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Ciucci, P. and Boitani, L. 2005. Conflitto tra lupo e zootecnica ... - Kora

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<strong>Ciucci</strong>, P. <strong>and</strong> <strong>Boitani</strong>, L. <strong>2005.</strong> <strong>Conflitto</strong> <strong>tra</strong> <strong>lupo</strong> e <strong>zootecnica</strong> in Italia: stato delle conoscenze, ricerca econservazione. In: <strong>Ciucci</strong>, P., Teofili, C., <strong>and</strong> <strong>Boitani</strong>, L. Gr<strong>and</strong>i Carnivori e Zootecnia <strong>tra</strong> conflitto ecoesistenza. Biol. Cons. Fauna 115, 26-51. Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica "Aless<strong>and</strong>ro Ghigi".Keywords: 8IT/Canis lupus/compensation/conflict/conservation/depredation/distribution/ecology/husb<strong>and</strong>ry/livestock/Malme/management/method/monitoring/predator/research/status/wolfAbs<strong>tra</strong>ct: Wolf-livestock conflict in Italy: methods, state of the art, research <strong>and</strong> conservationWe hereby discuss nature <strong>and</strong> implications of wolf livestock conflict (WLC) for wolf conservation in Italy.By reviewing the published studies <strong>and</strong> technical reports on WLC in Italy we describe the state of the art ofcurrent knowledge, illus<strong>tra</strong>te research needs, <strong>and</strong> provide a general methodological discussion tostimulate further studies. Current knowledge on WLC in Italy is detailed according to basic parameters(compensation costs; nature <strong>and</strong> extent of depredations; distribution <strong>and</strong> trends of WLC at local <strong>and</strong>national scales; seasonal, ecological, husb<strong>and</strong>ry <strong>and</strong> behavioral correlates of WLC). Based onaccumulated experience <strong>and</strong> recent studies both in Italy <strong>and</strong> abroad, we also discuss issues dealing withcompensation <strong>and</strong> verification procedures (missing livestock, temporal efficiency of compensationprocedures, distinction among predators), as well as with prevention methods <strong>and</strong> husb<strong>and</strong>ry techniques.Finally, we emphasize the need for a comprehensive monitoring program of WLS <strong>and</strong> correlated variablesif more effective <strong>and</strong> proactive management solutions are to be adopted.Notes: Conference Proceeding , Atti del Convegno, Pescasseroli, 28 Maggio 2004, Centro Natura ParcoNazionale d'Abruzzo, Lazio e MoliseOriginally in <strong>Ciucci</strong>_et_al_2005_Gr<strong>and</strong>i_carnivori_e_zootecnia_<strong>tra</strong>_conflitto_e_coesistenza.pdf


P. <strong>Ciucci</strong> e L. <strong>Boitani</strong>CONFLITTO TRA LUPO E ZOOTECNIA IN ITALIA:METODI DI STUDIO, STATO DELLE CONOSCENZE, PROSPETTIVEDI RICERCA E CONSERVAZIONEWolf-livestock conflict in Italy:methods, state of the art, research <strong>and</strong> conservationPAOLO CIUCCI ° E LUIGI BOITANIDipartimento di Biologia Animale e dell’Uomo, Università di Roma “La Sapienza”°Autore per la corrispondenzaSommario:- Riassunto/Summary- Introduzione- Il conflitto <strong>tra</strong> Lupo e zootecnia <strong>tra</strong> percezione,ricerca e conservazione- Studio del conflitto: finalità, metodi e scalad’indagineCompilazione delle statistiche ufficialiQuestionari e intervisteApplicazioni intensive di campoAnalisi della dieta e quantificazione del conflittoNatura multivariata del conflitto e s<strong>tra</strong>tegied’indagine- Caratteristiche del conflitto <strong>tra</strong> Lupo ezootecnia in ItaliaCosti d’indennizzoNatura ed entità del conflittoCaratteristiche degli eventi di predazioneStagionalitàDispersione del conflittoRicorrenza degli attacchi predatori per aziendaContesto ambientale e gestionaleContesto ecologico e comportamentale- Procedure di verifica- Strumenti e tecniche di prevenzione- Monitoraggio del conflitto- BibliografiaRiassuntoIn questo lavoro si delinea un quadro di analisi e interpretazionedel conflitto <strong>tra</strong> Lupo e zootecnia inchiave gestionale e di conservazione, procedendocon un inquadramento critico dei diversi approcci distudio ed una revisione dei principali lavori ad oggipubblicati in Italia sull’argomento.Il conflitto viene descritto in base alla sue caratteristichefondamentali (costi d’indennizzo, categoriecolpite, entità e caratteristiche dei danni, ricorrenzae dinamiche stagionali, dispersione spaziale e zonecritiche, correlati ambientali, gestionali, ecologici ecomportamentali), per ciascuna delle quali si fa ilpunto sullo stato delle conoscenze e sulle prospettivedi ricerca. In base ad esperienze e studi recenti,condotti sia in Italia che all’estero, vengono altresìdiscussi alcuni elementi critici delle procedure di indennizzoe accertamento dei danni (capi dispersi,tempi di verifica e di indennizzo, distinzione <strong>tra</strong> predazionida Lupo e da cane), dell’efficacia degli strumentie delle tecniche di prevenzione, e viene motivatala necessità di un monitoraggio a lungo terminedel conflitto su scala locale e nazionale.SummaryWe hereby discuss nature <strong>and</strong> implications of wolflivestockconflict (WLC) for wolf conservation inItaly. By reviewing the published studies <strong>and</strong> technicalreports on WLC in Italy we describe the stateof the art of current knowledge, illus<strong>tra</strong>te researchneeds, <strong>and</strong> provide a general methodological discussionto stimulate further studies. Current knowledgeon WLC in Italy is detailed according tobasic parameters (compensation costs; nature <strong>and</strong>extent of depredations; distribution <strong>and</strong> trends ofWLC at local <strong>and</strong> national scales; seasonal, ecological,husb<strong>and</strong>ry <strong>and</strong> behavioral correlates ofWLC). Based on accumulated experience <strong>and</strong> recentstudies both in Italy <strong>and</strong> abroad, we also discussissues dealing with compensation <strong>and</strong> verificationprocedures (missing livestock, temporal efficiency ofcompensation procedures, distinction among predators),as well as with prevention methods <strong>and</strong> husb<strong>and</strong>rytechniques. Finally, we emphasize theneed for a comprehensive monitoring program ofWLS <strong>and</strong> correlated variables if more effective <strong>and</strong>proactive management solutions are to be adopted.INTRODUZIONEL’efficace gestione del conflitto <strong>tra</strong> Lupo (o altrigr<strong>and</strong>i carnivori) e zootecnia costituisce, in Italiacome altrove, uno degli elementi principali di unas<strong>tra</strong>tegia funzionale di conservazione della specie(<strong>Boitani</strong> 2000). Qualsiasi soluzione di questo anticoproblema non può prescindere da un’analisiapprofondita che miri alla descrizione, caratterizzazionee quantificazione del conflitto <strong>tra</strong> Lupo ezootecnia. Studiare ed analizzare il problema implicala possibilità di affrontarlo con maggiore rigoree di poter valutare opzioni di gestione imponderabiliallo stato attuale delle conoscenze. Le amminis<strong>tra</strong>zionie la comunità tecnica e scientifica sidevono quindi impegnare per stimolare studi specificiatti alla quantificazione, descrizione e monitoraggiodel conflitto e all’individuazione di soluzionidi gestione innovative e funzionali.In questa prospettiva, si è voluto qui procedere aduna revisione degli studi condotti sull’argomentoin Italia ed all’estero, offrendo una discussione criticadei metodi di studio e della loro interpretabili-Biologia e Conservazione della Fauna, 115: 26-51, 200526


Biol. Cons. Fauna 115tà, anche al fine di stimolare ulteriori indagini e unapproccio di analisi più solido. In fase di revisioneabbiamo considerato tutti i lavori pubblicati inextenso su riviste del settore e le relazioni tecnichepresentate alle amminis<strong>tra</strong>zioni di competenza,ma abbiamo <strong>tra</strong>lasciato alcuni rapporti interni didifficile reperimento e i lavori in cui la metodologiautilizzata non veniva adeguatamente illus<strong>tra</strong>ta. Lericerche specifiche del settore sono purtropposcarse a livello nazionale, e una conseguenza direttaè la mancanza di un confronto tecnico-scientificosull’argomento nonché di riferimenti metodologiciragionati, solidi e condivisi. Tra gli obiettividi questa revisione c’è quindi anche quello di inquadrarei metodi di studio secondo un approcciodi indagine unitario e coerente e in cui si considerino,dipendentemente dalla scala e dalla risoluzionerichiesti, pro e contro di metodi differenti.Ai fini di questa presentazione, e per chiarire il significatodei termini cardine su cui si articola la<strong>tra</strong>ttazione del conflitto, è utile distinguere <strong>tra</strong> prevenzione,ovvero l’adozione di metodi o di tecnicheatte a ridurre l’entità attesa dell’impatto dei predatori;la mitigazione, ovvero l’adozione di strumentie politiche economiche e sociali atte a ridurrei danni economici e l’animosità conseguenti ilverificarsi dei danni da predazione, ed il controllo,ovvero l’adozione, successivamente al verificarsi dieventi di predazione, di metodi e tecniche atte a ridurnel’ulteriore insorgenza. Nella letteraturanordamericana il controllo viene spesso associatoalla rimozione letale o alla cattura e successiva<strong>tra</strong>slocazione dei lupi residenti in seguito al verificarsidi eventi di predazione (Fritts 1982, Bjorge &Gunson 1985, Fritts et al. 1992, Bangs et al.1995, Mech 1995, Bradley 2004).Nonostante in questo lavoro si discuta essenzialmentedel conflitto <strong>tra</strong> Lupo e zootecnia, molteconsiderazioni di carattere generale si ritengonovalide anche per gli altri gr<strong>and</strong>i carnivori presentisul territorio nazionale.IL CONFLITTO TRA LUPO E ZOOTECNIA TRAPERCEZIONE, RICERCA E CONSERVAZIONERispetto a pochi decenni fa, la società ha oggi dimos<strong>tra</strong>todi voler riconoscere i valori positivi deigr<strong>and</strong>i carnivori come il Lupo, l’Orso, la Lince(Breitenmoser, 1998, <strong>Boitani</strong> 2000). Anche se a livelloessenzialmente teorico, queste specie godonooggi di protezione legale a livello regionale, nazionale,comunitario ed internazionale. Il Lupo, inparticolare, è protetto in Italia fin dai primi anni’70 qu<strong>and</strong>o la specie, in parte assistita da interventidi conservazione, ha mos<strong>tra</strong>to notevoli capacitàdi recupero (<strong>Ciucci</strong> & <strong>Boitani</strong> 1998a). Delresto, in seguito a questo incremento si è fatto ancorapiù gravoso il problema del conflitto con lazootecnia; problema ad oggi <strong>tra</strong>scurato e che continuaa non essere affrontato in maniera coerentecon le più recenti aspettative di conservazione. Ilconflitto con il Lupo, al pari di altri grossi predatori,può determinare in particolare con il settorezootecnico perdite economiche e attriti a livello sociale.Per il singolo allevatore, oltre alle perdite dicarattere economico, la predazione da parte delLupo può spesso comportare riflessi sul carico dilavoro e sulla qualità stessa della vita (Fritts et al.2003).In seguito al recente recupero della specie su largascala, il conflitto <strong>tra</strong> Lupo e zootecnia in Italia si èriproposto con maggiore intensità e diffusione rispettoagli anni ’70 – ‘80 (<strong>Boitani</strong> 1982, Guacci1985). Oggi più di ieri le implicazioni sociali edeconomiche del conflitto sono più articolate e rendonoparticolarmente complessa l’elaborazione diuna s<strong>tra</strong>tegia gestionale. Se gran parte della societàmoderna oggi vuole la protezione del Lupo, perun allevatore questocomporta il non poter ricorrereal controllo dei predatori come strumento di difesa.Sebbene ciò sia in linea con le finalità di conservazionee, dal punto di vista etico e sociale, siaindubbiamente più accettabile rispetto alle <strong>tra</strong>scorsepolitiche di eradicazione, è importante realizzareche non necessariamente la mera protezionelegale affronta le questioni alla radice del problema.Al di là dei problemi che pone questo impiantoteorico, ci si chiede in quale misura sia difatto rispettato e per quanto tempo possa risultaresostenibile. In un contesto di tutela ed espansionedelle popolazioni di gr<strong>and</strong>i carnivori, è indubbioche elemento cen<strong>tra</strong>le di qualsiasi s<strong>tra</strong>tegiagestionale dovrà essere il recupero da parte delsettore zootecnico di accorgimenti mirati ad aumentarela difesa degli armenti. Il processo tuttavianon è facile né immediato, <strong>tra</strong>tt<strong>and</strong>osi di mutamentidifficili, economicamente svantaggiosi,che comportano un carico di lavoro addizionale eche non sono sempre applicabili o funzionali.Mentre nelle zone di presenza storica della speciegli allevatori sembravano essere tecnicamente eculturalmente preparati ad interagire con il Lupo,oggi ciò non è più vero in molte aree di recente ricolonizzazione(<strong>Ciucci</strong> & <strong>Boitani</strong> 1998a). Laddovein tempi storici recenti la rarefazione delle predeselvatiche è stata <strong>tra</strong> le cause principali della predazionesui domestici (Cagnolaro et al. 1974, <strong>Boitani</strong>1982, Ragni et al. 1985), oggi sono le tecnichedi allevamento a influenzare i livelli di conflitto osservatinonostante la presenza di comunità diversificatedi prede selvatiche (Fico et al. 1993, Cozzaet al. 1996, <strong>Ciucci</strong> & <strong>Boitani</strong> 1998b). Inoltre, sebbeneil Lupo che mangia la pecora sia un problemaantico per l’allevatore, il problema viene oggivissuto in un contesto sociale, culturale e normativodiverso e che sottintende un con<strong>tra</strong>sto <strong>tra</strong> valorie culture differenti. Dal punto di vista dell’allevatore,il Lupo rischia di diventare simbolo diun’epoca in cui le proprie <strong>tra</strong>dizioni, diritti e interessivengono subordinati ai valori di una culturadi matrice essenzialmente urbana (Fritts et al.2003). In questi termini, la predazione al bestiamenon è solo causa di perdite economiche ma alimentauna tensione sociale preesistente; questa,troppo spesso strumentalizzata dai media locali, si<strong>tra</strong>duce in un movente condiviso su scala localeper interventi illeciti di controllo. Tutto ciò influenzaovviamente anche la sfera politica e sociale:se ad oggi, almeno in Italia, le situazioni più cri-27


