13.07.2015 Views

1. L'integrale di Lebesgue - Istituto di Matematica Applicata e ...

1. L'integrale di Lebesgue - Istituto di Matematica Applicata e ...

1. L'integrale di Lebesgue - Istituto di Matematica Applicata e ...

SHOW MORE
SHOW LESS

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.

<strong>1.</strong> L’integrale <strong>di</strong> <strong>Lebesgue</strong>Henri <strong>Lebesgue</strong> (1875-1941)IntroduzioneIn questa lezione cerchiamo <strong>di</strong> raccogliere (nel modo più veloce ed indolore...)alcuni dei risultati più importanti ed utili della teoria dell’integrazione <strong>di</strong> <strong>Lebesgue</strong>.Poiché non abbiamo né il tempo, né la pazienza per sviluppare egiustificare tutti i punti della teoria, seguiremo una via, <strong>di</strong>ciamo così, descrittivo/assiomatica,accontentandoci <strong>di</strong> precisare con cura solo alcune definizionie i corrispondenti enunciati.A prima vista, la nozione <strong>di</strong> integrale R u(x) dx secondo Cauchy-Riemannsviluppata nei precedenti corsi <strong>di</strong> Analisi <strong>Matematica</strong> sembra essere già su -ciente, poiché si applica ad una classe abbastanza ampia <strong>di</strong> funzioni e riescea trattare quasi tuttgli esempi che solitamente si incontrano nei primi anni<strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o. D’altra parte, questa nozione <strong>di</strong> integrabilità presenta almeno treinconvenienti:– L’insieme <strong>di</strong> definizione <strong>di</strong> u deve essere limitato.– u deve essere anch’essa limitata.– La proprietà <strong>di</strong> essere misurabile non è stabile per la convergenza puntuale:in altre parole, può accadere che una successione <strong>di</strong> funzioni uniformementelimitate converga puntualmente ad una funzione limitata ma nonmisurabile, i cui punti <strong>di</strong> <strong>di</strong>scontinuità, cioè, siano “troppo numerosi”per poter parlare <strong>di</strong> integrale.1-1


L’integrale <strong>di</strong> <strong>Lebesgue</strong>L’integrale delle funzioni positiveDefinizione <strong>1.</strong>1 (Funzioni positive, reali e complesse) Diremo che una funzioneu definita in un insieme E ⇢ R N è positiva se il suo codominio è l’intervalloesteso [0, +1]: ammettiamo pertanto che vi siano punti (anche tutti!) <strong>di</strong> E in cuila funzione vale +<strong>1.</strong> u sarà invece reale (risp. complessa) se il suo codominio è R(risp. C): in tal caso non ammettiamo valori infiniti. Osserviamo che le funzionireali sono un caso particolare <strong>di</strong> funzioni complesse.Convenzione. L’algebra in [0, +1]. In [0, +1] non vi sono <strong>di</strong> coltà a definire la somma e la relazioned’or<strong>di</strong>ne, come ciascuno può facilmente immaginare. Più arbitrario il prodotto 0 · (+1):quando tratteremo <strong>di</strong> integrali e <strong>di</strong> funzioni positive, converremo che0 · (+1) := 0. (<strong>1.</strong>1)Questa definizione, che può sembrare arbitraria ed in contrasto con tutte le cautele imparatenegli anni precedenti, non è invece così bizzarra, e nasce dall’esigenza <strong>di</strong> integrare funzioniche valgono +1 su un insieme <strong>di</strong> misura nulla, o funzioni che valgono 0 su un insieme<strong>di</strong> misura +1 (come tutto R, per esempio). I entrambi i casi, se si vuole preservare laproprietà <strong>di</strong> monotonia che introdurremo tra un momento, si è costretti alla definizione(<strong>1.</strong>1).Teorema <strong>1.</strong>2 (Integrale <strong>di</strong> <strong>Lebesgue</strong> per le funzioni positive) Ad ogni insiemeE ⇢ R N e ad ogni funzione positiva u : E ! [0, +1] è possibile associareunivocamente un numero Zu(x) dx 2 [0, +1] (<strong>1.</strong>2)Ein modo che siano sod<strong>di</strong>sfatte le seguenti proprietà fondamentali:• (Estensione) Se E è misurabile e u è integrabile secondo Cauchy-Riemann(anche in senso generalizzato) allora l’integrale <strong>di</strong> <strong>Lebesgue</strong>Zu(x) dx coincide con l’integrale <strong>di</strong> Cauchy-Riemann. (<strong>1.</strong>3)E• (Monotonia) Per ogni u, v : E ! [0, +1]ZZu apple v ) u(x) dx apple v(x) dx (<strong>1.</strong>4)EE• (Continuità: lemma <strong>di</strong> Fatou) Se u n : E ! [0, +1] è una successione <strong>di</strong> funzioniconvergente puntualmente a u, cioè9 lim un(x) =: u(x) 8 x 2 E, (<strong>1.</strong>5a)n"+1tali che per un opportuna costante MZu n(x) dx apple M < +1 8 n 2 N, (<strong>1.</strong>5b)Eallora ancheZu(x) dx apple M.E(<strong>1.</strong>5c)Commento.Il senso del primo punto (Estensione) del precedente teorema è quello <strong>di</strong> garantire chepassando dall’integrale <strong>di</strong> Riemann a quello <strong>di</strong> <strong>Lebesgue</strong> operativamente non si è costrettia cambiare alcunchè <strong>di</strong> ciò che si è appreso. Gli altri due, invece, servono per identificareunivocamente la nuova nozione introdotta e “tranquillizzare” il lettore più esigente: inaltri termini, tra tutte le possibili estensioni del concetto <strong>di</strong> integrale ne esiste solo una,quella proposta appunto da <strong>Lebesgue</strong>, che sod<strong>di</strong>sfa i due ulteriori requisiti <strong>di</strong> monotonia e<strong>di</strong> continuità. Può sembrare strano come è stata formulata quest’ultima nozione (Lemma<strong>di</strong> Fatou); riprenderemo meglio questo <strong>di</strong>scorso dopo aver brevemente ricordato alcuneproprietà più familiari.1-3


L’integrale <strong>di</strong> <strong>Lebesgue</strong>Convenzione. Misurabilità ad<strong>di</strong>o. La teoria dell’integrazione <strong>di</strong> <strong>Lebesgue</strong> è strettamente legata ad unnuovo concetto <strong>di</strong> misurabilità <strong>di</strong> insiemi e funzioni, cui accenneremo più avanti. Poichèl’esistenza <strong>di</strong> funzioni non misurabili è strettamente legata a sottili questioni <strong>di</strong> logica eteoria degli insiemi, e tutte le funzioni che ammettono una definizione costruttiva risultano,<strong>di</strong> fatto, misurabili, per semplificare la trattazione noi assumeremo sempre che le funzioni<strong>di</strong> cui stiamo parlando siano misurabili: d’ora in avanti, quin<strong>di</strong>, non ci preoccuperemo più<strong>di</strong> ricordarlo esplicitamente. Spero che Lebegue possa perdonarmi...Proprietà elementariProposizione <strong>1.</strong>3 Se E ⇢ R N , u, v sono funzioni positive definite in E euno scalare positivo si ha0 è• (Ad<strong>di</strong>tività rispetto a u)ZZ(u(x) + v(x)) dx =EZu(x) dx =EEZu(x) dx + v(x) dx, (<strong>1.</strong>6)EZu(x) dx. (<strong>1.</strong>7)• (Funzioni caratteristiche) Per ogni A ⇢ R N la funzione caratteristica <strong>di</strong>A è definita da(1 se x 2 A;1 A (x) :=0 se x 62 A.Per ogni A ⇢ E si haZAZu(x) dx =EEu(x)1 A (x) dx. (<strong>1.</strong>8)• (Ad<strong>di</strong>tività rispetto a E) Se E è l’unione <strong>di</strong>sgiunta <strong>di</strong> due insiemi A, B(cioè E = A [ B, A \ B = ?) alloraZZZu(x) dx = u(x) dx + u(x) dx. (<strong>1.</strong>9)EABOsservazioneSe A ⇢ E e u è positiva, alloraZAZu(x) dx apple u(x) dx. (<strong>1.</strong>10)EDefinizione <strong>1.</strong>4 (Misura <strong>di</strong> <strong>Lebesgue</strong> <strong>di</strong> un insieme) Se E ⇢ R N , in<strong>di</strong>chiamocon |E| la sua misura <strong>di</strong> <strong>Lebesgue</strong> N-<strong>di</strong>mensionale (lunghezza sulla retta, areanel piano, volume nello spazio!), definita daZ|E| := 1 dx =EZ1 E (x) dx.R N (<strong>1.</strong>11)NotaPer la proprietà <strong>di</strong> estensione dell’integrale <strong>di</strong> <strong>Lebesgue</strong>, questa definizione coincide conquella <strong>di</strong> Peano-Jordan, quando l’insieme E è misurabile in questo senso più restrittivo.1-4


L’integrale <strong>di</strong> <strong>Lebesgue</strong>Scambio <strong>di</strong> operatori-ITeorema <strong>1.</strong>5 (Beppo Levi, convergenza monotona)• Se u n è una successione crescente <strong>di</strong> funzioni positive definite in E ⇢ R N ,tali cioè chen apple m ) u n (x) apple u m (x) 8 x 2 E,alloraZEZlim u n(x) dx = lim u n (x) dx. (<strong>1.</strong>12)n"+1 n"+1 E• Se u n è una successione decrescente <strong>di</strong> funzioni positive definite in E ⇢ R N , tali cioèchen apple m ) u n(x) u m(x) 8 x 2 E, (<strong>1.</strong>13)se almeno una <strong>di</strong> esse ha integrale finito alloraZZlim un(x) dx = lim u n(x) dx. (<strong>1.</strong>14)E n"+1 n"+1 ECorollario <strong>1.</strong>6 (Integrazione per serie) Se u n è una successione <strong>di</strong> funzionipositive definite in E ⇢ R N , alloraZ!+1X+1XZu n (x) dx = u n (x) dx. (<strong>1.</strong>15)En=0n=0ENotaL’ipotesi essenziale del Teorema <strong>di</strong> Beppo Levi è la monotonia della successione u n(x)rispetto a n (<strong>1.</strong>5): questa assicura sempre l’esistenza del limite puntualeu 1(x) := lim un(x) 8 x 2 E,n"+1e l’esistenza del limite degli integraliZi 1 := lim u n(x) dx.n"+1 EDunque, il contenuto veramente significativo del teorema sta nell’a↵ermare che i 1 è l’integrale<strong>di</strong> u 1 su E.DimostrazioneIl teorema <strong>di</strong> Beppo Levi è una conseguenza imme<strong>di</strong>ata del lemma <strong>di</strong> Fatou (<strong>1.</strong>5a,b,c): bastaosservare che per monotoniaZZu n(x) apple u 1(x) e quin<strong>di</strong> u n(x) dx apple u 1(x) dx,EEda cuiZZi 1 := lim u n(x) dx apple u 1(x) dx;n"+1 EEd’altra parte, sempre per la monotonia della successione degli integrali,Zu n(x) dx apple i 1 8 n 2 N,Ee il Lemma <strong>di</strong> Fatou stabilisce che Zu 1(x) dx apple i <strong>1.</strong>EIl teorema <strong>di</strong> integrazione per serie è una conseguenza <strong>di</strong>retta del precedente, applicato allasuccessione delle somme parziali.Richiami Famiglie numerabili. Una collezione (o famiglia) <strong>di</strong> oggetti A si <strong>di</strong>ce numerabile sepuò essere messa in corrispondenza biunivoca con l’insieme N dei numeri naturali; in altreparole, tutti gli elementi <strong>di</strong> A si possono “etichettare” con un numero intero che li in<strong>di</strong>viduaunivocamente e si possono conseguentemente “elencare” in una successioneA := {A 0 , A 1 , A 2 , . . . , A n, . . .}.1-5


