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avventure del pensiero filoso/scienti-fico - Liceo scientifico Albert ...

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SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORESaverio Mauro TassiLE(DIS)AVVENTUREDELPENSIEROFILOSO/SCIENTI-FICOL’orizzonte contemporaneo: da metà '700 alla fine <strong>del</strong> '900IL CORSAROeditore1


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREBUSSOLASCOPERTA - LA REALTA’ COME COSTRUZIONE DELLA RAGIONECannocchiale su…L’orizzonte storico-culturale 1789-1830 p. 7MESSAGGIO NELLA BOTTIGLIA: CHE COS’E’ L’ILLUMINISMO? p. 12VIAGGIO I: LA COSTRUZIONE RAZIONALE DELLA REALTA’ UMANAROTTA A: IL CRITICISMO, O RAZIONALISMO CRITICO p. 14VITA DI UN CAPITANO: IMMANUEL KANT p. 15TAPPA 1 – Kant: La “rivoluzione copernicana” p. 18TAPPA 2 – Kant: La conoscenza sensibileTAPPA 3 – Kant: La conoscenza razionale <strong>del</strong>l’Intelletto p. 26TAPPA 4 – Kant: L’io penso o autocoscienza trascendentale p. 31TAPPA 5 – Kant: La cosa per noi e la cosa per in sé p. 36TAPPA 6 – Kant: La conoscenza razionale <strong>del</strong>la ragione p. 40TAPPA 7 – Kant: La confutazione <strong>del</strong>la metafisica p. 44TAPPA 8 – Kant: La ragione pratica e la legge morale p. 50TAPPA 9 – Kant: La virtù, la santità e il male radicale p. 55TAPPA 10 – Kant: La libertà, l’immortalità e l’esistenza di Dio p. 59TAPPA 11 – Kant: La ragione sentimentale e il giudizio riflettente p. 64TAPPA 12 – Kant: Il giudizio estetico <strong>del</strong> bello p. 67TAPPA 13 – Kant: Il giudizio estetico <strong>del</strong> sublime p. 70TAPPA 14 – Kant: Il giudizio teleologico p. 73TAPPA 15 – Kant: La teoria politica e la <strong>filoso</strong>fia <strong>del</strong>la storia p. 77TAPPA 16 – Kant: La religione morale e la chiesa invisibile p. 81VIAGGIO II: LA COSTRUZIONE RAZIONALE DI TUTTA LA REALTA’ROTTA A: IL ROMANTICISMO TEDESCO p. 84TAPPA 1 – Schiller: La pedagogia <strong>del</strong>la bellezza p. 84TAPPA 2 – Schlegel: La “buffoneria trascendentale” p. 86TAPPA 3 – Novalis: L’ “idealismo magico” p. 88ROTTA B: L’IDEALISMO ASINTOTICO p. 90VITA DI UN CAPITANO: GOTTLIEB FICHTE p. 90VITA DI UN CAPITANO: FRIEDRICH SCHELLING p. 91TAPPA 1 – Fichte: L’idealismo critico p. 92TAPPA 2 – Fichte: L’attività conoscitiva p. 95TAPPA 3 – Fichte: L’attività pratico-morale p. 98TAPPA 5 – Schelling: La “fisica speculativa” p. 101TAPPA 6 – Schelling: La <strong>filoso</strong>fia <strong>del</strong>l’arte p. 1042


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREROTTA C: L’IDEALISMO ASSOLUTO p. 106VITA DI UN CAPITANO: GEORG HEGEL p. 106TAPPA 1 - Hegel: L’autocostruzione dialettica <strong>del</strong>la realtà p. 109TAPPA 2 - Hegel: La logica come scienza <strong>del</strong>l’Idea pura p. 112TAPPA 3 - Hegel: La natura come alienazione <strong>del</strong>l’Idea p. 115TAPPA 4 - Hegel: L’emergere <strong>del</strong>lo spirito come coscienza p. 118TAPPA 5 - Hegel: La dialettica <strong>del</strong>l’autocoscienza p. 121TAPPA 6 - Hegel: La coscienza infelice p. 123TAPPA 7 – Hegel: La ragione attiva p. 125TAPPA 8 - Hegel: Lo spirito oggettivo p. 128TAPPA 9 - Hegel: Famiglia, società civile, stato p. 130TAPPA 10 - Hegel: La <strong>filoso</strong>fia <strong>del</strong>la storia p. 132TAPPA 11 – Hegel: La conquista <strong>del</strong>l’assoluto p. 135VIAGGIO III - LA LIBERAZIONE DAGLI INGANNI DELLA RAZIONALITA’ p. 138Cannocchiale su…L’orizzonte storico-culturale 1831-1873 p. 138ROTTA A: L’IDEALISMO NEGATIVO p. 145VITA DI UN CAPITANO: ARTHUR SCHOPENHAUER p. 145TAPPA 1 - Schopenhauer: L’illusione conoscitiva p. 147TAPPA 2 - Schopenhauer: Il proprio corpo come volontà p. 149TAPPA 3 - Schopenhauer: La verità <strong>del</strong>l’arte p. 151TAPPA 4 - Schopenhauer: La vita umana come sofferenza p. 154TAPPA 5 - Schopenhauer: La via <strong>del</strong>la liberazione dal dolore p. 156ROTTA B: IL CRISTIANESIMO COME FILOSOFIA DELL’ESISTENZA p. 158VITA DI UN CAPITANO: SØREN KIERKEGAARD p. 158TAPPA 1 - Kierkegaard: Le forme possibili <strong>del</strong>l’esistenza p. 160TAPPA 2 - Kierkegaard: L’angoscia come vertigine <strong>del</strong>la libertà p. 163TAPPA 3 - Kierkegaard: La disperazione come malattia mortale p. 166VIAGGIO IV - LA RAZIONALITA’ SCIENTIFICA COME MOTOREDEL PROGRESSO STORICO-SOCIALE p. 169Cannocchiale su…L’orizzonte <strong>scienti</strong><strong>fico</strong> <strong>del</strong>l’Ottocento p. 169ROTTA A: IL POSITIVISMO SOCIALE p. 174VITA DI UN CAPITANO: AUGUSTE COMTE p. 174TAPPA 1 – Comte: Il sistema <strong>del</strong>le scienze p. 176TAPPA 2 – Comte: La sociologia o fisica sociale p. 179TAPPA 3 – Comte: lo Stato sociocratico e la chiesa positiva p. 1833


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREROTTA B: IL POSITIVISMO ATEO p. 185VITA DI UN CAPITANO: LUDWIG FEUERBACH p. 185TAPPA 1 – Feuerbach: L’alienazione religiosa p. 186ROTTA C: IL POSITIVISMO RIVOLUZIONARIO p. 189VITA DI UN CAPITANO: KARL MARX p. 189TAPPA 1 – Marx: L’alienazione <strong>del</strong>l’operaio p. 191TAPPA 2 – Marx: Il materialismo storico p. 194TAPPA 3 – Marx: La lotta di classe, lo Stato socialista e il comunismo p. 197ROTTA D: IL POSITIVISMO LIBERALE p. 200VITA DI UN CAPITANO: JOHN STUART MILL p. 200TAPPA 1 – Mill: Utilitarismo qualitativo e Stato liberal-democratico p. 202ROTTA E: IL POSITIVISMO EVOLUZIONISTICO p. 205VITA DI UN CAPITANO: HERBERT SPENCER p. 205TAPPA 1 – Spencer: La legge <strong>del</strong>l’evoluzione cosmica p. 207SCOPERTA: LA REALTA’ COME CAOS INDETERMINABILECannocchiale su…L’orizzonte storico-culturale 1873-1913 p. 212MESSAGGIO NELLA BOTTIGLIA: La morte di Dio p. 219VIAGGIO I: LA VITA COME GIOCO DELLA VOLONTA’ DI POTENZA p. 221ROTTA A: LA “FILOSOFIA DEL MARTELLO” p. 221VITA DI UN CAPITANO: FRIEDRICH NIETZSCHE p. 221TAPPA 1 - Nietzsche: Apollineo e dionisiaco p. 227TAPPA 2 – Nietzsche: La critica <strong>del</strong>la tradizione metafisica p. 230TAPPA 3 – Nietzsche: La genesi storica <strong>del</strong>la morale p. 233TAPPA 4 - Nietzsche: La morte di Dio p. 236TAPPA 5 - Nietzsche: L’annuncio <strong>del</strong> superuomo p. 239TAPPA 6 - Nietzsche: La volontà di potenza p. 242TAPPA 7 - Nietzsche: La teoria <strong>del</strong>l’eterno ritorno p. 245VIAGGIO II – LA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA CONTEMPORANEA p. 248ROTTA A - LA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA IN PSICOLOGIA p. 248VITA DI UN CAPITANO: SIGMUND FREUD p. 248TAPPA 1 - Freud: Es, Io e Super-io p. 252TAPPA 2 - Freud: L’evoluzione <strong>del</strong>la sessualità umana p. 255TAPPA 3 - Freud: La terapia psicanalitica p. 259TAPPA 4 - Freud: Pulsione di vita e pulsione di morte p. 264TAPPA 5 – Freud: il Super-io <strong>del</strong>la civiltà p. 2674


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREROTTA B – LA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA IN FISICA p. 270VITE DI CAPITANI: EINSTEIN, PLANCK, BOHR, DE BROGLIE,HEISENBERG, DIRAC, SCHROEDINGER, BORN, PAULI, FEYNMAN, BELL p. 270TAPPA 1 – Einstein: La relatività ristretta o speciale p. 276TAPPA 2 – Einstein: La teoria <strong>del</strong>la relatività allargata o generale p. 282TAPPA 3 – AA.VV.: La teoria dei quanti p. 288VIAGGIO III – LA FILOSOFIA DELLA SCIENZA POST-RIVOLUZIONARIA p. 295Canocchiale su…L’orizzonte storico-culturale 1914-1945 p. 295ROTTA A – IL NEOPOSITIVISMO p. 306VITE DI CAPITANI: SCHLICK, CARNAP, NEURATH, HAHN,REICHENBACH, POPPER p. 307TAPPA 1 –Il principio di verificabilità p. 308ROTTA B – IL FALSIFICAZIONISMO O RAZIONALISMO CRITICO p. 310VITA DI UN CAPITANO: KARL RAIMUND POPPER p. 310TAPPA 1 – Popper: Il principio di falsificabilità p. 311TAPPA 2 – Popper: Il principio di verosimiglianza p. 3135


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORESCOPERTALA REALTA’ COME COSTRUZIONE DELLA RAGIONE6


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREpeso economico e politico a favore <strong>del</strong>le nuove classi <strong>del</strong>la borghesia, <strong>del</strong> proletariatoagricolo (braccianti) e industriale (operai) e <strong>del</strong>la piccola borghesia o classe media.Le rivoluzioni atlanticheSe l’Inghilterra, che aveva già abbattuto l’assolutismo monarchico nel corso <strong>del</strong> XVIIsecolo, tra fine ‘700 e primo ‘800 fu teatro di una rivoluzione economico-sociale, inFrancia - dove la maggiore forza <strong>del</strong>l’assolutismo e <strong>del</strong>l’ancien régime avevano impedito erallentato lo sviluppo economico – si svolse invece la grande rivoluzione politicacominciata nel 1789.Più visibile e almeno apparentemente più violenta e radicale <strong>del</strong>la rivoluzione industriale,la rivoluzione francese fu l’evento storico che segnò la nuova generazione di intellettualieuropei che si formò culturalmente negli stessi anni. Essa aveva il suo precedente e il suomo<strong>del</strong>lo nella rivoluzione indipendentistica nordamericana nel 1776. A sua volta, die<strong>del</strong>’avvio a un ciclo rivoluzionario che si esaurì solo a metà <strong>del</strong>l’800 e che ebbe i suoi epicentrisia in Europa sia in America <strong>del</strong> Sud: in Europa nei moti <strong>del</strong> 1820 e <strong>del</strong> 1830 e nellerivoluzioni <strong>del</strong> 1848; in Sudamerica nelle rivoluzioni indipendentistiche che si svolsero inpiù fasi a partire dal 1808 fino alla metà degli anni ‘20 e che ebbero successo anche grazieall’appoggio degli USA.Il regime imperiale di Napoleone Bonaparte, nato sulle ceneri <strong>del</strong>la rivoluzione <strong>del</strong>l’89, nepropagò l’onda rivoluzionaria, in quanto da un lato consolidò all’interno <strong>del</strong>la Franciaalmeno alcune conquiste rivoluzionarie fondamentali, dall’altro le estese ai vasti territori<strong>del</strong>l’Europa continentale assoggettati dalle armate napoleoniche. In questo modo in tuttaEuropa i più retrivi vincoli feudali furono aboliti e si avviò un processo di modernizzazioneeconomica e giuridica, che - una volta terminate le guerre - favorì da un lato l’avvio<strong>del</strong>l’industrializzazione e dall’altro la ripresa dei movimenti rivoluzionari. L’imperialismonapoleonico, inoltre, stimolò per reazione la formazione di una nuova coscienza nazionalee la nascita di movimenti indipendentistici in tutti i paesi europei, preparando in tal modola nuova fase <strong>del</strong>le rivoluzioni atlantiche caratterizzata dalla fusione degli ideali liberali edi quelli nazionalistici.Il nuovo assetto geopolitico europeo stabilito al Congresso di Vienna e la costituzione <strong>del</strong>laSanta Alleanza riuscirono a ristabilire l’ancien régime solo a livello politico-istituzionale esolo temporaneamente. La cosiddetta età <strong>del</strong>la restaurazione fu pertanto solo un sottociclodi contenimento momentaneo <strong>del</strong> processo rivoluzionario che sconfitto nel nuovo sussulto<strong>del</strong> 1820 manderà in frantumi il nuovo ordine assolutistico con la nuova, vittoriosarivoluzione francese <strong>del</strong> 1830.La trasformazione <strong>del</strong> mondo culturaleLa rivoluzione industriale modificò radicalmente la sfera <strong>del</strong>la produzione e <strong>del</strong>la fruizioneculturale. In primo luogo, l’industrializzazione tecnica, gestionale e commerciale<strong>del</strong>l’editoria unita all’aumento <strong>del</strong>la popolazione alfabetizzata diede avvio alla “rivoluzione<strong>del</strong> libro”, cioè all’abbassamento dei costi e alla diffusione di massa dei giornali, <strong>del</strong>leriviste e soprattutto dei libri. In secondo luogo, nacque e si affermò la tendenza a estenderee a riformare le istituzioni scolastiche per renderle adeguate alle esigenze <strong>del</strong>lo sviluppoindustriale. I mo<strong>del</strong>li di tale tendenza furono da un lato l’Ecole polytechnique fondata inFrancia nel 1795 e dall’altro la riforma <strong>del</strong>l’Università di Berlino nel 1810 ad opera diHumboldt. In entrambi i casi, si valorizzarono il nuovo sapere matematico-<strong>scienti</strong><strong>fico</strong> e lasua applicazione tecnica. In terzo luogo, la convergenza di questi due processi innescò laprogressiva laicizzazione e borghesizzazione <strong>del</strong> ceto intellettuale: mentre prima lamaggior parte degli intellettuali (insegnanti, giornalisti, scrittori, poeti, scienziati, artisti)faceva parte <strong>del</strong> clero o <strong>del</strong>l’aristocrazia ora è di estrazione soprattutto medio e piccoloborghese. In questo modo a una concezione <strong>del</strong>l’intelligenza come dote innata <strong>del</strong>le classi8


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREsuperiore si sostituisce quella <strong>del</strong>l’intelligenza come merito e talento proprio di unindividuo indipendentemente dalla sua nascita. Su questa base, inoltre, la cultura diventaper il piccolo borghese uno strumento di ascesa economico-sociale.Lo sviluppo <strong>del</strong>le scienzeAnche se una piena integrazione tra scienza, tecnica e industria si realizzò solo alla fine<strong>del</strong>l’800, già a partire dall’inizio <strong>del</strong> secolo il progresso tecnico e <strong>scienti</strong><strong>fico</strong> fece un salto diqualità grazie al rapporto di interazione con lo sviluppo industriale: da un lato l’industriapiù cresceva più aveva bisogno di fondare i processi produttivi su solide basi teoriche e dirinnovare continuamente la propria tecnologia, dando in questo modo impulso alla ricerca<strong>scienti</strong>fica; dall’altro quest’ultima si estendeva e si approfondiva utilizzando i nuovistrumenti di ricerca e sperimentazione messi a disposizione dallo sviluppo tecnico<strong>del</strong>l’industria.Emblematica, da questo punto di vista, l’istituzione per iniziativa <strong>del</strong>lo scienziatoimprenditoretedesco Liebig <strong>del</strong> primo laboratorio di chimica, nel quale fu utilizzato ilcosiddetto “sistema di Giessen”, cioè il primo metodo di collaborazione collettiva applicataalla ricerca <strong>scienti</strong>fica, destinato a diffondersi in breve in tutti i paesi <strong>scienti</strong>ficamenteavanzati.Grazie anche a questo nuovo rapporto tra industria e scienza, il paradigma materialisticomeccanicistico- elaborato nel ‘600 da Galilei e Newton e rafforzato nel ‘700 dai <strong>filoso</strong>fi edagli scienziati illuministi – toccò il suo apogeo. Esso infatti trovò nuove clamoroseconferme nell’avanzare <strong>del</strong>la ricerca fisico-meccanica e contemporaneamente travalicòl’ambito <strong>del</strong>la fisica meccanica dando origine a nuove discipline <strong>scienti</strong>fiche specialistichequali la chimica e l’elettrodinamica. In astrofisica, Laplace perfezionò la teoria newtonianae in base ad essa nel 1796 elaborò una teoria meccanicistica <strong>del</strong>l’origine e <strong>del</strong>la formazione<strong>del</strong> sistema solare, giungendo poi a sostenere la possibilità di principio di determinareesattamente tutta la catena degli eventi <strong>del</strong>l’universo sia nella direzione <strong>del</strong> passato sia inquella <strong>del</strong> futuro. In campo chimico, il settore d’avanguardia <strong>del</strong>la ricerca <strong>scienti</strong>ficanell’800, di fondamentale importanza furono le prime conferme sperimentali <strong>del</strong>lastruttura atomica <strong>del</strong>la materia, dovute a Proust, Dalton e Avogadro.Contemporaneamente, grazie a Galvani, Volta, Ampère e Faraday, furono scoperte leproprietà e le leggi <strong>del</strong>l’energia elettrica e, poco dopo, fu teorizzata e realizzata l’induzioneelettro-magnetica che avrebbe portato in seguito all’invenzione <strong>del</strong>la dinamo.Il romanticismoIl movimento culturale che diede la sua impronta al passaggio dal ‘700 all’800 fu ilromanticismo. Esso nacque alla fine <strong>del</strong> ‘700 in aperta polemica con la cultura illuminista,ormai associata all’imperialismo napoleonico, e in stretto collegamento con le istanze diindipendenza nazionali degli altri paesi europei, in particolare <strong>del</strong>la Germania. Mentrel’illuminismo aveva prodotto una cultura <strong>del</strong> finito, il romanticismo elaboròprogrammaticamente una cultura <strong>del</strong>l’infinito. L’intellettuale romantico credeva infatti chela realtà nascondesse nelle sue profondità un principio unitario assoluto e infinito econcepiva vita come uno sforzo incessante (streben) per scoprire e raggiungere taleprincipio. Ma l’infinito per sua natura non è né dato oggettivamente ai sensi nérazionalmente determinabile. Pertanto il romanticismo contrappose alla ragione empiristadegli illuministi la ragione speculativa, l’intuizione artistica e la fede; al comportamentolucido e razionale il coinvolgimento passionale; alla scienza la metafisica; all’enfatizzazione<strong>del</strong> progresso futuro la valorizzazione <strong>del</strong> passato storico in tutte le sue epoche; alla critica<strong>del</strong>la tradizione la sua riabilitazione mediata da una sua reintepretazione attuale einnovativa. Ma, nonostante il ricorso a strumenti conoscitivi alternativi alla razionalitàempirica, i romantici consideravano il rapporto con l’infinito costitutivamente9


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREproblematico. L’infinito era comunque per loro qualcosa di sfuggente e l’unica autenticarelazione con esso era individuata nella cosiddetta Sehnsucht, cioè in un desideraresofferto e ossessivo perché mai soddisfatto e intrinsecamente irrealizzabile. In questosenso il comune denominatore <strong>del</strong> romanticismo è una sensibilità soggettiva esasperata eirrequieta in continua oscillazione tra raggiungimento e perdita <strong>del</strong>l’infinito. Taleoscillazione è la ragione e la matrice <strong>del</strong> carattere intrinsecamente ambiguo, se noncontraddittorio, <strong>del</strong>la cultura romantica che si manifestò nell’esaltazione e nelladegradazione <strong>del</strong>l’uomo, nella solarità e nella tenebrosità, nel solipsismo e nelcollettivismo, nel nazionalismo rivoluzionario e nel nazionalismo conservatore oaddirittura reazionario, nell’elaborazione di nuove forme, panteistiche ed eretiche, direligiosità e nella esaltazione <strong>del</strong> cristianesimo tradizionalistico.In ambito letterario, gli atti di nascita <strong>del</strong> romanticismo furono la fondazione nel 1798 <strong>del</strong>larivista Athenaeum in Germania per iniziativa <strong>del</strong> cosiddetto “circolo di Jena” e lacontemporanea pubblicazione in Inghilterra <strong>del</strong>le Lyrical Ballads di Wordsworth eColeridge. La produzione romantica di romanzi e drammi si articolò in vari filoni: quellostorico-nazionale, con Scott (Ivanhoe, 1820), Hugo (Cromwell, 1827), Manzoni (A<strong>del</strong>chi,1822; I promessi sposi, 1827); quello <strong>del</strong> Bildungsroman, cioè romanzo di formazione, conNovalis (I discepoli di Sais, 1798; Heinrich von Ofterdingen,1799-1801) e Hölderlin(Iperione o l’eremita in Grecia, 1797-99); quello gotico, basato su storie fantastiche,misteriose e truculente, con Walpole (Il castello di Otranto, 1764), Scott (La sposa diLammermoor, 1818), Hugo (Notre-Dame de Paris, 1831) e M. Shelley (Frankestein ovveroil moderno Prometeo, 1818); quello amoroso-sentimentale con Laclos (Le relazionipericolose, 1782), Bernardine de Saint-Pierre (Paolo e Virginia, 1787), Kleist (Penthesilea,1808). Ugualmente vasta fu la produzione poetica romantica, legata, oltre ai già citatiWordsworth e Coleridge, agli inglesi Blake, P.B. Shelley, Keats, agli italiani Foscolo,Manzoni e soprattutto Leopardi, ai tedeschi Novalis e Hölderlin, al francese Hugo. Un casoa parte è rappresentato dal poeta inglese Byron, forse il romantico più famoso, il quale conla sua opera e soprattutto la sua vita vagabonda, irrequieta e avventurosa assurse aprototipo <strong>del</strong> romantico stesso, tanto che byronismo diventò sinonimo di romanticismo.Nella pittura, il romanticismo emerse come alternativa al neoclassicismo, in nome<strong>del</strong>l’esigenza di rappresentazione <strong>del</strong>l’infinito, che si poneva in aperta contraddizione siacon i canoni classici <strong>del</strong>la misura e <strong>del</strong>la simmetria sia con la poetica realistica<strong>del</strong>l’imitazione <strong>del</strong>la natura. In questo senso i pittori romantici preferirono al “bello” il“sublime”, così come teorizzato da Kant, cioè privilegiarono l’immenso, lo sproporzionato,l’abnorme, il catastro<strong>fico</strong>, e concepirono la rappresentazione come visione soggettivistica equindi trasfigurazione <strong>del</strong>la realtà. Per quanto riguarda i soggetti, i pittori romanticiseguirono le orme dei romanzieri e dei poeti. Alcuni - come Constable, Turner, Friedrich(Viandante sul mare di nebbia, 1818), Michel - privilegiarono i paesaggi naturali; altri -come il David di La morte di Marat (1793), Goya (Le fucilazioni, 1814), Géricault (Lazattera <strong>del</strong>la Medusa, 1818), Delacroix (La libertà guida il popolo, 1830) la realtà storica;altri ancora – come Füssli (L’incubo, 1871), Blake (Pietà, 1795), Goya (Fantastica visione,1819) - il gotico, il fantastico, il misterioso o l’esotico.Anche in musica il romanticismo si manifesta nel soggettivismo e nel superamento <strong>del</strong>latradizione classica attraverso l’introduzione di forme libere come il notturno, il preludio, laballata, oppure nella nuova interpretazione di forme canoniche quali il melodrammaitaliano (Bellini, Donizetti) e il Lied tedesco (Schumann). In particolare nella musicastrumentale il romanticismo si esprime in una tendenza descrittiva o a programma che dàluogo alla sinfonia programmatica o al poema sinfonico (Beethoven, Weber).Tutte queste manifestazioni artistico-culturali <strong>del</strong> romanticismo hanno in comune il rifiuto<strong>del</strong>la nuova concezione <strong>scienti</strong>fica materialistico-meccanicistica <strong>del</strong>la natura cui10


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREcontrappongono una visione <strong>del</strong>la natura come un’entità organica, vitale, autorganizzata eautodiretta, fino a giungere alla sua identificazione panteistica con l’infinito divino.11


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREMessaggio nella bottigliaL'illuminismo è l'uscita <strong>del</strong>l'uomo dallo stato di minorità che eglideve imputare a se stesso. Minorità è l'incapacità di valersi <strong>del</strong>proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stessoè questa minorità se la causa di essa non dipende da difetto diintelligenza, ma dalla mancanza di decisione e <strong>del</strong> coraggio di faruso <strong>del</strong> proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapereaude! Abbi il coraggio di servirti <strong>del</strong>la tua propria intelligenza! E'questo il motto <strong>del</strong>l'illuminismo.La pigrizia e la viltà sono le cause per cui tanta parte degli uomini,dopo che la natura li ha da lungo tempo fatti liberi da direzioneestranea (naturaliter maiorennes), rimangono ciò nondimenovolentieri per l'intera vita minorenni, per cui riesce facile agli altrierigersi a loro tutori. Ed è così comodo essere minorenni! Se io houn libro che pensa per me, se ho un direttore spirituale che hacoscienza per me, se ho un medico che decide per me sul regimeche mi conviene ecc., io non ho più bisogno di darmi <strong>pensiero</strong> dime. Non ho bisogno di pensare, purché possa solo pagare: altri siassumeranno per me questa noiosa occupazione. A persuadere lagrande maggioranza degli uomini (e con essi tutto il bel sesso) cheil passaggio allo stato di maggiorità è difficile e anche pericoloso,provvedono già quei tutori che si sono assunti con tantabenevolenza l'alta sorveglianza sopra i loro simili minorenni.Dopo averli in un primo tempo istupiditi come fossero animalidomestici e avere con ogni cura impedito che queste pacifichecreature osassero muovere un passo fuori <strong>del</strong>la carrozzella dabambini in cui li hanno imprigionati, in un secondo tempomostrano ad essi il pericolo che li minaccia qualora cercassero dicamminare da soli. Ora questo pericolo non è poi così grande comeloro si fa credere, poiché, a prezzo di qualche caduta, essiimparerebbero finalmente a camminare: ma un esempio di questogenere li rende paurosi e li distoglie per lo più da ogni ulterioretentativo.E' dunque difficile per ogni singolo uomo lavorare per uscire dallaminorità, che è diventata per lui una seconda natura. Egli è perfinoarrivato ad amarla e per il momento è realmente incapace divalersi <strong>del</strong> suo proprio intelletto, non avendolo mai messo allaprova. Regole e formule, questi strumenti meccanici di usorazionale, o piuttosto di un abuso <strong>del</strong>le sue disposizioni naturali,sono i ceppi di una eterna minorità. Anche chi riuscisse asciogliersi da esse, non farebbe che un salto malsicuro sia pure12


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREsopra i più angusti fossati, poiché egli non avrebbe l'abitudine asiffatti liberi movimenti. Quindi solo a pochi è capitato conl'educazione <strong>del</strong> proprio spirito di sciogliersi dalla minorità ecamminare poi con passo più sicuro.Al contrario, che un pubblico si illumini da sé è ben possibile e, segli si lascia la libertà, è quasi inevitabile. Poiché in tal caso sitroveranno sempre tra i tutori ufficiali <strong>del</strong>la gran folla alcuni liberipensatori che, dopo aver scosso da sé il giogo <strong>del</strong>la tutela,diffonderanno intorno il sentimento <strong>del</strong>la stima razionale <strong>del</strong>proprio valore e <strong>del</strong>la vocazione di ogni uomo a pensare da sé. [...]Immanuel Kant, Risposta alla domanda: che cos'è l'illuminismo?,in Scritti politici, Utet 195613


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREVIAGGIOLA COSTRUZIONE RAZIONALE DELLA REALTA’ UMANAROTTAIL CRITICISMO, O RAZIONALISMO CRITICOLa <strong>filoso</strong>fia di Immanuel Kant rappresenta il culmine <strong>del</strong>la cultura illuministica e, al tempostesso, il suo oltrepassamento. Per la profondità, la vastità e l’originalità <strong>del</strong> suo <strong>pensiero</strong>,infatti, Kant è uno dei grandi <strong>del</strong>la storia <strong>del</strong> <strong>pensiero</strong>, ovvero un <strong>filoso</strong>fo <strong>del</strong>la svolta, uno diquei <strong>filoso</strong>fi capaci di sintetizzare e portare a compimento l’elaborazione culturale di un’epocaintera e, in tal modo, di aprire un nuovo orizzonte alla ricerca <strong>filoso</strong>fica e <strong>scienti</strong>fica.Il Criticismo, o Razionalismo critico – queste le denominazioni tradizionali <strong>del</strong> <strong>pensiero</strong>kantiano -, affonda le sue radici nella rivoluzione <strong>scienti</strong>fica moderna, di cui l’Illuminismo siera fatto interprete, potenziatore e divulgatore, e nella pratica <strong>scienti</strong>fica che da essa si erasviluppata. Kant estrae e distilla l’essenza <strong>filoso</strong>fica <strong>del</strong>la scienza moderna <strong>del</strong>ineando unanuova immagine <strong>del</strong>la ragione quale fondamento unico, benché limitato, <strong>del</strong>la veritàconoscitiva, <strong>del</strong> bene morale e <strong>del</strong>la bellezza naturale e artistica. In questo modo Kant attua untriplice ribaltamento <strong>del</strong> rapporto tradizionale tra principi assoluti e ragione umana, ovverotra razionalità oggettiva e razionalità soggettiva: quest’ultima non è più per lui mera ricezionee riproduzione <strong>del</strong>la prima, bensì la sua matrice originaria.A livello conoscitivo, Kant sostiene che la conoscenza non consiste in una riproduzione fe<strong>del</strong>e<strong>del</strong>la realtà, ma nel suo ordinamento basato su un’operazione di unificazione. Pertanto, ilcriterio <strong>del</strong>la verità <strong>del</strong>la conoscenza non è la realtà oggettiva ma un’attività <strong>del</strong>la ragioneumana. Analogamente, sul piano morale, non è il principio oggettivo e assoluto <strong>del</strong> bene chefonda le regole morali, bensì è la legge morale insita nella ragione umana che stabilisce cosa èbene e cosa male. Infine, per ciò che attiene alla sfera estetica, la bellezza non è una proprietà<strong>del</strong>la natura, ma un criterio <strong>del</strong>la razionalità umana che sentiamo l’esigenza di proiettaresugli oggetti naturali.Questa riduzione dei principi oggettivi alla ragione umana non ha però nulla a che vedere conil tradizionale relativismo scettico o scetticheggiante. I nuovi principi soggettivi proposti daKant, infatti, sono universali e necessari, cioè validi per tutti gli uomini e unici, dunqueinvarianti e cogenti. In questo senso, teorizzando una razionalità soggettiva Kant non ricadenel vecchio soggettivismo, ma istituisce una nuova forma di oggettività, l’unica possibilesecondo lui. Si tratta, per usare un ossimoro, di un’oggettività soggettiva: soggettiva in quantocostruita dalla ragione umana, ma pur sempre oggettività in quanto la ragione umana è uninsieme di funzioni mentali che sono presenti e si attivano in modo identico in tutti gli uomini.D’altra parte, proprio perché soggettiva in questa diversa accezione, la nuova oggettivitàkantiana è necessariamente finita, limitata. La ragione infatti può e deve ordinare la realtà inbase ai suoi criteri, ma non è la realtà, bensì solo un suo aspetto. Essa dunque deve accettaredi non poter conoscere cosa sia la realtà in sé, cioè la realtà nella sua essenza e nella suatotalità; di non riuscire a praticare sempre la legge morale che pure ha in sé; di non poterconseguire la certezza che la natura possegga quell’armonia e quel finalismo, e dunque quelsenso, che essa sente debba possedere quando prova il piacere <strong>del</strong>la bellezza.Se, in questa prospettiva, Kant sancisce la fine <strong>del</strong>la metafisica tradizionale, egli la rimpiazzaperò con una nuova metafisica di stampo morale. E’ infatti la legge morale che fonda per Kantsia la libertà, sia l’immortalità sia l’esistenza di Dio, che però in tal modo non sono veritàteoretico-<strong>scienti</strong>fiche, ma solo pratico-morali. Ne consegue che la stessa religione, e quindi unachiesa, secondo Kant, può fondarsi esclusivamente sulla legge morale, cioè che la fedeautentica può e deve essere vissuta “nei limiti <strong>del</strong>la sola ragione”.14


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREVITA DI UN CAPITANOIMMANUEL KANTKant nacque nel 1724 a Königsberg, allora città baltica <strong>del</strong>la Prussia orientale, oggi Kaliningrad,appartenente alla Russia. Il padre era un artigiano produttore di selle, la madre, casalinga eseguace <strong>del</strong> pietismo, un movimento religioso luterano fondamentalista che si contrapponeva al<strong>pensiero</strong> illuministico. Dopo aver ricevuto una pesante istruzione di tipo tradizionale, incentratasulla religione e sul latino, nel 1740 Kant entrò all’università e venne a conoscenza <strong>del</strong>l’opera diNewton, al cui studio si appassionò, nella cornice di un più generale interesse per le scienzenaturali. Primi frutti <strong>del</strong>la sua formazione <strong>scienti</strong>fica universitaria furono il saggio Pensieri sullavera valutazione <strong>del</strong>le forze vive (1747), in cui diede il suo contributo alla disputa <strong>scienti</strong>fica sulcalcolo <strong>del</strong>l’energia cinetica, e soprattutto Storia universale <strong>del</strong>la natura e teoria <strong>del</strong> cielo(1755), in cui espose la sua teoria <strong>del</strong>la genesi <strong>del</strong>l’universo a partire da un nebulosa originaria inbase all’azione <strong>del</strong>le forze di attrazione e repulsione, dimostrando così la sua adesione al nuovoparadigma meccanicistico nato dalla rivoluzione <strong>scienti</strong>fica moderna. Negli anni compresi tra lepubblicazioni di queste prime due opere, Kant lavorò come precettore, ma continuò i suoi studi<strong>scienti</strong>fici leggendo ancora Newton, ma anche il <strong>filoso</strong>fo <strong>del</strong>la natura Buffon, illuministafrancese, il matematico svizzero Eulero, il fisico olandese Huygens.Nel 1755 Kant ottenne il dottorato e il titolo di magister, cioè di libero docente, che gliconsentiva di tenere corsi universitari pagati privatamente dagli studenti. Da allora non smise diinsegnare fino agli ultimi anni <strong>del</strong>la sua vita. Il suo studio personale non si interruppe, ma sirivolse inizialmente ai <strong>filoso</strong>fi tedeschi più recenti, in particolare Leibniz e al suo epigono Wolff,<strong>del</strong>le cui <strong>filoso</strong>fie Kant propose una versione <strong>scienti</strong><strong>fico</strong>-materialistica in Nova <strong>del</strong>ucidatio(1755) e Monadologia physica (1756), opere che testimoniano l’emergere <strong>del</strong> Leit-motiv <strong>del</strong>la<strong>filoso</strong>fia kantiana: l’integrazione tra <strong>filoso</strong>fia e scienza moderna. Nel 1758 partecipò a unconcorso per ottenere una carica universitaria, ma gli venne preferito un altro, destinato arimanere sconosciuto. Sempre in quegli anni, Kant lesse anche Rousseau, che giudicò il Newton<strong>del</strong>la realtà storico-sociale umana, e gli empiristi inglesi, dai quali mutuò la distinzione tra ilpiano <strong>del</strong>la logica e il piano <strong>del</strong>la realtà, ovvero la tesi <strong>del</strong>l’indeducibilità <strong>del</strong>la realtà da principirazionali, alla base degli scritti Tentativo per introdurre nella <strong>filoso</strong>fia il concetto <strong>del</strong>le quantitànegative (1763) e L’unico argomento possibile per una dimostrazione <strong>del</strong>l’esistenza di Dio(1763). In quest’ultima opera, in particolare, Kant affermò che l’esistenza di qualcosa, Diocompreso, non è un predicato, e quindi non è logicamente deducibile, bensì è “una posizioneassoluta”, cioè un dato ricavabile solo dall’esperienza sensibile. Ancora nel 1763, Kant pubblicòRicerca sulla chiarezza dei principi <strong>del</strong>la teologia naturale e <strong>del</strong>la morale, interessantedocumento sia <strong>del</strong>l’allargamento <strong>del</strong> suo interesse alla problematica morale sia <strong>del</strong>la suamomentanea adesione alla teoria <strong>del</strong> sentimento morale dei moralisti inglesi Shaftesbury eHutcheson.A partire dal 1762 Kant cominciò a leggere la Ricerca sull’intelletto umano (1748) di Hume,opera tradotta in tedesco nel 1755. In seguito lo stesso Kant avrebbe lasciato scritto che la letturadi Hume l’aveva “svegliato dal sonno dogmatico”, ossia aveva messo in dubbio i retaggitradizionalistici e i residui metafisici <strong>del</strong>la sua formazione, dando il via a quella lunga fase diproblematizzazione e riorientamento <strong>del</strong> suo <strong>pensiero</strong> che lo avrebbe poi portato all’ideazione,negli anni ’70, <strong>del</strong>la sua nuova <strong>filoso</strong>fia. Un primo prodotto <strong>del</strong> “risveglio” antimetafisico di Kantfu l’opera I sogni di un visionario chiariti con i sogni <strong>del</strong>la metafisica (1766), in cui le teoriemetafisiche sono demolite in quanto “sogni”, ovvero “castelli per aria”, cioè mere invenzioniindividuali dovute all’abbandono <strong>del</strong>la guida <strong>del</strong>l’esperienza.Nel 1766, per aumentare le sue entrate, Kant accettò anche un impiego come vicebibliotecario.Solo nel 1770, a 46 anni, Kant ottenne la nomina a professore universitario di logica e metafisicain base al saggio De mundi sensibilis atque intelligibilis forma et principiis, in cui sostiene lanetta distinzione tra conoscenza sensibile, rappresentazione <strong>del</strong>le cose come appaiono(“fenomeni”), e conoscenza razionale, rappresentazione <strong>del</strong>le cose come sono (“noumeni”), ma15


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREsoprattutto introduce la concezione <strong>del</strong>lo spazio e <strong>del</strong> tempo come forme a priori (cioè anteriorialla e indipendenti dalla esperienza) <strong>del</strong>la sensibilità umana. Grazie alla carica di professoreuniversitario, Kant poté contare su uno stipendio fisso e dedicare più tempo alla sua personalericerca <strong>filoso</strong>fica. E infatti nel successivo decennio giunse progressivamente a trovare unasoluzione ai problemi suscitatigli dalla lettura di Hume, cioè a elaborare la sua nuovaprospettiva <strong>filoso</strong>fica: il criticismo o razionalismo critico. Nel 1781 Kant ne pose la prima pietrapubblicando la prima edizione di La critica <strong>del</strong>la ragione pura, cui seguirono la sua secondaedizione (1787), con importanti rimaneggiamenti, La critica <strong>del</strong>la ragione pratica (1788) e laCritica <strong>del</strong> Giudizio (1790), che costituiscono il trittico fondamentale <strong>del</strong> criticismo kantiano.Ma durante e dopo la sua pubblicazione, Kant scrisse e pubblicò molte altre opere, alcuneintegrative alle tre Critiche – Prolegomeni a ogni metafisica futura che vorrà presentarsi comescienza (1783), Fondazione <strong>del</strong>la metafisica dei costumi (1785), Principi metafisici <strong>del</strong>la natura(1786), Metafisica dei costumi (1797) -, altre ampliative, come Idea di una storia universale dalpunto di vista cosmopolitico (1784) e Congetture sull’origine <strong>del</strong>la storia (1786), che <strong>del</strong>ineanola <strong>filoso</strong>fia <strong>del</strong>la storia di Kant; Per la pace perpetua (1795), esposizione <strong>del</strong>la visione politicakantiana; La religione nei limiti <strong>del</strong>la sola ragione (1793), che illustra la <strong>filoso</strong>fia kantiana <strong>del</strong>lareligione morale e <strong>del</strong>la chiesa invisibile. A questi libri, vanno aggiunti alcuni saggirelativamente brevi, su argomenti vari: Risposta alla domanda: Che cos’è l’Illuminismo? (1784),in cui Kant esplicita il senso storico-sociale <strong>del</strong>la sua <strong>filoso</strong>fia illuministica, Che cosa significaorientarsi nel <strong>pensiero</strong>? (1786), Sopra il detto comune: Questo può essere giusto in teoria, manon vale per la pratica (1793).Kant non si sposò mai e dedicò tutta la sua vita alla ricerca <strong>filoso</strong>fica, animato dalla convinzionedi dover essere l’artefice di una grande rivoluzione nella storia <strong>del</strong> <strong>pensiero</strong> umano. Per attuarequesta sorta di missione <strong>filoso</strong>fica, Kant si impose una ferrea disciplina in base alla quale sisvegliava alle cinque, andava a letto alle dieci di sera e scandiva la sua giornata in lunghi tempidi lavoro, divisi tra lettura e scrittura, intervallati da due pause per il pranzo con gli amici e lapasseggiata pomeridiana. Nel suo ascetismo <strong>filoso</strong><strong>fico</strong> e più in generale nell’organizzazione <strong>del</strong>lasua vita quotidiana, Kant era però aiutato dal maggiordomo Lampe, ex militare sposato, cheaveva l’ordine di tirarlo giù dal letto e di non dare ascolto alle sue proteste. Con Lampe Kantconvisse dal 1762 al 1802 quando Kant licenziò Lampe, per un motivo che non volle rivelare, glipagò la pensione fino alla morte e soprattutto pose sulla sua scrivania un foglietto su cui avevascritto: “Dimentica Lampe!”, sintomo <strong>del</strong> profondo affetto che lo legava al suo servitore nonchéconvivente. Questo affetto, il rifiuto <strong>del</strong> matrimonio e le frequentazioni unicamente maschili diKant sono indizi di una possibile omosessualità di Kant. Tuttavia, ammesso che Kant fosseomosessuale, gli altri elementi <strong>del</strong>la sua biografia in nostro possesso inducono a pensare che lasua fosse un’omosessualità latente e in ogni caso platonica. Più sicuro è infatti ritenere che Kantabbia sempre compresso la sua sessualità ed evitato coinvolgimenti affettivi profondi ecoinvolgenti, anche a livello di semplice amicizia. Salvo qualche eccezione, la maggiore quella diLampe.La cronometrica programmazione <strong>del</strong>la giornata di Kant fu l’origine <strong>del</strong>l’aneddoto secondo cuigli abitanti di Königsberg lo consideravano una specie di orologio vivente, regolandosi in base aisuoi spostamenti. Ci è stato anche tramandato che solo una volta Kant non rispettò gli orariconsueti, un giorno <strong>del</strong> 1789, quando uscì di casa prima <strong>del</strong> solito per avere notizie <strong>del</strong>lo scoppio<strong>del</strong>la rivoluzione francese. Questo secondo aneddoto è rivelativo <strong>del</strong>l’interesse e forse persino<strong>del</strong>l’entusiasmo con il quale Kant accolse e seguì quell’evento epocale, salvo poi esternare la sua<strong>del</strong>usione e il suo rigetto non appena diede vita a episodi di sanguinaria violenza.Coerentemente con il suo mo<strong>del</strong>lo di vita, Kant non si allontanò mai dalla sua città natale, né perviaggiare – convinto che la conoscenza si potesse acquisire anche senza viaggi – né per farecarriera, tanto che nel 1778 rifiutò l’offerta di una cattedra all’Università di Halle, che gli avrebbeprocurato uno stipendio triplo e un maggiore prestigio accademico.16


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREGli ultimi anni <strong>del</strong>la vita di Kant furono gravati dal progressivo peggioramento <strong>del</strong>la sua salute edallo scontro con il nuovo re di Prussia, l’antilluminista e conservatore Federico Guglielmo II,successore <strong>del</strong> re-<strong>filoso</strong>fo Federico il Grande, morto nel 1786, che Kant aveva consideratomo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong> sovrano “illuminato”. Il casus belli fu la pubblicazione nel 1793 di La religione neilimiti <strong>del</strong>la sola ragione, in seguito alla quale Federico Guglielmo II accusò Kant ditravisamento <strong>del</strong> cristianesimo e gli intimò di non scrivere più di religione. Kant si difese dalleaccuse ma accettò il diktat <strong>del</strong> re, in contrasto con quanto aveva asserito nel saggio Che cos’èl’Illuminismo?, ossia che era dovere <strong>del</strong> suddito obbedire al re in tutto salvo che nell’espressione<strong>del</strong> proprio <strong>pensiero</strong>. Nel 1796, a causa <strong>del</strong>la salute malferma, interruppe le sue lezioniuniversitarie. Nel 1798, pubblicò gli ultimi scritti: Il conflitto <strong>del</strong>le facoltà e Antropologiapragmatica. Amareggiato dal licenziamento di Lampe, quasi cieco e sempre più smemorato,Kant si spense nella sua casa di sempre nel 1804. L’orologio di Königsberg aveva smesso dibattere le ore. Ma il tempo non si fermò con lui.17


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 1KANT: LA “RIVOLUZIONE COPERNICANA”Quando Galilei fece rotolare giù da un piano inclinato le sue sfere, il cui pesoera stato da lui stesso stabilito, o quanto Torricelli sottopose l’aria ad un peso,che in precedenza egli aveva calcolato come eguale a una colonna d’acqua a luinota […]. Essi compresero che la ragione scorge soltanto ciò che essa stessaproduce secondo il suo disegno, e capirono che essa deve procedere innanzicon i principi dei suoi giudizi basati su stabili leggi e deve costringere lanatura a rispondere alle sue domande, senza lasciarsi guidare da essa sola,per così dire con le dande. In caso contrario difatti le osservazioni casuali,fatte senza alcun piano tracciato in precedenza, non sono affatto tenuteassieme a una sola legge necessaria, mentre proprio questo è ciò che laragione cerca e di cui ha bisogno. Tenendo in mano i suoi principi, sulla cuisola base <strong>del</strong>le apparenze concordanti possono valere come leggi, e con l’altramano l’esperimento, che essa ha escogitato seguendo tali principi, la ragionedeve accostarsi alla natura, certo per venire ammaestrata da questa, non perònella qualità di uno scolaro che si fa suggerire tutto ciò che vuole il maestro,bensì nella qualità di un giudice investito <strong>del</strong>la sua carica, il quale costringe itestimoni a rispondere alle domande che egli propone loro.Prefazione alla II edizione <strong>del</strong>la Critica <strong>del</strong>la ragione pura,A<strong>del</strong>phi 1976, a cura di Giorgio Colli[…] essa [l’indifferenza dei <strong>filoso</strong>fi nei confronti <strong>del</strong> progresso <strong>scienti</strong><strong>fico</strong>,ndc] è inoltre un incitamento alla ragione perché assuma di nuovo la piùgravosa di tutte le sue incombenze, ossia quella <strong>del</strong>la conoscenza di sé, eperché istituisca un tribunale che la garantisca nelle sue giuste pretese, mapossa per contro sbrigarsi di tutte le pretese senza fondamento non mediantesentenze d’autorità, bensì in base alle sue eterne e immutabili leggi. E questotribunale non è altro se non proprio la critica <strong>del</strong>la ragione pura.Prefazione alla I edizione <strong>del</strong>la Critica <strong>del</strong>la ragione pura, ed. cit.La situazione al riguardo [<strong>del</strong>la teoria <strong>del</strong>la conoscenza, ndc] è la stessa che siè presentata con i primi pensieri di Copernico: costui, poiché la spiegazionedei movimenti celesti non procedeva in modo soddisfacente, sino a che eglisosteneva che tutto quanto l’ordinamento <strong>del</strong>le stelle ruotasse attorno allospettatore, cercò se la cosa non potesse riuscire meglio quando egli facesseruotare lo spettatore e facesse per contro star ferme le stelle. Nella metafisica,orbene, si può fare un analogo tentativo, per quanto riguarda l’intuizionedegli oggetti. Se l’intuizione dovesse conformarsi alla struttura degli oggetti,io non riesco allora a vedere come di essa si potrebbe sapere qualcosa apriori; ma se l’oggetto (in quanto oggetto dei sensi) si conforma alla struttura<strong>del</strong>la nostra facoltà di intuizione, io posso allora rappresentarmi benissimoquesta possibilità.Prefazione alla II edizione <strong>del</strong>la Critica <strong>del</strong>la ragione pura, ed. cit.Il fattore decisivo <strong>del</strong>la creatività di Kant è la contaminazione reciproca dei suoi studi<strong>filoso</strong>fici, dei suoi studi <strong>scienti</strong>fici e <strong>del</strong>la sua attività pratica di scienziato, seppur part time.In particolare, il germe <strong>del</strong>la “rivoluzione copernicana” si può ravvisare nella praticasperimentale, che stimola Kant a elaborare una propria originale interpretazione <strong>filoso</strong>fica18


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORE<strong>del</strong>l’esperimento. Secondo Kant, la pratica sperimentale, cioè l’esperienza razionalmenteprogettata e tecnicamente realizzata in laboratorio, presuppone che lo scienziato abbiaformulato una teoria a priori, cioè indipendente dall’esperienza. L’ideazione e larealizzazione <strong>del</strong>l’esperimento sono dunque sempre orientate e incanalate dalla teoriapuramente razionale e, di conseguenza, se l’esperimento è favorevole, lo scienziato trovanella natura “quello che egli stesso vi ha posto secondo il proprio disegno”.Per comprendere bene il senso <strong>del</strong>la posizione di Kant, va evidenziato che egli afferma chela scoperta <strong>scienti</strong>fica non riguarda le singole cose o le singole loro proprietà sensibili (p.e.che la ruggine sia rossastra) ma le relazioni tra cose e tra proprietà (p.e. la formula chimica<strong>del</strong>l’ossidazione <strong>del</strong> ferro); in altre parole la scoperta <strong>scienti</strong>fica ha come oggetto le “leggi”,ossia l’ordine/organizzazione razionale, <strong>del</strong>la natura. Tali leggi non possono che essere“universali”, cioè le medesime in ogni tempo e in ogni luogo, e “necessarie”, cioè per forzaunivoche, solo così e mai diversamente da così. In caso contrario non sarebbero leggi.Ma se le cose stanno in questo modo, lo scienziato non potrebbe mai scoprire le leggi <strong>del</strong>lanatura se si limitasse a osservare passivamente la natura, a recepire ciò che essa stessaspontaneamente mostra, come fosse uno scolaro <strong>del</strong>le elementari che ascolta le parole <strong>del</strong>maestro. Al contrario, afferma Kant, lo scienziato è come un Pm, un Pubblico ministero,cioè un giudice inquirente, che interroga un imputato in base a una precisa strategiarazionale mirata a fargli ammettere ciò che ha razionalmente ipotizzato che abbiacommesso. Fuor di metafora: lo scienziato deve sondare la natura in base a una teoria ecostringerla, con l’esperimento, a rivelare le sue leggi.Attenzione, però. Ciò non significa affatto che lo scienziato possa obbligare la natura arivelare qualsiasi legge, così come un Pm non può costringere un innocente ad ammetterela sua colpevolezza. Un Pm che lo facesse non sarebbe un abile Pm, ma un truffatore, tantoquanto uno scienziato che truccasse un esperimento per ottenere la conferma <strong>del</strong>la suateoria. Insomma, così come un imputato può essere innocente, e dunque in questo caso unPm è costretto ad ammettere che la sua ipotesi di colpevolezza, per quanto razionale, èsbagliata, allo stesso modo un esperimento può smentire una teoria e quindi costringereuno scienziato a scartarla e a cercarne un’altra.Dunque, se l’elaborazione di una teoria non implica affatto la scoperta sperimentale di unalegge <strong>del</strong>la natura, è vero però che ogni scoperta sperimentale di una legge <strong>del</strong>la naturaimplica l’elaborazione preventiva di una teoria. In altre parole: il lavoro a priori <strong>del</strong>loscienziato è condizione necessaria, benché non sufficiente, <strong>del</strong> suo successo sperimentale aposteriori.E’ in base a questa interpretazione <strong>del</strong>la nuova scienza sperimentale, cioè <strong>del</strong>la scienzagalileiano-newtoniana, che Kant si appella alla ragione perché compia una nuova impresa:la ragione stessa, cioè la mente umana nel suo insieme, è chiamata a riconsiderare sestessa, ad aggiornare la sua autoconoscenza, cioè a rifondare la <strong>filoso</strong>fia. La ragione, infatti,deve far propria la rivoluzione <strong>scienti</strong>fica moderna e, dietro la sua spinta, sottoporsi a unanuova indagine allo scopo di stabilire con maggiore rigore e consapevolezza le sue capacitàe insieme i loro limiti. Kant rappresenta, in questo senso, il climax, il punto culminante<strong>del</strong>l’Illuminismo: la ragione, dopo aver portato ogni aspetto <strong>del</strong>la realtà di fronte al suotribunale, ora deve portarci se stessa, sottoporre anche e soprattutto se stessa a unaspietata critica razionale.Questa autocritica <strong>del</strong>la ragione ha come esito un rovesciamento <strong>del</strong>la sua concezione,ovvero una rivoluzione <strong>filoso</strong>fica. Infatti, afferma Kant, essa giunge a comprendereinnanzitutto che il rapporto ragione/natura è l’opposto di quello che in passato si è semprecreduto. In questo senso, Kant annuncia che in <strong>filoso</strong>fia bisogna attuare una “rivoluzionecopernicana”. Per primo Kant usa l’espressione, che letteralmente indica la rivoluzioneattuata da Copernico in ambito astronomico, in senso metaforico, per significare unribaltamento totale <strong>del</strong> punto di vista su qualcosa. Poiché nella fattispecie Kant si riferisce19


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREalla ragione, egli dichiara così la sua pretesa di attuare in campo <strong>filoso</strong><strong>fico</strong> un cambiamento<strong>del</strong>la stessa portata di quello effettuato da Copernico in campo astronomico, quello cioèche aveva dato il la alla rivoluzione <strong>scienti</strong>fica.Così come Copernico aveva contestato che la Terra fosse ferma (= passiva) e il cielo inmovimento (= attivo) e sostenuto che è il cielo fermo (= passivo) e la Terra in moto (=attiva) rotatorio intorno al proprio asse; analogamente Kant nega che nell’attivitàconoscitiva la ragione umana (Terra) sia passiva (ferma) e la natura ( cielo) attiva(in moto) e dichiara, invece, che la ragione umana è attiva e la natura passiva. In questomodo, Kant vuol dire che non è vero, come avevano teorizzato i <strong>filoso</strong>fi <strong>del</strong> passato, checonoscere significa lasciare che la natura mo<strong>del</strong>li la nostra ragione, ovvero conformare lanostra mente alla natura; al contrario la conoscenza consiste in un mo<strong>del</strong>lamento attivo<strong>del</strong>la natura da parte <strong>del</strong>la ragione, ovvero nel conformare la natura ai criteri razionali<strong>del</strong>la nostra mente.Basta ricordare che Tommaso d’Aquino, sintetizzando una tradizione plurisecolare, avevadefinito la conoscenza “adaequatio intellectus ad rem” (assimilazione <strong>del</strong>la ragione allacosa), e che ancora Francis Bacon aveva sentenziato che “natura non nisi parendovincitur” (la natura non si vince se non adeguandosi ad essa) per misurare la portatarivoluzionaria <strong>del</strong>la tesi kantiana. Se prima di Kant la <strong>filoso</strong>fia avevano sostenuto, in modopressoché unanime, che fare scienza significa trovare la corrispondenza <strong>del</strong>la ragione allarealtà, ovvero riprodurre, rispecchiare, “fotocopiare” la realtà, Kant ora afferma che farescienza significa rielaborare la realtà, ovvero selezionarla, ordinarla, organizzarla. Esiccome i criteri <strong>del</strong>l’organizzazione non sono insiti nella natura ma sono propri <strong>del</strong>laragione umana, ecco spiegato perché fare scienza consiste nell’assimilare la natura allaragione, l’oggetto al soggetto, la realtà fisica alla realtà mentale.20


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREMAPPA <strong>del</strong>la TAPPA 1rivoluzione <strong>scienti</strong>fica modernametodo sperimentaleinterpretato da Kant comelo scienziato interroga la naturaattivamente in base a un’ipotesi teoricaperòinfattila scienza concernele relazioni tra lecose, cioè cercaleggi universali enecessariela teoria è condizione necessariama non sufficiente <strong>del</strong>lascoperta <strong>scienti</strong>ficanecessità di una nuova indagine critica e diuna nuova concezione <strong>del</strong>la ragione umanainfattiun esperimento hasuccesso solo se si basasu una teoria, che vienecosì convalidata; ma unesperimento può anchesmentire una teoria“RIVOLUZIONE COPERNICANA”,cioè necessità di un ribaltamento <strong>del</strong>lavisione <strong>filoso</strong>fica analogo alribaltamento <strong>del</strong>la visione astronomicaprodotto dall’eliocentrismoprima di Copernico, in astronomiasi credeva che la Terra fosse fermae le stelle si muovesseroallo stesso modoprima di Kant, per fare scienzasi credeva che la ragione umanadovesse lasciarsi mo<strong>del</strong>larepassivamente dalla naturacon Copernico, in astronomia sicapì che la Terra si muove e lestelle sono fermeallo stesso modocon Kant, si capì che per farescienza la ragione umanadoveva mo<strong>del</strong>lare attivamentela naturala conoscenza non consiste nel ricopiare la realtà naturale manell’unificare/ordinare la realtà naturale in base ai criteri <strong>del</strong>la ragione21


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 2KANT: LA CONOSCENZA SENSIBILEIn qualsiasi modo e con qualsiasi mezzo una conoscenza possa mai riferirsi aoggetti, certo il modo con cui essa si riferisce immediatamente agli oggetti […]è l’intuizione. Questa tuttavia si verifica solo in quanto l’oggetto ci venga dato;ma ciò a sua volta è possibile, almeno per noi uomini, soltanto per il fatto chel’oggetto modifichi in certo modo l’animo. La capacità di ricevererappresentazioni (recettività), attraverso il modo con cui noi siamo modificatidagli oggetti, si chiama sensibilità. Mediante la sensibilità, quindi, gli oggettici sono dati, ed essa sola ci fornisce intuizioni; attraverso l’intelletto, invece,gli oggetti vengono pensati, e da esso sorgono i concetti. Ogni <strong>pensiero</strong>,tuttavia, mediante certi contrassegni deve riferirsi in ultimo […] a intuizioni,e quindi, in noi, alla sensibilità, dato che in altro modo non può esserci datoalcun oggetto.L’effetto sulla capacità di rappresentazione, prodotto da un oggetto, in quantonoi siamo modificati da quest’ultimo, è la sensazione. Quell’intuizione, che siriferisce all’oggetto mediante una sensazione, si dice empirica. L’oggettoindeterminato di un’intuizione empirica si chiama apparenza.In un’apparenza, ciò che corrisponde alla sensazione, io lo chiamo materia ditale apparenza; ciò che, invece, fa sì che il molteplice <strong>del</strong>l’apparenza possavenir ordinato in certi rapporti, io lo chiamo la forma <strong>del</strong>l’apparenza. […] lamateria di ogni apparenza ci viene data, è vero, soltanto a posteriori, ma laforma di tali apparenze deve trovarsi pronta per tutte quante nell’animo, apriori, e deve quindi potersi considerare separata da ogni sensazione. […]Questa forma pura <strong>del</strong>la sensibilità si chiamerà inoltre essa stessa intuizionepura.[…] Una scienza di tutti i principi a priori <strong>del</strong>la sensibilità io la chiamoestetica trascendentale.Nel corso di questa indagine si troverà che sussistono, come principi <strong>del</strong>laconoscenza a priori, due forme pure <strong>del</strong>l’intuizione sensibile, cioè spazio etempo […].Kant, Critica <strong>del</strong>la ragione pura, § 1, edizione citataSeguendo un’impostazione classicamente aristotelica, Kant sostiene che la conoscenza è di2 tipi, ovvero che ha 2 stadi: 1) la conoscenza sensibile; 2) la conoscenza razionale.La conoscenza sensibile, pur non essendo sufficiente, è condicio sine qua non di quellarazionale. In parole semplici, è il punto di partenza indispensabile <strong>del</strong> camminoconoscitivo. A sua volta la conoscenza sensibile è una somma di “intuizioni sensibili (oempiriche)”, cioè di sensazioni. La sensazione è un’intuizione in quanto è l’atto conoscitivoimmediato, e dunque indubitabilmente veritiero, in cui e con cui la facoltà sensitiva cogliel’oggetto esterno. Per esempio, io poggio il palmo <strong>del</strong>la mano sul tavolo e sento “liscio”,oppure lo guardo e ne vedo il colore “marrone”. In questo modo Kant afferma chiaramenteche:a) la conoscenza ha un’origine empirica che rimanda all’esistenza incontrovertibile diun mondo fisico esterno alla nostra coscienza;b) l’esperienza sensibile è infallibile per ogni uomo fisiologicamente normale.Su questa base, però, Kant precisa che ogni intuizione sensibile è un composto indivisibiledi 2 elementi fondamentali:22


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORE1) la sua “materia”, cioè il suo contenuto propriamente empirico, ossiaproveniente dall’esterno;2) la sua “forma”, cioè la sua organizzazione, proveniente dall’interno, ossiadalla ragione umana.La materia consiste nella modificazione che la realtà fisica produce sulla nostra sensibilitànel momento in cui esse vengono in contatto. Ma la forma in cosa consiste? In che modo laragione organizza le modificazioni prodotte su di noi dagli oggetti fisici esterni a noi?Kant risponde che la forma consiste in un doppio ordinamento simultaneo:1. un ordinamento spaziale, ossia la collocazione <strong>del</strong>la materia <strong>del</strong>la sensazione in unluogo definito dalla sua relazione (vicino, lontano, in mezzo, a destra, a sinistra,sopra, sotto) con gli altri oggetti e i loro rispettivi luoghi, p.e. quel “liscio” sul bordodestro di questo tavolo che sta vicino alla finestra <strong>del</strong> salotto.2. un ordinamento temporale, ossia l’inserimento <strong>del</strong>la materia <strong>del</strong>la sensazione inuna successione cronologica, p.e. quel “liscio” dopo quel “leggero” <strong>del</strong>la penna cheavevo in mano e prima di quel “trillo” <strong>del</strong> cellulare che mi ha spinto ad afferrarlo.Secondo Kant, la forma <strong>del</strong>l’intuizione sensibile è altrettanto importante <strong>del</strong>la sua materia,cioè senza forma non potremmo conoscere sensibilmente, non avremmo alcunaconoscenza empirica. Infatti se non assegnassimo a ogni materia intuita un proprio luogo eun proprio momento, tutte le materie di tutte le sensazioni si sovrapporrebbero in ungroviglio caotico e pertanto inconoscibile.E’ solo dando forma, cioè ordinamento spazio-temporale, alle materie (o contenuti) <strong>del</strong>lesensazioni che possiamo distinguerle e quindi conoscerle. Ma se noi ordiniamo spaziotemporalmentele materie <strong>del</strong>le intuizioni sensibili vuol dire che la nostra ragione possiedea priori questi 2 fondamentali criteri di organizzazione, appunto lo spazio e il tempo.Spazio e tempo sono 2 intuizioni “pure”, cioè indipendenti dall’esperienza, che però siapplicano automaticamente all’esperienza rendendola effettivamente possibile.Kant afferma dunque che le 2 coordinate fondamentali <strong>del</strong>la scienza, lo spazio e il tempo,non sono oggettive, non appartengono cioè al mondo fisico esterno, ma sono criterid’ordinamento dei dati sensibili propri <strong>del</strong>la mente umana, ovvero, per dirlakantianamente, principi “trascendentali”: i modi, più unici che rari, in cui e con cui lasoggettività umana conosce la natura. Di qui la denominazione kantiana <strong>del</strong>lo studio <strong>del</strong>laconoscenza sensibile come “estetica trascendentale”: “estetica”, dal grecoaìsthesis=sensazione, sta per sensibilità; “trascendentale” indica i modi a priori o puri <strong>del</strong>lasensibilità, cioè il tempo e lo spazio.Più precisamente, Kant chiarisce che il tempo è la forma <strong>del</strong> senso interno, cioè <strong>del</strong>lanostra autocoscienza e dei nostri stati psichici (p.e. pensieri, ricordi, emozioni, ecc.); lospazio, la forma <strong>del</strong> senso esterno, cioè <strong>del</strong>le nostre sensazioni relative al mondo fisico.Poiché tutti i fenomeni esterni, nel momento in cui sono da noi conosciuti, si trasformanoin rappresentazioni interne, il tempo è definito da Kant come la “condizione formale apriori di tutte le apparenze in generale”, ossia possiede una priorità rispetto alla spazio.Benché queste forme a priori (o trascendentali) <strong>del</strong>la sensibilità, lo spazio e il tempoappunto, si applichino immediatamente e inconsapevolmente alla conoscenza sensibile, eper quanto l’intuizione sensibile non possa fare a meno di esse, secondo Kant la menteumana può fare un uso consapevole <strong>del</strong>lo spazio e <strong>del</strong> tempo al di fuori <strong>del</strong>la loroapplicazione immediata all’esperienza. Noi possiamo, infatti, intuire direttamente lo spazioe il tempo come tali, cioè come intuizioni pure, e rielaborarle, scomponendole nei loroelementi primi e ricomponendole in modo ordinato. La matematica nasce proprio daquesta intuizione ed elaborazione diretta. Più precisamente:1) l’aritmetica è una rielaborazione mentale <strong>del</strong> tempo, cioè un’esplicitazione <strong>del</strong>lestrutture e <strong>del</strong>le proprietà implicite nell’intuizione pura <strong>del</strong> tempo;23


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORE2) la geometria una rielaborazione mentale <strong>del</strong>lo spazio, cioè un’esplicitazione <strong>del</strong>lestrutture e <strong>del</strong>le proprietà implicite nell’intuizione pura <strong>del</strong>lo spazio.Ciò significa che la successione numerica non è altro che una segmentazione e insieme unacodificazione numerica <strong>del</strong> flusso temporale <strong>del</strong>la mente, mentre gli enti geometrici altronon sono che un’articolazione e una codificazione in punti, linee e piani <strong>del</strong>la spazialitàmentale. La matematica, dunque, per Kant è un prodotto, una costruzione <strong>del</strong>la menteumana, ossia è una scienza puramente teoretica, benché la sua costruzione non siaarbitraria, in quanto vincolata dalle strutture e dalle proprietà implicite nelle forme a priori<strong>del</strong>lo spazio e <strong>del</strong> tempo.Eppure la scienza moderna, in particolare la fisica, si basa sulla matematizzazione <strong>del</strong>mondo naturale. La grande conquista di Newton era stata quella di riuscire a stringere tuttii fenomeni meccanici in un’unica, grandiosa formula matematica, quella <strong>del</strong>la gravità.Come è dunque possibile che la matematica sia soltanto un parto, per quanto prodigioso,<strong>del</strong>la mente umana?La soluzione kantiana di questo problema rende ancor più chiara la portata epistemologica<strong>del</strong>la sua “rivoluzione copernicana”. Quando diciamo “realtà fisica” o “natura” per Kantnoi ci riferiamo sempre alla realtà fisica, o alla natura, in quanto da noi conosciuta, cosìcome noi la conosciamo. Ma la “natura conosciuta” è una combinazione, come si è visto, dimateria e di forma, ossia è costituita anche dal nostro ordinamento spazio-temporale, èintessuta anche di spazio e di tempo. Dunque, poiché la matematica altro non è che spazioe tempo codificati, è <strong>del</strong> tutto comprensibile che la matematica si adatti così bene allaspiegazione <strong>del</strong>l’apparenza naturale da sembrare il linguaggio stesso <strong>del</strong>la “natura”.Insomma, la natura in sé non possiede un ordine matematico, come avevano credutoCopernico, Galilei, Keplero e Newton; è la “natura” per noi, in quanto da noi conosciuta,che lo possiede in tanto in quanto siamo noi stessi a darglielo nel momento in cui,intuendola, la ordiniamo spazio-temporalmente.24


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREMAPPA <strong>del</strong>la TAPPA 2OGGETTO ESTERNOModificazione <strong>del</strong>la sensibilitàumana = ricettivitàForma a priori <strong>del</strong>senso interno:il TEMPOMateria <strong>del</strong>laconoscenzasensibileForma a priori <strong>del</strong>senso esterno:lo SPAZIOOrdinamento/unificazionespaziale e temporale <strong>del</strong>lamateria sensitiva = attivitàLa sensazione viene collocata in un certoluogo e le viene attribuito un certo istante<strong>del</strong>la successione temporale.INTUIZIONE SENSIBILEARITMETICA in quantoelaborazione mentale<strong>del</strong>l’intuizione pura <strong>del</strong>tempo: la serie dei numeriinfatti è una codificazione <strong>del</strong>flusso temporale.GEOMETRIA in quantoelaborazione mentale<strong>del</strong>l’intuizione pura <strong>del</strong>lospazio: i concetti geometriciinfatti sono codificazioni<strong>del</strong>l’ampiezza spaziale.La matematica si applica alla natura perché la natura, in quanto derivadall’intuizione sensibile, è organizzata spaziotemporalmente e lamatematica a sua volta ha una costituzione spaziotemporale.25


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 3KANT: LA CONOSCENZA RAZIONALE DELL’INTELLETTOLa nostra conoscenza emana da due fonti basilari <strong>del</strong>l’animo: la prima diqueste consiste nel ricevere le rappresentazioni (recettività <strong>del</strong>leimpressioni), e la seconda è la facoltà di conoscere un oggetto mediantequeste rappresentazioni (spontaneità dei concetti). Attraverso la prima diqueste fonti, un oggetto ci è dato; attraverso la seconda, tale oggetto è pensatoin rapporto a quella rappresentazione […] Intuizione e concetti costituisconoquindi gli elementi di ogni nostra conoscenza, cosicché una conoscenza nonpuò essere fornita né da concetti privi di una intuizione in qualche modocorrispondente ad essi, né da un’intuizione priva di concetti. […]Se la recettività <strong>del</strong> nostro animo […] è da noi chiamata sensibilità, percontro, la facoltà di produrre in modo autonomo rappresentazioni, ossia laspontaneità <strong>del</strong>la conoscenza, è l’intelletto. La nostra natura è costituita inmodo tale che l’intuizione non può mai essere altrimenti che sensibile, ossiacontiene soltanto il modo in cui noi siamo modificati da oggetti. La facoltà dipensare l’oggetto <strong>del</strong>l’intuizione sensibile, per contro, è l’intelletto. Nessunadi queste due facoltà deve essere anteposta all’altra. Senza sensibilità nessunoggetto ci sarebbe dato, e senza intelletto nessun oggetto sarebbe pensato. Ipensieri senza contenuto sono vuoti, le intuizioni senza concetti sono cieche.Kant, Critica <strong>del</strong>la ragione pura, Parte II, Introduzione, edizione citataLa conoscenza razionale è la seconda tappa <strong>del</strong> cammino conoscitivo. Essa naturalmenteconsiste in un’elaborazione e sviluppo <strong>del</strong>la conoscenza sensibile, cioè nel ricondurreun’intuizione a un concetto, p.e. pongo la mano sul tavolo, ho una determinata intuizionetattile legata a un luogo e a un momento e la riconduco al concetto di “liscio”. Sembrerebbelo stesso esempio esposto nella tappa precedente per l’intuizione sensibile. Il fatto è chequell’esempio, riferito solo all’intuizione sensibile, in realtà già includeva la sua estensionerazionale, cioè la concettualizzazione <strong>del</strong>l’intuizione. E non per una svista ma perché, secomunico scrivendo, non ho altro modo di comunicare una sensazione che quello dichiamarla con un nome generale. Una sensazione, infatti, è sempre individuale, è un “qui eora” unico, ma per pensarla ed esprimerla devo sempre codificarla concettualmente, cioèriportarla a un insieme/nome generale. P.e., il “liscio” <strong>del</strong> tavolo è diverso dal “liscio” <strong>del</strong>cuscino, eppure non posso che pensarli entrambi riferendoli al concetto/nome “liscio”.Dunque la conoscenza razionale consiste nel collegare una intuizione sensibile a unconcetto, p.e. “questo è liscio”. Kant, sull’antica scia di Aristotele, chiama “giudizio” questocollegamento, ossia ogni asserto (o enunciato o proposizione) dichiarativo. E’ solo grazie algiudizio, cioè alla qualificazione concettuale di una sensazione, che possiamoeffettivamente conoscere. Per questo Kant afferma che “senza concetto le sensazioni sonocieche”, cioè oscure, buie, prive di significato conoscitivo; anche se “i concetti senza lesensazioni sono vuoti”, cioè privi di realtà, architetture puramente mentali. Dunque,sensazioni e concetti, intuire e pensare, devono essere inseparabilmente complementari sesi vuole fare scienza.Ma da dove derivano i concetti (“liscio”, “marrone”, “cane”, “simmetrico”, ecc.)?Innanzitutto Kant distingue 2 tipi di concetti: 1) i concetti empirici e 2) i 12 concetti puri ocategorie.Riguardo ai primi, la stragrande maggioranza, Kant sostiene che essi sono un prodotto<strong>del</strong>l’elaborazione mentale <strong>del</strong>le sensazioni. Più precisamente <strong>del</strong>la facoltà mentale<strong>del</strong>l’immaginazione. Kant distingue, però, 2 tipi di immaginazione:26


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREa) l’immaginazione riproduttiva, cioè la capacità <strong>del</strong>la mente di rappresentarsi oggettie proprietà anche senza che essi siano presenti ai sensi, purché naturalmente losiano stati in precedenza. P.e., io posso guardare un quadro, chiudere gli occhi erappresentarmelo mentalmente.b) L’immaginazione produttiva, ossia la capacità mentale di produrre appunto iconcetti empirici sulla base <strong>del</strong>le sensazioni.Per produrre i concetti empirici, l’immaginazione produttiva forgia degli “schemi”, cioè<strong>del</strong>le immagini mentali fortemente stilizzate, le più universali e astratte possibili. Questischemi diventano i mo<strong>del</strong>li in base ai quali l’intelletto organizza e determina le sensazionitraducendole nei concetti empirici. P.e., il concetto empirico di “cane” si costruisce intornoallo schema <strong>del</strong>la “animalità quadrupede”. Solo una volta forgiati i concetti empirici èpossibile avere una vera e propria esperienza sensibile. Infatti in senso stretto, l’esperienzaè un accumulo ordinato di sensazioni, ma tale accumulo è possibile solo se io ho deiriferimenti generali (i concetti appunto) cui ricondurre le singole differenti intuizioni. P.e.,solo se ho il concetto di “cane” vedendo chihuahua, alani, bassotti, ecc., posso farmiun’esperienza di cani. D’altra parte, quanto è più ampia questa mia esperienza, cioè quantopiù numerose le intuizioni di cani e di loro proprietà, tanto più chiaro e oggettivo sarà ilmio concetto empirico di “cane”.La tesi più originale e importante di Kant, relativamente alla conoscenza razionale, è peròquella che concerne il ruolo dei 12 concetti puri o categorie, che egli divide in 4 gruppi di 3ciascuno:1) categorie <strong>del</strong>la quantità: unità, pluralità, totalità;2) categorie <strong>del</strong>la qualità: realtà, negazione, limitazione;3) categorie <strong>del</strong>la relazione: sostanza o accidente; causa ed effetto; azione reciproca.4) categorie <strong>del</strong>la modalità: possibilità/impossibilità, esistenza/inesistenza,necessità/contingenza.Queste 12 categorie sono i concetti più generali, cioè più estesi, e soprattutto sono concetti“puri”, cioè sono criteri di ordinamento propri <strong>del</strong>l’intelletto, per nulla ricavati dallesensazioni. Secondo Kant, ogni volta che noi pensiamo, cioè ogni volta che elaboriamo ungiudizio, insieme ai concetti empirici espliciti, intervengono in modo implicito, e perquesto non evidente, le categorie che gli si addicono. P.e.: il giudizio “questo è un tavolorotondo marrone” è costituito dalle categorie <strong>del</strong>l’unità, <strong>del</strong>la realtà, <strong>del</strong>la sostanza eaccidente e infine <strong>del</strong>l’esistenza; il giudizio “il calore dilata i metalli” dalle categorie <strong>del</strong>latotalità, realtà, sostanza e accidente, causalità, necessità.Il secondo esempio è più significativo, in quanto è un asserto <strong>scienti</strong><strong>fico</strong>, in particolare unaproposizione che esprime una legge naturale. Secondo Kant tutti gli asserti <strong>scienti</strong>fici sonotali in quanto sono “universali e necessari”, ossia in quanto sono veri in tutti i casi possibilied è impossibile che siano veri asserti diversi o contraddittori rispetto a essi. P.e., “il caloredilata i metalli” è vero per qualsiasi calore, metallo, luogo e tempo e non può mai accaderequalcosa di diverso (“il calore colora i metalli”) o di contrario (“il calore restringe imetalli”).In altre parole, in un giudizio di causalità – e tale è ogni legge <strong>scienti</strong>fica - causa ed effettonon sono soltanto un hoc post hoc, non sono cioè caratterizzati solo e tanto dalla diversasuccessione nel tempo (prima la causa, poi l’effetto) e dalla prossimità spaziale (contattofisico) ma anche e soprattutto da un vincolo indissolubile tale per cui a una stessa causadeve corrispondere sempre e univocamente uno stesso effetto.Da questo punto di vista Kant confuta la tesi di Hume secondo la quale la causalità in sensoforte non esiste, in quanto si tratterebbe in realtà di una mera sequenza spazio-temporaledi 2 eventi estemporanei e irripetibili che solo per abitudine crediamo possiedano unvincolo che li unisca da sempre e per sempre. Eppure Kant concorda (“Hume mi hasvegliato dal sonno dogmatico”) con la confutazione <strong>del</strong>la concezione tradizionale <strong>del</strong>la27


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREcausalità operata da Hume. Infatti anche per Kant, come per Hume, la causalità non è unaproprietà oggettiva <strong>del</strong>la natura e, come tale, ricavabile dalla sensazione. E allora come lamette Kant? Com’è possibile che la natura sia causale se la causalità non le appartieneintrinsecamente?La soluzione <strong>del</strong> rompicapo è nella “rivoluzione copernicana”: la causalità è un concetto“puro” <strong>del</strong>la mente umana che noi aggiungiamo all’esperienza sensibile in quantoconoscere non significa ricopiare la natura ma significa ordinare razionalmente la natura.Più precisamente, Kant afferma che tutti gli asserti <strong>scienti</strong>fici sono tali se, e solo se, sono“giudizi sintetici a priori”. Cosa intende? Per spiegarlo, Kant distingue innanzitutto tra: “giudizio analitico a priori”, p.e. “tutti i corpi sono estesi”: si tratta di un enunciatoin cui il predicato (“esteso”) è già implicitamente contenuto nel soggetto (“corpo”),che si limita a scomporre (analyein in greco significa dividere) un concetto nei suoicomponenti e che pertanto non si fonda sull’esperienza sensibile bensì su unaoperazione intramentale (“a priori”);“giudizio sintetico a posteriori”, p.e. “tutti i corpi sono pesanti”: si tratta di unasserto in cui il predicato (“pesante”) aggiunge (synthesis in greco significa“unificazione”) al soggetto (“corpo”) una proprietà che non è implicita in esso e chepertanto si ricava dall’esperienza (“a posteriori”).Il “giudizio analitico a priori” ha il pregio di essere “universale e necessario”, in quanto sifonda sulle leggi logiche <strong>del</strong>la ragione, ma ha il difetto di non essere produttivo, cioè nonincrementa la nostra conoscenza, ma si limita a ordinare e a chiarire meglio ciò che giàconosciamo.Il “giudizio sintetico a posteriori” ha il pregio di essere produttivo, in quanto attingeconoscenza dall’esperienza sensibile, ma ha il difetto di essere “particolare e contingente”proprio in quanto si basa sull’esperienza, cioè su una raccolta di sensazioni che non è maicompleta e nemmeno omogenea. In realtà la sua versione linguistica corretta sarebbe“tutte le volte che ho sollevato un corpo ho sentito il suo peso”, oppure “alcuni/molti corpisi sono dimostrati pesanti”.Tra le righe, Kant sta esponendo la sua interpretazione <strong>del</strong>le due principali tradizioni<strong>filoso</strong>fiche <strong>del</strong>l’età moderna: quella razionalistica continentale (da Descartes a Leibniz) equella empiristica britannica (da Bacone a Hume). La prima – sostiene implicitamenteKant - ha creduto che la scienza fosse composta da “giudizi analitici a priori”,garantendone la certezza ma riducendola a un brillante gioco mentale incapace dispiegarne la crescita conoscitiva; la seconda, al massimo grado con Hume, ha ritenuto chefosse costituita di “giudizi sintetici a posteriori”, valorizzandone la crescita conoscitiva masvilendola a incerto calcolo probabilistico.In realtà, afferma Kant, la scienza è costituita da “giudizi sintetici a priori”, p.e. “ognimutamento fisico deve avere una causa”: in tale tipo di giudizio il predicato (“causato”)non è implicito nel soggetto (“mutamento”) e pertanto costituisce un valore conoscitivoaggiunto; ma non è ricavato dall’esperienza, bensì dalla ragione stessa, è una <strong>del</strong>le suecategorie o concetti puri, e dunque il giudizio è “universale e necessario”. In altri termini, il“giudizio sintetico a priori” dà conto sia <strong>del</strong>la certezza sia <strong>del</strong>la produttività <strong>del</strong>la scienza,ossia spiega l’effettiva e indubitabile realtà <strong>del</strong>la pratica <strong>scienti</strong>fica moderna, ciò che perKant era sotto gli occhi di tutti.In questo modo, Kant può affermare solennemente che le leggi <strong>scienti</strong>fiche non sono, comeaveva sostenuto Hume, particolari e probabili, cioè valevoli in alcuni casi e magari spessoma non sempre, bensì appunto universali e necessarie, cioè valevoli in tutti i casi e sempre.Dunque per Kant, la legge newtoniana di gravità (“i corpi si attraggono in mododirettamente proporzionale al prodotto <strong>del</strong>le loro masse e inversamente proporzionale alquadrato <strong>del</strong>la loro distanza”), capolavoro <strong>del</strong>la rivoluzione <strong>scienti</strong>fica moderna, è semprevera, non è una semplice previsione probabilistica.28


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORELa “rivoluzione copernicana” di Kant, però, non concerne solo la fisica e le altre scienze<strong>del</strong>la natura, ma anche la matematica. Mentre Hume aveva sostenuto che le proposizionimatematiche fossero semplici tautologie, cioè “giudizi analitici a priori”, giochi logicomentali,Kant sostiene che anche la matematica è fatta di “giudizi sintetici a priori”. Infatti,nell’asserto aritmetico “7+5=12” tanto quanto nell’enunciato geometrico “la linea è ladistanza minima tra 2 punti”, i rispettivi predicati (“12” e “distanza minima”) non sonoaffatto già impliciti nei soggetti, ma sono un’aggiunta ricavata dalle forme a priori <strong>del</strong>tempo e <strong>del</strong>lo spazio. Insomma, anche la matematica produce un accrescimentoconoscitivo che si aggiunge, anzi si moltiplica con quello <strong>del</strong>le scienze naturali.Il messaggio kantiano è dunque il valore e la sicurezza <strong>del</strong>la scienza moderna, la fiducianella possibilità umana di conquistare sempre di più il dominio conoscitivo <strong>del</strong> mondo.29


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREMAPPA <strong>del</strong>la TAPPA 3INTUIZIONE SENSIBILEricondotta a unoIMMAGINAZIONEPRODUTTIVAforgia unoSCHEMAbase per la costruzione di unCONCETTOEMPIRICOGIUDIZIO SINTETICO A POSTERIORI =enunciato particolare e contingente e quindi non<strong>scienti</strong><strong>fico</strong>cui si aggiungonoCONCETTI PURIO12 CATEGORIEINTELLETTOfornisceQUALITA’: realtà, negazione, limitazione.QUANTITA’: unità, molteplicità, totalità.RELAZIONE: sostanza, causalità, interazione.MODALITA’: possibilità, contingenza, necessitàGIUDIZIO SINTETICO A PRIORI =enunciato universale e necessario equindi LEGGE SCIENTIFICA30


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 4KANT: L’IO PENSO O AUTOCOSCIENZA TRASCENDENTALEPer tale ragione, si rivela qui una dif<strong>fico</strong>ltà, che non abbiamo incontrato nelcampo <strong>del</strong>la sensibilità: si domanda, cioè, come le condizioni soggettive <strong>del</strong><strong>pensiero</strong> siano destinate ad avere una validità oggettiva, ossia come essepossano costituire le condizioni <strong>del</strong>la possibilità di ogni conoscenza deglioggetti. In effetti, senza funzioni <strong>del</strong>l’intelletto possono certo essere date <strong>del</strong>leapparenze nell’intuizione. Io prendo, ad esempio, il concetto di causa […]. Apriori non è chiaro perché certe apparenze debbano contenere un qualcosa disiffatto (non si possono infatti addurre esperienze come prova, poiché lavalidità oggettiva di questo concetto deve poter essere mostrata a priori); ed èquindi a priori incerto se un tale concetto non sia forse <strong>del</strong> tutto vuoto e nonritrovi da nessuna parte un oggetto tra le apparenze. […] In effetti, leapparenze potrebbero forse essere costituite in modo tale che l’intelletto nonle trovasse affatto conformi alle condizioni <strong>del</strong>la sua unità.Kant, Critica <strong>del</strong>la ragione pura, § 13, edizione citataMa il concetto <strong>del</strong>la congiunzione porta con sé, oltre che il concetto <strong>del</strong>molteplice e <strong>del</strong>la sintesi <strong>del</strong> molteplice, altresì il concetto <strong>del</strong>l’unità <strong>del</strong>molteplice. Congiunzione è rappresentazione <strong>del</strong>l’unità sintetica <strong>del</strong>molteplice. La rappresentazione di questa unità non può quindi sorgere dallacongiunzione: piuttosto, la rappresentazione di tale unità, per il fatto diaggiungersi alla rappresentazione <strong>del</strong> molteplice, rende possibile per la primavolta il concetto <strong>del</strong>la congiunzione. Questa unità […] non è […] quella citatacategoria <strong>del</strong>l’unità. In effetti, tutte le categorie si fondano su funzioni logichenei giudizi: in queste peraltro è già pensata la congiunzione, e quindi l’unitàdei concetti dati. La categoria dunque presuppone già la congiunzione. Noidobbiamo perciò cercare quest’unità più in alto […] ossia in ciò che perl’appunto contiene il fondamento <strong>del</strong>l’unità di diversi concetti nei giudizi, equindi il fondamento <strong>del</strong>la possibilità <strong>del</strong>l’intelletto, persino nel suo usologico.Kant, Critica <strong>del</strong>la ragione pura, § 15, edizione citataL’io penso deve poter accompagnare tutte le mie rappresentazioni, perchéaltrimenti in me verrebbe rappresentato un qualcosa che non potrebbe affattovenir pensato; o con espressione equivalente: poiché altrimenti o larappresentazione risulterebbe impossibile, oppure, almeno per me, essa nonsarebbe niente. Quella rappresentazione, che può essere data prima di ogni<strong>pensiero</strong>, si chiama intuizione. Ogni molteplice <strong>del</strong>l’intuizione ha perciò unarelazione necessaria con l’io penso, nello stesso soggetto in cui viene ritrovatoquesto molteplice. La rappresentazione: io penso, tuttavia, è una atto <strong>del</strong>laspontaneità; essa non può venir considerata come pertinente alla sensibilità.Io la chiamo l’appercezione pura – per distinguerla da quella empirica – oanche l’appercezione originaria, poiché essa è quella autocoscienza che […]non può più essere accompagnata da nessun’altra rappresentazione. L’unitàdi tale rappresentazione io la chiamo anche l’unità trascendentale<strong>del</strong>l’autocoscienza […]. […] in caso contrario, difatti, io avrei tante variopintee differenti personalità quante sono le rappresentazioni di cui ho coscienza.Kant, Critica <strong>del</strong>la ragione pura, § 16, edizione citata31


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORE[…] nella deduzione trascendentale è stata esposta la possibilità <strong>del</strong>lecategorie come conoscenze a priori di oggetti di un’intuizione in generale.Adesso deve venir spiegata la possibilità di conoscere a priori, mediante lecategorie, gli oggetti che possono eventualmente presentarsi ai nostri sensi, eciò, per essere precisi, non secondo la forma <strong>del</strong>la loro intuizione, bensìsecondo le leggi <strong>del</strong>la loro connessione. Dev’essere spiegata, perciò, lapossibilità di prescrivere alla natura, per così dire, la legge, anzi, di rendere lanatura possibile. […]Ora, dato che ogni possibile percezione [la sensazione in quanto cosciente,nota mia] dipende dalla sintesi <strong>del</strong>l’apprensione, e che questa sintesi empiricadipende peraltro da quella trascendentale, e quindi dalle categorie, in tal casotutte le percezioni possibili, e perciò anche tutto quello che puòeventualmente pervenire alla coscienza empirica, cioè tutte le apparenze <strong>del</strong>lanatura, debbono, quanto alla loro congiunzione, essere soggette allecategorie, dalle quali la natura dipende […] come dal fondamento originario<strong>del</strong>la sua necessaria conformità a leggi […].Critica <strong>del</strong>la ragione pura, Parte II, § 26, edizione citataSe la conoscenza razionale <strong>del</strong>la realtà fisica si fonda, come affermato da Kant, su 12concetti puri o categorie, intesi come criteri razionali propri <strong>del</strong>la ragione umana, come ein quale senso possiamo essere sicuri che la nostra conoscenza sia oggettiva, cioè capace dicogliere oggetti indipendenti dalla nostra mente? Non potrebbe essere, invece, che lanostra conoscenza, in quanto basata su concetti a priori, consista in una deformazione<strong>del</strong>la realtà esterna?Si tratta <strong>del</strong> problema che Kant chiama “deduzione trascendentale” <strong>del</strong>le categorie, ossia<strong>del</strong> problema <strong>del</strong>la loro giustificazione o legittimazione <strong>scienti</strong>fica: un conto è che per farescienza io usi le categorie (quaestio facti), tutt’altro conto è che esse mi forniscano unavisione veritiera <strong>del</strong>le cose (quaestio iuris).Proprio per argomentare l’oggettività <strong>del</strong>le categorie, Kant approfondisce e articolaulteriormente la sua analisi <strong>del</strong>la ragione umana, introducendo il supremo principiotrascendentale, l’io penso o autocoscienza trascendentale. A esso Kant arriva per due vieconvergenti.La prima fa leva sulla necessità che la ragione, o mente o coscienza razionale, sia un’unità,ovvero possegga un centro unico e dunque unitario. P.e.: io posso avere unarappresentazione sensibile di “liscio”, una di “fresco”, una di “marrone”, una di “circolare”,una di “legno”, ecc. Se tutte queste rappresentazioni non avessero un riferimento comunenon potrebbero essere congiunte nell’oggetto “tavolo”. Questo riferimento comune nonpuò essere una categoria, perché ogni oggetto può riferirsi a più categoriecontemporaneamente. Dunque occorre andare a monte <strong>del</strong>le categorie per cercare unriferimento unico per ogni tipo di rappresentazione, tanto <strong>del</strong>le intuizioni sensibili quantodei giudizi razionali. Questo riferimento unico supremo è, secondo Kant, l’io penso, ossial’autocoscienza trascendentale.La seconda via all’io penso è quella che si impernia sulla “congiunzione”, sul fatto cioè chela conoscenza razionale in tanto può avvalersi dei concetti in quanto presuppone appuntol’attività intellettiva di correlazione, ossia di unificazione, dei dati sensibili. P.e., quando lamia ragione pensa “questo è un cane” unifica microsensazioni di “pelo”, “coda”,“quadrupedità”, “abbaiare”, ecc., in un unico concetto; quando pensa “il cane è unmammifero” seleziona e unifica alcune proprietà fondamentali e comuni di tutti i cani.Dunque la conoscenza razionale, ossia logico-concettuale, è unificazione. E unificareequivale a ordinare. Un esempio quotidiano e immediato: un mucchio aggrovigliato di32


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREbiancheria lavata è caos, disordine; per ordinarlo uni<strong>fico</strong> tutte le calze con le calze, le T-shirt con le T-shirt, gli slip con gli slip, ecc., e poi ripongo gli insiemi così costituiti ognunoin un cassetto <strong>del</strong>l’armadio, magari marchiati con l’etichetta corrispondente, et voilà:l’ordine è fatto! Ordinare significa unificare in gruppi omogenei. E non dimentichiamo cheordine (od organizzazione) è, fin da Talete, sinonimo di razionalità. Dunque conoscenzarazionale significa conoscenza che ordina, ossia che unifica.Ciò chiarito, gli strumenti <strong>del</strong>l’unificazione conoscitiva, come si è visto, sono, a un primolivello, i concetti empirici, ma a un secondo superiore livello, i concetti puri o categorie,supremi unificatori ossia massimi ordinatori. P.e., il concetto di “chilo” è unificato inquello di “unità di misura di peso”, e quest’ultimo nella categoria <strong>del</strong>la “quantità”. Ma setutti i concetti sono unificati in un concetto più ampio superiore, anche le categorie devonoesserlo. Non solo. Le categorie sono 12, dunque sono plurime, e tutte di pari livello. D’altraparte ognuna di esse è una modalità di unificazione, dunque esse presuppongono ilcriterio/principio di unificazione come tale. Pertanto esse rinviano all’io penso, intesoappunto come criterio <strong>del</strong>l’unità, come principio di unificazione (o sintesi) in quanto tale.Naturalmente, proprio per questo, l’io penso (o autocoscienza trascendentale) è unprincipio unico, e non può che essere unico, dunque è assurdo pensare che a sua voltadebba essere unificato sotto un principio superiore. Esso è, per così dire, il principiosovrano <strong>del</strong>l’intelletto, il centro unico che coordina unitariamente le categorie e i concettiempirici, i quali altro non sono che le sue articolazioni, ovvero, per dir così, i suoistrumenti di lavoro.Tenendo conto che anche le intuizioni sensibili devono essere sempre riferite allo stesso iopenso, altrimenti le sensazioni non diventerebbero nemmeno percezioni, cioè sensazioniconsapevoli, ma rimarrebbero inconsce, risulta ormai chiaro come e perché Kant ponga l’iopenso a fondamento di tutta la conoscenza, sia quella sensibile, sia quella razionale.Attenzione, però. Per “io penso” o “autocoscienza trascendentale”, Kant non intende il“mio” io penso o la “mia” autocoscienza trascendentale. Quando Kant usa l’aggettivo“trascendentale” vuole dire che si tratta di qualcosa che “trascende” non solo la realtàfisica, ma anche quella psicologica, cioè che è indipendente dal mio io psichico (il miocarattere, la mia emotività, la mia indole, le mie attitudini mentali, il mio stile cognitivo,ecc.). Insomma, l’io penso è unico e identico per tutti gli uomini, è la ragione universale,quella stessa che, proprio perché è uguale in tutti gli uomini, fa loro conoscere la stessarealtà. E naturalmente quel che vale per l’io penso vale per le categorie, i concetti empirici,e le forme a priori <strong>del</strong>la sensibilità, cioè il tempo e lo spazio.A questo punto, siamo pronti per affrontare l’argomentazione <strong>del</strong>la legittimità <strong>scienti</strong>fica<strong>del</strong>l’uso <strong>del</strong>le categorie, ossia l’argomentazione <strong>del</strong>la tesi, apparentemente contraddittoria,per cui le categorie, pur essendo proprie <strong>del</strong> soggetto, cioè <strong>del</strong>la ragione umana, hanno unavalidità oggettiva, cioè ci fanno conoscere in modo veritiero oggetti esterni alla menteumana.Scrive Kant: poiché ogni percezione (cioè la coscienza effettiva di una sensazione) dipendedalla sua unificazione in un concetto empirico e a sua volta la sintesi concettuale empiricadipende dall’unificazione trascendentale operata dalle categorie, sono le categorie che cipermettono non solo una conoscenza razionale, ma anche la stessa conoscenza sensibile,cioè la conoscenza più oggettiva, la conoscenza immediata degli oggetti fisici. Dunque, lecategorie ci fornisco l’unica oggettività per noi possibile e pertanto il loro uso <strong>scienti</strong><strong>fico</strong> èpienamente giustificato. In caso contrario, non potremmo conoscere, la nostra conoscenzasarebbe nulla.Questa argomentazione potrebbe prestarsi alla seguente parodia: “o mangi questaminestra o salti dalla finestra”. Più seriosamente, si potrebbe sollevare contro di essaun’eccezione di “petitio principii”, ossia di circolarità, in quanto potrebbe essere cosìriformulata: “l’oggettività si basa sulle categorie, dunque le categorie sono oggettive”. In33


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREaltri termini, l’oggettività <strong>del</strong>le categorie (la conclusione) è argomentata con il fatto che lecategorie costituiscono l’oggettività, che in realtà è proprio ciò che deve essereargomentato, cioè è la conclusione stessa.Per non far torto a Kant, bisogna però ricordare, innanzitutto, che le categorie si applicanoa concetti empirici che a loro volta sono costituiti dall’esperienza sensibile. In altre parole,le categorie sono agganciate, seppur mediatamente, all’intuizione sensibile e, inparticolare, alla “materia” <strong>del</strong>la sensazione, cioè alla modificazione prodotta su di noi daglioggetti fisici esterni. Dunque la conoscenza razionale possiede una radiceinequivocabilmente oggettiva.In secondo luogo, dobbiamo riconoscere che l’argomentazione esposta sopra ha unapremessa maggiore sottintesa, quella che si riferise all’io penso: “la conoscenza consistenell’attività unificatrice <strong>del</strong>l’io penso o autocoscienza trascendentale”. Questa premessamaggiore implicita, poi, null’altro è che la formulazione <strong>filoso</strong>ficamente più profonda erigorosa <strong>del</strong>la “rivoluzione copernicana”, secondo cui conoscere non significa “copiare” glioggetti fisici, ma ordinarli, cioè appunto unificarli, grazie all’attività sintetica chel’autocoscienza trascendentale è.A questo punto l’eccezione di “petitio principii” è respinta. L’argomento nevralgico, bendistinto dalla conclusione, è la “rivoluzione copernicana” stessa: l’oggettività <strong>scienti</strong>fica èordinamento/unificazione <strong>del</strong>la realtà fisica; poiché le categorie sono gli strumenti, identiciin ogni uomo, di ordinamento/unificazione, ne segue necessariamente che il loro uso non èsolo un fatto (o mangi questa minestra o niente, anche se la minestra è cattiva e nonnutriente) ma è anche un fatto <strong>del</strong> tutto legittimo (la minestra è buona e soprattuttonutriente).In questo, e solo in questo, senso Kant suggella la sua deduzione trascendentale conl’emblematica affermazione: “L’io penso è il legislatore <strong>del</strong>la natura”.34


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREMAPPA <strong>del</strong>la TAPPA 4TUTTE LE MIERAPPRESENTAZIONI DEVONOAVERE UN CENTRO DIRIFERIMENTO COMUNEALTRIMENTI NON POTREICONOSCERECONOSCERE=ORDINARE=UNIFICAREI CONCETTI EMPIRICI =ORDINAMENTO/UNIFICAZIONE DELLEINTUIZIONI SENSIBILII CONCETTI PURI O 12 CATEGORIE=ORDINAMENTO/UNIFICAZIONE DEICONCETTI EMPIRICIIO PENSO=CENTRO UNITARIO EFUNZIONE TRASCENDENTALE DIUNIFICAZIONEdi cui tutti i concetti sono prodotti e strumentiL’USO DELLE CATEGORIE E’SCIENTIFICAMENTE LEGITTIMO, OSSIAOGGETTIVOL’IO PENSO E’ IL LEGISLATORE DELLA NATURA35


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 5KANT: LA COSA PER NOI E LA COSA IN SE’Nondimeno, quando certi oggetti, come apparenze, noi li chiamiamo enti deisensi (phaenomena), distinguendo il modo in cui li intuiamo dalla loro naturain sé, allora nel nostro concetto è già implicito che noi a quegli oggetti, percosì dire, contrapponiamo, chiamandoli enti <strong>del</strong>l’intelletto (noumena), o imedesimi oggetti, intesi secondo quest’ultima natura (sebbene non liintuiamo in essa), oppure altre cose possibili – che non sono per nulla oggettidei nostri sensi – intese come oggetti semplicemente pensati dall’intelletto.[…]Se per noumeno intendiamo una cosa, in quanto essa non è oggetto <strong>del</strong>lanostra intuizione sensibile (astraendo cioè dal nostro modo di intuirla), sitratta allora di un noumeno in senso negativo. Ma se per noumenointendiamo un oggetto di un’intuizione non sensibile, noi ammettiamo alloraun particolare modo d’intuizione, cioè quello intellettuale: esso non è tuttaviail nostro modo di intuizione, e non ne possiamo comprendere neppure lapossibilità. Si avrebbe così il noumeno in senso positivo.Kant, Critica <strong>del</strong>la ragione pura, Libro II, Cap. III, edizione citataCon la “deduzione trascendentale”, Kant ha argomentato come sia possibile che la scienzamoderna, pur basandosi su criteri soggettivi, consegua l’oggettività. Tuttavia, per Kant sitratta di precisare in modo rigoroso cosa si debba intendere per oggettività, altrimenti sirischierebbe di fraintendere il significato <strong>del</strong>la sua “rivoluzione copernicana”, ossia diconferire alla legittimazione <strong>del</strong>le categorie una portata indebita. In questa precisazioneemerge la tensione propriamente critica <strong>del</strong>la <strong>filoso</strong>fia kantiana.Infatti, paragonando la scienza a un’ “isola”, Kant afferma innanzitutto che l’oggettività<strong>scienti</strong>fica è nettamente limitata: l’uso <strong>del</strong>le categorie è vincolato all’esperienza, la quale èsì estendibile ma rimane purtuttavia sempre finita. Per Kant, però, la nostra conoscenzanon incontra solo un limite dal punto di vista estensivo, ma anche e soprattutto da quellointensivo. Secondo lui, infatti, la nostra esperienza di una cosa non è mai completa, glioggetti che esperiamo sono, per così dire, sempre parzialmente conosciuti.Per far comprendere a fondo questa tesi, Kant introduce la distizione tra “fenomeno” (dafàinosthai che in greco significa apparire, manifestarsi, mostrarsi) e “noumeno” (dal greconoèin che significa pensare). Tutte le nostre rappresentazioni <strong>scienti</strong>fiche, sia le intuizionisensibili sia i concetti, sono fenomeni, cioè “oggetti per noi”, oggetti così come ci simanifestano, come si mostrano a noi, ovvero in quanto organizzati dalle formetrascendentali <strong>del</strong>la nostra ragione. Girato in negativo, ciò equivale a dire che le nostrerappresentazioni <strong>scienti</strong>fiche non coincidono con i possibili “oggetti in sé”, cioè i noumeni,gli oggetti come potrebbero essere al netto <strong>del</strong>l’organizzazione conferita loro dalle nostreforme a priori. In altre parole, se affermiamo che l’oggettività <strong>scienti</strong>fica è fenomenicaimplicitamente rimandiamo alla possibile esistenza di un’oggettività pura, pre-<strong>scienti</strong>fica,cioè al noumeno. Per Kant il noumeno si può concepire in 2 modi:a) in modo meramente negativo (in senso fotogra<strong>fico</strong>, non di valore!), cioè come ilcontrario <strong>del</strong> fenomeno, vale a dire come la “cosa in sé”, l’oggetto nature, cui rinviail fenomeno in quanto “cosa per noi”, cioè l’oggetto in quanto organizzato dallanostra ragione;b) in modo positivo (sempre in senso fotogra<strong>fico</strong>), cioè come un oggetto realepuramente razionale (l’idea di Platone o di Cartesio) intuibile dal nostro intellettosenza bisogno di alcuna esperienza sensibile.36


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREIl noumeno “positivo”, afferma Kant (a dispetto <strong>del</strong>la sua ambigua denominazione), nonpossiede alcuna validità <strong>scienti</strong>fica, cioè non costituisce un’oggettività legittima. Il nostrointelletto non ha la capacità di intuire, cioè di cogliere direttamente, un preteso oggettopuramente razionale, cioè un’idea, o essenza o intellegibile puro. Solo la nostra sensibilitàpuò intuire, e dunque ogni nostra conoscenza deve partire dalle sensazioni e rimanerelegata a esse.Pertanto, si può, e si deve, sensatamente pensare il noumeno solo nel suo significato“negativo”, cioè come “oggetto in sé”, il mondo fisico come potrebbe essere al di là <strong>del</strong>laconoscenza umana. Il condizionale (“potrebbe”) è d’obbligo perché se l’”oggetto in sé” è aldi là di ogni nostra possibile conoscenza è ovvio che non solo non potremo mai conoscerloma anche che, a rigore, non possiamo nemmeno dire con certezza che esiste.Ma allora cosa pensiamo quando pensiamo “noumeno”? Possiamo pensarlo? E in ogni casoche senso ha pensarlo?Kant stesso dice che il concetto di noumeno è “problematico”, perché: da un lato, è logico, in quanto, così come, se pensiamo al finito, siamo costretti apensare l’infinito, allo stesso modo se pensiamo il fenomeno siamo rimandati alnoumeno in quanto suo opposto non contraddittorio;da un altro lato, il concetto di “noumeno” è illogico, in quanto non possiede alcuncontenuto e quindi quando lo pensiamo non sappiamo cosa pensare, ovvero nonpensiamo nulla.Eppure Kant difende e valorizza il concetto di noumeno in quanto gli attribuisce lafunzione nevralgica di avvertirci <strong>del</strong> limite di ogni nostra conoscenza. In altre parole, ilnoumeno (nel suo significato logicamente negativo ma <strong>scienti</strong>ficamente positivo) è unconcetto segnaconfine, o anche un campanello d’allarme che ci impedisce di esserepresuntuosi, in quanto segnala ogni indebito sconfinamento <strong>del</strong>le nostre pretese<strong>scienti</strong>fiche.Kant stesso battezza “criticismo”, ossia “razionalismo critico”, la sua posizione <strong>filoso</strong>fica.Ciò significa che il Leitmotiv, il filo conduttore <strong>del</strong>la sua <strong>filoso</strong>fia, è proprio laconsapevolezza dei limiti <strong>del</strong>la scienza, e più in generale <strong>del</strong>la ragione umana. Questo noncomporta però alcuna svalutazione <strong>del</strong>la ragione. Al contrario, per Kant proprio lacoscienza dei propri limiti permette alla ragione umana di utilizzare al meglio le sue grandicapacità e quindi di mostrare tutto il suo enorme valore. E’ semmai l’oblio dei propri limitiche porta la ragione all’errore, teorico e pratico, e pertanto alla sua svalutazione.Possiamo comprendere così ancora più a fondo il significato <strong>del</strong>la “rivoluzionecopernicana” e <strong>del</strong>la “deduzione trascendentale”. E’ la ragione umana, non la natura in sé,il fondamento <strong>del</strong>la conoscenza. Pertanto, pur ordinando la natura in base alle propriecategorie, la ragione umana consegue l’oggettività. Anzi, addirittura Kant si spinge adaffermare che è l’io penso o autocoscienza trascendentale il “legislatore <strong>del</strong>la natura”, inquanto le leggi razionali che lo scienziato può scoprire nella natura derivanodall’applicazione alla natura sensibile <strong>del</strong>le categorie, in particolare <strong>del</strong>la categoria <strong>del</strong>lacausalità. Una legge <strong>scienti</strong>fica è infatti una correlazione sintetica di molti dati e concetti epertanto non può che essere il prodotto <strong>del</strong>l’ordinamento unitario <strong>del</strong>l’autocoscienzatrascendentale.Dunque, la scienza si conquista così l’oggettività in modo pienamente legittimo. Ma - eccol’ulteriore approfondimento - questa oggettività non è “essenziale”, cioè non include tuttociò che l’oggetto è né, a fortiori, ciò che veramente l’oggetto è. Come aveva scritto Galilei,la scienza moderna non consiste nel “tentar le essenze”, ma nel descrivere e spiegare comesi svolgono i fatti naturali. Insomma, l’oggettività <strong>scienti</strong>fica è, per così dire, superficiale,benché la superficie possa essere anche molto profonda.In questo senso, con la “rivoluzione copernicana” di Kant, i concetti <strong>filoso</strong>fici di “soggetto”e “oggetto”, “soggettivo” e “oggettivo”, “soggettività” e “oggettività” subiscono uno37


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREslittamento di significato. “Soggetto” mantiene il significato di “relativo a un individuo” (dacui “soggettivo” come contrario di “oggettivo”), ma acquista anche quello di “proprio <strong>del</strong>laragione umana, ossia di ogni uomo” (non più opposto ma costitutivo di “oggettivo”).“Oggetto” non significa più “coincidente con le cose stesse” , bensì “correlato alle cosestesse”. In conclusione l’oggettività kantiana è un nuovo concetto di oggettività, che, per unverso, include la soggettività universale (o trascendentale) umana come suo elementocostitutivo, e, per l’altro verso, rinuncia alla pretesa di una completa aderenza alle cosestesse.38


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREMAPPA <strong>del</strong>la TAPPA 5LA SCIENZA E’UNIFICAZIONE/ORDINAMENTOMENTALE DEGLI OGGETTILA SCIENZA E’ OGGETTIVAMA LIMITATAL’OGGETTO SCIENTIFICO NON E’ TUTTOL’OGGETTO , OVVERO E’UN “FENOMENO” (O “COSA PER NOI”)rinvia logicamente al suo oppostoIL “NOUMENO” (O “COSA IN SE’”)si può intendere in 2 modiMODO POSITIVOPENSABILE PURO, OSSIA UNCONCETTO PURAMENTERAZIONALE CONOSCIBILESENZA BISOGNODELL’ESPERIENZA SENSIBILEMODO NEGATIVOUN CONCETTO VUOTO CHERAPPRESENTA LA PARTEINCONOSCIBILEDELL’OGGETTOINAMMISSIBILE,PERCHE’ LA SCIENZA DEVEBASARSI SULL’ESPERIENZASENSIBILEINDISPENSABILE,PERCHE’ CI RICORDA CHELA SCIENZA E’ LIMITATA39


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 6KANT: LA CONOSCENZA RAZIONALE DELLA RAGIONEOrmai, non soltanto abbiamo percorso il dominio <strong>del</strong>l’intelletto puro […] mal’abbiamo altresì misurato, ed abbiamo assegnato ad ogni cosa che vi siritrova il suo posto. Questo dominio, tuttavia, è un’isola, e risulta rinchiusodalla natura stessa entro confini immutabili. E’ la terra <strong>del</strong>la verità (nomeallettante), circondata da un oceano vasto e tempestoso, che è la vera epropria sede <strong>del</strong>l’illusione, dove molti banchi di nebbia e numerosi ghiacci,che presto saranno liquefatti, suggeriscono falsamente nuove terre, eincessantemente ingannando, con vane speranze, il navigatore errabondo eavido di scoperte, lo invischiano in <strong>avventure</strong>, che egli non potrà maitroncare, ma neppure potrà mai condurre a termine. […]Tuttavia c’è qui alla base un’illusione difficilmente evitabile. Le categorie,quanto alla loro origine, non si fondano sulla sensibilità […] e sembranoquindi permettere un’applicazione estesa al di là di tutti gli oggetti dei sensi.Kant, Critica <strong>del</strong>la ragione pura, Libro II, Cap. III, edizione citataIl nostro compito non consiste qui nel trattare <strong>del</strong>l’illusione empirica (peresempio, <strong>del</strong>l’illusione ottica), che si incontra nell’uso empirico di regole<strong>del</strong>l’intelletto (per altri aspetti giuste), e dalla quale la capacità di giudizio èfuorviata, attraverso l’influsso <strong>del</strong>l’immaginazione. Piuttosto, noi abbiamo ache fare soltanto con l’illusione trascendentale, la quale influisce suproposizioni fondamentali, il cui uso non mira mai all’esperienza (nel casoche esse si applicassero all’esperienza, noi avremmo almeno una pietra diparagone per la loro correttezza); quest’illusione, anzi, a dispetto di tutti gliavvertimenti <strong>del</strong>la critica, ci conduce completamente al di là <strong>del</strong>l’uso empirico<strong>del</strong>le categorie, e ci tiene a bada col miraggio di un’estensione <strong>del</strong>l’intellettopuro. […]E’ un’illusione, questa, che non può assolutamente essere evitata, allo stessomodo che non possiamo evitare che il mare ci appaia più alto in distanza chein prossimità <strong>del</strong>la spiaggia, in quanto nel primo caso lo vediamo medianteraggi luminosi più alti che nel secondo, o per scegliere un esempio ancora piùnotevole, allo stesso modo che neppure l’astronomo può impedire che la lunagli appaia più grande nel sorgere, sebbene egli non venga ingannato da questaillusione. […]Nella prima parte <strong>del</strong>la nostra logica trascendentale, abbiamo definitol’intelletto come la facoltà <strong>del</strong>le regole; qui noi distinguiamo la ragionedall’intelletto, col chiamarla la facoltà dei principi. […]Se l’intelletto è una facoltà di dare unità alle apparenze mediante le regole, laragione è allora la facoltà di dare unità alle regole <strong>del</strong>l’intelletto in base aprincipi. Perciò la ragione non si rivolge mai direttamente all’esperienza, o adun qualche oggetto, ma si indirizza all’intelletto, per dare a priori, medianteconcetti, un’unità alle molteplici conoscenze di esso: tale unità può chiamarsiunità <strong>del</strong>la ragione, ed è di natura <strong>del</strong> tutto differente dall’unità che puòessere prodotta dall’intelletto. […]Orbene, il nostro compito nella dialettica trascendentale […] è il seguente:vedere se la suddetta proposizione fondamentale, secondo cui la serie <strong>del</strong>lecondizioni […] si estende sino all’incondizionato, abbia oppure no una suaesattezza oggettiva; […] poi trovare quali fraintendimenti e quali illusioni40


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREpossano essersi insinuati nei sillogismi, la cui premessa maggiore sia statafornita dalla ragione pura […].Kant, Critica <strong>del</strong>la ragione pura, Dialettica trascendentale, Introduzione, ed. citataDella conoscenza razionale Kant non si occupa solo nell’ “Analitica trascendentale”, maanche nella successiva “Dialettica trascendentale”. Per Kant, infatti, la conoscenzarazionale è di due tipi:a) quella basata sull’intelletto, che produce la scienza <strong>del</strong>la natura;b) quella basata sulla ragione, che ha prodotto la scienza metafisica.La Dialettica (intesa come logica <strong>del</strong>la totalità) trascendentale (perché basata sullecategorie) si occupa di questo secondo tipo di conoscenza razionale. Mentre l’Analiticatrascendentale assumeva come dato evidente la verità oggettiva <strong>del</strong>la scienza <strong>del</strong>la natura,in particolare <strong>del</strong>la fisica, e si poneva l’obiettivo di metterne a fuoco i fondamentignoseologici ed epistemologici; la Dialettica trascendentale assume come dato altrettantoevidente l’illusorietà <strong>del</strong>la metafisica, cioè l’infondatezza <strong>del</strong>la sua pretesa di essere scienza,e si propone due obiettivi:1) smascherare l’illusione metafisica, ossia mostrare i suoi trucchi logici, vale adire le sue fallacie, e quindi argomentare che le sue conoscenze non sono<strong>scienti</strong>fiche, ovvero che non sono né possono essere universali e necessarie;2) salvaguardare e anzi valorizzare l’esigenza metafisica <strong>del</strong>la ragione e laconnessa possibilità di fare un uso metodologico dei concetti metafisici perpungolare lo sviluppo <strong>del</strong>la scienza <strong>del</strong>la natura.Kant introduce la sua interpretazione <strong>del</strong>la metafisica usando l’allegoria <strong>del</strong>l’oceano “vastoe tempestoso”, coperto di nebbia e punteggiato da iceberg. Il navigatore oceanicoinsoddisfatto <strong>del</strong>l’esplorazione <strong>del</strong>la terraferma – un’isola piccola in confronto alla vastità<strong>del</strong>l’oceano – si avventura sulle acque vaporose e crede di scoprirvi altre terre, altre isole.In realtà è vittima di un’illusione ottica perché ciò che crede terra – gli iceberg – sono inrealtà solo montagne di ghiaccio, cioè pur sempre acqua marina, destinate a sciogliersi alprimo sole. Tuttavia il navigatore oceanico non smette di cercare, perché sente un bisognoinsopprimibile di conoscere l’oceano e dunque spera sempre che prima o poi un iceberg siriveli un’isola vera.L’isola è il mondo fisico, ovvero il territorio <strong>del</strong>l’esperienza sensibile e quindi <strong>del</strong>la scienza.L’oceano è la possibile realtà che non è né può essere oggetto <strong>del</strong>la nostra esperienzasensibile, e quindi di scienza, ma che non possiamo fare a meno di pensare che possasussistere dal momento che la nostra esperienza e la nostra scienza sono limitate. Ilnavigatore oceanico è, in senso stretto, il metafisico, colui che crede sia possibile costruireuna scienza totale, illimitata, ovvero conoscere ciò che è al di là <strong>del</strong> mondo fisico di cuifacciamo esperienza. Ma, in senso più ampio, il navigatore oceanico è ogni uomo, che, inquanto dotato di ragione, non può fare a meno voler conoscere l’ignoto. L’imbarcazione <strong>del</strong>navigatore oceanico, infatti, è la ragione stessa, la quale è la facoltà che aspira allaconoscenza <strong>del</strong>la totalità. L’iceberg è l’illusione metafisica, cioè la credenza in buona fedenella verità di concetti non basati sulla conoscenza sensibile.Fuor di metafora, dopo aver fatto un uso generico <strong>del</strong> termine “ragione”, come l’insieme ditutte le facoltà conoscitive, Kant introduce un nuovo significato di ragione, come quellaspecifica ma suprema facoltà che non si accontenta <strong>del</strong>la conoscenza razionale<strong>del</strong>l’intelletto, basata sull’esperienza sensibile e quindi limitata, ma vuole estenderla allatotalità incondizionatamente, cioè facendo a meno appunto <strong>del</strong>la condizione<strong>del</strong>l’esperienza sensibile. In questo senso, la ragione, facendo un uso metaempirico <strong>del</strong>lecategorie, unifica i concetti empirici in 3 concetti metafisici e, in definitiva, in uno solo.Kant chiama i 3 concetti metaempirici <strong>del</strong>la ragione “idee”, nel significato platonico. Essesono:41


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORE1) l’idea di anima (o idea psicologica), come totalità unitaria dei fenomeni interiori,cioè intramentali o psichici;2) l’idea di mondo (o idea cosmologica), come totalità unitaria dei fenomeni esterni,cioè extramentali o fisici;3) l’idea di Dio (o idea teologica), come totalità unitaria di tutti i fenomeni psichici efisici, ossia come sintesi <strong>del</strong>le 2 idee precedenti e quindi come sintesi unitaria totale.Le idee, pur essendo concetti <strong>del</strong> tutto indipendenti dall’esperienza, e quindi puramenterazionali, non sono categorie, perché non sono forme da applicare all’esperienza macontenuti conoscitivi indipendenti; ma non sono nemmeno concetti empirici, perché non sifondano sull’intuizione sensibile. Esse sono quei “noumeni” in senso “positivo”, cioè gliintellegibili puri oggetto di intuizione razionale, che Kant aveva già dichiarato fuorilegge inambito <strong>scienti</strong><strong>fico</strong>. Ora il suo obiettivo è confutarle, cioè smontarle per esibire i lorotrucchi, per svelare l’inganno che nascondono. Ma, poiché in queste 3 idee Kant sintetizzatutta la storia <strong>del</strong>la metafisica, e quindi attraverso di esse espone altresì la suainterpretazione <strong>del</strong>la tradizione metafisica, confutandole si propone di sottrarre allametafisica ogni patente di <strong>scienti</strong>ficità.42


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREMAPPA <strong>del</strong>la TAPPA 6LA RAGIONE (in senso debole ossia generico)è la razionalità <strong>del</strong>l’uomo in generale che siarticola in diverse facoltàL’INTELLETTO è la facoltà conoscitivache: si basa su esperienza sensibile; si limita alla realtà fenomenica.LA RAGIONE (in senso forte ossiaspeci<strong>fico</strong>) è la facoltà conoscitiva che: aspira a conoscere la totalità(l’oceano sconfinato); supera i limiti <strong>del</strong>la realtàfenomenica (la terraferma comepiccola isola).SCIENZA =conoscenza universale enecessariaMETAFISICA =conoscenza illusoria (gliiceberg creduti isole)basata su3 IDEE,ossia 3 concetti puramenterazionali, conoscibili direttamentedalla ragione senza passare perl’esperienzaANIMAin quanto totalità di tutti ifenomeni interni alla coscienzaumanaMONDOin quanto totalità di tutti ifenomeni esterni, cioè fisiciDIOin quanto totalità sia dei fenomeniesterni sia dei fenomeni esterni,ossia totalità sintetica, unica esuprema43


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 7KANT: LA CONFUTAZIONE DELLA METAFISICAIl procedimento <strong>del</strong>la psicologia razionale è dominato da un paralogismo chetrova espressione nel seguente sillogismo:Ciò che non può esser pensato diversamente che come soggetto, non esistediversamente che come soggetto, perciò è sostanza.Ma un essere pensante, considerato semplicemente come tale, non può esserepensato diversamente che come soggetto.Dunque esso esiste soltanto come tale, ossia come sostanza.Nella premessa maggiore si parla di un essere che può esser pensato ingenerale, sotto ogni aspetto, e conseguentemente anche così come può esseredato nell’intuizione. Ma nella premessa minore si parla invece di tale esseresolo relativamente al suo considerarsi come soggetto, esclusivamente inrelazione al <strong>pensiero</strong> e all’unità <strong>del</strong>la coscienza, e non già anche inriferimento all’intuizione, mediante cui esso è dato al <strong>pensiero</strong> come oggetto.La conclusione è perciò inferita per sophisma figurae dictionis, ossia in basea un ragionamento sofistico. […]Per raggiungere un fondamento sicuro, questa dimostrazione [la provacosmologica <strong>del</strong>l’esistenza di Dio, ndc) si fa forte <strong>del</strong>l’esperienza,gabellandosi in tal modo come diversa dalla prova ontologica, che si affidainteramente a concetti puri a priori. Ma l’esperienza è utilizzata dalla provacosmologica esclusivamente per fare un primo passo e giungere all’esistenzad’un essere necessario in generale. L’argomentazione empirica non è in gradodi dirci quali siano le proprietà di un tale essere; sicché la ragione se nedistacca completamente, e, affidandosi a meri concetti, cerca di determinarequali proprietà spettino in generale a un essere assolutamente necessario,cioè quale sia la cosa, tra tutte le possibili, che sia tale da racchiudere in sé lecondizioni richieste (requisita) da una necessità assoluta. La ragione credepoi di poter trovare i requisiti richiesti soltanto nel concetto <strong>del</strong>l’essererealissimo, e perciò conclude che esso è l’essere assolutamente necessario.Ma è chiaro che qui si presuppone che il concetto <strong>del</strong>l’essere fornito <strong>del</strong>lasuprema realtà sia tale da soddisfare completamente al concetto <strong>del</strong>lanecessità assoluta nell’esistenza, cioè che sia possibile conchiudere da questaa quella; tale principio era stato asserito dall’argomento ontologico, e vienetrasferito alla prova cosmologica quale suo fondamento, mentre si era partitidal presupposto di evitarlo. […]Io asserisco dunque che le idee trascendentali sono inadatte a qualsiasi usocostitutivo, per cui debbono fornire concetti di oggetti; e che se sono intese inquesto modo, si risolvono in semplici concetti raziocinanti (dialettici). Essehanno però un uso regolativo vantaggioso e imprescindibile, consistente neldirigere l’intelletto verso un certo scopo. In vista <strong>del</strong> quale le linee direttive<strong>del</strong>le sue regole convergono in un punto, che – pur essendo null’altro cheun’idea (focus imaginarius), cioè un punto da cui non possono realmenteprovenire i concetti <strong>del</strong>l’intelletto, perché è fuori <strong>del</strong>l’esperienza possibile –serve tuttavia a conferire a tali concetti la massima unità ed estensionepossibile.Kant, Critica <strong>del</strong>la ragione pura, Dialettica trascendentale, edizione citata44


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREDopo aver individuato e illustrato le 3 idee <strong>del</strong>la metafisica, Kant passa alla loroconfutazione, smontandole logicamente una per una, in tutte le loro svariate componenti,allo scopo di rinvenire e mostrare i trucchi logici, ovvero le fallacie, che esse nascondono.La confutazione <strong>del</strong>l’idea di “anima”, cioè di una sostanza immateriale semplice e quindiimmortale (res cogitans di Cartesio), si impernia sull’indebita attribuzione <strong>del</strong>lacategoria <strong>del</strong>la “sostanza” all’io penso o autocoscienza trascendentale. Quest’ultima, infatti,non è un oggetto <strong>del</strong>l’esperienza sensibile, ma solo una funzione, un’attività, di cui ogniuomo ha una consapevolezza immediata che nulla ha a che spartire con l’intuizionesensibile. Poiché le categorie acquistano una consistenza oggettiva se, e solo se, sonoriferite all’esperienza sensibile, ne segue che l’attribuzione <strong>del</strong>la “sostanza”all’autocoscienza trascendentale è invalida. In parole più semplici, in questo caso l’ingannometafisico consiste nel travestire l’autocoscienza trascendentale da anima, ossiatrasformare la suprema attività unificatrice <strong>del</strong>l’intelletto una “cosa” puramente razionale.Dal punto di vista logico-formale, l’idea di anima si basa su una fallacia semantica, cioè suun’anfibolia o equivoco. Un esempio, diverso da quello kantiano, ma simile e soprattuttopiù semplice: “Io possiedo un <strong>pensiero</strong> unificatore; questo <strong>pensiero</strong> è puramente razionalee semplice; quindi questo <strong>pensiero</strong> è un’anima immortale”. Il sillogismo sembra valido, main realtà è invalido. Il suo trucco consiste nell’usare il termine medio (“<strong>pensiero</strong>”) in 2significato diversi, ovvero nel fatto che i concetti in ballo, anziché essere 3, sono 4, appuntoperché il termine medio ha un doppio significato. Nella prima premessa “<strong>pensiero</strong>”significa “attività pensante”, nella seconda significa “cosa pensante”, cioè “mente”. Sarebbecome se argomentassi: “Ho un campione di lana; un campione ha muscoli atletici; quindiquesto campione di lana ha muscoli atletici”.La confutazione <strong>del</strong>l’idea di mondo è più complessa perché più articolata e variegata èl’idea stessa di mondo, che ha dato luogo a diverse teorie metafisiche. Anche in questo casol’errore di fondo consiste nell’applicare le categorie a ciò che non è oggetto d’esperienzasensibile ma è soltanto inferito a partire da essa e quindi ne costituisce, per così dire,un’estensione puramente teorica. P.e., osservando il cielo stellato, possiamo constatare lapresenza di migliaia di stelle e porci il problema se il loro numero sia finito o infinito. Siache io risponda “finito” sia che risponda “infinito”, applico la categoria quantitativa <strong>del</strong>latotalità a un giudizio che è un’estensione <strong>del</strong>la mia esperienza sensibile, ma che noncorrisponde a un’effettiva esperienza sensibile, perché:a) se le stelle fossero effettivamente infinite, io non potrei mai osservarle tutte;b) se fossero effettivamente finite io non potrei comunque saperlo in quanto nondispongo di un criterio di verità che mi permetta di stabilire se le stelle che osservosono tutte o solo una parte, ce ne potrebbero sempre essere molte altre chesemplicemente non riesco a vedere.Si tratta, insomma, di una questione indecidibile: non si può escludere né che le stellesiano finite, né che siano infinite, ovvero si è costretti ad ammettere che entrambe lesoluzioni sono possibili.Secondo Kant, i metafisici non hanno compreso questo limite logico e non l’hanno quindirispettato. L’esito è stato la produzione di 4 antinomie, cioè di 4 coppie di tesi antitetiche,legate a 2 opposte concezioni <strong>del</strong> “mondo”:I antinomia relativa alla grandezza/durata <strong>del</strong> mondo ( categoria quantitativa <strong>del</strong>latotalità):a) il mondo è spazio-temporalmente finito;b) il mondo è spazio-temporalmente infinito.II antinomia relativa alla costituzione <strong>del</strong>la materia (categoria qualitativa <strong>del</strong>la realtà):a) la materia è una sostanza semplice ed omogenea;45


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREb) la materia è una sostanza composta di corpuscoli differenziati.III antinomia relativa alla relazione di causa ed effetto (categoria relazionale <strong>del</strong>lacausalità)a) la causalità naturale è sia meccanica sia libera (finalistica);b) la causalità naturale è solo meccanica.IV antinomia relativa all’origine <strong>del</strong> mondo (categoria modale <strong>del</strong>lanecessità/contingenza):a) l’esistenza <strong>del</strong> mondo presuppone un essere necessario;b) l’esistenza <strong>del</strong> mondo è <strong>del</strong> tutto contingente.Secondo Kant, insomma, l’idea di mondo ha prodotto 2 visioni metafisiche, la prima di tiporazionalistico o idealistico (tesi a) e la seconda di tipo materialistico-meccanicistico(tesi b), ognuna <strong>del</strong>la quali è il negativo <strong>del</strong>l’altra. Il punto è che la loro contrapposizionenon può essere risolta né a favore di una né a favore <strong>del</strong>l’altra. In altri termini, è unabattaglia inutile perché nessuno dei due eserciti può vincere e quindi finiscono solo perdistruggersi a vicenda. In questo senso, l’idea di mondo si confuta innanzitutto da sola inquanto produce dei risultati insuperabilmente ambivalenti e dunque <strong>scienti</strong>ficamentesterili e anzi autolesionistici. Ma c’è di più. Per Kant infatti le tesi <strong>del</strong>le prime 2 antinomiesono entrambe false, perché l’esperienza <strong>scienti</strong>fica è ricerca che si sviluppa, work inprogress, e quindi da una parte supera sempre ogni conclusione finita e dall’altra però nonraggiunge mai la totalità infinita; invece le tesi <strong>del</strong>le altre 2 antinomie possono essereentrambe vere, in quanto logicamente compatibili tra loro e quindi ontologicamenteentrambe possibili.La confutazione <strong>del</strong>l’idea di Dio, culmine <strong>del</strong>la metafisica, è di tipo propriamente logicoargomentativo,e di base fa sempre leva sull’uso scorretto <strong>del</strong>le categorie, in questo caso<strong>del</strong>la categoria modale <strong>del</strong>l’esistenza. L’idea di Dio, infatti, si fonda sulle cosiddette“prove”, ossia sulle argomentazioni razionali, <strong>del</strong>la sua esistenza. Kant le sintetizza tutte in3 prototipi:1) l’argomento ontologico o prova a priori (Anselmo d’Aosta e Cartesio);2) la prova cosmologica (ex possibili et necessario di Tommaso d’Aquino);3) la prova teleologica o finalistica (ex fine di Tommaso d’Aquino, ma anchedi molti altri prima e dopo).L’argomento ontologico sostiene che, avendo ogni uomo il concetto di Dio come essereinfinito e perfetto, ogni uomo deve ammetterne l’esistenza altrimenti cadrebbe incontraddizione. Kant afferma che quest’argomentazione contiene 2 trucchi, a seconda dicome la si interpreti. In prima battuta essa potrebbe nascondere una petitio principii, senon addirittura una tautologia analitica, in quanto avendo definito nella premessa Diocome infinito e perfetto si è già inclusa implicitamente la proprietà <strong>del</strong>l’esistenza in questadefinizione, per cui nella conclusione si afferma esplicitamente ciò che occultamente eragià contenuto nella premessa. In seconda battuta, se anche così non fosse, la conclusionesarebbe un non sequitur, perché il predicato <strong>del</strong>l’ “esistenza”, essendo una categoria, si puòconferire a qualcosa che sia oggetto di un’esperienza sensibile. Altrimenti detto, l’esistenzadi qualcosa, a differenza di altre proprietà, non si può dedurla dal suo concetto. P.e., dalconcetto di corpo posso dedurre la sua spazio-temporalità, ma non la sua esistenza. Allostesso modo, dal concetto di Dio posso dedurre la sua superiorità, ma non la sua esistenza.Giocando sul fatto che alcune proprietà sono deducibili dal concetto di qualcosa,l’argomento ontologico fa finta che la proprietà <strong>del</strong>l’esistenza sia una di queste. Ma èappunto un trucco.46


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORESecondo la prova cosmologica, poiché il mondo è contingente, ossia poteva esistere tantoquanto non esistere, dato che esiste, bisogna presupporre l’esistenza di un esserenecessario, ovvero di una causa prima che lo ha fatto esistere. Kant afferma che i concettidi “causa prima” ed “essere necessario” sono costituiti dalle categorie <strong>del</strong>la causalità e <strong>del</strong>lanecessità in assenza <strong>del</strong>l’indispensabile riferimento a una corrispondente intuizionesensibile. Noi, infatti, possiamo inferire una causa prima dall’intuizione sensibile <strong>del</strong>laserie <strong>del</strong>le cause seconde, ma inferire è diverso da esperire. Inoltre, un conto sarebbeasserire un essere necessario, tutt’altro che esso esiste e coincide con Dio. In quest’ultimomodo, ricadiamo nell’errore/trucco <strong>del</strong>l’argomento ontologico, ossia attribuiamol’esistenza a qualcosa di solamente inferito ma non esperito.La prova teleologica fa leva sulla constatazione <strong>del</strong>l’ordine mirabile <strong>del</strong> cosmo perconcludere che esso presuppone un Grande architetto. Nelle versioni più recenti, essa erastata riformulata nella fortunatissima argomentazione <strong>del</strong>l’orologio e <strong>del</strong>l’orologiaio: cosìcome l’esistenza di un orologio è impensabile senza quella <strong>del</strong>l’orologiaio che l’ha costruito,allo stesso modo l’esistenza <strong>del</strong> cosmo (ancora più complesso e perfetto di un orologio) èimpensabile senza l’esistenza di Dio. Kant comincia la sua opera demolitrice rilevando chela prova teleologica non considera l’ipotesi, <strong>del</strong> tutto plausibile, che il cosmo possa esserecapace di autorganizzarsi, cioè che possa possedere un principio d’ordinamentoimmanente. Si sarebbe dovuto preliminarmente confutare questa ipotesi, ma ciò non èstato fatto e quindi la conclusione <strong>del</strong>la prova teleologica risulta comunque parziale. Insecondo luogo, Kant nota che anche questa prova salta dal concetto di un GrandeArchitetto a quello di Dio, dunque ricade nello stesso errore <strong>del</strong>la prova cosmologica.Infine, nel momento in cui, per superare questa dif<strong>fico</strong>ltà, sostiene che l’ordine <strong>del</strong> mondoè così perfetto che esso non può non implicare un Architetto infinito e perfetto, ossia Dio,secondo Kant commette un doppio errore: da un lato, salta dal finito all’infinito, dalmomento che l’ordine cosmico che noi possiamo constatare rimane pur sempre finito;dall’altro attribuisce comunque indebitamente la proprietà <strong>del</strong>l’esistenza a qualcosa diinferito ma non di esperito, ricadendo nell’errore <strong>del</strong>l’argomento ontologico.In conclusione, secondo Kant, l’esistenza di Dio non può essere argomentatarazionalmente, ossia non può essere sancita dalla scienza, a differenza di quanto avevacreduto Newton. Ma Kant non pensa nemmeno che la scienza attesti l’inesistenza di Dio eche quindi possa o debba diffondere l’ateismo. Egli sa bene che, in tal caso, cadrebbe a suavolta nella fallacia ad ignorantiam, secondo cui la confutazione di una tesi equivale alladimostrazione <strong>del</strong>la sua antitesi. Kant sostiene invece che la questione <strong>del</strong>l’esistenza oinesistenza di Dio non pertiene all’ambito <strong>del</strong>la scienza, ossia non ricade sotto il dominio<strong>del</strong>la razionalità teoretica o conoscitiva. La scienza non può e non deve pronunciarsi suDio, ovvero la conoscenza <strong>scienti</strong>fica è neutrale nello scontro tra teisti e ateisti.Avendo così terminato la pars destruens <strong>del</strong>la Dialettica trascendentale, Kant puòconcedersi una pars construens. In realtà la valorizzazione selettiva <strong>del</strong>la ragione e <strong>del</strong>lametafisica era già stata annunciata in apertura <strong>del</strong>la “Dialettica trascendentale”, laddoveKant aveva insistito non solo sul fatto che il bisogno metafisico appartiene alla costituzionestessa <strong>del</strong>la ragione, ma anche sul fatto che la ragione metafisica certo sbaglia, ma il suo èun nobile errore in quanto commesso in nome <strong>del</strong>la conoscenza (vedi l’Ulisse dantesco).In sintonia con queste anticipazioni, nella conclusione Kant afferma che è possibile e anzidoveroso un uso “regolativo” <strong>del</strong>le 3 idee <strong>del</strong>la ragione, in alternativa al loro erroneo uso“costitutivo”, cioè al loro uso come concetti <strong>scienti</strong>fici. Questo uso alternativo consiste nelconferire alle 3 idee il ruolo di traguardi irraggiungibili ai quali però è possibile avvicinarsisempre più, ossia di considerarle una sorta di calamite e insieme di catalizzatori <strong>del</strong>laricerca <strong>scienti</strong>fica. Le idee metafisiche, infatti, incarnano l’ideale di una conoscenzaquantitativamente completa e qualitativamente <strong>del</strong> tutto unificata. Dunque se, purconsapevole <strong>del</strong>la loro inconoscibilità, lo scienziato cerca tuttavia di avvicinarle allora sarà47


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREspronato ad incrementare la sua esperienza e al contempo a unificare sempre più le sueteorie, in poche parole a fare sempre più <strong>del</strong>la buona scienza.Non pago, Kant accenna a un ulteriore valore <strong>del</strong>la ragione dialettica o metafisica, quello dianticipare le scoperte <strong>del</strong>la ragione pratica o morale e quindi di gettare un ponte tra lascienza e l’etica. Implicitamente, Kant ci fa così intravedere che c’è un’altra modalità peresplorare l’oceano tempestoso e nebbioso che circonda l’isola <strong>del</strong>la scienza, senza rimanereabbagliati dall’illusione <strong>del</strong>la terraferma prodotta dalle montagne di ghiaccio galleggianti,ma scoprendo una seconda isola reale benché con una natura molto diversa dalla prima.48


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREMAPPA <strong>del</strong>la TAPPA 7IDEA DELL’ANIMAcome conoscenza diuna sostanzaimmateriale, semplicee quindi immortaleAttribuzione L’io penso non èbasata<strong>del</strong>lamaun oggettodunquesucategoriad’esperienza ma<strong>del</strong>launa funzionesostanzatrascendentaleall’io pensoL’io penso nonpuò essereidentificato conl’anima, poichéle categorie sonoriferibili soloall’esperienzaIDEA DIMONDOcomeconoscenzacompleta<strong>del</strong> cosmo4 ANTINOMIE DELLA RAGIONETESIANTITESIFinitoInfinitoPartiindivisibiliParti sempredivisibiliCausalità Causalità meccanicaliberaNecessario PossibileSono problemiirrisolvibili in quantomanca il criterio digiudizio: l’esperienzasensibileDIOcomeconoscenzacompleta<strong>del</strong>l’origine,<strong>del</strong> fine e <strong>del</strong>senso di tuttala realtàbasata su3 PROVEDELL’ESISTENZA DI DIO:1) prova a priori oargomento ontologico2) prova cosmologia3) prova teleologica ofinalisticainficiate daFallacie, cioè da errorilogici mascherati, epertanto non valideLa scienza non lepuò confermarema nemmenosmentireVietato farne unUSO COSTITUTIVOma necessario farne unUSO REGOLATIVOLa scienza deveassumere le 3 ideecome meteirraggiungibili cuitendere così daestendersi e rendersisempre più unitaria49


