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Utopia Palermo - Mezzocielo

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politicaVal Susa: la politica e la violenzaEro in Val Susa, domenica 3 luglio, con mio figliosedicenne e suo padre, attivista ambientalistada tutta la vita. Ho dormito la sera primanella casa di una famiglia della zona, così da esseregià nei pressi all’indomani e non fare unalevataccia; ho cenato con una coppia di abitantivalsusini doc, persone cordiali, spiritose, civilie bene informate sullo scempio che da qui a unventennio, se andranno avanti i lavori, sconvolgeràla vallata con un’opera che, fatte le debiteproporzioni, è più pericolosa, dispendiosa einutile delle Piramidi dell’antico Egitto, che almenosono lì a dirci dell’arroganza prometeicadel potere ma non sono state una iattura cosìferoce per la natura circostante.Ho visto la cura organizzativa, non sempliceda realizzare e non scontata, da parte dei comitatiNo Tav, che ha come logo un vecchiettodignitoso e arrabbiato che siappoggia al suo bastone, una figura chenulla ha da spartire con l’immaginario dellaMonica Lanfrancoretorica eroica, violenta e sanguinosa di chicome sedicente strumento di lotta sceglie diarmarsi in assetto di guerra e pianifica programmaticamentelo scontro con la polizia.Non importa lo scenario, a chi trasloca laguerriglia nelle pratiche di movimento: si va acercare di sfasciare la testa al celerino allo stadiocome davanti all’FMI, al G8 in tour per ilmondo come in Val Susa, senza dialogare conchi pacificamente costruisce porta a porta ilconsenso e non confonde gli obiettivi dellamobilitazione con il proprio protagonismo.Ho camminato per ore sotto il sole cocenteche mi ha bruciato le spalle stando fianco afianco con sindaci, amministratrici e amministratoricon fascia tricolore sulle magliette,che hanno aperto l’interminabile fiumeumano impossibile da contare, ma di certonon inferiore alle 60 mila persone.Dietro a loro centinaia di carrozzine spinteda padri e madri, spesso muniti di zainettocon dentro i fratellini e le sorelline più piccole,e per mano o intorno i più grandi.Il servizio d’ordine scandiva con chiarezza i ringraziamentia chi si univa mano a mano al serpentonedi corpi, ma ho sentito più volteaffermare anche con un’ironia ferma e precisaai figuri neri che più volte hanno cercato di infiltrarsialla testa del corteo: “Questo è l’unicocorteo autorizzato dai comitati, ci sono famigliee bambini, quindi chi non si adegua se ne vada,gli ‘zii’ con i caschi fuori, qui non vi vogliamo”.Eppure alla fine chi non c’era e guarda la tv ricevenegli occhi solo le scene di violenza, sanguee fumo, e le parole stanno a zero.Un risultato certo e matematico il protagonismoegoista e tracotante che si veste di neroe si copre il volto ce l’ha sempre: oscurare leragioni dei comitati pacifici, offrire alibi allastampa per non parlare dei contenuti, toglierearia e spazio a chi lavora nel quotidiano conla forza delle parole, della documentazione edelle intelligenze individuali e collettive checostruiscono alternative possibili.Le popolazioni offese dallo scempio annunciatodella Tav hanno avversari potenti: gliinteressi economici governativi, l’ottusitàcomplice di parte del maggiore partito diopposizione, la minoranza violenta che fadel turismo bellico la sua sola ragione di esistenza.Di quest’ultimo pericolo i movimentidevono ragionare e presto: la storia recentedell’Italia insegna che offrire consensoanche minimo e sottovalutare il fascino dellaviolenza come pratica di lotta, specialmentepresso le giovani generazioni, brucia le ragionipolitiche, cancella pezzi di generazioni,sottrae energie dalla condivisione del cambiamento.Vandana Shiva, madre dei movimentiper una diversa e possibile globalizzazione,ha scritto: “La pace non sicreerà dalle armi e dalla guerra, dalle bombee dalla barbarie. La violenza non si contienepropagandandola. La violenza è diventataun lusso che la specie umana non può piùpermettersi, se vuole sopravvivere. La nonviolenzaè diventata un imperativo per la sopravvivenza.”Ricordarlo e dirlo forte echiaro, prendendosi la responsabilità di questascelta, non è un optional.Fotografia di Letizia Battaglia, 20114 mezzocielo ottobre-novembre 20115 mezzocielo ottobre-novembre 2011politicapolitica


Sconquassi finanziari e varchiumanipoliticaIn un mondo dominato da una economia canaglia(così la definisce l’economista LorettaNapoleoni), “il lato oscuro del nuovo ordinemondiale” consiste nel saccheggio delle risorsenaturali e nella negazione del valore incommensurabiledi ogni essere umano -basta pensare al giro dei soldi sporchi, allapirateria della pesca, al narcotraffico, allafame dei e delle somali, alle guerre, al malaffare,alla tratta delle ragazze e dei bambini,alla pervasività della merce e del consumo inogni ambito del vivere.Siamo in ansia per quanto sta accadendo, èinnegabile: le notizie che arrivano dal frontefinanziario incutono il timore di essere inbalìa di forze indecifrabili, anche se gli effettisulla nostra vita sono visibili e palpabili. Diquesto sconquasso sono rare le letture lucide,tali da sorreggerci nella decodificazionedei segni e dei sintomi e nell’offerta disoluzioni: una fra queste è sicuramentequella di Loretta Napoleoni che suggerisce,Maria Concetta Salasu una pratica di libertà “che si conquista esi riconquista ogni giorno e in ogni contestodi vita pubblica e personale, e che non si cristallizzain leggi e garanzie” (Ida Dominjanni)?Guardiamo il contesto europeo e, inparticolare, gli indignados di Madrid e Barcellona(rimando per i documenti citati alsito della Libreria delle donne di Milano).Secondo Laura Mora Cabello de Alba, docentecastigliana di Diritto del lavoro e dellasicurezza sociale, è possibile rintracciare nelmovimento spagnolo 15M (15 maggio 2011)alcuni aspetti tipici della politica delle donne,quali il rifiuto della violenza, la fiducia nellaparola, nel dialogo, nello scambio, “oltre laNuove forme di protesta contro l’economia canagliaper evitare le future guerre fra poveri, un defaultpilotato, operato di concerto, da partedei Paesi deficitari, anche se ammette chepurtroppo “questo accordo non ci sarà” e apagare il prezzo più caro per questa crisi sarannoi giovani (“Left”, 23 settembre 2011).“Prepariamoci”, dunque, “per la più grandeepidemia moderna che, come la peste diLondra, si fermerà solo quando il fuocoavrà ingoiato tutta la città per far posto a unanuova, più pulita, più vivibile” – affermal’economista nel suo volume Il contagio (Rizzoli,2011), a proposito del “virus” che dallaSpagna all’Egitto, da Atene a Roma e NewYork continua a spingere le ragazze e i ragazzia sperimentare nuove forme di relazionee di protesta, inediti laboratori politicie economici, in vista di un cambiamentovolto a scardinare il vecchio modello economico-politico,uno shock che probabilmentespazzerà via le élites al potere nel modo piùdrastico – si vedano l’esperienza dell’Argentina,la straordinaria rivoluzione silenziosaislandese di cui sappiamo pochissimo oppurel’esempio del Belgio, da un anno emezzo senza un governo.È possibile cogliere il filo che lega questosommovimento in atto alla rivoluzione simbolicadelle donne del XX secolo, fondatacontrapposizione di argomenti o il dualismoideologico e culturale proprio del potere(buono o cattivo; privato o pubblico; con meo contro di me; resistere o combattere; lottareo creare)”, una parola che include ilcorpo singolare di ciascuno/a. Maria-MilagrosRivera Garretas, che vive a Barcellonadove insegna Storia medievale, legge lostesso movimento come “rivoluzione dei figlidelle femministe”, dei figli maschi e nondelle figlie, una rivoluzione sicuramente postpatriarcalema maschile, dato che continuaa esprimersi attraverso un linguaggio neutroche di fatto è storicamente maschile.Oggi la contrapposizione si gioca all’internodel maschile: da una parte, l’apertura di varchidi speranza nelle pratiche dei figli dellefemministe e, dall’altra, la chiusura disperatadi uomini che si spingono fino all’assassiniodi colei che hanno amato. Nelle coscienzemaschili del nostro tempo manca dunque, agiudizio di Maria-Milagros, “la politica delsimbolico, cioè del senso libero della vita edelle relazioni”, “la presa di coscienza chetutto nella vita è sessuato, anche la rivoluzionee, pertanto, anche il suo linguaggio. Sesi esprimono al maschile, è perché parlanodi una rivoluzione maschile, ora meravigliosamentepostpatriarcale, che alcune donne6 mezzocielo ottobre-novembre 2011...il mondo organico, gli alberi e le piante, sono diventati, nel tempo, oggetto di una scrupolosaattenzione. mi sono appassionata allo sviluppo, alle geometrie che ne guidano lacrescita, intuendoli come un prolungamento della vita, ma anche scoprendoli come metaforadello scorrere del tempo, testimoni innocenti (gli alberi in città o le campagne abbandonate,presto ricoperte di pale eoliche o specchietti fotovoltaici) del degrado cheavanza ogni giorno in questo dannato paese. Per questo il mio intento, è diventato semprepiù, una forma di documentazione. urgenza di fermare l’immagine di qualcosa che vavelocemente scomparendo. In questo contesto, la luce mi affascina profondamente. Scoproche a volte una determinata luce conferisce ad un contesto una particolare emozione.Nel mito essa rappresenta la dea e la vista, dunque la conoscenza: osservare per conoscere.La fotografia mi dà la possibilità di scoprire aspetti che non avevo colto al primo sguardoe questa emozione è ciò che cerco di condividere... Margherita Biancastiamo accompagnando e che può aggiornarela mascolinità e la sua politica”.È possibile cogliere anche nelle piazze extraeuropeealtri segnali? Ricordiamo – perchéforse nel frattempo lo si è dimenticato –che la mobilitazione in Egitto venne innescatada un video su Facebook e Youtube incui la giovane Asmaa Mahfouz chiedeva alpopolo egiziano di scendere in piazza il 25gennaio 2011.Assistiamo a sconquassi ma anche ad apertureverso un altro futuro: è in corso uncambio di civiltà che, come sostiene LuisaMuraro, “ha un segno femminile: sonodonne, infatti, quelle che hanno aperto lapista di un protagonismo non a spese di altrie che insegnano che dalla relazione si guadagnapiù che dalla competizione” (in Nonè da tutti. L’indicibile fortuna di nasceredonna, Carocci, 2011).7 mezzocielo ottobre-novembre 2011politicapolitica


PoliticaDonne in competizioneper le primariea <strong>Palermo</strong>8 mezzocielo ottobre-novembre 2011 9 mezzocielo ottobre-novembre 2011politicaDaniela DioguardiCome interpretare il fatto che per le prossimeelezioni amministrative di <strong>Palermo</strong>, circolinoi nomi di molte donne possibili candidate asindaco?Alcune hanno già un’esperienza politico-amministrativama solo poche, a me sembra,hanno per storia, autorevolezza e reti di relazioniuna reale possibilità di concorrere pervincere. Ma questo non è un buon motivo permettersi da parte. Ci si candida per passione,responsabilità, ambizione, con la giusta e condivisibileconsapevolezza che in ogni caso unbuon risultato potrà servire, per esempio, adottenere un assessorato, se vince la propriaparte politica. So bene che pronunciare la parolaambizione e alludere ad una sorta di negoziazioneriferite alle donne fa storcere ilnaso. Infatti per le donne dovrebbe valeresempre la retorica del sacrificio e di un’assolutapurezza d’intenti. Ma non è da questo chesi misura una buona politica. Certo è necessariodistinguere ambizione da cinismo, sensodi realtà da bieco pragmatismo, capacità dimediare e contrattare da spregiudicatezzavolta a perseguire i propri interessi particolari.Chi fa politica, attività in cui più di altre lequalità rischiano facilmente di trasformarsi invizi, dovrebbe conoscere e seguire la praticafemminista del partire da sé. Saper leggeredentro se stessi, mettersi periodicamente in discussioneè non solo propedeutico ad una correttaanalisi della realtà esterna ma anche unformidabile antidoto a molti difetti. Narcisismo,megalomania, arroganza, autoreferenzialitàed altro ancora affliggono molti uominipolitici, incapaci, purtroppo per tutti noi, difare un passo indietro. Il fatto che oggi semprepiù donne siano e si mostrino ambiziose, voglianocioè raggiungere e ottenere ruoli pubblici,incarichi di prestigio, attraverso cuideterminare scelte che incidano sulla realtà, èsicuramente positivo ed è un risultato del femminismo.Le donne hanno acquistato fiduciain se stesse, non sono più disponibili a mettersida parte e riescono con ammirevole equilibrismoa comporre ruoli diversi. L’organizzazionesociale continua, infatti, ad ignorarne leesigenze, scaricando su di loro, come diconole statistiche, tutto il peso dell’indispensabilelavoro di cura. La scena pubblica non è piùesclusivo spazio maschile. C’è poi una coscienzadiffusa, un senso comune che di fronteal degrado della vita pubblica, alla corruzionedilagante, al fallimento della politica e dell’economiagestite da uomini, auspica unamaggiore presenza delle donne nelle istituzionie nella politica, ritenendole migliori e piùcorrette. D’altronde, mai come in questi ultimitempi, è evidente una “questione maschile”.Sappiamo bene, anche per esperienza direttadi ministre, sindache, politiche di bassa qualità,che non si distinguono in nulla dai lorocolleghi maschi, che non basta essere donnaper fare meglio. Purtroppo il femminismo,complici anche i massmedia che ne hanno propagandatogli aspetti più semplici e meno radicali,è stato vissuto/inteso da molte e moltiesclusivamente come un movimento di rivendicazionedi diritti e di spazi. Occorreva / occorreentrare nel mondo, così com’è, edeliminare gli ostacoli che impediscono alledonne di fare ciò che fanno gli uomini. Ciò hafavorito un processo di omologazione. È rimastanell’ombra la parte più significativa e rivoluzionaria:la necessità di rileggere, nominare,cambiare il mondo a partire dalla nostra esperienza,prendendo le distanze dal pensiero maschile,da cui siamo state per millennicolonizzate, anche da quello della nostra parteideale e politica. Oggi è chiara e assai preoccupanteper le conseguenze sulla vita di tuttinoi, la crisi di questo pensiero, dell’ordine patriarcalee del mondo che ne è scaturito. Èvero quindi che potenzialmente i soggetti chepiù di altri possono imprimere la necessariasvolta positiva alla politica e all’economia delnostro paese sono le donne, ma debbono esserneconsapevoli ed avere il coraggio e la capacitàdi uscire dal pensiero dato. Dobbiamonominare il valore e l’efficacia di tanta partedell’attività e dell’esperienza femminile, chespesso noi stesse sottovalutiamo, e che invecepuò e deve essere utilmente trasferita nel pubblico.Il mondo ha bisogno dell’opera femminiledi civiltà, non di donne che agiscono comeuomini. Si tratta di sperimentare e mostrareche è possibile un altro modo di gestire il poteree di governare, avendo a cuore il benepubblico. Per essere credibili non basta piùtuttavia dirlo, è necessario praticarlo a partireanche da piccoli gesti come potrebbe essere,ad esempio, il rifiuto dell’indennità se, unavolta convocato, il consiglio comunale non siriunisce. Mi piacerebbe e sarebbe utile che ditutto questo parlassimo pubblicamente insiemealle donne che desiderano candidarsi,che fossimo capaci di confrontarci, pattuire ecostruire alleanze in modo aperto e trasparente,dandoci valore reciproco. In un momentocosì grave e delicato della vita delnostro paese e della nostra città, mettere daparte invidie e personalismi, saper fare, se necessario,un passo indietro per evitare perdentiframmentazioni, sarebbe già un bel risultato eun esempio di buona politica.finestra sul mondoIn USA, c’è stata una ondata di manifestazionidavanti a Wall Stret. Paroled’ordine: “Contro la finanza spregiudicata,e gli speculatori selvaggi”(si protestain particolare contro i bonusstellari che incassano i dirigenti dellebanche). La manifestazione di fine settembreè stata contrastata dalla poliziache ha operato 700 arresti (in seguito,tutti rilasciati). Il magnate Soros ha dichiarato:“Sono d’accordo con i manifestanti.I ricchi devono pagare di più”.I Sindacati si preparano a confluirenelle manifestazioni degli indignados,formate finora prevalentemente da studenti,disoccupati, ex-hippy.In Spagna, dove il movimento è sorto inprimavera (il 15 maggio: da questa dataha successivamente acquisito il nome),in primo luogo contro l’aumento delletasse universitarie, si è poi espresso inmanifestazioni contro il viaggio del Papaa Madrid. Oggi il movimento si sta articolandonelle diverse regioni.In Grecia, dove la situazione economicaè veramente drammatica, il movimentoiniziato a giugno, ha espresso anche alcunepunte di violenza anche gravi. Essoè diventato popolare e globale, confluendonegli scioperi, in particolar deidipendenti pubblici. Un’ondata di cuiLa crisi economica che in varie formeha colpito tutto il mondo occidentale,ha fatto venire alla ribalta un tema cheera sempre rimasto sotto traccia: esistonoi ricchi (guarda un po’!) e cosasi può chiedere loro per superare lacrisi? In USA e in Europa si discute dise e quanto sia giusto far pagare loro,oltre le tasse normali, per aiutare i bilancinazionali (negli anni scorsi, in alcunipaesi come la Germania, sonostate ridotte le aliquote massime d’impostasulle persone fisiche e sui redditida capitale: misura per la quale lostato tedesco negli ultimi dieci anni haincassato 300 miliardi in meno – edoggi si cerca di cambiare strada, proponendodi prelevare un’impostaIndignadosmondomionon si vede la fine, anche perché il debitopubblico greco è enorme, risultatoanche di sbagliate politiche dei governiprecedenti.In Israele, i primi di agosto una immensamanifestazione di quasi mezzomilione di persone, nella piazza centraledi Tel Aviv, ha protestato contro ilgoverno, prevalentemente sui problemidel carovita ed in difesa del welfare. Laprotesta di massa (cui hanno presoparte giovani, famiglie, anziani) si è ripetutanelle successive settimane. Findal primo raduno si è affermata comeprincipale protagonista una donna, DaphniYit. È stata lei l’eroina della rivolta,la Marianna di quest’estate 2011.A Berlino, invece, si chiamano “Pirati”.Si tratta di una versione nordeuropeadel nostrano Movimento Cinquestelle (Beppe Grillo) e degli indignadosspagnoli. Ad esempio, una maggioreconfidenza con il diteggiare la tastierache con l’organizzazione di manifestazionifisiche di piazza e l’assenza di unguru riconosciuto. Nelle recenti elezionicomunali/politiche, il Piratenpartei(il Partito pirata) ha ottenuto l’8,9%e 15 dei 141 seggi in palio.Bersaglio sui ricchi?dell’1% sui patrimoni superiori al milionedi €). Obama ha proposto di varareuna tassa del 5% sui redditiannui superiori a un milione di dollari.In Italia, com’è noto, si parlamolto dell’imposta patrimoniale o diun super contributo di solidarietà –ma non si è ancora deliberato nulla.Particolare curioso: alcuni “ricchi” sisono dichiarai “favorevoli” a una superimpostasui grossi patrimoni: GeorgeSoros, famoso finanziere americano; edun gruppo di miliardari tedeschi, tracui Gerhard Sturm, primo produttoremondiale di ventilatori. Comunque, finora:nessuna proposta precisa in meritoè stata varata, né in USA, né inGermania, né, ovviamente, in Italia.


