L'ambito di specializzazione è quello del design usato come leva ...
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ANtoNIo RoMANo.<br />
LA cIttà E LE suE AsPIRAzIoNI.<br />
LA RAPPREsENtAzIoNE DELL’IDENtItà.<br />
23 ottoBRE<br />
IV sEssIoNE_oRIzzoNtI IMMAgINIFIcI<br />
NOTES<br />
LA CITTà SENZA NOME.<br />
SEGNI E SEGNALI NEL PAESAGGIO<br />
CONTEMPORANEO.<br />
1_Milton Glaser<br />
L’ambito <strong>di</strong> <strong>specializzazione</strong> <strong>è</strong> <strong>quello</strong> <strong>del</strong> <strong>design</strong> <strong>usato</strong><br />
<strong>come</strong> <strong>leva</strong> per dare identità ad organizzazioni, istituzioni,<br />
aziende, prodotti e servizi. Detto in questo modo sembra<br />
abbastanza squallido ma in genere quando si parla <strong>del</strong><br />
proprio lavoro o si <strong>è</strong> autocelebrativi oppure si <strong>è</strong> un po’<br />
troppo ‘da curriculum asettico’. <strong>è</strong> vero che parlando <strong>di</strong> me<br />
non faccio altro che fare pubblicità a me stesso, nel bene e<br />
nel male, quin<strong>di</strong> in questa sintesi rischio <strong>di</strong> non esprimere<br />
in maniera corretta il senso <strong>di</strong> un mestiere.<br />
‘Senso’ che, a mio avviso, <strong>è</strong> questo: dare rappresentazione,<br />
attraverso strutture fisiche, alle aspirazioni <strong>di</strong> prodotti<br />
servizi, imprese, istituzioni. Che cosa vuol <strong>di</strong>re tutto<br />
questo? Ognuno <strong>di</strong> noi, nel momento in cui si propone<br />
agli altri, non fa altro che descriversi attraverso meccanismi<br />
fisici o comportamentali che determinano la sua relazione<br />
con gli altri. E attraverso questa relazione si struttura e si<br />
consolida il senso <strong>del</strong>l’identità.<br />
Uso un esempio facile: il passaggio dall’infanzia<br />
all’adolescenza. Non <strong>è</strong> soltanto una mo<strong>di</strong>fica repentina<br />
<strong>del</strong>la struttura fisica, ma <strong>è</strong> anche il rifiuto che viene<br />
costruito con una prima, forte, consapevolezza <strong>di</strong><br />
rappresentarsi attraverso le modalità proprie <strong>del</strong> mondo<br />
<strong>del</strong>l’infanzia.<br />
Per cui in genere questo passaggio <strong>è</strong> caratterizzato da<br />
un cambio <strong>di</strong> abbigliamento, un cambio <strong>di</strong> postura, un<br />
cambio <strong>di</strong> comportamento, un cambio <strong>di</strong> linguaggio. In<br />
questa trasformazione c’<strong>è</strong> tutta la metafora legata al nostro<br />
lavoro: noi <strong>di</strong> solito interveniamo sui prodotti, sui servizi,<br />
sulle imprese, sul territorio, proprio quando l’insieme<br />
dei cambiamenti che si sono manifestati non consentono<br />
più una chiave <strong>di</strong> rappresentazione che rimane uguale a<br />
quella che li ha sempre contrad<strong>di</strong>stinti, fino a quel giorno.<br />
In questa metafora credo ci sia tutto il senso <strong>del</strong> nostro<br />
lavoro. Comincerei con una domanda che <strong>è</strong> d’obbligo.<br />
Quale idea <strong>di</strong> territorio? Perché questo?<br />
Visto che alcune immagini sono state già presentate da<br />
Thiery, utilizzerò immagini simili per esprimere concetti,<br />
spero <strong>di</strong>versi, e soprattutto personali.<br />
L’idea <strong>di</strong> territorio <strong>è</strong> un’idea che oggi manifestiamo<br />
attraverso dei segni, <strong>come</strong> <strong>è</strong> logico rispetto alla<br />
contemporaneità; ma nel corso <strong>del</strong>la storia, basti citare<br />
Baumann quando nel suo saggio sull’identità racconta<br />
i <strong>di</strong>sagi dei polacchi intervistati dal governo polacco<br />
prima <strong>del</strong> secondo conflitto mon<strong>di</strong>ale: allorché il<br />
desiderio <strong>di</strong> dare alla Polonia il senso proprio <strong>del</strong> nation<br />
antonio romano CEO <strong>di</strong> Inarea, laureato in Architettura, si<br />
definisce un architetto prestato alle due <strong>di</strong>mensioni. Nel 1980 ha<br />
aperto a Roma lo Stu<strong>di</strong>o Romano, società <strong>di</strong> grafica e <strong>design</strong>,<br />
che negli anni si <strong>è</strong> specializzata nel ramo <strong>del</strong> brand consulting.<br />
Negli anni ’90 l’azienda ha aperto do<strong>di</strong>ci uffici in nove paesi.<br />
Dal 2004 la struttura <strong>è</strong> <strong>di</strong>ventata un network col nome <strong>di</strong> Inarea.<br />
Tra i clienti ci sono istituzioni e gran<strong>di</strong> aziende: da Pirelli<br />
a Trenitalia, dalla Rai a Telecom, da Capitalia al Comune <strong>di</strong> Roma<br />
per citare solo i gruppi italiani. Romano <strong>è</strong> docente <strong>di</strong> Design<br />
per la Comunicazione presso l’Università <strong>di</strong> Roma La Sapienza.<br />
www.inarea.com<br />
buil<strong>di</strong>ng francese, si chiedeva agli intervistati nella prima<br />
domanda, “<strong>di</strong> dove sei?” e la risposta era “<strong>di</strong> qui”, perché<br />
la percezione che ogni citta<strong>di</strong>no ha, <strong>è</strong> quella <strong>di</strong> uno spazio<br />
geograficamente legato a lui in un or<strong>di</strong>ne che va dai cinque<br />
ai <strong>di</strong>eci, massimo quin<strong>di</strong>ci chilometri <strong>di</strong> riferimento.<br />
Io sono nato a centottanta chilometri a sud <strong>di</strong> qui e sapete<br />
bene che per ragioni calcistiche e per ragioni <strong>di</strong> altra<br />
natura un leccese e un barese che si incontrano, anche a<br />
CapoNord <strong>come</strong> m’<strong>è</strong> successo, si raccontano la solita storia<br />
<strong>del</strong> cane leccese e <strong>del</strong> cane barese e questo la <strong>di</strong>ce lunga<br />