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 8KANT: LA RAGIONE PRATICA E LA LEGGE MORALEI principi pratici sono proposizioni che contengono una determinazioneuniversale <strong>del</strong>la volontà, la quale ha sotto di sé parecchie regole pratiche. Essisono soggettivi, ossia massime, se la condizione viene considerata dalsoggetto come valida soltanto per la sua volontà; ma oggettivi, ossia leggipratiche, se la condizione vien riconosciuta come oggettiva, cioè valida per lavolontà di ogni essere razionale. […]Nella conoscenza pratica, cioè in quella che si occupa semplicemente deimotivi determinanti <strong>del</strong>la volontà, i principi che c’imponiamo non sonoancora perciò <strong>del</strong>le leggi alle quali sia inevitabile sottostare, perché la ragionenell’uso pratico ha a che fare col soggetto, cioè con la facoltà di desiderare e,secondo la disposizione particolare di questa facoltà, si può adattarevariamente la regola. La regola pratica è sempre un prodotto <strong>del</strong>la ragione,perché prescrive l’azione come mezzo all’effetto come fine. Ma per un essere,per cui il motivo determinante <strong>del</strong>la volontà non è unicamente la ragione,questa regola è un imperativo, cioè una regola che viene caratterizzatamediante un dovere [ein Sollen] esprimente la necessità oggettiva <strong>del</strong>l’azione:essa significa che, se la ragione determinasse interamente la volontà, l’azioneavverrebbe immancabilmente secondo questa regola. Gl’imperativi hannodunque valore oggettivo, e sono affatto differenti dalle massime, in quantoqueste sono principi soggettivi. Quelli, invece, o determinano le condizioni<strong>del</strong>la causalità <strong>del</strong>l’essere razionale, come causa efficiente, semplicementeriguardo all’effetto e alla sufficienza ad esso, o determinano soltanto lavolontà, sia questa sufficiente o no all’effetto. I primi sarebbero imperativiipotetici, e conterrebbero semplici precetti <strong>del</strong>l’abilità; i secondi invecesarebbero imperativi categorici e soltanto leggi pratiche. […] Queste ultimedevono determinare sufficientemente la volontà come volontà, ancor primache io domandi se ho il potere necessario a un effetto desiderato, o che cosadebba fare per produrlo. […]§ 7. LEGGE FONDAMENTALE DELLA RAGION PURA PRATICAOpera in modo che la massima <strong>del</strong>la tua volontà possa sempre valere in ognitempo come principio di una legislazione universale.Kant, Critica <strong>del</strong>la ragion pratica, Laterza 1986, Libro I, capitolo ILa ragione per Kant non è solo teoretica, ossia relativa alla conoscenza contemplativa edistaccata <strong>del</strong>la realtà fisica; essa è anche pratica, ossia capace di giudicare e guidare ilcomportamento umano sulla base di principi pratici specifici.Per “principio pratico” (o morale o etico) Kant intende un giudizio capace di determinarela volontà e che dunque si traduce in un’azione. P.e., “mi alzo”, piuttosto che “rimangosdraiato a letto” o “mi metto a saltare sul materasso”, in quanto mi fanno fare l’azionecorrispondente, finendo per essere tutt’uno con quell’azione.Secondo Kant i principi pratici possono essere di 2 generi: “massime” : sono principi pratici soggettivi nel senso comune <strong>del</strong> termine, cioèvalidi solo per un singolo individuo. Gli esempi di prima sono, dunque, tuttemassime, tanto quanto “studio 3 ore” oppure “me ne vado al cinema”; “imperativi”: sono principi pratici oggettivi, nell’unico senso possibile in ambitomorale, cioè “universali”, validi per tutti gli uomini.50


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREDunque, a differenza <strong>del</strong>le massime, gli imperativi sono regole o leggi di comportamento.Proprio come tali sono “imperativi”, ossia hanno una forma logico-verbale dicomando:“Fai questo!”. Ma, a loro volta, gli imperativi possono essere di 2 specie:a) imperativi ipotetici, ossia relativi a una condizione data;b) imperativi categorici, ossia incondizionati.I primi comandano di comportarsi nel modo ritenuto più funzionale a raggiungere undeterminato obiettivo, che ne è dunque la condizione: p.e., “se vuoi vincere la corsa allenatitutti i giorni!”. In altri termini, gli imperativi ipotetici si basano su una razionalitàstrumentale, cioè capace di indicare il mezzo migliore per raggiungere un finesemplicemente postulato. La loro universalità, e quindi la loro razionalità, è pertantorelativa e limitata, in quanto non si riferisce al problema cruciale, ovvero quello <strong>del</strong>larazionalità <strong>del</strong> fine. Tant’è vero che “se vuoi rapinare una banca, trovati un bravo palo!” èuna regola pratica <strong>del</strong>lo stesso livello di razionalità di quella precedente.Gli imperativi categorici, invece, sono incondizionati, senza “se” né “ma”, e si riferisconopertanto proprio allo scopo di un comportamento, ovvero si fondano su una razionalitàrispetto al fine e sono quindi deputati alla scelta dei fini <strong>del</strong>le nostre azioni. Essi sono 3:1. “Agisci in modo che la massima <strong>del</strong>la tua volontà possa valere in ogni tempocome principio di una legislazione universale”.2. “Agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona sia in quella diogni altro, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo”.3. “Agisci in modo tale che la volontà, in base alla massima, possa considerarecontemporaneamente se stessa come universalmente legislatrice.”In realtà, si tratta di 3 versioni di un’unica legge morale. Infatti, la seconda e la terzaformulazione <strong>del</strong>la legge morale sono specificazioni <strong>del</strong>la prima, quella fondamentale.Questa sostiene che le azioni devono attuare massime che abbiano un valore universale,cioè che siano valide per ogni uomo, ossia per l’intera umanità, e in ogni epoca, passata,presente e futura. In termini più semplici, l’imperativo categorico ci impone di agireuniversalmente, cioè per il bene <strong>del</strong>l’intera umanità; mai per il bene di un solo uomo osolamente di una parte degli uomini, per quanto ampia possa essere. La legge morale,dunque, è antitetica non solo all’egoismo individuale, ma anche a qualsiasi particolarismo,che sia familiare, di gruppo, di partito o anche di una nazione intera.La seconda versione <strong>del</strong>la legge morale ne mette a fuoco l’aspetto relazionale. Agireuniversalmente implica considerare sia me stesso sia ogni altra persona mai solo come unmezzo ma anche sempre come un fine, ossia non usare me stesso e un altro solo come unostrumento, cioè come una cosa. P.e., se uno studente studia incessantemente al di là <strong>del</strong>lesue energie psicofisiche e trascurando ogni altra attività e ogni rapporto personale; oppurese uno studente è amico di un proprio compagno solo perché e fintantoché questo lo aiutaa fare i compiti a casa; allora, in entrambi questi casi, secondo Kant non ci si comportamoralmente. In questa seconda formulazione <strong>del</strong>la legge morale ci sono 2 aspetti daevidenziare: ogni individuo deve considerare un fine anche se stesso, non solo gli altri: l’eticakantiana non sostiene il sacrificio di se stessi o l’autolesionismo per il bene deglialtri, a meno che non sia indispensabile e comunque solo in casi-limite (p.e.: ioposso affrontare il rischio di farmi male per salvare un altro da morte sicura); ogni individuo deve considerare sé e gli altri sempre e soprattutto come fini assoluti,ma ciò non esclude che non possa considerarli anche come mezzi relativi (p.e.,l’amicizia sincera per qualcuno non è in contraddizione con il fatto che io mi aspettiche mi aiuti in caso di dif<strong>fico</strong>ltà).51


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORELa terza formulazione <strong>del</strong>la legge morale, invece, evidenzia l’intenzionalità <strong>del</strong>l’agiremorale. In altre parole, per Kant per comportarci moralmente non è sufficiente chefacciamo un’azione fisica conforme a una massima universale. Anzi, addirittura non ènemmeno necessario. E’ necessario, e sufficiente!, che noi vogliamo davvero seguire unamassima universale, ossia è indispensabile che interiormente siamo sinceramente convintiche essa è la migliore ed è necessario che sentiamo l’esigenza di attuarla. Se io presto deisoldi falsi, senza sapere che lo sono, a un mio amico e questi poi, spendendoli, vienescoperto e arrestato, la mia azione, a giudizio di Kant, è pienamente morale. Viceversa, segli presto dei soldi appena usciti dalla zecca di Stato, ma <strong>del</strong> tutto controvoglia e soloperché temo che gli altri mi considerino un taccagno, la mia azione per Kant non è morale.Tutt’e tre le formulazioni <strong>del</strong>l’imperativo categorico mettono in luce la sua caratteristicafondamentale: la pura formalità. Ciò significa che la legge morale non ha un contenutopreciso, non prescrive <strong>del</strong>le massime specifiche, non dice “fai questo o quello”, ma indicasolo il criterio generale in base al quale, a seconda <strong>del</strong>le circostanze e <strong>del</strong>le esigenzepratiche, ogni individuo deve scegliere come comportarsi. P.e., non impone a uno studentein classe di rispondere sempre alla domanda di un suo compagno, ma di rispondergliquando è “universale” farlo, il che può voler dire che deve rispondergli al di fuori<strong>del</strong>l’orario di lezione, ma che non deve invece rispondergli nel corso <strong>del</strong>la lezione.In quanto pura forma, la legge morale è incondizionata, ossia <strong>del</strong> tutto disinteressata, equindi completamente autonoma (in senso etimologico: “legge a se stessa”, cioè leggesovrana). Da questo punto di vista, Kant confuta tutte le morali precedenti, tra loro diversee anche opposte, ma accomunate dal fatto di adottare come principio un contenuto praticoe pertanto di essere subordinate a una condizione esterna, cioè viziate dall’eteronomia(“legge diversa da sé”, cioè legge dipendente da un’altra). Che il principio sia il piaceresensibile (“Agisci in modo tale da ottenere il massimo piacere”), come in Epicuro, o laperfetta impassibilità, come per gli stoici, o l’avvicinarsi a Dio e quindi ottenere la salvezzaeterna, come per Tommaso d’Aquino e in genere per le religioni cristiane, o ancora ilsentimento <strong>del</strong>la simpatia, come in Hume, in tutti i casi il risultato finale non cambia:l’agire risulta sempre interessato, è sempre condizionato da qualcosa di diverso dalla leggemorale e pertanto non è autonomo, ovvero non è morale.Certo, afferma Kant, si potrebbe dire che si deve agire per perseguire la felicità non solopropria ma anche degli altri. Questa regola pratica sarebbe “oggettiva” e al contempoavrebbe un contenuto, in quanto la felicità consiste nel benessere materiale e psicologico diuna persona. Ma a ben vedere, sostiene Kant, essa è oggettiva in tanto in quanto comandal’universalità, cioè in quanto si riferisce all’intera umanità. In altre parole, la sua oggettivitànon è insita nel suo contenuto - il benessere psicofisico, che potrebbe essere variamenteinterpretato da ognuno - ma nella sua pura forma, che come tale è rigorosamenteuniversale e necessaria. In quanto puramente formale, in quanto fondata sul principio<strong>del</strong>la pura universalità, la legge morale, poi, può e deve assumere come contenuto ilperseguimento <strong>del</strong> benessere psicofisico di tutti gli uomini, ma essa viene prima di talecontenuto e pertanto ne costituisce il fondamento.Corollario <strong>del</strong>l’assoluta autonomia <strong>del</strong>la legge morale è che essa non si fonda sul bene, mane è il fondamento. In altre parole, i criteri costitutivi <strong>del</strong>l’etica, il bene e il male, sonoistituiti dalla legge morale, non ne sono i presupposti. Detto altrimenti: per Kant se unamassima è universale allora è buona, e l’inverso (se una massima è buona allora èuniversale) non vale. Insomma, è l’universalità il criterio <strong>del</strong> bene, ossia il bene èl’universalità, non viceversa.In questo modo, Kant attua la sua “rivoluzione copernicana” anche in ambito morale oetico. Anzi, si può a buon diritto sostenere che la “rivoluzione copernicana” in campomorale è ancora più radicale che in quello teoretico. Infatti, mentre a livello conoscitivo laragione pura deve sottomettersi alla condizione <strong>del</strong>l’intuizione sensibile, a livello morale, al52


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREcontrario, la ragione deve imporre la sua assoluta sovranità sulla sensibilità. La leggemorale, in questo senso, è un “a priori” <strong>del</strong>la ragione, ovvero un “noumeno”, cioè unprincipio puramente razionale <strong>del</strong> tutto indipendente dal mondo fisico e dunquedall’esperienza sensibile. In ambito morale, al contrario che in quello <strong>scienti</strong><strong>fico</strong>, il legameall’esperienza non solo non è richiesto, ma è recisamente proibito.Confermando e accentuando la maggiore radicalità <strong>del</strong>la “rivoluzione copernicana” morale,Kant giunge a proclamare il primato <strong>del</strong>la ragione pratica su quella teoretica (ospeculativa). Ciò significa che per Kant il fine ultimo <strong>del</strong>l’uomo è l’agire morale, di cuidunque la scienza è un mezzo.53


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREMAPPA <strong>del</strong>la TAPPA 8RAGIONEPRATICAVOLONTA’Capacità <strong>del</strong>la ragione dideterminare i comportamenti inbase ai propri principi praticiMASSIMEprincipi pratici singolari eimmediati, di per sésoggettivi.P.e.: “Mangio la minestra”.IMPERATIVIprincipi pratici generaliIPOTETICIbasati su una condizione solopostulata e quindi di validitànecessaria ma limitata.P.e.: “Se vuoi vincere la gara,devi allenarti molto.”CATEGORICIIncondizionati e quindiuniversali e necessari, cosìsintetizzabili:AGISCI ADOTTANDOUNA MASSIMA CHEABBIA UN VALOREUNIVERSALEE’ la legge morale che stabiliscecosa sono il bene e il male e nonviceversaLEGGE MORALEformaledisinteressataautonomaintenzionaleRIVOLUZIONE COPERNICANAIn ambito pratico-morale la ragione èsovrana e deve imporre la sua leggealla realtà fisica54


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 9KANT: LA VIRTU’, LA SANTITA’ E IL MALE RADICALEMa nell’uomo la legge ha la forma di un imperativo, perché in esso, a dir vero,come essere razionale, si può bensì supporre una volontà pura, ma, in quantoessere soggetto a bisogni ed a cause determinanti sensibili, non si puòsupporre una volontà santa, cioè tale che non sarebbe capace di nessunamassima contraria alla legge morale.Kant, Critica <strong>del</strong>la ragion pratica, Laterza 1986, Libro I: Analitica, capitolo ISe il fanatismo nel senso più generale è una trasgressione, intrapresa secondoprincipi, dei limiti <strong>del</strong>la ragione umana, il fanatismo morale è questo passarei limiti che la ragion pura pratica pone all’umanità […].Se è così, non solo i romanzieri e i pedagoghi sentimentali […] ma persino i<strong>filoso</strong>fi, anzi i più rigidi di tutti, gli stoici, hanno introdotto il fanatismomorale, invece <strong>del</strong>la fredda, ma saggia disciplina dei costumi, ancorché ilfanatismo degli ultimi fosse più eroico, e quello dei primi di carattere piùinsipido e tenero; e si può, senza ipocrisia, con tutta verità ripetere <strong>del</strong>ladottrina morale <strong>del</strong> Vangelo, che essa, anzitutto mediante la proporzione diesso ai limiti degli esseri finiti, ha assoggettato ogni buona condotta <strong>del</strong>l’uomoalla disciplina di un dovere posto davanti ai suoi occhi, che non lasciavaneggiare in perfezioni morali immaginarie, e ha posto i confini <strong>del</strong>l’umiltà(cioè <strong>del</strong>la conoscenza di sé) alla presunzione, e così pure all’amor proprio,entrambi i quali ignorano volentieri i propri limiti.Kant, Critica <strong>del</strong>la ragion pratica, ed. cit., Libro I: Analitica, capitolo III[…] la ragione <strong>del</strong> male non può trovarsi in alcun oggetto determinantel’arbitrio per inclinazione, né in alcun istinto naturale; ma soltanto in unaregola che l’arbitrio dà a se stesso per l’uso <strong>del</strong>la sua libertà; vale a dire in unamassima. […]La frase: “l’uomo è cattivo” non può, dopo ciò che precede, voler dire altracosa che questo: l’uomo è consapevole <strong>del</strong>la legge morale, ed ha tuttaviaadottato per massima di allontanarsi (occasionalmente) da questa legge. […]si può presupporre la tendenza al male come soggettivamente necessaria inogni uomo, anche nel migliore. Ora, questa tendenza bisogna considerarlaessa stessa come moralmente cattiva, e perciò non come una disposizionenaturale, ma come qualche cosa che possa essere imputato all’uomo, ebisogna quindi che essa consista in massime <strong>del</strong>l’arbitrio contrarie alla legge.Ma, d’altronde, queste massime, in ragione appunto <strong>del</strong>la libertà, bisogna chesiano ritenute in se stesse contingenti, ciò che, a sua volta, non può accordarsicon l’universalità di questo male se il fondamento supremo soggettivo di tuttele massime non è, in un modo qualsiasi, connaturato con la stessa umanità equasi radicato in essa. Ammesso tutto ciò, potremo allora chiamare questatendenza una tendenza naturale al male, e, poiché bisogna pur sempre cheessa sia colpevole per se stessa, potremo chiamarla un male radicale, innatonella natura umana (pur essendo, ciò non di meno, prodotto a noi da noistessi).Kant, La religione entro i limiti <strong>del</strong>la sola ragione, Laterza 2004, capitolo I55


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORELa legge morale, secondo Kant, è per ogni uomo una verità pratica di assoluta evidenza, edunque indiscutibile e irrefutabile. Questo però non implica che essa sia, e nemmeno chepossa essere, sempre rispettata. Anzi. Spesso e volentieri gli uomini trasgrediscono la leggemorale, cioè si comportano immoralmente. Come può accadere?In primo luogo, Kant chiarisce che l’uomo non è solo ragione ma anche sensibilità, ossia èun essere biologico soggetto alle leggi naturali, condizionato da bisogni, desideri,inclinazioni, pulsioni. Ne segue che la legge morale, puramente razionale, deve fare i conticon la fisiologia naturale <strong>del</strong>l’uomo, la quale non è antimorale, ma è certamente amorale, equindi non si accorda con la moralità. Di fatto, se l’uomo vuole agire moralmente deve, aseconda dei casi, contenere o addirittura reprimere i propri istinti. A tal punto che Kantarriva a dire che la legge morale ci si manifesta a livello psicofisico nel sentimento <strong>del</strong>dolore. In altri termini, la moralità non può essere spontanea, non si può praticare senzasforzo, tensione e anche sofferenza corporale. Per questo la legge morale ha la forma di unimperativo, per questo non è un essere, ma un dover essere, cioè un “tu devi agire così”!Ma, a un livello più profondo, Kant sostiene che la causa <strong>del</strong>la trasgressione <strong>del</strong>la leggemorale da parte <strong>del</strong>l’uomo non è nella sua fisiologia, ma nel suo libero arbitrio, nella suastessa volontà, intesa appunto come capacità di determinare il proprio agireindipendentemente dalle leggi naturali. Tale causa è una massima, cioè una decisionepratica cosciente, il cui contenuto consiste nella trasgressione <strong>del</strong>la massima coerente conla legge morale. P.e., se la legge morale mi porta a scegliere la massima “dico la verità”, lamassima antimorale consiste in “dico il falso”. In questa prospettiva, Kant afferma chebisogni, desideri e pulsioni fisiologici sono soltanto “occasioni” <strong>del</strong>la scelta immorale. P.e.,se, in seguito a un naufragio su un’isola deserta, io mangio un’intera porzione di cibo senzadividerla con un altro naufrago, la fame, il bisogno impellente di mangiare, non è la causa<strong>del</strong>la mia condotta immorale, ma è solo una condizione che mi dà la possibilità di sceglierela massima antimorale “non divido il mio cibo con nessun altro”. Dal momento che potreisempre controllare la mia fame e soddisfarla solo in parte, l’unica vera causa <strong>del</strong>la miatrasgressione <strong>del</strong>la legge morale è la mia scelta <strong>del</strong>la massima antimorale. In questo sensoKant afferma che nell’uomo è innato il “male radicale” - cioè il male propriamente detto,l’agire immorale, cioè antiuniversale, scelto liberamente dall’uomo.Così stando le cose, secondo Kant la “santità” è al di là <strong>del</strong>le possibilità pratiche di qualsiasiuomo. Infatti, per “santità” Kant intende la capacità di seguire la legge morale <strong>del</strong> tuttospontaneamente, senza alcun sforzo, e quindi di comportarsi sempre moralmente. In altreparole, la santità sarebbe la perfezione morale posseduta come dono di natura. Essa èpreclusa all’uomo in quanto alberga in sé il male radicale, ossia la tendenza a sceglieremassime antimorali. Di conseguenza le morali che si prefiggono la perfezione sono perKant esempi di fanatismo, ovvero di presunzione umana. Dunque, nonostante la leggemorale sia sovrana e svincolata da qualsiasi condizionamento fisico, la vita morale<strong>del</strong>l’uomo, secondo Kant, incontra dei limiti oggettivi invalicabili. Come in ambito<strong>scienti</strong><strong>fico</strong>, così a livello morale il criticismo kantiano mira a renderci consapevoli <strong>del</strong>lalimitatezza <strong>del</strong>le nostre capacità e a farci considerare tale consapevolezza la condizionestessa <strong>del</strong> valore <strong>del</strong>le nostre capacità. La “rivoluzione copernicana” di Kant, pertanto,mette sì l’uomo al centro <strong>del</strong>la realtà ma solo in quanto essere limitato consapevole <strong>del</strong>lasua limitatezza.A questo punto, però, ci si potrebbe chiedere che senso abbia una legge morale sovrana mapoco applicabile se non quasi inapplicabile. Innanzitutto, Kant sostiene che la virtù, cioè lacapacità di agire moralmente, è costituita proprio dall’opposizione <strong>del</strong> male radicale. Senzaquesta opposizione, e senza la lotta tra scelta <strong>del</strong> bene e scelta <strong>del</strong> male che ne consegue,l’uomo non potrebbe essere virtuoso, cioè autenticamente morale. In secondo luogo, se èvero che la virtù non è illimitata, cioè che a volte, e perfino spesso, nella lotta può essere56


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREperdente, ciò non esclude che abbia <strong>del</strong>le ampie potenzialità, cioè che possa anche vinceree realizzarsi.Infine, anche quando trasgredisce la legge morale, l’uomo rimane sempre lucidamenteconsapevole <strong>del</strong>la superiorità <strong>del</strong>la moralità, ossia dentro di sé sa sempre che la sceltamigliore sarebbe stata seguire la legge morale. In parole più semplici, per Kant quando cicomportiamo immoralmente proviamo sempre rimpianto e rimorso. La legge morale puòessere negata sul piano fisico, ma su quello razionale la sua sovranità non è maiminimamente scalfita né offuscata.Tuttavia, Kant non si accontenta di queste soluzioni. Proprio l’esigenza di risolvere fino infondo il problema <strong>del</strong> contrasto tra l’assolutezza <strong>del</strong>la legge morale e la relatività <strong>del</strong>la suaattuazione da parte <strong>del</strong>l’uomo lo spinge a varcare la dimensione terrena per inoltrarsi inquella ultraterrena.57


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREMAPPA <strong>del</strong>la TAPPA 9LA LEGGE MORALE PUO’ESSERE TRASGREDITAa causa dicondizionato daLIBERO ARBITRIOpossibilità di scegliere ilFISIOLOGIA UMANA:istinti, bisogni, desiderinaturali insiti nel corpoche si oppongono allamoralitàMALE RADICALE:tendenza insita nell’uomo chelo spinge a seguire massimecontrarie alla legge moraleimpossibilità <strong>del</strong>laSANTITA’cioè <strong>del</strong>la capacità umana di agirespontaneamente in modo morale equindi di comportarsi sempremoralmenteanche seLA LEGGE MORALEa livello razionale non èintaccata perché l’uomo èsempre cosciente di sbagliareLA RAGIONE PURA E’SOVRANA IN AMBITOMORALE MA DI FATTO E’LIMITATALa consapevolezza di questolimite è condizione indispensabile<strong>del</strong>la vita morale umanaIL FANATISMO, cioè la convinzionedogmatica che un uomo possa esseremoralmente perfetto, VA RIGETTATOin quanto contrario alla moralità58


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 10KANT: LA LIBERTA’, L’IMMORTALITA’ E L’ESISTENZA DI DIOVI. Sui postulati <strong>del</strong>la ragion pura pratica in generale.Essi partono tutti dal principio <strong>del</strong>la moralità, il quale non è un postulato, mauna legge per mezzo di cui la ragione determina immediatamente la volontà.La volontà, per ciò stesso che viene determinata così, come volontà purarichiede queste condizioni necessarie all’osservanza dei suoi precetti. Questipostulati non sono dogmi teorici, ma supposizioni da un punto di vistanecessariamente pratico, e quindi non estendono la conoscenza speculativa,ma danno alle idee <strong>del</strong>la ragione speculativa in genere (mediante la lororelazione con ciò che è pratico) realtà oggettiva, e le giustificano comeconcetti, la cui possibilità altrimenti essa non potrebbe neanche soltantopresumere di affermare.Questi postulati sono quelli <strong>del</strong>l’immortalità, <strong>del</strong>la libertà positivamenteconsiderata (come causalità di un essere in quanto questo appartiene almondo intellegibile), e <strong>del</strong>l’esistenza di Dio. Il primo deriva dalla condizionepraticamente necessaria di una durata corrrispondente all’adempimentocompleto <strong>del</strong>la legge morale; il secondo dalla supposizione necessaria<strong>del</strong>l’indipendenza dal mondo sensibile e <strong>del</strong> potere <strong>del</strong>la determinazione <strong>del</strong>lapropria volontà, secondo la legge di un mondo intellegibile, cioè <strong>del</strong>la libertà;il terzo dalla necessità <strong>del</strong>la condizione di un mondo intellegibile perl’esistenza <strong>del</strong> sommo bene, mediante la supposizione <strong>del</strong> sommo beneindipendente, cioè l’esistenza di Dio.Kant, Critica <strong>del</strong>la ragion pratica, ed. cit., Libro II: Dialettica, capitolo IINell’Analitica si è dimostrato che la virtù (come merito di essere felice) è lacondizione suprema di tutto ciò che ci può sembrare soltanto desiderabile,quindi anche di ogni nostra ricerca <strong>del</strong>la felicità; e quindi è il bene supremo.Ma non per questo essa è il bene intero e perfetto come oggetto <strong>del</strong>la facoltà didesiderare degli esseri razionali finiti: poiché per questo bene si richiedeanche la felicità […]. Poiché aver bisogno di felicità, ed esserne anche degnoma tuttavia non esserne partecipe, non è affatto compatibile col volereperfetto di un essere razionale, il quale nello stesso tempo avessel’onnipotenza, solo che tentiamo di rappresentarci un tale essere. Ora, inquanto virtù e felicità costituiscono insieme in una persona il possesso <strong>del</strong>sommo bene, per questo anche la felicità, distribuita esattamente inproporzione <strong>del</strong>la moralità (come valore <strong>del</strong>la persona e suo merito di esserefelice), costituisce il sommo bene di un mondo possibile; questo bene significail tutto, il bene perfetto, in cui però la virtù è sempre, come condizione, il benesupremo, perché essa non ha nessuna condizione al di sopra di sé, e la felicitàè sempre qualcosa che per colui che la possiede è bensì piacevole, ma non èbuona per sé sola assolutamente e sotto ogni rispetto, e suppone sempre comecondizione la condotta morale conforme alla legge.Kant, Critica <strong>del</strong>la ragion pratica, ed. cit., Libro II: Dialettica, capitolo IISecondo Kant, la legge morale implica 3 “postulati”:1. la libertà <strong>del</strong> volere e quindi <strong>del</strong>l’agire;2. l’immortalità <strong>del</strong>l’esistenza individuale3. l’esistenza di Dio.Kant usa il termine “postulato” in un’accezione personale, intendendo al contempo:59


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREa) una tesi non argomentata né argomentabile <strong>scienti</strong>ficamente edunque priva di validità razionale a livello teoretico o speculativo;b) un presupposto necessario <strong>del</strong>la legge morale e dunqueincontrovertibile sul piano pratico, dal momento che la legge moralepossiede un’evidenza razionale inoppugnabile nell’ambito <strong>del</strong>laprassi.Il postulato <strong>del</strong>la libertà è legato all’opposizione tra la legge morale e gli impulsi naturali eancor più all’antitesi tra legge morale e il “male radicale”, cioè la tendenza innata in ogniindividuo a seguire massime incoerenti con la legge morale. Date questa opposizione equesta antitesi, la legge morale non è un esser ma un dover essere, è legge <strong>del</strong> dovere, chesi esprime nell’imperativo categorico “tu devi agire così!”. In altre parole, la vita morale ècostitutivamente conflittuale, in quanto solo l’alternativa conflittuale tra 2 possibili opzionipratiche – in sintesi tra universalità e particolarismo – istituisce la responsabilitàindividuale rispetto al proprio comportamento. Senza responsabilità individuale,naturalmente, non si potrebbe parlare di morale.Ma l’esistenza di 2 possibili opzioni pratiche da sola non basta a fondare la responsabilitàindividuale. E’ necessario infatti che l’individuo abbia la possibilità di scegliere una <strong>del</strong>ledue opzioni. Dunque è necessario che io abbia la capacità di scegliere liberamente. Se devo,posso. Sarebbe insensato che la legge morale, scolpita nella mia ragione e quindiassolutamente certa, mi ordinasse in modo perentorio di comportarmi universalmente seio non fossi libero di farlo. Ne segue che la libertà è una condizione indispensabile <strong>del</strong>lalegge morale, appunto un suo postulato, e pertanto è indubbio che noi siamo liberi divolere e di agire.Attenzione, però. Il concetto di libertà di Kant è più profondo e articolato di quanto inprima approssimazione sembri. Esso infatti sottintende una distinzione tra:a) arbitrio (o libero arbitrio), cioè la facoltà di scegliere tra massima universale emassima particolare, indipendentemente dal contenuto <strong>del</strong>le 2 opzioni, ovveroindifferentemente o neutralmente;b) la libertà in senso proprio, cioè quella che per Kant è l’unica autentica libertà, checonsiste invece solo nella libera scelta <strong>del</strong>la massima universale.L’arbitrio (o libero arbitrio) coincide con la volontà, definita da Kant come la capacitàindividuale di determinare causalmente i nostri comportamenti. In questo senso, lavolontà può essere buona o cattiva a seconda che scelga una massima coerente oincoerente rispetto alla legge morale. Ma solo la volontà buona, cioè la volontà che sceglieuna massima universale, è libera. Perché? Perché, afferma Kant, solo in questo caso noi cisottraiamo alla determinazione causale <strong>del</strong>le leggi di natura e ci autodeterminiamo. In altritermini: se io scelgo una massima particolare non faccio altro che confermare la miasoggezione alle leggi fisiologiche e psicologiche che mi governano, ossia accetto di essereun burattino agito dai miei bisogni, desideri, istinti. Dunque sono schiavo. Invece, se ioscelgo una massima universale allora, e solo allora, sono libero, dal momento che micomporto diversamente da come prestabilito dalle leggi naturali, cioè la mia azione non ècausata dai miei bisogni, desideri, istinti.Un esempio semplice. Suona la sveglia al mattino. Provo il desiderio di dormire ancora.D’altra parte, la legge morale mi ordina di alzarmi, per arrivare puntuale a scuola. Il maleradicale che è in me mi propone di adottare la massima “non mi alzo, continuo a dormire”.Io posseggo una volontà, cioè il libero arbitrio di scegliere tra le 2 massime. Se la miavolontà aderisce a questa massima, io non faccio altro che eseguire ciò che mi impone lafisiologia <strong>del</strong> mio corpo, dunque sono “causato” dalle leggi fisiologiche <strong>del</strong> mio corpo. Se,invece, la mia volontà opta per la massima universale “ti devi alzarti e arrivare puntuale ascuola!” allora io mi svincolo dalle leggi fisiologiche <strong>del</strong> mio corpo, dunque mi comportoliberamente.60


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREInsomma, per Kant la libertà umana coincide con la moralità, si è liberi se si è morali e si èmorali se si è liberi. Si potrebbe obiettare che in realtà passiamo da una schiavitù all’altra,dalla pa<strong>del</strong>la alla brace, ovvero dal sottometterci alla legge naturale al soggiacere alla leggemorale. Entrambe ci comandano, dunque entrambe ci rendono loro burattini. Per Kantnon è così, perché per lui la legge morale è la nostra ragione, cioè la nostra identità stessa.Quando Kant sostiene che la legge morale ci ordina di comportarci in un certo modo, inrealtà sta sostenendo che io stesso ordino a me stesso di comportarmi così. La leggenaturale, secondo Kant, non costituisce il mio io, e quindi mi comanda dall’esterno:dunque io ne posso essere schiavo. Ma la legge morale è me stesso, mi comandadall’interno, sono io stesso che mi autocomando: dunque solo obbedendole sono libero.All’obbedienza alla legge morale si connette il 2° postulato <strong>del</strong>la ragione pratica, quello<strong>del</strong>l’immortalità <strong>del</strong>l’esistenza individuale. Come abbiamo visto, data la limitatezza <strong>del</strong>lamoralità umana, e in particolare a causa <strong>del</strong> male radicale insito in ogni individuo, benchéla legge morale esiga di essere sempre obbedita e benché l’uomo sia sempre lucidamenteconsapevole di quale sia la scelta migliore, spesso e volentieri trasgredisce la legge morale.Com’è possibile questa contraddizione? Perché ci comandiamo di agire sempre in modouniversale e invece spesso non ottemperiamo al nostro stesso comando? Come si spiegache, da un lato, aspiriamo alla santità, cioè alla perfezione morale, all’obbedienza senzaeccezioni all’imperativo categorico, e che, dall’altro lato, l’esperienza ci attestil’impossibilità <strong>del</strong>la santità? La legge morale ci impone forse qualcosa che è al di là <strong>del</strong>lenostre possibilità? Ma non sarebbe sadismo, questo?In prima battuta la risposta a queste domande è imperniata sul concetto di virtù, inteso daKant come continuo perfezionamento morale. Detto altrimenti: la virtù è la capacitàumana di obbedire sempre più spesso all’imperativo categorico, ovvero di disobbedirglisempre meno. In questo senso, la virtù è proclamata da Kant “bene supremo”. Ma, nelladimensione fisico-sensibile, ossia nella durata finita <strong>del</strong>la sua vita terrena, per quanto unindividuo possa essere virtuoso, non potrà mai realizzare pienamente la sua virtù. Ladistanza tra l’imperfezione morale di partenza <strong>del</strong>l’uomo e la santità è troppo ampia perchépossa essere colmata nel tempo ristretto <strong>del</strong>la vita fisica. Ne segue necessariamente,secondo Kant, che l’esistenza individuale deve essere infinita, e dunque deve implicare unaseconda vita non fisica dopo la morte fisica, perché solo così ogni uomo può attuareappieno la sua virtù e raggiungere, in una progressione/approssimazione infinita, il suobene supremo.Al concetto di virtù come “bene supremo” si riallaccia il 3° postulato <strong>del</strong>la ragione pratica,quello cioè <strong>del</strong>l’esistenza di Dio. In quanto “bene supremo”, la virtù è il bene maggiore(superlativo relativo), quello relativamente più desiderabile e preferibile rispetto a ognunodegli altri. Dunque, la virtù è più desiderabile <strong>del</strong>la felicità, cioè <strong>del</strong> benessere psicofisico.Eppure, afferma Kant, la virtù non è il bene totale, è incompleta, perché è possibileconcepire un bene superiore, il bene massimo (superlativo assoluto), cioè il bene inassoluto più desiderabile e preferibile, dato dall’unione <strong>del</strong>la virtù e <strong>del</strong>la felicità. E’ chiaroche tale bene è superiore alla virtù in quanto, da una parte la include ma, dall’altra,comprendendo in sé anche la felicità, è più <strong>del</strong>la sola virtù. Kant chiama questo beneassoluto “sommo bene”. Su questa base, egli sostiene che se la virtù non ha nulla a chevedere con il modo migliore per conseguire la felicità, essa è però l’unico modo per l’uomoper essere degno <strong>del</strong>la felicità, ossia per meritarla. In altre parole, non ci dobbiamocomportare moralmente per essere felici, ma solo per essere morali, cioè universali; ma inquesto modo possiamo meritarci la felicità, aspirare legittimamente ad essa. Dunque, laragione pratica, fondata sulla legge morale, sancisce che solo chi è virtuoso può e deveessere felice, e in misura proporzionata al grado <strong>del</strong>la sua virtù, ossia al livello diapprossimazione alla santità. Ogni individuo deve godere di tanta felicità quanto ne èmeritevole. Eppure, rileva Kant, nella dimensione fisica questo non avviene. Nell’ambito61


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORE<strong>del</strong> mondo sensibile, governato dalla causalità naturale, così come attestato dalla scienza,non vi è alcun rapporto di proporzionalità tra virtù e felicità, anzi spesso e volentieri allamaggiore virtù corrisponde la minore felicità. Anche in questo caso, come è possibile unatale contraddizione? Perché mai la ragione pratica ci assicura che solo chi è moralmentemeritevole è felice quando i fatti ci attestano che le cose non stanno così? Si tratta forse diun’illusione <strong>del</strong>la ragione pratica analoga a quella <strong>del</strong>la ragione metafisica? Ma se così nonè, come si conciliano fatti e legge morale?La soluzione di Kant fa sempre leva sulla certezza assoluta <strong>del</strong>la legge morale, e dunque<strong>del</strong>la ragione pura pratica. Data questa certezza, è necessario postulare l’esistenza di unacausa di tutta la natura che contenga in se stessa anche il criterio <strong>del</strong>l’accordo tra moralitàe felicità, ovvero di una causalità conforme all’intenzione interiore di ogni individuo. Unacausa di questo genere deve consistere in un essere razionale onnipotente, perché produttore e ordinatore di tutta la natura, onnisciente, perché capace di conoscere e giudicare l’intenzione interiore di ogniuomo, santo, in quanto perfettamente morale, e dunque “sommo bene”, unione compiutamente realizzata di virtù e felicità.Detto altrimenti: per Kant è moralmente necessario ammettere l’esistenza di Dio. E’ Dioinfatti che, in quanto signore di ogni realtà, garantisce il raccordo proporzionale tra virtù efelicità, ossia il fatto che il virtuoso sia premiato con la felicità in proporzione al suo merito,se non <strong>del</strong> tutto subito, almeno in seguito e se non <strong>del</strong> tutto nella vita terrena, in quellaultraterrena. In questa prospettiva, Kant si pronuncia a favore di una “fede razionale pura”in quanto bisogno incontrovertibile <strong>del</strong>la ragione pura pratica. Contestualmente,ammonisce a non sostituire la legge morale con Dio, ossia a non pensare di dovercomportarsi moralmente per obbedire a Dio oppure per ottenere la felicità che Diogarantisce ai meritevoli (piuttosto che per evitare il castigo inflitto ai non meritevoli). PerKant non è Dio che fonda la legge morale, ma il contrario: è la legge morale, assolutamenteautonoma e quindi sovrana, che ci infonde la “fede razionale pura”, ovvero che ci dà laconvinzione pratica che Dio esista. E poiché la legge morale non vale teoreticamente mapraticamente, cioè solo se è messa in pratica, senza nessun secondo fine, allora solo se equando la pratichiamo possiamo acquisire la convinzione che Dio esiste e che saremofelici.In conclusione, Kant stesso evidenzia la corrispondenza tra i 3 postulati <strong>del</strong>la ragionepratica e le 3 idee <strong>del</strong>la ragione teoretica:1. il postulato <strong>del</strong>la libertà corrisponde alla tesi <strong>del</strong>l’esistenza di una causalità libera,contrapposta a quella <strong>del</strong>l’esistenza di una causalità meccanica, e dunque rimandaall’idea di mondo;2. il postulato <strong>del</strong>l’immortalità corrisponde all’idea <strong>del</strong>l’anima;3. il postulato <strong>del</strong>l’esistenza di Dio all’idea di Dio.Pur ribadendo che i postulati <strong>del</strong>la ragione pratica, in quanto non argomentabili sulla base<strong>del</strong>l’esperienza sensibile, sono privi di validità <strong>scienti</strong>fica, Kant si spinge a sostenere cheessi attestano comunque che le 3 idee <strong>del</strong>la ragione hanno un oggetto, e pertanto sono atutti gli effetti dei concetti. In questo modo Kant pone accanto alla conoscenza teoretica especulativa, ossia alla scienza, una conoscenza pratica capace di estendere quella<strong>scienti</strong>fica, ossia in grado di allargarsi dal mondo fisico al mondo intellegibile o metafisico.62


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREMAPPA <strong>del</strong>la TAPPA 10LA LEGGE MORALE HA 3 POSTULATI, CIOE’ 3 PRESUPPOSTI PRATICAMENTENECESSARI MA SCIENTIFICAMENTE INDIMOSTRABILIPer seguire la legge morale ènecessario che io possasceglierlaDevo possedere laLA LIBERTA’ che implica illibero arbitrio ma vaintesa come facoltà discegliere tra più opzionipratiche solo quella universaleFISIOLOGIA UMANA:istinti, bisogni, desiderinaturali insiti nel corpo chesi oppongono alla moralitàSolo se operiamo la sceltauniversale ci sottraiamo allasottomissione agli impulsinaturalianche seLA LEGGE MORALEa livello razionale non èintaccata perché l’uomo èsempre cosciente di sbagliareLA RAGIONE PURA E’SOVRANA IN AMBITOMORALE MA DI FATTO E’LIMITATALa consapevolezza di questolimite è condizione indispensabile<strong>del</strong>la vita morale umanaIL FANATISMO, cioè la convinzionedogmatica che un uomo possa esseremoralmente perfetto, VA RIGETTATOin quanto contrario alla moralità63


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 11KANT: RAGIONE SENTIMENTALE E GIUDIZIO RIFLETTENTEVi è un termine medio tra l’intelletto e la ragione. Questo termine medio è ilGiudizio [riflettente, ndc]; <strong>del</strong> quale si ha ragione di presumere, per analogia,che contenga anch’esso, se non una sua propria legislazione, almeno unprincipio proprio di ricercare secondo le leggi, e che in ogni caso sarebbe unprincipio a priori puramente soggettivo […]Il Giudizio in genere è la facoltà di pensare il particolare come contenutonell’universale. Se è dato l’universale (la regola, il principio, la legge), ilGiudizio che opera la sussunzione <strong>del</strong> particolare è determinato. Se è datoinvece soltanto il particolare, e il Giudizio deve trovare l’universale, esso èsemplicemente riflettente […]. Il Giudizio riflettente, che è obbligato a risaliredal particolare <strong>del</strong>la natura all’universale, ha dunque bisogno di un principio,che esso non può ricavare dall’esperienza, perché è un principio che devefondare appunto l’unità di tutti i principi empirici sotto principi parimentiempirici ma superiori, e quindi la possibilità <strong>del</strong>la subordinazione sistematicadi tali principi. Questo principio trascendentale il Giudizio riflettente puòdunque darselo soltanto esso stesso come legge, non derivarlo da altro(perché allora diventerebbe Giudizio determinante); né può prescriverlo allanatura, poiché la riflessione sulle leggi di natura si accomoda alla natura, maquesta non si accomoda alle condizioni con le quali noi aspiriamo a formarcidi essa un concetto che è <strong>del</strong> tutto contingente rispetto alle condizioni stesse.[…]Ora, poiché il concetto di un oggetto, in quanto contiene anche il principio<strong>del</strong>la realtà di questo oggetto, si chiama scopo, e l’accordo di una cosa conquella disposizione <strong>del</strong>le cose, che è possibile soltanto secondo scopi, sichiama finalità <strong>del</strong>la forma di queste cose; il principio <strong>del</strong> Giudizio[riflettente, ndc], riguardo alla forma <strong>del</strong>le cose <strong>del</strong>la natura sottoposte aleggi empiriche in generale, è la finalità <strong>del</strong>la natura nella sua molteplicità. Inaltri termini, la natura è rappresentata mediante questo concetto come se cisia un intelletto che contenga il principio che dia unità al molteplice <strong>del</strong>le leggiempiriche di essa.La finalità <strong>del</strong>la natura è, dunque, un particolare concetto a priori, che ha lasua origine unicamente nel Giudizio riflettente. […]Questo concetto trascendentale di una finalità <strong>del</strong>la natura non è né unconcetto <strong>del</strong>la natura né un concetto <strong>del</strong>la libertà, perché esso non attribuisceniente all’oggetto (<strong>del</strong>la natura), ma rappresenta soltanto l’unico modo chenoi dobbiamo seguire nella riflessione sugli oggetti <strong>del</strong>la natura allo scopo diottenere un’esperienza coerente in tutto nel suo complesso; per conseguenza,esso è un principio soggettivo (una massima) <strong>del</strong> Giudizio [riflettente].Perciò, come se si trattasse di una caso felice e favorevole al nostro scopo, noiproviamo un sentimento di piacere (propriamente di liberazione da unbisogno), quando c’imbattiamo, tra le leggi puramente empiriche, in siffattaunità sistematica; sebbene dobbiamo necessariamente ammettere l’esistenza<strong>del</strong>l’unità stessa senza poterla tuttavia né comprendere né dimostrare.Kant, Critica <strong>del</strong> Giudizio, Laterza 1979, Introduzione alla II ed.64


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORECon la Critica <strong>del</strong>la ragion pura e la Critica <strong>del</strong>la ragion pratica Kant ha individuato evagliato 2 fondamentali facoltà razionali, 2 tipi di ragione, 2 mo<strong>del</strong>li di razionalità,rispettivamente:1. la ragione teoretica (o speculativa), a sua volta articolata in intelletto, cui fa capo lascienza, e ragione in senso proprio, cui fa capo la metafisica.2. la ragione pratica (o morale o etica).Giunta a questo punto, l’indagine critica kantiana ha evidenziato una divergenza non tra i 2tipi di ragione, ma tra l’intelletto <strong>scienti</strong><strong>fico</strong>, da una parte, e la ragione metafisica e laragione pratica, dall’altra. Come abbiamo visto, infatti, in base ai suoi postulati, la Critica<strong>del</strong>la ragion pratica approda alla piena convergenza con le 3 idee <strong>del</strong>la ragione metafisica,ma i postulati <strong>del</strong>la ragione pratica, secondo Kant, non possiedono alcuna valenza<strong>scienti</strong>fica. La scienza <strong>del</strong>la natura, dunque, deve rimanere impermeabile e indifferente allapur universale e necessaria esigenza metafisica e morale <strong>del</strong>la libertà, <strong>del</strong>l’immortalità e diDio, ossia di un ordine unitario totale <strong>del</strong>la realtà. Detto altrimenti, sul piano <strong>scienti</strong><strong>fico</strong>, larealtà può essere unificata, e quindi ordinata, solo parzialmente e soltanto in base allalegge <strong>del</strong>la causalità efficiente.D’altra parte, l’esame kantiano non ha nemmeno rilevato una contraddittorietà, ovveroun’inconciliabilità di principio, tra ragione <strong>scienti</strong>fica e ragione metafisico-morale. Lascienza, infatti, per Kant è conoscenza fenomenica e dunque ha una validità limitata, ossianon può dire l’ultima parola sulla realtà. Tant’è vero che l’intelletto <strong>scienti</strong><strong>fico</strong>, se non puòcorroborare le idee <strong>del</strong>la ragione, ovvero i postulati pratici, non può nemmeno confutarli,ossia non può escludere la loro fondatezza conoscitiva, la loro realtà. Inoltre, Kant haaffidato alle 3 idee <strong>del</strong>la ragione un’indispensabile funzione regolativa <strong>del</strong>lo sviluppo <strong>del</strong>lascienza e, entro questi limiti, le ha riabilitate come legittime forme a priori <strong>del</strong>laconoscenza <strong>scienti</strong>fica.Nella sua terza e conclusiva indagine critica, la Critica <strong>del</strong> Giudizio, Kant individua unaterza basilare facoltà razionale, cioè un terzo tipo di ragione, la ragione sentimentale basatasul Giudizio riflettente. Questa terza faccia <strong>del</strong>la razionalità umana non ricuce le differenze<strong>del</strong>la ragione, in quanto non intacca l’autonomia <strong>del</strong>l’intelletto <strong>scienti</strong><strong>fico</strong>, ma le correla,meglio ancora le mette in comunicazione, garantendo così l’unità se non anche <strong>del</strong>la trama,quantomeno <strong>del</strong>l’ordito <strong>del</strong> tessuto razionale. Vediamo come.Già nella prima Critica, Kant aveva definito il Giudizio come correlazione logica di unasensazione a un concetto (“questo è liscio”) o di 2 o più concetti (“il cane è unmammifero”). Ora precisa che questo è solo un tipo di Giudizio, cioè il Giudiziodeterminate, quello proprio <strong>del</strong>la scienza, che consiste nel ricondurre un soggetto singolareo particolare a un predicato universale. Ma, afferma Kant, c’è anche un altro tipo diGiudizio, quello “riflettente”, in cui l’universale (“liscio” o “cane”) non è ricavatodall’esperienza (come i concetti empirici) e nemmeno dall’intelletto (come i concetti puri ocategorie), ma dalla ragione stessa, ossia è un universale puramente razionale. Questouniversale speciale, per così dire, consiste nella finalità, cioè nell’ordine finalistico di tuttala natura inteso come principio unificatore supremo. P.e., “questo cane è finalizzato”, “lacatena biologica è finalizzata”, “la gravitazione universale è finalizzata”, ecc. In breve, nelGiudizio riflettente ogni cosa si manifesta come parte organica <strong>del</strong>la totalità reale.Ma, come abbiamo appreso, per Kant l’ordine finalistico presuppone intelligenza e libertà.Dunque il Giudizio riflettente ci presenta la realtà come un ordine intelligente e libero ecosì si connette con le 3 idee <strong>del</strong>la ragione metafisica, ovvero con i 3 postulati <strong>del</strong>la ragionepratica, dal momento che attesta:a) la presenza di una causalità finalistica, di un agire in relazione a un fine liberamentescelto, che si collega sia alla causalità libera <strong>del</strong>l’idea di mondo sia al postulato <strong>del</strong>lalibertà <strong>del</strong>l’agire morale <strong>del</strong>l’uomo, ossia alla dimensione morale come “regno deifini”;65


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREb) la necessità di una vita individuale infinita, dovuta alla finalità di raggiungere laperfezione morale, che si connette all’idea di anima e al postulato <strong>del</strong>l’immortalitàindividuale;c) l’esistenza di Dio, in quanto intelligenza superiore autrice <strong>del</strong>l’ordine finalisticototale, che si rifà sia all’idea di Dio come totalità di tutte le totalità sia al postulato<strong>del</strong>l’esistenza di Dio come “sommo bene” che garantisce a ogni uomo ilraggiungimento <strong>del</strong> fine <strong>del</strong>la felicità in proporzione al merito morale.Ciò chiarito, siamo in grado di comprendere appieno perché Kant denomini questogiudizio “riflettente”: in esso la natura ci appare come noi, ci si manifesta non comeun’alterità ma come un “tu”, ci si presenta in consonanza con la nostra libertà e le nostreesigenze razionali più profonde, disvelando la realtà come una totalità omogenea earmonica. Per dirla metaforicamente, il giudizio riflettente trasforma la natura in specchio<strong>del</strong>l’interiorità morale e metafisica <strong>del</strong>l’uomo: nella natura vediamo noi stessi, o meglio lanostra immagine riflessa.E’ importante mettere a fuoco che per Kant il giudizio riflettente presuppone il giudiziodeterminante e se ne serve. Altrimenti detto: la natura che il giudizio riflettente ci svelacome ordine finalistico è la natura che il giudizio determinante, cioè intellettivo-<strong>scienti</strong><strong>fico</strong>,ha categorizzato come un ordine meccanico. Per dirla ancora una volta metaforicamente, lanatura meccanica <strong>del</strong>la scienza è l’humus dal quale emerge il fiore <strong>del</strong>la natura finalistica<strong>del</strong>la “riflessione”. In questo modo Kant rende giudizio determinante e giudizio riflettente,scienza e riflessione, complementari. Ne fa appunto dei vasi comunicanti. D’altra parte,come anticipato, non li con-fonde affatto. Lo specchio riflettente <strong>del</strong>la natura coesiste conla sua cornice opaca. Fuori di metafora, la visione “riflessa” <strong>del</strong>la natura come ordinefinalistico non oscura quella <strong>scienti</strong>fica <strong>del</strong>la natura come ordine meccanico, anzi la rendeancora più netta, grazie all’effetto differenza. Solo che questa loro divergenza puòcoesistere in modo, per così dire, simbiotico, cioè funzionale l’una all’altra.Compreso cos’è il giudizio riflettente, si tratta di capire ora quale sia il suo fondamento.Esso indubbiamente costituisce una forma di conoscenza razionale. Ma qual è la suafondatezza e che limiti ha? In cosa consiste la sua razionalità? Se non è né <strong>scienti</strong>fica, németafisica né morale, che razza di razionalità può essere?La risposta di Kant è che si tratta di una razionalità sentimentale, ovvero che il giudizioriflettente si fonda su un sentimento. In altri termini, la ragione per Kant non è solobipartita, è tripartita in:1. ragione speculativa;2. ragione morale;3. ragione sentimentale.Il sentimento, insomma, è una faccia <strong>del</strong>la ragione, è una componente fondamentale <strong>del</strong>larazionalità. E proprio in quanto fondato sul sentimento, il giudizio riflettente provoca unpiacere. Esso infatti, secondo Kant, soddisfa il nostro bisogno di rispecchiarci nella natura,cioè di ritrovare nella natura le nostre aspirazioni metafisiche e morali. Ma attenzione, sitratta di un piacere puramente razionale, non sensibile; mentale, non fisico.Parallelamente, la ragione sentimentale di Kant non include ogni tipo di sentimento, maappunto solo il genere razionale <strong>del</strong> sentimento, che in sostanza comprende 3 sentimentispecifici: a) quello <strong>del</strong>la bellezza, b) quello <strong>del</strong> sublime c) quello <strong>del</strong>lo scopo. Si trattadunque di esaminare tali sentimenti razionali. E, come nelle precedenti critiche, questoesame per Kant dovrà evidenziare il valore e i limiti <strong>del</strong> giudizio riflettente.TAPPA 1266


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREKANT: IL GIUDIZIO ESTETICO DEL BELLOIl gusto è la facoltà di giudicare un oggetto o un tipo di rappresentazionemediante un piacere, o un dispiacere, senza alcun interesse. L’oggetto di unpiacere simile si dice bello.Il bello è ciò che è rappresentato, senza concetti, come l’oggetto di un piacereuniversale.Questa definizione <strong>del</strong> bello può essere dedotta dalla precedente, per la qualeesso è l’oggetto di un piacere senza alcun interesse. Difatti colui che hacoscienza di esser disinteressato nel piacere che prova di qualche cosa, nonpuò giudicare la cosa medesima se non come contenente un motivo di piacereche sia valevole per ognuno. Non essendo il piacere fondato su qualcheinclinazione <strong>del</strong> soggetto (o su qualche altro interesse consapevole), esentendosi invece colui che giudica completamente libero rispetto al piacereche dedica all’oggetto; egli non potrà trovare alcuna condizione particolare,esclusiva <strong>del</strong> suo soggetto, come fondamento <strong>del</strong> piacere, e dovrà quindiconsiderarlo come fondato su qualcosa che si possa presupporre anche inogni altro; per conseguenza dovrà credere di aver ragione di pretendere daglialtri lo stesso piacere. Egli parlerà così <strong>del</strong> bello come se la bellezza fosse unaqualità <strong>del</strong>l’oggetto, e il suo giudizio fosse logico (un giudizio che dà unaconoscenza <strong>del</strong>l’oggetto mediante il suo concetto), sebbene sia soltantoestetico e non implichi che un rapporto <strong>del</strong>la rappresentazione <strong>del</strong>l’oggettocol soggetto; perché, infatti, esso è simile in questo al giudizio logico, si puòpresupporre la sua validità per ognuno. Ma questa universalità non puònemmeno provenire da concetti. Poiché non vi è alcun passaggio dai concettial sentimento di piacere o dispiacere […]. Al giudizio di gusto, perconseguenza, poiché in esso c’è la coscienza <strong>del</strong> disinteresse, deve unirsil’esigenza <strong>del</strong>la validità per ognuno, sebbene tale validità non si tengaconnessa agli oggetti; in altri termini, il giudizio di gusto deve pretendereall’universalità soggettiva. […]La facoltà di desiderare, in quanto può essere determinata ad agire solomediante concetti, cioè secondo la rappresentazione di uno scopo, sarebbe lavolontà. Ma un oggetto, uno stato d’animo o anche un’azione, è dettofinalistico anche se la sua possibilità non presuppone necessariamente larappresentazione di uno scopo, e per il semplice fatto che la sua possibilitànon può essere spiegata e concepita da noi, se non ammettendo comeprincipio di essa una causalità secondo fini, cioè una volontà che l’abbia cosìordinata secondo la rappresentazione di una certa regola. La finalità dunquepuò essere senza scopo quando non possiamo porre in una volontà la causa diquella forma, e tuttavia non possiamo concepire la spiegazione <strong>del</strong>la suapossibilità se non derivandola da una volontà. […]La bellezza è la forma <strong>del</strong>la finalità di un oggetto, in quanto questa vi èpercepita senza la rappresentazione di uno scopo.Kant, Critica <strong>del</strong> Giudizio, Laterza 1979, Analitica <strong>del</strong> belloIl giudizio riflettente è articolato da Kant in 2 tipi:1. il giudizio estetico;2. il giudizio teleologico.A sua volta il giudizio estetico si suddivide in:1.1 giudizio estetico <strong>del</strong> bello (o relativo al finito)1.2 giudizio estetico <strong>del</strong> sublime (o relativo all’infinito).67


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREPer il momento, prendiamo in considerazione il giudizio estetico <strong>del</strong> bello. Secondo Kant labellezza è quel sentimento spontaneo, cioè non intenzionale, di piacere mentale cheproviamo in relazione all’intuizione sensibile di un oggetto naturale o di una suariproduzione artistica. P.e., quando guardo un campo di girasoli, sia un campo fisico siauna sua riproduzione artistica (come in Campo di girasoli di V. Van Gogh), io possoprovare, senza alcuna volontà né alcun sforzo, un’intensa e gratificante emozione interiore.Questa emozione positiva è il sentimento <strong>del</strong>la bellezza. Da dove nasce? In cosa consiste?Secondo Kant, essa ha 4 condizioni, che ne sono altrettante caratteristiche distintive:a) il disinteresse: il piacere <strong>del</strong>la bellezza è puramente estetico nel senso chenon soddisfa né bisogni e desideri fisici (nel caso dei girasoli, p.e., laprospettiva di poterli acquistare e guadagnarci rivendendoli, oppure di poterricavare olio dai semi) né interessi <strong>scienti</strong>fici (scoprire come e perchéorientano la corolla verso il sole) né esigenze morali (in quanto i girasolipossono rappresentare simbolicamente gli uomini che seguono la luce <strong>del</strong>lalegge morale); in altre parole, la bellezza, e quindi l’arte, è “autonoma”, leggea sé stessa, è un sentimento speci<strong>fico</strong> che non dipende né dal vero, né dalbuono, né dall’utile, né dal piacere fisico (il piacere estetico che posso provareper la visione <strong>del</strong> David di Michelangelo o <strong>del</strong>le Tre Grazie <strong>del</strong> Canova nonha nulla a che fare col piacere fisico-sessuale che posso provare guardando lefoto dei corpi più o meno discinti di Nicole Kidman o Brad Pitt, perintenderci).b) L’universalità: se io provo il sentimento <strong>del</strong>la bellezza contemplando Ratto<strong>del</strong>la sabina di Giambologna (Jean de Boulogne) piuttosto che Donna inpiedi di <strong>Albert</strong>o Giacometti, ipso facto sento che guardando quell’operad’arte ogni altro uomo deve provare lo stesso sentimento; da questo punto divista, dunque, il bello per Kant si differenzia nettamente dal “piacevole”, cioèda ciò che piace al singolo individuo o a un gruppo di individui (p.e. Brad Pittper qualcuno Johnny Depp per altri), nel senso che secondo lui non è bellociò che piace, sottinteso fisicamente, ma è bello ciò che è bello, sottintesometafisicamente.c) La necessità: se io provo piacere estetico ascoltando il Nabucco di G. Verdi,piuttosto che una sinfonia di J. Brahms, io non posso non sentire che si trattadi un piacere <strong>del</strong> tutto spontaneo, non intenzionale, al di là <strong>del</strong>la mia volontà,e quindi inevitabile, obbligato.d) La forma alogica: il sentimento <strong>del</strong> bello, ovvero il piacere estetico, consistenella percezione di una “forma”, cioè di un ordine (o di un’armonia) che peròè di natura <strong>del</strong> tutto diversa dall’ordine logico-concettuale, cioè dallarazionalità <strong>scienti</strong>fica, p.e. dall’ordine di un’equazione matematica, o di unaprospettiva geometrica, oppure di una legge fisica; e ciò spiega perché labellezza è inesplicabile, ossia perché possiamo solo intuirla ma non siamo ingrado né di descriverla né tantomeno di motivarla. In questo caso, gli esempipiù calzanti e probanti possono essere quelli di un quadro cubista di Picasso,piuttosto che di uno astrattista di Kandinski. Ma, ovviamente, il requisitovale per ogni genere d’opera d’arte o naturale.La condizione/caratteristica <strong>del</strong>la “forma alogica” è il cuore <strong>del</strong>la concezione kantiana <strong>del</strong>labellezza. La bellezza è il coglimento – all’interno di una rappresentazione <strong>scienti</strong>fica, cioèlogico-concettuale, <strong>del</strong>la realtà sensibile – di un’organizzazione finalistica consistente in unrapporto armonico tra le parti e il tutto: ogni parte è configurata in modo tale da produrreun’armonia complessiva, un ordine tanto mirabile quanto impalpabile, che infondenell’uomo un piacere mentale <strong>del</strong> tutto speci<strong>fico</strong>. In questo senso, il “gusto”, ciò che68


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREcomunemente chiamiamo “buon gusto”, per Kant è la capacità umana di cogliere labellezza e di provare il piacere estetico.A questo punto, è il caso di porci una domanda decisiva: la bellezza è una proprietà <strong>del</strong>lanatura fenomenica, cioè <strong>del</strong>la natura ordinata dalle forme a priori <strong>del</strong>la ragione teoretica?In altre parole, la bellezza è “oggettiva” (in senso kantiano)?La risposta di Kant è negativa. Ma, viene spontaneo obiettare, allora com’è possibile che ilpiacere estetico sia “universale e necessario”? Questa formula tipicamente kantiana nondesigna appunto l’oggettività?La soluzione kantiana è complessa, ma coerente e comprensibile alla luce <strong>del</strong> concetto di“rivoluzione copernicana”. La bellezza non è una proprietà <strong>del</strong>le cose, cioè degli oggetti ofenomeni, ma è la proiezione sulle cose di una proprietà <strong>del</strong>la mente umana. Il giudizioestetico, infatti, è un giudizio riflettente, cioè un giudizio che usa l’oggetto fenomenicocome specchio <strong>del</strong>la ragione umana. La bellezza è appunto una <strong>del</strong>le 3 immagini specularidi se stessa che la ragione umana può rinvenire nelle cose. Nella sua immagine “bella” laragione ritrova nella natura il suo finalismo nella configurazione di un’armoniaimmediata, intuitiva, metafisica. Da questo punto di vista, la bellezza è “soggettiva”, èattribuzione alla natura di un ordine ideale che appartiene alla mente umana. DunqueKant estende la sua “rivoluzione copernicana” anche all’ambito estetico: anche nellaconoscenza estetica non è la natura che mo<strong>del</strong>la l’uomo, ma l’uomo che mo<strong>del</strong>la la natura.Ma attenzione: in questo caso si tratta di una mo<strong>del</strong>lamento di secondo livello, cioè di unmo<strong>del</strong>lamento <strong>del</strong> mo<strong>del</strong>lamento, in quanto il giudizio estetico mo<strong>del</strong>la la “natura”, cioè lanatura già mo<strong>del</strong>lata <strong>scienti</strong>ficamente, ossia la natura fenomenica. A differenza che nelmo<strong>del</strong>lamento <strong>scienti</strong><strong>fico</strong>, nel mo<strong>del</strong>lamento estetico la ragione umana non ha vincoliempirici, non si fa determinare dall’esperienza, ma si riflette liberamente nell’esperienza.Ergo la ragione estetica è <strong>del</strong> tutto pura, ideale, “soggettiva”. L’oggetto, l’esperienzasensibile, è solo lo stimolo o l’occasione <strong>del</strong> giudizio estetico.Ma allora come può essere “universale e necessario” il giudizio estetico? Può esserlo inquanto anche la ragione estetica – proprio per questo è “ragione” – è una e la stessa perogni individuo umano e quindi ogni individuo umano può avere lo stesso “gusto” e coglierela stessa bellezza. In altre parole, come peraltro già abbiamo notato, “soggettivo” in Kantsignifica anche, e prima di tutto, “proprio <strong>del</strong>la ragione umana in generale”, “ciò che èuguale in ogni mente individuale”. Da questo punto di vista, possiamo dire che per Kant ilbello è “soggettivo” ma comunque “universale e necessario”, cioè non relativo a un singoloindividuo e a un singolo sentimento; mentre il “piacevole” è soggettivo, ossia particolare econtingente, cioè appunto relativo a un singolo individuo e a un singolo sentimento.Ancora, però, ci si potrebbe legittimamente chiedere che differenza ci sia tra giudizio<strong>scienti</strong><strong>fico</strong> e giudizio estetico, dal momento che sono entrambi “universali e necessari”,ovvero “soggettivi”. D’accordo, uno è determinato dall’esperienza sensibile, l’altro no; l’unoè logico-concettuale e l’altro sentimentale e intuitivo; ma come possono essere “universalie necessari allo stesso modo”? Infatti per Kant non lo sono allo stesso modo. L’universalitàe necessità <strong>del</strong> giudizio <strong>scienti</strong><strong>fico</strong> è vincolante in modo oggettivo, ossia come un obbligoesterno; quelle <strong>del</strong> giudizio estetico sono vincolanti in modo soggettivo, ossia come unamia esigenza interna. In parole semplici, che tutti i corpi si muovano in base alla legge digravitazione universale è una verità imposta dalle cose e il cui fondamento mi èlogicamente comprensibile; che un campo di girasoli sia bello è un sentimento che sgorgadalla mia stessa ragione e il cui fondamento mi è logicamente incomprensibile. Insomma,l’universalità e la necessità <strong>del</strong> giudizio estetico sono esigenze <strong>del</strong>la mia ragione, nonimposizioni <strong>del</strong> mio intelletto. Di conseguenza il giudizio estetico non può ambire a unavalidità <strong>scienti</strong>fica, né interferire in alcun modo con la scienza.69


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 13KANT: IL GIUDIZIO ESTETICO DEL SUBLIMEIl bello <strong>del</strong>la natura riguarda la forma <strong>del</strong>l’oggetto, la quale consiste nellalimitazione; il sublime, invece, si può trovare anche in un oggetto privo diforma, in quanto implichi o provochi la rappresentazione <strong>del</strong>l’illimitatezza,pensata per di più nella sua totalità; sicché pare che il bello debba esserconsiderato come l’esibizione d’un concetto indeterminato <strong>del</strong>la ragione. Nelprimo caso il piacere è quindi legato con la rappresentazione <strong>del</strong>la qualità, nelsecondo invece con quella <strong>del</strong>la quantità. Tra i due tipi di piacere c’è inoltreuna notevole differenza quanto alla specie: mentre il bello implicadirettamente un sentimento di agevolazione e intensificazione <strong>del</strong>la vita, eperciò si può conciliare con le attrattive e il gioco <strong>del</strong>l’immaginazione, ilsentimento <strong>del</strong> sublime invece è un piacere che sorge solo indirettamente, ecioè viene prodotto dal senso di un momentaneo impedimento, seguito da unapiù forte effusione <strong>del</strong>le forze vitali, e perciò, in quanto emozione, non sipresenta affatto come un gioco, ma come un qualcosa di serio nell’impiego<strong>del</strong>l’immaginazione. Quindi il sublime non si può unire ad attrattive; e, poichél’animo non è semplicemente attratto dall’oggetto, ma alternativamenteattratto e respinto, il piacere <strong>del</strong> sublime non è tanto una gioia positiva, mapiuttosto contiene meraviglia e stima, cioè merita di essere chiamato unpiacere negativo.Ma ecco la più importante ed intima differenza tra il sublime e il bello: se,com’è giusto, prendiamo qui in considerazione prima di tutto soltanto ilsublime degli oggetti naturali (quello <strong>del</strong>l’arte è limitato sempre allacondizione <strong>del</strong>l’accordo con la natura), troveremo che la bellezza naturale(per sé stante) include una finalità nella sua forma, per cui l’oggetto sembracome predisposto pel nostro giudizio, e perciò costituisce essa stessa unoggetto di piacere; mentre ciò che, senza ragionamento, nella sempliceapprensione, produce in noi il sentimento <strong>del</strong> sublime, può apparire,riguardo alla forma, contrario alla finalità per il nostro giudizio, inadeguatoalla nostra facoltà d’esibizione e quasi come violento contro l’immaginazionestessa, nondimeno però soltanto per esser giudicato tanto più sublime,quanto maggiore è tale violenza.Kant, Critica <strong>del</strong> Giudizio, Laterza 1979, Analitica <strong>del</strong> sublimeIn quanto giudizio riflettente di tipo estetico, il giudizio <strong>del</strong> sublime possiede le stessecaratteristiche di fondo <strong>del</strong> giudizio <strong>del</strong> bello. Tuttavia, se ne differenzia sotto 3 aspetti.In primo luogo, mentre il bello si riferisce a una forma (o immagine) finita e perciòdefinita, cioè a una rappresentazione di un oggetto fenomenico preciso, il sublime attiene auna forma infinita, e perciò indefinita, ovvero, a rigore, a una non-forma, a unarappresentazione informe e, per così dire, sfumata <strong>del</strong>la natura fenomenica. Piùsemplicemente: il sentimento/piacere estetico <strong>del</strong> sublime è correlato all’infinitezza <strong>del</strong>lanatura, e perdipiù alla sua infinitezza attuale, cioè in quanto totalità immediata completa ecompiuta. P.e., il sublime promana dalla visione <strong>del</strong> cielo stellato in quanto spazio infinitoche racchiude infiniti astri (infinito “matematico”); oppure dalla visione di una terrificantecatastrofe naturale – un’eruzione vulcanica, un terremoto, uno tsunami – che esibiscel’infinita potenza <strong>del</strong>la natura (infinito “dinamico”). In questo senso, mentre il giudizio <strong>del</strong>bello si esercita sulle rappresentazioni concettuali <strong>del</strong>la natura fisica prodottedall’immaginazione e <strong>del</strong>l’intelletto, il giudizio <strong>del</strong> sublime rinvia alle 3 idee metafisiche<strong>del</strong>la ragione (anima, mondo e Dio), proprio in quanto totalità infinite. Ora, poiché70


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREl’infinito attuale è per principio irrappresentabile e inconcepibile in una configurazionedefinita, risulta chiaro perché il sublime, a differenza <strong>del</strong> bello, non possa correlarsi alla“forma”.In secondo luogo, il sentimento <strong>del</strong> sublime è un piacere solo in seconda battuta, per cosìdire. Immediatamente, infatti, l’uomo di fronte al sublime (vedi gli esempi precedenti)prova sgomento, vertigine, disorientamento e anche paura se non terrore o addiritturapanico, in quanto si sente minuscolo rispetto alla vastità <strong>del</strong>la natura oppure gracile inconfronto alla sua forza titanica. Da questo punto di vista, il sublime è monstrum, è naturaselvaggia, abnorme, caotica che mi induce repulsione. In secondo battuta, però, ilridimensionamento che il sublime mi provoca si ribalta in una mia maggiorevalorizzazione. Esso infatti innesca in me una reazione d’orgoglio che può efficacementeaffidarsi alla mia dimensione interiore o razionale: di fronte alla vastità <strong>del</strong> cielo stellato,mi rendo conto che essa non è un autentico infinito attuale, ma eventualmente solo uninfinito potenziale, e che invece l’infinito attuale è un mio <strong>pensiero</strong>, un mio prodottomentale; di contro alla potenza <strong>del</strong>lo tsunami, comprendo che essa per quanto enorme,non è davvero infinita, e che invece è infinita la potenza <strong>del</strong>la legge morale che ho in me, laquale, indicandomi la possibilità <strong>del</strong>la perfezione morale, mi promette la vittoria totalesulla forza <strong>del</strong>la natura fisica. Insomma, l’apparente infinità <strong>del</strong>la natura, che inizialmentemi schiaccia finché mi considero unicamente un essere fisico e <strong>scienti</strong><strong>fico</strong>, finisce conl’essere solo lo stimolo o l’occasione per evocare in me l’infinito reale e per sancire la miasuperiorità sulla natura nella misura in cui io sono un essere metafisico e morale. In questomodo la repulsione per l’infinito si trasforma in attrazione e l’iniziale dispiacere in piaceresublime, cioè in piacere eccelso, superiore anche a quello <strong>del</strong>la bellezza, che proprio perquesto non si può qualificare come “gioia”, ma semmai come “meraviglia e ammirazione”,in quanto non è un sentimento “misurato”, sereno e pacificante, ma smisurato, inquietanteed eccitante.In terzo e ultimo luogo, nel giudizio <strong>del</strong> sublime io non rinvengo il finalismo noumeniconascosto nella natura fenomenica in una “forma”, cioè nella sua armonia (misura,proporzione, simmetria), dal momento che nessuna “forma” può contenere l’infinito; alcontrario, lo ritrovo proprio nell’informe, nel disarmonico, nella disordine. Ma come èpossibile? Anzi, come può non essere contraddittorio, visto che il finalismo è incompatibilecol disordine? Kant vuol dire che, a un livello più profondo, l’ordine noumenico, “ilsostrato sovrasensibile”, <strong>del</strong>la natura fenomenica è talmente complesso che trascendequalsiasi configurazione limitata <strong>del</strong>l’ordine. In altri termini, la sconfinatezza o lacatastroficità <strong>del</strong>la natura rimandano a un’anarchia caotica che apparentemente ènegazione <strong>del</strong>l’ordine ma in realtà manifesta un ordine di livello superiore, un ordine dicomplessità infinita e come tale trascendente ogni “forma” fisica e intellettiva.Il giudizio estetico <strong>del</strong> sublime, in questo modo, corrobora ulteriormente le idee <strong>del</strong>laragione metafisica e ne legittima pienamente la “vaghezza”, cioè l’indeterminazione<strong>scienti</strong>fica, riabilitandone ed anzi esaltandone la valenza conoscitiva (benché non di tipo<strong>scienti</strong><strong>fico</strong>).Ora che la concezione <strong>del</strong> giudizio estetico di Kant è completa, possiamo chiudereaccennando brevemente alla connessa teoria kantiana <strong>del</strong>l’arte. Pur tradendo unapredilezione per la bellezza naturale, Kant stabilisce un’equivalenza tra bello naturale ebello artificiale o artistico. Egli afferma che la natura è bella quando ha l’apparenza diun’opera d’arte e, in modo complementare, l’arte è tale, cioè è bella, quando appare comenatura. In altre parole, un’opera d’arte è una rappresentazione artificiale <strong>del</strong>la natura cheha gli stessi caratteri di immediatezza e spontaneità <strong>del</strong>le cose naturali. Più semplicemente,per Kant il bello c’è quando la natura e la sua riproduzione artistica sono indistinguibili,p.e. un tramonto è bello quando sembra il dipinto di un tramonto, il dipinto di un71


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREtramonto lo è quando sembra un tramonto naturale. E’ chiaro che la posizione kantiana, inquesto senso, presuppone una interpretazione <strong>del</strong>l’arte in chiave realistica.72


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 14KANT: IL GIUDIZIO TELEOLOGICOSi applica tuttavia con ragione il giudizio teleologico alla ricerca naturale,almeno problematicamente; ma solo per sottoporla, seguendo l’analogia <strong>del</strong>lacausalità secondo fini, a principi di osservazione ed investigazione, senzapretendere di poterla spiegare. Esso appartiene dunque al Giudizioriflettente, non a quello determinante. Il concetto di legami e di forme <strong>del</strong>lanatura secondo fini è perlomeno un principio in più per ricondurre a regole ifenomeni naturali, dove le leggi <strong>del</strong>la causalità puramente meccanica nonsono sufficienti. […][…] noi non possiamo neppure conoscere a sufficienza gli esseri organizzati ela loro possibilità interna secondo principi <strong>del</strong>la natura semplicementemeccanici, tanto meno spiegarli; e questo è così certo che si può direarditamente che è assurdo per gli uomini anche solo concepire un taledisegno, o lo sperare che un giorno possa sorgere un Newton capace di farcomprendere, secondo leggi naturali non ordinate da alcuna intenzione,anche solo la produzione di uno stelo d’erba; bisogna invece assolutamentenegare agli uomini questa comprensione.Kant, Critica <strong>del</strong> Giudizio, Utet 1993, Critica <strong>del</strong> giudizio teleologico, § 77Direi per ora: una cosa esiste come scopo <strong>del</strong>la natura, quando è la causa edeffetto di se stessa (sebbene in due sensi diversi); qui v’è infatti una causalitàche non si può legare col semplice concetto di natura, senza attribuire aquesta uno scopo; causalità che si può pensare senza contraddizione, ma nonconcepire […].In primo luogo, un albero ne produce un altro secondo una legge naturaleconosciuta. Ora, l’albero prodotto è <strong>del</strong>la stessa specie; e così esso produce sestesso, secondo la specie, nella quale, volta a volta effetto e causa di se stesso,incessantemente prodotto da se stesso e sovente riproducendo se stesso, siconserva costantemente in quanto specie.In secondo luogo, un albero si produce da sé anche in quanto individuo.Questo tipo di effetto noi ci limitiamo a chiamarlo crescita; ma questa crescitava intesa in senso completamente diverso da ogni altro accrescimentosecondo leggi meccaniche […].Il nesso causale, in quanto è pensato semplicemente dall’intelletto, è unlegame che dà luogo a una serie (di cause e d’effetti) sempre in sensodiscendente; e le cose stesse che in quanto effetti ne presuppongono altrecome cause, non possono a loro volta essere insieme cause di queste. Questo èil legame causale che viene detto <strong>del</strong>le cause efficienti (nexus effectivus). Sipuò però anche pensare a un nesso causale secondo un concetto di ragione(dei fini), che, quando lo si consideri come una serie, comporti unadipendenza tanto in senso discendente quanto in senso ascendente; in esso lacosa che da un lato è designata come un effetto, risalendo merita il nome dicausa di ciò di cui è effetto. […] E’ questo il legame causale che viene detto<strong>del</strong>le cause finali (nexus finalis).Kant, Critica <strong>del</strong> Giudizio, Utet 1993, Critica <strong>del</strong> giudizio teleologico[…] tutta la varietà <strong>del</strong>le creature, per quanto sia grande l’arte con la qualesono organizzate, e vario il rapporto finalistico che le lega l’una all’altra, anzilo stesso insieme di tali sistemi di creature, cui noi poco correttamente73


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREattribuiamo il nome di mondi, esisterebbero invano, se in essi non vi fosserouomini (esseri ragionevoli in generale); cioè, senza uomini l’intera creazionenon sarebbe che un deserto inutile e senza scopo finale.Kant, Critica <strong>del</strong> Giudizio, Utet 1993, Critica <strong>del</strong> giudizio teleologico, § 86Il giudizio estetico non è l’unico tipo di giudizio riflettente. Come anticipato, la “riflessività”<strong>del</strong>la ragione produce anche il giudizio teleologico (“che riguarda lo scopo”, dal grecotélos=scopo, fine). Stante che il giudizio riflettente in generale riguarda il finalismonoumenico <strong>del</strong>la natura fenomenica, mentre il giudizio estetico avverte intuitivamente talefinalismo come “forma” bella o “abnormità” sublime, il giudizio teleologico lo coglieconcettualmente come “scopo”. Corrispondentemente, se nel giudizio estetico il finalismogenerale <strong>del</strong>la natura, in quanto bellezza o sublimità, è sentito come proprio <strong>del</strong> soggetto,cioè come proiezione di una qualità soggettiva nell’oggetto; nel giudizio teleologico, invece,il finalismo naturale, in quanto scopo, è pensato come inerente all’oggetto, come oggettivo.Attenzione, però: per Kant, anche lo “scopo” è e rimane in ogni caso un’esigenza <strong>del</strong>laragione, cioè una caratteristica <strong>del</strong> soggetto umano universale. Né potrebbe esserealtrimenti, dato che, se lo fosse, il giudizio teleologico non sarebbe un giudizio riflettentema determinante. Solo che, benché di diritto soggettivo, la ragione mi spinge a pensarlo difatto come oggettivo, e a non poter fare a meno di pensarlo così. In altre parole, nelgiudizio teleologico la mia ragione si rispecchia pur sempre nella natura ma conl’insopprimibile e universale convinzione soggettiva che quel che vede nello specchio sia lanatura stessa. E’ chiaro allora che il finalismo naturale come scopo, cioè appunto comeproprietà oggettiva <strong>del</strong>la natura, è solo una supposizione, destituita di certezza <strong>scienti</strong>fica.Tuttavia, è indubbio che per queste sue caratteristiche, il giudizio teleologico è il giudizioriflettente più omogeneo al giudizio determinante <strong>scienti</strong><strong>fico</strong>. Infatti, in quanto pensatocome oggettivo, lo scopo non è un’intuizione sentimentale ma un concetto <strong>del</strong>l’intelletto. Inaltre parole, nel giudizio teleologico diventa, per così dire, complice <strong>del</strong>la ragione quellostesso intelletto che costituisce il paladino <strong>del</strong>la scienza, cioè <strong>del</strong> vincolo all’esperienza equindi <strong>del</strong>la limitazione <strong>del</strong>la conoscenza.Com’è possibile dunque, se non un accordo, quanto meno un raccordo tra intelletto eragione, visto che quest’ultima ambisce invece proprio a una conoscenza totale, illimitata?Secondo Kant il paradosso è soltanto apparente. In realtà il raccordo teleologico di ragionee intelletto segue logicamente proprio dalla limitatezza <strong>del</strong>la scienza, di cui l’intelletto èconsapevole custode. La ricerca <strong>scienti</strong>fica, rileva Kant, proprio nel suo slancio ad allargaree approfondire il suo dominio sulla realtà fisica si scontra con l’impossibilità di spiegarecompiutamente quantomeno gli esseri biologici e i processi <strong>del</strong>la vita organica. Perché?Perché la scienza deve basarsi sulla causalità efficiente, cioè sul meccanicismo, ma appuntoil meccanicismo mostra la corda se applicato ai fenomeni biologici. Fuori di metafora, nonriesce a spiegarli compiutamente, anzi quasi non riesce a spiegarli tout court. L’intelletto ècosciente di tale limite, tanto più clamoroso in quanto non riguarda solo e tanto la realtàcome totalità infinita, ma la realtà come parte finita; non la questione di cos’è l’universo,ma di cos’è, p.e., un “filo d’erba”. Si tratta di uno scacco che spinge l’intelletto adassecondare l’ipotesi esplicativa suggerita dalla ragione, ossia che l’ordine meccanico ditutta la natura sia un’emergenza – cioè un livello secondario – di un’organizzazione piùprofonda e basilare di tipo finalistico, un ordine noumenico incardinato sul concetto discopo (la causalità finalistica <strong>del</strong>la III antinomia <strong>del</strong>la ragione metafisica).Kant espone 2 esempi paradigmatici di finalismo biologico: a) quello <strong>del</strong>la riproduzione eb) quello <strong>del</strong>la crescita.Se consideriamo la riproduzione di un albero (ovviamente vale per qualsiasi essere vivente,oggi potremmo dire anche per la riproduzione cellulare), possiamo e dobbiamo certamenteconcepire l’albero-padre come causa efficiente <strong>del</strong>l’effetto albero-figlio. Ma, dal momento74


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREche l’albero-figlio, cioè in generale la riproduzione, è anche il fine <strong>del</strong>l’esistenza <strong>del</strong>l’alberopadre,possiamo e dobbiamo anche pensare che l’albero-figlio è a sua volta la causaefficiente <strong>del</strong>l’effetto albero-padre, nello stesso modo in cui pensiamo che lo scopo didissetarci sia la causa <strong>del</strong> fatto che riempiamo il bicchiere d’acqua.Considerando, invece, la crescita di un albero (anche in questo caso, all’albero può esseresostituito qualsiasi altro essere vivente) possiamo e dobbiamo giudicare l’aumento <strong>del</strong>ledimensioni e il miglioramento <strong>del</strong>le funzioni <strong>del</strong>l’albero come l’effetto <strong>del</strong>lo sviluppo <strong>del</strong>lesue parti (radici, tronco, rami, foglie, ecc.); ma a loro volta i singoli sviluppi di queste partipossono e devono essere pensati come effetti <strong>del</strong>la crescita <strong>del</strong>l’albero intero.In entrambi i casi, ma si potrebbe estendere l’esemplificazione anche al rapportoindividuo/specie, abbiamo a che fare con una relazione parte/tutto diversa da quellameccanica. In un organizzazione meccanica – p.e. un orologio – l’insieme non funziona senon funziona la singola parte, ma la funzionalità <strong>del</strong>la singola parte, p.e. <strong>del</strong> bilanciere, nondipende dal funzionamento <strong>del</strong>l’insieme. In un’organizzazione biologica – p.e. il corpoumano – anche la funzionalità <strong>del</strong>la singola parte, p.e. il fegato – dipende dalfunzionamento <strong>del</strong>l’insieme. Questo significa che il rapporto parte/tutto si basa appunto suuna causalità finale tale per cui ogni parte <strong>del</strong> tutto è configurata e interconnessa alle altreparti in modo tale da raggiungere lo scopo <strong>del</strong>la vita <strong>del</strong> tutto. In altre parole, nel giudizioteleologico, la natura si manifesta come non solo ordinata causalmente ma anche esoprattutto come ordinata finalisticamente. L’ordine meccanico, in questo senso, si svelacome un epifenomeno e al contempo un mezzo <strong>del</strong>l’ordine finalistico.Questa tesi kantiana, ha tre importanti corollari:1. la natura è capace di autorganizzazione, cioè possiede una forza formativaautonoma, per analogia con qualsiasi organismo vivente;2. la natura presuppone un’intelligenza ordinatrice, in quanto un ordine meccanicopuò avere un’origine casuale ma un ordine finalistico non può che essererazionalmente progettato e realizzato;3. la natura possiede uno scopo ultimo, cioè l’uomo.Soffermiamoci, su quest’ultimo corollario. Per Kant in un ordine finalistico ognicosa/processo è mezzo di uno scopo, che a sua volta diventa mezzo di uno scopo ulteriore,e così via. P.e., nella catena alimentare i vegetali sono il mezzo per la sopravvivenza deglierbivori e questi, a loro volta, lo sono dei carnivori, ecc. Da questo punto di vista, la naturapuò essere finalisticamente ordinata solo se c’è un fine ultimo. Questo fine ultimo, affermaKant, è la specie umana. Ma attenzione: non in quando specie animale, ma solo in quantospecie razionale e, segnatamente, morale. Dunque, a ben vedere, è la razionalità/moralità ilfine ultimo <strong>del</strong>la natura, l’uomo se, e solo quando, è razionale e morale.La tesi finalistica kantiana, e i suoi corollari, va ribadito, non hanno validità <strong>scienti</strong>fica.Essi esprimono una esigenza <strong>del</strong>la ragione teoretica che si raccorda con l’istanza <strong>scienti</strong>fica<strong>del</strong>l’intelletto, in quanto supplisce in modo ipotetico ai limiti <strong>del</strong>la spiegazione <strong>scienti</strong>fica,ma non può sostituirla e nemmeno integrarla. Che valore ha allora il giudizio teleologicoper la scienza? Perché l’intelletto accondiscende ad ascoltarlo? Perché, sostiene Kant, ilgiudizio teleologico svolge una funzione “regolativa” per la scienza, analoga a quella <strong>del</strong>le 3idee <strong>del</strong>la ragione, cioè stimola e aiuta la scienza a progredire. In questo senso, piùmodernamente, possiamo dire che per Kant le 3 idee <strong>del</strong>la ragione e il giudizio teleologicohanno una validità <strong>scienti</strong>fica di tipo “euristico”, ossia sono ipotesi incontrollabiliempiricamente, e dunque a rigore non <strong>scienti</strong>fiche, ma che agevolano la scienza in quantosono strumenti utili all’indagine <strong>scienti</strong>fica e dunque funzionali all’elaborazione di nuoveteorie <strong>scienti</strong>fiche.75


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREVIAGGI NEL PASSATO E VIAGGI NEL PRESENTEKANT E LA SCIENZA CONTEMPORANEATra i numerosi collegamenti possibili, i più interessanti mi sembrano quelli:a) tra il metaordine finalistico rivelato nel sublime e l’attuale teoria <strong>del</strong>caos/complessità;b) tra la concezione <strong>del</strong> nesso finalistico nella natura organica e il concetto difeedback nella cibernetica/teoria <strong>del</strong>l’informazione contemporanee;c) tra la tesi kantiana <strong>del</strong>l’impossibilità di un Newton <strong>del</strong>la biologia e ilneodarwinismo.Nel 1961, il meteorologo Edward Lorenz testando un mo<strong>del</strong>lo matematico di previsioni alungo termine scoprì che una differenza quantitativa infinitesimale in uno dei dati dipartenza (p.e. la temperatura) produceva previsioni radicalmente divergenti eaddirittura opposte (sereno vs uragano). Lorenz aveva scoperto il “caos” <strong>scienti</strong><strong>fico</strong>, il cuiconcetto fu divulgato dai giornali di tutto il mondo con la metafora <strong>del</strong>la farfalla chebatte le ali a Los Angeles provocando alla lunga un uragano in Asia orientale. Il “caos”<strong>scienti</strong><strong>fico</strong> non è sinonimo di disordine, ma di “ordine complesso”, cioè da noi nondeterminabile precisamente, e quindi non esattamente prevedibile, ma in sé determinato,appunto come l’ordine finalistico infinito rivelato dal giudizio estetico <strong>del</strong> sublimesecondo Kant. Oltretutto le forme geometriche generate dalle equazioni non lineari <strong>del</strong>lateoria <strong>del</strong>la complessità producono forme “belle” (in linguaggio kantiano: sublimi).La cibernetica, strettamente imparentata con la teoria <strong>del</strong>l’informazione o informatica, èla scienza che studia l’interazione automatica nelle macchine sul mo<strong>del</strong>lo di quella degliorganismi viventi. Fondata nel 1948 (Cibernetica, ovvero il controllo e la comunicazionenell’animale e nella macchina) da Norbert Wiener, si fonda sul concetto di feedback, cioèdi retroazione o retroalimentazione: in altre parole, come nel finalismo kantiano, unelemento A agisce su B il quale retroagisce su A, in modo tale che si stabilisca un rapportodi causazione reciproca. Il concetto di feedback in questo senso si collega alla teoria deisistemi (utilizzata sia dalla biologia sia dall’informatica) secondo la quale tra un tutto euna sua parte (p.e. un organo e l’intero corpo, l’economia e l’intera società, ecc.) vi è unrapporto di interazione circolare.Infine, dopo la pubblicazione nel 1859 <strong>del</strong>l’Origine <strong>del</strong>le specie di Charles Darwin, ilriconoscimento (1902) e l’utilizzo da parte <strong>del</strong>la comunità <strong>scienti</strong>fica <strong>del</strong>le leggi di Men<strong>del</strong>(scoperte già nel 1863) e la scoperta <strong>del</strong>la “doppia elica” <strong>del</strong> DNA (1953) da parte di Cricke Watson, la teoria <strong>del</strong>l’evoluzione sembra aver smentito la profezia negativa di Kant,secondo la quale non ci sarebbe mai stato un Newton <strong>del</strong>la biologia, cioè una teoria<strong>scienti</strong>fica capace di spiegare in modo soddisfacente i fenomeni biologici in base alloschema meccanicistico. Infatti secondo la teoria neodarwiniana <strong>del</strong>l’evoluzione, ifenomeni biologici possono spiegarsi esaurientemente con la combinazione ericombinazione casuale dei genotipi e la selezione naturale dei fenotipi. Ma negli ultimianni, vi sono scienziati che sostengono che tale spiegazione non è esauriente e vaintegrata con spiegazioni di tipo finalistico.76


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 15KANT: LA TEORIA POLITICA E LA FILOSOFIA DELLA STORIALo stato civile, considerato solo come stato giuridico, è fondato sui seguentiprincipi a priori:1) la libertà di ogni membro <strong>del</strong>la società, in quanto uomo.2) L’uguaglianza di esso con ogni altro, in quanto suddito.3) L’indipendenza di ogni membro di un corpo comune, in quantocittadino.Questi principi non sono leggi che lo Stato già costituito emani, bensì leggisecondo le quali solo è possibile in generale una costituzione <strong>del</strong>lo statosecondo i principi <strong>del</strong>la pura ragione che riguardano il diritto esterno<strong>del</strong>l’uomo.1) La libertà <strong>del</strong>l’individuo in quanto uomo. Io esprimo il suo principio per lacostituzione di un corpo comune nella formula seguente: “Nessuno mi puòcostringere ad essere felice a suo modo (come cioè egli si immagina ilbenessere degli altri uomini), ma ognuno può ricercare la sua felicità per lavia che a lui sembra buona, purché non rechi pregiudizio alla libertà deglialtri di tendere allo stesso scopo, in guisa che la sua libertà possa coesisterecon la libertà di ogni altro secondo una possibile legge universale (cioè nonleda questo diritto degli altri)”. […]2) L’uguaglianza degli individui in quanto sudditi, la cui formula può cosìesprimersi: “Ogni membro <strong>del</strong>lo Stato ha verso gli altri diritti coattivi, daiquali solo il sovrano è escluso (poiché egli non è membro <strong>del</strong>lo Stato, ma locrea e lo conserva). Solo il sovrano ha il potere di costringere, senza essereegli stesso sottoposto a una legge coattiva”. Tutti quelli che sono sottoposti aleggi sono sudditi in uno Stato e sono quindi sottoposti a una legge coattiva alpari di ogni altro membro <strong>del</strong>la comunità, fatta eccezione di un’unica persona(fisica o morale): il capo <strong>del</strong>lo Stato, attraverso il quale soltanto ogni coazionegiuridica può essere esercitata. […]3) L’indipendenza (sibi sufficientia) di un membro <strong>del</strong>la comunità in quantocittadino, cioè come partecipe <strong>del</strong> potere legislativo. In fatto di legislazione,tutti quelli che sono liberi ed eguali sotto leggi pubbliche già esistenti nonsono tuttavia da considerarsi uguali per ciò che riguarda il diritto di darequeste leggi. […] Ora, colui che ha il diritto di voto in questa legislazione sichiama cittadino (citoyen, cioè cittadino <strong>del</strong>lo Stato, non cittadino di unacittà, bourgeois). La qualità che a ciò si esige, oltre quella naturale (che nonsia un bambino né una donna), è questa unica: che egli sia padrone di sé (suiiuris) e quindi abbia una qualche proprietà (e in questa può essere compresaogni attività, manuale, professionale, artistica, <strong>scienti</strong>fica), che gli procuri imezzi di vivere […].Kant, Sopra il detto comune: “questo può essere giusto in teoria,ma non vale per la pratica”, in Scritti politici, Utet 1956TERZO ARTICOLO DEFINITIVO PER LA PACE PERPETUA: “IL DIRITTOCOSMOPOLITICO DEV’ESSERE LIMITATO ALLE CONDIZIONI DI UNAUNIVERSALE OSPITALITÀ”Qui, come negli articoli precedenti, non si tratta di filantropia, ma di diritto, equindi ospitalità significa il diritto di uno straniero che arriva sul territorio diun altro Stato di non essere da questo trattato ostilmente. Può essereallontanato, se ciò può farsi senza suo danno, ma, fino a che dal canto suo si77


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREcomporta pacificamente, non si deve agire ostilmente contro di lui. Non sitratta di un diritto di ospitalità, cui si può fare appello (a ciò si richiederebbeun benevolo accordo particolare, col quale si accoglie per un certo tempo unestraneo in casa come coabitante), ma di un diritto di visita, spettante a tuttigli uomini, cioè di entrare a far parte <strong>del</strong>la società in virtù <strong>del</strong> diritto comune<strong>del</strong> possesso <strong>del</strong>la superficie <strong>del</strong>la terra, sulla quale, essendo sferica, gliuomini non possono disperdersi isolandosi all’infinito, ma devono da ultimorassegnarsi a incontrarsi e coesistere. Nessuno in origine ha maggior dirittodi un altro ad una porzione determinata <strong>del</strong>la terra.Kant, Per la pace perpetua, in Scritti politici, op. cit.La teoria politica e storica di Kant si snoda intorno a 3 questioni fondamentali:1) l’origine <strong>del</strong>la civiltà umana, <strong>del</strong>lo Stato e quindi <strong>del</strong>la storia, ossia il passaggio dallastato di natura allo Stato civile;2) la “costituzione civile” , ossia il patto (o contratto) di unione degli individui in unoStato, che si estende anche al “diritto internazionale”, cioè al patto di coesistenzapacifica tra gli Stati;3) il fine <strong>del</strong>la storia, ossia il progresso e il suo traguardo.Relativamente alla prima di queste questioni, Kant si serve di una lettura allegorica <strong>del</strong>Genesi per <strong>del</strong>ineare una personale versione <strong>del</strong> giusnaturalismo. Egli afferma, infatti, cheil mito <strong>del</strong>la cacciata di Adamo ed Eva dall’Eden simboleggia il passaggio <strong>del</strong>l’uomo dallacondizione naturale, in cui era determinato dagli istinti come qualsiasi animale, allacondizione civile, a fondamento <strong>del</strong>la quale sta la libertà di scelta, connessa, come abbiamovisto, da un lato con la legge morale dall’altro con l’inclinazione alla sua trasgressione.Divenuto libero, dunque, l’uomo può compiere il male e degradarsi moralmente – questo èil significato razionale <strong>del</strong> peccato originale – ma può anche e soprattutto iniziare il suotortuoso ma esaltante cammino di perfezionamento morale e civile. Grazie alla capacità diautodeterminazione <strong>del</strong> proprio comportamento, infatti, l’uomo può sottrarsi almeccanicismo naturale e generare una nuova natura, la civiltà storica.La condizione costitutiva <strong>del</strong>la civiltà, secondo Kant, è il diritto, cioè la statuizione di uncorpo di leggi che regolamentino i rapporti tra gli individui in modo tale che la libertàindividuale di ognuno si accordi con la libertà individuale di ogni altro. Da questo punto divista, Kant sostiene che il passaggio dallo stato di natura allo stato civile non consiste in unsalto da una situazione di assenza di diritto a una di presenza di diritto, ma inun’evoluzione graduale da una situazione di diritto spontaneo a una situazione di dirittoobbligatorio. In altre parole, nello stato di natura per Kant i rapporti tra gli uomini sonoprevalentemente conflittuali, ma vige anche un certo livello di socialità dovuto allatendenza spontanea degli individui a rispettare la reciproca libertà. Ma tale socialitànaturale non è garantita e quindi è occasionale e precaria. Col passaggio alla società civile,il diritto viene istituzionalizzato diventando coattivo, cioè forzato, in virtù <strong>del</strong>la coerzioneesterna che lo Stato, con i suoi organi specializzati (giudici, polizia), esercita su tutti i suoimembri, che proprio per questo sono “sudditi”. In questo modo lo Stato istituisce egarantisce la certezza <strong>del</strong> diritto.Secondo Kant, la transizione dallo stato di natura allo stato civile non è motivata daconsiderazioni utilitaristiche, cioè da un giudizio razionale di maggiore convenienza di undiritto coercitivo rispetto a un diritto spontaneo. Per Kant questa transizione è unimperativo <strong>del</strong>la ragione pratica. Non si tratta di un imperativo morale, perché la moralitàè appunto interiore e spontanea, ma di un imperativo politico, in quanto riguarda la sferaesteriore e implica la coercizione esterna. Esso spinge l’uomo a ricercare una maggioreintegrazione con gli altri anche sul piano fisico-materiale, cioè a perseguire l’universalitàesteriore, in consonanza con la legge morale.78


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORECiò nonostante, Kant sostiene che storicamente lo Stato non è nato da un contratto tra gliuomini. In questo senso l’origine contrattuale <strong>del</strong>lo Stato è solo un mo<strong>del</strong>lo ideale: ogniStato per essere legittimo deve essere costituito “come se” fosse stato istituito da uncontratto collettivo. Di fatto però ogni Stato è storicamente nato dalla “coazione”, cioè dallaforza detenuta da un potere sovrano. Infatti, se lo Stato è, come abbiamo visto, certezza <strong>del</strong>diritto fondata sulla coercizione esterna, esso per Kant presuppone appunto un poteresovrano in grado di esercitare una coercizione.Stando così le cose, la “costituzione civile” <strong>del</strong>lo Stato deve basarsi su un potere esecutivoassoluto. Ma l’assolutismo teorizzato da Kant è un assolutismo “illuminato”. Esso èl’antitesi <strong>del</strong> “dispotismo” e si configura dunque come una “repubblica”. Kant usa questotermine in un significato diverso dal nostro, come sinonimo di Stato di diritto o liberale,ossia di uno Stato in cui vigano le seguenti condizioni:1) la libertà, intesa come piena scelta da parte <strong>del</strong>l’individuo <strong>del</strong> propriocomportamento privato, in particolare come piena facoltà di praticare il proprioideale di felicità. In questo senso, la “repubblica” non si deve proporre di realizzarela felicità dei suoi sudditi. La felicità infatti è diversa da individuo a individuo e unoStato che la perseguisse per tutti, cioè uno Stato “paternalistico”, sarebbe per Kantlo Stato più dispotico che si possa immaginare.2) L’uguaglianza, intesa in senso giuridico, ossia come principio secondo cui le leggisono uguali per tutti senza alcuna differenziazione né tanto meno discriminazione.3) L’indipendenza, intesa sia come tripartizione dei poteri (esecutivo, legislativo,giudiziario), sia come diritto di voto per ogni cittadino, cioè per ogni sudditoeconomicamente autosufficiente, per l’elezione di un Parlamento avente il compitodi proporre le leggi al potere esecutivo detentore <strong>del</strong>la sovranità (che può essereindividuale o collegiale).4) La critica pubblica, intesa come facoltà di tutti i sudditi/cittadini di esprimerepubblicamente e di diffondere attraverso la stampa il proprio giudizio sull’operato<strong>del</strong>le autorità statali e in particolare <strong>del</strong>l’autorità esecutiva assoluta.Ma com’è possibile conciliare un potere esecutivo assoluto con uno Stato di diritto? Lasoluzione di Kant è che il potere esecutivo, sia individuale o collegiale non importa, devedecidere e governare “come se” decidesse e governasse l’intero popolo. In altre parole èlegittimo se, e solo se, interpreta la volontà di tutti i sudditi/cittadini, ovvero se opera colloro consenso. D’altra parte, secondo Kant, in nessun caso il popolo può considerarsititolare <strong>del</strong> diritto alla rivoluzione, in quanto il suo esercizio distruggerebbe lo Stato stesso.L’unica via per migliorare lo Stato ed, eventualmente, correggere il potere esecutivo, perKant è quella <strong>del</strong>le riforme promosse e ottenute in modo legale e quindi paci<strong>fico</strong>.A giudizio di Kant, inoltre, il diritto non deve essere solo intrastatale ma anche interstatale.In parole semplici: anche gli Stati e i loro rapporti devono essere regolamentati da undiritto che, come tale, è detto internazionale. Kant individua 3 principi fondanti <strong>del</strong> dirittointernazionale:1) ogni Stato deve essere una “repubblica”, nel senso sopra chiarito;2) tutti gli Stati devono formare una “federazione” mondiale, ovvero una “lega <strong>del</strong>lapace”: non si tratta, dunque, di un super Stato, di uno Stato mondiale, bensì di una“confederazione”, cioè di un’associazione di Stati indipendenti che, pur mantenendoil pieno esercizio <strong>del</strong>la propria sovranità, si vincolano a criteri comuni diregolamentazione <strong>del</strong>le loro relazioni per garantire una condizione di pacepermanente;3) tutti gli Stati devono permettere, nei limiti <strong>del</strong> rispetto <strong>del</strong>le leggi, anche ai membridi Stati esteri la libera circolazione degli individui e <strong>del</strong>le merci al loro interno, alfine di evitare sia l’isolazionismo sia il colonialismo imperialistico.79


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREL’eliminazione <strong>del</strong>le guerre e la conquista di una situazione di “pace perpetua” è lamotivazione decisiva <strong>del</strong>la necessità <strong>del</strong> diritto internazionale e quindi di unaconfederazione mondiale di Stati repubblicani. Questo obiettivi sono indicati da Kant comecompiti da perseguire e raggiungere nel corso <strong>del</strong>la storia, e vanno pertanto inquadrati inuna concezione generale <strong>del</strong>la storia umana come progresso verso una comunità umanaperfetta e dunque pacifica.In questo senso, Kant afferma che sulla base di una considerazione puramente <strong>scienti</strong>fica<strong>del</strong>la storia, vincolata all’esperienza, non sarebbe possibile concepire fondatamente unavisione <strong>del</strong>la storia come progresso illimitato. Però, il giudizio riflettente, extra<strong>scienti</strong><strong>fico</strong>ma pur sempre razionale, ci consente di concepire la storia non solo sulla base <strong>del</strong>lacasualità efficiente ma anche e soprattutto sulla base di una causalità finalistica. In questomodo è possibile rinvenire nella storia l’attuazione di un disegno razionale che si attuaprogressivamente nel tempo. Alla luce di questo disegno, la concordia discors (l’“insocievole socievolezza”), cioè il conflitto presente in ogni uomo tra tendenza aintrattenere rapporti con gli altri e tendenza a perseguire il proprio interesse individuale,pur storicamente alla base di eventi nefandi e guerre d’ogni tipo, appare come un mezzo<strong>del</strong> progresso storico. Tenendo conto che il giudizio riflettente non dispone <strong>del</strong>la certezza<strong>del</strong> giudizio determinante (o <strong>scienti</strong><strong>fico</strong>), non possiamo pensare che il progresso sianecessario ma che sia possibile, per non dire probabile, sì.E il progresso storico, continua Kant, è reso possibile da un fine ultimo, da una metaideale, verso la quale tendono tutti gli eventi storici e verso cui convergono tutte le azioniindividuali: una “costituzione civile perfetta”, una comunità politica mondiale di esserirazionali. In questo senso, il criterio <strong>del</strong> progresso non è né può essere di tipo economico otecnico, ma solo di tipo culturale: è l’aumento <strong>del</strong>la conoscenza e, in generale, <strong>del</strong>larazionalità teorizzata e praticata, che fa il vero autentico progresso. Ma il suo traguardo èirraggiungibile, è una meta ideale cui si deve tendere nella consapevolezza di non poterlamai raggiungere compiutamente.80


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 16KANT: LA RELIGIONE MORALE E LA CHIESA INVISIBILEIl dominio <strong>del</strong> buon principio [la virtù morale, ndc], nella misura in cui gliuomini vi possono contribuire, è dunque realizzabile, per quanto è datovedere, non altrimenti che con la fondazione e l’estensione di una Societàgovernata dalle e per le leggi <strong>del</strong>la virtù; di una Società, l’adesione alla quale èresa dalla ragione un compito e un dovere per l’intero genere umano. […]Un’associazione degli uomini sotto le sole leggi <strong>del</strong>la virtù, secondo laprescrizione di questa idea, può chiamarsi una Società etica, e, in quantoqueste leggi sono pubbliche, si può chiamare (in opposizione alla Societàgiuridico-civile) una Società etico-civile o ancora una comunità etica. Questapuò essere costituita in seno ad una comunità politica ed anzi da tutti imembri che la compongono (e in verità gli uomini non potrebbero maicostituirla senza aver come fondamento quest’ultima). Ma la prima ha unparticolare principio di associazione suo caratteristico (virtù): e perciò hapure una forma e una costituzione che differiscono essenzialmente dallaforma e dalla costituzione <strong>del</strong>l’altra. Tuttavia si trova una certa analogia traqueste due specie di Società, considerate come due comunità in generale; e,da questo punto di vista, la prima può essere chiamata ancora uno Statomorale, cioè un regno <strong>del</strong>la virtù (<strong>del</strong> buon principio), l’idea <strong>del</strong> quale trova lasua oggettiva realtà, pienamente fondata, nella ragione umana (come doveredi riunirsi per formare un simile Stato), benché, soggettivamente, non cisarebbe mai da sperare, dal buon volere degli uomini, che essi si decidesseroa collaborare armoniosamente a questo scopo. […]Ogni specie di esseri ragionevoli è, infatti, destinata oggettivamente, nell’idea<strong>del</strong>la ragione, ad un fine comune, cioè al promuovimento <strong>del</strong> sommo bene,come bene comune a tutti. Ma siccome il sommo bene etico non vieneprodotto solo con lo sforzo fatto dalla persona singola per il proprio esclusivoperfezionamento morale, ed esige invece la riunione dei singoli in un Tutto,per tendere precisamente allo stesso fine, per formare un sistema di uominiben intenzionati, nel quale, e con l’unità <strong>del</strong> quale, solamente, può essereattuato; siccome, d’altra parte, l’idea di questo Tutto, come di una repubblicauniversale retta da leggi <strong>del</strong>la virtù, è un’idea completamente differente datutte le leggi morali (che concernono cose che sappiamo essere in nostropotere), è in altre parole, l’idea di quanto è da farsi per ottenere un tutto, dicui non c’è possibile sapere se, come tale, esso sia anche in nostro potere: datotutto questo, noi abbiamo qui un dovere che, per la sua natura e il suoprincipio, si distingue da tutti gli altri.Si prevede già, anticipatamente, che questo dovere esigerà la supposizione diun’altra idea, cioè di quella di un Essere morale superiore, per la cui generalecura, le forze in sé insufficienti degli individui, sono riunite per un effettocomune. […]Una comunità etica con legislazione morale divina è una chiesa, che, inquanto non è oggetto <strong>del</strong>l’esperienza possibile, si chiama chiesa invisibile(semplice idea <strong>del</strong>la riunione di tutti i giusti sotto l’immediato, ma moralegoverno universale divino, che serve da mo<strong>del</strong>lo ad ogni altro governofondato dagli uomini). La chiesa visibile è la riunione effettiva degli uomini inun Tutto che concorda con questo ideale.Kant, La religione entro i limiti <strong>del</strong>la sola ragione, Laterza 2004, cap. III81


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREPer Kant la “costituzione civile perfetta”, cioè lo Stato ideale, non è l’obiettivo ultimo e piùimportante <strong>del</strong>l’umanità. Il traguardo decisivo è infatti la comunità morale perfetta, inquanto è nella dimensione morale che l’umanità può realizzare la sua massimaintegrazione e così avvicinarsi al grado più elevato di perfezione. Da questo punto di vista,lo Stato, come comunità politica basata sulla coercizione esteriore, è solo la condizioneoggettiva <strong>del</strong>la comunità morale fondata sull’intenzione interiore.Il presupposto di tale comunità è individuato da Kant nella duplice costituzione morale<strong>del</strong>l’umanità: da un lato, l’uomo alberga in sé il “male radicale”, cioè l’inclinazione atrasgredire la legge morale; dall’altro lato, però, la sua natura originaria è razionale epertanto l’uomo conserva intatto “il principio buono”, cioè la “buona volontà”, la capacitàdi scegliere e agire moralmente. Egli dunque può e deve perfezionarsi moralmente pergiungere a ripristinare pienamente la sua condizione originaria di essere morale,estirpando da sé il “principio cattivo”, cioè il “male radicale”.Questa missione morale è propria di ogni individuo ma, poiché si riferisce ai rapportiinterindividuali, può essere realizzata solo in una dimensione collettiva, in una “comunitàetica”, cioè in una società unita solo dalle leggi <strong>del</strong>la virtù, cioè da leggi non costrittive, maliberamente scelte e seguite da ogni individuo.Secondo Kant la comunità etica umana implica l’esistenza di un Essere superiore capace di“scrutare i cuori” degli uomini, cioè capace di conoscere la loro vera intenzione. L’agiremorale, infatti, è tale solo se intenzionale e nessun individuo può accertare quale sia lareale intenzione non solo di un altro ma anche di sé medesimo. D’altra parte, il giudiziocerto <strong>del</strong>l’intenzione è decisivo per la vita morale, perché solo esso permette di stabilireuna ricompensa proporzionata al merito, cioè il conseguimento <strong>del</strong> “sommo bene”,l’unione di virtù e felicità. Ciò significa, afferma Kant, che la comunità etica umana implical’esistenza di Dio come “Signore morale <strong>del</strong> mondo”, ossia come supremo e unicolegislatore <strong>del</strong>le leggi morali. Di conseguenza le leggi morali sono al contempocomandamenti divini e la comunità etica umana non può che essere concepita come un“popolo di Dio”, cioè come una “chiesa”.Ma, a questo proposito, Kant introduce una distinzione fondamentale tra:1) la “chiesa invisibile”, ossia l’idea di chiesa, la chiesa ideale unica e universale, <strong>del</strong>tutto priva di riti e di autorità ufficiali, basata su una fede razionale pura e aventecome unica pratica religiosa l’agire morale;2) la “chiesa visibile”, ossia le molteplici chiese reali, storico-empiriche, basate su unafede rivelata, su un culto e dei riti, e quindi su precetti esteriori e su autoritàufficiali.La chiesa visibile, sostiene Kant, è una necessità storica connessa alla componenteempirico-sensibile <strong>del</strong>l’uomo, la quale fa sì che gli uomini siano “deboli” e abbianopertanto bisogno di sostenere la loro fede con manifestazioni oggettive di Dio, le sacrescritture, e con atti di culto moralmente irrilevanti. Kant giustifica una chiesa visibile se, esolo se, assume la chiesa invisibile come ideale e quindi come suo fine, ossia se si consideraun mezzo storico, e quindi provvisorio, di realizzazione progressiva <strong>del</strong>la chiesa invisibile.In questo senso, secondo Kant, una chiesa visibile deve avere i seguenti requisiti:a) l’universalità, cioè la tensione alla formazione di un’unica chiesa di tutta l’umanità;b) la purezza, cioè la moralità come movente prioritario ed essenziale;c) la libertà, cioè relazioni libere, non gerarchiche, tra i suoi membri e con lo Statoall’interno <strong>del</strong> quale agisce.In base a questa impostazione, Kant riconosce la funzione positiva di tutte le religionistoriche, ma solo in quanto mezzi parziali e temporanei di costruzione e sviluppo <strong>del</strong>l’unicavera religione, morale e universale, <strong>del</strong>l’umanità. Egli pertanto critica, al contempo, tutte lereligioni storiche in tanto in quanto si sono considerate come fini a se stesse, e dunquecome uniche e assolute, e ne denuncia le conseguenti degenerazioni: la superstizione, il82


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREdogmatismo, l’autoritarismo, il fanatismo e soprattutto le guerre di religione, “che cosìspesso hanno scosso il mondo e l’hanno coperto di sangue”. Queste ultime, afferma Kant,sono impropriamente chiamate “guerre di religione”, perché in realtà non sono suscitatedalla religione, cioè dalla fede razionale pura <strong>del</strong>la chiesa invisibile, ma dagli interessi <strong>del</strong>lechiese visibili nel momento in cui non si considerano più mezzi <strong>del</strong>la chiesa invisibile edunque non sono più chiese autentiche.Sullo sfondo di questa visione generale <strong>del</strong>le religioni tradizionali, Kant giudica la religionecristiana come la migliore <strong>del</strong>le religioni storiche poiché secondo lui è la religione che piùdi ogni altra fa coincidere il comportamento religioso con quello morale. In questaprospettiva, Kant sostiene che l’Antico e il Nuovo Testamento non vanno interpretati allalettera bensì sempre in chiave razionale e morale, assumendo come presupposto che ilmessaggio biblico corrisponde sempre alla legge morale ma è espresso in forma simbolicaper raggiungere il maggior numero di uomini. Per esempio, egli afferma che il mito <strong>del</strong>peccato originale di Adamo ed Eva non è altro che la rappresentazione simbolica <strong>del</strong> “maleradicale”, cioè <strong>del</strong> fatto che l’uomo è responsabile di aver attivato volontariamente in sestesso il “principio cattivo”, cioè l’inclinazione a trasgredire <strong>del</strong>iberatamente la leggemorale. D’altra parte, la simbologia <strong>del</strong> Genesi, attraverso la figura <strong>del</strong> serpente tentatore,sta a significare che il male non appartiene alla natura umana, creata infatti “buona” daDio, ma a uno spirito malvagio, esterno all’uomo.In particolare, la figura storica di Cristo, il figlio di Dio immune dal peccato, è interpretatada Kant come il simbolo <strong>del</strong>la possibilità umana <strong>del</strong>la santità, cioè <strong>del</strong>la perfezione morale.In Cristo l’umanità ha avuto e ha un mo<strong>del</strong>lo di moralità da imitare per attivare il proprioprocesso di perfezionamento morale. In questo modo, attraverso Cristo, Dio concede la suaGrazia agli uomini, cioè integra il loro sforzo di miglioramento, che di per sé sarebbeinsufficiente, rendendo effettivamente possibile il raggiungimento <strong>del</strong>la perfezione morale.Per questo il miglioramento morale non può basarsi solo sull’allenamento costante eprogressivo alla pratica <strong>del</strong>la virtù ma deve partire da una “rivoluzione <strong>del</strong> cuore”, da unarinascita interiore che ripristini il “principio buono”, cioè l’originaria natura morale<strong>del</strong>l’uomo così come era stata creata da Dio. In questo senso Kant afferma che Cristo si èincarnato una volta in modo visibile ma innumerevoli volte in modo invisibile in ogniuomo che si converte, sia prima sia dopo la sua incarnazione storica.Considerando l’epoca a lui contemporanea, Kant ritiene che sia arrivato il tempo in cuil’umanità possa finalmente abbracciare una fede razionale pura che concepisca larivelazione divina come un processo che avviene continuamente in tutti gli uomini. In altreparole, Kant si fa profeta <strong>del</strong>l’arrivo <strong>del</strong> Regno di Dio inteso come inizio <strong>del</strong> passaggioprogressivo dalle chiese storiche, dogmatiche e gerarchiche, all’unica chiesa universalefondata sulla ragione e sull’uguaglianza di tutti i fe<strong>del</strong>i e destinata a progredire fino allarealizzazione completa di una comunità etica umana, cioè di una comunità universalesenza male e stabilmente pacifica.In questo modo, Kant, riallacciandosi alla tradizione rinascimentale <strong>del</strong>la docta religio,elabora la propria versione <strong>del</strong> deismo illuministico. Si tratta di una versione personale edecisamente più concessiva nei confronti <strong>del</strong>le chiese tradizionali di quelle <strong>del</strong>la maggiorparte dei <strong>filoso</strong>fi illuministi, ma non per questo meno radicale, anzi, sul piano <strong>del</strong>laproposta per il presente e <strong>del</strong>la prospettazione <strong>del</strong> futuro. Segnatamente, risulta chiaro enetto che la piena realizzazione <strong>del</strong>l’utopia di una società umana perfetta non è affidata daKant alla dimensione politica ma a quella religiosa, benché la prima sia considerata unacondizione, ovvero un mezzo indispensabile, <strong>del</strong>la seconda.83


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREVIAGGIO IILA COSTRUZIONE RAZIONALE DI TUTTA LA REALTA’ROTTA A: IL ROMANTICISMO TEDESCOTAPPA 1SCHILLER: LA PEDAGOGIA DELLA BELLEZZAL’educazione estetica come educazione alla libertàIl riferimento principale <strong>del</strong>la <strong>filoso</strong>fia estetica di Schiller è costituito dalla Critica <strong>del</strong>Giudizio di Kant. In questa opera Kant aveva individuato nel sentimento <strong>del</strong> bello unafacoltà intermedia <strong>del</strong>la ragione capace di conciliare l’opposizione tra l’intelletto e lamoralità, ovvero tra il meccanicismo <strong>del</strong>la natura <strong>scienti</strong>fica e la libertà <strong>del</strong>l’uomo.L’intento di Schiller è quello di sviluppare e completare la Critica <strong>del</strong> Giudizio di Kant inuna duplice direzione: a) mostrando come la bellezza possa non solo conciliare ma ancheintegrare e armonizzare tutti i dualismi <strong>del</strong>la <strong>filoso</strong>fia kantiana: intelletto e ragione, istintosensibile e legge morale, individuo e collettività; b) elaborando non solo e non tanto unateoria estetica quanto anche e soprattutto una pedagogia estetica, cioè facendo <strong>del</strong>labellezza il criterio cardine per un nuovo, più profondo ed efficace metodo di educazione<strong>del</strong>l’umanità alla libertà. L’istanza pedagogica di Schiller ha forti implicazioni politiche inquanto per lui la rivoluzione francese aveva dimostrato che senza un nuovo tipo d’uomo,cioè un individuo autenticamente libero, ogni tentativo di arrivare all’autodeterminazionepolitica era destinato alla degenerazione e al fallimento.La differenza tra uomo moderno e uomo grecoL’uomo moderno, secondo Schiller, è interiormente diviso in molti interessi e facoltàautonomi che si rapportano tra loro in modo squilibrato. Questa sua frammentarietàspirituale è conseguenza sia <strong>del</strong>l’organizzazione sociale – caratterizzata dalla divisione <strong>del</strong>lavoro e da una complessa articolazione in classi e ceti – sia <strong>del</strong>la situazione culturale,segnata dalla sempre più radicale specializzazione <strong>del</strong>le scienze e dalla contrapposizionetra razionalità <strong>scienti</strong>fica e fantasia artistica. Grazie alla crescente complessità <strong>del</strong> sistemasocio-culturale l’uomo moderno ha sensibilmente migliorato le sue condizioni materiali divita, ma a prezzo <strong>del</strong>la rottura <strong>del</strong>la sua unità interiore. Da questo punto di vista, egli sitrova agli antipodi <strong>del</strong>la “splendida umanità” rappresentata per Schiller dall’uomo grecoantico la cui civiltà era invece caratterizzata da una maggiore omogeneità socio-culturale equindi dall’armonia tra razionalità e fantasia, sensibilità e moralità, individuo e comunità.Eppure, secondo Schiller, l’inferiorità <strong>del</strong>l’uomo moderno rispetto all’uomo greco contienein sé la potenzialità di trasformarsi in superiorità. L’uomo moderno infatti ha la possibilitàdi realizzare un nuovo equilibrio spirituale basato su una maggiore differenziazioneinterna, e dunque più ricco ed elevato. La chiave di volta per conseguire questo risultato ècostituita dall’educazione alla bellezza basata sull’arte.La vita, la forma e il giocoLa pedagogia estetica di Schiller ha come fondamento la sua teoria antropologica secondola quale ogni uomo è costituito dall’interazione di due principi opposti:• L’ “impulso materiale” o “vita”, in base al quale partecipa al mondo fisicocaratterizzato dal bisogno, dall’istintività, dal mutamento temporale,dall’accidentalità;• L’ “impulso formale” o “forma”, in base al quale partecipa <strong>del</strong> mondo ideale,puramente razionale, caratterizzato dalla libertà, dalla moralità, dalla stabilitàsovratemporale, dalla finalità.84


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORELa sua natura duale espone costitutivamente l’uomo al rischio <strong>del</strong>la scissione, <strong>del</strong>losquilibrio, <strong>del</strong> conflitto intestino. D’altra parte questo stesso dualismo fonda la superiorità<strong>del</strong>l’uomo legata alla possibilità di equilibrare e accordare i suoi impulsi immediatamenteopposti ma potenzialmente complementari. Tale possibilità è affidata da Schiller a un terzoimpulso umano, intermedio rispetto ai primi due, ovvero all’ “impulso al gioco” proprio<strong>del</strong>l’attività artistica.L’attività artistica, afferma Schiller, è un “gioco” in quanto essa è l’espressione di unatteggiamento <strong>del</strong> tutto disinteressato, sia materialmente sia <strong>scienti</strong>ficamente siamoralmente, nei confronti <strong>del</strong>la realtà. In altre parole l’arte in quanto gioco è assolutaspontaneità, libertà da tutte le leggi sia naturali sia culturali, sospensione di qualsiasinecessità fisica o dover-essere morale. Questo “stato estetico” <strong>del</strong>l’uomo è possibile inquanto il gioco artistico consiste nel perfetto equilibrio di “vita” e “forma”, di impulsomateriale e impulso formale. I due impulsi così si neutralizzano a vicenda, si integrano, siarmonizzano. La bellezza è appunto il risultato di tale armonizzazione, è la sintesi di vita eforma resa possibile dall’essenza ludica <strong>del</strong>l’attività artistica.Su queste basi Schiller si fa assertore di una concezione classica <strong>del</strong>la bellezza comeperfetto equilibrio di forma e contenuto. Egli però l’articola originalmente in due tipi:• La bellezza rilassante o dolce, che ha la funzione di attenuare un eccesso di vitaproprio di uno stato d’animo troppo teso attraverso un eccesso opposto di forma;• La bellezza stimolante o energica, che ha la funzione di temperare un eccesso diforma proprio di uno stato d’animo troppo rilassato attraverso un eccesso oppostodi vita.L’anima bella come fusione di moralità e grazia esteticaL’educazione estetica, secondo Schiller, ha il compito di utilizzare l’arte come strumentopedagogico per sviluppare in ogni uomo lo “stato estetico”, cioè l’equilibrio interno tra vitae forma. Grazie ad essa ogni individuo può diventare un’ “anima bella”. Con taledenominazione Schiller <strong>del</strong>inea il suo ideale di uomo nuovo, obiettivo ultimo <strong>del</strong>l’opera dieducazione estetica. L’anima bella è l’individuo pienamente realizzato in quanto capace diarmonizzare compiutamente la sua sensibilità naturale e istintiva con la legge morale. Egli,cioè, è in grado di compiere il dovere morale senza autocostrizione ma con naturalespontaneità perché ha imparato ad apprezzare e a praticare la bellezza <strong>del</strong>l’agire morale edè dunque attratto e spinto da essa. In altre parole, l’anima bella è l’uomo che fa di se stessoun’opera d’arte vivente, in quanto come questa realizza in sé la bellezza come perfettoequilibrio di vita e forma. Schiller chiama “grazia” la bellezza <strong>del</strong>l’agire umano propria<strong>del</strong>l’anima bella. La grazia per lui è superiore al kantiano “dovere per il dovere” ed è la piùalta forma di libertà, la libertà autentica. In conclusione: la superiore dignità <strong>del</strong>l’uomo ècostituita dalla libertà, ma questa si fonda sulla grazia ovvero sulla perfettacomplementarità di sensibilità e moralità, intelletto e ragione, razionalità e fantasia,necessità e libertà, individuo e collettività. L’educazione estetica è dunque la più profonda ecompiuta forma di educazione alla libertà e come tale è la condizione di qualsiasi autenticocambiamento politico.85


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 2SCHLEGEL: L’IRONIA COME APPROSSIMAZIONE ALL’INFINITOL’arte romantica come rappresentazione <strong>del</strong>l’infinitoPromotore dei circoli romantici di Jena e Berlino, Schlegel è il principale teorico tedesco<strong>del</strong> romanticismo. Egli contamina le <strong>filoso</strong>fie di Kant, Schiller e soprattutto di Fichte con leproduzioni poetiche di Goethe e di Tieck. L’obiettivo ultimo <strong>del</strong>l’uomo, e quindi il criteriodi giudizio fondamentale di tutte le sue attività, è per Schlegel l’Infinito, o Assoluto,termine con il quale egli designa l’essere totale e compiuto, e dunque perfetto. All’infinito sipuò pervenire per due vie autonome ma complementari e convergenti: la prima è quellalogico-concettuale <strong>del</strong>la <strong>filoso</strong>fia; la seconda è quella intuitivo-fantastica <strong>del</strong>l’arte. Schlegeldenomina “romantica” la forma d’arte che riesce a rappresentare e quindi a manifestarel’infinito o assoluto. In questo modo, il termine “romanticismo” – che prima avevadesignato il genere letterario dei romanzi cavallereschi e aveva assunto le accezioniderivate di “fantastico” e “stravagante” – assume un nuovo, pregnante significato, venendoa indicare una specifica concezione <strong>del</strong>l’arte e, più in generale, <strong>del</strong>la vita umana.L’ironia come coscienza <strong>del</strong>la inattingibilità <strong>del</strong>l’infinitoConvinto <strong>del</strong> parallelismo di <strong>filoso</strong>fia e arte, Schlegel individua il loro comunedenominatore nel principio <strong>del</strong>l’ “ironia”. Egli si rifà ai dialoghi socratici di Platone, neiquali l’ironia costituiva sia un omaggio al “sapere di non sapere”, ovvero al senso dei limitiumani, sia un metodo per stigmatizzare la presunzione umana, sia la manifestazione <strong>del</strong>lostile con cui Socrate ingentiliva e abbelliva le sue taglienti confutazioni. Schlegel tuttaviageneralizza e approfondisce il significato <strong>del</strong>l’ironia socratica rendendola una categoriainterpretativa <strong>del</strong>l’arte e soprattutto il canone essenziale e unitario <strong>del</strong> romanticismo. Ilfondamento ultimo <strong>del</strong>l’ironia è infatti per Schlegel la coscienza <strong>del</strong>lo iato incolmabile chesussiste tra la finitezza umana e l’infinito. Di conseguenza ogni tentativo umano dirappresentare l’infinito è destinato allo scacco.L’ironia come strumento artistico per rappresentare l’irrappresentabileL’arte, come la <strong>filoso</strong>fia, si fonda su un paradosso, cioè sull’esigenza di rappresentarel’infinito, ovvero l’irrappresentabile, cioè di realizzare il fallimento, di comunicarel’incomunicabile. Tale paradosso si esprime e si risolve appunto nell’ironia, cioènell’autoparodia <strong>del</strong>la propria opera da parte <strong>del</strong>l’autore stesso, nel conseguente uso<strong>del</strong>lo scherzo e <strong>del</strong>l’umorismo.Attraverso l’adozione di uno stile ironico, infatti, l’opera s’arte denuncia la suainsufficienza a rappresentare l’infinito ma, implicitamente, proprio così lo allude, lo rendepresente nell’unico modo possibile, quello cioè <strong>del</strong> rinvio a un’ulteriorità assente.L’ironia come “buffoneria trascendentale”In questo senso Schlegel definisce l’ironia “buffoneria trascendentale” e la consideracome il corrispettivo artistico <strong>del</strong>l’idea dialettica, a cui Kant aveva attribuito la funzionetrascendentale di pungolare la ricerca <strong>scienti</strong>fica a oltrepassare ogni risultato conseguitoper approssimarsi sempre più all’infinito.Con la sua nuova concezione <strong>del</strong>l’ironia Schlegel pone le fondamenta di quel principio <strong>del</strong>romanticismo che la critica successiva ha denominato Sehnsucht, termine cheletteralmente significa “passione <strong>del</strong>l’anelare”, cioè anelito struggente, dolorosaaspirazione. L’ironia, infatti, in quanto “buffoneria trascendentale”, costringe l’artista arelativizzare ogni sua produzione e a perseverare indefessamente nell’impresa impossibiledi raggiungere l’irraggiungibile, cioè l’infinito. Ma proprio per questo l’artista e l’artepossono sempre più perfezionarsi, produrre opere sempre più elevate.86


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREL’opera d’arte romantica come “poesia trascendentale”Schlegel concepisce l’arte romantica – cioè quella incardinata sull’ironia – essenzialmentecome poesia. Egli cioè ritiene che l’arte più elevata sia quella letteraria, basata sulla parola.In secondo luogo per lui l’arte romantica deve essere “totale”, cioè deve fondarsi sullafusione di tutti i generi e gli stili poetico-letterari tradizionali. Come tale l’opera d’arteromantica nasce dal “genio”, cioè è una “produzione inconscia” che scaturisceintuitivamente dalla fantasia <strong>del</strong>l’artista. In questo senso essa da un lato è la più altarealizzazione <strong>del</strong>la libertà <strong>del</strong>l’uomo, dall’altro è manifestazione di un essere trascendenteil singolo individuo, cioè appunto <strong>del</strong>l’infinito.Il genio artistico consiste appunto nella capacità di annullare la propria finitezzaindividuale per rendersi vaso e cassa di risonanza <strong>del</strong>l’infinito, ovvero per farsi strumentodi comunicazione <strong>del</strong>l’assoluto a tutti gli uomini. Per questo Schlegel definisce l’operad’arte romantica “poesia trascendentale” e attribuisce all’artista la responsabilità di unamissione che è al contempo <strong>filoso</strong>fica e religiosa, in quanto consiste nel porre gli uomini incontatto con l’assoluto il quale coincide con il divino.87


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 3NOVALIS: L’IDEALISMO MAGICODalla magia <strong>del</strong>l’oggetto alla magia <strong>del</strong> soggettoAmico di Schlegel, ammiratore di Fichte, poeta e romanziere egli stesso prima ancora che<strong>filoso</strong>fo <strong>del</strong>l’arte, Novalis teorizza nei suoi saggi e rappresenta nelle sue opere artistiche lavisione <strong>del</strong> mondo che lui stesso battezza “idealismo magico”. Con questa denominazioneNovalis vuole indicare una versione attuale e alternativa <strong>del</strong> tradizionale “realismomagico”, cioè <strong>del</strong>la <strong>filoso</strong>fia <strong>del</strong>la natura rinascimentale (Ficino, Pico, Bruno). Ilnaturalismo rinascimentale infatti aveva concepito la natura come un’entità viva, animata,le cui parti sono tutte in corrispondenza simpatetica le une con le altre e sono pertanto ingrado di influenzarsi e trasformarsi reciprocamente in base a precise leggi qualitative equantitative. Il <strong>filoso</strong>fo per i rinascimentali era appunto l’uomo che conosceva tale leggi epoteva dunque dominare magicamente la natura. La concezione magica rinascimentaleera “realistica” in quanto riteneva che il fondamento <strong>del</strong>la magia – cioè l’animazioneuniversale – fosse una proprietà autonoma <strong>del</strong>la realtà naturale, fosse cioè interna almondo fisico oggettivo. Applicando originalmente la “rivoluzione copernicana” di Kant al<strong>pensiero</strong> magico-naturalistico <strong>del</strong> rinascimento, Novalis rovescia la magia oggettiva in unamagia soggettiva, ovvero ribalta il “realismo magico” in “idealismo magico”. Ciò significache per Novalis il principio <strong>del</strong>l’agire magico non è un da rinvenire all’interno <strong>del</strong>la natura,bensì all’interno <strong>del</strong> soggetto umano.La realtà naturale come fiaba creata dal “grande Io”La natura, infatti, secondo Novalis, è creata e governata dallo Spirito, ovvero dal “grandeIo” che è il fondamento comune e universale di tutti gli “io comuni”, cioè di ogni singolaragione umana.In questo senso la realtà altro non è che una costruzione ideale che Novalis avvicina alsogno o meglio ancora alla fiaba, che per lui è il genere sommo e il canone stesso <strong>del</strong>lapoesia. Lo Spirito, infatti, è come un “sommo mago” che è riuscito a produrre degliincantesimi talmente raffinati e vividi da illudere il loro stesso artefice.Fuor di metafora, l’Io universale crea una “fiaba” o un “sogno” così perfetti da apparirglicome realtà oggettiva, come un non-Io, cioè come un mondo autonomo, esistente di per sée opposto all’Io. Per questo gli uomini – gli io individuali comuni – sono portati a credereche la natura sia una alterità eterogenea e perfino ostile rispetto a loro, un meccanismodominato dal destino, cioè da una inesorabile necessità che si impone su ogni cosa.La Sehnsucht come presagio <strong>del</strong>l’essenza segreta <strong>del</strong>la naturaQuesta falsa credenza per Novalis è la vera causa <strong>del</strong>la sofferenza psichica e fisica<strong>del</strong>l’umanità. Ma proprio perché ogni individuo alberga in sé lo Spirito, essendone unaparte, sotto le ceneri <strong>del</strong> suo autoinganno cova la fiamma <strong>del</strong>la consapevolezza. Questobarlume di consapevolezza si manifesta, afferma Novalis, in un peculiare sentimento, laSehnsucht, lo struggimento <strong>del</strong>l’anelare.Si tratta di un desiderio particolare, doloroso e piacevole a un tempo: doloroso perché ilsuo oggetto e la sua meta sono non solo tutti da scoprire ma anche in sé stessi indefiniti equindi mai raggiungibili in modo pieno e definitivo; piacevole perché legato alla speranza ealla volontà attiva di riscoprire il mondo come “casa propria”, cioè di riconoscere nellanatura per così dire una seconda faccia o un alter ego <strong>del</strong>l’uomo, cioè un’entità a lui affine,fraterna, accogliente.88


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORELe allegorie artistiche <strong>del</strong>la Sehnsucht e <strong>del</strong>l’idealismo magicoNovalis, come accennato, non si limita a teorizzare <strong>filoso</strong>ficamente ma rappresenta ancheartisticamente la sua concezione <strong>del</strong>l’idealismo magico. Egli utilizza il genere tipicamenteromantico <strong>del</strong> Bildungsroman (romanzo di formazione) in cui i protagonisti, attraverso uncammino di ricerca contrassegnato dal superamento di una serie di esperienze checostituiscono altrettante prove, arrivano ad acquisire una piena consapevolezza <strong>del</strong>lapropria identità e a raggiungere così la propria realizzazione. Nei suoi romanzi Novalisrappresenta simbolicamente la Sehnsucht e l’idealismo magico, in particolare attraversodue diverse ma complementari allegorie. La prima è quella <strong>del</strong>la avventurosa ricerca inEgitto <strong>del</strong> tempio <strong>del</strong>la “dea di Sais”, ovvero Iside, simbolo <strong>del</strong>la Natura. Tale ricerca siconclude positivamente con lo svelamento <strong>del</strong>la statua <strong>del</strong>la dea. Il volto che la dea mostraappare identico a quello <strong>del</strong> protagonista che l’ha svelata e la sta guardando. La secondaallegoria è quella <strong>del</strong> “fiore azzurro” che sfugge quanto più il protagonista si avvicina adesso e cerca di afferrarlo. Con la prima Novalis esprime la tesi idealistica <strong>del</strong>l’identità tra Ioe Natura, ovvero <strong>del</strong>la Natura come copia <strong>del</strong>l’Io, come sua produzione poetica. Con laseconda l’impossibilità di arrivare a possedere l’Infinito o Assoluto, ovvero la sintesidefinitiva e totale di Io e Natura.Il poeta e il <strong>filoso</strong>fo come “maghi” moderniSecondo Novalis, l’individuo che riesce a comprendere che la realtà è una fiaba inventata eraccontata dallo Spirito, cioè in ultima analisi da lui stesso, è il <strong>filoso</strong>fo e soprattutto ilpoeta. Essi sono entrambi dei moderni “maghi”, ovvero dei “geni”, in quanto sono in gradodi farsi tutt’uno con lo Spirito e quindi di acquisire la capacità di trasformare i loro pensieriin realtà e la realtà nei loro pensieri.Il motore <strong>del</strong>la loro capacità magica è per Novalis la loro volontà morale, connessa allacoscienza <strong>del</strong>la loro libertà, cioè <strong>del</strong>la loro indipendenza dalle leggi naturali; il lorostrumento fondamentale è l’amore, poiché l’amore è la forza che unisce e lega ogni cosa aogni altra, l’uomo alla natura, il passato al futuro, la vita alla morte, il corpo alla mente,ogni parte <strong>del</strong>l’universo all’universo stesso come totalità unitaria.La poesia come autentica realtà e la <strong>filoso</strong>fia come teoria <strong>del</strong>la poesiaLa poesia, afferma Novalis, è la realtà stessa nel senso che è lo svelamento <strong>del</strong>l’essenzaassoluta <strong>del</strong>la realtà apparente. Come si è visto, infatti, la realtà naturale non è altro cheuna “fiaba”, cioè un’opera d’arte, segnatamente una poesia, tanto ben riuscita dadissimulare la sua vera natura e da sembrare diversa da ciò che è. Dunque la poesia rivelala verità perché coincide essa stessa – in quanto comunica non solo attraverso deisignificati logici ma anche e soprattutto attraverso <strong>del</strong>le forme estetiche (suoni, ritmo,musicalità, immagini simboliche, paradossi) – con l’essenza segreta <strong>del</strong>la realtà, èquell’essenza stessa. Tant’è vero che Novalis giunge a sostenere l’uguaglianza di poetare,pensare e generare, nel senso di produrre e creare.Il poeta crea la sua opera come lo Spirito ha creato il mondo. La poesia è reale tanto quantoil mondo è poesia. Per questo Novalis afferma che il poeta è “onnisciente” e “comprende lanatura meglio <strong>del</strong>lo scienziato”. Addirittura il poeta assume nel mondo moderno il ruolo<strong>del</strong> “vate”, <strong>del</strong> “profeta” e <strong>del</strong> “sacerdote”. L’essenza <strong>del</strong>la realtà che egli svela coincideinfatti con il principio divino che è alla base <strong>del</strong>la religione. In questo prospettiva la<strong>filoso</strong>fia per Novalis è “la teoria <strong>del</strong>la poesia”, ovvero è il tipo di <strong>pensiero</strong> che ha il compitodi spiegare razionalmente il significato e la funzione <strong>del</strong>la poesia per insegnare a tutti gliuomini a comprenderla e a valorizzarla. La poesia è “l’eroina” e “il principio” <strong>del</strong>la <strong>filoso</strong>fia.89


