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CAPR - Ignaziana - Rivista di Ricerca Teologica

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ROSSANO ZAS FRIZ DE COL S.I.LA CONDIZIONE ATTUALEDEL PRESBITERO RELIGIOSONELLA CHIESA*Il Concilio Vaticano II ha emanato tre decreti che sono stati para<strong>di</strong>gmaticiper la vita dei presbiteri e dei religiosi negli ultimi 38 anni: ildecreto Presbyterorum Or<strong>di</strong>nis (7-12-1965) sul ministero e sulla vitadei presbiteri, a cui si accosta quello sulla formazione sacerdotale OptatamTotius (28-10-1965), e quello de<strong>di</strong>cato al rinnovamento dellavita religiosa Perfectae Caritatis (28-10-1965). A questo impulso inizialedato dal Concilio hanno fatto seguito i Sino<strong>di</strong> dei Vescovi. Il risultatoè stato la promulgazione del documento Ultimis temporibus da partedel Sinodo dei Vescovi del 1971 per i presbiteri e, da parte del SantoPadre Giovanni Paolo II, <strong>di</strong> altre due esortazioni post-sinodali per promuoveree stimolare un necessario aggiornamento della vita religiosa(Vita Consecrata, 1986) e un’adeguata formazione dei sacerdoti (Pastoresdabo vobis, 1992).Se da questo contesto ecclesiale si va all’Annuario Statistico dellaChiesa 1 , nell’anno 2000 il clero <strong>di</strong>ocesano sommava 265.781 presbiterinel mondo, mentre il clero religioso 139.397. Ciò significa che nelmondo su ogni tre presbiteri, uno è religioso. Un terzo dei presbiteriappartengono a istituti <strong>di</strong> vita consacrata, ma né il Concilio né i Sino<strong>di</strong>posteriori hanno considerato i presbiteri religiosi come una realtà conuna identità propria nella vita e nella missione della Chiesa. Sono semprestati considerati ambiguamente come presbiteri <strong>di</strong>ocesani, quandosi trattava del loro ministero incarnato in una <strong>di</strong>ocesi, o come religiosiquando si considerava la loro situazione in quanto membri <strong>di</strong> un istitutoreligioso. E tuttavia non sono né presbiteri <strong>di</strong>ocesani né religiosi.Sono presbiteri religiosi.Su questo sfondo il presente stu<strong>di</strong>o sviluppa nella prima sezione unarassegna delle valutazioni bibliografiche sulla situazione ecclesiale delpresbitero nel dopo Concilio (1965-2002). Nella seconda sezione sipresenta una ricerca bibliografica <strong>di</strong> quanto si è scritto <strong>di</strong> più significativonello stesso periodo sul rapporto tra ministero or<strong>di</strong>nato (MO) e* Il presente stu<strong>di</strong>o è una totale rielaborazione compiuta dall’autore dell’articolo«Ministerio ordenado y vida consagrada» apparso nella rivista spagnola <strong>di</strong> spiritualitàignaziana Manresa 74 (2002) 371-400.1SECRETARIA STATUS, Annuarium Statisticum Ecclesiae, LEV, Città del Vaticano 2002,171.200.RdT 45 (2004) 35-7135R. ZAS FRIZ


vita consacrata (VC). Infine, nella terza e ultima sezione si offre unasintesi interpretativa <strong>di</strong> quanto si è esposto nelle sezioni precedenti.La motivazione <strong>di</strong> fondo è prendere atto dell’approccio attuale dellateologia del ministero or<strong>di</strong>nato e della letteratura che vincola il MO ela VC con lo scopo <strong>di</strong> inserire in tale contesto teologico ed ecclesialeuna riflessione sull’identità attuale del presbitero religioso nella Chiesa.1LARIFLESSIONE TEOLOGICA SUL MINISTEROORDINATO DAL CONCILIO VATICANO IIAI NOSTRI GIORNILa bibliografia sul sacerdozio cattolico e sul presbitero è sterminata.Qui offriamo soltanto un’analisi <strong>di</strong> alcune valutazioni bibliografichefatte sul tema durante il post-concilio, in modo tale da prendere atto,seguendo queste valutazioni, dell’evoluzione che si è compiuta nellatrattazione dell’argomento.Nel 1970 l’attuale Arcivescovo <strong>di</strong> Milano, Dionigi Tettamanzi, pubblicòuna bibliografia con stu<strong>di</strong> e <strong>di</strong>scussioni sia anteriori sia imme<strong>di</strong>atamenteposteriori al Concilio 2 . Come è noto, dopo il Concilio la ricercasi concentrava sull’identità del sacerdote e sul “sacerdozio ministeriale”.Negli anni seguenti avviene un importante cambiamento <strong>di</strong> prospettiva,come in<strong>di</strong>cato da Hervé Legrand O.P. in un articolo pubblicatonel 1974 3 . Si tratta della svolta ecclesiologica nella riflessione sullaChiesa: tutti i fedeli sono responsabili della vita della Chiesa e nonsoltanto il sacerdote e la gerarchia. Alla fine degli anni settanta, GiorgioGozzelino 4 pubblica una rassegna delle pubblicazioni sul sacerdozio,<strong>di</strong>venuto ormai “ministero or<strong>di</strong>nato” grazie alla svolta ecclesiologica, ela <strong>di</strong>vide in 12 sezioni, mostrando così come si sono sviluppati e moltiplicatii temi sull’argomento.Se<strong>di</strong>ci anni dopo la conclusione del Concilio, Maurice Vidal 5 pubblicanel Dictionnaire de Spiritualité (1986) un articolo sul “Presbiterato”e non sul “sacerdozio”, confermando così anche la svolta biblicarealizzata nella concezione del ministero or<strong>di</strong>nato. Il suo articolo parte2D. TETTAMANZI, «Saggio bibliografico sul ministero sacerdotale», in Asprenas 17(1970) 202-222.3H. LEGRAND, «Los ministerios. Ensayo de análisis del estado de las grandes líneas deinvestigación en la teología católica», in Pro Mun<strong>di</strong> Vita (E) 50 (1974) 7-15.4G. GOZZELINO, «Teologia dei ministeri. Una bibliografia ragionata sui ministeri or<strong>di</strong>natie sul sacramento dell’Or<strong>di</strong>ne», in Catechesi (1979/3) 61-71; (1979/4) 89-96.5M. VIDAL, «Presbytérat, VII: après le Concile Vatican II», in Dictionnaire de Spiritualité,XII/2, Beauchesne, Paris 1986, coll. 2099-2106.R. ZAS FRIZ 36RdT 45 (2004) 35-71


dal Sinodo del ’71 sul sacerdozio. L’autore ritiene che la crisi del presbiterosia non solo una crisi d’identità o <strong>di</strong> spiritualità del clero, ma piuttostouna serie <strong>di</strong> problemi determinati da fattori sociali ed ecclesialiche si sono intrecciati determinando una crisi del “clero”, una crisi delsuo statuto sociale, culturale ed economico nell’ambito della societàcivile moderna (cf coll. 2103).Nel 1990 Franco Giulio Brambilla pubblica uno stu<strong>di</strong>o sullo statodella ricerca intorno alla teologia del ministero or<strong>di</strong>nato 6 . Secondo l’autore,il passaggio dalla problematica sull’identità sacerdotale a quellasul ministero or<strong>di</strong>nato, durante gli anni ’80, è dovuta soprattutto all’interessedei teologi focalizzati sul rapporto tra l’esercizio del ministero ela comunità locale. Il nuovo orientamento si è sviluppato a causa dellascarsità <strong>di</strong> clero che ha incoraggiato la riflessione sui ministeri alternativi,ma anche grazie alla ricerca dell’identità del presbitero nell’equilibriotra la “deduzione cristologica e la fondazione ecclesiologica” e –ultimo, ma non meno importante – dovuto a una ricerca <strong>di</strong> identitàspirituale: la spiritualità <strong>di</strong>ocesana.Il pensiero <strong>di</strong> Mario Caprioli O.C.D. 7 , che conclude la sua valutazionedelle pubblicazioni sulla spiritualità sacerdotale (dal 1965 al 1990),coincide con Brambilla nel senso che il problema dell’identità del presbiteronon è stato risolto, cioè non si è riusciti a dare un nuovo sensoconvincente al ministero dei presbiteri, così come alla loro spiritualità eal loro inserimento nella società civile.Conclu<strong>di</strong>amo questo primo paragrafo con un breve accenno a duestu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Erio Castellucci: il primo del 1996 e il secondo del 2002 8 .Questo autore presenta una buona sintesi del percorso evolutivo complessivosul MO fino ai nostri giorni, ma offre anche una sistematizzazioneteologica dell’intero processo. Perciò lo si può prendere come unimportante punto <strong>di</strong> riferimento dell’intera riflessione post-conciliare.Nel suo primo articolo l’autore segue l’evoluzione postconciliare dellabibliografia sul MO, <strong>di</strong>videndola in sei tappe (cf 26-27). La prima com-6Cf F.G. BRAMBILLA, «La teologia del ministero: stato della ricerca», in AA.VV. Ilprete. Identità del ministero e oggettività della Fede (Disputatio 2), Glossa, Milano1990.7Cf M. <strong>CAPR</strong>IOLI, «Spiritualità sacerdotale. Valutazione della bibliografia 1965-1990»,in Teresianum 42 (1991) 435-473; qui cf 472, dove fa riferimento al già citato articolo<strong>di</strong> Brambilla, 51. Per la revisione bibliografica degli ultimi anni si possono consultare lerassegne delle pubblicazioni sulla spiritualità sacerdotale realizzate dallo stesso autorenella <strong>Rivista</strong> <strong>di</strong> Vita Spirituale 46 (1992) 673-684; 50 (1995) 116-127; 51 (1997) 298-312; 53 (1999) 672-681; 55 (2001) 727-743.8Cf E. CASTELLUCCI, «A Trent’anni dal Decreto Presbyterorum Or<strong>di</strong>nis. La <strong>di</strong>scussioneteologica postconciliare sul ministero presbiterale», in La Scuola Cattolica 124 (1996)3-68.195-261; ID., Il ministero or<strong>di</strong>nato, Queriniana, Brescia 2002.RdT 45 (2004) 35-7137R. ZAS FRIZ


prende i commentari ai documenti conciliari (anni 65-68), mentre laseconda tappa verte sulla questione dell’identità sacerdotale (dagli ultimianni ’60 ai primi ’70; sono del 1971 i documenti Ultimis temporibusdel Sinodo dei Vescovi e “Il sacerdozio ministeriale” della Commissione<strong>Teologica</strong> Internazionale). Un terzo momento si estende dagli inizidegli anni ’70 fino ai primi ’80, con stu<strong>di</strong> molto importanti sul sacerdozio,specialmente nel campo esegetico e dogmatico. Un quarto momentoè segnato, agli inizi degli anni ’80, dagli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> E. Schillebeeckx sul<strong>di</strong>ritto della comunità ecclesiale ad avere l’Eucaristia 9 . Segue un quintomomento <strong>di</strong> sintesi teologica sul MO, che secondo Castellucci è rappresentatoda due lavori: quello <strong>di</strong> Gisbert Greshake, cristologico-dogmatico,e quello <strong>di</strong> Severino Dianich, <strong>di</strong> taglio ecclesiologico 10 . Infine,una sesta tappa – che in realtà si era iniziata timidamente negli anni ’60,ma che acquista uno sviluppo considerevole a partire dalla metà deglianni ’80 e specialmente con la Pastores dabo vobis –: quella della spiritualitàdel clero <strong>di</strong>ocesano.Castellucci è dell’opinione che la crisi d’identità del MO è in realtà ilriflesso della crisi d’identità della Chiesa. Le <strong>di</strong>fferenti opinioni sul presbitero<strong>di</strong>pendono dalle <strong>di</strong>verse ecclesiologie soggiacenti. La posizione dell’autoreè quella <strong>di</strong> me<strong>di</strong>are tra le due tendenze che oggi costituiscono ledue linee <strong>di</strong> forza della concezione del MO, quella cristologica e quellaecclesiologica, che egli chiama la tensione costitutiva dell’ecclesiologia (cf244). Essa consiste nell’armonizzare l’opera <strong>di</strong> Cristo e quella dello Spirito,conservandone le <strong>di</strong>fferenze, articolando così una teologia del ministeroor<strong>di</strong>nato che riprenda le innovazioni postconciliari tenendo conto <strong>di</strong>tutto lo sviluppo posteriore. Egli porta avanti questo tentativo <strong>di</strong> ripresasistematica nel suo libro pubblicato sei anni dopo l’articolo 11 .Secondo Castellucci«la questione fondamentale riguarda l’articolazione del riferimento cristologicocon quello ecclesiologico, entrambi essenziali. Se viene assolutizzatoil primo, il ministro si colloca “sopra” agli altri fedeli, come “me<strong>di</strong>atore”tra la Chiesa e Cristo; se viene assolutizzato il secondo, il ministro è semplicementeun “coor<strong>di</strong>natore” <strong>di</strong> doni che la comunità gestisce» 12 .9Cf E. SCHILLEBEECKX, Il ministero nella Chiesa: servizio <strong>di</strong> presidenza nella comunità<strong>di</strong> Gesù Cristo, Queriniana, Brescia 1981 (orig. olandese dell’anno 1980); ID., Per unaChiesa dal volto umano. Identità cristiana dei ministeri nella Chiesa, Queriniana, Brescia1986 (orig. olandese del 1985).10Cf G. GRESHAKE, Essere preti, Queriniana, Brescia 1995 2 (la prima e<strong>di</strong>zione tedescaè del 1982); S. DIANICH, Teologia del ministero or<strong>di</strong>nato. Una interpretazione ecclesiologica,Paoline, Roma 1984 2 .11Cf E. CASTELLUCCI, Il ministero or<strong>di</strong>nato, cit., 289-345.12Ib., 289. In realtà bisognerebbe sfumare ancora la situazione, giacché all’internodelle due correnti si scontrano altre tendenze. Così, nella corrente cristologica si trovanopresenti due tendenze: una sacerdotale, che segue un modello sacrale-cultuale, eR. ZAS FRIZ 38RdT 45 (2004) 35-71


Ma confrontando questa concezione con gli scritti normativi delNuovo Testamento si ritrova«l’esistenza <strong>di</strong> una <strong>di</strong>aconia, trasmessa con l’imposizione delle mani, cherifacendosi ai do<strong>di</strong>ci e per loro tramite a Gesù, è finalizzata all’e<strong>di</strong>ficazionedella Chiesa attraverso l’attualizzazione dei doni del Risorto; è dentro questecoor<strong>di</strong>nate che si collocano i temi classici dell’istituzione e natura delministero cristiano» (289).Per cogliere l’importanza del MO bisogna mantenere questa tensione,in modo che a partire dalla <strong>di</strong>mensione cristologica risalti la <strong>di</strong>mensionetrinitaria del MO e, contemporaneamente, dalla <strong>di</strong>mensione ecclesiologicail ministero acquisti la sua collocazione locale e universale.«Da questa duplice relazione prende luce la “carità pastorale”, comeelemento spirituale specifico del ministero or<strong>di</strong>nato» 13 .In conclusione, Castellucci riassume nella nozione <strong>di</strong> <strong>di</strong>aconia l’essenzadel MO:«Il ministero istituito da Gesù e attestato nel Nuovo Testamento è dunquequel carisma che, prolungando un aspetto della missione apostolica deido<strong>di</strong>ci, si specifica come servizio all’e<strong>di</strong>ficazione della comunità con l’autoritàe l’esempio che vengono da Cristo morto, risorto e vivente» (302).In questo senso, la <strong>di</strong>aconia ecclesiale costituisce la specificità dellaspiritualità del MO. Perciò gli sviluppi futuri della teologia del MOdovranno correre su un doppio binario: quello <strong>di</strong> maturare una teologiaed una spiritualità sia della chiesa locale (<strong>di</strong>ocesi-parrocchia), siadella <strong>di</strong>aconia del MO al servizio <strong>di</strong> quella chiesa particolare. Le sfide<strong>di</strong> questo progetto saranno quelle <strong>di</strong> mantenere il primato dell’orientamentocristologico ed eucaristico, senza cadere in una visione sacralistae cultuale del MO, ma anche dedurre tutte le conseguenze dogmatiche,spirituali e pastorali <strong>di</strong> questa visione ministeriale-pastorale, cosa chefino ad ora non si è fatto (cf 347-350).l’altra rappresentativa, <strong>di</strong> tipo piuttosto missionario-pastorale. Nella corrente ecclesiologicasi presentano due orientamenti: uno coor<strong>di</strong>nativo, <strong>di</strong>pendente da un modellocarismatico-funzionale, e un altro sacramentale, <strong>di</strong> tipo apostolico-missionario.13Ib., 290. Certamente la <strong>di</strong>aconia non è l’unica categoria che il Nuovo Testamentostabilisce tra Gesù, i do<strong>di</strong>ci e i ministri: esiste quella <strong>di</strong> sacerdozio, <strong>di</strong> pastore, <strong>di</strong> autorità,<strong>di</strong> missione (cf 295-297). «Ma se vogliamo trovare l’humus in cui affon<strong>di</strong>no le ra<strong>di</strong>ci<strong>di</strong> queste prospettive, che le collochi nel loro contesto originario e, in definitiva, esprimaal meglio la natura delle funzioni stabili neotestamentarie, dobbiamo ricorrere allanozione <strong>di</strong> “<strong>di</strong>aconia”. La sequenza <strong>di</strong>aconale è in grado <strong>di</strong> raccogliere gli elementidelle categorie precedenti, in<strong>di</strong>candone il senso e l’orientamento. Pastoralità, potere,missionarietà e anche (in seconda battuta) sacerdotalità, che connotano i ruoli comunitaridel Nuovo Testamento – a partire dal compito <strong>di</strong> Gesù, attraverso quello dei do<strong>di</strong>ci/apostoli,per arrivare alle numerose figure successive – hanno una <strong>di</strong>mensione <strong>di</strong>aconale:sono “servizi”, cioè funzioni “relative” a Cristo da una parte e alla Chiesa dall’altra»(297) (corsivo e virgolette dell’A.).RdT 45 (2004) 35-7139R. ZAS FRIZ