finestra sul mondofinestra sul mondomondomioFotografia di Shobha, Maria sposa felice di Lorenzo, <strong>Palermo</strong>, 2011Le donne nella primavera arabaPartecipazione e vigilanza!Il 60% della popolazione dei paesi del Nord Africa è di età inferiore ai 30 anni; e la metà diquesti è di sesso femminileEgitto - Il Comitato incaricato di riformularela Costituzione dopo il defenestramentodi Mubarak, ha escluso le donne.Tutti uomini. 102 organizzazioni e gruppifemminili del paese hanno sottoscrittouna denuncia collettiva per l’esclusione.La leader femminista egiziana Nawal ElSaadawi (femminista storica: nel 1923 sitolse in pubblico il velo) si è messa allatesta di questa protesta e promuove la ricostituzionedell’Unione donne egiziana,bandita a suo tempo. Si propongono diorganizzare una marcia di un milione didonne.Tunisia - Khadia Cherif, ex-dirigente dellaAssociazione tunisina Donne democratiche,ha garantito che le donne continueranno adifendere la separazione delle moschee dallostato, sostenendo che “la forza del movimentofemminista tunisino è che non ci siamomai separate dalla lotta per la democrazia eper una società laica”.Maya Jeribi, oggi biologa, ha iniziato il suoimpegno civile e politico come animatricedel sindacato degli studenti tunisini. Oggi èdiventata Segretario del Partito democraticoprogressista, la seconda forza politicadel paese. “La nostra è stata la rivoluzionedi tutti” – afferma – “Un vero e proprioblocco sociale interclassista… È stata unarivoluzione mista: Le donne hanno partecipatofin dall’inizio ma non hanno imbracciatoi fucili. La degenerazione armataesclude le donne”.10 mezzocielo ottobre-novembre 2011mondomio11 mezzocielo ottobre-novembre 2011mondomio


MondomioEnelia, indigena amerindauna delle 90sindachedi ColombiaGiovanna MinardiHo conosciuto di persona Enelia Salinas Chivatà,indigena colombiana, appartenente alpopolo Nasa: da quattro anni è sindaca delpaesino di Caldono, nella valle del fiumeCauca, una delle zone più belle e conflittualidella Colombia. Ma non è la sola donna sindacodel suo paese; non molte, ma ve ne sonoaltre: 90 donne sindaco su un totale di 1100sindaci. Enelia Salinas Chivatà, ha studiatoamministrazione aziendale ed insieme adaltre quattro sindache, fa parte del CRIC(Consejo regional indígena del Cauca), che asua volta aderisce all’ONIC (Organización nacionalindígenas de Colombia) e che portaavanti i cosiddetti “planes de vida”, ovveroprogrammi politici locali nello spirito dellaCostituzione del ’91 che riconosce certi dirittiagli indigeni (gli amerindi, popolazione cuiappartiene Enelia, sono i discendenti dellepiù antiche popolazioni d’America). Il CRICè nato nel 1971, ma è rimasto nella clandestinitàfino al ’99, in quanto considerato sovversivodal governo; oggi lotta per ottenere undecreto d’autonomia, per recuperare la linguaNasayuwe, la medicina Nasa, senza perquesto voler disdegnare i rapporti con il restodel paese e del mondo. I suoi principi reggentisono tre: unità, terra e cultura. Esisteuna piattaforma di lotta, i cui punti centralisono, tra gli altri, la terra, il modello educativo,il rafforzamento dell’autorità, nel sensodi recupero del proprio territorio, la famiglia,e che si articola in tre grandi progetti: quellopolitico, quello socio-culturale, all’interno delquale s’inserisce la tematica di genere, quelloeconomico-ambientale.In questa regione della Colombia le Farc(Fuerzas armadas revolucionarias de Colombia)sono ancora presenti, ma gli abitanti diCaldono si sono schierati contro la guerrilla,hanno liberato persone sequestrate e hannomesso su una loro “guardia indígena”. Caldonoè un municipio modello, in quanto lapolitica viene esercitata attraverso il “procesoparticipativo”, ovvero le decisioni vengonoprese dal basso dopo aver ascoltato la voce diogni componente della comunità. In seguitoalla legge sulle quote, che fa sì che nelle listeci debba essere il 30% di donne, al consigliocomunale di Caldono, su sei consiglieri, tresono donne. Mi dice Enelia che la donnaNasa in genere è sottomessa, passiva, vittimadel machismo che ancora predomina nelle relazionitra i sessi in Colombia, ma anche delleFarc, perché spesso i loro figli, le loro figlievengono arruolati/e a forza. In tale contestoun’azione decisiva e coraggiosa portata avantidalle otto organizzazioni femminili che formanola “Red de mujeres del Municipio deCaldono” è stata quelle di riscattare dellebambine-guerrigliere. A ciò si associa l’importantelavoro di sensibilizzazione e la creazionee messa in pratica di un programma diformazione professionale per le donne, affinchéqueste possano collaborare all’economiafamiliare ed essere, pertanto, trattate megliodall’uomo. Inoltre, fanno parte della “Rutapacífica de mujeres”, che si occupa di denunciarecasi di abuso nei confronti delle donne.Sono grata al “Circolo Amerindiano”, cheha organizzato a Perugia il Convegno in cuiho potuto incontrare questa donna, e parlarea lungo con lei. Quando ci lasciamo,Enelia mi saluta con un bel sorriso, e lanciaun appello alle donne e agli uomini di <strong>Palermo</strong>,perché imparino a conoscere la vitae i problemi del suo paese e delle sue minoranze.Coraggiosi e coraggiose indigeni edindigene Nasa: si esprima, nei vostri confronti,l’ampia solidarietà della comunità internazionale.In Somalia (a Mogadiscio) un attentato terroristico da un gruppo di affiliati di Al Qaeda (AlShabab) ha causato circa 100 morti, quasi tutti studenti che si apprestavano a sostenere unesame per ottenere una borsa di studio. I giornali ne hanno parlato solo per un giorno. La Somaliaevidentemente è considerata una terra perduta e forse non possiamo fare altro che assisterealla lotta fratricida tra il radicalismo islamico e le forze dell’Unione Africana, che sicontendono quartieri e città. Ricordiamo con dolore questi poveri ragazzi che studiavano, tentandodi costruirsi un inarrivabile futuro di lavoro e di pace.Donne insieme per unarivoluzionesocialein LibiaFrancesca Di PasqualeFatima non piange più. Non si commuove più,come accadeva anche solo per un saluto primadella rivoluzione. Fatima non piange quandoracconta dei suoi figli in guerra, perché, dice,“hanno ragione, lo devono fermare ed io sonocon loro”. Fatima sembra essere consapevoledelle stragi che si sono compiute e che ancora sistanno compiendo nel suo paese, da una parte edall’altra del fronte, ma ritiene molto più importanteadesso concludere la battaglia, primoobiettivo per potere costruire la Libia di domani.Se l’appoggio alla guerra contro Gheddafisembra aver travalicato ogni ulteriore considerazionesulla condotta militare o sul futurodella Libia, in realtà è stata la guerra stessa adare forma e visibilità ad istanze che vanno aldi là del presente e che oggi, dopo la morte delraìs, acquistano la consapevolezza delle potenzialitàsociali inespresse durante la dittatura.Rinasce nei discorsi e nelle argomentazionidelle amiche libiche il senso, profondo, dell’unitàpopolare che la retorica dello “statodelle masse”, la Jamahiryya creata dal leaderlibico, aveva svuotato di significato.Il fronte unito di donne in appoggio alla lottacontro il regime di Gheddafi è stato uno deglielementi di forza del movimento ed al contempoha costituito la prima sostanziale cesuracon il passato. Le donne si sono mobilitate findall’inizio della rivolta – poi diventata guerra– incitando gli uomini alla lotta, organizzandoi pasti per i combattenti e, all’estero, mettendoin piedi un’eccezionale raccolta fondi destinatiper lo più alla cura dei feriti e mobilitandol’opinione pubblica dei paesi nei quali si trovavanoin favore dell’opposizione a Gheddafi.Ritrovarsi e costruire insieme è stato il primopasso di un percorso che pone le basi per unaeffettiva rivoluzione sociale in Libia.In un paese marcato da un forte conservatorismosociale, le istanze ‘modernizzanti’ della rivoluzionegheddafiana del 1969 hanno prestolasciato spazio al rafforzamento di un tradizionalismoche ha immobilizzato, in alcuni casi, eportato indietro, in altri, la società libica. Unprogressivo imbarbarimento sociale che si èmanifestato per lo più attraverso la marginalizzazionedelle donne. Se la Jamahiryya potevavantare un impianto normativo rivolto alla tuteladei diritti delle donne in ambito familiaree lavorativo - ponendo in essere un sistema apparentementemolto più avanzato di quello vigentenei suoi stessi vicini nordafricani - difatto il sistema di norme sociali bloccava l’effettivaapplicazione delle leggi o ne vanificavagli obiettivi. Da questo punto di vista la Libiadi Gheddafi, la cui spinta ideale per una ‘rivoluzione’sociale sembrava inesauribile, non harappresentato sicuramente alcuna eccezionenel panorama delle dittature arabe.La lotta contro il dittatore ha rappresentatoanche la prima occasione per conquistare unospazio pubblico che, sino a quel momento, erastato praticamente interdetto alle donne. Legrandi manifestazioni di Bengasi, nelle fasi piùdifficili della guerra, e di Tripoli, dopo la liberazione,sono state volute, organizzate e ideateda reti femminili che avevano una visionemolto chiara del contributo sostanziale che potevanoapportare alla lotta prima e al cambiamentoadesso. Oggi le donne non voglionoperdere lo ‘spazio’ conquistato durante laguerra, ma soprattutto vogliono essere protagonistedella costruzione della Libia che verrà.In questo senso organizzazioni come “Womenfor Libya” oggi chiedono che sia garantita alledonne rappresentatività negli organi politicidella transizione, per portare avanti le battagliecontro la discriminazione di genere e la loroeffettiva applicazione.Le voci delle donne, tuttavia, sono molteplicima soprattutto in diversi casi vanno al di làdelle questioni di genere. L’istruzione, la giustiziae, più in generale, i diritti umani costituisconoil fondamento delle argomentazioni dimolte attiviste. Il messaggio è abbastanzachiaro: la nostra lotta, come donne, costituiscela lotta per l’insieme della società libica, perl’intero popolo libico, affinché vi sia un cambiamentoeffettivo in favore di uno stato di diritto.Ponendosi come strumento essenzialeper garantire l’unità del paese, in un momentoin cui la divisione della Libia viene paventatada diverse parti, interne ed esterne al paesenordafricano, le donne libiche mostrano diavere una visione molto chiara non soltanto deirischi ai quali si può andare incontro nel dopoguerrama soprattutto delle potenzialità diuna società che sia realmente inclusiva.12 mezzocielo ottobre-novembre 2011mondomio13 mezzocielo ottobre-novembre 2011mondomio