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREROTTA BL’IDEALISMO ASINTOTICOAlla fine <strong>del</strong> ‘700 nacque in Germania un nuovo indirizzo <strong>filoso</strong><strong>fico</strong> che sarebbe poi statodenominato “idealismo tedesco contemporaneo”. Esso ebbe 3 matrici principali: 1) latradizione idealistica che da Platone e Plotino si era poi sviluppata sino a Spinoza, Leibniz eBerkeley; 2) la <strong>filoso</strong>fia di Kant e in particolare l’acceso dibattito critico-interpretativo che siera sviluppato intorno al concetto di “cosa in sé”; 3) la nascente cultura romantica e inparticolare la sua concezione <strong>del</strong>l’infinito.Dalla tradizione idealistica i nuovi idealisti mutuarono la tesi <strong>del</strong>l’essenza razionale di tutta larealtà sia fisica sia mentale, dandole però una nuova interpretazione e una diversaconfigurazione. Mentre per gli idealisti antichi il principio ideale <strong>del</strong>la realtà era innanzituttooggettivo (p.e. il mondo <strong>del</strong>le idee), per gli idealisti tedeschi esso è innanzitutto soggettivo, cioèè “io puro” oppure “spirito”, cioè una sorta di supercoscienza metaempirica e metaindividualema analoga, omogenea e immanente alla coscienza o mente di ogni uomo.Da Kant, di cui Fichte si professò fe<strong>del</strong>e discepolo, gli idealisti tedeschi ripresero il tema <strong>del</strong>la“rivoluzione copernicana” e la concezione <strong>del</strong>l’io trascendentale “legislatore <strong>del</strong>la natura”,dando però una più sfumata interpretazione <strong>del</strong> limite costituito dalla cosa in sé.Questo ridimensionamento <strong>del</strong>la cosa in sé - e quindi la maggiore valorizzazione <strong>del</strong>l’agireteorico e pratico <strong>del</strong>l’uomo - furono la ricaduta <strong>filoso</strong>fica <strong>del</strong>la concezione romantica per cuil’uomo è costituito dalla sua tensione verso l’infinito. In questo senso Fichte e Schelling furono imaggiori interpreti <strong>filoso</strong>fici <strong>del</strong> romanticismo: il primo, più fe<strong>del</strong>e a Kant, ne espresse laconcezione titanica <strong>del</strong>l’uomo come sforzo perenne di raggiungere la perfezione morale; ilsecondo, più legato agli ambienti artistici romantici, ne espresse la concezione <strong>del</strong>l’operad’arte come manifestazione simbolica <strong>del</strong>l’infinito. Entrambi mantennero però l’istanzakantiana <strong>del</strong> limite e quella romantica <strong>del</strong>la precarietà <strong>del</strong> rapporto con l’infinito. Il loroidealismo è pertanto definibile “asintotico”, nel senso che ammette un legame uomo/infinitosolo come progressiva e interminabile approssimazione, vuoi pratico-morale vuoi artisticosimbolica.VITA DI UN CAPITANOJohann Gottlieb FichteFichte nacque nel 1762 a Rammenau, una piccolo centro urbano <strong>del</strong>la Germania nordorientale.Di famiglia poverissima, Fichte poté frequentare la scuola superiore grazie al mecenatismo di unnobile e l’università lavorando come precettore privato. Entusiasta studioso di Rousseau esostenitore <strong>del</strong>la rivoluzione francese, nel 1790 fu segnato dalla lettura <strong>del</strong>le opere di Kant di cuilasciò scritto: “Il rivolgimento che questa <strong>filoso</strong>fia ha operato in me è enorme. Le debbo, inspecial modo, il fatto che ora credo fermamente nella libertà <strong>del</strong>l’uomo”.L’anno successivo con l’aiuto di Kant Fichte ottenne la cattedra di <strong>filoso</strong>fia nell’università diJena. Qui cominciò l’elaborazione <strong>del</strong>la sua <strong>filoso</strong>fia, dando alle stampe nel 1794 I fondamenti<strong>del</strong>l’intera dottrina <strong>del</strong>la scienza. Quest’opera fu integrata sul piano etico con il Sistema <strong>del</strong>la<strong>filoso</strong>fia morale (1798) e su quello politico con Lezioni sulla missione <strong>del</strong> dotto (1794) esoprattutto con I fondamenti <strong>del</strong> diritto naturale (1796) e Lo stato commerciale chiuso (1800).Nel 1799 Fichte fu costretto ad abbandonare l’università di Jena e a trasferirsi a Berlino. A causadi un articolo di un suo seguace nel quale Dio veniva identificato con l’ordine morale<strong>del</strong>l’umanità, Fichte fu accusato di ateismo e preferì dimettersi piuttosto di annacquare le suetesi. A Berlino, ricevette la notizia che Kant lo aveva ripudiato come discepolo ma continuò aprofessarsi suo discepolo. Gli anni berlinesi furono caratterizzati dai difficili rapporti con gliartisti e gli intellettuali romantici ma soprattutto dalla rottura con il suo ex discepolo Schellingavvenuta nel 1802. Solo nel 1810, Fichte riuscì a ottenere la nomina a professore nella neonatauniversità di Berlino, di cui in seguito divenne rettore. Nel periodo berlinese la “dottrina <strong>del</strong>la90


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREscienza” fu continuamente rielaborata in chiave sempre più teologica: solo le versioni piùimportanti ammontano a sei ma con le minori se ne contano addirittura quindici. In seguitoall’invasione <strong>del</strong>la Prussia da parte di Napoleone, Fichte si pose alla testa <strong>del</strong> movimento direazione all’imperialismo napoleonico, pubblicando i Discorsi alla nazione tedesca (1808), incui sostenne il primato culturale <strong>del</strong>la nazione tedesca sulle altre attribuendole una missionestorica di civilizzazione universale. Morì a Berlino nel 1814 a causa di un’epidemia di tifo.VITA DI UN CAPITANOFriedrich Wilhelm Joseph SchellingSchelling nacque nel 1775 a Leonberg, nei dintorni di Stoccarda, nella Germania sudoccidentale.Il padre, pastore protestante, lo avviò agli studi classici e religiosi. A soli quindicianni fu ammesso all’università di Tubinga, dove stabilì un sodalizio <strong>filoso</strong><strong>fico</strong> con i più anzianicompagni Hölderlin ed Hegel. A Tubinga studiò mitologia e storia <strong>del</strong>le religioni e lesseRousseau, Kant e soprattutto Fichte di cui inizialmente si professò discepolo. Laureatosi inteologia, divenne precettore a Stoccarda e a Lipsia, dove approfondì la sua conoscenza <strong>del</strong>lamatematica e <strong>del</strong>le scienze naturali.Sulla base di questi studi Schelling cominciò l’elaborazione <strong>del</strong>la sua <strong>filoso</strong>fia originaleconcentrandosi appunto sul problema <strong>del</strong>la natura. Nell’arco di pochi anni pubblicò Idee peruna <strong>filoso</strong>fia <strong>del</strong>la natura (1797), Dell’anima <strong>del</strong> mondo (1798), Primo abbozzo di un sistema<strong>del</strong>la <strong>filoso</strong>fia <strong>del</strong>la natura (1799) e Deduzione generale <strong>del</strong> processo dinamico o <strong>del</strong>le categorie<strong>del</strong>la fisica (1800).La <strong>filoso</strong>fia <strong>del</strong>la natura guadagnò a Schelling l’ammirazione e l’interessamento di Goethe, chegli permisero di entrare nel 1798 all’università di Jena come collaboratore di Fichte. L’annodopo, quando Fichte lasciò Jena per Berlino, Schelling, a soli 24 anni, ereditò la sua cattedra.Nei primi anni <strong>del</strong> suo insegnamento universitario, Schelling scrisse il Sistema <strong>del</strong>l’idealismotrascendentale (1800), riorganizzando la <strong>filoso</strong>fia <strong>del</strong>la natura ed elaborando la sua <strong>filoso</strong>fia<strong>del</strong>lo spirito per arrivare alla <strong>filoso</strong>fia <strong>del</strong>l’arte come loro sintesi.A Jena Schelling - oltre a rapporti diretti con Goethe e Schiller - ebbe burrascose relazioni congli scrittori romantici <strong>del</strong> “circolo di Jena”. Dal 1801 Schelling entrò nella fase <strong>del</strong>la cosiddetta“<strong>filoso</strong>fia <strong>del</strong>l’identità”, concentrandosi sul problema <strong>del</strong> coglimento <strong>del</strong>l’assoluto come identitàdi soggetto e oggetto. Questa fase <strong>del</strong>la ricerca schellinghiana produsse l’Esposizione <strong>del</strong> miosistema <strong>filoso</strong><strong>fico</strong> (1801), Ulteriori esposizioni (1801), Bruno o sul principio divino e naturale<strong>del</strong>le cose (1802), Filosofia e religione (1804).Negli anni in cui Schelling scrisse queste opere, crebbero la sua amicizia e la sua collaborazionecon Hegel - insieme al quale pubblicò il Giornale critico <strong>del</strong>la <strong>filoso</strong>fia - mentre peggiorarono isuoi rapporti con Fichte e con i romantici. La rottura definitiva si consumò nel 1803 anno in cuiSchelling sposò in seconde nozze Karoline Michaelis, già moglie di A.W. Schlegel, e si trasferìprima a Würzburg e poi a Monaco. Nel 1806 Schelling prese pubblicamente posizione contro ipiù recenti sviluppi <strong>del</strong>la <strong>filoso</strong>fia di Fichte pubblicando Esposizione <strong>del</strong> vero rapporto <strong>del</strong>la<strong>filoso</strong>fia <strong>del</strong>la natura con la dottrina migliorata di Fichte. L’anno successivo ruppe anche conHegel, in seguito alla pubblicazione da parte di quest’ultimo <strong>del</strong>la Fenomenologia <strong>del</strong>lo spirito,la cui prefazione conteneva una tagliente confutazione <strong>del</strong>l’intuizionismo romantico eschellinghiano. Nel 1809 Karoline Michaelis morì e qualche anno dopo Schelling si risposò conPauline Gotter dalla quale avrebbe avuto sei figli.Nel primo periodo di Monaco, le rotture con Fichte e Hegel furono al tempo stesso stimolo esintomo <strong>del</strong>la nuova strada imboccata da Schelling e convenzionalmente denominata “<strong>filoso</strong>fia<strong>del</strong>la libertà” o “teosofia”. Nel 1809 pubblicò Ricerche <strong>filoso</strong>fiche sull’essenza <strong>del</strong>la libertàumana. In quest’opera Schelling identificò l’assoluto con il Dio trascendente e personale <strong>del</strong>latradizione religiosa monoteistica, ma lo concepì originalmente come duale e dinamico.Dopo il 1810, negli anni <strong>del</strong> trionfo di Hegel, Schelling non diede alle stampe alcuna opera dirilievo. Nel 1827 riprese l’insegnamento universitario a Monaco fino al 1841 quando, a dieci anni91


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREdalla morte di Hegel, Schelling fu chiamato a sostituirlo all’università di Berlino, dove insegnòfino al 1847, avendo tra i suoi studenti Kierkegaard, Feuerbach ed Engels. Il ventennio 1827-1847 rappresenta l’ultima fase <strong>del</strong>la ricerca <strong>filoso</strong>fica di Schelling, da lui stesso battezzata“<strong>filoso</strong>fia positiva” o “empirismo <strong>filoso</strong><strong>fico</strong>”. Schelling espose la sua nuova dottrina inEsposizione <strong>del</strong>l’empirismo <strong>filoso</strong><strong>fico</strong> (1830), Filosofia <strong>del</strong>la mitologia e Filosofia <strong>del</strong>larivelazione, pubblicate nel 1854, poco dopo la sua morte che avvenne a Bad Ragaz, in Svizzera,dove si era ritirato a vita privata nel 1847.92


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 1FICHTE: L’IDEALISMO CRITICOQuesto fatto, che lo spirito finito deve necessariamente porre al di fuori di séqualcosa di assoluto (una cosa in sé) e tuttavia, dall’altro canto, riconoscereche questo qualcosa esiste solo per esso (è un noumeno necessario), è quelcircolo che lo spirito può infinitamente ingrandire, ma dal quale non può maiuscire. Un sistema che non bada punto a questo circolo è un idealismodogmatico 1 , poiché solo il circolo indicato ci limita e ci rende esseri finiti; unsistema che immagini di esserne uscito è un dogmatismo trascendentalerealistico 2 . La dottrina <strong>del</strong>la scienza tiene il mezzo tra i due sistemi ed è unidealismo critico che si potrebbe chiamare un real-idealismo o un idealrealismo(...)Fichte, Fondamenti <strong>del</strong>l’intera dottrina <strong>del</strong>la scienza, II, 4, E, 3, 13La riflessione di Fichte parte dal compito che Kant aveva assegnato ai suoi continuatori:quello di unificare i risultati <strong>del</strong>le sue tre Critiche in un “sistema”.Per la <strong>filoso</strong>fia tedesca <strong>del</strong>l’epoca elaborare un “sistema” significava <strong>del</strong>ineare una visionecomplessiva <strong>del</strong>la realtà in forma rigorosamente ipotetico-deduttiva, e cioè:a) individuare per via intuitiva il principio primo di tutta la realtàb) e quindi ricavare deduttivamente e organicamente da questo tutti i suoi aspettifondamentali.Il primo compito che Fichte affronta è dunque quello di individuare il principio primo <strong>del</strong>larealtà, cioè il caposaldo <strong>del</strong> sistema.Fichte svolge tale compito elaborando 3 tesi fondamentali:1) l’Io originariamente produce se stesso come assoluto;2) l’Io assoluto si trova contrapposto a un Non-Io assoluto;3) l’Io contrappone, al suo interno, un Non-Io divisibile a un Io divisibile.Questi 3 enunciati sono riducibili all’unità in due modi diversi ma complementari:• in primo luogo, in quanto essi hanno un soggetto comune, cioè l’Io, che dunque emergecome il principio primo e unitario di tutta la realtà;• in secondo luogo, perché essi sono considerati da Fichte come un ragionamento dialettico -cioè probabile - di cui i primi due enunciati sono le premesse e il terzo la conclusione.Per Fichte, dunque, l’Io è il principio primo <strong>del</strong> sistema e il punto di partenza <strong>del</strong>ladeduzione dialettica di tutta la realtà. Come tale Fichte lo dichiara indeducibile: infatti peressere condizione di ogni dimostrazione successiva deve essere a sua volta incondizionato.Ciò non toglie che la sua scelta come principio primo debba essere giustificata. Per farlo,Fichte si appella innanzitutto a una verità universalmente riconosciuta, quella <strong>del</strong> principiodi identità: “A=A”. Questo principio è per tutti evidente, certo, indubitabile, anche se èimpossibile darne una dimostrazione. Ciò significa che la ragione umana ha la facoltà diindividuare un principio primo in modo assoluto e incondizionato.D’altra parte, osserva Fichte, il principio di identità “A=A” è solamente logico-formale.Esso significa solo che se A esiste, allora è identico a se stesso; dove A sta per qualsiasicosa. Dunque “A=A” non fonda la propria esistenza reale e come tale non può costituire unprincipio ontologico, un principio, cioè, dal quale si possa dedurre la realtà.1 Un idealismo per cui la realtà è totalmente creazione <strong>del</strong>l’io e la “cosa in sé” viene eliminata. E’ “dogmatico” perchél’assolutezza <strong>del</strong>l’io diventa un dogma, una certezza fideistica, che toglie ogni senso al rischio e quindi alla libertà.2 Un realismo per cui la realtà è totalmente “cosa in sé”, cioè oggetto, e la coscienza ne è un mero prodotto.93


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREE’ dunque necessario risalire dal principio di identità a un altro principio. Questo principionon può essere che l’Io in quanto il principio di identità è un prodotto <strong>del</strong>l’attività pensante<strong>del</strong>l’Io. Anzi in questo senso Fichte può affermare che il fondamento e insieme la matricedi “A=A” è “Io=Io”, cioè l’identità <strong>del</strong>l’Io con se stesso.Ma in questo modo, prosegue Fichte, al posto di una verità unicamente logica, abbiamouna verità ontologica in quanto l’Io non è un mero simbolo formale come “A” ma qualcosadi realmente esistente. In questa prospettiva Fichte sostiene che Io=Io equivale allaproposizione: “Io sono”. Questo significa che Io=Io è un principio ontologico in quantorappresenta l’atto <strong>del</strong>l’autocoscienza, la quale è l’azione trascendentale originaria con laquale l’Io - riflettendosi in sé e prendendo così coscienza di sé - si costituisce, si produce, sipone in essere appunto come coscienza, come <strong>pensiero</strong>, come mente pensante.L’Io pertanto, conclude Fichte, è assoluto e infinito in quanto nella sua autoproduzionenon è condizionato né limitato da qualcosa di altro e diverso da sé.L’Io però, secondo Fichte, pensa anche un altro principio logico indubitabile, quello di noncontraddizione: “¬A≠A”, che tradotto ontologicamente comporta l’esistenza di un principioopposto all’Io, cioè il Non-io.Il Non-Io è incondizionato, e dunque assoluto e infinito, come l’Io. Esso infatti, per Fichte,non può essere dedotto formalmente dall’Io in quanto è la sua negazione. Ma cos’è allora ilnon-Io e da dove viene? Il Non-Io è l’inspiegabile “urto” che l’Io subisce dentro di sé ognivolta che ha un’intuizione sensibile ma di cui ignora l’origine. Sul piano ontologico,dunque, il Non-Io è un’alterità <strong>del</strong> tutto accidentale e oscura, qualcosa di meramentevirtuale.Il Non-Io però è deducibile dall’Io per quanto riguarda il contenuto, in quanto le sueproprietà sono determinabili per opposizione rispetto a quelle <strong>del</strong>l’Io. Infatti, essendo perdefinizione l’opposto <strong>del</strong>l’io, se l’Io è attivo, cosciente e immateriale, il Non-Io non può cheessere passivo, inconscio e materiale. Sotto questo aspetto, il Non-Io risulta pertantoprodotto dall’Io, in quanto è l’Io che gli conferisce caratteristiche, visibilità e quindi realtàeffettiva.In sintesi, l’Io non crea il Non-io, in quanto non ne è l’origine ontologica; ma lo produce inquanto ne permette la manifestazione, lo fa apparire, lo rende conoscibile, portandolo dallavirtualità alla realtà.Proprio a ragione <strong>del</strong>la loro opposizione, per Fichte Io e Non-Io non possono esistereindipendentemente e separatamente l’uno dall’altro ma sono legati costitutivamente dauna relazione di interdipendenza.D’altra parte l’opposizione tra Io e Non-Io non può dar luogo a un annientamentoreciproco - dal momento che entrambi i principi sono in sé assoluti e infiniti - ma soltantoa una vicendevole limitazione, che a sua volta si manifesta come una reciproca divisione. Inaltre parole, Io e Non-Io si <strong>del</strong>imitano l’un l’altro trasformandosi in una molteplicitàinfinita:a) di Io finiti, cioè di uomini in quanto esseri razionalib) e di Non-Io finiti, cioè di enti naturali di ogni genere e specie, compreso l’uomo comecorpo.Ciò significa che l’Io e il Non-Io come principi separati sono meri elementi astratti che difatto esistono soltanto nella loro interazione - un po’ come l’idrogeno e l’ossigeno in quantoelementi primi <strong>del</strong> composto acqua.94


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 2FICHTE: L’ATTIVITA’ CONOSCITIVAl’Io deve intuire 3 ; che ora l’intuente debba essere realmente un Io, valelo stesso che: l’Io deve porsi come intuente [...].E’ chiaro che all’intuente come attivo debba essere opposto un intuìto.Si chiede soltanto come e in che modo possa essere posto un taleintuìto.Un intuìto che deve essere opposto all’Io, all’Io in quanto intuente, ènecessariamente un Non-io; da qui segue innanzi tutto che l’atto <strong>del</strong>l’Io,il quale pone tale intuìto, non è riflessione 4 , non è un’attività che sidirige al di dentro, ma è un’attività che si dirige al di fuori e quindi [...] èuna produzione 5 . L’intuìto come tale è prodotto. [...]La facoltà producente è sempre l’immaginazione; quindi quel porrel’intuìto ha luogo per mezzo <strong>del</strong>l’immaginazione ed esso stesso è unintuire.Fichte, Fondamenti <strong>del</strong>l’intera dottrina <strong>del</strong>la scienza, parte II, § 4Tutta la realtà è interazione e reciproca <strong>del</strong>imitazione di Io e Non-Io, soggetto e oggetto,spirito e materia: questa è la conclusione sintetica cui Fichte perviene al termine <strong>del</strong>la suadeduzione dialettica. Trattandosi, però, di un procedimento dimostrativo di tipo“dialettico”, la sua conclusione non è certa ma ha una valore unicamente congetturale,ipotetico.In particolare, per Fichte, la vicendevole determinazione di Io e Non-io è deducibile dallaloro immediata opposizione logica solo sul piano formale ma non su quello <strong>del</strong> contenuto.Ciò significa che la deduzione dialettica non è in grado di stabilire i modi concreti in cuiavviene l’interazione tra Io e Non-io.Pertanto, secondo Fichte la conclusione <strong>del</strong>la deduzione dialettica deve essere messa allaprova e definitivamente avvalorata in base alla sua capacità di dare conto <strong>del</strong>la realtàeffettiva in tutta la sua concretezza. Solo grazie a questa verifica per così dire “a valle” essapotrà trovare piena conferma e al tempo stesso riempirsi di contenuti precisi.La verifica <strong>del</strong> risultato <strong>del</strong>la deduzione dialettica per Fichte deve essere effettuata dalpunto di vista <strong>del</strong>l’Io, in quanto è questo il principio primo, su cui si fonda anche il Non-io.Si tratta quindi di spiegare innanzitutto la realtà <strong>del</strong>l’Io, cioè <strong>del</strong>l’uomo in quanto esserecosciente.L’uomo in quanto coscienza, secondo Fichte, è essenzialmente attività di cui si possonodistinguere due modalità:a) quella teoretica o conoscitiva;b) quella pratica o morale.Entrambe queste modalità sono riconducibili alla conclusione <strong>del</strong>la deduzione dialettica,cioè alla <strong>del</strong>imitazione reciproca di Io e Non-io. Questa infatti è articolabile in 2 momentidistinti benché simultanei e convergenti:a) la <strong>del</strong>imitazione che il Non-io opera sull’Iob) la <strong>del</strong>imitazione che l’Io opera sul Non-io.Per Fichte il primo momento fonda l’attività teoretica, il secondo l’attività pratica.3 Nel senso, kantiano, di intuizione sensibile di un oggetto esterno.4 Per riflessione Fichte intende l’atto <strong>del</strong>l’autocoscienza <strong>del</strong>l’Io in quanto in esso l’Io “riflette” se stesso.5 In quanto costituisce qualcosa - il mondo sensibile - che immediatamente non è la coscienza.95


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREStabilito che l’essenza <strong>del</strong>l’attività conoscitiva è la <strong>del</strong>imitazione <strong>del</strong>l’Io da parte <strong>del</strong> Non-io,si tratta di spiegare come è possibile e come avviene tale <strong>del</strong>imitazione.L’origine di tale <strong>del</strong>imitazione è qualificata da Fichte come un “urto”. L’Io nel corso <strong>del</strong>lasua attività infinita fa esperienza al proprio interno di uno scontro, di unacontrapposizione. Si tratta di un’esperienza <strong>del</strong> tutto contingente, enigmatica, in se stessaingiustificabile sul piano teoretico.Essa però, per Fichte, è riconducibile all’aspetto passivo-ricettivo <strong>del</strong>l’Io. In altre parolel’urto corrisponde a una disposizione interna <strong>del</strong>l’Io - la passività o ricettività appunto - etrova in questa una indiretta e parziale giustificazione.Ma se l’Io è per essenza attività com’è possibile che abbia una lato passivo? Fichte rispondeche la passività <strong>del</strong>l’Io è una forma inversa di attività, o meglio è quell’attività che non ha ilproprio fondamento in se stessa ma in qualcosa d’altro dall’Io - ovvero in un Non-io. Inquesto senso la passività è quell’attività che consiste nell’accogliere una modificazionesubita.Con ciò, però Fichte non ha ancora spiegato perché e come noi conosciamo il mondo con isuoi oggetti, i suoi colori, i suoi odori, i suoi sapori. Nell’urto infatti ciò che ci urta rimane<strong>del</strong> tutto indeterminato, oscuro, privo di caratteristiche sensibili.Il problema diventa pertanto quello di spiegare come dall’esperienza <strong>del</strong>l’urto - che svela lapassività <strong>del</strong>l’Io e che rimanda a un indeterminato Non-io - possa costituirsi il mondoconcreto con tutti i suoi enti e le sue proprietà, cioè il mondo così come noi lo percepiamo elo conosciamo.La spiegazione di Fichte è incardinata sulla facoltà <strong>del</strong>l’immaginazione. L’Io per Fichte,essendo per essenza attività, reagisce immediatamente all’urto attivando la sua capacità diprodurre immagini, cioè forme e proprietà sensibili. In questo modo l’Io - sotto il pungolo<strong>del</strong>l’urto - attribuisce caratteristiche determinate al Non-io rendendolo visibile, cioècostituendolo come fenomeno sensibile e conoscibile. Questa costituzione è possibileperché l’immaginazione trasferisce una parte <strong>del</strong>la razionalità <strong>del</strong>l’Io sul Non-io dandogli,per così dire, un volto, un corpo e dei vestiti e permettendogli di manifestarsi, di apparire,di mostrarsi.Il mondo che noi conosciamo, pertanto, è per Fichte il prodotto <strong>del</strong> rivestimento operatodall’immaginazione su quell’inconoscibile alterità contro cui l’Io si scontra nell’esperienzatrascendentale ed originaria <strong>del</strong>l’urto.Nell’attività teoretica, dunque, l’immaginazione è, secondo Fichte, lo strumento che rendepossibile l’interazione tra Io e Non-io, la facoltà che media i due principi opposti di tutta larealtà mettendoli in comunicazione, permettendo un interscambio tra loro.In questo senso per Fichte l’immaginazione:• da un lato segna il confine tra Io e Non-io, in quanto è essa che ne permette la distinzione;• dall’altro, rappresenta un confine mobile, variabile, permeabile, in quanto deve permettereuna sorta di osmosi tra i due principi.Per questo Fichte paragona l’immaginazione alla sottile linea di confine che separa la luce el’oscurità, cioè a qualcosa di assolutamente sfumato e fluttuante. E in questo senso Fichtene parla anche come di una facoltà capace di “librarsi” tra Io e Non-io.Ma se è grazie al suo libero fluttuare che l’immaginazione può trasferire parti <strong>del</strong>l’Io alNon-io, proprio per questo stesso motivo l’immaginazione da sola non è in grado di darconto <strong>del</strong>la saldezza e <strong>del</strong>la stabilità <strong>del</strong>la realtà oggettiva. In altre parole, secondo Fichte,se fosse un prodotto <strong>del</strong>la sola immaginazione la realtà ci apparirebbe fluida, sfumata,evanescente. Ma così non è e dunque l’immaginazione da sola non basta a spiegare lanostra conoscenza <strong>del</strong> mondo.La funzione <strong>del</strong>l’immaginazione, pertanto, deve essere affiancata e integrata, per Fichte,dall’intervento di un’altra facoltà. Questa facoltà è la ragione, in quanto solo essa ha lacapacità di fissare e per così dire consolidare l’intuizione oggettiva <strong>del</strong>l’immaginazione. E’96


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREdunque grazie all’intervento <strong>del</strong>la ragione che la realtà oggettiva acquista quella saldezza,quella stabilità e quella coerenza con la quale si presenta nella percezione.Ma il processo trascendentale di costituzione <strong>del</strong>la realtà oggettiva non termina nemmenocon la ragione. Il suo compimento, per Fichte, si ha solo nell’intelletto. Infattil’immaginazione produce il mondo oggettivo, la ragione lo fissa ma è solo nell’intelletto cheil risultato <strong>del</strong>la loro duplice azione viene concepito in modo chiaro e consapevole.Ciò spiega, secondo Fichte, perché per la “riflessione naturale” - cioè per il senso comune,per la nostra coscienza immediata - la realtà risulta qualcosa di assolutamenteindipendente da noi, qualcosa che sussiste di per sé e che non dipende in alcun modo dallacoscienza. Infatti la costituzione <strong>del</strong>la realtà avviene al livello trascendentale<strong>del</strong>l’immaginazione e <strong>del</strong>la ragione: l’intelletto, che ne concepisce soltanto il prodottofinale, non è consapevole <strong>del</strong> processo attraverso il quale essa si è venuta a costituire.97


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 3FICHTE: L’ATTIVITA’ PRATICO-MORALEDove e quando tu scorgi attività, scorgi necessariamente anche unaresistenza; poiché altrimenti non scorgeresti alcuna attività. [...]Questa resistenza viene rappresentata come il contrario <strong>del</strong>l’attività;quindi come qualcosa che sussiste solamente, tranquillo e morto, che èsoltanto, ma non agisce affatto, che mira soltanto a permanere e arestare; quindi, con una certa quantità di forza, come ciò che è,opponendosi sul proprio terreno all’influenza <strong>del</strong>la libertà, senza peròessere in grado di invadere il terreno di questa - in breve, come meraoggettività. Una cosa siffatta si chiama, con il suo vero nome, materia[...].Fichte, Il sistema <strong>del</strong>la dottrina morale, IntroduzioneAnche l’attività pratico-morale, come quella teoretico-conoscitiva, è una modalità dimanifestazione <strong>del</strong> principio conclusivo <strong>del</strong>la deduzione dialettica, cioè <strong>del</strong>la <strong>del</strong>imitazionereciproca di Io e Non-io. Ma:• mentre l’attività teoretico-conoscitiva è fondata sulla prevalenza <strong>del</strong>la limitazione <strong>del</strong>l’Ioda parte <strong>del</strong> Non-io,• al contrario il fondamento <strong>del</strong>l’attività pratico-morale consiste nella superiorità <strong>del</strong>lalimitazione <strong>del</strong> Non-io da parte <strong>del</strong>l’Io.In altre parole l’Io - dopo aver subito la determinazione sensibile <strong>del</strong>l’oggetto ma ad untempo dopo essersene appropriato conoscitivamente - reagisce praticamentedeterminando a sua volta l’oggetto, cioè imponendogli la sua libera impronta.L’attività pratica per Fichte si realizza in due modi distinti ma convergenti:1. attraverso il mo<strong>del</strong>lamento tecnico <strong>del</strong>la natura, cioè l’imposizione alla natura esterna diun ordine funzionale alle esigenze <strong>del</strong>l’uomo;2. attraverso il mo<strong>del</strong>lamento morale <strong>del</strong> comportamento umano, cioè l’imposizione allanatura interna - cioè agli istinti naturali - di un ordine funzionale alla realizzazione diuna comunità sociale.In entrambi i casi, l’agire pratico-morale si configura come un processo di progressivaliberazione <strong>del</strong>l’uomo dai vincoli <strong>del</strong>la natura e come un’imposizione alla natura<strong>del</strong>l’ordine razionale e libero proprio <strong>del</strong>l’uomo.Dunque, il principio fondamentale <strong>del</strong>l’agire pratico è per Fichte la libertà. Agiremoralmente significa, secondo Fichte,• renderci indipendenti dalla natura,• emanciparci dalla determinazione <strong>del</strong>la materia,• liberarci dalla sottomissione alle leggi e alle forze naturali.La stessa attività conoscitiva è finalizzata a questo scopo ultimo e in esso trova il suo sensofondamentale, quello cioè di essere uno strumento essenziale <strong>del</strong>l’attività pratico-morale.La libertà intesa così come sforzo di liberazione dalla natura rappresenta pertanto perFichte l’essenza stessa <strong>del</strong>l’uomo in quanto Io, cioè in quanto coscienza razionale pensantee operante.In questa prospettiva la deduzione dialettica <strong>del</strong> Non-io trova una conferma e la suaesistenza una stringente giustificazione.Senza l’opposizione <strong>del</strong> Non-io, sostiene Fichte, l’Io non potrebbe attuarsi come esserelibero e dunque non potrebbe realizzare la sua essenza, in quanto, per essere sforzo diautoliberazione, l’Io deve necessariamente scontrarsi contro un ostacolo, lottare contro unimpedimento.98


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREInfatti,• se questo ostacolo non ci fosse, se l’Io non avesse impedimenti e non incontrasseresistenza,• allora non dovrebbe liberarsi da alcunché, non avrebbe alcun bisogno di agirepraticamente, di sforzarsi di liberarsi;• ma ciò è assurdo, poiché il libero agire è l’essenza <strong>del</strong>l’Io, e dunque venendo meno illibero agire l’Io non sarebbe più Io, perderebbe la sua identità, non esisterebbe più comeIo.Dunque il Non-io per Fichte è indispensabile perché l’Io possa realizzare la sua identità,possa essere se stesso, cioè possa essere sforzo di autoliberazione.In quanto resistenza all’azione <strong>del</strong>l’Io, il Non-io è la condizione oggettiva <strong>del</strong>la possibilità<strong>del</strong> male. Infatti, proprio perché è per essenza Non-io, la natura esterna si oppone all’uomocon l’inerzia <strong>del</strong>la sua materia e con la potenza <strong>del</strong>le sue forze naturali. A sua volta lanatura interna, cioè istinti e passioni, spinge l’uomo ad anteporre l’interesse individuale aquello universale.Ma di per sé l’opposizione <strong>del</strong>la natura non è male, in quanto è funzionale all’esercizio <strong>del</strong>libero attivismo umano. Essa per Fichte lo diventa solo quando l’uomo rinunciavolontariamente a lottarle contro. Tale comportamento rinunciatario è l’accidia, uninsieme di sfiducia nella propria possibilità di liberazione e di passiva rassegnazione allasuperiorità <strong>del</strong>le forze naturali. E’ questo ripiegamento <strong>del</strong>l’uomo, secondo Fichte, chepermette alla natura di sopraffarlo e di infliggergli rovina e sofferenza.L’indispensabilità <strong>del</strong> Non-io per la libertà <strong>del</strong>l’Io ha una fondamentale conseguenzalogica: l’infinità <strong>del</strong>l’attività pratica <strong>del</strong>l’Io.La meta ultima <strong>del</strong>lo sforzo di autoliberazione <strong>del</strong>l’uomo, infatti, è la completa liberazionedalle catene <strong>del</strong>la natura. Ma:• se tale meta fosse raggiunta• allora il non-Io sarebbe definitivamente eliminato• ma ciò non è possibile perché in questo modo verrebbe meno lo stesso Io.Il sistema di Fichte, cioè, sembra così trovarsi di fronte a un’aporia:• da una lato il fine e il senso <strong>del</strong>l’attività pratica <strong>del</strong>l’Io è il raggiungimento <strong>del</strong>la libertàassoluta;• dall’altro questo fine non è raggiungibile perché altrimenti l’Io verrebbe meno.Fichte supera l’aporia affermando l’esistenza necessaria di una serie infinita di azioni che alsuo massimo prolungamento arriva fino alla libertà assoluta. L’esistenza di questa seriepermette all’Io di considerare ogni sua azione come un’approssimazione ulteriore alla metafinale <strong>del</strong>la libertà assoluta. Per usare una metafora, la lotta di liberazione <strong>del</strong>l’Io contro ilNon-io è come una guerra di cui l’Io vince continuamente tutte le battaglie ma che non hamai fine perché non c’è mai una battaglia decisiva in cui l’Io possa debellare totalmente edefinitivamente il Non-io.Lo sforzo di autoliberazione <strong>del</strong>l’Io è pertanto un processo infinito, senza compimento, untendere all’infinito alla libertà assoluta, un’attività incessante. In questo senso, per Fichte,l’Io stesso è per essenza infinito.L’etica di Fichte costituisce il presupposto più immediato <strong>del</strong>la sua nuova concezione <strong>del</strong>lastoria. Per Fichte infatti la storia è il prodotto <strong>del</strong>lo sforzo perenne <strong>del</strong>la ragione di passaredall’istinto cieco alla libertà consapevole.Essa si configura pertanto come un cammino ascendente scandito in 5 epoche: <strong>del</strong>l’istintoe <strong>del</strong>l’innocenza; <strong>del</strong>l’autorità; <strong>del</strong>la liberazione; <strong>del</strong>la moralità; <strong>del</strong>la santificazione. Leprime due epoche corrispondono al passato, le ultime due sono destinate a realizzarsi nelfuturo, la terza rappresenta il presente. L’età a lui contemporanea, in quanto segnatadall’Illuminismo, è infatti interpretata da Fichte come quella <strong>del</strong>la ribellione contro99


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREl’autorità sfociata nell’individualismo, cioè nell’illusione di una completa indipendenza<strong>del</strong>l’individuo dagli altri e dalla storia come cammino collettivo.Fichte legge però nel suo presente i prodromi <strong>del</strong>la nuova epoca <strong>del</strong>la moralità, nella qualegli individui riconosceranno la superiorità <strong>del</strong>la legge morale raggiungendo la pienacoesione sociale. L’ultima epoca, culmine e conclusione <strong>del</strong> progresso storico, è quella incui l’umanità raggiungerà la santità, cioè la capacità di agire moralmente in modospontaneo e immediato. Essa è per Fichte il regno di Dio, cioè la compiuta realizzazione<strong>del</strong>la storia intesa come manifestazione di Dio attraverso gli uomini.100


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 4SCHELLING: LA FISICA SPECULATIVALa regolarità di tutti i movimenti <strong>del</strong>la natura, ad esempio la sublimegeometria messa in atto dai corpi celesti, (...) o il fatto che nel regno animale,questo prodotto di cieche forze naturali, osserviamo il sorgere di atti che perregolarità sono paragonabili a quelli compiuti coscientemente (...); tutto ciòva spiegato con l’esistenza di una produttività inconscia, ma originariamenteaffine a quella conscia, di cui noi scorgiamo nella natura il riflesso, e che dalpunto di vista <strong>del</strong> modo di vedere naturale deve apparire come quell’unico eidentico cieco impulso che è egualmente attivo, benché in gradi diversi, dallacristallizzazione fino al culmine <strong>del</strong>la formazione organica (...)Schelling, Primo abbozzo di un sistema <strong>del</strong>la <strong>filoso</strong>fia <strong>del</strong>la natura, IntroduzioneIl punto di partenza <strong>del</strong>la <strong>filoso</strong>fia di Schelling è la tesi <strong>del</strong>l’autonomia <strong>del</strong>la natura dallospirito, ovvero dall’attività razionale <strong>del</strong>l’uomo. In questo senso, la rielaborazione in formasistematica <strong>del</strong> criticismo kantiano - cui Schelling mira seguendo le orme di Fichte - nonpuò che passare dall’articolazione <strong>del</strong>la ricerca <strong>filoso</strong>fica in 2 direzioni distinte anche secomplementari:1. quella <strong>del</strong>la <strong>filoso</strong>fia <strong>del</strong>la natura, finalizzata a isolare ed esaminare i principi autonomi<strong>del</strong> mondo naturale;2. quella <strong>del</strong>la <strong>filoso</strong>fia trascendentale, finalizzata a individuare e analizzare i principiautonomi <strong>del</strong>la ragione umana.Su queste basi Schelling considera la sua <strong>filoso</strong>fia <strong>del</strong>la natura una scienza, cioè una fisica,dal momento che, ritenendo la natura un autonomo ambito di ricerca, egli fa proprio ilpresupposto di ogni scienza naturale: spiegare i fenomeni <strong>del</strong>la natura sulla base di forzerigorosamente naturali.La <strong>filoso</strong>fia <strong>del</strong>la natura, però, non va confusa per Schelling con la fisica sperimentale, inquanto è invece una “fisica speculativa”: infatti mentre la fisica sperimentale assume comepostulati l’esistenza <strong>del</strong>la materia e l’esistenza <strong>del</strong> movimento, la <strong>filoso</strong>fia <strong>del</strong>la natura sipropone di risalire a monte <strong>del</strong>la materia e <strong>del</strong> moto, per spiegarne l’origine. Ma per farlodeve inevitabilmente procedere oltre l’esperienza utilizzando un procedimento puramenteteorico.Il principio primo e unitario <strong>del</strong>la natura è per Schelling la “volontà” intesa come uninfinito impulso produttivo, cioè come una pulsione a generare perennemente e in tutti imodi e le forme possibili. Tale produttività infinita si attua attraverso un’attività intuitiva,e dunque razionale, che però non riesce ad autointuirsi pienamente, cioè non riesce aprendere coscienza di se stessa, a diventare autocoscienza, caratterizzandosi pertanto comeuna intelligenza inconscia.Tuttavia, la volontà tenta incessantemente di autointuirsi e proprio a causa di questo vanoma tenace e perenne tentativo si scinde in 2 forze:1. una forza espansiva tendente all’infinito, che è intuizione pura, immediata e inconscia, epertanto indeterminata: come tale essa rappresenta la polarità oggettiva <strong>del</strong>la natura;2. una forza attrattiva limitante, che è il ritorno <strong>del</strong>l’intuizione su se stessa nel tentativo diautointuirsi e di determinarsi, raggiungendo così la piena infinità: come tale essacostituisce la polarità soggettiva <strong>del</strong>la natura.Poiché lo sforzo di autointuizione non giunge a compimento - e in questo senso Shellingafferma che ogni ente naturale è un tentativo fallito di conquistare l’autocoscienza - nellanatura prevale la polarità oggettiva. Di qui il carattere finito e insieme il residuoindeterminato degli enti naturali.101


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREDa queste due forze primarie Schelling deduce i tre principi fondamentali <strong>del</strong>la fisica:spazio, tempo e materia. Lo spazio, inteso come punto che si espande in ogni direzione, èmanifestazione diretta <strong>del</strong>l’espansione; il tempo, inteso come un punto che scorre in unasola direzione, è manifestazione diretta <strong>del</strong>l’attrazione. La materia, invece, è il prodotto<strong>del</strong>l’interazione <strong>del</strong>le due forze, cioè <strong>del</strong> loro reciproco bilanciamento.Spiegando la materia come prodotto <strong>del</strong>l’interazione di due forze, Schelling la declassa arealtà secondaria, derivata, e insieme le attribuisce una natura fondamentalmentedinamica, cioè la concepisce come una sorta di energia staticizzata, solidificata. In questomodo Schelling:• da un lato, spiega la causa originaria <strong>del</strong> moto individuandola appunto nel carattereessenzialmente dinamico <strong>del</strong>la materia in quanto manifestazione di un’attività intuitiva;• dall’altro, può interpretare la materia come una realtà vivente, attiva, dotata diautorganizzazione, cioè come qualcosa di diverso ma non di contrapposto allo spirito.In questa prospettiva, Schelling accoglie anche l’atomismo ma lo interpreta in sensoqualitativo. Gli atomi infatti sono da lui concepiti come punti di arresto <strong>del</strong>l’attivitàintuitiva primaria, cioè come azioni originarie qualitativamente connotate edifferenziate. Come tali gli atomi sono il fondamento <strong>del</strong>le proprietà qualitative (colori,sapori, forme, odori ecc.) <strong>del</strong>le cose.Una volta dedotti dalla volontà i tre principi fondamentali <strong>del</strong>la natura - spazio, tempo, emateria -, Schelling passa alla spiegazione <strong>del</strong>le forze e dei fenomeni particolari <strong>del</strong>lanatura che costituiscono l’oggetto <strong>del</strong>le varie scienze naturali. Sempre a partiredall’interazione tra espansione e attrazione, Schelling divide la natura in tre grandi domini:1. il mondo inorganico, fondato sulla stabilità <strong>del</strong> rapporto tra espansione e attrazione, chesi manifesta nella forza di gravità, puramente quantitativa e meccanica, la quale governail moto degli astri e di tutti i corpi non viventi;2. il mondo chimico, basato su un equilibrio parziale e intermittente tra espansione eattrazione, che si manifesta nella forza di affinità, quantitativa e qualitativa insieme, laquale sovraintende ai fenomeni magnetici, elettrico-luminosi e chimici;3. il mondo organico, caratterizzato da un perenne squilibrio tra espansione e attrazione,che si manifesta nella forza vitale, essenzialmente qualitativa, la quale presiede allasensibilità, cioè alla capacità di recepire stimoli esterni, alla reattività, la capacità direagire agli stimoli con il movimento, e alla riproduttività, cioè la capacità di generaresempre nuovi individui.La natura vivente è per Schelling il livello più alto <strong>del</strong> mondo naturale, in quanto è quelloin cui l’attività intuitiva originaria si avvicina maggiormente all’obiettivo di prenderecoscienza di se stessa. Anzi, in questo senso, Schelling afferma che tutta la natura nel suoinsieme è organica, in quanto il mondo inorganico ha il compito di stimolare la vita edunque è funzionale ad essa.A conferma <strong>del</strong> carattere complessivamente vivente <strong>del</strong>la natura, Schelling sostienel’omogeneità strutturale di mondo inorganico e mondo organico, avanzando come prova lacorrispondenza biunivoca tra le tre forze particolari <strong>del</strong>la natura inorganica - magnetismo,elettro-luminosità, chimismo - e le tre forze particolari <strong>del</strong>la natura organica: sensibilità,reattività, riproduzione.Se dunque la natura nel suo complesso è un unico organismo vivente, allora secondoSchelling:• essa non può essere compresa solo e tanto in base alla legge meccanica di causa edeffetto• ma anche ed essenzialmente in base alla legge razionale di fine e mezzo.In altre parole per Schelling le relazioni causali che regolano i fenomeni naturali sonomanifestazioni superficiali di una legge finalistica profonda in virtù <strong>del</strong>la quale ogni entenaturale è mezzo e contemporaneamente è fine <strong>del</strong>l’esistenza di tutti gli altri.102


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREIl finalismo che costituisce la natura - e che ha la sua origine nel suo incessante sforzo diconseguire l’autocoscienza - si manifesta nei livelli di crescente perfezione con cui la naturaproduce i suoi ordini e le sue specie. La natura, cioè, si struttura in una serie ascendente egerarchica di forme, che si avvicinano sempre più all’autocoscienza, pur senza mai poterlaraggiungere. In questo senso la natura rappresenta per Schelling la “preistoria” <strong>del</strong>lospirito.VIAGGI DEL PASSATO E DEL FUTUROLa concezione gerarchica e progressiva <strong>del</strong>la natura di Schelling sembra implicare unateoria evoluzionistica <strong>del</strong> mondo naturale simile a quella che Darwin avrebbesuccessivamente elaborato e portato al successo. In realtà, però, nella natura di Schellingnon c’è “evoluzione”, se per evoluzione intendiamo, con Darwin, la nascita di una specievivente da un’altra per trasformazioni successive in successione temporale. Infatti, perSchelling, in primo luogo non vi è avvicendamento <strong>del</strong>le specie nel tempo e in secondoluogo non vi è trasformazione di una specie nell’altra: le specie derivano da forme idealieterne e distinte l’una dall’altra anche se disposte in un ordine gerarchico ascendente. Ciònon toglie che la <strong>filoso</strong>fia <strong>del</strong>la natura di Schelling sia stata fonte quanto meno disuggestioni favorevoli all’affermazione <strong>del</strong>la teoria evoluzionistica.103


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 5SCHELLING: LA FILOSOFIA DELL’ARTESe l’intuizione estetica non è se non l’intuizione intellettuale divenutaoggettiva, s’intende da sé che l’arte sia l’unico vero ed eterno organo edocumento insieme <strong>del</strong>la <strong>filoso</strong>fia, il quale sempre e continuamente di nuovoattesta quel che la <strong>filoso</strong>fia non può rappresentare esternamente, cioèl’inconscio nell’agire e nel produrre e la sua originaria identità con il conscio.L’arte appunto perciò è per il <strong>filoso</strong>fo quanto vi è di più alto, poiché essa gliapre per così dire il santuario, dove in eterna e originaria unione arde comeuna sola fiamma ciò che nella natura e nella storia è separato (...).Schelling, Sistema <strong>del</strong>l’idealismo trascendentaleDopo aver mostrato con la <strong>filoso</strong>fia <strong>del</strong>la natura che nell’oggetto è presente il soggetto,Schelling passa a mostrare che nel soggetto è presente l’oggetto. Il suo scopo è arrivare aconcludere che tutta la realtà si fonda su unico principio originario, sintesi di oggettività esoggettività.In questa prospettiva, la <strong>filoso</strong>fia <strong>del</strong>la natura trova il suo complemento nella <strong>filoso</strong>fiatrascendentale, cioè nell’indagine <strong>scienti</strong>fica <strong>del</strong>la struttura a priori che costituisce ilsoggetto, ovvero l’io in quanto attività razionale autocosciente. Questa indagine, secondoSchelling, mette in luce come l’io sia costituito da due attività fondamentali:1. un’attività reale inconscia che produce l’oggetto;2. un’attività ideale conscia che intuisce l’oggetto e lo riconosce come un proprio prodotto.L’attività reale tende all’infinito ma risulta finita in quanto è determinata e quindi limitatadall’attività ideale. Questa dunque è infinita, perché limitando l’attività reale è sempre oltreogni limite e non è limitata da niente.In realtà, per Schelling, attività reale e attività ideale sono l’articolazione funzionale diun’unica attività intuente <strong>del</strong>l’io. L’io infatti, in quanto capace di autocoscienza, adifferenza <strong>del</strong>la natura, riesce ad autointuirsi pienamente. Esso però non può intuirsi comesoggetto ma necessariamente solo come oggetto, scindendosi così in un’attività reale (l’iocome oggetto intuito) e in un’attività ideale (l’io come soggetto che intuisce). E’ evidente,quindi, che per Schelling l’oggetto è, per così dire, uno stato o modo <strong>del</strong>l’io. Compito <strong>del</strong>laconoscenza sarà dunque quello di scoprire il soggetto nell’oggetto, cioè di ricondurre ilmondo naturale alle leggi razionali <strong>del</strong>l’io.Una volta riconosciuto l’oggetto come un proprio prodotto attraverso l’attività conoscitiva,l’io per Schelling• acquista piena capacità di autodeterminazione• e diviene così volontà libera che si realizza nell’attività pratica.L’attività pratica si svolge costitutivamente in una dimensione collettiva, implica cioè larelazione di ogni uomo con tutti gli altri. Condizione di questa relazione è, secondoSchelling, il diritto. Il diritto, infatti, è un insieme razionale di norme che impone dei limitialla libertà individuale, per consentire a ognuno di esercitare la propria libertà senzaimpedire o negare quella degli altri.Schelling può così rinvenire anche al fondamento <strong>del</strong>la civiltà umana un’interazione tradue forze opposte, appunto la libertà individuale e la necessità <strong>del</strong> diritto. In questo senso,lo sviluppo civile si basa proprio sulla capacità umana di unificare sempre più strettamentequesti due principi.La storia pertanto è per Schelling la realizzazione progressiva <strong>del</strong>l’identità di libertà enecessità, ovvero di conscio e inconscio. Infatti nella storia ogni individuo agisceliberamente ma l’insieme <strong>del</strong>le azioni individuali produce un risultato diverso dalle104


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREintenzioni degli individui e coincidente invece con un progetto razionale che è ilfondamento necessario <strong>del</strong> progresso storico.L’attività conoscitiva e l’attività pratica <strong>del</strong>l’uomo, secondo Schelling, integrano soggetto eoggetto, libertà e necessità in misura sempre maggiore ma senza mai poter arrivare allaloro completa unificazione. In altre parole esse tendono all’infinito o assoluto senza maipoterlo conquistare.Vi è però, per Schelling, un’altra attività umana capace di raggiungere una piena sintesi disoggetto e oggetto. Si tratta <strong>del</strong>l’attività estetica, cioè <strong>del</strong>l’attività che produce le opered’arte.Secondo Schelling, la produzione artistica si fonda sulla stessa polarità di principi su cui sibasano la conoscenza e la storia. L’artista infatti:• da un lato agisce intenzionalmente, liberamente e in piena coscienza;• dall’altro è spinto da un impulso involontario, da un’ispirazione inconscia, come sesubisse l’influsso di una forza cogente a lui sconosciuta.Diversamente dalla conoscenza e dalla storia, la contraddizione di soggettività e oggettivitàè però risolta nell’arte in una completa conciliazione. Pertanto l’arte raggiungequell’assoluto o infinito che alla conoscenza e alla storia sfugge. Infatti l’opera d’arte:• pur essendo nella sua singolarità qualcosa di limitato e finito,• possiede un’infinità inesauribile di significati simbolici.In altre parole nell’arte l’infinito si manifesta e si rivela pienamente nel finito. Ma labellezza per Schelling è per essenza proprio la manifestazione <strong>del</strong>l’infinito nel finito.Dunque la bellezza è il carattere fondamentale <strong>del</strong>l’opera d’arte.Secondo Schelling i prodotti <strong>del</strong>la natura e quelli <strong>del</strong>l’arte hanno in comune l’unità disoggetto e oggetto, ma si differenziano per due aspetti determinanti:1. nella natura non vi è vera differenziazione tra soggetto e oggetto, quindi la loro unitàrisulta indistinta; l’arte invece unifica i due principi dopo che si sono distinti tra loro;2. la produzione naturale non nasce dalla coscienza, mentre l’opera d’arte presupponel’acquisizione piena <strong>del</strong>l’autocoscienza.Per questi motivi nella natura, secondo Schelling, non si dà un’autentica conciliazione diinconscio e conscio. Dunque nei prodotti <strong>del</strong>la natura non si manifesta l’infinito. Poiché,come si è visto, la bellezza è manifestazione <strong>del</strong>l’infinito, ne consegue per Schelling che glienti naturali non possono essere considerati belli in se stessi. Essi possono sì possedere labellezza ma in modo estrinseco e casuale, cioè in quanto per caso possono essere simili aopere d’arte.Se dunque la bellezza non è una proprietà <strong>del</strong>la natura, Schelling nega che il criterio<strong>del</strong>l’arte debba essere l’imitazione <strong>del</strong>la natura e sostiene al contrario che non è la natura lanorma <strong>del</strong>la bellezza artistica, ma viceversa è l’arte la norma <strong>del</strong>la bellezza naturale.Su queste basi, Schelling giunge a sostenere che l’arte è l’organo <strong>del</strong>la <strong>filoso</strong>fia, cioè lostrumento che permette alla <strong>filoso</strong>fia di raggiungere pienamente il suo fine ultimo: ilcoglimento <strong>del</strong>l’infinito. La <strong>filoso</strong>fia, infatti, in quanto basata sulla intuizione intellettuale,non può conseguire, afferma Schelling, una validità universale, perché in essa prevalel’aspetto soggettivo. Di conseguenza mentre la <strong>filoso</strong>fia porta alla verità solo un frammento<strong>del</strong>l’uomo, l’arte vi porta l’uomo nella sua interezza, includendo cioè tutta la suaoggettività.In questa prospettiva, Schelling indica alla <strong>filoso</strong>fia la strada di una contaminazione con lapoesia, cioè di un ritorno alla forma che era stata propria <strong>del</strong>le sue origini, la mitologia.105


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREROTTA CL’IDEALISMO ASSOLUTOL’idealismo assoluto di Hegel fu, insieme al positivismo e al marxismo, una <strong>del</strong>le <strong>filoso</strong>fieegemoni <strong>del</strong> XIX secolo ed è tuttora considerato uno dei vertici <strong>del</strong>la storia <strong>del</strong> <strong>pensiero</strong>. Laragione <strong>del</strong>la forza speculativa e <strong>del</strong> successo di Hegel sta nella sua capacità di far interagireuna vasta e profonda cultura tradizionale, teologica, <strong>filoso</strong>fica e letteraria, con l’esperienzadiretta dei due grandi eventi <strong>del</strong>la sua epoca - la rivoluzione francese e la rivoluzioneindustriale inglese - e con lo studio degli innovativi sviluppi di <strong>pensiero</strong> ad essi connessi,l’illuminismo francese e la <strong>filoso</strong>fia politica ed economica inglese (Locke, Smith). Hegel,tuttavia, si formò nella fase montante <strong>del</strong> romanticismo e partecipò al movimento di reazionenazionale tedesca all’imperialismo francese. Egli valorizzò e utilizzò le novità storico-culturali<strong>del</strong>la sua epoca tenendo fermo il principio <strong>del</strong>la tradizione, ovvero puntando a unrinnovamento <strong>del</strong>la tradizione che ne riconfermasse il primato. In questo senso egli accettò efece sua la “rivoluzione copernicana” di Kant, così come era stata interpretata e sviluppata daFichte e soprattutto da Schelling, ma la interpretò e la sviluppò a sua volta comeun’attualizzazione <strong>del</strong>la grande tradizione razionalistica platonica, aristotelica e neoplatonicafiltrata soprattutto attraverso Spinoza e Leibniz.In questo modo, la <strong>filoso</strong>fia hegeliana segnò la frattura tra l’idealismo e quella culturaromantica che ne era stata il terreno di coltura. A differenza dei romantici, Fichte e Schellingcompresi, per Hegel non solo l’Assoluto può essere conquistato in modo definitivo masoprattutto può essere colto solo in modo mediato, razionale e teoretico. Hegel infatti concepìl’Assoluto come Spirito, cioè come un Soggetto razionale autocosciente che, autocostruendosi,costruisce l’intera realtà. Lo Spirito è sempre finito, e quindi in movimento per raggiungerel’infinito, e sempre già pienamente realizzato come infinito. La chiave per comprendere questaconcezione volutamente contraddittoria <strong>del</strong>l’Assoluto è la dialettica, intesa da Hegel come lalegge <strong>del</strong>lo sviluppo <strong>del</strong>lo Spirito ovvero come l’ordine razionale che connette in una tramaunitaria ogni aspetto <strong>del</strong>la realtà. Infatti, la dialettica hegeliana è la relazione logica eontologica che attraverso la contraddizione tra due elementi opposti produce un elementosuperiore, che è sintesi dei primi due. Dunque l’Assoluto è tale proprio e solo perché è sintesi dimovimento e quiete, cammino e meta, tensione e compimento, sforzo e conquista. Hegel perònon rinnegò la lezione romantica in quanto non abbracciò una visione gradualistica equietistica <strong>del</strong>la realizzazione <strong>del</strong>lo Spirito ma anzi ne enfatizzò aspramente il momentopropriamente dialettico <strong>del</strong> conflitto, <strong>del</strong>la rottura, <strong>del</strong>la morte, come condizione sine qua non<strong>del</strong> compimento finale.In questa prospettiva la <strong>filoso</strong>fia fu concepita da Hegel come scienza <strong>del</strong> processo diautorealizzazione <strong>del</strong>lo Spirito. Ciò significa che la <strong>filoso</strong>fia ha il compito di individuare latotalità <strong>del</strong>le tappe <strong>del</strong>lo sviluppo <strong>del</strong>lo Spirito nel loro ordine dialettico, cioè ricostruendo lerelazioni di opposizione e di sintesi intercorrenti tra ognuna di esse e tutte le altre. La <strong>filoso</strong>fia,allora, non può che essere sistema enciclopedico, cioè una sinossi dialettica di tutte leconoscenze umane. Ma poiché lo sviluppo dialettico <strong>del</strong>lo spirito fu inteso da Hegel comecambiamento nel tempo, il sistema enciclopedico hegeliano assunse una strutturazionefondamentalmente storica: in altre parole esso, e insieme tutto il sapere umano, è la storia<strong>del</strong>lo Spirito dalla sua origine al suo compimento assoluto. Il tratto peculiare <strong>del</strong>l’idealismo diHegel fu la storicità <strong>del</strong>l’Assoluto.VITA DI UN CAPITANOGEORG HEGELGeorg Wilhelm Friedrich Hegel nacque nel 1770 a Stuttgart (Stoccarda), nella Germania sudoccidentale.Di famiglia agiata - suo padre era funzionario statale - dopo aver concluso ilginnasio, studiò teologia all’università di Tubinga, dove divenne amico di Hölderlin e Schelling e106


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREsi appassionò alla lettura dei nuovi pensatori (Rousseau, Lessing, Kant, Jacobi, Fichte, Herder,Goethe) nonché agli eventi <strong>del</strong>la rivoluzione francese, che acclamò partecipando allapiantumazione simbolica di un albero <strong>del</strong>la libertà.Laureatosi, dal 1793 al 1800, Hegel fece il precettore dapprima a Berna, in Svizzera, poi aFrancoforte, dove riallacciò i rapporti con Hölderlin partecipando al suo circolo romantico. Inquesto periodo Hegel scrisse le sue prime opere, raccolte e pubblicate nel 1907 col titolo Scrittiteologici giovanili. In Religione popolare e cristianesimo (1792-3) egli cercò di individuare lecaratteristiche di una nuova religione basata al contempo sulla spontaneità interiore <strong>del</strong> singoloe sulla concretezza dei comportamenti pubblici di un popolo. In questa prospettiva, Hegel criticòil cristianesimo in quanto religione insieme dogmatica e privata, e ravvisò un mo<strong>del</strong>loalternativo nella religione civile <strong>del</strong>la polis greca attraverso la quale gli individui si univanoliberamente in una comunità organica. In Vita di Gesù (1795) Hegel, rifacendosi a Kant,interpretò il cristianesimo originario come una religione morale e razionale, mentre in Positività<strong>del</strong>la religione cristiana (1795-6) individuò le cause <strong>del</strong>la istituzionalizzazione dogmatica <strong>del</strong>cristianesimo nell’esigenza di Cristo di farsi credere figlio di Dio per poter diffondere il suomessaggio razionale. Nel successivo Lo spirito <strong>del</strong> cristianesimo e il suo destino (1798-1800)Hegel rivalutò il cristianesimo, sostenendo che, mentre la religione ebraica si fonda sullascissione (uomo/Dio, ebrei/altri popoli) e quella greca sull’unità inconsapevole e immediata, lareligione cristiana grazie al principio <strong>del</strong>l’amore è fondata sulla ricerca consapevole eintenzionale <strong>del</strong>l’unità tra tutti gli uomini. Infine in Frammento di sistema (1800) Hegelteorizza che solo la religione può arrivare a cogliere la totalità infinita non come semplice unitàdegli opposti finiti ma come unità <strong>del</strong>la loro unità e <strong>del</strong>la loro non-unità, perché soltanto così èpossibile salvare nell’infinito la determinatezza <strong>del</strong>le sue parti finite.Nel 1801 Hegel ottenne l’abilitazione all’insegnamento nell’università di Jena dove avevanoinsegnato Reinhold e Fichte e dove in quel momento insegnava il suo amico Schelling. Insieme alui Hegel redasse Il giornale critico di <strong>filoso</strong>fia facendosi sostenitore <strong>del</strong>la <strong>filoso</strong>fiaschellinghiana nella polemica contro Kant, Jacobi e Fichte. Pubblicò così numerosi saggi, tra cuispicca Differenza tra i sistemi <strong>filoso</strong>fici di Fichte e di Schelling. In questo scritto Hegel criticaFichte perché pone l’unità di soggetto e oggetto solo nell’Io puro, cioè astrattamente, mentre allivello concreto dei molteplici Io limitati l’oggettività risulta esterna al soggetto e a essounificabile solo in un decorso infinito. All’idealismo soggettivistico di Fichte, Hegel contrapponel’idealismo di Schelling basato sull’effettiva unificazione di soggetto e oggetto nell’Assolutointeso come loro identità compiutamente realizzata. Nello stesso periodo Hegel si occupò anchedi <strong>filoso</strong>fia politica nei saggi I modi <strong>scienti</strong>fici di trattare il diritto naturale e Costituzione <strong>del</strong>laGermania. Nel primo Hegel criticò il giusnaturalismo nella variante individualistica di Hobbes eLocke e in quella universalistica, ma per lui astratta, di Kant e Fichte, proponendo comealternativa l’eticità di un popolo in quanto universalità oggettivata in istituzioni sociali,giuridiche e politiche. Nel secondo saggio, Hegel elaborò un mo<strong>del</strong>lo di stato tedesco unitariobasato sul rispetto <strong>del</strong>le diversità e <strong>del</strong>le libertà locali ma accentrato a livello militare.Nel 1803, in seguito al trasferimento di Schelling, Hegel interruppe la sua collaborazione con luie cominciò a sviluppare il suo <strong>pensiero</strong> in una direzione sempre più personale. Nel 1807, Hegelpubblicò la sua prima grande opera, la Fenomenologia <strong>del</strong>lo Spirito. Nella sua famosaPrefazione Hegel prese pubblicamente le distanze dal romanticismo e dall’idealismo esteticointuizionistico,rompendo definitivamente con Schelling.Nella Fenomenologia Hegel espone la terza e ultima fase <strong>del</strong>lo sviluppo <strong>del</strong>lo Spirito, quella chedalla “coscienza”, cioè dall’uomo, arriva all’Assoluto. Le tappe fondamentali <strong>del</strong> cammino <strong>del</strong>lacoscienza sono 6, e costituiscono 2 triadi dialettiche: Coscienza, Autocoscienza, Ragione; Spirito,Religione, Sapere assoluto. Hegel compone così una storia ideale <strong>del</strong>l’umanità come suaprogressiva presa di coscienza di essere l’Assoluto spirituale.Nel 1808, Hegel si trasferì come direttore <strong>del</strong> ginnasio cittadino a Norimberga dove sposò unagiovane di famiglia nobile dalla quale ebbe altri due figli. A Norimberga Hegel scrisse e pubblicò107


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREla Scienza <strong>del</strong>la logica (1812-6) come prima parte <strong>del</strong> suo sistema complessivo. Infatti, dopo laprova <strong>del</strong>la Fenomenologia, Hegel cominciò a dare attuazione al suo progetto di un sistemaenciclopedico complessivo <strong>del</strong>lo Spirito che includesse anche la logica pura e la natura e alcontempo approfondisse e articolasse meglio lo stesso sviluppo <strong>del</strong>la coscienza.Dal 1816 al 1818 Hegel insegnò all’università di Hei<strong>del</strong>berg, dove pubblicò la prima edizione<strong>del</strong>l’Enciclopedia <strong>del</strong>le scienze <strong>filoso</strong>fiche in compendio (1817), esposizione sintetica di tutto ilsuo sistema a scopo didattico. In quest’opera Hegel rifuse il contenuto <strong>del</strong>la Scienza <strong>del</strong>la logica,elaborò in modo organico la sua <strong>filoso</strong>fia <strong>del</strong>la natura, secondo momento <strong>del</strong>lo sviluppo <strong>del</strong>lospirito, e infine espose una nuova versione <strong>del</strong>la <strong>filoso</strong>fia <strong>del</strong>lo spirito. Egli realizzò così il suosistema <strong>filoso</strong><strong>fico</strong> completo <strong>del</strong>la realtà, cioè l’esposizione <strong>del</strong>l’intero cammino storico <strong>del</strong>loSpirito dall’essere fino all’Assoluto.Finalmente nel 1818 Hegel diventò professore di <strong>filoso</strong>fia all’università di Berlino doveinsegnerà fino 1831. In questi anni Hegel scrisse una sola grande opera, i Lineamenti di <strong>filoso</strong>fia<strong>del</strong> diritto (1821), in cui riprese, approfondì e sviluppò la sua <strong>filoso</strong>fia <strong>del</strong>lo Spirito oggettivo,rimanendo fe<strong>del</strong>e all’impostazione <strong>del</strong>l’Enciclopedia. Tuttavia, con la sua approvazione e inparte con la sua revisione, i suoi studenti trascrissero, raccolsero e pubblicarono i suoi corsiuniversitari con i titoli di Lezioni sulla <strong>filoso</strong>fia <strong>del</strong>la storia, Lezioni sulla storia <strong>del</strong>la <strong>filoso</strong>fia,Lezioni di estetica, Lezioni sulla <strong>filoso</strong>fia <strong>del</strong>la religione. Anche queste opere, purrappresentando interessanti approfondimenti, non si discostano dall’Enciclopedia.La vita e la produzione <strong>filoso</strong>fica di Hegel furono stroncate dal colera nel 1831.108


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 1HEGEL: L’AUTOCOSTRUZIONE DIALETTICA DELLA REALTA’Ora l’idea si mostra come il <strong>pensiero</strong> assolutamente identico con sestesso, e questo nel tempo stesso come l’attività di opporre sé a se stesso,e in questa alterità di essere sempre presente solo a se stesso, acciò diessere, in fine, per sé.Hegel, Enciclopedia <strong>del</strong>le scienze <strong>filoso</strong>fiche in compendio, § 18Non quella vita che indietreggia di fronte alla morte e si mantiene puradalla devastazione, bensì quella che porta in sé la morte e nella morte siconserva, è la vita <strong>del</strong>lo Spirito. Esso raggiunge la propria verità soloquando ritrova sé nell’assoluta lacerazione.Hegel, Fenomenologia <strong>del</strong>lo Spirito, PrefazioneLa tesi di base <strong>del</strong>la <strong>filoso</strong>fia hegeliana è che la realtà, in tutti i suoi molteplici aspetti, èil prodotto dinamico <strong>del</strong> processo progressivo di differenziazione, potenziamento eperfezionamento di un principio razionale, unitario e universale: lo Spirito, il cui primostadio è l’Idea. Ciò significa che per Hegel <strong>pensiero</strong> e realtà, ideale e reale, coincidono,ovvero che il mondo fisico (oggetto) è la manifestazione oggettiva <strong>del</strong> mondo ideale(soggetto).Lo sviluppo <strong>del</strong>l’Idea, ossia l’autocostruzione <strong>del</strong>lo Spirito, segue una legge interna, cheper Hegel è l’essenza stessa <strong>del</strong>la razionalità: la dialettica. Il termine “dialettica”designava originariamente la contraddizione, ovvero la negazione reciproca, di dueelementi, p.e. giorno/notte. Data l’identità Idea/realtà, in Hegel la dialettica possiedeuna valenza ontologica e designa il processo di autocostruzione <strong>del</strong>lo Spirito in quantoil suo motore è il conflitto tra elementi opposti che conduce al loro superamento in unnuovo elemento, sintesi dei due contraddittori. In questo senso la legge dialettica ètriadica, cioè dà luogo a una catena di triadi dialettiche.Ogni triade dialettica ha un suo contenuto, che corrisponde a un aspetto <strong>del</strong>la realtà,ma tutte le triadi hanno la medesima forma dialettica che Hegel così illustra:1. l’ “in sé”, cioè il momento iniziale <strong>del</strong>la posizione immediata e astratta di qualcosa (p.e.l’infanzia di un uomo), che ne rappresenta il lato soggettivo o interiore;2. il “per sé” o “altro da sé” o “fuori di sé”, cioè il momento intermedio <strong>del</strong>la negazione<strong>del</strong>l’in sé ovvero <strong>del</strong>la posizione altrettanto immediata e astratta <strong>del</strong>l’opposto <strong>del</strong>l’in sé(p.e. l’adolescenza/giovinezza), che rappresenta il lato oggettivo o esteriore diqualcosa;3. l’ “in sé e per sé” o il “ritorno a sé”, cioè il momento <strong>del</strong>la sintesi finale o<strong>del</strong>l’unificazione mediata e concreta dei primi due momenti (p.e. la maturità), cherappresenta la totalità in quanto insieme soggettiva e oggettiva, esteriore e interiore.Per capire fino in fondo il significato <strong>del</strong>la dialettica va evidenziato che:• i primi due momenti rappresentano aspetti unilaterali e quindi parziali di qualcosa,mentre il terzo ne costituisce l’unità completa, cioè la realtà vera, in quanto per Hegel“il vero è l’intero”;• in questo senso i primi due momenti corrispondono al concetto aristotelico di potenza,ovvero di incompiutezza che tende al perfezionamento, mentre il terzo a quello di atto,cioè di compiutezza/perfezione (benché relativa);109


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORE• il terzo momento, cioè la sintesi, consiste nel depurare i primi due dai rispettivi difettiunilaterali, nell’isolare i pregi di entrambi - cioè i loro nuclei veritativi - e nell’integrarecosì ognuno dei due con l’altro;• i primi due momenti non sono dunque eliminati, annullati nel terzo, ma vi sono filtratie conservati, ovvero, come dice Hegel, “inverati”;• il terzo momento in questo senso rappresenta l’equilibrio ovvero la giusta misura deiprimi due;• ogni triade dialettica è paragonata da Hegel a un cerchio, sia in quanto rappresentauna realtà in sé compiuta sia in quanto la relazione che lega i suoi tre momenti “ruota”su se stessa, cioè trascorre dal primo momento attraverso il secondo per tornare alprimo: il terzo momento, infatti, non è altro che la realizzazione compiuta <strong>del</strong> primograzie al passaggio attraverso la negazione costituita dal secondo;• anche se l’ordine di successione risulta talvolta invertito, di norma il primo momentorappresenta il polo soggettivo o ideale-razionale di qualcosa, il secondo momento il suopolo oggettivo o fisico-reale, il terzo l’identità compiuta di soggettività e oggettività,ideale e reale, intesa però come soggettivizzazione <strong>del</strong>l’oggettività, cioè basata sulprimato relativo <strong>del</strong>la soggettività.Per comprendere meglio il significato <strong>del</strong>lo sviluppo dialettico, è utile prendere inconsiderazione un esempio di sua applicazione a un aspetto concreto <strong>del</strong>la realtà.L’esempio è quello, già accennato, <strong>del</strong>le età fondamentali <strong>del</strong>l’uomo: infanzia,giovinezza, maturità (o età adulta).1. L’infanzia è l’uomo in sé, cioè nella sua condizione immediata e astratta, perché piùlontana dalla pienezza <strong>del</strong>l’uomo adulto, caratterizzata dall’essere sì un individuo matotalmente dipendente rispetto ai genitori e più in generale alla società;2. la giovinezza è l’uomo per sé o altro da sé, l’opposto <strong>del</strong>l’infanzia, in quanto lagiovinezza è caratterizzata da una volontà esasperata di indipendenza che si manifestanel conflitto con i genitori e nel rifiuto <strong>del</strong>la società adulta;3. la maturità è l’uomo in sé e per sé o tornato a sé, cioè la sintesi di infanzia e giovinezza,in quanto caratterizzata dal raggiungimento <strong>del</strong>la autentica libertà individuale checonsiste nel realizzare la propria indipendenza integrandosi pienamente nella vitasociale e politica.Le triadi dialettiche non sono separate l’una dall’altra, ma ognuna è connessa a tutte lealtre, o direttamente o indirettamente, cioè attraverso altre triadi. In questo senso sipuò paragonare la dialettica a un’immensa rete con maglie triangolari.Tuttavia non tutte le triadi dialettiche hanno la stessa portata, nel senso che alcunesono più ampie e generali, altre più ristrette e particolari. Continuando a utilizzare lametafora <strong>del</strong>la rete, potremmo dire che vi sono maglie più grandi che contengonomaglie più piccole. Fuor di metafora, le triadi dialettiche costituiscono un ordinegerarchico: le triadi più generali, diciamo di primo livello, si articolano in triadi piùparticolari di secondo livello, e così via fino alle triadi singolari, relative cioè alle cosesingole.In questo senso, tutte le triadi dialettiche, cioè tutte le cose, muovono da un’unicatriade, la più generale, la triade onnicompresiva, da cui si dipartono e in cui sonoinscritte tutte le altre. Questa triade suprema, che circoscrive l’intera rete dialetticaovvero che abbraccia l’intero processo di autocostruzione <strong>del</strong>lo Spirito, è la seguente:1. L’idea in sé o Idea pura: è la posizione immediata <strong>del</strong>l’Idea come soggettoastratto, puramente razionale, puro <strong>pensiero</strong> e dunque libera attività creatrice. Hegelparagona questo primo momento <strong>del</strong>lo svolgimento <strong>del</strong>lo Spirito al mondo <strong>del</strong>le idee diPlatone, all’Uno di Plotino, al Dio come implicazione di tutte le cose di Cusano, infine110


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREal Dio come mente razionale eterna, prima <strong>del</strong>la creazione <strong>del</strong> mondo e <strong>del</strong>l’uomo,<strong>del</strong>la teologia cristiana.2. L’idea altra da sé o Natura: è l’alienazione <strong>del</strong>l’Idea, la sua autonegazione,ovvero la sua trasformazione nel suo opposto, cioè nella sostanza oggettiva, nellamateria irrazionale, che costituisce il principio proprio <strong>del</strong> mondo fisico. In altreparole, per Hegel la materia, e quindi la dimensione fisica, è l’Idea che si camuffatalmente bene nel suo contrario da rendersi irriconoscibile persino a se stessa, cioèappunto irrazionale, passiva, necessitata. Secondo Hegel questo secondo momento<strong>del</strong>lo sviluppo <strong>del</strong>lo Spirito è il significato razionale <strong>del</strong> mito platonico <strong>del</strong>la “caduta”<strong>del</strong>l’anima nel corpo e <strong>del</strong> mito evangelico <strong>del</strong>l’incarnazione e soprattutto <strong>del</strong>la mortedi Cristo, in quanto solo l’esperienza <strong>del</strong>la morte è il suggello <strong>del</strong>l’effettivafisicizzazione, la prova provata <strong>del</strong>l’autentica incarnazione.3. L’idea in sé e per sé o Spirito - E’ il ritorno <strong>del</strong>l’Idea in sé stessa, sintesi disoggetto e oggetto, razionalità e fisicità. Corrisponde al genere umano, in quantol’uomo è corpo, cioè oggettività naturale, ma anche coscienza razionale, cioèsoggettività ideale. Questo momento è ricondotto da Hegel al mito platonico<strong>del</strong>l’anamnesi, cioè <strong>del</strong>l’accendersi nell’uomo <strong>del</strong> ricordo <strong>del</strong> mondo <strong>del</strong>le idee, e almito evangelico <strong>del</strong>la resurrezione e <strong>del</strong>la trasfigurazione di Cristo, ovvero <strong>del</strong>la suavittoria sulla morte e <strong>del</strong>la sua ascesa in Cielo con tutto il corpo, ma un corpodivinizzato, compiutamente spiritualizzato, e dunque immortale.Hegel denomina propriamente “Spirito” solo quest’ultimo stadio <strong>del</strong>lo svolgimentodialettico <strong>del</strong>l’Idea, portato e sintesi dei primi due, perché solo a questo terzo livello loSpirito raggiunge la sua completezza, in quanto unione di razionalità e fisicità,soggettività e oggettività. Ma va tenuto ben presente che, da un lato, lo Spirito perHegel è anche l’intero processo, comprensivo di tutti e tre gli stadi; dall’altro, che il suoterzo stadio è a sua volta un lungo processo di sviluppo e perfezionamento, in quanto laraggiunta completezza <strong>del</strong>lo Spirito non coincide con la sua compiutezza.111


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 2HEGEL: LA LOGICA IN QUANTO SCIENZA DELL’IDEA PURALa logica è la scienza <strong>del</strong>l’idea pura, cioè <strong>del</strong>l’idea nell’elemento astratto <strong>del</strong>pensare.(...) Si può ben dire che la logica sia la scienza <strong>del</strong> pensare, <strong>del</strong>le suedeterminazioni e leggi, ma il pensare è anzitutto la pura identità <strong>del</strong> saperecon se stesso, e perciò costituisce soltanto l’universale determinatezza 6 (...).L’idea è certamente il pensare, ma non in quanto formale, bensì come latotalità <strong>del</strong>le sue peculiari determinazioni che esso dà a se stesso.Hegel, Enciclopedia <strong>del</strong>le scienze <strong>filoso</strong>fiche in compendio, § 12Secondo Hegel lo Spirito - principio unico e assoluto <strong>del</strong>la realtà - è un processo diautorealizzazione che si sviluppa e si compie in un’infinita rete dialettica di momenti finiti.Poiché la dialettica è per Hegel il movimento di unificazione di due momenti opposti, essaha una forma triadica. Sul piano <strong>del</strong>la logica, cioè <strong>del</strong>l’idea pura, la triadicità dialetticaassume una forma generale, che per Hegel equivale al metodo <strong>scienti</strong><strong>fico</strong>, cioè allaprocedura che ogni mente individuale deve adottare se vuole conoscere la realtà, ovveropensare in modo veritiero.La forma logica <strong>del</strong>la dialettica secondo Hegel si articola nei seguenti passaggi:1. l’impostazione analitica o intellettuale astratta: il punto di partenza <strong>del</strong>l’attivitàconoscitiva è la facoltà analitica <strong>del</strong>l’intelletto, che mette a fuoco la realtà distinguendone eseparandone parti e proprietà. In questo modo però l’intelletto rinuncia al punto di vista<strong>del</strong>la totalità e non è in grado di cogliere le relazioni dialettiche intercorrenti tra i singoliaspetti reali. Di conseguenza la sua visione <strong>del</strong>la realtà, priva com’è di un ordine unitario eorganico, rimane astratta e non perviene alla verità.2. Lo sviluppo dialettico o negativo-razionale: l’intelletto deve essere integrato dallaragione, la quale, in una prima fase, interviene sui contenuti <strong>del</strong>la conoscenza intellettivain modo puramente negativo, cioè confutando l’assolutezza e l’autonomia di ognuno diessi. Per esempio contrapponendo al movimento la quiete, al mondo inorganico il mondoorganico, al corpo la psiche ecc. Così facendo la ragione rompe l’isolamento dei contenutiintellettivi e comincia a porli in relazione tra loro.3. La conclusione speculativa o positivo-razionale: la ragione dialettica si sviluppanaturalmente nella ragione speculativa, la quale assumendo il punto di vista <strong>del</strong>la totalità èin grado di unificare i contenuti intellettivi opposti operando la loro sintesi concettuale.Per esempio pensando il concetto di natura come sintesi di mondo organico e mondoinorganico di cui questi sono manifestazioni parziali dialetticamente connesse.Stabilita così la forma <strong>del</strong>lo svolgimento logico <strong>del</strong> <strong>pensiero</strong>, Hegel passa a considerarne icontenuti. Essi sono i concetti intesi come determinazioni interne <strong>del</strong> <strong>pensiero</strong>, comepensieri sì puri ma al contempo concreti. Infatti i concetti sono per Hegel il fondamento ditutte le cose reali, in quanto ne costituiscono le matrici razionali. La loro universalità,dunque, possiede, benché in forma implicita o potenziale, tutta la ricchezza <strong>del</strong> mondonaturale e <strong>del</strong> mondo intellettuale e culturale <strong>del</strong>l’uomo.In questo senso, Hegel afferma che la logica è “scienza prima” e “<strong>filoso</strong>fia speculativa”, cioèontologia. Essa però non esaurisce la <strong>filoso</strong>fia, in quanto considera l’idea solamente inquanto assoluto puramente pensante e chiuso nella sua eternità. In tal senso, Hegel6 Il <strong>pensiero</strong> contiene le caratteristiche fondamentali <strong>del</strong>la realtà, ma in modo puramente universale, generale, privo cioè<strong>del</strong>le differenziazioni specifiche <strong>del</strong>la realtà e <strong>del</strong>la concretezza individuale.112


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREafferma che la logica corrisponde alla rappresentazione cristiana di Dio “come egli è nellasua eterna essenza prima <strong>del</strong>la creazione <strong>del</strong>la natura e di uno spirito finito”.Lo sviluppo dialettico <strong>del</strong>l’idea a livello di <strong>pensiero</strong> puro si articola per Hegel in 3 momenti:1. essere: è il piano più immediato, cioè più astrattamente universale, nel quale l’idea siproduce come “in sé”;2. essenza: è la dimensione <strong>del</strong>l’autoapprofondimento <strong>del</strong>l’idea la quale si fa “per sé”, cioè,per così dire, si scava al proprio interno e si costruisce una profondità interiore;3. concetto: è il livello <strong>del</strong>la sintesi di essere ed essenza, cioè di esterno e interno, immediatoe mediato, attraverso cui l’idea si realizza compiutamente “in sé” e “per sé”.Il puro essere (coincidente col puro <strong>pensiero</strong>) è, secondo Hegel, la prima e più immediatamanifestazione <strong>del</strong>l’idea e al contempo <strong>del</strong>l’Assoluto. Esso è pertanto il “principio”<strong>del</strong>l’intero svolgimento dialettico <strong>del</strong>lo Spirito, paragonabile a Dio come implicazione ditutte le cose. L’essere è infatti l’idea più universale e onnicomprensiva, ma può esserlo solograzie alla sua totale indeterminatezza, alla sua assoluta mancanza di definizione e dicaratterizzazione, in una parola alla sua vacuità. Come tale, però, l’idea di essere finisce perrovesciarsi in quella opposta di nulla, cioè di non-essere. Infatti il nulla è l’idea <strong>del</strong>laindeterminatezza assoluta. Dunque essere e nulla non si negano totalmente, non si elidonoa vicenda ma possono unificarsi in quanto posseggono un denominatore comune. La lorounificazione produce l’idea di divenire. Infatti, secondo Hegel, divenire significa avereinizio, ma nell’inizio, appunto, ogni cosa da un lato non è ancora, dall’altro sta per essere;dunque il divenire contiene in se stesso il non essere e l’essere.Il divenire esprime la fluidità pura <strong>del</strong> <strong>pensiero</strong>. Tale fluidità deve però determinarsi incontenuti definiti. Il divenire trapassa così nell’esserci, cioè nell’essere un qualcosa, uncontenuto circoscritto e dunque singolare <strong>del</strong> <strong>pensiero</strong>. Ciò che determina l’esserci èl’acquisizione di una qualità specifica. Ma tale specificazione qualitativa implica lanegazione di tutte le altre da essa diverse e dunque implica un rapporto costitutivo<strong>del</strong>l’esserci con l’esser-altro. L’esserci sviluppa questa opposizione negando la proprianegazione <strong>del</strong>l’esser-altro e costituendosi così come esser-per-sé cioè come essercicompiutamente individuale in quanto include nella sua identità il rapporto con tutte lealtre identità degli altri esserci. Alla determinazione qualitativa <strong>del</strong>l’esserci si contrapponequella quantitativa, ma qualità e quantità trovano la loro unificazione nella misura, intesacome “quantità qualitativa”.Riflettendosi in se stessa, l’idea produce la sua dimensione interna e mediata, dando luogoalle categorie <strong>del</strong>l’identità, <strong>del</strong>la differenza e <strong>del</strong>la contraddizione. In questo modo l’ideadiventa essenza la quale, in quanto fondamento, si viene a contrapporre all’essereimmediato imponendogli la determinazione <strong>del</strong>l’apparenza. Questo movimento diautodifferenziazione <strong>del</strong>l’idea ne innesca un secondo, uguale ma in direzione contraria, inbase al quale l’essenza si esteriorizza nell’esistenza, dando luogo al fenomeno comemanifestazione individuale e veritiera <strong>del</strong>l’essenza. La sintesi di essenza ed esistenzaproduce la realtà in quanto esistenza che possiede dentro di sé la ragione e la struttura<strong>del</strong>la propria costituzione. Come sintesi di essenza ed esistenza la realtà è dunquerelazione che si attua in 3 modalità: a) la sostanza, intesa come relazione tra unità emolteplicità degli accidenti <strong>del</strong> fenomeno; b) la causalità, intesa come azione unilaterale diuna sostanza su di un’altra; c) l’azione reciproca, intesa come interazione bilaterale tra duesostanze.La sintesi di essere ed essenza produce il concetto. Il concetto per Hegel è l’elemento primoe insieme il motore <strong>del</strong> <strong>pensiero</strong> come attività pensante, cioè come processo produttivo113


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREinfinito, fluido e continuo. In quanto concetti, le categorie <strong>del</strong>l’essere e <strong>del</strong>l’essenzaperdono la loro contrapposizione e si integrano in quella totalità processuale che è il<strong>pensiero</strong> pensante.L’idea si costituisce come concetto scindendosi negli opposti <strong>del</strong>la soggettività e<strong>del</strong>l’oggettività. La soggettività è il movimento con cui il concetto (p.e. uomo) costituisce il<strong>pensiero</strong> pensante, cioè le forme mentali <strong>del</strong> <strong>pensiero</strong> come soggetto pensante. Talemovimento parte dal giudizio in cui il concetto si divide in un soggetto e in un predicato(p.e. l’uomo è mortale) per poi riunificarsi a un livello superiore nel sillogismo (p.e. gliuomini sono mortali, i <strong>filoso</strong>fi sono uomini, il <strong>filoso</strong>fo Socrate è mortale). Nel sillogismoinfatti il giudizio è presente nell’opposizione dei termini estremi (mortali e <strong>filoso</strong>fi) ed ilconcetto nel termine medio (uomini) che appunto li unifica nella conclusione. In altreparole il concetto soggettivo è l’idea operante nelle catene dei ragionamenti in cui consisteil <strong>pensiero</strong> a livello mentale.L’oggettività è invece il movimento con cui il concetto costituisce il “pensato”, cioè ilcontenuto reale <strong>del</strong> <strong>pensiero</strong> in quanto oggetto pensato. Questo movimento consistenell’esteriorizzazione e nell’articolazione <strong>del</strong> concetto nei concetti reali <strong>del</strong> meccanismo,<strong>del</strong> chimismo e <strong>del</strong>l’organismo.A questo punto, operando la sintesi di concettualità oggettiva e soggettiva, l’idea raggiungeil livello <strong>del</strong>la sua completa e finale costituzione. L’unità di concetto pensante e concettopensato, cioè <strong>del</strong>la mente e <strong>del</strong>la natura, costituisce immediatamente l’idea come vita.Ogni essere vivente (animali, uomini, Stati, civiltà, ecosistemi, ecc.) infatti consiste nellarelazione con se stesso mediata dall’alterità oggettiva <strong>del</strong> proprio corpo e <strong>del</strong> mondoesterno. Ma l’idea deve ancora svilupparsi oltre l’immediatezza <strong>del</strong>la vita come liberasoggettività. In questo modo grazie alla conoscenza, con cui si eleva dall’individuale vitaleall’universale concettuale, raggiunge la coscienza di ciò che è veramente, producendo larappresentazione, la fede e il sentimento. Con l’ultimo movimento, infine, l’idea soggettivasi appropria <strong>del</strong> suo lato oggettivo sia introiettando il mondo esterno attraverso laconoscenza - e costituendosi così come vero -; sia trasformando attivamente il mondoesterno - e producendosi così come bene.L’idea pura raggiunge così la sua assolutezza nella suprema sintesi di verità e bene.114


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 3HEGEL: LA FILOSOFIA DELLA NATURA COME IDEA ALIENATALa natura si è data come l’Idea nella forma <strong>del</strong>l’esser-altro. Poiché in essal’Idea è come il negativo di se stessa ovvero è esterna a sé, non soltanto lanatura è relativamente esteriore nei confronti di questa Idea, ma l’esterioritàcostituisce la determinazione nella quale essa è in quanto natura.Hegel, Enciclopedia <strong>del</strong>le scienze <strong>filoso</strong>fiche in compendio, § 192Una volta sviluppata e conquistata compiutamente la sua purezza razionale, l’Idea,secondo Hegel, deve negarsi trasformandosi nel suo opposto, cioè nella natura. Questorovesciamento dialettico è presentato da Hegel come la spiegazione pienamente razionaledi alcune fondamentali allegorie <strong>del</strong>la tradizione <strong>filoso</strong>fica e teologica:• quella platonica <strong>del</strong>la “caduta” <strong>del</strong>l’anima immortale <strong>del</strong>l’uomo e <strong>del</strong>la sua conseguenteincarnazione in un corpo mortale;• quella neoplatonica <strong>del</strong>l’emanazione <strong>del</strong>l’Uno infinito in quanto fuoriuscita da se stessoed ingresso nella dimensione <strong>del</strong> finito;• quella ebraica <strong>del</strong>la creazione divina <strong>del</strong> mondo fisico;• quella cristiana <strong>del</strong>l’incarnazione e <strong>del</strong>la morte di Cristo, in quanto Dio fattosi uomo.Il significato razionale comune a queste figure classiche <strong>del</strong> <strong>pensiero</strong> è per Hegel ilmovimento dialettico <strong>del</strong>lo Spirito che per realizzarsi deve necessariamente negare la suaessenza originaria per accettare e vincere la sfida <strong>del</strong> suo opposto e giungere così ariconquistarsi in modo effettivamente compiuto.L’Idea in sé, nella sua originaria purezza razionale, rappresenta per Hegel la polaritàdialettica <strong>del</strong>la interiorità (o soggettività). Di conseguenza, la natura, in quanto Idea che sinega per farsi altro da sé, non può che rappresentare la polarità dialettica opposta, cioèquella <strong>del</strong>l’esteriorità (o oggettività).Poiché la natura è per essenza esteriore essa non può possedere l’ordine unitario proprio<strong>del</strong> concetto. Infatti, in quanto copia negativa <strong>del</strong>l’Idea, la natura ha pur sempre il concettocome proprio fondamento, ma esso rimane chiuso e separato nella sua interiorità. Gli entie i caratteri naturali, pertanto, sussistono uno accanto all’altro, per così dire alla rinfusa,senza cioè un profondo e organico rapporto. A causa di tale disorganicità nella naturauniversalità e particolarità sono divise e contrapposte. Di conseguenza i fenomeni naturaliper Hegel sono un misto:• di ferrea necessità, in quanto per i loro caratteri generali sono rigidamente soggetti alleleggi universali <strong>del</strong>la natura;• e di arbitraria casualità, in quanto invece i loro caratteri particolari non dipendono daalcuna regolarità razionale.A partire da questa concezione <strong>del</strong> mondo naturale, Hegel svolge una serrata critica <strong>del</strong>ladivinizzazione <strong>del</strong>la natura sostenuta dagli artisti e dai <strong>filoso</strong>fi romantici. La natura infattiè divina, a parere di Hegel, solo in quanto deriva dall’Idea. In se stessa, però, nel suo modoproprio e speci<strong>fico</strong> di manifestazione alienata <strong>del</strong>l’Idea, essa non ha alcunché di divino.Infatti, la determinazione essenziale <strong>del</strong>la natura - cioè la materia - è per definizione nonessere,mera negatività, cioè irrazionalità. L’essere <strong>del</strong>la natura, pertanto, non corrispondeper Hegel al suo concetto, cioè al suo fondamento razionale.Tuttavia Hegel ammette che la natura, in quanto pur sempre prodotto <strong>del</strong>l’Idea, possaessere considerata legittimamente una mirabile manifestazione di Dio. Ma anche in questocaso i singoli enti naturali - il sole, la luna, gli animali, le piante - non solo non sono da115


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREporre, come espressioni <strong>del</strong>la sapienza divina, su un piano superiore a quello <strong>del</strong>le opereumane, ma nemmeno possono essere ritenuti ad esse equivalenti. Secondo Hegel infattianche la più bassa e capricciosa manifestazione <strong>del</strong>lo spirito umano e perfino un’azionemalvagia <strong>del</strong>l’uomo sono superiori al più alto dei fenomeni naturali. L’uomo infatti hacoscienza <strong>del</strong>la propria individualità e agisce comunque in modo eticamente libero. Tuttigli enti naturali, invece, anche i più elevati, cioè gli esseri viventi, non possiedono lacoscienza <strong>del</strong>la propria individualità e non fanno altro che eseguire passivamente quantoloro imposto dalle leggi generali <strong>del</strong>la natura.Nonostante ciò, secondo Hegel, la natura possiede un certo grado di ordine. Essa, infatti, inquanto negazione <strong>del</strong>l’Idea non può possedere il suo compiuto ordine razionale; però inquanto pur sempre derivata dall’Idea la natura conserva nel suo fondo un ordine razionale.In altre parole, l’Idea struttura la natura per così dire dall’esterno e pertanto le conferisceun grado solo parziale di razionalità.In virtù <strong>del</strong>l’ordine ideale che la innerva, la natura è per Hegel un “tutto vivente”, cioèconsiderata come totalità è un unico, grande organismo biologico. Ciò significa che nellanatura è presente un finalismo, ovvero un processo dialettico di miglioramento. Taleprocesso ha come punto di partenza l’immediatezza esteriore, che corrisponde alla morte, eche pertanto deve avere come punto di arrivo appunto la vita. Ma il vero fine ultimo <strong>del</strong>lanatura è portare la vita al suo grado più elevato, cioè allo spirito, ovvero dare origine allaspecie umana.L’ordine dialettico e finalistico <strong>del</strong>la natura si manifesta secondo Hegel nel suaorganizzazione per gradi ascendenti che parte dal mondo meccanico per arrivare al mondoanimale. Ogni grado <strong>del</strong>la natura consegue dal suo antecedente e lo presuppone, in quantone è la condizione d’esistenza. Per esempio i fenomeni chimici sono un mezzoindispensabile alla sussistenza di un organismo vivente.D’altra parte, per Hegel, questo non significa che nella natura vi sia un’evoluzione interna,cioè una metamorfosi spontanea e autonoma di un grado in quello successivo. Peresempio, la vita per Hegel non nasce da una combinazione spontanea di fenomeni fisici echimici. In altre parole, i gradi <strong>del</strong>la natura sono sì disposti in ordine ascendente econsequenziale, ma rimangono compartimenti stagni, privi di relazioni dirette e interne. Illoro ordine consequenziale e gerarchico infatti deriva dall’esterno, cioè dalla strutturazione<strong>del</strong>l’Idea. E’ cioè l’Idea che produce il sistema di gradi, è all’interno <strong>del</strong>l’Idea che ogni gradogenera internamente l’altro. La natura invece si limita a ricevere e a riprodurrepassivamente ciò che l’Idea produce nel suo movimento concettuale.Su queste basi Hegel costruisce il suo sistema dialettico <strong>del</strong>la natura, basato su 3 momentifondamentali:1. il mondo meccanico, comprendente i principi fondamentali <strong>del</strong>lo spazio e <strong>del</strong> tempo,<strong>del</strong>la materia e <strong>del</strong> movimento, <strong>del</strong>l’attrazione e <strong>del</strong>la repulsione, <strong>del</strong>la gravitazione;2. il mondo fisico, comprendente la luce, il calore, il peso speci<strong>fico</strong>, la coesione, il suono, ilmagnetismo, l’elettricità, gli elementi e le reazioni chimiche;3. il mondo organico, comprendente la natura geologica, la natura vegetale e la naturaanimale.Il parametro <strong>del</strong>lo sviluppo dialettico da un grado <strong>del</strong>la natura a quello superiore ècostituito per Hegel dall’individualità. Il mondo meccanico, puramente quantitativo, ècaratterizzato dalla totale generalizzazione astratta, corrispondente al massimo livello diesteriorità. Nel mondo fisico l’individualità comincia a emergere per poi affermarsicompiutamente nel mondo organico nell’“individualità soggettiva”, cioè nell’organismovivente in quanto caratterizzato dal più alto grado di unità interna.116


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREROTTE FILOSOFICHE E ROTTE SCIENTIFICHEGRAVITA’ E FORZA GRAVITAZIONALEHegel considera la gravità come una proprietà intrinseca <strong>del</strong>la materia. La materia,infatti, in quanto rappresenta per eccellenza l’esteriorità <strong>del</strong>la natura, la sua puranegatività, è costituita dalla repulsione di ognuna <strong>del</strong>le sue parti nei confronti <strong>del</strong>le altreche ne spiega la suddivisione in singoli corpi. D’altra parte le singole parti <strong>del</strong>la materiasono pur sempre la stessa cosa ed esprimono la loro unità di fondo nell’attrazione. Lagravità è appunto per Hegel l’equilibrio tra repulsione e attrazione intese come forzecostitutive <strong>del</strong>la materia. In questa prospettiva Hegel critica Newton e apprezza inveceKeplero. Infatti per Hegel la terza legge di Keplero (i quadrati dei tempi di rivoluzione deipianeti stanno tra loro come i cubi <strong>del</strong>le rispettive distanze dal Sole) da una partecontiene implicitamente la legge di gravità di Newton e dall’altra esprime in formasemplice e puramente razionale il concetto di gravità. Al contrario la formulanewtoniana (due corpi si attraggono in modo direttamente proporzionale al prodotto<strong>del</strong>le loro masse e inversamente proporzionale al quadrato <strong>del</strong>la loro distanza) per Hegeltradisce il concetto puro <strong>del</strong>la gravità considerandola come una forza attrattivaautonoma indipendente dalla materia e oltretutto di origine ignota e inspiegabile.All’inizio <strong>del</strong> ‘900, nella sua teoria <strong>del</strong>la relatività, Einstein concepisce la gravità comeuna proprietà geometrica <strong>del</strong>lo spazio, cioè la sua incurvatura correlata alla presenza inesso di massa/materia. Anche per Einstein, però, la forza gravitazionale era unicamenteattrattiva. Alla fine <strong>del</strong> ‘900, i fisici hanno invece scoperto l’esistenza di una gravitàrepulsiva.117


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 4HEGEL: L’EMERGERE DELLO SPIRITO COME COSCIENZAIl vero è l’intero. Ma l’intero è soltanto l’essenza che si compie mediante il suosviluppo. Bisogna dire <strong>del</strong>l’Assoluto che esso è essenzialmente risultato, cheesso soltanto alla fine è ciò che è in verità; e proprio in questo consiste la suanatura, che è di essere realmente effettivo, soggetto o divenir-se-stesso.Hegel, Fenomenologia <strong>del</strong>lo Spirito, PrefazioneSulla base <strong>del</strong>la concretezza <strong>del</strong> suo contenuto, la certezza sensibile appareimmediatamente come la conoscenza più ricca (...). Inoltre, essa appare comela conoscenza più vera, in quanto non ha ancora trascurato nulla <strong>del</strong>l’oggetto,ma lo ha piuttosto davanti a sé in tutta la sua integrità e completezza.Di fatto, però, tale certezza si rivela proprio come la verità più astratta e piùpovera. Il suo sapere si riduce soltanto all’enunciazione: “esso è”, e la suaverità contiene unicamente l’essere <strong>del</strong>la Cosa.Hegel, Fenomenologia <strong>del</strong>lo Spirito, ISecondo Hegel, l’Idea, dopo essersi negata e resa altra da sé nella natura, torna a se stessa.Questo ritorno alla sua identità originaria non è una mera restaurazione <strong>del</strong>la suacondizione precedente, bensì è la sua rinascita in una forma superiore, in quanto l’Idea,affrontando e vincendo la sfida <strong>del</strong>la materia, si è arricchita e potenziata. In questo senso,essa ora rinasce come Spirito, sintesi di razionalità e fisicità, ovvero fisicità permeata dirazionalità e quindi compiutamente ordinata. Ma in cosa consiste lo Spirito,concretamente? La risposta di Hegel è semplice e chiara: nella specie umana, nell’uomo inquanto animale razionale, cioè in quanto essere fisico che può però controllare e guidare ilsuo corpo con la sua ragione.Ma lo Spirito non è già bell’e fatto; come e ancor più <strong>del</strong>l’Idea e <strong>del</strong>la Natura, lo Spirito,cioè l’umanità, è un farsi, ovvero un processo dialettico di autocostruzione, di sviluppo eperfezionamento. E naturalmente anche la dialettica <strong>del</strong>lo Spirito si snoda intorno a unatriade fondamentale:1. Spirito soggettivo: è lo sviluppo <strong>del</strong>la dimensione individuale <strong>del</strong>lo Spirito;2. Spirito oggettivo: è lo sviluppo <strong>del</strong>la dimensione sociale, istituzionale, e quindistorica, <strong>del</strong>lo Spirito;3. Spirito assoluto: è lo sviluppo <strong>del</strong>la totalità <strong>del</strong>lo Spirito, ovvero la fusione <strong>del</strong>la suadimensione individuale e <strong>del</strong>la sua dimensione collettiva, che si realizza nell’interaconoscenza umana.Il primo livello <strong>del</strong>lo Spirito è dunque lo Spirito soggettivo. Esso si svolge dialetticamentein base alla seguente triade:1. Antropologia: è la costituzione naturale specifica <strong>del</strong>l’uomo, ovvero la peculiareanimalità <strong>del</strong>l’essere umano, il suo lato oggettivo-materiale, che però, in quantocorrelato al lato soggettivo-razionale, assume una fisionomia diversa da quella deglialtri animali. Questa costituzione fisiologica <strong>del</strong>l’uomo è legata alle tre fasifondamentali <strong>del</strong>la crescita naturale degli esseri umani: infanzia, giovinezza ematurità (Tappa 1).2. Fenomenologia: è lo sviluppo dialettico <strong>del</strong> lato soggettivo-razionale <strong>del</strong>l’individuoumano, quello che ne costituisce la differenza e la superiorità rispetto agli animali.118


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORE3. Psicologia: è la sintesi dei due lati precedenti, basata sulla correlazione tra teoria eprassi, cioè conoscenza e azione, che genera compiutamente l’individuo umano inquanto essere libero, cioè capace di autodeterminarsi razionalmente.La fenomenologia è la parte più significativa <strong>del</strong>lo sviluppo <strong>del</strong>lo Spirito soggettivo, forseaddirittura quella di maggior pregio <strong>del</strong>l’intera <strong>filoso</strong>fia di Hegel. Essa è incardinata sullaseguente triade dialettica:1. coscienza: è il primo livello <strong>del</strong>la razionalità umana, in quanto essere uomo significainnanzitutto, e come requisito minimo, essere cosciente;2. autocoscienza: è la consapevolezza <strong>del</strong>le capacità conoscitive <strong>del</strong>la coscienza che sisviluppa nel dominio pratico <strong>del</strong>la natura;3. ragione: è la consapevolezza <strong>del</strong>la coscienza di essere il fondamento <strong>del</strong>la realtàumana e <strong>del</strong>la realtà naturale.La prima e più immediata manifestazione <strong>del</strong>la coscienza è chiamata da Hegel “certezzasensibile”. Con questa espressione Hegel vuole indicare la convinzione <strong>del</strong>la coscienza diconoscere completamente gli oggetti grazie all’esperienza sensibile, cioè grazie alla capacitàdi riprodurre dentro di sé gli oggetti esterni così come sono. Apparentemente, la “certezzasensibile” è il massimo grado di conoscenza e pertanto la coscienza crede di valere molto.Ma in questo modo, afferma Hegel, la coscienza implicitamente si riduce a un semplicespecchio passivo <strong>del</strong>la realtà empirica, ovvero a un vuoto che, proprio in quanto tale, vieneriempito dagli oggetti esterni. Dunque, in realtà, in questa fase per così dire neonatale, lacoscienza possiede un basso grado di consapevolezza di sé e di autostima.La coscienza, però, secondo Hegel, a mano a mano che fa esperienza <strong>del</strong>la realtà si rendegradualmente conto che è impossibile conoscere un oggetto meramente sensibile. P.e., èimpossibile conoscere, e quindi non solo dire ma perfino pensare, una sensazione di“liscio” piuttosto che di “ruvido”. Infatti, una sensazione è qualcosa di assolutamenteindividuale, diversa da ogni altra, mentre, quando penso o dico “liscio” oppure “ruvido”, iopenso e dico un concetto, cioè una rappresentazione mentale universale. Nel tentativo dievitare l’uso di un concetto, continua Hegel, potrei pensare e dire “questo qui ed ora”,riferendomi a una sensazione avuta in un certo luogo in un dato istante. Ma anche in talcaso, in realtà, non si pensa e non si dice qualcosa di individuale ma pur sempre deiconcetti universali, anzi ancora più universali di “liscio” o “ruvido”, perché più generali.Infatti, “questo” sta per qualsiasi oggetto di una sensazione, “qui” può essere usato perindicare qualsiasi luogo, “ora” per riferirsi a qualsiasi istante.In base a questa autoriflessione, la coscienza comprende che gli oggetti <strong>del</strong>la “certezzasensibile” sono sempre dei concetti, cioè sue rappresentazioni, ovvero scopre di dare uncontributo fondamentale alla costituzione, per così dire al disegno, <strong>del</strong>l’oggetto sensibile.In tal modo la coscienza giunge alla consapevolezza di essere molto di più di uno specchio,ossia di un vuoto, incrementando il proprio grado di autostima.Hegel suggella la sua dialettica <strong>del</strong>la “certezza sensibile” con un’esplicita confutazione<strong>del</strong>l’empirismo. Secondo Hegel, gli empiristi affermano, attraverso il linguaggio scritto oparlato, che noi facciamo esperienza diretta di oggetti sensibili esterni e indipendenti dallanostra coscienza. Ma proprio nel momento in cui scrivono o dicono questa loro tesi, el’argomentano, facendo uso <strong>del</strong> linguaggio, negano ciò che credono di affermare. Infattitutti i termini che usano sono degli universali. Quando dicono “una cosa singolare” o“questa cosa” gli empiristi in realtà pronunciano sempre un universale, in quanto ogni cosaè “una cosa singolare”, e “questa cosa” può essere qualunque cosa. Se poi gli empiristi, persfuggire a questa generalizzazione, ricorrono a termini più specifici come “questo pezzo dicarta”, “questa penna”, in realtà non fanno che evidenziare ulteriormente che parlano solo119


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREe sempre di universali. Insomma, conclude Hegel, la posizione degli empiristi è indicibile,inesprimibile: è il linguaggio stesso che ne attesta l’infondatezza in modo immediato eincontrovertibile. Infatti, il linguaggio è composto di universali e noi non possiamo dire néscrivere, ma nemmeno pensare, al di fuori <strong>del</strong> linguaggio.Nel momento in cui la coscienza comprende i limiti <strong>del</strong>la “certezza sensibile”, essa trapassadialetticamente nella “percezione”. Per “percezione” Hegel intende l’attività <strong>del</strong>lacoscienza in base alla quale essa conosce non solo oggetti-proprietà (“liscio”, “verde”,“alto”, “quadrupede”), ma anche oggetti-cose (un tavolo, una gatto, una mela). Tale attività“percettiva” consiste nell’assemblare alcune sensazioni (per esempio, “tondo”, “rosso”,“liscio” nel caso di una mela) scartandone altre, che vengono invece agglomerate in altrioggetti-cose. Per fare ciò, la percezione si basa su mo<strong>del</strong>li universali degli oggetti-cose -cioè p.e. i concetti di sostanze, come “tavolo”, “gatto”, “mela” - cioè su costruzioni <strong>del</strong>lacoscienza. Dunque, mentre inizialmente, come “certezza sensibile”, la coscienza si credevafondata sull’oggetto, ora, come “percezione”, crede di fondarsi unicamente su se stessa,cioè sul soggetto.L’unilateralità oggettiva <strong>del</strong>la “certezza sensibile” e l’unilateralità soggettiva <strong>del</strong>la“percezione” sono superate nell’ “intelletto”, che, mediandole e unificandole, rappresentaun nuovo, superiore livello di consapevolezza e autostima <strong>del</strong>la coscienza. Per “intelletto”Hegel intende la facoltà che spiega gli oggetti-cose e le loro proprietà in base a forzenaturali, ovvero li unifica riconducendoli a leggi causali universali <strong>del</strong>la natura. In questomodo la coscienza, da un lato, riconosce l’alterità oggettiva <strong>del</strong>la natura in sé, dall’altrocomprende che la conoscenza <strong>del</strong>la natura, cioè la scienza, è una propria autonomacostruzione e che le leggi <strong>del</strong>la natura, in quanto leggi <strong>scienti</strong>fiche, sono le sue leggi.120


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 5HEGEL: LA DIALETTICA DELL’AUTOCOSCIENZAL’autocoscienza ottiene il proprio appagamento solo in un’altraautocoscienza. [....]Adesso si tratta di un’autocoscienza per un’autocoscienza. Solo cosìl’autocoscienza è tale effettivamente; solo così, infatti, per l’autocoscienzadiviene l’unità di se stessa nel suo essere-altro. Io, che è l’oggetto <strong>del</strong> concetto<strong>del</strong>l’autocoscienza, non è di fatto un oggetto. L’oggetto <strong>del</strong> desiderio, alcontrario, è soltanto autonomo: esso è infatti l’indistruttibile sostanzauniversale, la fluida essenza uguale a se stessa. Quando invece l’oggetto ècostituito da un’autocoscienza, esso allora è tanto Io quanto oggetto.Hegel, Fenomenologia <strong>del</strong>lo Spirito, IV, 3L’autocoscienza è per Hegel la coscienza di che cos’è la coscienza, cioè la coscienza che haacquisito la consapevolezza di non essere un vuoto specchio <strong>del</strong>le cose naturali, bensìl’attività costitutiva <strong>del</strong>la conoscenza <strong>del</strong>la natura, ovvero un essere autonomo e di ordinesuperiore. Questa consapevolezza di superiorità si manifesta, a livello immediato, neldesiderio di vincere l’opposizione <strong>del</strong>la natura, cioè di impadronirsi e servirsi degli oggettinaturali. Più precisamente, la coscienza cerca di affermare la propria superioritàsull’oggettività naturale consumando, cioè annientando, le cose naturali per soddisfare, equindi annullare, i propri bisogni fisiologici, cioè pur sempre impulsi naturali,determinazioni imposte all’uomo dalle leggi <strong>del</strong>la natura. P.e., l’uomo desidera una mela, lastrappa dall’albero, la mangia, placando la propria fame.Ma in questo rapporto negativo con l’oggettività naturale l’autocoscienza desiderante nonpuò trovare una soddisfazione definitiva in quanto:• da un lato gli oggetti naturali oppongono una resistenza mai <strong>del</strong> tutto eliminabile al lorouso e consumo;• dall’altro lato, il desiderio, dopo essere stato appagato, risorge sempre.A causa <strong>del</strong>l’alterità insopprimibile degli oggetti naturali, l’autocoscienza non puòappropriarseli completamente e quindi non può oggettivarsi in essi. Per questo non puòacquisire una sicurezza piena e salda in se stessa. Ma in tal modo l’autocoscienza non puòessere veramente tale. In parole più semplici, il senso di superiorità <strong>del</strong>l’uomo sulla natura,derivato dalle sue capacità razionali, viene meno nel momento in cui l’uomo non risce atradurre in pratica la sua superiorità conoscitiva.Com’è allora possibile l’autocoscienza? Ovvero, in che altro modo l’autocoscienza puòsoddisfare il suo desiderio fondamentale di oggettivazione? Hegel risponde che, in questafase <strong>del</strong> suo sviluppo dialettico, l’unico altro ente in cui l’autocoscienza può oggettivizzarsi,e dunque confermare la sua superiorità, è un’altra autocoscienza individuale. Infatti, unaseconda autocoscienza, ovvero un altro uomo, da un lato è un oggetto per la primaautocoscienza - in quanto è esterna e indipendente da essa - ma dall’altro - a differenza<strong>del</strong>l’oggetto naturale -, è anche un soggetto razionale come lei e come tale puòrispecchiarla in se stessa, cioè può mentalmente riconoscerla come autocoscienza. Dunquel’autocoscienza individuale, per Hegel, implica necessariamente l’esistenza di unamolteplicità di autocoscienze. E in questo senso il desiderio di ogni autocoscienza puòtrovare vero e completo appagamento solo nell’ottenere che la propria superiorità siarispecchiata e riconosciuta da parte di un’altra autocoscienza.121


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREL’autocoscienza può conseguire questo obiettivo solo attraverso l’agire. In altre parole, ilriconoscimento di un’autocoscienza da parte di un’altra non è un fatto contemplativo mapratico. Ma qual è l’azione con la quale un’autocoscienza può dimostrare all’altra di“essere-per-sé”, cioè di costituire una soggettività indipendente e quindi libera? Dovràtrattarsi di un’azione che renda evidente al massimo grado la differenza e l’indipendenza<strong>del</strong>l’autocoscienza dal suo opposto, cioè dall’oggettività naturale.Tale azione non può essere che la negazione assoluta <strong>del</strong>la dimensione naturale, cioè ilmorire. Dunque un’autocoscienza deve dimostrare all’altra di essere disposta a morire. Ciòavviene perché ogni autocoscienza, spinta dal desiderio <strong>del</strong> riconoscimento, cerca dicostringere un’altra a riconoscerla come tale. Ne consegue una lotta per il riconoscimentounilaterale di ognuna da parte di un’altra in cui entrambe cercano di uccidere l’altra edentrambe perciò devono affrontare il rischio di essere uccise dall’altra, cioè di morire.Nella lotta per la vita e per la morte che si ingaggia così tra le autocoscienze:• alcune autocoscienze si arrendono per evitare di morire e sono sconfitte, non riuscendoperciò a farsi riconoscere e quindi a oggettivarsi;• altre invece accettano fino in fondo il rischio <strong>del</strong>la morte e vincono, riuscendo così aottenere il riconoscimento e a oggettivarsi.Di conseguenza la coscienza si scinde in due:• una coscienza indipendente e superiore, in quanto ha dimostrato di non essere legataall’oggettività fisica e ha raggiunto così la piena consapevolezza <strong>del</strong> suo essere per sé,cioè di essere un soggetto razionale;• una coscienza dipendente e inferiore, in quanto ha dimostrato di essere legataall’oggettività fisica e pertanto non ha acquisito la consapevolezza di essere per sé.A questa scissione <strong>del</strong>la coscienza corrisponde la divisione nelle due classi dei signori e deiservi. Hegel allude alla situazione storico-sociale tipica <strong>del</strong>le civiltà antiche e medievali,basate sulla polarizzazione sociale in aristocrazia fondiaria e contadini servi.Il rapporto <strong>del</strong> signore con l’oggettività naturale è mediato dal servo: questo, infatti,avendo rinunciato alla sua autonomia dall’ente naturale, non può più consumarlo ma puòsolo trasformarlo attraverso il lavoro per renderlo disponibile al consumo <strong>del</strong> signore.L’autocoscienza signorile così supera il limite opposto dalla natura al desiderio<strong>del</strong>l’autocoscienza semplice, non ancora oggettivata e piena, e riesce a soddisfarecompletamente i suoi bisogni fisici, a liberarsi dal condizionamento <strong>del</strong>l’oggettivitànaturale e a vivere nel pieno godimento.Ma, a sua volta, il servo trova proprio nel lavoro lo strumento per raggiungere ilriconoscimento <strong>del</strong>la propria autocoscienza. Il lavoro infatti:• implica la rinuncia al consumo immediato <strong>del</strong>l’oggetto naturale, cioè la capacità dicontrollare i desideri e di rimandarne il soddisfacimento, pertanto costituisceun’esperienza formativa di autonomia dall’oggettività naturale;• consiste nel trasformare l’oggetto naturale, cioè nell’imprimergli la forma soggettiva<strong>del</strong>la propria autocoscienza: in questo modo l’oggettività naturale perde la sua alteritànegativa e diventa uno specchio oggettivo <strong>del</strong>l’autocoscienza servile.In altri termini, il servo si libera progressivamente dal condizionamento <strong>del</strong>la materialitànaturale e insieme si riconosce e si oggettiva nel prodotto <strong>del</strong> proprio lavoro, raggiungendol’autonomia <strong>del</strong> suo pieno essere per sé e rovesciando il suo rapporto di sudditanza neiconfronti <strong>del</strong> signore. La liberazione <strong>del</strong> servo rinvia al processo storico di formazione esviluppo <strong>del</strong>la borghesia fino alla conquista <strong>del</strong> primato economico-sociale e <strong>del</strong> poterepolitico.122


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 6HEGEL 4: LA COSCIENZA INFELICELa coscienza infelice (...) è duplicata perché in sé è già coscienza unica eindivisa. Essa è l’atto di un’autocoscienza che guarda dentro un’altra, ed èessa stessa, in sé, l’una e l’altra autocoscienza: l’essenza è, ai suoi occhi,l’unità di entrambe; solo che, per sé, la coscienza infelice non si coglie ancoracome questa essenza stessa, non è ancora l’unità <strong>del</strong>le due autocoscienze (...)ma le vede piuttosto come opposte, e precisamente le vede: una, quellasemplice e immutabile, come l’essenza, mentre l’altra, molteplice e mutevole,come l’inessenziale.Hegel, Fenomenologia <strong>del</strong>lo Spirito, ISecondo Hegel, la “coscienza infelice” è la rappresentazione interiore <strong>del</strong>la scissioneesteriore in signori e servi da parte di ogni autocoscienza, ovvero il modo in cui la divisioneoggettiva, storico-sociale, <strong>del</strong>le autocoscienze si riflette nel loro <strong>pensiero</strong> ed è concepitasoggettivamente. In questo senso, la coscienza infelice è caratterizzata da una sorta didoppia personalità, ovvero dalla scissione ideale <strong>del</strong>la coscienza in due parte separate eopposte, che tuttavia convivono in essa:a) una coscienza infinita pienamente unitaria e quindi stabile, concepita come essenziale esuperiore, che rimanda al Dio <strong>del</strong>la tradizione teologica monoteistica;b) una coscienza finita, differenziata in singole personalità mutevoli e temporanee,considerata inessenziale e perciò inferiore, che corrisponde agli uomini in quantocreature di Dio.In questo sdoppiamento interno, la coscienza assume il punto di vista <strong>del</strong>la coscienzafinita, ovvero si identifica con quest’ultima. La coscienza, in tal modo, si relazione alla suaparte infinita come a un’Alterità in confronto alla perfezione e potenza illimitate <strong>del</strong>laquale essa non può che sentirsi qualcosa di misero e insignificante. Ciò spiega la sua“infelicità”. Tuttavia, secondo Hegel, nonostante la sua sofferenza, anzi propria grazie adessa, l’autocoscienza comincia ad assumere la consapevolezza <strong>del</strong>la propria essenzainfinita, ovvero a conquistarla. In tal senso, la coscienza infelice è anche, fin dal suosorgere, il processo dialettico di superamento <strong>del</strong>la sua autoscissione e di raggiungimento<strong>del</strong>l’unificazione tra coscienza infinita e coscienza finita.La prima esperienza che la coscienza infelice compie nel suo cammino verso lariunificazione è quella <strong>del</strong>la singolarità, ovvero <strong>del</strong>la personalità unica e irripetibile.L’emergere <strong>del</strong>la singolarità avviene in modo specularmente dialettico sia nella coscienzainfinita sia in quella finita sulla base di 3 momenti:1. la coscienza mutevole e finita concepisce la propria singolarità in contrapposizione allacoscienza immutabile e infinita, che le appare come un’essenza universale estranea,lontana, trascendente, che si rapporta a lei solo in quanto negazione <strong>del</strong>la sua esistenzaindividuale;2. la coscienza infinita si manifesta essa stessa come singolarità facendo così assurgere lasingolarità a modalità universale e privilegiata <strong>del</strong>l’esistenza;3. la coscienza finita si riconcilia con quella infinita riconoscendosi come singolarità che èparte integrante <strong>del</strong>l’universalità.Il primo momento di questo movimento dialettico rimanda alla concezione teologica <strong>del</strong>monoteismo ebraico, il secondo al cristianesimo medievale, il terzo al cristianesimomoderno. In particolare la manifestazione singolare <strong>del</strong>la coscienza infinita rinvia123


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREchiaramente alla figura di Cristo, in quanto figlio di Dio. In questo senso Cristo - cioè Dioincarnato in un singolo uomo - rappresenta per Hegel un avvicinamento tra la coscienzainfinita e la coscienza finita. D’altra parte, però, proprio in quanto individualità corporea,Cristo rappresenta la conferma e il consolidamento <strong>del</strong>la separazione tra Dio e l’uomo. Egliinoltre, appartenendo a un’epoca e a un luogo unici e irripetibili, ha fin da subitoriproposto la lontananza tra Dio e l’umanità.Ma proprio grazie a questa lontananza, secondo Hegel, la coscienza finita può considerarela singolarità concreta di Cristo-Dio come l’obiettivo cui tendere per avviare e sviluppare ilsuo processo di riunificazione con la coscienza infinita. Questo processo si svolge a livellosoggettivo/ideale attraverso la devozione religiosa basata sull’imitazione di Cristo e alivello oggettivo/materiale attraverso il lavoro consacrato, cioè concepito e attuato comecompito assegnato all’uomo da Dio. In base a questa autoformazione ideale e materiale, lacoscienza perviene alla sua completa autocomprensione. Essa infatti si nega comecoscienza singolare per identificarsi con la coscienza universale. Inizialmente questaidentificazione avviene in modo meramente oggettivo, cioè come annullamento <strong>del</strong>lasingolarità a favore <strong>del</strong>l’universalità, rappresentata dalla chiesa come istituzione, cheallude alla chiesa cattolica. In un secondo momento però essa si attua anchesoggettivamente, cioè come riconoscimento consapevole da parte <strong>del</strong>la coscienza singolafinita <strong>del</strong>la sua identità con la coscienza universale infinita, rappresentata dalla chiesacome assemblea dei credenti, che allude alla chiesa riformata. In questo modo la coscienzainfelice supera la sua scissione e consegue la certezza di poter essere, in quanto singolarità,la totalità <strong>del</strong>la realtà. In altre parole, la coscienza giunge alla consapevolezza che sia ilmondo fisico che l’umanità sono il prodotto di una coscienza universale e infinita di cuiogni coscienza singola e finita è parte integrante e a cui ogni coscienza individuale puòestendersi fino a coincidere con essa.124


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 7HEGEL: LA RAGIONE ATTIVAInizialmente, questa ragione attiva è consapevole di se stessa soltanto come diun individuo, e in quanto individuo deve esigere e produrre la propria realtànell’altro. In un secondo tempo, però, elevando la propria coscienza auniversalità, questo individuo diviene ragione universale (...). Ora, la meta diquesto processo è il concetto che è già sorto dinanzi a noi, è cioèl’autocoscienza riconosciuta, la quale ha la certezza di se stessa nell’altraautocoscienza libera e vi trova quindi la propria verità.Hegel, Fenomenologia <strong>del</strong>lo Spirito, V.BAl culmine <strong>del</strong> movimento <strong>del</strong>la Coscienza infelice, la coscienza ha raggiunto, secondoHegel, la consapevolezza di essere, in quanto singolarità, tutta la realtà. In questo modoessa diventa Ragione, la quale è appunto per Hegel consapevolezza <strong>del</strong>l’unità di <strong>pensiero</strong>ed essere, soggetto e oggetto, mente e mondo fisico.La dialettica <strong>del</strong>la Ragione è la concreta attuazione di questa unificazione come sviluppocompleto di ciò che costituisce a un tempo il suo motore fondamentale e il suo limite: ladimensione individuale. Il suo primo momento è la Ragione osservativa, ossia la Ragioneche si attua sul piano conoscitivo nell’indagine <strong>scienti</strong>fica <strong>del</strong>la natura. Nel corso di questaindagine, la Ragione si accerta di essere tutta la realtà in quanto scopre le leggi razionaliche governano i fenomeni naturali. In questo modo la coscienza acquisisce la certezza chela natura non è un’oggettività estranea ma è un’autocoscienza autonoma che si realizzanella forma <strong>del</strong>la cosalità. Tale certezza però deve trasformarsi in verità. In altre parolel’unificazione tra autocoscienza e natura deve approfondirsi ulteriormente superandoanche la differenza <strong>del</strong>la cosalità. Ma perché ciò sia possibile è necessario che la Ragione sisviluppi anche sul piano pratico, cioè come Ragione attiva, costruendo la sua dimensionesociale, collettiva.La prima tappa <strong>del</strong> cammino <strong>del</strong>la Ragione attiva verso l’universalità collettiva èrappresentata dal piacere. L’individuo, infatti, secondo Hegel, agisce e si rapporta agli altriinnanzitutto seguendo la legge <strong>del</strong> desiderio. Richiamandosi esplicitamente al Faust diGoethe, Hegel sostiene che l’autocoscienza rinuncia all’intelletto e alla scienza per offrirsi aSatana, cioè per godere immediatamente <strong>del</strong>la vita così come essa spontaneamente si offre.In questa prospettiva le altre autocoscienze diventano strumenti per il soddisfacimento deipropri desideri. L’individuo non vuole sopprimere l’altro, ma vuole sopprimernel’autonomia, in quanto lo considera, per così dire, una proiezione di se stesso. In questomodo, però, nel godimento <strong>del</strong>l’altro l’autocoscienza perviene a una parziale coscienza<strong>del</strong>la sua unità con lui conferendo così un primo livello di oggettivazione alla propriasingolarità.Eppure, proprio nel momento <strong>del</strong> godimento, l’autocoscienza fa esperienza <strong>del</strong> carattereeffimero <strong>del</strong> piacere attraverso cui si manifesta tutta l’astrattezza e la povertà<strong>del</strong>l’individualità, la sua finitezza e la sua precarietà costitutive. In questo modo il piaceresi tramuta nella coscienza dei limiti necessari e insuperabili <strong>del</strong> mero essere individuale el’individualità si frantuma scontrandosi con la dura necessità <strong>del</strong>la realtà: l’individuo hacreduto di prendersi la vita ma alla fine si ritrova fra le mani la morte.Tuttavia la necessità sgretola l’individualità in tanto in quanto è in realtà unamanifestazione <strong>del</strong>l’universalità, cioè <strong>del</strong>l’unità di tutti gli individui. Di conseguenzal’autocoscienza individuale, dopo essersi sentita perduta nella necessità, credendola125


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREerroneamente un’essenza estranea, giunge a comprendere che questa necessità, in quantouniversalità, è la sua propria essenza.La necessità universale introiettata dall’autocoscienza, secondo Hegel, le si presentainnanzitutto nella forma <strong>del</strong>la legge interiore. In quanto espressione di un’universalitàimmediata, la legge interiore assume la determinazione <strong>del</strong>la “legge <strong>del</strong> cuore”, cioè di unalegge dettata dal sentimento individuale. La legge <strong>del</strong> cuore, in quanto aspirazione darealizzare, si pone come alternativa all’ordine <strong>del</strong> mondo violento e tirannico, che reprimel’individualità, e all’umanità sofferente che subisce passivamente la sua oppressione.L’individuo, pertanto, impegnandosi ad abbattere quest’ordine e a eliminare questasofferenza, acquisisce la serietà di chi agisce per il bene <strong>del</strong>l’umanità.Ma proprio nel momento in cui la legge <strong>del</strong> cuore si realizza, rovesciando l’ordinamentotirannico, cessa, secondo Hegel, di essere legge <strong>del</strong> cuore in quanto assume la forma<strong>del</strong>l’essere reale e si costituisce a sua volta come ordine universale indifferente alsentimento individuale. L’individuo avverte così come estranea e avversa la sua stessaopera. Questa situazione paradossale porta alla luce, per Hegel, la contraddizione insitanella legge <strong>del</strong> cuore: in essa infatti l’individuo vuole come universale qualcosa che è peressenza particolare. Infatti, la legge di un cuore, nascendo dal sentimento individuale, nonpuò coincidere con quella di un altro cuore e pertanto mentre prima l’individuo trovavaintollerabile l’ordine tirannico, ora trova contrari alle proprie nobili intenzioni le leggi <strong>del</strong>cuore degli altri uomini.In questo modo, l’autocoscienza da un lato riconosce la sua oggettivazione reale nel nuovoordine da lei stabilito, dall’altro avvertendolo come estraneo trae da esso la consapevolezza<strong>del</strong>la propria irrealtà. Questa contraddizione sconvolgente trasforma la preoccupazione peril benessere <strong>del</strong>l’umanità in “furore <strong>del</strong>la presunzione”, cioè in una furia distruttiva controla società. Essa nasce dalla falsa convinzione che la negatività <strong>del</strong>l’ordine sociale siaconseguenza semplicemente <strong>del</strong>l’inganno e <strong>del</strong>l’oppressione di preti fanatici e di despoticorrotti. L’autocoscienza, così, si nasconde che in realtà la vera causa <strong>del</strong>la negatività<strong>del</strong>l’ordine sociale è l’immediatezza <strong>del</strong>la legge <strong>del</strong> cuore. Questa infatti non può realizzarela sua universalità se non nella forma <strong>del</strong>la resistenza che tutti gli altri individuioppongono alla legge <strong>del</strong> cuore che ogni individuo tenta di imporre. In altri termini, alivello <strong>del</strong>la legge <strong>del</strong> cuore, l’universale si dà solo come conflitto generalizzato tra gliindividui in cui ognuno vuol far valere la propria singolarità ma al contempo deve subire lasingolarità degli altri.La legge <strong>del</strong> cuore, secondo Hegel, si sviluppa, oltrepassandosi, nella “virtù”, la qualeconsiste nell’affermazione <strong>del</strong>la totale superiorità <strong>del</strong>la legge universale sull’individuo. Talesuperiorità si attua contemporaneamente su due piani:a) all’interno <strong>del</strong>la coscienza virtuosa, nella forma <strong>del</strong> sacrificio <strong>del</strong>l’intera personalitàattraverso la sua completa sottomissione al vero e al bene in sé;b) all’interno <strong>del</strong> “corso <strong>del</strong> mondo” - cioè <strong>del</strong>la realtà storica così come concretamente siconfigura - nella fede e nella testimonianza che esso contenga un ordine universaleideale come essenza interna e come fine ultimo destinato a realizzarsi nel tempo.Di conseguenza il “cavaliere <strong>del</strong>la virtù” ingaggia una lotta contro il corso <strong>del</strong> mondo realein nome <strong>del</strong> suo corso <strong>del</strong> mondo ideale. Egli però si ritrova impotente e incapace dicombattere perché il corso <strong>del</strong> mondo reale, per Hegel, è il bene reale, è l’universaleconcreto. Proprio in quanto virtuoso, cioè dedito alla causa <strong>del</strong> bene, il cavaliere <strong>del</strong>la virtùnon riesce dunque a colpire effettivamente con le sue armi il corso <strong>del</strong> mondo.La virtù viene così sconfitta dal corso <strong>del</strong> mondo perché il suo fine - l’universalità assolutanel sacrificio totale <strong>del</strong>l’individualità - è astratto, mentre il corso <strong>del</strong> mondo rappresental’universale reale, quello basato sul diritto alla felicità <strong>del</strong>l’individualità. Di fatto, afferma126


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREHegel, il corso <strong>del</strong> mondo trionfa su discorsi pomposi e vacui, su un ideale astratto cheedifica senza costruire, su nobili fini che in realtà esprimono solo la volontà di sentirsi e diessere considerati eccellenti.Il fallimento <strong>del</strong>la virtù porta la coscienza a comprendere la positività universale <strong>del</strong> corso<strong>del</strong> mondo, a rinunciare al sacrificio <strong>del</strong>l’individualità e a considerarla momentoindispensabile <strong>del</strong>la realizzazione <strong>del</strong>l’universalità. L’individualità che agisceegoisticamente nel corso <strong>del</strong> mondo, infatti, è migliore per Hegel di quanto la coscienzavirtuosa creda perché in realtà essa realizza comunque l’universale. In questo senso, laconvinzione individuale di agire sulla base <strong>del</strong>l’egoismo e di pensare che tutti gli uominiagiscono per egoismo non è altro che mancanza di consapevolezza <strong>del</strong>le proprie azioni. Laconclusione cui Hegel giunge è dunque che l’universalità non può costruirsisull’annullamento <strong>del</strong>l’individualità perché altrimenti sarebbe un universale astratto, privodi esistenza, morto, in quanto è proprio il conflitto tra gli individui egoisti che infonde vitae realtà all’universale.In questo modo la dialettica <strong>del</strong>la Ragione pratica raggiunge il suo punto di arrivo: il“regno <strong>del</strong>l’eticità”, inteso come assoluta unità spirituale di tutti gli individui nella pienavalorizzazione <strong>del</strong>la loro autonomia. Nell’eticità, cioè, ogni autocoscienza è autonoma maproprio nella sua autonomia è consapevole <strong>del</strong>la sua unità con le altre autocoscienze. Hegelchiama questa unità “sostanza reale” e afferma che essa si realizza compiutamente nellavita di un popolo libero. Ciò risulta evidente sotto due aspetti:• quello ordinario <strong>del</strong>la divisione <strong>del</strong> lavoro grazie alla quale il singolo soddisfacendo ipropri bisogni soddisfa simultaneamente quelli <strong>del</strong>l’intera collettività;• quello straordinario <strong>del</strong> sacrificio individuale, in cui un singolo è disposto a morire per ilbene <strong>del</strong>la collettività.L’eticità dunque si realizza compiutamente in quella “lingua universale” che sono i costumie le leggi di un popolo. In essi infatti ogni individuo, secondo Hegel, intuisce sé come l’altroe l’altro come sé. Per questo, conclude Hegel, i grandi saggi <strong>del</strong>l’antichità hanno sostenutoche l’autentica virtù consiste nel vivere in conformità ai costumi <strong>del</strong> proprio popolo.127


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 8HEGEL: LO SPIRITO OGGETTIVOIl diritto degli individui per la loro determinazione soggettiva alla libertà hail suo compimento nel fatto che essi appartengono alla realtà etica, poiché lacertezza <strong>del</strong>la loro libertà ha la sua verità in tale oggettività, ed essi nel campoetico posseggono realmente la loro propria essenza, la loro internauniversalità.Hegel, Lineamenti di <strong>filoso</strong>fia <strong>del</strong> diritto, § 153Nel momento in cui lo spirito soggettivo, cioè individuale, nel suo movimento diapprofondimento, cioè di unificazione degli individui, arriva a comprendere che la propriaessenza è collettiva, ovvero è la cooperazione tra gli individui, trapassa in spirito oggettivo.Lo Spirito oggettivo è per Hegel il processo dialettico di sviluppo <strong>del</strong>l’unione collettiva fragli uomini. In altre parole, così come cresce e si perfeziona l’individualità umana cresce e siperfeziona anche la anche socialità umana, cioè la capacità degli uomini di integrarsi ecooperare, di “fare squadra”. Lo sviluppo <strong>del</strong>lo spirito oggettivo, infatti, consistenell’emergere di sempre più efficaci forme di aggregazione economico-sociali e diistituzioni giuridico-politiche, quelle che hanno fatto la storia <strong>del</strong>l’umanità. Esso è scanditoda un movimento dialettico imperniato su tre momenti:1. il diritto, che ne rappresenta la forma reale ma meramente esteriore, dunque la polaritàoggettiva;2. la moralità, che ne costituisce la dimensione interiore ma meramente intenzionale,dunque la polarità soggettiva;3. l’eticità, che è il compimento <strong>del</strong>lo spirito oggettivo in quanto unifica in sé le suedimensioni esteriore e interiore, reale e intenzionale, oggettiva e soggettiva.Lo spirito oggettivo, nella sua immediatezza, si realizza come singolo individuo chepersegue il soddisfacimento dei propri bisogni e desideri entrando in relazione con ilmondo naturale e con altri individui. In questo modo l’individuo costituisce la sfera <strong>del</strong>diritto in base alla quale egli riconosce e rispetta se stesso e gli altri individui in quanto“personalità”, cioè in quanto esseri spirituali infiniti, universali e liberi. Da questoreciproco riconoscimento formale deriva una regola sociale puramente negativa, cioèquella di non danneggiare l’altra “personalità”. Tale regola vale su tre piani fondamentali,che costituiscono altrettante condizioni e articolazioni <strong>del</strong>la personalità giuridica:a) il piano <strong>del</strong> possesso dei beni materiali che costituiscono il fondamento oggettivo <strong>del</strong>lapersonalità;b) il piano <strong>del</strong> contratto, come scambio consensuale e conveniente di beni materiali tradiverse personalità;c) il piano <strong>del</strong> <strong>del</strong>itto e <strong>del</strong>la pena, come trasgressione e ristabilimento <strong>del</strong>la regolagiuridica.L’individuo come persona, secondo Hegel, ha bisogno per realizzarsi di una dimensioneesteriore, concreta, materiale. Poiché gli enti naturali non hanno in sé alcuna coscienza ealcun fine razionale, la persona ha il diritto di imporre a ogni cosa il proprio fine razionale,appropriandosene e servendosene. In altre parole, l’uomo, in quanto persona, è titolare diun diritto assoluto di possesso e sfruttamento dei beni naturali. Ma proprio in quantofondato su un diritto, il semplice possesso di un bene diventa “proprietà”, cioè possessolegittimo e quindi giuridicamente riconosciuto e tutelato.Il riconoscimento e la tutela <strong>del</strong>la proprietà è la condizione <strong>del</strong>la possibilità di uno scambiodi beni materiali tra gli uomini. Tale scambio è a sua volta riconosciuto e tutelato128


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREgiuridicamente come “contratto”, cioè come atto consensuale basato sulla reciprocaconvenienza.Ma il diritto rimane sempre fondato sull’interesse particolare dei singoli individui e cometale esso è intrinsecamente parziale e quindi difettoso. I suoi limiti si manifestano nel<strong>del</strong>itto inteso come violazione <strong>del</strong> rispetto formale di una personalità, cioè comedanneggiamento di un altro individuo nel suo corpo o nei suoi beni. Tale violazione è peròsolo momentanea in quanto il diritto attraverso la punizione <strong>del</strong> criminale è in grado diristabilirsi a un livello più profondo e solido. La pena infatti non restaura solo il diritto dichi ha subito il danno ma anche quello <strong>del</strong> criminale, cioè ne ricostituisce la personalitàgiuridica emendando la sua volontà interiore dal <strong>del</strong>itto commesso.Nel momento in cui la pena riabilita la volontà stessa <strong>del</strong> criminale, lo spirito oggettivo siapre alla dimensione interiore, cioè si costituisce come moralità.Nella moralità infatti la volontà libera <strong>del</strong>l’individuo non si limita ad accettare una regolacollettiva esterna ma si impegna a realizzare una norma collettiva interiore, che scaturisce,cioè, dall’intimo <strong>del</strong>la sua soggettività. Tale norma è quella di agire per il Bene, inteso comevalore universale posto al di sopra <strong>del</strong>le singole felicità individuali.Ma nella moralità, secondo Hegel, la volontà individuale si relaziona con il Bene in quantosuo principio sostanziale, ma non riesce a unificarsi completamente con esso. In altreparole, sulla base <strong>del</strong>la sola moralità, Bene universale e felicità individuale restano divisi,non collimano. Infatti l’agire morale per il Bene, essendo meramente intenzionale, nonesige la sua realizzazione particolare ed effettiva. Pertanto l’agire per il Bene universale siconfigura come una legge puramente formale e astratta, cioè come un dover-essere, comeuna pura esigenza soggettiva senza garanzia di realizzazione oggettiva.Proprio la formalità e l’astrattezza <strong>del</strong> Bene costituiscono la condizione <strong>del</strong> male. Infatti,non essendoci un’integrazione tra Bene universale e felicità individuale, l’individuo puòdecidere di volere come universalità la propria felicità individuale, cioè appunto dicompiere il male in quanto negazione <strong>del</strong> Bene universale in nome <strong>del</strong> bene individuale.L’unilateralità oggettiva <strong>del</strong> diritto e l’unilateralità soggettiva <strong>del</strong>la moralità trovano la lorogiusta misura e il loro reciproco bilanciamento, ovvero la loro sintesi, nell’eticità. Infatti lalegge etica, afferma Hegel, è un’obbligazione sia interiore sia esteriore ed è insieme siaun’intenzione soggettiva sia una realtà oggettiva ed efficace. Essa infatti si realizza:• nei doveri sociali (p.e. studiare, lavorare, difendere la patria, salutare il vicino di casaecc.) che ogni individuo ha in quanto parte di una comunità;• nella virtù, intesa come completo e stabile adempimento dei propri doveri;• nei costumi (o usanze) e nelle associazioni <strong>del</strong> popolo cui si appartiene, checostituiscono modalità specifiche e concrete ma al tempo stesso universali, in quantocomuni e uniformi, di attuazione dei propri doveri.Per Hegel, nell’eticità la libertà individuale trova la sua piena realizzazione in quantol’essenza <strong>del</strong>l’uomo non è l’individualismo ma il collettivismo, cioè l’integrazione con glialtri. Di conseguenza i diritti individuali sono doveri e viceversa i doveri sono diritti. Inquesto senso doveri e costumi, pur avendo autorità assoluta, non costituiscono unalimitazione <strong>del</strong>l’individuo, ma la sua completa liberazione dai limiti degli impulsi naturali e<strong>del</strong> soggettivismo morale particolaristico e astratto. Nell’eticità, dunque, lo spiritooggettivo unifica universale e particolare, collettivo e individuale, costruendo una vera epropria “seconda natura” grazie alla quale l’individuo può attuare effettivamente edefficacemente la sua autentica libertà.129