P. <strong>Ciucci</strong> e L. <strong>Boitani</strong>tiche si sono risolte con articoli di propag<strong>and</strong>a inprima pagina o la formazione di ‘comitati anti<strong>lupo</strong>’locali della durata di una stagione, ci sono staterecentemente richieste da parte di amminis<strong>tra</strong>zionipubbliche di deroghe all’attuale status di protezionedel Lupo (cfr. Genovesi questo volume).La convivenza <strong>tra</strong> gr<strong>and</strong>i carnivori e attività antropicheimplica una gestione del conflitto efficace esocialmente accettabile, rappresent<strong>and</strong>o una <strong>tra</strong> lesfide più impegnative nel campo della conservazione(Breitenmoser 1998, Treves & Karanth 2003).Attualmente, la gestione del conflitto <strong>tra</strong> Lupo ezootecnia è resa particolarmente complessa in Italiada due ordini di problemi: la mancanza di informazioniattendibili e aggiornate sulla reale entitàdel fenomeno, <strong>tra</strong> l’altro in rapida e costanteevoluzione, e il recente sviluppo del settore zootecnicoverso forme di produzione che non contemplanola presenza sul territorio di un predatoreselvatico (<strong>Ciucci</strong> & <strong>Boitani</strong> 1998a). La mancanza distudi oggettivi e sistematici sulla predazione al bestiamedomestico non facilita la situazione, lasci<strong>and</strong>ospazio ad un’erronea percezione del fenomenosulla quale ne viene soppesata gravità e rilevanzaeconomica. Tra l’altro, la percezione delconflitto risente di preconcetti e atteggiamenti culturaliampiamente influenzati dalle tensioni socialie dalla loro strumentalizzazione a fini propag<strong>and</strong>istici.Una ‘conoscenza’ del fenomeno basata supercezioni o luoghi comuni non ha fondamenti attendibili,semplifica in maniera riduttiva relazionicomplesse e ignora natura e ruolo di molte componenticritiche da un punto di vista gestionale;prendiamo ad esempio la possibilità di coinvolgimentodi predatori diversi, il ruolo di cause dimorte diverse dalla predazione, l’attendibilità delleprocedure di verifica, l’influenza delle normatived’indennizzo, la responsabilità dell’allevatore, etc.In mancanza di queste basi conoscitive, e in assenzadi una volontà politica di avviare programmidi monitoraggio, è oltremodo difficile affrontare egestire il problema in maniera programmatica, razionalee coerente.A fronte di questa complessità, si fa sempre piùevidente l‘inadeguatezza di una s<strong>tra</strong>tegia di risoluzionedel conflitto basata essenzialmente sui programmid’indennizzo (Cozza et al. 1996, <strong>Ciucci</strong> &<strong>Boitani</strong> 1998a). Nonostante in Italia le politiched’indennizzo non siano state mai valutate formalmentein termini di portata ed efficacia, questas<strong>tra</strong>tegia è sembrata assolvere al suo scopo neglianni ’70, qu<strong>and</strong>o una popolazione di lupi ridotta aiminimi termini generava un conflitto localizzato ein contesti sociali e culturali <strong>tra</strong>dizionalmente preparati(<strong>Boitani</strong> 1982). Oggi la situazione è radicalmentediversa, e né la protezione legale (teorica) néi programmi d’indennizzo sembrano essere ingrado di mitigare il conflitto o di garantire situazionistabili di coesistenza <strong>tra</strong> uomo e Lupo (Genovesi2002). Nonostante la politica dell’indennizzoin Italia costi molto più che altrove (vedi sotto), unelevato numero di lupi viene ucciso ogni anno illegalmente(Francisci & Guberti 1993, Duprè 1996)senza peraltro <strong>tra</strong>dursi in un’attenuazione delconflitto nel medio – lungo periodo. Oltre ad essereeticamente discutibile, ed a minare continuamentela base per una corretta conservazione dellaspecie su larga scala, quest’approccio gestionalenon necessariamente potrà continuare ad esseresostenibile nel futuro.STUDIO DEL CONFLITTO: FINALITÀ,METODI E SCALA D’INDAGINELa mitigazione dei problemi causati dalle specieselvatiche alle attività antropiche rappresenta unabranca specifica della gestione della fauna (Conover2002). Elemento fondamentale per la gestionedel conflitto è la descrizione, la caratterizzazione ela quantificazione dei suoi parametri di base. Laconoscenza del problema è infatti fondamentalenon solo per trovare soluzioni tecniche adeguatema anche per valutare il livello di accettabilità, osopportazione sociale ed economica, del conflitto.Lo studio del fenomeno dovrebbe quindi prevedereuna fase di acquisizione delle conoscenze di base(cosa, dove, qu<strong>and</strong>o), seguita da un impianto di ricercafinalizzato ad evidenziarne cause e meccanismifunzionali (come, perché). Diversi approccipossono essere impiegati a tal fine, ma una distinzionenetta va fatta <strong>tra</strong> monitoraggio del conflitto ericerca: mentre il primo, at<strong>tra</strong>verso indici affidabilie significativi, quantifica l’<strong>and</strong>amento del fenomenonel tempo e nello spazio in relazione ad altrevariabili critiche (ad esempio dinamica dei predatorie della produzione <strong>zootecnica</strong>), la ricerca mettein evidenza, a un livello di risoluzione maggiore, lecause di quanto osservato e permette inferenzepredittive. A tutti i livelli, particolare attenzione vaposta alle fonti di errore (campionamento, misurazione,interpretazione dei dati) ed al tipo di analisieffettuata, in quanto en<strong>tra</strong>mbi possono influenzarefortemente le conclusioni e la percezione stessadel fenomeno (Sterner & Shumake 1978, Knowltonet al. 1999).I metodi ad oggi utilizzati per descrivere e quantificarei vari aspetti del conflitto <strong>tra</strong> Lupo (o altrigr<strong>and</strong>i carnivori) e zootecnia si possono ricondurrea quattro approcci di base. Oltre che per unacrescente complessità, questi approcci si distinguonoper costi, finalità, risoluzione dei dati, escale di applicazione: (1) la compilazione delle statisticheufficiali, che sono disponibili in variaforma e dettaglio presso le amminis<strong>tra</strong>zioni competenti(Boggess et al. 1978; Sterner & Shumake1978, Schaefer et al. 1981, Blanco et al. 1992,Fritts et al. 1992, Fico et al. 1993, <strong>Ciucci</strong> & <strong>Boitani</strong>1998a, 1998b, Mech 1998, Treves et al. 2002,Stahl et al. 2001, Musiani et al. 2003, Bradley2004). Si <strong>tra</strong>tta di una metodologia applicabile laddovele normative d’indennizzo prevedono la denunciapuntuale da parte degli allevatori deglieventi di predazione e la successiva verifica daparte del personale preposto; (2) la compilazione diquestionari o la realizzazione di interviste. Diretteagli allevatori o ad altri addetti del settore le intervisteinteressano una serie di aspetti concernentifrequenza ed entità degli eventi di predazione, caratteristichedella produzione, tecniche di alleva-28


Biol. Cons. Fauna 115mento e prevenzione, tipologie ambientali dellearee di pascolo, etc. (Sterner & Shumake 1978,Robel et al. 1981, <strong>Ciucci</strong> & <strong>Boitani</strong> 1998b, Wagner1988, Tully 1991, Mech et al. 2000, Bradley 2004);(3) verifiche di campo, condotte in aree e aziendecampione, atte al conteggio totale – o alla stima –degli animali predati e alla verifica puntuale delleloro cause di morte (Sacks et al. 1999, Blejwas etal. 2002); (4) ricerche di campo. Ad integrazionedell’approccio precedente, la ricerca prevede lamarcatura e il monitoraggio, spesso radio-telemetrico,sia del bestiame domestico, per la quantificazioneesatta dei tassi e delle cause di morte (inclusii capi che solitamente non vengono ritrovati),che dei predatori, per certificare il coinvolgimentodiretto di alcuni individui o stimare il grado di sovrapposizioneterritoriale con le aree di pascolo(Neale et al. 1998, Blejwas et al. 2002, Oakleaf etal. 2003, Bradley 2004).Vari problemi metodologici e interpretativi caratterizzanociascun approccio, ma i diversi metodipossono comunque essere utilizzati simultaneamentein una scala crescente di complessità al finedi produrre dati complementari, confrontare risultatidifferenti e stimare fattori di correzione (Sterner& Shumake 1978, Shaefer et al. 1981, Stahl etal. 2001, Blejwas et al. 2002). Le applicazioni dicampo, in virtù dei costi elevati e del complessoimpianto logistico, non sono realizzabili su largascala e nel lungo periodo; ne conseguono problemilegati alla rappresentatività delle aree di studio ealla conseguente es<strong>tra</strong>polazione dei risultati. Sebbenele applicazioni di campo offrano le maggiorigaranzie di affidabilità dei risultati, in una fase descrittivae di monitoraggio del conflitto può esserepiù conveniente perseguire approcci meno costosie facilmente applicabili in contesti geografici edamminis<strong>tra</strong>tivi più ampi. Di seguono si illus<strong>tra</strong>noin dettaglio i quattro approcci sopra delineati.Compilazione delle statistiche ufficialiL’approccio più immediato per la sintesi di informazionisu larga scala è rappresentato dalla compilazionedelle statistiche desunte dai verbali diaccertamento – o dalle relative delibere di liquidazione.Utilizz<strong>and</strong>o dati disponibili per ampi contestigeografici ed amminis<strong>tra</strong>tivi (province, regioni),si possono ottenere indicazioni sulle tendenze annualie geografiche del fenomeno (ad esempio,Boggess et al. 1978, Fritts et al. 1992, Mech 1998,Treves et al. 2002, Musiani et al. 2003, Bradley2004), sui costi delle attuali politiche di indennizzo(Mech 1998, Treves et al. 2002) e, dipendentementedal dettaglio delle informazioni disponibili,su alcune caratteristiche degli eventi di predazione(ad esempio, capi predati/attacco, ricorrenza diattacco/azienda, stagionalità, etc.) (Boggess et al.1978, Schaefer et al. 1981, Fritts et al. 1992, Ficoet al. 1993, <strong>Ciucci</strong> & <strong>Boitani</strong> 1998b, Stahl et al.2001, Bradley 2004). È importante sottolineareche i risultati così ottenuti non necessariamenteprocurano una quantificazione del conflitto reale(<strong>Ciucci</strong> et al. 1997): si <strong>tra</strong>tta più spesso di unastima del conflitto, le cui quantificazioni sono mediatedalla normativa d’indennizzo vigente e dallamodalità (attendibilità) con cui le varie fasi vengonoapplicate; ad esempio, la percentuale d’indennizzoed i predatori riconosciuti, e la fasi di verifica,quantificazione e liquidazione degli eventi segnalati.Nonostante gli ovvi problemi interpretativi,questo metodo viene frequentemente utilizzatoper la caratterizzazione (Boggess et al. 1978, Bradley2004) e per il monitoraggio a lungo termine(Boggess et al. 1978, Treves et al. 2002) del conflitto.Al pari di altri indici, le statistiche ottenutesono da intendersi in funzione di due importantiassunti di base: (i) l’esistenza di una relazione lineare<strong>tra</strong> stime e conflitto reale, e (ii) l’effetto costante,nel tempo e nello spazio, di eventuali discrepanzee fonti di errore.Le statistiche compilate a partire dalle documentazioniufficiali erano state messe in discussionegià dalle prime applicazioni del metodo a causadella marcata tendenza a sottostimare l’entitàreale del conflitto (Boggess et al. 1978, Shaefer etal. 1981). Tuttavia, è da un confronto con gli altrimetodi disponibili per applicazioni su larga scala(questionari, interviste) che emergono alcuni indubbivantaggi (Boggess et al. 1978, Knowlton etal. 1999), <strong>tra</strong> cui: il maggior numero di allevatoriche, incentivati da una politica di indennizzo, segnalanoi casi di predazione; la garanzia di un riscontroda parte del personale addetto dei casi segnalati;una verifica sul campo (numero e caratteristichedei capi predati, predatore coinvolto, etc.)più oggettiva rispetto all’opinione dell’allevatore direttamentecoinvolto. Comunque, il metodo rimanesuscettibile a fonti di errore importanti le quali,in alcune situazioni, ne inficiano l’applicazione.Innanzitutto, i programmi di indennizzo possonoessere un incentivo per denunce fraudolente o relativea decessi dovuti ad altre cause di mortalitào predatori (cani); tali casi possono essere inclusiinconsapevolmente nel computo finale (Boggess etal. 1978, Knowlton et al. 1999, Treves et al. 2002).Inoltre, un numero indefinito di allevatori possonoastenersi dal presentare la denuncia in caso dipredazione, o perché poco informati sulla prassida seguire o sull’esistenza stessa dei programmid’indennizzo (ad esempio, <strong>Boitani</strong> et al. 1998), operché poco motivati se non addirittura con<strong>tra</strong>riad essi (ad esempio, Gatto et al., questo volume).Al<strong>tra</strong> importante fonte di errore difficilmente valutabilerisiede ancora oggi nella mancata applicazionedi rigorose procedure di verifica e nell’assenzadi prassi st<strong>and</strong>ardizzate per l’accertamentodelle cause di morte dei capi segnalati (cfr. Fico etal., questo volume). Eventuali differenze nei tassidi predazione così stimati possono risentire dell’accuratezzae dell’impegno con cui i tecnici prepostiverificano le cause di mortalità o la specie dipredatore coinvolta (Knowlton et al. 1999); adesempio, l’attendibilità della fase di verifica rispondead un esame autoptico adeguato condottoentro un tempo massimo dal verificarsi dell’eventopredatorio (24 – 48 ore) al fine di prevenire l’eccessivadecomposizione della carcassa o il consumoda parte di necrofagi.29


P. <strong>Ciucci</strong> e L. <strong>Boitani</strong>Infine, non sempre i documenti ufficiali dei casisegnalati di predazione si prestano a questo tipo dianalisi: schede e verbali di accertamento le cuivoci sono troppo vaghe o generali (Cozza et al.1996, Berzi 1997), o l’aggregazione di più eventi dipredazione in un’unica delibera di liquidazione(<strong>Boitani</strong> & <strong>Ciucci</strong> 1996, <strong>Ciucci</strong> et al. 1997), possonoinficiare qualità e risoluzione delle analisi. E’comunque importante sottolineare che le analisibasate sulla compilazione delle statistiche ufficiali,se opportunamente interpretate, possono anchefornire informazioni complementari di particolareimportanza in un’ottica di conservazione; adesempio, l’efficienza funzionale e temporale delleprocedure d’indennizzo, ovvero il tempo mediamenteatteso <strong>tra</strong> segnalazione e verifica dell’eventopredatorio (ad esempio, Fritts et al. 1992), e <strong>tra</strong> denunciae liquidazione dell’indennizzo (ad esempio,Treves et al. 2002).Questionari e intervisteLe indagini <strong>tra</strong>mite questionari o interviste rivolteagli allevatori, o al personale preposto alla verificadegli eventi predatori segnalati, si usano generalmentead integrazione della compilazione dellestatistiche ufficiali e permettono di raccogliere informazionialtrimenti spesso <strong>tra</strong>lasciate in fase diaccertamento. Laddove non esistono i programmidi indennizzo o questi non risultano funzionali, iquestionari sono l’unico strumento per ottenereinformazioni su larga scala e a basso costo sull’entitàdel conflitto (Robel et al. 1981, Schaefer etal. 1981, Tully 1991). Le informazioni richiestepossono anche contemplare le caratteristiche dell’aziendain questione (ad esempio, Mech et al.2000, Bradley 2004), sia in termini di gestione(tipo e tecniche di allevamento, modalità di conduzioneal pascolo, uso di tecniche di prevenzione,etc.) che di contesto ambientale delle aziende (ambientipascolativi, presenza di cani vaganti e altripredatori, etc.). E’ da sottolineare che la strutturazionedel questionario (formulazione e successionedelle dom<strong>and</strong>e) oppure, nel caso delle interviste, lapresentazione ed il comportamento dell’intervistatore,sono variabili critiche nell’influenzare i risultatidi questo tipo di indagini, che devono quindiessere pianificate attentamente e con il supportodi specialisti del settore. Inoltre, laddove le rispostefornite dagli allevatori possono essere influenzateda interessi personali, per quanto concerne ilpersonale tecnico preposto all’accertamento valgonogli stessi problemi già discussi per la compilazionedelle statistiche ufficiali (tecniche autoptichee professionalità nella fase di verifica, tempi di accertamento,etc.).Il questionario rimane comunque uno strumentoinsostituibile per l’analisi del punto di vista degliallevatori in un’ottica gestionale e compartecipativi.Diverse indagini condotte in Italia <strong>tra</strong>mite intervisteo questionari, ad esempio, sono state funzionaliper chiarire il punto di vista degli allevatorisu questioni inerenti la gestione del conflitto e lepolitiche d’indennizzo (cfr. <strong>Boitani</strong> et al. 1998,Gatto et al. questo volume) o l’efficienza di alcunetecniche di prevenzione (Caporioni & Teofili questovolume, Tedesco & <strong>Ciucci</strong> questo volume). Rispettoalla compilazione delle statistiche ufficiali l’indagine<strong>tra</strong>mite questionari o interviste è articolata ovviamentesu un minor numero di allevatori e sibasa su un campione di aziende: in questo senso,come in tutti gli altri metodi <strong>tra</strong>ttati di seguito,vanno rispettate modalità statisticamente affidabilidi campionamento. Stime basate sulla selezionedelle unità campionarie vanno considerate affidabilisolo se sottintendono formali s<strong>tra</strong>tegie di campionamento,e non possono comunque prescindereda una misura statistica della loro precisione.Applicazioni intensive di campoA differenza dei due metodi precedenti, le applicazionidi campo prevedono la presenza più o menocontinua degli operatori a livello delle aziende colpitedagli eventi di predazione. Le indagini dicampo possono variare per la complessità dei metodie per l’intensità dello sforzo di ricerca. Da applicazioniin cui gli operatori collaborano con l’allevatoree/o al tecnico preposto all’accertamentoper la ricerca dei capi segnalati (ad esempio, Angelucciet al. questo volume, Tropini questo volume),si passa ad applicazioni più propriamentesperimentali in cui si mira al recupero di tutti icapi deceduti, morti sia per predazione che peraltre cause (ad esempio, Sterner & Shumake1978, Conner et al. 1998, Sacks et al. 1999). A talfine, i protocolli di ricerca più recenti prevedono lamarcatura e il monitoraggio radio-telemetrico delbestiame e/o dei predatori (Neale et al. 1998, Blejwaset al. 2002, Oakleaf et al. 2003, Bradley2004). Questi approcci, caratterizzati da una presenzasul campo intensa e continuativa propriadei progetti di ricerca, offrono informazioni dimaggiore affidabilità e completezza sui tassi dimortalità causa-specifici, predazione inclusa. A talfine, oltre ad efficaci metodi di monitoraggio delbestiame al pascolo, vengono utilizzate tecnicheautoptiche appropriate e in tempi utili (


