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14-15-16-17. PP INTERV.

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P R I M O P I A N OI N T E R V I S T AQuella ricettadello sciroppoDI LAURA BENFENATIIl ristorante“sommergibile”Carlo Cracco è nato a Vicenza nel 1965.Ha studiato all’I.P.C. di Recoaro Terme, istitutoche fa parte dell’Associazione europea delle scuolealberghiere e del turismo. Ha frequentato la scuolalavorando per il ristorante “Da Remo”, a Vicenza.Nel 1986 ha iniziato la sua carriera professionalea Milano, da Gualtiero Marchesi, il primo ristoranteitaliano che ha raggiunto le tre stelle Michelin.In seguito Cracco ha lavorato alla “Meridiana”di Garlenda (Savona), di appartenenza alla catenadei Relais & Chateaux.Ha vissuto per tre anni in Francia, dove ha imparatola cucina francese presso Alain Ducasse (Hotel Paris)e Lucas Carton (Paris, Senderens).È poi tornato in Italia, a Firenze, come primo chefdell’Enoteca Pinchiorri, ristorante che durantela sua conduzione ha ottenuto le tre stelle Michelin.Gualtiero Marchesi lo ha poi chiamato per l’aperturade “L’Albereta” a Erbusco (Brescia),dove Cracco ha lavorato come chef per tre anni.Subito dopo ha aperto “Le Clivie” a Piovesi d’Alba (Cuneo)e dopo pochi anni ha accettato l’invito della famigliaStoppani, proprietaria del negozio di gastronomiapiù famoso di Milano, per l’apertura del ristorantea forma di sommergibile “Cracco Peck”.Il ristorante è aperto dal 2001 in un edificio elegantenel centro di Milano e la sua cucina rivisita in modocontemporaneo le specialità tradizionali milanesi,guadagnando le due stelle Michelin.Da luglio 2007 Carlo Cracco è unico proprietariodel ristorante. Ha scritto tre libri: L’utopia del tartufobianco (Fernando Follini), La quadratura dell’uovo(Fernando Follini) e Cracco (Giunti).


P R I M O P I A N OI N T E R V I S T ABuona cucina vuol dire mangiare bene,alta cucina vuol dire essere sorpresi, diceil critico Allan Bay. Ci sono quindi iclienti per l’alta cucina in Italia?Assolutamente sì. Italiani, stranieri,giovani, anziani: una clientela eterogenea.Ritiene che oggi ci si faccia suggestionaretroppo dal giudizio delle guide?Le guide sono importanti, servono allepersone per orientarsi e decretano ilsuccesso o meno di un locale. Il verogiudice del ristorante rimane però ilcliente: quello che torna, che ti dice cheha provato emozioni, che riconosce il lavoroche hai fatto ed è impagabile, ti dàla misura di quanto tu stia percorrendola strada giusta. Noi non vogliamo stupire,vogliamo dare emozioni.Che consigli darebbe a un giovane chevuole fare lo chef?Un ragazzo che comincia oggi questomestiere può scegliere se andare alnord, al sud o al centro e in tutti i casipuò trovare un ristorante che rappresentil’eccellenza. In più ci sono i convegni,i libri, le riviste, internet, la televisionesatellitare: se un giovanevuole fare lo chef è molto più facileorientarsi oggi rispetto a quando hoiniziato io. Non trovo poi che sia difficileemergere: se si ha qualcosa da diree si sente qualcosa dentro che sivuole trasmettere, lo si fa indipendenteda quello che si ha imparato.Come un farmacista, un cuoco conoscela chimica di quello che sta cucinando eusa attrezzature all’avanguardia. Quantoconta la tecnica per materializzare un’ideagastronomica?È importante essere sempre aggiornatisu utensili e nuovi macchinari, ma contanosoprattutto le persone. Il cuoco èquello che mangi. Se ti dà emozioni èriuscito a toccare corde particolari; incondizioni standard ti sfamano, proviun senso di benessere ma niente dipiù. Non ti hanno avvelenato - ed ègià un successo - ma nonti ricordi dopo unpo’ di tempoquel ristorante,quel cuoco,quel momento.Ci sonoquadri cheti rimangono dentro,altri no, e questiultimi non è detto che non siano belli,ma tu non sei riuscito a stabilirecon loro un punto di contatto.Oggi in cucina si può scegliere: si vain Francia a mangiare un classico o inSpagna a mangiare qualcosa di ipermoderno.Oppure si resta in Italia permangiare bene e stare bene.Qui da noi siamo ancora ancorati alla tradizione?No, ma abbiamo un senso estetico e delgusto più spiccato. In Francia sono piùtradizionalisti, tengono molto a quelloche sono stati, noi non abbiamo unastoria nazionale così forte. La nostra cucinaè regionale e a volte anche propriolocale: ogni campanile ha un suo piatto.Questo è un vantaggio se riusciamo asfruttarlo bene e se non rimane una costrizione.La cucina cambia sempre,naturalmente, non è il cuoco che la faevolvere: può solo accelerare questoprocesso, ma non modificarlo.E quanto conta la squadra? Tutti vedonolo chef ma lei è aiutato da personeche ha formato e motivato. Ciparli di loro.In cucina siamo in quattordici ed èimportante che ognuno creda inquello che fa. Io dico sempre ai ragazziche vengono qui per se stessi,non per me. Se imparano bene edentrano in sintonia con il gruppo,quando se ne andranno avranno unbagaglio importante, altrimenti è comelavorare alla catena di montaggioe non serve a niente. Devono cercaredi capire, di adeguarsi, ci sono modidiversissimi di gestire una cucina. Ilsingolo fa la differenza ma è la squadrache decreta il successo di un locale.Lavoro da 12 anni con MatteoBaronetto, che è quasi un fratello.Sono con me da molti anni anche ilmaitre Davide Ostorero e il somelierLuca Gardini. Mi conoscono bene,c’è una sintonia importante.Mi racconti la sua giornata.Tra le otto e mezza e le novesono già qui al ristorante, dopoaver accompagnato a scuola lemie figlie, e vado a dormire versole tre di notte. Tutti i giorni, tranne ladomenica che siamo chiusi.Al mattino ci si occupa delle materieprime, della spesa che arriva direttamentequi. Ci sono alcuni momentidedicati alla programmazione, altri allostudio, altri alle pulizie, altri ancoraal briefing e alle riunioni: non c’è maiuna giornata uguale a un’altra.Il menù quanto varia?Ufficialmente cinque volte all’anno, inrealtà tutti i giorni: ogni volta che troviamouna materia prima interessante,buona, particolare, la trasformiamoe cerchiamo di creare qualcosa dinuovo.Si parte sempre dalla materia prima?No, anche da un’idea e il percorso èopposto: quando ci si dedica allostudio si fanno alcune proposte epoi si cerca la materia prima.Se l’idea è buona è facile trovare ilmodo di realizzarla, se invece ècomplicata, ci si impiega molto piùtempo e non sempre il risultato ègarantito.<strong>16</strong> puntoeffe


