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Geopolitica Vol.04 No.1/2

C'è un concetto, integrante alle relazioni politiche e giuridiche internazionali, che incontra sempre più diffusa elaborazione concettuale e pratica: quello di sicurezza . In questo numero di Geopolitica. Rivista dell'IsAG curato dal Prof. Paolo Bargiacchi, ordinario di Diritto Internazionale all'Università Kore di Enna, numerosi esperti italiani ed esteri discutono vari profili attinenti alla sicurezza, quali l'interazione tra sistemi in ambiente giuridico, la politica estera dell'Unione Europea, il nuovo approccio alla sicurezza post-11 settembre, l'uso dei droni, il terrorismo informatico, la sicurezza energetica e ambientale, i meccanismi di sicurezza collettiva. Un insieme variegato di spunti di riflessione su un tema che caratterizzerà, nel bene e nel male, le relazioni internazionali nei prossimi anni e, con esse, lo sviluppo della scienza giuridica.

C'è un concetto, integrante alle relazioni politiche e giuridiche internazionali,
che incontra sempre più diffusa elaborazione concettuale e pratica: quello
di sicurezza . In questo numero di Geopolitica. Rivista dell'IsAG curato dal
Prof. Paolo Bargiacchi, ordinario di Diritto Internazionale all'Università Kore di
Enna, numerosi esperti italiani ed esteri discutono vari profili attinenti alla sicurezza, quali l'interazione tra sistemi in ambiente giuridico, la politica estera
dell'Unione Europea, il nuovo approccio alla sicurezza post-11 settembre, l'uso
dei droni, il terrorismo informatico, la sicurezza energetica e ambientale, i meccanismi di sicurezza collettiva. Un insieme variegato di spunti di riflessione su un tema che caratterizzerà, nel bene e nel male, le relazioni internazionali nei prossimi anni e, con esse, lo sviluppo della scienza giuridica.

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Vol. IV<br />

R I V I S TA D E L L ' I S T I T U T O D I A LT I S T U D I I N G E O P O L I T I C A E S C I E N Z E A U S I L I A R I E<br />

SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE<br />

E DELL'UNIONE EUROPEA<br />

1<br />

GEN.-GIU.<br />

2015<br />

NUMERO A CURA DI – Paolo Bargiacchi CON CONTRIBUTI DI – Elisa Baroncini,<br />

Ezio Benedetti, Carlo Buono, Francesco Buonomenna, Claudia Regina Carchidi,<br />

Benjamin G. Davis, Alba Ferreri, Luca Lionello, Saverio Francesco Massari,<br />

Massimo Panebianco, Antonietta Piacquadio, Teresa Russo, Joseph<br />

E. Schwartzberg, , Geoffrey Sloan, Alessandro Tomaselli, Anna Lucia Valvo, Ugo<br />

Villani


Vol.IV, N˚1 – Gennaio-Giugno 2015<br />

I N D I C E<br />

EDITORIALE<br />

La nuova “<strong>Geopolitica</strong>” (semestrale) _________________________________7<br />

Tiberio Graziani & DanieLe ScaLea<br />

NOTA DEL CURATORE<br />

Sicurezza: il concetto nel Diritto internazionale e dell’Unione europea _______9<br />

PaoLo barGiaccHi<br />

FOCUS<br />

<strong>Geopolitica</strong> del Diritto e “Scelta della Legge” _________________________13<br />

MaSSiMo Panebianco<br />

a United nations administrative reserve corps ______________________37<br />

JoSePH e. ScHWarTzberG<br />

L’alto rappresentante dell’Unione europea<br />

per gli affari esteri e la Politica di Sicurezza __________________________49<br />

UGo ViLLani<br />

normativa europea in materia di terrorismo informatico_________________59<br />

anna LUcia VaLVo<br />

The ordinary citizen and Drone Wordplay __________________________71<br />

benJaMin G. DaViS<br />

The «ambassador for responsibility on climate change» (arc)<br />

initiative. Looking for an icJ advisory opinion on climate change<br />

and international State responsibility_______________________________89<br />

eLiSa baroncini<br />

Sicurezza energetica e diritto internazionale dell’energia ________________109<br />

FranceSco bUonoMenna<br />

L’Unione europea e la promozione della sicurezza<br />

nell’america centrale e nei caraibi ________________________________121<br />

cLaUDia reGina carcHiDi<br />

What boundaries of european Security: Political versus economic? ________127<br />

TereSa rUSSo<br />

G E O P O L I T I C A – R I V I S T A S E M E S T R A L E D E L L ’ I S A G<br />

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Vol.IV, N˚1 – Gennaio-Giugno 2015<br />

I N D I?<br />

C E<br />

il grande bluff: Tutela dei diritti umani e<br />

sicurezza interna nell’ordinamento giuridico europeo __________________139<br />

aLeSSanDro ToMaSeLLi<br />

L’estensione del mandato di eULeX in Kosovo<br />

e la “nuova” exit strategy dell’Unione europea ________________________153<br />

ezio beneDeTTi<br />

La necessità della sicurezza ______________________________________167<br />

carLo bUono<br />

La crisi umanitaria in Siria e l’inerzia delle nazioni Unite _______________183<br />

anTonieTTa PiacQUaDio<br />

COMMENTI E DIBATTITI<br />

La teoria geopolitica classica: è ancora importante? ____________________197<br />

GeoFFreY SLoan<br />

ORIZZONTI<br />

“convergence check”. a closer look to the impact<br />

of the european dimension on party policy choice ____________________207<br />

aLba Ferreri<br />

La crisi del debito sovrano<br />

e il nuovo processo di integrazione economica e monetaria ______________229<br />

LUca LioneLLo<br />

breve riflessione sul Programma d’azione del Partito comunista<br />

cecoslovacco del 1968 e sulla repressione<br />

dei diritti individuali e sociali alla luce di un possibile senso nella storia _____245<br />

SaVerio FranceSco MaSSari<br />

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V o l . I V , N ˚ 1 G e n . - G i u . , 2 0 1 5


Rivista semestrale pubblicata da avataréditions per conto di<br />

Istituto di Alti Studi in <strong>Geopolitica</strong> e Scienze Ausiliarie (IsAG)<br />

Sito: www.istituto-geopolitica.eu<br />

Sito: www.geopolitica-rivista.org<br />

Email: direzione@geopolitica-rivista.org<br />

Acquisti e abbonamenti: pagina 6<br />

Sede sociale e direzione:<br />

Istituto di Alti Studi in <strong>Geopolitica</strong> e Scienze Ausiliarie (IsAG)<br />

Piazza dei Navigatori 22 – 00147 Roma – Italia<br />

T: +39 334 111 7081<br />

Editore [Publisher]: avataréditions<br />

SEDE SOCIALE [REGISTERED OFFICE]:<br />

5 Cranbrooke – The Grange – Newcastle Road, Lucan, Co. Dublin, Irlanda<br />

Contatto Italia:<br />

T: +39 366 325 4102<br />

Posta elettronica: contact@avatareditions.com<br />

Sito: www.avatareditions.com<br />

Vendita in linea: www.librad.com<br />

Published by avataréditions<br />

Cartografie a cura di Lorenzo Giovannini<br />

© Iconografia : Diritti riservati e collezioni private<br />

© Istituto di Alti Studi in <strong>Geopolitica</strong> e Scienze Ausiliarie (IsAG) 03/2015<br />

© avataréditions 03/2015<br />

ISBN: 978-1-907847-29-5<br />

ISSN: In corso<br />

Vol.IV, N˚1 – Gennaio-Giugno 2015<br />

I N F O<br />

Progetto Grafico & Impaginazione<br />

ATELIER TATENOKAÏ<br />

tatenokai@avatareditions.com<br />

Stampato nell’Unione Europea da avatar<br />

<strong>Geopolitica</strong>. Rivista di Alti Studi in <strong>Geopolitica</strong> e Scienze Ausiliarie<br />

Registrazione presso il Tribunale di Roma in data 21 dicembre 2011, n. 395/2011<br />

Direttore Responsabile: Tiberio Graziani<br />

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<strong>Geopolitica</strong> è la rivista dell’Istituto di Alti Studi in <strong>Geopolitica</strong> e Scienze Ausiliarie (IsAG) di<br />

Roma. L’IsAG è un’associazione di promozione sociale le cui finalità sono la promozione dello<br />

studio della geopolitica e dell’informazione intorno alla politica estera in Italia.<br />

Per maggiori informazioni sull’IsAG: http://www.istituto-geopolitica.eu<br />

ORGANIGRAMMA DELLA RIVISTA<br />

Vol.IV, N˚1 – Gennaio-Giugno 2015<br />

G E R E?<br />

N Z A<br />

DIRETTORE: Tiberio Graziani. CONDIRETTORE: Daniele Scalea. REDAZIONE: Francesco Brunello<br />

Zanitti, Franco Fatigati, Valeria Ruggiu. CARTOGRAFO: Lorenzo Giovannini.<br />

COMITATO SCIENTIFICO NAZIONALE: Diego Abenante (Università di Trieste), Paolo Bargiacchi<br />

(Università Kore di Enna), Antonello F. Biagini (Università di Roma Sapienza), Luisa Bonesio<br />

(Università di Pavia), Alfredo Canavero (Università degli Studi di Milano), Emidio Diodato (Università<br />

per Stranieri di Perugia), Eugenio Di Rienzo (Università di Roma Sapienza), Carlo Jean (LUISS,<br />

Roma), Gianfranco Lizza (Università di Roma Sapienza), Maria Paola Pagnini (Università Cusano di<br />

Roma), Geminello Preterossi (Università degli Studi di Salerno), Sergio Romano (Università Bocconi<br />

di Milano), Biancamaria Scarcia Amoretti (Università di Roma Sapienza), Paolo Sellari (Università<br />

di Roma Sapienza), Roberto Valle (Università di Roma Sapienza), Maurizio Vernassa (Università di<br />

Pisa).<br />

COMITATO SCIENTIFICO INTERNAZIONALE: Anis Bajrektarevic (IMC Krems, Vienna), Evgenij P.<br />

Bažanov (Accademia Diplomatica, Federazione Russa), Côme Carpentier de Gourdon (Euro-Asia<br />

Institute), Maria do Céu Pinto (Universidade do Minho, Braga), Kiyul Chung (Università Tsinghua,<br />

Pechino), Michel Chossudovsky (University of Ottawa), David Cumin (Université Jean Moulin Lyon<br />

III), Marcelo Gullo (Escuela Superiore de Guerra, Buenos Aires), Philip Kelly (Emporia State University,<br />

Kansas), Hans Köchler (Università di Innsbruck), Luiz A. da Vianna Moniz Bandeira (Universidade<br />

de Brasilia), Kees van der Pijl (University of Sussex, Brighton), Bernardo Quagliotti de Bellis<br />

(Academia de Fuerza Aérea Uruguaya), Ivo Sobral (Universidade “Fernando Pessoa”, Lisbona),<br />

François Thual (Collège Interarmées de Défense, Parigi), Igor R. Tomberg (Accademia delle Scienze<br />

Russa), Andrej Volodin (Accademia delle Scienze Russa).<br />

REVISORI PARITARI DI GEOPOLITICA NEL BIENNIO 2012-2013: ABDOLMOHAMMADI Pejman<br />

(Università degli Studi di Genova), ABENANTE Diego (Università degli Studi di Trieste), ALESSANDRI<br />

Emiliano (German Marshall Fund of the United States), ANDRIOLO Giovanni (IsAG), BAGNATO Sara<br />

(IsAG), BRUNELLO ZANITTI Francesco (Osmania University), CARPENTIER DE GOURDON Côme<br />

(Jamia Millia Islamia), CARTENY Andrea (Sapienza – Università di Roma), CARVAJAL ARAVENA<br />

Patricio (Universidad de Playa Ancha – Valparaiso), CITATI Dario (IsAG), COZZI Tommaso (Università<br />

Pontificia Regina Apostolorum), DELL’ERA Tommaso (Università degli Studi della Tuscia – Viterbo),<br />

DEMIR Firat (University of Oklahoma), DI DONATO Marco (Università di Napoli L’Orientale), DIODATO<br />

Emidio (Università per Stranieri di Perugia), FATIGATI Franco (Sapienza – Università di Roma), FELLI<br />

Chiara (IsAG), GALLINA Fabio (Università degli Studi di Messina), GRAZIANI Tiberio (IsAG), LAHN<br />

Glada (Chatham House), LEONE Francesco G. (IsAG), LEOPARDI Alessandro (IsAG), LONGO Pietro<br />

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Vol.IV, N˚1 – Gennaio-Giugno 2015<br />

G E R E N Z A<br />

(Università di Napoli L’Orientale), MARCONI Matteo (Università degli Studi di Sassari), MASINI<br />

Federico (Sapienza – Università di Roma), MENNINI Bianca Maria (Università degli Studi di Milano-<br />

Bicocca), PASTORI Gianluca (Università Cattolica del Sacro Cuore), POMPEJANO Daniele (Università<br />

degli Studi di Messina), PORTO Massimiliano (IsAG), ROCCISANO Francesca (Università per Stranieri<br />

“Dante Alighieri”), SCALEA Daniele (IsAG), SIMONI Marcella (Università Ca’ Foscari – Venezia),<br />

SOBRAL Ivo (Universidade Fernando Pessoa), STILO Alessio (IsAG), VANOLO Alberto (Università<br />

degli Studi di Torino), VERGA Enrico (IsAG), ZAVINOVSKIJ Konstantin (IsAG).<br />

<strong>Geopolitica</strong> è la rivista dell'Istituto di Alti Studi in <strong>Geopolitica</strong> e Scienze Ausiliarie (IsAG) di Roma.<br />

L'IsAG è un'associazione di promozione sociale riconosciuta come ente internazionalistico dal<br />

Ministero degli Affari Esteri della Repubblica Italiana.<br />

<strong>Geopolitica</strong> è riconosciuta come “rivista scientifica” per le Aree 11, 13 e 14 dall'Agenzia Nazionale<br />

per la Valutazione dell'Università e della Ricerca (ANVUR).<br />

SEZIONI E CONTRIBUTI: <strong>Geopolitica</strong> applica la revisione paritaria doppio-cieco<br />

(double-blinded peer review) a opera di esperti. La lista dei revisori è pubblicata<br />

biennalmente. Gli articoli sottoposti a revisione paritaria sono contrassegnati da un<br />

apposito marchio e inseriti nella sezione “Focus”, se attinenti al tema monografico del numero, o<br />

in quella “Orizzonti”. Articoli di commento e dibattito, non sottoposti a revisione paritaria, sono inseriti<br />

nella sezione omonima (“Commenti e dibattiti”).<br />

Per proporre contributi: http://www.geopolitica-rivista.org/collabora<br />

COLLEGAMENTI ALLA RETE INTERNET: Per motivi di spazio e per renderne più agevole la consultazione,<br />

<strong>Geopolitica</strong> codifica in forma abbreviata tutti gli indirizzi alla rete Internet utilizzando il<br />

servizio “Google URL Shortener”. Per consultare una fonte in Internet è sufficiente digitare l'indirizzo<br />

codificato nell'apposita barra del proprio programma di navigazione, che rimanderà automaticamente<br />

a quello originale.<br />

SUPPORTI TELEMATICI: IsAG e <strong>Geopolitica</strong> dispongono di una serie di supporti telematici per<br />

aggiornamenti sull'attualità, informazioni sull'attività dell'Istituto, contenuti multimediali e spazi di<br />

dialogo:<br />

– Sito dell'Istituto: http://www.istituto-geopolitica.eu<br />

– Sito della Rivista: http://www.geopolitica-rivista.org<br />

– Pagina Facebook dell'Istituto: http://www.facebook.com/isageopolitica<br />

– Pagina Facebook della Rivista: http://www.facebook.com/<strong>Geopolitica</strong>Rivista<br />

– Pagina Twitter dell'Istituto: http://twitter.com/Ist<strong>Geopolitica</strong><br />

– Pagina Twitter della Rivista: http://twitter.com/<strong>Geopolitica</strong>R<br />

– Canale YouTube: http://www.youtube.com/user/GEOPOLITICArivista<br />

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Cognome:<br />

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A B B O N A?<br />

M E N T I<br />

ABBONAMENTO E RINNOVO – 4 NUMERI<br />

ITALIA: (20% di sconto) 70,50€ – ITALIA RINNOVO: (oltre il 30% di sconto, se entro l’anno<br />

della scadenza) 59,50€ – UNIONE EUROPEA: 88,00€ – RESTO DEL MONDO: 120,00€<br />

SOSTENITORE: 150,00€ / 200,00€ / 250,00€ / 500,00€<br />

(dà diritto allo sconto del 25% del costo di copertina dei Quaderni di <strong>Geopolitica</strong>)<br />

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ULTIMI 3 N O SUL RETRO<br />

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7 del suddetto decreto, chiedere quali sono i Suoi dati sottoposti a trattamento, le modalità del loro utilizzo e potrà<br />

chiedere la correzione, cancellazione od opporsi al trattamento stesso tramite richiesta, inviata per raccomandata a<br />

Avatar Éditions quale titolare dei dati.<br />

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seguente a quello attualmente in commercio.<br />

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E D I T O R I A L E<br />

La nuova “<strong>Geopolitica</strong>” (semestrale)<br />

Tiberio Graziani & DanieLe ScaLea<br />

Direttore & Condirettore<br />

Giunta al suo quarto anno di vita, la rivista <strong>Geopolitica</strong> diviene, da<br />

trimestrale ch’era in origine, semestrale. non si tratta di un suo<br />

ridimensionamento né, tanto meno, della cronaca d’una sconfitta:<br />

al contrario. L’istituto di alti Studi in <strong>Geopolitica</strong> e Scienze ausiliarie<br />

(isaG) – il quale, nel frattempo, è stato riconosciuto come “ente<br />

internazionalistico” dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione<br />

internazionale (Maeci) – nel 2012 la creò con l’ambizione di<br />

farne un punto di riferimento per il dibattito, prima di tutto scientifico,<br />

sulla geopolitica in italia. Tale proposito ha avuto un successo così ampio<br />

e rapido da costringere l’istituto a rivedere alcuni aspetti formali di <strong>Geopolitica</strong>.<br />

Tra essi si possono citare: la revisione paritaria doppio-cieco (il più<br />

elevato standard internazionale di valutazione scientifica) applicata a<br />

tutti gli articoli pubblicati (eccezion fatta solo per quelli di commento e<br />

dibattito); l’inclusione di metadati in lingua inglese (title, abstract e keywords)<br />

per favorire il reperimento, la catalogazione e la diffusione internazionale<br />

degli articoli; la curatela di numeri monografici affidata a studiosi<br />

riconosciuti. Si tratta di uno standard elevato che difficilmente si<br />

potrebbe soddisfare pubblicando un numero di quasi 300 pagine ogni<br />

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E D I T O R I A L E<br />

SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL'UNIONE EUROPEA<br />

tre mesi. Da qui la decisione di passare alla cadenza semestrale, privilegiando<br />

la qualità alla quantità.<br />

a provare e sancire il successo di <strong>Geopolitica</strong> è il riconoscimento,<br />

avvenuto nel 2014, da parte dell’agenzia nazionale di Valutazione del<br />

sistema Universitario e della ricerca (anVUr). Quest’ente pubblico e<br />

ufficiale, a seguito della valutazione compiuta da arbitri anonimi, ha inserito<br />

<strong>Geopolitica</strong> negli elenchi delle riviste scientifiche di ben tre aree<br />

disciplinari: la 11 (Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche),<br />

la 13 (Scienze economiche e statistiche) e la 14 (Scienze politiche<br />

e sociali). Un successo che, ponendo in disparte ogni falsa modestia,<br />

possiamo considerare ragguardevole per una rivista così giovane, impegnata<br />

in una scienza spesso misconosciuta e che non è espressione di università<br />

o società scientifiche.<br />

Tale riconoscimento non può che spingerci a elevare senza posa lo<br />

statuto scientifico di <strong>Geopolitica</strong>, con la non dissimulata ambizione di<br />

farne il punto di riferimento per i cultori della scienza geopolitica in<br />

italia.<br />

8<br />

il cambio di periodicità di <strong>Geopolitica</strong> non influenza gli abbonamenti<br />

in vigore. chi aveva sottoscritto l'abbonamento “annuale” per 4 numeri,<br />

continuerà a ricevere fino al quarto numero: semplicemente, ciò si completerà<br />

in due anni anziché in uno. D'ora in avanti la formula di abbonamento<br />

continuerà ad essere di 4 numeri, dunque biennale.<br />

Siamo consci che, per quanto la trattazione scientifica della materia<br />

sia imprescindibile per una sua corretta evoluzione verso una matura capacità<br />

d'analisi e riflessione, alcuni lettori potrebbero preferire un piglio<br />

più pratico e divulgativo. Per costoro esiste già da tempo un'altra serie, i<br />

Quaderni di <strong>Geopolitica</strong>, giunta ormai al quinto volume. È tuttavia nostra<br />

profonda convinzione che i due strumenti non siano alternativi, bensì<br />

complementari: affiancare la lettura scientifica di <strong>Geopolitica</strong>, col suo<br />

rigore teorico e metodologico, a quella divulgativa dei Quaderni, maggiormente<br />

legata all'attualità, costituisce la giusta miscela formativa-informativa<br />

che isaG vuole offrire agli studiosi e appassionati della materia.<br />

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N O T A D E L C U R A T O R E<br />

Sicurezza: Il concetto<br />

nel Diritto Internazionale<br />

e dell’Unione Europea<br />

PaoLo barGiaccHi<br />

Università degli Studi Kore di Enna,<br />

Professore Ordinario di Diritto Internazionale<br />

Gli scritti giuridici raccolti appositamente per questo numero di<br />

<strong>Geopolitica</strong> hanno come punto di riferimento della loro indagine<br />

e riflessione il concetto di «sicurezza» nel diritto internazionale<br />

e dell’Unione europea. il concetto, parte integrante della stessa essenza<br />

delle relazioni politiche e giuridiche internazionali, incontra nella prassi,<br />

anche giurisprudenziale, e nella dottrina sempre più diffusa elaborazione<br />

ed applicazione al punto da rappresentare ormai una sorta di parametro<br />

generale per numerosi istituti, meccanismi e concetti. Senza dimenticare,<br />

poi, la pretesa politica di una parte degli Stati di cristallizzare, nella società<br />

internazionale, la nozione di «sicurezza umana» in punto di diritto così<br />

da ridiscutere, dopo averla affiancata alle “classiche” dimensioni della sicurezza<br />

internazionale e nazionale, in modo anche incisivo norme fondamentali<br />

dell’attuale ed ancora vigente sistema giuridico come il divieto<br />

di uso della forza e quello di ingerenza negli affari interni dello Stato.<br />

Queste linee tendenziali di possibile evoluzione dell’ordinamento internazionale<br />

suggeriscono dunque l’opportunità di una prima riflessione<br />

collettanea sul concetto di «sicurezza» che sappia, da molteplici e diversi<br />

punti di vista, cogliere i principali elementi di interesse in vista di successive<br />

e più organiche elaborazioni.<br />

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N O T A D E L C U R A T O R E<br />

SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

10<br />

in tale ottica colleghi ed esperti<br />

italiani e stranieri hanno affrontato<br />

profili attinenti alla sicurezza<br />

che, in alcuni casi, sono<br />

oggetto di rivisitazione, anche critica,<br />

e sviluppo progressivo (ad esempio,<br />

l’interazione tra sistemi in<br />

un ambiente giuridico ormai così<br />

interdipendente da riqualificare la<br />

stessa scelta della legge applicabile<br />

come un momento di “geopolitica<br />

del diritto” capace di incidere sulla<br />

sicurezza dei rapporti commerciali,<br />

e quindi politici, internazionali;<br />

oppure l’alto rappresentante<br />

dell’Unione europea per gli affari<br />

esteri e la Politica di Sicurezza; o,<br />

ancora, la necessità di un nuovo<br />

approccio al tema della sicurezza<br />

nazionale ed internazionale dopo<br />

l’11 settembre) o che, in altri casi,<br />

sono all’attenzione di politici e<br />

giuristi per gli effetti che possono<br />

determinare (o hanno già determinato)<br />

in termini di ampliamento<br />

o riduzione della sfera giuridica di<br />

sicurezza degli individui e degli<br />

Stati (si pensi all’uso dei droni, al<br />

terrorismo informatico e alla sicurezza<br />

energetica) oppure che, in<br />

altri casi ancora, impongono a<br />

quegli stessi politici e giuristi di<br />

ricercare soluzioni a minacce per<br />

la sicurezza che provengono da un<br />

futuro non troppo remoto (si<br />

pensi all’iniziativa dell’Ambassador<br />

for Responsibility on Climate<br />

Change lanciata da Palau per<br />

richiamare l’attenzione degli altri<br />

Stati e, auspicabilmente, della<br />

corte internazionale di Giustizia<br />

sugli effetti del cambiamento climatico<br />

che minacciano la stessa “sicurezza<br />

di esistere” del piccolo<br />

Stato del Pacifico) o di introdurre<br />

correttivi ed innovazioni per una<br />

più efficiente gestione dei meccanismi<br />

di sicurezza collettiva (ad<br />

esempio, la creazione di un Administrative<br />

Reserve Corps delle<br />

nazioni Unite per le missioni di<br />

peacekeeping) anche alla luce dei<br />

risultati non soddisfacenti conseguiti<br />

a livello internazionale (l’inerzia<br />

delle nazioni Unite dinanzi<br />

la crisi siriana) e di Unione europea<br />

(la missione eULeX in<br />

Kosovo).<br />

L’auspicio è di essere riusciti<br />

ad offrire un quadro che, pur nella<br />

frammentarietà inevitabilmente<br />

dovuta ai limiti di spazio e di scopo<br />

di questo lavoro, possa consentire<br />

al lettore di cogliere utili spunti di<br />

riflessione su un tema – quello<br />

della «sicurezza» – che caratterizzerà,<br />

nel bene e nel male, le relazioni<br />

internazionali nei prossimi<br />

decenni e, con esse, anche lo<br />

sviluppo della scienza giuridica internazionalistica<br />

ed europea.<br />

G E O P O L I T I C A – R I V I S T A S E M E S T R A L E D E L L ’ I S A G<br />

V o l . I V , N ˚ 1 G e n . - G i u . , 2 0 1 5


FOCUS: SICUREZZA: DIRITTO INTERNAZIONALE E UE<br />

<strong>Geopolitica</strong> del Diritto e “Scelta della Legge” _______________________13<br />

MaSSiMo Panebianco<br />

a United nations administrative reserve corps ____________________37<br />

JoSePH e. ScHWarTzberG<br />

L’alto rappresentante dell’Unione europea<br />

per gli affari esteri e la Politica di Sicurezza ________________________49<br />

UGo ViLLani<br />

normativa europea in materia di terrorismo informatico ______________59<br />

anna LUcia VaLVo<br />

The ordinary citizen and Drone Wordplay ________________________71<br />

benJaMin G. DaViS<br />

The «ambassador for responsibility on climate change» (arc)<br />

initiative. Looking for an icJ advisory opinion on climate change<br />

and international State responsibility ____________________________89<br />

eLiSa baroncini<br />

Sicurezza energetica e diritto internazionale dell’energia ______________109<br />

FranceSco bUonoMenna<br />

L’Unione europea e la promozione della sicurezza<br />

nell’america centrale e nei caraibi______________________________121<br />

cLaUDia reGina carcHiDi<br />

What boundaries of european Security: Political versus economic?______127<br />

TereSa rUSSo


il grande bluff: Tutela dei diritti umani e<br />

sicurezza interna nell’ordinamento giuridico europeo ________________139<br />

aLeSSanDro ToMaSeLLi<br />

L’estensione del mandato di eULeX in Kosovo<br />

e la “nuova” exit strategy dell’Unione europea ______________________153<br />

ezio beneDeTTi<br />

La necessità della sicurezza ____________________________________167<br />

carLo bUono<br />

La crisi umanitaria in Siria e l’inerzia delle nazioni Unite _____________183<br />

anTonieTTa PiacQUaDio


SICUREZZA: DIRITTO INTERNAZIONALE E UE<br />

F O C U S<br />

<strong>Geopolitica</strong> del Diritto e<br />

“Scelta della Legge”<br />

MaSSiMo Panebianco<br />

Università degli Studi di Salerno,<br />

Professore Ordinario di Diritto Internazionale<br />

GEOPOLITICS OF LAW AND THE “CHOICE OF LAW”. Global commercial law<br />

is the new qualification for international commercial law. Accordingly, this article<br />

deals with the universal space or the geopolitics of foreign commerce among different<br />

States and it underlines the main principles and rules governing the choice of law. In<br />

particular, the choice of law means the electio legis of a single legal order or, on the<br />

contrary, the adoption of a jus commune that might apply to various commercial<br />

and/or financial contracts among merchants and/or consumers of different States. As<br />

a result, it must be highlighted the limits of the so-called lex mercatoria when the<br />

choice of law made by commercial operators is at the crossroads because it has to confront<br />

with the peremptory rules of the so-called public choice that are imposed and<br />

shaped by the political objectives advanced and protected by each State of the international<br />

Community. Furthermore, the article analyzes the role of international organizations<br />

in shaping uniform rules regulating international commercial contracts.<br />

In this regard, a special focus is devoted to the so-called “comunitarization” of private<br />

international law pursued through the adoption of common regulations among EU<br />

Member States that are often interconnected as, for instance, the Regulation (EC) No.<br />

593/2008 (the so-called Regulation “Roma I”) and the Regulation EC No. 44/2001<br />

(the so-called “Bruxelles I”), now recasted into Regulation EU No. 1215/2012 (“Bruxelles<br />

I-bis”). Finally, the article identifies some particular categories of contracts that<br />

should be considered “protected” (insurance, consumer, transport, labor, etc.) because<br />

they require uniform rules in order to be efficiently applied.<br />

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V o l . I V , N ˚ 1 G e n . - G i u . , 2 0 1 5


F O C U S<br />

SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

KEYWORDS: CHOICE OF LAW • GEOPOLITICS OF FOREIGN COMMERCE • GLOBAL COMMERCIAL LAW<br />

GEOPOLITICA DEL DIRITTO E FORMAZIONE DELLO SPAZIO<br />

GIURIDICO COMMERCIALE UNIVERSALE MEDIANTE NORME<br />

DI RINVIO CONFORME AL DIRITTO STATALE APPLICABILE<br />

14<br />

con l’espressione corrente di “geo-diritto” si intende la geo-politica<br />

e la geo-economia degli ordinamenti giuridici in una società<br />

commerciale globalizzata. in tale ottica la pacificazione fra le<br />

leggi statali può avvenire solo attraverso la limitazione o esecuzione dei<br />

loro conflitti, affidata alla competenza degli Stati a partire dal loro spazio<br />

nazionale, ovvero dalle unioni organizzate di Stati a partire dallo spazio<br />

europeo o di maggiori gruppi organizzati a livello internazionale. Una<br />

terza ed ultima soluzione è quella di eliminare alla radice la stessa possibilità<br />

di un conflitto di leggi, delegando tali compiti ad autonomi legislatori<br />

privati internazionali, agenti come attori contrattuali, chiamati a<br />

mediare tra “scelta della legge” (choice of law) ed inevitabili politiche pubbliche<br />

(public choice), muovendosi con una qualche abilità nel mondo<br />

delle leggi regolatrici dei vari mercati (commerciali, finanziari, monetari<br />

e marittimi internazionali). Uno spazio universale dei conflitti di leggi,<br />

appartenenti a Stati diversi, presuppone l’esistenza di un diritto uno ed<br />

unico per il regolamento effettivo di tali conflitti. Tali norme risultano<br />

essere in larghissima parte conformi al modello classico o dominante,<br />

proprio delle norme di conflitto sia nazionali sia europee e in un certo<br />

senso ne ripetono la natura e le finalità. Le stesse, aperte come sono alla<br />

possibilità di richiamare, all’occorrenza, il diritto proprio di uno Stato<br />

estero, distinto da quello nazionale o comunque esterno a quello proprio<br />

dell’Unione europea.<br />

Questo modello classico non è certamente nato da poco tempo e si<br />

è consolidato almeno attraverso tre fasi evolutive. esse, notoriamente,<br />

sono quelle del “diritto comune dell’area del Mediterraneo” antico e premoderno,<br />

nonché del “diritto comune europeo” moderno, ed infine il<br />

“diritto comune dell’umanità” o diritto globale della comunità internazionale<br />

intesa nel suo complesso 1 .<br />

nella prima fase, come è noto, nacque l’idea che il diritto comune<br />

fosse capace a garantire insieme l’unità del diritto ma pure la molteplicità<br />

o pluralità dei diritti diversi secondo la dicotomia tra jus commune e jus<br />

civile gentium. É solo nel secondo periodo del diritto comune europeo,<br />

come insieme di Stati nazione, che tale particolare settore dell’ordinamento<br />

assume una denominazione propria ed autonoma, utilizzando<br />

formule pressappoco equivalenti nel linguaggio giuridico (“conflitti di<br />

leggi” o “diritto internazionale privato”). Tale visione generale permane<br />

anche nella fase attuale, propria di uno spazio “globale”, comune a minori<br />

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F O C U S<br />

GEOPOLITICA DEL DIRITTO E “SCELTA DELLA LEGGE”<br />

o particolari spazi nazionali o continentali interconnessi. come in precedenza,<br />

in quest’ultima come nelle fasi precedenti, l’intero mondo del<br />

diritto si presenta come lo spazio proprio e vitale, all’interno del quale il<br />

principio fondamentale della coesistenza consente di assicurare il rispetto<br />

del diritto di ciascuno Stato e dei vari individui. Tecnicamente il mondo<br />

del diritto funziona come un sistema di conformità dal generale al particolare<br />

e viceversa.<br />

Sempre nella dottrina classica del secolo scorso, molto si è discusso,<br />

ma quasi sempre con risultati convergenti, circa il metodo migliore per<br />

raggiungere tale obbiettivo di conformità (c.d. conformizzazione) della<br />

società giuridica internazionale e del suo relativo spazio commerciale<br />

universale 2 . indubbiamente, le esigenze comunitarie possono essere meglio<br />

perseguite mediante regole comuni di diritto internazionale privato<br />

(leggi e codici statali) e di diritto internazionale pubblico (convenzioni<br />

e trattati internazionali concordati o pre-concordati fra due o più Stati).<br />

Ma gli stessi obbiettivi possono essere perseguiti mediante norme speciali,<br />

capaci di considerare ciascun legislatore come uno “specialista nel suo<br />

campo”, e perciò capace di conformarsi alla pluralità delle situazioni, sia<br />

quelle localmente ubicate (c.d. interne), sia quelle delocalizzate all’estero<br />

(c.d. esterne o estranee). nell’uno come nell’altro caso la via del diritto<br />

uno ed unico (unum jus) passa sempre attraverso i percorsi più difficili<br />

delle multae leges. Di qui l’esigenza ultima e finale, espressa proprio nella<br />

società globale, di dar vita ad un nuovo “universalismo giuridico”, di progressiva<br />

sostituzione delle leggi nazionali con una legge di contenuto<br />

unico con un numero crescente di settori della vita privato-commerciale<br />

(una lex). Tale universalismo risulta ormai consolidato in civil law ed in<br />

common law 3 e di esso bisogna occuparsi in tutte le sue attuali implicazioni<br />

4 .<br />

15<br />

DETERMINAZIONE DELLO SPAZIO GIURIDICO COMMERCIALE<br />

MEDIANTE “CLAUSOLE DI UNIVERSALITÀ” DEI REGOLAMENTI<br />

COMUNITARI SULLA LEGGE APPLICABILE<br />

il contributo cruciale e determinante per lo sviluppo parallelo, sia<br />

dell’universalismo, sia del neo-universalismo, proviene proprio dalle c.d.<br />

clausole di universalità presenti nei regolamenti comunitari europei regolatori<br />

della contrattualistica internazionale privato-commerciale europea<br />

(art. 2 del regolamento sulle obbligazioni contrattuali ed art. 3<br />

del regolamento sulle obbligazioni non contrattuali). Le stesse sono<br />

espressione di un diritto unico e condiviso, ormai vincolato all’adozione<br />

di uniformi norme di conflitto ed, altresì, di uniformi regole di diritto<br />

materiale o sostanziale. Detto in altri termini, la loro dichiarata uniformità<br />

consiste tanto sulla sostituzione al legislatore statuale (c.d. destatualizzazione),<br />

quanto e soprattutto della europeizzazione o comunitariz-<br />

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V o l . I V , N ˚ 1 G e n . - G i u . , 2 0 1 5


F O C U S<br />

SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

16<br />

zazione mediante l’armonizzazione sul doppio versante, sia delle norme<br />

di conflitto che del diritto sostanziale 5 .<br />

il fenomeno della uniformizzazione, intesa in senso euro-comunitario,<br />

risulta sul doppio versante intra ed extra-comunitario, proprio<br />

dalle espressioni utilizzate nei predetti regolamenti. “norme uniformi”<br />

sono quelle di introduzione dei capi o capitoli sulla legge applicabile alle<br />

obbligazioni contrattuali e non (vedi il capo ii del regolamento<br />

593/2008). così come di carattere universale è dichiarata l’intera sfera<br />

di applicazione comunitaria, allorché si determini il suo ambito comune<br />

a Stati membri o non-membri dell’Unione. altrimenti, il regolamento si<br />

applica anche ove la legge destinata non sia quella di uno Stato membro<br />

(così l’art. 2 del regolamento 498/2008 e tout court l’art. 3 del regolamento<br />

864/2007).<br />

L’estensione dell’applicazione della regolamentazione euro-comunitaria,<br />

allargata anche a Paesi estranei all’Unione, risulta giustificata<br />

dagli stessi principi generali dei conflitti di leggi nella specifica materia<br />

dei contratti. Tali principi appartengono alla tradizione degli stessi paesi<br />

di common law, fondato anche esso da sempre sul c.d. diritto comune romano,<br />

secondo la nota formula del so called jus commune romanum. Proprio<br />

nella suddetta materia contrattuale, si è da sempre considerato come<br />

i due specifici principi del diritto dei contratti internazionali si muovano<br />

come un pendolo tra i due estremi della lex loci contractus rispetto a<br />

quello della lex loci destinatae solutionis. ciò corrisponde esattamente ai<br />

due precedenti ed originari testi romanistici del Digesto (L. 44-Vii, 1-<br />

21), su cui si è esercitata da sempre la dottrina, secondo le altrettanto<br />

note formule della giurisprudenza commerciale internazionale espressa<br />

nella formulazione di esecuzione iniziale (ubi verba prolata o proferta) o<br />

finale (ubi solutio destinata est) dello stesso contratto. ciò premesso, una<br />

volta affermati tali principi, comuni al civil ed al common law, diventa<br />

solo una conseguenza l’aspetto applicativo, verificare se una certa relazione<br />

contrattuale sia maggiormente inserita nell’ambito di uno o altro Stato e<br />

se come risultato finale diventa facile accertare quali siano i diritti soggettivi<br />

acquisiti insieme ai corrispondenti obblighi, o meglio, si riesce ad individuare<br />

quali siano stati i rapporti contrattuali e le relative situazioni<br />

soggettive attive e passive, secondo questa o quella legge statale concretamente<br />

applicabile (c.d. acquired rights).<br />

DETERMINAZIONE DELLO SPAZIO GIURIDICO COMMERCIALE<br />

MEDIANTE NORME UNIFORMI DI SOLUZIONE<br />

GIURISDIZIONALE E ARBITRALE DELLE CONTROVERSIE<br />

ai fini del riconoscimento internazionale dei diritti soggettivi si applicano<br />

complessivamente leggi, convenzioni internazionali e norme di<br />

diritto euro-comunitario primarie o secondarie, sia di carattere processuale<br />

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GEOPOLITICA DEL DIRITTO E “SCELTA DELLA LEGGE”<br />

che sostanziale 6 . Solo queste ultime, invero, possono assicurare sia in<br />

sede giudiziaria che arbitrale, un vero e proprio riconoscimento non solo<br />

conforme o uniforme, ma soprattutto effettivo degli stessi. Trattasi delle<br />

norme concernenti il c.d. contenzioso internazionale in materia civile e<br />

commerciale, suddiviso per tradizione e condiviso in comparti ormai divenuti<br />

classici (giurisdizione; competenza; riconoscimento delle sentenze<br />

straniere). cosicché solo in virtù e per effetto dell’esercizio della giurisdizione,<br />

possono essere concretamente applicati i due tipi di norme uniformi<br />

indicate in precedenza, sia quelle di richiamo di una legge statale<br />

(norme di conflitto), sia quelle non-statali o materiali (norme di nonconflitto)<br />

7 .<br />

Le norme uniformi di determinazione dei confini dello spazio<br />

giuridico del commercio internazionale sono proprie del diritto processuale<br />

civile di fonte triplice: a) nazionale; b) europea; c) internazionale.<br />

esse perseguono il comune obbiettivo di determinare l’ambito della<br />

giurisdizione dei giudici nazionali rispetto a quello dei giudici stranieri,<br />

fissandone i relativi rapporti di coordinamento, nonché le ipotesi di esclusione<br />

e di contemporanea applicazione dipendente da connessione,<br />

nonché le modalità per l’accertamento del difetto della giurisdizione interna<br />

a favore di quella estera (si vedano gli artt. 3-12 della Legge n.<br />

218/199). occorre osservare come tale complessa disciplina di determinazione<br />

dello spazio giuridico internazionale sia comprensiva della giurisdizione<br />

ordinaria insieme a quella arbitrale. Tale equiparazione è espressamente<br />

regolata dalla legge italiana, ai fini della accettazione e della<br />

deroga alla giurisdizione nazionale, mediante clausole compromissorie e<br />

compromessi di arbitrato (art. 4, par. 4, della Legge n. 218/1995 che<br />

rinvia alla convenzione di new York del 10 giugno 1958 sul riconoscimento<br />

e l’esecuzione delle sentenze arbitrali straniere). É da notare come<br />

ai sensi dell’art. 11, co. 2, della Legge n. 218/1995 la rilevabilità d’ufficio<br />

del difetto di giurisdizione italiana in favore di giudici esteri, risulta<br />

soggetta ad un singolare ampliamento di portata più ampia rispetto a<br />

quella delle sole convenzioni internazionali. a chiusura di tale organico<br />

quadro normativo, infatti, il legislatore italiano non ha ritenuto di includere<br />

le disposizioni apposite di rinvio necessario alle disposizioni sul<br />

riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze arbitrali straniere, sul presupposto<br />

avvenuto rinvio formale come rinvio in sede di fissazione di<br />

limiti nazionali alla giurisdizione italiana (si veda tale omissis nel Titolo<br />

iV, artt. 64-71 della Legge n. 218/1995, sotto la rubrica “efficacia di<br />

sentenze e di atti stranieri”).<br />

Da parte loro le norme di diritto processuale europeo perseguono<br />

gli stessi obbiettivi di uguaglianza tra ambiti di giurisdizione dei giudici<br />

degli Stati membri dell’Unione europea e di trattamento delle relative<br />

forme di processo e di riconoscimento di esecuzione delle rispettive sentenze<br />

ed atti. non contengono però, e con eccezioni molto limitate,<br />

17<br />

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SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

18<br />

clausole di universalità in favore di giudici di Stati terzi non membri dell’Unione<br />

europea e, soprattutto, escludono di applicarsi in materia di<br />

compromessi arbitrali e di clausole compromissorie della stessa natura,<br />

esterni all’Unione europea, concentrata sui soli mezzi di soluzione delle<br />

controversie di commercio interne al territorio unionistico, sia di natura<br />

giurisdizionale che non giurisdizionale (alternative disputes resolution),<br />

sia di natura specifica o mista (c.d. media-conciliazione, med-arbitration)<br />

ed ancora altre forme atipiche (mini-trial e settlements board, forme paraarbitrali<br />

assolutamente prive di carattere di universalità). Da tale punto<br />

di vista, le regole processuali europee perseguono un obbiettivo comune<br />

di uniformità di trattamento nella soluzione delle controversie civilicommerciali,<br />

in quanto tendono a impedire o minimizzare i conflitti di<br />

giurisdizione fra giudici di due o più Stati dell’Unione, incidenti non<br />

solo sui tempi, luoghi e costi dei processi, quanto soprattutto sulla certezza<br />

e prevedibilità della soluzione delle medesime controversie nel loro<br />

merito (c.d. decisum e causa decidendi).<br />

Dal punto di vista della fonte normativa europea, regolatrice delle<br />

indicate questioni di procedura civile, la disciplina è ora fissata dal regolamento<br />

n. 1215/2012 del 12 dicembre 2012 (c.d. “regolamento<br />

bruxelles i-bis”) che, dal 10 gennaio 2015, procederà alla rifusione del<br />

regolamento n. 44/2001 del 12 dicembre 2000 (il c.d. “regolamento<br />

bruxelles i”, già “erede” ratione temporis della precedente convenzione<br />

del 27 settembre 1968). La sfera di applicazione del “regolamento bruxelles<br />

i” risulta ora parzialmente allargata dalla successiva convenzione di<br />

Lugano del 30 ottobre 2007, stipulata con alcuni Stati membri confinanti<br />

dell’eFTa (European Free Trade Association, Svizzera, islanda, norvegia).<br />

Si conferma che il coefficiente di universalità delle due discipline parallele<br />

“bruxelles” e “Lugano” risulta minore di quello previsto dalla Legge italiana<br />

n. 218 del 31 maggio 1995, applicabile ex art. 3, par. 2, anche «allorché<br />

il convenuto non sia domiciliato in uno Stato contraente» (rectius:<br />

«Stato membro dell’Unione europea»). Tale soluzione favorevole all’estensione<br />

dell’ambito di applicazione del “regolamento bruxelles i”,<br />

condizionata ad una autorizzazione legislativa su base nazionale, ad opera<br />

di singoli Stati membri, risulta appositamente confermata proprio dalla<br />

modifica del regolamento n. 44/2001 avvenuta nel 2012 (si vedano i<br />

Considerando n. 23 e n. 24 del regolamento concernenti le decisioni di<br />

Stati terzi nell’Unione europea).<br />

ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI COMPETENTI<br />

ALLA PRODUZIONE DI NORME UNIFORMI REGOLATRICI<br />

DEI CONTRATTI COMMERCIALI INTERNAZIONALI<br />

Sempre allo scopo di definire lo spazio giuridico commerciale, altre<br />

organizzazioni internazionali, sia regionali che europee o universali, uti-<br />

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GEOPOLITICA DEL DIRITTO E “SCELTA DELLA LEGGE”<br />

lizzano norme uniformi, allo scopo di regolare uno strumento ad hoc,<br />

rivelatosi particolarmente idoneo a regolare conflitti di giurisdizione insieme<br />

a conflitti di leggi. Trattasi di un vero e proprio settore in progressiva<br />

espansione, denominato “diritto dei contratti internazionali”, intesi come<br />

negozi a “doppia veste”, idonei a dare forma all’accordo delle parti. Trattasi<br />

di negozi processuali destinati a regolare aspetti della giurisdizione e,<br />

viceversa, di negozi sostanziali destinati a disciplinare aspetti vari, generali<br />

del contratto o particolari di contratti speciali o specifici, mirati a coprire<br />

la vasta gamma dei più vari aspetti dei rapporti commerciali internazionali,<br />

sotto l’imperio di una disciplina inter partes.<br />

nel contesto della valorizzazione delle parti operanti nel commercio<br />

internazionale, proprio un’importante norma europea, contenuta nel<br />

predetto “regolamento bruxelles i” (art. 5, n. 1), riserva alle parti di un<br />

contratto di attribuire competenza ai giudici del luogo in cui l’obbligazione<br />

contrattuale è stata o deve essere eseguita (lex fori destinatae<br />

solutionis, specificato anche come lex loci traditionis ovvero della consegna<br />

prevista o effettuata di un bene venduto o di un servizio reso da un<br />

soggetto contraente). La soluzione adottata appare particolarmente utile,<br />

ai fini di individuare un luogo utile e certo di esecuzione dell’obbligazione,<br />

soprattutto nella eventualità di due o più luoghi di esecuzione della<br />

stessa. Tale problematica resta peraltro di attualità al livello universale,<br />

anche in sede di interpretazione di convenzioni delle nazioni Unite<br />

(come quella del 1980 sulla vendita internazionale di beni mobili o<br />

“convenzione di Vienna”).<br />

Un discorso diverso deve farsi circa l’idoneità dei contratti a stabilire<br />

la lex generalis. invero, lo strumento contrattuale, per sua stessa natura e<br />

finalità, è idoneo a produrre lex specialis (proper law) 8 . Pertanto i tentativi<br />

prodotti da organismi internazionali, governativi o non-governativi, non<br />

sembrano allo stato coronati da successo nel primo dei due sensi indicati.<br />

alludiamo, per esempio, al prospetto di un “codice europeo dei contratti”<br />

(commissione della comunità europea, 2002) e ai più limitati “Principi<br />

UniDroiT” sui contratti commerciali internazionali 9 . Viceversa, nell’altro<br />

settore del diritto internazionale uniforme dei contratti speciali,<br />

lo sforzo di produzione normativa risulta ormai da tempo avanzato ed<br />

appare degno di esposizione approfondita nel contesto del c.d. “geodiritto”<br />

politico ed economico dei contratti internazionali di settore.<br />

19<br />

UNIFICAZIONE DEL DIRITTO<br />

DEI CONTRATTI INTERNAZIONALI<br />

MEDIANTE DIRITTO MATERIALE UNIFORME<br />

al livello del diritto euro-comunitario il diritto uniforme dei contratti<br />

speciali privilegia una serie tipica di settori chiamati “protetti” o<br />

“esclusivi” e, perciò stesso, degni di unificazione normativa. Sono sen-<br />

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SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

20<br />

z’altro settori unificati quelli riguardanti contraenti deboli (assicurazioni,<br />

consumo, lavoro). i fini propri della unificazione talora sono determinati<br />

in appositi allegati ai regolamenti dell’Unione europea, ove si specificano<br />

le norme nazionali unificate per ciascuno Stato membro (si veda, ad esempio,<br />

l’allegato i al regolamento 44/2001 con riferimento agli artt. 3-<br />

4 della Legge 218/1995).<br />

Per quanto riguarda l’unificazione dei “contratti protetti” e delle<br />

relative misure di protezione, si osserva che le stesse perseguono una<br />

generale funzione di riequilibrio in favore della parte debole e di contromisura<br />

nei confronti della parte contrattuale forte. invero, il favor processuale<br />

sussiste solamente per i contratti unificati dal regime protezionistico,<br />

viceversa non previsto per gli altri tipi contrattuali. ciò premesso, si osserva<br />

come a favore del contraente (assicurato o consumatore o lavoratore<br />

subordinato) sono previsti i seguenti tipi di intervento:<br />

a) accesso agevolato alla giustizia mediante diritto d’azione presso<br />

un foro diverso dal domicilio del convenuto assicuratore, venditore,<br />

impresa o professionista, o infine datore di lavoro (artt. 9,<br />

16 e 19 del “regolamento bruxelles i”);<br />

b) resistenza agevolata in giudizio mediante riserva del foro del<br />

proprio domicilio per essere convenuti in giudizio (c.d. beneficio<br />

unilaterale ex artt. 12, 16 e 20);<br />

c) compressione dello jus variandi con limitazione dell’accordo di<br />

proroga della competenza, successiva all’insorgere della controversia<br />

e meno favorevole per la parte più debole (c.d. carattere<br />

“relativamente imperativo” della protezione ex artt. 13, 17 e 21);<br />

d) rifiuto di riconoscimento di sentenze estere nel caso di violazione<br />

di norme protettive da parte di accordi in materia giurisdizionale<br />

(art. 35).<br />

Tale trattamento di favor configura quindi una lex generalis dei contratti<br />

protetti rispetto a quella dei “fori esclusi” ugualmente previsti dal<br />

“regolamento bruxelles i” ma per singoli contratti nominali (artt. 22-<br />

25 come contratti di locazione su beni immobili o contratti di società<br />

commerciali).<br />

CONTRATTI INTERNAZIONALI DI SETTORE<br />

a parte le categorie generali di contratti internazionali, la disciplina<br />

unificatrice di singoli tipi o specie contrattuali discende anch’essa da una<br />

doppia fonte normativa, propria di organismi interstatuali di livello sia<br />

universale che regionale europeo (euro-comunitario). indichiamo i principali<br />

tipi di contratti internazionali soggetti a norme uniformi e, ossia,<br />

da un lato, i contratti di compravendita internazionale di beni mobili,<br />

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GEOPOLITICA DEL DIRITTO E “SCELTA DELLA LEGGE”<br />

trasporto e garanzia e, dall’altro, i contratti dei mercati pubblici di appalti,<br />

forniture e servizi.<br />

con riguardo ai primi (contratti di compravendita internazionale di<br />

beni mobili, trasporto e garanzia), l’unificazione del diritto dei contratti<br />

trova il suo punto nodale nella vendita internazionale di merci, insieme<br />

ai correlati contratti misti o multimodali di trasporto aereo e/o marittimo,<br />

quasi sempre disciplinati da convenzioni promosse nell’ambito delle<br />

nazioni Unite o di suoi istituti specializzati (come l’icao) 10 . Di pari<br />

passo con la prima va la parallela unificazione delle regole sulla circolazione<br />

dei mezzi monetari, finanziari e bancari di garanzia delle obbligazioni<br />

assunte e dei mezzi di pagamento necessari 11 . Senza il collegamento<br />

funzionale tra i due regimi contrattuali predetti, l’intero<br />

meccanismo del commercio internazionale non sussisterebbe, con utilità<br />

dei suoi operatori e regolarità dei rispettivi rapporti (si pensi agli Incoterms<br />

nella ben nota terminologia della camera di commercio internazionale<br />

di Parigi). così come in loro difetto ne risentirebbe l’intero sistema organizzativo<br />

delle reti commerciali delle imprese nei loro rapporti esterni<br />

con i terzi (fornitori e consumatori) 12 . Tale nucleo centrale del diritto<br />

regolatore della circolazione internazionale di merci non eccede ovviamente<br />

l’ambito puramente contrattuale. esso è destinato a coesistere con<br />

regimi legali di necessaria obbligatoria applicazione 13 . Mediante un loro<br />

confronto terminologico fra le prime e le seconde sono insieme di portata<br />

“universale statuale”, in quanto destinate ad evitare il conflitto fra leggi<br />

statuali, eliminandolo alla radice in un modo o nell’altro. ed a tanto si<br />

arriva o mediante una prassi di usi o standard commerciali o ci si affida<br />

al diritto di uno Stato e di uno solo con esclusione degli altri 14 .<br />

con riguardo, invece, ai secondi (contratti dei mercati pubblici di<br />

appalti, forniture e servizi), va evidenziata la loro natura mista o complessa<br />

in quanto contratti internazionali, disciplinati da un doppio regime sia<br />

privato che pubblico, aventi ad oggetti appalti, forniture e servizi. La<br />

loro unica natura deriva dalla specifica peculiarità di una presenza di<br />

soggetti privati (imprenditoriali) ma anche pubblici (concessionari o<br />

committenti) legati da rapporti di reciproca cooperazione internazionale<br />

15 . invero, la par condicio contrattuale dei due soggetti interessati<br />

risulta suscettibile di variazione in favore della parte pubblica grazie all’inserimento<br />

di norme collettive contrattuali, portatrici di “clausole esorbitanti”<br />

dal diritto comune, con le quali riservano anticipatamente<br />

posizioni di privilegio e condizioni potestative di fronte ai contraenti<br />

presenti e futuri 16 . il mercato mondiale dei capitali, in cui quotidianamente<br />

circolano titoli di credito commerciali e finanziari, rappresentano<br />

un tipico esempio di titoli pubblici che si sottopongono a regimi privati<br />

nella loro transizione dai mercati primari (di emissione) ai mercati secondari<br />

(di scambio). ne deriva che la lex mercatoria internazionale dei<br />

21<br />

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SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

mercati pubblici deriva la sua configurazione dalla simultanea applicazione<br />

della legge di due o più Paesi e non più da quella di uno solo di<br />

essi (c.d. multi-state commercial-financial law of contracts).<br />

LEX MERCATORIA COME LEGGE UNIFORME<br />

MEDIANTE CLAUSOLE D’USO<br />

22<br />

Ulteriore ambizione e finalità della prassi e della dottrina del commercio<br />

internazionale resta, peraltro, legata ad una meta consistente in<br />

una vera e propria lex generalis comune a tutti i contratti e derivante dall’esperienza<br />

dei singoli tipi o settori contrattuali esaminati in precedenza.<br />

a parte i riferimenti storici al diritto commerciale dell’epoca medievale<br />

e pre-moderna, con l’espressione lex mercatoria ci si riferisce appunto ad<br />

un sistema totalmente autonomo rispetto al diritto statuale. Lo stesso<br />

viene presentato come il punto di arrivo di un progressivo processo di<br />

emancipazione, elusivo tanto del diritto sostanziale come del diritto<br />

processuale nazionale (c.d. diritto arbitrale alternativo) 17 . Tale processo<br />

si sarebbe ormai ben definito, con riguardo a ciascuno dei tre aspetti indicati<br />

in precedenza, ciascuno dei quali viene indicato in termini di un<br />

progressivo trasferimento nel campo dell’autonomia tanto normativa 18<br />

quanto contrattuale 19 e, soprattutto, arbitrale 20 .<br />

rispetto alla dottrina classica del secolo scorso il diritto del commercio<br />

internazionale, divenuto lex generalis in quanto lex mercatoria,<br />

non si viene più a presentare come diritto speciale, derogatorio o complementare<br />

rispetto al diritto interno statale. al contrario, gli scambi internazionali<br />

di merci e di servizi vengono sottoposti ad una propria legge<br />

uniforme, fatta di pratiche e di usi commerciali condivisi, riuscendo ad<br />

evitare i rischi e gli inconvenienti frapposti dai diritti statali e dai trattati<br />

internazionali multi e bi-laterali. in altre parole lo scambio commerciale<br />

non vive più all’ombra degli Stati, sostituiti in modo più o meno ampio<br />

da meccanismi di formazione spontanea di norme proprie, garantiti da<br />

strutture imprenditoriali multinazionali di “rete”, sotto il controllo pre e<br />

para-giurisdizionale di arbitri indicati ad hoc dalle parti protagoniste di<br />

vere e proprie strategie globali d’impresa.<br />

L’esperienza dei singoli settori dei contratti internazionali ha dimostrato,<br />

in vero, come posseggono ormai un linguaggio ed uno stile<br />

redazionale facilmente riconoscibile come “uniforme”, in ambiti sempre<br />

più definibili al livello sia regionale che universale (legal writing, setting,<br />

reasoning). i c.d. “principi dei contratti internazionali” risultano essere<br />

desumibili dal comportamento contrattuale degli operatori commerciali<br />

come degli arbitri internazionali chiamati a dirimere le alternative controversie<br />

giuridiche. in tal senso la ricerca giuridica dimostra come gli<br />

stessi testi internazionali siano sottoposti ad un’interpretazione uniforme<br />

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anche da parte degli stessi giudici statali o interni, eventualmente chiamati<br />

ad occuparsene nell’ambito della loro competenza giurisdizionale (vedi,<br />

ad esempio, l’art. 2, co. 2, della Legge n. 218/1995) 21 .<br />

DALLA LEGGE DEL CONTRATTO<br />

AL CONTRATTO SENZA LEGGE<br />

ad esito e conclusione di tale processo di “autonomizzazione” normativa<br />

dei contratti internazionali, bisogna ora precisare quali ne siano i<br />

relativi limiti, non altrimenti superabili o inderogabili come “principi<br />

generali (general principles) di diritto processuale che sostanziale. il loro<br />

riconoscimento appare tanto più importante se condiviso da parte di<br />

operatori di Paesi o gruppi internazionali “emergenti” nello spazio<br />

giuridico universale, comprensivo di aspetti sia economici che sociali in<br />

senso lato (free trade ma anche welfare state) 22 .<br />

È evidente come in tali casi siffatti principi generali coinvolgono<br />

anche il rispetto di diritti umani e di status personali internazionalmente<br />

conosciuti. Sono i principi generali quelli maggiormente autorizzati a<br />

far riemergere il terreno proprio della “legge del contratto” per bilanciare<br />

quello proprio del “contratto senza legge”. a questo riguardo è in via di<br />

formazione una nuova categoria (o sub-categoria) di “principi generali<br />

regionali” riferiti ad aree economico-commerciali di libero scambio o di<br />

zone economiche multilaterali o di veri e propri “mercati comunitari integrati”<br />

23 . essi sembrano condurre ad una vera transizione del diritto<br />

uniforme dei contratti in nuove e più complesse forme di mercato (ad<br />

esempio, i c.d. mercati finanziari del debito e del credito sovrano) 24 .<br />

non è mai risultata particolarmente agevole la determinazione dei<br />

principi generali di diritto, a contenuto sia sostanziale che processuale,<br />

all’interno dei quali il contratto ha una propria legge e, viceversa, al di là<br />

dei quali esso risulta affidato all’autonomia normativa delle parti. La<br />

prova documentata dell’esistenza di tali principi presuppone l’esistenza<br />

di un “testo unico” di riconosciuto valore da parte degli Stati o, almeno,<br />

la concorrenza di testi nazionali, idonei a dimostrare l’impatto prodotto<br />

dal diritto uniforme dei contratti internazionali all’interno di ciascun<br />

Paese. Tanto è vero fino al punto che i più noti testi sul diritto dei<br />

contratti commerciali internazionali utilizzano addirittura denominazioni<br />

allusive riferite a fonti di cui certamente non sono espressione (“Principi<br />

UniDroiT 1994”, “codice europeo dei contratti”). altra espressione entrata<br />

nelle dottrina corrente è quella di norme “a-nazionali” 25 , intese<br />

come vero e proprio tertium genus tra norme internazionali e nazionali.<br />

con le stesse si intende alludere ad una sorta di a-nomia del contratto<br />

internazionale, capace di autodeterminare il suo statuto normativo, ponendosi<br />

ad un vero e proprio livello autonomo, indipendente da quello<br />

23<br />

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SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

24<br />

delle organizzazioni internazionali a vocazione universale e regionale,<br />

così come dalle norme statali o nazionali vere e proprie. in altri termini<br />

esse costituiscono l’architrave della gerarchia delle fonti normative regolatrici<br />

dei contratti commerciali caratterizzati da elementi di internazionalità<br />

o di internazionalizzazione, fino al punto da essere emancipate dall’impatto<br />

di qual si voglia legge statale.<br />

in senso contrario, nel campo del diritto regionale europeo, si manifesta<br />

l’esigenza di dare fondamento positivo a taluni principi posti all’interno<br />

di nuovi regolamenti di riforma di recente adozione (2012) e<br />

di differita entrata in vigore (2015). Trattasi, in particolare, del regolamento<br />

(Ue) n. 1215 del 12 dicembre 2012 concernente la competenza<br />

giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia<br />

civile e commerciale (di riforma del precedente regolamento n. 44 del<br />

2001, in parte recepito ed in parte integrato e modificato). Quest’ultimo<br />

allarga ampiamente il pregresso istituto del riconoscimento delle sentenze,<br />

estendendolo dagli Stati membri dell’Unione all’altro, ben più ampio e<br />

rilevante, degli Stati terzi di qual si voglia Paese esterno all’Unione, assimilando<br />

il regime delle decisioni estere già emesse rispetto a quelle da<br />

emettere in un procedimento estero in corso (art. 34 del regolamento<br />

n. 44/2001 ed art. 34 del regolamento n. 1215/2012). Tale principio<br />

generale può essere definito di trasparenza internazionale dei processi<br />

giudiziari, civili e commerciali, secondo tradizioni comuni al civil e al<br />

common law (c.d. full faith and credit clause). Pertanto, a partire dal 2015<br />

(si veda nel Preambolo il considerando n. 34 e l’art. 34 del regolamento<br />

n. 1215/2012), i tribunali di uno Stato membro dell’Unione europea,<br />

ove ci si attenda da parte di un tribunale di uno Stato terzo l’emanazione<br />

di una decisione suscettibile di essere riconosciuta o eseguita nell’Unione,<br />

dovranno procedere alla sospensione del processo interno, pendente insieme<br />

a quello estero in cause “connesse”, allo scopo evidente di prevenire<br />

giudicati diversi o contraddittori ab intra e ab extra in merito alle vicende<br />

di un contratto commerciale internazionale.<br />

UNIVERSALITÀ DEI PRINCIPI GENERALI REGOLATORI<br />

DEGLI INTERNATIONAL COMMERCIAL CONTRACTS<br />

TRA CHOICE OF LAW E PUBLIC CHOICE<br />

Tutta la precedente esposizione concerne i ripetuti sforzi intesi a<br />

creare un sistema euro-comunitario di norme uniformi di diritto privato-commerciale<br />

di portata euro-universale. resta ora, come ultimo<br />

obbiettivo, la più precisa determinazione del ruolo dei principi generali<br />

di diritto al livello esclusivamente universale o globale 26 , come regime<br />

giuridico imperativo o cogente dello statuto dei contratti commerciali<br />

internazionali, viceversa volutamente lasciati come spazio libero dell’au-<br />

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tonomia privata, ai fini della disciplina materiale uniforme loro applicabile.<br />

al momento attuale, tale ruolo risulta profondamente cambiato,<br />

come effetto di trasformazioni profonde, subite dal diritto dei contratti<br />

internazionali, quest’ultimo oggetto di una restrizione e di un assottigliamento<br />

dello spazio riservato ai principi generali di necessaria applicazione.<br />

Viceversa, risulta enormemente dilatato lo spazio giuridico riservato agli<br />

operatori del commercio, come veri e propri legislatori professionali, sia<br />

pure di natura privata, e, comunque dimostratisi in grado di far fronte ai<br />

conflitti di leggi e di giurisdizione, prodotti e spesso mal risolti proprio<br />

da quei soggetti storici e tradizionali costituiti dagli Stati sovrani con i<br />

loro ordinamenti giuridici. Di qui è derivata la tendenza ad osservare<br />

nuovi principi generali di diritto in un tema così complesso come quello<br />

della legge applicabile e del foro competente.<br />

nell’ambito di tale nuovo orientamento si stanno fondendo, progressivamente,<br />

ben tre tradizioni, in parte ricognitive dell’autonomia<br />

contrattuale degli operatori commerciali, in altre parti vincolate ai principi<br />

generali comuni imperativi nei confronti degli stessi 27 :<br />

a) universalistica di common law e civil law;<br />

b) internazionalistica dei contratti internazionali in materia di<br />

trasporti marittimi e aerei (diritto commerciale-marittimo);<br />

c) il diritto internazionale globale della comunicazione fra ordinamenti<br />

(jus communicationis totius orbis).<br />

con riguardo a quanto indicato sub a), il diritto universale di civil<br />

law e common law, ambedue regolatori nella disciplina giuridica del commercio<br />

internazionale, poggia ancora il suo fondamento nello jus commune<br />

romanum, la cui durata millenaria deve ancora la sua ragion d’essere,<br />

proprio alla compresenza di due elementi ordinamentali di cui uno è di<br />

tipo razionale di origine giurisprudenziale e dottrinale e, invece, l’altro è<br />

di tipo legislativo e costituzionale. Grazie al primo si consente l’informazione<br />

e la comunicazione giuridica tra gli operatori giuridici, secondo<br />

il metodo del digestum e delle istitutiones. il secondo, viceversa, assicura<br />

il rinnovamento legislativo e costituzionale provvedendo ad ammonire i<br />

destinatari, secondo il metodo del codex e delle costitutiones. all’interno<br />

dello spazio giuridico di civil law, siffatto metodo ha consentito di governare<br />

la coesistenza delle fonti normative sia cittadine (statuta civitatis),<br />

sia mercantili (consuetudines mercatoriae), sia, infine, statuali (leges e consuetudines<br />

reipublicae). allo stesso modo nello spazio proprio di common<br />

law anglo-americano (c.d. common law romanum), grazie allo stesso<br />

modello si sono disciplinati i rapporti civili e commerciali, sia sostanziali<br />

che processuali, facenti capo ai singoli operatori giuridici. in tale ambito<br />

si opera diversamente dall’ottica continentale della c.d. scuola europea<br />

degli statuti, notoriamente tripartiti fra personali, reali e misti (contrattuali).<br />

invero, i giuristi di tradizione anglo-americana, diversamente<br />

25<br />

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26<br />

rispetto ai civilians europei, traducono esattamente la tripartizione statutaria<br />

in altrettanti corrispondenti istituti di rights and remedies. essi lavorano<br />

secondo la tripartizione legata alla categoria dei diritti soggettivi<br />

personali reali e misti. Tanto si ripetono allo stesso modo le “azioni” nel<br />

senso processuale, altrimenti denominate actiones nella tradizione romanistica<br />

ed actions in quella anglo-americana. Sempre in tale logica, i<br />

diritti di proprietà si distinguono in “personali” sui beni mobili e “reali”<br />

sui beni immobili. in parallelo, la nozione della capacità personale si distingue<br />

in “soggettiva” per i subjects legati al domicilio come luogo di<br />

origine o di residenza permanente e, di conseguenza, si suddividono in<br />

contratti civili (civil contracts) e commerciali (commercial contracts). i<br />

primi, ovviamente, sono propri di soggetti privati, nazionali o stranieri,<br />

mentre i secondi sono riferibili a imprenditori locali o stranieri (national<br />

and foreign merchants). come risultato finale di tale suddivisione concettuale,<br />

anche le obbligazioni di debito e credito che derivano da tali<br />

contratti si connotano a seconda dell’ottica di riferimento, come personali,<br />

reali o misti.<br />

con riguardo all’ipotesi sub b), le norme di diritto internazionale<br />

commerciale e marittimo sono fin dall’inizio indissolubilmente legate<br />

fra loro, nei trattati e nelle consuetudini internazionali, come nelle legislazioni<br />

cittadine, mercantili e statuali (c.d. trattati di stabilimento, commercio<br />

e navigazione). Di tale comune origine internazionale ne risente<br />

la stessa disciplina contemporanea di stretta associazione della disciplina<br />

codicistico-legislativa di tre tipi di contratti commerciali internazionali<br />

a valenza universale (compravendita; assicurazione e trasporti). al primo<br />

livello di legislazione universale, intesa come legislazione multi-statuale<br />

internazionalmente riconosciuta, i testi della legislazione marittima<br />

furono sempre considerati di portata quasi universale. Trattasi, in effetti,<br />

di una legislazione di origine non più accentrata o unitaria di tipo imperiale,<br />

bensì decentrata o multipla, legata al consenso delle civitates e degli<br />

Stati marittimi del Mediterraneo, e poi del Mar del nord ed infine del<br />

continente americano. nella stessa ottica internazional-statuale, la stessa<br />

origine scientifica di una dottrina del diritto commerciale collega l’esposizione<br />

dei due settori (ad esempio, nella prima dottrina italiana giuscommercialistica<br />

moderna si considerano comuni ai due settori ordinamentali<br />

proprio quegli istituti ritenuti, ora come allora, di origine<br />

comune).<br />

con riguardo, infine, all’ipotesi sub c), nel diritto globale della comunicazione<br />

fra ordinamenti (totius orbis), gli stessi sono sottoposti al<br />

criterio del “diritto dei conflitti”, termine equivalente agli altri dell’unificazione-armonizzazione<br />

del diritto del commercio internazionale mediante<br />

regole uniformi. Loro comune caratteristica è quella di ruotare<br />

intorno ad un nucleo centrale di norme di necessaria applicazione inter-<br />

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nazionale 28 , ovvero ineludibile rispetto ad altre prive di tale qualità normativa.<br />

Viceversa, esse possono derivare, su base multilaterale e decentrata<br />

da gruppi internazionali di Stati di riconosciuta autorità, come norme<br />

potestative o autorizzative non obbligatorie ma anch’esse di immediata<br />

applicazione in virtù della loro spontanea osservanza da parte di Stati e<br />

soggetti professionali (G8, bricS, G20). il contributo più importante<br />

di tali gruppi alla teoria e alla prassi dei “principi generali di diritto” consiste<br />

nell’aver affermato il nuovo principio di trasparenza ai fini del regolamento<br />

dei rapporti di coesistenza fra ordinamenti giuridici diversi.<br />

esso si oppone a quello tradizionalmente affermato in termini di “separazione<br />

ed esclusività” degli ordinamenti giuridici. Viceversa, il nuovo<br />

principio conduce a rendere gli ordinamenti fra loro “visibili” e “permeabili”<br />

in tutti i loro momenti legislativi, normativi, amministrativi e<br />

giurisdizionali. Proprio perché il classico Stato di diritto è diventato<br />

trasparente, lo sono altrettanto i diritti soggettivi, sia privati che commerciali,<br />

configurabili in una visione unitaria propria del c.d. diritto<br />

globale del commercio internazionale.<br />

nell’attuale sistema del diritto commerciale universale, una prima<br />

distinzione di principi generali concerne la combinazione tra autonomia<br />

normativa e norme imperative. invero, il ruolo di tali “principi generali”<br />

è proprio quello di assicurare il coordinamento dei due sub-sistemi,<br />

quello nazionale e quello internazionale, in esso operanti ai vari livelli bi<br />

e multilaterali. ai fini di tale coordinamento un ruolo importante è giocato<br />

proprio dai “contratti internazionali”, come strumento per “veicolare”<br />

le norme applicabili con l’espressione specifica di “contratti commerciali<br />

transnazionali”. S’intende appunto dire che le norme imperative (di public<br />

policy) sono di necessaria applicazione internazionale garantite da giudici<br />

del foro come dagli arbitri delle controversie tra gli operatori commerciali.<br />

S’intende altresì dire che oltre tale sfera imperativa alle parti resta riservato<br />

il campo delle norme suppletive o complementari. Subordinata alla legge<br />

imperativa la sfera della lex contractus riprende così il suo pieno vigore,<br />

con l’obbiettivo di rendere gli operatori veri e propri “legislatori” di un<br />

sistema non conflittuale ed a-nazionale. Tutto ciò consente, conclusivamente,<br />

di cogliere anche i limiti della c.d. globalizzazione dei conflitti di<br />

leggi nel commercio internazionale, nonché dare un senso alla pluralità<br />

delle sue fonti normative regolatrici. ciò nel senso che proprio i principi<br />

generali comuni sulla legge applicabile rendono uniformi o armonizzati<br />

soltanto spazi relativamente ristretti e, cioè, a-conflittuali ovvero privi<br />

di conflitti di leggi. Ma tali norme uniformi presuppongono ineludibili<br />

conflitti di leggi, sia nazionali sia regionali comuni a gruppi di Stati,<br />

poste quasi a presidio ed a garanzia delle diversità delle tradizioni nazionali<br />

e delle politiche nazionali diversificate in materia di politiche commerciali.<br />

come conseguenza ultima e finale gli operatori commerciali nelle “loro<br />

27<br />

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28<br />

attività sia pre-contrattuali che contrattuali” incontrano il limite inevitabile<br />

degli sbarramenti posti da legislatori statali come da autorità<br />

sovranazionali e solo oltre tali limiti è loro consentito di disporre del<br />

destino delle leggi nazionali, europee ed extra-europee, rendendole più<br />

o meno applicabili secondo i concreti interessi di ciascuna fattispecie<br />

contrattuale 29 .<br />

Un’ultima e finale distinzione concerne la possibilità di inquadrare<br />

l’intero sistema del diritto commerciale internazionale in un vero e<br />

proprio contesto di nuovi principi di civiltà giuridica: accanto al collaudato<br />

principio di internazionalizzazione, dunque, verrebbero ad inserirsi<br />

quelli di globalizzazione e mondializzazione del diritto di ciascuno<br />

Stato. Quello classico è risultato chiaramente definito nei suoi contenuti<br />

di tutela e di rispetto delle diversità nazionali, sia pure con le conseguenze<br />

discriminatorie e di diseguale trattamento per gli operatori commerciali<br />

e per le attività da essi compiute. Più ambiguo, invece, esso diviene nel<br />

quadro della c.d. globalizzazione, inteso come concorrenza indiscriminata<br />

tra sistemi giuridici nazionali, tra loro suscettibili di migliore consistenza<br />

solo se riordinati in una forma chiamata di diritto mondiale. Per quanto<br />

finora si è detto tali strumenti unificatori appaiono più e meglio manovrabili<br />

se liberamente lasciati all’auto-regolamento degli operatori nell’ambito<br />

dei contratti internazionali. Viceversa, una maggiore rigidità si riscontra<br />

chiaramente nella definizione degli statuti obbligatori degli operatori<br />

commerciali e delle società commerciali internazionalmente operanti<br />

nel sistema, con una propria veste legale ormai più rigidamente definita<br />

e delimitata 30 .<br />

NOTE<br />

1 L’idea di uno spazio giuridico mondiale compare solo agli inizi dell’ottocento come<br />

conseguenza dell’incontro con il common law. invero, nella tradizione romanistica lo<br />

spazio giuridico universale viene inteso come ordinatore di rapporti giuridici distinti,<br />

in funzione della sede dei rapporti tra individui, quali la loro origine personale, la sede<br />

dei loro beni e le obbligazioni da essi contratti. La stessa viene notoriamente definita<br />

come vero e proprio «patrimonio universale comune dell’umanità» nella classica<br />

opera di Friedrich carl von Savigny, Sistema del diritto romano attuale, trad. it. a cura<br />

di Scialoia, Viii, berlino, 1849. ciò premesso si aggiunge che evidentemente lo spazio<br />

del commercio internazionale, inteso per sua natura come essenzialmente universale,<br />

riposa sui medesimi principi “generali” del diritto comune europeo (diritto del commercio<br />

unito e non separato rispetto al jus civile commune). Tanto è pacifico nella<br />

tradizione dottrinale del diritto romano, come insegnato nella scuola romana dall’unità<br />

d’italia ad oggi. cfr. Sandro Schipani, Le scuole di diritto romano nella cultura contemporanea<br />

a Roma, in Iuris Vincula. Studi in onore di Mario Talamanca, Vii, Jovene,<br />

napoli, 2001, p. 327 ss. Tale nozione universalistica risulta ampiamente diffusa già<br />

nelle epoche precedenti nell’area giuridica europea ed in quella euro-americana, carat-<br />

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GEOPOLITICA DEL DIRITTO E “SCELTA DELLA LEGGE”<br />

terizzata da forti correnti di commercio internazionale. cfr. Massimo Panebianco, Le<br />

origini dello spazio europeo dei “conflitti di leggi” (1700-1914), “rivista della cooperazione<br />

Giuridica internazionale”, Vol. 43 (Gennaio-aprile 2013), pp. 9-23; id., Le<br />

origini dello spazio giuridico euro-americano (1787-1848), “rivista della cooperazione<br />

Giuridica internazionale”, Vol. 45 (Settembre-Dicembre 2013), pp. 9-23. La “geopolitica<br />

del diritto” sostanzialmente coincide con l’universalismo del diritto commercialemarittimo<br />

internazionale. invero, nella dottrina romanistica si discute sulle origini<br />

tardo-antiche o medioevali del diritto commerciale-marittimo internazionale “mediterraneo”.<br />

La doppia prospettiva concerne come derivato dal jus civile (rivierasco-regnicolo)<br />

o dal jus gentium (mercantile-marinaresco). cfr. antonio Guarino, Introduzione a Tabula<br />

de Amalpha e a Consuetudines Civitatis Amalphiae, napoli-cava de Tirreni, 1965-<br />

1968. La discussione risale ad alcuni classici autori come Marini Frecciæ, De subfeudis<br />

Baronum et inuestituris Feudorum, Venezia, 1579; Josephi Laurentii Mariæ de casaregis,<br />

Discursus Legales de Commercio, t. ii-iii (De consultatu maris), Florentiæ, 1719.<br />

2 classica è nel secolo scorso la contrapposizione fra le due idee dello spazio giuridico<br />

universale come complementare o, viceversa, esorbitante rispetto a quello nazionale:<br />

invero, tra le due principali scuole italiane di diritto internazionale privato, attestate<br />

sulla distinzione tra jus commune e jus speciale, come alternativa per comprendere lo<br />

spazio giuridico universale delle vita privata e della vita commerciale. Sulla prima tesi,<br />

cfr. rolando Quadri, Lezioni di diritto internazionale privato, 5ª ed., Liguori editore,<br />

napoli, 1968, p. 102: «circa il diritto internazionale privato può dirsi che i principi<br />

dell’ordinamento universale hanno sopravvissuto negli ordinamenti dei singoli Stati,<br />

salvo l’adattamento formale alla nuova situazione. in ogni modo il nesso storico esistente<br />

fra diritto internazionale privato e diritto interlocale dell’impero presenta un grande<br />

interesse» (l’autore richiama a sostegno della tesi universalistica la doppia “tradizione”<br />

dottrinale comune alla civil law e alla common law, rappresentata dalla nota triade Huber-Story-Dicey).<br />

Viceversa, per una strenua difesa della tradizione universalistica del<br />

jus gentium romanum, inteso come jus speciale delle relazioni privato-commerciali internazionali,<br />

si veda la nota tesi di roberto ago, Teoria generale del diritto internazionale<br />

privato, ceDaM, Padova, 1934, p. 96 ss.: «la natura particolare di certuni tra i rapporti<br />

che sono legati alla vita esterna, la loro caratteristica di avere un campo di azione più<br />

esteso o anche del tutto diverso da quello in cui si svolgono i rapporti della vita interna,<br />

richiede una disciplina giuridica speciale, che abbia appunto questa caratteristica come<br />

suo fondamento. Questo, in un certo senso, nello stesso modo in cui un rapporto che<br />

appartiene alla vita commerciale per via del suo scopo commerciale, o dei suoi soggetti<br />

aventi qualità di commercianti, richiede un regolamento giuridico diverso da quello<br />

che è stabilito per i rapporti delle vita civile, un regolamento che abbia per base il<br />

carattere commerciale del rapporto in questione» (corsivo nostro).<br />

3 all’origine della formazione dei grandi spazi giuridici commerciali internazionali del<br />

mondo moderno stanno i veri e propri classici della disciplina di civil law (c.d. diritto<br />

romano-olandese diffuso in europa, america, africa ed asia) e di common law prevalentemente<br />

anglo-americano. ai fini della individuazione delle linee guida di tale pensiero<br />

“condiviso” e di tale attitudine mentale propria di legislatori, giudici e studiosi di<br />

civil law e di common law, vedi la nota triade Huber, Story e Dicey, dominante da oltre<br />

tre secoli. cfr. Ulrich Huber, De conflictu legum diversarum in diversis imperiis, in id.,<br />

Praelectiones juris civilis secundum Institutiones et Digesta Iustiniani, t. i-iii, 1ª ed.,<br />

Groningen, 1672 (data incerta), poi Lipsia, 1735 (in particolare, t. i, pp. 538-543).<br />

Per il diritto dei contratti internazionali nel mondo anglo-americano di common law,<br />

bene ispirato alla tradizione civilistica insediata negli Stati Uniti a partire dal 1800,<br />

vedi Joseph Story, Commentaries on the Conflict of Laws, Foreign and Domestic, in<br />

29<br />

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SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

30<br />

Regard to Contracts, Rights, and Remedies, boston, 1834 (per i foreign contracts, pp.<br />

193-307; per i commercial contracts, p. 231 ss.). Dal punto di vista dei contratti internazionali<br />

di common law è ugualmente obbligatoria la citazione della classica opera<br />

manualistica, pubblicata da oltre un secolo e mezzo da tre autori oxfordiani: cfr. albert<br />

V. Dicey, James H. Morris, Lawrence collins, The Conflict of Laws, 14ª ed., Sweet &<br />

Maxwell, London, 2007 (per i general contracts, vedi pp. 157-158; per i particular contracts,<br />

vedi pp. 159-165). Ma dello stesso autore, già in precedenza citato, all’epoca dell’universalismo<br />

della Società delle nazioni, vedi albert V. Dicey, A Digest of the Law of<br />

England with Reference to the Conflict of Laws, London, 1932 (per i contracts, vedi p.<br />

529 ss.). Già il titolo dell’opera (A Digest) ne sottolinea la tradizione romanistica, successivamente<br />

cancellata e superata in una visione propria del common law nelle successive<br />

edizioni a partire dalla seconda metà del secolo scorso.<br />

4 Si ricordi come l’importanza eccezionale di una visione scientifica dello spazio giuridico<br />

di common law commerciale internazionale si trovi sottolineata nelle edizioni angloamericane<br />

di albert V. Dicey il quale viene considerato fondatore scientifico dello<br />

spazio giuridico universale dei conflitti di leggi (civilized world), sulla scia della tradizione<br />

universalistica anglo-americana di Ulrich Huber e di Joseph Story, a partire dalle due<br />

prime edizioni dell’opera citata supra in nota 3 ( John Stevens Publisher, oxfordboston,<br />

1ª ed., 1897, e 2ª ed., 1908; ristampa Vico-Wisschenschaftliches Verlag, Frankfurt,<br />

2008).<br />

5 nella determinazione del terzo livello dell’ordinamento giuridico del commercio internazionale,<br />

inteso come per sua natura universale o globale, si veda nella dottrina recente<br />

la serie di monografie già indicate in precedenza cui aggiungi, nella dottrina italiana,<br />

la prospettiva manualistica. cfr. l’ampio impianto sistematico e particolareggiato<br />

nel volume di Ugo Patroni Griffi (a cura di), Manuale di diritto commerciale internazionale,<br />

Giuffré, Milano, 2012, e, in particolare, in tema di legge applicabile ai singoli<br />

contratti internazionali, fra diritto sostanziale (lex causae) e diritto processuale (lex<br />

fori), si vedano ivi i due importanti saggi di andrea bonomi, La legge applicabile al<br />

contratto internazionale, pp. 108-132, e Il contenzioso internazionale: competenza giurisdizionale<br />

e riconoscimento delle sentenze straniere, pp. 471-491. in particolare, si rinvia<br />

al ruolo della lex fori secondo la Legge n. 218 del 1995. Le prospettive di una disciplina<br />

universale di contenimento del ruolo dei c.d. fori esorbitanti mirano ad evitare una<br />

funzione dittatoriale delle leggi nazionali (come la Legge 218/1995) e, viceversa,<br />

migliorano la comparazione ed il coordinamento nazionale.<br />

6 nella prospettiva di uno spazio giuridico “euro-universale”, si veda Tito ballarino, Destino<br />

del forum destinatae solutionis nella compravendita transnazionale, in Studi in onore<br />

di Augusto Sinagra, i, aracne, roma, 2013, pp. 11-26; Sergio carbone, L’attualità dei<br />

criteri interpretativi adottati nella Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale<br />

di cose mobili, in Ivi, i, pp. 267-288; Ugo Draetta, The 1980 United Nations<br />

Convention on Contracts for the International Sale of Goods and Arbitration, in Ivi, i,<br />

pp. 585-600; ruggiero cafari Panico, Giurisdizione e discrezionalità nello spazio<br />

giudiziario europeo: il forum necessitatis, in Ivi, iii, pp. 121-152.<br />

7 Un vero e proprio “rilancio” dei movimenti convenzionali a livello di mercati continentali<br />

o sub-continentali, mediante l’opera normativa di organizzazioni internazionali<br />

e sovra-nazionali, rappresentative di organizzazioni e gruppi internazionali di Stati, si<br />

registra ora in varie aree del globo ove operano Unioni commerciali, economiche, finanziarie,<br />

monetarie, etc. (Ue, naFTa, MercoSUr, aPec, aSean, etc.). cfr.,<br />

al riguardo e di recente, Laura zoppo, La soluzione delle controversie commerciali tra<br />

Stati tra multilateralismo e regionalismo, Jovene editore, napoli, 2013 (in particolare,<br />

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GEOPOLITICA DEL DIRITTO E “SCELTA DELLA LEGGE”<br />

la parte terza, p. 239 ss.); alberta Fabbricotti, Gli accordi d’integrazione economica regionale<br />

e il diritto dell’organizzazione mondiale del commercio, aracne, roma, 2009<br />

(queste opere affrontano la tematica dell’armonizzazione in una ottica mista di diritto<br />

commerciale societario internazionale in senso lato).<br />

8 considerando come la electio legis può essere fatta dalle parti dinanzi ad un giudice o<br />

arbitro, la dottrina inglese sui contratti internazionali, come strumento per la scelta<br />

della legge, ha segnalato come l’alternativa non sia tra “scelta e non scelta” (choice-no<br />

choice), bensì tra localizzazione soggettiva od oggettiva degli elementi caratterizzanti<br />

la vicenda contrattuale fra proper law e public law. cfr. Geoffrey c. cheshire, International<br />

Contracts, Jackson, Son & company, Glasgow, 1948, p. 94 ss.; James H. Morris,<br />

The Proper Law of a Contract, “international Law Quarterly”, Vol. 3 (1950), p. 197 ss.;<br />

ronald H. Graveson, The Proper Law of Commercial Contracts in the English Legal<br />

System, in Lectures on the Conflict of Laws and International Contracts, University of<br />

Michigan, Law School (1949-1951): proper law equivale all’auto-regolamento contrattuale<br />

dei conflitti di leggi fra loro armonizzate.<br />

9 UniDroiT, Principi UNIDROIT dei contratti commerciali internazionali 2010, 3ª<br />

ed., Giuffré, Milano, 2012.<br />

10 nell’ambito della disciplina uniforme, conflittuale e sostanziale, relativa ai contratti<br />

relativi alla vendita internazionale, ed in particolare riguardante i trasporti e le assicurazioni,<br />

cfr. Philippe Delebecque, La Convention de Montréal du 28 mai 1999 pour<br />

l’unification de certaines règles relatives au transport aérien international ou le nouveau<br />

droit du transport aérien, “J.D.i”, avril-Mai-Juin 2005, p. 263 ss.; Pierre bonassies &<br />

christian Scapel, Droit maritime, 2ª ed., L.G.D.J., Paris, 2010; olivier cachard, La<br />

Convention des Nations Unies sur le contrat de transport international de marchandises<br />

effectué entièrement ou partiellement par mer (Règles de Rotterdam), “Journal du droit<br />

international”, n. 2 (avril 2012); Jean-Marc Mousseron et al., Droit du commerce international,<br />

4ª ed., Lexisnexis, Paris, 2012.<br />

11 Per la determinazione della legge uniforme ovvero a-conflittuale applicabile ai contratti<br />

di finanziamento e di garanzia, si veda olivier cachard, Droit du commerce international,<br />

2ª ed., L.G.D.J., Paris, 2011; Matti Kurkela, Letters of Credit and Bank Guarantees<br />

under International Trade Law, 2ª ed., oxford University Press, oxford, 2008.<br />

12 Per quanto riguarda la disciplina uniforme, o in tutto o in parte de-conflittualizzata,<br />

applicabile ai contratti degli intermediari del commercio internazionale, cfr. Michel<br />

Pedamon & Hugues Kenfack, Droit commercial, 3ª ed., Dalloz, Paris, 2011.<br />

13 in materia di contratti di compravendita internazionale, con statuto misto di diritto<br />

privato e di diritto pubblico di applicazione necessaria, sia amministrativa che doganale<br />

e fiscale, cfr. renzo Pravisano, I contratti di compravendita nazionali ed internazionali.<br />

Aspetti giuridici, commerciali, fiscali e doganali, Giuffré, Milano, 2010.<br />

14 Per la categoria dei contratti di trasporto internazionale di persone o di cose, cfr.<br />

Francesco rossi Dal Pozzo, Servizi di trasporto aereo e di diritto dei singoli nella disciplina<br />

comunitaria, Giuffré, Milano, 2008; Marco Lopez de Gonzalo, Giurisdizione civile e<br />

trasporto marittimo, Giuffré, Milano, 2005; enzo costanzo, Il contratto di trasporto<br />

internazionale nella CMR, 3ª ed., il Sole 24 ore, Firenze, 1984; angelo Pesce, Il<br />

contratto di trasporto internazionale di merci su strada, Giuffré, Milano, 1984; id., Il<br />

trasporto internazionale di merci, Giappichelli, Torino, 1995.<br />

15 Per la categoria dei contratti di appalto internazionale e delle relative forme contrattuali<br />

di gestione ed esecuzione, si veda Sergio carbone & andrea D’angelo, Cooperazione<br />

tra imprese e appalto internazionale. Joint-ventures e consortium agréements, Giuffré,<br />