2ILMINISTERO ORDINATO E LA VITACONSACRATA NEL POSTCONCILIODalla promulgazione del Decreto Presbyterorum Or<strong>di</strong>nis alla pubblicazionedel libro <strong>di</strong> Castellucci (2002) sono passati 38 anni durante iquali la Chiesa istituzionale non ha emesso nessun documento specificosul rapporto tra MO e VC. Ma in questi anni, cosa hanno pensato su sestessi i presbiteri religiosi? Senza dubbio una risposta la si trova rivisitandola bibliografia sul tema 14 .2.1. Gli anni del <strong>di</strong>battito sull’identità sacerdotale (<strong>di</strong>ocesana)Negli anni ’70 compaiono alcune pubblicazioni sul rapporto tra MOe VC. Per A. Favale 15 la vita religiosa è uno stato <strong>di</strong> vita e non un’attivitào un ministero, tuttavia non incompatibile con il MO: il religioso presbiteropuò arricchire la sua esperienza spirituale partecipando al presbiterio<strong>di</strong>ocesano, o ad un gruppo (o anche a un movimento), integrandoalla sua spiritualità la sua esperienza pastorale. Secondo l’autorele modalità dell’esercizio del MO sono due: <strong>di</strong>ocesana e religiosa 16 .J.B. Hirschmann 17 sosterrebbe pure la legittimità <strong>di</strong> due tipi <strong>di</strong> clero,uno <strong>di</strong>ocesano e l’altro religioso 18 .Per H.J. Lauter O.F.M. 19 , la <strong>di</strong>fferenza tra i “due cleri” consisterebbein questo: la pastorale del clero <strong>di</strong>ocesano è or<strong>di</strong>naria e continuata neltempo e ha come oggetto della sua attività un gruppo stabile <strong>di</strong> fedeli,mentre la pastorale propria del clero religioso è straor<strong>di</strong>naria e intermittente,nel senso che va <strong>di</strong>retta a gruppi non stabili (corsi <strong>di</strong> esercizispirituali, missioni <strong>di</strong>ocesane e parrocchiali, peregrinazioni, ecc.). C’èda sottolineare che il clero religioso vive in comunità, ha una maggiorespecializzazione <strong>di</strong> lavoro, è de<strong>di</strong>to in certa misura al lavoro <strong>di</strong> équipe ealla vita contemplativa (cf 134-135).14Non consideriamo in questo stu<strong>di</strong>o il MO dei religiosi <strong>di</strong> vita contemplativa. Sultema si può vedere la bibliografia elencata da F. TABORDA, «O Religioso Presbítero: UmaQuestão Disputada: Reflexão Teológica a Partir da Tra<strong>di</strong>ção Jesuítica», in PerspectivaTeológica 31 (1999) 363-382, qui 377, nota 63.15Cf A. FAVALE, «Presbitero (spiritualità del)» in Dizionario Enciclope<strong>di</strong>co <strong>di</strong> Spiritualità,vol. 3, Città Nuova, Roma 1990 (prima e<strong>di</strong>zione del 1975), specialmente ilparagrafo sul religioso presbitero (2026-2029).16Cf A. FAVALE, «Presbitero...», cit., 2028-2029.17Cf J.B. HIRSCHMANN, «Ordenspriester und Gesamtpresbyterium in der Kirche», inK.W. KRAEMER - K. SHUH (Hrsg.), Priesterbild im Wandel, Essen-Werden 1970, 94-100.18Cf ib., 97; citato da F. TABORDA, «O religioso presbítero...», cit., 373, nota 43.19Cf H.J. LAUTER, «Der Ordenspriester», in Ordenskorrespondez 13 (1973) 134-138.R. ZAS FRIZ 40RdT 45 (2004) 35-71


P. Lippert C.Ss.R. 20 è del parere che per aggiornare l’identità delpresbitero religioso si deve tenere conto principalmente <strong>di</strong> tre aspetti:si dovrebbe ripensare la funzionalità dei voti in una ecclesiologia rinnovata,favorire nella comunità religiosa tra<strong>di</strong>zionale una nuova concezionedella leadership e sviluppare una pastorale unica che metta inarmonia la pastorale straor<strong>di</strong>naria delle comunità religiose e quella or<strong>di</strong>nariadel vescovo <strong>di</strong>ocesano. Tuttavia rimane chiaro che la caratteristicadel presbitero religioso è quella <strong>di</strong> vivere il sacerdozio in comunitàe <strong>di</strong> lavorare in équipe (cf 39-43).2.2. Gli anni della svolta ecclesiologica:dall’identità sacerdotale al Ministero or<strong>di</strong>natoDurante gli anni del processo in cui si opera questa svolta, numerosesono le pubblicazioni. Per J. Bonfins 21 , il religioso presbitero riceve nelcarisma e nella storia dell’istituto <strong>di</strong> appartenenza la sua identità; riceveuna tra<strong>di</strong>zione spirituale che deve conservare e aggiornare nelle circostanzeconcrete della vita e nelle con<strong>di</strong>zioni storiche particolari. La <strong>di</strong>fferenzacon il clero <strong>di</strong>ocesano è quin<strong>di</strong> evidente: è una <strong>di</strong>fferenza storica,nella misura in cui il MO è anteriore alla VC; ed è istituzionalegiacché tutte e due sorgono dallo stesso mistero del Cristo, ma si giustificanoin modo <strong>di</strong>verso. Il religioso presbitero deve aggiornare costantementela sua spiritualità e la sua fedele appartenenza al suo istitutome<strong>di</strong>ante l’osservanza delle regole al fine <strong>di</strong> evitare la <strong>di</strong>ssoluzione delcarisma proprio nell’esercizio del MO.P. Lippert C.Ss.R. elenca cinque ragioni per le quali è significativa lacollaborazione del clero religioso nella <strong>di</strong>ocesi 22 . Tuttavia, il religiosopresbitero è un religioso che ha assunto, per l’or<strong>di</strong>nazione sacramentale,dei compiti che deve assolvere prima a favore della propria comunitàe dopo per la chiesa particolare. Questa collaborazione ecclesialeporterà sempre con sé una tensione, perché è un servizio che si colloca20Cf P. LIPPERT, «Zum Selbstverstän<strong>di</strong>s des Ordenspriesters. Implikationen der neuerentheologischen Diskussion über das Priesterbild und über das Ordensleben im Hinblickauf den Ordenspriester», in Ordenskorrespondenz 14 (1978) 32-45.21Cf J. BONFINS, «Vie Presbytérale et vie religieuse», in Vie Consacrée 5 (1983) 277-291; cf ID., «Religieux et prêtres», in Documents-Episcopat (Bulletin du Secrétariat dela Conférence épiscopale française), Secrétariat général de l’épiscopat, Paris 1982, n o 4.22La presenza del clero religioso in una <strong>di</strong>ocesi è importante per la fortificazionedella chiesa locale, per supplire alla mancanza <strong>di</strong> clero <strong>di</strong>ocesano, per l’approfon<strong>di</strong>mentodella <strong>di</strong>mensione spirituale parrocchiale, per dare una testimonianza critica apartire dallo stile <strong>di</strong> vita più austero e, finalmente, per accogliere la <strong>di</strong>versità; cf P.LIPPERT, «Zur besonderen Berufung des Ordenspriesters in der Kirche», in Ordenskorrespondenz27 (1986) 55-64, qui 61-62.RdT 45 (2004) 35-7141R. ZAS FRIZ


tra la fedeltà al proprio carisma e la lealtà alla pastorale locale dellachiesa particolare dove si trova. Per l’autore la fonte dell’identità delreligioso presbitero è la comunità religiosa a cui appartiene.Da un punto <strong>di</strong> vista canonico H.J.F. Reinhart 23 si domanda se nelCo<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> Diritto Canonico vi sia qualcosa <strong>di</strong> specifico sul religiosopresbitero: sono in primo luogo presbiteri o religiosi? Secondo l’autoreil co<strong>di</strong>ce non dà una risposta.Di J. O’Malley S.I. abbiamo due stu<strong>di</strong> 24 . Nel primo sul sacerdozio, ilministero e la vita religiosa, l’autore sostiene che il modo abituale <strong>di</strong>pensare la vita religiosa non si adegua alla realtà storica; tale inadeguatezzaproduce confusione, come succede nel modo <strong>di</strong> concepire il rapportotra il MO e la VC nel così detto clero regolare. Sembrerebbe cheoggi, d’accordo con l’ecclesiologia dominante, esista soltanto un modo<strong>di</strong> essere presbitero, e che le <strong>di</strong>fferenze all’interno <strong>di</strong> quel modo sianosemplicemente delle sfumature dovute alle <strong>di</strong>verse spiritualità. Questomodo <strong>di</strong> pensare segue la tra<strong>di</strong>zione tridentina che si fonda nelle letterepastorali <strong>di</strong> Paolo e <strong>di</strong> Ignazio d’Antiochia, così come su Ambrogio eAgostino. In questo schema la base dell’azione pastorale della Chiesa èla parrocchia, portata avanti da un prete-pastore, cioè il parroco, il presbitero<strong>di</strong>ocesano. Il Vaticano II ha rafforzato questa prospettiva, fino alpunto da prenderla spontaneamente come normativa e, implicitamente,non ammettendo un’alternativa ad essa: la parrocchia è il luogo pereccellenza dell’esercizio del ministero or<strong>di</strong>nato (cf 256). I presuppostiche soggiacciono a questa concezione, e che sembrano essere il supportoteorico della Presbyterorum or<strong>di</strong>nis, sono che il ministero si deveesercitare in una comunità stabile, che quella comunità deve essere <strong>di</strong>credenti e che il ministro è in comunione gerarchica con il suo vescovo.È un modello ecclesiologico <strong>di</strong> tipo patristico che trova <strong>di</strong>fficoltà a riconciliarsicon il modello che tra<strong>di</strong>zionalmente serve <strong>di</strong> supporto alministero pastorale esercitato negli istituti religiosi (cf 250-251).O’Malley mostra come a partire dal secolo XIII si fa strada con ifrati men<strong>di</strong>canti un tipo <strong>di</strong> ministero <strong>di</strong>verso dal <strong>di</strong>ocesano. Tuttavia,egli osserva che troppo facilmente si trascura un periodo lungo e importantedell’evoluzione del presbitero nella storia, facendo silenzio sulmodo in cui il MO è stato vissuto dall’epoca apostolica e patristica finoal Vaticano II, <strong>di</strong>menticandosi quasi <strong>di</strong> 1.500 anni <strong>di</strong> storia. Or<strong>di</strong>naria-23Cf H.J.F. REINHARDT, «Die besondere Berufung der Ordenspriester im Dienst derKirche - aus rechtlicher Sicht», in Ordenskorrespondenz 27 (1986) 65-78.24Cf J. O’MALLEY, «Priesthood, Ministry, and Religious Life: Some Historical andHistoriographical Considerations», in Theological Stu<strong>di</strong>es 49 (1988) 223-257; ID., «TheHouses of Study of Religious Orders and Congregations: A Historical Sketch», in K.SCHUTH (ed.), Reason for the Hope: The Future of Roman Catholic Theologates, Glazier,Wilmington 1989, 29-45.R. ZAS FRIZ 42RdT 45 (2004) 35-71


mente non interessa la pratica me<strong>di</strong>evale del MO, ma quello che SanTommaso pensava sul sacerdozio. E non si considera mai nella riflessionesul MO il rapporto secolare tra MO e VC 25 . Si <strong>di</strong>mentica la riformagregoriana (che libera la Chiesa dalla giuris<strong>di</strong>zione civile) e l’apparizionedello stile apostolico nell’esercizio del MO, in contrapposizione aimonaci e ad un clero che viveva <strong>di</strong> benefici legati a uffici. Domenicanie francescani non aggiungono alla loro vita religiosa l’esercizio del MOcome una <strong>di</strong>mensione secondaria della loro vita apostolica: il sacerdoziofu sempre una <strong>di</strong>mensione <strong>di</strong> capitale importanza per l’autocomprensionedella loro identità.È <strong>di</strong> fondamentale importanza, per una concezione storicamentecorretta dell’evoluzione del MO, ritenere come un dato certo che – dalsecolo XIII in poi – appare un modo <strong>di</strong>verso <strong>di</strong> esercitare il MO, la cui<strong>di</strong>versità «non può essere ridotta a <strong>di</strong>fferenze nella spiritualità» (225).C’è stata piuttosto un’autentica <strong>di</strong>visione del lavoro (pastorale) tra ipresbiteri <strong>di</strong>ocesani e quelli religiosi. I primi si sono de<strong>di</strong>cati alla pastoralestabile <strong>di</strong> una comunità, mentre i secon<strong>di</strong> hanno operato specialmentecon gruppi definiti e in momenti speciali (in molti casi tra noncredenti). Questo modo “nuovo” non può essere concepito semplicementecome accidentale, ma deve essere considerato il riflesso <strong>di</strong> unmodo <strong>di</strong> esercitare il MO che si è consolidato lungo i secoli.Il secondo lavoro <strong>di</strong> O’Malley verte sulle case <strong>di</strong> formazione deireligiosi. L’apparizione del nuovo stile <strong>di</strong> MO suscitò il bisogno <strong>di</strong> preparareadeguatamente i giovani religiosi a questo esercizio. I gesuiti,per esempio, nel 1599 stabilirono la Ratio Stu<strong>di</strong>orum come il mezzoper orientare l’educazione dei giovani gesuiti. Nella metà del ’600 gliistituti <strong>di</strong> vita attiva hanno centri propri <strong>di</strong> formazione per i loro giovaniin funzione dei loro apostolati specifici, senza regolazione episcopaleo papale (cf 33-34).Dopo il Vaticano II questa situazione è cambiata, specialmente grazieall’influsso della Presbyterorum Or<strong>di</strong>nis. Oggi si tende a una visioneunitaria del MO, nella quale <strong>di</strong>ocesani e religiosi ricevono la stessa formazionee nella pratica questo si traduce nell’adozione <strong>di</strong> un unico25Cf J. O’MALLEY, «Priesthood, Ministry, and Religious Life...», cit., 225-229. Perl’autore questo atteggiamento è fondato su <strong>di</strong>verse convinzioni come quella <strong>di</strong> credereche la chiesa tridentina è la vera Chiesa, o quella <strong>di</strong> sopravvalutare i documenti delConcilio <strong>di</strong> Trento e sottovalutare l’esperienza storica vissuta, considerando i documentifondazionali degli istituti religiosi come documenti perfetti in sé non ulteriormenteperfettibili, evidenziando una concezione positiva della storia nella quale essa seguesempre una linea <strong>di</strong> progresso inarrestabile. «In armonia con questo modo <strong>di</strong> pensare, leriforme del Vaticano II si convertono in traguar<strong>di</strong> definitivi <strong>di</strong> sviluppi storici che sonocongelati nella loro perfezione, lasciando <strong>di</strong> invitare a riflessioni e ulteriori azioni sullarealtà che, per definizione, non può mai raggiungere una espressione perfetta in questomondo e che per questa ragione ha bisogno <strong>di</strong> costanti accertamenti» (229).RdT 45 (2004) 35-7143R. ZAS FRIZ


