dei colori, eh’ è uno dei più cospicui fattori del-<br />
1’ eleganza (3).<br />
Le donne francesi, che Torquato Tasso disse « bellissime di vivacità<br />
di carne e di gent<strong>il</strong>ezza di lineamenti» (4), piacevano ai nostri;<br />
ma essi le trovavano d’ una pulizia molto dubbia. Guido Postumo<br />
così ne scriveva da Vienna sul Rodano a Isabella <strong>il</strong> 3 luglio 1511 :<br />
« E ben vero che le donne qui sono un poco sporche, cum un<br />
(1) B a u d r i l l a r t , op. cit., voi. I l i , pagg. 396-97; A . F r a n k l i n , Les<br />
magasins de nouveautés, Paris, 1894-95, voi I, pagg. 122-23.<br />
(2) F r a n k l i n , op. cit., voi. I, pagg. 134, 139, 225, 230. Cfr. A . C h a l -<br />
l a m e l , Eistoire de la mode en France, Paris, 1874.<br />
(3) M u n t z, Renaiss. à V époque de Charles V <strong>il</strong>i, pagg. 65-66.<br />
(4) Lettere, ed. Guasti, voi. I, pag. 33.<br />
pochetto di rogna alle mane et cum qualche altra compositione<br />
di spurcitia; ma hanno belli volti, belle carne et sono dolcissime<br />
in el parlare, humanissime in lasciare basciarse, tocharse et abraciarse<br />
» (1). E <strong>il</strong> Grossino, pure a Isabella, <strong>il</strong> 28 febbraio 1516:<br />
« Comunamente tute le damé francese sono belle di volto, ma<br />
hanno questa gent<strong>il</strong>eza in loro universalmente che hanno le man<br />
sporche e piene di ro g n a... Poche ve ne sono che non sia copiose<br />
di tal gent<strong>il</strong>ezza ». Le pretese di pulizia che avevano gli<br />
Italiani del Rinascimento, r<strong>il</strong>evate anche dal Burckhardt (2), erano<br />
pienamente giustificate, per quanto anche in Italia si fosse ben<br />
lungi da quella nettezza che oggi reputiamo indispensab<strong>il</strong>e ad<br />
ogni persona civ<strong>il</strong>e. La povertà nella biancheria del secolo xv,<br />
anche presso persone d’ altissimo grado, non è certo buona attestazione<br />
di grande lindura. E ancor meno lo è <strong>il</strong> fatto che nei<br />
ricettari del tempo e nel fortunato libro di G. Marinelli, Gli<br />
ornamenti delle donne (3), accanto ai m<strong>il</strong>le lisci e belletti, alle<br />
m<strong>il</strong>le acque per far la pelle morbida, netta, delicata, rosea, odorifera,<br />
si leggono lunghe ricette per rimuovere la rogna, la tigna,<br />
la lebbra. Segno manifesto che anche fra noi quelle malattie, in<br />
cui ha tanta parte la poca pulitezza, attecchivano abbastanza.<br />
Ma fuori d’ Italia, sembra, ancor più. Nè poteva essere altrimenti,<br />
quando si consideri che in Francia solo nel secolo x v i i si giunse<br />
a tanta raffinatezza da lavarsi <strong>il</strong> viso quasi tulli i giorni. L’ uso<br />
quotidiano di abbondanti abluzioni era ancora in quel tempo fastosissimo<br />
una vera singolarità, e solo poco per volta entrava<br />
nei cervelli umani 1’ idea, per noi così naturale, che l’acqua fosse<br />
fatta per lavarsi. Nel secolo antecedente 1’ uso dei moccichini era<br />
in Francia ancora abbastanza raro, sicché anche nell’alta società<br />
v’ erano persone elettissime che... ricorrevano preadamiticamente<br />
alle dita (4).<br />
(1) Vedi <strong>il</strong> volume per Nozze Gian, pag. 255.<br />
(2) Civ<strong>il</strong>tà, II, pag. 133.<br />
(3) La prima edizione è del 1562. Noi ci serviamo di quella di Venezia,<br />
1574.<br />
(4 ) F r a n k l i n , Les soins de la to<strong>il</strong>ette, Paris, 1887, pagg. 2 6 -2 7<br />
e 3 6 -3 7 .<br />
I. - IL GUARDAROBA DI ISABELLA D’ ESTE 133
3 4<br />
IL LUSSO DI ISABELLA O’ ESTE MARCHESA DI MANTOVA<br />
II.<br />
Gioielli e gemme.<br />
L’arte dell’orafo nel Rinascimento e sua speciale importanza. — Ricchezza<br />
favolosa di gioie nei corredi nuziali. — Uno smeraldo d’isabella, magnificato<br />
dal Cellini. — Il lusso negli oggetti di devozione : crocettine, paternostri,<br />
agnusdei. — Amuleti : una pietra per far nascere i funghi. —<br />
Gli orefici pred<strong>il</strong>etti d’Isabella: Ercole de' Fedeli e Caradosso. — Il b<strong>il</strong>ancio<br />
della marchesa di Mantova. — Continui imbarazzi finanziari e debiti con<br />
Ebrei. — Frequente necessità d’impegnare le gioie.<br />
Culminava <strong>il</strong> lusso del Rinascimento nell’uso dei metalli preziosi<br />
lavorati e delle gioie. Una bellissima storia si potrebbe scrivere<br />
dell’ oreficeria e della gioielleria in Italia. Tra noi veramente<br />
distinzione netta fra l ’oreficeria e la gioielleria non vi fu;<br />
1’ una rientrava nell’ altra. E 1’ oreficeria era, come fu detto,<br />
una specie di anticamera delle arti maggiori (1), anzi la si considerava<br />
quale arte maggiore essa medesima. L ’ oreficeria famigliarizzava<br />
gli artisti con la tecnica del disegno minuto, onde<br />
vediamo piegarsi a far disegni per orefici anche <strong>il</strong> sommo Mantegna,<br />
e muovere dalla oreficeria architetti come Michelozzo ed <strong>il</strong> Brunellesco,<br />
scultori come Andrea del Verrocchio e lo stesso Cellini,<br />
che rimase pur orefice per tutta la sua vita burrascosa, pittori<br />
come <strong>il</strong> Pollaiuolo, <strong>il</strong> Francia, <strong>il</strong> Ghirlandaio, Andrea del Sarto.<br />
La splendida arte nostra dell’ orafo influì sin dalla fine del secolo<br />
xv, e più ancora nel secolo successivo col Cellini, sulla<br />
Francia, prima asservita all’ influsso fiammingo; e di là si propagò<br />
per tutta Europa (2).<br />
Vegga chi voglia stupire la copia immensa di gioie dei nostri<br />
(1 ) M u n t z in Gazette des beaux arts, s e rie II, v o i. 27, p a g . 412.<br />
(2) P. M a n t z . Recherches sur V histoire de V orfèvrerie frangaise<br />
in Gazette des beaux arts, s e rie I, v o i. 9, p a g . 19 e s e g g ., e la b e lla<br />
o p e r a d i F b r d . L u t h m e r , Joa<strong>il</strong>lerie de la Renaissance, P a r is , Q u a n -<br />
tin , s . d.<br />
IL - GIOIELLI E GEMME<br />
corredi principeschi del Rinascimento. La ricchezza di quelle do- -<br />
nate da Galeazzo Maria Sforza a Bona di Savoia fa strab<strong>il</strong>iare (1).<br />
Un vestito d' Ippolita Sforza aveva sopra tant’ oro e tante perle<br />
da esser stimato cinquem<strong>il</strong>a ducati, cioè, fatto <strong>il</strong> ragguaglio dei<br />
prezzo della mon«:-ta, un quarto di m<strong>il</strong>ione delle nostre lire (2).<br />
E Bona di Savoia aveva un vestito tutto ricamato a perle e a<br />
rubini, con sulla « balzana » d'3i grossi balasci (3). Nel corredo<br />
di Lucrezia Borgia è notata una sopraveste ornata di venticinque<br />
diamanti, quindici perle, ottantaquattro baiassi (4). Il busto d’un<br />
vestito di raso cremisi posseduto da Bianca Maria Sforza recava<br />
ottanta « zoielli picoli, cum uno robino et quatro perle per ciascuno<br />
» (5). La stessa Bianca Maria fu composta nella bara vestita<br />
di velluto nero, con nelle dita due anella; attorno alla mano<br />
destra era avvolto a quattro giri un rosario di corallo con le<br />
pallottole grosse come nocciuole; in capo teneva una corona<br />
d’ argento dorato sormontata da una croce ; intorno alla vita una<br />
cintura d’ oro massiccio e al collo una f<strong>il</strong>a di perle (6). Le*gioie<br />
erano la superbia delle gent<strong>il</strong>donne del tempo, anche delle più<br />
assennate e severe. Veronica Gambara già vecchia, dovendo andare<br />
nel 1549 a Mantova con la nuora, per assistere al m atrimonio<br />
di Francesco Gonzaga figlio di Federico, scrive ad un suo<br />
corrispondente : « Mia nuora è assai ben fornita di gioie e di cose<br />
d’ oro, ma perchè a queste nozze si faranno cose grandi e vi<br />
saranno ornamenti mirab<strong>il</strong>i, io sono un poco altera di testa in<br />
questo, vorrei che gli ornamenti di questa mia giovane superassero<br />
tutti gli altri » (7).<br />
Riferisce Pellegrino Moretto d’aver sentito che Isabella Gon-<br />
(1) M o t t a , N ozze principesche, pag. 39 e segg.<br />
(2) M o t t a op. cit., pag. 72<br />
(3) M o t t a , op cit, pag. 42. Il balasso o balascio, <strong>il</strong> cui nome suol<br />
essere derivato dall’ indiano, è « rubino di gran valore », molto splendente,<br />
ma non così prezioso come <strong>il</strong> rubino vero. Cfr. C e l l i n i , Tratt.<br />
d 'oreficeria, ediz. M<strong>il</strong>anesi, pag. 39 Nel cielo di Venere l’ anima di Folclietto<br />
di Marsiglia appare a Dante splendente « qual fin balascio che<br />
lo sol percota»; F a r a d IX, 69.<br />
(4) G a n d i n i in Mantova e Urbino, pag. 306.<br />
(5) C a l v i , op. cit, pag 134.<br />
(6) Jahrb. der Kunsthist. Sammlungen, III, 2, n. 2684.<br />
(7) Rime e lettere di Ver. Gambara, ediz. nizzardi, Brescia, 1759,<br />
pag. 195.<br />
3 5
3 6 IL LCSSO DI ISABELLA D’ ESTE MARCHESA DI MANTOVA<br />
zaga possedeva « <strong>il</strong> più bel smeraldo che oggi si truova, et<br />
quello essere stato ritrovato nella sepoltura di Tulliola, figliuola<br />
di Marco Tullio » (1). Ci sembra probab<strong>il</strong>e che questo smeraldo<br />
possa identificarsi col magnifico, diamante che <strong>il</strong> Celimi<br />
dice d’ aver veduto in Mantova, « <strong>il</strong> quale era verde, e di modo<br />
verde che pareva uno smeraldo di poco colore, ma gli aveva in<br />
sè quella virtù del br<strong>il</strong>lare sì come hanno gli altri diamanti, la<br />
quale virtù non si dimostra negli smeraldi, di modo che pareva<br />
uno smeraldo, e pareva più bello di tutti gli smeraldi » (2). Il<br />
Ti issino, presentandoci, sia pure idealizzata, la nostra marchesa,<br />
non dimentica d’ abbigliarla d’una roba di velluto nero carica<br />
di alcune mirab<strong>il</strong>i fibbie d' oro e di perle, sulla sommità della<br />
fronte « un bellissimo e fiammeggiante rubino, dal quale una lucidissima<br />
e grossa perla pendeva », e al collo « un f<strong>il</strong>o di grossissime,<br />
eguali e splendidissimo perle, <strong>il</strong> quale da l’unae da l’altra<br />
parte del petto scendendo, quasi fin alla cintura n’ aggiungea » (3).<br />
E infatti nel ritratto tizianesco d’ Isabella, che oggi è a Vienna,<br />
essa ha due porle a pera negli orecchi e sull’ acconciatura un fermaglio<br />
con un rubino tavola rettangolare circondato da otto perle.<br />
Le ordinazioni di gioie sono continue nel carteggio della<br />
Gonzaga, specie nei primi anni di matrimonio. A Mantova v’ erano<br />
buoni orefici (4), ed ella se ne serviva; ma per 1’ acquisto di gioie<br />
si rivolgeva altrove, soprattutto a Venezia, a M<strong>il</strong>ano, a Ferrara.<br />
A Venezia era <strong>il</strong> fido Giorgio Brognolo che fungeva da mediatore<br />
coi gioiellieri ed a lui Isabella affidava le più gelose e delicate<br />
commissioni. Nel maggio del 1490 gli ordina di acquistare uno smeraldo;<br />
ma poi nel riceverlo si accorge che è « un poco signato »,<br />
e « noi voressimo una cosa da parangone et senza una macula »<br />
(26 giugno ’90). Nel settembre dell’anno successivo riceve da lui<br />
un rubino cugolo (5), che gli rimanda (questa volta forse dolo-<br />
(1) C ia n , Del significato dei colorì e dei fiori, Torino, 1894, pag. 17.<br />
(2) Tratl. d 'oreficeria, pag. 51.<br />
(3) T r i s s i n o , Opere, Verona, 1729, voi. II, pag. 273.<br />
(4) B e r t o l o t t i , Le arti minori alla Corte di Mantova, M<strong>il</strong>ano, 1889,<br />
pag 7 e segg.<br />
(5) Un rubino cugolo è anche nel corredo di Elisabetta Gonzaga:<br />
e <strong>il</strong> G a n d i n i spiega «di forma conica» (Mantova e Urbino, pagg. 295<br />
e 305); ma se codolo equivale a cugolo, come <strong>il</strong> Gandini ritiene, la<br />
spiegazione non pare esatta, giacché negli inventari estensi troviamo,<br />
U. - GIOIELLI E GEMME 3 7<br />
randoin cuor suo) «per essere oltra modo caro et troppo grande»’;<br />
e aggiunge: « stareti attento per uno altro che sia megliore, più<br />
piccolo et de minore precip ». Il 25 dicembre 1494 commette al<br />
Brognolo « una croxetta de diamanti cum qualche perla pendente<br />
de precio de 130 fin in 150 ducati, che fusse vistosa e bella, ma<br />
a termine più longo che si può». Era destinata alla Brogna,<br />
damigella. E così via di seguito gli acquisti si succedevano frequenti,<br />
anche troppo frequenti pei mezzi di cui la marchesa disponeva.<br />
Ora sono rubini o smeraldi o baiassi o diamanti tavola (1)<br />
che le vengono offerti, e gemme di buona e di grande persona<br />
slegate, ovvero legale in panisola (2), e perle in f<strong>il</strong>o od isolale<br />
grandi a pera, e coralli provenienti da Genova, e turchine ossia<br />
turchesi (3). Frequenti anche le commissioni di quei paternostri,<br />
ovvero pallottoline di pietre o di metalli preziosi, che dapprincipio<br />
s’ usavano a scopo di devozione per le corone del rosario,<br />
ma poi ben presto furono impiegati per lusso, appesi alla cintura<br />
o girati attorno al collo, e si trasformarono persino in<br />
« un rubino di bona persona codolo et concavo » ( C a m p o r i, Cataloghi,<br />
pag. 5), e « uno rubino codolo in forma di core » (Ibid, pag. 23). Per<br />
altri rubini codoli e per una corniola codola, vedi C a m p o r i, op. cit.,<br />
pagg. 16, 24 e 27. Può darsi che cugolo valga semplicemente di form a<br />
tondeggiante. Cfr. Kugel ted. e F o l e n g o , Maestr. 1 ,12: « Mantuae ludunt<br />
cugolis rotondis ».<br />
(1) Indicazione comunissima negli inventari del tempo, che vale<br />
pietra liscia o piana di sopra, a mo" di tavola. Si contrappone la pietra<br />
in punta. Nell' inventario dei Guinigi occorrono « balascio tola quadro »,<br />
« diamante tola a scudo », « diamante grosso a punta », « tola affacciata »<br />
e « taulette ». B o n g i, Paolo Guinigi e le sue ricchezze, Lucca, 1871,<br />
pagg. 42-43, C6-67.<br />
(2) Una lettera di Isabella del 10 novembre 1490 accenna a certi<br />
rubini eh" essa voleva acquistare, dei quali trentadue sono « disligati et<br />
tri in panizola ». In altro documento già edito si parla del Caradosso,<br />
giunto a M<strong>il</strong>ano con rubini e diamanti, che intende « alligar in panizole »<br />
(Relaz. con gli Sforza, pag. 79). In un documento prodotto dal G a n <br />
d i n i è parola di « uno diamante grosso quadrangulo facto a facete ligato<br />
in una panizuola d’oro » (Mantova e Urbino, pag. 305). Un inventario<br />
estense registra otto rubini « in octopanizole de arzento dorato » (C a m -<br />
p o r i , Cataloghi, pag. 16). Per <strong>il</strong> B e r t o l o t t i , Arti minori, pag. 22, questa<br />
locuzione diventa un messer Panizolla, orefice veneziano!!!<br />
(3) Pel tipo dei gioielli vedi L u t h m e r , op. cit., pag. 17 e segg., e le<br />
bellissime tavole; E. F o n t e n a y , Les bijoux anciens et modernes, Paris,<br />
1887.
3 8 IL LUSSO DI ISABELLA n ’ESTK MARCHESA DI MANTOVA<br />
contrassegni d’amore (1). Nel 1491 Isabella commette a Girolamo<br />
Z<strong>il</strong>iolo cinquanta paternostri d’oro, sessanta di ametista e altri<br />
d'am bra neri; al Brognolo, nell’agosto dfel 1495, ordina cento<br />
paternostri berettini; nell’ agosto del'1506 fa pulire a Ferrara<br />
trentaquattro paternostri di agata. 11 marchese di Mantova si<br />
fece venire da Venezia nel 1524 una corona di lapislazzoli con<br />
paternostri faccettati (2). Anche Isabella, che amava <strong>il</strong> lusso<br />
pur nella divozione, avendo saputo che Chiara Gonzaga aveva<br />
regalato al duca Ercole d’ Este « una corona de ambro negro<br />
signata de certe rosette d’ oro smaltate », volle <strong>il</strong> 22 agosto 1501<br />
che gliene fosse fatta una sim<strong>il</strong>e a Ferrara. E a Ferrara di<br />
nuovo si fece fabbricare una coroncina di corniole, a pagamento<br />
della quale inviava al Grossino nel 1523 undici quarti di Mi<br />
lano, qualcosa come tre ducati. L’ auno prima, avendo appreso<br />
che Cosimo Anisio sapeva « fare uno stuco che in breve spacio<br />
de tempo se indurisce tanto che si ne può fingere corniole, agate<br />
et altre pietre », aveva adoperato ogni mezzo per carpirgli quel<br />
segreto. I suoi corrispondenti stavano all’ erta per offrirle 1’ una<br />
o l ’altra delle pietre, che loro si presentasse. Così Donato de’Preti,<br />
da Venezia, 1’ 11 giugno 1519, le notificava: « Hozi mi è fatto<br />
vedere uno zaffiro assai grande (nella lettera ne dà le dimensioni),<br />
panni etiam de bon colore et che poteria essere a proposito,<br />
perchè è in tabula di sopra, et di soto non 1’ ho visto perchè<br />
è legato ». Il proprietario ne vuole duecentoquaranta ducati, ma<br />
Luigi da Valle, gioielliere, dice « che è bello et che per centocinquanta<br />
ducati se poteria tuore, che haria bon mercato».<br />
Della ricchezza non comune nelle gemme d’Isabella fanno ampia<br />
testimonianza i lasciti del suo testamento e l’inventario delle<br />
sue robe, documenti che produrremo in appendice alla monografia<br />
sulla Gonzaga. Qui ci basti aggiungere un curioso particolare.<br />
Frammezzo alle centinaia d’ordinazioni di pietre preziose,<br />
troviamo espresso al Brognolo, <strong>il</strong> 15 marzo 1491, questo bizzarro<br />
desiderio : « Desiderando nui bavere una di quelle petre che fa<br />
(1) M e r k e l , pag. 56; D a l l a r i - G a n d i n i , pagg. 14-15; F r a n k l i n ,<br />
Magazins, voi. II, pag. 145 e segg. Gran produttrice di paternostri di<br />
corallo era la Sic<strong>il</strong>ia. Vedi L a n z a d i S c a l e a , op. cit* pagg. 182-183<br />
(anche 103-104), e S a l c m o n e - M a r i n o in Arch. slor. sic<strong>il</strong>iano, voi. I,<br />
pag. 235<br />
(2) B e r t o l o t t i , Arti minori, pag. 51.<br />
II. - GIOIELLI E GEMME 3 9<br />
nascere li fonzi in una nocte, vedeti per la via de qualche mer^ *<br />
cadante o homo pratico intendere come e dove se ne potesse<br />
ritrovare ». Se allora l’ottenesse, non sappiamo, ma 1’ 8 agosto<br />
1499 ringrazia Gian Lucido Cattaneo per «le due petre da<br />
fongi » che le ha inviate. Doveva certo essere una strana pietra<br />
codesta, che faceva nascere i funghi in una notte! Essa cf fa<br />
rammentare la pietra aqu<strong>il</strong>ina atta ad agevolare i parti, in cui<br />
pure Isabella aveva fede (1), e le lingue di serpe legate in argento<br />
che figurano in un inventario estense (2) e che si trovano pure,<br />
accanto ad un pezzo di liocorno legato in un anello, fra le preziosità<br />
possedute dalla regina Anna di Brettagna (3). Tanto è vero<br />
che in quel superbo e <strong>il</strong>luminato Rinascimento nostro <strong>il</strong> medio<br />
evo continuava pur talvolta a far capolino co’ suoi amuleti e<br />
con le sue superstizioni <strong>antichi</strong>ssime.<br />
Isabella non amava soltanto le belle e preziose gioie per sè<br />
stesse, ma voleva pur averle squisitamente legate. Ed anche per<br />
questo non le bastavano i maestri mantovani, e si rivolgeva,<br />
specie per i lavori più ragguardevoli, fuori di Mantova. Nel giugno<br />
del 1504 troviamo eh’ ella faceva a posta venire a Mantova<br />
un orefice forestiero, acciò si fermasse in Corte un mese e<br />
mezzo per legarle delle gioie. Un magnifico gioiello dovette esser<br />
quello che <strong>il</strong> 24 novembre 1494 le descriveva da Venezia Domenico<br />
di Giorgio, che lo aveva eseguito per lei. Sentiamo la<br />
sua descrizione caratteristica :<br />
.......... Io ho fato far uno dignissimo zoielo corno quello de smeraldo<br />
che deti a la V. 111. S. hora tre anni o zirca, in el qual son una spinella<br />
tavola quadra in tuta perfection neta e di bon collor, et di sopra<br />
etiam v’ è uno smeraldo tavola e una bella perla pero cum la corona e<br />
corni de divitia de diamanti perfecti et ho fato far per el roverso etiam<br />
lettere de diamanti cum el nome de essa V. 111. S corno è quello di lavor<br />
del smeraldo che quella hebbe et fin pochi zorni spiero sarà fornito e<br />
grandemente piacerà a V. S. quando lo vederà, et vogliendo qualche moto<br />
o altra lettera da roverso in locho de le lettere, io lo potria far segondo<br />
(1) Cfr. Mantova e Urbino, pag. 70 nota.<br />
(2) C am p o r i , Cataloghi, pagg. 23-24.<br />
(3) La Roux d e L in c y , Déta<strong>il</strong>s sur la vie privée dA nne de Bretagne<br />
in Bibl. de l'ècole des chartes, serie III, voi. I, pagg. 152-153.
4 0 II, LUSSO DI ISABELLA D’ ESTE MARCHESA DI MANTOVA IL - GIOIELLI E GEMME 41<br />
intendesse la sua voluntà : per ei simel etiam uno Sancto Zorzi fato tuto<br />
de diamanti cum lo serpe soto li piedi che è de una perla che la natura<br />
ha producta molto simele a tal animai, chem ai'fu fato più beli lavori<br />
de simel conditione, et etiam mi atrovo provixor diverse cosse che a<br />
charo mi saria essa V. S. le vedesse come feci veder al Rm0 Mons. Vescovo<br />
cugnato de V. S. et etiam a lo 111“° Sr Marcliexe...<br />
Gioiello non cosi complicato, ma certo non meno prezioso,<br />
dovette essere <strong>il</strong> « Iesus de diamanti » inviato a Isabella da Venezia<br />
nel 1520. Possedeva già la marchesa, lasciatole dal padre,<br />
« uno smeraldo intagliato con un Cristo a lettere greche ». Il<br />
Iesus doveva essere un grosso fermaglio con le lettere del nome<br />
di Gesù tutte in diamanti. Ne splende uno bellissimo sul petto<br />
della regina d’ Ingh<strong>il</strong>terra, Giovanna di Seymour, nel ritratto<br />
che le fece Hans Holbein <strong>il</strong> giovane, ora nella Galleria imperiale<br />
di Vienna. In questo genere di gioielli si davano la mano<br />
lo sfarzo e la religione, come nei famosi agnusdei, così frequenti<br />
in quel tempo, d'oro e talora gemmati (1). Agli orefici ordinava<br />
poi la marchesa m<strong>il</strong>le piccoli oggetti d’oro, che voleva fossero<br />
eseguiti con ogni cura : anelli, collane, bottoni, cinture, braccialetti<br />
(talora col ripostiglio per mettervi delle reliquie), catene,<br />
frangio, sig<strong>il</strong>li. Il 18 agosto 1505 rallegravasi <strong>il</strong> letterato bolognese<br />
Gio. Sabbadino degli Arienti con Isabella pel suo sig<strong>il</strong>lo:<br />
« Ho veduto la vostra sig<strong>il</strong>lata lettera de novo sig<strong>il</strong>lo, et per<br />
quello V. Ex. demostra siate de regia stirpe nata, per esserli<br />
la insignia de la vostra valorosa genitrice figlia del Ser'"° Re de<br />
Ragona et quella del quondam inclytissimo Principe vostro genitore<br />
et cum la insignia de 1’ excelso vostro consorte, che certo<br />
non sono poco maestrevole le mane di chi ha facto <strong>il</strong> sig<strong>il</strong>lo nè<br />
etiam di poco ingegno chi ha posto <strong>il</strong> maestro a sì gent<strong>il</strong>e et<br />
laboriosa opera». Tuttavia nel 1505 la nostra gent<strong>il</strong>donna chiedeva<br />
che Girolamo Casio, suo corrispondente bolognese (2), le<br />
ritrovasse « un qualche intaglio da sig<strong>il</strong>lare », ed avendogliene<br />
egli mandati due, li rifiutò perchè non le parevano abbastanza<br />
belli. Al lavoro dei sig<strong>il</strong>li, incisi in metallo od in pietra, solevasi<br />
(1) Vedi la descrizione d’una serie intera di agnusdei in Ca m p o r i,<br />
Cataloghi, pagg. 14-15.<br />
(2) Cfr. Arch. stor. dell’ arte, voi. I, pag. 278.<br />
dare nel Cinquecento un valore grandissimo (1). Tutti rammem- '<br />
tano che <strong>il</strong> Cellini, venuto a Mantova nel 1528, fece i sig<strong>il</strong>li del<br />
C a rd in a l Ercole Gonzaga (2).<br />
Gli artefici ed i mercatanti di cui specialmente si servì Isa»<br />
bella pei lavori d’oreficeria e di gioielleria non è sempre fac<strong>il</strong>e<br />
scoprirli, e scoperti identificarli. A Venezia ricorreva a molti,<br />
ma i suoi preferiti erano Pagano gioielliere egli Albani; su essi<br />
avremo a ritornare. Quel Nicolò m<strong>il</strong>anese, da cui <strong>il</strong> Cellini fu<br />
« messo in opera » e eh’ egli chiama « orefice del duca di Mantova<br />
» (3), fu anche ai servigi della nostra marchesa. Nel 1514<br />
èra certo già in Mantova e Isabella gli affidava alcuni lavori.<br />
Nel maggio e nel giugno del 1516 gli commetteva vari oggetti,<br />
fra cui una cornicetta d'oro per una Madonna. E in data del<br />
14 luglio 1516 lo chiamava « maestro Nicolao da M<strong>il</strong>ano nostro<br />
aurifice ». Il « maestro Nicolò mio or efice », quale uomo di fiducia,<br />
ella mandava a M<strong>il</strong>ano nel 1530 con una lettera diretta a quel<br />
duca, perchè le conducesse «dui maestri per mio bisogno ». Questo<br />
Nicolò da M<strong>il</strong>ano, che nel 1532 stimava gioie in Mantova, crediamo<br />
indubbiamente sia <strong>il</strong> medesimo presso cui andò a lavorare<br />
<strong>il</strong> Cellini, non Nicolò da Asti, come avventatamente fu supposto da<br />
altri (4). Nicolò da Asti era, del resto, egli pure ort?fice di Isabella<br />
ed abbiamo una lettera della marchesa, al presidente del Senato<br />
di M<strong>il</strong>ano (16 marzo 1521), in cui dice di averlo carissimo e lo<br />
raccomanda per certa sua lite (5). Altro orefice, residente in<br />
Mantova, pred<strong>il</strong>etto della marchesa, era Bartolomeo Meliolo. Abbiamo<br />
notizie già stampate di parecchie commissioni che essa'<br />
gli diede dal 1492 al 1506. Si conoscono di lui cinque medaglie<br />
firmate (6), e <strong>il</strong> marchese Francesco verso <strong>il</strong> 1493 lo creò so-<br />
(!) M u n t z in Arch stor. dell’ arte, voi. I, pag. 18.<br />
(2) Vedi P o r t i o l j in Arch. stor. lombardo, voi. V <strong>il</strong>i, pag. 64 sgg.,<br />
e specialmente P l o n , lì. Cellini, pag. 187 e segg., ove l’ impronta del<br />
maggior sig<strong>il</strong>lo celliniano è riprodotta.<br />
(3) C e l l i n i , Vita, lib. I, § 40.<br />
(4) B e r t o l o t t i , Arti minori, pag. 64. Ben è vero che a pag 238<br />
di questo caotico lavoro dicesi morto trentenne a Mantova d’ idropisia<br />
un « Nicolao orefice m<strong>il</strong>anese »; ma o la notizia è inesatta o<br />
v’ ebbero in Mantova contemporaneamente due Nicolò orefici, entrambi<br />
m<strong>il</strong>anesi.<br />
(5) B e r t o l o t t i , Arti minori, pagg. 3 7 -3 8 .<br />
(6) A r m a n d, Méda<strong>il</strong>leurs, voi. Ili, pag. 18.