rispetto al fatto che il senso <strong>di</strong> appartenenza che ognuno <strong>di</strong><br />
noi manifesta, <strong>è</strong> sempre legato a una <strong>di</strong>mensione locale.<br />
Questo <strong>è</strong> un dato che va tenuto in adeguata<br />
considerazione, anche rispetto a consuetu<strong>di</strong>ni a cui <strong>di</strong><br />
solito non <strong>di</strong>amo peso; pensate all’italiano in vacanza che<br />
incontra un altro italiano, non gli chiede neanche <strong>come</strong> si<br />
chiama, ma la prima domanda <strong>è</strong> “<strong>di</strong> dove sei?”.<br />
Perché ere<strong>di</strong>tiamo tutti, soprattutto l’Italia centrale che<br />
ha compiuto la magnifica stagione <strong>del</strong>l’età comunale,<br />
quella <strong>di</strong>mensione <strong>di</strong> appartenenza che, a <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong><br />
quarant’anni dall’istituzione <strong>del</strong>le regioni, ancora non si<br />
riesce a costruire. L’italiano <strong>è</strong> <strong>di</strong> Parma e non <strong>del</strong>l’Emilia<br />
Romagna. Sono pochi gli italiani che riven<strong>di</strong>cano<br />
un’identità regionale: i sar<strong>di</strong> per ragioni che non devo<br />
certo spiegare, i siciliani, - e anche lì, potrei fare dei<br />
<strong>di</strong>stinguo - forse i calabresi. Per il resto, provate a <strong>di</strong>re ad<br />
un napoletano che <strong>è</strong> campano, e vedrete l’effetto.<br />
Quin<strong>di</strong>, il senso <strong>di</strong> appartenenza <strong>è</strong> un dato fondamentale<br />
rispetto alla tesi che vorrei sostenere in questo <strong>di</strong>scorso.<br />
Questa tesi, questo concetto, funziona per un arco<br />
temporale che <strong>è</strong> praticamente millenario ma l’avvento<br />
<strong>del</strong>l’industria introduce un concetto che vado a<br />
semplificare per ragioni, <strong>come</strong> <strong>di</strong>re, <strong>di</strong> intesa facile,<br />
attraverso un principio <strong>di</strong> riproducibilità, che <strong>è</strong> economico<br />
e quin<strong>di</strong> un principio <strong>di</strong> standard: nel momento in cui<br />
introduco lo standard per il mio prodotto devo ricondurre<br />
anche i miei pubblici a un’idea <strong>di</strong> standard.<br />
E così nasce, mutuandolo da un linguaggio militare, il<br />
concetto <strong>di</strong> target group, cio<strong>è</strong> il gruppo bersaglio: dove<br />
idealmente vado a pensare che <strong>del</strong>le persone appartenenti<br />
ad un certo tipo <strong>di</strong> categoria, economica o sociale - spesso<br />
entrambe - sono idonee ad acquistare il mio prodotto.<br />
Cio<strong>è</strong>, non potendo considerare il mio prodotto legato<br />
a standard produttivi, riconduco le persone a standard.<br />
Questa modalità <strong>è</strong> andata avanti per molti anni ed <strong>è</strong><br />
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ugo ANtoNIo LA PIEtRA. RoMANo.<br />
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all’origine <strong>del</strong> marketing.<br />
Per cui, che cosa succede sul territorio?<br />
La competizione globale. Quando tutto ha cominciato a<br />
correre e quin<strong>di</strong> insieme con le merci hanno cominciato a<br />
spostarsi le persone, i problemi <strong>di</strong> identità sono <strong>di</strong>ventati<br />
forti. Fino a quando la gente nasceva e moriva nello stesso<br />
posto, l’identità non costituiva un problema, perché tutti<br />
sapevano chi eri, ed il riconoscimento <strong>è</strong> un sinonimo<br />
straor<strong>di</strong>nario <strong>del</strong>la stessa parola identità.<br />
Ma, nel momento in cui tutto corre e il consumo <strong>è</strong> la <strong>leva</strong><br />
fondamentale <strong>di</strong> questa corsa, capite da voi che anche i<br />
territori entrano in un meccanismo <strong>di</strong> competizione;<br />
e in questa competizione vedete l’effetto <strong>del</strong> marketing <strong>del</strong><br />
territorio, applicato alla proposizione turistica dei paesi<br />
(Figg.2/5).<br />
Perché, che cos’<strong>è</strong> successo?<br />
Al solito c’<strong>è</strong> uno che comincia per primo e dopo altri gli<br />
vanno <strong>di</strong>etro. Nel 1980, una Spagna da poco liberata dal<br />
peso <strong>del</strong>l’oppressione franchista, introduce un <strong>di</strong>segno<br />
fatto da Joan Mirò e lo traduce nel suo marchio.<br />
Quin<strong>di</strong> la classica sineddoche, la parte per il tutto,<br />
il <strong>di</strong>segno <strong>di</strong> Mirò che evoca un idea <strong>di</strong> Spagna che,<br />
ovviamente essendo una novità assoluta, sortisce un<br />
successo straor<strong>di</strong>nario. Poiché la Spagna <strong>di</strong>venta, da<br />
Paese sconosciuto, meta e attrazione turistica tra le più<br />
importanti, superando peraltro anche l’Italia che invece<br />
all’epoca era il primo paese al mondo.<br />
A guardare questi segni si verifica il classico meccanismo<br />
da follower, così il segno cosiddetto gestuale, la linea non<br />
dritta, cio<strong>è</strong> il segno fatto a mano, <strong>di</strong>venta la cifra stilistica<br />
con cui tutti i Paesi si rappresentano sotto forma <strong>di</strong><br />
turismo. E su questo convengo con Thiery: lui parlava <strong>di</strong><br />
‘logoville’, io vi parlo qui <strong>di</strong> ‘logocountries’, tutti quanti<br />
legati a un presupposto senso <strong>del</strong> turismo. Sempre Europa<br />
ed America, e si nota <strong>come</strong>, avvicinandoci a segni <strong>di</strong><br />
tempi più recenti, qualche elemento <strong>di</strong>stintivo comincia<br />
a formarsi. Nel caso <strong>del</strong>la città <strong>è</strong> doveroso soffermarsi<br />
un momento su questo primo esperimento <strong>del</strong>l’era<br />