modello <strong>di</strong> formazione, quello <strong>di</strong>ocesano. La Ratio Fundamentalis perla formazione del clero (1970) non <strong>di</strong>stingue più tra seminarium (<strong>di</strong>ocesano)e stu<strong>di</strong>orum domus (religiosa), come non lo fa più l’attualeCo<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> Diritto Canonico del 1983. Per O’Malley si tratta <strong>di</strong> unanuova autocomprensione del presbitero, sia per il contenuto dei documentidel Magistero or<strong>di</strong>nario, sia per l’unificazione della formazionedove non si considerano le <strong>di</strong>fferenze tra <strong>di</strong>ocesani e religiosi 26 .L’articolo <strong>di</strong> B.E. Daley 27 va anche nella scia della riflessione storica.L’autore <strong>di</strong>stingue all’interno della comunità cristiana primitiva l’apostolo(come testimone autorizzato del Vangelo) dal <strong>di</strong>scepolo, colui chesegue ra<strong>di</strong>calmente Gesù. Mentre ogni apostolo è <strong>di</strong>scepolo, il <strong>di</strong>scepolonon è considerato rappresentante autorizzato e autorevole della comunitàcredente. La comunità elegge il suo rappresentante per un ufficio,perciò non si dovrebbe parlare tanto <strong>di</strong> vocazione. Me<strong>di</strong>ante l’esercizio<strong>di</strong> quell’ufficio si costituisce una gerarchia or<strong>di</strong>nata, <strong>di</strong>versa dalpopolo laico. Ma risulta che all’interno del popolo credente ci sonostati sempre dei fedeli che hanno seguito uno stile <strong>di</strong> vita religioso, cioècaratterizzato dalla professione dei voti <strong>di</strong> povertà, castità e obbe<strong>di</strong>enza.Così in realtà la comunità cristiana primitiva si costituisce con unagerarchia che assume la <strong>di</strong>rezione della comunità e con dei religiosi chesi de<strong>di</strong>cano alla ricerca <strong>di</strong> Dio.Storicamente è avvenuto un processo <strong>di</strong> clericalizzazione dei religiosi,sia perché i monasteri <strong>di</strong> vita contemplativa avevano bisogno <strong>di</strong> ministriper l’amministrazione dei sacramenti all’interno del monastero,sia perché dei religiosi vollero de<strong>di</strong>carsi a un tipo <strong>di</strong> apostolato per ilquale c’è bisogno del sacramento dell’or<strong>di</strong>ne (or<strong>di</strong>ni men<strong>di</strong>canti). Si26«Riguardo a quest’ultimo punto [l’unificazione della formazione], così crucialeper l’autocomprensione che gli or<strong>di</strong>ni religiosi hanno della loro missione e del loroministero, si deve notare che sembra sia stato semplicemente concesso da parte loro,mai criticato o <strong>di</strong>scusso sistematicamente», in J. O’MALLEY, «The Houses of Study...»,cit., 45. L’autore, nella pagina precedente, fa un bilancio della situazione negli StatiUniti. Constata che gli or<strong>di</strong>ni religiosi si sono trasferiti nelle città e hanno abbandonatola loro autonomia (freestan<strong>di</strong>ng status) amalgamandosi con istituzioni simili o mettendosiin rapporto con le università. Così, e in concomitanza con la <strong>di</strong>minuzione dellevocazioni, si sono create per la formazione dei religiosi istituzioni che hanno accoltopersonale da <strong>di</strong>versi istituti, sopprimendo alcune volte altre istituzioni preesistenti. Inquesta nuova situazione gli istituti religiosi non hanno più sentito il bisogno <strong>di</strong> formaregiovani professori, anche perché i laici hanno cominciato ad avere una presenza consistentenelle scienze teologiche. Finalmente, nella pratica, il curriculum teologico dellaformazione per il MO è determinato dalla Conferenza Episcopale o dalla Associationof Theological Schools.27Cf B.E. DALEY, «The Ministry of Disciples: Historical Reflections on the Role ofReligious Priests», in Theological Stu<strong>di</strong>es 48 (1987) 605-630.R. ZAS FRIZ 44RdT 45 (2004) 35-71


trovano però anche dei ministri or<strong>di</strong>nati che si riuniscono per vivereinsieme, come i canonici regolari agostiniani e premostratensi. I gesuitirappresenteranno uno stile rinnovato <strong>di</strong> questa stessa tendenza.In questo nuovo contesto l’apostolo non è soltanto uno dei Do<strong>di</strong>ci,ma il pre<strong>di</strong>catore itinerante inviato ad annunziare il Vangelo e a fondarenuove comunità. Nelle nuove fondazioni si svilupperanno delle struttureadatte per risolvere i bisogni della comunità. Lungo i secoli il MOsi è assimilato e praticamente identificato con ruoli stabili, specialmenteliturgici, arrivando fino al Me<strong>di</strong>oevo dove si sacralizza la sua figura.Dalla funzione primigenia <strong>di</strong> testimoniare il Vangelo, il MO <strong>di</strong>ventauno status liturgico e sacrale a cui si ha accesso me<strong>di</strong>ante l’or<strong>di</strong>nazione,sacramento che trasferisce all’or<strong>di</strong>nando il potere sacro <strong>di</strong> operare lasalvezza (cf 615).Sono due le componenti principali del MO che si possono riscattare:quello della pre<strong>di</strong>cazione e quello della presidenza sacramentale. Il ministroesercita il suo ufficio nella tensione tra il ruolo <strong>di</strong> chi trasmetteuna tra<strong>di</strong>zione e quello <strong>di</strong> chi <strong>di</strong>rige una comunità <strong>di</strong> fedeli, tensione tral’ufficio pastorale e quello istituzionale (carisma e funzione). Indubbiamentequesta tensione si produce anche nel presbitero religioso, ma inrealtà è una situazione paradossale: per il fatto <strong>di</strong> essere religioso eglidovrebbe essere coscienza critica dell’istituzione, ma precisamente il MOlo fa <strong>di</strong>pendente dall’istituzione della quale dovrebbe essere la coscienzacritica. Così si aggiunge alla normale tensione pastorale-burocrazia latensione tra vita attiva (esercizio ministeriale) e vita contemplativa (vocazionereligiosa). Per Daley è chiaro che la congiunzione tra MO e VCinizia intorno al secolo IV (con Basilio <strong>di</strong> Cesarea, Eusebio <strong>di</strong> Vercelli eSant’Agostino, così come con le comunità monastiche irlandesi del secoloVI e VII) e che d’allora è stata sempre vissuta con tensione 28 . La conclusionedell’autore è che essere presbitero religioso è vivere questo paradossocome una <strong>di</strong>mensione della propria particolare identità, arricchendocosì la Chiesa con il proprio contributo specifico <strong>di</strong>verso da quelloche potrebbe dare se fosse solo presbitero o solo religioso (cf 629).28Secondo Daley è comprensibile che la situazione o<strong>di</strong>erna del sacerdozio religioso(religious priesthood) sia incerta, visto che risente dei mutamenti secolari provenenti siada parte della vita religiosa sia da parte dell’esercizio del MO. Ma l’incertezza è dovutaanche al fatto che il suo significato oggi e il suo ruolo futuro non possono essere attuatiin<strong>di</strong>pendentemente dai cambiamenti attualmente in corso nella Chiesa e nella società.«Tuttavia il ruolo caratteristico del religioso presbitero nella Chiesa sembra proveniredal fatto che ha avuto sempre un aspetto <strong>di</strong> paradosso vivente: egli, assumendo duerealtà che sono sempre in tensione, si converte nel terreno <strong>di</strong> una tensione ancora piùovvia […]. Il costo, la quasi insopportabile esigenza del sacerdozio religioso viene dalfatto che mette insieme <strong>di</strong>scepolato e apostolato: esser chiamato ed essere inviato, ilrelazionale e lo strutturale, seguire Gesù nel suo cammino ed esser ufficialmente delegatoda lui per fare il suo lavoro» (B.E. DALEY, «The Ministry of Disciples...», cit., 625).RdT 45 (2004) 35-7145R. ZAS FRIZ


2.3. Negli anni del consolidamento dell’identità <strong>di</strong>ocesana del MONel 1990 l’argomento dell’VIII Assemblea Generale Or<strong>di</strong>naria delSinodo dei Vescovi fu la formazione sacerdotale. L’Associazione Belgadei Superiori Maggiori, in riferimento ai Lineamenta per il Sinodo, silamenta che non ci sia un più chiaro riconoscimento dei <strong>di</strong>versi carismicon i quali si esercita il MO e che nel documento non appaia esplicitamentemenzionata la <strong>di</strong>versità dei presbiteri religiosi 29 . L’Arcivescovo<strong>di</strong> Cincinnati (USA), Mons. Daniel E. Pilarczy, afferma che una dellecose che il Sinodo deve risolvere è il contributo dei presbiteri religiosialla vita della Chiesa (SV, 97).Il n. 24 dell’Instrumentum Laboris del Sinodo presenta la specificitàdella spiritualità del presbitero religioso (o appartenente a un istituto <strong>di</strong>vita consacrata o a un’associazione <strong>di</strong> vita apostolica) come consistente«nel vivere la stessa “Vita Apostolica” e le esigenze evangeliche alla luce<strong>di</strong> un carisma fondazionale e secondo una regola <strong>di</strong> vita speciale segnatada impegni precisi, come sono i voti» 30 .Il Ministro Generale dei Frati Cappuccini, P. Flavio Roberto Carraro,OFMCap., riconosce una <strong>di</strong>versità effettiva <strong>di</strong> carismi che è para<strong>di</strong>gmaticaper la formazione dei futuri ministri nelle <strong>di</strong>ocesi e negli istitutireligiosi, ma ricorda che«L’unità dei religiosi nell’or<strong>di</strong>ne sacerdotale si attua, me<strong>di</strong>ante i superiori,con il Sommo Pontefice e con la Chiesa universale: <strong>di</strong> qui nasce il significatoteologico dell’esenzione dei religiosi, e dell’approvazione pontificia dei<strong>di</strong>versi istituti» (SV, 278).Il Car<strong>di</strong>nale Jean-Jérôme Hamer, Prefetto della Congregazione pergli Istituti <strong>di</strong> Vita Consacrata e per le Società <strong>di</strong> Vita Apostolica, è dell’opinioneche negli istituti clericali l’esercizio del MO «appartiene allanatura stessa della vita religiosa (Perfectae caritatis, n. 8) e viene esercitatosecondo la natura, il fine, lo spirito e l’indole propria <strong>di</strong> ciascuno<strong>di</strong> essi (C.I.C., can. 578). Ogni Istituto riconosciuto dalla Chiesa costituisceuna certa unità in<strong>di</strong>visa» (SV, 307). Mons. Henry GoudreaultO.M.I., Vescovo <strong>di</strong> Labrador City (Canada), sostiene che esiste soltantoun sacerdozio ministeriale e che esso non aggiunge niente alla vita reli-29Cf G. <strong>CAPR</strong>ILE, Il Sinodo dei Vescovi 1990, Roma 1991, 25-26 (abbreviato SV,seguito dal numero della pagina).30SV, 593. E più avanti: «I sacerdoti <strong>di</strong>ocesani e religiosi saranno preparati a lavorareinsieme. Nella Chiesa <strong>di</strong>ocesana essi fanno parte del medesimo presbiterio, intorno alvescovo e sotto la sua autorità pastorale; essi sono globalmente responsabili della comunioneecclesiale e dell’annuncio del Vangelo. Questa collaborazione sarà facilitatada una comprensione reciproca delle vocazioni e dei carismi e da una stima vicendevoleche sarà promossa nei seminari e nelle case <strong>di</strong> formazione religiosa» (n. 46, p. 612;corsivo del testo).R. ZAS FRIZ 46RdT 45 (2004) 35-71


<strong>di</strong> altri sacerdoti sia religiosi sia <strong>di</strong>ocesani 35 . Per quanto riguarda la formazione,la specificità dell’Istituto orienta le norme dell’iter formativoproprio, ma adeguandosi a quelle che sono le norme generali <strong>di</strong> formazionenella Chiesa 36 .P.J. Philibert O.P., nel suo articolo sul presbitero nel contesto dellavita religiosa, inquadra il rapporto religioso-presbitero all’interno <strong>di</strong>quello che egli chiama la “<strong>di</strong>slocazione simbolica” (symbolic <strong>di</strong>slocation)37 . Quando un istituto sorge storicamente, si stabilisce un vincolosimbolico con la Chiesa. Se questo vincolo si mantiene nei termini originalida parte <strong>di</strong> uno dei due, ma cambia nell’altro per i mutamentiinevitabili nel corso degli anni, si opera la <strong>di</strong>slocazione simbolica, cioèil rapporto tra l’Istituto e la Chiesa non è più empatico (come all’originequando l’istituto fu approvato ecclesialmente). Per l’autore è chiaroche l’attuale rapporto religioso-presbitero soffre <strong>di</strong> questa <strong>di</strong>slocazione,perché la comprensione storica che la Chiesa ha <strong>di</strong> sé, del MO, dellaVC, dei carismi dei singoli istituti, delle con<strong>di</strong>zioni necessarie per l’or<strong>di</strong>nazionesacramentale non è armonica (cf 77-82) 38 . Situare bene que-35ID., «La formazione dei religiosi...», cit., 253. «Se, in generale, il “carisma”, come<strong>di</strong>ce Paolo, è «una manifestazione particolare dello Spirito per l’utilità comune» (1Cor13,7), dono <strong>di</strong> Dio e impegno dell’uomo per la crescita della Chiesa, il carisma <strong>di</strong> unIstituto religioso è una grazia dello Spirito dato a una famiglia religiosa, attraverso unfondatore, per renderla adatta e pronta per una missione specifica nella Chiesa. È quin<strong>di</strong>una grazia suscitata nella Chiesa e per la Chiesa. […] Quando questa missione derivaanche dalla vocazione al sacerdozio, comporta una particolare impronta “spirituale”per vivere un’esistenza non fondata “sulla carne e sul sangue”, ma nello Spirito delSignore risorto che si dona alla Chiesa».36«La spiritualità particolare dell’Istituto, senza mettere in ombra nessun aspetto delministero presbiterale come la Chiesa lo concepisce, ne evidenzia alcuni con un particolareaccento evangelico derivante dal carisma proprio» (A. BARRUFFO, «La formazionedei religiosi...», cit., 253).37Cf P.J. PHILIBERT, «Priesthood within the Context of Religious Life», in D.J. GOER-GEN (ed.), Being a Priest Today, Liturgical Press, Collegeville (Minnesota) 1992, 73-96.La seconda parte sviluppa il contributo specifico della VC al MO: vita <strong>di</strong> preghiera,libertà spirituale, carisma e formazione propria.38Un altro esempio è la situazione dell’Or<strong>di</strong>ne dei Pre<strong>di</strong>catori negli Stati Uniti. È unistituto conosciuto e riconosciuto per la sua secolare storia <strong>di</strong> apostolato intellettuale emissionario, ma non certamente per i suoi contributi allo sviluppo della pastorale parrocchiale.Tuttavia, negli Stati Uniti la prima fondazione fu una parrocchia e attualmentela maggioranza dei domenicani lavorano nell’ambito parrocchiale, da dove provengonoanche il maggior numero delle loro vocazioni. Conclude l’autore: «Abbiamo pochiricercatori e molto pochi pre<strong>di</strong>catori itineranti in proporzione ai nostri numeri»(79). C’è una <strong>di</strong>slocazione simbolica nella misura in cui il carisma dell’istituto e la realtàpastorale dell’istituto non coincidono: per risolvere la situazione bisogna accettare <strong>di</strong>fatto la pastorale parrocchiale come parte integrante del carisma dominicano, ma originariamentenon lo era. Un altro esempio è il caso <strong>di</strong> quegli Istituti che originariamenteinterpretavano la loro obbe<strong>di</strong>enza alla Santa Sede come cieca. Dopo il Vaticano II c’èRdT 45 (2004) 35-7149R. ZAS FRIZ