31<br />

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SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

32<br />

Milano, 1991; Ugo Draetta & cesare Vaccà (a cura di), Il contratto internazionale<br />

d’appalto, eGea, Milano, 1992.<br />

16 La disciplina dei c.d. mercati finanziari va tenuta distinta da quella dei mercati pubblici<br />

in generale, riguardanti i c.d. debiti commerciali di Stato derivanti da forniture, servizi<br />

e appalti di opere e di infrastrutture pubbliche. Per la disciplina internazionalistica dei<br />

cosiddetti mercati finanziari intesi come luogo di negoziazione, di intesa e di scambio<br />

di titoli azionari ed obbligazionari emessi da imprese o di titoli di debito pubblico di<br />

soggetti statali ed infra-statuali (c.d. debito sovrano), Francesco caputo nassetti, I<br />

contratti derivati finanziari, Giuffré, Milano, 2011; id., Profili civilistici dei contratti<br />

“derivati” finanziari, Giuffré, Milano, 1997; chiara Malaguti, Crisi dei mercati finanziari<br />

e diritto internazionale, Giuffré, Milano, 2003; elisabetta cassese, Il controllo pubblico<br />

del riciclaggio finanziario, Giuffré, Milano, 1999.<br />

17 Sulla contrattualistica delle clausole regolatrici dell’arbitrato del commercio internazionale,<br />

mediante ricorso a mezzi arbitrali ed alternativi rispetto a quest’ultimi, vedi<br />

Giorgio recchia & alfonso Papa Malatesta, Mezzi alternativi di risoluzione delle controversie.<br />

Arbitrato commerciale internazionale, in U. Patroni Griffi (a cura di), Manuale,<br />

cit., pp. 500-528; Gabriele Dell’atti, L’insolvenza comunitaria, in Ivi, p. 529 ss. in generale,<br />

sulle norme, le clausole e le prassi standard nella versione UnciTraL 2010, si<br />

veda David D. caron & Lee M. caplan, The UNCITRAL Arbitration Rules. A Commentary,<br />

2ª ed., oxford University Press, 2013. Per alcune prime osservazioni di commento<br />

al regolamento n. 1215/2012, in vigore dal 10 gennaio 2015 e sostitutivo del<br />

precedente regolamento n. 44/2001, cfr. Francesco Salerno, Il coordinamento tra arbitrato<br />

e giustizia civile nel regolamento (UE) n. 1215/2012, “rivista di diritto internazionale”,<br />

n. 4, 2013, p. 1146 ss.; olivia Lopes Pegna, Il regime di circolazione delle decisioni<br />

nel Regolamento (UE) n. 1215/2012 (Bruxelles I-bis), “rivista di diritto<br />

internazionale”, n. 4, 2013, p. 1206 ss..<br />

18 Fabio bortolotti, Il contratto internazionale. Manuale teorico-pratico, ceDaM, Padova,<br />

2012 (in particolare, il capitolo ii, La legge applicabile, pp. 17-80).<br />

19 Ivi, in particolare il capitolo iii, I metodi di risoluzione delle controversie, pp. 81-96.<br />

20 Ivi, in particolare il capitolo iV, L’arbitrato internazionale, pp. 97-144.<br />

21 Una vera e propria dottrina dei contratti internazionali si sta progressivamente formando<br />

intorno ad un “nucleo duro” di principi emergenti dalla prassi e relativi a vari aspetti<br />

dell’esperienza contrattualistica internazionale. cfr. Herfried Wöss, Damages in International<br />

Arbitration under Complex Long-term Contracts, oxford University Press,<br />

oxford, 2014; Fabio bortolotti, Drafting and Negotiating International Commercial<br />

Contracts. A Practical Guide, Kluwer Law international, The Hague, 2009; John Felemegas<br />

(ed.), An International Approach to the Interpretation of the United Nations Convention<br />

on Contracts for the International Sale of Goods (1980) as Uniform Sales Law,<br />

cambridge University Press, cambridge, 2013.<br />

22 nell’ambito dei general principles della contrattualistica internazionale un grande aiuto<br />

proviene dalla prassi dei contratti tipici o delle tipologie particolari di contratti, da intendersi<br />

come sviluppo, specificazione e integrazione delle regole generali. cfr. Fan<br />

Yang, Contracts for the International Sale of Goods in China, ccH Hong Kong Limited,<br />

Hong Kong, 2012; Louise Merrett, Employment Contracts in Private International<br />

Law, oxford University Press, oxford, 2011; Franco Ferrari, Contracts for the International<br />

Sale of Goods, brill-nijhoff, Leiden, 2011; ronald c. Wolf, The Complete Guide<br />

to International Joint Ventures with Sample Clauses and Contracts, 3ª ed., Wolters<br />

Kluwer, London, 2011.<br />

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GEOPOLITICA DEL DIRITTO E “SCELTA DELLA LEGGE”<br />

23 Fattori unificanti ai fini dell’uniformità del diritto dei contratti internazionali sono<br />

ormai rappresentati da alcune organizzazioni sia regionali che universali operanti a<br />

tale scopo. cfr. natia Lapiashvili, Modern Law of Contracts and Sales in Eastern Europe<br />

and Central Asia, eleven international Publishing, The Hague, 2011; ahmet cemil<br />

Yildrim, Equilibrium in International Commercial Contracts, Wolf Legal Publishers,<br />

oisterwijk, 2011; Loukas a. Mistelis et al. (eds.), The United Nations Convention on<br />

Contracts for the International Sale of Goods, Hart Publishing, oxford, 2011; Lars<br />

Meyer, Non-Performance and Remedies Under International Contract Law Principles<br />

and Indian Contract Law, Peter Lang Publishers inc., new York, 2010.<br />

24 omettiamo ogni riferimento alla dottrina dei “contratti di Stato”, intesi come contratti<br />

finanziari e commerciali di Stati sovrani con altri soggetti contraenti di natura privato-commerciale.<br />

cfr. ivar alvik, Contracting with Sovereignty. State Contracts and<br />

International Arbitration, Hart Publishing, oxford, 2011.<br />

25 Su tale categoria concernente la policy dei contratti internazionali, si veda l’ampia<br />

monografia di catherine Kessedjian, Droit du commerce international, Thémis, Paris,<br />

2013.<br />

26 La tripartizione tra principi generali di diritto, regole di conflitto e statuti speciali<br />

serve a fissare un fondamento di common law europeo esteso a tutti gli Stati civilized e<br />

preliminare all’applicazione del diritto statale, riconosciuto in base alla lex fori del<br />

giudice competente. Siffatti principi possono essere equiparati a standards riconosciuti<br />

di diritto internazionale generale, secondo un antica tradizione dove il diritto universale<br />

equivale al “diritto cosmopolitico”, ovvero sia una sorta di diritto costituzionale della<br />

società degli Stati, con il fine di salvaguardia dei diritti dell’uomo, titolari di una sorta<br />

di cittadinanza universale messa al riparo dai conflitti di legge di Stati diversi. Quest’ultimi,<br />

singoli o associati in apposite organizzazioni o gruppi internazionali, sono abilitati<br />

a fare la scelta della legge applicabile, a condizione del previo rispetto dei predetti<br />

principi universali. Tale impostazione universalistica si trova nel più importante trattato<br />

dei conflitti di leggi di lingua inglese (Dicey, Morris & collins), nato all’origine come<br />

opera anglo-americana nel 1896, e qui citato supra in nota 3. Tale tradizione universalistica-classica<br />

dei conflitti di leggi risulta ora sviluppata nella recente dottrina italiana<br />

nei tre settori del diritto cosmopolitico, del diritto costituzionale-internazionale dei<br />

diritti dell’uomo e del diritto amministrativo-internazionale di promozione e protezione<br />

degli stessi diritti. il diritto universale-cosmopolitico risale ad un’antica tradizione del<br />

Settecento italiano dalle Origines iuris civilis, 1700-1713, napoli, di Jani Vincentii<br />

Gravinae al De uno et universo jure, 1720, napoli di Giambattista Vico. La stessa<br />

tradizione risulta ora valorizzata in quanto consente di individuare un’etica dei mercati<br />

internazionali come premessa ai conflitti di leggi commerciali di Stati diversi, tra loro<br />

in concorrenza su mercati finanziari, creditizi e di governo dell’economia. cfr. Quirino<br />

camerlengo, Contributo ad una teoria del diritto costituzionale cosmopolitico, Giuffré,<br />

Milano, 2007; barbara randazzo, Giustizia costituzionale sovranazionale. La Corte europea<br />

dei diritti dell’uomo, Giuffré, Milano, 2012; anna Lucia Valvo, Diritti umani e<br />

realtà virtuale. Normativa europea e internazionale, aracne, roma, 2013; Vincenzo<br />

Sciarabba, Il giudicato e la CEDU. Profili di diritto costituzionale, internazionale e comparato,<br />

ceDaM, Padova, 2013.<br />

27 La categoria generale del diritto internazionale dell’economia può essere ritenuta prevalente<br />

o equivalente rispetto a quella del diritto del commercio internazionale, comprensivo<br />

della materia dei cambi e scambi con l’estero, e può essere altresì estesa ad altri<br />

settori collaterali del diritto dei mercati pubblici e privati internazionali. Sua caratteristica<br />

fondamentale è quella della pluralità delle fonti internazionali, inter-sovranazionali e<br />

33<br />

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SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

34<br />

statuali-destatuali, a seconda che il legislatore sia un soggetto pubblico o sia un soggetto<br />

privato, nella combinazione delle fonti legali-imperative e contrattuali suppletive o<br />

sostitutive di quelle statali. cfr., al riguardo, aldo Ligustro & Giorgio Sacerdoti (a<br />

cura di), Problemi e tendenze del diritto internazionale dell’economia. Liber amicorum<br />

in onore di Paolo Picone, editoriale Scientifica, napoli, 2011; Francesca Villata, Gli<br />

strumenti finanziari nel diritto internazionale privato, ceDaM, Padova, 2008; alessandra<br />

zanobetti, Diritto internazionale del lavoro. Norme universali, regionali e dell’Unione<br />

europea, Giuffré, Milano, 2011. Sul ruolo dei nuovi soggetti internazionali, costituiti<br />

da gruppi di Stati con finalità di concertazione ed armonizzazione del diritto pubblico<br />

dell’economia di Stati diversi, nell’ottica della trasparenza dell’azione pubblica sui<br />

mercati privati, si vedano, per tutti, Massimo Panebianco (a cura di), Il G8-2009.<br />

Sistema multi-regionale di Stati, editoriale Scientifica, napoli, 2009; Massimo<br />

Panebianco & anna Lisa Verdecchia, BRICS: Gruppo internazionale di Stati, “Diritto<br />

comunitario e degli scambi internazionali”, vol. 52, nn. 1-2 (gennaio-giugno 2013),<br />

pp. 1-30.<br />

28 La dottrina recente ha sottolineato come all’interno del diritto del commercio internazionale<br />

si siano venuti a formare veri e propri settori di diritto speciale, ovvero<br />

statutes regolatori dell’azione legislativa-amministrativa pubblica sui mercati internazionali,<br />

coordinati ed armonizzati tra loro. a tale meccanismo di “trans-nazionalizzazione”<br />

delle norme imperative e suppletive dei contratti commerciali, si riferiscono<br />

le opere più recenti di civil e common law. cfr. n. Kessedjian, Droit, cit., pp. 1-12; Jan<br />

Dalhuisen, On Transnational Comparative, Commercial, Financial and Trade Law, 4ª<br />

ed., Hart Publishing, oxford, 2010. Sullo stesso tema del rapporto tra lex generalis e<br />

lex specialis nel diritto del commercio internazionale, per la dottrina italiana sono più<br />

che rilevanti i due settori cruciali del diritto finanziario tributario internazionale e del<br />

diritto penale internazionale. cfr. Victor Uckmar et al., Diritto tributario internazionale,<br />

ceDaM, Padova, 2012; alessandra Lanciotti, La Corte penale internazionale e la repressione<br />

delle gravi violazioni del diritto umanitario, Giappichelli, Torino, 2013; Michela<br />

Miraglia, Diritto di difesa e giustizia penale internazionale, Giappichelli, Torino, 2011;<br />

claudia regina carchidi, Consiglio d’Europa, Unione europea e contrasto alla criminalità,<br />

aracne, roma, 2014.<br />

29 La questione concernente i limiti della globalizzazione dei conflitti di leggi viene<br />

definita, nelle diverse letterature giuridiche nazionali, in termini di contrapposizione<br />

fra politica delle scelte pubbliche (public choice) e scelta contrattuale della legge applicabile<br />

(choice of law). in più ampia prospettiva si sostiene come il diritto commerciale<br />

internazionale, in senso lato, si identifichi con il diritto internazionale dell’economia,<br />

comprensivo di commercio, finanza e questioni monetarie connesse, perciò sottoposte<br />

a controllo pubblico con evidenti limitazioni dell’autonomia privata. Sulla stessa questione<br />

vivace fu il dibattito anche in italia all’epoca della soppressione dell’art. 28 Disp.<br />

Prel. cod. civ. (leggi di polizia), soppresso in favore di altra disposizione divenuta corrente<br />

malgrado il suo evidente carattere tautologico e formalistico (leggi di applicazione<br />

necessaria). anche nella dottrina di lingua tedesca una doppia denominazione distingue<br />

i veri e propri contratti commerciali internazionali (Internationales Handelsrecht),<br />

espressione di negoziazione privata, rispetto alla più ampia categoria del diritto economico<br />

internazionale, comprensivo di norme di diritto pubblico dell’economia (Internationales<br />

Wirtschaftsrecht). È da considerarsi benvenuto il messaggio conclusivo<br />

proprio di tali dottrine giuridiche nazionali, ben ferme nel sostenere la coesistenza<br />

tra l’internazionalizzazione dei contratti commerciali e la legalità internazionale,<br />

ambedue con lo stesso identico scopo di prevenire o superare i conflitti di leggi,<br />

mediante una pacificazione o mediazione fra interessi delle parti contraenti o concorrenti<br />

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GEOPOLITICA DEL DIRITTO E “SCELTA DELLA LEGGE”<br />

ed interventi pubblici nei settori propri dell’economia internazionale (ambiente, antitrust,<br />

diritto monetario, responsabilità dei produttori dei prodotti difettosi immessi<br />

nel commercio).<br />

30 in conclusione, si può ritenere che, mentre il diritto commerciale italiano appronta<br />

due discipline (una dei “conflitti”, l’altra di diritto uniforme), il diritto commerciale<br />

internazionale (o euro-internazionale) abbraccia, in realtà, una disciplina molto o, addirittura,<br />

troppo vasta, derivante dalla summa divisio tra disciplina regolamentare delle<br />

obbligazioni civili e commerciali (convenzione di roma del 1980 e regolamento<br />

“roma i”) e disciplina concepita mediante direttive europee ed atti normativi derivati<br />

o di legislazione secondaria di diritto euro-nazionale. così, mentre le prime regolano<br />

il conflitto di leggi, le seconde, al contrario, lo eliminano alla radice secondo una regolamentazione<br />

armonizzata o unificata. invero, secondo la terminologia della tradizione<br />

di lingua tedesca l’Internationales Handelsrecht si identifica con l’Internationales Vertragsrecht<br />

e si oppone all’Internationales Gesellschaftsrecht. nel primo campo prevale<br />

ancora il metodo del diritto internazionale privato, mentre nel secondo domina l’altra<br />

tecnica internazional-pubblicistica. cfr. Massimo Panebianco, Diritto internazionale<br />

pubblico, 4ª ed., editoriale Scientifica, napoli, 2013 (in particolare, fonti normative<br />

nazionali di adattamento al diritto internazionale ed europeo, pp. XXiii-XLiii).<br />

35<br />

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MISSIONI DI PACE DELLE NAZIONI UNITE<br />

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SICUREZZA: DIRITTO INTERNAZIONALE E UE<br />

F O C U S<br />

A United Nations<br />

Administrative Reserve Corps 1<br />

JoSePH e. ScHWarTzberG<br />

University of Minnesota (Minneapolis, USA),<br />

Distinguished International Emeritus Professor<br />

This paper proposes the creation of a standing United Nations Administrative Reserve<br />

Corps (UNARC) to work with peacekeeping missions to establish viable systems of<br />

civil administration in situations in which, for a variety of reasons, civil authority<br />

has broken down. It demonstrates not only the need, but also the justification, for<br />

such an entity, based on recent United Nations resolutions, for example the declaration<br />

relating to the “responsibility to protect”. UNARC’s personnel would be recruited<br />

worldwide, though mainly from the global South, and would consist of men and<br />

women who have successfully completed a rigorous training program of at least three<br />

years’ duration at one of three campuses (one each with instruction in English, French<br />

and Spanish) of a United Nations Administrative Academy (UNAA). Instruction<br />

would be partly general and partially specialized in respect to both topic and cultural<br />

regions. Following their graduation, trainees would serve as reservists for at least ten<br />

years, ready to be summoned to duty – when, where and as needed – to sustain a<br />

given mission, working under senior United Nations officials and also with local staff,<br />

many of whom they would train as their future replacements. Under memoranda of<br />

understanding between the United Nations and their home countries, reservists would<br />

be able to return to their previous jobs with no loss of seniority or benefits.<br />

KEYWORDS: ADMINISTRATIVE ACADEMY & CIVIL AUTHORITY • ADMINISTRATIVE RESERVE CORPS • UNITED<br />

NATIONS PEACEKEEPING.<br />

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F O C U S<br />

SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

NEED AND JUSTIFICATION<br />

38<br />

This paper puts forward a proposal for the creation and maintenance<br />

of a standing United nations administrative reserve<br />

corps (Unarc) to work with duly authorized peacekeeping missions<br />

(where, when and as needed) to establish orderly and efficient civil<br />

administration in areas recovering from violent conflict and in other situations<br />

in which civil authority has broken down. The necessity for<br />

Unarc is made evident by:<br />

a) the large number and wide spread of failed or failing states;<br />

b) high rates of recidivism in areas in which United nations peacekeeping<br />

missions have been deployed and – in the mistaken<br />

belief that their mandate had been fulfilled – prematurely terminated;<br />

and<br />

c) the failure of militarily-backed, essentially unilateral attempts<br />

at nation-building (mainly by the United States) in countries<br />

such as afghanistan and iraq.<br />

among the nations where second or even third, Un peacekeeping<br />

missions have been found necessary, one may cite angola, cambodia,<br />

the central african republic, the Democratic republic of congo, egypt<br />

(specifically in the Sinai), Haiti, Lebanon, rwanda, Somalia, Sudan,<br />

Timor-Leste, and (arguably) various components of the former Yugoslavia<br />

2 . in some of these areas (for example, Somalia) the final mission<br />

was so colossal a fiasco, that there was not even the pretense of success<br />

on the part of the principal actors. Something more was evidently needed.<br />

However, there have also been some striking and exemplary successes.<br />

none, perhaps, was as remarkable and instructive as the United nations<br />

Transitional assistance Group (UnTaG), which shepherded namibia to<br />

independence over the period 1989-1990 3 . The success of this mission<br />

was due, in no small measure, to the high quality of the mission’s leadership<br />

(in the person of Marti ahtisaari, a former president of Finland<br />

and winner of the 2008 nobel Peace Prize). but, to a large degree, it was<br />

also attributable to the size, diversity and effectiveness of the civilian<br />

component of the undertaking, including roughly 2,000 international<br />

and local, non-military staff, 1,500 civilian police and a short-term staff<br />

of about 1,000 international personnel to supervise namibia’s first national<br />

elections. both the civilian staff and the 7,500 military personnel<br />

they assisted were supplied by countries throughout the world. in the<br />

case of the military component, personnel came from more than fifty<br />

nations.<br />

in respect to peacekeeping missions one must note that, however<br />

capable the deployed personnel may be, one can expect only so much<br />

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F O C U S<br />

A UNITED NATIONS ADMINISTRATIVE RESERVE CORPS<br />

from an essentially military body in bringing about a political climate<br />

conducive to the promotion of a sustainable peace. as in namibia, assistance<br />

from both police and civilian specialists is essential. although such<br />

assistance is, in fact, incorporated within virtually every mission, obtaining<br />

sufficient and effective personnel has generally proved to be highly problematic.<br />

The situation was candidly set forth in the so-called brahimi<br />

report of 2000 as follows:<br />

To date, the Secretariat has been unable to identify, recruit and deploy<br />

suitably qualified civilian personnel in substantive and support functions<br />

either at the right time or in the numbers required. currently,<br />

about 50 per cent of field positions in substantive areas and up to 40<br />

per cent of the positions in administrative and logistics areas are<br />

vacant, in missions that were established six months to one year ago<br />

and remain in desperate need of the requisite specialists. Some of<br />

those who have been deployed have found themselves in positions<br />

that do not match their previous experience. Furthermore, the rate<br />

of recruitment is nearly matched by the rate of departure by mission<br />

personnel fed up with the working conditions that they face, including<br />

the short-staffing itself. High vacancy and turnover rates foreshadow<br />

a disturbing scenario for the start-up and maintenance of the next<br />

complex peacekeeping operation, and hamper the full deployment<br />

of current missions. 4<br />

implicit in the foregoing remarks is a need for a standing body to<br />

preclude the problems described. The proposed United nations administrative<br />

reserve corps would form such a body. The corps envisaged<br />

would be made up of well trained civilians capable of responding, on<br />

short notice, to the wide range of administrative needs related to both<br />

on-going and concluded United nations peacekeeping and peacebuilding<br />

missions and of creating or restoring a viable society in situations in<br />

which civil authority has broken down. at full strength Unarc would<br />

be made up of at least 10,000 (preferably 15,000 or more) elite graduates<br />

of a three or four-year training program at a United nations administrative<br />

academy, to be described below. all Unarc personnel would<br />

have undergone specialized training in the main languages, cultures and<br />

history of a particular world region, and would also obtain some specialized<br />

expertise such as finance, personnel recruitment and management,<br />

law, police administration, sanitation and public health, communications<br />

technology, and so forth.<br />

What is here proposed would be predicated on application of the<br />

potentially revolutionary doctrine of the “responsibility to Protect”<br />

(r2P), unanimously endorsed by the General assembly in 2005. The<br />

principal operative section of the r2P resolution reads as follows:<br />

39<br />

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SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

The international community, through the United nations, has the<br />

responsibility to use appropriate diplomatic, humanitarian and other<br />

peaceful means, in accordance with chapters Vi and Viii of the<br />

charter, to help to protect populations from genocide, war crimes,<br />

ethnic cleansing and crimes against humanity. in this context, we are<br />

prepared to take collective action, in a timely and decisive manner,<br />

through the Security council, in accordance with the charter, including<br />

chapter Vii, on a case-by-case basis and in cooperation with<br />

relevant regional organizations as appropriate should peaceful means<br />

be inadequate and national authorities are manifestly failing to protect<br />

their populations. 5<br />

in addition to peacekeeping, peacebuilding has been a major, though<br />

woefully underfunded, United nations concern. in 2000, in fact, the<br />

General assembly declared:<br />

40<br />

[Peacekeeping] defines activities undertaken on the far side of conflict<br />

to reassemble the foundations of peace and provide the tools for<br />

building on those foundations something that is more than just the<br />

absence of war. Thus, peace-building includes but is not limited to<br />

reintegrating former combatants into civilian society, strengthening<br />

the rule of law [...] improving respect for human rights through the<br />

monitoring, education and investigation of past and existing abuses;<br />

providing technical assistance for democratic development [...] and<br />

promoting conflict resolution and reconciliation techniques. 6<br />

in all the ways just suggested, the proposed Unarc could play a significant<br />

role.<br />

Finally, we may note that our proposal complements the recommendations<br />

of the High-level Panel on Threats, challenges and change<br />

in the 2005 General assembly Summit outcome document, which put<br />

forward a proposal for «achieving sustainable peace, recognizing the<br />

need for a dedicated institutional mechanism to address the special needs<br />

of countries emerging from conflict» 7 .<br />

in particular, it called for establishing a new international advisory<br />

body, a Peacebuilding commission (Pbc), whose main purpose would<br />

be:<br />

to bring together all relevant actors to marshal resources and to advise<br />

on and propose integrated strategies for post-conflict peacebuilding<br />

and recovery [to assist in laying] the foundations for sustainable development<br />

[and to] provide recommendations and information to<br />

improve the coordination of all relevant actors within and outside<br />

the United nations. 8<br />

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F O C U S<br />

A UNITED NATIONS ADMINISTRATIVE RESERVE CORPS<br />

conceptually, the Peacebuilding commission appears to be a major<br />

advance. What distinguishes peacebuilding from more conventional<br />

peacekeeping and humanitarian assistance is its focus on causes of conflict<br />

and the use of a wide range of multifunctional instruments to consolidate<br />

and entrench peace processes. Peacebuilding therefore tries to transform<br />

the social and political context of conflict so that human beings can live<br />

in a stable and secure social, political and economic environment. it recognizes<br />

that unless the peace process addressees the underlying causes of<br />

violence, human security will be threatened, a direct expression of the<br />

link between human rights and peace and security, as implied by the<br />

charter 9 .<br />

RECRUITMENT AND TRAINING 10<br />

The United nations administrative academy (Unaa) envisaged<br />

for the training of Unarc personnel would initially provide instruction<br />

in english, Spanish and French and have three campuses situated in<br />

stable, democratic host countries such as canada, costa rica, and Switzerland.<br />

in canada it might be based at the Lester b. Pearson canadian international<br />

Peacekeeping Training center in cornwallis, nova Scotia;<br />

in costa rica at the United nations University for Peace in San José;<br />

and in Switzerland at the United nations complex in Geneva. in time, a<br />

fourth campus offering instruction in arabic, and located perhaps in<br />

Tunisia or Jordan, might also become feasible.<br />

Faculty and administrators would be drawn largely from the already<br />

substantial pool of persons with United nations peacekeeping experience,<br />

supplemented by others with specialized expertise. Support staff would<br />

be locally recruited. Trainees would be selected competitively, based on<br />

tough annual qualifying examinations. While an attempt would be made<br />

to attract qualified individuals from all major world regions, special<br />

efforts would be directed at recruiting from developing countries, especially<br />

those of the global South. eligibility requirements would include<br />

possession of a baccalaureate degree or equivalent experience, falling in<br />

the age range from 21 to 35, being in good health, and having a moral<br />

record free from serious blemish. applications and testing would be<br />

managed through the national offices of the United nations Development<br />

Program (UnDP). Where needed, travel support to reach testing<br />

places would be provided.<br />

in addition to students recruited for Unarc, we note in passing<br />

that the academy could be used for training incoming junior professional<br />

staff of the United nations Secretariat, who would undergo a one-year<br />

orientation program (including a four-month stint in a stressful field location)<br />

prior to assuming posts within the United nations system 11 .<br />

41<br />

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SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

42<br />

Making competitive examinations the chief determinant of eligibility<br />

entails costs not present in the current system for recruiting civilian staff<br />

for Un peacekeeping missions, in which, arguably, class privilege, personal<br />

connections, and country of origin play too large a role. Top posts in<br />

such missions tend to be staffed disproportionately by personnel from<br />

relatively affluent countries or by elite social strata from a relatively small<br />

number of developing countries. The sensitivity of such individuals to<br />

the cultures and economic situations of locales where they will likely<br />

serve would often be questionable. While there can be no guarantee that<br />

those with less privileged backgrounds would be better equipped to perform<br />

their jobs, it does seem likely that properly trained Unaa graduates<br />

would demonstrate the requisite empathy and understanding.<br />

Unarc-bound students would receive modest monthly stipends in<br />

addition to food and lodging. Where appropriate, stipends would be<br />

supplemented by allowances for dependents. books, supplies, and related<br />

expenses would be borne by the academy. Paid leave and travel allowances<br />

would enable students to make periodic home visits. The period of instruction<br />

would normally be three years, though certain specializations<br />

might require a fourth year. The third year of training would include a<br />

four-to-six-month field internship, within an existing peacekeeping mission<br />

where possible, or otherwise in some troubled area in which a peacekeeping<br />

mission might be needed, but is not yet in place. internships<br />

with government agencies, with United nations field operations (e.g.,<br />

the UnDP, UniceF, or the World Food Program), or with nGos would be<br />

negotiated.<br />

Subjects of instruction and curricular emphases would evolve based<br />

on experience. but experience already accumulated by administrative<br />

training programs presently maintained by certain states (e.g., training<br />

for the indian administrative Service) would also be tapped in devising<br />

Unaa’s curriculum 12 .<br />

Unaa would establish a core curriculum that all students would be<br />

required to master. it would include instruction on the history, structure,<br />

and functioning of the United nations system, especially in respect to<br />

peacekeeping and peacebuilding, in that civilian, police and military<br />

staff will have to be able to work together effectively in the field. other<br />

core activities would include study of management techniques, workshops<br />

in effective written communication, honing critical skills in the reading<br />

of history and political propaganda, and training in cultural sensitivity<br />

and conflict resolution. Since most Unarc staff would eventually train<br />

local personnel to take over their functions, instruction in pedagogy<br />

would also prove useful.<br />

Specialized courses would include the following: human rights law,<br />

police supervision, fiscal management, community development, basic<br />

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A UNITED NATIONS ADMINISTRATIVE RESERVE CORPS<br />

education and educational reform, public health and sanitation, and disaster<br />

relief. intensive multi-disciplinary study of at least one major world<br />

region would be compulsory and specialized language training (especially<br />

in such lingua francas as arabic, Persian, Swahili, Hausa, Hindi/Urdu<br />

and Malay/bahasa indonesia) would be encouraged. Diverse means of<br />

testing would be utilized. Students failing to maintain high achievement<br />

standards would be dismissed from the program.<br />

apart from its academic offerings, the academy would seek to instill<br />

in students a global ethos stressing loyalty to humanity as a whole (complementing<br />

allegiance to one’s own nation) and a sense of planetary stewardship.<br />

Thereby, the academy, like the UnPc, would significantly promote<br />

planetary citizenship and inculcate in its students an esprit de<br />

corps that would substantially enhance their effectiveness.<br />

all in all, the costs of creating a United nations administrative<br />

academy, like those of Un peacekeeping and peacebuilding in general,<br />

would be modest in comparison to the benefits 13 .<br />

OPERATIONS<br />

Upon completing their Unaa studies Unarc personnel would enter<br />

into a ten-year contractual obligation to the corps and be subject to calls<br />

to duty as, when, and where their services might be required. Thus,<br />

Unarc would resemble the ready military reserves now maintained by<br />

many countries. Trainees would be recruited mainly from the administrative<br />

services of national governments and, as previously noted, would<br />

be selected primarily from the global South. To ensure their availability<br />

when needed, the United nations would negotiate memoranda of understanding<br />

with the governments of countries from which the volunteers<br />

came. These accord would require the governments in question to agree<br />

to the temporary release of trainees and reservists called up for service<br />

and promise to restore them to their former positions, should the volunteer<br />

so desire, with no loss of seniority once their United nations<br />

training and service were completed.<br />

on graduation, some trainees would be assigned immediately to<br />

peacekeeping or peacebuilding missions with pressing civilian staff needs.<br />

The remainder would return to their home countries. While the minimum<br />

reserve obligation would be, as previously stated, for ten years, it<br />

would be possible, for those wishing to do so, to extend their reserve<br />

status beyond that period. The United nations’ Department of Peacekeeping<br />

operations (DPKo) would have final discretion in this matter.<br />

Most Unaa graduates on United nations duty would initially serve<br />

in junior positions under more experienced personnel from the DPKo<br />

appointed as chiefs or deputy chiefs of mission or to other senior posts.<br />

43<br />

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SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

44<br />

in turn, they would be responsible for recruiting, training and supervising<br />

lower-level local staff where needed. reservists of proven ability would<br />

likely be marked for positions of increasing responsibility in subsequent<br />

assignments. Some might even achieve permanent positions within the<br />

United nations system. Salaries would be modest in comparison to those<br />

presently paid to civilians working on contract in peacekeeping missions<br />

or to professional United nations staff. but, given the high value of their<br />

Unarc education, the discrepancy would be justifiable. Moreover, even<br />

the modest salaries envisaged would be significantly better than those<br />

that most corps personnel would earn in their home countries.<br />

among those with whom Unarc personnel would interact would<br />

be recruits to a little known, but highly effective, body of United nations<br />

Volunteers (UnV), participants in a program established by the General<br />

assembly in 1970 14 . Working through the UnDP, UnV has, since its founding,<br />

placed well over 50,000 volunteers to perform a broad range of onsite<br />

functions in more than 130 countries. of these, roughly 6,500 were<br />

on duty in 2013. additionally, it maintains a roster of more than 300,000<br />

professionals who are seeking assignments. More than 75% of assigned<br />

volunteers come from developing counties and more than 30% serve<br />

within their own countries. Volunteers now constitute approximately a<br />

third of all international civilian staff working in United nations peacekeeping<br />

and humanitarian operations. Volunteers work with United nations<br />

agencies, as well as non-profit and private organizations, including<br />

more than 2,000 nGos. Volunteers work under annually renewable contracts.<br />

They receive a modest living allowance, generally paid by the host<br />

agency, but sometimes by donors to the Un’s Special Voluntary Fund.<br />

cooperation between UnV and Unarc personnel would, presumably,<br />

be of substantial mutual benefit as well as benefit to the areas to which<br />

they are assigned.<br />

When not on active duty, Unarc reservists would have opportunities<br />

to participate in periodic camps to enable them to refresh and sharpen<br />

existing skills, acquire new skills, and be briefed on lessons learned from<br />

completed or on-going United nations missions. Such participation<br />

would be appropriately remunerated.<br />

Unarc’s size would vary over time. The corps would, of course,<br />

not even come into existence until graduating the first cohort of trainees<br />

three years after the academy’s inauguration. Thereafter, Unarc would<br />

grow at the rate of a thousand or more reservists per year, depending on<br />

the need for additional personnel and Unaa’s ability to expand. Much<br />

would also depend on the willingness of reserve personnel to extend<br />

their commitments beyond the ten-year minimum. Maintaining a corps<br />

on the order of 15,000 individuals would appear to be a reasonable and<br />

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A UNITED NATIONS ADMINISTRATIVE RESERVE CORPS<br />

attainable goal; but experience may, in time, generate a need for a significantly<br />

larger number.<br />

conceivably, many Unaa graduates will never be called upon for<br />

active duty. Given the uncertainties of politics, one cannot confidently<br />

predict future personnel needs. but, even if an individual were never<br />

called to service, that would not mean that the money spent on her/his<br />

training would have been wasted. on the contrary, developing human<br />

capital, which would be one of Unarc’s missions, should reap dividends<br />

in numerous contexts. Service by well-trained personnel in the administration<br />

of their respective homelands could contribute greatly to their<br />

economic, social and political betterment. Many graduates, whether or<br />

not they have had foreign peacekeeping experience, would likely acquire<br />

skills that would enable them to rise quickly in the ranks of their home<br />

country’s bureaucracy, especially in developing countries.<br />

although most deployments of Unarc personnel would presumably<br />

be with chapter Vii peacekeeping missions still in the field, there is no<br />

reason in principle why they could not also be attached to Un-approved<br />

chapter Viii missions mounted by regional or sub-regional organizations,<br />

such as the african Union, ecoWaS or the organization of american<br />

States, to name but a few. This would, of course, require the development<br />

of appropriate new cooperation protocols and resort to skillful<br />

ad hoc diplomacy, and could obviate the sort of criticism increasingly<br />

articulated in much of the global South by those who perceive the United<br />

nations as the handmaiden of Western neo-imperialists (such criticism<br />

has been especially strident in regard to the alleged misapplication of<br />

the new United nations doctrine of the “responsibility to protect”).<br />

additionally, one may envisage Unarc missions of a preventative<br />

nature in situations where there threats to the peace appear likely, but in<br />

which hostilities have not yet begun. Here too creative diplomacy would<br />

be needed and intervention would require the consent of the states in<br />

question.<br />

45<br />

IMPLEMENTATION<br />

as future successes are achieved, and as recognition spreads that<br />

there are indeed reliable international mechanisms for preventing or<br />

containing violence and of reversing civil disarray, the justification for<br />

large national military establishments will diminish. Then, given mounting<br />

popular pressure for reducing tax burdens, nations should be increasingly<br />

willing to divert portions of their bloated military budgets toward<br />

supporting peacekeeping missions and providing adequate funding for<br />

Unarc.<br />

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SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

in several countries, most notably those of the nordic bloc, canada,<br />

and the netherlands, which have had extensive and exemplary experience<br />

in peacekeeping operations, much thought has been given to issues<br />

touched on in this essay. it seems appropriate then to suggest that a select<br />

group of highly trusted states, including countries from the global South<br />

(but not any of the major powers) be delegated by the General assembly<br />

to draw up, with the assistance of qualified nGos, a blueprint and<br />

timetable for phased implementation of Unarc and Unaa.<br />

The costs of creating and maintaining Unarc would be modest in<br />

comparison to the benefits. Whether one considers chapter Vii or<br />

chapter Viii interventions, the political stability provided through the<br />

involvement of Unarc personnel would hasten the restoration of normalcy,<br />

greatly reduce the likelihood of reversion to armed conflict and<br />

inhibit the spread of terrorist networks. if even a single major act of terrorism<br />

were thereby to be averted, the benefits might well be incalculable.<br />

NOTES<br />

46<br />

1 This paper is a reworking and slight expansion of portions of chapter 12, “Peacekeeping,<br />

Peacebuilding and Disarmament,” of the author’s book, Transforming the United Nations<br />

System: Designs for a Workable World, United nations University Press, Tokyo-new<br />

York, 2013, pp. 252-256 and 269-270.<br />

2 For a complete roster of chapter Vii peacekeeping missions, with details on authorization<br />

dates, mandates and authorized strengths; statistics of actual military, police<br />

and civilian contributions to the mission, by country and gender; and much additional<br />

information, see «Peacekeeping operations», in http://goo.gl/zQstG0. Data are updated<br />

monthly.<br />

3 See «namibia-UnTaG», in http://goo.gl/sJf T4i.<br />

4 Un General assembly, Report of the Panel on United Nations Peace Operations (brahimi<br />

report), Un Doc. a/55/305-S/2000/809, 17 august 2000, paragraph 127.<br />

5 Un General assembly, 2005 World Summit Outcome, new York: United nations, 24<br />

october 2005, a/reS/60/1, paragraph 13.<br />

6 Un General assembly (brahimi report), op. cit., para. 13.<br />

7 ivi, para. 97. The section entitled «Peacebuilding» consists of paragraphs 97-105.<br />

The recommendations were consistent with those put forward by the High-level Panel<br />

on Threats, challenges and change, A More Secure World, Our Shared Responsibility,<br />

UnGa Doc. a/59/565, 29 november 2004; Section ii; and by Kofi annan, In Larger<br />

Freedom: Towards Development, Security and Human Rights for All, UnGa Doc.<br />

a/59/2005, 21 March 2005, paragraph 114.<br />

8 Un General assembly (brahimi report), op. cit., para. 98.<br />

9 Fen o. Hampson and christopher K. Penny, Human Security, in Thomas Weiss and<br />

Sam Daws (eds.), The Oxford Handbook on the United Nations, oxford University<br />

Press, oxford-new York, 2007, p. 549.<br />

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F O C U S<br />

A UNITED NATIONS ADMINISTRATIVE RESERVE CORPS<br />

10 The content of this section appears in somewhat different form in Joseph e.<br />

Schwartzberg, Needed: A United Nations Administrative Academy, “Un chronicle”,<br />

vol. 43, no. 1 (special number on The Challenge of Building Peace), March-May 2006,<br />

pp. 14-16.<br />

11 For further details, see J. Schwartzberg, Transforming, cit., pp. 175-176.<br />

12 a precedent for the present indian program is that of the british east india company<br />

at Haileybury college in england over the period 1806-57. Despite its obvious (and,<br />

in some respects, distasteful) colonial associations, the Haileybury program produced<br />

many outstanding administrators and scholars. it provided a corps of dedicated and<br />

efficient company servants who were able to communicate effectively with one another<br />

and who deeply understood what their jobs demanded. The best relevant work is Frederick<br />

charles Danvers et al., Memorials of Old Haileybury College, archibald constable<br />

& co., Westminster, 1894.<br />

13 in 2002, i made detailed estimates of what a Unaa might cost per annum. i determined<br />

that a fully-running institution with three campuses, each with an academic staff of<br />

about 150, several hundred support personnel (for technical, secretarial and maintenance<br />

services) and roughly 1,000 stipend-receiving trainees, would require an annual<br />

budget of not much more than $100 million (at 2002 prices), roughly equivalent to<br />

the then cost of the University of Minnesota’s college of Liberal arts (with approximately<br />

15,000 students).<br />

14 See «Un Volunteers» in http://www.unv.org, with links to «about Us», «What<br />

We Do», and «Partnership».<br />

47<br />

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SICUREZZA: DIRITTO INTERNAZIONALE E UE<br />

F O C U S<br />

L’Alto Rappresentante dell’Unione<br />

Europea per gli Affari Esteri<br />

e la Politica di Sicurezza<br />

UGo ViLLani<br />

Università Aldo Moro di Bari,<br />

Professore Ordinario di Diritto Internazionale<br />

THE HIGH REPRESENTATIVE OF THE EUROPEAN UNION FOR FOREIGN AF-<br />

FAIRS AND SECURITY POLICY. In order to enable the European Union to speak<br />

with a single voice in the international scene, the Treaty of Lisbon of 2007 has instituted<br />

a new office, the High Representative for Foreign Affairs and Security Policy.<br />

The main tasks of the High Representative are related to the common foreign and security<br />

policy of the European Union. In these matters he has the function to represent<br />

the Union, as well as the functions of initiative, of proposal and of implementation<br />

of the decisions of the Council and of the European Council. The double status of the<br />

High Representative might promote the convergence of the positions of the Council<br />

and of the Commission; but, on the other hand, the intergovernmental character,<br />

which still dominates the foreign policy of the European Union, might weaken the<br />

role of the High Representative.<br />

KEYWORDS: DOUBLE HAT • EU HIGH REPRESENTATIVE • FOREIGN AFFAIRS AND LISBON TREATY.<br />

1.<br />

nell’intento di permettere all’Unione europea di parlare con una<br />

sola voce e di svolgere un’azione più coerente, unitaria e incisiva<br />

che in passato sulla scena internazionale il Trattato di Lisbona<br />

del 13 dicembre 2007 ha istituito la figura dell’alto rappresentante<br />

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SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

50<br />

dell’Unione per gli affari esteri e la Politica di Sicurezza. Tale figura, pur<br />

trovando un precedente in quella del Segretario generale del consiglio,<br />

nel suo compito di assistere la Presidenza di turno nel ruolo di alto rappresentante<br />

per la Politica estera e di Sicurezza comune (c.d. Mister<br />

PeSc), rappresenta una novità particolarmente significativa, ma anche<br />

problematica e non priva di una certa ambiguità, nel quadro istituzionale<br />

risultante dal Trattato di Lisbona.<br />

L’alto rappresentante, infatti, pur essendo un organo individuale,<br />

da una parte, opera nell’ambito del consiglio (formato dai Ministri degli<br />

Stati membri), in quanto lo presiede nella composizione «affari esteri»<br />

(art. 18, par. 2, TUe) ed attua la politica estera e di sicurezza comune in<br />

qualità di mandatario del consiglio; dall’altra, fa parte della commissione<br />

della quale è uno dei vicepresidenti (art. 18, par. 4, TUe). egli, dunque,<br />

come si usa dire, ha un “doppio cappello” (o, forse meglio, una doppia<br />

poltrona!). La sua duplice condizione si riflette nella duplicità di legami<br />

che egli ha, per un verso, con le istituzioni marcatamente governative<br />

dell’Unione (consiglio europeo e consiglio), per altro verso, con l’istituzione<br />

“sopranazionale”, la commissione, formata da individui indipendenti<br />

da qualsiasi Stato membro, legami che ne fanno un organo in<br />

qualche misura “ibrido”.<br />

2.<br />

al duplice ruolo dell’alto rappresentante si collegano anzitutto le<br />

procedure relative alla sua nomina e alla sua eventuale revoca. Per quanto<br />

riguarda il primo aspetto, egli è nominato dal consiglio europeo (composto<br />

dai capi di Stato o di governo degli Stati membri), il quale delibera<br />

a maggioranza qualificata e con l’accordo del Presidente della commissione<br />

(art. 18, par. 1, TUe), mentre l’elenco degli altri commissari è proposto<br />

dal consiglio, non da quello europeo, quindi nella sua composizione<br />

ministeriale, sempre d’accordo con il Presidente della<br />

commissione. come tutti i componenti della commissione, compreso<br />

il Presidente, anche l’alto rappresentante è soggetto al voto di approvazione<br />

collettiva del Parlamento europeo, il quale, pertanto, può<br />

“bocciare” il candidato proposto dal consiglio europeo, nel contesto,<br />

peraltro, di una bocciatura dell’intera commissione. È del tutto improbabile,<br />

peraltro, che si giunga a un evento così dirompente nei rapporti<br />

tra le istituzioni europee; la votazione del Parlamento sull’intera compagine<br />

della commissione è preceduta, infatti, dall’audizione di ciascun<br />

commissario candidato dinanzi alla competente commissione parlamentare,<br />

per cui un eventuale giudizio negativo sull’alto rappresentante<br />

proposto emergerebbe a seguito dell’audizione e, presumibilmente, con-<br />

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F O C U S<br />

L'ALTO RAPPRESENTANTE DELL'UNIONE EUROPEA PER GLI AFFARI ESTERI E LA POLITICA<br />

durrebbe alla sua sostituzione con un altro nominativo da parte del consiglio<br />

europeo e del Presidente della commissione.<br />

anche la disciplina concernente l’eventuale cessazione del mandato<br />

dell’alto rappresentante risente della duplice natura, di “mandatario”<br />

del consiglio e di suo Presidente nella composizione «affari esteri»,<br />

da un lato, di componente (e vicepresidente) della commissione, dall’altro.<br />

Tale disciplina si presenta in maniera differenziata a seconda delle<br />

istituzioni e degli organi che decidano la cessazione delle funzioni. anzitutto<br />

è il consiglio europeo che può decidere di determinare l’estinzione<br />

del mandato; in questo caso si applica la stessa procedura prevista per la<br />

sua nomina, cioè la delibera a maggioranza qualificata, ma sempre con<br />

l’accordo del Presidente della commissione (art. 18, par. 1, TUe). La<br />

medesima procedura va seguita qualora il Presidente della commissione<br />

chieda all’alto rappresentante di dimettersi, ai sensi dell’art. 17, par. 6,<br />

3° comma. Si noti che, per quanto riguarda gli altri commissari, le dimissioni<br />

su richiesta del Presidente sono un atto dovuto. al contrario, l’applicazione<br />

della procedura di cui all’art. 18, par. 1, comporta che la richiesta<br />

di dimissioni da parte del Presidente non sia sufficiente per obbligare<br />

l’alto rappresentante a rassegnarle: occorre che, anche in questo caso, il<br />

consiglio europeo deliberi la revoca del suo mandato (o le dimissioni<br />

forzate) pronunciandosi, come sempre, a maggioranza qualificata (mentre<br />

l’accordo del Presidente della commissione è già assorbito nella sua richiesta<br />

di dimissioni). nei casi suddetti la cessazione dalla carica di alto<br />

rappresentante fa venire meno automaticamente la qualifica di membro<br />

della commissione; lo status di alto rappresentante, infatti, appare configurato<br />

come una condizione per la sua partecipazione alla commissione.<br />

Più problematica è l’interpretazione delle norme relative agli effetti,<br />

sul mandato dell’alto rappresentante, di un’eventuale mozione di censura<br />

adottata dal Parlamento europeo. com’è noto, ai sensi dell’art. 17, par.<br />

8, TUe e dell’art. 234, TFUe, il Parlamento europeo può approvare, con<br />

una maggioranza particolarmente qualificata (due terzi dei voti espressi<br />

e la maggioranza dei membri del Parlamento), una mozione di censura<br />

sull’operato della commissione, la quale determina le dimissioni obbligatorie<br />

e collettive dei membri della commissione. Tale potere del Parlamento<br />

europeo esprime quel rapporto fiduciario che deve sussistere<br />

tra il primo e la commissione, dal momento della sua nomina e, costantemente,<br />

nel corso del suo intero mandato, in base al quale, come dichiara<br />

lo stesso art. 17, par. 8, TUe, «la commissione è responsabile collettivamente<br />

dinanzi al Parlamento europeo». La mozione di censura, peraltro,<br />

non determina, nei confronti dell’alto rappresentante, gli stessi pieni<br />

effetti che produce verso gli altri componenti della commissione, compreso<br />

il suo Presidente. Le disposizioni testé menzionate, infatti, non<br />

51<br />

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F O C U S<br />

SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

52<br />

prevedono la sua “caduta” (a differenza del Presidente e degli altri commissari),<br />

ma dichiarano che egli «si dimette dalle funzioni che esercita<br />

in seno alla commissione». Tale limitazione implica che l’alto rappresentante,<br />

pur dovendo lasciare la sua carica di commissario (e di vicepresidente)<br />

della commissione, resti titolare delle altre funzioni che le disposizioni<br />

pertinenti dei Trattati (e del diritto derivato) gli conferiscono;<br />

in particolare, egli resta mandatario del consiglio e Presidente dello<br />

stesso nella composizione «affari esteri». Un’eventualità del genere<br />

creerebbe problemi, pratici e politici, estremamente complessi; se egli<br />

restasse in carica non si vede, infatti, come si potrebbe sostituirlo nella<br />

nuova commissione da nominare in luogo di quella “sfiduciata”; la stessa<br />

restrizione dei suoi compiti a quelli connessi alla posizione di alto rappresentante<br />

renderebbe difficilmente sostenibile il suo ruolo, dato che<br />

tali compiti si intrecciano strettamente con quelli propri di componente<br />

e vicecommissario della commissione. È quindi prevedibile (e altamente<br />

auspicabile) che, in caso di censura del Parlamento, il consiglio europeo,<br />

in uno spirito di leale cooperazione con il Parlamento, decida di porre<br />

fine al mandato dell’alto rappresentante in conformità dell’art. 18, par.<br />

1. Tuttavia l’ipotesi di un conflitto istituzionale tra il Parlamento e il<br />

consiglio europeo non può escludersi.<br />

in ogni caso, il meccanismo di cessazione dalle funzioni dell’alto<br />

rappresentante determina una restrizione dei poteri di controllo politico<br />

del Parlamento europeo sulla commissione, subordinando lo stesso Parlamento<br />

a una conforme decisione del consiglio europeo, e inoltre è<br />

suscettibile di alterare l’equilibrio risultante dal duplice “cappello” nel<br />

consiglio e nella commissione, accentuando il rapporto di dipendenza<br />

dell’alto rappresentante nei confronti dei due consigli, cioè delle istituzioni<br />

europee tipicamente intergovernative.<br />

3.<br />

L’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la Politica<br />

di Sicurezza, ai sensi dell’art. 18, par. 2, TUe, guida la politica estera e di<br />

sicurezza comune dell’Unione, comprensiva della politica di sicurezza e<br />

di difesa comune, contribuisce con le sue proposte all’elaborazione di<br />

detta politica e la attua, come si è detto, in qualità di mandatario del<br />

consiglio. in tale veste, pertanto, egli opera a servizio della istituzione<br />

intergovernativa, formata dai Ministri degli Stati membri, e quindi, in<br />

definitiva, a servizio dei Governi degli Stati membri. nell’esercizio delle<br />

funzioni concernenti la politica estera e di sicurezza comune il rapporto<br />

di servizio nei confronti del consiglio prevale sulla posizione di piena<br />

indipendenza che caratterizza la commissione e i suoi membri e che<br />

questi devono garantire, ai fini sia della loro designazione che della per-<br />

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F O C U S<br />

L'ALTO RAPPRESENTANTE DELL'UNIONE EUROPEA PER GLI AFFARI ESTERI E LA POLITICA<br />

manenza nella propria carica. i membri della commissione, infatti, non<br />

sollecitano né accettano istruzioni da alcun governo, istituzione, organo<br />

o organismo; ma l’art. 17, par. 3, 3° comma, che enuncia tale prescrizione,<br />

fa salvo l’art. 18, par. 2, concernente, come si è visto, i rapporti dell’alto<br />

rappresentante con il consiglio, confermando, così, che tali rapporti si<br />

configurano come rapporti di “dipendenza”, non già di indipendenza,<br />

come per gli altri membri della commissione.<br />

Peraltro, in materia di politica estera e di sicurezza comune, è il<br />

consiglio europeo che svolge le funzioni principali, concernenti le scelte<br />

politiche di fondo. È tale consiglio, infatti, che individua gli interessi<br />

strategici dell’Unione, fissa gli obiettivi e definisce gli orientamenti generali<br />

di tale politica, comprese le questioni aventi implicazioni in materia<br />

di difesa, e adotta le decisioni necessarie (art. 26, par. 1, TUe). il consiglio,<br />

in definitiva, agisce in esecuzione delle determinazioni del consiglio<br />

europeo. in questo senso si esprime esplicitamente l’art. 26, par. 2, il<br />

quale dichiara che il consiglio elabora la politica estera e di sicurezza comune<br />

e prende le decisioni necessarie per la definizione e l’attuazione di<br />

tale politica in base agli orientamenti generali e alle linee strategiche definiti<br />

dal consiglio europeo. Di conseguenza l’alto rappresentante<br />

opera anche nell’ambito del consiglio europeo, partecipando ai suoi lavori<br />

(art. 15, par. 2, TUe), presentando proposte e assicurando l’attuazione<br />

delle sue decisioni (oltre che di quelle del consiglio) (art. 27, par. 1,<br />

TUe). L’alto rappresentante, per tale via, è posto al servizio dell’istituzione<br />

di natura più squisitamente politica, governativa e verticistica, qual è il<br />

consiglio europeo.<br />

a fronte di questa collocazione “politica” e “governativa” dell’alto<br />

rappresentante fa riscontro, peraltro, la sua qualifica di membro della<br />

commissione (e nella posizione particolarmente prestigiosa di vice-presidente);<br />

cioè dell’istituzione che più di ogni altra rappresenta in maniera<br />

unitaria, indipendente ed esclusiva l’interesse generale dell’Unione, l’istituzione<br />

più genuinamente “comunitaria” e “sopranazionale” (com’era<br />

espressamente designata l’alta autorità della ceca nel Trattato istitutivo,<br />

della quale la commissione costituisce la prosecuzione). nell’esercizio<br />

delle sue competenze nell’ambito della commissione l’alto rappresentante<br />

è soggetto alle procedure che regolano il funzionamento della stessa<br />

commissione, compatibilmente, peraltro, con le disposizioni che ne disciplinano<br />

il ruolo e le funzioni nel campo della politica estera e di sicurezza<br />

comune. in tale qualifica egli vigila sulla coerenza esterna dell’Unione e,<br />

in seno alla commissione, è incaricato delle responsabilità che incombono<br />

a tale istituzione nel settore delle relazioni esterne e del coordinamento<br />

degli altri aspetti dell’azione esterna dell’Unione. come si vede, in tale<br />

veste l’alto rappresentante assume delle funzioni che oltrepassano la<br />

materia della politica estera e di sicurezza comune e investono la comp-<br />

53<br />

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SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

lessiva dimensione esterna dell’azione dell’Unione, della quale egli ha il<br />

delicato compito di garantire la coerenza.<br />

4.<br />

54<br />

Le singole funzioni che, nel quadro delle competenze testé ricordate,<br />

l’alto rappresentante è chiamato ad adempiere risultano da numerose<br />

disposizioni, in larga parte concentrate nel Trattato sull’Unione europea,<br />

che contiene la disciplina relativa alla politica estera e di sicurezza comune,<br />

compresa quella di sicurezza e di difesa comune, altre sparse nel Trattato<br />

sul funzionamento dell’Unione europea e in atti di diritto derivato. Tali<br />

funzioni possono classificarsi in varie categorie.<br />

Una prima funzione è di rappresentanza dell’Unione per le materie<br />

che rientrano nella politica estera e di sicurezza comune; in tale compito<br />

l’alto rappresentante conduce, a nome dell’Unione, il dialogo politico<br />

con i terzi ed esprime la posizione dell’Unione nelle organizzazioni internazionali<br />

e in seno alle conferenze internazionali (art. 27, par. 2, TUe).<br />

nella funzione di rappresentanza rientra la possibilità che gli Stati membri,<br />

che partecipano al consiglio di Sicurezza, invitino l’alto rappresentante<br />

a presentare la posizione dell’Unione, qualora essa abbia definito una<br />

posizione su un tema all’ordine del giorno dello stesso consiglio di Sicurezza<br />

(art. 34, par. 2, 3° comma, TUe). anche riguardo alle delegazioni<br />

dell’Unione nei Paesi terzi e presso le organizzazioni internazionali, le<br />

quali assicurano la rappresentanza dell’Unione, è stabilito che siano poste<br />

sotto l’autorità dell’alto rappresentante (art. 221 TFUe). La posizione<br />

di rappresentanza esterna dell’Unione è ribadita nell’art. 17, par. 1, TUe,<br />

il quale, dopo avere dichiarato che la commissione assicura la rappresentanza<br />

esterna dell’Unione, pone un’eccezione per la politica estera e<br />

di sicurezza comune, nella quale, come si è visto, la rappresentanza dell’Unione<br />

è posta in capo all’alto rappresentante. Quest’ultimo (e si<br />

tratta di una delle più significative novità introdotte dal Trattato di Lisbona)<br />

si avvale di un Servizio europeo di azione esterna (Seae: art. 27,<br />

par. 3, TUe), istituito con la Decisione 2010/427/Ue del consiglio del<br />

26 luglio 2010, posto sotto la sua responsabilità e configurabile come un<br />

servizio europeo di diplomazia. il Seae assiste l’alto rappresentante nell’esecuzione<br />

delle sue funzioni di guida della politica estera e di sicurezza<br />

comune, compresa la politica di sicurezza e di difesa comune, e nelle<br />

funzioni svolte nella veste di Presidente del consiglio «affari esteri» e<br />

in quella di vicepresidente della commissione.<br />

Deve però sottolinearsi che la funzione di rappresentanza esterna<br />

dell’Unione non compete in via esclusiva all’alto rappresentante. abbiamo<br />

già rilevato che nelle materie diverse dalla politica estera e di sicurezza<br />

comune è la commissione che rappresenta l’Unione. Ma anche nella<br />

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F O C U S<br />

L'ALTO RAPPRESENTANTE DELL'UNIONE EUROPEA PER GLI AFFARI ESTERI E LA POLITICA<br />

predetta materia l’alto rappresentante condivide la rappresentanza con<br />

il Presidente del consiglio europeo, il quale, ai sensi dell’art. 15, par. 6,<br />

TUe, «assicura, al suo livello e in tale veste, la rappresentanza esterna<br />

dell’Unione per le materie relative alla politica estera e di sicurezza comune,<br />

fatte salve le attribuzioni dell’alto rappresentante»; peraltro, la<br />

norma in esame non chiarisce in qual modo le rispettive funzioni di rappresentanza<br />

del Presidente del consiglio europeo e dell’alto rappresentante<br />

debbano coordinarsi.<br />

Varie disposizioni, sia pure con terminologie differenti, mettono in<br />

luce, inoltre, il ruolo, già segnalato, dell’alto rappresentante nel promuovere<br />

l’unità, la coerenza, l’efficacia dell’azione esterna dell’Unione<br />

(art. 21, par. 3, e art. 26, par. 2, TUe) e il coordinamento tra gli Stati<br />

membri nel consiglio (art. 32, 2° comma, TUe) e nelle organizzazioni e<br />

nelle conferenze internazionali (art. 34, par. 1, TUe). Ma anche a questo<br />

riguardo il compito dell’alto rappresentante non è mai esclusivo: egli<br />

opera accanto al consiglio (art. 26, par. 2, 2° comma) o si limita ad assistere<br />

il consiglio e la commissione (art. 21, par. 3, 2° comma).<br />

all’alto rappresentante è affidato un potere di proposta e di iniziativa,<br />

come risulta già dal ricordato art. 18 TUe, il quale, genericamente,<br />

dichiara che egli contribuisce con le sue proposte all’elaborazione della<br />

politica estera e di sicurezza comune (e, in senso analogo, dall’art. 27,<br />

par. 1, TUe). Tale potere è ribadito da varie disposizioni, che peraltro,<br />

sovente, prevedono che esso sia esercitato congiuntamente alla commissione,<br />

come l’art. 22, par. 2, TUe, nelle materie che rientrano sia nella<br />

politica estera e di sicurezza comune che negli altri settori dell’azione esterna,<br />

e l’art. 222, par. 3, TFUe, per l’attuazione della clausola di solidarietà<br />

tra l’Unione e gli Stati membri, qualora uno Stato membro sia oggetto<br />

di un attacco terroristico o vittima di una calamità naturale o provocata<br />

dall’uomo; oppure in alternativa con Stati membri, come l’art. 30, par. 1,<br />

TUe, riguardo alla sottoposizione al consiglio di questioni relative alla<br />

politica estera e di sicurezza comune e alla presentazione allo stesso di<br />

iniziative o proposte, e l’art. 42, par. 4, TUe, relativamente alle decisioni<br />

del consiglio in materia di politica di sicurezza e di difesa comune, compreso<br />

l’avvio di missioni di carattere civili o militare (anche se, per quanto<br />

concerne la proposta di ricorrere a mezzi degli Stati o dell’Unione, l’alto<br />

rappresentante può essere affiancato dalla commissione). L’alto rappresentante<br />

riassume un potere esclusivo per quanto riguarda la raccomandazione<br />

al consiglio di autorizzare l’avvio di negoziati per la conclusione<br />

di accordi riguardanti esclusivamente o principalmente la politica<br />

estera e di sicurezza comune (art. 218, par. 3, TFUe) e la proposta, sempre<br />

al consiglio, di nominare un rappresentante speciale con un mandato<br />

per problemi politici specifici, mandato da esercitare sotto l’autorità dell’alto<br />

rappresentante (art. 33 TUe).<br />

55<br />

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SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

56<br />

come si è accennato, l’alto rappresentante svolge altresì funzioni<br />

esecutive rispetto alle determinazioni del consiglio europeo e del consiglio.<br />

in questo senso dispone il più volte ricordato art. 18, par. 2, il<br />

quale dichiara che egli non solo contribuisce, con le sue proposte, all’elaborazione<br />

della politica estera e di sicurezza comune, comprensiva della<br />

politica di sicurezza e di difesa comune, ma attua tale politica in qualità<br />

di mandatario del consiglio. in senso analogo si esprimono l’art. 27, par.<br />

2, stabilendo che l’alto rappresentante assicura l’attuazione delle decisioni<br />

del consiglio europeo e del consiglio, e l’art. 24, par. 1, 2° comma, il<br />

quale dispone che la politica estera e di sicurezza comune è messa in atto<br />

dall’alto rappresentante, ma, ancora una volta, anche dagli Stati membri.<br />

e un riferimento agli Stati membri, oltre che all’alto rappresentante, ritorna<br />

nell’art. 26, par. 3, TUe: questo dichiara che la politica estera e di<br />

sicurezza comune, cioè, in definitiva, il complesso delle decisioni prese<br />

dal consiglio sulla base degli orientamenti generali e delle linee strategiche<br />

predefiniti dal consiglio europeo, è attuata dall’alto rappresentante e<br />

dagli Stati membri, ricorrendo ai mezzi nazionali e a quelli dell’Unione.<br />

Un ruolo esecutivo, peraltro di modesto rilievo e condiviso con la commissione,<br />

emerge pure dall’art. 220 TFUe, concernente la cooperazione e<br />

i collegamenti dell’Unione europea con le nazioni Unite e altre organizzazioni<br />

internazionali.<br />

rientrano ancora nelle funzioni esecutive quelle, di particolare importanza<br />

nell’azione esterna dell’Unione, concernenti le missioni operative<br />

che essa può intraprendere, ricorrendo a mezzi sia civili che militari, nel<br />

quadro della politica di sicurezza e di difesa comune. Tali missioni (dette<br />

“missioni di Petersberg”) sono dirette a garantire il mantenimento della<br />

pace, la prevenzione dei conflitti e il rafforzamento della sicurezza internazionale,<br />

conformemente ai principi della carta delle nazioni Unite<br />

(art. 42, par. 1, TUe), e comprendono una vasta gamma di azioni, elencate<br />

nell’art. 43, par. 1, TUe, le quali possono richiedere anche un significativo<br />

impegno militare. nello svolgimento delle suddette missioni l’alto rappresentante<br />

provvede a coordinare i relativi aspetti civili e militari,<br />

operando, peraltro, sotto l’autorità del consiglio e in stretto e costante<br />

contatto con il Comitato politico e di sicurezza (al quale fa riferimento,<br />

riguardo alle missioni in parola, anche l’art. 38 TUe). egli inoltre, qualora<br />

il consiglio decida di affidare la realizzazione di una missione operativa<br />

a un gruppo di Stati membri, che lo desiderano e dispongono delle capacità<br />

necessarie, è associato alla definizione degli accordi fra tali Stati<br />

sulla gestione della missione (art. 44, par. 1).<br />

Sul piano militare merita di essere segnalato che l’alto rappresentante<br />

è a capo dell’Agenzia europea per la difesa, posta peraltro sotto l’autorità<br />

del consiglio. Tale agenzia, prevista dall’art. 42, par. 3, 2° comma,<br />

e dall’art. 45 TUe, è stata istituita con l’azione comune 2004/551/PeSc<br />

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F O C U S<br />

L'ALTO RAPPRESENTANTE DELL'UNIONE EUROPEA PER GLI AFFARI ESTERI E LA POLITICA<br />

del consiglio del 12 luglio 2004, sostituita con la Decisione<br />

2011/411/PeSc del consiglio del 12 luglio 2011.<br />

Ulteriori compiti, peraltro di modesto profilo, dell’alto rappresentante<br />

sono previsti in materia di cooperazione strutturata permanente<br />

(art. 42, par. 6, e art. 46 TUe), che può instaurarsi tra gli Stati membri<br />

che rispondono a criteri più elevati in termini di capacità militari e che<br />

hanno sottoscritto impegni più vincolanti ai fini delle missioni più impegnative,<br />

e di cooperazione rafforzata nel quadro della politica estera e<br />

di sicurezza comune (art. 328, par. 2, art. 329, par. 2, e art. 331, par. 2,<br />

TFUe). Più significativa, sul piano politico-istituzionale, appare la funzione<br />

di consultazione, di informazione e di raccordo con il Parlamento europeo.<br />

in proposito l’art. 36 TUe dispone che l’alto rappresentante consulta<br />

regolarmente il Parlamento europeo sui principali aspetti e sulle<br />

scelte fondamentali della politica estera e di sicurezza comune e della<br />

politica di sicurezza e di difesa comune; lo informa della evoluzione di<br />

tali politiche; provvede affinché le opinioni del Parlamento europeo<br />

siano debitamente prese in considerazione; da parte sua, il Parlamento<br />

europeo può rivolgere interrogazioni o formulare raccomandazioni all’alto<br />

rappresentante, così come al consiglio, e procede due volte all’anno<br />

a un dibattito sui progressi compiuti nell’attuazione della politica estera<br />

e di sicurezza comune, compresa la politica di sicurezza e di difesa comune.<br />

Se si considera che il Parlamento europeo è sostanzialmente emarginato<br />

da ogni procedimento decisionale in materia di politica estera e di sicurezza<br />

comune, la relazione che il citato art. 36 istituisce in maniera<br />

stabile e sistematica con l’altorappresentante può valere a consentire al<br />

Parlamento europeo di recuperare, almeno in parte, qualche forma di<br />

controllo sulla politica estera dell’Unione, controllo dal quale non si può<br />

invero prescindere per una effettiva realizzazione di quei principi democratici,<br />

solennemente più volte proclamati nei Trattati europei, ma che<br />

nella materia in esame subiscono un sostanziale e preoccupante disconoscimento.<br />

57<br />

5.<br />

L’analisi, sin qui svolta, delle funzioni dell’alto rappresentante ci<br />

sembra ribadisca quella sua ambiguità che segnalavamo in apertura del<br />

presente scritto. essa emerge non solo dal duplice legame, da un lato,<br />

con l’istituzione tipicamente “sopranazionale”, la commissione, dall’altro,<br />

con quella intergovernativa, il consiglio (e, a un livello ancor più verticistico,<br />

con il consiglio europeo); ma trova conferma nei rapporti,<br />

non sempre chiaramente definiti, con la commissione e con il Presidente<br />

del consiglio europeo nella rappresentanza esterna dell’Unione e in<br />

quelli con gli Stati membri nelle iniziative e nelle azioni concernenti la<br />

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F O C U S<br />

SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

politica estera e di sicurezza comune e, forse in maniera ancor più problematica,<br />

nelle missioni operative inquadrabili nella politica di sicurezza<br />

e di difesa comune.<br />

in un certo senso, l’alto rappresentante sembra una figura in cerca<br />

ancora di una propria identità: proprio il duplice status che egli riveste<br />

nel consiglio e nella commissione potrebbe risultare utile per favorire<br />

una convergenza tra le posizioni delle istituzioni intergovernative e di<br />

quella “sopranazionale”, in uno spirito di collaborazione e di coerenza<br />

tra le diverse manifestazioni dell’azione esterna dell’Unione. bisogna<br />

però riconoscere che l’affermazione di un tale ruolo è oggi ostacolata<br />

dalla connotazione fortemente intergovernativa, se non, talvolta, “nazionalista”,<br />

che domina tuttora la politica estera e di sicurezza comune dell’Unione.<br />

in un contesto siffatto sono ancora le istituzioni intergovernative,<br />

in specie il consiglio europeo, o, direttamente, le principali potenze<br />

europee, che, specie in occasione di gravi casi internazionali, assumono<br />

il sopravvento nel fronteggiare tali crisi, finendo per soffocare i sia pur<br />

timidi tentativi di dare vita a una reale politica estera unitaria dell’Unione<br />

europea, capace di esprimersi “con una sola voce”.<br />

58<br />

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SICUREZZA: DIRITTO INTERNAZIONALE E UE<br />

F O C U S<br />

Normativa Europea in materia<br />

di terrorismo informatico<br />

anna LUcia VaLVo<br />

Università degli Studi Kore di Enna, Professore<br />

Ordinario di Diritto dell’Unione Europea<br />

EUROPEAN LEGISLATION IN THE FIELD OF CYBER-TERRORISM. Nowadays<br />

new forms of terrorism threaten State security and States have not often been able to<br />

face catastrophes provoked by cyber terrorism. International community faces new<br />

threats against its own internal security against which traditional domestic measures<br />

are inadequate. Therefore, multilateral responses and strong commitment for cooperation<br />

is strictly required. New kinds of cyber-terrorism are spreading all over the cyberspace<br />

as fast as new technologies and internet usually spread. Globalization produced<br />

a higher insecurity due to challenges brought by the cyber-terrorism, a new kind of<br />

terrorism able and willing to affect and damage international relations. Cyber-space<br />

is like a new kind of battlefield open to “geo-virtual” competition within which wars<br />

are not fought by traditional paramilitary or military actors with traditional tools,<br />

but are conducted by and through the massive use of cyber-attacks for the purpose of<br />

undermining enemy’s offensive and responsive capacity and provoking huge material<br />

damages. The need for new and adequate legislation arises from the continuous increase<br />

of the number of cyber-attacks against computer systems since 2005 on. In past<br />

years, EU Member States have been subject to dangerous cyber-attacks mostly directed<br />

against enterprises, banks and military sector’s computer systems. Previously unknown<br />

and, sometimes, even non-existent, acts of cyber-terrorism are nowadays real and extremely<br />

dangerous for State security as in the case of “botnet”, a kind of remote-controlled<br />

computer networks, which are now regulated by the European Directive of<br />

August 12, 2013.<br />

KEYWORDS: CYBER-TERRORISM • EUROPEAN DIRECTIVE OF AUGUST 12, 2013 • GEO-VIRTUAL COMPETITION.<br />

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F O C U S<br />

SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

PREMESSA<br />

60<br />

nell’attuale contesto storico caratterizzato dalla tecnologia dell’informazione<br />

e da una massiva diffusione della digitalizzazione<br />

nei campi più svariati, nuove forme di terrorismo minacciano<br />

la sicurezza degli Stati i quali, il più delle volte, si trovano impreparati ad<br />

arginare le catastrofiche conseguenze del terrorismo informatico. Gli Stati<br />

devono affrontare nuovi tipi di minaccia alla loro sicurezza interna; si<br />

tratta di minacce rispetto alle quali le tradizionali misure di difesa si sono<br />

rivelate del tutto inadeguate e che necessitano di risposte multilaterali e<br />

di un più mirato impegno a livello di cooperazione internazionale.<br />

al di là, dunque, della definizione giuridica di quel che deve intendersi<br />

per terrorismo, occorre evidenziare come l’uso distorto e strumentale<br />

delle nuove tecnologie ha prodotto nuove espressioni di terrorismo internazionale<br />

le cui potenzialità offensive sono pari e anche superiori a<br />

quelle del terrorismo tradizionale. nuove forme di terrorismo informatico<br />

che, parallelamente alle tradizionali espressioni di questa forma di criminalità,<br />

si vanno diffondendo nel cyber-spazio di pari passo con la diffusione<br />

delle nuove tecnologie e di internet con la tendenziale elusione, in<br />

ragione della dissoluzione del tradizionale rapporto fra diritto e territorio,<br />

di ogni possibilità di controllo governativo.<br />

È facilmente intuibile, dunque, come lo sviluppo tecnologico e la<br />

diffusione delle reti di comunicazione su scala globale abbia prodotto<br />

conseguenze rilevabili non solo sul piano dei rapporti internazionali e<br />

del vivere quotidiano, ma abbia prodotto conseguenze evidenti anche<br />

sul piano della criminalità sotto il profilo della nascita di nuovi tipi di<br />

reato e anche sotto il profilo del concetto di aggressione.<br />

La globalizzazione, dunque, non è stato un processo produttivo di<br />

effetti soltanto sull’economia e sulla finanza, ma è stato un processo che<br />

ha prodotto i suoi effetti anche sul concetto di terrorismo dando luogo<br />

al sorgere di una nuova figura: quella di terrorismo informatico, o cyberterrorismo,<br />

destinato ad imporsi con sempre maggior incidenza nelle relazioni<br />

internazionali 1 .<br />

il web, infatti, se da un canto ha avuto ed ha straordinari effetti<br />

sociali, culturali e politici, d’altro canto ha prodotto effetti destinati ad<br />

incidere anche sui rapporti di forza fra gli Stati membri della comunità<br />

internazionale. Lo spazio cibernetico deve dunque essere valutato anche<br />

come una specie di campo di battaglia e di competizione “geo-virtuale”<br />

dove le guerre non verranno condotte dai tradizionali attori militari o<br />

paramilitari, ma saranno concentrate su un massiccio utilizzo di attacchi<br />

informatici per sabotare preventivamente la capacità di risposta o di<br />

offesa degli avversari e per arrecare pesanti danni, non virtuali ma mate-<br />

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F O C U S<br />

NORMATIVA EUROPEA IN MATERIA DI TERRORISMO INFORMATICO<br />

riali. La rivoluzione informatica sarà sempre più diretta a modificare le<br />

relazioni internazionali e, all’interno degli Stati, il ruolo dei leader mondiali<br />

sarà ridimensionato nella misura in cui l’esercizio della potestà governativa<br />

dovrà necessariamente fare i conti anche con il pericolo di differenti<br />

e più pericolosi atti di aggressione tramite l’uso di tecnologie<br />

informatiche.<br />

in altri termini, non è da escludere che la maggior diffusione di rapporti<br />

“virtualizzati” possa condurre ad una pluralità di “conflitti virtuali”<br />

fra Stati; conflitti che, per il tramite di attacchi informatici, potranno<br />

dar luogo a pesanti ed ingenti danni non virtuali ma concreti ed effettivi.<br />

LA CLASSIFICAZIONE DELLE MINACCE INFORMATICHE<br />

in proposito, degna di nota sembra essere la classificazione effettuata<br />

dal coPaSir che classifica le minacce derivanti dal cyber-spazio in quattro<br />

tipologie:<br />

1) cyber-crime: ovvero l’insieme delle minacce poste da organizzazioni<br />

criminali nazionali o transnazionali, le quali sfruttano lo spazio cibernetico<br />

per reati quali la truffa, il furto d’identità, la sottrazione indebita<br />

di informazioni o di creazioni e proprietà intellettuali; 2) cyber-terrorism:<br />

ovvero l’utilizzo della rete da parte delle organizzazioni terroristiche,<br />

a fini di propaganda, denigrazione o affiliazione. Particolarmente<br />

significativo è il caso della cyber-propaganda, ovvero della<br />

manipolazione delle informazioni veicolate nella rete a fini di denigrazione<br />

e delegittimazione politica, discriminazione sociale o personale.<br />

nei casi estremi, si intende ipotizzare l’utilizzo sofisticato della<br />

rete internet o dei controlli telematici per mettere fuori uso, da parte<br />

di organizzazioni del terrorismo, i gangli di trasmissione critica delle<br />

strutture o dei processi che attengono alla sicurezza nazionale; 3) cyber-espionage:<br />

ovvero l’insieme delle attività dirette a sfruttare le potenzialità<br />

della rete per sottrarre segreti industriali a fini di concorrenza<br />

sleale (se consumati nel mercato dei brevetti civili) o di superiorità<br />

strategica (nel caso di sottrazione di disegni e apparecchiature militari<br />

o dual-use); 4) cyber-war: ovvero lo scenario relativo ad un vero e<br />

proprio conflitto tra nazioni, combattuto attraverso il sistematico<br />

abbattimento delle barriere di protezione critica della sicurezza dell’avversario,<br />

ovvero attraverso il disturbo o lo “spegnimento” delle reti<br />

di comunicazione strategica, e l’integrazione di queste attività con<br />

quelle propriamente belliche. 2<br />

61<br />

a sua volta, il Quadro Strategico Nazionale per la sicurezza dello<br />

spazio cibernetico del dicembre 2013 3 , in linea con quanto previsto dal<br />

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SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

62<br />

D.P.c.M. del 24 gennaio 2013 distingue le minacce cibernetiche in quattro<br />

macrosettori:<br />

1) criminalità cibernetica (cyber-crime), definita come il complesso<br />

delle attività con finalità criminali (truffa, frode telematica, furto<br />

d’identità, sottrazione indebita di informazioni o di creazioni e<br />

proprietà intellettuali);<br />

2) spionaggio cibernetico (cyber-espionage) in riferimento alla acquisizione<br />

indebita di dati e informazioni sensibili, proprietarie<br />

o classificate;<br />

3) terrorismo cibernetico (cyber-terrorism) relativo alle azioni ideologicamente<br />

motivate dirette a condizionare uno Stato od una<br />

organizzazione internazionale;<br />

4) guerra cibernetica (cyber-warfare) in riferimento alle attività e<br />

alle operazioni militari pianificate e condotte allo scopo di conseguire<br />

effetti nel detto ambiente.<br />

Per quanto riguarda l’Unione europea, fin dagli anni novanta le istituzioni<br />

comunitarie cominciarono ad affrontare il problema del cyberterrorismo<br />

in chiave integrazionista ritenendo, a giusto titolo, che la rete<br />

internet e le sue applicazioni avrebbero inciso con sempre maggior evidenza<br />

sulle relazioni socio-economiche e finanziarie nell’ambito della<br />

comunità internazionale.<br />

La diffusione del cyber-terrorismo ed il delineamento di un nuovo<br />

concetto di guerra digitale in ambito europeo ha condotto all’istituzione<br />

di enFoPoL, la famosa organizzazione preposta ad attuare un sistema di<br />

controllo dei mezzi di comunicazione, elaborata in occasione del consiglio<br />

europeo di Madrid del 15-16 dicembre 1995 (cfr. Doc. 10037/95)<br />

e da molti ritenuta, a torto o a ragione, una sorta di Echelon europeo (la<br />

rete di intercettazione globale creata dai servizi di intelligence di Stati<br />

Uniti, Gran bretagna, canada, australia e nuova zelanda).<br />

nel 2004, a conferma del fatto che la dilagante diffusione degli attacchi<br />

di cosiddetta cyber-criminalità ha reso non più rinviabile una maggior<br />

cooperazione fra gli Stati membri ai fini della tutela dei loro rilevanti<br />

interessi per un utilizzo sempre più diffuso e sicuro delle tecnologie informatiche,<br />

è stata istituita la eniSa (European Network and Information<br />

Security Agency) 4 , ossia il centro di eccellenza Strategico ed operativo<br />

dell’Unione europea nell’ambito della sicurezza informatica. nondimeno,<br />

con la Decisione Quadro del 2005 (recentemente sostituita dalla Direttiva<br />

2013/40/Ue del 12 agosto 2013), le istituzioni europee hanno adottato<br />

disposizioni dirette a «migliorare la cooperazione tra le autorità<br />

giudiziarie e le altre autorità competenti degli Stati membri, compresi la<br />

polizia e gli altri servizi specializzati incaricati dell’applicazione della<br />

legge, mediante il ravvicinamento delle legislazioni penali degli Stati<br />

membri nel settore degli attacchi contro i sistemi di informazione» 5 .<br />

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NORMATIVA EUROPEA IN MATERIA DI TERRORISMO INFORMATICO<br />

AZIONI EUROPEE IN MATERIA DI CYBER-TERRORISMO<br />

L’esigenza di una normativa più adeguata deriva dal costante aumento<br />

del numero di attacchi contro i sistemi informatici verificatisi dal 2005<br />

ad oggi, ossia da quando l’Unione europea ha adottato le prime disposizioni<br />

contro il cyber crime. negli ultimi anni gli Stati membri dell’Unione<br />

hanno constatato pericolosi attacchi ai sistemi informatici delle<br />

aziende, delle banche e persino nel settore militare. Sconosciuti, se non<br />

inesistenti in precedenza, si tratta di veri e propri atti di terrorismo informatico<br />

dalle possibili deflagranti conseguenze per la sicurezza degli<br />

Stati. Si pensi, ad esempio, alla diffusione di un software dannoso o ai<br />

cosiddetti botnet, reti di computer infetti che possono essere controllati a<br />

distanza. Fenomeni che, come si dirà, sono ora oggetto di specifica regolamentazione<br />

da parte della Direttiva del 12 agosto 2013 6 .<br />

Per comprendere la pericolosità e la portata del fenomeno non<br />

appare inutile ricordare che per «botnet» si intende una rete di computer<br />

infettati da virus informatici (malware). a loro volta, i computer compromessi<br />

(zombie) possono essere controllati e manovrati, all’insaputa<br />

degli utenti dei computer manomessi, da un altro computer “controllo”<br />

(il centro di comando e di controllo) per il compimento di atti di terrorismo<br />

informatico. La pericolosità del sistema e, quindi, la difficoltà di<br />

elaborare una normativa adeguata deriva dall’impossibilità di individuare<br />

e collocare territorialmente il computer che costituisce il “centro di comando<br />

e di controllo” che, nella normalità dei casi, si trova in luoghi diversi<br />

da quelli dove si trova la botnet 7 . i reati perpetrati con questo sistema<br />

sono i più svariati e possono andare dall’estorsione al trasferimento di<br />

denaro da un conto bancario ad un altro, dal sabotaggio di un sistema di<br />

sicurezza all’esercizio di pressioni illecite nei confronti di uno Stato, di<br />

una organizzazione internazionale o di un movimento politico. non<br />

meno gravi, poi, sono le possibilità di distorsione della concorrenza attraverso<br />

e-mail contenenti virus informatici che possono danneggiare la<br />

reputazione di un’azienda oppure, ancora, l’intromissione nei sistemi informatici<br />

di un concorrente commerciale o di un avversario politico.<br />

in considerazione di quanto evidenziato, dei progressi tecnologici<br />

registrati dal 2005 in poi e del fatto che gli attacchi informatici non sono<br />

più appannaggio esclusivo di hackers o crackers ma costituiscono vere e<br />

proprie azioni di intelligence, la commissione europea ha ritenuto urgente<br />

e non rinviabile l’approvazione della Direttiva del 12 agosto 2013 che,<br />

in sostituzione della Decisione Quadro del 2005, è rivolta ad affrontare<br />

ed arginare con maggior efficacia un fenomeno destinato purtroppo ad<br />

espandersi notevolmente 8 . infatti, nel corso degli anni e sempre tenendo<br />

in considerazione che si tratta di una materia in continuo divenire (sulla<br />

63<br />

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SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

quale l’Unione europea interviene soltanto in via sussidiaria) e che,<br />

dunque, è sempre oggetto di cambiamenti ed adattamenti alle mutate<br />

esigenze che derivano dallo sviluppo delle tecnologie, la commissione<br />

europea, consapevole del fatto che la sicurezza negli anni a venire non<br />

potrà prescindere dal potenziamento delle infrastrutture in stretta connessione<br />

con il mondo delle tecnologie, ha avanzato proposte relative a<br />

nuovi strumenti normativi per consentire agli Stati membri di difendersi<br />

da potenziali attacchi contro i principali sistemi di informazione e per<br />

rendere più sicuro l’accesso ad internet dei cittadini europei.<br />

LA DIRETTIVA DELL’UNIONE EUROPEA RELATIVA<br />

AGLI ATTACCHI CONTRO I SISTEMI DI INFORMAZIONE<br />

64<br />

Si fa specifico riferimento alla comunicazione sulla «Strategia dell’Unione<br />

europea per la cibersicurezza» del 7 febbraio 2013 e alla già<br />

indicata Direttiva 2013/40 del 12 agosto 2013 9 .<br />

in particolare, la Direttiva del 12 agosto 2013 ha avviato uno stretto<br />

giro di vite contro gli attacchi ai sistemi di informazione sia attraverso<br />

una maggior armonizzazione delle norme relative alla definizione dei<br />

reati e all’aumento delle sanzioni edittali, sia attraverso la definizione di<br />

una più proficua cooperazione fra le competenti autorità degli Stati<br />

membri, oltre che nelle varie sedi più specificamente preposte (eUroPoL,<br />

eUroJUST, centro europeo per la criminalità informatica, agenzia europea<br />

per la Sicurezza delle reti e dell’informazione). con la Direttiva<br />

in oggetto, anche l’Unione europea ha voluto dare un segnale di attenzione<br />

in seguito alle preoccupazioni generate dai sempre più frequenti<br />

attacchi contro i sistemi di informazione ad opera della criminalità organizzata<br />

e ai potenziali attacchi terroristici contro quei sistemi di informazione<br />

che fanno parte delle infrastrutture critiche degli Stati membri.<br />

Sul presupposto che il terrorismo informatico può costituire una minaccia<br />

per la creazione di una società dell’informazione sicura e di uno Spazio<br />

di libertà, sicurezza e giustizia, l’Unione ha dunque inteso dare una<br />

risposta globale e integrata al fine di assicurare una maggior sicurezza<br />

alle reti e all’informazione.<br />

La Direttiva, che ha ad oggetto le più importanti forme di cybercriminalità<br />

come l’hacking, i virus e gli attacchi Denial of Services, è diretta<br />

a ravvicinare il diritto penale degli Stati membri dell’Unione europea<br />

per garantire un’applicazione uniforme della legge e consentire un intervento<br />

congiunto delle Forze di Polizia contro questa “nuova” tipologia<br />

di criminalità. emanata in base all’art. 83, par. 1, del Trattato sul Funzionamento<br />

dell’Unione europea, la Direttiva, che tiene conto e si basa<br />

sulla convenzione del consiglio d’europa sulla criminalità informatica,<br />

è diretta a sostituire la già richiamata Decisione Quadro 2005/222/Gai<br />

del consiglio relativa agli attacchi contro i sistemi di informazione 10 , da<br />

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NORMATIVA EUROPEA IN MATERIA DI TERRORISMO INFORMATICO<br />

un lato specificamente orientata a rafforzare la cooperazione fra le autorità<br />

giudiziarie e le altre autorità competenti degli Stati membri tramite l’armonizzazione<br />

della legislazione penale interna in materia di attacchi<br />

contro i sistemi di informazione 11 , e dall’altro emanata sul presupposto<br />

che «le rilevanti lacune e le notevoli differenze nelle normative degli<br />

Stati membri in questo settore possono ostacolare la lotta contro la criminalità<br />

organizzata ed il terrorismo e complicare un’efficace cooperazione<br />

giudiziaria e di polizia nel campo degli attacchi contro i sistemi di informazione»<br />

(così il Considerando n. 5 della Decisione Quadro).<br />

il ravvicinamento delle legislazioni penali in questo settore si rende<br />

ancor più urgente in ragione del carattere transnazionale e senza frontiere<br />

dei moderni sistemi di informazione: circostanza che perciò stesso rende<br />

gli attacchi contro tali sistemi anch’essi di natura transnazionale.<br />

Lo scopo fondamentale della Decisione Quadro (e della Direttiva<br />

del 2013) era quello di garantire che eventuali atti di terrorismo informatico<br />

fossero sanzionati con misure «effettive, proporzionate e dissuasive» dopo<br />

che gli Stati membri fossero giunti ad una individuazione di definizioni<br />

comuni e, in particolare, di quelle inerenti ai sistemi di informazione e ai<br />

dati informatici, oltre che ad un metodo comune nei confronti degli elementi<br />

costitutivi e della definizione dei reati di accesso illecito ad un<br />

sistema di informazione, di interferenza illecita nei sistemi e nei dati informatici.<br />

Le figure di reato previste nella Decisione Quadro riguardavano l’accesso<br />

illecito ai sistemi di informazione (accesso illegittimo, anche tentato,<br />

ad un sistema di informazione o ad una parte dello stesso); l’interferenza<br />

illecita relativamente ai sistemi (ogni attività, anche solamente tentata, diretta<br />

ad ostacolare od interrompere un sistema di informazione tramite<br />

l’immissione di dati informatici o la trasmissione, il danneggiamento, la<br />

cancellazione, l’alterazione, ecc., di tali dati o in modo da renderli inaccessibili);<br />

l’interferenza illecita per quanto riguarda i dati e l’istigazione, il favoreggiamento,<br />

la complicità ed il tentativo.<br />

alle ipotesi di cui alla Decisione Quadro, la Direttiva del 12 agosto<br />

2013 ha aggiunto l’ipotesi di reato rubricata «intercettazione illecita» 12 ,<br />

introdotta sulla base delle valutazioni e precisazioni di cui al Considerando<br />

n. 9 che dispone che «l’intercettazione comprende, ma non si limita necessariamente,<br />

all’ascolto, il monitoraggio o la sorveglianza del contenuto<br />

di comunicazioni e il rilevamento del contenuto dei dati direttamente,<br />

mediante l’accesso e l’utilizzo dei sistemi di informazione, o indirettamente,<br />

mediante l’uso di dispositivi elettronici di intercettazione elettromagnetica<br />

o di intercettazione sulla linea tramite strumenti tecnici» 13 .<br />

adottata nel più generale contesto delineato dalla commissione sia<br />

con il «Piano d’azione e-Europe» del 2002 che con la comunicazione<br />

del 2000 dal titolo Creare una società dell’informazione sicura migliorando<br />

la sicurezza delle infrastrutture dell’informazione mediante la lotta alla<br />

65<br />

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SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

66<br />

criminalità informatica, la Decisione Quadro riguardava soltanto gli attacchi<br />

informatici e non anche gli altri reati che possono essere commessi<br />

per il tramite delle moderne tecnologie.<br />

Quanto ai rapporti fra la Decisione Quadro e la Direttiva del 2013,<br />

va detto che quest’ultima ricalca sostanzialmente le previsioni della prima<br />

eccezion fatta per la nuova «intercettazione illecita» di cui al citato art.<br />