Biol. Cons. Fauna 115si, presenza e localizzazione dei predatori). D’al<strong>tra</strong>parte, i costi elevati impediscono una loro applicazionesu larga scala o nell’ambito di programmi dimonitoraggio a lungo termine. Tuttavia è solo at<strong>tra</strong>versoquesto tipo di indagini che, a livello di alcunearee campione, si possono calibrare gli approccidi carattere più generale per la quantificazionedel conflitto (vedi sopra) oppure articolare ricerchedi carattere applicativo (affinamento delleprocedure di verifica, sperimentazione delle tecnichedi prevenzione, etc.). Le applicazioni intensivedi campo prevedono la selezione di aree e/o aziendecampione, così come la selezione di un campionedi animali domestici e/o di predatori: anche inquesto caso il rispetto dei requisiti statistici dicampionamento (aree, aziende, individui) è allabase della rappresentatività dei risultati e della legittimitàdella loro es<strong>tra</strong>polazione ad un universocampionario più esteso.Analisi della dieta e quantificazione del conflittoCon particolare riferimento al contesto italianodeve essere menzionato il fatto che gli studi sulladieta in base all’analisi degli escrementi non sembranooffrire una valida indicazione della natura edell’entità del conflitto <strong>tra</strong> Lupo e patrimonio zootecnico.Sebbene questi studi siano stati fondamentaliper evidenziare l’importanza del bestiamed’allevamento come fonte trofica per il Lupo e lesue variazioni nel lungo periodo, non sono da soliin grado di descrivere caratteristiche ed entità delconflitto. Diversi autori hanno evidenziato che laquantificazione dell’uso di prede domestiche nelladieta dei lupi non è risultata correlata su scala localeai livelli di predazione riportati. Nelle Alpi Marittimesi è rilevata una forte discordanza <strong>tra</strong> analisidegli escrementi e segnalazioni di predazionesulle capre e sulle pecore (Marucco 2001) e, in diversearee appenniniche, l’incidenza delle pecorenella dieta è risultata minore rispetto ai casi accertatidi predazione (Mugello: Berzi 1997; Grafagnana:<strong>Ciucci</strong> 1994; provincia di Siena: <strong>Boitani</strong> &<strong>Ciucci</strong> 1996). Tali differenze sono riconducibili adifferenti regimi gestionali delle specie domestiche(ad esempio, nelle Alpi Marittime le capre sonomantenute allo stato brado e le pecore sono piùcontrollate) e quindi all’effettiva disponibilità dellecarcasse una volta predate (ad esempio, abb<strong>and</strong>onate,interrate oppure rimosse), en<strong>tra</strong>mbi fattoriche influenzano il tasso di consumo da parte dilupi. Le carcasse delle prede domestiche tendonoinoltre ad essere consumate dai lupi solo parzialmente(<strong>Ciucci</strong> & <strong>Boitani</strong> 1998a) e il loro consumoè selettivo per le parti altamente digeribili e poveredi quegli elementi indigesti (peli, ossa) utilizzatiper l’identificazione e quantificazione nell’analisidegli escrementi. Quindi, mentre l’analisi degliescrementi ai fini della quantificazione della dietapuò comportare una sottostima del livello di conflitto,altri fattori possono causare errori in direzioneopposta. Se operata in un ambito spaziale ristretto,la raccolta degli escrementi può risentiredell’accessibilità localizzata di una determinatapreda domestica, risult<strong>and</strong>o in una sua sovrastimaall’interno della dieta. Inoltre, come nel casodelle prede selvatiche, l’analisi degli escrementinon permette di distinguere i casi di predazionedal consumo di carcasse, con il rischio di sovrastimarnela predazione come causa di mortalità. Sebbeneoffrano informazioni importanti e complementari,gli studi sulla dieta non dovrebbero esserequindi considerati cen<strong>tra</strong>li nella quantificazionee caratterizzazione del conflitto <strong>tra</strong> Lupo e zootecnia.Natura multivariata del conflitto e s<strong>tra</strong>tegied’indagineOltre alla diversità dei metodi che possono essereutilizzati per l’analisi del conflitto, e alla loro suscettibilitàa diverse fonti di errore, la corretta interpretazionedei risultati, il confronto <strong>tra</strong> studidifferenti e i tentativi di generalizzazione sono ulteriormenteindeboliti dalla moltitudine di variabilicoinvolte nei casi di predazione. L’effetto di fattoridi natura gestionale, meteorologica, ecologicaed ambientale e le loro interazioni rendono oltremodocomplesso il controllo del contesto di studio.Il rischio è confondere <strong>tra</strong> loro unità spazio-temporalidistinte o interpretare in termini di causaeffettovariabili <strong>tra</strong> loro semplicemente correlate edin realtà interessate da interazioni più complesse.Ciò pone seri problemi soprattutto ai fini della valutazionedell’efficacia delle tecniche di prevenzione(cfr. Caprioni & Teofili questo volume), o nell’interpretazionedi programmi di monitoraggio: laprofessionalità e l’attitudine degli allevatori, ladensità e l’accessibilità relativa delle prede selvatichee domestiche, la densità e l’arrangiamento territorialedella popolazione locale di lupi e il lorocomportamento individuale, le condizioni meteorologichee orografiche prevalenti, sono tutte variabilicritiche che, se non vengono prese in considerazione,potrebbero comportare interpretazioniparziali se non erronee dei risultati acquisiti.Alla luce di queste difficoltà è importante individuareuna s<strong>tra</strong>tegia di indagine che utilizzi al meglioi metodi ad oggi disponibili e, in base alle diversescale spaziali di applicazione, riesca a ricondurreinterpretazione e portata dei risultati allareale risoluzione dei dati e alle potenziali fonti dierrore. L’<strong>and</strong>amento spazio-temporale del conflittoe la sua dimensione economica su larga scala (regionale,nazionale) possono essere monitorati conle dovute cautele at<strong>tra</strong>verso le statistiche ufficiali,ottenibili a costi relativamente ridotti. D’al<strong>tra</strong>parte, solo applicazioni metodologicamente più rigorosedovrebbero essere alla base di una caratterizzazioneaccurata e funzionale del fenomeno odella valutazione sperimentale delle tecniche diprevenzione. Sebbene i protocolli intensivi dicampo risultino più costosi e logisticamente complessi,sono gli unici in grado di assicurare un impiantosperimentale adeguato. Essi possono inoltrefornire: (1) validi elementi di riscontro (adesempio, stima accurata dei tassi di mortalità) asupporto di indagini più generali; (2) informazioniaffidabili (ad esempio, quantificazione di danni indotti,% di capi dispersi effettivamente predati) per31


P. <strong>Ciucci</strong> e L. <strong>Boitani</strong>l’affinamento delle procedure e delle politiche d’indennizzo;e (3) contesti sperimentali in cui valutarefunzionalità ed efficacia delle diverse opzioni gestionalidi mitigazione e risoluzione del conflitto.CARATTERISTICHE DEL CONFLITTO TRALUPO E ZOOTECNIA IN ITALIAIl conflitto <strong>tra</strong> Lupo e zootecnia può essere descrittoin base a diverse variabili e quantificato in basea diverse unità di misura (capi predati, eventi predatori,costi dei danni o dell’indennizzo, etc.), tipidi quantificazione (numeri assoluti, proporzioni,tassi) e contesti applicativi (gestionale, economico,sperimentale). Alcuni indici frequentemente utilizzatinei programmi di monitoraggio sono espressiin forma di tassi o proporzioni (eventi predazione/anno,aziende colpite/anno; Fritts 1982, Fittset al. 1992, Treves et al. 2002). Le modalità concui viene quantificato il conflitto influenzano resae significato delle variabili considerate in funzionedel contesto applicativo. Il tipo di quantificazioneadottata può influenzare la percezione del fenomenoda parte dei media e del pubblico (Sterner &Schumake 1978), e l’uso improprio delle statistichedescrittive può riflettersi in una visione distortadi alcuni parametri critici (ad esempio, numeromedio di capi predati/evento di predazione). Recentemente,la dimensione economica del fenomenoè stata oggetto di un numero crescente di studiin cui i costi del conflitto sono stati quantificati inriferimento ad una data popolazione di lupi (Mech1998, Treves et al. 2002, 2004, Musiani et al.2003). Inoltre, diverse variabili ambientali e gestionali(vegetazione d terreni di pascolo, densitàdelle prede domestiche e selvatiche, dimensionidell’azienda, tecniche di guardiania, etc.) vengonoFigura 1. – Localizzazione dei 15 studi condotti in Italia (1981 – 2001) sul conflitto <strong>tra</strong> Lupo e zootecnia e consideratinel presente lavoro: (1) Marucco 2001; (2) Tropini 2001; (3) Brangi 1995; (4) Meriggi et al. 1998; (5) <strong>Boitani</strong>& <strong>Ciucci</strong> 1996; (6) Berzi 1997; (7, 8) <strong>Boitani</strong> & <strong>Ciucci</strong> 1996; (9, 10, 11) <strong>Ciucci</strong> 1999; (12) Fico et al. 1983;(13) Cozza et al. 1996; (14) Verucci 2002; (15) <strong>Boitani</strong> et al. 1998.32


Biol. Cons. Fauna 115utilizzate per descrivere il contesto multivariatodella predazione (Mech et al. 2000), o integrate inmodelli predittivi (Treves et al. 2004). Alcune indaginicondotte in Italia hanno contemplato, parallelamentealla quantificazione del conflitto, l’analisidel contesto zootecnico (Cozza et al. 1996, <strong>Boitani</strong>et al. 1998, Fortina 2001): numero e tipo di aziende,il carico pascolativo e il tipo di conduzione, lostato residenziale degli allevatori e il loro regimeprofessionale, la stagionalità di pascolo, l’atteggiamentodegli allevatori, etc.: sono queste un esempiodi come sia necessario procedere con una baseinterpretativa più ampia per meglio interpretarenatura e prospettive gestionali del conflitto <strong>tra</strong> carnivorie zootecnia.Di seguito viene presentata una sintesi sia dellemodalità con cui è stato caratterizzato ad oggi ilconflitto in Italia, sia dello stato attuale delle conoscenze.L’insieme dei lavori considerati, sebbenesia esaustivo, include studi effettuati lungo ungradiente latitudinale, ecologico, zootecnico e gestionaleesteso dalle Alpi Marittime al Parco Nazionaledel Cilento (Fig. 1). Nella <strong>tra</strong>ttazione chesegue non vengono avanzate generalizzazioni conclusive:questo sia per l’esiguo numero di studi,<strong>tra</strong> l’altro realizzati con metodi indiretti, che per lacomplessità di un fenomeno che risente di differenzerilevanti a livello dei singoli esercizi zootecnici.Costi d’indennizzoNonostante la rilevanza, sono pochi gli studi chehanno interessato la dimensione economica dellapredazione sul bestiame domestico e i costi deiprogrammi di indennizzo (Fritts et al. 1992, Mech1998, Treves et al. 2002). In assenza di questo tipodi informazioni diventa difficile interpretare la sostenibilitàdelle s<strong>tra</strong>tegie di mitigazione (politiched’indennizzo incluse), sia per l’assenza di terminidi confronto, sia per l’impossibilità di valutarnel’efficacia in termini di costi/benefici.I costi relativi al conflitto, generalmente rilevatidalla compilazione dei documenti ufficiali, nonsono necessariamente una misura diretta dell’impattoreale della predazione; essi infatti rispecchianofattori di natura procedurale e amminis<strong>tra</strong>tivache vanno dalla verifica dei casi segnalati, aiprezzari di riferimento, alla percentuale di indennizzoriconosciuta, ai bilanci delle amminis<strong>tra</strong>zionial momento della liquidazione (<strong>Ciucci</strong> & <strong>Boitani</strong>1998a). Le cifre ottenute dalle documentazioni ufficiali(verbali di accertamento e delibere di liquidazione)devono quindi essere più correttamenteinterpretate come il costo delle attuali politiche digestione del conflitto (Mech 1998).In Italia i costi d’indennizzo sono stati stimati, a livellonazionale, relativamente al periodo 1991-95(<strong>Ciucci</strong> et al. 1997, <strong>Ciucci</strong> e <strong>Boitani</strong> 1998a), e analisia livello regionale sono state condotte in Abruzzo(Cozza et al. 1996) e Toscana (<strong>Boitani</strong> & <strong>Ciucci</strong>1996, Banti et al. questo volume). Indagini riferitein particolare alle aree protette hanno interessatoi nuovi parchi nazionali del centro Italia (<strong>Ciucci</strong>1999), del Lazio (Verucci 2002) e il Parco Nazionaledel Cilento (<strong>Boitani</strong> et al. 1998); più recentemente,la quantificazione dei costi d’indennizzo hainteressato un numero maggiore di aree protette(ad esempio, Gatto et al. questo volume, Latini etal. questo volume, Reggioni et al. questo volume).Comprendendo le regioni in cui il Lupo erapresente stabilmente negli anni dello studio, laspesa media annuale (± DS) di indennizzo su scalanazionale <strong>tra</strong> il 1991 ed il 1995 è stata di€ 1.885.530 (±175.350), ed ha rappresentato mediamentel’86% del costo di mercato dei danni segnalati(<strong>Ciucci</strong> et al. 1997). I costi d’indennizzosono risultati variare significativamente su baseannuale, probabilmente sia in funzione di variazionidelle norme d’indennizzo, sia di fluttuazionidel conflitto stesso. I costi non sono distribuitiomogeneamente sul territorio nazionale, con differenzeregionali che non appaiono correlate conalcun indicatore della presenza del Lupo o del caricozootecnico (L. <strong>Boitani</strong> & P. <strong>Ciucci</strong>, dati nonpubbl.). Le differenze regionali rispecchiano essenzialmentediscrepanze <strong>tra</strong> le normative d’indennizzo,la loro applicazione e l’efficienza degli aspettiprocedurali, dalle fasi di verifica agli aspetti inerentila liquidazione. La regione Lazio, ad esempio,con una spesa media annuale di € 750.930 (±167.213) corrisponde da sola al 46,4% dei costiannuali su scala nazionale <strong>tra</strong> il 1991 e il 1995,dato paradossale se confrontato con la limitata dimensionedella popolazione di lupi stimata a livelloregionale: i motivi di tali cifre sono da ricercareessenzialmente nei dettagli della legge di indennizzoa quel tempo in vigore (LR 33/96) che, oltre aprevedere un risarcimento pari al 100% del costodi mercato dei capi predati – incluse le presuntepredazioni da cane – prevedeva un tempo massimoper l’accertamento di 30 giorni dal momento dellasegnalazione; condizione questa assolutamente incompatibilecon qualsiasi criterio attendibile di verifica,e che ha determinato con ogni probabilitàun dilagare incontrollato di denuncie fraudolente(<strong>Ciucci</strong> & <strong>Boitani</strong> 1998a).E’ utile esprimere i costi d’indennizzo in riferimentoalla dimensione della popolazione di lupi presentenell’ambito geografico di riferimento amminis<strong>tra</strong>tivo,in quanto questo indice di conflitto(costi/Lupo) permette di comparare contesti e situazionidifferenti nel tempo e nello spazio (Mech1998). Nonostante i limiti intrinseci delle stime diLupo su larga scala, e quindi gli ampi margini dierrore che queste comportano, i costi della politicad’indennizzo così espressi dimos<strong>tra</strong>no che l’Italia èil paese in cui i programmi d’indennizzo sono piùcostosi, sia a livello comunitario che, soprattutto,internazionale (Tab. 1). Analogamente, si evidenzianosu scala nazionale importanti differenze <strong>tra</strong>zone e ambiti amminis<strong>tra</strong>tivi che richiedono un’attentavalutazione in chiave gestionale. Consider<strong>and</strong>o,ad esempio, le aree protette, i costi d’indennizzonel Parco Nazionale del Cilento (€ 11.000Lupo/anno, di cui l’84% relativo ai danni accertatia carico di bovini) sono di oltre 7 volte superioriall’importo erogato nel Parco Nazionale della Majella,ovvero il doppio rispetto alla media di quan-33


P. <strong>Ciucci</strong> e L. <strong>Boitani</strong>Paese Costi <strong>lupo</strong>/anno (Euro) n. Lupi Anni Fonte__________________________________________________________________________________________________Italia 5.320 a 350-450 b 1991-1995 <strong>Ciucci</strong> et al. 1997Francia 5.000 30-40 1996 LCIE 1997Svezia 1.800 40-50 1996 LCIE 1997Finl<strong>and</strong>ia 900 150 1996 LCIE 1997Portogallo 850 300-400 1996 LCIE 1997Slovenia 700 30-50 1996 LCIE 1997Croazia 600 50-100 1996 LCIE 1997Spagna 250 2000 1996 LCIE 1997Minnesota (U.S.A.) 91 cd 2044 1990-1998 Mech 1998Wysconsin (U.S.A.) 79 d 252 e 1991-2000 Treves et al.2002a : media annuale ± 775 (D.S.)b : popolazione su base annuale stimata in base ad un tasso di accrescimento annuale del 6% (<strong>Ciucci</strong> & <strong>Boitani</strong> 1991)c : media annuale, include l'80% di costi relativi alle operazioni di rimozione (controllo)d : conversione dollari a 0,826 Euroe : stima riferita all'inverno 1999-2000Tabella 1. – Confronto <strong>tra</strong> i costi d’indennizzo, riferiti al numero di lupi presenti (costi/Lupo/anno), in alcunipaesi europei e del Nord America.Costi indennizzo (Euro)___________________Impatto della predazione_______________________________________________________________% capinumero capi (% costi indennizzo)Periodo costi totali costi/<strong>lupo</strong> a attacchi predati ovini caprini bovini equini Fonte_____________________________________________________________ _______________________________ ___________P.N. Majella 1997 23.165 1.570 a 48 144 65% 18% 15% 3% <strong>Ciucci</strong> 1999(46%) (10%) (34%) (10%)P.N. GranSasso-Laga 1997-98 b 125.330 4.180 a 227 493 72% 2% 14% 12%(32%) (1%) (38%) (29%) <strong>Ciucci</strong> 1999P.N. Sibillini 1997-98 b 109.400 7.815 a 187 853 91% 0.4% 5% 4%(62%) (0.4%) (24%) (14%) <strong>Ciucci</strong> 1999P.N. Cilento 1997 109.890 11.000 c 225 294 20% 8% 68% 4%(3%) (2%) (84%) (10%) <strong>Boitani</strong> et al.1998AA.PP. Lazio d 2000-01 b 21.655 1.916 a n.r. 329 e 64% - f 19% 17% Verucci 2002a : numero di lupi presenti stimato in base all'estensione del parco e a valori di densità media di 2 lupi/100 km 2b : valori riga riferiti alla media annualec : numero di lupi presenti stimato in base stime invernali su neved : comprende i parchi regionali dei Monti Simbruini, Monti Lucretili, Marturanum, e le riserve naturali di Monte Navegna eMonte Cervia e delle Montagne della Duchessa; esclude il parco regionale degli Aurunci per mancanza di indicazioni certe dipresenza di nuclei stabili di <strong>lupo</strong>; il 91.8% dei costi d’indennizzo è relativo al solo parco dei Simbruini (53% dell’area considerata)e : dati riferiti al periodo 1997-2001 per i soli Monti Simbruini e Lucretilif : inclusi nelle pecoreTabella 2. – Costi annuali d’indennizzo ripartiti per tipologia dei capi predati, in alcuni parchi nazionali (P.N.) earee protette (AA.PP) dell’Appennino centro-meridionale. Dati ottenuti dalla compilazione dei documenti ufficiali(verbali di accertamento, delibere di liquidazione) presso gli Enti gestori.34