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 9HEGEL: FAMIGLIA, SOCIETA’ CIVILE, STATOLo stato inteso come la realtà <strong>del</strong>la volontà sostanziale, realtà ch’esso hanell’autocoscienza particolare innalzata alla sua universalità, è il razionale in sé eper sé. Questa unità sostanziale è assoluto immobile fine in se stesso, nel quale lalibertà perviene al suo supremo diritto, così come questo fine ultimo ha ilsupremo diritto di fronte agli individui, il cui supremo dovere è d’esser membri<strong>del</strong>lo stato.Hegel, Lineamenti di <strong>filoso</strong>fia <strong>del</strong> diritto, § 258Per Hegel l’eticità è l’unità collettiva umana basata sulla piena valorizzazione <strong>del</strong>la dimensioneindividuale, il noi che è io e l’io che è noi. Essa si realizza e si sviluppa, quindi, in un movimentodialettico di sempre più profonda integrazione tra agire individuale e agire collettivo. Talemovimento dialettico si snoda in base a tre momenti fondamentali, che sono altrettanteistituzioni sociali:1) la famiglia, che è il polo oggettivo <strong>del</strong>l’eticità;2) la società civile, che è il polo soggettivo <strong>del</strong>l’eticità;3) lo Stato, che è la sintesi di oggettività e soggettività etica, ovvero la formacompiuta <strong>del</strong>l’unificazione etica di individuo e collettività.La famiglia è la forma immediata <strong>del</strong>l’eticità, poiché l’unità tra gli individui che in essa sirealizza è naturale in quanto legata alla funzione biologica <strong>del</strong>la riproduzione sessuale. Purrestando vincolata alla natura, la famiglia d’altra parte sviluppa l’istinto sessuale in un rapportospirituale attraverso lo svolgimento dei suoi momenti dialettici interni, costituiti dalmatrimonio, dal patrimonio e dall’educazione dei figli.Il matrimonio è l’origine <strong>del</strong>la famiglia e consiste, secondo Hegel, nella libera scelta che dueindividui fanno reciprocamente di se stessi come marito e moglie. Tale scelta però non implicanecessariamente per Hegel un preesistente amore soggettivo fra i coniugi. Infatti il consenso el’impegno all’unione coniugale sono condizioni sufficienti per generare l’amore coniugale.Il patrimonio, inteso come insieme dei beni materiali necessari alla vita dei membri <strong>del</strong>lafamiglia, e l’educazione dei figli sono, invece, le componenti oggettive <strong>del</strong> matrimonio. Entrambisi basano su un rapporto di fiducia: ogni membro <strong>del</strong>la famiglia ha fiducia nel fatto che ilpatrimonio venga utilizzato per il bene di tutti; ogni figlio ha fiducia che l’educazione che gliviene impartita vada a suo vantaggio. Grazie a questa fiducia reciproca, che ha le sue radici nellasuperiorità naturale <strong>del</strong> marito sulla moglie e dei genitori sui figli, la famiglia realizza per Hegeluna coesione totale e priva di conflitti interni.La compattezza immediata <strong>del</strong>l’eticità familiare trova il suo necessario contraltare dialetticonella società civile. Questa è per Hegel unità etica mediata, cioè basata sulla differenziazione,sull’autonomia e quindi sulla contrapposizione tra gli individui. In questo senso la società civileè l’autonegazione interna <strong>del</strong>l’eticità indispensabile alla piena conquista di se stessa.Hegel <strong>del</strong>inea la società civile come l’insieme <strong>del</strong>le relazioni che gli uomini in quanto “atomi”sociali, cioè sia come singole famiglie sia in quanto individui autonomi, stabiliscono liberamentetra loro per il perseguimento dei loro interessi particolari. In questo senso la società civile èinnanzitutto e fondamentalmente il “sistema dei bisogni”, cioè il sistema economico basato sullibero mercato. In tale sistema pur essendo divisi e in concorrenza tra loro, gli individuirealizzano spontaneamente livelli sempre maggiori di integrazione etica:130


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORE• nella divisione <strong>del</strong> lavoro che, nata dalla naturale tendenza alla specializzazione <strong>del</strong>laproduzione, crea una rete di interdipendenza tra i soggetti economici tale per cui l’insiemedegli interessi particolari realizza spontaneamente l’interesse collettivo;• nella formazione, indispensabile per svolgere con successo ogni attività economica, cioènell’educazione scolastica sia a livello di cultura generale sia a livello di cultura tecnico<strong>scienti</strong>ficae professionale, che getta le basi per la comunicazione sociale;• nei ceti sociali, prodotti dalla divisione <strong>del</strong> lavoro, in cui gli individui si aggregano a partire dauna condivisione di interessi e di formazione culturale;• nelle corporazioni, cioè nelle associazioni professionali e di mestiere, in cui all’aumentataintensità <strong>del</strong>la comunanza di interessi e formazione corrisponde un grado più alto di coesioneche segna il ritorno completo <strong>del</strong>l’eticità a se stessa introducendo alla dimensione <strong>del</strong>lo Stato.Lo Stato, per Hegel, è insieme la sintesi e il fondamento sostanziale <strong>del</strong>la famiglia e <strong>del</strong>la societàcivile. Esso, cioè, da un lato unifica in sé i valori opposti <strong>del</strong>l’una e <strong>del</strong>l’altra, eliminandone irispettivi eccessi unilaterali; dall’altro grazie a ciò costituisce per così dire la culla di entrambe,cioè è la condizione di possibilità <strong>del</strong>la loro esistenza autonoma. Ciò significa che, secondoHegel, le libertà individuali e familiari in tanto possono attuarsi in quanto c’è uno Stato che letutela e le garantisce e senza il quale esse non potrebbero esercitarsi concretamente.In questo senso Hegel rigetta la teoria contrattualistica che legittima lo Stato come il prodottoartificiale di un libero patto tra individui. Secondo lui, infatti, è impensabile l’esistenza di liberiindividui antecedentemente a quella <strong>del</strong>lo Stato. D’altra parte per Hegel se non può esisterelibertà senza Stato non può nemmeno esistere Stato senza libertà, anzi lo Stato deve essere larealizzazione massima <strong>del</strong>la libertà individuale.La coincidenza di libertà e statalità è teoreticamente fondata da Hegel sulla tesi <strong>del</strong>la volontàcollettiva insita, a suo parere, in ogni individuo umano. In tal senso la volontà individuale puòanche manifestarsi superficialmente in forme individualistiche, ma affonda le sue radici in unavolontà universale profonda che è la vera identità di ogni individuo. In modo più semplice,l’individualità umana è solo apparente; in realtà, ogni uomo è una parte di un unico grandeindividuo, l’umanità. Di conseguenza Hegel può sostenere che la libertà individuale non solonon è negata dallo Stato ma trova solo in esso la sua piena e compiuta realizzazione.In questa prospettiva, uno Stato è legittimo per Hegel quando le decisioni <strong>del</strong>le sue istituzionisono conformi alla libera volontà dei suoi cittadini. In base a questo criterio Hegel elabora il suomo<strong>del</strong>lo costituzionale di Stato basata sulla sua articolazione in 3 poteri fondamentali:1. il potere legislativo, che corrisponde al principio <strong>del</strong>l’universalità, esercitato da unparlamento diviso in una camera alta e in una camera bassa;2. il potere monarchico, che rappresenta il principio di individualità, esercitato da un re in cui siincarna l’unità soggettiva <strong>del</strong>lo Stato e che ha il compito di approvare e rendere effettive ledecisioni <strong>del</strong> governo.3. il potere esecutivo, che incarna il principio di particolarità, esercitato da un governo cheattraverso i funzionari statali ha il compito di adattare la volontà universale <strong>del</strong>le leggiparlamentari alle esigenze particolari <strong>del</strong>la popolazione.Insomma, Hegel propone come Stato ideale una monarchia costituzionale il cui baricentro siarappresentato dal governo e dall’apparato burocratico, in quanto organi collegiali dotati <strong>del</strong>lemaggiori competenze politiche.131


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 10HEGEL: LA FILOSOFIA DELLA STORIALa storia <strong>del</strong> mondo è il progresso nella coscienza <strong>del</strong>la libertà: un progressoche noi dobbiamo riconoscere nella sua necessaria natura. [...]La storia universale è la rappresentazione <strong>del</strong> processo divino e assoluto <strong>del</strong>lospirito nelle sue più alte forme, di questo corso graduale onde esso conseguela sua verità, l’autocoscienza di sé.Hegel, Lezioni sulla <strong>filoso</strong>fia <strong>del</strong>la storia, cap. II, §§ c), e)Secondo Hegel, gli Stati moderni - in quanto stati nazionali - costituiscono <strong>del</strong>leindividualità assolutamente autonome e sovrane. Di conseguenza un diritto internazionale- cioè un insieme di norme sovranazionali - non può avere alcuna esistenza reale. Esso peròcostituisce un dover-essere, cioè un’esigenza dei singoli Stati realizzabile nell’autonoma erevocabile adesione a trattati di volta in volta stipulati.E’ pertanto possibile che non si raggiunga, o che si rompa, un’intesa e in questo caso perHegel le controversie internazionali non possono che essere risolte attraverso la guerra.Tuttavia la guerra non elimina il reciproco riconoscimento degli Stati e quindi mantiene traessi alcuni vincoli che si configurano di fatto come norme non scritte di un dirittointernazionale di guerra. Tali vincoli sono:• la temporaneità <strong>del</strong>la guerra e quindi la necessità di arrivare a una pace nei più brevitempi possibili;• il rispetto degli ambasciatori;• il rispetto <strong>del</strong>la popolazione civile e <strong>del</strong>le istituzioni interne degli Stati.In base a queste regole, attraverso la guerra e i suoi esiti, gli Stati ricompongono le lorocontroversie altrimenti inconciliabili. In questo senso la guerra rappresenta per Hegel il“giudizio universale” degli Stati, cioè la suprema e razionale istanza giudiziaria che nedecreta la ragione o il torto.In questa prospettiva, secondo Hegel, la storia umana si svolge secondo un disegnorazionale. Essa infatti è realizzazione <strong>del</strong>l’idea che ha raggiunto la consapevolezza di sécome spirito, più precisamente come spirito oggettivo. Dunque, il vero soggetto <strong>del</strong>la storianon è il singolo individuo, ma lo “spirito <strong>del</strong> mondo”, cioè il principio universaleimmanente che unifica in sé tutta l’umanità. Lo spirito <strong>del</strong> mondo però non agiscedirettamente nella storia, bensì attraverso gli “spiriti dei popoli”, cioè i principi idealiunitari che costituiscono il fondamento <strong>del</strong>l’identità, e quindi <strong>del</strong>l’esistenza, di ogninazione.In quanto articolazioni specifiche <strong>del</strong>lo spirito <strong>del</strong> mondo, gli spiriti dei popoli sidifferenziano gli uni dagli altri per i diversi livelli di profondità con cui comprendonol’idea. In altre parole, ogni civiltà storica, secondo Hegel, rappresenta una modalitàparziale e relativa <strong>del</strong>la presa di coscienza di se stesso da parte <strong>del</strong>lo spirito. Da questamodalità specifica di intuizione <strong>del</strong>lo spirito derivano tutte le caratteristiche specifiche diuna civiltà: usanze e costumi, diritto, religione, istituzioni politiche, organizzazioneeconomica, letteratura e arte. In questo senso lo spirito <strong>del</strong> popolo è l’atmosfera culturaleche forma e accomuna tutti gli individui appartenenti a una nazione.Le forme di autocoscienza <strong>del</strong>lo spirito espresse dalle diverse civiltà costituiscono, nellaloro successione storica, una scala gerarchica a perfezione crescente. In ogni periodostorico vi è infatti un popolo che raggiunge la più elevata coscienza <strong>del</strong>lo spirito incarnandoe realizzando così nella sua particolarità l’universalità <strong>del</strong>lo spirito <strong>del</strong> mondo. Grazie a ciò,questo popolo assume una posizione dominante e assoggetta a sé tutti gli altri. Attraverso132


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREla sua egemonia infatti si manifesta e si impone un più avanzato stadio <strong>del</strong>lo sviluppo <strong>del</strong>lospirito <strong>del</strong> mondo.Secondo Hegel, ogni popolo può detenere questa superiorità solo temporaneamente e unasola volta nel corso <strong>del</strong>la storia universale, in quanto è destinato prima o poi a esseresuperato dalla più profonda visione spirituale di un altro popolo. Per questo ogni civiltàstorica trapassa necessariamente da una fase di ascesa a una fase di declino. Nonostante lospettacolo <strong>del</strong>le sue rovine, la storia si rivela pertanto come un progresso necessario edunque inarrestabile.Se il fondamento <strong>del</strong> progresso storico è lo spirito, la sua essenza, afferma Hegel, è lalibertà. Tutte le caratteristiche <strong>del</strong>lo spirito, infatti, sussistono solo grazie alla libertà e nonsono che mezzi per l’attuazione <strong>del</strong>la sua libertà. Ne consegue che il progresso storico nonpuò consistere che nella realizzazione sempre più perfetta <strong>del</strong>la libertà e <strong>del</strong>la coscienzache lo spirito ha <strong>del</strong>la sua libertà.Assumendo la libertà come criterio <strong>del</strong> progresso storico, Hegel ne individua 4 tappefondamentali:1. il mondo orientale, improntato alla teocrazia e al dispotismo, in cui uno solo è libero eagli individui non è riconosciuta alcuna personalità e alcun diritto;2. il mondo greco, caratterizzato da un’eticità naturale e immediata, in cui solo alcuni sonoliberi in quanto solo a pochi è riconosciuta una personalità individuale;3. il mondo romano, segnato dalla scissione tra un potere sostanziale autocratico el’estensione a tutti <strong>del</strong>la libertà che però è solamente giuridico-formale e dunque solopotenziale;4. il mondo germanico, cioè moderno, in cui la scissione viene superata e si raggiunge unalibertà sostanziale ed effettiva per tutti gli individui.Hegel intende la libertà come libertà individuale, ma la distingue nettamente dall’arbitriosoggettivo. In quanto l’individuo ha la propria essenza nello spirito, l’autentica libertàindividuale coincide con la necessità universale <strong>del</strong>lo spirito. Apparentemente, però,ammette Hegel, le azioni umane nella storia sembra abbiano come unici moventi i bisogni,gli interessi, le passioni, gli egoismi individuali. Tale apparenza è <strong>del</strong> tutto giustificata. Perconcretizzarsi e realizzarsi, infatti, lo spirito deve attuarsi attraverso la soddisfazione deibisogni materiali degli individui, deve riconoscere il diritto <strong>del</strong> singolo alla felicità epermettergli di gratificarsi con il proprio lavoro e con i suoi proventi.D’altra parte, il capriccio casuale e caotico dei moventi individuali si conciliacompletamente per Hegel con l’universalità necessaria e ordinata <strong>del</strong> corso <strong>del</strong>la storia inquanto le passioni non sono altro che strumenti attraverso cui si attua il progresso storico.Gli uomini infatti agiscono coscientemente per perseguire i loro scopi particolari, ma inrealtà, inconsapevolmente, proprio agendo individualisticamente e passionalmente,realizzano il piano razionale <strong>del</strong>lo spirito <strong>del</strong> mondo. Questo uso che lo spirito fa deimoventi soggettivi <strong>del</strong>le azioni umane è chiamato da Hegel “astuzia <strong>del</strong>la ragione”.Nella storia, dunque, gli individui sono dei semplici mezzi <strong>del</strong>lo spirito <strong>del</strong> mondo. Ma perHegel il modo in cui gli uomini sono mezzi è <strong>del</strong> tutto peculiare e assume per questo unvalore positivo. Infatti mentre nella natura ciò che è mezzo è esteriore rispetto al fine e nonne partecipa, nella storia l’uomo partecipa al fine di cui è strumento ed è pertanto unmezzo intrinseco al fine. Ciò significa che ogni uomo, pur essendo mezzo <strong>del</strong>lo spirito, èanche un fine in se stesso.In questo senso Hegel proclama il valore assoluto <strong>del</strong>la personalità, anche <strong>del</strong> più miseroindividuo, e afferma che esso è <strong>del</strong> tutto autonomo dal corso <strong>del</strong>la storia. Inoltre, sempredal punto di vista <strong>del</strong> destino <strong>del</strong>l’individuo, Hegel nega che la storia punisca i giusti e133


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREpremi i malvagi. Un tale giudizio, secondo lui, deriva solo da un fraintendimento <strong>del</strong> verouniversale storico, dalla sua sostituzione con costruzioni fittizie <strong>del</strong>la fantasia individuale.Per lo stesso motivo, Hegel rigetta i lamenti dei singoli individui sulla irrealizzabilitàstorica di tutti gli ideali. Se un ideale non si realizza ciò è dovuto, secondo Hegel, al fattoche si tratta di un ideale soggettivo, particolare, astratto, laddove la storia realizza solo iveri ideali, cioè gli ideali oggettivi, universali, concreti. In realtà, per Hegel gli idealiirrealizzabili manifestano solo la presunzione e l’esibizionismo di chi li sostiene.134


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 11HEGEL: LA CONQUISTA DELL’ASSOLUTOLo spirito assoluto è identità, che è tanto eternamente in sé, quanto uncontinuo ritornare ed esser ritornata in sé; è l’unica e universale sostanza,come sostanza spirituale, il distinguersi in sé e in un sapere, per cui essa ècome tale.Hegel, Lineamenti di <strong>filoso</strong>fia <strong>del</strong> diritto, § 258Lo spirito, secondo Hegel, non raggiunge la sua assolutezza né a livello soggettivo - comelibera volontà individuale -, né a livello oggettivo - come necessaria eticità collettiva.Entrambe queste forme infatti sono affette dall’accidentalità a causa <strong>del</strong> loro legame alladimensione naturale <strong>del</strong>l’uomo. Sia lo spirito soggettivo sia lo spirito oggettivo devonodunque essere considerati come vie, in sé parziali e relative, per arrivare allo spiritoassoluto.L’assoluto è infatti per Hegel sostanza spirituale, cioè sia oggettività che soggettività. Diconseguenza non può esaurirsi nella limitatezza astratta <strong>del</strong>la coscienza individuale manemmeno nell’universalità non autocosciente <strong>del</strong>lo Stato. Pertanto, dopo aver oggettivatoeticamente la sua soggettività individuale, lo spirito può conquistare definitivamente la suaassolutezza solo tornando nella sua autocoscienza, cioè solo filtrando e unificando lospirito soggettivo e lo spirito oggettivo al livello <strong>del</strong>la loro pura contemplazione.In questa prospettiva per Hegel sono 3 le modalità con cui e in cui lo spirito prendecoscienza di se stesso e si realizza come assoluto:1) la creatività artistica,2) la fede religiosa,3) la speculazione <strong>filoso</strong>fica.L’arte, afferma Hegel, è la modalità immediata <strong>del</strong>l’autocoscienza assoluta <strong>del</strong>lo Spirito.Nell’arte infatti l’assoluto è colto per via intuitiva e pertanto si manifesta in forme sensibili,attraverso la fisicità naturale dei materiali di cui l’opera d’arte è fatta. Su queste basi Hegelsostiene che la bellezza <strong>del</strong>l’opera d’arte consiste soltanto nella sua forma. Essa infattideriva dalla plasmazione e dalla trasformazione <strong>del</strong>la materia in puro segnorappresentativo <strong>del</strong>l’idea. In questo senso l’arte raggiunge il massimo livello di bellezzanella rappresentazione <strong>del</strong> corpo umano, in quanto questo è l’oggetto fisico che più siavvicina all’idea.La creazione artistica è una sintesi di soggettività conscia e oggettività inconscia,sbilanciata però a favore di quest’ultima. Essa, infatti, da un lato presuppone l’arbitriosoggettivo <strong>del</strong>l’artista, ma dall’altro si dà solo se l’artista si libera da ogni accidentalitàsoggettiva e si fa strumento <strong>del</strong>lo spirito. Poiché nell’arte lo spirito è solo intuìto, cioè non ècompreso in modo logico-concettuale, l’ispirazione che guida l’artista assume il carattere diuna forza inconscia, estranea, necessaria. Questa produttività naturale è l’essenza <strong>del</strong> genioartistico. Per la creazione artistica, però, l’ispirazione inconscia non è sufficiente. Essa deveessere accompagnata da un’intelligenza tecnica e da una manualità meccanica capaci diconcretizzare l’ispirazione nell’opera d’arte vera e propria.La creatività artistica, per Hegel, è costitutivamente basata sulla contraddizione tra spiritoe materia, infinito e finito, conscio e inconscio. L’opera d’arte in questo senso è sempre untentativo di conciliare questa contraddizione. Tale tentativo si basa su 3 possibilità logichedi combinare spirito infinito e materia finita cui corrispondono 3 stadi di sviluppo storico eal tempo stesso una classificazione permanente <strong>del</strong>le arti in 3 gruppi:135


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORE1. l’arte simbolica (o sublime), propria <strong>del</strong>la prima antichità, in cui la materialità finitaprevale sulla spiritualità infinita, in quanto l’artista cerca di rappresentare lo spiritonella grandiosità, nella sproporzione e nell’abnormità <strong>del</strong>la sua opera; in questo senso ilsimbolismo si realizza soprattutto come arte architettonica e costituisce dunque ilprincipio distintivo <strong>del</strong>l’architettura.2. L’arte classica, propria <strong>del</strong>l’antichità greco-romana, basata sull’equilibrio tra spiritualitàinfinita e materialità finita, in quanto l’artista tenta di rappresentare compiutamente lospirito assoluto nella perfezione finita <strong>del</strong> corpo umano; per questo la classicità siesprime soprattutto nella scultura, di cui rimane il principio connotativo permanente.3. L’arte romantica, propria <strong>del</strong>l’epoca moderna, in cui la spiritualità infinita prevale sullamaterialità finita, in quanto l’artista ha compreso che l’assoluto può essere colto solorappresentando l’insufficienza rappresentativa di ogni forma fisica, cioè lo scarto, larottura tra significato e significante; date queste sue caratteristiche, il romanticismotrova la sua compiuta espressione nella pittura, nella musica e soprattutto nella poesia ene costituisce il principio speci<strong>fico</strong> e insieme la ragione di superiorità.Per giungere a un più profondo livello di comprensione <strong>del</strong>la propria assolutezza lo Spiritoper Hegel deve superare dialetticamente i limiti sensibili <strong>del</strong>l’arte per abbracciare lareligione rivelata, cioè il cristianesimo. Il concetto di rivelazione, infatti, esprime l’attributoessenziale <strong>del</strong>lo Spirito, cioè la sua autocoscienza come manifestazione diretta di sé a sestesso.Nella religione, però, tale manifestazione se da un lato supera i limiti fisici <strong>del</strong>l’intuizioneestetica, dall’altro resta irretita nei limiti <strong>del</strong>la esteriorità in quanto si basa sullaseparazione tra Dio come spirito infinito e l’uomo come spirito finito. Tali limiti sievidenziano nella modalità di coglimento <strong>del</strong>l’assoluto propria <strong>del</strong>la religione, che Hegeldenomina “rappresentazione”. Usando questo termine in un’accezione <strong>del</strong> tutto personale,Hegel vuole esprimere il fatto che nella religione i momenti <strong>del</strong> movimento dialettico<strong>del</strong>l’assoluto vengono colti in modo indipendente l’uno dall’altro, in successionecronologico-narrativa anziché in una connessione dialettico-razionale.Dal momento che lo spirito è autocoscienza razionale, per Hegel la sua comprensione di sécome assoluto può raggiungere la piena verità solo nella modalità <strong>del</strong> puro <strong>pensiero</strong>razionale, ovvero logico-concettuale. Per questo l’organo <strong>del</strong>la verità assoluta è laspeculazione <strong>filoso</strong>fica, intesa come scienza enciclopedica e suprema che media e unifica insé la creatività artistica e la fede religiosa.La <strong>filoso</strong>fia è infatti <strong>pensiero</strong> concettuale che comprende i contenuti di arte e <strong>filoso</strong>fia nellaloro necessaria correlazione dialettica e raggiunge così la dinamica coincidenza disoggettività e oggettività. Ma più in generale la <strong>filoso</strong>fia coglie assolutamente l’assoluto inquanto è visione simultanea e sintetica di tutte le realizzazioni parziali che lo spirito haconseguito in tutto il suo svolgimento a partire dalla prima determinazione <strong>del</strong>l’idea pura,l’essere. Questa visione totale <strong>del</strong>l’intero cammino <strong>del</strong>lo spirito svela completamente edefinitivamente il disegno dialettico che ne costituisce l’essenza unitaria.Ma anche questa visione totale, propria <strong>del</strong>le <strong>filoso</strong>fia, si costruisce e si perfeziona in unprocesso dialettico, quello proprio <strong>del</strong>la storia <strong>del</strong>la <strong>filoso</strong>fia, ovvero quello che a partire daTalete si dipana dialetticamente fino a giungere all’ultima triade dialettica, quellacomposta da Fichte, Schelling e Hegel stesso. In questo senso Hegel propone la sua<strong>filoso</strong>fia come la versione perfetta e dunque definitiva di tutte le <strong>filoso</strong>fie precedenti,ovvero come la piena e compiuta autocoscienza che lo Spirito assoluto ha di se stesso.136


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREMa, secondo Hegel, anche l’autocoscienza assoluta <strong>del</strong>lo Spirito assoluto non può essereuna visione conoscitiva statica e fissa. L’assolutezza <strong>del</strong>l’autocontemplazione conoscitiva<strong>del</strong>lo Spirito assoluto è infatti data proprio dal suo continuo fluire circolare attraverso 3movimenti dialettici:1. quello <strong>del</strong>l’assoluto reale o oggettivo, che parte dal presupposto <strong>del</strong>la sua autonomianella logicità per arrivare - attraverso la mediazione oggettiva <strong>del</strong>la natura - a farsi veritàin atto nello spirito: i suoi momenti sono concepiti come estrinseci e necessari e solo altermine <strong>del</strong> loro svolgimento si rivela la loro essenziale libertà;2. quello <strong>del</strong>l’assoluto ideale o soggettivo, in cui lo spirito media e unifica in sé i dueestremi opposti <strong>del</strong>la natura e <strong>del</strong>la logica, riconducendo il caotico divenire naturale allasua origine ideale e producendo un sapere <strong>scienti</strong><strong>fico</strong> soggettivo inteso come mezzo perconquistare la libertà;3. quello <strong>del</strong>l’identità assoluta di reale e ideale, oggettività e soggettività, in cui la Ragioneautocosciente pura, principio <strong>del</strong>la logica, media e unifica in sé spirito e natura,concependoli e producendoli come sue libere manifestazioni: in questo modo ogni cosatrova la sua natura nel concetto che la pensa e i processi naturali vengono a coinciderecon l’attività pensante che li conosce.In questo circolo dialettico supremo, che unisce in sé i due precedenti, l’idea eterna,conclude Hegel, giunge ad attuarsi in sé e per sé, cioè in modo totale e definitivo, e agodere compiutamente e semplicemente di se stessa in quanto spirito assoluto. E’ alla lucedi questa somma triade dialettica che va letto il lapidario aforisma di Hegel: “Tutto ciò cheè reale è razionale, tutto ciò che è razionale è reale”.137


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREVIAGGIO IIILA LIBERAZIONE DAGLI INGANNI DELLA RAGIONECANNOCCHIALE SU…L’ORIZZONTE STORICO 1831-1873L’estensione e l’accelerazione <strong>del</strong>la rivoluzione industrialeA partire dagli anni ’30 <strong>del</strong>l’800 il processo di industrializzazione segnò una nettaaccelerazione che intorno alla metà <strong>del</strong> secolo - nella cosiddetta età <strong>del</strong> libero scambio(1849-1872) - si trasformò in un vero e proprio boom economico.In questo modo l’industrializzazione si intensificò nei paesi (Inghilterra, Belgio, Francia,Olanda, Svizzera) in cui si era già avviata e si estese a nuovi paesi europei come laGermania e la Svezia intorno alla metà <strong>del</strong> secolo e ad alcune aree <strong>del</strong>l’Italia settentrionale,<strong>del</strong>l’Austria, <strong>del</strong>la Boemia e <strong>del</strong>la Russia, ai Paesi Baschi e alla Catalogna in Spagna, neglianni Sessanta. Soprattutto cominciò a industrializzarsi il primo paese non europeo, gliStati Uniti d’America, segnando l’inizio <strong>del</strong> processo di mondializzazione <strong>del</strong> capitalismoindustriale.Tale processo tecnicamente fu reso possibile dall’invenzione e soprattutto dalla diffusionedei treni (1830, linea Manchester-Liverpool) e <strong>del</strong>le navi a vapore, nonché da quelle <strong>del</strong>telegrafo elettromagnetico Morse (1840) e <strong>del</strong> francobollo (1841) che miglioraronoenormemente le possibilità di comunicazione a lunga distanza. La locomotiva a vapore nonfu solo un formidabile fattore di crescita degli scambi commerciali ma anche il nuovoelemento trainante <strong>del</strong>lo sviluppo industriale. Mentre fino agli anni ’20 l’industria siidentificava con il settore tessile, a partire dagli anni 30 il boom <strong>del</strong>le costruzioniferroviarie lanciò l’espansione <strong>del</strong>l’industria metallurgica e meccanica, che diventò così ilnuovo settore industriale di punta. Fu in questa fase inoltre che si stabilì un rapportoorganico tra industria e finanza, con la nascita <strong>del</strong>le prime banche d’investimentofinalizzate al credito industriale. Si innescò inoltre un circolo virtuoso tra aumento <strong>del</strong>laproduzione e aumento <strong>del</strong> commercio che crebbe e si internazionalizzò anche grazieall’assenza di forti barriere doganali. In questo modo si giunse alla formazione di un vero eproprio sistema industriale integrato, che, contribuendo in modo predominante allaformazione <strong>del</strong>la ricchezza, si impose definitivamente sull’agricoltura come primo settore<strong>del</strong>l’economia.Lo sviluppo industriale, però, non fu lineare e tanto meno esente da contraddizionieconomiche e conflitti sociali: il forte e rapido aumento <strong>del</strong>la produttività e quindi<strong>del</strong>l’offerta a fronte di una domanda ingessata dai bassi salari produsse un nuovo tipo dicrisi economica, la crisi di sovrapproduzione che ciclicamente provocava fallimenti diimprese, riduzione <strong>del</strong>la produzione, licenziamenti, miseria e sommosse dei lavoratorisalariati. Il fenomeno si accentò e acquisì una ciclicità decennale a partire dal 1849 fino aculminare nella più grave e ampia crisi <strong>del</strong> 1873.Il boom demogra<strong>fico</strong> e l’ascesa <strong>del</strong>la borghesiaConcausa e insieme effetto <strong>del</strong>l’accelerazione <strong>del</strong>l’industrializzazione, la crescitademografica europea proseguì ancora più impetuosamente, passando dai c.ca 230 milioniintorno al 1830 ai 300 milioni verso il 1870, superando il tasso di crescita <strong>del</strong> periodoprecedente a partire da valori assoluti molto più alti.Anche grazie a ulteriori progressi medici – come l’anestesia (1846) e l’antisepsi (1865) - ladurata media <strong>del</strong>la vita raggiunse negli ultimi decenni <strong>del</strong>l’800 i 45-50 anni.Parallelamente si intensificarono i flussi migratori sia, all’interno di ogni paese, dalle138


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREcampagne alle città industriali, sia tra diversi paesi e continenti, da quelli più arretrati aquelli più avanzati o meno densamente popolati.Dal punto di vista <strong>del</strong>la stratificazione sociale, l’800 fu il secolo in cui la borghesia agraria,industriale, finanziaria e commerciale conquistò – anche se limitatamente ai paesiindustrialmente sviluppati - la supremazia economico-sociale e politica imponendosi sullanobiltà e sui ceti borghesi preindustriali legati alla rendita immobiliare. Tuttavia la classearistocratica continuò a mantenere a lungo molti dei suoi privilegi politici e soprattutto ilprimato nel prestigio sociale e culturale. La classe borghese crebbe numericamente e sidifferenziò in una grande borghesia industriale e finanziaria, in una media borghesiaagraria, commerciale, manageriale e di funzionari soprattutto in un’ampia piccolaborghesia - il cosiddetto “ceto medio” - composta da liberi professionisti, piccoli produttoriautonomi, negozianti, impiegati statali e privati, intellettuali e insegnanti. Parallelamentesi ridusse il peso numerico dei contadini tradizionali a favore <strong>del</strong> proletariato agricolo eindustriale. In particolare nei paesi più avanzati – primo fra tutti l’Inghilterra - i lavoratorisalariati <strong>del</strong>l’industria raggiunsero e superarono la metà <strong>del</strong>la popolazione attiva esoprattutto si concentrarono maggiormente nei nuovi stabilimenti industriali.Le rivoluzioni europee <strong>del</strong> 1830 e <strong>del</strong> 1848Il ciclo <strong>del</strong>le “rivoluzioni atlantiche” proseguì con le rivoluzioni europee <strong>del</strong> 1830 eraggiunse l’apice con le grandi rivoluzioni europee <strong>del</strong> 1848. A differenza dei moti <strong>del</strong>1820, le nuove rivoluzioni europee posero chiaramente all’ordine <strong>del</strong> giorno da un latol’esigenza <strong>del</strong>la democratizzazione, cioè non solo di uno stato rappresentativo ma anche<strong>del</strong>la partecipazione politica; dall’altro l’istanza <strong>del</strong>l’indipendenza e <strong>del</strong>l’unità <strong>del</strong>le nazioni.Protagonisti politici ne furono i movimenti politici liberale e democratico. I liberali, cheebbero l’egemonia sui movimenti rivoluzionari almeno fino al 1848, puntavanoall’instaurazione di uno stato di diritto, cioè di uno stato garante dei diritti fondamentali(vita, salute, proprietà, libertà) degli individui, e privilegiavano come forma di governo lamonarchia parlamentare. Essi sostenevano l’uguaglianza giuridica di tutti i cittadini, maerano decisi oppositori <strong>del</strong>l’uguaglianza di diritti politici e <strong>del</strong>l’uguaglianza socioeconomica.In questo senso i liberali erano contrari a qualsiasi intervento statale chelimitasse la libera iniziativa economica privata.I democratici, invece, finalizzavano la loro lotta politica alla instaurazione di uno Statonazionale repubblicano e democratico. Essi, infatti, concepivano lo stato come proiezione<strong>del</strong> popolo-nazione e dunque ritenevano che tutti i cittadini dovessero disporre di ugualidiritti politici (suffragio universale maschile) e che lo stato dovesse intervenire perattenuare le disparità economico-sociali, condizione indispensabile per garantire l’unità<strong>del</strong>la nazione.A partire dagli anni 1830, venne emergendo un terzo filone politico, quelloliberaldemocratico, che, pur rimanendo fe<strong>del</strong>e ai principi più universali <strong>del</strong> liberalismoclassico - primato <strong>del</strong>l’individuo rispetto alla collettività, difesa <strong>del</strong>la sfera privata - nerigettava gli aspetti oligarchici e conservatori (limitazione <strong>del</strong> diritto di voto ai possidenti oagli uomini, difesa esclusiva degli interessi imprenditoriali) per accettare il processo didemocratizzazione e perfino alcune istanze di tipo sociale.Le unificazioni nazionali italiana e tedescaL’andamento <strong>del</strong>le rivoluzioni <strong>del</strong> 1848 fu contraddittorio: se da un lato ebbero maggioreestensione e radicalità di quelle precedenti, mettendo in crisi soprattutto l’imperoasburgico, dall’altro alla fine risultarono seccamente sconfitte. Nell’immediato pertantol’assetto politico europeo - e in particolare quello <strong>del</strong>l’area centro-orientale - fu ristabilito eanzi sembrò consolidarsi. Fece eccezione però la Francia, paese in cui la rivoluzione139


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREdemocratica ebbe almeno momentaneamente successo portando alla ricostituzione <strong>del</strong>laRepubblica. Anche dopo la sua sostituzione con il II impero di Napoleone III la Franciarimase un elemento di destabilizzazione <strong>del</strong>l’ordine continentale europeo, grazie al suosostegno ai movimenti nazionali antiasburgici, soprattutto a quello italiano ma anche,almeno inizialmente, a quello tedesco.In questo modo il regno di Sardegna, in Italia, e il regno di Prussia, in Germania,riuscirono a unificare politicamente sotto il proprio dominio le nazioni italiana e tedescatramite un’abile miscela di diplomazia internazionale e guerra aperta ai danni <strong>del</strong>l’imperoaustro-ungarico. L’ultimo passo <strong>del</strong>l’unificazione tedesca, inoltre, portò al crollo <strong>del</strong> IIimpero napoleonico e alla nascita <strong>del</strong> II impero tedesco, cambiando completamente gliequilibri politici internazionali <strong>del</strong> continente europeo.La nascita <strong>del</strong> movimento socialista europeoL’insurrezione socialista <strong>del</strong>la Comune di Parigi <strong>del</strong> 1871 fu l’unica eccezione rivoluzionaria<strong>del</strong>l’età <strong>del</strong> libero scambio. Essa fu il sintomo <strong>del</strong>l’autonomia raggiunta <strong>del</strong> movimentosocialista e soprattutto assunse per esso il ruolo di un mito galvanizzatore, contribuendofortemente alla sua successiva crescita.In realtà già nella rivoluzione francese <strong>del</strong> 1848, i socialisti avevano costituito unacomponente di rilievo e addirittura due loro esponenti erano entrati nel governorivoluzionario provvisorio, che anche per questo aveva approvato l’istituzione non solo <strong>del</strong>suffragio universale maschile ma anche <strong>del</strong>la giornata lavorativa di 11 ore . Ciò nonostante isocialisti francesi erano rimasti subordinati alla leadership democratico-borghese <strong>del</strong>larivoluzione e ben presto erano stati estromessi dal governo.Ma soprattutto nel 1848 fu pubblicato e cominciò a diffondersi in tutta Europa il Manifesto<strong>del</strong> partito comunista di Marx ed Engels, in cui per la prima volta era teorizzataorganicamente la presa rivoluzionaria <strong>del</strong> potere da parte <strong>del</strong>la classe operaia el’instaurazione di una “dittatura <strong>del</strong> proletariato”, cioè di un governo ad indirizzounicamente socialista. Nel loro scritto Marx ed Engels contrapponevano all’uguaglianzaformale dei liberali e a quella politica dei democratici l’uguaglianza <strong>del</strong>le condizionieconomiche e l’abolizione <strong>del</strong>le classi sociali, considerate condizioni imprescindibili <strong>del</strong>leprime due.Negli anni successivi, in seguito all’accelerazione <strong>del</strong>la industrializzazione, vi fu una fortecrescita <strong>del</strong> proletariato e una forte diffusione <strong>del</strong>le idee socialiste. Su queste basi vennefondata nel 1864 l’Associazione internazionale dei lavoratori, che unificava a livelloeuropeo le organizzazioni che si richiamavano agli ideali socialisti e più in generale aidiritti dei lavoratori. L’attività <strong>del</strong>la I internazionale fu travagliata dai conflitti interni e siconcluse definitivamente con la sconfitta <strong>del</strong>la Comune di Parigi. Ciò nonostante essa era ilsintomo <strong>del</strong>la crescita ormai inarrestabile <strong>del</strong> movimento socialista e <strong>del</strong>la sua prossimaentrata sulla scena politica di tutti i principali paesi europei.Apogeo e declino <strong>del</strong> paradigma meccanicisticoDopo il 1830, la ricerca <strong>scienti</strong>fica, basata sull’indiscussa egemonia <strong>del</strong> paradigmameccanicistico, mietè nuovi allori. In astronomia la prima misurazione <strong>del</strong>la parallasse<strong>del</strong>la Terra rispetto alle stelle fisse (1838) e l’esperimento <strong>del</strong> pendolo di Foucault (1851)fornirono le prove inoppugnabili e definitive <strong>del</strong>la teoria eliocentrica. Inoltre nel 1846 fuscoperto Nettuno. Nell’elettrodinamica Joule codificò la legge <strong>del</strong>l’energia elettrica (1841).Nacque e si sviluppò la termodinamica in base alla quale un fenomeno tradizionalmenteconsiderato qualitativo, e pertanto irriducibile al meccanicismo, fu ricondotto almovimento di particelle materiali e alla spiegazione matematico-quantitativa. In chimicafu realizzata la prima sintesi di laboratorio di una sostanza organica, l’acetilene. Inbiologia, la scoperta <strong>del</strong>la cellula - considerata l’equivalente organico <strong>del</strong>l’atomo - e <strong>del</strong>la140


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREfunzione glicogena <strong>del</strong> fegato permisero di assimilare il funzionamento di un organismovivente complesso, corpo umano compreso, a quello di una macchina che brucia energia eda questa combustione trae il suo movimento. Soprattutto la biologia, scienza anch’essaconsiderata qualitativa e legata a paradigmi tradizionali di tipo vitalistico, fu conquistatadal paradigma meccanicistico grazie alla teoria <strong>del</strong>l’evoluzione di Darwin (1859). Questateoria produsse nell’800 lo stesso effetto di sconvolgimento culturale di quella copernicananel 1500, mettendo in crisi soprattutto le teorie religiose <strong>del</strong>l’origine <strong>del</strong> mondo e<strong>del</strong>l’uomo ma più in generale tutte le visioni tradizionali <strong>del</strong>la realtà. Non paga <strong>del</strong>lapressoché totale conquista <strong>del</strong> vasto territorio <strong>del</strong>le scienze naturali, il paradigmameccanicistico mosse all’invasione dei territori <strong>del</strong>le scienze umane (psicologia,antropologia, sociologia, storia), tradizionali appannaggi <strong>del</strong>la letteratura, <strong>del</strong>l’arte, <strong>del</strong>la<strong>filoso</strong>fia.Sulla base di questi successi, <strong>del</strong>l’estensione <strong>del</strong> metodo <strong>del</strong>la ricerca collettiva, dei nuovimezzi di comunicazione, <strong>del</strong>l’incremento <strong>del</strong>la produzione editoriale si venne formandoper la prima volta una vera e propria comunità <strong>scienti</strong>fica europea e perfino mondiale.Tuttavia, proprio il grande sviluppo <strong>del</strong>la ricerca <strong>scienti</strong>fica a tutti i livelli portò allascoperta <strong>del</strong>le prime anomalie, cioè di fatti sperimentali o teorie in contrasto con ilparadigma meccanicistico, preludio <strong>del</strong>la sua successiva crisi. In campo matematico,vennero scoperte, ampliate e sempre più accreditate le geometrie non-euclidee che miseroin crisi l’univocità e l’oggettività <strong>del</strong>la concezione euclidea <strong>del</strong>lo spazio fondamento di tuttala fisica. Ma soprattutto in campo fisico, e segnatamente in quello <strong>del</strong>la termodinamica, lascoperta <strong>del</strong> principio di entropia (1850), secondo il quale il calore passa sempre dai corpipiù caldi a quelli più freddi, mise in discussione il principio di reversibilità fisica corollarionecessario <strong>del</strong> paradigma meccanicistico.Tra romanticismo e positivismoMentre la cultura romantica proseguiva la sua parabola, toccando il suo culmine per poicominciare a declinare, nacque e si sviluppò la nuova tendenza culturale positivistica,destinata a diventare egemone negli ultimi decenni <strong>del</strong>l’800 e a trasformarsi in mentalitàcomune diffusa in tutte le nuove classi sociali, non solo quella borghese ma anche quellaproletaria. In questo modo romanticismo e positivismo si sovrapposero cronologicamenteper alcuni decenni sulla base di rapporti di contrapposizione ma anche di reciprocacontaminazione.Sul piano politico la cultura romantica alimentò inizialmente un filone reazionario chepropugnava la restaurazione <strong>del</strong>l’assolutismo cattolico sulla base <strong>del</strong>l’idealizzazione <strong>del</strong>lasua tradizione storica. In una seconda fase, però, il romanticismo si abbinò e si associòstrettamente al filone politico democratico e nazionale, trovando il punto di contatto neivalori <strong>del</strong>la libertà dei popoli e <strong>del</strong> progresso storico. In questo modo esso infuse aimovimenti democratici un senso messianico e uno slancio eroico che contribuirono allaloro diffusione e al loro attivismo.Il positivismo, invece, nacque e si sviluppò in continuità con l’illuminismo, e quindi inaperta rottura con il romanticismo. Per i positivisti infatti vi era un’unica realtà, quellafisica, materiale, tangibile, conoscibile solamente in base all’esperienza e all’indagine<strong>scienti</strong>fica concepita secondo il mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong>la fisica meccanica. Al rigetto <strong>del</strong>la metafisica ealla riduzione <strong>del</strong>la <strong>filoso</strong>fia all’epistemologia facevano seguito l’esaltazione dei progressi<strong>del</strong>la scienza e <strong>del</strong>la tecnica.A livello politico, il positivismo non si abbinò né a progetti politici reazionari né a progettipolitici rivoluzionari, ma espresse un progetto di stabilizzazione moderata basato, peralcuni, sul controllo tecnocratico dei conflitti sociali e politici attraverso un ampiointervento <strong>del</strong>lo Stato, per altri, sull’assecondamento <strong>del</strong>la spontanea dinamica economicosocialeritenuta capace da sola di superare i suoi squilibri. Accomunava entrambi i filoni141


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREpolitici positivisti la ferrea convinzione che la civiltà europea fosse entrata nella fase finaledi un progresso storico inarrestabile ed irreversibile. In questo senso, il positivismo, trannealcune eccezioni, in qualche modo partecipò <strong>del</strong>la cultura romantica, in quanto, seppure inchiave materialistica, ne mutuò l’afflato assolutistico.Nel periodo centrale <strong>del</strong>l’800 la letteratura romantica si sviluppò raggiungendo la suamaturità. Ne furono esempi emblematici nella letteratura inglese Oliver Twist (1839) eDavid Copperfield (1850) di Dickens, che innovarono la tradizione dei romanzi diformazione in senso più realistico sullo sfondo sociale <strong>del</strong>la I rivoluzione industrialeinglese; Cime tempestose (1947) di Emily Bronte, forse l’esempio più passionale e viscerale<strong>del</strong>la concezione romantica <strong>del</strong>l’amore; nella nuova letteratura americana Racconti (1845)di Poe, che spaziano dall’avventuroso al gotico, Moby Dick (1851), allegoria <strong>del</strong>la vana mainevitabile lotta <strong>del</strong>l’uomo per superare i proprio limiti, La lettera scarlatta (1851) diHawthorne, storia di un tragico amore adulterino nel contesto storico <strong>del</strong>le primecomunità puritane <strong>del</strong> New England; nella letteratura francese i grandi romanzi storici diHugo, tra cui spicca I miserabili (1862), storia <strong>del</strong>la redenzione umana di un ex galeotto, edi Dumas (I tre moschettieri, 1844, Il conte Montecristo, 1845-6), nonché La certosa diParma (1839) di Stendhal, un’altra paradigmatica storia d’amore romantico, tantostruggente quanto impossibile; infine nella letteratura russa con i Racconti di Pietroburgo(1842) di Gogol, che col suo interesse per le situazioni di degradazione sociale e moraleanticipa il successivo realismo.Per quanto molti dei romanzieri tardoromantici avessero già adottato, almenoparzialmente, moduli realistici, intorno alla metà <strong>del</strong>l’800 si affermò un nuovo tipo di“realismo”, che connetté, senza soluzioni di continuità, il romanzo romantico a quellonaturalistico <strong>del</strong> 2° Ottocento. Il realismo ottocentesco ebbe la sua origine in Francia conBalzac (La commedia umana, 1842), che già si basa sull’assunto di un’analogia traorganizzazione animale e società umana, e Flaubert (Madame Bovary, 1851-7), fine analisisociologica e psicologica <strong>del</strong>la condizione femminile, ma si estese all’Inghilterra conTacherary (La fiera <strong>del</strong>le vanità, 1847-8), superbo entomologo dei nuovi protagonisticompetitivi e arrivisti <strong>del</strong>la società inglese, alla Russia con Turgenev (Memorie di uncacciatore, 1852), che denunciò la miseria e l’oppressione dei servi <strong>del</strong>la gleba, e conTolstoj che nel grande romanzo storico Guerra e pace (1863-69) dipinse un grandiosoaffresco <strong>del</strong>le guerre napoleoniche e <strong>del</strong>la società russa. Esempio di realismo fu in ItaliaNievo con Le confessioni di un italiano (1858), romanzo di formazione storico-psicologicolegato alle vicende risorgimentali, che fece da ponte tra il romanzo romantico di Manzoni equello verista di Verga.Nell’ultimo periodo <strong>del</strong>l’800 nacque il “naturalismo”, una nuova forma di realismo che,facendo propria la cultura positivistica, si propose di dare una descrizione <strong>scienti</strong>fica, cioèdistaccata e oggettiva, <strong>del</strong>la realtà sia a livello sociologico sia a livello psicologico,assumendo come temi privilegiati la condizione <strong>del</strong>la nuova classe proletaria e le sue lottesindacali e politiche. Anche il naturalismo nacque in Francia grazie soprattutto all’opera diZola, tra cui Teresa Raquin (1867) ma soprattutto Germinale (1885), che racconta lacondizione e le lotte dei minatori francesi. Dalla Francia il naturalismo si diffuse in tuttaEuropa: in Germania con Hauptmann (La fabbrica tessile, 1892) e Fontane (Effi Briest,1895, sul tema <strong>del</strong>la condizione femminile); in Italia, dove assunse il nome di Verismo, conVerga, che in I Malavoglia (1881) raccontò la storia di una famiglia di pescatori sicilianiche tenta vanamente di uscire dalla miseria; infine alla penisola scandinava con i drammidi Ibsen (Casa di bambola, 1879, che sostenne la causa <strong>del</strong>l’emancipazione <strong>del</strong>la donna) eStrindberg (Il padre, 1887, sulla predestinata sconfitta <strong>del</strong>l’uomo a opera <strong>del</strong>la superioritànaturale <strong>del</strong>la donna).Nella poesia, il periodo si apre in Italia con I canti (1831) di Leopardi, uno dei vertici <strong>del</strong>lapoesia romantica, di cui esprime il conflitto insuperabile tra la finitezza umana e il suo142


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREinappagabile bisogno d’infinito. Espressione <strong>del</strong>la transizione dal romanticismo alrealismo è Carducci che in A Satana (1863) assunse un tema tipicamente positivista – ilprogresso tecnico simboleggiato dalla locomotiva a vapore – svolgendolo nei toniappassionati <strong>del</strong> romanticismo. Ma il caso poetico più significativo fu quello di Bau<strong>del</strong>aireche in Fleurs du Mal (1857) cantò il satanismo, il macabro, la sensualità nonché le segrete“corrispondenze” tra i sentimenti poetici e l’essenza nascosta <strong>del</strong>la realtà. Bau<strong>del</strong>aire,insieme al suo discepolo Mallarmé (L’Après-midi d’un faune, 1865), furono assunti tra lafine <strong>del</strong>l’800 e l’inizio <strong>del</strong> ‘900 come mo<strong>del</strong>li dalla nuova corrente poetica <strong>del</strong>“simbolismo”, che fu parte <strong>del</strong> più vasto fenomeno letterario <strong>del</strong> decadentismo. In questosenso nel secondo ‘800 si verificò una divisione tra il romanzo, che aderì alla culturapositivistica, e la poesia che al contrario, sviluppando temi romantici, anticipa il rigetto <strong>del</strong>positivismo <strong>del</strong> primo ‘900.Anche le arti visive furono caratterizzate da un analogo dualismo di poetiche. Infatti, dopoulteriori sviluppi <strong>del</strong> romanticismo con il preraffaellismo, nato a Londra nel 1848, leesperienze neogotiche di Ruskin e Morris, e il purismo italiano – caratterizzati dal ritornoallo stile e ai soggetti medievali -, la pittura ottocentesca si divise tra l’impressionismo,vicino alla cultura positivistica, e il simbolismo, decisamente antipositivistico. La correnteimpressionista (Monet, Manet, Pissarro, Renoir, Sisley, Degas) praticò una nuova forma direalismo, basata sulla rappresentazione <strong>del</strong>la natura o di aspetti <strong>del</strong>la vita quotidiana<strong>del</strong>l’uomo (bagnanti, ballerine, clienti di caffè e ristoranti) così come essi appaionoall’occhio <strong>del</strong> pittore in un determinato istante di una determinata giornata, caratterizzatopertanto da una luce e quindi da colori <strong>del</strong> tutto specifici. Al contrario la correntesimbolista (Moreau, Redon, Gauguin), seguendo i canoni <strong>del</strong> simbolismo poetico, rifiutò ilrealismo per dedicarsi alla rappresentazione <strong>del</strong> sogno, <strong>del</strong> mito, o di ambienti naturali eumani esotico-primitivi.In musica, a partire dal soggettivismo di Beethoven, il romanticismo dominò incontrastatotutto l’800. Sulla base <strong>del</strong> comune denominatore costituito dall’amore per la natura e dalsenso <strong>del</strong> mistero, il romanticismo musicale si articola in un filone intimistico, proprio diSchubert, Schumann e Chopin, e in un filone improntato al titanismo, cui appartengonoBerlioz, Liszt, Brahms, Verdi e Wagner. In quest’ultimo, in particolare, confluiscono e sonoportati alle estreme conseguenze, nei loro pregi quanto nei loro difetti, tutte le forme e lecaratteristiche <strong>del</strong>la musica romantica. La musica di Wagner è stilisticamente legata allaricerca <strong>del</strong> “dramma totale” capace di fondere poesia, musica, recitazione, danza escenografia (architettura, pittura, scultura) e basata sull’intreccio dei Leitmotiven (motiviguida), cioè su melodie ricorrenti che rappresentano diversi personaggi o forze.Filosoficamente essa è invece imperniata sullo scontro tra il principio naturale <strong>del</strong>l’eros,che costituisce l’Assoluto, e il principio egoistico e artificiale <strong>del</strong> possesso materiale, comesi evidenzia nella tetralogia L’anello dei Nibelunghi (1848-1874). La scuola russa diRimskij-Korsakov e Musorgskij praticò invece un romanticismo nazionale legato allatradizione <strong>del</strong>la musica popolare russa.Dunque, mentre nella prima metà <strong>del</strong>l’800, la produzione artistico-culturale europearisultò omogenea grazie alla comune impronta romantica, nella seconda metà <strong>del</strong> secolol’affermazione <strong>del</strong> positivismo a livello <strong>scienti</strong><strong>fico</strong> e <strong>filoso</strong><strong>fico</strong> si tradusse in una spaccaturatra la produzione letteraria di romanzi e pittorico-impressionista, che si fanno veicoli <strong>del</strong>lacultura positivistica, da un lato, e la produzione poetica, musicale e pittorico-simbolista,dall’altro, che invece si contrappose alla cultura positivistica. Ma mentre il filone artisticoculturaledi stampo positivistico si caratterizzò come una cultura di massa capace diinfluenzare tutte le classi sociali, dall’alta borghesia imprenditoriale al proletariato, quellodi stampo antipositivistico fu decisamente minoritario e in questo senso divenneespressione di un’élite intellettuale di matrice piccolo-borghese che tendeva aautoidealizzarsi per autopromuoversi socialmente utilizzando gli argomenti e lo stile143


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREantiborghesi e antiproletari che tradizionalmente connotavano l’aristocrazia. Da questopunto di vista, la dinamica culturale ottocentesca appare strettamente legata all’estensionee alla radicalizzazione <strong>del</strong> processo di laicizzazione e borghesizzazione <strong>del</strong> cetointellettuale, avviato tra fine ‘700 e primo ‘800, e in particolare al notevole aumento degliintellettuali di origine piccolo-borghese. Si può anzi dire che a partire dalla fine <strong>del</strong> secolola produzione artistico-culturale e più in generale l’attività intellettuale divennero unappannaggio e insieme il principale strumento di ascesa economico-sociale <strong>del</strong>la piccolaborghesia.144


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREROTTA AL’IDEALISMO NEGATIVOArthur Schopenhauer, connazionale e contemporaneo di Schelling ed Hegel, rientra apieno titolo nella tendenza - di orgine romantica - <strong>del</strong>la <strong>filoso</strong>fia tedesca a riformare e asviluppare il criticismo di Kant in senso idealistico. Nonostante la sua aspra polemica congli idealisti tedeschi, Schopenhauer condivide infatti la loro esigenza <strong>del</strong> sistemametafisico e la loro critica alla tesi kantiana <strong>del</strong>l’inconoscibilità <strong>del</strong>la cosa in sé. Numerosisono inoltre nel suo sistema <strong>filoso</strong><strong>fico</strong> gli elementi mutuati dalla tradizione idealistica(Platone, Plotino, Berkeley) e dagli stessi idealisti tedeschi: lo sforzo (streben) di Fichte, lanatura di Schelling, l’autocoscienza di Hegel.Tuttavia Schopenhauer - ispirandosi anche alla tradizione religiosa indiana e allognosticismo - si differenzia nettamente dall’idealismo tedesco perché sostituisce ilprincipio soggettivo, razionale e positivo, <strong>del</strong>l’Io o <strong>del</strong>lo Spirito con un principioimpersonale, irrazionale e negativo: la volontà. Di conseguenza mentre l’idealismotedesco si risolve nell’esaltazione <strong>del</strong>la realtà immanente, la metafisica <strong>del</strong>la volontà diSchopenhauer giunge a una netta condanna <strong>del</strong> mondo e <strong>del</strong>la vita.In questo senso nel corso <strong>del</strong>l’800 la <strong>filoso</strong>fia di Schopenhauer inaugura quella correnteantirazionalistica e drasticamente critica nei confronti <strong>del</strong>la società europea che avrà ilsuo seguito in Kierkegaard e Nietzsche; e nel ‘900 diventerà uno dei riferimentiprivilegiati <strong>del</strong>l’esistenzialismo e più in generale <strong>del</strong> cosiddetto <strong>pensiero</strong> negativo.Schopenhauer nacque nel 1788 a Danzica, che in quel momento era una città libera emultietnica, ma che solo cinque anni dopo fu inglobata nel regno di Prussia. I genitori diSchopenhauer erano di nazionalità tedesca: il padre era un ricco e colto mercante di ideerepubblicane e cosmopolitiche, che nel 1793 trasferì tutta la famiglia ad Amburgo persfuggire al governo prussiano e che si suicidò nel 1805; la madre era una donna di vastacultura e di temperamento artistico, che dopo la morte <strong>del</strong> marito si trasferì a Weimar dovedivenne scrittrice di romanzi e animatrice di un salotto frequentato, tra gli altri, da Goethe,dai fratelli Schlegel e dall’orientalista Friedrich Majer.Schopenhauer, dunque, ebbe fin dall’infanzia una formazione culturale aperta ecosmopolitica che a partire dai nove anni poté approfondire, per volontà <strong>del</strong> padre, incontinui soggiorni all’estero (Francia, Germania, Gran Bretagna, Olanda, Belgio, Austria).Egli imparò così il francese e l’inglese, studiandone al contempo le rispettive letterature.Dopo aver compiuto studi superiori di indirizzo prevalentemente commerciale, nel 1805 siimpiegò come tirocinante presso una ditta amburghese. Nel 1807 abbandonò il lavoro eintraprese gli studi classici trasferendosi a Weimar, ma abitando separatamente dallamadre. Nel 1809 si iscrisse alla facoltà di medicina di Gottinga, dove studiò le scienzenaturali. La frequentazione dei corsi di psicologia e metafisica di Schulze lo portò adabbandonare la medicina per iscriversi alla facoltà di <strong>filoso</strong>fia. Studiò Leibniz, Wolff,Hume, Berkeley, Jacobi, ma soprattutto Platone e Kant. Nel 1811 andò a Berlino e seguì lelezioni di Fichte, che però lo <strong>del</strong>usero. Si dedicò allora nuovamente agli studi <strong>scienti</strong>fici,approfondendo le più recenti teorie e studiando la <strong>filoso</strong>fia <strong>del</strong>la natura di Schelling.In seguito allo scoppio <strong>del</strong>la guerra con la Francia napoleonica, Schopenhauer nel 1813abbandonò Berlino e si stabilì a Rudolstadt, dove scrisse il trattato La quadruplice radice<strong>del</strong> principio di ragione sufficiente, che pubblicò nello stesso anno e grazie al qualeottenne la laurea in <strong>filoso</strong>fia dall’università di Jena.145


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREAlla fine <strong>del</strong> 1813 Schopenhauer tornò a Weimar, dove collaborò con Goethe allaelaborazione <strong>del</strong>la sua “teoria dei colori”, ma soprattutto, su suggerimento di Majer, lessele Upanishad e studiò le dottrine <strong>filoso</strong><strong>fico</strong>-religiose indiane. Trasferitosi a Dresda, iniziòla stesura <strong>del</strong>la sua opera decisiva, Il mondo come volontà e rappresentazione, che uscì neldicembre <strong>del</strong> 1818 ma con la data <strong>del</strong> 1819.La prima edizione <strong>del</strong> Mondo non ebbe alcun successo e la maggior parte <strong>del</strong>le copiefinirono al macero. Anche le recensioni critiche furono poche e prevalentemente negative.Schopenhauer sfogò la <strong>del</strong>usione in un lungo viaggio in Italia durante il quale approfondìla sua conoscenza <strong>del</strong>la letteratura italiana e visse una storia d’amore con una nobildonnaveneziana. Tornato in Germania, nel 1820 si trasferì a Berlino e iniziò l’insegnamentocome libero docente nell’università in cui imperava Hegel, con il quale ebbe subito unoscontro accademico e di cui subì pesantemente la concorrenza, tanto che i suoi corsirimasero per anni quasi deserti. Su Hegel Schopenhauer lasciò taglienti apprezzamenti,tacciandolo di essere un “ciarlatano di mente ottusa”, un “accademico mercenario” eaddirittura un “sicario <strong>del</strong>la verità” al soldo <strong>del</strong> regime prussiano.Dopo aver alternato per undici anni insegnamento universitario, nuovi viaggi in Italia e inGermania, e nuovi studi <strong>filoso</strong>fici e letterari - apprendendo lo spagnolo e approfondendo laletteratura ispanica - nel 1831 in seguito all’epidemia di colera, che avrebbe causato lamorte di Hegel, fuggì da Berlino e si stabilì a Francoforte, dove scrisse il trattato <strong>scienti</strong><strong>fico</strong>Sulla volontà <strong>del</strong>la natura (1836), in cui espose le prove <strong>scienti</strong>fiche <strong>del</strong>la sua visione <strong>del</strong>mondo. Nel 1839 ricevette il primo riconoscimento ufficiale: vinse infatti il concorsobandito dalla Reale società <strong>del</strong>le scienze <strong>del</strong>la Norvegia con il saggio Libertà <strong>del</strong> volereumano, in cui sostiene la determinazione naturale <strong>del</strong>l’agire <strong>del</strong>l’uomo nel mondofenomenico. Nel 1844 pubblicò la seconda edizione <strong>del</strong> Mondo come volontà erappresentazione, aggiungendovi cinquanta capitoletti intitolati Supplementi checommentano e sviluppano le tesi fondamentali <strong>del</strong> testo <strong>del</strong> 1818. Ma anche la nuovaedizione <strong>del</strong>la sua opera fondamentale non ebbe successo. Solo nel 1851, con lapubblicazione di Parerga e Paralipomena, una versione divulgativa e sintetica <strong>del</strong> Mondo,Schopenhauer ottenne finalmente il sospirato successo, soprattutto in Inghilterra.Contemporaneamente, i suoi discepoli aumentarono di numero e di levatura culturale esociale. Nel 1858, proseguendo instancabilmente le sue letture, lesse Leopardi e inparticolare le Operette morali e i Pensieri. Morì di polmonite a Francoforte nel 1860.146


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 1SCHOPENHAUER: IL MONDO E’ UN’ILLUSIONE UNIVERSALEInfine, chi ha ben penetrato la forma speciale <strong>del</strong> principio di ragionsufficiente 7 che regge il contenuto <strong>del</strong>le forme precedenti, tempo e spazio, (...)ha con ciò stesso colto per intero l’essenza <strong>del</strong>la materia come tale, nonessendo la materia che mera causalità (...). L’essenza <strong>del</strong>la materia è infatti ilsuo agire, il suo produrre effetti (...) Soltanto con l’azione la materia riempielo spazio e il tempo. La sua azione sull’oggetto immediato 8 (esso stessomateriale) è condizione indispensabile <strong>del</strong>la percezione, senza la quale nonpuò esistere la materia; l’azione poi di un qualsiasi oggetto materiale su di unaltro può essere conosciuta solo in quanto quest’ultimo agisce a sua voltasull’oggetto immediato (...) Causa ed effetto: ecco dunque tutta l’essenza <strong>del</strong>lamateria: il suo essere consiste unicamente nel suo produrre effetti.Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, libro 1, § 4“Il mondo è una mia rappresentazione”, è la lapidaria premessa <strong>del</strong>la <strong>filoso</strong>fia diSchopenhauer. Essa attesta che qualsiasi oggetto esiste perché è percepito da un soggetto.In altri termini, sostiene a mo’ d’esempio Schopenhauer, noi non conosciamo il Sole o laTerra come tali, ma conosciamo un occhio che guarda il Sole o una mano che tocca laTerra. Ciò significa che la relazione tra soggetto e oggetto è la condizione costitutiva <strong>del</strong>mondo.Secondo Schopenhauer, le rappresentazioni in cui il mondo consiste possono essere di duetipi:a) intuitive,b) astratte.Le prime si basano sull’esperienza, le seconde coincidono con i concetti. Lerappresentazioni intuitive sono costituite da tre forme a priori, cioè proprie <strong>del</strong> soggetto eindipendenti da ogni esperienza: il tempo, lo spazio e la causalità. L’essenza <strong>del</strong> tempo èper Schopenhauer la successione degli istanti; quella <strong>del</strong>lo spazio la posizione di ogni suaparte rispetto alle altre. La causalità costituisce il contenuto e insieme la sintesi <strong>del</strong>le formea priori <strong>del</strong>lo spazio e <strong>del</strong> tempo.Schopenhauer afferma infatti che spazio e tempo, sebbene possano essere intuiti dalsoggetto anche separatamente, in rapporto alla causalità non sono mai indipendenti, masempre relativi l’uno all’altro. Infatti né la sola coesistenza nello spazio, né la solasuccessione di eventi sono sufficienti a configurare una relazione di causa ed effetto, masolo la loro presenza simultanea e il loro reciproco riferimento.Su queste basi Schopenhauer può sostenere che la materia è una manifestazione <strong>del</strong>rapporto di causa ed effetto, cioè di una forma a priori <strong>del</strong>la ragione umana. In altre paroleper Schopenhauer la sensazione <strong>del</strong>la consistenza materiale degli oggetti non è che unanostra rappresentazione mentale prodotta dalla forma a priori <strong>del</strong>la causalità.Infatti noi non possiamo rappresentarci il rapporto tra l’oggetto-causa e l’oggetto-effettoche come contatto materiale tra parti estese. Viceversa l’urto fisico tra due corpi non è altroche la raffigurazione sensibile <strong>del</strong>la relazione causale che lega l’uno all’altro. Per esempio,se la mia mano muovendosi urta un libro, la mia sensazione <strong>del</strong>la relativa durezza <strong>del</strong> libro,7 E’ il principio su cui per Leibniz si fondano le “verità di fatto”. Esso corrisponde alla relazione logica “se p allora q”che indica appunto che il fatto “p” è la ragione sufficiente a spiegare l’evento “q”.8 Il corpo umano in quanto, a differenza dei corpi esterni, è percepito direttamente dal soggetto percepiente.147


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREper Schopenhauer, non è che il mio modo di raffigurarmi sensibilmente la relazionementale di causa ed effetto tra il libro e la mia mano.La conoscenza intuitiva, secondo Schopenhauer, ha la sua origine nella modificazione <strong>del</strong>corpo da parte <strong>del</strong>l’oggetto, cioè nella sensazione. La sensazione, però, opera solo unordinamento spazio-temporale e fornisce solo dei dati grezzi, privi di significato. Con essinon è possibile arrivare a una vera intuizione, ma unicamente a una confusa percezione dimutamenti corporei quale quella che può avere un vegetale.Solo l’intervento <strong>del</strong>l’intelletto, che stabilisce i nessi di causa ed effetto, dà un significatoalle sensazioni e permette di giungere a una chiara rappresentazione <strong>del</strong> mondo. Perquesto, afferma Schopenhauer, non ci può essere alcuna separazione tra sensibilità eintelletto.La rappresentazione astratta è per Schopenhauer un prodotto <strong>del</strong>la ragione, intesa come lafacoltà che produce i concetti. Essa sta a quella intuitiva, sostiene Schopenhauer, come laLuna al Sole, ovvero riceve tutto il suo contenuto dall’intuizione. E infatti l’attività con laquale la ragione produce è chiamata da Schopenhauer “riflessione”, perché essenzialmenteconsiste appunto nel riflettere l’intuizione.Il concetto è dunque per Schopenhauer una rappresentazione di una rappresentazione,cioè la copia astratta e universale di un’intuizione. La sua universalità, però, non sicostruisce filtrando gli aspetti comuni di una pluralità di rappresentazioni intuitive.Al contrario per Schopenhauer il concetto può unificare una molteplicità dirappresentazioni intuitive in quanto è originariamente dotato di universalità. Infatti inquanto rappresentazione di rappresentazione il concetto non è determinato dallaparticolarità propria <strong>del</strong>l’intuizione sensibile e dunque è in sé stesso universale.La realtà è dunque per Schopenhauer una costruzione <strong>del</strong>la mente, anzi <strong>del</strong> cervello stesso<strong>del</strong>l’uomo. La nostra conoscenza <strong>del</strong> mondo ha la stessa consistenza di un sogno notturno ese ne differenzia solo perché è un sogno universale e necessario, cioè identico e vincolanteper tutti gli uomini. Per questo Schopenhauer afferma che l’idealismo è l’unica <strong>filoso</strong>fiapossibile e si richiama a Platone, a Berkeley e allo stesso Kant, da lui considerato l’ultimo eil massimo esponente <strong>del</strong>l’idealismo.Schopenhauer però distingue nettamente l’idealismo autentico da quello di Fichte,Schelling ed Hegel, da lui considerato un falso idealismo, in quanto per lui il mondo non èuna produzione <strong>del</strong>l’Io o <strong>del</strong>lo Spirito, cioè di un soggetto assoluto. La rappresentazioneinfatti è unità indissolubile di soggetto ed oggetto, e dunque l’oggetto è costituito dalsoggetto, tanto quanto il soggetto lo è dall’oggetto. In questo senso i falsi idealisticommettono un errore uguale e contrario a quello dei realisti o materialisti: mentre i primiconsiderano il soggetto causa <strong>del</strong>l’oggetto, i secondi reputano l’oggetto causa <strong>del</strong> soggetto.Entrambi sbagliano, seppure in direzioni opposte.In conclusione vi deve essere, secondo Schopenhauer, un altro principio, al di là <strong>del</strong>larelazione tra soggetto e oggetto, che sia origine di questa relazione stessa e insieme <strong>del</strong>mondo come rappresentazione.148


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 2SCHOPENHAUER: IL PROPRIO CORPO COME VOLONTA’Al soggetto conoscente che deve la sua individuazione all’identità con il proprio corpo, talecorpo è dato in due maniere affatto diverse: da un lato come rappresentazione intuitiva<strong>del</strong>l’intelletto, come oggetto fra oggetti, sottostante alle loro leggi; ma contemporaneamente èdato anche come qualcosa di immediatamente conosciuto da ciascuno, e che viene designatocol nome di volontà.Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, cap. 2, § 18La conoscenza razionale, che ha la sua più alta realizzazione nella scienza moderna, perSchopenhauer incontra dappertutto limiti insuperabili. Il progresso <strong>scienti</strong><strong>fico</strong> hacertamente portato alla scoperta <strong>del</strong>le forze naturali - dalla gravità al magnetismo eall’elettricità - ma esse per Schopenhauer rimangono qualitates occultae, cioè proprietàmisteriose <strong>del</strong>la natura, in quanto la scienza non è in grado di scoprirne l’origine el’essenza.L’uomo, invece, secondo Schopenhauer, conosce non tanto per avere un sistema ordinato ecoerente di rappresentazioni superficiali, ma soprattutto per comprendere il senso <strong>del</strong>mondo. La ragione <strong>scienti</strong>fica, in questa prospettiva, ha il valore di suscitare una domandametafisica – quali l’essenza e il senso <strong>del</strong>l’universo? - che però non può ricevere risposta alsuo interno. La scienza deve dunque cedere il passo alla <strong>filoso</strong>fia.Solo la <strong>filoso</strong>fia, secondo Schopenhauer, è in grado di scoprire quali sono l’essenza e ilsenso dei fenomeni naturali. Ciò le è consentito perché il <strong>filoso</strong>fo, a differenza <strong>del</strong>loscienziato, utilizza la ragione pratica. In altri termini, mentre lo scienziato usa la ragioneteorica per indagare oggetti esterni al fine di scoprirne le leggi universali, il <strong>filoso</strong>fo rivolgel’indagine razionale su se stesso al fine di scoprire le leggi <strong>del</strong> proprio agire, <strong>del</strong> propriocomportamento pratico.Ma il se stesso che il <strong>filoso</strong>fo deve indagare attraverso la ragione pratica non è perSchopenhauer l’io trascendentale, bensì il proprio corpo. Questo a sua volta non va intesosemplicemente come insieme di ossa, muscoli, organi, ecc., ma come un’unitàpsicosomatica, cioè come una fusione di elementi fisiologici e di elementi psicologici, qualiistinti, pulsioni, attitudini, carattere. Cioè come un processo dinamico, come un’attivitàperenne.Il corpo così inteso, secondo Schopenhauer, può svelare la verità sull’essenza <strong>del</strong> mondo.Ma perché tale disvelamento si attui, il corpo non deve essere considerato come un oggettonaturale, in modo obiettivo e distaccato, così come accade per esempio nella scienzamedica. Esso deve invece essere intuito nella sua immediatezza pratica, deve essere coltocosì come immediatamente si manifesta nel mio comportamento quotidiano. Il corpoallora mi si manifesta, sostiene Schopenhauer, come un flusso perenne di impulsi, bisogni,desideri - di mangiare, di bere, di dormire, di godimento sessuale, ecc. - e come una seriecontinua di azioni volte a soddisfarli. In questo modo, per Schopenhauer, il corpo mi sisvela come “volontà di vivere”.La “volontà”, nel senso impersonale di pulsione di vita, è dunque l’essenza <strong>del</strong> mio corpo.Essa, precisa Schopenhauer, non va divisa dai miei comportamenti e intesa così comecausa <strong>del</strong>le mie azioni di bere, mangiare, ecc. Il rapporto di causa ed effetto infatti riguardasolo il corpo come oggetto, non inerisce al corpo come volontà.In altre parole, l’azione <strong>del</strong> corpo e la volontà coincidono, la volontà è tutt’uno con ilbisogno perentorio di mangiare e con l’atto che lo soddisfa e i comportamenti <strong>del</strong> corponon sono effetti <strong>del</strong>la volontà, ma volontà materializzata in atto.149


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREIn questo senso Schopenhauer sostiene che ogni organo <strong>del</strong> corpo è l’oggettivazione di unaspetto <strong>del</strong>la volontà: per esempio, l’apparato digerente è fame oggettivata, gli organigenitali istinto sessuale oggettivato, e così via.La volontà scoperta nel proprio corpo ha un carattere individuale, è solo la “mia” volontà.Però, sostiene Schopenhauer, una volta scoperta nel proprio corpo, essa può esserericonosciuta per analogia nel corpo degli altri uomini e quindi in tutte le cose: nella forzache fa crescere le piante, in quella che struttura un cristallo, in quella che sposta l’agocalamitato a Nord, perfino nell’attrazione gravitazionale.Questa generalizzazione non viene proposta da Schopenhauer come una tesi certa macome la più attendibile <strong>del</strong>le ipotesi possibili. Tuttavia, il suo valore congetturale èsufficiente a sostenere e a persuaderci che la volontà è il principio metafisico di tutta larealtà sensibile, la “cosa in sé” di cui il mondo come rappresentazione altro non è che laproiezione illusoria.La volontà è in sé assolutamente unica. Infatti il principium individuationis - che dàorigine alla molteplicità di tutti gli esseri naturali - è un prodotto <strong>del</strong>lo spazio e <strong>del</strong> tempocui la volontà non sottostà, in quanto ne è il fondamento. Ma la volontà per Schopenhauernon si manifesta immediatamente negli esseri individuali e nei singoli fenomeni bensì sioggettiva attraverso la mediazione <strong>del</strong>le forze naturali generali: gravità, solidità, fluidità,elettricità, magnetismo, chimismo.Tali forze sono il corrispettivo reale, secondo Schopenhauer, <strong>del</strong>le idee di Platone. Comel’idea platonica, ogni forza naturale è unica, immutabile, eterna e rappresenta un certogrado di una scala gerarchica ascendente che comincia dal mondo inorganico e culminanella specie umana. Filtrando attraverso il prisma <strong>del</strong> tempo e <strong>del</strong>lo spazio ogni idea siscinde e si fraziona nella molteplicità dei singoli esseri e fenomeni naturali.In questo quadro, la causalità rappresenta il criterio di ordinamento in base al quale ifenomeni naturali si producono. Ma le cause naturali, per Schopenhauer, sono sempre esolo occasionali, in quanto non sono il vero fondamento <strong>del</strong> fenomeno ma solo imezzi/modi attraverso i quali la volontà agisce e si manifesta nel mondo.150


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 3SCHOPENHAUER: LA VERITA’ DELL'ARTEQuando, elevandosi con la forza <strong>del</strong>l'intelligenza, l'uomo abbandona lamaniera consueta di considerare le cose: quando cessa di cercare, alla luce <strong>del</strong>principio di ragion sufficiente 9 , le sole relazioni degli oggetti fra loro,relazioni che, in ultima analisi, non si risolvono che nella relazione di talioggetti con la nostra volontà; (...) quando riempie tutta la sua coscienza <strong>del</strong>lacontemplazione tranquilla di qualche oggetto naturale presente, paesaggio,albero, roccia, edificio, (...) e non sussiste più se non come soggetto puro,come limpido specchio <strong>del</strong>l'oggetto (...), allora ciò che viene conosciuto non èpiù la cosa particolare come tale, ma è invece l'idea, la forma eterna,l'oggettità immediata <strong>del</strong>la volontà a quel dato grado; e colui che è rapito intale contemplazione non è più individuo (...), ma assurge a soggettoconoscente puro, a soggetto che è di là <strong>del</strong> dolore, di là dalla volontà, di là daltempo.Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, libro 3, § 34L’indagine <strong>scienti</strong>fica <strong>del</strong> mondo e l’indagine <strong>filoso</strong>fica <strong>del</strong> corpo come insieme di azioni efunzioni non esauriscono per Schopenhauer le possibilità di conoscenza <strong>del</strong>la realtà.L’uomo può conoscere la realtà anche adottando un atteggiamento estetico, cioèconcentrandosi unicamente sulla sua bellezza. In questo modo il mondo viene conosciutoin modo puramente contemplativo, cioè in modo <strong>del</strong> tutto disinteressato, non utilitaristico.P.e., quando sono rapito dalla bellezza <strong>del</strong>la corsa di uno stambecco, non lo considero piùcome un animale da cacciare per alimentarmi. In altre parole, quando un individuo provail godimento estetico nella visione di un bell’oggetto, secondo Schopenhauer, smette didesiderare fisiologicamente quell’oggetto e di agire <strong>scienti</strong>ficamente e praticamente perimpossessarsene e servirsene. Ma ciò significa che la contemplazione estetica addormentail mio volere, neutralizza e interrompe la volontà di vita che il mio corpo è - e con essaanche la rappresentazione illusoria <strong>del</strong> mondo dal momento che questa è una una funzione<strong>del</strong> volere.Di conseguenza nella conoscenza estetica, sostiene Schopenhauer, ogni cosa si manifestafuori <strong>del</strong>lo spazio, <strong>del</strong> tempo e <strong>del</strong>la causalità, ovvero come l’idea di cui la cosa rappresentauna oggettivazione individuale. Per questo nell’arte ogni cosa è bella, come secondoSchopenhauer è provato dalle nature morte dei pittori fiamminghi che pure riproduconooggetti quotidiani <strong>del</strong> tutto banali e perfino repellenti.Ciò non significa però che si debba attribuire a ogni cosa lo stesso valore estetico. Glioggetti riprodotti nell’opera d’arte, infatti, hanno diversi gradi di bellezza, a seconda <strong>del</strong>laloro capacità di indurre nell’uomo un atteggiamento puramente contemplativo. In questosenso, il massimo livello di bellezza <strong>del</strong>l’oggetto artistico obbliga l’uomo all'atteggiamentocontemplativo, glielo impone in modo necessario. Due sono le condizioni, affermaSchopenhauer, <strong>del</strong> carattere cogente <strong>del</strong>la bellezza artistica:a) l'oggetto rappresentato deve esprimere con esattezza l'idea <strong>del</strong>la sua specie;b) l'idea che l'oggetto esprime deve appartenere a un grado elevato <strong>del</strong>l'oggettivazione <strong>del</strong>lavolontà.9 E’ il principio che si traduce nelle tre forme a priori (spazio, tempo, causalità) che per Schopenhauer costituiscono laconoscenza razionale di tipo <strong>scienti</strong><strong>fico</strong>.151


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORESulla base di questi due criteri Schopenhauer fonda la superiorità <strong>del</strong> bello artistico suquello naturale e stabilisce una classificazione gerarchica <strong>del</strong>le arti.Come le idee, così anche le arti, in quanto le rispecchiano, hanno un ordine gerarchicoascendente. L'architettura esprime il grado più basso <strong>del</strong>l'oggettivazione <strong>del</strong>la volontà, cioèla forza di gravità. L'essenza artistica <strong>del</strong>l'architettura, per Schopenhauer, consiste infattinell'offrire una manifestazione "per vie traverse" <strong>del</strong>la gravità giocando sul contrasto traslancio e pesantezza.Sopra l’architettura, si collocano, secondo Schopenhauer, la pittura e la scultura deglianimali, ma soprattutto <strong>del</strong>l'uomo, in quanto la specie umana è l'oggettivazione naturale dipiù alto grado <strong>del</strong>la volontà. A sua volta la poesia è superiore a pittura e scultura in quantoesprime le idee nella loro purezza razionale ma in forma intuitiva, trasformando i concettiuniversali in immagini. Essa rispecchia tutti i gradi di oggettivazione <strong>del</strong>la volontà, masoprattutto l'uomo nelle sue aspirazioni e nelle sue azioni. In questo senso il vertice <strong>del</strong>lapoesia è la tragedia perché rappresenta la lotta perenne che contrappone gli uominisvelando così il carattere strutturalmente conflittuale <strong>del</strong>la volontà.L'arte suprema, secondo Schopenhauer, è però la musica. Essa raggiunge il massimo gradodi bellezza perché non manifesta le idee, ma la volontà in quanto tale, e in modo più ampioe con una evidenza molto maggiore <strong>del</strong>la tragedia.La musica è infatti una copia di incomparabile esattezza <strong>del</strong>la volontà e questo spiegaperché può essere compresa da tutti. Essa è una oggettivazione immediata <strong>del</strong>la volontàcosì come le idee e dunque possiede il loro stesso livello di perfezione. Per questo tra suonimusicali e idee intercorre per Schopenhauer un preciso rapporto di parallelismo:• i suoni più bassi corrispondono alle idee inferiori, quelle <strong>del</strong>le forze meccaniche;• i suoni più alti alle idee che ordinano il mondo vegetale e animale;• la melodia infine corrisponde all’idea più alta, quella <strong>del</strong>l'uomo.Su queste basi, Schopenhauer può giungere a una decisiva conclusione: l’esperienzaestetica, soprattutto quella musicale, dà una conferma definitiva all’ipotesi <strong>del</strong>la volontàcome principio unico di ogni cosa. Pertanto, tale congettura, emersa dall’indagine <strong>del</strong>proprio corpo e dall’analogia con gli altri corpi, passando attraverso l’esperienza artistica sitrasforma in una verità certa.Per Schopenhauer l'artista non imita la natura. L’artista, infatti, in primo luogo selezionagli oggetti naturali che intende rappresentare nella sua opera. Solo presupponendo in luiun criterio a priori di bellezza, sostiene Schopenhauer, è possibile spiegare come possascegliere tra gli infiniti enti naturali i mo<strong>del</strong>li <strong>del</strong>la sua produzione artistica.In secondo luogo, continua Schopenhauer, il bello artistico si dimostra superiore a quellonaturale, in quanto rispecchia maggiormente le idee. Dunque, anche sotto questo aspetto,la nozione di bello non può essere fatta derivare dall'esperienza, ma dev'esserenecessariamente pensata come presente a priori nell'uomo.Non si tratta, però, sostiene Schopenhauer, di un a priori <strong>del</strong>lo stesso tipo degli a priori<strong>del</strong>la conoscenza razionale: spazio, tempo, causalità. L’a priori artistico, infatti, nonriguarda solo la causalità, cioè le relazioni tra le cose, ma anche e soprattutto il contenutoessenziale degli enti naturali; il loro che sostanziale, non il loro mero come; ovvero ciò chedavvero ognuno di essi è, non solo come interagiscono tra loro.Per Schopenhauer, però, il valore più importante <strong>del</strong>l’arte non consiste tanto nelpermettere all’uomo di conoscere la verità sulla sua condizione.152


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREIl suo valore è anche e soprattutto pratico: la contemplazione artistica sottrae l’uomo aldominio <strong>del</strong>la volontà e dunque elimina il dolore proprio <strong>del</strong>la condizione umana eindissolubilmente connesso alla volontà. Poiché però ha una durata limitata, lacontemplazione estetica costituisce solo un rimedio temporaneo <strong>del</strong> dolore esistenziale.153


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 4SCHOPENHAUER: LA VITA UMANA COME SOFFERENZAAd eccezione <strong>del</strong>l’uomo, nessun essere si meraviglia <strong>del</strong>la propria esistenza(...). La sua meraviglia è tanto più profonda, in quanto qui, per la prima volta,essa si trova coscientemente di fronte alla morte e in quanto, accanto allaconsapevolezza <strong>del</strong>la finitudine di ogni esistenza, le si impone anche, con piùo meno forza, quella <strong>del</strong>la vanità di qualsiasi aspirazione.Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, cap. 17Ogni tendere nasce (...) da una privazione, da una scontentezza <strong>del</strong> propriostato; è dunque, finché non sia soddisfatto, un soffrire; ma nessunasoddisfazione è durevole; anzi, non è che il punto di partenza di un nuovotendere. Il tendere lo vediamo sempre impedito, sempre in lotta: è dunquesempre un soffrire; non c’è alcun fine ultimo al tendere: dunque nessunamisura e nessun fine al soffrire.Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, cap. 4, § 56L’autoindagine che ogni individuo può condurre sul proprio corpo alla luce <strong>del</strong>la suaragione pratica, l’estensione per analogia <strong>del</strong> suo risultato a tutti gli altri corpi, la confermadi tale risultato da parte <strong>del</strong>la conoscenza estetica attestano al di là di ogni dubbio, perSchopenhauer, che ogni cosa è essenzialmente volontà di vivere.La volontà è così innalzata a principio unico, infinito, eterno, onnipotente, immateriale,assolutamente libero. In altre parole, Schopenhauer attribuisce alla volontà alcune <strong>del</strong>lecaratteristiche proprie di Dio. Ma allo stesso tempo ne rovescia completamente il valore dapositivo in negativo. La volontà, infatti, si configura come una forza totalmenteirrazionale, impersonale e inconscia, come un impulso cieco, senza scopi, senzagiustificazione, privo di senso. Essa infatti è mera brama di esistere fine a se stessa, inquanto l’unico scopo <strong>del</strong> suo volere è la sua stessa esistenza e nient’altro.L’unico fine <strong>del</strong>la volontà è dunque per Schopenhauer autoconservarsi, esistereeternamente e in tutti i modi possibili. L’immenso numero degli enti individuali in cui essasi oggettiva è solo il mezzo indispensabile a realizzare l’infinità <strong>del</strong>la sua esistenza.Per questo motivo gli individui non hanno alcun valore in se stessi e quindi sono destinatia perire. La loro morte è infatti condizione necessaria per permettere la nascita di nuoviindividui e con essa la moltiplicazione e il proseguimento infiniti <strong>del</strong>le specie.In questo senso la morte individuale costituisce la manifestazione primaria <strong>del</strong> dolore e<strong>del</strong>l’insensatezza costitutivi e irrimediabili <strong>del</strong>l’esistenza. Ciò nondimeno la morte è solo lacondizione generale <strong>del</strong>le altre innumerevoli forme <strong>del</strong>la sofferenza esistenziale.Infatti, anche se, per assurdo, non andasse incontro alla morte, l’esistenza individualesarebbe comunque segnata perennemente dal dolore. Esistere significa infatti perSchopenhauer volere, e volere significa desiderare. Ma ogni desiderio è uno sforzo diraggiungere qualcosa di cui si è privi. Il desiderio implica pertanto una triplice sofferenza:• quella insita nel presupposto <strong>del</strong>lo sforzo, cioè nel bisogno come condizione dimancanza di qualcosa;• quella propria <strong>del</strong>lo sforzo in quanto tensione verso qualcosa d’altro da sé;• quella causata dagli ostacoli, naturali e umani, ovvero gli altri uomini come competitori,che si oppongono allo sforzo prolungandolo e intensificandolo.Ma soprattutto, secondo Schopenhauer, vi è una sproporzione strutturale tra l’intensità e ilnumero dei desideri e le possibilità reali di soddisfarli tale per cui desiderare significa154


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREessere necessariamente insoddisfatti. Schopenhauer non nega l’esperienza <strong>del</strong> piacere, maafferma che il piacere non è qualcosa in sé, bensì è solo una modalità difettiva <strong>del</strong> dolore.Esso infatti non è altro che una momentanea attenuazione <strong>del</strong> dolore, cioè un minordolore, quanto basta a illudere gli individui che la vita sia piacevole per farli cosìcontinuare a vivere. Subito dopo ogni suo parziale soddisfacimento, il bisogno e quindi ildesiderio risorgono imperiosi come prima.Non solo, ma proprio il pur breve intervallo di appagamento tra il soddisfacimento di undesiderio e il suo riaccendersi è occupato da un male molto più doloroso <strong>del</strong>lo stessobisogno: la noia. Per questo Schopenhauer paragona l’esistenza a un pendolo che oscillacontinuamente tra il dolore e la noia.Il desiderio per eccellenza, superiore a tutti gli altri, è per Schopenhauer quello sessuale.Infatti, dal momento che la volontà ha come unico scopo la conservazione <strong>del</strong>le specie, lariproduzione è la funzione primaria degli esseri viventi.Per questo il desiderio sessuale è il più intenso dei desideri, l’affermazione più decisa <strong>del</strong>lavolontà di vivere. Ma esso non è altro che una riaffermazione <strong>del</strong> dolore e <strong>del</strong>la morte, inquanto perpetua la condizione di sofferenza in nuovi individui. Ciò spiega, secondoSchopenhauer, perché ogni accoppiamento sessuale nell’uomo è accompagnato dallavergogna.La legge <strong>del</strong> desiderio che domina ogni cosa esistente non comporta dolore soltanto sulpiano individuale. Come si è accennato, non appena consideriamo la dimensione sociale,cioè la relazione che ogni ente individuale intrattiene con un altro, scopriamo che daquesta deriva una dose aggiuntiva di sofferenza. La volontà infatti, secondo Schopenhauer,è unica ed è quindi totalmente presente in ogni cosa.Per questo ogni ente naturale vuole tutto per sé, vuole dominare su tutti gli altri eannientare chi gli si oppone. Inoltre negli esseri umani, ogni individuo considera l’altrosolo una rappresentazione, cioè una cosa in sua funzione, un oggetto dipendente da lui.Ogni uomo è dunque egocentrico e ciò comporta che il rapporto con gli altri sianecessariamente conflittuale. La società umana, come l’intera natura, è dunque una guerrapermanente di tutti contro tutti.In questo quadro, si comprende pienamente la funzione <strong>del</strong>la conoscenza sensibile maanche di quella razionale di tipo <strong>scienti</strong><strong>fico</strong>. Le rappresentazioni spazio-temporali e causali<strong>del</strong>la conoscenza sono prodotte dalla volontà e sono funzionali alla sua attuazione.Esse infatti costruiscono gli oggetti che suscitano i desideri umani e al contempoforniscono all’uomo i mezzi indispensabili a illuderlo di poterli soddisfare.Rotte <strong>filoso</strong>fiche&rotte <strong>scienti</strong>ficiheLA VOLONTA’ COME LIBIDOLa teoria <strong>del</strong>la sessualità di Schopenhauer mostra significativi punti di contatto con la teoriapsicanalitica che Sigmund Freud elaborerà alla fine <strong>del</strong>l’800. Per Freud infatti il principiofondamentale <strong>del</strong>l’essere umano, alla base di tutti i suoi comportamenti, è la libido,un’energia inconscia di natura essenzialmente sessuale. Freud, però, da un lato considera lasessualità in un significato molto più ampio di cui la “genitalità” - cioè la sessualitàriproduttiva - è solo una modalità; dall’altro lato ritiene che i sentimenti di vergogna ad essalegati non siano naturali bensì un prodotto <strong>del</strong>la repressione sessuale su cui si fonda la civiltà.155


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 5SCHOPENHAUER: LA VIA DELLA LIBERAZIONE DAL DOLORENell’uomo la volontà può (...) arrivare a una piena coscienza di sé, ad unaconoscenza chiara ed esauriente <strong>del</strong> suo proprio essere quale si rispecchia nelmondo. (...) Ma, alla fine <strong>del</strong> nostro studio, vedremo che la stessa conoscenzaimpiegata dalla volontà come lume a se stessa, rende possibile alla volontàmedesima la propria soppressione e negazione: così la libertà (...) riesce ainsinuarsi nel mondo fenomenico e sopprimendo l’essenza di questo, mentrel’individuo continua a sussistere nel tempo, provoca un antagonismo <strong>del</strong>fenomeno con se stesso fino a creare così lo stato di santità e di abnegazione.Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, libro 4°, § 55Il dolore, sostiene Schopenhauer, è una realtà universale. Tutti gli enti naturali - minerali,vegetali, animali - soffrono il dominio <strong>del</strong>la volontà. Il dolore però aumenta nella natura alcrescere <strong>del</strong> grado di manifestazione <strong>del</strong>la volontà. L’uomo, in quanto capace diconoscenza razionale, è il più alto prodotto <strong>del</strong>la volontà. Per questo l’uomo, secondoSchopenhauer, è l’essere che soffre maggiormente, dal momento che la conoscenza lorende più consapevole <strong>del</strong>la tragicità e <strong>del</strong>l’insensatezza <strong>del</strong>la vita.Ma proprio questo sovrappiù di dolore, dovuto alla conoscenza, è la condizione che puòpermettere all’uomo di sottrarsi alla schiavitù <strong>del</strong>la volontà. Il compito <strong>del</strong>la <strong>filoso</strong>fia è perSchopenhauer aiutare l’uomo a realizzare questa possibilità. In altri termini la <strong>filoso</strong>fia perlui non può avere un fine puramente conoscitivo, ma acquista un senso solo se si pone ilfine pratico <strong>del</strong>la liberazione <strong>del</strong>l’uomo dal dolore.Solo la volontà, in quanto “cosa in sé”, secondo Schopenhauer, è libera. Tutti i fenomenispazio-temporali sottostanno alla ferrea regola <strong>del</strong>la causalità imposta dalla volontà. Ilcomportamento umano non si differenzia: l’uomo non è libero in quanto soggiace comeogni ente naturale alla legge di causa ed effetto. Ogni individuo, afferma Schopenhauer,crede di scegliere liberamente i propri atti, ma in realtà questi conseguono alla suacostituzione psicofisica individuale con la stessa necessità per cui dato un triangolo nesegue che la somma dei suoi angoli interni sia 180°.Schopenhauer ammette però una decisiva eccezione: l’uomo può acquisire la libertà che èpropria <strong>del</strong>la volontà come cosa in sé quando giunge a comprendere pienamente che ildolore è l’essenza <strong>del</strong>la vita. Grazie a questa comprensione, infatti, egli può superarel’illusione <strong>del</strong>la conoscenza <strong>scienti</strong>fica e arrivare a conoscere le idee e la volontà stessa. Inquesto modo l’uomo, secondo Schopenhauer, trascende il mondo fenomenico e può cosìpartecipare <strong>del</strong>l’assoluto libero arbitrio <strong>del</strong>la volontà universale. Questa, proprio perchéassolutamente libera, può anche volere la propria autosoppressione. Ciò permette all’uomoconsapevole di intraprendere la via <strong>del</strong>la negazione <strong>del</strong>la volontà in se stesso.Negare la volontà non significa suicidarsi. Per Schopenhauer anzi il suicidio è la piùenergica affermazione <strong>del</strong>la volontà. Il suicida infatti non rinuncia alla volontà, ma soloalla vita, e rinuncia alla vita non perché ha rinunciato al desiderio, ma perché si ribella allesue limitate possibilità di soddisfacimento. Egli dunque uccidendosi afferma al massimogrado la volontà. Il suicidio inoltre nega solo l’individuo, non la specie, e quindi nonscalfisce minimamente la volontà.Secondo Schopenhauer, l’autentica liberazione dalla volontà consiste invece nell’etica, cheha la sua prima espressione nel comportamento improntato alla giustizia.156


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREL’uomo giusto riconosce l’altro come uguale a sé e per questo rinuncia all’egoismo,limitando l’affermazione <strong>del</strong>la propria volontà in modo da non danneggiare l’espressione<strong>del</strong>la volontà altrui.La giustizia, però, è per Schopenhauer solo una negazione parziale <strong>del</strong>la volontà. Come taleessa va sviluppata nell’amore, in cui a una piena coscienza <strong>del</strong> carattere illusorio <strong>del</strong>principium individuationis corrisponde la totale identificazione con tutta l’umanità el’impegno a lenire le sofferenze degli altri.In questo senso l’amore è essenzialmente compassione, perché ciò che spinge ad aiutarel’altro è sempre il sentimento <strong>del</strong> dolore universale che accomuna tutti gli uomini el’obiettivo di ridurlo combattendone la causa, cioè la volontà.Al culmine <strong>del</strong>l’amore, continua Schopenhauer, l’uomo avverte come proprio il dolore ditutte le creature <strong>del</strong>l’universo. Ma proprio l’acuita consapevolezza <strong>del</strong> male universale fasorgere in lui una ripugnanza totale per la volontà di vivere. La virtù etica si trasforma cosìin ascesi, cioè in una condotta di vita basata sulla castità, la povertà, l’accettazione gioiosadei dolori e <strong>del</strong>le offese, il digiuno, la mortificazione <strong>del</strong> corpo.Lo scopo <strong>del</strong>le pratiche ascetiche è la noluntas: estinguere tutti i desideri e con essi lastessa volontà di vivere. Il loro compimento è la morte ma una morte non subita bensìagita in quanto approdo e coronamento <strong>del</strong> progressivo e graduale spegnimento <strong>del</strong>lavolontà. Per questo la morte ascetica non segna la fine di un individuo ma quella <strong>del</strong>la cosain sé, cioè <strong>del</strong>la stessa volontà.Al termine <strong>del</strong>la sua esposizione è lo stesso Schopenhauer a domandarsi se la strada <strong>del</strong>laliberazione da lui indicata non abbia come esito il nulla. Egli si risponde evidenziando cheil concetto di nulla assoluto è logicamente inammissibile e che dunque si può parlare dinulla solo in senso relativo o privativo, cioè come assenza di qualcosa.Se il nulla è relativo, allora è il punto di vista che decide cosa sia nulla e cosa essere. E’ soloperché crediamo che il mondo sia l’essere che la soppressione <strong>del</strong>la volontà ci appare comeun nulla. Ma una volta guadagnato il punto di vista <strong>del</strong>l’asceta è il mondo, in quantoillusione <strong>del</strong>la volontà, a svelarsi come nulla, mentre il nulla, in quanto annientamento <strong>del</strong>mondo illusorio, si manifesta come il vero essere.In ogni caso, però, la condizione <strong>del</strong>l’uomo che si è completamente liberato <strong>del</strong>la volontà,secondo Schopenhauer, non può essere conosciuta razionalmente se non in negativo, maiin positivo. Per darne una descrizione positiva si dovrebbe uscire dall’ambito <strong>del</strong>larazionalità, e quindi <strong>del</strong>la <strong>filoso</strong>fia, per rifarsi all’esperienza <strong>del</strong>l’estasi sperimentata datutti i santi e gli “illuminati” di ogni epoca e luogo. Ma l’estasi è un’esperienza <strong>del</strong> tuttopersonale, comunicabile sono in modo allusivo e analogico, dunque mai in una formacompleta e universalmente comprensibile.Tuttavia, benché limitandosi a un discorso in negativo, la <strong>filoso</strong>fia, secondo Schopenhauer,può e deve dire che la noluntas, in quanto opposto negativo <strong>del</strong>la voluntas, trasformal’uomo in puro essere contemplativo e lo innalza a una condizione di totale pace interiore,di profonda calma, di imperturbabile sicurezza e serenità.157


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREROTTA BIL CRISTIANESIMO COME FILOSOFIA DELL’ESISTENZANel panorama <strong>filoso</strong><strong>fico</strong> <strong>del</strong>l’800 Kierkegaard è il <strong>filoso</strong>fo cui spetta la palma <strong>del</strong>“solista”. Egli infatti sia per il contenuto sia per lo stile è un pensatore originale, fuori daogni scuola e schema. In questo senso l’unica tradizione a cui può essere ascritto è quella -esigua, carsica ed eterogenea - degli altri grandi solisti <strong>del</strong>la storia <strong>del</strong>la <strong>filoso</strong>fia,soprattutto il Pascal dei Pensieri e l’Agostino <strong>del</strong>le Confessioni, ma anche Montaigne eSocrate. Come i primi due Kierkegaard si basa sul primato <strong>del</strong>la fede nel Dio cristiano e sipropone di attualizzare e far comprendere il significato radicale <strong>del</strong> cristianesimo; cometutti loro pratica la <strong>filoso</strong>fia come introspezione individuale, è antisistematico eframmentario, ricorre a una vasta gamma o addirittura a un intreccio di registristilistici (saggio, dialogo, racconto, diario), utilizza la retorica (metafore, allegorie,similitudini, ossimori, paradossi) come elemento centrale e costitutivo <strong>del</strong> propriomessaggio <strong>filoso</strong><strong>fico</strong>.Tuttavia, nemmeno Kierkegaard può sottrarsi <strong>del</strong> tutto alle inevitabili influenze <strong>del</strong>milieu culturale in cui si forma. In questo senso la sua esasperata sensibilità <strong>filoso</strong>fica èriconducibile sia alla passionale e tormentata visione cristiana di Lutero sia al contorto elacerante sentimento <strong>del</strong>lo struggimento (Sehnsucht) per l’infinito tipico dei romantici.Più tecnicamente, tra i contemporanei Kierkegaard trova un aggancio <strong>filoso</strong><strong>fico</strong> direttocon l’ultimo Schelling, da cui riprese e sviluppò originalmente il concetto di “esistenza” ela tesi <strong>del</strong>la sua irriducibilità alla razionalità.VITA DI UN CAPITANOSören KierkegaardKierkegaard nacque a Copenaghen nel 1813. Suo padre era un commerciante che avevaraggiunto una certa agiatezza dopo una gioventù di duro lavoro e di stenti. Morta la primamoglie, si era risposato con la sua cameriera, avendone sette figli, di cui l’ultimo, Sörenappunto, all’età di 56 anni. Kierkegaard, come Kant, fu educato alla cupa e severa visionecristiana <strong>del</strong> pietismo, un movimento luterano fondamentalista. Di carattere introverso, finda bambino - come lasciò scritto nel suo Diario - soffrì di “depressione maniacale”. Nel1830 si iscrisse alla facoltà di teologia <strong>del</strong>l’università di Copenaghen. La sua formazione sibasò soprattutto sulla lettura dei romantici, degli interpreti biblici, dei grandi mistici, degliidealisti tedeschi. Per un breve periodo si infatuò per l’idealismo di Hegel, che poco doporigettò drasticamente, individuando in Socrate il suo <strong>filoso</strong>fo prediletto. In seguitoKierkegaard tacciò Hegel di essere un “brillante spirito di putridità” e la sua <strong>filoso</strong>fia diessere una “abominevole pompa corrutrice”.Gli anni universitari <strong>del</strong> <strong>filoso</strong>fo danese furono funestati dalla morte di cinque fratelli e daquella <strong>del</strong>la madre, ma soprattutto dalla confessione di suo padre relativa a una tremendacolpa assuntosi anni prima, probabilmente l’adulterio commesso con la futura madre diKierkegaard mentre la prima moglie giaceva sul letto di morte. La rivelazione scosseKierkegaard che ne lasciò testimonianza nel suo Diario definendola il “grande terremoto”<strong>del</strong>la sua vita. Per reazione si allontanò dal padre, che sarebbe morto poco dopo, e insiemedalla fede, vivendo da libertino gli ultimi anni universitari.Nel 1840 Kierkegaard si laureò in teologia e l’anno dopo ottenne il grado di magisterartium <strong>del</strong>la facoltà di <strong>filoso</strong>fia con la tesi Sul concetto di ironia con riferimento costante aSocrate. Negli stessi anni Kierkegaard si era fidanzato con Regine Olsen, ma aveva poiclamorosamente rotto il fidanzamento, pur continuando ad amare Regine.Successivamente, Kierkegaard declinò l’incarico di pastore luterano che gli era statoproposto. Su queste due scelte decisive di Kierkegaard influirono la credenza nellapunizione che gravava sulla sua famiglia e su lui stesso e soprattutto la consapevolezza chela sua depressione gli avrebbe impedito di essere un buon marito e un buon pastore. Ma158


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREpiù ancora Kierkegaard era venuto maturando la convinzione che la sua esperienzafamiliare e la sua condizione psichica erano segni di una missione personale, quella di dareuna testimonianza radicale <strong>del</strong>la fede cristiana.Seguendo questa ispirazione, alla fine <strong>del</strong> 1941, Kierkegaard si recò a Berlino dove seguì lelezioni di Schelling sulla “<strong>filoso</strong>fia positiva”. Tornato a Copenaghen, grazie alla renditagarantitagli dall’eredità paterna, Kierkegaard decise di dedicare la sua esistenza allascrittura come testimonianza di fede, e pubblicò con diversi pseudonimi ben nove opere insoli sette anni, dal 1843 al 1850.La prima e, insieme, l’ultima opera di Kierkegaard, fu però il Diario che Kierkegaard avevagià cominciato a scrivere nel 1834, che continuò a scrivere fino alla sua morte e che fupubblicato postumo. Nel Diario, seguendo le orme di Agostino, Montaigne e Pascal,Kierkegaard dà attuazione pratica alla sua concezione <strong>del</strong>la <strong>filoso</strong>fia come riflessioneautobiografica, come autoanalisi di un’esistenza individuale.Le prime opere pubblicate da Kierkegaard sono però Aut-Aut - un’opera composita di cuifanno parte, tra gli altri, il saggio Don Giovanni e il romanzo Diario di un seduttore - eTimore e tremore, entrambe <strong>del</strong> 1843 e strettamente collegate. Dopo aver chiarito eapprofondito il tema <strong>del</strong>la ripetitività intenzionale <strong>del</strong>la vita etica in La ripresa (1843) e ipilastri concettuali <strong>del</strong> suo <strong>pensiero</strong> - esistenza, singolarità, possibilità - in Briciole<strong>filoso</strong>fiche (1844), Kierkegaard amplia la sua riflessione <strong>filoso</strong>fica in Il concetto<strong>del</strong>l’angoscia (1844). Successivamente approfondì i temi di Aut-Aut in Stadi nel cammino<strong>del</strong>la vita (1845) e quelli di Briciole <strong>filoso</strong>fiche in Postilla conclusiva non <strong>scienti</strong>fica(1846), e infine terminò il suo affresco <strong>filoso</strong><strong>fico</strong> indagando il sentimento <strong>del</strong>ladisperazione in Malattia mortale (1849).Nel 1855, Kierkegaard pubblicò a sue spese e redasse da solo il periodico Il momento, perpolemizzare contro il razionalismo dei vescovi luterani e la perdita <strong>del</strong> senso autentico <strong>del</strong>cristianesimo da parte <strong>del</strong>la società danese. Nel vivo di questa violenta polemica, nel corso<strong>del</strong>la quale si trovò sempre più isolato e bersagliato da feroci critiche, Kierkegaard siammalò e in breve trovò la morte a soli 42 anni.159


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 1KIERKEGAARD: LE FORME POSSIBILI DELL’ESISTENZALa fede è appunto questo paradosso, cioè che il Singolo come Singolo è piùalto <strong>del</strong> generale 10 ; esso è giustificato di fronte a questo, non subordinato masopraordinato 11 . Questo però va inteso a questo modo: ch’è il Singolo il quale,dopo essere stato subordinato come Singolo al generale, ora mediante ilgenerale diventa il Singolo il quale, come Singolo, è sopraordinato; il Singolocome Singolo sta in un rapporto assoluto all’Assoluto. Questo punto di vistanon si lascia trattare con la mediazione, poiché ogni mediazione avvieneappunto in virtù <strong>del</strong> generale; esso è e resta per tutta l’eternità un paradosso,inaccessibile per il <strong>pensiero</strong>.S. Kierkegaard, Aut-autIl presupposto decisivo <strong>del</strong>la <strong>filoso</strong>fia di Kierkegaard è l’impossibilità di ridurre la vitaconcreta di ogni uomo a un sistema di principi razionali. Per Kierkegaard, infatti, il<strong>pensiero</strong> razionale non precede ma segue l’esistenza, ne è una manifestazione specifica.Dunque non è dal <strong>pensiero</strong> che si può “dedurre” l’esistenza, bensì è dall’esistenza che sipuò dedurre il <strong>pensiero</strong>. Ragione ed esistenza inoltre sono incommensurabili. Infatti,mentre la ragione è costituita di uniformità concettuali astratte, statiche e sovratemporali,l’esistenza è invece unicità, differenza, movimento, divenire.Su queste basi, Kierkegaard pone al centro <strong>del</strong>la sua ricerca l’uomo inteso come singoloindividuo. Per l’uomo, infatti, esistere (dal latino ex-sistere) significa emergere, uscirefuori, differenziarsi dal genere cui si appartiene. Ma se l’esistenza umana non si risolvenelle proprietà comuni <strong>del</strong>l’umanità, ciò significa che è libera e che si svolge nelladimensione <strong>del</strong>la pura possibilità.La riflessione <strong>filoso</strong>fica, secondo Kierkegaard, se non può imprigionare l’esistenza informule razionali, può però giungere a individuare <strong>del</strong>le modalità tipiche <strong>del</strong>l’esistenza.Esse non sono generalizzazioni induttive di tutte le esperienze esistenziali, matipicizzazioni analogico-intuitive <strong>del</strong>l’esperienza esistenziale di un uomo. Tali modalitàtipiche sono: l’esistenza estetica, l’esistenza etica, l’esistenza religiosa.Con l’aggettivo “estetica” Kierkegaard denota un’esistenza improntata al godimento deisensi e al gusto <strong>del</strong> bello. L’uomo estetico, cioè, vive per il piacere sensibile ma fa alcontempo <strong>del</strong>lo stile la sua condizione determinante. Ciò che conta per lui non è tanto ilgodimento immediato, naturale, grezzo, bensì un godimento formalmente raffinato efortemente cerebrale, cioè preparato e costruito sapientemente in modi sempre nuovi eoriginali, intessuto di aspettative, attese, fantasie, <strong>avventure</strong>.Kierkegaard presenta tre personaggi esemplari <strong>del</strong>la vita estetica. Il primo è il DonGiovanni <strong>del</strong>l’omonima opera lirica di W.A. Mozart, l’instancabile seduttore cherappresenta con le sue conquiste il tentativo di vivere tutte le possibilità di vita senzalasciarsi mai imbrigliare da alcuna di esse. Il secondo è Faust, il protagonista <strong>del</strong>l’omonimaopera di Goethe, che vende la sua anima a Mefistofele in cambio di una vita eccezionale, incui possa gustare tutte le possibili esperienze. Il terzo è Johannes, un personaggioinventato dallo stesso Kierkegaard e ispirato al suo vissuto, che ha come unico scopo quellodi progettare e attuare un elaboratissimo piano di seduzione di una vergine. L’obiettivofinale di Johannes - il rapporto sessuale - conta solo come pretesto, ed è continuamenterimandato per lasciare spazio a un gioco di continui avvicinamenti e allontanamenti legato10 La collettività umana come ordine etico universale.11 Non è inferiore al generale, bensì gli è superiore.160


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREall’invenzione di situazioni sempre nuove, di colpi di scena sempre più originali efantasiosi.Questi tre personaggi sono accomunati da una condotta di vita sospesa e dispersa nellapossibilità, che rifugge cioè dai vincoli che ogni realizzazione concreta comporta. In questosenso l’uomo estetico è per Kierkegaard colui che vive senza scegliersi - cioè senzadecidersi per una propria specifica identità - passando così da una maschera all’altra. Diconseguenza egli vive il tempo come una successione di attimi, che stanno uno accantoall’altro senza alcuna continuità, cioè senza durata. In altre parole l’uomo estetico nonmatura, bensì rimane immutato, fissato a un eterno presente di fanciullo.L’esistenza estetica, secondo Kierkegaard, è però destinata a naufragare contro lo scoglio<strong>del</strong>la ripetitività. Proprio la continua invenzione di nuove forme di piacere da parte<strong>del</strong>l’esteta tradisce la sua paura <strong>del</strong>la noia. Per quanto possa essere abile, prima o poil’uomo estetico finisce nella ripetizione. Sopraffatto dalla noia, cade nella disperazione.Davanti a lui si apre allora un’alternativa secca: o fingere di non essere disperato eriprendere disperatamente il suo gioco estetico; oppure riconoscere la propria disperazionee spiccare il salto verso un’altra dimensione di vita.L’esistenza etica è la dimensione <strong>del</strong>la scelta. Mentre vivere esteticamente significalasciarsi essere quello che immediatamente si è, vivere eticamente significa perKierkegaard diventare ciò che si sceglie intenzionalmente di essere. La scelta fondamentaleche l’uomo etico compie è quella di se stesso, <strong>del</strong>la sua stessa personalità. L’uomo etico,insomma, è colui che decide di realizzarsi in una sola possibilità, rinunciando alle altre, e sidà così un’identità unica e stabile. Ciò significa considerare l’esistenza come un compito,come un dovere interiore, come un’opera da realizzare.Kierkegaard offre un solo esempio di uomo etico, il giudice Guglielmo, un personaggio disua invenzione caratterizzato dalle sue funzioni di professionista, marito, padre efunzionario statale. La scelta di se stessi, infatti, non è per Kierkegaard qualcosa di astrattoo di individualistico, bensì ciò che vi è di più concreto e sociale. Essa si articola in una seriedi scelte particolari tra cui spiccano quelle <strong>del</strong> lavoro e <strong>del</strong> matrimonio. Il lavoro infatti nonè una necessità estrinseca, ma uno strumento fondamentale per divenire se stessi.Attraverso di esso l’uomo, secondo Kierkegaard, da un lato deve provare la preoccupazioneper il sostentamento quotidiano e dall’altro deve forgiare la sua personalità scegliendo unmestiere come una propria vocazione. Analogamente, nel matrimonio l’uomo etico sicostruisce un’identità determinata e permanente scegliendo di amare una sola persona pertutta la vita. In entrambi i casi ciò che conta non è il valore intrinseco <strong>del</strong>l’oggetto <strong>del</strong>lascelta - il mestiere o la moglie -, bensì il fatto che essi siano l’esito <strong>del</strong>la propria scelta.Infatti è la decisione individuale che trasforma l’interesse per un mestiere in unavocazione, l’attrazione per una donna in un amore unico ed eterno e la propria moglie nelladonna più bella e desiderabile. Vivere eticamente significa, insomma, optare perl’ordinarietà contro la straordinarietà, per la normalità contro l’eccezionalità, perl’uniformità sociale contro l’individualismo.Anche l’esistenza etica, secondo Kierkegaard, è destinata allo scacco. In essa infatti l’uomodiventa sempre più consapevole <strong>del</strong>lo scarto incolmabile tra il suo ideale di perfezionemorale e la sua imperfezione pratica. Questa consapevolezza induce nell’uomo etico ilpentimento, cioè il riconoscimento <strong>del</strong>la propria insuperabile limitatezza. Ma talericonoscimento, per Kierkegaard, può essere autentico e pieno solo se coincide con ilriconoscimento di Dio in quanto perfezione trascendente. Allora davanti all’individuo eticosi apre la possibilità di saltare nell’esistenza religiosa.L’esempio assoluto di uomo religioso è, per Kierkegaard, Abramo. Allorché obbedisce allarichiesta di Dio di sacrificargli il figlio Isacco, Abramo, infatti, è colui che dà la più161


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREautentica prova di fede. L’eccezionalità di Abramo, secondo Kierkegaard, sta nel fatto checompie la volontà divina nonostante ami suo figlio con tutte le sue forze, nonostante siaangosciosamente consapevole di infrangere una norma etica, ma soprattutto agendo nonper paura o servilismo bensì per una totale e convinta fiducia in Dio. In altri termini,Abramo è eccezionale perché crede nell’assurdo, crede cioè che il sacrificio di suo figlioavrebbe accresciuto la sua felicità terrena sebbene la sua convinzione risulti anche per luirazionalmente inconcepibile, realisticamente <strong>del</strong> tutto infondata. La sua fede èricompensata da Dio, che all’ultimo momento gli impedisce di sacrificare Isacco rendendocosì effettivamente più gioiosa, prospera e felice la sua vita successiva.Nonostante il lieto fine, l’agire di Abramo, secondo Kierkegaard rimane incomprensibile escandaloso per l’uomo etico, che in lui può vedere solo un assassino o un folle. Per l’uomoreligioso, invece, Abramo è l’esempio assoluto <strong>del</strong>le fede proprio in quanto questa èsuperiore all’eticità e dunque ne sconvolge i criteri. La fede, infatti, per Kierkegaard innalzail singolo al di sopra <strong>del</strong>l’universalità, oltre qualsiasi norma collettiva. Essa non nasce dallariflessione ma dalla passione più profonda, ed è assurdità e paradosso. D’altra parte, però,la fede non è pulsione irrazionale, perché presuppone l’esperienza <strong>del</strong>la vita etica, senza laquale non è fede ma solo cieco e selvaggio individualismo. In questo senso Kierkegaarddefinisce la fede come un “movimento <strong>del</strong>l’infinito”, cioè un processo graduale econsapevole. Questo processo si scandisce per Kierkegaard in due momenti fondamentali:• quello <strong>del</strong>la rassegnazione, cioè <strong>del</strong>la rinuncia al finito, <strong>del</strong>l’accettazione<strong>del</strong>l’impossibilità di raggiungere la piena soddisfazione nel mondo;• quello <strong>del</strong>la ripresa, cioè <strong>del</strong> ritorno al finito, <strong>del</strong>la riconquista <strong>del</strong>la possibilità diraggiungere la piena soddisfazione nel mondo.Conseguentemente, Kierkegaard descrive il “cavaliere <strong>del</strong>la fede” come un uomoapparentemente qualunque, come un comune borghese, pieno di allegria, capace diapprezzare e gustare fino in fondo le più piccole, banali e piatte gioie <strong>del</strong>la vita quotidiana.162


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 2KIERKEGAARD: L’ANGOSCIA COME VERTIGINE DELLA LIBERTA’Il divieto angoscia Adamo, poiché il divieto sveglia in lui la possibilità <strong>del</strong>la libertà. Ciò ch’erarimasto fuori <strong>del</strong>l’innocenza come il nulla <strong>del</strong>l’angoscia è entrato ora dentro di essa stessa equi è di nuovo un nulla, cioè la possibilità angosciante di potere.S. Kierkegaard, Il concetto <strong>del</strong>l’angosciaL’angoscia è secondo Kierkegaard la modalità esistenziale con cui l’uomo entra in rapportocon le sue possibilità di realizzazione nel mondo. Essa è, cioè, il sentimento che manifestala facoltà <strong>del</strong>l’uomo di scegliere liberamente la propria vita. L’uomo, infatti, come ognianimale, è per Kierkegaard una sintesi di anima - intesa come principio vitale - e corpo.Ma, a differenza degli animali, questa sintesi nell’uomo non è possibile senza l’interventodi un terzo elemento, lo spirito, un principio puramente interiore, non biologico.Proprio perché il rapporto tra anima e corpo è mediato dallo spirito, l’uomo può scegliereliberamente come realizzare la loro sintesi. Per questo lo spirito, afferma Kierkegaard, èvissuto in modo ambivalente dall’uomo. Da un lato egli lo ama, perché gli permette dicomportarsi liberamente, dall’altro lo odia perché genera in lui l’angoscia <strong>del</strong>la scelta e<strong>del</strong>la responsabilità personale.Sulla base <strong>del</strong>la sua concezione <strong>del</strong>l’angoscia, Kierkegaard interpreta l’episodio biblico <strong>del</strong>peccato originale di Adamo. Il primo uomo, secondo Kierkegaard, viveva in originenell’Eden in uno stato di completa innocenza, ovvero di ignoranza. Adamo godeva così diuna condizione di totale quiete non avendo nulla contro cui lottare. Egli non era ancoraspirito, ma solo il sogno, ovvero il presagio, <strong>del</strong>lo spirito. Ma proprio in quanto spirito“sognato” Adamo si avvertì come possibilità assolutamente indeterminata e vuota, cioècome nulla. Questo primo e minimale grado di coscienza spirituale è appunto l’angoscia.L’angoscia, infatti, non è paura di qualcosa di determinato, di reale, bensì è la paura <strong>del</strong>lalibertà come possibilità pura, la paura <strong>del</strong>l’indeterminato e <strong>del</strong> non ancora reale.Kierkegaard, inoltre, collega l’emergere <strong>del</strong>l’angoscia in Adamo con l’ordine di nonmangiare i frutti <strong>del</strong>l’albero <strong>del</strong>la conoscenza impartitogli da Dio. Adamo non potevacomprendere il contenuto esplicito <strong>del</strong> divieto divino, in quanto, proprio perché non avevaancora mangiato quei frutti, non possedeva alcuna cognizione <strong>del</strong> bene e <strong>del</strong> male. Egli,però, secondo Kierkegaard, ne comprese il significato implicito: se Dio gli proibivaqualcosa ciò voleva dire che egli era libero di agire, che aveva il potere di scegliere, ovverodi obbedire o di trasgredire. Così, continua Kierkegaard, il divieto divino attualizzò inAdamo l’angoscia, prima solo latente, rendendola il sentimento inquietante <strong>del</strong> suo poteredi scelta.Tuttavia, l’angoscia se è il presupposto <strong>del</strong> peccato originale, non ne è però la causa.L’angoscia infatti di per sé non è una colpa, non è peccato, in quanto in origine è tutt’unocon l’innocenza e afferra Adamo come una potenza esterna. Dunque tra l’angoscia provatada Adamo e la sua successiva scelta di disobbedienza vi è per Kierkegaard un salto che nonè razionalmente comprensibile, ma che è il fondamento <strong>del</strong>la responsabilità e <strong>del</strong>la colpaindividuali.Nella sua interpretazione <strong>del</strong> mito biblico, Kierkegaard spiega anche il ruolo di Eva.Secondo lui, Eva, pur essendo un essere spirituale <strong>del</strong> tutto alla pari <strong>del</strong>l’uomo, in quantonata da una costola di Adamo, ne rappresenta una derivazione e quindi possiede perquesto un più cosciente e potente sentimento d’angoscia. Questa maggiore potenza<strong>del</strong>l’angoscia femminile per Kierkegaard è strettamente connessa alla maggiore sensualità163


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORE<strong>del</strong>la donna. Che la donna sia più sensuale <strong>del</strong>l’uomo, è dimostrato da Kierkegaardfondamentalmente da due fatti:1. il corpo <strong>del</strong>la donna è più bello di quello <strong>del</strong>l’uomo2. il corpo <strong>del</strong>la donna, a differenza di quello maschile, ha la capacità di generare unaltro essere umano.Ora, poiché il corpo è insieme la sede e l’espressione <strong>del</strong>la sensualità, è evidente che lasuperiorità corporale <strong>del</strong>la donna si traduce nella superiorità <strong>del</strong>la sua sensualità.Questo secondo Kierkegaard spiega perché Eva sia caduta nella tentazione <strong>del</strong> serpenteprima di Adamo e abbia contribuito a tentarlo. Ciò non significa affatto che la sensualitàsia per Kierkegaard in se stessa peccaminosa. Al contrario, la sensualità è innocente ed è ilpeccato commesso che la fa diventare peccaminosa, trasformandola in sessualità. In altreparole, afferma Kierkegaard, la sessualità è la coscienza peccaminosa <strong>del</strong> proprio corpo chenasce in conseguenza <strong>del</strong> peccato originale. Il sentimento che segna la nascita <strong>del</strong>lasessualità è la vergogna, intesa da Kierkegaard come una modalità <strong>del</strong>l’angoscia eprecisamente come l’angoscia per la determinazione <strong>del</strong>lo spirito da parte non solo e nontanto di un corpo, quanto soprattutto come determinazione da parte di un corpo sessuato,cioè sessualmente caratterizzato.Il riscontro di questa tesi, si ha per Kierkegaard in ogni esperienza erotica e in particolareal culmine <strong>del</strong> rapporto sessuale, cioè nell’orgasmo. Ma non perché l’orgasmo sia di per sépeccaminoso, ma perché esso, in seguito al peccato originale, rappresenta il momento <strong>del</strong>latotale assenza <strong>del</strong>lo spirito nell’uomo, cioè il momento in cui l’uomo regredisce a meroessere naturale, cioè ad animale.Adamo, come tutti gli esseri umani, è per Kierkegaard al tempo stesso particolare euniversale, individuo e specie. Per questo, per quanto il suo primo peccato sia una suacolpa personale, esso si trasmette a tutti i suoi discendenti, cioè a tutta l’umanità. Ciò nonsignifica, però, che gli uomini non siano responsabili individualmente dei loro peccati.Infatti, chiarisce Kierkegaard, tra la colpa di Adamo e quelle di tutti gli altri uomini vi è unadifferenza quantitativa, ma anche un’identità qualitativa. La differenza quantitativa èdovuta al fatto che, in seguito all’esperienza di Adamo, i suoi discendenti hanno una piùsviluppata coscienza <strong>del</strong>l’angoscia cui corrisponde una maggiore propensione al peccato inquanto, essendo riflessa, l’angoscia agisce più potentemente su di loro. L’identitàqualitativa, invece, è dovuta al fatto che ogni uomo parte da una condizione di innocenzaanaloga a quella di Adamo nell’Eden e rivive come lui l’esperienza originaria <strong>del</strong>l’angosciae <strong>del</strong> peccato.Nel suo stato iniziale di innocenza l’individuo sperimenta l’angoscia come una “vertigine<strong>del</strong>la libertà”. Ricorrendo all’allegoria, Kierkegaard spiega che è come se ogni individuodall’alto <strong>del</strong>la coscienza <strong>del</strong>la sua libertà lanciasse uno sguardo nell’abisso <strong>del</strong>le sue infinitepossibilità esistenziali. In quel momento l’individuo è preso dalla vertigine <strong>del</strong>l’angoscia ecade nell’abisso <strong>del</strong> possibile (l’infinito). Per vincere l’intollerabile angoscia, allora, l’uomoafferra una solida roccia (il finito) che sporge dalla parete. Quando vi si alza sopra sa diessere colpevole, anche se il passaggio dalla caduta alla colpa rimane un mistero in quantonon si configura come una relazione di causa ed effetto.Solo dopo questo salto qualitativo dalla caduta alla colpa, sostiene Kierkegaard, si ponel’alternativa tra il bene e il male e si istituisce dunque la vita etica. Infatti per Kierkegaard ilbene coincide con la libera scelta <strong>del</strong> bene ed è dunque la facoltà umana di scegliereliberamente che istituisce la distinzione tra bene e male, non il contrario.Ma cosa succede dopo il primo peccato individuale? Una volta che la colpa è commessapuò ancora il singolo provare l’angoscia? Kierkegaard risponde affermativamente,spiegando come la prima colpa commessa da un individuo non possa non avere <strong>del</strong>le164


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREconseguenze. L’angoscia riemerge proprio in relazione alle possibili conseguenze <strong>del</strong>lacolpa originaria. Ciò significa che l’individuo sa che si troverà di fronte a una nuova sceltatra diverse possibilità e che egli potrebbe ancora una volta scegliere quella <strong>del</strong> perdimento,cioè assumersi una nuova colpa. Insomma, secondo Kierkegaard, dopo la prima caduta,l’uomo può cadere ancora più in basso e così via, perché non c’è alcun limiteall’abbrutimento morale.Anzi, da questo punto di vista per Kierkegaard nemmeno il pentimento può porre unargine all’angoscia, alla caduta e al salto nella colpa. Il pentimento infatti non toglie lacolpa commessa né evita le sue conseguenze negative, ma è solo un vano angustiarsi perl’una e le altre.Ciò nonostante, per Kierkegaard l’angoscia può avere per l’uomo anche una funzionepositiva. Essa infatti è innanzitutto la manifestazione di quella libertà grazie alla qualel’uomo è superiore agli esseri naturali.Ma soprattutto l’angoscia, in quanto sentimento <strong>del</strong>l’infinità <strong>del</strong>la possibilità, spingel’uomo a relativizzare e superare il finito, cioè ogni limitato bene materiale e ogni parzialerealizzazione esistenziale, indirizzandolo così verso la trascendenza divina. Infatti, solo nelrapporto con Dio, in quanto libertà e possibilità assolute, l’angoscia <strong>del</strong>l’uomo può trovareil suo sbocco adeguato e insieme il suo acquietamento.Rotte <strong>del</strong> passato&rotte <strong>del</strong> futuroL’ANGOSCIA NELL’ESISTENZIALISMO DEL PRIMO NOVECENTOLa concezione <strong>del</strong>l’angoscia è forse il più importante lascito <strong>del</strong>la <strong>filoso</strong>fia di Kierkegaard al<strong>pensiero</strong> contemporaneo. Essa fu ripresa, sviluppata e reinterpretata, per esempio, dai duemaggiori esponenti <strong>del</strong>la <strong>filoso</strong>fia <strong>del</strong>l’esistenza che nacque in Europa tra le due guerre mondiali:M. Heidegger e J.-P. Sartre. In Heidegger l’angoscia è il sentimento <strong>del</strong> nulla in quanto esperienza<strong>del</strong>l’anticipazione <strong>del</strong>la propria morte da parte <strong>del</strong>l’individuo che si apre così all’esistenzaautentica. In Sartre l’angoscia diventa invece l’esperienza <strong>del</strong> nulla propria <strong>del</strong>l’assoluta libertàumana in quanto capacità di negare e quindi di annullare qualsiasi condizione oggettiva.165


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 3KIERKEGAARD: LA DISPERAZIONE COME MALATTIA MORTALEQuando il maggior pericolo è la morte, si spera nella vita; ma quando siconosce il pericolo ancora più terribile, si spera nella morte. Quando ilpericolo è così grande che la morte è divenuta speranza, la disperazione èassenza <strong>del</strong>la speranza di poter morire.In quest’ultimo significato la disperazione è chiamata la malattia mortale:quella contraddizione tormentosa, quella malattia <strong>del</strong>l’io di morireeternamente, di morire eppure di non morire, di morire la morte. Perchémorire significa che tutto è passato, ma morire la morte significa vivere,provare vivendo il morire; e poter vivere in questo stato per un solo momentovuol dire dover vivere in eterno.S. Kierkegaard, La malattia mortaleLa disperazione è per Kierkegaard la modalità esistenziale con cui l’io umano vive il suorapporto con se stesso a causa <strong>del</strong>la sua impossibilità di realizzarsi autonomamente. Essa èqualificata come una “malattia mortale” da Kierkegaard non perché provochi la mortefisica, ma perché consiste nella morte <strong>del</strong>l’io. In altre parole, la disperazione è la morteinteriore, spirituale, che si abbina alla vita fisica e perfino al migliore stato di salute <strong>del</strong>corpo.In questo senso il disperato è per Kierkegaard una sorta di morto vivente, di morto che nonpuò morire, o anche un vivo che anziché la vita vive la morte. Kierkegaard sceglie iltermine “disperazione” proprio per sottolineare la totale mancanza di speranza, perfino<strong>del</strong>l’estrema speranza, quella appunto di poter morire. Infatti la morte spirituale, adifferenza di quella naturale, non è una fine ma una durata senza fine.La disperazione, secondo Kierkegaard, può avere diverse origini e diverse forme, a seconda<strong>del</strong>la personalità di ogni individuo. Kierkegaard si propone di svolgerne un esame,distinguendo innanzitutto un’analisi <strong>del</strong>la disperazione indipendentemente dalla suaconsapevolezza e una in riferimento alla sua consapevolezza.Nell’ambito <strong>del</strong>la prima direzione analitica la disperazione può essere vista sotto duedeterminazioni:• quella <strong>del</strong> finito e <strong>del</strong>l’infinito;• quella <strong>del</strong> necessario e <strong>del</strong> possibile.L’io per Kierkegaard ha in sé una componente finita e una infinita. La sua realizzazionesarebbe raggiungere la sintesi tra queste sue due componenti. Ma tale sintesi risultaimpossibile e l’uomo riesce solo a sbilanciarsi alternativamente verso l’infinito o verso ilfinito. La disperazione può pertanto manifestarsi in due modi: o per la mancanza <strong>del</strong> finitoo per la mancanza <strong>del</strong>l’infinito.Il tentativo <strong>del</strong>l’uomo di farsi infinito si basa sulla fantasia, che si fa guida <strong>del</strong> sentimento,<strong>del</strong>l’intelligenza e <strong>del</strong>la volontà. Ma seguendo la fantasia l’io si perde in unsentimentalismo astratto e si priva di legami concreti con gli altri uomini, diventandosempre più evanescente fino ad annientarsi. All’opposto l’io può cercare di realizzarsicompletamente come qualcosa di finito. In questo modo però, secondo Kierkegaard, perdeogni originalità e si omologa completamente agli altri. Questo tipo di io raggiungefacilmente il successo mondano, è onorato e stimato dalla società, ma rinuncia alla suapersonalità ed è spiritualmente nullo.166


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORELa stessa dialettica di reciproca negazione senza sintesi si ripropone, secondo Kierkegaard,in un altro rapporto costitutivo <strong>del</strong>l’io, quello tra possibilità e necessità. Infatti, se l’io cercadi realizzarsi nella possibilità, non riesce a darsi alcuna concretezza, si agita a vuoto, oinseguendo un desiderio irraggiungibile o struggendosi in una malinconia fantastica. All’io<strong>del</strong>la possibilità manca la forza di piegarsi ai propri limiti e quindi la capacità dideterminarsi. Al contrario, se l’io cerca di realizzarsi nella necessità, si sente subitosoffocato, in quanto la possibilità è per l’io ciò che per i polmoni è l’aria. L’io <strong>del</strong>la necessitàè infatti determinista o fatalista, annulla la sua interiorità nell’esteriorità, lasciandosiinvadere e dominare dai fatti esterni.Considerando la disperazione in rapporto alla consapevolezza Kierkegaard ne distinguedue forme:1. la disperazione di non voler essere se stesso, o <strong>del</strong>la debolezza;2. la disperazione di voler essere se stesso, o <strong>del</strong>l’ostinazione.Una modalità <strong>del</strong>la prima è innanzitutto la disperazione per qualcosa di terreno, che èpropria <strong>del</strong>l’uomo immediato, <strong>del</strong>l’uomo istintivo che vive la vita come desiderio egodimento. Per questo tipo d’uomo, afferma Kierkegaard, la disperazione si originapassivamente da un evento accidentale, per esempio subire la perdita di un bene materialeo una sconfitta professionale o sentimentale. Egli allora desidera essere un altro, desideracambiare il proprio io così come si cambia un vestito, ma ben presto si accorge che ciò nonè possibile.Nell’uomo che invece ha raggiunto un certo livello di interiorità, la disperazione nasce dallariflessione, non è un subire, ma almeno parzialmente un agire. Egli infatti cerca diidentificarsi completamente con il suo io, ma prima o poi ne scopre un difetto checonsidera inaccettabile. Allora, pur non nutrendo l’illusione di poter diventare un altro,abbandona provvisoriamente il suo io nella speranza di poterlo ritrovare cambiato,diverso, privo di difetti. Ma anche questa è un’illusione di breve durata.Una seconda modalità <strong>del</strong>la disperazione <strong>del</strong>la debolezza è denominata da Kierkegaard“disperazione <strong>del</strong>l’eterno”. In questo caso, l’io ha raggiunto la consapevolezza che èdebolezza disperarsi per qualcosa di terreno, ma sprofonda nella disperazione proprioperché non riesce a superare questa propria debolezza. In realtà, secondo Kierkegaard,questo tipo d’uomo si dispera per la mancanza <strong>del</strong>l’eterno, ma in modo puramentenegativo, cioè solo in quanto vorrebbe sentirsi appagato dal suo contrario, l’effimero.La disperazione di voler essere se stesso, o ostinazione, implica per Kierkegaard unmaggior grado di consapevolezza e in questo senso è pienamente attiva. Questo tipo didisperazione si basa infatti sulla coscienza <strong>del</strong> carattere eterno ed infinito <strong>del</strong>l’io. Essa èostinazione perché questo carattere è assolutizzato, è creduto totale e reale, quando invecenell’uomo è solo parziale e astratto.L’uomo ostinato si crede totalmente padrone di se stesso, ma in realtà, secondoKierkegaard, è come un re senza regno, non fa che costruire castelli in aria o combatterecontro mulini a vento. Prima o poi egli fa inevitabilmente l’esperienza di un suo limite, chediventa per lui come una scheggia nella carne. In questo caso, però, non chiede aiuto anessuno perché lo aiuti a liberarsene. Al contrario l’ostinato cerca di fare <strong>del</strong> suo difetto unpregio, una dote personale, e <strong>del</strong> suo tormento un motivo di orgoglio.L’analisi <strong>del</strong>la disperazione condotta da Kierkegaard mette capo a una significativaconclusione: la disperazione non è una condizione accidentale e temporanea di alcuniuomini, ma lo stato esistenziale costitutivo e permanente di ogni uomo. Tutti gli uominisono soggetti alla disperazione e si differenziano tra loro solo per il grado diconsapevolezza che ne hanno e per la conseguente modalità in cui la vivono.167


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREIn questa prospettiva Kierkegaard sostiene ancora una volta una tesi paradossale: ladisperazione è quella malattia che è più grave quando si manifesta blandamente o non simanifesta affatto. Infatti se un uomo ha raggiunto il massimo grado di disperazione da unlato certo corre il massimo pericolo - cioè quello di non uscirne più - ma dall’altro ha la solapossibilità di uscirne, di guarirne completamente. Da questo punto di vista, propriol’individuo che è assolutamente convinto di non essere disperato è il più disperato di tutti,in quanto è il più lontano dalla guarigione.Kierkegaard giunge così a svelare quello che per lui è il più profondo significato <strong>del</strong>ladisperazione: essa non è altro che l’unico, vero, essenziale peccato che l’uomo commette:non riconoscere Dio come propria origine. Kierkegaard chiarisce che è questo il motivo percui l’uomo non può essere né finito né infinito, né possibilità, né necessità, né se stesso manemmeno un altro: l’uomo è un essere finito che deriva però da un essere infinito di cuiconserva in sé, nella sua profonda identità, una impronta in<strong>del</strong>ebile. Pertanto, se siconsidera autosufficiente, l’uomo non può che involgersi in una perenne, irrisolvibile,dilacerante contraddizione. Proprio perché da un lato non è solo finito, ma anche infinito, edall’altro non può essere pienamente infinito, in quanto non ha in sé il principio <strong>del</strong>lapropria infinitezza, l’uomo non potrà mai arrivare da solo alla sintesi, all’equilibrio trafinito e infinito, tra possibilità e necessità, tra voler essere se stesso e non voler essere sestesso.L’unico esito positivo <strong>del</strong>la disperazione è dunque, secondo Kierkegaard, la fede nel Diocristiano. La fede infatti consiste essenzialmente, per Kierkegaard, nel mettersi in rapportocon se stesso e nel voler essere se stesso, riannodandosi però in modo trasparente allapropria origine infinita, cioè a Dio. In altre parole, l’uomo attraverso la disperazione puògiungere a comprendere l’impossibilità <strong>del</strong>la propria autosufficienza, a scoprire che è statoposto da qualcos’altro e infine a entrare in rapporto con questa alterità. Egli così puòguarire dalla disperazione e realizzarsi pienamente come se stesso, trovando in Dio lacompensazione dei suoi limiti e soddisfacendo attraverso il rapporto con Dio il proprioinsopprimibile bisogno di perfezione e assolutezza. Per questo, conclude Kierkegaard,l’unica alternativa al disperarsi è credere.168


