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Il Castelletto di Semedella - Cherini

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Aldo <strong>Cherini</strong><strong>Il</strong> <strong>Castelletto</strong> <strong>di</strong> <strong>Semedella</strong>Autoe<strong>di</strong>zioni1993


✍ Aldo <strong>Cherini</strong> 1993 - 2011impaginazione e stampawww.cherini.eu


Dell’ameno sito <strong>di</strong> <strong>Semedella</strong> resta oggi solo l’econostalgica che affiora dalle reminiscenze <strong>di</strong> gioventùconservate nel prezioso scrigno dei ricor<strong>di</strong> con l’ausilio <strong>di</strong>qualche vecchia fotografia, <strong>di</strong> qualche cartolina non menovecchia.<strong>Semedella</strong>! Un prato ombreggiato dalle chiome argentatedei pioppi mossi dalla brezza marina, una chiesettavotiva ricca <strong>di</strong> fede antica, lambita da uno specchio<strong>di</strong> mare che solo la bora invernale increspava sollevandogiochi d’onda che, placandosi, venivano a <strong>di</strong>ssolversi aisuoi pie<strong>di</strong>. E il rettifilo della strada <strong>di</strong> Capo<strong>di</strong>stria gettatacome un ponte (e ponte veniva chiamata) sul bassofondoche un tempo aveva accolto industriose saline or<strong>di</strong>natein lunghe file tra argini e canali sostituite poi, in tempi anoi più vicini, dal verde screziato dei terreni bonificati. Eintorno l’anfiteatro delle colline coltivate come orti, e ilcupo ombroso dei pini che salivano tra ville e casecoloniche sulle pen<strong>di</strong>ci del Monte San Marco. Un mondofiabesco, evocato in mirabili pagine da Pier Antonio QuarantottiGambini nei romanzi del ciclo <strong>di</strong> Paolo, il ragazzodel “Cavallo Tripoli”, dei “Giochi <strong>di</strong> Norma”, delle “Re<strong>di</strong>nibianche”, dell’“Amore <strong>di</strong> Lupo”, che apre gli occhi alla vitatra quel mare, quelle colline e quel cielo che sono statianche nostri.1


La strada, passato il prato e le “torrette” del giar<strong>di</strong>nodell’Albergo Venezia, prendeva a salire erta e faticosa finoad allargarsi su <strong>di</strong> un breve pianoro delimitato da un<strong>di</strong>rupo, quasi una terrazza sul mare. Era un invito asostare per ripigliare fiato. Qui si apriva alla vista tutto ilVallone marino con la città <strong>di</strong> Capo<strong>di</strong>stria <strong>di</strong>stesa pigramentesul suo antico scoglio tra il cangiante gioco degliazzurri del cielo e del mare.Riprendendo la salita ecco apparire, più in altoancora, quasi una rocca inviolabile, il <strong>Castelletto</strong>. Posizionepiù incantevole non poteva essere trovata per unaresidenza un po’ appartata, forse, ma ridente, un’oasi <strong>di</strong>pace dominante tutto l’arco dell’orizzonte da Punta Grossaalla valle del fiume Risano, al Monte Taiano ed oltre,fino alle propaggini orientali dello stesso San Marco.La riviera <strong>di</strong> <strong>Semedella</strong>. A sinistra si intravvede, tra i pioppi, la chiesettavotiva <strong>di</strong> S. M. delle Grazie, l’albergo Venezia la casa Pellarini, e più in altola villetta del professor Lughi e, infine, il <strong>Castelletto</strong> non ancora ingran<strong>di</strong>to.2


Dall’alto della balza il <strong>Castelletto</strong> sembrauna rocca impren<strong>di</strong>bile3


<strong>Il</strong> <strong>Castelletto</strong> non era una costruzione antica, nondoveva ingannare il suo aspetto <strong>di</strong> maniero me<strong>di</strong>oevale.La parte più vecchia , infatti, risaliva appena al 1885,come ne faceva fede l’epigrafe latina murata accanto allaporta d’ingresso:D.O.M.PARVUM HOCMARTIÆ SIMULAMEN ARCISNONCRUENTIS REVOCANDIS TEMPORIBUSSED TRANQUILLOSIBI HOSPITIBUSQUE SOLATIOPIUS DE MARCHONIBUS GRAVISIISUNIVERSÆ MEDICINÆDOCTOREXTRUXITMDCCCLXXXVCioè “Questo piccolo simulacro <strong>di</strong> arce marziale èstato costruito nel 1885 dal marchese Pio de Gravisi,dottore in me<strong>di</strong>cina, non per rievocare tempi cruenti maper tranquillo rifugio consolatore per se e per gli amici”.L’e<strong>di</strong>ficio veniva costruito dal Gravisi dopo un viaggioa Torino dove aveva visitato il Borgo e il Castellome<strong>di</strong>oevale del Valentino, copia fedele <strong>di</strong> antiche architetturedella Val d’Aosta, rimanendone affascinato. Nonè da meravigliarsene se si pensa al gusto dell’epocaancora intriso <strong>di</strong> romanticismo in tutte le manifestazionidell’arte, per cui si costruivano perfino finte rovine <strong>di</strong>manieri <strong>di</strong>roccati.<strong>Il</strong> Gravisi si limitò, comunque, alla costruzione <strong>di</strong>un e<strong>di</strong>ficio abbastanza semplice e non grande pago più4