Biol. Cons. Fauna 115to erogato negli altri parchi nazionali del centroItalia (Tab. 2); differenze solo in parte giustificateda fattori ecologici (densità dei lupi, disponibilitàprede selvatiche) e dalla categoria di bestiame coinvolto.Al con<strong>tra</strong>rio, questo confronto lascia intendereincongruenze delle procedure d’indennizzoe altri fattori gestionali critici sui quali è doverosointervenire per aumentare l’efficienza dei programmistessi (ad esempio, particolare accessibilitàdelle specie maggiormente predate, denuncie fraudolente,prassi di verifica) (Fico 1996, <strong>Boitani</strong> et al.1998, <strong>Ciucci</strong> 1999).In un contesto economico di più larga portata, èimportante riconoscere che le spese d’indennizzoriferite al Lupo sono solitamente molto inferiori rispettoalle spese sostenute per indennizzare idanni effettuati da altre specie selvatiche (adesempio, il cinghiale; cfr. <strong>Ciucci</strong> et al. 1997, Gattoet al. questo volume, Mertens et al. questo volume).Cozza et al. (1996) hanno inoltre sottolineato comegli indennizzi elargiti dalla Regione Abruzzo agli allevatoriper i danni da Lupo nel 1994 hanno rappresentatoil 2,8% degli incentivi comunitari agliallevatori e lo 0,14% degli incentivi all’agricoltura.Infatti, l’impatto economico del conflitto con i predatoriassume, in termini di sostenibilità, dimensionidiverse se riferito alla produttività del singoloallevatore in rapporto ai sussidi comunitari(Giannuzzi-Savelli et al. 1998, Antonelli et al. questovolume).Natura ed entità del conflittoDiverse variabili caratterizzano il conflitto: la categoriadi bestiame d’allevamento predato, l’età (e icosti) dei capi predati, le perdite da predazione rispettoalla produttività dell’azienda, l’entità dellapredazione rispetto ad altre cause di mortalità.Anche il tipo e la frequenza dei danni indotti (capiferiti, dispersi, aborti, perdita di produzione lattea,etc.) sono informazioni critiche in chiave gestionale.- Specie predateIn Europa le pecore sono la specie domestica piùpredata dal Lupo, probabilmente in funzione dellaloro abbondanza e vulnerabilità, mentre in Nordamericala specie più colpita è rappresentata daibovini, più abbondanti nelle aree con presenza delLupo (Fritts et al. 2003). In linea di massima lastessa differenza è valida anche per la situazioneriportata in Italia, nonostante si rilevino importantivariazioni a livello locale; la predazione sui canie altri animali d’affezione, fenomeno rilevante nontanto dal punto di vista economico quanto affettivo,non è stata ad oggi riportata in Italia ai livelliriscon<strong>tra</strong>ti in altri paesi (Fritts & Paul 1989, Frittset al. 1992, Mech 1998, Kojola & Kuittinen 2002).In base agli studi esaminati in Italia (Tabb. 2 e 3),le pecore sono la specie più frequentemente predata,con proporzioni che variano dal 64% al 97%di tutti i capi predati su scala locale; seguonocapre e bovini in proporzioni simili (1-19%), equindi gli equini (0,5-17%). Alcune differenze possonorisentire di situazioni locali di disponibilità dideterminate categorie (ad esempio, le capre in provinciadi Cuneo e nel Parco Nazionale della Majella),oppure risultare particolarmente rilevanti dalpunto di vista finanziario, come nel caso dei bovininel Parco Nazionale del Cilento (68% dei capipredati, Tab. 2), o degli equini nella RegioneAbruzzo (39% dei capi predati, Tab. 3). Nel Cilentola predazione sui bovini, che sono mantenuti incondizioni di pascolo brado tutto l’anno senzaalcun controllo e in scarso stato nutrizionale, eccedela proporzione di disponibilità sul territorioed è probabilmente funzione della loro elevata accessibilità(<strong>Boitani</strong> et al. 1998).- Impatto della predazionePer quanto concerne l’impatto della predazionesulla produzione <strong>zootecnica</strong>, è importante sottolineareche i pochi dati disponibili tendono a dimos<strong>tra</strong>reun effetto del tutto <strong>tra</strong>scurabile a livellodegli stock regionali. In linea con quanto rilevatoin altri paesi (Fritts et al. 2003), la proporzione dipecore predate sembra oscillare in Italia <strong>tra</strong> lo0,1% e lo 0,8% degli stock regionali o provinciali(Berzi 1997, <strong>Boitani</strong> et al. 1998, <strong>Ciucci</strong> & <strong>Boitani</strong>1998b, Tropini 2001). Tuttavia, i dati sulla produzione<strong>zootecnica</strong> si basano su stime condotte a livellonazionale (censimenti nazionali dell’agricolturao delle ASL) e non provengono da applicazionidi campo intensive; la loro risoluzione spazialeCapi predati_____________________________________SegnalazioniArea Periodo pecore capre bovini equini n. capi accertate Fonte____________________________________________________________________________________________________________Provincia di Cuneo 1999-2001 78,7% 19.5% 1.5% - 522 156 Tropini 2001Mugelloa1990-1996 84,0% 9% 5% 1% 1.151 334 Berzi 1997Regione Toscana 1991-1995 95,6% 2.7% 1.1% 0.5% 13.332 n.r. <strong>Boitani</strong> & <strong>Ciucci</strong> 1996Alto Appennino Reggiano 1993-1998 96,6% n.r. n.r. n.r. 410 91 Meriggi et al. 1998Regione Abruzzo 1980-1988 44,8% b 16.3% 38.8%c4.620 4.600 Fico et al.1993a : 1994 escluso dall'analisi;b : include anche le capre;c :stimato in base ai dati presentati;Tabella 3. – Predazione sul bestiame domestico in diverse zone del territorio nazionale in base alla specie d’allevamento.Dati desunti dalle documentazioni ufficiali (verbali di accertamento, delibere di liquidazione). Per iterritori di alcune aree protette vedi Tabella 2.35


P. <strong>Ciucci</strong> e L. <strong>Boitani</strong>è quindi bassa (comune, provincia) e non contemplail numero di capi (e aziende) realmente accessibiliai predatori su scala locale. Esiste quindi ilrischio di sottostimare l’impatto della predazionese riferito alle singole aziende. In provincia diCuneo, per esempio, Tropini (2001) ha evidenziatoche un impatto di predazione sulle pecore dello0,8% a livello provinciale corrisponde in realtàall’1,4% qualora la densità di capi sul territoriovenga riferita esclusivamente alle valli con presenzastabile del Lupo. Inoltre, è a livello locale che unnumero ristretto di allevatori può risentire significativamentedella predazione, i cui effetti si fannorilevanti sia in termini economici che di produzione(Fritts et al. 1992, Cozza et al. 1996, Berzi1997, <strong>Ciucci</strong> & <strong>Boitani</strong> 1998b, Stahl et al. 2001).Nei casi maggiormente critici, del resto, sono spessole condizioni di allevamento e guardiania chedeterminano gli elevati livelli di conflitto riportati,aument<strong>and</strong>o l’accessibilità del bestiame e le occasionidi contatto con i predatori (Cozza et al. 1996,<strong>Ciucci</strong> & <strong>Boitani</strong> 1998b). Mediamente, solo una ristrettaproporzione degli esercizi zootecnici di unazona soffre di situazioni di conflitto (vedi sotto) adindicazione che, anche laddove il predatore è diffusosul territorio, le predazioni sono comunquecircoscritte a particolari condizioni gestionali e situazionilocali. In Francia, nella catena delloGiura, le predazioni della Lince sui domestici interessanomediamente il 15% delle aziende sul territorio(Stahl et al. 2001). Tali informazioni vannocomunque meglio esplicitate nel contesto italiano,e possibilmente riferite al numero di aziende effettivamenteattive sul territorio e il cui bestiame è lasciatolibero nei pascoli per almeno una stagionel’anno.- Incidenza della mortalità da predazionePer un’analisi funzionale del conflitto, è fondamentalequantificare la mortalità da predazione rispettoad altre cause di mortalità, comunque frequentinegli animali d’allevamento. Quest’informazionesi può rilevare essenzialmente da indaginiintensive che prevedono metodi diretti per laquantificazione dei tassi e delle cause di mortalità(Blejwas et al. 2002, Oakleaf et al. 2003). Daipochi studi ad oggi condotti, la predazione sembrarappresentare un fattore secondario rispetto adaltre cause di mortalità. In Idaho, ad esempio, iltasso di predazione sui bovini (vitelli predati nell’anno/vitelliin vita all’inizio dell’anno) è inferioreal 2% e comunque minore rispetto ad altre causedi mortalità (Oakleaf et al. 2003). In Minnesota, daun totale di 121 casi verificati di mortalità di bovini,la predazione da Lupo corrisponde al 12% e lealtre cause di mortalità (polmonite e intossicazionealimentare) al 56% (Fritts 1982). Più in generale,<strong>tra</strong> tutte le casistiche di mortalità naturale valutatea livello del bestiame d’allevamento, la predazionerappresenta mediamente il 12-41%, mentresono altri i fattori (ad esempio, polmonite, intossicazionealimentare, parti, vecchiaia) chehanno il sopravvento (Pecore: Robel et al. 1981;Bovini: Fritts 1982, Bjorge & Gunson 1985,Oakleaf et al. 2003). È in quest’ottica che, in fasedi accertamento delle segnalazioni di predazione, èimportante verificare, oltre alle cause di morte, lecondizioni e lo stato di salute dell’animale predato:è lecito infatti ipotizzare che, al pari delle predeselvatiche, un certo numero di capi domesticipossa essere predato perché predisposto da altrifattori (malattie e parassitosi, denutrizione, etc.).In questo caso, anche se di predazione sempre si<strong>tra</strong>tta, essa è di natura essenzialmente compensatoriaed assume una valenza economica ovviamentediversa.- Età e sesso dei capi predatiIn termini di impatto sulla produttività dell’aziendaè importante considerare il sesso e l’età dei capipredati. Mentre per il sesso non si notano sostanzialidifferenze di vulnerabilità alla predazione(<strong>Boitani</strong> & <strong>Ciucci</strong> 1986, <strong>Boitani</strong> et al. 1998, Tropini2001), l’età è correlata al rischio di predazioneper bovini ed equini (Gunson 1983, Boggess et al.1978, Fritts et al. 1992). Dagli studi condotti inItalia, mentre le pecore tendono ad essere predateessenzialmente da adulte, vitelli e puledri rappresentanorispettivamente il 71-96% (22 ≤ n ≤ 755)ed il 67-100% (22 ≤ n ≤ 755) dei bovini e degli equinipredati (Fico et al. 1983, Brangi 1995, Cozza etal. 1996, <strong>Boitani</strong> et al. 1998, <strong>Ciucci</strong> & <strong>Boitani</strong>1998b). Ciò suggerisce che, nel caso di bovini edequini, un aumento delle misure di prevenzioneessenzialmente a carico di queste categorie d’etàpotrebbe <strong>tra</strong>dursi in una notevole riduzione dell’impattodella predazione (Fritts et al. 1992, Cozzaet al. 1996).- Danni indotti, capi feriti e dispersiI danni indotti, ovvero le perdite indirette a seguitodegli eventi predatori, possono rappresentareuna componente rilevante dell’impatto della predazione.Mentre le perdite di produzione lattea, gliaborti, le ferite e le successive spese mediche sonodi difficile quantificazione e raramente vengono<strong>tra</strong>ttate nella letteratura specifica, alcuni studihanno quantificato il numero di capi feriti e dispersiin seguito agli attacchi dei predatori. I capidispersi, e che in quanto tali potrebbero esserestati predati, non sono riconosciuti dalle normatived’indennizzo vigenti in Italia (<strong>Ciucci</strong> & <strong>Boitani</strong>1998b). Nello stato del Minnesota (USA), solo il52% delle segnalazioni di predazione a carico dellepecore si risolvono con il ritrovamento dei capipredati, proporzione ancora miniore nel caso deibovini (31%; Fritts et al. 2002). Per far fronte all’elevatonumero di capi dispersi in seguito agli attacchida predatori, in Alberta (Canada) gli animalismarriti vengono indennizzati in misuradell’80% (Bjorge & Gunson 1985). Da studi radiotelemetricirecentemente condotti su bovini allostato brado in Idaho (Stati Uniti), è emerso comesolo una proporzione esigua (12,5%) dei capi effettivamentepredati dal Lupo venga poi ritrovata all’attodell’accertamento (Oakleaf et al. 2003).Le maggiori difficoltà riscon<strong>tra</strong>te nel ritrovare icapi predati risiedono nel rapido deterioramento o36


Biol. Cons. Fauna 115consumo delle carcasse, nella folta vegetazione enell’inaccessibilità dei terreni di pascolo (Bjorge &Gunson 1985, Fritts et al. 1992, Oakleaf et al.2003). In Toscana, da un’indagine condotta <strong>tra</strong>mitequestionari ai veterinari ASL preposti all’accertamentodei casi segnalati, gli eventi di predazionea carico di pecore (n=483) hanno comportatoanche il ferimento e/o lo smarrimento dei capi, rispettivamentenel 35% e 33% dei casi (<strong>Ciucci</strong> &<strong>Boitani</strong> 1998b). In provincia di Cuneo, il reale impattodella predazione potrebbe essere stato sottostimatofino al 27% a causa dei capi dati per dispersi(24,5% dei segnalati) e quindi non conteggiatiai fini dell’indennizzo (Tropini 2001). A causa diqueste potenziali sottostime, alcuni autori suggerisconodi correggere la percentuale d’indennizzoelargita per i capi accertati (Oakleaf et al. 2003).Molti <strong>tra</strong> i capi dispersi possono comunque esseremorti per altre cause, specialmente se in m<strong>and</strong>rie ogreggi tenute al pascolo brado: malattie, denutrizione,aborti, etc. (Fritts 1982, Fritts et al. 1992).Caratteristiche degli eventi di predazioneGli eventi di predazione vengono spesso descrittiin base al numero di capi uccisi, e a volte secondole modalità di attacco e consumo delle carcasse.Se rilevate secondo procedure affidabili, queste variabilipossono offrire indicazioni comportamentalie gestionali utili, e sono utilizzate per confrontarecontesti e situazioni differenti.- Numero di capi predati per evento predatorioLa frequenza degli eventi di predazione in base alnumero di capi predati spesso non rispetta un distribuzionegaussiana, ma segue piuttosto distribuzionidi tipo Poisson o binomiali negative con unanetta preponderanza dei casi in cui il numero dicapi coinvolto è esiguo. Da alcune indagini condottea livello nazionale, si evince che il numero dicapi uccisi per attacco è limitato per tutte le specieconsiderate (Fico et al. 1993, Berzi 1997, <strong>Boitani</strong>et al. 1998, <strong>Ciucci</strong> & <strong>Boitani</strong> 1998b, Meriggi etal. 1998, Tropini 2001). Nel caso delle pecore, i valorimedi (mediani) sono <strong>tra</strong> 1 e 4 capi uccisi perattacco, con il 54-92% degli attacchi che si risolvecon al massimo 4 capi predati. Nel caso dei bovinie degli equini, l’uccisione di >1 capo rappresentauna rara eccezione. Anche il numero di pecore feriteo disperse per singolo attacco è generalmentelimitato (2-3 capi/attacco), sebbene tenda ad aumentarenegli attacchi notturni ed a carico digreggi allo stato brado (<strong>Ciucci</strong> & <strong>Boitani</strong> 1998b).Per le pecore sono stati riportati casi di surplus killing,ovvero di uccisioni multiple (cfr. <strong>Ciucci</strong> & <strong>Boitani</strong>1998a per una discussione dei due termini),con eventi che hanno comportato la predazionefino a 32-113 capi per singolo evento (Berzi 1997,<strong>Boitani</strong> et al. 1998, <strong>Ciucci</strong> & <strong>Boitani</strong> 1998b, Meriggiet al. 1998, Tropini 2001). Le predazioni multiple,sebbene possano coinvolgere una proporzionesensibile del totale dei capi predati per singolaazienda, sono comunque piuttosto rare e sembranoessere associate alle grosse dimensioni degli armentie a condizioni gestionali particolarmentedisinvolte (Berzi 1997, <strong>Ciucci</strong> & <strong>Boitani</strong> 1998b). InToscana, ad esempio, si è stimato che le uccisionimultiple hanno coinvolto il 18,6% delle pecore predatesu scala regionale dal 1991 al 1995, pur rappresent<strong>and</strong>oil 2,3% dei 483 eventi di predazionesegnalati; tutti i casi si sono verificati di notte onelle ore crepuscolari ed a carico di greggi in assenzadi forme di controllo diretto (<strong>Ciucci</strong> & <strong>Boitani</strong>1998b).La quantificazione del numero medio di animaliuccisi per attacco, sebbene piuttosto semplice dalpunto di vista computazionale, può risentire di diversiproblemi con il rischio conclusioni fuorvianti.Innanzitutto, poiché la distribuzione di frequenzadei capi uccisi per attacco non è gaussiana,l’uso della media aritmetica è inadeguato. I casi disurplus killing, inoltre, influenzano fortemente lamedia aritmetica e, dipendentemente dalla lorofrequenza, dovrebbero essere <strong>tra</strong>ttati piuttostocome outliers della distribuzione ed esclusi dalcomputo di cen<strong>tra</strong>lità. In tal caso, rimangono tuttaviaarbi<strong>tra</strong>ri i criteri di definizione degli eventualioutliers, e non tutti gli autori concordano nell’escluderlidalle stime di cen<strong>tra</strong>lità (cfr. Fico et al.1993, <strong>Ciucci</strong> & <strong>Boitani</strong> 1998b, Tropini 2001). Inalternativa, si ricorre all’uso di misure di cen<strong>tra</strong>lità(mediana, moda) più indicate per distribuzioninon parametriche (cfr. Berzi 1997, <strong>Ciucci</strong> & <strong>Boitani</strong>1998b). Tuttavia, nella fase di accertamento risiedonoaltri problemi: il mancato ritrovamento dialcuni capi predati, solitamente inclusi <strong>tra</strong> quellidispersi, può infatti determinare una sottostimadel numero medio di capi uccisi per attacco. Oppure,errori in senso opposto (sovrastima) possonoessere causati da alcuni vizi di campionamentoqualora le informazioni vengano raccolte <strong>tra</strong>mite lacompilazione di documenti ufficiali (verbali o deliberedi liquidazione); ad esempio, la tendenza degliallevatori a non segnalare eventi di predazione dilieve entità (1-2 capi al massimo), e il possibile accorpamentodue o più eventi distinti di predazionenelle delibere di liquidazione.- Modalità di attacco e consumo della predaLe modalità di attacco e consumo della preda possonoessere esaminate direttamente sul campo daun operatore specializzato (ad esempio, Tropini2001, questo volume, Angelucci et al. questo volume),e analizzate su larga scala <strong>tra</strong>mite questionaricompilati dai veterinari o altro personale addettoall’accertamento (ad esempio, <strong>Boitani</strong> et al.1998). Nel primo caso è chiaramente assicuratauna procedura di verifica più accurata e st<strong>and</strong>ardizzata,ma en<strong>tra</strong>mbi gli approcci soffrono del fattoche le carcasse vengono raramente esaminateentro 24 ore dall’evento di predazione (<strong>Boitani</strong> &<strong>Ciucci</strong> 1996, Cozza et al. 1996, Berzi 1997, <strong>Boitani</strong>et al. 1998, Tropini, 2001). Il potenziale consumoda parte degli stessi o altri predatori e, specialmentenei mesi estivi, la decomposizione stessadella carcassa, rendono difficili valutazioni aposteriori. Rimane inoltre il dubbio spesso irrisoltodi attribuzione della predazione al Lupo o alcane, con il rischio, in assenza di riprove speri-37


