IL MONDO DEL LAVORO, OGGIsuo complesso, di una definizione più chiaracirca la mission e le funzioni (in termini di ruoloe competenze esercitabili in via esclusiva,piuttosto che di servizi erogabili in via concorrente)riconducibili al sistema pubblico ea quello privato singolarmente considerati. I frutti della legge BiagiSul piano del riassetto normativo la riformadel mercato del lavoro, varata con la leggen. 30/2003 (conosciuta anche come leggeBiagi), ha ulteriormente ampliato, riformatoe ridefinito la ormai vasta gamma delle modalitàcon cui un lavoratore può erogare lapropria prestazione nei confronti di un datoredi lavoro o di un committente. L’Isfol hapredisposto un monitoraggio per misurarel’utilizzo delle varie forme di lavoro: si trattadella Rilevazione Longitudinale su Imprese eLavoro, condotta nel 2005 su un campionedi 22 mila imprese italiane.Emerge con chiarezza che il grado di diffusionedella nuova strumentazione è strettamentedipendente dal livello e dal tipo diinformazione che ha raggiunto le diversetipologie di datori di lavoro e da quanto ecome questi ultimi abbiano saputo o potutoconiugare i loro fabbisogni con le nuove opportunità.In primo luogo risulta scarso il ricorso da partedelle imprese ad alcuni strumenti marginali:il lavoro somministrato a tempo indeterminato,il lavoro ripartito e il lavoro a chiamata.La riforma del lavoro a tempo parziale, finalizzataad aumentare i tassi di partecipazionefemminili, non sembra aver modificato inmisura rilevante la lenta crescita del ricorso atale forma di lavoro da parte della componentefemminile della popolazione.Da ultimo si registra un esteso utilizzo delcontratto di collaborazione a progetto, checomprende in alcuni casi un tentativo di interpretazionedella norma in senso estensivo,finalizzato più a contenere il costo del lavoroche ad adeguare l’utilizzo delle risorse umanealla flessibilità organizzativa. In molti casisi registra l’inadeguatezza delle imprese nel[ 14 ]cogliere lo spirito della legge, tesa a incrementarela flessibilità, e generando inveceuna precarietà più diffusa.Riguardo a quest’ultimo punto va detto chela sola introduzione di forme di lavoro flessibilenon genera automaticamente fenomenidi precarietà; tuttavia molte forme di contrattoespongono segmenti della popolazioneal rischio di instabilità lavorativa, specialmentenelle fasi di stagnazione economica.La tendenza ad utilizzare istituti contrattualiflessibili per contenere il costo del lavoro rischiainoltre di generare uno squilibrio strutturalenel mercato, dove, da un lato, i giovaninella fase di ingresso nell’occupazionesperimentano lunghi percorsi di stabilizzazionedell’occupazione e, dall’altro, le impresetendono a ridurre l’investimento in formazione.È innegabile che il minor costo del lavorodegli istituti di lavoro flessibili allontana leimprese dalle forme di lavoro standard: lacomponente di flessibilità dei contratti atipicinon sembra pertanto rappresentare, in molterealtà, il motivo prevalente dell’utilizzo deicontratti non standard.Un riallineamento del costo del lavoro tracontratti di lavoro subordinato a tempo indeterminatoe contratti flessibili consentirebbedi identificare nel carattere flessibiledei contratti atipici la sola differenza con illavoro standard e permetterebbe pertantodi disincentivare un uso del lavoro atipico inqualche modo lontano dallo spirito originariodella normativa che li ha introdotti. Persone svantaggiateLa situazione generale del Paese anche perquanto concerne l’ambito di interesse dellepolitiche sociali continua a presentare lucie ombre. Come evidenziato dai più recentidati della Commissione di indagine sull’esclusionesociale, vi sono due problematiche diintegrazione e inclusione che risultano essereprioritarie. La prima riguarda gli stranieri,giunti vicini, secondo gli ultimi dati ufficiali,alla soglia dei tre milioni, per i quali si aprenel dibattito italiano una questione di rico-