L’integrale <strong>di</strong> <strong>Lebesgue</strong>Quando gli elementi A n sono a loro volta insiemi, si parla <strong>di</strong> collezione o famiglia numerabile<strong>di</strong> insiemi. Capiterà sovente <strong>di</strong> considerarne l’unione, cioè un nuovo insieme+1 [A = A nn=0i cui elementi sono tutti e soli quelli che apparengono a qualcuno delgli insiemi A n. Chiaramente+1 [B ⇢ A n , 8 b 2 B 9 n 2 N : b 2 A n.n=0Diremo che A è al più numerabile, quando è numerabile oppure A è costituita da unnumero finito <strong>di</strong> elementi.Richiami Famiglie monotone <strong>di</strong> insiemi, unioni <strong>di</strong>sgiunte. Una famiglia A 1 , A 2 , . . . , A n, . . . <strong>di</strong>sottoinsiemi <strong>di</strong> qualche insieme E si <strong>di</strong>ce crescente sen apple m ) A n ⇢ A m.Se A := S +1n=0An in questo caso scriviamo più espressivamente che An " A.Una famiglia A 1 , A 2 , . . . , A n, . . . <strong>di</strong> insiemi si <strong>di</strong>ce decrescente sen apple m ) A n A m.Se A := T +1n=0An in questo caso scriviamo più espressivamente che An # A. In entrambi icasi <strong>di</strong>ciamo che A n tende ad A quando n " +<strong>1.</strong>Una famiglia A 1 , A 2 , . . . , A n, . . . <strong>di</strong> sottoinsiemi <strong>di</strong> qualche insieme E si <strong>di</strong>ce <strong>di</strong>sgiunta sen 6= m ) A n \ A m = ?.In questo caso <strong>di</strong>ciamo che A := S +1n=0An è l’unione <strong>di</strong>sgiunta della famiglia o che lafamiglia forma una partizione <strong>di</strong> A.Corollario <strong>1.</strong>7 (Approssimazione e decomposizione degli integrali)• Se E 1 , E 2 , . . . , E n , . . . è una famiglia crescente convergente a E, cioè E n " Equando n " +1, alloraZu(x) dx = limEn"+1Zu(x) dx.E n(<strong>1.</strong>16)• Se E 1 , E 2 , . . . , E n , . . . è una famiglia decrescente convergente a E, cioè E n #E quando n " +1, eZ9 m 2 N : u(x) dx < +1,E malloraZEZu(x) dx = limn"+1u(x) dx.E n(<strong>1.</strong>17)• Se E 1 , E 2 , . . . , E n , . . . è una partizione <strong>di</strong> E, cioè E è l’unione <strong>di</strong>sgiuntadella famiglia, alloraZEu(x) dx =+1Xn=0ZE nu(x) dx. (<strong>1.</strong>18)NotaQuesto risultato è estremamente utile quando si deve calcolare esplicitamente un integrale:si cerca <strong>di</strong> approssimare o <strong>di</strong> decomporre l’insieme E in insiemi più piccoli E n in modo cheu sia integrabile secondo Cauchy-Riemann su E n (in particolare, gli E n dovranno esserelimitati e anche u dovrà essere limitata su questi). Dopo <strong>di</strong> che si ottiene l’integrale <strong>di</strong> u1-6


L’integrale <strong>di</strong> <strong>Lebesgue</strong>su tutto E come limite o come serie, a seconda che si sia scelto una famiglia crescente eapprossimante E o una partizione <strong>di</strong> E.La potenza del teorema sta nel fatto che siamo completamente liberi nella scelta della decomposizione:in altre parole, l’integrale non <strong>di</strong>pende da come si approssima o si decomponel’insieme E.Corollario <strong>1.</strong>8 • Se E 1 , E 2 , . . . , E n, . . . è una famiglia crescente convergente a E, cioè E n "E quando n " +1, allora|E| = lim |En|. (<strong>1.</strong>19)n"+1• Se E 1 , E 2 , . . . , E n, . . . è una famiglia decrescente convergente a E, cioè E n # E quandon " +1, e almeno uno <strong>di</strong> essi ha misura finita allora|E| = lim |En|. (<strong>1.</strong>20)n"+1• Se E 1 , E 2 , . . . , E n, . . . è una partizione <strong>di</strong> E, cioè E è l’unione <strong>di</strong>sgiunta della famiglia,allora+1 X|E| = |E n|. (<strong>1.</strong>21)n=0Più in generale, se E è l’unione non necessariamente <strong>di</strong>sgiunta della famiglia E n si ha+1 X|E| apple |E n|. (<strong>1.</strong>22)n=0Teorema <strong>1.</strong>9 (Fubini) Se E = (a, b) ⇥ (c, d) è un insieme rettangolare (ancheillimitato) <strong>di</strong> R 2 e u è una funzione positiva definita in E, alloraZZZ b Z !dZ d Z !bu(x, y) dx dy = u(x, y) dy dx = u(x, y) dx dy. (<strong>1.</strong>23)Ea cc a1-7


L’integrale <strong>di</strong> <strong>Lebesgue</strong>Integrale delle funzioni reali o complesseDefinizione <strong>1.</strong>10 (Integrale <strong>di</strong> <strong>Lebesgue</strong>) Se u è una funzione reale o complessadefinita in E ⇢ R N , <strong>di</strong>ciamo che u è integrabile secondo <strong>Lebesgue</strong>seZ|u(x)| dx < +<strong>1.</strong> (<strong>1.</strong>24)ESe u è reale poniamo quin<strong>di</strong> per definizioneZZZu(x) dx := u + (x) dx u (x) dx. (<strong>1.</strong>25)EEEAnalogamente, se u è complessa, definiamoZZZu(x) dx := Re u(x) dx + i Im u(x) dx. (<strong>1.</strong>26)EEEProposizione <strong>1.</strong>11 (Vali<strong>di</strong>tà delle proprietà elementari)• La proprietà <strong>di</strong> monotonia (<strong>1.</strong>4) vale anche se le funzioni son reali e integrabilisu E.• La proprietà <strong>di</strong> estensione, la proposizione <strong>1.</strong>3 e il corollario <strong>1.</strong>7 valgono anchein ambito complesso (con scalari complessi) purchè le funzioni f, g sianointegrabili su E.Proposizione <strong>1.</strong>12 (Disuguaglianza del modulo) Se u è una funzione complessaintegrabile in E ⇢ R N , alloraZZu(x) dx apple u(x) dx. (<strong>1.</strong>27)EE1-8


L’integrale <strong>di</strong> <strong>Lebesgue</strong>Scambio <strong>di</strong> operatori-IITeorema <strong>1.</strong>13 (Convergenza dominata, <strong>Lebesgue</strong>) Supponiamo che unasuccessione <strong>di</strong> funzioni complesse u n , definite nell’insieme E ⇢ R N , convergapuntualmente ad una funzione u. Se è possibile trovare una funzione positiva eintegrabile g che domina tutte le u n , cioèZ|u n (x)| apple v(x) 8 n 2 N, 8 x 2 E, v(x) dx < +1, (<strong>1.</strong>28)alloraIn particolareEZlim |u n (x)n"+1 Eu(x)| dx = 0. (<strong>1.</strong>29)ZZlim u n (x) dx = u(x) dx. (<strong>1.</strong>30)n"+1 EECorollario <strong>1.</strong>14 (Continuità degli integrali <strong>di</strong>pendenti da un parametro)Sia u una funzione complessa definita nel rettangolo E := (a, b)⇥(c, d) e supponiamoche la funzione integrale rispetto alla variabile yU(x) :=Z dcu(x, y) dysia ben definita in (a, b), cioè che la funzione y 7! u(x, y) sia integrabile rispetto ay in (c, d). Supponiamo che per quasi ogni y 2 (c, d) la funzionex 7! u(x, y) sia continua in (a, b)ed esista una funzione v <strong>di</strong>pendente solo da y tale che|u(x, y)| apple v(y),Z dcv(y) dy < +<strong>1.</strong>Allora la funzione U è continua in (a, b).1-9


L’integrale <strong>di</strong> <strong>Lebesgue</strong>Insiemi trascurabili e funzioni definite q.o.Definizione <strong>1.</strong>15 (Insiemi trascurabili) Diciamo che N ⇢ R Nquando la sua misura <strong>di</strong> <strong>Lebesgue</strong> |N | è nulla.è trascurabileNotaPer la proprietà <strong>di</strong> estensione, se un insieme è misurabile secondo Peano-Jordan e ha misura nulla, esso è trascurabile: in particolare un numerofinito <strong>di</strong> punti sulla retta, una famiglia <strong>di</strong> curve nel piano o unnumero finito <strong>di</strong> superfici nello spazio sono insiemi trascurabili. Laproposizione che segue mostra però che la classe degli insiemi trascurabili ènotevolmente più ampia.Proposizione <strong>1.</strong>16 Se N 1 , N 2 , . . . , N n , . . . sono insiemi <strong>di</strong> misura nulla secondo ladefinizione <strong>1.</strong>15, anche la loro unione1[N :=n=1N nha misura nulla.Approfon<strong>di</strong>mento Caratterizzazione degli insiemi trascurabili. È posibile fornire una caratterizzazionepiù intrinseca degli insiemi trascurabili, che non fa uso della teoria dell’integrazione: infatti,si può <strong>di</strong>mostrare che un insieme N ⇢ R N è trascurabile se e solo se, comunque sia fissato" > 0, è possibile ricoprire N con una famiglia al più numerabile <strong>di</strong> rettangoli (cf. la notaseguente) R 1 , R 2 , . . . , R n, . . . tali che1[1XN ⇢ R n, |R n| apple " (<strong>1.</strong>31)n=1n=1Richiami Rettangoli N-<strong>di</strong>mensionali. Un rettangolo N-<strong>di</strong>mensionale R (cioè un intervallo in R 1 , un “vero” rettangolo in R 2 ,un parallelepipedo in R 3 ...) è il prodotto <strong>di</strong> N intervalli (a 1 , b 1 )⇥(a 2 , b 2 )⇥. . .⇥(a N , b N ) che supporremo in<strong>di</strong>fferentementeaperti, chiusi o semiaperti, limitati o no, eventualmente degeneri (se capita che a j = b j per qualchein<strong>di</strong>ce; in particolare un punto è sempre un N-rettangolo degenere, così come un segmento è un 2-rettangolo edun rettangolo è un 3-rettangolo: ai matematici piacciono tanto queste situazioni un po’ maniacali...che poi peròsi rivelano comode per non trascinarsi la necessità <strong>di</strong> esaminare tanti casi particolari!) La misura <strong>di</strong> R (cioè lalunghezza per un intervallo, l’area per un rettangolo, il volume per un parallelepipedo) sarà ovviamente|R| := (b 1 a 1 )(b 2 a 2 ) . . . (b N a N ). (<strong>1.</strong>32)NotaLa novità, rispetto all’usuale definizione della misura <strong>di</strong> Peano-Jordan, è la possibilità <strong>di</strong>usare infiniti rettangoli, anziché solo un numero finito. Naturalmente, gli insiemi <strong>di</strong> misuranulla della precedente definizione continuano ad essere tali: in particolare le curve nel pianoo le superfici nello spazio.Un insieme numerabile (per esempio l’insieme dei numeri razionali sulla retta reale)è sempre <strong>di</strong> misura nulla: è infatti l’unione numerabile <strong>di</strong> punti, che sono particolari N-rettangoli, ciascuno <strong>di</strong> misura nulla, sicché la (<strong>1.</strong>31) è banalmente verificata.Un teorema molto bello, dovuto a <strong>Lebesgue</strong>, <strong>di</strong>ce che una funzione reale e limitata u definitaad esempio in un intervallo [a, b] ⇢ R è integrabile secondo Cauchy-Riemann (e dunquepossiamo parlare dell’integrale <strong>di</strong> u ad esempio secondo la definizione vista nel corso <strong>di</strong>Analisi 1) se e solo se essa è continua salvo al più un insieme trascurabile N ⇢ [a, b], secioè l’insieme dei suoi punti <strong>di</strong> <strong>di</strong>scontinuità ha misura nulla secondo la definizione appenaintrodotta.Curiosità Misurabilità secondo <strong>Lebesgue</strong>. Avendo come riferimento il concetto <strong>di</strong> insieme trascurabile(che, come abbiamo visto, può essere introdotto in<strong>di</strong>pendentemente dalla resto dellateoria dell’integrazione) è possibile comprendere e definire in modo preciso il concetto <strong>di</strong>misurabilità secondo <strong>Lebesgue</strong>: una funzione u definita in R N e a valori reali (o complessi)si <strong>di</strong>ce misurabile secondo <strong>Lebesgue</strong> se, per ogni " > 0 possiamo “buttare via” un insiemeR := R 1 [ R 2 [ . . . [ R n [ . . . <strong>di</strong> rettangoli in modo che1X|R n| apple " e u sia continua in R N \ R; (<strong>1.</strong>33)n=11-10