4 2 IL LUSSO DI ISABELLA D 'E STE MARCHESA DI MANTOVA II. - GIOIELLI E GEMME 4 3<br />
prastante della zecca mantovana. Tenne quella carica sino alla<br />
sua morte, avvenuta <strong>il</strong> 17 novembre 1514 (1). Oltreché al medaglista<br />
Giov. Marco Cavalli,’ di cui toccheremo in seguito, Isabella<br />
si rivolse anche, in Mantova, a Giov. Francesco della Grana.<br />
Era costui Giov. Francesco de'Roberti, di cui v’ha una medaglia<br />
ritraente Francesco Gonzaga ancora giovane (2). Fu saggiatore<br />
della zecca di Mantova e godette la speciale fiducia del<br />
marchese Francesco e del figlio Federico, che gli commisero<br />
molti lavori (3). Nel 1494 egli presentò alla marchesa un pappagallo<br />
d’oro. Isabella lo chiama nostro aurifice inviandolo nel<br />
giugno del 1497 a Venezia con settecento ducati per pagare certi<br />
argenti ottenuti con la malleveria dei fratelli Albani. Ma le cose<br />
non andarono sempre così liscie. In data 26 luglio 1502 troviamo<br />
una lettera originale della Gonzaga al marito in cui gli<br />
partecipa che « mastro Zoan Francesco aurifice » le ha usato v<strong>il</strong>lania,<br />
perchè in sua presenza ha ingiuriato un cortigiano, ne<br />
gando di avere dell’ oro della marchesa, che gli aveva commesso<br />
un lavoro. « Non mi havendo havuto più respecto che se fusse<br />
stata sua m assara... intendo che l ’habi la licentia».<br />
Di orefici non residenti in Mantova troviamo specialmente<br />
nominati due, che stavano in Ferrara, cioè Michele orefice ed<br />
Ercole Fedeli, ed un artista famosissimo, <strong>il</strong> Caradosso. Di parecchi<br />
lavori che la marchesa commise a Michele orefice, eh’ è<br />
per lo più designato con l’epiteto di Spagnolo, diede già notizia<br />
<strong>il</strong> Bertolotti (4). Fac<strong>il</strong>e sarebbe <strong>il</strong> moltiplicarne <strong>il</strong> novero; ma noi<br />
staremo paghi a qualche ordinazione caratteristica. Il 26 giugno<br />
1492 scrive Isabella a Francesco da Bagnacavallo : « Pregamovi<br />
che ne faciati fare ad mastro Michele aurifice uno paro de ferretti<br />
d'oro smaltati de verde, bianco et rosso, et un altro paro<br />
de morello et beretino, quali siano tanto bene smaltati che non<br />
(1) D a v a r i , Sperandio da Mantova e Bartol. Meliolo, Mantova, 1886,<br />
pagg. 8-18 ; B e r t o l o t t i , Arti minori, pagg 18-20 e ‘34-36 ; M u n t z in<br />
Les archives de Vari, voi. I. pagg. 30-31.<br />
(2) F r i b d l ^ e n d e r , Schaumùnzen, pag. 125; A r m a n d , voi. I, pag. 18.<br />
(3) B e r t o l o t t i , Arti minoH, pagg. 20-21,36, 46, ecc.; B e r t o l o t t i ,<br />
Artisti in relazione coi Gonzaga, Modena, 1885, pag. 91 ; IT. Rossi, I<br />
medaglisti del Rinascimento alla Corte di Mantova, opusc. I li (Cavalli),<br />
pag. 6.<br />
(4) Artisti, pag. 88 ; Arti minori, pagg. 32 e 62.<br />
si veda quasi oro, et siano torti cum uno pomello al pede et più<br />
belli che '1 facesse mai ». E di nuovo al medesimo <strong>il</strong> 28 gennaio<br />
1495: «Pregamovi, se mai credete farne piacere, vogliati<br />
esser cum mastro Michele aurifice et farne fare uno paro de<br />
ferretti d’oro grossi più che non furono li altri sm altati,... de<br />
le infrascripte sorte: uno paro de bianco schietto, uno de berettino<br />
schietto, uno de verde, rosso et bianco insieme et un altro<br />
paro de morello, berettino et negro ». II 14 febbraio 1494 gli<br />
aveva scritto : « Fatine fare a mastro Michele uno cordoncino ed<br />
una croxinetta picoli d'oro tutti smaltati de rosso, per modo che<br />
non gli para niente d’oro nè altro colore, che siano facti tanto<br />
gallanti quanto saperà» Nel 1495 Isabella gli ordina direttamente<br />
una stringa d’oro smaltata, ma egli non riesce ad accontentarla<br />
« per non bavere bona gratia », onde la gent<strong>il</strong>donna gli<br />
scrive che ne faccia un’altra «pure d’oro et smaltata come è<br />
questa, ma gli metiati ogni industria per darli bona gratia et tal<br />
gesto che la se cognosci per stringa agroppata et apta da portare<br />
per pendente al collo ». E non essendo Michele troppo sicuro<br />
del fatto suo nella delicata bisogna, la marchesa gli mandò poco<br />
appresso <strong>il</strong> disegno di quella stringa, aggiungendo che la voleva<br />
«sm altata tutta de berettino... excepto li ferretti, quali fareti a<br />
vostro modo ». Nell’ ottobre del 1496 gli inviava un braccialetto<br />
da smaltare; nel febbraio del 1497 una corona «dove è dentro<br />
uno santo Zoanne et cinque paternostri smaltati d’oro», che avevano<br />
un po’ perduto lo smalto e andavano rinfrescati. Anche la<br />
corona « de ambro negro signata de certe rosette », di cui parlammo<br />
poco sopra, voleva Isabella (22 agosto 1501) che fosse<br />
imitata da Michele orefice, ma con ismalto di bianco schietto.<br />
Possiamo dedurne che Michele godeva d’ una vera celebrità negli<br />
smalti e siamo dolenti di non poterne dir altro. Certo questo<br />
Michele non ha nulla a che vedere con quel « Michelino gioielliere<br />
del papa » abitante in Venezia, al quale Isabella commise<br />
nel 1531 di legare in argento un vasetto di cristallo e uno di<br />
amatista. Su questi vasetti, che le stavano molto a cuore, e insieme<br />
sul Iesus che allora lavorava per lei un artefice nominato<br />
Cavorlino, abbiamo diverse lettere (1). Non sappiamo se <strong>il</strong> Michelino<br />
nostro sia da identificare con quel Michelino divenuto fat<br />
i ) C fr. B e r t o l o t t i , A r ti m in o ri, p a g g . 5 1 -5 2 .
4 4 IL LUSSO DI ISABELLA D’ ESTE MARCHESA DI MANTOVA<br />
moso al tempo di Leone X, che <strong>il</strong> Vasari chiama « grazioso<br />
maestro» (1).<br />
L’ orafo Ercole de’ Fedeli è salito in questi ultimi anni ad<br />
una grande notorietà. Il Bertolotti e 1’ Yriarte fecero dapprima<br />
falsa strada a proposito di lui ; ma poi trovarono la via giusta<br />
per merito del rimpianto Angelo Angelucci, che svelò <strong>il</strong> mistero<br />
dell’esser suo (2). Ercole era un ebreo convertito: i suoi genitori<br />
gli avevano imposto <strong>il</strong> nome di Salomone, quando nacque,<br />
verso <strong>il</strong> 1465, in Sesso, presso Reggio Em<strong>il</strong>ia. E Salomone<br />
da Sesso è chiamato dapprima anche nei documenti, essendosi<br />
egli acquistata ben presto una certa rinomanza in Ferrara, ove<br />
si diede alla professione dell’ orefice. Ma nel corso del 1491 egli<br />
diventa Ercole dei Fedeli, nome e cognome assunti, si vede, col<br />
battesimo. Il nome sonava omaggio agli Estensi, come pure quelli<br />
dei figli e delle figliuole di Ercole. Fatto cristiano (e cristiano<br />
zelante come tutti i neofiti, giacché nel 1495 <strong>il</strong> marchese di<br />
Mantova gli doveva infliggere una punizione per avere calunniato<br />
gli Ebrei mantovani) (3), fatto cristiano, Ercole salì sempre<br />
in maggior fama e fortuna. A lui si attribuiscono oggi lavori<br />
di niello e di cesello mirab<strong>il</strong>i, fra cui splendono specialmente la<br />
famosa spada di Cesare Borgia che è nella raccolta Caetani e la<br />
cinquedea, o lingua di bue, del marchese di Mantova, che fu<br />
acquistata nel 1889 dal museo del Louvre. Sono queste tra le più<br />
belle armi che vanti <strong>il</strong> Rinascimento italiano (4). È troppo agevole<br />
l ’intendere come <strong>il</strong> gusto squisito d’ isabella non potesse rimanere<br />
indifferente all’opera d’ un tanto artefice. Sono conosciuti<br />
i documenti preziosi nei quali si scorge la strana insistenza con<br />
cui la marchesa riuscì a farsi fare dal Fedeli certe maniglie (5)<br />
(1) V a s a r i , Opere, v o i V , p a g 371.<br />
(2) Catalogo dell' Armeria reale di Torino, 1890, pagg. 304-308.<br />
(3) B e r t o l o t t i . Arti minori, p a g . 32.<br />
(4) Egregiamente <strong>il</strong>lustrate in Francia. Lo Y r i a r t e ne trattò assai<br />
bene l’ ultima volta che vi tornò sopra, cioè nel volume Aulour des<br />
Borgia, Paris, 1891, pag. 143 e segg. Da trenta a trentacinque sarebbero<br />
le armi di lusso del Fedeli, sparse nei musei d' Europa. Per la cinquedea<br />
vedi M o l i n i e r in Bullet, des musties, 1889, n. 9, e M . M a i n d r o n<br />
in Gas. des beaux arls, serie III, voi. VII, pag. 24 e segg.<br />
(5) Una specie di braccialetti. Vedi L a n z a d i S c a l e a , op. cit pag. 1 83;<br />
C k l l i n i , Tratt. doreficeria, pag. 3 7 ; M e s s is h u k g o , Banchetti, Venezia,<br />
1564, c. 14 v.<br />
II. - GIOIELLI E GEMME 4 5<br />
che gli aveva ordinate fi). Queste maniglie tornarono poi in<br />
mano di Ercole e del figliuol suo Alfonso più volte, nel 1506 e<br />
nel 1518, per essere racconciate. Il 22 settembre 1507 Isabella<br />
gli commetteva certi ferretti veduti in dosso a Lucrezia Borgfa.<br />
Così ella lie scrive a Girolamo Z<strong>il</strong>iolo : «Vedessimo altre volte<br />
alla Illusma Sig“ Duchessa certi ferretti d’oro facti in torto da<br />
maestro Hercule aurifice. Desideraressimo haverne quaranta de<br />
sim<strong>il</strong>i; però vi mandiamo una verzelletta d’oro quale pesa once<br />
due quarti uno». Ma ignoto del tutto è <strong>il</strong> fatto che prima della<br />
conversione Salomone da Sesso dimorò stab<strong>il</strong>mente in Mantova.<br />
Isabella lo condusse seco quando andò a marito, tanto è vero che la<br />
madre Leonora, in una bellissima lettera del 12 marzo 1490, che<br />
pubblicheremo altrove, dice: « Il rimase con voi lo hebreo orefice,<br />
et perchè ne habiamo bisogno per certe nostre faccende, però lo<br />
potreti adviare qua prestissimo atiò se ne potiamo servire ». La<br />
marchesa lo avrà rimandato ; ma nel 1491 era di nuovo a Mantova,<br />
poiché <strong>il</strong> 26 marzo di quell’ anno Isabella scriveva alla<br />
madre: « Questa matina ho facto renovare la crida de li hebrei<br />
per la septimana sancta secundo el consueto, exceptuandone<br />
Salomone da Sesso cum tri suoi garzoni, quali impune possino<br />
andare per la terra ». Nei copialettere d’Isabella v’ è anche un<br />
documento che getta qualche luce sulla conversione di Salomone.<br />
È una lettera della marchesa al marito, in data 16 settembre 1491,<br />
nella quale lo prega in nome del padre Ercole d’ Este di far la<br />
grazia della vita ad Angelo ebreo, imprigionato, come appare da<br />
altra lettera, « per furti ed altri mancamenti ». Quell’ Ebreo voleva<br />
farsi cristiano, e Isabella, a convincere <strong>il</strong> marchese, gli rammentava<br />
che « S. Ex. [cioè Ercole] l’ ha etiam perdonata [la vita]<br />
a Salomone da Sesso, quale è in questa medesima deliberatione,<br />
per guadagnare 1’ anima sua, essendose accorto del errore suo<br />
(1) Documenti del 1504-1505 accennati dal B e r t o l o t t i , Arti m i<br />
nori, pag. 63, pubblicati dallo Y r i a r t e , Aulour des Borgia, pagg. 200-<br />
201 Ma a tutti è sfuggita una lettera dell’ 8 luglio 1504, nella quale<br />
Isabella incaricava <strong>il</strong> fratello cardinale Ippolito di « far un bon rebuffo »<br />
ad Ercole, che da quattro mesi la tirava in lungo con quelle maniglie.<br />
Aggiunge ingenuamente: « se io non le porto adesso, eli’ è estate e che le<br />
bracie se portano scoperte, quasi che poi non me ne curarò ». F e r r a t o ,<br />
Alcune lettere di principesse di casa Gonzaga, Imola, 1879, pag. 3. Non<br />
per nulla Ercole la fece attendere fino all’ estate successiva !<br />
5
4 6 IL LUSSO DI ISABELLA D’ ESTE MARCHESA DI MANTOVA<br />
et promettendo de voler vivere da huomo da bene et bono cristiano».<br />
Sembrerebbe adunque manifesto che la conversione di<br />
Salomone avesse un motivo molto urgente di salvezza personale,<br />
correndo egli <strong>il</strong> pericolo d’ una condanna infamante. Il 29 gennaio<br />
1494 la marchesa pregava lo Z<strong>il</strong>iolo « che ordinati a maestro<br />
Hercule, qual erajudeo, uno librezolo de fìl d’ oro piedino,<br />
che se aperi, lavorato benissimo, corno fo quello eh’ el fece alla<br />
fe. mem. de la <strong>il</strong>i "a Mad. nostra Madre, et parendoli tramezarlo<br />
de qualche arzento ce remettemo a lui, pur d i’ el lo faci vistoso<br />
et bello, sollicitando ch’el ce servi tosto».<br />
Cristoforo Foppa Caradosso, orefice, scultore, medaglista, vissuto<br />
specialmente in M<strong>il</strong>ano ed in Roma, è da collocarsi senza<br />
dubbio fra i più insigni artefici nostri del maturo Rinascimento (1).<br />
11 Cellini, buon giudice, lo dice nelle opere di cesello « <strong>il</strong> maggior<br />
maestro che mai io avessi visto », e altrove lo designa senz’<br />
altro come maraviglioso (2). Afferma <strong>il</strong> Vasari che «nel far<br />
coni non ebbe pari» (3), e a lui s’attribuisce <strong>il</strong> merito d’aver<br />
richiamato al primitivo splendore l’arte del far medaglie (4). Le<br />
relazioni di quest’ artista coi Gonzaga furono già rintracciate.<br />
Lo si trovò nel 1501 in corrispondenza col vescovo Ludovico<br />
Gonzaga (5); fu edito un documento da cui risulta che nel 1505<br />
Gian Cristoforo Romano proponeva a Isabella 1’ acquisto d’ un<br />
bellissimo vaso del Caradosso, <strong>il</strong> quale sarebbe venuto in persona<br />
a Mantova per combinare <strong>il</strong> negozio (6); fu fatta conoscere<br />
una lettera bellissima di Federico, che proponeva alla madre<br />
da Roma nel 1512 un Laocoonte d’ oro di tutto r<strong>il</strong>ievo fatto dal<br />
Caradosso, che sarebbe servito per un tondo da berretto, e la<br />
risposta d’ Isabella che rifiutava per mancanza di quattrini (7);<br />
(1) L e p iù s ic u r e n o tiz ie d i lu i s o n o r a c c o lte d a l M u n t z n e lla Gaz.<br />
des beaux arts, s e rie II, voi XXVII, p a g . 421 e s e g g .<br />
(2) Vita, ediz. G. Guasti, pagg 62 a 78. Ripete 1’ encomio nei Trattati<br />
d’orificeria, pag. 72. e a pag. 3o riferisce sull’ origine del nome<br />
Caradosso una storiella, che la critica non gli crede.<br />
(3) Opere, voi. IV, pag. 161.<br />
(4) M u n t z , Renaiss., voi. II, pagg. 818-820. Cfr. F rie d L jE N D e r, Schaum<br />
ùnzen, pagg. 177-179; A r m a n d , voi. I, pagg. 107-112, e voi. Ili,<br />
pag. 34.<br />
(5) D ’ A r c o , Arti mantovane, v o i. I I , p a g . 97.<br />
(6) B e r t o l o t t i , Artisti, p a g g . 8 8 -8 9 .<br />
(7) Luzio, Federico ostaggio, pag. 40.<br />
si <strong>il</strong>lustrò la parte avuta dal Caradosso nel monumento della<br />
beata Osanna Andreasi, commesso da Isabella a Gian Cristoforo<br />
(1). E sta bene. Aggiungiamo che avendo Gian Cristofoj-q<br />
<strong>il</strong> 20 luglio 1505 fatto una nuova proposta alla Gonzaga : « el<br />
detto Caradosso ha el più bel calamaro che sia a 1’ età .nostra,<br />
qual altra volta el fece quando lui stette col R.mo cardinale<br />
di Ragona, e lo vorria vendere, ma ne domanda m<strong>il</strong>e ducati,<br />
e veramente se V. S. si trovasse dieci m<strong>il</strong>ia ducati in cassa,<br />
io vi exortaria a non lo lassare perchè 1’ è cosa unica » (2),<br />
Isabella non si mostrò punto spaventata, anzi rispose <strong>il</strong> 13 agosto:<br />
« non ce extenderimo in altro circa el calamaro, parendone che<br />
opimamente ni potiamo contentare de la resolutione presa per<br />
vui, essendo dii gran valore ne scriveti ». Nel settembre la marchesa<br />
fece pratiche con la Signoria di M<strong>il</strong>ano perchè Caradosso<br />
potesse uscire dallo Stato col vaso, di cui sopra si parla, e col<br />
calamaio senza pagar dazio. Ed infatti <strong>il</strong> Caradosso venne, ma<br />
col vaso solamente, che Isabella non credè di acquistare. In una<br />
sua lettera a Gian Cristoforo del 27 settembre 1505 si legge :<br />
« El vaso de Caradosso è bello et molto ne piace ; ma per esser<br />
troppo grande da studio, 1’ havemo lassato in sua libertà ;<br />
et partisse cum bona sactisfactione, ancora che non gli habiamo<br />
potuto far quelle carezze che desideravamo per la infermità in<br />
la quale ne trovamo. Hanne promesso mandarne el calamaro, el<br />
quale vederemo volontieri ». Se poi veramente Isabella comprasse<br />
quel calamaio, non ci risulta dai documenti, giacché non sembra<br />
opera del Caradosso quel « calamaro di argento in forma di una<br />
cassettina alquanto grandetta cum le arme de Gonzaga et de<br />
Este in un medesimo scuto», che fu rubato a Isabella nel giugno<br />
del 1509 e pel ricupero del quale ella pubblicò una grida nel-<br />
1’ apr<strong>il</strong>e del 1511. Il calamaio del Caradosso doveva essere preziosissimo,<br />
a sentire quel che ne dissero Gian Cristoforo Romano<br />
e Sabba da Castiglione, che lo giudica «fatica d’anni ventisei,<br />
ma certo divina» (3). Ad una impresa del marchese Federico<br />
lavorava <strong>il</strong> Caradosso in Roma nel 1522 (4). Ma nel 1524 non<br />
\<br />
II. - GIOIELLI E GEMME 4 7<br />
(1) V e n t u r i in Arch. stor. dell’ arte, voi. I, pagg. 114-116.<br />
(2) B e r t o l o t t i , Artisti, pag. 89.<br />
(3) Ricordi, cap. 109. Cfr. Anonimo Morelliano, ediz. Frizzoni, pag. 175.<br />
(4) B e r t o l o t t i , Artisti, pag. 92.
4 8 IL LUSSO DI ISABELLA D’ ESTE MARCHESA DI MANTOVA<br />
era ancor finita, dacché Baldassar Castiglione ne scriveva stizzito<br />
al marchese <strong>il</strong> 28 apr<strong>il</strong>e di quell’anno: « Io non manco ogni<br />
dì de sollicitare quel maledetto vecchio de Caradosso, benché<br />
non 1’ habbia scritto a V. Ex. Lui lavora tuttavia nell’ impresa<br />
e dice volerla far tanto bella quanto el pò, perchè ’l voi che la<br />
sia 1’ ultima che ’l faccia in vita sua, e ben è tanto vecchio che<br />
potrebbe intravenir<strong>il</strong>. Penso pur che la sarà presto in termine<br />
bono ». Parrebbe da queste parole che <strong>il</strong> Caradosso dovesse esser<br />
nato prima del 1452, data fissata dal Muntz, giacché a settant’anni<br />
un uomo non è poi tanto vecchio da parlarne a quel modo.<br />
Più di una volta vedemmo nel corso di queste nostre investigazioni<br />
che la marchesa rifiutò la compera di oggetti preziosissimi<br />
o non riuscì a concludere l’acquisto di altri. Quasi sempre<br />
<strong>il</strong> gran motivo di quei rifiuti e di quelle trattative fallite era la<br />
scarsezza di denaro. Isabella avrebbe dovuto possedere dei mezzi<br />
molto più cospicui di quelli di cui disponeva, per far fronte ai<br />
m<strong>il</strong>le desideri di eleganza, di arte, di lusso che pullulavano in<br />
quella sua anima assetata di bellezza. Allorché nel 1492 essa<br />
fu a M<strong>il</strong>ano e Lodovico Sforza le mostrò <strong>il</strong> suo tesoro ricchissimo,<br />
le eruppe dal cuore questo grido sincero e significativo :<br />
« che Dio volesse che nui che spendiamo volontieri ne havessimo<br />
tanti!» (1). Infatti la liberalità di Isabella era immensa.<br />
« Chi meglio e più volentieri di costei (lasciò scritto <strong>il</strong> Trissino)<br />
sa spendere per le cose lodevoli, e spendere dove <strong>il</strong> bisogno conosce?<br />
E questa sua liberalità si può chiaramente comprendere<br />
da le splendide sue vestimenta, da i paramenti di casa magnifici,<br />
e da le fabbriche bolle, d<strong>il</strong>ettevoli e quasi divine, con alcuni<br />
dolcissimi camerini pieni di rarissimi libri, di pitture bellissime,<br />
di antiche sculture meravigliose e di moderne che si avvicinano<br />
a quelle, di carnei, di tagli, di medaglie, e di gemme elettissime<br />
»(2). Quando nel 1495 la Signoria di Venezia le assegnò m<strong>il</strong>le<br />
ducati nell’occasione del conferito capitanato al marchese, ec<br />
cola scrivere subito al Brognolo (27 luglio) di dar fondo a quella<br />
somma, cominciando col comperarle delle pezze di tabi (3) « di<br />
tutta bellezza»; poscia destinava quella somma (20 settembre) a<br />
(1) Vedi le nostre Relaz. con gli Sforza, pag. 61.<br />
(2) Opere, voi. II, pag. 276.<br />
(3) Vedi, pel tabi, G a n d i n i in Mantova e Urbino, pag. 302.<br />
II. - GIOIELLI E GEMME 4 9<br />
soddisfare Pagano gioielliere. Nel 1506, a cagione della peste<br />
che imperversava a Mantova, la marchesa si trovò in grandi<br />
strettezze, onde scriveva a Taddeo Albano: « se la peste non fusse<br />
sopragionta a Mantova, qual ni ha in tutto levate le entrate<br />
dove havimo lo assigno di la provisione nostra, non haveressjmo<br />
passato <strong>il</strong> termine a satisfarvi corno era conveniente cosa, che ne<br />
rincresce assai. Et tanto più quanto che non gli vedimo ordine<br />
sin a parechi mesi, perchè dovendo vivere bisogna trovar dinari<br />
in prestito et forsi ad interesse » (27 apr<strong>il</strong>e). Eppure in quella<br />
stessa lettera faceva delle ordinazioni di vetri di Murano! Durante<br />
la prigionia del marito, nel 1509, nella quale occasione i<br />
Gonzaga ebbero a soffrire grandi perdite di denaro, di argenti<br />
e di gioie, le giungeva <strong>il</strong> 15 ottobre una lunga lettera anonima<br />
piena di buoni quanto espliciti consigli di governo. Le si raccomandava<br />
anzitutto di frenare <strong>il</strong> lusso e di sopprimere le inut<strong>il</strong>i<br />
spese. Nel 1516, quando <strong>il</strong> primogenito Federico era in Francia,<br />
e nel 1523, quando l’altro suo figlio Ferrante era in Spagna,<br />
Isabella si vedeva tempestata da continue e pressanti richieste<br />
di denaro, e nessuno meglio di lei avrà compreso quanto a quei<br />
giovani dovesse dolere di non primeggiare nel lusso e nell'eleganza<br />
presso le Corti che li ospitavano. Ma molte volte le era<br />
forza rispondere che aveva la cassa vuota! Nel soggiorno romano<br />
in cui fu sorpresa dal sacco, soggiorno che ci proponiamo d '<strong>il</strong>lustrare<br />
altrove convenientemente, le tentazioni di acquistare oggetti<br />
d’arte, anticaglie e preziosità d’ ogni genere debbono essere state<br />
su di lei strapotenti. Noi non possediamo che una parte insignificante<br />
delle note di spese ivi fatte, essendo andate perdute molte delle<br />
carte di quel tempo. Nel giugno del 1530, trovandosi a Venezia,<br />
le venne a mancare d’ un tratto <strong>il</strong> denaro, e volendo comperare<br />
ancora parecchi oggetti di lusso, dovette rivolgersi in gran fretta<br />
al tesoriere Paolo Andreasi, che le inviò cento scudi d’oro. Quando<br />
Margherita Cantelmo la lasciò erede dell' aver suo, incontanente<br />
<strong>il</strong> figlio Ferrante le richiese una somma, ed essa rispose con una<br />
lettera (22 maggio 1532), che ha questo esordio significante : « S’io<br />
non mi persuadessi che l’oppinione qual si è havuta qua per<br />
molti che 1’ keredità della S.ra Cantelma mi habbi fatta pecuniosa,<br />
sii ancor intrata in V. S. et con quella si sii mossa a farmi<br />
la richiesta delli 3 m. scudi, veramente ne restarei con maggior<br />
amiratione di quel che faccio, perchè la deve pur sapere che
5 0 IL LUSSO DI ISABELLA D’ ESTE MARCHESA DI MANTOVA<br />
non fu mai mio costume di cumular' denari; et se la detta<br />
heredità me ne havesse concessi quanti si è detto, a me non pesarla<br />
d’assecondare V. S. »; ma i legati assorbono gran parte<br />
della somma.<br />
I bisogni ed <strong>il</strong> lusso superiori alle rendite spingevano spesso<br />
Isabella a far dei debiti. Non già che ella vi si lasciasse andare<br />
all’ impazzata; ma molte volte le voglie eran più forti della<br />
ragione e le entrate non bastavano ad appagarle. Così Antonio<br />
Salimbeni la prega (Venezia, 18 ottobre 1494) di voler mandare<br />
denari perchè « ogni zorno ho questi mercadanti a le spalle<br />
et io gli do buone parole, sperando che V. Ex. gli facia provisione<br />
». Così <strong>il</strong> 10 marzo 1502 è costretta a scrivere ad un Masetto,<br />
che potrebbe anche essere uno strozzino : « Perchè ni occorre<br />
andar a Venetia stravestita et ne ritrovamo senza dinari,<br />
pregamovi che ce vogliati servire de trecento ducati ». Così, <strong>il</strong><br />
17 maggio 1506, si fa prestar quattrini per comperare certe rarità<br />
messe all’ incanto dal Vianello. Codesti acquisti, come si suol<br />
dire, d' occasione erano per lei tentazioni irresistib<strong>il</strong>i. Nel novembre<br />
del 1497 le giunge novella che è morto a Venezia Domenico<br />
di Piero, gioielliere, quel medesimo che procacciò tante<br />
belle cose ad Ercole d’ Este (1) e che V Anonimo Morelliano<br />
chiama « zogiellier e antiquario singoiar » (2). Ed ecco Isabella<br />
in agitazione per riuscire ad ottenere le gioie e le anticaglie più<br />
preziose da lui lasciate. Scrive al Brognolo, scrive a Benedetto<br />
Tòsabezzi, scrive all' altro gioielliere Andrea di Fiore, e tutti<br />
prega di praticare ogni d<strong>il</strong>igenza perchè non le sfugga nulla di<br />
veramente degno, di usare ogni sollecitudine onde prevenire <strong>il</strong><br />
padre di lei, ghiotto di sim<strong>il</strong>i cose. Lo stesso accade, anni dopo,<br />
nel 1503, quando viene a morte Giov. Andrea di Fiore, suo « singulare<br />
amico ». Anche allora si rivolse a Lorenzo da Pavia perchè le<br />
facesse avere certe teste antiche possedute dal Fiore; ma Lorenzo<br />
le rispose che quelle anticaglie non valevano gran che. Giovanni<br />