mondomioMessico: sangue e massacricontro donnee giornalistiSecondo Reporters senza frontiere, nel decennio2000-09, sono 55 i giornalisti uccisi e ottoquelli scomparsi in questo paese. Il numerodelle vittime continua a salire: 83 negli ultimidue anni. Una carneficina cui si aggiungono lemacabre cinque esecuzioni dell’ ultimo mese.Da quando nel 2006 il presidente Calderón hainiziato una dura lotta contro il narcotraffico,coinvolgendo l’esercito e le forze federali, ilMessico vive in un clima di guerra civile. Più di45.000 persone sono morte da allora. Sembranon esserci una via di uscita da questo orrore eci si chiede come si possa tutelare la libertà diinformazione quando le autorità locali sequestranoil materiale raccolto da reporter e giornalisti;scrivere parole come “narcotrafficanti”equivale firmare la propria condanna a morte.Mentre aumentano le testate che evitano gli argomentiscomodi per non subire attentati controle loro sedi, scrivere diventa un dovere peri giornalisti. Sono sempre più i giovani che, purconsapevoli del rischio cui si espongono, si occupanonei loro articoli della violenza trasversaledominante, dalla corruzione delle autoritàalle bande di narcos. Un tentativo per unire, attraversola loro scrittura, le coscienze di un tessutosociale che rischia di sgretolarsi sotto lamorsa della paura e del ricatto al silenzio. Nonè uno stato di diritto, un paese dove si muoreper le proprie parole. Molti di questi delitti restanoimpuniti. Le autorità continuano a ritardarel’attuazione di un accordo, firmato unanno fa, per la protezione dei giornalisti. L’averistituito una Procura speciale per i delitti controi giornalisti (Feadp), non produce risultati. Trale vittime molte sono donne. Croniste impegnatenel condurre inchieste su criminalità, corruzione,abusi delle autorità e narcotraffico.Sottoposte a continue minacce e aggressioninello svolgere il loro lavoro, facile bersaglio perle bande che si contendono i cartelli delladroga. Lo scorso 2 settembre, in un parco dicittà del Messico, sono stati ritrovati i cadaverinudi, legati l’ uno all’ altro, di Marcela Yarce,(44 anni) fondatrice e direttrice del settimanaleContralinea e Rocio Gonzalez Trapaga, (48anni) freelance e giornalista televisiva. Due amichee professioniste, unite dalla passione per ilgiornalismo d’ inchiesta. Si erano date appuntamentoper un caffè il giorno in cui sono statesequestrate e torturate prima d’ essere uccise.A Veracruz – la prima città fondata da Cortessul Golfo del Messico – in cui è spietata la contesatra i cartelli per gli accessi al mare, continuanoad aumentare le morti. MessaggiMaria Chiara Di Trapaniintimidatori per il resto della società accompagnanoqueste esecuzioni. In estate YolandaOrdaz, giornalista di cronaca nera del quotidianoNotiver, viene sgozzata a pochi passidalla redazione. Sul corpo un biglietto “Gliamici possono anche tradire”. Yolanda ricevevada tempo minacce perché indagava sull’ assassiniodel suo collega Miguel Angel Lopez Velasco.Il giovane Manuel Gabriel FonsecaHernández, (18 anni) reporter per El Mañanerode Acayucan di Veracruz, scompare unamattina di 20 giorni fa. A Nuevo Laredo- cittàdell’ omonimo paese che a nord confina con ilTexas – gli ultimi atroci delitti. María ElizabethMacías Castro, 39 anni, caporedattore del quotidiano“Primera Hora” viene assassinata per ilsuo impegno di attivista nel sito “Nuevo Laredoen Vivo”. Da mesi attraverso il web incoraggiavai cittadini a denunciare violenze,crimini, luoghi e nomi degli spacciatori in città.Le parti mutilate del suo corpo sono statesparse in un parco al centro della città. Sullesue gambe erano posate una tastiera, unmouse ed un biglietto “Questo è ciò che accadeai mezzi di comunicazione che sono controdi noi”. La notizia della sua morte non hatrovato quasi spazio si media. Aumentano letestate che per paura di finire nel mirino dellaviolenza dei narcos, non trattano più argomentiscomodi. Evitiamo di resocontare altretragiche morti. Per colmare il vuoto creatodalla stampa ufficiale sempre più cittadini eblogger hanno iniziato ad usare la rete per diffonderecon spirito civico le notizie. AttraversoTwitter, siti web e blog si formano ognigiorno nuovi gruppi di “sopravvivenza quotidiana”e denuncia contro l’omertà e la paura.Ma anonimato e nickname non riescono aproteggere le persone dalla violenza dellebande. Ma ci esoneriamo, per ora, dal resocontarealtre tragiche morti ed orrendi sfregi.Da numerosi cittadini e blogger è stata promossain queste settimane la campagna “No +sangre” (Non più sangue), testimoniando chein Messico c’è una popolazione attiva e coraggiosache vuole difendere l’ indipendenza dellastampa e la libertà di tutti i cittadini. Noi ci affianchiamoloro, con solidarietà e commozione.Occhi bambini sulla rivoluzionemessicanacento anni faNacha CenicerosIn una stazione vicina a Chiuahua, ungrande accampamento villista.Tutto è tranquilloe Nacha piange. Era innamorata delgiovane colonnello Gallardo, di Durango.Anche lei era colonnella, usava la pistola eaveva le trecce.Aveva pianto nel ricevere consigli di unavecchia soldatessa.Entrò nella sua tenda a pulire la pistola, eramolto assorta quando le partì un colpo.In un’altra tenda c’era Gallardo seduto a untavolo che parlava con una ragazza; il colpopartito a Nacha lo colpì alla testa e lo uccise.– Hanno ucciso Gallardito, mio generale.Villa disse impassibile:– Fucilatelo.– È stata una donna.– Fucilatela.– Nacha Ceniceros.– Fucilatela.Pianse per l’amato, si coprì il viso con lebraccia, le trecce nere penzolanti e ricevettela scarica.Faceva una bella figura, incancellabile perquelli che videro la fucilazione.Oggi c’è un formicaio dove dicono che siasepolta.Da una finestraUna finestra alta due metri in un angolo.Due bambine guardano sotto di loro ungruppo di dieci uomini con le armi pronte apuntare su un giovane uomo sudicio e conla barba incolta che supplicava disperato,terribilmente malato si contorceva dal terrore,allungava le mani verso i soldati, morivadal terrore.Nellie CampobelloL’ufficiale, insieme a loro, va dando ordinicon la spada e quando l’alzò come per ferireil cielo, partirono dalle carabine dieci colpiche s’incrostarono in quel suo corpo gonfiod’alcool e di vigliaccheria.Un salto terribile quando ricevette gli spari,poi cadde col sangue che sgorgava da moltifori. Le mani gli rimasero attaccate allabocca. Rimase buttato lì per tre giorni; loportarono via una sera, non so chi lo fece. Sichiamava Jesús José Galindo, sua madre vivevanella via San Francisco, proprio a pochiisolati da lì.Poiché rimase per tre notti buttato per terrami ero già abituata a vedere la sagoma delsuo corpo, caduto sul lato sinistro con lemani sul viso, che dormiva lì, vicino a me,quel morto mi pareva mio quel morto.C’erano momenti che, temendo che se lofossero portato via, mi alzavo correndo e miaffacciavo alla finestra, era la mia ossessionenotturna, mi piaceva vederlo perché sembravaavesse molta paura.Un giorno, dopo aver mangiato, corsi a contemplarlodalla finestra e non c’era più.Quel morto timido era stato rubato da qualcuno,la terra rimase sola e con la sua sagomaimpressa.Mi addormentai quel giorno sognando chene fucilavano un altro e desiderando chesuccedesse vicino casa mia.Un punto di vista sulla rivoluzione messicana completamente fuori dal comune è quello chepropone la scrittrice Nellie Campobello. La prospettiva, infatti, è quella di una bambina cheassiste direttamente ad alcune delle fasi della rivoluzione nella regione di Chihuaua, nel norddel paese. La bambina guarda alle scorribande delle truppe di Villa e di Carranza, ai morti gettatiper strada, agli orrori di una guerra violenta e truce, con uno sguardo non spaventato ma curioso,dando ai personaggi narrati nel libro, non tinte fosche e macabre ma i colori vividi e accecantidei giochi d’infanzia.Nellie Campobello (1900-1986), conosciuta nel suo paese non solo come scrittrice, ma comeballerina e direttrice de la “Escuela Nacional de Danza”, scrisse il romanzo Cartucho, utilizzandoi propri ricordi di bambina per darci una chiave al femminile su una delle rivoluzioni più affascinantie complicate del secolo passato. Lo scritto, da cui sono stati estratti questi brevi fulminantiracconti, fu pubblicato nel 1931. L’opera è stata faticosamente (ed amorosamente)recuperata e tradotta in italiano, e ripubblicata quest’anno.Stefania SavoiaTratto dal libro Cartucho. Racconti della rivoluzione del nord del Messico.Ed. Le lettere, Firenze, 2011. A cura di Giovanna Minardi14 mezzocielo ottobre-novembre 2011mondomio15 mezzocielo ottobre-novembre 2011mondomio


Il rischio di tornare ai manicomiMi ha insegnato a vivere e capiresocietàPer riconoscere un malato di mente, quasisempre basta guardargli i denti. Sì, come aicavalli. Tranne i pochi che vivono con unafamiglia in grado di prendersi cura di loro, idisabili psichici hanno spesso bocche devastateda buchi e frammenti ingialliti: perchéi denti, gratuitamente, si possono curare, manon sostituire. Chi pagherebbe le loro protesi?La domanda può sembrare provocatoria:ci sono altri bisogni, essenziali, spessoinsoddisfatti; eppure mi sembra che questo,più che altri segni, manifesti in loro oltrel’appartenenza alla massa crescente deinuovi poveri, la collocazione al fondo dellaclassifica sociale: scritta nel corpo, più chenell’abito, nei gesti, nelle parole.Risale oggi dal tempo un’angoscia che sicredeva scomparsa: che si possa tornare aconsiderare chi soffre di disturbi psichicigravi delle non – persone, da nascondere edimenticare. È già accaduto, potrebbe accadereancora: in periodi di grave crisi leprime risorse che vengono tagliate sonoquelle per l’aiuto ai più indifesi, con minorevisibilità e potere contrattuale: giustificazione,e non causa, è considerarli improduttivi,un peso per la società, vite indegne diessere vissute. I costi della manovra varatadal governo ricadranno sulle famiglie: la diminuzionedei trasferimenti agli enti localiprodurrà un’ulteriore riduzione di servizi einterventi sociali; là dove manca una rete disostegno familiare che possa sostituirli, saràil vuoto.È concreto quindi il rischio di tornare indietro,che possa sgretolarsi quanto è stato costruitoin decenni di lavoro comune tradisabili, curanti, operatori sociali, famiglie,volontari, per la creazione di comunità alloggio,di opportunità di lavoro e di integrazionee per la scoperta e valorizzazione dinuove risorse.Una multiforme pluralità ha dato forza e sostanzaai tentativi di edificare nella realtà lapiù estrema delle utopie, quella che le racchiudetutte: la condivisione delle diversitàdegli altri. Non è facile: comporta anchel’accoglienza dell’alterità più sconvolgente edisturbante: lo specchio spezzato dell’io divisoche restituisce, in un frammento, l’ immagine,l’oscurità inespressa di chi si credesano.È un percorso che nasce da lontano, dallelotte dello psichiatra Franco Basaglia e deisuoi collaboratori per i diritti delle personeRossella Calecacon disagio psichico, che hanno portato, nel1978, all’approvazione della legge 180 per lachiusura dei manicomi e la limitazione dei“trattamenti sanitari obbligatori”; una battagliaper la riacquisizione di autonomia edignità negate che ha avuto nella nostra cittàun precursore. Il barone Pisani, funzionarioborbonico, nei primi decenni dell’800 fondòla “Real Casa dei Matti” in cui veniva praticatoil cosiddetto “trattamento morale”: diffidentenei confronti della medicinadell’epoca, il barone riteneva, con intuizioneanticipatrice, che fosse importante restituiredignitose condizioni di vita ai malati, e favorirela guarigione attraverso il lavoro e le relazioniumane.I disabili psichicipotrebbero oggi,col venir menodelle risorse perl’inclusione sociale,essere respintiancora unavolta nella dipendenza,o peggio,in un estremo degrado,con l’unicagaranzia delle cureessenziali offertedagli operatorisanitari; un’involuzione,una perdita,una sconfittaindegne di unpaese civile, incompatibiliconle nuove sensibilitàe consapevolezzeche rendonoormai tutti noi, invari modi, agentidell’utopia pluraleimprevedibilmentecondivisada un medicorivoluzionario eda uno stravagantearistocratico.Grazia Guercetti, psichiatra, è arrivata a <strong>Palermo</strong>per scelta. È venuta da Milano nel1989; qui ha lavorato presso un Dipartimentodi Salute Mentale e qui si è sposata.Dal 1999 al 2005 è stata in comando al Dipartimentodella Programmazione del Ministerodi Sanità. Quando è scaduto l’incaricoè tornata al suo lavoro ambulatoriale nel servizioterritoriale, contenta di essere di nuovoa <strong>Palermo</strong> e di riprendere l’attività pratica econcreta con gli utenti, i familiari, gli operatori.Adesso va a dirigere il reparto di psichiatriapresso l’Ospedale civico di <strong>Palermo</strong>, un incaricodi prestigio e di grande responsabilità.Anche qui profonderà le sue dotipersonali e professionali, il suo senso del doveree del rispetto delle regole come ha semprefatto, senza mai perdere di vista laMarta Ciminovarietà umana e relazionale che il suo mestiererichiede.È bello incontrare persone così. Ho avuto lafortuna di essere accompagnata da lei perqualche tempo, in un percorso di ricerca interioredi equilibrio e di armonia. Per questola inserisco nel novero delle figure di donne(e di uomini) che hanno contribuito alla miaformazione, che mi hanno insegnato a viveree a capire, che mi hanno suggerito percorsio aiutato a trovare la strada migliore.Grazie Dottoressa, e buon lavoro!© Tracey Moffatt’s personal archives, New York and Sydney, 199016 mezzocielo ottobre-novembre 2011società17 mezzocielo ottobre-novembre 2011società


I guerriglieri dei giardini<strong>Utopia</strong> <strong>Palermo</strong>Lasciare il motorino incustodito di sera e ritrovarloal suo posto due ore dopo, credetemi,apre il cuore alla speranza di una cittàmigliore. Anche perché le due ore, dalle diecia mezzanotte, le ho trascorse in compagniadi una decina di guerrilleros del verde, unodi quei gruppi di cittadini che silenziosamentevanno crescendo in città e che si ripropongono,da cocciuti stravaganti, dicombattere integrare riparare le insufficienzeoperative delle pubbliche amministrazioni,di intervenire dunque in campi specifici conmolta inventiva e volontà di supplire all’accudimentodifettoso di beni collettivi. IGuerrilla Gardening nascono negli Usa nel1973 e si affermano a partire dal 1996, dal2000 si formano gruppi anche nel nord Italiae mai avrei pensato di vederne a <strong>Palermo</strong>,dove è risaputa l’avversione per ogni frondache si muova alla brezza e metta radici esbocci fiori frutti foglie, che cadono e sporcano.E invece, a gennaio 2011, succede cheun giovane Alberto decida che è tempo diintervenire anche qui dove le aiuole abbandonate,o meglio gli scampoli di terreno inariditoche mai videro un fiore, abbondano esi riproducono pure. Con una manciata diamici forma il gruppo Guerrilla Gardening,con il passaparola si aggiungono sconosciutidi tutte le età che, forniti di passione, piante,zappe, rastrelli, cesoie, guanti e bidoni d’acqua,si ritrovano a curare piccole aree bisognosedi abbellimenti dopo essersi accertatidella “benevolenza” dei residenti a cui le affidano.Le piante se le procurano come possono,a piantumarle ci provano i piùresistenti, a decorare i cartelli che segnerannoil loro passaggio ci pensa Nancy, a lavorofinito foto di gruppo e soddisfazione diaver fatto una cosa giusta, bella e utile.Questo avviene una volta a settimana. L’ultimavolta che li ho raggiunti di fronte PortaFelice, trovo due uomini intenti a bagnareun filare di pomodoro e basilico con intrusionedi vinca bianca e viola. Scambio di salutie spontaneo il racconto di due vite dahomeless: Mohammed l’iraniano musulmano,accampato in un camper nascosto tragli oleandri, loquace e socievole, vorrebbefare una festa a sostegno dei senza tetto nellospiazzo recuperato dai recenti lavori alla Cala,«anche senza autorizzazione» che non potràchiedere né ottenere. Ian è suddito di HerMajesty the Queen riparato quaggiù dove, assicuranella sua lingua, non lo ingiuriano eRosanna Pirajnonon lo prendono a calci e, cosa non marginale,il clima è favorevole per chi ha solo unsacco a pelo come protezione notturna.Un prototipo di “orto urbano a chilometrozero”, di cui altrove tanto si parla come antidotoalla crisi alimentare e alla lievitazione deiprezzi, impiantato dai “guerriglieri giardinieri”Antonella, Margherita, Jan, Alberto,Sergio, Diego, Francesco, Patrizia e altri e curatoda due homeless stranieri che ti invitanoa servirtene, più amici di vecchia data che ritrovia zappare e di nuovi che ne acquisisciper affinità elettiva, è il frutto di una seratainsolita e decisamente particolare, bagnatadalla luna e da un clima mite e amicale comeun dono. Quando chiedo ai guerriglieri diespormi le motivazioni del loro guerreggiarecon armi improprie, viene fuori il ritratto segretodi una città abitata da cives che non soloamano il verde e l’atto “trasgressivo” di riappropriarsidi spazi urbani impiantando bellezza,muniti di zappa che «apre varchi anuove vite», ma anche voglia di comunitas dafare attecchire nel deserto fisico e metaforicoche combattono, «sporcandosi le mani diterra» come atto non solo simbolico. Si meraviglianoanche loro, delle ragioni che emergonosolo dopo la decisione di agire, ma conquel «gesto poetico del piantare che scardinale categorie di utile/inutile» per la città ostilequando ostaggio di «pochi profittatori», conquel fare affinché «la trasformazione della naturasia di beneficio a tutti», i nostri amicigiardinieri – come in Oltre il giardino di HalAshby – piantano «semi di pensiero» chesanno di consapevolezza della necessità della“cittadinanza attiva”, di risveglio della “partecipazioneoperosa” per uscire dalle sacchedella sfiducia e del pessimismo in cui ci siamocacciati. Il loro antidoto è la carica positivacon cui affrontano le aiuole desertificate perridargli vita, in fondo è l’habitat comune chesi giova della loro impronta guerrigliera.Me ne sono andata a mezzanotte con un sacchettoricolmo di basilico non so quanto inquinato,ma profumatissimo, regalo diMohammed che i pomodori non riesce maia raccoglierli, ci arrivano prima i passanti.18 mezzocielo ottobre-novembre 2011 19 mezzocielo ottobre-novembre 2011dossier