P R I M O P I A N OI N T E R V I S T AUno chef come lei non sta solo ai fornellima deve gestire anche la propria immagine.Il marketing conta troppo ogginel vostro mestiere?È importante perché siamo a Milano,ma si devono fare soltanto le coseche servono davvero. Io preferisco,per esempio, gli articoli suigiornali alle trasmissioni, dove inpochissimo tempo si dicono coseche possono essere fraintese. L’articoloinvece si legge con calma, siconserva, si rilegge.A proposito di televisione: una volta inTV si vedeva Ave Ninchi preparare la pasta,ora ci sono cuochi stralunati chepresentano abbinamenti bizzarri. Stiamoperdendo il patrimonio della nostracucina tradizionale?Quella di Ave Ninchi era la cucinamoderna, tanti anni fa: si parlava dicibo vero a ora di pranzo e non in modocommerciale come oggi. Era fantastico,nessuno lo fa più in quel modo.La creatività va benissimo e nondobbiamo mettere limiti alle persone.È importante però sapere cosa sifa, perché lo si fa e il percorso che siè fatto per arrivarci. Ferrand Andrià,per esempio, che è un grandissimocreativo, è una persona che ha studiatomolto, che puoi leggere in trasparenza,c’è qualcosa di importantedietro alla sua creatività, che èsoltanto un aspetto della sua cucina,non la sostanza.Molti però oggi si spaccianoper esperti di“cucina creativa”…Ti accorgi subito sealcuni cuochi, magariin TV, improvvisano:non sanno spiegare, c’èsuperficialità, copiano e fannoaccostamenti improponibili. Se tiintendi un minimo di cucina capisciche stanno dicendo sciocchezze.Il termine creativo è stato sdoganatoperché si è data a tutti la possibilità difare quello che vogliono. In realtà quelliche fanno la differenza la fanno comunque,indipendentemente dall’esserecreativi o meno.Qualcosa di creativo c’è però nella quadraturadell’uovo. Di che cosa si tratta?È il titolo di uno dei libri che hoscritto, dopo un grande lavoro sull’uovoche abbiamo fatto con la marinatura.Attraverso questo processo,abbiamo dato una lettura dell’uovodiversa da quella che conosciamoe, con la marinatura, abbiamopotuto farlo diventare quadrato.Qual è il piatto preferito di Carlo Cracco?Non ce n’è uno in particolare, tuttoquello che è buono mi piace. Amo glispaghetti, il risotto, molto il salame.La sua cena più memorabile e la soddisfazionepiù grande.La cena più memorabile tanti anni fada Freddy Girardet, in Svizzera.La soddisfazione piùgrande aver rilevato il ristorantedai fratelli Stoppani,lo scorso luglio.Va a cena dai suoi colleghi?In questo periodo, con le bambinepiccole, è più difficile. Se devo provareun ristorante vado per conto mio,non con gli amici perché non voglio esseredistratto. Non è però tanto importantevedere cosa fanno gli altri, ma poteresprimere se stessi.Che rapporto ha con i farmacisti? In comuneavete sicuramente l’attenzione perle dosi…Ho molti clienti farmacisti, sono precisie attenti, mi sembra ci siano parecchiappassionati di cucina nella categoria.Le diamo un’occasione per fare il critico:cosa pensa delle farmacie italiane?Una volta le farmacie sapevano di medicinale,spaventava un po’ entrarci. Ilfarmacista era sempre serio, arrabbiato,vecchio. Oggi invece in farmacia sipreparano intrugli meravigliosi e i profumie gli odori sono molto diversi. ACogne, per esempio, mi hanno datouno sciroppo per la tosse fantastico,che avevano fatto loro e che non sonopiù riuscito a trovare a Milano. Mi piacequesto ruolo del farmacista che mescolagli ingredienti ed è un po’ alchimistacome noi.puntoeffe 17

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