L’integrale <strong>di</strong> <strong>Lebesgue</strong>Non sembrerebbe, questa, una con<strong>di</strong>zione molto più generale della misurabilità secondoPeano-Jordan (si veda la nota precedente), eppure si verifica che praticamente tutte lefunzioni sono misurabili secondo questa nuova con<strong>di</strong>zione, tanto che i controesempi che siconoscono richiedono tutti l’uso <strong>di</strong> delicati argomenti <strong>di</strong> teoria degli insiemi e dell’assiomadella scelta; in particolare la classe delle funzioni misurabili secondo <strong>Lebesgue</strong> è chiusarispetto alle varie operazioni <strong>di</strong> somma, prodotto, composizione, passaggio al limite, etc...Si osservi che la <strong>di</strong>↵erenza fondamentale con la definizione <strong>di</strong> misurabilità secondo Peano-Jordan è che in quest’ultima prima si vanno a cercare i punti <strong>di</strong> <strong>di</strong>scontinuità <strong>di</strong> unafunzione e poi si richiede che questi siano trascurabili; nella misurabilità secondo <strong>Lebesgue</strong>,invece, prima ci è concesso <strong>di</strong> buttare via molti punti e poi <strong>di</strong> controllare che la funzioneche “rimane” è continua. Ad esempio, la famigerata funzione <strong>di</strong> Dirichlet, che vale 1 seil punto è razionale e 0 se è irrazionale, è <strong>di</strong>scontinua in tutti i punti, e quin<strong>di</strong> non èmisurabile secondo Peano-Jordan. D’altra parte, se noi possiamo prima <strong>di</strong> controllarne la<strong>di</strong>scontinuità, tracurare un insieme <strong>di</strong> misura nulla, si vede subito che eliminando l’insiemedei razionali la funzione è continua sull’insieme rimanente, assumendo identicamente ilvalore 0: ecco giustificata la misurabilità <strong>di</strong> <strong>Lebesgue</strong> per questa funzione.Definizione <strong>1.</strong>17 (Proprietà valide quasi ovunque) Diremo che una certa proprietàP vale per quasi ogni elemento <strong>di</strong> un certo insieme E ⇢ R N o, più semplicemente,che P vale quasi ovunque in E (abbreviato in q.o. in E) se se P èverificata da tutti gli elementi <strong>di</strong> E salvo al più un sottoinsieme trascurabile.Motivazioni.Alla base delle precedenti definizioni sta l’idea che il termine “trascurabile” significhi effettivamenteche un tale insieme non conti “nulla” agli e↵etti della teoria dell’integrazione;questo fatto è messo in luce dai due risultati che seguono.Esempi La proprietà u è continua q.o. in R significa che l’insieme delle <strong>di</strong>scontinuità <strong>di</strong> uha misura nulla.La proprietà sin x 6= 0 è vera q.o. in R, perchè l’insieme dei punti {x 2 R : sin x = 0}è numerabile e quin<strong>di</strong> trascurabile in R.La proprietà x 2 x 0 q.o. è falsa, perchè non è verificata nell’intervallo aperto]0, 1[, che ha misura 1 > 0.Teorema <strong>1.</strong>18 (Insiemi trascurabili e integrali)• Se u è positiva in E, alloraZEu(x) dx = 0 , u(x) = 0 per quasi ogni x 2 E; (<strong>1.</strong>34)in altri termini, l’integrale <strong>di</strong> una funzione positiva è nullo se e solo se u ènulla salvo al più in un sottoinsieme trascurabile. In particolare, l’integralesu un’insieme trascurabile è sempre nullo.• Se u è positivaZEu(x) dx < +1 ) u(x) < +1 per quasi ogni x 2 E; (<strong>1.</strong>35)in altri termini, se l’integrale <strong>di</strong> una funzione positiva u è finito, allora upuò assumere il valore +1 solo in un insieme trascurabile.Corollario <strong>1.</strong>19 Se u, g sono due funzioni complesse definite in E ⇢ R N alloraZZZ|u(x) v(x)| dx = 0 ) u(x) = v(x) q.o. in E ) u(x) dx = v(x) dx.E1-11EE(<strong>1.</strong>36)


L’integrale <strong>di</strong> <strong>Lebesgue</strong>DimostrazioneSupponiamo <strong>di</strong> sapere che una funzione u definita su un insieme E ⇢ R N sia nulla ecccettoche in un sottoinsieme A ⇢ E <strong>di</strong> misura |A| = 0. Con la convenzione algebrica che abbiamoadottato la scorsa lezione, si vede formalmente che deve essereZZ|u(x)| dx = |u(x)| dx apple +1 · |A| = +1 · 0 = 0.EAMotivazioneIl fatto che l’integrale <strong>di</strong> una funzione u che vale identicamente +1 su un insieme <strong>di</strong>misura nulla e 0 altrove debba essere 0 si giustifica con il teorema della convergenzamonotona: basta infatti scegliere la successioneu n(x) := n1 A (x)che ha per limite proprio u(x); per il teorema <strong>di</strong> Beppo Levi e la linearità dell’integralesi haZZu(x) dx = lim n dx = lim n|A| = 0.An"+1 A n"+1Per <strong>di</strong>mostrare l’implicazione opposta della (9.35) basta considerare la famiglia crescenteA n := {x 2 E : u(x)1/n}Chiaramente |A n| = 0, altrimenti per la proprietà <strong>di</strong> monotonia u avrebbe integrale strettamentepositivo. D’altra parte si verifica subito cheper il corollario <strong>1.</strong>8.A n " A := {x 2 E : u(x) > 0} e quin<strong>di</strong> |A| = 0Con un ragionamento analogo si vede che se una funzione positiva u ha integrale finito,allora l’insieme dove u vale +1 deve essere <strong>di</strong> misura nulla. Detto I tale insieme, per laproprietà <strong>di</strong> monotonia si haZ Zu(x) dx u(x) dx = +1 · |I|;EIse il primo membro è finito, questa <strong>di</strong>suguaglianza implica banalmente |I| = 0.Definizione <strong>1.</strong>20 (Funzioni definite q.o., dominio) Diremo che una funzioneu è definita q.o. in un certo insieme E ⇢ R N se per quasi ogni x 2 E ha sensoparlare del valore u(x) (cioè u(x) è appunto definito); in altri termini, l’insiemedove u non è definita è trascurabile, nel senso della definizione <strong>1.</strong>15. Chiameremodominio <strong>di</strong> u il sottinsieme D(u) <strong>di</strong> E dove u è e↵ettivamente definita. Per ipotesi,il complementare <strong>di</strong>e D(u) in E è trascurabile, cioè|E \ D(u)| = 0.Il corollario <strong>1.</strong>19 permette <strong>di</strong> definire l’integrale <strong>di</strong> una funzione u su un insieme Eanche se questa non è definita su tutto E: basta che l’insieme dove u non è definitasia trascurabile.PrecisazioneSe si vuole essere un po’ pedanti, la definizione potrebbe essere questa:se u è una funzione positiva o complessa q.o. definita su E ⇢ R N , chiamiamo integrale <strong>di</strong>u su E il numeroZZu(x) dx := ũ(x) dxEEdove ũ è un’arbitraria estensione <strong>di</strong> u a tutto E, cioè una funzione definita su E checoicnide con u su D(u).Per esempio, un estensione standard è(u ⇤ u(x) se x 2 D(u);(x) :=0 altrimenti.Approfon<strong>di</strong>mento Insiemi definiti q.o.. Si potrebbe ripetete un <strong>di</strong>scorso analogo anche per gli insiemi <strong>di</strong>integrazione. Diciamo che due insiemi E 1 , E 2 sono q.o. uguali, o <strong>di</strong>↵eriscono per un insiemetrascurabile, quando la loro <strong>di</strong>↵erenza ha misura nulla, cioèE 1 4E 2 = (E 1 \ E 2 ) \ (E 2 \ E 1 )1-12è trascurabile.


L’integrale <strong>di</strong> <strong>Lebesgue</strong>Si vede facilmente che in tal caso le rispettive funzioni caratteristiche 1 E1 e 1 E2 sono q.o.uguali. Allora, per ogni funzione f positiva, o complessa e integrabile su uno dei due,ZZu(x) dx = u(x) dx.E 1 E 2Definizione <strong>1.</strong>21 (Convergenza quasi ovunque) Diremo che la successione <strong>di</strong>funzioni reali (o complesse) u n definite (anche solo quasi ovunque!) in un insiemeE ⇢ R N converge quasi ovunque alla funzione u (anch’essa definita q.o.) selim u n(x) = u(x) per quasi ogni x 2 E;n"+1in altri termini, l’insieme dei punti x 2 E dove il limite non esiste o è <strong>di</strong>↵erenteda u(x) è trascurabile.Poichè l’integrale è invariante rispetto a mo<strong>di</strong>fiche delle funzioni in insiemi trascurabili,non sarebbe <strong>di</strong> cile (ma un po’ noioso...) verificare chela teoria precedentemente sviluppata vale anche se tutte lefunzioni in gioco sono definite solo quasi ovunque.Osservazione <strong>1.</strong>22 (Dalla convergenza degli integrali alla convergenza q.o.)La proprietà (<strong>1.</strong>35), benchè banale, ha importanti applicazioni, come vedremo anchein seguito. Consideriamo, ad esempio, il teorema <strong>di</strong> integrazione per serie (<strong>1.</strong>15):noi sappiamo che l’uguaglianza vale sempre, ma in generale potrebbe capitare chela serie delle funzioni valga +1 in un insieme molto grande, ad<strong>di</strong>rittura tutto l’insiemeE; in tal caso l’uguaglianza si ridurrebbe a +1 = +1 e perderebbe partedel suo interesse. Se però noi sappiamo che la serie degli integrali è convergente,allora la serie+1Xn=0u n (x)avendo integrale finito, converge q.o.Quin<strong>di</strong> dalla conoscenza del comprtamento <strong>di</strong> una serie numerica (la serie degliintegrali, appunto) è possibile dedurre un’informazione sul comportamento globale<strong>di</strong> una serie <strong>di</strong> funzioni, che in generale è un oggetto molto più complesso da stu<strong>di</strong>are.1-13


L’integrale <strong>di</strong> <strong>Lebesgue</strong>Scambio <strong>di</strong> operatori - IIITeorema <strong>1.</strong>23 (Integrazione per serie) Se u n è una successione <strong>di</strong> funzionicomplesse definite in E ⇢ R N tale che+1Xn=0ZEu(x) dx < +1,allora la serie <strong>di</strong> P +1n=0 u n(x) converge assolutamente per quasi ogni x 2 E edefinisce q.o. una funzione che è integrabile in E. Si haZE+1Xn=0u n (x)!dx =+1Xn=0ZEu n (x) dx. (<strong>1.</strong>37)Inoltre la successione degli integrali dei resti R n (x) := P +1k=n u k(x) è infinitesima,cioèZ +1X+1XZlim u k (x) dx apple lim |u k (x)| dx = 0. (<strong>1.</strong>38)n"+1 En"+1k=nk=nEDimostrazioneCi limitiamo a controllare che la serie delle funzioni convege quasi ovunque: si tratta <strong>di</strong> unsemplice esercizio <strong>di</strong> applicazione del corollario <strong>1.</strong>6. Consideriamo infatti la serie dei moduli+1 XS(x) := |u n(x)|. (<strong>1.</strong>39)n=0Essendo una serie a termini positivi, possiamo applicare il citato corollario e ottenere cheZ+1 XZS(x) dx = |u n(x)| dx < +1 per ipotesi del teorema.En=0 EMa allora, applicando (<strong>1.</strong>35) (cf. anche la nota <strong>1.</strong>22) si deduce cheS(x) < +1 q.o. in E, cioè la serie (<strong>1.</strong>39) converge al <strong>di</strong> fuori <strong>di</strong> un insieme trascurabile N .Se per x 2 E \ N converge la serie dei moduli, possiamo concludere che anche la serie dellefunzioni converge (convergenza assoluta ) convergenza semplice).Formule <strong>di</strong> calcolo degli integrali multipliTeorema <strong>1.</strong>24 (Fubini) Se E = (a, b) ⇥ (c, d) è un insieme rettangolare (ancheillimitato) <strong>di</strong> R 2 e u è una funzione complessa integrabile su E, cioè seZZZ b Z !dZ d Z !bu(x, y) dx dy = u(x, y) dy dx = u(x, y) dx dy < +1,Ea cc aalloraZZu(x, y) dx dy =Z bEaZ du(x, y) dy!dx =Z dccZ bau(x, y) dx!dy. (<strong>1.</strong>40)Nella formula precedente si intende che per q.o. x 2 (a, b) la funzione y 7! u(x, y)è integrabile in (c, d) e che il suo integrale è a sua volta integrabile in (a, b) rispettoa x. Analogo <strong>di</strong>scorso vale scambiando il ruolo delle due variabili.Esercizio Seguendo la traccia della precedente <strong>di</strong>mostrazione e applicando il Teorema <strong>di</strong> Tonelli (<strong>1.</strong>23),<strong>di</strong>mostrare l’ultima parte del Teorema <strong>di</strong> Fubini (le ultime tre righe!).1-14