Andrea di Fiore era a Venezia uno dei gioiellieri che procuravano<br />
gioie ed oggetti d 'oro ai Gonzaga (3). Più volte Isabella<br />
(1) A. V e n t u r i , L ’ a rie fe r ra re s e n el p erio d o d ’ E rcole 1 d ’ Este,<br />
Bologna, 1890, pagg. 24-26.<br />
(2) Ediz. Frizzoni, pag. 231. Cfr. B e r t o l o t t i , A rti m in o ri, pag. 24.<br />
(3) Vedi molte ordinazioni in B e r t o l o t t i , A rti m in o ri, pagg. 23-<br />
24 e 49.<br />
II. - GIOIELLI E GEMME 51<br />
ebbe a sottoscrivere delle obbligazioni a più o meno lunga scà1<br />
denza. Era appunto in debito con lui e con parecchi altri mercanti<br />
veneziani, quando 1’ 11 febbraio 1497 fece istanza alla Signoria<br />
di Venezia che le venisse corrisposto <strong>il</strong> rimanente della<br />
provvisione, perchè, dice, « sono inplicata de multi debiti, nè<br />
gli ho modo alcuno se la Sub. V. non mi soccorre ». I negozi più<br />
r<strong>il</strong>evanti ella concludeva peraltro col Pagano gioielliere, che già<br />
avemmo a menzionare (1). Nel 1491 i Gonzaga avevano ormai<br />
con lui un debito di otto m<strong>il</strong>a ducati, onde <strong>il</strong> marchese gli cedette<br />
in pagamento una possessione, col patto di ricupero quando <strong>il</strong><br />
debito fosse pagato. Isabella pensò di riscattare quella possessione<br />
e ne scrisse <strong>il</strong> 25 apr<strong>il</strong>e 1491 al Doge, dicendo che avrebbe<br />
sborsato subito due m<strong>il</strong>a ducati e <strong>il</strong> resto a rate annuali. Il Doge<br />
era pregato di far cauzione. Ma pare che Pagano non vi si acconciasse<br />
di buon grado e movesse delle difficoltà, poiché troviamo<br />
che <strong>il</strong> 13 maggio la marchesa ne scriveva risentita al Brognolo,<br />
dicendo che quel mercante dovrebbe fidarsi nella sua « discretione,<br />
de la quale mai se troverà ingannato, perchè prima vorressimo<br />
morire che mancar di fede». Come poi la faccenda si<br />
componesse, non sappiamo; solo ci sta dinanzi una obbligazione<br />
di Isabella, contrassegnata dal suo segretario Benedetto Cap<strong>il</strong>upi,<br />
con la quale si riconosce debitrice a Pagano di « ducati novanta<br />
d’oro in oro per una croxetta de diamanti con tre perle ». Continuo<br />
assegnamento faceva poi Isabella sul credito degli Albani di Venezia,<br />
Pietro, Taddeo, e più tardi Vincenzo e Luigi (2). Pietro<br />
Albano non è un personaggio ignoto. A lui <strong>il</strong> vescovo Ludovico<br />
Gonzaga indirizzava <strong>il</strong> medagliere Ermes Flavio de Bonis per<br />
l’acquisto di gioielli da offrire in regalo a Isabella sposa (3). Sperandio<br />
mantovano gli fece una medaglia col motto : sic <strong>il</strong>ur ad<br />
astra (4). Ogniqualvolta si trattasse d’ aver bisogno d’ una malleveria<br />
per acquisto di oggetti con pagamento a lunga scadenza,<br />
(1) Qualche confusa notizia in B e r t o l o t t i , Arti minori, pagg. 20,<br />
22-23.<br />
(2) B e r t o l o t t i , Arti minori, pagg. 50-51.<br />
(3) Vedi a pagg. 8-9 lo scritto sul De Bonis di U. Rossi nei suoi<br />
Medaglisti del Rinascimento, opusc. I Ermes fu pure inviato dal vescovo<br />
a Castelgoffredo per comp<strong>il</strong>are un inventario di cose preziose con<br />
Salomone da Sesso ebreo (pag. 2), del quale parlammo in addietro.<br />
(4) F r i e d l / E n d e u , pag. 64; A r m a n d , voi. I, pag. 63.<br />
0
5 2 IL LUSSO DI ISABELLA D’ ESTE MARCHESA DI MANTOVA<br />
Isabella ricorreva agli Albani. Talora facevano anche crediti in<br />
denaro di centinaia e di migliaia di ducati e pare che i Gonzaga<br />
fóssei'o sempre soddisfatti della loro delicatezza, perchè li trattavano<br />
amichevolmente. Quando <strong>il</strong> marchese Francesco morì<br />
nel 1519, gli Albani non mancarono di fare le loro condoglianze<br />
alla moglie, la quale rispose con una lunga ed affettuosa lettera,<br />
in cui li assicurava che <strong>il</strong> marchese tenevali « in quel<br />
bono et honorevole conto che 1’ havesse altro amico, per li piaceri<br />
et servitù continuamente ricevuti da voi et casa vostra »<br />
(5 apr<strong>il</strong>e 1519).<br />
Malgrado tutto, cattiva amministratrice Isabella non fu; anzi<br />
anche in ciò la sovveniva quel senso della misura e quell’ accortezza,<br />
che la rendono di tanto superiore a molte principesse del<br />
suo tempo. Ci è conservato un documento ghiottissimo del 1502,<br />
nel quale la marchesa fa al padre una specie di resoconto delle sue<br />
entrate personali. Il documento merita di essere riferito intero :<br />
111. Si.re mio patre obserd.mo Quando io venni a principio in questa<br />
Ill.ma casa mi fu deputato de provisione sei m<strong>il</strong>le ducati d’ oro 1’ anno<br />
per <strong>il</strong> mio vestire et de le mie donne et che havessi etiam a maritare le<br />
doncelle et dare la provisione a tutti li servitori et donne da li compagni<br />
in fora, cioè dui gent<strong>il</strong>homini, et ultra di questo la corte mi faceva le<br />
spese a circa cento bocche. Doppo, per essere in magiore libertà de<br />
acrescere et sminuire la famiglia a mio modo, condescendendoli etiam<br />
volontariamente lo Ill.mo S. mio Consorte a persuasione di suoi factori,<br />
per levarsi in tutto <strong>il</strong> peso dalle spalle mi furono deputati dua m<strong>il</strong>lia<br />
ducati per le spese, includendoli etiam le spese de li compagni, li quali<br />
me furono assignati in questo modo : li sei m<strong>il</strong>le de la provisione sopra<br />
<strong>il</strong> datio de la macina, m<strong>il</strong>le delle spese sopra una gabella, et per li altri<br />
m<strong>il</strong>le mi fu data la corte et possessione de Letopaledano (1), si che in tutto<br />
ascendono a la summa de octo m<strong>il</strong>le ducati. L’ è vero che poi per industria<br />
mia et de miei la intrata de dieta corte è accresciuta circa altri<br />
m<strong>il</strong>le ducati, et ho de li avanzi acquistata la corte de Castion Mantuano<br />
et dii Bondenazo per forma che al presente mi ritrovo havere de entrata<br />
circa due m<strong>il</strong>lia et cinquecento ducati 1’ anno, ma ho etiam forsi cinquanta<br />
bocche più che non furono deputate. L’ è vero chel S.r mio mi<br />
ha poi dato alcuni altri loci per mio spasso, corno è Sacchetta et Porto ;<br />
(1) Palidano, paese fra Suzzara e Gonzaga.<br />
m a la i n t r a t a n o n s u p e r a la s p e s a g r a n fa c to , a n z i q u a lc h e v o lta s é<br />
s p e n d e d e p iù , h a v e n d o li a te n e r e r e p a r a t i; sì c h e q u e s to è q u a n t o p o ss o<br />
s ig n if ic a r e a l l a E x . V . p e r s u a s a tis f a c tio n e , in b o n a g r a t i a d i la q u a le<br />
m e r a c c o m a n d o s e m p re .<br />
Mantuae xvin maj 1502. '<br />
H . - GIOIELLI E GEMME 5 3<br />
In complesso, adunque, la rendita personale ammontava a dieci<br />
m<strong>il</strong>a ducati circa. Il ducato d’ oro d’ allora è calcolato pari a<br />
lire 11.42 (1); quindi la marchesa avrebbe potuto disporre di poco<br />
più che cento dieci m<strong>il</strong>a lire nostre all’anno. Una miseria, dovendo<br />
provvedere a tante persone. Ma se si pensa, non al valore assoluto,<br />
bensì al valore relativo della moneta, che equivaleva a<br />
circa cinque volte <strong>il</strong> prezzo attuale (2), si può calcolare che Isabella<br />
potesse spendere a ll’ anno qualcosa più di mezzo m<strong>il</strong>ione<br />
di lire, <strong>il</strong> che è già qualche cosa. Infatti dalla lettera al padre<br />
risulta che i suoi conti b<strong>il</strong>anciavano.<br />
Le gioie erano poi sempre calcolate come un capitale fluttuante.<br />
Tale considerazione giustifica le somme veramente enormi,<br />
fuori d’ ogni proporzione con le rendite, che nel Rinascimento<br />
si profondevano in gioielli e in oggetti d’ oro. Le preziosità dei<br />
tesori principeschi non erano capitale del tutto morto, come sono<br />
oggidì. Nei bisogni più gravi ed urgenti s’ impegnavano e così<br />
se ne faceva denaro. Ercole I d’ Este, quando divenne duca<br />
nel 1474, per rimediare alle finanze dissestate, impegnò a Venezia<br />
molte gioie (3), e parecchie ne erano ancora impegnate<br />
quando Isabella venne a marito, come ci risulta da una lettera<br />
di Girolamo Stanga, del 16 novembre 1489, che riguarda la sua<br />
dote. Alfonso I d’ Este nel 1510, ridotto a mal partito dalle<br />
guerre, impegnò le gioie di sua moglie Lucrezia Borgia e fece<br />
fondere le argenterie (4), e anche <strong>il</strong> Cardinal Luigi d’ Este im-<br />
(1) A . M a r t i n i , Manuale di metrologia, T o rin o , 1883.<br />
(2) La valutazione del quintuplo è del M u n t z , Renaissance à l’èpoque<br />
de Charles V <strong>il</strong>i, pag. 49. Il B a u d h i l l a r t ammette pure un valore<br />
quintuplo in un luogo .(voi. Ili, pag. 490), mentre altrove (voi. JII,<br />
pag. 401) lo dice quattro volte maggiore dell’ attuale Calcoli sim<strong>il</strong>i sono<br />
sempre diffic<strong>il</strong>issimi ; ma a noi basta un’ approssimazione.<br />
(3) V e n t u r i , L’ arte ferrarese nel periodo d’Èrcole I, p a g . 5.<br />
(1) C a m p o r t, La majolique el la porcelaine de Ferrare, Paris, 1864,<br />
pag. 5. C fr. C a m p o r i, Cataloghi, pag. 35.<br />
6
5 4 IL LO SSO DI ISABELLA D’ ESTE MARCHESA DI MANTOVA<br />
pegno molti oggetti preziosi (1 ). Antonia del Balzo mise a pegno<br />
le gioie per comperare Casal maggiore (2). Il ricchissimo Moro,<br />
per sopperire alle spese della guerra e'del proprio riscatto,<br />
impegnò i suoi gioielli più preziosi per circa cento cinquanta m<strong>il</strong>a<br />
ducati (3). Innocenzo VIII diede a prestito la tiara per venti m<strong>il</strong>a<br />
ducati. Carlo V <strong>il</strong>i mise a pegno le gioie delle sue alleate, la<br />
duchessa di Savoia e la marchesa di Monferrato (4). Persino<br />
1’ imperatore Massim<strong>il</strong>iano, in un momento d’ angustie, impegnò<br />
non solo molte gioie, ma addirittura la biancheria di sua moglie<br />
Bianca Maria Sforza ! (5)<br />
Le gioie d’ Isabella furono impegnate molte volte e talora<br />
anche corsero serio pericolo. Già nel 1494, allorché vi furono<br />
le pratiche pel cardinalato di Sigismondo Gonzaga, la giovane<br />
marchesa offriva le sue gioie al marito in uno slancio di generosità<br />
tutto suo. Ecco <strong>il</strong> biglietto autografo eh’ ella gli fece tenere<br />
da Urbino:<br />
111*»°. S. mio. Uno de maggiori desiderij che habia a questo mondo<br />
è di vedere monsignore che sia cardinale, però ho gran piacere che la<br />
pratica sia in bon termine, come me scrive la S. V. e me ha dicto<br />
m. Zoan Benedeto. Mando Alberto da Bologna cum le chiave de le mie<br />
zoie, aciò eh’ el dia quelle che lei vorà, perchè non tanto gli voria mettere<br />
la roba, ma del sangue proprio, per lionore de la S. V. et de la casa.<br />
Me recomando a la S. V. In Urbino, a dì xxim de avr<strong>il</strong>e, 1494.<br />
Quella che desidera vederla<br />
Isabella da Este<br />
mano pp.“<br />
La profferta fu accettata e <strong>il</strong> marchese impegnò a Venezia<br />
una parte dei gioielli della moglie per ricavarne in cambio una<br />
somma da Pietro Albano. Lo si r<strong>il</strong>eva da certa lettera della<br />
(1) C a m p o r i, Cataloghi, pag. 47. t<br />
(2) E. N u n z i a n t e , Un divorzio ai tempi di Leone X, Roma, 1889,<br />
pag. 59 nota. . .<br />
(3) Documento bellissimo ne pubblicò G. G. T r i v u l z i o in Arch.<br />
stor. lombardo, voi. Ili, pag. 530.<br />
(4) M u n t z , Renaiss. à l'epoque de Charles V <strong>il</strong>i, pag. 50.<br />
(5) Rio. Hai. di numismatica, voi. Ili, pag. 107, nota.<br />
<strong>il</strong>. - g i o i e l l i e g e m m e 5 5<br />
marchesa a Febo da Gonzaga (7 apr<strong>il</strong>e 1495), in cui lo supplicia<br />
di fare <strong>il</strong> possib<strong>il</strong>e per riscattare quelle gioie dall'Albano. Ma<br />
invece fu d’ uopo impegnarne altre. Il 14 maggio 1495 infatti<br />
Isabella fa sapere al marito da F errara: « Havendo inteso quanto<br />
me ha dicto Pietro da parte sua circa el mandarli le mie gioie<br />
et cadene, per obedirla gli mando el diamante grande, el balasso<br />
in tavola, el rubino grande et lo zoiello de la stringa. Li altri<br />
sono ancora in pegno a Venetia, como scià V. Ex. Gli mando<br />
sim<strong>il</strong>mente la cadena da le cento volte (1); quelle che porto per<br />
cintura non m’ è parso inviarli perchè sono state viste a me<br />
quando era a M<strong>il</strong>ano, et ultra di questo le prestai a cortesani<br />
per farse mascare. Se prima havesse inteso el desiderio de V. S.,<br />
le haveria facte desfare ad altre fogie, ma più non gli saria<br />
tempo ». Il 3 luglio del 1496 Isabella invocava l’aiuto del padre per<br />
poter riscattare le gioie impegnate a Venezia; ma <strong>il</strong> 20 agosto<br />
di quell’ anno <strong>il</strong> marito di nuovo gliele chiedeva per ricavarne<br />
sette m<strong>il</strong>a ducati, necessari per la promozione di Sigismondo al<br />
cardinalato. La maniera un po’ risentita con cui Isabella si<br />
schermì da quella domanda indiscreta si potrà intendere dalla<br />
lettera deliziosa che segue:<br />
Illmo. S. mio. Zohanne da la cavalla è gionto questa nocte cum lit-<br />
tere de V. Ex. de xx del instante per le quale me scrive che voglia<br />
mandare le zoglie mie a Venetia per impignarle per la promessa che<br />
se ha a fare ne la promocione del R.mo Mons. Proth.0 Io sono sempre<br />
disposta ad obedire la S. V. in omne cosa, ma perchè forsi la non se<br />
ricorda che sono in pigno tutte le altre a Venetia, m' è parso significarli<br />
che gli sono non solum quelle che me ha datto V. S., ma anche quelle<br />
eh' io portai a marito et ho comparato io doppo. Il che non dico perchè<br />
facia differentia da le sue a le mie, ma perchè la intendi el tutto, per<br />
modo eh' io non ho in casa se non quatro zoglieli et el balasso che<br />
V. Ex. comparatte quando io era de parto de la prima putta, lo diamante<br />
grande, el favorito, et quello che ultimamente la me dette; che<br />
quando se impignassero questi io restaria in tutto priva de zogli’. da<br />
poter portare et me seria forza redurmi a vestire de negro, perchè vestendo<br />
de colore et de brocato una mia para senza zoglie seria calleffata.<br />
(1) La collana da cento volte era stata approntata nel 1492. Vedi<br />
Relaz. con gli Sforza, pag. 53.
5 6 IL LUSSO DI ISABELLA D" ESTE MARCHESA DI MANTOVA<br />
La Ex. V. può molto ben pensare eh' io non facio questo discorso se non<br />
per honore suo et mio : et però la prego et supplico voglia essere contenta<br />
che non me spoglia de queste poche; perqhè quando pur la voglia<br />
che se impignano zoglie più presto io gli darò la mia camora recamata<br />
de zoglie, perchè manco male serrà stare senza essa che senza gioielli.<br />
Per bavere questa resolutione non darò fora le zoglie aspectando resposta<br />
da V. Ex---- quae bene valeat. Mant. x x v i i aug.t' 1496.<br />
Consors Isabella.<br />
Nell’estate del 1499 la marchesa è in istrettezze e chiede denari<br />
a parecchi. Sembra che la causa principale di quell’arsura<br />
fosse l’acquisto di quella tenuta del Bondenazo, che menziona nel<br />
resoconto al padre da noi riferito. Fatto sta che <strong>il</strong> 10 agosto<br />
di quell’ anno si confessava al Brognolo « talmente exausta de<br />
dinari » da non poter mettere neppure insieme ottanta ducati di<br />
cui era debitrice. Per ciò <strong>il</strong> 3 settembre inviava a Bologna Cesare<br />
da M<strong>il</strong>ano con l’ incarico d’ impegnarvi gioie e catene per<br />
duem<strong>il</strong>a ducati. Intanto quelle impegnate a Venezia, che non<br />
s’ erano mai potute liberare, correvano <strong>il</strong> pericolo d’ essere vendute<br />
all’ incanto, « che serrà magior la vergogna che ’l danno »,<br />
diceva Isabella al marito <strong>il</strong> 4 settembre 1499. La povera principessa<br />
si diede febbr<strong>il</strong>mente d’attorno per evitare quello smacco:<br />
ne scrisse a Donato de’ Preti, largheggiò di promesse per mezzo<br />
di Cesare da M<strong>il</strong>ano (1), finalmente riuscì a farsi prestare duem<strong>il</strong>a<br />
ducati da Taddeo Albano. Nel 1501 dà nuove gioie in pegno<br />
che pericolano d’ essere vendute, ed è merito di Cesare da M<strong>il</strong>ano<br />
e di Taddeo Albano se andarono salve. Coloro che prestavan<br />
denaro su pegno erano di solito Ebrei. Per la peste del 1506<br />
consentì Isabella che s’ impegnassero le sue gioie, e così pure<br />
nel 1516 per fornire denari ai Francesi. Allora furono anche<br />
fatte in pezzi le argenterie. L’ impegno fu concluso a M<strong>il</strong>ano<br />
per mezzo di quell’ orefice Gio. Francesco Roberti, di cui già<br />
parlammo. Ecco lo strumento del riscatto :<br />
Havendo la <strong>il</strong>i. et ex. madama nostra, madama la marchesa di Mantua<br />
fatto consegnare li mesi passati al Nob<strong>il</strong>e Zo. Fran.° di Roberti<br />
(1) Questo documento (19 dicembre 1499) non è nell" archivio Gonzaga,<br />
come tutti gli altri, ma nel ms. di storia italiana 166 della biblioteca<br />
del Re in Torino, al n. 34.<br />
II. - GIOIELLI E GEMME 5 7<br />
alias de la grana certe gioie di S. Ex. per portar a M<strong>il</strong>ano per certo<br />
effetto, de la quale consegnatione appare uno scritto sottoscripto di<br />
mano di esso Zo. Frane. ° et affirmato di mano di D. Zo. Angelo Vismara<br />
et altri contesti: <strong>il</strong> quale scritto è copiato sive registrato sul libro de le<br />
note al officio di sp. m.ri de entrate a carte 226, et havendo dapoi la<br />
p.t» Ex.*1 Madama ricevuto da esso Zo. Frane.» parte di esse gioie ritornate<br />
per lui da M<strong>il</strong>ano, volendo S Ex. annullare et cassare <strong>il</strong> debito<br />
di esso Zo. Frane.0 quanto sia per la parte di esse gioie ritornate et reconsignate<br />
per <strong>il</strong> presente scritto fatto di mano di me suo secretario<br />
infrascritto, signato di mano propria di quella et sig<strong>il</strong>lato del suo solito<br />
sig<strong>il</strong>lo, confessa et afferma haver ricevuto la ditta parte di gioie videlicet<br />
gli infrascritti peci depenati etiam sul ditto scritto.<br />
Primo doi brazaleti d’ oro fatti alla foggia di ferri alla galeotta:<br />
neli quali sono diamanti nove et rubini nove per ciascun brazaletto tutti<br />
in tavola, che sono peci trentasei.<br />
Item uno gioiello con doi corni di divitia fatti di diamanti con uno<br />
smeraldo in mezo et uno rubino di bona grandezza con una corona di<br />
sopra di diamanti, et dal inverso lettere di peci di diamanti, che dicono<br />
Isabella M : che sono in tutto diamanti settantasei da ogni lato, con una<br />
perla pendente rotonda et schiza.<br />
Item doi baiassi grandi in tavole con doe panizole d’ oro.<br />
Item doi baiassi in tavola che hanno del tondo, della mità de la<br />
grandezza deli altri doi desopra, legati in doe panizole d’ oro.<br />
It. uno gioiello con uno zafìrro in tavola fatto a sei cantoni con<br />
uno rubino disopra in tavola con una perla pendente di bona grandeza.<br />
Io Iacobus Calandra secret, scripsit die xvii martij 1517.<br />
Isabella March. Mantuae.<br />
Nel 1528, per sovvenire di nuovo alle famiglie degli appestati,<br />
la marchesa mandò in pegno un suo prezioso collare, che<br />
ci è così descritto: « Unum colare ad galiottam auri et in auro<br />
de ducato laborato ad martellum ponderis onciarum octo et quartorum<br />
trium alterius oncie, et in quo colare adsunt ligate infrascripte<br />
gemme seu lap<strong>il</strong>li preciosi : nam in eius dimidia extat<br />
unus adamans magnus ut vulgariter dicunt amandola a facetti<br />
et iuxta dictum adamantem ab utraque parte eiusdem extant<br />
alii septem adamantes a facetti et sic in ista dimidia in totum<br />
extant adamantes quindecim, in altera vero dimidia ipsius colaris<br />
adsunt alii decemseptem adamantes in tabula aliquantulum mi-
5 8 IL LUSSO DI ISABELLA D’ ESTE MARCHESA DI MANTOVA<br />
nores aliis suprascriptis et sic in toto ipso colari .sunt adamantes<br />
triginta duo ».<br />
Ma se nei momenti ardui e quando si tratta di soccorrere<br />
gli sventurati la Gonzaga era pronta a.sacrificare quei suoi d<strong>il</strong>etti<br />
ornamenti, non era ugualmente fac<strong>il</strong>e a prestarli. Il prestito<br />
delle gioie, frequentissimo a quei tempi, doveva riuscire doloroso<br />
ad Isabella, che in tutti gli oggetti del suo lusso poneva<br />
un’ impronta personale. Onde non è senza una qualche asprezza<br />
eh’ ella rimprovera, <strong>il</strong> 27 luglio 1508, <strong>il</strong> marchese per la sua<br />
fac<strong>il</strong>ità di prestare gioielli, e in pari tempo rammenta che purtroppo<br />
in quei prestiti se n’ erano già perduti alcuni preziosi.<br />
III.<br />
Intagli e cammei. — Acquisti numerosi fatti in Roma e Venezia di pietre<br />
incise — Un cammeo superbo, messo in pegno da Piero de’ Medici. —<br />
Francesco Anichini e i suoi lavori per la marchesa di Mantova. — Un intaglio<br />
celebre di Matteo dal Nassaro.<br />
Anche la datt<strong>il</strong>iografia ha qualche cosa da imparare dal lusso<br />
di Isabella.<br />
L’arte degli intagli in pietra dura e dei cammei era rinata<br />
da poco, quando la Estense impalmò Francesco Gonzaga. Il culto<br />
dell’<strong>antichi</strong>tà classica la richiamò in vita, dopo una dimenticanza<br />
di molti secoli, verso la metà del secolo xv, e nel xvi culminava<br />
(1). Noi ammiriamo ancora oggi nei musei quelle splendide<br />
opere d’arte, che rivaleggiano con le antiche. È fac<strong>il</strong>e, quindi,<br />
l ’immaginare come ne fosse ghiotta la nostra marchesa. Specie<br />
nei primi anni di matrimonio, ella faceva capo al fido Brognolo<br />
per avere da Venezia di quelli intagli. Il 27 maggio 1490 gli<br />
scrive d’aver sentito che Pagano gioielliere possiede una turchina<br />
intagliata. «Se 1’ è vero, haveremo caro vediati haverla et mandarcela,<br />
perchè piacendone gè la pagaremo per quello valerà.<br />
(1 ) V a s a r i , Opere, v o i. V, p a g . 367 e s e g g .; M u n t z , Renaiss., v o i. I,<br />
p a g g 0 7 5 -6 7 6 e v o i. II, p a g . 821.<br />
IH . - GIOIELLI E GEMME 5 9<br />
Se lui non 1’ havessi, usati ogni d<strong>il</strong>igentia per trovarne una che<br />
habia qulche bono intaglio et comprat<strong>il</strong>a, che non ce potreti fare<br />
magior piacere. Se non ne trovati de intagliate, vedeti haverne<br />
una da intagliare, perchè l’è qua uno Rapimele che era cum<br />
mons. Protonotario (1), quale è bon sculptore, nè se curamo de<br />
summa bontà de colore, purché la sia de bono intaglio o da potersi<br />
intagliare, ed in questo usati ogni d<strong>il</strong>igentia ». Il 18 dicembre<br />
di quell’anno accusa al Brognolo ricevuta di «una di<br />
quelle petre negre dentro scolpite in bianco sul negro », e aggiunge:<br />
« fatine intagliare u n 'a ltra de quelle petre negre cum<br />
le lettre moderne et dicano a questo mo’: Fin ch'io viva doppo<br />
morte, havendo avvertenza che le lettere siano bonissime et in<br />
manco campo che si può ». Pochi giorni prima (13 dicembre) gli<br />
aveva ordinato, insieme con un camaino (2), « una achate grande<br />
che habia qualche bono intaglio » ed una corniola piccola. E altre<br />
ordinazioni al Brognolo si succedono nel 1491, e nel ’92 Isabella<br />
dice di avere ricevuto una « turchina intagliata, la quale ne piace<br />
tanto, che non ne rincrescerà s’el magistro se farà ben pagare un<br />
poco più che in verità non doveria». In quell’ anno aveva anche<br />
ordinato al Brognolo una fenice scolpita con un F nel becco. Ma<br />
poi non le sembrò che quell’ intaglio rispondesse abbastanza al<br />
suo concetto simbolico, e ordinò che le si ponesse nel becco un 0<br />
con iV in mezzo ; « et se pur a quest’ ora fusse sculpita cum F,<br />
vogliamo che da un canto gli faciati giungere uno Y greco et<br />
uno N ». Tanta era la cura che la giovane marchesa poneva in<br />
queste coserelle ! Anche da Roma riceveva spesso delle pietre<br />
intagliate. Abbiamo due lettere del 1492 (12 gennaio e 26 maggio)<br />
in cui ringrazia <strong>il</strong> protonotario Agnello per sim<strong>il</strong>i invii; ma<br />
è probab<strong>il</strong>e che si trattasse di lavori <strong>antichi</strong>, perchè nella seconda<br />
lettera soggiunge : « s’ el capitarà qualche altro intaglio<br />
antiquo a la S. V , cavo o relevo, etiam s’el fusse magioretto<br />
de questi, haveremo caro che la ce lo facia havere ». Pure antica<br />
era la corniola intagliata di cui Stazio Gadio mandava l’im-<br />
(1) C fr. B e r t o l o t t i , Arti minori, pag. 23.<br />
(2) Questa voce, per indicare cammeo, è di frequente usata nei documenti<br />
mantovani, e ricorre di solito anche negli inventari estensi<br />
(cfr. C a m p o r i, Cataloghi, pagg. 25-27). Potrebbe non essere inut<strong>il</strong>e forse<br />
per decidere la controversa etimologia della parola cammeo, che pur si<br />
vuol richiamare al greco. Vedi K o e r t i n g , L. R. W., n. 2039.