6 e all’ipotesi di reato introdotta dall’art. 7 («strumenti utilizzati per<br />

commettere i reati») che indica la necessità di adottare misure sanzionatorie<br />

e di introdurre nuove figure criminose consistenti nella fabbricazione,<br />

vendita, distribuzione o messa a disposizione intenzionale di<br />

«un programma per computer, destinato o modificato principalmente<br />

al fine di commettere uno dei reati di cui agli artt. da 3 a 6» e di «una<br />

password di un computer, un codice d’accesso, o dati simili che permettono<br />

di accedere in tutto o in parte a un sistema di informazione».<br />

La previsione in oggetto è stata dettata dall’evidente necessità, se<br />

non di prevenire, quantomeno di contenere l’aumentato numero di attacchi<br />

nei confronti di sistemi di informazione pubblici o privati attraverso<br />

sistemi sempre più sofisticati. Si pensi, a titolo di esempio, alla creazione<br />

delle c.d. botnet 14 , le reti di “computer zombie” che, come detto, sono dirette<br />

a stabilire un controllo da remoto di una pluralità di computer “infettati”<br />

con software maligni tramite attacchi informatici mirati 15 . nello<br />

specifico, la botnet (cioè l’insieme di computer appositamente “infettati”)<br />

viene attivata a distanza e, all’insaputa degli ignari proprietari dei computer<br />

“infetti”, viene usata per lanciare attacchi informatici su larga scala 16 .<br />

Quanto al sistema sanzionatorio, la Direttiva risulta essere più stringente<br />

rispetto alla Decisione Quadro e prevede un innalzamento generale<br />

della soglia della pena edittale massima nella misura in cui al suo art. 9,<br />

par. 2, indica un limite minimo alla pena edittale superiore rispetto a<br />

quello indicato in precedenza 17 . Pene più severe sono inoltre previste<br />

dai commi 3 e 4 del citato art. 9 nel caso di utilizzo di botnet (la pena detentiva<br />

massima non può essere inferiore a tre anni) o nel caso in cui i<br />

detti reati siano commessi da un’organizzazione criminale (secondo la<br />

definizione di cui alla Decisione 2008/841/Gai) 18 oppure siano commessi<br />

ai danni di un’infrastruttura critica 19 e, dunque, siano diretti a colpire<br />

reti energetiche, reti di trasporto o database governativi (nel qual caso la<br />

pena detentiva massima non può essere inferiore a cinque anni) 20 .<br />

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE<br />

La Direttiva, in un certo senso, traduce in termini normativi le preoccupate<br />

indicazioni della commissione europea già contenute nella<br />

sua comunicazione del 15 novembre 2006(citata in nota 16) nella quale<br />

si sottolineava la necessità di migliorare la sicurezza delle reti e dell’in-<br />

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NORMATIVA EUROPEA IN MATERIA DI TERRORISMO INFORMATICO<br />

formazione divenute sistemi di comunicazione ormai imprescindibili sia<br />

nel settore pubblico che nel settore privato. oggetto specifico di codesta<br />

comunicazione è il fenomeno dello spam e dell’indiscriminata diffusione<br />

di messaggi di posta elettronica indesiderati, con specifico riguardo ai<br />

messaggi contenenti software maligni e programmi spia.<br />

in particolare, la commissione osserva con preoccupazione che l’invio<br />

indiscriminato di messaggi di posta elettronica indesiderati è enormemente<br />

facilitato dalla diffusione di codici maligni quali worm e virus 21<br />

posto che «una volta installati, questi consentono a un aggressore di assumere<br />

il controllo di un sistema infetto e di trasformarlo in un bot,<br />

parte di una rete botnet in grado di nascondere l’identità del vero professionista<br />

dello spam. Le botnet sono noleggiate dai professionisti dello<br />

spam, del phishing e dai distributori di programmi spia per finalità fraudolente<br />

e delittuose».<br />

consapevole della complessità del fenomeno, la commissione europea,<br />

che da sempre dimostra una particolare sensibilità verso lo studio<br />

e l’analisi del rapporto fra nuove tecnologie e criminalità, in una successiva<br />

comunicazione del 2007 ha manifestato grande preoccupazione in considerazione<br />

del fatto che il notevole aumento dei reati cosiddetti cibernetici<br />

non trova corrispondenza in un pari aumento di procedimenti<br />

penali in europa 22 . nondimeno, poiché l’epoca digitale reca con sé innumerevoli<br />

vantaggi anche in termini di godimento di vecchi e nuovi<br />

diritti e libertà fondamentali ma reca anche nuovi pericoli ai detti diritti<br />

e libertà, la commissione europea si fa promotrice di un programma<br />

operativo ai fini dell’individuazione di nuove e più concrete formule di<br />

cooperazione fra Stati membri, finalisticamente orientate alla lotta della<br />

cibercriminalità.<br />

in tale ottica, dunque, ed in ragione della rapidità con cui si evolve<br />

il contesto cibernetico, anche nella comunicazione del 2007 la commissione<br />

europea sottolinea l’urgente necessità di un più incisivo intervento<br />

politico e legislativo nella lotta contro la criminalità informatica.<br />

intervento da definire ed attuare nel pieno rispetto dei diritti fondamentali,<br />

in particolare della libertà di espressione, del rispetto della vita<br />

privata e familiare e della protezione dei dati personali anche attraverso<br />

un controllo preventivo della compatibilità delle azioni politiche con la<br />

carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.<br />

Tuttavia, nonostante gli sforzi profusi dalla commissione europea,<br />

appare difficile valutare quali saranno gli effetti dirimenti della citata<br />

Direttiva posto che, con ragionevole probabilità e nonostante gli Stati<br />

siano obbligati ad adeguare la loro normativa interna in termini di<br />

definizione dei reati e delle relative sanzioni alle “norme minime” dettate<br />

dal “legislatore” europeo, all’esito dell’adattamento del diritto interno al<br />

contenuto dell’atto normativo dell’Unione europea, inevitabilmente po-<br />

67<br />

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SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

tranno ben verificarsi discrasie tra i diversi provvedimenti nazionali di<br />

adeguamento alla Direttiva capaci di vanificare gli scopi di quest’ultima<br />

finalizzati essenzialmente all’introduzione di una normativa omogenea<br />

e, in un certo senso, unitaria (se non identica) in tutti gli Stati membri<br />

dell’Unione.<br />

NOTE<br />

68<br />

1 cfr. anna Lucia Valvo, The New Frontiers of International Insecurity: between Traditional<br />

Terrorism and Cyber-Terrorism, in Giancarlo Guarino & ilaria d’anna (eds.), International<br />

Institutions and Co-operation: Terrorism, Migrations, Asylum, vol. i, Satura<br />

editrice, napoli, 2011, pp. 443-459.<br />

2 cfr. coPaSir, Relazione sulle possibili implicazioni e minacce per la sicurezza nazionale<br />

derivanti dall’utilizzo dello spazio cibernetico, 7 luglio 2010, p. 17, in http://www.parlamento.it.<br />

3 cfr. www.sicurezzanazionale.gov.it.<br />

4 Sull’attività ed il ruolo dell’agenzia europea per la Sicurezza delle reti e dell’informazione,<br />

si veda utilmente in www.enisa.eu.int.<br />

5 Decisione Quadro 2005/222/Gai del consiglio, del 24 febbraio 2005, relativa agli<br />

attacchi contro i sistemi di informazione.<br />

6 Direttiva 2013/40/Ue del Parlamento europeo e del consiglio, del 12 agosto 2013,<br />

relativa agli attacchi contro i sistemi di informazione che sostituisce la Decisione<br />

Quadro 2005/222/Gai del consiglio. il termine previsto per il recepimento della<br />

Direttiva 2013/40 all’interno degli Stati membri è il 4 settembre 2015. il testo integrale<br />

della Direttiva 2013/40 si legge in www.eur-lex.europa.eu.<br />

7 Le modalità per compiere atti illeciti attraverso internet sono innumerevoli. a parte i<br />

botnet, si pensi anche agli attacchi di tipo DoS (Denial of Service) utilizzati per rendere<br />

indisponibile agli utenti una risorsa del computer (come, per esempio, un sito web), di<br />

modo che il sito contattato dall’utente si mostri come “non disponibile” con la conseguenza<br />

di rendere non operativi i sistemi di pagamento on-line con conseguenti<br />

ingenti danni per gli utenti. il malware, a sua volta, è un software progettato per<br />

infiltrarsi e danneggiare un sistema informatico e viene distribuito tramite messaggi di<br />

posta elettronica o virus informatici allo scopo di carpire password e codici o per<br />

“cooptare” il singolo computer in un botnet.<br />

8 Si ricorda che la Direttiva del 2013, ferme restando le disposizioni della Decisione<br />

Quadro del 2005 (come l’interferenza illecita di dati che comporta l’eliminazione intenzionale,<br />

l’alterazione o il deterioramento di dati informatici), ne amplia comunque<br />

la portata ed è diretta ad introdurre, nei sistemi normativi nazionali, il reato di uso di<br />

strumenti illegali come i botnet, l’intercettazione illegale dei sistemi di informazione,<br />

l’intercettazione di password di utenti ignari, e così via. La citata Direttiva prevede l’innalzamento<br />

del massimo della pena edittale (cinque anni di reclusione in luogo degli<br />

attuali due), introduce nuove circostanze aggravanti (come gli attacchi su larga scala o<br />

ad opera della criminalità organizzata: una sorta di “cyber reato associativo”) e consente<br />

un miglior coordinamento delle forze di polizia e delle autorità giudiziarie dei ventotto<br />

Stati membri, oltre infine a creare un sistema di registrazione e tracciabilità degli<br />

attacchi informatici.<br />

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NORMATIVA EUROPEA IN MATERIA DI TERRORISMO INFORMATICO<br />

9 cfr. commissione europea-alto rappresentante, Strategia dell’Unione Europea per la<br />

cibersicurezza: un ciberspazio aperto e sicuro, Join(2013) 1 final, 7 febbraio 2013, e,<br />

in proposito, anche anna Lucia Valvo, Diritti umani e realtà virtuale. Normativa<br />

europea e internazionale, amon, Padova, 2013.<br />

10 Prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, la Decisione Quadro, introdotta<br />

dal Trattato di amsterdam, era lo strumento normativo di cui ci si poteva avvalere nell’ambito<br />

della cooperazione giudiziaria in materia penale di “terzo pilastro”. Le Decisioni<br />

Quadro, finalisticamente orientate al ravvicinamento delle disposizioni legislative degli<br />

Stati membri, erano vincolanti ed obbligatorie alla stregua delle Direttive e, dunque,<br />

solo nei limiti del risultato da raggiungere e ferma restando la competenza degli Stati<br />

in merito alla forma e ai mezzi.<br />

11 cfr. carlo Sarzana di S. ippolito, Informatica, internet e diritto penale, Giuffré editore,<br />

Milano, 2010.<br />

12 L’art. 6 della Direttiva dispone nel senso che gli Stati membri devono adottare strumenti<br />

normativi idonei «affinché l’intercettazione, tramite strumenti tecnici, di trasmissioni<br />

non pubbliche di dati informatici verso, da o all’interno di un sistema di informazione,<br />

incluse le emissioni elettromagnetiche da un sistema di informazione che trasmette<br />

tali dati informatici, compiuta intenzionalmente e senza diritto, sia punibile come<br />

reato, almeno per i casi che non siano di minore gravità».<br />

13 La norma appare di particolare interesse soprattutto alla luce delle ineffabili attività di<br />

intercettazione effettuate dalla National Security Agency statunitense istituita dopo<br />

l’attentato dell’11 settembre che, attraverso il programma di sorveglianza elettronica<br />

PriSM, in un delirio di onnipotenza, ha ritenuto di porre sotto controllo anche le<br />

conversazioni di molti capi di Stato e di Governo europei fra i quali la cancelliera<br />

tedesca angela Merkel. Sul c.d. “Datagate”, cfr. Franco Pizzetti, Datagate, Prism, caso<br />

Snowden: il mondo tra nuova grande guerra cibernetica e controllo globale, in federalismi.it,<br />

n. 13, 2013.<br />

14 in proposito si riporta la definizione tecnica tratta da http://norton.com/botnet: «Un<br />

bot è un tipo di malware che consente ad un aggressore di assumere il controllo di un<br />

computer colpito. conosciuti anche con il termine di robot web, i bot fanno generalmente<br />

parte di una rete di computer infetti, conosciuta come botnet che è tipicamente composta<br />

dai computer vittima sparsi in tutto il mondo. Poiché un computer infettato da un bot<br />

obbedisce agli ordini del proprio “padrone”, molte persone si riferiscono a questi sistemi-vittima<br />

chiamandoli zombie. i criminali informatici che controllano questi bot<br />

sono chiamati botherder o botmaster. alcune botnet possono controllare da alcune<br />

centinaia a un paio di migliaia di computer, ma altre riescono ad avere decine e perfino<br />

centinaia di migliaia di zombie a loro disposizione. Molti di questi computer sono<br />

infettati senza che il proprietario ne sia consapevole. i bot si introducono nel computer<br />

di un utente in molti modi. Spesso si diffondono in internet andando alla ricerca di<br />

computer vulnerabili e non protetti da infettare. Quando ne trovano uno esposto lo infettano<br />

rapidamente e informano il computer principale. il loro obiettivo è di rimanere<br />

nascosti finché non ricevono le istruzioni per svolgere qualche attività».<br />

15 «Uno zombie è un computer che è stato silenziosamente infettato da un virus e che<br />

consente ad un utente non autorizzato o remoto il potere di controllo. Una volta che il<br />

computer è diventato zombie gli hacker lo usano per commettere un certo numero di<br />

crimini collegandolo ad una rete che raccoglie il complesso degli altri computer zombie»<br />

(c. Sarzana di S. ippolito, Informatica, cit., p. 369).<br />

16 Secondo l’efficace esemplificazione contenuta nella comunicazione della commissione<br />

[Sulla lotta contro le comunicazioni commerciali indesiderate (spam), i programmi spia<br />

69<br />

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SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

70<br />

(spyware) e i software maligni, coM(2006) 688 def.], infatti, «Le botnet sono reti di<br />

computer, la cui sicurezza è stata compromessa, utilizzate dai professionisti dello spam<br />

per inviare massicci quantitativi di posta elettronica attraverso l’installazione di software<br />

nascosto che trasforma tali computer in server di posta ad insaputa dell’utilizzatore».<br />

17 in proposito si osserva che mentre in precedenza l’art. 6, par. 2, della Decisione Quadro<br />

disponeva nel senso che «ciascuno Stato membro adotta le misure necessarie affinché<br />

i reati [di cui agli artt. 3-4] siano punibili con pene detentive della durata massima<br />

compresa almeno tra uno e tre anni», l’art. 9 della Direttiva prescrive, invece, agli Stati<br />

membri di adottare le necessarie misure affinché i detti reati siano puniti «con una<br />

pena detentiva massima non inferiore a due anni», rimettendo, ovviamente, agli Stati<br />

la decisione sul quantum del minimo e del massimo (non inferiore a due anni) della<br />

detta pena edittale.<br />

18 in base all’art. 1 della Decisione Quadro del consiglio, del 24 ottobre 2008, relativa<br />

alla lotta alla criminalità organizzata, «per organizzazione criminale si intende un’associazione<br />

strutturata di più di due persone, stabilita da tempo, che agisce in modo<br />

concertato allo scopo di commettere reati [...] per ricavarne, direttamente o indirettamente,<br />

un vantaggio finanziario o un altro vantaggio materiale». inoltre, secondo la<br />

definizione data dal comma 2 del citato art. 1, una associazione è da ritenere «strutturata»<br />

quando, pur essendo priva di una struttura articolata, non si sia formata in<br />

modo estemporaneo per la commissione di quel determinato reato ma sia preesistente.<br />

19 Sulle infrastrutture critiche, si veda la Direttiva 2008/114/ce del consiglio, dell’8<br />

dicembre 2008, relativa alla individuazione e alla designazione delle infrastrutture<br />

critiche europee e alla valutazione della necessità di migliorarne la protezione. La Direttiva<br />

è stata recepita in italia con D.lgs. 11 aprile 2011, n. 61.<br />

20 L’art. 9, co. 5, prevede inoltre una specifica aggravante, e sempre che la detta circostanza<br />

non sia già contemplata da un altro reato, nel caso in cui i reati di interferenza illecita<br />

ai sistemi o ai dati «siano commessi abusando dei dati personali di un’altra persona<br />

allo scopo di guadagnare la fiducia di terzi, in tal modo arrecando un danno al legittimo<br />

proprietario dell’identità».<br />

21 i virus hanno lo scopo di infettare files e hard-disks dei computer. Si tratta di piccoli<br />

programmi residenti all’interno di un altro programma. Quando quest’ultimo viene<br />

lanciato, essi si installano nella memoria del computer ed eseguono le istruzioni impartite<br />

dal programmatore che li ha generati, modificando il programma utilizzato. Possono<br />

distruggere dati o compromettere il funzionamento degli hardware, come i dischi<br />

rigidi o i monitor. i virus si diffondono facilmente attraverso internet, attraverso gli allegati<br />

di posta elettronica, tramite determinati siti o lo scambio di files.<br />

22 commissione europea, Verso una politica generale di lotta contro la cibercriminalità,<br />

coM(2007) 267 def.<br />

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SICUREZZA: DIRITTO INTERNAZIONALE E UE<br />

F O C U S<br />

The Ordinary Citizen<br />

and Drone Wordplay<br />

benJaMin G. DaViS<br />

University of Toledo (Ohio, USA),<br />

Associate Professor of Law<br />

Drones have a cool technicity about them in the literature, but are rarely seen within<br />

the confines of legal articles. This article starts with footage of the steps of a drone<br />

strike to assist in understanding the kind of violence such weaponized unmanned aerial<br />

vehicles can bring. Having seen the potent violence of one of these drone strikes,<br />

we next look at the quantity of such drone strikes by American forces in the battle<br />

space of Pakistan and across other places. Having now seen the thing, we next look at<br />

the legal architecture used to justify a drone strike. We introduce concepts of both de<br />

jure legal regimes in which the law is followed and de facto legal regimes in which the<br />

lack of accountability for deviations from the law amount to a license. The reinterpretation<br />

almost beyond recognition of de jure legal regimes is one aspect of creating<br />

a de facto legal regime of impunity. But, even beyond reinterpretation, the departure<br />

from even reinterpreted legal regimes with impunity forms a second order de facto<br />

legal regime. These two types of de facto legal regimes come to the fore whether we are<br />

in a domestic policing, intelligence or armed conflict setting due to the related lack of<br />

accountability. This lack of accountability is in domestic law and – particularly for<br />

the five permanent members of the United Nations Security Council – on the international<br />

plane. The article suggests how the ordinary citizen faced with the contradiction<br />

between the de jure legal regimes and the de facto legal regimes (or the drone<br />

wordplay) may work to provide countervailing force to bring even United Nations<br />

Security Council permanent members back within the confines of the rule of law.<br />

KEY WORDS: ACCOUNTABILITY • DE JURE AND DE FACTO LEGAL REGIMES • DRONES<br />

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SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

«The word is not the thing»<br />

«In war, truth is the first casualty»<br />

alfred Korzybski 1<br />

aeschylus 2<br />

«Necessity is the plea for every infringement of human freedom. It is<br />

the argument of tyrants; it is the creed of slaves»<br />

William Pitt 3<br />

«Where-ever law ends, tyranny begins, if the law be transgressed to<br />

another’s harm; and whosoever in authority exceeds the power given<br />

him by the law, and makes use of the force he has under his command,<br />

to compass that upon the subject, which the law allows not, ceases in<br />

that to be a magistrate; and, acting without authority, may be opposed,<br />

as any other man, who by force invades the right of another»<br />

John Locke 4<br />

INTRODUCTION<br />

72<br />

The Thing<br />

To help me think through forms of state violence, i have found it is<br />

sometimes useful to go beyond a description in a text to comprehend<br />

the nature of that violence. The reason is that the words in black and<br />

white sometimes have a tendency to anesthetize us, to make the violence<br />

of armed conflict or other conflict an antiseptic experience. it is a violence<br />

that is known to the protagonists and the victims of that violence, but to<br />

the ordinary citizen it may seem remote, almost clinical. as i turned<br />

from my work on torture to this work on drones or unmanned aerial vehicles,<br />

the first question that struck me was to ask what is the nature of<br />

this type of violence. i had come to understand the perversity of torture.<br />

Torture has the intimacy of the torturer with the torture victim in the<br />

same room meting out pain and sometimes death. Drones, on the other<br />

hand, have a kind of cool technicity about them. With their remote<br />

viewing through cameras that are nearly always watching, they sit as<br />

silent vigils over all that happens below within their range. Then, when<br />

so instructed, the operator safely ensconced in a cocoon thousands of<br />

miles away from what the operator is watching, moves from vigilant observer<br />

to source of violence for those who are no longer merely to be observed<br />

but are targeted in one or more drone strikes. Here, in such a<br />

strike, there is the carnage without the smell of death and destruction.<br />

in making presentations on drones, it occurred to me that the extensive<br />

discussions of the topic seemed to play more a role of masking<br />

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F O C U S<br />

THE ORDINARY CITIZEN AND DRONE WORDPLAY<br />

the violence or maybe wrapping it in a kind of false technicity and precision.<br />

To discuss the use of drones in this place or that place in terms of<br />

permissibility and legal constructs without comprehending the lethality<br />

of this method of exerting state force seemed disquieting. it is to discuss<br />

the abyss without looking into the abyss. Without that plunge into the<br />

darkness of the violence, i feared that the participants would not truly<br />

understand what was at stake in these discussions in terms of the violence<br />

that these machines are capable of unleashing. So to introduce the topic<br />

in this paper, i have started by posing the question of «What does a<br />

drone strike look like?».<br />

on paper these things are somewhat imperfect to describe possibly,<br />

yet i have attempted to bring a sense of the immediacy of this violence<br />

throug the tool of a two-minute video. obviously, this video does not<br />

reflect all drone strikes, and may be an imperfect example. Yet, it serves<br />

as a kind of example of the violence within the range of possible levels or<br />

degrees of violence that we are constrained now to associate with this<br />

relatively recent phenomenon. Thus, i have found a video that can serve<br />

as a frame of reference for our analysis 5 . at thirty-two seconds a group<br />

of people (in the circle) walking and described as suspected Taliban<br />

(though the video title says it was taken over iraq) 6 could be seen. as<br />

one can see there are about five or six individuals with one of them<br />

slightly in front of the others as they walk along.<br />

We do not know how long these persons have been in this area or<br />

how long the drone has been observing them. The time stamp on the<br />

video suggests that this might be at night just after midnight local time<br />

with the drone having the benefit of night vision, but we really do not<br />

know. all we can know is that this camera has focused on this group of<br />

people at this moment.<br />

at 1:19 of the video the same group is shown one second before the<br />

drone missile hits them. as the reader and the drone operator can see,<br />

one of the individuals is about 10 meters in front of the rest of the group<br />

which appears to number five or six.<br />

Whether it was between the first and second image that the information<br />

was gathered to conclude that it was proper to move from observing<br />

to targeting is not known. it is possible that this particular group<br />

of persons has been under some type of surveillance for some time and<br />

were finally identified on this occasion with the decision to target them<br />

having been made long before the actual reality of them being present in<br />

a targeting environment. We know a process of identification of some<br />

kind has occurred, but even if we have assurances about the extensiveness<br />

and thoroughness of that target identification process, we have no sense<br />

of the actual as applied quality of that targeting process for this specific<br />

drone strike.<br />

73<br />

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SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

74<br />

between 1:19 and 1:20 on the video is one second later when the<br />

drone missile hits. i felt it important to try to capture the moment of explosion<br />

for the reader so that they could see what a drone explosion<br />

looks like in physical space. The video is silent so one does not hear the<br />

explosion or any screams of those in the targeted space. one just sees<br />

this large mass of kinetic death that invades the entire picture screen<br />

where before one had seen five or six individuals walking. Ten seconds<br />

after an individual (the person is circled and an arrow pointing at them:<br />

we do not know which of the 5 or 6 persons it is) running away from the<br />

blast zone is shown.<br />

as we see the smoke rising from the site of the explosion, our eyes<br />

are carried to the one individual escaping the kinetic energy of death.<br />

We do not know if that person was the intended target and the others<br />

were collateral damage or whether all were the target and one escapes.<br />

We know that post-operation reviews would systematically examine<br />

what happened here to determine whether some type of military advantage<br />

was gained or not. all we can know at this point is that someone<br />

was able to run away from a horrific explosion that, based on its dimensions,<br />

would appear had been intended to kill them.<br />

With these four images, the reader now sees what a drone strike<br />

looks like. Given the explosion that fills the screen, one appreciates the<br />

significant violence associated with a drone strike. This type of strike is<br />

not the kind of precision attack that we might see done by a sniper.<br />

rather, we are confronted with a significant level of violence which can<br />

be imagined as happening in the space of an armed conflict, but not in<br />

anyway possible in time of peace. in the next section we try to get a<br />

sense of the number of drone strikes.<br />

How Many of the Things? An example from Pakistan<br />

if one is able to now integrate in one’s head and spirit the kinetic violence<br />

of a drone strike from the image above, one has only gone part of<br />

the way to understanding this phenomenon. The reason is that the drone<br />

strike we have seen is a solitary one – it is the individual act of one<br />

operator with their one drone targeting one target. but, each operator is<br />

replaced by other operators at the console as they each finish their shifts.<br />

and each of these operators have tasks that are assigned to them in using<br />

this tool. and at any moment there is more than one operator with one<br />

drone operating in the relevant theaters of conflict. one must imagine a<br />

sort of symphony of these buzzing drones with their remote operators<br />

over a given theater. a silent vigil that, when thought appropriate, can<br />

unleash its lethality below.<br />

if one were living in such an environment, what would the buzz of<br />

the drone connote to one? The natural instinct would be to run, yet one<br />

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THE ORDINARY CITIZEN AND DRONE WORDPLAY<br />

is being followed by an all seeing eye with night vision. Where one would<br />

hide is where one will be targeted: no escape. How does one surrender?<br />

Will said surrender be recognized? Put another way, is there a manner<br />

of expressing such surrender that will have meaning to the drone operator?<br />

are drone operators authorized to accept such acts of surrender even if<br />

they were clearly expressed? These are the new environments that have<br />

more intimacy than a bombing raid at 15,000 feet yet at the same time<br />

retain some of the anonymity of such a bombing raid for the operator.<br />

Further, how does one’s experience of drones as an operator or victim<br />

change with this familiarity bread of frequency? if drone strikes are a<br />

regular occurrence, how does the operator come to terms with the death<br />

they are inflicting remotely but up front and close and how do the potential<br />

victims below adjust to this threat of death from the sky. a significant<br />

number of drone strikes would seem to suggest that adjustments<br />

for the operator and the potential victim to this new form of lethality<br />

form part of a new normal in the relevant theater. infrequent drone<br />

strikes would suggest less likelihood of causing persons to change behavior<br />

in a significant manner.<br />

So i ask the question: «How many drone strikes have there been?».<br />

obviously, these kinds of numbers are secret defense but non-governmental<br />

entities have made some efforts in some parts of the world to put a<br />

number on these drone strikes.<br />

a webpage 7 has attempted to count all of the casualties from drone<br />

strikes in Pakistan from 2004 to the end of 2013 in a graphic form. The<br />

website calculates a total of 3.213 fatalities and makes a determination<br />

as to how many fatalities are in several categories: e.g. high value, other,<br />

civilian, and children. beyond these known cases in Pakistan, we can<br />

surmise that there are other cases in other countries in the world including<br />

afghanistan, iraq, Yemen, and Somalia at least increasing the number of<br />

drone strikes and casualties. What the graphic shows, at least with respect<br />

to the american drone strikes, is a situation where they were relatively<br />

infrequent in the theater to a situation where they are much more frequent<br />

and also deadly as the years moved on. This development could suggest<br />

a greater sophistication in the targeting and pursuit of enemy forces or it<br />

could detail an expansion of the use of this tool as compared to other<br />

potential tools within the purview of the armed forces. it could also suggest<br />

a less discriminate use of the tool as both its capabilities and the operator’s<br />

understanding of its capabilities is clearer. From the point of<br />

view of the victim on the ground, the numbers do not suggest the levels<br />

of violence like the fire-bombing of Dresden, on the one hand, but there<br />

is sufficient frequency that drone strikes make up a factor to be kept in<br />

mind as one goes about one’s daily busy. That death rains from the sky<br />

in a manner that is experienced as almost random (as one is not privy to<br />

any targeting information) does not mean that people risking being vic-<br />

75<br />

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SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

tims (whether as intended or as collateral damage) remain unphased.<br />

on the contrary, they have to adjust their going about their business<br />

with a weather eye always watching for the tell-tale drone that may be in<br />

the vicinity that might rain down death at any moment.<br />

i hope that through these references and this discussion of numbers,<br />

i have helped the reader sense the experience of a drone strike in a way<br />

that may be unusual to see in the literature. My hope is that one begins<br />

to comprehend the human toll of this technology on piece of mind,<br />

whether as surveillance or as a targeting mechanism. The point is that<br />

24 hours a day, seven days a week, and 365 days a year, there is an eye<br />

that is watching and may rain down kinetic force of death.<br />

De Facto Regime<br />

76<br />

De Jure<br />

Regime<br />

[Diagram 1: Legal regimes for targeted killing]<br />

THE WORD: DRONE WORDPLAY<br />

OR THE LEGAL REGIMES FOR DRONE STRIKES<br />

Having now hopefully understood the nature of an individual drone<br />

strike and a sense of the numbers of such drone strikes, we now step<br />

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THE ORDINARY CITIZEN AND DRONE WORDPLAY<br />

back and examine the legal regimes for such drone usage. notwithstanding<br />

intense and sometimes confusing debate, it does seem that the legal<br />

regimes for the above drone strikes are fairly straightforward. Whatever<br />

the category of the treaty (Geneva conventions, etc.) or customary international<br />

law in place and whether one is in an international armed<br />

conflict or a non-international armed conflict, the international humanitarian<br />

law fundamental principles of military necessity, proportionality<br />

(including what has been termed humanity or the avoidance of unnecessary<br />

suffering), and distinction are the lodestars of an analysis 8 . if we<br />

are in neither of those settings the human rights requirement (applying<br />

along with the above principles in some manner in the armed conflict)<br />

of no one being arbitrarily deprived of his/her life would be the principal<br />

lodestar 9 . in this regard, the standard for such killing by the state is said<br />

to be that:<br />

State killing is legal only if it is required to protect life (making lethal<br />

force proportionate) and there is no other means, such as capture or<br />

nonlethal incapacitation, of preventing that threat to life (making<br />

lethal force necessary) 10 .<br />

in the case of a properly targeted individual – someone who is in<br />

the armed forces of another belligerent state or a non-state actor directly<br />

participating in hostilities and/or having a continuous combat function,<br />

or – in a non-armed conflict setting – whose killing is done in accordance<br />

with the above rules, the killing of other civilians in the attack would<br />

likely be considered collateral damage and not a war crime or murder.<br />

if the action is taking place on another state’s territory, whether it is<br />

done by consent or without consent influences somewhat the legality<br />

analysis. if the action is done without consent of the host state, there is a<br />

school of thought that would argue that if the host state is unwilling or<br />

unable to do something about the target, then the injured state is entitled<br />

to take action on that host state territory 11 . This approach is, of course,<br />

a bit facile. obviously, assuming the unwilling or unable meme is in fact<br />

customary international law – a major assumption 12 – a major problem<br />

with this approach is the criteria for determining what amounts to unwillingness<br />

or inability 13 .<br />

Possibly more problematic from a political point of view, but, in my<br />

view, more elegant (and accurate) as a legal regime is to discard the unwilling<br />

or unable indeterminate approach and see the injured state’s<br />

action in the host state as a violation of the territory of that host state to<br />

which the host state either acquiesces or resists. This action by the injured<br />

state may be a charter of the United nations article 51 individual or<br />

collective self-defense action. even if it is not such an article 51 action,<br />

77<br />

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SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

78<br />

it is also possible such a violation of the territory of the host state does<br />

not amount to a violation of the territorial integrity or political independence<br />

of the host state, or is not in any other manner inconsistent<br />

with the Purposes of the United nations according to article 2(4) of<br />

the Un charter. The action may be done pursuant to treaty obligations 14<br />

or some type of bilateral security relationship even if those obligations<br />

are to be subsumed under the charter of the United nations obligations.<br />

but: 1) even if the violation of the territory of the host state did not<br />

fit neatly into the charter of the United nations articles 2(4) and/or<br />

51; 2) was done in the absence of Security council authorization (or<br />

General assembly Uniting for Peace type resolution to provide some<br />

cover if not complete legitimacy); 3) and/or was done with or without<br />

some type of regional or bilateral security arrangement, the ultimate<br />

question would be the extent to which the United nations system and<br />

the individual host state acquiesces to or resists the violation of the host<br />

state’s territory by the injured state.<br />

Let us look at the Un system first. obviously, any of the five Permanent<br />

Members of the United nations Security council alone or in<br />

consort are in a position to block any Security council response (and<br />

pressure other states not to seek a General assembly Uniting for Peace<br />

type resolution). They individually (or along with allies and other nonpermanent<br />

member but powerful states) have the wherewithal to convince<br />

the host state to acquiesce so as to give a veneer of legitimacy to their use<br />

of kinetic violence on the host state’s territory.<br />

Turning to internal United States law, as a matter of internal United<br />

States law the public authority justification for killing would appear to<br />

be the key justification to permit such a drone based killing, whether<br />

domestically or abroad, of an american citizen 15 . When we are abroad<br />

and not discussing an american citizen, internal United States law would<br />

appear not to provide a basis to prevent such action.<br />

but even more importantly, whether domestically or internationally<br />

and whether an american or a foreigner, if killing was not considered to<br />

fall within the public authority justification, the situation might appear<br />

trickier, but in fact is not. The reason is that criminal process is highly<br />

unlikely. The recent history in the United States suggests that the exercise<br />

of prosecutorial discretion by the federal prosecutors and, even if not<br />

preempted, by the state prosecutor would most likely not lead to any indictment<br />

of the actor whether in a criminal or military system of justice.<br />

at most, and this is from the current experience or state of play, one<br />

would expect the adage of malfeasance at the bottom and misfeasance<br />

at the top to be applied under which only low level executants would<br />

risk disciplinary or criminal prosecution while the organizers of the<br />

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THE ORDINARY CITIZEN AND DRONE WORDPLAY<br />

effort at higher levels would not be prosecuted. at most (and only the<br />

closer they were in the hierarchy to the actual operator of the drone)<br />

they might suffer modest administrative discipline. People at the top<br />

would be, at least so far, guaranteed a form of immunity that amounts<br />

to impunity with respect to criminal prosecution or even administrative<br />

discipline 16 . at most a finishing of office, a resignation with a lucrative<br />

book contract appear to be the only “sanction” if that is what this can be<br />

called 17 .<br />

Seen in this international and domestic law vision of the United<br />

States legal regimes, one can see that there is a de jure regime for the use<br />

of drones. However, the de jure legal regime operates in an environment<br />

where failure to comply with the de jure strictures does not lead to accountability.<br />

That space in which there is non-compliance without consequence<br />

with the de jure regime suggests that we should think in terms<br />

of a separate de facto or alternative legal regime that may pervade this<br />

arena. it is not so much that there is law, but rather that the domestic<br />

countervailing forces to assure compliance with any strictures the law<br />

provides are essentially absent for the highest level actors who instruct<br />

the lower level actors. Similar kinds of non-self-limiting factors would<br />

seem to play out for the United States and the other four permanent<br />

members of the United nations system in the manner in which they<br />

each articulate their internal law regimes and international law compliant<br />

regimes. other than the threat of war between the five guarantors of<br />

peace for the international community in the permanent members of<br />

the Security council (a Hobbesian state of nature if there ever was one)<br />

the only limit would be the exercise of prosecutorial discretion by the<br />

international criminal court or some foreign host state court having<br />

the will to exercise jurisdiction over such individual bad actors for a<br />

drone strike on its territory or otherwise over which the foreign court<br />

had jurisdiction – similar to the italian case on torture 18 .<br />

For the four permanent members other than the United States, arguably<br />

the international criminal court serves as a check, but as a practical<br />

matter its institutional reluctance so far to take on anyone from a<br />

United nations permanent member acts as a de facto grant of immunity.<br />

For foreign courts, the United States has demonstrated its significant<br />

ability to derail (with the exception of the italian case described above)<br />

any such efforts in foreign courts.<br />

in this view, for at least the five permanent members, the words of<br />

international and internal law as de jure restrictions, are granted to be<br />

impediments whose modesty as channels of state power may be reflected<br />

by the actual exercise of the power to do the thing of killing with drones<br />

those people they want to kill (whatever the de jure regime) even with<br />

unacceptable collateral damage.<br />

79<br />

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80<br />

Thus, if we go back to the thing of the images above in the first part<br />

of this article, if the rules of international or United States domestic law<br />

were not properly complied with in attacking that group of people in<br />

that desert scenario, the mechanism of accountability does not reach up<br />

the chain of command. Put another way, an international or domestic<br />

crime might have occurred, but for the United States (and the other<br />

four permanent members to a greater or lesser extent) there is no international<br />

or domestic mechanism to meaningfully punish the perpetrators<br />

of that crime.<br />

it may be useful to describe these concepts in terms of diagram 1.<br />

The idea of the diagram is that the legal rules provide a de jure space<br />

in which targeted killings are permissible (the smaller inner circle). However,<br />

the realities of the de facto regimes show that the space in which<br />

such killings are tolerated (through acquiescence and/or ineffective resistance)<br />

may in fact, as a matter of realpolitik, be broader for a given<br />

state, particularly a permanent member of the United nations like the<br />

United States.<br />

When not in armed conflict, the space between the de jure regime<br />

and the de facto regime would be expected to be narrower in the domestic<br />

space through the assertion of rights that are protected by the courts in<br />

their jurisprudence. When in armed conflict, the space between the de<br />

jure regime and the de facto regime would be expected to be broader<br />

simply because the countervailing levers are likely to not work as well to<br />

block the will of the sovereign during such kinds of states of emergency<br />

or war.<br />

HOW DO WE THEN THINK ABOUT THE USES AND ABUSES OF<br />

UNMANNED AERIAL VEHICLES IN THE U.S. AND ABROAD?<br />

based on the analysis of the nature of the violence of these weapons<br />

and the “rules”, a manner of thinking about the uses and abuses of unmanned<br />

aerial vehicles in the United States and abroad calls out for a<br />

synthesis that takes into account the dilemma of both having de jure and<br />

de facto legal regimes present. Put another way, maybe some peremptory<br />

notions can be derived that effectively narrow the de facto regime space<br />

as much as possible simply because the departure beyond such limits is<br />

perceived as fundamentally intolerable for a democratic state.<br />

one way to approach this is to think in terms of lethality of the<br />

weaponized versions 19 . are these weaponized versions of a level of violence<br />

that makes them inherently only tools of armed conflict – domestically<br />

or internationally 20 ?<br />

it would seem that the degree of destructive power of the weapon<br />

on the drone would suggest the situations in which it would be appro-<br />

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THE ORDINARY CITIZEN AND DRONE WORDPLAY<br />

priate to use it: as drones have more destructive power, their destructive<br />

power is to be used exclusively as a weapon of destruction and killing in<br />

armed conflict; as drones have less destructive power (non-weaponized,<br />

for example), they are more appropriate for use domestically or internationally<br />

in settings of policing or intelligence gathering (whether in<br />

armed conflict or not).<br />

What may be more complicated is the presence of dual use drones<br />

which can be used for both intelligence/policing and killing. if we take<br />

the cases of the recent events in Ferguson, Missouri or at the clive bundy<br />

ranch in nevada, one can ask whether the presence of dual use drones<br />

with significant lethality would be too repugnant to the ordinary citizen’s<br />

ability to exercise fundamental rights of freedom of association and freedom<br />

of speech. as a theoretical matter one might expect so, but the<br />

question would be whether the courts would be willing to enjoin state<br />

use of such technology in that manner. even if the state were willing to<br />

cabin such use within certain criteria, we find ourselves confronted with<br />

the next complexity what i have come to call the word play of justification.<br />

THE WORD PLAY OF JUSTIFICATION<br />

From previous paragraphs we see the de facto freedom to use drones<br />

and we present a possible taxonomy for the use of drones. The next issue<br />

we face is the word play problem in the interpretation of the legal rules<br />

and the lethality of a given drone’s use.<br />

if anything has been learned from the torture memo experience, we<br />

should note how the process of providing legal advice to the actors of<br />

the executive can be significantly perverted and so very easily perverted 21 .<br />

on the one hand, the actor who wishes to exercise the use of the lethal<br />

power can provide a series of facts that express a dire, intractable, and<br />

urgent situation to the legal advisor/counsel memo writer. on the other<br />

hand, the legal advisor/counsel can write a memo to those “facts” that<br />

provides a legal rationale as thin as a legal gloss to “permit” the actor to<br />

avail themselves of the drone supposedly only under situations that fit<br />

the dire, intractable, and urgent set of “facts”.<br />

Whether the facts presented are based in objective reality or are a<br />

significant departure from reality will determine a first level of perversion<br />

of the legal advice. The authorization in the memo may in turn be interpreted<br />

by others subsequently to be applicable in less dire, less intractable,<br />

and less urgent settings to the point that drone use (and lethal drone<br />

use) incrementally expands in a form of force drift. This force drift operates<br />

as a second form of perversion that can be traced to the legal<br />

81<br />

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SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

82<br />

advice perversion – for it is the memo that permits one thing that in<br />

turn becomes the rationalization to permit another thing.<br />

Further complications are the categories of police, intelligence, and<br />

armed conflict. in each of these it is very possible to use drones in a nonlethal<br />

manner or lethal manner subject to the background de jure legal<br />

regimes. However, the manner in which oversight is done in each of<br />

these areas (both in the Federal and State level executives, Legislatures<br />

and Judiciaries) may mean that the actual de jure regime in a given state<br />

as well as the de facto regime applicable may vary domestically in a nontrivial<br />

manner. To the extent lethality is considered more consistent with<br />

a principle of legality as expressed in one state than it is in another for<br />

police or intelligence operations, the reclassification of a given drone<br />

effort as policing or intelligence may mean a level of lethality on the<br />

ground that in fact varies (maybe even substantially). coupled with the<br />

manipulation of words that are done in the justification process, not<br />

only may the de jure regime vary, but the de facto regime might in turn<br />

vary significantly. The de facto freedom to operate from previous paragraph<br />

suggests that all of the above is highly probable.<br />

i wish i could assure the reader that the current state of the american<br />

constitutional structure of government can be assured to cabin that<br />

force drift. one could imagine self-policing by the relevant executive<br />

entities, aggressive oversight by the relevant Legislative bodies, and robust<br />

judicial constraint on the sovereign powers being exercised. in addition<br />

to separation of powers at the federal level, one can also imagine the<br />

fifty states providing the double protection of the rights of the people 22<br />

as a check on the federal government in the exercise of such drone force<br />

domestically and influence (absent power) the federal governments drone<br />

use on the international plane. ideally, these would be the self-corrective<br />

mechanisms which could work to cabin the use of drones. but, given<br />

the dynamic previously described of minimal de facto structural limitation<br />

in the national Security space, i am not sanguine about any of the state<br />

structures successfully working to countervail the hydraulic pressures of<br />

force drift.<br />

ENTER THE ORDINARY CITIZEN<br />

if one does not see the federal and state structure as having sufficient<br />

incentives to countervail the kind of force drift across policing, intelligence<br />

and armed conflict, then one may ask where is the source of countervailing<br />

forces to such force drift. We can look to the structures of<br />

civil Society such as the domestic and international press, leaking such<br />

as Wikileaks, etc., as tools of providing information to the polity that<br />

differs from the state structures public positions to cause some in the<br />

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THE ORDINARY CITIZEN AND DRONE WORDPLAY<br />

polity to insist with their representatives that the use of force be cabined.<br />

This might have an effect on the domestic level, but when such lethality<br />

is being done to non-citizens and/or abroad, one does not see the value<br />

of the non-citizen being seen as commensurate with that of the citizen<br />

in the eyes of a given polity. We may care for foreigners, but we do not<br />

care for them as much as for fellow citizens, particularly those who resemble<br />

us. in this latter case at least, the unfortunate experience in the<br />

United States is that the polity mirrors the sovereign’s leadership, particularly<br />

where the mechanisms for dissemination of information are<br />

beholden to/acquiesce to the government assertions about national security<br />

concerns 23 .<br />

one place that one can look for such countervailing forces may be<br />

within the state and federal structure. These countervailing forces would<br />

be some of those persons within the structure who are aware of the<br />

generic principles that are to guide the use of drones and who see the<br />

practice of drone use. if that practice falls outside of what is de jure permissible<br />

into a zone that is essentially the wide latitude of the de facto<br />

space, a contradiction arises between what is legal and what is possible.<br />

The hope is that actors in the structure will be sufficiently troubled by<br />

requests for drone conduct that are technically possible but which are<br />

outside the bounds of a de jure legal regime that is reasonably interpreted.<br />

Those kinds of requests place the individual servitor of the state in a<br />

contradiction which they can seek to resolve up their chain of command<br />

or otherwise. These persons within the state must be seen as the first<br />

line of defense against lawlessness in the use of drones by the state.<br />

outside of the state, and with the advent of technology, the ordinary<br />

citizen can see the thing that is the drone strike and its aftermath without<br />

knowing all of the rationales that went into the authorization of the<br />

drone strike. in this setting, official rationales can be compared to the<br />

actual experience on the ground. actual collateral damage may be permissibly<br />

more extensive than what was potentially foreseen as acceptable<br />

levels. However, the effect of the violence of the thing and the extent of<br />

damage would tend to provide a basis for questioning the legality of<br />

what had occurred. The dissonance between the words used to rationalize<br />

the action and the thing seen is what causes the sense of contradiction.<br />

again, the contradiction between what happened, what seems possible<br />

to happen, and what is legally possible would arise with which the person<br />

within the hierarchy might feel a need to come to terms.<br />

if the contradiction between the experienced conduct and the principles<br />

understood becomes too great, the possibility arises that the person<br />

would feel constrained to react against the drone policy by whatever<br />

levers are available 24 . Thus, objection and contact with others about the<br />

problem are the means that like-minded people seek affinity and begin<br />

to form a movement. it is through this kind of movement that the com-<br />

83<br />

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SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

84<br />

pliant state apparatus is confronted with the contradictions in its drone<br />

policy between what is legal and what is done. We can expect the state<br />

apparatus to react to these efforts at influence in a form of praxis familiar<br />

to any situation where a citizen’s movement confronts a state. The movement<br />

may not in fact be successful in turning back the tide of the drone<br />

policy. but, the essence of the point here is not so much about success of<br />

the movement. rather, the point is that the citizen exercises his/her<br />

agency as the repository of some of the state’s sovereignty that is bestowed<br />

on the governmental structure to alter the policy of the government<br />

structure to conform more to legality 25 .<br />

if the principles understood are manipulated by the state (the kind<br />

of legal analyses we have described above) then the contradiction may<br />

not be experienced between the conduct and underlying principles. a<br />

form of internal harmony based on false consciousness might very likely<br />

arise as the state deploys its resources to reinterpret the legal regime in a<br />

manner that makes whatever drone conduct acceptable. This conundrum<br />

is derived from one deriving one’s principles in the dynamic of the state’s<br />

sovereign without the benefit of the comprehension of rules that are<br />

not so subject to the whims of a given sovereign’s interpretive mechanisms.<br />

in such a setting we might see an introduction of international law of<br />

the kind described above (and not the state’s foreign relations law vision<br />

of that international law – itself subject to manipulation). The insertion<br />

of international law helps decrypt the manipulations of principles that<br />

the state is doing. This decryption might be done intuitively by the ordinary<br />

citizen who has a sense of something not being right. The point<br />

is that having some sense of the operative international legal obligations<br />

in force at the time of the drone use helps the ordinary citizen to reframe<br />

the position (or silence) of the government about how it is conducting<br />

itself pursuant to its drone policy.<br />

in the face of such potential for state lawlessness, the ordinary citizen<br />

then becomes the last bulwark. it is a responsibility one would hope<br />

would not to be shirked or taken lightly. However, in the face of the<br />

massive power of the state, it is a responsibility that is not assured of<br />

being accepted by the ordinary citizen. The key seems to be to what<br />

extent the contradictions experienced are more intolerable than the fear<br />

of state retribution.<br />

SUMMARY AND CONCLUSIONS<br />

We have actually shown a drone strike. Then we have tried to demonstrate<br />

the malleable legal regimes that operate de jure and de facto with<br />

regard to the exercise by the state of a drone policy (whether policing,<br />

intelligence, or armed conflict with lethal force). We have shown how<br />

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F O C U S<br />

THE ORDINARY CITIZEN AND DRONE WORDPLAY<br />

to manipulate those legal regimes. We have discussed our pessimism<br />

about the structures of the state being able to self-correct to avoid force<br />

drift. We have finally suggested that the ordinary citizen may in some<br />

sense end up being the last best hope for countering illegality dressed in<br />

drone policy. at the end of the day, as one thinks of the uses and abuses<br />

of unmanned aerial vehicles, we should keep in mind how we can assure<br />

a meaningful process of control in a situation in which we do not think<br />

the levers of state authority are able to self-control. Since the start of the<br />

War on Terrorism, this inquiry has appeared to be a fundamental one to<br />

protect liberty domestically and to avoid war criminality abroad. it is<br />

the challenge confronting the ordinary citizen and, by extension, each<br />

of our polities. While one might see the conclusion of this article as one<br />

of pessimism, in fact, in this effort to decrypt the forces at play, i hope<br />

that i have suggested a useful path for those who confront these terrible<br />

dilemmas and seek to respond. it is their willingness to respond, that is<br />

the hope for each of us and, ultimately, for world peace. With this modest<br />

work, i hope to honor those who take on that essential task for humakind.<br />

We need more of you.<br />

NOTE<br />

1 alfred Korzybski, Science and Sanity. An Introduction to Non-Aristotelian Systems and<br />

General Semantics, 5 th ed., 1933, p. 222.<br />

2 cf. http://goo.gl/oSF5mm.<br />

3 William Pitt, Speech, 1783 available at http://goo.gl/YHQj8X.<br />

4 John Locke, Two Treatises of Government, awnsham churchill, London, 1689, vol. ii,<br />

Section 202, chap. XViii «of Tyranny», available at http://goo.gl/ijzSb3.<br />

5 UAV Predator Engage a Group of Insurgents with a Hellfire Missile in Iraq, Youtube<br />

upload January 22, 2009, available at: http://goo.gl/jkjqgo.<br />

6 in a sense, this fundamental error on the video as to where we are, what we are looking<br />

at, and who we are looking at provides an unexpected yet telling meditation on the<br />

anonymity of each of the actors toward the other. The operator risks nothing while<br />

the victim has no place to hide. cf. W. Michael reisman, The Lessons of Qana, “Yale<br />

Journal of international Law”, vol. 22 (1997), pp. 395-397: «The promise of these<br />

[smart] weapons is true – to an extent. Silicon chips may make a weapon more accurate,<br />

but that same weapon, corrected by an operator and intervisible with the target, will<br />

be even more accurate – meaning less injury to people with the misfortune to be in the<br />

way. Yet intervisibility means “retro-vulnerability”: the operator is more vulnerable to<br />

injury by the adversary. Hence one may hypothesize that in order to minimize retrovulnerability,<br />

human correction will be reduced or avoided in elective conflicts in<br />

which a democratic polity’s tolerance of losses is expected to be inelastic. Unfortunately,<br />

in armed conflict, the safety equation is zero-sum: the more safety reserved for your<br />

forces, the more unintended and, of course, regrettable injury to civilians».<br />

7 out of Sight, out of Mind available at http://drones.pitchinteractive.com/.<br />

85<br />

G E O P O L I T I C A – R I V I S T A S E M E S T R A L E D E L L ’ I S A G<br />

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SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

86<br />

8 office of the Legal counsel (U.S. Department of Justice, office of the assistant attorney<br />

General), Memorandum for the Attorney General Re: Applicability of Federal<br />

Criminal Laws and the Constitution to Contemplated Lethal Operations Against Shaykh<br />

Anwar al-Aulaqui, July 16, 2010, p. 28, in annex to United States court of appeals<br />

(2 nd circuit), The New York Times Company, Charlie Savage, Scott Shane, American<br />

Civil Liberties Union, American Civil Liberties Foundation v. United States Department<br />

of Justice, United States Department of Defense, Central Intelligence Agency, June 23,<br />

2014, Docket no. 13-422, p. 67 (hereinafter: Al-Aulaqui Memo). See also report of<br />

the Special rapporteur on extrajudicial, Summary or arbitrary executions, Study on<br />

targeted killings, Addendum, §§ 28-45, at http://goo.gl/nnSnex.<br />

9 See article 6(1) of the international covenant on civil and Political rights, available<br />

at http://goo.gl/oynxoK.<br />

10 See report of the Special rapporteur, cit., § 32.<br />

11 ashley S. Deeks, “Unwilling or Unable”: Toward a Normative Framework for Extraterritorial<br />

Self-Defense, “Virginia Journal of international Law”, vol. 52 (2012), p. 483 ff.<br />

12 The state practice to assert this is or has emerged as a customary international law rule<br />

is thin. See a. Deeks, “Unwilling or Unable”, cit., appendix 1, at pp. 549-550. of the<br />

39 cases cited in the appendix the nine where the test was asserted were since 1995<br />

and by four states (United States: four times; israel: three times; Turkey: one time;<br />

and russia: one time), i.e. hardly a general practice of states or opinio juris. of the<br />

other 30 cases, they might as well be viewed as unprincipled violations of another<br />

state’s territory whether pre or post-Un charter with the Seminole wars a particularly<br />

pitiful case to cite. Whether the unprincipled wordplay of “test” or “standard” is used<br />

instead of rule, my worry is the invoking of such words of legitimacy on this thin gruel<br />

subverts the reality of the thing that is happening: an action by an injured state taken<br />

in a host state. The idea of “due diligence” by a neutral state may be present in customary<br />

international law, but having that rise to a question of “unwilling or unable” seems to<br />

narrow the notion of due diligence too much. The question becomes what is the diligence<br />

due in a given setting and whether that level overlaps perfectly by what the “unwilling<br />

or unable” meme is seeking. i seriously doubt that kind of fusion between the<br />

two concepts. Moreover, rules that suggested from commentators in the pre-Kelloggbriand<br />

Pact and pre-Un period (when armed conflict for political advantage was considered<br />

perfect legal in international law) would appear problematic evidence of an international<br />

law rule. in my view, the “unwilling or unable” phrase is a convenient meme<br />

that serves primarily as a rationalization for violation of another state’s territory for an<br />

injured state’s ends when no rule of international law seems to permit such an action.<br />

it is a way to avoid being called an aggressor while doing something that is moving in<br />

the direction of aggressive war. For these reasons, it is an inelegant obfuscation by the<br />

strong on the weak. compare ahmed i. Dawood, Defending Weak States Against the<br />

“Unwilling or Unable” Doctrine of Self-Defense, “Journal of international Law and international<br />

relations”, March 26, 2013, Toronto, forthcoming, available at SSrn:<br />

http://ssrn.com/abstract=2239817. My proposed approach may not allow as much<br />

obfuscation, but i think it has greater neutral rigor. For these reasons, i obviously<br />

differ from the view of the Special rapporteur asserting this is customary international<br />

law: see report of the Special rapporteur, cit., § 35.<br />

13 See ahmed i. Dawood, Defending Weak States, cit.<br />

14 For example, naTo’s action in Libya: see Statement by the naTo Secretary General<br />

on the situation in Libya, February 25, 2011, available at http://goo.gl/LwkLc2. See<br />

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F O C U S<br />

THE ORDINARY CITIZEN AND DRONE WORDPLAY<br />

also benjamin G. Davis, Obama and Libya, “Florida a & M Law review”, Vol. 7, n. 1<br />

(Fall 2011), pp. 17-18.<br />

15 Al-Aulaqui Memo, cit., at p. 14.<br />

16 For example, with regard to the absolute prohibition on torture, we can see that to<br />

date meaningful redress in the United States has been available either as criminal prosecution<br />

of the leaders of the torture or through civil liability. See generally Dr. Trudy<br />

bond, benjamin G. Davis, curtis Doebbler and the Harvard international Human<br />

rights clinic, Advocates for U.S. Torture Prosecutions, shadow report to the Un committee<br />

against Torture, September 22, 2014, available at http://goo.gl/TgbFL4. even<br />

when there is a successful prosecution in a first instance, such as in a blackwater case,<br />

the evidence shows how determined the State Department was to obstruct the ability<br />

to prosecute. Fortunately, that obduracy was overcome. See Matt apuzzo, Blackwater<br />

Guards Found Guilty in 2007 Iraq Killings, Washington Post, october 22, 2014. available<br />

at http://goo.gl/j3LxFk.<br />

17 George bush (Decision Points, crown Publishing Group, new York, 2010) and John<br />

rizzo (Company Man. Thirty Years of Controversy and Crisis in the CIA, Scribner,<br />

new York, 2014) describe a number of actions in the realm of torture that could be<br />

construed as prosecutable offenses but for which these senior-level actors have faced<br />

not the slightest risk of criminal accountability in the domestic or international system<br />

to date. So, i would posit would be the case for drone strikes that did not meet the various<br />

criteria described above as a matter of international or domestic law.<br />

18 Human rights Watch, Italy/US: Ruling on CIA Case Highlights US Inaction, September<br />

20, 2012, available at http://goo.gl/5ocGzt.<br />

19 in this sense, i borrow from and turn on its head the Dissenting opinion of Vice-President<br />

Stephen Schwebel in international court of Justice, Legality of the Threat or Use<br />

of Nuclear Weapons, in i.c.J. reports 1996, p. 226 ff., at 311, in which he focuses on<br />

the degree of lethality of various types of nuclear weapons and compliance with international<br />

law.<br />

20 Here i show great sympathy for the views of Mary ellen o’connell, Unlawful Killing<br />

with Combat Drones, in Simon bronitt, Miriam Gani & Saskia Hufnagel (eds.), Shooting<br />

to Kill: Socio-legal Perspectives on the Use of Lethal Force, Hart Publishing, oxford,<br />

2012; id., Seductive Drones: Learning from a Decade of Lethal Operations, “Journal<br />

of Law, information & Science”, august 2011 (special issue; Doi:<br />

10.5778/JLiS.2011.21.oconnell.1, available at http://ssrn.com/abstract=1912635).<br />

21 See T. bond et al., Advocates for U.S. Torture Prosecutions, cit., which elaborates on this<br />

process in the torture arena but could apply as a process mutatis mutandis to any use of<br />

force situation.<br />

22 James Madison, The Federalist, no. 51: «in the compound republic of america, the<br />

power surrendered by the people is first divided between two distinct governments,<br />

and then the portion allotted to each subdivided among distinct and separate departments.<br />

Hence a double security arises to the rights of the people. The different governments<br />

will control each other, at the same time that each will be controlled by<br />

itself». one vision of this was suggested with regard to taking the country to war<br />

under false pretenses in benjamin G. Davis et al., State Criminal Prosecution of a Former<br />

President: Accountability Through Complementarity Under American Federalism,<br />

“Florida Journal of international Law”, Vol. 24 (2012), p. 331.<br />

23 The discussion of non-prosecutions for torture in T. bond et al., Advocates for U.S.<br />

Torture Prosecutions, cit., are an eloquent testament to this lack of interest in the<br />

suffering of foreigners at the hands of our government.<br />

87<br />

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F O C U S<br />

SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

24 This experience of contradiction and the creation of movements is described in the<br />

sociological work of Francesco alberoni, Movements and Institutions, 1984.<br />

25 See general for some of the concepts of this sociological process F. alberoni, Movements,<br />

cit.<br />

88<br />

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SICUREZZA: DIRITTO INTERNAZIONALE E UE<br />

F O C U S<br />

The «Ambassador for Responsibility<br />

on Climate Change» (ARC) Initiative<br />

Looking for an ICJ Advisory Opinion on Climate<br />

Change and International State Responsibility<br />

eLiSa baroncini<br />

University of Bologna,<br />

Associate Professor of International Law<br />

Because of the little progress in international climate change negotiations, academics<br />

and civil society started questioning whether and how it is possible to “provoke” proceedings<br />

before international tribunals in order to clarify the international legal principles<br />

and obligations concerning the limitation and elimination of greenhouse-gas<br />

emissions. In our paper we present and analyze the «Ambassador for Responsibility<br />

on Climate Change» Initiative, proposed by Palau (one of the Pacific Ocean State Islands<br />

running the risk of submersion because of global warming) at the 2011 Annual<br />

Meeting of the United Nations General Assembly so as to gather the necessary political<br />

consensus for the adoption of a resolution requesting an advisory opinion to the International<br />

Court of Justice.<br />

KEYWORDS: CLIMATE CHANGE • NO-HARM PRINCIPLE • UNFCCC.<br />

INTRODUCTION<br />

Scientists agree on the very negative impact that climate change and<br />

the consequent global warming have, inter alia, for the very existence<br />

of some small island developing States (SiDS). They, in fact,<br />

foresee that sea-level rise will increase from 0.2 to 0.5 meters through the<br />

year 2100, i.e. at the rate of about 4 mm per year. This means, for instance,<br />

for a nation like Tuvalu, an island just 4.6 metres above sea level,<br />

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SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

90<br />

that there will be salt-water intrusion into agricultural land, and that the<br />

increased intensity of storm events will cause flooding with the destruction<br />

of infrastructure, coastal erosion and serious consequences on the<br />

physical makeup of a SiDS territory 1 .<br />

of course, such major events will also have a significant impact on<br />

the people of the small island states. in fact, because of the massive depletion<br />

and damages on natural resources, local vegetation and agricultural<br />

cultivations will be seriously reduced and also become unsuitable<br />

for consumption. The increased salinity will alter the fertility of the soil,<br />

with the consequence that local agriculture will not anymore be possible,<br />

thus losing an essential environmental asset to sustain human life and<br />

forcing out of business local farmers, with serious economic repercussions.<br />

Since they will need to import food, the SiDS people will have to change<br />

their alimentary habits, a shift which may provoke obesity and an increase<br />

in chronic diseases like diabetes. The sea-level rise and the destruction<br />

of infrastructure will definitely force the local populations to move and<br />

leave their homeland, as without sufficient land and appropriate infrastructure<br />

the tiny countries of the Pacific may become uninhabitable.<br />

The climate displaced people have been also qualified as “eco-refugees”,<br />

or “climate refugees”, involving the legal question of whether there may<br />

be an international obligation to accommodate such people, as well as<br />

the need of setting up smooth requirements for their gradual admission<br />

as immigrants in third countries, in case the threat of global warming is<br />

not stopped 2 . Tuvalu, for instance, has asked australia and new zealand<br />

for a plan of systematic acceptance of its population 3 , while Kiribati, a<br />

SiDS of South Pacific, opted for the purchase of land in Fiji where to resettle<br />

its inhabitants 4 .<br />

However, in spite of the fact that there is the serious risk for SiDS of<br />

being swamped, a comprehensive, and thus universal, planned action<br />

has not yet been achieved, while the voluntary initiatives undertaken by<br />

individual States are by no means sufficient to properly face the seriousness<br />

of the situation.<br />

Such a deleterious stalemate is all the more unacceptable if we consider<br />

that the major part of climate change very negative consequences<br />

are and will have to be suffered by those who are least responsible for the<br />

problem of global warming (for example, the very small Palau produces<br />

only 0,0004 of world carbon emissions). Statistics very clearly demonstrate<br />

the upsetting inequity between the people producing pollution and<br />

those bearing its consequences: between 1970 and 2008, in fact, over<br />

95% of deaths from natural disasters, very violent in their destructive<br />

capacity just because of global warming, occurred in developing countries<br />

5 .<br />

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F O C U S<br />

THE “AMBASSADOR FOR RESPONSIBILITY ON CLIMATE CHANGE” (ARC) INITIATIVE<br />

THE CAMPAIGN FOR REQUESTING AN ADVISORY<br />

OPINION BEFORE THE INTERNATIONAL COURT OF JUSTICE:<br />

THE «AMBASSADORS FOR RESPONSIBILITY ON CLIMATE<br />

CHANGE» (ARC) INITIATIVE<br />

Frustrated by the lack of progress at the two UnFccc (United Nations<br />

Framework Convention on Climate Change) 6 conferences in 2009 7 and<br />

2010 8 , and in order to overcome the deadlock of international negotiations<br />

and the unfairness it produces, Johnson Toribiong, then President<br />

of the republic of Palau, announced at the 2011 annual Meeting of the<br />

UnGa 9 the decision of some small island States to promote the General<br />

assembly request for an advisory opinion to the international court of<br />

Justice (icJ) in order to clarify the international law principles concerning<br />

the States’ obligations with reference to greenhouse gas (GHG) emissions,<br />

and thus shed light on whether countries have a responsibility to avoid<br />

carbon releases on their territory causing, or likely to cause, climate<br />

change damage in the domain of another State 10 . Palau, acting along<br />

with the Marshall islands, defined SiDS as «innocent victims of Transboundary<br />

Harm», and emphasized that «[t]he icJ has already confirmed<br />

that customary international law obliges states to ensure that activities<br />

within their jurisdiction and control respect the environment of other<br />

States», recalling also article 194(2) of United nations convention on<br />

the Law of the Sea, which «provides that States shall take all measures<br />

necessary to ensure that activities under their jurisdiction or control do<br />

not spread and do not cause damage by pollution to other States» 11 .<br />

Underlining that «while sea levels have risen, emissions continue unabated»,<br />

as the signing of the UnFccc has not been followed by an effective<br />

and comprehensive implementing binding agreement, Palau declared<br />

that «[i]t is time we determine what the international rule of law<br />

means in the context of climate change» 12 .<br />

The «ambassadors for responsibility on climate change» (arc)<br />

initiative launched by the small island State of the western Pacific ocean<br />

has already triggered lively and articulated discussions among all the<br />

interested stakeholders, be they States or non-State actors, on the issue<br />

of the clarification of the principles of international law concerning State<br />

responsibility vis-à-vis climate change and global warming 13 . if successful<br />

in opening the doors of the icJ for the most authoritative assessment of<br />

the World court on the duties to be observed by States with reference<br />

to carbon emissions, the arc initiative could produce a phenomenon of<br />

wide participation of civil society to the proceedings at The Hague, a<br />

participation which could even overcome the involvement of non-<br />

Governmental organizations already experienced in the nineties during<br />

91<br />

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SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

92<br />

the various phases of the advisory opinion on the Legality of the Threat<br />

or Use of Nuclear Weapons 14 .<br />

The intense legal-scientific debate likely to be provoked by the<br />

adoption of the UnGa’s request to the World court could allow the<br />

international judges at The Hague to work on the advisory opinion<br />

within the best informed environment. even if the World court might<br />

prefer not to be very precise in its evaluation, so as to leave more policy<br />

space to all the relevant actors, the outcome of the icJ, reached in a<br />

highly informed context characterized by the greatest participation,<br />

could certainly revitalize and turn the tide in the international climate<br />

negotiations for the reduction of greenhouse gases within the framework<br />

of the UnFccc 15 , redesigning the international approach to the reduction<br />

of carbon emissions in order to finally promote the conclusion of effective,<br />

universal solutions 16 . Seeking guidance from the World court by triggering<br />

advisory opinion proceedings would thus help to fill the gap between<br />

what the international community unequivocally recognizes and<br />

knows on the very adverse impacts of climate change and how that community<br />

has to act to counter the problem of greenhouse gas emissions.<br />

in the present essay we intend to illustrate the admissibility of the<br />

SiDS proposal for a UnGa resolution requesting an advisory opinion from<br />

the World court, together with the most relevant legal basis which the<br />

judges at The Hague could take into consideration in their legal reasoning<br />

should the arc initiative gather the necessary political support for the<br />

adoption of the UnGa resolution, indispensable for acceding to the World<br />

court advisory jurisdiction.<br />

THE POWER OF THE UNITED NATIONS GENERAL ASSEMBLY<br />

TO REQUEST AN ADVISORY OPINION TO THE WORLD COURT<br />

ON INTERNATIONAL CLIMATE CHANGE LAW<br />

AND ITS ADMISSIBILITY<br />

as it is well known, the World court, which is the «principal<br />

judicial organ of the United nations» (article 92 of the charter), may<br />

issue advisory opinions at the request, inter alia, of the United nations<br />

General assembly. in fact, article 96 of the charter of the United<br />

nations establishes that the General assembly may ask the icJ to «give<br />

an advisory opinion on any legal question» [emphasis added], an option<br />

which is restated by article 65(1) of the icJ Statute 17 . The advisory jurisdiction<br />

of the World court has been conceived to assist the United<br />

nations organs in exercising the functions they have been attributed.<br />

Therefore, the object of the request to be addressed to the World court<br />

by the General assembly, pursuant to the arc initiative, has to fall within<br />

the scope of its activities.<br />

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F O C U S<br />

THE “AMBASSADOR FOR RESPONSIBILITY ON CLIMATE CHANGE” (ARC) INITIATIVE<br />

The legal question to be submitted to the judges at The Hague, as<br />

suggested by Palau, is the following one:<br />

What are the obligations and responsibilities under international law<br />

of a State for ensuring that activities under its jurisdiction or control<br />

that emit greenhouse gases do not cause, or substantially contribute<br />

to, damage to another State or States?<br />

The charter of the United nations has reserved to the General assembly<br />

an extremely extensive competence. in fact, according to article<br />

10 of the charter,<br />

[t]he General assembly may discuss any questions or any matters<br />

within the scope of the present charter or relating to the powers and<br />

functions of any organs provided for in the present charter, and […]<br />

may make recommendations to the Members of the United nations<br />

or to the Security council or both on any such questions or matters.<br />

it is thus difficult that a legal question for an advisory opinion asked<br />

by the UnGa falls outside its competence: in fact, the scope of the United<br />

nations system, recalled by article 10 of the charter, encompasses practically<br />

the whole field of international relations 18 . With specific reference<br />

to climate issues, it may here be underlined that the item of «conservation<br />

of climate as Part of the common Heritage of Mankind» has been<br />

included in the agenda of the General assembly since 1988, when such<br />

topic was for the first time proposed by Malta 19 , and that, always starting<br />

from that year 20 , the United nations has systematically adopted, on a<br />

yearly basis, a resolution devoted to the «Protection of Global climate<br />

for Present and Future Generations of Mankind», the last one being issued<br />

on 20 December 2013, where the General assembly<br />

93<br />

[r]eaffirms that climate change is one of the greatest challenges of<br />

our time, expresses profound alarm that the emissions of greenhouse<br />

gases continue to rise globally, remains deeply concerned that all<br />

countries, particularly developing countries, are vulnerable to the adverse<br />

impacts of climate change and are already experiencing increased<br />

impacts, including persistent drought and extreme weather events,<br />

sea-level rise, coastal erosion and ocean acidification, further threatening<br />

food security and efforts to eradicate poverty and achieve sustainable<br />

development, and in this regard emphasizes that adaptation<br />

to climate change represents an immediate and urgent global priority.<br />

21<br />

Hence, the legal question suggested by Palau is within the wide<br />

mandate conferred by the charter to the General assembly.<br />

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F O C U S<br />

SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

it is also to be stressed that the proposed request is focused on the<br />

substantive obligations of States with reference to greenhouse gas emissions.<br />

Such focus is a very precise, intentional, choice. The causal relationship<br />

between a certain climate change damage and carbon emissions<br />

of a certain activity under a national jurisdiction is not addressed in the<br />

proposed advisory opinion, nor is it considered any issue of reparation<br />

for present or future climate change harm: these international legal aspects,<br />

in fact, are very sensitive because the burden of proof is, of course,<br />

highly challenging and demanding from the scientific point of view. it is<br />

thus a wise and constructive choice to have limited the suggested request<br />

for an advisory opinion to the clarification of the substantive international<br />

law concerning climate change and global warming.<br />

THE LEGAL BASIS FOR ASSESSING INTERNATIONAL<br />

OBLIGATIONS IN RELATION TO CLIMATE CHANGE<br />

The no-harm principle expressed by customary international law<br />

94<br />

The presentation of the substantive legal basis imposing the duty to<br />

avoid the harmful consequences of anthropogenic climate change begins<br />

with the customary international law, thus, with the so called “no-harm”<br />

rule. The no-harm rule is now a widely recognized principle of customary<br />

international law, pursuant to which a State has to prevent, reduce, and<br />

control the risk of transboundary environmental harm to other States.<br />

it was originally stated in the famous Trail Smelter case, an international<br />

dispute involving canada and the United States which generated two<br />

decisions (in 1938 and 1941) where the arbitrators articulated and acted<br />

upon «principles that have come to be widely regarded as the locus classicus<br />

and fons et origo of international environmental law» 22 . in the recalled<br />

controversy, a large smelter located in Trail, in the canadian<br />

Province of british columbia at approximately seven miles from the territory<br />

of the United States, emitted high polluting smoke which provoked<br />

damages to crops and forests of the north-american State of Washington.<br />

Subsequent to the complaints from the United States Government, the<br />

matter was submitted to arbitration, and in the Tribunal’s second decision,<br />

the arbitrators declared that<br />

under the principles of international law […] no State has the right<br />

to use or permit the use of its territory in such a manner as to cause<br />

injury by fumes in or to the territory of another […] when the case is<br />

of serious consequence and the injury is established by clear and convincing<br />

evidence. 23<br />

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F O C U S<br />

THE “AMBASSADOR FOR RESPONSIBILITY ON CLIMATE CHANGE” (ARC) INITIATIVE<br />

The precedential significance of the no-harm rule stated in the Trail<br />

Smelter arbitration found subsequent confirmation and articulation in<br />

other well-known international disputes. in the Corfu Channel case, decided<br />

by the World court in 1949 and involving a complaint brought<br />

by the United Kingdom against albania for the damages suffered by the<br />

United Kingdom ships because of the mines hit in albanian waters, the<br />

World court stated to have based its ruling «on certain general and<br />

well-recognized principles», inter alia the principle establishing «every<br />

State’s obligation not to allow knowingly its territory to be used for acts<br />

contrary to the rights of other States» 24 .<br />

With great clarity and assertiveness, the international court of Justice,<br />

in its judgment of 25 September 1997 in the Gabčíkovo-Nagymaros<br />

case, concerning the construction and operation of two series of locks<br />

on the Danube river, as established by a 1977 Treaty between Hungary<br />

and the former czechoslovak Socialist republic, specified that:<br />

[t]he existence of the general obligation of States to ensure that activities<br />

within their jurisdiction and control respect the environment<br />

of other States or of areas beyond national control is now part of the<br />

corpus of international law relating to the environment. 25<br />

Such a standing has been recently confirmed and strengthened in<br />

the decision on the Pulp Mills on the River Uruguay, where the World<br />

court was asked to settle a dispute between argentina and Uruguay on<br />

the authorization by the latter to build two pulp mills on the banks of<br />

the river Uruguay, in front of the argentinian town of Gualeguaychù,<br />

allegedly in breach of the bilateral Treaty governing the Uruguay river,<br />

i.e. the Statute of the river Uruguay of February 26, 1975. When considering<br />

such bilateral Treaty, the court emphasized that it was interpreting<br />

the 1975 Statute in light of the relevant customary international<br />

law, also requiring States «to ensure that activities within their jurisdiction<br />

and control respect the environment of other States», as well as obliging<br />

them «to use all of the means at [their] disposal in order to avoid activities<br />

which take place in [their] territory, or in any area under [their] jurisdiction,<br />

causing significant damage to the environment of another state» 26 .<br />

The World court also endorsed the no-harm principle as a rule of customary<br />

international law in the Legality of the Threat or Use of Nuclear<br />

Weapons advisory opinion. The court, asked to intervene on the sensitive<br />

legal issue by the UnGa, held the following with reference to the transboundary<br />

harm principle, formulating it without the limiting facets (i.e.<br />

the seriousness of harm and standard of proof ) originally expressed in<br />

1941 by the Trail Smelter Tribunal:<br />

95<br />

[t]he court […] recognizes that the environment is not an abstraction<br />

but represents the living space, the quality of life and the very health<br />

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SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

of human beings, including generations unborn. The existence of the<br />

general obligation of States to ensure that activities within their jurisdiction<br />

and control respect the environment of other States or of<br />

areas beyond national control is now part of the corpus of international<br />

law relating to the environment. 27<br />

The most relevant treaty law: the United Nations Framework<br />

Convention on Climate Change and the United Nations Convention on<br />

the Law of the Sea<br />

among the most significant pieces of treaty law for the purpose of<br />

the legal analysis of the advocated icJ advisory opinion we focus here,<br />

because of space constraints, just on the UnFccc and the United nations<br />

convention on the Law of the Sea (UncLoS).<br />

The UnFccc 28 , beyond incorporating, in recital 8 of its Preamble,<br />

the already considered no-harm principle 29 , establishes, in article 2, that<br />

its ultimate purpose is<br />

96<br />

to achieve, in accordance with the relevant provisions of the convention,<br />

stabilization of greenhouse gas concentrations in the atmosphere<br />

at a level that would prevent dangerous anthropogenic interference<br />

with the climate system. Such a level should be achieved<br />

within a time-frame sufficient to allow ecosystems to adapt naturally<br />

to climate change, to ensure that food production is not threatened<br />

and to enable economic development to proceed in a sustainable<br />

manner.<br />

The above considered UnFccc aim has been interpreted as implying<br />

the duty, for the contracting Parties, to prevent dangerous anthropogenic<br />

interference with the climate system. article 2, in fact, may be read as<br />

expressing the recognition, by all the UnFccc Members, that there is<br />

anthropogenic interference on weather conditions, with the consequent<br />

acceptance of the obligation «to prevent this interference from becoming<br />

dangerous» 30 . Such «a binding, long-term commitment for all Parties<br />

to the UnFccc to prevent climate change» 31 has been further articulated<br />

in article 3 by exhorting the States to adopt a precautionary approach.<br />

Pursuant to such provision, therefore, «Parties should take precautionary<br />

measures to anticipate, prevent or minimize the causes of climate change<br />

and mitigate its adverse effects», with the supplementary indication<br />

that «where there are threats of serious or irreversible damage, lack of<br />

full scientific certainty should not be used as a reason for postponing<br />

such measures».<br />

next to the general duty to adopt preventive measures, the UnFccc,<br />

in article 4, establishes the specific obligations to limit greenhouse gas<br />

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THE “AMBASSADOR FOR RESPONSIBILITY ON CLIMATE CHANGE” (ARC) INITIATIVE<br />

emissions, strengthen greenhouse gas sinks and adopt measures to facilitate<br />

adequate adaptation to climate change. in particular, article 4.2(a)<br />

urges developed countries to «adopt national policies and take corresponding<br />

measures on the mitigation of climate change, by limiting […]<br />

anthropogenic emissions of greenhouse gases and protecting and enhancing<br />

[…] greenhouse gas sinks and reservoirs», and «also assist the<br />

developing country Parties that are particularly vulnerable to the adverse<br />

effects of climate change in meeting costs of adaptation to those adverse<br />

effects» (article 4.4). The prescriptions codified in article 4.2 with specific<br />

reference to developed countries 32 have been correctly considered as<br />

setting forth «an obligation of conduct», accepted by the UnFccc<br />

Members also identified in annex i and annex ii, to stop and reverse<br />

the trend of increasing carbon emissions 33 , so that a violation of convention<br />

duties would occur when a contracting Party does not make<br />

real efforts to reduce greenhouse gases, does not cooperate in good faith<br />

to find adequate regulatory solutions to achieve the convention purpose,<br />

does not adopt adaptation measures, nor does it concur to adaptation<br />

funding to reduce future climate change damage 34 .<br />

among the negative consequences of global warming there are also<br />

ocean acidification, coral reef bleaching, and dangers of extinction of<br />

the marine natural resources. as UncLoS contemplates a significant<br />

number of provisions devoted to the management, protection and preservation<br />

of those resources, and the responsibilities of the States in their<br />

use of the oceans, such convention represents a relevant treaty legal<br />

basis to be considered by the international court of Justice should the<br />

latter be requested to issue an advisory opinion on the legality of greenhouse<br />

gases 35 . in fact, chapter Xii of the convention, concerning articles<br />

192-237, divided into 11 Sections, lays down the complete set of provisions<br />

codifying all the pertinent general obligations which the Parties<br />

have to respect in order to prevent, reduce and control marine pollution<br />

(articles 192-196), i.e. to cooperate on a regional and global basis and<br />

to notify other Parties of imminent or actual damage to the oceans (articles<br />

197-199), and to provide technical assistance to less developed<br />

countries in order to fight marine pollution (article 202).<br />

With specific reference to sea and air navigation, the convention<br />

requires its States to adopt laws and regulations «to prevent, reduce and<br />

control pollution of the marine environment from vessels» and «from<br />

or through the atmosphere» (articles 211 and 212). This means that<br />

UncLoS Members have «to regulate emissions from aircraft and marine<br />

vessels», a target which cannot be interpreted as limiting the scope of<br />

the convention, since those emissions «were seen in 1982 as the most<br />

significant sources of atmospheric pollution affecting the oceans» 36 .<br />

97<br />

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F O C U S<br />

SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

on the contrary, article 194.2, enshrining the no-harm rule in the<br />

UncLoS context, considers any kind of activity emitting pollution (therefore,<br />

not only sea and air navigation), stating that the Parties have to<br />

take all measures necessary to ensure that activities under their jurisdiction<br />

or control are so conducted as not to cause damage by pollution<br />

to other States and their environment, and that pollution arising<br />

from incidents or activities under their jurisdiction or control does<br />

not spread beyond the areas where they exercise sovereign rights in<br />

accordance with this convention.<br />

The set of the recalled rules seems to provide adequate support for<br />

constructing a responsibility of the UncLoS States regarding the activities<br />

under their jurisdiction or control that emit greenhouse gases, which do<br />

not have to cause, or substantially contribute, to damages to other States.<br />

Soft Law Declarations<br />

98<br />

Since more than four decades, the international community has<br />

also expressed highly relevant non-binding documents (declarations of<br />

world summits and conferences, resolutions of the UnGa and statements<br />

of the Security council) which constantly reaffirm the already illustrated<br />

principles of environmental protection and State responsibility, reinforcing<br />

their universally recognized normative value.<br />

in fact, in 1972, the United nations conference on the Human<br />

environment, held in the Swedish capital on 5-16 June of that year,<br />

adopted the Stockholm Declaration by a vote of 103 to 0 with 12 abstentions<br />

37 . Principle 21 of the Declaration enunciates the no-harm principle,<br />

which, as we have just seen, is now firmly considered customary<br />

international law also by the World court, and is constantly reaffirmed<br />

in relevant treaty-law:<br />

States have, in accordance with the charter of the United nations<br />

and the principles of international law, the sovereign right to exploit<br />

their own resources pursuant to their own environmental policies<br />

and the responsibility to ensure that activities within their jurisdiction<br />

or control do not cause damage to the environment of other States<br />

or of areas beyond the limits of national jurisdiction.<br />

The Stockholm Declaration further affirms the duty of international<br />

cooperation in order to develop rules on international responsibility and<br />

liability for environmental damage produced by countries also outside<br />

their national boundaries, establishing in Principles 22 that<br />

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THE “AMBASSADOR FOR RESPONSIBILITY ON CLIMATE CHANGE” (ARC) INITIATIVE<br />

States shall cooperate to develop further the international law regarding<br />

liability and compensation for the victims of pollution and<br />

other environmental damage caused by activities within the jurisdiction<br />

or control of such States to areas beyond their jurisdiction.<br />

The General assembly has subsequently endorsed the Stockholm<br />

Declaration, qualifying it as expression of «the international responsibility<br />

of States in regard to the environment» 38 ; and 20 years after, in<br />

June 1992, the earth Summit (i.e. the United nations conference on<br />

environment and Development) adopted by consensus the rio Declaration<br />

on environment and Development 39 .<br />

coherently with its central concept, i.e. the principle of sustainable<br />

development 40 , Principle 2 of the rio Declaration, balancing sovereignty<br />

and the related right of exploitation on natural resources with the duty<br />

to prevent transboundary environmental harm, repeats the formulation<br />

of Principle 21 of the Stockholm Declaration with the addition of the<br />

word «developmental», thus affirming that States have the right to exploit<br />

their resources in accordance with their own environmental and<br />

developmental policies:<br />

States have, in accordance with the charter of the United nations<br />

and the principles of international law, the sovereign right to exploit<br />

their own resources pursuant to their own environmental and developmental<br />

policies, and the responsibility to ensure that activities<br />

within their jurisdiction or control do not cause damage to the environment<br />

of other States or of areas beyond the limits of national jurisdiction<br />

[emphasis added].<br />

99<br />

Principles 13 of the rio Declaration establishes another parallel<br />

with the just recalled Principle 22 of the Stockholm Declaration, as it<br />

asks the definition of rules, at domestic and at international level, regarding<br />

liability for environmental damages:<br />

States shall develop national law regarding liability and compensation<br />

for the victims of pollution and other environmental damage. States<br />

shall also cooperate in an expeditious and more determined manner<br />

to develop further international law regarding liability and compensation<br />

for adverse effects of environmental damage caused by activities<br />

within their jurisdiction or control to areas beyond their jurisdiction.<br />

a very important innovation is brought by Principle 15 of the rio<br />

Declaration, enshrining the precautionary principle, which may be considered<br />

essential to properly protect the global environment, as damages<br />

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F O C U S<br />

SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

deriving from human activities may be unpredictable, at least in their<br />

proportions, and, what’s more, may not even be redressed through ex<br />

post facto measures:<br />

in order to protect the environment, the precautionary approach<br />

shall be widely applied by States according to their capabilities. Where<br />

there are threats of serious or irreversible damage, lack of full scientific<br />

certainty shall not be used as a reason for postponing cost-effective<br />

measures to prevent environmental degradation.<br />

100<br />

There is a considerable doctrinal debate on the legal nature of the<br />

precautionary principle, i.e. whether or not it may now be qualified as a<br />

principle of customary international law. also the international case-law<br />

is cautious 41 , even if we have to record the recent and very important<br />

stand taken by the Seabed chamber of the international Tribunal of the<br />

Law of the Sea, observing that «the precautionary approach has been<br />

incorporated into a growing number of international treaties and other<br />

instruments, many of which reflect the formulation of Principle 15 of<br />

the rio Declaration […] this has initiated a trend towards making this<br />

approach part of customary international law» 42 .<br />

it is already evident on the basis of the few non-binding documents<br />

we have just illustrated above 43 how significant soft law may be in reconstructing<br />

the principles of international law likely to be relevant for the<br />

World court if asked for an advisory opinion within the arc initiative.<br />

as rightly pointed out by the World court itself, also non-binding<br />

documents, in light of the way in which they have been drafted, the context<br />

and breadth of their approval or endorsement, and the constant,<br />

authoritative, repetition of their content, may be considered as expressing<br />

a «normative value. They can, in certain circumstances, provide evidence<br />

important for establishing the existence of a rule or the emergence of an<br />

opinio juris» 44 .<br />

CONCLUSIONS: THE DIFFICULT PATH FOR REACHING THE<br />

INTERNATIONAL COURT OF JUSTICE<br />

as highly predictable, the United nations path for reaching the<br />

adoption of a General assembly’s resolution requesting an advisory<br />

opinion to the World court has proven to be demanding. The arc<br />

initiative launched by Palau, together with the Marshall islands, in<br />

September 2011, has been very soon endorsed by the other SiDS and<br />

developing States like Grenada, or bangladesh 45 . all such countries are<br />

pressed by the threats on their survival represented by the dangerous<br />

rising sea waters and the extremely violent weather phenomena provoked<br />

by global warming. They share the view on the need to receive guidance<br />

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THE “AMBASSADOR FOR RESPONSIBILITY ON CLIMATE CHANGE” (ARC) INITIATIVE<br />

from the World court «on the responsibilities of States under<br />

international law to ensure that activities carried out under their<br />

jurisdiction or control that emit greenhouse gases do not damage other<br />

States», being confident that the rule of law which will be illustrated by<br />

the court will «reflect the interests of the entire international<br />

community» 46 . Those countries are nevertheless facing stiff opposition<br />

and pressure to back down by other United nations Members (in<br />

particular, the United States and china) 47 that consider an advisory<br />

opinion on international responsibility with reference to climate change<br />

as a very unproductive interference with the currently undergoing<br />

negotiation process at the UnFccc 48 , and thus use also all their diplomatic<br />

strength to prevent the debate on the arc initiative at United nations<br />

level 49 .<br />

notwithstanding the emerging uphill battle, the arc initiative<br />

supporters are confident on the final success and the widest consensus<br />

for the adoption of the resolution. in fact, should the UnFccc<br />

negotiations fail by the expected 2015 deadline, the SiDS proposed option<br />

to shape the law through the World court advisory opinion would<br />

appear to be a most needed authoritative support to «establish a new<br />

legal baseline for the UnFccc to build upon by articulating a clear legal<br />

standard applicable to all States» 50 .<br />

101<br />

NOTE<br />

1 cf. Climate Change Challenges Tuvalu, “GermanWatch”, 2004.<br />

2 cf. Maxine burkett, Climate Refugees, in Shawkat alam et al. (eds.), Routledge Handbook<br />

of International Environmental Law, routledge, London, 2013, pp. 717-729; Tiffany<br />

T.V. Doung, When Islands Drown: the Plight of “Climate Change Refugees” and Recourse<br />

to International Human Rights Law, “University of Pennsylvania Journal of international<br />

Law”, 2010, pp. 1239-1266; rafiql islam, Climate Refugees and International Refugee<br />

Law, in rafiqul islam & Jahid Hossain bhuiyan (eds.), An Introduction to International<br />

Refugee Law, Martinus nijhoff Publishers, Leiden, 2013, pp. 215-243; Marissa S. Knodel,<br />

Wet Feet Marching: Climate Justice and Sustainable Development for Climate Displaced<br />

Nations in the South Pacific, “Vermont Journal of environmental Law”, 2012,<br />

pp. 127-176; Jane Mcadam (ed.), Climate Change and Displacement: Multidisciplinary<br />

Perspectives, Hart Publishing, oxford, 2010; Stephanie regna-Gladin, Climate Refugees:<br />

the Emergence of Gaps and New Challenges for International Law, in Vasilka Sancin<br />

(ed.), International Environmental Law: Contemporary Concerns and Challenges, Papers<br />

Presented at the First contemporary challenges of international environmental Law<br />

conference, Ljubljana, June 28-29, 2012, zalozba, Ljubljana, pp. 259-276.<br />

3 See rebecca elizabeth Jacobs, Treading Deep Waters: Substantive Law Issues in Tuvalu’s<br />

Threat to Sue the United States in the International Court of Justice, “Pacific rim Law<br />

& Policy Journal”, 2005, pp. 103-128. See also akiko okamatsu, Problems and Prospects<br />

of International Legal Disputes on Climate Change, berlin conference on the Human<br />

G E O P O L I T I C A – R I V I S T A S E M E S T R A L E D E L L ’ I S A G<br />

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F O C U S<br />

SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

102<br />

rights Dimensions of Global environmental change, 2 December 2005, available at<br />

http://goo.gl/eQc4TS.<br />

4 See richard Vogel, As Sea Levels Rise, Kiribati Eyes 6000 Acres in Fiji as New Home for<br />

103.000 Islanders, “nbc World news”, 9 March 2012; Jeffrey Goldberg, Drowning<br />

Kiribati, “bloomberg businessWeek – Global economy”, 21 november 2013.<br />

5 See intergovernmental Panel on climate change (iPcc), The IPCC Special Report<br />

on Managing the Risks of Extreme Events and Disasters to Advance Climate Change<br />

Adaptation, 2011, at p. 13: James bradbury& Kelly Levine, Five Takeaways from the<br />