L’integrale <strong>di</strong> <strong>Lebesgue</strong>Richiami Trasformazioni e matrice derivata. Se T : E ⇢ R N ! R N è una trasformazione<strong>di</strong>↵erenziabile, denotiamo con DT (x) la sua matrice derivata nel punto x 2 E e con JT (x)il suo Jacobiano, cioèJT (x) := det ⇥ DT (x) ⇤ 8 x 2 E.T (E) è l’immagine <strong>di</strong> E, cioè l’insieme dei punti <strong>di</strong> R N che sono e↵ettivamente assunti dallatrasformazione T in qualche punto <strong>di</strong> E. Se y 2 T (E) definiamo la molteplicità <strong>di</strong> y comeil numero delle sue controimmagini tramite T , cioè il numero <strong>di</strong> volte in cui y viene assuntoin E dalla trasformazione T , e la in<strong>di</strong>chiamo con il simbolo#{x : T (x) = y}.Tale numero può anche essere +1; osserviamo che se T è iniettiva allora #{x : T (x) = y}vale identicamente 1 su T (E).Teorema <strong>1.</strong>25 (Formula <strong>di</strong> cambiamento <strong>di</strong> variabili) Sia T : E ⇢ R N !R N una trasformazione <strong>di</strong>↵erenziabile e u una funzione positiva q.o. definita suT (E). AlloraZZu(y) #{x : T (x) = y} dy = u(T (x)) JT (x) dx. (<strong>1.</strong>41)T (E)ELa formula precedente vale anche se u è reale o complessa, purchèZZ|u(y)| #{x : T (x) = y} dy = |u(T (x))| JT (x) dx < +<strong>1.</strong>T (E)EIn particolare, se T è iniettiva al <strong>di</strong> fuori <strong>di</strong> un insieme trascurabile vale la formulaZZZu(y) dy = u(T (x)) JT (x) dx, T (E) = JT (x) dx.T (E)EE1-15


Derivate e integraliL’integrale <strong>di</strong> <strong>Lebesgue</strong>Teorema <strong>1.</strong>26 (Fondamentale del calcolo, <strong>Lebesgue</strong>) Sia u una funzionecomplessa integrabile sull’intervallo limitato (a, b). Allora la funzione integraleU(x) :=Z xau(t) dtè uniformemente continua in [a, b] ed è derivabile in quasi tutti i puntidell’intervallo, conU 0 (x) = ddxZ xau(t) dt = u(x) per q.o. x 2 (a, b). (<strong>1.</strong>42)Nota Il problema <strong>di</strong> trovare con<strong>di</strong>zioni su cienti per cui una data funzione U definita su unintervallo (a, b) si può ricostruire per integrazione dalla sua derivata è molto più delicato.Dal Teorema precedente si deducono facilmente tre con<strong>di</strong>zioni necessarie: U dev’esserecontinua, derivabile in quasi tutti i punti dell’intervallo (a, b) e la sua derivata deve eseereintegrabile. Purtroppo vi sono esempi (particolarmente complicati) che mostrano comequeste tre con<strong>di</strong>zioni non sono su cienti. Noi ci limitiamo a definire con precisione questaproprietà (assoluta continuità) che risulta assai importante in molte situazioni e a presentareuna classe su cientemente ampia <strong>di</strong> funzioni che la verificano.Definizione <strong>1.</strong>27 (Funzioni assolutamente continue) Una funzione complessaU definita su un intervallo [a, b] <strong>di</strong> R si <strong>di</strong>ce assolutamente continua quandoè continua, è derivabile in quasi tutti i punti dell’intervallo, la sua derivata U 0 èintegrabile in [a, b] e vale la formulaU(y) U(x) =Z xaU 0 (t) dt per ogni scelta <strong>di</strong> a apple x apple y apple b. (<strong>1.</strong>43)EsercizioDimostrare che se una funzione U verifica la (<strong>1.</strong>43) per la particolare scelta x = a (e yarbitrario nell’intervallo) allora la verifica per tutti gli x.Definizione <strong>1.</strong>28 Diciamo che una funzione u definita su un intervallo (ancheillimitato) (a, b) è regolare a tratti, se l’intervallo (a, b) si può decomporre in ununione finita o numerabile <strong>di</strong> intervalli I n := (a n , b n ) che abbiano in comune al piùgli estremi, in modo che u sia derivabile all’interno <strong>di</strong> ogni I n e la derivata u 0 (cherisulta pertanto definita q.o. in (a, b)) sia integrabile su (a, b).Teorema <strong>1.</strong>29 Se la funzione complessa u, definita su (a, b), è continua e regolarea tratti sull’intervallo [a, b] allora essa è assolutamente continua e quin<strong>di</strong> per ognicoppia <strong>di</strong> punti x apple y 2 (a, b) valeu(y) u(x) =Z yxu 0 (t) dt.Teorema <strong>1.</strong>30 (Integrazione per parti) Se u, v sono funzioni assolutamente continuesull’intervallo [a, b], allora vale la formulaZ bau 0 (x)v(x) dx =h i x=bu(x)v(x)x=aZ bau(x)v 0 (x) dx. (<strong>1.</strong>44)1-16


L’integrale <strong>di</strong> <strong>Lebesgue</strong>Teorema <strong>1.</strong>31 (Derivazione sotto il segno <strong>di</strong> integrale) Sia u una funzionecomplessa definita nel rettangolo E := (a, b) ⇥ (c, d) e supponiamo che lafunzione integrale rispetto alla variabile yU(x) :=Z dcu(x, y) dysia ben definita in (a, b), cioè che la funzione y 7! u(x, y) sia integrabile rispettoa y in (c, d). Supponiamo che per quasi ogni y 2 (c, d) la funzioneconx 7! u(x, y) sia derivabile in (a, b)Z@u(x, y) apple g(y),@xdAllora la funzione U è derivabile in (a, b) e si hacg(y) dy < +<strong>1.</strong>U 0 (x) =Z dc@u(x, y) dy@x8 x 2 (a, b).1-17


2. Spazi <strong>di</strong> funzioniStefan Banach (1892-1945)Definizione 2.1 (Spazi funzionali) Consideriamo un sottoinsieme E dello spazioeuclideo R d . In<strong>di</strong>chiamo con F(E) l’insieme <strong>di</strong> tutte le funzioni definite in Ea valori complessi. F(E) è uno spazio vettoriale sul campo complesso. Diciamoche V è uno spazio funzionale (su E) se V è un sottospazio vettoriale <strong>di</strong>F(E).NotaTutto quello che <strong>di</strong>remo in generale in questa lezione per uno spazio funzionale V valegeneralmente per un qualsiasi spazio vettoriale sul corpo complesso. Noi adotteremo frequentementeil termine più restrittivo <strong>di</strong> spazio funzionale, perchè vogliamo sottolineareche il nostro obiettivo è quello <strong>di</strong> descrivere spazi <strong>di</strong> questo tipo. Quando penseremo aglielementi dello spazio V solo come vettori useremo le lettere in grassetto u, v, w, . . .; quandovorremo sottolineare che si tratta anche <strong>di</strong> funzioni definite in E torneremo ad usare lelettere in corpo normale u, v, w, . . ..2-1


2. SPAZI DI FUNZIONI 2-2Richiami Operazioni in uno spazio vettoriale. Se u, v sono due funzioni <strong>di</strong> F(E) allora la funzionesomma w := u + v è quella ovviamente definita daw(x) := u(x) + v(x) per ogni x 2 E.Analogamente, se 2 C è uno scalare complesso, la funzione l := u è definita dal(x) := u(x) per ogni x 2 E.Dire che V è un sottospazio <strong>di</strong> F(E) significa che queste operazioni, fatte a partire daelementi u, v in V non fanno uscire da V .Esempi E.1 Quando E := ( 1, +1) e la variabile in E è pensata come tempo, F( 1, +1) è lospazio <strong>di</strong> tutti i possibili segnali temporali.E.2 Se consideriamo solo segnali temporali nulli prima dell’istante t = 0 (i segnali causali)otteniamo un sottospazio <strong>di</strong> F( 1, +1),V = F + ( 1, +1) := u 2 F( 1, +1) : u(t) ⌘ 0 per t < 0 .È facile convicersi che si tratta ancora <strong>di</strong> uno spazio vettoriale.E.3 Fissato un periodo <strong>di</strong> tempo T > 0, si può considerare un altro sottospazio importante<strong>di</strong> F( 1, +1), precisamente quello formato da tutti i segnali T -perio<strong>di</strong>ci; in formuleV = F T ( 1, +1) := u 2 F( 1, +1) : u(t + T ) = u(t) 8 t 2 ( 1, +1) .E.4 E := Z rappresenta la scelta più semplice per rappresentare un segnale <strong>di</strong>screto, cioèuna funzione che <strong>di</strong>pende solo dai valori interi della variabile; in questo caso il segnaleu 2 F(Z) è determinato dai valori u n := u(n), n 2 Z.E.5 Se E := {nh : n 2 Z}, con h > 0 fissato, F(E) può essere adatto a rappresentareil campionamente a passo h <strong>di</strong> un segnale temporale. Si possono ripetere anche inquesto caso le medesime osservazioni circa i segnali causali e perio<strong>di</strong>ci.E.6 Fissato un intero N, sia E := {0, h, 2h, 3h, . . . , (N 1)h}. In questo caso un elementou <strong>di</strong> F(E) è determinato da N numeri complessi u n := u(nh), n = 0, . . . , N 1, epuò quin<strong>di</strong> essere rappresentato da un vettore <strong>di</strong> C N (R N nel caso <strong>di</strong> segnali reali).Questa rappresentazione è utile per trattare segnali <strong>di</strong>screti finiti (segnali <strong>di</strong>gitali).E.7 La <strong>di</strong>stribuzione <strong>di</strong> potenziale elettrostatico in una sfera E è un elemento <strong>di</strong> F(E); setale potenziale varia nel tempo, il segnale spazio-temporale associato è un elemento<strong>di</strong> F(E ⇥ R).E.8 Un immagine rettangolare composta da N ⇥ M pixel può essere rappresentata associandoal pixel <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>nate (n, m) un valore reale u n,m = u(n, m) (0 o 1 sesi considera un’immagine in bianco e nero; da 0 a k 1 se si hanno a <strong>di</strong>sposizionek toni <strong>di</strong> grigio) corrispondente allo stato <strong>di</strong> quel pixel: in questo caso E :={0, 1, . . . , N 1} ⇥ {0, 1, . . . , M 1} ⇢ R 2 . In certi casi può essere utile pensare cheu sia definito per tutti i valori interi, ad esempio in modo perio<strong>di</strong>co oppure esteso a0 al <strong>di</strong> fuori della griglia iniziale.Definizione 2.2 (Trasformazioni lineari) Una trasformazione T : V ! W tradue spazi funzionali si <strong>di</strong>ce lineare seT (↵u + v) = ↵T (u) + T (v) 8 u, v 2 V, ↵, 2 C.Approfon<strong>di</strong>mento Ci si può chiedere la ragione dell’insistenza sul concetto <strong>di</strong> linearità: esso permette <strong>di</strong>esprimere un segnale per sovrapposizione <strong>di</strong> segnali più semplici; lo stu<strong>di</strong>o e la realizzazonee↵ettiva <strong>di</strong> queste decomposizioni costituisce uno dei problemi più importanti che a↵ronteremo.Schematicamente lo si può riassumere nel modo seguente: dato una successione (finitao numerabile) <strong>di</strong> segnali “elementari” e 1 , . . . , e n, . . . in uno spazio funzionale V , esprimereogni altro segnale u <strong>di</strong> V come combinazione lineareme<strong>di</strong>ante opportuni coeu = ↵ 1 e 1 + ↵ 2 e 2 + . . . + ↵ ne n + . . . (2.1)cienti ↵ 1 , ↵ 2 , . . . da determinarsi.Lo sviluppo (2.1) dovrebbe possedere i seguenti requisiti:– Il calcolo del coe ciente ↵ n+1 non comporta la mo<strong>di</strong>fica dei precedenti.– L’aggiunta <strong>di</strong> un nuovo termine dovrebbe migliorare l’approssimazione <strong>di</strong> u.