IL MONDO DEL LAVORO, OGGInoscimento di diritti di cittadinanza che trascendela dimensione lavorativa.Questa prospettiva pone l’attenzione su politicheper l’integrazione che alcune Regionihanno avviato in via sperimentale.La seconda problematica riguarda i giovani,intorno a cui si evidenzia un’offerta di partecipazionealla dimensione pubblica chevede ancora una volta protagonista il sistemadegli enti locali ed individua formule diattivazione come consigli comunali tematici,tavoli di co-progettazione, consulte giovanili.Un’attenzione mirata va riservata al ruolodell’imprenditorialità sociale, che anche inragione della recente evoluzione legislativapuò concorrere a dare ai sistemi territorialidi welfare un contributo di professionalitànon disgiunto dall’obiettivo dell’utilità sociale.L’attuazione del decreto legislativon. 155/2006 ha messo infatti in atto processidi lotta alla marginalizzazione di soggettisvantaggiati, come nella migliore tradizionedella cooperazione sociale, ma anche conriferimento alla capacità di creare spazi diimprenditorialità e di nuova occupazione insettori estranei all’assistenza, come quelli legatialla valorizzazione dei beni culturali e alturismo: ancora una volta, si tratta di fattorifortemente connessi alla dimensione territoriale. Dove stiamo andando?Le tendenze in attoL’inesauribile spinta alla crescita occupazionaleche negli ultimi cinque anni ha caratterizzatoil sistema Italia, a fronte di un generalerallentamento del ciclo economico, hainciso profondamente sulla struttura professionaledel mercato del lavoro, determinandoun consolidamento di tutto quell’alone diprofessioni a basso livello di qualificazione,che rappresenta ancora la base portantedell’occupazione italiana; in aperta contraddizione,con le ambizioni di un sistema,che tende a fare dell’innalzamento dellecompetenze e dei livelli formativi di base unrequisito sempre più necessario di accessoal lavoro.Il mercato del lavoro sembra andare in direzionedi un rafforzamento della base dellapiramide professionale, che tra operai specializzati,conduttori e professioni non qualificaterappresenta il 37,7% dell’occupazionedel Paese, e il tendenziale assottigliamentodel suo vertice (dirigenti, imprenditori e professioniintellettuali sono il 14,5% dei lavoratori)e non stupisce che proprio tra i primi sitrovino i segmenti professionali più vitali.A crescere di più, in termini assoluti, sono statiinfatti, nell’ultimo anno muratori, carpentieri,ponteggiatori (quasi 80 mila in più, per un incrementodel 12,9%) e, a seguire, i collaboratoridomestici, gli addetti ai servizi di pulizianelle imprese, gli spazzini (+64 mila per unacrescita del 10,2%); a distanza, il terzo miglioresaldo (+35 mila, per un incremento del4,3%) è segnato dagli impiegati con funzioniamministrative e contabili, come addetti dicassa, alla contabilità, ai costi, al controllofatture, mentre al quarto posto, si attestanoautisti di taxi e auto, conducenti di autobus,camionisti e fattorini.Chi scende invece nel borsino delle professioni?Gli artigiani e gli operai del tessile abbigliamento,vale a dire tessitori, maglieristi,sarti, modellisti, pellicciai, ricamatori, tappezzieri,che la crisi del comparto ha portato adun drastico ridimensionamento (calano di 27mila unità, per una perdita di quasi 12 puntipercentuali), seguiti dagli insegnati di scuolematerne, elementari, tutor di corsi professionali(-22 mila), dagli imprenditori e amministratoridi grandi aziende private, il cui volumesi è ridotto dell’11,5%, e dai medici.Insomma, la sensazione che si ha guardandoai dati è che l’era della terziarizzazionedi massa, che avrebbe dovuto fluidificare imeccanismi di ascesa nella scala sociale,non sia riuscita a produrre i livelli di mobilitàattesi dal sistema.[ 15]
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Ideazione e coordinamentoAntonio Mo