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREVIAGGIO IVLA RAZIONALITA’ SCIENTIFICA COME MOTOREDEL PROGRESSO STORICO-SOCIALECannocchiale su….L’orizzonte <strong>scienti</strong><strong>fico</strong> <strong>del</strong>l’OttocentoAnche se una piena integrazione tra scienza, tecnica e industria si realizzò solo alla fine<strong>del</strong>l’Ottocento, già a partire dall’inizio <strong>del</strong> secolo il progresso tecnico e <strong>scienti</strong><strong>fico</strong> fece unsalto di qualità grazie alla sua interazione con lo sviluppo industriale: da un lato l’industriapiù cresceva più aveva bisogno di fondare i processi produttivi su solide basi teoriche e dirinnovare continuamente la propria tecnologia, dando in questo modo impulso alla ricerca<strong>scienti</strong>fica; dall’altro quest’ultima si estendeva e si approfondiva utilizzando i nuovistrumenti di ricerca e sperimentazione messi a disposizione dallo sviluppo tecnico<strong>del</strong>l’industria.Emblematica, da questo punto di vista, l’istituzione per iniziativa <strong>del</strong>lo scienziatoimprenditoretedesco Liebig <strong>del</strong> primo laboratorio di chimica, nel quale fu utilizzato ilcosiddetto “sistema di Giessen”, cioè il primo metodo di collaborazione collettiva applicataalla ricerca <strong>scienti</strong>fica, destinato a diffondersi in breve in tutti i paesi <strong>scienti</strong>ficamenteavanzati.Sull’onda di questo nuovo rapporto tra industria e scienza, il paradigma materialisticomeccanicistico- costruito nel corso <strong>del</strong> ‘600 da Galilei e Newton e sviluppato nel ‘700 dai<strong>filoso</strong>fi e dagli scienziati illuministi – celebrò il suo trionfo. I caratteri fondamentali <strong>del</strong>paradigma meccanicistico emerso dalla rivoluzione <strong>scienti</strong>fica moderna erano:• la riduzione di tutta la realtà a materia indistruttibile dotata di movimento;• il carattere corpuscolare <strong>del</strong>la materia per cui questa è sì divisibile in parti ma nonoltre un certo limite in quanto composta da particelle minime indivisibili;• la conservazione <strong>del</strong>la quantità totale di moto/forza, che può redistribuirsi tra leparti materiali ma mai né aumentare né diminuire complessivamente;• la trasmissione <strong>del</strong> moto/forza da una parte materiale all’altra in base a relazioni dicausa ed effetto in cui vige una totale equivalenza tra la quantità di moto/causa e laquantità di moto/effetto;• la completa quantificazione e quindi la totale matematizzazione <strong>del</strong>le partimateriali, dei loro moti e dei loro rapporti causali.In poche parole, l’universo è un’enorme macchina matematica in movimento perenne incui le molteplici parti/ingranaggi ricevono le une dalle altre e trasmettono le une alle altreil moto/forza.Tra la fine <strong>del</strong> ‘700 e l’inizio <strong>del</strong>l’800, il paradigma meccanicistico aveva ormai conquistatola maggioranza <strong>del</strong>la comunità <strong>scienti</strong>fica. Nel corso <strong>del</strong>l’800 ebbe così il via uno dei piùtipici e lunghi periodi di “scienza normale” (T. Kuhn: The Structure of ScientificRevolutions, 1962), cioè di attività <strong>scienti</strong>fica dedicata al perfezionamento,all’approfondimento e all’espansione di un paradigma, assunto come certo einnoppugnabile, attraverso la ricerca sperimentale.Il rafforzamento e lo sviluppo <strong>del</strong> paradigma meccanicistico si ebbe innanzitutto nellascienza che ne era stata la culla, cioè la fisica. In questa direzione diede un contributofondamentale la Meccanica analitica (1811) <strong>del</strong> piemontese Lagrange, il quale fece fare unsalto di qualità alla matematizzazione dei concetti-base <strong>del</strong>la meccanica (forza, velocità,accelerazione, ecc.) applicando loro le derivate e gli integrali <strong>del</strong> calcolo infinitesimale. Inquesto modo, Lagrange rese la meccanica una compiuta scienza ipotetico-deduttiva: egli169


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREriuscì infatti a dedurre matematicamente tutte le proprietà fisico-meccaniche a partire daipochi concetti-base.Il francese Laplace utilizzò a sua volta la meccanica matematica lagrangiana per dare unformidabile impulso alla fisica astronomica. In sintonia con la teoria cosmologica giàelaborata da Kant, Laplace riuscì infatti a mettere a punto una teoria fisico-matematica<strong>del</strong>l’origine e <strong>del</strong>la formazione <strong>del</strong> nostro sistema planetario basata sull’evoluzionemeccanica di un originario ammasso gassoso. Forte di questo risultato Laplace giunse poi ateorizzare il determinismo totale <strong>del</strong>l’universo e la conseguente possibilità di principio diuna sua conoscenza completa. Assunto, infatti, che ogni evento fisico è, da un lato, effettototale di tutti gli eventi precedenti e, dall’altro, causa totale di tutti quelli successivi, nederivava, per Laplace, che sarebbe possibile descrivere l’intero divenire cosmico, passato efuturo, a partire dalle condizioni fisiche totali (numero <strong>del</strong>le particelle materiali, loroposizioni reciproche, loro velocità, forze agenti, ecc.) <strong>del</strong>l’universo in un qualunque istante.Di fatto tale tesi per Laplace non si poteva provare perché non si conoscevano tutte lecondizioni <strong>del</strong>l’universo in un istante dato. Ciò però non escludeva la possibilità che ungiorno tali condizioni potessero essere conosciute e dunque che in futuro si potessegiungere a una conoscenza <strong>scienti</strong>fica totale. Nel frattempo anche per Laplace eranecessario accontentarsi di previsioni probabilistiche e in questo senso egli diede anche unimportante contributo allo sviluppo <strong>del</strong> calcolo probabilistico. Fermo restando, però, che illimite probabilistico <strong>del</strong>la scienza non era imputabile alle caratteristiche <strong>del</strong>l’oggetto fisico,ovvero a una loro anche solo parziale irregolarità, ma unicamente ai limiti almenoprovvisori <strong>del</strong>le capacità conoscitive <strong>del</strong> soggetto umano.In questo quadro, è possibile comprendere in tutta la sua epocale portata il significato <strong>del</strong>larisposta che Laplace diede alla famosa domanda postagli da Napoleone I, dopo che ebbeascoltato l’esposizione <strong>del</strong>la sua teoria cosmologica: “E Dio che ruolo ha in tutto questo?”:“Dio? Non ho avuto bisogno di questa ipotesi.” In altre parole, a differenza di Newton, cheaveva dedicato a Dio un capitolo dei Principia, indicandolo come la causa prima <strong>del</strong>lamateria e <strong>del</strong> moto, Laplace poteva permettersi di fare a meno di Dio come causa motrice<strong>del</strong>l’universo e dunque di attribuirgli una funzione all’interno <strong>del</strong>la fisica. Egli portò così acompimento il processo storico-culturale di completo affrancamento <strong>del</strong>la scienza dallateologia.Dopo il 1830, il progresso <strong>del</strong>l’indagine fisica mietè nuovi allori soprattutto nell’ambito<strong>del</strong>l’astrofisica: la prima misurazione effettiva <strong>del</strong>la parallasse <strong>del</strong>la Terra rispetto allestelle fisse (1838) e l’esperimento <strong>del</strong> pendolo di Foucault (1851) fornirono finalmente leprove inoppugnabili <strong>del</strong>la fondatezza <strong>del</strong>la teoria eliocentrica. Inoltre nel 1846, grazie aicalcoli permessi dalla legge gravitazionale di Newton, fu prima ipotizzato e subito doposcoperto un nuovo pianeta al di là di Saturno: Nettuno. Così, la secolare guerra <strong>scienti</strong>ficacominciata nel 1543 con la pubblicazione <strong>del</strong> De revolutionibus orbium coelestium diCopernico poteva considerarsi conclusa con la disfatta <strong>del</strong> geocentrismo e la vittoriadefinitiva <strong>del</strong>l’eliocentrismo, vessillo e insieme ariete <strong>del</strong>la rivoluzione <strong>scienti</strong>fica moderna.Ma un contributo forse ancora più consistente al successo <strong>del</strong> paradigma meccanicisticovenne da un’altra scienza: la chimica. La pubblicazione nel 1789 <strong>del</strong> Traité èlèmentaire dechimie <strong>del</strong> francese Lavoisier può essere a buon diritto considerato l’atto di nascita <strong>del</strong>lachimica <strong>scienti</strong>fica. Lavoisier, proprio assumendo come mo<strong>del</strong>lo la fisica newtoniana, attuòinfatti il passaggio dal tradizionale metodo qualitativo, basato sull’uso dei sensi, al nuovometodo quantitativo-matematico e sperimentale, basato sulla pesatura <strong>del</strong>le sostanze construmenti di precisione. Egli inoltre elaborò la definzione di elemento, individuò eclassificò 33 elementi, inventò una nuova nomenclatura e soprattutto stabilì il principio diconservazione <strong>del</strong>la massa, diventato poi la “legge di Lavoisier”: “Si può porre per principioche in ogni operazione si abbia una quantità uguale di materia prima e dopo l’operazione;170


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREche la qualità e la quantità dei principi è la stessa e che non vi sono se non alcunicambiamenti e alcune modificazioni”.Innescata da Lavoisier, la rivoluzione <strong>scienti</strong>fica <strong>del</strong>la chimica proseguì all’inizio<strong>del</strong>l’Ottocento con la scoperta <strong>del</strong>la legge <strong>del</strong>le proporzioni semplici di Proust, <strong>del</strong>la legge<strong>del</strong>le proporzioni multiple di Dalton e <strong>del</strong> principio di Avogadro, il quale riuscì a pesare gliatomi assumendo come unità di misura il peso <strong>del</strong>l’atomo d’idrogeno. In questo modo siebbero i primi riscontri sperimentali <strong>del</strong>la struttura corpuscolare <strong>del</strong>la materia, che fino aquel momento era rimasta solo un’ipotesi <strong>filoso</strong>fica. Un altro clamoroso passo avanti inquesta direzione fu la messa a punto <strong>del</strong>la Tavola periodica degli elementi da parte diMen<strong>del</strong>eev nel 1869.In onore di Democrito, che nel V sec. a.C. aveva sostenuto l’esistenza di atoma(“indivisibili”), cioè di particelle elementari irriducibili di materia, le porzioni non divisibili(per allora) degli elementi chimici furono chiamate “atomi”. Al di là <strong>del</strong> fatto che siscambiarono inizialmente gli atomi con le molecole, si trattava di una sensazionaleconferma <strong>del</strong> paradigma meccanicistico sull’onda <strong>del</strong>la quale esso poté muovere allaconquista di nuovi territori inesplorati <strong>del</strong>la fisica: l’elettrodinamica e la termodinamica.Entrambe queste nuove scienze, infatti, riescono a ricondurre al moto di particellemateriali elementari, e quindi a quantificare e matematizzare, fenomeni quali elettricità,magnetismo e calore che fino a quel momento erano stati considerati eminentementequalitativi e come tali spiegati in base al paradigma magico-animistico.Dopo la scoperta <strong>del</strong>la pila elettrica (1800) da parte di Volta e le successive indaginisperimentali che attestarono sempre più la connessione tra elettricità e magnetismo, laTeoria dei fenomeni elettromagnetici (1828) <strong>del</strong> francese Ampère pose le fondamenta<strong>del</strong>la nuova scienza elettrodinamica che nel 1841 trovò piena conferma con la scoperta<strong>del</strong>la legge di Joule, la legge basilare dei fenomeni elettrici. Poco dopo, grazie soprattutto aFaraday (teorizzatore <strong>del</strong>la struttura elettrica materia), fu progettata e realizzatal’induzione elettro-magnetica che provava nel modo più netto che elettricità e magnetismocostituivano un solo tipo di forza.La termodinamica, invece, nacque dagli esperimenti sulla trasmissione <strong>del</strong> calore nel vuotoe attraverso i corpi. Fu Fourier a dare una prima formulazione matematica <strong>del</strong>le sueproprietà e <strong>del</strong>le sue leggi, mentre successivamente Carnot arrivò a stabilire il “primoprincipio <strong>del</strong>la termodinamica” secondo il quale la trasformazione <strong>del</strong> calore in energiameccanica comporta una dispersione di calore. Grazie alla nascita e allo sviluppo <strong>del</strong>latermodinamica un altro fenomeno fisico tradizionalmente considerato qualitativo, epertanto irriducibile al meccanicismo, fu ricondotto al movimento di particelle materiali ealla spiegazione matematico-quantitativa.Mentre la ricerca chimica giungeva a realizzare nel 1828 la prima sintesi di laboratorio diuna sostanza organica, l’urea, in biologia, a partire dalla costruzione <strong>del</strong> microscopio a lentiacromatiche nel 1827, si ebbe la decisiva scoperta <strong>del</strong>la cellula considerata l’equivalente<strong>del</strong>l’atomo nei corpi viventi. In questo modo, la teoria cellulare, integrata dalla successivascoperta <strong>del</strong>la funzione glicogena <strong>del</strong> fegato, permise di assimilare il funzionamento di unorganismo vivente complesso, corpo umano compreso, a quello di una macchina chebrucia zuccheri e da questa combustione trae energia e dunque movimento. Su questa basela nuova visione materialistico-meccanicistica <strong>del</strong>l’uomo giunse a teorizzare che il <strong>pensiero</strong>sta al cervello come la bile sta al fegato: in altre parole, il <strong>pensiero</strong> altro non sarebbe cheuna secrezione ghiandolare, ovvero qualcosa di totalmente riducibile alla materia.Altri notevoli passi avanti <strong>del</strong>la ricerca <strong>scienti</strong>fica in campo biologico, soprattutto perl’enorme impulso che diedero allo sviluppo <strong>del</strong>la medicina, furono la scoperta (1872) deimicrorganismi (batteri, virus) da parte di Pasteur e l’isolamento (1882) <strong>del</strong> batterio <strong>del</strong>latbc da parte di Koch. Queste ultime due scoperte furono fondamentali per promuovere il171


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREsuccesso <strong>del</strong> paradigma meccanicistico in quanto ebbero un enorme impatto positivo sullostato di salute <strong>del</strong>la popolazione europea.Ma soprattutto la biologia, scienza anch’essa considerata qualitativa e legata a paradigmitradizionali di tipo vitalistico, fu conquistata dal paradigma meccanicistico grazie allateoria <strong>del</strong>l’evoluzione di Darwin (1859). Questa teoria produsse nell’800 un effetto disconvolgimento culturale maggiore di quello prodotto dalla teoria copernicana nel 1500,mettendo in crisi soprattutto le teorie religiose <strong>del</strong>l’origine <strong>del</strong> mondo e <strong>del</strong>l’uomo ma piùin generale tutte le visioni tradizionali <strong>del</strong>la realtà. Infatti secondo la teoria darwiniana,tutte le specie viventi si sono formate per evoluzione di un primo organismo unicellulare inbase, in primo luogo, a mutazioni accidentali dei geni nel corso <strong>del</strong>la riproduzione e, insecondo luogo, alla selezione naturale di tali mutazioni dovuta all’interazione di ogni nuovoessere vivente con l’ambiente (“lotta per la sopravvivenza”). In questo modo, nel corso dimilioni di anni, le mutazioni favorevoli all’esistenza e alla maggiore riproduttività degliindividui si sono conservate e trasmesse modificando e moltiplicando i primi esseri viventinella miriadi di specie esistenti. In un colpo solo, dunque, l’evoluzionismo darwinianoabbatteva 3 capisaldi <strong>del</strong>la cultura e <strong>del</strong>la mentalità tradizionali:1. il fissismo, cioè l’idea che le specie viventi fossero immutabili e dunque esistesserocosì com’erano dall’origine <strong>del</strong> cosmo, idea che chiaramente supportava la fede nellacreazione divina;2. il finalismo, cioè l’idea che i fenomeni biologici avvenissero e fossero dunquespiegabili in relazione a uno scopo perseguito da ogni essere vivente a sua voltaconnesso a un fine universale complessivo (p.e., l’esistenza <strong>del</strong>l’umanità);3. l’eterogeneità e la superiorità <strong>del</strong>la specie umana, ossia il fatto che l’uomo non fosseconsiderabile un animale, o quanto meno un animale come tutti gli altri.La teoria darwiniana trovava supporto nella geologia <strong>scienti</strong>fica, nata quanto meno nel1830 con la pubblicazione di Principi <strong>del</strong>la geologia da parte di Charles Lyell, che avevasostenuto la nuova teoria <strong>del</strong>l’uniformismo, secondo la quale la configurazione <strong>del</strong>la crostaterrestre dipendeva da lenti e costanti processi di sollevamento e di erosione, per cui si erastimato che la Terra doveva essere nata da milioni di anni. Questa nuova stima <strong>del</strong>l’età <strong>del</strong>nostro pianeta da un lato confutava la credenza religiosa nella datazione <strong>del</strong>la creazionedivina a 4.000 anni prima di Cristo, dall’altro confermava che gli esseri viventi avevanoavuto a disposizione il necessario lasso di tempo per evolversi secondo le modalità indicateda Darwin.Anche sulla scorta di questa riconduzione <strong>del</strong>l’uomo alla sua natura animale, il paradigmameccanicistico venne sempre più applicato anche all’indagine conoscitiva sulla realtàindividuale e collettiva <strong>del</strong>l’uomo, una dimensione da sempre appannaggio <strong>del</strong>laletteratura, <strong>del</strong>l’arte, <strong>del</strong>la <strong>filoso</strong>fia, ovvero legata a un paradigma umanistico-spirituale.Nacquero così le scienze umane (psicologia, antropologia, sociologia, storia), chetendevano a riportare il più possibile il mondo umano al mondo naturale (p.e. nello studio<strong>del</strong>la società umana, ogni individuo è il corrispettivo <strong>del</strong>la cellula, ovvero <strong>del</strong>l’atomo) e adadottare il metodo quantitativo, matematico e sperimentale che stava trionfando nellaricerca fisica e biologica.Sulla base di questi successi, <strong>del</strong>l’estensione <strong>del</strong> metodo <strong>del</strong>la ricerca collettiva, dei nuovimezzi di comunicazione, <strong>del</strong>l’incremento <strong>del</strong>la produzione editoriale, si venne formandoper la prima volta una vera e propria comunità <strong>scienti</strong>fica europea e perfino mondiale.Tuttavia, proprio il grande sviluppo <strong>del</strong>la ricerca <strong>scienti</strong>fica a tutti i livelli portò allascoperta <strong>del</strong>le prime anomalie, cioè di fatti sperimentali o teorie in contrasto con ilparadigma meccanicistico, preludio <strong>del</strong>la sua successiva crisi. P.e., in campo matematico,vennero scoperte, ampliate e sempre più accreditate le geometrie non-euclidee che miseroin crisi l’univocità e l’oggettività <strong>del</strong>la concezione euclidea <strong>del</strong>lo spazio, fondamento di tuttala fisica. In campo fisico, e segnatamente in quello <strong>del</strong>la termodinamica, la scoperta <strong>del</strong>172


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREprincipio di entropia (1850), secondo il quale il calore passa sempre dai corpi più caldi aquelli più freddi, mise in crisi il principio di reversibilità fisica corollario necessario <strong>del</strong>paradigma meccanicistico. L’anomalia costituita dall’entropia, ovvero dalla “freccia <strong>del</strong>tempo”, fu risolta con la teoria <strong>del</strong>la probabilità, assumendo che la reversibilità deifenomeni termici avesse un grado minimo di probabilità di accadimento, tale per cui difatto risultava impossibile constatarla, pur esistendo. Questa soluzione minava però laconcezione deterministica <strong>del</strong>la realtà perché, nel caso <strong>del</strong>l’entropia, il ricorso al calcoloprobabilistico non era più addebitabile alla carenza dei dati conoscitivi a disposizione (aparte subiecti) ma alla natura stessa <strong>del</strong> mondo fisico (a parte obiecti).Negli anni Settanta, soprattutto, proprio da una <strong>del</strong>le più grandi conquiste <strong>scienti</strong>fiche <strong>del</strong>secolo, la teoria elettromagnetica di Maxwell, scaturì un’anomalia irriducibile: la costanza<strong>del</strong>la velocità <strong>del</strong>la luce per qualsiasi osservatore, sia in avvicinamento sia inallontanamento sia fermo, che metteva in crisi il principio di relatività galileiana e quindi lapossibilità di unificare tutti i fenomeni fisici.Dai molteplici tentativi – tutti fallimentari - di “domare” questa anomalia, ovvero direnderla compatibile col paradigma materialistico-meccanicistico, sarebbe scaturita larivoluzione <strong>scienti</strong>fica contemporanea.173


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREROTTA AIL POSITIVISMO SOCIALEComte è il padre fondatore di una <strong>del</strong>le più importanti e durature tendenze <strong>filoso</strong>fichecontemporanee che egli stesso denomina “positivismo” basandosi sia sul significatooriginario <strong>del</strong> termine “positivo” – “ciò che è posto, che è istituito”, ovvero “reale”,“effettivo”, “esistente” – sia sulle sue numerose accezioni, derivate dall’uso: “certo”,“esatto”, “vero”, “di valore”, “affidabile”, “costruttivo”, “utile”.Per Comte il “positivo”, cioè la realtà, coincide con la fisicità, ovvero ciò che non è fisiconon esiste. Pertanto l’unica conoscenza “positiva” è quella <strong>scienti</strong>fica, cioè quellasperimentalmente accertabile. La scienza, infatti, grazie al metodo sperimentale, èconoscenza <strong>del</strong>la realtà fisica, cioè di tutto ciò che esiste. Ogni altra produzione culturaleumana, in quanto non <strong>scienti</strong>fica, è priva di qualsiasi valore conoscitivo e pratico, è soloinganno e superstizione: le religioni tanto quanto le <strong>filoso</strong>fie, la letteratura tanto quantola storia, le ideologie politiche tanto quanto l’arte.Sulla base di questo presupposto radicale, Comte si dedica all’elaborazione di un progettodi rifondazione complessiva <strong>del</strong>la cultura occidentale incardinato sulla scienza. In primoluogo, stabilisce quali sono le scienze autentiche, come si connettono organicamente traloro e in cosa consiste il metodo sperimentale. In secondo luogo, fonda una nuova scienza– la fisica sociale, ovvero una scienza <strong>del</strong>la società umana basata sui principi e i metodi<strong>del</strong>la meccanica – capace di completare la conquista <strong>scienti</strong>fica <strong>del</strong>la realtà abbattendol’ultimo baluardo <strong>del</strong>la tradizione anti<strong>scienti</strong>fica. In terzo luogo, avanza una proposta diriconfigurazione <strong>del</strong>le istituzioni statali basata sull’idea di un governo <strong>scienti</strong><strong>fico</strong>, affidatocioè ai “fisici sociali”, gli scienziati <strong>del</strong>la società.Infine, fonda una religione <strong>del</strong>la scienza, definendone dottrina, precetti e riti, e istituendouna nuova chiesa <strong>scienti</strong>fica basata su una propria gerarchia, propri santi e proprieliturgie, convinto che la cultura <strong>scienti</strong>fica si sarebbe potuta affermare solo fornendoun’alternativa completa a tutti i bisogni <strong>del</strong>l’umanità, innanzitutto quello religioso.VITA DI UN CAPITANOAUGUSTE COMTENato a Montpellier nel 1798 da genitori di modeste condizioni, studiò all’ÉcolePolytechnique, istituita durante la rivoluzione francese per la formazione degli ingegneri ealla quale Napoleone I aveva dato nel 1805 uno statuto militare e una prestigiosa sede aParigi. Durante i “cento giorni” di Napoleone, Comte partecipò al movimento studentescoche prima sostenne il ritorno <strong>del</strong>l’imperatore e poi, dopo Waterloo, contestò larestaurazione monarchica. Di conseguenza, fu costretto a lasciare la scuola statale e aproseguire la sua formazione da autodidatta, studiando opere <strong>filoso</strong>fiche, soprattutto degliilluministi, ma anche testi <strong>scienti</strong>fici. Il prezzo <strong>del</strong>la coerenza di Comte fu la suaemarginazione dal mondo accademico e intellettuale ufficiale nonché la permanenteprecarietà <strong>del</strong>la sua condizione economica. Dal 1818 al 1824, però, Comte stabilì unrapporto di amicizia e collaborazione con l’intellettuale illuminista e politico rivoluzionarioClaude-Henri de Saint-Simon, di quasi quarant’anni più grande di lui, che gli offrì ancheun lavoro retribuito come suo segretario. Dalla comune attività di ricerca scaturironoalcune idee – la “società industriale” basata sulla cooperazione tra imprenditori e operaiall’insegna <strong>del</strong>la scienza e <strong>del</strong>la tecnica; la “<strong>filoso</strong>fia positiva” incentrata sulla scienza ecapace di rimpiazzare la religione – che Saint-Simon rese note come proprie. Comte neprotestò la paternità e ruppe il rapporto con Saint-Simon. Rimasto solo e senza lavoro,Comte cercò di ottenere una cattedra all’École Polytechnique ma riuscì a strappare soltantoincarichi precari come assistente ed esaminatore. Negli stessi anni cominciò a tenerelezioni private di <strong>filoso</strong>fia positiva nel suo appartamento e si sposò con un ex prostituta che174


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORElo lasciò, per poi tornare con lui, diverse volte. Colpito da una grave crisi depressiva,trascorse un periodo di cura in una clinica per malati mentali e, una volta dimesso, tentòanche il suicidio. Si riprese trascrivendo le sue lezioni e pubblicando così, in 6 volumi dal1830 al 1842, la sua opera più importante: Corso di <strong>filoso</strong>fia positiva, di cui le successiveDiscorso sullo spirito positivo (1844) e Discorso sull’insieme <strong>del</strong> positivismo (1848)costituiscono versioni sintetiche e divulgative. Grazie alla diffusione di Corso di <strong>filoso</strong>fiapositiva, nel 1841 Comte divenne amico di John Stuart Mill, <strong>filoso</strong>fo inglese liberaldemocraticoe poi lui stesso positivista, il quale promosse anche una sottoscrizione a favoredi Comte tra i suoi lettori e simpatizzanti inglesi. Ma nel 1844 anche questa amicizia siruppe a causa <strong>del</strong>le divergenze <strong>filoso</strong>fiche. Nel 1845, Comte si innamorò, ricambiato, diClotilde de Vaux, sorella di un suo allievo, scrittrice, già sposata e non divorziata perché ilmarito l’aveva abbandonata fuggendo all’estero per sottrarsi al pagamento di debiti digioco. Comte decise di convivere con lei e questa volta riuscì a stabilire una profonda earmonica intesa. La sua gioia fu però breve: pochi mesi dopo, nel 1846, Clotilde de Vauxmorì di tubercolosi. Comte sentì che Clotilde era per lui ciò che Beatrice era stata perDante, ovvero un tramite verso una dimensione superiore. E infatti negli anni successivi la<strong>filoso</strong>fia positiva di Comte assunse sempre più un carattere religioso, che emerseparzialmente nel Sistema di politica positiva (1851-1854, 4 volumi), dedicato al mo<strong>del</strong>lo disocietà e di Stato positivi, e fu invece esplicitato totalmente in Catechismo positivista(1852), opera in cui Comte propose una nuova religione basata sul <strong>pensiero</strong> <strong>scienti</strong><strong>fico</strong>.175


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 1COMTE: IL SISTEMA DELLE SCIENZEPer ottenere una classificazione naturale e positiva <strong>del</strong>le scienze fondamentalidobbiamo cercarne il principio nella comparazione dei diversi ordini difenomeni di cui esse tendono a scoprire le leggi. Quel che vogliamodeterminare è la dipendenza reale dei diversi studi <strong>scienti</strong>fici. Orbene, taledipendenza può risultare soltanto da quella dei fenomeni corrispondenti.Considerando da questo punto di vista tutti i fenomeni osservabili vedremoche è possibile classificarli in un piccolo numero di categorie naturali,disposte in maniera tale che lo studio razionale di ogni categoria sia fondatosulla conoscenza <strong>del</strong>le leggi principali <strong>del</strong>la categoria precedente e diventi ilfondamento <strong>del</strong>lo studio di quella seguente. Quest’ordine è determinato dalgrado di semplicità o – il che è lo stesso – dal grado di generalità deifenomeni, da cui risulta la loro dipendenza successiva e, di conseguenza, lamaggiore o minore facilità <strong>del</strong> loro studio.E’ infatti chiaro a priori che i fenomeni più semplici, quelli che risultanomeno complicati degli altri, sono necessariamente anche i più generali; infatticiò che si osserva nel maggior numero di casi è, per ciò stesso, svincolato ilpiù possibile dalle circostanze proprie di ciascun caso particolare. Occorrequindi cominciare dallo studio dei fenomeni più generali o più semplici,procedendo in seguito fino ai fenomeni più particolari o più complicati, se sivuole concepire la <strong>filoso</strong>fia naturale in maniera veramente metodica. Infattiquest’ordine di generalità o di semplicità, determinando necessariamente ilcollegamento razionale <strong>del</strong>le diverse scienze fondamentali mediante ladipendenza successiva dei loro fenomeni, stabilisce pure il loro grado difacilità.Comte, Corso di <strong>filoso</strong>fia positiva, lezione 2, trad. di Pietro Rossi, in Positivismo e societàindustriale, Loescher 1973Per Comte la scienza è l’unica forma di sapere che abbia un effettivo contenuto conoscitivo,ossia l’unico sapere veritiero. Sulla base di questa assunzione, Comte si chiede: quali equante sono le scienze? Che relazioni intercorrono tra esse? Quali sono i requisiti <strong>del</strong>la<strong>scienti</strong>ficità? In cosa consiste il metodo <strong>scienti</strong><strong>fico</strong>? Come nascono e come evolvono lescienze? La risposta a queste domande è affidata alla <strong>filoso</strong>fia, che pertanto è concepita epraticata da Comte esclusivamente come indagine sulla scienza. In breve, per Comtel’unica <strong>filoso</strong>fia possibile è <strong>filoso</strong>fia <strong>del</strong>la scienza, e la “<strong>filoso</strong>fia positiva” è appunto <strong>filoso</strong>fia<strong>del</strong>la scienza.Sulla base <strong>del</strong>la sua riflessione <strong>filoso</strong>fica, Comte stabilisce in primo luogo quali sono leuniche scienze:1. l’astronomia;2. la fisica;3. la chimica;4. la biologia;5. la fisica sociale (o sociologia).Dall’elenco <strong>del</strong>le scienze, Comte esclude sia la matematica e sia la psicologia, ma per duemotivi <strong>del</strong> tutto opposti.Secondo Comte, la matematica è il linguaggio stesso e, al contempo, la logica stessa <strong>del</strong>lascienza. In altre parole, Comte, seguendo la tradizione di Galilei e Newton, ma anche <strong>del</strong>connazionale Descartes, afferma che una conoscenza è <strong>scienti</strong>fica se descrive e spiega larealtà in base a quantità e relazioni matematiche.176


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREPer quanto riguarda, la psicologia, Comte ritiene, invece, che la psiche, cioè la coscienza ointeriorità <strong>del</strong>l’uomo, sia inconoscibile. L’indagine <strong>scienti</strong>fica, infatti, presuppone ladistinzione tra soggetto conoscente e oggetto conosciuto, ma questa viene meno nonappena lo scienziato tenti di indagare la propria psiche attraverso l’introspezione. Tuttavia,ciò non significa che l’uomo non possa essere studiato <strong>scienti</strong>ficamente in assoluto, anzi.L’uomo, per Comte, può essere indagato come specie animale dalla biologia e come esserecivile e sociale dalla sociologia. In entrambi i casi lo scienziato studia le caratteristiche e icomportamenti fisici esteriori <strong>del</strong>l’uomo e pertanto il soggetto conoscente (la menteumana) e l’oggetto conosciuto (il corpo umano) rimangono ben distinti.Dunque, le scienze sono solo cinque. Ma quello che apparentemente ne è solo un elenco inrealtà ne <strong>del</strong>inea il sistema. La successione stabilita da Comte, infatti, non è casuale, madefinisce un ordine relazionale e, insieme, genetico. Tale ordine si incardina in 2 proprietàper così dire inversamente proporzionali:a) la generalità decrescente: l’astronomia è la scienza più generale, la fisica socialequella più particolare o specifica;b) la complessità crescente: l’astronomia è la scienza più semplice, ossia col minornumero di variabili e relazioni; la fisica sociale è la scienza più complessa, ossia colmaggior numero di variabili e di interconnessioni.Al tempo stesso, l’elenco comtiano <strong>del</strong>le 5 scienze contiene un ordine di generazione neltempo, ovvero rappresenta una sorta di albero genealogico <strong>del</strong>le scienze. Infatti:l’astronomia per Comte è la scienza che è nata per prima, la fisica sociale per ultima; edalla fisica in poi ogni scienza nasce sulla base di quella precedente, come fecondata dairisultati da essa acquisiti. Naturalmente è facile notare la connessione logica tra le prime 2e quest’ultima proprietà <strong>del</strong> sistema comtiano <strong>del</strong>le scienze: l’astronomia nasce primaproprio perché più semplice <strong>del</strong>la fisica; la fisica parte dall’astronomia proprio perchéentra, per così dire, più nel dettaglio <strong>del</strong>la realtà conosciuta dall’astronomia; e così via.Dopo aver così definito il quadro sistematico <strong>del</strong>le scienza, Comte affronta il nodo <strong>del</strong>metodo <strong>del</strong>le scienze, indicandone innanzitutto un denominatore comune: la superiorità<strong>del</strong>l’osservazione sull’immaginazione. Egli precisa poi che l’osservazione si articola in 3modalità:1) l’osservazione empirica, cioè la conoscenza dei fatti attraverso i sensi naturali;2) l’osservazione sperimentale, cioè la conoscenza dei fatti basata sulla predisposizionedi un contesto artificiale e l’uso di apparecchiature tecniche capaci di potenziare isensi naturali;3) la comparazione dei fatti sia empirici sia sperimentali.In questo modo, Comte dà indubbiamente una connotazione induttivistica al metodo<strong>scienti</strong><strong>fico</strong>: questo consiste nell’inferire regole generali da dati d’osservazione singolari. Inaltre parole, lo scopo <strong>del</strong>la scienza è individuare le leggi dei fenomeni, “cioè le lororelazioni invariabili di successione e similitudine”.D’altra parte quello comtiano non è affatto un induttivismo ingenuo e monolitico. Comteinfatti afferma chiaramente che: la ricerca dei fatti è orientata da un’ipotesi teorica; il fatto deve essere sempre interpretato in base a una teoria; i fatti singolari non possono essere correlati in leggi generali senza teoria.In questo senso, il metodo <strong>scienti</strong><strong>fico</strong> deve consistere in un’interazione tra elaborazioneteorica e verifica sperimentale, ossia, come dice Comte, in un “uso ben combinato <strong>del</strong>ragionamento e <strong>del</strong>l’osservazione”. Non solo. Comte attribuisce un ruolo ancheall’immaginazione, che ha il compito di inventare ipotesi teoriche di partenza che stimolinoe orientino l’osservazione. Resta fermo, però, che sia l’immaginazione sia il ragionamentopuro devono essere selezionati in base all’osservazione, ossia appunto dal controlloempirico/sperimentale. Infatti, afferma Comte, “ogni proposizione che non è strettamente177


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREriducibile alla semplice enunciazione di un fatto, particolare o generale, non puòpresentare nessun senso reale e intelligibile”.Comte, inoltre, sostiene anche che il metodo <strong>scienti</strong><strong>fico</strong> generale così <strong>del</strong>ineato debbaessere diversamente modulato a seconda <strong>del</strong>le diverse scienze. In altre parole, a seconda<strong>del</strong> tipo di scienza, nella combinazione di immaginazione, ragionamento e osservazione, laproporzione di ognuna e la forma <strong>del</strong>la loro interazione devono cambiare. Piùprecisamente, il ruolo di immaginazione e ragionamento è maggiore passando dall’ambito<strong>del</strong>le scienze <strong>del</strong>la natura inorganica (astronomia, fisica e chimica) all’ambito <strong>del</strong>le scienze<strong>del</strong>la natura organica (biologia e fisica sociale). Infatti, le scienze <strong>del</strong>la natura inorganica,più semplici, devono procedere dalle parti al tutto (p.e. dall’atomo alla molecola), epertanto il metodo <strong>scienti</strong><strong>fico</strong> deve privilegiare l’osservazione e la generalizzazioneinduttiva. Invece, le scienze <strong>del</strong>la natura organica, più complesse, devono procedere daltutto alle parti (p.e. dal corpo umano ai suoi organi, tessuti, cellule) e di conseguenzamaggiore dev’essere il peso <strong>del</strong>l’invenzione teorica e <strong>del</strong> procedimento ipotetico-deduttivo.In conclusione, benché assuma come mo<strong>del</strong>lo di scienza la fisica meccanica di Galilei eNewton, Comte evita il riduzionismo e valorizza le specificità metodologiche <strong>del</strong>le altrescienze, segnatamente <strong>del</strong>la biologia e <strong>del</strong>la sociologia. In questo senso, pur riconoscendoche il sogno di ogni scienziato è quello di ricondurre tutti i fenomeni a una sola leggeuniversale – sogno realizzato da Newton per l’astronomia e la fisica grazie alla sua legge digravitazione universale – Comte è fermo nel negare la possibilità di trovare una leggeuniversale capace di unificare tutti i fatti e quindi tutte le scienze; e molto netto neldifendere la specificità e la parzialità <strong>del</strong>le diverse leggi <strong>del</strong>le differenti scienze, inparticolare <strong>del</strong>la fisica sociale.Rotte <strong>filoso</strong>fiche&rotte <strong>scienti</strong>ficheDa Comte alla teoria dei sistemi e alla ciberneticaAlcuni aspetti <strong>del</strong>la <strong>filoso</strong>fia <strong>del</strong>la scienza di Comte possono essere proficuamentecollegati alla attuale problematica <strong>scienti</strong>fica <strong>del</strong>la “complessità”. In estremasintesi per complessità si intende un fenomeno che presenta un numero tale divariabili indipendenti e di correlazioni da risultare indeterminabile e dunqueimprevedibile. Complessi, p.e., sono le perturbazioni atmosferiche ma anche i corpiorganici, che in quanto tali vengono definiti “sistemi”. Per il loro studio èconsiderato più adeguato un approccio “olistico”, cioè centrato sulla priorità <strong>del</strong>tutto rispetto alle parti, in base all’assunto che, in un sistema complesso, il tutto èpiù <strong>del</strong>la somma <strong>del</strong>le sue parti. Dalla problematica <strong>del</strong>la complessità hanno presoil via sia la teoria dei sistemi (Bertalanffy: Teoria generale dei sistemi, 1969) sia lacibernetica, la scienza <strong>del</strong> trattamento automatico <strong>del</strong>le informazioni, oggi piùnota come informatica o teoria <strong>del</strong>l’informazione. Da esse è nato il concetto di“sistema aperto”, secondo cui i fenomeni (fisici, biologici, sociologici) non si devonopiù studiare solamente in riferimento allo scambio di materia ed energia ma anchee soprattutto in riferimento allo scambio di informazioni.178


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 2COMTE: LA SOCIOLOGIA O FISICA SOCIALEStudiando così lo sviluppo totale <strong>del</strong>l’intelligenza nelle sue diverse sfere diattività, dal suo primo e più semplice sviluppo ai giorni nostri, credo di averscoperto una grande legge fondamentale alla quale è assoggettato da unanecessità invariabile, e che mi sembra possa essere solidamente stabilita, siasulle prove razionali fornite dalla conoscenza <strong>del</strong>la nostra organizzazione, siasulle verifiche storiche che risultano da un esame attento <strong>del</strong> passato. Questalegge consiste nel fatto che ognuna <strong>del</strong>le nostre concezioni principali, ognibranca <strong>del</strong>la nostra conoscenza, passa successivamente attraverso tre staditeorici differenti: lo stadio teologico o fittizio, lo stadio metafisico o astratto,lo stadio <strong>scienti</strong><strong>fico</strong> o positivo. In altri termini, lo spirito umano, per suanatura, impiega successivamente in ognuna <strong>del</strong>le sue ricerche tre metodi di<strong>filoso</strong>fare, di cui il carattere è essenzialmente differente e anche radicalmenteopposto: dapprima il metodo teologico, quindi il metodo metafisico, e infine ilmetodo positivo. Di qui tre tipi di <strong>filoso</strong>fie o di sistemi generali di concezionisull’insieme dei fenomeni che si escludono a vicenda: la prima è il punto dipartenza necessario <strong>del</strong>l’intelligenza umana; la terza, il suo stadio fisso edefinitivo; la seconda è unicamente destinata a servire da transizione.Nello stadio teologico lo spirito umano, dirigendo essenzialmente le suericerche verso la natura intima degli esseri, le cause prime e finali di tutti glieffetti che lo colpiscono, in una parola, verso le conoscenze assolute, sirappresenta i fenomeni come prodotti <strong>del</strong>l’azione diretta e continua di agentisovrannaturali, più o meno numerosi, il cui intervento arbitrario spiega tuttele anomalie apparenti <strong>del</strong>l’universo.Nello stadio metafisico, che in fondo non è che una semplice modificazionegenerale <strong>del</strong> primo, gli agenti sovrannaturali sono sostituiti da forze astratte,vere e proprie entità (astrazioni personificate) inerenti ai diversi esseri <strong>del</strong>mondo e concepite come capaci di generare di per se stesse tutti i fenomeniosservati, la cui spiegazione consiste allora nell’assegnare per ciascunol’entità corrispondente.Infine, nello stadio positivo, lo spirito umano, riconoscendo l’impossibilità diottenere <strong>del</strong>le nozioni assolute, rinuncia a ricercare l’origine e la destinazione<strong>del</strong>l’universo e a conoscere le cause intime dei fenomeni, per volgersiunicamente a scoprire, attraverso l’uso ben combinato <strong>del</strong> ragionamento e<strong>del</strong>l’osservazione, le loro leggi effettive, cioè le loro relazioni invariabili disuccessione e similitudine. La spiegazione dei fatti, ridotta allora ai suoitermini reali, ormai non è più che il legame stabilito fra i diversi fenomeniparticolari e alcuni fatti generali di cui i progressi <strong>del</strong>la scienza tendonosempre più a diminuire il numero.Comte, Corso di <strong>filoso</strong>fia positiva, lezione I, in Per una rilettura di Comte,a cura di F. Barbano-E Roggero, Celid, 1979Secondo Comte, la “fisica sociale” è la più giovane <strong>del</strong>le cinque scienze. Anzi, per così dire,è una scienza neonata. Comte stesso se ne ritiene il padre e dedica un’ampia parte <strong>del</strong>la suaopera alla sua costruzione.179


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREPer comprendere a fondo in cosa consista questa nuova scienza, è utile partire dalla suadenominazione, “fisica sociale”, ossia scienza fisica, secondo il mo<strong>del</strong>lo galileianonewtoniano,dei fenomeni sociali, cioè dei comportamenti umani collettivi. Talicomportamenti possono essere economici, politici, giuridici, sociali in senso stretto,culturali. Ciò significa che la “fisica sociale” di Comte include non solo l’attuale sociologia,ma anche la politologia, la scienze economica, la teoria <strong>del</strong> diritto, la dottrina <strong>del</strong>lereligioni, ecc. Inoltre, poiché i comportamenti umani variano nel tempo, la fisica socialecomprende anche la storia, intesa come storia politico-militare, ma anche come storia <strong>del</strong>laletteratura, storia <strong>del</strong> costume, ecc. Insomma: la fisica sociale comtiana corrisponde aquell’insieme di discipline che oggi vengono definite “scienze umane” o anche “scienzestorico-sociali”.Comte divide la fisica sociale in due branche distinte ma complementari:1. la “statica sociale”, che ha il compito di studiare i fattori di sussistenza e stabilità<strong>del</strong>la società, per individuare la legge <strong>del</strong>l’ordine sociale;2. la “dinamica sociale”, che ha il compito di studiare i fattori e le modalità <strong>del</strong>mutamento sociale, per individuare la legge <strong>del</strong> cambiamento storico.Questa partizione è sintomatica <strong>del</strong>l’intenzione comtiana di attenersi al mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong>lameccanica classica, canonicamente divisa per l’appunto in statica e dinamica. Comte,tuttavia, non è affatto un riduzionista radicale, non si appiattisce sul metodomeccanicistico, anzi rovescia l’approccio atomistico – dalle parti al tutto – adottandoun’impostazione che oggi definiremmo “sistemica” – dal tutto alle parti -, e attribuendo piùimportanza al metodo comparativo e storico-genealogico, piuttosto che a quello induttivo.Su queste basi, Comte giunge a isolare il principio <strong>del</strong> “consensus” come legge <strong>del</strong>l’ordinesociale. Per Comte una società, così come un corpo animale, è un sistema, cioè un insiemeorganico fondato sull’interazione di diversi componenti. In prima battuta, il consensus è, aun tempo, la omogeneità, meglio ancora l’isomorfismo, la complementarità e lacooperazione, in altre parole la relazione di funzionalità e armonia, che connettono idiversi settori <strong>del</strong>la società: a un livello più generale, il settore economico, il settorepolitico, il settore sociale, il settore culturale, ecc.; a un livello più speci<strong>fico</strong>, p.e. quelloeconomico, l’agricoltura, l’industria, il commercio, la finanza. In questo senso, p.e., nelsettore economico c’è consensus, e quindi l’economia funziona, se l’agricoltura producematerie prime per l’industria e questa macchine per l’agricoltura; oppure se le banchefanno credito alle imprese e queste a loro volta depositano i loro capitali nelle banche, ecc.In seconda battuta, su questa base, il consensus è più genericamente il senso dicoappartenenza che lega gli individui, attori di tutti i diversi sottosistemi sociali, e cheproduce la coesione sociale.Ma la società umana cambia nel tempo, è storica, dunque il consensus a sua volta variacontinuamente. In che modo? Qual è la legge <strong>del</strong> mutamento storico? La risposta di Comte,in prima approssimazione, è molto semplice: il progresso. La storia umana, ilcambiamento sociale, è dovuta al progresso, cioè alla tendenza al miglioramento <strong>del</strong>lecondizioni sociali. Questa tendenza, si badi bene, si attua lentamente e gradualmente, maper Comte è ineluttabile, irrefrenabile. La legge <strong>del</strong> progresso sta alla storia umana come lalegge di gravità sta ai fenomeni meccanici: è una legge di natura universale e necessaria.Ma in cosa consiste più precisamente il progresso? Come avviene? In che modo si passa daun tipo a un altro di consensus?A un livello di maggior approfondimento, Comte dettaglia la legge <strong>del</strong> progressoconfigurandola come “legge dei 3 stadi”, cioè come transizione necessaria dalla primaall’ultima di 3 forme di organizzazione sociale:1. lo stadio teologico o fittizio, quello di partenza, paragonato all’infanzia <strong>del</strong>l’umanità(dall’età primitiva alla fine <strong>del</strong> Medioevo);180


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORE2. lo stadio metafisico o astratto, quello intermedio, paragonato all’adolescenza <strong>del</strong>laciviltà umana (dal Rinascimento alla rivoluzione francese);3. lo stadio positivo o <strong>scienti</strong><strong>fico</strong>, quello finale e definitivo, comparato alla maturitàumana (dal Congresso di Vienna in poi, per sempre).E’ facile notare che Comte connota ogni stadio in riferimento al parametro <strong>del</strong>laconoscenza. In altre parole, i 3 stadi si caratterizzano innanzitutto e soprattutto per il lorotipo di cultura, per il loro modo di concepire e praticare l’attività conoscitiva, per i lorodiversi metodi di ricerca. Il che non significa che per Comte il progresso sia soloconoscitivo. Esso coinvolge tutti i diversi sottosistemi sociali, ovvero il principio <strong>del</strong>consensus. Però, secondo Comte, il sottosistema culturale è quello decisivo, ossia ilprogresso è anzitutto incremento e perfezionamento <strong>del</strong>la conoscenza e la conoscenza è ilmotore <strong>del</strong> progresso generale. In altre parole, quando progredisce la conoscenza, per ilprincipio <strong>del</strong> consensus, tutti gli altri sistemi si adeguano al progresso conoscitivo e quindimutano, fermo restando così il loro isomorfismo. Vediamo come.Nello stadio teologico (o fittizio) l’uomo, secondo Comte, si chiede quale siano l’origine, ilfine e il senso <strong>del</strong> cosmo e <strong>del</strong>la vita, ossia concepisce e pratica la conoscenza come ricercadi essenze, cioè di verità assolute e totali. La risposta si basa sulla facoltà<strong>del</strong>l’immaginazione che, antromorficamente, spiega tutti i fenomeni imputandoli a agentisoprannaturali, cioè a divinità. In altre parole, la conoscenza <strong>del</strong> primo stadio <strong>del</strong>losviluppo <strong>del</strong>l’umanità è di tipo religioso, con un’evoluzione dal feticismo (gli agentisovrannaturali sono esseri naturali), al politeismo fino al monoteismo. Si tratta di unaconoscenza “fittizia”, cioè illusoria, cui però Comte riconosce il merito di aver avviato laricerca conoscitiva e di averle dato un orientamento, certo sbagliato ma che avrebbe poipermesso una correzione di rotta.Nello stadio metafisico (o astratto) le domande non mutano, ossia l’umanità tiene fermal’esigenza di una conoscenza essenzialistica e assoluta. Ma le divinità vengono sostituitecon enti o principi razionali, in particolare con il principio <strong>del</strong>la Natura. Il riferimento èalle metafisiche rinascimentali (p.e. Giordano Bruno) o moderne (Cartesio, Spinoza,Leibniz). La conoscenza metafisica si basa, per Comte, sul ragionamento puro, dunque“astratto”, che, privo di criteri di controllo, sfocia in argomentazioni tanto vacue quantovane, ossia alla fine inconcludenti. Tuttavia, la conoscenza metafisica costituiscel’indispensabile ponte tra quella teologica e quella positiva, dal momento che la storiaprocede sempre gradualisticamente, non può saltare alcun passaggio intermedio.Lo stadio positivo (o <strong>scienti</strong><strong>fico</strong>) si differenzia dagli altri, da un lato perché, secondoComte, è appena cominciato e quindi deve ancora completarsi; dall’altro perché costituisceil traguardo <strong>del</strong>lo sviluppo storico, e quindi è definitivo. Ciò non significa che, una voltache lo stadio positivo avesse raggiunto la sua compiutezza, non ci sarebbe più stato, perComte, progresso. Ma che il progresso sarebbe continuato illimitatamente sulla base però<strong>del</strong>lo stesso metodo conoscitivo e <strong>del</strong>lo stesso tipo di consensus.La trasformazione indotta dallo stadio positivo alla società umana è molto più radicale diquella apportata dallo stadio metafisico. Infatti, prima ancora <strong>del</strong>le risposte, sono ledomande a cambiare. Giunto finalmente all’età adulta, l’uomo smette di chiedersi qualisono la causa prima e lo scopo ultimo, cioè rinuncia all’obiettivo velleitario di unaconoscenza essenzialistica e assoluta. Al posto cercare il “perché” dei fenomeni, ne ricercail “come”. In altre parole, la scienza consiste nel cercare e scoprire le relazioni costanti trale cose e gli eventi, cioè è conoscenza non di essenze e cause prime e destini ultimi ma solodi leggi. Il sapere <strong>scienti</strong><strong>fico</strong>, dunque, è un sapere limitato e basato sulla consapevolezza diquesta limitatezza: per Comte non solo non possiamo conoscere l’essenza <strong>del</strong>la realtà, manemmeno tutti i fatti che la costituiscono, sicché la conoscenza <strong>scienti</strong>fica è sempreparziale e relativa. Tuttavia, proprio grazie a questa consapevolezza, la scienza è la forma diconoscenza più produttiva e progressiva. In altri termini essa è in grado di sviluppare181


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREesponenzialmente il patrimonio conoscitivo umano, sia sul piano quantitativo –accrescendo il numero di fatti conosciuti – sia sul piano qualitativo – unificando sempre dipiù i fatti singolari in leggi e le leggi particolari in leggi più generali. In questo senso,afferma Comte, così come la conoscenza teologica ha raggiunto il suo culmine nell’idea diun unico dio e quella metafisica nella concezione di un’unica Natura, la scienza punta, enon può non puntare, alla scoperta di un’unica legge universale, capace di unificare tutte lealtre leggi, allo stesso modo in cui la legge di gravità di Newton ha unificato tutti ifenomeni e le leggi fisico-astronomiche. Quest’aspirazione per Comte è senza dubbiofondamentale, perché traina il progresso <strong>scienti</strong><strong>fico</strong>. Tuttavia Comte afferma chiaramentedi giudicare improbabile che la scienza possa mai giungere alla scoperta di una tale leggeuniversale, dimostrando ancora una volta di non essere affatto un esaltato assertore di unaconcezione assolutistica e fanatica <strong>del</strong>la scienza e <strong>del</strong> progresso <strong>scienti</strong><strong>fico</strong>.Inoltre, per quanto sostenga in modo netto la superiorità e l’irreversibilità <strong>del</strong>lo stadiopositivo, Comte si guarda bene dal denigrare la stadio teologico e quello metafisico. Egliinfatti ritiene che le forme di <strong>pensiero</strong> e organizzazione <strong>del</strong> passato siano state, per cosìdire, degli scalini indispensabili per raggiungere il presente e proiettarsi nel futuro. E, inquesta prospettiva, Comte valorizza e addirittura esalta credenze e istituzioni tradizionali –p.e. la teologia e la chiesa cattolica medievale – sostenendo che esse, relativamente allaloro epoca, rappresentarono un decisivo progresso <strong>del</strong>la civiltà umana. Più in generale,secondo Comte, ogni nuova forma di consensus – cioè di ordine sociale – in una prima faseha una funzione progressiva, e quindi positiva, e solo quando ha espresso tutto quello chepoteva esprimere diventa regressiva, ossia negativa, in quanto ostacola l’ulterioreprogresso <strong>del</strong>l’umanità. Allora, e solo allora, deve essere superata e sostituita da una nuovaforma di consensus.182


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 3COMTE: LO STATO SOCIOCRATICO E LA CHIESA POSITIVA[…] lo spirito generale <strong>del</strong>l’economia politica […] conduce essenzialmenteoggi ad erigere a dogma universale l’assenza necessaria di ogni interventoregolatore perché costituisce, per la natura <strong>del</strong> soggetto, il mezzo piùconveniente di secondare il progresso naturale <strong>del</strong>la società: di maniera che,in ogni grave occasione che viene successivamente a presentarsi, questadottrina non sa rispondere, di solito, ai più urgenti bisogni <strong>del</strong>la pratica, senon con l’inutile uniforme ripetizione di questa negazione sistematica, allamaniera di tutte le altre parti <strong>del</strong>la <strong>filoso</strong>fia rivoluzionaria. Per avere più omeno imperfettamente constatato, in qualche caso particolare diun’importanza assolutamente secondaria, la tendenza naturale <strong>del</strong>le societàumane a un certo ordine necessario, questa pretesa scienza ne ha moltoerroneamente concluso l’inutilità fondamentale di ogni particolareistituzione, direttamente destinata a regolarizzare questa coordinazionenaturale, invece di vedervi soltanto la sorgente prima <strong>del</strong>la possibilità di taleorganizzazione […]. Questa inutile e irrazionale disposizione a nonammettere se non quel livello di ordine che si stabilisce da se stesso, equivaleevidentemente, nella pratica sociale, ad una specie di solenne rinuncia fattada questa pretesa scienza nei riguardi di ogni dif<strong>fico</strong>ltà un po’ grave che losviluppo industriale faccia sorgere. Ciò è soprattutto evidente nella famosa eimportante questione economica <strong>del</strong>le macchine, la quale, convenientementeconsiderata, coincide con l’esame generale degli inconvenienti socialiimmediati inerenti ad ogni perfezionamento industriale, come tendente alperturbamento più o meno durevole <strong>del</strong> modo attuale di esistenza <strong>del</strong>le classilavoratrici. Alle giuste e urgenti lamentele che solleva così frequentementequesta lacuna fondamentale <strong>del</strong> nostro ordine sociale […] i nostri economistinon sanno che ripetere, con una spietata pedanteria, il loro sterile aforisma dilibertà industriale assoluta. Senza riflettere che tutte le questioni umane,considerate da un certo punto di vista pratico, si riducono necessariamente asemplici questioni di tempo, essi osano rispondere a tutte le lamentele che,alla lunga, la maggior parte <strong>del</strong>la nostra specie, ed anche la classeinizialmente lesa, deve finire con lo sperimentare dopo questi passeggeriperturbamenti, un miglioramento reale e permanente. Questo fatto,nonostante l’incontestabile esattezza di tale conseguenza necessaria, puòesser considerato come costituente, da parte di questa pretesa scienza, unarisposta veramente derisoria dove sembra si dimentichi che la vita <strong>del</strong>l’uomoè ben lontana dal comportare una durata indefinita.Comte, Corso di <strong>filoso</strong>fia positiva, lezione XLVII, a cura di F. Ferrarotti, Utet, 1967La scienza, per Comte, è conoscenza vera in quanto praticamente utile ed è praticamenteutile in quanto conoscenza vera. In altri termini, la scienza è tutt’uno con la suaapplicazione tecnica finalizzata al progresso <strong>del</strong>l’umanità. In questo senso, se le scienzenaturali si prolungano nella tecnologia industriale, la fisica sociale si compie nella tecnicapolitica.Comte, pertanto, <strong>del</strong>inea una sua teoria <strong>scienti</strong>fica <strong>del</strong>lo Stato imperniata su 2 presupposti:1. l’uomo è un essere per natura sociale e dunque la sua dimensione individuale èsecondaria e deve essere subordinata a quella collettiva;183


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORE2. lo Stato non è un’istituzione esterna e aggiuntiva rispetto alla società ma ne è laforma di organizzazione intrinseca e strutturale, e dunque è suo compito guidare eregolamentare la società.Contro la teoria liberal-liberista <strong>del</strong>lo Stato minimo e <strong>del</strong> laissez-faire, Comte proclamal’essenziale funzione di uno Stato interventista e sociale, in particolare per renderepossibile la conciliazione e la cooperazione fra la classe degli imprenditori e la classe deilavoratori, ovvero, più in generale, per stabilire un rapporto funzionale tra ordine eprogresso, in modo tale da evitare il loro conflitto distruttivo. In altre parole, secondoComte, nello stadio positivo, per la prima volta diventa possibile che la società umanaautoregolamenti e autodiriga in modo consapevole e costruttivo il proprio sviluppo storico,evitando sia i dispotismi sia le rivoluzioni che hanno afflitto in passato l’umanità.Perché questa possibilità si realizzi è necessario basare lo Stato sociale sulla “sociocrazia”,cioè attribuire agli scienziati, e in particolare ai sociologi, un potere di orientamento <strong>del</strong>lescelte governative. Più precisamente, Comte teorizza una gerarchia sociale al cui vertice siaposta la classe “speculativa”, cioè appunto l’élite <strong>scienti</strong><strong>fico</strong>-intellettuale, seguita dallaclasse “attiva”, ossia la borghesia imprenditoriale, e infine dalla classe lavoratrice. Allaclasse speculativa spetta il potere spirituale, ossia il potere di educare e orientaremoralmente la società. Alla classe attiva compete il potere temporale, cioè la gestioneeconomica e politica <strong>del</strong>la società. I due poteri devono essere distinti e autonomi, ma dallasuperiorità <strong>del</strong> primo deriva il suo diritto a illuminare, influenzare e quindi orientare ledecisioni <strong>del</strong> secondo. In particolare, la classe speculativa deve spingere la classe attiva asoddisfare le giuste rivendicazioni <strong>del</strong>la classe lavoratrice dal momento che la solidarietàtra le classi è un valore superiore all’arricchimento individuale. Insomma, pur rifiutandol’uguaglianza economico-sociale e l’abolizione <strong>del</strong>la proprietà privata, Comte propugna laperequazione sociale e la subordinazione <strong>del</strong> diritto di proprietà al principio <strong>del</strong> consensus,cioè <strong>del</strong>l’integrazione e <strong>del</strong>la collaborazione collettiva.In questo quadro, Comte, pur riconoscendo il valore <strong>del</strong>la libertà individuale, ne afferma larelatività e di conseguenza sembra attribuire un carattere autoritario al suo mo<strong>del</strong>lo diStato. Il dispotismo statale è però controbilanciato e, in prospettiva almeno, annullato dalruolo che Comte attribuisce all’educazione morale dei cittadini attuata dalla classespeculativa e finalizzata allo sviluppo sempre maggiore <strong>del</strong>l’altruismo. Nella misura in cuinel corso <strong>del</strong> tempo i cittadini incrementano il loro grado di moralità, ossia il loroaltruismo, le istituzioni statali, secondo Comte, sono destinate a ridursi fino a sparire.Il ruolo strumentale, e dunque temporaneo, <strong>del</strong>la politica e <strong>del</strong>lo Stato è ribadito dallafunzione preminente che Comte attribuisce alla religione e alla chiesa. La politica non èaffatto sufficiente, secondo Comte, a garantire il massimo grado di consensus e dunque lapiù funzionale interazione tra ordine sociale e progresso. La solidarietà che lega gliindividui in quanto cittadini <strong>del</strong>lo stesso Stato non coinvolge l’intera personalità umana.Per giungere a un suo coinvolgimento completo Comte ritiene sia necessaria una nuovareligione, perché solo una religione è in grado di suscitare un sentimento dicoappartenenza tra gli uomini e quindi è capace di unirli interiormente e quindi in modoprofondo. Quella che Comte propone è però una religione radicalmente alternativa a quelletradizionali. Si tratta infatti di una religione <strong>scienti</strong>fica e terrena basata sul culto <strong>del</strong>Grande Essere, cioè <strong>del</strong>l’umanità stessa intesa come l’insieme di tutti gli uomini passati,presenti e futuri, ovvero come un unico corpo di cui ogni individuo è una cellula.Cionondimeno, Comte teorizza la fondazione di una chiesa positiva organizzata sulmo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong>la chiesa cattolica, ossia dotata di sacerdoti, riti, sacramenti, nonché santi,rappresentati dai grandi uomini (da Mosè a Omero, a Aristotele, a Carlo Magno,Gutemberg, Galilei, Cartesio, ecc.) che più hanno contribuito al progresso <strong>del</strong>l’umanità.184


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREROTTA BIL POSITIVISMO ATEOL’idealismo hegeliano ebbe un largo seguito soprattutto nell’area culturale tedesca dandoluogo a sviluppi interpretativi diversi che possono essere schematizzati in 2 filonicontrapposti:a) la destra hegeliana (o “vecchi hegeliani”) che interpretava l’idealismo hegelianocome una fondazione razionale <strong>del</strong> cristianesimo e <strong>del</strong>l’ordine politico-socialeesistente;b) la sinistra hegeliana (o “giovani hegeliani”) che interpretava l’hegelismo come unadecostruzione razionale <strong>del</strong> cristianesimo e come una <strong>filoso</strong>fia <strong>del</strong> cambiamentostorico-politico.In particolare, la sinistra hegeliana, nella sua interpretazione progressista di Hegel,risente <strong>del</strong>la diffusione <strong>del</strong>la nascente <strong>filoso</strong>fia positivistica, segnatamente <strong>del</strong>la suaprima versione, quella di A. Comte. Questa influenza è evidente in Feuerbach, l’esponentepiù significativo <strong>del</strong>la sinistra hegeliana. Allievo di Hegel, Feuerbach sviluppa l’idealismohegeliano nella direzione di un materialismo sensistico e naturalistico, teorizzando lanecessità di demistificare l’illusione religiosa e additando all’umanità l’ideale di unanuova civiltà umana, solidale e <strong>scienti</strong>fica, in cui la religione sia sostituita dallaantropologia, cioè da una <strong>filoso</strong>fia <strong>del</strong>l’uomo <strong>del</strong> tutto terrena, e dalla filantropia, cioè daun’etica compiutamente altruistica.Conseguentemente, la <strong>filoso</strong>fia di Feuerbach si sviluppa come una critica antropologica<strong>del</strong> cristianesimo, e più in generale di ogni religione, basata sulla tesi secondo la qualenon è Dio che ha creato l’uomo, ma l’uomo che ha creato Dio. In altre parole, la religioneè un prodotto <strong>del</strong>l’immaginazione umana in cui l’umanità rappresenta se stessa in modoinconsapevole e deformato. Il compito <strong>del</strong>la <strong>filoso</strong>fia è dunque decostruire e demistificarela religione in modo tale che l’uomo possa prendere chiara e completa coscienza <strong>del</strong>lapropria identità e <strong>del</strong> proprio destino e agire liberamente ed efficacemente.In questo senso, Feuerbach è l’emblema di una tendenza storico-culturale decisiva<strong>del</strong>l’Ottocento, e poi anche <strong>del</strong> secolo successivo: quella <strong>del</strong>la diffusione <strong>del</strong>l’ateismo,anche e soprattutto nell’ambito <strong>del</strong>l’élite culturale e <strong>scienti</strong>fica.VITA DI UN CAPITANOLUDWIG FEUERBACHNato nel 1804 a Landshut, in Baviera, figlio di un giurista e di un’aristocratica, studiòteologia nella celebre università di Hei<strong>del</strong>berg e poi <strong>filoso</strong>fia all’università di Berlino, doveseguì le lezioni di Hegel. Laureato, nel 1828 ottenne la libera docenza all’università diErlagen, in Baviera, ma negli anni successivi non riuscì a diventare professore per l’ostilità<strong>del</strong>le autorità accademiche suscitata dalla pubblicazione, pur anonima, <strong>del</strong> suo primo libro,Pensieri sulla morte e l’immortalità (1830). Nel 1837 decise così di ritirarsi a vita privata,mantenendosi grazie al notevole patrimonio e ai redditi <strong>del</strong>la moglie Berta Löw. Negli annisuccessivi, oltre a collaborare con la rivista dei giovani hegeliani Annali di Halle, scrissenumerose opere, tra cui: Per la critica <strong>del</strong>la <strong>filoso</strong>fia hegeliana (1839), L’essenza <strong>del</strong>cristianesimo (1841), la più famosa e importante, Principi <strong>del</strong>la <strong>filoso</strong>fia <strong>del</strong>l’avvenire(1843), L’essenza <strong>del</strong>la religione (1845). Durante la rivoluzione tedesca <strong>del</strong> 1848, partecipaal Congresso di Francoforte e tiene lezioni <strong>del</strong>la sua <strong>filoso</strong>fia all’università di Hei<strong>del</strong>berg suinvito degli studenti. Negli anni successivi aderisce al Partito socialdemocratico tedesco epubblica Teogonia (1857). Dal 1860 vive in povertà, a causa di un tracollo economico, macontinua a scrivere e pubblicare (Spiritualismo e materialismo, 1866, di argomento etico)fino alla morte nel 1872. Fu sepolto a Norimberga omaggiato da migliaia di operaisocialisti.185


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 1FEUERBACH: L’ALIENAZIONE RELIGIOSALa coscienza che l’uomo ha di Dio è la conoscenza che l’uomo ha di sé. Tuconosci l’uomo dal suo dio e, reciprocamente, Dio dall’uomo; l’uno e l’altro siidentificano. Per l’uomo, è Dio il proprio spirito, la propria anima; e ciò cheper l’uomo è spirito, ciò che è la sua anima, il suo cuore, quello è il suo dio:Dio è l’intimo rivelato, l’essenza <strong>del</strong>l’uomo espressa; la religione è la solennerivelazione dei tesori celati <strong>del</strong>l’uomo, la pubblica professione dei suoi segretid’amore.Ma da quanto abbiamo detto non si deve dedurre che l’uomo religioso siadirettamente consapevole che la coscienza che ha di Dio sia la stessaautocoscienza <strong>del</strong> suo proprio essere, poiché appunto il non essereconsapevole di ciò è il fondamento <strong>del</strong>la vera e propria essenza <strong>del</strong>lareligione. Per evitare questo equivoco diremo meglio: la religione è la prima,ma indiretta autocoscienza <strong>del</strong>l’uomo. Perciò la religione precede sempre la<strong>filoso</strong>fia, nella storia <strong>del</strong>l’umanità così come nella storia dei singoli individui.L’uomo sposta il suo essere fuori da sé, prima di trovarlo in sé. In un primotempo egli è consapevole <strong>del</strong> proprio essere come di un altro essere. Lareligione è l’infanzia <strong>del</strong>l’umanità; il bambino vede il proprio essere, l’uomo,fuori di sé, ossia oggettiva il proprio essere in un altro uomo. […]Il nostro compito è appunto di dimostrare che la distinzione tra il divino el’umano è illusoria, cioè che null’altro è se non la distinzione fra l’essenza<strong>del</strong>l’umanità e l’uomo individuo, e che per conseguenza anche l’oggetto e ilcontenuto <strong>del</strong>la religione cristiana sono umani e nient’altro che umani.La religione, per lo meno la religione cristiana, è l’insieme dei rapporti<strong>del</strong>l’uomo con se stesso, o meglio con il proprio essere, riguardato però comeun altro essere. L’essere divino non è altro che l’essere <strong>del</strong>l’uomo liberato dailimiti <strong>del</strong>l’individuo cioè dai limiti <strong>del</strong>la corporeità e <strong>del</strong>la realtà, eoggettivato, ossia contemplato e adorato come un altro essere da lui distinto.Tutte le qualificazioni <strong>del</strong>l’essere divino sono perciò qualificazioni <strong>del</strong>l’essereumano.Feuerbach, L’essenza <strong>del</strong> cristianesimo, cap. II, a cura di C. Cometti, FeltrinelliIl sentimento di dipendenza <strong>del</strong>l’uomo è il fondamento <strong>del</strong>la religione;l’oggetto di questo sentimento di dipendenza, ciò da cui l’uomo dipende, e sisente dipendente, non è però altro, originariamente, che la natura. […]L’essenza divina che si manifesta nella natura non è altro che la natura stessache si manifesta, si mostra e si impone all’uomo come un ente divino.Feuerbach, L’essenza <strong>del</strong>la religione, a cura di C. Ascheri e C. Cesa, LaterzaLa <strong>filoso</strong>fia <strong>del</strong>la religione di Feuerbach prende le mosse dal concetto di alienazione (dallatino alius, altro), mutuato da Hegel. In Hegel l’alienazione indicava la negazioneoggettiva/irrazionale <strong>del</strong>l’essenza soggettiva/razionale di qualcosa. In questo sensol’alienazione per eccellenza, mo<strong>del</strong>lo di ogni alienazione specifica, era rappresentata dallaNatura, in quanto Idea altra da sé, ossia Idea che nega la sua purezza razionale pertrasformarsi nel suo contrario, la fisicità.Feuerbach reinterpreta l’alienazione hegeliana in chiave religiosa elaborando un concettooriginale di alienazione intesa come proiezione <strong>del</strong>l’essenza <strong>del</strong>l’uomo nel divino, cioè inentità immaginarie diverse dall’uomo, altre da lui e superiori a lui.186


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREMa perché e in che modo l’uomo cade vittima <strong>del</strong>l’alienazione religiosa? Feuerbachindividua due fattori e insieme due componenti fondamentali <strong>del</strong>l’alienazione religiosa.Il primo fattore è connesso alla capacità che distingue la specie umana dalle altre specieanimali: l’autocoscienza. Grazie alla coscienza di se stesso, l’uomo avverte la differenzaradicale che sussiste tra sé:come individuo, ossia come singolo elemento <strong>del</strong>la specie umana,e come essenza, ossia come umanità, intesa, a un tempo, come l’insieme di tutti gliindividui e come l’insieme di tutte le caratteristiche fondamentali <strong>del</strong>la specieumana (intelligenza, creatività, volontà, moralità, gusto, ecc.).Se l’individuo è limitato spazio-temporalmente e quindi è finito, l’umanità non ha limitispazio-temporali e dunque è tendenzialmente infinita.Il secondo fattore <strong>del</strong>l’alienazione religiosa è, invece, la dipendenza e la soggezione<strong>del</strong>l’uomo nei confronti degli enti naturali e <strong>del</strong>le forze <strong>del</strong>la natura.Più precisamente, per Feuerbach gli uomini in quanto individui finiti non riescono adavere una piena consapevolezza <strong>del</strong>la propria essenza in quanto quest’ultima è infinita.P.e., l’uomo possiede una forza fisica limitata; la sua essenza, ovvero l’umanità, è inveceonnipotente. A causa di questo iato tra la sua dimensione individuale finita e la suadimensione essenziale infinita, l’uomo riesce a prendere coscienza <strong>del</strong>la propria essenza(onniscienza, onnipotenza, amore assoluto, perfezione morale, perfetta beatitudine, ecc.)solo attribuendola a un dio, cioè a un alter-ego superiore, prodotto dalla propriaimmaginazione. A sua volta la costruzione fantastica <strong>del</strong>le divinità è stimolata e orientatadall’esperienza umana di dipendenza e subordinazione nei confronti <strong>del</strong>la natura, inquanto l’uomo ricava il suo sostentamento dalla natura e si trova spesso in balia <strong>del</strong>le forzenaturali, p.e. <strong>del</strong>le tempeste marine piuttosto che dei terremoti o <strong>del</strong>le alluvioni. E’ proprioquesta esperienza di inferiorità e soggezione che impedisce all’uomo di attribuire a sestesso la propria essenza e lo spinge invece a trasferirla alle forze naturali, trasfigurandolecosì in divinità.In questa prospettiva, la religione, secondo Feuerbach, è costitutivamente ambigua, pernon dire contraddittoria: infatti essa, da un lato, è una rappresentazione <strong>del</strong>l’essenza - equindi <strong>del</strong> valore, <strong>del</strong> fine e <strong>del</strong> senso - <strong>del</strong>l’uomo, dunque uno strumento fondamentaleper valorizzare la sua esistenza terrena; dall’altro lato, però, la religione attribuiscel’essenza umana a divinità trascendenti - deprivandone l’uomo e facendolo sentire misero,gracile, impotente – e pertanto è un fattore di svalutazione e mortificazione <strong>del</strong>l’esistenzaumana.Feuerbach articola poi storicamente questa interpretazione generale <strong>del</strong>la religione,sostenendo che la variazione e l’evoluzione <strong>del</strong>le religioni nel tempo riflettono la crescita<strong>del</strong>la consapevolezza <strong>del</strong>la propria essenza da parte <strong>del</strong>l’uomo e al contempo la progressivaemancipazione umana dal dominio <strong>del</strong>la natura. In questo senso, il cristianesimo, secondoFeuerbach, è la religione più evoluta, addirittura la “religione assoluta”, in quanto, da unlato, solo il Dio cristiano è concepito come pienamente infinito e, dall’altro, la suaconfigurazione trinitaria è la manifestazione più precisa e completa <strong>del</strong>le 3 facoltàcostitutive <strong>del</strong>l’uomo: la ragione, la volontà e il sentimento. In particolare, la figura di GesùCristo - manifestazione <strong>del</strong> sentimento, innanzitutto e soprattutto nella forma <strong>del</strong>l’amore –è per Feuerbach la più esplicita rappresentazione religiosa <strong>del</strong>l’identità di uomo e Dio,ovvero la costruzione mitico-simbolica che più si avvicina alla comprensione <strong>del</strong>l’effettivorapporto che intercorre tra uomini e dei.Tuttavia, afferma Feuerbach, anche il cristianesimo è alienante per l’uomo in quanto inesso la fede individuale nel Dio trascendente - vissuta come condizione decisiva perraggiungere la salvezza e quindi la beatitudine eterna – mette in secondo piano l’amore el’impegno attivo per gli altri, finendo col promuovere l’individualismo egoistico e ildisimpegno pratico-morale.187


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREPer questo, secondo Feuerbach, la teologia deve essere abbandonata e sostituitadall’antropologia, ossia dalla <strong>filoso</strong>fia <strong>del</strong>l’uomo, il cui caposaldo è proprio la coscienza cheè l’uomo che ha creato Dio a propria immagine e somiglianza, e non viceversa. Questocapovolgimento <strong>del</strong> rapporto uomo-Dio, che ovviamente implica la negazione<strong>del</strong>l’esistenza reale di ogni dio, costituisce il raggiungimento <strong>del</strong>la piena autocoscienza daparte <strong>del</strong>l’uomo, ovvero il conseguimento <strong>del</strong>la consapevolezza che lo scopo ultimo degliuomini è realizzare completamente la propria essenza infinita, la propria umanità, cioèdiventare onni<strong>scienti</strong>, onnipotenti, moralmente perfetti, capaci di amore reciprocoassoluto, ecc.Ma come è possibile che dopo millenni di alienazione religiosa l’uomo possa fare a meno diogni divinità? Feuerbach ritiene che nella sua epoca il progresso tecnico-<strong>scienti</strong><strong>fico</strong> abbiapermesso all’uomo, e sempre più possa permettergli, di sottrarsi alla soggezione neiconfronti <strong>del</strong>la natura e anzi di dominarla. In questo modo, attraverso la scienza e latecnica l’umanità potrà nel futuro prossimo realizzare sempre più ampiamente la propriaessenza divina, cioè approssimarsi sempre più all’ideale di Dio fino a attuarlocompiutamente.Il progresso tecnico-<strong>scienti</strong><strong>fico</strong>, però, ha una condizione imprescindibile: la formazione diuna società umana sempre più coesa e cooperativistica. Per Feuerbach, infatti, l’uomo è unessere fisico naturalmente comunitario. Ogni individuo umano, ogni “io”, esiste solo in unarelazione con ciò che è altro da sé, che sia una cosa naturale o un altro uomo. Questarelazione parte dai sensi, cioè dal corpo, per arrivare alla mente, cioè alla psiche, intesacome un livello superiore di corporeità, ed è simultaneamente conoscitiva, pratica eaffettiva. Infatti, sostiene Feuerbach, il mio rapporto conoscitivo e pratico con un oggetto,p.e. una mela, è sempre connotato affettivamente, p.e. è gioioso piuttosto che fastidioso, aseconda dei miei bisogni psico-fisici. Da questo punto di vista, il dolore per l’assenza diqualcosa che desidero è per Feuerbach la prova inoppugnabile <strong>del</strong>l’esistenza di un mondoesterno all’io e indipendente dall’io, ovvero la confutazione incontrovertibile<strong>del</strong>l’idealismo.Anche a livello psichico o mentale, l’individuo umano può essere tale, cioè può svilupparela propria autocoscienza, se e solo se si rapporta a un tu, cioè a un’altra autocoscienza. Inquesto senso la relazione di un uomo con l’altro uomo è costitutiva <strong>del</strong>la sua identità, cioèappartiene alla sua essenza. Pertanto, ogni uomo può realizzarsi solo attraverso lafilantropia, ossia in una relazione di stima, solidarietà e collaborazione reciproci con glialtri uomini. In altri termini, la demistificazione <strong>del</strong>l’alienazione religiosa di Feuerbach hacome esito finale il vagheggiamento di una comunità genericamente socialista capace direalizzare sempre più e sempre meglio l’essenza infinita <strong>del</strong>l’umanità grazie allo sviluppoillimitato <strong>del</strong>la scienza e <strong>del</strong>la tecnica, in quanto queste permetteranno il pienosoddisfacimento di tutti i bisogni umani e il conseguimento <strong>del</strong>la completa felicità per tuttigli uomini.188


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREROTTA CIL POSITIVISMO RIVOLUZIONARIODi formazione hegeliana e posthegeliana, Marx col procedere <strong>del</strong>la sua produzione<strong>filoso</strong>fica Marx assorbe sempre di più temi e stilemi positivistici, quali il rigetto<strong>del</strong>l’idealismo a favore <strong>del</strong> materialismo, l’esigenza di <strong>scienti</strong>ficità, la fedenell’inesorabilità <strong>del</strong> progresso storico, la previsione di un futuro imminente nel quale laciviltà umana, grazie all’illimitato sviluppo <strong>del</strong>la produzione industriale e <strong>del</strong>la ricchezzamateriale, avrebbe raggiunto una condizione pressoché perfetta.Marx, però, si differenzia nettamente dagli altri positivisti, perché interpreta la societàfutura non come l’esito di un’evoluzione <strong>del</strong>la società <strong>del</strong> suo presente bensì come ilprodotto di una sua rottura rivoluzionaria e di un conseguente salto <strong>del</strong>lo sviluppostorico. In questo senso il <strong>pensiero</strong> <strong>filoso</strong><strong>fico</strong> di Marx possiede complessivamente unaforte valenza politica e si esprime anche in molte opere squisitamente politiche.In un primo tempo, la critica rivoluzionaria di Marx alla società capitalistico-borghese<strong>del</strong>l’800 si basa sulla categoria <strong>del</strong>l’alienazione, interpretata in chiave economico-sociale.E’ la classe operaia ad essere alienata, a causa <strong>del</strong>le condizioni in cui è costretta alavorare. E sarà dunque la classe rivoluzionaria il soggetto <strong>del</strong>la lotta di liberazione cheabbatterà il capitalismo e instaurerà il socialismo.Successivamente, Marx sostituisce questa versione soggettivistica e volontaristica <strong>del</strong>larivoluzione con una concezione sempre più oggettivistica e necessaria. Egli infattielabora la teoria materialistica <strong>del</strong>la storia intesa come scienza <strong>del</strong>lo sviluppo storicosociale<strong>del</strong>la civiltà umana. In questa prospettiva Marx ritiene di aver isolato le leggifondamentali <strong>del</strong>lo sviluppo storico che hanno per la storia umana la stessa valenzaattribuita alle leggi chimiche e fisiche per la natura. Di conseguenza le previsioni sulfuturo decorso <strong>del</strong>la storia, secondo Marx, sono destinate ad avverarsi con “bronzeanecessità”. E tali previsioni stabiliscono che il capitalismo crollerà a causa <strong>del</strong>le suecontraddizioni interne e che sulle sue macerie verrà edificato il socialismo.In questo modo il materialismo storico assume al contempo la funzione di teoria<strong>scienti</strong>fica <strong>del</strong>la storia e di manifesto politico <strong>del</strong>la rivoluzione socialista.VITA DI UN CAPITANOKARL MARXNacque nel 1818 a Treviri, città <strong>del</strong>la Renania, regione occidentale <strong>del</strong>la Germania alconfine con la Francia, allora parte <strong>del</strong> Regno di Prussia. La sua famiglia aveva originiebraiche, il padre era un brillante avvocato di tendenze illuministico-liberali. Marx seguìgli studi universitari prima a Bonn, poi a Berlino, dove entrò in contatto con i giovanihegeliani, ma si laureò a Jena con la tesi Differenza tra la <strong>filoso</strong>fia <strong>del</strong>la natura diDemocrito ed Epicuro, sintomo <strong>del</strong> suo orientamento materialistico. Vista impossibile lacarriera universitaria, a causa <strong>del</strong>le sue idee, Marx si diede al giornalismo politico,collaborando con la Gazzetta renana, di tendenza liberale, che però fu chiusa nel 1843dalle autorità prussiane. Ciononostante, Marx sposò Jenny von Westphalen, con cui si erasegretamente fidanzato già nel 1836, e da cui avrebbe avuto 8 figli, e si trasferì a Parigidove pubblicò la rivista Annali franco-tedeschi e i libri Introduzione alla Critica alla<strong>filoso</strong>fia hegeliana <strong>del</strong> diritto pubblico (1844) e Sulla questione ebraica (1844).Soprattutto, però, Marx a Parigi strinse un’amicizia, che sarebbe durata tutta la vita, conFriedrich Engels, figlio di un industriale tessile comproprietario di una fabbrica aManchester, in Inghilterra. Engels vi aveva lavorato, entrando in contatto e assorbendo leidee <strong>del</strong> movimento cartista e <strong>del</strong> socialista Robert Owen. Sollecitato da Engels, Marx lessegli economisti inglesi e scrisse i Manoscritti economico-<strong>filoso</strong>fici <strong>del</strong> 1844 (pubblicatipostumi nel 1932). Subito dopo, a quattro mani con Engels, scrisse e pubblicò la Sacra189


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREfamiglia (1845), una critica dei giovani hegeliani, e, da solo, le Tesi su Feuerbach, 11 brevicritiche <strong>del</strong>la <strong>filoso</strong>fia feuerbachiana, pubblicate postume da Engels nel 1886. Espulso daParigi, si rifugia a Bruxelles dove, insieme a Engels, scrisse L’ideologia tedesca, pubblicatapostuma nel 1932, interessante soprattutto per l’esposizione <strong>del</strong>la concezionematerialistica <strong>del</strong>la storia; e, da solo, Miseria <strong>del</strong>la <strong>filoso</strong>fia (1847), critica <strong>del</strong>le idee <strong>del</strong>socialista anarchico francese Proudhon. Nel 1847 Marx ed Engels aderirono alla Lega deicomunisti, un’associazione clandestina svizzero-tedesca, da cui furono incaricati discriverne il programma che fu poi pubblicato nel 1848 con il titolo di Manifesto <strong>del</strong> PartitoComunista. Marx tornò in Germania nel 1848, allo scoppio <strong>del</strong>la rivoluzione, ma dopo ilsuo fallimento, l’anno successivo, si rifugiò a Parigi e subito dopo a Londra, dove trascorseanni di miseria, sopravvisse solo grazie all’aiuto economico di Engels, tornato a lavorare aManchester nell’azienda <strong>del</strong> padre, e fu funestato dalle morti dei figli piccoli Heinrich edEdgard. Ma proprio in quegli anni Marx, utilizzando la biblioteca <strong>del</strong> British Museum, siimmerse più che mai negli studi, in particolare di taglio economico, da cui nacquero le suemaggiori opere: Lineamenti fondamentali <strong>del</strong>la critica <strong>del</strong>l’economia politica (pubblicatipostumi dal 1939), Per la critica <strong>del</strong>l’economia politica (1859) e soprattutto Il Capitale,pubblicato in 4 libri, solo il primo dallo stesso Marx nel 1867, il secondo e il terzorispettivamente nel 1885 e nel 1894 da Engels, e il quarto dal Karl Kautsky nel 1905 con iltitolo Teorie <strong>del</strong> plusvalore. Dal 1864, però, Marx è di nuovo impegnato nella lotta politicaall’interno <strong>del</strong>la neocostituita Associazione internazionale dei lavoratori, meglio nota comeI Internazionale, di cui diventa subito uno dei leader, benché in conflitto soprattutto conl’anarchico russo Bakunin, che riuscì a fare espellere solo nel 1872 al duro prezzo <strong>del</strong>ladisgregazione successiva <strong>del</strong>l’associazione. Nel 1875, in occasione <strong>del</strong> congresso di Gotha,che diede vita al Partito socialdemocratico tedesco unificato, Marx scrisse la Critica <strong>del</strong>Programma di Gotha (pubblicato postumo nel 1891), in cui <strong>del</strong>ineò alcune <strong>del</strong>lecaratteristiche <strong>del</strong>la futura società comunista. Nel 1881 Marx perse la moglie Jenny e nelgennaio 1883 la figlia maggiore. Morì qualche mese dopo per una bronchite aggravata daun’ulcera polmonare e fu seppellito a Londra. Engels gli sopravvisse fino al 1895 e fu anchelui sepolto a Londra.190


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 1:MARX: L’ALIENAZIONE DELL’OPERAIOL’operaio diventa tanto più povero quanto più produce ricchezza, quanto piùla sua produzione cresce in potenza ed estensione. […] Questo fatto nonesprime nient’altro che questo: che l’oggetto, prodotto <strong>del</strong> lavoro, prodottosuo, sorge di fronte al lavoro come un ente estraneo, come una potenzaindipendente dal producente. Il prodotto <strong>del</strong> lavoro è il lavoro che si è fissatoin oggetto, che si è fatto oggettivo: è l’oggettivazione <strong>del</strong> lavoro. Larealizzazione <strong>del</strong> lavoro è la sua realizzazione. Questa realizzazione <strong>del</strong> lavoroappare […] come privazione <strong>del</strong>l’operaio, e l’oggettivazione appare comeperdita e schiavitù <strong>del</strong>l’oggetto, e l’appropriazione come alienazione, comeespropriazione. […]Tutte queste conseguenze si trovano nella determinazione: che l’operaio sta inrapporto al prodotto <strong>del</strong> suo lavoro come ad un oggetto estraneo. Poiché èchiaro, per questo presupposto, che quanto più l’operaio lavora, tanto piùacquista potenza il mondo estraneo, oggettivo, ch’egli si crea di fronte, e tantopiù povero diventa egli stesso, il suo mondo interiore, e tanto meno eglipossiede. Come nella religione. Più l’uomo mette in Dio e meno serba in sestesso. […]Ma l’alienazione non si mostra solo nel risultato, bensì anche nell’atto <strong>del</strong>laproduzione, dentro la stessa attività producente. […]Primieramente in questo: che il lavoro resta esterno all’operaio, cioè nonappartiene al suo essere, e che l’operaio quindi non si afferma nel suo lavoro,bensì si nega, non si sente appagato ma infelice, non svolge alcuna liberaenergia fisica e spirituale, bensì mortifica il suo corpo e rovina il suo spirito.L’operaio si sente quindi con se stesso soltanto fuori <strong>del</strong> lavoro, e fuori di sénel lavoro. […] Il suo lavoro non è volontario, bensì forzato, è lavorocostrittivo. […]Il lavoro alienato fa dunque:3) <strong>del</strong>la specifica essenza <strong>del</strong>l’uomo, tanto <strong>del</strong>la natura che <strong>del</strong> suo poterespirituale di genere, un’essenza a lui estranea, il mezzo <strong>del</strong>la suaesistenza individuale; estrania all’uomo il suo proprio corpo, come lanatura di fuori, come il suo essere spirituale, la sua essenza umana;4) che un’immediata conseguenza <strong>del</strong> fatto che l’uomo è estraniato dalprodotto <strong>del</strong> suo lavoro, dalla sua attività vitale, dalla sua specificaessenza, è lo straniarsi <strong>del</strong>l’uomo dall’uomo.Marx, Manoscritti economico-<strong>filoso</strong>fici, in Opere <strong>filoso</strong>fiche giovanili,trad. di G. Della Volpe, Editori RiunitiLa miseria religiosa è insieme l’espressione <strong>del</strong>la miseria reale e la protestacontro la miseria reale. La religione è il sospiro <strong>del</strong>la creatura oppressa, ilsentimento di un mondo senza cuore, così come è lo spirito di una condizionesenza spirito. Essa è l’oppio <strong>del</strong> popolo.Marx, Per la critica <strong>del</strong>la <strong>filoso</strong>fia <strong>del</strong> diritto di Hegel. Introduzione,in K. Marx, La questione ebraica, Editori Riuniti.I <strong>filoso</strong>fi hanno soltanto diversamente interpretato il mondo ma si tratta ditrasformarlo.Marx, Tesi su Feuerbach, in Marx-Engels, Opere scelte,a cura di L. Gruppi, Editori Riuniti191


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORELa prima fase <strong>del</strong>l’elaborazione <strong>filoso</strong>fica di Marx è imperniata sul concetto di alienazione,attinto sia da Hegel sia da Feuerbach. Da entrambi Marx si distingue in modo originale inquanto reinterpreta l’alienazione in chiave socio-economica, cioè come connotazioneessenziale <strong>del</strong>la condizione operaia, ovvero, in senso lato, <strong>del</strong>l’uomo in quanto lavoratoredipendente.Il presupposto <strong>del</strong>la reinterpretazione marxiana <strong>del</strong> concetto di alienazione è la suaconcezione <strong>del</strong> lavoro come essenza <strong>del</strong>la specie umana. Per Marx tutti gli animali, uomocompreso, per sopravvivere usufruiscono <strong>del</strong>le risorse naturali, ovvero si pongono inrapporto con la natura. Ma le specie animali non umane intrattengono con la natura unrapporto immediato, cioè diretto, e quindi meccanico, ovvero determinato. P.e., le pecorebrucano l’erba, gli orsi stabiliscono le loro tane nelle grotte. Gli uomini invece usano econsumano le risorse naturali in modo mediato e indiretto, cioè appunto attraverso illavoro e le sue tecniche. P.e., mangiano il frumento, ma dopo averlo coltivato, macinato eimpastato; si costruiscono case con mattoni e malta da essi stessi prodotti, ecc.L’intelligenza e la stessa autocoscienza <strong>del</strong>l’uomo, secondo Marx, sono tutt’uno conl’attività lavorativa, derivano da essa e sono finalizzate ad essa. Ciò significa che grazie allavoro l’uomo non si lascia determinare dalla natura, ma è creatore <strong>del</strong> suo rapporto conessa e pertanto lo può cambiare nel tempo. Ecco perché, mentre il rapportoanimale/natura è fisso e immutabile, il rapporto uomo/natura è dinamico, muta neltempo, ovvero genera la storia. Per Marx dunque è il lavoro che rende l’uomo un esserestorico e quindi anche civile e culturale.Ma dire che il lavoro è l’essenza <strong>del</strong>l’uomo equivale a dire che ogni individuo umano puòrealizzarsi e conseguire il suo benessere psicofisico solo lavorando. Com’è possibile allorache il lavoro sia alienante per l’operaio, ossia non solo non lo renda ciò che è, e quindifelice, ma lo renda al contrario ciò che non è, altro da se stesso, e quindi infelice?La risposta di Marx si articola in relazione a 4 parametri:1) al prodotto <strong>del</strong> lavoro operaio;2) alle modalità <strong>del</strong> lavoro operaio;3) all’essenza <strong>del</strong>l’operaio in quanto uomo;4) ai rapporti personali tra gli uomini.In primo luogo, Marx afferma che il lavoratore è alienato perché il prodotto <strong>del</strong> suo lavoronon appartiene a lui, ma all’imprenditore capitalistico suo padrone. L’operaio produce,p.e., una borsa, ma essa appartiene al padrone che poi la venderà a un commerciante. Altermine <strong>del</strong>l’attività lavorativa l’operaio riceve invece il salario, che non è l’equivalente <strong>del</strong>valore di ciò che ha prodotto ma <strong>del</strong> costo <strong>del</strong>la sua forza-lavoro, cioè dei mezzi necessarialla sua sopravvivenza e alla sua riproduzione. In questo senso, questa prima modalità dialienazione si manifesta nella miseria materiale <strong>del</strong>l’operaio.In secondo luogo, il lavoratore è alienato perché, non avendo la possibilità di un lavoroautonomo, è costretto a lavorare alle dipendenze altrui è pertanto non può organizzare ilsuo lavoro liberamente ma deve lavorare come e quando vuole il suo padrone.In terzo luogo, l’alienazione colpisce l’essenza umana stessa <strong>del</strong>l’operaio. Infatti, in quantouomo, l’operaio potrebbe realizzare la sua essenza solo nel lavoro. Ma, poiché non puògestirlo liberamente e non può disporre <strong>del</strong> suo prodotto, di fatto non può realizzarsi nellavoro. Paradossalmente, allora, l’operaio cerca di realizzarsi nel tempo libero, p.e.mangiando e bevendo, ma in questo modo non si realizza come uomo, bensì come bestia.In quarto ed ultimo luogo, nel momento in cui non è considerato un fine ma è usato comeun mezzo dal padrone, l’operaio non può che concepire e praticare le relazioni umane –con il padrone stesso, ma anche con gli altri operai, con la moglie e i figli - in modo distortoe strumentale. In altre parole, i rapporti tra uomini si alienano riducendosi a rapporti tracose.192


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREMa com’è possibile che l’attività che dovrebbe costituire la realizzazione <strong>del</strong>l’identitàumana sia invece la sua negazione? Marx risponde che l’alienazione <strong>del</strong> lavoro è l’esito diun mutamento storico, ovvero di determinate condizioni socio-economiche. In particolare,il presupposto fondamentale <strong>del</strong>l’alienazione operaia è la proprietà privata dei mezzi diproduzione (terre, sementi, utensili, capannoni, macchinari, ecc.). Grazie ad essa, è nato esi è affermato il sistema economico capitalistico-borghese che aumenta continuamente laprivatizzazione dei mezzi di produzione polarizzando la società in una ristretta élite dicapitalisti sempre più ricchi e in una massa di proletari sempre più poveri.Stando così le cose, sostiene Marx, l’alienazione potrà essere superata solo mutando lecondizioni economico-sociali capitalistico-borghesi, ovvero solo instaurando il socialismo.In una prima fase, Marx fonda la possibilità <strong>del</strong> rovesciamento <strong>del</strong> capitalismo nelsocialismo sulla dialettica alienazione/disalienazione. Se l’alienazione capitalista ha negatol’essenza originaria <strong>del</strong>l’uomo, essa non potrà che essere a sua volta negata, cioè abolita,dall’esigenza umana di disalienarsi, cioè di riconquistare l’essenza perduta. Naturalmente,sarà la classe che maggiormente subisce l’alienazione, cioè il proletariato, il soggettorivoluzionario che abbatterà il capitalismo e instaurerà il socialismo.Una volta attuata, la rivoluzione socialista permetterà all’umanità di superare anchel’alienazione religiosa. La causa <strong>del</strong>l’illusoria credenza in Dio, infatti, afferma Marx, non èla coscienza umana <strong>del</strong> divario tra l’esistenza individuale finita e l’essenza di specieinfinita, e nemmeno la dipendenza strutturale <strong>del</strong>l’uomo nei confronti <strong>del</strong>la natura, mal’oppressione economico-sociale prodotta dall’evoluzione storica <strong>del</strong>l’umanità. In questosenso, Marx giudica ogni religione “oppio <strong>del</strong> popolo”, cioè una droga mentale che infondenegli oppressi un’illusoria sensazione di benessere prospettando loro il paradiso celeste,cioè un’immaginaria liberazione futura dall’oppressione e dalla miseria. La religione,dunque, da un lato spinge l’oppresso a sopportare senza ribellarsi la sua oppressione,dall’altro, però, esprime il suo bisogno di liberazione e dunque la critica alla condizione dioppressione. Di conseguenza, sostiene Marx, l’alienazione religiosa, faccia superficiale<strong>del</strong>l’alienazione economico-sociale, non può essere eliminata dalla persuasione <strong>filoso</strong>fica,cioè su un piano teorico, ma soltanto dalla rivoluzione socialista, cioè su un piano praticopolitico.193


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 2MARX: IL MATERIALISMO STORICOIl risultato generale al quale arrivai e che, una volta acquisito, mi servì da filoconduttore nei miei studi, può essere brevemente formulato così: nellaproduzione sociale <strong>del</strong>la loro esistenza, gli uomini entrano in rapportideterminati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti diproduzione che corrispondono a un determinato grado di sviluppo <strong>del</strong>le loroforze produttive materiali. L’insieme di questi rapporti di produzionecostituisce la struttura economica <strong>del</strong>la società, ossia la base reale sulla qualesi eleva una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondonodeterminate forme sociali <strong>del</strong>la coscienza. Il modo di produzione <strong>del</strong>la vitamateriale condizione, in generale, il processo sociale, politico e spirituale<strong>del</strong>la vita. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è,al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza. A un datopunto <strong>del</strong> loro sviluppo, le forze produttive materiali <strong>del</strong>la società entrano incontraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti diproprietà (che ne sono soltanto l’espressione giuridica) dentro i quali taliforze per l’innanzi si erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo <strong>del</strong>leforze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un’epoca dirivoluzione sociale. Con il cambiamento <strong>del</strong>la base economica si sconvolge piùo meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura. Quando si studianosimili sconvolgimenti, è indispensabile distinguere sempre fra losconvolgimento materiale <strong>del</strong>le condizioni economiche <strong>del</strong>la produzione, chepuò essere constatato con la precisione <strong>del</strong>le scienze naturali, e le formegiuridiche, politiche, religiose, artistiche o <strong>filoso</strong>fiche, in una parola le formeideologiche che permettono agli uomini di concepire questo conflitto e dicombatterlo. […] Una formazione sociale non perisce finché non sianosviluppate tutte le forze produttive per la quale essa offra spazio sufficiente;nuovi e superiori rapporti di produzione non subentrano mai prima che sianomaturate in seno alla vecchia società le condizioni materiali <strong>del</strong>la loroesistenza. […] A grandi linee i modi di produzione asiatico, antico, feudale eborghese moderno possono essere designati come epoche che marcano ilprogresso <strong>del</strong>la formazione economica <strong>del</strong>la società. I rapporti di produzioneborghesi sono l’ultima forma antagonistica <strong>del</strong> processo di produzionesociale; antagonistica non nel senso di un antagonismo individuale, ma di unantagonismo che sorge dalle condizioni di vita sociali degli individui. Ma leforze produttive che si sviluppano nel seno <strong>del</strong>la società borghese creano inpari tempo le condizioni materiali per la soluzione di questo antagonismo.Con questa formazione sociale si chiude dunque la preistoria <strong>del</strong>la societàumana.Marx, Per la critica <strong>del</strong>l’economia politica, Prefazione,in Marx-Engels, Opere scelte, Editori Riuniti“Materialismo storico” è il nome col quale Marx battezza la sua teoria <strong>del</strong>la realtà storicosociale.Per Marx si tratta di una teoria <strong>scienti</strong>fica, di una scienza <strong>del</strong>la società e <strong>del</strong>lastoria, fondata su fatti empirici e leggi necessarie e universali, cioè dotate <strong>del</strong>la stessaforma logica e <strong>del</strong>la stessa valenza predittiva <strong>del</strong>le leggi di natura. Tuttavia i fatti e le leggistorico-sociali differiscono parzialmente da quelle naturali in quanto sono di tipodialettico, sono cioè caratterizzati da una relazione binaria di interazione conflittuale, o“negazione”, destinata a svilupparsi e risolversi in una “negazione <strong>del</strong>la negazione”, dando194


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREcosì origine a una nuova civiltà e a una nuova epoca. E’ questo carattere dialettico chespiega la variabilità <strong>del</strong>la realtà storica rispetto alla fissità <strong>del</strong>la realtà naturale e, quindi, laspecificità <strong>del</strong>la scienza storica rispetto alle scienze <strong>del</strong>la natura.Ogni società umana, afferma in prima battuta Marx, è divisibile in 2 sottosistemi:1. la struttura, che coincide con il sistema economico, cioè con l’attività produttivafinalizzata al sostentamento materiale di una società;2. la sovrastruttura, che comprende lo Stato, e quindi il diritto, la religione/chiesa,l’arte, la letteratura, la <strong>filoso</strong>fia, la scienza, i costumi, le mode, la mentalità, più ingenerale le idee.Le denominazioni che Marx utilizza per designare questi due sottosistemi sociali sonorivelative <strong>del</strong> loro rapporto gerarchico: la struttura rappresenta il livello primario edeterminante, la sovrastruttura quello secondario e determinato. Ciò significa che perMarx il sottosistema politico-culturale di una società è un effetto <strong>del</strong> sottosistemaeconomico, ossia che le istituzioni politiche, le associazioni sociali, i movimenti culturali ele mentalità diffuse rispecchiano il modo in cui una società organizza e svolge la suaattività produttiva. Dunque, a seconda <strong>del</strong> tipo di economia una società avrà uncorrispondente tipo di Stato, un corrispondente tipo di chiesa, una certa letteratura e cosìvia.Ciò vuol dire che la sovrastruttura è un mero ornamento <strong>del</strong>la società o una appendicesenza alcuna funzione? No, perché la sovrastruttura retroagisce sulla struttura in duemodi:a) in quanto rende la struttura più salda e quindi più efficiente, agendo dunque siacome un collante sia come un catalizzatore;b) in quanto può rimanere uguale al variare <strong>del</strong>la struttura, ovvero possiede una sortadi inerzia, e quindi può frenare il cambiamento <strong>del</strong>la struttura.Può frenare, ma non impedire: prima o poi il cambiamento strutturale vince la resistenza<strong>del</strong>l’inerzia sovrastrutturale e impone un cambiamento sovrastrutturale.La struttura dunque può cambiare e proprio questo cambiamento, come si è detto,costituisce la specificità <strong>del</strong>le società umane rispetto al mondo naturale. La domandacruciale è allora: cosa fa cambiare la struttura e, di conseguenza, la sovrastruttura? In altreparole, qual è la causa <strong>del</strong> divenire storico-sociale? La risposta di Marx, che costituisce ilcuore pulsante <strong>del</strong> materialismo storico, è: il conflitto dialettico tra le forze produttive (FP) e i rapporti di produzione (RdP),che rappresentano i due fattori fondamentali <strong>del</strong> sottosistema economico.Ma cosa intende Marx per FP e RdP? Le FP sono l’insieme <strong>del</strong>le capacità fisico-mentali umane (forza muscolare, abilitàmanuale, conoscenze tecnico-gestionali) e dei mezzi naturali e materiali (p.e. uncavallo, una zappa o un altoforno) grazie ai quali si produce e che determinano laquantità <strong>del</strong> prodotto.I RdP sono le relazioni che si stabiliscono tra gli uomini come produttori e chedipendono dalla diversa divisione 1) <strong>del</strong>la proprietà dei mezzi di produzione, 2) <strong>del</strong>lemansioni lavorative, 3) <strong>del</strong> prodotto. In sostanza, i RdP determinano le diverseclassi sociali, p.e. i nobili feudali, in quanto proprietari <strong>del</strong>la terra che svolgevanoattività politico-militare e incameravano la maggior parte <strong>del</strong> prodotto, o i servi<strong>del</strong>la gleba, in quanto nullatenenti che coltivavano le terre concesse loro dai nobili ericevevano una porzione <strong>del</strong> prodotto finale.Secondo Marx, lo sviluppo <strong>del</strong>le FP è una sorta di variabile indipendente <strong>del</strong>la storia. Le FPinfatti tendono costantemente a crescere. I RdP costituiscono il contesto organizzativo cherende possibile tale crescita, ovvero ne sono lo strumento e la modalità. Ma mentre lacrescita <strong>del</strong>le FP è illimitata, i RdP sono limitati, cioè permettono solo un certo grado disviluppo <strong>del</strong>le FP. Di conseguenza, raggiunto il tetto massimo di crescita consentito da un195


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREcerto tipo di RdP, la necessità di un ulteriore incremento <strong>del</strong>le FP impone il cambiamentodei RdP. In altre parole, mentre in un primo tempo tra FP e RdP vi è un rapportofunzionale, in un secondo momento emerge il conflitto dialettico tra FP e RdP, conconseguente “negazione” degli RdP, ovvero con la loro sostituzione da parte di nuovi RdPfunzionali a un ulteriore sviluppo <strong>del</strong>le FP.Per comprendere immediatamente la concezione di Marx, può essere utile usare unesempio analogico alla portata di tutti: quello <strong>del</strong> cambio di un’automobile. Di solito peravviare un’auto si mette la prima, che consente un piccolo incremento <strong>del</strong>la velocità fino aun limite oltre il quale, per poter andare più veloci, bisogna inserire la seconda(possibilmente senza dimenticare di schiacciare il pedale <strong>del</strong>la frizione); poi la terza e cosìvia fino alla quinta. La velocità <strong>del</strong>l’auto rappresenta allegoricamente le FP, le marce i RdP,l’acuto <strong>del</strong> motore fuori giri il conflitto dialettico tra la tendenza all’aumento <strong>del</strong>le FP e laresistenza dei RdP dati alla loro sostituzione con nuovi RdP, il rombo baritonale <strong>del</strong>motore di nuovo nei giri l’imporsi dei nuovi RdP e il successivo aumento di velocitàl’ulteriore incremento <strong>del</strong>le FP reso possibile dai nuovi RdP.Marx classifica 5 tipi di RdP in base a 5 modi di produzione (MdP) che sono, in successionestorico-cronologica:1. il MdP asiatico-tribale, proprio <strong>del</strong>le società primitive nomadiche, che vivevano diraccolta, caccia e allevamento, caratterizzate da una sorta di comunismo <strong>del</strong>lapenuria, in quanto non conoscevano né proprietà privata, né una significativadifferenziazione <strong>del</strong>le mansioni né una sostanziale disuguaglianza <strong>del</strong>ladistribuzione <strong>del</strong> prodotto;2. il MdP antico-schiavistico, proprio <strong>del</strong>le società stanziali antiche (da quella sumeraa quella romana), che vivevano soprattutto di agricoltura, nelle quali all’aumentare<strong>del</strong>la ricchezza complessiva corrispondeva la prima divisione in classi (aristocraziafondiaria, piccoli proprietari, commercianti, artigiani e schiavi) e le prime forme didisuguaglianza;3. il MdP feudale, proprio <strong>del</strong>la società europea medievale, basato sull’agricoltura e suuna divisione in classi simile a quella <strong>del</strong> MdP antico ma con la sostituzione dei servi<strong>del</strong>la gleba agli schiavi;4. il MdP capitalistico-borghese, proprio <strong>del</strong>la società occidentale moderna econtemporanea, basato sulla preminenza <strong>del</strong>l’industria e sulla divisione in borghesi(o capitalisti), proprietari dei mezzi di produzione, e proletari (braccianti e operai),nullatenenti costretti a vendere la loro forza-lavoro in cambio di un salario di merasussistenza;5. il MdP socialista/comunista, destinato a imporsi in un futuro prossimo nella societàoccidentale, e nel medio-lungo periodo in tutto il mondo, sempre basato sullapreminenza <strong>del</strong>l’industria ma caratterizzato dalla proprietà collettiva dei mezzi diproduzione e dall’abolizione di ogni differenza di classe, cioè dall’uguaglianzaeconomico-sociale.196


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 3MARX: LA LOTTA DI CLASSE, LO STATO SOCIALISTA E IL COMUNISMOLa storia di ogni società sinora esistita è storia di lotte di classi.Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi <strong>del</strong>la gleba, membri <strong>del</strong>lecorporazioni e garzoni, in una parola oppressori e oppressi sono sempre statiin contrasto tra loro, hanno sostenuto una lotta ininterrotta, a volte nascosta,a volte palese: una lotta che finì sempre o con una trasformazionerivoluzionaria di tutta la società o con la rovina comune <strong>del</strong>le classi in lotta.Nelle prime epoche <strong>del</strong>la storia troviamo quasi dappertutto una completadivisione <strong>del</strong>la società in varie caste, una multiforme gradazione <strong>del</strong>leposizioni sociali. Nell’antica Roma abbiamo patrizi, cavalieri, plebei, schiavi;nel medioevo signori feudali, vassalli, maestri d’arte, garzoni, servi <strong>del</strong>lagleba, e per di più in quasi ciascuna di queste classi altre speciali gradazioni.La moderna società borghese, sorta dalla rovina <strong>del</strong>la società feudale, non haeliminato i contrasti tra le classi. Essa ha soltanto posto nuove classi, nuovecondizioni di oppressione, nuove forme di lotta in luogo <strong>del</strong>le antiche.L’epoca nostra, l’epoca <strong>del</strong>la borghesia, si distingue tuttavia perché hasemplificato i contrasti fra le classi. La società intiera si va sempre piùscindendo in due grandi campi nemici, in due grandi classi direttamenteopposte l’una all’altra: borghesia e proletariato.Marx-Engels, Manifesto <strong>del</strong> partito comunista,in Marx-Engels, Opere scelte, Editori RiunitiCon la diminuzione costante <strong>del</strong> numero dei magnati <strong>del</strong> capitale cheusurpano e monopolizzano tutti i vantaggi di questo processo ditrasformazione, cresce la massa <strong>del</strong>la miseria, <strong>del</strong>la pressione,<strong>del</strong>l’asservimento, <strong>del</strong>la degenerazione, <strong>del</strong>lo sfruttamento, ma cresce anchela ribellione <strong>del</strong>la classe operaia che sempre più s’ingrossa ed è disciplinata,unita e organizzata dallo stesso meccanismo <strong>del</strong> processo di produzionecapitalistico. Il monopolio <strong>del</strong> capitale diventa un vincolo <strong>del</strong> modo dip r o d u z i o n e , che è sbocciato insieme ad esso e sotto di esso. Lacentralizzazione dei mezzi di produzione e la socializzazione <strong>del</strong> lavororaggiungono un punto in cui diventano incompatibili col loro involucrocapitalista. Ed esso viene spezzato. Suona l’ultima ora <strong>del</strong>la proprietà privatacapitalistica. Gli espropriatori vengono espropriati.Il modo di appropriazione capitalistico che nasce dal modo di produzionecapitalistico, e quindi la proprietà privata capitalistica, sono la primanegazione <strong>del</strong>la proprietà privata individuale, fondata sul lavoro personale.Ma la produzione capitalistica genera essa stessa, con l’ineluttabilità di unprocesso naturale, la propria negazione. E’ la negazione <strong>del</strong>la negazione. Equesta non ristabilisce la proprietà privata, ma invece la proprietàindividuale fondata sulla conquista <strong>del</strong>l’era capitalistica, sulla cooperazione esul possesso collettivo <strong>del</strong>la terra e dei mezzi di produzione prodotti dallavoro stesso.Marx, Il Capitale, Libro I, Editori RiunitiCome si è detto, la teoria materialistica <strong>del</strong>la storia di Marx sostiene che il passaggio daogni MdP, ossia da ogni tipo di RdP, all’altro è causato dal conflitto dialettico ricorrente traMdP esistente e necessità di un ulteriore sviluppo <strong>del</strong>le FP. Questa spiegazione <strong>scienti</strong>fica197


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORE<strong>del</strong>la storia vale però, sostiene Marx, al livello <strong>del</strong>la massima generalizzazione e quindi<strong>del</strong>la massima astrazione teorica. A un livello più speci<strong>fico</strong>, il conflitto dialettico RdP/FPassume la configurazione più concreta <strong>del</strong>la lotta tra le classi, in particolare tra le due classimaggiormente antagoniste, e quindi determinanti, di ogni MdP: aristocratici e schiavi,nobili e servi, borghesi e proletari. Ciò significa che in ogni società umana, secondo Marx,la classe dominante è quella che ha inventato e introdotto i RdP vigenti, e quindi lotta perconservarli, mentre la classe dominata è quella che inventa nuovi RdP e che lotta perimporli al posto dei vecchi. Qual è il movente soggettivo di questa lotta, cioè <strong>del</strong>la lotta diclasse? L’interesse materiale, risponde Marx. P.e., la nobiltà medievale cerca di conservarei RdP feudali perché grazie ad essi detiene il primato economico-sociale e il potere politico;i borghesi, ex servi <strong>del</strong>la gleba fuggiti ed emancipati, vogliono imporre i loro nuovi RdP perottenere maggiore ricchezza e conquistare il potere politico. Certo, la lotta di classe è anchelotta di idee, anzi si presenta soprattutto come lotta di idee. Ma le idee – e quindi tutti gliideali religiosi, <strong>filoso</strong>fici, morali e politici – sono sempre funzionali alla promozione degliinteressi materiali, cioè sono il loro travestimento razionale, la loro propagandadissimulata.Dunque, in ultima analisi, Marx fonda la sua legge <strong>del</strong>lo sviluppo storico, quella appunto<strong>del</strong> conflitto dialettico RdP/FP, sul comportamento individualistico e concorrenziale<strong>del</strong>l’uomo. Si tratta di un comportamento naturale, cioè innato, oppure acquisito, cioèindotto dalle condizioni storico-sociali? Marx opta per la seconda soluzione. Infatti, da unlato, la società umana primitiva, quella più vicina allo stato di natura rousseauiano, per luisi basa sull’uguaglianza e la solidarietà; dall’altro l’ultimo stadio <strong>del</strong>lo sviluppo storico,quello socialista/comunista, restaura proprio l’uguaglianza e la solidarietà originarie. Inquesto senso, Marx attribuisce il prevalere <strong>del</strong> comportamento individualistico econcorrenziale, e quindi l’affermarsi <strong>del</strong>la disuguaglianza, all’esigenza umana provvisoriadi emanciparsi dalla penuria e di conquistare l’agiatezza. Infatti, egli sostiene che ilpassaggio alla futura società socialista/comunista potrà avvenire solo quando il MdPcapitalistico-borghese sarà arrivato a un grado di sviluppo <strong>del</strong>le FP tale non solo darendere inutile, per un loro ulteriore incremento, il comportamento individualisticoconcorrenzialema da rendere anzi necessario il comportamento collettivisticosolidaristico.In questa prospettiva, il materialismo storico ha come sbocco naturale la previsione <strong>del</strong>crollo <strong>del</strong> MdP capitalistico e l’avvento rivoluzionario <strong>del</strong> socialismo. In tal modo l’esigenzadi <strong>scienti</strong>ficità di Marx si salda con il suo progetto politico di rivoluzione sociale. Marx, diconseguenza, dedica il suo maggior sforzo intellettuale all’analisi <strong>del</strong>la struttura economicacapitalistica e alla declinazione specifica e dettagliata <strong>del</strong> conflitto dialettico RdP/FP alivello <strong>del</strong>la società capitalistico-borghese. Egli isola così una serie di leggi particolari <strong>del</strong>capitalismo che provocheranno inevitabilmente la sua implosione. Tra queste, quelladecisiva è rappresentata dalla legge <strong>del</strong>la polarizzazione economico-sociale, cioè <strong>del</strong>lasempre più netta divisione <strong>del</strong>la società in una sempre più ristretta e ricca élite di borghesie in una sempre più numerosa e povera massa di operai. Una volta giunta a compimento,tale polarizzazione non può che avere come esito la rivoluzione operaia che instaurerà ilsocialismo, inteso come stadio di transizione dal capitalismo al comunismo. Infatti, dalpunto di vista politico, il socialismo dovrà conservare lo Stato e anzi imporre la “dittatura<strong>del</strong> proletariato”, cioè un governo autoritario <strong>del</strong>la maggioranza operaia sulla minoranzaborghese; mentre più avanti, una volta superati i condizionamenti sovrastrutturali <strong>del</strong>capitalismo, si potrà abolire lo Stato ed entrare così nel comunismo. Corrispondentemente,sul piano economico-sociale, nel socialismo si dovrà ancora dividere il prodotto in base alprincipio “a ognuno in base al lavoro erogato”; mentre col comunismo il prodotto verràdiviso in base al principio “da ciascuno in base alle sue capacità, a ciascuno in base ai suoibisogni”.198


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREMa la tesi più clamorosa di Marx è quella secondo cui il comunismo è il MdP definitivo<strong>del</strong>la storia umana, in quanto è l’unico che permette uno sviluppo illimitato <strong>del</strong>le FP. Inaltri termini, mentre tutti i precedenti RdP entrano necessariamente in conflitto dialetticocon le FP, i RdP social-comunisti sono immuni da questo conflitto, cioè sono <strong>del</strong> tuttofunzionali alla crescita <strong>del</strong>le FP. Perché dunque fanno eccezione? Perché, risponde Marx, adifferenza <strong>del</strong>le classe precedenti, proprietarie e quindi vincolate ai propri interessiparticolari, il proletariato è una classe “universale”, cioè una classe il cui interesseparticolare coincide con quello <strong>del</strong>l’intera collettività, in quanto non è legata alla proprietàprivata e quindi non può che aspirare alla proprietà collettiva dei mezzi di produzione ealla distribuzione egualitaria <strong>del</strong> reddito. Di conseguenza, il proletariato non può avere uninteresse materiale contrario alla crescita <strong>del</strong>le forze produttive che dunque nelsocialismo/comunismo potranno finalmente svilupparsi senza alcun freno.Grazie all’abbondanza <strong>del</strong>le risorse materiali, a sua volta ogni individuo potrò scegliere lapropria attività in piena libertà, senza alcun condizionamento economico-sociale, cioèseguendo le proprie inclinazioni e le proprie attitudini, e in questo modo “il libero sviluppodi ognuno sarà condizione <strong>del</strong> libero sviluppo di tutti” e viceversa.199


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREROTTA DIL POSITIVISMO LIBERALEJohn Stuart Mill si pone apertamente nel solco <strong>del</strong>la migliore tradizione liberale inglese.Attraverso la sua originale rielaborazione, il <strong>pensiero</strong> liberale classico viene attualizzatoe riformato dando origine a quella cultura liberal che è un tratto tipico dei paesianglosassoni nel XX secolo.In questo senso, pur aderendo al programma positivistico di un nuovo ordine socialefondato sulla scienza, Mill rovescia il rapporto collettività/individuo sostenuto da Comte,attribuendo la priorità alla dimensione individuale.Su questa base, l’opera <strong>filoso</strong>fica di Mill si articola su 3 livelli: quello epistemologico,quello etico e quello politico.A livello epistemologico, Mill concentra la sua indagine sul metodo induttivo. Da un lato,ne individua il fondamento nel principio di uniformità <strong>del</strong>la natura; dall’altro non loidentifica con la semplice generalizzazione per enumerazione ma lo riconfigura come unintreccio di 4 strategie induttive: per concordanza, per differenza, per variazioneconcomitante e per residuo.A livello etico, Mill si rifà all’utilitarismo di Bentham, basato sul principio <strong>del</strong> “maggiorbenessere possibile per il maggior numero di uomini”, dandone però una versione piùsofisticata nella quale i piaceri intellettuali sono superiori a quelli materiali e il criterio discelta è soprattutto qualitativo anziché esclusivamente quantitativo.Infine, a livello politico, Mill porta il liberalismo alla completa accettazione <strong>del</strong> principio<strong>del</strong>l’uguaglianza non solo dei diritti giuridici ma anche dei diritti politici, ossia <strong>del</strong> dirittodi voto, oltretutto rivendicandolo anche per le donne, <strong>del</strong>la cui emancipazione si faautorevole sostenitore. Inoltre, pur rifiutando il dirigismo statale, accoglie l’istanza diuguaglianza sociale, sostenendo il principio <strong>del</strong>le pari opportunità di partenza per tuttigli individui e appoggiando il movimento cooperativistico dei lavoratori.Tuttavia, Mill mette in guardia la società moderna da quello che per lui è il suo rischiomaggiore: la tirannide <strong>del</strong>la maggioranza, che si può instaurare a livello socialeattraverso il conformismo di massa e a livello politico attraverso la prevaricazione <strong>del</strong>partito più votato su quelli di minoranza.VITA DI UN CAPITANOJOHN STUART MILLNato a Londra nel 1806, venne educato e istruito da suo padre James - intellettualeseguace e collaboratore di Jeremy Bentham, capostipite <strong>del</strong>l’utilitarismo inglese – che glifece seguire un programma di studi intensissimo e complesso, soprattutto in rapportoall’età (a 12 anni, p.e., è costretto a leggere Platone e Aristotele), utilizzando il metodopunizione/premio (o, come più espressivamente si dice, <strong>del</strong> bastone e <strong>del</strong>la carota),improntato alla concezione utilitaristica, già presente in illuministi come Helvétius,secondo cui l’individuo umano è mo<strong>del</strong>lato dal suo ambiente, ovvero plasmabile apiacimento attraverso l’educazione. In tal senso, in omaggio al principio primo<strong>del</strong>l’utilitarismo, il criterio-guida <strong>del</strong>l’educazione paterna fu far acquisire al figliol’associazione spontanea tra il sentimento <strong>del</strong> piacere e l’agire a favore <strong>del</strong>la felicità altrui.Appena diciassettenne Mill, senza smettere di studiare, cominciò anche a lavorare, comedipendente di suo padre, nella Compagnia <strong>del</strong>le Indie Orientali, occupandosi <strong>del</strong>lacorrispondenza. L’anno successivo iniziò anche a scrivere per la Westminster Reviewfondata da Bentham. Nel 1826 Mill cadde vittima <strong>del</strong>la depressione che, distruggendo lasua convinzione in tutto quello che aveva appreso, lo portò a leggere i romantici Coleridge,Wordsworth e Carlyle, che sostenevano una visione <strong>del</strong> mondo assai diversa da quellautilitaristica. Da essi Mill trasse la convinzione che la formazione culturale è il massimobene umano in quanto frutto e, al contempo, potenziamento <strong>del</strong>la libertà individuale; e che200


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREformarsi culturalmente comportava aprirsi a molti e diversi orientamenti di <strong>pensiero</strong>. Inseguito, a partire dal 1929, Mill venne a conoscenza <strong>del</strong> <strong>pensiero</strong> di Saint-Simon e poi diquello di Comte, sensibilizzandosi alle grandi questioni <strong>del</strong>la giustizia sociale e <strong>del</strong>la paritàtra uomini e donne. L’anno dopo si innamorò, ricambiato, di Harriet Hardy, donna diprofonda cultura sposata con un commerciante. Nel 1831 conobbe personalmente Carlyle erimase profondamente ammirato dalla sua personalità. Nel 1832, in seguito alla morte diBentham, pubblicò Osservazioni su Bentham, in cui criticò l’interpretazione bethamiana<strong>del</strong>l’utilitarismo senza però rinnegare i suoi principi di fondo. Il saggio su Bentham segnòla fine <strong>del</strong> periodo di disorientamento spirituale di Mill e l’inizio <strong>del</strong> processo creativo <strong>del</strong>lasua <strong>filoso</strong>fia originale. Nel 1834 Mill, senza mai smettere di lavorare per la Compagnia<strong>del</strong>le Indie, diventò direttore <strong>del</strong>la nuova rivista radical-liberale London and WestminsterReview. L’anno successivo lesse e recensì La democrazia in America, il decisivo saggio <strong>del</strong>liberal-democratico francese Tocqueville, di cui diventa anche amico. Affetto dallatubercolosi, viaggiò in Europa per soggiornare a scopo terapeutico in Svizzera e in Italia,dove, dopo aver declinato l’offerta <strong>del</strong>la cattedra di <strong>filoso</strong>fia morale da parte <strong>del</strong>l’universitàdi Glasgow, sarebbe tornato nel 1838 con Harriet Hardy, anche lei sofferente per la tbc.Nel 1837 iniziò a leggere Corso di <strong>filoso</strong>fia positiva di Comte, con il quale intrattennerapporti diretti di corrispondenza e amicizia dal 1841 al 1847, quando Comte ruppebruscamente con lui per la critica che Mill aveva rivolto alla concezione comtiana <strong>del</strong>rapporto individuo/collettività da lui giudicata dispotica e assimilata a quella di Ignazio diLoyola, il fondatore <strong>del</strong>la Compagnia di Gesù. Solo dal 1836, e cioè dopo la morte <strong>del</strong>padre, che non aveva voluto in alcun modo contrariare in vita, Mill cominciò a scrivere epubblicare le opere in cui espose la sua nuova <strong>filoso</strong>fia: Sistema di logica induttiva ededuttiva (1843), Principi di economia politica (1848), Sulla libertà (1859),Considerazioni sul governo rappresentativo (1861), L’utilitarismo (1863), Auguste Comtee il positivismo (1865). Nel 1851 morì il marito di Harriet Hardy e Mill poté finalmentesposarla. Tre anni dopo i due tornarono a viaggiare in Europa per curare la tbc e Harrietdecise di stabilirsi nella Francia meridionale. Nel 1856 Mill iniziò a scrivere Autobiografia,un’opera di genere molto diverso dalle altre e per la quale possiamo avvicinare Mill alselezionato novero di <strong>filoso</strong>fi – Seneca, Agostino, Montaigne, Pascal, Kierkegaard – cheancorarono concretamente la <strong>filoso</strong>fia alla propria esperienza esistenziale. Nel 1858 Mill silicenziò dalla Compagnie <strong>del</strong>le Indie per assistere la moglie malata che morì ad Avignonealla fine <strong>del</strong>l’anno. Nel 1865 diventò deputato <strong>del</strong>la Camera dei Comuni in cui si batté perfar approvare la legge di estensione <strong>del</strong> diritto di voto alle donne. Non ci riuscì ma continuòugualmente la sua battaglia politico-culturale pubblicando L’asservimento <strong>del</strong>le donne(1869), che aveva scritto alcuni anni prima su sollecitazione <strong>del</strong>la moglie e avvalendosi<strong>del</strong>la sua collaborazione. Per questo Mill fu il primo intellettuale europeo di gran<strong>del</strong>evatura a sostenere teoricamente e praticamente la causa <strong>del</strong>l’emancipazione femminile.Mill morì ad Avignone nel 1873. L’anno successivo fu pubblicata la sua ultima opera, Tresaggi sulla religione.201


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 1MILL: UTILITARISMO QUALITATIVO E STATO LIBERAL-DEMOCRATICONella nostra epoca chiunque, dalla più elevata alla più infima classe sociale,vive come se fosse sotto lo sguardo di un censore ostile e temibile. Non solonelle questioni che riguardano gli altri, ma anche in quelle che riguardanoloro soltanto, l’individuo o la famiglia non si chiedono “Che cosa preferisco?”o “Che cosa si addice al mio carattere e alle mie inclinazioni?” o “Che cosapermetterebbe alle mie qualità migliori e più elevate di esprimersi e crescererigogliosamente?”. Ma si chiedono “Che cosa si addice alla mia posizione?”,“Come si comportano abitualmente le persone <strong>del</strong>la mia condizioneeconomica e sociale?” o, peggio ancora, “Come si comportano abitualmente lepersone di condizioni economiche e sociali superiori alle mie?”. Non vogliodire che scelgano la consuetudine invece di ciò che si addice alle loroinclinazioni: non hanno inclinazioni che non siano per consuetudine. Così lastessa mente si piega sotto il giogo: persino in ciò che gli uomini fanno per ilpiacere, il conformismo è il loro primo <strong>pensiero</strong>; amano stare tra la folla;esercitano la scelta solo tra cose comunemente fatte; l’originalità <strong>del</strong> gusto,l’eccentricità <strong>del</strong>la condotta sono rifuggiti al pari di crimini; finché, a furia dinon seguire la propria natura, non hanno più natura propria. Le loro facoltàumane deperiscono e inaridiscono; diventano incapaci di desideri forti e dipiaceri spontanei, e in genere sono privi di opinioni e di sentimentiautonomamente sviluppati e propriamente loro. […]Non è stemperando nell’uniformità tutte le caratteristiche individuali, macoltivandole e facendo appello ad esse entro i limiti imposti dai diritti e dagliinteressi altrui, che gli uomini diventano nobili e magnifici esempi di vita; epoiché l’opera partecipa <strong>del</strong> carattere di chi la compie, mediante lo stessoprocesso la vita umana si arricchisce, si diversifica e si anima, fornendomaggiore stimolo ai pensieri e ai sentimenti più elevati e rafforzando illegame che unisce ciascun individuo alla specie, rendendola infinitamente piùdegna di appartenervi.Mill, Saggio sulla libertà, Il Saggiatore, 1981La riflessione etica e socio-politica di Mill mira a rinnovare e perfezionare la grandetradizione liberale inglese avviata da J. Locke e incentrata sul valore prioritario<strong>del</strong>l’individuo e dei diritti individuali.Nel corso <strong>del</strong> ‘700 e all’inizio <strong>del</strong>l’800, nell’alveo <strong>del</strong> <strong>pensiero</strong> liberale inglese si erasviluppato l’utilitarismo. Il principale esponente ne era stato Jeremy Bentham, il quale,riprendendo spunti degli illuministi Helvétius, Hutcheson e Beccaria, aveva proposto comeprincipio fondamentale <strong>del</strong>l’agire appunto l’utilità, definita come “la massima felicità per ilmaggior numero” (“the greatest happiness of the greatest number”).Per “felicità” Bentham intendeva il benessere fisico individuale raggiungibile attraverso lamassimizzazione dei piaceri e la minimizzazione dei dolori. Sulla base di una concezionefondamentalmente materiale dei piaceri, e quindi <strong>del</strong>la felicità, Bentham teorizzava lapossibilità di selezionarli in base al criterio oggettivo immediato <strong>del</strong>la maggior o minorequantità. P.e., un abito invernale più pesante, e quindi più caldo, per lui era preferibile a unabito invernale più leggero e quindi meno caldo.Il principio di utilità, in questo senso, si riferiva per Bentham anzitutto e soprattuttoall’agire individuale. Però non si limitava alla sfera individuale, in quanto il suo meritomaggiore, a parere di Bentham, consisteva proprio nel raccordare effettivamente edequilibratamente sfera individuale e sfera collettiva. A partire dalla propria felicità e202


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREcompatibilmente con essa, infatti, l’individuo doveva agire in modo da contribuire anchealla felicità <strong>del</strong> maggior numero possibile di altri individui, dal momento che la felicitàaltrui è un fattore <strong>del</strong>la propria felicità.Attraverso la mediazione <strong>del</strong> padre James, amico di Betham e <strong>filoso</strong>fo utilitarista eglistesso, J.S. Mill fa proprio l’utilitarismo benthamiano ma lo riforma, giudicandolo tropposchiacciato sul materialismo e quindi alquanto grezzo e meccanico. Ferma restando ladefinizione di utilità come “massima felicità per il maggior numero” , Mill sostiene che lafelicità ha certo una componente materiale ma al contempo una più rilevante componenteintellettuale o spirituale. In altre parole, per Mill non solo accanto ai piaceri materiali visono anche i piaceri mentali, ma soprattutto i secondi sono superiori ai primi. Diconseguenza, secondo Mill la selezione e la gerarchizzazione dei piaceri, e dei relativicomportamenti, non possono essere effettuate sulla base <strong>del</strong> mero criterio quantitativo, maanzitutto e soprattutto sulla base di una criterio qualitativo.Mill, insomma, mette a punto una versione più raffinata e sofisticata <strong>del</strong>l’utilitarismo, unutilitarismo di tipo intellettual-qualitativo anziché material-quantitativo. Ma come si puògiudicare la maggiore o minore qualità di un piacere senza cadere nel soggettivismo equindi nel relativismo? Basandosi sul parametro quantitativo, Bentham aveva dato al suoutilitarismo un saldo fondamento oggettivo e universale. Mill sembrerebbe aver reso piùarticolato e completo l’utilitarismo, ma al prezzo di minarne l’universalità e di ridurloall’individualismo esasperato.Per risolvere il problema, Mill indica una modalità di giudizio universale <strong>del</strong>la qualità di unpiacere di tipo empirico-statistico, ovvero basata sulla ricorrenza <strong>del</strong>le effettive scelte degliindividui. In parole più semplici, la qualità di un piacere intellettuale (p.e. la lettura di unromanzo) è maggiore di quella di un altro (p.e. la visione di un dipinto) se a uno di essidanno la preferenza tutti coloro che li hanno provati entrambi e ne sono quindicompetenti.Sul piano politico, Mill apre il liberalismo alle istanze <strong>del</strong> <strong>pensiero</strong> democratico e, almenoin parte, <strong>del</strong> <strong>pensiero</strong> socialista, diventando così una <strong>del</strong>le fonti più importanti dei filonipolitici liberal-democratico e liberal-socialista <strong>del</strong> ‘900.Infatti, ribadendo con forza il primato <strong>del</strong> valore <strong>del</strong>la libertà individuale, che dunque devecostituire il fine ultimo <strong>del</strong>la politica, Mill sostiene che l’uguaglianza, sia politica siasociale, non va considerata il fine prioritario – questo l’errore dei socialisti - ma tuttaviadebba essere valorizzata come uno dei mezzi utili a realizzare pienamente la libertàindividuale. Di conseguenza, Mill in primo luogo perora la causa <strong>del</strong> diritto di voto pertutti, ossia <strong>del</strong> suffragio universale, e oltretutto non solo per gli uomini ma anche per ledonne, distinguendosi come uno dei rari intellettuali maschi <strong>del</strong>l’800, sicuramente il piùautorevole, sostenitore <strong>del</strong>la causa <strong>del</strong>l’emancipazione femminile. In secondo luogo,afferma che ogni individuo, uomo o donna, ricco o povero, deve godere di pari opportunitàdi partenza, in particolare grazie al riconoscimento e all’attuazione <strong>del</strong> diritto allo studioper tutti. Successivamente, però, in base ai diversi meriti e alle diverse preferenzeindividuali, secondo Mill, è giusto che i redditi e gli status sociali si differenzino, purchéentro certi limiti. Lo Stato, dunque, deve astenersi da qualunque intervento nell’economia,però può e deve evitare le eccessive e ingiustificate sperequazioni economico-socialiutilizzando l’imposizione fiscale e operando con essa una parziale redistribuzione deiredditi.Nel momento in cui apre alla democrazia sociale, Mill però denuncia quello che, a suoparere, è il pericolo mortale che essa comporta: la tirannide <strong>del</strong>la maggioranza. In altreparole, la “democrazia” - intesa in senso classico come “potere <strong>del</strong> popolo”, ossia dei piùpoveri, contro i più ricchi – corre il rischio di trasformarsi in una nuova, più potente eopprimente forma di dispotismo. Essa può instaurarsi a 2 livelli:1. a livello sociale e culturale, come conformismo;203


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORE2. a livello politico-istituzionale, come dominio di un partito di maggioranza su uno opiù partiti di minoranza.Al primo livello, quello socio-culturale, Mill, prevedendo le caratteristiche <strong>del</strong>la futurasocietà di massa che cominciava appena a <strong>del</strong>inearsi nella sua epoca, afferma che la societàè in grado di esercitare un condizionamento spontaneo degli individui, una pressionepsicologica e culturale che li spinge ad agire in modo convenzionale e a uniformarsi gli uniagli altri nel modo di pensare, nelle preferenze culturali, nelle scelte e negli stili di vita,nella moda, ecc. Il risultato è appunto l’imporsi <strong>del</strong> conformismo di massa che soffoca finoa estinguerle le diversità, le differenze personali, le forti individualità che per loro stessanatura sono eccentriche, divergenti, anticonformiste. Si tratta di un pericolo mortale,secondo Mill, in generale perché la principale ricchezza di una società sono proprio lediversità che permettono di avere più risorse a disposizione per affrontare e risolvere iproblemi; e in particolare perché i maggiori contributi al progresso in ogni campo <strong>del</strong>la vitasociale e culturali sono storicamente venuti proprio dalle forti personalità individualieccentriche e anticonformiste. Per prevenire il pericolo <strong>del</strong> conformismo socio-culturale egarantire il maggior pluralismo culturale possibile, Mill sostiene che il sistema scolastico,pur se accessibile a tutti, non deve essere controllato dallo Stato e quindi monolitico, maaffidato ad associazioni private di differente orientamento e quindi il più diversificatopossibile.Al secondo livello, quello politico-istituzionale, Mill sostiene che il rischio <strong>del</strong>la tirannide<strong>del</strong>la maggioranza è insito nel principio democratico secondo cui il partito che ottiene lamaggioranza dei consensi assume il controllo <strong>del</strong> potere esecutivo. In mancanza di limiti ecorrettivi, il mero criterio <strong>del</strong>la maggioranza – degli elettori o degli eletti – può consentireal partito al potere di limitare o addirittura annullare le chance di rivincita elettorale deipartiti risultati minoritari in una consultazione elettorale. In altri termini, il partito dimaggioranza al governo può usare i poteri statali per garantirsi la superiorità operativa epropagandistica sui partiti di opposizione, impedendo di fatto che essi possano vincereogni successiva elezione e rimanendo per sempre al potere, in modo formalmentedemocratico ma sostanzialmente dittatoriale. Per allontanare il pericolo <strong>del</strong>la tirannide<strong>del</strong>la maggioranza sul piano politico-istituzionale, occorre, secondo Mill, che sia istituitoun sistema di controlli e contrappesi (checks and balances) in modo da garantire che inogni elezione il partito di governo e quelli di opposizione abbiano effettivamente ugualipossibilità di vincere, ovvero che sia possibile il ricambio <strong>del</strong>le maggioranze parlamentari edei governi.In conclusione, per evitare il rischio <strong>del</strong>la tirannide <strong>del</strong>la maggioranza, le modernedemocrazie, secondo Mill, devono assorbire e metabolizzare i valori <strong>del</strong> liberalismo:l’intangibilità dei diritti individuali, il pluralismo culturale, la concorrenza leale.204


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREROTTA DIL POSITIVISMO EVOLUZIONISTICOLa versione <strong>del</strong> positivismo elaborata da Spencer si caratterizza e si distingue dalleprecedenti per il suo taglio evoluzionistico. Attingendo soprattutto a Lamarck, Spencerrivendica di aver elaborato originalmente una teoria <strong>del</strong>l’evoluzione prima eautonomamente da Darwin. Ciò non gli impedisce, in seguito, di includere e rifonderenella sua <strong>filoso</strong>fia anche alcuni aspetti <strong>del</strong> darwinismo.Di certo, l’evoluzionismo spenceriano presenta una fondamentale differenza sia dallamarckismo sia dal darwinismo: esso non riguarda solo la realtà biologica, ma l’interarealtà, cioè spazia dagli ambiti astronomico, fisico e chimico a quelli biologico,psicologico, storico-sociale, gnoseologico ed etico. In altre parole Spencer ha l’ambizionedi aver scoperto, con la sua teoria <strong>del</strong>l’evoluzione, la legge unica universale, quella da cuidipendono tutte le altre leggi particolari <strong>del</strong>la realtà.Tale legge consiste nel passaggio necessario <strong>del</strong>la materia da uno stato semplice edisorganizzato a livelli sempre più alti di complessità e organizzazione. Dopo averladefinita nella sua generalità, Spencer declina la legge <strong>del</strong>l’evoluzione nei vari settori <strong>del</strong>larealtà specificandola e diversificandola come evoluzione fisico-chimica, evoluzionebiologica, evoluzione psicologica, evoluzione storico-sociale, evoluzione <strong>scienti</strong>fica,evoluzione etica. In ogni caso, l’evoluzione per Spencer si configura come progressonecessario e continuo, benché non infinito.Su questa base, fe<strong>del</strong>e all’idea tipicamente positivista secondo cui la scienza è anche esoprattutto previsione <strong>del</strong> futuro, la <strong>filoso</strong>fia di Spencer sfocia in una visione utopica diun’umanità spontaneamente e compiutamente morale e, di conseguenza, di una societàcapace di autoregolarsi senza aver più bisogno di un potere coercitivo di tipo statale. Inquesto modo, il liberalismo spenceriano ha come esito ultimo una sorta di anarchismoutopico.Tuttavia, Spencer ammette un limite alla conoscenza <strong>scienti</strong>fica e quindi anche allapropria <strong>filoso</strong>fia. Secondo lui, la causa prima e il fine ultimo <strong>del</strong>la realtà sonoinconoscibili e costitutivamente avvolti da un mistero che solo il <strong>pensiero</strong> religioso puòsondare in base a modalità <strong>del</strong> tutto autonome da quelle <strong>scienti</strong>fiche. Pertanto, Spencerconclude che scienza e religione sono due sfere complementari e, al contempo, <strong>del</strong> tuttoindipendenti l’una dall’altra.VITA DI UN CAPITANOHERBERT SPENCERNacque a Derby in Inghilterra nel 1820 in una famiglia piccoloborghese. Il padre fudapprima seguace <strong>del</strong> metodismo, un movimento di rinascita religiosa nato all’interno<strong>del</strong>l’anglicanesimo e poi costituitosi in chiesa autonoma, e in seguito <strong>del</strong> più radicalequaccherismo, che professava un cristianesimo <strong>del</strong> tutto interiore, l’assoluta non-violenza,l’anticonformismo sociale e la tolleranza verso tutte le religioni e le idee. L’educazionepaterna alimentò l’emergere in Spencer di uno spirito aperto e libertario, ma anchel’interesse per la conoscenza tecnico-<strong>scienti</strong>fica. Spencer, però, subì anche l’influenza <strong>del</strong>lozio, un puritano intransigente, che gli trasmise un rigoroso senso <strong>del</strong> dovere e l’ansia diperfezione. Raggiunta l’adolescenza Spencer proseguì la sua istruzione da autodidatta. Nel1840 lesse i Principi di geologia di Lyell, venendo a conoscenza, seppur indirettamente,<strong>del</strong>la teoria <strong>del</strong>l’evoluzione di Lamarck, prima fonte di ispirazione <strong>del</strong>la sua <strong>filoso</strong>fia.Sempre studiando autonomamente, divenne ingegnere e fu assunto dalla compagniaferroviaria che stava costruendo la linea Londra-Birmingham. La morte <strong>del</strong>lo zio nel 1846e, nel 1853, quella <strong>del</strong>lo stesso padre, lo fecero entrare un possesso di una consistenteeredità che gli permise di vivere di rendita. Spencer abbandonò il suo impiego ferroviarioper dedicarsi totalmente alla sua passione per la <strong>filoso</strong>fia e alla scrittura di articoli e saggi.205