P. <strong>Ciucci</strong> e L. <strong>Boitani</strong>mentali affidabili, di una circolarità di indagine segli elementi diagnostici sono basati essenzialmentesui segni lasciati sulla preda (vedi sotto).Dalle analisi ad oggi effettuate si rilevano comunquelivelli di consumo medio-bassi delle prede domesticheed una elevata selettività per determinatiorgani e parti della preda (Brangi 1995, Berzi1997, <strong>Boitani</strong> et al. 1998, Tropini 2001). Ciò puòessere dovuto ai rischi associati ad una ulteriorefrequentazione del sito di predazione, alla rimozionedella carcassa dopo la fase di accertamento, oppureall’accessibilità immediata di altre prede domestiche.Livelli di consumo differenziali di pecoree capre nelle Alpi occidentali sono stati messi inrelazione a differenti regimi di guardiania: lecapre, le cui carcasse vengono consumate maggiormente,sono tenute allo stato brado e in assenzadi guardiania costante (Marucco 2001). Nelcaso della Lince, il consumo delle pecore predate èinversamente correlato alla ricorrenza degli attacchinella zona e al numero di capi uccisi per attacco(Stahl et al. 2001). D’al<strong>tra</strong> parte, informazionidi carattere radio-telemetrico in via d’acquisizionenel Parco Nazionale del Pollino indicanocome nel caso di grosse prede (bovini, equini) i lupiritornino sulle stesse carcasse anche a distanza disettimane nel caso queste rimangano disponibili(P. <strong>Ciucci</strong> dati non pubbl.). Sebbene nel caso delleprede selvatiche il consumo delle carcasse sembriessere maggiore rispetto alle prede domestiche(<strong>Ciucci</strong> 1994, <strong>Boitani</strong> & <strong>Ciucci</strong> 1996, Marucco2001), nessuno studio ha ad oggi comparato i rispettivilivelli di consumo in contesti ecologici e gestionalidifferenti.StagionalitàLa predazione sul bestiame domestico si intensificanei mesi in cui gli animali, o le classi d’età piùvulnerabili, sono presenti nelle aree di pascolo; mafattori di varia natura possono contribuire allamarcata stagionalità di predazione osservata (Boggesset al. 1978, Shaefer et al. 1981, Mech et al.1988, Fritts et al. 1992, Cozza et al. 1996, <strong>Ciucci</strong>& <strong>Boitani</strong> 1998b). Differenze nette si rilevano nelladinamica stagionale della predazione a carico dellevarie categorie di bestiame d’allevamento. I dannialle pecore avvengono prevalentemente nei mesiestivi, con punte stagionali particolarmente pronunciatein tarda estate. Dipendentemente dallazona e dall’altitudine, il picco estivo nelle predazionia carico delle pecore si rileva generalmente<strong>tra</strong> i mesi di agosto e ottobre (Brangi 1995, <strong>Boitani</strong>et al. 1998, Meriggi et al. 1998, <strong>Ciucci</strong> & <strong>Boitani</strong>1998b, Tropini 2001, questo volume, Angelucciet al. questo volume, Reggioni et al. questo volume).Rispondendo ovviamente alla presenza degli armential pascolo, è stato anche ipotizzato che lastagionalità osservata sia da mettere in relazionead un accresciuto fabbisogno energetico dei branchidi Lupo nei mesi estivi per la produzione e lacrescita dei cuccioli; allo sviluppo delle capacitàmotorie e dei moduli predatori dei cuccioli di 16-18 settimane di età; alla eventuale sovrapposizionespaziale <strong>tra</strong> le aree di allevamento dei cuccioli(rendez-vous) e le zone di pascolo (<strong>Ciucci</strong> 1994,<strong>Ciucci</strong> & <strong>Boitani</strong> 1998b, Tropini 2001). Anche altrifattori possono concorrere ad aumentare i rischi dipredazione con il progredire dei mesi estivi: adesempio, la ridotta accessibilità dei piccoli delleprede selvatiche, la riduzione della lunghezza dellegiornate; il progressivo peggioramento delle condizionimeteorologiche. La dinamica stagionale deglieventi predatori sulle pecore è stata confrontata inToscana su scala provinciale <strong>tra</strong> zone di pianura,dove le greggi sono mantenute sui pascoli tuttol’anno, e zone di montagna, dove si osserva unaspiccata stagionalità nella monticazione (<strong>Ciucci</strong> &<strong>Boitani</strong> 1998b): sebbene nelle aziende di pianuragli eventi di predazione si osservino durante tuttol’anno, i mesi in cui il rischio di predazione è piùelevato coincidono con quanto riportato nelle zonedi montagna, conferm<strong>and</strong>o il probabile ruolo deifattori sopra elencati. Nella stessa indagine, il numeromedio di capi uccisi per attacco non mos<strong>tra</strong>variazioni significative <strong>tra</strong> i mesi dell’anno, imput<strong>and</strong>oquindi l’aumento del conflitto nel periodoestivo essenzialmente ad un’accresciuta frequenzadegli attacchi (<strong>Boitani</strong> & <strong>Ciucci</strong> 1996).Per i bovini e gli equini il rischio di predazione èmassimo nei mesi di maggio–giugno, ma cala rapidamentenei mesi successivi (Fritts et al. 1992,Cozza et al. 1996). A differenza delle pecore, neibovini e negli equini la predazione è rivolta essenzialmente,ma non esclusivamente, ai giovani nelleprime settimane di vita (Fritts et al. 1992, 2003).Per questo motivo il conflitto si intensifica <strong>tra</strong> imesi di aprile e giugno, qu<strong>and</strong>o vitelli e puledri dipoche settimane sono facilmente accessibili ai predatorisui terreni di pascolo (Fico et al. 1993,Brangi 1995, Cozza et al. 1996, <strong>Boitani</strong> et al.1998). Laddove i bovini sono mantenuti allo statobrado tutto l’anno, e i parti si pro<strong>tra</strong>ggono benoltre i mesi estivi, i casi di predazione sui bovinipossono perdurare anche per tutta la stagione invernale(Cozza et al. 1996, <strong>Boitani</strong> et al. 1998, Verucci2002, Gatto et al. questo volume).Oltre a risentire di fattori gestionali, le fluttuazionistagionali del conflitto possono essere determinateda variazioni ecologiche (Mech et al. 1998,vedi sotto) o da effetti climatici; ad esempio, unoscioglimento delle nevi anticipato, o un autunnoparticolarmente mite, facilit<strong>and</strong>o stagioni di pascolopiù estese, corrispondono ad una maggioreesposizione ai predatori delle classi d’età più vulnerabili.Dispersione del conflittoA diverse scale d’indagine (nazionale, regionale,comunale), il conflitto <strong>tra</strong> Lupo e zootecnia non siosserva sull’intero territorio in maniera omogeneama ricorre in alcune zone particolarmente critiche(focolai a conflitto cronico o hot spots). La distribuzionedei branchi sul territorio e la localizzazionedi quelle aziende zootecniche che, in base allacaratteristiche ambientali e gestionali, appaionoparticolarmente vulnerabili alla predazione sono ledue variabili che più influenzano la dispersione deidanni sul territorio. Zone critiche, ad esempio,38


Biol. Cons. Fauna 115<strong>Conflitto</strong> elevato aParcoComuni ____________________________________________________________Nazionale Anno colpiti r b n. comuni % comuni % eventi % capi % indennizzi_____________________________________________________________________________________________________________Maiella 1997 10 0,82 4 40% 83% 57% 76%Gran Sasso-Laga 1997 15 0,99 3 20% 78% 78% 78%1998 22 0,94 6 27% 81% 82% 83%Sibillini 1997 17 n.s. 6 35% 75% 63% 81%1998 18 0,7 6 33% 88% 91% 90%a : definito arbi<strong>tra</strong>riamente corrispondere a >75% dei costi d'indennizzo per tutto il parcob : correlazione <strong>tra</strong> il numero degli eventi predatori e il numero totale dei capi predati per singolo territorio comunaleTabella 4. – Distribuzione a livello comunale degli eventi predatori a carico del bestiame domestico, e deicorrispondenti capi predati e costi d’indennizzo, in tre parchi nazionali dell’Italia cen<strong>tra</strong>le. Dati desunti dalledocumentazioni ufficiali (verbali di accertamento, delibere di liquidazione) presso gli Enti Parco (modificata da<strong>Ciucci</strong> 1999)sono i territori recentemente interessati dalla ricolonizzazionedel Lupo e dove le tecniche modernedi allevamento non garantiscono una efficace difesadel bestiame (<strong>Boitani</strong> & <strong>Ciucci</strong> 1996); le zonecon scarsa disponibilità di prede selvatiche maelevata accessibilità al bestiame domestico (<strong>Boitani</strong>et al. 1998, Gatto et al. questo volume); o le areemarginali della distribuzione del Lupo, dove laspecie tende ad esp<strong>and</strong>ersi in contesti prevalentementeagricoli e antropizzati (<strong>Ciucci</strong> et al. 2001).Specialmente nel caso di popolazioni di Lupo infase di espansione, il monitoraggio della distribuzionedel conflitto sul territorio fornisce importantiinformazioni. In Minnesota, ad esempio, l’incrementonel numero di lupi di oltre il 37% <strong>tra</strong> il 1979ed il 1990 ha comportato un’espansione geograficadel conflitto del 52% su scala statale e un avanzamentodel centro geometrico dei singoli eventipredatori di circa 40 km all’interno di zone più antropizzate(Fritts et al. 1992). Particolare importanzaassume il monitoraggio della effettiva sovrapposizione<strong>tra</strong> areale del Lupo e zone a vocazione<strong>zootecnica</strong>, ovvero la proporzione dell’area disovrapposizione in cui effettivamente si verificanoi casi di predazione. Nel Giura francese, ad esempio,il 33 – 69% delle predazioni della Lince sullepecore interessa annualmente lo 0,3 – 4,5% dell’areadedicata alla produzione di pecore in cui laLince è stabile (Stahl et al. 2001), informazioneche mette in luce fattori che localmente predispongonoal conflitto e la loro localizzazione sulterritorio. Questo tipo di dati è carente nel contestoitaliano, rendendo difficile una valutazione dell’<strong>and</strong>amentotemporale e geografico del fenomenosu larga scala. Del resto, anche laddove il Lupo èpresente stabilmente e con nuclei riproduttivi, ilconflitto con la zootecnia può comunque essere dinatura rara e occasionale (<strong>Ciucci</strong> 1994, Berzi1997). Informazioni di natura radiotelemetricahanno evidenziato che, nonostante l’elevato gradodi sovrapposizione spaziale <strong>tra</strong> territori dei lupi earee di pascolo, le interazioni <strong>tra</strong> Lupo e bestiamed’allevamento sono infrequenti (Fritts 1982, Frittset al. 1992, Oakleaf et al. 2003). Il rischio di predazionepuò essere stimato su larga scala in basea modelli spaziali; questi considerano variabiliquali: la localizzazione delle popolazioni di Luposorgente; la probabilità di dispersione del Lupo sulterritorio; l’idoneità ambientale per la specie; ladistribuzione e la conformazione delle aree a destinazione<strong>zootecnica</strong>; la dimensione, tipo di allevamentoe altre caratteristiche delle aziende zootecniche(<strong>Boitani</strong> & <strong>Ciucci</strong> 1996, Dupré 1996, Treveset al. 2004).In Italia, la dispersione eterogenea del conflitto sulterritorio è stata confermata a livello nazionale(<strong>Ciucci</strong> et al. 1997), regionale (Fico et al. 1993,<strong>Boitani</strong> & <strong>Ciucci</strong> 1996) e comunale (<strong>Boitani</strong> &<strong>Ciucci</strong> 1996, Berzi 1997, Meriggi et al. 1998, Tropini2001, Verucci 2002), nonché all’interno di alcunearee protette (<strong>Boitani</strong> et al. 1998, <strong>Ciucci</strong>1999, Verucci 2002, Gatto et al. questo volume). InAbruzzo, ad esempio, la provincia dell’Aquila ha riportatooltre l’82% delle predazioni regionali segnalate<strong>tra</strong> il 1980 e il 1988 (Fico et al. 1993). InToscana, le province di Siena e Grosseto hannoassorbito il 54% dei fondi d’indennizzo regionalielargiti <strong>tra</strong> il 1991 e il 1995 (<strong>Boitani</strong> & <strong>Ciucci</strong>1996), rispecchi<strong>and</strong>o gli effetti della recente ricolonizzazionedel Lupo in zone dove la zootecnia nonutilizzava tecniche preventive efficaci (<strong>Ciucci</strong> &<strong>Boitani</strong> 1998a). Anche su scala comunale livelliconsistenti di conflitto si rilevano limitatamente adalcuni zone. In Toscana, ad esempio, il 27% dei comuniregionali hanno segnalato 1 – 42 repliche diattacco <strong>tra</strong> il 1992 ed il 1995, ma l’8% dei comuniinteressati ha subito fino a 20 repliche, corrispondendoal 32% degli eventi di predazione accertatisu scala regionale (<strong>Boitani</strong> & <strong>Ciucci</strong> 1996). Unadispersione del conflitto simile è stata riscon<strong>tra</strong>tain altre zone dell’Appennino settentrionale (Berzi1997, Meriggi et al. 1998), cen<strong>tra</strong>le (<strong>Ciucci</strong> 1999) emeridionale (<strong>Boitani</strong> et al. 1998, Gatto et al. questovolume), dove mediamente in meno del 40% deicomuni colpiti si regis<strong>tra</strong> almeno il 75% degli eventidi predazione e il 76% dei costi d’indennizzo39


P. <strong>Ciucci</strong> e L. <strong>Boitani</strong>Figura 2. – Distribuzione, in base alla ricorrenza di attacco, delle 130 aziende zootecniche nel Parco Nazionaledel Cilento interessate dagli eventi di predazione a carico del bestiame domestico. Le aziende con un solo eventodi predazione rappresentano il 53,1% delle aziende colpite e corrispondono al 26% degli eventi di predazione;le aziende croniche (≥ 5 eventi di predazione) corrispondono all’8% delle aziende colpite ed al 25% degli eventidi predazione. (Dati desunti da 269 verbali di accertamento, Ente Parco Nazionale Cilento-Vallo di Diano, 1995-98; modificata da <strong>Boitani</strong> et al. 1998).Figura 3. – Distribuzione, in base alla ricorrenza di attacco, delle 94 aziende zootecniche Parco Nazionale del Cilentointeressate dagli eventi di predazione a carico dei bovini, e distribuzione dei corrispondenti capi predati(n=236). Il numero di bovini predati nella aziende croniche (≥5 attacchi/azienda) è proporzionalmente maggiorerispetto alle altre (G-test, p