sto rapporto implicherebbe, secondo l’autore, accettare che vi sono duemodelli storici <strong>di</strong> presbiteri: uno orientato in senso veterotestamentario,modello <strong>di</strong> gran lunga predominante dal ’500 in poi; l’altro orientatoverso il servizio, che è un modello ristabilito dal Vaticano II. L’ipotesidell’autore è che i religiosi appartengono più al secondo modelloche al primo 39 . In conclusione, per Philibert l’identità del religioso presbiteroderiva innanzitutto dalla sua con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> religioso, più chedalla sua or<strong>di</strong>nazione sacramentale.J.C.R. García Paredes C.M.F. de<strong>di</strong>ca nel suo stu<strong>di</strong>o un paragrafo alrapporto tra MO e VC 40 . La vita consacrata, nata come un fenomenolaico, ha subito col tempo un processo <strong>di</strong> clericalizzazione, ma è anchevero che si è verificato il processo inverso: chierici che vivono a mo’ <strong>di</strong>religiosi, come è il caso dei chierici regolari. Questa mutua ricerca tuttavianon evita il rapporto conflittuale tra ambedue, forse per il fattoche il MO si presenta come una <strong>di</strong>gnità mentre la VC rappresenta larinuncia ad ogni <strong>di</strong>gnità e vuole sviluppare un sano atteggiamento criticoverso l’istituzione nel senso che vuole essere testimonianza <strong>di</strong> unavita nascosta, <strong>di</strong> fratellanza, evitando le <strong>di</strong>stinzioni tra i membri dellacomunità al punto <strong>di</strong> consentire che un religioso laico sia superiore <strong>di</strong>un presbitero religioso.Nell’ambito <strong>di</strong> una considerazione storica più precisa, l’autore asseverache il ministero itinerante del presbitero non legato più ad unachiesa particolare costituisce un nuovo rapporto tra MO e VC, come èavvenuto con lo sviluppo degli or<strong>di</strong>ni men<strong>di</strong>canti e poi con i chiericiregolari o istituti clericali, nei quali predomina la <strong>di</strong>mensione apostolico-ministerialesu quella tra<strong>di</strong>zionale dell’osservanza religiosa. Questotipo <strong>di</strong> clero si caratterizza per l’esenzione, cioè per la sua non incar<strong>di</strong>nazionein una <strong>di</strong>ocesi, <strong>di</strong>pendendo <strong>di</strong>rettamente dal Santo Padre per ilservizio alla Chiesa universale. In questa <strong>di</strong>pendenza si evidenzia la sua<strong>di</strong>mensione profetica, <strong>di</strong>pendenza che si è rinnovata a partire dall’ecclesiologiadelle chiese particolari dopo il Concilio 41 .una reinterpretazione <strong>di</strong> quella cecità: evidentemente il rapporto <strong>di</strong> obbe<strong>di</strong>enza si mantiene,ma nel post-concilio non lo si interpreta più come nel pre-concilio. Mantenerenel nuovo contesto la vecchia interpretazione è una <strong>di</strong>slocazione simbolica.39Cf P.J. PHILIBERT, «Priesthood within…», cit., 85. Una conferma si troverebbe nelfatto che l’apostolato dei religiosi nordamericani si sia spostato a favore dei poveri edegli emarginati.40Cf J.C.R. GARCÍA PAREDES, «Ministero or<strong>di</strong>nato», in Dizionario Teologico della VitaConsacrata, Ancora Milano 1994, specialmente 990-992 (l’e<strong>di</strong>zione originale spagnolaè del 1992).41Cf ib., 992. L’autore fonda questa affermazione sul documento conciliare ChristusDominus (n. 34), anche se noi la troviamo <strong>di</strong>fficilmente conciliabile con quella che èstata la tendenza ecclesiale ufficiale negli ultimi 35 anni.R. ZAS FRIZ 50RdT 45 (2004) 35-71


Il libro sul MO nella VC, pubblicato sotto la <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> P. HennessyO.P. nel 1997, si avvale <strong>di</strong> varie collaborazioni 42 . Presentiamo <strong>di</strong> seguitotre <strong>di</strong> esse: la prima, quella <strong>di</strong> John O’Malley S.I.: «Un presbiterato, duetra<strong>di</strong>zioni»; la seconda, «Teologia della vita religiosa e presbiterato», <strong>di</strong>David N. Power; e l’ultima, <strong>di</strong> R. Kevin Seasoltz, intitolata «Istituti <strong>di</strong>vita consacrata e ministero or<strong>di</strong>nato. Alcuni aspetti canonici».John O’Malley 43 riprende il tema del suo articolo già commentatodel 1988, ma approfon<strong>di</strong>sce la sua argomentazione. Riba<strong>di</strong>sce la tesiche esistono due tra<strong>di</strong>zioni presbiterali all’interno della Chiesa cattolicae che dopo il Vaticano II si è sottolineata soltanto una <strong>di</strong> esse (la <strong>di</strong>ocesana)al punto <strong>di</strong> perdersi quasi la memoria dell’altra (quella del clero <strong>di</strong>Vita consacrata). Sostiene il suo punto <strong>di</strong> vista me<strong>di</strong>ante la constatazioneche, nella pratica, l’esercizio del MO deve adempire quattro con<strong>di</strong>zioni:si deve esercitare tra credenti, in una parrocchia, in comunionecon il vescovo, me<strong>di</strong>ante l’or<strong>di</strong>nazione sacramentale che è l’autorizzazioneufficiale per esercitarlo (non solo cultualmente, ma anche pastoralmente).È bene però ricordare che i domenicani furono fondati percombattere gli albigesi; molti istituti clericali non hanno avuto parrocchie,ma scuole, ospedali, case <strong>di</strong> accoglienza, ecc.; l’ammissione aglior<strong>di</strong>ni sacri dei religiosi <strong>di</strong>pende dall’istituto religioso, non dal vescovo;e, almeno nella Compagnia <strong>di</strong> Gesù, bastava entrare nell’Istituto perassumere impegni pastorali, includendo la pre<strong>di</strong>cazione.Secondo l’autore la prassi degli istituti religiosi dovrebbe fare ripensareil ruolo del MO e cambiare l’attuale prospettiva e gli attuali meto<strong>di</strong>. Ilpresbiterato del religioso dovrebbe essere considerato come un elementoin più dell’evoluzione storica del MO. Bisogna considerare le <strong>di</strong>fferenzenon solo dal punto <strong>di</strong> vista della spiritualità e del carisma particolare,prospettiva che i religiosi hanno adoperato spesso per sostenere la loroparticolarità, ma spostare la <strong>di</strong>scussione verso la prassi ministeriale 44 .42Cf P. HENNESSY (ed.), A Concert of Charisms: Ordained Ministry in Religious Life,New York 1997. I collaboratori sono: J. O’Malley, R.K. Seasoltz, D.N. Power, R.J.Faley, D. Gottemoeller, M.D. Ukeritis, D.J. Nygren e P. J. Philibert.43Cf J. O’MALLEY, «One Priesthood: Two Tra<strong>di</strong>tions», in P. HENNESSY (ed.), A Concertof Charisms..., cit., 9-24.44Cf J. O’MALLEY, «One Priesthood...», cit., 14. È importante in questa situazioneconsiderare l’ampiezza dell’influsso del Concilio <strong>di</strong> Trento. Questo Concilio si centròsulle parrocchie e sulla riforma pastorale del clero e dei vescovi. Basti ricordare SanCarlo Borromeo e suo cugino, Federico. Tuttavia, è anche vero che contemporaneamentesi sviluppò la pastorale parallela del clero regolare, sia degli or<strong>di</strong>ni tra<strong>di</strong>zionali, come imen<strong>di</strong>canti, sia dei nuovi istituti come i cappuccini e i gesuiti. Le nuove istituzioni nonnascono dal bisogno <strong>di</strong> applicare una norma <strong>di</strong>sciplinare, ma dall’esperienza <strong>di</strong> un fondatoreo dalla constatazione <strong>di</strong> un bisogno pastorale. In questo senso, ogni tra<strong>di</strong>zione religiosaha le sue sfumature nell’esercizio del MO e perciò è importante per esse ritornarecostantemente al proprio carisma fondazionale per esercitare il MO in accordo ad esso.RdT 45 (2004) 35-7151R. ZAS FRIZ


Nella sua ricerca David N. Power afferma che l’ideale proposto alpresbitero <strong>di</strong>ocesano è quello della riforma gregoriana, mentre il contributoproprio del presbitero religioso all’identità del presbitero è ilcarisma proprio 45 . In questo ultimo caso, la domanda fondamentale dafarsi è quali erano i carismi fondazionali e come si rapportavano conl’esercizio del MO. Questo è importante per chiarire se è veramentenecessaria l’or<strong>di</strong>nazione sacramentale per l’esercizio <strong>di</strong> tale carisma oper stabilire fino a che punto la concezione del MO e del suo esercizioabbiano influito nel processo fondazionale e nello sviluppo ulterioredell’istituto (cf 67).Power offre anche un percorso storico dello sviluppo della teologiadel presbiterato e identifica quattro modelli: l’agostiniano, il contemplativo,il men<strong>di</strong>cante e il sulpiciano. È caratteristica comune <strong>di</strong> questimodelli porre speciale attenzione ai bisogni pastorali e alla realtà delministero, così come rapportare l’esercizio del MO in un determinatomomento storico alla tra<strong>di</strong>zione della Chiesa. Parallelamente l’autoreidentifica quattro modelli <strong>di</strong> sviluppo della vita religiosa: l’agostiniana,la monastica, la men<strong>di</strong>cante e la moderna missionaria. In ognuno <strong>di</strong>questi modelli la povertà è molto importante e ognuno ha cercato <strong>di</strong>adattare il MO al fine del proprio istituto, nella prospettiva <strong>di</strong> realizzareuna vita evangelica (cf 81).È necessario focalizzare l’attenzione sull’importanza della <strong>di</strong>mensionesacramentale della Chiesa e, in questo contesto, sull’importanza delMO e sul rapporto tra il MO e la Chiesa locale: il problema <strong>di</strong> fondo è<strong>di</strong>scernere se l’or<strong>di</strong>nazione <strong>di</strong> un battezzato non legato a una chiesalocale sia un’aberrazione o meno (cf 84).Per quanto riguarda lo sviluppo delle teologie della vita consacratadopo il Concilio si è privilegiata la categoria <strong>di</strong> consacrazione, ma oggisono più incisive le categorie <strong>di</strong> invio e <strong>di</strong> missione. Secondo l’autore laragione è semplice: «dare priorità alla missione è usare una norma praticapiuttosto che teorica per avviarsi verso il futuro» (88).In conclusione, per Power bisogna assumere un atteggiamento praticotra l’essere presbitero e l’essere religioso: bisogna essere fedeli alcarisma dell’Istituto in continuità con la sua storia. Non c’è una soluzioneteorica possibile senza questo atteggiamento pratico che implicail valorizzare la storia e valutare il presente.R. Kevin Seasoltz presenta uno stu<strong>di</strong>o canonico sul rapporto tra VCe MO a partire dal rapporto dei religiosi con l’attuale co<strong>di</strong>ce 46 . Secon-45Cf D.N. POWER, «Theologies of Religious Life and Priesthood», in P. HENNESSY(ed.), A Concert of Charisms..., cit., 61-103.46Cf «Institutes of Consecrated Life and Ordained Ministry: Some Canonical Issues»,in P. HENNESSY (ed.), A Concert of Charisms..., cit., 139-168.R. ZAS FRIZ 52RdT 45 (2004) 35-71


do l’autore bisogna <strong>di</strong>stinguere 1) tra l’esenzione <strong>di</strong> un istituto religioso,che riguarda la sua organizzazione interna, e 2) la sua autonomia,che invece riguarda l’intera organizzazione dell’istituto e non solo l’organizzazioneinterna. Il fatto è che risulta molto <strong>di</strong>fficile separare i dueaspetti, dato che se un istituto offre il suo carisma a una chiesa locale,ciò può portare dei conflitti con l’Or<strong>di</strong>nario. Un altro problema è lagiuris<strong>di</strong>zione dei religiosi non or<strong>di</strong>nati all’interno degli istituti con religiosior<strong>di</strong>nati: sembra che si confondano la giuris<strong>di</strong>zione (potestas) conil potere sacramentale conferito nell’or<strong>di</strong>nazione. In queste situazioniappaiono evidenti i limiti del nuovo co<strong>di</strong>ce; tali situazioni richiedonouna chiarificazione affinché gli istituti siano consci dei loro <strong>di</strong>ritti edelle loro responsabilità 47 . I religiosi sono responsabili della salvaguar<strong>di</strong>adella loro ere<strong>di</strong>tà spirituale e non dovrebbero né lasciarla corroderené permettere che sia loro tolta:«I membri degli istituti <strong>di</strong> vita consacrata devono preservare il loro legittimopatrimonio dalla erosione della legislazione canonica, che in alcuneistanze può essere incongruente con la loro tra<strong>di</strong>zione, in altre può esseresemplicemente irrilevante e in altre ancora può chiamare a una purificazionealla luce <strong>di</strong> una ermeneutica canonica chiarificata» (140).2.4. Alle soglie del nuovo millennioe <strong>di</strong> una nuova concezione plurale del MOL’ultimo articolo degli anni novanta è quello <strong>di</strong> F. Taborda S.I. 48 e hacome obbiettivo «pensare il ministero or<strong>di</strong>nato dei religiosi alla lucedell’attuale teologia del MO (a partire dalla chiesa locale)» (364). L’autoreriprende l’articolo <strong>di</strong> O’Malley dell’anno 1988 49 dove si sostieneche la <strong>di</strong>fferenza tra il presbitero <strong>di</strong>ocesano e quello religioso non èsoltanto dovuta a una spiritualità <strong>di</strong>versa, ma risponde a un modo <strong>di</strong>-47Ci sono altre situazioni che suscitano delle perplessità. Per esempio l’or<strong>di</strong>nazione<strong>di</strong>aconale <strong>di</strong> un religioso: il religioso si or<strong>di</strong>na avendo già fatto il voto <strong>di</strong> castità e <strong>di</strong>obbe<strong>di</strong>enza e tuttavia deve anche promettere celibato e obbe<strong>di</strong>enza all’or<strong>di</strong>nario delluogo e ai suoi successori. E per elencare ancora due situazioni <strong>di</strong> contrasto <strong>di</strong> minorrilievo: la prima è che normalmente i religiosi esercitano nelle loro case i ministeriminori relazionati con la liturgia (accolitato e lettorato) prima che vengano loro conferiticome transito obbligatorio verso il MO; come seconda situazione, è frequente nellecase dei religiosi che durante la celebrazione della Messa l’omelia sia con<strong>di</strong>visa traquelli che assistono, quando dovrebbe essere riservata solo al celebrante principale (cfR.K. SEASOLTZ, «Institutes of Consecrated Life…», cit., 160-161).48Cf l’articolo citato a nota 14. Esiste una versione italiana senza le considerazioniproprie della tra<strong>di</strong>zione gesuitica: «Il religioso presbitero: una questione <strong>di</strong>scussa», inVita Consacrata 38 (2002) 626-640 (la versione italiana è traduzione della versioneportoghese abbreviata: «O Religioso Presbitero: Uma Questão aberta», in Convergência35 [2000] 42-52). Cf nota4924.RdT 45 (2004) 35-7153R. ZAS FRIZ