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREDal 1848 iniziò a collaborare con la rivista The Economist e nel 1852 pubblicò l’articoloIpotesi <strong>del</strong>lo sviluppo, in cui <strong>del</strong>ineò la sua teoria <strong>del</strong>l’evoluzione, benché senza ancorautilizzare il termine “evoluzione”, che in seguito fu proprio lui a rendere famoso. Nel 1855pubblicò il libro Principi di psicologia, nel quale spiegò la struttura e il funzionamento<strong>del</strong>la mente <strong>del</strong>l’uomo come altrettanti risultati <strong>del</strong>la graduale evoluzione <strong>del</strong>la specieumana. Il libro non ebbe successo, al contrario di L’origine <strong>del</strong>la specie che Darwinpubblicò nel 1859 e nel quale, peraltro, il termine “evoluzione” è usato raramente, mentrepredomina l’espressione “selezione naturale”. Anche per riaffermare la paternità <strong>del</strong>lascoperta <strong>del</strong>la teoria <strong>del</strong>l’evoluzione, Spencer nel 1860 scrisse, senza pubblicarlo, Sistemadi <strong>filoso</strong>fia sintetica, in cui tratteggiò il piano complessivo <strong>del</strong>la sua <strong>filoso</strong>fia, che poirealizzò effettivamente negli anni immediatamente successivi pubblicando: Primi principi(1862), esposizione dettagliata <strong>del</strong>la teoria generale <strong>del</strong>l’evoluzione, Principi di biologia(1864-1867), analisi <strong>del</strong>l’evoluzione degli esseri viventi, una nuova edizione di Principi dipsicologia (1870-72), Principi di sociologia (1876-86), analisi <strong>del</strong>l’evoluzione <strong>del</strong>le societàe degli Stati, Principi di etica (1892-93), spiegazione evoluzionistica <strong>del</strong>la formazione deivalori morali. Durante gli anni <strong>del</strong>la composizione e <strong>del</strong>la pubblicazione <strong>del</strong> suo sistema<strong>filoso</strong><strong>fico</strong>, Spencer fu afflitto da una grave depressione, connessa anche ai pesanti ritmi dilavoro cui si sottoponeva. Riuscì a superarla, ma da allora fu costretto a limitaredecisamente le ore quotidiane di impegno intellettuale. Di certo non era estranea alle suesofferenze psichiche la sua freddezza sentimentale e la sua incapacità a stabilire legamiaffettivi profondi e duraturi sia con uomini sia con donne. L’episodio più significativo <strong>del</strong>lesue relazioni con le donne fu la temporanea frequentazione di Mary Ann Evans, futurascrittrice nota con lo pseudonimo maschile di George Eliot, cui faceva visita nella casasalotto<strong>del</strong> mentore di lei. In realtà gli unici rapporti umani di Spencer furono quelli di tipoprofessionale e intellettuale, molto lontani dalla vera amicizia e spesso competitivi, comenel caso <strong>del</strong> suo rapporto con Darwin. In tal senso è molto indicativo il giudizio su Spencerlasciatoci appunto da Darwin: «La conversazione di Herbert Spencer mi parevainteressante, ma non mi piaceva particolarmente e sentivo che non sarei entrato facilmentein intimità con lui. Penso che fosse estremamente egoista. Dopo aver letto qualcuno deisuoi libri provo in genere un'entusiastica ammirazione per il suo talento eccezionale, e misono domandato se in un lontano futuro egli non sarà per caso classificato assieme apensatori come Cartesio, Leibniz e altri, anche se di questi autori conosco ben poco.Cionondimeno, non sono consapevole d'essermi giovato nella mia opera degli scritti diSpencer. Il suo modo di trattare qualunque argomento con un sistema puramentededuttivo è <strong>del</strong> tutto opposto alla mia struttura mentale. Le sue conclusioni non miconvincono mai, e dopo aver letto qualcuna <strong>del</strong>le sue discussioni mi è successo molte voltedi dire a me stesso: “Ecco un bell'argomento da lavorarci sopra una mezza dozzina d'anni”.Le sue fondamentali generalizzazioni (che qualcuno ha paragonato per importanza alleleggi di Newton!), e che sono forse utilissime in campo <strong>filoso</strong><strong>fico</strong>, sono di tal natura chenon appaiono utilizzabili, in campo strettamente <strong>scienti</strong><strong>fico</strong>. Sono piuttosto definizioni chenon leggi di natura e non aiutano a predire ciò che accadrà in casi particolari. Comunquesia, a me non sono state di alcuna utilità». Al netto dei limiti soggettivi <strong>del</strong> punto di vista diDarwin, il brano mette a fuoco in modo obiettivo l’incommensurabilità tra la teoria<strong>filoso</strong>fica <strong>del</strong>l’evoluzione di Spencer e la teoria <strong>scienti</strong>fica <strong>del</strong>l’evoluzione di Darwin,facendoci comprendere che ha poco senso porsi il problema di chi precedette e influenzòchi. La competitività, in ogni caso, affliggeva anche Darwin, il quale solo in una successivaedizione <strong>del</strong>l’Origine <strong>del</strong>le specie citò Spencer e oltretutto presentandolo in modo riduttivocome un anti-creazionista. Spencer morì a Brighton nel 1903. Postuma fu pubblicata la suaAutobiografia.206


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 1SPENCER: LA LEGGE DELL’EVOLUZIONE COSMICAL’evoluzione, nel suo aspetto primario, è un mutamento da forme menocoerenti a forme più coerenti, conseguente alla dissipazione <strong>del</strong> movimento eall’integrazione <strong>del</strong>la materia. […] I fatti provano che tale carattere èegualmente manifesto sia nei primi mutamenti che si suppone l’universoabbia subito nel suo complesso, sia negli ultimi mutamenti che ritroviamonella società e nei prodotti <strong>del</strong>la vita sociale. Dappertutto l’unificazioneprocede in diversi modi simultaneamente.Nell’evoluzione <strong>del</strong> sistema solare, o di un pianeta, o di un organismo, o diuna nazione, vi è una progressiva unificazione <strong>del</strong>l’intera massa. Essa puòvenir prodotta dalla crescente densità <strong>del</strong>la materia già contenuta in essa odall’aggiungersi di materia che ne era prima separata oppure da entrambe lecose; ma comporta in ogni caso una perdita di movimento relativo. Nellostesso tempo le parti, nelle quali la materia si è divisa, si consolidano ciascunaal suo interno. Lo constatiamo nella formazione dei pianeti e dei satelliti,sviluppatasi parallelamente alla concentrazione <strong>del</strong>la nebulosa che ha datoorigine al sistema solare; lo constatiamo nella crescita di organi distinti, laquale progredisce di pari passo con la crescita di ciascun organismo; loconstatiamo infine nella nascita di particolari centri industriali e diparticolari masse di popolazione, che accompagna la nascita di ogni società.[…]Ovviamente se, mentre è avvenuta la trasformazione dall’incoerente alcoerente, si sono avute anche altre trasformazioni, la massa, in luogo dirimanere uniforme, è necessariamente diventata multiforme: la proposizioneè identica. Dire che la re-distribuzione primaria è accompagnata da redistribuzionisecondarie significa dire che, insieme al mutamento da unostato di dispersione a uno di concentrazione, vi è pure un mutamento da unostato omogeneo a uno eterogeneo. Le componenti <strong>del</strong>la massa, integrandosi,si differenziano. […]L’evoluzione, se da un lato è un mutamento dall’omogeneo all’eterogeneo,d’altro lato costituisce un mutamento dall’indefinito al definito. Insieme alpassaggio dalla semplicità alla complessità vi è quello dalla confusioneall’ordine, da un sistemazione indeterminata a una sistemazione determinata.Lo sviluppo, non importa di quale tipo, presenta non soltanto unamoltiplicazione di parti diverse, ma anche un aumento <strong>del</strong>la distinzione concui queste parti si definiscono l’una rispetto all’altra. […]Procedendo in questo modo, e fatta la dovuta aggiunta, la formula definitivapuò essere così stabilita: l’evoluzione è un’integrazione di materia e unaconcomitante dissipazione di movimento, durante cui la materia passa daun’omogeneità indefinita e incoerente a un’eterogeneità definita e coerente,e durante cui il movimento conservato subisce una trasformazione parallela.H. Spencer, Primi principi, parte II, trad. di Pietro Rossi,in Positivismo e società industriale, ed. cit.Spencer concepisce e pratica la <strong>filoso</strong>fia come una scienza <strong>del</strong>le scienze, cioè come unascienza generale e totale, consistente nella sintesi dei risultati particolari <strong>del</strong>le scienzesettoriali. Tale sintesi si configura come una teoria <strong>del</strong>l’evoluzione cosmica, secondo la207


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREquale tutta la realtà è un processo continuo e necessario di perfezionamento, benchédiversificato a seconda dei suoi diversi livelli.Per fondare questa sua teoria Spencer innanzitutto riprende dalla scienza moderna iprincipi canonici <strong>del</strong>la conservazione <strong>del</strong>la materia e <strong>del</strong> movimento. Secondo lui, infatti, larealtà è costituita da 3 principi generali:1. l’indistruttibilità <strong>del</strong>la materia: tutto è materiale, ovvero fisico, e la materia è eterna,ossia non si genera né si distrugge;2. la continuità <strong>del</strong> movimento: la materia è composta da corpuscoli dotati di un motoperenne, che non si interrompe mai né si esaurisce, ma soltanto si redistribuisce;3. la persistenza <strong>del</strong>la forza: la forza, o energia, che produce movimento è anch’essapermanente e inesauribile e soggetta unicamente alla redistribuzione e allatrasformazione.Insomma, anche per Spencer vale la tradizionale sentenza materialistica, secondo cui“nulla si crea, nulla si distrugge, tutto continuamente si trasforma”.Questi 3 principi, secondo Spencer, sono altrettanti pilastri <strong>del</strong>la legge <strong>del</strong>l’evoluzione, lalegge unica e universale dalla quale dipendono tutte le altre leggi e tutti i fenomeni naturali<strong>del</strong>la realtà. La legge universale <strong>del</strong>l’evoluzione consiste nel passaggio necessario, continuoe graduale di tutte le cose:a) dall’omogeneità all’eterogeneità;b) dall’incoerenza alla coerenza;c) dall’indefinitezza alla definitezza.In primo luogo, evoluzione, afferma Spencer, significa che la natura passa da uno stato diindifferenziazione, oppure da stati di bassa differenziazione, a stati sempre più alti didifferenziazione. P.e., dalla nebulosa originaria, miscuglio indifferenziato di gas e polveri,si sono evoluti pianeti, stelle, comete, satelliti, meteoriti, ecc.; dagli organismimonocellulari di sono evoluti gli organismi pluricellulari; dalle società primitive prive diclassi e ceti sociali si sono evolute le società moderne stratificate in classi e ceti.In secondo luogo, evoluzione vuol dire che la natura passa da stati di minore coesione <strong>del</strong>lamateria di cui è fatta a stati di sempre maggiore coesione, integrazione, compattamento,dipendenza reciproca e interazione tra le parti. P.e., un pianeta è più “coerente”, ovverocoeso, <strong>del</strong>la nebulosa originaria; un <strong>del</strong>fino è più coerente di un lombrico: se fatto a pezzimuore, a differenza <strong>del</strong> lombrico che invece si moltiplica; la solidarietà sociale tra icittadini di uno Stato democratico moderno è maggiore di quella tra i sudditi di uno Statodispotico antico.In terzo luogo, l’evoluzione consiste nella trasformazione <strong>del</strong>la natura da una condizione diindeterminazione e confusione a una condizione di determinazione e distinzione, cioè auna condizione in cui ogni parte di qualcosa è più specializzata e quindi funzionaleall’insieme. P.e., il sistema solare è più definito <strong>del</strong>la nebulosa originaria in quanto bendistinto in Sole e pianeti, ognuno dei quali dotato di un moto di rivoluzione proprio e alcontempo correlato a tutti gli altri dall’interazione gravitazionale; gli organi interni di unmammifero sono più distinti e quindi meglio interconnessi di quelli di un gasteropode; inuna società moderna la divisione e la specializzazione dei lavori e <strong>del</strong>le professioni è moltomaggiore che nelle società primitive, e ciò si traduce in una maggiore produttività e quindiin una maggiore ricchezza.E’ chiaro che per Spencer omogeneità, incoerenza e indefinitezza, da un lato, eeterogeneità, coerenza e definitezza, dall’altro, sono sfaccettature di un medesimo eunitario stato naturale. In particolare il trinomio eterogeneità, coerenza e definitezza, cioè irequisiti <strong>del</strong>l’evoluzione, si sintetizzano in una condizione di articolazione,specializzazione, complessità e funzionalità. In una parola, l’evoluzione secondo Spencerconsiste nell’accrescimento <strong>del</strong> grado di organizzazione degli enti naturali.208


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETuttavia Spencer sostiene che l’evoluzione non è un processo infinito. Pertanto, raggiuntoil livello massimo di organizzazione l’evoluzione sarà temporaneamente seguita dalladissoluzione, cioè da una dinamica opposta a quella evolutiva, al termine <strong>del</strong>la quale siriavvierà un nuovo ciclo di evoluzione.Spencer declina la sua legge universale <strong>del</strong>l’evoluzione in 3 modalità parzialmente diverse:1. l’evoluzione inorganica, propria <strong>del</strong>la realtà meccanico-chimica, studiata daastronomia, fisica e chimica;2. l’evoluzione organica, propria <strong>del</strong>la realtà vivente, studiata dalla biologia e dallapsicologia;3. l’evoluzione superorganica, propria <strong>del</strong>la civiltà umana, studiata dalla sociologia edall’etica.In particolare, l’evoluzione organica si basa, secondo Spencer, sul principio<strong>del</strong>l’adattamento degli organismi all’ambiente in cui vivono. In altre parole, l’ambientestimola l’uso e quindi lo sviluppo di organi sempre più differenziati e specializzati che sitrasmettono e si perfezionano di generazione in generazione. Questa modalità evolutivariguarda non solo il corpo ma anche la psiche, la quale si trasforma adattandosi sempremeglio all’ambiente. In questa prospettiva Spencer elabora una teoria <strong>del</strong>la mente umanache concilia empirismo e criticismo kantiano. Secondo Spencer, infatti, la mente umana alivello ontogenetico, cioè di sviluppo di ogni singolo individuo, possiede, come avevasostenuto Kant, forme a priori (spazio, tempo, causalità, ecc.), cioè criteri diorganizzazione razionale innati, non derivati dall’esperienza. Tuttavia, a livellofilogenetico, cioè di sviluppo <strong>del</strong>la specie umana, quelle forme a priori hanno avuto unorigine empirica, cioè sono a posteriori, in quanto sono il prodotto selettivo <strong>del</strong>leesperienze accumulate e trasmesse nei millenni da milioni di individui umani. In altritermini, dai primi sapiens sapiens in poi, gli uomini hanno messo a fuoco per induzione, apartire da singole intuizioni sensibili, <strong>del</strong>le regole generali. Tali regole, trasmesse pereredità biologica, sono state perfezionate e sedimentate da ogni nuova generazione fino acristallizzarsi in quelle che per Kant erano le forme trascendentali <strong>del</strong>la ragione umana.Ma il livello più alto di evoluzione è quello superorganico, cioè quello proprio <strong>del</strong>la civiltàumana. La sua superiorità, afferma Spencer, è dovuta al suo carattere collettivo. In altritermini, l’adattamento <strong>del</strong>la specie umana all’ambiente è più efficace di quello <strong>del</strong>le altrespecie viventi perché basato sul più alto grado di cooperazione tra gli individuiappartenenti alla specie e quindi su una maggiore specializzazione. In questo senso,l’evoluzione storico-sociale <strong>del</strong>l’umanità è un progresso da forme più semplici a formesempre più complesse di cooperazione sociale. Più specificatamente, Spencer circoscrive 2funzioni sociali fondamentali:1. la funzione militare, connessa al bisogno vitale di aggredire e difendersi;2. la funzione industriale, relativa al bisogno di nutrimento.In relazione alla modalità di queste 2 funzioni strategiche, Spencer classifica 3 tipi disocietà corrispondenti ad altrettanti periodi <strong>del</strong> progresso storico-sociale <strong>del</strong>l’umanità:1. la società militare, tipica <strong>del</strong>l’età antico-medioevale, caratterizzata da un poterestatale dispotico, dalla subordinazione <strong>del</strong>l’individuo alla collettività e da formecoercitive di cooperazione, corrispondenti a un basso grado di coesione sociale;2. la società industriale, tipica <strong>del</strong>l’epoca moderno-contemporanea, caratterizzata daun potere statale liberale, dalla subordinazione <strong>del</strong>la collettività all’individuo e daforme libere di cooperazione basate sull’interesse egoistico, corrispondenti a ungrado medio di coesione sociale;3. la società altruistica, che sarà propria <strong>del</strong>la nuova epoca post-contemporanea,caratterizzata dalla progressiva riduzione <strong>del</strong> potere statale fino alla sua scomparsa,dalla completa conciliazione e integrazione di individui e collettività, da formealtruistiche di cooperazione, corrispondenti al massimo grado di coesione sociale.209


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREIn questo modo, la sociologia evoluzionistica di Spencer sfocia nella previsione <strong>scienti</strong>fica<strong>del</strong>l’avvento imminente di una nuova società umana concepita come il traguardo <strong>del</strong>progresso storico. Questa previsione però non è fondata da Spencer solo sull’evoluzionestorico-sociale ma anche e soprattutto sull’evoluzione etica <strong>del</strong>l’umanità, che peraltro èsincronica e strettamente intrecciata con quella storico-sociale.In modo analogo al suo evoluzionismo psicologico, l’evoluzionismo etico di Spencerconsiste in un’originale sintesi <strong>del</strong>la tradizione utilitaristica inglese e <strong>del</strong>la morale kantiana<strong>del</strong> dovere. Secondo Spencer, a livello ontogenetico, ogni individuo umano trova innata insé la legge morale, ovvero un imperativo categorico che, in nome <strong>del</strong> puro dovere, loobbliga razionalmente ad agire in modo universale e a reprimere quindi gli impulsinaturali e i moventi egoistici. Ma a livello filogenetico, la legge morale è il prodotto dimiriadi di esperienze pratiche che progressivamente hanno portato gli uomini a capire cheil criterio migliore di comportamento è quello <strong>del</strong>la “maggiore felicità per il maggiornumero”, ovvero che il comportamento altruistico è più vantaggioso di quello egoistico. Inquesto modo nella coscienza umana si è gradualmente costituito e sempre più messo apunto l’imperativo categorico teorizzato da Kant che è stato poi trasmesso ereditariamenteda una generazione all’altra, trasformandosi così in una regola universale a priori fine a sestessa, ovvero <strong>del</strong> tutto disinteressata, che deve essere seguita solo per dovere.Secondo Spencer, l’evoluzione etica futura porterà gli uomini a seguire sempre piùspontaneamente – e dunque sempre più facilmente e sempre più spesso – la legge morale.In altre parole, per Spencer l’uomo diventerà in futuro sempre più istintivamente altruistae questo gli permetterà di avvertire e subire sempre meno l’opposizione degli impulsi e deimoventi egoistici, cioè di infrangere sempre meno la legge morale. E’ chiaro che è su questaevoluzione etica verso la perfezione morale, e dunque verso l’agire spontaneamente epienamente altruistico, che Spencer fonda la sua previsione <strong>scienti</strong>fica di una futura societàpriva di un potere statale.210


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORESCOPERTALA REALTA’ COME CAOS INDETERMINABILE211


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORECANNOCCHIALE SU…L’ORIZZONTE STORICO-CULTURALE 1873-19131. Il capitalismo monopolistico e la II rivoluzione industrialeDal 1873 al 1896 l’economia europea fu colpita da una nuova crisi di sovrapproduzione, più grave epiù lunga <strong>del</strong>le precedenti, che fu chiamata dai contemporanei “grande depressione”. Essa diedeavvio a un gigantesco processo di ristrutturazione economica che segnò la fine <strong>del</strong> mo<strong>del</strong>lo disviluppo liberista e l’affermazione di un nuovo mo<strong>del</strong>lo di sviluppo di tipo monopolistico eprotezionistico. Tale mo<strong>del</strong>lo si venne costruendo con la concentrazione <strong>del</strong>le imprese, attuataattraverso fusioni tra aziende originariamente concorrenti. Il risultato fu la formazione di monopolie oligopoli che disponendo di maggiori capitali d’investimento poterono innovare tecnologicamentegli apparati produttivi. In questo modo le aziende riuscirono ad aumentare la produttività ericostituire ampi margini di profitto.Alla concentrazione <strong>del</strong> sistema aziendale corrispose la concentrazione <strong>del</strong> sistema produttivo, cheportò alla nascita <strong>del</strong>la grande fabbrica, in cui erano accentrati enormi macchinari e grandi masse dioperai, sottoposti a un costante controllo e a una rigida disciplina basata sui nuovi metodi diorganizzazione <strong>del</strong> lavoro (parcellizzazione <strong>del</strong>le mansioni, definizione dei loro tempi massimi,adattamento <strong>del</strong>l’operaio ai ritmi <strong>del</strong>le macchine) teorizzati dall’ingegnere americano Taylor eapplicati per la prima volta nell’industria automobilistica Ford di Chicago.La ristrutturazione <strong>del</strong> sistema industriale innescò una nuova fase di ripresa e sviluppo di taliproporzioni quantitative e innovazioni qualitative da caratterizzarsi come un nuovo stadio nelprocesso storico <strong>del</strong>l’industrializzazione. Infatti, non solo l’area dei paesi industrializzati si allargòulteriormente, con l’ingresso <strong>del</strong>l’Italia e <strong>del</strong>la Russia, ma soprattutto si verificò un salto di qualitànell’innovazione tecnologica in seguito a una vera e propria esplosione di invenzioni che mutaronoil volto <strong>del</strong>la civiltà occidentale marcandone lo sviluppo per mezzo secolo almeno.2. La belle époque e la società di massaCostruita per l’Esposizione universale <strong>del</strong> 1889 quale simbolo <strong>del</strong> progresso tecnico, la torre Eiffeldi Parigi è il monumento emblematico <strong>del</strong>la belle époque, il lungo periodo di pace e sviluppo di cuil’Europa godette tra la guerra franco-prussiana <strong>del</strong> 1870/71 e la Grande guerra <strong>del</strong> 1914/18. Lapopolazione aumentò dai circa 300 milioni <strong>del</strong> 1870 ai 450 milioni <strong>del</strong> 1913, il massimo tasso dicrescita <strong>del</strong>la storia europea. La durata media <strong>del</strong>la vita, a sua volta, toccò i 55 anni, grazie al calo<strong>del</strong>la mortalità reso possibile dallo sviluppo <strong>del</strong>la batteriologia (Pasteur, Koch), che permise diindividuare e combattere gli agenti <strong>del</strong>la polmonite, <strong>del</strong>la tubercolosi, <strong>del</strong> colera, <strong>del</strong> tifo, <strong>del</strong>ladifterite e <strong>del</strong>la peste. In questo modo la durata media <strong>del</strong>la vita ebbe un incremento complessivonell’arco <strong>del</strong>l’800 di ben vent’anni, cioè di oltre il 60%.Eppure la belle époque fu al tempo stesso un periodo di rapidi, radicali e vastissimi sconvolgimentisociali con un lungo strascico di miserie, sofferenze e frustrazioni che negli anni accumularono unenorme potenziale di aggressività diffusa. La ristrutturazione e il rilancio <strong>del</strong> sistema economico,infatti, comportarono innanzitutto massicce ondate migratorie che dalle campagne si riversarono neigrandi poli industriali dei paesi europei e oltreoceanici, generando il nuovo proletariatodequalificato e a basso costo <strong>del</strong>le grandi fabbriche che viveva in condizione di miseria nelleperiferie. Ma in secondo luogo la ristrutturazione capitalistica colpì anche la borghesia tradizionaleprovocando il declassamento di molti elementi <strong>del</strong> suo strato intermedio - piccoli e mediimprenditori e commercianti, piccoli professionisti e impiegati -, vittime dei fallimenti o degliaccorpamenti aziendali.Nel fuoco di questi processi, venne forgiandosi la nuova “società di massa” caratterizzata dallaconcentrazione <strong>del</strong>la popolazione nei centri urbani, dal maggior numero di contatti e frequentazionitra gli individui, ma insieme dalla spersonalizzazione e dalla anonimia <strong>del</strong>le relazioni, e dalla212


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREtendenza all’uniformità culturale indotta a diversi livelli dal comune riferimento a un unico mercatodi prodotti, dai mezzi di comunicazione di massa (giornali, radio, cinematografo), dalle nuoveforme politiche e sociali di aggregazione (partiti di massa, sindacati), dai sempre più estesi epervasivi apparati statali (esercito, scuola).3. La crisi <strong>del</strong>lo Stato liberaleLa prima ripercussione politica di questi mutamenti sociali fu la grandiosa espansione <strong>del</strong>movimento operaio sia a livello socio-economico - con la nascita di sindacati nazionali - sia alivello politico - con la nascita dei nuovi partiti socialisti e la fondazione <strong>del</strong>la II internazionale diorientamento marxista. Il rafforzamento dei sindacati nel corso <strong>del</strong>la lunga fase di crescitaeconomica si tradusse in un’ondata di lotte contrattuali che strappò forti aumenti salariali,migliorando il tenore di vita <strong>del</strong>le masse operaie e bracciantili e insieme provocando unallargamento <strong>del</strong>la domanda che contribuì alla ripresa economica.La diffusione in tutti i paesi industrializzati dei partiti socialisti mutò radicalmente gli equilibripolitici sui quali era nato e si era sviluppato il sistema politico liberale. Il movimento socialista,infatti, da un lato impose un progressivo allargamento <strong>del</strong> diritto di voto fino al suffragio universalemaschile; dall’altro aumentò gradualmente i suoi consensi e la sua rappresentanza parlamentare,arrivando così a costituire un’oggettiva e temuta minaccia per l’egemonia dei partiti liberaldemocratici.In questo modo la necessità di rendersi elettoralmente competitivi spinse i partitiliberal-democratici a varare alcune riforme sociali finalizzate ad acquisire consensi elettorali anchedagli strati proletari e al contempo a disinnescare le istanze rivoluzionarie dei partiti socialisti alfine di integrarli nel sistema politico. Contemporaneamente, per evitare il rischio di esplosionirivoluzionarie e per tutelare gli interessi <strong>del</strong>la borghesia e <strong>del</strong>la piccola borghesia, la classe dirigenteliberale abbandonò la tradizionale politica liberista di laisser-faire e cominciò ad attribuire alloStato un ruolo di propulsore e regolatore <strong>del</strong>lo sviluppo economico sia attraverso l’incremento <strong>del</strong>lecommesse pubbliche sia attraverso l’adozione <strong>del</strong> protezionismo doganale.L’egemonia liberaldemocratica però non era erosa solo da sinistra ma anche da destra, a causa <strong>del</strong>lanascita di nuovi movimenti politici di stampo reazionario e nazionalistico, che assorbirono ediffusero le idee razzistiche e xenofobe teorizzate da Gobineau (Saggio sull’ineguaglianza <strong>del</strong>lerazze umane, 1853-55) e da H.S. Chamberlain (I fondamenti <strong>del</strong> diciannovesimo secolo, 1899),trovando un seguito, per il momento minoritario ma pur sempre consistente, soprattutto tra lapiccola borghesia che si sentiva minacciata dall’emancipazione <strong>del</strong> proletariato.Il colonialismo imperialisticoIn connessione con questa dinamica economico-sociale e politica, il colonialismo europeo raggiunseil suo culmine, ovvero la sua fase imperialistica, basata sulla generalizzazione <strong>del</strong> dominio politicodiretto o indiretto. L’imperialismo infatti trovò una potente spinta nella convergenza enell’integrazione di una vasta e diversificata serie di fattori e di interessi: a livello economico, laricerca di nuovi mercati protetti, di ulteriori commesse pubbliche e di maggiori occasioni dispeculazione finanziaria; a livello politico-militare, una facile modalità di attuazione <strong>del</strong>la politicadi potenza e insieme di attivazione di una valvola di sfogo alle tensioni dirette tra gli Stati europei; alivello sociale, la crescita demografica e le aspettative di lavoro, di promozione sociale e diarricchimento; a livello ideologico, l’esigenza di suscitare e al contempo di soddisfare lo spiritopatriottico e nazionalistico <strong>del</strong>le masse.La deriva verso la I guerra mondialeAnche a causa <strong>del</strong>l’accumulo <strong>del</strong>le tensioni legate alla competizione imperialistica, nel primodecennio <strong>del</strong> ‘900 l’Europa cominciò a scivolare verso la Grande guerra. A livello politicointernazionale, durante la belle époque si erano vieppiù inaspriti i conflitti bilaterali tra Francia eGermania per l’Alsazia-Lorena, Austria e Italia per il Trentino e Trieste, Austria e Russia per213


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREl’egemonia sui Balcani, e soprattutto tra Inghilterra e Germania per l’egemonia continentale.Quest’ultimo contrasto spinse l’Inghilterra a uscire dal suo “splendido isolamento”, ad abbandonareil suo ruolo di arbiter super partes <strong>del</strong>le controversie internazionali e a scendere nell’arena europea.In questo modo il conflitto Inghilterra-Germania si trasformò da bilaterale in multilaterale, inquanto le due massime potenze europee divennero i centri di coagulo di due sistemi di alleanzecontrapposte – la Triplice Alleanza (Germania, Austria, Italia) e la Triplice Intesa (Inghilterra,Francia, Russia). Dopo l’attentato di Sarajevo, fu questa polarizzazione in blocchi antagonisti chetrasformò la guerra locale tra Austria, da una parte, e Serbia e Russia, dall’altra, in una guerraglobale.Questa dinamica politica internazionale si intrecciò strettamente con le dinamiche politiche e socialiinterne dei diversi Paesi. Sul piano politico, la concorrenza dei movimenti nazionalistici spinse leélite politiche liberal-democratiche ad assumere posizioni più nazionalistiche, e quindi bellicistiche,onde evitare la perdita di consenso da parte <strong>del</strong>l’opinione pubblica piccolo borghese; al contempo,la minaccia socialista, considerata più pericolosa per il suo potenziale rivoluzionario, le indusse avedere nella guerra una opportunità per deviare la lotta di classe e per bloccare l’avanzata operaia.In modo speculare, le frange più radicali dei partiti socialisti europei, i cosiddetti sindacalistirivoluzionari e gli anarchici, erano favorevoli allo scoppio <strong>del</strong>la guerra perché credevano che essapotesse innescare una rivoluzione.Questa situazione politica affondava le sue radici in un contesto sociale nel quale i livelli diaggressività individuale e di violenza diffusa si erano impennati a causa <strong>del</strong>l’intreccio di diversiprocessi. Da una parte la lunga e potente crescita economica a cavallo <strong>del</strong> secolo aveva provocatoun forte aumento <strong>del</strong>le aspettative di crescita <strong>del</strong> reddito e di ascesa sociale, cui fece seguito, se nonuna diminuzione, quanto meno una stasi <strong>del</strong>le opportunità reali di miglioramento a causa di unanuova fase di stagnazione economica cominciata sul finire <strong>del</strong> primo decennio <strong>del</strong> ‘900. A ciò siaggiunsero la sempre più aspra concorrenza economica scatenata dal capitalismo monopolistico eprotezionistico, e la sempre più acuta tensione internazionale non solo tra gli Stati ma anche tra ipopoli europei. La convergenza sincronica di questi tre processi si tradusse nella diffusione disentimenti di deprivazione relativa, di precarietà e di incombente minaccia, ovvero in uno statopsicologico generalizzato di frustrazione e depressione. Tale condizione psicologica costituì ilterreno di coltura <strong>del</strong>le idee e <strong>del</strong>le pratiche violente che incanalarono e sfogarono frustrazione edepressione in aggressività contro individui e gruppi catalogati come “nemici”. Il più evidente einquietante campanello d’allarme <strong>del</strong>l’esito politico violento di questa situazione psicologica dimassa fu la recrudescenza <strong>del</strong>l’antisemitismo in tutti i paesi europei.Anche la produzione culturale concorse a provocare la situazione bellica. In parte essa favorìdirettamente la scelta di entrare in guerra, come nei casi paradigmatici <strong>del</strong> <strong>filoso</strong>fo Sorel,teorizzatore <strong>del</strong>la “guerra di classe” e <strong>del</strong>la violenza come “madre <strong>del</strong>la storia”, <strong>del</strong> poeta futuristaMartinetti, propugnatore <strong>del</strong>la violenza e <strong>del</strong>la guerra come “unica igiene dei popoli”, <strong>del</strong> poetavateD’Annunzio, che nei suoi romanzi e nei suoi drammi diffuse una versione riduttiva, imperniatasulla forza e sulla prevaricazione, <strong>del</strong> mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong> “superuomo” <strong>del</strong> <strong>filoso</strong>fo Nietzsche.In parte essa non si oppose al diffondersi degli atteggiamenti nazionalistici e bellicistici e li favorìindirettamente alimentando il sentimento di crisi, decadenza e prossima dissoluzione <strong>del</strong>la civiltà.Una riprova di ciò si ebbe in quello che l’intellettuale francese Benda chiamò il “tradimento deichierici”, cioè nell’arruolamento da parte di ogni stato belligerante dei propri intellettuali più famosinon solo per sostenere la causa <strong>del</strong>l’intervento nella guerra ma anche e soprattutto per condurre lafondamentale lotta propagandistica contro i popoli e gli stati nemici. I casi più clamorosi furonoquelli di Bergson in Francia, di Mann in Germania, di D’Annunzio in Italia.La II rivoluzione <strong>scienti</strong>ficaLa sempre maggiore interazione tra innovazione tecnologica e scienza teorica, connessa alla IIrivoluzione industriale, e insieme l’ampliamento e la sempre maggiore integrazione <strong>del</strong>la comunità214


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORE<strong>scienti</strong>fica internazionale diedero un nuovo, potente impulso all’estensione e all’approfondimento<strong>del</strong>la ricerca <strong>scienti</strong>fica, che giunse così alla scoperta di nuove anomalie rispetto al paradigmameccanico newtoniano che aveva dominato l’800. In questo modo si avviò la II rivoluzione<strong>scienti</strong>fica che portò all’abbandono <strong>del</strong> paradigma meccanicistico e alla definizione di nuoviparadigmi relativistico e quantistico.La svolta si ebbe nel 1873 con l’elaborazione <strong>del</strong>la teoria elettromagnetica da parte di J.C. Maxwell.Le equazioni con cui Maxwell descriveva e unificava i fenomeni elettromagnetici, infatti,risultavano in contrasto con il principio classico <strong>del</strong>la relatività galileiana. Fu questa anomalia chenel 1905 spinse A. Einstein alla formulazione <strong>del</strong>la sua prima teoria <strong>del</strong>la relatività - detta ristretta ospeciale, perché valida solo per il moto rettilineo uniforme. Mentre Einstein elaborava la suarivoluzione <strong>scienti</strong>fica a livello <strong>del</strong>la fisica macroscopica, una rivoluzione ancora più radicale siandava compiendo nella fisica microscopica. Essa prese l’avvio da un’anomalia rispetto alle leggi<strong>del</strong>la termodinamica classica mostrata dai fenomeni di interazione tra la materia e le radiazioni.L’anomalia venne spiegata nel 1900 da M. Planck con l’elaborazione <strong>del</strong>la teoria dei “quanti”. Lateoria quantistica fu applicata nel 1913 da N. Bohr alla descrizione dei fenomeni subatomici e inparticolare <strong>del</strong> movimento degli elettroni, scoperti nel 1897. Il mo<strong>del</strong>lo di Bohr si rivelò efficace maal prezzo di sovvertire le leggi <strong>del</strong>la meccanica classica.La rivoluzione psicanaliticaMa ancora più dirompente fu l’effetto arrecato, nell’ambito <strong>del</strong>le discipline psicologiche, ma conenormi influenze sulla letteratura e l’arte successive, dalla psicanalisi di S. Freud. Freud infattiarrivò alla scoperta <strong>del</strong>l’inconscio quale fondamento di tutta la psiche umana, facendo crollare ilpresupposto secolare <strong>del</strong>la psicologia secondo cui la sfera <strong>del</strong>lo psichico si identificava con quella<strong>del</strong>la coscienza razionale. Questa, inoltre, non solo veniva ridimensionata da totalità a piccola parte<strong>del</strong>la psiche, ma soprattutto era drasticamente depotenziata in quanto epifenomeno <strong>del</strong>l’inconscio.Si trattava di un nuovo sconvolgimento <strong>del</strong>la concezione <strong>del</strong>l’uomo che si aggiungeva, a pochi annidi distanza, moltiplicandone gli effetti dirompenti, a quello provocato da Darwin che dopo averelaborato la teoria evoluzionistica l’aveva applicava alla realtà <strong>del</strong>l’uomo (L’origine <strong>del</strong>l’uomo,1871), sostenendone la discendenza dai primati e sovvertendo così la millenaria teoriacreazionistica, pilastro <strong>del</strong>la fede religiosa.La crisi <strong>del</strong>la cultura occidentaleIl processo di formazione di un’industria culturale di massa, iniziato alla fine <strong>del</strong> ‘700 e acceleratosinel corso <strong>del</strong>l’800, compì un salto di qualità grazie all’innovazione tecnologica <strong>del</strong>la II rivoluzioneindustriale, alla formazione <strong>del</strong>la società di massa e alle nuove funzioni acquisite dagli Stati. Da unlato il potenziamento <strong>del</strong>le tecniche tradizionali di stampa permise la crescita e la maggiorediffusione <strong>del</strong>la produzione editoriale (quotidiani, riviste, libri) anche attraverso l’uso di nuoviprodotti, come il feuilleton o romanzo d’appendice, finalizzati al consumo popolare di massa.Dall’altro lato, innovazioni tecnologiche – quali il grammofono, la fotografia, il cinematografo –moltiplicarono le forme e le possibilità di comunicazione e diffusione capillare <strong>del</strong>la cultura alivello di massa. Allo stesso tempo gli Stati, con l’estensione <strong>del</strong>l’obbligo scolastico e <strong>del</strong>la scuolapubblica, e la maggiore esigenza di istruzione a scopo di promozione economico-sociale feceroaumentare la domanda di libri ma anche le opportunità di lavoro intellettuale. Di conseguenza ilceto intellettuale – dal maestro elementare al musicista – si espanse enormemente. La sualaicizzazione era ormai pressoché totale e la sua estrazione ormai prevalentemente piccoloborghese. Gli intellettuali finirono così per riflettere nella loro azione e <strong>del</strong>la loro opera sia leaspirazioni di ascesa economico-sociale dei piccolo borghesi sia le caratteristiche strutturali <strong>del</strong>laloro condizione di classe media posta tra l’incudine <strong>del</strong>la grande borghesia imprenditoriale e ilmartello <strong>del</strong> proletariato organizzato. Di qui il loro ondeggiare tra atteggiamenti sociali, politici eculturali opposti ma comunque estremi e il loro ribellismo confuso e praticato in modi antagonistici,215


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREma accomunato dal rigetto <strong>del</strong>la realtà moderna, <strong>del</strong>la cultura borghese, <strong>del</strong>lo status quo sociale epolitico.A questa evoluzione <strong>del</strong>l’industria culturale e <strong>del</strong> ceto intellettuale corrispose il primo emergere diuna cultura <strong>del</strong>la crisi <strong>del</strong>la civiltà occidentale. Scienziati, <strong>filoso</strong>fi, letterati, artisti, seppur per viediversissime, convergettero nel mettere in dubbio e nel rovesciare il patrimonio culturaleconsolidato. Le teorie <strong>scienti</strong>fiche vennero ribaltate e la stessa immagine <strong>del</strong>la scienzarivoluzionata, le certezze <strong>filoso</strong>fiche sgretolate sotto i colpi di una critica spietata, i canoni realistici<strong>del</strong>l’espressione artistica stravolti da nuove poetiche soggettivistiche che rifiutavano ogni regola.E’ significativa da questo punto di vista la convergenza intorno allo spartiacque <strong>del</strong> 1870 di opereinnovative <strong>del</strong>la massima rilevanza, che tagliano trasversalmente tutti gli ambiti culturali: L’origine<strong>del</strong>l’uomo (1871) di Darwin, Il battello ebbro (1871) e Una stagione all’inferno (1873) di Rimbaud;La nascita <strong>del</strong>la tragedia (1872) di Nietzsche, I demoni (1872) di Dostoevskij; il Trattatosull’elettromagnetismo (1873) di Maxwell. Si tratta di opere che hanno due denominatori comuni:la messa in discussione di credenze consolidate e la convinzione angosciata di una fine imminente.In campo letterario Dostoevskij, pur dal punto di vista di un credente e secondo i canoni stilistici <strong>del</strong>realismo, metteva in scena nei suoi romanzi l’abbandono di massa <strong>del</strong>la fede in Dio e laconseguente crisi morale <strong>del</strong>la società. Dal canto suo Rimbaud, prototipo <strong>del</strong> “poeta maledetto”,espresse il più drastico rifiuto <strong>del</strong>le convenzioni sociali, dei valori morali, dei principi estetici <strong>del</strong>laciviltà occidentale, teorizzando e praticando il deréglèment (sregolatezza, deragliamento) di tutti isensi come unica via per giungere a scoprire e a realizzare una dimensione autentica di vita.Se gli anni ’70 rappresentarono il punto di svolta, fu nel ventennio successivo che si avviò e siimpose quella mutazione culturale destinata a sovvertire i valori fondamentali <strong>del</strong>la civiltàoccidentale. Essa si manifestò innanzitutto in campo letterario a partire dal 1882, anno di nascita diquel movimento letterario e culturale dall’emblematico nome di “decadentismo”. In quell’annoinfatti il poeta francese Verlaine pubblicò la poesia Arte poetica, che divenne il manifesto <strong>del</strong>lanuova corrente letteraria improntata al totale ripudio di ogni forma di realismo. In essa Verlaineteorizza la riduzione <strong>del</strong>la poesia a puro suono musicale (“La musica prima di ogni altra cosa”),l’irregolarità <strong>del</strong> verso, il gusto <strong>del</strong>la sfumatura e <strong>del</strong>la vaghezza allusiva, il rigetto <strong>del</strong>le rime e<strong>del</strong>l’eloquenza tradizionale. Ma se Arte poetica indica i principi formali <strong>del</strong> Decadentismo, è lasuccessiva Languore (1883) che ne esprime a pieno i sentimenti e la visione <strong>del</strong> mondo. Verlaine siparagona all’impero romano nel periodo <strong>del</strong>le invasioni germaniche, simbolo per eccellenza <strong>del</strong>ladecadenza, <strong>del</strong>la fine, <strong>del</strong>la dissoluzione. Ogni possibilità di vita si è ormai consumata: tutto è giàstato provato, tutto si è dimostrato vano.La poetica di Verlaine fu ripresa e sviluppata da Pascoli, per il quale il poeta deve essere un“fanciullino”. Come tale egli rifiuta la razionalità oggettiva <strong>del</strong>l’adulto e si affida a una sensibilitàinfantile che non coglie le cose come si presentano oggettivamente, ma come le sente in modoistintivo, immediato, soggettivo. Il poeta divenne così un “veggente”, capace di intendere illinguaggio simbolico <strong>del</strong>le cose, sognando a occhi aperti, mettendo sullo stesso piano reale e irreale.Anche il linguaggio <strong>del</strong>la poesia deve essere quello <strong>del</strong> fanciullo. Questi sente la realtà in modoalogico, sconnesso, frammentario e dunque la poesia deve rinunciare alla sintassi per la paratassi eper l’analogia.Se Languore fu il manifesto <strong>del</strong> Decadentismo a livello <strong>del</strong>la poesia, il romanzo À rebours (1884) diHuysmans lo fu a livello <strong>del</strong>la prosa. Il suo protagonista, Des Esseintes, è un uomo che, dopo avertrascorso la propria vita all’insegna <strong>del</strong>l’estetismo abbinando con cura maniacale piaceri sensibili eraffinatezza culturale, si ritrova estenuato e in preda a una sempre più profonda nevrosi. Ilpersonaggio di Huysmans fu poi ripreso, pur in modo <strong>del</strong> tutto particolare, da Stevenson in Il dottorJekyll e Mr Hyde (1886), e soprattutto da D’Annunzio nel Piacere (1889) e da Wilde nel Ritratto diDorian Gray (1890). I protagonisti di questi romanzi additarono come mo<strong>del</strong>lo umano agliintellettuali e ai piccoloborghesi, quello <strong>del</strong>l’esteta, che si contrapponeva sia ai valori di216


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREperbenismo, risparmio e moderazione <strong>del</strong>la borghesia sia a quelli di solidarietà e lotta di classe <strong>del</strong>proletariato, assumendo tratti tipici <strong>del</strong>l’antica aristocrazia.Il romanziere che espresse però con più radicalità la crisi <strong>del</strong> soggetto umano borghese –anticipando i grandi romanzieri <strong>del</strong> primo ‘900 - fu Piran<strong>del</strong>lo con Il fu Mattia Pascal (1904), il cuiprotagonista è un caso di sdoppiamento <strong>del</strong>la personalità, in quanto ha abbandonato un’identità percostruirsene artificialmente un’altra, ma è destinato a rimanere spaccato tra l’una e l’altra, a nonpoter più essere nessuna <strong>del</strong>le due. Ma Piran<strong>del</strong>lo fu anche e soprattutto un grande drammaturgo. Ipersonaggi dei suoi drammi sono uomini disgregati, dalla personalità alterata, maniacale oschizoide, emblemi <strong>del</strong> caos <strong>del</strong>l’esistenza. Soprattutto i drammi Piran<strong>del</strong>liani – Così è (se vi pare),1917 – inscenarono la frammentazione <strong>del</strong>la realtà in un ventaglio illimitato di punti di vista diversie contrapposti, trasmettendo un messaggio di radicale relativismo e soggettivismo.Nello stesso anni in cui Wilde pubblicava il suo più famoso romanzo, il pittore fiammingo VincentVan Gogh (1853-1890) dipingeva il suo ultimo quadro - Campo di grano con volo di corvi - e poi sidava la morte. Come già Rimbaud, Van Gogh espresse l’atmosfera <strong>del</strong> decadentismo sia nella suavicenda personale - prima <strong>del</strong> suicidio, soffrì di depressione e di psicosi - sia nella sua pitturapostimpressionistica che anticipò l’espressionismo, che come il decadentismo propugnava unapoetica antinaturalistica, di trasfigurazione soggettivistica <strong>del</strong>la realtà alla ricerca <strong>del</strong>la veritànascosta in essa. Un altro pittore che mediò il passaggio dall’impressionismo all’espressionismo fuil norvegese Edvard Munch (1863-1944), esponente <strong>del</strong>la corrente esistenziale <strong>del</strong> movimentosimbolista. Munch si ispirò alla <strong>filoso</strong>fia di S. Kierkegaard ed ha il merito di aver contribuito allasua diffusione al di fuori dei Paesi scandinavi all’interno dei quali era rimasta confinata per tuttol’800. Nei suoi quadri Munch esprime i temi <strong>del</strong>l’esistenzialismo di Kierkegaard e in particolarequelli <strong>del</strong>l’angoscia e <strong>del</strong>la disperazione (Disperazione,1892) in quanto sentimenti che manifestanola limitatezza e conflittualità interna <strong>del</strong>l’io.La reazione al neorealismo impressionista portò successivamente all’emergere <strong>del</strong>le primeavanguardie artistiche contemporanee, l’espressionismo, il cubismo e il futurismo. Le“avanguardie” svilupparono il senso <strong>del</strong>la crisi <strong>del</strong>la civiltà europea e insieme l’esigenza dirinnovamento <strong>del</strong> linguaggio artistico fino alle più radicali conseguenze.La tendenza espressionistica nacque nel 1905, l’anno in cui Einstein pubblicava la teoria <strong>del</strong>larelatività, con la fondazione quasi contemporanea di due circoli artistici, i fauves (belve) a Parigi, dicui fu leader Matisse, e Die Brücke (Il ponte) a Dresda, i cui principali esponenti furono Kirchner ee Heckel. L’Espressionismo intende l’arte come proiezione immediata, spontanea - e pertantoformalmente caotica - di sentimenti e stati d’animo soggettivi, realizzabile attraverso ilprivilegiamento e l’uso libero <strong>del</strong> colore e la deformazione <strong>del</strong> disegno. Come i simbolisti e ipostimpressionisti, e più in generale come i decadentisti, gli espressionisti negano valoreall’apparenza sensibile e cercano l’assoluto (la gioia di vivere o lo spirito cosmico o il gridooriginario) in una realtà invisibile, penetrabile solo dalla sensibilità artistica. Ma a differenza deiprimi non la cercano in una più profonda e misteriosa natura, celata in quella apparente, ma nellerisorse e nelle forme <strong>del</strong>l’arte stessa.Negli stessi anni, grazie alle opere di Braque e Picasso, comincia a definirsi un’altra nuovatendenza, quella <strong>del</strong> cubismo, che in apparenza contraddiceva quella espressionista in quantomuoveva dall’esigenza di un realismo totale, cioè di rappresentare l’oggetto reale da unamolteplicità di punti di vista simultanei. Tuttavia proprio per questo estremo realismo geometrico ilcubismo giunse a produrre una rottura ancora più radicale <strong>del</strong>le forme di rappresentazionetradizionali e <strong>del</strong>la visione <strong>del</strong>la realtà.Anche il Futurismo pittorico – legato al Futurismo letterario di Martinetti (Mafarka il futurista,1910) e nato ufficialmente nel 1910 a Milano con il Manifesto dei pittori futuristi promosso daBoccioni, Balla, Carrà - si contrappose alla tradizione in nome di un nuovo realismo. Ma la realtàper i futuristi erano i più avanzati prodotti <strong>del</strong>la civiltà industriale - l’automobile, l’areoplano, laluce elettrica - in quanto simboli <strong>del</strong> progresso umano. La rivoluzione dei contenuti rappresentativi217


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREsi tradusse così in quella <strong>del</strong> linguaggio figurativo: rappresentare una macchina significarappresentare la velocità, ma per farlo occorre deformare sia l’oggetto sia lo spazio. L’oggetto inmovimento infatti modifica lo spazio circostante e a sua volta ne viene modificato.Anche nella musica, prese avvio una tendenza al sovvertimento <strong>del</strong>le forme classiche <strong>del</strong> linguaggiomusicale. Già Wagner si era mosso in questa direzione con la sua “melodia infinita”. I suoi seguaci(Franck, Bruckner, Mahler) cominciarono a mettere in crisi il sistema armonico privilegiando ilcromatismo cioè la scelta di semitoni non presenti nella scala tonale classica. ContemporaneamenteDebussy, pur mentendosi fe<strong>del</strong>e al tonalismo, crea una musica in cui è assente lo sviluppo tematico.Per questa via negli anni successivi la musica perverrà alla rivoluzione dodecafonica.218


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREMessaggio nella bottiglia125. L’uomo folle 12 . Avete sentito di quel folle uomo che accese unalanterna 13 alla chiara luce <strong>del</strong> mattino, corse al mercato e si mise agridare incessantemente: “Cerco Dio! Cerco Dio!” 14 . E poiché proprio làsi trovavano raccolti molti di quelli che non credevano in Dio 15 , suscitògrandi risa. “E’ forse perduto?” disse uno. “Si è perduto come unbambino?” fece un altro. “Oppure sta ben nascosto? Ha paura di noi? Siè imbarcato? E’ emigrato?” - gridavano e ridevano 16 in una granconfusione. Il folle uomo balzò in mezzo a loro e li trapassò con i suoisguardi: “Dove se n’è andato Dio? - gridò - ve lo voglio dire! Siamo statinoi ad ucciderlo: voi ed io! Siamo noi tutti i suoi assassini 17 ! Ma comeabbiamo fatto questo? Come potremmo vuotare il mare bevendolo finoall’ultima goccia? Chi ci dette la spugna per strusciar via l’interoorizzonte? Che mai facemmo a sciogliere questa terra dalla catena <strong>del</strong>suo sole? 18 Dov’è che si muove ora? Dov’è che ci muoviamo noi? Via datutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, difianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? 19 Nonstiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su dinoi lo spazio vuoto? Non si è fatto più freddo? Non seguita a venirenotte, sempre più notte? 20 Non dobbiamo accendere lanterne lamattina 21 ? Dello strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio,non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo <strong>del</strong>la divinaputrefazione? Anche gli dei si decompongono! Dio è morto! Dio restamorto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassinidi tutti gli assassini? Quanto di più sacro e di più possente 22 il mondopossedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli; chidetergerà da noi questo sangue? Con quale acqua potremo noi lavarci?Quali riti espiatori, quali giuochi sacri dovremo noi inventare? Non ètroppo grande, per noi, la grandezza di questa azione? Non dobbiamo12 Il <strong>filoso</strong>fo, ovvero Nietzsche stesso, che comprende e annuncia verità ritenute folli perché contrarie al senso comune escomode da sccettare.13 Da sempre simbolo <strong>del</strong>la conoscenza, ma in questo contesto è anche una provocazione <strong>del</strong>l’uomo folle che è come sedicesse agli uomini che la luce naturale - cioè il buon senso - non è sufficiente per comprendere a fondo la realtà. Mapotrebbe esserci anche una polemica con Platone che nel mito <strong>del</strong>la caverna aveva considerato la luce <strong>del</strong> fuoco -simbolo <strong>del</strong>la conoscenza sensibile - inferiore alla luce solare - simbolo <strong>del</strong>la conoscenza razionale <strong>del</strong>le idee.14 Ovviamente le parole <strong>del</strong>l’uomo folle non riflettono il suo <strong>pensiero</strong> ma hanno lo scopo di attirare l’attenzione e diprovocare la reazione degli astanti.15 Nietzsche considera l’ateismo un fenomeno storico, un dato di fatto <strong>del</strong>l’epoca contemporanea.16 La folla al mercato professa un ateismo superficiale, inconsapevole e non comprende l’ironia <strong>del</strong>l’uomo folle.17 Sono state le conquiste <strong>scienti</strong>fiche e tecniche <strong>del</strong>l’uomo contemporaneo a scardinare la fede in Dio.18 Metafore <strong>del</strong> carattere sovraumano <strong>del</strong>l’eliminazione di Dio, rappresentato dal mare, dall’orizzonte e dal Sole.19 Metafore <strong>del</strong> possibile disorientamento esistenziale dovuto alla mancanza di un punto di riferimento assoluto.20 Metafore <strong>del</strong> nichilismo, cioè <strong>del</strong>la perdita di senso <strong>del</strong>la vita e quindi <strong>del</strong> suo rifiuto.21 Ripresa <strong>del</strong>la metafora iniziale: dal momento che è venuto meno il Sole, simbolo di Dio, l’uomo ora dovrà usare laluce artificiale, cioè una conoscenza basata unicamente sull’uomo.22 Per quanto infondata, la fede in Dio secondo Nietzsche ha avuto un fondamentale ruolo educatore e propulsore.219


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREnoi stessi diventare dèi 23 , per apparire almeno degni di essa? Non ci fumai un’azione più grande: tutti coloro che verranno dopo di noiapparterranno, in virtù di quest’azione, ad una storia più alta di quantomai siano state tutte le storie fino ad oggi!”. A questo punto il folle uomotacque, e rivolse di nuovo lo sguardo sui suoi ascoltatori: anch’essitacevano e lo guardavano stupiti. Finalmente gettò a terra la sualanterna che andò in frantumi e si spense. “Vengo troppo presto 24 -proseguì - non è ancora il mio tempo. Questo enorme avvenimento èancora per strada e sta facendo il suo cammino: non è ancora arrivatofino alle orecchie degli uomini. Fulmine e tuono vogliono tempo, il lume<strong>del</strong>le costellazioni vuole tempo, le azioni vogliono tempo, anche dopoessere state compiute, perché siano vedute e ascoltate. Quest’azione èancor sempre più lontana da loro <strong>del</strong>le più lontane costellazioni: eppureson loro che l’hanno compiuta!” Si racconta ancora che l’uomo folleabbia fatto irruzione, quello stesso giorno, in diverse chiese e quiviabbia intonato il suo Requiem aeternam Deo. Cacciatone fuori einterrogato, si dice che si fosse limitato a rispondere invariabilmente inquesto modo: “Che altro sono ancora queste chiese, se non le fosse e isepolcri di Dio?”.F. Nietzsche, La gaia scienza, parte III, a cura di G. Colli e M. Montinari, A<strong>del</strong>phi 196523 L’uomo non può limitarsi a lasciare il vuoto al posto di Dio, deve invece sostituirlo con un’alternativa, deve cioèelaborare un senso umano <strong>del</strong>la vita assumendosi così il ruolo di un dio.24 La coscienza di Nietzsche <strong>del</strong> carattere profetico e quindi inattuale <strong>del</strong>la sua <strong>filoso</strong>fia.220


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREVIAGGIO ILA VITA COME GIOCO DELLA VOLONTA’ DI POTENZAROTTA ALA “FILOSOFIA DEL MARTELLO”Nella storia <strong>del</strong>la <strong>filoso</strong>fia occidentale, Friedrich Nietzsche rappresenta una rottura e unpunto di svolta. Il suo <strong>pensiero</strong> è infatti una confutazione tanto spietata quanto tagliente<strong>del</strong>l’intera tradizione metafisica razionalistica nata da Socrate e culminata nei grandisistemi idealistici e positivistici <strong>del</strong>l’800.In questo senso, la <strong>filoso</strong>fia di Nietzsche potrebbe essere classificata come uno degliesempi più radicali e attuali <strong>del</strong>lo scetticismo. Sennonché essa esorbita anche da questofilone per la sua originalità, che ne fa un caso unico nel panorama <strong>filoso</strong><strong>fico</strong> occidentale.In Nietzsche, innanzitutto, la critica <strong>filoso</strong>fica alla metafisica si amplia e si approfondiscefino a diventare una critica storico-antropologica <strong>del</strong>l’intera civiltà occidentale. Insecondo luogo l’attuazione di questa istanza critica globale sfocia nell’annuncio profeticodi una rivoluzione culturale capace di dare origine a un “superuomo”, cioè a un nuovotipo di uomo e a una nuova epoca <strong>del</strong>l’umanità basati su valori alternativi a quelli <strong>del</strong>lamodernità. Per ultimo, ma non meno importante, le diverse forme e i variegati stililetterari e poetici in cui Nietzsche esprime il suo <strong>pensiero</strong> costituiscono non solo e nontanto un peculiare e magari stravagante modo di <strong>filoso</strong>fare, quanto soprattutto la cifra<strong>del</strong>la valenza profetica <strong>del</strong> suo messaggio, che ambisce a proporsi in questo modo comeun’alternativa alla millenaria religione cristiana.Per questi motivi, il <strong>pensiero</strong> di Nietzsche può essere considerato uno spartiacque tra la<strong>filoso</strong>fia ottocentesca e quella novecentesca. A parte la questione <strong>del</strong>la sua influenza sullagenesi <strong>del</strong>la teoria psicanalitica di Freud, Nietzsche è infatti uno dei riferimentifondamentali sia <strong>del</strong>l’esistenzialismo sia <strong>del</strong>l’ermeneutica. Ma in un modo o nell’altro,implicitamente o esplicitamente, tutti i grandi <strong>filoso</strong>fi novecenteschi, anche quelli a lui piùavversi, dovettero fare i conti con la sua critica e le sue idee.VITA DI UN CAPITANOFRIEDRICH WILHELM NIETZSCHENacque nel 1844 a Röcken, nei pressi di Lipsia, nella Germania centro-orientale, all’epocafacente parte <strong>del</strong> regno di Prussia. Entrambi i suoi nonni erano stati pastori luterani e suopadre lo era egli stesso. Alla devozione <strong>del</strong>la sua famiglia per la dinastia Hohenzollern sidevono i suoi nomi propri, attribuitigli in onore <strong>del</strong> re Federico Guglielmo IV. Primogenito,ebbe una sorella di nome Elisabeth e un fratello che morì ad appena due anni. Mal’esperienza più drammatica <strong>del</strong>l’infanzia di Nietzsche fu la lunga malattia e la morte <strong>del</strong>padre per necrosi cerebrale quando lui aveva solo cinque anni. Terminate le elementari,Nietzsche svolse gli studi superiori prima al ginnasio di Naumburg poi nella prestigiosascuola di Pforta, ricevendone una formazione umanistica rigorosa ma una lacunosaistruzione <strong>scienti</strong>fica. Contemporaneamente imparò a suonare il pianoforte ed acquisì unanotevole educazione musicale, destinata a incidere non poco sulla sua sensibilità e sui suoistessi orientamenti <strong>filoso</strong>fici. Negli anni giovanili, Nietzsche credette a lungo che la suavocazione professionale fosse quella <strong>del</strong> musicista. Invece, conclusi gli studi ginnasiali, nel1864 si iscrisse alla facoltà di teologia <strong>del</strong>l’università di Bonn, assecondando i desideri <strong>del</strong>lamadre. L’anno successivo, però, abbandonò la fede cristiana, complice la lettura di Vita diGesù di D.F. Strauss, entrando per la prima volta in contrasto con la madre. Sull’onda diquesto cambiamento interiore, Nietzsche si trasferì all’università di Lipsia iscrivendosi alla221


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREfacoltà di filologia. A Lipsia lesse due libri fondamentali per la genesi <strong>del</strong>la sua <strong>filoso</strong>fia - Ilmondo come volontà e rappresentazione di A. Schopenhauer e Storia <strong>del</strong> materialismo diF.A. Lange - e diventò amico <strong>del</strong> futuro filologo Erwin Rohde. Proprio nel periodo diLipsia, cominciò a soffrire di disturbi fisici - emicranie e reumatismi - che lo avrebberoperseguitato per tutta la vita aggravandosi negli anni. Alla loro origine è probabile che vifosse la sifilide, malattia contagiosa che può colpire il sistema nervoso. Nonostante il suoprecario stato di salute, Nietzsche svolse il servizio militare volontario, rimanendooltretutto ferito in una caduta da cavallo. Alla fine <strong>del</strong> 1868 incontrò personalmenteRichard Wagner, di cui già conosceva e ammirava la musica. L’anno successivo, i suoiprimi saggi filologici sulla letteratura greca gli valsero a soli 25 anni una cattedra pressol’università di Basilea, in Svizzera. Nel periodo di Basilea conobbe J. Burckhardt, il grandestorico <strong>del</strong> Rinascimento, strinse una profonda e duratura amicizia con F. Overbeck,storico <strong>del</strong>la chiesa cristiana, frequentò Wagner che abitava nei pressi di Lucerna, si legò aisuoi allievi H. Koselitz - ribattezzato da Nietzsche Peter Gast - e Paul Rée. Oltre adattendere ai suoi corsi universitari, Nietzsche utilizzò la biblioteca universitaria perapprofondire le sue conoscenze <strong>scienti</strong>fiche. Nel 1870 partecipò alla guerra francoprussianacome infermiere ma si ammalò di dissenteria e difterite e venne ricoverato inospedale. Nel 1872 pubblicò La nascita <strong>del</strong>la tragedia dallo spirito <strong>del</strong>la musica (inseguito ribattezzata La nascita <strong>del</strong>la tragedia. Ovvero: grecità e pessimismo), un saggioapparentemente filologico ma sostanzialmente <strong>filoso</strong><strong>fico</strong>. Si tratta infatti di un’opera chetrae spunto dal problema <strong>del</strong>le origini <strong>del</strong>la tragedia greca - da Nietzsche rintracciate neiriti in onore <strong>del</strong> dio Dioniso - per proporre un’immagine anticlassicista <strong>del</strong>la civiltà greca esoprattutto un’interpretazione <strong>del</strong>l’intero sviluppo storico <strong>del</strong>la civiltà occidentalefinalizzata alla profezia di una imminente rivoluzione culturale. Alla interpretazionetradizionale - per la quale la civiltà greca si identifica con la cultura apollinea basata suicriteri <strong>del</strong>la moderazione, <strong>del</strong>la chiarezza, <strong>del</strong>la razionalità, <strong>del</strong>l’individualità, <strong>del</strong>mascheramento estetico <strong>del</strong>la tragicità <strong>del</strong>la vita - Nietzsche contrapponeun’interpretazione dualistica <strong>del</strong>l’origine e <strong>del</strong>lo sviluppo <strong>del</strong>la civiltà greca secondo laquale la cultura apollinea è sempre affiancata dalla più antica cultura dionisiaca fondatasui principi <strong>del</strong>l’eccesso, <strong>del</strong>l’ebbrezza, <strong>del</strong>la musica danzata, <strong>del</strong>lo scatenamento degliistinti, <strong>del</strong> superamento <strong>del</strong>la tragicità <strong>del</strong>la vita e <strong>del</strong>l’individualità nella fusione orgiasticacon l’unità primordiale <strong>del</strong>la natura. Nel V secolo d.C. le due culture antagoniste trovanoun equilibrio e una conciliazione, dando origine al “miracolo” letterario <strong>del</strong>la tragedia. Magià con l’ultimo grande tragico, Euripide, questo equilibrio comincia a spezzarsi, in quanto,a causa <strong>del</strong>l’influenza di Socrate, la cultura dionisiaca è sopraffatta e definitivamentesoffocata dalla cultura apollinea. Socrate infatti impone la fede nella ragione, nella moralee nell’ottimismo in nome <strong>del</strong>l’esistenza di un mondo metafisico perfetto. Da lui ha originecosì quella civiltà occidentale - fondata sul supremo principio <strong>del</strong>la razionalità <strong>scienti</strong>fica emorale - che secondo Nietzsche raggiunge il suo culmine e insieme il suo limite storiconell’epoca contemporanea. Nietzsche auspica perciò il ritorno <strong>del</strong>la cultura dionisiaca, cioèdi una cultura basata sul primato <strong>del</strong>l’arte e in particolare <strong>del</strong>la musica tragica, identificatanelle opere liriche di Wagner. Con l’unica eccezione <strong>del</strong>l’amico Rohde, La nascita <strong>del</strong>latragedia suscitò reazioni negative tra i filologi accademici che la criticarono per lo scarsorigore metodologico e la scarsa obiettività.Nel 1873, mentre cominciava ad accusare sempre più gravi disturbi alla vista, Nietzschepubblicò la prima <strong>del</strong>le sue quattro “Considerazioni inattuali”, David Strauss, l’uomo difede e lo scrittore, cui seguirono Sull’utilità e il danno <strong>del</strong>la storia per la vita (1874),Schopenhauer come educatore (1874) e Richard Wagner a Bayreuth (1876). In questisaggi Nietzsche prosegue il discorso avviato nella Nascita <strong>del</strong>la tragedia svolgendo unacritica <strong>del</strong>la cultura contemporanea nella prospettiva di una rivoluzione culturale ispirataall’arte. In particolare nella seconda inattuale, la più significativa, Nietzsche polemizza222


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREcontro l’eccesso di sapere storico <strong>del</strong>la cultura ottocentesca, che vincola gli uomini alpassato e impedisce loro di creare un nuovo futuro, e contro le <strong>filoso</strong>fie storicistiche cheteorizzano l’adattamento passivo a un presunto corso necessario <strong>del</strong>la storia. Per indicare ilgiusto modo di utilizzare la storia Nietzsche distingue tre tipi di atteggiamento storico: 1)l’atteggiamento monumentale che cerca nella storia i personaggi e gli eventi più elevaticome fonti d’ispirazione e mo<strong>del</strong>li per l’azione nel presente; 2) l’atteggiamento antiquario,che si dedica alla ricostruzione <strong>del</strong> passato perché lo venera e desidera conservarlo cometale; 3) l’atteggiamento critico, che al contrario giudica il passato e ne condanna gli aspettinegativi per legittimare l’azione volta a costruire una nuova realtà futura. Per Nietzschenon bisogna seguire in modo unilaterale uno solo di questi atteggiamenti bensìcontemperarli l’uno con l’altro in modo da evitare il loro difetti e da utilizzarne i rispettivivantaggi. In questa sintesi, però, Nietzsche pone l’accento sull’atteggiamento critico, chepiù degli altri esprime l’esigenza di un cambiamento storico, e inoltre esalta l’arte e lareligione come potenze sovrastoriche e perciò capaci di scuotere l’uomo dal suoattaccamento al presente e al passato per spingerlo a costruire una nuova epoca.A partire dal 1874 Nietzsche adempì sempre più faticosamente ai suoi impegni accademici,a causa <strong>del</strong>l’ulteriore peggioramento <strong>del</strong>le sue condizioni di salute cui si aggiunse una crisipsicologica legata ai ricordi <strong>del</strong>la malattia e <strong>del</strong>la morte <strong>del</strong> padre. La sua precariacondizione psico-fisica lo spinse prima a sospendere l’insegnamento e poi a presentare lesue dimissioni dall’università (1879). Tuttavia negli stessi anni Nietzsche scrisse epubblicò, il giorno <strong>del</strong> centenario <strong>del</strong>la morte di Voltaire, Umano, troppo umano (1878),che insieme a Aurora. Pensieri sui pregiudizi morali (1881) e a La gaia scienza (1882)forma il trittico <strong>del</strong>la cosiddetta “fase illuministica” <strong>del</strong> <strong>pensiero</strong> nietzscheano. In questeopere infatti Nietzsche imprime una svolta alla sua <strong>filoso</strong>fia, emancipandosi dall’influenzadi Schopenhauer, rinunciando a individuare nell’arte il principio <strong>del</strong>la sua rivoluzioneculturale e valorizzando invece la scienza. Nietzsche però riabilita la scienza non in nome<strong>del</strong>l’oggettività <strong>del</strong>la verità <strong>scienti</strong>fica, ma perché ne apprezza illuministicamente lo spiritocritico, antimetafisico e più in generale antitradizionalistico, nonché il rigore e la serietàmetodologica. In questo senso, Nietzsche fonde liberamente la sua cultura storica eumanistica con le scienze naturali, in particolare la biologia, allo scopo di dimostrare chetutti i presunti valori ideali e assoluti su cui si è costruita la civiltà occidentale hanno avutoun’origine e una formazione storica a partire da impulsi naturali e relativi. Utilizzando ilnuovo stile aforistico, allo scopo di indurre una maggiore e attiva riflessione nel lettore, lacritica nietzscheana colpisce a 360 gradi tutti gli aspetti <strong>del</strong>la tradizione metafisica:• sul piano gnoseologico, Nietzsche confuta la possibilità di una verità oggettiva eassoluta, sostenendo che tutti i principi e le nozioni <strong>scienti</strong>fiche non sono altro cheelaborazioni soggettive, interpretazioni prospettiche, “errori” funzionali allaconservazione <strong>del</strong>la specie umana;• sul piano morale, Nietzsche sostiene innanzitutto che non esistono né il liberoarbitrio né la responsabilità personale in quanto ogni individuo originariamenteagisce per raggiungere il piacere ed evitare il dolore; in secondo luogo spiega che ipresunti valori altruistici in realtà sono fondati sull’utilità e l’interesse sociali i quali sisono storicamente imposti e sostituiti all’utilità e all’interesse individuale;• sul piano culturale, Nietzsche ritiene che religione, <strong>filoso</strong>fia e arte, nell’intento di dareun fondamento assoluto ai valori conoscitivi e morali, hanno costruito e diffuso,ognuna con i propri strumenti, la credenza in un mondo soprannaturale perfetto edeterno, svalutando così la dimensione terrena e soffocando gli impulsi vitali<strong>del</strong>l’uomo;• sul piano socio-politico, Nietzsche ritiene che gli Stati si siano serviti <strong>del</strong>la credenza invalori assoluti per imporre ed estendere i loro poteri, sfruttando il bisogno di223


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREsicurezza degli individui disposti a barattare la propria libertà con migliori condizionidi vita.La critica storica di Nietzsche culmina e trova la sua sintesi conclusiva nella tesi <strong>del</strong>la“morte di Dio”, cioè <strong>del</strong>la fine <strong>del</strong>la credenza nel fondamento di tutti i valori assoluti e ditutti i mondi ideali ultraterreni. Nietzsche da un lato propone la “morte di Dio” come undato di fatto <strong>del</strong>la civiltà contemporanea, dall’altro la interpreta come l’esito ultimo e piùpericoloso <strong>del</strong> nichilismo da sempre latente nella cultura occidentale a causa <strong>del</strong> suocarattere ascetico e antivitale. Con la morte di Dio, infatti, vengono meno i valori in cuil’uomo occidentale ha sempre creduto, viene meno il senso assoluto <strong>del</strong>la vita che “Dio”garantiva e la vita sembra non avere più alcun senso. Di conseguenza si diffonde il“nichilismo passivo”, che si manifesta nel pessimismo, nel senso <strong>del</strong>la decadenza, nelrisentimento nei confronti <strong>del</strong>l’esistenza. Ma se il nichilismo passivo è un segno didebolezza e di esaurimento vitale, la morte di Dio può anche essere per Nietzsche lamanifestazione di un “nichilismo attivo”, cioè di una volontà di distruzione di tutti iprincipi ideali che soffocano la vita. In questo senso il nichilismo attivo è un sintomo diforza e rinascita e si realizza negli “spiriti liberi”, cioè negli uomini che considerano lamorte di Dio come la grande occasione per vivere in modo <strong>del</strong> tutto autonomo e personale.Nel maggio <strong>del</strong> 1882 Nietzsche conobbe a Roma Lou Salomé, figlia diciannovenne di ungenerale russo, colta e poliglotta, presentatagli dall’ex allievo e amico Rée. Nietzschecredette di aver trovato in lei il suo vero discepolo, e le chiese di sposarlo. Salomé declinòl’offerta matrimoniale, ma accettò di partecipare a una sorta di sodalizio <strong>filoso</strong><strong>fico</strong> con idue uomini, entrambi innamorati di lei. I tre progettarono di trasferirsi ad abitare insiemea Parigi o a Lipsia. Nell’immediato però si limitarono a frequentarsi per alcuni mesi aLucerna e Tautenburg. Questa frequentazione fu comunque sufficiente a provocare unanuova, violenta rottura tra Nietzsche e sua madre e sua sorella, le quali volevano chetroncasse ogni rapporto con Salomé. In ottobre Nietzsche, Rée e Salomé passarono unmese insieme a Lipsia, al termine <strong>del</strong> quale però decisero di separarsi. Nietzsche sentì<strong>del</strong>use le proprie aspettative nei confronti di Rée e Salomé, che a loro volta decisero diandare a Parigi da soli. In seguito alla separazione Nietzsche si trasferì sulla riviera ligure,cadde in stato depressivo, meditò di suicidarsi e abusò di farmaci e alcol. Eppure proprio intale condizione critica scrisse Così parlò Zarathustra di cui pubblicò la prima parte già nelmaggio 1883 (la pubblicazione completa seguì nel 1885). L’opera segna una nuova svoltanella produzione di Nietzsche, che pur senza rinunciare alla critica ambisce ora soprattuttoa proporre una concezione <strong>del</strong> mondo e una tavola di valori alternative a quelle metafisicocristiane.Questo intento si riflette anche nella scelta <strong>del</strong> genere letterario, quella <strong>del</strong>poema <strong>filoso</strong><strong>fico</strong>, e <strong>del</strong>lo stile linguistico, una sorta di prosa poetica in versetti, sul mo<strong>del</strong>lodei Vangeli. Dal punto di vista <strong>del</strong> contenuto <strong>filoso</strong><strong>fico</strong>, Così parlò Zarathustra è centratosull’annuncio <strong>del</strong> “superuomo” (übermensch), cioè di un nuovo essere che sta all’uomocome l’uomo all’animale. I caratteri fondamentali con i quali Nietzsche tratteggia taleessere destinato a superare l’uomo sono:• la trasvalutazione dei valori, ovvero la sostituzione dei tradizionali valori ideali eassoluti con nuovi valori naturali e relativi: per esempio <strong>del</strong>l’altruismo conl’individualismo, <strong>del</strong>l’amore per il prossimo con l’egoismo, <strong>del</strong>l’uguaglianza conl’aristocrazia, <strong>del</strong>l’umiltà con l’orgoglio, <strong>del</strong>la debolezza con la forza; <strong>del</strong>lasottomissione con il dominio; <strong>del</strong> cattivo gusto con la bellezza, <strong>del</strong>la volgarità con lostile, ecc.;• la volontà di potenza, cioè la pulsione a incrementare incessantemente le propriecapacità e le proprie possibilità di vita;• la creatività, cioè la libera e autonoma capacità individuale di stabilire il senso <strong>del</strong>lavita e <strong>del</strong> mondo, di porre nuovi valori, di individuare i fini <strong>del</strong>l’esistenza;224


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORE• la danza, in quanto simbolo di una modalità giocosa, gioiosa e artistica di vivere lavita;• l’eterno ritorno, cioè la convinzione <strong>del</strong>l’infinito ripetersi ciclico di ogni vita, intesa siacome accettazione volontaria di tutto il passato sia come redenzione <strong>del</strong>la vita dallasua limitatezza temporale sia come conferimento a ogni attimo presente di un valoreassoluto.Tra il 1883 e il 1884 Nietzsche, dopo una breve riconciliazione, entrò nuovamente in urtocon la sorella, a causa <strong>del</strong> fidanzamento di lei con Bernhard Förster, noto agitatorenazionalista e antisemita., che sposò poi nel 1885. In continuo vagabondaggio da una cittàall’altra, negli anni successivi Nietzsche scrisse e pubblicò Al di là <strong>del</strong> bene e <strong>del</strong> male(1886) e Genealogia <strong>del</strong>la morale (1887). In queste opere, forte <strong>del</strong>la nuova prospettiva<strong>filoso</strong>fica guadagnata, Nietzsche torna a smantellare con più radicalità che mai latradizione culturale occidentale. In particolare, in Al di là <strong>del</strong> bene e <strong>del</strong> male, Nietzscheporta alle estreme conseguenze la sua precedente critica al soggetto cosciente e razionale,negando ogni possibilità di considerare l’io come origine dei pensieri. Egli afferma infattiche i pensieri sorgono spontaneamente, indipendentemente dalla volontà individuale.Nella Genealogia <strong>del</strong>la morale invece Nietzsche torna a concentrarsi sul problema <strong>del</strong>lagenesi storica <strong>del</strong>la cultura occidentale riprendendo e completando l’analisi avviata nellaNascita <strong>del</strong>la tragedia. Secondo Nietzsche, nell’antichità la morale dominante è quella deisignori-guerrieri, improntata ai valori <strong>del</strong> corpo, <strong>del</strong>la forza, <strong>del</strong>l’orgoglio e <strong>del</strong> coraggio.Ma la casta sacerdotale - costretta dal suo ruolo a una condotta di vita più regolare eascetica - per rivalsa concepisce una nuova morale basata su valori opposti, cioèsull’anima, la debolezza, l’umiltà e la viltà. Questa nuova morale negatrice <strong>del</strong>la vita siafferma inizialmente soprattutto tra gli ebrei - che Nietzsche considera un popolosacerdotale - per poi diffondersi in tutto l’Occidente attraverso il cristianesimo. Essa troval’adesione <strong>del</strong>le masse diseredate diventando la “morale degli schiavi” o “<strong>del</strong> gregge”, laquale nel corso dei secoli riesce a prevalere sulla morale dei signori, sconfiggendoli esottomettendoli. Lo Stato nazionale moderno, la democrazia, il socialismo el’emancipazione femminile per Nietzsche non sono altro che versioni moderne <strong>del</strong>lamorale <strong>del</strong> gregge.Nell’autunno <strong>del</strong> 1887 Nietzsche progettò una nuova opera, cui attribuiva un valoredecisivo - dal titolo ipotetico di “La volontà di potenza. Saggio di una trasvalutazione ditutti i valori” -, e intraprese il primo tentativo di stenderne una redazione definitiva,scrivendone alcune parti e rifondendovi materiali precedentemente elaborati. Nel 1888 aTorino, dove aveva trasferito la sua dimora, Nietzsche invece utilizzò una parte degliappunti e abbozzi <strong>del</strong>la “Volontà di potenza” per comporre Il crepuscolo degli idoli (1888)e L’anticristo (pubblicato postumo). Nel Crepuscolo Nietzsche torna a criticare Socrate e latradizione metafisica, professandosi ultimo discepolo di Dioniso. Nell’Anticristo inveceattacca violentemente il cristianesimo in quanto religione <strong>del</strong> senso di colpa,<strong>del</strong>l’automortificazione e <strong>del</strong>la negazione <strong>del</strong>la vita, salvando tuttavia la figura di Cristo,considerato uno spirito libero sui generis. In autunno Nietzsche scrisse Ecce homo. Comesi diventa ciò che si è, una sorta di autobiografia <strong>filoso</strong>fia, in cui indica il senso ultimo<strong>del</strong>la sua <strong>filoso</strong>fia nella contrapposizione di Dioniso, il dio <strong>del</strong>l’affermazione <strong>del</strong>la vita, al“Crocifisso”, cioè al dio cristiano <strong>del</strong>la negazione <strong>del</strong>la vita. Contemporaneamente continuòa scrivere appunti e a rielaborare il materiale già predisposto per la pubblicazione <strong>del</strong>la“Volontà di potenza”. Dai frammenti rimastici emerge in particolare il tentativo dielaborare una nuova teoria <strong>del</strong>l’essere e <strong>del</strong> cosmo sulla base <strong>del</strong>la volontà di potenza, inquanto principio primo e unico di ogni cosa.Nel gennaio 1889 a Torino Nietzsche diede forti segni di squilibrio psichico. Ricoverato inclinica psichiatrica, Nietzsche ne fu dimesso nel 1890 ma non recuperò più la sanitàmentale e passò gli ultimi dieci anni <strong>del</strong>la sua vita affidato alle cure prima <strong>del</strong>la madre e225


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREpoi <strong>del</strong>la sorella, <strong>del</strong>le quali aveva lasciato ironicamente scritto che erano la più forteobiezione contro la sua teoria <strong>del</strong>l’eterno ritorno. Nietzsche morì a Weimar il 25 agosto <strong>del</strong>1900. Dopo la sua morte, la sorella Elisabeth e l’ex allievo e amico Peter Gast raccolserotutti i suoi appunti inediti, li ordinano per temi a loro discrezione e li pubblicarono con iltitolo La volontà di potenza, in una prima edizione ridotta nel 1901 e in una secondacompleta nel 1906.226


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 1NIETZSCHE: APOLLINEO E DIONISIACOSotto l’incantesimo <strong>del</strong> dionisiaco non solo si restringe 25 il legame frauomo e uomo, ma anche la natura estraniata, ostile o soggiogata celebradi nuovo la sua festa di riconciliazione col suo figlio perduto, l’uomo. Laterra offre spontaneamente i suoi doni, e gli animali feroci <strong>del</strong>le terrerocciose e desertiche si avvicinano pacificamente. Il carro di Dioniso ètutto coperto di fiori e ghirlande: sotto il suo giogo si avanzano lapantera e la tigre.Nietzsche, La nascita <strong>del</strong>la tragedia, § 1Alla base <strong>del</strong>la riflessione <strong>filoso</strong>fica di Nietzsche vi è la convinzione di una crisi epocale<strong>del</strong>la civiltà occidentale e l’esigenza di accertarne le ragioni per individuarne una viad’uscita. Da ciò Nietzsche è spinto a esaminare la cultura greca, in quanto matriceoriginaria di tutto il successivo sviluppo culturale e civile <strong>del</strong>l’Occidente. La prima tesi allaquale la sua indagine perviene è che la cultura greca nacque e si sviluppò a partire da dueprincipi fondamentali:a) l’impulso “apollineo”, legato cioè al dio Apollo;b) l’impulso “dionisiaco”, connesso cioè al dio Dioniso.L’impulso apollineo, secondo Nietzsche, trova la sua più immediata espressione fisiologicanel sogno, inteso come costruzione mentale di una realtà illusoria bella e gioiosa. Gliantichi greci rappresentarono tale impulso in Apollo, dioL’impulso apollineo, secondo Nietzsche, trova la sua più immediata espressione fisiologicanel sogno, inteso come costruzione mentale di una realtà illusoria bella e gioiosa. Gliantichi greci rappresentarono tale impulso in Apollo, dio <strong>del</strong>la luce, <strong>del</strong>la preveggenza e<strong>del</strong>la scultura. Apollo è infatti per Nietzsche il simbolo <strong>del</strong> principium individuationis, cioè<strong>del</strong> principio <strong>del</strong>l’individualità finita e <strong>del</strong>imitata, dunque <strong>del</strong>la misura, <strong>del</strong>ladeterminazione, <strong>del</strong>la chiarezza. Tale principio si esprime artisticamente nellaraffigurazione dai confini nitidi e precisi tipica <strong>del</strong>la scultura.Date queste sue caratteristiche, l’impulso apollineo è alla base <strong>del</strong>la religione olimpicagreca, la quale fu appunto la modalità in cui i greci riuscirono a trasfigurare esteticamentee quindi a sopportare la vita. Infatti all’origine <strong>del</strong>la civiltà greca vi era, secondo Nietzsche,la coscienza <strong>del</strong>l’insensatezza <strong>del</strong>la vita, contenuta nella terribile massima mitologicasecondo cui la cosa migliore per un uomo sarebbe non essere mai nato e, una volta nato,morire il prima possibile. Appunto per controbilanciare illusoriamente il dolore di questatremenda verità, i greci, attraverso l’arte plastica, crearono l’Olimpo, un mondo umanosublimato, potenziato, circonfuso di bellezza e di felicità.L’impulso dionisiaco è invece ricondotto da Nietzsche allo stato di ebbrezza prodotto dabevande narcotiche o dall’eccitazione fisiologica indotta dalla primavera o anchedall’esaltazione provocata dalla danza e dalla sfrenatezza sessuale nelle feste orgiastiche.Gli antichi greci rappresentarono tale impulso in Dioniso, dio <strong>del</strong> vino, <strong>del</strong>la natura e <strong>del</strong>lamusica - insieme demone cru<strong>del</strong>e e dolce dominatore - che Nietzsche interpreta come ilsimbolo <strong>del</strong>l’abolizione <strong>del</strong> principium individuationis, cioè come simbolo <strong>del</strong>l’unitàprimigenia indifferenziata, <strong>del</strong>la volontà di vita originaria da cui scaturiscono tutte le cose.Per questo, Dioniso è l’impulso interiore che spinge ogni uomo a fondersi con gli altri25 Nel senso di “si fa più stretto”.227


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREuomini e al tempo stesso con gli animali, le piante e tutta la natura, a trasgredire le normeetiche e le convenzioni sociali.Tale impulso si esprime e si realizza nella musica intesa come poesia musicata, cantata esoprattutto danzata. Nella musica dionisiaca, per Nietzsche, l’uomo raggiunge il massimopotenziamento di tutte le sue capacità simboliche, si esprime simbolicamente non soloattraverso la bocca, la parola e il volto, ma attraverso il movimento di tutte le parti <strong>del</strong>corpo. Attraverso la musica il seguace di Dioniso diventa così come un dio olimpico, inquanto non è più solo artista ma egli stesso si fa opera d’arte e giunge a squarciare il velo<strong>del</strong>l’apparenza sensibile per penetrare nella terribile essenza <strong>del</strong>la realtà - la volontà di vita- fino a coincidere con essa raggiungendo così una gioia totale.Secondo Nietzsche, la dialettica tra gli impulsi apollineo e dionisiaco fu alla base di tuttal’evoluzione <strong>del</strong>la civiltà greca. Dopo l’originario dominio dionisiaco, che si espresse nellamitologia dei titani, si affermò l’apollineo con la poesia epica di Omero, quindinuovamente prevalse il dionisiaco che fu ancora una volta soppiantato dall’apollineo<strong>del</strong>l’arte dorica.Però, per quanto opposti e in conflitto tra loro, apollineo e dionisiaco, per Nietzsche, sonoin realtà impulsi complementari. La trasfigurazione estetica apollinea, infatti, ha bisogno<strong>del</strong>l’impulso vitale <strong>del</strong> dionisiaco e a sua volta quest’ultimo necessita <strong>del</strong>la attenuazione e<strong>del</strong>la trasfigurazione illusoria <strong>del</strong>l’apollineo. E’ questa la condizione di quel fenomenounico e irripetibile che fu per Nietzsche la conciliazione di apollineo e dionisiaco all’inizio<strong>del</strong>l’età classica. Tale conciliazione si realizzò nella tragedia greca in quanto basatasull’equilibrio tra il coro e il mito - che rappresentano l’elemento dionisiaco - e la vicendadrammatica e i dialoghi - che costituiscono l’elemento apollineo.Nella tragedia, il coro dionisiaco, afferma Nietzsche, aveva la funzione di eccitare glispettatori per fare in modo che all’apparire <strong>del</strong>l’eroe protagonista essi non vedessero unattore mascherato ma avessero una visione estatica <strong>del</strong>l’eroe in quanto alter-ego diDioniso. La vicenda tragica è infatti per Nietzsche una rappresentazione <strong>del</strong>la vita diDioniso, che secondo il mito fu fatto a pezzi e sbranato dai Titani.In questo senso Nietzsche interpreta Dioniso come il dio che sperimenta su di sé il dolore<strong>del</strong> principium individuationis, cioè <strong>del</strong>la suddivisione <strong>del</strong>l’unità originaria nellamolteplicità degli individui. Ciò significa che la verità dionisiaca consiste appunto nellaconsapevolezza che l’individuazione è la causa prima di ogni sofferenza umana. MaDioniso è anche il dio <strong>del</strong>la rinascita, cioè <strong>del</strong> ritorno all’unità sorgiva. In questo senso latragedia aveva per Nietzsche lo scopo di infondere nel pubblico la speranza nelsuperamento <strong>del</strong>la sofferenza individuale attraverso il ritorno all’uno primordiale.L’equilibrio tra apollineo e dionisiaco che produsse la tragedia greca fu per Nietzsche unmiracolo temporaneo. Dopo i primi grandi tragediografi Eschilo e Sofocle, il terzo,Euripide, svalorizzò il coro, dando priorità alla vicenda drammatica e soprattuttoincentrandola su dialoghi costruiti come dispute dialettiche. Poiché Euripide era pursempre un autore tragico, Nietzsche considera la sua opera come un suicidio <strong>del</strong>la tragedia.Ma in realtà per Nietzsche Euripide fu solo l’esecutore di un <strong>del</strong>itto che aveva il suomandante in Socrate. Euripide, infatti, trasfuse il razionalismo e il moralistico ottimismo diSocrate nella tragedia, soffocandone così lo spirito dionisiaco.In questa senso, Socrate rappresenta per Nietzsche il prototipo di un nuovo tipo di uomodestinato a eliminare l’uomo “tragico” e ad affermarsi nella civiltà occidentale fino araggiungere il culmine nella modernità. Socrate è infatti l’ “uomo teoretico”, cioè l’uomo228


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORErazionale e morale, l’uomo che si realizza nella conoscenza <strong>scienti</strong>fica <strong>del</strong> mondoapparente.Ma un tale uomo è condannato all’insoddisfazione in quanto la conoscenza razionale,irretita dall’apparenza sensibile, non può attingere alla verità dionisiaca. Di conseguenza,l’uomo teoretico si sforza di raggiungere la felicità, ma al contrario, allontanandosi semprepiù dall’unica verità, quella <strong>del</strong>la volontà di vita, recide le sue radici vitali, si inaridisce ediviene preda <strong>del</strong>l’insensatezza e <strong>del</strong>l’angoscia.In questa prospettiva, Nietzsche interpreta la crisi <strong>del</strong>la civiltà contemporanea come ilsintomo <strong>del</strong>l’esaurimento <strong>del</strong> razionalismo socratico e insieme <strong>del</strong>la rinascita <strong>del</strong>lo spiritodionisiaco. Questa rinascita è destinata a manifestarsi in un nuovo primato <strong>del</strong>l’artedionisiaca, con il ritorno <strong>del</strong>la musica, <strong>del</strong> mito e <strong>del</strong>la tragedia. Nietzsche vede le primemanifestazioni di tale ritorno nell’opera dei musicisti tedeschi <strong>del</strong> ‘700 e <strong>del</strong>l’800 - Bach,Beethoven e soprattutto il suo contemporaneo Richard Wagner - e nelle <strong>filoso</strong>fie di Kant eSchopenhauer che hanno evidenziato i limiti insuperabili <strong>del</strong>la scienza e valorizzato l’arte.229


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 2NIETZSCHE: LA CRITICA DELLA TRADIZIONE METAFISICATutto ciò di cui abbiamo bisogno e che allo stato presente <strong>del</strong>le singole scienzepuò esserci veramente dato è una chimica <strong>del</strong>le idee e dei sentimenti morali,religiosi ed estetici (...); ma che avverrebbe, se questa chimica concludesse colrisultato che anche in questo campo i colori più magnifici si ottengono damateriali bassi e persino spregiati?Nietzsche, Umano troppo umano, § 1Secondo Nietzsche la metafisica consiste essenzialmente nel postulare l’esistenza di unarealtà superiore, ideale, razionalmente perfetta, composta di “cose in sé”. Tale realtàpermette ai metafisici di far credere che vi siano principi conoscitivi e valori morali assolutiin base ai quali l’uomo può dare un senso certo, oggettivo, universale alla propria vita.Nietzsche si propone di smantellare tale credenza, conducendo una rigorosa e radicaleindagine critica <strong>del</strong>la tradizione metafisica occidentale. Questa indagine si caratterizzacome una “<strong>filoso</strong>fia storica” in quanto assume come presupposto che gli assoluti <strong>del</strong>lametafisica siano costruzioni edificate dall’uomo nel corso <strong>del</strong> suo sviluppo storico.Per Nietzsche, però, la <strong>filoso</strong>fia storica fa propri anche i metodi e i risultati <strong>del</strong>le scienzenaturali configurandosi così come una “chimica <strong>del</strong>le idee e dei sentimenti”, cioè un’analisidegli elementi primi reali che sono alla base dei principi ideali <strong>del</strong>la metafisica. Infatti, laproduzione di tali principi si può spiegare in analogia al processo chimico <strong>del</strong>la“sublimazione”: come l’acqua può passare direttamente dallo stato solido <strong>del</strong> ghiaccio allostato gassoso <strong>del</strong> vapore, rendendosi per così dire irriconoscibile e quasi invisibile, allostesso modo gli istinti vitali e i sentimenti naturali <strong>del</strong>l’uomo possono trasformarsi in altiprincipi e valori ideali dissimulando la loro “bassa” origine fisiologica.Il fondamento primario <strong>del</strong>la metafisica è, secondo Nietzsche, il fenomeno fisiologico <strong>del</strong>sogno. I primi uomini, infatti, credettero che il sogno fosse un altro mondo, diverso daquello <strong>del</strong>la veglia ma con lo stesso grado di realtà. E’ il sogno, dunque, l’origine <strong>del</strong>lascissione metafisica tra mondo fisico e mondo ideale, corpo e anima, uomini e dei.Il sogno, in questa prospettiva, fornì agli uomini primordiali la prima, elementare forma dilogica. Infatti, afferma Nietzsche, il sogno è una rappresentazione immaginaria <strong>del</strong>le cause<strong>del</strong>le sensazioni che il corpo prova durante il sonno. Per esempio se qualcuno dormendosente caldo può sognare di trovarsi nel deserto e identificare nel sole cocente sognato lacausa <strong>del</strong>la sua sensazione di calore. In tal modo, i primi uomini, anche in condizioni diveglia, si abituarono a considerare cause dei fenomeni naturali le prime immaginifantastiche che venivano loro in mente e a rovesciare il rapporto tra causa ed effetto:anziché considerare le cose reali come cause <strong>del</strong>le proprie immagini, consideravano leproprie immagini come cause <strong>del</strong>le cose reali. Per Nietzsche è questa la genesi <strong>del</strong>lacredenza nella “cosa in sé”.In uno stadio storico più avanzato, continua Nietzsche, l’uomo scoprì il linguaggio chedivenne il fondamento <strong>del</strong>lo sviluppo di tutte le grandi civiltà. La potenza <strong>del</strong> linguaggio sidimostrò così grande che esso finì per l’assumere agli occhi <strong>del</strong>l’uomo il carattere di unmondo a sé stante, autonomo da quello reale.In questo modo i nomi finirono con l’essere considerati essenze reali che racchiudevano insé l’intera conoscenza <strong>del</strong>le cose naturali. Per questo la scoperta <strong>del</strong> linguaggio vaconsiderata, secondo Nietzsche, il primo gradino nella costruzione <strong>del</strong>la conoscenza<strong>scienti</strong>fica.230


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREChiarita la genesi <strong>del</strong>la metafisica in generale, Nietzsche passa a considerarne i suoi singoliaspetti, a cominciare da quello <strong>del</strong>la conoscenza. Egli rileva che la metafisica ha concepito erappresentato conoscitivamente la realtà empirica come un grande quadro che da sempremostra invariabilmente lo stesso disegno. Il suo scopo ultimo era di scoprire l’autore <strong>del</strong>quadro, cioè la “cosa in sé”. Per Nietzsche la scienza metafisica era completamente fuoristrada, in quanto quel quadro è stato dipinto gradualmente nel corso di migliaia di anni e ilsuo autore non è nessun altro che l’uomo. Infatti, afferma Nietzsche, se il mondo sensibileè oggi così “colorato” - cioè se ai nostri occhi manifesta un ordine razionale - ciò accadeperché l’uomo per secoli ha indagato il mondo in base alle sue aspettative <strong>scienti</strong>fiche,morali, religiose ed estetiche, ha perciò proiettato sulla realtà le sue forme mentali e l’hacosì conformata a lui.In questa prospettiva, Nietzsche dimostra che perfino la logica e la matematica si fondanosull’arbitrio umano. La logica infatti si basa sui presupposti:• <strong>del</strong>l’identità di un ente con se stesso• e <strong>del</strong>l’uguaglianza di due enti,ma tali presupposti sono falsi in quanto:• nella realtà ogni cosa cambia continuamente• e non vi sono mai due cose uguali.Anche i presupposti <strong>del</strong>la matematica sono falsi, dal momento che in natura non esistonolinee rette, veri cerchi, misure di grandezza assolute.In conclusione ciò che dalla scienza metafisica viene chiamato mondo per Nietzsche non èaltro che l’esito di una serie di fantasie e di errori che sono nati a poco a poco nel corso<strong>del</strong>l’evoluzione storica e sono cresciuti su se stessi fondendosi l’uno con l’altro fino atrasformarsi in una seconda realtà. Ma qual è la causa di queste fantasie e di questi errori?Nietzsche risponde che è l’istinto di conservazione umano, cioè la pulsione <strong>del</strong>l’uomo acercare il piacere e a sfuggire il dolore. Insomma, la metafisica è stata sì un errore, ma unerrore funzionale alla sopravvivenza e al miglioramento <strong>del</strong>le condizioni di vita<strong>del</strong>l’umanità.Anche la storia dei sentimenti morali è per Nietzsche la storia di un errore e <strong>del</strong>la suaevoluzione. Essa si svolge in varie tappe:• originariamente le azioni vengono dette “buone” o “cattive” a seconda che sia utili odannose;• progressivamente si dimentica l’origine di queste denominazioni e ci si immagina che ilbene e il male siano proprietà intrinseche di determinate azioni;• in seguito le azioni sono considerate neutre e il bene e il male vengono attribuiti allemotivazioni che ne sono alla base;• infine si ritengono buoni o cattivi non i singoli motivi ma i singoli uomini in quanto fontidei motivi.In questo modo, secondo Nietzsche, nel tempo si è venuta costituendo e consolidando lacredenza nella responsabilità morale e nella libertà <strong>del</strong> volere <strong>del</strong>l’uomo. In realtà, si trattadi due errori naturali. Infatti le azioni umane sono conseguenze necessarie <strong>del</strong>le influenzedi eventi passati e presenti. Dunque nessun uomo è responsabile né <strong>del</strong> suo essere, né <strong>del</strong>lesue motivazioni pratiche, né <strong>del</strong>le sue azioni, né <strong>del</strong>le loro conseguenze. Giudicare, affermapertanto Nietzsche, significa essere ingiusti.Quello che vale per la conoscenza e la morale, vale anche per la religione e l’arte. Nessunareligione, secondo Nietzsche, ha mai contenuto una sola verità, ma ognuna è nata dallapaura e dal bisogno ed è cresciuta sugli errori <strong>del</strong>la ragione. Anche la trasfigurazioneestetica e fantastica <strong>del</strong>la realtà operata dall’arte è un errore, finalizzato ad alleviare ladurezza la vita umana.231


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREMa pure come rimedio l’arte ha perso la sua attualità, perché essa è espressione <strong>del</strong>l’etàfanciullesca <strong>del</strong>l’umanità, basata sull’emotività, l’irruenza, la facile credenza. In questosenso l’arte è per Nietzsche un ricordo <strong>del</strong>la giovinezza <strong>del</strong>l’uomo, una reliquia <strong>del</strong> suopassato. Nel presente, l’uomo artistico, secondo Nietzsche, deve essere sostituito dall’uomo<strong>scienti</strong><strong>fico</strong>, poiché questo rappresenta un tipo d’uomo più maturo, più avveduto, piùpreciso ed equilibrato.Tuttavia, proprio lo sviluppo <strong>del</strong>l’errore metafisico ha portato l’uomo a un grado superioredi conoscenza e ha originato nell’età presente una nuova scienza critica consapevole <strong>del</strong>fatto che non esistono verità assolute. Per Nietzsche, però, non bisogna accontentarsi diraggiungere la consapevolezza che gli assoluti metafisici sono degli errori privi difondamento. Al contrario, tenendo ferma questa consapevolezza, bisogna rivalutare glierrori <strong>del</strong> passato metafisico comprendendone le motivazioni storico-psicologiche,riconoscendone la funzione formativa e prevedendo i rischi <strong>del</strong> loro smascheramento. Peresempio, le credenze metafisiche passate hanno spronato gli uomini a intraprendere lacostruzione di istituzioni e opere pur sapendo che sarebbero state ultimate solo doposecoli. La fine <strong>del</strong>la metafisica dunque rischia di produrre un uomo incapace diintraprendere grandi e durature imprese. Ancora, la metafisica attribuiva al camminostorico umano una meta finale, stimolando l’attività degli individui. La caduta degliassoluti, facendo venir meno anche tale credenza, potrebbe portare gli uomini aconvincersi <strong>del</strong>l’inutilità <strong>del</strong>la vita e <strong>del</strong>l’agire.Tuttavia, secondo Nietzsche, proprio comprendendo la funzione <strong>del</strong>le credenze metafisichee reagendo ai rischi <strong>del</strong> loro crollo, l’uomo moderno ha di fronte a sé la più alta <strong>del</strong>lepossibilità storiche, cioè quella di non evolversi più inconsciamente ma di svilupparsiconsapevolmente in una nuova civiltà, creando migliori condizioni di nascita, dialimentazione, di educazione, di istruzione, di organizzazione economica. In questo senso,afferma Nietzsche, il progresso, se non è più considerabile necessario, rimane certamentepossibile. E la scienza - intesa come sapere critico - può sostituire la metafisica, suscitandoquella fede nei suoi risultati capace di spingere gli uomini a imprese grandi e durature.Essa inoltre può sviluppare una conoscenza <strong>del</strong>le condizioni <strong>del</strong>la civiltà che le consenta diindividuare gli scopi comuni <strong>del</strong>l’umanità e di fondare così su di essi una nuova moraleautenticamente universale.232


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 3NIETZSCHE: LA GENESI STORICA DELLA MORALECome? e se la verità fosse il contrario? Come? e se nel bene fosse insito ancheun sintomo di regresso, come pure un pericolo, una seduzione, un veleno, unnarcoticum, attraverso il quale a un certo punto il presente vivesse a spese<strong>del</strong>l’avvenire? [...] Così che precisamente la morale sarebbe responsabile <strong>del</strong>fatto che una in sé possibile suprema possanza e magnificenza <strong>del</strong> tipo uomonon è mai stata raggiunta?F. Nietzsche, Genealogia <strong>del</strong>la morale, PrefazioneUna volta appurato che i valori ideali su cui si è costruita la civiltà occidentale hannoun’origine e un’evoluzione storica, Nietzsche approfondisce la sua indagine concentrandosiin particolare sulla questione per lui cruciale, quella cioè <strong>del</strong>la morale. Approfondendo lesue radici, le analisi dei “psicologi inglesi”, secondo Nietzsche, mostrano tutta la loroparzialità, in quanto si sono arrestate ad alcuni fenomeni psicologici di superficie - comel’abitudine - trascurando la dimensione storica. Secondo loro, infatti, la morale nacqueallorché gli uomini che ne beneficiavano chiamarono “buone” le azioni individuali cherisultavano utili per se stessi. Successivamente, per abitudine, essi ne dimenticaronol’utilitarismo e giunsero a considerarle semplicemente buone in sé.Al contrario, per Nietzsche, l’indagine storica attesta che originariamente ladenominazione di “buono” non fu coniata dai beneficiari di un comportamento altrui,bensì dagli uomini nobili e potenti che giudicavano “buone” le proprie azioni, inopposizione a quelle “cattive” degli uomini volgari, di bassi sentimenti, plebei. In questosenso la morale nacque, per Nietzsche, da un “pathos <strong>del</strong>la distanza” che non ha nulla a chevedere con l’utilitarismo, anzi ne è la radicale negazione. Questa tesi trova riscontronell’analisi etimologica la quale dimostra che il termine “buono” presso i popoli antichisignificava “spiritualmente nobile”, mentre “cattivo” stava per “plebeo”, cioè indicaval’uomo comune, banale, codardo.Gli aristocratici antichi, continua Nietzsche, giudicavano “buone” le azioni libere, forti egioiose che essi compivano nella loro vita dedita alla guerra, all’avventura, alla caccia, alladanza e ai tornei. Pertanto la morale aristocratica presupponeva una sana e potentecostituzione fisica.Tuttavia una parte <strong>del</strong>l’aristocrazia antica era costituita dalla casta sacerdotale, la qualecostruì una propria specifica morale per valorizzare la sua condizione e la sua funzione. Atal fine, diversamente dai guerrieri, i sacerdoti fecero coincidere l’opposizione buonocattivocon quella puro-impuro, intendendo per “puro” colui che si lava, segue una dietaper evitare le malattie <strong>del</strong>la pelle e non frequenta donne dalle quali potrebbe contrarremalattie veneree. In quanto contraria all’azione e al rischio, la morale igienista e prudentedei sacerdoti, per Nietzsche, fu espressione di uomini malsani e deboli che mascherarono illoro senso di inferiorità nei confronti dei guerrieri con il disprezzo per la vita e per la realtàsensibile.La morale sacerdotale, secondo Nietzsche, nell’antichità si radicò in modo particolare nelpopolo ebraico. Questo, infatti, sentendosi impotente nei confronti di dominatori e nemici,seppe escogitare una speciale forma di vendetta: la “trasvalutazione dei valori”, consistentenel rovesciare il primato <strong>del</strong>l’azione, <strong>del</strong>la forza e <strong>del</strong>la salute nel primato <strong>del</strong>lacontemplazione, <strong>del</strong>la debolezza e <strong>del</strong>la infermità. In questo modo gli ebrei sostituironol’originaria equazione “buono” = nobile, potente, bello, felice, caro agli dei, con l’equazione233


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREcontraria “buono” = miserabile, povero, impotente, umile, sofferente, indigente, deforme.Gli antichi “buoni” divennero pertanto uomini malvagi, cru<strong>del</strong>i, lascivi ed empi, destinatialla dannazione eterna.La sete di vendetta <strong>del</strong>la morale ebraica raggiunse poi il suo vertice nella dottrina cristianache annunciava la beatitudine ai poveri, agli infermi, ai derelitti. In questo senso, perNietzsche, la crocifissione di Cristo fu la mossa decisiva di un grande piano degli ebrei perdiffondere in tutta l’umanità, cioè tra tutti i loro nemici, la loro morale antivitale. Il mitoparadossale e inebriante di un Dio che si fa uccidere per il bene <strong>del</strong>l’umanità fu infatti lostrumento più efficace grazie al quale gli ebrei riuscirono a far trionfare la lorotrasvalutazione dei valori.Con la diffusione <strong>del</strong> cristianesimo alla fine <strong>del</strong>l’epoca antica la morale ebraica sconfissedefinitivamente la morale signorile sostituendosi dappertutto ad essa. L’unica, veraredenzione cristiana <strong>del</strong> genere umano, afferma Nietzsche, fu appunto l’eliminazione deisignori a favore <strong>del</strong> dominio generalizzato dei plebei e degli schiavi. Infatti, essendo gliebrei un popolo di schiavi, la loro morale trovò l’adesione e il sostegno <strong>del</strong>la maggioranzaschiavizzata <strong>del</strong>l’umanità antica che rovesciò così il dominio <strong>del</strong>l’élite aristocratica romana.Nel corso di questo processo storico, l’antica morale sacerdotale si strutturò in una formadefinitiva che Nietzsche chiama “morale degli schiavi”, caratterizzandola come:• una morale non <strong>del</strong>l’azione ma <strong>del</strong>la reazione: infatti mentre la morale aristocratica è unamorale <strong>del</strong>l’affermazione immediata di se stessi, la morale degli schiavi si manifesta solocome negazione di tutto ciò che le è opposto;• una morale <strong>del</strong> “risentimento”, cioè basata su una vendetta immaginaria, consistente neldestituire di valore il comportamento che si è incapaci di praticare e quindi si è costretti asubire, prefigurando una dimensione ultraterrena dove esso sarà punito;• una morale <strong>del</strong>la passività, in quanto per essa la felicità non consiste nella vita attiva ma inuna condizione di pace, di quiete, di inattività.Secondo Nietzsche, mentre il nobile parte dall’assunzione di se stesso come “buono” pergiungere a definire il diverso come “cattivo”, lo schiavo al contrario partedall’identificazione <strong>del</strong> suo nemico come “malvagio” e quindi determina per antitesi il“buono”, ovvero se stesso. In questa sostituzione <strong>del</strong> “cattivo” con il “malvagio” si misuratutta la distanza tra morale aristocratica e morale degli schiavi. Mentre infatti il “cattivo”era semplicemente il plebeo in quanto volgare, il “malvagio” è il nobile in quantoaggressore e dominatore.Ma il comportamento <strong>del</strong> nobile, per Nietzsche, è <strong>del</strong> tutto naturale. Infatti nel fondo di ogniguerriero aristocratico sta una “belva feroce”, una “magnifica bionda bestia” desiderosa dicombattimento, vittoria e bottino, che ricorrentemente deve trovare uno sfogo nelle guerre,nelle invasioni e nelle razzie. Così come è insensato rimproverare i rapaci perché sinutrono di agnelli, allo stesso modo non si può pretendere che un individuo dotato di forzanon la manifesti nella sopraffazione e nella volontà di dominio. Una certa quantità di forza,infatti, è costitutiva <strong>del</strong>la natura umana e sgorga da istinti insopprimibili.Secondo Nietzsche, se si è giunti a disconoscere questa elementare verità, ciò è avvenutoperché si è frainteso l’agire umano considerandolo il prodotto di un soggetto libero eresponsabile. Infatti, allo stesso modo in cui separa il fulmine dal lampo, l’individuo deboledistingue la forza dalla sua attuazione, credendo che possano esistere l’una senza l’altra. Inquesto modo egli stabilisce che l’individuo forte, in quanto soggetto autonomo <strong>del</strong>le sueazioni, sceglie liberamente di aggredirlo, e lo può così giudicare moralmente colpevole. Male cose per Nietzsche stanno esattamente all’opposto: così come il lampo è tutt’uno colfulmine, la sopraffazione è tutt’uno con l’uomo forte.234


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORESimmetricamente è <strong>del</strong> tutto naturale che i deboli siano portati a svalutare la prepotenza el’orgoglio a favore <strong>del</strong>la sottomissione e <strong>del</strong>l’umiltà. Anche in questo caso si tratta di unautomatismo biologico analogo a quello di quegli animali che in situazione di pericolo sifingono morti, in quanto non sono capaci di una reazione più efficace. Ma il debole non siaccontenta affatto di questo, bensì ha bisogno che la sua debolezza appaia come una liberascelta a favore di un comportamento morale. Il suo menzognero istinto di conservazione lospinge così a inventare il “soggetto” - ovvero l’anima - per poter trasformare la suadebolezza in merito.Se il processo di civilizzazione consiste essenzialmente nel trasformare la belva umana inun animale domestico, allora - afferma Nietzsche - la morale <strong>del</strong> risentimento è stata il suostrumento fondamentale. In base a questa morale, infatti, le élite aristocratiche sono stateumiliate e sottomesse insieme ai loro valori e ideali. Ma l’epoca contemporanea dimostra,secondo Nietzsche, che la civiltà europea non è affatto un’autentica civiltà. Al contrario, inquanto immenso contenitore di istinti repressi e di bisogni di compensazione, essacostituisce un regresso, un decadimento <strong>del</strong>la civiltà antica.Infatti, il trionfo <strong>del</strong>la morale degli schiavi ha prodotto per Nietzsche un tipo d’uomorepresso, mansuefatto, mediocre, che oltretutto coltiva l’illusoria pretesa di essere meta eculmine <strong>del</strong>la storia umana. E’ in questo contesto che si è sviluppato e dilaga il nichilismo:immeschinitosi e livellantosi, recise le sue radici istintive e vitali, l’uomo europeo diventasempre più stanco di sé, non nutre più alcuna aspirazione superiore, avverte che tutti i suoivalori vacillano e sprofondano nel nulla.235


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 4NIETZSCHE: LA MORTE DI DIOIl carattere complessivo <strong>del</strong> mondo è invece caos per tutta l’eternità, non nelsenso di un difetto di necessità, ma di un difetto di ordine, articolazione,forma, bellezza, sapienza [...] Non esistono sostanze eternamente durature: lamateria è un errore, né più né meno <strong>del</strong> dio degli Eleati. [...] Quando sarà chetutte queste ombre d’Iddio non ci offuscheranno più? Quando avremosdivinizzato <strong>del</strong> tutto la natura! Quando potremo iniziare a naturalizzare noiuomini, insieme alla pura natura, nuovamente ritrovata, nuovamenteredenta!F. Nietzsche, La gaia scienza, § 109Nietzsche interpreta tutta la storia <strong>del</strong>la cultura occidentale postsocratica come unosviluppo in forme differenziate e sempre più radicali di un medesimo errore: la credenza inuna realtà ideale ultraterrena. Sul fondamento di tale credenza l’uomo occidentale haedificato la religione, la metafisica, la morale, l’arte, la scienza, ovvero un insiemearticolato di valori funzionali a dare un senso assoluto alla sua vita. Ma per ottenere questorisultato l’uomo occidentale ha dovuto sacrificare la dimensione terrena e naturale <strong>del</strong>lavita, dal momento che questa risultava inferiore e subordinata alla dimensione ideale eultraterrena. In questo senso la storia <strong>del</strong>la civiltà occidentale è per Nietzsche la storia<strong>del</strong>l’affermazione sempre più ampia e profonda <strong>del</strong> nichilismo, inteso innanzitutto comesoffocamento <strong>del</strong>la vitalità naturale <strong>del</strong>l’uomo.Paradossalmente, però, proprio l’ultimo e più raffinato prodotto <strong>del</strong>lo sviluppo <strong>del</strong>lacultura occidentale - cioè la scienza moderna - ha sgretolato il suo fondamento originario,la credenza, appunto, in un mondo metafisico e in un principio unico e assoluto di tutte lecose. Più precisamente, afferma Nietzsche, sono state la stessa morale cristiana, lapuntigliosità dei suoi esami di coscienza, la sua rigorosa esigenza di verità che al culmine<strong>del</strong>la loro evoluzione hanno prodotto la conoscenza <strong>scienti</strong>fica e attraverso di essa hannoportato alla scoperta <strong>del</strong>l’inesistenza di Dio e di ogni principio assoluto.Secondo Nietzsche, l’epoca contemporanea segna oggettivamente l’esaurimento <strong>del</strong>lapossibilità di credere nell’esistenza di Dio. Infatti le scoperte <strong>del</strong>la scienza, i progressi <strong>del</strong>latecnologia, la crescita economica e l’evoluzione sociale hanno spazzato via le condizioniculturali, psicologiche e materiali che spingevano l’uomo alla fede religiosa e, insieme, alleconvinzioni metafisiche. A questa situazione oggettiva non corrisponde, però, una presa dicoscienza soggettiva da parte <strong>del</strong>l’uomo occidentale. Questo infatti• o continua per tradizione e abitudine a credere in Dio e negli assoluti metafisici;• o subisce il fascino <strong>del</strong>le “ombre di Dio”, cioè di nuove ideologie metafisiche che, puressendo formalmente atee, in realtà sono versioni camuffate <strong>del</strong>la religione e <strong>del</strong>lametafisica tradizionali in quanto sono basate sull’assolutizzazione di un principioastratto;• o rimane indifferente, non si pone il problema ed evita di prendere posizione;• o ancora, pur ritenendosi e dichiarandosi ateo, non è consapevole di cosa significhiesserlo.Di fronte a questi atteggiamenti, Nietzsche si attribuisce il compito <strong>filoso</strong><strong>fico</strong> di annunciarela “morte di Dio”, cioè di diffondere la consapevolezza <strong>del</strong> significato profondo di questoevento e di provocare una chiara presa di posizione. Innanzitutto, infatti, gli uominidevono comprendere che Dio non è morto di morte naturale ma che sono stati essi stessiad assassinarlo, cioè che la fine <strong>del</strong>la fede in Dio è un effetto <strong>del</strong> loro sviluppo culturale,236


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREquindi <strong>del</strong>le loro stesse azioni. In secondo luogo gli uomini devono essere consapevoli <strong>del</strong>leimplicazioni profonde e <strong>del</strong>le conseguenze <strong>del</strong>la morte di Dio.L’annuncio <strong>del</strong>la “morte di Dio” non ha un significato esclusivamente religioso. Dio infattiè per Nietzsche il simbolo di tutti i principi assoluti ideali e razionali. In questo sensoaccettare e comprendere l’evento <strong>del</strong>la morte di Dio significa prendere atto che il mondo èpuro caos, cioè che non possiede nessun ordine interno, nessun valore, nessun fine. Ciòcomporta il rigetto di tutte le cosmologie razionali• tanto di quella organicistica, che considera il cosmo un essere vivente• quanto di quella meccanicistica, che considera il cosmo una macchina.Contro la cosmologia organicistica, Nietzsche rileva che se il mondo fosse un essere viventedovrebbe estendersi, nutrirsi, crescere. Ma tutto ciò è assurdo, come è anche assurdorinvenire un’analogia tra l’universo intero e i piccoli organismi viventi nati sulla superficiedi uno dei suoi innumerevoli pianeti.Alla cosmologia meccanicistica, Nietzsche obietta invece che il concetto di macchinaimplica sempre quello di un artefice che si costruisce e usa uno strumento in vista di unfine. Si tratta dunque di una concezione smaccatamente antropomorfica, di una proiezione<strong>del</strong>la mentalità umana sull’universo. Il fatto poi che nel nostro sistema solare sia statopossibile scoprire un ordine di tipo meccanico nei movimenti planetari non costituisce unaprova a favore <strong>del</strong>la cosmologia meccanicistica. Niente infatti ci autorizza a pensare che ciòche avviene nella nostra piccolissima porzione d’universo debba avvenire anche in tuttol’universo. Al contrario, basta osservare la via lattea per trovare indizi sufficienti aipotizzare che fuori <strong>del</strong> nostro sistema solare i moti degli astri siano irregolari e imperfetti.In ogni caso, continua Nietzsche, non ha alcun senso parlare di perfezione o imperfezione,razionalità o irrazionalità <strong>del</strong>l’universo. L’universo infatti non ha nulla in comune conl’uomo, non possiede ragione, sensibilità, perfezione, bellezza, nobiltà, ma nemmenocaratteri contrari. E’ dunque insensato pensare che l’universo sia governato da “leggi dinatura” o che possieda degli scopi. Ma è altrettanto insensato ritenere che esso sia guidatodal caso, in quanto il concetto di caso dipende sempre per opposizione da quello di scopo.Quindi se l’universo non possiede scopi non può nemmeno essere il regno <strong>del</strong> caso.Tantomeno esso è fondato su rapporti di causa e effetto. Infatti tutti gli eventi naturalicostituiscono un continuum, cioè un flusso senza distinzioni in cui è impossibile separareun elemento da un altro facendo <strong>del</strong> primo la causa e <strong>del</strong> secondo l’effetto. In conclusioneper Nietzsche bisogna rifiutare tutte le immagini antropomorfiche <strong>del</strong>l’universo e accettarel’unica plausibile perché naturale: l’universo non è altro che un caos infinito aperto ainfinite interpretazioni.La morte di Dio e la sdivinizzazione <strong>del</strong>l’universo costituiscono però per l’umanitàoccidentale il massimo pericolo. Infatti per secoli Dio è stato il pilastro <strong>del</strong>l’assolutezza deisuoi valori religiosi, <strong>scienti</strong>fici, morali, estetici. Dunque insieme a Dio crollano tutti i valorie la possibilità di attribuire al mondo e alla vita un senso oggettivo e assoluto. Di fronteall’uomo occidentale si spalanca così l’abisso <strong>del</strong> nulla. A chi accetta l’ateismo sembra,afferma Nietzsche, che il sole sia tramontato, che il dubbio offuschi ogni cosa, che il mondoassuma una luce crepuscolare e funerea, che tutto diventi estraneo, vecchio, decrepito.In altre parole, sembra che l’esistenza sia insensata e che non vi sia più nulla per cui valgala pena di vivere. L’uomo occidentale sprofonda così nel pessimismo e nel decadentismo,che altro non sono che la manifestazione aperta e radicale <strong>del</strong> nichilismo da sempre latentenella civiltà occidentale ma finora coperto e compensato dalla fede in un senso assoluto<strong>del</strong>la vita.237


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREProprio contro il dilagare <strong>del</strong> nichilismo, Nietzsche sostiene che di fronte alla morte di Dionon si può rimanere indifferenti e inerti, limitandosi a lasciare un vuoto al posto di Dio. Sel’uomo si è assunto la responsabilità di uccidere Dio, ora gli spetta l’onere, ma anchel’onore, di rimpiazzare la sua funzione, di sostituirsi a Dio come fondamento <strong>del</strong> senso<strong>del</strong>la vita. Questo è il compito <strong>del</strong>lo “spirito libero”, cioè di colui che fa <strong>del</strong>la morte di Diol’occasione per sconfiggere il nichilismo, sia quello virulento dl presente sia quello latente<strong>del</strong> passato, e raggiungere la completa liberazione.Infatti lo spirito libero comprende che senza più Dio l’uomo può finalmente condurre lasua vita in modo pienamente libero, senza costrizioni esteriori, senza condizionamenti elimiti precostituiti, creando liberamente i suoi valori e scegliendo liberamente le sue mete.Forte di questa consapevolezza, lo spirito libero reagisce gioiosamente alla morte di Dio,interpretando questo evento non come un tramonto, ma come un’aurora, cioè come lanascita di una nuova epoca, la più alta <strong>del</strong>la storia umana.238


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 5NIETZSCHE: L’ANNUNCIO DEL SUPERUOMOL’uomo è un cavo teso tra la bestia e il superuomo, - un cavo al di sopra di unabisso. Un passaggio periglioso, un periglioso essere in cammino, unperiglioso guardarsi indietro e un periglioso rabbrividire e fermarsi. Lagrandezza <strong>del</strong>l’uomo è di essere un ponte e non uno scopo: nell’uomo si puòamare che egli sia una transizione e un tramonto.Nietzsche, Così parlo Zarathustra, parte I, Prologo di ZarathustraPer Nietzsche il dilagare <strong>del</strong> nichilismo - cioè <strong>del</strong>la perdita di senso <strong>del</strong>la vita - è il sintomoincontrovertibile non di una crisi congiunturale ma <strong>del</strong>la fine definitiva <strong>del</strong>la civiltàoccidentale nata dall’assassinio socratico <strong>del</strong>l’impulso dionisiaco. Tale fine coincide conl’esaurimento stesso <strong>del</strong>la funzione storica <strong>del</strong>la specie umana e apre le porte al ritorno diDioniso con la genesi di una nuova specie di esseri razionali destinata a dare origine a unanuova, più elevata forma di civiltà. Questo nuovo essere razionale è chiamato da Nietzscheübermensch, che significa sia “oltreuomo o uomo nuovo” - in quanto rappresenta unostadio evolutivo più avanzato rispetto all’uomo -, sia “superuomo o uomo superiore” -poiché è dotato di maggiori capacità vitali <strong>del</strong>l’uomo.Secondo Nietzsche l’übermensch è “il senso <strong>del</strong>la terra”, cioè egli incarna il valore capace dirappresentare il nuovo senso <strong>del</strong>la vita dopo la morte di Dio e il crollo di tutti i valori ideali.In altre parole, l’übermensch è il valore che può sostituire Dio, evitando che al posto diquest’ultimo resti il vuoto e che quindi dilaghi il nichilismo. Si tratta, però, di un principiodiverso da Dio, in quanto mentre Dio è ultraterreno e assoluto, l’übermensch è <strong>del</strong> tuttoterreno e relativo.In quanto principio terreno, l’übermensch non è concepito da Nietzsche come una veritàassoluta - cioè allo stesso modo di Dio - ma come una “favola”, cioè come un’opinionesoggettiva e relativa. L’indagine storica condotta da Nietzsche ha infatti dimostrato chetutte le verità <strong>del</strong>la civiltà occidentale - a cominciare da quella <strong>del</strong>l’esistenza di Dio - eranoin realtà “favole”, libere interpretazioni creative, credute erroneamente verità oggettive eassolute per secoli. Da questo punto di vista non vi è alcuna differenza tra la favola di Dio equella <strong>del</strong>l’übermensch. Ma• mentre la prima era una favola inconsapevole perché camuffata da verità assoluta,• la seconda è una favola consapevole che si sa e si propone apertamente come tale.D’altra parte ciò nulla toglie al suo valore. Infatti, dopo la morte di Dio, è completamenteconsumato il senso <strong>del</strong>le contrapposizioni tra mondo ideale e mondo fisico, realtà eapparenza, verità e opinione. Dunque ritenere che una favola non sia vera è assurdo tantoquanto pensare che sia vera. La coscienza di questo paradosso è una condizione essenziale<strong>del</strong>l’übermensch.Nel caratterizzare l’übermensch Nietzsche usa spesso espressioni evoluzionistiche cherimandano alle teorie di Lamarck, Darwin e Spencer. Tali espressioni hanno però unavalenza retorica, sono cioè metafore finalizzate a enfatizzare la radicalità <strong>del</strong>la transizionedall’uomo all’übermensch, considerata da Nietzsche equivalente a quella <strong>del</strong>l’evoluzionebiologica che segnò il passaggio dalla scimmia all’uomo. In realtà, Nietzsche nonconcepisce la transizione dall’uomo all’übermensch come un’evoluzione biologicanecessaria, bensì come una rivoluzione culturale intenzionale e solamente possibile.239


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREInfatti, la transizione dall’uomo all’übermensch viene descritta da Nietzsche come ilrisultato di tre “metamorfosi” <strong>del</strong>lo spirito umano, cioè <strong>del</strong>la sua mentalità e <strong>del</strong>la suacultura:• il “cammello”, simbolo <strong>del</strong>l’uomo morale, che si sottopone con forza e pazienza al carico<strong>del</strong> dovere, che si umilia di fronte a Dio e si sottomette ai valori ideali e assoluti;• il “leone”, simbolo <strong>del</strong>lo “spirito libero”, <strong>del</strong>l’uomo che si ribella al giogo di Dio e deivalori assoluti e che ingaggia una lotta mortale con il drago <strong>del</strong> “tu devi” in nome <strong>del</strong>l’“io voglio”;• il “fanciullo”, simbolo <strong>del</strong>l’innocenza, <strong>del</strong>l’oblio <strong>del</strong> passato, di un nuovo inizio esoprattutto <strong>del</strong> gioco creativo che dà origine a nuovi valori.L’übermensch è infatti colui che vive la vita come un gioco e una danza gioiosi e opera diconseguenza una “trasvalutazione” dei valori, cioè rovescia gli antichi valori ideali,improntati allo spirito di serietà, per sostituirli con nuovi valori terreni ispirati allo spirito<strong>del</strong>la leggerezza. Il primo nuovo valore che l’übermensch istituisce è quello <strong>del</strong> corpo inquanto per lui solo il corpo esiste e l’anima non è altro che una parola con la quale sidesigna una funzione <strong>del</strong> corpo. I sensi e la ragione sono solo strumenti <strong>del</strong> corpo e lostesso “Io” dipende dal “Sé”, cioè da un principio impersonale inconscio che è tutt’uno conil corpo. E’ infatti il Sé che guida l’Io, che gli fa provare piacere o dolore, che stimola così lasua attività pensante. In questo senso, afferma Nietzsche, nel corpo vi è più sapienza chenella ragione.La rivalutazione <strong>del</strong> corpo ha come immediata conseguenza la piena riabilitazione <strong>del</strong>lepassioni. Le virtù ideali sono morte, e le sole virtù ammissibili sono quelle terrene, quellecioè che nascono dalle passioni e che consistono nel perseguimento <strong>del</strong> più alto obiettivo diogni passione. In questa prospettiva, non vi sono per l’übermensch passioni “cattive” eanche l’invidia, la collera e l’odio sono “buone” in quanto la guerra è un ingredienteessenziale <strong>del</strong> gioco <strong>del</strong>la vita.La guerra - intesa sia come rivalità tra gli individui sia come scontro violento tra gruppi -costituisce un valore per l’übermensch. Secondo Nietzsche, infatti, l’übermensch si realizzasolo nella lotta con un nemico. Di conseguenza il falso valore <strong>del</strong> lavoro - inteso comeattività ripetitiva in cui l’individuo si sottomette alla società - va sostituito con l’autenticovalore <strong>del</strong>la guerra e, a sua volta, il falso valore <strong>del</strong>la pace va sostituito con l’autenticovalore <strong>del</strong>la vittoria. In questa prospettiva, Nietzsche afferma che non è vero che la guerra ègiustificata solo da una buona causa, ma, al contrario, che è la guerra per essa che rendebuona una causa. Infatti, a suo parere, la guerra e il valore in battaglia hanno contribuitomaggiormente allo sviluppo <strong>del</strong>l’umanità <strong>del</strong>l’amore cristiano per il prossimo.Al valore <strong>del</strong>la guerra corrisponde il disvalore <strong>del</strong>lo Stato. Nietzsche intende infatti perStato non solo l’insieme <strong>del</strong>le istituzioni politiche, ma anche la società di massa da esseorganizzata e dominata. In questo quadro lo Stato è per Nietzsche un mostro edificato suuna doppia menzogna: che esso rappresenti l’ordine di Dio in terra e insieme la massimarealizzazione di un popolo. Al contrario lo Stato è per definizione la soppressione di unpopolo. Esso si regge solo sul consenso dei “superflui”, cioè <strong>del</strong>le masse umane prodottedall’abnorme e incontrollata crescita demografica. Da queste masse lo Stato è adoratocome un vero idolo perché apparentemente provvede a garantire le loro condizionimateriali di vita. In realtà lo Stato per Nietzsche è un prodotto dei “predicatori di morte” e,in cambio <strong>del</strong> benessere materiale, trasforma tutti gli uomini in morti viventi.Il punto cruciale <strong>del</strong>la trasvalutazione dei valori è costituito dal rovesciamento <strong>del</strong>principio cristiano <strong>del</strong>l’amore per il prossimo. Secondo Nietzsche, l’übermensch si realizzaamando se stesso, cioè comprendendo la propria personalità e sviluppando al massimo le240


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREproprie capacità. In questa prospettiva, l’amore altruistico è solo una compensazione <strong>del</strong>lamancanza di amore per se stessi e l’attaccamento al prossimo non è altro che un modo perevitare di assumersi la responsabilità di occuparsi di se stessi.Di conseguenza all’amore per il prossimo - cioè per l’uomo vicino e presente, ovvero perl’uomo contemporaneo - Nietzsche contrappone• l’amore per il più lontano, per l’uomo futuro, ovvero per l’übermensch;• l’amicizia, intesa come una relazione in cui ogni individuo stimola l’altro a essere sestesso e a sviluppare le proprie potenzialità non solo con la reciproca stima ma anche esoprattutto con la critica vicendevole e con la lotta: il proprio amico - sostiene in questosenso Nietzsche - deve essere il proprio migliore nemico.La radicalità <strong>del</strong>l’individualismo nietzscheano si manifesta al massimo grado nellaconcezione <strong>del</strong>la “libera morte”. L’übermensch è infatti l’individuo consapevole che nonesiste vita ultraterrena, che la morte segna la sua fine definitiva e la cui unicapreoccupazione è di morire al momento giusto per trasformare così la morte in una festa.In altre parole, per Nietzsche bisogna evitare sia di morire troppo presto - quando ancoranon si sono raggiunte le massime capacità proprie <strong>del</strong>la maturità - sia di morire troppotardi - quando ormai si sono conseguite tutte le proprie potenzialità e si sopravvive a sestessi. Per morire al momento giusto vi sono due vie: o togliersi liberamente la vita omorire in battaglia. Una morte di questo genere rappresenta, afferma Nietzsche, il degnocompimento di una vita veramente vissuta e costituisce per i vivi un potente stimolo allavita.241


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 6NIETZSCHE: LA VOLONTA’ DI POTENZATutti gli “scopi”, le “mete”, i “significati” non sono che espressioni emetamorfosi <strong>del</strong>l’unica volontà che inerisce a ogni accadere, la volontà dipotenza; l’avere scopi, mete, intenzioni, il volere in genere equivalgono aun voler diventare più forti, a un voler crescere, e in più a volere anche imezzi [...].F. Nietzsche, Frammenti postumi 1887-1888, 11, 96Secondo Nietzsche il concetto di “forza”, su cui si impernia la spiegazione <strong>scienti</strong>fica<strong>del</strong> mondo, deve essere integrato sul piano <strong>filoso</strong><strong>fico</strong> dal principio <strong>del</strong>la volontà dipotenza. Infatti, afferma Nietzsche, ciò che gli scienziati sono soliti chiamare forza,distinguendola in attrattiva e repulsiva, non è che una parola vuota dal momento chela forza è solamente dedotta dalla constatazione di una serie di effetti ma maiconstatata in sé stessa in quanto causa. Ne consegue che il contenuto reale <strong>del</strong>la forzaè la volontà di potenza e che pertanto tutti i fenomeni e le leggi naturali devono essereinterpretati come sue manifestazioni.A ulteriore sostegno di questa sua tesi, Nietzsche rileva che non è possibile pensare auna forza attrattiva che non contenga un’intenzionalità, cioè la volontà diimpadronirsi di qualcosa. Inoltre, il susseguirsi senza variazioni di certi fenomeni nonprova l’esistenza di una legge naturale, bensì soltanto che una forza non può esserealtrimenti da come è. Pertanto è erroneo credere che il ripetersi uniforme di unfenomeno dipenda dal fatto che un ente naturale obbedisce al comando di una leggeesterna e superiore. Al contrario, un fenomeno si ripete allo stesso modo perché l’enteda cui deriva è costituito internamente di volontà di potenza, si basa cioè su unmedesimo e univoco principio. In questo senso i comportamenti degli enti naturalinon sono né liberi né determinati. In essi infatti libertà e necessità coincidono inquanto sono le manifestazioni <strong>del</strong>la loro identità più profonda.La volontà di potenza, in quanto principio unico di ogni cosa e di ogni evento, perNietzsche va distinta nettamente• sia dalla volontà, intesa come facoltà cosciente in base alla quale l’uomo, comesoggetto razionale, può comportarsi liberamente;• sia dalla volontà di essere o di vita, intesa come istinto inconscio di sopravvivenza econservazione, ovvero come pulsione a mantenere la propria esistenza e aprolungarla il più possibile.La volontà di potenza infatti è una pulsione inconscia che mira però non almantenimento <strong>del</strong>la vita bensì all’accrescimento <strong>del</strong>la forza vitale e alla conquista e aldominio di tutti i mezzi a tal fine necessari. Essa pertanto subordina a questo fineanche la conservazione <strong>del</strong>l’esistenza, nel senso che preferisce un più alto livello divitalità a una durata più lunga <strong>del</strong>l’esistenza. In questa prospettiva Nietzsche dàanche un fondamento cosmologico alla volontà di potenza. Il cosmo infatti possiedeuna quantità limitata e costante di energia. Di conseguenza la natura si basa su unprincipio di economicità, ovvero di risparmio energetico, che corrisponde alla volontàdi potenza. Voler diventare più forti significa infatti ottenere il massimo risultato conil minimo sforzo, cioè con il livello minimo di dissipazione energetica.In questo quadro, Nietzsche sostiene che è ancora possibile attribuire un senso alconcetto di “Dio”: quello di massimo grado <strong>del</strong>lo sviluppo <strong>del</strong>la volontà di potenza.242


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREQuesto nuovo significato di Dio è connesso al carattere ciclico <strong>del</strong>lo sviluppo <strong>del</strong>lavolontà di potenza. Essa infatti, secondo Nietzsche, alterna eternamente fasi di“divinizzazione”, cioè di crescita, e fasi di “sdivinizzazione”, cioè di deperimento, incui si riduce ai minimi livelli. Ciò è dovuto al fatto che il mondo, in quantomanifestazione <strong>del</strong>la volontà di potenza, rifugge uno stato duraturo e stabile.Dunque, anche “Dio”, cioè il culmine supremo <strong>del</strong> potenziamento <strong>del</strong> mondo, non èconcepibile come uno stato di equilibrio. Una volta raggiunto questo livello limite, lavolontà di potenza non può smettere di voler crescere e per questo impiega la suaforza a distruggere quanto aveva costruito per poter tornare poi a ricostruirlo ancorauna volta.Il fenomeno fondamentale <strong>del</strong>la natura in quanto volontà di potenza, affermaNietzsche, è il sacrificio di molti individui inferiori per rendere possibili pochiindividui superiori. Ciò vale anche e soprattutto per la specie umana, in cui lamaggior parte degli individui sono solo un mezzo per ottenere individui più forti, cioèdotati di un più alto grado di energia vitale. Per questo la volontà di potenza è ancheimpulso al dominio, alla sopraffazione e alla sottomissione <strong>del</strong> più debole da parte <strong>del</strong>più forte. Anzi Nietzsche giunge ad auspicare non solo la nascita di una nuovaaristocrazia di dominatori, di “signori <strong>del</strong>la terra”, ma il divieto di procreare e perfinola castrazione per gli individui fisicamente deformi o psichicamente malati.Ciò nonostante, Nietzsche polemizza aspramente con l’evoluzionismo darwiniano, esoprattutto con il darwinismo sociale, sotto diversi aspetti:• per l’eccessiva influenza attribuita alle condizioni ambientali esterne, laddove ilfattore fondamentale <strong>del</strong>la vita è la potenza interna che usa le condizioni esternecome strumenti;• per la tesi secondo cui la lotta per l’esistenza e la selezione naturale eliminano gliindividui deboli e favoriscono quelli forti, mentre al contrario per Nietzschepenalizzano i forti e avvantaggiano i deboli in quanto questi sono più fecondi ecapaci di coalizzarsi, avendo così dalla loro la supremazia numerica;• per l’idea che vi sia una progresso evolutivo complessivo <strong>del</strong>le specie e <strong>del</strong>la natura,quando invece esso si attua solo all’interno di ogni specie con l’emergere di alcunitipi superiori e oltretutto in modo temporaneo perché questi, essendo piùcomplessi, muoiono con maggiore facilità.In riferimento speci<strong>fico</strong> all’essere umano, la volontà di potenza è indicata daNietzsche come un principio alternativo a quello <strong>del</strong>la felicità. In altre parole, non hasenso per Nietzsche ritenere che l’individuo agisca per conseguire la sua felicità. Ilcomportamento individuale infatti è finalizzato all’aumento <strong>del</strong>la potenza, cioè <strong>del</strong>lecapacità e <strong>del</strong>le possibilità di vita. In questo senso non si deve nemmeno pensare chesia il piacere il criterio <strong>del</strong> comportamento umano. Infatti il vero piacere è solo ilsintomo <strong>del</strong> conseguimento di un incremento di potenza. Il fine essenziale <strong>del</strong>comportamento umano non deve essere dunque il piacere, ma la crescita <strong>del</strong>lapotenza e il piacere deve essere solo la sua conseguenza e insieme, per così dire, il suotermometro.A sua volta, il dispiacere - ovvero il dolore - deriva dalle limitazioni esterne che lavolontà di potenza individuale incontra nel suo sforzo di espansione. Infatti, inquanto forza, la volontà di potenza può realizzarsi soltanto vincendo <strong>del</strong>le resistenze.In altri termini accrescere la propria potenza significa lottare contro un’opposizioneper ridurla sotto il proprio dominio. Da questo punto di vista, il dispiacere non è altroche il modo di avvertire le resistenze e le opposizioni. Ma proprio per questo esso non243


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREè da considerare negativo in quanto è un ingrediente fondamentale <strong>del</strong>larealizzazione <strong>del</strong>la volontà di potenza e quindi <strong>del</strong>lo stesso piacere.Secondo Nietzsche, l’attività conoscitiva <strong>del</strong>l’uomo è una manifestazione <strong>del</strong>la volontàdi potenza. Come tale essa è fondamentalmente un interpretare strettamente legato esubordinato ai diversi punti di vista individuali. Anche valutare - sia nel senso digiudicare sia in quello di porre dei valori - è un’espressione <strong>del</strong>l’impulso individuale aincrementare la forza vitale e come tale è relativo e funzionale a questo impulso.In questo senso Nietzsche afferma che l’aumento <strong>del</strong>la potenza è l’unico criterio <strong>del</strong>laverità teoretica e pratica, precisando che da ciò consegue che non vi è alcunadifferenza di principio tra verità ed errore. La verità infatti non è altro che un errorefunzionale alla volontà di potenza.Per Nietzsche anche la bellezza è una <strong>del</strong>le forme essenziali in cui si manifestal’aumento <strong>del</strong>la potenza. In altri termini la volontà di potenza significa anchetensione al proprio abbellimento, cioè a una maggiore armonia sia <strong>del</strong>le passioniinteriori sia dei movimenti e dei comportamenti fisici. In questo senso Nietzscheafferma che il vertice <strong>del</strong>lo sviluppo individuale <strong>del</strong>la volontà di potenza è il “grandestile”.Da un intenso desiderio di bellezza nasce l’arte che per Nietzsche induce l’ebbrezza,un particolare stato di piacere che corrisponde a un’alta sensazione di potenza. I veriartisti infatti sono individui straripanti di vita, esuberanti e sensuali, e le opere d’arteautentiche sono quelle che non si limitano a riprodurre la realtà così com’è ma cherappresentano e anticipano una realtà più piena, più forte, più potente. In questaprospettiva, l’arte è considerata da Nietzsche come il massimo stimolante alla vita,come una spinta al raggiungimento <strong>del</strong>la massima potenza, come redenzione dal caose dal dolore, cioè dalla vitale tragicità <strong>del</strong>l’esistenza.244