Biol. Cons. Fauna 115dove, anche in questo caso, la frequenza deglieventi predatori per singola azienda non è di tipogaussiano. Un numero piuttosto limitato di aziendesoffre di predazione ricorrente, ma la maggiorparte di esse riporta attacchi rari e occasionali(Figg. 2 e 3) (Boggess et al. 1978, Sterner & Shumake1978, Bjorge & Gunson 1985, Fritts et al.1992). Nelle aziende colpite da predazione ricorrenteil conflitto viene solitamente definito ‘cronico’(Fritts 1982, Fritts et al. 1992, Fico et al. 1993,<strong>Ciucci</strong> & <strong>Boitani</strong> 1998b) ed è spesso associato afattori condizionanti di natura gestionale, ecologicao ambientale.La conoscenza di questi fattori è critica in un’otticadi risoluzione del fenomeno (Fritts et al. 1992,Mech et al. 1998, Stahl et al. 2001, Treves et al.2002). In diversi Stati del Nordamerica, nelle areecon livelli cronici di conflitto si procede alla rimozionedei lupi residenti (ad esempio, Bjorge & Gunson1985). Del resto, anche dopo gli interventi dirimozione la predazione al bestiame si riproponenell’arco di pochi mesi, sottoline<strong>and</strong>o l’esistenza difattori di natura ambientale e gestionale che determinanocondizioni locali di particolare vulnerabilità(Bjorge & Gunson 1985, Fritts et al. 1992,Bradley 2004).Anche in Italia è stata rilevata cronicità del conflittoa livello di poche aziende su scala locale (Ficoet al. 1993, Cozza et al. 1996, <strong>Boitani</strong> et al. 1998,<strong>Ciucci</strong> & <strong>Boitani</strong> 1998b). È tuttavia difficile produrreuna sintesi di valenza generale poiché i criteriutilizzati per definire la cronicità del conflittosono diversi nei vari studi (ad esempio, da 2 a >8attacchi per azienda per anno o per periodo di studio;Cozza et al. 1996, <strong>Boitani</strong> & <strong>Ciucci</strong> 1996,Berzi 1997, <strong>Boitani</strong> et al. 1998, <strong>Ciucci</strong> 1999); inquanto desunte dalle documentazioni ufficiali(verbali di accertamento, delibere di liquidazione),queste informazioni devono essere inoltre interpretatealla luce di possibili vizi di campionamento.In Toscana, il 6% di 263 aziende colpite <strong>tra</strong> il1992 e il 1995 ha segnalato livelli cronici di conflitto(5 – 28 ricorrenze di attacco) che corrispondonoal 25% delle pecore predate su scala regionale(<strong>Ciucci</strong> & <strong>Boitani</strong> 1998b). Nel Mugello, leaziende con livelli elevati di conflitto (>5 segnalazionidi attacco l’anno) sono state meno del 2% ditutte le aziende colpite (Berzi 1997). In provinciadell’Aquila <strong>tra</strong> il 1986 ed il 1992, livelli cronici diconflitto (>2 segnalazioni di predazione l’anno)hanno coinvolto il 4% degli allevatori e il 26% dellerichieste d’indennizzo (Cozza et al. 1996). NelParco Nazionale del Cilento, su 130 aziende chehanno segnalato casi di predazione <strong>tra</strong> il 1995 edil 1998, l’8% ha riportato livelli cronici di conflitto(≥5 attacchi nel periodo di analisi), corrispondendoal 25% degli eventi di predazione segnalati perl’intero parco (<strong>Boitani</strong> et al. 1998). Infine, in treparchi nazionali del centro Italia (1997–98), il 2 –12% di tutte le aziende colpite ha riportato livellicronici di conflitto totalizz<strong>and</strong>o fino al 46% deglieventi predatori, al 35% dei capi predati ed al 38%dei costi d’indennizzo (Tab. 5).Da un punto di vista gestionale, l’interpretazioneimmediata di questi dati risiede in una riduzioneattesa del 25 – 50% del conflitto qualora si intervenissepreventivamente nelle poche aziende conlivelli cronici di perdite (Fico et al. 1993, Cozza etal. 1996, <strong>Ciucci</strong> & <strong>Boitani</strong> 1998b). D’al<strong>tra</strong> parte, intutte le altre aziende in cui il conflitto si manifestacon frequenza sporadica e irregolare, la messa inopera su larga scala di sistemi di prevenzione apparepoco realizzabile; in queste condizioni, un’efficacepolitica d’indennizzo sembra continuare arappresentare lo strumento gestionale più indicato(Cozza et al. 1996, <strong>Ciucci</strong> & <strong>Boitani</strong> 1998b). Nelperiodo 1986-92, l’88% delle aziende colpite inprovincia de l’Aquila hanno segnalato al massimoun attacco l’anno (Cozza et al. 1996), e in tre parchinazionali dell’Italia cen<strong>tra</strong>le il 57 – 70% delle5 attacchi/azienda b 1 attacco/azienda b__________________________ ___________________________Anno aziende attacchi/ % % % % % % % %colpite azienda r a aziende eventi capi indennizzi aziende eventi capi indennizzi____________________________________________________________________________________________________________Maiella 1997 20 2-14 0,74 10% 46% 35% 36% 65% 27% 51% 41%Gran Sasso-Laga 1997 97 2-17 0,69 12% 40% 32% 38% 57% 23% 33% 26%1998 116 2-13 0,64 6% 26% 24% 25% 70% 38% 35% 35%Sibillini c 1997 51 2-8 n.s. 2% 8% 9% 8% 57% 31% 22% 23%1998 56 2-7 0,66 5% 18% 22% 12% 57% 30% 25% 28%a : correlazione <strong>tra</strong> il numero degli eventi predatori e il numero totale di capi predati per singola aziendab : in colonna, percentuale delle aziende colpite, degli eventi predatori e dei capi predati segnalati ed accertati e dei costi d’indennizzoliquidati per l’intero territorio del Parcoc : dati riferiti esclusivamente al versante umbro del parcoTabella 5. – Ricorrenza degli eventi di predazione al bestiame domestico nelle aziende zootecniche in tre parchinazionali dell’Appennino cen<strong>tra</strong>le. Dati desunti dalle documentazioni ufficiali (verbali di accertamento, deliberedi liquidazione) presso gli Enti Parco nell’ambito del progetto LIFE97 NAT/IT/004141 (<strong>Ciucci</strong> 1999).41


P. <strong>Ciucci</strong> e L. <strong>Boitani</strong>aziende ha segnalato annualmente un solo caso dipredazione (Tab. 5).Anche a livello delle singole aziende, la cronicitàdel conflitto sembra essere determinata dall’elevataricorrenza di attacco (<strong>Boitani</strong> & <strong>Ciucci</strong> 1996).Dalle poche indagini condotte in tal senso, leaziende con conflitto cronico hanno segnalato finoa 17 attacchi/azienda/anno (<strong>Ciucci</strong> 1999), contempi medi di latenza <strong>tra</strong> attacchi successivi dai16 (<strong>Boitani</strong> & <strong>Ciucci</strong> 1996) ai 71 (<strong>Boitani</strong> et al.1998) giorni. Sebbene la scarsa guadiania del bestiamedomestico sia stata più volte messa in lucecome variabile critica nel facilitare elevati livelli diconflitto (Fico et al. 1993, Cozza et al. 1996, Berzi1997, <strong>Boitani</strong> & <strong>Ciucci</strong> 1998b, Tropini 2001), nessunaindagine in Italia ha analizzato l’insieme difattori che rendono alcune aziende particolarmentevulnerabili (cfr. Mech et al. 1988, Stahl et al.2001, Treves et al. 2002).Contesto ambientale e gestionaleAlcuni fattori ambientali e gestionali predispongono,a livello delle singole aziende, la predazione acarico del bestiame d’allevamento. Informazioniaffidabili in tal senso sono tuttavia scarse perchéle poche indagini specifiche si limitano a rilevareassociazioni (correlazioni) <strong>tra</strong> variabili e non consideranoi rapporti causali <strong>tra</strong> esse. Dipendentementedal tipo di prede domestiche, le variabili piùspesso associate a livelli elevati di predazione includonol’assenza di guardiania degli armenti alpascolo, l’elevata copertura boscosa ed arbustivadelle zone di pascolo, l’abb<strong>and</strong>ono delle carcassesui terreni di pascolo, e parti asincroni, con unastagione prolungata e che avvengono in assenza dicontrollo e protezione (Fritts 1982, Fritts et al.1992, Oakleaf et al. 2003). Per le pecore, in particolare,le tecniche di allevamento (guardiania estabulazione, dimensioni del gregge, periodo e modalitàdei parti, <strong>tra</strong>ttamento delle carcasse, presenzadi cani da conduzione e/o guardiania) e lecaratteristiche delle zone di pascolo (ampiezza,tipo e struttura della copertura vegetazionale, topografia,prossimità a corsi d’acqua, distanza dacentri antropici) sembrano essere correlati in variamisura con la frequenza di predazione (Robel et al.1981, Knowlton et al. 1999). Inoltre, alcune condizionidi pascolo (radure caratterizzate da fitta vegetazionearborea ed arbustiva), oltre alle chiaredifficoltà di controllo e gestione del gregge, corrispondonoad una elevata difficoltà di ritrovamentodi eventuali capi predati (Stahl et al. 2001).In Italia è stata evidenziata l’associazione <strong>tra</strong> predazionesul bestiame domestico e l’ora del giorno,la copertura vegetazionale o le condizioni meteorologicheprevalenti (Cozza et al. 1996, <strong>Boitani</strong> et al.1998, <strong>Ciucci</strong> & <strong>Boitani</strong> 1998b, Tropini 2001),senza peraltro mettere in luce eventuali processiselettivi operati dal Lupo (cfr. <strong>Ciucci</strong> & <strong>Boitani</strong>1998a). Ad esempio, il pascolo brado è risultatoinequivocabilmente associato ad elevati livelli dipredazione (Bovini: Fico et al. 1993, Cozza et al.1996, <strong>Boitani</strong> et al. 1998; equini: Fico et al. 1993,Cozza et al. 1996; pecore: <strong>Boitani</strong> & <strong>Ciucci</strong> 1998b,Tropini 2001). Il tipo di guardiania influenzaanche il numero medio di pecore predate e disperseper attacco (<strong>Boitani</strong> & <strong>Ciucci</strong> 1996). Inoltre,m<strong>and</strong>rie e greggi di gr<strong>and</strong>i dimensioni sembranoessere generalmente associate a rischi di predazionepiù elevati (Cozza et al. 1996). D’al<strong>tra</strong> parte, situazionilocali di conflitto relativamente contenutesono state rilevate in presenza di una comunità diungulati selvatici diversificata e, soprattutto laddovevengono utilizzate tecniche di conduzione eguardiania adeguate (Berzi 1997).Nonostante l’inadeguatezza delle tecniche di allevamentoin molte zone interessate dal conflitto conil Lupo, si è rilevata in questi anni un’inerzia nell’adozionedi s<strong>tra</strong>tegie preventive più funzionali, atestimonianza della complessità logistica, sociale,economica e culturale implicita in questo cambiamento.Nei comuni della Toscana che soffrono dilivelli cronici di conflitto, oltre il 55% delle aziendezootecniche colpite non adottava sistemi di difesadai predatori (<strong>Boitani</strong> & <strong>Ciucci</strong> 1996). Nel ParcoNazionale del Cilento, oltre il 90% delle aziende aconduzione di bovini non prevede l’impiego di sistemidi prevenzione nonostante i ripetuti dannida predazione (<strong>Boitani</strong> et al. 1998).Contesto ecologico e comportamentaleAspetti di natura biologica ed ecologica possonoinfluenzare il conflitto <strong>tra</strong> Lupo e zootecnia: l’attitudineindividuale dei lupi ad predare animali domestici;la fase del ciclo vitale e biologico del predatore;la struttura e la dinamica dei branchi suscala locale; la quantità e l’accessibilità di predealternative; la localizzazione dei territori dei branchiin relazione alle zone a vocazione <strong>zootecnica</strong>,etc. L’acquisizione di queste informazioni non puòprescindere da studi intensivi di campo, i qualisono però carenti, non solo nel contesto nazionale.Dalle poche applicazioni radiotelemetriche condottein Nordamerica, laddove sono presenti predeselvatiche il bestiame domestico sembra rappresentareuna preda di secondaria importanza, utilizzataopportunisticamente in base alla frequenzad’incontro ed alla sua accessibilità (Oakleaf et al.2003). Anche laddove esiste un’elevata sovrapposizione<strong>tra</strong> i territori dei lupi e terreni di allevamentosolo un numero limitato dei possibili contatticulmina in veri e propri attacchi (Fritts et al. 1992,Oakleaf et al. 2003, Bradley 2004).Dalle poche informazioni disponibili, la predisposizionedei lupi a predare il bestiame domesticonon sembra essere correlata al loro stato nutrizionale,e i lupi implicati risultano generalmente ineccellenti condizioni fisiche (Fritts et al. 1992);tanto meno tale predisposizione può essere messain relazione a situazioni di isolamento sociale, inquanto oltre il 90% degli eventi predatori in diverseregioni del Nordamerica sono imputabili a lupiche vivono in branco e non ad individui solitari(Tompa 1983, Fritts et al. 1992, Bradley 2004).Inoltre, la tendenza degli individui adulti a predareanimali domestici non sembra essere influenzatadal loro stato riproduttivo o sociale (Fritts et al.1992, Bradley 2004). Anche i cuccioli di Lupo,42


Biol. Cons. Fauna 115qu<strong>and</strong>o ne hanno l’opportunità, sono in grado dipredare le pecore già dai primi mesi autunnali, edè stato ipotizzato che cuccioli allevati in prossimitàdi aziende o terreni di pascolo possono sviluppareun’attitudine in tal senso e risultare particolarmenteinclini alla predazione dei domestici unavolta adulti (Fritts et al. 1992). Reazioni comportamentalied ecologiche si hanno anche in seguito adinterventi gestionali. In Nordamerica, ad esempio,si è rilevato che a seguito degli interventi di rimozione,i lupi che sopravvivono possono emigrare,morire per denutrizione o mos<strong>tra</strong>re un’accresciutadipendenza dal bestiame domestico (Bjorge &Gunson 1985, Bradley 2004). Nel caso di scomparsadei branchi locali, i vuoti territoriali che sipossono verificare come conseguenza delle operazionidi rimozione vengono spesso in breve ricolonizzatidai lupi delle zone adiacenti, specialmentein popolazioni ad elevata densità (Bjorge & Gunson1985, Fritts et al. 1992, Bradley 2004).Il contesto ecologico influenza natura ed entitàdelle interazioni con il bestiame domestico, dovel’abbondanza (accessibilità) delle prede selvatichesembra essere la variabile di maggior rilievo (Mechet al. 1998, Fritts et al. 1992, Meriggi & Lovari1996, Fritts et al. 2003, Peterson & <strong>Ciucci</strong> 2003).In Minnesota, la predazione del Lupo sugli animalidomestici è risultata inversamente correlata allavulnerabilità primaverile dei piccoli di Cervo codabianca (Odoicoleus virginianus), a sua volta funzionedella severità climatica dei precedenti mesi invernali(Mech et al. 1998). La stessa tendenza èstata riscon<strong>tra</strong>ta nella predazione del Coyote(Canis la<strong>tra</strong>ns) sulle pecore (Knowlton et al. 1999).L’interpretazione gestionale vedrebbe quindi nellefluttuazioni di accessibilità e abbondanza delleprincipali prede selvatiche un utile elemento dipredizione del conflitto con la zootecnia (Mech etal. 1998). Tuttavia, è importante realizzare che talistudi analizzano brevi intervalli stagionali, o comunqueperiodi di studio con durata tale da nonpoter contemplare eventuali risposte numerichedella popolazione di predatori a cambiamenti alungo termine nell’abbondanza delle prede selvatiche.Laddove un’accresciuta densità e/o accessibilitàdi prede selvatiche può essere associata nell’immediatoad un ridotto livello di conflitto, essacomporta nel medio e lungo periodo una rispostanumerica nella popolazione di predatori che a suavolta può determinare un incremento e un’espansionespaziale del conflitto. Uno studio di 6 annicondotto in Idaho sull’interazione <strong>tra</strong> Coyote e pecoreha messo in relazione un aumento della predazionesulle pecore con l’aumento della popolazionedi Coyote, a sua volta determinato da un incrementonumerico della principale preda selvatica(Knowlton et al. 1999).PROCEDURE DI VERIFICAIl sopralluogo finalizzato alla verifica e all’accertamentodei casi di predazione rappresenta un elementocritico per la quantificazione e caratterizzazionedel conflitto <strong>tra</strong> Lupo e zootecnia e, cometale, influenza profondamente la funzionalità dellepolitiche d’indennizzo. Senza volere en<strong>tra</strong>re in meritoalle tecniche autoptiche, già <strong>tra</strong>ttate altrove(Roy & Dorrance 1976, Roberts 1986, Fico 1996,Angelucci et al. questo volume, Fico & Patumi, questovolume, Tropini questo volume), verranno discussiin questa sezione alcuni aspetti le cui implicazionisono particolarmente rilevanti:a) il ritrovamento delle prede uccise ai fini dell’indennizzo;b) il tempo <strong>tra</strong>scorso <strong>tra</strong> evento predatorio e sopralluogodi accertamento e <strong>tra</strong> verifica e liquidazionedei casi accertati;c) la possibilità di distinzione <strong>tra</strong> attacchi di Lupoe di cane, problema particolarmente sentito nelcontesto italiano.Nonostante la prassi di verifica occupi un ruolopredominante ai fini della funzionalità delle politiched’indennizzo, si rileva a livello nazionale un’elevataeterogeneità dei criteri e delle normativeadottate e la mancanza di un monitoraggio dellaloro applicazione (<strong>Ciucci</strong> & <strong>Boitani</strong> 1998a); conqualche recente eccezione (cfr. Angelucci et al.questo volume, Banti et al. questo volume, Gatto etal. questo volume, Tropini questo volume), ciò èvero anche a livello delle aree protette, parchi nazionaliinclusi (Genovesi 2002). In alcune aree protettedel Lazio, è stata recentemente segnalatal’assenza di specifiche procedure per la verifica el’accertamento dei danni (Verucci 2002). Altri autorihanno da tempo sottolineato come le verifichedei casi di predazione siano effettuate da personaledelle più diverse es<strong>tra</strong>zioni professionali ed afferentia varie Amminis<strong>tra</strong>zioni (Fico 1996, 2002).Da un’indagine condotta in provincia dell’Aquila,meno del 4% delle segnalazioni di predazione sonostate di fatto verificate da personale veterinario(Cozza et al. 1996). Mentre si auspica fortementeuna rinnovata volontà politica ed operativa per unapproccio più rigoroso e professionale al problema,bisogna sottolineare che lo stato attuale indebolisceal tempo stesso portata e funzionalità dellepolitiche di mitigazione del conflitto e il tentativo dicaratterizzare il fenomeno su larga scala.- Ritrovamento dei capi predatiVari autori hanno da tempo sottolineato comespesso sia difficile ritrovare sul campo tutti i capicoinvolti negli attacchi di predazione (Fritts 1982,Fritts et al. 1992, Oakleaf et al. 2003); difficoltàche aumentano sia con la complessità e l’inaccessibilitàorografica e vegetazionale delle aree di pascolo,sia con il progressivo consumo e deterioramentodella carcassa, essenzialmente funzione deltempo intercorso <strong>tra</strong> predazione ed accertamento.In base ad uno studio sperimentale condotto subovini allo stato brado in Idaho, una sola carcassaviene ritrovata in media ogni 8 vitelli predati(Oakleaf et al. 2003), sebbene, in situazioni di pascolopiù strettamente controllate (zone di pianura,pascoli recintati), il tasso di ritrovamento siacomunque superiore (Bradley 2004). Studi condottiin Italia confermano questo problema essenzialmentea carico delle pecore, e sottolineanocome ciò possa comportare una potenziale sotto-43