IPCC Report on Extreme Weather and Climate Change, World resources institute, 18<br />

november 2011.<br />

6 The United nations Framework convention on climate change was opened for<br />

signature on 9 May 1992 and entered into force on 21 March 1994.<br />

7 See the reports, Decisions and Documents of the copenhagen climate change conference,<br />

held in Denmark from 7 to 19 December 2009, available at<br />

http://goo.gl/43hsrc. on such conference see Daniel bodansky, The Copenhagen<br />

Climate Change Accord, “aSiL insights”, 16 February 2010.<br />

8 See the reports, Decisions and Documents of the cancun climate change conference,<br />

held in Mexico from 29 november to 10 December 2010, available at<br />

http://goo.gl/8D5Lca. on the Mexican conference see cesare romano & elizabeth<br />

burleson, The Cancun Climate Conference, “aSiL insights”, 21 January 2011.<br />

9 See all the Documents of the 66th ordinary Session of the General assembly at<br />

http://goo.gl/8tcHeK.<br />

10 Un news centre, Palau Seeks UN World Court Opinion on Damage Caused by Greenhouse<br />

Gases, 22 September 2011.<br />

11 Statement by the Honorable Johnson Toribiong, President of the republic of Palau,<br />

to the 66th regular Session of the United nations General assembly, new York, 22<br />

September 2011.<br />

12 ibidem.<br />

13 See the fully researched and wide essay Climate Change and the International Court of<br />

Justice: the Role of Law, Yale Law School, Yale School of Forestry and environmental<br />

Studies, 2012. also before the arc initiative academics questioned themselves on<br />

how to build up a constructive role for the icJ, through its consultative competence,<br />

so as to promote effective political solutions to properly deal with global warming: cf.<br />

Keely boom, The Rising Tide of International Climate Litigation: An Illustrative<br />

Hypothetical of Tuvalu v Australia, in randall S. abate & elizabeth ann Kronk (eds.),<br />

Climate Change and Indigenous People. The Search for Legal Remedies, edward elgar<br />

Publishing, chelthenam, 2013, pp. 409-438; andrew L. Strauss, Climate Change<br />

Litigation: Opening the Door to the International Court of Justice, in William c. G.<br />

burns & Hari M. osofsky (eds.), Adjudicating Climate Change. State, National, and<br />

International Approaches, cambridge University Press, cambridge, 2009, pp. 334-<br />

356.<br />

14 international court of Justice, Legality of the Threat or Use of Nuclear Weapons, advisory<br />

opinion, 8 July 1996, “icJ reports”, 1996, p. 226. on this opinion and the participation<br />

of civil society in the relevant icJ proceedings cf. cathrin zengerling, Greening International<br />

Jurisprudence. Environmental NGOs before International Courts, Tribunals,<br />

and Compliance Committee, Martinus nijhoff Publishers, Leiden, 2013.<br />

15 climate Justice Programme, International: Palau to Seek ICJ Advisory Opinion, September<br />

2011.<br />

G E O P O L I T I C A – R I V I S T A S E M E S T R A L E D E L L ’ I S A G<br />

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F O C U S<br />

THE “AMBASSADOR FOR RESPONSIBILITY ON CLIMATE CHANGE” (ARC) INITIATIVE<br />

16 cfr. aaron Korman & Giselle barcia, Rethinking Climate Change: Towards an International<br />

Court of Justice Advisory Opinion, “The Yale Journal of international Law<br />

online”, 2012, pp. 35-42.<br />

17 Pursuant to article 65(1) of the icJ Statute, «[t]he court may give an advisory<br />

opinion on any legal question at the request of whatever body may be authorized by or<br />

in accordance with the charter of the United nations to make such a request».<br />

18 cf. eckart Klein & Stephanie Schmal, Functions and Powers: Article 10, in bruno<br />

Simma et al. (eds.), The Charter of the United Nations, oxford University Press, oxford,<br />

2012, pp. 461-490.<br />

19 Un Doc. a/43/241, Request for the Inclusion of an Additional Item in the Agenda of<br />

the Forty-Third Session. Declaration Proclaiming Climate as Part of the Common Heritage<br />

of Mankind, 12 September 1988.<br />

20 Un Doc. a/reS/43/53, Protection of Global Climate for Present and Future Generations<br />

of Mankind, resolution 43/53 of 6 December 1988.<br />

21 Un Doc. a/reS/68/212, Protection of Global Climate for Present and Future Generations<br />

of Humankind, 20 December 2013, para. 2.<br />

22 See russel a. Miller, Trail Smelter Arbitration, “Max Planck encyclopedia of Public<br />

international Law”, 2007.<br />

23 Trail Smelter Case, United States v. canada, Decision of 11 March 1941, “reports of<br />

international arbitration awards”, vol. 3, 1941, p. 1938 ff., at p. 1965.<br />

24 international court of Justice, Corfu Channel Case, United Kingdom of Great britain<br />

and northern ireland v. albania, Judgment of 9 april 1949, “icJ reports”, 1949, p. 4<br />

ff., at p. 22.<br />

25 international court of Justice, Case concerning the Gabčíkovo-Nagymaros Project, Hungary<br />

v. Slovakia, Judgment of 25 September 1997, “icJ reports”, 1997, p. 7 ff., at p.<br />

41.<br />

26 international court of Justice, Pulp Mills on the River Uruguay, argentina v. Uruguay,<br />

Judgment of 20 april 2010, “icJ reports”, 2010, p. 1 ff., at p. 38. For a comment on<br />

this judgment see Ludovica chiussi, The Two ‘Banks’ of Transboundary Watercourses:<br />

Economic Interests and Environmental Protection. The Case of Pulp Mills on the River<br />

Uruguay, in Marina Timoteo (ed.), Environmental Law Survey 2013, Dipartimento<br />

di Scienze giuridiche, alma Mater Studiorum, Università di bologna, bologna, pp.<br />

177-186, available at http://goo.gl/fpxrdJ.<br />

27 international court of Justice, Legality of the Threat, cit., at p. 242.<br />

28 on the UnFccc see inter alia elizabeth barrett-brown, Scott Hajost & John H.<br />

Sterne, A Forum for Action on Global Warming: the UN Framework Convention on<br />

Climate Change, “colorado Journal of international environmental Law and Policy”,<br />

1993, pp. 103-118; Daniel bodansky, The United Nations Framework Convention on<br />

Climate Change: A Commentary, “Yale Journal of international Law”, 1993, pp. 451-<br />

558; id., The United Nations Framework Convention on Climate Change: A Commentary<br />

on A Commentary, “Yale Journal of international Law”, 2000, pp. 315-317; Laurence<br />

boisson de chazournes, The United Nations Framework Convention on Climate Change:<br />

on the Road Towards Sustainable Development, in rudolf Wolfrum (ed.), Enforcing<br />

Environmental Standards: Economics Mechanisms as Viable Means?, Springer, berlin,<br />

1996, pp. 285-300; id., United Nations Framework Convention on Climate Change,<br />

“United nations audiovisual Library of international Law”, 2008, available at<br />

http://www.un.org/law/avl; Michael bothe, The United Nations Framework Convention<br />

on Climate Change. An Unprecedented Multilevel Regulatory Challenge, “zeitschrift<br />

103<br />

G E O P O L I T I C A – R I V I S T A S E M E S T R A L E D E L L ’ I S A G<br />

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F O C U S<br />

SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

104<br />

für ausländisches öffenliches recht und Völkerrecht”, 2003, pp. 239-254; James<br />

cameron & zen Makuch, Implementation of the United Nations Framework Convention<br />

on Climate Change: International Trade Law Implications, in James cameron, Paul<br />

Demaret & Damien Geradin (eds.), Trade and the Environment: The Search for Balance,<br />

cameron May, London, 1994, pp. 116-146; Derek nolan & Heather Harris, UN<br />

Framework Convention on Climate Change, “international business Lawyer”, 1997, pp.<br />

108-113; ranee Khooshie & Lai Panjabi, Can International Law Improve the Climate?<br />

An Analysis of the United Nations Framework Convention on Climate Change Signed at<br />

the Rio Summit in 1992, “north carolina Journal of international Law and commercial<br />

regulation”, 1992, pp. 491-549; Philippe Sands, The United Nations Framework Convention<br />

on Climate Change, “review of european community and international environmental<br />

Law”, 1992, pp. 270-277; The United Nations Framework Convention on<br />

Climate Change Handbook, UnFccc Secretariat, bonn, 2006; roda Verheyen, The<br />

Climate Change Regime after Montreal: Article 2 of the UN Framework Convention on<br />

Climate Change Revisited, “Yearbook of european environmental Law”, 2007, pp.<br />

234-256; antto Vihma, The UNFCCC Faces Challenges of Legitimacy and Effectiveness,<br />

Fiia briefing Paper no. 75, March 2011; Farhana Yamin & Joanna Depledge, The International<br />

Climate Change Regime. A Guide to Rules, Institutions and Procedures,<br />

cambridge University Press, cambridge, 2004.<br />

29 «recalling also that States have, in accordance with the charter of the United nations<br />

and the principles of international law, the sovereign right to exploit their own resources<br />

pursuant to their own environmental and developmental policies, and the responsibility<br />

to ensure that activities within their jurisdiction or control do not cause damage to the<br />

environment of other States or of areas beyond the limits of national jurisdiction».<br />

30 roda Verheyen, Climate Change Damage and International Law: Prevention, Duties,<br />

and State Responsibility, Martinus nijhoff Publishers, Leiden, 2005, at p. 56.<br />

31 See Climate Change and the International Court of Justice, cit., at p. 20.<br />

32 as it is well known, under the UnFccc, the costs to reduce GHGs emissions and to<br />

limit the negative consequences of global warming are not to be sustained in the same<br />

way by developed and developing countries which are Parties to the UnFccc. The<br />

convention «acknowledg[es] that the global nature of climate change calls for the<br />

widest possible cooperation by all countries and their participation in an effective and<br />

appropriate international response» (recital 6 of the Preamble of the UnFccc),<br />

hence recognizing that the international community shares a common responsibility<br />

for the protection of the global atmosphere. However, the UnFccc allocates differently<br />

such a common responsibility, providing for asymmetric obligations on the basis<br />

of the status of developed or developing country of the contracting Parties of the<br />

convention. in fact, article 3.1 of the UnFccc contemplates the principle of common<br />

but differentiated responsibilities, declaring that «[t]he Parties should protect<br />

the climate system for the benefit of present and future generations of humankind, on<br />

the basis of equity and in accordance with their common but differentiated responsibilities<br />

and respective capabilities». a distinction is therefore made between the most<br />

industrialized countries, which have emitted billion of GHGs in their path to industrialization,<br />

greatly contributing to current global warming, and developing countries<br />

that, on the contrary, have a very poor record in the perspective of “historic” carbon<br />

emissions, and, generally, inadequate equipment to address the challenge of climate<br />

change. «accordingly – goes on article 3.1 of the UnFccc – the developed country<br />

Parties should take the lead in combating climate change and the adverse effects<br />

thereof» [emphasis added]. Such “lead” means that annex i countries (i.e. the group<br />

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V o l . I V , N ˚ 1 G e n . - G i u . , 2 0 1 5


F O C U S<br />

THE “AMBASSADOR FOR RESPONSIBILITY ON CLIMATE CHANGE” (ARC) INITIATIVE<br />

of industrialized Parties comprising also the economies in transition: eiTs) have to<br />

adopt policies reducing their gas emissions to 1990 levels [see article 4.2(a) of the<br />

UnFccc, already reported in the text]. Furthermore, annex ii countries, which<br />

represent a smaller set of annex i Parties, comprising only the most industrialized Parties,<br />

have to provide financial resources to the so called “non-annex i” countries (i.e.<br />

the developing countries) to enable them to adopt measures mitigating climate change<br />

and assist them to adapt to the impacts of the up-to-now produced greenhouse gas<br />

emissions, also promoting and facilitating the transfer of environmentally sound technologies<br />

and know-how both to eiTs and non-annex i Parties (see article 4.3 and 4.5<br />

of the UnFccc). actually, the UnFccc inextricably associates the participation<br />

of developing countries to the measures against global warming to the financial support<br />

and the technology transfer from the richest contracting Parties. as it is clearly stated<br />

by article 4.7 of the convention «[t]he extent to which developing country Parties<br />

will effectively implement their commitments under the convention will depend on<br />

the effective implementation by developed country Parties of their commitments under<br />

the convention related to financial resources and transfer of technology»; and the<br />

obligation to take into due consideration the needs and concerns of developing countries<br />

in the implementation of the UnFccc duties is further emphasized by the same<br />

provision, requiring the UnFccc membership to «take fully into account that economic<br />

and social development and poverty eradication are the first and overriding<br />

priorities of the developing country Parties», hence conferring the necessary flexibility<br />

to apply equitably (i.e. always in the light of the level of economic development of the<br />

contracting Parties) the UnFccc undertakings. on these aspects see Laurence boisson<br />

de chazournes, The United Nations, cit., at p. 289.<br />

33 christina Voigt, State Responsibility for Climate Change Damages, “nordic Journal of<br />

international Law”, 2008, pp. 1-22.<br />

34 See richard S. J. Tola & roda Verheyen, State Responsibility and Compensation for<br />

Climate Change Damages. A Legal and Economic Assessment, “energy Policy”, 2004,<br />

pp. 1109-1130.<br />

35 For an analysis of the UncLoS convention see Umberto Leanza, La Convenzione<br />

di Montego Bay sul diritto del mare e l’applicazione al Mediterraneo delle convenzioni internazionali<br />

generali in materia ambientale, in Umberto Leanza (a cura di), Le Convenzioni<br />

internazionali sulla protezione del Mediterraneo contro l’inquinamento marino,<br />

editoriale scientifica, napoli, 1992, pp. 3-17; Tullio Scovazzi, The UNCLOS and the<br />

New Trends in the International Law of the Sea, in Sandra namihas (ed.), Derecho del<br />

mar: análisis de la Convención de 1982, Pontificia Universidad católica del Perú, Lima,<br />

2001, pp. 321-351; Tullio Treves, UNCLOS at Thirty: Open Challenges, “ocean Yearbook”,<br />

2013, pp. 49-66; id., The International Tribunal on the Law of the Sea and<br />

Other Law of the Sea Jurisdiction (2012), “The italian Yearbook of international Law”,<br />

2012, pp. 245-273; Myron nordquist, Satya n. nandan & James Kraska (eds.), United<br />

Nations Convention on the Law of the Sea 1982: A Commentary, brill/nijhoff, Dordrecht,<br />

2011; United Nations Convention on the Law of the Sea at Thirty: Reflections,<br />

Division for ocean affairs and Law of the Sea, United nations, new York, 2013.<br />

36 Stephen L. Kass, United Nations Convention on Law of the Sea and Climate Change,<br />

“new York Law Journal”, 31 august 2012, available at http://goo.gl/p2djSu.<br />

37 Declaration of the United Nations Conference on the Human Environment, Un Doc.<br />

a/conF.48/14/rev.1, 16 June 1972.<br />

38 UnGa resolution 2996 (XXVii), 27th Session, Un Doc. a/8730 (1972).<br />

105<br />

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F O C U S<br />

SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

106<br />

39 Rio Declaration on Environment and Development, Un Doc. a/conF.151/26/rev.1<br />

(Vol. i), annex i, 12 august 1992.<br />

40 among the most famous definitions of the principle of sustainable development, now<br />

undisputedly considered as a tridimensional concept linking economic development<br />

to environmental protection and social progress, we may here recall the following<br />

ones: «[s]ustainable development is development that meets the needs of the present<br />

without compromising the ability of future generations to meet their own needs»<br />

[Our Common Future: Report of the World Commission on Environment and Development<br />

(Brundtland Commission), UnGa a/42/427, annex 4 august 1987, at chapter<br />

2.iV.1]; «[t]he right to development must be fulfilled so as to equitably meet developmental<br />

and environmental needs of present and future generations» (Principle 3 of<br />

the rio Declaration); «[w]e are deeply convinced that economic development, social<br />

development and environmental protection are interdependent and mutually reinforcing<br />

components of sustainable development, which is the framework for our efforts<br />

to achieve a higher quality of life for all people» (World Summit for Social Development,<br />

Copenhagen Declaration on Social Development, copenhagen, 6-12 March 1995,<br />

Un a/conF.166/9, 14 March 1994, para. 6); «[w]e, the representatives of the peoples<br />

of the world […] assume a collective responsibility to advance and strengthen the<br />

interdependent and mutually reinforcing pillars of sustainable development (economic<br />

development, social development and environmental protection) at the local, national,<br />

regional and global levels» (World Summit for Sustainable Development, Johannesburg<br />

Declaration on Sustainable Development, Un a/conF.199/20, 4 September 2002,<br />

para. 5). For enlightening considerations on the binding legal nature of the principle<br />

of sustainable development in modern international law, and the role played in it by<br />

that principle see international court of Justice, Gabčíkovo-Nagymaros case, cit., Separate<br />

opinion of Judge christopher Gregory Weeramantry, “icJ reports”, 1997, pp. 88-<br />

119. See also Ulrich beyerlin, Sustainable Development, “Max Planck encyclopedia of<br />

Public international Law”, 2009; christian bugge & christina Voigt (eds.), Sustainable<br />

Development in International and National Law: What did the Brundtland Report Do<br />

to Legal Thinking and Legal Development, and Where Can We Go from Here?, europa<br />

Law Publishing, Groningen, 2008; Jaye ellis, Sustainable Development as a Legal Principle:<br />

A Rethorical Analysis, in Hélène ruiz Fabri, rüdiger Wolfrum & Jana Gogolin<br />

(eds.), Selected Proceedings of the European Society of International Law, ii, Hart Publishing,<br />

oxford, 2008, pp. 641-660; nico Schrijver, The Evolution of Sustainable Development<br />

in International Law: Inception, Meaning and Status, in Recueil des Cours de<br />

l’Académie de Droit international, Vol. 329, 2007, pp. 219-412; christina Voigt, Sustainable<br />

Development as A Principle of International Law: Resolving Conflicts between<br />

Climate Measures and WTO Law, Martinus nijhoff, Leiden, 2009.<br />

41 See e.g. the report of the WTo appellate body in the famous EC – Hormones case:<br />

«[t]he status of the precautionary principle in international law continues to be the<br />

subject of debate among academics, law practitioners, regulators and judges. The precautionary<br />

principle is regarded by some as having crystallized into a general principle<br />

of customary international environmental law. Whether it has been widely accepted<br />

by Members as a principle of general or customary international law appears less than<br />

clear» [appellate body report, European Communities – Measures Concerning<br />

Meat and Meat Products (Hormones) (EC – Hormones), WT/DS26/ab/r,<br />

WT/DS48/ab/r, adopted 1 February 1998, para. 123)]. on the precautionary principle<br />

in WTo law see Lorenzo Gradoni, Il principio di precauzione nel diritto dell’Organizzazione<br />

mondiale del commercio, in andrea bianchi & Marco Gestri (a cura di),<br />

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F O C U S<br />

THE “AMBASSADOR FOR RESPONSIBILITY ON CLIMATE CHANGE” (ARC) INITIATIVE<br />

Il principio precauzionale nel diritto internazionale e comunitario, Giuffrè editore, Milano,<br />

2006, pp. 147-219.<br />

42 Seabed Disputes chamber of the international Tribunal for the Law of the Sea, Responsibilities<br />

and Obligations of States Sponsoring Persons and Entities with Respect to<br />

Activities in the Area, advisory opinion, 1 February 2011, para. 135.<br />

43 For an excellent survey of all the soft law documents relevant for international climate<br />

change law see Climate Change and the International Court of Justice, cit., p. 27 ff.<br />

44 international court of Justice, Legality of the Threat, cit., para. 70.<br />

45 Un Segretary General, Joint Statement by Leaders of Pacific Islands Forum, Un<br />

SG/2191, 10 october 2012.<br />

46 Un Department of Public information, Press Conference on Request for International<br />

Court of Justice Advisory Opinion on Climate Change, 3 February 2012.<br />

47 See on this aspect Stuart beck & elizabeth burleson, Inside the System, Outside the<br />

Box: Palau’s Pursuit of Climate Justice and Security at the United Nations, “Transnational<br />

environmental Law”, 2014, pp. 17-29, at p. 26.<br />

48 anne Siders, Bangladesh Argues for ICJ Hearings on Climate Change Damages, “climate<br />

Law blog”, 26 September 2012, available at http://goo.gl/XWDazb.<br />

49 cf. Lisa Friedman, Island States Mull Risks and Benefits of Suing Big Emitters, “ee<br />

news”, 16 november 2012, at p. 1: «Tiny islands are getting some big-league help in<br />

their quest to haul major emitters into international court over global warming. but<br />

they’re fearful the United States and china might punish them by cutting off foreign<br />

aid. Germany, ireland and Switzerland have vowed support for the republic of Palau,<br />

which is leading a coalition of vulnerable nations in a landmark campaign to make climate<br />

change a matter of international law. The backing of wealthy european nations<br />

brings support for a resolution before the [UnGa] to 33 countries and is considered<br />

a major boost to the case».<br />

50 See irin Global, Island Nation Takes on the World’s Polluters, 3 February 2014.<br />

107<br />

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SICUREZZA: DIRITTO INTERNAZIONALE E UE<br />

F O C U S<br />

Sicurezza energetica e diritto<br />

internazionale dell’energia<br />

FranceSco bUonoMenna<br />

Università degli Studi di Salerno, Ricercatore di<br />

Diritto Internazionale e Professore Aggregato di<br />

Diritto Processuale Europeo e Internazionale.<br />

ENERGY SECURITY AND ENERGY INTERNATIONAL LAW. In past decades, the<br />

focus on energy issues attention had mainly a State-connotation but, in the last thirty<br />

years, the focus devoted to energy safety and supply as well as to inter-States distribution<br />

networks stimulated a heated debate focused on single sector profile or energy<br />

markets regulations. The present Russia-Ukraine affair without doubts had and will<br />

still have consequences on energy issues, drawing particular attention on energy supply.<br />

In this context, this article aims at analyzing the progressive steps that should be taken<br />

for the purpose of implementing the international law of energy. For a long time,<br />

such issues were not a relevant matter for international political and legal relations<br />

in light of both energy resources abundance and of the lack of any environmental<br />

alert concerning sustainable development and climate change.<br />

KEYWORDS: ENERGY RESOURCES AND LEGAL SOURCES • RUSSIA-UKRAINE AFFAIR • SECURITY AND SUPPLY<br />

AT GLOBAL LEVEL<br />

INQUADRAMENTO GENERALE<br />

il profilarsi progressivo di un interesse globale alla sicurezza energetica,<br />

alla tutela ambientale ed allo sviluppo sostenibile della società, hanno<br />

comportato un ampliamento dell’interesse del settore energetico dal<br />

piano meramente interno a quello del diritto internazionale, richiedendo<br />

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F O C U S<br />

SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

110<br />

soluzioni comuni per i diversi profili connessi ed interessanti tale settore.<br />

Dall’inizio del terzo millennio l’energia è divenuta così un nucleo vitale<br />

di interesse per la comunità degli Stati. non è quindi casuale l’adozione<br />

della risoluzione n. 65/151 del 20 dicembre 2010 mediante cui l’assemblea<br />

Generale delle nazioni Unite ha proclamato il 2012 come l’anno internazionale<br />

dell’energia sostenibile. Di particolare rilievo è poi il fatto<br />

che nella risoluzione si fissa, per la prima volta, la stessa nozione di «energia<br />

sostenibile» da intendersi come l’energia prodotta ed utilizzata in<br />

modo tale da poter sostenere lo sviluppo umano a lungo termine in tutti<br />

suoi aspetti sociali, economici e ambientali. Di pari rilievo è poi la<br />

definizione di «sicurezza energetica» da intendersi come la disponibilità<br />

di energia a prezzi ragionevoli 1 e come riconducibile al principio generale<br />

di cooperazione energetica 2 . espressione rilevante della sicurezza energetica<br />

è altresì il profilo attinente all’accesso all’energia che ha trovato una<br />

giusta affermazione nella Dichiarazione di rio del giugno 2012 nella<br />

parte in cui si rimarca l’importanza che può avere lo sviluppo energetico<br />

nella lotta alla povertà e nell’innalzamento degli standards di tutela dei<br />

diritti fondamentali. anche a livello di Unione europea si è raggiunta<br />

(invero, soltanto di recente) una adeguata consapevolezza dell’importanza<br />

del settore dell’energia e dei profili connessi alla sicurezza energetica,<br />

intesa quest’ultima come approvvigionamento il meno possibile<br />

dipendente dai Paesi fornitori 3 : in tale contesto si pone l’art. 194 del<br />

TFUe, norma di riferimento del sistema energetico europeo in ragione<br />

dell’ampiezza dei suoi obiettivi (garantire il funzionamento del mercato<br />

dell’energia; garantire la sicurezza dell’approvvigionamento energetico<br />

dell’Unione; promuovere il risparmio energetico, l’efficienza energetica<br />

e lo sviluppo di energie nuove e rinnovabili; promuovere l’interconnessione<br />

delle reti energetiche).<br />

SVILUPPO PROGRESSIVO DEL DIRITTO INTERNAZIONALE<br />

DELL’ENERGIA<br />

Tradizionalmente ricondotto allo sfruttamento delle risorse naturali,<br />

solo di recente il settore energetico ha stimolato l’interesse degli Stati<br />

verso nuovi ambiti quali l’incidenza ambientale e l’accesso sostenibile ai<br />

servizi energetici. in una fase pre-vigente, infatti, la disciplina delle fonti<br />

e dell’uso dell’energia mancava di una specifica identificazione e veniva<br />

così a coincidere con la disciplina regolatrice dei beni o delle cose,<br />

ovverosia dei diritti di sovranità sul territorio. Soltanto grazie ad una<br />

più recente rappresentazione della sovranità territoriale idonea a configurare<br />

rapporti giuridici non solo interni ma anche internazionali, si è iniziato<br />

a percepire l’importanza della funzionalizzazione della ricchezza<br />

energetica. Da tale momento, dunque, è divenuto possibile delineare un<br />

diverso significato circa l’utilizzo delle risorse, rapportato ad interrelazioni<br />

G E O P O L I T I C A – R I V I S T A S E M E S T R A L E D E L L ’ I S A G<br />

V o l . I V , N ˚ 1 G e n . - G i u . , 2 0 1 5


F O C U S<br />

SICUREZZA ENERGETICA E DIRITTO INTERNAZIONALE DELL'ENERGIA<br />

statali sempre più interdipendenti, premessa essenziale dell’attuale cooperazione<br />

energetica.<br />

Un altro aspetto di sicuro rilievo nello sviluppo della cooperazione<br />

energetica riguarda il profilo ambientale non più giustapposto al settore<br />

energetico ma posto in relazione inter-funzionale con questo in modo<br />

da promuovere in modo sinergico i rispettivi obiettivi di settore. nel periodo<br />

della rivoluzione industriale, infatti, l’interesse energetico si concretizzava<br />

nello sviluppo della tecnologia piuttosto che nella preservazione<br />

dell’ambiente. Solo dopo innumerevoli incidenti industriali che ebbero<br />

forti ricadute inquinanti per l’ambiente si ebbe la consapevolezza che le<br />

risorse ambientali costituiscono, al pari di quelle energetiche, un patrimonio<br />

essenziale per le generazioni presenti e future. La tutela ambientale<br />

è divenuta così una componente importante della politica internazionale<br />

degli Stati, ora più consapevoli della globalità delle conseguenze dei<br />

danni ambientali che, pur quando generati da eventi localizzati, sono<br />

comunque in grado di propagarsi ben oltre i confini nazionali 4 . Sul piano<br />

giuridico ciò ha determinato un radicale mutamento nella trattazione<br />

delle questioni derivanti dall’utilizzo da parte degli Stati delle risorse energetiche<br />

(in particolare di quelle idriche, minerarie e gassose) al punto<br />

che le esigenze di preservazione dell’ambiente sono venute a costituire<br />

un limite allo sviluppo economico incondizionato degli Stati. Vari principi<br />

di diritto ambientale si sono affermati a tal riguardo, a partire dalla<br />

nozione di «sviluppo sostenibile» posta al centro di diversi strumenti<br />

giuridici approvati dalla conferenza delle nazioni Unite su ambiente e<br />

sviluppo tenutasi a rio de Janeiro nel 1992. Da tale momento in poi,<br />

quindi, è emersa in maniera forte l’esigenza di affermare la compatibilità<br />

tra le attività di sviluppo economico degli Stati e la tutela e la preservazione<br />

dell’ambiente naturale (si pensi, in tal senso, al Protocollo di Kyoto del<br />

1997 e al Vertice di Johannesburg del 2002), valorizzando sia lo sviluppo<br />

tecnologico per favorire la riduzione delle emissioni di co2, sia incentivando<br />

lo sviluppo e l’utilizzo di fonti energetiche alternative compatibili<br />

con i nuovi standards ambientali 5 .<br />

a tali obiettivi, espressione dell’attuale coperazione energetico-ambientale,<br />

si ispirano sia la carta dell’energia, e correlato Protocollo sull’-<br />

efficienza energetica e sugli aspetti ambientali correlati (firmati a Lisbona<br />

il 17 dicembre 1994 ed entrati in vigore il 16 aprile 1998), sia la richiamata<br />

Dichiarazione di rio del giugno 2012 ai §§ 127-128. Particolare attenzione<br />

viene dedicata dalla carta dell’energia all’incidenza dell’impiego<br />

dell’energia sostenibile sulla riduzione delle emissioni co2. ciò è particolare<br />

evidente nell’art. 19 del Trattato laddove statuisce che:<br />

111<br />

ai fini di uno sviluppo sostenibile e tenendo conto degli obblighi derivanti<br />

dagli accordi internazionali in materia ambientale di cui è<br />

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SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

parte, ciascuna Parte contraente si adopera per ridurre al minimo, in<br />

maniera economicamente razionale, impatti nocivi per l’ambiente all’interno<br />

o all’esterno della sua area, dovuti a tutte le operazioni nell’ambito<br />

del ciclo dell’energia, tenendo in debita considerazione la sicurezza.<br />

nel fare ciò ciascuna Parte contraente agisce in modo da<br />

realizzare un favorevole rapporto costo/efficacia. nelle sue politiche<br />

ed azioni, ciascuna Parte contraente si adopera per adottare misure<br />

cautelari al fine di prevenire o minimizzare il degrado ambientale.<br />

LE FONTI DELLA SICUREZZA ENERGETICA<br />

112<br />

nello sviluppo delle fonti del diritto dell’energia un particolare ruolo<br />

ricopre la carta europea dell’energia del 1991 e la successiva carta (o<br />

Trattato) del 1994 6 . Si tratta di fonti che ricoprono un ruolo rilevante<br />

per la disciplina in quanto, a differenza delle altre fonti internazionalistiche<br />

ove la regolamentazione del settore energetico si pone in prospettiva<br />

segmentata o settoriale, queste dispongono in modo organico con<br />

riguardo ai profili di maggiore interesse. La collocazione di tali fonti in<br />

ambito europeo è da ascrivere prevalentemente ad alcune ragioni istituzionali,<br />

politiche ed economiche. in primo luogo, la configurazione<br />

giuridica di una carta europea si sviluppò in seno al consiglio europeo<br />

di Dublino di giugno 1990 trovando poi, l’anno successivo, consacrazione<br />

come documento finale dell’apposita conferenza de L’aja. in secondo<br />

luogo, tra le parti originarie quali la comunità europea ed alcuni Paesi<br />

ocSe, dell’europa centrale e dell’ex Unione Sovietica, certamente un<br />

ruolo maggiormente propulsivo è stato svolto dall’allora comunità europea.<br />

infine, la motivazione geo-economica è da ricondurre all’obiettivo<br />

di accelerare lo sviluppo economico degli Stati dell’europa centrale e<br />

orientale e garantire la sicurezza dell’approvvigionamento energetico<br />

dei Paesi membri dell’allora comunità europea.<br />

in ogni caso sarebbe riduttivo circoscrivere la portata di tali fonti<br />

soltanto all’ambito europeo ora considerato dato che esistono altre motivazioni<br />

di ampiezza e portata che vanno ben al di là della dimensione e<br />

della logica esclusivamente europea. La molteplicità degli Stati aderenti<br />

o vincolati (rispettivamente, 56 per la carta e 52 per il Trattato), la loro<br />

rappresentatività regionale (america, europa ed asia orientale), l’interconnessione<br />

e la dichiarata conformità ai principi settoriali del sistema<br />

GaTT-oMc 7 , senza trascurare la molteplicità di settori di cooperazione<br />

energetica disciplinati (accesso alle risorse energetiche, liberalizzazione<br />

degli scambi dei prodotti energetici, tutela degli investimenti, sistema di<br />

risoluzione delle controversie, etc.), fanno sì che tali documenti rappresentino<br />

il primo modello giuridico (di soft law nel caso della carta e di<br />

tipo invece vincolante nel caso del Trattato) di regolamentazione capace<br />

di riflettere le istanze proprie della governance energetica.<br />

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SICUREZZA ENERGETICA E DIRITTO INTERNAZIONALE DELL'ENERGIA<br />

con particolare riferimento alla carta, già il Preambolo mette in<br />

luce l’obiettivo di «promuovere la libera circolazione dei prodotti energetici<br />

e di sviluppare una infrastruttura internazionale efficace in materia<br />

di energia». Va poi segnalato come la certezza e la sicurezza degli approvvigionamenti<br />

energetici e dei correlati profili ambientali si pongano<br />

quali scopi principali da perseguire secondo la filosofia della carta (Titolo<br />

i). Le vicende e le controversie tra Paesi esportatori e Paesi di transito<br />

hanno poi posto in risalto un ulteriore profilo capace di incidere sulla<br />

certezza e sulla sicurezza degli approvvigionamenti, in aggiunta a quello<br />

relativo alla scarsità delle risorse. Si tratta di profili di non secondaria rilevanza,<br />

considerato che il rafforzamento della politica energetica europea<br />

mira proprio ad evitare una situazione di totale dipendenza energetica<br />

da alcuni dei principali Paesi esportatori. in tale ottica, dunque, si comprende<br />

meglio la logica di fondo della carta volta, nelle intenzioni originarie,<br />

ad intensificare la collaborazione est-ovest sul piano energetico.<br />

Tale logica di fondo fu poi confermata ed ampliata nel già citato<br />

Trattato sulla carta dell’energia (firmato a Lisbona il 17 dicembre 1994<br />

ed entrato in vigore il 16 aprile 1998) che costituisce il “naturale” proseguimento<br />

del processo iniziato con la carta. il Trattato contiene diverse<br />

misure relative alla tutela degli investimenti (con la rigorosa applicazione<br />

del principio di non discriminazione), al trasferimento degli utili all’estero<br />

e al rimpatrio del capitale, all’indennizzo rapido, adeguato ed effettivo<br />

in caso di nazionalizzazioni, al ricorso all’arbitrato internazionale come<br />

strumento privilegiato di risoluzione delle controversie nascenti dall’interpretazione<br />

ed applicazione del Trattato tra Stati ed operatori economici<br />

stranieri. il Trattato prevede, inoltre, l’istituzione di un’organizzazione<br />

energetica internazionale che sia competente a predisporre progetti ed<br />

emendamenti al Trattato stesso allo scopo di meglio perseguire ed attuare<br />

gli obiettivi sanciti dal Trattato, anche alla luce dei mutati scenari di contesto.<br />

infine, a seguito dell’entrata in vigore, il 21 gennaio 2010, del Protocollo<br />

di modifica alle disposizioni commerciali, il Trattato prevede anche<br />

il libero commercio delle materie prime energetiche, dei prodotti<br />

derivati e delle attrezzature per la produzione in conformità con le regole<br />

e la prassi dell’oMc. resta comunque fermo lo scopo originario del Trattato,<br />

ossia quello di istituire un framework condiviso per la regolamentazione<br />

dei contratti tra Stati ed investitori in materia energetica. Pur<br />

non imponendo privatizzazioni e non mettendo in discussione la sovranità<br />

degli Stati sulle risorse naturali, il Trattato mira comunque ad una<br />

progressiva armonizzazione delle legislazioni allo scopo di garantire<br />

un’apertura simmetrica dei mercati in vista della creazione di un mercato<br />

unico 8 . in altre parole, dunque, il Trattato rappresenta il primo accordo<br />

capace di stabilire “regole globali” in materia di liberalizzazione degli investimenti<br />

e di scambi nel settore energetico 9 .<br />

113<br />

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SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

114<br />

Particolare attenzione merita, poi, il cd. transito di beni e materiali<br />

energetici oggetto di disciplina generale nell’art. 7 e di disciplina specifica<br />

nel Protocollo sul transito di materie prime e prodotti energetici, aggiornato<br />

alle nuove istanze legate al transito di idrocarburi e di elettricità.<br />

È evidente, e lo conferma anche la prassi di settore, che tale profilo rappresenta<br />

uno degli aspetti applicativi più rilevanti della complessiva disciplina<br />

dato che incide sulla sovranità territoriale degli Stati. oltre agli<br />

impegni previsti dall’art. 7, par. 2, per agevolare il transito di materie e<br />

prodotti (che deve avvenire senza distinzione di origine, destinazione o<br />

proprietà di tali materiali e prodotti energetici e, inoltre, senza discriminazioni<br />

di prezzo basate su tali distinzioni e senza imporre ritardi, restrizioni<br />

o oneri non ragionevoli), meritano altresì un cenno le misure<br />

che incidono sulla manutenzione e sull’ammodernamento delle infrastrutture<br />

di trasporto dell’energia, nonché le misure volte ad agevolare la<br />

loro interconnessione.<br />

il Trattato disciplina anche la promozione e la tutela degli investimenti.<br />

come già per il transito, anche la tutela degli investimenti è una<br />

fattispecie già disciplinata dal diritto internazionale generale e non ricondotta<br />

tipicamente al settore dell’energia. La tematica della tutela degli<br />

investimenti si è sviluppata progressivamente trovando una sua iniziale<br />

collocazione dapprima nelle regole di protezione diplomatica e, poi, in<br />

appositi accordi bi o multi-laterali 10 . in relazione al settore energetico<br />

essa appare di primaria rilevanza dato che costituisce un momento costitutivo<br />

e di sviluppo delle fasi di ricerca ed esplorazione delle risorse<br />

nonché di ammodernamento delle infrastrutture. Per tali ragioni, il Trattato<br />

mira a promuovere e tutelare gli investimenti nel settore creando<br />

condizioni stabili, eque, favorevoli e trasparenti per gli investitori (art.<br />

10) secondo un principio generale che obbliga ciascuna Parte a prevedere<br />

mezzi effettivi per far valere e mettere in esecuzione i diritti derivanti da<br />

investimenti, accordi di investimento ed autorizzazioni di investimento.<br />

DISCIPLINA DEI SERVIZI ENERGETICI NEL COMMERCIO<br />

INTERNAZIONALE<br />

Volgendo ora l’attenzione ai mercati e al commercio internazionale<br />

è necessario evidenziare come l’esigenza di regolamentare il settore energetico<br />

non fu considerata una priorità nell’originario Accordo generale<br />

sulle tariffe e sul commercio (GaTT) del 1947. invero, il settore energetico<br />

era in gran parte dominato da monopoli di Stato e, quindi, la relativa<br />

disciplina era fortemente incentrata sulla dimensione interna. Di converso,<br />

la dimensione esterna relativa al commercio internazionale di risorse e<br />

prodotti energetici era altrettanto influenzata dai cartelli e, di fatto, controllata<br />

da poche imprese multinazionali. Si aggiunga poi che alcune<br />

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SICUREZZA ENERGETICA E DIRITTO INTERNAZIONALE DELL'ENERGIA<br />

caratteristiche del settore energetico lo rendono ben diverso da altri settori:<br />

si pensi, ad esempio, al fatto che i beni energetici (gas, petrolio,<br />

elettricità) hanno peculiari caratteristiche fisiche che incidono in maniera<br />

differenziata rispetto ad altri beni nell’attività di stoccaggio, trasporto e<br />

distribuzione. il complesso di queste ragioni spiega perché il GaTT non<br />

considerasse il settore energetico come un settore distinto.<br />

Si tengano altresì presenti alcune difficoltà di inquadramento generale<br />

della materia a cominciare dalla distinzione tra «beni» e «servizi»<br />

energetici, problema già sollevato nel corso dei negoziati del 1947 sulla<br />

carta de L’avana. bisognerà dunque attendere la metà degli anni ottanta,<br />

ed in particolare la Dichiarazione ministeriale di Punta del este del 1986,<br />

per ritrovare un mutamento di prospettiva tale da estendere ai prodotti<br />

connessi all’energia (in particolare, ai prodotti petroliferi) le regole GaTT,<br />

senza comunque trascurare le forti resistenze ad una loro compiuta attuazione<br />

provenienti soprattutto dai Paesi arabi 11 . Proprio durante gli<br />

accordi di Marrakech del 1994 la tematica fu oggetto di discussione<br />

con particolare riferimento alla liberalizzazione dei servizi connessi all’industria<br />

estrattiva del gas e del petrolio. inoltre, sia pure indirettamente,<br />

proprio grazie all’istituzione, in ambito oMc, del meccanismo di soluzione<br />

delle controversie, si sono riscontrati progressi anche nel settore dei<br />

prodotti energetici tanto che quel collaudato meccanismo è divenuto in<br />

seguito il modello di riferimento per l’omologo meccanismo contemplato<br />

dalla Parte V del Trattato sulla carta dell’energia (art. 26 e ss.).<br />

L’interesse per simili tematiche si è ulteriormente accentuato nel<br />

corso delle ultime tornate negoziali in ambito oMc (Doha nel 2001,<br />

Ginevra nel 2008, etc.) dove si è discusso di energia come specifico<br />

settore a sé stante. il dibattito tra ambiente, risorse energetiche e commercio<br />

internazionale si è posto nella prospettiva di trovare un equilibrio<br />

tra la promozione di beni e servizi ambientali e le fossil fuel subsidies<br />

(sovvenzioni ai combustibili fossili). Sempre in tale ottica, è stata altresì<br />

sollevata sia la tematica relativa ai biocarburanti, con particolare riguardo<br />

al loro impatto sull’agricoltura, che quella attinente il transito di energia,<br />

uno degli aspetti più delicati della disciplina del diritto energetico in<br />

considerazione delle forti ricadute di natura geopolitica e di sicurezza<br />

degli approvvigionamenti 12 . a tale ultimo riguardo, si pensi, solo per<br />

fare un esempio, alle ricadute per la sicurezza energetica dell’Unione europea<br />

della crisi in atto tra Federazione russa ed Ucraina che, tra l’altro,<br />

non trovano alcun utile riferimento di ordine giuridico dato che le prescrizioni<br />

sul transito di energia di cui al Trattato sulla carta dell’energia<br />

non si applicano alla russia 13 . Vero è, comunque, che l’adesione russa al<br />

sistema oMc, avvenuta ad agosto del 2012, dovrebbe attenuare certe<br />

“vischiosità” giuridiche legate alla disciplina del transito di energia.<br />

oltre a questi profili, la cui compiuta definizione non potrà prescindere<br />

dalla prassi che si svilupperà nei prossimi anni, restano ancora<br />

115<br />

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SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

116<br />

aperte anche alcune questioni di qualificazione relative alla riconduzione<br />

alle categorie generali di prodotti e servizi da cui scaturiscono ulteriori<br />

difficoltà di applicazione normativa in ragione dei diversi regimi ed obblighi<br />

vigenti nel sistema GaTT e GaTS (General Agreement on Trade in<br />

Services). il criterio prescelto all’esito del Doha Round riflette quelle che<br />

sono le caratteristiche tipiche, da un lato, delle risorse naturali e, dall’altro,<br />

della prevalente attitudine a configurarsi come servizi. in tale ottica, perciò,<br />

si riconduce il petrolio alla categoria dei prodotti e l’elettricità, ed il<br />

gas, a quella dei servizi. Da ciò consegue l’estensione di alcuni principi di<br />

portata generale agli scambi di prodotti petroliferi (divieto di dazi doganali,<br />

clausola della “nazione più favorita”, etc.) alla luce, comunque,<br />

delle peculiarità degli stessi 14 . L’estensione delle norme GaTS incontra,<br />

invece, una maggiore difficoltà di applicazione per l’assenza di un catalogo<br />

normativo e vincolante circa la stessa nozione di servizio. La scelta di<br />

fondo è, dunque, ricaduta sulla valorizzazione di quell’elemento che in<br />

modo preponderante qualifica il servizio, ossia la sua natura transfrontaliera<br />

(art. 1, par. 2). nonostante tale riconduzione presenti difficoltà<br />

oggettive, va comunque evidenziato come le stesse possano essere superate<br />

facendo riferimento alle peculiarità del servizio energetico nelle diverse<br />

fasi ad esso ricollegabili (dall’attività di individuazione ed estrazione, inclusa<br />

l’attività di trasporto sia per le vie tradizionali che per quelle tipiche<br />

come gli oleodotti ed i metanodotti, alle attività di distribuzione e consumo<br />

finale). in ogni caso, poi, anche per i servizi energetici è possibile<br />

individuare alcune norme generali dell’accordo che siano anche applicabili<br />

a questo sub-settore e, in particolare, gli articoli i e ii che disciplinano<br />

il principio del trattamento della nazione più favorita (che, a differenza<br />

di quanto previsto nell’accordo sugli scambi di prodotti, non conosce<br />

deroghe). Tale profilo si ricollega ad un ulteriore aspetto concernente il<br />

ruolo della funzione pubblica statale nell’ambito della regolamentazione<br />

dei servizi. non si tratta, ovviamente, di un profilo secondario considerato<br />

che lo sviluppo del regime GaTS in materia si lega al progressivo sviluppo<br />

delle istanze di liberalizzazione in ambito statale, un processo che in<br />

molti Stati è già stato realizzato ma, in altri, è ancora in corso. non è un<br />

caso, dunque, che il GaTS escluda espressamente dalla propria applicazione<br />

quei servizi forniti nell’esercizio del potere governativo, ossia quei servizi<br />

non forniti su base commerciale o, comunque, resi in assenza di concorrenza<br />

con altri operatori.<br />

NOTE<br />

1 La definizione si compone di due aspetti ben distinti, anche se interdipendenti. il<br />

primo è quello dell’affidabilità (reliability) del flusso di materie prime che dipende<br />

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SICUREZZA ENERGETICA E DIRITTO INTERNAZIONALE DELL'ENERGIA<br />

dall’accessibilità dei giacimenti e dal funzionamento delle infrastrutture di trasporto.<br />

il secondo, decisamente più sfumato, è invece quello della ragionevolezza economica<br />

(affordability) ossia la garanzia che i prezzi non varino eccessivamente o in modo imprevedibile,<br />

mandando così in crisi le economie coinvolte.<br />

2 Lo stesso principio visto nella prospettiva statale s’inserisce nel contesto dell’interdipendenza<br />

energetica che, come noto, si presta a valutazioni diverse in ragione della<br />

sua naturale incidenza nei rapporti inter-statali. Strettamente connesso a tale ultimo<br />

profilo è, dunque, lo studio relativo agli assetti di geopolitica internazionale per effetto<br />

dei grandi progetti infrastrutturali di gasdotti e pipelines. Per un esame dei limiti di<br />

tale interdipendenza, anche in funzione delle correlate tensioni politico-diplomatiche,<br />

si veda Paul Stevens, Oleodotti e Gasdotti come fonte di conflitto: quale soluzione?, “energia”,<br />

n. 2/2009, p. 30 ss.. Se, da un lato, l’accesso alle risorse energetiche e naturali è<br />

fonte di potenziali instabilità e minacce, dall’altro, si richiedono politiche volte a<br />

mitigare le tensioni per la fornitura delle materie prime basate su una concertazione<br />

tra diverse aree regionali e politiche statali volte a favorire l’indipendenza. Sul punto,<br />

cfr. Philippe esper, L’accesso alle risorse: poste in gioco e sfide, “energia”, n. 2/2012, p. 18<br />

ss.. Sotto un diverso profilo, poi, la cooperazione e l’interdipendenza energetica rappresentano<br />

veri e propri principi fondanti la disciplina, anche alla luce del fatto che l’utilizzo<br />

del bene «energia» si configura oggi come un bene fondamentale il cui valore<br />

prescinde la dimensione statale. L’affermazione di tali principi nel settore di riferimento<br />

(e/o anche in relazione alla protezione ambientale) si è posta come obiettivo quasi<br />

costante nelle Dichiarazioni conclusive dei Vertici G-8 e bricS. Per una valutazione<br />

di tali principi con riferimento al G-8, cfr. baker institute, The Global Energy Market,<br />

Comprehensive Strategies to Meet <strong>Geopolitica</strong>l and Financial Risks. The G-8, Energy Security<br />

and Global Climate Issues, “Policy report”, n. 37, 2008. Per un’analisi di tali<br />

principi alla luce delle Dichiarazioni conclusive dei Vertici bricS, sia consentito il<br />

rinvio a Massimo Panebianco & Francesco buonomenna, Politica energetica del BRICS<br />

nello sviluppo dei raggruppamenti internazionali di Stati, in aa. VV., Aspetti giuridici<br />

del BRICS, San Pietroburgo, 2011, p. 127 ss.. Da un punto di vista teorico-generale,<br />

poi, l’interdipendenza può rappresentarsi come uno dei modi di affermarsi della sovranità<br />

statale. Per un inquadramento generale del rapporto fra sovranità ed interdipendenza<br />

statale, si veda Paolo bargiacchi, Pretesi effetti dell’interdipendenza economica e politica<br />

globale sulla sovranità dello Stato, “rivista della cooperazione Giuridica internazionale”,<br />

n. 32 (maggio-agosto 2009), pp. 58-69.<br />

3 neanche la consapevole inadeguatezza delle politiche energetiche nazionali a risolvere<br />

questioni energetiche per loro natura non statali (come le crisi petrolifere del 1973 e<br />

del 1979) ha spinto gli Stati dell’Ue verso una politica energetica comune. invero, un<br />

primo e timido riferimento all’energia si ebbe con il Trattato di Maastricht che poneva<br />

solamente una previsione circa le misure di intervento nel settore (art. 3, par. 1, lett.<br />

u), nonostante la contestuale occasione giuridica rappresentata dalle previsioni del<br />

Trattato in materia di reti trans-europee (tra le quali vanno annoverate anche le reti<br />

energetiche). Per ovviare all’assenza di una specifica politica che legittimasse i necessari<br />

interventi normativi nella materia, per diversi anni si fece ricorso all’utilizzo di basi<br />

giuridiche generali o di altre politiche settoriali come, ad esempio, l’ex art. 95 Tce<br />

(ora art. 114 TFUe) in tema di mercato interno o l’ex art. 235 Tce (ora art. 352<br />

TFUe) in tema di poteri impliciti dell’Unione. Questa metodologia normativa, però,<br />

non riusciva a far fronte alle istanze, derivanti dalla prassi, che richiedevano interventi<br />

sempre più unitari ed organici in risposta alle esigenze di approvvigionamento. il limite<br />

di affidarsi alle scelte, non coordinate tra loro, di politica nazionale energetica fu messo<br />

in luce già dal Libro verde della commissione del 29 novembre 2000 (Verso una strategia<br />

117<br />

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SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

118<br />

europea di sicurezza dell’approvvigionamento energetico). Solo con il Trattato-costituzione<br />

del 2004, e poi con quello di Lisbona, si ebbe però una diversa consapevolezza circa la<br />

politica energetica, riconducendo in primis l’energia fra le competenze concorrenti e<br />

inserendo, in secundis, un’apposita disposizione sul punto (l’art. 194 TFUe che costituisce<br />

l’unica disposizione del Titolo XXi dedicato, appunto, all’energia).<br />

4 La letteratura giuridica sul diritto internazionale dell’ambiente è ormai vasta. Senza alcuna<br />

pretesa di esaustività, ci si limita in questa sede a richiamare dunque alcune opere<br />

di carattere generale, senza far riferimento alla dottrina che si è occupata specificamente<br />

di singoli principi di diritto ambientale. cfr. Michel Prieur, Droit de l’environnement,<br />

6ª ed., Dalloz, Paris, 2011; ida caracciolo, Gli strumenti convenzionali internazionali<br />

in materia di protezione dell’ambiente: la protezione dell’atmosfera, in Umberto Leanza<br />

& ida caracciolo, Il diritto internazionale: diritto per gli Stati e diritto per gli individui.<br />

Parti speciali, Giappichelli editore, Torino, 2010; alessandro Fodella & Laura Pineschi,<br />

La protezione dell’ambiente nel diritto internazionale, Giappichelli editore, Torino,<br />

2009; Malgosia Fitzmaurice, Contemporary Issues in International Environmental Law,<br />

edward elgar, cheltenham, 2009; Giovanni cordini, Paolo Fois & Sergio Marchisio,<br />

Diritto ambientale. Profili internazionali europei e comparati, Giappichelli editore,<br />

Torino, 2008; angela Del Vecchio & arno Dal ri Junior (a cura di), Il diritto internazionale<br />

dell’ambiente dopo il vertice di Johannesburg, editoriale Scientifica, napoli,<br />

2005.<br />

5 Già nella Dichiarazione finale del Vertice G-8 tenutosi a L’aquila nel 2009 emerse il<br />

progressivo impegno per la riduzione delle emissioni in un contesto di sviluppo sostenibile:<br />

«We recognize the scientific view that the increase in global average temperature<br />

above pre-industrial levels ought not to exceed 2c. in this regard and in the context of<br />

ultimate objective of the convention and the bali action Plan, we will work between<br />

now and copenhagen, with each other and under the convention, to identify a global<br />

goal for substantially reducing global emissions by 2050». in argomento, cfr. enzo Di<br />

Giulio, Copenaghen: dopo la semina il raccolto, “energia”, n. 3/2009, p. 54 ss.<br />

6 cfr. andrea Giardina, Il Trattato sulla Carta dell’energia del 1994, in Enciclopedia degli<br />

Idrocarburi, iV, roma, 2005, p. 551 ss.; emmanuel Gaillard, Energy Charter Treaty:<br />

International Center for Settlement Decision, “new York Law Journal”, n. 66, 2005, p.<br />

1 ss.; richard Happ, Dispute Settlement under the Energy Charter Treaty, “German<br />

Yearbook of international Law”, n. 45, 2002, p. 331 ss.; eugene Schaeffer, Le Traité sur<br />

la Charte de l’Énergie et l’accès des produits énergetiques des pays de l’Est aux marchés de<br />

l’UE, in Gerhard Hafner et al. (eds.), Liber Amicorum: Professor Ignaz Seidl-Hohenveldern<br />

in Honour of His 80th Birthday, Kluwer Law international, The Hague, 1998,<br />

p. 593 ss.; ramdane babadjl, Le Traité sur la Charte Européenne de l’Énergie, “annuaire<br />

Français de Droit international”, n. 2 (1996), p. 872 ss.; Lorna brazell, The Draft<br />

Energy Charter Treaty: Trade, Competition, Investment and Environment, “Journal of<br />

energy & natural resources Law”, n. 12 (1994), p. 299 ss.<br />

7 art. 4 del Trattato: «nessuna disposizione del presente Trattato deroga, nei rapporti<br />

tra Parti contraenti che sono membri del GaTT, alle disposizioni del GaTT e agli atti<br />

correlati, quali applicate tra dette Parti contraenti».<br />

8 Per alcuni profili e spunti critici in ordine alla ratio politica del Trattato in funzione<br />

dell’interesse originario dell’Ue a «condizionare le preferenze della russia per influenzare<br />

decisioni e politiche», si veda Filippo clò, Quale strada verso un nuovo<br />

ordine energetico, “energia”, n. 2/2012, p. 30 ss., in particolare laddove si afferma che<br />

«il cremlino vede, infatti, il Trattato nettamente sbilanciato in difesa dei consumatori<br />

mentre vengono trascurati gli interessi dei produttori e le loro esigenze di sicurezza<br />

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SICUREZZA ENERGETICA E DIRITTO INTERNAZIONALE DELL'ENERGIA<br />

della domanda. anziché ridurre i propri benefici per diminuire i rischi altrui alla cooperazione,<br />

l’Unione ha proposto un accordo che, di fatto, avrebbe garantito maggiori<br />

benefici per sé aumentando, allo stesso tempo i rischi per la Federazione russa» (p.<br />

38). ne è conseguito che «anziché delineare in maniera concertata con Mosca percorsi<br />

ed obiettivi, l’Unione europea ha, al contrario, alienato il principale referente dell’accordo,<br />

la russia, violando così la prima regola per un efficace institution building». Sul<br />

punto, si veda anche David G. Victor & Joshua c. House, The New Energy Order.<br />

Managing Insecurities in the Twenty-first Century, “Foreign affairs”, n. 1/2010, p. 34<br />

ss.<br />

9 cfr. Marilù Marletta, Energia. Integrazione europea e cooperazione internazionale, Giappichelli<br />

editore, Torino, 2011, in particolare p. 354 ss.<br />

10 Sulla protezione degli investimenti nel diritto internazionale, si veda Jean Pierre Laviec,<br />

Protection et promotion des investissements. Etude de droit international économique,<br />

Dalloz, Paris, 1985; Pia acconci, Il collegamento tra Stato e società in materia di investimenti,<br />

cedam, Padova, 2002; Sergio Marchisio, Investimenti esteri nel diritto internazionale,<br />

Digesto delle discipline pubblicistiche, Viii, Torino, 1993, p. 567 ss.. con<br />

particolare riferimento agli accordi in materia di promozione e protezione degli investimenti,<br />

poi, si veda, tra i tanti, Stefania bariatti, Protezione diplomatica, in Digesto<br />

delle discipline pubblicistiche, Xii, Torino, 1997, p. 144 ss.; Luigi Migliorino, Gli accordi<br />

internazionali sugli investimenti, Giuffrè editore, Milano, 1989; Giorgio Sacerdoti,<br />

Bilateral Treaties and Multilateral Instruments on Investment Protection, in Recueil des<br />

Cours, vol. 269 (1997), p. 251 ss.; Maria rosaria Mauro, Gli accordi bilaterali sulla promozione<br />

e la protezione degli investimenti, Giappichelli, Torino, 2003; andrea Giardina,<br />

Clauses de stabilisation et clauses d’arbitrage: vers l’assouplissement de leur effet obligatoire?,<br />

“revue de l’arbitrage”, n. 3/2003, p. 647 ss..<br />

11 in generale, su queste tematiche, si veda M. Marletta, Energia, cit., p. 313 ss.; Michael<br />

Gibbs, Energy Services, Energy Policies and the Doha Agenda, in UncTaD, Energy<br />

and Environmental Services: Negotiating Objectives and Development Priorities, United<br />

nations Press, new York-Geneva, 2003; Julia Selivanova, Energy Dual Pricing in WTO<br />

Law: Analysis and Prospects in the Context of Russia’s Accession to the World Trade Organization,<br />

cameron May, London, 2008; edoardo Greppi, La disciplina giuridica internazionale<br />

della circolazione dei servizi. I sistemi di liberalizzazione GATT, OCSE e<br />

CE, Jovene editore, napoli, 1994.<br />

12 Sul punto, si veda cfr. P. esper, L’accesso alle risorse, cit., in particolare p. 20.<br />

13 cfr. Vincent Pogorestskyy, The System of Energy Dual Pricing in Russia and Ukraine:<br />

the Consistency of the Energy Dual Pricing System with WTO Agreement on Anti-dumping,<br />

“Global Trade and custom Journal”, n. 4/2009, p. 312 ss..<br />

14 Sull’individuazione delle regole GaTT applicabili agli scambi di prodotti energetici e<br />

di quelle GaTS applicabili agli scambi di servizi, si veda M. Marletta, Energia, cit.,<br />

rispettivamente p. 324 ss. e p. 342 ss.<br />

119<br />

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SICUREZZA: DIRITTO INTERNAZIONALE E UE<br />

F O C U S<br />

L’Unione Europea e<br />

la promozione della sicurezza<br />

nell’America Centrale e nei Caraibi<br />

cLaUDia reGina carcHiDi<br />

Università degli Studi “Niccolò Cusano” di Roma,<br />

Ricercatrice Confermata di Diritto dell’Unione<br />

Europea<br />

THE EUROPEAN UNION AND THE PROMOTION OF SECURITY IN CENTRAL<br />

AMERICA AND THE CARIBBEAN. In an increasingly interdependent world without<br />

a real and effective global “governance”, the international community is threatened<br />

more and more by the international terrorism, the proliferation of weapons of mass<br />

destruction, the growing (sometimes in an “anarchist” way) economic and financial<br />

development, the emergence of new regional players, the uncontrolled migrations, the<br />

growing sense of insecurity on fundamental matters like, for instance, poverty, environment<br />

to name only a few. All these menaces and threats intersected with the explosive<br />

contradictions produced by globalization that nowadays seems to be moving<br />

outside of a proper system of “global governance”. We believe that defining and regulating<br />

this scenario is an issue of relevance and urgency both as a matter of politics<br />

and law. A multidimensional approach is required and tools and contents of multilateralism<br />

should be strengthened and enhanced in order to better deal with these<br />

challenges.<br />

KEYWORDS: CITIZEN SECURITY • CULTURE OF INDIVIDUAL AND COLLECTIVE SECURITY • PARTNERSHIP EU-<br />

CENTRAL AMERICA AND THE CARIBBEAN<br />

in un mondo sempre più interdipendente e privo di un’efficace governance<br />

a livello globale, oggi come del resto anche in passato, la comunità<br />

internazionale, e quella europea in particolare, appaiono<br />

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F O C U S<br />

SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

122<br />

minacciate oltre che dal terrorismo internazionale, anche dalla proliferazione<br />

delle armi di distruzione di massa, dalla crisi economico-finanziaria<br />

di portata ormai mondiale, dall’emergere di nuovi attori<br />

regionali che modificano equilibri ed interazioni politico-economiche<br />

che sembravano ormai stabili e consolidate, dai flussi migratori ed umanitari<br />

incontrollati e, forse, incontrollabili, dalla crescente e sempre più<br />

diffusa percezione di insicurezza sociale, dalle problematiche energetiche<br />

e dalle emergenze ecologiche, dalla povertà mondiale, dal traffico e lo<br />

sfruttamento di esseri umani, e da molti altri fattori 1 .<br />

Queste tendenze si sono incrociate con le contraddizioni esplosive<br />

prodotte da una globalizzazione non inquadrata, e in verità non inquadrabile,<br />

in un sistema di governance globale che sappia essere adeguato<br />

alle necessità attuali e più urgenti della comunità internazionale, a cominciare<br />

proprio da quelle in tema di “sicurezza”. Di fronte a tematiche,<br />

sfide e problemi di così grande attualità ed urgenza politica e giuridica è<br />

necessario dunque un approccio multidimensionale che sappia anche<br />

rafforzare gli strumenti ed i contenuti di un vero multilateralismo internazionale.<br />

con specifico riguardo al tema della “sicurezza”, tale approccio multidimensionale<br />

impone prima di tutto di prendere consapevolezza dello<br />

stato di difficoltà in cui oggi versa la c.d. “cultura della sicurezza”, sia essa<br />

poi individuale o collettiva, al punto da rendere talvolta complessa la<br />

stessa identificazione delle priorità di intervento. bisogna anche avere<br />

una maggiore consapevolezza di quanto sia centrale, in un mondo oggi<br />

globalizzato, la stessa “questione sicurezza” sia nella sua dimensione prima<br />

e costitutiva – quella interna di natura politica e civile – che nei suoi<br />

effetti, altrettanto diretti e significativi, a livello di relazioni internazionali 2 .<br />

nell’ambito dei limiti generali appena illustrati, va altresì evidenziato<br />

che la questione della “cultura della sicurezza” pubblica in europa (ma<br />

non solo) ha in sostanza “eliminato” l’esigenza della difesa in senso<br />

tradizionalmente inteso e, nello stesso tempo, ha reso decisamente più<br />

complessa ed impegnativa la problematica della sicurezza 3 . Si tratta di<br />

temi complessi sui quali, non a caso, vi è ormai una significativa elaborazione<br />

in dottrina e la prassi (nel caso che a noi qui interessa: la prassi<br />

dell’Unione europea) si manifesta e si orienta anche al di fuori dei confini<br />

dell’Unione e, segnatamente, nei rapporti con parti terze spesso rappresentate<br />

da interi continenti o macro-aree geografiche.<br />

concentrando la nostra attenzione sui rapporti tra Unione europea<br />

e Stati latinoamericani (con particolare riguardo a quelli dell’america<br />

centrale) e caraibici, vanno esaminate le linee-guida che accomunano<br />

gli interventi e le iniziative europee in materia di sicurezza pubblica in<br />

quelle regioni geografiche e politiche, tenendo ben presente che la mancanza<br />

di sicurezza (nel senso più lato del termine) è purtroppo un prob-<br />

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F O C U S<br />

L'UE E LA PROMOZIONE DELLA SICUREZZA NELL'AMERICA CENTRALE E NEI CARAIBI<br />

lema oggettivo che, oltre a caratterizzare quell’area del pianeta, assume<br />

talvolta profili così gravi da minare, oggi come in passato, la stessa stabilità<br />

dei Governi nazionali, oltre che una più efficiente cooperazione infraregionale<br />

e le fondamenta dello stato di diritto 4 .<br />

Volendo sinteticamente dar conto delle indicazioni generali emerse<br />

all’esito dei vari Vertici tra europa e Stati centroamericani e caraibici in<br />

tema di sicurezza pubblica, ex multis, si può utilmente far riferimento al<br />

partenariato tra Unione europea ed i caraibi che, dal novembre 2012, è<br />

stato organizzato mediante una vera e propria «strategia comune» funzionale<br />

alla creazione di un quadro di interessi reciproci e di rafforzamento<br />

del dialogo e della cooperazione in cinque settori considerati prioritari:<br />

la cooperazione e l’integrazione regionali; la ricostruzione di Haiti; il<br />

cambiamento climatico e gli altri rischi naturali; la criminalità e la sicurezza;<br />

l’azione congiunta nei Vertici internazionali con riferimento a<br />

questioni di interesse globale. La scelta di individuare le priorità, gli obiettivi<br />

ed il quadro comune di riferimento in termini di «strategia» implica<br />

dunque la necessità, da un lato, di definire un insieme coerente ed<br />

unitario di linee guida e, dall’altro, di identificare i mezzi politici, economici,<br />

diplomatici più opportuni e funzionali al raggiungimento degli<br />

obiettivi strategici delineati.<br />

in questo variegato e complesso quadro di riferimento, vengono<br />

dunque identificati alcuni fattori di rischio per la sicurezza negli Stati<br />

caraibici (fattori di rischio ovviamente validi anche per quelli centroamericani)<br />

tra i quali meritano un cenno il terrorismo, il riciclaggio di denaro,<br />

il narcotraffico, il crimine organizzato transnazionale e l’immigrazione<br />

clandestina. in tale contesto, i soggetti del partenariato hanno come obiettivo<br />

quello di contribuire, con tutti i mezzi a disposizione, all’incremento<br />

della stabilità interna dei Paesi centroamericani e caraibici e allo sviluppo<br />

di sistemi di buona amministrazione. a tal fine, quindi, questi Stati, in<br />

stretta sinergia con l’Unione europea, vengono sollecitati ad adottare<br />

politiche comuni in materia di contrasto al narcotraffico e al crimine organizzato<br />

transnazionale e ad implementare un controllo coerente ed efficiente<br />

delle frontiere esterne onde combattere l’immigrazione clandestina<br />

con specifico riguardo alle organizzazioni criminali che gestendola<br />

ne traggono beneficio.<br />

a fronte della portata e della rilevanza di simili problematiche,<br />

muovendo proprio dal Vertice del 2012 istitutivo della «strategia comune»,<br />

il successivo Vertice tenutosi a Santiago del cile a gennaio 2013<br />

tra Unione europea e Paesi latinoamericani e caraibici ha avuto anche lo<br />

scopo di potenziare la sicurezza e lo sviluppo economico tra i due attori<br />

geopolitici. all’esito del Vertice, infatti, si prese atto che la sicurezza rappresenta<br />

senza dubbio uno degli aspetti di maggiore debolezza dell’intero<br />

apparato istituzionale di quei Paesi per un’articolata serie di ragioni dif-<br />

123<br />

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SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

124<br />

ferenti che vanno dall’alto tasso di criminalità alle differenze dei sistemi<br />

economico-finanziari. in tale ottica, quindi, l’Unione europea si orienta<br />

affinché, in questi Paesi, la sicurezza venga prima riconosciuta come un<br />

“bene” fondamentale sia per l’individuo che per la collettività (e, quindi,<br />

per la stessa struttura istituzionale dello Stato) e, poi, garantita e protetta<br />

in quanto tale ed alla società nel suo complesso al di là dei diversi sistemi<br />

di organizzazione politica, sociale ed economica nei vari Stati interessati<br />

dalle relazioni strategiche con l’Unione.<br />

Vero è altresì che i Governi latinoamericani non sono chiamati solamente<br />

a migliorare e rafforzare la prevenzione ed il contrasto al crimine<br />

organizzato in quanto prima causa di insicurezza individuale e collettiva,<br />

ma anche a superare quell’inerzia che, negli ultimi decenni, non ha loro<br />

consentito di aumentare la fiducia nel sistema giudiziario, anche attraverso<br />

una migliore formazione e qualificazione degli operatori di settore ed il<br />

rafforzamento delle garanzie a tutela della sua indipendenza dalle pressioni<br />

politiche ed economiche.<br />

Di fronte a questa complessa situazione che richiede molteplici interventi<br />

ed iniziative tra loro coordinati affinché si consolidi e si rafforzi<br />

la “cultura della sicurezza” anche nei Paesi latinoamericani e caraibici,<br />

l’Unione europea, oggi più che mai, è chiamata ad assumere e svolgere<br />

un ruolo trainante dal punto di vista politico-giuridico anche al di fuori<br />

dei propri confini geografici onde favorire la costruzione di un sistema e<br />

di un ambiente “positivo” che sappia importare ed essere realmente recettivo<br />

al valore della legalità, ormai connaturato nel sistema europeo.<br />

Questo ambizioso obiettivo richiede ovviamente una complessa ed incisiva<br />

attività di riforma nel settore della giustizia e degli affari interni che<br />

sappia, però, anche essere equilibrata e rispettosa della cultura e della<br />

tradizione di quelle società.<br />

NOTE<br />

1 in merito alle iniziative a livello internazionale contro il terrorismo, si vedano Gianluigi<br />

cecchini, Terrorismo, tolleranza e diritto internazionale, in “rivista della cooperazione<br />

Giuridica internazionale”, no. 10 (Gennaio-aprile 2002), pp. 9-29; anna Lucia Valvo,<br />

Le nuove frontiere dell’insicurezza internazionale: fra terrorismo tradizionale e terrorismo<br />

informatico, Giancarlo Guarino & ilaria D’anna (eds.), International Institutions and<br />

Co-operation: Terrorism, Migrations, Asylum, vol. i, Satura editrice, napoli, 2011, p.<br />

433 ss.; Paolo Spezia, Il traffico e lo sfruttamento di esseri umani, Giuffrè editore,<br />

Milano, 2002, p. 45 ss., il quale ritiene che «di transnazionalità si possa parlare in tre<br />

diverse accezioni: la prima può essere colta nella natura dei beni trattati da tali organizzazioni.<br />

Se questi erano in precedenza orientati, e tale orientamento non è, naturalmente,<br />

scomparso, sui beni immobili (agricoltura, edilizia, appalti di opere pubbliche),<br />

oggi, invece, anche gli immigrati clandestini e, in generale, le persone umane sono divenuti<br />

(accanto ai tabacchi, agli stupefacenti, alle armi, ai rifiuti tossici e nocivi), i<br />

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F O C U S<br />

L'UE E LA PROMOZIONE DELLA SICUREZZA NELL'AMERICA CENTRALE E NEI CARAIBI<br />

nuovi beni oggetto di operazioni di immigrazione clandestina o di trafficking, ossia di<br />

vera e propria tratta. in tali tipi di traffici, l’uomo è trattato alla stregua di un bene materiale<br />

e la “mobilità” delle “cose” oggetto dei traffici, spostate dai “Paesi di produzione”<br />

a quelli di “destinazione”, passando attraverso i “Paesi-ponte”, ha provocato il sorgere<br />

ed il consolidarsi di sinergie tra gruppi operanti in vari Stati, dando così luogo alla<br />

transnazionalità che caratterizza la moderna criminalità. Questi “beni” sono normalmente<br />

prodotti in luoghi diversi da quelli ove sono utilizzati ed il loro passaggio da<br />

uno Stato all’altro avviene, dunque, eludendo controlli, corrompendo chi deve vigilare<br />

sui transiti ed utilizzando, per i pagamenti, istituzioni legali come banche e società finanziarie.<br />

Tutto ciò ha rafforzato i vincoli fra le organizzazioni criminali che operano<br />

sui diversi territori statali, producendo quella struttura ramificata alla quale si accennava<br />

all’inizio. il secondo fattore propulsivo dell’internazionalizzazione di tale settore criminale<br />

può essere rinvenuto nella globalizzazione dell’economia e nel crescente sviluppo<br />

tecnologico. alla sempre più libera e non controllata circolazione delle persone e dei<br />

beni, si sono accompagnate conseguenze derivanti dall’interconnessione fra le economie<br />

ed i soggetti criminali dei vari Paesi, che hanno ben presto imparato ad avvalersi, per le<br />

proprie finalità, delle enormi opportunità offerte dal progresso tecnologico. in tale<br />

senso, i flussi dei proventi economici che traggono origine dai mercati illeciti, hanno<br />

determinato l’esigenza di provvedere al loro riciclaggio, ovvero al reimpiego e reinvestimento<br />

in attività apparentemente lecite, dando luogo ad operazioni che fungono da<br />

fattori propulsivi per lo sviluppo di rapporti illegali in un contesto internazionale».<br />

2 in tema di sicurezza pubblica, cfr. Vincenzo Garofoli & Gianmichele Pavone, La tutela<br />

della sicurezza pubblica tra priorità italiane e rapporti internazionali, Giuffrè editore,<br />

Milano, 2011; angela Di Stasi, Diritti umani e sicurezza regionale. Il «sistema» europeo,<br />

editoriale Scientifica, napoli, 2010.<br />

3 Sulla nozione di sicurezza anche in ambito europeo, si veda, tra gli altri, Gianni<br />

bonvicini (a cura di), L’Unione Europea attore di sicurezza regionale e globale, Franco<br />

angeli, Milano, 2010.<br />

4 Sulla cooperazione intergovernativa in ambito latinoamericano, cfr. augusto Sinagra<br />

& Paolo bargiacchi, Lecciones de Derecho internacional público, abeledo Perrot, buenos<br />

aires, 2013, pp. 435-455; claudio zanghì, Diritto dell’organizzazione internazionale,<br />

Giappichelli editore, Torino, 2013, p. 52 e ss.<br />

125<br />

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SICUREZZA: DIRITTO INTERNAZIONALE E UE<br />

F O C U S<br />

What boundaries<br />

of European Security:<br />

Political versus economic?<br />

TereSa rUSSo<br />

Università degli Studi di Salerno, Ricercatore di<br />

Diritto Internazionale e Professore incaricato di<br />

Organizzazione Internazionale<br />

The article deals with issues related to the determination of European borders as a<br />

consequence of the continental reorganization process post-1989. In particular, it focuses<br />

on the position of Ukraine. The latest national and international events concerning<br />

Ukraine underline the new confrontation going between the West and Russia.<br />

Therefore, the article aims at thinking over the strength of the architecture of European<br />

security, as represented by the actions of regional organizations (OSCE, NATO, EU)<br />

and as challenged by the Ukrainian crisis. To this end, they adopted a type of intervention<br />

defined as “partnership approach”, i.e. aimed at establishing dialogue and<br />

cooperation with post-Soviet States and, in particular, with Russia. It will also discuss<br />

the foreign policy conducted by Ukraine, on the one hand, and by the EU and Russia,<br />

on the other. Furthermore, it will be discussed whether it is possible to identify other<br />

subjects in order to restore peace in the region, such as the newly Eurasian integration<br />

process or the ASEM.<br />

KEYWORDS: EURASIAN INTEGRATION PROCESS • EUROPEAN SECURITY • UKRAINE’S FOREIGN POLICY<br />

INTRODUCTORY REMARKS ON THE CONCEPT OF EUROPEAN<br />

SECURITY<br />

Since the nineties onwards, the concept of european security has<br />

been repeatedly called into question after the Fall of the berlin Wall<br />

that marked the end of the east-West confrontation 1 . This symbolic<br />

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F O C U S<br />

SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

128<br />

event was, in fact, supposed to represent the unification of opposing<br />

political and legal regimes and, therefore, the beginning of a long period<br />

of détente in international relations. on the contrary, according to some<br />

scholars, it simply moved the boundaries of the conflict out of the<br />

european area, i.e. behind the balkans and towards asia. conflicts in the<br />

former Yugoslavia, iraq and central asia would be the product of such<br />

axis of instability 2 . in other words, it was necessary to review the<br />

boundaries of european security and this has, in fact, become the main<br />

task of international regional organizations, as the north atlantic Treaty<br />

organization (naTo) and the organization for Security and<br />

cooperation in europe (oSce) 3 .<br />

Similarly, the seemingly peaceful dissolution of the former Soviet<br />

Union led to a transitional period of unprecedented changes on europe’s<br />

borders. estonia, Latvia and Lithuania opted almost immediately for<br />

integration with Western europe, while other twelve States of the socalled<br />

post-Soviet area gave rise to a still on-going regional integration<br />

process 4 . all of this did not prevent the emergence of old contrasts<br />

related to the determination of physical, cultural and political boundaries<br />

in the whole area from Transcaucasian States to Ukraine 5 . current<br />

political events confirm these boundaries are still unsecure and, probably,<br />

they also demonstrate that a clear boundary for european security does<br />

not exist to date 6 .<br />

according to the reform of oSce, the european security consists of<br />

its euro-atlantic and euro-asian dimension. However, the attempts to<br />

tie these two dimensions, based above all on the legal instrument of<br />

partnership, have not produced the expected results. The Strategic<br />

Partnership with russia and the eastern Partnership are only some<br />

examples of the european Union external action. even the naTo used<br />

partnerships to revise its strategy and include partners from eastern<br />

europe, central asia, caucasus and Mediterranean. nevertheless, such<br />

instrument, launched for the purpose of reorganizing the international<br />

community post-1989 7 , is nowadays unable to unite the above-mentioned<br />

two dimensions. Their relationships are, in fact, made of sanctions and<br />

counter-sanctions: it is unfriendly or otherwise typically contrary to<br />

partnership.<br />

The effects of globalization and the international economic crisis<br />

questioned again the security concept in terms of economic and political<br />

security. From this point of view, even the survival of State as an economic<br />

and political entity is questioned. as a result, alliances with other States<br />

or regional organizations are no longer (or not only longer) an issue of<br />

common identity, but have mainly become a simple issue of convenience.<br />

national and international situations concerning Ukraine take a picture<br />

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F O C U S<br />

WHAT BOUNDARIES OF EUROPEAN SECURITY: POLITICAL VERSUS ECONOMIC?<br />

of this “state of affairs” and make the boundaries of european security<br />

even more uncertain than in the past.<br />

all above considered, this article aims at analyzing the boundaries<br />

of this insecurity from euro-atlantic and euro-asian perspectives. in<br />

particular, we intend to evaluate Ukraine’s position lying at the crossroads<br />

between europe and russia and the attempts to encompass this country<br />

in either area. in front of the endeavor of the european Union to involve<br />

Ukraine into the association regime, the emerging process of the eurasian<br />

economic Union (eeU) might be equally tempting. We also intend to<br />

highlight the european security architecture and measures and countermeasures<br />

adopted by regional organizations to restore security in the<br />

area that are contrary to the previously established partnerships and lead<br />

to new “alliances” with other actors of the region. Summing up, the<br />

contours of european security seem unbalanced in searching for what is<br />

the most affordable political and economic choice.<br />

UKRAINE BETWEEN EUROPE AND RUSSIA: WHICH<br />

CONSEQUENCES FOR THE STABILITY OF THE WHOLE REGION?<br />

as we said, the end of the bi-polar system of international relations<br />

did not only produce changes in governmental systems, but also start a<br />

search for identity on behalf of post-Soviet States. These States have<br />

been seeking new basis for their own foreign policies and they also tried<br />

«to adopt their own conceptions and visions of the international world<br />

order» 8 . at least in principle, this is what happened, according to some<br />

scholars, in central asian States and, probably, in the baltic States. other<br />

post-Soviet States require a separate discussion, in particular the eastern<br />

european ones because they represent the new borderline between europe<br />

and asia and, in particular, Ukraine seems to be the epicentre from<br />

which instability spreads across the borders of europe 9 .<br />

From a geopolitical point of view, Ukraine might become a new<br />

centre of influence within the eurasian area. Yet, although it is independent<br />

since 1991, Ukraine did not elaborate a free foreign policy: in<br />

fact, it mostly depends on external forces. in fact, Ukraine’s history from<br />

independence until today shows its foreign policy was never clear-cut,<br />

once leaning towards integration with the european Union and once<br />

with russia 10 . Therefore, the choices of Ukrainian leaderships (and, in<br />

particular, the Ukrainian “multi-vectored foreign policy”) willing to expand<br />

and deepen relationships both with russia and europe ended up<br />

with producing continuous interferences in its own politics 11 . in other<br />

words, it could be argued that both parties felt entitled to participate in<br />

the management of Ukrainian domestic affairs 12 .<br />

129<br />

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F O C U S<br />

SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

130<br />

after all, Ukraine’s position is really interesting from geographical,<br />

economic and political point of view. it is a real crossroads for european<br />

and russian interests. The european Union is quite interested in maintaining<br />

good neighbourly relationships in order to promote its own values<br />

13 , export its political and economic standards, and bind partners to<br />

its “conditionality”. apart from the 1998 Partnership and cooperation<br />

agreement, the european Union has first included Ukraine in the european<br />

neighbourhood Policy (enP) and, then, in the eastern Partnership<br />

14 , even if it does not provide partner countries with the candidate<br />

status 15 . nevertheless, the european Union is willing to establish a sui<br />

generis relationship with Ukraine. The long and complicated process<br />

which led to the signing, on June 27, 2014, of the eU-Ukraine association<br />

agreement is just the expression of such different kind of political<br />

association and economic integration 16 .<br />

in a similar way, Ukraine is one of those States with whom naTo<br />

used the instrument of partnership in order to build a new type of relationship.<br />

The formal basis of such relationship is the 1997 charter on a<br />

Distinctive Partnership which established the naTo-Ukraine commission,<br />

followed and implemented by a 2009 Declaration. accordingly,<br />

Ukraine became a co-operative partner of naTo, through the programme<br />

Partnership for Peace, and since 2004 it also expressed its interest in formally<br />

joining the organization through a Membership action Plan 17 ,<br />

although this application for membership has been, and is still, see-saw.<br />

anyway, Ukraine plays an important role in supporting naTo peace operations<br />

and has become an active contributor to euro-atlantic security.<br />

on the other side, russia always deemed Ukraine falling under its<br />

influence and considered european organizations’ expansion as a destabilizing<br />

factor for the entire eurasian area. in particular, russia always<br />

disagreed with naTo gradual enlargement towards its own borders. Furthermore,<br />

russia considers the current Ukrainian crisis as a consequence<br />

of the euro-atlantic security structure. its response to these matters is<br />

however questionable. russian justification for military intervention in<br />

crimea (the need to protect russian population and interests) is, for instance,<br />

debatable 18 . even russian intervention in the course of negotiations<br />

concerning the entry into force of the association agreement with<br />

the european Union is viewed with disfavour as well as its opposition<br />

against the naTo Membership action Plan for Ukraine 19 .<br />

indeed, russia’s foreign policy in the post-Soviet area has not been<br />

particularly effective. Ukraine never formally participated in post-1989<br />

regional cooperation processes except in some cases (see, for instance,<br />

the organization for Democracy and economic Development established<br />

to counter the russian influence in the area) 20 . in the latest years, however,<br />

russia promoted new and more ambitious integration processes: the<br />

eurasian economic community and the eurasian economic Union are,<br />

G E O P O L I T I C A – R I V I S T A S E M E S T R A L E D E L L ’ I S A G<br />

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F O C U S<br />

WHAT BOUNDARIES OF EUROPEAN SECURITY: POLITICAL VERSUS ECONOMIC?<br />

in fact, considered new forms of regionalism which should fare better<br />

than the former ones 21 .<br />

THE EUROPEAN SECURITY ARCHITECTURE AND THE FAILURE<br />

OF THE PARTNERSHIP INSTRUMENT<br />

The “european security architecture” is the institutional dimension<br />

of european security as developed through the activity of regional organizations<br />

with particular regard to the Ukrainian crisis. in general, regional<br />

organizations contribute to the maintenance of international<br />

peace and security according to the chapter Viii of the United nations<br />

charter and this kind of “security architecture” is mainly built upon the<br />

european Union, the oSce and the naTo 22 . in recent years, these organizations<br />

devoted particular attention to the european borders and, during<br />

the last year, to the Ukraine crisis, adopting different types of intervention<br />

to begin with the so-called “partnership approach” aimed at establishing<br />

dialogue and cooperation with post-Soviet States and, in particular, with<br />

russia.<br />

although oSce is the «most inclusive and comprehensive regional<br />

security organization in the euro-atlantic and eurasian area» (all the<br />

former Soviet republics are oSce members), its action is only politically<br />

binding and not always so effective for international relations 23 . Furthermore,<br />

its involvement in that regional area was particularly devoted<br />

to democratization of post-communist States, political settlement, and<br />

national reconciliation through diplomatic means 24 . accordingly, oSce<br />

has been involved in several issues like, for instance, the political status<br />

of crimea since 1994 with a field mission in Ukraine and the election<br />

monitoring mission during the 2004 presidential elections 25 . even in the<br />

course of the Ukraine crisis, oSce deployed a special monitoring mission<br />

for the purpose of reducing tensions and fostering peace, stability and<br />

security according to oSce principles and commitments. The Ukraine<br />

crisis is also one of the main topics included in the 2014 agenda of the<br />

annual Security review conference (established by the 2002 Ministerial<br />

council held in Porto), notwithstanding the dispute between Ukrainian<br />

and russian delegations on the very inclusion of such an issue in the<br />

conference agenda 26 .<br />

The european Union condemned the use of force against the sovereignty<br />

and territorial integrity of Ukraine and imposed restrictive<br />

measures against the russian Federation. Diplomatic measures were also<br />

taken, such as the suspension of negotiations over russia’s admission to<br />

the organization for economic and cooperation Development and to<br />

the international energy agency, the cancellation of the Summit between<br />

european Union and russia, and the suspension of bilateral talks with<br />

russia on visa matters. restrictive measures against persons and entities<br />

131<br />

G E O P O L I T I C A – R I V I S T A S E M E S T R A L E D E L L ’ I S A G<br />

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F O C U S<br />

SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

132<br />

considered responsible for actions against Ukraine’s territorial integrity<br />

were however the main tool adopted pursuant to article 29 of TeU 27 .<br />

The adoption of additional economic sanctions (such as the embargo<br />

on arms and related material trade, dual use goods and technology, etc.),<br />

even affecting sectorial cooperation with russia, had the same purpose<br />

of forcing the latter to find a peaceful solution.<br />

on its part, the naTo suspended all civilian and military cooperation<br />

with russia, to begin with the planning of the first naTo-russia joint<br />

mission, and put the entire cooperation under review because – as declared<br />

at the Summit held in Wales last September – the conditions for<br />

a cooperative and constructive relationship do not currently exist. all of<br />

this means the lay-off of the mechanism of naTo-russia council, established<br />

in 2002 and based on the 1997 naTo-russia Founding act 28 . in<br />

addition, naTo adopted a defensive action and deployed additional aircrafts,<br />

ships and troops on eastern allies’ territories to strengthen defence:<br />

russia, in turn, considered such defensive action as a threat.<br />

While oSce is searching stronger effectiveness in international relations,<br />

the european Union and the naTo, representing the “binding<br />

bloc” of regional organizations in that area, adopted a series of measures<br />

for the essential purpose of isolating russia at international level as, for<br />

instance, the russian suspension from the G-8 (even if, being an informal<br />

organization, classical rules concerning membership do not apply to G-<br />

8) 29 . all these measures frustrate efforts to establish partnerships, create<br />

a real stall and, as underlined by the russian Foreign affairs Ministry,<br />

create not only an «unfriendly line» but also a «strategic dissonance»<br />

between russia and the West 30 . an alternative strategy is more and more<br />

needed.<br />

HAS THE EURASIAN INTEGRATION PROCESS<br />

SOME PERSPECTIVES?<br />

The eurasian integration process is a new strategic approach of “reorganization”<br />

of the post-Soviet region that, although started in the<br />

nineties, took shape only in recent years when more effective attempts<br />

to advance this process were made 31 . in fact, the commonwealth of independent<br />

States, established by the Minsk agreement and the alma<br />

ata Declaration 32 , was rather the answer to the necessity of post-communist<br />

States to preserve their own historical ties 33 and, even if it was<br />

the first attempt to reorganize the entire post-Soviet area, it was eventually<br />

followed by other attempts that took place inside and outside its political<br />

and institutional framework 34 .<br />

Since nineties, several initiatives towards economic integration were<br />

undertaken. Some were abandoned because too ambitious for the time 35 .<br />

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WHAT BOUNDARIES OF EUROPEAN SECURITY: POLITICAL VERSUS ECONOMIC?<br />

only at the end of that decade, on october 2000, a new international<br />

economic organization was established – the eurasian economic community<br />

– between belarus, Kazakhstan, Kyrgyzstan, russia and Tajikistan<br />

for the purpose of integrating those member States into global economy<br />

and international trade system (Uzbekistan has joined in 2005; Moldova,<br />

Ukraine and armenia have the status of observers). Within that institutional<br />

framework belarus, russia and Kazakhstan eventually established<br />

a custom Union (the eurasian custom Union, in force since January 1,<br />

2010), as well as a Single economic Space (in force since January 1,<br />

2012) 36 , with the result of eliminating border customs controls among<br />

members and planning the adoption of certain eurasian criteria equivalent<br />

to those of the european Union. another important decision was<br />

about the creation of a new body specifically responsible for the economic<br />

integration, i.e. the eurasian economic commission. The eurasian integration<br />

affects the current crisis in that it is the most recent tool for<br />

russian foreign policy in the region. it can be considered the russian<br />

response to the launch of the eastern Partnership on behalf of the european<br />

Union which, according to russian perspective, has altered relations<br />

between the european Union and the countries of that area 37 .<br />

in particular, membership in the eurasian custom Union was justified<br />

by the perspective of a «modernizing regime for economic integration<br />

based on international law». russian efforts to include Ukraine,<br />

on one hand, emphasized the immediate and substantial economic benefits<br />

compared to those offered by the economic association with the<br />

european Union 38 , while, on the other, underlined the threat of punitive<br />

measures concerning energy and trade (for instance, the suspension of<br />

the Free Trade zone area agreement) as a consequence of negative implications<br />

for russia of the Ukrainian association with the european<br />

Union.<br />

Most recent step of this process is the newly-created eurasian economic<br />

Union, whose treaty was signed in astana on May 29, 2014 by<br />

the Presidents of russia, belarus and Kazakhstan: this is the next stage<br />

for a closer eurasian integration which will come into effect since January<br />

1, 2015. The Union is open to any State sharing Union’s goals and principles.<br />

