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Lisa-Desrochers-Il-Bacio-Maledetto

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Titolo originale: Personal Demons<br />

Copyright © 2011 by <strong>Lisa</strong> <strong>Desrochers</strong><br />

Traduzione dall'inglese di Allieta Melchioni<br />

Prima edizione ebook: aprile 2011<br />

© 2011 Newton Compton editori s.r.l.<br />

Roma, Casella postale 6214<br />

ISBN 978-88-541-3216-0<br />

www.newtoncompton.com<br />

Edizione elettronica realizzata da Gag srl


<strong>Lisa</strong> <strong>Desrochers</strong><br />

IL BACIO MALEDETTO<br />

ROMANZO<br />

Newton Compton editori


A Michelle e Nicole,<br />

che mi hanno dato l’ispirazione<br />

per diventare una persona migliore.<br />

O gente umana, per volar sú nata,<br />

perché a poco vento cosí cadi?<br />

DANTE ALIGHIERI, Purgatorio, XII 95-96


Capitolo 1<br />

Peccato originale<br />

Luc<br />

Se esiste un Inferno in Terra, senza dubbio è la scuola superiore. E se c’è qualcuno che può dirlo con cognizione di causa, quello sono io. Faccio un<br />

bel respiro – più che altro per abitudine, visto che noi demoni non abbiamo bisogno di respirare – poi alzo lo sguardo verso il cielo minaccioso,<br />

sperando sia di buon auspicio, e spingo la pesante porta blindata. I corridoi sono squallidi e silenziosi, la prima campanella è suonata da quasi cinque<br />

minuti. Siamo io, il metal detector, e una guardia di sicurezza mingherlina e gobba nella sua uniforme blu sgualcita. Si alza svogliatamente dalla sedia di<br />

plastica scassata, mi guarda e aggrotta le sopracciglia.<br />

«Sei in ritardo. Documenti». Ha la voce roca di chi fuma tre pacchetti di sigarette al giorno.<br />

Lo guardo dall’alto per qualche secondo, so che potrei spazzarlo via con un cenno, e non riesco a trattenere un sorriso quando vedo che la sua fronte<br />

pallida si sta imperlando di sudore. Mi rallegra constatare che non ho perso il tocco, ma in realtà non ne posso più di questo lavoro. Succede, quando un<br />

demone fa lo stesso mestiere per cinque millenni. Per quanto la mia motivazione per questo viaggio sia più che sufficiente: se fallissi sarei fatto a pezzi<br />

e gettato nell’Abisso di fuoco.<br />

«Sono nuovo», dico.<br />

«Metti lo zaino sul tavolo».<br />

Mi stringo nelle spalle e gli mostro le mani. Niente zaino.<br />

«Dammi la cintura. Le borchie fanno suonare l’allarme».<br />

Mi tolgo la cintura e la allungo al vecchio, prima di attraversare il metal detector. Me la restituisce e taglia corto: «Fila dritto in ufficio».<br />

«No problem», rispondo allontanandomi.<br />

Rimetto la cintura e apro con una spinta la porta dell’ufficio, che sbatte con un colpo secco contro il muro scrostato. L’anziana segretaria sobbalza e mi<br />

guarda: «Posso aiutarti?».<br />

L’ufficio è grigio e male illuminato quanto il corridoio, se non fosse per gli avvisi di colore sgargiante che coprono ogni centimetro di muro come una<br />

carta da parati psichedelica. Una targhetta dichiara che la segretaria si chiama Marian Seagrave, e giuro che sento le sue giunture scricchiolare mentre<br />

si alza dalla sedia. Ha più rughe di uno shar-pei, e la messa in piega ha l’immancabile sfumatura azzurrina che è d’obbligo per ogni brava ottuagenaria. <strong>Il</strong><br />

corpo rotondo è vestito all’antica: pantaloni di poliestere turchese e camicetta a fiori in tinta, ordinatamente infilata nei pantaloni.<br />

Mi avvicino al bancone e mi piego verso di lei. «Luc Cain. Primo giorno», dico, sfoderando il mio collaudato sorriso pieno di fascino, che non manca<br />

mai di ammaliare i mortali.<br />

Mi fissa per un attimo, prima di ritrovare la voce. «Oh… benvenuto alla Haden High School, Luc. Ti stampo subito l’orario delle lezioni».<br />

Resto in attesa e la ascolto battere sui tasti del computer, finché la stampante si scuote dal torpore e ronzando sputa fuori il mio orario. Lo stesso che<br />

seguo da cent’anni a questa parte, insomma, dall’avvento del moderno sistema scolastico. Faccio del mio meglio per fingere interesse quando me lo<br />

allunga precisando: «Ecco, ci sono anche il numero del tuo armadietto e la combinazione. Fai firmare questo modulo ai tuoi insegnanti e riportalo qui<br />

entro la fine della giornata. Ti sei perso l’assemblea, quindi devi andare direttamente a lezione. Vediamo… Sì, inglese, ultimo anno, professor Snyder.<br />

Aula 616. La trovi nell’edificio 6, subito fuori sulla destra.<br />

«Grazie mille», dico sorridendo. Non fa mai male avere buoni rapporti con l’amministrazione scolastica. Potrebbero sempre tornare utili.<br />

Esco dall’ufficio al suono della campanella, gli studenti ora affollano i corridoi, e sono sommerso da ondate di odori. Riconosco l’aroma penetrante di<br />

agrumi proprio della paura, e poi quello dell’aglio per l’odio, dell’anice per l’invidia e, immancabile, lo zenzero per la lussuria. Un gran potenziale, non c’è<br />

che dire.<br />

Lavoro nel settore Acquisizioni, ma normalmente non mi occupo di legare le anime. Mi limito a gettare i primi semi e a guidarle nella giusta direzione,<br />

verso il sentiero per gli inferi. Generalmente inizio con piccole cose, peccatucci per principianti, roba che non basta per legare un anima all’Inferno, ma<br />

che è sufficiente a indirizzarvela. E non ho neanche bisogno di usare i miei poteri. Intendiamoci, non mi sentirei in colpa se lo facessi… <strong>Il</strong> senso di colpa<br />

non rientra nel repertorio delle emozioni demoniache. Però preferisco lasciar scegliere il peccato di propria iniziativa. Di nuovo, non che mi interessi<br />

essere onesto, ma altrimenti non c’è gusto.<br />

E in realtà le regole sono chiare: se le anime non sono legate, non possiamo forzare gli umani ad agire in modo contrario alle loro naturali inclinazioni,<br />

né manipolarli in alcun modo. In pratica, posso usare i miei poteri solamente per annebbiare loro la mente e sfumare di quel tanto il confine fra giusto e<br />

sbagliato. Perciò, se qualcuno vi dice che è stato il Diavolo a fargli fare qualcosa, state pur certi che ve la sta raccontando.<br />

Passeggio per il corridoio inalando gli umori del peccato adolescenziale, così intensi che ne sento in bocca il sapore. I miei sei sensi sono tutti in<br />

allerta, pronti a entrare in azione. Perché questo viaggio è diverso dagli altri, questa volta sono venuto per un’anima in particolare. Mentre cammino<br />

verso l’edificio 6, un fascio rosso di energia calda mi attraversa crepitando. Buon segno. Me la prendo comoda e passeggio lentamente tra la folla,<br />

valutando le mie prospettive future. Sono l’ultimo ad arrivare in classe, giusto in tempo per la campanella.<br />

La stanza 616 non è più luminosa del resto della scuola, ma almeno è stato fatto un tentativo per abbellirla. Stampe delle opere di Shakespeare – e<br />

noto che si tratta di sole tragedie – ingentiliscono le pareti. I banchi sono disposti a gruppi di due, e quasi tutti occupati. Vado alla cattedra, dal professor<br />

Snyder, e gli tendo il mio orario. Volge il viso magro verso di me, con gli occhiali sulla punta del naso lungo e dritto.<br />

«Luc Cain. Mi serve una sua firma, o qualcosa di simile».<br />

«Cain… Cain…». <strong>Il</strong> professore tormenta con una mano gli scarsi capelli grigi, vittima di una calvizie incipiente, e passa in rassegna i nomi sul registro,<br />

finché non trova il mio. «Ecco a te». Mi porge il modulo firmato, un quaderno e una copia di Furore. Poi torna a guardare il registro e aggiunge: «Puoi<br />

sederti fra il signor Butler e la signorina Cavanaugh». Si alza in piedi, sistemandosi gli occhiali e tentando di lisciare le pieghe ostinate della camicia<br />

bianca e dei pantaloni cachi. «Bene ragazzi», annuncia. «Nuovo assetto: dalla signorina Cavanaugh in poi, scalate tutti di un posto alla vostra destra.<br />

Per il resto di questo semestre avrete un nuovo compagno di banco, lavorerete insieme alla tesina finale».<br />

Gli studenti brontolano, ma fanno quello che gli viene detto. Mi siedo dove il professor Snyder mi indica, fra il signor Butler – alto, magro e con gli<br />

occhiali, faccia butterata, evidente mancanza di autostima – e la signorina Cavanaugh, i cui occhi blu zaffiro si fissano nei miei. Nessun problema di<br />

autostima, qui. Una scarica calda di elettricità mi percorre la pelle, quando le restituisco lo sguardo per studiarla. Quella che vedo è una ragazza minuta,<br />

capelli mossi color sabbia raccolti alla base del collo e carnagione chiara ma che tende ad avvampare. Un panorama preciso. Siamo compagni di<br />

banco, quindi sembra proprio che avrò tutto il tempo per… approfondire.


Frannie<br />

Ok, di solito non sono un tipo svenevole, ma Santa Madre di Dio, anch’io ho i miei limiti se mi mettono davanti un tipo del genere. È alto, moro,<br />

tenebroso. Mmm… Non c’è niente di meglio che un po’ di cibo per gli occhi per iniziare bene la giornata, e per trasformare il mio cervello in una roba<br />

inutile. E come bonus, saremo anche compagni di banco, nonché di lavoro, visto che abbiamo un insegnante ossessivo-compulsivo che mi ha fatto<br />

spostare per fargli posto. Dio non voglia che il prezioso ordine alfabetico venga sacrificato.<br />

Mentre si avvicina e mi si siede accanto, i miei occhi vagano piano sulla sua maglietta e sui jeans neri, senza tralasciare il corpo che c’è sotto. Proprio<br />

niente male. La sua lunga figura s’insinua tra il banco e la sedia con l’eleganza di un gatto sornione, nero, ovviamente. Ho la sensazione che qua dentro<br />

la temperatura sia salita di dieci gradi. Le luci incerte della classe si riflettono sulle barrette dei piercing che porta al sopracciglio destro, e lui mi osserva,<br />

attraverso una morbida frangia di capelli corvini, con occhi di un nero mai visto prima.<br />

<strong>Il</strong> professor Snyder passeggia per la classe e ci passa silenziosamente in rassegna, poi annuncia: «Tirate fuori il vostro quaderno e Furore. Visto che<br />

Steinbeck non ha inteso spezzare le settantuno pagine del capitolo ventisei, ricorderete che abbiamo arbitrariamente imposto una cesura fermandoci<br />

alla fine di pagina 529. Oggi leggeremo il resto del capitolo in classe e ne evidenzieremo i punti salienti».<br />

<strong>Il</strong> ragazzo misterioso mi toglie finalmente gli occhi di dosso, e io mi sento come se mi avesse rovistato dentro – ma non mi ha dato fastidio, anche se<br />

non so nemmeno bene di cosa sto parlando. Ecco: mi sento come se avesse dato un’occhiata dentro di me e quello che ha trovato gli fosse piaciuto.<br />

«Signorina Cavanaugh, le dispiace tornare fra noi?».<br />

La voce del professor Snyder è come una secchiata d’acqua gelida – che è proprio quello che mi ci vuole, visto che rischio di arrivare a ebollizione.<br />

«Ehm… Cosa?»<br />

«Bell’articolo ieri, sul “Boston Globe”. Mi pare che abbiano catturato l’essenza del suo progetto in modo accurato. E che bella fotografia», dice il prof<br />

sorridendo. «Può iniziare la lettura, per favore? Pagina 530».<br />

Mi guardo intorno e tutti hanno il libro aperto, compreso il ragazzo misterioso. Solo il mio è ancora nello zainetto. Non sono mica il tipo che arrossisce,<br />

ma sento che le guance mi bruciano mentre cerco la pagina per iniziare a leggere. La mia bocca articola la descrizione della morte del predicatore Casy<br />

fatta da Steinbeck, con l’uomo che viene ucciso da uno sconosciuto armato di piccone sotto gli occhi del suo amico Tom. Ma la mia mente registra solo<br />

vagamente questi fatti, mentre è perfettamente consapevole dello sguardo del ragazzo misterioso, seduto a trenta centimetri da me. Quando poi si<br />

piega, avvicinandosi ancora di più, inizio a balbettare perché mi accorgo che profuma di cannella. Mmm…<br />

«Grazie, signorina Cavanaugh». <strong>Il</strong> professor Snyder giunge in mio soccorso. I suoi occhi perlustrano la stanza.<br />

Scegli il ragazzo misterioso.<br />

Sorride, e sposta lo sguardo alla mia sinistra. «<strong>Il</strong> signor Cain, può continuare per favore?».<br />

<strong>Il</strong> ragazzo misterioso mi sta ancora guardando, con un sorriso ironico dipinto sulle labbra. «Certo», risponde, e quando inizia a leggere la sua voce è<br />

come una colata di miele caldo, dolce e vellutata. Eppure i suoi occhi non si staccano ancora dai miei.<br />

«Tom diede un’occhiata al predicatore, e i suoi occhi colsero nella luce il bianco del bastone tra le gambe dell’uomo tarchiato, e il braccio di Tom scattò, e la sua mano si impadronì della clava.<br />

Con le due braccia la fece roteare e fallì il primo colpo, perché colpì solo una spalla, ma il secondo colse la testa in pieno, e come l’uomo tarchiato s’abbatté in terra, Tom gli menò altri tre colpi<br />

sulla testa…» 1 .<br />

Credo che il passaggio macabro gli piaccia. È come se lo assaporasse. <strong>Il</strong> professor Snyder chiude gli occhi e sembra quasi meditare. Lascia che il<br />

ragazzo misterioso legga fino alla fine del capitolo, che è molto più di quanto abbia mai fatto leggere qualcun altro durante l’anno. Mi guardo intorno e mi<br />

accorgo che tutti – persino Marshal Johnson, il bullo della classe – sembrano ipnotizzati.<br />

«Vuole che inizi a leggere il capitolo ventisette?», chiede il ragazzo misterioso, e il professor Snyder si risveglia di colpo dal suo stato di trance.<br />

«Oh… no. Grazie, signor Cain. Può bastare. Ottimo lavoro. Bene ragazzi, lo schema dei temi principali della seconda parte del capitolo ventisei deve<br />

essere pronto per la prossima lezione. Avete il resto dell’ora per lavorarci».<br />

Mentre chiude il libro il ragazzo misterioso si gira verso di me, e il suo sguardo incontra il mio. «Allora, signorina Cavanaugh, hai anche un nome<br />

proprio?»<br />

«Frannie. E tu?»<br />

«Luc».<br />

«Piacere, Luc. Certo che è proprio un bel trucchetto».<br />

I suoi occhi si accendono, mentre una smorfia insinuante e piena di fascino gli si disegna sul volto. «Quale trucchetto?»<br />

«Leggere senza guardare il libro».<br />

Si appoggia allo schienale della sedia e vacilla leggermente. «Ti sbagli».<br />

«No, non mi sbaglio. Non hai neanche sbirciato il libro prima della seconda frase, ed eri indietro nel girare le pagine. Come mai hai imparato<br />

Steinbeck a memoria?»<br />

«Non l’ho imparato». Che bugiardo. Ma prima che possa farglielo notare cambia discorso. «Come mai un articolo sul “Globe”?»<br />

«Niente di che. È un progetto di scambio con dei ragazzi del Pakistan. Tipo amici di penna. Più che altro è un modo per capirci a vicenda… sai, le<br />

nostre culture, roba così...».<br />

«Ah, davvero?». C’è qualcosa di cinico nella sua espressione.<br />

«Vuoi un nome anche tu?». Cerco nello zaino e tiro fuori una cartellina. «Me ne resta qualcuno».<br />

«Ci penserò. Se ho ben capito siamo “partner per la tesina”, qualsiasi cosa voglia dire».<br />

«Mi sa di sì». Nonostante la storia bizzarra del leggere senza guardare, non è che mi lamento. È un gradino, che dico, venti, al di sopra di Aaron Daly,<br />

che si è portato la sua disgustosa sinusite con sé, e ora starnutisce sul quaderno di Jenna Davis invece che sul mio. «Dovremmo discutere sulla lettura e<br />

preparare una lista dei punti principali del capitolo. <strong>Il</strong> professor Snyder pensa che il dibattito sia indispensabile», dico alzando gli occhi al cielo. Ma è una<br />

posa, perché anch’io penso che il dibattito sia indispensabile, se è con il ragazzo misterioso. «Allora, cosa ne pensi del dilemma di Tom?».<br />

Su una pagina bianca del mio quaderno scrivo: “Frannie e Luke – Schema del capitolo 26-2”.<br />

Lui alza un sopracciglio, mi sfila la penna dalle dita, tira una riga su “Luke” e lo corregge in “Luc”.<br />

Luc<br />

La guardo scrivere sul suo quaderno “Frannie e Luke – Schema del capitolo 26-2”, e per qualche motivo mi dà un gran fastidio che abbia scritto male<br />

il mio nome. Lo correggo, poi rispondo alla sua domanda. «Penso che Tom abbia fatto delle scelte di cui ora deve pagare le conseguenze». Una delle


quali è passare l’eternità a bruciare negli Inferi.<br />

Mi guarda incredula. «Ah, la fai così semplice? Niente circostanze attenuanti? Non gli dai neanche una seconda occasione?»<br />

«No. Non ci credo alle seconde occasioni». All’Inferno non lo trovano un concetto utile.<br />

Lei si scosta un po’ e mi scruta, incrociando le braccia. «Tu non hai mai sbagliato? Mai fatto qualcosa di cui ti sei pentito?»<br />

«No».<br />

«Tutti hanno qualcosa che vorrebbero non aver fatto».<br />

Mi avvicino e guardo in quegli occhi di zaffiro. «Cos’è che vorresti non aver fatto, Frannie?».<br />

È scossa da un brivido quando pronuncio il suo nome, e mi accorgo che sto barando. Sto usando i miei poteri senza rendermene conto e senza che<br />

sia necessario. Ma mi piace come ha reagito.<br />

Quando risponde, la sua voce è chiaramente venata di dolore. Fiuto un lieve profumo di rose. Tristezza. Cerco nelle profondità di quegli occhi per<br />

trovarne la radice. «Un sacco di cose», dice senza abbassare lo sguardo.<br />

Per qualche ragione, così, dal niente, non voglio che soffra. Sento che potrei scatenare l’Inferno per renderla felice. Basterebbe poco per…<br />

Stop. Da dove diavolo viene questo? Non riesco neanche a dare un nome alla sensazione che mi ha attraversato assieme a questo pensiero. I<br />

demoni non hanno sentimenti. O almeno non questi. Non siamo mica missionari. Sono qui per un motivo ben preciso, e la signorina Cavanaugh si è<br />

dimostrata un individuo promettente. Molto promettente. Se devo dirla tutta, spero che sia lei la Prescelta. E quando suona la campanella, con mio<br />

grande stupore, mi accorgo che sono i suoi occhi che hanno stregato me, invece del contrario. La faccenda si fa sempre più interessante.<br />

Sbatte le palpebre, come se si fosse risvegliata da un sogno, e abbassa lo sguardo sulla pagina bianca. «Non siamo andati molto in là».<br />

«Non direi». Le passo il mio quaderno, dove in stampatello è segnata una lista di dieci punti sotto al titolo “Frannie Cavanaugh e Luc Cain, Temi in<br />

Steinbeck – Capitolo 26-2”. Lei aggrotta le sopracciglia.<br />

«Oh… be’, direi che vanno bene». E mi guarda incredula. È senza dubbio un tipo focoso. Mi piace un po’ di fuoco, mi fa sentire a casa. «Hai già<br />

trovato il tuo armadietto in questo labirinto?», mi chiede mentre si alza e getta i libri nello zaino.<br />

«Non l’ho ancora cercato». Mostro i miei unici averi: il quaderno e Furore.<br />

«Sì, ma andrà peggiorando. Se non vuoi trascinare chili di libri in giro per la scuola, meglio che ti dia una mano a trovarlo».<br />

Mentre usciamo tiro fuori il foglietto con il numero di armadietto e la combinazione. «È il numero… ehm». Sorrido. <strong>Il</strong> mondo dei mortali è buffo a volte.<br />

«Che numero?»<br />

«666», dico, e lei mi lancia un’occhiata strana.<br />

«Oh. È di là». Indica il fondo del corridoio. «Di fianco al mio».<br />

E anche se so per esperienza che il fato è un’invenzione – una scusa per incentivare i mortali a fare scelte che altrimenti non farebbero – questo è un<br />

segno. La guardo attentamente. Se la Prescelta è lei, la qual cosa sembra sempre più probabile, devo legare la sua anima all’Inferno prima che uno di<br />

quei sudici angeli riesca a battermi sul tempo. <strong>Il</strong> che significa subito. Perché se è stato così difficile trovarla, probabilmente la stanno schermando. E se<br />

lo stanno facendo vuol dire che la tengono d’occhio, e non ci vorrà molto perché si accorgano che l’ho trovata. Esamino il corridoio affollato. Ci sono<br />

persone di diverse tipologie, ma nessun angelo. Per ora.<br />

Frannie attraversa il corridoio diretta all’armadietto. Prima di seguirla, resto un attimo indietro per ammirare il panorama. Sì, è minuta, direi appena<br />

sotto il metro e sessanta, trenta centimetri meno del mio corpo umano. Ma non assomiglia a una bambina: è piacevolmente formosa nei punti giusti.<br />

Rido di me stesso. Anche se la lussuria è uno dei sette peccati capitali, non è certo quello che mi ha portato a essere ciò che sono, né è qualcosa che<br />

io abbia sperimentato spesso in sette millenni d’esistenza. In compenso, ne ho fatto uso a mio vantaggio qualche migliaio di volte. E stavolta conto di<br />

divertirmi davvero.<br />

Con poche falcate attraverso il corridoio la raggiungo davanti all’armadietto. Faccio girare il lucchetto del mio un paio di volte e la porta si apre di<br />

scatto.<br />

«Scusa, ma come hai fatto?», mi chiede lei, come se sapesse che che ho usato i miei poteri.<br />

«Cosa?»<br />

«All’inizio dell’anno quell’armadietto era il mio, e l’ho dovuto cambiare perché il lucchetto era rotto».<br />

«Mmm. Devono averlo aggiustato». Dovrò stare più attento. Questa mortale è straordinariamente attenta. In classe ho sbagliato a non tenere gli occhi<br />

sul libro, ma se se n’è accorta è perché neanche lei lo stava guardando. E ho sbagliato anche con l’armadietto, perché provando con la combinazione<br />

giusta mi accorgo che ha ragione: è rotto davvero.<br />

Mi guarda scettica: «Che strano, di solito qui nessuno aggiusta niente. Benvenuto nell’Ade».<br />

Per tutti i diavoli… «Scusa, hai detto “Ade”?»<br />

«Ma sì, non ci arrivi? Haden, Ade. Cambia poco e descrive molto meglio questo buco infernale».<br />

«Mmm».<br />

«Be’, non sei d’accordo?». E indica il paesaggio circostante: soffitti crepati, muri scrostati, lampadine fulminate, pavimenti di linoleum grigio pieni di<br />

buchi e armadietti di metallo ammaccati.<br />

«Anzi, sembra proprio il posto giusto per me». <strong>Il</strong> mio volto si allarga in un ghigno soddisfatto. È perfetto: la mia vittima va a una scuola in un posto che<br />

chiama Ade. Che regalo.<br />

Lei inizia a trafficare nel suo armadietto, ma non riesce a nascondere un sorriso che le allunga gli angoli della bocca. «Se il “posto giusto per te” è<br />

questo schifoso paesino di pescatori, sei patetico più di quanto non immaginassi».<br />

Scoppio a ridere – non riesco a trattenermi – poi sento un brivido quando mi arriva alle narici un accenno di zenzero. Mmm… deve avere un debole<br />

per i ragazzi patetici.<br />

«Come mai hai cambiato scuola a un mese dal diploma?».<br />

Me la rido fra me e me. «Affari».<br />

«Di tuo padre?»<br />

«In un certo senso».<br />

Mi guarda e corruga la fronte, cercando di capire cosa intendo. Poi chiude, sbattendola, la porta dell’armadietto. «Che cos’hai dopo?», mi chiede.<br />

Estraggo l’orario dalla tasca posteriore dei jeans e scuoto il foglio perché si apra. «Sembra che io abbia matematica, aula 317».<br />

«Oooh, hai la signora Felch. Come mi dispiace».<br />

«Perché? Cosa mi aspetta di così tremendo?».<br />

In quel momento suona la campanella e lei fa una faccia contrita. «Primo, ti dà una nota se non sei seduto al suono della campana – quindi mi spiace,<br />

ma sei già in lista – secondo, è inaffrontabile».<br />

«Mmm. Vedremo». Chiudo l’armadietto con una pedata e mi avvio verso l’edificio 3, senza nascondere il sorriso provocato dal calore bruciante del<br />

suo sguardo, fisso sulla mia schiena mentre attraverso il corridoio. Un ottimo inizio.


1 John Steinbeck, Furore, Bompiani, Milano 1996, p. 399.


Capitolo 2<br />

Scontare l’Inferno<br />

Frannie<br />

Durante il laboratorio di fisica sono assorta nei miei pensieri. In pratica, un peso morto. Fortuna che il mio partner, Carter, è un aspirante scienziato<br />

secchione e ossessivo, che di solito vuole fare tutto da solo. Decido che per oggi eviterò di ammorbarlo con il mio contributo e gli lascio campo libero<br />

con il circuito elettrico. Carter si insacca gli occhiali sul naso e pone il circuito sotto la sua ala protettiva. Mentre lui si trasforma in mamma chioccia, io<br />

siedo persa nello spazio siderale, cercando di capire come sia possibile che Luc arrivi dal niente per trasformarmi in un’oca giuliva. Non mi era mai<br />

successo. Con nessun ragazzo.<br />

In realtà, un po’ devo seguire quello che fa Carter, perché per quanto lui pensi di essere un genio la verità è un’altra. Così, ogni tanto rischio la vita<br />

mettendo becco per correggere i suoi errori. Ma alla fine dell’ora guardo la mia relazione e mi accorgo con orrore che ho scritto dappertutto “Luc” invece<br />

di “ohm”. A biro. La situazione è grave.<br />

Dopo il laboratorio, nonostante provi a trattenermi, mi accorgo che sto praticamente correndo al mio armadietto. Ma appena girato l’angolo sento una<br />

mano sulla spalla. Mi volto e vedo Ryan Keefe, anche detto Reefer 2 . Si avvicina, anche troppo, e inizia a fissarmi. Poi le sue labbra si arricciano in un<br />

sorriso sghembo e so già dove vuole andare a parare.<br />

«Ehi, tu», dice mentre col dorso della mano scosta dal volto i dreadlock castani che gli cadono sulle spalle.<br />

Sguscio via cercando di rendere inoffensive le sue manovre d’assedio. «Ehi, Reef, come va?».<br />

Si appoggia al muro. La sua figura è robusta e non troppo alta. «Ti rivogliamo con noi», dice, accennando col mento alla sua compagnia di amici,<br />

fermi vicino alla porta della mensa in fondo al corridoio.<br />

«Non ne ho nessuna intenzione». Mi giro e faccio per andarmene, ignorando volutamente che il mio battito cardiaco è visibilmente aumentato.<br />

Lui mi precede e mi blocca con un braccio. «Io ti rivoglio con me», sussurra.<br />

Mi prendo il tempo per respirare profondamente prima di guardarlo in faccia. Cerco di mantenere un’espressione dura, ma quando incontro i suoi<br />

grandi occhi castani sento il cuore che mi si scioglie. «Senti Ryan. Io… Non sei tu il problema, davvero». Divento piccola piccola, rendendomi conto di<br />

quanto debba suonare scontato. Ma è la verità.<br />

Lui si accascia contro il muro con l’espressione di chi si sente poco bene. «Fantastico. Mi stai facendo il discorso “non sei tu, sono io”. Proprio quello<br />

che ogni ragazzo spera di sentire».<br />

«Mi dispiace, ma è così. Sono io, voglio dire... non è colpa tua».<br />

Non riesce a contenere la sua frustrazione e sbotta: «Ma perché? Perché fai così?»<br />

«Non lo so. Credo di non essere alla ricerca di una storia seria».<br />

<strong>Il</strong> suo sorriso è dubbioso. «A me andrebbe bene lo stesso. Senza legami», dice, come se credesse davvero che io possa dimenticare che ha detto di<br />

amarmi.<br />

Sorrido e lo spingo via, perché non c’è bisogno di ricordarglielo. «Certo, sono sicura che funzionerebbe».<br />

«Davvero, Frannie. I ragazzi vogliono che torni. Non troviamo nessuno che sia anche solo lontanamente bravo come te».<br />

«Tu sai cantare. Non hai bisogno di me».<br />

«Vado bene come corista, ma a noi serve un cantante vero. Anzi, una cantante, possibilmente. Sai com’è, anche l’occhio vuole la sua parte».<br />

Alzo gli occhi al cielo. «Mi dispiace. Dovresti mettere un annuncio e fare delle audizioni. Ci saranno decine di persone qui a scuola che cantano<br />

meglio di me».<br />

«Ci abbiamo già provato. È venuta Jenna Davis, che canta da soprano lirico, e Cassidy O’Connor, che funziona sul versante estetico ma…». Fa una<br />

smorfia.<br />

«Conosco io la persona giusta. È un’amica di mia sorella, le do il tuo numero».<br />

Faccio di nuovo per andarmene, ma la sua mano contro il muro mi tiene ferma lì. Grugnisco fra me e me, resistendo all’impulso improvviso di afferrarlo<br />

con una presa di braccia e scaraventarlo a terra.<br />

Si avvicina, e mentre le sue labbra sfiorano il mio orecchio sento un aroma di muschio bianco. Le sue dita callose, da chitarrista, solcano il mio<br />

braccio facendomi fremere. «Ma io voglio te. Mi manchi, Frannie».<br />

<strong>Il</strong> mio cuore palpita al ricordo di quanto mi piacevano quelle labbra sulle mie, ma butto tutto fuori sbuffando. Tu non mi ami.<br />

Alzo le spalle, passo sotto al suo braccio e mi avvio a grandi passi verso il mio armadietto, che trovo letteralmente assediato di ragazze. Luc è al<br />

centro dell’attenzione, e la situazione mi ricorda quelle fiere di paese in cui si deve scegliere il pollo più grasso. Fanno bella mostra di sé: Stacy<br />

Ravenshaw e le sue oche pompon; Cassidy O’Connor, casta bellezza irlandese; Valerie Blake, alta, bruna e splendida, nonché capitano della squadra di<br />

pallavolo; e per finire Angelique Preston, la pettoruta dea dell’ultimo anno, la cui profondità intellettuale rasenta lo zero assoluto.<br />

Improvvisamente sono furiosa. L’idea ridicola e follemente irrazionale che conti chi l’ha visto prima mi attraversa la mente come un lampo. Immagino di<br />

gettarmi nella mischia, facendomi strada verso di lui a spintoni, interrompendo lo sbattere di ciglia e palpitare di cuori generale e, già che ci sono,<br />

strappando capelli a manate e cavando qualche occhio.<br />

Devo davvero darmi una calmata. Faccio ricorso agli insegnamenti del judo per ritrovare la mia centralità. Dopo dieci secondi di meditazione e<br />

respirazione riequilibrante, ignoro le groupie e mi faccio largo a spallate fino al mio armadietto, dove cambio rapidamente i libri. Faccio per tagliare la<br />

corda, quando sento sulla spalla una mano bruciante.<br />

«Ehi. Chi hai adesso?». Quella voce avvolgente, dolce come una doccia di melassa, è dietro di me, così vicina che riesco a sentirne il calore.<br />

Mi giro verso Luc con un sorriso, mentre Angelique mi fa a fettine con il suo sguardo tagliente.<br />

Luc<br />

Si gira, e io fiuto la sua rabbia – pepe nero – che sovrasta lo zenzero della lussuria delle altre. Mmm… È un buon inizio. <strong>Il</strong> primo passo. Frannie rivolge<br />

ad Angelique un sorrisetto compiaciuto e dice «Storia. <strong>Il</strong> signor…».


«Sanghetti, aula 210?». La interrompo.<br />

«Anche tu?»<br />

«Sì». Penso per un attimo di prenderle il braccio mentre cammina per il corridoio, ma poi mi fermo, perché ho notato il modo in cui si è ritratta quando<br />

le ho messo la mano sulla spalla. Sono così bollente che devo essere maneggiato con cautela.<br />

Le lancio un’occhiata di sfuggita, e lei abbassa lo sguardo al pavimento.<br />

«Senti… vai a pranzo dopo?», mi chiede.<br />

«Direi di sì».<br />

«Ti va di sederti con me e le mie amiche?». Suona titubante, la sicurezza ardente di poco fa è scomparsa.<br />

«Per quanto sia una proposta allettante, ho un po’ di cose da fare. Magari un altro giorno». La verità è che il cibo umano è ripugnante, e quello delle<br />

mense poi… va al di là di ciò che sono disposto a sopportare.<br />

«Vabbe’», dice con una scrollata di spalle.<br />

Colgo un accenno di zenzero che mi fa vibrare come una corda di chitarra, mentre un fulmine caldo mi attraversa crepitando. È lei. È la Prescelta.<br />

Adesso ne sono certo. La sua anima dev’essere legata ma non riscossa – il che è un bene, perché il settore riscossioni è al di fuori del mio profilo<br />

professionale. Ci ha fatto sudare, però. Gli ultimi due demoni che abbiamo mandato non sono riusciti a trovarla, e ora bruciano nell’Abisso di fuoco. Ma<br />

erano demoni minori, di Terzo Livello, mentre ora hanno mandato il meglio, che ovviamente sarei io. Grazie al mio istinto straordinariamente fine, oggi<br />

sono al Primo Livello, inferiore solo al Consiglio. Non mi hanno mai colto in fallo, e ora mi trovo alla Haden High School a incrociare le sorti di una certa<br />

signorina Frannie Cavanaugh.<br />

Entriamo in classe e Frannie prende posto in un banco al centro della stanza. Mi dirigo verso il professor Sanghetti, che sta dondolando la sedia<br />

all’indietro con i piedi poggiati sulla cattedra. Sorrido, mentre immagino di inciampare accidentalmente e mandarlo a gambe all’aria.<br />

«Professor Sanghetti?».<br />

Mi guarda. «Sì?».<br />

Gli allungo il modulo. Lui alza gli occhi al cielo sbuffando e, come se fosse una fatica immane, toglie i piedi dalla cattedra e si alza in tutto il suo<br />

splendore di fusto di mezza età. «Immagino ti serva la mia firma».<br />

«Così mi dicono».<br />

Rovista fra gli oggetti sulla cattedra e finalmente tira fuori un foglietto giallo stropicciato, poi si gira e prende un libro di testo dalla libreria dietro di lui.<br />

Guarda il modulo e segna il numero di serie del libro accanto al mio nome sul registro. «Siediti dove vuoi, Lucifer», dice porgendomi il libro, e agita la<br />

mano verso i banchi.<br />

«Può chiamarmi Luc».<br />

«Va bene, Luc. Siediti dove ti pare», ripete con un altro gesto della mano.<br />

Mi giro e raggiungo Frannie, per mettermi a sedere nel banco alla sua destra. <strong>Il</strong> professor Sanghetti inizia l’appello.<br />

«José Avilla. Jennifer Barton». Le mani si alzano a turno. «Zackary Butler, Lucifer Cain».<br />

Frannie spalanca gli occhi e mi lancia un’occhiata piena di sconcerto. La guardo con una smorfia divertita.<br />

«Mary Francis Cavanaugh».<br />

Quando Frannie alza la mano, la mia smorfia diventa un sorriso a trentadue denti. Mary Francis. È troppo divertente.<br />

Quando il professor Sanghetti finisce di fare l’appello, ci fa aprire il libro a pagina 380 e attacca con la caduta della Gerusalemme cristiana durante le<br />

Crociate.<br />

Mi limito a fissare Frannie – cioè Mary Francis – e ridacchio fra me e me.<br />

Per la metà del tempo Mary Francis ricambia il mio sguardo.<br />

Poi si spegne la luce e un’immagine della Gerusalemme antica appare sulla lavagna luminosa.<br />

«Quali furono le cause della lotta per Gerusalemme?», chiede il professor Sanghetti. Si alzano alcune mani, e mentre ascolto le risposte ricordo com’è<br />

andata davvero. Essere stato presente agli eventi rende deliziosamente divertente ogni lezione di storia che mi capita di seguire – alcune centinaia, in<br />

effetti. È come il telefono senza fili: tu dici una cosa nell’orecchio di un altro, che poi la dice a chi gli è a fianco e così via, finché l’ultimo della catena<br />

ripete ad alta voce il messaggio, e il risultato è ben diverso da quello di partenza.<br />

Frannie<br />

Continuo a guardare Luc – qualcuno mi dia una botta in testa, non riesco a farne a meno – e per tutta la lezione di storia ha stampata in faccia<br />

un’espressione compiaciuta. Non so di cosa si tratti, ma ora che ci penso forse è una fortuna che non venga a pranzo con noi. Non sono sicura di essere<br />

pronta a condividerlo con Taylor. Lei e Riley mi stanno sempre addosso con la storia che esco con i ragazzi per pietà, cioè pensano che io scelga<br />

sempre dei mezzi sfigati bisognosi d’affetto. Secondo Riley è una mania di controllo, e forse ha ragione. Non faccio niente che non voglia fare, e non ho<br />

intenzione di avere storie dove mi sento soffocare. Ma c’è anche il fattore Taylor. Da quando ci siamo conosciute, in quarta elementare, la nostra<br />

relazione è sempre stata di amichevole rivalità. Purtroppo per lei, io sono quella che prende i voti alti. Purtroppo per me, lei si prende i ragazzi. Tutto<br />

sommato, i mezzi sfigati bisognosi d’affetto sono la scelta più sicura, più che altro perché a Taylor non interessano.<br />

Ma osservando Luc, che a sua volta guarda divertito il professor Sanghetti, ho due certezze: non ha niente dello sfigato e Taylor non gli darà tregua.<br />

Quindi, qualunque cosa sia questo delirio dentro di me, è meglio che me ne liberi.<br />

Lo sto ancora fissando. Lui se ne accorge e afferra il mio sguardo col suo. Vedo che non respira, e di riflesso mi accorgo che sto facendo lo stesso.<br />

Faccio un bel respiro profondo. Lui mi imita e sorride. E mi si attorcigliano le budella. Argh!<br />

«Luc, hai qualche considerazione da fare?». <strong>Il</strong> professor Sanghetti è in piedi di fronte a noi. Ma come diavolo ha fatto ad arrivarci?<br />

Luc si appoggia allo schienale della sedia, intreccia le mani dietro alla testa e allunga le gambe accavallate sotto al banco. Infine alza lo sguardo sul<br />

professor Sanghetti: «Be’, è impossibile dare una risposta univoca. Immagino si debba fare riferimento alla teologia… anche se la Prima Crociata non<br />

aveva alla base motivazioni religiose. Penso che papa Urbano II facesse pressioni a causa del Grande Scisma: cercava di riguadagnare terreno per<br />

ricondurre le pecorelle smarrite al suo gregge».<br />

<strong>Il</strong> professor Sanghetti resta lì un attimo, basito, poi fa dietro front e torna verso la cattedra. «Bene, anche questo è un punto di vista». Si volta a<br />

guardarci. «Non necessariamente esatto… ma comunque un punto di vista».<br />

Luc si allunga in avanti, gomiti sul banco, e i suoi occhi sono in fiamme. Poi un sorriso calmo gli appare in volto. «Certo, se non le piace pensare che<br />

si trattasse semplicemente di bieca lotta per il potere, c’è anche la versione in cui un branco di nobili francesi si stavano annoiando a morte e avevano<br />

bisogno di un diversivo».<br />

È proprio il caso di dire “salvati dalla campanella”, anche se non mi è ben chiaro chi sia appena stato salvato, se Luc o il professor Sanghetti.<br />

Mi volto verso Luc. «Lucifer?».<br />

«Sì, Mary Francis».


Gli lancio un’occhiataccia. «Ti chiami Lucifero? Come il Diavolo?».<br />

Ed ecco di nuovo quel sorriso ambiguo: «In carne e ossa. È un nome comune nel posto da cui vengo».<br />

Mi alzo. «E da dov’è che vieni?».<br />

Un lampo percorre i suoi occhi bramosi e impazienti. «Nessun posto dove tu sia già stata».<br />

Sento un brivido e scuoto la testa: «Che brutti scherzi fanno certi genitori ai figli».<br />

C’è un barlume divertito nei suoi occhi di ossidiana, mentre arriviamo alla porta.<br />

«Allora, fammi indovinare. Mary Francis… hai una bella famiglia cattolica e – aspetta, non me lo dire… otto fratelli?»<br />

«Cinque». Non mi piace il suo tono. «A dopo», dico, voltandomi appena mentre mi avvio verso la mensa.<br />

«A dopo», mi risponde, ma sento il suo sguardo bruciare sulla mia schiena mentre mi allontano.<br />

La marea umana mi avvolge e mi trasporta attraverso la porta della mensa, dove trovo Taylor e Riley al nostro solito tavolo, tatticamente vicino alla<br />

porta, per facilitare la fuga in caso di necessità. Muri, pavimento e tavoli sono tutti verde vomito, così il vomito vero è meno riconoscibile. Basta questo<br />

semplice dettaglio a risvegliarmi i primi sentori di nausea.<br />

Riley è chinata su un libro e infilza foglie di insalata con una forchetta storta. Taylor si agita sulla sedia, scuotendo selvaggiamente ciuffi di capelli gialli<br />

e rosa. Sommando alla sua frenesia il fatto che gli occhi le brillano di una luce lasciva, so già che non ci sarà modo di tenere per me l’apparizione di Luc.<br />

Devono averglielo detto.<br />

Nonostante tutto, Taylor è sempre stata un’amica ideale per me, perché siamo simili nelle cose che contano. Non siamo persone sentimentali,<br />

abbiamo entrambe posto dei limiti, barriere che non permettono a nessuno di avvicinarsi troppo. Ed entrambe abbiamo sempre rispettato le reciproche<br />

difese, fin dall’inizio. Non so le sue da dove vengano, né lei mi ha mai chiesto delle mie. Non ho mai dovuto temere che Taylor mi facesse pressioni o che<br />

cercasse di superare quei limiti, e lo stesso vale per lei.<br />

Riley e tutti i suoi sentimenti, d’altra parte, sono pericolosi. La prima volta che l’ho vista, Angelique Preston le stava spiaccicando sulla faccia un cono<br />

menta e cioccolato. Era l’estate dopo la seconda media. Taylor e io avevamo fatto una passeggiata fino alla gelateria, e lì fuori Angelique teneva in<br />

ostaggio Riley costringendola contro il muro. Dalle parole velenose che le uscivano di bocca – qualcosa come “brutta lardona” – e dallo sguardo ferito e<br />

umiliato di Riley, avevo capito che non si trattava di un innocuo scherzo fra amiche. Senza fermarmi a pensare, avevo strattonato Angelique perché la<br />

lasciasse, poi le avevo stretto il collo nella morsa del mio braccio. E così, in un unico gesto, avevo conquistato un’amica accidentale e una nemica<br />

giurata.<br />

Guardando Riley oggi, è rimasto ben poco di quella che era allora. È ancora formosa, ma in quel modo che fa voltare i ragazzi per strada.<br />

Scommetterei che è stato in quel preciso momento, quando si è trovata attaccata al muro di mattoni della gelateria, col gelato di menta e cioccolata che<br />

le colava dalla faccia, che ha deciso di perdere peso.<br />

«Spara!», dicono entrambe mentre lascio cadere lo zaino sul pavimento.<br />

«Cosa?».<br />

Taylor mi lancia uno sguardo truce, cosa che le riesce alla perfezione: «Fai poco la misteriosa, Fee! Sappiamo di un certo nuovo ragazzo strafigo,<br />

quindi spara! Subito!».<br />

Molto bene. Le notizie viaggiano alla velocità della luce. Fingo un’aria innocente: «È strafigo? Chi ve l’ha detto?».<br />

Taylor è sempre più minacciosa: «Sei proprio una stronza».<br />

«Lo dici come se fosse una cosa brutta».<br />

«Parla!», strilla Riley, sbattendo il libro sul tavolo con un gran tonfo. Chiunque si trovi nel raggio di tre tavoli si volta a guardare.<br />

«Va bene, ma state calme. Lasciatemi prendere da mangiare», dico mentre osservo una palla di bolo sospetta che fa bella mostra di sé sui vassoi di<br />

chi ci passa accanto. «Ma cosa diavolo è quello?».<br />

Riley fa una faccia schifata: «Chi lo sa, questa settimana il distretto ha di nuovo finito i soldi».<br />

«Fantastico. Fatemi andare, prima che finisca l’insalata». Do un’occhiata alla porta, sperando che Luc abbia cambiato idea, poi fuggo perché Taylor<br />

sta per dare in escandescenze. Una volta in fila me la prendo comoda, scegliendo le foglie di insalata migliori fra gli avanzi di lattuga appassita,<br />

valutando per cinque minuti buoni quale sia la fetta di torta al cioccolato più grossa, e infine bevendo e tornando a riempire due volte la mia coca piccola<br />

prima di tornare lentamente al tavolo. Quando arrivo, giuro che a Taylor sta uscendo il fumo dalle orecchie.<br />

«Spara o ti strozzo!», dice mentre mi infilo fra tavolo e sedia.<br />

«È semplicemente uno nuovo, si chiama Luc». I miei occhi gravitano verso la porta, sperando di vederlo entrare.<br />

«E di dov’è?»<br />

«Non ne ho idea».<br />

Taylor mi tiene gli occhi addosso: «Come lo hai conosciuto?»<br />

«Lavoro di gruppo, faremo insieme la tesina d’inglese».<br />

«Ti ha già chiesto di uscire?», chiede Riley.<br />

Guardo di nuovo la porta e alzo gli occhi al cielo: «Ma se non sono neanche riuscita a farlo venire a pranzo con noi».<br />

«Mmm…». Sento gli ingranaggi nella testa di Taylor che si mettono in moto. «Non sembra il tuo tipo».<br />

Alzo le spalle.<br />

I suoi occhi sono avidi. «Quindi potresti farmelo conoscere?».<br />

Ed ecco il nodo che mi prende alla bocca dello stomaco. «Vabbe’».<br />

«Che ne dici della festa di venerdì dai Gallagher? Secondo te ci viene se glielo chiedo?»<br />

«Non lo conosci neanche». <strong>Il</strong> mio tono acido mi prende alla sprovvista. Sapevo che sarebbe successo, di cosa mi stupisco?<br />

Dalla sua espressione capisco che sta architettando qualcosa. Si tamburella il mento con un dito. «La festa è dopodomani. Se non ti dai una mossa a<br />

chiederglielo tu, è mio», mi dice sorridendo.<br />

Le sorrido di rimando, falsa come Giuda. «Sai cosa, Tay? Va’ all’Inferno».<br />

Luc<br />

Mi sto occupando delle cose che mi competono durante la pausa pranzo, in pratica mi aggiro furtivamente nel parcheggio della scuola e nella zona<br />

degli armadietti, a caccia di chiunque possa rivelarsi utile. Ma devo dire che faccio più fatica del previsto a concentrarmi. Sto immaginando come una<br />

biondina appena sotto al metro e sessanta si adatterebbe perfettamente al mio abbraccio mentre io…<br />

Okay… Sto diventando ridicolo. Concentrazione.<br />

Ma, per qualche motivo oscuro, mi ritrovo a passeggiare davanti alla porta della mensa – non una, né due, ma cinque volte, finché ci rinuncio ed entro.<br />

Cammino verso Frannie, che mi volge la schiena dal suo posto accanto alla porta, e arrivo giusto in tempo per sentirle dire: «Sai cosa, Tay? Va’<br />

all’Inferno». Non riesco a non sorridere all’idea che voglia portarsi anche un’amica.