utopie <strong>Palermo</strong>Necessità dell’eterotopia.Una storia diimmaginazioneabusivaEva Di StefanoSulla nuda cima del monte accanto a PizzoSella, la collina sfigurata dall’abuso edilizio,cresce ogni giorno un’opera sorprendentedove l’eco delle chiese arabo-normanne e lacultura popolare si fondono in un sistema distraordinarie geometrie devozionali. Anchequesta una storia di abusivismo, ma di segnoopposto: non si tratta di speculazione o disperazione,che sono le due forze motrici delnostro ordinario degrado, ma di abuso diimmaginazione e bisogno di redenzione.Lassù c’è qualcuno, che continuando, comesuggerisce un verso di Hölderlin, ad “abitarepoeticamente il mondo”, lavora in solitarioper la salvezza dell’anima della città. Occupandouna struttura dismessa, ha creato unadimora-santuario, tributo alla bellezza negatanella desolante zona di espansione norddella città, in cui ha precedentemente lavo-Fotografia di Antonio Ferrante, Ex osservatorio militare oggi opera sorprendente dell’eremita Israele, 2009rato e vissuto. No, non è un caso che lo ZENsia lo sfondo di questa vicenda singolare, enon è un caso la prossimità dell’opera con ibubboni cementizi di Pizzo Sella.Quindici anni fa Israele è salito sul monte, attribuendosiquesto nuovo nome tratto dallaBibbia e lasciandosi alle spalle la società e lafamiglia con cui fino allora era vissuto. Portavacon sé solo le sue mani forti da muratore,un corpo agile, e il Libro dei Libri. Avevacirca quarant’anni, poco meno o poco più,quando decise di vivere da eremita sentendosiinvestito da una missione di ordine superiore.Si insediò nell’unica costruzione chec’era in cima, un ex-osservatorio militare abbandonato,che prima rese agibile e poi, guidatodai propri sogni, iniziò a decorareall’interno con mosaici di ciottoli e cocci divetro trasformandolo con il tempo in un meravigliososantuario, dove lo spazio è ridisegnatoa riquadri, fasce, cornici, vuoti e pienicon uno spontaneo senso della misura, i pavimentie i soffitti sono dipinti a motivi geometricicon colori intensi in modo chel’insieme appare smagliante e armonioso. Imateriali sono poveri, ma la sapienza manualedell’artefice trasforma scarti e frammenti inpietre preziose. Sulle pareti esterne Israele harappresentato solo sagome stilizzate di angeliguerrieri a protezione della sua opera devota,e accanto all’ingresso ha scritto le paroledell’Apocalisse come un monito, perché l’iradivina contro la città corrotta, che da lassù sivede a 360°, cresce ogni giorno.La porta è sempre aperta, il laborioso eremitaè di poche parole ma accoglie i viandantiin quel luogo di salvezza, sperando cheper qualcuno lo stupore provocato dall’operainattesa sia un seme di nuova consapevolezza.Continua a lavorare alla suadimora celeste, che sarà terminata soloquando ‘vorrà Dio’, ma da qualche tempoha preso ad estendersi anche nell’ambientecircostante, costellando di segnali il sentieroche dalle pendici del monte sale verso lacima: cuori, stelle, triangoli, parole di preghieradipinte sulle pietre disseminate lungoil cammino o mosaici incastonati su murettio sassi, che rappresentano un invito e unorientamento per l’ascesa. Il santuario va diventandocosì un’opera sempre più totaleche ingloba il paesaggio, il sentiero, lo sforzodella salita.Senza voler mettere in ombra l’autenticofondamento religioso della missione artisticadi Israele, vorrei sottolineare come la sua vocazionesia anche frutto del disagio nei confrontidi un paesaggio urbano alieno erappresenti la costruzione di una soluzioneindividuale, che sta ad indicare una diversaprospettiva, una reazione clandestina all’abusopotente e concreto della modernizzazioneincompiuta. C’è un aspetto del suolavoro che, infatti, è in stretta relazione conla città slabbrata da cui è fuggito, come sequell’ostensorio sulla montagna ne rappresentasseun possibile strumento di redenzione,un contro-spazio rispetto ai casermonidella periferia e un antidoto per la desolanteincuria generale. Nel suo santuario sulmonte e nei mosaici di pietre che ne incrostanole pareti, Israele trasferisce l’animadella città e la materia della sua origine: nonutilizza pietre qualsiasi, ma sassi che periodicamenteva a raccogliere sul greto dell’Oreto,l’antico fiume che in tempi remotifertilizzava la piana di <strong>Palermo</strong>, e sulla spiaggiadi Acqua dei Corsari, la borgata nellazona sud-orientale della città dove è nato, indirezione opposta e distante parecchi chilometridai quartieri anonimi e alienati dell’espansionepseudo-razionalista. Vi tornaspesso attraversando a piedi con la sua bisacciatutta la città all’andata e al ritorno,come se quel viaggio delle pietre da sud anord, e poi dal basso all’alto, fosse essenzialecome un magico percorso di purificazioneesteso all’ambiente urbano, una sorta di viacrucis necessaria alla trasmutazione che avverràsulla montagna.L’eroismo solitario dell’impresa irradia attornol’intensità emotiva e etica del modelloantropologico dell’homo faber di contro all’uomo‘flessibile’ della società consumisticae postindustriale. Vista in questa prospettiva,quest’opera del margine, che scardinale categorie estetiche consuete, si presentaanche come avamposto di una diversa ipotesisociale, proponendo la necessità dell’eterotopia.Le eterotopie, scrive Michel Foucault, sonospazi reali che costituiscono una sorta dicontro-spazi, dove altri luoghi vengono rispecchiati,neutralizzati o sovvertiti. A differenzadelle utopie, luoghi irreali checonsolano, le eterotopie sono concrete maallo stesso tempo luoghi altri, dunque «inquietano,senz’altro perché minano segretamenteil linguaggio […], perché spezzano eaggrovigliano i luoghi comuni, perché devastanoanzitempo la ‘sintassi’ e non soltantoquella che costruisce le frasi, ma quellameno manifesta che fa ‘tenere insieme’ le parolee le cose».Se l’eterotopia privilegiata da Foucault è lanave, perché «nella civiltà senza navi i sogniinaridiscono e lo spionaggio sostituisce l’avventura»,Israele mi appare un navigatoresolitario nella sua nave di terra, felicementeincagliata sul monte con tutto il suo caricoprezioso di sogni insieme alla memoria dimolti porti e tempeste, una nave corsara nelsuo flagrante delitto d’immaginazione. Diquesta specie di navi abbiamo bisogno: a<strong>Palermo</strong>, e non solo, credo che oggi le eterotopiesiano più necessarie delle utopie.20 mezzocielo ottobre-novembre 2011dossier21 mezzocielo ottobre-novembre 2011dossier


Fotografie di Lucia Palumbo, Ex osservatorio militare oggi opera sorprendente dell’eremita Israele, <strong>Palermo</strong>, 2009 Fotografie di Lucia Palumbo, Ex osservatorio militare oggi opera sorprendente dell’eremita Israele, <strong>Palermo</strong>, 200922 mezzocielo ottobre-novembre 201123 mezzocielo ottobre-novembre 2011dossierdossier


Una palermitana negli USAutopie <strong>Palermo</strong>Mi chiamo Veronica Vegna ed ho due bambini:Luka, 3 anni e Syria un anno che sonogli amori della mia vita! Mio padre si chiamaLuciano ed è chirurgo. Mia madre, CettyCardamone, è laureata in biologia, ho trefratelli, Gianluca, Giorgio e Marco.Come ci sei arrivata in America?Avevo studiato inglese per vari anni ed erostata in Inghilterra molte volte (fin da quandoavevo 14 anni) e l’idea di poter vivere in unpaese straniero per un periodo esteso mi affascinava,rappresentava una sfida con mea cura diLetizia Battagliastessa. Mi piaceva l’idea di vivere a contattocon persone di una cultura diversa dalla mia.Mi ero appena laureata in lingue e letteraturestraniere e l’idea di entrare nelle file dei disoccupatio dei “sottopagati” mi sembravaSu un prato verde, una ragazza bionda e bella e due bambini biondissimi e vivaci.Stupisce vedere una ragazza con due bambini, su un prato verde del MiddleburyCollege, famosa università americana di lingue. Ma stupisce ancora dipiù sapere che questa ragazza deliziosa ed affabile è di <strong>Palermo</strong>, qui nel Vermont,per ottenere un dottorato ed avanzare così nella carriera di insegnantenella Università di Chicago.Una volta arrivata a <strong>Palermo</strong> le chiedo di scrivermi qualcosa.Fotografia di Letizia Battaglia, Cetty, Luciano, Veronica, Luka e Syria, Middlebury, Vermont, 2011assurda. Volevo trovare un lavoro che midesse delle soddisfazioni e attraverso il qualepotessi mettere in pratica quello che avevoappreso nei miei studi. <strong>Palermo</strong> non mi offrivatutto questo e quando la professoressad’inglese con la quale mi ero laureata mi proposedi restare all’universita’ (ovviamente inFotografia di Letizia Battaglia, Eleonora e Siria, Middlebury, Vermont, 2011maniera precaria e probabilmente senza alcunapaga), non ebbi esitazioni e decisi cheil mio futuro era al di fuori di quell’ambiente.Poi...i bambini... Da qualche anno sono sposatacon un ragazzo americano. Si chiama Jeremiah.Mi sembrava una relazione destinataa morire per via della differenza di età, della24 mezzocielo ottobre-novembre 2011distanza (io sono tornata in Italiaquell’estate e lui è andato a fare volontariatoin Birmania) ed anche per iprogetti nelle nostre vite che sembravanonon poter coincidere. Non è andatacosì. Io sono tornata in Americaquella stessa estate per vederlo. Avevoanche trovato lavoro presso la Universityof Chicago come coordinatrice delloro programma di italiano ed insegnante(questo è il mio lavoro ancora oggi) eJeremiah si è trasferito a Chicago con me. Luioggi lavora come insegnante di scultura e disegnoed a volte insegna anche presso la DePaul University. Io non ho mai chiesto aiutoeconomico a nessuno ed ho sempre cercato difare tutto da sola, contando sulle mie forze. Mada quando ho i miei bimbi, i miei genitorihanno spesso espresso il desiderio di trascorrerepiù tempo con noi e quest’estate sono appuntopartiti da <strong>Palermo</strong> per aiutarmi, qui aMiddlebury. L’idea di conseguire un dottoratomi è sempre piaciuta, perché mi piace studiare.Avevo voglia di esercitare il cervello e di fareuno sforzo intellettuale. Così, continuerò a studiareogni estate per 3 o 4 estati a Middleburye durante l’anno lavorerò a Chicago....e <strong>Palermo</strong>?È da circa 12 anni che vivo all’estero e quasiogni anno torno almeno una volta in Sicilia.Due anni fa ho trascorso tutto un anno a <strong>Palermo</strong>con J e Luka (Syria è nata a <strong>Palermo</strong>!).Devo dire che rivedere il mare, ilgolfo di Mondello, la zona di Scopello doveho passato quasi tutte le estati da bambinami rende felice. Anche se all’estero sonostata spesso bene, sempre e comunque rimarro’una straniera, nel bene e nel male.25 mezzocielo ottobre-novembre 2011dossierdossier