Meanwhile, the association agreement between Ukraine and<br />

the european Union was postponed until December 31, 2015, while<br />

Ukraine’s economy desperately seeks financial and economic aid and<br />

support.<br />

even if it is too early to draw any conclusion about future scenarios<br />

affecting internal and external borders of european security, however it<br />

appears that boundaries of europe does not only depend on political<br />

factors but also, and primarily, on the “war of aid” to Ukraine that is<br />

being fighting among russia, United States and european Union 39 . From<br />

133<br />

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F O C U S<br />

SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

this point of view, the eurozone crisis negatively affected the european<br />

attractiveness while eurasian integration was considered a «new geopolitical<br />

cluster in the changing world» where bricS, aSean, the Union of<br />

South american nations are new global players 40 .<br />

The last asia-europe Meeting (aSeM), held in Milan on october<br />

2014, has underlined the necessity to strengthen asia-europe cooperation<br />

in order to promote international peace, security and development also<br />

in europe, including Ukraine. This informal process of dialogue and<br />

cooperation might be more appropriate for relationships in that region<br />

because aSeM is an alternative forum for discussion which russia considers<br />

more favourably, probably because it falls outside United States’ direct<br />

power and it is an expression of soft power and alternative strategy to security<br />

cooperation.<br />

NOTES<br />

134<br />

1 The article will not analyze the concept of security (see, for all, bjørn Møller, European<br />

Security: the Role of Regional Organizations, asghate, Farnham, 2012) and will not<br />

assess the Ukraine crisis in terms of legitimacy under international law. it only intends<br />

to focus on issues related to the determination of european borders and the competence<br />

of regional organizations to restore security.<br />

2 See Massimo Panebianco, Global Peace e Guerre d’Oriente, Balcani, Medio Oriente,<br />

Asia Centrale, Giappichelli, Torino, 2003.<br />

3 both organizations expanded their scope of territorial action and subject-matter competence<br />

to include dimensions of dialogue, cooperation, security, and human rights.<br />

in particular, naTo changed its Strategic concept seeking firstly to improve and expand<br />

security in europe through partnership and cooperation with former adversaries<br />

(see MC Directive for Military Implementation of the Alliance’s Strategic Concept, Mc<br />

400, 12 December 1991). Then, it adopted a new Strategic concept based on a broad<br />

definition of security which included political, economic, social, and environmental<br />

dimension (MC Guidance for the Military Implementation of the Alliance Strategy, Mc<br />

400/2, 12 February 2003). Similarly, the 1990 Charter of Paris for a new Europe<br />

required the former conference on Security and co-operation in europe (cSce) to<br />

manage the historic change taking place in europe. as a result, oSce has 57 participating<br />

States from europe, central asia and north america, as well as 11 partners for<br />

co-operation and partner organizations with whom it regularly maintains dialogue<br />

and cooperation. See, among others, Massimo Panebianco & cosimo risi, Il nuovo<br />

diritto dell’Unione europea. Diritti umani, politica estera, sicurezza comune, editoriale<br />

Scientifica, napoli, 1999.<br />

4 Such process is analyzed by zhenis Kembayev, Legal Aspects of the Regional Integration<br />

Process in the Post-Soviet Area, Springer-Verlag, berlin, 2009. He also considers difficulties<br />

related to emergence of eurasia as one of new global geopolitical centres.<br />

5 See Gary K. bertsch et al. (eds.), Crossroads and Conflict Security and Foreign Policy in<br />

the Caucasus and Central Asia, routledge, new York-London, 2000.<br />

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WHAT BOUNDARIES OF EUROPEAN SECURITY: POLITICAL VERSUS ECONOMIC?<br />

6 «europe’s “last frontier” is subject to a power struggle between the increasingly assertive<br />

russia and the european Union»: oliver Schmidtke & Serhy Yekelchyk (eds.), Europe’s<br />

Last Frontier? Belarus, Moldova, and Ukraine between Russia and European Union,<br />

Palgrave Macmillan, new York, 2008, p. 123.<br />

7 on «partnership» as legal instrument for ensuring States’ participation to international<br />

relations, see also Teresa russo, Deficit and anti-deficit democratico nell’ordinamento<br />

dell’Unione Europea, bruno Libri, Salerno, 2011, p. 242 ff.<br />

8 rima Tkatova, Central Asian States and International Law: Between Post-Soviet Culture<br />

and Eurasian Civilization, “chinese Journal of international Law”, vol. 9, no. 1, 2010,<br />

pp. 205-220.<br />

9 See natalie Mychajlyszyn, From Soviet Ukraine to the Orange Revolution: European<br />

Security Relations and Ukrainian Identity, in o. Schmidtke & S. Yekelchyk (eds.), Europe’s<br />

Last Frontier?, cit., pp. 31-53: «Ukraine is uniquely and unenviably located at<br />

the crossroads of east and West, a position of tremendous geo-strategic importance to<br />

the stability of europe and eurasia».<br />

10 See Kataryna Wolczuk, Integration without Europeanisation: Ukraine and its Policy towards<br />

the European Union, eUi Working Paper, rScaS no. 2004/15.<br />

11 See evgeny iljin, Ukraine between Russia and Europe: the Problem of Historical Choice,<br />

“international affairs”, vol. 60, no. 3 (2014), p. 9 ff.<br />

12 See rein Mullerson, Ukraine: Victim of Geopolitics, “chinese Journal of international<br />

Law”, vol. 13, no. 1 (2014), pp. 133-145, who recognizes both Western disregard (violation<br />

of the non-intervention principle in domestic affairs) and russian disregard<br />

(use of Kosovo precedent) of international law (see p. 138 ff.).<br />

13 Since the nineties, the eU promoted relations with the neighboring on the assumption<br />

that, once democratically inspired and well governed, they may be stability factors for<br />

the entire area. See Steven blockmans & adam Lazowski, The European Union and its<br />

Neighbours: Questioning Identity and Relations, in Steven blockmans & adam Lazowski<br />

(eds.), The European Union and Its Neighbours. A Legal Appraisal of the EU’s Policies of<br />

Stabilisation, Partnership and Integration, T.M.c. asser Press, The Hague, 2006, p. 3<br />

ff.<br />

14 The enP was developed in 2004 and was further implemented through regional partnerships.<br />

See, for all, annette Jünemann & Michèle Knodt (hrsg.), Externe<br />

Demokratieförderung durch die Europäische Union. European External Democracy Promotion,<br />

nomos Verlag, baden-baden, 2007.<br />

15 See Simion costea, EU-Ukraine and Eastern Partnership: Challenges, Progress and Potential,<br />

“european Foreign affairs review”, vol. 16, no. 2 (2011), pp. 259-276; Kristian<br />

L. nielsen & Maili Vilson, The Eastern Partnership: Soft Power Strategy or Policy Failure?,<br />

“european Foreign affairs review”, vol. 19, no. 2 (2014), pp. 243-262.<br />

16 article 1 establishes the objectives of the association, including: the gradual “rapprochement”<br />

between the Parties based on common values and close and privileged<br />

links; an appropriate framework for enhanced political dialogue in all areas of mutual<br />

interest; the promotion of peace and stability in the regional and international dimensions;<br />

the increase of economic and trade relations leading towards Ukraine’s gradual<br />

integration in the eU internal Market, including by setting up a Deep and comprehensive<br />

Free Trade area (DcFTa) as stipulated in Title iV (Trade and Trade-related<br />

Matters) of the agreement; a more intense cooperation in the field of Justice, Freedom<br />

and Security with the aim of reinforcing the rule of law and respect for human rights<br />

and fundamental freedoms.<br />

135<br />

G E O P O L I T I C A – R I V I S T A S E M E S T R A L E D E L L ’ I S A G<br />

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F O C U S<br />

SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

136<br />

17 on Membership action Plan (i.e., a naTo programme aimed at supporting needs<br />

and requests of countries willing to join the alliance), see indrek elling & Merle<br />

Maigre, NATO Membership Action Plan: A Chance for Ukraine and Georgia, available<br />

on http://goo.gl/eu3HJo.<br />

18 on crimea’s accession to russian Federation, see Ugo Villani, L’Unione Europea e le<br />

Nazioni Unite di fronte alla crisi della Crimea, “Sud in europa”, n. 1 (maggio 2014);<br />

robert charvin, The Ukrainian Question and the West: Moving towards Total Disintegration<br />

of International Law, “international affairs”, vol. 60, no. 3 (2014), p. 43 ff.<br />

(«Kiev and West have no right to condemn russia’s interference since the West repeatedly<br />

interfered in different forms in Ukraine and was encouraging Kiev to move<br />

away from Moscow»: p. 48).<br />

19 «naTo members must proclaim unequivocally that russia as a third country and<br />

non-member does not have a say in decision-making processes of naTo»: i. elling &<br />

M. Maigre, NATO Membership, cit..<br />

20 The organization for Democracy and economic Development is «a transport corridor<br />

linking europe and asia» according to z. Kembayev, Legal Aspects, cit., p. 171 ff..<br />

21 See evgeny Vinokurov & alexander Libman, Eurasian Integration. Challenges of<br />

Transcontinental Regionalism, Palgrave Macmillan, basingstoke, 2012; rilka Dragneva<br />

& Kataryna Wolczuk, Eurasian Economic Integration. Law, Policy and Politics, edward<br />

elgar Publishing, cheltenham, 2013; e. iljin, Ukraine, cit., p. 20.<br />

22 See alena Douhan, Commonwealth of Independent States. Is There Any Chance to Establish<br />

an Effective System of Collective Security in the Region?, “Max Planck Yearbook<br />

of United nations Law”, vol. 15 (2011), pp. 281-327.<br />

23 See the Final Declaration, astana Summit Meeting, 2010. See also andrey Kelin, Is<br />

the Pan-European Idea Alive and Well?, “international affairs”, vol. 59, no. 6 (2013),<br />

pp. 105-112.<br />

24 See again a. Douhan, Commonwealth, cit., p. 307.<br />

25 on previous oSce employments in the area, see neil MacFarlane & oliver Thränert<br />

(eds.), Balancing Hegemony. The OSCE in the CIS, centre for international relations,<br />

Queen’s University, Kingston, 1997.<br />

26 See attachments to the Decision no. 1124 on Dates, agenda and organizational<br />

Modalities of the 2014 annual Security review conference (Pc.Dec/1124, 5 June<br />

2014).<br />

27 restrictive measures were adopted by the eU council on March 4, 2014 and listed in<br />

the council Decision 2014/145/cFSP of March 17, 2014; they were later extended<br />

by the council Decision 2014/151/cFSP and council regulation 284/2014 as of<br />

March 21, 2014.<br />

28 See aurel braun (ed.), NATO-Russia Relations in Twenty-first Century, routledge,<br />

London, 2008.<br />

29 See Konrad G. bühler, State Succession and Membership in International Organizations.<br />

Legal Theories versus Political Pragmatism, Kluwer Law international, The Hague,<br />

London-boston, 2001, p. 19 ff.<br />

30 on these aspects, refer to The Ukraine crisis and NATO-Russia relations, “naTo review”,<br />

available at http://goo.gl/lrjJXt.<br />

31 See evgency Vinokurov & alexander Libman, Eurasia and Eurasian Integration:<br />

Beyond the Post-Soviet Borders, available at http://goo.gl/jLkaeM.<br />

32 art. 13 of the Minsk agreement: «the USSr has ceased to exist as a subject of international<br />

law and a geopolitical reality». Since January 1993 on, ciS operated in ac-<br />

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F O C U S<br />

WHAT BOUNDARIES OF EUROPEAN SECURITY: POLITICAL VERSUS ECONOMIC?<br />

cordance with a charter ratified by all countries except Turkmenistan (associate member<br />

since 2005) and Ukraine (always acting however as full member).<br />

33 See barbara corazzini (a cura di), La Comunità di Stati indipendenti, Giappichelli,<br />

Torino, 1996, p. 5 ff..<br />

34 See Julian cooper, The Development of Eurasian Economic Integration, in r. Dragneva<br />

& K. Wolczuk, Eurasian, cit., p. 15 ff.<br />

35 For instance, in early 1994 the President of Kazakhstan, nursultan nazarbaev, proposed<br />

the too ambitious creation of an eurasian Union of States while the central asian<br />

Union, once established, was eventually renamed central asian economic Union and<br />

then trasformed into the central-asian cooperation organization.<br />

36 See christoph J. Schewe, azar aliyev, The Custom Union and the Common Economic<br />

Space of the Eurasian Economic Community: Eurasian Counterpart to the EU or Russian<br />

Domination?, “German Yearbook of international Law”, Vol. 54 (2011), 565-606.<br />

37 See andrei zagorsky, Eastern Partnership from the Russian Perspective, “internationale<br />

Politik und Gesellschaft”, n. 3/2011, pp. 41-61.<br />

38 «Through the association agreement, Ukraine would be required to align itself with<br />

eU rules without membership and without have any say in setting them. in contrast,<br />

the ecU, being a multilateral organization, would provide Ukraine with a full membership<br />

rights. Moreover, the ecU would facilitate relations between its member<br />

States and the eU»: Laure Delcour & Kataryna Wolczuk, Eurasian Economic Integration:<br />

Implications for the EU Eastern Policy, in r. Dragneva & K. Wolczuk, Eurasian,<br />

cit., p. 190.<br />

39 See igor Pellicciari, Ukraine and the War of Aid, “international affairs”, vol. 60, no. 3<br />

(2014), p. 40 ff.: «aid policies during last decades became one of the newest and most<br />

sophisticated ways of international domination and control among States».<br />

40 See Tiberio Graziani, Eurasian Integration: A New <strong>Geopolitica</strong>l Cluster in the Changing<br />

World, “international affairs”, vol. 59, no. 2 (2013), pp. 192-198.<br />

137<br />

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LE ROTTE DELL’IMMIGRAZIONE<br />

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V o l . I V , N ˚ 1 G e n . - G i u . , 2 0 1 5


SICUREZZA: DIRITTO INTERNAZIONALE E UE<br />

F O C U S<br />

Il grande bluff:<br />

Tutela dei diritti umani e sicurezza interna<br />

nell’ordinamento giuridico Europeo<br />

aLeSSanDro ToMaSeLLi<br />

Università degli Studi Kore di Enna, Assistant<br />

Professor di Diritto dell’Unione Europea<br />

THE BIG BLUFF: PROTECTION OF HUMAN RIGHTS AND INTERNAL SECU-<br />

RITY IN THE EUROPEAN LEGAL ORDER. The article aims at dealing with the internal<br />

security of the European Union as disclosed and developed by the European<br />

Council and the European Commission since March and June 2014. An inter-institutional<br />

dialogue that will also led, in the course of 2015, to the adoption of a renewed<br />

Internal Security Strategy for the European Union that will focus on terrorism, migrations<br />

and transnational crime. In particular, by analyzing these documents, the<br />

article proposes a critical approach and review of the connections among the concept<br />

of security, certain relevant issues (like, for instance, migration policies, asylum system,<br />

international terrorism and transnational organized crime) and the protection of<br />

human rights of both European and non-European citizens. It will also highlight and<br />

underline the substantially political use of fundamental rights for the sake of protecting<br />

and strengthening the EU internal market and the free circulation of workers and<br />

goods. Moreover if one looks at European Union attitude and policies, it seems that<br />

European institutions are more concerned (and actually willing) about only protecting<br />

the European citizens. From this point of view, non-European citizens are only protected<br />

when their skills and capacities may be useful to the strengthening and further<br />

development of European internal market and economy. Otherwise, they are deemed<br />

more as a threat to European values and societies than as human beings in danger to<br />

which afford international protection.<br />

KEYWORDS: EUROPEAN LEGAL ORDER • HUMAN RIGHTS PROTECTION AND INTERNAL MARKET • INTERNAL<br />

SECURITY<br />

G E O P O L I T I C A – R I V I S T A S E M E S T R A L E D E L L ’ I S A G<br />

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F O C U S<br />

SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

LA SICUREZZA INTERNA DELL’UNIONE EUROPEA<br />

IN ALCUNI RECENTI DOCUMENTI<br />

DEL CONSIGLIO EUROPEO E DELLA COMMISSIONE<br />

140<br />

La compiuta realizzazione di uno spazio condiviso all’interno dell’Unione<br />

europea, scevro da condizionamenti statali di sorta quali<br />

barriere doganali, tasse ed oneri alla circolazione di persone, merci,<br />

servizi e capitali, rappresenta con ogni probabilità l’autentico fine ultimo<br />

che, fin dalle origini, ha caratterizzato l’intero progetto integrazionista<br />

nel Vecchio continente. e volutamente tralasciando, almeno per ora ed<br />

in questa sede, ogni considerazione in merito alla ratio di matrice essenzialmente<br />

mercantile alla base dell’idea stessa di un’europa unita, non<br />

può trascurarsi come le istituzioni facenti capo a bruxelles non perdano<br />

occasione per rimarcarne caratteri e contenuti, nonché soprattutto la<br />

pressoché assoluta improcrastinabilità della sua definitiva attuazione.<br />

Tali brevi considerazioni introduttive non possono non trovare ulteriore<br />

conferma anche con riguardo alle politiche europee in materia di<br />

sicurezza, libertà e giustizia, valori ed obiettivi fondamentali, quest’ultimi,<br />

a sostegno della costruzione e del progressivo rafforzamento del disegno<br />

unitario in questione, a fortiori se mossi dalla necessità di un inevitabile<br />

confronto con la sempre più pressante ed attuale tematica dei diritti<br />

umani.<br />

a tal ultimo riguardo, piuttosto esplicita la lettera delle conclusioni<br />

del consiglio europeo del 26 e 27 giugno 2014, laddove il paragrafo 1<br />

espressamente rimarca che «uno degli obiettivi fondamentali dell’Unione<br />

è la costruzione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza<br />

frontiere interne, e nel pieno rispetto dei diritti fondamentali. a tal fine<br />

è necessario adottare misure politiche coerenti in materia di asilo, immigrazione,<br />

frontiere e cooperazione di polizia e giudiziaria, conformemente<br />

ai trattati e ai pertinenti protocolli», per poi aggiungere e specificare, in<br />

forza del successivo paragrafo 2, che «tutte le dimensioni di un’europa<br />

che protegge i suoi cittadini e offre diritti effettivi alle persone all’interno<br />

e all’esterno dell’Unione sono interconnesse fra loro. il successo o il fallimento<br />

in un settore dipende dalle prestazioni in altri settori nonché<br />

dalle sinergie con i settori di intervento correlati. La risposta a molte<br />

delle sfide cui deve far fronte lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia<br />

risiede nelle relazioni con i paesi terzi, il che richiede il miglioramento<br />

del nesso tra le politiche interne ed esterne dell’Unione. Questo deve<br />

rispecchiarsi nella cooperazione tra le istituzioni e gli organi dell’Unione».<br />

Sempre in riferimento all’oggetto del presente lavoro, il paragrafo 4<br />

del documento in questione evidenzia che «nell’ulteriore sviluppo dello<br />

spazio di libertà, sicurezza e giustizia nei prossimi anni, sarà essenziale<br />

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IL GRANDE BLUFF: TUTELA DEI DIRITTI UMANI E SICUREZZA INTERNA<br />

garantire la protezione e la promozione dei diritti fondamentali, compresa<br />

la protezione dei dati, affrontando al tempo stesso i problemi di sicurezza,<br />

anche nelle relazioni con i paesi terzi, e adottare entro il 2015 un solido<br />

quadro generale sulla protezione dei dati dell’Unione», per poi enunciare<br />

in seguito propositi e finalità precipue delle future azioni dell’Unione<br />

europea in ambito di migrazione, asilo e gestione delle frontiere, da realizzarsi<br />

in nome dei principi di solidarietà ed equa condivisione delle<br />

responsabilità di cui all’art. 80 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione<br />

europea (di seguito, TFUe) 1 , in tal direzione incoraggiando altresì<br />

il dialogo con le parti sociali e la comunità imprenditoriale al fine di<br />

godere dei benefici derivanti da un’ottimale regolamentazione della migrazione<br />

legale, nonché l’auspicio in merito a future azioni dell’Unione<br />

«volte a perseguire politiche attive dell’integrazione che promuovano<br />

la coesione sociale e il dinamismo economico» (par. 5-6). Da non trascurare,<br />

ancora, quanto sottolineato dall’istituzione de quo in merito al “Sistema<br />

europeo comune di asilo” (ceaS) e al conseguente richiamo ad uno<br />

sperato «rafforzamento del ruolo svolto dall’Ufficio europeo di Sostegno<br />

per l’asilo» (eaSo), nonché, soprattutto, quanto ritenuto degno di rilevanza<br />

avuto riguardo alla lotta all’immigrazione irregolare, testualmente<br />

definita «parte fondamentale della politica di migrazione» dell’Unione,<br />

e specificamente da debellarsi solo «intensificando la cooperazione con<br />

i paesi di origine e di transito, anche attraverso l’assistenza volta a rafforzare<br />

le loro capacità di gestione della migrazione e delle frontiere» (par. 7-<br />

8) 2 .<br />

Di indubbia rilevanza appare senz’altro anche il par. 9 delle conclusioni<br />

del consiglio europeo laddove si ribadisce espressamente l’esigenza<br />

di una gestione efficace delle frontiere esterne comuni dell’Unione<br />

con l’obiettivo di garantire una «forte protezione» in risposta al sempre<br />

crescente numero di persone che hanno l’europa come meta. in particolare,<br />

si rimarca la necessità che l’Unione garantisca supporto agli Stati<br />

membri, auspicando in tal senso la modernizzazione della gestione integrata<br />

delle frontiere esterne, il rafforzamento dell’azione dell’Agenzia europea<br />

per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne<br />

degli Stati membri dell’Unione europea (FronTeX), anche per il tramite<br />

del nuovo sistema europeo di sorveglianza eUroSUr, nonché «la possibilità<br />

di istituire un sistema europeo di guardie di frontiera per migliorare<br />

le capacità di controllo e di sorveglianza» alle frontiere esterne dell’Unione,<br />

con contestuale rinnovamento delle politica comune in materia<br />

di visti.<br />

Le conclusioni del consiglio europeo si concentrano, poi, nel par.<br />

10, sulla «cooperazione operativa di polizia e la prevenzione e la lotta<br />

contro la criminalità organizzata e le forme gravi di criminalità» e sulla<br />

politica antiterrorismo europea, nel cui ambito la stessa «dovrebbe<br />

141<br />

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SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

142<br />

sostenere le autorità nazionali mobilitando tutti gli strumenti di cooperazione<br />

giudiziaria e di polizia, con un maggior ruolo di coordinamento<br />

per europol e per eurojust», in particolare attraverso, tra l’altro, «il<br />

riesame e l’aggiornamento della strategia di sicurezza interna entro il<br />

primo semestre del 2015» e «la prevenzione della radicalizzazione e<br />

dell’estremismo e azioni volte ad affrontare il fenomeno dei combattenti<br />

stranieri, anche mediante l’uso efficace degli strumenti esistenti per le<br />

segnalazioni in tutta l’Unione europea e lo sviluppo di strumenti come<br />

un sistema di codice di prenotazione (Passenger Name Record) dell’Unione».<br />

infine, il consiglio europeo, partendo dalla premessa che «il buon<br />

funzionamento di un autentico spazio europeo di giustizia nel rispetto<br />

dei diversi ordinamenti giuridici e delle diverse tradizioni giuridiche<br />

degli Stati membri è vitale», conclude auspicando il rafforzamento della<br />

fiducia reciproca nei rispettivi ordinamenti giuridici, nonché rimarcando<br />

la rilevanza di «una solida politica europea della giustizia» in funzione<br />

della crescita economica, in particolare attraverso la creazione di un<br />

«ambiente imprenditoriale affidabile nell’ambito del mercato interno»<br />

per le imprese ed i consumatori 3 .<br />

Sempre facendo riferimento alle iniziative intraprese nel corso del<br />

2014 a livello europeo in riferimento all’oggetto del presente lavoro, certamente<br />

rilevante, almeno in parte, appare quanto deciso nella sessione<br />

del consiglio “Giustizia e affari interni” del 3-4 marzo 2014 nel corso<br />

della quale i Ministri degli Stati membri hanno affrontato i temi della sicurezza<br />

delle frontiere esterne dell’Unione e della gestione dei flussi migratori<br />

rimarcando sia l’interconnessione esistente tra la tutela delle frontiere<br />

europee esterne ed interne, che l’indubbia rilevanza, almeno in linea<br />

di principio, di una corretta gestione e disciplina della pressione migratoria<br />

ormai continua, intensa e, spesso, drammatica. in tale ottica, dunque, il<br />

consiglio, dopo aver nuovamente ribadito l’importanza della cooperazione<br />

tra gli Stati membri nell’apprestare validi strumenti giuridici ed<br />

operativi per far fronte ai flussi migratori verso l’Unione, ha invitato la<br />

commissione, il Servizio europeo per l’azione esterna, FronTeX e l’eaSo<br />

a continuare nella propria azione sinergica avente come precipuo obiettivo<br />

il costante controllo del fenomeno migratorio e a proseguire, in modo<br />

altrettanto sinergico, la collaborazione finalizzata all’attuazione delle<br />

azioni operative relative alla Task Force Mediterranean 4 . Sul punto, una<br />

delle priorità più stringenti consiste nell’avviare un dialogo strutturato<br />

con gli Stati non europei al fine di evitare o, comunque, ridurre le partenze<br />

verso l’europa.<br />

con riferimento poi all’attività della commissione, tra i molti, meritano<br />

un cenno due comunicazioni: la prima dell’11 marzo e la seconda<br />

del 20 giugno 2014.<br />

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nella sua comunicazione di giugno 2014, che include anche la relazione<br />

finale sull’attuazione della Strategia di Sicurezza Interna dell’Unione<br />

Europea 2010-2014 (Internal Security Strategy, iSS) 5 , la commissione<br />

individua le sfide per il futuro dell’europa in materia di sicurezza<br />

riferendole, in particolare, al crimine organizzato, al terrorismo e ai c.d.<br />

cyber attacks. Per contrastare tali fenomeni in modo più efficiente, la<br />

commissione evidenzia la necessità: a) di intensificare e stringere ancor<br />

di più i legami tra le politiche e le conseguenti azioni intraprese da parte<br />

dell’Unione nell’ambito della sicurezza interna ed esterna; b) di garantire<br />

il rispetto dei diritti fondamentali con riguardo alle politiche europee in<br />

materia di sicurezza interna; c) di promuovere la sinergia tra le politiche<br />

di sicurezza e le altre politiche di competenza dell’Unione come, ad esempio,<br />

quella in materia di ricerca ed innovazione; d) di promuovere un<br />

approccio condiviso al tema della sicurezza da parte di tutti i soggetti<br />

coinvolti, istituzionali e non.<br />

nella comunicazione di marzo 2014, invece, la commissione aveva<br />

concentrato la propria attenzione sui legami tra le questioni riguardanti<br />

la sicurezza e tematiche quali l’asilo e la migrazione, rimarcando a tal<br />

proposito come l’europa dovrebbe porsi in grado di sfruttare al meglio<br />

le opportunità presentate dall’ingresso di nuovi soggetti all’interno dei<br />

propri confini, soprattutto in considerazione dell’invecchiamento della<br />

popolazione e del conseguente inevitabile declino della forza lavoro. Secondo<br />

la commissione, dunque, «la politica e gli strumenti esistenti in<br />

materia di migrazione esterna e asilo dovrebbero essere sfruttati meglio<br />

per far fronte alle future evoluzioni alle frontiere meridionali dell’Unione,<br />

impegnarsi più efficacemente con i paesi vicini e potenziare l’attrattiva<br />

dell’Unione. in un mondo sempre più interdipendente, le questioni di<br />

affari interni devono essere integrate nel complesso della politica esterna<br />

dell’Unione, rafforzando il dialogo e la cooperazione con i paesi terzi e<br />

le sinergie con le altre politiche» europee quali quelle relative al settore<br />

commerciale e, a tal fine, promuovendo specificamente gli spostamenti<br />

di breve periodo dei fornitori di servizi altamente qualificati, avviando<br />

dialoghi strutturati con gli Stati membri, le imprese ed i sindacati sulla<br />

richiesta di immigrazione di forza lavoro, favorendo il riconoscimento<br />

di qualifiche e competenze professionali acquisite all’estero ed impegnandosi<br />

ancor di più per integrare efficacemente gli immigrati nel mercato<br />

del lavoro e, in generale, nelle società di accoglienza.<br />

La commissione evidenzia altresì che una componente essenziale<br />

di una politica migratoria ben gestita consiste nel prevenire e ridurre la<br />

migrazione irregolare e, a tal fine, si «richiede una combinazione di misure<br />

tra cui l’azione contro i datori di lavoro che assumono lavoratori in<br />

posizione irregolare, il rafforzamento dell’approccio dell’Unione nei confronti<br />

del traffico di migranti e della tratta di esseri umani, e il potenzia-<br />

143<br />

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SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

144<br />

mento della cooperazione con i paesi di origine e di transito». infine,<br />

sono anche individuati i propositi ritenuti altrettanto essenziali per un<br />

futuro ancora più sicuro dell’europa e, cioè, «combattere la corruzione<br />

(con un follow-up della relazione sulla lotta anticorruzione); lottare<br />

contro la tratta di esseri umani (delineando una strategia post-2016); affrontare<br />

il traffico illecito di armi da fuoco (rivedendo la normativa esistente<br />

dell’Unione in materia di vendita e trasferimenti all’interno dell’Unione<br />

e intensificando la cooperazione operativa); reagire alle minacce<br />

alla sicurezza informatica (traducendo in azione la strategia per la sicurezza<br />

informatica, incoraggiando tutti gli Stati membri a istituire un centro<br />

per la criminalità informatica, proseguendo l’azione dell’alleanza globale<br />

contro l’abuso sessuale di minori online) 6 ; prevenire il terrorismo e contrastare<br />

la radicalizzazione e il reclutamento (fra l’altro rafforzando la<br />

rete per la sensibilizzazione in materia di radicalizzazione); aumentare<br />

la resilienza dell’europa alle gravi crisi e calamità (migliorando l’interoperabilità<br />

di attrezzature e sistemi di comunicazione); affrontare la sicurezza<br />

interna come parte integrante delle politiche esterne europee e<br />

collegarla ai programmi di assistenza e cooperazione dell’Unione».<br />

Un altro documento interessante sul tema della sicurezza è la comunicazione<br />

congiunta della commissione e dell’alto rappresentante<br />

dell’Unione europea per gli affari esteri e la Politica di Sicurezza, del 6<br />

marzo 2014, relativa alla sicurezza marittima (Per un dominio marittimo<br />

globale aperto e sicuro: elementi per una strategia dell’Unione Europea per<br />

la sicurezza marittima) in cui si delineano le peculiarità specifiche di<br />

una futura sinergica azione tra gli Stati membri sul tema, anche in considerazione<br />

del fatto che: 1) su 28 Stati membri, 23 sono costieri e 26<br />

sono flag States; 2) gli Stati membri hanno la responsabilità di controllare<br />

oltre 90.000 chilometri di coste, oltre ai territori d’oltremare, e gestire<br />

più di 1.200 porti commerciali; 3) il 90% del commercio con l’estero ed<br />

il 40% di quello interno avviene via mare; 4) attraverso i porti europei<br />

transitano ogni anno più di 400 milioni di passeggeri.<br />

La nuova strategia di sicurezza marittima incoraggia per il futuro<br />

una collaborazione ed una cooperazione ancor più stretta tra tutti i<br />

soggetti operanti nel contesto de quo (dalla guardia costiera alla marina<br />

militare, fino alle autorità portuali degli Stati membri) al fine di conseguire<br />

e garantire un maggior grado di sicurezza all’interno degli spazi<br />

marittimi europei. conseguentemente, vengono identificate cinque aree<br />

specifiche ove l’approccio strategico coordinato prefigurato dalla strategia<br />

dovrebbe rappresentare un valore aggiunto: a) l’azione esterna; b) la<br />

sorveglianza e la condivisione di informazioni; c) lo sviluppo ed il rafforzamento<br />

delle capacità; d) la gestione del rischio, la tutela delle infrastrutture<br />

marittime critiche e la risposta alle crisi; e) la ricerca e l’innovazione<br />

sulla sicurezza marittima, l’istruzione e la formazione.<br />

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IL GRANDE BLUFF: TUTELA DEI DIRITTI UMANI E SICUREZZA INTERNA<br />

PRIME VALUTAZIONI CRITICHE<br />

il contenuto dei documenti sinteticamente illustrati lascia spazio ad<br />

alcune perplessità a dispetto dei “nobili” ideali e propositi enunciati in<br />

questi. con specifico riferimento alle conclusioni del consiglio europeo<br />

di giugno 2014, un primo rilievo attiene al richiamo effettuato alla tematica<br />

dei diritti umani la cui tutela appare talvolta non congrua rispetto<br />

a certi altri aspetti delle politiche europee che, certamente, rivestono una<br />

spiccata (se non maggiore) importanza per l’Unione e, soprattutto, per i<br />

suoi Stati membri. con riguardo, ad esempio, alla necessità, evidenziata<br />

al par. 4 delle conclusioni, di garantire il diritto fondamentale alla protezione<br />

dei dati in funzione anche del pieno sviluppo e consolidamento<br />

dello Spazio di libertà, sicurezza e giustizia dell’Unione europea, non<br />

pare infatti che tale previsione sia realmente ispirata alla tutela dei diritti<br />

umani una volta che la si consideri con riguardo a tematiche quali le migrazioni,<br />

l’asilo e le frontiere e che, anzi, si possano individuare altre finalità,<br />

certamente meno idealistiche, quali autentici obiettivi dell’azione<br />

dell’Unione europea in tema di sicurezza. Si pensi, ad esempio, al punto<br />

6 della conclusioni del consiglio europeo in cui la regolamentazione<br />

della migrazione non assurge a valore considerato di per sé, ma a strumento<br />

per rendere l’europa meta ancor più agognata ed attrattiva per i<br />

(soli) talenti e competenze altamente qualificati e professionali di individui<br />

non-europei 7 . Tale passaggio, perlomeno prima facie, sembra porsi<br />

in termini di sostanziale contraddittorietà con altri passaggi contenuti<br />

nelle conclusioni del consiglio europeo al pari di un errore di<br />

trascrizione del testo originale da parte del redattore o, comunque, di un<br />

inciso accomunabile alle c.d. clausole di stile caratterizzanti gli schemi<br />

contrattuali di diritto privato. in altre parole, quel passaggio sembra un<br />

trascurabile orpello giuridico-semantico (e, in quanto tale, privo di autentica<br />

rilevanza) al cospetto della dirompenza gius-politica dei “sacri”<br />

diritti umani alla cui esaltazione e conseguente tutela sembra, almeno in<br />

apparenza, ispirato l’intero documento delle conclusioni.<br />

a voler ribaltare la visuale interpretativa appena suggerita, tuttavia,<br />

potrebbe perfino giungersi a conclusioni diametralmente opposte, tendenti<br />

ad identificare tutta la restante parte di quelle conclusioni come<br />

contraddistinta da una insanabile incongruenza e sostanziale subordinazione<br />

di fronte alle affermazioni di cui al punto 6, a sua volta riflesso<br />

diretto dell’autentica ratio ispiratrice dell’intera politica di bruxelles sul<br />

tema, ossia del reale intendimento del concetto di “sicurezza”, nonché<br />

dell’utilizzo strumentale della categoria dei diritti fondamentali. e ciò<br />

anche in considerazione di ulteriori precedenti testuali solo eufemisticamente<br />

definibili non proprio incoraggianti. Ma procediamo con ordine.<br />

145<br />

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SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

146<br />

che la lettera del punto 6 delle conclusioni non possa costituire<br />

un momento trascurabile di quel documento sembra avallato, innanzitutto,<br />

da quanto rimarcato nella parte finale della sezione dedicata, in<br />

quelle conclusioni, allo Spazio di libertà, sicurezza e giustizia in cui il<br />

consiglio europeo pone l’accento sul carattere essenzialmente strumentale<br />

di una «solida politica europea della giustizia» in funzione della<br />

crescita economica, in particolare mediante l’instaurazione di un «ambiente<br />

imprenditoriale affidabile nell’ambito del mercato interno» 8 . al<br />

pari di quanto già osservato a proposito della regolamentazione della<br />

migrazione, dunque, anche il rafforzamento dello Spazio europeo di libertà,<br />

sicurezza e giustizia sembra inteso come funzionale alla tutela del<br />

mercato interno e non, invece, come un obiettivo da conseguire a prescindere<br />

da altre finalità.<br />

con particolare riguardo al concetto di “sicurezza”, ed alle implicazioni<br />

rispetto a tematiche quali l’immigrazione, l’asilo e, in generale, i<br />

diritti umani, lo sconfortante quadro appena accennato sembra poter<br />

oltretutto trarre linfa vitale da quanto statuito a livello europeo in altri e<br />

precedenti testi e dichiarazioni politici e giuridici. Si pensi, solo per fare<br />

un esempio, all’art. 29 della convenzione del 1990 di applicazione dell’accordo<br />

di Schengen del 1985, in tema di responsabilità per l’esame<br />

delle domande di asilo, che non obbliga la Parte contraente ad «autorizzare<br />

in tutti i casi il richiedente asilo ad entrare o a soggiornare nel proprio<br />

territorio» e, quindi, fa salvo il diritto «di respingere o di allontanare<br />

un richiedente asilo verso uno Stato terzo» (art. 29, par. 2, comma 1-<br />

2) 9 . alla luce di questa disposizione non sembra proprio che le politiche<br />

dell’Unione europea possano realmente ritenersi improntate ad ideali<br />

quali la solidarietà, l’uguaglianza e l’accoglienza. al contrario, si può ben<br />

argomentare che la ratio fondamentale sia di tipo escludente e, dunque,<br />

autenticamente discriminatoria nei confronti dello “straniero” 10 . in altre<br />

parole, al di là degli enfatici e roboanti rimandi agli ideali della dottrina<br />

sui diritti fondamentali, sembrerebbero fondati i sospetti circa un uso<br />

essenzialmente e quasi esclusivamente politico dei diritti fondamentali<br />

da parte delle istituzioni europee e che, quindi, l’esaltazione di simili<br />

valori e concetti debba considerarsi alla stregua di vacue dichiarazioni di<br />

facciata cui non pare, nei fatti, corrispondere alcuna reale volontà operativa.<br />

in tale prospettiva, quindi, il concetto stesso di “sicurezza” pare<br />

più che altro doversi sostanzialmente intendere come improntato non<br />

tanto all’obiettivo dell’inclusione dello straniero ma, al contrario, a quello<br />

della difesa dallo straniero. Una simile conclusione, poi, va ulteriormente<br />

considerata come il riflesso immediato dei motivi ispiratori di matrice<br />

essenzialmente escludente che, in tale ambito, sembrano muovere il legislatore<br />

europeo al fine precipuo del graduale ma inesorabile innalzamento<br />

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IL GRANDE BLUFF: TUTELA DEI DIRITTI UMANI E SICUREZZA INTERNA<br />

di insormontabili barriere giuridiche a difesa della “fortezza europa”. Ma<br />

vi è di più.<br />

come già accennato, (anche) la costruzione ed il progressivo rafforzamento<br />

di uno Spazio di libertà, sicurezza e giustizia pare, nei fatti,<br />

assumere rilevanza in funzione della tutela del mercato interno, fin dalle<br />

origini autentico obiettivo finale della costruzione di una europa unita.<br />

e, sulla base dell’indicato uso politico dei diritti umani, a conclusioni<br />

analoghe pare potersi giungere anche con riferimento a questi ultimi,<br />

richiamando ancora una volta un precedente testuale tanto clamoroso<br />

quanto discutibile.<br />

ci riferiamo, in particolare, agli artt. 16, 17 e 38 (dedicati, rispettivamente,<br />

alla libertà d’impresa, al diritto di proprietà ed alla protezione<br />

dei consumatori) della carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea<br />

11 . Tralasciando ogni considerazione in merito all’opportunità della<br />

promulgazione di un’ulteriore carta dei Diritti Fondamentali in ambito<br />

europeo (in quanto sostanziale ed inutile duplicato della convenzione<br />

europea dei Diritti dell’Uomo del 1950), vi è da evidenziare anche in<br />

questo caso l’inserimento di previsioni che poco o nulla sembrano avere<br />

a che fare con i diritti dell’uomo di per sé considerati. L’accomunamento<br />

tra diritti e soggetti di natura essenzialmente economica e prerogative<br />

attinenti l’essere umano indifferentemente considerato danno adito, infatti,<br />

a più di una perplessità. Segnatamente, i dubbi in merito alle ragioni<br />

prevalentemente, se non esclusivamente, economiche e mercantili a cui<br />

si ispira l’ordinamento giuridico europeo in ogni sua manifestazione sembrano<br />

trarre avallo da disposizioni quali quelle da ultimo indicate. accostare,<br />

ad esempio, ad un diritto quale quello alla vita (art. 2) la libertà<br />

d’impresa o la garanzia di un (peraltro non meglio specificato) «livello<br />

elevato di protezione dei consumatori», oltre ad apparire quantomeno<br />

non condivisibile in termini di congruità logico-giuridica, sembra anche<br />

svelare l’autentico orizzonte verso il quale, nei fatti, continua ad essere<br />

orientata la rotta dell’intero comparto istituzionale dell’Unione europea.<br />

in altre parole, l’europa non è certamente nuova ad iniziative (para)legislative<br />

quali quelle richiamate, figlie di una strategia ormai svelatasi che,<br />

abilmente celata dietro il confortante ed attrattivo paravento dei diritti<br />

umani, permea fin dalle origini l’idea stessa di creare un’europa unita.<br />

a conclusioni in parte analoghe pare potersi giungere anche con<br />

riguardo alle comunicazioni della commissione prima richiamate. anche<br />

in questi documenti, infatti, l’astratta riconduzione delle tematiche della<br />

sicurezza, della migrazione e dell’asilo alla tutela dei diritti fondamentali<br />

viene poi calata in quella prospettiva di natura mercantilistica già evidenziata,<br />

lasciando conseguentemente spazio alle stesse perplessità già<br />

avanzate con riguardo alle conclusioni del consiglio europeo, oltretutto<br />

rafforzate, nel caso delle comunicazioni della commissione, dallo “sfac-<br />

147<br />

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SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

148<br />

ciato” collegamento tra questioni estremamente delicate, quali la lotta<br />

all’immigrazione clandestina, e la mera risoluzione pratica di problemi<br />

inerenti la perdita di forza lavoro in conseguenza dell’invecchiamento<br />

della popolazione europea. ottimizzare la politica migratoria europea –<br />

per il tramite della lotta alla corruzione, alla tratta di esseri umani, al<br />

traffico clandestino di armi, alla criminalità organizzata (informatica e<br />

non) ed al terrorismo – in funzione della tutela del mondo del lavoro<br />

equivale, piuttosto incontrovertibilmente, ad anteporre il mantenimento,<br />

o finanche l’innalzamento, del livello di produttività all’interno dell’Unione<br />

europea a qualunque altra necessità, così relegando concetti quali<br />

la solidarietà e la cooperazione a strumenti sostanzialmente economici,<br />

se non addirittura a vuote espressioni utili solo in quanto politically correct.<br />

anche in tale occasione, dunque, il richiamo ai diritti umani da<br />

parte delle istituzioni europee pare più rispondere alle esigenze strategiche<br />

e propagandistiche cui si è già fatto cenno che ad intendimenti di valore<br />

e di azione scevri da finalità indirette e/o da elementi inquinanti quali,<br />

in primis, la logica economica. anche per tal via, inoltre, sembra piuttosto<br />

evidente come il concetto di sicurezza acquisti la connotazione in precedenza<br />

evidenziata, e cioè quella di una difesa nei confronti del diverso,<br />

dello straniero, del c.d. “extracomunitario”, ossia di una sorta di postbarbaro<br />

cui si concede il privilegio di appartenere all’élite europea solo a<br />

condizione di soddisfare precisi criteri di matrice essenzialmente utilitaristica.<br />

anche in questo caso, dunque, nulla di lontanamente accomunabile<br />

ai valori ispiratori dell’intera dottrina dei diritti fondamentali<br />

che considera l’essere umano come un soggetto da tutelare in quanto tale<br />

ed indifferentemente, senza cioè che rilevino le sue peculiarità specifiche.<br />

e proprio tale sostanziale negazione del concetto stesso di diritti umani<br />

che, a prescindere dalle apparenze, sembra nei fatti contraddistinguere<br />

le politiche europee a qualunque livello così pervase da logiche non certo<br />

autenticamente egualitarie, lascia ancora più perplessi considerato che,<br />

proprio con riguardo alla tutela dei diritti in questione, l’europa sembra<br />

porsi all’avanguardia grazie alla presenza di un apparato giurisdizionale<br />

ad hoc quale quello della corte di Strasburgo che, sin dal dopoguerra,<br />

eleva l’essere umano a valore autonomo, prevalente ed insuperabile.<br />

in termini generali, non può non rimarcarsi la sostanziale assenza<br />

di consapevolezza del “tempo presente” nelle politiche dell’Unione europea,<br />

a quanto pare permanentemente proiettate verso il “tempo futuro”<br />

e, dunque, distanti dal “qui ed ora”. in altri termini, sembra anche in tale<br />

occasione possibile evidenziare come le istituzioni europee brillino esclusivamente<br />

per la propria abilità progettuale e di pianificazione e,<br />

quindi, siano (volutamente?) incapaci, almeno all’apparenza, di approntare<br />

strumenti atti a relazionarsi con l’attualità e con l’urgenza di<br />

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F O C U S<br />

IL GRANDE BLUFF: TUTELA DEI DIRITTI UMANI E SICUREZZA INTERNA<br />

problematiche immediate. La netta sensazione, peraltro non nuova con<br />

riguardo allo spazio giuridico europeo, continua ad essere quella di doversi<br />

misurare sempre e solo con programmi zeppi di auspici, intenti ed obiettivi,<br />

ma del tutto inadatti a fronteggiare la realtà dei fatti. a conferma di<br />

ciò, si deve anche rimarcare il sostanziale fallimento degli sporadici, confusi<br />

e frammentari risvolti operativi dell’azione dell’Unione: non pare<br />

proprio, infatti, che in termini di sicurezza la Task Force Mediterranean<br />

possa annoverarsi tra le iniziative di successo, né che con riguardo a<br />

FronTeX (dilaniata al proprio interno da una pressoché totale mancanza<br />

di uniformità di propositi e di strumenti d’azione) sia lecito fare ricorso<br />

a toni particolarmente trionfalistici.<br />

in conclusione, onestamente non si vede come un’europa solo capace,<br />

da un lato, di bearsi del proprio (in)glorioso passato e, dall’altro, di crogiolarsi<br />

nelle proprie abilità programmatorie in nome della speranza di<br />

un incerto futuro migliore, non in grado di esprimere nei fatti un’autentica<br />

uniformità di giudizio e di intenti (eccezion fatta per il rafforzamento e<br />

la tutela sempre maggiore dei meccanismi di funzionamento del “famigerato”<br />

mercato interno), possa davvero rappresentare un sicuro punto di<br />

riferimento per chi anela ad entrare nel suo territorio.<br />

NOTE<br />

149<br />

1 L’art. 80, contenuto nel Titolo V («Spazio di libertà, sicurezza e giustizia») e, in particolare,<br />

nel capo 2 («Politiche relative ai controlli alle frontiere, all’asilo e all’immigrazione»),<br />

dispone che «Le politiche dell’Unione di cui al presente capo e la loro attuazione<br />

sono governate dal principio di solidarietà e di equa ripartizione della<br />

responsabilità tra gli Stati membri, anche sul piano finanziario. ogniqualvolta necessario,<br />

gli atti dell’Unione adottati in virtù del presente capo contengono misure appropriate<br />

ai fini dell’applicazione di tale principio».<br />

2 a tal ultimo riguardo, il paragrafo 8 delle conclusioni del consiglio europeo specifica<br />

gli elementi su cui dovrebbero concentrarsi le future politiche migratorie dell’Unione<br />

europea e, cioè, il «potenziamento ed espansione dei programmi di protezione regionale,<br />

in particolare nelle vicinanze delle regioni di origine, in stretta collaborazione<br />

con l’UnHcr; l’aumento dei contributi a favore degli sforzi di reinsediamento a<br />

livello mondiale, considerando in particolare l’attuale protrarsi della crisi in Siria; [la]<br />

lotta più incisiva contro il traffico e la tratta di esseri umani, incentrandosi sui paesi e<br />

le rotte prioritari; [la] istituzione di un’efficace politica comune di rimpatrio e applicazione<br />

degli obblighi in materia di riammissione di cui agli accordi con i paesi terzi;<br />

[la] piena attuazione delle azioni individuate dalla task force per il Mediterraneo».<br />

3 in tale ultimo senso, secondo il consiglio europeo, è necessario che in ambito europeo<br />

vengano intraprese azioni volte: a promuovere coerenza e chiarezza nella legislazione<br />

europea a beneficio di cittadini e imprese; a semplificare l’accesso alla giustizia, promuovendo<br />

mezzi di ricorso efficaci e l’uso di innovazioni tecnologiche tra cui la giustizia<br />

elettronica; a continuare ad adoperarsi per rafforzare i diritti degli indagati e degli imputati<br />

nei procedimenti penali; ad esaminare il rafforzamento dei diritti delle persone,<br />

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SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

150<br />

segnatamente dei minori, nei procedimenti per agevolare l’esecuzione delle sentenze<br />

nel diritto di famiglia e in materia civile e commerciale con implicazioni transfrontaliere;<br />

a rafforzare sia la protezione delle vittime che il riconoscimento reciproco di decisioni<br />

e sentenze in materia civile e penale; a potenziare lo scambio di informazioni tra le autorità<br />

degli Stati membri; a lottare contro il comportamento fraudolento e i danni al<br />

bilancio dell’Unione europea, anche promuovendo ulteriormente i negoziati sulla<br />

Procura europea; a facilitare le attività e la cooperazione operativa transfrontaliere; a<br />

potenziare la formazione degli operatori; a mobilitare le competenze specialistiche<br />

delle pertinenti agenzie dell’Unione, come eUroJUST e l’Agenzia dell’Unione europea<br />

per i diritti fondamentali.<br />

4 La Task Force Mediterranean fu istituita dal consiglio “Giustizia e affari interni” di<br />

ottobre 2013 al fine di scongiurare ulteriori tragici naufragi nel Mediterraneo. i compiti<br />

della Task Force riguardano la cooperazione con i Paesi non Ue per impedire la partenza<br />

dei flussi migratori verso l’europa; la protezione regionale, il reinsediamento e l’accesso<br />

legale in europa; la lotta contro la tratta ed il traffico di esseri umani; il rafforzamento<br />

della sorveglianza delle frontiere; l’assistenza e la solidarietà nei confronti degli Stati<br />

membri che devono affrontare forti pressioni migratorie.<br />

5 La Internal Security Strategy fu definita dal consiglio il 23 febbraio 2010 ed attuata<br />

successivamente dalla comunicazione della commissione del 22 novembre (The EU<br />

Internal Security Strategy in Action: Five steps towards a more secure Europe). in particolare,<br />

in quella comunicazione la commissione individuava cinque punti strategici<br />

per la futura azione europea: 1) smantellare le reti criminali internazionali; 2) prevenire<br />

il terrorismo e contrastare la radicalizzazione e il reclutamento; 3) aumentare i livelli<br />

di sicurezza per i cittadini e le imprese nel ciberspazio; 4) rafforzare la sicurezza<br />

attraverso la gestione delle frontiere; 5) aumentare la resilienza dell’europa alle crisi e<br />

alle calamità.<br />

6 La Global Alliance Against Child Sexual Abuse Online, conclusa a bruxelles tra gli Stati<br />

membri dell’Unione e 22 Stati non europei, fu lanciata a livello mondiale il 5 dicembre<br />

2012.<br />

7 «Per restare una destinazione attrattiva per talenti e competenze, l’europa deve sviluppare<br />

strategie intese a sfruttare al massimo le opportunità della migrazione legale attraverso<br />

norme coerenti ed efficaci, sulla base di un dialogo con la comunità imprenditoriale<br />

e le parti sociali. L’Unione dovrebbe altresì sostenere le iniziative degli Stati<br />

membri volte a perseguire politiche attive dell’integrazione che promuovano la coesione<br />

sociale e il dinamismo economico» (consiglio europeo, Conclusioni, 26-27 giugno<br />

2014, § 6, p. 2).<br />

8 ivi, § 11, p. 5.<br />

9 «1. Le Parti contraenti si impegnano a garantire l’esame di ogni domanda di asilo presentata<br />

da uno straniero nel territorio di una di esse. 2. Tale obbligo non implica che<br />

una Parte contraente debba autorizzare in tutti i casi il richiedente asilo ad entrare o a<br />

soggiornare nel proprio territorio. ciascuna Parte contraente conserva il diritto di<br />

respingere o di allontanare un richiedente asilo verso uno Stato terzo, conformemente<br />

alle proprie disposizioni nazionali ed ai propri obblighi internazionali».<br />

10 L’art. 29 della convenzione del 1990 si pone altresì in palese contrasto con quanto<br />

sancito dalla convenzione di Ginevra relativa allo status di rifugiato del 1951 che, ai<br />

sensi dell’art. 33, comma 1, stabilisce che «nessuno Stato contraente espellerà o respingerà,<br />

in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la<br />

sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua<br />

cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche».<br />

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F O C U S<br />

IL GRANDE BLUFF: TUTELA DEI DIRITTI UMANI E SICUREZZA INTERNA<br />

11 art. 16: «È riconosciuta la libertà d’impresa, conformemente al diritto comunitario e<br />

alle legislazioni e prassi nazionali». art. 17: «1. ogni individuo ha il diritto di godere<br />

della proprietà dei beni che ha acquistato legalmente, di usarli, di disporne e di lasciarli<br />

in eredità. nessuno può essere privato della proprietà se non per causa di pubblico interesse,<br />

nei casi e nei modi previsti dalla legge e contro il pagamento in tempo utile di<br />

una giusta indennità per la perdita della stessa. L’uso dei beni può essere regolato dalla<br />

legge nei limiti imposti dall’interesse generale. 2. La proprietà intellettuale è protetta».<br />

art. 38: «nelle politiche dell’Unione è garantito un livello elevato di protezione dei<br />

consumatori».<br />

151<br />

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SICUREZZA: DIRITTO INTERNAZIONALE E UE<br />

F O C U S<br />

L’estensione del mandato di<br />

EULEX in Kosovo e la “nuova”<br />

exit strategy dell’Unione Europea<br />

ezio beneDeTTi<br />

Università degli Studi di Trieste, Assegnista di<br />

ricerca in Diritto dell’Unione Europea<br />

THE EXTENSION OF EULEX MANDATE IN KOSOVO AND THE “NEW” EXIT<br />

STRATEGY OF THE EUROPEAN UNION. This article looks into the June 2014 review<br />

process of EULEX’s mandate and the decision-making process of the European<br />

Union on the mission’s future mandate. It particularly examines the linkage between<br />

that debate and two recent developments: the beginning of northern Kosovo integration<br />

in the framework of the Pristina-Belgrade dialogue (a process that might facilitate<br />

future admission of these States into the European Union) and the impact of EU-integration<br />

process on the Rule of Law and the judiciary in Kosovo. First paragraph<br />

deals with the main challenges of establishing the Rule of Law in Kosovo and EULEX’s<br />

poor performance in past years (notwithstanding the European Union still considers<br />

EULEX as its most successful mission within the Common Foreign and Security Policy<br />

framework). Second and third paragraphs analyze the failed proposed review, in<br />

2014, of EULEX mandate and the final low-profile decision to only extend the mandate<br />

for two more years while progressively reducing the effective powers of the mission<br />

on the ground. In the last section, then, an alternative proposal for the future EULEX<br />

mission is advanced. Such alternative proposal is informed by one of the most significant<br />

requests brought by the European Court of Auditors’ report. This approach<br />

should foresee an exit strategy for EULEX for the purpose of making EULEX mission’s<br />

achievements more sustainable and effective.<br />

KEYWORDS: ESTABLISHING RULE OF LAW IN KOSOVO • EULEX’S MANDATE REVIEW PROCESS • EXIT STRATEGY<br />

FOR EULEX<br />

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F O C U S<br />

SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

INTRODUZIONE<br />

154<br />

il 9 dicembre 2014 ricorre il sesto anniversario dell’avvio della missione<br />

dell’Unione europea in Kosovo, denominata eULeX, destinata<br />

a promuovere il Rule of Law e la transizione democratica nel Paese<br />

balcanico. nonostante siano passati quasi sei anni dalla sua istituzione,<br />

la European Rule of Law Mission in Kosovo rappresenta tuttora la più ambiziosa<br />

missione che l’Unione abbia mai organizzato e gestito al di fuori<br />

dei confini dei suoi Stati membri. concepita e sviluppata nel quadro della<br />

Politica europea di Sicurezza e Difesa (PeSD), eULeX è la più grande missione<br />

dell’Unione sia in termini di finanziamenti complessivi erogati dalle<br />

istituzioni europee che di numero di uomini impiegati sul terreno 1 . alla<br />

fine di ottobre 2014 eULeX impegnava in Kosovo circa 2.000 uomini<br />

(1.000 dei quali sono esperti locali che affiancano quelli europei nella<br />

loro azione) che operano prevalentemente nei settori della giustizia, delle<br />

forze di polizia e delle dogane con un budget annuo di 111 milioni di<br />

euro 2 .<br />

Questa missione ha incarnato sin dalle sue origini l’impegno che<br />

l’Unione ha profuso per divenire uno dei principali attori nella gestione<br />

delle crisi nella regione balcanica dopo i fallimenti e l’immobilismo che<br />

ne avevano contraddistinto l’azione durante gli anni novanta del secolo<br />

scorso 3 . eULeX fu concepita come la naturale prosecuzione del mandato<br />

affidato in materia di Rule of Law alla missione UnMiK in base alla<br />

risoluzione 1244 (1999) del consiglio di Sicurezza e al Piano ahtisaari 4 .<br />

ciononostante, sin dall’inizio della sua opera in Kosovo la missione<br />

eULeX è stata pesantemente e comprensibilmente criticata sia dagli stakeholders<br />

internazionali che da quelli locali 5 . Tra le principali critiche possiamo<br />

sicuramente in questa sede ricordare quella della corte dei conti<br />

europea, che nell’ottobre 2012 pubblicò un rapporto dettagliato che denunciava<br />

gli sprechi e la scarsa “effettività” delle azioni poste in essere da<br />

eULeX e che provocò non poco scalpore tra gli addetti ai lavori, l’opinione<br />

pubblica ed i più attenti osservatori delle vicende kosovare 6 . non ci pare<br />

quindi eccessivo affermare che eULeX ha sofferto, ed in larga misura<br />

soffre ancora oggi, di numerose contraddizioni e limiti strutturali che<br />

ne hanno “azzoppato” l’azione e che hanno reso difficile se non impossibile<br />

la realizzazione degli ambiziosi obiettivi per cui la stessa missione fu<br />

creata, ossia: assicurare lo sviluppo ed il rafforzamento progressivo dello<br />

Stato di diritto, dell’ordine pubblico e della sicurezza in Kosovo sia attraverso<br />

la formazione di personale in loco e l’assistenza tecnica garantita<br />

alla magistratura, alle forze di polizia ed ai servizi doganali, che per<br />

tramite di responsabilità esecutive direttamente delegate alla missione 7 .<br />

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F O C U S<br />

L'ESTENSIONE DEL MANDATO DI EULEX IN KOSOVO<br />

nel corso del 2014 eULeX è entrata in un periodo chiave della sua<br />

attività. La conclusione formale della missione, inizialmente prevista per<br />

il mese di giugno 2014, è stata posticipata, dietro espressa richiesta di alcune<br />

tra le più alte autorità dello Stato kosovaro 8 , al 15 giugno 2016. il<br />

fatto che la richiesta di estensione della missione provenisse direttamente<br />

dai vertici dello Stato kosovaro non ha fatto, comunque, diminuire la<br />

pressione di larga parte dell’opinione pubblica del Kosovo e dei più<br />

attenti analisti e studiosi delle vicende balcaniche per una exit strategy<br />

chiara e definita 9 .<br />

inoltre, l’estensione temporale del mandato, unitamente ad una revisione<br />

dei compiti e delle funzioni affidati ad eULeX, ha sorpreso non<br />

poco chi sperava in una nuova missione rivista nei suoi termini e contenuti<br />

più significativi 10 . Le forti pressioni per definire una exit strategy credibile<br />

si sono scontrate con la nuova realtà politica del rilancio del dialogo tra<br />

Kosovo e Serbia a seguito degli accordi di bruxelles dell’aprile 2013 ed<br />

al conseguente sblocco dei negoziati tra Kosovo e Unione relativamente<br />

al processo di allargamento. Questi eventi politici hanno convinto, infatti,<br />

molti che eULeX potesse continuare a ricoprire un ruolo di primo piano<br />

e di fondamentale importanza nella stabilizzazione della regione balcanica<br />

superando i limiti strutturali dianzi richiamati, che ne hanno fortemente<br />

inficiato l’operatività negli anni precedenti. non va, tuttavia, dimenticato<br />

in questo scenario il peso dello stallo politico seguito alle elezioni del<br />

giugno 2014. a tutt’oggi, infatti, non è stato possibile, a causa dei veti<br />

incrociati dei principali partiti politici, costituire un nuovo Governo in<br />

Kosovo e, in quest’ottica, anche la difficile posizione in cui si trova il<br />

Partito Democratico del Kosovo del premier uscente Hashim Thaçi,<br />

sospettato insieme ad altri esponenti di primo piano del partito di crimini<br />

di guerra ed attività illegali, non va sicuramente trascurata 11 .<br />

il compito principale affidato ad eULeX a partire dal 2008 è stato<br />

quello di offrire un know-how specialistico e di garantire la vigilanza in<br />

materia di giustizia e di polizia per le istituzioni kosovare mettendole<br />

nelle condizioni di affrontare la criminalità dilagante e la corruzione nel<br />

quadro di un progressivo rafforzamento dello Stato di diritto e di stabilizzazione<br />

dell’area. alla luce di diversi reports e studi pubblicati nel corso<br />

degli ultimi anni gli obiettivi dianzi esposti paiono, tuttavia, ancora più<br />

lontani che in passato 12 .<br />

in questo nostro contributo, prendendo spunto da quella che è la<br />

situazione attuale, cercheremo di delineare, quantomeno nelle sue linee<br />

generali, i principali errori del passato e le opportunità che eULeX continua<br />

ad offrire allo sviluppo del Rule of Law e di un sistema giudiziario efficiente<br />

nello Stato kosovaro nei prossimi due anni. Da questo punto di<br />

vista, non è possibile prescindere da due recenti sviluppi che hanno interessato<br />

il Paese balcanico. il primo, già accennato, riguarda il rilancio<br />

155<br />

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F O C U S<br />

SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

del dialogo tra Serbia e Kosovo a seguito degli accordi di bruxelles dell’aprile<br />

2013 e l’avvio di un’effettiva integrazione del Kosovo settentrionale,<br />

dove risiede tuttora la maggioranza dei serbi kosovari 13 ; il secondo concerne<br />

l’impatto del processo di integrazione europea sul Rule of Law e<br />

sul sistema giudiziario kosovaro.<br />

L’ESTENSIONE DEL MANDATO DI EULEX E LA SITUAZIONE<br />

DEL RULE OF LAW IN KOSOVO<br />

156<br />

il 12 giugno 2014 l’Unione europea ha deciso di estendere la missione<br />

per altri due anni. con il rinnovo del mandato l’Unione ha così inteso<br />

riaffermare che i suoi pubblici ministeri ed i giudici che operano<br />

per conto di eULeX hanno il potere di affrontare autonomamente casi<br />

delicati che non possono essere ancora gestiti in modo efficace dalla<br />

magistratura locale. Tuttavia al rinnovo temporale del mandato, come<br />

vedremo ancora, è corrisposto un indebolimento complessivo dell’azione<br />

della missione; è previsto, infatti, il progressivo passaggio delle cause alle<br />

autorità giudiziarie kosovare, con collegi composti da due giudici locali<br />

e uno di eULeX, e l’impossibilità di istruire nuove inchieste senza il placet<br />

delle autorità kosovare 14 .<br />

in una conferenza stampa, l’Unione europea ha affermato che il<br />

carico di lavoro gestito dai suoi magistrati sarebbe stato ridotto nel corso<br />

del nuovo mandato «dato lo sviluppo degli enti locali». al contrario, la<br />

missione si concentrerà, invece, sulla «creazione di effettive capacità in<br />

tutto il Kosovo, favorendo la sicurezza e l’attuazione degli accordi raggiunti<br />

nel dialogo tra belgrado e Pristina per il nord», dice la nota 15 .<br />

come già accennato in precedenza, sin dal suo avvio la missione<br />

eULeX ha sofferto di alcune contraddizioni strutturali e di gravi limiti<br />

operativi, alcuni dei quali persistono ancora oggi. esistendo due basi<br />

giuridiche per la missione (da un lato, il c.d. “Piano ahtisaari” che delineava<br />

i passaggi necessari per la costruzione di un Kosovo indipendente e,<br />

dall’altro, la risoluzione 1244 del consiglio di Sicurezza che definiva lo<br />

status giuridico del Kosovo non prevedendo in alcun modo l’indipendenza<br />

del Paese), tale duplicità ha fatto sì che la missione si trovasse spesso in<br />

difficoltà nell’adempiere in modo imparziale ed effettivo i suoi compiti.<br />

non a caso nel nord del Kosovo la missione è stata sviluppata sotto un<br />

ombrello di neutralità apparente che l’ha portata ad operare su un piano<br />

etnico e territoriale distinto rispetto a quanto accade nel resto del Paese 16 .<br />

Tra le principali critiche mosse alla missione possiamo in questa<br />

sede richiamare il fatto che sia gli stakeholders locali che quelli internazionali<br />

hanno considerato l’apparato burocratico di eULeX come troppo<br />

grande e la sua cultura organizzativa come poco trasparente 17 . Le relazioni<br />

tra le funzioni esecutive e le effettive capacità di sviluppo del Rule of<br />

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F O C U S<br />

L'ESTENSIONE DEL MANDATO DI EULEX IN KOSOVO<br />

Law sono state problematiche con la conseguenza che eventuali cambiamenti<br />

strutturali non hanno influito sulla soluzione di molte delle controversie<br />

che rimangono tuttora pendenti. inoltre, al sovradimensionamento<br />

dell’apparato burocratico è corrisposto un sottodimensionamento<br />

dell’apparato operativo. La parte giudiziaria della missione è stata perennemente<br />

sotto organico e questa può essere una parziale giustificazione<br />

degli scarsi risultati ottenuti nella persecuzione dei crimini di guerra e<br />

nella lotta alla criminalità organizzata e alla corruzione dilagante nel<br />

Paese 18 .<br />

alla luce di queste considerazioni, non pare inopportuno affermare<br />

che eULeX ha avuto, ed ha probabilmente ancora, una limitata capacità<br />

di collegare il proprio lavoro con gli strumenti di integrazione europea<br />

nella promozione dello Stato di diritto e di un potere giudiziario indipendente<br />

in Kosovo. il percorso di integrazione europea del Kosovo è<br />

stato bloccato per anni non solo a causa delle divisioni interne all’Unione<br />

europea rispetto al riconoscimento della sua autoproclamata indipendenza,<br />

ma soprattutto a causa della passività con cui l’Unione ha affrontato<br />

la possibile risoluzione del conflitto congelato tra Serbia e Kosovo 19 .<br />

eULeX ha subito una profonda riorganizzazione sulla base di una<br />

revisione strategica del suo mandato nel 2013, dopo il rapporto della<br />

corte dei conti, che ha portato un certo miglioramento strutturale.<br />

Tuttavia, solo alla fine del 2013 con il cambiamento strutturale della<br />

missione, l’Unione europea ha iniziato a superare le proprie divisioni<br />

interne sul Kosovo e, dunque, a presentarsi come un protagonista affidabile<br />

ed interessato alla soluzione della questione kosovara. il dialogo<br />

politico ad alto livello instauratosi tra belgrado e Pristina a partire dall’aprile<br />

2013 è stato sicuramente facilitato e promosso dal nuovo atteggiamento<br />

dell’Unione europea, ed ha portato ad un primo accordo<br />

sulla normalizzazione dei rapporti tra il Kosovo e la Serbia 20 . Questo<br />

accordo ha aperto finalmente la strada per l’integrazione almeno parziale<br />

del nord a maggioranza serba, in precedenza amministrato da belgrado,<br />

nello Stato del Kosovo. inoltre, il dialogo ha portato anche all’apertura<br />

dei negoziati di adesione con la Serbia 21 e dei negoziati per un accordo<br />

di Stabilizzazione e associazione con il Kosovo 22 , sbloccando di tal guisa<br />

il processo di integrazione nell’Unione del Paese balcanico, in precedenza<br />

bloccato sin dal 2008. Questi cambiamenti politici hanno spinto il Governo<br />

del Kosovo a mobilitarsi chiedendo a bruxelles il trasferimento effettivo<br />

di autorità da eULeX alle istituzioni del Kosovo al fine di poter<br />

esercitare piena sovranità e porre quindi fine al duplice “protettorato”<br />

della UnMiK e dalla missione europea 23 .<br />

alla luce di questi recenti sviluppi politici, quando nel 2013 l’Unione<br />

avviò il riesame strategico della missione, prendendo spunto dalle critiche<br />

mosse l’anno precedente dalla corte dei conti, al fine di deciderne il<br />

157<br />

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SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

158<br />

destino dopo la conclusione del mandato (al tempo prevista per il mese<br />

di giugno 2014), si dovette tenere conto anche di una exit strategy che si<br />

inserisse e si adattasse alla nuova politica complessiva dell’Unione per il<br />

Kosovo. alla fine di gennaio 2014 il riesame strategico fu inviato agli<br />

Stati membri dell’Unione per discutere e condividere l’idea se fosse opportuno<br />

sostituire eULeX con una missione più piccola, con un nuovo<br />

nome ed un mandato di soli due anni. anche a seguito delle persistenti<br />

divisioni in seno agli Stati membri tale ipotesi fu poi abbandonata nel<br />

giugno 2014 e, come detto, il consiglio europeo decise, tra non poche<br />

polemiche e critiche, di estendere semplicemente il mandato della missione<br />

già esistente per altri due anni sostituendo solo il capo Missione<br />

(dal 15 ottobre 2014 è l’italiano Gabriele Meucci) 24 .<br />

Va rilevato che, a seguito della revisione strutturale promossa da<br />

bruxelles nel 2013, la semplice estensione del mandato di ulteriori due<br />

anni ha comunque incluso molti dei capisaldi della Structural Review<br />

promossa dalla commissione 25 . in primo luogo, la missione si dovrà<br />

concentrare maggiormente sul ruolo di rafforzamento dello Stato di<br />

diritto, coordinando meglio tale ruolo con gli strumenti europei di integrazione,<br />

in particolare con il prossimo programma iPa ii. inoltre, i<br />

magistrati e le forze di polizia rimarranno in Kosovo solo per chiudere i<br />

casi e le inchieste già avviate, a condizione che i giudici ed i pubblici<br />

ministeri internazionali si integrino maggiormente nel sistema giudiziario<br />

kosovaro, coinvolgendo i colleghi locali nelle indagini e nei procedimenti<br />

penali pendenti. La funzione esecutiva, invece, avrebbe dovuto essere<br />

rafforzata nel nord del Paese unitamente all’avvio di specifiche misure di<br />

monitoraggio, supporto e assistenza (Monitoring, Mentoring and Advising<br />

Actions) per aiutare l’integrazione della regione secondo quanto stabilito<br />

negli accordi di bruxelles.<br />

La Strategic Review elenca un paio di motivi, essenzialmente di<br />

natura politica, che giustificano la scelta di un mandato ridotto ma, comunque,<br />

nell’alveo della vecchia missione eULeX. in primo luogo, l’avvio<br />

di un dialogo franco e costruttivo tra belgrado e bruxelles, l’inizio dei<br />

negoziati per l’accordo di Stabilizzazione e associazione con il Kosovo,<br />

i miglioramenti in materia di polizia, dogane ed indipendenza della magistratura<br />

e, da ultimo ma sicuramente non meno importante, la richiesta<br />

fatta dal Governo del Kosovo per il progressivo trasferimento di autorità<br />

da eULeX alle istituzioni kosovare.<br />

appare chiaro da quanto testé affermato che il riesame strategico<br />

proposto presenta notevoli profili di problematicità e non scioglie il<br />

nodo gordiano della scarsa efficacia ed effettività dell’operato di eULeX<br />

in Kosovo, legittimando ulteriormente le critiche che da più parti continuano<br />

a piovere sulla missione, senza contare gli scandali di cui spesso<br />

sono oggetto i suoi funzionari cui faremo brevemente cenno più avanti.<br />

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F O C U S<br />

L'ESTENSIONE DEL MANDATO DI EULEX IN KOSOVO<br />

PROFILI PROBLEMATICI DELL’ESTENSIONE DEL<br />

MANDATO EULEX E PROPOSTE PER UNA RIQUALIFICAZIONE<br />

DEGLI INTERESSI DELL’UNIONE EUROPEA IN KOSOVO<br />

come accennato, il riesame strategico della missione appare problematico<br />

sotto diversi aspetti. in primo luogo, la revisione non è poi così<br />

“strategica” come la sua altisonante denominazione parrebbe suggerire<br />

dato che non definisce chiaramente l’interesse strategico dell’Unione<br />

europea per una futura missione eULeX (o post-eULeX), lasciando piuttosto<br />

indefinita l’exit strategy dell’Unione, nonché gli output attesi al termine<br />

della missione attualmente in corso. in secondo luogo, la Strategic<br />

Review non tiene pienamente conto delle esigenze specifiche emerse in<br />

Kosovo o delle nuove opportunità che si presentano per eULeX dal cambiamento<br />

del quadro politico kosovaro a seguito delle elezioni di giugno<br />

2014. Secondo molti giudici, pubblici ministeri ed esperti locali che lavorano<br />

per eULeX, la magistratura del Kosovo non è ancora pronta ad<br />

affrontare casi delicati riguardanti i crimini di guerra, la criminalità organizzata<br />

e la corruzione politica 26 . non va peraltro dimenticato che<br />

dopo le dichiarazioni ottimistiche del 2013 il dialogo tra Serbia e Kosovo<br />

è attualmente bloccato, e probabilmente lo sarà fino alla fine del 2014,<br />

se non oltre. in questo contesto tutt’altro che roseo abbiamo assistito<br />

anche al debutto sulla scena di un terzo attore potenzialmente<br />

dirompente: l’albania che, come anche i fatti della partita di calcio tra<br />

Serbia ed albania interrotta per disordini e scontri sugli spalti hanno dimostrato,<br />

può giocare un ruolo tutt’altro che secondario nella futura<br />

evoluzione della delicata vicenda. inoltre, l’influenza dell’Unione europea<br />

sul Governo kosovaro rispetto alle questioni attinenti al Rule of Law<br />

risulta condizionata in questa fase dagli strumenti (limitati) messi a disposizione<br />

dall’accordo di Stabilizzazione firmato a luglio 2014, considerato<br />

anche che il percorso futuro del processo d’integrazione del Kosovo<br />

nell’Unione appare tutt’altro che lineare.<br />

Tutto ciò considerato, riteniamo opportuno formulare alcune ipotesi<br />

operative che potrebbero servire a migliorare non solo la sostenibilità e<br />

l’effettività delle azioni proposte, ma anche la trasparenza nell’operato di<br />

eULeX.<br />

La prima ipotesi, ovviamente di difficile realizzazione ma di sicuro<br />

impatto, riguarda la sospensione dell’attuale missione estesa per due anni,<br />

prevedendo un nuovo mandato ad interim di sei mesi che permetta all’Unione<br />

di negoziare e preparare una nuova missione quando finalmente<br />

il nuovo Governo kosovaro vedrà la luce (dopo le elezioni il nuovo Parlamento<br />

kosovaro non è stato ancora in grado di esprimere un nuovo<br />

Governo e, da questo punto di vista, il rischio di nuove elezioni politiche<br />

è tutt’altro che remoto).<br />

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SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

160<br />

La seconda ipotesi riguarda la riduzione della dimensione burocratica<br />

di eULeX, che però dovrebbe mantenere sostanzialmente inalterate le<br />

sue funzioni esecutive soprattutto nei casi più delicati, specialmente nel<br />

settore giudiziario e di polizia, prevedendo anzi un aumento del personale<br />

effettivamente utilizzato in questi settori ed una riduzione invece di<br />

quello doganale (che attualmente impegna circa il 40% del personale totale)<br />

27 . i casi sensibili dovrebbero essere gradualmente (e non immediatamente<br />

come previsto invece dall’attuale mandato esteso) trasferiti alle<br />

autorità giudiziarie e di polizia del Kosovo svolgendo un monitoraggio<br />

costante sul loro operato. inoltre, eULeX dovrebbe poter istruire nuovi<br />

casi, inchieste e processi, favorendo la creazione di gruppi di lavoro misti<br />

tra giudici e poliziotti kosovari e stranieri. Per poter realizzare questo<br />

obiettivo e definire la velocità del processo di transizione risulta ovviamente<br />

necessario stabilire criteri univoci di valutazione delle effettive<br />

capacità e dei risultati operativi conseguiti dal personale locale, risultato<br />

che al momento pare assai difficile da conseguire 28 .<br />

Per quanto concerne nello specifico le c.d. “funzioni esecutive”, riteniamo<br />

di fondamentale importanza mantenere la presenza di giudici eU-<br />

LeX nelle corti di appello, nella corte costituzionale e nel consiglio<br />

Superiore della Magistratura del Kosovo, con funzioni non meramente<br />

consultive; nonché favorire e non smantellare l’istruzione di nuove inchieste<br />

ad opera di gruppi di lavoro misti Unione europea/Kosovo non solo<br />

nel nord (come sostenuto dalle autorità kosovare) ma anche nel resto<br />

del Paese. infine, le funzioni di Monitoring, Mentoring ed Advising dovrebbero<br />

essere rafforzate sia rispetto alla gestione dei futuri progetti europei<br />

che nella fase di formazione e reclutamento di nuovi quadri nella magistratura.<br />

Per quanto nello specifico concerne il nord del Kosovo, poi, risulta<br />

di fondamentale importanza evitare il perdurare di double standards sia<br />

rispetto alle funzioni esecutive che di Monitoring, Mentoring ed Advising.<br />

bisogna, infatti, scongiurare che quanto è accaduto nel passato (scarsa<br />

effettività delle azioni di eULeX nel nord ed iperattivismo nel resto del<br />

Paese) si riproponga a ruoli invertiti. il rinnovo del mandato e la decisione<br />

di trasferire progressivamente le funzioni alle autorità giudiziarie e di<br />

polizia kosovare potrebbe causare, anche alla luce delle richieste fatte<br />

dalle autorità di Pristina, una differenziazione nell’azione di eULeX nelle<br />

due parti del Paese che porterebbe ad un ulteriore rallentamento del<br />

processo di integrazione del nord nelle istituzioni kosovare.<br />

Per quanto, da ultimo concerne il delicatissimo ruolo della Special<br />

Investigation Task Force, incaricata di concludere le indagini sui casi di<br />

crimini di guerra denunciati nel già citato “rapporto Marty”, non pare<br />

accettabile la proposta di chiudere l’inchiesta con una semplice relazione<br />

alle autorità giudiziarie kosovare che potrebbe (visto anche il ruolo<br />

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L'ESTENSIONE DEL MANDATO DI EULEX IN KOSOVO<br />

politico e l’indubbio potere rappresentato dai diversi personaggi coinvolti)<br />

non avere seguito in un procedimento giudiziario a carico degli accusati<br />

di crimini gravissimi. Una soluzione potrebbe dunque essere quella di<br />

istruire un tribunale penale misto sul modello di quelli creati a suo tempo<br />

per il Libano, la cambogia o la Sierra Leone 29 .<br />

CONCLUSIONI<br />

Molto realisticamente dobbiamo sottolineare che la decisione presa<br />

dal consiglio europeo di giugno 2014 rende pressoché irrealizzabili le<br />

proposte appena formulate. È passata, infatti, l’idea di estendere eULeX<br />

per altri due anni ma nessun vero potere e «nessun nuovo caso» saranno<br />

affidati alla missione 30 . Più specificamente i giudici di eULeX seguiranno<br />

solamente i procedimenti pendenti e saranno in minoranza nei collegi<br />

giudicanti; i procuratori di eULeX, dal canto loro, potranno inoltre seguire<br />

anche nuovi casi ma solamente se saranno le autorità kosovare ad affidarglieli<br />

(alla luce delle dichiarazioni fatte dai diversi partiti kosovari<br />

negli ultimi mesi non ci pare che sussistano le condizioni politiche perché<br />

ciò possa avvenire) 31 . Sebbene in casi particolarmente delicati eULeX<br />

potrà chiedere di gestire direttamente le indagini, le autorità kosovare<br />

potranno comunque rispondere negativamente 32 . Vi sono essenzialmente<br />

due problemi legati a questa decisione di estensione temporale della missione<br />

e di riduzione dei suoi poteri reali. riteniamo però opportuno soffermarci<br />

prima brevemente sui risultati ottenuti da eULeX dal 2008 al<br />

2013.<br />

non pare eccessivo dire che gli anni dal 2008 al 2012 sono stati un<br />

disastro e che, in seguito, le cose sono poi migliorate anche se molti dei<br />

problemi strutturali, come già rilevato in precedenza, permangono tuttora.<br />

in particolare, ciò che maggiormente colpisce chi analizzi i risultati<br />

conseguiti è l’elevatissimo numero di assoluzioni formulate dalla missione<br />

e per di più in casi di importanza tutt’altro che trascurabile 33 . Questo è<br />

probabilmente il motivo per cui recentemente un eminente evaso di<br />

etnia albanese ha negoziato la sua consegna ad eULeX in cambio di<br />

garanzie circa il luogo dove avrebbe dovuto essere detenuto e processato.<br />

Va detto, per inciso, che eULeX, dopo un’attenta ispezione ai letti della<br />

prigione del carcere, ha rigettato la sua richiesta di avere un cuscino più<br />

soffice. Per quanto “coraggiosa”, la decisione di non cedere almeno sul<br />

cuscino sembra non essere sufficiente a compensare la decisione di negoziare<br />

questioni non-negoziabili con un criminale pericoloso e recidivo:<br />

fatto piuttosto stravagante per una missione che si occupa di Stato di<br />

diritto e che aveva sonoramente dichiarato, appena 18 ore prima di<br />

avviare le negoziazioni con l’evaso, che «the rule of Law is not nego-<br />

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SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

162<br />

tiable» 34 . Se questa è eULeX pare legittimo preoccuparsi su quello che<br />

sarà il futuro del Rule of Law in Kosovo.<br />

Troppi livelli di burocrazia (da Pristina a bruxelles, fino ad alcune<br />

capitali europee) sono responsabili del fallimento di eULeX. il paradosso<br />

è che queste burocrazie affermano che lo Stato di diritto in Kosovo sta<br />

migliorando, che eULeX deve rimanere ancora un po’ per completare il<br />

suo lavoro e che i suoi poteri possono essere ridotti drasticamente perché<br />

la magistratura kosovara è ora in grado di amministrare la giustizia in<br />

modo accettabilmente competente ed imparziale. alla luce di tutte queste<br />

considerazioni critiche riteniamo che continuare a mantenere la missione<br />

in Kosovo per altri due anni senza veri poteri sia non solo uno spreco di<br />

risorse (circa 250 milioni di euro) ma anche un rischio considerevole<br />

per la stabilità dell’intera regione.<br />

Un recente studio di un’organizzazione non governativa che da anni<br />

opera in Kosovo 35 ha confermato che i cittadini kosovari non hanno alcuna<br />

fiducia nell’indipendenza ed imparzialità della loro magistratura:<br />

giudici e pubblici ministeri sono tanto vulnerabili all’interferenza politica,<br />

alla corruzione e all’intimidazione che, per usare le parole del rapporto<br />

pubblicato nell’ottobre 2012 dalla corte dei conti, essi «tendono ad<br />

obbedire in anticipo alle influenze esterne». Ma il vero dramma è che<br />

anche eULeX sta progressivamente perdendo credibilità e affidabilità.<br />

Difficilmente due giudici kosovari affiancati da uno di eULeX si potranno<br />

opporre alle richieste ed alle pressioni delle élites kosovare con il risultato<br />

che le già numerose assoluzioni rischieranno di divenire la regola<br />

(conoscendo la realtà kosovara e gli equilibri di potere esistenti nel Paese<br />

non vediamo ad esempio possibile la condanna per crimini di guerra di<br />

un personaggio come Hashim Thaçi da parte di un tribunale kosovaro,<br />

per quanto “coadiuvato” da un giudice di eULeX).<br />

al quadro problematico e tutt’altro che risolutivo dianzi esposto si<br />

aggiungono alcune notizie di stampa dell’ultima ora che gettano un’ulteriore<br />

ombra sull’operato della missione. il 28 ottobre 2014, infatti,<br />

sospetti di corruzione a carico di alti funzionari e responsabili di giustizia<br />

di eULeX sono stati denunciati da Maria bamieh, Procuratore britannico<br />

della stessa missione. a riferirlo è stato il quotidiano kosovaro Koha<br />

Ditore. il Procuratore britannico avrebbe raccolto informazioni circostanziate<br />

relativamente ad almeno tre inchieste penali chiuse da funzionari<br />

eULeX in cambio di denaro. rilevante ci pare anche l’informazione<br />

secondo cui la stessa bamieh sarebbe stata sospesa nei giorni scorsi dopo<br />

aver accusato la missione europea di voler insabbiare lo scandalo 36 .<br />

nonostante tutti questi dubbi, perplessità, limiti e scandali l’Unione<br />

europea continua a sostenere che eULeX è non solo la più grande ma<br />

anche la «most successful mission of the european Union» nel quadro<br />

PeSc 37 . Probabilmente il vero problema non risiede unicamente nel<br />

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L'ESTENSIONE DEL MANDATO DI EULEX IN KOSOVO<br />

mandato di eULeX ma è una questione più profonda che riguarda l’essenza<br />

stessa ed i limiti strutturali in cui si sviluppa la politica estera e di sicurezza<br />

dell’Unione.<br />

NOTE<br />

1 Vedran Džihić & Helmut Kramer, Kosovo After Independence. Is the EU’s EULEX<br />

Mission Delivering on its Promises?, Friedrich-ebert-Stiftung, berlin, July 2009, pp. 1-<br />

28; elizabeth Pond, The EU’s Test in Kosovo, “The Washington Quarterly”, vol. 31,<br />

no. 4 (2008), pp. 97-112; enver Hasani, From UNMIK to EULEX: An Outline of the<br />

Key Aspects of Governance, Cooperation and Confidence-Building Under the Conditions<br />

of International Supervision, in e. M. Flberbauer et al. (eds.), Cutting or Tightening the<br />

Gordian Knot? The Future of Kosovo and the Peace Process in the Western Balkans after<br />

the Decision on Independence, Study Group information, Wien, 2008, pp. 148-158.<br />

2 Per i dettagli organizzativi ed operativi della missione, cfr. http://www.eulex-kosovo.eu.<br />

3 erika De Wet, The Governance of Kosovo: Security Council Resolution 1244 and the Establishment<br />

and functioning of EULEX, “american Journal of international Law”, vol.<br />

103 (2009), p. 83 ss.; robert Muharremi, The European Union Rule of Law Mission in<br />

Kosovo (EULEX) from the Perspective of Kosovo Constitutional Law, “Heidelberg<br />

Journal of international Law”, vol. 70 (2010), pp. 357-379; Labinot Grejçevci, EU Actorness<br />

in International Affairs: The Case of EULEX Mission in Kosovo, “Perspectives<br />

on european Politics and Society”, vol. 12, no. 3 (2011), pp. 283-303.<br />

4 Si veda Paolo bargiacchi, La Proposta Ahtisaari alla luce del diritto internazionale e<br />

della Risoluzione 1244 (1999) del Consiglio di Sicurezza e la prospettata tutela dei Serbi<br />

e del loro patrimonio culturale e religioso in un Kosovo indipendente, “eurasia. rivista di<br />

Studi Geopolitici”, no. 4/2007, pp. 63-88; Marc Weller, Kosovo’s Final Status, “Journal<br />

of international affairs”, no. 84 (2008), p. 1223 ss..<br />

5 V. Džihić & H. Kramer, Kosovo, cit.; David cadier, EU Mission in Kosovo (EULEX):<br />

Constructing Ambiguity or Constructive Disunity?, “Transatlantic Security Paper”, no.<br />

3 ( June 2011), p. 1 ss..<br />

6 european court of auditors, European Union Assistance in Kosovo Related to the Rule<br />

of Law, Special report n. 18, 2012.<br />

7 cfr. http://goo.gl/npzdFH.<br />

8 il 23 aprile 2014 il Governo kosovaro ha votato in favore di un disegno di legge che<br />

prevede l’estensione del mandato di eULeX sino al 15 giugno 2016, garantendo al<br />

contempo la continuazione delle indagini portate avanti dalla Special Investigative Task<br />

Force (SiTF), sulla quale vedi anche infra. L’estensione del mandato di eULeX è stata<br />

peraltro espressamente richiesta al Parlamento di Pristina da parte del Presidente kosovaro<br />

atifete Jahjaga.<br />

9 il problema della mancanza di una exit strategy chiara e definita anima il dibattito dottrinale<br />

già da diversi anni. Si veda per tutti Martina Spernbauer, EULEX Kosovo. Mandate,<br />

Structure and Implementation: Essential Clarifications for an Unprecedented EU<br />

Mission, “cLeer Working Papers”, no. 5, 2010.<br />

10 anche a seguito delle espresse richieste formulate da Pristina, il consiglio dell’Unione<br />

europea ha deciso il 12 giugno 2014 di estendere per altri due anni il mandato di eU-<br />

LeX con la Decisione 2014/349/PeSc.<br />

163<br />

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SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

164<br />

11 Un rapporto del consiglio d’europa che ha fatto scandalo e sollevato molte polemiche<br />

in Kosovo ed all’estero, pubblicato nel 2010, sosteneva che alcuni importanti ex-comandanti<br />

militari dell’esercito di Liberazione del Kosovo (UcK), membri del cosiddetto<br />

“commando Drenica”, che includeva anche l’attuale Primo Ministro Hashim<br />

Thaçi, si macchiarono di gravissimi crimini di guerra nei confronti di prigionieri serbi<br />

detenuti in diversi campi di prigionia, situati anche in albania, come il traffici di<br />

organi e la tortura. il testo del c.d. “rapporto Marty” si può leggere in<br />

http://goo.gl/iizmFc. in una lettera inviata nel mese di aprile 2014 al Parlamento<br />

kosovaro il responsabile della politica estera dell’Unione, catherine ashton, ha affermato<br />

che bruxelles «wanted the SiTF to continue probing organ trafficking allegations<br />

made in a report by council of europe rapporteur Dick Marty» e che «the work of<br />

eULeX Kosovo’s Special investigative Task Force and any judicial proceedings deriving<br />

from it shall continue until such time as the council of the european Union notifies<br />

Kosovo that the investigation and these proceedings have been concluded». il testo<br />

della lettera della ashton è disponibile in http://goo.gl/73l1i0.<br />

12 cfr. M. Spernbauer, EULEX Kosovo, cit..<br />

13 in totale i Serbi che tuttora vivono in Kosovo rappresentano circa il 2% della popolazione<br />

totale (circa 25.000 persone su una popolazione totale di 1,6 milioni) a fronte di circa<br />

150.000 che sono fuggiti dal Kosovo dopo il 1999 e vivono tuttora come rifugiati o<br />

sfollati soprattutto in Serbia. La minoranza serba è concentrata soprattutto nel nord<br />

del Paese nei quattro comuni di Mitrovica, Leposavic, zubin Potok e zvecan. i dati<br />

sono presi dall’ultimo censimento ufficiale del 2011 (cfr. http://ask.rks-gov.net/). Va<br />

altresì ricordato, inoltre, che in Kosovo risiedono altre 9 minoranze riconosciute oltre<br />

a quella serba (bosnjaki, rom, egiziani, gorani, ashkali, turchi, etc.) che costituiscono il<br />