P. <strong>Ciucci</strong> e L. <strong>Boitani</strong>stima del reale impatto della predazione (<strong>Ciucci</strong> &<strong>Boitani</strong> 1998b, Tropini 2001). Una soluzione recentementeadottata contempla quote d’indennizzoche prevedono un fattore di maggiorazione chetiene conto dei capi predati ma non ritrovati (Treveset al. 2002, Oakleaf et al. 2003). Una seria difficoltàin tal senso è rappresentata dalle m<strong>and</strong>riemantenute allo stato brado (ad esempio, <strong>Boitani</strong> etal. 1998, Gatto et al. questo volume), condizione incui è assolutamente arbi<strong>tra</strong>rio ascrivere i capimancanti unicamente alla predazione (Fritts 1982,Fritts et al. 1992).- Tempi di verifica e di liquidazioneIl tempo intercorso <strong>tra</strong> predazione e accertamentodei casi segnalati rappresenta una variabile di importanzacritica per la funzionalità delle procedured’indennizzo. Tempi ridotti aumentano la probabilitàdi riconoscere il predatore coinvolto, trovaretutti i capi predati e distinguere <strong>tra</strong> mortalitàdovuta a predazione o altre cause (Fritts et al.1992, Treves et al. 2002, Oakleaf et al. 2003). Ilconsumo progressivo della carcassa, la sua utilizzazioneda parte di animali necrofagi e il suo il deterioramento,così come il successivo calpestiodella zona da parte del bestiame domestico impedisconola raccolta di segni ed indicazioni utili alriscontro ed alla verifica definitiva. Il tempo di accertamentoè quindi un utile descrittore della funzionalitàdella procedura di verifica, e un protocolloefficiente prevede che il sopralluogo di verificavenga solitamente effettuato entro 24 ore dallapredazione (Fritts et al. 1992). In provincia di Genova,oltre il 60% dei casi segnalati di predazionesui bovini sono stati accertati solo alcuni giornidopo la visita di altri animali necrofagi <strong>tra</strong> cui cinghiali,volpi, cornacchie, rendendo difficoltosa lacertificazione delle cause di morte (Brangi 1995) eproblemi simili sono stati riscon<strong>tra</strong>ti in diversezone appenniniche (<strong>Ciucci</strong> 1994, Berzi 1997, <strong>Boitani</strong>et al. 1998). Nel Parco Nazionale del Cilento,dove il regolamento prevede che la segnalazionedelle predazioni sia fatta dall’allevatore entro 24ore dal riscontro, in base ad un campione di 188eventi di predazione il tempo medio (±D.S.) intercorso<strong>tra</strong> un evento predatorio e la successiva verificaè stato stimato essere di 6 ± 6 giorni (mediana:3,5 giorni), vari<strong>and</strong>o da 24 ore a 32 giorni, conil 77% degli accertamenti effettuati dopo 48 ore(<strong>Boitani</strong> et al. 1998). D’al<strong>tra</strong> parte, in provinciadell’Aquila, Cozza et al. (1996) riportano che il 92%delle segnalazioni sono state accertate entro 48ore, con proporzioni inferiori nel caso delle predazionia carico di bovini e soprattutto di equini. Nell’ambitodel programma di monitoraggio in provinciadi Cuneo (Tropini 2001), il 16% delle segnalazioniviene verificato entro 24 ore dalla data presuntadell’attacco, e il 50% dal terzo giorno in poi,con un tempo medio di circa 5 giorni <strong>tra</strong> attacco everifica; questo include mediamente 2 giorni per lasegnalazione e


Biol. Cons. Fauna 115zione di questo modello generale in un contestooperativo di gestione è piuttosto controversa, rispondendoa problemi di carattere teorico, sperimentaleed operativo. Innanzitutto, consider<strong>and</strong>ol’enorme variabilità delle razze canine, esistono <strong>tra</strong>esse profonde differenze non solo morfologichema, specificamente, nell’attitudine e nel grado dimanifestazione dei patterns motori della predazione(inseguimento, attacco, uccisione) (Scott & Fuller1965, Coppinger & Schneider 1995; Willis1995); differenze che si <strong>tra</strong>ducono in propensione,motivazioni e tecniche di attacco molto variabili<strong>tra</strong> le razze. Inoltre, al pari di altri predatori, nelLupo le tecniche di predazione vengono rafforzateed affinate <strong>tra</strong>mite simulazione, e si perfezionanoa livello individuale con l’esperienza (Packard2003). Poiché ciò avviene anche nel cane domestico(Thorne 1995), è lecito attendersi che, oltre cheper la predisposizione genetica di una determinatarazza, l’espressione dei pattern motori tipicidella predazione (incluse le tecniche di presa e uccisionedella preda) possa variare nel cane anchesu base individuale e che, dipendentemente dalcontesto ecologico in cui il cane si trova, possa affinarsinel corso dello sviluppo ontogenetico. Laddoveesistono condizioni ecologiche e gestionaliparticolari, il cane può tornare infatti a predare efficacemente,e non occasionalmente o per gioco,una varietà di prede selvatiche e domestiche(Scott & Causey 1973, Olson 1974, Nesbitt 1975,Gipson & Seal<strong>and</strong>er 1977, Lowry & MacArthur1978, Causey & Cude 1980, Barnett & Rudd1983).Questo problema può essere rilevante specialmenteladdove diverse forme di cane vagante sono persistentisul territorio ed hanno accesso a predeselvatiche e/o domestiche: in queste condizioni,cani particolarmente avvezzi alla predazione permotivi genetici e/o ontogenetici possono affinaretecniche di attacco particolarmente funzionali erendere quindi difficile una distinzione a posterioribasata sull’esame delle ferite inferte alla preda.A complicare ulteriormente il quadro, gli eventipredatori a cui partecipano i cuccioli di Lupo neiprimi mesi autunnali sono caratterizzati da feriteinferte alla preda variabili in dimensione, tipo e localizzazione(Marucco 2001, Angelucci et al. questovolume, Tropini questo volume).Un problema analogo si è posto storicamente inNordamerica per la verifica delle predazioni di responsabilitàdel Coyote rispetto a quelle dei cani(ad esempio, Roy & Dorrance 1976, Boggess et al.1978, Schaefer et al. 1981, Bjorge & Gunson1985) e, più recentemente, nella distinzione <strong>tra</strong>predazioni di Lupo, cane e ibridi <strong>tra</strong> i due (Treveset al. 2002). La distinzione <strong>tra</strong> cane e Coyote vienefatta in Nordamerica sulla base di indicazioniquali le ferite da morso sulla preda, i corrispondentifocolai emorragici sottocutanei, le modalità ela quantità di consumo, l’eventuale <strong>tra</strong>scinamentodella carcassa e, a supporto di queste indicazioni,eventuali altri segni di presenza del predatore (impronte,escrementi, peli) (Roy & Dorrance 1976,Bjorge & Gunson 1985, Roberts 1986, Treves et al.2002). Gli stessi criteri sono ripresi, secondo variemodalità, da alcuni autori anche in Italia per distinguere<strong>tra</strong> attacchi di Lupo e di cane (ad esempio,Fico 1996, Molinari et al. 2000, Tropini, 2001,questo volume, Angelucci et al. questo volume, Fico& Patumi, questo volume). Del resto, è stato riconosciutocome questi criteri possano risultare nonsempre affidabili (Shaefer et al. 1981, Fritts et al.1992, Treves et al. 2002) e, in alcuni studi a lungotermine, è emersa la tendenza ad imputare erroneamenteal Coyote predazioni in realtà ad operadi cani (Denney 1974, Boggess et al. 1978, Schaeferet al. 1981). Alcuni di questi studi, inoltre, facendoriferimento al lavoro originale di Roy & Dorrance(1976), ‘assumono’ che i criteri adottati nelladistinzione dei predatori e delle cause di mortesiano affidabili (ad esempio, Schaefer et al. 1981).Le difficoltà di distinzione possono aumentare al<strong>tra</strong>scorrere del tempo che intercorre <strong>tra</strong> predazionee sopralluogo di verifica (Fritts et al. 1992) e neicasi in cui sono coinvolti cani domestici (Boggesset al. 1978, Shaefer et al. 1981, Bjorge & Gunson1985) o ibridi cane x Lupo (Treves et al. 2002). Vainoltre sottolineato che i segni di presenza sulluogo della predazione, anche se diagnosticati correttamente(ad esempio, <strong>tra</strong>mite l’impiego di tecnichedi genetica molecolare), non implicano necessariamentela responsabilità dell’attacco da partedel predatore, il quale potrebbe aver frequentato lazona successivamente perché attirato dalla carcassa(Fritts et al. 1992, Fico & Patumi questo volume).Alla luce di queste difficoltà, alcune statistichesul conflitto includono proporzioni ignote dieventi predatori in realtà imputabili a cani domesticio ibridi (Boggess et al. 1978, Fritts et al. 1992,Fico et al. 1993, Treves et al. 2002).In Italia, oltre alla scarsa applicazione di protocollidi verifica st<strong>and</strong>ardizzati (Fico 1996), la situazioneè resa ancora più complessa dalle condizioni dicompresenza del Lupo con alte densità di cani vagantinel contesto rurale (<strong>Boitani</strong> & Fabbri 1983,<strong>Ciucci</strong> & <strong>Boitani</strong> 1998a). In queste condizioni, l’adozionedei criteri adottati in Nordamerica (Roy &Dorrance 1976) appare ulteriormente indebolitadalla maggiore densità di cani vaganti sul territorio,dal diverso contesto ecologico e gestionale,dalle diverse categorie di animali domestici interessatidal fenomeno. La gr<strong>and</strong>e variabilità di casistiche,la carenza di riprove sperimentali robusteed esportabili su larga scala e problemi legati allaprocedura di verifica (tempi necessari per il sopralluogo,tecniche di verifica, esperienza e professionalitàdell’operatore, etc.) rendono a nostro avvisoi criteri suddetti poco affidabili (<strong>Boitani</strong> &<strong>Ciucci</strong> 1996, <strong>Ciucci</strong> & <strong>Boitani</strong> 1998a). L’impiego ditali criteri, e ancor di più quindi una normativad’indennizzo che prevede iter differenziali per lepredazioni di responsabilità di cane o di Lupo, dovrebberoquindi potersi basare su riprove sperimentalisolide, ripetute ed esportabili alla varietàdi contesti ecologici e gestionali tipici dell’arealedel Lupo in Italia; studi di questo tipo sono delresto estremamente limitati in Italia e circoscritti asituazioni particolari (cfr. Fico & Patumi questo vo-45


P. <strong>Ciucci</strong> e L. <strong>Boitani</strong>lume) e, sebbene rappresentino una valida linead’indagine, necessitano ancora di repliche e riprovesperimentali. Esiste inoltre il rischio di una circolaritàdi indagine se tali riprove non vengono effettuatein un contesto sperimentale controllato:in natura, durante i regolari sopralluoghi di verificadegli eventi predatori, gli elementi che si assumeabbiano valore diagnostico al momento delladistinzione iniziale (profondità, tipo e localizzazionedelle ferite, etc.; ad esempio, Angelucci et al.questo volume, Tropini questo volume) non possonopoi essere utilizzati come diagnostici o descrittoridi pattern differenziali di attacco e presa dellapreda <strong>tra</strong> Lupo e cane. Affinché questi criteri sianoverificati in maniera convincente, è necessario uncontesto sperimentale in cui predazioni di responsabilitànota (Lupo o cane) siano fatte esaminareda un osservatore indipendente, analogamente adun test di valutazione ‘cieco’ (blind test), o da dueo più osservatori indipendenti, nell’ottica di unaprova di concordanza. Inoltre, le condizioni in cuitali prove vengono realizzate devono tenere contodella variabilità genetica e individuale del cane edessere rappresentative del contesto ambientale incui il Lupo vive (razza e attitudine dei cani vaganti,categorie di bestiame domestico, fonti trofichealternative, etc.). Dal momento che ciò risultapiuttosto complesso, ed alla luce delle altre difficoltàche si incon<strong>tra</strong>no in fase di accertamento(vedi sopra), alcuni autori, al fine di rendere piùfunzionale l’applicazione della normativa d’indennizzo,optano per un’attribuzione probabilisticadel predatore (Lupo o cane) secondo classi di affidabilitàche sono definite in base a numero, tipo equalità delle indicazioni riscon<strong>tra</strong>te in fase di verifica(Stahl et al. 2001, Tropini 2001, Treves et al.2002); nei programmi d’indennizzo corrispondenti,solo gli eventi accertati e classificati secondo ranghidi affidabilità superiori sono riconosciuti ai finidell’indennizzo (Stahl et al. 2001, Treves et al.2002).D’altronde, in Italia diverse leggi regionali per l’indennizzodei danni da predatori prevedono la distinzione<strong>tra</strong> predazione da cane e da Lupo (<strong>Ciucci</strong>& <strong>Boitani</strong> 1998a). Sebbene tale distinzione siadal punto di vista gestionale e di conservazioneteoricamente più che appropriata, alla luce delledifficoltà operative sopra menzionate essa nonsembra al momento possibile (<strong>Boitani</strong> & <strong>Ciucci</strong>1996, Berzi 1997, <strong>Ciucci</strong> & <strong>Boitani</strong> 1998a), o comunquerilevabile oltre le 24 ore dal decesso (Fico1996). A dimos<strong>tra</strong>zione delle difficoltà intrinseche,su 577 casi di predazione sulle pecore accertati inToscana dai veterinari delle A.S.L., in menodell’8% era stata fatta distinzione <strong>tra</strong> Lupo e cane,e nel 24% non era stato specificato il predatore coinvolto(<strong>Boitani</strong> & <strong>Ciucci</strong> 1996). In provincia diSiena, il cane era stato riconosciuto come predatoreresponsabile nel 64% delle segnalazioni fattea partire dal 1992 (n=47); in seguito alla cattura didue lupi effettuata nel 1993 a scopo di studio radiotelemetrico,e che ha comprovato ufficialmentela presenza della specie nella zona, la proporzionedelle predazioni da cane è calata al 2,5% mentrequella accreditata al Lupo è salita al 74% (<strong>Boitani</strong>& <strong>Ciucci</strong> 1996). Non è possibile concludere se questidati indicano effettivamente l’impossibilità didistinguere predazioni da cane o da Lupo in baseai criteri vigenti, oppure se rispecchiano essenzialmentela mancata applicazione di protocolli di accertamentovalidi e affidabili, o en<strong>tra</strong>mbi questifattori. Mentre è fondamentale un’adeguata preparazioneprofessionale di chi effettua gli accertamenti,è altresì necessario stimolare ricerche sperimentaliche supportino l’impiego di criteri diagnosticioggettivi e la loro funzionalità in una eterogeneitàdi contesti ambientali e gestionali.Un’alternativa potrebbe essere quella esemplificatadalla L.R. 72/94 della Regione Toscana in cuinon viene richiesta, ai fini dell’indennizzo, la distinzione<strong>tra</strong> Lupo e cane all’atto della verifica. Soluzionequesta, che rispondendo alle difficoltà tecnichedi attribuzione, riconosce inoltre che i canivaganti, di fatto anch’essi protetti (cfr. L.N.281/91), rappresentano comunque una minacciaper gli allevatori. In questa prospettiva, è del restoovvio che la funzionalità di una tale politica d’indennizzoè strettamente dipendente da un continuoed efficace controllo del r<strong>and</strong>agismo canino intutte le sue forme, e dall’applicazione puntuale diprotocolli di verifica st<strong>and</strong>ardizzati in grado di discernere<strong>tra</strong> predazione dei capi e altre cause dimortalità (Fico 1996).STRUMENTI E TECNICHE DI PREVENZIONEUna s<strong>tra</strong>tegia di riduzione del conflitto si dovrebbearticolare su tre livelli essenziali: la prevenzione, lamitigazione ed il controllo (vedi Introduzione). Inquesta sezione si riassumono e discutono alcuniaspetti limitatamente alla prevenzione, che sonovalidi anche nel caso di controllo con mezzi non letali(per la mitigazione vedi § Costi d’indennizzo).Diversi sono gli strumenti, i metodi e le tecnicheche possono essere adottate per prevenire le predazionia carico del bestiame d’allevamento, ma levarie esperienze condotte a livello nazionale nonsono state ad oggi valorizzate in una prospettiva diconservazione; manca, allo stesso tempo, un loroinquadramento in un contesto formale di ricerca emonitoraggio atto a valutare la loro reale efficacia(ad esempio, Linhart et al. 1984, Fritts et al. 1992,Bomford & O’Brien 1990, Knowlton et al. 1999,Smith et al. 2000, Shivik et al. 2003). In mancanzadi motivazioni specifiche, anche esperienze validea livello locale riescono raramente a contribuiread una maggiore comprensione della funzionalitàdei metodi di prevenzione e delle condizioni ottimalid’impiego.In base al principio di funzionamento, gli strumentidi prevenzione si possono distinguere in duecategorie: strutture che interpongono una barrierafisica <strong>tra</strong> il bestiame e predatori (reti metalliche oelettriche, fladry), e accorgimenti che interferisconocon la sequenzialità dei pattern predatori (sirene,luci intermittenti e stroboscopiche, cani o altrianimali da guardiania). Altri sistemi includono ilcondizionamento negativo organolettico e l’alterazionedelle potenzialità riproduttive dei predatori.46