«Ehi», dico. «È occupato questo posto?». <strong>Il</strong> mio sorriso si allarga quando la vedo balzare sulla sedia. Mmm… ma cosa sento? Pompelmo? Hai un po’<br />

di paura? Una ragazza intelligente. Poi arriva una zaffata di zenzero, e il mio sorriso si fa sempre più ampio. Lei mi vuole. Eccellente.<br />

Le sue amiche – una bionda snella con le mèches rosa, occhi neri brillanti e piercing al labbro, e una bellezza castana dagli occhi penetranti, pure<br />

castani – mi fissano entrambe. Ma a loro ci penso dopo.<br />

«Che io sappia no». Frannie si gira e i suoi occhi corrono a incontrare i miei. «Pensavo che avessi da fare», mi dice, e il disappunto nella sua voce fa<br />

a pugni con con l’aroma di zenzero che emana.<br />

La guardo e rispondo: «Già fatto».<br />

Con un lampo negli occhi, la bionda si alza e appoggia le mani sul tavolo, sporgendosi verso di me per mettere in mostra la scollatura. «Ahemmmm…<br />

Fee, non ci presenti?». Un sorrisetto provocante appare sulle labbra lucide e rosa, e i suoi occhi non lasciano i miei.<br />

Frannie si gira e non posso più vederla in volto, ma sono certo di sentire un accenno di liquirizia nell’aria. «Luc, queste sono Taylor e Riley».<br />

«E dimmi, come mai mandi la tua amica all’Inferno? Non che ci sia niente di male, sono solo curioso…».<br />

«Perché è un posto adatto a lei». E lancia uno sguardo assassino verso la bionda, Taylor.<br />

«Ah sì?». Dice Riley ridendo.<br />

«Be’, immagino dovremo aspettare e vedere come va a finire». Sorrido incoraggiante all’indirizzo di Taylor: potrebbe tornarmi utile.<br />

Le brillano gli occhi. «Allora Luc… hai saputo della festa di venerdì dai Gallagher?».<br />

Ora capisco perché Frannie è arrabbiata. Quello che era un accenno di liquirizia – il dolce profumo dell’invidia – ora rischia di soffocarmi.<br />

Interessante, avrò modo di sfruttarlo a mio vantaggio.<br />

«Ho sentito qualcuno che ne parlava».<br />

«Ci vai?», chiede Taylor.<br />

Mi gioco con Frannie lo sguardo penetrante del ragazzo sensibile.<br />

«Dipende. Tu ci vai?».<br />

Mi guarda per un attimo e dice: «Immagino di sì».<br />

Sorrido: «Allora non posso perdermela».<br />

E non mi perdo neppure lo sguardo di Taylor o il modo in cui Frannie arrossisce mentre si volta dall’altra parte, sciogliendo i capelli e lasciandoli<br />

cadere sulle spalle per coprirsi il viso. Scivolo sulla sedia di fianco alla sua, e la avvicino al tavolo abbastanza perché le nostre spalle si sfiorino. So che<br />

sente il mio calore, ma non mi dispiace che si surriscaldi un po’. Sto facendo passi da gigante, e tutto in un’unica giornata di lavoro.<br />

«Le signore desiderano un passaggio alla festa?».<br />

Frannie si irrigidisce. «No!», esclama.<br />

Le due amiche ridono, poi Riley precisa con un sorriso timido: «Voleva dire che un passaggio non ci serve perché alle feste ci andiamo sempre<br />

insieme, con la mia macchina».<br />

Taylor mi sta mangiando con gli occhi. «Però non sempre torniamo a casa insieme», dice, e mi guarda alzando un sopracciglio, mentre<br />

contemporaneamente dà di gomito a Riley, che le dà una gomitata di rimando sghignazzando.<br />

«Buono a sapersi». Vorrei vedere la faccia di Frannie, ma si è nascosta di nuovo dietro ai capelli.<br />

2 Spinello


Capitolo 3<br />

Occhi d’angelo<br />

Frannie<br />

La portiera cigola quando la apro per montare sulla Chevy arrugginita di Riley. Lei mi guarda fisso: «Chi sei, e cosa ne hai fatto di Fee?».<br />

«Cosa?»<br />

«Sei truccata. Come mai?», dice mettendo in moto.<br />

Giocherello con l’imbottitura che esce da uno strappo nel sedile in vinile.<br />

«Boh. Mi andava».<br />

«Quindi nessun legame con la presenza di un tipo alto, moro e coi piercing?».<br />

Ignoro il nodo stretto che mi ha preso allo stomaco e abbasso il finestrino. «L’hai sentita Taylor, no? È suo. E poi non è detto che venga».<br />

«E si perderebbe questo spettacolo?», sorride Riley. «Verrà di sicuro». Mi lancia un’altra occhiata e improvvisamente si fa seria. «Dovresti farti sotto,<br />

Fee. Si vede che ti piace. Potrebbe essere quello giusto».<br />

L’ondata di imbarazzo mi prende alla sprovvista, e le parole mi escono di bocca per reazione difensiva. «Prima o poi smetterai di vivere nel mondo<br />

delle favole e ti accorgerai che “quello giusto” non esiste».<br />

Me ne pento subito, ma nascondo il senso di colpa voltandomi per appoggiare il braccio al finestrino. Abbandono la testa sul braccio, e sento il vento<br />

sul volto. Riley guida fino in fondo alla strada, piano, e si ferma prima di girare l’angolo per imboccare la via dove abita Taylor.<br />

«Scusami, Ry. Non lasciarti contagiare dalla mia stronzaggine. È solo che tutte queste cazzate del vero amore non fanno per me… voglio dire…<br />

scusa…», concludo, col dubbio di aver peggiorato le cose.<br />

Sembra che stia per piangere e preferisco non voltarmi a guardarla. «Uno di questi giorni potresti scoprire che non è così, Fee».<br />

«Vabbe’», taglio corto mentre parcheggia nel vialetto di Taylor.<br />

Taylor esce correndo, e sguscia sul sedile posteriore proprio mentre l’auto di Jackson Harris sta accostando dietro di noi. Mi arruffa i capelli. «Guarda,<br />

Fee. C’è il tuo ammiratore mica-tanto-segreto».<br />

Incasso la testa fra le spalle e scivolo sul sedile sperando che non mi noti. «Che culo».<br />

Taylor sfoggia un tono paternalistico: «Dovresti metterti con Jackson, una scelta sicura».<br />

<strong>Il</strong> fratello di Taylor, Trevor, scende a grandi passi le scale davanti a casa e prima di raggiungere Jackson rivolge un sorriso a Riley. Io la guardo con una<br />

smorfia complice e le do un colpetto d’intesa sulla coscia, mentre Taylor lancia un’occhiataccia al fratello e brontola: «Sfigato».<br />

Andrà fuori di testa quando scoprirà che Riley e Trevor stanno insieme.<br />

«Pronte a far casino?», strilla, mentre Riley segue Jackson fuori dal vialetto.<br />

Esco dal mio nascondiglio e mi giro a guardarla mentre amplia la sua scollatura slacciando altri due bottoni della camicetta.<br />

«Pare di sì».<br />

Appena mi vede in faccia la sua foga si tramuta in acidità: «Non ci credo!».<br />

«Cosa?»<br />

«Tu vuoi Luc!».<br />

Provo a fare la faccia scocciata: «Temo che il tuo ultimo neurone si sia appena bruciato».<br />

«Sei proprio una stronza. Tu, truccata?». Alza le mani al cielo.<br />

Riley le sorride dallo specchietto retrovisore. «Paura del confronto, Tay?».<br />

Taylor sprofonda nel sedile posteriore, incrocia le braccia e mette il muso. «Quindi? Hai intenzione di provarci, Fee?»<br />

«Devi darti una calmata, Tay». Mi giro e torno a guardare fuori dal finestrino.<br />

Arriviamo alla festa, e prima ancora che la macchina si fermi il mio sguardo sta già esaminando la folla riunita in giardino. I Gallagher hanno dieci figli<br />

e uno di loro, Chase, è il ragazzo di mia sorella. Fin dall’alba dei tempi, ogni festa delle superiori si è svolta nel loro giardino. Probabilmente perché il<br />

padre fa i turni di notte e la madre è troppo stanca per preoccuparsene.<br />

Per un attimo, quando mi accorgo che il volto che sto cercando non è tra la folla, sono delusa, ma poi tiro un sospiro di sollievo.<br />

La verità è che non potrei rispondere alla domanda di Taylor perché non ho assolutamente idea di cosa io stia facendo. Ci ho messo quasi un’ora a<br />

prepararmi per la festa. Ho persino permesso a Kate, la donna moderna di casa, di aiutarmi a decidere come vestirmi e truccarmi. Come se facesse<br />

una qualche differenza. E mi ha preso un nervosismo infernale, una cosa mai vista. Non che abbia un’eccessiva fiducia in me stessa, ma di solito me ne<br />

frego di quello che la gente può pensare di me.<br />

Taylor mi afferra la mano. «Vieni che ci prendiamo una birra». Mentre camminiamo si avvicina e mi sussurra all’orecchio: «Non è ancora arrivato».<br />

«Non mi interessa», le dico, ma è una bugia.<br />

«Bene, perché a me, invece, interessa molto».<br />

Sento una fitta, come se avessi ingoiato un uncino da pesca. Perché il semplice pensare a lui mi fa sentire così? È sicuramente pericoloso. Del tipo<br />

che pian piano riesce a superare tutte le barriere difensive di una ragazza.<br />

Arriviamo al fusto di birra e Marty Blackstone, il giocatore di football palestrato e senza collo a cui Taylor faceva il filo prima di vedere Luc, si da da fare<br />

per mostrare i bicipiti, nonostante debba semplicemente spinare tre birre.<br />

«Ehi, Tay», dice riempiendo il primo bicchiere. «Sembrate assetate, e io ho giusto qualcosa di fresco». Le allunga la birra con un sorriso smagliante.<br />

Poi ne dà una anche a Riley e me.<br />

Dietro di noi, Trevor esce con i suoi amici dalla macchina di Jackson, e improvvisamente capisco cosa ci trovi Riley in lui. Per me è un po’ come un<br />

fratello, per questo non l’ho mai preso in considerazione sotto quell’aspetto, ma mentre ero distratta di colpo è diventato carino. Ha sempre avuto un bel<br />

sorriso, con le fossette come quello di Taylor. Ma a parte questo, ho sempre dato per scontato che fosse basso e secco e invece, guardalo adesso, è<br />

bello tonico. Secondo me ha iniziato ad andare in palestra. E poi si sta facendo crescere i capelli, che sono di un bel biondo e gli danno un’aria vissuta.<br />

Lui e Riley continuano a guardarsi, poi Trevor attraversa il prato per avvicinarsi. Jackson lo segue a ruota, e non mi toglie di dosso i suoi occhi grigi.<br />

Scansa i lunghi ciuffi castani dal viso per vedere meglio, e io mi volto rapidamente dall’altra parte, casomai pensasse che lo sto guardando. Perché non<br />

ne voglio sapere di lui, è stato un incidente di percorso.<br />

Alla festa dello scorso fine settimana ho finito per imboscarmi con Jackson nello sgabuzzino. Mi era sembrata una buona idea, forse perché Reefer


aveva passato la serata a lanciarmi occhiate languide e io avevo paura di cedere. Poi, in settimana, ho scoperto cosa succede quando si ha a che fare<br />

coi giocatori di hockey: basta una palpatina e pensano tu sia di loro proprietà. Non sono ancora riuscita a scrollarmelo di dosso.<br />

«Ehi, Trevor», dice Riley con fare disinvolto, mentre con gli occhi controlla Taylor.<br />

Trevor sorride impacciato e si guarda i piedi: «Ehi».<br />

«Vai a farti un giro, Trev», lo fulmina Taylor, e a Riley cade la faccia.<br />

Però Trevor si riprende subito e mette un braccio intorno alle spalle della sorella. «Eh sì, immagino che andare in giro con me sia fuori discussione,<br />

per via del fatto che sono più bello di te e ti faccio sfigurare».<br />

Scoppio a ridere forte, perché quasi quasi è vero, ma mi fermo di botto quando sento una mano sul sedere. Mi giro e dietro di me svetta il metro e<br />

ottanta di Jackson, che se ne sta lì con un sorriso ebete.<br />

«Ehi, Frannie. Perché non riprendiamo il discorso da dove lo abbiamo lasciato l’ultima volta?», e mentre parla alza un sopracciglio per essere più<br />

esplicito.<br />

La cosa più preziosa che ho imparato dal judo è l’autocontrollo – sia fisico che mentale – ma c’è un limite a quello che una ragazza può sopportare.<br />

Spingo il sedere sulla sua mano e gli faccio un sorriso melenso un attimo prima di afferrargliela e accovacciarmi per farlo volare al di là della mia spalla<br />

sul prato. Lui dà una bella botta e resta lì sdraiato sulla schiena per un minuto buono, annaspando. Mi guarda da laggiù con gli occhi spalancati, perso in<br />

un silenzioso stupore. Mi chino su di lui e lo guardo dritto in faccia: «Ehi, Jackson. Temo proprio di no».<br />

Taylor batte il cinque. «Wow! Ragazza ninja in azione. Che quadretto romantico!».<br />

Jackson si alza da terra, il respiro ancora pesante, e Trevor commenta beffardo. «Che dire… È stata una scena penosa».<br />

Jackson non se ne accorge nemmeno, sta lì in piedi e mi fissa. Mi preparo alla lotta, pensando che la situazione possa diventare poco simpatica, ma<br />

poi lui sorride. «Ok, se fai così mi fai troppo sesso».<br />

Fantastico.<br />

Jackson è perso nel suo mondo rarefatto. Dal modo in cui mi guarda temo che nella sua patetica immaginazione mi abbia già svestita. Ho passato<br />

l’ultima mezzora a fare lo slalom fra i miei amici e il falò che sta prendendo vita, tentando di stargli a distanza di sicurezza. Anche ora, mi sposto dal<br />

gruppo ed ecco che Jackson fa il giro dall’altra parte per intercettarmi.<br />

Ma dov’è Reefer quando serve?<br />

Mi prendo a calci mentalmente, appoggiata alla balaustra del portico, e chino la testa, sconfitta, in attesa dell’inevitabile mano sul sedere.<br />

Così, la voce soave che sento all’improvviso mi prende alla sprovvista.<br />

«Sembra che tu abbia bisogno di rinforzi».<br />

Alzo lo sguardo e incontro un paio d’occhi celestiali. Se il Paradiso avesse un volto, sono certa che sarebbe come il suo. Porta una maglietta bianca,<br />

attillata, che mette piacevolmente in risalto l’abbronzatura e la muscolatura del corpo ben tornito. È appoggiato alla balaustra accanto a me, come se<br />

fosse stato qua per tutto il tempo. Come se il suo posto fosse in questo buco dimenticato da Dio, invece che su una spiaggia di San Diego con una<br />

tavola da surf sotto al braccio.<br />

«Eh?».<br />

Sorride e si passa una mano fra le onde biondo platino dei capelli, che gli arrivano al mento e sembrano virare all’oro e al rame al riflesso delle<br />

fiamme del falò. «Ho frainteso la situazione?», mi domanda accennando a Jackson.<br />

Alzo gli occhi al cielo: «No, ma so come badare a me stessa». Mi stacco dalla balaustra e mi dirigo verso il gruppo. <strong>Il</strong> ragazzo angelo non mi segue, e<br />

anche quando Jackson ricomincia a pedinarmi rimane fermo a guardare. Tempo un altro giro intorno al fuoco e sono costretta a tornare ad appoggiarmi<br />

alla balaustra, accanto a lui. Guardo per terra e chiarisco: «Questo non significa che ho bisogno di essere salvata da te».<br />

Gli scappa da ridere e lo fulmino con lo sguardo. «Sai cosa? Fa lo stesso». Faccio per andarmene di nuovo, ma lui mi posa una mano sulla spalla e<br />

succede qualcosa… come se migliaia di piccole scariche elettriche mi attraversassero, immobilizzandomi sul posto.<br />

«Scusa, non ridevo di te». Mi squadra dalla testa ai piedi e un brivido percorre la mia spina dorsale. «Non ha mai avuto speranze».<br />

«Vabbe’», taglio corto riguadagnando il mio posto al suo fianco. Se devo dirla tutta, sono tornata per sfuggire a Jackson, ma anche per guardarlo un<br />

po’ meglio.<br />

«Mi chiamo Gabe», dice voltandosi.<br />

Lo sto fissando. Oddio. Basta! Sposto lo sguardo sul suo torace, che si rivela altrettanto degno di attenzione. «Io sono Frannie».<br />

Dà un’occhiata al bicchiere di birra che ho in mano e si stacca dalla balaustra.<br />

Ed è allora che Taylor grida: «Oh-mio-Dio!». Mi volto, e l’intero gruppo ci sta fissando. Marty è riuscito a intrufolarsi e far scivolare il braccio intorno alla<br />

vita di Taylor, ma lei sguscia via.<br />

E non siamo le uniche ad aver notato Gabe: Angelique e la sua cerchia si avvicinano da dietro al falò. La vedo puntare dritta verso di lui, che sta<br />

sollevando il coperchio del frigo da campeggio accanto al fusto di birra, raggiungerlo e chinarsi, fingendo di cercare qualcosa nel frigo. In realtà, gli sta<br />

sbattendo in faccia la sua quarta abbondante. Cerco con lo sguardo Adam Martin – versione maschile di Angelique nonché suo ragazzo ufficiale – ma<br />

non lo vedo da nessuna parte.<br />

Gabe mi chiede: «Vuoi qualcos’altro da bere? Acqua, una bibita?», e mi guarda fisso.<br />

E, mmm…, quegli occhi color cielo. Sento il cuore che palpita, mentre lotto per mantenerlo a un ritmo normale. «Ho la mia birra, grazie». Ma mentre lo<br />

dico qualcuno me la sfila di mano. «E io posso riempirti il bicchiere». <strong>Il</strong> respiro caldo di Luc sulla nuca mi provoca un brivido, e i miei battiti accelerati si<br />

fermano di botto. Mi volto, e il suo viso è a tre centimetri dal mio. I ciuffi morbidi della sua zazzera arruffata mi solleticano la fronte e mi riempio i polmoni<br />

del suo odore. Cannella… mmm.<br />

Taylor non ci capisce più niente. «Mah?! E tu da dove spunti?».<br />

Luc si raddrizza e mi riempie il bicchiere. «Ero in giro», dice indicando con un gesto la folla intorno al falò. Ma io vengo da lì, e lui non c’era.<br />

«Wow… ok. Questa festa ha appena guadagnato un sacco di punti». Taylor guarda Luc, poi Gabe, poi di nuovo Luc. Decide che è l’ora di liberarsi<br />

definitivamente dall’abbraccio di Marty e si avvicina. Poi alza le sopracciglia e mi guarda: «Allora… che si fa?»<br />

«Uh… be’…». Guardo Riley in cerca d’aiuto. «Non è ora di andare a casa?».<br />

«Non ancora». Riley sta ancora fissando Gabe.<br />

Luc mi passa la birra e lancia a Gabe, che nel frattempo si è avvicinato, uno sguardo ostile. «Gabriel». <strong>Il</strong> calore dolcemente viscoso della sua voce si è<br />

trasformato in un gelo arido, che ghiaccerebbe l’Inferno.<br />

«Ciao, Lucifer». E, anche se il suo sorriso rimane inalterato, la voce musicale di Gabe si appiattisce.<br />

«Aspetta un attimo… voi vi conoscete?». Sono in piedi in mezzo ai due e mi sento vacillare. L’aria intorno a noi sembra carica di energia statica e<br />

uno strano formicolio mi si diffonde per il corpo.<br />

Gabe fa una strana smorfia e accennando a Luc risponde: «Diciamo di sì».<br />

«Purtroppo», aggiunge l’altro. Sta sorridendo, più o meno, ma sotto alla sua calma apparente c’è tutt’altro. Anche da mezzo metro di distanza mi<br />

accorgo della sua tensione, sembra pronto a esplodere. La mascella è serrata e i pugni, stretti ai fianchi, hanno una gran voglia di colpire qualcosa, o


qualcuno. Mentre lo osservo, giuro che vedo una piccola saetta guizzare sulla superficie della mano e scomparire fra le sue nocche.<br />

Sono senza parole, il mio corpo ronza in risposta all’aumento della carica elettrica nell’aria, e mi sembra troppo di essere un personaggio di Ai confini<br />

della realtà. Mentre il mio sguardo fa la spola fra Luc e Gabe, mi ripeto che tutto questo non può succedere davvero, e comincio a dubitare che Jackson<br />

mi abbia messo qualcosa nella birra.<br />

Angelique, che non sopporta di non essere al centro dell’attenzione, mi lancia un’occhiata di fuoco e si toglie il giacchino di jeans, rivelando un top<br />

dalla scollatura vertiginosa. Si infila davanti a me, fra Luc e Gabe, e con mio grande sollievo mi libera da quell’assurda morsa di elettricità.<br />

Immediatamente, Taylor la rade al suolo.<br />

«Ma dov’è Adam?», le chiede con voce chioccia e un sorriso fintissimo.<br />

Angelique pianta il tacco sul piede di Taylor. «Adam chi?».<br />

Comincio a sentirmi la testa leggera e mi accorgo che ho smesso di respirare. Mi allontano dal gruppo, chiudo gli occhi e faccio un respiro profondo,<br />

cercando di riprendermi.<br />

«Quindi…». La voce di Luc, un sussurro nelle mie orecchie, mi fa sobbalzare. Apro gli occhi e mi sento mancare le gambe. Abbozza un mezzo sorriso<br />

e mi scosta i capelli dal volto, sistemandomeli dietro alle orecchie. «Speravo di poterti portare a casa io».<br />

È ovvio, a giudicare dal mio cuore che corre all’impazzata, che andarmene con Luc sarebbe un errore. Guardo Gabe, che mi fissa a sua volta.<br />

Un’ondata di calore mi sale dal collo, investendomi il volto, e mi accorgo che restare potrebbe rivelarsi ancora più pericoloso.<br />

Mi avvicino a Riley. «Sei pronta? Andiamo». Devo sembrare proprio disperata, e in effetti lo sono.<br />

Lei guarda Trevor e sorride. «Scusa, Fee», risponde alzando le spalle.<br />

Sento il calore di Luc, eccessivamente vicino dietro di me, ma non mi giro a guardarlo. «Io sono pronto», dice.<br />

Oh, Dio. Perché non riesco a respirare?<br />

I miei occhi scivolano di nuovo su Gabe, ma è un errore, perché mi sta ancora fissando e quegli occhi blu non alleviano certo la mia apnea.<br />

Con uno sforzo immane sposto lo sguardo e volto le spalle a entrambi, giusto in tempo per vedere Reefer che scende dal suo pick up nero con il resto<br />

della band.<br />

Merda.<br />

Mi giro verso Luc, facendo attenzione a evitare il suo sguardo. La mancanza di ossigeno rende il pensiero un atto difficile, ma almeno riesco a<br />

balbettare: «Uhm… ok. Possiamo andare, se… se vuoi».<br />

Riley si tiene fuori dalla zuffa fra Taylor e Angelique. Alzo un po’ la voce cercando di farmi sentire nonostante la cagnara: «Riley. Vado via con Luc…<br />

ok?».<br />

La fiamme del falò si riflettono nei suoi occhi per un istante mentre sorride come chi la sa lunga e annuisce.<br />

Lancio un ultimo sguardo a Gabe, che cattura i miei occhi coi suoi e mi rivolge un sorriso luminoso. È allora che sento sulla schiena la punta delle dita<br />

di Luc bruciare attraverso la maglietta. Respiro una zaffata di cannella mentre si china su di me e mi sussurra: «Andiamo».<br />

Come mi tocca, mi prende un formicolio che parte dal basso della pancia e mi attraversa, crescendo d’intensità, finché tutto il mio corpo è un fremito.<br />

Lascio che guidi me e le mie gambe di gelatina verso la sua macchina.<br />

Luc<br />

Quindi, Lui ha mandato Gabriel. Non un angelo qualsiasi, ma una Dominazione, un guardiano della Seconda Sfera. E non una Dominazione<br />

qualunque, ma il braccio sinistro di quel Gabriel. Questo può voler dire un’unica cosa: vale la pena di lottare per l’anima di Frannie.<br />

Mentre ci allontaniamo dalla festa, lei esamina estasiata la mia macchina. «Che figata, una Shelby Cobra GT. E in ottime condizioni. È una chicca.<br />

’67?».<br />

Non posso fare a meno di sorridere. «’68. Sei un’esperta di Mustang».<br />

Si gira verso di me, sorridendo, e all’improvviso sono sopraffatto da quanto sia incredibilmente viva. Per definizione, anche gli altri mortali sono vivi,<br />

ma a diversi livelli. Molti, anche se pensano di essere vivi, in realtà sono praticamente morti. Ma Frannie non fa parte di questa categoria.<br />

«Devo dirti che sono molto colpito».<br />

«Da cosa?»<br />

«Hai fatto volare un ragazzone come se niente fosse».<br />

Spalanca gli occhi. «Mi hai vista?»<br />

«Eh sì. Deve pesare almeno il doppio di te. Una scena di grande effetto».<br />

Si volta a guardare fuori dal finestrino. «Sì, certo…». Ma mi accorgo che sta sorridendo.<br />

«Quindi…»<br />

«Quindi cosa?»<br />

«Dove hai imparato?»<br />

«Faccio judo da otto anni».<br />

«Interessante». Questa ragazza mi piace sempre di più. «Allora, dove andiamo?».<br />

Si gira e mi guarda accennando un sorriso. «Pensavo ti fossi offerto di portarmi a casa». Inizia a rilassarsi, muove persino le spalle al ritmo della<br />

musica che esce dallo stereo.<br />

«Mmm… È così che ho detto? Bene, se è quello che vuoi…».<br />

Un sorrisetto furbo le inarca le labbra. «Avevi qualche altra idea?»<br />

«Potremmo lavorare alla tesina d’inglese», dico, trattenendo a stento una risata.<br />

«Ah, davvero? È la tua versione di appuntamento bollente?»<br />

«Scusa, non sapevo di avere l’incarico di sedurti». Quando la vedo incassare il colpo non posso più trattenermi e scoppio a ridere. «Quindi, quanto lo<br />

vuoi bollente questo appuntamento? Sono in grado di fornire qualsiasi grado di temperatura: dal calore del mio corpo a quello dell’Inferno, e non sto<br />

scherzando».<br />

La guardo arrossire e l’aria dentro la macchina s’inonda di zenzero. Facciamo ottimi progressi.<br />

«Ehm, be’… magari potremmo davvero… lavorare davvero alla tesina…». La voce le si affievolisce fino a scomparire e diventa rossa come le braci<br />

dell’Inferno.<br />

«La tesina… che buona idea, perché non ci ho pensato?». Le rivolgo il più affascinante dei miei sorrisi. «Casa tua o casa mia?».<br />

Aggrotta le sopracciglia e contempla le possibilità a sua disposizione. «Forse è meglio che mi porti a casa», dice alla fine.<br />

«Come preferisci».<br />

Mentre guido restiamo in silenzio, ma quando imbocco la sua via tira fuori tutto d’un fiato: «Ti andrebbe un caffè bollente? C’è uno Starbucks qui<br />

all’angolo».


Giro a destra, di colpo e troppo velocemente. Le gomme stridono e nascondo a stento il sorriso soddisfatto che mi si stampa in volto quando lei si<br />

aggrappa al sedile per non finirmi addosso.<br />

«E quindi com’è che conosci Gabe?», mi chiede attraverso il velo di vapore che si leva dalla tazza di caffè.<br />

«È una lunga storia». Settemila anni.<br />

«Ma siete… tipo… amici?»<br />

«Direi di no. Siamo in squadre rivali».<br />

«Squadre di football?». Mi guarda perplessa, immagino che fatichi a vedermi nei panni dell’atleta.<br />

Mi avvicino e la guardo negli occhi, mentre passo con le dita sul dorso della mano che ha posato sul tavolo. La guardo fremere, e una scossa elettrica<br />

attraversa anche me – è eccitazione? Sto pregustando quello che succederà? – quando sento sotto alle mie dita il battito accelerato del suo polso. Uso<br />

il mio potere per dare una piccola spinta agli eventi. «Sai una cosa? Preferirei parlare di te. Dimmi qualcosa che non so di Mary Francis Cavanaugh».<br />

Ora è in uno stato estatico, e mi fissa per un lungo attimo prima di dire, ancora un po’ imbambolata: «Odio il mio nome».<br />

«Allora perché non ti fai chiamare Mary?»<br />

«È il nome di mia sorella». La nebbia inizia ad alzarsi e Frannie si appoggia sui gomiti, accentuando certe curve che mi distraggono dal mio lavoro.<br />

Mi sforzo di respirare a fondo e torno a concentrarmi sui suoi occhi. «Anche tua sorella si chiama Mary?»<br />

«Tutte le mie sorelle. Ma solo la maggiore si fa chiamare così».<br />

«Quante sorelle hai?»<br />

«Quattro».<br />

«E vi chiamate tutte Mary? Non vi confondete?»<br />

«Hai capito perché non ci facciamo chiamare tutte così».<br />

«E come si chiamano le altre?»<br />

«Be’, c’è Mary Theresa, Mary. E Mary Katherine, Kate. Poi ci sono io, Mary Francis. Mary Grace, che chiamiamo Grace. E infine Mary Margaret,<br />

Maggie».<br />

Mi mordo la lingua per non ridere. Questo è davvero troppo. «Una buona famiglia cattolica», dico, cercando di sembrare sincero.<br />

«Immagino di sì». Mmm… aceto. Senso di colpa? Dovrò approfondire.<br />

Finito il suo caffè Frannie tira indietro la testa, arcuando il suo bel collo chiaro e tendendo la maglietta sul petto. Mi travolge un’ondata di desiderio così<br />

forte da rendermi quasi incapace di intendere e di volere. Chiudo gli occhi per combatterla e cerco di schiarirmi le idee. Concentrazione. Quando li<br />

riapro, lei mi sta fissando.<br />

«Credo sia ora che io torni a casa».<br />

«Come preferisci», rispondo, ma in realtà vorrei portarla dovunque tranne che a casa.<br />

Frannie<br />

Parcheggiamo davanti a casa e Luc spegne il motore. La luce del salotto proietta una striscia dorata sul nostro prato. Papà mi aspetta alzato, come al<br />

solito.<br />

Lo stereo di Luc suona a tutto volume Addicted, dei Saving Abel, che racconta di cose che succedono fra le lenzuola e manda il mio cuore su di giri<br />

facendomi viaggiare con l’immaginazione. Non sono una santa, sono stata con altri ragazzi prima di lui. Non stata in quel senso, ma quasi. Insomma, ho<br />

fatto tutto il resto. Ma sono sempre stata io a decidere fin dove arrivare, e nessuno ha mai gettato un tale scompiglio nella mia fantasia. È come se Luc,<br />

senza neanche toccarmi, entrasse nella mia testa per scoprire i miei più reconditi sogni erotici e, una volta trovati, desse loro vita. Sto parlando di effetti<br />

speciali molto vividi. Ma quello che più mi irrita è che ne sono succube. Nessun altro ragazzo, prima di lui, mi aveva mai fatto sentire così fuori controllo.<br />

È qualcosa di solleticante, vertiginoso, selvaggio. Mi fa una paura infernale e, allo stesso tempo, una parte di me lo trova confortevole.<br />

Mi giro, e lui è sempre lì che mi fissa. Improvvisamente nella macchina non c’è più ossigeno. Respiro a fatica. «Be’, grazie del caffè», dico, combattuta<br />

fra il desiderio di catapultarmi fuori dalla macchina e quello di restare lì per tutta la notte.<br />

«Era abbastanza bollente? Perché se vuoi la prossima volta possiamo provare qualcosa di più caldo». Mmm… quel sorriso allusivo… Ma si capisce<br />

che gli viene da ridere. Mi sta prendendo in giro?<br />

«Era…», ma non so come finire la frase, perché quello che mi sta succedendo dentro produce un calore infernale, molto più del caffè. L’unica cosa<br />

che posso fare è resistere all’urgenza di toccarlo. «Allora, ci vediamo lunedì». Allungo un braccio tremante per aprire lo sportello, e all’improvviso la sua<br />

mano è lì, sopra la mia.<br />

Si china su di me e, con l’altra mano, mi scosta i capelli dall’orecchio e sussurra: «Non vedo l’ora».<br />

<strong>Il</strong> suo respiro caldo sull’orecchio mi fa rabbrividire, e sono mortificata quando mi accorgo che il gemito sottile che ho appena sentito è uscito davvero<br />

dalla mia bocca. Al colmo dell’imbarazzo, tento di aprire lo sportello, ma la sua mano calda è ancora lì e mi impedisce di farlo.<br />

«Ma… niente bacio della buonanotte?», dice, e quando mi volto i nostri nasi si sfiorano.<br />

Rifiuto di abbandonarmi al panico che mi fa ribollire la pancia, o alla parte di me che lo vuole baciare. Lo guardo negli occhi e mi sforzo di parlare con<br />

disinvoltura, mentre gli pianto una mano sul petto e alzo le spalle. «Non al primo appuntamento».<br />

Sembra sconcertato, o forse divertito, ma dura solo un istante. «Come preferisci».<br />

Traccia col dito una linea bruciante intorno alla mia mascella e torna a sprofondare nel sedile, sorridendo. «Sogni d’oro».<br />

Lo fisso ancora un attimo, poi apro lo sportello e barcollo fuori dall’auto. La portiera si chiude alle mie spalle e lui avvia il motore, ma ancora non parte.<br />

Sento il peso del suo sguardo mentre incespico sul vialetto verso la porta di casa. E prima di chiuderla dietro di me, mi volto indietro e vedo il bagliore<br />

rosso dei suoi occhi confondersi con le luci del cruscotto.<br />

Salgo di corsa le scale, entro nella mia stanza e mi precipito alla finestra giusto in tempo per veder scomparire i fanalini di coda della sua macchina.<br />

Rimango a guardare fuori per un bel po’, fissando il punto dove mi ha fatta scendere. Ascolto il mio cuore che batte e il solletico dentro alla pancia che<br />

ricomincia, mentre immagino cosa sarebbe accaduto se gli avessi permesso di baciarmi. Protestando sottovoce con me stessa mi dirigo verso la<br />

cassettiera e prendo la foto di mio fratello. «Sto diventando pazza, Matt», gli sussurro.<br />

Porto la foto con me, tiro fuori da sotto al materasso quello che chiamo “il diario di Matt” e lo apro sulla scrivania. Mi metto comoda sulla sedia e leggo<br />

le ultime frasi che ho scritto. Sono di mercoledì, il giorno in cui ho conosciuto Luc.<br />

Allora, Matt, oggi ti saresti spanciato dalle risate se mi avessi vista impegnata a sbavare dietro a un tizio appena conosciuto. Ma c’è qualcosa di<br />

speciale in lui. Lo so, è una cosa stupida, e non è nel mio stile. Ti prego, fulminami da lassù se dovessi mai diventare una di quelle ragazzine<br />

patetiche e deboli. Non credo a tutte quelle stronzate sull’amore a prima vista. In generale, non credo nell’amore. Ma alla lussuria… a quella ci credo.<br />

Faccio un bel respiro, prendo una penna e volto pagina.<br />

Non so bene cosa scrivere, il groviglio delle mie emozioni è davvero intricato e quasi impossibile da verbalizzare. Ma se c’è qualcuno a cui posso


accontare come mi sento, quello è Matt. Era più che un fratello: era il mio migliore amico… l’unico che mi abbia mai capita davvero. So che custodirà i<br />

miei segreti, quindi posso dirgli tutto. E non importa quanto possa essere imbarazzante, glielo devo. È quanto di più simile a una vita io possa offrirgli.<br />

Comincio a scrivere.<br />

Allora, Matt. Ti ricordi quel tipo di cui ti ho parlato… Luc. Faccio una pausa e cerco di dare un senso compiuto ai miei pensieri per poterli trasferire<br />

sulla carta. Non so cosa ci sia in me che non va. O meglio, lo so: lui non dovrebbe piacermi. È la persona sbagliata, tutto quello che ha a che fare<br />

con lui è sbagliato. Non riesco a pensare e nemmeno a respirare quando ce l’ho intorno. Eppure voglio che mi stia intorno. Lo so, mi sta dando di<br />

volta il cervello. Ma c’è davvero qualcosa di speciale in lui. Questa energia strana, tenebrosa, magnetica, e anche se un po’ mi fa paura – ok, mi fa<br />

molta paura – non riesco a stargli lontana.<br />

Dicevo davvero l’altro giorno, quel discorso sull’amore. Quando Reefer mi ha detto che mi amava ha rovinato tutto. Perché l’amore non esiste, non<br />

per davvero. <strong>Il</strong> nonno e la nonna sono gli unici che io conosca a esserci andati vicino. È pericoloso credere in qualcosa che può solo ferirti. Quindi<br />

mi rifiuto di crederci.<br />

Ma Luc…<br />

Sento un brivido e osservo la mia scrittura tremolante. Scrivo un’ultima riga, poi chiudo il diario.<br />

Sparatemi. Ora.<br />

Mi trascino in piedi e mi preparo per andare a letto. Ma quando sono sotto le coperte e chiudo gli occhi, vedo ricci biondo platino e occhi blu come il<br />

cielo. Di colpo mi ritrovo a pensare che vorrei aver scoperto di più su Gabe. Forse Riley e Taylor sanno qualcosa. Afferro il cellulare e mando un SMS a<br />

Riley: TAY HA CONCLUSO CON GABE?<br />

Mi risponde dopo meno di un minuto: È ANDATO VIA SUBITO. COS’È SUCCESSO CN LUC?<br />

NIENTE. SCOPERTO DOVE VA A SCUOLA GABE?<br />

NO, XCHÉ? VUOI ANKE LUI? Immagino che se la stia ridendo.<br />

SMETTILA. SN SOLO CURIOSA.<br />

Spengo il telefono, frustrata, e mi arrampico sul letto, felice che domani non sia un giorno di scuola. Un po’ di disintossicazione dai ragazzi mi farà<br />

bene, perché stanno minacciando il buon funzionamento del mio cervello.<br />

Ma quando arriva la domenica, i ragazzi sono ancora lì che mi tengono la mente in ostaggio, nonostante tutto il judo e la meditazione praticati per<br />

liberarla.<br />

«Passami la chiave dinamometrica, Frannie».<br />

Rovisto nella cassetta degli attrezzi e passo la chiave al nonno. Poi mi sdraio sul pavimento di cemento del garage e scivolo al suo fianco, sotto alla<br />

Mustang del ’65 decappottabile, appena restaurata.<br />

Per me, l’odore di olio e gas di scarico sono indissolubilmente legati alla domenica pomeriggio. Dal giorno in cui ho imparato a tenere in mano un<br />

cacciavite senza cavarmi un occhio, ho trascorso ogni domenica, dopo la messa, infilata sotto a un’auto con il nonno. Le mie sorelle pensano che io sia<br />

strana, ma non riesco immaginare niente di più bello della soddisfazione che si prova quando si smonta qualcosa in piccoli pezzi e poi si rimette<br />

insieme senza lasciare fuori nulla, e la cosa continua a funzionare. Alcuni dei miei ricordi più cari sono associati al pavimento freddo di questo garage.<br />

«Ce l’abbiamo quasi fatta», dico guardando il nonno mentre stringe l’ultimo morsetto del motore su cui abbiamo passato l’intero inverno.<br />

«Ancora una settimana, al massimo due. Puoi prendere quella chiave e tenere fermo il bullone mentre stringo il morsetto?», mi chiede con la sua voce<br />

ruvida, che risuona fin dentro alle ossa.<br />

«Certo. Me la farai guidare?»<br />

«Sarai la prima. Dopo di me, ovviamente. È il premio che meriti per il tuo duro lavoro». Si gira e mi sorride. I suoi vivaci occhi blu sono accoglienti e<br />

gentili, anche alla luce scarna della lampada da lavoro che pende dal ventre della Mustang.<br />

«Fantastico!». Mi immagino già sfrecciare per la strada, cappotta abbassata e musica a tutto volume.<br />

Si passa una mano coperta d’olio sulla testa quasi pelata, strisciando di grasso i pochi capelli grigi rimasti. «È quasi l’ora di mettere l’olio. Ce n’è una<br />

tanica nell’angolo. Me ne prepari un gallone?»<br />

«Certo». Scivolo fuori da sotto alla macchina.<br />

«C’è anche l’imbuto, lì vicino. Ti chiamo quando sono pronto».<br />

Prendo l’olio, lo porto vicino all’auto e mi preparo a versarlo togliendo il tappo dal motore. «Nonno?»<br />

«Sì?»<br />

«Come hai conosciuto la nonna?».<br />

Ride. Un suono pieno, che riempie il garage e insieme il mio cuore.<br />

«A una gara di macchine, alle superiori. Era una brava ragazza, aveva a malapena dato il primo bacio». Ride fra sé e sé. «Ma ci ho pensato io, a<br />

sistemare le cose».<br />

«Quando hai capito di amarla?»<br />

«Nel momento stesso in cui l’ho vista».<br />

«E come sapevi che anche lei ti amava?».<br />

Dalla voce intuisco che sta sorridendo. «Me l’ha detto lei… e poi me l’ha dimostrato, se capisci cosa intendo».<br />

Provo a immaginarmeli da giovani, come nelle foto che ho visto: il nonno, in jeans e con un pacchetto di sigarette arrotolato nella manica, che va in giro<br />

a fare il bullo e la nonna, la brava ragazza, con una luce maliziosa negli occhi. Ripenso a quanto mi piaceva starmene rannicchiata sul divano accanto a<br />

lei mentre leggeva i classici, e mi fa male il cuore. «Ti manca?»<br />

«Ogni giorno».<br />

«Ci credi al Paradiso?»<br />

«Sì».<br />

«Pensi che la nonna sia là?»<br />

«Se c’è qualcuno che se lo merita, è lei. Non credo che Dio possa farle scontare che mi amava».<br />

«Credi che anche Matt sia là?», tiro fuori, nonostante il nodo che mi stringe la gola.<br />

«Certo. Sulle ginocchia della nonna».<br />

Anche se so che è tutta un’invenzione, è bello sentirglielo dire. È come una bella favola. «Grazie nonno».<br />

«Sono pronto per l’olio. Versalo pian piano».<br />

«Eccolo».


Capitolo 4<br />

Lo sa il Cielo<br />

Luc<br />

È lunedì mattina e i corridoi sono pieni di corpi caldi e sudaticci. Mmm… sembra quasi di essere a casa. Ma poi ecco quel prurito fastidioso. È il mio<br />

sesto senso che ha captato Gabriel.<br />

Chiudo l’armadietto, mi volto ed eccolo lì, appoggiato al muro di fianco all’aula 616, che chiacchiera con Frannie. E lei gli sorride, flirta con lui e<br />

arrossisce.<br />

Quel bastardo sta barando!<br />

Improvvisamente mi investe un’emozione mai provata, che si mescola alla rabbia, e l’unica cosa che voglio è la testa sanguinante di Gabriel fra le mie<br />

mani. Peccato che gli angeli non sanguinino, nemmeno quando stacchi loro la testa.<br />

Con tre lunghe falcate attraverso il corridoio. Mi accorgo giusto in tempo che il mio viso è distorto in una orribile smorfia e la trasformo in un sorriso<br />

compiaciuto. «Gabriel».<br />

Frannie sembra un po’ stordita quando si volta verso di me. «Oh… Ciao Luc».<br />

Gabriel sorride. «Lucifer».<br />

«Che piacere vederti, cosa ti porta negli umili corridoi dell’Ade?»<br />

«La stessa cosa che ci porta te, amico. Una buona istruzione», sorride con superiorità.<br />

Gli occhi di Frannie ora sembrano meno opachi, e fanno la spola fra noi, sospettosi. «Fate i bravi». Si volta verso Gabriel e gli posa una mano sul<br />

braccio. «Se hai bisogno di aiuto con gli appunti di fisica…».<br />

La mia rabbia inizia a ribollire, pericolosamente vicina alla superficie. Sento montare il mio potere. «Seguite il corso di fisica insieme?», chiedo,<br />

mentre immagino di incenerire Gabriel col mio sguardo laser.<br />

Frannie invece lo guarda in modo completamente diverso. «Gabe è il mio nuovo partner di laboratorio».<br />

«Ma davvero…», grugnisco a denti stretti.<br />

Lui si scosta dal muro per avvicinarsi a lei e aggiunge: «Sono un ragazzo fortunato».<br />

Ma la fortuna non c’entra, questo assomiglia di più a un intervento divino.<br />

Guardo Frannie per valutare il danno. Niente di irreparabile. «Bene, andiamo a storia?»<br />

«Oh sì, lasciami prendere il libro». Attraversa il corridoio scuotendo la testa un paio di volte, e la nebbia all’interno si dirada. Mentre apre l’armadietto<br />

mi rivolgo verso Gabriel.<br />

«Allora, perché mai hanno mandato te? Non ti pare eccessivo? Qualsiasi angelo di seconda categoria avrebbe fatto la stessa figuraccia che sei<br />

destinato a fare tu».<br />

Risponde: «Staremo a vedere», e la sua espressione soddisfatta non mi piace per niente. Sa qualcosa che io non so.<br />

Ostento noncuranza mentre cerco di ottenere informazioni. «Sappiamo entrambi che l’avresti già legata se avessi potuto. Qual è il problema? È un po’<br />

troppo infernale?».<br />

È ancora pieno di sé, ma l’accenno di frustrazione che gli scopro nella voce lo tradisce: ho toccato un tasto dolente. «Sei lo stesso stupido, orgoglioso<br />

e arrogante di sempre. Pensavo che dopo tanti millenni… Non hai nemmeno idea del perché ti hanno mandato qui, vero? Non sai proprio niente di lei?».<br />

Ora è lui a toccare un tasto dolente. Lotto per mantenere la calma. Non c’è bisogno che sappia di avere colto nel segno. «Ciò che importa è che<br />

l’anima di Frannie sarà legata all’Inferno, e succederà molto presto».<br />

«Già, buona fortuna allora», infierisce.<br />

Se potessi ucciderlo lo farei, ma ci ho già provato in passato e non ha funzionato. Saltò fuori che i cherubini sono molto più temibili di quanto non<br />

sembri.<br />

Ecco che torna Frannie. Sfiora il mio gomito e un formicolio mi attraversa. «Sei pronto?»<br />

«Certo. Andiamo». Le poso la mano sulla schiena e la guido verso l’aula. Lui avrà anche bisogno di barare, ma io no. Nessun potere, semplice<br />

charme.<br />

Frannie<br />

Faccio un respiro profondo per tornare in me. Gabe mi fa girare la testa. Allungo il collo e riesco a intravederlo fra la massa degli studenti. È<br />

appoggiato agli armadietti e mi guarda. Dio, com’è possibile che sia così bello… Nonostante le palpitazioni tiro un bel respiro e mi volto verso Luc.<br />

Anche lui è dannatamente bello.<br />

«Allora, com’è andata matematica?», gli chiedo, ignorando la tempesta ormonale delle ragazze che lo fissano mentre ci facciamo largo nel corridoio<br />

affollato. Devo sforzarmi per non voltarmi di nuovo a cercare Gabe con lo sguardo, e mi concentro sulle dita brucianti di Luc, che sembrano in grado di<br />

scaldare zone che non hanno nulla a che vedere con la schiena sulla quale poggiano.<br />

Inarca un sopracciglio. «Penso di essere il cocco della Felch. Le piaccio».<br />

«Davvero? Lo dicevo io che hai qualcosa di diabolico…». Tento di guardarlo male, ma il fatto che mi scappi da ridere non aiuta. Poi vengo quasi<br />

buttata in terra da Taylor, che praticamente mi si lancia addosso.<br />

«Hai visto? C’è Gabe! Santo cielo!», squittisce.<br />

Guardo Luc e colgo un lampo di fastidio nei suoi occhi.<br />

«Sì, facciamo coppia per le esercitazioni di fisica». Sono sorpresa dal tono possessivo che ho usato, e purtroppo l’hanno notato anche loro. La<br />

mascella di Luc si irrigidisce e Taylor mi guarda malissimo.<br />

«Fate coppia?». Lancia un’occhiata a Luc e la sua voce diventa acida. «Non c’è giustizia a questo mondo».<br />

Mi stringo nelle spalle.<br />

«Ne parliamo a pranzo», dice, e si volta per andarsene.<br />

«Va bene… voglio dire… wow».


Un sorriso velenoso attraversa il viso di Luc. «Potresti fargli da cupido, a quei due».<br />

Scrollo le spalle ed entro nell’aula di storia, dove il professor Sanghetti lancia a Luc il solito sguardo di sfida.<br />

A sua volta, Luc ha un’espressione beffarda. Ci sediamo, e lui tira fuori dalla tasca posteriore dei jeans un foglio accartocciato che poggia sul banco.<br />

Lo guardo incredula: «Quella lì sarebbe la tua relazione?».<br />

Si allunga sulla sedia con un sorriso sprezzante e allaccia le mani dietro alla testa. «Già».<br />

Con un certo senso di superiorità faccio per tirare fuori la mia fantastica relazione, rilegata in una cartellina lucida di plastica, ma resto impietrita,<br />

perché nello zaino non c’è. Nel mio delirio mattutino (colpa di Luc e di Gabe) devo averla lasciata sulla scrivania. Merda! <strong>Il</strong> professor Sanghetti non<br />

accetta ritardi.<br />

Ti prego, dacci un altro giorno… ti prego, ti prego, ti prego…<br />

«Oggi dovreste consegnare le vostre relazioni», attacca il professor Sanghetti, guardando dritto verso di me, «ma dopo le lezioni ho un impegno, e<br />

non voglio trascinarmele dietro tutto il giorno. Portatemele domani». Per poco non cado dalla sedia.<br />

Passo il resto della lezione tentando di non ridere, mentre Luc e il professor Sanghetti se le danno di santa ragione, in senso figurato ma non troppo.<br />

«Dovete terminare il capitolo 18 per il test di mercoledì», dice il professor Sanghetti al suono della campanella, e guarda verso Luc con una smorfia<br />

soddisfatta.<br />

Gli sussurro: «Temo che il prof stia cercando vendetta. Divertiti con il test».<br />

«Non può fare nessuna domanda a cui io non possa rispondere. Pronta per il pranzo?». Si alza e lancia la sua relazione accartocciata sulla cattedra,<br />

come se fosse una palla da basket.<br />

«Guarda che così ti mette zero».<br />

Luc alza un sopracciglio. «Per consegna anticipata? Ci deve solo provare».<br />

«Ah, certo… Mi spieghi com’è che sei così esperto di storia?»<br />

«Guardo History Channel», dice tagliando corto.<br />

«Si vede che lo guardi spesso, da come parli sembri uno che ha vissuto le cose in prima persona».<br />

Ed ecco quel sorriso, di nuovo: «Davvero? Magari in una vita precedente».<br />

E mi dà da pensare. Perché c’è qualcosa in Luc…<br />

Luc<br />

Quando entro nella mensa con Frannie il mio stomaco si rivolta come al solito, ma questa volta non per il cibo. Gabriel è seduto al mio posto, di fronte<br />

a Taylor e Riley. Chiudo gli occhi, sperando che se ne sia andato quando li avrò riaperti, ma è una speranza vana: lui è ancora lì, intento a emettere luce.<br />

Mi viene voglia di usare il mio potere contro di lui – ad esempio facendo cadere la sedia in modo che si ritrovi col culo per terra – ma non basta uno<br />

spintone per mettere in difficoltà uno come Gabriel. Sento le scariche elettriche crepitare sulla superficie del mio pugno stretto, che rischia di diventare<br />

rosso fosforescente. Richiamo all’ordine le mie arti occulte prima che qualcuno se ne accorga.<br />

Gli occhi di Frannie si accendono, poi mi guarda, alza le spalle e si precipita al tavolo, dove lascia cadere in terra lo zaino prima di sedersi accanto a<br />

Gabriel. Sistema la sedia vicino a lui. Troppo vicino.<br />

Gabriel mi lancia uno sguardo trionfante e fa per metterle la mano dietro alla schiena. Ma in un attimo sono lì che gliela allontano. Mi siedo accanto a<br />

Frannie dall’altro lato, più vicino del solito. Dovrò rischiare che il mio calore sia eccessivo per lei. Se no quell’imbroglione di Gabe la legherebbe entro la<br />

fine del pranzo.<br />

Di fronte a noi ci sono Riley e Taylor. Almeno sono una distrazione, e potrebbero essermi utili.<br />

«Vado a prendere da mangiare. Qualcun altro che ha fame?», chiede Frannie, agitando il piede e affibbiando un calcio sul ginocchio di Taylor.<br />

«Oh… sì, ok», dice lei afferrando Riley per un braccio. Si incamminano tutte e tre verso la fila per il cibo, mentre Taylor si volta continuamente a<br />

guardare indietro.<br />

Osservo Gabriel, torvo. «Bisogna che ti spegni, o farai qualche danno».<br />

«Siamo in guerra, Lucifer. Tutto è lecito».<br />

«Vuoi dire che la tua parte si è ridotta a infrangere le regole? Mi sembra così poco appropriato».<br />

«Tu vuoi farmi la morale?». Ride forte, una breve risata di scherno. «Questo sì che è inappropriato. E, per tua informazione, non sto infrangendo<br />

nessuna regola».<br />

«Magari non in senso tecnico… Non voglio che Frannie si faccia male». Certo… ed è per questo che sto cercando di trascinarla negli inferi,<br />

condannandola a torture e sofferenza per il resto dell’eternità.<br />

Ovviamente, anche lui ha colto l’assurdità di quello che sto dicendo. Mi fissa per un minuto buono, poi risponde: «Sai una cosa, ti credo. Wow…», e<br />

continua a fissarmi, mentre ricambio il suo sguardo stizzito.<br />

Frannie lascia cadere il vassoio del pranzo sul tavolo, con tutto il rumore di stoviglie che ne consegue, e si infila a sedere fra me e Gabriel,<br />

interrompendo il nostro contatto visivo.<br />

«Allora, ragazzi, state facendo amicizia?», dice, come se non fosse ovvio che ci taglieremmo vicendevolmente la gola, se solo ce ne fosse<br />

l’occasione.<br />

«Da quant’è che non vi vedete, voi due?».<br />

Quattro secoli. «È un po’», rispondo, e torno a posare il mio sguardo ostile su Gabe.<br />

Riley e Taylor si uniscono a noi, in un florilegio di rumori di stoviglie, ciglia che sbattono e capelli ondeggianti.<br />

«Allora, Gabe», esordisce Riley, mentre spinge Taylor con una spalla per guadagnare una posizione migliore. «Da dove vieni?».<br />

Gabriel la guarda sorridendo e risponde: «Heaven». È raccapricciante quanto si accenda quando gira la manopola dell’illuminazione al massimo.<br />

Chiunque prestasse un po’ più d’attenzione si accorgerebbe che il suo splendore non è il semplice riflesso di un carattere brillante.<br />

Taylor rifila una gomitata a Riley e biascica: «Che storia. Dov’è Heaven? Tipo nel Montana?».<br />

Gabriel annuisce, sempre sorridendo: «Una cosa del genere».<br />

Taylor e Riley sono un po’ confuse. Non può fare altro che distrarle, visto che gli angeli non possono mentire.<br />

«Allora sei passato direttamente dal Paradiso all’Inferno», dice Taylor ridendo.<br />

Gabriel mi guarda cupo. «Inferno?», chiede mentre gli occhi gli si assottigliano.<br />

Taylor si china verso di lui: «Sì, questa scuola si chiama Haden, ma noi la chiamiamo “l’Ade”… capito?».<br />

Si riassesta al suo posto e appoggia un braccio sullo schienale della sedia di Frannie. «Qualcuno gioca in casa», dice sarcastico, guardandomi.<br />

Frannie gli si avvicina, e sento il mio potere che tenta di nuovo di salire in superficie. Lo riporto in profondità con un respiro e mi chino su di lei. «Ti va<br />

se ci vediamo domenica? Potremmo lavorare alla tesina di inglese», le sussurro all’orecchio con voce persuasiva.<br />

«Mi spiace, ma la domenica vado a messa e poi da mio nonno. Che ne dici di sabato?».