<strong>Il</strong> prato alberato, meta <strong>di</strong> passeggiate estive. Sullo sfondo si nota incontroluce la silouette del <strong>Castelletto</strong>che altro della felice posizione, dove trascorrere ore serenein compagnia <strong>di</strong> libri e in lieti conversari tra amici.L’e<strong>di</strong>ficio passava poi in proprietà all’orefice triestinoCarlo Pellarini ed ospitava in<strong>di</strong>, per alcuni anni, lascuola elementare <strong>di</strong> San Marco con la famiglia delmaestro Piero Zetto. Vi passavano accanto gettandosguar<strong>di</strong> <strong>di</strong> curiosità le brigate dei ragazzi e dei giovaniche, nella bella stagione, usavano salire sulla cima delMonte San Marco in allegre escursioni: malgrado i suoimerli e le sue torrette, sembrava molto più piccolo <strong>di</strong>quanto appariva dal basso, in posizione dominante sulcrinale della collina.Infine, il <strong>Castelletto</strong> veniva acquistato, nel 1931,dall’ingegnere Ettore Fonda, che vi profuse ogni curatanto da considerarsi il vero artefice, tali e tanti sono stati5


Veduta panoramica con la città <strong>di</strong> Capo<strong>di</strong>stria e il rettifilo del “ponte”i lavori <strong>di</strong> restauro, <strong>di</strong> ampliamento e <strong>di</strong> sistemazione,compreso l’arredamento interno, da lui eseguiti nel corso<strong>di</strong> più anni fino al 1938, con la collaborazione dei pittoriErmenegildo de Troy e Giuseppe Zamarin, <strong>di</strong> artigianicapo<strong>di</strong>striani per la decorazione muraria, <strong>di</strong> artigianifriulani e trentini per il mobilio e i ferri battuti.Quanta passione e quanto amore abbia messo l’ingegnereFonda nella sua opera, è testimoniato dallaminuziosa documentazione da lui raccolta e conservatain un grosso album, frutto <strong>di</strong> sopralluoghi al CastelVecchio <strong>di</strong> Verona, alle Arche Scaligere, a Venzone, alPalazzo Davanzati <strong>di</strong> Firenze, dove andava insieme alloZamarin, che eseguiva schizzi e rilievi. Perfino il parcoveniva dotato <strong>di</strong> piante scelte nei vivai <strong>di</strong> Pistoia e <strong>di</strong> Prato.Ne risultò un insieme interessante, stilisticamente ri-6


spondente ai modelli essendo stato rigorosamente ban<strong>di</strong>toogni volo <strong>di</strong> fantasia in un’esecuzione sia pure semplificata.Della sua creazione, per troppo poco tempo goduta,l’ingegnere Fonda amava parlare con <strong>di</strong>staccata modestia,quasi con in<strong>di</strong>fferenza, simulando l’amarezza nonsopita della per<strong>di</strong>ta patita <strong>di</strong>etro il freddo riflesso degliocchiali. Ma si lasciava tra<strong>di</strong>re dall’amore con cui conservavala raccolta <strong>di</strong> fotografie e <strong>di</strong> cartoline, con le immaginidel primo malandato e<strong>di</strong>ficio, dei riattamenti e degliampliamenti da lui curati, del parco con la cinta murariamerlata e con un grande portale ripetente un motivoarchitettonico del Castello <strong>di</strong> Soave, con le vedute deibellissimi interni decorati con grande cura, dell’ingresso<strong>Il</strong> giar<strong>di</strong>no7


Interno affrescatofregiato con le immagini dei Santi Marco, Giorgio e Nazario,copie dal Mantegna eseguite dal pittore de Troy.Ettore Fonda conservava con grande cura anche lacartella degli schizzi e dei <strong>di</strong>segni, per lo più colorati,tracciati dallo Zamarin, nei quali l’artista lasciava liberala sua foga obbligando poi il Fonda a tirarlo per la manicae a riportarlo alla realtà.Era tutto quanto gli rimaneva.Nel maggio del 1945 il <strong>Castelletto</strong> <strong>di</strong> <strong>Semedella</strong>,allontanato il proprietario in omaggio al “nuovo or<strong>di</strong>nepopolare”, subiva anche il saccheggio e restava abbando-8


nato alla sine cura, all’in<strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> chi non sa e aldegrado, che portava infine il singolare monumento all’abbattimentoper … essere ricostruito (1992).Interno affrescato9

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