Biol. Cons. Fauna 115Raramente gli strumenti preventivi sono stati valutatiin termini di funzionalità e rapportocosti/benefici e, sebbene alcuni possano risultarefunzionali in determinati contesti, non sempreproducono gli stessi in tutte le condizioni applicative(Fritts et al. 1992, Knowlton et al. 1999). Tuttavia,l’adozione degli strumenti preventivi risultacomunque positiva in un contesto sociale, inquanto facilita la collaborazione <strong>tra</strong> allevatori e ilpersonale delle amminis<strong>tra</strong>zioni addette (A.S.L.,Province, Enti Parco, etc.; ad esempio, Angelucciet al. questo volume, Gatto et al. questo volume,Tropini questo volume). Un problema comunementeriscon<strong>tra</strong>to è rappresentato dal fatto che allevatorie pubblico in generale hanno aspettative generalmentesuperiori sulla reale funzionalità di questistrumenti, e sottovalutano impegno e costi dimessa in opera, utilizzo e manutenzione che sononecessari per il loro corretto funzionamento. Inoltre,molti sistemi sono adatti a piccole aziende marisultano poco adeguati ad esercizi zootecnici dimaggiori dimensioni (Knowlton et al. 1999). Inaziende in cui il conflitto assume entità cronica,l’uso combinato degli strumenti ritenuti localmentepiù idonei può dare risultati soddisfacenti, manelle aziende in cui l’impatto è limitato ed infrequente(vedi § Ricorrenze di attacco per azienda)l’adozione di strumenti di prevenzione non sembraessere una alternativa realistica e conveniente intermini di costi/benefici.Congiuntamente all’adozione di strumenti di prevenzione,o laddove questi risultano di difficile impiego,alcuni accorgimenti delle tecniche di conduzionee di guardiania del bestiame possono faremolto nel ridurre i danni da predazione (Bjorge &Gunson 1985, Fritts et al. 1992, Oakleaf et al.2003, Bradley 2004). Tra quelle più frequentementecontemplate, più in base al buon senso edindicazioni aneddotiche che a riprove sperimentali(Knowlton et al. 1999), si elencano: la presenzacontinua del pastore per la conduzione del gregge;la stabulazione del bestiame nei periodi di maggiorvulnerabilità (ore notturne, periodo dei parti); lasincronizzazione dei parti per minimizzare il periododi massima vulnerabilità; la rimozione dellecarcasse dai terreni di pascolo; la selezione di areedi pascolo aperte e lontane dai margini del bosco.Laddove non è possibile evitare condizioni di allevamentobrado, sarebbe utile un sistema di zonazioneche escluda questo tipo di conduzione perlomenodove esiste sovrapposizione con le zone dipiù elevata frequentazione da parte dei predatori.Le aree di pascolo dovrebbero essere relegate e regimentatenelle zone caratterizzate da maggiorepresenza antropica e, presumibilmente, dove i rischidi predazione sono minori (Oakleaf et al.2003, Bradley 2004). Del resto, come nel casodegli strumenti di prevenzione, tecniche di conduzioneinnovative non risultano sempre idonee alsingolo allevatore se non sono di facile adozione eeconomicamente convenienti (Fritts et al. 1992).Anche in questo caso la loro funzionalità nelmedio–lungo periodo si deve basare su un’attentavalutazione economica di costi/benefici e su incentivinon solo di carattere monetario. In definitiva,la gr<strong>and</strong>e variabilità di situazioni, condizionigestionali, ecologiche ed ambientali in cui il conflittosi verifica preclude la possibilità che un metodoo una tecnica di prevenzione in particolarepossano risultare le più efficaci per risolvere ilproblema. Piuttosto, una varietà di applicazioni edi s<strong>tra</strong>tegie devono essere valutate su scala locale,dipendentemente dal contesto e dalle esigenze delsingolo allevatore.Dal punto di vista della ricerca, il contesto gestionalein cui si opera non aiuta la raccolta di dati ela realizzazione di esperimenti controllati, cosìcome l’animosità che solitamente caratterizza il fenomenonon facilita la collaborazione degli allevatorialla ricerca, specialmente nelle zone di conflittocronico dove più risulterebbe utile (P. <strong>Ciucci</strong> etal. dati non pubblicati). In una prospettiva di monitoraggio,l’approccio finora più utilizzato per valutarel’efficacia dei metodi di prevenzione è coincisocon la quantificazione di uno o più indici diconflitto a livello di singole aziende, sia prima chedopo la messa in opera degli interventi preventivi;oppure avendo come riferimento le aziende limitrofein cui non vengono apportate modifiche gestionali(Fritts 1982, Fritts et al. 1992, Knowlton etal. 1999). Questo approccio presenta tuttavia alcunedifficoltà interpretative, dagli impedimenti logisticinell’individuare aziende di controllo rappresentative,all’impossibilità di valutare tutte le variabilipotenzialmente implicate, alla natura sporadicae casuale degli eventi di predazione che nonfacilita la raccolta di campioni statisticamente validi.Gli studi mirati alla sperimentazione delle tecnichedi prevenzione possono essere supportati daindagini condotte con lupi in cattività e in cui simisura direttamente il comportamento dei predatori(Bomford & O’Brien 1990, Musiani et al. 2003,Shivik et al. 2003), sebbene le conclusioni nonsiano facilmente esportabili nel reale contesto naturalee gestionale (Shivik et al. 2003). Alternativamente,da una prospettiva differente, è possibileintervistare gli allevatori che utilizzano metodi estrumenti di prevenzione e ricavarne una valutazionesoggettiva dell’efficacia (ad esempio, Caporioni& Teofili, questo volume), sebbene si <strong>tra</strong>tti disondaggi d’opinione piuttosto che di valutazionioggettive.MONITORAGGIO DEL CONFLITTOCome già anticipato, il monitoraggio a lungo terminedel conflitto è un passo irrinunciabile inun’ottica di gestione e risoluzione, nonostante sinoti a livello nazionale un generalizzato disinteresseda parte delle autorità preposte (<strong>Ciucci</strong> & <strong>Boitani</strong>1998a). In assenza di monitoraggio è impossibilerilevare tendenze temporali, compiere confrontisu scala nazionale o analizzare il fenomenoin relazione all’<strong>and</strong>amento delle popolazioni di predatori,dell’economia del settore zootecnico o dellevarie misure di tutela e gestione. Con alcune importantieccezioni (Regione Piemonte 2003, Bantiet al. questo volume, Reggioni et al. questo volume),in Italia programmi di monitoraggio sul conflitto47


P. <strong>Ciucci</strong> e L. <strong>Boitani</strong><strong>tra</strong> Lupo e zootecnia non sono mai stati avviati; ipochi studi di carattere analogo ad oggi pubblicatihanno contemplato – per iniziativa di singoli ricercatori– analisi di serie storiche di dati a livellolocale, regionale o nazionale (Abruzzo: Fico et al.1993, Cozza et al. 1996; Toscana: <strong>Boitani</strong> & <strong>Ciucci</strong>1996, Berzi 1997; Scala nazionale: <strong>Ciucci</strong> et al.1997; Parco del Gigante: Meriggi et al. 1998). Sebbenequesti studi abbiano prodotto importanti informazioni,si differenziano dal monitoraggio perchési <strong>tra</strong>tta di analisi retrospettive in cui nontutte le variabili d’interesse sono disponibili e, soprattutto,perché non sono integrate all’interno diun ciclo adattativo di gestione del fenomeno (Elzingaet al. 2001). Va sottolineato che il monitoraggiodel conflitto comporterebbe un impianto logisticopiuttosto semplice e articolato su strutture,personale e amminis<strong>tra</strong>zioni già esistenti; senzaprevedere l’accertamento di relazioni causali <strong>tra</strong> levariabili, risulterebbe molto più economico di altricontesti di ricerca.Un monitoraggio continuativo è fondamentale peruna comprensione adeguata della dinamica delconflitto (Treves et al. 2002, Fritts et al. 2003) epermette di prendere, in tempo utile, decisioni circostanziatesulle s<strong>tra</strong>tegie di risoluzione e sulle politiched’indennizzo. Ad esempio, l’aumento riportatoin alcuni indici del conflitto negli ultimi annipotrebbe interessare in maniera generalizzatatutto l’areale del Lupo, oppure prevalentemente lezone ad elevata vocazione <strong>zootecnica</strong> interessatedalla recente espansione dell’areale. In assenza diun monitoraggio geografico e temporale del fenomenoè oggi difficile inquadrare questo problema,sebbene le differenze e le implicazioni gestionalidei due scenari siano sostanziali. È lecito, nonostanteil recente recupero di comunità ricche ediversificate di ungulati selvatici, attendersi un incrementodella conflittualità con la zootecnia sularga scala (cfr. Meriggi & Lovari 1996). Rispondono,le differenze nella conflittualità, alle variazionidel contesto ambientale ed ecologico o alle variabiligestionali? Come si confronta questa eterogeneitàcon la mobilità e la dinamica della popolazionedi Lupi? E ancora, quali sono le possibilità e modalitàdi risoluzione del problema, o i suoi possibilisviluppi (geografici, di intensità, economici, diconservazione) qualora non si intervenisse neitempi e nei modi adeguati?Su scala locale, il monitoraggio permette di individuarele aziende con livelli cronici di conflitto sullequali operare prioritariamente, pena un uso impropriodei fondi d’indennizzo e l’incoraggiamentodi uno stato di conflitto perenne (Cozza et al. 1996,<strong>Ciucci</strong> & <strong>Boitani</strong> 1998b, Fritts et al. 2003). Allostesso tempo, il monitoraggio del conflitto su scalalocale (ambiti comunali e provinciali, aree protette)non è facilmente interpretabile se non tiene contodell’<strong>and</strong>amento del fenomeno su più larga scala,motivo per cui necessiterebbe di un coordinamentocen<strong>tra</strong>lizzato a livello nazionale; ciò <strong>tra</strong> l’altro faciliterebbelo sviluppo e la validazione nel tempo dimodelli predittivi della distribuzione e dinamicadel conflitto. Su scala nazionale, il monitoraggiodel conflitto assume tuttavia un significato limitatose non accompagnato dal monitoraggio della popolazionedei predatori ad una scala di risoluzioneadeguata (ad esempio, Treves et al. 2002), e dallacaratterizzazione del contesto zootecnico e gestionale.Va infine sottolineato che il monitoraggio delconflitto dovrebbe prevedere, in chiave gestionale,anche il monitoraggio dell’effettiva applicazione, edel grado di efficienza, delle s<strong>tra</strong>tegie di risoluzionea diverse scale: dai programmi d’indennizzo suscala regionale e nazionale, ai metodi di prevenzionea livello dei singoli allevatori.RingraziamentiSi ringraziano Paolo Cavallini e Piero Genovesiche, con i loro commenti e suggerimenti, hannocontribuito a migliorare stile e contenuto di unaprecedente versione del manoscritto.BibliografiaBANGS E.E, FRITTS S.H., HARMS D.R., FONTANE J.A., JIME-NEZ M.D., BREWSTER W.G. & NIEMEYER C.C., 1995 –Control of endangered gray wolves in Montana. 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VOLUME 115ANNO 2005BIOLOGIA E CONSERVAZIONE DELLA FAUNAA CURA DIPAOLO CIUCCI, CORRADO TEOFILI, LUIGI BOITANIGr<strong>and</strong>i Carnivori e Zootecnia<strong>tra</strong> conflitto e coesistenzaISTITUTO NAZIONALE PER LA FAUNA SELVATICA“ALESSANDRO GHIGI”


BIOLOGIA E CONSERVAZIONE DELLA FAUNAgià Ricerche di Biologia della Selvagginapubblicazione dell’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica “Aless<strong>and</strong>ro Ghigi”Via Ca’ Fornacetta, 9 - Ozzano dell’Emilia (Bologna)Direttore responsabile:Redazione:Silvano TosoNicola BaccettiStefano FocardiVittorio GubertiEttore R<strong>and</strong>iFern<strong>and</strong>o SpinaSilvano TosoComitato Scientifico:Giovanni Amori Sergio Frugis Giuseppe NascettiNatale E. Baldaccini Marino Gatto Luca RossiTeresio Balbo S<strong>and</strong>ro Lovari Luciano SantiniSilvano Benvenuti Danilo Mainardi Francesco TolariLuigi <strong>Boitani</strong> Harry Manelli Augusto Vigna-TagliantiUrs Breitenmoser Bruno Massa Enrico ZaffaroniMauro FasolaToni MingozziL’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica (INFS), fondato nel 1933 come Laboratorio di Zoologia applicata alla Cacciae denominato Istituto Nazionale di Biologia della Selvaggina “Aless<strong>and</strong>ro Ghigi” nel periodo 1977-1992, è organoscientifico e tecnico di ricerca e consulenza per lo Stato, le Regioni e le Province sui problemi di conservazione della faunaomeoterma.L’Istituto Zoologico della Regia Università di Bologna iniziò a pubblicare nel 1930 la rivista “Ricerche di Zoologiaapplicata alla Caccia”, che a partire dal XX volume divenne la rivista ufficiale del Laboratorio di Zoologia applicata allaCaccia. Nel 1939 venne avviata la collana “Supplemento alle Ricerche di Zoologia applicata alla Caccia”. Nel 1971 letestate cambiarono la denominazione rispettivamente in “Ricerche di Biologia della Selvaggina” e “Supplemento alleRicerche di Biologia della Selvaggina”. Nel 1997 le due riviste sono state accorpate nell’unica collana “Biologia eConservazione della Fauna”, alla quale è stato dato un nuovo formato ed una nuova impostazione grafica, proseguendo lanumerazione della precedente collana “Ricerche di Biologia della Selvaggina”.The Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica (INFS) is the national research <strong>and</strong> advisory agency for wildlifeconservation in Italy. Founded in 1933, it was formerly named Laboratorio di Zoologia applicata alla Caccia (1933-1977) <strong>and</strong> Istituto Nazionale di Biologia della Selvaggina ‘Aless<strong>and</strong>ro Ghigi’ (1977-1992).In 1930 the Institute of Zoology of Bologna University started to publish the series ‘Ricerche di Zoologia applicataalla Caccia’ which, from the 20 th volume on, became the official journal of the Laboratorio di Zoologia applicata allaCaccia. The series ‘Supplemento alle Ricerche di Zoologia applicata alla Caccia’ started in 1939. Both journals in 1971changed their titles into ‘Ricerche di Biologia della Selvaggina’ <strong>and</strong> ‘Supplemento alle Ricerche di Biologia dellaSelvaggina’, respectively. In 1997 they were merged in a single series of publications, namely ‘Biologia e Conservazionedella Fauna’, whose issues are numbered contiguously with the earlier ‘Ricerche di Biologia della Selvaggina’ (firstissue: no. 101).Foto di copertina: Archivio WWF e Marco Caporioni ©Illus<strong>tra</strong>zioni: C. Flore, F. Gemma, S. Maugeri, A. Troisi - Impaginazione: P<strong>and</strong>ion snc


BIOLOGIA E CONSERVAZIONE DELLA FAUNAVolume 115 Anno 2005A CURA DIPAOLO CIUCCI, CORRADO TEOFILI, LUIGI BOITANIGr<strong>and</strong>i Carnivori e Zootecnia<strong>tra</strong> conflitto e coesistenzaATTI DEL CONVEGNOPESCASSEROLI, 28 MAGGIO 2004,CENTRO NATURA PARCO NAZIONALE D’ABRUZZO, LAZIO E MOLISEISTITUTO NAZIONALE PER LA FAUNA SELVATICA“ALESSANDRO GHIGI”


Biol. Cons. Fauna 115PROGETTO LIFE COOP “CARNIVORI E ZOOTECNIA:STRUMENTI PER LA PREVENZIONE DEL DANNO”(LIFE 2002NAT/CP/IT/000046)A CURA DIPAOLO CIUCCI, CORRADO TEOFILI, LUIGI BOITANIGr<strong>and</strong>i Carnivori e Zootecnia <strong>tra</strong> conflitto e coesistenzaATTI DEL CONVEGNOPESCASSEROLI, 28 MAGGIO 2004,CENTRO NATURA PARCO NAZIONALE D’ABRUZZO, LAZIO E MOLISEIL PROGETTO LIFE COOP NASCE DALLA COLLABORAZIONE DI:WWF ITALIA, LEGAMBIENTE, CORPO FORESTALE DELLO STATO,PARCO NAZIONALE DEL POLLINO, PARCO DEL GIGANTE.IL CONVEGNO È STATO ORGANIZZATO IN COLLABORAZIONE CON ILPARCO NAZIONALE D’ABRUZZO, LAZIO E MOLISE.La redazione raccom<strong>and</strong>a per la citazione bibliografica di questo volume la seguente dizione:The editors recommend that for references to this work the following citation should be used:<strong>Ciucci</strong> P., Teofili C., <strong>Boitani</strong> L. (a cura di), 2005 - Gr<strong>and</strong>i Carnivori e Zootecnia <strong>tra</strong> conflitto e coesistenza.Biol. Cons. Fauna 115: 1-192Il contenuto anche parziale della presente pubblicazione può essere riprodotto solo cit<strong>and</strong>o il nome degli autori, il titolo dellavoro e l’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica “Aless<strong>and</strong>ro Ghigi”.

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