2. SPAZI DI FUNZIONI 2-3– Si vorrebbe “misurare” in qualche modo l’errore che si commette se si tronca lasomma dopo un numero finito <strong>di</strong> termini, riducendo l’errore al <strong>di</strong> sotto <strong>di</strong> una fissatatolleranza, pur <strong>di</strong> sommare un numero su ciente <strong>di</strong> elementi.– Si vorrebbe poter rappresentare “esattamente” u come serie infinita (se è necessario),senza più alcun errore, trattando poi formalmente la serie come una somma or<strong>di</strong>naria.Il problema <strong>di</strong> precisare le nozioni <strong>di</strong> errore, approssimazione, convergenza delle serie infiniteviene risolto in modo elegante e generale dai concetti che introduciamo qui <strong>di</strong> seguito.Definizione 2.3 ((Semi)norme in uno spazio funzionale) Una (semi)normak · k per lo spazio funzionale V è un’applicazione definita in V a valori realinon negativi che sod<strong>di</strong>fsfa le seguenti proprietà:(M 1 ) Per ogni u, v 2 V ku + vk apple kuk + kvk.(M 2 ) Per ogni u 2 V e 2 C k uk = | | kuk.In particolare (M 2 ) implica che la (semi)norma della funzione nulla è 0. Chiameremotrascurabili le funzioni u 2 V tali che kuk = 0. k · k è una norma se l’unicafunzione trascurabile è lquella nulla, cioè(M 3 ) kuk = 0 ) u = 0.Uno spazio V dotato <strong>di</strong> una (semi)norma k · k si <strong>di</strong>ce spazio (semi)normato.Chiamiamo (semi)<strong>di</strong>stanza tra due funzioni u, v in V il numerod(u, v) := kuvk.Diremo in<strong>di</strong>stinguibili (rispetto alla norma k·k) due funzioni u, v che <strong>di</strong>↵erisconoper una funzione trascurabile, cioè tali che d(u, v) = 0.Convenzione. Norme e seminorme. Come appare chiaro dalla precedente definizione, l’unica <strong>di</strong>fferenzatra norme e seminorme consiste nella proprietà M 3 : questa proprietà risulta poifondamentale per garantire l’unicità del limite, secondo la successiva definizione 2.4, e costituisceper questo il punto <strong>di</strong> vista privilegiato nelle usuali trattazioni <strong>di</strong> analisi funzionale.D’altra parte gli esempi più importanti <strong>di</strong> seminorme <strong>di</strong> tipo integrale (cf. (2.9)) non verificanola M 3 , a meno <strong>di</strong> non ricorrere al linguaggio delle classi <strong>di</strong> equivalenza. Noi useremoambedue i concetti e talvolta, per non appesantire l’esposizione, parleremo <strong>di</strong> norme, spazi<strong>di</strong> Banach o <strong>di</strong> Hilbert anche quando si abbia a che fare in realtà solo con una seminorma.Approfon<strong>di</strong>mento Proprietà della <strong>di</strong>stanza. Una (semi)<strong>di</strong>stanza d(·, ·) in uno spazio funzionale V è unaapplicazione reale definita in V ⇥ V caratterizzata dalle seguenti proprietà: (qui <strong>di</strong> seguitou, v, w, h sono arbitrari elementi <strong>di</strong> V )( 1 ) Positività: d(u, v) 2 [0, +1).( 2 ) Simmetria: d(u, v) = d(v, u).( 3 ) Disuguaglianza triangolare: d(u, w) apple d(u, v) + d(v, w).( 4 ) Invarianza per traslazioni: d(u, v) = d(u + h, v + h).( 5 ) Omogeneità: d( u, v) = | |d(u, v) 8 2 C.( 6 ) Se poi d è e↵ettivamente una <strong>di</strong>stanza allora due funzioni in<strong>di</strong>stinguibili sono uguali,cioèu = v , d(u, v) = 0.


2. SPAZI DI FUNZIONI 2-4Definizione 2.4 (Convergenza in uno spazio funzionale (semi)normato)Diciamo che una successione u n 2 V converge a u rispetto alla norma k · k, seAnalogamente <strong>di</strong>remo che la serielim d(u n, u) = lim ku n uk = 0.n"+1 n"+1+1Xn=1u n converge in V a S se limN"+1 kSNXn=1u n k = 0.EsercizioDimostrare che se u n converge a u rispetto alla (semi)norma k · k, alloralim kunk = kuk.n"+1Attenzione! Unicità del limite. Il limite <strong>di</strong> una successione in uno spazio funzionale V è unico se esolo se lo spazio è dotato <strong>di</strong> una norma; nel caso <strong>di</strong> una seminorma, se la successione u nconverge a u, essa converge anche a tutte le funzioni ũ con kũ uk = 0. Infatti,⇣⌘lim kun ũk = lim kun u + u ũk apple lim ku n uk + ku ũk = 0.n"+1 n"+1 n"+1Il concetto <strong>di</strong> somma <strong>di</strong> una serie è molto importante e potremmo rileggerlo così:fissato un margine d’errore (tolleranza) " > 0, siamo in grado, pur <strong>di</strong> sommareun numero N ¯N = ¯N(") su cientemente grande <strong>di</strong> termini della serie, <strong>di</strong>approssimare la somma S commettendo un errore inferiore a ", cioèSNXu n apple " 8 N ¯N("). (2.2)n=1Per controllare questa proprietà però occorre conoscere a priori l’esistenza e il valore<strong>di</strong> S, mentre spesso si <strong>di</strong>spone solo dei valori <strong>di</strong> u n . In questo caso risulta naturalesostituire la con<strong>di</strong>zione (2.2) con la seguente nozione.CompletezzaDefinizione 2.5 (Serie <strong>di</strong> Cauchy) Una successione u n in V forma una serie <strong>di</strong>Cauchy se, fissata una tolleranza " > 0 è possibile trovare un intero ¯N = ¯N(") taleche i contributi alla serie formati con un numero arbitrario <strong>di</strong> adden<strong>di</strong> successivi a¯N sono comunque inferiori a "; in formule:8 " > 0 9 ¯N(") 2 N : 8 N M ¯N " ,NXu n apple ". (2.3)n=MDefinizione 2.6 (Spazi completi) Uno spazio funzionale (semi)normato V si<strong>di</strong>ce completo se ogni serie <strong>di</strong> Cauchy è convergente in V . Uno spazio <strong>di</strong> Banachè uno spazio normato completo.Un esempio particolarmente importante <strong>di</strong> serie <strong>di</strong> Cauchy è fornito dal seguentelemma:Lemma 2.7 Supponiamo che la successione u n in V sod<strong>di</strong>sfi la+1Xn=1Allora u n forma una serie <strong>di</strong> Cauchy.ku n k < +<strong>1.</strong> (2.4)


2. SPAZI DI FUNZIONI 2-5Richiami Resto <strong>di</strong> una serie numerica convergente.. Se a n è una successione <strong>di</strong> numeri realitali che la serie P +1n=1an è convergente alla somma s, allora si chiama resto N-esimo laquantitàr N := sNXa n =+1 Xa n.n=1 n=N+1Per definizione stessa <strong>di</strong> convergenza della serie, si ha+1 Xlim N = lim a n = 0N"+1 N"+1n=NDimostrazioneBasta osservare che se+1 Xku nk < +1n=1e si fissa " > 0, allora esiste ¯N = ¯N(") tale che+1 Xku nk apple ".n= ¯NIn particolare la con<strong>di</strong>zione (2.3) è sod<strong>di</strong>sfatta, poichè se N M ¯N si haNXn=Mu nNXapple ku nk apple+1 Xku nk apple ".n=Mn= ¯NNota Ogni serie convergente è <strong>di</strong> Cauchy ma in generale non sod<strong>di</strong>sfa la (4.19). totalmenteconvergente; d’altra parte la (4.19) costituisce spesso il metodo più comodo per controllareche una serie sia <strong>di</strong> Cauchy. Verdemo che un altro caso particolarmente importante <strong>di</strong> serie<strong>di</strong> Cauchy è costituito da alcune serie <strong>di</strong> vettori ortogonali in uno spazio <strong>di</strong> Hilbert.Teorema 2.8 (Criterio <strong>di</strong> Weierstrass “generalizzato”) V è uno spaziofunzionale completo rispetto alla (semi)norma k·k se e solo se per ogni successioneu n in V+1Xn=1ku n k < +1 )+1Xn=1u n converge in V .DimostrazioneOgni serie totalmente convergente è <strong>di</strong> Cauchy, quin<strong>di</strong> se lo spazio è completo essa converge.Supponiamo ora che ogni serie totalmente convergente sia convergente e mostriamo cheogni serie <strong>di</strong> Cauchy converge. Partendo dalla (2.3) scegliamo una successione <strong>di</strong> valori <strong>di</strong>", precisamente " k := 2 k , k 1; corrispondentemente troveremo interi ¯Nk := ¯N(" k ) per iquali, posto N 0 := 0,EvidentementeS k :=¯N Xk+1n= ¯N ku n si ha kS k k apple " k = 2 k k <strong>1.</strong>+1 X+1 X+1 XkS k k apple 2 k < +1 sicché 9 S := S k .k=1k=1k=0È facile vedere che pure la serie iniziale converge a S: fissato infatti " > 0 e scelto k inmodo che " k < "/2, si ha per N ¯NkSNXu n apple Sn=0¯N k Xn=0u n +NXn= ¯N ku n apple 2" k apple ".


2. SPAZI DI FUNZIONI 2-6Lo spazio delle funzioni integrabiliConsideriamo un insieme E ⇢ R d <strong>di</strong> misura positiva. Un modo per valutare quanto<strong>di</strong>↵eriscono due funzioni u, v <strong>di</strong> F(E) è quello <strong>di</strong> misurare l’area compresa tra irispettivi grafici, cioè l’insieme{(x, y) : x 2 E, u(x) apple y apple v(x) o v(x) apple y apple u(x)}.Un semplice grafico mostra che questa area può essere calcolata me<strong>di</strong>ante l’integraleZ|u(x) v(x)| dxEche prenderemo dunque come definizione <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza integrale tra le due funzioni.Non è <strong>di</strong> cile controllare che tale <strong>di</strong>stanza sod<strong>di</strong>sfa le proprietà ( 1 , . . . , 5) e cheZkuk := d(u, 0) = |u(x)| dxsi comporta come una (semi)norma. Poiché vogliamo evitare il caso kuk = +1, ènaturale restringere lo spazio F(E) al sottospazio delle funzioni integrabili. Questonuovo spazio è così importante, che lo introduciamo con la definizione che segue.Definizione 2.9 Se E è un insieme <strong>di</strong> R d con misura positiva, in<strong>di</strong>chiamo conL 1 (E) il sottospazio <strong>di</strong> F(E) formato dalle funzioni u che sono integrabili, cioèZu 2 L 1 (E) , u 2 F(E), |u(x)| dx < +<strong>1.</strong>L 1 (E) è naturalmente dotato della (semi)normaZkuk L 1 (E) := |u(x)| dx.EEEAttenzione! Per il Corollario <strong>1.</strong>19,d(u, v) = ku vk L 1 (E) = 0 , u = v q.o. in E.Ecco perchè abbiamo chiamato seminorma la funzione k · k L 1 (E): essa non è in grado <strong>di</strong><strong>di</strong>stinguere due funzioni, se esse coincidono q.o.Convenzione.Per evitare <strong>di</strong> usare le seminorme, quando si considera lo spazio L 1 (E) generalmente siadotta la convenzione <strong>di</strong> identificare due funzioni integrabili, quando queste coincidonoq.o. I matematici usano per questo proce<strong>di</strong>mento la nozione <strong>di</strong> classe <strong>di</strong> equivalenza, cheraggruppa gli elementi che sono in<strong>di</strong>stinguibili dal punto <strong>di</strong> vista della norma dello spazio.In questo caso si parla dello spazio L 1 (E) e i “veri” elementi <strong>di</strong> L 1 (E) sono classi <strong>di</strong>equivalenza <strong>di</strong> funzioni, anziché le singole funzioni. Nel linguaggio corrente, però, si lasciasempre sottointesa questa convenzione, finendo per parlare <strong>di</strong> L 1 (E) come spazio <strong>di</strong> funzionie non <strong>di</strong> classi <strong>di</strong> equivalenza <strong>di</strong> funzioni.Dunque noi non ricorreremo al linguaggio delle classi <strong>di</strong> equivalenza, ma semplicementedovremo tener presente che la (semi)norma <strong>di</strong> L 1 (E) non <strong>di</strong>stingue due funzioni ugualiq.o., e il limite nel senso <strong>di</strong> L 1 (E) risulta quin<strong>di</strong> determinato solo a meno <strong>di</strong> insiemi <strong>di</strong>misura nulla. Quando vorremo sottolineare che la funzione u è determinata a meno <strong>di</strong>insiemi trascurabili, scriveremo u 2 L 1 (E).In particolare, la nozione <strong>di</strong> valore puntuale <strong>di</strong> una funzione <strong>di</strong> L 1 (E) deve essere usatacon molta cautela: è chiaro che quando noi definiamo una funzione in E, assegnamo (equin<strong>di</strong> conosciamo) il suo valore in ogni punto <strong>di</strong> E. Ma quando la definizione o l’esistenza<strong>di</strong> una funzione f passa per qualche proce<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> limite in L 1 (E) e vogliamo che ilnostro <strong>di</strong>scorso sia in<strong>di</strong>pendente dalla scelta arbitraria <strong>di</strong> un altro can<strong>di</strong>dato limite ũ checoincide con u q.o. in E, non siamo più autorizzati a sfruttare il particolare valore <strong>di</strong> u in undeterminato punto, ma solo proprietà puntuali che sono invarianti rispetto al cambiamento<strong>di</strong> u in un insieme <strong>di</strong> misura nulla.