6 0 IL LIJSSO DI ISABELLA D’ ESTE MARCHESA DI MANTOVA<br />
pronta alla marchesa, da Roma, nell’autunno del 1511 (1). Il<br />
possessore ne voleva cento ducati, e <strong>il</strong> Caradosso, che aveva fama<br />
anche come incisore di pietre (2), gliene aveva offerti ottanta. Nel<br />
giugno 1506 Isabella dice di aver ricevuìo «un intaglio di Cristo<br />
in diaspis » da Girolamo Casio (3); ma di volerne uno in agata,<br />
perchè l ’unica corona eli’ ella ne ha sfornita è di agata. Il Casio<br />
cerca di contentarla; ma la marchesa non resta soddisfatta del<br />
prezzo, onde di malumore ingiunge al suo corrispondente (17 novembre<br />
1506) « che da mo inanti vui ne habiati ad scrivere el<br />
pretio delle cose che voremo da vui ». Le era avvenuto dopo<br />
la morte della sorella Beatrice di cercare in ogni parte « uno<br />
suo intaglio d’ uno nudo», che avrebbe gradito assai. Finalmente<br />
le vien riferito che esso è in mano del fratello di Gualtiero de<br />
Bas<strong>il</strong>ica Petri, e scrive subito a questo Gualtiero <strong>il</strong> 19 maggio 1502,<br />
pregandolo di parlarne al fratello « et indurlo a compiacerne in<br />
dono o in vendita, che ad ogni modo lo gratificheremo ». Tra le<br />
molte e belle cose che Isabella perdette nel sacco di Roma fuvvi<br />
anche un suo sardonio « qual era intagliato cum figure... legato<br />
da uno f<strong>il</strong>o d’oro intorno ». Nel 1528 fece attivissime pratiche<br />
per ricuperarlo.<br />
Quanto a cammei ed intagli veramente <strong>antichi</strong>, è troppo<br />
naturale che Isabella li desiderasse anche più vivamente; ma <strong>il</strong><br />
procurarseli non era cosa fac<strong>il</strong>e. Come già vedemmo, <strong>il</strong> luogo<br />
d’onde gliene venivano offerti d' solito era Roma. Nel 1492 Floramonte<br />
Brognolo era colà tutto affaccendato a ricercare sim<strong>il</strong>i<br />
anticaglie per la marchesa: corniole con intagli <strong>antichi</strong>, nicoli(4),<br />
cammei. L’ 11 settembre 1492 le inviava anche un cammeo moderno:<br />
« per essere una cosa bizarra ni è parso farlo vedere alla<br />
Ex. Y. Collui di chi 1’ è ne dimanda ben dece ducati; a me non<br />
è stato extimato se non quatro ». Fu già edita una bellissima lettera<br />
di Tolomeo Spagnoli del 13 ottobre 1498, in cui sono descritti<br />
i cammei <strong>antichi</strong> del fu Domenico di Pietro, che si trovavano<br />
in vendita presso <strong>il</strong> gioielliere veneziano Giov. Andrea di<br />
(1) D ’ A r c o , Arti mantovane, voi. II, pag. 77, n . 99.<br />
(2) Vedi quel che ne dice <strong>il</strong> G a u r i c o nel De sculptura, e cfr. M a -<br />
r i e t t e , Tra<strong>il</strong>e des pierres gravées, Paris, 1750, voi. I, pag. 116.<br />
(3) Vedi Arch. stor. dell’ arte, voi. I, pag. 117.<br />
(4) Il nich<strong>il</strong>o, sorta di pietra preziosa, che anche i lessici registrano<br />
Usa <strong>il</strong> vocabolo anche Ristoro d’Arezzo.<br />
Fiore (1). In quella raccolta la marchesa fece qualche acquisto, ma<br />
non tanto di cammei, quanto di figurette e di teste di bronzo (lettera<br />
4 apr<strong>il</strong>e 1498). Il 22 febbraio 1502 troviamo che rammenta<br />
al fratello Cardinal d’Este la promessa d’ inviarle anticaglie ^a<br />
Roma : « io me pagarò de ogni Gosa », dice, « ciò e di bronzo o marmo<br />
o corniola et ogni altra sorte de intagli ». 11 25 apr<strong>il</strong>e 1503 1’ abbreviatore<br />
apostolico Antonio Magistrello le notificava da Roma<br />
quanto segue: « El Mc0 Piero de Medici a questi dì per certo respecto<br />
inpegnò uno suo camalio ligato in uno anello per due. 200<br />
d’ oro, qualle è la più bella cosa anticha che credo se trovi ogidì.<br />
Et una testa de Cam<strong>il</strong>la, per dito de alcuni (chi dice che è una<br />
Giuditta) ma per conclusione io mi son chiarito che epso camalio<br />
alias costò al Mc° Lorenzo più che due. 500. È cosa picolla per<br />
portar nel dito». Se la marchesa lo vuole, l’avrà per duecento<br />
« perchè ’l Mco Piero ha perso le raxone sue nè se trova a Roma<br />
et non à <strong>il</strong> modo. M. Baldesaro da Cast<strong>il</strong>ione presente exibitore<br />
ha hauto in mane el p.“ camalio et da lui V. S. 111.”*se poterà<br />
informare ». Nel 1533 la contessa di Caiazzo, quella stessa dama<br />
che <strong>il</strong> Trissino (2) vanta come una delle più belle di M<strong>il</strong>ano, dovendo<br />
pagare allaGonzaga un debito di duecento ducati, le offriva in cambio<br />
quattro <strong>antichi</strong> cammei. E la marchesa, da accorta, rispondevale:<br />
«Son dell’animo medesimo et dispositione in che fui sempre di<br />
farli piacere perhaverla in luogo di buona sorella, dove se ben mi<br />
seria stato di più comodo haver li denari, sui quali havevo già fatto<br />
disegnio, son contenta per suo comodo d’ accettare da lei tanti<br />
carnei che siano estimati da persone perite et confidenti fra noi<br />
del pretio di 200 ducati, che l ’accettare li quattro ch’ ella mi<br />
ha mandati per gli cento scudi non me ne contenterei, perchè a<br />
giudicio di chi gli ha ben considerati et ha ottima cognitione di<br />
sim<strong>il</strong> cose non ascendono alla somma di 80 ducati » (15 apr<strong>il</strong>e). In<br />
una lettera successiva accettava per ottanta ducati i quattro cammei<br />
anzidetti e riteneva gli altri sei inviat<strong>il</strong>e dalla contessa per<br />
completare la somma; « se bene de questi dui satiri uno non<br />
me satisfa molto». Avrebbe volentieri contrattato nella venuta a<br />
Mantova della contessa. È l’intelligenza in tutte le cose d’arte,<br />
<strong>il</strong> solito buon gusto della marchesa. Del resto, l’acquisto dei<br />
(1) B e r t o l o t t i , A r ti m in o ri, pag. 24.<br />
(2) Opere, voi. II, pag. 271.<br />
III. - GIOIELLI E GEMME 6 1
0 2 IL LUSSO UI ISABELLA « 'E S T E MARCHESA DI MANTOVA<br />
cammei <strong>antichi</strong> rientra in quella ricerca e in quelle innumerevoli<br />
compere di anticaglie diverse (marmi, bronzi, statue, vasi, ecc.)<br />
che non è intenzione nostra di esaminare in questo scritto.<br />
Diremo piuttosto di qualche artefice celebre nell’intaglio<br />
delle pietre dure, che fu in rapporto con la marchesa.<br />
Secondo <strong>il</strong> Vasari, i due artisti più eminenti in questa rinnovata<br />
arte furono <strong>il</strong> fiorentino Giovanni detto dalle corniole<br />
e <strong>il</strong> m<strong>il</strong>anese Domenico detto de' cammei. Ma se questi due furono<br />
veramente celeberrimi, ve n'ebbero altri di assai valenti,<br />
e non solo in Firenze e in M<strong>il</strong>ano, ove quei due fecero scuola,<br />
ma in Roma, in Ferrara, a Venezia e nel Veneto (1). Le più<br />
frequenti relazioni d 'Isabella furono con Francesco Anichini.<br />
Com’ è noto, quest’ artefice, che salì in grande e meritata<br />
fama, fu ferrarese e visse sino al 1526; poi gli successero nell<br />
’arte sua i figli Luigi, Andrea e Callisto (2). La marchesa nostra<br />
gli fece intagliare nel 1492 una turchina, poi un rubino ed<br />
un cammeo. Pei lunghi indugi di lui impazientivasi Isabella e metteva<br />
su <strong>il</strong> broncio; ma <strong>il</strong> Brognolo le osservava che quel benedetto<br />
intagliatore era « homo molto fantastico et de suo cervello »,<br />
onde bisognava «tenerlo cum la man destra». Quando però la<br />
Gonzaga ne vedeva i lavori, le si chetava ogni risentimento e non<br />
potea che ammirare. Un’altra turchina volle la marchesa che l’Anichini<br />
le intagliasse nel 1496 con «una figuretta integra che fosse<br />
una Vittoria », e v’è un piccolo carteggio che riguarda quest’opera<br />
d’ arte, per la quale la committente volle fosse trovata una<br />
bella pietra, e raccomandò la bontà del lavoro con una speciale<br />
civetteria elegante di lodi, che all’ artista dovevano tornar gradite:<br />
« tenendone nui summo desiderio, ve confortiamo et preghiamo<br />
che vogliati ad ogni modo trovare dieta turchina, et retrovata intagliarla<br />
a modo vostro, perchè ben sapiamo che haveti tal arte<br />
et excellentia in sculptura, che ne sapereti servir meglio che nui<br />
nonsaperessimo desiderare ». Avuta quella turchina intagliata nel-<br />
1’ apr<strong>il</strong>e del 1496 (3), non tardò a sollecitarne un’altra, e nel darne<br />
(1) Per notizie specificate vedi, oltre la citata opera del M a r i e t t e ,<br />
anche G. A . A l d i n i , Instituzioni gl<strong>il</strong>tografiche, Cesena, 1785.<br />
(2) V a s a r i , Opere, voi. V, pag. 385, nota. Il C a m p o r i (Cataloghi,<br />
pag. 26) dice Francesco Anichini nativo di Bagnacavallo.<br />
(3) L1Anichini l’ accompagnò alla marchesa con una sua lettera,<br />
pubblicata dal B e r t o l o t t i , Arti minori, pagg. 26-27. Ivi pure (pagg. 25-<br />
III. - GIOIELLI E GEMME 6 3<br />
l’ordinazione all’ Anichini, gli diceva di impiegarvi quanto tempo<br />
volesse « purché la sia cosa che representi antiquità ». Poi fermò<br />
nell’ animo che fosse un Orfeo, e ne mandò un disegno all incisore.<br />
La prima turchina non le era sembrata irreprensib<strong>il</strong>e nel<br />
lavoro; ma non aveva ardito' farne parola al maestro, per la ra <br />
gione che adduce in questo caratteristico poscritto al Brognolo:<br />
« A dirvi el vero, questo intaglio poteria essere megliore per<br />
iudicio di chi se intende, maxime dal mezo in gioso; ma non<br />
l’havemo voluto specificare nella lettera aciochè raostrandogela<br />
non se ne sdegnasse. Sapiamo che 1’ e el megliore maestro de<br />
Italia; ma sempre 1’ homo non se ritrova de vena ». Il 6 giugno<br />
1497 Isabella inviava al Brognolo una «tavoletta facta per<br />
nostra impresa», aggiungendo: « Ilaveremo caro che vui medesimo<br />
ordinati a Francisco Niellino eh’ el ce ne facia una sim<strong>il</strong>e<br />
01 IL LUSSO DI ISABELLA D’ ESTE MARCHESA DI MANTOVA<br />
IV . - L ’ ARREDO DEGLI APPARTAM ENTI<br />
G5<br />
osso proprio. Quando lo reteniati per acconciarlo, haveremo piacere<br />
singularissimo che ne serviate secundo ch^ sapemo che sapereti<br />
fare, perchè quello che non fareti voi con l’ ingegno vostro,<br />
non è homo eh’ el facesse ». L' Avanzi seppe ritoccarlo così bene,<br />
che la marchesa se ne dichiarò soddisfattissima. Era forse quel<br />
medesimo Cristo di smeraldo che tre anni dopo (<strong>il</strong> 9 giugno 1515)<br />
Isabella mandava di nuovo all’ Avanzi con tali parole, che quasi<br />
sembra voglia invocare la sua indulgenza per averlo un po’ rovinato:<br />
« Mandamovi per <strong>il</strong> presente cavallaro <strong>il</strong> Cristo de smeraldo<br />
qual ha un poco scorbato <strong>il</strong> naso, nè sapemo a che modo.<br />
Pregamovi che lo vogliati toccare un poco et mandarcelo, che<br />
vi promettemo di haverni più cura per lo avvenire ».<br />
Quel Matteo allievo dell’ Avanzi che venne mandato a Mantova<br />
per prendervi nel 1512 lo smeraldo intagliato d’ Isabella,<br />
era nè più nè meno che Matteo dal Nassaro, pur veronese, <strong>il</strong><br />
quale doveva superare <strong>il</strong> maestro nell’ arte dell’ intagliar gemme.<br />
Crebbe la fama sua segnatamente in Francia, ove fu protetto<br />
da Francesco I (1); ma a farlo celebre contribuì un’ opera<br />
sua giovan<strong>il</strong>e che fu posseduta da Isabella. Narra <strong>il</strong> Vasari (e<br />
gli altri ripetono) che « venutogli un bel pezzo di diaspro alle<br />
ninni, verde e macchiato di gocciole rosse, come sono i buoni,<br />
v’ intagliò dentro un Deposto di Croce con tanta d<strong>il</strong>igenza, che<br />
fece venire le piaghe in quelle parti del corpo eh’ erano macchiate<br />
di sangue: <strong>il</strong> che fece essere quell’opera rarissima, ed egli commendatone<br />
molto: <strong>il</strong> quale diaspro fu venduto da Matteo alla<br />
marchesana Isabella da Este ». Potrebbe darsi che col Nassaro<br />
si dovesse identificare <strong>il</strong> Malleo intagliatore di corniole, al quale<br />
la marchesa asserisce nel 1515 d’ aver affidato 1’ anno prima in<br />
M<strong>il</strong>ano « una nostra preta de topazo........a fin eh’ el ge tagliassi<br />
dentro certo disegno che gli dicessimo ». Non vedendo capitare<br />
<strong>il</strong> lavoro, Isabella si rivolge a Lorenzo Strozzi e ad altri; ma<br />
non sappiamo che cosa le rispondessero.<br />
(1 ) V a s a r i, v o i. V , p a g g . 3 7 5 -3 7 8 ; M a r i e t t e , v o i. I, p a g . 1 2 1 ; A l <br />
d i n i, p a g g . 130.<br />
L’ arredo degli appartamenti.<br />
IV.<br />
L’arte dello medaglie nel Rinascimento. — L’esemplare di dedica della medaglia<br />
isabellesea nel Museo di Vienna. — I « tondi » per berretti (plaquettes).<br />
— Gli scuffiotti di seta e d’oro, celebre specialità mantovana.—<br />
Una fabbrica di berretti impiantata da Isabella. — Un cappello ricamato<br />
di gioie e perle per suo marito. — I cappelli per signore : una lettera della<br />
Regina di Polonia a Isabella * fonte e origine de tutte le belle foggie<br />
d’Italia ».<br />
Un’ altra arte che <strong>il</strong> nostro Rinascimento fece risorgere,<br />
imitando l ’ <strong>antichi</strong>tà classica, è quella delle medaglie (1). Una<br />
principessa così appassionata per ogni manifestazione dell’ arte,<br />
come Isabella, la quale per di più proveniva dal luogo ov’ era<br />
fiorito <strong>il</strong> massimo instauratore dell’ arte delle medaglie, <strong>il</strong> Pisanello,<br />
e risiedeva nella città che aveva dato i natali al più<br />
rinomato fra i discepoli di Pisanello, Sperandio, non poteva davvero<br />
rimanere indifferente alla produzione delle medaglie. Nel<br />
suo secondo e più lungo soggiorno romano deve averne raccolte<br />
di antiche e di moderne in gran copia, giacché in molte<br />
lettere del 1528 e ’29 troviamo le pratiche eh’ essa andava facendo<br />
per ricuperarle, essendole state rapite dopo <strong>il</strong> sacco. Lei<br />
stessa volle avere una medaglia con la propria effìgie e la commise<br />
nel 1498 a colui che doveva poi divenire <strong>il</strong> suo consigliere<br />
n^gli acquisti artistici e <strong>il</strong> suo scultore ufficiale, Gian Cristoforo<br />
Romano, amico del Caradosso, ammirato da P>aldassarre Castiglione<br />
(2). La medaglia recante sul retto 1’ effigie classicamente<br />
atteggiata d’isabella giovane e sul rovescio una donna alata (una<br />
Vittoria) che minaccia con una verga un serpente dritto a lei d’innanzi,<br />
e sopra <strong>il</strong> sagittario sormontato da una stella, con intorno<br />
(1) Cfr. M u n t z , Renaiss., v o i. I , pag. 668 e segg. Venezia c i presenta<br />
una medaglia già nel 1393. Vedi G. Z a n e t t i , nell’origine di alcune<br />
arti appresso i Viniziani, Venezia, 1758, pag. 98.<br />
(2) Vedi A. V e n t u r i nel I voi. dell’ Arch. stor. dell’ arte, ove le sue<br />
relazioni con Isabella sono pienamente <strong>il</strong>lustrate, e oggi anche M u n t z ,<br />
Renaiss., voi. II, pag. 516 e segg.
6 6 IL LUSSO DI ISABELLA D’ESTE MARCHESA DI MANTOVA<br />
un motto suggerito da Niccolò da Correggio (1), fu riprodotta<br />
già infinite volte (2). Ma la marchesa ne possedette un bellissimo<br />
esemplare in oro con attorno un ricco ornamento gemmato.<br />
Nell’ inventario degli oggetti preziosi custoditi nella Grotta<br />
quest’ esemplare è così descritto: « medaglia d’ oro con 1’ effigie<br />
di lei, quando Sua Sig.ria era giovene, con littere de diamanti<br />
a torno che dicono ISABELLA con rosette tra 1’ una e 1’ altra<br />
littera smaltate de rosso, con uno retortio atorno con rosette<br />
smaltate de bianco e azurro et de roverso una Vittoria de relevo<br />
» (3). Questo esemplare esiste ancora ed è custodito nel<br />
Museo storico-artistico di Vienna (4). Il retortio consiste in quei<br />
f<strong>il</strong>i d’ oro attortigliati che r<strong>il</strong>egano esteriormente la medaglia<br />
come incassatura od orlatura cbe dir si voglia. Anche nell’ inventario<br />
dei gioielli di Lucrezia Borgia vi sono più medaglie<br />
con smalti intorno, circondate da ritorti o da frisi (5). Sono probab<strong>il</strong>mente<br />
esemplari di dedica, tutti in oro.<br />
Affini al lavoro delle medaglie, e parimenti opera di fusione,<br />
erano i tondi per berretti, cioè quelle piastrelle con ornati<br />
e figure, tanto di moda nel Rinascimento e ora d<strong>il</strong>igentemente<br />
studiate, che i Francesi chiamano plaqueltes (6). I tondi<br />
sui berretti erano generalmente considerati come cosa di grande<br />
eleganza. 11 Bandello, descrivendo un bellimbusto m<strong>il</strong>anese, non<br />
dimentica di accennare che « le sue berrette di velluto ora una<br />
medaglia ed ora un’ altra mostravano » (7). Cappelli e berretti<br />
con tondi preziosi ci rappresentarono anche spesso alcuni pittori<br />
del Rinascimento : con speciale pred<strong>il</strong>ezione Hans Holbein<br />
<strong>il</strong> giovane, che ne ha nei ritratti di Enrico Gu<strong>il</strong>ford (Galleria<br />
di Windsor), di Riccardo Southwel (Uffizi), di Giorgio di Cornovaglia<br />
(Istituto Stadel di Francoforte), del Sieur de Morette<br />
(1) Giorn stor d. lett. <strong>il</strong>a l, voi. XXI. p a g . 254.<br />
(2) Prima da P. V a i . t o n nel bell’ articolo della Revue numisrnatique,<br />
serie III. voi. Ili, pag. 316 e segg, che rivelò in Gian Cristoforo un<br />
medaglista; poi dal Venturi, dal Muntz, dall’ Yriarte, da altri parecchi.<br />
Descrizione in A r m a n d , voi. I. pagg. 99-100; voi. Ili, pagg. 48-49.<br />
(3) C ia n in Giorn. stor. d. lett Hai., voi. IX, pag. 133.<br />
(4) A Vienna lo vide anche <strong>il</strong> Litta, che lo riprodusse al n. 78 fra<br />
le medaglie dei Gonzaga.<br />
(5) C a m p o r i, Cataloghi, p a g . 35<br />
(6) Vedi M u n t z , Renaiss, voi. I, pag. 690; voi. II, pag. 172.<br />
(7; P. II, nov. 47.<br />
IV - L’ ARREDO DEGLI APPARTAM ENTI 6 7<br />
(Galleria di Dresda). Nel magnifico quadro di Bernardo Striegel'<br />
(Galleria di Vienna), che rappresenta l’ imperatore Massim<strong>il</strong>iano<br />
con tutta la sua famiglia, due dei figliuoli, fra cui <strong>il</strong> futuro<br />
Carlo V, hanno tondi sui cappelli ; e un tondo si vede pure sul<br />
berretto del celebre Castiglione raffaellesco che è al Louvre.<br />
Abbiamo veduto in addietro che nel 1512 <strong>il</strong> Caradosso era disposto<br />
a eseguire « uno Laocoonte d’ oro di tutto relevo con li<br />
figlioli e serpi » per un tondo destinato a Federico Gonzaga.<br />
Un tondo sim<strong>il</strong>e egli aveva già fatto al poeta Tebaldeo (1).<br />
Nel 1503 i luogotenenti di Viadana scrivono alla marchesa: « In<br />
executione de una de V. Ex. siamo andati da mastro Zohane<br />
Marco Cavallo aurifice et habiamo habutto da luy li tondi cura<br />
quelle lettere che richiede V. Ex. da lui ». Non era certo <strong>il</strong>.<br />
Cavalli un artefice famosissimo come <strong>il</strong> Caradosso, ma non<br />
era neppure <strong>il</strong> primo venuto. Lavorò alla zecca mantovana, e<br />
basterebbero alla sua celebrità, se a lui sono ora giustamente<br />
rivendicati, due magnifici busti in bronzo, quello di Andrea Mantegna<br />
in una cappella di S. Andrea a Mantova e quello di Battista<br />
Spagnoli <strong>il</strong> Carmelita nel Museo di Berlino (2). Anche <strong>il</strong><br />
non meno valente Ercole Fedeli lavorava tondi pei Gonzaga: <strong>il</strong><br />
Prosperi manda da Ferrara a Isabella <strong>il</strong> 16 maggio 1511 « li<br />
tondi facti per maestro Hercule ». Nel 1512 (28 marzo) la marchesa<br />
invia al figliuolo Federico, eh’ era a Roma, « uno tondo<br />
d’ oro da portare in la berretta ». E poi <strong>il</strong> 28 ottobre di quel-<br />
1’ anno stesso, insieme con quattro dozzine di bottoncini e una<br />
dozzina di pontali smaltati (3), che aveva dovuto ordinare a M<strong>il</strong>ano<br />
« per esser qui carestia de boni magistri », gli fa avere un<br />
tondo d’ oro su cui è la « representazione » di Alessandro che<br />
taglia <strong>il</strong> nodo gordiano, <strong>il</strong> quale tondo starà bene su d’ una « berretta<br />
con groppi » che Isabella accompagna al figlio. Di più gli<br />
invia « un altro tondo dove è uno Amore che riposa dentro una<br />
festa di foglie di frassino, dove secondo <strong>il</strong> ditto de’ ph<strong>il</strong>osophi<br />
(1) B e r t o l o t t i , Arti minori, pag. 67.<br />
(2) U. Rossi, I medaglisti del Rinascimento, opusc. Ili, G. M. Cavalli-,<br />
e la sua aggiunta nella Rivista ita l.d i numismatica, voi. V,<br />
pagg. 481-433.<br />
(3) Erano parti del cinto, che servivano all’ affibbiatura. Vedi<br />
G a n d i n i , Di una pupattola del secolo decimoquinto, Modena, 1816,<br />
pag. 21.
(58 IL LUSSO DI ISABELLA D’ ESTE MARCHESA DI MANTOVA IV . - L’ ARREDO DEGLI APPARTAM ENTI 6 9<br />
n o n p o n n o i n t r a r e s e r p e n t i n è v i t i i — c o n u n m o t t o c h e d i c e t u t a<br />
QUIES » .<br />
Non deve far meraviglia che Isabella mandasse sino a<br />
Roma, non solo dei tondi, ma anche dei berretti. I berretti e<br />
gli scu/fiotti, da uomo e da donna, erano quasi una specialità<br />
mantovana, o per lo meno venivano fabbricati a Mantova con<br />
squisitezza di lavoro. Girolamo Z<strong>il</strong>iolo scrive ad Isabella <strong>il</strong> 27 gennaio<br />
1512 che <strong>il</strong> duca di Ferrara avendo la testa tosata, « vorria<br />
qualche bello scufiotto per portare in capo», onde prosegue:<br />
« havendo io inteso che a Mantova ge ne sono de summa bellezza<br />
d 'oro et facti elegantemente, m’ è parso ricorrere in questo<br />
bisogno a la S. Y. » (1). Il marchese di Mantova, tra ’ frequenti<br />
regali a Pietro Aretino, gli manda <strong>il</strong> 24 marzo 1525 parecchi<br />
scuffiotti, quale specialità mantovana. La follatura dei berretti<br />
era stata messa in Mantova sotto la tutela di apposite disposizioni<br />
di legge, e Isabella medesima fece costruire un fallo per<br />
proprio conto. V’ ha una grida del 12 luglio 1526, in cui <strong>il</strong> marchese,<br />
sentendo che « per <strong>il</strong> decreto altra volta concesso alla<br />
arte di biretari che persona alcuna non potesse fullare nè far<br />
fullare birette in alcun altro loco excetto al fullo fatto per<br />
ditta arte sotto certa pena, molti mercadanti restano di mandare<br />
a fullare al fullo erecto per la Ill.ma M.ma nostra, matre<br />
del p.t0 S., fuori di Porto, da po’ la concessione predicta, <strong>il</strong> che<br />
cede in gravissimo danno di sua Ex. et di non poco incommodo a<br />
molti mercadanti .. .», revoca la concessione fatta, lasciando libero<br />
a ognuno di mandare al fullo della marchesa.<br />
I berretti grandi e talora barocchi del secolo xv, che vediamo<br />
con tanta pred<strong>il</strong>ezione rappresentati dal Pisanello (2), si<br />
vennero semplificando, impicciolendo, modificando graziosamente<br />
nel Cinquecento, in cui si determinò una divisione netta fra <strong>il</strong><br />
cappello vero e proprio ed <strong>il</strong> berretto. I cappelli da uomo potevano<br />
essere ricchissimi. Nel 1506, per 1’ entrata del marchese<br />
in Bologna con le genti pontificie Isabella fu incaricata di fargli<br />
un cappello di lusso, ricamato di gioie e perle. E poiché « le<br />
gioie minute fariano confusione et trista vista », ella cercò di<br />
« elegere de le belle et compartirle cum qualche ordine et de<br />
(1 ) A. B e r t o l o t t i n e l g io r n a le tto m a n to v a n o 11 mendico, a n . IV, n . 21.<br />
(2 ) M u n t z , Renaiss., v o i. I, p a g g . 319-3 2 0 .<br />
signo . . . existimando che ’l saria judicato più gallante con poche<br />
zoglie belle che cum molte zogliesine » (10 ottobre). Difatti alla<br />
fine del mese di ottobre poteva inviarlo al marchese, accompagnato<br />
da questa lettera autografa, che è tutta isabellesca : -<br />
Ill.mo s.r mio. Per Federico Catanio mando a V. S. el capello facto<br />
con quella più d<strong>il</strong>igeucia si è saputo. Se piacerà a V. S. corno fa ad<br />
ogniuno che l’ ha visto, ne liaverò grandissimo piacere: io l'h o facto più<br />
rico ho potuto. Li haveria ben potuto mettere el diamante grande, ma<br />
mi è parso meglio metterli tutti baiassi, aciò che, seguitandosi tutti, pari<br />
uno medesimo ordine e non pari una cosa facta per mostrar zoglie e<br />
senza ordine. Quando li fussero stati tanti diamanti cossi grandi corno<br />
quello de V. S. eh’ io ho (che Dio el volesse!), più volentiera ge li haveria<br />
facto ponere. Sotto la piega seria stato meglio uno balasso, ma non vi<br />
ne sono più in casa. La testa del capello non è recamata perchè Zoanno<br />
dice che la sta meglio così; tuta via perchè V. S me ha scrito tanto<br />
eh’ io faci eh’ el sia ben rieo, io la volea far recamare anchora lei, ma<br />
questo che è facto è tanto rico che non vi erano più nè rubini nè diamanti,<br />
però non si è recamata. Dio el faci godere con felicità a V. S.<br />
Federico nostro doppo el male suo è stato bene parecchi di, ma da due<br />
sere in qua li è venuto un pocho de fastidio, non sciò se la debia batezare<br />
febre per essere pochissima, e al dì sta benissimo, poi la sera li<br />
vene questo pocho male, che è però niente. El pettegin sta benissimo;<br />
è tutto el dì in spalla a Frittella (1). In Mantoa a dì xxx de<br />
octobre 1506.<br />
De V. S. più che de sè<br />
Isabella de m an propria.<br />
Anche le donne, del resto, portavano qualche volta <strong>il</strong> cappello.<br />
I)i questi cappelli, che per lo più erano ampi berretti con<br />
nastri e gioie, e talora avevano anche 1’ ala, ma non molto pronunciata<br />
(2), si possono vedere modelli nel ritrattino di Bianca<br />
(1) Il pettegin, come scherzosamente lo chiama la madre, è <strong>il</strong> piccolo<br />
Ercole, futuro cardinale di S. Chiesa. Esso veniva allora portato in<br />
ispalla da un buffone di corte, <strong>il</strong> celebre Frittella.<br />
(2) Un cappello così ampio come quello che Luca Cranach mise in<br />
capo ad una principessa sassone, in una tela dell’ Eremitaggio di Pietroburgo,<br />
sarebbe apparso in Italia, almeno nella prima metà del secolo<br />
xvi, mostruoso.