Avrei dovuto saperlo, ma brucia lo stesso. Gabriel sta parlando con Riley e Taylor, ma mi accorgo che il suo sorriso si allarga, peggiorando lo smacco.<br />

Quel fighetto arrogante.<br />

Sfodero tutto il mio fascino. Niente trucchi, almeno per ora. «Non puoi perderti neanche una domenica?».<br />

Con l’aria di chi si scusa ribatte: «Non hai mai incontrato i miei, ma forse li hai visti in TV: hai presente il Papa e la Madre Superiora?»<br />

«Sono così tremendi?»<br />

«No, in realtà non lo sono».<br />

<strong>Il</strong> sorriso di Gabriel si fa sempre più ampio.<br />

Frannie<br />

Come presentare la mia famiglia? Non che mi mettano in imbarazzo o simili. Conosco un sacco di diciassettenni che passano la vita a lamentarsi<br />

delle loro famiglie. In buona sostanza, la mia va bene. Solo che è molto religiosa. E io sono un po’ la pecora nera.<br />

«Diciamo che io non sono sempre all’altezza dei loro elevati standard morali».<br />

Luc sorride soddisfatto e lancia un’occhiata a Gabe. «Suona bene».<br />

Arrossisco. «Non è che faccia chissà cosa. Solo che le mie sorelle sono più brave di me a non sconfinare».<br />

Alza le sopracciglia di scatto. «Mary, Mary, Mary e Mary?».<br />

Che stupido. «Già».<br />

«Più piccole o più grandi?»<br />

«Due più grandi e due più piccole».<br />

«Ma non ho visto nessuno che ti assomigli in giro per i corridoi…».<br />

«Ah, davvero…?».<br />

Ed eccoci al momento imbarazzante. Taylor mi guarda sghignazzando e mi dà un calcio sotto al tavolo. Stronza.<br />

Infilzo un pomodorino con la forchetta, schizzando succo e semi sul tavolo color vomito. «Sono stata buttata fuori dalla scuola cattolica».<br />

Lui scoppia a ridere forte ed esclama: «Questo suona ancora meglio!». Guarda di nuovo Gabe, mentre il suo entusiasmo mi causa qualche<br />

palpitazione.<br />

«È meno grave di quanto non sembri», dico sulla difensiva. «Giusto un paio di sciocchezze, ma là hanno questa filosofia della “tolleranza zero”…».<br />

Taylor non si tiene più: «È un’obiettrice di coscienza».<br />

Luc mi guarda perplesso. «Sei contro la guerra?»<br />

«Non la convince la religione cattolica. Faceva troppe domande durante l’ora di religione», risponde Taylor.<br />

«Tipo…?», chiede interessato.<br />

Fulmino Taylor con lo sguardo. «Niente».<br />

«Dubito che butterebbero fuori uno studente perché non ha chiesto niente».<br />

«Avevo qualche domanda su Dio».<br />

Si china su di me, il gomito sul ginocchio, e mi guarda intensamente. «Ma tu ci credi? A tutta questa messinscena di Dio?».<br />

Immagino Matt nella sua bara. Non com’era davvero, perché non l’ho potuto vedere. Stavo troppo male per andare alla veglia o al funerale.<br />

L’immagine che mi perseguita è quella che mi è passata nella testa un attimo prima che cadesse. La caccio via, assieme al dolore incontenibile che<br />

vorrebbe uscire dalla cella in cui l’ho rinchiuso a doppia mandata, e cerco di immaginare come sarebbe il suo volto adesso, a diciassette anni.<br />

«Ci sto ancora pensando». Le parole mi escono di bocca a fatica, un po’ strozzate. In realtà, quello a cui sto pensando è come fare a dire al mondo la<br />

verità. Non c’è nessun Dio. Non può esserci. Perché se ci fosse dovrei odiarlo. Quindi è più semplice credere che non esista.<br />

«Tu credi», interviene Gabe, come se mi avesse letto nel pensiero.<br />

Lo incenerisco con lo sguardo. «Non sai di cosa parli».<br />

Mi prende la mano e passa il dito sulla mia linea della vita. Un brivido mi sale lungo la spina dorsale. «Ho un paio di idee al riguardo», dice, fissando<br />

nei miei i suoi occhi blu. Improvvisamente, ho la certezza che possa vedermi dentro, che sappia tutto. Faccio un respiro strozzato e mi volto dall’altra<br />

parte, dove c’è Luc.<br />

Per un attimo il suo volto sembra velato di preoccupazione, ma si rilassa subito. Poi, con occhi fiammeggianti e una certa impazienza, mi chiede: «E<br />

cosa ne pensi della parte opposta? Ci credi all’esistenza del diavolo? E all’Inferno?».<br />

Lo guardo dritto negli occhi: «Sì».<br />

Gabe lascia cadere la mia mano. «Però non è giusto». Sento dalla sua voce che sorride, ma non lo guardo, perché non ho intenzione di farmi<br />

catturare nuovamente dai suoi occhi.<br />

Gli occhi neri di Luc sembrano due braci ardenti e il suo sorriso si allarga mentre si rilassa sulla sedia e allunga il braccio sullo schienale della mia.<br />

«Ottimo. Quindi siamo d’accordo per sabato? Facciamo da me?».<br />

Mmm… quel sorriso mi tenta. Ma meglio prevenire che curare. «E se facessimo da me?»<br />

«Con il Papa, la Madre Superiora, Mary, Mary, Mary e Mary? Sembra divertente».<br />

Alzo gli occhi al cielo: «Sì, molto divertente».


Capitolo 5<br />

All’Inferno!<br />

Luc<br />

Sono seduto sul pavimento del mio appartamento, al buio, e sbatto la nuca contro il muro mentre guardo i pipistrelli che volano nel crepuscolo,<br />

passando davanti alla mia finestra. Wish you were here dei Pink Floyd, a tutto volume, mi penetra fin dentro le ossa.<br />

Non sono mai stato tanto ossessionato da un obiettivo prima d’ora. Per tutta la settimana, a scuola, ho guardato Frannie assieme a Gabriel e ho<br />

provato sensazioni che non so nemmeno come chiamare. So solo che lo voglio morto, per colpa sua sono sempre agitato e dubito di me stesso. Sto<br />

faticando parecchio per trattenermi dal saltare sulla mia Mustang e correre a casa di Frannie.<br />

Ma cosa potrei fare una volta lì? Cosa vorrei fare lo so bene, ci ho pensato senza tregua dal primo giorno che l’ho vista.<br />

E se ci fosse Gabriel? Per un attimo mi vedo davanti la scena di lui che fa a Frannie quello che vorrei farle io, e provo una fitta di… gelosia? Davvero?<br />

Ma so che Gabriel non lo farebbe mai, perché sarebbe tutto a mio vantaggio. Non è qui per il suo corpo, ma per la sua anima. Come me. Cosa lo<br />

trattiene dal legarla al Paradiso? Magari lo sta facendo proprio ora… Forse potrei fare un salto da lei, giusto per verificare che lui non ci sia…<br />

Ricomincio a sbattere la testa al muro.<br />

E se invece fosse là? Cosa faccio?<br />

Mi immagino planare come Batman per strappare dalle braccia di Gabe il corpo seminudo di Frannie appena in tempo.<br />

Quindi è questo che mi preoccupa? Salvarla dalle grinfie di quell’angelo zozzone?<br />

Nel silenzio fra una canzone e l’altra rimango stupefatto sentendo il rombo terribile della mia risata. Si può sapere che cos’ha questa Frannie di così<br />

speciale? È solo una ragazzina. Niente di più. È solo un altro obiettivo. E l’oggetto delle mie fantasie.<br />

Sbatto più forte la testa contro il muro.<br />

Chiudo gli occhi e scaccio dai miei pensieri il volto di Frannie. Lo rimpiazzo con quello del mio boss, Beherit, Granduca dell’Inferno e capo delle<br />

Acquisizioni. Mi concentro su quello che mi capiterà se fallisco, e spero che la paura riesca a spegnere il mio desiderio ossessivo.<br />

Quasi quasi funziona. Sento un terrore cieco che mi si insinua nelle viscere, mentre mi vedo in ginocchio davanti a Beherit e a Re Lucifero, in attesa<br />

del giudizio. Ma poi il terrore si trasforma in disperazione, perché se la mia esistenza finisse ora non saprei mai cosa vuol dire toccare Frannie, baciarla,<br />

stare con lei.<br />

Sbatto la testa contro il muro con più violenza.<br />

E d’un tratto devo assolutamente sapere cos’è che rende Frannie così importante, quali sono i piani che hanno per lei. Ma non lo so, né riuscirò a<br />

saperlo. Beherit è paranoico e non fa trapelare niente.<br />

Sbatto la nuca contro il muro un’ultima volta, sperando di ritrovare un po’ di lucidità. Concentrati. Le cose stanno andando bene. Gli altri delle<br />

Acquisizioni non sono stati capaci neanche di trovarla. Io invece sì. <strong>Il</strong> resto del lavoro dovrebbe essere semplice, con o senza Gabriel. È solo un<br />

inconveniente minore. Sembra che la tenga sotto controllo col suo potere, ma non è che possa farci più di tanto senza rischiare di farmi un favore. Però,<br />

l’immagine di lui con lei, in quel modo, si insinua nuovamente nella mia mente e mi si torcono le budella. Passo all’immagine di me… con lei… così… e<br />

dentro mi si muove tutt’altro.<br />

Domani. La farò mia domani.<br />

Trascino in piedi la mia povera persona e mi infilo in bagno, dove resto impalato a fissare la doccia. Com’è che funziona questa roba? Giro un<br />

pomello e in principio dal muro esce acqua fredda, che poi diventa subito calda. È il pomello sbagliato. Lo chiudo e apro l’altro, al massimo. Faccio<br />

svanire i miei vestiti ed entro nella doccia gelata.<br />

Concentrati, Luc.<br />

Frannie<br />

«Perché nella tua famiglia nessuno parla mai di tuo fratello?». Taylor spolvera il vetro della cornice con la manica e rimette la foto sulla cassettiera. È<br />

quella scattata nel garage del nonno, dove io ho la faccia cosparsa di grasso e faccio le orecchie da coniglio a Matt, che finge di colpirmi in testa con la<br />

chiave inglese. Avevamo sette anni. Era una settimana prima che lui morisse.<br />

Mi appoggio allo schienale della sedia e cerco di deglutire per allentare il nodo che mi stringe la gola e minaccia di soffocarmi. «Non c’è molto da<br />

dire. È stato tanto tempo fa».<br />

«Però», dice tornando alla fotografia, «dev’essere dura».<br />

«È uno schifo, va bene? Adesso possiamo parlare di qualcos’altro?».<br />

Alza le sopracciglia, poi una mano: «Scusa».<br />

Respiro profondamente e annuisco. «Scusami tu, Tay. Ma è davvero uno schifo, e davvero non c’è molto da dire. È stato un incidente…». Mentre lo<br />

dico, la mia gola si chiude completamente, inizio a boccheggiare, e dato che vedo il mondo a pallini bianchi sono certa che sto per svenire.<br />

«Dio, Fee». Taylor corre a soccorrermi.<br />

Si inginocchia al mio fianco e io mi aggrappo alla sua spalla. «Sto bene», rantolo.<br />

Balza in piedi: «Vado a chiamare tua mamma».<br />

«No!». Mi afferro le ginocchia sforzandomi di far entrare aria nei polmoni. Scuoto la testa e i pallini scompaiono. «Sto bene, davvero».<br />

«Cos’era quello? Hai qualcosa tipo l’asma? E com’è possibile che io non lo sapessi?».<br />

Ci sono un sacco di cose che non sai di me.<br />

Do un’altra occhiata alla foto di Matt, concentrandomi sull’inspirazione e l’espirazione, poi guardo Taylor e scrollo le spalle. «Scusa». Torno al libro di<br />

matematica che mi aspetta sulla scrivania.<br />

Taylor mi osserva un altro po’. «Sei sicura di star bene?»<br />

«Sì, tutto ok».<br />

Si sdraia sul pavimento della mia stanza e si affaccia sul libro di matematica, mentre mastica la gomma che è attaccata in fondo alla sua matita.


«Allora, come hai fatto ad avere i due ragazzi più strafighi dell’universo come partner sia per la tesina che in laboratorio?».<br />

Nemmeno alzo lo sguardo. «Chissà, forse ho un buon karma».<br />

«E ora ti si buttano addosso. Non lo capisco proprio. Come se tu fossi diventata Paris Hilton».<br />

«Nessuno mi si butta addosso». La prendo in giro, ma in realtà ha ragione. Un po’ mi si buttano addosso, e a essere sincera la cosa non mi dispiace.<br />

Cercando di non mettermi a gongolare, stendo la colla dietro alla foto che ho appena ritagliato da una rivista e mi allungo per attaccarla sopra un<br />

pezzo di muro color mandarino in cima al cassettone. Taylor si alza e pesca una manciata di pennarelli colorati dalla borsa. Si avvicina all’immagine<br />

della Monna <strong>Lisa</strong> che ho appena attaccato e mi rivolge un sorriso allusivo, poi, col blu scuro, scrive sopra all’immagine “Monna <strong>Lisa</strong>”, e sotto aggiunge:<br />

“ha bisogno di fare sesso”.<br />

«La tua stanza è quasi pronta per essere dipinta di nuovo», dice, osservando il collage frutto dei miei sfoghi artistici prima di tornare a sdraiarsi sul<br />

tappeto.<br />

<strong>Il</strong> muro è quasi completamente tappezzato di immagini di ogni tipo: volti, fiori, pezzi d’arredamento, e la maggior parte può vantare qualche commento<br />

a opera di Taylor o Riley. A intervalli di qualche anno facciamo un giro al settore vernici del negozio di bricolage e chiediamo se hanno avanzi di<br />

magazzino che butterebbero via. Qualsiasi cosa ci diano, ce la riportiamo a casa e mettiamo in azione i rulli. L’ultima passata comprendeva arancione<br />

mandarino, bordeaux, rosa confetto, grigio talpa, verde smeraldo e turchese, che ora sono stesi sulle mie pareti e le fanno somigliare a una trapunta, che<br />

a sua volta scompare nascosta dai ritagli. A oggi devono esserci almeno sei strati di carta e pittura.<br />

Torno alla scrivania e al libro di matematica. «Credo che potrei tenerla così. Parto per Los Angeles dopo l’estate e non ho voglia di ritrovarmi in una<br />

stanza spoglia e deprimente quando torno a casa dal college».<br />

«Capisco… e pensi che potresti cedermi uno di quei ragazzi?».<br />

Rispondo secca, senza alzare la testa dal libro: «Tu quale vuoi, Tay?»<br />

«Luc».<br />

«Cosa?»<br />

«Mi hai chiesto quale vorrei. Luc».<br />

Respiro per dissimulare un moto di gelosia. Sapevo che sarebbe successo. «E Marty, che fine ha fatto?»<br />

«È carino, ma se devo scegliere fra lui e Luc… non c’è storia».<br />

«Davvero… e perché?»<br />

«Non lo so. Immagino sia l’alone di mistero. E i piercing», aggiunge giocherellando con l’anello che porta al lato del labbro. «E poi sembra pericoloso,<br />

e a me questo piace. Dà l’idea che potrebbe succedere di tutto quando sei con lui».<br />

«Immagino di sì».<br />

«Ma per qualche misteriosa ragione, credo che tu gli piaccia». Scuote la testa sorridendo, poi infila la mano nella borsa dei libri e tira fuori un<br />

quadrato colorato, reggendolo fra l’indice e il medio. «Ma almeno sapresti cosa farci con lui?». Mi lancia il preservativo, a mo’ di frisbee, che dopo<br />

avermi colpita sulla spalla cade dritto ai miei piedi.<br />

So perfettamente cosa fare con lui. Mi sono esercitata nei miei sogni. «Vabbe’», dico alzando gli occhi al cielo.<br />

Sospira e mi avvisa: «Secondo me faresti meno fatica a farti Gabe».<br />

La porta della mia stanza si apre e mia madre è lì in piedi con due bicchieri di latte, neanche avessimo ancora otto anni. «E chi è Gabe?».<br />

Taylor se la ride sotto ai baffi mentre in un lampo recupero il preservativo e lo faccio sparire nello zaino. «È uno di scuola», dico irrigidendomi sulla<br />

sedia.<br />

Mia madre sorride: «Dovresti invitarlo qui a casa, mi piacerebbe conoscerlo».<br />

Sento un’ondata di calore salirmi al volto e spero di non essere diventata paonazza. «Davvero mamma, è solo un amico».<br />

«E a me piace conoscere i tuoi amici», dice mentre ci porge il latte.<br />

«Ho invitato una persona a studiare qui, domani».<br />

«Oh, una nuova amica?». Si liscia la gonna con le mani.<br />

«Amico. Si chiama Luc». Ignoro la smorfia di Taylor.<br />

«Oh, bene. Non vedo l’ora di conoscerlo». Mamma sorride a Taylor. «Ho i biscotti al cioccolato in forno. Lasciatevi un po’ di latte che ve li porto fra<br />

qualche minuto».<br />

«Grazie», le dico mentre va via chiudendo la porta e lasciandosi alle spalle una sottile scia di gelsomino.<br />

Taylor mi guarda sorniona. «Dovresti invitare anche Gabe e chiedere a tua madre di decidere. Senza dubbio sceglierebbe lui. Ha un aspetto più<br />

rassicurante».<br />

«Così tu puoi prenderti Luc. Troppo comodo».<br />

La verità è che Gabe è decisamente più rassicurante, ma questo non impedisce ai sogni che lo contemplano di andare nella stessa identica direzione<br />

in cui vanno quelli con Luc. Mi sento le guance in fiamme se solo ci penso.<br />

<strong>Il</strong> formicolio che mi attraversa è seguito da un déjà vu che mi stordisce. Abbiamo già avuto conversazioni come questa, e tutte le volte sapevo che alla<br />

fine Taylor si sarebbe presa il ragazzo in questione. Di colpo capisco perché me la sono sempre tenuta così vicina: è la mia rete di sicurezza. Si è<br />

sempre presa i ragazzi perché io glielo permettevo, era quello che volevo. C’è solo un ragazzo che è sfuggito alla sua rete e sì è rivelato un pericolo…<br />

per il mio cuore, perché è di questo che si tratta. Ryan.<br />

Non so cosa sia cambiato, ma stavolta non posso lasciarle campo, con nessuno dei due.<br />

Taylor appoggia la schiena contro il letto, lascia andare un gran sospiro e, come se mi avesse letto nel pensiero, dice: «Quindi è vero che li vuoi tutti e<br />

due».<br />

«Forse». A questa rivelazione un altro fremito mi attraversa. Li voglio e non ho intenzione di darla vinta a Taylor. Nascondo il sorriso che non posso più<br />

contenere con uno sbadiglio.<br />

Mi guarda torva. «Fa’ come ti pare. Ma tieni il preservativo a portata di mano».<br />

<strong>Il</strong> profumino che filtra da sotto la porta mi ha fatto venire l’acquolina in bocca già da qualche minuto quando arriva mia madre con un piatto zeppo di<br />

biscotti fumanti. Taylor e io ce li spazzoliamo e ci trangugiamo dietro il latte in un baleno.<br />

Finiti i compiti di matematica scendiamo di sotto.<br />

«Mamma! Accompagno Taylor a casa», urlo mentre usciamo.<br />

Fa capolino con la testa dalla porta della cucina: «Ok, poi torna subito».<br />

È una serata fresca e io Taylor passeggiamo a braccetto. «Ho sentito Reefer dire a Trevor che torni a cantare coi Roadkill».<br />

Alzo gli occhi al cielo. «Non dovresti credere a tutto quello che senti».<br />

Le sue labbra si allungano in un sorriso malizioso: «Reefer sarebbe la scelta più intelligente, lo sai. Un autentico nerd della chitarra. Ti vuole indietro<br />

perché sa che sei il massimo che può avere».<br />

«Be’, grazie Tay».<br />

«Intendevo in senso positivo», dice ridendo. «Ma, seriamente, lui non ti deluderebbe mai. Pensaci».


La guardo truce. «Non succederà mai. E poi a settembre vado al college, quindi non avrebbe molto senso. Tornare nella band, intendo».<br />

«Quindi sei proprio sicura di andare alla UCLA? Perché fai ancora in tempo a venire alla statale con Riley e me. Non è troppo tardi per cambiare<br />

idea».<br />

Osservo il pezzo di strada che porta alla casa di Taylor. Non ci sono lampioni su questo tratto di Amistad Road, che ora è illuminata soltanto dai faretti<br />

esterni delle abitazioni e dalla luce argentea della luna al primo quarto. «La UCLA ha i migliori corsi del Paese nel campo delle relazioni internazionali. È<br />

stata una fortuna essere ammessa. In più ho una borsa di studio completa. Mi spieghi perché mai ci dovrei rinunciare?»<br />

«Non capisco perché sei convinta di avere il compito di salvare il mondo».<br />

«Se non salviamo noi stessi, chi lo farà per noi? E poi lo sai che non ce la faccio a restare qui».<br />

Sembra ferita. «Perché? Cos’ha questo posto che non va?».<br />

Le cingo la vita con un braccio mentre attraversiamo la strada e saliamo sul marciapiede. <strong>Il</strong> quartiere è silenzioso, fatta eccezione per il cocker spaniel<br />

dei Cooper, Crash, che ha infilato il naso in un buco della recinzione e mentre passiamo si fa prendere dal solito delirio.<br />

«Niente, ma il fatto è che se vado alla statale i miei si aspetteranno che resti a vivere a casa. E poi ci vanno già Mary e Kate. Sai come sono fatta. Ho<br />

bisogno di fare qualcosa di diverso». Costeggiamo una fila di case identiche, che questa sera sono stranamente silenziose.<br />

«Non sei un tipo metropolitano, Fee. Ti mangeranno viva. Io sì che ci sguazzerei, invece», dice giocherellando con le sue ciocche rosa.<br />

«Dovresti venire con me, allora. Sarebbe troppo figo! Tay e Fee alla conquista di LA».<br />

«Già», dice con tono abbattuto, e allora mi dispiace di averlo detto, perché Taylor non ha alternative alla statale. Suo padre è disoccupato da più di un<br />

anno. «Non so più neanche se potrò andare alla statale. Se non ottengo una borsa di studio non credo che ce la farò».<br />

«Be’, puoi comunque venirmi a trovare».<br />

«Sì, forse». Fa un gran sospiro e sistema la borsa dei libri prima che le scivoli di mano. Sento il suo corpo irrigidirsi. «Stanno per pignorarci la casa».<br />

«Cosa?»<br />

«Dobbiamo andarcene».<br />

«Ma di cosa stai parlando?»<br />

«Stiamo cercando un appartamento». Con un gesto rapido della mano si asciuga una lacrima, mentre imbocchiamo la strada di casa.<br />

«Oh, no». Ho il cuore in gola e la stringo forte. «Tay… Cosa posso dire».<br />

«Niente… Solo quale dei due ragazzi hai intenzione di scegliere». Fa un pallido sorriso.<br />

«Gesù, Tay. Abbiamo cose più importanti a cui pensare, non ti sembra?»<br />

«Sì, ma io preferisco pensare a questo. Allora, quale vuoi?»<br />

«Smettila».<br />

«Solo se mi dici un nome. Luc o Gabe?», e mi trascina con sé aggrappata al mio collo, mentre ormai siamo sul vialetto di casa.<br />

«Sei ridicola».<br />

«Nome». Mi strizza la nuca.<br />

«Dai, basta!».<br />

«Nome». Adesso mi sta scuotendo.<br />

«Ve bene! Luc». Non sono sicura se l’ho detto perché voglio davvero lui o solo perché lo vuole anche Taylor.<br />

«Certo che sei stronza. Non mi hai neanche dato il beneficio del dubbio», e mentre lo dice mi sorprende attirandomi in un abbraccio. Accenna a un<br />

sorriso e apre la porta. «Domani mandami un messaggio quando Luc se ne va. Voglio tutti i dettagli», dice con uno sguardo lascivo. Entra in casa e<br />

prima che possa chiudersi la porta alle spalle sento le urla di suo padre in sottofondo.<br />

Resto in piedi davanti alla casa di Taylor per un lungo minuto, immersa nella luce lunare a fissare le stelle che brillano sulla mia testa. A parte Crash,<br />

che abbaia in fondo alla strada, il quartiere sembra davvero troppo silenzioso.<br />

Deve esserci qualcosa che posso fare per aiutarla. Mi sento male al pensiero che lei e la sua famiglia vengano buttati fuori da quella che è casa loro.<br />

Hanno sempre vissuto qui. Magari i membri della nostra chiesa ci possono aiutare, devono pur servire a qualcosa. Ne parlerò a mio padre.<br />

Sto per scendere dal portico quando la porta di casa si spalanca e Trevor schizza fuori e mi finisce addosso, facendomi inciampare nelle scale.<br />

«Gesù, Frannie!», esclama mentre mi afferra per un braccio evitandomi di cadere.<br />

Mi scanso. «C’è un incendio?».<br />

«Scusa», dice, incamminandosi per il vialetto. Lo seguo. «Ma stai bene?».<br />

Si volta sconsolato verso la casa e poi via, allunga il passo per raggiungere la strada. «Sì, è solo che ho bisogno di prendere un po’ d’aria. Credo che<br />

andrò a trovare Riley», e un sorriso tenero gli addolcisce appena il volto.<br />

«Allora, quand’è che lo dite a Tay?».<br />

La tenerezza si tramuta in ansia e mi fulmina con lo sguardo. «Non ci pensare neanche».<br />

«Non sarò certo io a dirglielo. Ma voi dovreste farlo. E vedi di non fare il cazzone con Riley».<br />

Si ferma e mi guarda negli occhi: «Non ne ho nessuna intenzione». <strong>Il</strong> suo sguardo torna ad addolcirsi. Poi fa un smorfia: «Parlando di chi cazzeggia<br />

con chi, cosa stai combinando con Jackson? Non fa che parlare di te tutto il santo giorno. È messo male davvero».<br />

«Io non c’entro. Continuo a dirglielo, di lasciarmi in pace».<br />

«Secondo me mandi segnali contraddittori».<br />

«E quale parte di “sparisci” non sarebbe chiara?»<br />

«La parte in cui andate a fare un giro nello sgabuzzino». Sghignazza e mi dà una pacca sulla spalla.<br />

Touchée. «Facciamo tutti degli errori. Mi aiuti a uscirne viva?»<br />

«Adesso ci penso». Mi squadra e aggiunge: «E Reefer ha qualche speranza di rimettersi con te?».<br />

Mi ritrovo a fare dell’ironia su me stessa. «Purtroppo no».<br />

«Immaginavo. È ancora follemente innamorato, lo sai, no?».<br />

È proprio questo il problema, lui pensa di amarmi. Scrollo le spalle. «Uno di questi giorni si sveglierà e si accorgerà di essere temporaneamente<br />

impazzito».<br />

«Stai spezzando cuori a ripetizione», dice Trevor bonariamente. Mi saluta con la mano e attraversa la strada diretto a casa di Riley.<br />

Ficco le mani in tasca perché si è alzato un venticello freddo e guardo i miei piedi che si trascinano sul marciapiede, sorridendo fra me e me. Forse<br />

Riley ha trovato “quello giusto”, finalmente. Peccato che non vivrà abbastanza per goderselo, visto che Taylor strozzerà entrambi.<br />

Mentre cammino verso casa continuo a chiedermi perché, sotto pressione, io abbia fatto il nome di Luc. Gabe è fantastico, e il solo pensarlo mi<br />

solletica certe zone del corpo che non nominerò. È il sogno di ogni ragazza… e Dio sa in quanti dei miei sogni è già apparso. E sicuramente è la scelta<br />

più assennata, perché Luc, dal canto suo, sembra piuttosto l’incubo di ogni ragazza sana di mente. Oltre al corpo – che ispira certi sogni veramente<br />

imbarazzanti – e al viso, c’è quella sua strana energia tenebrosa. Mi fa una paura infernale, ma allo stesso tempo parla alle mie viscere come un oscuro<br />

canto di sirena, che mi tiene prigioniera e non mi lascia andare. C’è davvero il rischio di perdere il controllo, con lui, e io non sono abituata a lasciarmi<br />

andare. Mai.


Forse è per questo che mi viene un colpo quando volto l’angolo e vedo una Shelby Cobra nera parcheggiata dall’altra parte della strada, a un paio di<br />

portoni da casa mia.<br />

Continuo a camminare e attraverso la carreggiata, con una gran voglia di proseguire fino a raggiungere la Mustang per sbirciare dentro.<br />

Non può essere lui, mi dico. Non avrebbe motivo di essere qui. Sono in preda a un’ossessione, e non va affatto bene. È per questo che quando sono<br />

lucida esco con ragazzi come Tony Riggins, che al massimo mi mostra come funziona la sua calcolatrice scientifica.<br />

Ma non è poi così strano essere ossessionate da un ragazzo mostruosamente bello e con due occhi così misteriosi. Ed è la ragione per cui sono in<br />

piedi nel bel mezzo del mio giardino a fissare una macchina. Scuoto la testa, faccio un respiro profondo e prendo la strada più breve verso la porta,<br />

attraverso il prato umido. Ho un momento di esitazione.<br />

Ma poi mi obbligo ad aprire la porta e mi infilo in casa prima di fare qualcosa di veramente stupido.<br />

Luc<br />

Taylor. C’è Taylor con Frannie. Non Gabriel. Che il Diavolo mi porti, sto diventando paranoico.<br />

Concentrati, Luc.<br />

Scuoto la testa per schiarirmi le idee e faccio per mettere in moto la macchina, quando all’improvviso vengo risucchiato in un vortice spaziotemporale.<br />

Caccio indietro il reflusso che sale assieme al terrore dal fondo del mio stomaco e chiudo gli occhi per contrastare la vertigine. Esistono solo due<br />

creature infernali capaci di convocarmi in questo modo.<br />

Fa che sia Beherit.<br />

Ma quando i miei piedi atterrano con un tonfo sulla pietra liscia e riapro gli occhi, il panico aumenta di una tacca. Non è stato il mio capo a chiamarmi,<br />

come speravo. Sono invece nella reggia di Pandemonium, e vedo di fronte a me l’intricata, nera cesellatura di un trono di ossidiana – il trono di Re<br />

Lucifero – abbarbicato sopra a un alto podio, al centro di un cupo salone a volta. Non c’è nessuno.<br />

Mi guardo intorno per cogliere qualche segno della Sua presenza, ma la luce della moltitudine di candele che fluttuano nella stanza e si riflettono sulle<br />

scure pareti di pietra lucida non rivela alcunché. Sono solo. Resto immobile e mi lascio confortare dall’odore pungente di zolfo. Ma quando il Suo sibilo<br />

giunge come un sussurro al mio orecchio mi viene comunque un colpo.<br />

«L’hai trovata». Non è una domanda.<br />

Di riflesso mi volto, ma dietro di me non c’è nessuno. È allora che lo sento, percepisco il Suo sguardo, mentre si libra alto sopra di me, vicino al soffitto<br />

arcuato. Faccio attenzione a non guardarlo direttamente, ma posso vedere le Sue enormi ali di pipistrello sbattere lentamente mentre scende verso<br />

terra. Cado in ginocchio, a testa china.<br />

<strong>Il</strong> pavimento levigato di ossidiana riflette la Sua immagine: è immenso, la nera pelle squamosa fuma e sembra assorbire la luce circostante per<br />

restituirla attraverso gli occhi felini, che splendono di un verde sinistro nel volto aguzzo. Le Sue corna ritorte, colore del sangue, sono sormontate da una<br />

puntuta corona d’oro. Quando i Suoi artigli toccano terra, ripiega le grandi ali e avanza lento e silenzioso verso di me, come una pantera che si avvicina<br />

alla preda.<br />

«Sì, mio sovrano», rispondo.<br />

«E sei certo che sia colei che cerchiamo?». <strong>Il</strong> suo sibilo insinua il gelo nella mia spina dorsale, a dispetto dei duemila gradi dell’Inferno.<br />

È solo a questo punto, posto di fronte alla domanda diretta, che mi accorgo di non avere nessuna prova evidente che Frannie sia la Prescelta. Ho<br />

sempre fatto totale affidamento sull’istinto, e a oggi non mi ha mai deluso. Non è il caso di iniziare a dubitarne proprio ora.<br />

«Sì, mio sovrano». Reprimo l’urgenza improvvisa di chiedergli perché la voglia così tanto.<br />

Mentre passa a un metro da me sento l’elettricità crepitare nello spazio che ci separa, come una miriade di minuscole saette. Riesco a sentire il Suo<br />

potere, che risveglia il mio.<br />

«Alzati», mi ordina, e non posso che eseguire. Lo guardo salire la lunga scalinata verso il trono e sprofondarvi a sedere, mentre si spoglia delle Sue<br />

sembianze naturali per assumere quelle umane, decisamente in stile Zeus: lunga barba e capelli bianchi, mascella volitiva, tunica rossa che fluttua e<br />

avvolge un corpo possente. Ma gli inquietanti occhi verdi rimangono gli stessi. Me li sento addosso mentre Lui mi esamina.<br />

«Quanto tempo ci vorrà?», tuona dall’alto, e la Sua voce muta assieme alla Sua forma.<br />

«Non molto, mio sovrano». Non c’è nessun bisogno di rivelare che Gabriel si è messo in mezzo e che i tempi si potrebbero allungare.<br />

«Eccellente». Tace per un momento e spero che mi lasci andare, ma invece continua a guardarmi con occhi che sembrano perforare la mia testa<br />

china, accrescendo il mio disagio.<br />

«Lucifer», dice riflessivo. «Penso tu sia sottostimato. Beherit odia riconoscere i meriti altrui, ma io ti ritengo un buon elemento all’interno delle<br />

Acquisizioni».<br />

Fa un’altra pausa e io sono sempre più a disagio. Non capisco dove voglia andare a parare. Infine, si alza e scende teatralmente le scale, la lunga<br />

tunica che si snoda alle Sue spalle come una scia rossa – tutta scena, visto che se volesse potrebbe arrivare giù in un batter d’occhio – e mi si ferma<br />

davanti. <strong>Il</strong> Male irradia a ondate dalla Sua persona, affollandomi la mente di idee oscure e annebbiando la mia capacità di pensare autonomamente.<br />

«Guardami, Lucifer».<br />

Anche se volessi, non potrei disobbedire. Alzo la testa e incontro l’abisso verde dei Suoi occhi, cercando di non farmi spazzare via dal flusso di<br />

energia che mi investe mentre mi scruta dentro.<br />

Un ghigno atroce prende forma sul Suo volto: «Sì. È come pensavo». Mi volta la schiena.<br />

Le gambe non mi reggono e sono così instabile che quando mi lascia andare rischio di cadere.<br />

«Ho bisogno di carne fresca per il Gran Consiglio, Lucifer. È un incentivo che potrebbe motivarti a ottenere un posto nel mio Gran Consiglio? Magari<br />

come capo delle Acquisizioni?».<br />

È difficile mantenere la calma e un volto privo di espressione mentre elaboro questa informazione: mi sta offrendo il lavoro del mio capo. È<br />

esattamente quello che volevo, ciò che vorrebbe qualsiasi creatura generata dalla superbia. Quindi, perché ora mi prende il terrore all’idea di entrare a<br />

far parte del Gran Consiglio ed essere costantemente sotto al Suo sguardo vigile? No!<br />

«Sì, mio sovrano».<br />

«Allora questa sarà la tua ricompensa, quando la porterai da me». Camminando traccia un ampio cerchio e si ferma alle mie spalle. D’un tratto<br />

sembra stanco. «Hai idea di cosa significhi essere sempre secondo?».<br />

A questo non c’è risposta, né Lui se ne aspetta una. Resto immobile come un sasso e attendo che arrivi al punto.<br />

«Fin dall’Inizio dei Tempi, il Creatore ha avuto tutto il potere nelle sue mani». Mi si drizzano i capelli in testa mentre il Suo potere affluisce e il<br />

crescendo della Sua voce preannuncia l’esplosione finale. Continua a camminare in cerchio finché mi si para davanti. La collera gli arcua le sopracciglia<br />

bianche. «Ora tocca a me. Questa è la mia occasione. Sarò finalmente libero dal Suo giogo. Non dovremo più sottostare alle sue regole. Avrò<br />

finalmente il posto che mi spetta!». <strong>Il</strong> pavimento trema per il fragore della sua voce, e uno dei tanti gargoyle di marmo bianco che circondano il podio<br />

precipita al suolo con uno schianto.


Sarebbe tanto inutile quanto pericoloso ricordargli che ci sono validi motivi per cui all’Inizio dei Tempi Lui ha accettato le regole dell’Onnipotente.<br />

Quando erano ancora sani di mente, Lui e l’Onnipotente erano d’accordo sul fatto che l’universo dovesse avere un suo equilibrio. Senza la speranza del<br />

Paradiso e la minaccia dell’Inferno, l’umanità affonderebbe negli abissi della depravazione, dove si autodistruggerebbe, rendendo inutili entrambe le<br />

parti. Purtroppo, la lucidità di Re Lucifero ha iniziato a vacillare già prima che io venissi al mondo.<br />

I Suoi occhi verdi virano al nero e, al culmine dell’ira, la Sua vera sembianza danza pericolosamente vicina alla superficie, apparendo e scomparendo<br />

come un miraggio attraverso il guscio umano. Traccia un altro cerchio. «Legala al più presto. Gli altri», dice caricando la parola di disprezzo, «verranno a<br />

cercarla. Ho bisogno di lei, Lucifer. Non deludermi».<br />

Gli altri sono già arrivati, nelle sembianze di Gabriel.<br />

Si gira sventolando lo strascico rosso e mi trovo di nuovo catapultato sulle montagne russe che mi riportano indietro.<br />

Sono fermo nella mia macchina, in attesa che la vertigine passi. Quando mi ricordo dove sono, mi volto giusto in tempo per vedere una finestra che si<br />

illumina al primo piano della casa di Frannie. Poco dopo la vedo scostare le tende e fare capolino per guardare fuori, verso di me. Poi tira le tende e<br />

torna a scomparire dalla mia vista.<br />

Una volta riacquistate pienamente le mie facoltà motorie, accendo la macchina e lascio il quartiere di Frannie, certo che presto lei apparterrà<br />

all’Inferno. Non fallirò. Per un attimo mi chiedo cosa abbia combinato il mio capo perché il Re sia così incazzato da volerlo rimpiazzare, ma poi scuoto la<br />

testa e mi dico che per ora non sono affari miei. Una cosa per volta. E, al momento, Frannie è al primo posto.<br />

Domani.


Capitolo 6<br />

Come una palla di neve all’Inferno<br />

Luc<br />

Dopo il “meeting” di ieri sera con il mio sovrano, ho fatto una gran fatica ad aspettare le due del pomeriggio, orario del mio appuntamento di studio<br />

con Frannie.<br />

Sono elettrico, e il mio intero corpo vibra d’impazienza. Perché oggi è il grande giorno. Oggi legherò la sua anima.<br />

Quando parcheggio davanti a casa sua ho le mani sudate. Nelle mie sembianze naturali emetto vapore, ma in forma umana non ricordo di aver mai<br />

sudato prima d’ora. Non capisco bene cosa stia succedendo. Decido di infischiarmene, mi asciugo i palmi sui jeans e suono il campanello. E sono…<br />

ansioso, pare, perché sento qualcosa che va oltre l’eccitazione della caccia. Mi accorgo che mi è mancata, e non vedo l’ora di vederla.<br />

Finalmente la porta si apre e io sorrido, certo di trovarmi davanti Frannie, invece sulla soglia c’è un uomo. È più basso di me, ha i capelli castani<br />

ordinatamente pettinati all’indietro, una camicia blu pulita e abbottonata fino al colletto e la cravatta verde. Quando sorride, sul suo volto riconosco i tratti<br />

di Frannie. Prima di rendermene conto gli sto porgendo la mano. Lui me la stringe. «Salve…», dice, ma subito la ritira e il resto della frase non arriverà<br />

mai. I suoi occhi castani si assottigliano e il volto si irrigidisce.<br />

«Ehm… Salve», dico alla fine, maledicendomi per la mia disattenzione. Frannie mi fa questo effetto, mi annebbia la mente. Devo ricominciare a usare<br />

la testa.<br />

«Tu devi essere Luc», dice l’uomo con diffidenza.<br />

«Sì, signore». Esercito un po’ del mio potere, appena il necessario per appianare le cose, ma il suo volto rimane circospetto. Non funziona.<br />

Ci riprovo, questa volta senza fare sconti.<br />

Niente.<br />

Un mortale immune alle mie arti occulte? È una cosa molto rara. Non va bene. Provo a dargli un’occhiata dentro e… non vedo niente. Non capisco<br />

neanche se è legato al Paradiso.<br />

«Vado a dire a Frannie che sei qui». Se ne va, lasciandomi fuori dalla porta. Prendo in considerazione l’idea di montare in macchina e andare via, ma<br />

poi sulla soglia appare Frannie.<br />

È rossa in volto e le brillano gli occhi. Ha i capelli raccolti, ma qualche ciocca dorata è sfuggita all’acconciatura e le incornicia il volto. I jeans scoloriti e<br />

la canotta le aderiscono al corpo abbastanza da rendere le sue curve stuzzicanti, ma senza essere attillati. Per tutti i diavoli, è bellissima.<br />

«Ehi», esordisce con un cenno delle sopracciglia. «Non posso credere che mio padre ti abbia lasciato qua fuori».<br />

Io ci credo. Mi sono lanciato come una palla di neve all’Inferno. «Sì… be’… temo di non avergli fatto un’ottima impressione», dico incerto.<br />

A sorpresa, si apre in un sorriso ed esclama: «Ma davvero?». Poi mi sorprende una seconda volta, afferrando la mia mano per tirarmi dentro. D’istinto<br />

faccio per ritrarmi, ma lei non mi lascia andare. E le sorprese continuano, perché la mia reazione alla stretta della sua mano è viscerale.<br />

La seguo in salotto, dove c’è una ragazza spaparanzata sul divano. Appena ci vede si ricompone, e mi squadra da capo a piedi con gli occhi castani.<br />

Un’altra ragazza, più giovane, con lunghi capelli scuri, è sdraiata sul tappeto peloso e ci dà la schiena, intenta sul tabellone dello Scarabeo appoggiato a<br />

un basso tavolino da caffè.<br />

Mi guardo intorno. È una stanza confortevole, ma un po’ anonima. Ci sono tre poltrone imbottite sparse fra la TV e il caminetto, vuote. Una grande<br />

stampa de L’ultima cena di Leonardo da Vinci, incorniciata in oro, occupa buona parte del muro sopra al divano. <strong>Il</strong> resto delle pareti è coperto da<br />

dozzine di foto: ragazzine che sorridono, dappertutto. Le tende color caramello della finestra che dà sulla strada sono tirate, lasciando in vista la grande<br />

quercia sotto alla quale ho parcheggiato.<br />

History Channel blatera a tutto volume qualcosa su Cesare da una TV che nessuno sta guardando. Frannie prende il telecomando dal bracciolo di una<br />

poltrona e la spegne. La ragazza sul divano alza gli occhi al cielo: «Grazie a Dio».<br />

«Sai una cosa, Kate? Se tu stessi zitta e guardassi magari impareresti qualcosa», dice Frannie. «Dì alla mamma che andiamo su a studiare, ok?».<br />

La ragazza sul pavimento si gira e ci guarda, rivelando due lucenti occhi blu. «Ma non ci presenti neanche?».<br />

Frannie alza gli occhi al cielo una seconda volta: «Va bene… Luc, questa è Maggie e quella è Kate», dice indicando prima il pavimento e poi il divano.<br />

«Ciao», dico io accendendo lo charme. Mi avvicino al tavolino da caffè e mi piego sul tabellone dello Scarabeo. «Non credo che questa sia una<br />

parola», dico a Maggie, «ma se fai così…». Risistemo le lettere sul tabellone e ne aggiungo due prendendole dal piccolo leggio, «…sono ventotto punti»<br />

.<br />

Maggie mi guarda stupefatta con quegli occhi di zaffiro e mi ringrazia, quasi senza fiato.<br />

Kate sospira e sorride, raccogliendosi i capelli sulla nuca alla stessa maniera di Frannie. «Ehi».<br />

«Bene», interviene Frannie, «noi siamo di sopra».<br />

Arriviamo a metà delle scale quando sento qualcuno esclamare: «Oh mio Dio!», e un coro di risatine salire dal salotto. Prima che riusciamo ad<br />

arrivare alla stanza di Frannie una voce femminile chiama con urgenza dal piano di sotto: «Frannie?»<br />

«Sì, mamma?».<br />

In fondo alle scale vedo una donna minuta, vestita in modo impeccabile. Camicetta bianca e gonna blu al ginocchio, capelli corti color sabbia, ben<br />

pettinati, e occhi di zaffiro, vagamente preoccupati. Con le mani strizza nervosamente i lembi del suo grembiule bianco. <strong>Il</strong> padre di Frannie è in piedi al<br />

suo fianco e mi guarda con ostilità. Tento nuovamente un’indagine su di lui, ma è come se fosse schermato. Perché mai il Paradiso dovrebbe<br />

schermare il padre di Frannie?<br />

La madre fa un passo avanti e si appoggia al corrimano. «Perché tu e il tuo amico non venite a studiare sul tavolo in cucina? Io ho finito di sistemare e<br />

avreste tutto il posto che vi serve».<br />

Frannie non sembra al settimo cielo, ma risponde: «Uhm, certo». Mi guarda, fa spallucce, poi scende al pian terreno.<br />

Frannie<br />

Avete presente quei telefilm ambientati negli anni Cinquanta, tipo Happy days, dove le mamme fanno i lavori di casa con i tacchi alti e perfettamente<br />

truccate? Be’, questa è la mia vita. Non abbiamo niente da invidiare ai Cunningham. Tranne Fonzie, naturalmente.


Nei dieci anni successivi alla morte di mio fratello, non ho mai visto mia madre perdere la calma, per nessun motivo. Come se fosse diventata<br />

completamente insensibile e la sua massima aspirazione fosse trascorrere la vita canticchiando mentre passa l’aspirapolvere. A volte mi fa venire voglia<br />

di fare qualcosa di trasgressivo, giusto per vedere se riesco a provocarle una reazione, per svegliarla. Ma forse lei non vuole essere svegliata. Sarebbe<br />

troppo dura.<br />

L’unica volta che l’ho vista vicina a cedere è stato due anni fa, il giorno in cui hanno telefonato dalla scuola parrocchiale St. Agnes per comunicare che<br />

mi avevano espulsa per motivi disciplinari. Ho avuto l’impressione che la sua mascella si serrasse lievemente, e i suoi occhi blu si erano fatti lucidi<br />

mentre Suor Maria le spiegava come disturbavo le lezioni. Però, riappesa la cornetta si era lisciata i capelli – casomai lo spostamento millimetrico e<br />

temporaneo della sua mascella ne avesse minacciato la perfezione – e poi la gonna, e infine aveva detto con un sorriso: «In settimana dovremo iscriverti<br />

alla Haden High School».<br />

Per questo, tutto questo trambusto per farci studiare in cucina mi sembra un po’ strano. Non sarebbe la prima volta che porto un ragazzo nella mia<br />

stanza e non è mai stato un problema. Persino con Reefer. Temo che Luc fosse serio quando ha detto di non aver fatto una buona impressione.<br />

Siamo seduti al tavolo in cucina e mio padre continua a vagare nei pressi della porta, sbirciando dentro ogni tre secondi. È troppo imbarazzante. Ma<br />

perché ha deciso di coprirmi di ridicolo proprio oggi? Vai via.<br />

Sfoglio il quaderno e lo apro a una pagina nuova. «Su cosa dobbiamo concentrarci per questo riassunto? Su Ma e Tom?». Mio padre passa<br />

casualmente per l’ennesima volta, sul volto di Luc appare un’espressione frustrata e io vorrei scomparire.<br />

Vattene, papà.<br />

Ma ecco che Luc abbozza un sorriso e risponde: «Per me va bene». Poi alza un po’ la voce e aggiunge: «Ha qualche suggerimento, Signor<br />

Cavanaugh?».<br />

Colto sul fatto, mio padre sbuca da dietro l’angolo. Mi guarda, facendomi un cenno col capo, e se ne va, ma prima riserva a Luc uno sguardo duro che<br />

non ricordo di avergli mai visto.<br />

«Ma cos’è successo?».<br />

Lui fa la faccia di chi cade dalle nuvole.<br />

Scuoto la testa e comincio a scrivere.<br />

Nel giro di poco è mia sorella Grace che entra in cucina per prendere qualcosa nel frigo. Sono sorpresa perché è raro che si avventuri fuori dalla<br />

stanza che divide con Maggie, motivo per il quale Maggie, invece, non ci sta mai. Grace prende una coca, la apre, e mentre beve ci fissa da sotto alla<br />

sua frangetta bionda. Ha uno sguardo abbastanza inquietante con quegli occhi blu: sembra che ti possa vedere dentro. È sempre stata così.<br />

«Hai bisogno di qualcosa, Grace?». Le chiedo perentoriamente quando comincia a esagerare.<br />

«No». Ma non se ne va. Beve la sua coca e ci fissa.<br />

Cerco di ignorarla, ma è impossibile. «Sai com’è, stiamo cercando di studiare…».<br />

Si appoggia al frigo, nel chiaro intento di restare lì.<br />

«Fate pure».<br />

La fulmino con lo sguardo. «Sarebbe più semplice se tu te ne andassi».<br />

«Vabbe’». Se ne va strascicando i piedi, e per l’intero tragitto dal frigo alla porta non smette di fissare Luc.<br />

«Scusa per mia sorella. È solo un po’…».<br />

«Intensa?». Luc la segue con lo sguardo mentre se ne va.<br />

Sorrido. «Non è il termine che avrei usato, ma può andare».<br />

Finito con lo studio vorrei invitarlo a salire nella mia stanza per sentire gli ultimi pezzi dei Fray che ho scaricato, ma immagino che significherebbe<br />

sfidare la sorte.<br />

Poi ci ripenso. Del resto, sfidare la sorte è la mia specialità.<br />

Mi dirigo verso la porta della cucina e quando lui mi raggiunge lo prendo per mano e lo conduco su per le scale.<br />

Sembra stupito quando lo porto nella mia camera e mi chiudo dietro la porta.<br />

«Davvero non hai idea di cosa sia successo?», chiedo mentre mi metto a sedere sul letto. «Perché non ho mai visto i miei così».<br />

«Non saprei».<br />

Incrocio le gambe e mi appoggio al muro. «Be’, è stato davvero strano. Si sono trasformati tutti in alieni».<br />

Osserva la mia stanza e fa un sorriso divertito: «Come in L’invasione degli ultracorpi…», poi tornando serio mi guarda. «Potrebbe anche succedere».<br />

Torna a occuparsi delle pareti e fa il giro della stanza. «Che carta da parati originale», dice fermandosi a leggere i commenti di Riley e Taylor. Quando<br />

arriva a Monna <strong>Lisa</strong> fa una risata strana e biascica: «Già fatto, senza pietà».<br />

«Come dici?».<br />

Mi guarda un attimo. «Niente, niente».<br />

Allora mi ricordo cos’ha scritto Taylor sotto alla foto: “Monna <strong>Lisa</strong> ha bisogno di fare sesso”.<br />

Arriva al cassettone e prende in mano una foto incorniciata. La osserva a lungo, poi punta il dito sul vetro e chiede: «Chi sono questi?»<br />

«Io e mio fratello». Guardo fuori, verso le nubi minacciose che si stanno avvicinando all’orizzonte.<br />

Sembra sorpreso: «Tuo fratello?»<br />

«È morto», dico con tono monocorde.<br />

«Quando?».<br />

Nei suoi occhi vedo una partecipazione che non merito. Mi si rivolta lo stomaco e la gola mi si stringe. Non voglio avere questa conversazione.<br />

«Dieci anni fa». Tiro fuori il libro di educazione civica dallo zaino.<br />

«Mi dispiace».<br />

Sfoglio il libro a caso, facendo finta di cercare una pagina, e tento disperatamente di trattenere le lacrime.<br />

Luc si siede alla mia scrivania. «Ti va di parlarne?».<br />

Dio, no. «Ne farei a meno». Schizzo in piedi. «Ho scaricato dei pezzi fighissimi», dico, sperando che non si accorga che ho la voce spezzata. Afferro<br />

l’iPod da sopra al cassettone e lo collego alle casse. «Cosa vuoi sentire?»<br />

«Dipende. Che cos’hai?»<br />

Respiro profondamente, e la mia cassa toracica sembra allentarsi un po’. «The Fray, al primo posto», dico sorridendogli, «ma ho anche i pezzi nuovi<br />

dei Saving Abel e dei Three Days Grace».<br />

«Metti lo shuffle. Mi piacciono le sorprese». Fa un sorriso ironico e il mio cuore perde qualche colpo.<br />

Clicco play, ma la musica non la sento più, perché Luc si è alzato e si sta avvicinando. Non so cosa leggere nel suo sguardo, qualcosa di seduttivo e<br />

pericoloso. Quando gli appare quel sorriso insinuante, il formicolio che sento nella pancia esplode e mi riempie tutto il corpo, lasciandomi senza fiato.<br />

Ma proprio nel momento in cui lui mi raggiunge la porta si spalanca.<br />

E mia madre è lì in piedi, che ci incenerisce con gli occhi.<br />

Merda. Mi sciolgo i capelli per nascondere il volto, sperando che non si accorga che sono rossa come un peperone, e mi volto verso di lei. «Ehi,


mamma».<br />

«Ho bisogno di parlarti, Frannie», dice senza quasi muovere la mascella. «In corridoio», aggiunge quando vede che non accenno a muovermi.<br />

Mi giro verso Luc e sgrano gli occhi per mimare scherzosamente una faccia terrorizzata.<br />

Lui rischia di strozzarsi per trattenere le risa, e inizia a tossire.<br />

Esco in corridoio chiudendo la porta. «Cosa c’è?»<br />

«Pensavo che fossimo d’accordo».<br />

«Su cosa?»<br />

«Non lo voglio nella tua stanza», dice a bassa voce, ma con decisione.<br />

«E se tenessimo la porta aperta?». Ti prego fallo restare.<br />

Mi guarda per un minuto buono.<br />

«Con la porta aperta», dice alla fine, «e solo per un po’».<br />

Mi sforzo di non sorridere platealmente. Per oggi ho sfidato la sorte abbastanza. «Grazie», dico aprendo la porta.<br />

Mi guarda un’ultima volta, poi guarda Luc e infine si avvia verso le scale.<br />

Entro nella stanza e Luc ha il mio iPod in mano. «Qua dentro c’è di tutto. Jimi Hendrix, Mozart, Nickelback».<br />

Mi guardo le unghie e grugnisco annuendo, imbarazzata.<br />

Lui rimette a posto l’iPod. «Allora, visto che non mi hanno ancora preso per le orecchie e buttato fuori, immagino tu abbia negoziato una tregua».<br />

Si avvicina lentamente e il mio stomaco ricomincia ad avere reazioni inconsulte.<br />

«Pare di sì. Gli ho concesso la porta aperta», dico con voce malferma, indicando il corridoio.<br />

«Mmm…». Si ferma di fronte a me – troppo vicino – e accennando al corridoio, dove le mie sorelle scorrazzano sghignazzando, dice: «Che immagino<br />

sia un modo elegante per limitare il nostro contatto fisico». Con un dito mi accarezza il volto, disegnando la linea della mascella.<br />

Di colpo il mio cuore impazzisce. Mi tremano le gambe e non mi sento più le mani. «Eh già…». Afferro il libro di educazione civica. «Hai già fatto i<br />

compiti che ci ha dato il professor Runyon?».<br />

Abbozza un sorriso. «No».<br />

Prendo un quaderno dallo zaino e mi sdraio sul tappeto. Lui si siede accanto a me e appoggia la schiena al letto. Mentre facciamo i compiti cerco di<br />

ignorare le mie sorelle, che a turno vengono a spiarci.<br />

Quando abbiamo finito, lo accompagno alla macchina.<br />

«Allora, ci vediamo lunedì».<br />

«A lunedì», dice montando in macchina.<br />

Mi appoggio al finestrino e la musica che ascolta mi sorprende. «Cosa ascolti?»<br />

«Vivaldi».<br />

«Davvero?».<br />

Sorride e si avvicina. «Sono un tipo pieno di sorprese».<br />

<strong>Il</strong> cuore mi schizza in gola e rispondo con un sorriso tremolante: «Non ne dubito».<br />

Alza un sopracciglio. «Divertiti domani in chiesa».<br />

«Sì…».<br />

Mette in moto, ma io sono ancora appoggiata al finestrino. Mi fissa. Io mi avvicino di più, abbastanza per sentire il suo calore. Anche lui si avvicina, e il<br />

mio cuore diventa un animale selvaggio tenuto in ostaggio dal mio sterno.<br />

A quel punto la porta di casa si apre e i miei genitori sono lì, sotto al portico, che ci fissano. Faccio un respiro profondo, recupero la facoltà di<br />

intendere e di volere poi, buttando fuori l’aria con un moto di frustrazione, mi raddrizzo.<br />

Luc fa una faccia divertita, mandando il mio cuore a cento all’ora un’altra volta. «Ci vediamo», dice salutandomi con la mano. Lo guardo uscire dal<br />

vialetto e allontanarsi lentamente fino al fondo della mia strada, finché vedo sparire le sue luci posteriori dietro l’angolo. Quando mi volto per rientrare i<br />

miei genitori sono ancora sulla porta.<br />

«Dio santo! Ma cosa vi è preso?». Dico esasperata, marciando verso di loro come una furia.<br />

«Modera il linguaggio, Frannie».<br />

Sbuffo e controbatto: «Sì, vabbe’. Allora, che problema avete?».<br />

Mio padre mi guarda con occhi preoccupati: «Non hai…», vorrebbe andare avanti ma arrossisce e s’impappina.<br />

«Cosa?».<br />

Mia madre mi prende la mano e mi conduce nel salotto vuoto. Le mie sorelle sono in cima alle scale, le sento battibeccare per accaparrarsi il miglior<br />

angolo d’ascolto.<br />

«Non sei coinvolta sentimentalmente con quel ragazzo, vero?»<br />

«Cioè vuoi sapere se usciamo insieme?»<br />

«Sì».<br />

«No. È il mio partner per la tesina d’inglese». E l’oggetto delle mie fantasie.<br />

«Crediamo che non dovresti passare con lui più tempo di quanto non sia strettamente necessario».<br />

«Perché?»<br />

«Siamo preoccupati, Frannie. C’è qualcosa che non va in lui».<br />

«Addirittura! Cos’è, sono i piercing?»<br />

«No, è qualcosa nella sua… vibrazione».<br />

«Non vi piace la sua vibrazione?».<br />

Sento Kate e Maggie sghignazzare.<br />

«Devi fidarti di noi, Frannie, per favore. Non credo sia il tipo di persona che dovresti frequentare».<br />

«Chi siete e cosa avete fatto ai miei genitori?».<br />

Mamma sorride, rendendosi conto di quanto le sue affermazioni possano sembrare assurde, e mi abbraccia. «Ci prendiamo cura delle nostre<br />

ragazze, tutto qua».<br />

Ed ecco finalmente svelato come ottenere una reazione da mia madre. Ma in realtà non dovrei essere sorpresa, perché Luc ha decisamente una<br />

strana vibrazione. Diciamo che non è il miglior candidato a diventare l’idolo dei genitori di una ragazza.