contemporanea ad opera <strong>di</strong> Milton Glaser (Fig.1), un<br />
grande <strong>design</strong>er internazionale, il quale viene chiamato<br />
dall’allora sindaco <strong>di</strong> New York, siamo alla fine degli anni<br />
sessanta, che descrive un quadro <strong>del</strong>la città che riassumo<br />
con parole mie molto brevemente, “…<strong>è</strong> la città che ha il<br />
record mon<strong>di</strong>ale <strong>di</strong> omici<strong>di</strong>, una <strong>del</strong>le città più sporche<br />
<strong>del</strong> mondo, <strong>è</strong> una <strong>del</strong>le realtà con tasso <strong>di</strong> criminalità<br />
<strong>di</strong>ffuso più forte, un agglomerato umano, giustamente con<br />
tante solitu<strong>di</strong>ni, <strong>come</strong> si conviene ad una metropoli. Che<br />
cosa possiamo inventarci, per essere attrattivi, nonostante<br />
questo?”<br />
Glaser ha una grande intuizione, quella <strong>di</strong> mutuare un<br />
meccanismo funzionale che era tipico <strong>del</strong>la comunicazione<br />
<strong>del</strong>l’epoca, in meccanismo emozionale. <strong>è</strong> cio<strong>è</strong>, in qualche<br />
modo un precursore <strong>del</strong>la società complessa, quando<br />
<strong>di</strong> fatto il mo<strong>del</strong>lo for<strong>di</strong>sta va in crisi perché le persone<br />
prendono coscienza <strong>di</strong> un dato: gli esseri umani non sono<br />
soltanto un universo da esprimere nel privato, le emozioni<br />
hanno <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> citta<strong>di</strong>nanza esattamente uguale, se non<br />
maggiore, rispetto alla ragione.<br />
Cito la frase bellissima <strong>di</strong> Pascal: “Il cuore ha ragioni che<br />
la ragione non conosce”. Riflettete per un momento sui<br />
vostri acquisti e fate mente locale sulla percentuale <strong>di</strong><br />
acquisti d’impulso e su quella <strong>di</strong> acquisti ragionati.<br />
Io conosco un sacco <strong>di</strong> gente non ricca che ha comprato<br />
la casa presa da un moto d’entusiasmo perché lo spazio<br />
piaceva. E la casa, <strong>di</strong> solito, <strong>è</strong> l’acquisto più importante<br />
<strong>del</strong>la vita. Questo la <strong>di</strong>ce lunga rispetto a un passaggio<br />
epocale, per cui la funzione che era tipica <strong>del</strong> marketing<br />
degli anni settanta viene traguardata dalla <strong>di</strong>mensione<br />
simbolica.<br />
Faccio un esempio, nessuno qua dentro ha i vestiti che ha<br />
perché servono per coprirsi. Se io considerassi i vestiti per<br />
la loro <strong>di</strong>mensione funzionale, mi renderei ri<strong>di</strong>colo.<br />
Ognuno <strong>di</strong> noi ha addosso, i vestiti che ha perché<br />
lo rappresentano, danno il senso <strong>di</strong> citta<strong>di</strong>nanza <strong>di</strong><br />
un'aspirazione che viene raccontata attraverso gli<br />
indumenti. Quin<strong>di</strong> la copertura propria <strong>del</strong> vestito,<br />
<strong>di</strong>venta un prerequisito esattamente <strong>come</strong> per l’orologio<br />
segnare il tempo con precisione: chissenefrega <strong>del</strong><br />
milionesimo <strong>di</strong> secondo, in realtà l’ho comprato o me lo<br />
sono fatto regalare, o perché <strong>è</strong> una marca che mi piace<br />
tanto o, <strong>di</strong> solito, per il <strong>design</strong>.<br />
Dimensione simbolica che ho citato solo in due esempi,<br />
ma che potrei estendere all’infinito, <strong>di</strong>venta la matrice<br />
culturale <strong>di</strong> quest’epoca.<br />
Epoca che poi si ritrova anche nel marketing <strong>del</strong>le città<br />
(Fig.6), in cui ho citato anche un nostro progetto, <strong>quello</strong><br />
<strong>di</strong> Milano (<strong>quello</strong> <strong>di</strong> NYC <strong>è</strong> <strong>di</strong> Wolff Olins, Nancy <strong>è</strong><br />
invece appunto <strong>di</strong> Rue<strong>di</strong> Bauer Associés). Siamo, a questo<br />
punto, ai nostri giorni: la fine <strong>del</strong> marketing, nel senso<br />
tra<strong>di</strong>zionale, per ammissione <strong>del</strong>lo stesso Kotler.<br />
La fine <strong>del</strong> marketing nasce nel momento in cui la<br />
<strong>di</strong>mensione culturale propria <strong>del</strong>la visione industriale<br />
<strong>del</strong>la vita, quin<strong>di</strong> la funzione e la <strong>di</strong>mensione puramente<br />
economica, vengono superate.<br />
Non solo per effetto <strong>del</strong>la crisi ma anche per effetto<br />
<strong>del</strong>l’avvento <strong>di</strong> un nuovo mondo, che <strong>è</strong> riprodotto. Ugo<br />
La Pietra ha anticipato i tempi in un modo straor<strong>di</strong>nario<br />
“abitare <strong>è</strong> essere ovunque a casa propria”… il telefono<br />
cellulare o internet senza fili e quant’altro, sono<br />
l’espressione più bella se vogliamo leggerla in maniera<br />
simbolica, <strong>di</strong> un poter essere a casa ovunque, grazie al fatto<br />
che io posso essere raggiungibile o raggiungere chiunque,<br />
in<strong>di</strong>pendentemente dal luogo dove mi trovo.<br />
Questa <strong>di</strong>mensione, trasportata al concetto <strong>di</strong> territorio,<br />
mette in evidenza il paradosso <strong>del</strong>la globalizzazione: se<br />
<strong>è</strong> territorio, può essere solo locale, quin<strong>di</strong> non globale; e<br />
se <strong>è</strong> locale, le sue prerogative sono tutte nella sua unicità<br />
e irripetibilità, che <strong>è</strong> la definizione per eccellenza <strong>del</strong><br />
concetto <strong>di</strong> identità.<br />
Qualunque co<strong>di</strong>ce civile <strong>del</strong> mondo, riferito all’identità<br />
dei citta<strong>di</strong>ni, pre<strong>di</strong>ca questo: unicità e irripetibilità <strong>del</strong>la<br />