verso <strong>di</strong> esercitare il MO. Taborda approfon<strong>di</strong>sce la <strong>di</strong>fferenza facendolarisalire fino al Nuovo Testamento. Il tentativo è particolarmente significativoperché nell’ecclesiologia attuale e specialmente nella teologiadel MO non si riconosce l’esistenza <strong>di</strong> un presbitero che non appartengaa un presbiterio: in pratica non c’è spazio per giustificare che unreligioso sia presbitero o <strong>di</strong>acono. In un primo momento Taborda, seguendoSchillebeeckx, delinea il MO secondo due modelli: quello delprimo millennio (pneumatologico-ecclesiale) e quello del secondo (cristologico-in<strong>di</strong>vidualista).L’or<strong>di</strong>nazione <strong>di</strong> religiosi non rappresenta unproblema nel secondo caso, il problema si pone invece quando nel VaticanoII si vuole ritornare al primo modello. L’autore fa un ulteriorepasso quando cerca <strong>di</strong> definire la con<strong>di</strong>zione del MO nella prima tra<strong>di</strong>zioneecclesiale. Allora si possono rintracciare tre modelli <strong>di</strong> esercizio:il locale-residenziale, l’itinerante-profetico e il martiriale. La tesi <strong>di</strong> Tabordaè che si devono considerare tre modelli <strong>di</strong> presbiterato per lafondazione teologica <strong>di</strong> una pluralità nel modo <strong>di</strong> comprendere e <strong>di</strong>vivere il MO (cf 377). Il religioso presbitero troverà il fondamento delsuo stile sacerdotale nel ministero della Parola, non nella <strong>di</strong>rezione dellacomunità (senza perciò escludere che possa presiedere la celebrazioneeucaristica).In questa prospettiva, il MO del religioso potrebbe pensarsi in continuitàcon il ministero “straor<strong>di</strong>nario” della presidenza eucaristica esercitatadai profeti itineranti della Chiesa primitiva, mentre i presbiteridel clero secolare sarebbero più nella linea dei ministeri locali “or<strong>di</strong>nari”nella <strong>di</strong>rezione della comunità, integrando la triade gerarchica (vescovi,presbiteri e <strong>di</strong>aconi). La conseguenza logica è che sarebbe menoappropriato per il clero religioso assumere parrocchie o funzioni <strong>di</strong>rettivestabili in una <strong>di</strong>ocesi, favorendo la <strong>di</strong>stinzione <strong>di</strong> vocazioni tra religiosie <strong>di</strong>ocesani. La revisione della legge del celibato aiuterebbe anchea questo chiarimento (cf 379-382).Nell’anno 2000 M. Costa S.I. pubblica un lungo articolo che contribuiscea fare luce sul rapporto tra VC e MO 50 . In effetti, questo rapportoè un problema esistenziale che riguarda l’unità <strong>di</strong> vita del presbiteroreligioso:è forse la sua una duplice vocazione, quella <strong>di</strong> essere presbiteroe religioso insieme? Costa parte dalla considerazione generale che«non dobbiamo pensare che sia il sacerdozio a determinare il carisma ecclesiale<strong>di</strong> un Istituto <strong>di</strong> vita religiosa, semmai è piuttosto il carisma ecclesialedell’Istituto, ben più ricco e complesso, ad in<strong>di</strong>care il modo in cui ilreligioso deve essere sacerdote» (57).50Cf M. COSTA, «“Sacerdote-religioso” o/e “Religioso-sacerdote”? Vocazione al sacerdozioe vocazione alla vita religiosa negli Istituti <strong>di</strong> vita consacrata», in InformationesSCRIS 26 (2000) 55-87.R. ZAS FRIZ 54RdT 45 (2004) 35-71


Una prima <strong>di</strong>stinzione attinente per chiarire il rapporto tra MO eVC è prendere coscienza che ogni sacerdote ha ricevuto contemporaneamenteall’or<strong>di</strong>nazione l’incar<strong>di</strong>nazione, cioè è stato inserito in uncontesto storico, sociale ed ecclesiale determinato nel quale eserciteràconcretamente il suo ministero. Per questa ragione non si deve «identificareil carisma del ministero sacerdotale con il carisma della secolarità<strong>di</strong>ocesana» (58), perché il MO si può concretizzare come un carisma<strong>di</strong>ocesano o religioso, a seconda <strong>di</strong> dove è incar<strong>di</strong>nato il presbitero (chiesalocale o istituto religioso). Come conseguenza <strong>di</strong> questa impostazioneavremo che il presbitero <strong>di</strong>ocesano è ugualmente invitato a cercare l’unitàvitale tra MO e incar<strong>di</strong>nazione, per non falsare la propria vocazione.Per quanto riguarda il rapporto tra MO e VC si può anche sostenereche un religioso è presbitero o che un presbitero è religioso. Nel primocaso (religioso presbitero) si <strong>di</strong>stingue tra due religiosi, uno presbiteroe l’altro no, mentre nel secondo (presbitero religioso) si <strong>di</strong>ce che il presbiteroè religioso e non <strong>di</strong>ocesano.Una seconda <strong>di</strong>stinzione importante va fatta nell’ambito della vitaconsacrata. La VC, <strong>di</strong> per sé, non è né clericale né laicale, ma un Istitutoè o clericale o laicale (CIC 588, § 1). Gli istituti clericali interpretano ilMO come essenziale alla loro identità, anche se non tutti i membrisono or<strong>di</strong>nati e non è sufficiente per la loro identità il semplice esercizioministeriale perché lo si deve realizzare in armonia con un determinatostile <strong>di</strong> vita:«Negli Istituti strettamente sacerdotali, come per esempio la Compagnia <strong>di</strong>Gesù, la sacerdotalità prima <strong>di</strong> essere una questione <strong>di</strong> ministeri da espletaree da scegliere, consiste in uno stile <strong>di</strong> vita e in uno spirito che in-forma(= dà forma a) ogni attività e missione facendola essere ministero, e chepertanto, se forse nella sua forma più evidente si esprime in ministeri particolari,non necessariamente ad essi si riduce. I ministeri cosiddetti sacerdotalisono attività e modelli archetipi del servizio apostolico sacerdotaleche il sacerdote religioso rende a servizio della missione apostolica dellaChiesa» (64).Si potrebbe porre però ancora un’altra <strong>di</strong>stinzione negli Istituti <strong>di</strong>VC. I religiosi sacerdoti sono quelli che assumono la <strong>di</strong>mensione sacerdotalein modo più esterno, come un ministero, come una <strong>di</strong>mensioneche si aggiunge alle altre della VC; il MO è al servizio della realizzazionedella particolare vocazione apostolica dell’istituto. La <strong>di</strong>mensionesacerdotale è subor<strong>di</strong>nata alla vocazione religiosa. Invece i sacerdotireligiosi interpretano la loro sacerdotalità come il principio che dà unitàe senso alla vita personale e comunitaria 51 .51«Nel secondo caso, invece, anche quando l’Istituto fosse impegnato in manieraconsiderevole nel campo della promozione della giustizia e un buon numero dei suoimembri sacerdoti quasi solo episo<strong>di</strong>camente <strong>di</strong> fatto esercitassero un ministero pastoralestrettamente legato al sacramento dell’Or<strong>di</strong>ne, la <strong>di</strong>mensione sacerdotale dellaRdT 45 (2004) 35-7155R. ZAS FRIZ


L’autore, nella n. 19, fa una <strong>di</strong>gressione molto interessante sul modoin cui ogni istituto è segnato dalle sue origini. Pone come esempio il casodella Compagnia <strong>di</strong> Gesù. Ignazio de Loyola seppe raggruppare intornoa sé giovani studenti <strong>di</strong> teologia che, una volta or<strong>di</strong>nati, lo elessero capodel loro corpo. Allo stesso modo, nel percorso formativo-incorporativoalla Compagnia, la professione si realizza dopo l’or<strong>di</strong>nazione. Questapratica è in contrasto con il Co<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> Diritto Canonico (cc. 265, 266,1019, 1037), il quale suppone esattamente il contrario: il religioso, peressere or<strong>di</strong>nato, deve essere pienamente incorporato al suo istituto. SecondoCosta, questo fatto mostra l’attuale preferenza della Chiesa per ilreligioso sacerdote; come conseguenza c’è una maggiore <strong>di</strong>fficoltà percomprendere la figura del sacerdote religioso. Tuttavia la«minore stima e considerazione in cui è oggi tenuta la vita religiosa clericalenella Chiesa stessa non deve e non può, però, in nessun modo giustificareil mettere tra parentesi, da parte degli Istituti clericali, il carattere sacerdotaledel carisma degli Istituti clericali, o ad<strong>di</strong>rittura, la rinuncia ad essoper una falsa concezione <strong>di</strong> aggiornamento o <strong>di</strong> adattamento alle particolaricircostanze <strong>di</strong> tempo e <strong>di</strong> luogo che oggi si verificano» (66-67).Una terza <strong>di</strong>stinzione tra MO e VC si può stabilire a livello dellapersona. In un religioso sacerdote o in un sacerdote religioso si creano<strong>di</strong>versi poli <strong>di</strong> tensione. Il primo è quello che nasce a partire dal connubiotra il sacramento ricevuto e la vocazione religiosa. Un secondo poloè quello che riflette la tensione che si produce tra lo stile <strong>di</strong>ocesano equello religioso e che a un livello più generale si manifesta come tensionetra la Chiesa universale e la Chiesa particolare. Il clero religioso hauna visione universale del suo apostolato locale, mentre il clero <strong>di</strong>ocesanoha una visione locale della sua missione, in un orizzonte universale(la Chiesa). Ma questa tensione tra particolare e universale operaanche all’interno della relazione MO-VC, perché il sacerdote religiosoha una visione più universale, mentre il religioso sacerdote ha una visionepiù locale: del primo è più normale essere nelle frontiere, delsecondo, al contrario, rimanere in un posto fisso (cf 76).vocazione del religioso viene ad integrarsi in un rapporto <strong>di</strong>alettico con la sua consacrazionereligiosa al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> un rapporto mezzo/fine o <strong>di</strong> subor<strong>di</strong>nazione dell’una versol’altra. Bisognerà, però che la vita dell’Istituto nel suo insieme come corpo-uno e, conseguentemente,quella <strong>di</strong> tutti i suoi membri in quanto partecipi del suo carisma, qualunquesia la concreta missione loro affidata dall’ubbi<strong>di</strong>enza, sia vissuta ad un profondolivello <strong>di</strong> interiorità. Questo, poi, dovrà essere tanto più profondo e intensamente vissutoquanto più l’attualizzazione della missione si situi all’esterno, su un piano piùpropriamente secolare e lontano dall’esercizio del ministero sacerdotale esclusivo eproprio <strong>di</strong> coloro che hanno ricevuto il sacramento dell’Or<strong>di</strong>ne. Solo in tal modo saràpossibile che la configurazione a Cristo capo, pastore e sposo, e la carità pastoraleimpregnino, motivino e creino il clima per tutta la loro esistenza e operatività, chepotrà allora <strong>di</strong>ventare sorgente <strong>di</strong> santificazione secondo le linee del carisma confidatoe trasmesso dal fondatore» (M. COSTA, «“Sacerdote-religioso”...», cit., 65-66).R. ZAS FRIZ 56RdT 45 (2004) 35-71


Ma il sacerdote religioso vive ancora un terzo polo <strong>di</strong> tensione: quellache si compie tra MO e il carisma del suo Istituto, tra il carisma el’Istituzione. Ambedue danno forma alla sua vocazione: per il carisma èun sacerdote <strong>di</strong> una particolare spiritualità, per l’istituzione risulta unuomo che ha ricevuto una missione. La VC e gli Istituti clericali sono uncarisma per l’Istituzione ecclesiale gerarchica: essendo <strong>di</strong>versi sono complementari.In ugual modo per il sacerdote religioso le due <strong>di</strong>mensioniformano parte della sua unica vocazione carismatica (religiosa) e ministeriale(gerarchica). Se la gerarchia or<strong>di</strong>na l’azione carismatica dellaVC, allo stesso modo nel sacerdote religioso il MO sarà or<strong>di</strong>namentoistituzionale per l’azione carismatica della sua consacrazione religiosa 52 .Per queste ragioni Costa afferma che «la vocazione ecclesiale delprete membro <strong>di</strong> un Istituto religioso è una realtà originale e unitariache preesiste sia alla sua or<strong>di</strong>nazione sacerdotale, sia alla sua consacrazioneattraverso la professione dei voti» (81). Considerando perciò questaparticolare chiamata dal punto <strong>di</strong> vista ecclesiale, essa ha un legittimo<strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> citta<strong>di</strong>nanza nella Chiesa. Ma se la si considera dalla prospettivadell’Istituto o del membro particolare, bisogna <strong>di</strong>stinguere tra ilsacerdote religioso e il religioso sacerdote. Non è sufficiente semplicementemettere insieme due poli (MO e VC), bisogna sfumarli perchérappresentano due carismi ecclesiali <strong>di</strong>versi. Sarà impegno <strong>di</strong> ogni Istitutoparticolare chiarificare la sua peculiare vocazione ecclesiale:«nella Chiesa <strong>di</strong> Cristo ha <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> citta<strong>di</strong>nanza non solo la presenza dellavocazione sacerdotale e quella della vocazione alla consacrazione religiosaseparatamente considerate, non solo la presenza all’interno del presbiterio<strong>di</strong>ocesano o della fraternità tra sacerdoti a livello universale <strong>di</strong> un clero<strong>di</strong>ocesano e <strong>di</strong> un clero regolare, ma, all’interno stesso <strong>di</strong> questo, hanno<strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> citta<strong>di</strong>nanza la figura del “sacerdote religioso” e quella del “religiososacerdote”» (84).L’evidente <strong>di</strong>versità dei carismi ecclesiali deve essere vista come unaricchezza: tra essi figura la particolare vocazione all’integrazione delMO con la VC. La con<strong>di</strong>zione per tale realizzazione è che entrambe le<strong>di</strong>mensioni vengano vissute come complementari e funzionali versoun’unità vitale <strong>di</strong>stinta da quella che si vive quando quelle <strong>di</strong>mensionisi realizzano separatamente. In caso contrario sarebbe impossibile parlare<strong>di</strong> una particolare vocazione ecclesiale.52L’autore continua a sviluppare il tema sotto il profilo dell’integrazione personaledelle due <strong>di</strong>mensioni (MO e VC) nel <strong>di</strong>scernimento spirituale, sviluppo che sfugge alnostro interesse imme<strong>di</strong>ato. Tuttavia, l’unità tra MO e VC si realizza, secondo Costa,non soltanto per opera dell’intelligenza e della volontà, ma anche dell’affettività, laquale ha un ritmo proprio, quello della maturazione psico-spirituale. Perciò è dell’ideache insieme ad un’ortodossia e ad un’ortoprassi si dovrebbe aggiungere un’ortopatia (cfM. COSTA, «“Sacerdote-religioso”...», cit., 79).RdT 45 (2004) 35-7157R. ZAS FRIZ