7 0 IL LUSSO DI ISABELLA D 'E S T E MARCHESA DI MANTOVA IV . - I / ARREDO DEGLI APPARTAM ENTI 71<br />
Maria Sforza che si trova su d’ un pezzo di pergamena nell’Accademiadi<br />
Venezia, ed in due dame che assistono all’ investitura<br />
del Moro in uno dei bassor<strong>il</strong>ievi della tomba di Massim<strong>il</strong>iano<br />
nella chiesa dei Francescani a Innsbruck (1)'. Isabella, nel 1492,<br />
mentre era in viaggio per M<strong>il</strong>ano, si faceva spedire in fretta da<br />
Francesco Ousatro « el capello cum la nostra penna de le zoglie<br />
». Nella primavera del 1502 Lorenzo da Pavia provvedeva<br />
di cappelli la marchesa; ma essa non ne fu contenta perchè<br />
« sono belli et fini, ma tanto larghi et gravi che non li potèressimo<br />
portare ». Acconciavansi di solito i cappelli sugli scuffìotti,<br />
che erano i copricapo donneschi più in uso. Di questi<br />
scuffiotti muliebri se ne hanno parecchi nelle pitture del tempo.<br />
Sceglieremo come tipico quello del famoso, squisitissimo ritratto<br />
di Ambrogio de Predis, che è a M<strong>il</strong>ano nella pinacoteca Ambrosiana,<br />
e che i critici sono indecisi se rappresenti Bianca Maria<br />
Sforza ovvero Beatrice d’ Este. Questo scu f fiotto h tutto circondato<br />
di perle ed è tenuto fermo da una fettuccia, pure gemmata,<br />
che passa per la fronte. Ma tale fettuccia o cordicella, che<br />
anche senza cuffia si vede di frequente presso le dame lombarde<br />
del tempo (due esempi classici ne sono <strong>il</strong> busto di Beatrice<br />
d’ Este che è al Louvre e la belle feronnière di Leonardo da<br />
Vinci), non era punto indispensab<strong>il</strong>e agli scuffìotti. Dei quali<br />
scu f (lotti è spesso ricordo nei documenti mantovani, perchè la marchesa<br />
ci teneva assai ad averli « galanti » e perchè, come dicemmo,<br />
in Mantova se ne fabbricavano. Isabella ne provvedeva di<br />
buon grado alle ragguardevoli dame che ne mostravano desiderio.<br />
Nel maggio del 1518 ne inviò a Maria di Monferrato, che doveva<br />
divenirle nuora. Nel 1523 ne fece avere alla Regina di Polonia,<br />
la quale le rispondeva con questa lettera notevolissima, che prova<br />
una volta di più la fama quasi europea di Isabella pel suo buon<br />
gusto :<br />
IH.ma S.ra affine nostra car.ma et lion.ma<br />
Salutem et prosperos ad vota successus. Per <strong>il</strong> nepote del barbiero<br />
regio liebbemo a questi di passati una lettera de V. S. et per essa sei<br />
scuffìotti de seta et de oro de nova foggia, et ne hanno satisfacto et pia<br />
(1) Riproduzioni di L. B e l t i i a m i nell’ Emporium di Bergamo, voi. Ili,<br />
pagg. 85 e 94.<br />
ciuto oltramodo, et tanto più quanto che da V. S. con affecto non v<strong>il</strong>i-<br />
gare ne so’ stati transmessi. Del che molte et molte gratie li rendemo<br />
et non senza obligo ne li restamo; et perchè appertiene ad animo gent<strong>il</strong>e<br />
obligarse de più a chi se trova obligato, per tanto pregamo 'Vi S.<br />
se contenta quando qualche nova foggia di abendare la testa li occorrerà,<br />
che semo certissime non mancarne mai per essere V. S. fonte et<br />
origine de tucte le belle foggie d’ Italia, de mandarne qualche una bella<br />
et che li piaccia, che a noi sim<strong>il</strong>mente non potrà despiacere. E t piacendo<br />
a V. S. servirse da queste bande de qualche pelle de tanti varii animuli<br />
quanti ve se trovano, expostone <strong>il</strong> suo desiderio, exequeremo quanto li<br />
sarà a grato con animo prompto et studioso, correspondendo alla benevolentia<br />
de V. S. verso noi vicissitudinalmente; alla quale ne offeremo<br />
et raccomandamo.<br />
Dat. Cracovie die 15 iunii 1523.<br />
• De V. S. parente<br />
La Reina de Polonia.<br />
A dare un’ idea del lusso che la marchesa soleva porre in<br />
questi ging<strong>il</strong>li da testa, s’ avverta che Francesco Cusatro le faceva<br />
tenere <strong>il</strong> 23 apr<strong>il</strong>e del 1504 una « scuffia de cordoncini<br />
negri » con sopra trecentocinquantaquattro ferretti d’ oro. E vero<br />
che una sua camóra aveva seicentonove bottoni d’ oro; quindi<br />
tutte le parti del suo vestiario si facevano degnamente pendant !<br />
V.<br />
Gli orologi tascab<strong>il</strong>i e loro storia. — Lusso strepitoso del vasellame da tavola. —<br />
Mediocre simpatia d’isabella per la ceramica, e sua vivissima passione<br />
pe’vetri di Murano. — Lorenzo da Pavia e Cleofas de Donati, suoi fornitori<br />
per oggetti d’avorio e d’ebano. — Dn bellissimo gioco di scacchi. —<br />
Specchi di metallo e specchi di cristallo.<br />
Ci sia ora permesso di dedicare la nostra attenzione ad una<br />
serie di prodotti che riguardano <strong>il</strong> lusso degli appartamenti anziché<br />
<strong>il</strong> lusso propriamente personale, ma che sono in relazione<br />
stretta coi lavori di oreficeria, di cui fin qui si è discorso.<br />
Anni sono, uno di noi, <strong>il</strong>lustrando un sonetto del rimatore<br />
Gaspare Visconti, che prende 1’ imagine da « certi horologi pie-
7 2<br />
TI- LUSSO DI ISABELLA D’ESTE MARCHESA DI MANTOVA<br />
coli e portativi, che con poco di artificio sempre lavorano mostrando<br />
le bore e molti corsi de’ pianeti et le feste, sonando<br />
quando <strong>il</strong> tempo lo ricerca », cercò dimostrare che già alla fine<br />
del secolo xv gli orologi tascab<strong>il</strong>i dovevano essere conosciuti in<br />
Italia (1). Ma probab<strong>il</strong>mente quell’orologio portalivo, di cui<br />
parla <strong>il</strong> Visconti, non era punto tascab<strong>il</strong>e. Il progresso, infatti,<br />
del secolo xv fu di adattare <strong>il</strong> meccanismo massiccio delle macchine<br />
da torre, conosciuto sin dal medioevo (2), alle necessità<br />
degli appartamenti. Si ebbero allora piccoli edifici a pendolo, che<br />
i gran signori del Quattrocento ricercavano con curiosità, ma<br />
che non erano tascab<strong>il</strong>i. Il massimo perfezionamento venne all'orologeria<br />
nel secolo xvi, quando si sostituì <strong>il</strong> m otorea molla<br />
al contrappeso e s’ introdusse <strong>il</strong> b<strong>il</strong>anciere. Allora le macchine<br />
d’ orologio poterono essere rinchiuse in grosse capsule che si<br />
chiamarono uova di Norimberga (8). Così 1’ orologio da tasca<br />
era inventato; e i perfezionamenti si susseguirono con rapidità.<br />
Si gareggiò nel costringere le macchine in ispazi sempre più<br />
ristretti; se ne fecero dei gioielli elegantissimi, cacciando gli<br />
orologi nei braccialetti, negli anelli, sin negli orecchini. Ging<strong>il</strong>li<br />
preziosi davvero, ma in cui la macchina d’ orologio non<br />
aveva certo 1’ ufficio di segnare <strong>il</strong> tempo con precisione (4).<br />
Reputiamo quindi che fosse portat<strong>il</strong>e ma non tascab<strong>il</strong>e nel<br />
senso nostro della parola, 1’ « horologio picolino » che Bernardo<br />
Bembo acquistò da un « maestro riero mantoano » (5) e che<br />
nel 1506 rimandò a Mantova per farlo accomodare (6). Isabella<br />
(1 ) R e n i e r , Gasp. Visconti, M<strong>il</strong>ano, 1886, pag. 3 7 e s e g g .<br />
(•2) Per gli orologi pubblici in Ferrara vedi L. N. C i t t a d e l l a , Documenti<br />
ed <strong>il</strong>lustraz. riguardanti le belle arti in Ferrara, Ferrara, 1852,<br />
prg. 20 e segg. Il grande orologio mantovano fu costrutto da Bartolomeo<br />
de' Manfredi, su cui vedi ciò che scrissero <strong>il</strong> Braghirolli, <strong>il</strong> Davari<br />
e <strong>il</strong> Gabotto<br />
(3) Molte ne riproduce <strong>il</strong> R a c i n e t nel voi. IV del Costume hislorique.<br />
(4) Per la bibliografia del soggetto vedi P. D o b o is , Eorlogerie, nel<br />
voi. II della raccolta Le Moyen dge el la Renaissance. Migliori notizie<br />
in J L a b a r t e , Histoire des arts industriels, Paris, 1872, voi III,<br />
pag. 400 e segg, e specialmente in F r a n k l i n , L a mesure du temps,<br />
Paris, 1888, pagg. 66, 77 e 84.<br />
(5) Su di lui qualche notizia in B e r t o l o t t i , Arti minori, pag. 42.<br />
(6) C ia n in Giorn. stor. d. lett. italiana, voi. IX, pagg. 109-110.<br />
V . - L ' ARREDO DEGLI APPARTAM ENTI<br />
nel maggio del 1709 ordinò a Ferrara uno « orologieto da sole »,<br />
tutto d’ oro « ma più picolo et più legiero eh’ el possi venire ».<br />
E in un poscritto allo Z<strong>il</strong>iolo aggiungeva: «Volemo el horologlio<br />
così picolino et legére, che lo possiamo portare adosffo in<br />
un borsotto » (1). Devesi infatti notare che presso agli orologi<br />
meccanici continuarono ad essere in uso fino al secolo xvn gli<br />
orologi a sole ed a sabbia, nonché le clessidre (2). Isabella medesima,<br />
<strong>il</strong> 5 novembre 1511, ordinava a Lorenzo da Pavia di<br />
procurarle « uno orologio da polvere che non sia grande » (3).<br />
Invece crediamo che fosse veramente a meccanismo tascab<strong>il</strong>e<br />
quell’ « horologio piccolo » che la marchesa commetteva a V e<br />
nezia nel 1531. E senza dubbio lo era l’ orologio « in forma de<br />
officiolo quadretto piccolo », che Federico Gonzaga donò al Pescara,<br />
insieme con « un altro bello horologio grande che sona<br />
et ha incluso lo resvegliatore », come si ricava da due lettere<br />
dell’ Equicola a Isabella del 22 e 26 ottobre 1521. Federico<br />
diede commissioni agli Sforzani di Reggio, celebri fabbricatori<br />
d’ orologi (4).<br />
Strepitoso era <strong>il</strong> lusso della tavola nel nostro Rinascimento:<br />
basti <strong>il</strong> dire che nei banchetti, non solo s’ indorava la selvaggina<br />
più rara, ma si soleva dorare persino <strong>il</strong> pane. Lo sfoggio delle<br />
argenterie era immenso, poiché dapprima tutto <strong>il</strong> fornimento da<br />
tavola era d’ argento (5), e solo nel secolo xvi Alfonso I d’ Este<br />
introdusse sulle tavole principesche 1’ uso delle ceramiche e si<br />
segnalò egli stesso nell’ arte del fabbricarle. Non è qui <strong>il</strong> caso<br />
di rammentare a qual gloria assorgessero le nostre ceramiche<br />
artistiche. Diremo invece che anche a questi prodotti la mar<br />
chesa mostrò d’ interessarsi, e siccome le fabbriche mantovane<br />
non giunsero mai ad essere le migliori, commise ceramiche a<br />
(1) Un « orologio da sole d’ottone dorato dentro una scatola di noce<br />
fatta al torno » è, fra parecchi altri piccoli orologi, in un antico inventario<br />
estense. Vedi C a m p o r i, Cataloghi, pag. 45. L' orologio a sole di<br />
Isabella fu da lei perduto dopo <strong>il</strong> sacco di Roma.<br />
(2) F r a n k l i n , op. cit., pag. 67.<br />
(3) Vedi « uno orologio da sabione » descritto in C a m p o r i, Cataloghi,<br />
pag. 32.<br />
(4) B e r t o l o t t i , Artisti, pagg. 9 1 -9 5 , e Arti minori, pagg. 7 4 -7 5 .<br />
(5) Vedi L. A . G a n d i n i , Tavola, cantina e cucina della Corte di<br />
Ferrara nel Quattrocento, Modena, 1889, pag. 18 e segg.<br />
7 3
7 4 IL LUSSO DI ISABELLA D 'ESTE MARCHESA DI MANTOVA<br />
V. - L.’ ARREDO DEGLI APPARTAM ENTI<br />
7 5<br />
Ferrara, a Venezia, a Faenza e specialmente alle rinomate fabbriche<br />
del territorio di Pesaro e Urbino (1). Ma a noi sembra<br />
di non ingannarci asserendo che <strong>il</strong> suo gusto aristocratico, avvezzo<br />
agli splendori degli ori e degli argenti, non s’ acconciò<br />
troppo di buon grado a sostituir loro 1’ uso delle ceramiche, a l<br />
meno per la mensa. Non troviamo nessun documento che ci dimostri<br />
in lei per le terracotte e le maioliche quella passione<br />
che ravvisammo per tanti altri generi di lusso. E invece le ordinazioni<br />
di argenteria non cessano mai. 11 15 novembre 1496<br />
fa sapere a Pietro Albano: «L o <strong>il</strong>l.rao Consorte et nui siamo<br />
talmente exhausti de arzenti, corno sapeti, che n' è forza provederne,<br />
et havemo comesso al mag.00 Zo. Brognolo che ne ritrovi<br />
arzento da lavorare per 1500 ducati a termine uno anno ». Lo<br />
prega pertanto di trovare una sicurtà, rammentando quanto lealmente<br />
abbia altra volta soddisfatto i suoi impegni. Nell’ agosto<br />
del 1512 si fa mandare, forse in prestito, da Galeazzo Pallavicino<br />
« 15 piatti et 15 tondi d'argento » per <strong>il</strong> banchetto che doveva<br />
offrire al cardinale Gurgense ed al viceré. A Venezia, quando<br />
vi fu nella primavera del 1530, comprò sei tazzoni d’ argento,<br />
disdicendo l’ordinazione antecedentemente data a Sebastiano<br />
orefice in Mantova (2), e si fece fare una bacina d’ argento con<br />
in mezzo lo stemma. Ma quella bacina pare non fosse mai finita<br />
o non riuscisse di suo gusto, perchè <strong>il</strong> 5 settembre del 1530<br />
ella scrive allo Z<strong>il</strong>iolo: « Io desiderarei far fare una bacina d’a r <br />
gento da tavola, et perchè tutti questi aurefici di Mantova si trovano<br />
adesso occupati et in cose mie et del <strong>il</strong>i.0 Sig.1' Duca mio<br />
figliolo, talché diific<strong>il</strong>mente potriano far questo lavorerò de quella<br />
bellezza eli’ io lo desidero, siati contento dar opera lì in F errara<br />
di trovare uno aurifice che voglia pigliare l ’ assunto di fare<br />
dieta bacina quanto più presto sarà possib<strong>il</strong>e ». Ma poi riuscì a<br />
combinare in Mantova stessa.<br />
(1) Cfr. B e r t o l o t t i , La ceramica alla Corte di Mantova in Arch.<br />
stor. lombardo, voi. XVI, pag. 808 e segg.; Cam p o r i , Notizia delle m a <br />
ioliche e delle porcellane in Ferrara, Pesaro, 1879, pagg. 12-13, 20-<br />
21, 77 ; B r a g h i r o l l i , Lettere ined. di artisti, Mantova, 1878, pagg. 25-<br />
26 e 45-47; M o l i n i k r , La céramique <strong>il</strong>alienne au xv° siècle, Paris, 1888,<br />
pag. 42, e <strong>il</strong> nostro Mantova e Urbino, pagg. 286-287.<br />
(2) Sebastiano Averoldi orefice e zecchiere, su cui vedi B e r t o l o t t i ,<br />
Arti minoH, pagg. 39 e 46.<br />
L’ inventario degli oggetti posseduti da Isabella ci dà conto<br />
d' una serie copiosa di vasi d’ ogni specie in metallo, in vetro,<br />
in porfido, in diaspro, in ambra, in ogni altra maniera di pietre<br />
rare, da lei posseduti. L’ avere una ricca collezione di queste<br />
preziosità, da porre accanto alle numerose anticaglie ed ai prodotti<br />
delle arti maggiori ne’ suoi camerini e nella grolla, era<br />
un’ aspirazione ardente dell’ anima sua. Basta vedere con quale<br />
passione contratta nel 1502 <strong>il</strong> cambio di due vasi, uno di cristallo<br />
e l’ altro d’ agata, con panni ragusei (1); con quanta in <br />
sistenza nel 1506, dopo la morte del Vianello, interessa Pietro<br />
Bembo ed altri per ottenerne, di tra le belle cose da lui lasciate,<br />
un vaso d’ agata ed un quadro della « sommersione di<br />
Faraone in pictura», che non è escluso fosse opera di Giovanni<br />
van Eyclc (2); con quanta espansione ringrazia <strong>il</strong> 27 giugno<br />
1529 <strong>il</strong> Cardinal Palmieri per due vasi eh’ ei le procurò<br />
da Napoli. Nel 1515 Lorenzo Cambi eseguisce in Firenze la<br />
commissione di due candelieri d'alabastro fattagli verbalmente<br />
dalla marchesa. Nel gennaio 1503 Isabella è tu tt’ intenta alla<br />
ricerca d’ una statuetta di bronzo che possa far riscontro al<br />
« putino dal spine » eh’ essa già possedeva (3); ed arbitro nella<br />
scelta fu lasciato un orefice e medaglista in cui essa aveva piena<br />
fiducia, Pier Iacopo Alari Bonacolsi, detto l'Antico (4). E preziosa<br />
per chi indaghi <strong>il</strong> gusto d' arte della marchesa una serie<br />
di lettere corse nel 1504 fra lei e l’Antico circa l’ordinazione<br />
d’ una figurina d’oro di san Giovanni Battista, che doveva andare<br />
« in una f<strong>il</strong>za de la corona portat<strong>il</strong>a ». Da quella serie si può<br />
(1) Oggetti diversi si solevano trarre da Ragusa, fra cui anche tappeti,<br />
schiavine, zambellotti. Vedi L a n z a d i S c a l e a , Donne e gioielli,<br />
pag. 157.<br />
(2) Sull' importante e intricato quesito ritorneremo altrove. Per ora<br />
basti <strong>il</strong> sapere che la Sommersione viene assegnata da un documento<br />
mantovano a Ianes de Brugia, nome con cui fu tante volte designato<br />
<strong>il</strong> van Eyck. Risolta la difficoltà cronologica, potrebbe peraltro essere <strong>il</strong><br />
dipinto di Giovanni Sehorell, che passò poi nella raccolta Giglio. Cfr. Anonimo<br />
morelliano, pagg. 32, 1 7 8 -1 7 9 .<br />
(3 ) Sarà stato probab<strong>il</strong>mente una copia del fanciullo che si leva una<br />
spina dal piede, opera antica che ora si ammira nel museo Capitolino.<br />
(4 ) A r m a n d , v o i. I , p a g g . 6 1 -6 2 , e <strong>il</strong> b e l la v o r o d i U . R o s s i, c h e è<br />
<strong>il</strong> s e c o n d o n e lla s u a m e m o r ia i n t i t o la t a I medaglisti del Rinascimento<br />
alla Corte di Mantova.
7 6 IL LUSSO DI ISABELLA D ’ ESTE MARCHESA DI MANTOVA V . - L ’ ARREDO DEGLI APPARTAM ENTI 77<br />
vedere quanta cura ponesse quella eccelsa donna nelle commissioni<br />
di sim<strong>il</strong> genere e come ci pensasse e ripensasse di continuo<br />
affinchè gli oggetti commessi rispondessero al suo ideale (1).<br />
Nè meno significante è <strong>il</strong> carteggio per certe statuette a lei cedute<br />
per antiche dall’ orefice Raffaello da Urbino, mentre in<br />
realtà antiche non erano (2). In questo genere di trattative la<br />
Gonzaga poneva tutta 1' anima sua, come se si trattasse dei più<br />
gravi negozi politici.<br />
P er intagli e oggetti di legno, d’ osso e d’ avorio, Isabella<br />
ricorreva spesso a Cleofas de Donati, tornitore m<strong>il</strong>anese, <strong>il</strong> quale,<br />
come di freqqgnte soleva accadere, divenne in seguito suo corrispondente<br />
anche per altre cose (3). La prima ordinazione notevole<br />
che a lui troviamo affidata è quella d’ un giuoco di scacchi.<br />
Isabella era buona giuocatrice di scacchi e le piaceva di avere<br />
dei tavolieri e delle figure che corrispondessero all’ eleganza delle<br />
altre sue suppellett<strong>il</strong>i. Non si spingeva certamente al lusso dei<br />
giuochi di scacchi medievali, in cui talora <strong>il</strong> tavoliere era d’oro<br />
e d’ argento e le figure pur metalliche tempestate di pietre preziose<br />
(4), ma si rammentava i bei giuochi che aveva a casa sua,<br />
a F errara (5), e non voleva essere da meno. Infatti già nel 1491<br />
ordinò al Brognolo uno scacchiere d’ avorio che le costò cinque<br />
ducati. Ma quello fatto da Cleofas doveva riuscire di ben altra ricchezza.<br />
«Mandiamovi », scriveva Isabella ad Angelo Yincemaglia<br />
l ’ 8 dicembre 1511, « un pezo de ebano, qual dareti a Cleofas<br />
dicendogli eh’ el ne facci d’ esso un gioco de scacc<strong>il</strong>i negri, et<br />
(1) Le lettere caratteristiche sul san Giovannino sono edite da U.<br />
Rossi, Antico, pagg. 19-24.<br />
(2) Cfr. <strong>il</strong> nostro Mantova e Urbino, pagg. 284-286.<br />
(3) Di Cleofas è finora soltanto noto ciò che ne scrisse con garbo<br />
<strong>il</strong> B r a g h i r o l l i , Lettere ined. di artisti, pagg. 31-32 e 51-52, e quello<br />
che ne accozzò senza discernimento <strong>il</strong> B e r t o l o t t i , Arti m inori,<br />
pag. 179.<br />
(4) A. S c h u l t z , Das hófische Leben, voi I, pag. 415; S t r o h m e y e r , Das<br />
Schachspiel im altfranzósischen, nelle Abhandlungen dedic. al Tobler,<br />
Halle, 1895, pagg. 400-441. Un giuoco di scacchi in argento con tavoliere<br />
d’ avorio intarsiato è nell’inventario delle gioie di Leone X.(Arch.<br />
stor. dell’ arte, voi. I, pag. 71). Anche nel corredo della contessa di<br />
Mesocco figura « un tavolino de avolio con scachi, tavola et dadi d’argento<br />
» ( M o t t a , Nozze principesche, pag. 35).<br />
(5) C a m p o r i, Cataloghi, pag. 33.<br />
1‘ altro bianco del suo avorio, che siano dela grandeza de questi<br />
che vi mandiamo in la scatola per mostra; ma del garbo et foggia<br />
che a lui parerà, purché siano belli et excellenti et ben proporcionati<br />
da cognoscersi uno scaco da 1’ altro, nè vi rincrescerà<br />
sollicita<strong>il</strong>o aciò che presto siamo servite ». Cleofas ne mandava<br />
un saggio, ed ecco la marchesa che riscrive al Vincemaglia (4 gennaio<br />
1512): «Y e remandamo la mostra de li scachi facti per<br />
Cleophas, quali ne piaceno molto, e speramo, come vui scriveti,<br />
eh’ el li megliorarà, maxime lo arf<strong>il</strong>o (1), qual voria avere quelle<br />
tre branche di sopra più distincte et ardite, cioè che guardassino<br />
in suso, et la pedona voria essere un poco più altetta et più<br />
forte. Il resto de fogia et garbo ne piace summamente, precipue<br />
lo cavallo, che non potria essere più bello. Sichè fat<strong>il</strong>i subito<br />
fare». Dopo quel tempo le commissioni a Cleofas si susseguirono.<br />
Nel 1512 egli mandò alla marchesa una bacchetta d’avorio,<br />
e due altre « de barbise de balena » (2), e pezzi d’ ebano e saggi<br />
di lavori d’ osso per una corona; poi nel 1514 dei bottoni ben<br />
lavorati, e allora e in appresso di quei bossoletli per mettervi<br />
dentro profumi, di cui parleremo in seguito ; e nel 1523 due<br />
corone, e poi vasetti forse d’ avorio nel 1524, e scatole nel<br />
1530. In quell’ anno (e non sarà stata la prima volta) abbiamo<br />
sicura notizia che Cleofas fu a Mantova in persona. E vi tornò<br />
probab<strong>il</strong>mente nel 1531 ; almeno la marchesa gli fece avere<br />
una patente di libero transito a questo scopo. Egli allora era<br />
entrato talmente nelle grazie della nostra gent<strong>il</strong>donna, che essa<br />
gli dava incarichi d’ ogni specie: lo faceva contrattare con gli<br />
artefici per la costruzione e pel trasporto di certa fontana, gli<br />
faceva comperare un gatto di Spagna « di grandezza comune ma<br />
bello da portare suso la spalla », gli faceva sollecitare da un<br />
Niccolò, che chiama «mio au refice », certe « agocchie ». Non<br />
deve far meraviglia <strong>il</strong> veder commessi degli sp<strong>il</strong>li a un orefice.<br />
Nel 1490 doveva fare cento « agugii. . . de bono cullo » l’ orefice<br />
Meliolo (3). Per quanto già nel secolo xm esistessero in<br />
(1) Arf<strong>il</strong>o è Yalficus antico, cioè Vaufin dei Francesi, che equivale<br />
all 'alfiere. Nel volgarizzamento antico del libro sugli scacchi di Iacopo<br />
da Cessole lo si trova chiamato alfino. Vedi ediz. di M<strong>il</strong>ano. 1829,<br />
pag. 26.<br />
(2 ) Documenti editi dal Braghirolli nel luogo menzionato.<br />
(3) M e r k k l , Tre corredi, pagg. 4 7 -4 8 .<br />
8
7 8 IL LO SSO DI ISABELLA D’ ESTE MARCHESA DI MANTOVA V . - L’ ARREDO DEGLI APPARTAMENTI 7 9<br />
Parigi parecchie fabbriche di aghi (1), gli sp<strong>il</strong>li fatti con garbo<br />
erano molto stimati, sicché talvolta li troviamo indicati nei corredi<br />
(2). Il 3 gennaio 1491 Isabella spedisce in Francia alla cognata<br />
Chiara « quatro miara de agugie damaschine, non perchè<br />
sia presente digno di lei, ma solum per havere inteso da Salvo<br />
che non ne sono in quelle parte de sim<strong>il</strong>i sorte. Havea anche<br />
mandato a tuore di cimbali per mandarli a le sue puttine, ma<br />
sono tanto malfacti, che ne par meglio ritenirli qua che dare<br />
questa vergogna a la Italia de lavorare cussi male ». Esclamazione<br />
caratteristica che vale meglio di cento ritratti !<br />
Altro provveditore ed artefice d’ oggetti di legno e d’ebano,<br />
e nel tempo stesso confidente e corrispondente, era Lorenzo da<br />
Pavia, che già più d' una volta abbiamo avuto a nominare. Lorenzo<br />
Gusnasco di Pavia, dimorante in Venezia, fu valentissimo<br />
intarsiatore e conseguì speciale celebrità nella costruzione di<br />
strumenti musicali. E fu appunto questa ab<strong>il</strong>ità straordinaria che<br />
10 mise in relazione con la marchesa, la quale se ne servì per<br />
un ventennio, non solo per la fabbricazione di quelli strumenti<br />
che essa, appassionata musicista, amava perfetti ed eleganti, ma<br />
per 1’ acquisto di oggetti d’ arte, di vetri preziosi, dei libri impressi<br />
da Aldo Manuzio, di cui era tanto ghiotta (3). Ma qui<br />
noi lasciamo da parte tutte le commissioni che si riferiscono alle<br />
arti maggiori ed alle lettere, per limitarci a quelle d’ oggetti<br />
di lusso. Nel 1496 Lorenzo lavorava in avorio per Isabella ed<br />
anzi, a quanto riferiva Alberto da Bologna <strong>il</strong> 21 novembre di<br />
quell’ anno, poco mancò non infermasse gravemente per eseguire<br />
con prontezza certa bacchetta che la marchesa gli aveva ordinata.<br />
Nell’ottobre del 1498 quella bacchetta non era ancora terminata,<br />
poiché la Gonzaga gliela facea chiedere e insieme gli rimandava<br />
11 bel liuto d’ebano, fabbricatole l’ anno innanzi da Lorenzo (4),<br />
affinchè ne assottigliasse <strong>il</strong> manico. Il 28 marzo 1500 Isabella riceveva<br />
da Lorenzo, col liuto suddetto, anche « li pettini, 1’ uno de<br />
(1) F r a n k l i n , Magasins, voi. II, pag. 167 e segg.<br />
(2) In quello di Anna Sforza (ediz. G. A. Venturi, pag. 28) figurano<br />
infatti le « agugie da pomello e da cusire ».<br />
(3) Per quel che v’ è di stampato su Lorenzo vedi le nostre Relaz.<br />
con gli Sforza, pag. 121, nota 4<br />
(4) Vedi <strong>il</strong> bel documento del 3 febbraio 1497 edito da W. B r a g h i -<br />
r o l l i , Leti. ined. di artisti, pagg. 2 6 -2 7 .<br />
avolio, 1’ altro de corno, lo legno de ebano et pezo de avolio».’11<br />
23 settembre 1506, avendo inteso che Lorenzo disegnava di venire<br />
a visitarla e portar seco alcune belle cose, tra le quali una viola,<br />
gli mostra <strong>il</strong> desiderio ch’essa sia di ebano o di sandalo, e frattanto<br />
si fa spedire un pezzo d’ ebano « grande circa uno pede<br />
per quadro et grosso più che se ritrova ». Da questi pezzi d’ebano<br />
e d’ avorio la marchesa faceva poi trarre oggettini diversi di<br />
galanteria. Caratteristica è in proposito la seguente letterina che<br />
ella inviava a Lorenzo <strong>il</strong> 24 gennaio 1511: « Perchè facemo<br />
fare un bambino di avolio di quel pezo che già più mesi ni mandaste,<br />
li manca da fare una mane con la balla di la grandeza<br />
che vedereti per la mostra quale vi mandiamo. Pregamovi ad<br />
volerni comparare tanto che basti a farla. Appresso vorressimo<br />
che ni facesti fare un peducio o sia basamento di ebano, di la<br />
grandeza che vedereti per la mostra di legno et disegno in carta,<br />
che sono una cosa medesima; ma fargli dare megliore gratia che<br />
non hanno saputo dare questi nostri tornidori : qual basamento<br />
volemo pur per posarvi suso ditto bambino ». Nel medesimo<br />
anno, <strong>il</strong> 30 marzo, gli commetteva una corona d’ ebano: « Voressimo<br />
che ni facesti fare una corona de ebeno alla foggia che<br />
è el pater nostro che vi mandamo qui annexo, signata da testecine<br />
de morto più grossette dii resto di la corona, che saranno<br />
octo segni et uno maggiore de li altri da mettere de sopra . . .<br />
ma vogliati pigliare cura che siamo meglio servite in questa<br />
che non fussemo in quella de aloe, perchè la non era molto ben<br />
facta nè con la d<strong>il</strong>igentia che voressimo. E t sopratutto fati eh’ el<br />
ebeno sia bellissimo ». Il 9 giugno 1524, essendo morto da parecchi<br />
anni Lorenzo, la marchesa, nello spedire a Venezia due<br />
cassette d’ avorio per farle racconciare, dovette raccomandare a<br />
Battista Malatesta di darle « a quel maestro a chi ne fu parlato<br />
quando noi eravamo in Venetia, che sta in Merzaria et tiene <strong>il</strong><br />
signo dell’Angelo ». Non sappiamo per qual ragione, già nel 1516,<br />
Isabella si rivolgesse a Bernardino de’ Prosperi, anziché a Lorenzo,<br />
per un crocifisso d’ avorio su croce d’ ebano. La marchesa<br />
avrebbe desiderato che lo facesse un Michele tedesco, valentissimo<br />
in sim<strong>il</strong>i lavori, ma egli era già morto, onde <strong>il</strong> Prosperi<br />
si rivolse prima ad un « maestro Paulo intagliatore, quale sta<br />
da San Leo, che dice esser corno fratello de maestro Antonio<br />
Lombardo », e poi cercò di avere un crocifisso di Michele te
8 0 IL LO SSO DI ISABELLA D ’ESTE MARCHESA DI MANTOVA<br />
desco posseduto da una famiglia privata. Come appare da lettera<br />
del Prosperi del 10 maggio 1516, non si mancò di consultare<br />
Lorenzo, ma egli non ebbe parte diretta nelle trattative (1).<br />
11 crocefisso fu poi lasciato dalla marches'a, nel suo testamento»<br />
ad una delle figliuole monache.<br />
A Lorenzo da Pavia ricorreva pur anco di frequente la<br />
nostra gent<strong>il</strong>donna per 1’ acquisto di quei vetri di Murano che<br />
erano la sua delizia. Derivi 1’ <strong>antichi</strong>ssima e vaghissima arie<br />
dall’ uso dei musaici ovvero sia provenuta dall’ Oriente con le<br />
conterie, come altri suppone, fatto è che a Murano la fabbricazione<br />
del vetro e poi del cristallo assunse fin dal medioevo una<br />
importanza stragrande e si venne sempre più perfezionando nel<br />
xv e nel xvi secolo (2). V’ erano in quell’ isoletta, che divideva<br />
la sua celebrità fra i vetri e gli orti, centinaia di fabbriche, che<br />
alimentavano legioni di operai, stretti in corporazioni, distinti<br />
secondo la qualità del loro lavoro in perlari (margaritai), paternostrari<br />
e supialume (fialai). Trentam<strong>il</strong>a abitanti aveva nel<br />
Cinquecento quell’ isola che oggi ne conta solo quattrom<strong>il</strong>a ! (3).<br />
Narrasi in un antico libro che quando l’ imperatore Federico III<br />
fu a Venezia nel 1468 <strong>il</strong> Senato veneto gli presentò un magnifico<br />
vaso di vetro muranese, che <strong>il</strong> Monarca, fingendo inavvertenza,<br />
si lasciò cadere di mano, sicché andò in frantumi. Di che<br />
dolendosi egli osservò che quelle scheggie non valevano più<br />
nulla, mentre se <strong>il</strong> vaso fosse stato d’ oro, non solo, cadendo,<br />
non si sarebbe rotto, ma anche rompendosi, i pezzi avrebbero<br />
conservato un certo valore. L’ aneddoto, se non dipinge quel<br />
coronato come un fiore di cortesia, può essere significativo perché<br />
prova come i più alti personaggi avessero in dispregio anche <strong>il</strong><br />
(1) Qualche indizio di esse pubblicò <strong>il</strong> B e r t o l o t t i , Arti m inori,<br />
pag. 175; ma quelli interessanti documenti meriterebbero d’ essere conosciuti<br />
interi. Qui non si può farlo per la loro soverchia lunghezza.<br />
(2) I,’ arte muranese del vetro ha una ricca letteratura, di cui si potrà<br />
trovare registrata una parte nelle bibliografìe del Cicogna e del Soranzo<br />
Fondamentale rimane pur sempre la monografia di V. L a z a r i , L es<br />
verreries de Murano in Gaz des beaux-arls, 1861, voi. XI, pag. 320<br />
e segg. Vedi anche L a b a r t e , op. cit., voi. Ili, pag. 377 e segg.; Y r i a r t e ,<br />
Venise, Paris, 1878, pag. 201 e segg.; U r b a n i d e G h e l t o f , op cit.,<br />
pag. 203 e segg. ; G e r s p a c h , L ’arl de la ver rerie, Parigi, 1886, pag. 138.<br />
(3) Vedi M o l m s n t i - M a n t o v a n i , Le isole della laguna veneta><br />
Venezia, 1895, pag. 133.<br />
V . - L’ ARREDO DEGLI APPARTAM ENTI 81<br />
vetro, che non presentava la solidità nè <strong>il</strong> valore intrinsecò dèi<br />
metalli. Isabella peraltro, che pur non ebbe, come notammo,<br />
grand’ amore per la ceramica, mostrò invece simpatia immensa<br />
pel vetro lavorato (1). Sin dall’ ottobre del 1495 troviamo “che<br />
essa ordina al Brognolo delle spolette di vetro. Ne vuole cinquanta<br />
nere, cinquanta torte, cinquanta gialle, e tutte « grosse<br />
in mezzo » e che si vadano « subt<strong>il</strong>iando da li capi ». Altre spo<br />
M te sim<strong>il</strong>i gli ordina <strong>il</strong> 19 marzo 1496, ma questa volta ne vuole<br />
dugento di berettine, cento di verdi e cento di turchine « che<br />
più presto siano azzurre che troppo chiare ». Il 14 ottobre 1498<br />
commette a Tolomeo Spagnolo due tazzette, e gli ingiugne di<br />
farsi dare i denari per pagarle da qualcuno delle legazioni mantovana<br />
o ferrarese, ovvero da Pagano o da Pietro Albano. Desidera,<br />
<strong>il</strong> 18 novembre 1500, otto o dieci bicchieri col manico,<br />
ed altri otto o dieci di « altra fogia et garbo, sì che siano differenti<br />
da quelli, ma che siano bene di tanta grossezza ». E<br />
vuole che l’ incaricato « usi ogni d<strong>il</strong>igentia perchè siamo ben<br />
servite, havendo advertentia ad farli fare schietti et politi ». Nel<br />
luglio del 1502 riceveva da Venezia una « cassa de vetri » e ne<br />
accusava ricevuta a Taddeo Albano. Nel settembre del 1503 è<br />
incaricato <strong>il</strong> fido Lorenzo da Pavia di far fare « dui vasi da bevere<br />
a qualche bella foggia . . . che siano apti al bere et de inventione<br />
non più facta, grossi de vetro et schietti ». Lorenzo<br />
risponde che quei maestri sono « poveri de invencione », onde<br />
prega la committente di far disegnare lei « qualche fantasia così<br />
di grosso », eh’ egli poi curerà si eseguisca. D’ un’ altra ordinazione<br />
abbiamo sentore da un biglietto inviato a Taddeo Albano<br />
<strong>il</strong> 28 maggio 1505: « Piacciavi far intendere a maestro Anzeletto<br />
che lavora li vetri a Murano eh’ el non facci più quelli vasi<br />
cristallini che li ha ordinato Zoan Francisco da la Grana da<br />
nostra parte; ma havendone facti alcuni, ve li fareti dare et ce<br />
li mandereti facendo <strong>il</strong> conto cum lui sopra otto ducati che li<br />
furono dati per caparra ». Intorno al medesimo argomento scriveva<br />
all'Albano <strong>il</strong> 21 agosto 1505: « Vi doveti ricordare che<br />
m.ro Anzelino da Murano ne restò debitore de otto ducati per<br />
li vasi che volevamo eh’ el ne facesse, quali puoi facessimo so-<br />
(1) Delle notizie che daremo alcune furono insaccate nello zibaldone<br />
del B e r t o l o t t i sulle A r ti m in o ri, pagg. 1 9 0 -1 9 2 .