persona. E i territori hanno senso nel momento in cui<br />
hanno consapevolezza <strong>di</strong> questo valore. Io posso parlare<br />
per ore <strong>di</strong> un luogo qualsiasi ma vi trasmetto il racconto <strong>di</strong><br />
un luogo.<br />
La <strong>di</strong>mensione esperienziale <strong>del</strong> luogo, la potete verificare<br />
solo andandoci ed entrare in relazione con i vostri sensi<br />
con <strong>quello</strong> spazio. Questo <strong>è</strong> il senso <strong>del</strong> cambiamento<br />
epocale <strong>del</strong> punto <strong>di</strong> vista. E allora, <strong>di</strong> fronte a questa<br />
modalità si recupera anche il senso stesso <strong>di</strong> città. Io ho<br />
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una laurea in architettura e dopo <strong>di</strong> me parlerà un signore<br />
che io ho conosciuto quando ero una giovane matricola e<br />
lui era già il mito <strong>di</strong> noi giovani architetti. Ma perché cito<br />
Nicolini e non me ne voglia? Perché <strong>di</strong> fatto introdusse<br />
una responsabilità politica nella <strong>di</strong>mensione propria <strong>del</strong><br />
progettista, che non fa altro che proiettarsi verso il futuro.<br />
All’epoca c’era un libro molto bello <strong>di</strong> Maldonado, La<br />
speranza progettuale, Nicolini restituì una speranza ad una<br />
Roma tristissima, quella degli anni settanta, attraverso<br />
un concetto <strong>di</strong> ‘città-evento’, dove l’evento, cio<strong>è</strong> l’Estate<br />
Romana per citare un brand, non era forte solo per i<br />
suoi contenuti ma perché il contenitore che ospitava i<br />
contenuti dava valore ai contenuti stessi.<br />
Guardate questo gioco bellissimo che fa <strong>di</strong> Renato<br />
Nicolini, ancora oggi, un brand in<strong>di</strong>menticato. Vale il<br />
tema letto rispetto alla città. Una città <strong>è</strong> tale nel momento<br />
in cui genera il riconoscimento dei suoi citta<strong>di</strong>ni.<br />
L’architettura non nasceva per ragioni <strong>di</strong> organizzazione<br />
<strong>del</strong>lo spazio puro e semplice, perché quella poteva essere<br />
anche e<strong>di</strong>lizia.La periferizzazione <strong>del</strong> mondo, a cui<br />
abbiamo assistito in questi ultimi cinquant’anni, <strong>è</strong> <strong>di</strong><br />
fatto l’effetto <strong>di</strong> un approccio ignorante a un paesaggio<br />
urbano ed extraurbano, quando invece i nostri antenati<br />
costruivano esattamente <strong>come</strong> noi oggi ci vestiamo.<br />
Abitare e abitus, hanno la stessa ra<strong>di</strong>ce. E costruivano<br />
dando rappresentazione <strong>di</strong> ciò che vo<strong>leva</strong>no essere.<br />
Le nostre città non sarebbero la bellezza che hanno,<br />
se questo spirito non fosse stato manifestato da un<br />
me<strong>di</strong>um straor<strong>di</strong>nario qual <strong>è</strong> l’architettura. L’architettura<br />
rispetto alle altre arti ha il vantaggio <strong>di</strong> non essere solo<br />
contemplativa ma <strong>di</strong> avere anche un principio <strong>di</strong> fruizione<br />
molto forte.<br />
An<strong>di</strong>amo al caso Roma. La prima immagine (Fig. 7) mi<br />
serve solo per richiamare la vostra attenzione su un dato:<br />
c’<strong>è</strong> il Colosseo che <strong>è</strong> ovviamente l’icona <strong>del</strong>la città e poi<br />
ci sono altre immagini per alcuni <strong>di</strong> voi estranee: c’<strong>è</strong> Tor<br />
Bella Monaca, un quartiere vivace, poi c’<strong>è</strong> l’Au<strong>di</strong>torium<br />
Parco <strong>del</strong>la Musica che <strong>è</strong> il simbolo <strong>di</strong> un approccio<br />
ri<strong>di</strong>colo <strong>di</strong> un’amministrazione pubblica rispetto certi<br />
fenomeni <strong>di</strong> traffico e taxi, ecc.<br />
Cosa voglio <strong>di</strong>re? Faccio un esempio velocissimo: se io <strong>di</strong>co<br />
“Roma <strong>è</strong> bella”, qui dentro saremo tutti d’accordo. Però<br />
dopo precisiamo: <strong>di</strong> quale Roma stiamo parlando? <strong>è</strong> una<br />
sineddoche <strong>di</strong>re “Roma <strong>è</strong> bella”. Il centro storico <strong>di</strong> Roma<br />
<strong>è</strong> bello. Caspita, provate a <strong>di</strong>re che non <strong>è</strong> così.<br />
Oppure: “Roma centro storico, la prima cerchia <strong>di</strong><br />
periferie, poi la chiesa <strong>di</strong> Tor Tre teste <strong>di</strong> Richard<br />
Meier e qualche altro episo<strong>di</strong>o sono bellissimi; per<br />
il resto, chiamiamo l’aviazione militare e facciamoli<br />
<strong>di</strong>vertire, avendo prima provveduto a togliere <strong>di</strong> torno la<br />
popolazione civile”.<br />
Scusate adesso il cinismo, ma <strong>di</strong> fatto, la periferizzazione<br />
<strong>del</strong>la città, sia quella pensata dai palazzinari sia quella<br />
pensata in buona fede dai politici coi segni sul territorio,<br />
gli architetti ideologizzati, che hanno fatto <strong>di</strong>sastri quanto<br />
i palazzinari, quin<strong>di</strong> alla fine Roma, <strong>come</strong> tutte le città<br />
peraltro contemporanee, paga questo prezzo.<br />
Anche qui, Thiery citava i capitolati <strong>di</strong> gara <strong>del</strong>la pubblica<br />
amministrazione ed ha ragione da vendere: il capitolato<br />
<strong>del</strong>la gara per il comune <strong>di</strong> Roma <strong>di</strong>ceva “trovare un<br />
format unitario per la comunicazione <strong>del</strong> comune”(Fig.<br />
8). E mi sembrava un <strong>di</strong>scorso già interessante, solo che<br />
l’approccio che noi proponemmo, nella fase <strong>di</strong> gara, fu<br />
<strong>quello</strong> <strong>di</strong> <strong>di</strong>re: attenzione, Roma ha <strong>del</strong>le prerogative<br />