Fantasmi molestie una casa viva<strong>Palermo</strong> - Torino (e ritorno)utopie <strong>Palermo</strong>Quando avevo sedici anni abitavo a <strong>Palermo</strong>.A quel tempo, era il 1981, <strong>Palermo</strong>era una città faticosa. Mi ricordo che avevoamici che morivano di eroina, altri che sitoglievano la vita; altri no, non morivano,ma anche loro trovavano che vivere fosseuna cosa tutt’altro che normale. Questonon succedeva solo ai miei amici, succedevaun po’ a tutti, in una ampia fasciad’età, che andava dai quindici ai trent’anni.Mi ricordo che camminavo per la cittàaspettando che da un momento all’altrocomparisse su via Maqueda Nunu, o chespuntasse Ignazio, che aveva dieci anni piùdi me e prima di uccidersi non mi avevamai considerato, mentre poi, dopo morto,aveva cominciato a tampinarmi e non volevamai lasciarmi sola.I morti, anche quelli che conoscevo male oconoscevo solo di vista, mi diventavano intimi,morti molesti, stalker. Camminavo perle strade con il mio codazzo di spettri. Eraun codazzo sardonico, guardava i vivi conun occhio canzonatorio. Scuoteva la testadi fronte ai frocetti che si tagliavano già icapelli a baobab e si vestivano attillati, difronte alle ragazze scappate di casa che siprostituivano per semplice euforia di stareal mondo. Irrideva ogni speranza, quellasemplice di una vita di abbracci (e giù risate),quella grande di un mondo rifattodall’inizio che sapesse mettere un freno almale e all’ingiustizia (se ne venivano giù interipalazzi lesionati per le risate dei mieimorti).Tutto questo sperare minuto o protervo dinoi vivi, questo affannarsi, li faceva scompisciare.A volte, frequentandoli troppo,nei sogni, per strada andando a scuola eanche la sera, capitava anche a me di riderecon loro. Non me lo perdonavano: mi indicavano:ma cosa te la ridi, che oggi domaniesci incinta. C’era nella città soltantoun posto in cui i morti – che senza alcundiritto chiamo i miei – smettevano di rideree di offendere. Era una casa dietroTeatro Massimo, ci abitava Nino Gennaro,con Giusi, che era sua sorella, Maria DiCarlo, Mario e tanti altri, che passavano dalì e che si fermavano. Insieme avevanocreato Teatro Madre. Nino, Giusi e Mariaerano scappati dal paese. Maria da ragazzinaaveva denunciato suo padre per maltrattamentie aveva vinto la causa. SuoCarola Susanipadre la picchiava perché frequentavaNino, perché Nino se la faceva con i maschi.A Nino, a Maria, a Giusi, ma anche aglialtri che passavano, con Teatro Madre, conla casa aperta e fredda, con la politica percome la facevano, con quello che scrivevano,con il teatro, riusciva una cosa che apochi riesce. Fare di quello che si spera unacosa presente.Avevano fondato una comunità senza saperlo.Si amavano, nella vita di tutti igiorni, e amavano anche altre persone.Lo facevano apposta. Combattevano perchél’amore fosse senza violenza e senzapossesso, ma non lo facevano nell’incoscienza,nella leggerezza. Lo facevanocome una cosa impossibile che devi fareper forza, per salvarti. Vivevano in questomondo, come se fosse già un altro, maerano anche persone normalissime.La loro vita era la loro lotta, a certi capita,e non potevano farci niente. Ma non avevanospezzato il filo con il passato, con legenerazioni che avevano trasmesso l’amoree la violenza come se fossero una cosa soltanto.Di quel passato, facevano teatro.Nino vestito con la camicia da notte biancacon i pizzi parlava con la voce di sua nonnae incarnava il tempo, la vita delle generazioniche sono morte. In quella casa vivevanoda mortali come pochi, sapendo che iveri bisogni si contano sulle dita di unamano. Non me lo spiego, ma i miei morti,in quella casa, non ridevano, restavano zittie attenti, come se quella casa e TeatroMadre parlasse anche con loro. Li sentivoscossi, come se per un momento sentisseroun cedimento, un desiderio di tornarecarne, perché la carne per un momento nonsembrava cosa vana, ma piena.Forse è stato quando Nino è morto che nonli ho sentiti più aleggiare e ghignare attornoalla mia testa. Dove se li è portati? In unbuon posto, io credo.Mi viene in mente questo, quando mi dite:<strong>Utopia</strong> e <strong>Palermo</strong>.Partire da <strong>Palermo</strong> per me fu una liberazione.I mesi precedenti li avevo trascorsicon ansia febbrile in attesa che si consumasselo strappo. Avevo compiuto già 27anni e provavo la netta sensazione che senon avessi lasciato questa città così immobileed immutabile nel suo destino di belladormiente, non avrei avuto scampo: avrebbeingoiato i miei sogni e le mie speranze. Nellavaligia misi una buona dose di ottimismo,una laurea in Lettere e il ricordo dell’esaltanteesperienza della Scuola di Teatro direttada Michele Perriera e partii.Era il 7 Ottobre del 1980, quando giunsi aTorino. In quella nebbiosa sera di autunnola città mi apparve grigia, severa, chiusa inse stessa. Fra i bar che chiudevano alle ventidi sera ed i posti di blocco nelle vie del centrosi andava consumando l’ultimo epilogodegli anni di piombo. I picchetti ai cancellidi Mirafiori erano l’estrema fiammata delmovimento operaio: qualche giorno dopo, ilsilenzioso corteo dei 40.000 colletti bianchicon i loro cartelli a scritte verdi mi avrebbelasciata interdetta, frastornata.Sono passati molti anni da allora. Da <strong>Palermo</strong>mi giungeva il passo cadenzato dellagrande mattanza: Rocco Chinnici, Carlo AlbertoDalla Chiesa, Pio La Torre. E poi legrandi stragi del ’92: Giovanni Falcone,Paolo Borsellino e i loro agenti di scorta. Seguivoda lontano, con trepidazione, la Primaveradi <strong>Palermo</strong>: uomini e donne che siponevano a disposizione di un progetto diriscatto morale e civile. Una stagione ed unaillusione durate ben poco.E mentre <strong>Palermo</strong> ritornava a sprofondarenel pantano della corruzione e dell’inefficienza,Torino verso la metà degli anni novantasembrava risorgere a nuova vita: unmetodico e paziente lavoro di riqualificazioneurbana portava al recupero ed alla valorizzazionedel centro storico: le piazze, lechiese, i palazzi nobiliari, le residenze sabaude,in buona parte di epoca barocca, ritornavanoa nuovo splendore. La cittàindustriale ed operaia lasciava il posto allacittà d’arte, aprendo così le porte al turismointerno ed estero.Più di tutto mi colpiva la serietà e la professionalitàcon cui veniva affrontato il problemadell’immigrazione, nel rispetto delle culturee nell’attenzione ai processi di integrazione.In questo le scuole e i loro insegnanti hannoavuto un ruolo importantissimo. Questa èAdriana Castellucciuna delle sfide più grosse che una metropoliè chiamata a raccogliere e da questo io ritengoche si misuri il suo livello di civiltà e didemocrazia.Da diversi anni curo la regia di allestimentiteatrali. Si tratta per lo più di opere di impegnocivile. In una realtà che ha vissuto stagionipolitiche drammatiche ed intense, comele lotte operaie, la repressione fascista, laShoah, la Resistenza, l’immigrazione dal Sud,il Sessantotto, è ancora forte la coscienza delbene comune e della solidarietà sociale. E imiei lavori teatrali riflettono in buona partequeste ed altre tematiche ed i suoi protagonisti,o ripropongono figure esemplari dal pensierovisionario, come Altiero Spinelli oMauro Rostagno, grandi tessitori di sogni edutopie. È un teatro interpretato da giovani erivolto a giovani, anche a quelli che non losono più, ma che si sentono tali dentro.Ogni estate ritorno a <strong>Palermo</strong>, con uno statod’animo di accoramento ed insieme di piacevoleadesione sentimentale. D’altronde èuna città che si nutre di questi ossimori. Ilcentro storico sempre più fatiscente, nonostantealcuni tentativi di recupero a macchiadi leopardo, i siti artistici restaurati già instato di abbandono oppure vandalizzati, ilcinismo e l’inerzia mascherati da snobismoe presunzione intellettuale sono gli aspettiche più mi colpiscono e mi offendono. Eppure,fra tanto degrado, balugina sempre unpiccolo prezioso luccichio: uno spettacoloteatrale mirabile, un delizioso concerto, unromanzo pregevole di autore …Oggi, più che mai, amo <strong>Palermo</strong>. D’altronde,è un sentimento scontato, perché lacittà è tutt’uno con la mia infanzia e giovinezza:ho avuto la fortuna di vivere gli annigiovanili nell’impegno e nella partecipazione,fra il calore delle sue persone. Non èpoco. Gli anni della maturità, che sonoquelli più fattivi e consapevoli, li ho dedicatia Torino: sono stati anni di insegnamento edi impegno teatrale che la città subalpina miha permesso di praticare, con la correttezzae discrezione che la contraddistinguono.Anche questo non è poco.26 mezzocielo ottobre-novembre 2011dossier27 mezzocielo ottobre-novembre 2011dossier


Un certo disincantoRitratto di un artista sempregiovaneutopie <strong>Palermo</strong>Quando, circa 20 anni fa, iniziai a fantasticaredi vivere in Italia, inseguivo le rappresentazionidel corpo attraverso il sostrato sedimentatodelle culture incrociatesi nel sud dellaPenisola. Mi affascinava in particolare l’intrecciodelle fonti pagane e cristiane, la persistenzadi certe usanze antropologiche,insomma la Sicilia mi sembrava più genuinadella mia terra natìa e proprio la sua posizioneagli estremi confini dell’Europa me larendeva insieme familiare ed estranea. Inoltre,alla stregua di certa Arte Povera, ero accattivatadalle potenti suggestioni di unpaesaggio così visibilmente plasmato daglielementi, da questi luoghi che avevano ispiratoil Mito, fatto scaturire le favolose Metamorfosiraccontate da Ovidio.Di fatto, il mio primo impatto con l’Isola(come ospite della Fiumara d’Arte) fu travolgente,la mia prima estate siciliana indimenticabilee certamente fertilissima a livellocreativo. Sembrava che l’intuizione avesse azzeccatoil giusto “altrove”, dalle sirene miAnne-Clémence de Groléegiungeva pure il canto ammaliante… Poi, colpassare degli anni, addentrandomi in una conoscenzapiù profonda della Sicilia odierna,è subentrato in modo subdolo un certo disincanto.Davanti agli scempi ambientali causatidall’abusivismo e dalla proliferazione di cementofino alle spiagge, mi era sempre piùdifficile pensare che il prodigio potesse ancorasorgere dal grande mare che la circonda.Forse il Genius loci non abitava più qui…Tuttavia sono stati proprio i paradossi diquesto luogo cosi complesso, difficilmenteafferrabile, a rilanciare la mia riflessione spostandoneprogressivamente la prospettiva.Vedo ormai la Sicilia come una sorta di metafora,ahimé, delle tristi contraddizioni e si-40 anni ed essere un Giovane artista. Sempree comunque un Giovane, un limbo incui scandire i giorni di una dolce condanna.A 25 anni, se sai districarti tra pubbliche relazioni,uno o due anni a Brera ed un annodi residenza a Berlino, puoi aspirare di dirittoalla definizione di ‘promettente Giovaneartista’. Ma ovviamente solo intorno ai40, quando la disillusione prenderà il sopravvento,sarai finalmente un ‘Giovane artista’a tutti gli effetti.<strong>Palermo</strong> quasi fosse affetta da un’anomaliamorfologica, sembra spingere gli studentialla ricerca di un fittizio Santo Graal, tratteggiatoin forma di ridente ologramma.Così alla volta di Milano, Berlino o Londra,tra Erasmus, residenze e fondazioni, dedicandosicon passione alla pratica del presenzialismo,il giovane artista aspira in media aduna recensione su un mensile di settore, chein buona sostanza verrà letto, o meglio verràsfogliato, da una nicchia di Anziani aspirantiFederico LupoGiovani e Giovani precocemente brizzolati.Perdendo di vista quanto siano capaci dicontenere e raccontare persino degli anonimicondomini periferici o quante speranzeè possibile alimentare nei pochi metriquadri di una stanza, gli studenti palermitanisognano di affrontare un azzeramento,una rinascita in un luogo profondamentediverso, che per un attimo faccia loro dimenticaredi essere nati tra polvere d’eternited alberi da frutto. Un sogno però, chesembra sostenere con determinazione l’indifferenzaper tutte quelle micro-realtà,quei fermenti culturali, nati a <strong>Palermo</strong> enaufragati nell’arco di pochissimi anni.Fotografia di Giulio Azzarello, Mobile city 2, 2005Frame di video di Federico Lupo, 201128 mezzocielo ottobre-novembre 2011dossiertuazioni irrisolte del mondo contemporaneo.Mi appare alternativamente serbatoio inesauribiledi storia e storie ed insieme smemorata,baciata dagli dei per la bellezzadirompente dei suoi paesaggi e volgarmentesfruttata, se non distrutta dai suoi stessi abitanti,ricca di energia, passione e creativitàma spesso mortificata da chi gestisce il potere.E <strong>Palermo</strong>, in costante bilico tra crolloprecipitoso e inaspettata rinascita, diventaper certi versi paradigma delle tante tensioniche lacerano il sud.Federico Lupo (<strong>Palermo</strong>, 1984) dal 2005 affianca alla ricerca artistica indirizzata soprattuttoalla video art, l’attività curatoriale ed organizzativa, dando vita al progetto “Zelle Arte Contemporanea”,spazio espositivo indipendente situato nel cuore del centro storico di <strong>Palermo</strong> chepropone progetti di giovani artisti della scena nazionale ed internazionale, promuovendo inoltreprogetti in diversi sedi espositive in Italia e all’estero. Ha ricevuto diversi riconoscimenti nazionalied internazionali.29 mezzocielo ottobre-novembre 2011dossier


Utopie di comportamentoMaruzza e le altreutopie <strong>Palermo</strong>Sarebbe un’utopia pensare che i primi adare un esempio di educazione al traffico incittà potrebbero essere proprio quelli che lavoranocon le istituzioni? Parlo per esempiodegli autisti di auto blu, dei motociclisti discorta che, vicino al palazzo dei normanni,lasciano sui marciapiedi le loro moto, o, inattesa dell’autorità, posteggiano dove capita.Sentendosi, forse, protetti dall’alto, compionouna serie d’infrazioni ma, soprattutto,una serie di grandi maleducazioni.Sarebbe assurdamente utopico sperare cheil vigile a cui ti avvicini, col finestrino abbassato,per chiedere un’informazione non urli,senza averti chiarito nulla:”Vada, vada nonvede che blocca il traffico?”Se su un autobus pretendiamo scorrevolezzae educazione meglio non prenderlo! Nessunosi alza né per dare il posto a donne pronte alFotografia di Angela Maria Antuono, la Repubblica di Caianelloparto, né davanti ad anziani con stampella.Alla vecchia galanteria uomo, donna… meglionon pensarci! Vi è poi una linea su cui ifurti sono la prassi, capisco che per avidità edisonestà uno/a possa prendere un portafoglioma per educazione potrebbe infilare i documentinella prima buca delle lettere.Un’altra utopia sarebbe quella di sperare chein un Ufficio postale l’impiegato/a allo sportellodavanti ad una banconota di venti euroSilvana Fernandeznon si metta ad urlare “Non ho da scambiare,torni quando ha scambiato” creando confusionee l’allungarsi della fila mentre tu cerchimonetine, anzi sacchi di monetine.È un’utopica chimera immaginare me cheentro in un negozio, chiedo qualcosa ed invecedella commessa con faccia disgustata cheparla solo abbassando o alzando la testa misentissi rispondere per esempio: “Questo èesaurito, vuol vedere qualcosa d’altro?”Hol’impressione che vi sia fra l’istituto dei sordomutie i negozianti una facilitazione che forseagevola i negoziantima non le vendite.Sì, il problema dell’immondiziaè gravema perché quelli chesono costretti a lasciarei sacchetti,dopo giorni d’attesa,nei vari cumuli nellestrade non cercano dichiuderli bene e nonfanno in modo chesempre, nel primostrato, non ci sianopannolini sporchi etampax. Si ha l’impressioneche <strong>Palermo</strong>sia abitata soloda bambini con la cacarellae donne con lemestruazioni!I palermitani sono un popolo appassionatoma non lo sarebbero di meno se sui muri delmio palazzo, del palazzo accanto e di tantialtri palazzi non ci fosse scritto in blu, inrosso, in nero: Toni ama Pina; Pasquale amaSamanta o un anonimo Rosalia ti amo. Forsese le varie Pine, Samante, Rosalie spingesseroi loro Romei a un’esternazione privata dell’amoreavrebbero più riservatezza loro e noiuna <strong>Palermo</strong> esteticamente migliore.Ci sono moltissime ragioni per cui è difficilefare impresa a <strong>Palermo</strong> e in Sicilia.Molte sono legate alla criminalità organizzata,che soffoca e mortifica con il “pizzo”le aziende che tentano di creare occupazionee crearsi uno spazio, altre sono legate allesacche di assistenzialismo che soprattuttonel sud del paese hanno dato vita a circoliviziosi. In sostanza chi vive grazie ai sussididifficilmente li lascerebbe per un lavoro veroe proprio. Questo succede un po’ dovunquee succede anche in un luogo come lo Zen2,quartiere degradato della periferia di <strong>Palermo</strong>.Ce lo racconta Maruzza Battaglia che dal2008 prova a fare impresa, o meglio, di farnascere in questo quartiere la voglia di lavorare,di essere indipendenti, di realizzare ilproprio futuro con le proprie mani: le manidelle donne.Ma partiamo dal luogo, partiamo dallo Zen2di <strong>Palermo</strong>, un luogo dove se non ci nascinon ti sogneresti nemmeno di passare; ilvuoto dentro la città, il luogo dove i sogninon riescono neanche a nascere.Ma il sogno è nato, invece, il sogno cresceed è il sogno di Maruzza,glielo legginegli occhi e nelleparole, la sana testardagginela vedinei fatti.L’idea è semplice,un corso di cucitocon delle braveinsegnanti, 8 donnedel quartiere,la stilista MarinaLo Versoe soprattutto ilbuon gusto e latenacia di MaruzzaBattaglia.La sfida è statacreare “unlaboratoriodi sartoria capacedi misurarsi con il mercato, ma che significaanche riscatto sociale, appropriazione diun’identità e affermazione di legalità”Stefania SavoiaCome? Disegnando, progettando e realizzandouna collezione di raffinatissime borsea partire da tessuti ricercati e alla moda: unprodotto di artigianato di alto livello. Con lasua associazione, diventata ONLUS, hachiesto, ottenendoli, fondi e aiuti al Comune,all’Ars e allo IACP e ha riscossogrande successo, tanto che le borse“LAB.ZEN²” sono state sulle pagine di importantigiornali, coinvolgendo anche, per lastagione 2010/2011, un’artista di successo,Diva Ponti, che ha dipinto i tessuti per unaserie limitata.Ma l’ingrediente fondamentale di questaricetta è altro: è il non lasciarsi scoraggiareda un quartiere che si chiude in se stesso,dal fatto che delle 8 donne solo una, RosyAntonelli, ormai una vera e propria professionista,sono rimaste con Maruzza adare corpo a questa impresa.“Ci riuscirò. Nonmi sento sconfitta.Quest’anno ricominciamoda capo. Rifaremoun nuovocorso conl’aiuto deidocenti dellescuole delquartiereche coinvolgerannole mamme”diceM a r u z z a“Fare impresa a <strong>Palermo</strong>è possibile. Le donne devono rendersiindipendenti e rimanendo nel quartierepossono, con la giusta spinta, provare a recuperarlo”.“Sono passati i tempi in cui la destra era caratterizzata da comportamenti rigidi e la sinistrasi lasciava andare ad esplosioni “volgari” – oggi, quando la destra diventa semprepiù apertamente volgare, è forse compito (o uno dei compiti) della sinistra di ripristinareun po’ di semplici buone maniere”. Slavoj Zizek, Vivere alla fine dei tempi, pag. 44930 mezzocielo ottobre-novembre 2011dossier31 mezzocielo ottobre-novembre 2011dossier