7,1% della popolazione totale del Paese.<br />

14 Per il nuovo mandato di eULeX, si veda http://goo.gl/99fsKz.<br />

15 La Dichiarazione si legge in http://goo.gl/un7ycl.<br />

16 D. cadier, EU Mission, cit..<br />

17 Maria Derks & Megan Price, The EU and Rule of Law Reform in Kosovo, conflict research<br />

Unit netherlands institute for international relations ‘clingendael’, The Hague,<br />

november 2010, pp. 1-48-<br />

18 il Progress Report per il 2013 della commissione europea sul processo di adesione del<br />

Kosovo si può leggere in http://goo.gl/ohDVa4.<br />

19 D. cadier, EU Mission, cit.<br />

20 charles cadwell, Serbia-Kosovo Agree to Normalize Relations, Now to Normalize Society,<br />

“MetroTrends blog”, The Urban institute, april 22, 2013, in http://goo.gl/KwpXai.<br />

21 La decisione di avviare i negoziati per l’adesione della Serbia è stata presa dal consiglio<br />

europeo di giugno 2013. Le Conclusioni si leggono in http://goo.gl/YsWLpU.<br />

22 L’avvio dei negoziati per la firma dell’accordo di Stabilizzazione e associazione con il<br />

Kosovo fu annunciato dalla commissione il 28 ottobre 2013 (http://goo.gl/Vesmv9).<br />

il 27 luglio 2014, al termine dei negoziati, l’accordo (che consta di 416 pagine, suddivise<br />

in 10 titoli, 7 allegati e 5 protocolli) è stato siglato a Pristina dal rappresentante della<br />

commissione e dal Ministro kosovaro per l’integrazione europea (cfr.<br />

http://goo.gl/JF2DW9).<br />

23 balkan investigative report network (birn), Kosovo Judges cannot handle politicallysensitive<br />

cases, February 14, 2014, in http://goo.gl/zqttcK.<br />

24 cfr. http://goo.gl/6PScta.<br />

25 cfr. http://goo.gl/4wWbac.<br />

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F O C U S<br />

L'ESTENSIONE DEL MANDATO DI EULEX IN KOSOVO<br />

26 il Kosovo è uno dei Paesi con il più alto tasso di corruzione al mondo come anche rilevato<br />

da Transparency international. Per i relativi dati, si veda appunto Transparency<br />

international, Global Corruption Barometer 2013: Kosovo, in http://goo.gl/2vFKYD;<br />

id., Corruptions Perceptions Index 2013, che si legge in http://goo.gl/Ga9vtf; republic<br />

of Kosovo anti-corruption agency, Annual Report: January-December 2012, March<br />

2013, in http://goo.gl/bz8JUa.<br />

27 balkan investigative report network (birn), Kosovo Judges, cit., p. 3 ss..<br />

28 ivi, p. 12.<br />

29 Per una trattazione esaustiva delle funzioni e dell’operatività dei c.d. tribunali misti,<br />

cfr. augusto Sinagra & Paolo bargiacchi, Lezioni di diritto internazionale pubblico,<br />

Giuffré editore, Milano, 2009, pp. 425-431.<br />

30 Hans rilind, The New 2014 Mandate of EULEX: Between Effectiveness and Exit Strategy,<br />

Kosovo civil Foundation report, Pristina, 2014.<br />

31 osservatorio sui balcani e sul caucaso, La difficile transizione del Kosovo post-indipendenza<br />

tra nazione e nazionalismi, 29 settembre 2014, in http://goo.gl/HzyW4o.<br />

32 Hans rilind, The New 2014 Mandate, cit.<br />

33 circa l’85% dei casi istruiti da eULeX tra il 2008 ed il 2012 si sono risolti con la decisione<br />

di non procedere o con l’assoluzione dell’imputato.<br />

34 cfr. http://goo.gl/nMwcca.<br />

35 Transparency international, Global Corruption, cit., 2013.<br />

36 cfr. http://goo.gl/aFasyi.<br />

37 in questo senso le Conclusioni del consiglio europeo di giugno 2013, p. 12.<br />

165<br />

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SICUREZZA: DIRITTO INTERNAZIONALE E UE<br />

F O C U S<br />

La necessità della sicurezza<br />

carLo bUono<br />

Procura Militare della Repubblica di Napoli,<br />

Direttore della Segreteria<br />

THE NECESSITY OF SECURITY. The “right to security” is the power of an individual<br />

to enjoy his fundamental rights. After 9/11, everyone invoked the guarantee of “a<br />

safe life”. Yet, State actions against security threats severely limited those very rights<br />

that were supposed to be protected. When threats is actual and tangible, the need to<br />

ensure security becomes increasingly urgent and necessary. The gravity of the situation<br />

can sometimes justify an earlier response when threat is imminent. Countermeasures<br />

taken in the name of the right to security can affect human rights and found a justification<br />

in the principle of necessity, i.e. the need of security. In international military<br />

missions, the use of force is lawful in case of attack (or imminent attack), hostile act<br />

or hostile intent. The “hostile act” is the intentional behavior aimed at causing serious<br />

damages or risks to coalition forces and likely to contribute directly to an “attack”.<br />

The “hostile intent” is the ability to form groups of units able to create real risks and<br />

identifiable threats against coalition forces. Intent and hostile acts occur before the<br />

attack and the preventive use of force is justified by the Rules of Engagement. Presently,<br />

the question is whether time is ripe for abandoning exceptional countermeasures and<br />

looking instead for efficient procedures and ways to go back to normality and fully<br />

restore the rule of law even in hard cases. Evidence-based Operations (information,<br />

intelligence, and evidence gathered during military operations and put at disposal of<br />

local judiciary) might become the new pillars of a renewed rule-of-law concept.<br />

KEYWORDS: EVBO (EVIDENCE-BASED OPERATIONS) • HOSTILE ACT AND INTENT • PRINCIPLE OF<br />

PROPORTIONALITY<br />

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SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

168<br />

Gli avvenimenti dell’11 settembre 2001 hanno radicalmente trasformato<br />

la comunità mondiale modificando soprattutto le nostre relazioni<br />

sociali. La necessità di molti Stati di “assicurare sicurezza” è stata il motore<br />

di numerose scelte condizionando, in particolare, le produzioni legislative<br />

nazionali ed internazionali. oggi, a distanza di tempo, di là da un’analisi<br />

del “codificato”, è importante compiere un’indagine sul rapporto tra le<br />

azioni sociali ed il mondo del diritto, ossia comprendere come il sistema<br />

delle norme abbia condizionato il vivere comune e, al contempo, sia<br />

stato influenzato da una società nata dopo il tremendo attentato 1 . il rapporto<br />

tra ciò che governa e ciò che è governato è un’antica preoccupazione.<br />

non vi è dubbio che la vera efficacia delle norme è data dalla volontà<br />

della società nella misura in cui una regola è effettivamente vigente<br />

quando l’esigenza dell’individuo e del gruppo diviene esigenza dello Stato<br />

o, addirittura, come nel caso della legislazione anti-terrorismo, valica i<br />

confini di una nazione e diviene la produzione “legislativa” di un’organizzazione<br />

internazionale.<br />

Una delle conseguenze dell’attentato alle Torri Gemelle è una sorta<br />

di doppia violazione dell’ipotetico “diritto alla sicurezza”, una duplice lesione<br />

avvenuta in due momenti storici: da un canto, tutto ciò che, nell’immediatezza<br />

dell’attentato, fu violentemente compromesso e, dall’altro,<br />

e successivamente, le conseguenze delle iniziative e contromisure intraprese<br />

dai vari Stati ed organismi internazionali. Forzando la vera terminologia<br />

giuridica e cercando di dare una connotazione sociologica, si<br />

vuole intendere con “diritto alla sicurezza” la facoltà di ogni individuo<br />

di disporre liberamente dei propri diritti fondamentali: in altre parole,<br />

tutto quel complesso di percezioni, azioni e conseguenze che in nome<br />

della sicurezza interessano un individuo o una comunità 2 .<br />

Le impressioni avvertite nell’immediatezza dell’atto terroristico<br />

furono legate alla percezione del pericolo. La violenta aggressione non<br />

coinvolse solo gli individui presenti ma l’intera comunità mondiale, rimasta<br />

attonita ed impaurita dalla netta sensazione di dover convivere<br />

giornalmente ed in ogni momento con la paura di subire attentati. La<br />

conseguenza è stata che ogni cittadino, desiderando una vita serena e<br />

protetta, si è rivolto alla propria nazione chiedendo la garanzia di “un’esistenza<br />

sicura”. Possiamo anche non elevare la “sicurezza” al rango di<br />

diritto personale, ma non possiamo negare che, comunque, è un bene<br />

sociale e chi governa deve garantire ai cittadini la libera “fruizione” dei<br />

diritti fondamentali. Gli Stati, insomma, non possono esimersi dal porre<br />

in essere un insieme armonico di politiche sociali idonee a ridurre l’illegalità<br />

e, se non esiste un vero “diritto alla sicurezza”, il libero godimento<br />

dei nostri diritti fondamentali con quell’attentato sicuramente è stato<br />

molto compresso.<br />

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LA NECESSITÀ DELLA SICUREZZA<br />

il secondo momento è rappresentato dalle conseguenze dell’azione<br />

governativa richiesta. con l’attentato dell’11 settembre il panorama cambia<br />

bruscamente e si inizia ad avere la netta certezza che la minaccia, o se<br />

vogliamo l’attentato al bene sociale “sicurezza”, assume una connotazione<br />

“globale” al di là dei confini nazionali. L’azione che i Governi hanno<br />

dovuto intraprendere è stata, per forza di cose, decisa e preventiva e ha<br />

dovuto affrontare una situazione straordinaria tanto da prevedere contromisure<br />

eccezionali. ciò ha dato vita ad un paradosso: da un canto, infatti,<br />

la pressione sociale ha richiesto una risposta dura e decisa ma, dall’altro,<br />

la risposta ha comportato una nuova compressione dei diritti<br />

fondamentali. Si pensi, in tal senso, a quei provvedimenti amministrativi<br />

o legislativi che, di fatto, hanno limitato alcune libertà o, addirittura, ad<br />

un provvedimento come il Patriot Act che non incide solo sui diritti dei<br />

cittadini statunitensi ma interessa l’intera comunità mondiale. il “diritto<br />

alla sicurezza” o, comunque, il bene sociale “sicurezza” (intesa come piena<br />

fruizione dei diritti fondamentali) ha dunque subito, in nome della stessa<br />

sicurezza, un nuovo schiacciamento 3 .<br />

La sicurezza diventa allora una priorità. non abbiamo più a che fare<br />

solo con problemi di diritto interno ma assistiamo anche ad azioni internazionali<br />

congiunte contro fenomeni (quali, appunto, il terrorismo)<br />

che prevedono interventi, anche armati, in territori a volte ben lontani<br />

dalla Madre Patria. in realtà, i fenomeni criminali si uniscono o, comunque,<br />

s’intrecciano e le contromisure sono prese come conseguenza<br />

di questa “globalizzazione del crimine”. La nascita dei “pacchetti sicurezza”<br />

o delle politiche di “tolleranza zero” vengono alla luce seguendo le stesse<br />

linee-guida politiche e giuridiche che regolamentano missioni internazionali<br />

in afghanistan, iraq, bosnia o Libano 4 . Tutto ciò comprime<br />

non solo i diritti fondamentali dei cittadini (che anche indirettamente<br />

subiscono le azioni di polizia o militari) ma, a volte, anche i diritti degli<br />

stessi criminali come quello ad avere una difesa od un processo. Lo scopo<br />

della nostra analisi non è quello di denunciare simili profili (sarebbe un<br />

esercizio privo di rilevanza pratica) ma, piuttosto, di cercare di comprendere,<br />

nell’eccezionalità dell’azione politica, quale limite abbia l’uso della<br />

forza, ossia fino a dove sia possibile spingere le proprie azioni nei confronti<br />

di un individuo, di un gruppo di individui o, addirittura, di un altro<br />

Stato senza che si trasformino in una grave aggressione.<br />

non è possibile calare il tutto in una cornice giuridica. il diritto, infatti,<br />

interviene il più delle volte come un correttivo che cerca di disciplinare<br />

le spinte politiche e di limitare l’eccessiva compressione dei diritti<br />

individuali. alla base di tutto, come elemento comune per le azioni di<br />

forza, vi è un problema evidente, ossia l’incremento dello “stato di rischio”<br />

per cui più la minaccia subita è elevata e più le contromisure prevedono<br />

un graduale e susseguente uso della forza. Uno Stato moderno, insomma,<br />

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SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

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non arriva ad emanare leggi speciali riduttive delle libertà individuali se<br />

non in risposta a fenomeni criminali straordinari sempre più gravi. Se<br />

cresce dunque lo stato di rischio, aumenta anche l’uso della forza come<br />

risposta. Questo concetto fa direttamente riferimento al principio di<br />

proporzionalità ma gli Stati, pur riconoscendolo a livello internazionale,<br />

hanno una diversa sensibilità nel codificarlo e, quindi, in sede di applicazione<br />

le volontà nazionali possono differire, ed anche molto, tra loro 5 .<br />

il più delle volte negli ordinamenti interni, e soprattutto nel diritto<br />

penale, il principio di proporzionalità è connesso al concetto di legittima<br />

difesa (la reazione ad un’aggressione è legittima nella misura in cui sia<br />

proporzionata all’offesa) per cui più l’aggressione diviene pericolosa e<br />

più si giustifica l’atto di forza a sua difesa. La proporzionalità non è tra<br />

arma di offesa ed arma di difesa (non è a priori giustificato sparare contro<br />

un aggressore in possesso di una pistola) ma si deve valutare lo stato di<br />

rischio percepito che non sempre è tanto elevato da giustificare l’esplosione<br />

di colpi (si pensi alla diversa reazione nei confronti di un aggressore con<br />

una pistola in tasca o, invece, che punta l’arma contro il bersaglio).<br />

nelle diverse sensibilità nazionali, però, è diverso il valore dell’aggressione<br />

e non per una discorde interpretazione del principio di proporzionalità<br />

ma, piuttosto, per il diverso sistema di valutazione dell’offensività<br />

del gesto. Si parla, ad esempio, di “difesa preventiva” 6 , che<br />

giustifica la “risposta” armata nei confronti di chi ha solamente violato<br />

una proprietà privata, perché quell’azione di per sé è già idonea a rappresentare<br />

una sorta di aggressione “fisica” che, quindi, giustifica, in quanto<br />

proporzionata, la reazione armata. adottando i termini già utilizzati, in<br />

tale situazioni lo “stato di rischio” è elevato e, dunque, è giustificata una<br />

“risposta elevata”. Una concezione “estrema” della difesa preventiva si<br />

distingue anche in relazione al fatto che nella legittima difesa il danno<br />

deve essere “attuale”: chi subisce un’aggressione può difendersi solo fino<br />

a quando questa è in atto e non è “autorizzato”, per il sol fatto di aver<br />

subito l’aggressione, ad usare la forza dopo che l’offesa sia cessata o, addirittura,<br />

ad usarla in via preventiva ipotizzando che un individua possa<br />

essere un potenziale futuro aggressore. nell’esempio prima citato, chi<br />

viola una proprietà privata è un aggressore “capace” di una violenza talmente<br />

elevata che per fermarlo (appunto in modo preventivo) è quindi<br />

lecito esplodere colpi di arma da fuoco e la proporzionalità della risposta<br />

sta nella diversa percezione del comportamento. Su questa linea, la nostra<br />

dottrina discute ancora oggi in merito ai cosiddetti mezzi “offendicoli” 7 ,<br />

ossia sul difendersi mediante recinzioni, cocci di vetro, cani da guardia e<br />

quant’altro possa comportare danni, anche letali, per la persona introdottasi<br />

magari solo per compiere un furto e, quindi, senza alcuna velleità di<br />

aggredire. in linea con la giurisprudenza prevalente, gli esempi riportati<br />

costituiscono mezzi “offendicoli visibili” nel senso che il ladro è<br />

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LA NECESSITÀ DELLA SICUREZZA<br />

preavvisato della pericolosità del suo gesto. Pur tuttavia, la proporzionalità<br />

non viene valutata con riguardo allo specifico “attuale” pericolo ma a<br />

priori, quasi a costituire una sorta, appunto, di “difesa preventiva”.<br />

Sempre in tema di proporzionalità, un ulteriore livello, dove lo scenario<br />

muta sensibilmente, è costituito dalla difesa del “pubblico”. Un esempio<br />

significativo è offerto dall’azione di difesa che svolge la sentinella:<br />

in questa, infatti, i principi di attualità e proporzionalità seguono logiche<br />

diverse. Si parla di difesa del “pubblico” perché, in realtà, la sentinella<br />

non difende se stessa ma l’installazione presso cui monta di guardia ed il<br />

suo compito è proprio quello di impedire l’accesso all’area che protegge.<br />

Per eseguire tale compito è stata armata e, prima di reagire, deve seguire<br />

una procedura conosciuta nell’ambiente militare come “escalation of<br />

force”. Di fronte al tentativo di introduzione clandestina, quindi, la sentinella<br />

reagisce dapprima solo con avvertimenti vocali che diventano<br />

sempre più pressanti (dalla semplice intimazione di fermarsi – alto là –<br />

alla minaccia di usare la forza – alto là, fermo o sparo) e, successivamente,<br />

con l’esplosione di colpi di avvertimento che, a fronte del perdurare dell’azione<br />

minacciosa, vengono poi indirizzati verso zone del corpo non<br />

vitali e, in ultima ipotesi, diventano invece letali. L’accesso illegittimo in<br />

una infrastruttura militare, quindi, presenta un grado di offensività tanto<br />

elevato da “autorizzare” come extrema ratio anche l’uso letale della forza.<br />

in questo caso, dunque, gli attori in gioco sono mutati ed il concetto di<br />

sicurezza (qui: “sicurezza militare”) riconfigura la situazione ad un livello<br />

diverso da quello della legittima difesa, chiama in causa altre cause di<br />

giustificazione ma, preme dirlo, non si discosta poi molto dal concetto<br />

di “difesa preventiva”.<br />

La proporzionalità è, dunque, un concetto giuridico che può essere<br />

analizzato da varie prospettive. essa, in realtà, non costituisce solamente<br />

un principio fondamentale di molte cause di giustificazione tipiche del<br />

diritto penale ma diventa anche il fondamento di scelte politiche. il<br />

pieno rispetto dei diritti fondamentali, barriera invalicabile in uno Stato<br />

democratico, è alla base di molte carte costituzionali e, in tale contesto,<br />

le libertà fondamentali sono l’espressione di diritti soggettivi che l’ordinamento<br />

giuridico deve garantire. ebbene, nelle stesse carte costituzionali<br />

si parla della possibilità di limitare il pieno godimento di tali diritti in<br />

casi tassativi disciplinati dalla stessa costituzione. ancora una volta la<br />

“sicurezza” diventa la causa di alcune limitazioni. Si pensi, ad esempio,<br />

gli artt. 16 e 17 della costituzione italiana dove, in situazioni eccezionali<br />

e contingenti, per evitare rischi eccessivi è possibile contenere le libertà<br />

individuali. La logica è che se un problema coinvolge oppure è potenzialmente<br />

pericoloso per la collettività, l’intervento dell’autorità deve<br />

poter essere tale da limitare la libertà del singolo. non è anche questo un<br />

profilo attinente la questione della “proporzionalità”? cresce lo stato di<br />

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SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

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rischio e cresce anche l’uso della forza, e la gradualità di tale uso sta, appunto,<br />

nell’evitare il rischio così come accade alla sentinella che non<br />

difende se stessa ma, piuttosto, la “sicurezza” della struttura militare<br />

seguendo una escalation di avvertimenti sino ad esplodere i colpi di arma<br />

da fuoco nel momento in cui la minaccia divenga concreta ed elevata. a<br />

monte, vi è la limitazione del diritto costituzionalmente garantito della<br />

libertà di movimento: il cittadino, infatti, è soggetto al divieto di introdursi,<br />

senza autorizzazione, in “territorio militare” in ragione delle necessità<br />

legate alla sicurezza dello Stato e, quindi, la limitazione della sua<br />

libertà si spinge fino a legittimare una risposta letale nei suoi confronti.<br />

Un altro esempio che ci avvicina maggiormente al cuore del problema<br />

“sicurezza” riguarda il Vertice del G-8 del 2009 in italia dove fu autorizzato<br />

l’utilizzo di un drone con sistemi di sorveglianza aerea 8 . in pratica, si<br />

ebbe una decisa compromissione del “diritto alla riservatezza” dato che i<br />

movimenti nell’area in questione e nelle aree limitrofe furono sorvegliati<br />

senza una preventiva autorizzazione di un magistrato ma solo in forza di<br />

una decisione politica tesa a garantire, in occasione di un Vertice internazionale<br />

di alto livello che determinava un notevole incremento dello<br />

“stato di rischio”, la massima sicurezza. ancora una volta viene in linea di<br />

conto il principio di proporzionalità (più alto è lo stato di rischio, più<br />

diventa lecito l’uso della forza) qui legato all’eccezionalità della situazione<br />

dato che sarebbe del tutto impensabile ipotizzare in condizioni normali<br />

che la nostra aeronautica utilizzi droni per sorvegliare i movimenti degli<br />

italiani.<br />

Vi è, però, un altro elemento di cui tenere conto dato che rappresenta<br />

il collante che lega tutto il discorso e, cioè, quello della “necessità” da intendersi<br />

come il principio che definisce l’azione idonea ad evitare il<br />

rischio che si manifesta 9 . nella legittima difesa, una volta eliminato lo<br />

stato di rischio, fermato l’aggressore e messolo in condizioni di non offendere,<br />

non è più possibile continuare l’azione che, altrimenti, diverrebbe<br />

“non necessaria” oltre che “sproporzionata”. Per la stessa ragione l’utilizzo<br />

dei droni durante il G-8, “necessario” per evitare attentati, non è al contempo<br />

“necessario”, e quindi ammesso, in condizioni diverse, ossia per<br />

gli ordinari controlli delle abitudini e dei movimenti delle persone che<br />

attraversano l’area sorvegliata. ne segue che, nella legittima difesa individuale<br />

e pubblica, chi subisce l’aggressione può solo difendersi con la<br />

forza necessaria per evitare un danno attuale e non è “autorizzato” in<br />

virtù dell’aggressione subita ad usare la forza una volta che l’offesa sia<br />

cessata: la necessità si lega dunque al perdurare dello stato di rischio. il<br />

volo del drone durante il G-8, invece, permette di controllare gli individui<br />

a prescindere che siano o meno terroristi e, quindi, a prescindere che<br />

siano aggressori o potenzialmente pericolosi, e serve quindi al controllo<br />

di un’area e di persone che hanno comportamenti “normali” e non apri-<br />

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LA NECESSITÀ DELLA SICUREZZA<br />

oristicamente illeciti. in questo caso, pertanto, il discorso che si viene a<br />

delineare è più complesso: la necessità sta nel prendere contromisure dinanzi<br />

ad uno stato di rischio eccezionale non immediatamente ed espressamente<br />

percepibile ma comunque concreto.<br />

il mondo attuale è attraversato da fenomeni, come il terrorismo,<br />

che costituiscono un pericolo grave e che influiscono sulla vita delle persone.<br />

La libera “fruizione” dei diritti fondamentali è compromessa e la<br />

vita giornaliera affronta una mutata condizione della sicurezza in cui i<br />

controlli sono molto più diffusi e numerose sono le limitazioni agli<br />

spostamenti. Le nazioni, singolarmente o nell’ambito della cooperazione<br />

internazionale, devono agire affinché sia ridotto sensibilmente lo stato<br />

di rischio perché questa è la richiesta che ogni cittadino rivolge all’autorità<br />

politica. il problema è che le azioni di carattere eccezionale spesso sono<br />

lesive delle libertà individuali. Questa compressione dei diritti non è un<br />

fatto nuovo (come detto, i sistemi costituzionali e legislativi la prevedono<br />

in casi eccezionali) e, del resto, sarebbe impensabile non garantire una<br />

cornice di sicurezza elevata in occasione di Vertici come quello del G-8.<br />

occorre, però, comprendere fino a dove, per evitare certe limitazioni ai<br />

diritti individuali, ci si possa spingere verso la limitazione di altri diritti.<br />

La nostra costituzione, come altre, prevede la possibilità di operare<br />

limitazioni in nome della sicurezza ma non stila un elenco di quando e<br />

come ciò possa avvenire e si limita ad evidenziare che, per determinati<br />

scopi, è “necessario” operare in tal senso. La scelta è dunque rimessa alla<br />

politica e consiste nel prendere contromisure preventive quando lo stato<br />

di rischio diventa elevato. Si obietta che il limite a tale operare sta comunque<br />

nel rispetto della vita umana e che, quindi, non è possibile, fosse<br />

anche nel nome della sicurezza, uccidere o provocare lesioni gravi. anche<br />

su questo punto, però, il dubbio permane: se, ad esempio, i dirottamenti<br />

avvenuti l’11 settembre fossero stati preventivamente intuiti, si sarebbe<br />

potuto ordinare l’abbattimento degli aerei onde evitare una simile strage.<br />

Una scelta indubbiamente drammatica e non priva di conseguenze<br />

politiche (e giuridiche) ma forse inevitabile e, comunque, sempre condotta<br />

in nome del diritto alla sicurezza.<br />

in questa prima parte delle nostre riflessioni, si è partiti da una situazione<br />

in cui il privato cittadino, per garantire a se stesso la sicurezza,<br />

può utilizzare la forza in modo proporzionale per difendersi da un danno<br />

attuale, per giungere alla situazione in cui lo Stato è chiamato a garantire<br />

la sicurezza, e quindi la difesa, di una installazione militare oppure a<br />

prendere contromisure “speciali” e “straordinarie” atte a prevenire ogni<br />

rischio. il passaggio ulteriore sta nel fatto che le contromisure adottate<br />

in nome della sicurezza possono persino ledere quel diritto fondamentale<br />

per eccellenza che è il diritto alla vita e trovare fondamento nel principio<br />

di necessità. Gli altri principi, quello della proporzionalità e dell’attualità<br />

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del danno, giocano invece ruoli diversi, sempre più attenuati man mano<br />

che l’autorità statale si trova a dover garantire una vita sicura.<br />

in tale crescendo, si vuole ora, nelle pagine che seguono, introdurre<br />

un ulteriore livello, legato alla partecipazione alle missioni internazionali<br />

e alle azioni che i nostri militari compiono in nome della sicurezza. in<br />

tale contesto la cornice legislativa è più ampia perché non coinvolge solo<br />

il diritto nazionale ma anche quegli ambiti internazionali in cui certe<br />

azioni, di difesa o di supporto alle Forze armate e di Polizia di altri<br />

Paesi, trovano giustificazione nelle risoluzioni delle nazioni Unite, negli<br />

accordi internazionali ed in quelle determinazioni prettamente militari<br />

come direttive, ordini e regole d’ingaggio. Sebbene ogni missione abbia<br />

le proprie regole e la propria storia (rendendo così impossibile delineare<br />

un quadro giuridico unitario e, dunque, valutare in modo univoco i limiti<br />

dell’azione svolta a tutela della sicurezza), è comunque possibile comprendere<br />

quale sia la minaccia ovvero identificare quale sia il rischio da<br />

contrastare mediante le opportune contromisure.<br />

Secondo la Law of Armed Conflict (Loac) esistono quattro gradi<br />

di possibile minaccia: l’attacco; l’imminente attacco; l’atto ostile; l’intento<br />

ostile 10 .<br />

i primi due sono abbastanza semplici da classificare: un “attacco” si<br />

verifica quando la forza viene impiegata contro militari o forze di polizia<br />

impiegate nella missione internazionale o, più in generale, contro beni e<br />

persone protette. L’attacco costituisce una minaccia attuale e comporta<br />

uno stato di rischio elevato. Gli atti che, invece, sono inequivocabilmente<br />

prodromici all’attacco e che, in quel momento, costituiscono una minaccia<br />

incombente (puntare un’arma contro, lanciarsi imbottito di esplosivo<br />

contro un’installazione, etc.) sono qualificabili come “attacco imminente”.<br />

in queste due situazioni è riconosciuto il diritto universale di difesa,<br />

ossia la self-defense che implica la difesa non solo di se stessi ma anche del<br />

bene o delle persone affidate. in questi casi, l’atto di difesa deve integrare<br />

i requisiti dell’immediatezza (la risposta deve avvenire subitaneamente<br />

rispetto all’attacco), della proporzionalità (la risposta deve essere graduata<br />

rispetto all’offensività dell’attacco) e della distinzione (la risposta deve<br />

essere esclusivamente diretta contro l’aggressore). La necessità, che è l’esigenza<br />

di sicurezza, è quella di eliminare lo stato di rischio e, quindi,<br />

l’azione difensiva si deve interrompere nel momento in cui cessa lo stato<br />

di rischio.<br />

Più difficile, invece, è definire un “atto” o un “intento ostile” poiché<br />

tali situazioni non sempre si manifestano in modo evidente ed, anzi, il<br />

più delle volte assumono connotazioni diverse in funzione delle scelte<br />

politiche contingenti o dell’intento dell’agente. in generale, quindi, ci<br />

riferiamo a tutte quelle situazioni che non creano, nel preciso momento<br />

in cui sono realizzate, uno “stato di rischio” ma che sono comunque<br />

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LA NECESSITÀ DELLA SICUREZZA<br />

idonee, nello sviluppo futuro degli avvenimenti, a sostanziare una minaccia.<br />

L’atto ostile è, infatti, quel comportamento intenzionale idoneo<br />

a contribuire direttamente a situazioni di “attacco” e che può causare<br />

grave pregiudizio o grave pericolo per i militari o le forze della coalizione<br />

internazionale. Simili comportamenti non costituiscono quindi un attacco<br />

effettivo ma sono comunque tali da poterlo causare. L’esempio<br />

classico è quello del posizionamento di un “artificio esplosivo improvvisato”<br />

(Improvised Explosive Device) idoneo ad esplodere al passaggio<br />

dei militari. L’attività di posizionamento dell’artificio esplosivo non costituisce<br />

un “attacco” o un “imminente attacco” perché, in quel momento,<br />

nessuna forza militare o civile sta transitando nel luogo ove viene posizionato<br />

l’artificio e, quindi, non sussiste lo stato di rischio (tanto più<br />

che se tale “atto ostile” viene scoperto non costituirà più una minaccia).<br />

È di tutta evidenza, però, che tale azione criminale sia prodromica ed<br />

idonea a realizzare un attacco.<br />

a volte, è difficile identificare con certezza il confine tra un “atto<br />

ostile” ed un “attacco imminente”. L’elemento di valutazione più importante<br />

è costituito dalla “attualità” dello stato di rischio, ossia dal capire se<br />

l’atto criminale coinvolge, in quel preciso istante, i militari della missione<br />

internazionale. La distinzione fra le due fasi non è senza importanza, né<br />

costituisce un mero esercizio di retorica ed, anzi, le conseguenze sono<br />

notevoli. La presenza militare nelle missioni internazionali ha, infatti,<br />

come principale obiettivo il supporto della popolazione civile, ossia vuole<br />

essere una forza protettiva che garantisce sicurezza in un contesto martoriato.<br />

non sarà mai possibile, a meno di contravvenire agli stessi compiti<br />

della missione, dunque, porre in essere azioni che coinvolgano negativamente<br />

la popolazione locale. il punto è che l’attacco e l’imminente attacco<br />

costituiscono situazioni inaspettate ove la reazione, finalizzata ad eliminare<br />

lo stato di rischio, è improvvisa mentre, con riguardo all’atto ostile<br />

(e, come si vedrà, ancor più con riguardo all’intento ostile), vi è il tempo<br />

di “pianificare” la successiva risposta. Pianificare significa innanzitutto<br />

poter usare una forza graduata e consapevole idonea, da un lato, ad eliminare<br />

le situazioni di rischio futuro e, dall’altro, a non causare soprattutto<br />

ulteriori danni (i c.d. danni collaterali) alla popolazione civile. nella<br />

risposta ad una situazione inaspettata, invece, pur evitando il più possibile<br />

di coinvolgere la popolazione (in altre parole, operando la distinzione<br />

del tiro), l’errore non evitabile (o, comunque, il solo trovarsi sotto attacco)<br />

comporta la possibilità di danni collaterali perché manca una pianificazione<br />

preventiva. in realtà, non sempre per tutti gli Stati la linea di demarcazione<br />

tra un “attacco imminente” ed un “atto ostile” è così chiara:<br />

se, infatti, proviamo a mettere in relazione tale distinzione con quanto<br />

già detto sulla “difesa preventiva”, allora ben si comprende come si possa<br />

175<br />

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F O C U S<br />

SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

176<br />

concepire la risposta ad un “atto ostile”, pur se non costituisce un “attacco<br />

immediato”, secondo i principi della self-defense 11 .<br />

La differenza tra agire in self-defense nei confronti di un attacco<br />

inaspettato oppure pianificare un’azione per evitare una minaccia incombente<br />

riguarda anche un altro aspetto importante, ossia quello delle<br />

“regole d’ingaggio” (Rules of Engagement, RoE). Si tratta delle direttive<br />

tecnico-militari per disciplinare i casi, ed i limiti, dell’impiego della forza.<br />

esse devono essere conformi al diritto internazionale e si legano a scelte<br />

politiche che siano idonee a fronteggiare una situazione di crisi. Le RoE<br />

sono, dunque, uno strumento di pianificazione che i comandanti debbono<br />

utilizzare nel momento in cui organizzano un’azione di forza. in<br />

altre parole, le RoE definiscono il sistema e, soprattutto, i limiti dell’utilizzo<br />

della forza a qualunque livello ed in qualunque momento della missione.<br />

Disciplinano, insomma, il modo d’agire, le procedure da attuare,<br />

le azioni da intraprendere ed anche il tipo di armamento da utilizzare in<br />

relazione allo stato di rischio. ancor prima di effettuarla, infatti, pianificare<br />

una missione significa organizzare una forza armata che faccia fronte<br />

ad una minaccia più o meno elevata e le RoE indicano il livello di rischio<br />

da affrontare. Dotare la forza di un armamento piuttosto che di un altro<br />

ed addestrarla a certe reazioni significa pianificare secondo i sistemi ed i<br />

limiti all’uso della forza imposti dalle RoE per quella specifica missione<br />

e, se la missione internazionale ha come obiettivo la protezione della<br />

popolazione civile, nessuna regola d’ingaggio potrà mai contemplare la<br />

possibilità di provocare danni collaterali. il solo provocarli, quindi, rappresenta<br />

una violazione delle regole predefinite e non solo quelle delle<br />

convenzioni internazionali sui conflitti armati.<br />

anche se complessa, è in questo contesto che va introdotta la nozione<br />

di “intento ostile” che può definirsi come la probabile ed identificabile<br />

minaccia che consista nella capacità di rendere gruppi, unità od individui<br />

idonei a causare un rischio reale. in particolare, si manifesta nell’intenzione<br />

di attaccare od infliggere danni ed è riconoscibile da informazioni raccolte<br />

(per lo più di intelligence) che indicano la reale possibilità ed il grado di<br />

preparazione che alcuni individui o gruppi di persone hanno nel causare<br />

atti criminali. L’intento ostile si colloca, dunque, in una fase ancora antecedente,<br />

ossia quella di persone o gruppi armati che pianificano (o, comunque<br />

direttamente contribuiscono ad organizzare in modo concreto)<br />

azioni di forza contro i militari membri della coalizione o contro beni e<br />

persone protette. Pur non esistendo un atto od un’azione idonea a causare<br />

uno stato di rischio (e, tantomeno, un attacco), anche contro simili<br />

attività “di progettazione” le “regole d’ingaggio” possono prevedere ed<br />

autorizzare l’uso della forza.<br />

il tema è senza dubbio complesso, quasi scivoloso. in pratica, vengono<br />

raccolte informazioni che identificano la volontà e l’idoneità di alcune<br />

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F O C U S<br />

LA NECESSITÀ DELLA SICUREZZA<br />

persone a condurre gravi attacchi e, sulla scorta di queste, viene dunque<br />

raggiunta una “certezza” che autorizza poi l’azione militare. il punto è<br />

quindi capire quali tipi di reazioni sono lecite o, se vogliamo, proporzionali.<br />

in altre parole, il punto è determinare se la necessità di sicurezza<br />

possa giustificare il ritenere “colpevoli” alcuni individui al di là di una<br />

procedura giudiziaria. non si tratta di una questione teorica ma reale<br />

perché, dopo l’11 settembre, molte azioni hanno fatto propria questa<br />

logica. in ambito militare si parla allora di targeting ovvero di un processo<br />

che, in una prima fase, identifica come certa una minaccia (positive identification)<br />

– e, dunque, riconosce (ed accerta) l’obiettivo come militare –<br />

e, in una seconda fase, sceglie e pianifica l’azione nei confronti di questo<br />

obiettivo (target). Tale processo ha dunque sempre a proprio fondamento<br />

la necessità della sicurezza e la gamma delle molteplici azioni proposte<br />

può andare dalla cattura della persona alla sua tortura e, financo, alla sua<br />

eliminazione fisica.<br />

Questo tipo di azioni sono però giustificate? La risposta non è<br />

sempre facile.<br />

in via preliminare, e per sgombrare il campo da ogni possibile equivoco,<br />

va evidenziato come i comportamenti in guerra incontrino, comunque,<br />

limiti ben definiti nelle convenzioni internazionali e, in particolare,<br />

nelle convenzioni e nei Protocolli di Ginevra. in questi,<br />

ovviamente, non è vietato sopprimere il “nemico” (atto che, sebbene<br />

brutale, è proprio della guerra) ma, altrettanto ovviamente, non è neanche<br />

permesso compiere atti di tortura o, comunque, infliggere trattamenti<br />

disumani od inutili sofferenze. Simili azioni restano, e a maggior ragione,<br />

proibite anche quando realizzate non nell’ambito di un “conflitto classico”<br />

e dichiarato tra due Stati ma in operazioni internazionali di altro tipo.<br />

Sebbene “autorizzata” con un provvedimento del Presidente degli Stati<br />

Uniti, a sua volta “autorizzato” da un atto legislativo qual è il Patriot Act,<br />

la tortura inflitta alle persone catturate perché sospette di terrorismo<br />

non appare un atto giustificato dalla necessità della sicurezza giacché<br />

resta comunque contrario ad ogni logica giuridica e, tra l’altro, neanche<br />

idoneo a raggiungere la certezza di una informazione genuina. Quest’ultimo<br />

aspetto non è di secondario rilievo sol che si pensi alla positive identification<br />

di un terrorista (obiettivo militare) realizzata sulla scorta di<br />

una confessione estorta con la tortura. L’illecito comportamento determina<br />

un loop critico perché l’informazione estorta (magari neanche vera<br />

perché, appunto, estorta) diventa il fondamento di una nuova azione di<br />

forza e quindi, in pratica, la necessità della sicurezza non è più la giustificazione<br />

di tale azione. rimane, però, da comprendere – ed è l’aspetto<br />

più complesso – se comportamenti conformi al diritto internazionale,<br />

tenuti nell’ambito di una azione militare condotta per fronteggiare situazioni<br />

eccezionali, siano comunque leciti.<br />

177<br />

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F O C U S<br />

SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

Per tornare ora all’ambito del diritto italiano, di rilevante interesse<br />

è quella norma di legge (tra l’altro poco conosciuta se non dagli addetti<br />

ai lavori… e neanche tutti!) introdotta nel 2009 dal Decreto Legge n.<br />

152 (poi convertito nella Legge 29 dicembre 2009, n. 197) riguardante<br />

“disposizioni urgenti per il finanziamento alle missioni” (sic!) il cui art.<br />

4, co. 1, sexies e septies recita<br />

1-Sexies: non è punibile il militare che, nel corso delle missioni di<br />

cui all’articolo 2, in conformità alle direttive, alle regole di ingaggio<br />

ovvero agli ordini legittimamente impartiti, fa uso ovvero ordina di<br />

fare uso delle armi, della forza o di altro mezzo di coazione fisica, per<br />

le necessità delle operazioni militari.<br />

1-Septies: Quando nel commettere uno dei fatti previsti dal comma<br />

1-Sexies si eccedono colposamente i limiti stabiliti dalla legge, dalle<br />

direttive, dalle regole di ingaggio o dagli ordini legittimamente impartiti,<br />

ovvero imposti dalla necessità delle operazioni militari, si applicano<br />

le disposizioni concernenti i delitti colposi se il fatto è previsto<br />

dalla legge come delitto colposo.<br />

178<br />

Su questa nuova causa di giustificazione, “momentanea” perché<br />

legata esclusivamente alle missioni internazionali contemplate dall’art. 2<br />

del Decreto (Libano, afghanistan, iraq, ex-Jugoslavia etc.), si è discusso<br />

molto in dottrina e molte perplessità sono state avanzate 12 . L’analisi che<br />

qui si vuole proporre, però e come già detto, ha una differente chiave di<br />

lettura che prende le mosse dal concetto della necessità della sicurezza.<br />

non vi è dubbio che la norma de quo conferisca ai nostri militari un ombrello<br />

di copertura diverso dalla legittima difesa, dall’uso legittimo delle<br />

armi o dall’adempimento di un dovere. essa, infatti, non ha ad oggetto<br />

l’uso della forza in via esclusivamente difensiva ma, concordemente a<br />

talune regole d’ingaggio, riguarda, consentendole, quelle azioni offensive<br />

idonee ad intervenire su un obiettivo militare che “impedisca” il corretto<br />

svolgersi della missione affidata. ci troviamo, dunque, nell’ambito della<br />

procedura prima indicata di targeting in cui l’utilizzo della forza diventa<br />

parte di una azione deliberata atta ad eliminare la persona che rappresenta<br />

un serio ed insormontabile pericolo alla sicurezza. È evidente che “azione<br />

deliberata” significa individuazione certa della minaccia non solo con<br />

riguardo all’identificazione della persona ma anche con riguardo alla<br />

prova della sua evidente e diretta partecipazione alle azioni “terroristiche”.<br />

il filo logico da seguire parte, dunque, dal compito affidato alla missione<br />

internazionale (il più delle volte con una risoluzione delle nazioni Unite)<br />

che ne costituisce il mandato. Tale “obiettivo strategico”, che nella sua<br />

forma embrionale si può riassumere nell’espressione “assicurare la sicurezza”,<br />

va perseguito anche se elementi o gruppi opposti con azioni<br />

mirate ne impediscono scientemente il conseguimento: per la realiz-<br />

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F O C U S<br />

LA NECESSITÀ DELLA SICUREZZA<br />

zazione dell’end state, ed in nome della “necessità”, può allora essere “deliberata”<br />

un’azione atta ad eliminare tale ostacolo.<br />

La vera preoccupazione, in realtà, non sta tanto nell’azione ma, a<br />

monte di questa, sta piuttosto nella positive identification. Se sono gli elementi<br />

di intelligence a fondare la decisione che designa l’attività di un<br />

certo individuo come diretta partecipazione alle azioni contro la missione<br />

internazionale, è allora necessario chiedersi se tali elementi possano essere<br />

assunti a livello di prova. La norma italiana prima indicata sembrerebbe<br />

aver aggirato l’ostacolo. in pratica, infatti, il “supporto legale” sta nell’aver<br />

agito in modo conforme alla pianificazione (direttive e ordini) e, soprattutto,<br />

alle regole d’ingaggio: se, dunque, l’azione ed il susseguente uso<br />

della forza sono contemplati in una di queste regole, allora l’attività del<br />

militare viene giustificata 13 . ne segue che, giustificando l’azione ed attribuendo<br />

alla regola d’ingaggio un simile valore, si dà alla certezza<br />

fondata sull’intelligence un valore formidabile. Per questo ci si trova ad<br />

un livello diverso rappresentato dalla norma di legge, prodotto di una<br />

volontà prettamente politica esercitata in nome della sicurezza, che giustifica<br />

un’attività che non può non essere eccezionale.<br />

non si vuole semplificare perché si è ben consapevoli che ampia è la<br />

discussione sia per comprendere limiti e modi dell’azione (e, dunque, i<br />

limiti della “causa di giustificazione”) che per fissare il confine tra l’eccesso<br />

(comma 1-Septies) e, invece, l’uso “concesso” della forza (comma 1-Sexies).<br />

Questa nostra indagine ha, però, un valore più sociale che giuridico tanto<br />

che ha analizzato il modo di agire in nome della “necessità della sicurezza”<br />

partendo da un concetto puro di difesa ove la self-defense, universalmente<br />

riconosciuta, rappresentava la base dell’azione di forza e gli elementi costitutivi<br />

dell’attualità del pericolo e della proporzionalità della risposta<br />

ne erano il baluardo. il concetto, però, non si è fermato a questo stadio:<br />

la necessità di sicurezza ha imposto l’azione preventiva e non sempre<br />

proporzionale all’attualità del pericolo. L’eccezionalità del momento<br />

storico ha rafforzato, insomma, il concetto di prevenzione ed il nostro<br />

modo di agire si è orientato verso la giustificazione della “difesa preventiva”<br />

perché questa era la necessità politica (poi giustificata dal successivo<br />

impianto legislativo). avallare l’azione deliberata di tipo offensivo ha<br />

permesso, in altre parole, una difesa efficiente dalla minaccia del terrorismo<br />

in nome di quella necessità della sicurezza inizialmente richiesta “a<br />

furor di popolo”.<br />

oggi è necessario chiedersi se i tempi siano maturi per abbandonare<br />

l’eccezionalità ed individuare procedure e modi efficienti che segnino il<br />

ritorno alla normalità. nelle stesse missioni internazionali, durante la<br />

fase di smobilitazione si insiste molto sull’interessante concetto di Rule<br />

of Law che è proprio di un intervento internazionale in un’area disastrata<br />

dove la sicurezza è minacciata ed i diritti umani compromessi. in sostanza,<br />

179<br />

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F O C U S<br />

SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

180<br />

chi interviene, sia esso civile o militare, deve raggiungere l’obiettivo di ridare<br />

“forza alla legge” ovvero ristabilire la presenza di uno Stato con le<br />

sue diramazioni amministrative, legislative e giudiziarie. Più lo Stato<br />

guadagna terreno e più l’ordine e la sicurezza vengono ristabiliti, minore<br />

è la possibilità che il crimine, anche legato a fenomeni terroristici, si rafforzi.<br />

È di tutta evidenza che il concetto di targeting mal si sposi con una<br />

simile dottrina nella misura in cui, tramite il targeting, il terrorista/criminale<br />

viene “eliminato dal teatro operativo” con un’azione militare, dunque<br />

eccezionale, che non garantisce però un futuro perché la soluzione militare<br />

non è mai una soluzione definitiva. ciò significa che – mettendo su una<br />

ipotetica bilancia, da un lato, le azioni di targeting deliberato e, dall’altro,<br />

l’azione giudiziaria di un processo con la raccolta delle prove, la possibilità<br />

per l’imputato di difendersi ed, eventualmente, la condanna – il nostro<br />

operare dovrà favorire questa seconda soluzione a scapito della prima.<br />

Per dirla in altri termini, in un piatto abbiamo la “cattura” di un nemico<br />

manu militari e nell’altro, invece, “l’arresto” di un criminale per ordine<br />

(o convalida successiva) dell’autorità giudiziaria. Per passare da un<br />

sistema all’altro possiamo anche concepire situazioni intermedie in cui<br />

le attività di intelligence (la possibilità di individuare il terrorista, la sua<br />

ricerca e cattura affidata ad un organismo militare operante nelle missioni<br />

internazionali) possano essere messe a disposizione delle forze di polizia<br />

locali (ancora non autonome o con limitata capacità “tecnica”) e, tramite<br />

queste ultime, fatte poi entrare in un processo penale affinché un giudice<br />

le possa valutare. L’azione militare, insomma, filtrata dall’azione della<br />

polizia locale o, comunque, di supporto a quest’ultima, diviene utile per<br />

“costruire” l’accusa nei confronti di una persona che ha compiuto, finanzia<br />

o contribuisce alla commissione di atti terroristici. Questo concetto viene<br />

oggi denominato Evidence-Based Operations (EvBO) ed è ancora tutto<br />

da sviluppare 14 . Vari sono gli interrogativi e complesso sarà trasformare<br />

le informazioni (intelligence) in prove (evidences) o, comunque, “declassificare”<br />

le informazioni militari per renderle “civili” in modo da adattare<br />

quanto raccolto al sistema processuale locale (ad esempio, non sarà facile<br />

trasformare un informatore in un testimone). L’attività è complessa anche<br />

in relazione al grado di corruzione della polizia locale o alla sua compromissione<br />

con il terrorismo. Serve, quindi, un’azione congiunta che coinvolga<br />

molte e diverse realtà operanti.<br />

L’obiettivo di quest’ultimo passaggio è, però, quello di un “ritorno”<br />

alla normalità perché la necessità della sicurezza può giustificare situazioni<br />

contingenti di carattere eccezionale ma, come tutte le situazioni straordinarie,<br />

esse devono poi avere un termine. il perdurare dei fenomeni di<br />

terrorismo non può divenire la giustificazione per azioni che si svolgono<br />

ai margini del diritto. oggi si discute molto sulla necessità di condurre<br />

la “guerra” con sistemi diversi. a maggior ragione, dunque, l’agire militare<br />

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F O C U S<br />

LA NECESSITÀ DELLA SICUREZZA<br />

– che è un’attività straordinaria e momentanea – deve alla fine condurre<br />

verso un sistema di Stato che sia duraturo e sicuro. Forse, il sistema delle<br />

EvBO è un nuovo modo per riscrivere una dottrina ed indicare una<br />

strada… più sicura!<br />

NOTE<br />

1 nell’ampia bibliografia sul tema, per una voce spesso “fuori dal coro”, a volte discutibile<br />

ma comunque utile per riflettere, si veda noam chomsky, Linguaggio e politica e riflessioni<br />

sul mondo dopo l’11 settembre, Di renzo editore, roma, 2002.<br />

2 Sul concetto di “diritto alla sicurezza”, si veda Thomas Hobbes per il quale (Leviatano,<br />

1651) lo Stato è fondato sul valore intrinseco della sicurezza. cfr. anche Tommaso<br />

edoardo Frosini, Diritto alla sicurezza e tutela delle libertà: un crinale sottile che esalta<br />

le democrazie, “Guida al diritto”, n. 32 (2005), n. 32, p. 5.<br />

3 il Patriot Act si legge in http://goo.gl/UWzkUn.<br />

4 a tal proposito è interessante la “teoria delle finestre rotte” sull’effetto psicologico che<br />

le condizioni di degrado e di abbandono di aree urbane possono determinare nella<br />

percezione della sicurezza da parte degli individui. Questa teoria è alla base di varie<br />

strategie operative per la prevenzione ed il contrasto alla criminalità. cfr. James Q.<br />

Wilson, George L. Kelling, Broken Windows: The Police and Neighborhood Safety,<br />

“atlantic Monthly” (March 1982).<br />

5 La bibliografia sul principio di proporzionalità è, di fatto, sterminata e rende inutile<br />

ogni significativa indicazione di testi. Un’interessante analisi di diritto comparato sul<br />

concetto di difesa proporzionata si legge in carlo alberto zaina, La nuova legittima<br />

difesa: Commento con dottrina e giurisprudenza, Maggioli editore, rimini, 2006.<br />

6 Si parla anche di “legittima difesa anticipata” (cfr. cassazione Penale, sez. i, 6 dicembre<br />

2005, n. 4337) o di “legittima difesa allargata” (cfr. c.a. zaina, La nuova legittima<br />

difesa, cit.).<br />

7 Gli offendicula si riferiscono sia alla legittima difesa che all’esercizio del diritto. Parte<br />

della dottrina ritiene che gli offendicula non riguardano la legittima difesa perché, a<br />

rigore, mancherebbe la proporzionalità tra interesse tutelato e mezzo di tutela e, inoltre,<br />

mancherebbe anche la qualità e l’attualità del pericolo da respingere. alcuni ritengono<br />

che gli offendicula non possano inquadrarsi neanche nella legittima difesa anticipata<br />

perché atti ad offendere sia l’aggressore che il non-aggressore. con riguardo al concetto<br />

di “assicurare la sicurezza”, esistono insomma alcune “zone grigie”.<br />

8 cfr. http://goo.gl/i7MgHv.<br />

9 Tra i numerosi contributi sul principio di necessità e di proporzionalità, oltre che di<br />

necessità militare, si vedano aldo Maria Sandulli, La proporzionalità nell’azione amministrativa,<br />

ceDaM, Padova, 1998; natalino ronzitti, Diritto internazionale dei<br />

conflitti armati, Giappichelli, Torino, 1998; rodolfo Venditti, Il diritto penale militare<br />

nel sistema penale italiano, 7ª ed., Giuffré, Milano, 1997; David brunelli, Giuseppe<br />

Mazzi, Diritto penale militare, 4ª ed., Giuffré, Milano, 2007.<br />

10 Sulla Loac, si veda istituto internazionale di diritto umanitario, Rules of engagement<br />

handbook, international institute of Humanitarian Law, Sanremo, 2009; center for<br />

Law and Military operations (cLaMo), Rules of engagement handbook for Judge Ad-<br />

181<br />

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F O C U S<br />

SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

vocates, charlottesville (Va.), 2000. i testi indicati, e molti altri, si leggono in<br />

http://goo.gl/UjucQP.<br />

11 Su questi ed altri importanti aspetti inerenti le operazioni militari, si veda in generale<br />

il Manuale utilizzato dalla giustizia militare statunitense (Legal Support to Operations,<br />

FM 27-100, Headquarters, Department of the army, 1 March 2000), che si legge in<br />

http://goo.gl/WK4SY3.<br />

12 Fra tutti, si veda l’interessante, ma non sempre condivisibile, contributo di Paolo Maria<br />

ortolani & Francesco zamponi, La rilevanza penale delle Regole d’ingaggio, “informazioni<br />

della Difesa”, aprile 2010; cfr. anche Matteo Tondini, Regole d’ingaggio e<br />

diritto all’autodifesa. Riflessioni e suggerimenti, in “rassegna dell’arma dei carabinieri”,<br />

Vol. 53, no. 1 (2005), pp. 7-54.<br />

13 Una regola d’ingaggio esiste (si tratta della RoE 421) e la si legge in NATO Legal Deskbook,<br />

Second edition, 2010, p. 256, in http://goo.gl/bf3Gd9.<br />

14 cfr. Joop Voetelink, EvBO: Evidence-Based Operations How to Remove the Bad Guys<br />

from the Battlefield, “Journal of international Law of Peace and armed conflict”, no.<br />

4 (2013), pp. 194-201 (il contributo si può leggere anche in http://goo.gl/c3Gliy).<br />

182<br />

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SICUREZZA: DIRITTO INTERNAZIONALE E UE<br />

F O C U S<br />

La crisi umanitaria in Siria e<br />

l’inerzia delle Nazioni Unite<br />

anTonieTTa PiacQUaDio<br />

Scuola Superiore Universitaria per Mediatori Linguistici<br />

(CIELS) di Padova, Docente di Analisi e<br />

strategie di pianificazione delle missioni di pace e di<br />

Risoluzione delle controversie e cooperazione internazionale<br />

THE HUMANITARIAN CRISIS IN SYRIA AND THE INERTIA OF UNITED NA-<br />

TIONS. The article aims at exploring and analyzing the legal and political aspects<br />

linked to the humanitarian crisis in Syria in the light of the praxis and the “decisions”<br />

issued by the United Nations Security Council and other bodies of that Organization.<br />

The overall goal is to understand which motivations have impeded until now an effective<br />

engagement of the international community in that area. The methodology<br />

takes into account the United Nations acts and the doctrinal position known as the<br />

“Responsibility to protect” according to which the International Community would<br />

be allowed to intervene using any necessary means within the sovereign borders of a<br />

State in case the population is suffering gross and systematic human rights violations<br />

and the host State is unable or unwilling to stop the atrocities. At the beginning the<br />

article focuses on the political and legal framework of the conflict; in the second paragraph,<br />

it is discussed how international community of States approached the Syrian<br />

conflict and the main reasons for the substantial failure of international action; at<br />

last, it will be discussed, on one hand, the legal basis of the “Responsibility to protect”<br />

and, on the other, the casting of Russian and Chinese vetoes which halted any Security<br />

Council Resolution concerning Syria. A brief comparison with the Lybian case (where<br />

the Security Council was instead very proactive in its deliberations and actions) will<br />

also be included.<br />

KEYWORDS: HUMANITARIAN CRISIS IN SYRIA; RESPONSIBILITY TO PROTECT; UNITED NATIONS INERTIA<br />

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F O C U S<br />

SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

INTRODUZIONE<br />

184<br />

Dal 2011 si affrontano in Siria diverse forze organizzate la cui violenza<br />

nel tempo ha superato ampiamente la soglia dei semplici<br />

scontri, così passando, per modalità ed intensità, da sporadici<br />

atti di protesta e resistenza armata ad una vera e propria lotta per il controllo<br />

permanente del territorio 1 .<br />

Una tale situazione solleva una serie di interrogativi circa la reticenza<br />

mostrata dalla comunità internazionale nel qualificare tale situazione<br />

come un «conflitto armato». La complessità del quadro degli avvenimenti<br />

ha reso prudente la comunità internazionale e tale prudenza,<br />

molto probabilmente, nasconde l’impossibilità di intervenire in<br />

qualunque modo in un Paese come la Siria 2 . il regime alawita sa, infatti,<br />

di poter contare sul sostegno di russia e cina, due alleati dai diversi interessi<br />

strategici in grado di bloccare, mediante il diritto di veto, qualunque<br />

risoluzione implicante l’utilizzo di misure coercitive contro la Siria. i<br />

perduranti scontri armati e l’intensificarsi dell’azione repressiva da parte<br />

del regime di assad hanno, tra l’altro, enormemente complicato l’azione<br />

internazionale volta ad una soluzione diplomatica del conflitto. L’inasprirsi<br />

dello scontro e delle violenze sull’intero territorio siriano, con<br />

le diverse parti impegnate a contendersi il controllo anche delle principali<br />

città, ha poi fortemente aggravato l’emergenza umanitaria fino al punto<br />

da configurare l’esistenza di una «guerra civile», ossia (e per restare alle<br />

qualificazioni giuridiche) di un «conflitto armato non-internazionale» 3 .<br />

in tale ultimo senso si è anche pronunciato il comitato internazionale<br />

della croce rossa sin dal 2012 dichiarando che «la Syrie est actuellement<br />

le théâtre d’un conflit armé non-international opposant les forces du<br />

gouvernement et un certain nombre de groupes organisés d’opposition<br />

armée» 4 . L’estensione e la natura della violenza armata, nonché il livello<br />

di organizzazione dei gruppi armati non statali in lotta contro il regime<br />

siriano, qualificherebbero appunto come conflitto armato non-internazionale<br />

l’uso della forza in Siria con la derivata possibilità di configurare,<br />

pertanto, gli atti delle parti belligeranti (Governo ed oppositori) quali<br />

«crimini di guerra» 5 . ad una simile conclusione di responsabilità comuni<br />

e condivise era pervenuto anche il Report del Segretario Generale delle<br />

nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani che, infatti e non a caso,<br />

aveva posto l’accento sulle gravi violazioni dei diritti umani commesse<br />

sia dalle forze armate governative che da quelle non governative 6 .<br />

Tutto ciò considerato, la ritrosia a porre in essere un intervento di<br />

natura umanitaria da parte della comunità internazionale, da condurre<br />

sotto l’egida del consiglio di Sicurezza, può trovare una sua spiegazione,<br />

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LA CRISI UMANITARIA IN SIRIA E L'INERZIA DELLE NAZIONI UNITE<br />

oltre che nei precipui interessi di taluni Paesi dell’area, anche in quanto<br />

accaduto precedentemente in Libia 7 .<br />

DIMENSIONE POLITICA DELL’APPROCCIO DELLA COMUNITÀ<br />

INTERNAZIONALE AL CASO SIRIANO<br />

Prima di proseguire, va premesso che la nozione di “comunità internazionale”<br />

è spesso utilizzata per legittimare politicamente le azioni<br />

intraprese da taluni Stati non sempre agenti uti universi: il caso del<br />

Kossovo, da questo punto di vista, fu un perfetto esempio. nel 1999, infatti,<br />

vi era secondo la naTo l’esigenza per la comunità internazionale di<br />

intervenire contro la Serbia, nonostante il dibattito in seno alle nazioni<br />

Unite si orientasse maggioritariamente in senso nettamente contrario 8 .<br />

in termini simili la questione e la situazione si è riproposta anche in occasione<br />

del più recente intervento in Libia 9 . L’uso del termine “comunità<br />

internazionale” si rivela talvolta sospetto, dunque, in quanto esso presuppone<br />

l’universalità della risposta armata del “corpo sociale” degli Stati<br />

in situazioni come quella che vive la Siria sin dal 2011. Lungi, però, dal<br />

manifestare un approccio universalmente condiviso, in simili casi il<br />

ricorso all’uso della forza rappresenta piuttosto la volontà di imporre un<br />

dato morale (a voler essere idealisti) e, certamente, corrisponde ad interessi<br />

particolari e nazionali di certi Stati.<br />

Muovendo da questa precisazione, la situazione siriana può essere<br />

analizzata alla luce della recente esperienza libica. come per la Libia, infatti,<br />

il consiglio di Sicurezza si è interessato alla situazione siriana e,<br />

dopo un anno dall’avvio della repressione delle contestazioni da parte<br />

del Governo alawita, ha adottato una serie di risoluzioni 10 . Mentre, però,<br />

in Libia il consiglio di Sicurezza aveva autorizzato un intervento armato,<br />

ciò non è accaduto per la Siria a causa del veto imposto da russia e<br />

cina 11 . ciò nonostante, la comunità internazionale non è rimasta del<br />

tutto inerte. La Lega araba, ad esempio, aveva già inviato nel dicembre<br />

2011 un gruppo di osservatori con lo scopo di redigere un rapporto che<br />

tenesse conto della situazione sul terreno e le nazioni Unite, insieme<br />

alla Lega araba, avevano inviato a Damasco l’ex Segretario Generale<br />

Kofi annan per negoziare un piano di pace tra le parti belligeranti 12 .<br />

il piano, annesso alla risoluzione 2042 (2012), mirava a far cessare<br />

immediatamente la violenza armata in tutte le sue forme e da parte di<br />

tutte le fazioni, nonché a porre fine alla violazione dei diritti umani, a<br />

garantire l’accesso degli organismi umanitari e, inoltre, a facilitare la transizione<br />

politica diretta all’instaurazione di un regime democratico e pluralista<br />

fondato sul principio di uguaglianza di tutti i cittadini a prescindere<br />

dall’appartenenza politica, etnica o dalle convinzioni religiose. il piano<br />

di pace, inoltre, prevedeva l’apertura di un dialogo politico tra il Governo<br />

185<br />

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SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

e le forze di opposizione e, allo scopo di controllare l’esecuzione del<br />

piano de quo, il consiglio di Sicurezza autorizzava anche il dispiegamento<br />

di un gruppo di osservatori in seno alla missione onusiana di supervisione<br />

(MiSnUS, Mission de supervision des Nations Unies en République arabe<br />

syrienne), istituita con risoluzione n. 2043(2012) del 12 aprile e poi<br />

conclusasi il 20 luglio dello stesso anno. Questa e le successive iniziative<br />

delle nazioni Unite (e, da ultimo, la mancata adozione, per il veto di<br />

russia e cina, della risoluzione n. 348 del 22 maggio 2014, con la quale<br />

il consiglio di Sicurezza intendeva deferire alla corte penale internazionale<br />

la questione siriana) non hanno però impedito il perpetuarsi<br />

di gravi violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario<br />

13 .<br />

ESISTENZA DI UN FONDAMENTO PER IL RICORSO ALL’USO<br />

DELLA FORZA E L’EMERGENTE DOTTRINA DELLA<br />

“RESPONSABILITÀ DI PROTEGGERE”<br />

186<br />

Le misure finora adottate dalla comunità internazionale si sono<br />

dimostrate insufficienti e non hanno scosso più di tanto il regime di<br />

assad il quale gode ancora dell’appoggio dei suoi tradizionali alleati<br />

(russia, cina e, in Medio oriente, iran). L’embargo dell’Unione europea,<br />

l’espulsione degli ambasciatori siriani ed altre misure prese al di fuori<br />

delle nazioni Unite non hanno avuto nessuna efficacia. La stessa MiSMUS<br />

è stata un fallimento ed il piano di Kofi annan non ha dato risultati soddisfacenti.<br />

anche la prospettiva di un referral del caso alla corte Penale<br />

internazionale è naufragata per l’incapacità del consiglio di Sicurezza<br />

di deliberare misure sanzionatorie contro Damasco. a fronte di tali infruttuosi<br />

tentativi e del persistere di gravissime violazioni dei diritti<br />

umani resta da chiedersi se sia lecito profilare un intervento armato.<br />

La decisione di ricorrere all’uso della forza necessita del previo accertamento,<br />

da parte del consiglio di Sicurezza, dell’esistenza di una minaccia<br />

alla pace e alla sicurezza internazionale. La nozione di «minaccia»<br />

fu inserita nella Carta al fine di disporre di una base evolutiva e non vincolante<br />

per il consiglio di Sicurezza. Dalla caduta del Muro di berlino e<br />

con la fine del mondo bipolare, data la natura assai vaga ed elastica della<br />

nozione di «minaccia alla pace», il consiglio di Sicurezza si è, dunque,<br />

servito di tale qualificazione estendendola anche a situazioni di violazione<br />

dei diritti umani per giustificare interventi che superano il limite del<br />

«dominio riservato» 14 .<br />

Gradualmente si è così affermato un nuovo concetto di sicurezza<br />

internazionale secondo cui ciò che succede all’interno dello Stato non<br />

sempre è di sua esclusiva spettanza. Del resto, è la stessa Carta, all’art. 2,<br />

par. 7, a sottrarre l’adozione delle misure necessarie al mantenimento<br />

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LA CRISI UMANITARIA IN SIRIA E L'INERZIA DELLE NAZIONI UNITE<br />

della pace e della sicurezza internazionale al divieto di ingerenza negli<br />

affari interni dello Stato, tanto da profilare, nella recente dottrina e nella<br />

prassi delle organizzazioni internazionali, una nuova forma di “diritto<br />

d’ingerenza”. Le stesse gravissime violazioni dei diritti umani in ruanda<br />

e nei balcani, infatti, diedero avvio ad una riflessione sulla condotta da<br />

tenere in simili circostanze che ha progressivamente consolidato la dottrina<br />

della “responsabilità di proteggere” che ripensa completamente le<br />

possibili reazioni della comunità internazionale alla commissione di<br />

crimina iuris gentium 15 . Secondo tale ottica, infatti, l’accento è posto<br />

sulla responsabilità primaria dello Stato di proteggere la popolazione con<br />

derivata reinterpretazione dello stesso concetto di sovranità che non implicherebbe<br />

più solo il controllo delle autorità sui cittadini, ma anche la<br />

responsabilità verso questi. in altre parole, dunque, lo Stato ha il dovere<br />

di proteggere la popolazione e, se violazioni gravi e sistematiche dei<br />

diritti umani hanno luogo e lo Stato non può o non vuole fronteggiarle,<br />

allora quella responsabilità di proteggere viene a gravare, in via sussidiaria,<br />

sulla comunità internazionale. nella costruzione teorica, si introduce<br />

poi un secondo elemento di novità e la questione dell’intervento militare<br />

per fini umanitari è inserita in un contesto di più ampio respiro 16 .<br />

La “responsabilità di proteggere” nelle sue due dimensioni (nazionale<br />

ed internazionale) si articolerebbe quindi in tre diversi profili: la responsabilità<br />

di prevenire, ossia identificare e gestire tempestivamente le situazioni<br />

critiche che possano degenerare in conflitti interni 17 ; la responsabilità<br />

di reagire, ossia la risposta ad una crisi con il ricorso alla forza<br />

armata solo come extrema ratio 18 ; e, infine, la responsabilità di ricostruire,<br />

soprattutto a seguito di un intervento militare, garantendo piena assistenza<br />

per il necessario ripristino materiale e la riconciliazione delle parti<br />

coinvolte 19 . in tale più completo e complesso contesto, un intervento armato<br />

sarebbe legittimo solo al verificarsi di talune specifiche condizioni 20 .<br />

L’iciSS, dunque, ha sposato l’approccio della legittimità “condizionata”<br />

dell’intervento per fini umanitari. L’azione militare sarebbe quindi<br />

legittima solo in presenza di una «giusta causa», ossia quando volta a<br />

fermare od evitare una perdita di vite umane su ampia scala (che abbia<br />

concretamente luogo o che si teme possa verificarsi) come risultato di<br />

un’azione deliberata dello Stato oppure della mancanza o incapacità dello<br />

stesso di agire, oppure una pulizia etnica su ampia scala (che abbia concretamente<br />

luogo o che si teme possa verificarsi) perpetrata attraverso uccisioni,<br />

espulsioni forzate, atti di terrore e stupri. il riferimento tassativo<br />

alle ipotesi appena indicate e, quindi, l’esclusione di circostanze diverse<br />

(come, per esempio, altre violazioni dei diritti umani o dei principi della<br />

democrazia), mette al riparo la “responsabilità di proteggere” da critiche<br />

fondate sul relativismo culturale e le conferisce una certa “credibilità” 21 .<br />

inoltre, affinché un intervento armato sia legittimo in risposta ad una<br />

187<br />

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SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

delle situazioni indicate, è altresì necessario che l’interveniente persegua<br />

un obiettivo principalmente, se non esclusivamente, umanitario ovvero<br />

un «fine giusto». L’intervento militare dovrebbe, poi, aver luogo solo<br />

allorquando ogni altra opzione sia stata considerata e si abbiano ragioni<br />

fondate di ritenere che nessuna alternativa potrebbe avere successo in<br />

base al criterio dell’uso della forza come extrema ratio 22 .<br />

Lo spettro ideologico di un intervento in Siria in nome della “responsabilità<br />

di proteggere” che possa andare oltre il fine meramente<br />

umanitario allo scopo di garantire l’accaparramento delle risorse o la<br />

ridefinizione della carta strategica regionale, però, ha indotto a forti reticenze<br />

nell’applicazione della dottrina e all’utilizzo del veto da parte degli<br />

alleati del Presidente assad nel consiglio di Sicurezza. non a caso,<br />

dunque, gli ideatori della dottrina della “responsabilità di proteggere”,<br />

consapevoli della possibilità che vi possano essere interessi precipui degli<br />

Stati dietro l’intervento, hanno posto la motivazione umanitaria non<br />

come esclusiva ma come prioritaria.<br />

ALCUNE CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE SULLE RAGIONI<br />

DEL MANCATO INTERVENTO IN SIRIA<br />

188<br />

alla luce di quanto detto, ci si deve interrogare su quali siano le ragioni<br />

del mancato intervento in Siria. Facendo un paragone con il caso<br />

libico 23 , è possibile avanzare alcune conclusioni in merito. La ragione<br />

legata alla presenza del petrolio in Libia e alla sua assenza invece in Siria<br />

è piuttosto semplicistica ed insufficiente a spiegare l’assenza di un intervento<br />

armato. ciò che sicuramente spiega la situazione di stallo in Siria<br />

è il forte sostegno di cui Damasco gode da parte dell’alleato sino-russo, a<br />

differenza di quanto avvenne per la dirigenza libica. il Presidente assad<br />

sa di poter contare su due alleati in grado di bloccare ogni risoluzione<br />

coercitiva nei suoi confronti e che, con motivazioni diverse che rispondono<br />

ai propri interessi nella regione, lo sostengono 24 . il sostegno russo<br />

si spiega non solo per gli interessi economici che Mosca ha in Siria ma<br />

anche e soprattutto per la presenza di una base navale, quella di Tarsus,<br />

che permette alla russia di avere uno sbocco sul Mediterraneo. a sua<br />

volta, pur avendo interessi economici, l’appoggio cinese sembra potersi<br />

ricondurre alla volontà di Pechino di mantenere buoni rapporti con la<br />

russia, suo fornitore di armi, e con l’iran, suo fornitore di idrocarburi.<br />

Tali motivazioni dimostrano che l’idea stessa di una comunità internazionale<br />

capace di far prevalere l’interesse uti universi è relegata in quegli<br />

ambiti laddove non emergano preponderanti gli interessi meramente<br />

soggettivi degli Stati più potenti.<br />

Un altro elemento che depone a sfavore di un intervento in Siria è<br />

l’effettiva fattibilità un’operazione militare nella regione. Se in Libia tale<br />

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LA CRISI UMANITARIA IN SIRIA E L'INERZIA DELLE NAZIONI UNITE<br />

prospettiva apparve possibile, sia pure limitatamente allo spazio aereo,<br />

un’operazione militare sul territorio siriano potrebbe rivelarsi molto più<br />

complessa e pericolosa. chi dovrebbe poi intervenire? atteso che un intervento<br />

armato per essere efficace necessiterebbe un impegno, in termini<br />

di assetti ed uomini, ben più massiccio di quello posto in essere in Libia,<br />

la sola organizzazione in grado di realizzare una simile operazione<br />

potrebbe essere la naTo, il cui intervento, però, potrebbe facilmente<br />

essere percepito come un atto di aggressione da parte dell’altro storico<br />

alleato di Damasco, Teheran. La difficoltà di effettuare un intervento<br />

risolutivo nell’affaire siriano sta anche nel rischio ulteriore di destabilizzare<br />

l’intera regione mediante il coinvolgimento del Libano, come già accaduto<br />

con il Mali in occasione dell’intervento in Libia.<br />

in conclusione, il mancato intervento in Siria mostra la persistenza<br />

della primazia dello Stato come attore principale nelle relazioni internazionali,<br />

pur a fronte della continua erosione della sua sovranità da<br />

parte delle organizzazioni internazionali. il potere concorrente di queste,<br />

infatti, si manifesta con riguardo a funzioni e poteri che non toccano<br />

comunque gli elementi vitali dello Stato e ciò è ancor più vero quando si<br />

tratti di uno Stato potente che intende affermare e far valere nelle relazioni<br />

internazionali tale propria forza. in tale ottica, dunque, il caso siriano<br />

impartisce una lezione di relazioni internazionali a chi professa la fine<br />

dello Stato e l’avvento delle organizzazioni internazionali. Per quanto<br />

queste giochino ormai un ruolo importante nelle dinamiche delle relazioni<br />

internazionali, infatti, esso continua a configurarsi nella sostanza<br />

come un ruolo residuale.<br />

189<br />

NOTE<br />

1 contrapposizione che coinvolge la minoranza alawita del Presidente bashar al assad e<br />

la maggioranza sunnita all’opposizione che, inizialmente, agiva sotto la sigla unita del<br />

FSa (Free Syrian Army) ma che poi, negli ultimi due anni, si è frammentata in una pletora<br />

di gruppi di provenienza e finalità diverse. Secondo le stime dell’onU, gli scontri<br />

tra il regime e gli insorti hanno generato più di 100.000 mila morti e due milioni di<br />

rifugiati. Si veda, in tema, Un Human rights council, Report of the Independent International<br />

Commission of Inquiry on the Syrian Arab Republic, Un Doc.<br />

a/Hrc/21/50, 16 august 2012. La stessa International Commission of Inquiry parlò<br />

poi di uccisioni intenzionali di massa di civili non direttamente coinvolti nelle ostilità,<br />

di esecuzioni sommarie, di sparizioni forzate, di torture, etc.: cfr. Human rights<br />

council, Report of the Independent International Commission of Inquiry on the Syrian<br />

Arab Republic, Un Doc. a/Hrc/23/58, 4 June 2013, §§ 38, 51-54 e 64-66; ed anche<br />

Un Doc. a/Hrc/22/59, 5 February 2013, § 42.<br />

2 La violenza degli scontri è culminata nell’attacco chimico del 21 agosto 2013 a Ghouta,<br />

alla periferia di Damasco, effettuato dalle truppe del Presidente assad mediante missili<br />

terra-terra contenenti gas sarin che hanno ucciso decine di donne e bambini. il Segretario<br />

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SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

190<br />

Generale dell’onU ha definito tale azione come il peggiore e più orribile attacco<br />

chimico dal 1988 quando l’ex Presidente iracheno Saddam Hussein usò il gas sarin per<br />

uccidere tra le 3200 e le 5000 persone nel villaggio curdo di Halabja. cfr. Secretary<br />

General’s press encounter on the Report of the Mission to Investigate Allegations of the Use<br />

of Chemical Weapons in the Syrian Arab Republic on the incident in the Ghouta area of<br />

Damascus, 16 September 2013. a seguito di tale attacco, e dello sdegno da esso generato,<br />

il consiglio di Sicurezza ha adottato la risoluzione n. 2118 (2013) del 27 settembre<br />

2013 che ha recepito l’accordo tra Stati Uniti e Federazione russa sullo smantellamento<br />

dell’arsenale chimico siriano.<br />

3 L’art. 3 comune alle convenzioni di Ginevra del 1949 ha introdotto la distinzione tra<br />

conflitti armati internazionali e conflitti armati non internazionali, basando la distinzione<br />

sulla natura dei belligeranti: solo Stati nel primo caso, Stato ed altri enti aventi<br />

natura non statale nel secondo. Tuttavia l’art. 1 del Secondo Protocollo addizionale<br />

del 1977 alle convenzioni di Ginevra, che sviluppa e completa il citato art. 3 senza comunque<br />

modificarne le condizioni e l’applicazione, precisa che esso non trova applicazione<br />

in certe forme di violenza quali sommosse o sporadici ed isolati atti di violenza<br />

che possono avvenire nel territorio di uno Stato («This Protocol shall not apply to situations<br />

of internal disturbances and tensions, such as riots, isolated and sporadic acts<br />

of violence and other acts of a similar nature, as not being armed conflicts»). Tale<br />

definizione, di per sé astratta, ha reso difficile una netta distinzione tra l’internal disturbance<br />

ed il conflitto armato, rimettendo di fatto alla volontà degli Stati membri la<br />

classificazione e qualificazione della situazione come conflitto armato o meno.<br />

4 La dichiarazione è in http://goo.gl/mTJn2o. L’aver esplicitamente menzionato le regioni<br />

di Homs, idlib e Hamain ha suscitato un ampio dibattito circa l’opportunità di<br />

qualificare il caso di specie come un «conflitto armato non internazionale localizzato».<br />

cfr. robert chesney, The War in Syria and LOAC: Some Key Issues, in “Lawfare”, July<br />

15, 2012; Laurie r. blank & Geoffrey S. corn, Losing the Forest for the Trees: Syria,<br />

Law, and the Pragmatics of Conflict Recognition, “Vanderbilt Journal of Transnational<br />

Law”, vol. 46, no. 3 (2013), pp. 693-746, in particolare pp. 713-714; Geoffrey corn,<br />

Mixing Apples and Hand Grenades: The Logical Limit of Applying Human Rights<br />

Norms to Armed Conflict, in “Journal of international Humanitarian Legal Studies”,<br />

vol. 52, no. 1 (2010), in particolare pp. 74-75.<br />

5 Sul punto, si veda Some Syria violence amounts to civil war: Red Cross, May 8, 2012, che<br />

si legge in http://goo.gl/xVGma3.<br />

6 «Violence and killings, including during armed clashes, continued throughout the<br />

country. an increase in the use of explosive devices, inflicting loss of life among civilians,<br />

was also reported. credible reports indicated that Government security and armed<br />

forces continued, unabated, to commit serious violations of human rights, including<br />

by the shelling of civilian areas and the use of lethal force against demonstrators,<br />

arbitrary arrests, torture and summary and extrajudicial execution of activists, defectors<br />

and opponents. Furthermore, ongoing violations by armed anti-Government forces<br />

continued to be reported, including cases of kidnapping and abduction, and the torture<br />

and killing of members of the security and armed forces and pro-Government elements»:<br />

Un Doc. a/Hrc/20/37, June 22, 2012, § 14.<br />

7 Louise arimatsu & Mohbuba choudhury, The Legal Classification of the Armed Conflicts<br />

in Syria, Yemen and Lybia, international Law PP 2014/01, chatham House,<br />

London, March 2014, p. 10.<br />

8 in occasione dell’intervento coercitivo in Serbia-Montenegro del 1999, il consiglio di<br />

Sicurezza non poteva decidere per la minaccia del veto da parte di russia e cina. in<br />

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LA CRISI UMANITARIA IN SIRIA E L'INERZIA DELLE NAZIONI UNITE<br />

quel caso, dunque, la naTo fece proprio l’argomento umanitario giustificando<br />

l’impiego della forza con «l’obiettivo di prevenire ulteriori sofferenze umane e ulteriori<br />

repressioni contro la popolazione civile del Kossovo» (comunicato stampa n. 140 del<br />

1999 del Segretario Generale della naTo). cfr. Heike Krieger (ed.), The Kosovo<br />

Conflict and International Law. An Analytical Documentation 1974-1999, cambridge<br />

international Documents Series, cambridge, 2012; augusto Sinagra & Paolo bargiacchi,<br />

Diritto internazionale pubblico, Giuffré editore, Milano, 2009, p. 344.<br />

9 Sul punto si veda Ugo Villani, Aspetti problematici dell’intervento militare nella crisi<br />

libica, “Diritto internazionale e diritti umani”, n. 5 (2001), pp. 369-425, il quale mette<br />

in evidenza le contraddizione tra la decisa azione della naTo ed il tono delle<br />

risoluzioni onU che non autorizzavano esplicitamente i bombardamenti da parte<br />

dei caccia dell’alleanza atlantica. russia e cina hanno interpretato le metodiche utilizzate<br />

dalla naTo come uno strumento per il proprio tornaconto politico e per soddisfare<br />

i propri interessi strategici nell’area. in conseguenza di questi eventi, la nuova<br />

coppia sino-russa ha deciso di allontanarsi dal clima di generale accordo che regnava<br />

nel consiglio di Sicurezza per porsi come difensori dei concetti di sovranità nazionale<br />

e non interferenza negli affari interni.<br />

10 Si vedano le risoluzioni n. 2042(2012) del 14 aprile 2012; n. 2052(2012) del 27<br />

giugno 2012; e n. 2059(2012) del 20 luglio 2012.<br />

11 La posizione russa nella crisi siriana è stata fortemente condizionata dall’esito del conflitto<br />

libico. L’intervento della naTo, conclusosi con la cattura e l’uccisione di<br />

Gheddafi, ha corroborato la convinzione russa che le risoluzioni del consiglio di Sicurezza<br />

possano essere manipolate e, addirittura, legittimare interventi il cui scopo è<br />

quello di incoraggiare mutamenti di regime che non sarebbero altresì permessi dalla<br />

comunità internazionale degli Stati.<br />

12 Si veda la risoluzione dell’assemblea Generale delle nazioni Unite del 12 febbraio<br />

2012 (a/reS/66/253).<br />

13 L’attività delle nazioni Unite nella gestione della crisi siriana dimostra l’uso politico<br />

da parte del consiglio di Sicurezza di uno strumento che dovrebbe avere le scopo di<br />

garantire la giustizia a seguito di violazioni particolarmente gravi dei diritti umani,<br />

ossia il referral alla corte Penale internazionale. in tal senso, russia e cina hanno<br />

ripetutamente bloccato l’azione del consiglio già a partire dal 2012 con il progetto di<br />

risoluzione, inquadrabile nel capitolo Vi della Carta, che prevedeva la mediazione<br />

della Lega araba volta a favorire «a Syrian-led political transition to a democratic,<br />

plural political system, in which citizens are equal regardless of their affiliations or<br />

ethnicities or beliefs» (Un Security council, 4 February 2012, Un Doc. S/2012/77,<br />

§ 6). il testo della risoluzione, lungi dall’essere neutrale, conteneva una serie di molteplici<br />

condanne nei soli riguardi delle forze governative, mentre russia e cina avrebbero<br />

voluto una condanna indistinta per le violazioni commesse da qualunque parte al conflitto.<br />

non potendo ottenere la modifica del testo della risoluzione, votarono dunque<br />

contro impedendone l’adozione. nel luglio 2012, poi, russia e cina votarono nuovamente<br />

contro un altro progetto di risoluzione proposto dagli Stati occidentali (cfr.<br />

Un Security council, 19 July 2012, Un Doc. S/2012/538) che, richiamando il capitolo<br />

Vii (e non più Vi) della Carta, richiedeva l’immediata cessazione delle ostilità ed<br />

invitava le parti ad avviare un processo di transizione. il riferimento al capitolo Vii fu<br />

interpretato da russia e cina come elemento prodromico per l’adozione di future<br />

sanzioni o, addirittura, per l’autorizzazione all’uso della forza da parte del consiglio:<br />

«The vote that just took place should not have taken place at all. The sponsors of the<br />

draft resolution just rejected (S/2012/538) were well aware that it simply stood no<br />

191<br />

G E O P O L I T I C A – R I V I S T A S E M E S T R A L E D E L L ’ I S A G<br />

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F O C U S<br />

SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

192<br />

chance of being adopted. The russian delegation had very clearly and consistently explained<br />

that we simply cannot accept a document, under chapter Vii of the charter<br />

of the United nations, that would open the way for the pressure of sanctions and later<br />

for external military involvement in Syrian domestic affairs» (Un Security council,<br />

6810th meeting, 19 July 2012, Un Doc. S/PV.6810, p. 8). L’azione delle nazioni<br />

Unite avrebbe potuto essere maggiormente efficace se fosse stata di natura meramente<br />

conciliativa ed affidata ad organizzazioni regionali come la Lega araba, come avvenuto<br />

ad esempio nel caso della risoluzione sulle armi chimiche (la n. 2118 del 2013),<br />

adottata all’unanimità, o nel caso della risoluzione n. 2139 del 22 febbraio 2014 in<br />

cui si chiede a tutte la parti in causa la cessazione delle ostilità e di favorire l’ingresso di<br />

organismi e agenzie specializzate per fornire assistenza umanitaria alla popolazione<br />

siriana.<br />

14 in tal senso rileva l’art. 2, par. 7, della Carta in base al quale l’organizzazione non può<br />

intervenire in questioni che attengono «essenzialmente» alla competenza interna di<br />

uno Stato. La portata del disposto sottrae quindi alla sfera di azione delle nazioni<br />

Unite le competenze che attengono al dominio riservato di uno Stato. con la caduta<br />

dei regimi socialisti, però, tale limite è venuto definitivamente meno per quanto riguarda<br />

i diritti umani. in definitiva, qualsiasi situazione all’interno di uno Stato che sia lesiva<br />

della dignità umana (dal maltrattamento delle minoranze alle gross violations dei diritti<br />

fondamentali, dall’adozione di politiche economiche e sociali pregiudizievoli per la<br />

popolazione alle sofferenze determinate da guerre civili) diventa ormai oggetto dell’attività<br />

dell’onU, costituisca o meno poi una violazione di un obbligo specifico. Sul<br />

punto, cfr. a. Sinagra & P.bargiacchi, Lezioni, cit., p. 304; richard b. Lillich, Humanitarian<br />

Intervention: A Reply to Ian Brownlie and a Plea for Constructive Alternatives,<br />

in John norton Moore (ed.), Law and Civil War in the Modern World, Johns Hopkins<br />

Press, baltimore-London, 1974, pp. 229-251; i. M. Lobo de Souza, The Role of State<br />

Consent in the Customary Process, “The international and comparative Law Quarterly”,<br />

vol. 44, no. 3 (1995), pp. 521-539; ryan Goodman, Humanitarian Intervention and<br />

Pretexts for War, “The american Journal of international Law”, vol. 100, no. 1 (2006),<br />

pp. 107-141; christine D. Gray, Regional Arrangements and the United Nations Collective<br />

Security System, in Harold Fox (ed.), The Changing Constitution of the United Nations,<br />

british institute of international and comparative Law, London, 1997, pp. 91-117;<br />

Waldemar Hummer & Michael Schweitzer, Article 52, in bruno Simma (ed.), The<br />

Charter of the United Nations. A Commentary, oxford University Press, oxford, 2002,<br />

pp. 807-853; Daniel H. Joyner, The Kosovo Intervention: Legal Analysis and a More<br />

Persuasive Paradigm, The european Journal of international Law, 2002, pp. 597-619.<br />

15 La dottrina, elaborata in un Report del 2001 dalla International Commission on Intervention<br />

and State Sovereignity (iciSS), è stata poi ufficialmente fatta propria dalle<br />

nazioni Unite che vi hanno fatto esplicitamente riferimento per la prima volta nel<br />

2005 durante il World Summit. in seguito, a più riprese questa dottrina è stata richiamata<br />

dagli Stati e, in particolare, dalle organizzazioni internazionali e regionali al punto<br />

che si parla, talvolta, di una “norma emergente”. Questa posizione è comunque contestata:<br />

si veda, ad esempio, nicholas Dorr, The Responsibility to Protect: An Emerging<br />

Norm?, “irish Studies in international affairs”, vol. 19, no. 1 (2008), p. 45 ss.. Sul<br />

punto, si veda anche alex J. bellamy, Global Politics and the Responsibility to Protect:<br />

From Words to Deeds, routledge, London, 2011; ademola abass, Regional Organisations<br />

and the Development of Collective Security. Beyond Chapter VIII of the UN Charter,<br />

Hart Publishing, Portland, 2004.<br />

G E O P O L I T I C A – R I V I S T A S E M E S T R A L E D E L L ’ I S A G<br />

V o l . I V , N ˚ 1 G e n . - G i u . , 2 0 1 5


F O C U S<br />

LA CRISI UMANITARIA IN SIRIA E L'INERZIA DELLE NAZIONI UNITE<br />

16 L’iciSS ha, innanzitutto, insistito sulla necessità di abbandonare l’espressione, per<br />

certi versi carica di ambiguità, «intervento umanitario» in favore della più chiara formulazione<br />

«military intervention for human protection purpose» (iciSS, The Responsibility<br />

to Protect, international Development research centre, ottawa, 2001, p.<br />

9, §§ 1.39-1.41). Si tratta, a ben vedere, di una riformulazione che intende dare conto<br />

e rispondere alle critiche mosse da molte agenzie ed operatori umanitari in merito alla<br />

pericolosa e controproducente “militarizzazione” del termine «umanitario». Sul significato<br />

e l’importanza del cambiamento terminologico, si vedano le riflessioni di eve<br />

Massingham, Military Intervention for Humanitarian Purposes: Does the Responsibility<br />

to Protect Doctrine Advance the Legality of the Use of Force for Humanitarian Ends?,<br />

“international red cross review”, vol. 91, no. 876 (December 2009), pp. 815-817.<br />

17 iciSS, The Responsibility, cit., pp. 19-27.<br />

18 ivi, pp. 29-37.<br />

19 ivi, pp. 39-45.<br />

20 Sulla responsabilità di reagire, cfr. Marie-José Domestici-Met, Humanitarian Action.<br />

A Scope for the Responsibility to Protect, “Goettingen Journal of international Law”,<br />

2010, pp. 951-980.<br />

21 L’iciSS indica questi parametri come «precautionary criteria» (The Responsibility,<br />

cit., pp. 35-37).<br />

22 Ludovica Poli, La responsabilità di proteggere e il ruolo delle organizzazioni internazionali<br />

regionali. Nuove prospettive dal continente africano, edizioni Scientifiche italiane,<br />

napoli, 2011.<br />

23 nel caso libico il consiglio di Sicurezza diede prova di ragguardevole rapidità nel decidere<br />

di autorizzare, con la risoluzione n. 1973(2011), «all the possible measures».<br />