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 5NIETZSCHE: LA TEORIA DELL’ETERNO RITORNO“Ciò che fu”: ecco la pietra che la volontà non può rovesciare. [...]Tutto ciò “che fu” è frammento ed enigma, e spaventevole caso, finchénon dica la volontà creatrice: “Ma così io volli!”.F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Della redenzioneLa volontà di potenza è per Nietzsche il principio capace di liberare l’individuoumano trasformandolo in übermensch, cioè in un essere che si sa e si viveapertamente come perenne tensione ad accrescere la sua potenza vitale. Eppure,afferma Nietzsche, la volontà di potenza sembra essere prigioniera <strong>del</strong> “così fu”,ovvero sembra incapace di ricomporre in un’unità sensata gli enigmatici frammenti<strong>del</strong> proprio passato, riscattandoli dall’insensatezza <strong>del</strong> caso. Infatti mentre essa puòdare un senso alle proprie azioni future, non può darlo a quelle passate, in quantoesse precedono la nascita <strong>del</strong>l’ übermensch.Al limite <strong>del</strong> passato si aggiunge il limite <strong>del</strong> futuro. L’übermensch sa di dover moriree sa che ha una sola vita, quella terrena. Che senso ha il suo potenziamento se èdestinato a interrompersi e ad annichilirsi? Il carattere finito, effimero e parziale<strong>del</strong>la vita terrena sembra renderla insensata e favorire la credenza in una vitaultraterrena infinita come unico modo per dare un senso alla vita terrena. Ma ciòsarebbe la negazione <strong>del</strong>l’ übermensch. Come è possibile uscire da questa impasse?La soluzione di Nietzsche è che la volontà di potenza è totalmente e liberamentecreativa, in quanto possiede un’illimitata capacità di interpretazione <strong>del</strong>la realtà e diproduzione di valori e significati. In questa prospettiva, essa può dissolvere l’ostacolo<strong>del</strong> “così fu” trasformandolo in un “così io volli!”.In altre parole, Nietzsche sostiene che la volontà di potenza può liberarsi dal peso<strong>del</strong>l’immodificabilità <strong>del</strong> passato interpretandola, e quindi ricreandola, come un suolibero e intenzionale prodotto, cioè riconoscendola come il frutto <strong>del</strong>la propria liberascelta. La soluzione che così Nietzsche offre al problema <strong>del</strong> passato è interpretabile adue livelli:• su un piano individuale, come un riconoscimento di tutti i propri comportamentipassati;• su un piano storico-culturale, come una accettazione di tutta la tradizionenichilistica <strong>del</strong>la cultura occidentale.La reinterpretazione <strong>del</strong> proprio passato come un prodotto <strong>del</strong>la volontà di potenzanon è però per Nietzsche solo il cambiamento soggettivo <strong>del</strong> proprio punto di vista e<strong>del</strong> proprio giudizio. Al contrario, il “così io volli!” per Nietzsche è un atto pratico conuna fondamentale e primaria implicazione ontologica, cioè comporta l’istituzione el’accettazione di una nuova concezione <strong>del</strong> tempo e in ultima analisi <strong>del</strong>l’essere inquanto perenne divenire.Infatti la decisione con cui l’individuo, in quanto volontà di potenza, riconosce il suopassato come voluto da lui significa volere che esso torni nel futuro, desiderare diripetere ancora una volta le stesse azioni compiute nel passato. Ma ciò a sua voltacomporta che l’individuo, in quanto volontà di potenza, deve credere nell’eternoritorno di tutti gli eventi e nella circolarità <strong>del</strong> tempo. In questo modo, infatti, insiemeal limite <strong>del</strong> passato, è superato anche quello <strong>del</strong> futuro: il potenziamento finito che l’245


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREübermensch attua nella sua vita limitata non si annichilisce, in quanto è destinato aritornare infinite volte, cioè si eterna.La teoria <strong>del</strong>l’eterno ritorno è presentata da Nietzsche innanzitutto in formasimbolica. Nietzsche paragona l’attimo presente a una porta dalla cui soglia sidipartono in direzioni opposte due sentieri di lunghezza indefinita che rappresentanol’uno il tempo passato e l’altro il tempo futuro. I due sentieri apparentemente diversie contrastanti in realtà si uniscono, costituendo pertanto un unico sentiero.La metafora nietzscheana significa che il tempo è un flusso infinito in quanto ècircolare e che dunque tutto quello che accadrà deve già essere accaduto e viceversache tutto ciò che è già accaduto dovrà accadere nuovamente. In altre parolenell’infinito trascorrere <strong>del</strong> tempo tutti gli eventi sono destinati a ripetersiperennemente.La teoria <strong>del</strong>l’eterno ritorno è proposta da Nietzsche come libera produzione creativa<strong>del</strong>la volontà di potenza, ovvero <strong>del</strong>l’übermensch. Nietzsche però ne elabora ancheun’argomentazione razionale di carattere cosmologico.Secondo Nietzsche, l’universo è:• senza inizio e senza fine e dunque eterno;• costituito da una quantità fissa e immutabile di energia;• spazialmente finito e circondato dal nulla;• privo di vuoto e totalmente pieno di centri di forza e onde di energia che in un giocoeterno si combinano e si scombinano senza alcun scopo.Dal momento che il tempo è infinito e i centri/onde di energia sono finiti, ogni loropossibile combinazione deve realizzarsi infinite volte. Inoltre, poiché tra ognicombinazione e la sua ripetizione devono intercorrere tutte le altre possibilicombinazioni e poiché ogni combinazione è concatenata alle altre in un ordine disuccessione stabile, ne consegue che l’universo è un ciclo che si è ripetuto infinitevolte e che è destinato infinitamente a ripetersi. Questo ciclo per Nietzsche ècaratterizzato dal perenne alternarsi di una fase di creazione e di crescita e di una fasedi deperimento e di distruzione. In questo senso Nietzsche definisce “dionisiaco” ilsuo universo.Per Nietzsche la conoscenza è sempre interpretazione e come tale è sempre unafunzione <strong>del</strong>la volontà di potenza. Di conseguenza la stessa teoria <strong>del</strong>l’eterno ritornonon può essere considerata una verità certa fondata sulla sua intrinseca razionalità.Essa assume un valore soltanto per l’individuo che la istituisce con un atto <strong>del</strong>la suavolontà di potenza.Anche questa tesi è esposta da Nietzsche in forma simbolica. Egli narra cheZarathustra, il profeta <strong>del</strong>l’übermensch, subito dopo aver formulato il <strong>pensiero</strong><strong>del</strong>l’eterno ritorno, vede un giovane pastore che si contorce soffocato da un grossoserpente entratogli in bocca. Grazie all’incitamento di Zarathustra, il pastore morde ilserpente e si trasforma: egli appare illuminato e ride di un riso sovraumano.Nel racconto di Nietzsche, il serpente rappresenta l’eterna circolarità <strong>del</strong> tempo e ilsoffocamento l’angoscia che inizialmente l’idea <strong>del</strong>l’eterno ritorno può provocarenell’individuo. A sua volta il morso <strong>del</strong> pastore è il simbolo <strong>del</strong>la decisione individualedi totale accettazione <strong>del</strong>l’eterno ritorno. Infine la trasfigurazione <strong>del</strong> pastore e il suoriso sono metafore <strong>del</strong>la trasformazione <strong>del</strong>l’uomo nell’übermensch e <strong>del</strong> suo modogioioso e lieve di vivere la vita.246


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREIn questo senso con la teoria <strong>del</strong>l’eterno ritorno Nietzsche indica i criteri in base aiquali l’übermensch deve concepire e vivere il tempo:• la realtà è divenire, è cambiamento perenne, ma il divenire ha il carattere e ladignità piena <strong>del</strong>l’essere in quanto è destinato a ripetersi e dunque è eterno;• ogni attimo, ogni azione, ogni situazione <strong>del</strong>la vita, essendo destinati a tornareeternamente, hanno valore assoluto e vanno vissuti come tali;• poiché non vi è alcuna meta finale, ogni momento <strong>del</strong>la vita non deve esseresubordinato strumentalmente a uno scopo ultimo ma deve essere vissutopienamente come fine a se stesso.Questa concezione <strong>del</strong> tempo è chiaramente connessa all’idea dionisica <strong>del</strong>la vita comegioco e danza, cioè come successione di esperienze fini a se stesse dal momento cheproducono in sé stesse valore, senso e soddisfazione. In questo modo, secondo Nietzsche,l’angoscia dovuta alla finitezza temporale <strong>del</strong>la vita e alla precarietà di ogni azione puòessere completamente debellata.VIAGGI PASSATI&VIAGGI PRESENTICon la sua teoria <strong>del</strong>l’eterno ritorno Nietzsche si riallaccia consapevolmente alla<strong>filoso</strong>fia greca presocratica. Elementi di una concezione ciclica <strong>del</strong> tempo sonoattestabili già in Anassimandro - che concepisce il cosmo come una eterna vicenda dimorte e rinascita -, in Empedocle - secondo cui il cosmo trascorre eternamentedall’amore all’odio e dall’odio all’amore - ma soprattutto in Eraclito e negli stoici, peri quali l’universo alterna perennemente una fase di espansione vitale e una fase dicontrazione distruttiva cosicché tutti gli eventi sono destinati a ripetersi eternamentenello stesso modo in virtù <strong>del</strong>la perfezione divina <strong>del</strong> divenire universale. La teorianietzscheana <strong>del</strong>l’eterno ritorno si differenzia da queste antiche dottrinecosmologiche in quanto ha un’origine e un primario significato antropologico - nascecioè dal <strong>pensiero</strong> <strong>del</strong>l’ übermensch ed è finalizzata a connotarlo. Il suo fondamentoinoltre non è oggettivo, bensì soggettivo, in quanto consiste in un atto di volontà<strong>del</strong>l’individuo. Fatte salve le debite differenze, è inoltre possibile collegare la teorianietzscheana <strong>del</strong>l’eterno ritorno - soprattutto nella sua versione cosmologica - a una<strong>del</strong>le 3 varianti <strong>del</strong>la teoria <strong>scienti</strong>fica contemporanea <strong>del</strong> big bang, quella secondo laquale l’espansione <strong>del</strong>l’universo ha un limite, raggiunto il quale un’implosione (bigcrunch) riaggrumerebbe tutta l’energia cosmica nella “singolarità” iniziale.247


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREVIAGGIO IILA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA CONTEMPORANEAROTTA ALA PSICANALISI, O PSICOLOGIA DEL PROFONDONel corso <strong>del</strong>l’800, il successo <strong>del</strong> positivismo nella comunità <strong>scienti</strong>fica in campopsicologico aveva favorito l’affermazione <strong>del</strong>la tesi organicistica secondo la quale lamalattia psichica è sempre conseguenza di un difetto neurologico, ossia di un dannocerebrale, o, più in generale, <strong>del</strong> sistema nervoso. Benché di formazione <strong>scienti</strong><strong>fico</strong>positivistica,Freud giunge alla convinzione che la realtà psichica, seppure strettamenteconnessa a quella fisiologica, possiede una propria irriducibile autonomia. Sul pianomedico, ciò significa che esistono malattie psichiche non dipendenti da lesioni omalformazioni organiche. Per Freud, pertanto, la scienza psicologica deve scoprire iprincipi costitutivi e le leggi <strong>del</strong>la psiche allo scopo di elaborare una efficace terapia <strong>del</strong>lemalattie psichiche.In questa prospettiva, Freud attua una rivoluzione teorica sostenendo il carattereprevalentemente inconscio <strong>del</strong>la psiche: l’Io, ossia la coscienza, non è che la punta<strong>del</strong>l’iceberg psichico; la sua parte più estesa, ovvero determinante, è sommersa, cioè nonè cosciente. Più precisamente Freud denomina “Es” (“Esso”) il principio fondamentale<strong>del</strong>la vita psichica e sostiene che l’Es consiste nella libìdo. Con questo termine (in latinovoglia, brama) Freud intende un’energia vitale originaria di carattere sessuale il cuiunico scopo è procurarsi il piacere corporeo. Per adattarsi alla realtà naturale e sociale,una parte <strong>del</strong>l’Es si trasforma in Io, cioè in coscienza sensitiva e intellettiva, e in Super-io,cioè nell’insieme dei valori e <strong>del</strong>le norme comportamentali che ogni società inocula negliindividui attraverso l’educazione.Il corollario <strong>del</strong>la teoria freudiana <strong>del</strong>l’Es è una tesi ancora più rivoluzionaria in quanto,contraddicendo la mentalità comune tradizionale, risulta sconvolgente non solo per lacomunità <strong>scienti</strong>fica ma per l’intera comunità umana: fin dalla nascita i bambiniprovano e soddisfano desideri sessuali. La sessualità infantile però è diversa, secondoFreud, da quella genitale, propria degli adulti, e inoltre si evolve nel tempo: prima èorale, poi anale, quindi fallica e solo alla fine <strong>del</strong>l’adolescenza diventa compiutamentegenitale. Soprattutto nel cruciale passaggio dalla fase fallica a quella genitale, il divieto<strong>del</strong>l’incesto, la norma morale che per Freud fonda la civiltà, ingenera il “complesso diEdipo/Elettra”: il bambino desidera il genitore <strong>del</strong> sesso opposto e quindi odia il genitore<strong>del</strong> proprio sesso, in quanto rivale, ma al tempo stesso ne teme la possibile reazionepunitiva. In questo modo il bambino vive un conflitto che può essere superato solo serinuncia al soddisfacimento <strong>del</strong> proprio desiderio, identificandosi con il genitore <strong>del</strong>proprio sesso. Così facendo egli introietta le norme morali, costituendo il proprio Superio,e di conseguenza indirizza il proprio desiderio su un individuo esterno alla famigliacon cui è possibile soddisfarlo.Il mancato o il carente superamento <strong>del</strong> complesso di Edipo/Elettra genera le nevrosi,cioè le malattie psichiche. La psicanalisi, secondo Freud, può curare le nevrosi riportandoalla coscienza e facendo ricordare e rivivere al paziente le situazioni emotivo-relazionaliche le hanno prodotte. A questo scopo Freud mette a punto 3 tecniche fondamentali: lalibera associazione, l’interpretazione degli “atti mancati”, cioè parole o gesti involontari,e soprattutto l’interpretazione dei sogni. Grazie a queste tecniche è possibile, secondoFreud, scandagliare l’inconscio e far riaffiorare alla coscienza i traumi rimossi, cioèdimenticati, perché insopportabili per l’Io.In una fase ulteriore <strong>del</strong>la sua ricerca, Freud configura l’Es in modo dualistico: esso non èsolo èros, cioè istinto vitale, ma anche thànatos, cioè pulsione di morte, intesa come248


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREdesiderio di tornare alla condizione originaria <strong>del</strong>la materia inanimata, ovvero allaquiete assoluta. La pulsione di morte spiega così la violenza insita in ogni individuo, chepuò manifestarsi sia nel masochismo, cioè come violenza contro se stessi, sia nel sadismo,cioè come violenza contro gli altri.Freud stesso dichiara la portata rivoluzionaria <strong>del</strong>la teoria psicanalitica per laconcezione <strong>del</strong>l’uomo e quindi <strong>del</strong>la civiltà umana. Egli sostiene, infatti, che la psicanalisirappresenta la terza e più grave ferita narcisistica, cioè <strong>del</strong>la sua autostima, inferta dalprogresso <strong>scienti</strong><strong>fico</strong> all’uomo: dopo che Copernico aveva sovvertito la centralità cosmica<strong>del</strong>la Terra e Darwin la superiorità <strong>del</strong>l’uomo rispetto agli animali, la psicanalisi hascoperto che l’uomo “non è più padrone nemmeno a casa sua”, dal momento che l’Iocosciente è agito dall’Es inconscio.VITA DI UN CAPITANOSIGMUND FREUDSigmund Freud nacque nel 1856 a Freiberg, in Moravia - oggi regione <strong>del</strong>la RepubblicaCeca, allora appartenente all’Impero austro-ungarico degli Asburgo -, dalla seconda mogliedi un piccolo commerciante ebreo che, quando Freud aveva quattro anni, ebbe un rovescioeconomico e si trasferì con la famiglia a Vienna. Qui Freud visse infanzia e giovinezzanell’atmosfera politica innovativa <strong>del</strong> regno di Francesco Giuseppe, il quale nel 1867emancipò definitivamente gli ebrei concedendo loro pieni diritti politici. Dopo averacquisito una vasta formazione umanistica, grazie ai suoi eccellenti risultati scolastici, chegli permisero di sopperire alle dif<strong>fico</strong>ltà economiche, frequentò la facoltà di Medicina,concentrandosi sullo studio <strong>del</strong> sistema nervoso, ma si interessò anche di <strong>filoso</strong>fia e seguì icorsi di Franz Brentano dedicati all’analisi <strong>del</strong>le attività psichiche. Conseguita la liberadocenza in neuropatologia nel 1885, vinta una borsa di studio, approfondì la propriaformazione a Parigi, nella clinica <strong>del</strong>la Salpêtrière, sotto la guida <strong>del</strong> famoso neuropatologoMartin Charcot. Oggetto <strong>del</strong>la ricerca e <strong>del</strong>la terapia di Charcot era la sindromepsicopatologica allora denominata “isteria” (dal greco hystèra, utero), caratterizzata dasintomi eterogenei, quali paralisi, convulsioni, cecità, e ritenuta esclusivamente femminile.La sintomatologia isterica non era imputabile a traumi o difetti <strong>del</strong> sistema nervoso epertanto l’isteria era derubricata a simulazione o autosuggestione dagli psichiatripositivistici. Charcot, invece, sosteneva l’idea innovativa che l’isteria avesse cause psichichele quali potevano essere ricercate ed eliminate tramite l’ipnosi. Tornato a Vienna, ormaiconvinto <strong>del</strong>l’autonomia <strong>del</strong>la sfera psichica e <strong>del</strong>l’efficacia terapeutica <strong>del</strong>la parola, nonché<strong>del</strong>l’esistenza di un’isteria maschile, Freud si scontrò con il conservatorismo e, insieme,l’antisemitismo <strong>del</strong>l’ambiente medico ufficiale. Privo di sostegno economico familiare,rinunciò alla carriera universitaria e decise di esercitare privatamente la professione dimedico <strong>del</strong>le malattie nervose, proseguendo in tal modo la sua ricerca basata sull’uso<strong>del</strong>l’ipnosi finalizzata però a far ricordare al paziente i suoi vissuti passati. Nel 1886 Freudaprì il suo studio e sposò Martha Bernays dalla quale avrebbe avuto poi sei figli. Negli annisuccessivi, divenne amico e collaboratore di Josef Breuer che praticava anche lui l’ipnosicon uguale scopo, in particolare per il caso <strong>del</strong>la paziente Anna O. Nel 1895 Freud e Breuerpubblicarono insieme Studi sull’isteria, esposizione dei casi clinici sui quali entrambiavevano lavorato. Successivamente, a differenza di Breuer, che riteneva che la terapia“catarchica” da loro usata possa portare alla guarigione una volta che il paziente avesseriacquisito coscienza degli eventi traumatici causa dei sintomi isterici, Freud si convinseche tutti i vissuti riemersi grazie all’ipnosi avessero un fondamento affettivo-sessuale e chepertanto la terapia dovesse arrivare a far emergere i vissuti sessuali dei pazienti. Breuernon condivise questo convincimento e anzi, quando si accorse che Anna O. era innamoratadi lui, interruppe la cura e al tempo stesso la collaborazione con Freud. Verificando nellapratica clinica la sua nuova tesi, Freud, invece, credette di scoprire, in un primo tempo, che249


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREi traumi psichici causa <strong>del</strong>l’isteria fossero fondamentalmente episodi di seduzione,molestie o addirittura violenze sessuali subite nell’infanzia dalle pazienti da parte diparenti e in particolare dei padri. Più avanti, però, Freud rettificò la sua tesi appurando chein molti casi i ricordi <strong>del</strong>le violenze sessuali subiti non corrispondono a fatti reali ma afantasie, fermo restando che queste possono essere altrettanto traumatiche di un eventoreale. Ne trasse la conclusione che quello che conta per la terapia psichica non è il fattooggettivo, ma il vissuto soggettivo. In ogni caso, Freud arrivò così a mettere a fuoco la tesifondamentale <strong>del</strong>la teoria psicanalitica: l’esistenza di una psiche inconscia caratterizzatadalla pulsione sessuale e determinante per il comportamento umano. Su questa base, negliultimi anni <strong>del</strong> XIX secolo Freud elaborò i fondamenti di una nuova teoria psicologica: lapsicanalisi, definita “psicologia <strong>del</strong> profondo”, ossia <strong>del</strong>l’inconscio. In questa fase diincubazione, divenne molto importante per Freud l’amicizia e la collaborazione conWilhelm Fliess, un medico di Berlino, anche lui appassionato studioso di fisiologiasessuale, che aiutò Freud a superare i propri dubbi e le proprie resistenze nei confronti<strong>del</strong>la sua “scandalosa” teoria. Nel prosieguo <strong>del</strong>la loro sempre più assidua collaborazione,Freud e Fliess posero sempre più al centro dei loro studi e <strong>del</strong>la loro discussione il tema<strong>del</strong>la bisessualità costituzionale di ogni essere umano. Però, soprattutto in seguito allamorte di suo padre (1896), Freud si rese conto di essere psicologicamente dipendente daFliess e intraprese un lungo processo di autoanalisi che lo portò prima al distacco e poi alladolorosa rottura con Fliess, ma anche all’elaborazione compiuta <strong>del</strong>la sua teoria. Tra il1900 e il 1905, Freud rese pubblica la teoria psicanalitica attraverso tre opere-cardine:L’interpretazione dei sogni (1900), in cui interpreta il sogno come manifestazionemascherata di desideri sessuali inconsci in base all’esposizione e alla decifrazione deisimboli di sogni personali e dei suoi pazienti; Psicopatologia <strong>del</strong>la vita quotidiana (1901),in cui illustra e analizza numerosi e spesso spassosi casi di “atti mancati” (lapsus, gaffe,amnesie, sbadataggini, smarrimenti, gesti maldestri, ecc.) interpretati come altrettanteespressioni <strong>del</strong>l’inconscio; Tre saggi sulla teoria sessuale (1905), in cui afferma l’esistenzadi una sessualità infantile e ricostruisce le tappe evolutive <strong>del</strong>la sessualità dalla nascitaall’età adolescenziale. In seguito alla pubblicazione e diffusione di questi libri, Freud uscìdall’isolamento e coagulò intorno a sé un gruppo sempre più folto di medici e psicologiorganizzando un vero e proprio movimento. Nel 1909 pubblicò due resoconti approfonditidi casi clinici – Caso clinico <strong>del</strong> piccolo Hans e Caso clinico <strong>del</strong>l’uomo dei topi -, entrambiesempi paradigmatici di analisi e terapia psicanalitiche. Nel 1910 esce Cinque conferenzesulla psicanalisi, trascrizione di conferenze divulgative tenute l’anno precedente negli USA– dove ottenne quell’apprezzamento che in Europa ancora non aveva ricevuto -, esoprattutto fondò ufficialmente la Società Psicoanalitica Internazionale, divisa innumerose sezioni nazionali. Già un anno dopo, però, si verificò la prima scissione, quella diAlfred Adler (1870-1937), seguita nel 1913 da quella più grave di Carl Gustav Jung (1875-1961), che Freud considerava suo possibile successore alla guida <strong>del</strong>la SPI. Per converso,negli anni seguenti Freud allacciò un rapporto umano e professionale sempre più strettocon Lou Salomè, la scrittrice russa, ormai cinquantenne, che era stata amica di Nietzsche eamante di Rilke, e che lo aveva conosciuto nel 1911, diventando poi sua allieva e quindi ellastessa psicanalista e collaboratrice, fino alla sua morte nel 1937. Dal 1913 al 1920, Freudsviluppò e approfondì la prima versione <strong>del</strong>la sua teoria psicanalitica in opere quali Toteme tabù (1913), in cui spiega l’origine dei due divieti istitutivi <strong>del</strong>la civiltà – quello<strong>del</strong>l’uccisione <strong>del</strong> padre e quello <strong>del</strong>l’incesto – da cui deriva il complesso di Edipo/Elettra;Introduzione al narcisismo (1914), sulla costituzione <strong>del</strong>l’Io in base al riversamento su essodi una quota <strong>del</strong>la libìdo; Metapsicologia (1915), in cui espone una versione più teorica esistematica <strong>del</strong>la psicanalisi; Introduzione alla psicanalisi (1917), esposizione dei capisaldi<strong>del</strong>la teoria psicanalitica in forma accessibile al grande pubblico; Al di là <strong>del</strong> principio <strong>del</strong>piacere (1920), in cui Freud teorizza il dualismo psichico tra pulsione di vita e pulsione di250


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREmorte. In particolare, la composizione di quest’ultima opera fu influenzata dall’esperienza<strong>del</strong>la I guerra mondiale, la cui conclusione coincise per Freud con la perdita di una figlia edi un nipotino a causa <strong>del</strong>l’influenza spagnola. Nel 1923 a Freud, grande fumatore di sigari,fu diagnosticato un tumore alla mandibola, che poi l’avrebbe afflitto sempre più fino allamorte. Ciò nonostante, nell’ultimo ventennio <strong>del</strong>la sua vita e <strong>del</strong>la sua riflessione, Freudcontinuò ad approfondire aspetti <strong>del</strong>la teoria psicanalitica in opere quali L’Io e l’Es (1923),Nevrosi e psicosi (1924), Il tramonto <strong>del</strong> complesso edipico (1924), Autobiografia (1925),Sessualità femminile (1931), Analisi terminabile e interminabile (1937), Compendio dipsicanalisi (1940), e soprattutto estese la teoria psicanalitica all’interpretazione deifenomeni storico-sociali in opere come Psicologia <strong>del</strong>le masse e analisi <strong>del</strong>l’Io (1921), incui spiega psicanaliticamente la tendenza <strong>del</strong>le masse a identificarsi con leader politiciautoritari; L’avvenire di un’illusione (1927), in cui illustra la teoria psicanalitica<strong>del</strong>l’origine <strong>del</strong>le religioni di cui prevede il progressivo esaurimento; Il disagio <strong>del</strong>la civiltà(1930), in cui teorizza l’esistenza di un Super-io <strong>del</strong>la civiltà e sulla sua base spiega ilfondamento <strong>del</strong>la società umana; L’uomo Mosè e la religione monoteistica (1938) in cuiFreud torna a interpretare psicanaliticamente la religione, in particolare quella ebraica.Nel 1933 Hitler conquistò il potere in Germani e negli anni succesivi i libri di Freud furonobruciati sulle piazze in quanto espressioni <strong>del</strong>la “scienza ebrea”. Nel 1938 i nazisticonquistarono l’Austria e diedero inizio alla persecuzione anche nei confronti degli ebreiaustriaci. Grazie alla sua fama e alle protezioni di cui godeva all’estero, si trasferì con lafamiglia a Londra, dove fu accolto con grandi onori, per salvare non sé ma la figlia Anna.Le sue quattro sorelle, e le loro famiglie, invece, morirono nei lager nazisti. Nel 1939, iltumore mandibolare di Freud si aggravò facendolo soffrire in modo non più sopportabile etale da impedirgli la stessa attività intellettuale. Freud, che fino a quel momento avevaridotto al minimo l’uso dei medicinali, sopportando il dolore pur di mantenere intatta lalucidità mentale, decise che era giunta per lui l’ora di morire e chiese al suo medico diiniettargli una dose mortale di morfina.L’opera di Freud negli anni successivi alla sua morte e nel corso di tutto il XX secolo sidiffuse sempre più e influenzò in profondità non solo la psicologia, ma l’intera cultura, inparticolare la <strong>filoso</strong>fia, la letteratura e il cinema. Per citare solo alcuni di centinaia diesempi: L’essere e il nulla (1943) di J.P. Sartre, Eros e civiltà (1955) di H. Marcuse, Lacoscienza di Zeno (1923) di Italo Svevo, Agostino (1944) di <strong>Albert</strong>o Moravia, Marnie(1964) di Alfred Hitchcock, Shutter Island (2009) di Martin Scorsese.251


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 1FREUD: I PRINCIPI DELLA PSICHE: ES, IO, SUPER-IOIl più antico e il migliore significato <strong>del</strong> termine “inconscio” è quellodescrittivo; chiamiamo inconscio un processo psichico di cui dobbiamosupporre l’esistenza – per esempio, perché la deduciamo dai suoi effetti – ma<strong>del</strong> quale non sappiamo nulla. La nostra relazione con questo processo è lastessa che abbiamo con un processo psichico che ha luogo in un altro uomo,salvo che è, appunto, nostro. Volendo esprimerci ancora più correttamente,modificheremo la proposizione nel senso che chiamiamo inconscio unprocesso quando dobbiamo supporre che al presente sia in atto benché, alpresente, non ne sappiamo nulla. [...] Per spiegare, per esempio, un lapsusverbale, ci vediamo costretti a supporre che quella data persona avesse avutol’intenzione di dire una certa cosa. Lo indoviniamo con certezza dall’avvenutaperturbazione nel discorso; ma l’intenzione non si era fatta valere, dunqueera inconscia. [...]La considerazione di questi rapporti dinamici ci permette adesso didistinguere due specie di inconscio: uno, che si trasforma facilmente inconscio, in condizioni spesso ricorrenti, e un altro, nel quale questaconversione avviene difficilmente, solo a patto di un notevole dispendio diforze, o in cui forse non avviene mai. [...] Chiamiamo “preconscio”quell’inconscio che è solo latente, e quindi diventa facilmente conscio, eriserviamo all’altro la designazione di “inconscio”. Abbiamo ora tre termini:“conscio”, “preconscio” e “inconscio”, con i quali possiamo destreggiarci nelladescrizione dei fenomeni psichici. [...]Adeguandoci all’uso linguistico di Nietzsche e seguendo un suggerimento diGeorg Groddeck, lo [l’inconscio, ndr] chiameremo d’ora in poi “Es”. Questopronome impersonale sembra particolarmente adatto a esprimere il carattereprecipuo di questa provincia psichica, la sua estraneità all’Io. [...]A parte il nuovo nome, non aspettatevi che abbia da comunicarvi molto dinuovo sull’Es. E’ la parte oscura, inaccessibile <strong>del</strong>la nostra personalità; il pocoche ne sappiamo, l’abbiamo appreso dallo studio <strong>del</strong> lavoro onirico e <strong>del</strong>laformazione dei sintomi nevrotici; di questo poco, la maggior parte hacarattere negativo, si lascia descrivere solo per contrapposizione all’Io. All’Esci avviciniamo con paragoni: lo chiamiamo un caos, un calderone dieccitamenti ribollenti. Ce lo rappresentiamo come aperto all’estremità versoil somatico, e che ivi accolga in sé i bisogni pulsionali, i quali trovano così laloro espressione psichica, senza che sappiamo dire in quale substrato.Attingendo alle pulsioni, esso si riempie di energia, ma non haun’organizzazione, non produce una volontà collettiva, ma solo lo sforzo perprocurare soddisfacimento ai bisogni pulsionali rispettando il principio dipiacere. Le leggi <strong>del</strong> <strong>pensiero</strong> logico non valgono per i processi <strong>del</strong>l’Es,soprattutto non il principio di contraddizione. Impulsi contrari sussistonouno accanto all’altro, senza annullarsi e diminuirsi a vicenda; tutt’al più, sottola dominante costrizione economica di scaricare l’energia, confluiscono informazioni di compromesso. Non vi è nulla nell’Es che si possa paragonarealla negazione, e si osserva pure con sorpresa un’eccezione all’assioma dei<strong>filoso</strong>fi, secondo cui spazio e tempo sarebbero forme necessarie dei nostri attimentali. Nulla si trova nell’Es che corrisponda all’idea di tempo, nessunriconoscimento di uno scorrere temporale e [...] nessun’alterazione <strong>del</strong>252


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREprocesso psichico ad opera <strong>del</strong>lo scorrere <strong>del</strong> tempo. Impulsi di desiderio chenon hanno mai varcato l’Es, ma anche impressioni che sono state sprofondatenell’Es dalla rimozione, sono virtualmente immortali, si comportano dopodecenni come se fossero appena accaduti. Solo quando sono divenutico<strong>scienti</strong> mediante il lavoro analitico, essi possono venir riconosciuti comepassato, venir svalutati e privati <strong>del</strong>la loro carica energetica, e su ciò si fonda,e non in minima parte, l’effetto terapeutico <strong>del</strong> trattamento analitico. [...]E’ ovvio che l’Es non conosce né giudizi di valore, né il bene e il male, né lamoralità. Il fattore economico o, se volete, quantitativo, strettamenteconnesso al principio di piacere, domina tutti i processi. Cariche pulsionaliche esigono la scarica: ecco tutto ciò che, a parer nostro, vi è nell’Es.Freud, Introduzione alla psicanalisi, Lezione 31,trad. di Marilisa Tonin Dogana ed Ermanno Sagittario, BoringhieriFreud descrive la psiche e spiega la sua attività in base a due “topiche” (dal greco tòpos,luogo), cioè due mappe, tra loro complementari, ognuna <strong>del</strong>le quali è suddivisa in 3 aree:1) inconscio, preconscio, conscio;2) Es, Io, Super-io.Per comprenderle bisogna innanzitutto precisare che Freud parla di “topiche” in sensometaforico, in quanto esse non rispecchiano dei luoghi effettivi – la psiche non è fisica edunque non è spazialmente divisibile – ma <strong>del</strong>le forze, <strong>del</strong>le funzioni, che oltretuttointeragiscono tra loro. In secondo luogo, le due mappe, benché non collimino, sisovrappongono, in quanto inconscio, preconscio e conscio sono proprietà di Es, Io e Superio.Semplificando, l’Es è totalmente inconscio, l’Io conscio e preconscio, il Super-io in parteconscio e in parte inconscio. Come vedremo, però, alcune esperienze traumatiche <strong>del</strong>l’Iopossono essere sprofondate nell’Es inconscio e riportate, con la terapia psicanalitica, all’Iocosciente: pertanto ci sono anche parti <strong>del</strong>l’Io inconsce e parti acquisite <strong>del</strong>l’Es chepossono tornare a far parte <strong>del</strong>la coscienza.Relativamente alla prima topica, Freud denomina:a) “inconscio” un contenuto psichico (p.e. un ricordo connesso a una o più emozioni)che influenza il nostro comportamento senza che ne abbiamo la minimaconsapevolezza, e che in certi casi può diventare cosciente ma solo ricorrendo allaterapia psicanalitica;b) “preconscio” un contenuto psichico non immediatamente cosciente che può essereportato alla coscienza con un nostro atto mentale intenzionale;c) “conscio” un contenuto psichico di cui siamo immediatamente co<strong>scienti</strong> in un datoistante.Passando alla seconda topica, Freud chiama:a) Es: la forza psichica primaria, e quindi fondamentale, basata sul principio <strong>del</strong>piacere;b) Io: la forza psichica secondaria, basata sul principio di realtà, che si forma a partiredalla nascita di ogni individuo per la modificazione di una parte <strong>del</strong>l’Es;c) Super-io: la forza psichica basata sui valori e le norme morali, che si formasoprattutto a partire dalla seconda infanzia.L’Es, dunque, è per Freud la forza determinante <strong>del</strong>la psiche. Freud lo connota comelibìdo, cioè al contempo come: l’energia vitale originaria: per così dire, il propellente <strong>del</strong>l’agire umano; un desiderio essenzialmente sessuale, ovvero che mira a un soddisfacimento tramiteil piacere corporeo; una tensione o carica psichica, il cui accumulo implica sofferenza e che pertantocerca necessariamente di scaricarsi.253


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORECome tale, l’Es è un ribollire di pulsioni, cioè di desideri irrefrenabili, <strong>del</strong> tutto alieno aregole e quindi privo di qualsiasi ordine razionale. L’Es dunque non rispetta alcun limite enon sa cosa sia la contraddizione, vuole tutto e il contrario di tutto. E subito. Infatti,afferma Freud, l’Es non conosce lo scorrere <strong>del</strong> tempo, dunque è fissato a una sorta dieterno presente, cioè alla perenne sussistenza e sollecitazione dei propri impulsi. In questosenso, l’Es è inconscio per costituzione, in quanto parla un linguaggio incompatibile conquello razionale <strong>del</strong>l’Io e pertanto l’Io non è in grado di pensarlo.Come mai allora esiste un Io? Quale la sua funzione? L’Io, afferma Freud, è il prodotto<strong>del</strong>la modificazione di una parte <strong>del</strong>l’Es, cioè di una quota di energia libidica. Esso si formaper permettere all’Es di adattarsi alla realtà naturale, ovvero per consentire all’individuo disoddisfare le proprie pulsioni senza subire danni psico-fisici da parte <strong>del</strong>le forze naturali,di animali o anche di altri uomini, e innanzitutto evitando la morte. P.e., evitando diannegare in un fiume, piuttosto che di patire la fame (infatti, se si soddisfacesse solo ildesiderio sessuale non si avrebbe modo di procurarsi il cibo), o ancora di essere assalito dabelve piuttosto che malmenato da altri uomini. Per svolgere questa funzione, l’Io devepossedere la capacità di conoscere la realtà esterna, ma anche la propria realtà interiore.Per questo deve essere cosciente. Grazie alla coscienza, l’Io può guidare l’Es a soddisfare ipropri desideri in modo non nocivo, cioè nella massima sicurezza possibile, e, a tal fine,possiede anche la capacità di incanalare e perfino di frenare l’Es, cioè di indurlo, senecessario, a rimandare il soddisfacimento di una pulsione. L’Io rimane, tuttavia,subordinato all’Es, in quanto ne è uno strumento, e quindi spesso è prevaricato dall’Es, equindi messo in pericolo, e comunque è costretto prima o poi ad assecondarlo. In questosenso, Freud paragona il rapporto Es-Io a quello di un cavallo e <strong>del</strong> suo cavaliere,precisando però che spesso è il cavallo a decidere dove andare.A sua volta il Super-io si sviluppa dalla modificazione di una parte <strong>del</strong>l’Es - e dunque sinutre anch’esso di una quota di energia libidica - ma in relazione alla comunità umana,innanzitutto alla famiglia. In altri termini, l’Es è costretto a produrre il Super-io peradattarsi alle regole (norme morali, usi e costumi, pregiudizi <strong>del</strong>la tradizione) <strong>del</strong>laconvivenza sociale. Pertanto mentre l’Io nasce con l’uomo naturale, il Super-io nasce con laciviltà umana, è un prodotto <strong>del</strong>la civilizzazione. In questo senso, l’adattamento <strong>del</strong> Superioconsiste nell’interiorizzare le regole di comportamento sociale e nell’abituarsi arispettarle. Tali regole consistono fondamentalmente in proibizioni, le più antiche eprincipali <strong>del</strong>le quali – fondative dunque <strong>del</strong>la civiltà - sono, sostiene Freud, il divieto diuccidere il proprio padre e il divieto <strong>del</strong>l’incesto. In questo senso, il Super-io è un insiemedi norme morali ma è anche una sorta di guardiano interno pronto a punire ognitrasgressione con il senso di colpa, cioè scaricando aggressività contro l’Io.Dunque con la formazione <strong>del</strong> Super-io, ai limiti posti dall’ambiente naturale siaggiungono quelli ancora più pesanti imposti dall’ambiente sociale. Ne segue che ilcompito di guida <strong>del</strong>l’Io si fa più problematico, perché non si tratta più per l’Io di trovareuna mediazione solo tra due bensì tra tre contendenti: Es, realtà naturale, comunitàumana. In questo senso Freud paragona l’Io a un servo costretto a obbedirecontemporaneamente a tre padroni, anzi a tre “tiranni”, con la conseguenza di fallirespesso e di provare un’angoscia pressoché costante.254


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 2FREUD: L’EVOLUZIONE DELLA SESSUALITA’ UMANAE’ innanzitutto un errore insostenibile negare al bambino una vita sessuale esupporre che la sessualità inizi soltanto al tempo <strong>del</strong>la pubertà, con lamaturazione dei genitali. Al contrario, il bambino ha fin dall’inizio una riccavita sessuale, che si differenzia in molti punti da quella ritenuta in seguitonormale. Ciò che noi chiamiamo “perverso” nella vita degli adulti si scostadalla normalità nei seguenti punti: primo, per l’incuranza <strong>del</strong>la barriera <strong>del</strong>lespecie (<strong>del</strong>l’abisso tra uomo e animale); secondo, per lo scavalcamento <strong>del</strong>labarriera <strong>del</strong> disgusto; terzo, di quella <strong>del</strong>l’incesto (<strong>del</strong> divieto di ricercaresoddisfacimento sessuale con stretti consanguinei); quarto, di quello<strong>del</strong>l’uguaglianza di sesso; e, quinto, per il trasferimento <strong>del</strong> ruolo dei genitaliad altri organi e parti <strong>del</strong> corpo. Tutte queste barriere non esistono findall’inizio, ma vengono erette solo a poco a poco nel corso <strong>del</strong>lo sviluppo e<strong>del</strong>l’educazione. Il bambino piccolo ne è libero. Egli non conosce ancora ilgrande abisso tra uomo e bestia; l’orgoglio con cui l’uomo si separadall’animale cresce in lui solo più tardi. Inizialmente non prova alcundisgusto di fronte agli escrementi, ma lo apprende lentamente, sotto l’influsso<strong>del</strong>l’educazione; rivolge le sue prime brame sessuali e la sua curiosità sullepersone a lui più vicine e, per altri motivi, più care: sui genitori, sui fratelli, suchi ha cura di lui: e infine si evidenzia in lui [...] il fatto che egli non si aspettapiacere solo dalle parti sessuali, ma che molte altre parti <strong>del</strong> corpo reclamanoper sé la medesima sensibilità, permettono analoghe sensazioni di piacere epossono quindi svolgere il ruolo di genitali. Il bambino può quindi venirdefinito “perverso polimorfo” e, se esercita tutti questi impulsi solo in formarudimentale, ciò dipende, da una parte, dalla loro minor intensità rispetto aperiodi successivi <strong>del</strong>la vita. E dall’altra, dal fatto che l’educazione reprimesubito energicamente tutte le manifestazioni sessuali <strong>del</strong> bambino. [...]Così il primo oggetto <strong>del</strong>la componente orale <strong>del</strong>la pulsione sessuale è il senomaterno, il quale soddisfa il bisogno di nutrizione <strong>del</strong> lattante. Lacomponente erotica, che viene contemporaneamente soddisfatta durante ilpoppare al seno, si rende poi indipendente come atto <strong>del</strong> succhiare,abbandona l’oggetto estraneo e lo sostituisce con una zona <strong>del</strong> proprio corpo.La pulsione orale diventa autoerotica, come lo sono sin dall’inizio le pulsionianali e le altre pulsioni erogene. [...].[...] già a partire dal terzo anno, non ci son più dubbi per quanto riguarda lavita sessuale <strong>del</strong> bambino: a quest’epoca i genitali cominciano già a destarsi;ne risulta regolarmente, forse, un periodo di masturbazione infantile, quindidi soddisfacimento genitale. [...]All’incirca dal sesto fino all’ottavo anno si può notare un arresto e unaregressione <strong>del</strong>lo sviluppo sessuale che, nei casi più favorevoli al bambino dalpunto di vista culturale, merita il nome di periodo di latenza. [...]Sarete ora impazienti di sapere che cosa contenga questo terribile complessoedipico. Il nome ve lo dice. Voi tutti conoscete la leggenda greca <strong>del</strong> re Edipo,che è destinato dal fato a uccidere suo padre e a prendere in sposa sua madre,che fa di tutto per sfuggire alla sentenza <strong>del</strong>l’oracolo e che poi si punisceaccecandosi, dopo aver appreso che ha nondimeno commesso,inconsapevolmente, entrambi questi <strong>del</strong>itti. [...]255


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREChe cosa si può dunque scoprire <strong>del</strong> complesso edipico mediantel’osservazione diretta <strong>del</strong> bambino, all’epoca <strong>del</strong>la scelta oggettualeprecedente il periodo di latenza? Ebbene, si vede facilmente che il maschiettovuole avere la madre soltanto per sé, avverte come incomoda la presenza <strong>del</strong>padre, si adira se questi si permette segni di tenerezza verso la madre emanifesta la sua contentezza quando il padre parte per un viaggio o è assente.Spesso dà diretta espressione verbale ai suoi sentimenti, promette alla madreche la sposerà.Freud, Introduzione alla psicanalisi, lezioni 13 e 21, ed. cit.Corollario fondamentale ed eclatante <strong>del</strong>la teoria <strong>del</strong>l’Es di Freud è la tesi secondo cuianche i bambini hanno una vita sessuale. Secondo Freud, se gli adulti non si accorgono<strong>del</strong>la sessualità infantile è solo perché identificano la sessualità con la sessualità genitale,cioè con la forma di sessualità, propria <strong>del</strong>l’età adulta, fisiologicamente legata alla funzioneriproduttiva. Ma la sessualità, per Freud, si evolve dalla nascita fino all’età adulta, dunquesi manifesta nell’infanzia in altre forme e solo al termine <strong>del</strong>l’adolescenza assume la formagenitale.In questo senso, Freud elabora una periodizzazione <strong>del</strong>lo sviluppo sessuale umano:a) fase orale (1° anno);b) fase anale (2° anno);c) fase fallica (3°-4° anno);d) fase di latenza (dal 5° anno all’adolescenza);e) fase genitale (al termine <strong>del</strong>l’adolescenza).La sessualità orale è la prima forma di sessualità ed è strettamente connessa alla suzione<strong>del</strong> latte materno. Quando il neonato si alimenta al seno <strong>del</strong>la madre, afferma Freud, provauno speci<strong>fico</strong> piacere di natura sessuale per il contatto tra le sue labbra e il capezzolomaterno. Questo lo porta poi a provare piacere nel succhiare anche parti <strong>del</strong> proprio corpo,p.e. il dito, oppure degli oggetti, p.e. il ciucciotto.La successiva sessualità anale è invece basata sul piacere che il bambino prova nell’urinaree soprattutto nel defecare, anche in connessione alla progressiva acquisizione <strong>del</strong>lacapacità di controllare i propri sfinteri e quindi di opporsi o cedere al bisogno di espellerele proprie feci.Nella fase fallica, invece, il bambino scopre i propri organi sessuali, naturalmente ancoranon sviluppati, e cerca il piacere derivante dalla loro stimolazione.Complessivamente, dunque, la sessualità <strong>del</strong> bambino è autoerotica. Però verso il 5° annolo sviluppo <strong>del</strong>la fase fallica arriva alle soglie di quella genitale: il bambino non cerca piùsoddisfazione erotica solo in se stesso ma anche e soprattutto negli altri, in particolare neipropri genitori: seppur confusamente, il desiderio sessuale <strong>del</strong> bambino si orienta verso lamadre, quello <strong>del</strong>la bambina verso il padre. Ma nella società umana vige il divieto<strong>del</strong>l’incesto, che secondo Freud è, insieme al divieto di uccidere il padre, la regola fondativa<strong>del</strong>la morale e quindi <strong>del</strong>la civiltà. Gli adulti hanno introiettato questo divieto e quindi,almeno normalmente, non assecondano e anzi contrastano i desideri incestuosi infantili egli atti finalizzati a soddisfarli. Il bambino e la bambina, di conseguenza, provano gelosia esviluppano sentimenti aggressivi rispettivamente verso il padre e verso la madre, vissuticome concorrenti e quindi come ostacoli al soddisfacimento dei propri desideri. Maovviamente i bambini sono e si sentono più deboli degli adulti. Pertanto nello stessomomento in cui provano aggressività nei confronti dei genitori <strong>del</strong> proprio sesso temonoanche di essere puniti da loro.Secondo Freud, il timore <strong>del</strong>la punzione si palesa al bambino come “paura <strong>del</strong>lacastrazione” e nella bambina come “invidia <strong>del</strong> pene”. Il bambino, infatti, osservando ladifferenza tra il proprio organo genitale e quello femminile immagina che la bambina sia256


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREun maschio evirato e quindi teme che anche lui possa subire lo stesso destino. La bambina,invece, immagina di aver già subito la punizione <strong>del</strong>l’evirazione e di conseguenza prova l’“invidia <strong>del</strong> pene”, associata a un senso di inferiorità nei confronti dei maschi.Poiché la paura <strong>del</strong>la punzione prevale sul desiderio di unirsi col genitore <strong>del</strong> sessoopposto, la bambina e il bambino rinunciano al proprio desiderio, reprimono la propriaaggressività e anzi si immedesimano col genitore <strong>del</strong> proprio sesso, introiettando e facendocosì propri il loro ruolo sessuale femminile o maschile e al contempo le loro norme dicomportamento sociale. In questo modo nei bambini si forma gradualmente il Super-io,costituito da una porzione di energia <strong>del</strong>l’Es usata per limitare il soddisfacimento deidesideri <strong>del</strong>l’Es. Naturalmente per imbrigliare l’Es, il Super-io esercita una pressionesull’Io e nel caso di trasgressione lo punisce con la colpevolizzazione, ossia scaricandocontro di lui aggressività.Freud sostiene che l’Io è in grado di mediare il conflitto, altrimenti inconciliabile, tra Es eSuper-io grazie alla capacità di deviare una parte <strong>del</strong>la libìdo dal suo oggetto, ilsoddisfacimento <strong>del</strong> desiderio sessuale, per investirla e consumarla in altri oggetti, cioènelle attività civili, per esempio nello studio o nel lavoro, ma anche nello sport, nei giochi,nella lettura, nell’espressione artistica. Freud denomina questa deviazione <strong>del</strong>la libìdo“sublimazione”, utilizzando un termine che, non a caso, in chimica indica il passaggioimmediato <strong>del</strong>la materia dallo stato solido a quello gassoso e che Nietzsche avevaadoperato per indicare la trasformazione/mascheramento dei valori corporali egoistici invalori ideali altruistici. In questa prospettiva, tutta la civiltà umana per Freud si fonda sullasublimazione di massicce quote di libìdo.Freud denomina “complesso di Edipo”, in riferimento ai maschi, e “complesso di Elettra”,in riferimento alle femmine, l’insieme <strong>del</strong> processo psichico che si svolge nell’età <strong>del</strong>lalatenza, cioè l’insieme <strong>del</strong>le relazioni affettive e dei vissuti emotivi che lo caratterizzano.Edipo ed Elettra, infatti, sono i due protagonisti di antichi miti greci, ripresi e attualizzatinelle tragedie greche <strong>del</strong> V secolo. Edipo, inconsapevolmente, uccide il padre Laio e sposasua madre Giocasta; Elettra, consapevolmente, odia la madre Clitemnestra e fomenta ilfratello Oreste perché la uccida per vendicare loro padre, Agamennone. I miti di Edipo eElettra sono per Freud una <strong>del</strong>le prove <strong>del</strong>la fondatezza e <strong>del</strong>l’universalità <strong>del</strong> processopsichico che egli battezzò, anche per questo, con i nomi dei loro protagonisti. Ma non èquesta né la sola né la principale prova empirica che Freud adduce a favore <strong>del</strong>la suateoria. L’altra più importante, anzi, le molte altre più importanti sono quelle che emergonoprogressivamente dall’esperienza terapeutica di Freud, cioè da molti casi di pazientianalizzati, in particolare di pazienti donne. La loro psicanalisi fa affiorare, secondo Freud,fantasie di rapporto sessuale con i rispettivi padri.Il complesso di Edipo/Elettra per Freud svolge un ruolo cruciale nello sviluppo psichico<strong>del</strong>l’individuo. Infatti, se esso si dipana in modo equilibrato conduce il bambino adiventare un adulto psichicamente sano: sulla base <strong>del</strong>l’identificazione col genitore <strong>del</strong>proprio sesso, durante la crescita adolescenziale, egli sviluppa simultaneamente i propriorgani sessuali, il proprio ruolo sessuale e il proprio Super-io, raggiungendo al termine lostadio genitale <strong>del</strong>la sessualità e la possibilità di soddisfare la propria libìdo con uncoetaneo al di fuori <strong>del</strong>la propria famiglia in un sano rapporto di coppia. Ma il complessodi Edipo/Elettra può anche rimanere irrisolto, ovvero può essere vissuto in modosquilibrato, e in questo caso l’adulto è caratterizzato da malattie psichiche.Schematicamente, p.e., se l’Es subisce una repressione pesante, e si sviluppa quindi unSuper-io molto esigente e schiacciante, l’individuo adulto soffre di nevrosi; se, invece, lalimitazione <strong>del</strong>l’Es è insufficiente, il Super-io è troppo debole, e l’individuo adulto è portatoalle perversioni, cioè a assumere comportamenti sessuali contrari alle norme moralicomuni. Inoltre è possibile che l’adulto rimanga libidicamente fissato, perlopiù in modoparziale, nei casi più gravi anche in modo totale, al suo desiderio infantile per il genitore257


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORE<strong>del</strong> sesso opposto e non riesca così a stabilire una relazione di coppia soddisfacente estabile con un altro individuo.258


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 3FREUD: LA TERAPIA PSICANALITICAIn un articolo destinato al vasto pubblico (Neue Freie Press, 29 agosto 1900)sulla “Formazione dei lapsus”, Meringer mette in risalto il significato praticoche talvolta si ritrova nelle sostituzioni di parole, soprattutto quando unaparola viene sostituita con un’altra di senso opposto.“Certamente ci si ricorderà ancora <strong>del</strong> modo in cui il presidente <strong>del</strong>la Cameradei Deputati austriaco ha aperto una volta una seduta: ‘Signori, disse,constato la presenza di tanti deputati e pertanto dichiaro la seduta chiusa’.“L’ilarità generale provocata da questa dichiarazione lo avvertìimmediatamente <strong>del</strong> suo errore ed egli si corresse”.Il caso può essere spiegato plausibilmente in questo modo: dentro di sé, ilpresidente si augurava di arrivare presto a chiudere questa seduta, dallaquale non si aspettava niente di buono; e questo desiderio, come spessosuccede, riuscì parzialmente ad esprimersi; e così disse “chiusa” anziché“aperta”, cioè esattamente il contrario di quanto era nelle sue intenzioni.Varie volte ho constatato che questa sostituzione di un nome da parte <strong>del</strong> suocontrario è un fenomeno molto frequente. Strettamente associati nella nostracoscienza verbale, situati in regioni molto vicine, i termini opposti sirichiamano reciprocamente con grande facilità.[…]7) Sto analizzando un’altra paziente. A un certo punto sono costretto a dirleche certi dati emersi dall’analisi mi fanno pensare che, nel ricordo di cui cistiamo occupando, essa doveva vergognarsi <strong>del</strong>la sua famiglia e rimproverarea suo padre qualcosa che non avevamo ancora chiarito. Essa dice che non sene ricorda proprio, e ritiene infondati i miei sospetti. Ma proprie lei inseriscenella conversazione considerazioni sulla sua famiglia: “Devo essere giusta conloro; sono persone come se ne vedono poche, sono pieni di avarizia [Geiz]…volevo dire: sono pieni di spirito [Geist]”. Ed ecco scoperto il rimprovero cheessa aveva rimosso dalla memoria. E capita spesso che l’idea espressa nellapsus sia proprio quella che si voleva rimuovere [….].Freud, Psicopatologia <strong>del</strong>la vita quotidiana, trad. C. Galassi, Newton Compton,pp. 72-73 e 77.E’ facile dimostrare che spesso i sogni si rivelano, senza alcuna maschera,come adempimenti di desideri; cosicché ci si può meravigliare che illinguaggio dei sogni non sia stato già compreso da lungo tempo. Per esempio,c’è un sogno che io posso produrre in me quando voglio, per modo di diresperimentalmente. Se la sera mangio sardine, olive o qualsiasi altro cibomolto salato, durante la notte mi viene sete e mi sveglio. Ma il mio risveglio èpreceduto da un sogno che ha sempre lo stesso contenuto, cioè che stobevendo. […] La sete dà vita al desiderio di bere ed il sogno mi mostra queldesiderio soddisfatto; nel fare ciò sta eseguendo una funzione, che è facileindovinare: io ho un buon sonno e non sono solito farmi svegliare da qualsiasibisogno fisico. Io posso calmare la mia sete sognando che sto bevendo, alloranon ho bisogno di svegliarmi per soddisfarla. […]L’adempimento di un desiderio si può dedurre altrettanto facilmente daqualche altro sogno che ho raccolto tra persone normali. Un mio amico, checonosce la mia teoria dei sogni e ne ha parlato a sua moglie, mi disse un259


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREgiorno: “Mia moglie mi ha pregato di dirti che ieri ha sognato di avere lemestruazioni. Tu puoi capire che cosa significa”. Naturalmente locomprendevo. Il fatto che questa giovane sposa avesse sognato lemestruazioni significava che non le aveva avute. Potevo ben ritenere chesarebbe stata felice di continuare a godere la sua libertà per un altro po’ ditempo, prima di affrontare le fatiche <strong>del</strong>la maternità.[…]Sembra in effetti impossibile che i sogni di angoscia ammettano lageneralizzazione dei sogni come adempimenti dei desideri; anzi fanno quasidiventare un’assurdità questa affermazione.Tuttavia non è difficile affrontare queste obiezioni apparentemente definitive.Basta tenere presente che la mia teoria non si basa sulla valutazione <strong>del</strong>contenuto evidente <strong>del</strong> sogno, ma si riferisce ai pensieri che si manifestanoattraverso il lavoro di interpretazione, come celati dietro il sogno. E’ fuor didubbio che ci siano sogni il cui contenuto manifesto è estremamente penoso.[…]Il fatto che il fenomeno <strong>del</strong>la censura e quello <strong>del</strong>la deformazione <strong>del</strong> sognocoincidano nei minimi particolari giustifica la supposizione che entrambiabbiano un analogo fattore determinante. Possiamo quindi presumere che,nel singolo individuo, i sogni ricevano una forma dall’azione di due forzepsichiche […], una <strong>del</strong>le quali costruisce il desiderio espresso nel sogno,mentre l’altra esercita una censura su questo desiderio <strong>del</strong> sogno e produce diconseguenza una deformazione <strong>del</strong>la sua espressione.[…]Un sogno più cupo mi è stato raccontato da una paziente, sempre comeobiezione alla mia teoria dei sogni come desiderio.La paziente, che era una ragazza, cominciò così: “Come ricorderà, mia sorellaha ora solo un figlio, Karl; ha perduto il più grande, Otto, mentre io vivevoancora con lei. Otto era il mio preferito; si può dire che l’ho allevato io. Sononaturalmente affezionata anche al più piccolo, ma non quanto lo ero a quelloche è morto. Questa notte dunque ho sognato che vedevo Karl morto davantia me. Giaceva nella sua piccola bara con la mani incrociate e intorno a luic’erano tante can<strong>del</strong>e, proprio come il piccolo Otto, la cui morte era stataper me un tale colpo. Ora mi dica lei, che cosa può significare? […]La ragazza era rimasta orfana da piccola ed era stata allevata in casa di unasorella molto più grande. Tra gli amici che frequentavano la casa c’era statoun uomo che aveva fatto un’impressione durevole sul suo cuore. Per un certotempo era sembrato che i suoi rapporti, poco notati, con lui si sarebberoconclusi con un matrimonio; ma questo felice esito era stato impedito dallasorella, i cui motivi non erano mai stati completamente spiegati. Dopo larottura, l’uomo cessò di frequentare la casa; e poco dopo la morte <strong>del</strong> piccoloOtto, al quale intanto aveva rivolto il suo affetto, anche la mia paziente sistabilì in una casa da sola. Non riuscì comunque a liberarsi <strong>del</strong>l’attaccamentoper l’amico <strong>del</strong>la sorella. Il suo orgoglio la induceva ad evitarlo; non riuscivaperò a trasferire il suo amore su alcuno degli ammiratori che si erano intantopresentati. Quando veniva annunciato che l’oggetto <strong>del</strong> suo amore, unletterato, avrebbe dato una conferenza in qualche posto, ella si trovavainvariabilmente tra gli uditori; e approfittava di ogni occasione per vederlo dalontano, in terreno neutrale. Ricordai che mi aveva detto il giorno prima che ilprofessore sarebbe andato ad un particolare concerto e che anche lei avevaintenzione di andarci e di godere <strong>del</strong>la sua vista ancora una volta. Questo era260


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREaccaduto il giorno precedente il sogno ed il concerto avrebbe avuto luogo ilgiorno in cui mi raccontò il sogno. Fu quindi semplice per me costruire lacorretta interpretazione e le chiesi se poteva ricordare qualcosa avvenutadopo la morte <strong>del</strong> piccolo Otto. Mi rispose subito: “Naturalmente; ilprofessore venne a trovarci di nuovo dopo una lunga assenza e lo vidi ancorauna volta vicino alla bara <strong>del</strong> piccolo Otto”. Questo era proprio quanto miaspettavo e interpretai il sogno in questo modo: “Se morisse l’altro ragazzo,accadrebbe la stessa cosa. Lei passerebbe la giornata dalla sorella e verrebbecertamente il professore per fare le sue condoglianze, così lei potrebbevederlo di nuovo nelle stesse condizioni <strong>del</strong>l’altra volta. Il sogno non significaaltro che il suo desiderio di vederlo di nuovo, desiderio che lei combatteinternamente. Io so che lei ha un biglietto per il concerto di oggi. Il suo sognoera un sogno di impazienza: anticipava il fatto che lei lo vedrà oggi, tra pocheore”.Freud, L’interpretazione dei sogni, trad. di A. Ravazzolo, Newton Compton, pp. 135, 137,144, 150-151, 157-158La teoria psicanalitica di Freud è finalizzata alla terapia <strong>del</strong>le malattie psichiche, inparticolare <strong>del</strong>le “nevrosi”, ossia dei disturbi psico-comportamentali che non implicanouna deformazione <strong>del</strong>la percezione <strong>del</strong>la realtà (p.e. stati allucinatori) come avviene invecenelle psicosi (p.e. le diverse forme di schizofrenia o di paranoia), oggetto di terapiapsichiatrica. Esempi immediati e leggeri di nevrosi sono i tic, ovvero movimenti ricorrentie incontrollati <strong>del</strong> corpo, o le fobie, cioè le paure/repulsioni eccessive verso qualcosa, p.e.nei confronti dei cani. Altri esempi, più gravi, di nevrosi sono p.e. la gelosia ossessiva o gliattacchi di panico.In linea generale per Freud le nevrosi sono caratterizzate dalla “coazione a ripetere”: ilnevrotico è costretto, inconsapevolmente, a ripetere lo stesso comportamento nonostantesi sia rivelato e continui a rivelarsi insoddisfacente e fallimentare e quindi fonte disofferenza. Secondo Freud, le nevrosi si generano soprattutto nella situazionepsicorelazionale da lui chiamata complesso di Edipo/Elettra. In tale situazione alcuni atti odiscorsi o accadimenti possono costituire per il bambino o la bambina dei traumi psichici,cioè danni o ferite che non colpiscono il corpo ma la psiche. P.e., può essere un traumatanto vedere un cane bere nel proprio bicchiere, quanto sentir dire da un genitore chepreferisce il proprio fratello o sorella, oppure osservare o udire o anche solo immaginare ipropri genitori mentre hanno rapporti sessuali, piuttosto che subire <strong>del</strong>le vere e propriemolestie sessuali da un parente o da un adulto. Non è il fatto di per sé a essere traumatico.Lo diventa se in relazione ad esso il bambino o la bambina provano una pulsione emotiva –desiderio, disgusto, rabbia – che vivono come una vergogna e non sono quindi in grado diaccettare e di esprimere per paura di essere puniti fino alla perdita <strong>del</strong>l’amore dei genitori.Il trauma psichico dunque consiste nella repressione di un impulso, più precisamente nellasua “rimozione”. Con questo termine, Freud designa lo spostamento di un’esperienza -costituita da fatti ma soprattutto dalle emozioni con cui certi fatti sono stati vissuti -dall’area <strong>del</strong>la coscienza a quella <strong>del</strong>l’inconscio. In tal senso, la rimozione è una reazionedifensiva e protettiva <strong>del</strong>l’Io incapace di controllare e sciogliere il conflitto tra l’Es, fonte<strong>del</strong>le pulsioni, e il Super-io, che vieta l’espressione <strong>del</strong>le pulsioni. In altre parole, l’Iodimentica l’esperienza vissuta in modo da evitare un conflitto lacerante. Ma la rimozioneha comunque un prezzo: la pulsione rimossa costituisce un grumo di energia libidica chenon può scaricarsi ma che nemmeno può essere distrutto, annullato. Esso rimane comeimprigionato nell’inconscio e la sua ritenzione rende necessaria una compensazione, unasorta di soddisfacimento sostitutivo, che però si configura come un atto psichicomenomato, in quanto la psiche è come mutilata. Tale compensazione è appunto il261


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREcomportamento nevrotico, p.e. un tic o una fobia o una gelosia ossessiva, o, in casi piùgravi, p.e. la frigidità o l’impotenza sessuali.In base a questa teoria diagnostica <strong>del</strong>le nevrosi, Freud sostiene che la terapia psicanaliticadeve consistere essenzialmente nel riportare alla coscienza le esperienza vissute rimosse,ovvero nel conseguire l’ “abreazione”. E’ decisivo aver chiaro che l’abreazione non èriducibile alla consapevolezza intellettiva astratta. Essa consiste soprattutto <strong>del</strong> riportare agalla gli impulsi rimossi, cioè nell’acquisizione di una consapevolezza emotiva. In altreparole, si tratta di rivivere la situazione traumatica rimossa, in maniera tale che gli impulsilibidici repressi possano essere questa volta manifestati e accettati, affrontando esuperando così il conflitto che ne aveva provocato la rimozione. In questo modo la feritapsichica si rimargina e di conseguenza il comportamento nevrotico scompare.Ma come è possibile indagare ciò che per costituzione è inconscio? Freud individua tremodalità fondamentali che corrispondono alle tecniche terapeutiche <strong>del</strong>la psicanalisi:1) le libere associazioni;2) l’interpretazione degli atti mancati;3) l’interpretazione dei sogni.La tecnica <strong>del</strong>le libere associazioni consiste nel sollecitare il paziente a collegareparole/immagini nel modo più immediato e quindi spontaneo possibile. P.e., se il pazienteparla di una sciarpa rossa questa immagine può essere collegata con la muleta <strong>del</strong> torero,quindi con la corrida, quindi con un combattimento cruento o una morte violenta.Attraverso la catena associativa il paziente può arrivare a esprimere uno o più elementi diun vissuto inconscio frutto di una rimozione.Gli atti mancati sono parole, frasi, comportamenti non intenzionali, omissioni verbali ocomportamentali, che possiamo cioè pronunciare o (non) compiere, in modo indipendenteo addirittura contrario alla nostra volontà: p.e., i cosiddetti lapsus linguae (dire: “porco”anziché “parco”, o Marco al posto di Giorgio), oppure gli atti maldestri (rompere unbicchiere o mettere un libro nel frigorifero oppure un panetto di burro in libreria),dimenticanze (saltare un appuntamento, non riuscire a ricordare un nome o una parola),smarrimenti di oggetti, o ancora le gaffe (raccontare una barzelletta sull’avarizia deigenovesi a un genovese). Gli atti mancati sono considerati da Freud manifestazioni <strong>del</strong>l’Es,ovvero <strong>del</strong>l’inconscio, e, adeguatamente interpretati, possono anch’essi portare allacomprensione di un contenuto rimosso.I sogni, secondo Freud, sono manifestazioni dei nostri desideri, ovvero <strong>del</strong>le pulsioniinconsce <strong>del</strong>l’Es. Infatti durante il sonno, la vigilanza e quindi la censura <strong>del</strong>l’Io risultanoindeboliti e ciò consente all’Es inconscio di “parlare” più ampiamente e più liberamente.Ma il linguaggio <strong>del</strong>l’Es non è quello <strong>del</strong>l’Io. L’Es infatti parla per immagini, per così dire inmodo teatrale o cinematogra<strong>fico</strong>, le sue raffigurazioni e azioni sceniche hanno una valenzaemotiva e simbolica, le sue trame narrative non sono logiche, cioè non rispettano la spaziotemporalitàe il nesso di causa/effetto, bensì analogiche, cioè connesse per somiglianzaanche solo di un dettaglio, ovvero basate sulle associazioni tipiche <strong>del</strong>le figure retoriche,quali la sineddoche, la metonimia, ecc. In particolare, spesso il linguaggio onirico <strong>del</strong>l’Esutilizza la “condensazione”, ovvero concentra in un oggetto-simbolo piùsignificati/riferimenti, p.e. un anziano può rappresentare il nonno, ma al tempo stessoanche il padre e il fratello maggiore, e lo “spostamento”, ovvero un oggetto-simbolo nerappresenta un altro diverso, p.e. una zia rappresenta in realtà la madre.Per interpretare correttamente i sogni, al fine di comprendere i desideri/impulsi checomunicano, secondo Freud, occorre dunque distinguere il loro “contenuto manifesto” e illoro “contenuto latente”. Compito <strong>del</strong>lo psicanalista è quello di decifrare il contenutomanifesto per estrarne il contenuto latente, cioè il messaggio mascherato che consiste inun certo desiderio/impulso inconscio. Per comprendere la problematicità di tale opera didecifrazione, è necessario considerare anche un’ulteriore dif<strong>fico</strong>ltà: l’Io, seppur in modo262


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREattenuato, continua a svolgere il suo controllo e quindi a opporsi a manifestazioni troppoesplicite <strong>del</strong>l’Es. Di conseguenza molti sogni non si ricordano o si ricordano in modoparziale e frammentario, oppure sono addirittura interrotti da un risveglio improvviso,come nel caso degli incubi.Proprio gli incubi, d’altra parte, sembrerebbero smentire la tesi freudiana secondo cui tuttii sogni esprimono desideri. Essi infatti manifestano paura, terrore, panico. In realtà,afferma Freud, la paura che proviamo durante un incubo è la reazione <strong>del</strong>l’Io all’emergeredi un desiderio inconscio che l’Io non è in grado di sopportare. La paura, in questo senso, èun campanello d’allarme finalizzato a provocare il risveglio in modo da bloccare lamanifestazione <strong>del</strong>l’Es. Dunque, al contrario di quanto si può comunemente credere,l’incubo è manifestazione dei desideri più profondi e dei contenuti più rimossi.Per comprendere appieno, però, il processo terapeutico psicanalitico, spesso chiamatosemplicemente “analisi”, occorre tener presente che le tre tecniche <strong>del</strong>la liberaassociazione, <strong>del</strong>l’interpretazione degli atti mancati e <strong>del</strong>l’interpretazione dei sogni sonousate in modo correlato e intrecciato tra loro; che l’analisi necessita di tempo e digradualità, ovvero che l’indagine procede in base a correzioni e perfezionamenti successivi;che l’analista deve costantemente misurarsi con quella che Freud chiama “resistenza”, cioècon la tendenza <strong>del</strong>l’Io <strong>del</strong> paziente ad opporsi al disvelamento <strong>del</strong>le esperienze rimosse, equindi a negare o a depistare le interpretazioni analitiche. Proprio allo scopo di ridurrequesta resistenza, l’analista deve favorire il rilassamento <strong>del</strong> paziente – questa è lafunzione <strong>del</strong> “lettino” sul quale Freud fa stendere i suoi pazienti – e soprattutto indurre il“transfert”, cioè fare in modo che il paziente stabilisca con lui un rapporto di affetto efiducia, simile a quello vissuto con i propri genitori, ovvero che “trasferisca” nell’analista ilproprio padre e la propria madre. In altre parole, solo se l’analista è sentito come unsecondo padre o una seconda madre, il paziente può confidarsi e accettare queidesideri/impulsi che i propri genitori naturali gli avevano impedito, con la loro educazione,di accettare, ingenerando in lui la nevrosi. Ma questo comporta anche che il pazienteproietti sull’analista i sentimenti aggressivi o comunque negativi covati nei confronti deipropri genitori, ovvero che li esprima e li riviva credendo, almeno inizialmente, di provarliper il proprio analista.263


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 4FREUD: PULSIONE DI VITA E PULSIONE DI MORTELa nostra concezione è stata dualistica fin dall’inizio, e oggi – da che i termini opposti nonsono più chiamati pulsioni <strong>del</strong>l’Io e pulsioni sessuali, ma pulsioni di vita e pulsioni dimorte – lo è più decisamente che mai. […]Abbiamo preso le mosse dalla grande contrapposizione fra le pulsioni di vita e le pulsionidi morte. Lo stesso amore d’oggetto ci mostra una seconda polarità di questo tipo, quellafra amore (tenerezza) e odio (aggressività). Magari riuscissimo a mettere in rapporto fraloro queste due coppie polari, a far risalire l’una all’altra! Abbiamo sempre riconosciuto lapresenza di una componente sadica nella pulsione sessuale; come sappiamo essa puòrendersi autonoma e sotto forma di perversione, dominare l’intera attività sessuale di unindividuo. Essa compare anche, come pulsione parziale dominante, in una di quelle che hochiamato “organizzazioni pregenitali”. Ma come è possibile derivare la pulsione sadica, chemira a danneggiare l’oggetto, dall’Eros che preserva la vita? Non pare naturale supporreche questo sadismo sia in realtà una pulsione di morte che sotto l’influenza <strong>del</strong>la libidonarcisistica [cioè rivolta verso l’Io, ndr] è stata costretta ad allontanarsi dall’Io, per cui puòmanifestarsi soltanto in relazione all’oggetto? Il sadismo entra al servizio <strong>del</strong>la funzionesessuale nel modo seguente: nella fase orale di organizzazione <strong>del</strong>la libidol’impossessamento erotico coincide ancora con l’annientamento <strong>del</strong>l’oggetto, più tardi lapulsione sadica si separa, e, infine, nella fase <strong>del</strong> primato genitale, si subordina alla meta<strong>del</strong>la riproduzione assumendosi la funzione di sopraffare l’oggetto sessuale nella misura incui lo richiede l’esecuzione <strong>del</strong>l’atto sessuale. Si potrebbe dire che il sadismo espulso dall’Ioha indicato la strada alle componenti libidiche <strong>del</strong>la pulsione sessuale, e che più tardiqueste ultime si accalcano nell’oggetto. Quando il sadismo originario non si attenua né simescola con altre pulsioni, si determina, nella vita amorosa, la nota ambivalenza amoreodio.[…]Osservazioni cliniche ci avevano costretti, in passato, a ritenere che il masochismo, e cioèla pulsione parziale complementare al sadismo, debba essere inteso come un sadismo che ètornato a rivolgersi contro l’Io <strong>del</strong> soggetto. Ma una pulsione che abbandona l’oggetto perindirizzarsi sull’Io non è affatto diversa, in linea di principio, da una pulsione che compie ilmovimento inverso – dall’Io all’oggetto – tema di cui ci stiamo attualmente occupando. Ilmasochismo, e cioè il volgersi <strong>del</strong>la pulsione contro l’Io <strong>del</strong> soggetto, sarebbe dunque inrealtà un ritorno a una fase precedente <strong>del</strong>la storia <strong>del</strong>la pulsione stessa, sarebbe unaregressione. L’interpretazione <strong>del</strong> masochismo che avevo dato in passato dovrebbe essererettificata in un punto, perché troppo perentoria: il masochismo potrebbe anche averecarattere primario, possibilità che avevo allora escluso. […]L’aver riconosciuto che la tendenza dominante <strong>del</strong>la vita psichica, e forse <strong>del</strong>la vita nervosain genere, è lo sforzo che trova espressione nel principio di piacere, inteso a ridurre, amantenere costante, a eliminare la tensione interna provocata dagli stimoli (il “principio<strong>del</strong> Nirvana”, per usare un’espressione di Barbara Low), è in effetti uno dei più fortiargomenti che ci inducono a credere nell’esistenza <strong>del</strong>le pulsioni di morte.S. Freud, Al di là <strong>del</strong> principio <strong>del</strong> piacere, traduzione diA.M. Marietti e R. Colorni, BoringhieriIl proseguimento e l’approfondimento <strong>del</strong>la ricerca psicanalitica, basati sull’interazione trariflessione teorica e pratica terapeutica, spingono Freud a ipotizzare che la vita psichica siimperni su un dualismo ancora più profondo e radicale di quello che oppone il principio<strong>del</strong> piacere e il principio di realtà.264


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREIl principio <strong>del</strong> piacere è espressione diretta <strong>del</strong>l’Es, è libìdo, cioè desiderio sessuale, allostato puro e immediato. Il principio di realtà sovrintende alla realizzazione effettiva <strong>del</strong>desiderio sessuale, il cui soddisfacimento, altrimenti, sarebbe puramente immaginariooppure potrebbe mettere in pericolo la sopravvivenza <strong>del</strong>l’individuo. In questo senso, ilprincipio di realtà coincide con l’Io, ossia con l’istanza psichica dotata <strong>del</strong>le capacità dipercezione, attenzione e ragionamento e soprattutto di limitazione, differimento,adattamento <strong>del</strong>la libìdo.Freud giunge a comprendere che l’Io si costituisce in base a un processo che chiama“narcisismo”, rifacendosi anche in questo caso a un mito greco, quello <strong>del</strong> giovane Narcisoche si innamora <strong>del</strong>la propria immagine riflessa nell’acqua, ovvero di se stesso. Ilnarcisismo consiste nel fatto che una quota <strong>del</strong>la libìdo viene distolta dal suo investimentosull’oggetto esterno e investita invece sul soggetto stesso, ovvero sull’Io, che così sicostituisce e tende a conservarsi. In questa prospettiva, da un lato il principio di realtà ètutt’uno con la pulsione di conservazione, dall’altro, pur differenziandosi dal principio <strong>del</strong>piacere, ovvero dalla libìdo sessuale rivolta all’esterno, non è altro che una suatrasformazione, cioè appunto una libìdo narcisistica, l’amore <strong>del</strong>l’Io per se stesso.In realtà, secondo Freud, al di là <strong>del</strong> dualismo relativo Io/Es, principio di realtà/principio<strong>del</strong> piacere, nella psiche si annida un dualismo assoluto, quello tra: una pulsione di vita, Èros, che è alla base sia <strong>del</strong> narcisismo, cioè <strong>del</strong>lavalorizzazione <strong>del</strong>l’Io, sia <strong>del</strong>la libìdo sessuale che spinge l’individuo a stabilire congli altri rapporti affettivi e costruttivi;una pulsione di morte, Thànatos, che è alla base dei comportamenti aggressivi edistruttivi di ogni individuo non solo contro gli altri (sadismo) ma anche contro sestesso (masochismo).Freud giunge a teorizzare l’esistenza di una pulsione di morte a partire dalle sueosservazioni cliniche, in particolare dei fenomeni psichici <strong>del</strong> sadismo e <strong>del</strong>la coazione aripetere. Infatti, nella libìdo sessuale rivolta all’oggetto, cioè a un altro individuo, è semprerinvenibile una componente sadica, cioè aggressivo-distruttiva nei confronti <strong>del</strong>l’altro.Freud sostiene che in origine, nella fase orale <strong>del</strong>la sessualità, la componente sadica èaddirittura prevalente, in quanto il bambino assimila il possesso erotico all’annientamento<strong>del</strong>l’oggetto d’amore. Con l’evoluzione <strong>del</strong>la sessualità fino alla fase genitale, il sadismo siattenua sino a esprimersi in quel grado minimo di aggressività necessario all’attuazione<strong>del</strong>l’unione sessuale. Ma in ogni caso, benché subordinato e funzionale alla libìdo, ilsadismo rimane per Freud un impulso irriducibile a Èros, alla pulsione di vita.A sua volta, la coazione a ripetere, tipica di molte nevrosi, è quella sorta di automatismoche spinge il nevrotico a ripetere ossessivamente un comportamento fonte di sofferenzapsichica, perfino quando è diventato consapevole che è la causa <strong>del</strong> suo malessere. Nellacoazione a ripetere Freud rileva la presenza di una tendenza fondamentale all’odio di sestessi, a scaricare aggressività distruttiva non contro l’altro ma contro il proprio Io, in altreparole al masochismo. Ancor più <strong>del</strong> sadismo, il masochismo non può essere ricondotto,secondo Freud, alla pulsione di vita, ma deve essere imputato a una pulsione <strong>del</strong> tuttoopposta, la pulsione di morte. Addirittura, in questa prospettiva, Freud giunge adipotizzare che il masochismo sia la forma originaria di manifestazione <strong>del</strong>la pulsione dimorte, la quale solo in un secondo momento si esprime nel sadismo, spostando il suoinvestimento aggressivo dal soggetto interno all’oggetto esterno. In altre parole, per Freudil masochismo degli adulti è una modalità regressiva <strong>del</strong> sadismo, ovvero è un ritornoindietro <strong>del</strong>la pulsione di morte dalla sua forma più evoluta alla sua forma primitiva.Ma com’è possibile che la psiche alberghi originariamente una pulsione di morte? Comepuò convivere Èros con Thànatos, sua negazione assoluta? Per risolvere questi problemi,Freud si basa su una teoria generale <strong>del</strong>la realtà naturale. Egli sostiene che lo statooriginario, e quindi fondamentale <strong>del</strong>la natura, è la materia inorganica, meccanica, priva di265


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREvita. Di conseguenza, esiste per Freud una tendenza regressiva originaria in tutti gli esseriviventi, cioè una tendenza a tornare alla condizione primaria di materia non vivente,ovvero appunto a morire. Tale tendenza è confermata dal “principio di costanza”,caratteristico di tutti gli esseri viventi a partire dai primissimi organismi unicellulari,secondo il quale ogni animale tende a scaricare la tensione energetica che gli stimoliesterni gli suscitano in modo da raggiungere una condizione interna di rilassatezza. In altreparole, il soddisfacimento dei desideri ha come scopo ultimo l’assenza di qualsiasidesiderio, ovvero la quiete totale propria <strong>del</strong>la materia non vivente.266


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 5FREUD: IL SUPER-IO DELLA CIVILTA’L’analogia tra il processo d’incivilimento e il cammino <strong>del</strong>lo sviluppoindividuale si presta a essere significativamente estesa. Infatti, si puòsostenere che anche la comunità sviluppi un Super-io, sotto il cui influsso sicompie l’evoluzione civile. […] Il Super-io di un’epoca <strong>del</strong>la civiltà haun’origine simile al Super-io <strong>del</strong>l’individuo; è basato sull’impressione chehanno lasciato dietro di sé grandi personalità di capi: uomini dotati di unaforza spirituale capace di trascinare gli altri, o uomini in cui una <strong>del</strong>letendenze umane abbia trovato lo svolgimento più forte e più puro e soventeperciò anche più unilaterale. […]Lo studio e la terapia <strong>del</strong>le nevrosi c’inducono a muovere due rimproveri alSuper-io individuale: esso si preoccupa troppo poco, nella severità dei suoiimperativi e divieti, <strong>del</strong>la felicità <strong>del</strong>l’Io, in quanto non tiene abbastanza conto<strong>del</strong>le resistenze contro l’ubbidienza: <strong>del</strong>la forza pulsionale <strong>del</strong>l’Es in primoluogo e, inoltre, <strong>del</strong>le dif<strong>fico</strong>ltà <strong>del</strong> mondo circostante reale. Quindi siamomolto spesso obbligati, per i nostri intenti terapeutici, a combattere il Superioe ci sforziamo di ridurre le sue pretese. Obiezioni <strong>del</strong> tutto analoghepossiamo sollevare contro le esigenze etiche <strong>del</strong> Super-io <strong>del</strong>la civiltà.Anch’esso non si preoccupa abbastanza degli elementi di fatto nellacostituzione psichica degli esseri umani; emana un ordine e non si domandase sia possibile eseguirlo. Presume, anzi, che l’Io <strong>del</strong>l’uomo siapsicologicamente in grado di sottostare a qualsiasi richiesta, che l’Io abbia unpotere illimitato sul suo Es. Questo è un errore, e anche negli uominicosiddetti normali la padronanza <strong>del</strong>l’Es non può superare certi limiti.Esigendo di più, si produce nell’individuo la rivolta o la nevrosi, o lo si rendeinfelice. […]Il problema fondamentale <strong>del</strong> destino <strong>del</strong>la specie umana a me sembra siaquesto: se, e fino a che punto, l’evoluzione civile riuscirà a padroneggiare iturbamenti <strong>del</strong>la vita collettiva provocati dalla pulsione aggressiva eautodistruttiva degli uomini. In questo aspetto proprio il tempo presentemerita forse particolare interesse. Gli uomini adesso hanno esteso talmente ilproprio potere sulle forze naturali, che giovandosi di esse sarebbe facilesterminarsi a vicenda, fino all’ultimo uomo. Lo sanno, donde buona parte<strong>del</strong>la loro presente inquietudine, infelicità, apprensione. E ora c’è daaspettarsi che l’altra <strong>del</strong>le due “potenze celesti”, l’Eros eterno farà uno sforzoper affermarsi nella lotta con il suo avversario [Thànatos: la pulsione dimorte, ndr] parimenti immortale. Ma chi può prevedere se avrà successo equale sarà l’esito?S. Freud, Il disagio <strong>del</strong>la civiltà, trad. A.M. Marietti e R. Colorni, Boringhieri, §§ 7-8Freud ritiene che la teoria psicanalitica possa essere applicata non solo alla spiegazione<strong>del</strong>la vita psichica individuale ma possa anche essere estesa alla spiegazione <strong>del</strong>la vitasociale.Da questo punto di vista, innanzitutto Freud si impegna nella spiegazione psicanalitica<strong>del</strong>la possibilità stessa <strong>del</strong>la comunità umana, ovvero <strong>del</strong>l’origine <strong>del</strong>la società. Infatti, lacostituzione psichica naturale <strong>del</strong>l’individuo include la tendenza di ogni uomo ad aggrediree distruggere gli altri, nata dalla necessità di deviare la pulsione di morte da sé versol’esterno. Stando così le cose, com’è possibile la convivenza pacifica tra gli uomini, ovvero267


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREla loro cooperazione civile? Freud risponde che è possibile grazie alla formazione <strong>del</strong>Super-io individuale, ovvero <strong>del</strong>l’insieme di regole introiettate nel processo educativo chehanno la funzione di limitare non solo il soddisfacimento dei propri desideri ma anche latendenza naturale alla violenza contro gli altri. Ma il Super-io può svolgere la sua funzionelimitativa solo in quanto ha la capacità di esercitare una pressione coercitiva sull’Io, ovverodi punirlo se trasgredisce le regole e di minacciarlo di punizione per indurlo a rispettare leregole. Dunque il Super-io, sostiene Freud, deve possedere una forza psichica autonoma econtraria all’Io. Da dove viene tale forza?Essa, afferma Freud, è una quota <strong>del</strong>la pulsione di morte non più scaricata contro gli altribensì, come in origine, contro l’Io. Lo strumento che il Super-io usa per punire ominacciare l’Io, ossia per obbligarlo a rispettare le regole sociali, è il senso di colpa che èpercepito da ogni individuo come “angoscia morale”, cioè come un dolore interioreassociato a una senzazione di schiacciamento o contrazione. Ma come è possibile che l’Io,dopo aver deviato verso l’esterno la pulsione di morte, e quindi l’aggressività, grazie allapulsione di vita investita narcisisticamente su di sé, torni a rivolgerla, pur soloparzialmente, contro di sé? Cosa lo spinge, o lo costringe, ad attuare questo processomasochistico?La soluzione di Freud è incardinata sulla natura debole, e quindi necessariamentedipendente dagli altri, <strong>del</strong>l’essere umano. In altre parole, per risolvere il problema, Freud sischiera a favore <strong>del</strong>la antica tesi <strong>del</strong>la natura sociale <strong>del</strong>l’uomo: ogni individuo umano èoriginariamente legato agli altri perché altrimenti, vivendo da solo, si priverebbe <strong>del</strong>laprotezione sia nei confronti degli elementi naturali sia nei confronti di altri individui piùforti e dunque metterebbe in pericolo la propria sopravvivenza. Stando così le cose, ogniindividuo è spinto a limitare la propria aggressività verso gli altri, e quindi a rivolgerne unaparte contro di sé, perché teme che, se non lo facesse, perderebbe la protezione degli altri.Insomma, il senso di colpa si costruisce sulla paura <strong>del</strong>la perdita <strong>del</strong>l’amore altrui e, diconverso, il conseguimento <strong>del</strong>l’amore degli altri è per Freud il criterio fondamentale <strong>del</strong>lamorale, ciò che stabilisce se un’azione è buona o malvagia.Avendo così messo in luce la radice sociale <strong>del</strong> Super-io individuale, Freud introduce unanuova tesi, ancor più radicale: esiste un Super-io <strong>del</strong>la civiltà, una sorta di Super-iocollettivo, che, oltretutto, è il motore <strong>del</strong>l’evoluzione <strong>del</strong>la civiltà, cioè <strong>del</strong> progresso storico,e dunque muta con le diverse epoche <strong>del</strong>la storia. Il Super-io <strong>del</strong>la civiltà si forma in modoanalogo a quello individuale: se il Super-io individuale si costituisce in baseall’interiorizzazione <strong>del</strong>le figure parentali, in particolare <strong>del</strong> padre, il Super-io sociale sisviluppa a partire <strong>del</strong>l’impressione suscitata nella collettività umana da alcune grandipersonalità storiche dotate di un’enorme forza spirituale di convincimento oppure di unacerta capacità naturale posseduta in quantità straordinaria. In alcuni casi tali uominicarismatici sono derisi, insultati, maltrattati e perfino uccisi. Freud cita l’esempioparadigmatico di Gesù Cristo per sostenere che sono proprio gli uomini eccezionalimisconosciuti e perseguitati coloro che più hanno contribuito alla formazione e allosviluppo <strong>del</strong> Super-io civile. Perché? Freud spiega l’apparente paradosso, ipotizzando, sullascorta di Darwin, che nell’epoca primitiva la specie umana vivesse in orde, cioè piccolecomunità tribali, guidate da un unico maschio adulto che aveva il monopolio <strong>del</strong>le donneed esercitava il dominio sugli altri maschi-figli. Crescendo, i figli maschi si sarebberocoalizzati per uccidere il padre-padrone e se ne sarebbero cibati per acquisirne la forza. Mauna calamità naturale o una sventura casuale avrebbe suscitato nei figli il senso di colpaper il <strong>del</strong>itto commesso e il bisogno di espiarlo attraverso la divinizzazione e il cultoreligioso <strong>del</strong> padre ucciso. Analogamente, nella storia successiva, uomini straordinari comeGesù Cristo – ma Freud avrebbe potuto citare anche Socrate o Giulio Cesare – avrebberoriattivato e rafforzato il senso di colpa, ovvero il Super-io.268


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREPerò, secondo Freud, c’è anche un altro aspetto per il quale il Super-io <strong>del</strong>la civiltà è simileal Super-io individuale: anche il primo, come il secondo, impone agli uomini di seguire uncomportamento ideale, anzi sempre più ideale, e, in caso contrario, anch’esso punisceattraverso l’angoscia. A differenza <strong>del</strong>l’ideale <strong>del</strong> Super-io individuale, quello <strong>del</strong> Super-iocivile si configura come un’etica, cioè come un sistema ordinato, esaustivo e soprattuttouniversale di regole comportamentali. In questo senso il principio etico cristiano “ama ilprossimo tuo come te stesso”, è l’esempio emblematico <strong>del</strong>l’etica e <strong>del</strong>la sua idealità. PerFreud, infatti, da un lato rappresenta in linea di principio il massimo fondamento <strong>del</strong>laconvivenza civile, dall’altro però è di fatto irrealizzabile, perché non tiene conto<strong>del</strong>l’effettiva natura <strong>del</strong>l’uomo. Di conseguenza, Freud muove al Super-io civile una fortecritica: esso pretende troppo dall’uomo, perché non tiene conto <strong>del</strong>le sue inestirpabilipulsioni naturali. Ciò non ha solo e tanto come conseguenza l’infelicità individuale, quantola nevrosi o addirittura la ribellione, cioè lo scatenamento <strong>del</strong>la violenza troppo e troppo alungo repressa. In altri termini, l’ideale etico <strong>del</strong> Super-io <strong>del</strong>la civiltà rischia di produrreproprio l’effetto distruttivo che vorrebbe evitare.Per questo Freud dichiara di non poter unirsi al coro degli intellettuali che esaltano laciviltà umana e il suo inarrestabile progresso. D’altra parte, Freud aggiunge anche dicomprendere le ragioni di chi sostiene che la civiltà è inevitabile, ovvero che èimproponibile un ritorno allo stato naturale originario. In tal senso, Freud ammette, nonsenza rammarico, di non essere un “profeta”, cioè di non avere la capacità di indicareall’uomo europeo contemporaneo una via d’uscita alla sua crisi di civiltà. Di fatto, però,Freud ci dà un’indicazione almeno parziale: la civiltà non si può e non si deve eliminare e,con essa, di conseguenza, nemmeno il Super-io e l’inevitabile quota di infelicità che essocomporta; ma questa può e deve essere circoscritta al minimo necessario, attenuando lerichieste <strong>del</strong> Super-io, abbassandone decisamente le pretese idealistiche, in modo dalegittimare le insopprimibili esigenze naturali <strong>del</strong>l’uomo, il cui soddisfacimento èindispensabile a dargli quella parziale felicità che sola rende apprezzabile la vita.269


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREROTTA BLA TEORIA DELLA RELATIVITA’ E LA TEORIA DEI QUANTINel corso <strong>del</strong>l’Ottocento la ricerca <strong>scienti</strong>fica si estende e si intensifica sulla base <strong>del</strong>paradigma materialistico-meccanicistico risalente a Galileo e Newton, la cosiddetta“fisica classica”. Nel 1873 il fisico inglese Maxwell pubblica il Trattatosull’elettromagnetismo, contenente una teoria matematica organica e completa <strong>del</strong>laforza elettromagnetica. L’unificazione definitiva <strong>del</strong> magnetismo e <strong>del</strong>l’elettricità, nonché<strong>del</strong>la luce, considerata un tipo di radiazione elettromagnetica, sembra rappresentare iltrionfo <strong>del</strong>la fisica classica. Eppure, paradossalmente, proprio la teoria elettromagneticadi Maxwell implica un’anomalia <strong>del</strong> paradigma materialistico-meccanicistico: lacostanza <strong>del</strong>la velocità <strong>del</strong>la luce, pari a 300.000 km/s. Ciò significa che la velocità <strong>del</strong>laluce non aumenta né diminuisce mai per qualsiasi sistema di riferimento, ovvero perqualsiasi osservatore. P.e., il raggio di luce emesso dalla torcia di un pedone fermo ha lastessa velocità di quello emesso da un’auto in corsa a 300 all’ora, piuttosto che daun’aereo che vola alla velocità <strong>del</strong> suono. Per comprendere il significato <strong>del</strong>l’esempio fattobasta compararlo con un esempio analogo in cui il pedone, l’auto o l’aereo sparano unproiettile nel senso <strong>del</strong> loro moto: il proiettile sparato dall’auto è più veloce di quellosparato dal pedone, e quello sparato dall’aereo lo è ancora di più di quello sparatodall’auto. Infatti in tutti e tre i casi la velocità <strong>del</strong> proiettile è data dalla somma <strong>del</strong>la suavelocità, quella impressagli dalla pistola, e <strong>del</strong>la velocità <strong>del</strong> sistema di riferimento(pedone, auto, aereo) dal quale è sparato.In altre parole, dalle equazioni di Maxwell risulta che la luce, e in generale tutte le ondeelettromagnetiche, non rispetta il principio di composizione (addizione o sottrazione)<strong>del</strong>le velocità, secondo il quale, p.e., se su un tram che va a 60 km/h io cammino a 5 km/hnel suo stesso senso di marcia, la mia velocità è di 65 km/h (rispetto a un osservatoreesterno) mentre se vi cammino a 5 km/h nel senso di marcia opposto (cioè muovendomiverso il retro) la mia velocità è 55 km/h (sempre rispetto a un osservatore esterno). Ma ilprincipio di composizione <strong>del</strong>le velocità, a sua volta, è parte integrante <strong>del</strong> principio direlatività galileiana, secondo il quale tutti i moti meccanici inerziali (cioè rettilineiuniformi) sono relativi uno all’altro: se sono in un’auto in movimento non posso stabilireche mi muovo e a quale velocità se non in relazione a un sistema di riferimento esterno,p.e. un albero o una casa. Il punto è che il principio di relatività galileiana, grazie asemplici equazioni (dette “trasformazioni galileiane”), permette di “tradurre” i fenomenimeccanici di un sistema di riferimento in quelli di ogni altro, ovvero permette di unificaretutti i fenomeni meccanici, cioè di avere le leggi fisiche uniche e invarianti per tutta larealtà. Dunque, la scoperta <strong>del</strong>la costanza <strong>del</strong>la velocità <strong>del</strong>la luce colpisce al cuore lafisica classica, introducendo un dualismo tra fenomeni meccanici e fenomenielettromagnetici e incrinandone la fiducia nella possibilità di disporre di una conoscenzaunitaria <strong>del</strong> mondo fisico.La reazione <strong>del</strong>la comunità <strong>scienti</strong>fica alla scoperta teorica di Maxwell è di scetticismoper non dire di rifiuto. Alcuni la mettono alla prova con opportuni esperimenti, altricercano di confutarla a livello teorico-matematico: sia gli uni sia gli altri falliscono.Einstein è lo scienziato che, invece, accetta la costanza <strong>del</strong>la velocità <strong>del</strong>la luce come undato reale e ne deduce due conseguenze fisico-teoriche rivoluzionarie: né lo spazio né iltempo sono grandezze assolute, entrambi sono relativi, cioè variano al variare <strong>del</strong>sistema di riferimento. Questa tesi costituisce il nucleo e, insieme, il punto di partenza<strong>del</strong>la “teoria <strong>del</strong>la relatività” che Einstein elabora in due stadi e che pertanto risultaarticolata in due parti: la teoria <strong>del</strong>la relatività ristretta (o speciale), che riguarda tutti i fenomeni fisici(sia meccanici sia elettromagnetici) riconducibili al moto inerziale, cioè al motorettilineo uniforme;270


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORE la teoria <strong>del</strong>la relatività allargata (o generale), che comprende anche i fenomenifisici riconducibili ai moti accelerati, ovvero a tutti i tipi di moti.Ma a partire dal 1900, ad opera di numerosi scienziati (Planck, lo stesso Einstein, Bohr,De Broglie, Heisenberg, Born, Schroedinger, Dirac, Pauli, Feynman, Bell, e altri ancora),nasce e si sviluppa una teoria ancora più rivoluzionaria di quella <strong>del</strong>la relatività: lateoria dei quanti. “Quanto” è il nome che viene dato alle particelle elementari (dapprimafotoni, elettroni, protoni, neutroni, poi i quark, i neutrini, ecc.), cioè ai “mattoni” <strong>del</strong>lamateria, dal momento che esse consistono in “pacchetti” o “grumi” di energia che sitrasmette, ovvero aumenta o diminuisce d’intensità, solo per multipli interi di un valorepiccolissimo (detto costante di Planck), cioè in modo discreto o discontinuo. La teoria deiquanti si contrappone alla fisica classica in primo luogo perché sostiene che le particelleelementari possono essere sia onde sia corpuscoli e che è impossibile determinarne conesattezza il moto e la posizione; in secondo luogo perché teorizza che una stessaparticella/onda possa essere in più luoghi simultaneamente, possa attraversare areeinaccessibili, possa emergere dal vuoto, e possa trasmettere informazioni a un’altraparticella istantaneamente, cioè a velocità infinita. Ma, per questi stessi, motivi la teoriadei quanti è in contrasto con la stessa teoria <strong>del</strong>la relatività di Einstein, secondo la qualela natura è deterministica, l’energia è continua e la velocità <strong>del</strong>la luce non è superabile. Ilcontrasto è ancor più stridente non appena si metta a fuoco che i corpi oggetto <strong>del</strong>lateoria <strong>del</strong>la relatività sono composti di particelle elementari e dunque dovrebberocomportarsi come ciò di cui sono costituiti.VITA DI UN CAPITANOALBERT EINSTEINNacque nel 1879 a Ulm, città <strong>del</strong>la Germania sud-occidentale, non lontana da Tubinga,sede <strong>del</strong>la famosa università dove avevano studiato Schelling ed Hegel. La sua famiglia eradi origini ebraiche, ma non credente, e nel 1880 si trasferì a Monaco di Baviera, dove ilpadre Hermann e il fratello Jakob, ingegnere, fondarono una piccola aziendaelettromeccanica. Einstein seguì l’iter degli studi scolastici tedeschi di quegli anni,coltivando un particolare interesse, fin dai 10 anni e fino ai 16, per la <strong>filoso</strong>fia, poirimpiazzata dalla fisica. A partire dai sei anni, per volontà <strong>del</strong>la madre musicista, studiò ilviolino che continuò poi a suonare per tutta la vita. Lo zio invece lo stimolò nello studio<strong>del</strong>l’algebra, e più in generale <strong>del</strong>la matematica, nel quale Einstein rivelò fin dall’inizio unasorprendente capacità. Per alcuni anni l’impresa familiare si espanse ma poi fu schiacciatadalla concorrenza. Così nel 1894, gli Einstein si trasferirono prima a Pavia, nella stessacasa dove aveva vissuto Ugo Foscolo, poi a Milano, nella speranza di poter trovarecondizioni più favorevoli a un nuovo tentativo imprenditoriale. <strong>Albert</strong> fu però lasciato aMonaco presso un parente, perché non interrompesse i suoi studi liceali. Ma, oltre asoffrire la lontananza dei genitori, Einstein aborriva la scuola tedesca, sia per il pesoeccessivo <strong>del</strong> greco e <strong>del</strong> latino sia per la disciplina marziale. Da bambino era scoppiato inpianto assistendo a una parata militare e si era fatto promettere dai genitori che nonavrebbe mai dovuto fare il soldato da grande. Ma nel II Reich tedesco era quasi impossibileper un maschio evitare il servizio militare, a meno di andare all’estero e rinunciare allacittadinanza tedesca. Fu così che nel dicembre <strong>del</strong> 1894 <strong>Albert</strong> Einstein bussò alla porta<strong>del</strong>la casa italiana dei suoi genitori: approfittando <strong>del</strong>l’invito <strong>del</strong> suo professore di Greco adabbandonare l’Istituto che frequentava, Einstein di propria iniziativa aveva deciso diabbandonare per sempre la scuola tedesca e la stessa Germania e di partire per l’Italia. Isuoi genitori furono costretti ad accettare la sua decisione. Einstein così terminò gli studisuperiori presso un liceo svizzero. Ottenuto poi il ritiro <strong>del</strong>la cittadinanza tedesca, edunque libero da qualsiasi obbligo militare, nel 1896 Einstein poté iscriversi al Politecnicodi Zurigo. Negli anni universitari Einstein divenne amico <strong>del</strong> suo compagno di studi Marcel271


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREGrossmann, che diventerà un importante matematico, e si innamorò di una sua compagnadi corso, l’unica donna ammessa al Politecnico, una ragazza serba, Mileva Maric, di quattroanni più grande di Einstein, per alcuni brutta per altri di una bellezza inquietante, di certoclaudicante a causa di una malformazione all’anca. In realtà era una donna dallo sguardodeciso e sensuale, con un volto dai caratteri forti e marcati, grandi occhi scuri, naso elabbra quasi africane, che potevano darle un aspetto mascolino. Negli anni universitari,Einstein mise in secondo piano gli studi matematici puri e si dedicò prevalentemente aglistudi fisici, in particolare allo studio degli esperimenti di laboratorio. Come scrisse nellasua autobiografia, era “affascinato dal contatto diretto con l’esperienza”.Nel 1900 Einstein conseguì la laurea che gli permetteva di insegnare Matematica e Scienzenelle scuole superiori. Ma il suo obiettivo era diventare assistente di un docenteuniversitario, cioè intraprendere da subito la carriera universitaria. Pertantonell’immediato puntò a ottenere un dottorato di ricerca sulla base di una sua dissertazione<strong>scienti</strong>fica. Come se non bastasse decise di sposarsi con Mileva Maric scontrandosi conl’opposizione dei genitori. Ma Einstein si dovette scontrare anche e soprattutto con iltradizionalismo, i pregiudizi e gli intrighi di potere <strong>del</strong>l’ambiente accademico e alla finedecise di ritirare la sua dissertazione e di rinunciare al dottorato. In compenso nel 1901ottenne la cittadinanza svizzera e questo gli permise di trovarsi un lavoro, dal momentoche, senza il dottorato, non sarebbe stato altrimenti in grado di mantenersi e soprattutto disposarsi. Dapprima fece il supplente in una scuola tecnica, poi diede ripetizioni in uncollegio privato. Einstein viveva con Mileva Maric in un monolocale arredato conl’essenziale e in ristrettezze economiche. Per aumentare le sue entrate decise allora di dareanche ripetizioni private e mise un’inserzione su un quotidiano di Berna: “Lezioni privatedi Matematica e Fisica per studenti universitari e di scuola superiore tenute con lamassima accuratezza da <strong>Albert</strong> Einstein, diplomato al Politecnico federale,Gerechtigkeitsgasse 32, primo piano. Lezioni di prova gratuite.” In base a questo annuncio,Einstein conobbe lo studente romeno Maurice Solovine, diventò suo amico e con lui fondòl’Akademie Olympia: un circolo di intellettuali amici che si riuniva in casa di Einstein perdiscutere di volta in volta una diversa opera classica, di carattere <strong>filoso</strong><strong>fico</strong> o <strong>scienti</strong><strong>fico</strong>,spesso nel corso di una cena. Einstein apprezzava molto la buona cucina, anche se nonpoteva permettersi cibi costosi. Eppure l’amore per la conoscenza superava in lui ogni altropiacere. Gli amici, infatti, una sera gli avevano comprato <strong>del</strong> caviale e glielo avevano fattomangiare a sorpresa, senza dirgli prima cosa fosse. Impegnato a parlare <strong>del</strong> principiod’inerzia in Galileo, Einstein lo mangiò come se fosse pane e solo dopo aver finito e aversaputo cosa aveva mangiato si rammaricò di non avergli dedicato la dovuta attenzione.All’inizio <strong>del</strong> 1902 Milena diede alla luce una bambina, Lieserl. In seguito alla morte <strong>del</strong>padre, Einstein nel 1903 poté finalmente sposare Mileva con rito civile. Poco dopo, grazieall’interessamento <strong>del</strong> padre <strong>del</strong>l’amico Grossmann, Einstein riuscì a ottenere l’assunzionea tempo indeterminato come impiegato <strong>del</strong>l’Ufficio brevetti di Berna. Ciò nonostante dal1903, la figlia Lieserl sparì nel nulla. L’ipotesi più attendibile sulla sua scomparsa è cheEinstein, che avrebbe voluto un maschio, convinse Mileva a lasciarla in adozione a qualchesuo parente serbo. L’anno successivo nacque il primo figlio maschio, Hans <strong>Albert</strong>, chesarebbe diventato un brillante ingegnere idraulico. Nel 1905 Einstein lasciò Berna e sitrasferì a Lione. L’Akademie Olympya si sciolse per sempre. Einstein aveva scelto lacarriera e rinunciato ai sogni giovanili. Proprio il 1905 è l’annus mirabilis (espressioneconiata per la prima volta in riferimento al 1666 di Newton) nel quale Einstein scrisse epubblicò cinque saggi (Su un punto di vista euristico relativo alla produzione e allatrasformazione <strong>del</strong>la luce, Una nuova determinazione <strong>del</strong>le dimensioni molecolari, Sulmoto di piccole particelle in sospensione nei liquidi a riposo come prescritto dalla teoriacinetico-molecolare <strong>del</strong> calore, Sull’elettrodinamica dei corpi in moto, L’inerzia di uncorpo di un corpo dipende dal suo contenuto d’energia?), che rendevano note altrettante272


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREscoperte teoriche: il carattere quantistico <strong>del</strong>la luce in relazione all’effetto fotoelettrico (dacui in seguito venne tratta la nozione di fotone, il quanto di energia luminosa), un nuovometodo per calcolare le dimensioni <strong>del</strong>le molecole e <strong>del</strong> numero di Avogadro, ladimostrazione teorica <strong>del</strong>l’esistenza degli atomi (sperimentalmente confermata in seguitoda J.-B. Perrin), la teoria <strong>del</strong>la relatività ristretta e infine la famosa equazione E=mc 2 , chene rappresentava il coronamento. Una tale produttività teorica, a giudizio degli stessiscienziati, era straordinaria, se non <strong>del</strong> tutto incredibile. Per questo qualcuno ha ipotizzatoche le teorie di Einstein, in particolare quella <strong>del</strong>la relatività, siano state il frutto di unaricerca comune di Einstein e di Mileva Maric. Non ci sono elementi sufficienti né peraffermarlo né per escluderlo. E’ quasi certo, però, che Mileva Maric collaborò con Einsteinnell’effettuazione dei lunghi e complessi calcoli matematici su cui si basavano le teorieeinsteiniane, fornendogli un aiuto decisivo.Con la pubblicazione dei suoi cinque saggi nel 1905, la comunità <strong>scienti</strong>fica accademicacominciò a cambiare atteggiamento nei confronti di Einstein: nel 1908 divenne liberodocente a Berna, l’anno dopo docente associato a Zurigo, nel 1911 docente ordinario aPraga, nel 1912 docente ordinario a Zurigo. Nel frattempo, nel 1910, Mileva ebbe un terzofiglio, un altro maschio che fu chiamato Eduard, e che in seguito, dopo essere diventatopsichiatra, fu affetto da una grave forma di schizofrenia e passò la sua vita negli ospedalipsichiatrici. La fulminea carriera accademica di Einstein non era affatto conclusa. Anzi eraancora agli esordi. Nel 1913 Einstein ricevette la visita dei famosi scienziati tedeschi Plancke Nernst che gli comunicarono la richiesta di essere eletto nell’Accademia prussiana <strong>del</strong>lescienze, senza obbligo d’insegnamento, e quindi con la possibilità di dedicarsi totalmentealla ricerca in collaborazione con i massimi scienziati <strong>del</strong>l’epoca, nonché con uno stipendiospeciale, di gran lunga superiore ai precedenti, pur notevoli. Avendo avuto la garanzia chenon avrebbe dovuto riprendere la cittadinanza tedesca, Einstein accettò e si trasferì aBerlino nell’aprile <strong>del</strong> 1914. In realtà, in seguito Einstein, messo sotto pressione, accettò diriprendere la cittadinanza tedesca. Benché i suoi rapporti col marito si fossero giàdeteriorati, Mileva lo seguì coi figli a Berlino ma, poco dopo, mentre scoppiava la I guerramondiale, tornò a Zurigo con i figli definitivamente. Nel 1919 Mileva Moric e <strong>Albert</strong>Einstein divorziarono consensualmente e nello stesso anno Einstein sposò la cugina Elsa,anche lei divorziata e con due figlie. Ma nemmeno il secondo matrimonio andò meglio.Come con Milena, anche con Elsa, Einstein si disamorò ben presto e allacciò relazioni conmolte altre donne, soprattutto più giovani di lui. Nonostante i continui tradimenti <strong>del</strong>marito, Elsa non lo lasciò mai, fino alla sua morte nel 1936. Dopo l’inizio <strong>del</strong>la Grandeguerra, Einstein aderì al Manifesto degli europei, una presa di posizione contro la guerradi una minoranza di scienziati e intellettuali tedeschi, in contrapposizione al manifestobellicista e filomilitarista sottoscritto precedentemente dalla stragrande maggioranza degliscienziati e degli intellettuali tedeschi. Durante gli anni <strong>del</strong>la guerra, Einstein si dedicòtotalmente all’elaborazione <strong>del</strong>la sua teoria <strong>del</strong>la relatività generale, che pubblicò nel 1916con il saggio intitolato I fondamenti <strong>del</strong>la teoria <strong>del</strong>la relatività generale, e che completònel 1917 pubblicando il saggio Considerazioni cosmologiche sulla teoria <strong>del</strong>la relativitàgenerale. Già durante la guerra, lo scienziato inglese Eddington provò a sfruttare un’eclissidi Sole e a organizzare una spedizione per controllare sperimentalmente la predizione diEinstein sulla deflessione dei raggi stellari che giungono sulla Terra passando vicino alSole. Il primo tentativo fallì, a causa <strong>del</strong>la guerra in corso, ma il secondo, nel 1919 a guerrafinita, sull’isola di Principe, nel golfo di Guinea, riuscì e confermò la previsione einsteianabasata sulla teoria <strong>del</strong>la relatività generale. Il risultato fu ratificato da un’altra spedizionedi scienziati, contemporanea, ma nel Nord <strong>del</strong> Brasile. Quando, nel novembre <strong>del</strong> 1919, lanotizia arrivò a Londra e fu pubblicata sui giornali, Einstein divenne improvvisamente loscienziato più famoso <strong>del</strong> mondo.273


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREL’anno successivo, però, Einstein perdette la madre e cominciò a essere oggetto di attacchie diffamazioni dei movimenti antisemitici tedeschi, che negli anni successivi si sarebberofatti sempre più numerosi e drastici. Nel 1921, Einstein ricevette il premio Nobel, ma nonper la sua teoria <strong>del</strong>la relatività, bensì per la teoria <strong>del</strong>l’effetto fotoelettrico e <strong>del</strong>la naturaquantistica <strong>del</strong>la luce. In ogni caso, Einstein diede alla ex moglie Mileva Moric tutti i soldi<strong>del</strong> premio. Negli anni ’20 e ’30, sul piano <strong>scienti</strong><strong>fico</strong> Einstein lavorò dapprima alladimostrazione teorica, sulla base <strong>del</strong>l’equazione <strong>del</strong>la relatività generale, <strong>del</strong> caratterestatico, ovvero stazionario, <strong>del</strong>l’universo. A tal fine introdusse una ulteriore grandezza –chiamata poi “costante cosmologica” -, interpretabile come una forza repulsiva, che,compensando ed equilibrando la forza attrattiva gravitazionale, garantiva appunto lastaticità <strong>del</strong>l’universo. Nel 1929, la scoperta da parte di Hubble <strong>del</strong>l’allontanamentoreciproco <strong>del</strong>le galassie falsificò clamorosamente la teoria einsteiana e lo stesso Einsteindichiarò che si era trattato <strong>del</strong> più grande errore <strong>scienti</strong><strong>fico</strong> che aveva commesso.Paradossalmente, alla fine degli anni ’90, gli scienziati sono invece tornati a teorizzarel’esistenza di una gravità repulsiva per spiegare l’accelerazione, sperimentalmenteaccertata, <strong>del</strong> moto centrifugo <strong>del</strong>le galassie. Questo, naturalmente, senza mettere indiscussione la teoria <strong>del</strong> big bang, ma solo rivedendo le ipotesi sugli esiti futuri<strong>del</strong>l’espansione <strong>del</strong>l’universo.Il secondo fronte <strong>scienti</strong><strong>fico</strong> sul quale Einstein combatté fino alla morte fu quello <strong>del</strong>lateoria dei quanti. Einstein era fermamente convinto che la natura si basasse sul principiodi causalità e quindi credeva nel determinismo, come attesta la sua famosa sentenzametaforica: “Dio non gioca a dadi”. La teoria quantistica, invece, sostenendol’indeterminatezza oggettiva <strong>del</strong> comportamento <strong>del</strong>le particelle elementari, minava lostesso principio di causalità, in quanto rendeva impossibile per principio ogni previsioneesatta. Einstein fino alla fine sostenne che la teoria dei quanti era incompleta, ovvero chenon teneva conto di alcune “variabili nascoste”, una volte scoperte le quali tutte le suestranezze si sarebbero spiegate in modo causale e deterministico. Di fatto, però, benchéancora dal 1945 al 1955 lavorasse assiduamente all’elaborazione di una teoria unificata,cioè capace di conciliare relatività, elettromagnetismo e quantismo, allo scopo di superareil dualismo onda-corpuscolo, il principio di indeterminazione e tutte le stranezze <strong>del</strong>quantismo, Einstein non riuscì mai a completarla e a metterla a punto in modosoddisfacente.D’altra parte, a partire dagli anni ’20, Einstein si dedicò sempre di più, da un lato, alsostegno <strong>del</strong> movimento sionista e, dall’altro, alla promozione <strong>del</strong> pacifismo nel mondo.Durante il suo primo viaggio negli USA, nel 1921, si prodigò per raccogliere finanziamentiper la costruzione <strong>del</strong>l’Università ebraica di Gerusalemme, fondata da Chaim Weizmann,presidente <strong>del</strong>l’Organizzazione mondiale <strong>del</strong> sionismo e futuro primo presidente di Israele.Nel 1925 Einstein firmò con Gandhi, che incontrò personalmente, il manifesto contro ilservizio militare obbligatorio, da lui considerato il principale fattore dei nazionalismo e<strong>del</strong>le guerre. Nel 1932 partecipò alla Conferenza per il disarmo, ma più in generale durantetutti gli anni ’20 e ‘30 tenne numerosi discorsi e conferenze in Germania e in tutto ilmondo per sostenere la causa pacifista. Proprio alla fine <strong>del</strong> 1932, ormai consapevole <strong>del</strong>destino <strong>del</strong>la Germania, Einstein tornò negli USA, diede le dimissioni dall’Accademia <strong>del</strong>lescienze e rinunciò, per la seconda volta, alla cittadinanza tedesca. Dopo un ultimo tour inEuropa, nel 1933 Einstein si stabilì definitivamente negli USA (avrebbe ottenuto lacittadinanza americana nel 1940), dove divenne docente all’Univesità di Princeton e, inseguito, strinse un’amicizia particolarmente forte ed emblematica con il matematico KurtGoe<strong>del</strong>, l’autore <strong>del</strong> famoso teorema di incompletezza (1931).Nel 1939, in una lettera inviata a F.D. Roosevelt, Einstein avvertì il presidente USA che inazisti stavano conducendo ricerche per costruire una bomba atomica e che avevano lapossibilità di raggiungere l’obiettivo e, pertanto, lo sollecitò ad avviare un analogo274


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREprogramma di ricerca per evitare che la Germania nazista potesse ottenere la superioritàmilitare a livello mondiale. Einstein lasciò scritto che era consapevole <strong>del</strong>le conseguenzeche l’uso di un’arma atomica avrebbe comportato, e di quanto ciò contrastasse con il suoideale pacifista, ma che considerava ancora più terribile la possibilità che il nazismoimponesse il suo dominio sul mondo intero. Ciò nonostante, Einstein non partecipò inalcun modo al progetto Manhattan di costruzione <strong>del</strong>la bomba atomica americana equando Truman nel 1945 fece sganciare due bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki,Einstein condannò recisamente la decisione <strong>del</strong> presidente USA, e negli anni successivinon smise di pentirsi <strong>del</strong>la lettera scritta a Roosevelt. Nel secondo dopoguerra, riprese eradicalizzò la sua azione di propaganda a favore <strong>del</strong> pacifismo, teorizzando la necessità <strong>del</strong>disarmo e di un governo mondiale capace di evitare i conflitti bellici.Infine, negli ultimidecenni <strong>del</strong>la sua vita, Einstein si occupò anche di religione. Benché non credessenell’esistenza di un Dio personale, Einstein credeva nell’esistenza di un dio-natura, di unordine naturale necessario, cioè professava una sorta di panteismo <strong>scienti</strong><strong>fico</strong>, alla manieradi Spinoza, cui si richiamava esplicitamente. In particolare, Einstein valorizzzava lareligione come ricerca di un fine etico universale <strong>del</strong>l’umanità, in quanto riteneva che lascienza potesse conoscere solo ciò che è ma assolutamente non indicare ciò che deveessere. In questo senso, è significativa la sentenza einsteiniana, parafrasi di quella di Kant:“La religione senza scienza è cieca, la scienza senza religione è zoppa”.Einstein morì nel 1955 e, per sua volontà, fu cremato e le sue ceneri disperse nell’aria.VITE DI CAPITANIPLANCK, BOHR, DE BROGLIE, HEISENBERG, SCHRÖDINGER, DIRAC,BORN, PAULI, FEYNMAN, BELLLa teoria dei quanti è il frutto <strong>del</strong>la più ampia e prolungata opera collettiva <strong>del</strong>la scienza.Tale opera si può far cominciare dal 1900, con la scoperta <strong>del</strong>la legge fondamentale <strong>del</strong>lateoria quantistica (E=hv) da parte <strong>del</strong> fisico tedesco Max Karl Planck (1858-1947), che ebbeil Nobel nel 1918. L’opera fu poi proseguita dal danese di Niels Bohr (1885-1962), inriferimento al quale si parla di “scuola di Copenaghen”, il quale elaborò il mo<strong>del</strong>loquantistico <strong>del</strong>l’atomo (Nobel nel 1922) e formulò il principio di complementarità; dalfrancese Louis-Victor de Broglie (1892-1987), che appurò la natura quantistica deglielettroni e fu premiato con Nobel nel 1929; il tedesco Werner Heisenberg (1901-1976), cheenunciò il principio di indeterminazione (1927), premio Nobel nel 1932, direttore <strong>del</strong>progetto tedesco per la costruzione <strong>del</strong>la bomba atomica durante la II guerra mondiale,progetto che fallì forse anche per volontà <strong>del</strong>o stesso Heisenberg; l’austriaco ErwinSchroedinger (1887-1961) che coniò il concetto di “funzione d’onda” e ne formulòl’equazione fondamentale, Nobel nel 1933; l’inglese Paul Dirac (1902-1984), che elaboròuna teoria e una formula dei moti quantistici alternative a quelle di Schroedinger e ipotizzòa livello teorico l’esistenza dei positroni (elettroni con carica positiva, confermatisperimentalmente nel 1932), Nobel nel 1933; Max Born (1882-1970) che elaboròl’interpretazione probabilistica <strong>del</strong>la meccanica quantistica secondo cui l’equazione <strong>del</strong>lafunzione d’onda aveva una validità meramente statistica, premio Nobel 1954; l’austriacoWolfgang Pauli (1900-1958) che stabilì il “principio di esclusione”, secondo cui nonpossono esistere nello stesso atomo due elettroni con gli stessi numeri quantici, e prevideteoricamente l’esistenza <strong>del</strong> neutrino, Nobel nel 1954; lo statunitense Richard Feynman(1918-1988), che elaborò un nuovo metodo matematico per il calcolo <strong>del</strong>le interazioni tra leparticelle elementari detto “diagramma di Feynman”, Nobel nel 1965; l’irlandese StewartJohn Bell (1928-1990) autore <strong>del</strong> “teorema di Bell” che confuta la tesi einsteiana secondocui la meccanica quantistica potrebbe essere riconfigurata in modo deterministico in base auna teoria a variabili nascoste.275


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 1EINSTEIN: LA TEORIA DELLA RELATIVITA’ RISTRETTA O SPECIALEIl regolo rigido risulta dunque più corto quando è in moto che non quando è in quiete,e tanto più corto quanto più rapidamente si muove. [...]Come conseguenza <strong>del</strong> proprio moto l’orologio cammina più lentamente che nonquando è in quiete.A. Einstein, Relatività, parte I, § 12La teoria <strong>del</strong>la relatività ristretta (o speciale) ha questo nome perché, da un lato, è unanuova versione <strong>del</strong> principio di relatività galileiana; dall’altro, perché è circoscritta, come ilprincipio di relatività galileiana, ai fenomeni fisici inerziali, cioè riconducibili a motirettilinei uniformi. La novità <strong>del</strong>la relatività einsteiniana consiste, innanzitutto, nelcomprendere non solo i fenomeni meccanici, come quella galileiana, ma anche quellielettromagnetici. E’ proprio l’inclusione dei fenomeni elettromagnetici che porta Einstein ariconcepire e riformulare il principio di relatività galileiana.Questo stabiliva che il moto rettilineo uniforme di un “sistema di riferimento” (un corpocompatto, p.e. una nave, un treno, un’auto, un uomo che cammina) è sempre relativo a unaltro sistema di riferimento in quiete relativamente al primo (p.e. un promontorio, unastazione, una casa, un albero). Dunque, un osservatore (p.e. il passeggero di un treno che simuove a velocità fissa su un binario rettilineo) all’interno di un sistema di riferimento, senon può guardare fuori di esso, non è in grado di stabilire se il sistema stesso è fermo o inmovimento. Proprio questa “relatività” (che non ha nulla a che vedere col relativismo <strong>del</strong>leopinioni o dei valori) fonda l’invarianza, cioè l’uniformità, <strong>del</strong>le leggi fisico-meccaniche equindi l’unità <strong>del</strong>la natura. Infatti, se all’interno di un sistema di riferimento unosservatore non è in grado di stabilire se è fermo o si sta muovendo, ciò significa che in unsistema di riferimento in moto rettilineo uniforme tutto accade allo stesso modo che in unsistema di riferimento in quiete, ovvero che i fenomeni fisici, e quindi le leggi <strong>del</strong>la fisica,sono gli stessi al variare dei sistemi di riferimento.La relatività galileiana applicata al calcolo <strong>del</strong>le velocità comporta che si può determinarela velocità di un corpo inerziale sempre e solo in riferimento a un altro corpo, fermo o inquiete. Per calcolare la mia velocità in riferimento a diversi osservatori devo applicare ilsemplice principio di composizione <strong>del</strong>le velocità. P.e., se all’interno di un tram che va a30/h io cammino a 5 km/ora nella sua stessa direzione e verso, relativamente a unpasseggero seduto mi muovo appunto a 5 km/ora, ma per un pedone in attesa alla fermataio mi muovo a 35 km/h, in quanto devo sommare alla mia velocità quella <strong>del</strong> tram. Se unpedone cammina sul marciapiede parallelo alla rotaia <strong>del</strong> tram nella mia stessa direzione enello stesso verso a 2 km/h, per lui io mi muovo a 33 km/h, perché alla mia velocità devosottrarre quella <strong>del</strong> pedone.Ma per la teoria elettromagnetica di Maxwell, la velocità <strong>del</strong>la luce è costante. Ciò significa,riprendendo l’esempio precedente, che se io cammino nel tram con una torcia elettricaaccesa in mano (direzionata verso l’avantreno <strong>del</strong> tram) la velocità <strong>del</strong>la luce (300.000km/s) è la stessa sia per il passeggero seduto, sia per il pedone in attesa alla fermata sia peril pedone che cammina parallelamente. In altre parole, il moto <strong>del</strong>la luce non è relativo, maassoluto e quindi il principio di composizione <strong>del</strong>le velocità non si applica alla luce. Ma, ciòcomporta una divisione tra mondo meccanico e mondo elettromagnetico.276


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREE’ proprio questa divisione che la teoria <strong>del</strong>la relatività evita, riconfermando l’invarianzadei fenomeni e <strong>del</strong>le leggi fisiche per tutti i sistemi inerziali, anche quello elettromagnetici.Tanto che Einstein avrebbe preferito chiamare la sua nuova teoria <strong>del</strong>la relatività teoria<strong>del</strong>l’invarianza. Ma cosa permette a Einstein di unificare fenomeni meccanici e fenomenielettromagnetici?In primo luogo, Einstein assume che la costanza <strong>del</strong>la velocità <strong>del</strong>la luce sia un fatto realeinoppugnabile. Dunque, il punto di partenza <strong>del</strong>la teoria <strong>del</strong>la relatività einsteiana è che lavelocità <strong>del</strong>la luce è l’unica grandezza assoluta. Di conseguenza, lo spazio e il tempo, cheper la fisica classica erano assoluti, diventano invece relativi. Perché?Per rispondere, Einstein prende in considerazione la simultaneità di due fenomenielettromagnetici, ovvero luminosi. P.e.: immaginiamo una carrozza di un treno in motorettilineo uniforme con al centro una lampada spenta e due persone ai lati opposti, lapersona A appoggiata al lato dalla parte <strong>del</strong> senso di marcia, la persona B dalla parteopposta al senso di marcia. Sia A sia B guardano verso la lampada equidistante da ognunodi loro. Quando si accende la lampada, due raggi di luce raggiungono rispettivamente gliocchi di A e di B. Poiché hanno la stessa velocità e percorrono la stessa distanza, A e Bvedono la lampada accendersi nello stesso istante. I due fenomeni sono simultanei. Ma peruna terza persona C, ferma alla stazione, che vede passare la carrozza nell’istante in cui siaccende la luce, B vede la luce prima di A, ovvero i due eventi che per A e B (appartenentiallo stesso sistema di riferimento) sono simultanei, non sono simultanei per C (cheappartiene a un altro sistema di riferimento). Com’è possibile?Dal punto di vista di C, nel pur infinitesimale tempo in cui il raggio di luce “sparato” dallalampada si muove verso A, A si allontana da esso, quindi la distanza che il raggio devepercorrere è maggiore <strong>del</strong>la metà <strong>del</strong>la lunghezza <strong>del</strong> vagone, dunque il raggio impiega piùtempo. Viceversa, ma sempre dal punto di vista di C, B durante il moto <strong>del</strong> raggio verso dilui si avvicina a esso (gli si muove incontro), pertanto la distanza che il raggio di luce devepercorrere per raggiungere B è minore <strong>del</strong>la metà <strong>del</strong>la lunghezza <strong>del</strong> vagone; diconseguenza il raggio ci mette meno tempo a percorrerla. Conclusione: per C, la luceraggiunge prima B e poi A, ovvero i due eventi non sono simultanei. (Se qualcuno si chiedecome faccia C a vedere il momento in cui la luce raggiunge gli occhi di B e A, bastaimmaginare che B e A abbiano in mano uno specchietto rivolto obliquamente in parteverso la lampada e in parte verso C.)Ora, il punto fondamentale è che se al posto <strong>del</strong>la lampada considerassimo un uomo condue pistole in mano, rivolte l’una verso A e l’altra verso B, che spara loro, anche per C i dueproiettili raggiungerebbero A e B nello stesso istante. Perché? Perché il moto dei proiettili,a differenza di quello <strong>del</strong>la luce, è relativo, ovvero non è costante/assoluto. Dunque ad essosi applica il principio di composizione <strong>del</strong>le velocità. Pertanto, il proiettile che va verso Adeve percorrere più spazio ma possiede una velocità maggiore data dalla somma <strong>del</strong>la suavelocità di sparo e <strong>del</strong>la velocità <strong>del</strong> treno, mentre il proiettile che va verso B devepercorrere meno spazio ma la sua velocità è minore di quella <strong>del</strong>l’altro, perché alla suavelocità di sparo si deve sottrarre la velocità <strong>del</strong> treno. Risultato: le diverse velocitàcompensano le differenti distanze e i proiettili anche per C colpiscono A e B nello stessomomento. (E oltretutto in questo caso non c’è bisogno che A e B abbiano in mano unospecchietto perché C se ne possa accorgere!).In altre parole, la non simultaneità per C <strong>del</strong>la visione <strong>del</strong>l’accensione <strong>del</strong>la lampada daparte di A e B è dovuta alla proprietà esclusiva che la luce possiede, appunto la costanza<strong>del</strong>la sua velocità, e che la rende refrattaria all’applicazione <strong>del</strong> principio di composizione<strong>del</strong>le velocità. D’altra parte, la luce è il medium che ci permette di conoscere tutti ifenomeni. Tutto quello che vediamo lo vediamo perché la luce trasporta ai nostri occhi, oalle nostre apparecchiature sperimentali, le informazioni relative alla realtà fisica. Dunque,ciò che vale per la luce è generalizzabile a tutta la realtà fisica.277


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREA questo punto, Einstein può trarre la prima, grande conclusione rivoluzionaria:nell’universo non esistono due eventi simultanei, la simultaneità vale solo all’interno di unsistema di riferimento per gli osservatori che ne fanno parte, ma non vale per tutti gli altrisistemi di riferimento esterni, dunque non è generalizzabile. Ma quando diciamosimultaneità, ci riferiamo a una <strong>del</strong>le due grandi coordinate fisiche: il tempo. Lasimultaneità è stabilita dal tempo, è data cioè da due eventi che accadono nello stessoistante temporale. Pertanto, dire che non esistono due eventi simultanei per tutti i sistemidi riferimento implica affermare che il tempo non scorre nello stesso modo per tutti isistemi di riferimento, ovvero che non esiste un tempo assoluto o, utilizzando unametafora, che non c’è un grande orologio unico che batte la stessa ora per tutto l’universo,ma tanti orologi diversi per ogni sistema di riferimento che battono ore diverse.Si tratta di una tesi radicalmente controintuitiva, cioè che cozza col nostro buon senso, conil senso comune. Per questo è difficile comprenderla, perché una parte <strong>del</strong>la nostra stessamente la rifiuta come assurda. Eppure Einstein ha dimostrato teoricamente, e molti altriscienziati lo hanno confermato sperimentalmente, che le cose stanno così: il tempo rallentaall’aumentare <strong>del</strong>la velocità <strong>del</strong> sistema di riferimento. P.e., per un uomo sulla superficie<strong>del</strong>la Terra, all’interno di un aereo che si muove nell’atmosfera sopra di lui il tempo scorrepiù lentamente che per lui, ovvero gli orologi dei passeggeri sono più lenti <strong>del</strong> suo. Ladifferenza però è talmente piccola e il viaggio aereo talmente breve che nessuno è in gradodi accorgersene. Ma considerando una sonda spaziale che viaggia per mesi a velocità moltopiù elevate diventa invece evidente. (Questo non significa, in ogni caso, che un uomo cheviaggiasse per mesi o anni in una sonda spaziale avrebbe più tempo libero, ovvero chevivrebbe più a lungo. Infatti, insieme al tempo battuto dall’orologio, rallenta anche iltempo di tutti i movimenti, ossia rallentano in proporzione tutti i movimenti, da quellidegli arti al battito cardiaco, alla trasmissione neuronale degli impulsi elettro-chimici chesono alla base <strong>del</strong>la nostra attività mentale. Insomma, chi viaggia a grandi velocità, rispettoa noi sulla Terra, per così dire si “bradipizza”.)La relatività <strong>del</strong> tempo teorizzata da Einstein può essere illustrata e argomentata in modoquasi intuitivo, se prendiamo in considerazione un particolare tipo di orologio, ossia un“orologio a luce”. Esso è costituito da 2 specchi piatti, rivolti l’uno verso l’altro, alladistanza di 15 cm, che si rimbalzano un fotone, cioè l’unità minima di luce. Ogni miliardodi andirivieni l’orologio segna 1 secondo. Se l’orologio fotonico è fermo il fotone rimbalzacon traiettorie perpendicolari agli specchi. Ma se l’orologio si muove, p.e. da sinistra versodestra, la traiettoria <strong>del</strong> fotone diventa obliqua e, all’aumentare <strong>del</strong>la velocità, sempre piùorizzontale, cioè sempre più parallela agli specchi. Infatti, mentre il fotone viaggia da unospecchio all’altro, gli specchi si muovono verso destra e il fotone anche, e dunque la suatraiettoria è la risultante <strong>del</strong> moto verticale perpendicolare agli specchi e <strong>del</strong>contemporaneo moto orizzontale da sinistra a destra parallelo agli specchi. (Naturalmente,sempre assumendo che noi osservatori <strong>del</strong> movimento <strong>del</strong>l’orologio fotonico siamo inquiete rispetto ad esso.) Ne consegue che la traiettoria <strong>del</strong> fotone tra i due specchi è piùlunga se l’orologio fotonico si muove, e diventa tanto più lunga quanto più velocementel’orologio si sposta. Pertanto, essendo costante la velocità <strong>del</strong>la luce (cioè non potendoessere incrementata dal moto degli specchi), in un orologio a luce in moto il fotone impiegapiù tempo a rimbalzare da uno specchio all’altro. Risultato finale: in un orologio a luce inmoto un secondo dura di più che in un orologio a luce in quiete rispetto ad esso, ovverol’orologio in moto segna un tempo minore di quello in quiete. (E’ come se usassimo unmetro taroccato, cioè più lungo di quello autentico, per misurare una lunghezza: la misurasarebbe più corta che con il metro esatto.)278


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREMa secondo Einstein non è solo il tempo che varia al variare <strong>del</strong> sistema di riferimento,bensì anche lo spazio. Più precisamente, per Einstein lo spazio, e quindi ognicorpo/sistema di riferimento, si contrae, ovvero si accorcia nella direzione <strong>del</strong> moto, tantopiù quanto più aumenta la velocità. Anche in questo caso, a basse velocità, l’accorciamentoè talmente piccolo che i nostri sensi non sono in grado di rilevarlo. Per questo guardandouna F1 lanciata a 300 km/h o un jet supersonico non potremmo mai notare il lororestringimento. Ma avvicinandoci alla velocità <strong>del</strong>la luce tutto cambia. P.e., un corpo che simuova al 98% <strong>del</strong>la velocità <strong>del</strong>la luce si restringe <strong>del</strong>l’80%, ossia è lungo 1/5 di quanto èlungo quando è osservato in quiete.Per rendere più intuitiva la tesi di Einstein, immaginiamo che un pilota di F1 misuri la suaauto ferma ottenendo come risultato 4 m. Dopodiché parte per sfrecciare a 300 km/h sulrettilineo. Il suo meccanico, fermo sulla pista, misura a sua volta la lunghezza <strong>del</strong>la F1 inmovimento. Come fa? Si munisce di un cronometro, quando il muso <strong>del</strong>la F1 arriva sullalinea <strong>del</strong> traguardo schiaccia il cronometro e quando il bordo <strong>del</strong>la coda <strong>del</strong>la F1 è sullalinea <strong>del</strong> traguardo rischiaccia il cronometro per fermarlo. Moltiplicando il temporegistrato dal cronometro per la velocità <strong>del</strong>la F1 (300 km/h) il meccanico ottiene lalunghezza <strong>del</strong>l’auto. Infatti, s=t.v, cioè lo spazio/lunghezza è il prodotto <strong>del</strong>la velocità per iltempo. Attenzione: così come possiamo considerare il meccanico in quiete rispetto al pilotache viaggia sulla F1 a 300 km/h, allo stesso modo possiamo considerare il pilota in quiete eil meccanico in moto, in senso opposto a quello <strong>del</strong>la F1, alla velocità di 300 km/h.Ricordiamoci, infatti, che i sistemi inerziali sono perfettamente simmetrici, ed è dunque lastessa cosa dire che A si muove verso destra a 300 km/h rispetto a B in quiete e dire che Bsi muove a 300 km/h verso sinistra rispetto ad A in quiete. Stando così le cose, per il pilotail tempo <strong>del</strong> suo meccanico scorre più lentamente <strong>del</strong> suo. Dunque il cronometro <strong>del</strong>meccanico misura un tempo minore rispetto a quello che potrebbe misurare il pilota sullaF1 (per arrivare a battere un decimo di secondo il cronometro ci mette di più, quindi batteun minor numero di decimi di secondo). Come fa il pilota a misurare il tempo di passaggio<strong>del</strong>l’auto sul traguardo? Con un cronometro, assumendo che sia la linea <strong>del</strong> traguardo, cioèla pista, che si muove prima verso e poi sotto la sua F1 ferma. Pertanto, applicando laformula s=t.v, essendo t minore, il meccanico misura e vede la F1 più corta di come l’avevavista il pilota prima <strong>del</strong>la partenza e di come la vede anche dopo stando dentro di essamentre sfreccia a 300 km/h.Facciamo il punto <strong>del</strong>la situazione. In base a quanto abbiamo considerato, Einsteindimostra che: il tempo di un sistema di riferimento rallenta all’aumentare <strong>del</strong>la sua velocità per gliosservatori di un altro sistema di riferimento supposto in quiete rispetto al primo; lo spazio di un sistema di riferimento in moto, e quindi tutti i corpi in esso presenti,si accorcia longitudinalmente nel verso <strong>del</strong> moto per gli osservatori di un altrosistema di riferimento supposto in quiete rispetto al primo.Ricordando che spazio e tempo erano considerati grandezze assolute, uniche e uniformiper tutto l’universo, è possibile valutare la portata rivoluzionaria <strong>del</strong>la relatività einsteiana.Naturalmente una teoria fisica non può essere compiutamente tale se non ha una formamatematica, ovvero se non è esprimibile in formule. In questo senso, Einstein utilizza le“trasformazioni di Lorentz”, ovvero le formule già elaborate dal fisico olandese Lorentz perequiparare i fenomeni elettromagnetici. Ma è Einstein a dare un significato fisico compiutoalle formule che Lorentz aveva dedotto matematicamente dalle quattro equazionifondamentali <strong>del</strong>la teoria elettromagnetica di Maxwell. Infatti, inquadrandole nella teoria<strong>del</strong>la relatività ristretta, Einstein, da un lato, le spiega concettualmente, cioè spiega comemai in esse spazio e tempo variano al variare <strong>del</strong>la velocità; dall’altro lato, le fa diventare leformule di trasformazione sostitutive di quelle di Galileo, che erano inapplicabili ai279