Capitolo 7<br />

Demoni personali<br />

Frannie<br />

Da quando è andato via ieri pomeriggio non ho fatto altro che pensare a Luc. Temo che stia diventando un’ossessione. Lo sguardo nei suoi occhi…<br />

Nessuno mi aveva mai guardata così, prima d’ora. Un desiderio quasi doloroso mi si risveglia nel basso ventre al solo pensarci. Guardo mia madre,<br />

seduta nella monovolume di famiglia. Se non fosse entrata in camera interrompendoci, non so che cosa sarebbe potuto succedere.<br />

Mi siedo dietro di lei, tiro fuori l’iPod e guardo dal finestrino per l’intero tragitto verso la chiesa, sperando di veder passare una Shelby Cobra nera.<br />

Invece, la prima cosa che vedo quando arriviamo nel parcheggio è la Mustang blu del nonno, baciata dal sole e con la cappotta abbassata, pronta per un<br />

giro.<br />

Mi scappa un gridolino.<br />

Mia madre sorride: «A quanto pare oggi andrai a casa del nonno in grande stile».<br />

«Non capisco perché ti agiti tanto. È solo una macchina vecchia. Chi vorrebbe mai quella lì al posto di una nuova?», dice Grace, col suo solito<br />

pragmatismo.<br />

«<strong>Il</strong> nonno e io», rispondo secca.<br />

Lei mi guarda come se fossi pazza.<br />

Durante la messa il nonno non sta fermo un attimo. Per evitare di imitarlo, mi concentro su Grace, inginocchiata sulla panca col suo rosario. Quando<br />

Matt è morto, ha avuto la reazione opposta alla mia e si è affidata a Dio come se Lui potesse aggiustare le cose… o addirittura cambiarle. È sempre<br />

stata troppo fiduciosa. Una credulona, per essere precisi.<br />

Pregare non serve. Ci ho già provato.<br />

Guardo il nonno e ricordo l’ultima volta che mi sono messa in ginocchio a pregare. È stato tre anni fa, quando mi sono svegliata in un tardo sabato<br />

mattina con la testa squarciata da una specie di fulmine. E quello che ho visto, proiettato sullo schermo delle mie palpebre chiuse per il dolore, era la<br />

nonna che giaceva faccia a terra nel suo giardino, in una pozza di sangue. Le ho telefonato, ma non ha risposto nessuno. Ho chiesto a mia madre di<br />

andare da lei, per controllare che stesse bene, ma non mi ha presa sul serio. Non potevo dirle perché ero così preoccupata – sembrava una cosa da<br />

pazzi – così ero tornata nella mia stanza e avevo pregato.<br />

Quella sera, quando il nonno era tornato a casa dalla sua giornata di pesca, aveva trovato la nonna in giardino, dove era caduta dalla scala che usava<br />

per potare infilzandosi con le cesoie.<br />

È stato allora che ho capito: Dio non esiste.<br />

Alla fine di una messa che sembrava infinita, il nonno schizza su dalla panca. «Sei pronta per fare un giro?»<br />

«È un anno che sono pronta».<br />

«Andiamo!».<br />

Si fa strada fuori dalla chiesa, e io lo seguo a ruota.<br />

Quando arriviamo alla macchina apre lo sportello del guidatore e mi porge le chiavi.<br />

«Nooo! Davvero mi fai guidare?».<br />

Sorride: «Te lo sei guadagnato».<br />

Salto a bordo, giro la chiave e il motore prende vita rombando. La radio suona a tutto volume Sympathy for the Devil dei Rolling Stones e io alzo<br />

ancora. «Troppo bello». Mentre afferro il volante sorrido così tanto che mi fanno male le guance.<br />

Gli occhi blu del nonno mi invitano a partire.<br />

Sistemo il sedile e gli specchietti, ingrano la prima e pian piano esco dal parcheggio. Raggiunta la strada principale, lontani dalla folla, il nonno mi<br />

incita: «Dalle un po’ di gas. Vediamo cosa sa fare».<br />

Schiaccio il pedale dell’acceleratore e in un attimo arrivo alla quinta, col vento fra i capelli e il sole tiepido del mattino sulla pelle. «Va come un treno!»,<br />

urlo cercando di sovrastare il motore, la radio e il vento.<br />

Lo guardo un attimo e non mi sfugge la sua espressione d’orgoglio. «Hai fatto un ottimo lavoro».<br />

«Nonno?»<br />

«Sì?»<br />

«Se il Diavolo avesse una macchina, che macchina sarebbe?».<br />

La malizia nei suoi occhi è inequivocabile. «Una Shelby Cobra nera GT 500».<br />

Faccio un salto. «Di che anno?»<br />

«’67».<br />

Vicino.<br />

Parcheggiamo nel vialetto di casa sua. «Lasciala fuori», mi dice. «Più tardi la portiamo a fare un altro giro».<br />

«Allora, qual è la prossima? Un’altra Mustang?»<br />

«È probabile. Stavo proprio pensando a una Shelby del ’67. Vieni qua, ti voglio far vedere una cosa», dice mentre apre la porta di casa. Attraversiamo<br />

il piccolo salotto e passando fra il vecchio divano e il tavolino da caffè assaporo l’aroma di tabacco da pipa. In camera, il nonno prende dal comò una<br />

cornice di legno e me la porge. «La nonna ti ha mai fatto vedere questa foto?»<br />

«No», dico prendendola. La guardo e vedo una giovane coppia. Lui ha i capelli scuri e gli occhi color del cielo, indossa jeans e maglietta neri. Ha il<br />

braccio intorno alla vita della ragazza, che porta pantaloni al ginocchio e un top rosso senza maniche, coi capelli color sabbia mossi dal vento. Ed è<br />

seduta sul cofano di una Shelby Cobra GT 500 del ’67, nera.<br />

«Quello è il giorno in cui ho chiesto a tua nonna di sposarmi, l’estate dopo la fine delle superiori».<br />

«Wow. Eravate giovani».<br />

«Eh, le cose erano diverse allora, ma io credo ancora che se una cosa è giusta lo sai e basta».<br />

Fisso la foto. <strong>Il</strong> nonno tiene la nonna stretta stretta, come se da quell’abbraccio dipendesse la sua stessa vita. Lei si appoggia a lui, con un bagliore<br />

negli occhi di zaffiro e l’accenno di un sorriso malizioso sulle labbra. «Sembra felice».


Un sorriso storto appare sul suo volto. «Eravamo felici. Ero un casinista allora, e suo padre era convinto che fossi il diavolo in persona. Una volta ha<br />

provato a mandarmi via col fucile». Ride. «Come se bastasse a mettere in fuga il Diavolo».<br />

«Come hai fatto a fargli cambiare idea?»<br />

«Non so se sia mai successo. Ma non gli ci è voluto molto a capire che amavo davvero sua figlia. E ho sempre cercato di essere buono con lei, quindi<br />

dopo un po’ immagino si sia arreso. Sapeva di non avere alternative».<br />

Do un’ultima occhiata alla foto e la rimetto sul comò. Indico la macchina e dico: «Ho… un amico che guida una Shelby Cobra del ’68».<br />

<strong>Il</strong> nonno diventa serio e aggrotta le sopracciglia. «Che genere di amico?».<br />

Per quanto mi impegni, non riesco a evitare che mi si stampi sulla faccia un sorriso beota. «Non lo so ancora».<br />

Sembra aver capito tutto, perché mi avverte: «Frannie… Lo sai che i ragazzi della tua età sono in cerca di un’unica cosa, vero?»<br />

«Nonno!».<br />

«È così che vanno le cose. Non lasciare che nessuno ti spinga a fare… lo sai…».<br />

«So come badare a me stessa».<br />

<strong>Il</strong> suo volto rimane contratto, ma i suoi occhi si addolciscono un po’. «Ne sono certo. I tuoi genitori l’hanno già conosciuto?»<br />

«Sì», dico esitando. «E li ha mandati fuori di testa».<br />

<strong>Il</strong> volto rimane severo, ma gli occhi si addolciscono e al nonno scappa un sorriso. «Se no a cosa servono i genitori?». Poi alza un sopracciglio e<br />

aggiunge: «Chiunque guidi una Shelby del ’68 non può essere del tutto cattivo».<br />

Gli butto le braccia al collo. «Grazie, nonno. Ti voglio bene».<br />

«Anch’io te ne voglio, Frannie».<br />

Quando il nonno mi riporta a casa, trovo qualcuno ad aspettarmi. Apro la porta e davanti mi vedo Grace, a braccia conserte. Ha la bocca contratta e<br />

mi fissa coi suoi intensi occhi azzurri. «Vieni con me, dobbiamo parlare».<br />

«Cosa c’è adesso?».<br />

Mi afferra per il braccio e tira. «Andiamo di sopra».<br />

Mi lascio trascinare su per le scale, fino alla mia camera. Mi avvicino alla finestra e lei chiude la porta.<br />

«So che trascuri le Letture», attacca col suo tono pratico, «ma nella Prima Lettera di Pietro, capitolo 5 versetto 8, è scritto: “Siate sobri, vigilanti! <strong>Il</strong><br />

vostro nemico, il Diavolo, va in giro come un leone ruggente, cercando qualcuno da divorare”. Satana mette in pericolo i deboli, Frannie».<br />

Abbandono la finestra e mi giro verso di lei: «Ma di cosa diavolo stai parlando?».<br />

Mi inchioda col suo sguardo severo: «Sai perfettamente di chi sto parlando».<br />

Accuso il colpo e mi si annoda lo stomaco.<br />

«C’è qualcosa di… oscuro in lui», aggiunge.<br />

Le lancio un’occhiata feroce: «Tu sei malata di mente, Grace. Esci dalla mia stanza».<br />

Uscendo mi guarda arcigna: «Pregherò per te».<br />

«Fuori!», le abbaio dietro.<br />

Chiude la porta e io mi butto sul letto. Atterro su qualcosa di duro, che si rivela essere una Bibbia, aperta alla Prima Lettera di Pietro. La lancio con<br />

tutte le mie forze contro alla porta e mi siedo prendendomi il volto fra le mani.<br />

Grace è pazza. Vero? O lo sono io? Non sono più sicura di niente. Era da tanto che non provavo sentimenti così forti e così fuori dal mio controllo. Non<br />

mi piace. Non so da dove vengano tutte queste emozioni, ma devo trovare il modo di farle smettere.<br />

Mi butto giù dal letto, rifugiandomi nella confortevole routine del judo. Ho scoperto questa disciplina quando avevo nove anni. Non sapevo perché mi<br />

attirasse tanto, ma già allora ero sicura che fosse ciò di cui avevo bisogno. Guardandomi indietro, mi rendo conto di essere stata fortunata, perché dopo<br />

la morte di Matt avevo silenziosamente imboccato il sentiero dell’autodistruzione. <strong>Il</strong> judo si è rivelato una panacea per la gestione della mia rabbia di<br />

bambina, l’unico canale utile per comunicare con quella rabbia. È una strana mescolanza fra lasciarsi andare del tutto ed essere pienamente padroni di<br />

sé, il massimo per tenere sotto controllo corpo e mente. Mi ha insegnato a mantenere la centralità su me stessa lasciando il resto fuori, in superficie. Se<br />

non lasci entrare niente, niente può farti del male. Non soffrirò mai più come quando Matt mi ha lasciato. Non sopravviverei.<br />

Quando finisco mi siedo sul letto, tiro fuori il diario di Matt e inizio a scrivere. Gli racconto tutto ciò che ho il coraggio di ammettere a me stessa,<br />

iniziando dal fatto che Luc sta in qualche modo aggirando le mie barriere difensive.


Capitolo 8<br />

L’Inferno in Terra<br />

Luc<br />

Passeggio per il corridoio diretto al mio armadietto e tengo il palmo della mano sulla schiena di Angelique. Lei si prodiga in racconti incoerenti sul suo<br />

fine settimana, mettendo a dura prova la mia abilità di fingere interesse. Ma quando alzo gli occhi e vedo Frannie, in piedi davanti al suo armadietto che<br />

ci fissa, sorrido come se niente fosse. Mi giro e guardo Angelique annuendo rapito, nonostante l’inutilità delle sue chiacchiere.<br />

Quando raggiungiamo il mio armadietto, Frannie è sparita, ma intuisco che è nascosta dietro alla porta dell’aula 616 e ci guarda. L’aroma di pepe<br />

nero e liquirizia che emette suo malgrado sono avvolti da una buona dose di aglio, amaro e forte abbastanza da sovrastare lo zenzero di Angelique. Me<br />

ne riempio i polmoni e assaporo il flusso di energia calda che fa scaturire dentro di me.<br />

«Cos’hai fatto nel fine settimana?», mi chiede Angelique, riportandomi alla realtà e indugiando col dito sulla generosa scollatura della sua maglietta<br />

attillata.<br />

Mi appoggio all’armadietto. «Non molto, e tu?»<br />

«È quasi ora di andare in spiaggia, così abbiamo aperto la casa al mare. Dovresti venire qualche volta…».<br />

«Sembra una buona idea», sussurro sfoderando il mio sorriso più provocante.<br />

Un’improvvisa, travolgente esplosione di invidia, rabbia e odio arriva dall’aula 616, così spessa nell’aria che ne sento in bocca il sapore. Tutti i miei<br />

sensi si infiammano, e quasi prendo fuoco io stesso.<br />

Angelique si avvicina, sporgendo le labbra tumide e rosse, e il suo dito scivola sulla mia maglietta, indugiando sulla coda del serpente che ho tatuato<br />

sul braccio. «Non è lontano da qui. Potremmo andarci una di queste sere… magari venerdì?».<br />

Sorrido, quasi incapace di contenere l’eccitazione che mi attraversa, e che non ha niente a che vedere con Angelique. È perfetto, proprio quello che<br />

speravo di ottenere.<br />

Sì, questo è un piano decisamente migliore: l’approccio indiretto. Perché quello che ho capito dopo essermene andato da casa di Frannie – mentre<br />

me ne stavo seduto al buio a pensarla ossessivamente, sbattendo la testa al muro per tutta la notte – è che l’approccio diretto mi stava massacrando.<br />

<strong>Il</strong> problema è che per legarla devo avere il diritto insindacabile di reclamare la sua anima. Diritto insindacabile significa che non basta un unico<br />

peccato, a meno che quel peccato non sia di una gravità sorprendente. Persino i sette peccati capitali non bastano, se non vengono ripetuti. Ho bisogno<br />

che ci sia almeno un’inclinazione, se non una vera e propria coazione a ripetere. Una tendenza, qualcosa. E la tattica di corromperla un po’ alla volta non<br />

ha dato grandi frutti.<br />

Due settimane. Perché ci sto mettendo tanto?<br />

L’ho quasi fatta mia, nella sua stanza… ero così vicino. Trasudava zenzero. Non avrei neppure avuto bisogno di forzare la mano col mio potere. Ma a<br />

questo ritmo, Gabriel mi batterebbe sicuramente in velocità.<br />

Perché l’altra faccia della medaglia è che anche Gabriel ha bisogno di una tendenza, e per quel che mi è dato vedere, ce l’ha già. Se anche loro la<br />

vogliono – ed è ovvio che sia così – non capisco perché non abbia ancora concluso.<br />

Visto che non ho modo di scoprirlo, mi basta sapere che se non l’ha fatto ci deve essere una buona ragione. E che quindi sono ancora in tempo.<br />

Niente panico.<br />

<strong>Il</strong> piano d’attacco – l’approccio indiretto – funzionerà. Deve funzionare.<br />

Mi avvio verso l’aula con fare disinvolto, pronto a immergermi nelle emozioni selvagge di Frannie, e scivolo al mio posto. «Com’è andata la tua<br />

domenica?».<br />

Si volta verso di me e sorride. «Bene».<br />

Mi accorgo che non c’è più niente in cui immergermi. L’anice… il pepe… è sparito tutto. Cerco di intercettare una qualsiasi cosa, ma non c’è niente.<br />

Cancello l’espressione disorientata dal mio volto e chiedo: «Fatto qualcosa di bello?»<br />

«No».<br />

«Tutto bene?»<br />

«Sì». Fa un ampio sorriso.<br />

<strong>Il</strong> professor Snyder si avvicina e lascia cadere un grosso plico sul banco. «Eccoti l’ultima tornata di lettere, Frannie. Le traduzioni sono graffettate<br />

davanti, come al solito. Hai bisogno di una mano per le spese postali?».<br />

Frannie sorride, e mi sembra di non averla mai vista più serena. «No, grazie, professor Snyder. Le offerte sono state buone questo mese e le spese<br />

sono coperte».<br />

«Posso dare un occhiata?». Mi avvicino abbastanza perché lei possa sentire il mio calore.<br />

Un brivido? Forse? O l’ho immaginato? «Scusa ma sono lettere private», dice senza guardarmi.<br />

«Nessun problema. Leggerò i commenti sul “Globe”. È stata una buona idea prendere contatto con un insegnante del posto».<br />

«Funziona. <strong>Il</strong> professor Snyder scansiona le lettere per passarle attraverso un traduttore automatico. Non è una traduzione perfetta, ma ci<br />

accontentiamo. Poi fa la stessa cosa con quelle che arrivano dal Pakistan».<br />

Ancora niente. Sono sicuro di non averlo immaginato… era furiosa, fino a poco fa.<br />

«Ok ragazzi», dice il professor Snyder girando fra i banchi. «Tirate fuori Furore e andate al capitolo 28. Chi è che sa farmi un esempio di conflitto<br />

tratto da questo capitolo?».<br />

Mi astraggo dalla discussione e mi concentro su Frannie. Quando il professor Snyder le chiede di leggere mi avvicino quanto più mi è possibile senza<br />

toccarla. Lei tiene il libro distante, alla sua destra, e legge ad alta voce per la classe. Chiudo gli occhi e mi perdo nelle curve della sua voce vellutata.<br />

Quando termina la lettura, il professor Snyder avvisa: «Avete qualche minuto prima della campanella. Lavorate sul riassunto del capitolo 28,<br />

concentrandovi sul conflitto».<br />

Frannie si volta verso di me, e per un attimo resto incantato dai suoi occhi. «Quindi…», riesco a dire dopo un po’.<br />

«Quindi?»<br />

«Vuoi dirmi cosa c’è che non va?». Forse riesco a farglielo ammettere.<br />

«Niente», risponde con un sorriso gentile. «Dovremmo lavorare al riassunto».<br />

«Mmm…». Scrivo “Luc e Frannie” sul mio quaderno, a grosse lettere. Poi “CONFLITTO”, subito sotto, a caratteri cubitali.


Lei mi fissa per un minuto lunghissimo, e io fisso lei, senza battere ciglio. Quando suona la campanella siamo ancora intenti a fissarci. Lei si volta e<br />

infila i libri nello zaino.<br />

«Cos’hai, Frannie?». Ci spero ancora.<br />

«Niente». E mi passa davanti per raggiungere la porta. Senza rendermene conto la afferro per un braccio. Da come mi guarda, e dalla zaffata<br />

improvvisa di pompelmo, capisco che la mia mano le deve bruciare sulla pelle, ma non lascio la presa.<br />

Mi guarda negli occhi e io indago nei suoi, sentendomi perso.<br />

«Si può sapere cosa vuoi da me?», dice, e si libera con uno strattone.<br />

La tua anima. Ma non solo. «Vorrei sapere cosa c’è che non va. Ti ho fatto qualcosa?»<br />

«No, sto bene». Ed è vero. Se non la smetto di dare i numeri mi brucerò qualsiasi ulteriore possibilità di approccio, diretto o indiretto. Quindi la lascio<br />

andare. Un’ombra di preoccupazione le attraversa il volto, ma scompare subito, e lei va via.<br />

Resto un attimo dove sono, cercando di ricompormi e capire cos’è appena successo. Poi guardo in corridoio, dove Frannie ha appena chiuso con un<br />

colpo il suo armadietto, e vedo Gabriel. È un fighetto ma ci sa fare, glielo concedo. Va da lei e si appoggia agli armadietti, con un’occhiata a me qui sulla<br />

porta. Non capisco cosa le sta dicendo, ma la sento ridere. Le mie viscere si arrotolano e la scossa elettrica che mi crepita sotto la pelle rischia di farmi<br />

friggere. Esco dall’aula con il bisogno irrefrenabile di fare qualcosa, anche se non so bene cosa fare. Magari strappare la ali a Gabriel e ficcargliele su<br />

per…<br />

«Indovina chi è!». Dal nulla spunta un paio di mani che mi copre gli occhi, mentre un aroma di profumo scadente prende d’assalto le mie narici.<br />

Angelique.<br />

Fantastico.<br />

Infastidito, allontano le sue mani dalla mia faccia.<br />

«Mi accompagni a lezione?».<br />

Gabriel mi guarda di nuovo e il suo sorriso si allarga, mentre con una mano dietro alla schiena di Frannie la scorta verso il laboratorio di fisica.<br />

Quando lei si appoggia alla sua spalla e gli mette il braccio intorno alla vita, mi trattengo a stento dal colpirlo alla schiena con una palla di fuoco infernale.<br />

Uso il mio potere con una bella rossa che sta chiudendo il suo armadietto poco più avanti, e che mi aveva adocchiato già da un po’. Marcia verso di<br />

noi e scansa Angelique con un gesto deciso.<br />

Guardo Angelique con aria dispiaciuta. «Mi spiace, ma avevo promesso di accompagnare…».<br />

«Cassidy». La ragazza coi capelli rossi finisce la frase per me.<br />

Faccio dietro front e seguo Gabriel e Frannie, mentre Cassidy fatica a tenere il passo.<br />

Frannie<br />

Ho fatto un grosso errore con Luc, permettendogli di eludere le mie difese e di insinuarsi dentro di me. Ma ora è di nuovo al suo posto, là fuori, dove<br />

deve stare chiunque non sia il nonno, e tutte quelle emozioni deliranti sono state ricacciate nella cella interiore dove le tengo rinchiuse, il mio personale<br />

vaso di Pandora. È una sorta di judo della mente.<br />

Sono nel laboratorio di fisica con Gabe, concentrata sull’esperimento che ci impegna, e lascio fuori dalla mente tutto il resto. Stargli vicino mi dà un<br />

senso di pace. Nel giro di poco mi sento calma, come se nella stanza ci fossimo solo noi. In certi momenti è addirittura come se fossimo soli al mondo.<br />

La mia mente si perde in quel mondo, dove io e Gabe siamo rimasti soli e dobbiamo ripopolare il pianeta. Come Adamo ed Eva. <strong>Il</strong> battito del mio<br />

cuore inizia a volare pensando a cosa comporterebbe tutto questo.<br />

«Ucciderei per sapere a cosa stai pensando».<br />

Sono così persa nel mio mondo fantastico che la sua voce, seppur un sussurro al mio orecchio, mi spaventa.<br />

Mi sciolgo i capelli, tentando di nascondere che sono paonazza, e riporto l’attenzione sul circuito elettrico, perché ovviamente non gli posso raccontare<br />

a cosa stavo pensando. «Stavo solo… uh…».<br />

«Qualunque cosa fosse, sembrava molto intensa». La sua risatina mi fa davvero incazzare.<br />

«Ok, sto pensando di farmi suora». Ecco un metodo infallibile per far passare la voglia di ridere ai ragazzi. Un po’ di disciplina mentale anche per te.<br />

Se ne esce con un sorriso ironico: «Eh sì, certo…».<br />

Un pizzico della mia rabbia elude la sorveglianza e fuoriesce dal vaso di Pandora. «Che diavolo vuoi dire? Pensi che non ne sarei in grado?».<br />

Riprendo il controllo e ricaccio tutto dentro, sigillando il coperchio.<br />

Lui sorride: «Per quanto possa valere, penso che saresti un’ottima suora. Solo non credo sia il cammino che intraprenderai».<br />

Sta per uscirmi il fumo dalle orecchie, quando mi rendo conto che non c’è traccia di sarcasmo nelle sue parole. Continua a sorridere, e i suoi occhi mi<br />

trafiggono. Allunga una mano. Io mi sforzo di respirare normalmente e non posso che andargli incontro, anticipando il suo tocco sulla mia pelle. Ma la sua<br />

mano mi sfiora appena, e va invece a raddrizzare l’interruttore che ho appena montato alla rovescia sul circuito elettrico.<br />

Oh Dio. Cos’ho che non va?<br />

Quando suona la campanella, Gabe mi circonda le spalle con un braccio e mi accompagna all’armadietto. Io cerco faticosamente di ignorare il cuore<br />

che mi batte all’impazzata. Lascio i libri dell’ora precedente, prendo quelli per la prossima e controllo se in giro si vede Luc.<br />

Gabe sbuffa.<br />

«Cosa c’è?».<br />

Si appoggia all’armadietto di Luc e mi toglie una ciocca di capelli ribelli dagli occhi.<br />

«Cosa si deve fare per avere la tua attenzione?».<br />

Quello che fai tu.<br />

Mi sento avvolgere dal profumo che immagino avrebbe la neve d’estate, e mi prende alla pancia un formicolio insistente. Chiudo gli occhi, concentrata<br />

sul battito del mio cuore, e respiro profondamente per riportarlo a un’andatura normale. Ho paura di guardare Gabe, perché sembra sempre che sappia<br />

a cosa penso, e quello a cui sto pensando adesso è decisamente troppo imbarazzante.<br />

Mi accarezza una guancia, e per un attimo penso che le mie fantasie stiano prendendo corpo e che stia per baciarmi. Ma quando lo guardo, resto<br />

senza fiato. I suoi occhi sono fissi nei miei come per comunicare direttamente con la mia anima, in un atto che sembra più intimo di un bacio. Molto più<br />

intimo. Le gambe non mi reggono più e distolgo lo sguardo appena in tempo per vedere con la coda dell’occhio il passaggio di Luc. Di colpo mi sento<br />

come se avessi inghiottito una palla da bowling.<br />

Me ne vado senza salutare e corro verso l’aula di storia. Ma, appena prima di raggiungere la mia meta, Reefer mi mette all’angolo. Mi sguscia davanti<br />

e mi sbarra la strada, appoggiando una mano al muro, poco sopra alla mia spalla. Cerca di darsi un tono, ma non la dà a bere a nessuno. Ha la<br />

mascella contratta e uno sguardo troppo penetrante negli occhi.<br />

«Ehi, tu». Suona più come un’accusa che come un saluto.<br />

«Ehi». Appoggio la schiena al muro e osservo la folla scorrere dietro di lui, come un fiume in piena. Mi scruta alla ricerca di una spiegazione, e il suo


sorriso forzato è sparito dal viso. «Allora, chi è lui?»<br />

«Quale dei tanti?», dico senza valutare il peso delle mie parole.<br />

Sgrana i grandi occhi castani e gli cade la faccia. Mi rendo conto di aver calcato troppo la mano e per empatia mi sento da schifo.<br />

Sono una stronza. È così difficile mantenere un equilibrio, soprattutto quando non ho idea di dove io stia andando. Mi fa male dentro, in parte per la<br />

palla da bowling di Luc, in parte per… qualunque cosa sia successa con Gabe, ma soprattutto a causa dello sconforto che leggo negli occhi di Ryan. È<br />

davvero un ragazzo d’oro e io non voglio più fargli del male. Quanto gli ci vorrà a capire di non amarmi?<br />

«Sto scherzando, Reef. Non c’è nessuno, almeno non come pensi tu».<br />

Mi guarda diffidente. «Sicura? Perché ho sentito che esci con un ragazzo nuovo».<br />

«Non sto uscendo con nessuno», sbuffo.<br />

Esita, guarda in terra, poi di nuovo me. «Allora… vuoi venire alle prove?»<br />

«No, non voglio». Mi pento subito del mio tono secco.<br />

Ryan alza una mano. «Fammi finire», dice. «Quella ragazza, Delaine, mi ha chiamato e viene a cantare con noi stasera. Pensavo che magari volevi<br />

venire a sentirla, tutto qui».<br />

Ma è una bugia. So che non è “tutto qui”, perché conosco quello sguardo. Tu non mi ami. Mi spalmo contro il muro, tentando di aumentare lo spazio<br />

che ci separa. «Forse».<br />

Ryan si avvicina e i suoi dreadlock mi sfiorano la guancia mentre sussurra: «Forse è già qualcosa con cui posso convivere».<br />

Chiudo gli occhi e il suo odore mi ricorda come fosse semplice fra noi… finché lui non ha rovinato tutto. Spalanco gli occhi e trattengo il fiato, quando<br />

scopro che il mio volto è a tre centimetri dal suo. Giro la testa e da sopra alla sua spalla scorgo Luc che ci guarda, appostato davanti all’aula di storia,<br />

verde in volto e con gli occhi fiammeggianti di rabbia. Subito ci gira le spalle e sparisce attraverso la porta.<br />

Metto una mano sul petto di Reefer allontanandolo gentilmente. «Forse è meglio che io non venga», gli dico, rendendomi conto che qualsiasi cosa<br />

faccia, a parte trattarlo male, verrà letta come un incoraggiamento. Tu non mi ami.<br />

Mi sta guardando con occhi tristi quando Trevor passa alle sue spalle e gli rifila un discreto colpo in testa con un libro. Refeer fa una smorfia, ma<br />

mantiene lo sguardo su di me per un attimo ancora, prima di sentirsi libero di allontanarsi a passo spedito, al seguito di Trevor.<br />

Entro nell’aula di storia e sguscio a sedere al fianco di Luc, imponendo a me stessa l’atarassia più totale e ignorando le occhiate taglienti che mi<br />

lancia fra un round e l’altro del solito match col professor Sanghetti. Al suono della campanella mi precipito fuori, anticipandolo. Luc, però, mi raggiunge<br />

nel corridoio.<br />

«E quello chi era?», chiede seguendomi a distanza di un passo.<br />

«Quello chi?»<br />

«Quel ragazzo». Mi prende per il gomito, ma me lo scrollo di dosso con uno strattone.<br />

«Reefer». Rispondo con voce neutra.<br />

Si ferma, cercando senza successo di reprimere una risata. «Reefer», ripete.<br />

Sfrutto il vantaggio ed entro in mensa come una furia, lasciandomelo dietro. Butto lo zaino sotto al solito tavolo e mi mimetizzo nella fila per il pranzo.<br />

Quando faccio ritorno trovo Cassidy O’Connor – rossa, altissima e bellissima – che fa a spallate con Angelique per sedersi vicino a Luc. Mi infilo al mio<br />

posto, fra Luc e Gabe, e do un altro giro di chiave al coperchio del mio vaso di Pandora, perché sento un filo di gelosia che minaccia di uscire.<br />

Mentre giocherello con l’insalata, Gabe mi sorride. «Una suora, eh?»<br />

«Già». Con la coda dell’occhio vedo che Luc alza la testa di scatto.<br />

«Che carriera interessante», continua Gabe. Le nostre spalle si toccano mentre lancia un sorrisetto a Luc. «Che fai di bello stasera? Potremmo finire<br />

la relazione di fisica».<br />

Fingo che il contatto con la sua spalla non influisca su parti del mio corpo che in realtà non sono per niente coinvolte. «Oh, certo… Vado a judo dopo<br />

scuola, ma potresti venire a cena e poi possiamo metterci a studiare nella mia stanza». La spalla di Luc si scontra con la mia, e quando mi volto lo trovo<br />

intento a fissarmi. Ignoro il senso di vertigine che mi prende quando i nostri occhi si incontrano e torno a rivolgermi a Gabe: «Facciamo verso le sei?»<br />

«Va bene».<br />

Sento spostarsi la sedia di Cassidy e quando mi giro la vedo in coda per il pranzo. Sorrido a Luc e la mia mano si stringe intorno al coltello sul mio<br />

vassoio, mentre procedo mentalmente alla saldatura del coperchio che tiene a bada le mie emozioni.<br />

Luc<br />

<strong>Il</strong> mio nuovo piano d’attacco coinvolge un triumvirato di peccati: lussuria, invidia e ira. <strong>Il</strong> che implica che Frannie mi voglia, che invidi chi mi può avere e<br />

che odi me e loro. È un equilibrio difficile da trovare. Soprattutto se Frannie non coopera. Guardo Cassidy in fila. Mi sembra sempre più assurdo che, a<br />

parte l’aroma di zenzero della rossa, non arrivi alle mie narici nient’altro. Frannie sta trattando le sue emozioni come se fossero un segreto di stato.<br />

Niente pepe, niente anice, niente aglio. Niente di niente.<br />

In compenso, sono io che rischio di soccombere agli attacchi di gelosia. Prima, agli armadietti, sono quasi saltato al collo di Gabriel. E dopo lo<br />

spettacolino con questo Reefer in corridoio, mi viene il dubbio di aver sovrastimato l’attrazione che contavo lei provasse per me. Quando l’ho vista con<br />

lui, cioè quando ho visto quanto gli abbia permesso di avvicinarsi, emanava qualcosa. Un sottile profumo di rose: tristezza.<br />

Riporto l’attenzione al tavolo, sperando che si tradisca in qualche modo, ma il suo volto è tranquillo e inespressivo.<br />

Cosa si deve fare per ottenere una reazione da questa ragazza?<br />

Poi ricordo il primo giorno e l’effetto delle manovre di Taylor su Frannie: invidia. Imposto la voce su un tono basso, cospiratorio, il modo migliore per<br />

attirare l’attenzione di chi c’è intorno. «Allora, Taylor, com’è stato il tuo fine settimana?».<br />

Alza un sopracciglio in modo studiato: «Sarebbe potuto andare meglio». L’allusione è inequivocabile.<br />

«Stavo pensando, se sei libera, che potremmo andare al cinema insieme stasera».<br />

Scocca a Frannie un sguardo trionfante. «Certo che sì».<br />

Con la coda dell’occhio, sono sicuro di vedere Frannie irrigidirsi, mentre si finge presa dalla conversazione con Gabriel. E, per mezzo secondo, sento<br />

una traccia di liquirizia nell’aria.<br />

Riley guarda Frannie in modo più che esplicito e, presa dal panico, si intromette: «Perché non andiamo tutti? Ti va, Fee?».<br />

Frannie si gira verso di noi. «Che cosa?»<br />

«Cinema. Stasera. Vieni?»<br />

«Oh. No, grazie». E allaccia una mano a quella di Gabriel, sul tavolo. Vado in ebollizione quando vengo colpito da un sentore di zenzero. «Siamo<br />

seppelliti di compiti di fisica, vero Gabe?».<br />

Gabriel mi guarda soddisfatto. «Seppelliti», conferma.<br />

Riley resta letteralmente a bocca aperta, e nello sguardo severo che rivolge a Frannie posso leggere i sottotitoli: “Che diavolo stai facendo?”.


Frannie la ignora e ricomincia a tubare con Gabriel.<br />

Volevo Taylor da sola… ma può funzionare anche così.<br />

«Be’, peccato», dico con fare noncurante a Taylor e Riley. «Vorrà dire che andremo noi».<br />

Taylor guarda Riley in cagnesco.<br />

Se Frannie non s’infuria con questo, non so cosa potrebbe funzionare. Più la sua ira è profonda, meglio è. E cosa c’è di peggio di una cara amica, se<br />

non due, che ti fanno un torto? L’approccio indiretto funzionerà. La prenderò per sfinimento. E, come ciliegina sulla torta, potrei finire per portarmi a casa<br />

anche le anime di Riley e Taylor. Bonus.<br />

Ma a un tratto vacillo, perché la gravità della mia situazione mi si para davanti. Gabriel e Frannie saranno insieme stasera. Soli. Sto correndo un<br />

rischio enorme scommettendo che non sia in grado di legarla. E la puntata di questa scommessa è la mia sopravvivenza.<br />

L’ondata di zenzero che accompagna Cassidy mentre appoggia il vassoio del pranzo sul tavolo e avvicina la sua sedia alla mia rischia di soffocarmi.<br />

«Ti va un po’ della mia torta al cioccolato, Luc?»<br />

«No, grazie», rispondo cercando di tenere il panico sotto controllo. Potrebbe essere la volta buona. L’intera posta è in gioco. Perché se Gabriel riesce<br />

a legare l’anima di Frannie al Paradiso, sono fottuto. Invertire un legame è praticamente impossibile.<br />

<strong>Il</strong> mio piano deve funzionare.


Capitolo 9<br />

<strong>Il</strong> Diavolo si riconosce dai dettagli<br />

Frannie<br />

Sapevo che a mamma e papà Gabe sarebbe piaciuto – e presentarsi con un mazzo di fiori per mia madre è stata una mossa azzeccata… ma quello<br />

che sta succedendo è imbarazzante. Certo, era ovvio che dopo Luc avrebbero accolto a braccia aperte chiunque.<br />

Dopo una prima occhiata a Gabe, mia madre ha deciso che avremmo mangiato in sala da pranzo, invece che in cucina, e con i piatti buoni. «Vuoi una<br />

seconda porzione di qualcosa, Gabe? Polpettone, patate…», dice ora, guardandolo adorante.<br />

«No, grazie, signora Cavanaugh. È tutto delizioso».<br />

«Be’, grazie. Siamo così contenti quando Frannie invita i suoi amici».<br />

Solo alcuni.<br />

Guardo Kate e sono certa sia vittima di un qualche genere di possessione. Ed è un miracolo che Maggie non stia sbavando apertamente. Mary,<br />

grazie al cielo, sta chiacchierando con Gabe come farebbe un essere con più di un neurone funzionante. Almeno ho una sorella normale. Ma è Grace<br />

quella che mi inquieta maggiormente. Sta fissando Gabe con un’espressione che non le si addice per niente. È sopraffatta, e invece di mangiare credo<br />

stia pregando, o qualcosa di simile. Arriverei a dire che sta facendo pensieri sconci, ma in una qualche perversa declinazione religiosa su cui non voglio<br />

indagare.<br />

Guardo mio padre, implorandolo con gli occhi di fare qualcosa. È ancora in camicia e cravatta, convinto che una cena di famiglia sia un evento<br />

mondano, come un matrimonio o un funerale, dove ci si deve presentare ben vestiti. «Grace, tesoro, perché non mangi?», dice incoraggiandola con un<br />

colpetto sul gomito.<br />

Lei ritorna fra noi per un attimo, giusto il tempo di dire: «Sì, papà». Poi ricomincia a fissare Gabe.<br />

Com’è possibile che non mi sia mai accorta di vivere con dei pazzi furiosi?<br />

Quando arriva la fine della cena sono del tutto mortificata. «Andiamo, Gabe. Dobbiamo finire la relazione». Lo afferro per un braccio e lo trascino fuori<br />

dalla sala da pranzo.<br />

Lui fa giusto in tempo a sorridere a mia madre e dire: «Grazie per la cena, signora Cavanaugh. Era tutto squisito».<br />

Squisito? Chi dice squisito?<br />

Per il resto della serata, mentre studiamo nella mia stanza, sento le risatine di Kate e Maggie, che continuano imperterrite a passare davanti alla mia<br />

porta.<br />

Argh!<br />

«Scusami un attimo», dico a Gabe quando non ne posso più, ed esco dalla camera chiudendomi dietro la porta.<br />

Kate esordisce: «Che sorpresa, hai ancora addosso i vestiti. Ci era sembrato di sentire un letto cigolare». Maggie la guarda con un sorriso allusivo,<br />

visto che è risaputo che l’unica fra noi a far cigolare qualcosa è proprio Kate. Lei e Chase vanno a letto insieme da quando hanno finito le superiori,<br />

l’anno scorso.<br />

«Ragazze, per favore. Vi state rendendo ridicole. Smettetela».<br />

«Ok. Allora origlieremo dalla stanza di Maggie e Grace», dice Kate facendo dietro front.<br />

Resto lì un attimo, e mi rendo conto che non sono l’unica le cui emozioni sono diventate incontrollabili dall’arrivo di Luc e Gabe. L’intero universo ha<br />

perso il suo equilibrio. Le mie sorelle sono tutte impazzite contemporaneamente e Kate, che non fa mai ciò che le viene chiesto per il semplice gusto di<br />

fare il bastian contrario, mi ha appena obbedito.<br />

Esito, prima di rientrare nella mia stanza, perché il pensiero di Luc mi provoca un piccolo moto di disperazione.<br />

In questo momento è fuori con Taylor. E se conosco Taylor – e la conosco – non si stanno guardando nelle palle degli occhi.<br />

Non la vuoi.<br />

Mi sento colpevole per averlo pensato, e non so bene da dove mi sia uscito, ma ora che è venuto fuori so che è vero. Non voglio che la baci.<br />

Non baciarla. Ti prego, non baciarla.<br />

Sgattaiolo dentro e, tornando da Gabe, faccio partire l’iPod. Mi tolgo le scarpe e mi sdraio vicino a lui sul tappeto, ascoltando You found me dei The<br />

Fray, che ne canta quattro a Dio per non essere lì quando tutto va a rotoli.<br />

Gabe alza gli occhi dal libro e, per la prima volta, lo vedo aggrottare le sopracciglia. «Questa canzone fa schifo».<br />

Lo guardo negli occhi. «È una delle mie preferite».<br />

«Perché?»<br />

«Perché pone domande utili».<br />

«Tipo?»<br />

«Tipo perché Dio se ne sta lì a cazzeggiare e lascia che alla brava gente succedano cose brutte».<br />

La postura di Gabe si fa rigida. «Io credo che si dia piuttosto da fare».<br />

«E tu come fai a saperlo?»<br />

«Lo so e basta. Ci sono miracoli tutti i giorni».<br />

«Certo. <strong>Il</strong> Paradiso, Dio… Sono tutte stupidaggini inventate dalle grandi religioni per tenerci sotto controllo».<br />

<strong>Il</strong> suo cipiglio aumenta. «Potresti avere ragione per quanto riguarda le religioni, ma su Dio ti sbagli».<br />

«Ti facevo più furbo. Non puoi davvero credere in Dio, non con tutto lo schifo che succede in giro per il mondo».<br />

Mi guarda con severità. «Dio esiste, Frannie».<br />

«Stiamo parlando di uno che ogni tanto arriva e porta via i bambini dalle loro famiglie». La frase mi esce di bocca di getto.<br />

Mi fissa a lungo, e io non posso sostenere il suo sguardo. Vedo la sua mano avvicinarsi alla mia e d’istinto la stringo. «Le persone muoiono. Fa parte<br />

della vita».<br />

Guardo la foto di mio fratello sul cassettone e improvvisamente mi sento esausta. Troppo stanca per lottare, lascio andare un singhiozzo e una lacrima<br />

mi riga il volto. «Pensi che non lo sappia?».<br />

Vorrei urlare. Mandarlo via. Ma non ho la forza di fare niente, tranne appoggiare la fronte alla sua spalla e chiudere gli occhi.


Luc<br />

È tutto perfetto. Lo zenzero di Taylor raggiunge livelli record. Farei fatica a isolare una singola parte del mio corpo che lei non abbia toccato o sfiorato<br />

casualmente. Va tutto proprio come deve andare.<br />

Lei e Riley mangiano la loro pizza e io estorco informazioni. Per ora, ho scoperto che Frannie è uscita con diverse persone ma senza mai concedersi;<br />

che alle feste beve ma non fuma; che, nonostante siano ultracattolici, i suoi genitori sono abbastanza aperti di vedute; e che, secondo Taylor, io non sono<br />

il suo tipo.<br />

A essere sincero non sto ascoltando granché, perché sono un po’ preoccupato. A meno che Gabriel non abbia fatto ai suoi genitori la stessa<br />

impressione che ho suscitato io – cosa improbabile, visto che è un angelo e anche un fighetto – ora è nella sua stanza. E, anche se il pericolo maggiore<br />

è che leghi l’anima di Frannie, io mi tormento con l’immagine di lui che le fa quello che vorrei farle io. L’ironia di questa situazione è che se lui prendesse<br />

la sua carne farebbe il mio gioco. La lussuria è lussuria, non importa chi ne è l’oggetto.<br />

Ma mi ucciderebbe.<br />

Una miriade di emozioni mi turbinano dentro, alcune note, altre sconosciute. Ma quella che prevale su tutte le altre è lagelosia.<br />

Mi impongo di sorridere e chiedo: «Da quant’è che vi conoscete?».<br />

Taylor sorride e racconta: «Frannie si è trasferita in fondo alla mia strada l’estate prima della quarta elementare. Quando è andata a sbattere con la<br />

bici contro alla macchina di mio padre, dalla prima parola che le è uscita di bocca…», con un dito unto d’olio traccia le lettere M-E-R-D-A sul tavolino di<br />

finto marmo, «ho capito che saremmo diventate grandi amiche. Anche se fino alla terza superiore ha frequentato la scuola cattolica, abbiamo sempre<br />

girato insieme. Mentre Riley», dice assestando una pedata a Riley sotto al tavolo, «si è unita a noi durante le medie».<br />

«Già. Prima frequentavo gente più tranquilla», dice Riley sarcastica.<br />

A Taylor scappa da ridere. «Ehi, nessuno ti ha mai costretta a uscire con noi, sei responsabile delle tue azioni».<br />

«Eh già». Poi rivolta a me: «Perché mi accorgo solo ora che ho bisogno di amiche meno casiniste?».<br />

Alzo le spalle: «Ti direi di venire in giro con me, ma non posso garantire che ti andrebbe meglio».<br />

Taylor mi guarda, poi fulmina Riley e a mo’ di avvertimento dice: «È una questione di scelte, Ry. Tutti abbiamo la possibilità di scegliere».<br />

Faccio scivolare il piede accanto a quello di Taylor e inizio una comunicazione parallela. «Già. È proprio così», dico caricando la mia voce di<br />

sottintesi.<br />

Intravedo un sorrisetto lascivo che le curva le labbra e in un batter d’occhio vengo inondato dallo zenzero.<br />

Riley restituisce l’occhiataccia a Taylor. «Ormai è ora di tornare a casa…». Ha difeso Frannie a spada tratta per tutta la sera, infilandola nel discorso<br />

ovunque fosse possibile, come se volesse ricordare a me le mie scelte. So perfettamente quali sono le mie opzioni, e in questo momento scelgo di<br />

usare Taylor per mandare Frannie fuori dai gangheri. Ma prima è necessario seminare il nostro chaperon.<br />

«Nessun problema, vi porto a casa io», e mentre lo dico il mio piede preme su quello di Taylor.<br />

Lei mi regge il gioco, e alzandosi fa finta di sbadigliare: «Andiamo, sono a pezzi». Ma quel sorrisetto insinuante resta al suo posto.<br />

Dopo aver salutato Riley, Taylor fa scivolare la mano sulla mia coscia, ma la ritira subito esclamando: «Gesù! Sapevo che mi avresti fatto venire i<br />

bollori, ma questo va al di là di ogni aspettativa…». Mi chiedo cosa centri Gesù in tutto questo, ma subito lei torna a rilassarsi e mi rimette la mano sulla<br />

gamba. «C’è un posto tranquillo vicino alla vecchia cava. Potremmo andare là, se vuoi».<br />

Io appoggio il braccio sul retro del suo sedile e mi dico che questo è quello che voglio, quello di cui ho bisogno. <strong>Il</strong> modo più sicuro per far infuriare<br />

Frannie è provarci con Taylor. Mi piego su di lei, nutrendomi della ventata di zenzero che mi arriva addosso e lasciando che si impadronisca di me. Lei si<br />

avvicina e io la tiro verso di me, sul mio sedile. Mentre mi mordicchia l’orecchio sento il suo respiro caldo sul collo e la mano che esplora il mio petto<br />

inizia a scendere.<br />

Di colpo mi sento male.<br />

Non posso farlo. <strong>Il</strong> mio cuore di zolfo è diventato di piombo, e pesa così tanto che sembra trascinarmi verso il centro della terra. È una scusa ridicola<br />

per un demone. Taylor mi si sta offrendo su un piatto d’argento e io non riesco a prendermela. Non ci sono scuse.<br />

Non posso rischiare che diventi mia nemica, quindi mi sposto con delicatezza, rimettendo le mani sul volante, e facendo leva sul mio potere le<br />

sussurro: «Per quanto suoni molto invitante, ho un paio di questioni da risolvere, stanotte». Tipo un angelo fighetto che sconfina nel mio territorio.<br />

«Magari un’altra volta?».<br />

I suoi occhi si annebbiano leggermente. «Ok, sì… certo».<br />

Mentre accompagno Taylor passiamo davanti a casa di Frannie, e il Dodge Charger bianco di quel bastardo è ancora lì davanti. Sono le undici.<br />

Quanto ci potrà mai volere a scrivere una relazione di fisica?<br />

Parcheggio nel vialetto di Taylor. «Grazie, Taylor. Mi sono divertito».<br />

Lei sta meglio, anche se è ancora un po’ traballante. «Ci saremmo potuti divertire molto di più. Non sai cosa ti perdi», dice con un allusivo movimento<br />

delle labbra.<br />

«Mmm… ci vediamo domani». Mi appoggio allo sportello, il più lontano possibile da ogni tentazione, e mentre esce dalla macchina le sorrido.<br />

La guardo entrare, poi risalgo la strada e mi fermo davanti a casa di Frannie.<br />

So che è una pessima idea, ma non posso farne a meno. Scivolo fuori dalla macchina e mi acquatto dietro alla quercia vicino al vialetto, proprio<br />

davanti alla sua finestra. Senza far rumore mi arrampico su un ramo che dà sulla casa e ascolto. Fatta eccezione per la musica, nella sua stanza c’è<br />

silenzio. Non va bene.<br />

L’urgenza di introdurmi lì dentro – cioè di apparire dal niente e interrompere qualunque cosa stia succedendo – è irrefrenabile. E dopo quella che mi<br />

sembra un’eternità, non resisto alla tentazione. Chiudo gli occhi e mi concentro. Gabriel saprà che sono lì, ma se sono fortunato Frannie non se ne<br />

accorgerà.<br />

Eccomi pronto, sto per materializzarmi nella sua stanza.<br />

Ma mentre mi sposto da una dimensione all’altra, mi sento come un uccellino che sbatte contro a un vetro e mi ritrovo al punto di partenza, sul ramo.<br />

Un po’ stordito, ci riprovo, ma succede la stessa cosa, come se mi avessero sbarrato la strada.<br />

Ma che diavolo…?<br />

Poi mi ricordo del padre di Frannie – di come era immune alle mie arti magiche. A quanto pare signor Cavanaugh ha più santi in Paradiso del Papa.<br />

Posso entrare nelle stanze papali quando mi pare, nessun problema, ma casa di Frannie è fuori dalla mia portata.<br />

Frannie<br />

Gabe è così vicino. Profuma di neve e di estate e mi fa pizzicare il naso. La sua mano sulla mia è fresca e morbida, come il tocco di una nuvola.


