Il dubbiole credenze, un pluriverso mondopopolato da tutto ciò che la scienzaufficiale (e dunque bianca e occidentale)considera altro-da-sée bolla come medicine ingenue(ufficialmente perché arcaiche,magiche, contadine e tradizionalima in realtà nel confronto-scontroentra tutto il novero delle curenon allineate alle logiche dellebiomedicine occidentali: alternative,olistiche, new-age, psicosomatiche,ecc…).Paradossalmente si fronteggianodue sistemi di pensiero performativoentrambi fondati sulle granitichebasi del credo, che è moltopiù di quanto possa sembrare aprima vista essendo il suo significatooriginario una dichiarazionedi totale devozione e sottomissionee non la generica manifestazionedi una opinione (è solo conla modernità che il verbo crederesfuma vieppiù la sua perentorietàe viene dapprima circoscritto alsolo campo religioso, poi consideratoattestazione di fiducia e poiancora addirittura utilizzato perdire dell’inattendibile).Dunque che si tratti di crederenella scienza o che si tratti di credere<strong>nelle</strong> sue alternative, il rapportotra credente e autorità è unrapporto di subalternità, fondatosulla certezza (spontanea o indottache sia). E gli studi antropologicisul comportamento nella curalo confermano: placebo e compliance,per limitarsi solo a queste,sono due modi/formule/categoriedella relazione terapeuticache dimostrano che, nella cura, ilproblema della certezza viene assolutamenteprima di quello dellaverità.Ho fatto bene a venire a parlare con te?Non lo so!Ho nostalgia di quando mi rispondevi sì o no…Anch’io!(dialogo tra Clark Kent e sua madre in Smallville)2.In questo quadro complessivoè cosa buona e giusta, nostrodovere e fonte di salvezza (perchi lo pratica e per chi ne fruisce)estrapolare il ragionamento sulcounseling riconoscendo a questapratica di cura una sua originalespecificità che è quella di ritagliarenel campo semantico generaledella salute lo spazio operativo -ambiguo e di difficile definizionema strategico - dello stare bene.Operazione di ritaglio che, se portataa consapevolezza, consentirebbedi ridurre l’aggressività32
Il dubbiodeterminista (Pasolini direbbeche la tendenza ad essere “certi”esprime una coscienza aggressivadelle proprie capacità/competenze)e di tenere sotto controllonon solo il desiderio di potenzama anche l’apprendista stregoneche è in ogni counselor. Operazionedi ritaglio che, se concettualizzataepistemologicamente,consentirebbe di attingere il propriostatuto metodologico non piùalla scienza ma all’arte (in particolaresi tratterebbe di studiare ilcounseling come una scienza e diattuarlo come un’arte, per dire delcounseling ciò che Jaspers scrissedell’interpretazione).Non è questione da poco: l’artenon ha una sua epistemologia,non cerca la verità, il suo scoponon è risolvere problemi (che è loscopo della scienza), semmai essali annuncia, li anticipa e li esplora;e dunque chi pratica l’arte accettadi non avere soluzioni, di nonavere risposte. John Keats, un poetaromantico della prima metàdell’ottocento, definì negative capabilityquesta attitudine dell’artista:“stare <strong>nelle</strong> <strong>incertezze</strong>, neimisteri, nei dubbi, senza essereimpaziente di pervenire a fatti ea ragioni”. Nello specifico dellepratiche di cura, essere dotati dinegative capability significa, perusare le parole di Lanzara, “restareimpassibili di fronte all’assenzao alla perdita di senso [...], accettaremomenti di indeterminatezzae di assenza di direzione. [...]Questo stato di sospensione [...]dispone a lasciare che gli eventiseguano il loro corso, restando invigile attesa, e a lasciarsi andarecon essi senza pretendere di determinarnea priori e a tutti i costila direzione, il ritmo, o il puntod’arrivo”. La negative capabilitymoltiplica gli sguardi, costringead attenzioni multiple e a stare,nella pratica di cura, con un atteggiamentocostante di attesa, diricerca, di curiosità.Essa è generativa perché aprealle molte possibilità. È rivoluzionariaperché rompe, sovvertendolo,l’Ordine Costituito rappresentatodalla cultura del risultatoa tutti i costi, del prodotto comemisura di sé, dell’adesione acriticae scimmiottante a modelli preconfezionatiche impedisce la ricercaoriginale e personale di unapropria identità professionale, delsuccesso quantitativo che oscurala ricerca della qualità.È una capacità che presuppone,a sua volta, un’altra capacità:quella di stare nell’ansia. <strong>Di</strong> starenell’ansia dell’incertezza che derivadall’assenza e dall’attesa, adesempio: c’è poco spazio nell’artee nel counseling per chi non savivere il momento in cui, comescrisse Maria Zambrano “il temposi fa deserto” giacché la relazionedi cura avviene nel deserto; maanche di stare nell’ansia dell’incertezzache deriva dall’eccessoe dal caos. C’è poco spazio ancheper chi non sa attraversare la forestadei segni di ogni relazione dicura.Nell’ansia della creazione, insomma.Come percorso che ha neltempo la sua dimensione principale:il tempo del Qohelet (C’è untempo per ogni cosa) e il tempodella ragionevolezza evangelica(Quanto amore nel seminare,quanta speranza nell’aspettare,quanta fatica nel mietere il granoe vendemmiare).Concretamente la negative capabilityo, se si preferisce, l’attitudineartistica al counseling,consente di abitare le domandedell’altro, di sostarvi, fuggendo latentazione di risolverle, consentedi dissuadersi dal portare l’altrolimitandosi ad accompagnarlo.La convinzione, a quantopare,è un lusso che si puòpermettere chi non ècoinvolto…(William Parker a JohnNash in A beautiful mind)3.Il counselor, nell’atto di prendersicura di qualcuno, sipone essenzialmente comeoperatore della conoscenza perchèla pratica di cura è una praticadella conoscenza. Non solo: ancheil prendersi cura di sé è una praticadella conoscenza e chi si rivolgead un counselor si sta prendendocura di sé. Il counselor si prendecura (sviluppa una pratica di conoscenza)di chi si sta prendendocura di sé (sta sviluppando unapratica di conoscenza): la cura,dunque, come conoscenza dellaconoscenza o, se si preferisce,meta-conoscenza.Ciò detto, appare evidente che lariflessione sulla cura in generale esul counseling in particolare deveessere condotta preliminarmentesu un piano epistemologico, che èappunto il piano della conoscenza(a livello teorico e di studio, giacché– come già detto - a livellooperativo il counselor dovrebbestare su una dimensione artistica).Ed è proprio lo sguardo epistemologicoa sgomberare il campo daqualunque pretesa di certezza. Ilparadigma secondo il quale osservatoree osservato stanno sudue campi distinti, in due mondiautonomi e non reciprocamenteinterferenti, è superato da moltotempo (primissimi decenni del1900, se si accetta di considerareWittgenstein uno dei principaliartefici di questo superamento).33