culturaAgota Kristof, ciao!Una scrittriceper cui il verbo amarenon è un verbo sicuroHo riletto “La trilogia della città di k”, horiletto “La Vendetta”. Quando ho chiuso leultime pagine di ambedue i libri ho avutoper essi un gran rimpianto. Eppure io nonmi sentirei di dire che amo la scrittrice AgotaKristof forse «Perché il verbo amare non èun verbo sicuro, manca di precisione e diobiettività», come appunto fa dire la scrittricea uno dei personaggi della trilogia. Ioho usato il verbo amare al negativo perchéquel che produce in me la sua scrittura, purcomprendendo tensioni ed emozioni chebene si abbinano a questo sentimento, necomprende altre che sono l’opposto. Spesso,infatti, la Kristof ha prodotto in me contrastiche con la sfera affettiva amorosa ben pocohanno da spartire. Per esempio certe descrizioni,pur riconoscendo che non potevanoessere più vivide e puntuali, mi hanno prodottoun senso di vera avversione, cosìcome, alcune volte, ho trovato tortuoso ilcammino di alcuni personaggi, a primo impattocattivi, che poi in una logica elaborata,quasi filosoficamente, rivelavano una bontàdiversa; personaggi che non mi consentivanodi chiudere il libro dimostrando così lamia protesta. No pagina dopo pagina, anzirigo dopo rigo la tensione mi ha semprespinto ad arrivare alla fine, anche se, essendoa volte una rilettura, la fine mi era nota. Lamagia della Kristof è proprio questa: darti lapossibilità di elaborare ogni volta i suoiscritti con un’interpretazione diversa. AgotaKristof è nata il 30 Ottobre in Ungheria nel1935 a Csikvandin in un paesino, lei racconta,“privo di stazione, di elettricità, diacqua corrente, di telefono” eppure gli annidell’infanzia appaiono dalle sue parole comei più sereni. Quando l’Armata Russa invasel’Ungheria, nel Novembre 1956, la Kristoflasciò il paese con suo marito, che era il suoinsegnante di storia, e la figlia di quattromesi. Andarono a Vienna, con l’intenzionedi emigrare negli Stati Uniti; ma la paura el’incertezza del lungo viaggio li convinsero astabilirsi nella Svizzera-Francese (Suisse Romande).Lavorò in una fabbrica di orologi,Silvana Fernandezdove lentamente imparò la lingua del paeseadottivo. Scrisse in quegli anni per sopravvivereal lavoro della fabbrica, scrisse comescriveva poesie in collegio per vincere il buiodelle camerate di notte, scrisse soprattuttoper vincere quel rancore sordo che covavaverso il marito per averla costretta all’esilio.Asserì, infatti, varie volte: “Meglio sarebberostati dieci anni di carcere in Ungheriache la libertà di una fabbrica di orologi”malgrado in Svizzera la sua prima commediain francese “Le Rat qui passe”, pubblicatanel 1972 ebbe successo e man mano che lesue opere fossero tradotte in vari paesi eosannate da tutti lei si sentì sempre non soloun’esule ma soprattutto una straniera sia nei“Ho un romanzo tutto nella mia mente” aveva dettoin un’ultima intervista. La morte l’ha colta,prima che potesse scriverlo, due mesi fa il 27 luglio.confronti della gente, sia della lingua che lariportò emotivamente all’analfabetismo diuna bambina. Eppure della lingua francesesi impadronì talmente bene da potere costruirefrasi, periodi che andavano dallasemplicità delle più lineari descrizioni, allepiù barocche costruzioni linguistiche similialle volute, agli intrecci delle realizzazionigaudiniane. Spesso, come per AntoniGaudi, ho avuto l’impressione con la Kristofche ci fosse nel suo stile, per usare terminiarchitettonici, una voluta in più, un cornicionetroppo ornato, delle fughe di scale imprevedibili.Ma come ogni volta davanti allaSagrada Família o Casa Batlló sono rimastaincantata così resto conquistata dalla letturadelle opere della Kristof di cui, le più famosedi quelle tradotte in italiano sono “La vendetta”,“L’analfabeta”, “L’ora grigia” e lapiù importante “La trilogia della città di K”.Da tempo non scriveva logorata da unagrave malattia. “Ho un romanzo tutto nellamia mente” aveva detto in un ultima intervista.La morte l’ha colta, prima che potessescriverlo, due mesi fa il 27 luglio.Estratti da l’Analfabetaracconto autobiografico di Agota KristofParlo il francese d più di trent’anni, lo scrivo da vent’anni,ma ancora non lo conosco. Nonriesco a parlarlo senza errori, e non so scriverlo che con l’aiuto di un dizionario da consultaredi frequente.È per questa ragione che definisco anche la lingua francese una lingua nemica. Ma ce n’è un’altra,di ragione, ed è la più grave: questa lingua sta uccidendo la mia lingua materna. (p. 28) [...]Come sarebbe stata la mia vita se non avessi lasciato il mio paese? Più dura, più povera,penso, ma anche meno solitaria, meno lacerata, forse felice. La cosa certa è che avrei scritto,in qualsiasi posto, in qualsiasi lingua (p. 40) [...]Come si diventa scrittori?Prima di tutto, naturalmente, bisogna scrivere. Dopo di che bisogna continuare a scrivere.Anche quando non interessa a nessuno. Anche quando si ha l’impressine che non interesseràmai a nessuno. Anche quando i manoscritti si accumulano nei cassetti e li si dimentica, purcontinuando a scriverne altri (p. 45) [...]Cominci a scrivere brevi testi sui miei ricordi d’infanzia. L’idea che questi test un giorno sarebberodiventati un libro non mi sfiorava nemmeno. Eppure, due anni dopo, ho sulla miascrivania un grande quaderno che contiene una storia coerente, con un inizio e una fine,come un vero romanzo. Bisogna ancora batterlo a macchina, eliminare tutto ciò che è ditroppo, correggere ancora e ancora, fino a che il testo mi sembra presentabile. E anche stavoltanon so bene che cosa devo fare con il manoscritto. (p. 47) [...]In fabbrica è difficile riuscire a parlarsi, le macchine fanno troppo rumore. Si riesce a parlaresolo nelle toilette, fumando a gran velocità una sigaretta.Le mie amiche operaie mi insegnano l’essenziale. Dicono “Oggi è bel tempo”, indicandomiil paesaggio di Val-de-Ruz. Mi toccano per insegnarmi altre parole: capelli., braccia, mani,bocca, naso.Di sera torno a casa, dalla bambina. La mia figlioletta mi guarda con gli occhi sgranati quandole parlo in ungherese. Una volta si mette a piangere perché io non la capisco, un’altra voltaperché è lei a non capirmi. (p. 50) [...]La bambina sta per compiere sei anni, e sta per cominciare la scuola. All’età di ventisetteanni, mi iscrivo ai corsi estivi dell’Università di Neuchatel, per imparare a leggere. Sono corsidi francese rivolti a studenti stranieri. Ci sono inglesi, americani, tedeschi, giapponesi,svizzeritedeschi. – L’esame di ammissione è un esame scritto. Consegno un foglio bianco, mi ritrovocon i principianti.Dopo qualche lezione il professore mi dice: “Lei parla molto bene il francese. Come mai èin un corso per principianti? “. Gli dico:“Non so né leggere, né scrivere. Sonoanalfabeta”. Lui si mette a ridere: “Questolo vedremo”.Due mesi dopo conseguo il Certificatodi Studi Francesi con un’ottima valutazione.So leggere, so di nuovo leggere.Posso leggere Victor Hugo, Rousseau,Voltaire, Sartre, Camus,… (p. 51) [...]Agota KristofQuesta lingua, il francese, non l’ho sceltaio. Mi è stata imposta dal caso, dalle circostanze.So che non riuscirò mai a scriverecome scrivono gli scrittori francesidi nascita. Ma scriverò come megliopotrò. È una sfida. La sfida di un’analfabeta.(p. 52)Agota Kristof, L’analfabeta, Casagrande editorecultura32 mezzocielo ottobre-novembre 201133 mezzocielo ottobre-novembre 2011culturacultura


Un viaggio lungo un annoFriedrich HölderlinculturaContinua per segmenti il viaggio; ignaro dilatitudini e longitudini non segue percorsitracciati da geografi, ma per vie di vento ascendee discende in territori d’anima dove iversi dei poeti hanno disegnato mappe di veritàe di luce. La Germania, dove si è consumatala tragedia più grande dell’umanità, hapur dato natali a letterati, filosofi, poeti, musicistiinsigni (donne e uomini). Lì nacqueuno dei più grandi poeti lirici d’Europa.Francesca TraìnaFriedrich Hölderlin (Lauffen, Württemberg,1770 - Tubinga 1843)All’alba quando tutto sembra compiersinella luce e nulla tuttavia è compiuto perchéil cammino della luce è appena cominciato,nel tempo che contiene la certezza ancorprima della sua rivelazione, visse Hölderlin.Sullo sfondo della rivoluzione francese laGermania preparava le rivoluzioni dello spirito.Hölderlin ne aveva avvertito la complessitàgià prima che i maggiori ismi, romanticismoe idealismo, venissero codificati dalla culturaufficiale.Aveva parlato di giovinezza del mondo, dimutamento tale da coprire di vergogna tuttoil passato. Non fu capito nemmeno dai suoicontemporanei, da Goethe a Schiller; la suaparola, la poesia sopratutto, sarebbero rimasteignorate fino al ventesimo secolo che glirese finalmente giustizia.Allo Stift di Tubinga, dove studiaronoanche Schelling ed Hegel, compì gli studidi teologia.A Francoforte, presso la famiglia dove fuprecettore, si innamorò della madre dei suoiallievi, Suzette, cui dette il nome di Diotima.Un amore ricambiato che ispirò le sue poesiepiù belle. La passione per Suzette conduceHölderlin a quella interiorità assortaed estatica che fu sostanza della sua natura.I primi inni, schilleriani per le idee di umanità,libertà, bellezza, amore, lasciano benpresto spazio ad una poesia che, in formeclassiche, esprime il tormento ed il travaglioromantico del poeta anticipando in tal modoaspetti della poesia moderna.Nel periodo di Francoforte, oltre alle liricheper Diotima, riscrive il suo capolavoro Iperione.Anche se in forma epistolare Iperione puòconsiderarsi poesia di rara bellezza, delicataed eterea.L’ansia mistica permette al poeta di immaginareun mondo ideale nel quale armonizzarela bellezza della Grecia antica e lo spiritodella Germania vissuta come erededell’Ellade.Nella sua anima, tuttavia, l’intuizione dellarealtà finisce per confliggere con il fragileequilibrio interiore fino all’esaltazione misticae la conseguente “follia”.Il conflitto del poeta richiama l’inquietudinedel filosofo.Ritorna il tema della scissione annunciato daFichte ma Hölderlin, allo sdoppiamento dell’io,contrappone l’alternativa di un’identitàforte, l’essere in assoluto, inscindibile legametra soggetto e oggetto cui si perviene mediantel’intuizione intellettuale; egli intravedel’unità attraverso le scissioni e più lescissioni sono radicali tanto più si manifestain esse l’unitezza con tutto ciò che vive.Le sue posizioni, considerate irrilevanti inquanto espresse da un poeta, oggi sono studiatenon soltanto per il significato filosoficoma perché funzionali alla comprensionedella poetica.Grande influenza esercitò su Hölderlin lapersonalità realista e religiosa di Hegel; lafragilità del poeta avrebbe potuto assumerecertezze dalla forza di Hegel, in realtà fuHegel ad attingere, rimanendone coinvolto,all’ardore spirituale di Hölderlin tanto dadedicargli la lirica Eleusi.E così il tema della scissione si trasferisce dalpiano filosofico a quello poetico.L’anima lacerata del poeta tenta di ricomporsiin unità attraverso la riflessione filosoficama più ancora attraverso la poesia nellaquale, annullato ogni limite di spazio e ditempo, l’universo si svela come vita, realtàdivina in cui perennemente si rinnova ilmondo.A questo il poeta si consegna con sicurezza eleggerezza di ”fanciullo”aderendo con delicatezzasensuale alle immagini della realtà oarrestandosi attonito davanti alla rivelazionedelle leggi implacabili cui tutto soggiace.Nella parola sempre più tremante, si avvertonoi segni della modernità e, al contempo,della follia che paradossalmente ricomporràLa BrevitàPerché sei così breve? Non ami più il canto,come una volta? Nella giovinezza,nei giorni di speranza,il tuo canto non aveva fine.Il mio canto è come la mia gioia.Vuoi bagnarti in letizia nel rosso del tramonto?E dilegua. La terra è fredda. Agli occhistride tristo l’uccello della notte.La FedeVita, Bellezza. Sei malata. Ho il cuorestanco di pianto. Albeggia in me il terrore.Eppure non so credere che tupossa morire, fino a che amerai.L’Autunno…In breve tempo molto ha avuto fine.Il contadino in vista sull’aratrovede che l’anno piega a fine lieta;in tali quadri il giorno umano si completa.Il cerchio della terra ricamato di roccenon è come la nube che a sera si disperde.Ma in un giorno dorato si rivela;la perfezione è senza lamento.il dissidio spezzando però la coesione dellospirito.La morte di Diotima contribuirà ad accelerarequella “follia” dolce, pacifica e inoffensiva.Da profugo, il poeta, ritorna alle stagioni;Traduzione di E. Mandruzzato (Adelphi)con rinnovata sofferta nudità le descrive informa di visioni e con il dolore di chi, comese venisse da vento e da tempesta, non perquesto ha rinunciato a sentire la bellezza l’ordineed il sublime della vita.34 mezzocielo ottobre-novembre 2011cultura35 mezzocielo ottobre-novembre 2011cultura