In conclusione, se è vero quanto si è sostenuto, bisogna ritornareancora alla prima <strong>di</strong>stinzione tra or<strong>di</strong>nazione e incar<strong>di</strong>nazione. In quantoall’incar<strong>di</strong>nazione religiosa c’è da considerare il particolare carisma <strong>di</strong>ogni Istituto (se è più religioso-sacerdotale o più sacerdotale-religioso)in modo tale che il singolo membro sia stimolato chiaramente verso un’integrazione<strong>di</strong> vita nella vocazione dell’Istituto al quale appartiene 53 .Nello stesso anno 2000, Severino Dianich ha pubblicato un articoloin cui si propone «<strong>di</strong> stu<strong>di</strong>are dal punto <strong>di</strong> vista teologico la complessae problematica composizione nella stessa persona <strong>di</strong> componenti molteplicied anche <strong>di</strong>sparate tra loro» 54 . Si riferisce al presbitero religiosoin quanto egli ha una vocazione comune a tutti i battezzati, ma la vivein un modo particolare, come consacrato a Dio in un istituto me<strong>di</strong>antela professione <strong>di</strong> voti, a cui si aggiunge l’esercizio del ministero or<strong>di</strong>natovissuto secondo il carisma dell’istituto d’appartenenza. La sua considerazionesi rivolge esclusivamente ai membri or<strong>di</strong>nati degli istituti religiosi(cf CIC 607, § 2) 55 , escludendo gli istituti secolari.Dianich, dopo una seria considerazione sulla pluralità dei carismi edei ministeri nella vita cristiana, conclude che «il problema del rapportofra vita consacrata e tutti i possibili ministeri, compreso il ministeroor<strong>di</strong>nato, può essere posto e risolto solo all’interno delle <strong>di</strong>verse istituzioni,perché antecedentemente ad esse è aperto a qualsiasi soluzione»(386). L’unica realtà, per così <strong>di</strong>re, che rimane comune a tutte le vocazioninella Chiesa è quella dell’evangelizzazione (cf 386-394).Non è pensabile oggi che un presbitero religioso eserciti il suo ministerorivolgendosi esclusivamente alla cura delle anime del proprio territorio(la parrocchia, per esempio). Il suo deve essere un ministero adgentes, missionario, superando così la concezione tra<strong>di</strong>zionale del presbitero<strong>di</strong>ocesano chiuso nella sua comunità <strong>di</strong> credenti e centrato soltantoin un compito liturgico-cultuale senza un’attiva partecipazione53«Ponendoci nella prospettiva della singola persona, ci è sembrato più esatto parlare<strong>di</strong> <strong>di</strong>mensione sacerdotale e <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensione religiosa <strong>di</strong> un’unica vocazione a partiredalla quale – come da un “tutto” che precede – si ri<strong>di</strong>scende a considerare i due policome parti che si possono <strong>di</strong>stinguere ma non separare, piuttosto che <strong>di</strong> due vocazioni<strong>di</strong>verse e separate che preesistono all’unità <strong>di</strong> vita» (M. COSTA, «“Sacerdote-religioso”...»,cit., 87).54S. DIANICH, «Ministeri e ministero or<strong>di</strong>nato nella vita dei religiosi», in Homo Vivens11 (2000) 377-400, qui 377. «La figura del prete religioso è qualificata da dueconnotazioni non omologhe, in quanto l’essere prete <strong>di</strong>ce un ministero che può essereesercitato in <strong>di</strong>versi stati <strong>di</strong> vita, mentre l’essere religioso <strong>di</strong>ce uno stato <strong>di</strong> vita nel qualepossono essere esercitati i più <strong>di</strong>versi ministeri» (380).55«Comunque la questione dovrà essere collocata nel quadro più ampio del rapportoesistente nella vita del religioso fra il suo stato <strong>di</strong> “consacrato” e il ministero, qualunqueesso sia, che egli esercita» (S. DIANICH, «Ministeri e ministero or<strong>di</strong>nato nella vita deireligiosi», cit., 380).R. ZAS FRIZ 58RdT 45 (2004) 35-71


nella pre<strong>di</strong>cazione e nell’evangelizzazione 56 . Data la realtà sociale e religiosaattuale, il Ministero Or<strong>di</strong>nato dovrebbe essere articolato in modo<strong>di</strong>verso:«Penso soprattutto ad un ministero tra<strong>di</strong>zionale, <strong>di</strong> carattere più statico epiù legato alla cura <strong>di</strong> comunità stabili, ad un ministero che si muova conpiù agilità all’interno della chiesa locale, destinato soprattutto al contattocon gli ambienti lontani dalla fede, e infine ad un ministero <strong>di</strong> tipo itinerante»(392).Le caratteristiche elencate per ultimo hanno identificato durante isecoli i preti religiosi: «Il carattere dell’itineranza, la <strong>di</strong>sponibilità allavarietà e mobilità delle forme del ministero, la possibilità <strong>di</strong> impegnipiù elastici e meglio articolati sono valori ben noti, caratteristici deipreti religiosi» (393-394). Tuttavia essi realizzano la loro missione evangelizzatriceall’interno <strong>di</strong> una visione universale della Chiesa e non èpensabile che la attuino «senza legami <strong>di</strong> <strong>di</strong>pendenza da alcuna chiesalocale» (392) 57 .Secondo Dianich la situazione oggi sarebbe più o meno questa: dauna parte, i preti <strong>di</strong>ocesani hanno riscoperto la <strong>di</strong>mensione missionariadel loro MO, sia a livello parrocchiale o <strong>di</strong>ocesano, sia a livello <strong>di</strong> missioneesterna; da un’altra, è impensabile che i preti religiosi possano realizzareun’evangelizzazione universale se questa non avviene in una chiesalocale. Così, non è detto che i <strong>di</strong>ocesani debbano essere costretti a esercitareil loro ministero <strong>di</strong>ocesano nell’ambito del territorio in cui sonoincar<strong>di</strong>nati, mentre è detto che i religiosi non possono esercitare il loroministero universale se non incar<strong>di</strong>nati in una chiesa locale. In effetti:56Le parole <strong>di</strong> Dianich sono pertinenti relativamente a questa concezione tra<strong>di</strong>zionaledel ministero presbiterale: «In questo quadro [tra<strong>di</strong>zionale] i religiosi si sono affermaticome i missionari mandati dal papa ad evangelizzare nuovi popoli. Il ministeroor<strong>di</strong>nato del prete comune, inoltre, per la carenza <strong>di</strong> una sua <strong>di</strong>mensione missionaria, siritrovava totalmente concentrato nelle sue funzioni cultuali: la sua caratterizzazionesacrale esauriva il suo carisma al punto che il compito della pre<strong>di</strong>cazione sembrava nonappartenergli neppure all’interno della sua comunità, dove saranno chiamati a pre<strong>di</strong>carepreti religiosi, sulla scia <strong>di</strong> una tra<strong>di</strong>zione aperta dai men<strong>di</strong>canti. In questo quadro lalegislazione canonica riservava esclusivamente al papa la responsabilità dell’attivitàmissionaria (cf CIC [1917] 1350 § 2)» (S. DIANICH, «Ministeri e ministero or<strong>di</strong>natonella vita dei religiosi», cit., 391-392.57E poi aggiunge: «Le ragioni che giustificano l’istituto della esenzione dei religiosidalla giuris<strong>di</strong>zione del vescovo sono tali da farlo apparire quasi ovvio quando riguardala vita interna delle comunità religiose e le attività dei religiosi non pertinenti al ministeroor<strong>di</strong>nato. Dire che i religiosi in questi ambiti non <strong>di</strong>pendono dall’autorità <strong>di</strong>ocesanaè quasi come <strong>di</strong>re che i laici sono esenti dalla giuris<strong>di</strong>zione del vescovo nella lorovita familiare e nella loro attività professionale. Ma se hanno ricevuto da un vescovol’imposizione delle mani e sono parte <strong>di</strong> un presbiterio, non si vede come si possasubor<strong>di</strong>nare l’esercizio del loro ministero alle esigenze interne delle loro istituzioni» (S.DIANICH, «Ministeri e ministero or<strong>di</strong>nato nella vita dei religiosi», cit., 393).RdT 45 (2004) 35-7159R. ZAS FRIZ


«Nella visione ecclesiologica del Vaticano II tutta la ricchezza della cattolicitàrisiede nella chiesa locale ed è operante dal suo interno. Del resto, lostesso ministero papale non è un ministero della chiesa universale, se non apartire dal fatto che il papa è vescovo della chiesa locale <strong>di</strong> Roma. Il papatonon è un grado del sacramento dell’or<strong>di</strong>ne superiore all’episcopato e, purcon il suo singolare carisma e le sue particolari prerogative, è e resta unministero episcopale. Il quadro ecclesiologico globale, quin<strong>di</strong>, sembra esigereun ancoramento <strong>di</strong> ogni ministero or<strong>di</strong>nato ad una chiesa locale: nonper niente è dal vescovo che il prete riceve l’imposizione delle mani. Il ministeroviene dal sacramento ed ha bisogno <strong>di</strong> restare ancorato al sacramento,non <strong>di</strong> vagare nello spazio aperto <strong>di</strong> una giuris<strong>di</strong>zione universale» (394).Da queste considerazioni l’autore arriva a quello che possiamo ritenereil quid dello status questionis: il presbitero religioso non può appartenereal presbiterio <strong>di</strong> una chiesa locale che si raduna intorno al suovescovo per celebrare l’Eucaristia e poi svolgere il suo ministero «esclusivamentenel quadro giuris<strong>di</strong>zionale della chiesa universale» (ivi). Ogginon si può più pensare nei termini <strong>di</strong> una doppia appartenenza: «quelladell’or<strong>di</strong>ne sacramentale alla chiesa locale e quella dell’or<strong>di</strong>ne giuris<strong>di</strong>zionalealla chiesa universale» (ivi) 58 . Certamente la celebrazione eucaristicanon è l’unico servizio – anche se ne è il punto culminante – che ilministro or<strong>di</strong>nato, sia <strong>di</strong>ocesano che religioso, compie a favore dellachiesa locale. Il coinvolgimento integrale del MO a favore della comunitàimplica la sua cura pastorale e l’evangelizzazione all’esterno <strong>di</strong> essa.Perciò il rapporto del presbitero con la comunità che evangelizza e percui celebra l’Eucaristia«è un rapporto che lo impegna alla totalità della de<strong>di</strong>zione pastorale. [...]In forza del suo carisma sacramentale il prete appartiene alla comunitànella quale egli è posto, con il vescovo e in <strong>di</strong>pendenza dal vescovo, comeil garante dell’unità nell’unica fede e nell’unica eucaristia» (397).Dianich ammette la vali<strong>di</strong>tà del “ruolo eucaristico” del presbiterodove manca “l’esercizio del ministero pastorale”, ma si tratta <strong>di</strong> un casolimite. Ammettere questa situazione come “normale”«significherebbe inferire un vulnus non solo alla concezione del ministeroor<strong>di</strong>nato, ma anche a tutto l’equilibrio sacramentale che si gioca essenzialmentesulla circolarità fra rito e vita, segno e significato e che non permettecortocircuiti fra sacramento e sacramento. Uno <strong>di</strong> questi cortocircuiti siverificherebbe qualora pensassimo il sacramento dell’or<strong>di</strong>ne destinato allacelebrazione eucaristica senza passare attraverso la me<strong>di</strong>azione <strong>di</strong> una vitade<strong>di</strong>cata all’e<strong>di</strong>ficazione della comunità» (398).58«Solo una concezione puramente professionale, che riducesse il ministero or<strong>di</strong>natoad un mestiere, potrebbe far pensare il prete come un operatore esterno, che portaalla comunità del popolo <strong>di</strong> Dio la sua pre<strong>di</strong>cazione e la celebrazione dei sacramenti epoi vive la sua esperienza ecclesiale altrove» (S. DIANICH, «Ministeri e ministero or<strong>di</strong>natonella vita dei religiosi», cit., 396). Nella pagina seguente Dianich critica J.M.R. Tillardperché considera la comunità religiosa del presbitero religioso come “comunità <strong>di</strong>vita”, mentre le persone che si aggruppano attorno a lui come frutto del suo ministeroformerebbero la sua équipe de travail.R. ZAS FRIZ 60RdT 45 (2004) 35-71


L’autore conclude l’articolo affermando che sebbene il problema rimangaaperto, tuttavia nel futuro la chiesa dovrà fare una scelta tra ilprimato dell’or<strong>di</strong>namento sacramentale e il primato dell’or<strong>di</strong>namentogiuris<strong>di</strong>zionale 59 .Nel 2002 un volume della rivista Synaxis, pubblicata dallo Stu<strong>di</strong>oTeologico San Paolo (Catania), viene de<strong>di</strong>cato al tema “Chiesa locale eIstituti <strong>di</strong> vita consacrata”, a seguito del convegno tenutosi a Catania il20 novembre del 2001. Pren<strong>di</strong>amo in considerazione gli articoli, rispettivamente,<strong>di</strong> Conigliaro e Frattallone 60 .Francesco Conigliaro 61 segue a gran<strong>di</strong> linee l’orientamento <strong>di</strong> Dianichper quanto riguarda il nuovo impulso evangelizzatore della chiesa localee la situazione («non priva <strong>di</strong> ambiguità» [251]) del presbitero religiosodovuta alla sua doppia appartenenza: al presbiterio della <strong>di</strong>ocesie alla famiglia religiosa. L’autore afferma che questa appartenenza deveconsiderarsi prima dal punto <strong>di</strong> vista teologico e poi da quello giuri<strong>di</strong>co,e constata che «nonostante le varie limitazioni provenienti dallastoria, tutti i presbiteri appartengono ad un medesimo presbiterio eprendono parte all’unica comunione presbiterale» (252-253). Conigliaroriconosce che «il ministero presbiterale è unico, come unico è il suofine, ancorché il modo <strong>di</strong> esercitarlo possa essere molteplice. Ed untipo <strong>di</strong> molteplicità è certamente costituito dall’appartenenza religiosa»(253). L’appartenenza religiosa specifica un determinato carisma che simanifesta come una spiritualità propria, che conferisce un’improntaparticolare all’esercizio del MO 62 . L’autore conclude il suo saggio accennandoall’ambivalenza che si evidenzia nel rapporto tra il presbiteroreligioso e l’or<strong>di</strong>nario quando la comunione liturgica realizzata all’altarecon il vescovo non è seguita nella vita da una prassi <strong>di</strong> comunionecon la pastorale della <strong>di</strong>ocesi.59«Non penso che la soluzione per forza debba assorbire un or<strong>di</strong>namento nell’altro,ma che la chiesa debba in futuro fare una scelta per il primato dell’uno o dell’altro» (S.DIANICH, «Ministeri e ministero or<strong>di</strong>nato nella vita dei religiosi», cit., 399).60Gli altri due articoli del numero, quello <strong>di</strong> A. NEGLIA, «Il carisma degli istituti <strong>di</strong>vita consacrata e delle società <strong>di</strong> vita apostolica nella chiesa locale», in Synaxis 20(2002) 311-323, e quello <strong>di</strong> C. TORCIVIA, «Partecipazione dei membri degli istituti <strong>di</strong>vita consacrata e delle società <strong>di</strong> vita apostolica al progetto pastorale <strong>di</strong>ocesano», inSynaxis 20 (2002) 325-340 sviluppano aspetti importanti del rapporto degli istituti <strong>di</strong>vita consacrata e delle società <strong>di</strong> vita apostolica con la chiesa locale, ma nella lorotrattazione non toccano punti rilevanti per la presente ricerca.61Cf F. CONIGLIARO, «Il presbiterio: un ministero per la chiesa locale», in Synaxis 20(2002) 237-261.62In questo senso l’autore presenta brevemente, per mostrare il rapporto tra MO ecarisma, la spiritualità benedettina, francescana, servita, carmelitana, ignaziana, e quelladel Boccone del Povero (cf F. CONIGLIARO, «Il presbiterio: un ministero per la chiesalocale», cit., 254-258).RdT 45 (2004) 35-7161R. ZAS FRIZ


Raimondo Frattallone SDB 63 si propone «innanzitutto, <strong>di</strong> determinarela loro identità [dei presbiteri religiosi], avendo come duplice para<strong>di</strong>gma<strong>di</strong> riferimento il sacramento dell’or<strong>di</strong>ne sacro e la realtà carismaticadella loro vita religiosa» (263-264). Dai problemi che possonosorgere, data la <strong>di</strong>fferenza tra i presbiteri <strong>di</strong>ocesani e religiosi, ma appartenentia un medesimo presbiterio coinvolto nell’azione pastorale <strong>di</strong>una chiesa locale, appare necessaria una chiarificazione, anzitutto, traMO e VC, e in seguito, tra le due categorie <strong>di</strong> presbiteri (<strong>di</strong>ocesano ereligioso). Riguardo a quest’ultimo punto l’autore sembra ammettereuna doppia identità che sorge «dal duplice modo <strong>di</strong> incarnare il sacerdozioministeriale» (264). Questo implica, a <strong>di</strong>re dello stesso autore,una rivoluzione copernicana perché implica il passaggio da una visionecentrata sulla missione a una focalizzata sull’identità: «dall’ottica delfare all’ottica dell’essere» (ivi) 64 .Nello stesso anno 2002 si pubblica in Spagna un volume che raccoglietre Simposi celebrati negli anni precedenti (1995, 1997 e 1999rispettivamente). Noi pren<strong>di</strong>amo in considerazioni soltanto l’ultima partede<strong>di</strong>cata al Sacerdocio y monacato 65 . Ma prima <strong>di</strong> concentrare l’attenzionesugli ultimi tre interventi è importante accennare al fato che inessa si presentano quattro stu<strong>di</strong> storici. Il primo <strong>di</strong> Manuel Guerra Gómezsui primi tre secoli della Chiesa 66 ; il secondo <strong>di</strong> Nicolás López Martínezsul sacerdozio ministeriale dei monaci in Spagna (dal IVº al XIIº secolo)67 ; il terzo sul rapporto tra vita monastica e vita sacerdotale nel postconcilio,<strong>di</strong> Bruno Marín OSB 68 ; e l’ultimo <strong>di</strong> Jaime Pujol i Bardolet, sul63Cf R. FRATTALLONE, «I presbiteri “religiosi” e la pastorale <strong>di</strong>ocesana», in Synaxis 20(2002) 263-309.64Tuttavia, anche se nello sviluppo dell’articolo sono trattati i due punti sopra elencati,non si arriva all’esplicitazione dell’identità del presbitero religioso. Forse l’autoreprende come nucleo dell’identità del presbitero religioso il carisma dell’Istituto a cuiappartiene.65Cf AA.VV., Teología del sacedocio. Nueva evangelización, espiritualidad sacerdotaly monacato. Santos, Burgos 2002. Nello stesso volume (521-550) è pubblicato un contributo<strong>di</strong> S. DIANICH, «Religiosi e ministero or<strong>di</strong>nato. In tensione fra stato religioso,ministero or<strong>di</strong>nato e altri ministeri», che corrisponde al suo intervento nel Simposiodel 1995 (cf nota 2, p. 524), ma apparso prima in Italia, cf supra nota 54.66M. GUERRA GÓMEZ, «La aparición de los religiosos/as (monjes) en la Iglesia. Loslaicos/as célibes en me<strong>di</strong>o del mundo y los monjes en los tres primeros siglos de laIglesia», in AA.VV., Teología del sacerdocio. Nueva evangelización, espiritualidad sacerdotaley monacato, Santos, Burgos 2002, 399-420.67N. LÓPEZ MARTÍNEZ, «El sacerdocio ministerial de los monjes en España (s. IV-XII)», in AA.VV., Teología del sacerdocio..., cit., 421-465.68B. MARÍN, «Vida monástica y vida sacerdotal: desarrollos desde le Vaticano II hastanuestros días», in AA.VV., Teología del sacerdocio..., cit., 467-483.R. ZAS FRIZ 62RdT 45 (2004) 35-71