8 2 IL LO SSO DI ISABELLA D 'ESTE MARCHESA DI MANTOVA v. - l ’ a r r e d o d e g l i a p p a r t a m e n t i<br />
prastare, ma ni promise fami altrotanto lavorerò. Pregamovi<br />
siati cum luy et ne faciati fare quatro vasi de la fogia del designo<br />
che vi darà Franceschino, et ultra di questo dui fiaschi<br />
di bel garbo, et puoi tanti altri vasi, de'diverse et varie sorte<br />
da bere, che pigliano la summa de li’ ditti otto ducati, mandandoceli<br />
per <strong>il</strong> primo burchio venirà in qua doppo che li havereti<br />
hauti ». Ma 1’ affare non procedeva bene. Il 5 dicembre Isabella<br />
replicava la commissione, e sembra Angioletto le facesse rispondere<br />
che aveva perduto i disegni dei vasi Onde <strong>il</strong> 27 apr<strong>il</strong>e 1506,<br />
da Sacchetta, mentre in Mantova imperversava la peste, la<br />
Gonzaga diceva all’ Albano : « Non credemo che maestro Anzeletto<br />
abbia perso gli designi de quelli nostri vasi, perchè due<br />
volte mo li ha hauti, ma credemo lo facci per non ni volere<br />
satisfare. Et acciò che più non habbi questa scusa, pregamovi<br />
siati cum lui, stringendolo a farci tanti vasi crestnlini de diverse<br />
fogg;e da bevere, corno a lui parirà, che siano belli, et fra’ quali<br />
siano almanco due o tre sechiette come scià che nui usiamo da<br />
bevere acqua ». Il 9 apr<strong>il</strong>e 1507 fa ordinare da Lorenzo di Pavia<br />
cinque f<strong>il</strong>ze di paternostrini di vetro e gli manda insieme « una<br />
piadenetta de argento » acciò ne commetta a Murano cinque sim<strong>il</strong>i<br />
« di vetro de smalto de diversi colori ». Il 20 maggio 1521<br />
incarica un Formigon di far eseguire a Murano all' insegna della<br />
Sirena (1) « certi scudellini di vetro di smalto bianco », già ordinati<br />
dai suoi credenzieri quand’ era stata a Venezia, e insieme<br />
dei vasi da bere e delle « boccaline di vetro cisellate ». Appena<br />
tornata da Roma, ove assistette agli orrori del sacco, eccola a<br />
ordinare <strong>il</strong> 18 giugno 1527 a Giov. Battista Malatesta « una cesta<br />
di belli bicchieri de diverse foggio et che siano de fino cristalo,<br />
et sino a due dozzene di boccaline piccole di la fogia che si usa<br />
in Roma ». Altri vasi commetteva <strong>il</strong> 4 maggio 1528 « a sim<strong>il</strong>itudine<br />
de li due di terracotta » e ne voleva un terzo col bocchino<br />
e due manichi. Della pred<strong>il</strong>ezione d’ Isabella pei vasi muranesi<br />
è bell’ indizio questa letterina a Iacopo Malatesta :<br />
Persuadendomi che alle apoteche delli vitriari a questa Ascensa appariranno<br />
qualche belli vasi novi, siati contento de ritrovami sino a dieci<br />
o dodici vasi da bevere che siino varii di foggie, taze et bichieri, et che<br />
(1) Il L a z a r i (op. cit., pagg. 325-326) menziona come famosa l'in <br />
segna dell’Angelo, sotto la quale lavorò nel secolo xv Angelo Beroviero.<br />
habbino li f<strong>il</strong>i bianchi schietti senza oro Et vi piaccia che in captarli<br />
conducati con voi per compagno Alphonso Faccino, qual è lì in Venetia,<br />
perchè ambidui insieme, 1’ uno col parere de T altro, sarete più atti a satisfare<br />
a l’ intento nostro. Li potreti poi consignari a Joanbono Andréasio<br />
exhibitor presente, al quale havimo dato special carico de farceli bavere.<br />
Et dii costo vi saranno poi rimessi li denari. Et bene valete. Mantuae,<br />
2 maii 1529.<br />
Il Cardinal Pisani potè esser certo di procurare la più grata<br />
sorpresa ad Isabella, quando le fece trovare a Mantova, nel suo<br />
ritorno da Venezia, una cassa di vetri di Murano. Isabella lo<br />
ringraziava con vera effusione : « mi piacquero tanto per essere<br />
bellissimi che veramente mi parve d’ essere ritornata a Murano »<br />
(5 luglio 1530). Infatti nella primavera del 1530 la marchesa erasi<br />
recata a Murano e vi aveva visitata la casa Priuli e l ’orto del Lipomano;<br />
ma s’era specialmente fermata alla bottega della Sirena.<br />
Iacopo Malatesta così ne informa Federico Gonzaga : « Madama<br />
è stata a Murano con molto suo d<strong>il</strong>etto et ha veduto gli vetri<br />
bellissimi che vi sono et quelli di la Serena fatti a sim<strong>il</strong>itudine<br />
di credenza mandata al S. Turco, che gli è parsa cosa maravigliosa:<br />
et certamente si pò dire cosa excellente et rara, ma<br />
quasi tanto rara quanto se fusse gioie» (24 maggio). E anche:<br />
« Dappoi andò a vedere gli vetri alla botega de la Serena et<br />
per esser quelli excellenti et rari, li vide con tanto suo d<strong>il</strong>etto<br />
et piacere che più non potria desiderare, et al presente ha le<br />
più belle cose che già mai 1’ havesse. Il signor Duca di F errara<br />
vi era stato da poco inanci et vi lassò de molti ducati. Madama<br />
<strong>il</strong>l.a ha anche comprato alcuni vasi molto belli » (28 maggio).<br />
Anche nell’ ottobre del 1533, quando la vecchia marchesa si<br />
recò di bel nuovo a Venezia, non dimenticò di fare replicate<br />
visite a Murano, e di là si faceva inviare, ancor nel febbraio<br />
del 1534, sei « boccalini di vetro » fatti ad una foggia da lei<br />
designata. Si può dunque dire che la passione per quei leggiadri<br />
ging<strong>il</strong>li d’ arte vetraria la accompagnasse veramente sino ai suoi<br />
anni più tardi, quando ormai <strong>il</strong> suo desiderio di lusso s’ era venuto<br />
<strong>il</strong>languidendo.<br />
Fioriva in Murano anche 1’ arte di fabbricare gli specchi<br />
di cristallo. Nota quest’arte in Italia fin dagli inizi del secolo xiv,<br />
come chiaro apparisce dalle allusioni di Dante all’ impiombato<br />
vetro, era passata in Germania ed in Fiandra, quando in sul prin
Si IL LUSSO DI ISABELLA D’ ESTE MARCHESA 01 MANTOVA V I. - L ’ ARREDO DEGLI APPARTAM ENTI 8 5<br />
cipio del xvi secolo i muranesi Andrea e Domenico dal Gallo la<br />
fecero risorgere in Italia e la condussero a grande splendore (1).<br />
Gli specchi grezzi si facevano a Murano, ma la spianatura e la<br />
lustratura erano date a Venezia da artefici speciali. Tuttavia<br />
non è da credere che questi prodotti *dell’ arte vetraria si conquistassero<br />
subito la simpatia dei grandi signori. Gli specchi di<br />
metallo, famosi già in Etruria ed in Roma (2), per secolare uso<br />
divenuti abituali nei nostri palazzi (3), non si lasciarono che con<br />
qualche stento cacciare di seggio dai loro fratelli, forse più nitidi<br />
ma certo più frag<strong>il</strong>i, di cristallo. Gli specchi d’ acciaio si<br />
continuarono ad adoperare sino al finire del secolo xvi; nel 1572<br />
un Francesco Zamberlan godeva ancora d’ un priv<strong>il</strong>egio in questa<br />
fabbricazione (4). E della promiscuità dell’ uso ci offrono prova<br />
novella i documenti mantovani. Con queste irose parole respingeva<br />
Isabella a Lorenzo da Pavia uno specchio che non le andava<br />
a ’ versi : « Ve remandamo el spechio de cristalo perchè<br />
non ce piace, nè vui havereti da cercarne più nè di cristalo nè<br />
de azalo, sperando che qua saremo servite » (3 apr<strong>il</strong>e 1502).<br />
Ma come soleva sempre avvenire, quello sdegno sbollì presto.<br />
Nell’ autunno del 1506 la marchesa è tutta lieta per un bellissimo<br />
specchio di cristallo che Lorenzo le invia, tutto adornatn<br />
di mano sua, e per compensarlo gli dona venti ducati. In quel<br />
medesimo tempo riceveva da Vincenzo Albano uno specchio di<br />
acciaio che pagava due ducati. Il 17 agosto 1510 Taddeo Albano,<br />
per corrispondere al desiderio espresso dalla marchesa, le<br />
manda a scelta delle turchine ed a scelta pure due specchi :<br />
« Per la terza lettera V. Ex. richiede uno specchio de azalle che<br />
sia bono; et cossi insieme cum Lorenzo de Pavia ne habiamo<br />
trovato doi, che sono li migliori che abbiamo trovato, quali si<br />
(1) Vedi i documenti che ne produsse <strong>il</strong> L a z a k i , op. cit., pagg. 3 3 0 -<br />
3 32, dal quale ripetono le loro notizie 1’ Urbani, <strong>il</strong> Gerspacli ed altri.<br />
(2) M a n o s i , Il costume e l'arte delle acconciature nell' <strong>antichi</strong>tà,<br />
M <strong>il</strong>a n o , 1895, p a g g . 1 2 0 -2 1 e 154.<br />
(3) Vedi specchi d’acciaio nei corredi della contessa di Mesocco e<br />
d 'Ippolita Sforza in M o t t a , Nozze principesche, pagg. 22, 79. Anche<br />
tra gli arnesi da to<strong>il</strong>ette d’ una dama francese del secolo xv descritti da<br />
Oliviero de la Marche v’ è uno specchio d'acciaio; C i b r a r i o , Economia<br />
politica del medioevo, voi. III. pag. 137.<br />
(4 ) Z a n e t t i , Degli specchi a Venezia, Venezia, 1867; M c l a n i , Svaghi<br />
artistici fem m in<strong>il</strong>i, pagg. 312 e segg.<br />
m<strong>il</strong>mente li abiamo tolti a piazimento a termine de 20 giorni.<br />
De quelo che non è fornito ne vogliono ducati 4: de quelo che<br />
è fornito ne vogliono ducati 6 » . Ringrazia Isab* Jla <strong>il</strong> 16 maggio<br />
1514 <strong>il</strong> magnifico Giuliano de’ Medici del dono d' uno*spec<br />
cliio, « <strong>il</strong> quale per amore di quella volemo sempre bavere per<br />
una delle più care cose che habbiamo». Che quello specchio<br />
fosse d’ acciaio risulta da una lettera di Giambattista Cattaneo<br />
del 13 giugno 1514 in cui se ne annuncia la spedizione. Era ornato<br />
di legno e <strong>il</strong> Cattaneo finisce di parlarne esclamando : « Ben<br />
gli dico che 1’ è una cosa rarissima ».<br />
VI.<br />
Tappezzerie: la prima fabbrica italiana di arazzi a Mantova. — I corami spagnoli<br />
e loro voga in Italia. — Gli « sparaveri » o baldacchini da letto. —<br />
Le lettighe e le « carrette ». — Isabella introduce per prima a Roma l’uso<br />
delle carrozze.<br />
Al lusso degli appartamenti contribuivano in altissimo grado<br />
le tappezzerie, che qualche volta erano fisse alle pareti, più spesso<br />
si lasciavano staccare e venivano quindi usate per addobbare le<br />
stanze nelle occasioni solenni. Questa è la ragione per cui tali<br />
tappezzerie, chiamate di solito col nome generico di apparamenli,<br />
si prestavano volentieri da una Corte all’ altra non meno delle<br />
argenterie. Isabella se ne faceva, a ll’ occorrenza, prestare da Ferrara<br />
e da M<strong>il</strong>ano, e a sua volta ne mandava ai signori di Correggio,<br />
ai duchi d’Urbino, ai Pio di Carpi, ai Pico della Mirandola, alle<br />
minori famiglie dei Gonzaga, specialmente a quella di Gazzuolo.<br />
Le tappezzerie solevano essere di raso o di broccato. Il 6 ottobre<br />
1495 la marchesa chiedeva al Brognolo che togliesse a<br />
credenza « a più tempo che si può sei pezi di raso a verdate de<br />
cinque et sei braza 1’ uno, che siano belli, per mettere nella camera<br />
nostra ». Tappezzerie di gran lusso erano gli arazzi (panni<br />
di razza), la cui fabbricazione passò nel Quattrocento di Fiandra<br />
in Italia. La prima fabbrica che se n’ ebbe fra noi fu mantovana<br />
(1), e da Mantova l ’industria passò a Venezia, a M<strong>il</strong>ano (2),<br />
(1) B r a g h i k o l l i , Sulle m a n ifa ttu re d i a r a z z i in M antova, Mantova,<br />
1879; cfr. M u n t z , L a ta pisserie, pag. 161 e segg.<br />
(2) D’ A dda in A rch . stor. lo m b a rd o , voi. 1, pag. 28 n.
8 6 IL LUSSO DI ISABELLA D’ ESTE MARCHESA DI MANTOVA<br />
V I. - L ' ARREDO DEGLI APPARTAM ENTI<br />
8 7<br />
a Ferrara (1), a Siena. Ma nei documenti nostri non vi sono indizi<br />
di acquisti di arazzi, seppure non è un arazzo (com’è verosim<strong>il</strong>e)<br />
quell’ apparamento del Re di Francia che Francesco Gonzaga<br />
conquistò a Fornovo e che Isabella voleva tenere come trofeo di<br />
vittoria (2). Continue erano invece le. richieste di cuoi dorati.<br />
Con questi corami, ornati di rabeschi d’ oro e d’ argento, solevansi<br />
coprire le pareti nelle ricorrenze solenni. Si chiamavano<br />
cuori d’ oro, o semplicemente, in un vocabolo solo, coridori, ed<br />
erano assai pregiati per la resistenza che opponevano all’ umido<br />
ed all’ ingiuria del tempo. Gli Italiani, ab<strong>il</strong>issimi nell’ arte di conciare<br />
le pelli, furono maestri di cuoi dorati agli Spagnuoli, che<br />
poi ne fabbricarono di eccellenti e li introdussero in Francia.<br />
Venezia aveva <strong>il</strong> primato in questo ramo d’ industria, sicché si<br />
calcola che ne ricavasse un profitto netto di centom<strong>il</strong>a ducati<br />
l ’ anno; ma anche Ferrara, in seguito, vi si segnalò (3). Quando<br />
nacque <strong>il</strong> primogenito Federico, la marchesa scriveva (17 maggio<br />
1500) al padre : « Per honorare el mio felice parto, prego<br />
V. Cels.ne che me voglia servire del suo aparamento de coramo<br />
d’ oro per coprire una camera ». Ma per equivoco non le giunse<br />
quello eh’ essa desiderava, onde eccola ad insistere <strong>il</strong> 21 maggio,<br />
rivolgendosi ad Alessandro Pincaro : « Noi scrivessimo a lo<br />
IU.mo S.e nostro patre che ce volesse prestare lo apparamento<br />
da coprire una camera de li soi corami dorati, ma solum ni è<br />
stata mandata la trabaca da lecto (4), che non è al nostro disegno.<br />
Di nuovo scrivemo a Hieronimo Z<strong>il</strong>iolo che ce mandi tutte<br />
(1) C fr. C a m p o r i, Sulla m anifattura degli a ra zzi in Ferrara, e<br />
G a n d i n i , Saggio c it., p a g . 17.<br />
(2) Lettera in proposito, del 1495, nelle nostre Relazioni con gli<br />
Sforza, pagg. 118-19.<br />
(3 ) L. N. C i t t a d e l l a , Notizie relative a Ferrara, pagg 65*2-55;<br />
B e l g r a n o , Della vita privata dei Genovesi, Genova, 1875, pagg. 7 6 - 7 7 ;<br />
M o l m e n t i , Storia di Venezia, pagg. 2 -3 1 ; U r b a n i d e G h e l t o f , Les arts<br />
industriels à Venise, pagg. 263 e segg.<br />
(4) Copertone di lusso che ponevasi sopra <strong>il</strong> letto. Il 16 luglio 1495<br />
Federico di Casalmaggiore cosi informa Isabella, lontana, dei preparativi<br />
fatti in Mantova per ospitare 1’ ambasciatore turco: « E la camera<br />
è di tale aparentia che non si vede se non tapezzarie, cominciando a<br />
sumità. del solare per fino in terra, cum una travacha dalmascata bianca<br />
cum lo aparamento » ; F e r r a t o , Il marchesato di Mantova e V Impero<br />
ottomano, Mantova, 1876, pag. 8.<br />
le coltrine da coprire una camera integra ». Un anno dopo,'maggio<br />
1501, essendo di nuovo in procinto di partorire, chiese al<br />
padre gli stessi corami dorati «per coprire tutta una camera».<br />
11 7 giugno 1505, per mezzo dello Z<strong>il</strong>iolo, contratta corami d’ oro<br />
a Ferrara, e ne vuole quarantacinque pezzi, se j fabbricatore<br />
può darglieli « per quello medesimo precio eh’ el faceva a la<br />
fe. me. del S.re nostro patre ». Nel settembre del 1516 ne ordinava<br />
a Giambattista di Mogliano, ma avendo poi saputo che se<br />
ne trovavano di migliori in Roma, gli levava 1’ ordinazione :<br />
Circa li curami, sappiati che pochi giorni fanno essendo nui sopra<br />
tale materia in ragionamento con lalll.ma S.ra Duchessa di Urbino nostra<br />
Cognata et sorella hon.», fossimo da S. Ex. exhortate a fornirni de essi<br />
a Roma perchè più presto gli haveressimo là, et tanto bene come in Hispagna<br />
propria saressimo servite, per ritrovarsegli alcuni Spagnoli che<br />
di questo mesterò lavorano benissimo. Per <strong>il</strong> che havendo nui uno nostro,<br />
qual presto è per andare a stare quslche giorni et mesi in Roma, per<br />
la via del quale sapemo che con presteza potressimo essere servite, havemo<br />
voluto notificarvi che non havendo voi fin qui dato ordine alcuno<br />
che ditti curami siano fatti, nostra intentione è che più non pigliati<br />
cura di farli fare, perchè li faremo fare in Roma.<br />
Mantuae, in Nov. 1516.<br />
Da questa lettera si ricava che già in quel tempo i corami spagnuoli<br />
stavano per prender la mano ai nostri (1). Tuttavia in<br />
seguito la marchesa si rivolse a Venezia per averne, e nel settembre<br />
del 1530 si mostrò soddisfattissima d’ una spedizione che<br />
gliene fece Domenico Veniero: « invero sono bellissimi et tanto<br />
ben lavorati quanto io stessa havessi saputo desiderare ». Sicché<br />
nel giugno 1531 ne faceva un’altra ordinazione, interessando <strong>il</strong><br />
Veniero, informato pienamente della volontà sua, a tener sollecitato<br />
<strong>il</strong> maestro.<br />
Ordinazioni ragguardevoli di mob<strong>il</strong>i, che non entrino nella<br />
categoria dei veri e propri oggetti d’arte, non abbiamo da segnalarne,<br />
quando se ne eccettui una, di certe sedie, intorno alla<br />
quale Isabella spende quella cura minuziosa che soleva prodigar<br />
(1) Nel cap. 109 dei Ricordi, Sabba da Castiglione parlando della tappezzeria<br />
più elegante per stanza, menziona i «corami ingegnosamente<br />
lavorati, venuti di Spagna ».
8 8 li- LUSSO DI ISABELLA D’ ESTE MARCHESA DI MANTOVA V I. - L ’ ARREDO DEGLI APPARTAM ENTI 89<br />
sempre in tutto quanto riguardasse 1’ eleganza La lettera che<br />
scrisse in proposito al maestro genovese inerita d’ essere conosciuta<br />
intera:<br />
♦<br />
Ln Ill.ma S. Duchessa d 'Urbino ha havuto de 11 da Genova alcune<br />
scharane di legname molto ben lavorate di bel garbo, et che hanno dii<br />
galante. Ma ài appettito nostro sono alquanto picole, et perchè desideraressiino<br />
haverni otto di quella sorte, vi pregamo vogliati per amor nostro<br />
far ritrovare quello M.r0 che le ha facte et dargli commissione, che ce<br />
ne facci otto, quatro da homo et quatro da donna, advertendolo chele volemo<br />
de alteza, cioè da li legni dove se attaclia el curarne per <strong>il</strong> sedere,<br />
lino a terra, apunto come è la mesura che qui inclusa vi mandiamo, cioè<br />
quatro alla misura maggiore da homo, et quatro alla minore per donne,<br />
facendole poi dii resto grandi et picole come allui parerà alla proportione<br />
sua. Nè le farete coprire, nè far appozo di curarne, nè di altro, ma<br />
ce le manderete cosi nude, che nui poi le faremo fornire, come meglio<br />
a noi parerà, etc.<br />
In diporto alli 26 di agosto 1518.<br />
Al Cardinal Gurgense, eh’ era stato a Mantova, Isabella diede<br />
in dono un vaso d’ argento lavorato a smalto con sopra « la historia<br />
di Romolo dal insomnio de Ilia fin alla deificatione de esso<br />
Romulo », ed uno sparviero da leclo di cendalo. A questi sparvieri<br />
si dava importanza non esigua nel mob<strong>il</strong>io del tempo. Troviamo<br />
che nel testamento della Gonzaga è espressamente detto<br />
eh’ ella lascia al figliuolo Cardinal Ercole uno « sparaviero da<br />
letto di lusso ». P er ricevere degnamente Giulio II e la sua Corte<br />
nel 1506, Elisabetta Montefeltro chiedeva a Isabella, tra l'altro ,<br />
degli « sparaveri » (1) e del neonato di Beatrice Sforza è detto<br />
che aveva sopra la culla « uno sparavero galante, facto de cordelle<br />
d’ oro et de seda turchina, cum rizette d’ oro fra 1’ una<br />
cordella et l ’altra » (2). Nei corredi principeschi tante volte<br />
menzionati di Anna e di Bianca Maria Sforza e della contessa<br />
di Mesocco non mancano gli sparavieri (3). Erano i baldacchini<br />
o padiglioni con cui <strong>il</strong> letto si copriva ed in origine forse derivava<br />
(1) Mantova e Urbino, pag. 172.<br />
(2) Relazioni con gli Sforza, pag. 68.<br />
(3) Vedi specialmente M o t t a , Nozze principesche, pag. 18, e C a l v i ,<br />
Bianca Maria, pag. 140, ove sono accuratamente indicati.<br />
quel nome dall’essere i baldacchini fatti a forma d’ uccello• con<br />
le ali piegate all’ ingiù (1).<br />
Il lusso nei mezzi di locomozione era ben lungi dal raggiungere<br />
allora la splendidezza che toccò di poi. Si viaggiava e<br />
si girava di solito a cavallo; e per acqua, sui fiumi, s’ impiegavano<br />
quei bucintori, che spesso rispondevano così poco al loro<br />
nome pretenzioso (2). Nel 1499, avenJo veduto Isabella la lettiga<br />
che usava sua cognata Chiara, ne oi.iinò una sim<strong>il</strong>e a Venezia e<br />
poi, sembra, in Francia. Difatti, <strong>il</strong> 22 maggio di quell’ anno, ingiungeva<br />
ad un suo dipendente di nome Evangelista: « Facemo condurre<br />
de Franza una lectica come era quella della <strong>il</strong>l.ma M.a Chiara<br />
nostra cognata, alla quale bisogna mò fare provisione de dui cavalli<br />
grandi et possenti che la portano, et intendendo che a M<strong>il</strong>ano<br />
fa venire spesso lo <strong>il</strong>i.0 S.r Duca cavalli frisoni per dispensarli<br />
poi a li soldati et cortesani, voressimo che scriveste a qualche<br />
nostro amico a M<strong>il</strong>ano che cercasse de haverne dui possenti ».<br />
D' una lettiga portata da cavalli frisoni parla pure Isabella in<br />
una sua lettera del 1509, da noi altrove pubblicata (3). L’ uso<br />
della lettiga era allora comunissimo, e oltreché da cavalli, soleva<br />
farsi portare da muli o anche da schiavi. Ma la marchesa<br />
nostra andava anche spesse volte in carretta. Ora è risaputo<br />
che alle carrette, le quali erano a cassa ferma, si sostituirono<br />
i cocchi o carrozze vere e proprie, a cassa sospesa e ondulante,<br />
e che <strong>il</strong> primo a portare quest’ uso in Italia, verso <strong>il</strong> 1509, dal-<br />
1’ Ungheria, fu <strong>il</strong> cardinale Ippolito d’Este, nipote d’ una Regina<br />
d’ Ungheria e titolare di due vescovati in quel paese « iperboreo »<br />
dove l’ Ariosto ricusò di seguirlo (4). Ma è altrettanto vero<br />
che le carrette all’ antica si continuarono ad adoperare per molto<br />
tempo anche dopo l’ introduzione dei cocchi, e che i cocchi medesimi<br />
si chiamarono molte volte carrette (5). Quindi trovando<br />
noi sempre nei documenti mantovani che Isabella andava in car-<br />
(1) Il G a n d i n i , Pupattola, pag. 22, spiega: «sostegni del baldacchino»,<br />
ma crediamo s'inganni. Gli sparvieri infatti erano sempre di<br />
stoffa o di tela.<br />
(2) Cfr. Relazioni con gli Sforza, pag. 15.<br />
(3) Mantova e Urbino, pag. 192.<br />
(4) G o z z a d in i, Dell’origine e dell’uso dei cocchi in Atti \e mera,<br />
della Deputazione di Romagna, voi. II, 1863, pagg. 2 1 8 -2 0 .<br />
(5) Cfr. D’ A n c o n a , Varietà, voi. II, pag. 213.