Quando si avvicina chiudo gli occhi e fremo nel sentire il suo respiro fresco vicino al mio orecchio. «Tutto succede per un motivo», dice.<br />

Scosto il capo e lo guardo negli occhi, odiando me stessa perché non riesco a frenare le lacrime. «Non ti credo».<br />

Mi asciuga una lacrima con la punta delle dita e risponde al mio sguardo. Poi mi avvolge la nuca con una mano e cullandomi il capo mi guida verso la<br />

sua spalla, rifugiando il volto nei miei capelli. Gli permetto di tenermi stretta a lungo, nutrendomi della sua energia. Non ho mai provato niente di simile,<br />

ma è come se ogni parte del mio corpo si stesse rifocillando. Se me lo chiedessero in questo istante, dovrei ammettere che credo nell’amore, perché<br />

ciò che sto provando somiglia proprio a questo: puro amore.<br />

Potrei amarlo? È possibile?<br />

Alla fine, mi ritraggo dal suo abbraccio e mi asciugo la faccia con una manica della maglia. Quando lo guardo ha un’espressione incerta. <strong>Il</strong> suo volto si<br />

avvicina al mio, il mio al suo, ma sul più bello vedo i suoi occhi riempirsi di sgomento. Si allontana bruscamente e dice in fretta, con voce malferma: «È<br />

meglio che vada».<br />

<strong>Il</strong> mio cuore va a briglia sciolta, e anche se cerco di tornare in me è impossibile frenare il senso di frustrazione che sento nel profondo. In questo<br />

momento, l’unica cosa che voglio è perdermi in lui e dimenticare tutto il resto. Gli darei qualsiasi cosa.<br />

Mentre lo accompagnano alla porta, i miei genitori si prodigano in ogni sorta di gentilezze. Mia madre è raggiante e pensa già ai fiori d’arancio. «È<br />

stato un tale piacere averti qui, Gabe. Spero che sarai spesso nostro ospite».<br />

«Non ci sono dubbi, signora Cavanaugh», e i suoi occhi si volgono a me, colmi di una profonda tenerezza.<br />

«Molto bene», interviene mio padre, «allora ti aspettiamo presto?»<br />

«Assolutamente sì», risponde Gabe ormai sulla porta, accecandomi con la luminosità del suo sorriso.<br />

Lo accompagno alla macchina. «Ci vediamo domani, allora. Grazie… di tutto».<br />

Sorride con dolcezza: «Quando vuoi». Mi prende le mani fra le sue e il mio cuore sobbalza.<br />

Arrivati davanti alla macchina, alza lo sguardo verso la mia finestra e sorride divertito. <strong>Il</strong> mio cuore inizia nuovamente a volare quando mi stringe e mi<br />

bacia la fronte. <strong>Il</strong> contatto del mio corpo contro il suo è quasi più di quanto io sia capace di tollerare. Tutto vibra dentro di me e il mio respiro si fa<br />

discontinuo, mentre le mie mani scivolano sul suo petto per poi passargli intorno alla vita, stringendolo ancora di più. Sento il suo corpo irrigidirsi<br />

leggermente, ma non dà segni di volersi allontanare. D’un tratto, vorrei fossimo ancora su nella mia stanza.<br />

Nascondo il volto nel suo petto, e lui mi stringe a lungo, finché mi bacia di nuovo sulla fronte e mi dice fra i capelli: «Chiudi a chiave quando me ne<br />

vado. Ci vediamo domani».<br />

Quando mi lascia andare, un’ondata di disperazione inaspettata si impadronisce di me, facendomi desiderare di tornare a buttarmi tra le sue braccia.<br />

Ma non lo faccio. «Sì, ok», rispondo.<br />

Lui monta in macchina e avvia il motore. «Dico davvero, Frannie. Chiudi bene».<br />

«Va bene». Salgo le scale davanti a casa e lo saluto con un gesto della mano. Ma ogni passo sembra più faticoso di quello precedente, come se<br />

Gabe fosse il sole e io un pianeta che cerca di sfuggire alla sua orbita. Mentre si allontana, lotto contro il bisogno urgente di corrergli dietro. Avanzo<br />

verso la porta senza guardami indietro, la raggiungo, e quando la apro sento un fruscio provenire dall’albero vicino al vialetto. Mi volto a guardare ma non<br />

vedo niente. Sarà stato un gatto.<br />

Do un’ultima occhiata veloce alla strada e per una frazione di secondo ho la certezza di vedere lì in piedi un ragazzo della mia età, con gli occhi<br />

azzurro cielo e i capelli color sabbia.<br />

Matt?<br />

Annaspo e mi volto di nuovo, ma lui non c’è più… se c’è mai stato. Mi infilo in fretta dentro casa, con il cuore che mi martella nelle orecchie, e chiudo a<br />

chiave la porta. Corro nella mia stanza e chiudo a chiave anche quella. Quando riprendo fiato mi avvicino alla finestra, scosto la tenda e sbircio fuori. Non<br />

c’è nessuno. Mi avvicino al letto e cerco sotto al materasso. Quando tiro fuori il diario di Matt, mi accorgo che mi tremano le mani.<br />

Datti una calmata.<br />

Mentre scrivo mi si forma il solito nodo alla gola.<br />

Allora, Matt, sono quasi certa che sto perdendo la ragione, perché poco fa mi è sembrato di vederti nel vialetto di casa. È stata la mia<br />

immaginazione, lo so, non sono così andata. Ma eri proprio come immagino che saresti oggi.<br />

Vorrei poterti parlare davvero. Ho così tante domande a cui non so dare risposta. Gabe insiste nel dire che Dio è reale. Una parte di me vorrebbe<br />

credergli. Se solo tu potessi dirmi dove sei… Esiste un Paradiso? Dio? Sono così confusa.<br />

Due grosse lacrime bagnano la carta, come gocce di pioggia. Lascio andare la penna e mi prendo il volto fra le mani. Mi sembra di sciogliermi<br />

dall’interno e di diventare pazza un po’ alla volta. Vedo cose che non ci sono. E il senso di colpa pesa come un macigno sulla bocca del mio stomaco.<br />

Dovevo esserci io al suo posto.<br />

Nascondo il diario di Matt e mi rannicchio sul letto a fissare il muro e cercare di dare un significato a tutto questo, o a una qualsiasi sua parte. Ma<br />

l’unica cosa che scopro è che ho un mal di testa spaventoso. Metto un po’ di musica e faccio il vuoto nella mente.


Capitolo 10<br />

<strong>Il</strong> mio Inferno personale<br />

Frannie<br />

La vista di Gabe appoggiato all’edificio con le mani in tasca mi lascia senza parole. Dio, è così bello.<br />

Mio padre avanza a singhiozzo nella fila di macchine e alla fine mi lascia davanti alla scuola. Gabe ci vede e, mentre scendo dalla macchina, viene<br />

verso di noi. Mio padre lo guarda, felice come una Pasqua. «Che piacere rivederti, Gabe».<br />

Lui si piega e ricambia il saluto, le mani ancora in tasca: «<strong>Il</strong> piacere è mio, signore. Grazie ancora per la cena di ieri».<br />

«Non c’è di che». Mio padre saluta e riparte, ancora sorridente, e Gabe mi prende fra le sue braccia.<br />

«Come stai?»<br />

«Tutto bene». A parte che non riesco a pensare, mangiare e respirare.<br />

Allaccia le dita alle mie ed entriamo senza parlare, camminando fino agli armadietti. Mi resta vicino mentre rovisto fra i libri, e quando mi volto verso di<br />

lui vado in apnea. È così bello averlo vicino. È come il mio angelo personale.<br />

E io sono una tale merda.<br />

«Stai bene?».<br />

No. «Sì».<br />

Fa per accompagnarmi a lezione, ma intrufolo la testa fra il suo petto e il suo braccio e lo spingo indietro verso gli armadietti. È questo che voglio.<br />

Giusto? Luc può andarsene all’Inferno. Ma quando guardo Gabe negli occhi, quello che vedo mi terrorizza. È così aperto e fiducioso, e io non merito la<br />

fiducia di nessuno.<br />

Mi accompagna all’aula d’inglese, e io ignoro il sorriso compiaciuto di Angelique. Quando lui se ne va lascio cadere la testa sul banco e il contatto<br />

della mia pelle con la superficie dura e fredda mi riporta sulla Terra.<br />

Gabe e Luc. Sono uno l’opposto dell’altro. Allora com’è possibile che io li voglia entrambi? Eppure è così, anche se in modi completamente diversi. E,<br />

dopo ieri sera, Gabe mi spaventa ancora più di Luc. Non credo nell’amore, ma come altro potrei chiamare ciò che lui mi ha fatto sentire? Proveniva da<br />

lui, ed era anche dentro di me.<br />

Tiro su la testa per valutare il tremore delle mie mani, e faccio un salto quando mi accorgo che Luc è lì, seduto al suo posto, vicino a me. Se Gabe è<br />

pace e amore, Luc è tutto il resto: desiderio, passione, e la sua energia seduttiva mi porta a desiderarlo nei modi più sbagliati. Ed è ovvio che non sono<br />

l’unica su cui ha quest’effetto. Angelique si aggira nei pressi della porta e tenta invano di ostentare noncuranza, come se fosse lì per caso.<br />

Luc si appoggia sui gomiti, avvicinandosi, e accenna un sorriso sornione. Per un attimo l’ira divampa dentro di me e vorrei fargli sparire quel sorriso<br />

dalla faccia con un pugno. Mi guarda negli occhi. «Scusa, non volevo spaventarti».<br />

Però mi spaventi lo stesso. Mi spaventate a morte, entrambi.<br />

«Sono solo stanca», dico, ed è vero. Ieri notte non sono riuscita a dormire perché ogni volta che chiudevo le palpebre mi trovavo davanti Gabe o Luc.<br />

E non volevo sapere dove quei sogni mi avrebbero portato. Mi stropiccio gli occhi per impedirgli di guardarli ulteriormente.<br />

Passo il resto della lezione d’inglese a cercare di ignorare l’energia statica che cresce fra noi. Stiamo lavorando alla tesina, ma faccio davvero fatica<br />

a concentrarmi. Quando la campanella suona, Luc e io non abbiamo ancora finito. E la consegna è domani.<br />

Luc si allunga sulla sedia e allaccia le mani dietro alla testa. «Preferisci trovarci dopo scuola o prendere uno zero?»<br />

«Secondo te?». <strong>Il</strong> mio tono tradisce una certa frustrazione. Mi alzo dalla sedia, rigida, per avviarmi alla porta.<br />

«Ok, facciamo da me o da te?», chiede seguendomi.<br />

Allora, al momento i miei adorano Gabe. Non parlavano d’altro stamattina. Sono convinti che cammini sulle acque. Luc, invece, meglio non nominarlo.<br />

«Da te, direi».<br />

«Fantastico», dice mentre usciamo in corridoio. Sembra soddisfatto di sé. E questo mi fa infuriare.<br />

<strong>Il</strong> coperchio del vaso di Pandora si apre di botto e sento che la mia bocca si muove senza che io l’abbia connessa al cervello. Le parole escono di<br />

getto e faccio fatica a capire cosa succede.<br />

«Esiste qualcuno con cui non stai uscendo? A parte me, ovviamente». Appena mi rendo conto di cosa ho detto vorrei sprofondare. E devo averlo detto<br />

forte, perché chiunque si trovi nel raggio di tre metri si volta a guardarci.<br />

«Wow… be’, non mi risulta di uscire con qualcuno, al momento».<br />

Bugiardo. La mia pressione sanguigna si alza vertiginosamente e ora che il tappo del vaso è saltato non ho più difese. Le mie emozioni sono<br />

incontenibili. «Davvero? Perché non lo dici ad Angelique, o Cassidy, o Taylor, o Riley».<br />

Si appoggia allo stipite della porta, sicuro di sé, e sento la mia rabbia montare. «Per quanto ne so io, non sono uscito con nessuna di loro. Sono<br />

andato al cinema e poi a mangiare la pizza con Riley e Taylor. Ricordo che ti abbiamo invitata, ed è un peccato che tu non sia venuta. E non sono mai<br />

stato da nessuna parte con Cassidy o Angelique. A essere sincero, l’unica con cui sono effettivamente uscito sei tu».<br />

«Non siamo usciti», dico rabbiosa. Ma poi, di nuovo, vorrei sotterrarmi, perché mi torna in mente che abbiamo preso un caffè dopo la festa dai<br />

Gallagher, e sono io che ho chiamato quell’uscita “un appuntamento bollente”.<br />

Mentre cerco di darmi un contegno gli sento dire: «Errore mio. Pensavo che il caffè contasse».<br />

Guardo in basso, verso lo smalto nero che si disfa sul mio alluce, e con una infradito stacco dal pavimento un pezzo di linoleum grigio, già penzolante<br />

prima del mio intervento. Sento la collera che se ne va con la stessa velocità con cui è arrivata, e la mortificazione che ne occupa il posto. «Quindi, niente<br />

casa al mare?».<br />

La sua voce si abbassa e diventa un sussurro, che però sento perfettamente nonostante il baccano del corridoio affollato. «Niente casa al mare».<br />

Lo guardo negli occhi e improvvisamente mi sento come stordita. I miei pensieri si annebbiano e ho bisogno di immergermi in quegli specchi d’acqua<br />

insondabili e scuri. Voglio sapere cosa pensa. Voglio sapere tutto di lui. Mi accorgo che ho smesso di respirare e distolgo lo sguardo, prendendo<br />

faticosamente fiato.<br />

«Allora, siamo di nuovo amici?», mi chiede in tono gentile, quasi tenero.<br />

Faccio cenno di sì con la testa, senza capire bene cos’è appena successo, ma determinata a non aprire più bocca.<br />

Passo il resto della mattina a sentirmi un’idiota, e non riesco neanche a guardarlo. Ma quando andiamo a pranzo e vedo l’espressione sul volto di<br />

Taylor – un misto di imbarazzo ed eccitazione – il mio cuore sprofonda. Dovevo immaginarmelo, è successo qualcosa fra lei e Luc ieri sera, perché mi


ha evitata come la peste per tutta la mattina. Mentre ci sediamo ai nostri soliti posti incrocio lo sguardo di Riley, che scrolla le spalle. Luc e Gabe si<br />

guardano in cagnesco, come da copione. Quindi, l’unica a comportarsi in modo strano è Taylor.<br />

«Andiamo a prendere da mangiare», dico dandole un calcio sotto al tavolo.<br />

Guarda me, poi Luc, poi di nuovo me e dice: «Ok», ma sembra tutto fuorché affamata. È pallida, e la pelle chiara tendente al verde fa a pugni col rosa<br />

dei capelli.<br />

La trascino per un braccio alla fila per il pranzo, con Riley che la scorta sull’altro lato e arrossisce scambiandosi uno sguardo con Trevor, seduto con gli<br />

amici a un tavolo vicino al distributore di merendine.<br />

Jackson Harris mi guarda e si serve delle sopracciglia per fare allusioni raccapriccianti, poi incrocia le braccia e gonfia i bicipiti in una manovra che<br />

forse propizierebbe l’accoppiamento di un uomo di Neanderthal. O forse no. Alzo gli occhi al cielo e vado avanti, mentre Taylor è troppo distratta per<br />

notare la scena.<br />

«Allora, che diavolo succede, Tay?»<br />

«Non lo so. È tutto così confuso».<br />

«Cosa è confuso?», chiedo alzando la voce e valutando mentalmente che la quantità di estrogeni è diventata eccessiva anche al nostro tavolo, dove<br />

siedono Luc e Gabe.<br />

«Penso di averci provato con Luc, ma non ricordo bene».<br />

«Come fai a non ricordartelo?»<br />

«Be’, ricordo di averci provato… Forse è un caso di rimozione e i ricordi sono intrappolati nel mio inconscio». Fa un gesto molto poco tayloriano,<br />

chinando la testa e nascondendo la faccia dietro alle dita appoggiate sulla fronte. «È stato così imbarazzante…».<br />

«Vuoi dire che… quando ci hai provato lui si è scansato?».<br />

Si guarda le unghie, poi guarda malissimo me, che cerco di farle prendere un vassoio. «Come ho detto, è tutto un po’ confuso, ma temo di aver fatto<br />

una figura di merda colossale».<br />

«Oh», dico ostentando empatia senza provarne un briciolo. Mi volto verso Luc e quando mi accorgo che mi sta fissando vado in fibrillazione. Gli giro le<br />

spalle e prendo la prima cosa che mi capita sotto mano, una mela mezza marcia dal cesto vicino al registratore di cassa. «Be’, che vi avevo detto? Sta<br />

solo facendo il furbo. Sei fortunata che non ci sia stato, il tuo angelo custode ti ha protetta».<br />

Taylor si arrabbia. «Ma chi lo vuole l’angelo custode. E poi a te cosa te ne frega? Ieri sera hai avuto Gabe tutto per te, dovrei essere io a farti il terzo<br />

grado».<br />

«Con Gabe non è successo niente, né succederà mai niente», dico, furiosa per aver permesso a quei due di avvicinarsi troppo. Ma è una bugia. Sta<br />

succedendo qualcosa, e devo capire come farlo smettere.<br />

Torniamo al tavolo e lascio cadere il mio vassoio, come se il rumore che produce il mio gesto potesse essere l’inizio della fine di questa situazione<br />

assurda. «Abbiamo deciso che rivogliamo il nostro tavolo. Solo donne. Vi dovrete entrambi trovare un altro posto».<br />

Luc sembra divertito, Gabe sorpreso.<br />

E Taylor è livida.<br />

Mi guarda, sempre più arrabbiata. «Scusa, chi ti ha nominata dominatrice del tavolo?».<br />

Le restituisco lo sguardo aggressivo. «Vuoi dire che la conversazione di poco fa l’ho avuta con me stessa?»<br />

«Se non vuoi metterti a sedere con loro, perché non te ne vai tu?»<br />

«Molto bene», dico al culmine dell’esasperazione.<br />

«Molto bene».<br />

Abbandono il mio vassoio del pranzo e me ne vado dal tavolo a cui mi sono seduta ogni giorno negli ultimi due anni e mezzo. Angelique Preston mi<br />

guarda con la solita espressione compiaciuta. Resto un attimo in ballo prima di decidere che non c’è nessuno con cui vorrei sedermi e uscire come una<br />

furia dalla mensa. Mentre mi allontano lancio un’ultima occhiata attraverso gli oblò della porta, giusto in tempo per vedere Taylor sedersi al mio posto, fra<br />

Luc e Gabe, e afferrare il braccio di Riley, che esita un attimo poi torna a sedersi.<br />

Questa me la paga, Taylor.<br />

Non posso credere che permetta a dei ragazzi, non importa quanto strafighi, di mettersi fra noi. Mi viene la nausea e uscendo in cortile mi asciugo una<br />

lacrima di rabbia. Vado a sedermi sul prato, sotto al tiepido sole primaverile, e appoggio la schiena al muro dell’edificio con gli occhi chiusi.<br />

Respira.<br />

«Ehi».<br />

Sobbalzo e riconosco la voce di Reefer, che si è seduto accanto a me. Mi fissa coi suoi occhi color terra. <strong>Il</strong> resto della band è nella nicchia vicino alla<br />

palestra.<br />

«Tutto bene?», mi chiede.<br />

«Sì».<br />

Non mi crede, ma anche se leggo la domanda nei suoi occhi gentili non cerca di forzarmi. So di essere egoista, ma in questo momento ho bisogno di<br />

sentirmi a mio agio. Mi appoggio a lui e sento il suo braccio intorno alle spalle. Stiamo così per un po’, e lui mi parla di suo fratello, del suo cane e del<br />

nuovo riff che ha imparato con la chitarra.<br />

Mi accorgo che non ha ancora accennato a noi. Qualcosa è cambiato.<br />

«Allora, come va con la band?».<br />

Fa un respiro profondo. «Bene. Molto bene. Delanie è fantastica. Grazie per averci fatto conoscere».<br />

<strong>Il</strong> tono della sua voce mi prende alla sprovvista, e ora è il mio turno di domandare con gli occhi.<br />

Lui sorride e abbassa la sguardo.<br />

Quindi è vero, Ryan e Delanie hanno inaugurato una nuova formazione, di cui io non faccio parte.<br />

«È fantastico, Reef. Sono davvero felice che le cose si siano sistemate». E non è una bugia. Sono felice che Ryan abbia voltato pagina, ma questo<br />

non cancella la fitta di tristezza – e chissà, forse anche di rimpianto – che mi prende all’improvviso.<br />

Mi stringe una spalla e si tira su. «Sicura che stai bene?».<br />

Gli sorrido. «Tutto ok. Grazie».<br />

Sostiene il mio sguardo un attimo ancora, poi si volta e raggiunge gli altri.<br />

Per qualche minuto ascolto Ryan provare con la band, poi tiro fuori dallo zaino il mio pacco di lettere dal Pakistan e inizio a sfogliarle. Quando alzo gli<br />

occhi Luc è lì, in piedi davanti a me.<br />

«Posso farti compagnia?».<br />

Abbasso lo sguardo sulle lettere. «Ho da fare».<br />

Spero che se ne vada, invece si appoggia al muro di mattoni per poi scivolare a sedermi vicino. «Cosa sono?».<br />

«Lettere», dico mentre cerco e trovo quella di Ghalib, il mio amico di penna.<br />

Metto la lettera in cima alle altre, chiedendomi cosa conterrà una volta tradotta, ma appena la guardo è come se un fulmine mi colpisse in piena faccia


e improvvisamente sto male.<br />

Oh, Dio!<br />

Conosco questa sensazione, significa che succederà qualcosa di brutto. Mi ritrovo carponi, con le mani davanti alla bocca. Meno male che non ho<br />

mangiato.<br />

«Frannie!», Luc si china su di me. «Stai bene?».<br />

Cerco di scacciare dalla mia mente l’immagine di Ghalib, inerte e sanguinante, avvolto dalla polvere di una strada sterrata. È morto. «No», dico con un<br />

filo di voce, e mi sento soffocare.<br />

«Cosa c’è? Cos’hai?».<br />

Come posso spiegargli la situazione senza che mi prenda per pazza? Ma quando lo guardo qualcosa di profondo mi suggerisce che lui capirebbe. È<br />

l’unico che non penserebbe che sono uscita di testa. «Credo che Ghalib…». Ma non riesco a dirlo. «Niente. Adesso mi riprendo», dico, sperando che il<br />

dolore che ho nel petto non si trasformi in lacrime.<br />

Lui prende la lettera e la esamina. Poi alza le sopracciglia e dice: «Sta bene, Frannie. Sta andando in Afghanistan a trovare dei parenti e a cercarsi un<br />

nuovo lavoro. Non c’è niente di brutto».<br />

Non ho la forza di chiedergli come ha fatto a leggerla senza traduzione. «È morto».<br />

«Come fai a saperlo?»<br />

«L’ho visto».<br />

Di primo acchito sembra scioccato, ma è solo un istante, e capisco di essermi sbagliata. Non mi crede, e pensa che io sia fuori di me. Si piega e mi<br />

mette un braccio intorno alla vita. «Lascia che ti porti in infermeria».<br />

«No!», esclamo spingendolo via. «Dammi un minuto». Mi sdraio sull’erba, mentre continuo a sentirmi da schifo. L’immagine di Ghalib – come quelle<br />

degli altri – non se ne va. Matt è stato il primo, ma dopo di lui ne sono venuti tanti. Sono sempre la prima a sapere quando un amico di famiglia o un<br />

vecchio professore – insomma, chiunque abbia un legame con me – ci lascia. I loro volti seguono il lampo che mi squarcia la testa. E sono sempre morti.<br />

Mi alzo in piedi con uno sforzo immane, e Luc mi accompagna all’aula del professor Snyder, dove scrivo una lettera a Ghalib. Se avessi il numero<br />

proverei a chiamarlo, ma so già che è tutto inutile. La sua lettera porta la data di una settimana fa. <strong>Il</strong> professor Snyder sembra perplesso, ma promette di<br />

tradurla e spedirla entro sera.<br />

Per il resto delle lezioni Luc rimane al mio fianco. In un altro momento il suo atteggiamento protettivo mi darebbe fastidio, ma averlo intorno sembra<br />

essere d’aiuto, e quando usciamo da scuola e monto sulla sua macchina mi sento meglio.


Capitolo 11<br />

Colpa del Diavolo<br />

Luc<br />

Mi sento elettrico. Volevo sapere perché l’Inferno vuole Frannie e adesso lo so. Preveggenza.<br />

Lei sale sulla mia macchina, si appoggia alla portiera e chiude gli occhi. La lascio in pace per un po’, poi però non mi tengo più. Devo sapere.<br />

«Frannie?»<br />

«Sì?»<br />

«Quello che è successo prima, nel cortile... quello che hai visto… ti succede spesso?».<br />

La sua espressione si fa ostile e mi si scaglia contro: «Non sono pazza».<br />

«Non ho detto questo. Sono solo preoccupato». E curioso.<br />

Guarda fuori dal finestrino. «Non spessissimo. Ogni tanto».<br />

«Ti succede da sempre?»<br />

«Solo da quando mio… da quando avevo sette anni».<br />

«E cosa vedi? Cose che devono ancora succedere?».<br />

Si volta verso di me e una lacrima le bagna gli occhi stanchi.<br />

«Gente morta. Li vedo morti appena prima che accada». Nasconde il volto fra le mani. «Ma non sono mai stata in grado di evitare che succedesse».<br />

Non ho dubbi su come questo potrebbe tornare a vantaggio dell’aldilà. Se sapessimo che se ne stanno per andare… se potessimo legare le loro<br />

anime prima che finiscano nel limbo… certo miglioreremmo i nostri numeri.<br />

Cerco di non mostrare la mia eccitazione. «Pesante. Ti senti meglio?»<br />

«Direi di sì», dice mentre arriviamo davanti al complesso dove si trova il mio appartamento.<br />

Mentre parcheggio si guarda intorno con diffidenza. Sono sicuro che non è quello che si aspettava di vedere. «È qui che vivi?»<br />

«Già. C’è qualche problema?», rispondo cercando di non ridere.<br />

«No», dice lei seccamente.<br />

Mi infilo in un posto libero vicino al mio portone, fra una Impala blu arrugginita e un pickup Ford nero tutto ammaccato. La guardo con la coda<br />

dell’occhio mentre lo esamina.<br />

La giornata si è fatta grigia e non fa che accentuare l’atmosfera squallida di questo quartiere. Un tempo i quattro edifici di due piani erano bianchi, ma<br />

ora hanno un colore fuligginoso, regalo di decenni di sporcizia, smog e ruggine delle grondaie. La maggior parte delle finestre sono intatte, ma qua e là<br />

cartone e nastro adesivo sostituiscono i vetri sporchi. Un sacchetto di plastica si agita sul terreno arido, mosso dal vento primaverile, e finisce per<br />

impigliarsi tra i rami di un cespuglio mezzo rinsecchito, di fianco alla porta del mio palazzo.<br />

Lei mi guarda, poi con aria impavida apre la portiera. «Andiamo».<br />

«Ogni tuo desiderio è un ordine», dico avviandomi verso il palazzo. Da vero cavaliere, le tengo la porta aperta. Lei entra, esitante. Mi segue su per le<br />

scale sudicie fino al secondo piano, e alla luce incerta del pianerottolo attende che io trovi le chiavi per aprire.<br />

«I tuoi sono al lavoro?», chiede entrando in casa.<br />

«Immagino di sì».<br />

«E quando tornano?». È una mia impressione o le trema un po’ la voce?<br />

«Non ne ho idea».<br />

«Be’, di solito a che ora tornano?»<br />

«Non ne ho idea», ripeto. Lei mi fissa sgomenta. «Non ho mai conosciuto i miei genitori». E dico davvero. I demoni non hanno un grande istinto<br />

genitoriale.<br />

«Oh. Mi dispiace». Abbassa gli occhi sul pavimento grigio, dove una fantasia di allegre margherite gialle tenta di fare capolino sotto alla patina di<br />

sporcizia che si è formata negli anni. «E allora con chi vivi?»<br />

«Con nessuno».<br />

I suoi occhi schizzano incontro ai miei. «Vivi da solo?». Un effluvio di pompelmo impregna l’aria. Frannie ha paura. Mmm…<br />

«Già».<br />

I suoi occhi tornano a posarsi sulla porta, probabilmente sta pianificando la sua fuga.<br />

«Se preferisci andare a casa tua, non c’è problema», dico in tono rassicurante.<br />

«Uhm…». È evidente che preferirebbe camminare sui carboni ardenti. «Va bene così».<br />

Mi avvicino al frigo e lo apro. «Ottimo. Vuoi una birra?». Due birre fredde si materializzano nella mia mano e io richiudo la porta di un frigo vuoto.<br />

«Forse prima dovremmo lavorare un po’».<br />

Apro entrambe le birre e gliene porgo una. «Io lavoro meglio quando sono rilassato», dico prima di buttare giù un lungo sorso. Frannie osserva la birra<br />

che ha in mano, ne prende timidamente un sorso e si guarda intorno.<br />

Sono un demone, non un maiale, quindi tengo la casa relativamente in ordine. La cucina è pulita – niente piatti sporchi o cibo marcescente – più che<br />

altro perché non ho bisogno di mangiare. Per lo stesso motivo non ci sono né tavolo né sedie. I pochi pensili sono dipinti di nero e i muri, che in principio<br />

erano bianchi, ora tendono al grigio. In diversi punti, la superficie sgretolata lascia intravedere l’intonaco.<br />

Lo studio è piccolo e, a parte la cucina sulla sinistra e il bagno sulla destra, pulito anche quello, sempre grazie al mancato uso. C’è un enorme letto in<br />

ferro battuto, con lenzuola, trapunta e una montagna di cuscini, tutto rigorosamente nero. Ai piedi del letto c’è uno spesso tappeto, nero, ovviamente.<br />

«Che letto grande». Frannie sta fissando la massa nera che invade la stanza. Un attimo dopo i suoi occhi sfuggenti incrociano i miei e diventa rossa.<br />

«Mmm», confermo, «ed è anche comodo».<br />

Gli occhi di Frannie tornano al pavimento, poi di nuovo a me, e infine passano a esaminare la stanza, evitando di posarsi sul letto. Fa il giro dello<br />

studio e si ferma a guardare le stampe di Doré appese vicino alla cucina, che ritraggono le tappe dell’Inferno di Dante, e una stampa della Tentazione di<br />

Eva di William Blake, il picco della carriera di Re Lucifero.<br />

Mentre passa davanti al bagno, colgo lo sguardo furtivo che mi lancia riflesso nello specchio sul retro della porta.<br />

Si avvicina alla grande libreria di fronte al letto, fermandosi per raccogliere l’antico e usurato volume che ho lasciato aperto sul pavimento: il Purgatorio


di Dante. Ho una predilezione per Dante, visto che faccio parte di ciò che lo ha ispirato. Lei sfoglia il libro e corruga la fronte. «Ma è in spagnolo».<br />

«In italiano», la correggo.<br />

«Parli italiano?», domanda incredula.<br />

«Sì 3 ».<br />

«Dì qualcosa».<br />

«Sii la mia schiava d’amore», le dico in tono suadente.<br />

La sua espressione è guardinga. «Cosa vuol dire?».<br />

Un sorriso divertito mi si stampa in volto. «Non te lo dirò mai». Qualcosa mi dice che non apprezzerebbe.<br />

Resta un attimo a fissarmi, con gli occhi sgranati, poi abbandona Dante sul pavimento. Prende un altro volume dalla libreria, Proust, e lo apre.<br />

«Francese?», chiede, mentre la sua incredulità si tinge di irritazione.<br />

«Oui».<br />

«Stai scherzando… Quante lingue conosci?».<br />

Tutte. «Qualcuna».<br />

Mi volta le spalle e rimette Proust dove lo ha trovato, poi continua il suo giro, passando davanti alla finestra che dà sul parcheggio per dare un’occhiata<br />

fuori. Girandosi sembra accorgersi di quanto si sia avvicinata al letto e prende una scorciatoia per non peggiorare la situazione. Si appoggia al muro fra<br />

il mobiletto dello stereo, munito di grandi casse, e un porta CD che arriva fino al soffitto, dove potrebbe trovare una selezione di musica quasi<br />

inesauribile. Ma lei è impegnata a esaminare il muro dietro al letto, dove campeggia un murale che riempie l’intera parete e raffigura casa mia, la parte<br />

più desolata degli Inferi, la più lontana dai cancelli, dove il lago di fuoco incontra le alte mura di pietra dell’Inferno.<br />

Alla fine, l’attrazione esercitata dal murale vince la paura del letto. Si avvicina e raccoglie un pennello dal mucchio di attrezzi di pittore accatastato in un<br />

angolo. «Chi l’ha dipinto?»<br />

«Io».<br />

Si volta a guardami: «Non ci credo».<br />

Non posso che sorridere quando torna al murale e passa il dito sul contorno di una fiamma blu che scaturisce dalla rossa superficie incandescente del<br />

lago. «Questo è davvero… oscuro, ma è forte, mi piace. Che cos’è?»<br />

«L’Inferno».<br />

Gira definitivamente le spalle al muro e mi fissa per svariati battiti del suo cuore. «Allora, dove ci mettiamo a lavorare?», chiede alla fine, guardandosi<br />

intorno.<br />

Io guardo il letto e sorrido.<br />

Lei rabbrividisce, anche se qui non fa certo freddo, e manda giù un bel sorso di birra. Apre lo zaino, tira fuori il quaderno e si siede sul tappeto di<br />

fianco al letto, continuando a bere.<br />

Metto su i Linkin Park e alzo il volume quel tanto che mi permette di sentire i bassi nelle ossa.<br />

«Dov’è la tua TV?», chiede.<br />

Mi siedo sul tappeto accanto a lei. «Non ce l’ho».<br />

«E come fai a guardare History Channel?»<br />

«Ce l’avevo, ma si è rotta».<br />

«Ah», dice mentre prende Furore dallo zaino. «Allora, secondo te Tom cosa dovrebbe fare?»<br />

«Andare dritto in prigione», e poi all’Inferno, «senza passare dal via».<br />

Lei prosciuga nervosamente la sua birra. Mi alzo e raggiungo il frigo, tornando con altre due bottiglie nel giro di pochi secondi. Ne apro una e mentre<br />

gliela allungo sfioro “casualmente” l’interno del suo polso. Lei sgrana gli occhi e trattiene il respiro, giusto un attimo. È una reazione al calore del mio<br />

tocco? O c’è qualcosa di più? Zenzero… mmm.<br />

Sì, questo va molto meglio, l’approccio diretto. Perché il mio ultimo piano, l’approccio indiretto, faceva veramente schifo. Ho dovuto sistemare le cose,<br />

insomma è stato necessario annebbiarle un po’ la mente dopo la lezione d’inglese, ma ora eccola qui, insieme a me.<br />

Sola.<br />

Penso ai possibili scenari e una scarica calda di elettricità mi percorre la pelle.<br />

«Mi spieghi perché ce l’hai tanto con Tom? Cosa ti ha fatto di male?».<br />

Rido. Se non fosse il personaggio di un romanzo probabilmente andremmo a prendere l’aperitivo insieme. «Vediamo… A me niente, ma ad altri…<br />

rapina, omicidio. Niente di così tremendo, in fondo».<br />

Mi guarda incredula. «Ma almeno hai letto il libro? Perché aveva le sue ragioni per fare quello che ha fatto». Mmm, come mi piace quando avvampa<br />

così.<br />

«Ah, quindi ci sono delle giustificazioni per l’omicidio… non lo sapevo. Scusa allora».<br />

«A volte. Anche il nostro sistema giudiziario scagiona chi agisce in circostanze attenuanti».<br />

«Mmm, certo, il nostro infallibile sistema giudiziario».<br />

«E anche la Chiesa perdona chi uccide perché non ha alternative».<br />

«Ah be’, se vogliamo parlare della Chiesa…».<br />

«Sei la persona più cinica che abbia mai conosciuto».<br />

«Sono solo realista».<br />

«Forse è questo che ha spaventato i miei genitori. Gli hai fatto discorsi di questo tipo?».<br />

Man mano che si agita comincia a biascicare le parole e io devo trattenermi dal sorridere. «Ci siamo a malapena presentati».<br />

«Ma ai miei piace chiunque, persino Taylor. Non li ho mai visti così prima».<br />

Forse perché non gli avevi mai portato a casa un demone. «Non so cosa dirti. A volta faccio questo effetto alla gente». La vedo arrossire. L’effetto che<br />

ho su di lei sembra essere l’esatto opposto, e per me va benissimo. In più, sembra che la birra stia funzionando, è meno tesa.<br />

Restiamo così per un bel po’, lei che mi fissa e io che fisso lei. Alla fine le chiedo: «Ai tuoi piace Taylor, eh?».<br />

Le sue palpebre si sono fatte pesanti. «Li fa ridere. Adorano i suoi capelli rosa».<br />

Adesso posso sorridere. «Ecco dove ho sbagliato. Dovrei farmi i capelli rosa».<br />

Lei ride – una risata piena, di pancia – ed è come se risvegliasse qualcosa dentro di me, facendomi sentire… vivo. Si appoggia al letto e la sua risata<br />

continua, più bassa, mentre chiude gli occhi. Ubriaca con due birre, un peso piuma.<br />

«Mmm… già. Peccato che farebbe a pugni coi tuoi occhi rossi», dice con un tono che rivela che sta prendendo la tangente.<br />

I miei occhi rossi? È molto attenta. Ma è anche vero che non le riesco a staccare gli occhi di dosso. <strong>Il</strong> suo respiro si fa lento e profondo. Scivola nel<br />

sonno e io continuo a fissarla. Sono di nuovo in preda alla lussuria, che ormai è diventata di casa. Ma c’è qualcos’altro, qualcosa di più profondo che<br />

sgomita per farsi largo attraverso il desiderio, solo che non capisco cosa sia.<br />

Potrei farla mia ora, se volessi. E una parte di me mi urla di farlo, di prendere la sua carne. Ma un’altra parte di me, che è connessa a quel sentimento


estraneo, grida qualcos’altro. Vuole la sua anima. Potrei prendermi anche quella, proprio ora. E se lo facessi staremmo insieme, in ogni senso, per<br />

l’eternità.<br />

Ma non l’ho neppure legata, ancora. Se lo deve guadagnare il suo posto all’Inferno. E ad ogni modo, non avrei giustificazioni per portarmi via la sua<br />

anima adesso, a parte il fatto che la voglio. So che anche Lui la vuole, al momento giusto però, perché immagino che per ora abbia altri piani per lei, qui<br />

sulla Terra.<br />

Però non farei male a nessuno se dessi un’occhiata, no? Lei non se lo ricorderà, e non c’è neanche bisogno che lo venga mai a sapere. Sto lì seduto<br />

per diversi minuti, fissandola e argomentando fra me e me. Alla fine la curiosità ha la meglio. Mi appoggio al letto, vicino a lei, e chiudo gli occhi. Chiamo<br />

a raccolta la mia essenza e la sento lasciare il mio corpo per entrare in quello di Frannie attraverso le sue labbra socchiuse.<br />

Resto subito colpito da quanto sia confortevole. Di solito, la possessione è un procedimento che ti costringe a stare stretto, provocandoti un senso di<br />

claustrofobia, ma questo… è così piacevole. No, piacevole è poco… è vero e proprio benessere. Mi dirigo verso la sua mente – non per controllarla,<br />

solo per dare una sbirciatina. Voglio sapere tutto di Frannie: speranze, paure, desideri inconfessabili. Ma all’ultimo mi tiro indietro perché sento che non<br />

sarebbe giusto. Mi vedo dal di fuori, come un intruso che vìola i suoi spazi più privati.<br />

Rido fra me e me. Come se non lo stessi già facendo. La possessione non è la peggior forma di violazione della privacy?<br />

Viro verso la sua essenza, l’anima. E, quando la trovo, resto senza fiato. Non ho mai visto niente di così bello: un fascio di luce opalescente, venato<br />

d’argento e con tocchi scintillanti di blu e verde, come madreperla. È ben diversa dalle anime squallide e oscure che i colleghi delle Riscossioni<br />

trascinano nell’Abisso. Ed è dolce e speziata: ho in bocca un sapore di chiodi di garofano e uvetta. Ma c’è di più… una sensazione profonda di<br />

speranza e… qualcos’altro.<br />

La mia essenza nera si avvolge alla sua e insieme volteggiano, si avvitano, nonostante io sia pesante e untuoso in confronto alla consistenza leggera<br />

di lei, che sembra fatta di seta. Mentre danziamo, il mio cuore di zolfo si leva in volo.<br />

Mi lascio andare, sentendomi bene accetto… come se lei mi volesse. Mi perdo in lei e la esploro. Un fremito la attraversa e le esce di bocca un<br />

gemito. È piacere? Mi accorgo che questo è un luogo dove possiamo veramente fonderci l’uno nell’altro. Lascio che la mia essenza si avvicini e si<br />

fonda con la sua. E in quell’istante, quando il suo bianco scintillante si unisce al mio nero lucido, quello che sento è… tutto. Sento un’ondata travolgente<br />

di emozioni che non hanno nome, almeno non nel mondo demoniaco. Sono cose che non so identificare né descrivere, ma so che si tratta di qualcosa di<br />

inedito e di incredibilmente reale.<br />

Geme di nuovo e sussurra: «Luc…». Musica per le mie orecchie, ma anche un campanello d’allarme. Devo uscire dal suo corpo, prima di mettermi nei<br />

guai. Ma è quasi impossibile convincere me stesso ad andare. Facendomi una discreta violenza, obbligo la mia essenza a uscire dalle sue labbra,<br />

assaporandone la carezza nel passare. Riprendo possesso delle mie sembianze umane e, nonostante il calore demoniaco che riporto con me, la sento<br />

fredda e vuota.<br />

Respiro profondamente, lasciando che l’aria mi riempia e lottando contro l’agitazione che cresce e l’urgenza irrefrenabile di tornare dentro di lei.<br />

Che il Diavolo mi porti… quello cos’era?<br />

Mi alzo in piedi, sforzandomi di distogliere lo sguardo da Frannie, e mi avvicino alla finestra. In alto, in un angolo, un ragnetto nero tesse furiosamente<br />

la sua ragnatela. Lo guardo muoversi veloce e preciso per costruire una trappola perfetta.<br />

Mi chiedo com’è possibile che la mia sia inutilizzabile.<br />

Non ho idea di cosa stia facendo. Non ho un piano da seguire. L’approccio indiretto non può funzionare se passo tutto il mio tempo a pensare<br />

ossessivamente che vorrei essere con lei, toccarla. Ma è evidente che non ho neppure la disciplina necessaria per gestire l’approccio diretto. E ho<br />

esaurito gli approcci possibili.<br />

Mi siedo sul pavimento vicino a Frannie e la fisso per un po’. Poi mi ritrovo ad avvicinarmi, per sfiorarle le labbra con le mie.<br />

Frannie<br />

Nel mio sogno, Luc e io danziamo sotto un cielo stellato. Siamo così vicini che lo sento dappertutto, come se fosse dentro di me. E poi facciamo di più<br />

che danzare, e il suo tocco è come il Paradiso. Mi sento gemere e mi arrampico su di lui, dentro di lui.<br />

Qualcosa di molto caldo mi sfiora le labbra, e quando spalanco gli occhi vedo il suo volto che si allontana dal mio. Come seguendo un riflesso<br />

condizionato – o forse è colpa della birra – la mia mano si avvolge attorno alla sua nuca, fra i morbidi capelli neri, riportandolo verso di me. Oppone una<br />

resistenza minima, e quasi lo lascio andare, ma in un baleno la sua bocca è sulla mia, dolce e caldissima.<br />

Deve essere a mille gradi, perché sento le labbra e la mano che bruciano. Ma allo stesso tempo mi fa sentire così bene. Mi perdo nel contatto tra noi<br />

due, e senza dubbio rischio che il mio cuore e tutto quello che c’è intorno esplodano. Nessun altro bacio mi aveva mai fatto sentire così. È intenso ed<br />

elettrico, e manda in corto circuito fino al mio più piccolo nervo. Le sue labbra si aprono, sento il suo sapore di cannella, lo inalo, ed è come se mi<br />

riempisse, come se una parte di lui filtrasse dentro di me, completandomi. Ma non chiudo gli occhi, e lui neppure. <strong>Il</strong> suo sguardo si fa tenero, e per un<br />

attimo il bagliore di fuoco nascosto dietro alla sua iride nera arde allo scoperto.<br />

Quando lo lascio andare sembra stordito e confuso, che è come mi sento anch’io. Mi guarda a lungo, e comincio a pensare di aver fatto una cazzata.<br />

Ma poi la sua espressione si fa preoccupata e mi chiede: «Stai bene, Frannie?», come se il suo bacio mi avesse potuto ferire in qualche modo.<br />

Se sto bene? Non ne sono certa. Ho la testa leggera, una sensazione a cui non so dare nome mi attraversa a ondate e quasi mi viene il mal di mare.<br />

Sono esausta ma piena di energie allo stesso tempo. <strong>Il</strong> mio cuore sembra una rana che zampetta nel mio petto, e temo che non tornerà più a essere<br />

quello di una volta. Lo guardo e cerco di riprendere fiato. Ma quello che vedo in quei laghi neri non mi aiuta a ossigenare il cervello. «Sì sì. E tu?».<br />

La preoccupazione non lascia i suoi occhi. «Benissimo», dice, ma non ha una faccia da “benissimo”.<br />

Mi viene in mente Taylor e ho un brutto presentimento. «Allora… cos’è successo ieri sera fra te e Taylor?».<br />

Sembra sorpreso. «Niente. Pensavo che te l’avesse detto».<br />

«No, è stata un po’ approssimativa».<br />

Ci pensa su un attimo. «Davvero? Interessante». Mi guarda, si irrigidisce, distoglie lo sguardo e si esamina le mani, mentre mi chiede: «E tu? Con<br />

Gabriel?»<br />

«Niente». Scoprire che Luc ci tiene più di quanto non abbia dimostrato mi dà una vertigine improvvisa, subito scalzata dal dolore al petto causato<br />

dall’aver mentito. Chiudo gli occhi e lascio cadere la testa indietro, sul letto.<br />

Luc<br />

Mi colpisce come folgore divina – una sensazione di vertigine selvaggia, di intensità scioccante, che mi fa venire voglia di correre. Correre via, o<br />

correre da lei. Non ho capito bene.