apporto tra MO e VC dal 600 fino al XXº secolo 69 . Per ragioni <strong>di</strong>spazio non possiamo commentarli, ma riteniamo questi lavori moltoimportanti per la comprensione evolutiva del MO del presbitero religioso,insieme all’articolo sulla storia del sacerdozio nella vita religiosadel Dizionario degli Istituti <strong>di</strong> Perfezione 70 .I tre interventi che consideriamo mettono in rapporto il presbiteroreligioso con il <strong>di</strong>ritto canonico (J.L. Acebal), con questioni ecclesiologico-pastorali(J.A. Ramos Guerriera) e con il futuro del MO nella VC(C. Macisse), Juan Luis Acebal O.P., precisa all’inizio del suo contributole con<strong>di</strong>zione per le quali un Istituto deve essere considerato clericalesecondo il nuovo Co<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> Diritto Canonico (Codex Iuris Canonici,CIC, c. 588, § 1) e riconosce il fatto che ci sono degli Istituti che sonoclericali per definizione 71 . Accenna poi ad una tensione che non si puòeludere: quella tra la fedeltà al carisma del proprio istituto e ai bisognipastorali <strong>di</strong> una chiesa particolare. L’autore è molto chiaro nell’affermareche l’attuale Co<strong>di</strong>ce <strong>di</strong>fende il carisma proprio <strong>di</strong> ogni Istitutoreligioso (cf 559). Ma è altrettanto chiaro nel riconoscere che il presbiteroreligioso è inserito nel clero della <strong>di</strong>ocesi a pieno titolo, in questosenso anche lui è <strong>di</strong>ocesano (cf 566-571). Perciò la sua sottomissionealla suprema autorità della Chiesa si deve armonizzare anche con lasoggezione al Vescovo <strong>di</strong>ocesano (cf 583). Secondo l’autore, attualmentecon il nuovo CIC gli Istituti religiosi hanno più vantaggi per quantoriguarda l’autonomia dall’Or<strong>di</strong>nario della <strong>di</strong>ocesi, e <strong>di</strong>stingue questaautonomia dall’esenzione, che è un concetto superato (cf 578). Per Acebalnon esiste oggi nella Chiesa un caso <strong>di</strong> vera e propria esenzione dallagiuris<strong>di</strong>zione del vescovo <strong>di</strong> una chiesa particolare, anche se ciò è possibilesecondo il c. 591.Per quanto riguarda le <strong>di</strong>fficoltà pastorali reali nell’esercizio del MOdel presbitero religioso, Ramos Guerreira 72 , presbitero <strong>di</strong>ocesano, riba<strong>di</strong>scequello che è una esperienza molto <strong>di</strong>ffusa nella Chiesa: la <strong>di</strong>fficoltà(salvate le eccezioni) <strong>di</strong> trovare schemi <strong>di</strong> azioni congiunte tra secolarie religiosi nel lavoro pastorale. Tale situazione, che provoca <strong>di</strong>sagi atutti, si può attribuire a tre cause.69J. PUJOL I BARDOLET, FSC, «Formas de vida religiosa y ministerio sacerdotal desdeel siglo XVI al XX», in AA.VV., Teología del sacerdocio..., cit., 485-520.70AA.VV., «Sacerdozio: Il s. cristiano nella storia della vita religiosa», in Dizionariodegli Istituti <strong>di</strong> perfezione, VIII, Ed. Paoline, Roma 1988, coll. 53-95.71Cf J.L. ACEBAL, «Aspectos jurí<strong>di</strong>cos del sacerdocio de los religiosos en el nuevoCIC», in AA.VV., Teología del sacerdocio..., cit. 556.72J.A. RAMOS GUERREIRA, «La realidad <strong>di</strong>ocesana: cuestiones eclesiológico-pastoralesa propósito del ministerio sacerdotal de los religiosos», in AA.VV., Teologia del Sacerdocio,cit., 587-615.RdT 45 (2004) 35-7163R. ZAS FRIZ


La prima dovuta alla <strong>di</strong>visione pratica tra l’ontologia del MO e la suafunzionalità 73 . La seconda causa si deve al fatto che si considera la parrocchiacome l’analogatum princeps del compito presbiterale in una <strong>di</strong>ocesi74 . E la terza <strong>di</strong>fficoltà trovate per chiarire l’identità e ruolo pastoraledella chiesa particolare, della parrocchia e del presbitero secolare.In questo contesto problematico secondo l’autore: «Il ministero delpresbitero religioso, [...] porta con sé una missione determinata nellaChiesa che oggi ci conviene chiarificare ed esplicitare» (593).C. Maccise chiude questa rassegna <strong>di</strong> contributi con alcuni punti <strong>di</strong>riflessione sul presente e futuro del MO dei religiosi nel contesto delSinodo sulla Vita Religiosa (1994) 75 . Nonostante che l’autore ammetteche nel Sinodo non si toccò l’argomento dei presbiteri religiosi, accennaa dei punti importanti che mettono in rapporto la vita religiosa, ilministero or<strong>di</strong>nato e la missione della Chiesa.Ciro García commenta gli interventi <strong>di</strong> questo simposio sul ministerosacerdotale e vita religiosa e confessa:«la lettura degli atti mi ha lasciato molto perplesso <strong>di</strong>nnanzi alla varietàdelle posizioni – alcune così <strong>di</strong>vergenti – sul sacerdozio dei religiosi, versoil quale si mostrano contrari vari relatori, forse perché non conosconobene il senso della vita religiosa. Questo vuol <strong>di</strong>re che siamo <strong>di</strong> fronte a untema polemico, sul quale è necessario uno stu<strong>di</strong>o più approfon<strong>di</strong>to, che vaoltre i limiti <strong>di</strong> questo articolo» 76 .Tuttavia l’autore valorizza il numero 30 dell’Esortazione post-sinodaleVita Consacrata a partire dalla quale non si può comprendere ilministero pastorale del presbitero religioso al margine del carisma della73Ad esempio, vi sono stati momenti nella storia della Chiesa, non molto lontani danoi, in cui si riteneva il MO come una <strong>di</strong>gnità e un onore ricevuto nell’or<strong>di</strong>nazionesacramentale, ma senza che necessariamente ci fosse un esercizio ministeriale conseguente(l’essere sopra l’agire). Oggi, si sottolinea la funzionalità del ministero (ministeritemporali, presidenza eucaristica <strong>di</strong> laici, ecc.), non senza sollevare problemi teologiciimportanti (l’agire sopra l’essere).74I religiosi per partecipare alla pastorale <strong>di</strong>ocesana devono necessariamente avereparrocchie? Nelli attuale con<strong>di</strong>zioni pratiche, possono i presbiteri religiosi offrire unservizio sopraparrocchiale efficace a una <strong>di</strong>ocesi quando essa è strutturata parrocchialmente?Queste e tante altre domande portano alla fine a una domanda <strong>di</strong> fondo: è laparrocchia una realtà assolutamente necessaria per la vita della Chiesa? Per RAMOSGUERREIRA («La realidad <strong>di</strong>ocesana…», cit., 595) è chiaro che la risposta è negativa: «ilconcetto pastorale <strong>di</strong> parrocchia come struttura unica si è rotto per dare spazio ad altreforme <strong>di</strong> lavoro ecclesiale e presbiterale che trovano nella vita <strong>di</strong>ocesana il suo luogo <strong>di</strong>comunione con la vita delle parrocchie».75C. MACCISE, «El Sínodo de 1994. Prospectivas de futuro sobre el ministerio sacerdotal»,in AA.VV., Teología del sacerdocio..., cit., 617-632.76C. GARCÍA, «Religiosos», in Diccionario del sacerdocio, Facultad de Teología deBurgos, BAC, Madrid 2004 (in stampa).R. ZAS FRIZ 64RdT 45 (2004) 35-71


vita consacrata e dell’Istituto d’appartenenza, così come ricorda che lavita consacrata non è per se ne laicale ne clericale.Nell’ultima parte del suo articolo sviluppa il rapporto tra il presbiteroreligioso e la chiesa particolare e constata che i presbiteri religiosiappartengono a pieno <strong>di</strong>ritto alla <strong>di</strong>ocesi e sono perciò <strong>di</strong>ocesani, con<strong>di</strong>zioniche acquista la sua piena formulazione nella loro partecipazioneal presbiterio <strong>di</strong>ocesano.3SINTESIINTERPRETATIVA1. La crisi dell’identità sacerdotale esplosa dopo il Concilio ha in realtàuna ra<strong>di</strong>ce unica: la comprensione che la Chiesa, e i ministri or<strong>di</strong>nati,hanno <strong>di</strong> se stessi e del loro ruolo all’interno della società secolarizzata(del primo mondo). In questo senso forse sarebbe più preciso <strong>di</strong>re chesi è trattato e si tratta <strong>di</strong> una crisi del clero (cf i contributi <strong>di</strong> Vidal e <strong>di</strong>Castellucci alle nn. 5 e 8). In ogni caso è significativo che l’unica costituzionepastorale del Vaticano II, la Gau<strong>di</strong>um et spes (7-12-1965) siastata preceduta da altre tre costituzioni, una liturgica e due dogmatiche,rispettivamente: la Sacrosantum Concilium (4-12-1963), la Lumengentium (21-11-1964) e la Dei Verbum (18-11-1965). Per saperecosa fare nella nuova situazione culturale e storica bisognava chiarire loscopo e <strong>di</strong>scernere i mezzi per raggiungerlo. Perciò, una volta che laChiesa ha riformulato il modo <strong>di</strong> presentare liturgicamente i sacri misteri,che ha ripensato se stessa in quanto comunità credente e che hariflettuto sull’essenziale della tra<strong>di</strong>zione, si autopropone pastoralmentenel suo agire verso il mondo: un mondo che nell’Europa occidentale è<strong>di</strong>ventato secolarizzato, cioè una società civile che costruisce la comprensione<strong>di</strong> se stessa senza riferimento al Dio rivelato nella tra<strong>di</strong>zionegiudeo-cristiana e in<strong>di</strong>pendentemente dalla Chiesa.In questo contesto europeo la Chiesa, e i suoi ministri or<strong>di</strong>nati, sichiedono: che cosa vogliamo da e per questa società secolarizzata? Chisiamo per essa? Cosa possiamo offrire? Cosa fare? Forse le prime domandehanno ricevuto una chiara risposta dal punto <strong>di</strong> vista dogmatico,ma non da quello relativo all’agire. La <strong>di</strong>fficoltà non è gratuita. Infatti,<strong>di</strong>nanzi alla nuova situazione aperta dal Concilio, non si sapeva esattamentecosa fare: iniziava così il tempo degli esperimenti pastorali chefurono avviati con il desiderio <strong>di</strong> trovare una via per realizzare il nuovoatteggiamento ecclesiale. Ma in questo slancio missionario il ministroor<strong>di</strong>nato trovò che il modo <strong>di</strong> comprendere se stesso non era recepitopiù nella stessa lunghezza d’onda e che la sua figura non era più interpretataspontaneamente in senso religioso all’interno della società civile.Chiesa e clero si rivolgono alla società, ma essa ha lentamente cam-RdT 45 (2004) 35-7165R. ZAS FRIZ


iato negli ultimi due secoli il proprio para<strong>di</strong>gma <strong>di</strong> autocomprensione:da religioso a secolarizzato. In questa nuova situazione culturale, quandola Chiesa si decide non solo ad aprire le finestre, ma anche a uscirenelle strade del mondo, lo fa con la coscienza che il para<strong>di</strong>gma teologicoche l’aveva aiutata a resistere al processo <strong>di</strong> secolarizzazione della societànon poteva più reggere e allora, con il suo vecchio para<strong>di</strong>gma frantumato,si tuffa nella società europea che la riceve con un chiaro messaggio<strong>di</strong> fondo non religioso: voi chierici siete uguali a noi in una societàpluralista e democratica, dove tutte le idee hanno lo stesso valore. Aquesto punto, si produce la crisi d’identità, anche se non solo nell’Europaoccidentale. Ma si produce dopo e non durante il Concilio: i DecretiOptatam totius (28-10-1965) e Presbyterorum Or<strong>di</strong>nis (7-12-1965) nonoffrono nessun segno <strong>di</strong> crisi sull’identità del ministro or<strong>di</strong>nato 77 .Dopo trentasette anni <strong>di</strong> intenso lavoro teologico intorno all’identitàdel MO, Castellucci conclude che la linea <strong>di</strong> sviluppo della teologiasarà quella <strong>di</strong> armonizzare le due tendenze principali, la cristologica el’ecclesiologica, centrando la riflessione sulla carità pastorale e la <strong>di</strong>aconiaecclesiale nell’e<strong>di</strong>ficazione della comunità, con l’autorità e l’esempio<strong>di</strong> Cristo: una <strong>di</strong>aconia ecclesiale, quella del MO <strong>di</strong>ocesano, peruna comunità ecclesiale, la Chiesa locale (<strong>di</strong>ocesana e parrocchiale). Ese a questo punto si riscatta il notevole sforzo dello sviluppo, ancora incorso, <strong>di</strong> fondare una spiritualità <strong>di</strong>ocesana, si può apprezzare quantosiano <strong>di</strong>versi i venti o<strong>di</strong>erni da quelli che soffiavano dopo il Concilio,almeno per quanto riguarda l’identità del clero <strong>di</strong>ocesano.Da una parte, nel 1965, le norme date per la formazione e per l’eserciziodel MO dovevano essere quelle proprie del clero <strong>di</strong>ocesano, con idovuti adattamenti per il clero religioso. Da un’altra parte Castelluccinel 2002 afferma:«Se la natura del presbiterato è la ministerialità, la sua traduzione tipicaavviene in effetti nel presbitero <strong>di</strong>ocesano, incar<strong>di</strong>nato in una Chiesa locale:vescovo, presbitero e porzione <strong>di</strong> popolo <strong>di</strong> Dio a lui affidata; andràdunque ridefinito il significato dell’or<strong>di</strong>nazione presbiterale conferita aireligiosi; tenendo conto della specificità del carisma “religioso”, che in molticasi potrà meglio emergere se non viene affiancata al sacramento dell’Or<strong>di</strong>neo da esso “assorbito”» 78 .77«Il Concilio Ecumenico [...] afferma solennemente l’importanza somma della formazionesacerdotale, ne delinea alcuni principi fondamentali, <strong>di</strong>retti a riaffermare leleggi già collaudate dall’esperienza dei secoli, e ad inserirvi elementi nuovi rispondential tenore dei decreti e delle Costituzioni conciliari e alle mutate con<strong>di</strong>zioni dei tempi»(Optatam totius, proemio). «In generale si coltivino negli alunni quelle particolari attitu<strong>di</strong>niche contribuiscono moltissimo a stabilire un <strong>di</strong>alogo con gli uomini, quali sonola capacità <strong>di</strong> ascoltare gli altri e <strong>di</strong> aprire l’anima in spirito <strong>di</strong> carità ai vari aspetti dellaumana convivenza» (ib., n. 19).78E. CASTELLUCCI, Il ministero or<strong>di</strong>nato, cit., 335-336.R. ZAS FRIZ 66RdT 45 (2004) 35-71