2. SPAZI DI FUNZIONI 2-7EsempioSupponiamo che una successione <strong>di</strong> funzioni positive u n converga a u in L 1 (0, 1): ebbene,possiamo ancora <strong>di</strong>re che u è positiva quasi ovunque nell’intervallo (0, 1), ma non possiamo<strong>di</strong>re che u(1/2) 0, in quanto il particolare valore <strong>di</strong> u in 1/2 non può essere identificatodalla convergenza integrale.Teorema 2.10 (Completezza <strong>di</strong> L 1 (E)) Se una successione u nsod<strong>di</strong>sfa la+1XZ+1X|u n (x)| dx = ku n k < +1n=1En=12 L 1 (E)allora la serie P +1n=1 u n(x) converge puntualmente q.o. ed in L 1 (E) ad unafunzione S integrabile in E:limNXN"+1n=0Zu n (x) = S(x) q.o. in E, con lim |S(x)N"+1 EIn particolare, L 1 (E) è completo.NXu n (x)| dx = 0.n=0(2.5)DimostrazioneBasta ricordare il Teorema <strong>di</strong> integrazione per serie.Proposizione 2.11 (Convergenza degli integrali) Se la successione {u n } n2Nconverge a u in L 1 (E), allora per ogni sottoinsieme A ⇢ EZZu n (x) dx = u(x) dx. (2.6)limn"+1AADimostrazione Basta semplicemente osservare che, per la (<strong>1.</strong>27),Zu n(x) dxAZZ ⇣⌘u(x) dx = u n(x) u(x) dx appleAAZZu n(x) u(x)) dx apple u n(x) u(x)) dx = ku n uk L 1 (E)AEApprofon<strong>di</strong>mento Convergenza L 1 (E) e convergenza q.o.. Supponiamo <strong>di</strong> sapere che una successione <strong>di</strong>funzioni complesse u n definite in E converga q.o., cioèlim un(x) = u(x) per q.o. x 2 E.n"+1Cosa si può <strong>di</strong>re della convergenza <strong>di</strong> u n in L 1 (E)?– Occorre innanzitutto controllare che u n, u appartengano a L 1 (E), altrimenti non hasenso parlare <strong>di</strong> convergenza in L 1 (E).– In caso a↵ermativo, l’unico (a meno <strong>di</strong> insiemi trascurabili...) limite possibile per lasuccessione u n in L 1 (E) è la funzione u (anche se è intuitivo, si tratta <strong>di</strong> un Teorema<strong>di</strong> non banale <strong>di</strong>mostrazione!)– Per controllare che la convergenza sia anche in L 1 (E) vi sono sostanzialmente trepossibilità:<strong>1.</strong> applicare <strong>di</strong>rettamente la definizione e stimare in modo opportuno (per es. calcolandoliesplicitamente...) gli integraliZ|u n(x) u(x)| dx ed il relativo limite per n " +1;E2. controllare se le ipotesi del teorema <strong>di</strong> Beppo Levi sono sod<strong>di</strong>sfatte (convergenzamonotona) e controllare che il limite degli integrali sia finito (che in tal caso èuna con<strong>di</strong>zione necessaria e su ciente per la convergenza)


2. SPAZI DI FUNZIONI 2-83. controllare se le ipotesi del teorema <strong>di</strong> <strong>Lebesgue</strong> sono verificate (convergenzadominata): queste forniscono una con<strong>di</strong>zione su ciente per la convergenza inL 1 (E).– Nel caso <strong>di</strong> una serie <strong>di</strong> funzioni si applica il teorema <strong>di</strong> integrazione per serie (nelcaso <strong>di</strong> funzioni positive) o il teorema 2.10.Viceversa, se si conosce a priori la convergenza in L 1 (E), l’unico caso in cui si può dedurrela convergenza q.o. è quello delle serie che sod<strong>di</strong>sfano l’ipotesi del teorema 2.10. In generalese una successione u n converge a u in L 1 (E) si può solo concludere che una esiste unasottosuccessione u nk che converge q.o. a u.Lo spazio delle funzioni (essenzialmente) limitate.Definizione 2.12 Chiamiamo B(E) lo spazio vettoriale delle funzioni complesse elimitate definite in E; B(E) è uno spazio normato grazie akuk B(E) := sup |u(x)|.x2ERichiami– Dire che una successione u n converge a u in B(E) è equivalente a <strong>di</strong>re che u n convergeuniformemente a u.– L’usuale Criterio <strong>di</strong> Weierstrass per la convergenza uniforme si può riformulare inquesto modo: se+1 X+1 Xku nk B(E) = sup |u n(x)| < +1,n=1n=1x2Eallora la serie <strong>di</strong> funzioni P +1n=1 un(x) converge uniformemente (e cioè in B(E)).– Per il teorema 2.8, B(E) è uno spazio completo.Quando si considerano funzioni definite solo quasi ovunque, ad esempio perchè si èinteressati solo a quantità integrali, il naturale sostituto <strong>di</strong> B(E) si chiama L 1 (E):sostanzialmente si concede alla funzione u <strong>di</strong> “comportarsi male” purcheè questoavvenga su <strong>di</strong> un insieme trascurabile; in altri termini, ridefinendo la funzione (peres. a 0) su un insieme trascurabile, siamo in grado <strong>di</strong> renderla limitata.Definizione 2.13 (Funzioni essenzialmente limitate e L 1 (E)) Una funzionecomplessa u definita in E si <strong>di</strong>ce essenzialmente limitata se esiste una costanteM > 0 tale che|u(x)| apple M per q.o. x in E. (2.7)L’insieme delle funzioni essenzialmente limitate definite in E è uno spazio vettorialeche si in<strong>di</strong>ca con L 1 (E). Se u 2 L 1 (E), si in<strong>di</strong>ca con kuk L 1 (E) la più piccoladelle costanti M che verificano la (2.7).Attenzione!Dire che una funzione è essenzialmente limitata è molto più restrittivo che limitata q.o.:ad esempio, la funzione u(x) := 1/x q.o. definita su R è limitata (=finita) q.o. ma nonappartiene a L 1 (R), perchè anche se la ridefiniamo 0 per x = 0 essa rimane illimitata suR.Teorema 2.14 L’applicazione u 7! kuk L 1 (E) è una (semi)norma in L 1 (E),rispetto alla quale tale spazio risulta completo: L 1 (E) è quin<strong>di</strong> uno spazio <strong>di</strong>Banach.Osservazione 2.15 Se u è una funzione regolare a tratti (cf. la precedente lezione)definita in un intervallo [a, b], allora si controlla facilmente chekuk L 1 (a,b) =sup |u(x)| = kuk B(a,b) .x2[a,b]


2. SPAZI DI FUNZIONI 2-9Dunque sulle funzioni regolari a tratti la norma L 1 coincide con la norma (del“sup”) <strong>di</strong> B(a, b); in particolare si verifica che se {u n } n2N è una successione <strong>di</strong>funzioni regolari a tratti, essa converge in L 1 (a, b) se e solo se essa convergeuniformemente ad una funzione u limitata in [a, b]. Ogni funzione ũ quasi ovunqueuguale ad u è allora il limite della successione in L 1 (a, b).Lemma 2.16 Se u 2 L 1 (E) e v 2 L 1 (E), allora il prodotto uv è integrabile eZkuvk L 1 (E) = |u(x)v(x)| dx apple kuk L 1 (E)kvk L 1 (E).EAnalogamente, se {u n } n2N e {v n } n2N sono due successioni convergenti a u e v inL 1 (E) e in L 1 (E) rispettivamente, alloraZZlim u nv n = uv in L 1 (E), lim u n (x)v n (x) dx = u(x)v(x) dx.n"+1 n"+1L’integrale del prodotto <strong>di</strong> due funzioni, lo spazio L 2 (E) e lanozione <strong>di</strong> prodotto scalare.Il lemma 2.16 fornisce un primo elementare criterio <strong>di</strong> integrabilità del prodotto<strong>di</strong> due funzioni u, v; ci si può chiedere se non è possibile trovare una con<strong>di</strong>zionesu ciente che faccia intervenire simmetricamente le due funzioni.La risposta sta nella seguente <strong>di</strong>suguaglianza elementareE|ab| apple 1 2 (|a|2 + |b| 2 ), 8 a, b 2 C, (2.8)la cui <strong>di</strong>mostrazione segue facilmente dall’identità12 (|a|2 + |b| 2 2|ab|) = 1 2 (|a| |b|)2 0, 8 a, b 2 C.Corollario 2.17 Se u, v sono funzioni complesse definite in E tali cheZZ|u(x)| 2 dx < +1, |v(x)| 2 dx < +1,Eallora la funzione u · v è integrabile in E eZ|u(x) · v(x)| dx apple 1 ⇣ Z Z|u(x)| 2 dx +E2 EEEE⌘|v(x)| 2 dx < +<strong>1.</strong> (2.9)Definizione 2.18 Se E è un insieme <strong>di</strong> R d con misura positiva, in<strong>di</strong>chiamo conL 2 (E) il sottospazio <strong>di</strong> F(E) formato dalle funzioni u che sono integrabili, cioèZu 2 L 2 (E) , u 2 F(E), |u(x)| 2 dx < +<strong>1.</strong>L 2 (E) è naturalmente dotato della (semi)normaEs Zkuk L 2 (E) := |u(x)| 2 dx, (2.10)Eindotta dal prodotto scalareZ(u, v) L 2 (E) := u(x) · v(x) dx. (2.11)E


2. SPAZI DI FUNZIONI 2-10Osserviamo che (2.11) è ben definito grazie al precedente corollario; a <strong>di</strong>↵erenza<strong>di</strong> L 1 (E), controllare che (2.10) è e↵ettivamente una (semi)norma (in particolarela proprietà (M 2 )) non è del tutto imme<strong>di</strong>ato, ma è una facile conseguenza delfatto che (2.11) è e↵ettivamente un prodotto scalare. Ricor<strong>di</strong>amo qui <strong>di</strong> seguitola definizione generale <strong>di</strong> questa nozione fondamentale, lasciando come esercizio laverifica che (2.11) ne sod<strong>di</strong>sfa tutte le proprietà formali.Definizione 2.19 (Prodotto scalare e norma indotta) Si chiama prodotto scalarein uno spazio funzionale V una applicazione che associa ad ogni coppia <strong>di</strong> vettoriu, v <strong>di</strong> V un numero complesso (u, v) con queste proprietà:hermitianità (v, u) =((u, v); (2.12)sesquilinearità(↵u + v, h) = ↵(u, h) + (v, h),(h, ↵u + v) = ↵(h, u) + (h, v),(2.13)positività (u, u) 0 u = 0 ) (u, u) = 0. (2.14)Si verifica che la funzione u 7! p (u, u) è una (semi)norma su V , che si chiama(semi)norma indotta dal prodotto scalare.Chiameremo trascurabile un elemento u tale che kuk = (u, u) = 0.Se è sod<strong>di</strong>sfatta anche la proprietà(u, u) = 0 ) u = 0, (2.15)cioè il solo elemento trascurabile è lo 0, allora la (semi)norma indotta è una normain senso stretto.Nota Prodotti scalari a valori reali. Nel caso (·, ·) sia un prodotto scalare reale (ad esempioquando V è uno spazio vettoriale sul campo dei numeri reali) si parla <strong>di</strong> simmetria (al postodella hermitianità) e <strong>di</strong> bilinearità (al posto della sesquilinearità): in pratica basta omettereda tutte le formule il segno della coniugazione complessa.Se (·, ·) è un prodotto scalare complesso, si verifica facilmente (Esercizio!) che Re(·, ·) è unprodotto scalare reale.Approfon<strong>di</strong>remo nella lezione successiva alcune applicazioni importanti del prodottoscalare; per ora ricor<strong>di</strong>amo una <strong>di</strong>suguaglianza fondamentale che applichiamo subitoal problema dell’integrazione del prodotto <strong>di</strong> due funzioni, ra nando la (2.9)Proposizione 2.20 (Disuguaglianza <strong>di</strong> Schwartz) Se (·, ·) è un prodotto scalaredefinito nello spazio funzionale V , allora per ogni coppia <strong>di</strong> vettori u, v <strong>di</strong> V siha|(u, v)| apple p (u, u) p (v, v) = kuk kvk.Inoltre,| | = 1, (u, v) = kuk kvk , 9 ⇢ 0 : u = ⇢vCorollario 2.21 (Continuità del prodotto scalare) Se u n ! u e v n ! v inV , alloralim (u n, v n ) = (u, v). (2.16)n"+1Dimostrazione|(u n, v n) (u, v)| = |(u n, v n) (u, v n) + (u, v n) (u, v)| apple|(u n, v n) (u, v n)| + |(u, v n) (u, v)| = |(u n u, v n)| + |(u, v n v)| appleku n uk kv nk + kuk kv n vkPassando al limite per n " +1 e osservando che la norma <strong>di</strong> v n si mantiene limitata (<strong>di</strong>fatto converge alla norma <strong>di</strong> v) si conclude.