E quello che ho sentito quando mi ha baciato, non ho davvero idea di cosa fosse. Un riassestamento delle mie fondamenta. Cosa diavolo posso fare,<br />

adesso?<br />

<strong>Il</strong> mio lavoro. Deve essere legata. <strong>Il</strong> che significa che devo continuare a portarla sul sentiero della lussuria, rendendo le questioni ira e invidia più<br />

accessibili… no?<br />

«Dovremmo rimetterci al lavoro». O almeno, io dovrei. Secondo me non è impossibile portarmela a letto… magari un’altra birra, una piccola spinta…<br />

giusto per instradarla.<br />

Ed è allora che mi passa sotto al naso un aroma di cioccolata calda. Che genere di segnale sta mandando la psiche di Frannie? Qualcosa che non mi<br />

è dato di riconoscere.<br />

«Sì», dice sorridendo. Recupera il quaderno, che era andato alla deriva sul tappeto, e se lo apre sulle ginocchia.<br />

La guardo negli occhi, cercando di scoprirne il mistero. Non so se questo possa aiutarmi nel mio piano, ma faccio davvero fatica a guardare da<br />

un’altra parte. Frannie mi fissa di rimando. Faccio per riavvicinarmi a lei, che sembra volerlo quanto me, ma a un certo punto tiro indietro la mano, come<br />

costretto da qualcosa. Perché la voglio più di quanto io possa dire – in ogni senso possibile – ma qualcosa non mi permette di farla mia.<br />

Sento un nodo profondo e doloroso nel petto. <strong>Il</strong> mio cuore? Stiamo scherzando? Lo zolfo non palpita. La guardo di nuovo e mi sorride. Non<br />

sorriderebbe di certo se sapesse che cosa sono. Dovrei dirglielo. Sarebbe la cosa più giusta.<br />

Ah, per le fiamme dell’Inferno. Sembrano scrupoli di coscienza. Cosa diavolo mi succede? Se questo è uno scherzo del mio capo, non è divertente.<br />

Ma no, per quanto sia sadico credo che neanche Beherit ci troverebbe molto da ridere.<br />

Gabriel.<br />

Dev’essere colpa sua, in qualche modo. Aspetta che lo prendo… gli stacco tutte le penne e mi ci faccio un bel cuscino.<br />

Tiro un respiro profondo e cerco di schiarirmi le idee. <strong>Il</strong> mio sguardo torna a posarsi su Frannie proprio quando se ne esce con un sorrisetto malizioso,<br />

che rende le sue labbra ancora più desiderabili. Non ricordo di aver mai voluto così tanto qualcosa. Se non fossi certo del contrario, sospetterei di<br />

essere nato dalla bramosia invece che dalla superbia.<br />

«Allora… capitolo ventotto…», dico guardando da un’altra parte mentre apro il quaderno.<br />

3 Qui e subito dopo in italiano nel testo originale.


Capitolo 12<br />

Come in Paradiso<br />

Frannie<br />

Taylor mi guarda dall’altro lato del tavolo. «Ti ha baciata?».<br />

Mi si stampa sulla faccia un gran sorriso. È passato un giorno intero e mi formicolano ancora le labbra.<br />

Arriva la cameriera con maiale mu shu, pollo al limone e riso fritto con gamberetti. Sbatte i piatti sul tavolo, ci butta davanti una manciata di bacchette<br />

dicendo qualcosa in cantonese – forse un insulto – e se ne va come se le avessimo fatto un grosso torto.<br />

Riley la guarda dispiaciuta. «Perché ci odia?».<br />

Alzo le spalle, poi mi volto verso Taylor. «Sei solo gelosa», dico gongolando mentre mi metto una porzione di riso nel piatto. È la nostra serata fra<br />

donne. Ho provato a tirare il pacco, visto che al momento ce l’ho a morte con Taylor, ma Riley è riuscita a farmi sentire in colpa dicendomi di sentirsi in<br />

colpa, ed eccomi qui. Ben contenta di spiattellare in faccia a Taylor tutta la faccenda.<br />

«Quindi, l’ha fatto davvero?», chiede Riley.<br />

Guardo fuori dalla finestra, oltre l’insegna al neon che recita “Aperto”, fino ai marciapiedi vuoti e alle vetrine scure dei negozi chiusi, dall’altra parte<br />

della strada. Per un attimo sono certa di vedere una Shelby Cobra nera passare fra i neon. Ma immagino resterà un pio desiderio. Sorrido a Taylor,<br />

questa volta amichevolmente. «Be’, può essere che sia stata io a baciarlo. È tutto un po’ confuso».<br />

«Vedi! Ho ragione. Diventa tutto poco chiaro quando c’è di mezzo lui. Ma ti ha detto che con me non è successo niente…?»<br />

«Niente».<br />

«E tu gli credi?». Taylor agita selvaggiamente le bacchette, spruzzando l’intero tavolo di salsa al limone.<br />

«Be’, non sembrava imbarazzato al riguardo. Ero sorpresa che non me l’avessi già detto tu».<br />

«Quindi, io sono fortunata perché lui non c’è stato», dice traboccante di sdegno, «mentre tu non corri nessun rischio a baciarlo?».<br />

Non riesco a togliermi questo nuovo sorriso ebete dalla faccia. «Forse mi ero sbagliata», dico sperando di avere ragione, stavolta. Ma se anche lui mi<br />

mandasse a quel paese domani, ne sarebbe valsa la pena solo per vedere l’espressione di Taylor in questo momento.<br />

Scuote la testa. «L’hai baciato».<br />

«Già».<br />

«Solo un bacio?»<br />

«Solo un bacio». Più che sufficiente a mandarmi in orbita per circa ventiquattr’ore.<br />

Riley sgrana gli occhi e dice trionfante: «Quindi, tipo, adesso uscite insieme?»<br />

«Non so… direi di sì».<br />

Avere la bocca strapiena di maiale e cavolo non scoraggia Taylor, che interviene in tono sarcastico: «Come fai a non saperlo?»<br />

«Nello stesso modo in cui tu non sai se ci sei andata a letto».<br />

«Sapevo di non esserci andata a letto».<br />

«Chi se ne frega. Non siamo usciti insieme ufficialmente, per ora, quindi tecnicamente la risposta è no».<br />

«Ti odio».<br />

«Lo so», dico continuando a gongolare. È più forte di me. È troppo bello essere quella che lascia Taylor a bocca asciutta, per una volta.<br />

Fa una leggera smorfia, poi vede qualcosa dietro di me e sembra sorpresa. «Ma gli hai detto che venivamo qui?»<br />

«A chi?». Mi giro e vedo Luc in piedi sulla soglia, sotto all’insegna “La casa del bambù – cibo buonissimo”. Viene verso di noi.<br />

«Non voglio interrompervi». La sua voce, una cascata di miele caldo, sembra sciogliere ogni mia volontà. Vorrei saltargli addosso senza tanti<br />

convenevoli, ma allo stesso tempo non voglio diventare una pessima amica – almeno non per Riley. Con estrema fatica gli tolgo il mio sguardo<br />

indagatore di dosso e lo rivolgo alle altre.<br />

«Siediti», dice Taylor dando un calcio alla sedia vicino alla mia.<br />

Luc piega un sopracciglio. «Riley…?»<br />

«Abbiamo un quintale di cibo che non finiremo mai. E a sentir loro è “buonissimo”. Mangia», risponde sorridendo. Non sembra incazzata.<br />

Luc si infila di fianco a me, e le nostre spalle si sfiorano appena. «Grazie, ma non ho una gran fame».<br />

«Allora, che ci fai al ristorante cinese?», lo stuzzica Taylor.<br />

«Passavo di qui e vi ho viste».<br />

«Vabbe’». Taylor mi lancia uno sguardo vendicativo. «Stavamo giusto parlando di te». E adesso so perché gli ha permesso di intrufolarsi nella nostra<br />

serata solo per donne. «Perché ci prendi per il culo?».<br />

Le do un calcio sotto al tavolo. «Taylor!».<br />

Riley si intromette: «Quello che vuole dire è: non stai facendo il cretino con Frannie, vero?».<br />

Rifilo un calcio anche a lei. «Riley!».<br />

Luc cerca di non ridere. «No, mi interessa. Dimmi quello che pensi, Riley».<br />

«Be’, penso che lei ti piaccia…».<br />

«E per te va bene?»<br />

«Sì, se le tue intenzioni sono serie. Perché sappi che se fai il furbo Taylor e io ti prendiamo a calci in culo».<br />

Le mie guance stanno prendendo fuoco. «Riley, non ho bisogno d’aiuto per prendere la gente a calci in culo».<br />

Taylor accenna una smorfia maligna. «Già, Luc. Lo sapevi che Frannie è cintura nera di judo?».<br />

Lui mi guarda divertito. «Sì. L’avevo intuito quando l’ho vista far volare in aria un tipo bello grosso nel giardino dei Gallagher».<br />

Sbatto i gomiti sul tavolo e mi prendo la faccia fra le mani. Mi viene in mente tutto ciò che Taylor potrebbe tirare fuori per mettermi in imbarazzo, ha<br />

nove anni di munizioni. Nella mia testa la scongiuro di non approfittarsene. Ti prego, ti prego, ti prego Taylor, non mandare tutto all’aria.<br />

Ma quando sento il braccio di Luc intorno alla vita, la mia mente si resetta e il tachimetro del mio cuore raggiunge la zona rossa.<br />

«Allora, per rispondere alla domanda di Riley: faccio sul serio», dice lui, facendo fermare di botto il mio cuore iperattivo.<br />

«Immagino che la accompagnerai a casa», dice Riley.<br />

Faccio sbucare il volto dalle mani. «Ma che diavolo… Io non ho voce in capitolo?».


Luc lascia che un sorriso gli si disegni sulle labbra, e io fremo al ricordo di quanto mi è piaciuto sentirle sulle mie. «Prego».<br />

Respiro per calmare le mie palpitazioni. Non sopporto che lui sia consapevole di quanto lo voglio e apro la bocca per dire no: «Be’… ok».<br />

Riley scosta la sua sedia dal tavolo e recupera la borsetta, poi prende per una manica Taylor, la cui espressione sembra essersi mitigata. «Andiamo».<br />

Taylor si alza e sorride, un sorriso genuino, senza precedenti. Ma in un attimo eccola ritornare alla sua prediletta espressione allusiva. Si sfrega le<br />

mani poi le alza in segno di resa. «Abbandono il campo». Si avvia verso la porta e aggiunge: «Non fare niente che io non farei».<br />

Ma che diavolo succede? Taylor che si fa da parte? Dev’essere un sogno.<br />

«In altre parole», chiarisce Riley con un buffetto sulla spalla, «è tutto lecito». Prima di andarsene lascia sul tavolo una cospicua mancia, come ultimo,<br />

inutile tentativo di entrare nelle grazie della cameriera.<br />

Riaffondo il volto nelle mani, troppo imbarazzata per guardare Luc, adesso che siamo soli.<br />

Appoggia la sua spalla alla mia. «Ehi».<br />

Continuo a restare nascosta e biascico attraverso i palmi: «Scusa…».<br />

«Mi sembra una cosa carina che Riley si preoccupi per te».<br />

«Carina? Prova con “mortificante”».<br />

Lui mi rivolge il suo sorriso storto e il mio cuore rischia di fermarsi. E quando si avvicina per baciarmi credo si fermi davvero.<br />

Non posso evitare di stringerlo a me e lo sento fremere in risposta. I suoi occhi si fissano nei miei e mi sussurra fra le labbra: «Andiamocene da qui».<br />

Un formicolio forte abbastanza da essere quasi doloroso mi esplode dentro e con un sorriso tremante gli dico: «Conosco il posto giusto».<br />

Luc<br />

Non assomiglia a niente che io abbia mai fatto prima. E questo non è poco. Ma probabilmente è merito di Frannie. Sembra che abbia questo effetto<br />

su di me, trasforma ogni cosa in un’esperienza nuova.<br />

«Devi chiudere gli occhi», dice. «È una sensazione forte. Sei pronto?»<br />

«Sì».<br />

I profumi del bosco riempiono l’aria notturna. L’unico suono è l’armonia del gracidare delle rane sovrapposto al frinire delle cicale, rotto ogni tanto dalla<br />

risata di Frannie, che a sua volta è come musica.<br />

«Ok», dice piano, sporgendosi per un bacio. Le mie labbra fanno giusto in tempo a toccare le sue, poi nei suoi occhi passa un lampo luciferino e<br />

lascia andare la corda.<br />

Chiudo gli occhi mentre dondolo sull’acqua, col vento fresco che mi accarezza il volto e mi scompiglia i capelli. Mi sento come se galleggiassi nella<br />

notte, e ha ragione lei, è una sensazione forte. È quasi come essere convocati da Re Lucifero – quel simpatico strattone che ti risucchia attraverso<br />

spazio e tempo – ma senza l’odore di zolfo e il terrore che mi annoda la bocca dello stomaco. Un formicolio mi attraversa il corpo. Quando torno indietro<br />

atterro sul ciglio roccioso della cava, accanto a Frannie. Lei ride di nuovo. Vedo il suo volto argenteo, illuminato dalla luna pallida, e lo stesso formicolio<br />

torna ad assalirmi.<br />

«Allora…? Forte, eh?», dice stringendomi e mandandomi a fuoco con un bacio. Mmm… chiodi di garofano e uvetta sulla mia lingua. La sua anima su<br />

un piatto d’argento, perché io la possa prendere.<br />

La falce di luna è ancora bassa e getta sull’acqua scura della cava ombre tremolanti d’alberi intervallate dalla sua luce incerta. È un bagliore debole,<br />

che non può sopraffare le stelle riflesse sulla superficie d’acqua, brillanti come migliaia di gioielli sfaccettati. Non ho mai visto una notte così limpida. Ma<br />

il vero spettacolo sono gli universi sconosciuti che vedo splendere negli occhi di Frannie.<br />

«Ok, adesso tocca a me», dice spingendomi da parte. Afferra la corda e, mentre gliela tengo ferma, sale sul disco di legno legato sul fondo.<br />

«Pronta?», le chiedo.<br />

«Vai», dice ridendo, e io la lascio andare.<br />

La guardo volare lontano da me, una silhouette scura contro il riflesso dell’acqua. L’estremità della corda taglia l’acqua, increspandola e rimescolando<br />

le luci delle stelle. Ascoltarla che urla come Tarzan, per poi sentire nuovamente il trillo della sua risata, risveglia qualcosa di sopito dentro di me, che<br />

risale verso la superficie e poi esplode come un vulcano. Sto ridendo anch’io. Ma è un suono estraneo. Sono felice.<br />

D’un tratto urla: «Oh, merda!», e la sento cadere in acqua con un gran tonfo, seguito da uno sciabordio sinistro.<br />

La mia risata si spegne e mi tuffo dietro di lei gridando: «Frannie!». Risalgo in superficie per ascoltare, e mi sembra di sentire una risata soffocata<br />

provenire dalla riva, confusa con il rumore delle foglie che fremono al vento. «Frannie!», urlo un’altra volta. Nessuna risposta. Lottando contro il panico,<br />

nuoto fino al punto più lontano a cui arriva la corda e lì mi immergo. Faccio appello al mio potere e la mia mano illumina di un bagliore rosso l’acqua<br />

melmosa intorno a me. Nuoto lentamente verso riva e poco prima di raggiungerla vedo una mano che si tende dalle profondità oscure. La afferro e<br />

tirando riporto in superficie Frannie, che tossisce e cerca disperatamente di respirare.<br />

«Qualcosa… mi ha… afferrata», dice in un rantolo e coi denti che battono così forte che a malapena distinguo le parole.<br />

Provo un senso di profondo sollievo e la circondo con un braccio per portarla a riva. La spingo fuori dall’acqua gelida e le resto dietro mentre ci<br />

arrampichiamo sulle rocce scivolose.<br />

«Stai bene?»<br />

«Sì sì. Sto solo… congelando», dice continuando a battere i denti e ansimare.<br />

Posso già vedere il vapore che si alza dai miei vestiti bagnati, così la avvolgo nel mio abbraccio e le tiro indietro i capelli, strizzandoli per bene. La<br />

tengo stretta e il mio corpo assorbe i suoi brividi violenti. Nel giro di poco inizia ad alzarsi un velo di vapore anche da lei.<br />

«Dio… sei così caldo».<br />

Sorrido. Dio non ha niente a che vedere con questo.<br />

«È come se qualcosa mi avesse preso per una gamba», dice quando finalmente riacquista l’uso della parola.<br />

«Forse ti si è incastrato il piede in una radice».<br />

«Immagino sia così… ma sembrava qualcos’altro».<br />

Continuo a stringerla e lentamente i suoi brividi cessano. Ci dondoliamo a ritmo con il frinire delle cicale. Quando in cielo la luna si è fatta alta sopra di<br />

noi, sono completamente perso. Niente mi è mai sembrato così giusto… ma anche sbagliato. Danziamo e ci sono solo la musica, lei e io. Nessun piano<br />

d’attacco.<br />

Frannie<br />

Anche se vestiti e capelli sono quasi asciutti, passo buona parte del viaggio verso casa a chiedermi cosa racconterò ai miei genitori per spiegare<br />

come mai sto tornando con Luc e ridotta in questo stato. Quando casa appare all’orizzonte ancora non ne ho idea.


Sto anche cercando di capire cosa succede con Luc, o meglio, capire come e perché mi fa sentire così. È completamente diverso da come mi sento<br />

con Gabe, ma non meno allarmante. Direi altrettanto terrificante, ma in modo completamente diverso. Con Gabe, le sensazioni sono forti e profonde,<br />

mentre con Luc sono selvagge e fuori controllo. Non mi fido di Luc. Come potrei? Ma allo stesso tempo non voglio smettere di sentirmi così.<br />

Parcheggia nel vialetto e spegne il motore. Resto lì un attimo, ma vorrei poterci restare per sempre.<br />

«Allora…», dice lui.<br />

«Allora…», gli rispondo. Allunga una mano, mi sposta i capelli e si avvicina per baciarmi. Mentre le sue labbra si muovono sulle mie divento di gelatina<br />

e devo ricordare a me stessa di respirare. Dopo un bel po’, ma mai abbastanza, si ritrae.<br />

«Immagino sia il caso che ti accompagni alla porta».<br />

Mi riavvio i capelli, ormai selvaggi, e li raccolgo.<br />

«Eh… non mi sembra una buona idea».<br />

Sorride. «Come se non sapessero già che sei con me. Ci stanno guardando dalla finestra».<br />

Guardo verso casa e vedo le tende che si chiudono. La porta d’ingresso si spalanca ed ecco mia madre, con il suo vestito blu da casalinga anni<br />

Cinquanta e i tacchi. A braccia conserte e con gli occhi sgranati dalla rabbia mi aspetta in piedi sulla soglia.<br />

«E sa anche che mi hai appena baciato», dice lui con quel suo sorriso storto.<br />

Merda. Merda. «Merda».<br />

Luc se la ride sotto i baffi. Scende dalla macchina e viene ad aprirmi la portiera. Bella mossa. Mi aiuta a scendere prendendomi la mano, e non la<br />

lascia mentre ci avviciniamo all’ingresso. Adoro sentire il calore bruciante della sua mano nella mia. <strong>Il</strong> meglio che posso fare è astenermi dal trascinarlo<br />

di nuovo in macchina e convincerlo a portarmi in qualche posto isolato.<br />

«Buona sera, signora Cavanaugh».<br />

«Ciao», risponde mia madre sbrigativamente, il che per lei equivale a lanciare un anatema. Poi i suoi occhi si spostano su di me, e anche se sotto al<br />

portico c’è poca luce immagino che il mio aspetto sia disastroso. «Cos’è successo?». Torna a concentrarsi su Luc, guardandolo con sospetto.<br />

Mi mordo la lingua per bloccare sul nascere una risata isterica mentre penso di risponderle: Luc mi ha ravanata per bene sul sedile posteriore. Che,<br />

ora che ci penso, è proprio quello che ha fatto ieri notte nei miei sogni. Invece abbasso la cresta e le dico la verità. «Sono caduta nel lago della cava. Luc<br />

mi ha salvata». Per quanto io sia restia a fare la parte della damigella in pericolo, spero che gli faccia guadagnare un po’ di punti.<br />

«E cosa ci facevi là? La cava è un posto pericoloso», dice guardando Luc con aperta ostilità. «Hai bisogno di una doccia calda». Mi tira dentro e gli<br />

chiude la porta in faccia.<br />

«Ma mamma, è stata colpa mia. Luc si è buttato dopo di me per salvarmi. Davvero».<br />

Mi trascina su per le scale. «Grazie al cielo stai bene. Ti avevo detto di non andartene in giro con lui, Frannie. Pensavamo che fossi con Taylor e Riley»<br />

.<br />

«Mamma, non so cosa sia successo per farvi irrigidire tanto, ma non è una cattiva persona. Davvero».<br />

«Discuteremo delle conseguenze del tuo comportamento più tardi», dice spingendomi in bagno. «Adesso fatti la doccia».<br />

«Conseguenze? Vuoi dire tipo una punizione?».<br />

Mi guarda pensierosa, e sembra accorgersi solo ora che avrebbe dovuto farmi il discorso delle api e dei fiori diverso tempo fa. «Ne parliamo più<br />

tardi», dice chiudendo la porta. Grandioso.<br />

Aspetto di sentire lo scricchiolio dell’ultimo gradino delle scale, poi apro la porta, mi precipito in corridoio ed entro nella mia stanza. Corro alla finestra<br />

e la spalanco di botto.<br />

La macchina di Luc è nel vialetto, con la portiera aperta, ma lui non si vede.<br />

«Luc!», chiamo, sussurrando più forte possibile.<br />

«Ehi». La sua voce proviene da sotto alla mia finestra.<br />

Spiaccico la faccia contro il vetro e guardo giù, proprio mentre lui appare, camminando verso il vialetto. «Scusa per prima. Mia madre è stata un po’<br />

pesante».<br />

«No problem», risponde guardando un po’ me, un po’ i rami di quercia davanti alla mia finestra.<br />

Sorrido. «Hai intenzione di arrampicarti su quell’albero?».<br />

<strong>Il</strong> suo sguardo si accende per un attimo, poi mi sorride e risponde: «Se lo facessi mi lasceresti entrare?».<br />

Sento le mie gote infiammarsi. «Non stasera. Temo che per oggi mia madre sia arrivata al limite di sopportazione».<br />

«Sicura?».<br />

No. «Sì».<br />

È dispiaciuto, ma non eccessivamente, quando dice: «Ok. Fammi un favore, allora. La tua finestra ha un chiavistello?»<br />

«Sì».<br />

«Chiudila bene. Siamo d’accordo?».<br />

Mi scappa da ridere. «Perché? È meglio non fidarsi di te?»<br />

«In effetti è così. Ma non è di me che mi preoccupo al momento. Fallo e basta. Adesso, ok?». L’urgenza nel suo tono di voce mi spaventa un po’.<br />

«Cosa c’è che non va?»<br />

«Niente. Fallo e basta. Per favore», dice alzando la voce.<br />

«Se mi dici cosa sta succedendo».<br />

«Ah, per le fiamme dell’Inferno…», dice esasperato, poi mi guarda come se stesse per infuriarsi. «Per favore, Frannie».<br />

Gli restituisco lo sguardo. «Vabbe’», rispondo, e chiudo la finestra.<br />

Resta lì per un minuto buono e continua a guardarmi finché capisco che sta aspettando che io chiuda col chiavistello. Lo faccio, senza smettere di<br />

tenere il broncio, e lui sale sulla Mustang. Esce dal vialetto e lo guardo allontanarsi fino a quando i fari posteriori non spariscono dietro agli alberi.<br />

Chiedilo a lui perché ha dovuto rovinare una serata perfetta trasformandosi in un perfetto stronzo.<br />

Appena prima di lasciar cadere le tende guardo fuori, nell’oscurità, verso l’albero di fronte.<br />

Mi allontano dalla finestra incespicando, senza fiato.<br />

E dico a me stessa che gli occhi rossi che ho appena visto fluttuare fra i rami sono sicuramente quelli di un gatto.<br />

Tempo un secondo, la porta si apre e la testa di Kate fa capolino. «Stai bene?»<br />

«Sì». Ma il tremore nella mia voce non testimonia a mio favore.<br />

«Cos’è successo?»<br />

«Quando?»<br />

«Poco fa. Hai appena urlato».<br />

«Ah sì?», dico rabbrividendo al pensiero di quegli occhi senza corpo.<br />

Entra e si chiude dietro la porta. «Già. Allora, stai bene?»<br />

«Sì, scusa. Qualcosa mi ha presa alla sprovvista».


«Bene». Si avvia alla porta.<br />

«Aspetta!», urlo sbirciando la finestra dietro di me. Sono ancora spaventata e non voglio che se ne vada subito.<br />

«Cosa c’è?», dice girandosi.<br />

E d’un tratto mi sento in imbarazzo. «Allora… come va?».<br />

Mi fissa un attimo poi mi chiede: «Sei sicura di stare bene? Perché sembri un po’ fuori di testa».<br />

«Sto bene. Solo pensavo che forse potremmo… parlare?».<br />

Alza gli occhi al cielo e fa di nuovo per andarsene, ma in quel momento mi viene in mente qualcosa che le voglio chiedere davvero.<br />

«Kate…».<br />

Ha già la mano sulla maniglia e gira appena la testa. «Cosa?»<br />

«Quando tu e Chase… lo sai. Quando per la prima volta avete…».<br />

Si gira verso di me, scocciata. «Abbiamo cosa, Frannie?»<br />

«Fatto sesso… quando l’avete fatto la prima volta. Come sapevate di essere pronti?».<br />

La sua espressione si addolcisce e sorride al ricordo. «Lo sai e basta». Poi il suo volto si tinge di preoccupazione. «Non lasciare che nessuno ti<br />

faccia pressioni, Frannie. Se una qualsiasi parte di te non se la sente, allora è no».<br />

Ma cosa succede se ogni singola parte di me dice di sì? Penso a Luc, e anche se sono arrabbiata con lui il solito formicolio torna a visitare la zona<br />

bassa della mia pancia. «Grazie, Kate».<br />

Se ne va con un’espressione preoccupata. Quando la porta si chiude resto a lungo lì in piedi, a fissare la finestra. Alla fine tiro fuori il diario di Matt,<br />

salgo sul letto e, cercando di mettere in fila i mie pensieri, mi metto a scrivere.<br />

Allora, Matt… dentro di me stanno succedendo cose che non so come descrivere. Scusami. Fa un po’ paura sentirsi così, fuori controllo.<br />

Fisso il muro per un po’, mentre tutto si agita dentro di me.<br />

Luc… è come una specie di droga. Non mi basta mai. Se questo è l’effetto delle droghe sulla gente, capisco perché creano dipendenza.<br />

Una fitta di panico mi avvolge il cuore. Alzo la testa dal diario e mi sfrego gli occhi, cercando di scacciare l’immagine di Luc dalla mia mente.<br />

Non voglio aver bisogno di nessuno in quel modo. Non permetterò a me stessa di diventare Luc-dipendente.<br />

Chiudo il diario di Matt e torno a fissare il muro mentre nella mia testa la soluzione diventa chiara come il sole. Posso desiderarlo fisicamente, senza<br />

aver bisogno di lui. Si chiama lussuria. Non è necessario nessun coinvolgimento emotivo. Ed è così, è solo attrazione fisica quella che provo. Ne sono<br />

certa.<br />

Invece con Gabe…<br />

Mentre i miei pensieri vanno a lui, il solletico alla pancia si trasforma in una fitta di dolore al petto. Perché inizio a pensare che quello che provo è più<br />

profondo del desiderio fisico, ed è qualcosa di molto più pericoloso.<br />

Mi ero sbagliata. Luc è decisamente la scelta più sicura. So cosa posso aspettarmi, e non si trasformerà mai in qualcosa che non sono in grado di<br />

gestire.<br />

Luc<br />

Belias. Questo è grave. Perché mai Beherit dovrebbe mandare Belias? O meglio, perché sente il bisogno di mandare qualcuno a controllare? In<br />

migliaia di anni non era mai successo. Ma non c’è dubbio che si trattasse di lui, fuori dalla finestra di Frannie.<br />

Guido piano per vedere se mi segue. Quando mi accorgo che non si è mosso, ho la certezza che la situazione sia più che grave. Non sta controllando<br />

me, è venuto per Frannie. Cercando di dominare il panico faccio inversione, accosto a distanza di due, tre case e resto lì un attimo, ad analizzare la<br />

situazione.<br />

Belias è del settore Riscossioni. Perché Beherit ha mandato uno di loro? L’anima di Frannie deve solo essere legata. A meno che non ci sia stato un<br />

cambiamento di programma. E se è Belias a legarla, la sua anima sarà per sempre incatenata a lui. Lei sarà sua. Un sentimento ancestrale, come un<br />

bisogno primario, avvampa dentro di me. Lui non deve averla. Lei è mia. Di punto in bianco sono felice che il signor Cavanaugh sia culo e camicia con<br />

l’Altissimo. Se io che sono un demone di prima categoria non posso introdurmi in casa loro, allora di certo non può farlo neanche Belias.<br />

Esco dalla macchina e attraverso la strada furtivamente. E adesso che faccio? Non credo che verrà via con me semplicemente perché glielo chiedo.<br />

Mi nascondo dietro al tronco dell’albero e lo chiamo con la mente. Belias! So che mi può sentire, così come io posso sentire lui. <strong>Il</strong> legame psichico<br />

infernale ci mette in connessione, che ci piaccia o no, come una linea diretta col Maligno di cui non si possono tagliare i fili.<br />

Sento un fruscio leggerissimo, il rumore che farebbe uno scoiattolo fra i rami, e Belias è in piedi al mio fianco. I suoi capelli neri e ispidi coprono<br />

parzialmente gli occhi rossi, che comunque illuminano un raggio di mezzo metro e gli proiettano sul volto l’ombra degli zigomi aguzzi. Mi guarda con un<br />

sorriso malevolo. «Lucifer. Quanto tempo che non ci vediamo».<br />

«Di cosa stai parlando? Ci siamo visti qualche settimana fa».<br />

«Appunto. <strong>Il</strong> capo dice che ci stai mettendo davvero troppo. Sono le sue precise parole».<br />

«Sono passate solo due settimane. Non sapevo ci fosse tanta fretta», dico mentendo.<br />

«Be’, invece è così. In caso non te ne fossi accorto, Gabriel è qui. Se aspetti un altro po’ sarà troppo tardi».<br />

«Puoi tornartene a casa e dire a Beherit che ho tutto sotto controllo. Grazie».<br />

«Mmm… è quello che ho pensato quando ti ho visto alla cava. Che scena stucchevole, Lucifer. Però non mi è chiaro com’è possibile che pur<br />

trovandoti così vicino a lei tu non l’abbia presa… prendere la sua carne, intendo».<br />

Come ho fatto a non accorgermi della sua presenza? Mi sto lasciando troppo andare. Le sue parole mi pesano addosso e sento una fitta di pura<br />

rabbia, come una furia dai denti aguzzi che mi si agita dentro lacerandomi le carni.<br />

È stato Belias.<br />

Stringo i pugni e lo incenerisco con lo sguardo. «Allora tu non c’entri niente con il piccolo incidente che ha avuto Frannie, vero? Perché annegarla<br />

prima che la sua anima sia stata legata non è una strategia vincente. Finirebbe nel Limbo e noi ci troveremmo in svantaggio».<br />

Fa una smorfia velenosa e i suoi occhi si accendono. «Vedi, è questo il punto, Lucifer. La sua anima dovrebbe già essere legata. Hai avuto<br />

l’occasione perfetta per prendere la sua carne, il primo passo per arrivare alla sua anima. Ti si è offerta su un piatto d’argento, si sentiva l’odore di<br />

zenzero fin da lontano. Ma hai preferito fare il cavalier servente, invece di attenerti al tuo lavoro. Stai perdendo colpi, e questo dettaglio non è sfuggito a<br />

Beherit».<br />

Un misto di paura e panico si impadronisce di me. L’ultima cosa di cui ho bisogno è che il mio capo prenda nota dei miei errori. «Non posso<br />

prenderla e basta, Belias. Ci sono delle regole, in caso te ne fossi dimenticato». Ma mentre lo dico mi accorgo di quanto suoni falso. Sto inventando<br />

delle scuse.<br />

I suoi occhi si infiammano ulteriormente, come attraversati da un fulmine rosso. «Le regole sono cambiate».<br />

«Ah, davvero? Si vede che non ho ricevuto la circolare coi dettagli».


La sua smorfia è sempre più profonda e spaventosa. «È una cosa importante, Lucifer. Non c’è posto per gli errori. Vedi di non mandare tutto a<br />

puttane».<br />

La voce del mio re mi rimbomba nella testa: Non deludermi.<br />

«Ecco perché sto facendo le cose con calma: per evitare di commettere errori. Adesso vai, non vorrai che Avaira senta la tua mancanza».<br />

Fa un sorrisetto compiaciuto. «Potrei finire questo lavoro e tornarmene all’Inferno prima ancora che Avaira si accorga della mia assenza». Le creature<br />

nate dalla lussuria sono disgustose, motivo per cui non permetterò a quest’individuo perverso di avvicinarsi di un centimetro a Frannie.<br />

«Be’, potrei sempre lasciarti a finire questo lavoro», dico indicando la finestra di Frannie, «e occuparmi io di consolare Avaira». Sto bluffando, ma lui<br />

ci casca.<br />

«<strong>Il</strong> capo è impaziente. Non metterci troppo». Poi scompare in una nuvoletta di zolfo. Puf, andato.<br />

Aspetto a lungo, sempre nascosto dietro all’albero, indeciso sul da farsi. Alla fine, facendo attenzione a confondermi fra le ombre, torno alla mia<br />

macchina e resto lì a fare la guardia tutta la notte.


Capitolo 13<br />

Una fredda giornata infernale<br />

Frannie<br />

Aspetto davanti all’armadietto e il mio cuore batte forte, perché dopo la notte scorsa non so bene cosa aspettarmi da Luc. Guardo i libri senza vederli<br />

e sposto il peso da un piede all’altro, senza riuscire a darmi un tono. Poi sento un soffio di cannella e sorrido, proprio mentre la sua mano infuocata mi<br />

afferra alla vita, attirandomi verso il suo corpo bollente.<br />

«Ciao, bellezza».<br />

La sua voce mi fa rabbrividire nonostante il suo corpo mi faccia bruciare. Apro la bocca per dissentire sulla mia presupposta bellezza, ma subito<br />

lascio stare perché sono troppo impegnata a sciogliermi e, contemporaneamente, a non lasciare una pozzanghera di bava sul pavimento. Mi avvito nel<br />

suo abbraccio e lui mi bacia. È solo grazie alla folla di studenti sudaticci che popola il corridoio se non gli salto addosso. Ma è impossibile evitare il<br />

sorriso ebete che mi si stampa in faccia quando mi prende per mano e mi guida verso l’aula 616.<br />

Durante la lezione appoggia la sua spalla alla mia mentre legge a voce alta la fine di Furore. <strong>Il</strong> professor Snyder se ne accorge e sembra concedere il<br />

suo benestare con un sorriso.<br />

«Ben fatto, signor Cain», dice facendo l’occhiolino. «Non vi sottoporrò a un test finale, ma la tesina su Furore costituirà il venticinque percento della<br />

valutazione per questo corso. Ho preparato un questionario che vi aiuterà a inquadrare le riflessioni finali sul libro». Depone alla fine di ogni fila di banchi<br />

una pila di carta, che si disfa mentre i fogli vengono smistati tra gli studenti. «Prendetevi il tempo necessario per rielaborare il lavoro fatto finora e<br />

formulate i vostri pensieri in modo compiuto, prima di passare alla tesina vera propria. Per fare questo userete i riassunti dei vari capitoli che avete<br />

scritto in precedenza. Oggi è giovedì. Avete fino a lunedì per preparare una scaletta basata su questa lista di domande. Le vostre tesine dovranno<br />

essere consegnate il lunedì successivo, cioè l’ultimo giorno di scuola. Avete gli ultimi minuti prima della campanella per leggere le domande».<br />

Luc esamina la pagina poi mi guarda con quel suo sorriso storto. «Tutto questo lavoro ci costringerà a passare l’intero fine settimana chiusi nel mio<br />

appartamento».<br />

Mi appoggio alla sua spalla. «Sarò tua prigioniera o sono libera di andare e venire a mio piacimento?».<br />

<strong>Il</strong> sorriso storto diventa allusivo. «Non avrai nessuna voglia di andartene».<br />

<strong>Il</strong> suono della campanella mi fa sobbalzare e rimette in funzione il mio cuore.<br />

Ma quando usciamo in corridoio, ecco un altro genere di shock. <strong>Il</strong> mio cuore si ingolfa e minaccia nuovamente di fermarsi, perché appoggiato al mio<br />

armadietto c’è Gabe, con il suo sorriso angelico.<br />

Dio, è così bello.<br />

Inciampo, e Luc mi prende per la vita per impedirmi di cadere. Faccio un bel respiro e ordino ai miei piedi di andare avanti.<br />

Appena Luc si accorge di Gabe, sento la sua mano stringermi più forte. «Gabriel».<br />

Non riesco a guardarlo negli occhi, ma il tono deluso della sua voce è sufficiente a farmi sentire spaccata in due. «Vieni con me a fisica?».<br />

Guardo Luc e mi stacco da lui con delicatezza. «Certo».<br />

In silenzio, ci facciamo largo attraverso il corridoio affollato, e posso sentire lo sguardo di Luc che mi brucia sulla schiena. Tengo gli occhi fissi sul<br />

pavimento grigio finché, quasi davanti al laboratorio, Gabe si ferma. «Allora è questo che vuoi? È lui che vuoi?», mi chiede.<br />

Mi sento come se stessi per esplodere, perché non ho la minima idea di cosa voglio. «Io… forse».<br />

«Forse», mi fa eco.<br />

Sento il peso del suo sguardo e finalmente mi volto verso di lui per dire qualcosa in mia difesa, ma le parole non mi escono di bocca.<br />

Mi mette una mano sulla nuca e si avvicina. Immagino che stia per baciarmi, e quel formicolio pungente che ormai conosco bene divampa quando mi<br />

rendo conto di quanto io lo desideri. Invece sento la sua guancia che passando sfiora la mia, poi un sussurro: «Dimmi cosa devo fare per farti cambiare<br />

idea».<br />

Questo.<br />

La mia mente è un foglio bianco, non so nemmeno come mettere insieme una frase. <strong>Il</strong> suo bel viso è segnato da un sorriso triste. Senza una parola mi<br />

appoggia la mano sulla schiena per invitarmi a entrare in classe.<br />

Mentre prendiamo posto, la professoressa Billings passa fra i bancali e mi deposita davanti una bracciata di apparecchiature. Mi concentro<br />

sull’esercitazione di laboratorio e cerco di dimenticare tutto il resto. Ma è impossibile ignorare il fatto che faccio fatica a respirare e l’urgenza di toccare<br />

Gabe ogni volta che mi guarda.<br />

Alla fine della lezione sono un caso disperato. Non ricordo neppure l’argomento dell’esercitazione di oggi. Grazie al cielo, tornando all’armadietto<br />

incappo in una visione che migliora sensibilmente il mio umore: infilati dietro alla porta dello sgabuzzino delle scope ci sono Riley e Trevor avvinghiati<br />

che si baciano senza pudore. Non riesco a trattenermi e scoppio a ridere. <strong>Il</strong> boccone amaro di Taylor sta diventando ogni giorno più grosso.<br />

Luc è appoggiato al mio armadietto, e sembra creato apposta per indurmi in tentazione.<br />

Mi mette con le spalle al muro e mi bacia, poi apre l’armadietto e cambia i miei libri. Ma quando gli ho dato la combinazione? Non mi ricordo.<br />

«Pronta per il Sanghetti-show?»<br />

«Pronta». Mi sento un po’ stupida, perché adesso che sono con lui ho di nuovo quel sorriso ebete e non c’è modo di liberarmene. Temo di sembrare<br />

un’idiota durante tutta la passeggiata verso l’edificio 2, ma in breve la sua mano calda sulla schiena diventa il mio unico pensiero.<br />

Finita la lezione lui fa per avviarsi alla mensa, ma io lo prendo per un braccio. «Potremmo saltare la mensa per oggi». Non sono pronta a gestire Gabe<br />

e Luc nella stessa stanza.<br />

Mi guarda speranzoso. «Avevi qualcosa di particolare in mente?»<br />

«Ho un po’ di schifezze nell’armadietto ed è una bella giornata. Perché non ce ne andiamo fuori, sul prato?»<br />

«Buona idea». Mi mette il braccio intorno alla vita e per poco non comincio a fare le fusa.<br />

Recuperiamo le delizie custodite nel mio armadietto – che consistono più che altro in girelle di liquirizia e biscotti al cioccolato – prendiamo alcune<br />

bibite dalle macchinette e andiamo in cortile.<br />

Solo allora mi ricordo che Reefer e gli altri vengono qui a suonare in pausa pranzo. Infatti, eccolo lì che ci guarda uscire.<br />

Luc se ne accorge e lascia cadere il braccio con cui mi cinge la vita. «Se vuoi andiamo da un’altra parte».<br />

Rispondo allo sguardo di Reefer e lo saluto con la mano. «No, va bene così».


Scelgo un punto dall’altro lato dell’aiuola fiorita in mezzo al prato e mi siedo appoggiando la schiena al muretto che la circonda. Luc fa un salto alla<br />

macchina per prendere una coperta, e io butto indietro la testa per godermi il sole, mentre ascolto Reefer e la band suonare. Inizio a cantare piano,<br />

seguendo la musica, e cerco di svuotarmi la testa da ogni preoccupazione. Dopo un bel po’, notando che Luc ci sta mettendo un sacco, apro gli occhi e<br />

lo trovo seduto davanti a me, che sorride.<br />

«Non mi avevi detto che sai cantare».<br />

Abbasso lo sguardo e sento le guance in fiamme. «Ormai non canto quasi più».<br />

Si alza e stende la coperta sul prato. Ci mettiamo comodi e io mi sdraio per guardare il cielo. Quando alzo la testa Luc mi sta fissando ancora, con un<br />

accenno di sorriso sulle labbra. Sento l’urgenza di baciarlo.<br />

«Ho l’impressione che ci sia molto da scoprire su di te, Mary Francis Cavanaugh».<br />

Distolgo lo sguardo e faccio un respiro profondo. «Non che io sappia. Tu piuttosto, perché ti ostini a dare addosso al professor Sanghetti?», le dico<br />

per sviare il discorso, visto che per l’ennesima volta si sono punzecchiati durante l’intera lezione.<br />

«Faccio solo il mio lavoro».<br />

«Ah, davvero?». Apro il pacco di biscotti. «E in cosa consisterebbe esattamente?»<br />

«Spingerlo a mentire, imbrogliare… costi quel che costi, il fine giustifica i mezzi».<br />

«Quale fine?»<br />

«Che vada all’Inferno». Mi guarda negli occhi, aspettando la mia reazione.<br />

Mi limito a sorridere, perché questo l’avevo già capito. «Ma perché lui? Perché non Snyder o la Felch?»<br />

«Perché loro non mi infastidiscono».<br />

«E io ti infastidisco?».<br />

Sorride. «Tu ti sei infilata sotto alla mia pelle… come un prurito fastidioso che non smette mai».<br />

«Be’, io andrò all’Inferno comunque, quindi sei arrivato tardi».<br />

«Ah sì?». Sfodera un sorriso a quarantadue denti.<br />

Mi sciolgo i capelli per potermi sdraiare con la testa sulla coscia di Luc, a mo’ di cuscino. «Già». Apro un biscotto a metà, separando i due dischi neri<br />

di cioccolata per grattare coi denti la farcitura chiara all’interno. «E ci sarai anche tu. Si vede subito», biascico con la bocca piena di crema appiccicosa.<br />

«Su questo non c’è dubbio», risponde, togliendomi i capelli dagli occhi.<br />

Quando i biscotti sono finiti, tiriamo su la coperta e torniamo dentro. Taylor ci assale appena mettiamo piede sulla porta.<br />

«Ci siete mancati. Pranzo privato?», dice con un sopracciglio alzato.<br />

«Non proprio. Refeer e la band ci hanno fatto la serenata».<br />

Ride. «Che cosa poetica».<br />

Gabe arriva alle nostre spalle e ignorando Luc mi chiede: «Possiamo parlare?».<br />

<strong>Il</strong> sorriso di Taylor si allarga mentre ci guarda uscire in cortile. Gabe si appoggia al muro con disinvoltura, ma la sua espressione è intensa.<br />

«Frannie…». Fa un sospiro e guarda in alto per un minuto buono, verso il cielo azzurro e terso, mentre ascolto il mio battito cardiaco pulsarmi nelle<br />

orecchie. Alla fine mi guarda. «Voglio solo dirti che qualsiasi cosa accada con lui… con tutto questo… io ci sarò sempre per te». Mi prende il volto fra le<br />

mani e con il pollice traccia il contorno delle mie labbra, lasciandole in fiamme. «Ma ti prego, pensaci bene. Lucifer è… pericoloso».<br />

Mi tiro indietro. «Lo sei anche tu!».<br />

Resto a bocca aperta. L’ho detto davvero a voce alta?<br />

Evidentemente sì, a giudicare dal sorriso mesto sul volto di Gabe.<br />

Oddio. Ma cos’ho nella testa?<br />

«Voglio dire…», ma non finisco la frase perché non ho idea di cosa sto dicendo.<br />

Mi giro e torno dentro, col volto in fiamme, dove trovo Luc e Taylor che ci aspettano. Luc potrebbe fare a pezzi Gabe con lo sguardo, e Taylor mi<br />

guarda con aria inquisitoria.<br />

Me ne vado come una furia al mio armadietto, lasciandoli a mangiare la polvere, e passo il resto della mattina a evitarli come se avessero la peste.<br />

Finché, all’ultima ora, Luc si siede nel posto accanto al mio. «Sei libera dopo scuola?».<br />

Potrei rispondere di no, ma non lo faccio, così alla fine della lezione lui mi segue all’armadietto e aspetta che prenda i miei libri. Usciamo nel<br />

parcheggio e ovviamente mi accorgo del braccio con cui mi sta cingendo la vita, solo che non so dire se mi fa piacere o meno. Alla fine decido che sta<br />

bene lì dov’è, tanto più che prima di arrivare alla macchina incrociamo Angelique Preston, che mi guarda in cagnesco. Ha le braccia incrociate sotto al<br />

seno e rischia di farlo schizzare fuori dalla maglietta, tanto lo spinge in su.<br />

La guardo con un sorriso soddisfatto.<br />

Solo che mentre la superiamo lei lancia a Luc uno sguardo strano, come se condividessero un segreto.<br />

E tutto d’un tratto torno con i piedi per terra.<br />

Osservo Luc. So di non potermi fidare di lui. E allora perché lo sto facendo? Anche se voglio solo il suo corpo, non è che io muoia dalla voglia di<br />

condividerlo con Angelique. Mentre saliamo in macchina comincio a dubitare che andare a casa sua a studiare sia una buona idea. Sto per proporgli di<br />

andare da me, ma non ho nessuna voglia di avere a che fare con la versione aliena dei miei genitori.<br />

Si sta giusto rilassando e accenna un sorriso tipo: l’ho scampata bella, quando rompo il silenzio e gli chiedo: «Allora, come stanno le cose fra noi?».<br />

<strong>Il</strong> suo sorriso cresce. «Tu cosa vorresti?».<br />

Non sono in vena di giochetti. «Taglia corto e rispondi alla mia domanda».<br />

Luc<br />

«Wow. Ok…». Mentre penso alla domanda di Frannie, non so bene cosa rispondere. Mi chiedo cosa la spaventerebbe di più: “Punto a portarti a letto<br />

il prima possibile” oppure “Sto cercando di legare la tua anima all’Inferno”? Entrambe le cose sono vere. Ma sotto sotto c’è dell’altro… qualcosa di più<br />

profondo che lavora dentro di me e che non mi lascia pensare quando sono con lei. È qualcosa che non so nemmeno come iniziare a definire.<br />

Cosa vorrà sentirsi dire? Scelgo un inizio prudente: «Be’, non ne sono sicuro. Tu mi piaci molto». Tanto per usare un eufemismo. Distolgo lo sguardo<br />

dalla strada per un attimo per valutare la sua espressione, poi aggiungo: «Se stessimo a vedere dove ci portano gli eventi?». Tipo all’Inferno, ad<br />

esempio?<br />

Fa un respiro profondo. «Sì. Immagino sia la cosa migliore». Poi esita un momento e aggiunge: «Ma perché io?»<br />

«Perché tu cosa?»<br />

«Angelique, Cassidy, Taylor… metà delle ragazze di questa scuola ti si sono buttate addosso. Perché è proprio con me che vuoi uscire?»<br />

«Diciamo che ho fatto le mie esperienze e non ho mai conosciuto nessuna ragazza come te, Frannie. Se più unica che rara». Tutto vero, e come se<br />

non bastasse sei anche il mio bersaglio.


Raggiungiamo il mio appartamento e quando apro la porta è troppo tardi per rendermi conto che non sono stato previdente. Sdraiata sul mio letto e<br />

vestita di poco o niente c’è una ragazza dai capelli corvini. È alta, snella, formosa, bellissima, e ci fissa con scuri occhi concupiscenti.<br />

«Avaira», dico col tono di chi è stato colto impreparato.<br />

Frannie è furiosa. Agita le braccia in aria sibilando: «Lo sapevo», e se ne va con il fumo che le esce dalle orecchie. Si lascia dietro una scia di pepe<br />

nero – la sua rabbia, mmm… – e mentre marcia verso le scale senza neppure voltarsi aggiunge: «Sei una grandissima testa di cazzo».<br />

È ovvio che c’è una falla nel mio radar. Prima Belias alla cava e ora Avaira nel mio letto. Avrei dovuto sapere che era lì ancora prima di aprire la porta.<br />

Qui non si tratta solo di Frannie che mi distrae. La mia connessione psichica col Maligno sembra calare a vista d’occhio.<br />

Belias e Avaira, i Batman e Robin della lussuria. Di colpo questo posto pullula di demoni. <strong>Il</strong> che significa che Frannie non è al sicuro.<br />

Rivalutando il pensiero che ho appena formulato mi scappa da ridere. Frannie non è al sicuro dal momento in cui sono arrivato io.<br />

Sbatto la porta e la seguo giù per le scale. «Frannie, aspettami!». Ma lei non rallenta. «Non è come pensi. È… è mia cugina!», urlo correndole dietro.<br />

È appena fuori dal portone e sto per raggiungerla. Lei si volta, ma solo per potermi inveire contro con più forza: «Hai la faccia come il culo!».<br />

Sorrido, cercando di limitare il danno: «Ti ho mai mentito prima d’ora?».<br />

Mi guarda al culmine della rabbia. «Sì».<br />

Forse non è stata una gran mossa. «Be’…». Sto per dire che ora non sto mentendo, mentre invece è proprio così, quindi le mentirei ulteriormente.<br />

«Sai cosa? Puoi prendere tua cugina e andartene dritto all’Inferno». Si volta e se ne va.<br />

«Ma dove stai andando?».<br />

Mi ignora platealmente.<br />

«Almeno lascia che ti dia un passaggio a casa».<br />

Niente.<br />

La seguo attraverso il parcheggio, cercando di rimanere serio. Diventa adorabile quando si arrabbia. «Bene, allora ti accompagno a casa a piedi».<br />

«Ma va’ all’Inferno», dice tirando dritto.<br />

Quello che non sa è che è l’Inferno che sta venendo da lei.<br />

Resto un po’ indietro, facendo finta di lasciarla andare. Ma non ho nessuna intenzione di perderla di vista. Perché dove c’è Avaira c’è anche Belias.<br />

Metto in ascolto il mio sesto senso, cercando di intercettarlo. Niente. Eppure lui è qui, ne sono certo, perché è evidente che Avaira era un diversivo per<br />

permettere a lui di occuparsi di Frannie indisturbato. Le creature lussuriose sono convinte che tutti abbiano in testa un’unica cosa, come loro.<br />

A duecento metri dal mio palazzo finalmente intercetto i pensieri di Belias. È arrabbiato. Non capisco se è arrabbiato con me perché sto interferendo<br />

coi suoi piani o con Avaira perché non è stata in grado di distrarmi. Comunque sia, alzo la guardia e affretto il passo, riducendo la distanza fra me e<br />

Frannie.<br />

Ma, proprio quando sto per chiamarla, le si accosta un Charger bianco. A quanto pare non sono l’unico a tenere d’occhio Frannie. Per la prima volta<br />

sono felice che abbia un angelo a guardarle le spalle.<br />

Frannie<br />

«Ehi», dice Gabe mentre mi infilo nella sua macchina.<br />

«Ehi. Grazie», rispondo sollevata.<br />

«Hai un aspetto di merda».<br />

Lo guardo torva. «Oh, grazie».<br />

«Stai bene?»<br />

«Dillo e basta».<br />

«Cosa?», dice con falsa ingenuità.<br />

«“Te l’avevo detto”. So che muori dalla voglia di dirlo. Quindi dillo e basta, così non devo stare qui come un’idiota ad aspettare».<br />

«Ok. Te l’avevo detto».<br />

«Devo essere deficiente o qualcosa di simile», dico lanciando un’occhiata al lunotto posteriore, dove Luc scompare all’orizzonte.<br />

Gabe mi fa un magnifico sorriso. «Non è vero. Adesso ti è caduto il prosciutto dagli occhi, vero?».<br />

Cerco di restituirgli il sorriso. «Direi di sì».<br />

«Devi solo fare molta attenzione a quello che desideri».<br />

Eh? «Eh?».<br />

Lui guarda dritto davanti a sé. «Ti sei mai accorta che se vuoi davvero qualcosa, di solito la ottieni?»<br />

«No». Mi vengono in mente una vagonata di cose che vorrei avere e che invece non ho. La prima è che mi restituiscano mio fratello. Ma per un<br />

secondo ci penso, perché volevo Luc – da brava scema – e in un certo senso l’ho avuto. E Taylor non si era mai tirata indietro davanti a un ragazzo. Ma<br />

ieri notte… Scuoto la testa. «No», ripeto convinta.<br />

Lui alza le spalle e lascia cadere l’argomento, allungando la mano per intrecciare le sue dita con le mie. Sento di nuovo quel profumo, come di neve<br />

d’estate. «Ti va di venire da me per un po’?».<br />

«Sì. Potremmo studiare fisica».<br />

«Certo», dice sorridendo.<br />

La casa di Gabe non è lontana dalla mia ed è uguale alle altre case del vicinato: è su due livelli, dipinta di bianco, con le persiane nere e un lungo<br />

portico sulla facciata. A sinistra della porta d’ingresso c’è un vaso con un enorme cactus di Natale e a destra una sedia a dondolo. <strong>Il</strong> vialetto d’ingresso è<br />

una striscia di ghiaia che taglia un prato verdeggiante e perfettamente rasato, ed è costeggiato da bassi cespugli ben potati. Lo seguo in casa.<br />

Entrando dalla porta ci troviamo nel salotto, che occupa tutta la parte anteriore della casa e ha grandi finestre che danno sul giardino di fronte. Sulla<br />

destra c’è una rampa di scale che porta al primo piano, e sulla sinistra un arco che immette in cucina. Muri e tappeto sono completamente bianchi, come<br />

anche il divano appoggiato al muro e le due sedie davanti alle finestre. Non c’è la TV, ma vedo delle casse per lo stereo, sempre bianche, sulle mensole<br />

agli angoli della stanza.<br />

«Vi state ancora trasferendo?», chiedo esaminando i muri immacolati.<br />

Gabe sorride e scrolla le spalle. «Questo è tutto. Non è che ci serva molto».<br />

«Sì, ma…». Non termino la frase, perché non so bene cosa dire. È strano che non ci siano foto di famiglia o soprammobili di qualche genere. Mia<br />

madre ha foto e ciarpame di ogni tipo sparsi dappertutto. Però buttandomi sul divano mi accorgo che nonostante l’aspetto austero è caldo e<br />

accogliente.<br />

«Ho io la cura per tutti i mali», dice Gabe dileguandosi in cucina. Io frugo nello zaino e ne estraggo il manuale di fisica. Poco dopo lui è di ritorno con<br />

due cucchiai e una vaschetta enorme di gelato, un vero tripudio di cioccolato, cappuccino e caramello. Si siede accanto a me e schiaccia play sull’iPod<br />

bianco appoggiato al tavolino da caffè, bianco anche quello. Parte una musica che sembra provenire da ogni direzione.