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREfenomeni elettromagnetici. In tal modo Einstein ristabilisce l’unità <strong>del</strong>la fisica: grazie allenuove trasformazioni relativistiche, tutti i fenomeni (sia meccanici sia elettromagnetici) diun sistema di riferimento possono essere “trasformati” in quelli di un altro sistema diriferimento. In altri termini, Einstein dimostra che è possibile unificare tutti i fenomenifisici, confermando così che le leggi <strong>del</strong>la natura sono le stesse in tutto l’universo.Paradossalmente, proprio grazie alla relatività <strong>del</strong>lo spazio e <strong>del</strong> tempo, cioè all’esistenza ditanti e diversi spazi e tempi nell’universo.Ma la concezione <strong>del</strong>lo spazio e <strong>del</strong> tempo di Einstein è rivoluzionaria anche per un altroaspetto. Mentre la fisica classica considerava spazio e tempo due realtà e due parametridistinti e indipendenti, per Einstein spazio e tempo si influenzano a vicenda a tal punto dadover essere considerati una cosa sola: lo spaziotempo (o cronòtopo), ovvero il “continuumquadridimensionale”. Perché “quadridimensionale”? Perché per Einstein il tempo vaconcepito come un’ulteriore dimensione simile alle tre dimensioni spaziali: lunghezza,larghezza, altezza.A questo punto Einstein si pone un ulteriore problema, implicito nelle sue precedenticonclusioni: perché il tempo rallenta, ovvero diminuisce, all’aumentare <strong>del</strong>la velocità, eviceversa? Ovvero: è possibile trovare una spiegazione più profonda <strong>del</strong>la relatività <strong>del</strong>lospaziotempo? La soluzione di Einstein è legata proprio al concetto diquadridimensionalità. Infatti, se il tempo è una dimensione come le tre dimensionispaziali, allora, deduce Einstein, ci si può muovere a diverse velocità nel tempo così comeci si muove a diverse velocità nello spazio. Dunque, tutti i corpi nell’universo si muovonosia spazialmente sia temporalmente. La quiete assoluta non esiste. Innanzitutto perchéquando assumiamo che un corpo è in quiete rispetto a un secondo corpo, non solopossiamo considerarlo in moto rispetto al secondo fermo, come si è visto, ma è anchecomunque in moto rispetto a un terzo corpo. P.e., un uomo seduto su una panchina èfermo rispetto a un ragazzo che si muove in bici nella pista ciclabile davanti alla panchina,ma è in moto rispetto al Sole, in quanto sappiamo che la Terra si muove intorno a se stessae intorno al Sole. In secondo luogo, anche un uomo seduto si muove nel tempo, anziquanto più è in quiete tanto più velocemente “viaggia” nella dimensione temporale. In altreparole, Einstein intuisce che nell’universo tutto si muove sia spazialmente siatemporalmente. Da questa intuizione deduce che ogni corpo fisico può distribuire la suavelocità di movimento tra lo spazio e il tempo: se va più veloce nello spazio va più lento neltempo e viceversa. Ecco la ragione di fondo <strong>del</strong>la relatività <strong>del</strong>lo spaziotempo.Sulla base di tale ragione, Einstein si pone un ulteriore problema: ma perché la luce simuove a 300.000 km/s, perché non di più e non di meno, perché 300 km/s è la velocitàmassima <strong>del</strong>l’universo e perché solo la luce, ovvero le radiazioni elettromagnetiche, laraggiungono? La risposta di Einstein è che tutti i corpi sono dotati di una velocità pari aquella <strong>del</strong>la luce, ovvero 300.000 km/s, solo che ne utilizzano la maggior parte perviaggiare nel tempo e quindi nello spazio sono più lenti. Pertanto, afferma Einstein, solo laluce ha il privilegio di viaggiare nello spazio a 300.000 km/s perché non si muove neltempo. In altre parole, i fotoni non “invecchiano” sono tali e quali come quando si sonoformati e tali e quali rimangono.Ma anche questa soluzione apre a Einstein la possibilità di porsi un ennesimo problema:perché la luce può permettersi di non viaggiare nel tempo? Per risolvere anche questoproblema Einstein giunge alla formulazione <strong>del</strong>la tanto semplice quanto rivoluzionarialegge che sintetizza e corona la sua teoria <strong>del</strong>la relatività ristretta:E=mc 2280


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREQuesta formula significa che l’energia cinetica, più precisamente il suo incremento odiminuzione, è uguale al prodotto <strong>del</strong>la massa di un corpo per un enorme coefficiente, ilquadrato <strong>del</strong>la velocità <strong>del</strong>la luce. Se l’energia cinetica, cioè la velocità, di un corpoaumenta, la massa aumenta proporzionalmente. P.e., anche un granello di polvere se micolpisce a un alta velocità può ferirmi, mentre a una bassa velocità è innocuo (sempre chenon finisca nell’occhio). Perché? Perché ad alta velocità la sua massa aumenta e con essa lasua forza d’urto e di penetrazione. Quanto più un corpo si avvicina alla velocità <strong>del</strong>la lucetanto più la sua massa aumenta e tanta più energia occorre per ottenere un ulterioreaumento <strong>del</strong>la sua velocità. Infatti, la seconda legge <strong>del</strong>la meccanica stabilisce che F=ma(dove a=accelerazione). A una velocità prossima a quella <strong>del</strong>la luce anche la massa piùpiccola si approssima a una grandezza infinita e per accelerarla ulteriormente occorrerebbeuna forza/energia infinita. Poiché niente e nessun può disporre di un’energia infinita,nessun corpo dotato di massa può raggiungere la velocità di 300.000 km/s. Perché, allora,il fotone può raggiungerla? Perché è privo di massa, è energia pura.La formula conclusiva <strong>del</strong>la relatività ristretta distrugge un’altra certezza <strong>del</strong>la fisicaclassica: la netta distinzione tra energia/forza, da un lato, e massa/materia, dall’altro. Laformula di Einstein, infatti, asserisce l’equivalenza di energia e massa, ovvero afferma chesono due conformazioni che una stessa sostanza assume al variare <strong>del</strong>la sua velocità. Inaltri termini, significa che l’energia è massa enormemente velocizzata e la massa energiafortemente rallentata. E, al contempo, che una piccolissima quantità di massa consiste, equindi può trasformarsi, in una enorme quantità di energia. L’umanità ne ebbe la tantotragica quanto inoppugnabile prova quando meno di un etto di uranio si trasformò nellapiù potente esplosione <strong>del</strong>la storia (fino a quel momento). Era il 6 agosto 1945 e la cittàgiapponese di Hiroshima fu letteralmente incenerita.L’equivalenza di massa ed energia ribadisce la tesi einsteiana secondo cui tutto si muove,niente è fermo, statico, inerte, passivo. Ma tale tesi contiene un’ulteriore implicazionerivoluzionaria: per la relatività di Einstein non esistono propriamente “cose”, o “corpi”, masolo “eventi”, cioè “azioni”, movimenti.281


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 2EINSTEIN: LA TEORIA DELLA RELATIVITA’ ALLARGATA O GENERALESecondo la teoria <strong>del</strong>la relatività generale, le proprietà geometriche <strong>del</strong>lo spazio nonsono autonome, ma sono determinate dalla materia. [...] I calcoli indicano [...] che se lamateria fosse uniformemente distribuita l’universo dovrebbe risultare di necessitàsferico (o ellittico). Poiché la materia non è uniformemente distribuita nei dettagli,l’universo reale divergerà nelle singole parti da quello sferico, cioè sarà quasi-sferico.Esso sarà però necessariamente finito.A., Einstein, Relatività, parte II, § 32Con la teoria <strong>del</strong>la relatività ristretta (o speciale) Einstein ha conferito piena dignità teoricaalla costanza <strong>del</strong>la velocità <strong>del</strong>la luce, ovvero al fatto, già sperimentalmente comprovato,che la velocità <strong>del</strong>la luce (300.000 km/s) è quella massima consentita nell’universo, unasorta di limite di velocità universale irraggiungibile da tutti i corpi fuorché dalla luce (e daogni altro tipo di radiazione elettromagnetica). Grazie alla spiegazione teorica einsteiana,infatti, la velocità <strong>del</strong>la luce assurge a unico valore assoluto <strong>del</strong>la fisica.Proprio per questo, però, la teoria <strong>del</strong>la relatività ristretta contraddice la teoriagravitazionale newtoniana, cioè la teoria-regina <strong>del</strong>la fisica classica. Per Newton, infatti, laforza gravitazionale è una forza che agisce: da un lato, a distanza nel vuoto, cioè fa sì che due corpi si attraggano senza alcuncontatto tra loro e senza nemmeno un mezzo che ne permetta un contatto indiretto(come, p.e., le onde sonore che partendo da una sorgente si trasmettono al riceventeattraverso il mezzo <strong>del</strong>l’aria);dall’altro, in modo istantaneo, cioè con una velocità infinita (p.e., secondo la teoriagravitazionale newtoniana, se il Sole in questo istante sparisse, immediatamente laTerra partirebbe per la tangente).Dunque le due teorie, quella di Newton e quella di Einstein, almeno per questo aspettoerano incompatibili. E’ questa incompatibilità che spinge Einstein a proporsi di elaborareuna nuova teoria gravitazionale, alternativa a quella newtoniana; ma a tale impresa lospinge anche, e forse soprattutto, il suo desiderio di affrontare e risolvere il più grande“mistero” (così l’aveva definito lo stesso Newton) <strong>del</strong>la fisica classica, rimasto insoluto dal1687, l’anno in cui Newton aveva reso pubblica la sua teoria gravitazionale: che cos’è laforza di gravità? Di cosa è fatta? In cosa consiste? Cosa la origina? Newton stesso avevaaffermato di essere in grado di descriverla matematicamente in modo perfetto, cioè dicapire come funzionava, ma non di spiegare, rimanendo su un piano <strong>scienti</strong><strong>fico</strong>, cosa fossee come potesse agire. Addirittura aveva dichiarato lui per primo che la concezione di unaforza agente a distanza nel vuoto è una “assurdità”.Per svelare il segreto <strong>del</strong>la forza gravitazionale, Einstein si basa su una nuova, grandeintuizione teorica: l’equivalenza tra accelerazione e gravitazione. In altre parole, un motoaccelerato, secondo Einstein, produce gli stessi effetti, ovvero ha le stesse caratteristiche, diun campo gravitazionale (Einstein riprende da Maxwell il concetto di “campo”, cioè diporzione di spazio in cui in ogni punto è presente e agisce una forza).Per spiegare questo nuovo principio di equivalenza, Einstein ricorre a un esperimentomentale, invitandoci a immaginare una larga porzione di spazio vuoto (ovvero in cui non èpresente alcuna forza) in cui si trovi una grande cassa (<strong>del</strong>le dimensioni di una stanza)contenente un uomo. Quest’uomo non subisce nessuna forza gravitazionale, dunquefluttua all’interno <strong>del</strong>la cassa tanto che deve assicurarsi con corde al pavimento per evitareche anche un suo piccolo movimento degli arti lo catapulti verso il soffitto a causa <strong>del</strong>lalegge di azione e reazione. (Quello che Einstein ha immaginato è quello che noi abbiamo282


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREvisto nei filmati sugli astronauti nelle capsule spaziali in orbita intorno alla Terra.) Sopra ilcoperchio <strong>del</strong>la cassa, nel lato esterno, continua Einstein, viene fissato un gancio cui èlegata una corda. A un certo punto la corda viene tirata con forza in crescita costante. Lacassa allora comincia a muoversi di moto uniformemente accelerato. Da un altro corpo diriferimento, esterno alla cassa e assunto in quiete rispetto ad essa, la cassa appariràacquisire una velocità sempre maggiore. L’uomo nella cassa, invece, comincerà a stare inpiedi da solo sul pavimento, grazie alla pressione che ora questo esercita su di lui. Se lasciaandare un oggetto che prima teneva in mano, egli ora lo vedrà cadere sul pavimento.Studiando la caduta di altri oggetti all’interno <strong>del</strong>la cassa, potrà constatare che si tratta diun moto uniformemente accelerato. Insomma: la sua situazione fisica è la stessa di quelladi chi si trova sulla superficie terrestre ed è sottoposto alla forza di gravità.Una situazione analoga a quella ipotizzata da Einstein, ma decisamente più praticabile, èquella che possiamo sperimentare all’interno di un ascensore di un grattacielo (solitamentepiù veloce) almeno fin quando accelera: ci sembra di essere più pesanti, ovvero di essere“schiacciati” verso il pavimento <strong>del</strong>l’ascensore. Salvo che dentro l’ascensore agisce già laforza gravitazionale e quindi ci sembra di essere più pesanti <strong>del</strong> normale. Ipotizzando chela forza gravitazionale cessi e che l’ascensore salga con un’accelerazione uniforme di 9,8m/s 2 ci sentiremmo esattamente come ci sentiamo quando siamo in piedi sulla superficieterrestre. Ancora, ipotizzando che i cavi <strong>del</strong>l’ascensore si spezzino, cadendo ci sentiremmoprivi di peso, fluttuanti e immobili come l’uomo <strong>del</strong>la cassa nello spazio vuoto, dalmomento che la nostra accelerazione verso il centro <strong>del</strong>la Terra corrisponde esattamentealla forza gravitazionale e quindi annulla la percezione che ne abbiamo, ovvero lapercezione di essere pesanti e pressati verso il pavimento.Einstein si serve <strong>del</strong> principio di equivalenza tra moto accelerato e forza gravitazionale,innanzitutto, per allargare il suo principio di relatività (fino a questo momento “ristretta”,cioè limitata ai moti inerziali) anche ai moti accelerati, cioè a tutti i moti. In che modo?Immaginiamo di essere all’interno di un treno in moto rettilineo uniforme, con le cortinedei finestrini abbassate. Come sappiamo, non possiamo stabilire se siamo in moto o inquiete. Dunque il principio di relatività regna sovrano e con esso l’unità <strong>del</strong>la fisica, dalmomento che, se non posso stabilire se sono in moto o in quiete, ciò significa che ifenomeni fisici sono gli stessi in un corpo in quiete e in uno in moto inerziale. Però, se iltreno accelera (o frena) immediatamente l’incanto <strong>del</strong>la relatività sembra dissolversi: sentochiaramente che il treno si sta muovendo perché mi sento spinto contro lo schienale <strong>del</strong>sedile (o viceversa in caso di frenata). Invece, l’incanto relativistico non si spezza: grazie alprincipio di equivalenza posso spiegare la mia sensazione in un altro modo, ugualmente<strong>scienti</strong><strong>fico</strong>: il treno è fermo, ma è entrato in azione un campo gravitazionale la cui sorgenteè alle mie spalle (oppure davanti a me) e che quindi mi attrae all’indietro (oppure inavanti). In tal modo, è possibile affermare che i fenomeni fisici sono gli stessi sia in unsistema di riferimento in quiete, sia in uno in moto inerziale, sia in uno in moto noninerziale, cioè accelerato (o decelerato). In altri termini, Einstein con la relatività allargatafonda l’unità <strong>del</strong>la natura e <strong>del</strong>le sue leggi, ovvero <strong>del</strong>la scienza fisica.Ma, in secondo luogo e soprattutto, Einstein utilizza l’equivalenza tra accelerazione egravitazione per dissolvere il mistero <strong>del</strong>la forza di gravità. A tal fine, prende inconsiderazione un caso particolare di moto accelerato, il moto rotatorio. Per esempio,immaginiamo una giostra a alta velocità (<strong>del</strong> tipo di quelle che nei Luna Park vengonochiamate Tornado o Rotor o Centrifuga), costituita da una piattaforma circolare chiusa conparatie lungo tutta la circonferenza. Quando comincia a ruotare tutti quelli che vi sonosaliti sono schiacciati di schiena alle paratie tanto che se anche la piattaforma si inclinasseo, al limite, si rovesciasse, nessuno cadrebbe (ovviamente a seconda <strong>del</strong>la velocità dirotazione). Il moto circolare uniforme <strong>del</strong>la giostra simula un moto accelerato, nel sensoche ha gli stessi effetti fisici. Poiché la piattaforma è un cerchio, il rapporto tra raggio e283


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREcirconferenza, per degli osservatori esterni in quiete (noi stessi sospesi in aria, p.e.arrampicati su un alto lampione <strong>del</strong>la luce), è pari a 2" (6,28 c.ca). Ipotizziamo che unodegli ospiti <strong>del</strong>la giostra (A), strisciando lungo la piattaforma, ne misuri il raggio, e un altro(B) la circonferenza nel verso <strong>del</strong> moto. Per la teoria <strong>del</strong>la relatività i corpi in moto siaccorciano nel verso <strong>del</strong> loro moto. Poiché A misura il raggio in direzione perpendicolare alverso <strong>del</strong> moto <strong>del</strong>la giostra, il suo metro non si accorcia e quindi la misura <strong>del</strong> raggiocorrisponde a quella <strong>del</strong>la piattaforma in quiete (ovvero alla lunghezza <strong>del</strong> raggio come noila osserviamo dall’alto <strong>del</strong> lampione cui siamo abbarbicati). Invece, il metro di B si accorciaperché è posto nella direzione <strong>del</strong> moto e quindi la lunghezza <strong>del</strong>la circonferenza misuratada B sarà maggiore <strong>del</strong>la sua lunghezza a giostra ferma (ovvero <strong>del</strong>la lunghezza <strong>del</strong>lacirconferenza come noi la osserviamo dal lampione), in quanto un metro più corto sta unmaggior numero di volte in una stessa lunghezza. Conclusione: il rapporto tracirconferenza misurata da B e raggio misurato da A è maggiore di 2", perché il raggio staun numero maggiore di volte nella circonferenza “maggiorata”.Ma in questo modo sembra risultati violata la geometria euclidea. Dunque anche Euclideaveva commesso un errore? No, risponde Einstein, la geometria euclidea è coerente, logica,ineccepibile. E allora come è possibile che i corpi accelerati non ne rispettino le regole? Lasoluzione di Einstein è una rivoluzione nella rivoluzione, perché scardina una concezionemillenaria che nessuno aveva mai messo in dubbio, che cioè appariva naturale, ovvia.Bisogna pensare, afferma Einstein, che lo spazio reale non coincida con lo spazio <strong>del</strong>lageometria euclidea, cioè con lo spazio piano, ovvero lo spazio in cui le 3 dimensioni altezza,larghezza, lunghezza sono rappresentabili come 3 rette perpendicolari l’una all’altra. In chealtro modo, allora, potrebbero essere rappresentabile? Come si può configurare uno spaziodiverso da quello euclideo? Einstein è aiutato a rispondere dalla sua conoscenza <strong>del</strong>legeometrie non-euclidee, elaborate nel corso <strong>del</strong>l’Ottocento sulla base <strong>del</strong>la variazione <strong>del</strong> Vpostulato di Euclide: la geometria iperbolica che, a partire dal postulato che per un punto passano infiniterette parallele a una retta data, costruisce uno spazio concavo (p.e., la superficie diuna terrina o, meglio, di una sella), in cui la somma degli angoli interni di untriangolo risulta 180°.Solo che, fino ad Einstein le geometrie non-euclidee erano considerate costruzionipuramente teoriche che poco o nulla avevano a che fare con la realtà, mentre Einstein lepromuove a descrizioni <strong>del</strong>lo spazio fisico reale. P.e., la piattaforma circolare <strong>del</strong>la giostrain moto assume la forma geometrico-spaziale che avrebbe un cerchio disegnato su unasuperfie concava a sella. Per farsene un’immagine si può disegnare su un foglio di carta uncerchio, tracciare al suo interno 3 diametri, poi piegare leggermente all’indentro il foglio inmodo che il cerchio disegnato si incurvi (piegando invece il foglio all’infuori, si ottiene,sempre approssimativamente, un cerchio “ellittico”). Oppure, oppure, sempre per avereun’immagine intuitiva <strong>del</strong>la modificazione <strong>del</strong>lo spazio, si può ricorrere all’esperienza deglispecchi concavi e convessi <strong>del</strong> Luna Park (forse Einstein ne era un frequentatore assiduo),che deformano la nostra figura allungandola e assottigliandola, oppure abbassandola eallargandola.Collegando l’esperimento mentale <strong>del</strong>la giostra con i nuovi tipi di spazio scoperti dallegeometrie non-euclidee, Einstein può arrivare a sostenere che i moti accelerati implicanouna deformazione <strong>del</strong>lo spazio. Poiché l’accelerazione è equivalente alla gravitazione,Einstein subito dopo può concludere che il campo gravitazionale consiste in unadeformazione <strong>del</strong>lo spazio, più precisamente nella sua incurvatura. Dunque, il mistero284


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORE<strong>del</strong>la forza gravitazionale comincia a diradarsi: Einstein ha scoperto una prima proprietà<strong>del</strong>la gravitazione.Ma non basta. Come si sa, per la relatività ristretta, lo spazio non esiste separatamente daltempo, e viceversa. Non esistono lo spazio e il tempo, ma esiste lo spaziotempo, ilcontinuum quadridimensionale. Dunque, già così è intuibile che ciò che vale per lo spazio,in rapporto all’accelerazione e alla gravitazione, deve valere in qualche modo anche per iltempo. Perché e in quale modo? Tornando all’esperimento <strong>del</strong>la giostra (siamo di nuovoaggrappati al lampione a guardarla girare dall’alto), possiamo ipotizzare che B se ne stiafermo contro la paratia, cioè su un punto <strong>del</strong>la circonferenza <strong>del</strong> disco, mentre A è sedutoin un punto <strong>del</strong> disco vicino al centro. Entrambi girano all’unisono, ma B percorre nel suomoto una circonferenza più lunga di quella interna percorsa da A, cioè B fa più strada di Anello stesso intervallo di tempo. Ne segue che B sul bordo si muove più velocemente di Avicino al centro. Per la relatività ristretta, l’orologio di B rallenta rispetto a quello di A. Se Asi avvicinasse alla paratia, a mano a mano il suo orologio rallenterebbe fino a sincronizzarsicon quello di B. Poiché muovendosi dal centro al bordo A aumenta la sua accelerazione, ciòsignifica che l’accelerazione produce la deformazione, ovvero l’incurvatura, anche <strong>del</strong>tempo. Facendo due volte 2+2, ne deduciamo che il campo gravitazionale producel’incurvatura <strong>del</strong>lo spaziotempo.Einstein così può rispondere alla domanda cui Newton non era riuscito a rispondere(almeno rimanendo sul piano <strong>scienti</strong><strong>fico</strong>): che cos’è la gravità? La risposta è, appunto,l’incurvatura <strong>del</strong>lo spaziotempo, cioè una proprietà o conformazione <strong>del</strong>lo spaziotempo.Ma non è ancora finita, perché Einstein, come ognuno di noi a questo punto, non può nonchiedersi: cosa produce l’incurvatura <strong>del</strong>lo spaziotempo? Questa volta la risposta,strettamente legata alla teoria newtoniana, è: la massa, cioè la presenza di corpi materialiin diversi punti <strong>del</strong>lo spaziotempo. P.e., nel nostro sistema planetario, il Sole, l’oggetto dimassa maggiore, incurva lo spaziotempo circostante con un’intensità direttamenteproporzionale alla sua massa e inversamente proporzionale al quadrato <strong>del</strong>la distanza dalsuo centro. Per tradurlo visivamente (sempre in modo approssimativo), possiamoimmaginare lo spaziotempo (anche se riusciamo a visualizzare solo lo spazio) come un teloelastico al cui centro ci sia una boccia molto pesante. La boccia produce nel telo elasticouna specie di buca (o una specie di cratere) la cui pendenza (a imbuto) è maggiore intornoalla boccia e sempre minore a mano a mano che ci si allontana dalla boccia. Se una pallinada ping-pong fosse fatta rotolare sul telo fino a superare il “bordo” <strong>del</strong>la buca/imbuto vicadrebbe dentro con una accelerazione sempre maggiore a mano a mano che si avvicinaalla boccia in quanto la parete <strong>del</strong>la buca diventerebbe sempre più verticale. Se sostituiamoalla pallina da ping-pong un oggetto, p.e. un vaso lasciato cadere da un balcone, e allaboccia la Terra, abbiamo la spiegazione <strong>del</strong>la caduta dei gravi e <strong>del</strong>la legge (terrestre) diaccelerazione (9,8 m 2 /s) nella versione offerta da Einstein.Se la pallina da ping-pong avesse una sufficiente dose di energia cinetica, e se fosseannullato l’attrito <strong>del</strong> telo e <strong>del</strong>l’aria, essa, una volta entrata in buca, continuerebbe aruotare sul suo bordo intorno alla boccia, come i ciclisti o le auto da corsa sulle curveparaboliche. Se sostituiamo alla boccia il Sole e alla pallina da ping-pong la Terra (o Gioveo Marte), otteniamo la spiegazione dei moti orbitali ellittici dei pianeti (e dei satellitiintorno ai pianeti) secondo Einstein. Solo che questa descrizione è assai limitata, non soloperché è solo spaziale ma anche perché è solo bidimensionale. Anche l’incurvatura <strong>del</strong>“solo” spazio è 3D, a tre dimensioni, cioè la buca di prima dovremmo immaginarlatridimensionale, una specie di buca sferica in cui si può cadere da sopra, da sotto e da ognilato. Ma con un ulteriore slancio immaginativo ci si può avvicinare.Ancora più difficile, per non dire impossibile, visualizzare, e quindi rendere almeno un po’intuitiva, la curvatura <strong>del</strong> tempo. Essa, comunque, comporta che un orologio rallenti tantopiù quanto più aumenta l’intensità di un campo gravitazionale. P.e., in un’astronave che285


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREviaggi verso il Sole, il tempo rallenta quanto più l’astronave si avvicina al Sole anche per ilsolo effetto <strong>del</strong> campo gravitazionale (cioè senza considerare la velocità <strong>del</strong>l’astronave),rispetto a noi rimasti sulla superficie <strong>del</strong>la Terra. E’ importante considerare che in tal caso(a differenza che nei moti inerziali) il sistema di riferimento degli astronauti e il nostro nonsono simmetrici. In altre parole, nell’ambito dei fenomeni gravitazionali (e accelerati odecelerati) si può stabilire chi è in quiete rispetto a chi in modo univoco. Nell’esempio, iltempo degli astronauti più vicini al Sole rallenta rispetto al nostro e sarebbe erroneopensare che per gli astronauti il nostro tempo rallenti rispetto a loro.Dunque, mentre Newton aveva concepito la forza gravitazionale come una specie di laccioinvisibile e immateriale (“assurdo”!) con cui il Sole (come fosse un cow-boy) afferra e faruotare intorno a sé i pianeti (come fossero cavalli da domare: insomma una grande rodeoplanetario); Einstein descrive il campo gravitazionale come una grande curva parabolica<strong>del</strong>lo spazio che costringe i pianeti a curvare le loro traiettorie in quanto non possono chemuoversi nello spazio, come un’auto da corsa nella pista (con la differenza che i pianetinon possono mai uscire di pista, a meno che il Sole sparisca). In altre parole, nella versionedi Einstein, la gravitazione non è una forza che agisce a distanza nel vuoto, bensì grazie al“contatto” tra i corpi e lo spazio-campo gravitazionale (tenendo presente che l’energiagravitazionale può avere la forma sia di un’onda sia di uno sciame di corpuscoli, igravitoni). Ci si potrebbe chiedere: una curva parabolica la si può percorrere più in alto opiù in basso: quale <strong>del</strong>le possibili traiettorie curve intorno al Sole percorrono i pianeti eperché? La risposta di Einstein è semplice: quella più facile per ognuno di loro, cioè quellache comportano il minor consumo di energia cinetica.Naturalmente Einstein descrive la sua nuova teoria gravitazionale anche, e anziinnanzitutto, in forma matematica. In tal senso, le sue equazioni dimostrano che la forzagravitazionale si muove alla stessa velocità <strong>del</strong>la luce e dunque a velocità finita, benché lamassima consentita nell’universo. Per comprenderlo in modo intuitivo, torniamo alprecedente esempio <strong>del</strong> telo elastico: quando vi si pone al centro la boccia la buca intornoad essa non si forma immediatamente, la curvatura dovuta al peso <strong>del</strong>la boccia si propaganel telo gradualmente come l’onda prodotta da un sasso lanciato in uno stagno. Quindi se ilSole sparisse in questo momento (se la boccia fosse tolta dal telo) passerebbero 8 minuti (iltempo che un raggio di luce impiega a percorrere la distanza Sole-Terra) prima che la Terrapartisse per la tangente. Su questa base, a differenza di quella di Newton, la teoriagravitazionale di Einstein si accorda con la teoria <strong>del</strong>la relatività ristretta. Ciò non significache per Einstein la teoria newtoniana sia <strong>del</strong> tutto erronea e quindi da archiviare. Einstein,infatti, la considera un sottoinsieme <strong>del</strong>la teoria <strong>del</strong>la relatività generale, cioè una teoriavalida, e la cui celebre formula era quindi ancora utilizzabile, ma con un grado diprecisione inferiore.Tanto la teoria <strong>del</strong>la relatività ristretta quanto quella <strong>del</strong>la relatività generale sonoelaborate da Einstein “a tavolino”, ovvero in modo teorico-matematico, sulla scorta di datisperimentali già noti. In altre parole, Einstein non è autore di scoperte sperimentali(almeno nell’ambito <strong>del</strong>la teoria <strong>del</strong>la relatività) e nemmeno di esperimenti di controllo<strong>del</strong>la sua teoria. Però, in primo luogo, trova una prima conferma sperimentale applicandole sue equazioni gravitazionali al calcolo <strong>del</strong>l’orbita di Mercurio. Perché proprio Mercurio?Perché la formula di Newton si applicava adeguatamente alle orbite osservate degli altripianeti (quelli noti dall’antichità) ma non a quella di Mercurio che presentava un’anomalia,la “precessione <strong>del</strong> perielio”, cioè una piccola deviazione rispetto all’orbita prevista dallalegge gravitazionale newtoniana. Invece, in base alle equazioni einsteiane, la descrizione<strong>del</strong>l’orbita di Mercurio coincide con l’orbita osservata, ovvero include e spiega laprecessione <strong>del</strong> perielio.La teoria <strong>del</strong>la relatività generale, però, trova una conferma sperimentale ancora piùimportante. E’ Einstein stesso a suggerire come mettere sperimentalmente alla prova la286


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREsua teoria gravitazionale: verificando se i raggi stellari che da una stella arrivano alla Terra,passando vicino al Sole, sono o non sono deflessi, cioè deviati dal campo gravitazionalesolare. Nel 1919, lo scienziato inglese Eddington, approfittando di un’eclissi solare, verificache effettivamente i raggi solari non solo sono deflessi ma soprattutto lo sono proprio nellamisura deducibile dalle equazioni di Einstein: 0.00049 gradi.287


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 3PLANCK, EINSTEIN, BOHR, DE BROGLIE, HEISENBERG, SCHRÖDINGER,BORN, PAULI, FEYNMAN, BELL E MOLTI ALTRI: LA TEORIA DEI QUANTIOccorre essere molto prudenti nella fraseologia di una qualunqueaffermazione concernente il comportamento <strong>del</strong>le particelle atomiche. Infattinon abbiamo assolutamente bisogno di parlare di particelle. Per molteesperienze è più comodo parlare di onde corpuscolari [...]. Ecco perché Bohrha sostenuto la necessità di utilizzare due immagini che ha chiamato“complementari”.W. Heisenberg, Fisica e <strong>filoso</strong>fiaUn tempo i giornali scrivevano che solo dodici uomini al mondo erano ingrado di capire la teoria <strong>del</strong>la relatività. Non penso che sia vero. Forse c’èstato anche un momento in cui un uomo solo ne capiva qualcosa, perché eral’unico che ci stava pensando, prima di scrivere il suo articolo. Ma dopo lapubblicazione, la teoria è stata capita da molta gente, certo più di una dozzinadi persone. Invece penso di poter affermare con sicurezza che nessunocapisce la meccanica quantistica.R. Feynman, La legge fisica, Boringhieri 1996 (1965), p. 140La meccanica quantistica dice che la natura è assurda dal punto di vista <strong>del</strong>senso comune. E concorda pienamente con gli esperimenti. Quindi spero cheaccetterete la natura per quello che è: assurda.R. Feynman, QED, La strana teoria <strong>del</strong>la luce e <strong>del</strong>la materia, A<strong>del</strong>phi 1989 (1988), p. 15Se nell’ambito <strong>del</strong>l’elettrodinamica emerge l’anomalia <strong>del</strong>la costanza <strong>del</strong>la velocità <strong>del</strong>laluce, i fisici termodinamici vedono la loro costruzione teorica incrinarsi a causa <strong>del</strong>lascoperta di un’altra anomalia, quella <strong>del</strong> cosiddetto “corpo nero”. Questo è il nome – un po’sinistro, forse non per caso – che gli scienziati danno a una specie di forno utilizzato peralcuni esperimenti sull’emissione e l’assorbimento <strong>del</strong>l’energia elettromagnetica: unparallelepipedo di metallo ermeticamente chiudibile e isolato, tranne che per un piccoloforo laterale indispensabile per osservare cosa accade al suo interno (che dunque risultabuio) riducendo al minimo la dispersione di energia all’esterno. Riscaldandolo a 180° il suocolore diventa rosso scuro, poi giallo e infine bianco intenso (quello che gli antichialchimisti chiamavano “calor bianco”, che altro non è che emissione di luce). Ma ilproblema che gli scienziati si pongono non riguarda il technicolor, bensì il calcolo<strong>del</strong>l’energia totale <strong>del</strong>le onde elettromagnetiche presenti all’interno <strong>del</strong> forno riscaldato.Dalla teoria elettromagnetica di Maxwell si deduce necessariamente che dentro il fornopossono generarsi solo onde con un numero intero di picchi e di ventri, in modo tale cheogni onda si incastri esattamente tra le pareti. Questo vincolo, naturalmente, riduceenormemente il numero <strong>del</strong>le onde che un forno può contenere (vietando onde dilunghezza corrispondente, p.e., ai numeri irrazionali). Tuttavia, i numeri interi sonoinfiniti e dunque nel forno possono generarsi infinite onde. Poiché le leggi <strong>del</strong>latermodinamica stabilivano che ogni tipo d’onda, indipendentemente dalla sua lunghezza,fornisse la stessa quantità d’energia, la conclusione è manifestamente inaccettabile: nelforno si dovrebbe sviluppare un’energia infinita! Pertanto l’esperimento <strong>del</strong> “corpo nero”sembra smentire uno dei gioielli <strong>del</strong>la scienza ottocentesca: appunto la teoriatermodinamica.288


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORENel 1900, il fisico tedesco Max Planck riesce a disinnescare l’anomalia <strong>del</strong> corpo nero, sullabase di un’intuizione fondamentale: l’energia non è continua, ma discontinua, ovverodiscreta. In parole più semplici, è costituita di “pacchetti”, ovvero di grumi energetici, cioèè segmentata in quantità minime, chiamate tecnicamente “quanti”. In termini <strong>scienti</strong>fici,ossia più precisamente, Planck elabora la legge quantistica <strong>del</strong>l’energia: l’energia sitrasmette solo in valori interi, esattamente in multipli interi di una grandezza minima datadal prodotto <strong>del</strong>la frequenza <strong>del</strong>l’onda (v) e di un coefficiente ultraminuscolo (1,05 x 10 -27 gx cm 2 /s, aritmeticamente equivalente circa a un miliardesimo di miliardesimo dimiliardesimo) chiamato “costante di Planck” (h). L’incredibile piccolezza di h è importante,perché spiega come mai la realtà fisica (che è fatta di energia, spazio compreso, in quantopervaso di energia gravitazionale) ci appaia continua mentre è discreta: i “quanti” sonotalmente piccoli e fitti che neanche con il più potente microscopio è possibile distinguerli edunque ci sembrano un tutt’uno. Come un quadro divisionista che visto da lontano sembradipinto con colori continui, mentre visto da vicino ci accorgiamo che è composto da tantipuntini separati l’uno dall’altro; oppure come una scala con gradini di altezza talmentepiccola che, osservata a una certa distanza, ci appare uno scivolo.Planck sintetizza la sua legge nella formula: E=hv. Questa formula significa che l’energia diun onda è direttamente proporzionale alla sua frequenza (e quindi inversamenteproporzionale alla sua lunghezza) e che ogni tipo d’onda è composta da pacchetti di energiadi quantità appunto pari al prodotto <strong>del</strong>la sua frequenza per h. Forte <strong>del</strong>la sua formula,Planck affronta e risolve l’enigma <strong>del</strong> corpo nero ipotizzando che al suo interno le onde chehanno una frequenza maggiore di un certo valore/soglia (ovvero quelle più corte), e chedunque sono composte da pacchetti energetici sempre più grandi, non forniscono apportoenergetico. In altre parole, stranamente ma realmente, l’energia complessiva che sisviluppa all’interno <strong>del</strong> corpo nero è fornita unicamente da un numero finito di onde piùlunghe e quindi la sua quantità totale, per quanto possa essere grande, rimane pur semprefinita.Per comprendere meglio la spiegazione di Planck, si può ricorrere a questo esempioanalogico: dobbiamo comprare una bibita da una distributrice automatica che funzionasolo con monete da 10, 20, 50 centesimi di euro e non dà resto; una bibita costa 80centesimi. Se inseriamo nella distributrice 8 monete da 10, 4 da 20 o 1 da 50 e 3 da 10 ouna da 20 e una da 10, otteniamo una bibita; se inseriamo una moneta da 1 € o da 2 € ladistributrice si tiene le monete ma non ci eroga la bibita (naturalmente si tratta di specialibibite energetiche, tipo quelle per gli atleti; e altrettanto naturalmente non si puòprotestare per riavere indietro gli euro incautamente inseriti).Appresa la legge di Planck, Einstein la utilizza per spiegare il fenomeno sperimentale, detto“effetto fotoelettrico”, <strong>del</strong>l’emissione di elettroni da parte di alcuni metalli quando sonoinvestiti dalla luce. Secondo Einstein, anche la luce – che, ricordiamoci, è un tipo diradiazione/onda elettromagnetica – ha una natura quantistica, cioè è costituita da grumiminimi di energia, chiamati fotoni. In altre parole, la luce è uno sciame di fotoni (unalampadina da 10 W emette circa 100 miliardi di miliardi di fotoni al secondo) i quali, sesufficientemente energetici, come minuscoli proiettili colpiscono gli elettroni più esternidegli atomi di metalli e li sbalzano via. In questo modo, Einstein dà una connotazione fisicaalla legge di Planck, che di per sé è solo una funzione matematica, ridando attualitàall’ipotesi di Newton, che aveva sostenuto che la luce aveva una natura corpuscolare.La teoria fotonica <strong>del</strong>la luce di Einstein apre un conflitto nella comunità <strong>scienti</strong>fica, chefino alla scoperta einsteiniana era convinta che la luce avesse invece una natura289


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREondulatoria. Tale convinzione si basa sul famoso esperimento <strong>del</strong>le due fenditure effettuatoda Young all’inizio <strong>del</strong>l’800. Esso consta di 3 elementi:1. una sorgente di luce (una semplice lampadina);2. una lamina opaca con due fenditure verticali, cioè due aperture rettangolariperpendicolari rispetto alla base <strong>del</strong>la lamina e tra loro parallele;3. una lastra fotografica, e quindi impressionabile dalla luce, posta dietro allalamina.Dopo aver acceso la luce la lastra fotografica mostra un disegno chiamato “figurad’interferenza”, cioè un’alternanza di strette strisce verticali nere (cioè non colpite edunque non impressionate dalla luce) e bianche (colpite e quindi impressionate dalla luce),che si sfumano verso i bordi <strong>del</strong>la lastra che rimangono <strong>del</strong> tutto neri. Questo disegno erastato giudicato da Young la prova sperimentale <strong>del</strong>la natura ondulatoria <strong>del</strong>la luce. Infatti,le onde possono interagire tra loro amplificando o cancellando i loro effetti. P.e., quandodue onde marine per così dire si incastrano (ovvero quando i picchi <strong>del</strong>l’una collimano conquelli <strong>del</strong>l’altra e i ventri <strong>del</strong>l’una con quelli <strong>del</strong>l’altra) rafforzano l’innalzamento (picchi) ol’abbassamento (ventri) <strong>del</strong>l’acqua; quando invece, per così dire, si scontrano (ovveroquando i picchi <strong>del</strong>l’una toccano i ventri <strong>del</strong>l’altra e viceversa) attenuano o addiritturaannullano sia l’innalzamento sia l’abbassamento <strong>del</strong>l’acqua (che dunque rimane lisciacome se non ci fossero onde). Similmente, le onde luminose, dopo essere passate per le dueferitoie, in alcuni casi si incastrano in altri si scontrano, per cui alcune arrivano a toccare lalastra (impressionandoloa, cioè producendo le bande verticali bianche), altre si annullanoa vicenda (ed ecco perché <strong>del</strong>le bande rimangono nere: il fenomeno <strong>del</strong>l’interferenzaimpedisce che le onde luminose arrivino a impressionare la lastra fotografica nelle aree cherimangono appunto nere, cioè non impressionate).Per comprendere appieno il significato <strong>del</strong>l’esperimento <strong>del</strong>le due fenditure, bisogna tenerpresente che se al posto <strong>del</strong>la sorgente di luce ci fosse una mitragliatrice che sparasseproiettili all’impazzata nella direzione <strong>del</strong>le feritoie <strong>del</strong>la lastra, sul muro retrostante(meglio non usare una lastra fotografica: non ce n’è bisogno per rilevare dove finiscono iproiettili e andrebbe subito in pezzi) si disegnerebbero due fasce rettangolari verticalisenza intonaco in corrispondenza <strong>del</strong>le feritoie <strong>del</strong>la lastra. E’ intuitivo perché. Ma cosìdovrebbe risultare ancora più intuitivo capire perché il fatto che la luce, passando dalle dueferitoie, produca una “figura d’interferenza” (e non due sole bande bianche) confuta la tesiche essa abbia una natura corpuscolare: se fosse fatta di fotoni, la luce dovrebbe produrrelo stesso effetto dei proiettili <strong>del</strong>la mitragliatrice.Dunque, l’esperimento <strong>del</strong>l’effetto fotoelettrico avvalora l’ipotesi che la luce siacorpuscolare, mentre l’esperimento <strong>del</strong>le due fenditure corrobora l’ipotesi che la luce abbianatura ondulatoria. In altre parole, ci sono due esperimenti contraddittori. Com’èpossibile? Naturalmente, gli scienziati si impegnano a risolvere il nuovo enigma, ripetendogli esperimenti e ideandone nuove varianti. Una di queste, però, fornisce un risultatoancora più stupefacente ed enigmatico. Si tratta di un esperimento identico a quello diYoung, tranne per un decisivo particolare: la sorgente luminosa emette un quanto dienergia luminosa, cioè un fotone, alla volta, con un intervallo di alcuni secondi tra l’uno el’altro. Dopo molto tempo, si controlla la lastra fotografica. Come risulta impressionata?Con la stessa figura d’interferenza che si era formata nella prima versione youngiana<strong>del</strong>l’esperimento. Se prima era difficile pensare che molti fotoni costituissero un’onda,capace di attraversare entrambe le fenditure e poi interferire con altre onde formate daaltri fotoni; ora sembra impossibile credere che un solo fotone possa costituire un’ondacapace di passare per entrambe le fenditure e interagire con se stessa! D’altra parte qualealtra spiegazione si potrebbe dare? Il mistero si infittisce.290


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREC’è di più: chiudendo prima la fenditura di destra e “sparando” un fotone alla volta per uncerto tempo, poi chiudendo quella di sinistra e riaprendo quella di destra e sparando dinuovo un fotone alla volta per un certo tempo, sulla lastra non risulta la figurad’interferenza, ma due più grandi bande bianche verticali in corrispondenza <strong>del</strong>lefenditure. Insomma, in questo caso i fotoni si comportano come i proiettili <strong>del</strong>lamitragliatrice. La contraddizione è ancora più diretta e acuta. Com’è possibile che quandoentrambe le fenditure sono aperte – ovvero ci sono più possibilità di colpire la lastrafotografica – i fotoni non riescono a colpire parti <strong>del</strong>la lastra che invece colpiscono quandoè aperta una sola fenditura, cioè quando le possibilità di colpire la lastra si restringono?Sarebbe come dire che fotoni che potevano passare per la fenditura sinistra, quando soloquesta era aperta, non riescono più a passarci quando è aperta anche l’altra!Come se non bastasse, lo scienziato francese De Broglie provò a ripetere i vari tipi diesperimenti <strong>del</strong>le due fenditure, utilizzando, invece <strong>del</strong>la luce, degli sciami di elettroni. Perla fisica classica gli elettroni erano indubitabilmente <strong>del</strong>le particelle dotate di massa ariposo, e come tali ben distinti dalle onde elettromagnetiche (tra cui la luce) prive di massaa riposo. Ma De Broglie, sulla scorta degli esperimenti relativi alla luce, sospetta che cosìcome la luce, che sembrava un’onda, mostra di avere anche proprietà corpuscolari,simmetricamente l’elettrone, che sembrava una particella, possa manifestare proprietàondulatorie. I risultati sperimentali confermano la sua intuizione: gli elettroniimpressionano la lastra negli stessi modi dei fotoni, in particolare formano figured’interferenza quando entrambe le fenditure <strong>del</strong>la lastra sono aperte. E’ un esito clamorosoche, da un lato, conferma l’equivalenza materia/energia, già teorizzata da Einstein(E=mc 2 ), dall’altro, attesta la doppia natura di tutte le particelle elementari: fotoni,elettroni, protoni, neutrini che siano, tutti sono sia onde sia corpuscoli!Il fisico danese Bohr si assume la responsabilità, e l’onore, di sancirlo ufficialmente,enunciando il “principio di complementarità”, secondo il quale tutte le particelleelementari, cioè tutti i costituenti primi <strong>del</strong>la massa/energia, devono essere considerati<strong>scienti</strong>ficamente sia onde sia corpuscoli, ovvero né onde né corpuscoli. Ma in tal modo lascienza non infrange il venerando principio di non-contraddizione? Per i fisici classici sì,ma per Bohr no perché egli stabilisce che la doppiezza <strong>del</strong>le particelle elementari ha unlimite: esse non mostrano e non possono mostrare entrambe le naturecontemporaneamente, cioè nell’ambito di uno stesso tipo di esperimento. Questo vincoloper Bohr è sufficiente a salvaguardare la scienza dalla sovversione <strong>del</strong>la logica elementare,presupposto di qualsiasi discorso razionale, senza d’altra parte impedirle di spiegare larealtà.Quasi contemporaneamente, il fisico tedesco Heisenberg enuncia un secondo principiofondamentale <strong>del</strong>la teoria quantistica, destinato a diventare ancora più celebre: il“principio di indeterminazione”, secondo il quale non è possibile determinare allo stessotempo sia la posizione sia la velocità di una particella elementare. Più precisamente,Heisenberg stabilisce che la precisione <strong>del</strong>la misurazione <strong>del</strong>la velocità di una particella èinversamente proporzionale alla precisione <strong>del</strong>la misurazione <strong>del</strong>la sua posizione, per cuiquanto più si misura precisamente la velocità tanto più rimane indeterminata la posizionee quanto più si misura precisamente la posizione tanto più rimane indeterminata lavelocità. Come mai? A causa <strong>del</strong>l’effetto di disturbo prodotto dall’osservazione. Laperturbazione <strong>del</strong>l’osservazione conoscitiva sull’oggetto conosciuto era nota anche ai fisiciclassici che, di conseguenza, avevano introdotto nel protocollo dei propri esperimentimetodi e tecniche per renderla praticamente nulla. Un esempio analogico: io posso“osservare” la posizione di una pallina da baseball in volo colpendola con una mazza edeviandola, oppure sfiorandola con la guancia e quindi non interferendo con il suo moto.Ma la seconda modalità nel mondo microscopico dei “quanti” non è possibile. Perché? In291


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREprima approssimazione, Heisenberg risponde che le osservazioni <strong>del</strong>le particelleelementari si basano sulla luce, la cui energia non può essere ridotta a meno di un quanto,cioè di un fotone. Ma un fotone è sufficiente a perturbare un elettrone o un protoneosservati. Più precisamente: l’energia di un fotone è direttamente proporzionale allafrequenza <strong>del</strong>la sua onda e quindi inversamente proporzionale alla lunghezza <strong>del</strong>la suaonda. Per localizzare una particella elementare, più l’onda è lunga, meno precisa è lalocalizzazione (immaginate di voler localizzare un oggetto normale, p.e. un quaderno, suun pavimento, utilizzando una rete: più le sue maglie sono larghe più la localizzazione èvaga; più sono strette, ovviamente mai più piccole <strong>del</strong> quaderno, più la localizzazione èprecisa). Dunque per localizzarla precisamente occorrerebbero onde luminose corte. Ma aqueste corrisponde una grande frequenza, dunque una grande energia, quindi una forteperturbazione <strong>del</strong> moto <strong>del</strong>la particella (più o meno come l’effetto <strong>del</strong>la mazza da baseballsulla pallina) che impedisce di misurarne con precisione la velocità. E viceversa.Per capire l’effetto dirompente <strong>del</strong> principio di indeterminazione, bisogna ricordare che,nella fisica classica, velocità e posizione di un corpo sono i due elementi necessari esufficienti per prevederne il comportamento futuro e passato. All’inizio <strong>del</strong>l’800 Laplaceaveva di fatto enunciato il “principio di determinazione” <strong>del</strong>la fisica classica, affermandoappunto che se fosse possibile conoscere velocità e posizione di tutti i corpi <strong>del</strong>l’universo inun solo istante, sarebbe possibile ricostruire tutto il passato e prevedere tutto il futuro<strong>del</strong>l’universo stesso. Ora il determinismo laplaciano, condiviso da quasi tutta la comunità<strong>scienti</strong>fica ottocentesca, crolla: poiché non è mai possibile conoscere al contempo velocità eposizione anche di una sola particella elementare, è per principio impossibiledeterminarne il comportamento, tanto quello passato quanto quello futuro.Per un altro aspetto, il principio di indeterminazione fornisce quantomeno uninquadramento teorico alla anomalia <strong>del</strong> comportamento di fotoni ed elettroni messo inluce (è proprio il caso di dirlo) dagli esperimenti <strong>del</strong>le due fenditure, in particolare quelli incui fotoni ed elettroni sono centellinati, cioè emessi uno alla volta. Come può uno stessofotone passare per entrambe le fenditure? Ovvero, come può un elettrone che passa per lafenditura A quando quella B è chiusa, non passarvi più quando anche B è aperta? Unaprima risposta è che il suo comportamento è indeterminato e indeterminabile. Manaturalmente la scienza non può rinunciare alla spiegazione e alla previsione, a meno dirinnegare se stessa. Pertanto i fisici quantistici rinunciano sì al determinismo, ma non allaricerca di metodi capaci di poter spiegare e prevedere almeno parzialmente icomportamenti quantistici. Così, ulteriori studi e ricerche, permettono loro di mettere apunto due metodi efficaci: un metodo probabilistico basato sul concetto di “ampiezza d’onda” (e la relativaformula matematica detta “funzione d’onda”), dovuto soprattutto ai fisiciSchrödinger, austriaco, e Born, inglese di origine tedesca; un metodo statistico basato sul concetto di “somma dei cammini” (e la relativaformula detta “integrale di Feynman) dovuto al fisico statunitense Feynman.Quanto al primo metodo, ricordato che l’ampiezza di un onda è la sua altezza (nelle ondesonore maggiore è l’ampiezza maggiore è il volume <strong>del</strong> suono), esso si basa sull’assunto,sperimentalmente testato, che la probabilità di trovare una particella in un certo punto<strong>del</strong>la sua onda è direttamente proporzionale all’ampiezza. Immaginiamo un pianoondulato con <strong>del</strong>le colline più o meno alte: la probabilità maggiore è che una particellaelementare si trovi sul colle più alto. Poniamo che un colle/ampiezza sia il doppio di unaltro. Allora ci sarà il doppio di probabilità di trovare la particella sul primo rispetto che sulsecondo. Ciò significa che, considerando i moti di più particelle, mediamente ogni duevolte che una particella si localizza sul colle/ampiezza più alto, una volta si localizza su292


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREquello alto la metà. Insomma, secondo Schrödinger e Born, il comportamento quantisticopoteva essere spiegato e previsto in base al calcolo probabilistico, che era già statosviluppato e usato dalla fisica classica per prevedere i moti <strong>del</strong>le molecole dei gas. L’enigma<strong>del</strong>l’esperimento <strong>del</strong>le due fenditure, in tal senso, era almeno parzialmente risoltopensando che ogni fotone/elettrone ha una certa probabilità di passare dalla fenditura Ama anche una certa probabilità di passare dalla fenditura B e che quindi queste due“funzioni d’onda” (o “onde di probabilità) interferiscono tra loro.Feynman è decisamente più radicale. Secondo lui bisogna assumere non solo che unaparticella passi contemporaneamente per entrambe le fenditure ma anche che percorratutte le traiettorie possibili dalla sorgente alla lastra, ovvero che passi sia solo da unafenditura, sia solo dall’altra, o ancora che vi passi dopo aver zigzagato tra la lamina e lalastra, per non dire dopo aver girato intorno alla Luna, ecc. insomma, sarebbe come direche, prima di decidere quale percorso fare, una particella li prova tutti e poi ne sceglie unoe lo percorre. (Chiaro no? No? Allora avete capito!) Il metodo messo a punto da Feynmanper prevedere il percorso effettivo <strong>del</strong>la particella consiste nell’assegnare un numero a tuttii percorsi “annusati” (i “cammini”) e poi farne la media: il percorso di volta in voltarisultante da questa particolare “somma dei cammini” è quello buono. (Insomma: è ilpercorso, non un percorso. Chiaro? No? C.s.!) I risultati matematici <strong>del</strong> metodo <strong>del</strong>lasomma dei cammini coincidono perfettamente con quelli <strong>del</strong>la funzione d’onda. Ossia: unanuova dualità complementare, due interpretazioni fisiche degli eventi sperimentali però<strong>del</strong> tutto convergenti negli esiti matematici e pertanto entrambe <strong>scienti</strong>ficamente valide.Non è ancora tutto. Sulla base dei risultati teorici e matematici conseguiti, i fisiciquantistici proseguono la loro ricerca con nuovi e sempre più raffinati esperimenti che liconvincono definitamente di quattro proprietà, tanto fondamentali quanto “assurde”, <strong>del</strong>leparticelle elementari: la “sovrapposizione di stati”, cioè il fenomeno già evidenziatosi nei primiesperimenti <strong>del</strong>le due fenditure, <strong>del</strong>la compresenza simultanea di una particella inpiù luoghi; l’ “effetto tunnel”, per il quale una particella possiede un certo grado di probabilitàdi attraversare regioni spaziali che le sarebbero precluse (p.e. esempio per lapresenza di una forza repulsiva), che sarebbe come dire – ma è solo un esempioanalogico – che noi avremmo una buona probabilità di passare attraverso un muro(se fossimo una particella elementare, ma essendo invece un aggregato di miriadi diparticelle, la nostra probabilità effettiva di attraversare un muro si approssima allozero, in modo tale che dovremmo aspettare molto più di 15 miliardi di anni, l’etàstimata <strong>del</strong>l’universo, perché possa davvero accaderci: dunque, armiamoci di santapazienza!); la “fluttuazione” energetica: tutte le particelle si redistribuiscono continuamentel’energia complessiva <strong>del</strong>l’universo, in modo tale che ognuna può sempre, per cosìdire, prenderne in prestito una quota per incrementare la propria energia, all’unicacondizione di restituirla tanto più rapidamente quanto maggiore è il prestitoottenuto, in modo tale da poter superare un ostacolo (immaginiamo analogicamenteun dosso) che altrimenti non sarebbero state in grado di superare (un casoparticolare di “effetto tunnel”) o addirittura in modo tale da generarsi dal vuoto,ovvero dal nulla (apparente, perché per la fisica quantistica, tutto lo spazio èpervaso di energia), come nel caso <strong>del</strong>le cosiddette “particelle virtuali”, p.e. unelettrone e un positrone (l’antiparticella <strong>del</strong>l’elettrone) che appaionoimprovvisamente in uno spazio apparentemente vuoto, ma solo per poche frazionidi frazioni di secondo, perché subito si annichiliscono a vicenda, avendo caricaopposta;293


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREl’ “entanglement” (intreccio, correlazione), consistente nel fatto che due particellepossono scambiarsi informazioni in modo istantaneo anche a distanza di milioni dianni luce, in modo tale che, p.e., se una muta il suo spin (il verso di rotazione sulproprio asse) immediatamente lo muta anche l’altra.Questi “effetti speciali” <strong>del</strong>le particelle elementari danno luogo – e come sarebbe potutoessere altrimenti? – a numerose interpretazioni <strong>filoso</strong>fiche, le più significative <strong>del</strong>le qualisono:quella di Einstein e di altri fisici: la teoria dei quanti è una teoria incompleta, inquanto non è riuscita ancora a scoprire <strong>del</strong>le “variabili nascoste”, grazie allaconoscenza e al calcolo <strong>del</strong>le quali i comportamenti quantistici perderebbero tutte leloro stranezze e sarebbero spiegabili in modo <strong>del</strong> tutto coerente con la teoria <strong>del</strong>larelatività (Einstein pro domo sua?);quella “mentalistica”: la natura in sé è caos, ma l’osservazione conoscitiva <strong>del</strong>l’uomole impone un ordine, ovvero le particelle sanno di essere osservate – e calcolate – eallora e solo allora, in relazione alla mente umana, si comportano regolarmente (p.e.si manifestano in un luogo ben preciso, rinunciando alla loro ubiquità, almenotemporaneamente);quella “degli universi paralleli”: non esiste un solo universo infinito, esistono infinitiuniversi infiniti e paralleli, che però in qualche modo sono in relazione tra lorocosicché una stessa particella in un universo è in un luogo, in un altro in un altroluogo, ecc. Tutte le sue infinite dislocazioni negli infiniti universi sono però collegatetra loro e questo spiega perché, p.e., una particella può sembrarcicontemporaneamente in più luoghi.Al di là <strong>del</strong>le interpretazioni <strong>filoso</strong>fiche, la teoria quantistica ottiene conferme sperimentalie perfezionamenti teorico-matematici per tutto il ‘900, sicché è indubbio che la rivoluzione<strong>scienti</strong>fica moderna ha riproposto un nuovo dualismo nell’ambito <strong>del</strong>la fisica: quello tra lateoria <strong>del</strong>la relatività e la teoria dei quanti, ossia tra la fisica dei corpi macroscopici e <strong>del</strong>lemassime grandezze e la fisica dei corpi microscopici e <strong>del</strong>le grandezze minime. Le dueteorie, infatti, non sono compatibili almeno per due aspetti:a) lo spaziotempo per la teoria relativistica è continuo, per la teoria quantisticaè discreto, ossia discontinuo;b) per la teoria relativistica l’informazione non può trasmettersi a velocitàsuperiori a quella <strong>del</strong>la luce, mentre per la teoria quantistica può trasmettersiistantaneamente, cioè a velocità infinita.Naturalmente la ricerca <strong>scienti</strong>fica attuale ha come obiettivo fondamentale l’unificazione<strong>del</strong>le due teorie. Negli ultimi anni l’obiettivo è stato avvicinato ma non ancora raggiunto.294


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREVIAGGIO IIILA FILOSOFIA DELLA SCIENZA POST-RIVOLUZIONARIACanocchiale su…L’orizzonte storico-culturale 1914-1945La II guerra dei Trent’anniAlcuni storici hanno denominato il periodo 1914-1945 “la II guerra dei Trent’anni”,volendo così sottolineare che il suo fondamentale carattere bellico. E’ certamente fuor didubbio che questo trentennio è aperto e chiuso dalle 2 più cruente guerre <strong>del</strong>la storiamondiale, che insieme occupano un terzo <strong>del</strong>la sua durata, e che i restanti 20 anni centralisono connotati prima dagli effetti <strong>del</strong>l’una e poi dalle premesse <strong>del</strong>l’altra. In questo sensonon è forzato concepire le due guerre mondiali come il primo e il secondo tempo diun’unica guerra di cui il periodo intermedio rappresentò un lungo armistizio, o una pacearmata, se non addirittura una guerra “fredda”, cioè una guerra strisciante, non ancoradichiarata e combattuta apertamente.Questa interpretazione appare ancor più convincente se consideriamo che lo spartiacque<strong>del</strong>l’intero periodo è costituito dalla grande crisi economica mondiale <strong>del</strong> 1929 che ebbe lafunzione di trait d’union tra le due guerre “calde” non solo perché fu una <strong>del</strong>le conseguenzestrutturali <strong>del</strong>la prima e una <strong>del</strong>le cause determinanti <strong>del</strong>la seconda, ma anche perchéinnescò una nuova fase di guerra economica, di proseguimento <strong>del</strong>la I guerra mondiale conmezzi economici e politici e spinse a cercare una sua soluzione nella guerra aperta, la IIguerra mondiale, che in questo senso non è altro che il proseguimento <strong>del</strong>la guerraeconomico-politica con mezzi militari.Ma ancora più chiaramente la tesi <strong>del</strong>la “II guerra dei Trent’anni” trova conferma nellenumerose e devastanti guerre civili che insanguinano l’Europa nel ventennio 1916-1939: laguerra civile russa, conseguente alla rivoluzione <strong>del</strong> 1917, e le guerre civili italiana, tedescae spagnola (solo per citare le maggiori), premesse <strong>del</strong>l’instaurazione dei regimi dittatorialifascista, nazista e franchista. Da queste guerre civili, inoltre, prende avvio la costruzionedei totalitarismi in Unione sovietica, Italia e Germania, i quali con la loro violenza legalesistematica e generalizzata, e in particolare con il ricorso al metodo <strong>del</strong>lo sterminio deglioppositori, reali o immaginari, rappresentano il suggello <strong>del</strong> carattere bellico <strong>del</strong> periodo.Non a torto, anche se facendone un indebito uso insieme assolutizzante e assolutorio,alcuni storici hanno interpretato il periodo considerato come caratterizzato essenzialmenteda una “guerra civile europea”, che si combatté al tempo stesso tra Stati nemici e,all’interno degli Stati, tra fazioni politiche di diverso orientamento ideologico (liberaldemocratico,nazifascisma, comunista).La genesi <strong>del</strong> Novecento come “secolo <strong>del</strong> Male”Quest’interpretazione è tanto più significativa in quanto gli eventi storici compresi nelperiodo 1914-1945 sono quelli che hanno dato la loro impronta all’intero Novecento,inteso come “secolo <strong>del</strong> Male”, ovvero come il secolo in cui l’umanità ha compiuto e alcontempo ha subito i crimini peggiori e più vasti, più generalizzati, contro i diritti<strong>del</strong>l’uomo. Basti pensare che gli storici hanno stimato in 187 milioni gli individui uccisidirettamente o indirettamente a causa <strong>del</strong>la violenza di altri uomini. Di questi circa 36milioni sono vittime di guerre classiche, le restanti 150 di repressioni, deportazioni,stermini, genocidi, guerre civili, dovute all’azione repressiva degli Stati e all’azione militaredi movimenti sovversivi.Dopo la fine <strong>del</strong>la Grande guerra, i diversi moventi <strong>del</strong>la quasi totalità di questi morti sonoriconducibili al conflitto mondiale a 3 tra Stati democratico-capitalistici occidentali (USA,GB, F), totalitarismo nazifascista e totalitarismo comunista, un conflitto che imperversò295


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREnel mondo fino al crollo <strong>del</strong>l’URSS nel 1991. Se, in una prima fase, ovvero nella II guerramondiale, l’alleanza tattica tra stati democratico-capitalistici e totalitarismo comunistaconsentì l’annientamento <strong>del</strong> totalitarismo nazi-fascista, in una seconda fase, ovverodurante la cosiddetta guerra fredda (1947-1989), si scontrarono Stati democraticocapitalisticie totalitarismo comunista. In entrambi i casi la continuità storica con la Iguerra mondiale e con il primo dopoguerra appare evidente.I fattori politici internazionali <strong>del</strong>la I guerra mondialeSe il Novecento si caratterizza come il secolo <strong>del</strong> Male e se la “II guerra dei Trent’anni” nefu il periodo costitutivo, la I guerra mondiale ne rappresentò sicuramente la genesi. Inquesto senso la questione <strong>del</strong>le cause <strong>del</strong>lo scoppio <strong>del</strong>la Grande guerra acquista un rilievodecisivo.L’innesco <strong>del</strong>la guerra mondiale fu il risultato di una convergenza sincronica di molteplicifattori politici, sociali e culturali.A livello politico internazionale, nella cosiddetta belle époque - il quarantennio di paceeuropea precedente il 1914 -, si erano vieppiù inaspriti i conflitti bilaterali tra Francia eGermania per l’Alsazia-Lorena, Austria e Italia per il Trentino e Trieste, Austria e Russiaper l’egemonia sui Balcani, e soprattutto Inghilterra e Germania per l’egemoniacontinentale. Tali conflitti in un primo momento avevano trovato nell’espansione colonialedi tipo imperialistico una camera di compensazione e insieme una valvola di sfogo. Maprogressivamente l’imperialismo si trasformò in fattore catalizzatore <strong>del</strong>la guerra. Essoinfatti permise da un lato ai vertici militari dei diversi paesi di acquisire un maggiore pesopolitico e di sperimentare nuove tecniche belliche e repressive. Paradigmatici in questosenso l’invenzione inglese dei campi di concentramento, usata per vincere la resistenza deiBoeri in Sudafrica, e il genocidio <strong>del</strong>la popolazione africana degli Herero da parte deitedeschi. Da un altro lato, l’imperialismo favorì l’accumulo di ulteriori motivi di tensionetra le potenze europee. Esso raggiunse il culmine quando si esaurirono i territori adisposizione per la colonizzazione e la Germania capì definitivamente di aver perso la garaper la loro conquista.Il fattore internazionale decisivo per lo scoppio <strong>del</strong>la guerra fu però il conflitto economico epolitico-militare tra Inghilterra e Germania. Esso infatti spinse l’Inghilterra a uscire dalsuo “splendido isolamento”, ad abbandonare il suo ruolo di arbiter super partes <strong>del</strong>lecontroversie internazionali e a scendere nell’arena europea. In questo modo il conflittoInghilterra-Germania si trasformò da bilaterale in multilaterale, in quanto le due massimepotenze europee divennero i centri di coagulo di due sistemi di alleanze contrapposte – laTriplice Alleanza (Germania, Austria, Italia) e la Triplice Intesa (Inghilterra, Francia,Russia). Dopo l’attentato di Sarajevo, fu questa polarizzazione in blocchi antagonisti chefece degenerare la guerra locale tra Austria, da una parte, e Serbia e Russia, dall’altra, inuna guerra globale.I fattori politici interni <strong>del</strong>la I guerra mondialeQuesta dinamica politica internazionale si intrecciò strettamente con le dinamichepolitiche e sociali interne dei diversi Paesi. Sul piano politico, la formazione <strong>del</strong>la società dimassa e la politicizzazione <strong>del</strong>le masse operaie e contadine provocarono la crisi <strong>del</strong>la formaclassica <strong>del</strong>lo Stato liberale a causa <strong>del</strong> divario crescente tra le capacità politiche <strong>del</strong>le classidirigenti tradizionali e la nuova situazione sociale e politica sempre più complessa esempre più polarizzata.La centralità e il potere dei politici liberali erano minacciati, da un lato dalla sempre piùampia diffusione dei nuovi movimenti nazionalistici di ideologia razzistica e reazionaria, edall’altro dalla formidabile crescita dei partiti socialisti e più in generale <strong>del</strong> movimentooperaio. La prima minaccia spingeva le élite politiche tradizionali ad assumere posizioni296


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREpiù nazionalistiche, e quindi bellicistiche, onde evitare la perdita di consenso da parte<strong>del</strong>l’opinione pubblica piccolo borghese a causa <strong>del</strong>la sempre più incisiva e capillarepropaganda nazionalistica a favore <strong>del</strong>la guerra imperialistica; la minaccia socialista,considerata di gran lunga più pericolosa per il suo potenziale rivoluzionario, le induceva avedere nella guerra uno strumento utile per deviare la lotta di classe e per bloccarel’avanzata operaia. In modo speculare, le frange più radicali dei partiti socialisti europei, icosiddetti sindacalisti rivoluzionari e gli anarchici, erano favorevoli allo scoppio <strong>del</strong>laguerra perché credevano, in base agli esempi storici <strong>del</strong>la Comune di Parigi e <strong>del</strong>larivoluzione russa <strong>del</strong> 1905, che essa potesse innescare una rivoluzione.Questa situazione politica affondava le sue radici in un contesto sociale nel quale i livelli diaggressività individuale e di violenza diffusa si erano impennati a causa <strong>del</strong>l’intreccio didiversi processi. Da una parte la lunga e potente crescita economica a cavallo <strong>del</strong> secoloaveva provocato un forte aumento <strong>del</strong>le aspettative di crescita <strong>del</strong> reddito e di ascesasociale, cui fece seguito, se non una diminuzione, quanto meno una stasi <strong>del</strong>le opportunitàreali di miglioramento a causa di una nuova fase di stagnazione economica cominciata sulfinire <strong>del</strong> primo decennio <strong>del</strong> ‘900. D’altra parte la II rivoluzione industriale, coi suoiprocessi di ristrutturazione, concentrazione e urbanizzazione, aveva prodottosconvolgimenti sociali di portata biblica innescando nuovi fenomeni di declassamento,impoverimento e marginalizzazione. A ciò si aggiunsero la sempre più aspra concorrenzaeconomica scatenata dal capitalismo monopolistico e protezionistico, e la sempre più acutatensione internazionale non solo tra gli Stati ma anche tra i popoli europei. La convergenzasincronica di questi tre processi si tradusse nella diffusione di sentimenti di deprivazionerelativa, di precarietà e di incombente minaccia, ovvero in uno stato psicologicogeneralizzato di frustrazione e depressione. Tale condizione psicologica costituì il terrenodi coltura <strong>del</strong>le idee e <strong>del</strong>le pratiche violente che incanalarono e sfogarono frustrazione edepressione in aggressività contro individui e gruppi catalogati come “nemici”. Il piùevidente e inquietante campanello d’allarme <strong>del</strong>l’esito politico violento di questa situazionepsicologica di massa fu la recrudescenza <strong>del</strong>l’antisemitismo in tutti i paesi europei.I fattori culturali e <strong>filoso</strong>fici <strong>del</strong>la I guerra mondialePoiché però l’agire umano è sempre mediato ideologicamente, non si può comprendere laderiva verso la guerra senza considerare la situazione culturale europea. Da questo puntodi vista, due appaiono le tendenze culturali più rilevanti.La prima è quella <strong>del</strong> <strong>pensiero</strong> razionalistico ottocentesco: idealismo, positivismo emarxismo, pur in modi diversi e anche antitetici, convergevano nel sostenere e diffondereuna fiducia pressoché assoluta nel capacità prometeiche <strong>del</strong>l’umanità, nella inesorabilità<strong>del</strong> progresso nonché nella necessità <strong>del</strong> ricorso, ancorché parziale e controllato, allaviolenza. Tali tradizioni di <strong>pensiero</strong>, che contribuirono a formare una coscienza collettivaportata a sottovalutarre i limiti e gli errori <strong>del</strong>l’uomo, caratterizzavano soprattutto legenerazioni mature e le leadership politiche sia <strong>del</strong>la destra sia <strong>del</strong>la sinistra.La seconda tendenza, che si afferma alla fine <strong>del</strong>l’800, è quella <strong>del</strong> <strong>pensiero</strong> vitalistico, chedemolì il primato <strong>del</strong>la razionalità classica in nome <strong>del</strong> primato <strong>del</strong>la pulsionalità naturalee <strong>del</strong>l’attività creatrice soggettiva. Questo filone, più eterogeneo <strong>del</strong> primo, ebbe i suoicapostipiti nella teoria <strong>del</strong>la volontà di potenza e <strong>del</strong> superuomo di Nietzsche, e nella teoria<strong>del</strong>l’inconscio di Freud, ma comprese anche lo storicismo tedesco, in particolare Simmelcon il suo dualismo vita/forme oggettive, l’evoluzionismo idealistico di Bergson, la <strong>filoso</strong>fiaspiritualistica <strong>del</strong>l’azione di Blon<strong>del</strong>, e soprattutto il neomarxismo di Sorel, che esaltava lacreazione di miti funzionali alla rivoluzione e l’uso <strong>del</strong>la violenza non tanto come“ostetrica” (Marx) ma come “madre” <strong>del</strong>la storia. Il <strong>pensiero</strong> vitalistico esasperò la visioneprometeica <strong>del</strong>l’uomo, svincolandola anche dai limiti parziali postile dal <strong>pensiero</strong>razionalistico ottocentesco, cioè dai criteri <strong>del</strong>la razionalità conoscitiva, dall’istanza morale297


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORE<strong>del</strong>l’universalità, dal senso politico <strong>del</strong>la gradualità. Esso trovò oltretutto una fortecorrispondenza e un formidabile veicolo di diffusione nelle nuove correnti letterarie eartistiche, ovvero nel decadentismo – basti pensare a Pascoli, D’Annunzio, Piran<strong>del</strong>lo – esoprattutto nel futurismo di Martinetti, idolatra <strong>del</strong>la violenza e propagandista <strong>del</strong>la guerracome “sola igiene <strong>del</strong> mondo”. Attraverso la decisiva mediazione di questi movimentiartistico-letterari, la <strong>filoso</strong>fia vitalistica alimentò culturalmente le nuove generazioni e inuovi movimenti politici di estrema destra e di estrema sinistra, ovvero i partitinazionalisti, le correnti massimalistico-rivoluzionarie dei partiti socialisti, i sindacalistirivoluzionari, gli anarchici.E’ chiaro che entrambi questi filoni <strong>filoso</strong>fici – seppur in forme e in gradi diversi –colludevano con le dinamiche politiche e sociali in quanto, lungi dallo smorzare e arginarela crescita <strong>del</strong>le aspettative e <strong>del</strong>la disponibilità alla violenza, la legittimavano e lafomentavano. Una riprova di ciò si ebbe in quello che l’intellettuale francese Benda chiamòil “tradimento dei chierici”, cioè nell’arruolamento da parte di ogni stato belligerante deipropri scrittori, artisti, <strong>filoso</strong>fi e uomini di cultura non solo per sostenere la causa<strong>del</strong>l’intervento nella guerra ma anche e soprattutto per condurre la fondamentale lottapropagandistica contro i popoli e gli stati nemici. I casi più clamorosi furono quelli diBergson in Francia, di Mann in Germania, di D’Annunzio in Italia.Lo svolgimento e la conclusione <strong>del</strong>la prima guerra mondialeIl primo scacco <strong>del</strong>l’erronea coscienza collettiva in base alla quale la civiltà europea si gettònella guerra fu rappresentato dal fallimento quasi immediato di tutte le previsioni sul suodecorso. Mentre infatti la quasi totalità <strong>del</strong>le classi dirigenti politiche e militari siaspettavano una guerra breve basata su poche grandi battaglie risolutive, nel giro di pochimesi la forbice tra le nuove armi, segnatamente la mitragliatrice, e le antiquate strategiemilitari trasformò la guerra di movimento in una guerra di posizione basata sulle trincee esoprattutto in una guerra di logoramento, ovvero di scontro e distruzione di enormi risorseumane, tecnologiche ed economiche.La Grande guerra così si tradusse ben presto in un drastico peggioramento <strong>del</strong>le condizionidi vita non solo e tanto dei soldati in trincea quanto anche <strong>del</strong>le popolazioni civili, e diconseguenza in un fattore di radicale destabilizzazione interna di tutti gli Stati coinvolti,che si manifestò in ammutinamenti militari al fronte e rivolte operaie e contadine in patria.Il caso più estremo e clamoroso fu in questo senso quello <strong>del</strong>la rivoluzione russa che,partita come rivoluzione liberal-democratica si trasformò in pochi mesi, sotto la guida diLenin e <strong>del</strong> partito bolscevico, nella prima rivoluzione socialista vittoriosa. Da essanacquero l’URSS, il primo Stato socialista basato sulla dittatura <strong>del</strong> proletariato, e la IIIinternazionale comunista che promosse la nascita di partiti comunisti in Europa e in tutti ipaesi <strong>del</strong> mondo sulla base <strong>del</strong>la dottrina marxista-leninista e <strong>del</strong>la subordinazione agliinteressi <strong>del</strong>l’Unione sovietica.In questo modo, la prima guerra mondiale non solo produsse un nuovo evento catastro<strong>fico</strong>di massa – una cruentissima guerra civile con milioni di morti – ma favorì la genesi <strong>del</strong>primo regime totalitario <strong>del</strong>la storia e con esso di un nuovo, potentissimo fattore diviolenza, dovuto sia alla contrapposizione frontale tra Stati comunisti e Stati non comunistisia all’azione rivoluzionaria dei partiti comunisti all’interno degli stati non comunisti.Al netto dei morti <strong>del</strong>la guerra civile russa, il bilancio umano <strong>del</strong> I conflitto mondiale fu di8,5 milioni di morti e 20 milioni di feriti su 62 milioni di soldati coinvolti. Nell’ambito diquesto massacro, si consumò ad opera dei turchi un nuovo genocidio, preludio di quelli piùvasti e atroci <strong>del</strong>la seconda guerra mondiale: quello <strong>del</strong>la popolazione armena, le cui stimevariano da 1 a 2 milioni di vittime. Alle perdite umane si aggiunsero naturalmente ledisastrose perdite economiche.298


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREPolarizzazione e destabilizzazione dei paesi europei nel primo dopoguerraUna volta terminata, l’enorme distruttività <strong>del</strong>la Grande guerra ebbe un lungo e pesantestrascico negli enormi problemi economici di ricostruzione e riconversione produttiva, didisoccupazione, di inflazione selvaggia e falcidie dei risparmi. Inoltre essa lasciò in ereditàl’abnorme potenziamento <strong>del</strong>l’intervento e <strong>del</strong> controllo <strong>del</strong>lo Stato sull’economia e sullasocietà che stravolse in modo irreversibile le basi <strong>del</strong>l’economia liberista e <strong>del</strong> sistemapolitico liberale classici.Ma soprattutto il primo dopoguerra fu caratterizzato da una nuova impennata <strong>del</strong>leaspettative e <strong>del</strong>le rivendicazioni sociali: nei paesi usciti vincitori, anche in seguito allepromesse di ricompense, per esempio in terre, fatte dalle autorità nel corso <strong>del</strong> conflittomilioni di soldati tornati dal fronte, provati da anni di una vita misera e precaria,pretendevano come ricompensa un netto miglioramento <strong>del</strong>la loro condizione economicosociale;nei paesi vinti, la perdita di credibilità e la caduta dei precedenti regimi politiciincentivarono la nascita e i tentativi di eversione politica di nuovi movimenti estremisti siadi destra (fascismo, nazismo) sia di sinistra (partiti comunisti, gruppi anarchici). Se in unaprima fase, non a caso chiamata “biennio rosso”, l’iniziativa politica eversiva sembrò esserein mano alla sinistra socialista, comunista e anarchica ben presto tutti i tentativirivoluzionari fallirono e l’iniziativa fu assunta dalla destra reazionaria, soprattutto in Italia,dove il movimento fascista di Mussolini, dopo aver condotto una guerra civile contro ipartiti e i sindacati <strong>del</strong>la sinistra, prima riuscì ad andare al governo e poi impose unregime dittatoriale. Negli stessi anni o poco dopo, altri regimi autoritari filofascisti preseroil potere con le armi in Ungheria, Polonia, Bulgaria, Spagna, e in generale movimenti distampo fascista sorsero e tentarono la conquista <strong>del</strong> potere con la violenza in tutti i Paesieuropei, perfino nell’avanzata Inghilterra, patria storica <strong>del</strong> liberalismo.La fine <strong>del</strong>l’eurocentrismo e l’assenza di un equilibrio internazionaleSe, a livello <strong>del</strong>le situazioni politiche interne, la Grande guerra ebbe una continuità nelleguerre civili aperte o striscianti che insanguinarono i paesi europei negli anni 20, essa nonsi può considerare <strong>del</strong> tutto conclusa nemmeno sul piano dei rapporti internazionali fra gliStati. A questo livello, va innanzitutto chiarito che la I guerra mondiale segnò la fine nonsolo <strong>del</strong>l’egemonia mondiale inglese ma anche <strong>del</strong>la centralità politica <strong>del</strong>l’Europa nelmondo. Specularmente, l’intervento degli USA nel 1918 e lo sbarco <strong>del</strong>l’esercito americanoin Europa segnarono l’inizio <strong>del</strong>la egemonia mondiale statunitense cui si abbinò l’avvio,seppur timido, <strong>del</strong> processo di decolonizzazione mondiale dovuto soprattutto alla crescitadei movimenti indipendentistici nazionali nei paesi coloniali, ma anche al dissanguamento<strong>del</strong>le potenze europee nella guerra e al sostegno internazionale statunitense in funzioneantieuropea. In questo senso si può senz’altro affermare che, ad eccezione degli USA, tuttigli Stati europei, non solo i vinti ma anche i formali vincitori, uscirono sconfitti dallaGrande guerra.Consapevole <strong>del</strong> ruolo centrale acquisito dal proprio paese, il presidente democraticoWilson impose il principio di nazionalità come criterio fondamentale per la definizione<strong>del</strong>la nuova carta geopolitica europea e promosse la costituzione <strong>del</strong>la Società <strong>del</strong>la nazionicome antidoto allo scoppio di nuovi conflitti. Ciò nonostante dal un lato la rigidità <strong>del</strong>laFrancia lo costrinsero ad accettare la tesi <strong>del</strong>la totale responsabilità tedesca nell’esplosione<strong>del</strong>la guerra e le conseguenti condizioni di pace vessatorie imposte alla Germania;dall’altro lato, il voto contrario <strong>del</strong> Congresso americano alla partecipazione degli USA allaSocietà <strong>del</strong>le nazioni gli impedì di affidare agli USA il ruolo di garante internazionale <strong>del</strong>lapace mondiale. Di conseguenza, mentre l’umiliazione politica e la spoliazione economica<strong>del</strong>la Germania producevano un nuovo forte potenziale di conflittualità proprio nel cuore<strong>del</strong>l’Europa, l’isolazionismo degli USA faceva sì che non ci fosse alcuna potenza in grado diesercitare un ruolo di arbitro internazionale e un’azione deterrente nei confronti <strong>del</strong>la299


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREpossibilità di nuove guerre. In questo modo i trattati di Parigi non si può dire propriofossero trattati di pace, in quanto non garantivano affatto l’equilibrio internazionaleeuropeo e mondiale e anzi erano fonte di nuovi fattori di forte squilibrio.Lo sconvolgimento interno e internazionale <strong>del</strong>la grande crisi <strong>del</strong> 1929Se la guerra non riespose già negli anni ‘20 lo si dovette da un lato alla necessità per tuttigli Stati di far fronte alla crisi sociale e politica interna, di riparare i danni prodotti dallaguerra e di ricostituire il proprio sistema economico e il proprio apparato militare;dall’altro alla ripresa economica internazionale che permise sia un aumento dei redditipopolari sia la disponibilità di capitali necessaria per la ricostruzione e il rilancio degliapparati produttivi. Tale ripresa però era in gran parte drogata dal naturalesovradimensionamento <strong>del</strong>la domanda conseguente ai periodi di guerra e soprattutto dallaricchezza degli USA i quali non avevano subito danni al proprio apparato produttivo, sierano anzi arricchiti prestando ingenti capitali agli Stati <strong>del</strong>l’Intesa e ora erano nellemigliori condizioni concorrenziali per poter esportare i loro prodotti sui mercati europei.Ne conseguì un vero e proprio boom <strong>del</strong>l’economia americana che in una prima fase feceda volano anche alla ripresa <strong>del</strong>le economie europee e permise inoltre ai banchieriamericani di prestare capitali alla Germania sia per pagare l’ingente debito di guerra allaFrancia sia per rilanciare la sua economia. In questo modo nella seconda metà degli anni‘20 la situazione interna tedesca sembrava stabilizzarsi all’interno di un quadroistituzionale democratico, i mercati mondiali sembravano riaprirsi al libero scambio e irapporti internazionali europei avviarsi alla completa distensione. Invece, proprio a causa<strong>del</strong>le sue basi prevalentemente congiunturali, in un secondo momento il boom<strong>del</strong>l’economia americana si trasformò in un boomerang scatenando la più grave e vastacrisi <strong>del</strong>la storia <strong>del</strong> capitalismo mondiale, la grande crisi <strong>del</strong> 1929. Infatti, una volta che leeconomie europee si riavviarono e che gli Stati europei riuscirono a ridimensionare i lorodebiti con gli USA, le esportazioni di prodotti statunitensi in Europa e l’afflusso degliinteressi europei negli USA diminuirono. Contemporaneamente il mercato internostatunitense raggiunse una provvisoria saturazione di beni di consumo durevoli (radio,frigo, auto). Si generò così una nuova crisi di sovrapproduzione i cui effetti furonoamplificati dalla vertiginosa speculazione azionaria al rialzo e dal conseguente catastro<strong>fico</strong>crollo <strong>del</strong>la Borsa di Wall Street.La costruzione degli Stati totalitari sovietico, fascista, nazista e nipponicoLa crisi, aggravata dalle politiche economiche rigidamente deflazionistiche adottate daigoverni di quasi tutti gli Stati, dilagò per tutto il mondo provocando il ritorno alprotezionismo e alla più aspra concorrenza economica fra aziende nazionali,l’inasprimento <strong>del</strong> totalitarismo sovietico, l’imbocco definitivo <strong>del</strong>la via totalitaria da parte<strong>del</strong> fascismo, l’avvio <strong>del</strong> Giappone sulla strada <strong>del</strong> totalitarismo e <strong>del</strong>l’imperialismo piùaggressivo, la nascita <strong>del</strong> totalitarismo nazista e la conseguente rapida riacutizzazione <strong>del</strong>letensioni politiche internazionali. In questo modo i campi di concentramento furonosadicamente raffinati e moltiplicati, fino a trasformarsi in campi di sterminio, strumentiimplacabili di nuovi e più vasti genocidi quali quelli degli ebrei europei, dei kulak russi, deicoreani e dei cinesi.In particolare, la nuova destabilizzazione economica <strong>del</strong>la Germania, a soli pochi anni didistanza dalla catastrofe economica dei primi anni ’20, fu il fattore propulsivo <strong>del</strong>laconquista <strong>del</strong> potere da parte <strong>del</strong> Partito nazista di Hitler, che sotto il 3% prima <strong>del</strong> 1929,nel 1933 ottenne la maggioranza relativa dei voti e dei seggi e con essa il diritto diinsediarsi alla guida <strong>del</strong> governo. Con il possesso <strong>del</strong> potere legittimo, Hitler, seguendo leorme di Mussolini, ma molto più rapidamente di lui, impose la sua dittatura personale eriuscì a costruire in pochi anni il più spietato e meglio organizzato dei regimi totalitari.300


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREContemporaneamente, diede avvio a una politica estera aggressiva che puntava asmantellare una dopo l’altra le restrizioni militari e territoriali imposte alla Germania daltrattato di pace e ad arrivare all’aggressione militare e alla guerra di espansione imperialein condizioni di forza. Banco di prova <strong>del</strong>la nuova guerra mondiale e insieme preludio diessa, fu la Guerra civile spagnola che vide la partecipazione militare <strong>del</strong>la Germania nazistae <strong>del</strong>l’Italia fascista a sostegno <strong>del</strong> generale reazionario Franco contro il governorepubblicano legittimo e i militanti <strong>del</strong>la sinistra democratica, socialista, comunista eanarchica, aiutati unicamente dall’URSS. Vinta la guerra di Spagna e cementate le alleanzemilitari con l’Italia e il Giappone, Hitler si garantì con il patto Ribbentrop-Molotov laneutralità <strong>del</strong>l’URSS e invase la Polonia scatenando la seconda guerra mondiale.La cultura tra le due guerre mondialiIn sintonia con la temperie storico-culturale di quegli anni, per la cultura occidentale ilperiodo tra le due guerre mondiali sia aprì nel segno di Il tramonto <strong>del</strong>l’Occidente(1918-22), opera <strong>del</strong> <strong>filoso</strong>fo <strong>del</strong>la storia tedesco Oswald Spengler, che annunciava laprossima fine <strong>del</strong>la civiltà europea e l’aurora di una nuova civiltà russo-orientale.Tuttavia, la 'cultura <strong>del</strong>la crisi' fra le due guerre mondiali segnò un periodo tra i piùfecondi e significativi <strong>del</strong>la storia <strong>del</strong>la civiltà occidentale, perché le esperienze <strong>del</strong>laGrande guerra, <strong>del</strong>la rivoluzione russa, <strong>del</strong>l’instaurazione dei totalitarismi e <strong>del</strong>la derivaverso un secondo conflitto mondiale impressero un’ancor più radicale e innovativatensione tragica e autocritica alla produzione culturale, soprattutto in ambito artisticoletterario.La percezione <strong>del</strong> prossimo avvento di una crisi epocale - già espressasi daldecadentismo e dalle prime avanguardie artistiche a cavallo tra il XIX e il XX secolo - sitrasformò nella descrizione <strong>del</strong> suo accadimento e stigmatizzazione dei suoi effetticatastrofici, attraverso nuovi contenuti e nuovi linguaggi.Ciò avvenne innanzitutto nella produzione letteraria di romanzi, che come mai primaabbinò a un’incredibile profusione quantitativa un altissimo livello qualitativo. Proust inAlla ricerca <strong>del</strong> tempo perduto (1913-1927) narrò le contraddizioni e gli scacchi<strong>del</strong>l’esistenza umana indicando nella rimemorazione artistica l’unica precaria possibilitàdi riscatto dall’insensatezza. Joyce in Ulisse (1922) trasforma l’avventura <strong>del</strong>l’eroe grecosimbolo <strong>del</strong>l’uomo occidentale nella peregrinazione urbana di un uomo qualunquetradito dalla moglie. Musil in L’uomo senza qualità (1930-33) fa <strong>del</strong> crollo <strong>del</strong>l’imperoasburgico una metafora <strong>del</strong>la dissoluzione <strong>del</strong>la civiltà occidentale, denuncial’impossibilità <strong>del</strong> superuomo di Nietzsche in un mondo privo di valori assoluti e offrecome unica via d’uscita la fuga regressiva nell’amore incestuoso tra fratello e sorella.Mann nella Montagna incantata (1924) per rappresentare il disfacimento <strong>del</strong> mondooccidentale utilizza invece la metafora di un sanatorio per malati terminali ditubercolosi. Piran<strong>del</strong>lo in Uno, nessuno e centomila (1927) rappresenta lo sfarinamento<strong>del</strong>l’io, l’esplosione in una miriade di frammenti <strong>del</strong>l’identità individuale. Svevo in Lacoscienza di Zeno (1923) mostra, seppure in toni più ironici e leggeri, l’impotenzaumana a modificare la propria condizione. Ma fu soprattutto Kafka, forse la più lucida eradicale coscienza artistica <strong>del</strong>la crisi, in La metamorfosi (1916), Il processo (1925) e Ilcastello (1926), a denunciare l’assurdità <strong>del</strong>la condizione <strong>del</strong>l’uomo nei suoi protagonistitotalmente in balia di un destino o di un potere assolutamente superiore, schiacciante,irrazionale, nei confronti <strong>del</strong> quale l’unico atteggiamento possibile è quello<strong>del</strong>l’accettazione autoannichilatoria. I romanzi di questi scrittori, vere pietre miliari<strong>del</strong>la letteratura occidentale, sono accomunati dalla denuncia <strong>del</strong>l’insensatezza <strong>del</strong>la vitae <strong>del</strong>la irrimediabile finitudine e difettosità <strong>del</strong>l’uomo. L’eroe <strong>del</strong> romanzo ottocentescoe in generale <strong>del</strong>la tradizione classica diventò un antieroe – un inetto, un escluso, un301


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREtradito, un fuggitivo, un perseguitato, un malato o addirittura un essere deforme, unmostro, mezzo uomo e mezzo insetto. Parallelamente avvenne una rivoluzione nellaforma: venne meno il narratore onnisciente, la continuità spazio-temporale vienedisarticolata, si impone lo stream of consciousness, il flusso di coscienza, cioè iltentativo di riprodurre la corrente spontanea dei pensieri usando un discorsoparatattico privo di punteggiatura e <strong>del</strong>le congiunzioni logiche tradizionali.La medesima visione <strong>del</strong>l’uomo e un’analoga rottura <strong>del</strong>la forma classica si espressero,in modo non meno alto ed emblematico, nella produzione poetica, a cominciare da Laterra desolata (1922) di Thomas Eliot, profonda e vibrata denuncia <strong>del</strong>la perdita <strong>del</strong>leradici culturali e civili <strong>del</strong>l’uomo occidentale, passando per L’allegria (1916-1931) diUngaretti, cantore <strong>del</strong>la sofferenza e <strong>del</strong>la precarietà <strong>del</strong>la vita <strong>del</strong> soldato che si fa peròmetafora <strong>del</strong>l’intera vita umana, fino ad arrivare a Ossi di seppia (1925) e a Le occasioni(1939) di Montale, rappresentazione di un mondo inaridito e corroso attraverso duesimboli fondamentali: quello <strong>del</strong>la petraia, che ne esprime appunto la desolazione e lasterilità, e quello <strong>del</strong> meriggio, <strong>del</strong> sole a picco, simbolo <strong>del</strong> suo disfacimento. In questasituazione al poeta non resta che il compito “negativo” di riconoscere la finitudine<strong>del</strong>l’uomo, di segnalare l’impossibilità di credere in una spiegazione assoluta <strong>del</strong> mondoe in una sua palingenesi, di testimoniare che il “male di vivere” è un dato costitutivo einsuperabile <strong>del</strong>la condizione umana.. Più ancora che nei grandi romanzi, nella poesia<strong>del</strong> primo ‘900 il senso <strong>del</strong>la crisi non si manifesta solo e tanto nei contenuti quantosoprattutto nella forma: nella frammentazione spazio-temporale di Eliot, nello stile“ermetico” di Ungaretti, rapido ed essenziale, che utilizza il lessico quotidiano e unasintassi elementare, disgrega le forme metriche tradizionali ed enfatizza i vuoti e lepause, producendo un’accesa intensità ritmica, fonica ed emotiva; nella disgregazione<strong>del</strong>l’io lirico tradizionale <strong>del</strong>la poesia classica e nella ricerca di una nuovainterpretazione simbolica <strong>del</strong>la realtà attraverso l’uso di un sapiente impasto linguisticodi termini aulici e quotidiani.La crisi trovò una rappresentazione anche nelle opere teatrali di Luigi Piran<strong>del</strong>lo,Bertold Brecht e Eugene O’Neill. Quest’ultimo, in particolare, in Il lutto si addice adElettra, intenzionale versione negativa <strong>del</strong>l’Orestea di Eschilo, trasfigurò la Grandeguerra nella guerra di secessione americana e rappresentò le vicende tragiche di unafamiglia puritana <strong>del</strong>l’alta borghesia americana minata dall’istinto di morte facendoneuna vivida metafora <strong>del</strong>la natura nichilistica <strong>del</strong>la civiltà occidentale e <strong>del</strong> suo prossimodisfacimento.Nel campo <strong>del</strong>le arti plastiche, da un lato le avanguardie <strong>del</strong> primo Novecento(espressionismo, futurismo, cubismo, astrattismo) svilupparono più radicalmente le loropoetiche, dall’altro emersero nuove e più estreme avanguardie come il dadaismo di ManRay, Picabia e Duchamp - che aveva come programma la totale distruzione <strong>del</strong>la cultura<strong>del</strong> passato, attraverso la sua riduzione a nonsenso, paradosso, assurdo – e come ilsurrealismo di Ernst, Mirò, Dalì, che si rifaceva invece esplicitamente a Freud rifiutandoogni rappresentazione <strong>del</strong>la realtà a favore <strong>del</strong> mondo dei sogni. Vecchie e nuoveavanguardie artistiche portarono a esiti ancora più sconvolgenti la rottura <strong>del</strong>le formefigurative tradizionali. Per esse infatti lo scopo <strong>del</strong>la pittura non poteva più essere quello diimitare o anche trasfigurare la realtà esterna ma doveva essere quello di rappresentarel’universo interiore <strong>del</strong>la psiche umana. Questa però non si configurava come unacoscienza razionale, esprimibile in forme chiare e distinte, bensì - freudianamente - comeun Es inconscio contenente forze misteriose e irrazionali. L’esigenza di cogliere eriprodurre tali forze rese necessari il rigetto di ogni forma di realismo e il ricorso allarappresentazione astratta o simbolica. In questo modo le avanguardie pittoriche portaronoalle estreme conseguenze la generale tendenza artistica a dissolvere il significato logico nel302


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREsignificante simbolico che fu l’altra faccia - quella formale - <strong>del</strong>la crisi <strong>del</strong>la razionalitàclassica e dei valori tradizionali <strong>del</strong>la civiltà europea.La rivoluzione artistica operata dalle avanguardie pittoriche ebbe un impatto di massa digran lunga superiore al passato grazie alla sua influenza sulla nascente artecinematografica e alle già prodigiose capacità di diffusione <strong>del</strong> cinema. A parte i casi <strong>del</strong>regista francese dadaista Cocteau e di quello spagnolo surrealista Bunuel, che si avvalseanche <strong>del</strong>la collaborazione diretta di Dalì, la cinematografia che con maggior rigore epotenza artistica rappresentò la crisi <strong>del</strong>la cultura, sia a livello di contenuto che a quelloformale, fu quella espressionistica tedesca. Il suo film-manifesto fu Il gabinetto <strong>del</strong> dottorCaligaris (1919) di R. Wiene, le cui scenografie furono realizzate da tre pittoriespressionisti secondo i canoni <strong>del</strong> movimento e nel quale si riproponeva in chiave horroril tema piran<strong>del</strong>liano <strong>del</strong>la pluralità relativistica <strong>del</strong>le realtà. Ancora più significativi diquesta tendenza furono i film di Lange (Il dottor Mabuse, 1921; M-Il mostro diDuesseldorf, 1931) e Murnau (Nosferatu il vampiro, 1922), che, utilizzando anch’essisoggetti horror, espressero lo stato d’animo di apprensione e paura che caratterizzava lapopolazione europea, e in particolare la nazione tedesca, nel primo dopoguerra.Analogamente, in campo musicale l’esito artistico più rivoluzionario fu la dodecafonia diArnold Schoenberg, che creò una nuova sintassi <strong>del</strong>la musica. Mentre nella musicatonale tradizionale l’armonia è data dall’assunzione di un suono unitario privilegiato, lamusica dodecafonica, o atonale, rinuncia a tale ordine per basare l’armonia sul rapportoparitetico fra tutti i 12 suoni componenti la scala musicale, con dirompenti effettiespressivi di dissonanza.Non meno numerosi e non meno sconvolgenti furono gli sviluppi che si ebbero neglistessi anni nell’ambito <strong>del</strong>la ricerca <strong>scienti</strong>fica.La teoria psicoanalitica di Sigmund Freud aveva raggiunto una configurazionesistematica prima <strong>del</strong>la guerra. Ora Freud le impresse una svolta, fra l'altroriconoscendo nella psiche l'azione antitetica di due pulsioni fondamentali: Eros, oprincipio di vita, e Thanatos, o principio di morte. La svolta freudiana, che implicavauna visione decisamente più critica e pessimistica <strong>del</strong>l’uomo e <strong>del</strong>la civiltà, ebbe vastericadute culturali, data l’enorme influenza esercitata, come si è visto, dalla teoriapsicoanalitica sulla produzione artistica.Nella fisica, scienza interessata in quei decenni da profondi rivolgimenti, si sviluppò larivoluzione <strong>scienti</strong>fica cominciata con Planck (teoria dei quanti, 1900) ed Einstein(teoria <strong>del</strong>la relatività ristretta, 1905). Nel 1915 Einstein rese nota la teoria <strong>del</strong>larelatività generale, che completava il paradigma relativistico con una nuova versione<strong>del</strong>la gravitazione universale, basata sulla curvatura <strong>del</strong>lo spazio indotta dalla presenza<strong>del</strong>le masse planetarie e stellari. Nella fisica <strong>del</strong>le particelle si raggiunsero risultatiancora più sconvolgenti, con gli sviluppi <strong>del</strong>la teoria quantistica che portarono a definireun quadro in contrasto con la teoria classica newtoniana e con la stessa relatività diEinstein. Infatti da un lato il principio di indeterminazione (1927) di Werner Heisenbergaffermò che la misurazione sperimentale di una particella ne altera necessariamente lecaratteristiche, e quindi le teorie fisiche non possono avere una dimostrazioneincontrovertibile; dall’altro il principio di complementarità (1927) di Niels Bohr stabilìche la materia può presentare una doppia natura, corpuscolare oppure ondulatoria, aseconda dei contesti in cui la si considera. L’esito più dirompente <strong>del</strong>la nuovarivoluzione <strong>scienti</strong>fica fu il dualismo di paradigmi che essa instaurò. Infatti la teoriaquantistica, valida per i fenomeni subatomici non risultava compatibile con la teoria<strong>del</strong>la relatività, valida per i fenomeni astrofisici, provocando una spaccatura <strong>del</strong>la realtàfisica tanto più grave in quanto in linea di principio i fenomeni macrofisici dovrebberodipendere da quelli microfisici.303


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREA completare lo scardinamento <strong>del</strong>la solida e rassicurante visione <strong>scienti</strong>ficaottocentesca, il matematico Goe<strong>del</strong> enunciò nel 1931 il teorema di incompletezza,secondo cui qualsiasi sistema assiomatico-deduttivo include una proposizioneindecidibile. Ciò significava che anche la conoscenza matematica è parziale in quantocontiene un limite strutturale invalicabile.Insomma letteratura, arti plastiche, cinema, scienze umane e scienze naturaliconvergevano, confermandosi e rafforzandosi reciprocamente, nella denuncia non solo enon tanto dei profondi e insuperabili limiti <strong>del</strong>la ragione quanto soprattutto <strong>del</strong>la suainferiorità rispetto alle componenti irrazionali <strong>del</strong>la realtà naturale, sia a livello di psicheumana sia a livello di mondo fisico. La diffusa consapevolezza di questa inferioritàdissolse la concezione tradizionale <strong>del</strong>l’uomo come soggetto razionale capace dicontrollare, grazie alla conoscenza e alla morale, le forze naturali e di essere così artefice<strong>del</strong> proprio destino. Ormai storicamente bruciata la possibilità di affidarsi a un Diotrascendente, la coscienza culturale <strong>del</strong>la crisi epocale <strong>del</strong>l’uomo occidentale non potevache sfociare nella dilagante affermazione <strong>del</strong> nichilismo.La <strong>filoso</strong>fia tra le due guerre mondialiIn sintonia con la temperie storico-culturale di quegli anni, per la <strong>filoso</strong>fia il periodo tra ledue guerre mondiali sia apre e si svolge nel segno di Il tramonto <strong>del</strong>l’Occidente (1918-22),opera <strong>del</strong> <strong>filoso</strong>fo <strong>del</strong>la storia Spengler, che annunciava la prossima fine <strong>del</strong>la civiltàeuropea e l’aurora di una nuova civiltà russo-orientale. Nell’atmosfera apocalittica diffusadal successo <strong>del</strong> libro di Spengler, sorsero e si svilupparono 4 nuovi principali indirizzi<strong>filoso</strong>fici: 1) l’esistenzialismo; 2) il neospiritualismo cristiano; 3) l’epistemologia(neopositivismo, pragmatismo, razionalismo critico); 4) il <strong>pensiero</strong> totalitario (attualismo eneomarxismo).L’esistenzialismo è sicuramente il filone <strong>filoso</strong><strong>fico</strong> in cui più direttamente e nettamente siespresse il clima storico-culturale d’interludio tra le due guerre mondiali. Esso non fu unascuola ma un orientamento comune declinato in modi assai diversificati. Come tale puòessere suddiviso in un esistenzialismo ontologico, proprio <strong>del</strong> primo Heidegger, quello diEssere e tempo (1927); in un esistenzialismo religioso ma aconfessionale, proprio diJaspers a partire da Filosofia (1932); in un esistenzialismo umanistico e ateo tipico diSartre (L’essere e il nulla, 1943). Il comune denominatore di questi <strong>filoso</strong>fi fu la denuncia<strong>del</strong>la finitezza, <strong>del</strong>la colpevolezza e <strong>del</strong>la nullità <strong>del</strong>la condizione umana, in aperta e asprapolemica con il prometeismo <strong>del</strong>le <strong>filoso</strong>fie ottocentesche e primonovecentesche.Anche il rinnovamento <strong>del</strong>lo spiritualismo cristiano si manifestò in varie forme che inparte intersecano lo stesso esistenzialismo laico: il neotomismo, che ebbe il suo piùrilevante esponente in Maritain (Umanesimo integrale, 1936); il personalismo di Mounier(Esprit, 1932); la nuova teologia di Barth (L’epistola ai romani, 1919), sviluppata poi daBultmann (Fede e comprensione, 1933), che con il suo ritorno a Kierkegaard anticipò epreparò l’esistenzialismo, in particolare quello di Heidegger; infine l’esistenzialismocristiano, di cui furono esponenti di rilievo Marcel (Giornale metafisico, 1927; Essere eavere, 1935), e i pensatori russi Berdjaev (Lo spirito di Dostoevskij, 1932) e Sestov(Kierkegaard e la <strong>filoso</strong>fia esistenziale, 1936). Pur con significative differenze, questipensatori sono accomunati dalla riproposizione <strong>del</strong> primato <strong>del</strong> Dio cristiano trascendente,dalla subordinazione <strong>del</strong>l’uomo a Dio, e dunque dalla sua drastica limitazione, e dallavalorizzazione <strong>del</strong>la dimensione comunitaria <strong>del</strong>l’uomo in polemica con le <strong>filoso</strong>fieindividualistiche.Molto diverso dai due precedenti, fu invece il nuovo filone epistemologico, ovveroinnanzitutto il neopositivismo (o empirismo logico) e l’affine pragmatismo americano. Ilpunto di avvio <strong>del</strong> neopositivismo fu la pubblicazione nel 1922 <strong>del</strong> Tractatus logicophilosophicusdi Wittgenstein, ma ufficialmente il neopositivismo nacque nel 1924 con la304


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREcostituzione <strong>del</strong> Circolo di Vienna, i cui principali esponenti furono Schlick (Sulfondamento <strong>del</strong>la conoscenza, 1934), Carnap (coautore <strong>del</strong> manifesto <strong>del</strong>la scuola: Laconcezione <strong>scienti</strong>fica <strong>del</strong> mondo, 1929; La costruzione logica <strong>del</strong> mondo, 1928); Neurath(Sociologia empirica, 1931). Teorizzando il principio di verificabilità come unica norma<strong>del</strong>la verità, i neopositivismi riaffermarono che le scienze sperimentali sono l’unico tipo diconoscenza veriteria e scomunicarono la <strong>filoso</strong>fia metafisica, rigettando così in blocco tuttele tradizioni di <strong>pensiero</strong> <strong>del</strong>l’800 e <strong>del</strong> primo Novecento. Anche a causa <strong>del</strong>la fuga inAmerica dei neopositivisti austro-tedeschi, a causa <strong>del</strong>l’avvento <strong>del</strong> Nazismo, ilneopositivismo si contaminò con il pragmatismo - la corrente <strong>filoso</strong>fica americana già natanell’800 con James e Peirce - in particolare con lo sviluppo che ad esso impresse lostrumentalismo di Dewey (Ricostruzione <strong>filoso</strong>fica, 1920). Laddove il neopositivismotendeva a privilegiare l’autonomia teoretica <strong>del</strong>la scienza, il pragmatismo accentuava ilvalore veritativo <strong>del</strong>l’efficacia pratico-applicativa <strong>del</strong>le teorie. Dalla critica alneopositivismo, inoltre, prese spunto il razionalismo critico di Popper (La logica <strong>del</strong>lascoperta <strong>scienti</strong>fica, 1934) che è a sua volta il punto di partenza <strong>del</strong>la nuova <strong>filoso</strong>fia <strong>del</strong>lascienza <strong>del</strong> secondo Novecento. Tutti questi indirizzi sono accomunati dalla valorizzazione<strong>del</strong>la ricerca <strong>scienti</strong>fica e al contempo <strong>del</strong>la liberal-democrazia, e non a caso finirono con ilcollocarsi tutti nel contesto socio-politico <strong>del</strong> mondo anglo-sassone. Pur avendo unaconcezione critica <strong>del</strong>la ragione umana, essi si differenziarono dall’esistenzialismo e dallospiritualismo per la maggior fiducia nelle capacità umane e nella possibilità di un rilancio<strong>del</strong>la civiltà occidentale appunto grazie alla scienza e alla democrazia.Un quarto e ultimo gruppo di nuovi indirizzi <strong>filoso</strong>fici è caratterizzato dalla comuneorganicità ai totalitarismi storici, sia a quello fascista sia a quello sovietico. E’ il caso, da unlato, <strong>del</strong>l’attualismo di Gentile (Teoria generale <strong>del</strong>lo spirito, 1916) - una forma diidealismo che assolutizza la volontà e l’azione pratica e al contempo teorizza la totalerealizzazione <strong>del</strong>l’individuo nello stato etico - che diventò il principale e più dignitosoriferimento <strong>filoso</strong><strong>fico</strong>-culturale <strong>del</strong> fascismo. Dal lato opposto, invece, si sviluppò un nuovomarxismo, che ebbe il suo punto di partenza in Lenin (Imperialismo, fase suprema <strong>del</strong>capitalismo, 1916), e proseguì con Lukacs (Storia e coscienza di classe, 1923), Korsch(Marxismo e <strong>filoso</strong>fia, 1923), Gramsci (Quaderni <strong>del</strong> carcere, composti dal 1929 al 1935, epubblicati tra il 1948 e il 1951). Questo filone reinterpretò il marxismo in sensorivoluzionario valorizzando la volontà e l’azione <strong>del</strong> soggetto rivoluzionario e teorizzando laferrea guida <strong>del</strong> partito sulla classe operaia come condizione prima <strong>del</strong>la rivoluzione. Daquesto punto di vista, pur nella diametrale antitesi, l’attualismo gentiliano e ilneomarxismo convergevano nell’affermazione <strong>del</strong> primato <strong>del</strong>l’azione e nell’indicare nellasovversione <strong>del</strong>lo stato liberal-democratico e nella plasmazione <strong>del</strong>l’ “uomo nuovo” daparte <strong>del</strong>lo Stato totalitario la risposta alla crisi <strong>del</strong>la civiltà occidentale. Il <strong>pensiero</strong>totalitario, dunque, riconobbe e assunse, come gli altri, il carattere epocale <strong>del</strong>la crisieuropea, ma per interpretarlo e proporlo, a differenza degli altri indirizzi <strong>filoso</strong>ficicontemporanei, come l’argomento più convincente a favore <strong>del</strong>la necessità storica di unapalingenesi socio-politica. In questo senso, questo filone di <strong>pensiero</strong> tenne ferma e portòanzi a sviluppi ancora più estremi e devastanti il prometeismo <strong>del</strong>la tradizione <strong>filoso</strong>ficaottocentesca e primonovecentesca.305


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREROTTA AIL NEOPOSITIVISMONegli ultimi anni <strong>del</strong>l’Ottocento, emerge, sia all’interno <strong>del</strong>la comunità <strong>scienti</strong>fica sia inambito <strong>filoso</strong><strong>fico</strong>, una tendenza a criticare e a superare l’immagine positivistica <strong>del</strong>lascienza. Tale tendenza si può denominare “convenzionalismo”, in quanto i suoiprotagonisti, benché in modi differenti e a volte perfino contrastanti, sono accomunatidalla tesi secondo cui la scienza è un linguaggio e, come tale, una convenzione, cioè unacostruzione umana la cui universalità è frutto di un accordo collettivo, sempre daaggiornare e perfezionare.In altre parole, i convenzionalisti rimettono in discussione la concezione forte<strong>del</strong>l’oggettività e <strong>del</strong>la verità propria dei positivisti, secondo i quali, invece, la scienza eral’unica conoscenza vera in quanto riproduceva la realtà nella sua oggettività e come taleera univocamente e definitivamente universale. L’assioma su cui i positivisti avevanofondato questa concezione <strong>del</strong>la scienza era quello dei “fatti”: la scienza certo è costituitada generalizzazioni induttive e da teorie universali, ma queste sono saldamente ancoratea dati empirici indipendenti da qualsiasi operazione mentale <strong>del</strong>lo scienziato e quindiimmuni da deformazioni soggettivistiche.Questo assioma è confutato da tutti i convenzionalisti, per i quali, invece, non esistono“fatti”, cioè contenuti <strong>del</strong>l’esperienza <strong>del</strong> tutto indipendenti dal modo in cui lo scienziato lipercepisce e soprattutto li organizza. La scienza, infatti, non è una semplice riproduzione<strong>del</strong>la realtà, ma è un linguaggio che parla <strong>del</strong>la realtà, cioè un ordinamento e unaconnessione dei dati <strong>del</strong>l’esperienza, e come tale include criteri e modalità propri <strong>del</strong>lasoggettività umana. Per esempio, secondo il fisico ceco Ernst Mach (1838-1916), lascienza non è conoscenza <strong>del</strong>le cose ma <strong>del</strong>le loro relazioni funzionali, ovvero è unordinamento “economico”, cioè sintetico ed efficace, dei fatti reali; per il matematicofrancese Jules-Henri Poincaré ( 1854-1912) ogni teoria <strong>scienti</strong>fica, seppur in gradidiversi, incorpora una dose di creatività cui fonte esclusiva è la mente <strong>del</strong>lo scienziato;per il <strong>filoso</strong>fo francese Edouard Le Roy (1870-1954), la scienza è una ricostruzione“strumentale” dei fatti reali, cioè una produzione creativa degli scienziati finalizzata apermetterci di interagire con la realtà nel modo più efficace possibile dal punto di vistapratico-utilitaristico; per il fisico ed epistemologo francese Pierre Duhem (1861-1916),una teoria non può essere confermata, ovvero confutata, da un fatto sperimentale, inquanto lo svolgimento e l’interpretazione di ogni esperimento implica il riferimento a uninsieme vasto e variegato di altre teorie, il che comporta che non esiste un fattosperimentale puro, ma ogni fatto sperimentale è intriso di teoria.Al convenzionalismo reagiscono, nel periodo tra le due guerre mondiali, altri scienziati e<strong>filoso</strong>fi <strong>del</strong>la scienza, che, da un lato, riprendono la concezione <strong>del</strong>la scienza deipositivisti, dall’altro, però, la rinnovano e la declinano in termini più rigorosi e sofisticati.Per questo sono classificati come “neopositivisti” o “positivisti logici” o ancora “empiristilogici”. Essi, pur accettando la tesi convenzionalistica <strong>del</strong> carattere linguistico <strong>del</strong>lascienza, e cioè <strong>del</strong>la distinzione tra i fatti reali e i fatti <strong>scienti</strong>fici, sono convinti di poterindividuare le condizioni semantiche e le regole sintattiche in base alle quali il linguaggio<strong>scienti</strong><strong>fico</strong> può pretendere alla rappresentazione oggettiva, e quindi universale enecessaria, <strong>del</strong>la realtà fisica. In questa prospettiva, i neopositivisti individuano nella“verificabilità” sperimentale il principio sul quale è possibile fondare la verità <strong>scienti</strong>fica.306


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREVITE DI CAPITANISCHLICK, WITTGENSTEIN, CARNAP, HAHN, NEURATH, RTEICHENBACHIl neopositivismo si coagulò intorno al “circolo di Vienna”, promosso dal fisico tedescoMoritz Schlick (Berlino 1882-Vienna 1936), il quale nel 1922, nominato docente di scienzeinduttive all’Università di Vienna, cominciò ad organizzare i suoi seminari nella forma diriunioni periodiche aperte a <strong>filoso</strong>fi, matematici, fisici, giuristi, ecc. Grande importanzaebbe, nel definire l’indirizzo <strong>del</strong> circolo, la lettuta e la discussione <strong>del</strong> Tractatus logicophilosophicus(1921) <strong>del</strong> <strong>filoso</strong>fo austriaco Ludwig Wittgenstein (Vienna 1889-Cambridge1951), il quale nel 1927 partecipò in prima persona ad alcuni incontri <strong>del</strong> circolo, pur nonfacendone parte. Membro influente <strong>del</strong> circolo di Vienna fu invece il tedesco RudolfCarnap (Wuppertal 1891-Santa Monica 1970), anch’egli docente all’Università di Vienna edautore di La costruzione logica <strong>del</strong> mondo (1928), prima opera propriamente positivista. Ilsaggio-manifesto <strong>del</strong> circolo – Concezione <strong>scienti</strong>fica <strong>del</strong> mondo - fu invece pubblicatol’anno successivo a firma di Carnap, <strong>del</strong> matematico austriaco Hans Hahn (1879-1934Vienna) e <strong>del</strong> sociologo austriaco Otto Neurath (Vienna 1882, Oxford 1945). Al circolo diVienna si affiancò, nei medesimi anni, un altro gruppo di neopositivisti, animato a Berlinodal <strong>filoso</strong>fo <strong>del</strong>la scienza e docente universitario Hans Reichenbach (Amburgo 1891-LosAngeles 1953), codirettore, insieme a Carnap, <strong>del</strong>la rivista Erkenntnis (1930-40). Conl’avvento <strong>del</strong> nazismo, gli intellettuali positivisti emigrarono in Inghilterra e negli USA,dove continuarono la loro ricerca e il loro insegnamento.307


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 1IL PRINCIPIO DI VERIFICABILITA’E’ il metodo <strong>del</strong>l’analisi logica che essenzialmente distingue il recenteempirismo e positivismo dalla precedente versione che aveva unorientamento più biologico e psicologico. Se qualcuno afferma “c’è un Dio”,“il fondamento primo <strong>del</strong> mondo è l’inconscio”, “c’è un’entelechia che è ilprimo principio <strong>del</strong>l’organismo vivente”, noi non gli diciamo: “ciò che dici èfalso”, ma gli chiediamo: “cosa vuoi dire con queste proposizioni?”. Alloraappare che vi è una netta demarcazione tra due tipi di proposizioni. Ad untipo appartengono proposizioni come quelle che vengono enunciate dallascienza empirica, il cui significato può essere determinato dall’analisi logicao, più precisamente, mediante la riduzione a più semplici proposizioni su datiempirici. Le altre proposizioni, alle quali appartengono quelle citate sopra, sirivelano vuote di significato se le si prende nel senso in cui le intendono imetafisici. Uno può, naturalmente, reinterpretarle spesso come proposizioniempiriche; ma allora esse perdono il contenuto emotivo che è solitamenteessenziale alla metafisica. La metafisica e la teologia credono, ingannandosi,che le loro proposizioni dicano, o denotino, uno stato di cose. L’analisi,tuttavia, dimostra che queste proposizioni non dicono niente, ma esprimonosemplicemente un certo stato d’animo. L’espressione di tali sentimenti versola vita può essere una cosa importante, ma il modo più appropriato per far ciòè l’arte, la poesia lirica o la musica. E’ pericoloso invece scegliere la formalinguistica di una teoria, in quanto viene simulato un contenuto teoreticodove non esiste affatto.H. Hahn, O. Neurath, R. Carnap: La concezione <strong>scienti</strong>fica <strong>del</strong> mondo, 1929Stabilire il significato di una frase equivale a stabilire le regole, in accordo conle quali essa deve essere usata, il che è lo stesso che stabilire il modo in cuiessa deve venire verificata (o falsificata). Il significato di una proposizione è ilmetodo usato per verificarla. […]Il risultato <strong>del</strong>le nostre considerazioni è che la verificabilità, condizionenecessaria e sufficiente <strong>del</strong> significato, è la possibilità logica di verificazione:essa è assicurata dalla costruzione <strong>del</strong>la frase secondo le regole chedefiniscono i termini.M. Schlick: Significato e verificazione, 1936Secondo i neopositivisti, la scienza è l’unico linguaggio capace di rappresentareoggettivamente, e cioè in modo veritiero, la realtà, assunto che la realtà coincide con ilmondo fisico. Il linguaggio <strong>scienti</strong><strong>fico</strong>, infatti, a differenza di tutti gli altri, è rigoroso, cioè ècostituito da regole logiche e metodologiche che garantiscono la sua corrispondenza allarealtà. Le regole logiche sono fondamentalmente due: la regola semantica, in base alla quale ogni termine deve avere una ed una soladefinizione, che descriva precisamente un oggetto o a uno stato di cose reali, equindi deve essere usato in una sola accezione universale;la regola sintattica, per cui i termini devono essere collegati in proposizioni in baseai principi <strong>del</strong>la logica (p.e. principio di non-contraddizione, principio di causaeffetto,deduzione, induzione) e alle norme <strong>del</strong>la sintassi.In questo quadro, le proposizioni fondamentali, quelle che assicurano la corrispondenza<strong>del</strong> linguaggio <strong>scienti</strong><strong>fico</strong> alla realtà, sono chiamate dai neopositivisti “protocolli”. Con tale308


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREtermini i neopositivisti denominano le proposizioni singolari che si riferisconoimmediatamente a un oggetto o a uno stato di cose (p.e. “questo tavolo è rotondo”, “sultavolo ci sono due bicchieri”, “i raggi solari hanno scaldato il pavimento”, ecc.). In ultimaanalisi, dunque, la verità <strong>scienti</strong>fica si basa sui protocolli.Ma come è possibile accertarsi <strong>del</strong>la corrispondenza tra i protocolli e la realtà? La rispostaa questa domanda conduce alla regola metodologica fondamentale, secondo ineopositivisti, ossia al principio di verificazione in base all’esperienza: un protocollo è veroquando un’esperienza o un esperimento certificano che corrisponde a uno stato di cosereale; è falso quando un’esperienza o un esperimento smentiscono che corrisponda a unostato di cose reali. P.e., se io voglio verificare se è vero il protocollo “questo cucchiainoesposto ai raggi solari si è dilatato”, devo misurarlo quando è caldo e poi quando, dopoaverlo messo all’ombra, è diventato freddo e confrontare le due misurazioni. A loro volta leleggi <strong>scienti</strong>fiche, che sono proposizioni universali, p.e. “il calore dilata i metalli”, siverificano in base al maggior numero possibile di protocolli confermativi in assenza diprotocolli confutativi. In altre parole, una legge <strong>scienti</strong>fica è vera quando ottiene molteconferme sperimentali, traducibili in altrettanti protocolli a suo favore. In questo modo ineopositivisti fondano la scienza sul procedimento logico <strong>del</strong>l’induzione: le leggi e le teorie<strong>scienti</strong>fiche sono il prodotto di generalizzazioni induttive tratte da numerosi protocolli veri,ovvero da numerosi esperimenti positivi.Tuttavia, i neopositivisti introducono un’ulteriore distinzione in merito al principio diverificazione. Essi, infatti, lo articolano in verificazione in senso stretto e in verificabilità.Con “verificazione” intendono l’avvenuta certificazione sperimentale di un protocollo, con“verificabilità” la possibilità reale, effettiva, di una verificazione. P.e., sostiene Schlick, ilprotocollo “sull’altra faccia <strong>del</strong>la Luna esistono montagne di tremila metri”, anche se non èstato ancora verificato, può esserlo e quindi in futuro potrebbe essere verificato. Alcontrario, il protocollo “Dio è onnipresente” non è mai stato verificato né mai potràesserlo, per principio, in quanto al termine “Dio” non corrisponde alcun oggetto fisico. Inquesto senso, la verificazione certifica la <strong>scienti</strong>ficità effettiva di una proposizione, mentrela verificabilità ne certifica il significato, ovvero la significatività sul piano <strong>scienti</strong><strong>fico</strong>. Intermini più semplici, il principio di verificabilità – cioè la possibilità di principio che unaproposizione sia verificata sperimentalmente – è un criterio di significanza <strong>scienti</strong>fica,ossia permette di selezionare le proposizioni che possono essere giudicate vere o false, edunque hanno rilevanza conoscitiva, separandole da quelle (p.e. “Dio è onnipresente”) chenon possono essere giudicate né vere né false, in quando sono prive di significatoconoscitivo, cioè sono <strong>scienti</strong>ficamente insensate. Se una proposizione è verificabile inseguito potrà essere effettivamente verificata e se lo sarà positivamente allora diventeràuna proposizione non solo <strong>scienti</strong>ficamente sensata ma anche vera.Sulla base di questa impostazione, i neopositivisti confutano spietatamente tutta latradizione <strong>filoso</strong>fica di stampo metafisico. Infatti, in base al principio di verificabilità,secondo i neopositivisti, tutte le teorie <strong>filoso</strong><strong>fico</strong>-metafisiche risultano insiemi diproposizioni prive <strong>del</strong> minimo significato conoscitivo. Esse hanno solo un valore emotivo,sono forme di effusione sentimentale. I <strong>filoso</strong>fi, afferma Carnap, sono dei musicisti eoltretutto dei musicisti falliti. In altre parole, per i neopositivisti, la <strong>filoso</strong>fia non valeneanche come effusione sentimentale, in quanto la forma appropriata per esprimere erappresentare i sentimenti e le emozioni è l’arte.309


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREROTTA BIL FALSIFICAZIONISMO O RAZIONALISMO CRITICOKarl Popper rovescia la <strong>filoso</strong>fia <strong>del</strong>la scienza <strong>del</strong> neopositivismo con una nuovaimpostazione che è chiamata “falsificazionismo” o “fallibilismo”. Ma Popper stessoautodenomina la sua <strong>filoso</strong>fia “razionalismo critico”, richiamandosi alla tradizione diKant e prima ancora di Socrate.Secondo Popper la scienza non si basa sulla verificabilità <strong>del</strong>le sue proposizioni, ma sullaloro falsificabilità, cioè sulla possibilità che esse siano sottoposte a esperimentipotenzialmente capaci di confutarle. In questo senso, la scoperta <strong>scienti</strong>fica non nascedall’induzione, ma da un’intuizione teorica pura dalla quale si ricavano deduttivamente<strong>del</strong>le conseguenze singolari che vengono sottoposte al vaglio di esperimenti.Dunque il criterio di demarcazione tra scienza e non scienza è la possibilità di confutareuna teoria in base a severi controlli sperimentali. Ma ciò per Popper non significa cheuna teoria, o una proposizione, non falsificabile siano prive di significato conoscitivo.Infatti, p.e., la teoria atomistica di Democrito, di stampo metafisico, all’inizio <strong>del</strong> ‘900 èdiventata una teoria <strong>scienti</strong>fica. Dunque la <strong>filoso</strong>fia ha un significato logico, ovvero unavalenza conoscitiva, benché non abbia validità <strong>scienti</strong>fica in quanto, a differenza <strong>del</strong>lascienza, non se ne può stabilire il grado di verosimiglianza, cioè di approssimazione alvero.Per Popper infatti nemmeno una teoria <strong>scienti</strong>fica può essere considerata vera, in quantola verità esiste ma l’uomo non può conoscerla. La <strong>scienti</strong>ficità dunque non si basasull’alternativa secca vero/falso, ma sulla maggiore o minore verosomiglianza relativa.VITA DI UN CAPITANOKARL RAIMUND POPPERMacque a Vienna il 28 luglio 1902. Da giovane, durante il biennio rosso (1919-20) fuattratto dalle idee socialiste, che da adulto avrebbe rigettato. Negli anni Venti è ammesso,come assistente sociale, all'Istituto pedagogico di Vienna, da cui esce abilitato nel 1927.Sono anni in cui fa molte esperienze intellettuali (musica, fisica, matematica, politica) elavora per un certo periodo presso la clinica di consulenza per l'infanzia di Alfred Adler,psicanalista in dissidio con Freud. Nel 1928 si laurea in <strong>filoso</strong>fia con lo psicologo KarlBühler e l'anno seguente ottiene la qualifica di insegnante di matematica e fisica nellescuole medie, dove insegnerà dal 1930 al 1936. Nel 1934 pubblica la prima edizione di Lalogica <strong>del</strong>la scoperta <strong>scienti</strong>fica col titolo La logica <strong>del</strong>la ricerca. Benché non fossemembro <strong>del</strong> Circolo di Vienna, Popper intrattiene rapporti con Hans Hahn, Rudolf Carnap,e Herbert Feigl, con Otto Neurath, e più tardi con Kurt Gö<strong>del</strong> e Alfred Tarski. Dopol'occupazione nazista <strong>del</strong>l'Austria nel 1938, a causa <strong>del</strong>la sua origine ebraica, emigra inNuova Zelanda, dove insegna, dal 1937 al 1945, al Canterbury University College diChristchurch, e dove scrive e pubblica tra il 1944 e il 1945 La miseria <strong>del</strong>lo storicismo e Lasocietà aperta e i suoi nemici. All'inizio <strong>del</strong> 1946 accetta il lettorato di logica e poi dimetodologia alla London School of Economics dove, nel 1949, diventa professore ordinarioe successivamente capo <strong>del</strong> Dipartimento di Filosofia. Nel 1959 pubblica la secondaedizione di La logica <strong>del</strong>la scoperta <strong>scienti</strong>fica e nel 1963 Congetture e confutazioni.Lasciò l’insegnamento universitario nel 1969. A partire dagli anni Cinquanta Popper haavuto numerosissimi riconoscimenti per la sua attività di ricerca: dalla nomina a membro<strong>del</strong>la Royal Society sino all'investitura <strong>del</strong> titolo di baronetto nel 1965. È morto nel 1994.310


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 1POPPER: IL PRINCIPIO DI FALSIFICABILITA’Ma io ammetterò certamente come empirico, o <strong>scienti</strong><strong>fico</strong>, soltanto unsistema che possa essere controllato dall’esperienza. Queste considerazionisuggeriscono che, come criterio di demarcazione, non si deve prendere laverificabilità, ma la falsificabilità di un sistema. In altre parole: […] unsistema empirico deve poter essere confutato dall’esperienza.K. Popper: Logica <strong>del</strong>la scoperta <strong>scienti</strong>fica, p. 22Secondo Popper, la conoscenza nasce dallo scontro tra una nostra aspettativa eun’esperienza che la contraddice. In questo modo sorge un problema e la conoscenza siorigina e si sviluppa come tentativo di risolverlo.Ma se le cose stanno così, allora l’attività conoscitiva presuppone sempre una “conoscenzainnata” cioè un patrimonio conoscitivo acquisito costituito da:attitudini, disposizioni, funzioni geneticamente ereditate;teorie religiose, mitiche, <strong>filoso</strong>fiche, artistiche, <strong>scienti</strong>fiche elaborate precedentemente etrasmesse culturalmente.Questa conoscenza “innata” svolge, a giudizio di Popper, due funzioni fondamentali:suscita aspettative a priori che orientano l’osservazione spingendoci a mettere a fuoco soloalcuni aspetti <strong>del</strong>la realtà che diventano così “esperienza”;ci fornisce il materiale di base per poter ideare ipotesi di soluzione dei problemi che divolta in volta ci si presentano.In base a queste due funzioni giungiamo a elaborare <strong>del</strong>le teorie, cioè dei sistemi di assertiuniversali. Le teorie infatti non sono altro che uno sviluppo raffinato <strong>del</strong>le nostredisposizioni innate a rilevare <strong>del</strong>le somiglianze e a stabilire <strong>del</strong>le connessioni regolari tra lenostre esperienze.Le teorie però non sono tutte uguali. Vi è infatti per Popper una demarcazione decisiva trale teorie <strong>scienti</strong>fiche e quelle non <strong>scienti</strong>fiche o “metafisiche”. Il criterio di taledemarcazione non è la verità, in quanto di nessuna teoria è possibile stabilire la completacorrispondenza alla realtà empirica.Ciò che fa la differenza tra teorie <strong>scienti</strong>fiche e no è che le prime, diversamente dalleseconde, consentono una maggiore possibilità di critica perché sono empiricamentecontrollabili. In particolare il controllo empirico <strong>del</strong>le teorie <strong>scienti</strong>fiche si basa sulprincipio di falsificabilità, cioè sulla possibilità di dimostrarne la falsità.Il controllo empirico <strong>del</strong>le teorie <strong>scienti</strong>fiche si attua grazie a una procedura metodologicadi tipo ipotetico-deduttivo, che Popper chiama anche metodo “per prova ed errore”. Taleprocedura consiste nei seguenti passaggi:ideazione di una teoria generale avente il valore di un’ipotesi di soluzione di un problema;deduzione <strong>del</strong>le conseguenze <strong>del</strong>la teoria generale, cioè dei fatti particolari che essapredice;confronto tra le deduzioni particolari ricavabili dalla teoria e i fatti sperimentali, o meglio,come dice Popper, gli “asserti-base” singolari che gli esperimenti stabiliscono.Se gli asserti-base concordano con le predizioni teoriche allora la teoria ha superato ilcontrollo critico e ottiene un parziale attestato di validità; in caso contrario la teoria risultafalsificata e dunque non può essere considerata <strong>scienti</strong>ficamente valida.311


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORESecondo Popper, l’esempio migliore di teoria <strong>scienti</strong>fica è rappresentato dalla teoria <strong>del</strong>larelatività di Einstein. Essa infattifu originata dall’inaspettata scoperta sperimentale <strong>del</strong>l’invarianza <strong>del</strong>la velocità <strong>del</strong>la luce,– che contraddiceva il principio di composizione <strong>del</strong>le velocità – cioè dall’emergere di unproblema rispetto alla fisica classica;fu elaborata in modo puramente teorico come ipotesi fisico-matematica di soluzione <strong>del</strong>problema priva di prove sperimentali;ma Einstein stesso ne indicò le conseguenze singolari in base alle quali poteva esserefalsificata: per esempio la deviazione dei raggi luminosi provenienti dalle stelle a causa <strong>del</strong>campo gravitazionale <strong>del</strong> Sole;tale predizione rese possibile l’esperimento di Eddington <strong>del</strong> 1919 che accertò che unraggio di luce stellare passante vicino al Sole viene deflesso nella misura matematicaprevista dalla teoria <strong>del</strong>la relatività.Dunque, una teoria è <strong>scienti</strong>fica se, e solo se, indica la possibilità di confutarla mettendolaalla prova con rigorosi esperimenti.Il principio di falsificabilità si fonda per Popper su di una decisiva asimmetria logica: il più ampio numero di esperimenti favorevoli a una teoria non è sufficiente adimostrare la sua verità;invece un solo esperimento sfavorevole è sufficiente a dimostrare che una teoria nonè vera.Infatti una teoria, in quanto universale per definizione, deve valere per una totalità infinitadi fatti singolari. Dunque mentre i controlli sperimentali non possono per principioverificare tutti i fatti che una teoria predice, un solo controllo negativo basta perconfutarne l’universalità.Per esempio, l’aver osservato mille cigni bianchi non è sufficiente a dimostrare la verità<strong>del</strong>l’asserto universale “tutti i cigni sono bianchi”, perché esistono o esisteranno sempremolti altri cigni che non abbiamo osservato; ma è sufficiente l’osservazione di un cignonero per confutare quell’asserto universale.In altre parole, la scienza non si fonda sulla verifica empirica affermativa ma sul controlloempirico negativo perché mentre la prima è sempre incompleta e quindi dubbia, il secondoè completo e dunque certo.Lo scienziato, secondo Popper, è un uomo diverso da tutti gli altri in quanto mentre lamaggior parte degli uomini si sforza di dimostrare di aver ragione, lo scienziato cerca didimostrare di avere torto. In altre parole, l’attività <strong>scienti</strong>fica deve consistere non neltentativo di trovare conferme alle teorie proprie o altrui, bensì nel tentativo incessante difalsificarle.Tale tesi paradossale si giustifica in base a due fondamentali motivazioni:solo un esperimento ideato e realizzato con la ferma volontà di falsificare una teoria se nonriesce nel suo intento costituisce una conferma fondata <strong>del</strong>la sua validità;a differenza <strong>del</strong>la conferma di una teoria, la falsificazione di una teoria ci apre nuove vie diricerca e stimola così l’accrescimento <strong>del</strong>la nostra conoscenza.Quando una teoria <strong>scienti</strong>fica viene falsificata non è più valida ovvero attuale, purconservando sempre un parziale grado di verosimiglianza. Quando invece resiste aitentativi di falsificazione conseguendo una conferma sperimentale è empiricamente“corroborata” cioè può e deve essere considerata <strong>scienti</strong>ficamente valida e attuale fino aprova contraria.312


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITORETAPPA 2POPPER: IL PRINCIPIO DI VEROSIMIGLIANZALo status <strong>del</strong>la verità intesa in senso oggettivo, come corrispondenza ai fatti,con il suo ruolo di principio regolativo, può paragonarsi a quello di una cimamontuosa, normalmente avvolta tra le nuvole. Uno scalatore può non soloavere dif<strong>fico</strong>ltà a raggiungerla, ma anche non accorgersene quando vi giunge,perché può non riuscire a distinguere, nelle nuvole, fra la vetta principale eun picco secondario. Questo tuttavia non mette in discussione l’esistenzaoggettiva <strong>del</strong>la vetta; e se lo scalatore dice “dubito di aver raggiunto la veravetta”, egli riconosce, implicitamente, l’esistenza oggettiva di questa. L’ideastessa di errore, o di dubbio (nella semplice accezione usuale) comporta ilconcetto di una verità oggettiva, che possiamo essere incapaci di raggiungere.K. Popper: Congetture e confutazioni, p. 388Popper ha una concezione realistica <strong>del</strong>la verità. Egli infatti riprende e riabilita laconcezione tradizionale, legata al senso comune, <strong>del</strong>la verità come corrispondenza traasserti, cioè proposizioni, e fatti, cioè stati di oggetti. Rifacendosi al logico polacco Tarski,Popper afferma che è possibile stabilire rigorosamente la corrispondenza asserti/fattigrazie alla distinzione tra:il “linguaggio oggetto”, cioè il linguaggio con cui parliamo dei fattiil “metalinguaggio semantico”, cioè il linguaggio con cui possiamo parlare sia <strong>del</strong>“linguaggio oggetto” sia dei fatti.Grazie all’utilizzo di questi due linguaggi possiamo affermare con certezza che l’asserto“Il gatto sulla poltrona dorme” (linguaggio oggetto)è vero se, e solo se, sulla poltrona c’è un gatto che dorme (metalinguaggio semantico).In altre parole il metalinguaggio semantico per Popper è il fondamento logico-razionale<strong>del</strong>la possibilità di stabilire in modo rigorosamente certo la corrispondenza asserti/fatti.Sulla base di questa concezione <strong>del</strong>la verità, Popper sostiene che nessuna teoria <strong>scienti</strong>ficapotrà mai conseguire la verità in modo pieno e assoluto. Infatti: una teoria è <strong>scienti</strong>fica soltanto se può essere empiricamente controllata sui fatti; una teoria <strong>scienti</strong>fica è per costituzione un sistema di asserti universali, ovvero siriferisce a una totalità di fatti in linea di principio infinita; ma gli scienziati non potranno mai controllare la corrispondenza degli asserti di unateoria a tutti gli infiniti fatti cui si riferisce.Dunque anche ipotizzando per assurdo che uno scienziato scopra una teoria vera, né lui nél’intera comunità <strong>scienti</strong>fica potrebbero accertarsene e dunque esserne co<strong>scienti</strong>. In altritermini: la scienza non può conoscere la verità.Stando così le cose, secondo Popper tutte le teorie <strong>scienti</strong>fiche devono essere considerate e usatecome semplici congetture, ovvero come ipotesi sicuramente relative e fallibili, e pertantoinevitabilmente destinate, prima o poi, a essere falsificate da un fatto.Nondimeno, Popper afferma con forza che non possiamo né dobbiamo rinunciare allaconvinzione che la verità esista. Infatti:un solo fatto contrario a una teoria può attestarne la falsitàdunque se non possiamo accertarci <strong>del</strong>la verità di una teoria, possiamo raggiungere unapiena certezza riguardo alla sua falsitàma, poiché la falsità è la negazione <strong>del</strong>la verità, la certezza <strong>del</strong>la falsità di qualcosa implicala certezza <strong>del</strong>l’esistenza <strong>del</strong>la verità.313


SAVERIO MAURO TASSI – LE (DIS)AVVENTURE DEL PENSIERO FILOSO/SCIENTI-FICO – IL CORSARO EDITOREInsomma, se la scienza, e dunque l’uomo, non può mai arrivare a possedere la verità è soloper i suoi limiti, non perché la verità non esiste.La possibilità di stabilire la superiorità di una teoria <strong>scienti</strong>fica rispetto a un’altraPer Popper, inoltre, il fatto che tutte le teorie <strong>scienti</strong>fiche siano congetture fallibili nonimplica che esse siano tutte equivalenti. E’, infatti, possibile stabilire che una teoria èmigliore di un'altra in base a due semplici criteri: maggiore quantità di informazioni ovvero di riferimenti empirici maggiore capacità di spiegazione e comprensione.Entrambi questi criteri si traducono e si sintetizzano in un unico criterio fondamentale: la maggiore possibilità di controllo e di falsificabilità.In altre parole, secondo Popper, una teoria è migliore quando permette agli scienziati disottoporla a controlli empirici più numerosi e più severi, ovvero quando offre più ampie erigorose possibilità di dimostrarne la falsità in base a fatti contrari.In base alla sua concezione <strong>del</strong>la scienza, Popper giunge a una conclusione paradossale,cioè <strong>del</strong> tutto contraria al senso comune:mentre comunemente si crede che una teoria <strong>scienti</strong>fica sia più valida di un’altra se laprima è più probabile <strong>del</strong>la secondaPopper afferma che se una teoria è più valida di un’altra allora è meno probabile diquest’ultima.La tesi di Popper ha un fondamento logico. Per capirlo, basta considerare il seguenteesempio: l’asserto “domani sorgerà il sole” è più probabile <strong>del</strong>l’asserto “domani sorgerà il solee pioverà”ma il primo è di gran lunga meno falsificabile <strong>del</strong> secondo, dal momento che le sueimplicazioni empiriche sono di gran lunga più ristrette.Dall’esempio è facile ricavare che le teorie più probabili, cioè quelle che hanno piùprobabilità di ottenere conferme positive dall’esperienza, sono quelle che hanno minorericchezza conoscitiva. Ma sarebbe assurdo giudicare migliore una teoria con minorericchezza conoscitiva. Dunque la maggiore probabilità non può essere il criterio <strong>del</strong>lascienza.Dal momento che, anche se irraggiungibile, la verità esiste, dire che una teoria è migliore diun’altra, per Popper equivale a dire che è più vicina alla verità di un’altra. Ciò significa chela scienza può e deve adottare la verità come criterio regolativo <strong>del</strong>la propria evoluzione,cioè che se deve rifuggire l’obiettivo di possedere la verità deve però porsi quello diapprossimarsi sempre di più alla verità. Infatti solo in questo modo la scienza puòprodurre quella continua crescita <strong>del</strong> sapere che è una sua proprietà essenziale.In altri termini: di una teoria <strong>scienti</strong>fica non possiamo stabilire se è vera in assoluto, mapossiamo e dobbiamo stabilire se è più o meno verosimile – cioè vicina al vero – diun’altra. Dunque nella pratica <strong>scienti</strong>fica il principio di verità va tradotto in quello diverosimiglianza. Grazie a tale principio è possibile affermare che l’evoluzione <strong>del</strong>la scienzaè stata, almeno finora, un progresso. Infatti, possiamo affermare che la teoria astronomicadi Keplero è più verosimile di quella di Copernico, quella di Newton è più verosimile diquella di Keplero e quella di Einstein, infine, più verosimile di quella di Newton.314

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