2. SPAZI DI FUNZIONI 2-11Corollario 2.22 Se u, v 2 L 2 (E) alloraZs Zs Z|u(x) · v(x)| dx apple |u(x)| 2 dx |v(x)| 2 dx = kuk L 2 (E) kvk L 2 (E)EEEInoltre, se {u n } n2N , {v n } n2N sono due successioni convergenti rispettivamente a u, vin L 2 (E) si haZZlim u n (x) · v n (x) dx = u(x) · v(x) dx.n"+1 EEApplichiamo ora la <strong>di</strong>suguaglianza <strong>di</strong> Schwartz per <strong>di</strong>mostrare che L 2 (E) è unospazio completo.Teorema 2.23 (Completezza <strong>di</strong> L 2 (E)) Se una successione u nsod<strong>di</strong>sfa la+1Xs Z|u n (x)| 2 dx =n=1 E+1Xn=1ku n k L 2 (E) < +12 L 2 (E)allora la serie P +1n=1 u n(x) converge puntualmente q.o. ed in L 2 (E) ad unafunzione S integrabile in E:limNXN"+1n=1Zu n (x) = S(x) q.o. in E, con limN"+1 EIn particolare, L 2 (E) è completo.S(x)NXu n (x) 2 dx = 0.n=1(2.17)DimostrazionePer <strong>di</strong>mostrare il primo limite <strong>di</strong> (2.17) basterà mostrare che+1 X˜S(x) := |u n(x)| < +1 per q.o. x 2 E;n=1quest’ultima <strong>di</strong>suguaglianza è certamente verificata seZ| ˜S(x)| 2 dx < +<strong>1.</strong>EpostoNX˜S N (x) := |u n(x)|n=1evidentemente ˜S N (x) (e quin<strong>di</strong> anche ˜S N 2 (x)) è una successione non negativa e monotonanon decrescente rispetto a N; per il teorema <strong>di</strong> Beppo LeviZZ| ˜S(x)| 2 dx = lim | ˜S N (x)| 2 dx.EN"+1 ESe noi mostriamo cheZ| ˜S⇣ +1 X⌘N (x)| 2 dx apple ku nk L 2 (E)En=1abbiamo concluso.Ricor<strong>di</strong>amo una semplice identità: se a 1 , a 2 , . . . , a N sono numeri reali⇣ X N ⌘ 2 ⇣ X N ⌘ ⇣ X N ⌘ NXa n = a n · a n = a m a n; (2.18)n=1n=1n=1m,n=1applicando questa identità alla somma che definisce ˜S N e applicando la <strong>di</strong>suguaglianza <strong>di</strong>Schwartz otteniamoZZ| ˜SNXNXZN (x)| 2 dx = |u m(x)| |u n(x)| dx = |u m(x)| |u n(x)| dxEE m,n=1m,n=1 ENX⇣apple ku mk L 2 (E) kunk L 2 (E) = X N ⌘ 2 ⇣ +1 X2.ku nk L 2 (E) apple ku nk L (E)⌘ 2 (2.19)m,n=1n=1n=1Il secondo limite in (2.17) segue dal teorema della convergenza dominata.


2. SPAZI DI FUNZIONI 2-12Approfon<strong>di</strong>mento Convergenza L 2 (E) e convergenza q.o.. Possiamo ripetere anche nel caso <strong>di</strong> L 2 (E)considerazioni analoghe a quelle precedentemente presentate per L 1 (E). Supponiamo dunque<strong>di</strong> sapere che una successione <strong>di</strong> funzioni complesse u n definite in E converga q.o. a u.Per poter concludere che vi è convergenza anche in L 2 (E)– Occorre innanzitutto controllare che u n, u appartengano a L 2 (E).– In caso a↵ermativo, l’unico (a meno <strong>di</strong> insiemi trascurabili...) limite possibile per lasuccessione u n in L 1 (E) è la funzione u– Si hanno quin<strong>di</strong> tre possibilità:<strong>1.</strong> applicare <strong>di</strong>rettamente la definizione e stimare in modo opportuno (per es. calcolandoliesplicitamente...) gli integraliZ|u n(x) u(x)| 2 dx ed il relativo limite per n " +1;E2. controllare se le ipotesi del teorema <strong>di</strong> Beppo Levi sono sod<strong>di</strong>sfatte (convergenzamonotona) e controllare che il limite degli integraliZZlim |u n(x)| 2 dx = |u(x)| 2 dxn"+1 EEsia finito (che in tal caso è una con<strong>di</strong>zione necessaria e su ciente per la convergenza)3. controllare se le ipotesi del teorema <strong>di</strong> <strong>Lebesgue</strong> sono verificate (convergenzadominata) per i quadrati delle funzioni u n:Z9 v : |u n(x)| 2 apple v(x) per q.o. x 2 E, 8 n 2 N; v(x) dx < +<strong>1.</strong>EQueste forniscono una con<strong>di</strong>zione suciente per la convergenza in L 2 (E).– Nel caso <strong>di</strong> una serie <strong>di</strong> funzioni si applica il teorema 2.23 a meno che non si tratti<strong>di</strong> una serie <strong>di</strong> funzioni ortogonali, che tratteremo nella prossima lezione.Conclu<strong>di</strong>amo con un risultato che illustra la relazione tra gli spazi fin qui introdottinel caso che la misura |E| <strong>di</strong> E sia finita.Proposizione 2.24 Supponiamo che |E| < +1; allorainoltreeL 1 (E) ⇢ L 2 (E) ⇢ L 1 (E); (2.20)u 2 L 1 (E) ) kuk L 2 (E) apple p |E| kuk L 1 (E)u 2 L 1 (E) ) kuk L 1 (E) apple p |E| kuk L 2 (E).Infine, se u n è una successione <strong>di</strong> funzioni definite in E si hau n ! u in L 1 (E) ) u n ! u in L 2 (E) ) u n ! u in L 1 (E).Attenzione! Il caso |E| = +<strong>1.</strong> Quando la misura <strong>di</strong> E non è finita (ad esempio E := R o E :=(0, +1)) nessuna delle inclusioni (2.20) è più vera: basta considerare la famiglia <strong>di</strong> funzioni1/(x + 1) ↵ , ↵ 0, per E := (0, +1).


3. Spazi <strong>di</strong> HilbertWir müssen wissen. Wir werden wissen.(Noi abbiamo il dovere <strong>di</strong> conoscere.Alla fine conosceremo.)David Hilbert (1862-1943)Il problema della migliore approssimazioneProblema 3.1 (Migliore approssimazione) Sia V uno spazio funzionale, munito<strong>di</strong> una norma ‖·‖ esianoe 1 ,...,e N assegnati elementi <strong>di</strong> V .Datou ∈ V cichie<strong>di</strong>amo se è possibile trovare coefficienti complessi u 1 ,...,u N in modo da rendereminimo l’errore <strong>di</strong> approssimazioneN∑N∑‖u − u k e k ‖ = d(u, u k e k ).k=1Teorema 3.2 Il problema 3.1 ammette sempre almeno una soluzione.Purtroppo il teorema precedente non in<strong>di</strong>ca alcun preoce<strong>di</strong>mento costruttivo perdeterminare i coefficienti u 1 ,...,u N ,eingeneraleilproblemapuò essere moltocomplicato. C’è però un caso in cui è possibile risolvere esplicitamente il problema:quello in cui la norma può essere espressa per mezzo <strong>di</strong> un prodotto scalare.3-1k=1


3. SPAZI DI HILBERT 3-2Abbiamo già ricordato nella lezione precedente la definizione <strong>di</strong> prodotto scalare:ora richiamiamo alcune formule che ci saranno utili; prima però introduciamolanozione fondamentale <strong>di</strong> ortogonalità.Definizione 3.3 (Vettori e sistemi ortogonali) Diciamo che due vettoriu, v ∈ V sono ortogonali se (u, v) = 0. Analogamente, un insieme (finito oinfinito) <strong>di</strong> vettori {e n } N n=1 forma un sistema ortogonale se(e n , e n ) > 0; n ≠ m ⇒ (e n , e m )=0. (3.1){e n } N n=1 si <strong>di</strong>ce inoltre ortonormale se oltre alla (3.1) ogni elemento e n èunversore, cioè ‖e n ‖ =(e n , e n )=<strong>1.</strong>NotaSe un vettore u èortogonaleaciascunelemento<strong>di</strong>uninsieme{e n} N n=1 ,alloraèortogonaleanche a tutte le combinazioni lineari ∑ Nn=1 vnen.Lemma 3.4 (Distanza tra due vettori) Per ogni u, v ∈ V la <strong>di</strong>stanza d(u, v)si può esprimerepermezzodelprodottoscalareattraversolaformulad(u, v) 2 = ‖u − v‖ 2 = ‖u‖ 2 + ‖v‖ 2 − 2Re(u, v).In particolare, se u èortogonaleav si ha la formula (<strong>di</strong> “Pitagora”)d(u, v) 2 = ‖u − v‖ 2 = ‖u‖ 2 + ‖v‖ 2 .Consideriamo ora la situazione un po’ più generale della combinazione lineare <strong>di</strong> Nvettori.Lemma 3.5 Per ogni scelta <strong>di</strong> N vettori v 1 , v 2 ,...,v N in V si ha‖v 1 + v 2 + ...+ v N ‖ 2 = ‖N∑v n ‖ 2 =n=1N∑m,n=1(v m , v n ). (3.2)Se poi il sistema {v n } N n=1 è ortogonale allora la precedente espressione si semplifica‖v 1 + v 2 + ...+ v N ‖ 2 = ‖v 1 ‖ 2 + ‖v 2 ‖ 2 + ...+ ‖v N ‖ 2 =N∑‖v n ‖ 2 . (3.3)L’idea geometrica che permette <strong>di</strong> risolvere il problema <strong>di</strong> migliore approssimazione3.1 èmoltosemplice: supponiamo<strong>di</strong>conosceregià la soluzione, data dai coefficientiû 1 ,...,û N , e formiamo il vettore “errore”δ := u −n=1N∑û n e n ; (3.4)n=1si può intuire che δ sia ortogonale atuttiivettorigeneratidaglie n . Noi mostreremoche se i vettori {e n } N n=1 sono linearmente in<strong>di</strong>pendenti, questacon<strong>di</strong>zione<strong>di</strong> ortogonalità è sufficiente per determinare û 1 ,...,û N echeeffettivamentequesticoefficienti risolvono il problema 3.<strong>1.</strong>Richiami Vettori linearmente in<strong>di</strong>pendenti. Un insieme <strong>di</strong> vettori {e n} N n=1 si <strong>di</strong>ce linearmentein<strong>di</strong>pendente se ogni relazione <strong>di</strong> <strong>di</strong>pendenza lineare a coefficienti complessiN∑v ne n =0n=1


3. SPAZI DI HILBERT 3-3èpossibilesoloseicoefficientiv n sono identicamente nulli.seminorma, èutiletalvoltarichiederelaproprietàpiùforteQuando si lavora con unaN∑ ∥ ∥∥∥ v ne n =0 ⇒ vn =0, n =1,...,N. (3.5)n=1In particolare, si osservi che in questo caso nessun elemento e n può esseretrascurabile,cioè‖e n‖ > 0. Èfacilededurredalla(3.3)cheunsistema ortogonale secondo la definizione 3.3è sempre linearmente in<strong>di</strong>pendente secondo la (3.5).Proposizione 3.6 Se {e n } N n=1 èuninsiemefinitolinearmentein<strong>di</strong>pendentesecondola (3.5), perognivettoreu ∈ V esiste un’unica scelta dei coefficienti û 1 ,...,û Nin modo che il vettore δ definito da (3.4) risulti ortogonale a ciascun e m :(δ, e m )=(u −N∑û n e n , e m )=0 ∀ m =1, 2,...,N. (3.6)n=1Icoefficientiû 1 ,...,û N possono essere calcolati risolvendo un sistema lineare, comein<strong>di</strong>cato nel punto seguente.Approfon<strong>di</strong>mento Il sistema lineare. Per scrivere il sistema lineare che permette <strong>di</strong> calcolare i coefficientiû 1 ,...,û N ,bastasvilupparelacon<strong>di</strong>zione(3.6):equin<strong>di</strong>(u −N∑n=1) )û ne n, e m =(u, e m −N∑n=1û n(e n, e m)=0N∑(e n, e m)û n =(u, e m), ∀ m =1, 2,...,N. (3.7)n=1Essendo (e n, e m), (u, e m)daticonosciuti,abbiamoquin<strong>di</strong>N equazioni lineari nelle incognite(complesse) û 1 ,...,û N . Introduciamo la matrice hermitiana N × N acoefficienticomplessiE := {e m,n} N m,n=1, e m,n := (e n, e m), e n,m = e m,neivettoricolonna complessi in C Nû := {û 1 , û 2 ,...,û N }, u := {(u, e 1 ),...,(u, e N )}.Allora la soluzione û risolve il sistema in forma matricialeE · û = u. (3.8)Osserviamo che nel caso reale, lamatriceE èsimmetrica,ivettoriû, u sono reali.DimostrazioneNaturalmente rimane da <strong>di</strong>mostrare che il sistema (3.8) èeffettivamenterisolubile,cioèchela matrice E èinvertibile. Noimostriamounaproprietàpiùinteressante: la matrice E èdefinita positiva. Ciòsignificacheperognivettorecolonnanonnullov ∈ C N si hav T · E · v > 0. (3.9)Naturalmente (3.9) implica l’invertibilità <strong>di</strong>E, inquantoda(3.9)seguechev ≠0 ⇒ E · v ≠0.Asuavoltala(3.9)èunaconseguenzadellaseguenteidentitàse v T := (v 1 ,v 2 ,...,v N ), v T · E · v = ‖v 1 e 1 + v 2 e 2 + ...+ v N e N ‖ 2 (3.10)e della (3.5). La (3.10) si ottiene applicando (3.2):‖v 1 e 1 + v 2 e 2 + ...+ v N e N ‖ 2 =N∑(v me m,v ne n)=N∑v mv n(e m, e n)m,n=1m,n=1N∑=N∑ ( ∑ N )v mv n(e m, e n)= v n e m,nv n = vT · E · v.m,n=1n=1 m=1