«Ti va bene se ce lo dividiamo?», mi chiede.<br />

«Certo». Mi riempio la bocca di gelato e biascico: «Sai che è il mio preferito?».<br />

Mi fa un altro sorriso celestiale e si passa la mano fra i capelli. «Sembra che stia funzionando».<br />

Gli rispondo con un sorriso, perché ha ragione. Non so se sia merito suo o del gelato, ma non me ne può fregare di meno se Luc si sta dando alla<br />

pazza gioia con quella là, in questo momento.<br />

Ok, se ci penso bene so che non è vero, ma adesso lo voglio uccidere giusto un po’ e in modo più civile, tipo, non so, con una pistola o un coltello,<br />

invece che farlo a pezzi con le mie stesse mani.<br />

Finiamo il gelato e io affondo nei cuscini. Prendo in esame la possibilità di aprire il manuale di fisica, cercando di convincermi che sia una buona<br />

idea, ma è dura.<br />

Gabe si avvicina e mi mette il braccio intorno alle spalle. «Tutto bene?».<br />

«Sì». Gli appoggio la fronte al petto, chiedendomi com’è possibile che io continui imperterrita a volere Luc.<br />

Come se mi avesse letto nel pensiero, mi mette una mano fresca sulla guancia e mi gira il volto verso il suo. «Dimenticalo. È solo un cretino». Mi<br />

guarda negli occhi proprio come fa Luc, come se potesse scorgervi la mia anima.<br />

All’improvviso sento un’ondata di emozioni e vorrei piangere. Chiudo gli occhi, mi concentro sulla musica e ricaccio indietro le lacrime. Ma tutto ciò<br />

che vedo è la faccia di Luc. «È un cretino», ripeto con gli occhi ancora chiusi, cercando di convincermi che sia un mantra infallibile.<br />

Sento le labbra di Gabe sulla mia fronte, soffici e leggere come le ali di una farfalla. E prima di rendermene conto l’ho fatto: gli ho preso il volto fra le<br />

mani e le mie labbra sono sulle sue. Esita un istante, trattenendo il fiato, ma subito dopo le sue braccia mi circondano, stringendomi, e le sue labbra si<br />

muovono sulle mie. Sento il sapore di una fresca alba invernale.<br />

Nel bacio di Gabe c’è una pace che non ho mai conosciuto prima. Così profonda che cancella i sentimenti come l’odio, la rabbia o il dolore. Al loro<br />

posto c’è solo amore, sconfinato e incondizionato. <strong>Il</strong> suo bacio si fa più penetrante, e io vorrei restare qui per sempre.<br />

A un tratto la mano sulla guancia che mi teneva stretta inizia ad allontanarmi, dolcemente, e lui si ritrae. Mi perdo nei suoi insondabili occhi blu, mentre<br />

traccia la linea delle mie labbra con un dito. Quando riprendo coscienza della stanza mi chiedo per quanto tempo ci siamo baciati. Mi è sembrata<br />

un’eternità racchiusa in un battito di ciglia. Ed è solo quando mi sospinge gentilmente sul divano che mi rendo conto che, spinta dal bisogno di<br />

avvicinarmi, gli sono salita sopra.<br />

I suoi occhi si chiudono, lasciando andare i miei. Appoggia la fronte alla mia e sussurra piano: «Devo riportarti a casa». Quando li riapre, gli occhi<br />

sono pieni di rimorso. Si alza in piedi e si avvia alla porta, senza guardarmi.<br />

Tutta la pace è scomparsa, come se non ci fosse mai stata, e un’ondata di frustrazione e di rabbia mi investe. Mi alzo dal divano e butto lo zaino sulle<br />

spalle.<br />

«Faccio così schifo?»<br />

«No, è colpa mia», dice uscendo dalla porta.


Capitolo 14<br />

Dare al Diavolo quel che è del Diavolo<br />

Luc<br />

Per colpa di quello che è successo ieri con Avaira, oggi è stato il giorno più frustrante della mia patetica esistenza. Stare seduto vicino a Frannie<br />

nell’ora d’inglese, morendo dalla voglia di dirle qualcosa e di toccarla, è una tortura paragonabile alle fiamme dell’Abisso di fuoco. Mi ha evitato per il<br />

resto della giornata, e come darle torto. Per concludere in bellezza, quando è suonata la campanella dell’ultima ora mi ha lanciato un’occhiata che mi ha<br />

tramortito.<br />

Ieri notte è stato un Inferno. <strong>Il</strong> pensiero di lei e il bisogno di vederla non mi hanno dato pace. Ho seguito Gabriel quando l’ha portata a casa e poi ho di<br />

nuovo passato la notte in macchina lì davanti. È stato difficilissimo trattenermi dall’arrampicarmi sull’albero e infilarmi nella sua finestra. È tutto il giorno<br />

che cerco di capire dove andare a parare, ma non ne ho ancora idea. L’unica cosa di cui sono certo è che la devo proteggere da Belias, e per diverse<br />

ragioni.<br />

Chi l’avrebbe mai detto? Io, il grande paladino. Sembra uno scherzo.<br />

Ma non posso permettere che Belias la faccia sua. Frannie è un mio incarico e, se non bastasse il fatto che non voglio certo bruciare nell’Abisso di<br />

fuoco, c’è la mia superbia che non mi permette di fallire. Se la sua anima è così ambita, voglio ricevere io gli allori per averla legata. Ma il motivo<br />

principale resta che ho ben presente il modo di lavorare di Belias: non posso sopportare l’idea di lui che la tocca, né della sua anima legata a un simile<br />

viscido. Un brivido mi tormenta a causa dell’immagine che mi riempie la testa: lei, con lui, in quel modo.<br />

No!<br />

Non succederà. Preferirei lasciar vincere Gabriel.<br />

Perché io la amo.<br />

Ecco cos’è questa emozione che sento, lo stordimento che provo quando la vedo, il grido che sorge dalle parti più profonde di me quando penso a<br />

Belias che si avventa su di lei, il bisogno insaziabile che ho di starle vicino. Ma com’è possibile? All’Inferno non si gioca a baseball e non ci si innamora.<br />

Sono le regole. Diciamo che va contro la nostra religione, è come sputare in faccia a tutto ciò che siamo.<br />

Ma la cosa è innegabile e non posso farci niente. <strong>Il</strong> che significa che devo proteggerla anche da me stesso. Se la faccio mia nel modo che conosco,<br />

lei apparterrà all’Inferno, non a me. Ha il potere della preveggenza. Re Lucifero la userà finché la sua anima non si sarà consumata, poi se ne disferà<br />

abbandonandola a marcire con le altre Ombre. L’ho già visto succedere così tante volte. E lei morirà in ogni modo possibile: corpo e anima.<br />

Non ho mai messo in discussione un incarico prima d’ora, non è affar mio. La maggior parte dei mortali si meritano quello che gli succede. Ma<br />

Frannie è diversa, non mentivo quando le ho detto che non ho mai conosciuto nessuno come lei, e certamente non si merita di fare quella fine.<br />

La guardo schizzare fuori dall’aula di educazione civica e la quasi totalità di me vorrebbe rincorrerla, abbracciarla e sistemare tutto. Ma la verità è che<br />

non posso farlo, perché sono io che non posso essere sistemato – io e la mia intera stirpe. Quindi resto incollato alla sedia e la guardo uscire dalla<br />

porta.<br />

Dieci minuti dopo sto ancora fissando la porta, seduto al mio posto. Prima che mi rivolga la parola, riconosco la figura tarchiata del professor Runyon<br />

che si avvicina nell’ombra delle cinque. «Luc, hai bisogno di qualcosa? Perché devo chiudere l’aula e andare agli allenamenti di baseball. Come saprai,<br />

insegno anche educazione fisica».<br />

«No», dico alzandomi in piedi. «Mi scusi, ero perso nei miei pensieri».<br />

«Sì, me n’ero accorto». I suoi occhi castani scintillano e la sua faccia tonda si illumina di un sorriso comprensivo, mettendo in mostra qualche dente<br />

storto. Annuisce con un’espressione da grande saggio, come a dire che capisce perfettamente lo smarrimento causato delle ragazze. Magari il<br />

problema fosse quello. Per ora la mia preoccupazione maggiore è quello che scatenerà l’Inferno.<br />

«Hai mai giocato a baseball?», mi chiede mentre ci avviamo alla porta. «Ci farebbe comodo qualcuno con un po’ di muscoli alla battuta, e tu avresti il<br />

fisico adatto».<br />

«Mai giocato», dico. Ma mentre usciamo dall’aula il mio cuore acciaccato fa un balzo, perché il mio sesto senso ha ripreso a funzionare. Belias! Ma a<br />

cosa diavolo stavo pensando? Sta aspettando un’opportunità e io gliel’ho appena offerta. Avrei dovuto seguire Frannie per assicurarmi che arrivasse a<br />

casa sana e salva. Per le fiamme dell’Inferno! Come ho fatto a non pensarci?<br />

«Facci un pensiero», mi urla dietro il professor Runyon mentre sto già correndo lungo il corridoio. Quando arrivo all’armadietto di Frannie, lei non c’è<br />

più. Lottando per contenere il panico, affondo il volto fra le mani, appoggio la schiena al mio armadietto e scivolo a sedere in terra. Lei sta bene. Deve<br />

essere così. Ho bisogno di trovare Taylor e Riley.<br />

Mi alzo di scatto e giro per i corridoi finché non le incrocio mentre si dirigono verso il parcheggio. «Ehi, avete visto Frannie?», chiedo senza riuscire a<br />

nascondere il panico.<br />

«Sei fortunato che non ti prendiamo a calci nel culo», grugnisce Taylor guardandomi con ostilità.<br />

«Sì, avete ragione, dopo potete prendermi a calci quanto vi pare, ma adesso ho davvero bisogno di sapere dov’è».<br />

Riley ha captato la mia ansia. «Cosa c’è che non va?»<br />

«Niente, davvero. Ho solo bisogno di parlarle».<br />

«Perché?». <strong>Il</strong> suo sguardo è diffidente.<br />

«Voglio solo essere certo che stia bene».<br />

La sua espressione si addolcisce e fa per dire qualcosa, ma prima che possa emettere verbo Taylor sbotta: «Ci dovevi pensare prima di fare il furbo<br />

con tua “cugina”».<br />

«Davvero non sapete dov’è?»<br />

«Non ne abbiamo idea. Magari è in posizione orizzontale con Gabe», mi provoca Taylor. Guardo Riley, che scuote il capo e sembra sinceramente<br />

dispiaciuta.<br />

Chino la testa e mi copro il volto con la mano, respingendo la tempesta che infuria dentro di me. «Va bene. Grazie».<br />

Allertando il mio sesto senso corro alla macchina. E se Belias l’avesse presa? Se così fosse, con il vantaggio di dieci minuti che gli ho lasciato<br />

sarebbe già troppo tardi. Emetto un gemito involontario nel visualizzare quel che potrebbe farle in questo momento, e di nuovo sento un nodo caldo che<br />

mi pulsa nel petto. Dannazione! Se questo è il destino a cui l’ho abbandonata, l’Abisso di fuoco è il minimo che mi merito.<br />

Belias non l’ha presa. Non posso accettare altre opzioni. Montando in macchina mando questo messaggio all’universo, poi resto lì seduto a valutare


come procedere. Se non è con Taylor o Riley le alternative non sono molte. Non avrei mai pensato di sperare che Frannie fosse con Gabriel. Ma al<br />

momento è la cosa che più desidero, e prego perché sia così.<br />

Penso che potrei materializzarmi in casa sua, ma se poi dovessi portar via Frannie mi servirebbe la macchina. Sfreccio per le vie della città,<br />

ignorando stop e limiti di velocità, finché non arrivo davanti alla casa di Gabriel. Mi concentro, ma ogni sforzo è vano contro lo schermo celestiale che la<br />

avvolge e non mi è possibile capire se Frannie sia o meno con lui. Faccio il giro dell’isolato e parcheggio qualche casa più in là, poi mi nascondo dietro<br />

ai cespugli del vialetto. Sto lì e aspetto, sperando di vederla passare davanti alle finestre.<br />

E se stessi sprecando tempo prezioso? Se lei non fosse qui ma con Belias, la sua anima già legata o peggio? <strong>Il</strong> panico si impadronisce<br />

definitivamente di me e dimentico ogni precauzione. Salgo le scale a due a due fino alla porta d’ingresso e busso.<br />

Frannie<br />

Gabe non sembra avere intenzione di guardarmi, il che è un bene, visto che neanch’io riesco a guardare lui. Ma non riesco a smettere di pensare a<br />

come mi sono sentita ieri quando mi ha baciata e a quanto vorrei sentirmi di nuovo così.<br />

Siedo al tavolo in cucina, immersa in un mutismo imbarazzante, e davanti a me torreggia una montagna di gelato.<br />

L’unico motivo per cui sono qui è che dopo l’ultima ora sono schizzata fuori da scuola senza neanche passare dall’armadietto, e Gabe mi ha trovata<br />

vicino al parcheggio, appostata dietro a una colonna nel tentativo di nascondermi da Luc.<br />

«Allora, vuoi fare i compiti di fisica?», dice finalmente.<br />

«Sì, sarebbe un bene, perché ho dimenticato il libro».<br />

In realtà sto indorando la pillola, perché il libro non l’ho dimenticato, l’ho consapevolmente lasciato dov’era, assieme al resto dei miei averi, nel mio<br />

armadietto.<br />

Gabe tira fuori il manuale, e mentre me lo porge sentiamo bussare alla porta. Si alza dalla sedia, serio. «Scusami un attimo», dice posandomi una<br />

mano sulla spalla, poi sparisce in salotto ed esce chiudendosi la porta ale spalle.<br />

Apro il manuale di fisica alla ricerca della pagina giusta, ma faccio fatica a pensare. Mentre cerco la matita sento delle voci smorzate provenire<br />

dall’esterno. Faccio del mio meglio per ignorarle finché non riconosco la voce di Luc.<br />

«Lei è qui o no?», dice alzando il tono.<br />

Mi sposto in salotto, avvicinandomi alla finestra, mentre mi maledico per non essere capace di ignorarlo. Cerco di darmi un contegno ma è<br />

impossibile, perché sono davvero vittima di un’ossessione per lui. Sono stupida e forse anche pazza. Guardo dalla finestra e sotto al portico vedo Luc<br />

come non lo avevo mai visto. Ha una faccia spiritata, gli occhi infuocati e mostra i denti in una smorfia terribile.<br />

«Calmati. È qui». La voce di Gabe è bassa, e devo sforzarmi per sentirla.<br />

Luc sospira di sollievo e come per magia il suo volto contratto sembra rilassarsi. Abbassa la testa e dice: «È al sicuro… bene».<br />

Gabe fa una smorfia. «Senti, ti rendi conto che hai bruciato le tue possibilità?».<br />

Mi sento sprofondare quando Luc risponde: «Meglio così», annuendo fra sé e sé. Poi guarda Gabe, sollevato. «Ti assicuri tu che arrivi a casa senza<br />

problemi?».<br />

Gabe lo scruta. «Dimmi cosa sta succedendo».<br />

Luc si volta e scende le scale. «Fa’ solo in modo che arrivi a casa sana e salva e assicurati che chiuda bene la porta», dice quando ormai è sul<br />

vialetto. E mentre lo guardo avviarsi alla macchina, devo fare appello a tutta la mia forza di volontà per non corrergli dietro. Perché lo voglio strozzare, ma<br />

allo stesso tempo vorrei baciarlo. L’idea di non poter più stare con lui, di non poterlo più toccare, mi fa sentire come se avessi mandato giù una lametta,<br />

che scende incidendo le mie viscere e trasformandole in un cumulo di carne sanguinante e frustrazione. Per quanto sia duro da ammettere, quello che<br />

provo per Luc non è solamente fisico. Non è neppure amore, ma è comunque qualcosa.<br />

Come posso volerli entrambi?<br />

Con un discreto sforzo per coordinare i miei arti torno in cucina e la porta di casa si spalanca. «Chi era?», chiedo con aria innocente, anche se la<br />

voce rotta mi tradisce.<br />

Gabe non è in vena di confidenze. «Nessuno di importante», risponde, ma i suoi occhi sono di un blu più intenso del solito, e quando si appoggia al<br />

muro aggrotta le sopracciglia.<br />

«Cosa c’è?»<br />

«Niente di cui dovresti preoccuparti. Va tutto bene», dice con un sorriso platealmente falso, che invece di tranquillizzarmi conferma i mie dubbi.<br />

Non lo sopporto, ho bisogno di sapere. Sbotto: «So che era Luc alla porta. Cosa voleva?».<br />

Lui mi guarda con occhi cauti. «Te, naturalmente».<br />

Mi osservo sfogliare le pagine del manuale di Gabe, mentre le mie gambe si agitano sotto al tavolo, morendo dalla voglia di correre dietro a Luc. Mi<br />

sforzo di mantenere un tono pacato e chiedo: «Perché?»<br />

«Devi chiederlo a lui», dice con una nota di frustrazione. Sospira e si siede accanto a me, guardandomi negli occhi. «Riguardo a ieri…», prosegue<br />

con voce dolce, prendendo il toro per le corna.<br />

Mi schiarisco la voce e lascio cadere lo sguardo sulle mie mani. Non ho la più pallida idea di cosa dire, e meno che mai di cosa sento.<br />

Lui tace per un minuto, imbarazzato, poi dice: «Mi dispiace davvero per… lo sai».<br />

Certo che gli dispiace, perché mai dovrebbe impelagarsi con me?<br />

E io vorrei stare con lui?<br />

«Ma ho bisogno di sapere se quello che ho sentito…». Esita, e io vado in apnea. «È davvero me che vuoi?».<br />

Mi sento frastornata, come una lepre davanti ai fari di una macchina. Non c’è niente che io possa dire per sistemare le cose. Alzo la testa e lo guardo.<br />

Lui mi fissa per un altro minuto, poi abbassa gli occhi.<br />

«Allora… quando mi hai baciato…», i suoi occhi tornano a cercarmi, ma io distolgo lo sguardo. Spingo indietro la sedia, perché ho bisogno di spazio,<br />

e vado in salotto, dove mi butto sul divano.<br />

Gabe si ferma sulla porta. «Be’, immagino che questo risponda alla mia domanda», dice sforzandosi di sorridere.<br />

«Invece non risponde a niente». Affondo il volto fra le mani. «Sono così confusa. Non riesco a smettere di pensare a Luc. Ma non posso fidarmi di lui.<br />

E tu…», non so nemmeno come concludere la frase.<br />

«Hai ragione. Non puoi fidarti di lui». Si siede al mio fianco sul divano e mi circonda le spalle con il braccio. Dalla reazione del mio corpo, cioè un<br />

rimescolio generale, è evidente che neanch’io sono molto affidabile.<br />

Quando lo guardo resto senza fiato. Nelle profondità dei suoi occhi blu c’è tutto quello di cui ho bisogno.<br />

Ma vedo anche che sta lottando con se stesso. Allungo la mano e gli accarezzo una guancia. Lui mi prende in braccio, e quando mi bacia è così dolce<br />

e gentile che tutto dentro di me risuona. Lo stringo forte, ho bisogno di stargli più vicina possibile, e mi sento avvolgere dalla sua pace e dal suo amore.<br />

Oh Dio, lo amo?


Lo abbraccio sempre più stretto mentre le lacrime mi rigano il volto, e questa volta lui non mi allontana, al contrario. Nonostante il battito caldo del suo<br />

corpo, vengo percorsa da un brivido.<br />

Dopo un bel po’ mi stacco, chiedendomi come sia mai possibile volere altro. E posso quasi credere nell’amore, perché è qui davanti a me, sul suo<br />

volto.<br />

Mi asciuga le lacrime con il pollice.<br />

«Scusami», dico senza sapere esattamente per cosa sto chiedendo scusa. Per tutto, immagino.<br />

Mi mette un dito sulle labbra. «No, non scusarti». Mi attira a sé e quando affonda il viso nei miei capelli mi accorgo di non essere l’unica che sta<br />

tremando.<br />

Alzo la testa dalla sua spalla e lo guardo: «È tutto a posto fra noi?».<br />

Annuisce, ma il suo sorriso è un po’ forzato e i suoi occhi pieni d’incertezza.<br />

Dentro di me si forma un nodo doloroso, perché mi sto comportando proprio male con lui. Sono una merda. <strong>Il</strong> mento mi crolla sul petto. «Sono così<br />

incasinata».<br />

«Non puoi cancellare i tuoi sentimenti, Frannie».<br />

«Sì che posso. O almeno finora ha sempre funzionato».<br />

«No, non puoi, ma devi stare attenta a cosa desideri».<br />

<strong>Il</strong> profumo di neve d’estate non basta più a mitigare la frustrazione che ho accumulato e che esplode. «Continui a ripeterlo. Cosa significa?».<br />

«Significa che hai molto più controllo sul tuo mondo di quanto tu non sappia». I suoi occhi sono troppo seri e io comincio a spaventarmi.<br />

Lo spingo via e mi alzo dal divano. «Temo tu stia perdendo il lume della ragione, Gabe. Non ho il controllo di un bel niente».<br />

«Quando sarà il momento te ne accorgerai».<br />

«Accorgermi di cosa?»<br />

«Di tutto». Un brivido mi attraversa.<br />

Si alza e mi prende fra le braccia. «Andrà tutto bene, Frannie».<br />

Ma non sembra esserne convinto nemmeno lui.<br />

Luc<br />

Arrgghhhh!<br />

<strong>Il</strong> giorno più frustrante della mia esistenza sta ufficialmente diventando quello più infernale. E nel mio caso è tutto dire.<br />

Faccio il giro del vicinato cercando di calmarmi e di schiarirmi le idee. Ho sempre avuto un’unica priorità: il mio lavoro, che è stato lo stesso per gli<br />

ultimi cinquemila anni. Non si tratta né di fisica quantistica, né di ingegneria spaziale, che mi darebbero entrambe meno da pensare di Frannie. Si tratta<br />

solo di legare all’Inferno una piccola anima indifesa. Un gioco da ragazzi. Allora perché non ci riesco?<br />

Domanda retorica. Chi se ne frega del perché, ciò che importa è l’evidenza: non ne sono in grado.<br />

Frannie è con Gabriel, al sicuro da Belias e da me.<br />

Accendo lo stereo e passo davanti alla casa di Gabriel un’ultima volta, poi una seconda ultima volta, poi una terza… Ogni volta rallento, nel disperato<br />

tentativo di vedere Frannie dalla finestra. Faccio il giro del quartiere ancora e ancora. Passo davanti alla casa di Frannie e a quella di Taylor, cercando di<br />

capire cosa mi è successo e rivivendo le ultime tre settimane.<br />

Brucio più io dell’Abisso di fuoco, ma contemporaneamente annego in un torrente di emozioni sconosciute a noi demoni.<br />

Come faccio a fermarle?<br />

Non riesco a respirare. Mi viene in mente che non ne ho bisogno, ma il buco che mi si sta formando nel petto continua a straziarmi.<br />

Concentrati. E adesso?<br />

Al decimo giro del quartiere ho capito cosa devo fare. Per quanto mi sembri inaccettabile, devo andarmene e permettere a Belias di portare a termine<br />

il lavoro. Io sono troppo coinvolto.<br />

Passo davanti a casa di Gabriel e questa volta è davvero l’ultima. Quando svolto per tornare verso casa sento il dolore profondo che mi attanaglia il<br />

petto acuirsi. Arrivato al mio appartamento torno dritto all’Inferno, ed esco dalla vita di Frannie.<br />

Intendevo tornare dentro all’Inferno, cioè al di là delle alte mura infernali, bypassando i cancelli (un vezzo dei demoni di primo livello), perché non sono<br />

dell’umore di avere a che fare col guardiano. Ma quando i miei piedi toccano terra, mi trovo innegabilmente fuori dalle enormi mura di pietra. Non è un<br />

buon segno: i miei privilegi sono stati revocati. Mi avvicino ai cancelli, dove Minosse, il guardiano, mi osserva col suo unico occhio iniettato di sangue, al<br />

centro della lunga faccia di serpente. La sua figura alta e coperta di squame si piega su di me, per guardarmi meglio.<br />

«Qualcuno ha perso il favore del Re, eh?». Le sue parole sono accompagnate dallo scintillio delle zanne che spuntano dal ghigno soddisfatto. La voce<br />

acuta mi punge i timpani e peggiora le fitte alla testa, che sono in aumento.<br />

Troppo depresso per rispondere a tono, mi appoggio ai cancelli di ferro. «Così pare».<br />

Forse si rifiuterà di farmi entrare, sai che dispiacere. Invece si fa da parte, e l’impazienza che gli leggo sulla faccia non mi fa presagire niente di<br />

buono. «Ti aspettavamo. Sarò in prima fila a vederti calare nell’Abisso».<br />

«Già che ci siamo, facciamo una festa. Tu porta i palloncini», gli dico quando ho superato i cancelli, senza neppure voltarmi.<br />

Una volta dentro, la prima cosa che noto è che l’Inferno sembra più caldo del solito. <strong>Il</strong> che non ha senso, perché sono stato via solo tre settimane. E in<br />

ogni caso, qualsiasi variazione nell’ordine delle centinaia sopra o sotto i circa duemila gradi a cui siamo abituati non farebbe questa gran differenza.<br />

Forse tutto lo strombazzamento mediatico sul riscaldamento globale ha qualche fondamento, e ne subiamo le conseguenze anche qui.<br />

La seconda peculiarità è che ho mantenuto le mie sembianze umane… che al momento stanno sudando copiosamente. Non è certo un problema,<br />

questo corpo può essere smembrato e buttato nell’Abisso di fuoco esattamente come l’altro.<br />

La terza cosa che noto è il vero responsabile della sicurezza. Minosse sta lì per bellezza. Salvo qualche intruso occasionale, non è difficile convincere<br />

la gente a star fuori dall’Inferno. Cosa c’è di più stravagante di qualcuno che vuole intrufolarsi all’Inferno? No, la vera sicurezza sono Rhenorian e i suoi, e<br />

servono a tenere la gente dentro. Rhenorian mi guarda dall’alto dei suoi due metri, una figura robusta sormontata da un viso coriaceo color bronzo, in cui<br />

spiccano due occhi che mi fissano divampando. Quando ricambio il suo sguardo una smorfia minacciosa gli deforma la faccia e sembra sfidarmi a<br />

tentare la fuga. Si passa la lingua biforcuta sulla fila impressionante di zanne di cui è dotato e fa girare su se stesso il tridente che stringe fra le mani.<br />

Trattasi della versione infernale della mitragliatrice, in grado di concentrare una quantità spropositata di fuoco infernale in un unico getto… più e più volte.<br />

Non può uccidere una creatura infernale, quasi nulla può farlo, ma può far sembrare la morte un’opzione gradevole.<br />

Mi addentro nell’Inferno, circondato da spiriti informi che si contorcono nelle fiamme eterne lanciando grida strazianti e suppliche che invocano pietà.<br />

Sono le anime dei dannati. I demoni incaricati di sorvegliarli chiacchierano come se niente fosse e spingono dentro alle fiamme azzurrine eventuali arti o<br />

teste che fuoriescono. Questa visione idilliaca mi mette finalmente a mio agio. Sorrido fra me e me mentre inalo il bouquet pungente di carne bruciata,


putrefazione e zolfo, crogiolandomi nelle visioni, nei suoni, negli odori di casa. Per un attimo immagino di non essermene mai andato e che le ultime tre<br />

settimane non siano mai esistite.<br />

Poi quell’attimo passa.<br />

Mentre proseguo verso sud, costeggiando l’Abisso di fuoco a debita distanza, il mio umore muta drasticamente. In questa zona le grida sono di<br />

tutt’altro genere. Demoni che non hanno rispettato le direttive o che per qualche motivo sono diventati sgraditi ai loro superiori urlano senza sosta dalle<br />

profondità. Superando l’Abisso per raggiungere il Lago di fuoco, mi accorgo che ogni demone del circondario mi guarda famelico, primi fra tutti i<br />

guardiani dell’Abisso. Non c’è niente che possa rallegrargli la giornata come morte e distruzione imminenti.<br />

Vedo Marchosias che si avvicina di soppiatto. <strong>Il</strong> suo manto chiazzato di cremisi riflette i bagliori vermigli e indaco delle fiamme, gli occhi rossi ardono<br />

allo sbattere della coda e gli zoccoli da satiro scricchiolano sulla roccia lavica, sempre più vicini.<br />

<strong>Il</strong> mio primo istinto è quello di correre, non so bene perché. Invece resto dove sono. Marchosias è un guardiano dell’Abisso, ma non può farmi niente<br />

finché non sono convocato e non viene pronunciata la mia sentenza. E a parte questo, se i demoni avessero degli amici, che di per sé è un fatto<br />

discutibile, Marchosias sarebbe mio amico. Pare che al momento sia nell’unità canina, perché ha un enorme segugio infernale al seguito.<br />

«Pensavi di potertela svignare senza neanche salutare?», dice con un ghigno sul volto ossuto. Senza volere mi trovo a fare un passo indietro. Pochi, a<br />

parte Re Lucifero, irradiano malvagità come Marchosias.<br />

«Ci ho provato».<br />

<strong>Il</strong> segugio siede al suo fianco, alto quasi come me, e l’odore di carne marcescente si mescola a quello di zolfo. «Da quant’è che sei arrivato?»<br />

«Da poco».<br />

«Come sei finito sulla mia lista?»<br />

«Non ne ho idea».<br />

«Mmm…». Guarda oltre il Lago di fuoco, verso l’Isola di fiamme e il nero castello di Pandemonium, le cui alte mura e guglie appuntite dominano gli<br />

Inferi. «L’unico motivo per cui sei durato tanto è che Beherit sta cercando di salvarsi la pelle».<br />

Vengo preso dall’ansia, ma mostrare debolezza sarebbe un errore. «Che succede?»<br />

«Evita il castello. Re Lucifero ha convocato il Gran consiglio e ci sarà un bagno di sangue». Gli occhi di Marchosias brillano, insinuanti, e le sue<br />

bianche zanne scintillano attraverso una smorfia sinistra. «Secondo le voci di corridoio, sul ceppo c’è la testa del tuo capo. C’è qualcosa di grosso che<br />

bolle in pentola, e Beherit non sta concludendo l’affare. Tu non ne sai niente…?». Mi guarda in tralice, con una smorfia sempre più spaventosa.<br />

«No», mento spudoratamente. Perché è quello che fanno i demoni, ma anche perché improvvisamente sento il peso della disperazione, rendendomi<br />

conto di quanto la mia esistenza sia vana. Ecco di cosa è fatto il mio mondo: le nostre uniche fonti di gioia, sempre che gioia sia un termine applicabile<br />

ai demoni, sono il dolore, la morte e la distruzione degli altri. «Dimmi cos’hai sentito».<br />

«<strong>Il</strong> re vuole un mortale, e lo staff di Beherit», dice senza risparmiarmi un tono allusivo, «non riesce a portare a termine il lavoro».<br />

«E perché questo mortale è così importante?»<br />

«Pare che sia eccezionalmente dotato».<br />

«Che genere di dote?».<br />

<strong>Il</strong> suo ghigno si trasforma in una maschera di pura malvagità, e spero che il mortale in questione non sia Frannie. «Suggestione», sibila.<br />

La forza di quell’unica parola mi frana addosso, e per un attimo resto tramortito. Non può essere Frannie. La dote di Frannie è la Preveggenza. Non<br />

voglio neppure pensare a cosa succederebbe qui negli Inferi a un mortale che ha la capacità di influenzare pensieri ed emozioni altrui. Ci sono stati solo<br />

altri due casi nella storia dell’umanità, e quello che apparteneva all’Inferno non ha fatto una bella fine. Stordito, mi volto per continuare il mio cammino, ma<br />

Marchosias mi afferra per un braccio, e per poco i suoi artigli non lacerano la mia carne umana.<br />

«Allora, ci vediamo dopo». I suoi occhi sono fiamme rosse e da un sorriso privo di gioia fanno di nuovo capolino le zanne lucenti.<br />

«Senza dubbio. Cerca di non divertirti troppo».<br />

Mi allontano e recupero lentamente la lucidità quando raggiungo il mio luogo prediletto: è l’angolo d’Inferno che ho raffigurato nel mio murale.<br />

Cammino costeggiando le rive scoscese del Lago di fuoco fino a raggiungerne la punta sud, dove il lago incontra le mura dell’Inferno e scorre il fiume<br />

Stige. Da qui, lo stridore lontano dei dannati e le risate delle schiere infernali si fondono frangendosi contro le mura imponenti, riecheggiando in un coro<br />

di dissonanze. Questo è il mio santuario.<br />

Seduto su una pietra butterata che affiora dalla lava, lascio che la musica dell’Inferno mi accolga per l’ultima volta. Scorgo al di là del lago la mole<br />

lucida e nera di Pandemonium, che troneggia abbarbicato sull’Isola di fiamme. Ammiro il lago di torbida pietra fusa, che trascina nei suoi vortici rossi e<br />

arancioni grosse pietre aguzze, puntandole contro il Paradiso come dita accusatrici. Gli spettacoli di luce che lo accompagnano – bagliori rosso<br />

scarlatto e indaco, con guizzi di fiamme azzurre e bianche – sono i fuochi d’artificio dell’Inferno. Le nuvole di gas sulfureo emanate dalle eruzioni mi<br />

inghiottono e io ne assaporo l’odore, che brucia il mio naso umano. È facile dimenticare com’è bella casa propria, almeno per noi demoni.<br />

All’improvviso mi torna in mente l’anima di Frannie, che mi ha lasciato senza fiato. Pura bellezza. Niente di simile alle anime che avevo visto prima, qui<br />

all’Inferno. Avrà ancora lo stesso aspetto quando Belias avrà finito con lei?<br />

Provo a cacciare quel pensiero dalla testa e il dolore dal cuore, chiudo gli occhi e mi sdraio sulle rocce aguzze di pietra lavica. Ma tutto ciò che vedo,<br />

sento e assaporo – vividamente, come se Frannie fosse qui con me – è l’essenza della ragazza che mi ha fatto mettere in discussione tutto ciò che<br />

sono. Se non sapessi che è impossibile, giurerei di aver sentito una nuvoletta evaporare dall’angolo del mio occhio. Quello che invece sono certo di<br />

sentire è il mio cuore di zolfo che si spezza, mentre me ne sto lì sdraiato in attesa di essere convocato. Perché all’Inferno nessuno ha una seconda<br />

opportunità.<br />

Frannie<br />

Guardo davanti a me, attraverso il parabrezza, mentre Gabe mi porta a casa perso nei suoi pensieri. Passiamo davanti a casa di Taylor ed è allora<br />

che sento il fulmine squarciarmi la testa.<br />

Non di nuovo.<br />

Grugnisco stringendo gli occhi per il dolore e vedo il padre di Taylor, sdraiato sul letto. Non respira più. Mi gira la testa e mi sento malissimo. «Ferma<br />

la macchina!» urlo, e quando riapro gli occhi mi accorgo che siamo già fermi. Apro lo sportello e vomito sull’asfalto. Gabe non è né spaventato né<br />

preoccupato, ma perfettamente calmo. Schizzo fuori dalla macchina e corro verso casa di Taylor. Quando la raggiungo, con un pugno busso e con l’altro<br />

suono il campanello a ripetizione, finché la porta non si apre.<br />

<strong>Il</strong> volto di Taylor si acciglia. «Fee… che storia è?»<br />

«Dov’è tuo padre?», dico senza fiato.<br />

«Sta dormendo… perché? Che succede?»<br />

«Devi andare a vedere se sta bene. Ora!».<br />

«Oh, non è una buona idea. Davvero, Fee. Ma cos’hai?».


Spingo Taylor da parte e salgo le scale puntando alla camera dei suoi genitori. Mi raggiunge a metà scala, prendendomi per la maglia, e per poco non<br />

mi scaraventa in terra, ma io mi tengo stretta al corrimano e vado avanti, trascinandomela dietro.<br />

«Non puoi entrare così, Fee. Smettila di comportarti da pazza!».<br />

Arrivo davanti alla porta, la apro, ed eccolo lì, proprio come nella mia visione. Tranne che per il suo petto, che si alza e si abbassa. Sta solo dormendo.<br />

«Oh, Dio». Mi volto verso Taylor, che mi sta già portando di forza fuori dalla stanza. «Scusa… Io pensavo…». Ma quando rivolgo nuovamente lo<br />

sguardo a suo padre, vedo sul tappeto un flacone di medicine vuoto. Oltrepassando Taylor, entro nella stanza e mi accorgo che sul comodino ci sono altri<br />

tre flaconi, tutti vuoti.<br />

«Taylor», dico indicando i flaconi, «chiama un ambulanza». Mi avvicino al letto. «Signor Stevens, si svegli!». Lo scuoto. «Può sentirmi?».<br />

Nulla.<br />

Taylor è lì in piedi, impietrita. Mi precipito al telefono sull’altro comodino e chiamo il pronto intervento. Mentre spiego cos’è successo, Gabe entra nella<br />

stanza e prende Taylor fra le sue braccia. Lei a malapena se ne accorge, e continua a fissare suo padre con gli occhi sgranati.<br />

L’ambulanza arriva dopo cinque minuti, e mentre caricano suo padre lei mi guarda. Non dice niente, ma la domanda è sottintesa. E io non ho risposte<br />

da darle, posso solo alzare le spalle. Taylor sale in ambulanza a fianco di suo padre e, quando partono a sirene spiegate, mi sciolgo in un fiume<br />

inaspettato di lacrime. Gabe mi abbraccia e torniamo alla sua macchina.<br />

«Ti sei comportata bene, Frannie». Non chiede neppure come facevo a saperlo. Mi tiene solo stretta.<br />

«È colpa mia», riesco a sillabare fra un singhiozzo e l’altro.<br />

Mi alza il mento con un dito. Poi le sue labbra tracciano un percorso che parte dalla mia fronte e passa per la tempia e poi la guancia, fino a sfiorarmi<br />

le labbra. Sussurra: «Devi smetterla di darti la colpa di tutte le cose brutte che succedono».<br />

Lo spingo via. «Dovevo parlarne con mio padre e fare in modo che la parrocchia li aiutasse». Ma mi sono persa nei miei drammi personali e ho<br />

dimenticato tutto il resto. <strong>Il</strong> senso di colpa mi si abbatte addosso e non oppongo resistenza. È giusto che mi senta una merda, mi sembra il minimo.<br />

Parcheggiamo nel vialetto di casa e Gabe si guarda intorno preoccupato, proprio come aveva fatto Luc sere fa.<br />

Mi metto gli occhiali da sole, in modo che mia madre non si accorga dei miei occhi arrossati dal pianto. «Stai meglio?». La voce di Gabe è così dolce<br />

e piena di trasporto che mi fa venire voglia di piangere ancora, ma mi sforzo di buttare giù il magone.<br />

«Sì».<br />

«Ok… e non devi andare da nessuna parte?»<br />

«Non che io sappia».<br />

«Bene. Chiudi a chiave la porta». Mi avvolge nel suo abbraccio e con occhi inquieti scandaglia tutt’intorno.<br />

«Ma perché tutti mi assillano con questa storia di chiudere a chiave? Mi volete dire cosa sta succedendo?».<br />

Si stacca da me e fissa lo sguardo sui cespugli a lato del portico. «Niente, davvero. Solo che è meglio stare attenti di questi tempi».<br />

«Sei proprio un pessimo bugiardo», dico allontanandomi a mia volta.<br />

Mi stringe di nuovo a sé, e quando mi bacia spingo il mio corpo contro il suo. Faccio scivolare le mani sul suo petto e poi sui fianchi. «Vieni dentro con<br />

me». Improvvisamente non ho voglia di stare da sola.<br />

Fa un sospiro, seguito da un sorriso dispiaciuto. «Non chiederei di meglio, ma ho bisogno di parlare con Lucifer. Promettimi di chiudere a chiave e<br />

restare dentro casa».<br />

«Va bene», dico, delusa. Sono esausta e mi chiedo come farò ad arrivare in cima alle scale. «Poi però torni?»<br />

«Appena posso». Mi guarda negli occhi. «Sei sicura di sentirti meglio?»<br />

«Ce la posso fare».<br />

«Riposati, ne hai bisogno». Mi bacia di nuovo, poi apre la porta e col suo modo gentile mi spinge in casa, continuando a guardarsi intorno.<br />

Chiudo la porta alle mie spalle e saluto una casa stranamente silenziosa. Nessuna risposta. Wow. Visto che non c’è nessuno decido di seguire i<br />

consigli di Gabe e mi chiudo dentro a chiave.<br />

A metà rampa della scala le mie gambe tremanti si rifiutano di andare oltre. Mi siedo lì dove sono, stringendo le ginocchia al petto. Come ho potuto<br />

dimenticare di parlarne a mio padre? Potevo aiutare Taylor e non l’ho fatto. Mi opprime una cappa di tristezza. Mi sdraio sul fianco, appoggiata al legno<br />

duro del gradino, e penso a che persona orribile sono.<br />

Ma almeno l’ho fermato.<br />

È meglio di niente, immagino. È la prima volta che grazie a una visione sono in grado di cambiare gli eventi. Questo mi conforta un po’.<br />

Dopo un’eternità, mi tiro su e raggiungo la mia stanza. Accendo lo stereo e mi butto sul letto, fissando il soffitto. Quando chiudo gli occhi, Luc è lì. E non<br />

è solo un’immagine: posso sentire la sua energia oscura e il suo profumo di cannella. Mi arrabbio con me stessa quando sento le lacrime scorrermi sul<br />

volto. Non voglio piangere, non per lui.<br />

Raccolgo le forze, mi alzo e mi dirigo alla finestra. Scosto le tende, anche se so che Gabe se n’è andato da un pezzo, ma potrei giurare che là, dietro<br />

agli alberi, il sole si riflette sul parabrezza di una Shelby Cobra del ’68.<br />

Luc?<br />

Immagino di correre fuori e buttarmi tra le sue braccia. Poi mi torna in mentre la ragazza bellissima e seminuda sdraiata sul suo letto e penso che<br />

invece potrei chiamare la polizia e accusarlo di stalking.<br />

Sbircio fuori di nuovo. L’auto è ancora là, parcheggiata dall’altra parte della strada a due porte di distanza dalla mia, cioè davanti a casa dei<br />

Brewsters, dove l’ho vista anche la sera che tornavo da casa di Taylor. Ma cosa diavolo vuole da me?<br />

Grazie al guizzo di energia generato dalla rabbia, infilo le scale di corsa e in un baleno volo fuori dalla porta di casa. Attraverso il prato come una furia,<br />

l’erba è fresca sotto ai miei piedi nudi, e quando li poso sulla strada sento l’asfalto che trema percosso dai bassi della musica che proviene dalla<br />

macchina. <strong>Il</strong> riflesso del sole sui finestrini non mi permette di distinguere bene, ma lui è lì, seduto nell’ombra. La musica si abbassa e il finestrino viene<br />

giù. Mi chino e sto per appoggiarmi alla portiera, quando mi accorgo che dentro non c’è Luc, ma uno che potrebbe essere suo fratello.<br />

«Oh, scusa», dico quando mi riprendo. «Pensavo fossi un altro».<br />

Lo sconosciuto mi sorride e i suoi occhi si accendono. «Sarò chiunque tu voglia», dice con voce vellutata. C’è qualcosa che mi ammalia nel suo tono<br />

suadente, e in lui in generale. I suoi occhi scuri e profondi non mi lasciano andare.<br />

Ricambio lo sguardo, mentre dallo stereo scaturisce il ritmo ossessivo di Love hurts degli Incubus. «È un incantesimo che non mi fa vedere cosa ho<br />

davanti?», domanda la canzone.<br />

«Assomigli molto… a un mio amico». La mia voce è un’eco distante.<br />

Ha lo stesso sorriso di Luc. «Spero che sia un amico intimo».<br />

Una nebbia oscura inghiotte i miei pensieri. «Ehm… intimo… sì…». E mentre faccio il giro della macchina e apro lo sportello sul lato passeggero la<br />

mia mente si svuota del tutto.