Le prime manifestazioni anti-governative ebbero luogo il 15 febbraio e già il 19 marzo<br />

aveva inizio l’operazione Odissey Dawn. nel caso in cui sia in corso una crisi umanitaria<br />

e siano a rischio delle vite umane non è certo facile quantificare il “troppo” o il “poco”<br />

tempo: in taluni casi, infatti, la situazione impone di non attendere anche un solo secondo<br />

di più. Ma come andarono veramente le cose in Libia? La decisione del consiglio<br />

di Sicurezza di autorizzare la no-fly zone e tutte le misure correlate fu inquadrabile nell’esercizio<br />

di quella Responsibility to Protect di cui si è discusso? Si consideri, per prima,<br />

la questione della «giusta autorità» (right authority): senza dubbio, la “coalizione di<br />

volenterosi” che condusse le operazioni militari in Libia ebbe, in effetti, un mandato<br />

proprio dal consiglio. riguardo al criterio della «giusta causa», però, la risoluzione<br />

ed il conseguente intervento militare appaiono essere poco giustificati: in particolare,<br />

si noti che né la risoluzione n. 1970 (2011), né la n. 1973 (2011), né, peraltro, la decisione<br />

del consiglio dei Diritti Umani di sospendere la membership della Libia,<br />

basarono le proprie decisioni su inchieste ed indagini indipendenti, ma si limitarono a<br />

considerare veritiere le notizie riportate dai media e dalle organizzazioni regionali. eppure,<br />

secondo la logica dell’intervento militare quale soluzione di ultima istanza,<br />

prospettata non solo dalla dottrina della “responsabilità di proteggere” ma anche, e soprattutto,<br />

dalla Carta dell’onU, è quantomeno discutibile che si sia deciso di autorizzarlo<br />

senza prima inviare sul posto osservatori indipendenti in grado di raccogliere notizie<br />

di prima mano. e ancora: si era veramente in presenza di una crisi umanitaria?<br />

Definire, o meno, una situazione «disastro umanitario» è operazione di per sé complessa<br />

e lo è stato ancora di più nel caso libico dove i manifestanti si sono rapidamente<br />

“trasformati” da comuni cittadini disarmati a vero e proprio gruppo armato in grado<br />

di organizzare attacchi alle truppe governative e di macchiarsi, a sua volta, di gravi<br />

crimini che si possono certamente definire come crimini di guerra. Sul punto, cfr. John<br />

193<br />

G E O P O L I T I C A – R I V I S T A S E M E S T R A L E D E L L ’ I S A G<br />

V o l . I V , N ˚ 1 G e n . - G i u . , 2 0 1 5


F O C U S<br />

SICUREZZA: IL CONCETTO NEL DIRITTO INTERNAZIONALE E DELL’UNIONE EUROPEA<br />

rosenthal, A Political Court: the ICC and Libyan War Crimes, Gatestone institute,<br />

august 2011, http://goo.gl/yqomf0.<br />

24 il sostegno russo al regime del Presidente assad non ha solo motivazioni geostrategiche<br />

ed economiche ma è riconducibile anche alla volontà di contrastare quella che viene<br />

vista come una pericolosa tendenza dei Paesi occidentali a promuovere ed attuare l’uso<br />

della forza per gestire conflitti interni agli Stati e, in particolare, quelli tra regimi al<br />

potere e gruppi di opposizione armata. La russia ha peraltro interessi in Siria più vasti<br />

ed articolati di quanti non ne avesse in Libia. Mentre la russia è il principale fornitore<br />

di armi alla Siria, gli acquisti siriani equivalgono solo al 5% delle esportazioni totali di<br />

armamenti russi. cfr. alexey eremenko, Russia picks politics over Syria arms exports,<br />

ria novosti, July 10, 2012, in http://goo.gl/9udcky.<br />

194<br />

G E O P O L I T I C A – R I V I S T A S E M E S T R A L E D E L L ’ I S A G<br />

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COMMENTI E DIBATTITI<br />

La teoria geopolitica classica: è ancora importante?__________________197<br />

GeoFFreY SLoan


C O M M E N T I E D I B A T T I T I<br />

La teoria geopolitica classica:<br />

è ancora importante? 1<br />

GeoFFreY SLoan<br />

Britannia Royal Naval College, Chair of the Department<br />

of Strategic Studies and International<br />

Affairs<br />

This paper makes an evaluation as to whether geopolitical theory is still relevant to<br />

understanding the big picture of international politics in the 21 st century The key<br />

starting point is the defining of geopolitics in terms of its origins – an attempt to explain<br />

variations in political outcomes across space, and in the relations between different<br />

political societies. An understanding is also given of the key theoretical<br />

developments in the twentieth century, including its contested contribution in the<br />

Second World War. Finally, too is argued that geopolitical analysis still has great relevance<br />

today in that it can present a picture of the constellation of forces which exist<br />

at a particular time and within a particular geographical frame of reference.<br />

KEYWORDS: HISTORY AND THEORY OF GEOPOLITICS • INFLUENCE OF GEOGRAPHY ON INTERNATIONAL<br />

RELATIONS • HALFORD JOHN MACKINDER<br />

INTRODUZIONE<br />

nel campo di quel cimento intellettuale noto come relazioni internazionali,<br />

possono esservi pochi soggetti che sono stati condannati,<br />

incompresi e male utilizzati come la geopolitica.<br />

Quest’atteggiamento si manifesta ancora all’inizio del ventunesimo secolo.<br />

brian blouet (2001: 133), uno dei due biografi di Sir Halford<br />

G E O P O L I T I C A – R I V I S T A S E M E S T R A L E D E L L ’ I S A G<br />

V o l . I V , N ˚ 1 G e n . - G i u . , 2 0 1 5


C O M M E N T I E D I B A T T I T I<br />

LA TEORIA GEOPOLITICA CLASSICA: È ANCORA IMPORTANTE?<br />

198<br />

Mackinder, scrive: «La storia della<br />

geopolitica è una storia di cattive<br />

idee – talvolta folli idee – che<br />

hanno condotto paesi alla guerra e<br />

alla recessione».<br />

Scopo del presente saggio è<br />

fornire un antidoto a tale asserzione<br />

e un’idea sul perché la teoria<br />

geopolitica sia ancora rilevante.<br />

Si può suggerire di definire la<br />

geopolitica come un tentativo di<br />

attrarre l’attenzione su certi schemi<br />

geografici della storia politica. È<br />

una teoria di relazioni spaziali e<br />

causazione storica. Da questa teoria<br />

si è dedotta una spiegazione che<br />

suggerisce la rilevanza politica contemporanea<br />

e futura di varie configurazioni<br />

e concetti geografici.<br />

LA STORIA<br />

DEL PRIMO PERIODO<br />

DELLA GEOPOLITICA<br />

il termine geopolitica fu coniato<br />

da uno scienziato politico<br />

svedese, rudolf Kjellen. costui insegnò<br />

presso le università di Göteborg<br />

e Uppsala. nel 1901 pubblicò<br />

un libro il cui titolo si tradurrebbe<br />

in italiano con Lo Stato come forma<br />

vivente. Suo obiettivo era combattere<br />

una visione logistica dello<br />

Stato. Questa vedeva lo Stato<br />

meramente come somma degli articoli<br />

della sua costituzione e leggi<br />

più fondamentali. in breve, Kjellen<br />

formulava un sistema organico di<br />

scienza politica, che avrebbe dato<br />

una spiegazione sistematica del<br />

processo di sviluppo degli Stati.<br />

V’erano cinque importanti dimensioni<br />

in tale sistema. La prima,<br />

“Geopolitik”, descriveva le condizioni<br />

e i problemi dello Stato che<br />

originano da caratteristiche geografiche.<br />

Seconda era la “ecopolitica”,<br />

che guardava al fondamento<br />

economico di uno Stato. La terza<br />

dimensione era la “demopolitica”,<br />

che mirava alla composizione etnica<br />

e alle tendenze demografiche<br />

di un particolare Stato. Quarta<br />

veniva la “sociopolitica”, ch’esaminava<br />

lo Stato da una prospettiva<br />

sociologica. elemento finale era la<br />

“cratopolitica”, che guardava alla<br />

forma di governo di un particolare<br />

Stato. Punto chiave della visione<br />

di Kjellen della geopolitica è che<br />

toccava altri campi del sapere e necessitava<br />

d’essere integrata con essi.<br />

in un certo senso si può suggerire<br />

che la geopolitica confini con storia,<br />

geografia e scienza politica, ma<br />

possa anche essere guardata come<br />

un ausilio a tutte e tre.<br />

Sebbene la parola sia novecentesca<br />

d’origine, teorizzare circa la<br />

relazione tra i contesti geografici<br />

o materiali e la politica di sicurezza<br />

è uno dei concetti più antichi e<br />

centrali della scienza politica occidentale.<br />

Una delle prime forme<br />

di analisi politica fu un tentativo<br />

di spiegare le variazioni in risultati<br />

politici attraverso lo spazio e nelle<br />

relazioni tra differenti società<br />

politiche. Questo tipo di analisi fa<br />

pesante affidamento su fattori geografici.<br />

È un filo di pensieri che<br />

si può rintracciare in aristotele,<br />

Montesquieu e Machiavelli. Per esempio,<br />

nel Principe Machiavelli<br />

(1532) suggerisce che la padronanza<br />

della geografia sia una com-<br />

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LA TEORIA GEOPOLITICA CLASSICA: È ANCORA IMPORTANTE?<br />

ponente chiave dell’abilità di uno<br />

statista: «[il principe deve]<br />

conoscere come sorgono i monti,<br />

come imboccano le valli, come giacciono<br />

i piani, ed intendere la<br />

natura de’ fiumi e delle paludi; ed<br />

in questo porre grandissima cura.<br />

[…] e quel Principe che manca di<br />

questa perizia, manca della prima<br />

parte che vuole avere un capitano».<br />

L’essenza di quest’approccio<br />

è la semplice idea che l’ambiente<br />

geografico risulti in restrizioni<br />

e opportunità che toccano significativamente<br />

il compimento delle<br />

funzioni di produzione economica<br />

e protezione dalla violenza – d’universale<br />

importanza nella vita<br />

umana.<br />

La seconda ondata di letteratura<br />

geopolitica fu prodotta nel<br />

tardo ottocento e nel primo<br />

novecento. i nomi più importanti<br />

sono quelli di alfred Thayer Mahan,<br />

Friedrich ratzel, Sir Halford<br />

Mackinder, Frederick Jackson<br />

Turner e Karl Haushofer. ciò che<br />

li differenziava dalla prima ondata<br />

era l’enfasi posta su tecnologia e<br />

cambiamento. ci si focalizzava su<br />

un sistema mondiale di relazioni<br />

politiche di potenza e sicurezza.<br />

Questo era stato creato dalle tecnologie<br />

prodotte dalla rivoluzione<br />

industriale (in particolare quelle<br />

di trasporto e armamento), interagendo<br />

in una struttura geografica<br />

in espansione.<br />

il cambiamento cui si rife -<br />

rivano aveva un certo numero di<br />

caratteristiche distinte. La prima<br />

era il globalismo. L’inizio del XX<br />

secolo vide l’avvento in politica internazionale<br />

di un sistema politico<br />

chiuso. Per dirla con Sir Halford<br />

Mackinder (1904: 422): «ogni<br />

esplosione di forze sociali, anziché<br />

dissiparsi in un circuito circostante<br />

di spazio ignoto e caos barbarico,<br />

riecheggerà bruscamente dall’altro<br />

angolo del globo, e gli elementi deboli<br />

nell’organismo politico ed<br />

economico del mondo saranno<br />

conseguentemente fatti a pezzi».<br />

egli era conscio anche della<br />

sottile relazione tra geografia<br />

ed evoluzione delle decisioni<br />

politiche. in ciò l’ambiente geografico<br />

non definisce le scelte dei<br />

decisori politici, ma non di meno<br />

fornisce un’importante, se non<br />

cruciale, influenza condizionante:<br />

«L’uomo non la natura intraprende,<br />

ma la natura controlla<br />

in larga misura» (Mackinder,<br />

1904: 437).<br />

La seconda era l’importanza<br />

del contesto geografico in cui si<br />

esercita la potenza politica. Questa<br />

nuova ondata di teorici geopolitici,<br />

come Mackinder, sottolineava la<br />

mutante rilevanza politica della<br />

posizione geografica di uno Stato.<br />

i principali fattori che danno<br />

luogo a questo mutamento erano<br />

quelli occorsi nella tecnologia<br />

di trasporto e di armamento. in<br />

breve, è sviluppata una sintesi<br />

tra lo schema fisico-geografico e<br />

quello storico-politico. inoltre, si<br />

può affermare che questi teorici<br />

geopolitici risolsero due problemi<br />

fondamentali che avevano assillato<br />

la prima ondata di teorie geo -<br />

politiche. esse erano incapaci di<br />

spiegare il cambiamento storico e<br />

199<br />

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C O M M E N T I E D I B A T T I T I<br />

LA TEORIA GEOPOLITICA CLASSICA: È ANCORA IMPORTANTE?<br />

200<br />

non avevano ben chiaro come gli<br />

ambienti geografici modellassero<br />

i risultati politici. Un esempio di<br />

come queste due debolezze fossero<br />

superate alla fine del XiX secolo è<br />

fornito da Mackinder (1890: 84):<br />

«il corso della politica è il<br />

prodotto di due insiemi di forze,<br />

che costringono e guidano. L’impeto<br />

è dal passato, nella storia incorporata<br />

nel carattere e nella<br />

tradizione di un popolo. il presente<br />

guida i movimenti con gli<br />

eventi economici e le opportunità<br />

geografiche. Statisti e diplomatici<br />

hanno successo o insuccesso<br />

sostanzialmente nella misura in cui<br />

riconoscono l’irresistibile potere<br />

di queste due forze». Tale sintesi<br />

solleva tre questioni che vanno al<br />

cuore del presente articolo.<br />

IL CONTESTATO<br />

CONTRIBUTO DELLE<br />

TEORIE GEOPOLITICHE<br />

CONTEMPORANEE<br />

cos’è accaduto alla teoria<br />

geopolitica nella seconda metà del<br />

XX secolo? cosa manca all’attuale<br />

teoria delle relazioni internazionali<br />

a causa di quest’assenza di comprensione<br />

della teoria geopolitica?<br />

infine: perché la teoria geopolitica<br />

è ancora importante?<br />

La risposta alla prima domanda<br />

ruota attorno due argomenti:<br />

la geopolitica tedesca e gli<br />

sviluppi nella scienza sociale post-<br />

Seconda Guerra Mondiale negli<br />

Stati Uniti e in Gran bretagna.<br />

non v’è dubbio che la scuola<br />

tedesca di geopolitica fondata da<br />

(Maggiore Generale Professore<br />

Dott.) Karl Haushofer provocò un<br />

immenso danno collaterale alla<br />

credibilità del pensiero geopolitico<br />

nel suo insieme. Holger Herwig<br />

ha recentemente mostrato che non<br />

solo Haushofer e i suoi figli erano<br />

ben connessi con elementi di<br />

spicco del regime nazista quali<br />

Hess; Haushofer fece anche uso<br />

della geopolitica come strumento<br />

di propaganda per aiutare a giustificare<br />

le iniziative di politica estera<br />

del Terzo Reich. Per esempio,<br />

nel settembre 1938 Haushofer<br />

celebrò così gli accordi di<br />

Monaco: «Un giorno felice nella<br />

storia della geopolitica, il risultato<br />

della maestria geopolitica del<br />

Führer». non v’è dubbio che, per<br />

l’inizio della Seconda Guerra<br />

Mondiale, Haushofer fosse diventato<br />

– seguendo le parole del suo<br />

biografo ufficiale Hans Jacobsen –<br />

il «colto dirigente pubblicitario<br />

del Terzo Reich» (Herwig, 1999:<br />

233).<br />

nel trentennio successivo alla<br />

Seconda Guerra Mondiale la<br />

geopolitica divenne un paria intellettuale.<br />

Tra il 1945 e la pubblicazione<br />

nel 1977 de The Geopolitics<br />

of the Nuclear Era di colin<br />

Gray, nessun titolo di libro pubblicato<br />

negli Stati Uniti usò il termine<br />

“geopolitica”. i geografi<br />

politici, poi, non vedevano l’ora di<br />

prende le distanze dalla materia.<br />

nel 1957 il geografo politico H.<br />

Weigert affermava: «nel punto<br />

dove la geopolitica diviene una<br />

filosofia (o piuttosto una pseudofilosofia<br />

del determinismo ge-<br />

G E O P O L I T I C A – R I V I S T A S E M E S T R A L E D E L L ’ I S A G<br />

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C O M M E N T I E D I B A T T I T I<br />

LA TEORIA GEOPOLITICA CLASSICA: È ANCORA IMPORTANTE?<br />

ografico) tesa a giustificare gli obiettivi<br />

politici di una specifica<br />

nazione, là cala il sipario che la separa<br />

dal nostro campo di studi»<br />

(1957: 5). alexander (1961: 409)<br />

andava anche oltre, suggerendo<br />

che: «i geografi abbandonano<br />

completamente “geopolitica” come<br />

termine di lavoro, salvo utilizzarlo<br />

nelle sue connotazioni storiche.<br />

Per amor di chiarezza, si può sperare<br />

che gli scienziati politici facciano<br />

lo stesso».<br />

L’altro tema era l’allontanamento<br />

da ciò che si può descrivere<br />

come approcci materialisti nella<br />

scienza politica post-Seconda<br />

Guerra Mondiale negli USa e in<br />

Gran bretagna. L’accento andava<br />

sulla “rivoluzione comportamentale”.<br />

inoltre, si può suggerire<br />

che il recente movimento ch’enfatizza<br />

le istituzioni e la teoria<br />

post-moderna abbia accelerato l’allontanamento<br />

dalle prospettive<br />

geopolitiche. infine, è importante<br />

riconoscere che, all’interno di<br />

quelle che possono essere chiamate<br />

Scienze Umane, la tendenza dominante<br />

vuole che l’origine del cambiamento<br />

risieda nella cultura e<br />

nelle istituzioni umane piuttosto<br />

che nell’ambiente geografico. Le<br />

cause sociali dei risultati sociali,<br />

più che le cause naturali dei risultati<br />

sociali, continuano a dominare<br />

la scienza sociale occidentale.<br />

La risposta alla seconda domanda<br />

è stata succintamente formulata<br />

da Daniel Deudney della<br />

John Hopkins University. egli argomenta<br />

che, sfortunatamente,<br />

dopo il 1945 “geopolitica” sia divenuta<br />

un’abbreviazione della visione<br />

che si concentra soltanto<br />

sulla rivalità strategica e l’interazione<br />

tra Stati. Deudney sostiene<br />

vi siano tre errori associati all’assenza<br />

di teoria geopolitica nelle<br />

relazioni internazionali contemporanee.<br />

Primo: la teoria delle relazioni<br />

internazionali manca oggi<br />

dell’apparato concettuale necessario<br />

ad afferrare le implicazioni<br />

politiche e di sicurezza dei grandi<br />

mutamenti nel contesto geografico,<br />

come la navigazione<br />

oceanica coadiuvata dal satellite, il<br />

diffondersi dell’industrializzazione<br />

e l’apertura dello spazio orbitale<br />

come terreno d’interazione strategica.<br />

Secondo: manca la capacità<br />

di formulare ipotesi che non<br />

riguardino solo l’operare dei sistemi<br />

statuali, ma che spieghino<br />

perché vi sono sistemi-Stato e perché<br />

l’orizzonte geografico dei sistemi-Stato<br />

sia cambiato così drammaticamente<br />

nel tempo. infine,<br />

l’assenza di una struttura geopolitica<br />

si è tradotta nell’ignoranza dei<br />

problemi che lo Stato contemporaneo<br />

ha per mantenere la sicurezza<br />

in una specifica posizione<br />

ed ambiente geografici in cui il<br />

particolare Stato si ritrova. inoltre,<br />

il concetto di disintegrazione<br />

statale, che si può scorgere nei balcani,<br />

nella regione africana dei<br />

Grandi Laghi, nel caucaso e più<br />

recentemente in afghanistan, è<br />

stato privato di qualsiasi spiegazione<br />

geopolitica.<br />

La risposta alla terza domanda,<br />

quella sul perché la teoria<br />

geopolitica conti ancora, può pre-<br />

201<br />

G E O P O L I T I C A – R I V I S T A S E M E S T R A L E D E L L ’ I S A G<br />

V o l . I V , N ˚ 1 G e n . - G i u . , 2 0 1 5


C O M M E N T I E D I B A T T I T I<br />

LA TEORIA GEOPOLITICA CLASSICA: È ANCORA IMPORTANTE?<br />

202<br />

sentarsi come un certo numero di<br />

proposizioni interrelate. Uno degli<br />

aspetti chiave della teoria geopolitica<br />

è che agevola la comprensione<br />

del rapporto tra geografia e<br />

Stato. in tale ruolo ha due funzioni<br />

iniziali: a) è descrittiva, perché<br />

aiuta a comprendere il mondo nel<br />

suo insieme; b) è prescrittiva, perché<br />

può delineare opzioni strategiche<br />

per il futuro. La geopolitica<br />

è il ponte che connette la geografia<br />

e le relazioni internazionali, una<br />

combinazione di influenze condizionanti<br />

e di mutevoli significati<br />

delle condizioni geografiche. in<br />

somma, lo studio delle relazioni<br />

internazionali da una prospettiva<br />

spaziale ha implicazioni strategiche.<br />

Le principali direttrici<br />

strategiche si possono dedurre<br />

comprendendo le relazioni spaziali<br />

tra gli attori politici. come l’ha recentemente<br />

posta M.T. owens<br />

(1999: 63): «Discernendo ampi<br />

schemi geografici, potremmo<br />

sviluppare migliori opzioni strategiche<br />

grazie alle quali uno Stato<br />

possa affermare il proprio posto<br />

nel mondo». il punto chiave è che<br />

lo Stato moderno deve ancora assicurarsi<br />

che la struttura geografica<br />

del campo entro cui si esercita la<br />

sua potenza sia la più favorevole<br />

possibile, mentre i nemici, o potenziali<br />

nemici, siano svantaggiati<br />

rispetto alla struttura geografica in<br />

cui devono operare.<br />

La seconda proposizione<br />

vuole che sia in virtù delle scelte<br />

fatte dai decisori politici che si assegna<br />

importanza politica alle configurazioni<br />

geografiche o a particolari<br />

posizioni geografiche. ciò<br />

riflette la natura della politica<br />

come processo decisionale. in<br />

questo processo i fattori geografici<br />

che influenzano la politica sono<br />

un prodotto del fatto che i decisori<br />

politici selezionino particolari obiettivi<br />

e cerchino di realizzarli<br />

tramite la cosciente formulazione<br />

di strategie. Si può suggerire<br />

che una prospettiva geografica sia<br />

inevitabile se si voglia realizzare<br />

un qualsiasi tipo di politica.<br />

Questa prospettiva duratura è<br />

stata sfidata dall’ammiraglio bill<br />

owens (USn) e da altri sostenitori<br />

nordamericani della cosiddetta<br />

“rivoluzione negli affari militari”<br />

(abbreviata rMa in inglese):<br />

essi credono infatti che la rMa<br />

stia per mandare in pensione la geografia<br />

come vincolo per la strategia,<br />

e forse cancellare la geografia<br />

come fattore significativo per la<br />

strategia e l’arte del governo. Tale<br />

visione non è nuova: circa cinque<br />

anni fa colin Gray ebbe un dibattito<br />

con Martin Libicki (ora con<br />

la ranD) sulla medesima questione.<br />

il punto fondamentale che<br />

sfugge ai sostenitori della rMa è<br />

quello che Mackinder (1904: 437)<br />

espresse così: «i movimenti sociali<br />

[in cui includeva cambiamenti<br />

nella tecnologia di trasporto e armamento]<br />

in ogni epoca hanno<br />

ruotato attorno essenzialmente<br />

agli stessi caratteri fisici». L’elemento<br />

chiave è che la tecnologia<br />

non rende superflua la geografia,<br />

semplicemente ne muta il significato<br />

politico e strategico.<br />

G E O P O L I T I C A – R I V I S T A S E M E S T R A L E D E L L ’ I S A G<br />

V o l . I V , N ˚ 1 G e n . - G i u . , 2 0 1 5


C O M M E N T I E D I B A T T I T I<br />

LA TEORIA GEOPOLITICA CLASSICA: È ANCORA IMPORTANTE?<br />

L’ultima proposizione che<br />

voglio avanzare è la seguente: tutta<br />

la geopolitica è locale. con ciò intendo<br />

che tutta la cultura, come<br />

tutta la politica, è per definizione<br />

di derivazione intestina. Ma da<br />

dove proviene questa cultura<br />

strategica domestica? ovviamente<br />

da un’esperienza storica geopoliticamente<br />

modellata, così com’è interpretata<br />

in un contesto locale.<br />

L’idea che vi sia una logica realista<br />

dell’arte di governo, in contrasto<br />

con una cultura di derivazione interna,<br />

è – ritengo – un errore.<br />

Mackinder (1919: 38) era nel<br />

giusto quando scriveva: «L’influenza<br />

delle condizioni geografiche<br />

sulle attività umane è dipesa<br />

[…] non solo dalle realtà così come<br />

noi oggi sappiamo essere ed essere<br />

state, ma in misura ancora maggiore<br />

da ciò che gli uomini immaginavano<br />

riguardo ad esse […]. ciascun<br />

secolo ha avuto la sua propria<br />

prospettiva geografica. ancora<br />

oggi la nostra visione delle realtà<br />

geografiche è in realtà di parte a<br />

causa dei preconcetti ereditati dal<br />

passato».<br />

CONCLUSIONE<br />

Date queste tre proposizioni,<br />

affermerei che deve sempre esserci<br />

una gamma di elementi geografici<br />

rilevanti per qualsiasi conflitto<br />

e conseguente pace. inoltre la<br />

geopolitica, nel suo ruolo di<br />

scienza politica e nel fornire una<br />

visione interpretativa della politica<br />

internazionale, continuerà a fare<br />

ciò che ogni buona analisi geopolitica<br />

ha fatto in passato: presentare<br />

un quadro della costellazione di<br />

forze che esiste in un particolare<br />

momento entro una particolare<br />

cornice geografica di riferimento.<br />

(Traduzione dall’inglese di Daniele Scalea)<br />

BIBLIOGRAFIA:<br />

– alexander, L. (1961), The new geopolitics:<br />

A critique, “Journal of conflict<br />

resolution”, V (4)<br />

– blouet, b. (2001), Geopolitics and globalization<br />

in the twentieth century. London,<br />

reakton books<br />

– Herwig, H. (1999), Geopolitik:<br />

Haushofer, Hitler and Lebensraum in<br />

c.S.Gray & G.r. Sloan (eds.), Geopolitics,<br />

geography and strategy, London,<br />

Frank cass<br />

– Kjellen, r. (1901), Staten som lifsform<br />

– Machiavelli, n. (1532), Il principe<br />

– Mackinder, H. J. (1890), The physical<br />

basis of political geography, “Scottish<br />

Geographical Magazine”, 6<br />

– Mackinder, H. J. (1904), The geographical<br />

pivot of history, “Geographical<br />

Journal”, 23,4<br />

– owens, M. T. (1999), In defense of<br />

classical geopolitics, “naval War college<br />

review”, 3,4<br />

– Weigert, H. W. (1953), Principles of<br />

political geography, new York, appleton-century-crofts<br />

inc<br />

NOTE<br />

1 Traduzione italiana di: Geoffrey<br />

Sloan, Classical <strong>Geopolitica</strong>l Theory:<br />

Does It Still Matters?, “Journal of<br />

Global competitiveness”, Vol. 13, no.<br />

1-2 (2005), pp. 101-105.<br />

203<br />

G E O P O L I T I C A – R I V I S T A S E M E S T R A L E D E L L ’ I S A G<br />

V o l . I V , N ˚ 1 G e n . - G i u . , 2 0 1 5


ORIZZONTI E RECENSIONI<br />

ORIZZONTI<br />

“convergence check”. a closer look to the impact<br />

of the european dimension on party policy choice __________________207<br />

aLba Ferreri<br />

La crisi del debito sovrano<br />

e il nuovo processo di integrazione economica e monetaria ____________229<br />

LUca LioneLLo<br />

breve riflessione sul Programma d’azione del Partito comunista<br />

cecoslovacco del 1968 e sulla repressione<br />

dei diritti individuali e sociali alla luce di un possibile senso nella storia ___245<br />

SaVerio FranceSco MaSSari


O R I Z Z O N T I<br />

“Convergence Check”.<br />

A closer look to the impact of the European<br />

dimension on party policy choice<br />

aLba Ferreri<br />

Università di Siena, Dottoranda di ricerca in Politica<br />

Europea e Comparata. alba.siena@gmail.com<br />

Departing from considerations about the dimensionality of European party policy<br />

and party convergence, the present paper aims to assess the impact of EU constraints<br />

on the policy choices made by domestic political parties. The idea behind the investigation<br />

is that parties would be more and more limited when choosing the attitude to<br />

assume in a mounting number of policy domains, resulting in a convergence of party<br />

platforms especially ascribable to the European integration process. The analysis will<br />

be based on data from the 1999-2010 Chapel Hill’s Expert Surveys (CHES), wherefore<br />

experts’ evaluations about party attitudes will be considered. It uses ordinary least<br />

squares (OLS) estimation with dependent variables selected in such a way that each<br />

one would represent parties’ stances on diverse policy domains – characterized by different<br />

degrees of EU involvement. The findings suggest that the EU dimension is indeed<br />

of great importance – and parties explicitly consider this when formulating their<br />

own policy choices. Far from aspiring to be an exhaustive set of findings, the present<br />

study would rather pave the way to further research on the topic – especially for its<br />

implications for the quality of democratic debate and electoral democracy. In fact,<br />

the parties are the main gate-keepers between “politics” and the public: in these terms,<br />

their choices are unavoidably related to the future path of the EU – held accountable<br />

by citizens not only by means of EP elections, but also (and, perhaps, still more importantly)<br />

by national elections and domestic parliaments.<br />

KEYWORDS: EUROPEAN UNION • EXPERT SURVEYS • POLICY CONVERGENCE<br />

G E O P O L I T I C A – R I V I S T A S E M E S T R A L E D E L L ’ I S A G<br />

V o l . I V , N ˚ 1 G e n . - G i u . , 2 0 1 5


O R I Z Z O N T I<br />

“CONVERGENCE CHECK”<br />

208<br />

INTRODUCTION<br />

notwithstanding the large<br />

availability of both empirical<br />

and anecdotal evidence<br />

of the impact the european<br />

Union (eU) has on party politics,<br />

its precise functioning is rather<br />

under-theorized. by and large,<br />

there is relatively scarce literature<br />

on the impact that both the transfer<br />

of competencies and the growing<br />

involvement of eU<br />

institutions have on the policy<br />

choices made by national parties<br />

within the Member States.<br />

Moreover, europeanization<br />

studies have only recently emerged<br />

as a comparative politics-related<br />

division of european integration<br />

studies, and yet party research has<br />

its own traditions and methodologies<br />

– particularly when dealing<br />

with party change (Ladrech 2012).<br />

as eU legislation restricts the<br />

policy alternatives available to governments<br />

and – because of the<br />

electoral link – to parties and citizens,<br />

three different scenarios may<br />

summarize the findings of previous<br />

studies exploring the impact<br />

of the european integration<br />

process on party politics and electoral<br />

competition (nanou and<br />

Dorussen 2013):<br />

– the “division of labor” scenario:<br />

parties compete over<br />

the content and direction of<br />

eU-regulated policies at european<br />

Parliament elections<br />

and contest issues decided at<br />

the national level at domestic<br />

elections (Mair 2000).<br />

– the “business as usual” scenario:<br />

parties compete as<br />

normal. They are either “unaware”<br />

of eU policy commitments<br />

or choose to be silent<br />

about them.<br />

– the “constraint” scenario: parties<br />

adjust their programmatic<br />

platforms in such a way that<br />

they will not challenge the<br />

eU commitments, but keep<br />

on competing across a broad<br />

spectrum of policies.<br />

Following the last depiction<br />

– as long as the eU keeps on acquiring<br />

more policy competencies,<br />

awareness of the impact of this<br />

process amongst political actors<br />

will increase – to the extent that<br />

the result might be a convergence<br />

of party platforms especially ascribable<br />

to the european integration<br />

process.<br />

The present paper will focus<br />

on the impact of eU policy competencies<br />

on party policy positions<br />

– by distinguishing its effect across<br />

a range of policy areas.<br />

it will be structured as follows:<br />

first of all, the themes of europeanization<br />

and party convergence<br />

will be presented, providing<br />

a short literature review on these<br />

subjects. as a matter of fact, while<br />

the convergence argument predicts<br />

convergence particularly in<br />

policy domains with increasing<br />

eU competence, the interaction<br />

of political party activity and the<br />

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V o l . I V , N ˚ 1 G e n . - G i u . , 2 0 1 5


O R I Z Z O N T I<br />

“CONVERGENCE CHECK”<br />

european Union may occur in<br />

many different ways.<br />

also, political parties are primarily<br />

analyzed in their domestic<br />

setting, that is, as actors playing<br />

within the national arena: thus, research<br />

on europeanization is<br />

aimed to understand if the eU actually<br />

impacts domestic parties in<br />

some measurable way and how it<br />

does so (Ladrech 2012). This understanding<br />

of the direction of<br />

change follows a “top-down” conceptualization<br />

of europeanization<br />

dynamics (namely, the eU conceived<br />

as the explanans or independent<br />

variable, Jachtenfuchs<br />

2001).<br />

after the presentation of the<br />

state of the art in literature, a theoretical<br />

model will be developed<br />

and the main hypotheses on how<br />

parties react to eU stimuli based<br />

on their principal motivations will<br />

be derived.<br />

Finally, the latter will be<br />

tested utilizing a statistical research<br />

design. The analysis be will based<br />

on the data from bakker (et al.<br />

2012) chapel Hill’s Expert Surveys<br />

1 (cHeS): hence, party attitudes<br />

at a given point in time will<br />

be considered.<br />

as Veen (2011) righteously<br />

states, a wide array of measurement<br />

techniques is employed in such a<br />

field of studies: in fact, quantitative<br />

data could stem from expert interviews<br />

(Thomson and Stokman<br />

2006), the analysis of voting behavior<br />

(Hix et al. 2007), public<br />

opinion surveys (Thomassen<br />

2005), political text (Proksch and<br />

Slapin 2010) or expert surveys<br />

(Hooghe et al. 2010). each<br />

method has its advantages and disadvantages<br />

– but some are more<br />

appropriate than others to fit a<br />

context.<br />

Since an expert survey will be<br />

utilized in the present paper, it may<br />

be specified that this is a widespread<br />

method to measure party<br />

positions, based on indirect analysis<br />

through the judgments of country<br />

professionals. in sum, experts<br />

of each country of interest are<br />

asked to answer a number of questions<br />

meant to assess party attitudes<br />

toward each topic covered<br />

by the survey (the final estimate<br />

would be the average of the experts’<br />

evaluations).<br />

according to benoit and<br />

Laver (2007), this is precisely the<br />

major advantage of expert surveys:<br />

unlike hand-coding techniques, it<br />

is easier and cheaper to survey expert<br />

anytime is needed 2 . nonetheless,<br />

there are some drawbacks as<br />

well: for instance, there might be<br />

problems with the questionnaires’<br />

formulation, or in the interpretation<br />

each expert gives to the latter.<br />

also, when dealing with notions<br />

such as “left” and “right”, those<br />

could vary from one country to<br />

another – or even within the same<br />

country over time (since it is not<br />

available a time-series dataset comprising<br />

all expert surveys’ estimates).<br />

Far from aspiring to be a comprehensive<br />

account of the impact<br />

the eU exerts on political parties’<br />

choices, the present paper will pro-<br />

209<br />

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O R I Z Z O N T I<br />

“CONVERGENCE CHECK”<br />

210<br />

ceed acknowledging the limits of<br />

this choice of data, aiming to provide<br />

a tentative assessment of the<br />

actual existence of a convergence<br />

among those domestic actors’ positions<br />

– when it comes to shape<br />

their attitudes towards specific<br />

fields, whose connection with the<br />

eU could vary.<br />

THEORETICAL FRAMEWORK<br />

The idea that ideological differences<br />

among political parties are<br />

deemed to decrease over time, producing<br />

less idiosyncratic policy<br />

choices, was already present before<br />

the european community was<br />

crafted.<br />

at least from the 1950s onwards,<br />

various authors have argued<br />

that “the end of ideology” was approaching<br />

(bell 1960): the underlying<br />

implication of this provocative<br />

thesis is the belief that the<br />

left-right cleavage – which has<br />

functioned as a schema to classify<br />

ideologies – would eventually become<br />

irrelevant, resulting in a centripetal<br />

electoral competition<br />

(blomme et al. 2008).<br />

one of the first scholars rigorously<br />

conceptualizing the notion<br />

of ideological convergence has<br />

been anthony Downs: in the seminal<br />

work An Economic Theory of<br />

Democracy (1957) – starting from<br />

the median voter’s theorem 3 , the<br />

author developed a spatial model<br />

predicting that parties would ultimately<br />

converge to the policy position<br />

of the median voter.<br />

as a matter of fact – according<br />

to the rational-choice theory,<br />

parties’ main goal is winning elections,<br />

thus trying to catch as many<br />

votes as possible. related to this,<br />

Kircheimer (1966) famously came<br />

to similar conclusions – contending<br />

that, as political parties cease<br />

to compete on the basis of principled<br />

ideologies, instead becoming<br />

competitive instrumentalists, the<br />

quality and quantity of opposition/dissent<br />

would decline in government.<br />

More recently, Katz and Mair<br />

(1995) observed the decline of the<br />

“catch-all” party primarily depicted<br />

by Kircheimer, theorizing<br />

the heyday of the so-called “cartel-parties”.<br />

in line with the convergent<br />

argument, party programmes<br />

have become more<br />

similar, as competition among political<br />

parties is shaped upon a collusion:<br />

in fact, parties «become<br />

agents of the state and employ the<br />

resource of the state (the party<br />

state) to ensure their own collective<br />

survival» (Katz and Mair<br />

1995:5).<br />

in the “responsible party<br />

model” or “mandate theory”, party<br />

programmes link the policy promises<br />

to the voters’ wishes<br />

(Thomassen & Schmitt 1997).<br />

Prospectively, party platforms appeal<br />

to voter preferences and, retrospectively,<br />

they enable voters to<br />

punish parties for their record in<br />

government (nanou and<br />

Dorussen 2013). Models that focus<br />

on accountability in political<br />

representation also view party pro-<br />

G E O P O L I T I C A – R I V I S T A S E M E S T R A L E D E L L ’ I S A G<br />

V o l . I V , N ˚ 1 G e n . - G i u . , 2 0 1 5


O R I Z Z O N T I<br />

“CONVERGENCE CHECK”<br />

grammes as promises: while elections<br />

guarantee the persistence of<br />

a mechanism of accountability,<br />

party manifestos are also expressions<br />

of preference. Thus, parties<br />

are seen not only as “office (vote)-<br />

seekers”, but also as guided by “policy-seeking”<br />

considerations. connected<br />

to this, parties maximize<br />

their utility when gaining office<br />

enables them to implement their<br />

preferred policies.<br />

in spite of the success of those<br />

theories putting forward convergence<br />

in the aftermath of the Second<br />

World War, a number of contrasting<br />

voices kept on underlining<br />

the differences still existing among<br />

the various parties’ stances. Downs<br />

himself circumscribed the implications<br />

of his own theory, making<br />

a distinction between two-party<br />

and multi-party systems, wherefore<br />

in the latter «parties (…) try<br />

to remain as ideologically distinct<br />

from each other as possible»<br />

(Downs 1957: 115).<br />

related to this, Macdonald<br />

and rabinowitz (1989) referred<br />

to the relevance of «valence issues»<br />

for political competition. in<br />

a nutshell, while the traditional<br />

proximity model of voting<br />

(Downs 1957) provides for issues<br />

which are judged in strictly rational<br />

terms – namely, voters prefer<br />

parties closer to their own position<br />

on a given issue, in the<br />

directional model of voting (Macdonald<br />

and rabinowitz 1989), issues<br />

are judged in symbolic terms,<br />

thus voters prefer the most intense<br />

party in their own direction on a<br />

given issue.<br />

in addition to that, budge<br />

and Klingemann (2001) found no<br />

more than «trendless fluctuations»<br />

when looking at linear developments<br />

towards convergence<br />

of political parties: in other words,<br />

the decline of ideological polarization<br />

is far from assuming a definite<br />

pattern – and that seemed clear<br />

when empirically assessing this hypothesis<br />

over a wider span of time.<br />

Thence, evidence suggests<br />

that little empirical support is<br />

found to the “end of ideology” thesis,<br />

and that – especially at the individual<br />

level – the left-right cleavage<br />

still constitutes a rather crucial<br />

«economizing device», both enabling<br />

voters to face the complex<br />

realm of politics and generally<br />

shaping party competition (Freire<br />

et al. 2009).<br />

in light of this backdrop, one<br />

could observe that – even if the<br />

study of political parties and european<br />

integration entered the<br />

field of party research in occasion<br />

of the first direct elections to the<br />

european Parliament back in<br />

1979, it was not until the 1990s<br />

that the concept of europeanization<br />

and political party research<br />

actually met (Ladrech 2009). Furthermore,<br />

european integration<br />

and its bearings have completely<br />

changed over the past decades, rendering<br />

european issues ever closer<br />

to domestic politics – to the extent<br />

that the sharing of policy-making<br />

powers between national governments<br />

and the eU has sensibly ex-<br />

211<br />

G E O P O L I T I C A – R I V I S T A S E M E S T R A L E D E L L ’ I S A G<br />

V o l . I V , N ˚ 1 G e n . - G i u . , 2 0 1 5


O R I Z Z O N T I<br />

“CONVERGENCE CHECK”<br />

212<br />

panded over time (nanou and<br />

Dorussen 2013).<br />

as Hix and Høyland (2011:<br />

137) argue, «eU politics is party<br />

politics», as parties provide vital<br />

links between the national and eU<br />

arenas. To be sure, the eU has not<br />

only become involved in more and<br />

more policy areas, but it has also<br />

extended its authority. indeed,<br />

Hooghe and Marks (2001) observe<br />

that – where eU decisions<br />

have supremacy over existing and<br />

future legislation in the Member<br />

States – they function as constraints:<br />

eU legislation limits the<br />

policies that parties in the Member<br />

States can pursue once in government.<br />

Therefore, they impact<br />

party competition as well (nanou<br />

and Dorussen 2013).<br />

research on the attitudes of<br />

political parties towards the european<br />

integration process produced<br />

a burgeoning literature mainly<br />

claiming that the conflict over the<br />

eU is largely shaped by ideology<br />

and left-right logics (Hix et al.<br />

2007). in particular, european integration<br />

seems to produce neither<br />

a new cleavage, nor new normative<br />

orientations in conflict with other<br />

long-established ones. rather, traditional<br />

socio-economic Left/<br />

right dimension of conflict is seen<br />

as one of the main bases of party<br />

attitudes toward the eU (Mair<br />

2007; conti and Memoli 2012).<br />

Hix (et al. 2007) specified the<br />

latter argument pointing out that<br />

a pro and anti-integration axis is<br />

emerged, but orthogonal to the<br />

left-right axis. Further, a limited<br />

role is played by the governmental<br />

status of a party. Hooghe (et al.<br />

2004) made reference instead to<br />

the division between parties that<br />

represent values of «new politics»<br />

(i.e. post-materialist values in the<br />

sense conveyed by inglehart 4 ) and<br />

“conventional” parties as an additional<br />

source of influence.<br />

What is more, some european<br />

issues connect closely to domestic<br />

politics, while others do<br />

not. consequently, european affairs<br />

having distributional effects<br />

within countries are most closely<br />

related to Left/right contestation,<br />

whereas others affecting national<br />

sovereignty attach more closely to<br />

new politics contestations.<br />

Theoretically, politics can be<br />

conceived as contestation in an infinite-issue<br />

space, but for many reasons,<br />

there is justification for reducing<br />

that space to a more<br />

manageable number (bakker et al.<br />

2010). as far as the impact of the<br />

eU on national party systems is<br />

concerned, at least in pre-2004 eU<br />

member states, the conclusion by<br />

Mair (2000) has been prominent.<br />

When taking into consideration<br />

the impact of the eU on creating<br />

new parties (format) or re-structuring<br />

the nature of issue competition<br />

between parties (mechanics),<br />

he found that in general there<br />

is very little impact of a direct nature<br />

(Ladrech 2009).<br />

attempting to systematize the<br />

researches on europeanization and<br />

national parties, Ladrech (2002)<br />

pointed out that the constraints<br />

on the range of policy-making fi-<br />

G E O P O L I T I C A – R I V I S T A S E M E S T R A L E D E L L ’ I S A G<br />

V o l . I V , N ˚ 1 G e n . - G i u . , 2 0 1 5


O R I Z Z O N T I<br />

“CONVERGENCE CHECK”<br />

nally diminished the scope of policy<br />

proposals offered by parties at<br />

elections. Following this line of<br />

reasoning, Mair (2007) detailed<br />

these constraints as manifesting in<br />

three specific ways: (1) a decrease<br />

of policy space available to competing<br />

parties; (2) a reduction of<br />

the policy instruments available<br />

for the national governments’ perusal;<br />

(3) a limited policy repertoire<br />

(Ladrech 2009).<br />

in a spirit of full disclosure,<br />

the shift of policy competencies<br />

hence appears as an incremental<br />

process, which parties accordingly<br />

respond to. Ergo, if policy convergence<br />

means that parties would<br />

take positions in the issue-space<br />

closer to those held by their “rivals”<br />

– wherefore rendering the distribution<br />

of party positions more<br />

compact, then eU decision-making<br />

seems likely to limit the range<br />

of party policy positions.<br />

as already argued, alternative<br />

explanations of party change assume,<br />

more generally, that domestic<br />

(i.e., the surge of “cartel-parties”)<br />

or external factors (i.e., an<br />

economic crisis, or the long-standing<br />

phenomenon of globalization)<br />

diminish the importance of the<br />

Left/right cleavage – accounting<br />

for the end of ideologies (nanou<br />

and Dorussen 2013). While recognizing<br />

the importance of these<br />

factors, the focus of the present<br />

paper would be – as announced –<br />

on the influence of eU policy<br />

competencies, by distinguishing its<br />

effect across various policy areas.<br />

admittedly – as areas become subject<br />

to greater eU decision-making<br />

authority, thus becoming “locked<br />

in” to certain policy alternatives,<br />

there might be also a risk of “depoliticization”<br />

and increasing insulation<br />

from domestic political<br />

debate (Mair 2000; nanou and<br />

Dorussen 2013). namely, this argument<br />

implies an implicit convergence<br />

of party platforms: for<br />

political parties the range of policy<br />

options appears to shrink due to<br />

eU policy commitments.<br />

DATA AND OVERVIEW<br />

in light of the arguments reviewed,<br />

a tentative assessment of<br />

the impact eU policy pledges have<br />

on domestic parties’ policy choices<br />

would be done. as mentioned, the<br />

analysis is performed taking advantage<br />

of the 1999-2010 chapel<br />

Hill’s expert Surveys (cHeS).<br />

The surveys replicate and extend<br />

the ray dataset for 1984,<br />

1988, 1992, and 1996 and the<br />

chapel Hill survey of 1999 5 .<br />

This dataset «provides a<br />

comprehensive report of 2010 national<br />

party positioning on ideology,<br />

european integration and 13<br />

policies in 28 countries based on<br />

expert judgments. These data are<br />

the most recent wave of the<br />

chapel Hill expert Survey collected<br />

at regular intervals since<br />

1999 and now bundled in a trend<br />

file combining four waves: 1999,<br />

2002, 2006 and 2010» (bakker et<br />

al. 2012:2).<br />

The surveys monitor the ideological<br />

positioning of parties on<br />

213<br />

G E O P O L I T I C A – R I V I S T A S E M E S T R A L E D E L L ’ I S A G<br />

V o l . I V , N ˚ 1 G e n . - G i u . , 2 0 1 5


O R I Z Z O N T I<br />

“CONVERGENCE CHECK”<br />

214<br />

a general left–right dimension<br />

and – since 1999 – also on the<br />

economics left–right and the social<br />

left–right dimension (‘new<br />

politics’ or green/alternative/libertarian<br />

(GaL) to traditional/authoritarian/nationalist<br />

(Tan) dimension).<br />

Second, the surveys<br />

bring together data on party<br />

stances towards the eU. Moreover,<br />

they add other questions on party<br />

positioning and salience for thirteen<br />

policy dimensions surveyed<br />

by benoit and Laver (2006).<br />

The 2010 wave also encompasses<br />

two non-eU european<br />

countries, norway and Switzerland,<br />

as well as recent eU member<br />

croatia and long-time candidate<br />

Turkey. The 2010 survey was conducted<br />

in the spring of 2011 and<br />

covers 237 national parties in these<br />

28 countries (bakker et al. 2012)<br />

included in the questionnaire,<br />

questions defined as “specific policy<br />

issues”, such as:<br />

– power transfer to the European<br />

Parliament (EP): this category<br />

appears as capable of<br />

grasping both the issue of eU<br />

membership and the problem<br />

of representation. as a matter<br />

of fact, any overall assessment<br />

of the eU as a system of governance<br />

should take into consideration<br />

these topics, alongside<br />

the ones of “policy scope”<br />

and “identity” (cotta and isernia<br />

2009; conti and Memoli<br />

2012).<br />

– internal market 6 : with its politics<br />

of regulation, the internal<br />

market could be considered a<br />

long-standing and crucial element<br />

of the eU as a political<br />

entity. over time, it has<br />

deeply impacted the relationship<br />

between the state and<br />

market within the eU Member<br />

States, shifting authority<br />

from the States to the eU itself.<br />

– EU cohesion/regional policy:<br />

the regional policy of the eU,<br />

commonly named cohesion<br />

policy, represents approximately<br />

35.6 % of the overall<br />

eU budget 7 (Wostner 2008).<br />

Given the severe public finance<br />

constraints provided,<br />

increasing attention has been<br />

put on the actual effectiveness<br />

of cohesion policy – wherefore<br />

making the latter a matter<br />

of contention also among<br />

domestic actors (including<br />

political parties).<br />

– EU foreign and security policy:<br />

being an area not-yet-intensely<br />

europeanized (conti and<br />

Memoli 2012), the concern<br />

about competence attribution<br />

is far from being trivial.<br />

– EU enlargement to Turkey 8 :<br />

this controversial issue is<br />

added because not only it taps<br />

the specific favorability/opposition<br />

towards further<br />

eU enlargement, but it is also<br />

central to considerations regarding<br />

issues of “identity” –<br />

whose evolution could be<br />

seen both as a pre-existing<br />

“cultural heritage” and as an<br />

open-ended process giving<br />

G E O P O L I T I C A – R I V I S T A S E M E S T R A L E D E L L ’ I S A G<br />

V o l . I V , N ˚ 1 G e n . - G i u . , 2 0 1 5


O R I Z Z O N T I<br />

“CONVERGENCE CHECK”<br />

space to actors pursuing<br />

specific political projects<br />

(checkel and Katzenstein<br />

2009).<br />

The points just raised may be<br />

relevant because they include decisive<br />

issues – differing in their degree<br />

of “involvement” required to<br />

the Member State by the eU. Party<br />

positions on these themes will<br />

hence constitute the dependent<br />

variables of the analysis 9 .<br />

as explanatory variables, four<br />

elements dealing with the formation<br />

of parties’ ideological positions<br />

are considered. The first couple<br />

refers to cleavages seen as most<br />

influential in party positioning,<br />

while the second pair of dimensions<br />

attempts to grasp a “purely<br />

european” attitude developed by<br />

parties:<br />

Left/Right placement: as already<br />

mentioned when reviewing the<br />

literature, the Left/right continuum<br />

is the traditional dimension<br />

along which parties have polarized.<br />

To be sure, the question regarding<br />

the relation between a<br />

party’s Left/right placement and<br />

its positions on issues arising<br />

from european integration has<br />

been already addressed before, receiving<br />

three main lines of responses<br />

(Hooghe et al. 2002), as<br />

following:<br />

acknowledging those arguments,<br />

the expectation here would<br />

be in line with the third model<br />

(the “Hooghe-Marks” one), following<br />

other scholars’ encouraging<br />

results on that, i.e. Hooghe et al.<br />

2002; bakker et al. 2010). it follows<br />

the first hypothesis:<br />

215<br />

Table 1. Left/Right dimension vs. European integration dimension(s)<br />

The regulation model: European integration is subsumed into the Left/Right dimension. European<br />

politics is fused to the basic domestic competition between the Left, which pushes for common economic<br />

regulation across Europe, and the Right, which favors less regulation. Party positioning on<br />

Left/ Right and European issues coincide.<br />

The Hix-Lord model: European integration and Left/Right contestation are independent of each<br />

other. European integration engages national sovereignty and mobilizes territorial groups, which<br />

compete on where authority should be located. Left/Right contestation involves the allocation of<br />

values among functional interests. Hence, party positioning on domestic issues and party positioning<br />

on European issues are orthogonal to each other<br />

The Hooghe-Marks model: Left/Right contestation shapes positioning only on European<br />

policies that are concerned with redistribution and regulating capitalism. Hence, the Center-Left<br />

supports European integration in cohesion policy, social policy, unemployment policy, environmental<br />

regulation, and upgrading the European Parliament, whereas the Right supports market integration<br />

but opposes European reregulation. Left/Right location is related to a subset of European issues.<br />

G E O P O L I T I C A – R I V I S T A S E M E S T R A L E D E L L ’ I S A G<br />

V o l . I V , N ˚ 1 G e n . - G i u . , 2 0 1 5


O R I Z Z O N T I<br />

“CONVERGENCE CHECK”<br />

216<br />

H1: Left/Right placement<br />

accounts for variation in party<br />

attitudes toward specific policy<br />

questions, but only for a subset of<br />

European issues<br />

– “new politics” (GAL-TAN):<br />

this dimension assumes many<br />

denominations – including<br />

those recalling the famous distinction<br />

between materialist<br />

and post-materialist values<br />

(suggested by the mentioned<br />

influential work by inglehart).<br />

The present paper will stick<br />

to the label “GaL-Tan”, following<br />

the cHeS norms and<br />

related publications (Hooghe<br />

et al. 2010; bakker et al.<br />

2012).<br />

Whatever the label given,<br />

GaL-Tan has been deemed «the<br />

most general and powerful predictor<br />

of party positioning on the issues<br />

that arise from european integration»<br />

(Hooghe et al. 2002).<br />

admittedly, it covers a broad range<br />

of topics: one pole (GaL) combines<br />

ecology, “alternative” politics<br />

(non-economic values inspired by<br />

post-materialist issues, i.e. feminism),<br />

and libertarianism, while<br />

the other (Tan) merges support<br />

for traditional values, opposition<br />

to immigration, and defense of the<br />

national community (Hooghe et<br />

al. 2002). Furthermore, the relationship<br />

between these two poles<br />

seems to vary between east and<br />

West: particularly, Western leftwing<br />

parties tend to have a propensity<br />

for the “GaL” dimension,<br />

whereas eastern left-wing parties<br />

are likely to be prone to the<br />

“Tan” dimension (Marks et al.<br />

2006; bakker et al. 2012).<br />

in order to formulate the second<br />

hypothesis, a control variable<br />

will be already presented:<br />

– “East-West”: dummy (0. Party<br />

from east-central europe; 1.<br />

Party from eU-15)<br />

H2: Parties located on the “GAL”<br />

pole will tend to be more<br />

supportive to further integration<br />

in the policy fields examined.<br />

Related to this, a differentiation<br />

may be found between Eastern<br />

and Western parties.<br />

– “General party positioning on<br />

EU integration”: this dimension<br />

serve for distinguishing<br />

specific favorability/opposition<br />

towards the integration<br />

process. in fact, european integration<br />

has been hypothesized<br />

as a process that has produced<br />

a new and potentially<br />

disruptive impact, generating<br />

a set of issues on the agenda<br />

which cannot be swallowed<br />

within existing patterns of political<br />

contestation.<br />

H3: Party positioning on EU<br />

integration accounts for variation<br />

in party attitudes toward specific<br />

policy questions<br />

– “EU salience”: relative salience<br />

of european integration in<br />

G E O P O L I T I C A – R I V I S T A S E M E S T R A L E D E L L ’ I S A G<br />

V o l . I V , N ˚ 1 G e n . - G i u . , 2 0 1 5


O R I Z Z O N T I<br />

“CONVERGENCE CHECK”<br />

the party’s public stance. according<br />

to saliency theory,<br />

parties compete by giving emphasis<br />

to certain issues or<br />

making a claim to “issue ownership”<br />

and de-emphasizing<br />

others (budge et al. 2001:<br />

78–87). Saliency theory contrasts<br />

with the main assumption<br />

of spatial theories –<br />

which see parties competing<br />

and taking distinct positions<br />

along issue dimensions<br />

(nanou and Dorussen 2013)<br />

H4: EU salience of European<br />

integration will impact on party<br />

attitudes toward specific policy<br />

questions<br />

The following control variables<br />

will be also included:<br />

– “EU member state”: the underlying<br />

idea is that – as far<br />

as the obligations deriving<br />

from eU membership increase,<br />

governments would<br />

tend to feel more constrained<br />

in terms of the policies they<br />

can implement. it follows that<br />

parties will feel this limit<br />

when it comes to policy<br />

choices. Moreover, eU restraints’<br />

impact on party competition<br />

in non-Member<br />

States should be different,<br />

since policy decisions at<br />

the eU level are predominantly<br />

binding on Member<br />

States (nanou and Dorussen<br />

2013) 10 .<br />

– “Government participation”:<br />

following Sitter (2001), parties<br />

that are excluded from the<br />

governmental arena tend to<br />

show more euroscepticism<br />

than those included in the<br />

government.<br />

Since the estimates are the averages<br />

of each variable, the statistical<br />

technique that appears as<br />

more suitable is oLS regression.<br />

Five models will be run, one for<br />

every dependent variable presented<br />

11 .<br />

./..<br />

217<br />

G E O P O L I T I C A – R I V I S T A S E M E S T R A L E D E L L ’ I S A G<br />

V o l . I V , N ˚ 1 G e n . - G i u . , 2 0 1 5


O R I Z Z O N T I<br />

“CONVERGENCE CHECK”<br />

Table 2. oLS regression estimates<br />

DEP.VAR:<br />

EP<br />

COEFF.<br />

(ST. ERRORS)<br />

DEP. VAR.:<br />

INTMARK<br />

COEFF.<br />

(ST. ERRORS)<br />

DEP. VAR:<br />

COHESION<br />

COEFF.<br />

(ST. ERRORS)<br />

DEP. VAR.:<br />

FOREIGN<br />

COEFF.<br />

(ST. ERRORS)<br />

DEP. VAR.:<br />

TURKEY<br />

COEFF.<br />

(ST. ERRORS)<br />

LR<br />

-.054**<br />

(3.21)<br />

.200**<br />

(11.19)<br />

-.171**<br />

(8.61)<br />

.024<br />

(1.52)<br />

-.079 **<br />

(2.70)<br />

GALTAN5<br />

-.078**<br />

(4.64)<br />

-.085**<br />

(4.82)<br />

.044*<br />

(2.19)<br />

.008<br />

(0.49)<br />

-.233**<br />

(8.36)<br />

POSITION<br />

.626**<br />

(34.26)<br />

-695**<br />

(33.56)<br />

.511**<br />

(23.63)<br />

.853**<br />

(49.48)<br />

.373**<br />

(11.81)<br />

SALIENCE<br />

-.170**<br />

(3.58)<br />

.072<br />

(1.26)<br />

-.174**<br />

(3.10)<br />

-.095*<br />

(2.11)<br />

-.027<br />

(0.30)<br />

GOVT<br />

-.131*<br />

(2.10)<br />

.137*<br />

(2.06)<br />

-.036<br />

(0.49)<br />

.038<br />

(0.64)<br />

.249*<br />

(2.30)<br />

EASTWEST<br />

.304**<br />

(4.39)<br />

-.176*<br />

(2.54)<br />

-.510**<br />

(6.23)<br />

.073<br />

(1.14)<br />

.033<br />

(0.34)<br />

EUMEMBER<br />

.432**<br />

(4.50)<br />

.822**<br />

(8.79)<br />

.112<br />

(0.99)<br />

.586**<br />

(6.49)<br />

.074<br />

(0.30)<br />

218<br />

Constant<br />

2.223**<br />

(10.66)<br />

-.177<br />

(0.74)<br />

4.266**<br />

(17.27)<br />

-.035<br />

(0.18)<br />

3.711**<br />

(8.17)<br />

R-squared 0.73 0.79 0.57 0.83 0.61<br />

N 694 558 693 700 379<br />

* p


O R I Z Z O N T I<br />

“CONVERGENCE CHECK”<br />

that it would be more likely to find<br />

favor towards a more powerful<br />

eP in eU-15 rather than in central/eastern<br />

europe.<br />

even though it is generally<br />

said that states, such as the central/eastern<br />

european ones, which<br />

joined after 2004 are more confident<br />

in european institutions<br />

(Marks et al. 2004), it is possible<br />

that – due to the outbreak of the<br />

economic crisis, the existing relationship<br />

between member states<br />

and the european Union has dramatically<br />

changed. To date, countries<br />

like the czech republic and<br />

– increasingly – Hungary belong<br />

to the group of eurosceptic countries.<br />

The 2014 european Parliament<br />

(eP) elections 12 proved to<br />

be another step in Hungary’s slide<br />

away from a federalist europe 13 .<br />

interestingly enough, “GaL-<br />

Tan” dimension is significant in<br />

this model, as well as while<br />

Left/right is significant at .05:<br />

thus, leftist parties seem to be<br />

more prone to support a further<br />

assignment of competences to the<br />

eP. The connection between “left”<br />

and “GaL” is verified on the basis<br />

of these results 14 .<br />

rather unsurprising the significance<br />

of the variables relating<br />

the relative salience of european<br />

integration in the party’s public<br />

stance (PoSiTion), which is<br />

positively significant. The eU<br />

membership, which is also positively<br />

significant, is understandable<br />

– as participation may foster favorability<br />

towards a power transfer<br />

to the eP.<br />

– Model 2 (dependent variable:<br />

internal market):<br />

Party positioning on eU integration<br />

accounts for a significant<br />

variation in party attitudes towards<br />

the internal market (the positive<br />

sign of the coefficient confirms<br />

the hypotheses put forward),<br />

alongside Left/right positioning<br />

and GaL-Tan dimension. it is of<br />

particular interest that the coefficient<br />

for “Left/right” goes in an<br />

opposite direction with respect to<br />

the GaL-Tan one.<br />

in line with the prediction of<br />

Hooghe (et al. 2006), in the West,<br />

where the status quo is “capitalism”,<br />

there is an affinity between<br />

the pro-market right and “Tan”<br />

values, whereas – in central and<br />

eastern europe – defenders of<br />

non-market distribution are<br />

“Tan” and those anticipating<br />

benefits from marketization are<br />

“GaL”. not only in the model the<br />

relative variable shows significance<br />

(eaSTWeST), but also the divergence<br />

of the signs for “Lr” and<br />

“GaL_Tan” could be supposedly<br />

connected to this consideration.<br />

Unsurprisingly enough, the<br />

variable relating the eU membership<br />

is positively significant.<br />

– Model 3 (dependent variable:<br />

EU cohesion/regional policy):<br />

in this model, both party positioning<br />

on eU integration and<br />

eU salience have a significant impact<br />

on party attitudes towards<br />

eU cohesion policy.<br />

219<br />

G E O P O L I T I C A – R I V I S T A S E M E S T R A L E D E L L ’ I S A G<br />

V o l . I V , N ˚ 1 G e n . - G i u . , 2 0 1 5


O R I Z Z O N T I<br />

“CONVERGENCE CHECK”<br />

220<br />

confirming previous findings<br />

(Hooghe et al. 2006), both Left/<br />

right and GaL-Tan dimensions<br />

also seem to influence party<br />

stances regarding this policy.<br />

The dummy distinguishing<br />

the eU-15 from central/eastern<br />

europe is significant (with negative<br />

coefficient): this is rather predictable,<br />

since eU cohesion is a<br />

policy of solidarity at the european<br />

level, whose primary beneficiaries<br />

are the new Member States.<br />

– Model 4 (dependent variable:<br />

EU foreign and security policy):<br />

as said, foreign policy is an<br />

area not-yet-intensely europeanized.<br />

it follows that not finding<br />

a significance for the variable<br />

concerned with traditional “leftright”<br />

contestation, or for the new<br />

politics’ variable “GaL-Tan”,<br />

which falls short of significance<br />

here) is foreseeable.<br />

The variable regarding the<br />

overall orientation of the party<br />

leadership towards european integration<br />

is significant: thus, the<br />

more a party is favorable to the european<br />

integration trajectory, the<br />

more it will be likely to favor eU<br />

commitments also in the field of<br />

foreign policy. Similar conclusions<br />

may be drawn for the significant<br />

of the variable relating the eU<br />

membership.<br />

– Model 5 (dependent variable:<br />

EU enlargement to Turkey):<br />

Finally, Turkish troubled path<br />

to the eU has been for long time<br />

a divisive issue, which tackles several<br />

dimensions of party contestation<br />

– encompassing the political,<br />

economic, cultural and migratory<br />

elements of Turkish-eU relations.<br />

The findings reported in table 2<br />

mirror this situation.<br />

The fact that both<br />

“Left/right” and “GaL-Tan” are<br />

significant with a negative coefficient<br />

confirms what previous research<br />

asserted: “GaL” values are<br />

consistent with support for further<br />

european integration and, at least<br />

in the West, there are strong affinities<br />

between “left” and “GaL”<br />

(Marks et al. 2004).<br />

Moreover, “GaL” values<br />

could be more easily connected to<br />

a favorable attitude towards Turkish<br />

eU accession bid – since the<br />

“GaL” pole is generally amenable<br />

to a supportive position on issues<br />

such as identity, cultural diversity<br />

or immigration, which are easily<br />

implied when grasping the<br />

dilemma of Turkey’s eU membership.<br />

related to this, the significance<br />

of the variable regarding parties’<br />

stances towards european integration<br />

is expectable: it is more<br />

likely that a party which generally<br />

favors the eU deepening and<br />

widening process would also be in<br />

favor of Turkey’s accession.<br />

as a final point, the variable<br />

GoVT is also significant at .05:<br />

following Hix (2007), parties in<br />

government are the same controlling<br />

the policy agenda and repre-<br />

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“CONVERGENCE CHECK”<br />

senting the states at the european<br />

level; thus, far more than their<br />

fringe party colleagues, mainstream<br />

parties are able to have a<br />

voice in eU policy-making. This<br />

agenda-setting power at the european<br />

level contributes to mainstream<br />

party support.<br />

– Hypotheses testing:<br />

When looking at table 2, the<br />

overall results partly confirm the<br />

hypotheses put forward in the paper.<br />

In primis, the overall party<br />

position on the european integration<br />

process – rather than its<br />

“salience” in party stances – appears<br />

to be a fairly good predictor,<br />

which is significant across all models<br />

run and policy areas considered.<br />

Therefore, while the hypothesis<br />

concerned with salience (H4)<br />

should be unfortunately rejected,<br />

the one (H3) about party position<br />

on eU integration should instead<br />

be accepted.<br />

Left/right proves to be a<br />

long-standing term in the party<br />

policy choice equation, but it<br />

shows significance only in models<br />

concerning intensely europea -<br />

nized areas such as the internal<br />

market and in the ones regarding<br />

debated issues (Turkey), whereas<br />

it falls short of significance when<br />

dealing with not-so-intensely europeanized<br />

policy domains (foreign<br />

policy).<br />

This seems consistent with<br />

the hypothesis (H1) made in the<br />

present paper: the Left/right dimension<br />

still accounts for a significant<br />

variation – but not beyond<br />

a specific subset of policies.<br />

by contrast, “GaL-Tan” dimension<br />

is always significant<br />

across the models – with the exception<br />

of the one concerning foreign<br />

policy. its significance gets<br />

along with the direction specified<br />

by the dedicated hypothesis (H2):<br />

in fact, “GaL” values seems to be<br />

associated with a supportive attitude<br />

towards further integration<br />

in the domains investigated. What<br />

instead does not emerge clearly<br />

from the present analysis is the expected<br />

differentiation between<br />

Western and central/eastern europe:<br />

in particular, the support for<br />

the latter distinction is here rather<br />

weak – since the variable accounting<br />

for “east/West” demarcations<br />

is significant only in three out of<br />

five models run. The same could<br />

be stated for the government/opposition<br />

dimension and the other<br />

control variable regarding the eU<br />

membership.<br />

CONCLUSIVE REMARKS<br />

as far as party ideological<br />

convergence on policy choices is<br />

concerned, mixed conclusions<br />

could be drawn:<br />

– the relevance acquired by parties’<br />

attitudes towards european<br />

integration generally<br />

suggests a path towards ideological<br />

convergence, chiefly in<br />

policy fields with increasing<br />

eU competences.<br />

221<br />

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O R I Z Z O N T I<br />

“CONVERGENCE CHECK”<br />

222<br />

Further, it follows that, in<br />

contrast to the mentioned “depoliticization”<br />

argument (Mair<br />

2000), which foresees an implicit<br />

convergence of party programs,<br />

european integration has somehow<br />

led to an explicit convergence<br />

of party positions (nanou and<br />

Dorussen 2013), as parties appear<br />

aware of the opportunities/constraints<br />

derived from the eU membership<br />

in each policy domain –<br />

constantly coming to terms with<br />

their specific stances on the eU<br />

integration path.<br />

in spite of that, it is also true<br />

that ideological convergence on<br />

the “european issue” should be<br />

clear also when looking at the<br />

salience of the latter: as said, this<br />

is not proved by the analysis performed<br />

in the paper (however –<br />

although “salience” is an extensively<br />

used concept within the field<br />

of eU studies, it suffers from conceptual<br />

ambiguity and lacks rigorous<br />

empirical investigation, as netjes<br />

and binnema 2007 argue).<br />

– it is undeniable that party<br />

stances are still largely<br />

amenable to the Left/right<br />

dimension 15 . nonetheless –<br />

as some observers (Marks et<br />

al. 2004) underline, the relationship<br />

between Left/right<br />

orientations and the degree of<br />

support for european integration<br />

depends on when the<br />

question is asked (it suffices<br />

to think of the various institutional<br />

changes the european<br />

Union has experienced<br />

at least from the 1980s onwards).<br />

in these terms, european<br />

integration is conceived<br />

as a “swiftly moving target”:<br />

thence, the relative weights of<br />

the dimensions considered<br />

could change as time passes<br />

by.<br />

as a final point, it is worthy<br />

revisiting what nanou and<br />

Dorussen (2013) recently pointed<br />

out when dealing with the topic<br />

of ideological convergence. building<br />

upon insights from spatial<br />

proximity theories of party competition,<br />

the authors demonstrated<br />

how – in policy domains where<br />

the involvement of the eU has increased<br />

– the distance between<br />

parties’ positions tends to decrease.<br />

according to the mentioned scholars<br />

– if the eU is indeed reducing<br />

the policy options available to domestic<br />

political parties, a pretty<br />

straightforward implication for<br />

the quality of democratic debate<br />

in europe is unavoidable.<br />

Moving from a different<br />

point – the one about the dimensions<br />

involved in the debate about<br />

parties and their policy choices in<br />

the face of european integration,<br />

the present paper arrives to similar<br />

conclusions.<br />

in other terms, fact is that the<br />

eU is a dimension which domestic<br />

actors should increasingly take<br />

into consideration in a mounting<br />

number of policy domains. in spite<br />

of that, the salience of this dimension<br />

– as the analysis performed<br />

reveals – is still lower than it would<br />

be necessary when one looks at the<br />

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O R I Z Z O N T I<br />

“CONVERGENCE CHECK”<br />

effective power (and related competences)<br />

acquired by eU institutions.<br />

The low salience of the european<br />

dimension could be considered<br />

as a troublesome indicator,<br />

which may suggest a lack of attentiveness<br />

on behalf of parties – especially<br />

during domestic elections,<br />

but also when it comes to european<br />

elections, which are stably regarded<br />

as “second-order” vis-à-vis<br />

their domestic counterparts (reif<br />

and Schmitt 1980).<br />

The european Union is «a<br />

strange beast in the political jungle»<br />

(Green 2001), wherefore a<br />

full knowledge of all its dynamics<br />

is an ever difficult task – both for<br />

pundits and for actors involved in<br />

this multi-level mechanism. Still<br />

– as long as its impact on party<br />

politics in the Member States will<br />

be growing, political parties’ understanding<br />

and responsiveness to<br />

their electorate will be absolutely<br />

crucial – and should enlighten<br />

their policy choices.<br />

Lastly, the present paper has<br />

hopefully hinted at a number of<br />

directions for the further research:<br />

in a nutshell, the impact of external<br />

pressures on party competition<br />

and democratic accountability<br />

should inform revised investigations<br />

on the role of the eU and its<br />

relationship with domestic actors.<br />

in this respect, it would be interesting<br />

to replicate the present<br />

study once the 2014 cHeS wave<br />

will be made available 16 . Particularly,<br />

considerations about the outbreak<br />

of the socioeconomic and<br />

financial crisis and its impact on<br />

the relevance of the ‘european dimension’<br />

should be left to future<br />

studies focusing on issues such as<br />

those aforementioned.<br />

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APPENDIX:<br />

QUESTION WORDING<br />

AND VARIABLE CODINGS<br />

– Please note that the cHeS dataset<br />

contains average expert judgments per<br />

political party, allowing the aggregation<br />

of experts’ scores, the estimation<br />

of standard deviations among experts’<br />

judgments, as well as the calculation<br />

of uncertainty estimates.<br />

For the sake of clarity, the present appendix<br />

would specify the full question format 17 .<br />

– Dependent variables:<br />

eP: position of the party leadership on the<br />

powers of the european Parliament:<br />

1– Strongly opposes 2– opposes 3– Somewhat<br />

opposes 4– neutral 5– Somewhat in<br />

favor 6– Favors 7– Strongly favors<br />

inTMarK: position of the party leadership<br />

on the internal market:<br />

1– Strongly opposes 2– opposes 3– Somewhat<br />

opposes 4– neutral 5– Somewhat in<br />

favor 6– Favors 7– Strongly favors<br />

225<br />

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O R I Z Z O N T I<br />

“CONVERGENCE CHECK”<br />

coHeSion: position of the party leadership<br />

on eU cohesion policy:<br />

1– Strongly opposes 2– opposes 3– Somewhat<br />

opposes 4– neutral 5– Somewhat in<br />

favor 6– Favors 7– Strongly favors<br />

ForeiGn: position of the party leadership<br />

on Foreign and Security policy:<br />

Control variables:<br />

eaSTWeST: dummy (1. Party from eU-<br />

15; 0. Party from central/eastern europe)<br />

GoVT: government participation in (year):<br />

0. Party not in government 0.5. Party in government<br />

for part of the year 1. Party in government<br />

full year<br />

1– Strongly opposes 2– opposes 3– Somewhat<br />

opposes 4– neutral 5– Somewhat in<br />

favor 6– Favors 7– Strongly favors<br />

eUMeMber: dummy (0. country of this<br />

party not an eU member; 1. country of<br />

this party an eU member)<br />

226<br />

TUrKeY: position of the party leadership<br />

on eU enlargement to Turkey:<br />

1– Strongly opposes 2– opposes 3– Somewhat<br />

opposes 4– neutral 5– Somewhat in<br />

favor 6– Favors 7– Strongly favors<br />

– Independent variables:<br />

Lr: position of the party in terms of its<br />

overall ideological stance (from “0 = extreme<br />

left” to “10 =<br />

extreme right”)<br />

GaL_Tan: position of the party in terms<br />

of its ideological stance on democratic freedoms<br />

and rights [please see the paper for an<br />

explanation on the meaning of “GAL-TAN”]<br />

(from “0 = extreme left” to “10 = extreme<br />

right”)<br />

PoSiTion: overall orientation of the party<br />

leadership towards european integration:<br />

1– Strongly opposed 2– opposed 3– Somewhat<br />

opposed 4– neutral 5– Somewhat in<br />

favor 6– in favor 7– Strongly in favor<br />

SaLience: relative salience of european<br />

integration in the party’s public stance:<br />

1– Great importance 1– no importance 2–<br />

Little importance 3– Some importance<br />

NOTES<br />

1 Hooghe (et al. 2001), data and codebook<br />

available at:<br />

http://goo.gl/Hb374i.<br />

2 More than that, “in an ideal world”<br />

this might be the best means for estimating<br />

party position (Proksch and<br />

Slapin 2006). as far as cHeS are concerned,<br />

problems of reliability and validity<br />

of the data have been dealt with<br />

through statistical tests (Hooghe et<br />

al. 2010).<br />

3 First proved by Duncan black, which<br />

states that the median voter’s preferred<br />

policy cannot lose in elections against<br />

any other.<br />

4 “The Silent Revolution”, Princeton<br />

University Press, 1977.<br />

5 Please refer to ray’s website<br />

http://goo.gl/xnx7c3) for data and<br />

replication, and to cHeS website for<br />

additional information about the surveys<br />

(http://goo.gl/Mu5Tc8).<br />

6 only asked in 2002, 2006, 2010.<br />

7 Period 2007-2013, please see Wostner<br />

2008<br />

8 onLY asked in 2006 and 2010<br />

9 Question wording and variable codings<br />

are reported in the appendix.<br />

10 That said, the present variable accounts<br />

only for bulgaria in this<br />

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V o l . I V , N ˚ 1 G e n . - G i u . , 2 0 1 5


O R I Z Z O N T I<br />

“CONVERGENCE CHECK”<br />

dataset, since this State was not yet a<br />

eU Member at the time of the survey.<br />

11 The analysis is run on STaTa 12.<br />

12 Held in the days between 22-25 May,<br />

the 2014 eP elections were the 8th<br />

ballot since the first direct elections<br />

in 1979, and the first in which the<br />

transnational european political parties<br />

fielded candidates for president of<br />

the european commission. on the<br />

last european electoral round it is interesting<br />

the e-book edited by Luciano<br />

bardi, Hanspeter Kriesi and alexander<br />

H. Trechsel, eUi/rScaS/<br />

eUDo, Florence, 2014. available online<br />

at http://goo.gl/i6uT9a.<br />

13 as Stephen Szabo, executive Director<br />

of the Transatlantic academy, states<br />

in the commentary available at<br />

http://goo.gl/dei0FS . «The turnout<br />

of 28 percent was among the lowest<br />

in the eU member states, although<br />

there may have been voter fatigue,<br />

since the election came less than two<br />

months after Hungary’s parliamentary<br />

polls. The big winner was Prime Minister<br />

Viktor orban’s Fidesz party,<br />

which won close to 52 percent of the<br />

vote and 12 of Hungary’s seats in the<br />

eP. The far right Jobbik party came<br />

in second with close to 15 percent and<br />

three seats, while the Socialists collapsed<br />

and fragmented, polling only<br />

11 percent for two seats. orban feels<br />

vindicated in his euroskeptic line and<br />

has vowed not to support Jean-claude<br />

Juncker, the european People’s Party’s<br />

candidate, for commission President,<br />

despite his Fidesz being part of that<br />

caucus. Jobbik’s showing may have<br />

been weak in comparison to their totals<br />

in the recent parliamentary election<br />

and in light of the national Front<br />

and UKiP results in France and<br />

britain, but nationalism is alive and<br />

well in Hungary».<br />

14 indeed, the expectation was that – the<br />

more left-sided and “GaL” a party<br />

was, the more favor it would show towards<br />

the conferral of powers to the<br />

eP (in line with those who saw a strict<br />

relation between “left” and “GaL”, at<br />

least in Western europe, see bakker<br />

et al. 2010).<br />

15 Moreover, the “GaL-Tan” dimension<br />

– which is added to the left-right<br />

dimension of party competition on<br />

the european issue (Hooghe et al.<br />

2002) – is highly correlated with the<br />

latter. Thus, one has to bear in mind<br />

this correlation when assessing the<br />

presence/absence of such a dimension<br />

within any party system.<br />

16 Please refer to the following website<br />

for updates: http://goo.gl/4zX6iQ<br />

17 The complete codebook (means, as<br />

well as raw data) is available at<br />

http://goo.gl/hLii0S<br />

227<br />

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O R I Z Z O N T I<br />

La crisi del debito sovrano e<br />

il nuovo processo di integrazione<br />

economica e monetaria<br />

LUca LioneLLo<br />

Università Cattolica di Milano, Dottorando di<br />

ricerca in Istituzioni e politica<br />

THE SOVEREIGN DEBT CRISIS AND THE NEW PROCESS OF ECONOMIC AND<br />

MONETARY INTEGRATION. The European Union is having an identity crisis,<br />

which stems from the fundamental contradictions of the integration process. The first<br />

part of this article considers the roots of the crisis and measures adopted to face it.<br />

These had three main objectives: prevention of national defaults through the creation<br />

of rescue mechanisms and the intervention of the European Central Bank; strengthening<br />

of the economic governance; creation of a European banking union. The second<br />

part of the article analyses three main challenges the integration process has to face in<br />

order to overcome the crisis. First, it is necessary to complete the process of sovereignisation<br />

of the European Union. Second, the democratic deficit of EU institutions must<br />

be solved by strengthening the role of the European Parliament. Last, it is necessary<br />

to rethink economic growth at European level. Considering the necessity to adopt these<br />

structural reforms, the paper argues in its conclusion the necessity the relaunch the<br />

constitutional project, at least in the framework of the Euro area.<br />

KEYWORDS: DEBT CRISIS, ECONOMIC AND MONETARY UNION, ECONOMIC SOVEREIGNTY<br />

INTRODUZIONE<br />

La crisi deal debito sovrano costituisce una svolta nel processo di<br />

integrazione europea e allo stesso tempo un pericolo ed un’opportunità<br />

per il futuro dell’Ue. Le debolezze dell’unione economica<br />

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O R I Z Z O N T I<br />

LA CRISI DEL DEBITO SOVRANO<br />

230<br />

e monetaria hanno generato una<br />

crisi del progetto europeo che,<br />

prima di essere economica, è innanzitutto<br />

una crisi di identità.<br />

Davanti alla concreta possibilità di<br />

un crollo dell’unione monetaria e<br />

dell’intero progetto di integrazione,<br />

gli europei hanno dovuto<br />

confrontarsi con una serie di domande<br />

esistenziali sul loro stare insieme<br />

che per troppi anni sono<br />

state evitate o sottovalutate. Qual<br />

è lo scopo del processo di integrazione<br />

europea? Quanta solidarietà<br />

si può provare nei confronti dei<br />

cittadini degli altri Stati membri?<br />

È così necessaria la moneta unica?<br />

Quanto incide la mia opinione sul<br />

processo decisionale europeo?<br />

Dalla risposta che verrà data a queste<br />

domande dipenderà se e in che<br />

modo la crisi verrà superata.<br />

Per il momento l’unione economica<br />

e monetaria è sopravvissuta<br />

al collasso della Grecia, alla<br />

speculazione finanziaria ed alla<br />

forte perdita di consenso del progetto<br />

europeo grazie a numerosi<br />

sacrifici e complesse riforme che<br />

hanno profondamente trasformato<br />

la governance economica dell’Unione.<br />

Le istituzioni comunitarie<br />

hanno acquistato negli ultimi<br />

anni dei poteri che fino a pochi<br />

anni fa gli Stati membri rifiutavano<br />

categoricamente di cedere, perché<br />

relativi ad aspetti essenziali della<br />

loro sovranità nazionale.<br />

Le trasformazioni in corso<br />

rappresentano l’inizio di una<br />

nuova fase del processo di integrazione,<br />

incentrata sullo sviluppo<br />

dell’unione economica e monetaria<br />

e volta a risolvere definitivamente<br />

quelle contraddizioni strutturali<br />

della costruzione europea che<br />

hanno causato lo scoppio della<br />

crisi.<br />

Lo scopo di questo articolo è<br />

comprendere in che modo il processo<br />

di integrazione europea si stia<br />

sviluppando in reazione alla crisi<br />

del debito sovrano. nella prima<br />

parte si studieranno le cause della<br />

crisi e le riforme adottate dagli<br />

Stati per contrastarla. nella seconda<br />

parte si analizzeranno invece<br />

quelle problematiche ancora<br />

aperte del processo di integrazione,<br />

che dovranno essere affrontate nei<br />

prossimi anni per dare alla crisi del<br />

debito una soluzione duratura.<br />

L’ASIMMETRIA TRA<br />

L’UNIONE ECONOMICA E<br />

L’UNIONE MONETARIA<br />

La creazione dell’Unione<br />

economica e Monetaria (UeM)<br />

costituisce il momento più avanzato<br />

del processo di integrazione<br />

europea. con la firma del Trattato<br />

di Maastricht 1 i paesi membri<br />

hanno deciso di trasferire a livello<br />

sovranazionale la gestione della<br />

politica monetaria, parte fondamentale<br />

della loro sovranità nazionale.<br />

L’introduzione di un’unione<br />

monetaria in europa risponde sicuramente<br />

ad esigenze di carattere<br />

economico, in particolare la necessità<br />

di superare quelle inefficienze<br />

del mercato unico che le diverse<br />

politiche di cambio ancora produ-<br />

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O R I Z Z O N T I<br />

LA CRISI DEL DEBITO SOVRANO<br />

cevano, nonché permettere all’europa<br />

di concorrere nel commercio<br />

internazionale con il dollaro americano<br />

e lo yen giapponese. La<br />

scelta di creare una moneta unica<br />

è stata fortemente influenzata altresì<br />

dalle teorie sull’area monetaria<br />

ottimale 2 , che analizzano a quali<br />

condizioni è vantaggioso per un<br />

gruppo di paesi dotarsi di<br />

un’unione monetaria. il mercato<br />

comune europeo, essendo caratterizzato<br />

da una forte diversificazione<br />

della produzione fra gli Stati<br />

membri, nonché dalla libera circolazione<br />

dei capitali, presentava<br />

già all’inizio degli anni ‘90 alcune<br />

delle condizioni necessarie per l’introduzione<br />

della moneta unica 3 .<br />

allo stesso tempo la creazione di<br />

un’unione monetaria, privando i<br />

paesi membri della politica di cambio,<br />

normalmente utilizzata per<br />

reagire agli shock asimmetrici che<br />

colpivano il mercato interno, richiedeva<br />

sicuramente una rafforzamento<br />

del coordinamento economico,<br />

nonché la creazione di<br />

strumenti comuni per reagire agli<br />

shock economici. Da questo punto<br />

di vista la creazione dell’euro è<br />

stata innanzitutto una scelta di carattere<br />

politico, volta ad imprimere<br />

un’accelerazione al processo di unificazione<br />

dell’europa. Pur presentando<br />

una serie di imperfezioni, la<br />

creazione della moneta unica<br />

avrebbe infatti ulteriormente legato<br />

i paesi partecipanti, obbligandoli<br />

già nel medio termine a perseguire<br />

una maggiore integrazione<br />

economica e politica al fine di rendere<br />

il progetto di unione monetaria<br />

sostenibile. L’adozione della<br />

moneta unica diventava così una<br />

scelta a favore di un’unione sempre<br />

più stretta e indissolubile fra i paesi<br />

europei.<br />

L’unione monetaria è stata costruita<br />

sulla base di un processo di<br />

convergenza economica e monetaria<br />

fra gli Stati membri durata<br />

quasi dieci anni 4 . a partire dal<br />

1999, la banca centrale europea<br />

(bce) è stata incaricata di gestire<br />

per tutti i paesi della zona euro una<br />

politica monetaria unica, in piena<br />

indipendenza 5 e perseguendo l’obbiettivo<br />

primario della stabilità dei<br />

prezzi 6 . L’euro è diventato così un<br />

bene comune per milioni di europei<br />

ed ha rafforzato il processo di<br />

integrazione, nonché il senso di<br />

appartenenza dei cittadini all’Unione.<br />

in seguito all’introduzione<br />

dell’euro, i paesi membri<br />

hanno goduto di un basso tasso di<br />

inflazione, una forte riduzione dei<br />

tassi di interesse sul loro debito<br />

pubblico ed una generale stabilità<br />

economica 7 .<br />

all’introduzione della moneta<br />

unica, tuttavia, non è seguita<br />

la creazione di un’effettiva unione<br />

economica. nel corso della conferenza<br />

intergovernativa di Maastricht,<br />

gli Stati membri non<br />

hanno voluto accettare cessioni di<br />

sovranità economica e fiscale a favore<br />

dell’Unione europea, la quale<br />

non dispone ancora né delle<br />

risorse, né delle competenze sufficienti<br />

per adottare una vera politica<br />

economica a livello continentale.<br />

Le risorse attualmente a<br />

disposizione del bilancio Ue ven-<br />

231<br />

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O R I Z Z O N T I<br />

LA CRISI DEL DEBITO SOVRANO<br />

232<br />

gono spese per la maggior parte<br />

nella politica agricola comune e<br />

nella politica di coesione regionale<br />

sulla base di un serrato accordo intergovernativo<br />

8 . Si tratta evidentemente<br />

di strumenti limitati, del<br />

tutto insufficienti a fornire una risposta<br />

unica ed efficace agli eventuali<br />

shock economici che possono<br />

colpire l’unione e i suoi Stati membri.<br />

al fine di garantire la stabilità<br />

dell’unione monetaria i governi<br />

hanno accettato solo un coordinamento<br />

delle loro politiche di bilancio<br />

sulla base delle norme del<br />

Trattato 9 e del Patto di Stabilità e<br />

crescita 10 . Da una parte viene previsto<br />

il così detto metodo aperto<br />

di coordinamento, che consiste<br />

nell’approvazione di raccomandazioni<br />

di politica macroeconomica<br />

non vincolanti, sul cui rispetto la<br />

commissione e il consiglio esercitano<br />

una sorveglianza multilaterale<br />

di carattere politico ex art. 121<br />

TFUe. Dall’altra parte esiste un<br />

metodo chiuso di coordinamento<br />

che prevede l’adozione di parametri<br />

di stabilità vincolanti per le politiche<br />

di bilancio dei paesi membri<br />

11 e sul cui rispetto vigilano il<br />

consiglio e la commissione ex art.<br />

126 TFUe con la possibilità di<br />

sanzionare le eventuali infrazioni 12 .<br />

Si tratta evidentemente di un coordinamento<br />

molto debole, del<br />

tutto insufficiente a garantire una<br />

gestione coesa della politica economica<br />

europea.<br />

La creazione dell’UeM non<br />

ha in nessun modo determinato<br />

una mutualizzazione dei debiti degli<br />

Stati membri. come affermato<br />

dall’art. 125 TFeU sul divieto di<br />

bail out, né gli Stati membri, né<br />

l’Unione possono farsi carico delle<br />

obbligazioni assunte da un altro<br />

paese Ue. nonostante gli impegni<br />

presi dai governi prima dell’adozione<br />

della moneta unica, il coordinamento<br />

economico ha presto<br />

dato prova delle sue debolezze. nel<br />

2003, in seguito ad un generale rallentamento<br />

della crescita economica,<br />

molti paesi sforavano il rapporto<br />

del 3% deficit/Pil, compresi<br />

Francia e Germania. in relazione<br />

a questi due paesi, nonostante le<br />

raccomandazioni della commissione,<br />

il consiglio non raggiungeva<br />

la maggioranza necessaria per<br />

aprire una procedura di infrazione<br />

nei loro confronti, che veniva pertanto<br />

sospesa 13 . apertasi una controversia<br />

davanti alla corte di Giustizia,<br />

i giudici del Lussemburgo<br />

hanno affermato 14 che nonostante<br />

una sospensione della procedura<br />

non fosse legittima, il consiglio<br />

aveva comunque una piena discrezionalità<br />

nel decidere se sanzionare<br />

o meno uno Stato per la violazione<br />

dei parametri di stabilità. Forte di<br />

questa sentenza il consiglio poteva<br />

dunque decidere di non sanzionare<br />

Francia e Germania, nonostante<br />

fosse stata accertata una loro duratura<br />

infrazione delle norme europee.<br />

La governance economica<br />

della zona euro dimostrava così<br />

tutta la sua inefficacia, in parte perché<br />

si basava su raccomandazioni<br />

non obbligatorie, in parte perché<br />

l’applicazione delle norme vincolanti<br />

dipendeva da soggetti inter-<br />

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LA CRISI DEL DEBITO SOVRANO<br />

governativi, quali il consiglio, dotati<br />

di un’ampia discrezionalità politica<br />

e riluttanti a sanzionare gli<br />

Stati membri. La riforma del Patto<br />

di stabilità e crescita nel 2005 15 ha<br />

confermato un approccio morbido<br />

al coordinamento delle politiche<br />

economiche, introducendo tempistiche<br />

più lunghe per la correzione<br />

del deficit e soprattutto maggiori<br />

margini di apprezzamento della situazione<br />

economica dei singoli<br />

Stati membri. L’inefficienza della<br />

governance economica ha permesso<br />

negli anni successivi a diversi<br />

paesi della zona euro di perpetrare<br />

una cattiva gestione delle<br />

loro finanze pubbliche, violando<br />

sistematicamente i criteri di stabilità<br />

e le raccomandazioni di politica<br />

macroeconomica, nonché fornendo<br />

dati economici incorretti<br />

alla commissione europea 16 .<br />

contrariamente alle aspettative,<br />

anche i mercati finanziari non<br />

hanno svolto una pressione sugli<br />

Stati membri con finanze pubbliche<br />

meno solide. nonostante il divieto<br />

di bail out, gli investitori internazionali<br />

hanno scommesso<br />

sull’interdipendenza dei paesi<br />

membri e sul fatto che nessuno<br />

Stato sarebbe stato lasciato da solo<br />

in caso di difficoltà finanziarie. Per<br />

questo motivo tutti i paesi della<br />

zona euro hanno goduto di tassi<br />

di interesse molto convenienti sul<br />

loro debito pubblico, nonostante<br />

avessero situazioni finanziarie profondamente<br />

diverse.<br />

in conclusione l’asimmetria<br />

tra l’unione monetaria, fondata su<br />

una sostanziale cessione di sovranità,<br />

e l’unione economica, basata<br />

invece su un difficile coordinamento<br />

intergovernativo, ha permesso<br />

lo sviluppo di profondi<br />

squilibri e fragilità all’interno della<br />

zona euro, che la crisi del debito<br />

sovrano ha rivelato in tutta la loro<br />

drammaticità.<br />

LO SCOPPIO DELLA CRISI<br />

DEL DEBITO E LA RIFORMA<br />

DELLA ZONA EURO<br />

La crisi finanziaria scoppiata<br />

nel 2007 negli Stati Uniti si è rapidamente<br />

diffusa a livello globale<br />

colpendo l’economia reale e rendendo<br />

necessario l’intervento massiccio<br />

dei governi a sostegno del<br />

proprio sistema bancario ed industriale.<br />

i diversi paesi europei, una<br />

volta escluso un intervento comune<br />

17 , hanno adottato dei piani<br />

nazionali di aiuto a favore delle<br />

banche e delle imprese colpite dalla<br />

crisi, nonostante ormai gran parte<br />

di esse avesse raggiunto una dimensione<br />

continentale ed il loro salvataggio<br />

eccedesse spesso le risorse a<br />

disposizione dei singoli Stati.<br />

L’aggravarsi della crisi economica<br />

e finanziaria ha determinato<br />

un definitivo collasso delle finanze<br />

pubbliche di quei paesi che avevano<br />

consolidato un livello eccessivo<br />

di deficit e di debito pubblico.<br />

Questo era in particolare il caso<br />

della Grecia, che, dopo aver adottato<br />

l’euro nel 2001 mostrando ai<br />

partner dati economici manipolati,<br />

non era riuscita a risanare la sua finanza<br />

pubblica, rifiutando di adottare<br />

quelle riforme economiche e<br />

233<br />

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LA CRISI DEL DEBITO SOVRANO<br />