3. SPAZI DI HILBERT 3-4Proposizione 3.7 Sia u ∈ V e {e n } N n=1 un insieme finito linearmente in<strong>di</strong>pendentesecondo la (3.5); icoefficientiû 1 ,...,û N calcolati secondo la precedente proposizionerisolvono il Problema 3.1; infatti per ogni altra scelta <strong>di</strong> coefficienti u 1 ,u 2 ,...,u Nsi haN∑N∑N∑‖u − u n e n ‖ 2 = ‖u − û n e n ‖ 2 + ‖ (u n − û n )e n ‖ 2n=1≥‖u −n=1n=1N∑û n e n ‖ 2 = ‖δ‖ 2 . (3.11)n=1Dimostrazione Decomponiamo il primo termine <strong>di</strong> (3.11):N∑N∑N∑N∑‖u − u ne n‖ 2 = ‖(u − û ne n)+ (u n − û n)e n‖ 2 = ‖δ + (u n − û n)e n‖ 2 .n=1n=1n=1∑Poiché δ è ortogonale a ciascun e n, esso è ortogonale anche alla combinazione linerareNn=1 (un − ûn)en. Applicandola“formula<strong>di</strong>Pitagora”siconclude.n=1Riassumiamo il risultato fondamentale che abbiamo ottenuto nel seguente Teorema:Teorema 3.8 Sia V uno spazio dotato <strong>di</strong> prodotto scalare e {e n } N n=1 un insiemefinito linearmente in<strong>di</strong>pendente secondo la (3.5). Alloraperogniu ∈ V il Problema<strong>di</strong> migliore approssimazione 3.1 ammette una sola soluzione û 1 ,...,û N che èin<strong>di</strong>viduata dalla con<strong>di</strong>zioneδ := u −N∑û n e nn=1è ortogonale a tutti i vettori generati dal sistema {e n } N n=1,(3.12)epuò essere calcolata risolvendo il sistema lineare (3.7). Valepoilarelazione(d u,N∑ ) 2 ∥ ∥∥u∑ N ∥ ∥∥2 ∥ ∥ ∥∥u ∥∥2 ∥ ∥∥∑ N ∥ ∥∥2û n e n = − û n e n = − û n e n . (3.13)n=1n=1n=1DimostrazioneL’unica proprietà checirestada<strong>di</strong>mostrareè la (3.13). Basta decomporre u nella sommaN∑N∑N∑u = u − û ne n + û ne n = δ + û ne nn=1n=1n=1e applicare cancora una volta la “formula <strong>di</strong> Pitagora”, ricordando che δ èortogonalea∑ Nn=1 ûnen.


3. SPAZI DI HILBERT 3-5Corollario 3.9 Quando il sistema {e n } N n=1 è ortogonale, lasoluzioneû 1 ,...,û Ndel problema <strong>di</strong> migliore approssimazione assume la formaelarelazione(3.13) <strong>di</strong>venta(d u,n=1n=1û n = (u, e n)‖e n ‖ 2 (3.14)N∑ ) 2 ∥ ∥∥u∑ N ∥ ∥∥2N∑û n e n = − û n e n = ‖u‖ 2 − |û n | 2 ‖e n ‖ 2 . (3.15)n=1Se infine il sistema {e n } N n=1semplificano ulteriormenteè anche ortonormale, le formule precedenti siû n =(u, e n ),(d u,N∑ ) 2 ∥ ∥∥u∑ N ∥ ∥∥2 ∥ ∥ ∥∥u ∥∥2 ∑ Nû n e n = − û n e n = − |û n | 2 . (3.16)n=1n=1n=1DimostrazioneNel caso <strong>di</strong> un sistema ortogonale, la matrice E è<strong>di</strong>agonalee il sistema <strong>di</strong> riduce a‖e m‖ 2 û m =(u, e m),da cui la (3.14). (3.15) segue da (3.13) e da (3.3).m =1, 2,...,N,Applicazione Minimi quadrati. Supponiamo <strong>di</strong> essere interessati a rappresentare i risultati <strong>di</strong> uncerto esperimento u tramite una combinazione lineare <strong>di</strong> “funzioni <strong>di</strong> forma” assegnateφ 1 ,φ 2 ,...,φ N ;possiamopensareu e φ n definite su un certo insieme E e<strong>di</strong>conoscereirisultati dell’esperimento in un numero finito <strong>di</strong> punti {x 1 ,x 2 ,...,x J } <strong>di</strong> E, cioè<strong>di</strong>conoscereivaloriu j := u(x j ), j =1,...,J;vorremmodeterminareicoefficientiû 1 ,...,û N in mododa rappresentare u me<strong>di</strong>ante la combinazione lineare ∑ Nn=1 ûnφn. Inpraticasuccedechegliesperimenti x 1 ,x 2 ,...,x J sono molti <strong>di</strong> più dellefunzioni<strong>di</strong>formaesevolessimoscrivereun sistema lineareN∑u j = û nφ n(x j ), j =1, 2,...,Jn=1questo risulterebbe sovradeterminato (J >>N). L’approccio a questo problema me<strong>di</strong>anteil metodo dei minimi quadrati consiste nello scegliere dei pesi σ j > 0daassegnareaciascunesperimento (quando nessuno sia privilegiato rispetto agli altri si ha σ j ≡ 1) e <strong>di</strong> cercare icoefficienti û n in modo che risulti minimo l’erroreJ∑σ −2 ∣N∑j ∣u j − û nφ n(x j ) ∣ 2 (3.17)j=1n=1Stiamo dunque risolvendo il problema <strong>di</strong> migliore approssimazione 3.1 nello spazio F(E)rispetto alla seminormaJ∑‖v‖ 2 := σ −2j |v(x j )| 2j=1Infatti quando si sceglie v := u − ∑ Nn=1 ûnφn si ottiene proprio l’espressione (3.17) daminimizzare rispetto alla scelta dei coefficienti û n.Èfacilevederechelaseminormaintrodotta<strong>di</strong>scendedalprodottoscalarereale(v, w) :=J∑j=1σ −2j v(x j )w(x j ), in modo che ‖g‖ 2 =(g, g).Se supponiamo che le funzioni φ n formino un sistema linearmente in<strong>di</strong>pendente sui puntiscelti x j (in modo cioè che nessuna delle φ possa essere scritta come combinazione linearedelle altre: si tratta <strong>di</strong> un ipotesi ragionevole poichè abbiamogiàosservatocheipuntix jsono molti <strong>di</strong> più delle funzioni <strong>di</strong> forma) si può applicareilTeorema3.8,ottenendoperilvettore dei coefficienti û il sistema lineareE · û = u,


3. SPAZI DI HILBERT 3-6dove la matrice reale simmetrica e definita positiva E = {e m,n} N m,n=1 èdefinitadae m,n := (φ n,φ m)=J∑j=1σ −2j φ n(x j )φ m(x j )mentre il vettore dei dati u = {u 1 ,...,u N } ècostruitome<strong>di</strong>anteleformuleu n := (u, φ n)=J∑j=1σ −2j u(x j )φ n(x j ).Decomposizione rispetto ad un sistema ortogonalecompletoConsideriamo ora uno spazio funzionale V <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensione infinita dotato <strong>di</strong> prodottoscalare (·, ·) e supponiamo <strong>di</strong> conoscere un sistema ortogonale <strong>di</strong> vettori {e n } ∞ n=1secondo la definizione 3.3.Problema 3.10 (Decomposizione ortogonale) Dato un elemento u <strong>di</strong> V cichie<strong>di</strong>amo se è possibile determinare una successione <strong>di</strong> coefficienti complessi {û n } n∈Ntali che+∞∑∥N∑ ∥ ∥∥u = û n e n cioè lim ∥u − û n e n =0.n=1N↑+∞Proposizione 3.11 La soluzione del problema 3.10, se esiste, ènecessariamentedata dai coefficienti trovati in (3.14)n=1û n := (u, e n)‖e n ‖ 2 . (3.18)DimostrazioneBasta osservare che, per la (2.21), si può scambiarel’or<strong>di</strong>netraserieeprodottoscalare,cioèIn particolare+∞ ∑u =n=1+∞ ∑u n in V ⇒ (u, v) =(n=1+∞ ∑u n, v) = (u n, v). (3.19)n=1+∞ ∑(u, e m)= (û ne n, e m)=û m(e m, e m).n=1Definizione 3.12 (Coefficienti <strong>di</strong> Fourier) Icoefficientiû n definiti dalla (3.18)si chiamano coefficienti <strong>di</strong> Fourier <strong>di</strong> u rispetto al sistema ortogonale {e n } ∞ n=<strong>1.</strong>AquestopuntoilProblema3.10siriduceaidueseguenti:<strong>1.</strong> Trovare con<strong>di</strong>zioni per cui la serie+∞∑n=1û n e n converge in V ;2. Trovare con<strong>di</strong>zioni per cui la somma della serie coincide con u.Cominciamo dal primo:


3. SPAZI DI HILBERT 3-7Convergenza <strong>di</strong> serie <strong>di</strong> vettori ortogonaliProposizione 3.13 Se u = ∑ +∞n=1 u n è una serie convergente formata da vettoriortogonali in V ,valel’identità fondamentale‖u‖ 2 =+∞∑n=1‖u n ‖ 2 . (3.20)DimostrazioneSi sfruttano la continuità dellanormala(3.3)N∑‖u‖ 2 = ‖ lim u n‖ 2 = lim ‖ ∑ N N∑+∞ ∑u n‖ 2 = lim ‖u n‖ 2 = ‖u n‖ 2 .N↑+∞N↑+∞ N↑+∞n=1n=1n=1n=1La (3.20) fornisce una con<strong>di</strong>zione necessaria perché una serie <strong>di</strong> vettori ortogonali∑ +∞n=1 u n converga in V , cioè che+∞∑n=1‖u n ‖ 2 < +∞. (3.21)Quando gli u n sono costruiti a partire dai coefficienti <strong>di</strong> Fourier <strong>di</strong> un elemento u,questa con<strong>di</strong>zione èsempreverificatagraziealla<strong>di</strong>suguaglianza<strong>di</strong>Bessel(3.15),checi fornisce un’informazione fondamentale circa il loro andamento asintotico:Teorema 3.14 (Disuguaglianza <strong>di</strong> Bessel) Se û n sono i coefficienti <strong>di</strong> Fourier<strong>di</strong> u rispetto al sistema ortogonale {e n } ∞ n=1, siha+∞∑n=1|û n | 2 ‖e n ‖ 2 ≤‖u‖ 2 < +∞.Nella formula precedente l’uguaglianza vale se e solo se il problema 3.10 ha soluzione.DimostrazioneBasta passare al limite per N ↑ +∞ in (3.15); l’ultima osservazione segue dalla formula(3.20).Se lo spazio V è completo, la con<strong>di</strong>zione (3.21) è anche sufficiente equin<strong>di</strong>la<strong>di</strong>suguaglianza <strong>di</strong> Bessel assicura automaticamente la convergenza delle serie <strong>di</strong>Fourier in V .Teorema 3.15 Supponiamo che {u n } +∞n=1 sia un insieme <strong>di</strong> vettori ortogonali. SeV è completo, allorala serie+∞∑n=1u n converge in V⇔+∞∑n=1|u n | 2 < +∞.Definizione 3.16 (Spazi <strong>di</strong> Hilbert) Uno spazio funzionale V dotato <strong>di</strong>prodotto scalare e completo si <strong>di</strong>ce spazio <strong>di</strong> Hilbert.DimostrazioneLa necessità dellacon<strong>di</strong>zionesegue dalla (3.20).+∞ ∑|v n| 2 < +∞n=1


3. SPAZI DI HILBERT 3-8Per la sufficienza, basta controllare che la successione delle somme parzialis N :=N∑f ne nn=1èunasuccessione<strong>di</strong>Cauchy.Fissatoε>0, poichè laserieèpossibiletrovare ¯N in modo cheDico che se ¯N ≤ N


3. SPAZI DI HILBERT 3-9Proposizione 3.20 (Calcolo del prodotto scalare) Nelle ipotesi del Teoremaprecedente, se {û n , ˆv n } +∞n=1 sono i coefficienti <strong>di</strong> Fourier <strong>di</strong> due vettori u, v rispettivamente,si ha(u, v) =+∞∑n=1û nˆv n (3.22)Proposizione 3.21 (Stima dell’errore) Nelle ipotesi del teorema precedente, l’erroretra u elasommadeiprimiN termini della serie <strong>di</strong> Fourier si può stimarenelmodo seguente:N∑+∞∑‖u − û n e n ‖ 2 = |û n | 2 ‖e n ‖ 2 . (3.23)n=1n=N+1

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!