che forse non bisogna solo limitare ad un format <strong>di</strong><br />
comunicazione. Proviamo ad allargare il campo, ora<br />
proverò a raccontarvi cosa abbiamo fatto.<br />
Quando io <strong>di</strong>co Roma, anche se fossi non a Bari ma<br />
a Melbourne, probabilmente il fascino <strong>del</strong>la città <strong>di</strong><br />
Roma sarebbe maggiore perché Roma <strong>è</strong> un nome che<br />
tutto il mondo conosce. E per gli abitanti <strong>di</strong> Melbourne<br />
<strong>è</strong> qualcosa che sta dall’altra parte <strong>del</strong> mondo, quin<strong>di</strong><br />
risponde ad un’idea. Ma il fatto stesso che la parola<br />
Roma sia familare a pubblici, anche lontani, ne acuisce la<br />
<strong>di</strong>mensione <strong>del</strong> fascino. Quin<strong>di</strong> la <strong>di</strong>mensione simbolica.<br />
La nostra idea era quella <strong>di</strong> trasformare il concetto Roma<br />
secondo i format <strong>di</strong> comunicazione, in un’idea Roma che<br />
sia in grado <strong>di</strong> traguardare le varie categorie <strong>di</strong> pubblico,<br />
attraverso forme <strong>di</strong> riconoscimento via via <strong>di</strong>verse ma tutte<br />
fisicamente riconducibili ad un concetto unitario (Figg.<br />
9-14).<br />
Come nasce quin<strong>di</strong> il brand Roma? Anche qui, una volta<br />
che ci hanno detto che avevamo vinto noi, abbiamo detto<br />
“bene, adesso cominciamo a lavorare”. Ci hanno risposto<br />
“in che senso?” Prima <strong>di</strong> tutto an<strong>di</strong>amo a intervistare la<br />
macchina comunale. Voi non ci crederete ma il sistema <strong>di</strong><br />
identità, che <strong>è</strong> molto complesso e qui viene rappresentato<br />
in maniera assolutamente esigua, <strong>del</strong> comune <strong>di</strong> Roma<br />
<strong>di</strong>spone <strong>di</strong> cinquantasei macrostrutture che amministrano,<br />
senza professionisti <strong>del</strong>la comunicazione, in maniera<br />
corretta, un sistema <strong>di</strong> identità in rete che abbiamo<br />
organizzato noi con un software che abbiamo realizzato<br />
ad hoc. Non erano professionisti <strong>del</strong>la comunicazione,<br />
né <strong>del</strong> bran<strong>di</strong>ng, ma una volta coinvolti, anche gli sciatti<br />
e pubblicamente sputtanati, <strong>di</strong>pendenti pubblici, si<br />
sono rivelati degli interlocutori assolutamente interessati<br />
che hanno fatto un lavoro partecipato ed intelligente<br />
gratificandoci molto più <strong>di</strong> tanti professionisti <strong>di</strong> questo<br />
mestiere che alla fine forse si sentono espropriati <strong>di</strong> una<br />
sorta <strong>di</strong> lesa maestà rispetto a spazi <strong>di</strong> autonomia che<br />
molto spesso sono solo malintesi.<br />
Ebbene, chi sta dentro la macchina la conosce meglio<br />
<strong>di</strong> chiunque altro e quin<strong>di</strong> intervistando tutte le figure<br />
operative e <strong>di</strong> responsabilità <strong>del</strong> Comune abbiamo avuto<br />
un quadro <strong>di</strong> riferimento <strong>del</strong>l’amministrazione, che ci ha<br />
permesso <strong>di</strong> cogliere una serie ulteriore <strong>di</strong> elementi rispetto<br />
all’istituzione.<br />
Dovete sapere una cosa, che forse vi sorprenderà: il popolo<br />
italiano ha una fame <strong>di</strong> istituzione, senza pari. Perché<br />
a furia <strong>di</strong> giocare, quando la stessa istituzione gioca a<br />
mettersi in blue jans così pensa <strong>di</strong> essere più simpatica e<br />
i comportamenti rimangono tutti quelli <strong>del</strong>la burocrazia,<br />
voi capite che si genera una tale <strong>di</strong>stonia da non creare né<br />
simpatia né fiducia né al tempo stesso il rispetto proprio<br />
che si deve all’istituzione. Ecco, questo meccanismo<br />
abbiamo cercato <strong>di</strong> tradurlo attraverso l’appartenenza.<br />
I valori che sono emersi sono: il senso <strong>di</strong> appartenenza<br />
dei citta<strong>di</strong>ni, indagine <strong>di</strong> mercato per vedere qual’era il<br />
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rapporto tipico dei romani fortemente <strong>di</strong>sincantato che<br />
poi <strong>è</strong> tipico degli italiani; il simbolo Ferrari, il simbolo<br />
nazionale <strong>di</strong> calcio va bene quando vince, la ban<strong>di</strong>era<br />
italiana, se non ci si metteva il presidente Ciampi, sarebbe<br />
stato un presi<strong>di</strong>o esclusivo <strong>del</strong>la destra perché, per tutti<br />
gli italiani che non sono <strong>di</strong> destra, la ban<strong>di</strong>era italiana<br />
significava altro. Siamo l’unico paese al mondo che<br />
non riesce a fermarsi sui simboli, quando poi nella vita<br />
quoti<strong>di</strong>ana non scambiamo merci, non scambiamo servizi,<br />
ma scambiamo simboli, sempre. Quin<strong>di</strong>, questo tipo<br />
<strong>di</strong> logica, il recupero <strong>del</strong> senso <strong>del</strong>l’appartenenza, prima<br />
ancora la contemporaneità, le indagini internazionali su<br />
Roma: il primo valore che il mondo riconosce a Roma <strong>è</strong><br />
la capitale <strong>del</strong>la cristianità, il secondo valore riconosciuto<br />
a Roma sono i resti <strong>del</strong>l’impero romano, via via la capitale<br />
d’Italia arriva credo al quarto, quinto posto, i pubblici<br />
più altri riconoscono a Roma il ruolo <strong>di</strong> catalogo più<br />
grande al mondo <strong>di</strong> architettura, ovviamente secondo le<br />
varie epoche, luogo deputato alla cultura e alla storia, poi<br />
vengono i valori al contemporaneo, o se volete i <strong>di</strong>svalori:<br />
luogo <strong>del</strong>l’aberrazione <strong>del</strong>la politica, città invivibile sul<br />