234<br />

dell’amministrazione pubblica necessarie<br />

a modernizzare il paese e<br />

renderlo competitivo sul piano internazionale.<br />

Fermo lo scarso impegno<br />

del governo greco, anche le<br />

istituzioni europee hanno avuto<br />

una grave responsabilità nel peggioramento<br />

della situazione economica<br />

del Paese, avendo preferito<br />

un approccio morbido alle numerose<br />

infrazioni del patto di stabilità<br />

ed essendo comunque nota la scorrettezza<br />

dei dati economici forniti<br />

da atene 18 . Subito dopo aver vinto<br />

le elezioni nell’ottobre 2009 il leader<br />

del partito socialista George<br />

Papandreu è stato costretto a rivelare<br />

lo stato reale delle finanze pubbliche<br />

greche che ormai avevano<br />

raggiunto un deficit superiore al<br />

12,4% ed un debito pubblico prossimo<br />

al 140% 19 . in assenza di meccanismi<br />

europei di garanzia e di<br />

intervento, la reazione delle agenzie<br />

di rating e degli investitori internazionali<br />

è stata di immediata<br />

sfiducia. in seguito al down rating<br />

dei titoli di Stato da parte delle<br />

maggiori agenzie di rating a partire<br />

dall’autunno 2009, i tassi di interesse<br />

sul debito greco hanno raggiunto<br />

in poche settimane livelli<br />

insostenibili, compromettendo<br />

sempre di più la stabilità finanziaria<br />

del paese e rendendo probabile<br />

la sua bancarotta nel giro di pochi<br />

mesi.<br />

L’instabilità della Grecia ha<br />

avuto immediate ripercussioni su<br />

quella degli altri paesi della zona<br />

euro, a causa della stretta interdipendenza<br />

economica e finanziaria<br />

all’interno dell’Unione. Gli attacchi<br />

speculativi si sono diffusi innanzitutto<br />

a Portogallo e irlanda<br />

nell’estate 2010 e successivamente<br />

a Spagna e italia nel 2011 e a cipro<br />

nel 2012. anche se ad essere colpiti<br />

erano innanzitutto i bond dei paesi<br />

più deboli, il vero obbiettivo degli<br />

speculatori era la zona euro nel suo<br />

complesso. i mercati volevano testare<br />

la tenuta del progetto di<br />

unione monetaria, per verificare se<br />

e in che modo i Paesi in difficoltà<br />

avrebbero ricevuto il sostegno di<br />

quelli più solidi. La crisi del debito<br />

sovrano era dunque iniziata.<br />

Dal momento che la maggior<br />

parte degli istituti di credito europei<br />

deteneva ingenti quantità di titoli<br />

di Stato dei paesi in difficoltà,<br />

la crisi del debito si è da subito intrecciata<br />

con un’ulteriore crisi del<br />

sistema bancario, che a sua volta,<br />

richiedendo ingenti sforzi di ricapitalizzazione<br />

da parte dei governi,<br />

comprometteva sempre di più la<br />

tenuta dei loro conti pubblici. Davanti<br />

al rischio di implosione dell’unione<br />

monetaria, i paesi membri<br />

hanno approvato una serie di riforme<br />

della governance europea, al<br />

fine di dotarsi finalmente di strumenti<br />

di intervento adatti a far<br />

fronte alla crisi del debito sovrano.<br />

il processo di riforma si è sviluppato<br />

lungo tre direttive.<br />

Una prima serie di interventi<br />

è stata volta ad impedire la bancarotta<br />

dei paesi colpiti dalla crisi finanziaria.<br />

ciò è avvenuto innanzitutto<br />

con la creazione di<br />

meccanismi temporanei di salvataggio:<br />

il Fondo europeo di Stabilità<br />

Finanziaria (FeSF) 20 ed il<br />

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O R I Z Z O N T I<br />

LA CRISI DEL DEBITO SOVRANO<br />

Meccanismo europeo di Stabilità<br />

Finanziaria (MeSF) 21 . Questi strumenti<br />

sono intervenuti insieme al<br />

Fondo Monetario internazionale<br />

(FMi) a sostegno di Grecia, Portogallo<br />

e irlanda. nel 2012 in seguito<br />

alla firma di un trattato intergovernativo<br />

sulla base del nuovo<br />

art. 136.3 TFUe è entrato in vigore<br />

il Meccanismo europeo di<br />

Stabilità (MeS) 22 , un’organizzazione<br />

intergovernativa permanente<br />

con sede a Lussemburgo, che può<br />

intervenire a sostegno dei paesi in<br />

crisi sotto stretta condizionalità. il<br />

MeS è stato già attivato a sostegno<br />

del sistema bancario spagnolo e di<br />

cipro.<br />

anche la bce è intervenuta<br />

massicciamente per impedire il<br />

collasso degli Stati in crisi e porre<br />

un limite alla speculazione finanziaria.<br />

a partire dal maggio 2010<br />

con il Securities Markets Programme<br />

(SMP) 23 la bce ha iniziato<br />

ad acquistare ingenti quantità<br />

di titoli di Stato dei paesi più esposti<br />

sui mercati finanziari e ha fornito<br />

liquidità crescente agli istituti<br />

bancari della zona euro con scadenze<br />

sempre più estese. in seguito<br />

alla creazione del Meccanismo europeo<br />

di Stabilità, la bce ha lanciato<br />

un nuovo programma, l’Open<br />

Monetary Transactions (oMT 24 ),<br />

con cui si è impegnata a sostenere<br />

i paesi beneficiari di un piano di<br />

aiuti condizionato del MeS, acquistando,<br />

potenzialmente senza<br />

limiti, i loro titoli di Stato a breve<br />

termine.<br />

Una seconda linea di azione<br />

è consistita nella riforma del Patto<br />

di stabilità e del coordinamento<br />

economico 25 . innanzitutto sono<br />

state previste maggiori sanzioni<br />

per gli Stati che non rispettano le<br />

raccomandazioni di politica macroeconomica<br />

ovvero per i paesi<br />

che si trovano in una situazione di<br />

deficit eccessivo. in secondo luogo<br />

è stata diminuita la discrezionalità<br />

in capo al consiglio con l’introduzione<br />

di meccanismi semiautomatici<br />

di approvazione delle decisioni<br />

e delle sanzioni proposte<br />

della commissione. È stata poi introdotta<br />

una supervisione europea<br />

più efficiente sulla procedura di<br />

approvazione dei bilanci nazionali<br />

con l’introduzione del semestre europeo<br />

26 e del calendario di bilancio<br />

europeo 27 . La commissione europea<br />

è stata inoltre dotata del potere<br />

di raccogliere direttamente i dati<br />

statistici necessari per verificare<br />

l’effettiva applicazione del coordinamento<br />

europeo fra gli Stati<br />

membri.<br />

in secondo luogo il trattato<br />

così detto “Fiscal Compact” 28 ha<br />

introdotto nelle costituzioni nazionali<br />

il principio di pareggio di<br />

bilancio 29 e regole più rigide per la<br />

riduzione del debito pubblico 30 . il<br />

Fiscal Compact ha dunque determinato<br />

un’importantissima limitazione<br />

della sovranità nazionale<br />

in quanto i paesi firmatari non potranno<br />

più sviluppare in futuro politiche<br />

economiche fondate sul debito<br />

pubblico. il rifiuto di due<br />

paesi membri, Gran bretagna e repubblica<br />

ceca, a partecipare, ha<br />

obbligato gli altri venticinque governi<br />

a stipulare un accordo sepa-<br />

235<br />

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O R I Z Z O N T I<br />

LA CRISI DEL DEBITO SOVRANO<br />

236<br />

rato al di fuori del quadro giuridico<br />

dei trattati europei. il Fiscal<br />

Compact rispetta tuttavia l’acquis<br />

communautaire 31 e coinvolge le<br />

istituzioni comunitarie nell’applicazione<br />

della sua disciplina 32 .<br />

Una terza linea d’azione consiste<br />

nel processo di integrazione<br />

bancaria al fine di spezzare il circolo<br />

vizioso tra crisi del debito e<br />

crisi bancaria, garantire l’uniformità<br />

delle condizioni di credito<br />

nella zona euro e proteggere i risparmiatori.<br />

in seguito allo scoppio<br />

della crisi finanziaria il Parlamento<br />

europeo e il consiglio nel<br />

2009 hanno adottato una riforma<br />

della supervisione prudenziale con<br />

la creazione del Sistema europeo<br />

di vigilanza finanziaria (SeViF),<br />

costituito dal comitato europeo<br />

per il rischio sistemico (cerS) e<br />

da tre autorità di vigilanza: l’autorità<br />

europea degli Strumenti Finanziari<br />

e dei Mercati (eSMa),<br />

l’autorità bancaria europea (abe)<br />

e l’autorità europea delle assicurazioni<br />

e delle Pensioni aziendali<br />

e Professionali (eioPa).<br />

nonostante l’importanza di<br />

questi meccanismi per il coordinamento<br />

delle autorità di vigilanza<br />

nazionale e l’elaborazione di standard<br />

di stabilità finanziaria, l’approfondirsi<br />

della crisi ha spinto gli<br />

Stati membri ad accettare le proposte<br />

della commissione sulla<br />

creazione di un’unione bancaria<br />

costituita da un meccanismo di supervisione<br />

bancaria unico gestito<br />

dalla bce, garanzie comuni sui<br />

depositi ed un meccanismo di risoluzione<br />

delle crisi 33 . il 20 dicembre<br />

2013 il consiglio ecofin ha<br />

trovato l’accordo per la creazione<br />

di un meccanismo di risoluzione<br />

unico e di un fondo di risoluzione<br />

bancaria unico 34 , accelerando così<br />

l’adozione definitiva del progetto<br />

di unione bancaria, che dovrebbe<br />

essere portato a termine entro il<br />

maggio 2014.<br />

PROSPETTIVE E<br />

SVILUPPO DEL PROCESSO<br />

DI INTEGRAZIONE<br />

ECONOMICA E MONETARIA<br />

La riforma della governance<br />

economica ha prodotto un’importante<br />

trasformazione dell’Unione<br />

europea che è tuttora in corso. ci<br />

troviamo di fronte ad un’accelerazione<br />

del processo di integrazione<br />

volto a bilanciare l’asimmetria tra<br />

l’unione economica e l’unione monetaria<br />

e mettere fine a quegli squilibri<br />

economici e deficit istituzionali<br />

che hanno causato lo scoppio<br />

della crisi del debito. nei prossimi<br />

anni gli europei dovranno pertanto<br />

confrontarsi con una serie di<br />

sfide volte a portare a termine il<br />

progetto di riforma e garantire in<br />

via definitiva la stabilità dell’Unione.<br />

Una prima sfida riguarda il<br />

trasferimento di sovranità dal livello<br />

nazionale al livello europeo.<br />

La crisi del debito ha già innescato<br />

un processo di limitazione della<br />

sovranità nazionale nell’ambito<br />

della politica fiscale e di bilancio e<br />

lo sviluppo di nuove competenze<br />

e poteri a livello europeo. innanzitutto<br />

gli Stati non possono più<br />

G E O P O L I T I C A – R I V I S T A S E M E S T R A L E D E L L ’ I S A G<br />

V o l . I V , N ˚ 1 G e n . - G i u . , 2 0 1 5


O R I Z Z O N T I<br />

LA CRISI DEL DEBITO SOVRANO<br />

aumentare la loro spesa pubblica e<br />

le decisioni più importanti di politica<br />

economica devono essere<br />

concordate con bruxelles. allo<br />

stesso tempo la banca centrale europea<br />

ha fortemente rafforzato il<br />

suo ruolo, potendo intervenire,<br />

seppur in via condizionata, a sostegno<br />

dei paesi in crisi e venendo<br />

presto investita di importanti poteri<br />

di vigilanza bancaria. anche<br />

la creazione di un meccanismo di<br />

salvataggio permanente, quale il<br />

MeS, ha rafforzato le capacità<br />

d’azione dell’unione in situazioni<br />

di crisi potendo intervenire con<br />

ingenti risorse per garantire la solvibilità<br />

dei paesi membri in difficoltà<br />

e la stabilità del sistema euro.<br />

Queste cessioni di sovranità pongono<br />

tuttavia due ordini di problemi.<br />

Da una parte alcune riforme<br />

approvate a livello europeo non<br />

trovano un preciso fondamento<br />

giuridico nella lettera dei trattati.<br />

a causa dell’aggravarsi della crisi,<br />

davanti al rischio di implosione<br />

dell’unione monetaria, gli Stati<br />

membri sono stati costretti a forzare<br />

in un certo modo l’interpretazione<br />

delle norme europee, prendendo<br />

atto delle dinamiche<br />

evolutive del processo di integrazione.<br />

È questo il caso dell’introduzione<br />

di maggioranze qualificate<br />

inverse 35 nella gestione del coordinamento<br />

economico che, pur non<br />

trovando un chiaro fondamento<br />

nella lettera del Trattato, sono state<br />

necessarie per ridurre la discrezionalità<br />

del consiglio e rafforzare il<br />

ruolo della commissione. anche<br />

il trasferimento orizzontale di risorse<br />

da un paese all’altro nel quadro<br />

del MeS ha sollevato dei<br />

dubbi di compatibilità con il divieto<br />

di bail out, su cui è già intervenuta<br />

la corte di Giustizia nel<br />

caso Pringle 36 . infine l’adozione<br />

delle Outright Monetary Transactions<br />

da parte della bce, per<br />

quanto condizionato e volto a garantire<br />

la stabilità dell’unione monetaria,<br />

ha sollevato diverse perplessità<br />

a causa della potenziale<br />

esposizione senza limiti della<br />

banca centrale europea a favore<br />

dei paesi in crisi 37 .<br />

D’altra parte il trasferimento<br />

di competenze dagli Stati membri<br />

all’Unione in ambiti chiave della<br />

sovranità nazionale ha sollevato<br />

una serie di resistenze negli ordinamenti<br />

costituzionali degli Stati<br />

membri. La corte costituzionale<br />

tedesca (Bundesverfassungsgericht)<br />

è a proposito intervenuta più volte<br />

per affermare che l’Ue non è una<br />

federazione e pertanto le competenze<br />

fondamentali nella gestione<br />

del bilancio devono restare nelle<br />

mani dei Parlamenti nazionali 38 .<br />

ciò pone una serie di difficoltà alla<br />

prospettiva di creare un autentico<br />

governo economico europeo, che<br />

possa sviluppare una politica indipendente<br />

ed autonoma dai veti e<br />

dai condizionamenti degli Stati<br />

membri. recentemente la corte<br />

costituzionale tedesca ha riconosciuto<br />

la compatibilità con la legge<br />

fondamentale degli aiuti alla Grecia<br />

39 e del Meccanismo europeo<br />

di Stabilità 40 , ma ha ricordato che<br />

la partecipazione della Germania<br />

237<br />

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O R I Z Z O N T I<br />

LA CRISI DEL DEBITO SOVRANO<br />

238<br />

ai meccanismi di salvataggio deve<br />

essere determinata fino a un valore<br />

massimo 41 ed autorizzata in via<br />

preventiva dal Parlamento.<br />

evidentemente il processo di<br />

integrazione europea è giunto ad<br />

un punto di svolta in cui si pone<br />

la necessità di sviluppare una sovranità<br />

propriamente europea, al<br />

fine di superare la crisi del debito<br />

e stabilizzare l’unione economica<br />

e monetaria. La sfida nei prossimi<br />

anni sarà dunque quella di pensare<br />

ad una riforma dei Trattati europei<br />

e delle costituzioni nazionali per<br />

legittimare e disciplinare le cessioni<br />

sostanziali di sovranità già in corso.<br />

Una seconda sfida strettamente<br />

legata alla cessione di sovranità<br />

a livello europeo riguarda il<br />

necessario superamento del deficit<br />

democratico. La riforma della governance<br />

economica attuata fino<br />

ad ora si è fondata soprattutto sul<br />

metodo intergovernativo. nonostante<br />

la commissione abbia rafforzato<br />

il suo ruolo di supervisione,<br />

è sempre il consiglio a<br />

prendere le decisioni fondamentali<br />

di politica economica, mentre il<br />

Parlamento europeo rimane relegato<br />

ad un ruolo del tutto marginale.<br />

i cittadini europei si trovano<br />

pertanto nella condizione di dover<br />

sostenere le scelte di politica economica<br />

prese a livello europeo<br />

senza poter esercitare un controllo<br />

su quelle istituzioni che adottano<br />

tali misure. ciò ha fortemente aggravato<br />

il deficit democratico<br />

dell’Unione europea, determinando<br />

una grave violazione del<br />

principio “no taxation without rapresentation”,<br />

che sta a fondamento<br />

di tutti gli ordinamenti costituzionali<br />

democratici.<br />

il lento, ma progressivo slittamento<br />

di competenze sovrane<br />

dal livello nazionale a quello europeo<br />

ha trovato impreparata l’Ue<br />

che è al momento incapace di fornire<br />

ai cittadini europei quei livelli<br />

di accountability garantiti dagli ordinamenti<br />

democratici nazionali.<br />

ci troviamo pertanto nella situazione<br />

paradossale in cui gli Stati<br />

nazionali sono democratici, ma<br />

non hanno gli strumenti per risolvere<br />

i problemi dei cittadini, mentre<br />

l’europa avrebbe i mezzi per<br />

farvi fronte, ma ancora manca di<br />

una legittimazione democratica<br />

sufficiente. onde evitare che la cessione<br />

di sovranità nazionale si trasformi<br />

in una perdita di democrazia,<br />

è necessario consolidare le<br />

fondamenta democratiche dell’Unione<br />

europea, permettendo ai<br />

cittadini di incidere sul processo<br />

decisionale. ciò potrà essere fatto<br />

innanzitutto rafforzando il ruolo<br />

del Parlamento europeo nelle<br />

scelte di politica economica e fiscale.<br />

infine un’ultima sfida riguarda<br />

le politiche di crescita a livello europeo.<br />

in seguito all’approvazione<br />

delle nuove norme sul consolidamento<br />

della finanza pubblica, i<br />

paesi membri hanno perso la capacità<br />

di indebitarsi, dovendo assicurare<br />

ogni anno il pareggio del<br />

loro bilancio 42 . nell’attuale fase di<br />

crisi economica molti governi<br />

hanno dovuto pertanto attuare<br />

una politica di austerity al fine di<br />

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V o l . I V , N ˚ 1 G e n . - G i u . , 2 0 1 5


O R I Z Z O N T I<br />

LA CRISI DEL DEBITO SOVRANO<br />

risanare le loro finanze pubbliche.<br />

ciò ha determinato una forte depressione<br />

dei consumi e degli investimenti,<br />

innescando pericolosi<br />

fenomeni recessivi. avendo molti<br />

paesi perso di fatto la capacità di<br />

investire a livello nazionale, è nata<br />

l’esigenza di ripensare le politiche<br />

di crescita a livello europeo. Le risorse<br />

che i paesi membri non sono<br />

più in grado di investire a livello<br />

nazionale, dovrebbero invece essere<br />

spese a livello europeo per un<br />

piano di sviluppo sostenibile.<br />

al momento le risorse del bilancio<br />

Ue sono pari a poco più<br />

dell’1% del Pil dell’Unione e non<br />

sono pertanto sufficienti per sviluppare<br />

politiche economiche efficaci.<br />

È dunque in atto un dibattito<br />

su come rilanciare la crescita a<br />

livello europeo. Una proposta consiste<br />

nel rafforzamento della banca<br />

europea degli investimenti, fornendola<br />

di maggiori risorse per il<br />

finanziamento di progetti di interesse<br />

comune o permettendole di<br />

emettere project bond con lo stesso<br />

scopo. Un’ipotesi più complessa<br />

sarebbe invece la creazione di titoli<br />

del debito pubblico europeo (così<br />

detti eurobond), con diverse formule<br />

di garanzia, volti a mutualizzare<br />

il debito pubblico degli Stati<br />

membri e a mettere in comune una<br />

parte consistente della politica di<br />

spesa. Un’altra proposta è la creazione<br />

di un bilancio separato per<br />

la zona euro dotato di nuove risorse<br />

proprie, quali ad esempio i<br />

proventi di una tassa sulle emissioni<br />

inquinanti o sulle transazioni<br />

finanziarie. a proposito è già in<br />

atto un progetto di cooperazione<br />

rafforzata tra undici paesi membri<br />

per la creazione di una tassa comune<br />

sulle transazioni finanziare<br />

che è stato presentato nel Febbraio<br />

2013 alla commissione europea<br />

ed è attualmente oggetto di discussione<br />

davanti al consiglio 43 .<br />

CONCLUSIONI<br />

nonostante la crisi del debito<br />

sembra aver superato la sua fase<br />

più acuta, i dubbi sul futuro dell’europa<br />

restano ancora numerosi.<br />

nonostante la speculazione dei<br />

mercati finanziari sia diminuita e<br />

i governi abbiano attuato con successo<br />

importanti riforme del loro<br />

sistema economico, l’Unione ha<br />

davanti a sé una serie di sfide sulla<br />

cessione di sovranità, la democratizzazione<br />

delle sue istituzioni e lo<br />

sviluppo di politiche di crescita,<br />

da cui dipende il definitivo superamento<br />

della crisi.<br />

La tenuta del progetto europeo<br />

dipenderà in gran parte dalla<br />

capacità delle istituzioni europee<br />

e dei governi di convincere i cittadini<br />

circa la necessità e la bontà<br />

delle riforme in corso. al momento<br />

stiamo vivendo una gravissima<br />

crisi di fiducia dell’opinione<br />

pubblica nell’Ue, testimoniata da<br />

un’importante rafforzamento delle<br />

forze euroscettiche in tutto il vecchio<br />

continente. Mentre nel sud<br />

dell’europa il populismo antieuropeo<br />

fa leva sulle impopolari politiche<br />

di austerità necessarie per il<br />

risanamento delle finanze pubbliche,<br />

nel nord europa viene messa<br />

239<br />

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V o l . I V , N ˚ 1 G e n . - G i u . , 2 0 1 5


O R I Z Z O N T I<br />

LA CRISI DEL DEBITO SOVRANO<br />

240<br />

in dubbio la solidarietà nei confronti<br />

dei paesi in crisi, i quali vengono<br />

accusati di perseverare nella<br />

cattiva gestione della loro finanza<br />

pubblica. L’approccio miope e<br />

spesso demagogico alle sfide del<br />

processo di integrazione dipende<br />

in gran parte dalla mancanza di un<br />

vero dibattito europeo sulla crisi e<br />

sul futuro dell’Ue. Questo è relegato<br />

ai negoziati intergovernativi<br />

e all’ambito accademico, non esistendo<br />

a livello europeo degli spazi<br />

di dibattito sufficienti per far discutere<br />

gli europei del loro futuro<br />

comune. Un ruolo fondamentale<br />

per superare questi limiti potrà essere<br />

giocato evidentemente dai<br />

partiti europei e dalle forze europeiste<br />

e federaliste della società civile.<br />

La crisi attuale è diventata<br />

dunque un’incredibile opportunità<br />

per instaurare un primo autentico<br />

dibattito a livello europeo sulle<br />

prospettive del processo di integrazione.<br />

allo stesso tempo la soluzione<br />

alla crisi non potrà prescindere da<br />

una riforma istituzionale dell’Ue,<br />

probabilmente sulla base di un rilancio<br />

del processo costituente.<br />

non mancano in teoria i consensi<br />

a favore di un simile progetto. numerosi<br />

capi di Stato e di Governo<br />

si sono espressi con formule più o<br />

meno chiare a favore dell’unione<br />

politica dell’europa, se non addirittura<br />

per uno sbocco federale del<br />

processo di integrazione. Sono<br />

molte le organizzazioni europeiste<br />

e federaliste della società civile che<br />

promuovono uno sviluppo politico<br />

dell’unione economica e monetaria,<br />

nonché il rafforzamento<br />

delle istituzioni democratiche<br />

dell’Unione. il problema resta evidentemente<br />

definire un obbiettivo<br />

politico preciso ed attuare un processo<br />

di riforma istituzionale per<br />

raggiungerlo.<br />

a proposito, una delle proposte<br />

più interessanti è quella contenuta<br />

nel Blue Print on a Deep and<br />

Genuine Economic and Monetary<br />

Union, pubblicato dalla commissione<br />

europea nel novembre 2012.<br />

La commissione ha individuato<br />

una serie di riforme da adottare nel<br />

breve, medio e lungo periodo al<br />

fine di raggiungere un’effettiva unificazione<br />

politica dell’Ue. nel<br />

breve termine (entro un anno e<br />

mezzo) gli Stati membri dovrebbero<br />

avviare nel quadro dei trattati<br />

la creazione di una vigilanza bancaria<br />

unica ed un rafforzamento<br />

della governance economica. nel<br />

medio termine (entro cinque anni)<br />

dovrebbe essere lanciata, sulla base<br />

di una riforma dei trattati, una politica<br />

di bilancio comune, almeno<br />

nella zona euro, con la creazione<br />

di eurobond. infine nel lungo termine<br />

(oltre i cinque anni) si dovrebbe<br />

giungere ad una riforma<br />

strutturale dell’Ue con la creazione<br />

di una piena unione bancaria,<br />

fiscale ed economica. Sulla base<br />

di queste proposte è iniziato il processo<br />

di unificazione bancaria, i<br />

cui elementi più importanti sono<br />

stati già approvati dai governi nazionali.<br />

in seguito alla pubblicazione<br />

del Blue Print della commissione<br />

sono state avanzate altre proposte<br />

da parte del Presidente francese<br />

François Hollande 44 per la crea-<br />

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O R I Z Z O N T I<br />

LA CRISI DEL DEBITO SOVRANO<br />

zione di un governo economico<br />

della zona euro, in parte sostenute<br />

dal governo tedesco. non è da<br />

escludere che proprio la Germania,<br />

in seguito alla vittoria del partito<br />

di angela Merkel ed il contenimento<br />

delle forze euroscettiche<br />

alle elezioni politiche del 22 Settembre<br />

2013, si farà ancora una<br />

volta portatrice di una riforma<br />

della governance economica. Fra le<br />

diverse proposte che il nuovo governo<br />

tedesco potrebbe avanzare<br />

ci sono i così detti “contratti di<br />

competitività”, che gli Stati membri<br />

stipulerebbero con la commissione<br />

per ricevere sostegno finanziario<br />

con lo scopo di attuare precise riforme<br />

che migliorino la competitività<br />

del paese 45 .<br />

NOTE<br />

1 il Trattato sull’Unione europea è stato<br />

firmato il 7 Febbraio 1992 a Maastricht.<br />

È entrato in vigore l’1 novembre<br />

1993. Le successive modifiche al<br />

Trattato hanno investito solo marginalmente<br />

le norme relative l’Unione<br />

economica e Monetaria. in particolare<br />

il Trattato di Lisbona, entrato in<br />

vigore l’1 Dicembre 2009, ha elevato<br />

la bce al rango di istituzione dell’Unione<br />

ed ha rafforzato la procedura<br />

per deficit eccessivo.<br />

2 La teoria è stata sviluppata dal premio<br />

nobel per l’economia robert Mundell<br />

nel 1961 e successivamente da McKinnon<br />

(1963), Kenen (1969) and emerson<br />

(1990).<br />

3 La comunità europea non era tuttavia<br />

dotata di un elevato tasso di mobilità<br />

della forza lavoro, altra condizione<br />

necessaria per la sussistenza di<br />

un’area monetaria ottimale. cfr.<br />

c.a.e. GooDHarT, The Political<br />

Economy of Monetary Union in P.b.<br />

Kenen, Understanding Interdependence:<br />

The Macroeconomics of the<br />

Open, Princeton, 1995; b. eicHen-<br />

Green, Is Europe an Optimum Currency<br />

Area?, cePr Discussion Paper,<br />

novembre 1990, n. 478.<br />

4 il Trattato di Maastricht prevedeva la<br />

creazione dell’Unione economica e<br />

Monetaria in tre fasi. Una prima fase<br />

a partire dall’1 Luglio 1991 era volta<br />

al completamento del mercato interno,<br />

dando attuazione alla libera circolazione<br />

dei capitali. La seconda fase<br />

a partire dall’1 Gennaio 1994 prevedeva<br />

la creazione dell’istituto Monetario<br />

europeo ed era volta a garantire<br />

la convergenza economica dei Paesi<br />

membri. L’ultima fase a partire dall’1<br />

Gennaio 1999, a cui potevano accedere<br />

solo i Paesi che avevano raggiunto<br />

un sufficiente grado di convergenza,<br />

prevedeva la fissazione dei tassi irrevocabili<br />

di cambio tra le monete nazionali<br />

e l’euro e il trasferimento della<br />

gestione della politica monetaria al Sistema<br />

europeo delle banche centrali<br />

(Secb) con a capo la banca centrale<br />

europea (bce).<br />

5 il principio di indipendenza della Sistema<br />

europeo delle banche centrali<br />

(Sebc) viene affermato all’art. 131<br />

TFUe.<br />

6 L’art. 127.1 del Trattato sul Funzionamento<br />

dell’Unione europea<br />

(TFeU) sancisce la stabilità dei prezzi<br />

quale obbiettivo primario di politica<br />

monetaria. in via sussidiaria viene previsto<br />

l’obbiettivo del sostegno alle politiche<br />

economiche nell’Unione.<br />

7 cfr. rapporto della commissione europea<br />

EMU@10: successes and challenges<br />

after 10 years of Economic and<br />

Monetary Union del 7 Maggio 2008.<br />

8 il bilancio annuale dell’Ue ammonta<br />

a 150,9 miliardi di euro nel 2013, pari<br />

solo all’1% del PiL generato dai paesi<br />

membri. cfr. Decisione del Parla-<br />

241<br />

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O R I Z Z O N T I<br />

LA CRISI DEL DEBITO SOVRANO<br />

242<br />

mento europeo e del consiglio del 22<br />

luglio 2013 recante la modifica dell’accordo<br />

interistituzionale del 17<br />

maggio 2006 sulla disciplina di bilancio<br />

e la sana gestione finanziaria con<br />

riguardo al quadro finanziario pluriennale<br />

(2013/419/Ue).<br />

9 Le norme sono contenute nel Titolo<br />

Viii del Trattato sul Funzionamento<br />

dell’Unione europea (TFUe).<br />

10 il Patto introdotto su iniziativa tedesca<br />

nel 1997 è composto da reg. n.<br />

1466/97 per il rafforzamento della<br />

sorveglianza delle posizioni di bilancio<br />

nonché della sorveglianza e del coordinamento<br />

delle politiche economiche;<br />

reg. n.1467/97 per l’accelerazione<br />

e il chiarimento delle modalità<br />

di attuazione della procedura per i disavanzi<br />

eccessivi; risoluzione del consiglio<br />

europeo relativa al patto di stabilità<br />

e di crescita, 17 giugno 1997.<br />

11 nei termini del rapporto 3%<br />

deficit/Pil e 60% debito pubblico/Pil,<br />

come previsto nel Protocollo n.11 allegato<br />

al Trattato.<br />

12 Per la distinzione tra metodo aperto<br />

e chiuso di coordinamento, cfr. amtenbrink,<br />

F./de Haan, J., Economic Governance<br />

in the European Union,<br />

“common Market Law review”, 40<br />

(2003), 1075–1106.<br />

13 conclusioni del consiglio ecofin<br />

sulla procedura per deficit eccessivo<br />

nei confronti di Francia e Germania,<br />

25 novembre 2003.<br />

14 Sentenza della corte di Giustizia, 13<br />

luglio 2004 nella causa c-27/04:<br />

commissione delle comunità europee<br />

contro consiglio dell’Unione europea.<br />

15 Sulla base del reg. 1055/2005 e del<br />

reg. 1056/2005.<br />

16 in seguito all’approvazione del reg.<br />

(ec) 2103/05, eurostat è stato dotato<br />

degli strumenti per rafforzare il dialogo<br />

con le autorità degli Stati membri<br />

e della possibilità di svolgere delle missioni<br />

sul territorio degli Stati membri<br />

al fine di verificare la correttezza dei<br />

dati economici forniti alla commissione<br />

europea.<br />

17 il 4 ottobre 2008 si è svolto a Parigi<br />

una riunione informale tra i governi<br />

francese, tedesco, britannico e italiano,<br />

i quali hanno concordato che ogni<br />

paese avrebbe agito da solo, pur in<br />

modo coordinato. Tale approccio è<br />

stato confermato dal consiglio ecofin<br />

del 7 ottobre.<br />

18 cfr. rapporto finale della commissione<br />

sulle statistiche del deficit e del<br />

debito pubblico greco, 8 Gennaio<br />

2010, coM(2010) 1. La commissione<br />

e il consiglio avevano già aperto<br />

una procedura per deficit eccessivo<br />

contro la Grecia nel 2004. Questa era<br />

stata chiusa nel 2007 sulla base di dati<br />

economici forniti dal governo greco,<br />

che tuttavia risultarono manipolati.<br />

19 cfr. Münchau W., Greece can expect<br />

no gifts from Europe, “Financial Times”,<br />

29 novembre 2009.<br />

20 il Fondo europeo di Stabilità Finanziaria<br />

era una società a responsabilità<br />

limitata di diritto lussemburghese tra<br />

i paesi euro creata in forza di una decisione<br />

assunta all‘eurogruppo il 7 giugno<br />

2010. Ha avuto una durata triennale<br />

ed una dotazione di 440 miliardi<br />

di euro.<br />

21 il Meccanismo europeo di Stabilità<br />

Finanziaria era un fondo garantito dal<br />

bilancio europeo, creato con il regolamento<br />

del consiglio 407/2010 sulla<br />

base dell’art. 122.2 TFUe. Ha avuto<br />

una dotazione di 60 miliardi di euro.<br />

22 il Trattato istitutivo è entrato in vigore<br />

il 27 Settembre 2012. Ha una dotazione<br />

di 700 miliardi di euro.<br />

23 Decisione della banca centrale europea<br />

del 14 Maggio 2010 che istituisce<br />

il Securities Markets Programme.<br />

(ecb/2010/5).<br />

24 Decisione della banca centrale europea<br />

del 6 Settembre 2012 che istituisce<br />

l’Outright Monetary Transactions<br />

(ecb/2012/13).<br />

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O R I Z Z O N T I<br />

LA CRISI DEL DEBITO SOVRANO<br />

25 La riforma è avvenuta sulla base di due<br />

pacchetti normativi. il Six Pack è stato<br />

approvato nel novembre 2011 ed è<br />

composto da: reg, 173/11 sull’effettiva<br />

applicazione della sorveglianza di<br />

bilancio nell’area euro, reg. n.<br />

1174/11 sulle misure per la correzione<br />

degli squilibri macroeconomici eccessivi<br />

nell’area dell’euro, reg. 1175/11<br />

sulla riforma del reg. 1466/97, reg.<br />

n. 1176/2011 sulla prevenzione e la<br />

correzione degli squilibri macroeconomici,<br />

reg. 1177/11 sulla riforma<br />

del reg. 1467/11, Direttiva 2011/85<br />

relativa ai requisiti per i quadri di bilancio.<br />

il Two Pack è stato approvato<br />

nel Maggio 2013 ed è composto da:<br />

reg. 472/11 sul rafforzamento della<br />

sorveglianza economica e di bilancio<br />

degli Stati membri nella zona euro che<br />

si trovano o rischiano di trovarsi in<br />

gravi difficoltà per quanto riguarda la<br />

loro stabilità finanziaria, reg. 473/<br />

sulle disposizioni comuni per il monitoraggio<br />

e la valutazione dei documenti<br />

programmatici di bilancio e per<br />

la correzione dei disavanzi eccessivi<br />

negli Stati membri della zona euro.<br />

26 introdotto sulla base del reg.<br />

1175/11. esso consiste in un periodo<br />

da Gennaio a Luglio in cui la commissione<br />

vigila sull’approvazione dei<br />

programmi di bilancio nazionali da<br />

parte dei Parlamenti nazionali.<br />

27 introdotto sulla base del reg. 473/13,<br />

in base a cui la commissione controllo<br />

da ottobre a Dicembre l’approvazione<br />

delle leggi di bilancio nazionali.<br />

28 Trattato sulla Stabilità, il coordinamento<br />

e la Governance nell’unione<br />

economica e monetaria (TScG), firmato<br />

il 2 Marzo 2012. Per la sua entrata<br />

in vigore è bastata la ratifica di<br />

12 paesi membri della zona euro.<br />

29 cfr. art. 3 TScG.<br />

30 cfr. art. 4 TScG.<br />

31 cfr. art. 2.1. TScG.<br />

32 La commissione e la corte di Giustizia<br />

devono vigilare sull’implementazione<br />

del trattato sulla base dell’art.<br />

8 TScG.<br />

33 Proposta di regolamento del consiglio<br />

sul conferimento di specifiche<br />

competenza alla bce sulle politiche<br />

di supervisione prudenziale degli istituti<br />

di credito, coM/2012/511.<br />

34 cfr. comunicato Stampa del consiglio,<br />

bruxelles, 18 Dicembre 2013,<br />

17602/13.<br />

35 in base a questa regola, introdotta dal<br />

Six Pack, la raccomandazione della<br />

commissione di sanzionare un Paese<br />

inadempiente ex art. 121 e 126 TFUe<br />

viene automaticamente approvata, se<br />

il consiglio non si oppone a maggioranza<br />

qualificata entro un determinato<br />

periodo di tempo.<br />

36 Sentenza nella causa c-370/12. Thomas<br />

Pringle / Government of ireland.<br />

Secondo la corte l’art. 125 TFUe<br />

non vieta la concessione di un’assistenza<br />

finanziaria da parte di uno o<br />

più Stati membri ad un altro Stato<br />

membro che resta responsabile dei<br />

propri impegni nei confronti dei suoi<br />

creditori. Gli Stati membri che partecipano<br />

al MeS non rispondono, né si<br />

fanno carico direttamente degli impegni<br />

del paese beneficiario degli aiuti<br />

finanziari. non viene pertanto violato<br />

il divieto di bail-out.<br />

37 La corte costituzionale Tedesca ha<br />

rinviato alla corte europea di Giustizia<br />

il compito di verificare la compatibilità<br />

delle oMT con il Trattato e<br />

in particolare con il divieto di finanziamenti<br />

monetari e l’obbiettivo della<br />

stabilità dei prezzi (condizione necessaria<br />

per la partecipazione della Bundesbank<br />

alle oMT). cfr. Bundesverfassungsgericht,<br />

Pressemitteilung no.<br />

9/2014 del 7 Febbraio 2014.<br />

38 cfr. Giudizio della corte costituzionale<br />

tedesca sulla compatibilità della<br />

legge di ratifica del Trattato di Lisbona<br />

con la Legge Fondamentale, 30 Giugno<br />

2009. Par.249.<br />

243<br />

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O R I Z Z O N T I<br />

LA CRISI DEL DEBITO SOVRANO<br />

39 Giudizio della corte costituzionale<br />

tedesca, del 7 Settembre 2011.<br />

40 Giudizio della corte costituzionale<br />

tedesca, del 12 Settembre 2012.<br />

41 Pari al momento a € 190.024.800,00.<br />

42 il Fiscal Compact ha obbligato i paesi<br />

membri ad inserire nelle loro costituzioni<br />

il riferimento al principio del<br />

pareggio di bilancio.<br />

43 Proposta di direttiva del consiglio per<br />

attuare una cooperazione rafforzata<br />

nell’ambito di una tassa sulle transazioni<br />

finanziarie, com. 2013/45<br />

(cnS).<br />

44 Dichiarazione del Presidente Francese<br />

Hollande alla conferenza Stampa del<br />

16 Maggio 2013 all’eliseo.<br />

45 come dichiarato dalla cancelliere<br />

Merkel alla conferenza stampa del<br />

consiglio europeo del 20 dicembre<br />

2013.<br />

244<br />

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O R I Z Z O N T I<br />

Breve riflessione sul Programma d’azione<br />

del Partito Comunista Cecoslovacco del 1968<br />

e sulla repressione dei diritti individuali e<br />

sociali alla luce di un possibile senso nella storia<br />

SaVerio FranceSco MaSSari<br />

Università di Bologna, Dottore di ricerca<br />

ThE 1968 ACTION PROGRAM OF CZECHOSLOVAKIAN COMMUNIST PARTY:<br />

A BRIEF ESSAY ON THE INDIVIDUAL AND SOCIAL RIGHTS REPRESSION IN<br />

THE LIGHT OF A POSSIBLE SENSE OF HISTORY. Looking at the History of the<br />

Western modern age, it is possible to recognize philosophical and conceptual development<br />

that have turned their theoretical potential in the nations real life. One of these<br />

moments is certainly the Prague Spring of 1968: the essay attempts to evaluate the<br />

Soviet repression in the light of a possible sense of the History. The Prague Spring period<br />

generated a very impressive philosophic and political discussion that is touching<br />

the fundamental and living questions about people and nations self-determination<br />

and their approach towards the most important historical dynamics. The creation of<br />

values and the relation between personal freedoms, collective rights and the repression<br />

of them is a basic question in the History of the Europe and totalitarianism. Considering<br />

the current status of democracy and freedom, the Prague Spring can brings today<br />

useful suggestions in order to orientate our present debate about those issues. The discussion<br />

originated from the Prague Spring and Czechoslovakian events is nowadays<br />

a living matter for those people that, as Milan Kundera says, are looking for “such<br />

freedom and democracy as the world has never seen”.<br />

KEYWORDS: CZECHOSLOVAKIAN COMMUNIST PARTY • PRAGUE SPRING • SENSE OF HISTORY<br />

riflettendo sulle modalità di sviluppo delle linee di politica del<br />

diritto e sulla diffusione sociale dei diritti nella loro definizione<br />

dei rapporti tra uomo e Stato, libertà e uguaglianza, individuo e<br />

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O R I Z Z O N T I<br />

PROGRAMMA D'AZIONE DEL PARTITO COMUNISTA CECOSLOVACCO DEL 1968<br />

246<br />

società, è possibile cogliere un<br />

processo non sempre continuo ma<br />

segnato da cesure piuttosto nette.<br />

nel corso della storia, prendendo<br />

a riferimento l’età Moderna<br />

del mondo occidentale, si possono<br />

infatti individuare momenti precisi<br />

di sviluppo concettuale e filosofico<br />

che hanno poi riversato la loro carica<br />

teoretica nella concretezza della<br />

vita delle nazioni e che hanno inciso<br />

nel senso di progresso nelle relazioni<br />

sopra considerate. Questi<br />

passaggi hanno apportato parole<br />

d’ordine di portata generale che si<br />

sono poi oggettivizzate nel campo<br />

positivo sotto forma della affermazione<br />

della primauté della legge,<br />

dei diritti individuali e collettivi.<br />

n. bobbio nel suo L’Età dei<br />

Diritti, afferma che l’origine di tale<br />

movimento storico si dipana «[...]<br />

attraverso la diffusione delle dottrine<br />

giusnaturalistiche, prima, le<br />

dichiarazioni dei diritti dell’uomo,<br />

incluse nelle costituzioni degli stati<br />

liberali, poi, il problema segue la<br />

nascita, lo sviluppo, l’affermazione,<br />

in una parte sempre più ampia del<br />

mondo, dello stato di diritto...».<br />

Senza voler essere esaustivi,<br />

per non appesantire la scrittura<br />

con riferimenti che non sarebbero<br />

attinenti allo scopo del presente<br />

articolo, si può immediatamente<br />

riconoscere le linee di faglia che<br />

hanno segnato un andamento<br />

complessivamente progressivo<br />

della storia. La guerra nel nuovo<br />

Mondo culminata con la<br />

Dichiarazione di indipendenza del<br />

1776, in primo luogo, segnò di<br />

certo l’affermazione di princìpi liberali<br />

quali la libertà del singolo o<br />

«libertà privata» 1 e la partecipazione<br />

democratica. D’altra parte,<br />

i princìpi della rivoluzione<br />

Francese operarono in europa un<br />

ulteriore balzo, sancendo un aspetto<br />

più sociale dei diritti<br />

esaltando la fraternità. La massificazione<br />

della società e i processi di<br />

industrializzazione dell’ottocento<br />

hanno, come noto, portato alla<br />

evoluzione concettuale di princìpi<br />

sociali più netti che si sono concretizzati<br />

nelle esperienze del<br />

novecento attraverso la rivoluzione<br />

bolscevica del 1917 e, nel<br />

dopo guerra, con le esperienze<br />

delle democrazie europee del welfare.<br />

Sono tre, dunque, i processi<br />

che hanno rafforzato l’estensione<br />

e la diffusione dei diritti e dei principi<br />

che si sono affermati quale esito<br />

di questi passaggi storici: la positivizzazione,<br />

la generalizzazione e<br />

la internazionalizzazione di quelli<br />

che G. Peces-barba inserisce nella<br />

categoria modernissima dei Diritti<br />

Umani 2 . Proprio nell’internazionalizzazione<br />

di tali diritti si possono<br />

leggere due aspetti complementari;<br />

da una parte l’aspetto relativo al riconoscimento<br />

e alla difesa del<br />

diritto del singolo o della collettività<br />

di cui questo fa parte in<br />

quanto minoranza o comunque,<br />

in senso ampio, in quanto oggetto<br />

di aggressione, dall’altro, la<br />

sanzione del diritto all’indipendenza,<br />

all’autodeterminazione e<br />

alla libertà dei popoli.<br />

Guardando alla storia della<br />

seconda metà del novecento, si<br />

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PROGRAMMA D'AZIONE DEL PARTITO COMUNISTA CECOSLOVACCO DEL 1968<br />

può argomentare che tale processo<br />

di costruzione e tensione nell’affermazione<br />

del diritto non è però<br />

un’esperienza limitata al solo<br />

campo delle democrazie liberali,<br />

anzi spesso la rivendicazione di una<br />

necessaria evoluzione dei diritti afferenti<br />

la sfera del privato è stata<br />

oggetto di discussione nel campo<br />

socialista e nelle zone di influenza<br />

dell’Unione Sovietica. Forse ancora<br />

di più, la ricerca di un equilibrio<br />

tra diritti collettivi ed individuali,<br />

libertà del singolo e<br />

“pubbliche virtù” sono state la cifra<br />

di un costante processo che ha portato<br />

alla idealizzazione ed interpretazione<br />

di nuove strade all’applicazione<br />

della democrazia<br />

socialista, alternative o comunque<br />

diverse da quell’assetto ideologicodogmatico<br />

cristallizzatosi in<br />

Unione Sovietica ma altrettanto<br />

lontane dalle democrazie capitalistiche.<br />

Quindi, si potrebbe argomentare<br />

che vi sia una ricorrente<br />

tensione nella storia sui diritti con<br />

momenti nei quali, proprio attraverso<br />

una riflessione sui diritti e<br />

sulle libertà si metta in dubbio l’equilibrio<br />

sin a quel momento registrato,<br />

per tentare una strada<br />

nuova e un senso nuovo all’esperienza<br />

collettiva e dei singoli.<br />

Questo aspetto è sicuramente<br />

presente nel caso relativo alla cecoslovacchia<br />

e alla repressione dei<br />

tentativi di revisione dell’applicazione<br />

del socialismo reale di<br />

stampo sovietico, culminati storicamente<br />

nei fatti del 1968 e nella<br />

Primavera di Praga. Gli avvenimenti<br />

citati sembrano davvero paradigmatici<br />

della tensione che<br />

questo articolo cerca di afferrare,<br />

poiché lo sviluppo dei fatti e del<br />

dibattito intellettuale relativo a<br />

quel periodo presenta una profonda<br />

connessione con l’interrogativo<br />

della relazione tra le dinamiche<br />

storiche, politiche,<br />

attinenti alle libertà e ai diritti e al<br />

senso di queste nel dipanarsi delle<br />

vicende di un popolo, di un continente,<br />

di una ideologia.<br />

Lo spunto per inseguire le<br />

tracce di questo processo e che<br />

supporta la tesi di un movimento<br />

storico è dato dalla lettura del Programma<br />

di azione del Partito comunista<br />

cecoslovacco dell’aprile<br />

1968, che avrebbe voluto porre le<br />

basi ad un nuovo auspicato corso<br />

della vita socialista cecoslovacca e<br />

che poi è rimasto un esempio di<br />

riformismo sconfitto dalla repressione<br />

militare. il documento, approvato<br />

dal comitato centrale<br />

dopo un aspro contrasto tra la<br />

fazione dei riformisti di alexander<br />

Dubček e quella filosovietica di<br />

antonin novotny, è infatti un<br />

manifesto critico dello sviluppo del<br />

modello socialista che avrebbe necessitato<br />

di una revisione alla luce<br />

di un nuovo assetto di diritti e libertà<br />

per la costituzione di una<br />

nuova ed evoluta democrazia socialista.<br />

il fascino e l’attrattiva che<br />

questo scritto mantiene è ancor<br />

oggi del tutto evidente, vuoi per<br />

gli esiti tragici e in qualche modo<br />

“eroici” che da questo sono scaturiti,<br />

vuoi per la lucidità dell’analisi<br />

e per la temerarietà delle posizioni<br />

247<br />

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PROGRAMMA D'AZIONE DEL PARTITO COMUNISTA CECOSLOVACCO DEL 1968<br />

248<br />

ideali se contestualizzate al momento<br />

storico in cui venivano formulate.<br />

Tuttavia, oggi, certo non<br />

si può esaminare il testo con scopo<br />

agiografico o celebrativo, poiché<br />

non avrebbe senso farlo, ma diviene<br />

utile se si vuole inserire<br />

l’episodio storico del ’68 cecoslovacco<br />

in una prospettiva generale<br />

e, forse, teleologica e di senso che<br />

spiega come i princìpi legati alle<br />

libertà e ai diritti propugnati nella<br />

elaborazione del periodo in<br />

oggetto si siano fatti storia con effetti<br />

di lungo periodo sulla vicenda<br />

più complessa dell’applicazione<br />

reale della dottrina socialista.<br />

Tra l’altro, la coincidenza temporale<br />

tra i fatti della Primavera<br />

cecoslovacca e i movimenti europei<br />

e mondiali che si sono registrati<br />

nel ‘68 si carica di ulteriore significato,<br />

poiché potrebbero essere ricondotti<br />

ad un’ulteriore, forse ultima<br />

sin ora registrata, faglia di<br />

demarcazione nel processo di elaborazione<br />

concettuale e poi di<br />

rivendicazione e oggettivazione di<br />

nuovi diritti per la ricerca di nuovi<br />

equilibri sociali, politici e storici:<br />

senza citare i casi francesi e statunitensi,<br />

è esemplare come, per esempio<br />

in italia, proprio in quel periodo<br />

nascano le condizioni che<br />

poi porteranno alla definizioni<br />

dello Statuto dei Lavoratori nel<br />

’70, alle conquiste delle donne nel<br />

cammino verso una difficile parità<br />

di genere e, più tardi nel ’75, alla<br />

riforma di un diritto di famiglia<br />

sin allora retrogrado e patriarcale.<br />

D’altronde, le connessioni tra<br />

gli eventi di Praga e gli sviluppi<br />

negli altri Paesi sul fronte dei diritti<br />

è stata ben presente nella coscienza<br />

del ceto intellettuale ceco che all’epoca<br />

dei fatti si interrogò sul significato<br />

della Primavera. Precisamente,<br />

M. Kundera, nel suo scritto<br />

Il destino ceco pubblicato nel<br />

dicembre del 1968 sulla rivista letteraria<br />

“Listy”, volle interpretare<br />

la rivolta di Praga come una presa<br />

di coscienza del popolo e della<br />

nazione ceca che assolveva così ad<br />

una “missione storica”, ponendosi<br />

per la prima volta dalla fine del<br />

Medio evo al centro della storia<br />

mondiale per indirizzare al mondo<br />

il proprio appello. Per Kundera,<br />

infatti, il compito delle nazioni più<br />

piccole, non potendo competere<br />

con quelle grandi in termini di<br />

potenza militare o demografica, è<br />

quello di «creare valori» così da<br />

giustificare la propria presenza<br />

sullo scenario internazionale. La<br />

stessa libertà, esistenza ed autonomia<br />

delle nazioni “piccole” è legata<br />

alla capacita di fornire una spinta<br />

propulsiva attraverso la produzione<br />

di valori e, nel caso di<br />

specie, i cecoslovacchi si sarebbero<br />

posti quali avanguardie di un<br />

movimento storico che rifiutava la<br />

repressione che negava la possibilità<br />

di una democrazia da attuarsi<br />

nel sistema socialista, proponendo<br />

al mondo «una libertà che il<br />

mondo non aveva mai visto».<br />

Dalle parole di Kundera, sembra<br />

dunque che gli eventi di Praga<br />

siano da leggersi su un piano quasi<br />

messianico e che consentano di<br />

parlare di un preciso momento nel<br />

quale la storia abbia mostrato un<br />

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PROGRAMMA D'AZIONE DEL PARTITO COMUNISTA CECOSLOVACCO DEL 1968<br />

senso negli eventi e abbia indicato<br />

un verso da poter seguire nella<br />

comprensione degli eventi.<br />

Un aiuto a comprendere il<br />

concetto di senso della storia può<br />

essere ripreso da un altro importante<br />

intellettuale ceco che ha<br />

intensamente investigato questi aspetti<br />

e ha personalmente partecipato,<br />

nell’esperienza successiva di<br />

charta 77, al dibattito attorno alle<br />

libertà, pagando con la vita la propria<br />

esposizione. Jan Patočka, infatti,<br />

nei suoi Saggi eretici sulla<br />

filosofia della storia assume la posizione<br />

di Heidegger nel definire<br />

il senso come «ciò in base a cui<br />

qualcosa si rende comprensibile».<br />

Dal punto di vista storico il senso,<br />

la possibilità di comprensione, si<br />

acquisterebbe dal momento in cui<br />

l’uomo esce da una condizione di<br />

infantilismo tipico della pre-istoria<br />

e si interroga sulla problematicità<br />

della sua esistenza, rinunciando, in<br />

maniera certo sconvolgente, alla<br />

tranquilla accettazione degli eventi<br />

tipica di colui che si affida all’onnipotenza<br />

ed onniscienza “degli<br />

dei”. nasce il senso nella storia, in<br />

realtà nasce la storia stessa, quando<br />

l’uomo scopre la filosofia e la politica<br />

ovvero gli strumenti della<br />

comprensione e della gestione<br />

della complessità.<br />

certo non può sfuggire come<br />

negli eventi di Praga sia ribadita la<br />

trilogia proposta da Jan Patočka<br />

tra storia, politica e filosofia,<br />

poiché il filo unico del senso da attribuire<br />

a quei giorni lega fortemente<br />

questi aspetti con la posizione<br />

di Kundera rispetto al<br />

significato di produzione di “nuovi<br />

valori” che questo momento ha<br />

comportato. e se la storia nasce<br />

quando vi è la coscienza della<br />

problematicità, allora certo il nodo<br />

dei rapporti tra il sistema socialista<br />

insediato e le libertà sociali e dei<br />

singoli rappresenta forse uno dei<br />

punti problematici e, dunque, di<br />

ricerca di senso del XX secolo, sicuramente<br />

almeno rispetto alla vicenda<br />

comunista della quale<br />

questo aspetto è destinato a segnarne<br />

propriamente il senso<br />

storico.<br />

La tensione tra socialismo,<br />

democrazia, libertà e diritti così<br />

generata carica gli elementi considerati<br />

nel loro equilibrio di una<br />

volontà di rottura: la problematicità<br />

e la complessità di questi rapporti<br />

inducono inevitabilmente al<br />

tema del mutamento che è proprio<br />

dell’epoca “storica’ come definita<br />

da Patočka opposta all’era “pre-istoria”.<br />

La Primavera di Praga rappresenta<br />

senza dubbio uno snodo<br />

della storia in cui i processi problematici<br />

si manifestano evidentemente<br />

perché pretendono un mutamento<br />

che pone di per sé sfide<br />

pericolose nel rinvenimento di un<br />

nuovo senso: scrive Patočka che l’esplicito<br />

interrogarsi «...è più rischioso,<br />

perché trascina tutta la vita,<br />

sia individuale che sociale, nella<br />

sfera del mutamento di senso, zona<br />

dove la vita viene a mutare con<br />

tutte le sue strutture, dal momento<br />

che ne è mutato il senso. La storia<br />

significa questo e non altro...».<br />

Dunque, la Primavera di<br />

Praga dal punto di vista storico<br />

249<br />

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PROGRAMMA D'AZIONE DEL PARTITO COMUNISTA CECOSLOVACCO DEL 1968<br />

250<br />

potrebbe essere interpretata come<br />

una di quelle faglie in cui si produce<br />

la manifestazione del tentativo<br />

di dare un senso nuovo attraverso<br />

la produzione di nuovi valori<br />

che reinterpretano le esperienze<br />

del passato. Dal punto di vista della<br />

vicenda socialista, il tentativo di<br />

dare al mondo e alla storia una<br />

nuova dimensione di libertà nel<br />

campo comunista, ovvero il<br />

processo di problematizzazione<br />

della condotta del regime inteso<br />

nel senso storico di Patočka, si traduce<br />

nell’affermazione strutturale<br />

dei diritti e delle libertà dei singoli<br />

e delle organizzazioni sociali che<br />

sono rese esplicite nel Programma<br />

d’azione del Partito comunista<br />

cecoslovacco del 1968, che assume<br />

così una dimensione preziosa<br />

nella valutazione di una vicenda<br />

storica che ha coinvolto interi<br />

popoli, nazioni e ha determinato<br />

il destino storico di intere esperienze<br />

ideologiche.<br />

certo non si può tacere che il<br />

dibattito sulla valutazione degli<br />

eventi della Primavera di Praga ha<br />

visto anche opinioni divergenti nel<br />

panorama culturale che hanno valutato<br />

diversamente l’impostazione<br />

resa da Kundera. effettivamente,<br />

tra tutti, Vàclav Havel ha opposto<br />

interessanti argomentazioni alla<br />

lettura resa dall’intellettuale<br />

boemo, contestando nel suo scritto<br />

Il destino ceco? soprattutto la valutazione<br />

di Kundera rispetto al lascito<br />

degli eventi dell’agosto del<br />

1968,<br />

Se, infatti, l’autore da ultimo<br />

citato riteneva che l’autunno di<br />

Praga fosse stato più rilevante della<br />

Primavera, intendendo così che le<br />

conquiste della protesta si sarebbero<br />

conservate con esiti positivi<br />

sulle libertà dei cittadini cechi,<br />

Havel ritiene che la protesta sia<br />

stata di fatto annullata dalla repressione<br />

e che l’intento di dare una<br />

carica epica agli eventi praghesi<br />

risponde ad un tentativo piuttosto<br />

retorico e addirittura ad una<br />

«costruzione illusionistica» 3 .<br />

Questa impostazione riduttiva<br />

renderebbe di certo la Primavera<br />

di Praga un evento secondario nel<br />

panorama storico e, forse, non ne<br />

coglierebbe la portata che si ritiene<br />

essere davvero più ampia.<br />

D’altronde se si può parlare<br />

di senso nella storia, altrettanto interessante<br />

sarebbe verificare se esista<br />

un verso progressivo della storia,<br />

ovvero se questa fosse<br />

teleologicamente orientata. certo<br />

neanche questo è un concetto universalmente<br />

accettato: invero sono<br />

pochi quanti vogliono leggere<br />

negli eventi il senso di questi, considerandoli<br />

invece come fatti<br />

oggettivi da narrare.<br />

Tuttavia, si vuole qui accogliere<br />

la posizione di n. bobbio<br />

su una possibile filosofia della storia<br />

per cui «per colui che si ponga da<br />

questo punto di vista gli eventi cessano<br />

di essere dati di fatto da descrivere<br />

[…] ma diventano segni o<br />

indizi rivelatori di un processo,<br />

non necessariamente intenzionale,<br />

verso una direzione prestabilita»,<br />

pur se questi sia cosciente che sta<br />

descrivendo una storia «la cui funzione<br />

non è conoscitiva ma am-<br />

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V o l . I V , N ˚ 1 G e n . - G i u . , 2 0 1 5


O R I Z Z O N T I<br />

PROGRAMMA D'AZIONE DEL PARTITO COMUNISTA CECOSLOVACCO DEL 1968<br />

monitiva, esortativa o soltanto suggestiva»<br />

4 .<br />

Di fatto, considerando il<br />

processo storico come una traccia<br />

sulla quale poter leggere ed interpretare<br />

le infinite connessioni tra<br />

le vicende umane, di certo il Programma<br />

di azione resta il manifesto<br />

della via cecoslovacca al socialismo<br />

che vede, attraverso la<br />

definizione dei diritti, la messa in<br />

discussione della matrice sovietica<br />

al socialismo per intraprendere la<br />

ricerca di un senso nuovo da dare<br />

a questa ideologia. Si propone,<br />

dunque, una breve analisi delle posizioni<br />

contenute nel programma<br />

d’azione per poi tentare alcune<br />

conclusioni rispetto a quanto sin<br />

ora quanto argomentato.<br />

DEMOCRAZIA SOCIALISTA<br />

NEL PROGRAMMA D’AZIONE<br />

DEL PCC<br />

il primo elemento da considerare<br />

è di certo l’analisi che i redattori<br />

del Programma d’azione<br />

hanno formulato sul concetto di<br />

“democrazia socialista” e sullo stato<br />

della sua attuazione nel dato momento<br />

storico. infatti, la<br />

democrazia socialista non sarebbe<br />

stata estesa tempestivamente e anzi<br />

si è involuta in un sistema autoritario/burocratico<br />

che ha soffocato<br />

gli slanci verso una reale attuazione<br />

dei modelli socialisti. La ragione<br />

principe di tale fenomeno è<br />

ritrovata nel deteriorarsi dei principi<br />

socialisti a causa del “culto<br />

della personalità” di matrice staliniana<br />

che ha provocato burocrazia,<br />

settarismo, repressione dei<br />

diritti e delle libertà democratiche<br />

del popolo, la violazione della legalità,<br />

casi si arbitrio e di abuso di<br />

potere. ciò ha definito una precisa<br />

responsabilità per aver applicato<br />

un’erronea interpretazione della<br />

teoria socialista nella quale sarebbe<br />

stata negata l’evoluzione sociale ed<br />

individuale della dimensione libertaria<br />

di ciascuno al fine di privilegiare<br />

una dittatura mediocre e<br />

burocratica.<br />

La mediocrità dei quadri dirigenti<br />

e del sistema che questi<br />

hanno creato è un tema fondamentale<br />

nell’argomentare degli estensori<br />

del Programma di azione. infatti,<br />

l’egualitarismo, nella sua<br />

forma dogmatica ed esiziale, ha<br />

spesso provocato il livellamento<br />

verso il basso di ogni settore del<br />

vita pubblica, privata e produttiva,<br />

eliminando il merito e, dunque,<br />

frustrando le capacità e le energie.<br />

Si ritrova, forse paradossalmente,<br />

un’eco di tale fenomeno nell’opera<br />

di de Tocqueville quando esaminava<br />

la nascente società democratica<br />

americana e avvertiva dei pericoli<br />

dell’uguaglianza che si applica<br />

in due tendenze: «[…] una che<br />

porta la mente umana verso nuove<br />

conquiste e l’altra che la ridurrebbe<br />

volentieri a non pensare più. Se in<br />

luogo di tutte le varie potenze che<br />

impedirono o ritardarono lo slancio<br />

della ragione umana, i popoli<br />

democratici sostituissero il potere<br />

assoluto della maggioranza, il male<br />

non avrebbe fatto che cambiare<br />

carattere [...]» 5 .<br />

251<br />

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O R I Z Z O N T I<br />

PROGRAMMA D'AZIONE DEL PARTITO COMUNISTA CECOSLOVACCO DEL 1968<br />

252<br />

il richiamo a de Toqueville,<br />

nella parte in cui descrive l’egualitarismo<br />

come un movente a non<br />

pensare più, è molto suggestivo se<br />

lo si mette in corrispondenza con<br />

il concetto di Patočka che vuole<br />

l’apertura della crisi verso un nuovo<br />

senso proprio dall’interrogativo e<br />

dalla coscienza di voler domandarsi<br />

rispetto allo stato attuale: la<br />

volontà d’uscita da un egualitarismo<br />

soffocante sarebbe dunque<br />

un ulteriore elemento che caratterizzerebbe<br />

l’importanza storica<br />

della elaborazione concettuale del<br />

documento in oggetto. appare evidente<br />

la critica dell’impostazione<br />

tradizionale, posto che invece la<br />

ricetta proposta nel documento<br />

per il rilancio della prospettiva socialista<br />

cecoslovacca passa attraverso<br />

una nuova formulazione tra<br />

il pubblico e i diritti e le libertà del<br />

singoli. anche l’intermediazione<br />

del Partito tra la sfera individuale<br />

e quella pubblica, pur mantenendo<br />

nel senso leninista il ruolo di guida<br />

e avanguardia, non deve essere<br />

quella di una istituzione totale<br />

poiché questo «in quanto rappresentante<br />

degli interessi delle parti<br />

più progressiste di tutti i ceti […]<br />

non può essere il rappresentante<br />

di tutto l’insieme degli interessi sociali»,<br />

in questo, profondamente<br />

divergendo dal modello totalitario<br />

che vede nel partito la sintesi di<br />

ogni aspetto sociale, culturale,<br />

politico.<br />

Gli stessi cardini del processo<br />

di evoluzione immaginata dal Partito<br />

cecoslovacco, pur senza<br />

perdere il riferimento socialista, si<br />

basava su elementi caratterizzanti<br />

le strutture di libertà e diritto proprie<br />

delle esperienze democraticoliberali.<br />

così viene specificato il<br />

principio di legalità e di riserva di<br />

legge per cui ogni possibile restrizione<br />

alle libertà individuali e<br />

associative, anche fuori del partito,<br />

deve essere prevista esclusivamente<br />

dalla legge che sola può determinare<br />

«ciò che è antisociale, vietato<br />

o illegale» e ancora «la<br />

garanzia fondamentale della legalità<br />

risiede nella procedura<br />

giudiziale di fronte ad un tribunale<br />

il quale, esente da ogni influenza<br />

politica, è vincolato solo alla<br />

Legge» 6 . Dal punto di vista istituzionale<br />

è riconosciuto come la<br />

separazione e controllo dei poteri<br />

sia una garanzia contro gli arbitrî,<br />

individuando in tal senso un sistema<br />

di check and balance, per cui<br />

«è necessario assicurare una ripartizione<br />

delle competenze e un sistema<br />

di controllo reciproco tra le<br />

varie istanze in modo che eventuali<br />

errori o eccessi di una di queste<br />

siano riparati tempestivamente<br />

grazie all’attività di un’altra» 7 .<br />

D’altronde, sono le libertà dei<br />

moderni a richiamare la forte rivendicazione<br />

dei redattori del documento:<br />

«[…] bisogna impedire<br />

che le varie istituzioni ignorino i<br />

diritti personali e gli interessi dei<br />

cittadini in materia di proprietà<br />

personali, alloggi familiari, giardini<br />

ect. [...]» 8 . non fa eccezione la libertà<br />

di professare una fede per cui<br />

«le libertà garantite dalla legge<br />

sono pienamente valide anche per<br />

i cittadini delle varie religioni e<br />

confessioni» 9 che sono chiamati<br />

a collaborare e che vogliono «sulla<br />

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O R I Z Z O N T I<br />

PROGRAMMA D'AZIONE DEL PARTITO COMUNISTA CECOSLOVACCO DEL 1968<br />

base della loro fede da eguali tra<br />

gli eguali, in quanto edificatori con<br />

eguali diritti della società socialista,<br />

partecipare all’attuazione di tutti<br />

i compiti che si pongono innanzi<br />

a noi» 10 . Ugualmente devono riconoscersi<br />

i diritti alle libertà di<br />

espressione e di tutti i diritti<br />

politici e personali dei cittadini tra<br />

cui quello di associazione, riunione<br />

e di informazione e di formazione<br />

dell’opinione pubblica: «[...] non<br />

si può prescrivere, secondo un’interpretazione<br />

arbitraria del potere,<br />

ciò di cui possono essere informati<br />

e ciò di cui non possono esserlo,<br />

quali opinioni possano o non possano<br />

esprimere in pubblico,<br />

quando l’opinione pubblica possa<br />

o non possa farsi valere [...]» 11 .<br />

Questo quadro descrive bene<br />

l’impostazione del documento favorevole<br />

alla diffusione delle libertà<br />

negative che si realizzano nella<br />

sfera del privato e fuori dallo Stato<br />

e dalle organizzazioni collettive<br />

quali libertà che b.constant già<br />

definì “dei moderni” perché proprie<br />

di una nuova epoca dei diritti<br />

segnata dall’affrancamento dal<br />

potere dispotico ed invasivo del<br />

“pubblico”. Superando la valutazione<br />

deteriore dell’autore citato<br />

sulle libertà positive, definite antiche<br />

poiché basate sui modelli classici<br />

di esercizio collettivo della<br />

sovranità ma controllo sulla vita<br />

privata, il documento in oggetto<br />

assume una impostazione diversa<br />

dell’idea di libertà positive 12 , forse<br />

più moderna ancora di quella che<br />

constant riservava a quelle “negative”,<br />

poiché intese quali estensioni<br />

alla maggior parte dei cittadini<br />

della partecipazione al potere<br />

politico.<br />

infatti, si registra una profonda<br />

rimeditazione dei rapporti<br />

con categorie che più avevano sofferto,<br />

restando escluse dai processo<br />

di burocratizzazione della struttura<br />

socialista: giovani, donne, dissidenti,<br />

minoranze etniche e religiose<br />

sono richiamate innanzi alla<br />

legge costituzionale che attribuisce<br />

loro diritti e ruoli politici.<br />

Siamo rimasti in debito di<br />

molte cose nei confronti della<br />

gioventù. Le insufficienze e gli errori<br />

della vita politica, economica<br />

e culturale, così come nelle relazioni<br />

umane, colpiscono in<br />

modo particolare la gioventù: le<br />

contraddizioni tra le parole e le<br />

azioni, la mancanza di franchezza,<br />

le grandi fasi e il burocratismo, la<br />

tendenza a sistemare tutto partendo<br />

da posizioni di forza […]<br />

hanno finito per colpire dolorosamente<br />

gli studenti e i giovani operai<br />

e contadini e a suscitare in loro<br />

il pensiero che non sono loro stessi,<br />

il loro lavoro, i loro sforzi a determinare<br />

il loro avvenire. 13<br />

Lo stesso vale per le donne la<br />

cui questione non sembra essere<br />

stata considerata in precedenza<br />

come questione politica seria:<br />

«[...] bisogna riconoscere alle<br />

donne un posto corrispondente ai<br />

princìpi della democrazia […] e<br />

all’importante partecipazione delle<br />

donne alla formazione dei valori<br />

materiali e spirituali della società<br />

[...]» 14 . Tutele e partecipazione<br />

253<br />

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PROGRAMMA D'AZIONE DEL PARTITO COMUNISTA CECOSLOVACCO DEL 1968<br />

254<br />

sono riconosciuti alle minoranze<br />

dei credenti, alle minoranze<br />

nazionali e ai non comunisti, riconosciuti<br />

nel loro diritto e nelle<br />

loro libertà.<br />

CONCLUSIONI<br />

Di fronte al tentativo di mutamento<br />

che il Programma di<br />

azione del Partito comunista rappresenta,<br />

la successiva repressione<br />

dell’agosto 1968 deve essere esaminata<br />

nel senso che sarebbe possibile<br />

rintracciare nella vicenda di<br />

Praga, anche alla luce del pensiero<br />

di Kant, il quale, riporta bobbio,<br />

«nei suoi ultimi scritti si pose la<br />

domanda se il genere umano sia in<br />

costante progresso verso il meglio.<br />

a questa domanda […] ritenne che<br />

si potesse dare una risposta affermativa,<br />

se pure con qualche esitazione»<br />

15 . Da questa angolazione,<br />

dunque, quanto successo<br />

in occasione della rivolta del 1968<br />

può indurre ad affermare che in<br />

quel frangente si svolse un “movimento”<br />

della storia, fu quello un<br />

momento nel quale si manifestò,<br />

nel senso che a ciò è attribuito da<br />

Patočka, un nesso problematico insito<br />

nel processo storico della vicenda<br />

socialista che vedeva una<br />

contraddizione tra il regime, le libertà<br />

e i diritti dei singoli e delle organizzazioni<br />

sociali.<br />

La presa di coscienza rispetto<br />

a questo elemento, enfatizzata da<br />

Kundera come addirittura “missione”<br />

del popolo ceco, ha portato<br />

di fatto al processo di conflitto e<br />

di sconvolgimento del senso storico<br />

fino ad allora accettato, per accedere<br />

nella sfera del mutamento<br />

di senso, quando è la vita sociale e<br />

individuale che muta, o tenta di<br />

mutare, le sue strutture perché, appunto,<br />

ne è mutato il senso. i diritti<br />

sono stati gli strumenti che hanno<br />

permesso l’innescarsi di una contraddizione<br />

capace di provocare,<br />

nel senso di Patočka, la ricerca di<br />

un nuovo senso e per questo la<br />

valenza storica della Primavera di<br />

Praga non può essere negata.<br />

non è vero, come per esempio<br />

sostenuto da Havel, che il lascito<br />

della rivolta sia stato del tutto annullato<br />

dalla repressione. La Primavera<br />

di Praga ha seminato nella<br />

coscienza dei partiti comunisti europei<br />

il senso della contraddizione<br />

storica evidente nella repressione<br />

e ha agitato nella sinistra mondiale<br />

il tarlo del dubbio, l’angoscia o la<br />

consapevolezza che lo status quo<br />

dell’esperienza del socialismo reale<br />

dovesse essere messa in discussione<br />

e problematizzata per approdare a<br />

nuove soluzioni storicopolitiche<br />

16 . Di fatto la rivolta di<br />

Praga ha innescato il processo<br />

storico che Patočka ha teorizzato<br />

e per il quale lo sconvolgimento<br />

del senso fin ad allora ingenuamente<br />

accettato avrebbe portato<br />

alla possibilità di raggiungere un<br />

senso nuovo «più libero e ambizioso»,<br />

forse proprio quella libertà<br />

che il «mondo non aveva mai<br />

visto», come preconizzato da<br />

Kundera.<br />

Se davvero così si potesse intendere,<br />

allora citando il filosofo<br />

di Konigsberg l’intervento militare<br />

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PROGRAMMA D'AZIONE DEL PARTITO COMUNISTA CECOSLOVACCO DEL 1968<br />

contro «il diritto di un popolo di<br />

non essere impedito da altre forze<br />

di darsi una costituzione civile che<br />

esso crede buona» 17 è un atto antistorico,<br />

privo o quanto meno<br />

contrario al senso degli eventi, e<br />

come tale destinato ad essere travolto<br />

dalla storia stessa. Dunque,<br />

alla luce di una ratio storica la repressione<br />

del verso della storia ha<br />

condannato gli aggressori perché<br />

non hanno capito in che modo<br />

assecondare il senso degli eventi,<br />

condannando loro stessi ad una<br />

progressiva consunzione per l’antistoricità<br />

delle loro dottrine,<br />

azioni e posizioni.<br />

BIBLIOGRAFIA<br />

– n. bobbio “L’età dei diritti” einaudi,<br />

Torino 1990;<br />

– e. bettizza “La primavera di Praga.<br />

1968: la rivoluzione dimenticata”<br />

Mondadori 2009;<br />

– F.caccamo, P. Helan, M. Tria (a cura<br />

di) “Primavera di Praga: risveglio europeo”<br />

Università di Firenze, 2011;<br />

– a. Dubček, “il nuovo corso in cecoslovacchia”<br />

roma, editori riuniti,<br />

1968;<br />

– V. Havel “il destino ceco?” Tvář 1969;<br />

– V. Havel “interrogatorio a distanza.<br />

conversazione con Karel Hanzdala”,<br />

Garzanti, 1990;<br />

– e. Kant “Scritti politici e di filosofia<br />

della storia e del diritto” Utet Torino<br />

1965;<br />

– M. Kopeček “Il conflitto sulla questione<br />

ceca negli anni 1967/69” Literàrnì<br />

noviny, 2008,(XX);<br />

– M. Kundera, “il destino ceco” rivista<br />

letteraria Listy, 1968;<br />

– M. Kundera, “radicalismo ed esibizionismo”<br />

Host do Domu, 1969;<br />

– M. Kundera, “il piccolo e il grande”<br />

rivista letteraria Listy, 1968;<br />

– T. Martines. “Diritto costituzionale”<br />

Giuffrè editore, Milano 1998;<br />

– S. Mella “La polemica tra Milan Kundera<br />

e Václav Havel sul destino ceco<br />

quarant’anni dopo” esamidzat 2009,<br />

Vii;<br />

– “La via cecoslovacca al socialismo”<br />

editori riuniti, roma, 1968;<br />

– J. Patočka “Saggi eretici sulla filosofia<br />

della storia” einaudi, Milano, 2008;<br />

– G. Peces-barba “Derecho Positivo de<br />

lo Derechos Humanos” editorial Debate,<br />

Madrid 1987;<br />

– Praga 1968, Le idee del «nuovo<br />

corso». Literární Listy marzo-agosto<br />

1968, a cura di Jan Čech [antonín J.<br />

Liehm], roma-bari, Laterza, 1968;<br />

– “a. Dubček. il socialismo dal volto<br />

umano. autobiografia di un rivoluzionario”<br />

a cura di Jiří Hochman,<br />

roma, editori riuniti, 1996;<br />

– a.de Tocqueville “La Democrazia in<br />

america” rizzoli bUr 2007;<br />

– T. West “Destiny as alibi: M. Kundera,<br />

V. Havel and the czech: question<br />

after 1968” Slavonic and east european<br />

review, 2009.<br />

NOTE<br />

1 a. De Tocqueville, La Democrazia in<br />

America, rizzoli bUr, Milano 2007<br />

2 G. Peces-barba, Derecho Positivo de lo<br />

Derechos Humanos, editorial Debate,<br />

Madrid 1987.<br />

3 all’articolo di Havel, pubblicato sulla<br />

rivista “Tvář” nel febbraio 1969, come<br />

visto apertamente critico rispetto alla<br />

posizione di Kundera, l’autore boemo<br />

rispose con un altro scritto dal titolo<br />

Radicalismo ed esibizionismo per<br />

difendersi dalle tesi di Havel e ribadire<br />

la portata del tentativo della Primavera<br />

di Praga. Havel, infatti, aveva contes-<br />

255<br />

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PROGRAMMA D'AZIONE DEL PARTITO COMUNISTA CECOSLOVACCO DEL 1968<br />

256<br />

tato la lettura di Kundera affermando<br />

che, in realtà, con la protesta si era voluto<br />

raggiungere l’obiettivo di “normalizzare”<br />

il Paese, ovvero introdurre<br />

quei diritti e libertà che sono correnti<br />

nelle democrazie liberali. ciò ovviamente<br />

priverebbe gli eventi di Praga<br />

di quella portata messianica voluta da<br />

Kundera e che Havel definisce<br />

«delirio romantico». in realtà, lo<br />

scontro che si consumava tra questi<br />

due intellettuali replicava lo scontro<br />

tra chi leggeva gli eventi da “comunista”,<br />

proponendo un revisionismo<br />

che avrebbe portato ad un socialismo<br />

democratico quale evoluzione di un<br />

socialismo stalinista e burocratico, a<br />

fronte di intellettuali “non comunisti”<br />

che interpretavano sempre e comunque<br />

tutto il socialismo, anche<br />

quello riformista, come antidemocratico<br />

e antimoderno «[...] poiché l’omogeneizzazione<br />

stalinista ha deformato<br />

nel suo sviluppo l’evolversi<br />

naturale in senso democratico della<br />

società nazionale e le deformazioni<br />

non possono essere riformate”. Vedi<br />

sul punto M. Kopeček, Il conflitto sulla<br />

questione ceca negli anni 1967/69,<br />

“Literàrnì noviny”, 2008,(XX)<br />

nonché S. Mella, La polemica tra Milan<br />

Kundera e Václav Havel sul destino<br />

ceco quarant’anni dopo, “esamidzat”,<br />

2009, Vii.<br />

4 n. bobbio, L’Età dei diritti, einaudi,<br />

Torino 1990<br />

5 a. De Tocqueville, La Democrazia in<br />

America, rizzoli bUr, Milano 2007<br />

6 La via Cecoslovacca al socialismo, editori<br />

riuniti, roma 1968, pag. 69<br />

7 Ivi, pag. 66<br />

8 Ivi, pag. 55<br />

9 Ivi, pag. 54<br />

10 Ivi, pag. 35<br />

11 Ivi, pag. 53<br />

12 «[…] Le libertà positive vanno considerate<br />

come il risultato ultimo di una<br />

serie di interventi dei pubblici poteri<br />

diretti a dare attuazione al principio<br />

di eguaglianza sostanziale, di modo<br />

che la persona umana si possa pienamente<br />

sviluppare e la partecipazione<br />

al governo diventare effettiva. esse<br />

non si traducono in diritti pubblici<br />

soggettivi […] bensì presuppongono<br />

alcune situazioni giuridiche soggettive<br />

strumentali attribuite ai singoli ed alle<br />

formazioni sociali al fine di raggiungere<br />

[…] l’integrazione dei governati<br />

nell’area di governo […]» T. Martines,<br />

Diritto Costituzionale, Giuffrè editore,<br />

Milano 1998<br />

13 Ivi, pag. 34<br />

14 Ivi, pag. 35<br />

15 n. bobbio op. cit.<br />

16 Per esempio in italia il P.c.i. attraversò<br />

una fase di dibattito molto netto che<br />

vide gran parte dei suoi quadri direttivi<br />

critici nei confronti dell’invasione<br />

operata in cecoslovacchia; in seguito<br />

queste posizioni portarono alla<br />

definizione di un nuovo posizionamento<br />

della vicenda comunista europea<br />

che tentava di affrancarsi, pur in<br />

funzione anticapitalista, dalle linee del<br />

PcUS.<br />

17 e. Kant, Scritti politici e di filosofia<br />

della storia e del diritto, Utet, Torino<br />

1965<br />

G E O P O L I T I C A – R I V I S T A S E M E S T R A L E D E L L ’ I S A G<br />

V o l . I V , N ˚ 1 G e n . - G i u . , 2 0 1 5


avataréditions<br />

ITALIA<br />

LE GRANDI OPPORTUNITÀ DEL KAZAKHSTAN<br />

QUADERNI DI GEOPOLITICA<br />

No. 5 – 2015 – 182 PP – 19€<br />

La Repubblica del Kazakhstan non è soltanto lo Stato più<br />

esteso dell’Asia centrale ma anche uno dei Paesi dell’ex<br />

URSS che meglio ha saputo ricostruire un’identità e una fisionomia<br />

propri nel corso di poco più di vent’anni di indipendenza.<br />

L’economia di questo Paese, popolato da una<br />

ricca pluralità di gruppi etnici e religiosi, va ben oltre lo<br />

sfruttamento delle ingenti risorse naturali disponibili e si<br />

articola intorno a una strategia tesa a incentivare lo sviluppo<br />

attraverso la sinergia pubblico-privato e l’attrazione di eccellenze<br />

dall’estero. Il presente Quaderno di <strong>Geopolitica</strong> si<br />

propone di offrire agli operatori italiani che si affacciano o<br />

sono già presenti in Kazakhstan un panorama a vasto raggio<br />

delle sue prospettive: dalle caratteristiche specifiche delle<br />

Zone Economiche Speciali alle peculiarità del sistema legislativo<br />

e doganale, dai Piani di sviluppo strategico ai Parchi<br />

scientifici e tecnologici, focalizzando l’attenzione sul livello<br />

dei rapporti economici bilaterali con l’Italia e fornendo indicazioni<br />

e contatti utili per un fecondo approccio al Paese.<br />

Acquisti e abbonamenti: pagina 6


avataréditions<br />

ITALIA<br />

CHE COS’È LA GEOPOLITICA?<br />

“<strong>Geopolitica</strong>” è oggi un termine molto in voga, usato e<br />

persino abusato. Infatti, lo si ritrova spesso utilizzato come<br />

sinonimo di “politica internazionale”, affrontata non di<br />

rado con un approccio giornalistico. In realtà, la <strong>Geopolitica</strong><br />

vera e propria è qualcosa di diverso. Si tratta d'una disciplina<br />

accademica che si sta affermando in molti paesi,<br />

d’un approccio interpretativo e analitico le cui origini affondano<br />

a oltre un secolo fa. Ma se gli equivoci prosperano,<br />

è anche perché la geopolitica ancora manca d'una chiara<br />

definizione degli obiettivi e metodologica, condivisa nel<br />

mondo scientifico. Da qui l'esigenza di porsi il fatidico interrogativo:<br />

che cos’è la geopolitica?<br />

Acquisti e abbonamenti: pagina 6<br />

GEOPOLITICA<br />

VOL. I, No. 3, AUTUNNO 2012 – 22€


avataréditions<br />

ITALIA<br />

L'ISLAM POLITICO ALLA PROVA DEL POTERE<br />

GEOPOLITICA<br />

VOL. III, No. 1/2, PRI.-EST. 2014 – 25€<br />

L'Islam Politico, ossia quell'insieme di correnti e movimenti<br />

che trattano l'Islam come un'ideologia politica, dopo decenni<br />

di egemonia di élite “laiche” è riuscito a giungere al potere<br />

in alcuni paesi musulmani. Anche non considerando l'Arabia<br />

Saudita wahhabita, apripista fu l'Iran già nel 1979, seguito<br />

poco più d'un decennio dopo dall'Afghanistan coi Taliban e<br />

in tempi più recenti dalla Turchia dell'AKP di Erdo an e dalla<br />

Palestina di HAMAS. La “Primavera Araba” del 2011 ha offerto<br />

un'eccezionale occasione all'Islam Politico, in particolare alla<br />

sua componente dei Fratelli Musulmani, giunta al potere in<br />

Tunisia e in Egitto e a contendere il controllo della Siria al<br />

Ba'th. Il rovesciamento del regime talibano in Afghanistan,<br />

lo scontro fratricida con Fatah in Palestina, la guerra civile<br />

in Siria (allargatasi ora all'Iraq), il golpe militare in Egitto,<br />

la crisi istituzionale in Tunisia, sono solo alcuni degli esempi<br />

che dimostrano come l'ascesa al potere dell'Islam Politico sia<br />

lungi dall'essere incontrastata, rivelandosi spesso effimera<br />

prima della reazione degli avversari. Questo numero di <strong>Geopolitica</strong>,<br />

curato da Pietro Longo, s'interroga sulle cause del<br />

successo e della sconfitta dell'Islam Politico e cerca di capire<br />

quale sarà il suo futuro.<br />

Acquisti e abbonamenti: pagina 6


P R O G E T T O G R A F I C O<br />

ATELIER TATENOKAÏ<br />

T. : +39 366 325 4102<br />

tatenokai@avatareditions.com<br />

Stampato nell’Unione Europea da avatar


C'è un concetto, integrante alle relazioni politiche e giuridiche internazionali,<br />

che incontra sempre più diffusa elaborazione concettuale e pratica: quello<br />

di sicurezza. In questo numero di <strong>Geopolitica</strong>. Rivista dell'IsAG curato dal<br />

Prof. Paolo Bargiacchi, ordinario di Diritto Internazionale all'Università Kore di<br />

Enna, numerosi esperti italiani ed esteri discutono vari profili attinenti alla sicurezza,<br />

quali l'interazione tra sistemi in ambiente giuridico, la politica estera<br />

dell'Unione Europea, il nuovo approccio alla sicurezza post-11 settembre, l'uso<br />

dei droni, il terrorismo informatico, la sicurezza energetica e ambientale, i meccanismi<br />

di sicurezza collettiva. Un insieme variegato di spunti di riflessione su un<br />

tema che caratterizzerà, nel bene e nel male, le relazioni internazionali nei prossimi<br />

anni e, con esse, lo sviluppo della scienza giuridica.<br />

I S T I T U T O D I<br />

A LT I S T U D I<br />

D I G E O P O L I T I C A<br />

E<br />

S C I E N Z E<br />

A U S I L I A R I E<br />

Vol. IV<br />

1<br />

GEN.-GIU.<br />

2015<br />

20€

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