culturacinemaThis must be the placeUn immenso Sean Penn diretto da un nonmeno straordinario Paolo Sorrentino fannodi questo road movie una gioia per gli occhied il cuore. Se poi aggiungiamo una notevolecolonna sonora, e una fotografia chespazia tra interni che sembrano miniaturetratte da una letteratura che in qualchemodo hai conosciuto, tra spazi immensi daicolori caldi, e rarefatte atmosfere innevateuna caratterizzazione di personaggi scolpitida una cinepresa che con rara maestria netratteggia profili e storie. E poi c’è lui, Cheyenne,una figura grottesca e dolorosa, e vitaledietro una maschera di depressione. Simuove goffamente, col suo trolley e attraversal’America in lungo e in largo; camuffaun passato difficile da sopportare e forse maiesistito; è stato un cantante rock di una certafama che ancora persiste, ma lui è stato enon vuole più essere quel personaggio, Simuove nel tempo e nello spazio, ma queltempo forse è frutto della sua immaginazione,o non è come lui pensa che sia stato,mentre si muove in uno spazio che gli serveper orientare se stesso. Vuole assolutamentecercare e trovare un criminale nazista che hafatto soffrire tanto il padre, ma più che altroha bisogno di ricucire il rapporto con quelpadre che non c’è più e che per lui non c’èmai stato. Si muove lento e implacabile, manon è triste, ha invece un suo humour, unospiccato senso dell’ironia che ne sdrammatizzanol’aspetto esteriore. Folta parruccanera, occhi bistrati in maniera drammatica,dietro occhiali molto scuri, rossetto vivaceveste sempre di nero; la gente lo riconosceMa tu sei Chyenne? No, ti sbagli, non sonoio. Si è procurato una pistola, ma non sa spararee non ha mai sparato. Non la userà maie la vendetta sarà una piccola rivalsa su chiha umiliato suo padre, ripagandolo dellastessa moneta. E anche l’aguzzino sembreràun personaggio patetico, che ci fa quasipena, mentre nudo cammina tra la neve. Èun film lento, e la sua lentezza ci serve perassaporarne i particolari, e dove il sorriso èsempre dietro l’angolo. Ci fa sorridere dicuore Cheyenne e ci è molto simpatico. Allafine non ci sarà nessuna vendetta, nessunspargimento di sangue, ritroverà invece sestesso, senza maschera, riconciliato con lavita e con la madre e quindi con se stesso.Ed è bellissimo il sorriso che alla fine ci regalae si regala, un sorriso da Sean Penn, appunto.Alla fine mi viene da dire MaSorrentino è un regista italiano? Difficile dacredere.36 mezzocielo ottobre-novembre 2011culturaGiusi CatalfamoDissacrante, politicamentescorretto,a tratti esilaranteIl nuovo film di Roman Polanski Carnage èuna vera e propria strage, anzi, una macelleriadell’ipocrisia di coppia e non solo. Unodei protagonisti, il gelido avvocato con ariada upperclass, Alan, dirà a un certo punto“Credo nel dio della carneficina”. Sono ottantaminuti di un ribollire inquieto e sarcastico:un iniziale bon ton la cui vernice però,piano piano si scrosta per mostrare tutta lasua desolante nudità e pochezza. Un crescendodi situazioni grottesche in cui la perfidiaregna sovrana.E sembra che il più perfido sia proprio il registache si diverte ad immergersi in una realtàche fa venire in mente il mondo di Bunuel.Gli attori sono tutti di grande levatura,da Kate Winslet, Nancy, agente finanziario; aJodie Foster, Penelope, pretenziosa e insopportabilescrittrice impegnata a scrivere unlibro sul Darfur; a Michael John C. Reilly, ilproletario del gruppo, venditore di pentoleall’ingrosso e sciacquoni, colpevole tra l’altrodi aver proditoriamente disperso il criceto dicasa. Su tutti giganteggia la bravura di ChristophWaltz, che più perfido non potrebbeessere; non per niente ha vinto l’Oscar comemigliore attore protagonista, in Bastardi senzagloria di Quenteen Tarantino. Il film è trattoScena tratta da CarnagecinemaA proposito di “This must be a place”Siamo andati a vedere This must be the place di Sorrentino. Sean Penn nella veste di rockerstravolto e con i capelli gonfi e il rossetto e’ strepitoso, bella la parte on the road attraversol’America. Ho invidiato la fotografia, mi sono ritrovato in certi cieli spezzati e riprodottinegli specchi dell’auto e nei parabrezza… in questo Sorrentino sa essere un maestro. Manell’insieme il film pur gradevole non mi è parso granchè…una furbata per costruire ilgrande successo di massa così come Sorrentino ha fatto col suo libretto. Non c’è molta sostanza,e al di là delle apparenze, il film e’ un po’ vuoto. Forse lo devo rivedere…Un amico37 mezzocielo ottobre-novembre 2011culturada una pièce teatrale di grande successo diYasmina Reza, “Il dio della carneficina”dove i protagonisti si dilaniano nel nomedella tolleranza e della civiltà. All’interno diun appartamento si perpetrano le più raffinatevendette di classe tra due coppie di borghesipiccoli piccoli, Tutto nasce da unavisita riparatoria che la coppia Nancy-Alansente in dovere di fare a seguito di un presuntotorto subito dall’altra coppia, Penelope-Michael. Per carità sono giochi di ragazzi,continuano a ripetersi reciprocamente, ma:“suo figlio ha rotto due denti al mio”; “gli èrimasto il nervo scoperto”; “si certo, ci accolleremole spese del dentista”; “si ma mio figlioresterà deturpato”, insomma i protagonistiprecipitano in un crescendo di egoismi rabbiosie intolleranti, sempre in nome della tolleranzae della civiltà. I vari personaggi sonoscolpiti con grande maestria, tanto piùhanno pretese di perfezione, tanto più il lavorodi demolizione è crudele e senza possibilitàdi recupero. Così c’è Penelope,perfettina, sia come cuoca (ma la sua tortafarà una brutta fine); sia come intellettuale,ma i suoi libri d’arte finiranno nel vomito; ealla sua perfezione non poteva mancare l’impegnoper l’Africa, per completare il clichée.Ma la scena più esilarante è quella in cui iquattro protagonisti si ritrovano all’internodi un unico bagno, in totale promiscuità,tutti armati di phon, intenti ad asciugare chii libri d’arte, chi i vestiti, chi i capelli intrisidi vomito. Sono cammei difficili da descrivere.Infine un discorso a parte merita il personaggiodi Alan, l’aristocratico, un veroconcentrato di perfidia, sarcastico e disincantato,continuamente attaccato al cellulare,finirà col mandare in bestia la moglieche (giustizia è fatta), butterà l’ingombranteoggetto dentro il vaso di fiori, tra le risatedelle due donne che per un po’ smettono didilaniarsi per ritrovarsi in complici momentiliberatori. Altra pessima fine è quella deitanto decantati tulipani, l’altro vanto dellapadrona di casa, insieme ai libri d’arte.L’’unico a salvarsi alla fine sarà il criceto,vivo e vegeto nel parco antistante la scuoladei due ragazzi della discordia. Carnage, insomma,è divertimento puro intriso di velenositàscoppiettante, vetriolo sparso a pienemani, ritmo serrato, perfetta caratterizzazionedei personaggi portati al grado zerodel caos e dell’assurdo. Da non perdere!


Fotografie di Letizia Battaglia, ottobre 2011Studentesse e studenti si preparano a girare ilvideo Donne in Sicilia, insieme agli operatori dell’associazioneZap studio. L’attività si svolge nell’ambitodi un Laboratorio sulla cultura di genere,organizzato dal Ginnasio-Liceo G. Meli di <strong>Palermo</strong>.Donne su un crinale.Diritti, doveri,desideriLuisa MuraroLa libertà femminile, oggi, sta suun crinale che emerge, detto inbreve, tra l’ideale oblativo, da unaparte, e l’individualismo, dall’altra.Più precisamente, tra esserecomplementari dell’altro (uomo o idea) ed essergli pari. Nella realtàconcreta, il crinale è fra una grande varietà di situazioni che reclamanouna muta dedizione femminile, da una parte, e l’offerta crescentedi vie d’uscita verso un’autoaffermazione in termini di parità,cioè ricalcata su modelli ed esigenze maschili, dall’altra. Stare sulcrinale vuol dire escludere queste alternative che sono entrambemutilanti, così come il frangente si alza da opposti moti ondosi.Tra le donne ho sentito molto forte e ancor oggi sento, nonostante itempi bui, un filo di quell’umore felice del surfista che corre sula crestadell’onda. La possibilità di sottrarsi alle alternative mutilanti staaffiorando nella storia di innumerevoli donne e nelle loro scelte divita, in ogni parte del mondo, dal mio paese natale alla Cina con tuttoquello che c’è di mezzo, sia che si proceda da oriente, come feceMarco Polo, o da occidente, come tentò Cristoforo Colombo, sia chesi passi per il Polo nord o per quello antartico, come le rotte degliaerei. Il mondo si muove a causa del movimento delle donne, che vapreso anche alla lettera della parola. Il muoversi nel senso di andaredove si vuole è la manifestazione più semplice dell’indipendenza personale.Una femminista francese (che preferisce non chiamarsi femminista)Antoinette Frouque, parla di un movimento di civiltà. E loinvita a sviluppare le sue potenzialità politiche con questa breve sentenza:“Accanto ai diritti, abbiamo desideri e doveri”. Formula che,facendo il giro del mondo, prende anche altre combinazioni, peresempio che, accanto ai doveri, abbiamo diritti e desideri.L’indipendenza delle donne dagli uomini non ha bisogno di scopiesterni a sé, per avere senso e valore; io l’ho cercata e voluta per séstessa e così la insegno, quando ho l’autorità per farlo. Ma non lavoglio per me stessa unicamente: questo è il crinale. Se sei unadonna, sbagli a credere di poter essere indipendente senza che ciòabbia ripercussioni sul mondo, perché il mondo ha sempre contatosulle donne. Del resto, uomo o donna, l’indipendenza, nella suastoria come nella sua idea, è sempre stata una parola essenzialmentepolitica: l’indipendenza che serve a rendere libere le mie scelte oquelle di una nazione riguarda anche le altre e gli altri, o le altrenazioni, e serve con altre (ed altri) a cambiare l’aspetto del mondorendendolo più abitabile e più godibile, quando non prevalga la logicadei rapporti di forza.(da: Non è da tutti - L’indicibile fortuna di nascere donna - Carocci ed.)39 mezzocielo ottobre-novembre 2011femminismo


femminismoUn camice color pesca setosoe brillanteovvero strategieGisella Modicadi resistenzaIl prossimo convegno della Società Italianadelle Letterate sarà dedicato alle “personagge”,nuove figure di donne create da chiscrive (e da chi legge) dopo l’avvento del femminismo:cosa è cambiato, a quali azionidanno vita le nuove eroine dei romanzi rispettoalle grandi narrazioni del passato? Oggiche per esempio l’attesa (di un uomo, un figlio,un lavoro) non è più la cifra che accomuna ledonne ma essere nel mondo. Con questo spiritoho letto il personaggio di Francesca in Ditadi Dama di Chiara Ingrao – La Tartaruga 2009.“Mi chiamo Francesca, sono io che raccontoquesta storia, non so bene se a qualcun altro oa me stessa, che importa? Importa riuscire atrovare le parole giuste, per dire di queglianni” scrive l’autrice nel risvolto di copertina.Una assunzione di responsabilità da parte diFrancesca/ alter ego e voce dell’autrice – “ipersonaggi sono voci interiori”, dichiara inun’intervista – testimone delle lotte sindacalidegli anni tra il ’69 e il ’72 “quando i metalmeccaniciin piazza facevano più effetto delPapa”. Una storia di ieri, raccontata 35 annidopo, con lo sguardo di donna consapevole,grazie al femminismo, della propria differenzae del taglio che questa appartenenza comporta,esige. Ed è grazie a questa consapevolezza chel’autrice oggi può “mostrarci” quello che realmentestava accadendo in quegli anni sotto gliocchi di tutti: la differenza femminile che giàagiva in fabbrica – nel mondo – ma “rimpicciolita”dallo sguardo maschile a sempliceemancipazione: “quella è una con le palle.Pensando di fare un complimento”. Taglio chele permette di puntare gli occhi su quell’occasionemancata dal sindacato – dalla Storia – difar tesoro del modo differente con cui le donnevivevano il lavoro dentro e fuori la fabbrica.Quell’eccedenza fatta di competenza e sentimenti“in grado di sottrarre il lavoro alle astrazioniche lo hanno disumanizzato”: comedicono oggi anche autorevoli economisti. Incarnaquesta eccedenza Maria – ama il pianofortema farà l’operaia – che racconta la suastoria a Francesca, l’amica del cuore che vuolefare la veterinaria e invece farà la giudice. Unastoria di battaglie e insieme d’amore nei confrontidi un marcatempo, entrambe vissute daMaria – che da crumira si fa scioperante e delegatasindacale alla Voxoson “moderna”azienda di televisori – con tutta se stessa. “Siportava dietro questa doppiezza: tra viversil’incanto dell’amore o fare ciò che era giustocon i compagni. Perché non potevo avere tuttee due le cose? Domanda da un milione di dollari”.Domanda alla quale la nuova generazione,figlie del femminismo, sta tentando didare una risposta rivendicando il doppio sì allavoro e alla vita. Ne deriva uno sguardo differentesulla fabbrica, ingrandita dagli occhimaschili ad entità spaziale “che per lavorarcidentro bisogna essere alti dieci metri, fatti dighisa e d’acciaio” (Celestini). Maria, al contrario,là dentro si sente una “cacca di mosca”.Due cose spaventano di più Maria che “conquei seni che arrivavano sempre prima di leicompressi dentro la camicetta” sente addossola sua differenza: l’essere tutte uguali – stessocamice “le facce gialle, piatte, impossibili dadistinguere, come le voci”; e la lotta contro iltempo: “tanto per bere, tanto per la sigaretta,tanto per il bagno e sei fregata se non ce la fai”.È la consapevolezza raggiunta, è questo tentativotuttora in corso da parte delle nuove generazioniche permetterà all’autrice di metterein bocca a Maria la frase gridata “io non saròmai come voi!”. Così come ci mostra le differenti“strategie di resistenza” delle compagne:dall’invenzione dei camici colorati – quello“color pesca setoso e brillante … infilato cosìcom’era senza niente sotto”, che decreterà lafine della paura di Maria; ai finti svenimentiper ottenere l’aria condizionata; a quel mostrarele cosce come provocazione davanti alcapo del personale, con gli uomini che strabuzzavanogli occhi: “ma al Partito ne hai parlato?”Strategie di libertà (Borderias) untempo viste come “solidarietà alle lotte degliuomini” e oggi rivendicate come una modalitàaltra di stare al mondo, di essere libere. Si arrenderàMaria solo davanti alla legge “che stasempre dalla parte del padrone”, a confermache libertà femminile non è riducibile al sistemadei diritti, collocandosi appunto al disopra della legge. Un modo differente di raccontarela Storia “per riscriverla, aprirla, politicizzarecose considerate politicamenteirrilevanti” (Dominjanni). Maria – corpo alter/ego di Francesca – mente: una frattura da ri-40 mezzocielo ottobre-novembre 2011femminismocomporre dentro di sé per ricomporre ilmondo, perché non c’è trasformazione delmondo senza trasformazione personale. Unaforte relazione dispari tra due donne, l’una oppostodell’altra necessaria: il sé narrabile dellapropria storia (Cavarero). Perché narrare apartire dalla propria esperienza è già Politica.Un’amicizia che lascia intuire, a tratti, lo sconfinamentoin una relazione d’amore. E l’amoreè necessario per raccontarsi all’Altra. Un dialogofitto fitto sulla terrazza che per molti versifa ricordare la Terrazza Proibita di FatemaLa figura di Andromacastrappare i velie coglieresbalorditiveassonanzeMolti di noi dovranno confessarlo: Andromacal’abbiamo lasciato sui banchi di scuola Insiemealla commozione per il dolore che la travolgealla morte del suo amato Ettore e del loro figlioAstianatte. Moglie fedele e appassionata,madre destinata alla più oltraggiosa delle ferite,la bella figlia del re di Tebe, accolta agli onoridi Troia, dovrà fare i conti con una felicità e unpotere di breve durata e al rovesciamentoestremo dei suoi privilegi. Ma già a questopunto avremo chiuso con Omero e tra le tantefigure di donna attraverso cui il Mito ci soccorreo ci atterra. Andromaca stenta ad emergere,a prendersi e ad offrire il suoprotagonismo in quella storia greca tanto immaginariamentelontana quanto capace di innestarsinella realtà di ogni tempo. Occorreràattendere Euripide che, in altro tempo, scontorneràla donna regina e schiava, consapevoledei suoi rischi ma capace di battersi ed entrarenel vivo della storia. E con lei, dopo le paginedi Omero, ogni nostra memoria dovrà riviveree misurarsi – come è avvenuto quest’anno a Siracusacon la splendida Laura Marinoni e uncast eccellente per una prova audace e forte –e come potrebbe, seppur diversamente, avvenireper la rivisitazione di Racine, che àltera volutamentei confini della vicenda.Il Mito è contenitore affascinante e ci inchiodaquando diviene letteratura o spettacolo,pagina musicale o sublime statua. Aconti fatti andiamo di fretta e la linea di demarcazioneda un mondo lontanissimo, persinonelle tragedie greche che vi attingono,mentre viviamo senza scampo quelle ferocidel tempo nostro, si fa sempre più ampia.Ma non è detto che non riesca a risucchiarci inqualche modo sulla posizione preminente che41 mezzocielo ottobre-novembre 2011femminismoMernissi. Perché lassù al buio “sotto le stellecosì vicine da poterle cogliere” è più facileesporsi all’Altra. Perché solo uno sguardoamoroso dell’Altra può svelare quel “punto dicoincidenza” (Muraro) tra accadimento personalee accadimento storico, tra visibile e invisibiledi cui è fatta la storia delle donne. Nonsolo storia di giustizia negata. Quel di più cheserve per illuminare il presente, che si mostrama non è dimostrabile: “chi vede chi vuolguardare?”, domanda Francesca, forte oggidella sua differenza.Egle Palazzolonel Mito, ha la donna. Alla sua sostanziale presenzanegli scontri, nelle battaglie, nelle distruzioni,nella vita e la morte che sotto lapreminenza ora solutoria, ora oltraggiosa deglidei – la porta in primo piano, la rende, davinta – come Andromaca è, schiava di chi le haucciso coloro che più amava – a donna capacedi tessere una trama che le permetterà nuoviprivilegi e il riscatto dalla tristezza e dall’umiliazione.Essa diviene – attraverso le parole allafuribonda Ermione che la vede rivale e soprattuttomadre, come a lei il destino non consentedi essere – indicazione rivelatrice di una saggezzae lungimiranza umana e politica, per unasvolta che poteva giovare a entrambe.Quella dolce Andromaca di Omero dirà anoi più tardi, con Euripide, che molti eventisaranno conseguenti alla sua dignità, alla ferreavoglia di non rendere sterile il suopianto, alla sua invincibilità nella difesa delfiglio che, se nato in cattività, vorrà sottrarread un destino ancora una volta iniquo. Torneràad essere regina, contribuirà al suo futuro,si farà ascoltare dagli dei.E assai meno lontano da noi il mito quando cioffre Antigone o Medea; ma lo è anche con figuredi minore apparente suggestionequando, a fianco degli uomini o da loro amateo avversate, entrano con generosità e forzanella pagina. E da lì, noi che nella pagina nonsiamo, che con l’immaginario non possiamotroppo trastullarci, possiamo però, ove si vogliao giovi, strapparle un po’ i veli, e cogliernein trasparenza, alcune sbalorditive assonanze.