0 0 IL LDSSO DI ISABELLA D’ ESTE MARCHESA DI MANTOVA<br />
retta, non sapremmo davvero precisare se si trattasse della carretta<br />
alla vecchia usanza o della carrozza recentemente introdotta. Se<br />
non che conosciamo troppo la nostra gent<strong>il</strong>donna per poter supporre<br />
che vi fosse in Italia una novità così comoda, e per giunta<br />
portata fra noi da suo fratello, senza che lei ne profittasse. E<br />
infatti un documento ci soccorre, che ce ne dà la sicurezza. In<br />
un concistoro del 1564 papa Pio IV ebbe a dire non essersi an <br />
cora usate le carrozze in Roma ai tempi della sua gioventù, « Marchionissamque<br />
Mantuae primam viam patefecisse », e le altre<br />
dame averla seguita (1). Ne risulta che l’ uso delle carrozze<br />
in Roma era fatto rimontare ad Isabella, la quale ve l'avrebbe<br />
portato nella sua seconda dimora che si chiuse col sacco del ’27.<br />
Dunque anche in questo lusso dei veicoli la Gonzaga fu maestra,<br />
e maestra in una città come Roma. Cosa di qualche r<strong>il</strong>ievo quando<br />
si pensi che ancora alla metà del secolo xvi in Parigi non esistevano<br />
più di tre o quattro carrozze (2).<br />
Accessori e segreti della « to<strong>il</strong>ette ».<br />
VII.<br />
La pettinatura. — La «capigliara» a turbante d’isabella nel ritratto tizianesco.<br />
— L’arte biondeggiante e i ricettari galanti nel Cinquecento. —<br />
Solenne importanza data allora alla lavatura del capo. — La rarità della<br />
cipria. — I curadenti.<br />
Rifacciamoci ora a quella parte del lusso personale d’isabella,<br />
che non ha relazione alcuna con 1’ arte, ma rientra unicamente<br />
in quel complesso di cose che i Francesi chiamano to<strong>il</strong>ette.<br />
E qui, prima di tutto, dobbiamo parlare dell’ acconciatura.<br />
L ’ acconciatura d’ Isabella godeva d’ una specie di celebrità.<br />
Abbiamo fatto conoscere in questo medesimo scritto un documento<br />
da cui risulta qual vivo interesse avessero, nel 1502, per Lucrezia<br />
Borgia le informazioni circa « la conciatura de la testa »<br />
della marchesa. Infatti Lucrezia cercò di imitarla, come appren<br />
(1) C i a c c o n i i Vitae pontificum et cardinalium, Romae, 1677, voi. I l i ,<br />
pag. 874. È tra le aggiunte di Andrea Vittorelli. R<strong>il</strong>evò questo fatto <strong>il</strong><br />
Muratori in una nota alla dissertazione 23“ e poi l’osservò <strong>il</strong> Gozzadini.<br />
(2) F r a n k l i n , Les soins de la to<strong>il</strong>ette, p a g . 38.<br />
diamo da queste righe di Benedetto Capiiupi a Isabella, in data *<br />
3 febbraio 1505: « La conzadura de la testa de queste donne et<br />
de la duchessa è appunto come quella de V. Ex. et de le donne<br />
nostre, cum le vellette chi zalde, chi braccate et chi bianche,<br />
nè attendono ad altro che ad meglio crisparle 1’ una de l’altra<br />
sì come facevano le nostre putte ». Il desiderio di acconciarsi<br />
alla maniera della Gonzaga appare manifesto dalla seguente notevolissima<br />
letterina che le indirizzò nel 1509 la figliuola di<br />
Niccolò da Correggio:<br />
111.ma et Ex.» patrona... Ritrovando; f\ a Locharno, ho presentito essere<br />
stk portato a M<strong>il</strong>ano da certe zent<strong>il</strong>done una nova fogia de zazare<br />
de seta provenute da notab<strong>il</strong>e inventione de la prefata V. S.\ et per retrovarmi<br />
al presente quasi senza capelli, cum sumo desiderio prego quella<br />
me voglia fare essere degna de una; la qual cossa per me non saria altramente<br />
domandata per non essere notata presumptuosa, se quella mia<br />
ardentissima fede corno è dicto non me havesse al tuto excitata e spinta<br />
a questo, et anchora per esserne sta mandato a M<strong>il</strong>ano reputo la S. V.<br />
non farne gran capituli, che quando fusse per sua particularità. servata<br />
non haveria ardito fare altra richiesta. Et cusi prego la prefata V. Ill.ma S.a<br />
che essendoli qualche conziatura de testa avanzata e che più non sia a<br />
io uso de la S. V. ma più presto demissa, me ne voglia far partecipevole<br />
aciò anchora io non para sia forra del numero de le fidelissime de epsa<br />
V. Ill.ma S. ecc.<br />
VII. - ACCESSORI E SEGRETI DELLA « TOILETTE » 91<br />
Quella che tanto vive quanto è in gratia di V. S.<br />
Heleonora Ruscha<br />
Comitissa de Corigia.<br />
Sembra che Leonora ci tenesse assai all'acconciatura, perchè<br />
in una lettera a Isabella del 12 gennaio 1512, da M<strong>il</strong>ano, Agnese<br />
degli Attendoli così scrive : « Nel principio eh’ io venne in questa<br />
terra assai laudavano la fogia de la cunciadura de la testa, excepto<br />
m.ma Leonora, qual disse che non li piacea et che li parea una<br />
fogia da petegacola; et ley da li a duy giorni andete da M.ma<br />
Ipolita Bentivola a farse cunziare anchor lei a dieta fogia. Quando<br />
io la vidi li dissi : dunque anchor voy voleti essere nel numero<br />
de le petegacole? Credo bene li rencresca ley non essere stata<br />
la prima a retrovare tal fogia, et ge porta una capigliara de
9 2 IL LUSSO DI ISABELLA D’ ESTE MARCHESA DI MANTOVA<br />
sopra via et ha facto tenzere in negro li scuffiotti ge mandò<br />
Y. Ex., lasso fare iuditio a quella come la possa sta re ... ». Dove<br />
è da osservare quel termine capigliara, die ricorre anche in<br />
un altro documento del 5 gennaio 1504, in cui un Cam<strong>il</strong>lo, che<br />
non sappiamo chi possa essere, impetra da Isabella una capigliara<br />
: « Io sono cussi tosetto e ijon son sicuro de piacer cussi<br />
senza capelli a quella persona a chi solo desidero molto molto<br />
de piacere; prego adonche la S. V---- che voglia oprar che la<br />
benedetta capigliara se habia a farla dare al latore presente ».<br />
D onde risulta, a noi pare, in modo evidente che la capigliara<br />
era una specie di parrucca formata di capelli finti (1) o anche<br />
di stoffe preziose arricciate (2). Uno splendido esempio della<br />
capigliara a turbante, che soleva portare Isabella, è nel famoso<br />
ritratto tizianesco di lei che trovasi nel Museo di Vienna<br />
ed anche nell’ altro ritratto, che vuoisi la rappresenti nell’ età<br />
matura, pur conservato a Vienna (3). Quelle caratteristiche capigliare<br />
a turbante erano di moda alla fine del secolo xv e nel<br />
principio del secolo xvi. Il Vecellio rappresenta una capigliara<br />
sim<strong>il</strong>e in capo alle donne nob<strong>il</strong>i antiche di Venezia e la chiama:<br />
« balzo fatto di f<strong>il</strong>a d’ oro a modo di una ghirlanda tonda » (4).<br />
Ma quel balzo ricompare nell’ acconciatura delle dame dei tempi<br />
successivi, veneziane e padovane, ed anche degli uomini (5). E<br />
infatti di quest’uso abbiamo parecchie sicure testimonianze. Caterina<br />
Sforza sposa si presentava al ballo che le fu dato in Forlì<br />
nel 1481 « con una specie di turbante, dal quale scendeva un velo<br />
lunghissimo di tela d’ argento guernito di ricami e di perle» (6).<br />
Un turbante di tal foggia ha la bellissima dama col bambino,<br />
che passò, forse in grazia dell'acconciatura, per un ritratto di<br />
(1 ) Sull’ uso <strong>antichi</strong>ssimo dei capelli posticci vedi F r a n k l i n , Les<br />
soins de la to<strong>il</strong>ette, pagg. 59 e segg.<br />
(2) In origine valeva come cavigliera, cioè capigliatura, e così l’usa<br />
ancora <strong>il</strong> Ca s t ig l io n e (Corteg, libro II, cap. 27, cfr. la nota del Cian a<br />
pag. 157), ma poi passò a designare senz’altro la capigliatura finta.<br />
(3) Vedi riprodotti ambedue questi ritratti in Y r i a r t e , Isabelle<br />
d'Esle et les artistes de son temps, in Gaz. des beaux arts, serie III,<br />
voi. XIII, pag. 14 (tavola), e pag. 21.<br />
(4) Habiti, c. 40.<br />
(5) Habiti, cc . 73 e 165 e p e r g li u o m in i c. 71. C fr. M e r k e l , Tre<br />
corredi, p a g . 44.<br />
(6) P a s o l i n i , Caterina Sforza, voi. I, p a g . 112.<br />
V II. - ACCESSORI E SEGRETI DELLA « TO ILETTE » 9 3<br />
Isabella, nell’ Eremitaggio di Pietroburgo (1). E una donna colturbante<br />
assiste al rinvenimento della croce nella tela di Benvenuto<br />
Tisi da Garofalo, eli’ è nella Pinacoteca di Ferrara. Acconciature<br />
sim<strong>il</strong>i si possono studiare negli affreschi di Michelint»<br />
Besozzi, che sono a M<strong>il</strong>ano nel palazzo Borromeo (2) ; in una<br />
dama veneziana riprodotta dal Mulinelli (3); in un ritratto di<br />
Giulio Campi (4); nella prima moglie dell’ imperatore Massim<strong>il</strong>iano<br />
ritratta dallo Striegel in un già menzionato quadro di<br />
Vienna; in un ritratto muliebre di Bernardino Luini (5) ; in una<br />
dama del Cavazzola che ha <strong>il</strong> n. 64 nella raccolta Morelli di<br />
Bergamo; in due dame di Lorenzo Lotto e di Andrea Previtali,<br />
nella raccolta Carrara pure di Bergamo, ecc., ecc Queste note,<br />
che non la pretendono ad alcuna compiutezza, mostrano che<br />
1’ acconciatura pred<strong>il</strong>etta dell‘/m archesa di Mantova era molto<br />
diffusa in Lombardia e nel Veneto. Idealizzava <strong>il</strong> Trissino quando<br />
rappresentava Isabella con « i capelli in capo diffusi, in guisa che<br />
sopra i candidi e d<strong>il</strong>icati umeri ricadeano, e quelli tutti erano<br />
raccolti da una rete di seta color tanè, con artificio maestrevole<br />
lavorata, i groppi de la quale mi pareano essere di finissimo oro;<br />
e fra mezzo le maglie di questa rete, le quali erano alquanto<br />
larghette, vi si vedevano scint<strong>il</strong>lare i capegli, i quali, quasi raggi<br />
del sole che uscisseno, risplendevano d’ogni intorno » (6). E così<br />
pure idealizzavano la sua acconciatura Gian Cristoforo nella<br />
medaglia, ove i capelli si raccolgono in leggiadro nodo sulla<br />
nuca, e Leonardo da Vinci, se rappresenta veramente Isabella<br />
quel suo disegno di donna dai capelli spioventi (7), e <strong>il</strong><br />
Costa nella figura centrale della sua Corte d’Isabella del<br />
Louvre (8), che non sappiamo persuaderci voglia essere in modo<br />
(1) Oggi si attribuisce generalmente a Paris Bordone. Delle numerose<br />
copie che ne menzionano C a v a lc a se lle e Crowe (Tiziano, voi. I,<br />
pag. 363) vedemmo quelle di Vienna e di Vicenza.<br />
(2) M ììn tz, Renaissance à l’èpoque de Charles V <strong>il</strong>i, pagg. 70-72.<br />
(3) Del costume veneziano, pag. 91.<br />
(4) Archivio storico dell’ arte, serie II, voi. I, pag. 258.<br />
(5) Archivio storico dell’ arte, voi. VII, pag. 257. Cfr. anche Napoli<br />
nob<strong>il</strong>issima, voi. V, pag. 22-23.<br />
(6) Opere, voi. II, pag. 273.<br />
(7) M ììntz, Renaissance, voi. II, pag. 280 tav. ; Y r ia r t e , loc. cit.,<br />
pag. 17.<br />
(8) Cfr. M u n t z, op. cit., voi. II, pagg. 175-76.<br />
9
9 4 II, LUSSO DI ISABELLA D’ ESTE MARCHESA DI MANTOVA<br />
alcuno un ritratto della marchesa. 1 pittori e gli scultori italiani<br />
del tempo amavano ricondurre anche le acconciature al tipo<br />
classico.<br />
v »<br />
Se dice vero <strong>il</strong> ritratto tizianesco, o meglio se i ritocchi che<br />
ha subito lo lasciano apparire veritiero, Isabella era castana<br />
con forti riflessi di biondo. Più che verosim<strong>il</strong>e quindi che per<br />
raggiungere <strong>il</strong> desiderato color d’ oro dei capelli ella usasse di<br />
quei m<strong>il</strong>le mezzi che i ricettari del Cinquecento ci hanno conservati<br />
(1). Ma a farlo apposta, l’ unico documento che abbiamo<br />
in proposito ci dà invece a sospettare che ella amasse piuttosto<br />
tingersi in nero. 11 23 luglio 1490, infatti, scriveva ad un Barone<br />
Benvesino di M<strong>il</strong>ano : « Desideraressimo intendere se <strong>il</strong><br />
S. M. Galeazzo o altri, che si danno la tinta negra a li cap<strong>il</strong>li,<br />
hanno rimedio alcuno per farseli poi tornare al suo pristino colore,<br />
perchè ne ricordamo, quando eravamo a M<strong>il</strong>ano, bavere<br />
veduto el conte Francesco Sforza uno dì cum li capelli negri,<br />
et l’altro cum li soi naturali. Trovando questo rimedio, pregamovi<br />
che vogliati impararlo: et poi subito scrivernelo perchè lo<br />
voressimo operare per nui » (2). Se intendiamo bene, adunque,<br />
la marchesa, che appena ventenne si dava <strong>il</strong> nero ai capelli (3),<br />
desiderava un rimedio per farseli ritornare del color naturale.<br />
Tacciono, del resto, i documenti mantovani rispetto a tinture di<br />
capelli e solo parlano di quell'im portante negozio ch’ era per<br />
le dame del Rinascimento <strong>il</strong> lavarsi la tesla.<br />
(1) Sulla eosidetta arte biondeggiat<strong>il</strong>e s’ è scritto assai in questi<br />
ultimi tempi e si sono richiamate le molte prescrizioni dei ricettari, fra<br />
i quali tiene un luogo segnalato quello di Caterina Sforza edito dal Pasolini.<br />
L’arte aveva radici nell’ <strong>antichi</strong>tà e s’ era continuata nel medioevo,<br />
(vedi W e i n h o l d , Deutsche F rauen*, voi. I, pagg. 3 2 2 -2 3 e voi. II,<br />
pagg. 3 1 2 -1 3 ). Il modo più semplice di biondeggiarsi era quello di esporsi<br />
al sole sulle altane coi capelli inzuppati d’acque speciali ( V e c e i .l i o , Hab<strong>il</strong>i,<br />
pag. 113), ma v'erano molti altri mezzi, fra cui la polvere d’oro;<br />
cfr. R e n ie iì, Tipo estetico della donna, pag. 127 e segg.<br />
(2) Relazioni con gli Sforza, pag. 121.<br />
(3) Negli Experim enti di Caterina Sforza ( P a s o l i n i , voi. I l i , pagine<br />
654, 656, 657, 786) vi sono diverse ricette per tingere in nero i capelli.<br />
Nel Ricettario galante edito dal G u e r r i n i v’è una sezione apposita<br />
detta: Trattalo da fare li capelli di diverse sorte. Nel prologo alla Cassaria<br />
1’ Ariosto scrive:<br />
Chi li fa neri, chi biondi, m a varii<br />
E divisati iu due e tre di rito rn an o .<br />
V II. - ACCESSORt E SEGRETI DELLA « TOILETTE » 9 5<br />
La giovane marchesa così si scusava <strong>il</strong> 25 gennaio 1404<br />
col marito del non potergli scrivere di sua mano: « Havendome<br />
hozi lavata la testa, sono stata tanto a sugarla eh’ el dì è passato<br />
». Anche Lucrezia Borgia sposa (1502) non si fece vedere<br />
un giorno intero « per haverlo speso tutto in lavarsi la tes.ta ».<br />
E Antonia del Balzo, dei principi di Altamura, moglie a Gianfrancesco<br />
Gonzaga del ramo di Bozzolo, faceva sapere ad Isabella<br />
1’ 8 gennaio 1518 che non poteva per quel giorno inviarle<br />
la figliuola Cam<strong>il</strong>la « per havere hozi lavata la testa ». Era<br />
dunque questa del lavarsi <strong>il</strong> capo una solenne occupazione. LucreziaBorgia<br />
osservava regolarmente questa pratica, sempre, anche<br />
per viaggio (1), ed una volta che l’ommise per otto giorni cominciò<br />
a risentirne dolor di ca.>/(2). E, come Lucrezia, si lavava <strong>il</strong><br />
capo anche Giulia Farnese (3) e con lei le altre dame del tempo.<br />
E ra un uso generale, che si estendeva anche agli uomini e che<br />
avea per iscopo la pulitezza insieme e l’ igiene. V’ erano degli<br />
statuti che riconoscevano come impedimento legittimo ad occupazioni<br />
ufficiali Tessersi lavato di fresco <strong>il</strong> capo; v’erano donne<br />
che avevano 1' ufficio speciale di assistere in questa bisogna (4),<br />
e relativi arnesi fatti a posta (5) ; e certamente i sugacapita o<br />
capitergia, specie di asciugamani che spesso ricorrono nei corredi<br />
(6), ricevevano <strong>il</strong> loro nome dalla consuetudine d 'impiegarli<br />
per asciugare <strong>il</strong> capo, se non anche perchè si tenessero avvolti<br />
attorno alla testa dopo seguita l’abluzione. Che poi, specialmente<br />
le dame, si lavassero <strong>il</strong> capo con l’acqua schietta, non oseremmo<br />
certo asserirlo. Le più, quando non facevano convergere la lavatura<br />
a pratica d’arte biondeggiante, dovevano per lo meno mischiarvi<br />
delle essenze odorose. In un manuale pel confessore<br />
scritto nel secolo xv, fra le domande da rivolgersi alle donne<br />
(1) G r e g o r o v i u s , Lucrezia Borgia, Firenze, 1883, pagg. 224-225,<br />
246, ecc.<br />
(2) G r e g o r o v i u s , op. cit., pag. 226.<br />
(3) G r e g o r o v i u s , op. cit., pag. 379.<br />
(4) Cfr R e z a s c o in Giorn. Ligustico, voi. XVII, pag. 174, n. 4.<br />
(5) Nel corredo della bambola del 1484 <strong>il</strong>lustrato dal G a n d i n i {P u<br />
pattola, pag. 18) v" è anche « uuo lambicho da lavare la testa ». Vedi in<br />
V i o l l e t - l e - D u c , Dici, du rnob<strong>il</strong>ier, voi. II, pag. 32, una donna che si<br />
lava la testa in un bacino fatto ad hoc.<br />
(6) M e r k e l , Tre corredi, pag. 18 e segg.
9 6 IL LUSSO DI ISABELLA D 'E S T E MARCHESA DI MANTOVA<br />
intorno all’ inesaurib<strong>il</strong>e soggetto della loro vanità, troviamo anche<br />
questa: si nimis sludu<strong>il</strong> circa capitis lavationem e si lavit caput<br />
aquis artificiose factis (1). E insomma presumib<strong>il</strong>e che le gent<strong>il</strong>donne<br />
più raffinate usassero la lavatura del capo non solo per<br />
pulizia, ma per ridurre più lisci e odorosi i capelli e per prepararli<br />
alle più artificiose acconciature. Queste delicate operazioni<br />
esigevano molto tempo e perciò durante la loro to<strong>il</strong>ette le<br />
dame permettevano talora l ’accesso ai famigliali più intimi. Galeazzo<br />
Visconti, in un documento da noi già pubblicato (2), ricorda<br />
con desiderio d’ essere stato ammesso nei camerini d’isabella<br />
dove trovava la marchesa « che se conzava el capo», con intorno<br />
le sue fide damigelle « in maniche de camisa ».<br />
I ricettari del tempo sono uno specchio fedele dei m<strong>il</strong>le artifici<br />
che usavano le donne del Rinascimento per apparire più<br />
belle. Acque mirab<strong>il</strong>i, talora complicatissime, variamente e bizzarramente<br />
composte e combinate, servivano a rendere liscia,<br />
morbida, bianca, senza macchie la pelle; e le gent<strong>il</strong>donne ne avevano<br />
la privativa, sicché negli Experimenti di Caterina Sforza<br />
è detto in un luogo espressamente: «Questa è una acqua eccellentissima<br />
che fa bianca et oltre modo colorita la faccia delle<br />
donne ... de modo che non se deve se non a nobb<strong>il</strong>i madonne insegniare<br />
» (3). Alcune mantenevano <strong>il</strong> nome delle dame che prime<br />
le avevano messe in voga. Per esempio, nel Ricettario galante<br />
edito dal Guerriui troviamo una «acqua de viso perfettissima<br />
usata dalla <strong>il</strong>i.ma signora Isabella duchessa di M<strong>il</strong>ano » (4). E<br />
che anche la marchesa di Mantova adoperasse di questa sorta<br />
Vin. - ACCESSORI E SEGRETI DELLA « TOILETTE » 97<br />
di acque lo dimostra un documento pubblicato dal Pasolini, dal<br />
quale risulta che un tal Luigi Ciocca nel 1502 sottraeva, per<br />
mandarlo alla signora di Forli, « el vero uncto et la vera recepta<br />
che ha M.a marchesana et l’è per el volto et per le m ane»(l).<br />
Ma assai meno dannoso e meno ributtante era certamente, l’uso<br />
di queste acque che non quello dei veri e propri belletti, cioè<br />
degli impiastricciamenti per cui <strong>il</strong> volto diveniva una vera maschera.<br />
L’andazzo dei belletti, che riuscivano talora perniciosissimi,<br />
perchè vi si mescolava <strong>il</strong> sublimato, rimonta all'<strong>antichi</strong>tà<br />
più remota (2), nè certo ne fece a meno <strong>il</strong> medioevo (3); ma<br />
1’ età raffinata del Rinascimento ne accrebbe l’abitudine a dismisura.<br />
Tutti gli scrittori più assennati, senza far professione<br />
di moralità, nè essere stinchi di santi, se ne preoccuparono.<br />
Menzioneremo qui solamente le fiere parole con cui biasimarono<br />
questo mal vezzo Baldassar Castiglione e Alessandro Piccolomini<br />
(4), l’epigramma latino che gli avventò contro F<strong>il</strong>ippo<br />
Beroaldo (5), le riprovazioni del Tans<strong>il</strong>lo (G), del Garzoni (7), di<br />
Paolo Foglietta (8). Lo stesso Marinelli, che pure ha tanta copia<br />
d’ acque « per far bella», avverte le donne: « da me non imparerete<br />
di portar maschere sopra <strong>il</strong> volto nel cospetto de’ vostri<br />
mariti o di altre persone» (9). Dai documenti nostri non si<br />
r<strong>il</strong>eva punto che la marchesa usasse mai <strong>il</strong> belletto, neppure<br />
quando l’inesorab<strong>il</strong>ità degli anni fece sparire quella sua balda,<br />
fresca ed elegante giovinezza. Anzi nel 1519 lo Stabellino l’ informava<br />
da F errara d’ un casetto che forse le avrebbe taciuto<br />
se lei pure avesse avuta la debolezza di colorirsi le carni. Narra<br />
(1 ) C r i v e l l u c c i , I codici della libreria di San Giacomo della Marca<br />
in Monteprandone, Livorno, 1889, pag. 81. V'è anche un’altra domanda<br />
per noi interessante: «si prima invenit aliquam novam formam vestimentorum<br />
».<br />
(2) Relazioni con gli Sforza, pag. 40.<br />
(3) P a so l in i, voi. Ili, pag. 778.<br />
C4) A pag. 23. Vedasi, del resto, per tutta questa «chimica della<br />
toeletta», come la chiamò <strong>il</strong> B u r c k h a r d t (voi. II, pag. 131, n. 3), fondata<br />
in gran parte sulla superstizione, <strong>il</strong> gran ricettario di Caterina Sforza e<br />
quello che v’ è nella lettera 31 del lib. IV del Calmo (ed. Rossi, pag. 321<br />
e nota a pag. 323), e specialmente <strong>il</strong> notevole libro di G . M a r i n e l l i ,<br />
Gli ornamenti delle donne, Venezia, 1574, ove si troveranno ricette di<br />
ogni genere, perfino per rendere piccola e soda « la beltà del seno » e<br />
per far m utar colore agli occhi 1<br />
(1 ) P a s o l i n i , Caterina, voi. Ili, pag. 606.<br />
(2 ) Vedi M a n o n i , op. cit., pagg. 118-2 0 , 183, 1 8 5 -6 .<br />
(3) Ne abbiamo prove nello letterature provenzale e francese, nei predicatori<br />
medioevali, in Dante, nella nov. 136 del Sacchetti, in una poesia<br />
italiana edita dal W i e s e (Handschriftliches, Halle, 1894, pag. 12), ecc.<br />
(4) Il C ia n , a pag. 88 della sua edizione del Corlegiano, riferisce le<br />
parole del Piccolomini a commento di quelle del Castiglione.<br />
(5) Riferito in U n g a r b l l i , Vecchie danze italiane, Roma, 1894,<br />
pag. 42.<br />
(6) Cfr. F l a m i n i , Tans<strong>il</strong>lo, pag. x c v i i ; G r a f , Attraverso <strong>il</strong> Cinquecento,<br />
pagg. 2 4 0 -4 2 .<br />
(7) Piazza, Venezia, 1617, c. 278 v.<br />
(8) R o s i, Il Barro di Paolo Foglietta, Genova, 1894, pag. 124.<br />
(9) Op. cit., c. 238 r.
9 8 IL LUSSO DI ISABELLA n ’ ESTE MARCHESA DI MANTOVA<br />
Io Stabellino che una sua sorella « volendosi far bella per<br />
comparire fra queste gent<strong>il</strong>donne, si ha posto suso <strong>il</strong> petto et<br />
sopra la faza acqua di tal virtute e forza,che l’ha tutta scorticata<br />
», sicché, aggiunge, « ora sta nel medicarsi et cum impiastramenti<br />
bianchi usa ogni d<strong>il</strong>igentia per sanarsi », tappandosi<br />
nelle sue stanze tra le beffe del pubblico. Da parte della<br />
marchesa abbiamo solo un' ordinazione di cipria : « Haveriamo<br />
desiderio d’ bavere della polvere di Cipri che fosse de tutta<br />
excellentia; però ci farete cosa gratissima a far cercare lì in<br />
Venetia se vi n’è di buona, et trovandosene vi piacerà de mandarcene.<br />
Quando mò non ve ne fosse di quella bontà che intendete<br />
essere nostro desiderio, pregareti da parte nostra mons. arcivescovo<br />
di Cipri che havendone di buona ce ne voglia far<br />
parte». E una lettera all’ Agnello del 7 apr<strong>il</strong>e 1532, ad intendere<br />
la quale è da avvertire che nel Cinquecento la cipria era<br />
ben lungi dall’essere comune in Occidente come divenne nel Seicento<br />
e specialmente nel Settecento.<br />
Alla pulitezza ed eleganza delle mani, che dovevano essere<br />
delicate, morbide e bianche come avorio, si teneva dalle dame<br />
immensamente (1). Ed <strong>il</strong> più bell’ornamento della mano erano<br />
le unghie accurate, non troppo lunghe, bene incarnate e lucide.<br />
Troviamo pertanto che Isabella, <strong>il</strong> 16 dicembre 1511, mentre<br />
ringrazia Lorenzo da Pavia per certo « calamo di dente di<br />
pesce » per scrivere, che le aveva inviato, lo sollecita a farle<br />
fare una « forbesetta... lavorata alla damaschina ». Gliene invia<br />
un’ altra per modello e gli raccomanda che la nuova sia « dii<br />
garbo che parerà a vui, facendola tenere un pochette più curta<br />
et li busi dove intrano li diti menori, et habi la ponta aguzza<br />
et tagliente, perchè la volemo operare a tagliare le onge de le<br />
m a n i». Infatti la ricevette l’anno appresso e ne fu paga: « Havemo<br />
etiam la forbesetta lavorata che ne piace » (16 marzo 1512).<br />
Il maestro, conoscendo la incontentab<strong>il</strong>ità della marchesa, ne<br />
aveva prima, in gennaio, spedita una mostra, approvando la<br />
quale Isabella mandò a Lorenzo anche un pezzo di ferro, acciò<br />
ne facesse fare «lim e da ungie». Nel marzo del 1505 Em<strong>il</strong>ia<br />
(1) P a s o l i n i , v o i. I I I . p a g g . 6 6 3 -6 4 ; R icetta rio g a la n te, p a g . 71<br />
e seSSt o v ’ è u u a s e z io n e s p e c ia le p e i s a p o n i, o lii, g r a s s i o d o ro s i p e r le<br />
m a n i.<br />
VII. - ACCESSORI E SEGRETI DELLA « TOILETTE » 9 9<br />
Pia regalava alla marchesa « uno legno quale ha proprietà di<br />
fare molto lustre le onghie de le mani » e le indicava <strong>il</strong> modo<br />
di usarlo, e nello stesso tempo le prometteva « uno uncto da<br />
inane quale sirà difficultà haverlo, ma sirà per excellentia » (1).<br />
Anche alla pulizia, alla bianchezza, alla lucidezza dei denti<br />
si dava molta importanza, come dimostrano le descrizioni della<br />
bellezza perfetta. I ricettari hanno di gran prescrizioni in proposito,<br />
nelle quali si mira non meno a far « belli i denti » che<br />
« a consolidar le gengive » (2). L’Ariosto nel prologo alla Cassaria<br />
mette in burletta le dentiere false e gli altri artifici odontàlgici;<br />
<strong>il</strong> Castiglione argutamente scherza su coloro che «fan<br />
professione di denti » (3) U 12 ottobre 1504 Isabella pregava<br />
Florimonte Brognolo di farle avere dalla marchesa di Cotrone<br />
« la recetta de la polvere de denti, perchè la havemo finita ».<br />
E da Em<strong>il</strong>ia Pia le perveniva una «aqua de d e n ti... che è de<br />
quella sorte che usavano quelle regine de Napoli » (4). Nel 1510<br />
<strong>il</strong> giovinetto Federico Gonzaga mandò in regalo a Isabella ballerina<br />
(forse la Lavagnola), dam gella della marchesa, uno stuzzicadenti,<br />
onde la gent<strong>il</strong> fanciulla gli scriveva <strong>il</strong> 9 novembre:<br />
« Baso la mano a V. S. che la se sii dignata de recordarsi de<br />
me, mandandomi a donare un bel stecho da denti, <strong>il</strong> quale non<br />
reputo già sì poco, anci me vagheggio in tanto favore. Io non<br />
1’ ho reputato convenire a’ miei denti che non ne erano degni,<br />
però ne ho fatto dono alla Ill.ma Madama vostra madre, che<br />
1’ ha havuto gratissimo ». La quale interessante attestazione si<br />
intenderà solamente quando si sappia <strong>il</strong> pregio in che erano te <br />
nuti i curadenti nel nostro Rinascimento. Essi figuravano solo<br />
nei conviti più solenni. Sabba da Castiglione nel cap. 109 dei<br />
Ricordi, discorrendo d’ un banchetto offerto dal duca di M<strong>il</strong>ano,<br />
dice espressamente che alla fine fu « data 1’ acqua alle mani<br />
et dati gli stecchi d’odorifero lentisco per gli denti». Il Messisburgo<br />
accenna che nei pranzi da lui ordinati si mettevano in ta <br />
vola, sempre alla fine, fra le confezioni, degli « stecchi profu-<br />
(1) Mantova e Urbino, pag 167.<br />
(2) P a s o l i n i , voi. ,111, pagg. 661-63. Trattati speciali nel Ricettario<br />
galante, pag. 61 e segg. e nel M a r i n e l l i , op. cit., pag. 160<br />
e segg.<br />
(3) Cortegiano, libro II, cap. 27.<br />
(4) Mantova e Urbino, pag. 167.