L’articolo <strong>di</strong> Dianich conferma pienamente questa tendenza e focalizzamolto bene la tensione attuale tra presbiteri <strong>di</strong>ocesani e religiosinell’esercizio del MO 79 . L’autore riconosce che attualmente un terzodei preti sono religiosi 80 , tuttavia è del parere che la Chiesa dovrà fareuna scelta tra una visione del MO centrata sulla chiesa locale o meno.Ma non bisogna essere profeta per affermare che la scelta è già statacompiuta se si osserva la <strong>di</strong>rezione in cui la Chiesa nella sua totalità siorienta dopo il Vaticano II. Di fatto l’or<strong>di</strong>namento sacramentale «per ilquale il prete appartiene al presbiterio della chiesa locale ed è “cooperatoredell’or<strong>di</strong>ne episcopale” [Presbyterorum Or<strong>di</strong>nis, 2]» prevale giàsull’or<strong>di</strong>namento giuris<strong>di</strong>zionale su cui si appoggiano i presbiteri religiosiper e<strong>di</strong>ficare la loro identità ecclesiale 81 . A questo punto sembrerebbeche si tratti semplicemente <strong>di</strong> sancire quella che è stata la praticanegli ultimi decenni.Si spera, piuttosto, che la Chiesa scelga, come avviene già da unmillennio, non una delle due opzioni evidenziate da Castellucci e Dianich,che in realtà rappresentano due visioni teologiche <strong>di</strong>verse, ma laterza via dell’equilibrio tra <strong>di</strong> esse, cioè, la via del pluralismo, anche seciò comporta tensione. Altrimenti, che senso avrebbe nella chiesa unaistituzione come la Compagnia <strong>di</strong> Gesù in questa ecclesiologia <strong>di</strong> comunione?E che senso avrebbero salesiani, paolini, carmelitani, domenicani,francescani, e così via <strong>di</strong>cendo? Ma altrettanto si può chiedere dalversante <strong>di</strong>ocesano: quale sarebbe la giustificazione ecclesiologica per ilservizio che tanti vescovi e preti prestano durante lunghi anni nei <strong>di</strong>casteriromani o nel servizio <strong>di</strong>plomatico della Santa Sede 82 ?79È interessante notare che tanto Castellucci quanto Dianich appartengono al clero<strong>di</strong>ocesano.80«Non si <strong>di</strong>mentichi che oggi nella chiesa cattolica romana un prete su tre è pretereligioso e, quin<strong>di</strong>, ha alle sue spalle una tra<strong>di</strong>zione che lo ha visto esercitare il suoministero, in autonomia dal vescovo, in senso trasversale alle chiese locali e in stretta<strong>di</strong>pendenza dal ministero papale» (S. DIANICH, «Ministeri e ministero or<strong>di</strong>nato nellavita dei religiosi», cit., 393).81Se da una parte è vero che non si può pensare oggi che un istituto <strong>di</strong> presbiterireligiosi faccia prevalere o imponga gli scopi istituzionali alla pastorale <strong>di</strong>ocesana oparrocchiale, è anche vero che non si può pensare che un istituto rinunci a questi scopipur <strong>di</strong> rimanere a prestare un servizio in una <strong>di</strong>ocesi.82Se la celebrazione dell’Eucaristia senza un rapporto pastorale con la comunità percui si celebra rimane comunque legittima «questo avviene in forza della fede della chiesanella trascendenza del sacramento: ma si tratta <strong>di</strong> un caso limite, ad affermazione,appunto, <strong>di</strong> quel valore misterico dell’eucaristia, che va al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> ogni con<strong>di</strong>zionamentoumano» (S. DIANICH, «Ministeri e ministero or<strong>di</strong>nato nella vita dei religiosi», cit.,398). Il MO <strong>di</strong> vescovi e presbiteri del corpo <strong>di</strong>plomatico della Santa Sede è forse uncaso limite? Questi vescovi e preti, quali comunità <strong>di</strong> riferimento hanno? Quale è lacomunità <strong>di</strong> riferimento del nunzio apostolico presso il governo italiano?RdT 45 (2004) 35-7167R. ZAS FRIZ


A quanto sembra, tutto sta a in<strong>di</strong>care che il progetto dei padri conciliari<strong>di</strong> centralizzare il MO nel presbitero <strong>di</strong>ocesano con cura <strong>di</strong> animeè riuscito pienamente. In tale contesto <strong>di</strong>ocesano e parrocchiale,quale futuro si può prospettare per il presbitero religioso?2. Senza dubbio il futuro del presbitero religioso sarà quello che eglistesso potrà immaginarsi e concretizzare nella realtà della Chiesa e delmondo a partire dalla propria tra<strong>di</strong>zione carismatica, ma è vero che<strong>di</strong>penderà anche dal riconoscimento ufficiale che riceve dalla Chiesa.Per una maggior chiarezza conclusiva tenteremo una sintesi <strong>di</strong> quantohanno detto <strong>di</strong> se stessi i presbiteri religiosi durante il post-concilio.Sembra sia unanime, almeno tra gli autori stu<strong>di</strong>ati nella seconda sezione<strong>di</strong> questa ricerca, l’opinione secondo la quale l’unico ministeroor<strong>di</strong>nato si esercita in due modalità ugualmente valide: quella <strong>di</strong>ocesanae quella religiosa. Tuttavia non c’è pieno accordo circa il modo sucui fondare questa opinione, perciò si delineano due tendenze interpretative.La prima afferma che si tratta, mantenendo l’unità sacramentaleoriginaria del MO, <strong>di</strong> una <strong>di</strong>versità dovuta, in primo luogo, alle svariatespiritualità che procedono dal carisma dell’istituto <strong>di</strong> appartenenza e,in secondo luogo, alla modalità organizzativa della pastorale dei religiosi,perché fanno vita in comune e lavorano in équipe. Così per Lauter(1973) la pastorale del presbitero <strong>di</strong>ocesano è una pastorale or<strong>di</strong>nariae continuata rivolta verso un gruppo stabile <strong>di</strong> fedeli, mentre quelladel presbitero religioso si rivolge a gruppi non stabili ed è intermittentee perciò si può <strong>di</strong>re che non è or<strong>di</strong>naria. È quello che O’Malley (1988)chiama «<strong>di</strong>stinzione per <strong>di</strong>visione <strong>di</strong> lavoro» e che nel suo articolo pubblicatonel 1997 richiama come il centro verso il quale si deve spostarela <strong>di</strong>scussione sul MO del religioso (dalla spiritualità alla prassi). Anchese Frattallone propone più una visione centrata sull’identità, sull’esseree non sul fare (dall’ottica del fare all’ottica dell’essere).All’interno <strong>di</strong> questa corrente principale si possono <strong>di</strong>stinguere quegliautori che accentuano la <strong>di</strong>mensione carismatica dell’istituto comenota <strong>di</strong>stintiva del modo <strong>di</strong> esercitare il MO. Per Bonfins (1983) il carismadell’istituto dà identità e perciò si deve aggiornare perché non si<strong>di</strong>ssolva. Lippert (1978) opina che il religioso presbitero debba esercitareil suo ministero prima <strong>di</strong> tutto verso la sua comunità religiosa edopo verso la Chiesa particolare, in una doppia lealtà: verso l’istituto everso la Chiesa locale, per serbare intatta la sua identità. In questa lineavanno <strong>di</strong>versi apporti: gli interventi per il Sinodo del 1990 (a eccezione<strong>di</strong> quelli <strong>di</strong> Carraro e Kolvenbach, come vedremo più avanti), la posizionedella commissione statunitense Priest and religious (1990), Barruffo(1990), García Paredes (1992), Philibert (1992).Una variante <strong>di</strong> questo atteggiamento che sottolinea la <strong>di</strong>mensionecarismatico-istituzionale è rappresentata dagli stu<strong>di</strong> canonici dove l’esen-R. ZAS FRIZ 68RdT 45 (2004) 35-71


zione propria dei religiosi ha un posto <strong>di</strong> rilievo. Se Reinhart (1986)afferma che nel CIC del 1983 non si trova niente sull’identità del presbiteroreligioso, Seasoltz (1997) sostiene che è <strong>di</strong>fficile separare l’autonomiainterna dei religiosi e l’esenzione esterna che teoricamente hanno:per questa ragione non sono infrequenti i momenti <strong>di</strong> <strong>di</strong>sarmoniatra i presbiteri religiosi e la pastorale <strong>di</strong>ocesana <strong>di</strong> una specifica Chiesalocale. In questa situazione i presbiteri religiosi hanno la responsabilità<strong>di</strong> salvaguardare la loro ere<strong>di</strong>tà. Una ere<strong>di</strong>tà che, a <strong>di</strong>re <strong>di</strong> Kolvenbach,include l’universalità come <strong>di</strong>mensione propria e che Carraro connetteal Sommo Pontefice (1990).La seconda tendenza <strong>di</strong> opinione, sostenuta soprattutto da O’Malleynei suoi <strong>di</strong>versi articoli (1988, 1989, 1997), da Taborda (1999) e daCosta (2000), ma anche con qualche sfumatura e con <strong>di</strong>versa intensitàda Daley (1987) e da Power (1997), nega esplicitamente che la <strong>di</strong>fferenzanell’esercizio dell’unico MO sia data soltanto dalla spiritualità(<strong>di</strong>ocesana o dell’istituto religioso) o dal modo <strong>di</strong> agire pastorale che neconsegue. Senza negare queste <strong>di</strong>fferenze, bisogna fondarle piuttostosulla constatazione storica che si tratta <strong>di</strong> due stili completamenti <strong>di</strong>versi<strong>di</strong> vivere il MO presenti già nel Nuovo Testamento e che con la nascitae sviluppo degli or<strong>di</strong>ni men<strong>di</strong>canti me<strong>di</strong>evali hanno acquistato pienalegittimità all’interno della Chiesa: un modo residenziale (<strong>di</strong>ocesano) eun altro itinerante (religioso) <strong>di</strong> essere presbitero. La vocazione del presbiteroreligioso o del religioso presbitero sarebbe una vocazione tuttaspeciale che preesiste sia al MO come alla VC, e non deve assolutamenteconsiderarsi la semplice congiunzione <strong>di</strong> tutte e due. Ma oltre aitentativi <strong>di</strong> fondare il MO del presbitero religioso o del religioso presbiterosulle origini storiche del cristianesimo, o sulla particolare spiritualitàe prassi pastorale, bisogna approfon<strong>di</strong>re la riflessione sulla ragionevolezzain se stessa <strong>di</strong> queste vocazioni.3. Le posizioni più incisive vengono da autori gesuiti (O’Malley, Daley,Taborda e Costa), ma non solo, come per esempio Philibert O.P. e PowerO.M.I. Da parte nostra ci chie<strong>di</strong>amo se l’identità del presbitero religiosopossa fondarsi solo sulla <strong>di</strong>fferenza della spiritualità o del modo <strong>di</strong>agire. Se la risposta è affermativa, si rimane ancora dentro lo schemaconciliare, schema che bisogna superare perché non assume né la <strong>di</strong>stinzionede facto, che si opera a livello dell’esercizio concreto del ministero,né quelle <strong>di</strong>stinzioni in re proprie delle realtà che sono <strong>di</strong>verse(se continua ad essere vero che l’agire segue l’essere). Il fatto che ilConcilio non abbia <strong>di</strong>stinto tra i due mo<strong>di</strong> ex ra<strong>di</strong>ce, è ragione sufficienteper non farlo adesso?L’ambiguità della situazione presente è evidenziata anche dal fattoche non esiste una giustificazione teologica e canonica dell’esistenza deipresbiteri religiosi, i quali finora hanno accettato passivamente l’assenzaRdT 45 (2004) 35-7169R. ZAS FRIZ


<strong>di</strong> una loro specifica “identità ecclesiale”. E quando hanno voluto porrequalche rime<strong>di</strong>o al malessere <strong>di</strong>ffuso che nasce dalla mancanza d’identità,l’hanno cercato in una sintesi tra il MO e la VC o sottolineando la<strong>di</strong>mensione religiosa della loro vocazione. Ma per i risultati ottenutisembra che il rime<strong>di</strong>o non sia stato efficace. Gioverebbe molto in questasituazione evidenziare il significato dei presbiteri religiosi nella storiadella Chiesa, ma soprattutto nell’evoluzione del MO. Il presbiteroreligioso vive una doppia crisi d’identità o, per <strong>di</strong>rlo con Philibert, soffreuna doppia <strong>di</strong>slocazione simbolica: quella ecclesiale, in cui i presbiterireligiosi devono trovare la loro identità all’interno della Chiesa,dato che negli ultimi decenni si è posta l’enfasi sul presbiterato <strong>di</strong>ocesano;e quella della società civile secolarizzata che esige dal presbiteroreligioso e da tutta la Chiesa l’aggiornamento dei carismi per compierela loro missione nel mondo contemporaneo 83 .Una via <strong>di</strong> uscita sembra quella in<strong>di</strong>cata da Costa: riconoscere che ilpresbitero religioso e il religioso presbitero sono una vocazione specialenella Chiesa, che non è quella <strong>di</strong> essere presbitero e religioso, o religiosoe presbitero, ma un’unità chiara con una identità <strong>di</strong>stinta preesistente.Essi non devono trovare la loro identità in una sintesi istituzionale opersonale <strong>di</strong> quello che si <strong>di</strong>ce del presbitero <strong>di</strong>ocesano da una parte odel religioso da un’altra. È vero che gli istituti religiosi devono esseremolto attenti sia al loro carisma particolare che alla loro evoluzionestorica; ricuperare questa memoria è essenziale per la sopravvivenzadell’istituto nella fedeltà alle intenzioni del fondatore e ai bisogni pastoralidella Chiesa 84 . Però l’intenzionalità della ricerca deve essere quella<strong>di</strong> ritrovare un’identità propria nel presbiterio universale della Chiesa,identità che incontra, lo ripetiamo, <strong>di</strong>fficoltà ad essere riconosciuta ufficialmente.Quale identità ritrovare, se non viene riconosciuta?4. Tuttavia il più grande ostacolo per portare avanti questo programma,continua ad essere l’assenza <strong>di</strong> una teologia del MO del presbitero83Bisognerebbe forse anche accennare al fatto che gli istituti presbiterali e religiosidovrebbero aggiornare pure la loro idea <strong>di</strong> Chiesa, secondo quello che la Chiesa pensa<strong>di</strong> se stessa. È chiaro che questo è <strong>di</strong>fficile da realizzare quando la loro identità nonviene riconosciuta da colei che vuole essere accettata senza con<strong>di</strong>zioni.84Un tema proprio dei presbiteri religiosi vincolati agli istituti pontifici è l’esenzione,dato che rispecchia una <strong>di</strong>mensione propria della loro vocazione, quella dell’universalità.L’argomento meriterebbe <strong>di</strong> essere approfon<strong>di</strong>to nelle sue implicazioni teologiche,così come nelle sue conseguenze canoniche pratiche (specialmente in rapportocon le chiese particolari). È interessante notare anche la preoccupazione crescente nelclero <strong>di</strong>ocesano per sviluppare la <strong>di</strong>mensione universale della loro vocazione. Castellucci(cf «A trent’anni dal Decreto Presbyterorum Or<strong>di</strong>nis…», cit., 255-257), per esempio,fa riferimento a una <strong>di</strong>mensione universale propria della missione del presbiteroche non è contraria alla sua particolare vocazione per una chiesa particolare.R. ZAS FRIZ 70RdT 45 (2004) 35-71


eligioso, ancora da formulare. Essa dovrebbe provare storicamente,nella comunità apostolica, la presenza dei due mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> esercitare il MO,il residenziale e l’itinerante. Successivamente, seguire lo sviluppo <strong>di</strong>queste tendenze nella storia, specialmente nel Me<strong>di</strong>oevo e nella modernità,affinché, a partire dall’elemento biblico e storico, si possa avviareuna riflessione teologica nella prospettiva <strong>di</strong> una ecclesiologia <strong>di</strong> aperturae <strong>di</strong> comunione come quella promossa dal Vaticano II. All’interno<strong>di</strong> questo orientamento, ricuperando le due tendenze principali nellateologia del MO, quella cristologica e quella ecclesiologica, si potrebbeipotizzare che la prima corrisponda a un orientamento più religioso e laseconda a una tendenza più <strong>di</strong>ocesana nell’esercizio del MO. Tuttaviaquesti sono in<strong>di</strong>rizzi <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o che richiedono <strong>di</strong> essere approfon<strong>di</strong>ti invista <strong>di</strong> un’ulteriore e più matura conferma.RdT 45 (2004) 35-7171R. ZAS FRIZ

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