libriIl tempo breve delle donne in politicaNoiSu e giù per gli scaffalilibriDonne e politica: tormentone che ci insegue da decenni. Vogliamo che le donne partecipino algoverno del paese (lapidaria l’affermazione di Alessandra Bocchetti: “Un paese fatto di donnee uomini non può essere governato solo da uomini”), ma contemporaneamente consideriamole istituzioni strumenti del potere maschile. Quindi le donne (sempre pochissime, in Italia)elette a farne parte, spesso isolate dalle loro compagne, si domandano cosa fare per essere contemporaneamentefedeli al pensiero femminile (radicalmente innovatore) ed anche leali versoil gruppo politico che le ha fatte eleggere.Forse qualche indicazione “incarnata”, basata cioè sulla esperienza (e sulla riflessione critica) didonne che hanno fatto parte delle istituzioni, può aiutarci a formulare una risposta. È quanto hatentato Giovanna Fiume, con il libro “Eravamo comuniste” (XL edizioni, 2010, €16). Qui parlanotre donne, già deputate all’Assemblea regionale siciliana (anni 76-81, ed 81-86), elette nelleliste del Partito comunista. Precede un’ampia prefazione, un vero e proprio saggio nel quale sicercano di tracciare le linee su cui sia possibile costruire una “tradizione politica femminile”. Seguonole interviste a Teresa Gentile (deputata di Caltanissetta), a Marina Marconi (deputata di<strong>Palermo</strong>), a Francesca Messana (deputata di Trapani). Tre donne diverse per origine sociale, professione,fede (o non fede) religiosa ed età – ma molto simili per generosità di lavoro, onestà intellettuale,rigore morale nei rapporti con il partito. Bilancio di questa ricognizione? Oggi nessunadi loro rinnega l’esperienza fatta (faticosa, affascinante, anche conflittuale), ma nessuna fa politicaattiva. L’attività ed il ruolo espletati non hanno costituito lo scalino per una successiva carriera.Viene confermata quindi la considerazione precedente, fatta da Giovanna Fiume nella sua introduzione:le donne in politica “sono di passaggio, si situano dentro un tempo breve…non hannoil tempo di diventare ‘professioniste nella politica” E forse, aggiungo io, neppure la voglia.Quindi,come conclude la prefazione del libro: ”Il problema delle donne in politica diventa lucida criticadella politica” (p. 25).Poscritto. Si parla, ovviamente, delle donne che si sono mosse e si muovono nell’orizzonte delfemminismo e del centrosinistra. Quelle entrate in politica con la destra e Berlusconi, esigerebberoun’analisi totalmente diversa.Simona Mafai“Eravamo comuniste: Tre storie militanti - Teresa Gentile, Marina Marconi, Francesca Messana” a cura di Giovanna FiumeEdizione XLAlmudena Grandes, Inès e l’allegria,Guanda, € 20,00Madrid, 1936. Inés, figlia di una famiglia aristocraticae reazionaria, tradisce il suo passatoe si unisce alla causa dei militanticomunisti. Il romanzo è un potente affrescodi un’epoca dura e sanguinosa, in cui pubblicoe privato coesistono: Inés finisce primain prigione, poi nelle braccia del capitanoGalàn, con il quale cercherà di liberare laSpagna dalla dittatura. Con un tocco di sanaallegria al femminile.Susan Abulhawa, Ogni mattina a Jenin, Feltrinelli,€ 17,00Attraverso la voce di Amal, la brillante nipotinadel patriarca della famiglia Abulheja, l’autriceracconta con sensibilità e pacatezza lastoria di quattro generazioni di palestinesi costrettia lasciare la propria terra dopo la nascitadi Israele. In parallelo, la storia di Amal, figlia,moglie e madre in una terra segnata dall’odio.Fariba Vafi, Come un uccello in volo, Ponte 33,€ 14,00Vincitore di due prestigiosi premi in patria,il romanzo racconta l’universo femminileiraniano rifuggendo dai clichès della letteraturamediorientale a cui siamo abituati. Laprotagonista, casalinga e madre riluttante,prende coscienza della propria condizione etenta di ridefinire il proprio ruolo di donnaall’interno della famiglia e della società.Sullo sfondo, l’Iran di oggi (mai citato direttamente),rivelato in una quotidianità difficilee opprimente.Susanna Bissoli, Le parole che cambiano tutto,Terre di Mezzo, € 12,00Dopo aver lasciato l’uomo con cui viveva inGrecia, Arianna torna a casa, vicino a Veronae si trova a fare i conti con il padre,chiuso e taciturno e con il ricordo dellamadre scomparsa da poco tempo. Un giornoscopre per caso di avere un fratellastro nelleMarche, frutto di una storia giovanile delpadre di cui nessuno, così sembra, sapeva.A questo punto il confronto tra Arianna e ilpadre sarà inevitabile.Elena Mearini, Undicesimo comandamento,Perdisa, € 9,00Serena è una giovane donna segnata dal doloree dalla solitudine. Orfana, da sempre vissutain un clima di amarezza e disperazione,sposa un uomo violento che lei sopporta conrassegnazione, sicura che alla fine riceverà inpremio una dose di affetto. Fino a quando sirende conto che per sopravvivere ha il doveredi reagire. Intenso ed emozionante.Loredana Mancino(Libreria Modus vivendi)Fare i conti con Maria“Dovevo fare i conti con Maria anche se questo non è un libro sulla Madonna” scrive l’autricedi Ave Mary, Michela Murgia.Dal tono provocatorio e con occhio critico il libro affronta il tema dell’identità e differenzadi genere in rapporto alla tradizione religiosa. Ataviche, infatti, le radici della questione chevedono “scambiare il modello difettoso rappresentato dal binomio Adamo-Eva con il modelloperfetto e redentivo del duo Gesù-Maria”.E la Murgia riprende, con il suo bagaglio di studi teologici e una lunga esperienza in AzioneCattolica, il tema della redenzione analizzando, in maniera critica, il “rapporto debitoriodelle donne nei confronti dell’umanità”; rapporto raffigurato (e non solo iconograficamente)da quel genio femminile in termini di “madre naturale, sposa in pectore, infermiera spontanea,assistente d’infanzia per costituzione e badante per vocazione”.Ave Mary apre un interrogativo: quanto la ‘sensibilità popolare’ ha contribuito perchè modellimaschili/femminili stereotipati, consolidati da una cultura patriarcale, si perpetuassero nell’immaginariocollettivo? Pura retorica? Forse, se si pensa che “nel suo complesso il movimentodelle donne in Italia – è stato – un processo esterno e ostile alla comunità cristiana”,tenuto conto anche di alcuni temi di lotta del femminismo: corpo, libertà sessuale e ruolismoforzato.Eppure era soltanto il 1978 quando Giovanni Paolo I, Papa Luciani, durante l’Angelus dice:“Noi siamo oggetto di Dio di un amore intramontabile: Dio è papà, più ancora è madre”.Ave Mary non è un libro sul pregiudizio sessista ma un tentativo di riabilitare, se non ricollocare,la figura femminile all’interno e fuori della Chiesa, prescindendo dall’immagine unicadi donna/Mater Dolorosa quale luogo simbolico.Mary, un nome contemporaneo per una storia antica, la storia della donna; “dentro ci sono –scrive Michela Murgia – le storie di cui siamo figlie e di cui sono figli anche i nostri uomini”.Francesca SaievaMichela Murgia, Ave Mary. E la Chiesa inventò la donna, Einaudi, 2011 - € 16,0042 mezzocielo ottobre-novembre 2011LettereVi devo dire tante grazie ... per il volume di festeggiamento del <strong>Mezzocielo</strong>. Quante donne sensibilie allo stesso tempo forti che vi scrivono! Alcune sono forse soltanto sensibili, ma l’insieme dà lasensazione di una forza piena di pensiero e di emozione. Una ricchezza compressa in sessanta pagine– peraltro bellissime con le foto tutte fantastiche –, che da` un senso di arricchimento anchealla lettrice per il semplice fatto di essere donna. Auguri e grazie! (Julie Pestalozzi, da Basilea)I “venti anni di <strong>Mezzocielo</strong>”, appena tornata a Genova, mi travolsero. Tante donne di valoreinsieme, come fu Giuliana Saladino, ed altre, molte, che sono venute, andate, restate...Quantealtre voci di donne nella sezione “Stretti legami” (davvero “stretti”), che risalgono addiritturaa quella unica donna che partecipò alla spedizione dei Mille…Donne che oggi scrivono eche partecipano, donne del Sud, o perché lì nate o perché ci vivono, si incontrano, avendocompiuto la loro rivoluzione nella guerra e nel dopoguerra. E che si sono fatte persone autonome,autentiche. Che siano legate all’uomo o no, o casualmente, o solo in certi periodidella vita, non conta…(Fulvia Panfoli, da Genova)La Festa per i Ventianni di <strong>Mezzocielo</strong>, svoltasi il 5 luglio 2011,si è realizzata grazie al contributo di:Agnello Bice, Aleonero Carla, Battaglia Letizia, Catalfamo Giusi, Ciofalo Elena, Cisl FP Donne<strong>Palermo</strong>, Fasullo Nino, Fernandez Silvana, Imbergamo Franca, Lupo Giuseppe, Mafai Simona,Marconi Marina, Milazzo Aldo, Palazzolo Egle, Palmeri Adriana, Piazza Ugo, PiccioneTeresa, Pirajno Rosanna, Sala Maria Concetta, Savoia Stefania, Sorrentino Didi, Traina Francesca,Tinaglia Vivi, Casa Vinicola “Feudi Imperiali” di Alcamo.Hanno sottoscritto e rinnovato l’abbonamento:Albegiani Ginni, Arcuri Flora, Bonafede Giovanna, Carlino Gabriella, Chessari Virna,Evola Ina, Figurelli Michele, Messana Francesca, Morabito Ernesta, Saieva Adriana.43 mezzocielo ottobre-novembre 2011


Workshop<strong>Palermo</strong> amore amaroA <strong>Palermo</strong>, nel centro storico, a Piazza Ballarò, undici personeguidate da Shobha e Letizia Battaglia, con l’assistenza di SoraiaGulifa, hanno puntato per pochi giorni l’obiettivo della loromacchina fotografica su quel mondo accogliente, aspro ecommovente. In queste pagine una selezione di undici foto.Danilo LuratoLivio CatalanoCinzia AccettaPaola GareriBruno SariPALERMO AMORE AMAROHo provato a guardare come si integrano le comunitàstraniere a Ballarò. Cosa hanno integrato.Degrado percorso da fili sotterranei divita densissima,vortici di vita. Eproprio questoche noi chiamiamodegradorafforza e costruisceIdentità.Qui si haun’identità. Quile comunità stranieresembranovivere da pari.Ballarò che fainnamorare persempre. Ballaròche ti prende leviscere e se lemangia. Ballaròmetafora amaradel mondoPaola GareriRoberto MascellinoChiara AngioliniSilvana Puglisi44 mezzocielo ottobre-novembre 2011 45 mezzocielo ottobre-novembre 2011


BallaròmezzocieloDirezioneRosanna Pirajno (direttrice responsabile)Letizia Battaglia (art director)Simona Mafai (coordinamento)Claudia LauriaRedazioneBeatrice AgnelloCarla Aleo NeroRita CalabreseGiusi CatalfamoDaniela DioguardiMaria Chiara Di TrapaniSilvana FernandezGisella ModicaLeontine RegineFrancesca SaievaMaria Concetta SalaStefania SavoiaShobhaFrancesca TraínaSimona NastaAmelia SmolinskaImpaginazione e graficaLetizia BattagliaMassimiliano MartoranaEditoreAssociazione <strong>Mezzocielo</strong>Responsabile EditorialeAdriana Palmerie-mail:mezzocielo.posta@yahoo.itIl lavoro redazionale e le collaborazionisono forniti gratuitamenteStampaIstituto Poligrafico Europeo srlContrada ZaccanelliRoccapalumba (<strong>Palermo</strong>)Finito di stampare il ottobre 2011Reg. al Trib. di <strong>Palermo</strong> il 19-3-’92Quota associativa annua:ordinaria: € 30,00sostenitrice: € 60,00c/cp. 13312905 Rosanna Pirajno,V.le F. Scaduto, 14 - 90144 <strong>Palermo</strong>Rinnovate o regalate un abbonamento a mezzocielo per il 2012Da un anno mezzocielo è anche sul web.Punti di vista, Arte & Arte, Liberissime, Donne che fanno, Appuntamenticon aggiornamenti quotidiani.www.mezzocielo.it46 mezzocielo ottobre-novembre 201147 mezzocielo ottobre-novembre 2011lettere


Per non dimenticareWangari Muta MaathaiADDIO SIGNORA DEGLI ALBERIÈ morta a Nairobi Wangari Muta Maathai, laureata in biologia, premioNobel per la pace nel 2004. La ‘signora degli alberi’ si è spenta, a settembre,a 71 anni. Aveva fondato in Kenya il Green Belt Movement(cintura verde), un movimento di attivisti per i diritti civili e delledonne, che lotta per combattere la deforestazione e per l’ambiente. Gliobiettivi principali sono la salvaguardia della biodiversità e la creazionedi posti di lavoro con attenzione particolare alla leadership della figurafemminile nelle aree rurali. Negli ultimi anni il lavoro di Wangari si èfocalizzato sulla rivendicazione dei diritti umani in Kenya. Per il suoimpegno democratico è stata diffamata, perseguitata, arrestata e picchiata.Leader del movimento ecofemminista, da anni era deputata delParlamento kenyota. La religione della terra, il suo ultimo libro, puòessere considerato un testamento spirituale.da Repubblica

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