1 0 0 IL LUSSO DI ISABELLA D ’ ESTE MARCHESA DI MANTOVA<br />
mati » o anche degli «stecchi recamati e profumati» talvolta in<br />
piatti d’argento (1). Ma nelle abitudini comuni della mensa lo<br />
stuzzicadenti di legno o di lisca di pesce, secondo l ’uso romano,<br />
non compariva. Quindi la necessità di-avere seco questo arnese<br />
e 1' abitudine di farlo di metallo, frequenti volte prezioso<br />
e talora ornato di gemme. Parisina d’ Este ordinava al suo<br />
fabbro i « netezaduri da denti » (2). Le donne genovesi portavano<br />
sospeso alla cintura, con 1’ agoraio, anche <strong>il</strong> curadenti (3), e a<br />
questo scopo era assai probab<strong>il</strong>mente destinata « una scatolina<br />
dorada per gli schideti de li denti », in cui c’ imbattiamo nel corredo<br />
della contessa di Mesocco (4). Questi stuzzicadenti preziosi<br />
erano fatti in forma di coltellini, ovvero anche di unghie. In<br />
un inventario estense incontriamo « una ungia d’oro da curare<br />
li denti cum uno br<strong>il</strong>lo tavola da uno lato, da 1’ altro lato uno<br />
rubino codulo in forma di core voto et tristo cum meza perla<br />
trista zalla et rota di sopra» (5). E nell’inventario di Carlo Y<br />
figurano « deux ongles à fourger les dens, dont 1’ un est blanc<br />
et l’autre noir, garny d’argent esma<strong>il</strong>lè de France» (6). Fu uno<br />
di questi ging<strong>il</strong>li preziosi che dovette regalare Federico alla<br />
Isabella Lavagnola, la quale gent<strong>il</strong>mente ne fece omaggio alla<br />
marchesa.<br />
V<strong>il</strong>i.<br />
I profumi. — Isabella fornitrice di misture odorose alle Corti di Roma e di<br />
Parigi — I guanti profumati : la regina di Francia conserva religiosamente<br />
i guanti vecchi donat<strong>il</strong>e dalla marchesa di Mantova. — I ventagli. —<br />
Conclusione.<br />
Un’altra raffinatezza nella quale Isabella emergeva era<br />
quella dei profumi. Mentre nella più parte delle particolarità<br />
del suo lusso troviamo che nei primi anni dopo le nozze ella<br />
(1) M e s s is b u r g o , Banchetti, Venezia, 1564, cc. 19r, 28 r, 29«, 32r,<br />
38 r, ecc.<br />
(2) G a n d i n i , Saggio, p a g . 12.<br />
(3) Me r k e l , Tre corredi, pag. 46.<br />
(4 ) M o t t a , N ozze principesche, p a g . 23.<br />
(5) C a m po r i, Cataloghi, pag. 23.<br />
(6) F r a n k l i n , Variètés gastronomiques, Paris, 1891, pag. 224. Ivi<br />
sono molte altre notizie interessanti sulla storia dei curadenti.<br />
V <strong>il</strong>i. - ACCESSORI E SEGRETI DELLA « TO ILETTE » 101<br />
spendeva di più, e in seguito si venne moderando, per i profumi<br />
invece si riscontra l’opposto. Con 1' andar degli anni sempre<br />
più se ne mostrava passionata e diveniva valente nel comporli.<br />
Il materiale primo, particolarmente <strong>il</strong> muschio, ritirava da Venezia<br />
(1), e con gl’ ingredienti avuti faceva le sue composizioni.<br />
L’arte della profumeria, specialmente diffusa nella decadenza<br />
romana (2), era stata un po’ negletta nel medioevo. Nel<br />
nostro Trecento ed anche nel Quattrocento erasi conservata abbastanza<br />
semplice (3), checché potesse dirne Bernardino da Siena<br />
nelle sue prediche ; ma nel Cinquecento d<strong>il</strong>agò, sopratutto in<br />
Italia ed in Spagna, e divenne quasi una scienza. Nei ricettari<br />
più volte menzionati, negli Ornamenti del Marinelli, nei Nolandissimi<br />
secreti dell' arte pi'ófumaloria del Roseto, nei molti e<br />
rari libretti che citano <strong>il</strong> Baschet ed <strong>il</strong> Feu<strong>il</strong>let de Conches nel<br />
loro noto e curioso volume su Les femmes blondes, si potranno<br />
trovare innumerevoli saggi di quella specie di alchimia con cui<br />
si producevano artificialmente gli odori più delicati e più svariati<br />
(4). P er quanto 1’ abuso dei profumi s’ osservi specialmente<br />
nei bellimbusti e nelle cortigiane (5), non è men vero che costoro<br />
trovavano imitatori ed imitatrici assai condiscendenti negli uomini<br />
seri e nelle dame per bene. Dice <strong>il</strong> Bandello discorrendo<br />
di uno zerbinotto, che la sua cavalcatura « era sempre da capo<br />
a piedi profumata, di maniera che l’odore delle composizioni<br />
di muschio, di zibetto, d’ambra e d’altri preziosi odori si faceva<br />
sentire per tutta la contrada » (6). Ma 1’ uso di profumare le<br />
mule lo aveva anche Alfonso del Vasto, che pur non era un<br />
bellimbusto di professione (7). Dame austere, come Vittoria Co-<br />
(1) Vedi specialmente una lettera di Taddeo Albano del 3 ottobre 1508,<br />
in cui v' è un elenco di droghe per profumi.<br />
(2) Cfr. M a n o n i, pagg. 116-18.<br />
(3) Vedi L anza d i S c a lea, Donne e gioielli, pagg. 94-95.<br />
(4) Per la storia dei profumi cfr. E. R im m e l, The booti o f perfuraes,<br />
London, 1865, e F r a n k l in , Les magazins de nouveautis, voi. II,<br />
pag. 39 e segg.<br />
(5) Vedi R ezasco in Giorn. Ligustico, voi. XVII, pag. 204, e lo<br />
studio del G raf sulla Franco nel citato volume Attraverso <strong>il</strong> Cinquecento.<br />
(6) P. II, nov. 47.<br />
(7) R e u m o n t , Vittoria Colonna, pag. 4 2 ; cfr. M u r a t o r i , R. I. S.,<br />
voi XXII, pag. 87. L’ uso del marchese del Vasto di ungersi e profu-<br />
10
102 IL LUSSO DI ISABELLA D’ ESTE MARCHESA DI MANTOVA<br />
lonna, non trascuravano di profumarsi; abbiamo di lei una lettera<br />
al poeta Berardino Rota in cui gli commette una cassetta<br />
« tutta a colonnati bianchissimi » e dorata,, per mettervi dentro<br />
profumi «lavorati bianchi» (1). Enrico.lll di Francia acquistò a<br />
Venezia, all’ insegna del Giglio, per 1125 scudi di muschio (2).<br />
Le botteghe de’ profumieri erano salite in tanto credito che là<br />
si davano convegno i nob<strong>il</strong>i, come si farebbe oggi in un caffè (3).<br />
Di paste d’ odore si facevano perfino delle statuette sacre (4), e<br />
sarebbe curioso <strong>il</strong> constatare che si profumassero persin le monete<br />
(5). I principali profumi erano le acque rose, le acque<br />
nanfe, <strong>il</strong> muschio, lo zibetto, l’ambracane e <strong>il</strong> moscato (6); ma<br />
si facevano poi innumerevoli misture. Quei profumi eran così<br />
ricercati e cari, che certo Stella da Castelgoffredo, con,e s’ apprende<br />
da una sua lettera alla marchesa di Mantova (7), viveva<br />
con una famiglia di sette figliuoli sul reddito d’ un gatto zibetto,<br />
cioè sul marsupio profumato di una viverra.<br />
Isabella aveva grande reputazione pei profumi ch’essa fabbricava,<br />
e se ne compiaceva. Il 5 maggio 1514 Galeazzo Bentivoglio<br />
le notifica da Roma: «Ho combatuto cum quanti profumieri<br />
ha questa cità et cum quante signore co sono cusì spagnole<br />
come italiane che V. Ex. fa et adopera la più excellente mistura<br />
et compositione si trovi al mondo ». Ne inviava persino in Francia<br />
alla Regina ed alle maggiori dame di quella Corte. Ecco una<br />
lettera in alto grado caratteristica con cui si accompagna uno<br />
marsi è sferzato a sangue da P i e t r o A r e t i n o nel sonetto caudato II<br />
marchese del Vasto avea pensato, che <strong>il</strong> T r u c c h i mise in luce nelle<br />
Poesie inedite di dugenlo autori, voi. Ili, pag. 213.<br />
(1) Carteggio di Vittoria Colonna, Torino, 1889, pag. 90.<br />
(2) D e N o l h a c - S o l e r t i , Il viaggio in Italia di Enrico III di<br />
Francia, Torino, 1890, pag. 138. Cfr. F r a n k l i n , Magazins, voi. I,<br />
pag 145 e segg.<br />
(3) U n g a r e l l i , Vecchie danze, pag. 41, n. 3<br />
(4) C a m p o r i, Cataloghi, p a g g . 2 0 -2 1 .<br />
(5) Lo afferma <strong>il</strong> B u r c k h a r d t , Civ<strong>il</strong>tà, voi. II, pag. 133, citando<br />
una lettera di Pietro Aretino a Cosimo I, in cui lo ringrazia di certi<br />
scudi «nuovi e profumati». Ma qui deve trattarsi di metafora, come<br />
quando oggi si dice che altri fu pagato profumatameiUe d’un servizio.<br />
La metafora, peraltro, d’onde provenne?<br />
(6) Cfr. <strong>il</strong> citato libro del Roseto e anche L u i g i n i , Il libro della<br />
bella donna, M<strong>il</strong>ano, 1863, pag. 48.<br />
(7) Edita dal B e r t o l o t t i nel Mendico, voi. IX, pag. 8.<br />
V <strong>il</strong>i. - ACCESSORI E SEGRETI DELLA « TOILETTE » 1 0 3<br />
di questi invii alla Corte francese, pel tramite dell’ agente mantovano<br />
:<br />
Mandiamo una scatoletta, nela quale sono tre busoletti di compositione,<br />
quel di cristalo col coperto d’ oro per la S." Regina, quelli<br />
di corno, l ' uno per madama matre dii re, 1’ altro per la duchessa di<br />
Lansone suà sorella, come ci liavete raccordato, gli li presentarete in<br />
nome nostro con giunta di quelle parole che ve pareranno convenienti.<br />
Siamo certe che la gli piacerà, perchè al judicio nostro non facessemo<br />
mai la megliore. Et semo contente e'ae dicati alla Regina clic molto ne<br />
reputamo felici ad esserne porta occavione di servire S. M.u in cosa che<br />
gli gradisca, et che noi sapiamo et possiamo fare, perchè in componer<br />
questi odori non cederessimo al miglior perfumero del mondo, e però<br />
suplicate S. M. a non cambiare la bottegha, ma dandone aviso a tempo<br />
che la possiamo servire, gli basarete la mane in nome nostro et ne raccomandereti<br />
in sua bona gratia. Siamo contente di fornire la detta regina<br />
et madama di la nostra compositione, ma a dirvi <strong>il</strong> vero non volemo<br />
già. questa cura per le altre donne.<br />
Mantue, xvm maii 1516.<br />
Chi certo aveva fatto massimamente apprezzare i profumi della<br />
marchesa in Francia era <strong>il</strong> suo primogenito Federico, che<br />
allora si trovava colà e che alla madre chiedeva con eguale<br />
frequenza profumi e... denari. Ma a lei riusciva cosa più fac<strong>il</strong>e<br />
e più gradita <strong>il</strong> compiacerlo di quelli che di questi. In una<br />
lettera a Stazio Gadio, che stava a fianco del giovincello, la<br />
vivace madre, alla quale la precoce intraprendenza amatoria del<br />
figlio era motivo di spasso, scrive scherzando: « Perchè Federico<br />
non cessi di intratenersi cum quelle gent<strong>il</strong>donne et possi<br />
meglio far l’amore gli mandiamo uno bussolo di compositione,<br />
quale esso potrà partire et dami a chi più gli piacirà » (3 dicembre<br />
1515). Quelli squisiti profumi avevano molti clienti, e la<br />
marchesa sapeva di non poter fare a’ suoi amici più accetto regalo<br />
che offrirne loro qualche bossoletto. Nel 1513 ne inviava a<br />
Pietro Bembo, che per mezzo del segretario Gianfrancesco Valerio<br />
s’era lamentato che la marchesa non gli avesse mai donato in<br />
cambio di tanti brevi papali ottenut<strong>il</strong>e « pur uno bossoletto o bussolino,<br />
non so come chiamarlo cortegianamente, di quella sua
104 IX, LUSSO DI ISABELLA D’ ESTE MARCHESA DI MANTOVA<br />
excellente mistura » (1). All’ elegante e mite Giuliano de’ Medici<br />
Isabella faceva tenere ogni anno qualche bossolo, come si<br />
apprende da queste parole scritte <strong>il</strong> 16 njaggio 1514 all’arcidiacono<br />
Gabbioneta: « Et gli direti che.non volemo mai per cosa<br />
alcuna cessare dal tributo che gli solemo dare ogni anno de la<br />
nostra compositione, et adesso gliene mandiamo questa ».<br />
1 profumi confezionati da Isabella, essendo, come oggi si<br />
direbbe, mantecati, e non liquidi, venivan riposti in certi bossoletti,<br />
nome usitato allora, corne provano esempi di Nicc. Franco<br />
e dell’ Ariosto (2), per indicare delle scatolette che in origine<br />
erano probab<strong>il</strong>mente di bosso. Ma in seguito furono anche di<br />
cristallo, di corno e d’ altra materia, come prova la lettera riferita<br />
del 151G. Isabella voleva che fossero essi pure eleganti<br />
e pratici. Il 22 novembre 1498 ordinava a Lorenzo da Pavia:<br />
« Pregamovi che ne faciati tre o quatro bussoletti de ebano<br />
da cibetto, lavorati diversamente a modo vostro, et quanto più<br />
presto potereti mandarceli, che ne fareti cosa grata ». E in poscritto:<br />
« Yoressimo che uno de quelli bussoletti fusse in forma<br />
che tendesse al quadro per haver più fac<strong>il</strong>ità de cavar el cibetto ».<br />
Il 7 marzo 1516 esorta <strong>il</strong> Suardino a sollecitare <strong>il</strong> maestro Cleofas<br />
« per li nostri bussoli, a ciò eh’ el sii in questo meno longo che in<br />
le altre sue opere ». Il 22 novembre 1502 ordina a Lorenzo da<br />
Pavia di farle fare « un vasetto da unguento » col pezzo di lapislazzoli<br />
che <strong>il</strong> Gusnasco le aveva inviato e che erale piaciuto<br />
assai. Qualche volta usavansi anche recipienti preziosi, come le<br />
cassette dorate, per pasta di muschio, di cui è cenno nel corredo<br />
di Beatrice d’ Este (3), e le palle ed i bussolini d’ argento che<br />
figurano nel corredo della contessa di Mesocco (4), e la palla<br />
e la « pignatina d’arsento per perfumi » che sono citati nei<br />
documenti estensi (5). Anche Isabella, volendo una sim<strong>il</strong>e galanteria,<br />
si rivolse a quell’artefice eccellente eh’ era Ercole de’<br />
(1) Cian in Giorn. stor. d. lett. italiana, voi. IX, pagg. 118-121.<br />
(2) Vedi C ian in Giorn. sto r, voi. IX, pag. 120 n e <strong>il</strong> menzionato prologo<br />
alla Cassaria.<br />
(3) A. V e n t u r i , L'arte ferrar, nel periodo d’Ercole I, pag. 122.<br />
(4) M o t t a , N ozze principesche, p a g g . 2 2 -2 3 .<br />
(5) G a n d i n i, Tavola, cantina e cucina, pag. 28. Ivi pure sono due<br />
perfum adori damaschini lavorati di argento. Isabella parla di profum a<br />
tori in due lettere a Girolamo Z<strong>il</strong>iolo, del 1505 e del 1506.<br />
V <strong>il</strong>i. - ACCESSORI E SEGRETI DELLA « TO ILETTE » 1 0 5<br />
Fedeli. Ce lo attesta la seguente letterina del 20 maggio 1512<br />
a Girolamo Z<strong>il</strong>iolo: « Marniamovi una ballotta de cornposition<br />
de odori acciochè la diati a maestro Hercule, cum ordine che<br />
gli facia una coperta d’ oro sopra ben lavorata a suo modo, mà<br />
non si curamo eh’ el lavoro .sii troppo sut<strong>il</strong>e, perchè volendola<br />
portare dallato, saria periculosa da rompersi. Etdicetegli eh’ el<br />
facia un qualche busetto da potergli mettere dentro un cordone<br />
et tacarcelo da lato. Fatelo tenere solicitato, che 1’ habiamo<br />
presto ». Presto, no, non 1’ ebbe davvero la buona marchesa.<br />
Dovette pur tempestare 1’ artefice molte volte, per più anni, e<br />
solo l’ i l agosto 1516 troviamo che la riceve e se ne dichiara<br />
soddisfatta « per essere benis>imo lavorata » (1).<br />
La piccola palla d’ odore, come Nhiaramente indica la Gonzaga,<br />
doveva portarsi attorno appesa ài la cintura e tale costume<br />
non era raro in quei tempi. Nell’ inventario delle suppellett<strong>il</strong>i restate<br />
nella Grotta d’Isabella troviamo parecchi oggetti che dovevano<br />
avere un uso sim<strong>il</strong>e, fra gli altri « un bottone in foggia di<br />
pero lavorato, di f<strong>il</strong>lo straforato da tener muschio ». E di arnesi<br />
congeneri la marchesa ne inviava anche in Francia: « Poi che<br />
alla S.ra Regina tanto sono piaciuti li brazaletti, havemo pensato<br />
de mandarli alcuni bottoni d’oro pieni di perfumo, quali saranno<br />
più atti da portare continuamente al brazo, maxime la nocte»<br />
(18 maggio 1516). I braccialetti contenenti profumi, a cui Isabella<br />
accenna prima, solevano essere d’ osso. A quest’ uso certamente<br />
erano destinate le due paia di braccialetti d’ osso negri, che la<br />
marchesa commetteva <strong>il</strong> 5 luglio 1516 per mezzo del conte<br />
Francesco Fontanella. E fors’ anco non aveva scopo diverso la<br />
« cinta d’ osso » che per mezzo di Annibaie Malaguzzi la nostra<br />
gent<strong>il</strong>donna ordinò <strong>il</strong> 5 maggio 1523 a « maestro Angelo che<br />
lavora di osso». Il nome del Malaguzzi ci richiama a Reggio<br />
d’ Em<strong>il</strong>ia, ove l ’industria degli ossi e degli avori lavorati ebbe<br />
segnatamente a fiorire (2).<br />
Quella stessa passione pei godimenti dell’olfatto che faceva<br />
cospargere di odore, come vedemmo, sin gli stuzzicadenti, ren-<br />
(1) Q u e s t’ a n e d d o to è a c c e n n a to a n c h e d a l B e r t o l o t t i , Arti minori,<br />
p a g . 63.<br />
(2) C fr. C a m p o r i, Della lavorazione degli ossi e dell’avorio, M a n <br />
to v a , 1875. A ltr e c o m m is s io n i d i o g g e tti d ’ o sso in B e r t o l o t t i , Artisti<br />
in relazione coi Gonzaga, p a g g . 108-10.
1 0 6 IL LUSSO DI ISABELLA D’ ESTE MARCHESA DI MANTOVA<br />
deva gratissimi i guanti profumati. L' uso dei guanti a scopo di<br />
puro ornamento non è, specialmente nelle dame, <strong>antichi</strong>ssimo.<br />
11 fatto che in Firenze, nel secolo xiv,
1 0 8 IL LUSSO DI ISABELLA D’ESTE MARCHESA DI MANTOVA<br />
era uno giorno di festa, la dominicha, e disseme erano di guanti<br />
che venivano da V. S. a lei donati per el S. Marchese suo cugino<br />
quando era quà in Francia, e se li avpva conservati che anchora<br />
ne avova uno altro paro e atiò che più li durassero non<br />
li portava se non alle feste per qualche tempo, tanto che erano<br />
corno novi, poi incomenzava a portarli ogni di ma la sera li cavava<br />
e ne metteva poi de altra sorte per farne più massaria, e<br />
questo faceva perchè non ebbe mai guanti de sorte che tanto li<br />
piacesseno corno questi e gli n’ era stato mandato una infinitate<br />
da diverse persone de Italia e de Spagna, ma questi erano li favoriti<br />
dicendo non saper in qual modo fare come fusseno finiti...<br />
Io gli dissi de scrivere a V. S. rendendome certissimo quella farebbe<br />
el possib<strong>il</strong>e per retrovarne de la medesima qualitade, ma<br />
che me ne dasesse uno per monstra, e così me ne ha dato uno<br />
paro e con vergogna parendoli che fusseno troppo veghi e vergognosi,<br />
che se dicesse che lei li portasse così frusti, ma solo era<br />
perhò causato per la bontate et per farli durare più; et àme<br />
dicto che da un canto li fusse m<strong>il</strong>li schudi, da l’altro canto una<br />
donzena de guanti sim<strong>il</strong>i più amerebbe li g u a n ti... » Quindi la Regina<br />
« la ne vorebe una donzena, e questo fa perchè dice ne serrà<br />
fornita per molti anni e per non fastidire Y. S. tanto spesso...<br />
P ara sei per l’inverno e sei per la instate, quelli per l’inverno<br />
serano de la qualitate de questi che mando dopij et com el peloso<br />
de dentro atacha la mane, li altri per la instate pur dopij<br />
ma soltanto el lisso de la pelle verso la mane e de la medesima<br />
grandeza. . . Circha alla conza dice che mai sentite una tanto<br />
bona che li mantenesse la mane migliore nè più biancha, e li<br />
piace che siano uno pocho morbidi de la conza. E perchè dice<br />
che in quelli che hebbe ve ne fu certe para che avevino una<br />
conza che sentivino de 1’ odore de olio de fior de cedro, che<br />
molto li piaceva tal odore, vorebe che dua pari d’ essi fusseno<br />
aconzati com el medemo sentore, cioè uno paro per l’inverno<br />
e uno per la instate ; ne vorebe poi due para da inverno e due<br />
da instate che fra 1’ una pelle e 1’ altra fusseno profumati de<br />
sentore de composicione, ma che avesseno perhò verso la mane<br />
la conza solita per conservatione de la mane ». E mentre la<br />
marchesa stava probab<strong>il</strong>mente allestendo questi guanti, per farsi<br />
onore con una tanta signora, ecco una nuova non meno significante<br />
lettera del Soardino, in data di Blois 17 apr<strong>il</strong>e 1520: «Eri<br />
V III. - ACCESSORI E SEGRETI DELLA « TO ILETTE » '1 0 9<br />
parlando cum la Maestà de la Rezina e vedendoli in mane certi<br />
guanti assai frusti, li dissi che senza vedere el calendario p reco <br />
noscere quando fusse festa ma solo a veder che guanti la aveva<br />
in mane io lo conoscerei, che era questo segno infallib<strong>il</strong>e. Incomenzette<br />
a ridere e respose che certamente la aveva tanta tema de frustare<br />
quello paro che li era restato de quelli de V. S. che anchora<br />
non s’ era messa a portarli se non alle feste, et quelli che me<br />
dette per mandar a V. S. erano li cotidiani, laudando tali guanti<br />
per li migliori e meglio aconzati che mai portasse. Io li feci<br />
animo che dovesse portare quelli che li erano restati, ateso che<br />
presto ne averebe secondo che V. S. mi aveva scripto: me disse<br />
non ne voleva far niente, che prima voleva aver quelli e tanto<br />
più ne voleva far bona massaria per farsene onore a questo parlamento,<br />
che alora bisognarà portarli ogni dì et molto se frustarano;<br />
e per questa causa no^li seppi dar torto, se li voleva sparagnare<br />
per tale solemnitate. Apresso molto minutamente Sua Mtà<br />
volse intendere de le cose passate de V. S . . . concludendo che<br />
a quello che ha inteso de molte parti che sono in Y. S. quella<br />
sarebe stata una de le donne che secondo el suo apetitto avendo<br />
auto comoditate de averla in sua compagnia molto li sarebbe<br />
piaciuta ».<br />
Con questi documenti mirab<strong>il</strong>i vorremmo chiudere lo scritto<br />
nostro già troppo lungo, e infatti le particolarità più importanti<br />
del lusso personale d’ Isabella sono toccate. Ma ci resta ancora<br />
qualche quisqu<strong>il</strong>ia da spigolare. Nel giugno 1506 le monache del<br />
convento dello Murate in Firenze regalarono la marchesa di<br />
alcuni rami di fiori di seta, eh’ ella si fece recapitare per mezzo<br />
del suo corrispondente fiorentino Angelo del Tovaglia, scrivendo<br />
1’ 8 luglio a quelle buone suore una letterina di ringraziamento<br />
tutta informata a sentimenti di devozione. Con quei fiori di seta<br />
costumavano specialmente le donne ferraresi di ornarsi <strong>il</strong> seno (1) :<br />
<strong>il</strong> Messisburgo ci dice che in una cena fu collocato, su ciascuna<br />
delle salviette piegate a varie foggie, « uno mazzolo di fiori di<br />
seta et d’ oro profumati » (2). Anche le maschere avevano attirato<br />
l’attenzione di quella gent<strong>il</strong>e e gaudiosa creatura. La sua<br />
nativa Ferrara godeva una specie di celebrità nella fabbricazione<br />
(1) C a m p a n in i, Ars siricea Regii, p a g . 40.<br />
(2) Banchetti, c. 33 v.<br />
11
1 IO IL LDSSO DI ISABELLA D 'E STE MARCHESA DI MANTOVA V <strong>il</strong>i. - ACCESSORI E SEGRETI DELLA « TOILETTE 111<br />
delle maschere (1), e così pure le città em<strong>il</strong>iane, Bologna,<br />
Parma (2) e sopratutto Modena (3). Ma se, ne facevano anche a<br />
Mantova (4), e solevano essere di tela impeciata e incerata di<br />
fuori e di dentro, con sopra degli strati di colore che simulavano<br />
<strong>il</strong> volto umano (5). Cento maschere, questa volta provenienti da<br />
Ferrara, inviava la marchesa al Valentino nel gennaio 1503(6),<br />
e quell’ uomo fastoso e voluttuario, con cui i Gonzaga armeggiarono<br />
astutamente (7), se ne mostrò soddisfatto. Il 3 gennaio 1505<br />
Isabella fece invio di trenta maschere a Guglielmo da Sermoneta,<br />
e acciocché gli giungessero presto, si giovò della mediazione della<br />
duchessa d’ Urbino.<br />
Per quanto corresse tra Lucrezia Borgia ed Isabella quella<br />
tal quale rivalità che in addietro abbiamo avvertita, la duchessa<br />
di Ferrara era costretta a rivolgersi alla marchesa quando voleva<br />
dei ventagli di buon gusto. Ecco una sua letterina in proposito<br />
:<br />
Ill.raa S.ra mia cognata et sorella lion.<br />
Ancora d i’ io pigli despiacere in incommodare la S. V , pur havendo<br />
a quisti dì facto scrivere per bavere da M<strong>il</strong>ano una qualche bella foggia<br />
de ventagli, dubitando che per la conditione de quisti tempi non<br />
vengano cum quella presteza eh’ io desiderarla, cum la fiducia eh’ io ho<br />
in la V. S. la prego grandemente che trovandosene qualcheduno nigro,<br />
senza però guarnitione alcuna, che sia bello et di qualche bella foggia,<br />
(1) C it t a d e l l a , Notizie relative a Ferrara, pag. 666; G arzo n i,<br />
Piazza, c. 279 e spgg. ; Pentamerone, ed. Croce, voi. I, pag. 160.<br />
(2) Dollett. stor. della Svizzera italiana, 1886, pag. 145.<br />
(3) Il G arzoni (Piazza, c. 380 r) chiama le maschere « volti modenesi<br />
». Sabba da Castiglione nel ricordo 107 assomiglia una faccia imbellettata<br />
ad « una nuova mascara de Modena ». Cfr. anche S o l e r t i,<br />
Ferrara e la Corte estense, pag. lx x x ii, n. 2.<br />
(4) Vedi <strong>il</strong> Mendico, voi. YI, n. 5.<br />
(5) Un bel documento del 1471, che parla di una ordinazione di<br />
maschere a Bologna e accenna al modo come erano fatte, leggesi nella<br />
Raccolta m<strong>il</strong>anese, febbraio 1888, pag. 21.<br />
(6) G reg o rov iu s, Lucrezia, pag. 425.<br />
(7) Pei rapporti dei Gonzaga con Cesare Borgia, v. Mantova e Urbino,<br />
pag 125 e segg. Tra <strong>il</strong> Valentino e Isabella seguirono anche am i<br />
chevoli scambi di cani.Vedi <strong>il</strong> Mendico, voi. VII, n. 13.<br />
me ne voglia fare gratia-, la quale quanto serà più presta, 1’ obligo che<br />
ne haverò alla S. V. serà tanto magiore. A la quale me recomando<br />
sempre.<br />
Ferrariae, xiiii maij 1511.<br />
Cognata et soror<br />
Lucretia Ducissa Ferrariae<br />
E sembra che questa non sia stata 1’ unica richiesta di sim<strong>il</strong><br />
genere pervenuta alla marchesa di Mantova, poiché troviamo che<br />
<strong>il</strong> 2 giugno 1513 così scriveva al conte Lorenzo Strozzi: «Inteso<br />
per la littera vostra el desiderio de la <strong>il</strong>i."* Duchessa nostra cognata<br />
et sorella hon. de bavere uno ventaglio picolo de la sorte<br />
che si cominciano ad usare qua, et retrovandone haver uno,<br />
quale havemo facto fare per noi a la fogia de alcuni che vedessimo<br />
a M<strong>il</strong>ano, che molto ni piacquero, per poterli portar attaccati<br />
a la cinta, vi lo mandiamo aciò che in nome nostro lo doniati<br />
a S. Ex. con li che s’ el gli piacesse n' haremo piacere;<br />
se non, che ne avisi la fogia et la grandezza de che la el voria,<br />
che subito <strong>il</strong> faremo fare ». Quei ventagli, adunque, tenevansi<br />
appesi alla cintura con una catenina d’ oro. I manichi solevano<br />
essere elegantissimi, talora gemmati (1); nell’apr<strong>il</strong>e del 1519 Isabella<br />
ordinò al tornitore Cleofas de Donati « uno manico da ventaglio<br />
negro che sia ballo ». Già in fin d’apr<strong>il</strong>e dii 1498 vediamo<br />
nel copialettere che ella aveva scritto a Francesco Staffetti : « Desiderarne<br />
bavere tri ventalii negri de la grandeza che furono li<br />
altri ce mandasti, ma non voressimo che havessino carta in mezo,<br />
come hanno quelli, ma che per forteza gli fussero poste inframezo<br />
le penne col nervo, coperte poi de le piume come si coprono le<br />
carte, però che esse penne integre col nervo non se inviscaranno<br />
così fac<strong>il</strong>mente come fanno le carte ». D’ onde si ricava che v’ e-<br />
rano ventagli di carta ornati superiormente di penne e ventagli<br />
tutti di penne. D’ uno di questi ultimi v’ ha uno splendido modello<br />
nel ritratto di Francoforte che rappresenta secondo alcuni<br />
Giulia Gonzaga (2). Dal ventaglio semplice a banderuola che durò<br />
(1) L anza di S ca lea, Donne e gioielli, pagg. 183-84.<br />
(2) Quella gent<strong>il</strong>donna porta <strong>il</strong> ventaglio appeso alla cinta e le penne<br />
pare vi siano ritratt<strong>il</strong>i, come mostra anche la grossezza e lunghezza del<br />
manico. Il M u n tz riproduce quel ventaglio con le piume spiegate: Renaissance,<br />
voi. II, pag. 178.
1 1 2 IL LUSSO DI ISABELLA D’ESTE MARCHESA DI MANTOVA, ECC.<br />
poi ancora per lungo tempo a Venez a e nel Veneto (1), e cho<br />
figura nella tela della galleria di Dresda in cui Tiziano ritrasse<br />
sua figlia Lavinia, si passò ben presto al ventaglio piumato, che<br />
Cesare Vecellio fa portare così spesso in inano alle sue gent<strong>il</strong>donne<br />
(2). Ma <strong>il</strong> Vecellio stesso ha ventagli di carta o stoffa,<br />
fermati, sembra, con bacchette, e ritratt<strong>il</strong>i (3) o chiudib<strong>il</strong>i come<br />
quelli che oggi si adoperano (4). Le più ricche gent<strong>il</strong>donne richiedevano<br />
nel ventaglio 1’ ornamento delle piume, che talvolta<br />
erano applicate al sommo delle bacchette d’ altra materia. Straordinariamente<br />
elegante dovette essere questo di Lucrezia Borgia,<br />
che si trova notato nel suo inventario: « Uno ventaglio piccolo<br />
novamente fatto per maestro Alfonso veronese, cioè tutto<br />
<strong>il</strong> corpo fatto d’ oro battuto a fiori stampiti cum uno quadretto<br />
da ogni canto nel mezo lavorato di f<strong>il</strong>o con pasta di compositione,<br />
et <strong>il</strong> manico pure d’ oro batuto, circondato da penne de<br />
struzo negro » (5).<br />
Così resta esaurita la nostra investigazione del lusso d’ Isabella<br />
Gonzaga, investigazione che speriamo possa riuscire non<br />
del tutto inut<strong>il</strong>e alla storia del costume italiano nel Rinascimento.<br />
Certo gioverà molto a comprendere interamente quella mirab<strong>il</strong>e<br />
figura di donna, che incarnava la parte migliore dello spirito<br />
dell’ età sua, e nelle più minute ordinazioni di oggetti di lusso<br />
sapeva manifestare un gusto squisito, un’ appassionata bramosia<br />
per ogni cosa bella ed elegante.<br />
(1) V e c e l l io, Hab<strong>il</strong>i, sul verso delle cc. 98, 100, 113,157 L’opuscolo<br />
nuziale sui ventagli veneziani dell1Urbani de Gheltof ci rimase inaccessib<strong>il</strong>e.<br />
Cfr. Mei.ani, Svaghi artistici femmin<strong>il</strong>i, pagg. 260-61.<br />
(2) Nelle figure che sono sul verso di cc. 17, 19, 101, 108, 158, 159,<br />
160, 163. 164, 198, 200. 205.<br />
(3) V ec e llio, Hab<strong>il</strong>i, cc. 103, 154, 167, 184, 212, sempre al verso.<br />
(4) Non possiamo intendere diversamente i ventagli che sono nel<br />
V ec e llio alle cc. 18 v. e 207 v , quantunque <strong>il</strong> M elami (pag. 259) ritenga<br />
che <strong>il</strong> Rinascimento non conoscesse i ventagli da aprire e chiudere.<br />
(5) Ca m po k i, Cataloghi, pag. 36.