piano <strong>del</strong> traffico, ecc.<br />
Allora voi capite che, <strong>è</strong> <strong>come</strong> se, per parlarvi <strong>di</strong> me, non<br />
facessi altro che <strong>di</strong>re che mio padre <strong>è</strong> stato un grande, mio<br />
nonno ancora più grande <strong>di</strong> mio padre ma io sono un<br />
poco <strong>di</strong> buono.<br />
Ora, in realtà il qui e ora <strong>è</strong> una con<strong>di</strong>zione fondamentale<br />
sempre, altrimenti la relazione non prende corpo.<br />
Bisognava recuperare gli elementi <strong>del</strong>la storia e senza<br />
toccarli sul piano <strong>del</strong>la sostanza, riscriverli secondo un<br />
linguaggio contemporaneo.<br />
L’ho detto prima, lo ripeto qui, il primo concetto che<br />
emerge <strong>è</strong> la parola, visto che il convegno si intitola La città<br />
senza nome: beh, io credo che Giovanni 1:1 “in principio<br />
fu il verbo, ecc. e il verbo si fece carne”, sia un dato, ancora<br />
oggi, straor<strong>di</strong>nariamente forte.<br />
Se io incontro un signore e gli chiedo <strong>di</strong> dove <strong>è</strong>, e <strong>quello</strong><br />
mi risponde <strong>di</strong> venire da Parma e io gli <strong>di</strong>co che sono <strong>di</strong><br />
Catanzaro, possiamo essere le persone più <strong>di</strong>verse ma resta<br />
il fatto che, imme<strong>di</strong>atamente <strong>di</strong>amo un positioning, <strong>come</strong><br />
si usa <strong>di</strong>re nel nostro gergo, cio<strong>è</strong> <strong>di</strong>amo una posizione<br />
ideale che fa riferimento a un’idea <strong>di</strong> Catanzaro e a un’idea<br />
<strong>di</strong> Parma.<br />
<strong>è</strong> incre<strong>di</strong>bile ma <strong>è</strong> così. Se io mi chiamo Gennaro<br />
Esposito, ho un positioning legato al mio nome <strong>di</strong>verso<br />
rispetto a chiamarmi Giulio Lambertenghi. Non importa<br />
<strong>come</strong> siano Giulio Lambertenghi o Gennaro Esposito.<br />
Però caschiamo tutti già in questo tranello che <strong>è</strong> soltanto<br />
onomastico. Pensate tutto il resto.<br />
Quin<strong>di</strong>, avere questo vantaggio competitivo <strong>di</strong> un nome<br />
che <strong>è</strong> marketing-mondo, <strong>di</strong> fatto costituisce il patrimonio<br />
principale, rispetto a una logica <strong>di</strong> identità (Fig. 14).<br />
A questo punto, cosa abbiamo fatto? Abbiamo cucito<br />
insieme la parola ‘Roma’ con il simbolo <strong>del</strong>la città - che<br />
spesso non viene mai tenuto in considerazione - e la<br />
<strong>di</strong>zione ‘Comune <strong>di</strong> Roma’ perché era richiesto dal<br />
bando <strong>di</strong> gara (Fig. 15). Abbiamo scritto una matrice<br />
culturale ed evocativa <strong>del</strong> brand che <strong>è</strong> la parola Roma e su<br />
questo abbiamo generato un meccanismo <strong>di</strong> coerenza ed<br />
omogeneità <strong>di</strong> proposizione rispetto ad una <strong>di</strong>mensione<br />
progettuale che anche se con poche slide, credo <strong>di</strong> poter<br />
raccontare.<br />
L’organizzazione <strong>del</strong> racconto: ancora una volta, non esiste<br />
il fatto, esiste il racconto <strong>del</strong> fatto. Dove sta la cre<strong>di</strong>bilità<br />
<strong>del</strong> racconto <strong>del</strong> fatto? Nel linguaggio che l’ha generato. E<br />
che cosa <strong>è</strong> che genera il linguaggio? I valori e i contenuti<br />
da cui sgorga il linguaggio.<br />
Se in questo momento cantassi, invece <strong>di</strong> parlare, sarei<br />
ancor meno cre<strong>di</strong>bile <strong>di</strong> <strong>quello</strong> che probabilmente io stia<br />
riuscendo ad essere ora. Vedete poi gli stu<strong>di</strong> che abbiamo<br />
fatto sul simbolo, senza farvi vedere le preesistenze, ma ci<br />
saranno stati cinquanta scu<strong>di</strong> con SPQR e corone <strong>di</strong> tutti<br />
i tipi, allora abbiamo fatto un’elaborazione abbastanza<br />
complessa a riguardo (Fig. 16).<br />
Poi c’<strong>è</strong> il recupero <strong>del</strong>la parola ‘Roma’ ed anche qui,<br />
con tutte le incisioni lapidee che la Roma imperiale<br />
ha costruito, mica potevamo pensare ad una tipografia<br />
<strong>di</strong>versa. E quin<strong>di</strong> abbiamo ricomposto: queste sono <strong>del</strong>le<br />
prove (Fig. 17).<br />
Abbiamo, a Francoforte, una struttura che <strong>è</strong> specializzata<br />
nel <strong>di</strong>segno <strong>di</strong> caratteri tipografici e siamo partner <strong>di</strong><br />
Linotype che <strong>è</strong> una <strong>del</strong>le più importante library <strong>di</strong> caratteri<br />
tipografici <strong>del</strong> mondo.<br />
Quin<strong>di</strong>, lo stemma (Fig. 18), riproposto in tre <strong>di</strong>mensioni,<br />
che <strong>è</strong> l’aspetto più modaiolo <strong>del</strong> progetto se volete però<br />
non toglie nulla agli elementi statutari che lo definiscono.<br />
Se domani ci stancheremo <strong>del</strong>l’effetto tri<strong>di</strong>mensionale,<br />
possiamo riprendere <strong>quello</strong> a due <strong>di</strong>mensioni o ri<strong>di</strong>segnare<br />
lo scudo ma non cambia l’elemento istituzionale.<br />
Le varie versioni <strong>del</strong>lo scudo(Fig. 19): <strong>quello</strong> a destra <strong>è</strong><br />
solo a un colore ma rimane comunque sempre leggibile<br />
rispetto sia alle tre <strong>di</strong>mensioni sia all’effetto oro o porpora,<br />
che sono i colori <strong>del</strong>la città.<br />
Questa <strong>è</strong> invece la definizione <strong>di</strong> Roma (Fig. 20), da cosa<br />
<strong>è</strong> stata ispirata a <strong>come</strong> <strong>è</strong> stata realizzata, i vari caratteri<br />
tipografici che abbiamo realizzato e che hanno preso<br />
il nome <strong>di</strong> Urbs uno, Urbs due, tre quattro, ecc. per<br />
comporre le varie <strong>di</strong>citure (Fig. 21); anche qui, nella<br />
<strong>del</strong>icatezza <strong>del</strong>la tipografia, c’<strong>è</strong> un modo <strong>di</strong> dare or<strong>di</strong>ne,<br />
rispetto, perché porto una lettera scritta male, anche<br />
se dentro c’<strong>è</strong> scritto che sei la persona più bella <strong>del</strong><br />
mondo, francamente il destinatario può pensare che forse<br />
l’intenzione era buona ma il modo con cui <strong>è</strong> resa non<br />
<strong>è</strong> esattamente la stessa. Ognuno <strong>di</strong> noi ha un cartello<br />
appeso al collo con scritto “fammi sentire importante”.<br />
Il citta<strong>di</strong>no, <strong>di</strong> solito, questa sensazione quando entra in<br />
relazione con la pubblica amministrazione, non la prova<br />
mai.<br />
Abbiamo cercato quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> istituire dei criteri <strong>di</strong><br />
organizzazione, purtroppo non <strong>del</strong>lo stile epistolare ma<br />
almeno dei meccanismi grafici <strong>di</strong> contenimento, tale<br />
da segnalare un rispetto per il citta<strong>di</strong>no. Queste sono le<br />
versioni (Fig. 22); fateci caso, - questa <strong>è</strong> una battuta che<br />
faccio, per far capire l’humus <strong>del</strong>la città - c’<strong>è</strong> il porpora,<br />
non c’<strong>è</strong> l’oro perché sarebbe stato il giallo, e quin<strong>di</strong> sarebbe<br />
stata la Roma dei romanisti, allora abbiamo preso il<br />
bianco, che <strong>è</strong> uno dei due colori dei laziali, un terzo <strong>del</strong>la<br />
popolazione e li abbiamo combinati insieme. Sembra una<br />
sciocchezza ma farsi dei nemici <strong>è</strong> sempre cosa non buona.<br />
Ancora, potete vedere la struttura organizzativa <strong>del</strong>la<br />
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ugo ANtoNIo LA PIEtRA. RoMANo.<br />
ABItARE LA cIttà LA E LE cIttà. suE AsPIRAzIoNI.<br />
LA RAPPREsENtAzIoNE DELL’IDENtItà.<br />
23 ottoBRE<br />
IV sEssIoNE_oRIzzoNtI IMMAgINIFIcI<br />
NOTES<br />
LA CITTà SENZA NOME.<br />
SEGNI E SEGNALI NEL PAESAGGIO<br />
CONTEMPORANEO.<br />
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ugo ANtoNIo LA PIEtRA. RoMANo.<br />
ABItARE LA cIttà LA E LE cIttà. suE AsPIRAzIoNI.<br />
LA RAPPREsENtAzIoNE DELL’IDENtItà.<br />
23 ottoBRE<br />
IV sEssIoNE_oRIzzoNtI IMMAgINIFIcI<br />
NOTES<br />
LA CITTà SENZA NOME.<br />
SEGNI E SEGNALI NEL PAESAGGIO<br />
CONTEMPORANEO.<br />
Di una città non go<strong>di</strong> le sette<br />
o le settantasette meraviglie<br />
ma la risposta che dà<br />
ad una tua domanda.<br />
Italo Calvino<br />
comunicazione (Figg. 22 e 24): qualunque comunicazione<br />
esca, poiché la pubblica amministrazione, <strong>di</strong> volta in vota<br />
chiama un attore <strong>di</strong>verso, <strong>è</strong> soltanto tenuto a inserire<br />
questa banda <strong>di</strong> colore e quin<strong>di</strong> che cosa succede? Che,<br />
la comunicazione sarà ogni volta <strong>di</strong>versa ma rimane il<br />
dato che, la comunicazione stessa, viene riconosciuta<br />
rispetto all’emittente prima ancora dei contenuti <strong>di</strong> cui <strong>è</strong><br />
portatrice.<br />
Questo dato, moltiplicato all’infinito, ha dato una<br />
riconoscibilità alla comunicazione <strong>del</strong> comune che mi<br />
ripaga <strong>di</strong> tutti i sacrifici che ho dovuto fare per convincere<br />
i miei referenti ad adottarlo.<br />
Naturalmente, una volta definito il progetto per il<br />
Comune, abbiamo cominciato a trovare spazio da parte<br />
<strong>del</strong>le imprese che sono controllate, sul piano <strong>del</strong> capitale,<br />
dal Comune stesso, per cui ecco la situazione prima:<br />
ve<strong>di</strong>amo <strong>come</strong> si parli <strong>di</strong> Metropolitana, trasporti <strong>di</strong><br />
superficie, azienda per l’ambiente (Fig. 23). Nel caso <strong>del</strong>la<br />
società preposta all’igiene urbana - non una <strong>del</strong>le più<br />
efficienti al mondo - quel che venne fuori nel rapporto<br />
con i <strong>di</strong>pendenti, <strong>è</strong> un mondo che ha consapevolezza, a<br />
livello <strong>di</strong> personale che lavora, <strong>del</strong> ruolo e <strong>del</strong>l’importanza.<br />
Noi abbiamo conosciuto persone splen<strong>di</strong>de, che ci hanno<br />
detto “purtroppo ci si accorge <strong>del</strong> nostro lavoro solo<br />
quando scioperiamo, tutto <strong>quello</strong> che facciamo non viene<br />
percepito”.<br />
Mentre abbiamo una lettura da parte <strong>del</strong> vertice che non<br />
<strong>è</strong> esattamente rispondente ad un’idea <strong>di</strong> responsabilità<br />
sociale e <strong>di</strong> efficienza, ma forse questo non andrebbe detto<br />
pubblicamente.Qui la traduzione <strong>del</strong> simbolo in mano<br />
(Fig. 24), proprio perché <strong>è</strong> un lavoro che ancora oggi si<br />
compone in maniera totalmente manuale, che rimanda ad<br />
un’idea <strong>di</strong> sole, perché <strong>è</strong> tra le icone, per eccellenza, scelte<br />
quando parla <strong>di</strong> ambiente. Abbiamo operato una piccola<br />
rivoluzione nelle livree degli automezzi (Figg. 25-26) ecc.,<br />
dopo<strong>di</strong>ch<strong>è</strong> <strong>di</strong>ciamo che il progetto non ha avuto <strong>del</strong>le<br />
ripercussioni particolarmente felici, per cui c’<strong>è</strong> un dato <strong>di</strong><br />
bran<strong>di</strong>ng 2.0: i writer hanno provveduto a dare alla livrea<br />
una interpretazione loro, quin<strong>di</strong> il brand <strong>è</strong> <strong>di</strong>ventato il<br />
<strong>di</strong>segno fatto sugli automezzi in argento e oro.<br />
Quin<strong>di</strong> Roma <strong>è</strong> il contenitore <strong>di</strong> tutto <strong>quello</strong> che succede,<br />
e normalmente rispetto alla fruizione <strong>del</strong>la città abbiamo<br />
tutti un atteggiamento paragonabile a <strong>quello</strong> <strong>del</strong>l’acqua:<br />
fino a quando scorre dai rubinetti, non le <strong>di</strong>amo valore,<br />
se sta in una bottiglia con una buona etichetta, la<br />
paghiamo una cifra che <strong>è</strong> bel lontana dal valore industriale<br />
<strong>del</strong> prodotto. Allora se si comincia a valorizzare ogni<br />
patrimonio <strong>del</strong>la città si può pensare <strong>di</strong> recuperare in<br />
termini <strong>di</strong> cre<strong>di</strong>bilità <strong>del</strong>la città stessa: al tempo stesso il<br />
contenitore <strong>di</strong>venta portatore dei suoi contenuti.<br />
Questa <strong>è</strong> l’organizzazione grafica <strong>del</strong>l’identità <strong>del</strong> sistema<br />
<strong>di</strong> mobilità <strong>del</strong>la città (Figg. 27-28) e potete vedere la<br />
nuova livrea degli autobus, che contrariamente a quanto<br />
sta avvenendo in quasi tutte le città <strong>del</strong> mondo, dove gli<br />
autobus <strong>del</strong> trasporto urbano sono ipercolorati, abbiamo<br />
scelto, in una città che <strong>di</strong> episo<strong>di</strong> ne ha tantissimi, <strong>di</strong><br />
sottrarre elementi alla livrea e quin<strong>di</strong> abbiamo questo<br />
colore grigio metallizzato con una fascia soltanto che<br />
rimanda sempre al marchio Roma. Ancora, elementi<br />
ulteriori <strong>di</strong> applicazione (Figg. 29-30).<br />
E anche qui, per la segnaletica, abbiamo <strong>di</strong>segnato<br />
un carattere ad hoc, proprio perché <strong>di</strong> solito oggi<br />
la non cultura <strong>del</strong>la segnaletica fa si che i caratteri<br />
impiegati per uso tipografico vengano poi ingran<strong>di</strong>ti<br />
per la segnaletica, mentre dovete sapere che esiste il<br />
cosiddetto font <strong>di</strong>splay che nasce per essere letto bene<br />
a <strong>di</strong>mensioni gran<strong>di</strong>. Questo <strong>è</strong> l’urbs <strong>di</strong>splay, e quelli<br />
sono tutti pittogrammi (Fig. 31) che abbiamo applicato<br />
in un progetto anche <strong>di</strong> carattere architettonico che <strong>è</strong><br />
la fermata <strong>del</strong>la metropolitana Manzoni (Fig. 32); ora<br />
dovete sapere che il fascismo, con tutti i suoi <strong>di</strong>fetti però<br />
realizzò fermate <strong>del</strong>la metropolitana ispirate agli impianti<br />
basilicali, quin<strong>di</strong> la parte <strong>di</strong> attesa era la navata centrale,<br />
e i treni scorrevano all’interno <strong>del</strong>le navate laterali.<br />
L’Italia Repubblicana, molto più ricca, ha realizzato la<br />
linea A <strong>del</strong>la Metropolitana <strong>di</strong> Roma, ispirandosi alle<br />
catacombe: veramente, sono un insieme <strong>di</strong> cunicoli che<br />
hanno <strong>del</strong>l’inspiegabile. E quin<strong>di</strong>, il lavoro che abbiamo<br />
cercato <strong>di</strong> fare, in questa stazione (Fig. 33), <strong>è</strong> <strong>quello</strong> <strong>di</strong><br />
recuperare attraverso elementi <strong>di</strong> linguaggio architettonico,<br />
i dati propri <strong>del</strong> concept <strong>del</strong> comune, <strong>come</strong> il parapetto<br />
<strong>del</strong>l'atrio <strong>del</strong>la stazione che si rifà alla fascia rossa che<br />
<strong>è</strong> l’elemento connotativo <strong>di</strong> tutto il sistema d’identità<br />
<strong>del</strong>la città. Anche i treni riprendono lo schema generale<br />
<strong>del</strong>l’identità che abbiamo assegnato.<br />
Siamo arrivati alla fine.<br />
Io sono innamorato <strong>di</strong> Calvino e le lezioni americane sono<br />
il nostro commitment aziendale e quin<strong>di</strong> mi congedo da<br />
voi con questa frase:<br />
“Di una città non go<strong>di</strong> le sette<br />
o le settantasette meraviglie<br />
ma la risposta che dà<br />
ad una tua domanda.”<br />
C’<strong>è</strong> una domanda <strong>di</strong> appartenenza che credo sia sempre<br />
più avvertita, pensate soltanto alle logiche <strong>di</strong> solitu<strong>di</strong>ne<br />
collettive <strong>di</strong> una città <strong>di</strong> oggi, dove le case le chiamiamo<br />
appartamento proprio perché ci fanno appartare dagli<br />
altri; i pugliesi che sono in sala, conosceranno citta<strong>di</strong>ne<br />
stupende <strong>come</strong> Cisternino, dove le strade sono corridoi e<br />
dove la gente mette la se<strong>di</strong>a fuori <strong>di</strong> casa e <strong>di</strong>aloga con chi<br />
abita <strong>di</strong> fronte. Praticamente, la strada-corridoio serviva a<br />
mantenere vivo il principio <strong>di</strong> relazione, dove la casa era<br />
soltanto lo spazio per le attività private, perché il resto<br />
<strong>del</strong>la vita si svolgeva secondo un principio identitario, che<br />
<strong>è</strong> <strong>quello</strong> proprio <strong>del</strong>la relazione.<br />
L’architettura <strong>è</strong> tale quando si genera lo spazio e lo<br />
spazio genera relazione; nell’era <strong>di</strong> internet 2.0 forse la<br />
relazione sarà in grado <strong>di</strong> generare nuovi spazi, ma il mio<br />
auspicio, senza tante nostalgie, <strong>è</strong> che si ricucia quest’idea<br />
<strong>di</strong> relazione proprio perché abbiamo tutti un bisogno <strong>di</strong><br />
identità, che non <strong>è</strong> quella <strong>di</strong> logoville o <strong>di</strong> quant’altro, ma<br />
il riconoscimento <strong>di</strong> noi stessi rispetto al vivere insieme.<br />
Grazie.<br />
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