Capitolo 15<br />

Che l’Inferno abbia inizio<br />

Luc<br />

Mentre si infila nella macchina di Belias, afferro Frannie per un braccio. Lui si allunga stringendola per l’altro polso e contemporaneamente cerca di far<br />

partire la macchina, che avanza a singhiozzo tirando Frannie con sé.<br />

So bene che se Belias e io giocassimo al tiro alla fune col corpo di Frannie la faremmo letteralmente a pezzi. Ma so con altrettanta certezza che se la<br />

lascio andare diventerà sua, e non la riavrò più indietro. Raccolgo il mio potere valutando le possibilità. Se colpisco Belias mentre la tiene stretta potrei<br />

ucciderla. Spero solo che si renda conto che se le succede qualcosa è l’Inferno a perderci. Perché Frannie non è ancora stata legata, e se muore ora,<br />

per colpa nostra, non ci sono molte opzioni: la sua anima se la prendono gli altri, e noi finiamo entrambi smembrati nell’Abisso di fuoco.<br />

Guardo la sfera di energia che illumina il mio pugno destro, poi guardo la sua faccia, con la minaccia scritta in fronte. «Belias, sii ragionevole. Siamo<br />

sulla stessa barca e lei è stata assegnata a me. Lascia che me ne occupi io».<br />

I suoi occhi si fanno di fuoco e un forte odore di zolfo impregna l’aria primaverile. «Hai già avuto la tua possibilità. Re Lucifero è molto deluso, me l’ha<br />

detto quando mi ha offerto il posto di Beherit».<br />

«Ah, davvero? Bene, mettiti in fila». Non posso smaterializzarmi con lei, perché non sopravvivrebbe, perciò mi rimane un’unica possibilità.<br />

Ogni mia cellula si rifiuta, ma mi costringo a lasciar andare il suo braccio.<br />

<strong>Il</strong> volto di Belias si contorce in un ghigno che farebbe morire di terrore qualunque mortale. «Ottima scelta», dice lasciando il polso di Frannie e<br />

allungandosi per chiudere la portiera.<br />

Nella frazione di un attimo chiamo a raccolta i miei poteri infernali, con una forza finora sconosciuta, e li convoglio contro Belias. Un fulmine rosso di<br />

fuoco infernale illumina la macchina e lo colpisce dritto in faccia, sbattendolo contro la portiera. Digrigno i denti per la quantità di energia di cui mi sto<br />

facendo conduttore, e mi piego per tirare fuori Frannie. Mentre la prendo in braccio scuote la testa e mi guarda, stordita ma tutta intera.<br />

La stringo fra le braccia e inizio a correre come il vento, ma Belias si materializza di fronte a noi, con la faccia ancora fumante. «Ma che bel<br />

trucchetto», dice fra i denti, «peccato che hai dimenticato un particolare». Alza il pugno destro, che e rosso fosforescente, e me lo punta contro. «Lo so<br />

fare anch’io».<br />

«Non essere stupido, Belias», dico indicando Frannie rannicchiata tra le mie braccia, «la uccideresti, e questo significherebbe un biglietto di sola<br />

andata per l’Abisso di fuoco. Niente fama né riconoscimenti né promozione. E non ci sarebbe modo di insabbiare la cosa. Re Lucifero verrebbe a<br />

sapere tutto ancora prima che tu rimetta piede all’Inferno».<br />

<strong>Il</strong> suo ghigno si altera leggermente e abbassa il pugno. Lo vedo concentrarsi su qualcosa alle mie spalle e ho appena il tempo di richiamare il mio<br />

potere e gettare uno schermo protettivo su Frannie prima che Avaira mi colpisca alla schiena. Però, che male!<br />

Vacillo ma riesco a mantenermi eretto. Scuoto via il dolore, e guardo il volto di Frannie. Le sue palpebre vibrano e il suo respiro è ridotto a un soffio.<br />

Un terrore nero mi invade il petto.<br />

Come ho potuto permettere che accadesse?<br />

Ordino alle mie braccia di emanare calore, quel tanto per far diventare Frannie rossa e sudata. Senza distogliere lo sguardo da Belias, il pericolo<br />

maggiore, dico con nonchalance: «Ottimo lavoro. Siete davvero una coppia di stupidi. Ho sempre pensato che fosse il motivo per cui non sei mai<br />

arrivato al Primo Livello, Belias. Non sei intelligente. Guarda cos’ha fatto la tua ragazza». Faccio ruotare leggermente Frannie fra le mie braccia, in modo<br />

da mostrare che è esanime, paonazza e grondante sudore, nonché avvolta da un velo di vapore che ho aggiunto sul momento con degli effetti speciali<br />

improvvisati. «L’avete uccisa. Arrostita». E a essere sinceri, non sono certo che il mio sia un bluff, perché il profumo di chiodi di garofano e uvetta è<br />

inconfondibile: la sua anima è emersa in superficie, in attesa che un angelo venga a reclamarla.<br />

Belias è furioso, ma non ce l’ha con me. <strong>Il</strong> suo sguardo è diretto alle mie spalle. «Dannazione, Avaira. Non erano questi i nostri piani!».<br />

«Scusa». Posso distinguere una nota di compiacimento nella sua voce voluttuosa. «È stato troppo facile. Chi pensava che si sarebbe lasciato colpire<br />

senza fare niente».<br />

«Sei una cretina. Adesso saremo tutti condannati all’Abisso. Ma cos’hai nella testa?». La collera spinge le vere sembianze di Belias pericolosamente<br />

vicine alla superficie, e ora si intravedono sotto alle sembianze umane.<br />

«È stato un incidente. Non possono gettarci nell’Abisso». Non c’è più humor nel tono di Avaira, che adesso è terrorizzata.<br />

Belias lancia un grugnito e scompare in una nuvoletta di zolfo. Un attimo dopo la sua Shelby, ancora abbandonata a lato della strada, fa la stessa fine,<br />

e quando mi volto anche Avaira è andata.<br />

In tutta la mia esistenza non ricordo di essere mai stato così spaventato. Guardo Frannie e spengo il calorifero. Anche lei mi guarda, la sua testa inizia<br />

a sgomberarsi ora che Belias se n’è andato. Nessun angelo si è ancora fatto vivo, ne deduco che forse sta bene. La stringo forte al petto, senza sapere<br />

se è lei, a tremare, o sono io. Affondo il volto nei suoi capelli e inalo il suo odore.<br />

«Non potevo permettere che ti portasse via», borbotto senza pensare.<br />

Mi guarda con gli occhi a mezz’asta. «Non potevi cosa? Cos’è successo?». La sua voce è sottile e roca, le parole biascicate.<br />

Cosa posso dirle? La verità? “Be’, hai appena rischiato che Belias, un demone pervertito, ti seducesse e poi ti succhiasse l’anima”.<br />

Magari non ora.<br />

Mi sforzo di sorridere e di parlare con voce calma. «Stavi salendo in macchina con uno sconosciuto. La mamma non ti ha mai detto che non si dà<br />

confidenza al primo che passa?».<br />

Lei cerca di ricordare, poi ci rinuncia.<br />

<strong>Il</strong> trambusto che abbiamo fatto deve aver attirato l’attenzione di qualche vicino, perché vedo una tenda che si scosta nella casa dirimpetto a quella di<br />

Frannie. Mi sbrigo a portarla dentro, dove la adagio sul suo letto, cercando di capire come sta. È ancora calda, ma respirazione e battito cardiaco<br />

stanno tornando alla normalità. Chino il capo e mi lascio cullare da un’ondata di sollievo.<br />

Sta bene.<br />

Faccio per andare alla finestra a controllare che Belias non sia già di ritorno, ma la sua mano afferra la mia.<br />

«Ehi», dico. «Hai bisogno di riposo».<br />

«Resta». La sua voce è debole ma determinata.<br />

Mi stringe la mano più forte, e io mi siedo sul bordo del letto, ravviandole le ciocche color sabbia incollate alla fronte sudata. «Credo sia meglio che io


vada, Frannie. Le cose potrebbero mettersi male se i tuoi genitori tornano a casa e mi trovano nella tua stanza. Ma sarò qui fuori, lo prometto».<br />

«Resta». La sua voce è diventata più forte e nel suo sguardo leggo l’urgenza del desiderio.<br />

Respiro profondamente, cercando di resistere al bisogno di baciarla. Sono completamente incapace di dire di no. «Come vuoi».<br />

Resto seduto sul letto a lungo, osservando il suo respiro che si fa profondo e regolare mentre scivola nel sonno. Che diavolo sto facendo qui? Ho<br />

potuto evitare l’Abisso perché sono entrato di mia iniziativa, senza essere convocato. Ma ora è solo una questione di tempo, e quando arriva la<br />

convocazione sarà tutto finito. Quanto mi resta? Giorni? Ore? Non sarà mai abbastanza. E comunque vada, che io riesca a legarla o meno, non potrò<br />

mai stare con lei. Una fitta di panico mi assale al petto all’idea di lasciarla di nuovo.<br />

Mi chino a baciarle la fronte e le lascio la mano. O almeno ci provo, perché i suoi occhi si aprono di scatto e la sua mano riagguanta la mia. «Dove<br />

pensi di andare?». È mezzo addormentata, ma la nota di panico nella sua voce è evidente.<br />

Non posso farci niente. Se ha bisogno di me non sono in grado di andarmene. Le sorrido: «Da nessuna parte, se è quello che vuoi».<br />

Subito mi risponde con un sorriso, poi la sua espressione cambia, gli occhi di zaffiro e il suo bel viso diventano confusi, finché affiora la verità, cioè<br />

che dovrebbe odiarmi.<br />

«Non posso fidarmi di te. Sei come il dottor Jekyll e Mr Hyde», dice tenendomi ancora la mano in una morsa.<br />

Chino la testa e il mio cuore di zolfo si spezza. La partita è finita ed è evidente che ho perso, da ogni punto di vista. Perché io la amo, ma non posso<br />

averla.<br />

Mi alzo, ho bisogno di allontanarmi da lei prima di fare di nuovo qualcosa che possa ferirla. Questa volta mi lascia andare. «Hai ragione», le dico.<br />

«Non puoi fidarti di me».<br />

Frannie<br />

Mi tiro su a sedere, ancora debole. Guardo Luc uscire dalla porta e so che dovrei lasciarlo andare, ma il mio ultimo briciolo di senno si fa da parte e<br />

lascia che il bisogno ancestrale che ho di lui prenda il sopravvento.<br />

«Aspetta! Non andare».<br />

Si gira, ancora sulla soglia. «Frannie, stai facendo un grosso errore. Ti conviene mandarmi via».<br />

Sto ancora tremando, quando recupero dei frammenti di memoria. Ricordo di essere uscita per urlare in faccia a Luc… ma non era lui. Dopo di che è<br />

tutto confuso. Abbasso lo sguardo e inizio a giocherellare con la trapunta. «Chi era quel ragazzo?».<br />

Lui si appoggia allo stipite della porta, di fronte a me. «Si chiama Belias. È pericoloso».<br />

«Perché era qui? Cosa voleva?».<br />

Luc mi fissa e scuote la testa.<br />

«Ti assomiglia così tanto», dico quando ormai è chiaro che non ha intenzione di rispondermi.<br />

«Sì, immagino dipenda dal fatto che veniamo dallo stesso posto».<br />

Gli pianto gli occhi in faccia. «E da dov’è che venite, esattamente? Cambi sempre discorso quando te lo chiedo».<br />

Mi guarda a lungo, cercando una risposta.<br />

Alla fine, alzo gli occhi al cielo. «Se devi pensarci così tanto, immagino che mi dirai delle stronzate. Risparmiamele».<br />

«Scusa, ma non mi crederesti se te lo dicessi». Si volta per andarsene.<br />

«Vorrei che mi mettessi alla prova».<br />

Entra piano nella mia stanza, con lo stesso sguardo sperduto di prima. Apre la bocca per dire qualcosa, ma poi la richiude. Scuote la testa e io lo fisso<br />

con insistenza, convinta che le risposte siano lì, appena sotto la superficie, e che se guardo con attenzione le potrò scovare. Apre di nuovo la bocca, poi<br />

si blocca e si guarda i piedi: «È meglio che vada».<br />

<strong>Il</strong> cuore mi martella nel petto. So che dovrei lasciar stare, ma c’è un’altra cosa che ho bisogno di sapere. «E quella ragazza? Quella nel tuo letto. È,<br />

tipo, la tua ragazza venuta da casa?».<br />

Alza lo sguardo e mi risponde serio.<br />

«No. In realtà è la ragazza di Belias, Avaira».<br />

Non riesco a controllare un guizzo di gelosia. «Mmm, gentile da parte sua condividerla con te».<br />

«Non è così, Frannie», sbotta. «Loro sono qua per…». Si ferma di botto, e i suoi occhi perforano i miei. «Lei non è niente».<br />

Scuote la testa, per l’ennesima volta. Ha una faccia così abbattuta che temo tenti di nuovo di andarsene.<br />

Tengo per me il commento acido che ho sulla punta della lingua, cioè l’ipotesi che la taglia di reggiseno della ragazza misteriosa sia superiore al suo<br />

quoziente intellettivo. «Allora, se non è così, in che modo è? Era nel tuo appartamento, anzi sul tuo letto. Ha le chiavi di casa?».<br />

Mi fissa per un’eternità, poi si lascia cadere sulla sedia della mia scrivania, con gli occhi bassi. «No, non ha le chiavi. Nessuna serratura la terrebbe<br />

fuori».<br />

«Che cosa vuol dire? Ti sta facendo stalking o qualcosa del genere?»<br />

«In un certo senso». Alza lo sguardo e ha gli occhi colmi d’ansia. «Ci sono cose di me che non sai».<br />

Schizzo a sedere sul bordo del letto. «Non ne dubito. Allora dimmele».<br />

Mi fissa ancora a lungo, poi appoggia i gomiti sulle ginocchia e si infila le mani nella folta chioma nera, tornando a fissare il pavimento. «Non sono<br />

quello che pensi».<br />

«Non penso che tu sia niente».<br />

Solleva il volto e quasi gli scappa da ridere.<br />

Incasso la testa fra le spalle. «Intendevo che non mi interessa cosa sei. Insomma, hai capito cosa volevo dire. Allora, cos’è che non so?».<br />

Si alza, mi prende la mano e mi fa alzare dal letto per prendermi fra le braccia. Vorrei respingerlo, ma non lo faccio.<br />

Lo sento sospirare tra i miei capelli, poi si schiarisce la voce.<br />

Alzo la testa per guardarlo. «A me puoi dirlo».<br />

Invece di rispondere mi bacia. E, anche se so che è una mossa stupida e che sicuramente mi ferirà di nuovo, lo bacio anch’io.<br />

Quando torno a guardarlo, i suoi occhi sono ancora agitati. «Non sono stato del tutto sincero con te», dice. Poi si allontana e guarda fuori dalla<br />

finestra. «Per le fiamme dell’Inferno, non sono stato per niente sincero con te».<br />

«Dimmi tutto», dico avvicinandomi.<br />

Fa l’ennesimo sospiro e si appoggia alla scrivania, come se facesse fatica a tenersi in piedi. Poi mi guarda dritto negli occhi e per quanto sia ancora<br />

spaventato ora sembra determinato. «Belias, Avaira e io…», dice lentamente, come se ogni parola equivalesse a una pugnalata, «veniamo tutti da…».<br />

«Frannie?». La voce di mia madre mi chiama dal fondo delle scale. Mi spaventa a morte. Come ho fatto a non sentirla rientrare?<br />

Di riflesso mi allontano da Luc. «Sì mamma?»<br />

«È la macchina di… Luc quella qui davanti?». Sembra che faccia fatica persino a pronunciare il suo nome.


Una smorfia nervosa si dipinge sul volto di Luc.<br />

«Sì, mamma».<br />

La sua voce si alza di un’ottava, e sento i suoi piedini affrettarsi su per le scale. «È su con te?»<br />

«Sì», dico afferrando la sua mano e portandolo verso la porta. Lei è già in cima alle scale e ci guarda con occhi spiritati mentre usciamo in corridoio.<br />

«Ciao. Stiamo facendo i compiti di matematica», dico lasciandogli la mano e ordinandomi di non arrossire.<br />

«Oh», risponde ignorando Luc. «Non stareste più comodi in cucina?».<br />

La porta sul retro si apre e la voce ruvida del nonno si diffonde per la casa. «Ehi! Ma di chi è la Shelby parcheggiata qui davanti?».<br />

<strong>Il</strong> mattone che ho sul cuore si dissolve. «Nonno!», grido felice quando lo vedo apparire in fondo alle scale. I suoi occhi blu sembrano sorriderci.<br />

«È la mia», dice Luc.<br />

«Restaurata o originale?»<br />

«È tutto originale».<br />

Mia madre si fa da parte e lascia passare Luc. Lui saluta col capo e sorride, un sorriso gentile e rassicurante.<br />

«Chi si occupa della manutenzione?», chiede il nonno mentre Luc scende le scale.<br />

«Io».<br />

«È una bellezza», commenta con una pacca sulle spalle. «Ti dispiace se do un occhio al motore?»<br />

«Nessun problema». Luc lancia uno sguardo preoccupato su per le scale poi esce dalla porta d’ingresso col nonno.<br />

«Cosa ci faceva lui qui?», sibila mia madre. «Ero stata chiara. Non devi vederlo, soprattutto non da sola».<br />

«Mamma, per favore. Non hai mai detto che non posso vederlo. Non so cosa ti abbia fatto, ma vorrei che fossi più gentile con lui».<br />

«Frannie, ne abbiamo già parlato. Chiariamolo una volta per tutte: ti proibisco di uscire con quel ragazzo».<br />

È assurdo. «Ti rendi conto di essere ridicola?».<br />

Ed è troppo tardi.<br />

Vado alla finestra della mia camera. Luc sta alzando il cofano della Shelby e il nonno ci infila la testa sotto. Ma che storia è? Belias, Avaira e io<br />

veniamo tutti da…? Da dove? Cosa potrebbe essere di così spaventoso? Sono evasi di prigione? Da un manicomio?<br />

Da dove vengono?<br />

Dallo spazio? Dal futuro?<br />

Appoggio i gomiti sul davanzale e lo guardo chiacchierare col nonno. Potrebbe davvero dirmi qualcosa che cambierebbe il modo in cui mi sento<br />

quando sono con lui? E a parte questo, non è certo l’unico ad avere dei segreti. Dio solo sa se non ne ho anch’io.<br />

Come Gabe. Che ho baciato. E che bacerei ancora.<br />

Mi copro gli occhi con una mano. Che diavolo sto facendo? Appoggio il mento alle mani e resto lì a rimuginare. Luc mi guarda dalla strada e subito<br />

vengo presa dall’emozione.<br />

Belias, Avaira e io veniamo tutti da…<br />

Non so niente, né di lui né di Gabe. Sono entrambi spuntati dal nulla e mi hanno rivoluzionato l’esistenza. Perché non riesco a smettere di pensare a<br />

loro?<br />

Belias, Avaira e io veniamo tutti da…<br />

Finirò per dormire male anche stanotte, lo so già.<br />

Luc<br />

«Mi spezzi il cuore, questa è un classico. Quanti chilometri ha fatto?»<br />

«Appena cinquantamila», rispondo.<br />

Si china per guardare meglio. «Santo cielo, questa bambina deve valere un mucchio di soldi. Da quant’è che ce l’hai?»<br />

«Comprata nuova».<br />

Alza la faccia dal motore e scoppia a ridere. «Non eri ancora nato, ragazzo».<br />

Oh, certo. «Volevo dire mio nonno. L’ha comprata lui nel ’68».<br />

Accenna col capo alla decappottabile del ’65 parcheggiata nel vialetto. «Frannie ti può dare una mano con la manutenzione. È il miglior meccanico di<br />

Mustang d’epoca che io conosca».<br />

La vedo affacciata alla finestra e sorrido. Ci guarda coi gomiti appoggiati al davanzale e una guancia sul palmo della mano. <strong>Il</strong> bisogno di trasformarmi<br />

in quella mano, di toccarle il volto, minaccia di farmi perdere il lume della ragione. Ma che diavolo, non sopporto nemmeno questa minima distanza da<br />

lei. Mi sforzo di guardare da un’altra parte, e mi concentro su suo nonno.<br />

«Davvero? È una perla che non ha condiviso con me».<br />

Mi guarda, improvvisamente serio. «Spero non sia l’unica perla che non condivide con te».<br />

Tiro un bel respiro e lo guardo negli occhi. «Frannie è speciale. Non ho intenzione di fare mosse false con lei». A parte Belias che cerca di succhiarle<br />

l’anima e di trascinarla all’Inferno non è successo nulla di grave.<br />

«Certo che è speciale. Nessuno di voi se la merita», dice facendo un gesto vago verso di me. Non ha idea di quanto ha ragione. «Trattala bene».<br />

Volge lo sguardo in su, verso la finestra.<br />

«Ha ragione. Non me la merito. Ho già provato a dirglielo».<br />

Sorride. «Ma lei non ti ascolta. È cocciuta come sua nonna».<br />

«Non permetterò che le succeda niente di male», dico.<br />

Mi guarda dritto negli occhi. «Ti prendo in parola. E se le cose andassero diversamente, so chi venire a cercare».<br />

«Sì, signore».<br />

Quando riapre bocca, mi prende completamente alla sprovvista. «La ami?».<br />

Lo fisso per un lunghissimo istante, poi lancio un’occhiata a Frannie. Qualcosa di appuntito si agita nelle mie budella. Per quanto abbia provato a<br />

negarlo, o a convincermi che non conti, ne sono certo, come sono certo che per questo verrò buttato nell’Abisso di fuoco. «Sì, signore».<br />

«Glielo hai già detto?»<br />

«No, signore».<br />

«E quando hai intenzione di farlo?»<br />

«Presto», dico sorridendo.<br />

«Bene». Sorride anche lui.


Capitolo 16<br />

<strong>Il</strong> Diavolo, se lo conosci<br />

Frannie<br />

È la prima volta in vita mia che odio il fine settimana. Ma questo è stato un Inferno, cioè un susseguirsi di incubi in stile L’invasione degli ultracorpi, con<br />

l’aggiunta di galeotti con uncini al posto delle mani. In alternativa, ho fatto certi sogni su Luc e Gabe al cui pensiero arrossisco come un peperone. E<br />

sono sicura di aver visto passare una Shelby nera del ’68 davanti a casa almeno un paio di volte.<br />

Belias, Avaira e io veniamo tutti da…<br />

E come se non bastasse, oggi a scuola è stata una giornata folle, un continuo altalenare fra Gabe e Luc. Ma dopo l’ultima ora non perdo più tempo e<br />

afferro Luc per un braccio, trascinandolo fuori. Montiamo in macchina e subito le sue labbra bruciano sulle mie. È una sensazione incredibile, e faccio<br />

una gran fatica a fermarlo.<br />

«Voglio sapere», dico sulle sue labbra.<br />

«Cosa?», risponde lui sulle mie.<br />

Cerco di allontanarlo. «Quello che mi stavi dicendo venerdì, appena prima che arrivasse mia madre».<br />

«Non mi ricordo», dice avvicinandosi.<br />

Lo spingo via con decisione. «Belias, Avaira e io veniamo tutti da…», dico per stimolargli la memoria.<br />

Ha un attimo di smarrimento. «Dopo».<br />

«Adesso».<br />

I suoi occhi si fanno duri, due pezzi di ossidiana nera. «Non vuol dire niente».<br />

«Venerdì non la pensavi così».<br />

Si appoggia al sedile, chiude gli occhi ed emette un sospiro. «È meglio che tu non lo sappia».<br />

«No, è meglio che tu me lo dica».<br />

Mi guarda con occhi pieni di tormento. «Ho fatto delle cose orribili».<br />

Sento le mie interiora che si annodano. «E chi non ne ha fatte?»<br />

«Dico davvero, Frannie».<br />

Ma tutto quello a cui riesco a pensare è che non c’è niente che lui possa aver fatto che sia anche solo lontanamente grave quanto quello che ho fatto<br />

io. Improvvisamente mi si chiude la gola e il mio petto è stretto in una morsa. Nella macchina non c’è più aria. Apro la portiera, esco vacillando e per<br />

poco non cado sull’asfalto.<br />

In un nanosecondo Luc è al mio fianco e mi sorregge, impedendomi di cadere. «Frannie, che cos’hai?».<br />

Segreti.<br />

Resto appoggiata a lui a lungo, respirando a fatica, poi lo spingo via. Non sopporto che mi veda così, né tanto meno che creda che ho bisogno del suo<br />

aiuto.<br />

«Sto bene», dico mentendo.<br />

È evidente che non mi crede, ma non mi interessa. Però, quando mi prende fra le braccia lo lascio fare, e quando il mio respiro si fa più regolare<br />

lascio che mi rimetta a sedere in macchina.<br />

«Scusa», dico senza guardarlo.<br />

«Cos’è successo?»<br />

«Niente». Infilo le gambe in macchina e afferro la maniglia della portiera. «Andiamo».<br />

Fa un passo indietro e io chiudo.<br />

Ha ragione. Non voglio conoscere i suoi segreti. Ne ho già abbastanza di miei.<br />

I nostri corpi si muovono insieme al ritmo di Personal Jesus dei Depeche Mode. Per quanto io non ne abbia molta voglia, mi divincolo dal corpo<br />

bruciante di Luc e mi tiro su a sedere sul suo lettone nero, cercando di riprendere fiato. «“Eravamo troppo impegnati a strusciarci” non è una buona<br />

giustificazione per il professor Snyder».<br />

Luc mi prende per i fianchi e mi riporta giù con lui. «Potremmo provare con “me l’ha mangiato il cane”», dice speranzoso, prendendomi nuovamente<br />

fra le braccia. Lo guardo severa e in un attimo cede con un grugnito. «Ok… ma facciamo in fretta, vero?».<br />

Mi rimetto a sedere, appoggiata ai cuscini. «Dobbiamo rispondere alle ultime domande, non ci vorrà molto».<br />

Prende il suo quaderno dal pavimento e si siede di fianco a me, appoggiandosi alla testiera del letto, ma invece di scrivere mi guarda. «Bisogna che<br />

ti rimetti la maglietta», dice poco dopo. «Quel reggiseno rosso è un pericolo per la quiete pubblica. Non pensavo che il papa permettesse alle brave<br />

ragazze cattoliche di mettersi certe cose».<br />

«Ma io non sono una brava ragazza cattolica. Mi hanno buttata fuori dalla loro scuola, ricordi?»<br />

«Ah, già», dice sorridendo, provocando un sussulto del mio cuore.<br />

I Depeche Mode mi consigliano di “allungare la mano e toccare la fede” e io traccio con un dito la spirale del serpente tatuato intorno al suo bicipite, e<br />

osservo col massimo interesse il suo petto nudo.<br />

«Ok, allora… Steinbeck…», dico distogliendo lo sguardo da quelle visioni tentatrici. Faccio un bel respiro e mi infilo la maglietta. Mi concentro sulla<br />

dispensa del professor Snyder e leggo: «Che cosa ci sta dicendo l’autore dell’indole degli uomini?».<br />

«Che chiunque cercherà di giustificare le proprie azioni, per quanto sbagliate siano».<br />

Alzo un sopracciglio. «Ah, davvero? Secondo me il succo di quello che dice è che gli eventi sono dettati dalle circostanze».<br />

«È la stessa cosa».<br />

«Non è vero. Pensaci. Per tutto il libro Tom agisce… sceglie a seconda dei bisogni della sua famiglia. Non è che si sveglia una mattina e dice “Ma sì,<br />

potrei far fuori qualcuno oggi”».<br />

«Ok, ma comunque uccide qualcuno e fugge, quindi non può aiutare la sua famiglia perché non può lavorare, anzi rischia di metterli nei guai se<br />

vengono scoperti ad aiutarlo. Non puoi dire che agisce solo per il bene della sua famiglia. La gente fa cose di ogni genere dicendo che si tratta di opere<br />

buone, ma il motivo che li spinge è l’egoismo».


Mi cadono le braccia. «Wow… vuoi dire che al mondo ci sono solo bugiardi, calcolatori ed egoisti?»<br />

«Già, più o meno».<br />

«Senza lati positivi che li possano redimere?»<br />

«Temo di no».<br />

«Che tristezza», dico scuotendo la testa.<br />

«Triste ma vero».<br />

«Ok, allora cosa mi dici di Rosa Tea? Alla fine perde il suo bambino, ma allatta al seno un uomo che sta morendo di fame. Cosa c’è di egoistico in<br />

questo?».<br />

Mi guarda un attimo poi sorride. «Scusa, mi sono perso a “seno”», dice guardando il mio.<br />

Gli do una gomitata. «Sei un porco».<br />

Ridacchia. «Non sono un porco, sono un ragazzo, che in effetti, adesso che ci penso, è più o meno la stessa cosa. Hai ragione tu».<br />

«Hai un cuore di pietra. Ci credo che vedi il mondo come un posto infernale». Apro il quaderno, vado alla pagina intitolata “Steinbeck, questionario<br />

guida per tesina finale, Frannie e Luc”, e aggiungo le ultime frasi. Quando ho finito lo allungo a Luc, che leggendo si acciglia.<br />

«Be’, tu invece pensi di vivere in un mondo di frutta candita, perché quello che scrivi è a dir poco naïf».<br />

«Solo perché non credo che tutti siano cattivi non puoi bollarmi come naïf».<br />

«Sì invece, ma tanto meglio per me. Allora, dove eravamo rimasti?», dice in tono allusivo. Butta a terra il quaderno e mi toglie la maglietta, fissando il<br />

mio reggiseno rosso.<br />

«Ti faccio vedere io una cosa naïf», gli dico.<br />

I suoi occhi si accendono e giurerei che gli manca il respiro quando con un sorriso malizioso mi slaccio il reggiseno e lo getto in terra sulla maglietta.<br />

Mi avvinghio a lui e sento la mia pelle che si fonde con la sua. Lui mi bacia il collo e l’orecchio, e il suo respiro caldo mi fa venire la pelle d’oca.<br />

«Mmm, sei bellissima», mi sussurra all’orecchio. Fremo per l’ondata di emozione che mi attraversa, e lo stesso accade a lui.<br />

La sensibilità del mio intero corpo si è acuita vertiginosamente. Sono elettrica, e ogni mio nervo è in overload. Con gli altri non è mai stato un<br />

problema fermarsi. Non mi ero mai sentita pronta. Ma nessuno di loro mi ha mai fatta sentire come mi fa sentire Luc. Tutto in lui sembra sbagliato,<br />

eppure mi sento a casa. Parlo del fatto che non riesco a togliermelo dalla testa, che il mio cuore si riempie solo quando siamo insieme, di come faccia<br />

sembrare tutto nuovo ed emozionante e di come io senta di potergli raccontare qualsiasi cosa.<br />

Mi bacia più profondamente e io non riesco a trattenere una lacrima. Mi sembra di soffocare, ma non posso allontanarlo. Lo vorrei più vicino ancora.<br />

Luc<br />

<strong>Il</strong> suo corpo vicino al mio è l’unica cosa che sento. <strong>Il</strong> suo corpo vicino al mio è l’unica cosa che esiste. <strong>Il</strong> resto dell’universo si è disintegrato, compresi<br />

Paradiso e Inferno. In nome di tutto ciò che è profano, lei deve restare con me per il resto dell’eternità. Non mi fermerò finché non sarà mia… negli<br />

inferi… dove non merita di finire…<br />

Scaccio questo pensiero e mi concentro su Frannie. Ha gli occhi chiusi e si stringe a me, baciandomi. Sento le sue mani su di me, dappertutto. «Non<br />

fermarti», mi sussurra nell’orecchio, ma non sa a cosa sta andando incontro. Perché per quanto ne dica, è davvero naïf. So bene cosa si cela nel cuore<br />

degli uomini, così come nel mio cuore di zolfo.<br />

Tutto quello che devo fare è prenderla, è il primo passo sul sentiero per l’Inferno. Lei lo vuole e io… oh, lo voglio anch’io.<br />

Mi riempio i polmoni di cioccolata e zenzero, poi assaporo chiodi di garofano e uvetta, la sua anima. Sento le sue mani che mi sfilano i jeans e il suo<br />

bacio si fa più urgente. Non posso più aspettare, ho bisogno di lei. Ora.<br />

Sto per far svanire il poco che resta dei nostri vestiti e mi preparo a sentire la sua pelle contro la mia, immaginando noi, insieme, quando si ritrae<br />

all’improvviso e scava con gli occhi nei miei, fino all’essenza. Con la punta di un dito tremante disegna il contorno delle mie labbra, ed è allora che vengo<br />

inondato da un aroma caldo e irresistibile di cioccolata.<br />

Cioccolata?<br />

Potrebbe essere… amore? Forse lei mi ama?<br />

Quando i suoi occhi tornano a fissarsi nei miei, tutto si fa chiaro. Devo fermarmi, perché per qualche strano motivo tutta questa storia mi ha dotato di<br />

una coscienza, e questa coscienza mi sta dicendo che non importa se la voglio con me per sempre. Sto agendo nel modo sbagliato.<br />

Deve sapere cosa sono, deve poter scegliere. La bacio di nuovo, un’ultima volta, come se la mia vita dipendesse da questo. E in effetti è così, visto<br />

che se prendo questa strada la mia prossima fermata saranno le profondità dell’Abisso di fuoco.<br />

«Non possiamo farlo, Frannie». Mi appoggio a un gomito e lei volta la faccia dall’altra parte. «Guardami», dico con fermezza. «Non sono quello che<br />

pensi».<br />

E poi lo faccio.<br />

Conscio della sua inevitabile reazione, mentre ordino alla mia maschera umana di dissolversi e le permetto di vedermi in tutta la mia gloria infernale,<br />

vorrei scomparire sotto terra. Ho la pelle coriacea, color rame, i capelli incolti e ispidi che coprono in parte i miei occhi da gatto, rossi, e la mia bocca è<br />

uno sfregio cremisi che squarcia un volto senza espressione. Ah, e ovviamente ho le corna d’ordinanza, che si ergono nere sul mio capo.<br />

Appena sento il fuoco sotto la pelle e inizio a sudare mi allontano da lei, certo che altrimenti la ustionerei.<br />

Per qualche motivo ero convinto che una volta lasciata la forma umana quello che provo per lei si sarebbe attenuato. Mi sbagliavo. I miei sentimenti<br />

sono ancora più forti, verso di lei e verso di me, perché l’amore per lei provoca il disgusto per me stesso. L’odore di zolfo, che di solito è gradevole, ora<br />

mi fa schifo. Io mi faccio schifo.<br />

Mi aspetto di sentire le sue grida, magari il rumore delle lenzuola mentre si agita per fuggire. Invece c’è silenzio, ma l’odore d’arancia dolce che si<br />

ispessisce nell’aria testimonia che ha paura. Non ho il coraggio di guardarla, certo del disgusto che le leggerei negli occhi.<br />

Quando mi decido scopro, invece, che è come se non mi vedesse. Non come dovrebbe. Perché più che spaventata sembra curiosa. I suoi occhi sono<br />

spalancati, il respiro rapido. Cerca di dire qualcosa: «Allora… cosa… voglio dire…».<br />

«Sono un demone, Frannie», la interrompo, pieno di rabbia verso me stesso. «Vengo dall’Inferno».<br />

Lei mi fissa, lasciando depositare le informazioni, e una miriade di pensieri affollano i suoi occhi blu. «Dall’Inferno», ripete con voce tremante.<br />

«Dall’Inferno», confermo piano, rendendomi conto dell’errore irreparabile che ho appena commesso. Ma cosa pensavo? Che mi avrebbe amato lo<br />

stesso? Sei un pazzo, Luc.<br />

Si tira su e abbraccia un cuscino, accompagnata dal cigolio del materasso. Ha gli occhi colmi di dubbio e una lacrima le rotola sulla guancia mentre<br />

con la mente continua a elaborare ciò che vede. «Un demone…».<br />

Per tutta risposta, io grugnisco e nascondo la faccia nel cuscino. Perché so che nel giro di pochi secondi fuggirà via. Quando avrà afferrato<br />

pienamente capirà anche perché sono qui, e scapperà urlando dal mio appartamento. Non ce la faccio a guardare.<br />

Ma continua a non succedere niente, e ogni secondo di attesa mi uccide. Mi alzo e vado alla finestra, guardando il parcheggio senza vederlo.


La sento che tira su col naso e mi giro ad affrontarla. Mi trovo davanti due occhi enormi, pieni di paura. Odio l’idea di essere io a spaventarla, vorrei<br />

riavvicinarmi per consolarla.<br />

Ma non posso tornare indietro.<br />

Non potrò mai più starle vicino ora che sa cosa sono. L’ho persa.<br />

Vengo sopraffatto dall’avversione per me stesso e spero solo che la morsa invisibile che mi attanaglia il cuore stringa fino a farne cessare il battito.<br />

Ma invece di prendermela con me stesso, sento la mia voce soffocata sibilare: «Che diavolo stai facendo? Dovresti essere terrorizzata! Corri!».<br />

Per un attimo prende in considerazione il mio consiglio. Voglio davvero che lo faccia, che corra via più veloce che può, senza voltarsi indietro.<br />

Ma, che Satana mi salvi, voglio anche che resti.<br />

Meno male che non ho bisogno di respirare, perché non credo che ci riuscirei. Mi appoggio al muro, scivolo a sedere in terra fissando il soffitto e resto<br />

lì ad aspettare che faccia qualcosa. Qualsiasi cosa.<br />

Quando non ne posso più, riabbasso lo sguardo su di lei.<br />

Ci sta ancora pensando. Stringe il cuscino e con voce grave dice: «Non può essere vero». Si sfrega gli occhi e mi guarda di nuovo.<br />

Darei qualunque cosa per poterle dare ragione. Chino il capo. «È così».<br />

Resta in silenzio per un altro minuto e posso quasi sentirla pensare. «Ho sempre saputo che c’era qualcosa di… oscuro… e un po’ pericoloso in te»,<br />

dice finalmente.<br />

Mi rialzo in piedi. «Mi senti, Frannie? Sono più che “un po’” pericoloso!».<br />

La vedo trasalire, ma non si muove dal letto. Di nuovo, da un momento all’altro mi aspetto di vedere il terrore nascerle in volto, invece si infuria e una<br />

zaffata di pepe nero si sparge per la stanza. «Perché non me l’hai detto?»<br />

«Te lo sto dicendo ora».<br />

«Dovevi dirmelo prima. Ormai…», si alza dal letto lanciandomi uno sguardo feroce e stringendo il cuscino così forte che rischia di farlo a pezzi. «Ti<br />

amo», dice come se fosse un accusa.<br />

L’ha detto.<br />

Ed ecco che una sventagliata calda di cioccolata arriva insieme al pepe alle mie narici. Le mie viscere si tramutano in pura energia e il mio cuore di<br />

zolfo esplode.<br />

Ma non è importante, perché adesso viene la parte in cui lei se ne va.<br />

La vedo sgranare di nuovo gli occhi, mentre si rende conto di quello che ha appena detto. Si rimette a sedere sul letto e resta lì come in agonia,<br />

fissandomi a bocca aperta e con un’espressione incredula sul viso. «Io… non…». Abbassa lo sguardo.<br />

Non c’è niente che io possa dirle. Non posso abbracciarla e dirle che l’amo anch’io. Così chino di nuovo la testa aspettando che si decida ad<br />

andarsene sbattendo la porta.<br />

Ma la porta non sbatte e la sento chiedere: «Allora, come funziona? Devi tornare indietro?».<br />

Alzo lo sguardo e una brevissima risata sardonica mi risale la gola. Di tutte le cose che mi poteva chiedere… «Prima o poi».<br />

Afferra la maglietta dal pavimento, infilandosela con uno strattone, e mi incenerisce con lo sguardo. «Lo sapevo che te ne saresti andato».<br />

Stringo le labbra in una smorfia e scuoto la testa. «È questo che ti preoccupa? Per le colpe di Satana, Frannie, sono un demone, dovresti pregare il<br />

cielo che io me ne vada».<br />

«Bene», dice gettando il quaderno nello zaino. Mi accorgo che le tremano le mani. «Ti evito il disturbo», ringhia.<br />

Si butta lo zaino sulle spalle e cerca qualcosa in terra. Io mi sento sempre peggio.<br />

«Dannazione!», urla al limite della frustrazione. «Dove sono le mie dannate infradito?».<br />

Mi piego e le raccolgo dal pavimento per passargliele.<br />

Lei me le strappa di mano, poi esita un momento, fissando le mie corna. Fa per allungare una mano, e la curiosità sta per prendere il sopravvento.<br />

«Posso…». Ma poi lascia cadere il braccio e scuote la testa, come se cercasse di tornare in sé.<br />

«Cosa?». Riconosco un filo di speranza nella mia voce, che va ad alimentare il disprezzo per me stesso.<br />

«Niente». Si gira bruscamente e raggiunge la porta. Ma invece di aprirla si volta indietro. Mi guarda dritto negli occhi, a lungo, e alla fine fa un respiro<br />

profondo. «Be’, adesso che so cosa sei andrò all’Inferno perché mi sono innamorata di te?». Si asciuga una lacrima con il dorso della mano e accenna<br />

un sorriso tremante.<br />

Improvvisamente, il pepe viene soppiantato dalla cioccolata. Per un attimo, il cuore che mi sobbalza in petto non mi sembra più di zolfo. Non riesco a<br />

credere che sappia cosa sono – quello che sono veramente – e che mi ami lo stesso. A breve, però, mi rendo conto di quanto questo sia grave.<br />

«Frannie, no… non va bene così», dico gemendo. Lascio che le mie ginocchia si pieghino e scivolo di nuovo in terra, con la testa tra le mani. Non<br />

dovrebbe continuare ad amarmi. Non può che finire male.<br />

Lei torna indietro, butta lo zaino in terra e va ad appollaiarsi sull’angolo del letto. «Ci tieni a me almeno un po’?».<br />

Alzo la testa dalle mani e la guardo. So cosa devo dire, la mia bocca si apre per formare la parola no, ma invece ne esce un: «Sì». Mi fa l’effetto di<br />

una doccia fredda: balzo in piedi e chiamo a raccolta tutta l’ostilità del mio ormai perso cuore di zolfo. «Volevo dire, no. Stavo solo facendo il mio lavoro»<br />

.<br />

«Non ti credo». Ed è vero, sa che che mento.<br />

Dovrebbe urlare, correre, qualsiasi cosa tranne questo. Faccio un giro per la stanza e lancio un grugnito diretto al mondo in generale. È allora che<br />

intravedo il mio riflesso nel grande specchio sulla porta del bagno.<br />

Ma che diavolo…?<br />

Mi avvicino allo specchio e continuo a fissare la mia immagine spingendo più forte per liberarmi della mia forma umana. Nessun cambiamento.<br />

«Frannie. Guardami bene», dico voltandomi verso di lei, «e dimmi esattamente cosa vedi di diverso».<br />

«Be’… le corna sono nuove, i tuoi occhi sono più fosforescenti del solito… e mi dispiace dirtelo, ma puzzi». Fa una faccia buffa e si tappa il naso con<br />

le dita. «Puoi sbarazzarti delle uova marce? Preferisco l’odore di cannella».<br />

«Tutto qui?»<br />

«Dovrebbe esserci dell’altro?»<br />

Coda… zoccoli… zanne. «Be’… sì».<br />

«Tipo?»<br />

«Niente». Recupero la maglietta dal pavimento e me la infilo. «Andiamo a fare un giro».


Capitolo 17<br />

Per l’amor del Cielo<br />

Frannie<br />

Usciamo nella pioggia, la mia mano in quella di Luc, e ci infiliamo in macchina. Ho paura di chiederlo, ma lo faccio comunque: «Dove andiamo?»<br />

«C’è un’unica persona – e uso il termine persona in senso lato – che potrebbe sapere cosa diavolo sta succedendo», dice mettendo in moto.<br />

Mentre Luc guida, la piogga si trasforma in un temporale, che quando parcheggiamo davanti a casa di Gabe è diventato un vero e proprio diluvio, con<br />

enormi gocce che velano il parabrezza e battono sul tettuccio come migliaia di piccoli martelli. Per tutto il tragitto non faccio che pensare a quello che gli<br />

ho detto. Che lo amo.<br />

Che mi è preso?<br />

È un demone. Non sono nemmeno riuscita a capacitarmi di cosa significhi esattamente. Aveva le corna.<br />

E io gli ho detto di amarlo.<br />

Oh Dio! Da dove mi è venuto fuori?<br />

Io non lo amo, vero?<br />

No. L’amore non esiste.<br />

Ma neanche i demoni dovrebbero esistere.<br />

Lancio un’occhiata a Luc, che spegne il motore e si gira verso di me. Mi terrorizza e, per quanto io sappia che è una cosa stupida, non perché non è<br />

umano.<br />

Oh Dio. Lo amo davvero?<br />

Mi tira fuori dalla macchina e su per le scale fin sotto al portico, dove suona il campanello. In casa le luci sono spente.<br />

«Forse non c’è», dico speranzosa. Perché non sono pronta a gestire tutto questo più la presenza di entrambi.<br />

«È qui», risponde Luc appena prima che la porta si apra e la vista di Gabe mi lasci senza fiato.<br />

Non riesco a rimanere qui, con tutti e due. Non finché sono così confusa. Perché tre giorni fa ero altrettanto terrorizzata dall’idea di essere innamorata<br />

di Gabe.<br />

Mi giro verso Luc. «Sicuro che sia una buona idea?»<br />

«Forse lui lo sa, cosa sta succedendo».<br />

«Succedendo a chi?», chiede Gabe, prendendomi la mano e tirandomi dentro.<br />

«A me», dice Luc seguendomi.<br />

Gabe accende la luce e squadra Luc. «Allora…?», chiede chiudendo la porta dietro di noi.<br />

«Non riesco a cambiare», dice Luc con voce grave.<br />

Gabe è scioccato, ma sembra molto interessato, come se sapesse di cosa si tratta. «Fammi vedere».<br />

Luc si allontana da me di un passo, chiude gli occhi e fa un respiro profondo. Spuntano due cornini neri sulla sommità del suo capo. Io li fisso<br />

affascinata, sforzandomi di non allungare una mano per toccarli.<br />

«Prova con più forza».<br />

«È tutto. È il massimo che posso fare».<br />

«Ed è meno caldo di prima», aggiungo. Luc mi guarda con un barlume di speranza negli occhi.<br />

Gabe ha l’espressione di chi è giunto a una conclusione. «Ci stavo pensando…».<br />

«Pensando a cosa?», chiede Luc facendo sparire le corna.<br />

«Ti ricordi quando mi hai detto che non volevi che a Frannie succedesse qualcosa di male?».<br />

Gli occhi di Luc si posano sui miei. «Sì».<br />

«E io ti ho detto che ti credevo».<br />

«Sì».<br />

«È iniziato allora. I tuoi pensieri erano un libro aperto per qualsiasi buon angelo. E io posso sentire i pensieri di un demone».<br />

Gli occhi di Luc si assottigliano. «Quindi mi sei entrato nella testa», grugnisce.<br />

Gabe sbuffa. «Già. E devo dirti che il tuo piano faceva schifo. Forse non ti era chiaro, ma eri già innamorato di lei, e questo ha mandato all’aria tutto il<br />

resto».<br />

Mi giro di scatto verso Luc.<br />

Anche lui mi ama?<br />

Luc fulmina Gabe con lo sguardo e si volta verso la finestra.<br />

Vengo colta dalla vertigine. Pensieri, immagini ed emozioni si agitano alla rinfusa. Sto ascoltando cose assurde, impossibili, ma so anche che sono<br />

vere, e una parte di me si sente sollevata, perché sapeva che questo momento sarebbe arrivato.<br />

Luc – Lucifer – è caldo, ha le corna, è un demone. Sembra più vero ora che siamo qui con Gabe che nell’appartamento di Luc.<br />

Gabe.<br />

Resto pietrificata mentre i pezzi del puzzle fanno clic nella mia mente. Gabe – Gabriel – il suo sorriso di luce, tutti i suoi avvertimenti. E ha appena<br />

detto… “per qualsiasi buon angelo”.<br />

No.<br />

Guardo Gabe, incapace di cancellare l’espressione di stupore dal mio volto. Angelo?<br />

Lui mi guarda con occhi cauti e risponde alla domanda che gli ho posto in silenzio. «Sì».<br />

«No!».<br />

Perché è tanto più difficile da accettare questo che il fatto che Luc sia un demone?<br />

Perché non possono esistere né angeli, né Paradiso, né Dio.<br />

La stanza gira vorticosamente e io mi piego ad abbracciarmi le ginocchia, per far entrare aria nei polmoni al limite del collasso. Ma la mia gola non fa<br />

che serrarsi, il pensiero di Matt non permette all’aria di passare.<br />

Se Dio esiste, perché si è preso mio fratello?


Le mie gambe cedono e l’ultima cosa che percepisco prima di perdere i sensi sono le braccia di Gabe che mi cullano.<br />

Quando riapro gli occhi, la prima cosa che vedo è il volto preoccupato di Luc, seduto sul bordo del divano che mi tiene la mano. Gabe cammina<br />

nervosamente dietro di lui. Faccio un respiro incerto e cerco di alzarmi a sedere, ma Luc non me lo permette e invece mi aggiusta il cuscino dietro la<br />

testa.<br />

«Non ci capisco niente». La mia voce è poco più di un sussurro rauco.<br />

Luc mi guarda come se fosse finalmente pronto a raccontare tutto. «Chiedimi quello che vuoi».<br />

I miei pensieri sono un garbuglio e non riesco a mettere insieme una frase compiuta. Alla fine, farfuglio con voce impastata: «Siete qui… entrambi…<br />

cosa… perché?»<br />

«Perché è dove sei tu». La sua voce è dolce, come se stesse parlando a un bambino spaventato, che in effetti è quello che sono.<br />

«Io… siete qui per me…?». Sento il sangue che mi abbandona di nuovo e vedo il mondo a puntini.<br />

«Sì».<br />

«Perché?», sussurro.<br />

Gabe si siede sul bracciolo del divano, ai miei piedi, e con un sorriso caustico risponde: «Io sono qui per proteggerti da lui». Indica Luc.<br />

Tremo forte e mi sento come se dovessi vomitare. «Proteggermi… da Luc?».<br />

Gabe si rivolge a lui con disprezzo. «Non glielo hai detto? Sei proprio un bel soggetto».<br />

Luc si alza di scatto, tormentandosi le mani. Si avvicina alla finestra e afferra la cornice con una tale forza che mi sorprende che il legno non vada in<br />

mille pezzi.<br />

Gabe mi si siede accanto, e io affondo tra le sue braccia. «È qua per legare la tua anima all’Inferno».<br />

«Legare la mia anima…». La mia testa si fa pesante e il mondo rarefatto. Penso che so perché dovrei andare all’Inferno, e la mia gola si stringe. «<br />

…Per via di quello che è successo?».<br />

Gabe mi stringe forte. «No. Non ha niente a che fare con quello».<br />

Luc si volta a guardarci con aria interrogativa.<br />

Abbasso lo sguardo e stringo Gabe. «Allora perché me?».<br />

Gabe lancia un’occhiata tagliente a Luc, che sembra incerto. «Non l’ho mai saputo ufficialmente», dice alla fine. «Mi hanno solo detto che dovevo<br />

legarla».<br />

«Mmm, vedo che Beherit si fida molto», dice Gabe senza risparmiare sul sarcasmo.<br />

Luc lo incenerisce con lo sguardo. «Fatti gli affari tuoi. Non è compito mio sapere». Poi però ci osserva abbracciati e abbassa gli occhi.<br />

«Come siamo suscettibili». L’espressione di Gabe si fa meno dura. «Hai una tua teoria, vero?».<br />

Luc annuisce ma non dice niente.<br />

Gabe mi tiene stretta. «Tu sei speciale, Frannie. Hai delle… capacità. Sono doni per cui entrambe le parti sarebbero pronte a uccidere, letteralmente»<br />

.<br />

«Entrambe le parti… cioè il Paradiso e l’Inferno?».<br />

Annuisce.<br />

«Non ho nessun dono».<br />

«Invece sì». Si rivolge a Luc. «Non è così?».<br />

Lui alza lo sguardo dal pavimento per posarlo timidamente su di me. «Tu hai la capacità di vedere cose che gli altri non vedono, Frannie».<br />

«Non so di cosa parli».<br />

«Hai il dono della Preveggenza. Pensa alle tue visioni: Ghalib, il padre di Taylor. Tu sapevi».<br />

Al ricordo dei miei incubi mi si serra la gola. Rivedo i volti apparsi dopo il lampo che mi squarcia la mente: Matt, la nonna, Ghalib, il signor Stevens e<br />

tanti altri. Tutte visioni di ciò che stava per accadere.<br />

Gabe mi guarda negli occhi, tenendomi per le spalle. «Ma c’è dell’altro. Qualcosa di più importante».<br />

Guardo Luc, visibilmente pallido. Scuote la testa piano. Gabe lo guarda e annuisce.<br />

«Suggestione…», sussurra allora, lasciando cadere la testa fra le mani come se gli fosse venuto mal di testa. «Per tutti i diavoli dell’Inferno…».<br />

«Cosa?». Ricomincio a tremare e Gabe mi prende nuovamente fra le sue braccia.<br />

«Hitler e Mosè… che cos’hanno in comune?».<br />

Non sono dell’umore giusto per gli indovinelli. «Dimmi cosa succede senza tanti giochi di parole». Non sopporto che la mia voce suoni così debole.<br />

«Conosci la storia di Mosè. Aveva la capacità di farsi ascoltare, di condizionare i pensieri e le parole delle persone. Lui è stato il primo. Quando<br />

Lucifero vide quello che era in grado di fare, e come Dio aveva agito per suo tramite, si rese conto di essersi fatto scappare una grande occasione.<br />

Quando si presentò un altro individuo con lo stesso potenziale, Lucifero non si fece battere sul tempo. Ha giocato sporco», dice rivolto a Luc, «e ha vinto.<br />

Sappiamo tutti cos’è successo in Germania durante il nazismo. Non c’è più stato nessuno così potente, fino a oggi». Scambia con Luc un’occhiata<br />

pregna di significato. «Tu».<br />

Luc resta a bocca aperta e se ne sta lì con gli occhi sgranati, terrorizzato.<br />

«Ascolta. Le cose stanno così: se ti prendono loro», dice Gabe accennando a Luc col mento, «sotto la loro influenza diventeresti come Hitler, ma<br />

peggio. Se resti con noi, diventi come Mosè. <strong>Il</strong> tuo potere non può che crescere». La sua mascella si irrigidisce e scuote la testa. «E pensare che la<br />

bontà degli esseri umani sia innata non è un’idea naïf, Frannie».<br />

Mi sento così piccola, il mio corpo sembra scomparire mentre guardo il mio mondo sgretolarsi, cancellando tutto ciò che ho sempre considerato vero.<br />

Centinaia di domande mi si affollano alla mente, ma ne riesco a formulare soltanto una.<br />

«Perché ora?», chiedo con un bisbiglio.<br />

«Perché stai diventando adulta. Finché eri piccola eravamo in grado di schermarti e loro non potevano trovarti. Ma ora non più», conclude con<br />

un’occhiata obliqua a Luc.<br />

La mia voce è ancora un ruvido sussurro, il massimo che riesco a fare. «Cosa volete da me?».<br />

Con un dito traccia un percorso che dal collo della mia maglietta scende al centro del mio petto. «Che tu segua il tuo cuore e faccia ciò che è giusto».<br />

Mi esce dalla gola una risata cupa, che sembra quella di qualcun altro. «Non sono certo una santa».<br />

«Nessuno dice che tu lo sia. Ma, che ti piaccia o no, questo è quello che sei. Chi sei. E il mio lavoro è essere qui per te, e darti di me ciò che ti serve».<br />

Luc<br />

Gabriel ha ragione. È quello che ho sentito nella sua anima. È il motivo per cui Beherit mi ha mandato a cercarla e per cui Re Lucifero la vuole così<br />

tanto da violare le regole.


Frannie è stordita, sembra un cerbiatto davanti ai fari di una macchina.<br />

«Ragazzi, dovete aver sbagliato sorella. Mi avete scambiata per Grace».<br />

Gabriel le affonda il volto nei capelli. «Stai già cambiando il corso degli eventi, Frannie. Tu, non Mary, o Kate, o Grace, o Maggie. Tu. Se hai il potere di<br />

trasformare la feccia», dice rivolto a me, «pensa alla differenza che puoi fare nel regno umano, o che probabilmente hai già fatto senza neanche<br />

saperlo».<br />

Finisco contro il muro, come se qualcuno mi avesse spinto, e le gambe non mi reggono. Scivolo a sedere sul pavimento.<br />

Suggestione.<br />

Frannie possiede la capacità di condizionare ciò che le sta intorno. E se quello che è implicito nell’affermazione di Gabriel è vero, il suo potere non ha<br />

mai avuto pari in un mortale. Ha cambiato me, una creatura infernale. E non solo la mia mente, ma anche il mio corpo. Com’è possibile? Nemmeno<br />

Mosé poteva influenzare gli esseri celestiali o infernali. Se questo è vero, non si tratta solo di condizionare le masse. <strong>Il</strong> suo potere va al di là di quello di<br />

Re Lucifero. Potrebbe cambiare le sembianze di Inferno e Paradiso.<br />

Le parole del mio re mi echeggiano nella mente. Ora tocca a me. Questa è la mia occasione. Sarò finalmente libero dal Suo giogo. Re Lucifero<br />

pensa di poter manipolare il Paradiso, forse persino l’Onnipotente, tramite Frannie.<br />

«Stai attenta a ciò che desideri», sussurra lei, persa nei suoi pensieri così come io lo sono nei miei.<br />

Gabriel scruta negli occhi di Frannie con sguardo preoccupato. «<strong>Il</strong> tuo potere si fa più grande di giorno in giorno. Devi essere conscia dell’effetto che<br />

hai sui pensieri e le emozioni della gente, quindi sulle loro azioni». <strong>Il</strong> suo sguardo si posa su di me, poi sulla mano di lei, a cui allaccia la sua. «E non hai<br />

questo effetto solo sugli esseri umani. Otterrai sempre ciò che vuoi se rientra nelle tue capacità».<br />

Frannie si allontana, di colpo è furiosa e l’odore di pepe inonda la stanza. «Rivoglio mio fratello. Questo non l’ho ottenuto», gli vomita addosso.<br />

Lui la guarda con occhi tristi. «L’unico ad avere controllo su questo è Dio».<br />

Non posso fare altro che guardarla, mentre passa dall’ira alla frustrazione al panico. «Tutto questo è sbagliato. Io non sono in grado. Non sono<br />

nemmeno una persona buona. Andrò all’Inferno, lo so già».<br />

Come fa a esserne così convinta? Non ne ha nessun motivo. Guardo Gabriel. La sua espressione di dolore empatico è stomachevole. Attira Frannie a<br />

sé e lei sembra fondersi nelle sue braccia. Quando il caldo aroma di cioccolata che emana si fa largo attraverso il puzzo celestiale di lui, sento qualcosa<br />

di gelido e scuro che mi avvolge il cuore e lo strizza. Lo ucciderei, se non sapessi che Frannie ha bisogno di lui.<br />

«Quello che è successo, il motivo per cui pensi di dover andare all’Inferno, non è colpa tua», dice col volto nei suoi capelli.<br />

«Dici un sacco di stronzate», controbatte velenosa, divincolandosi. «Ho ucciso mio fratello».<br />

Resto interdetto. <strong>Il</strong> ragazzo nella foto, questo spiega il tormento nei suoi occhi quando le ho chiesto di lui. Spiega quel dolore immenso, lo stesso che<br />

era seppellito così in profondità il primo giorno che l’ho vista, quando le ho domandato cosa avrebbe voluto cambiare delle sue azioni.<br />

Gabriel continua a guardarla, scuotendo la testa. «Non l’hai ucciso tu, Frannie. Era la sua ora, tutto qua».<br />

È come guardare un vulcano in eruzione. Le parole le escono di bocca come lava incandescente. «Certo, continua pure a metterla così, se ti fa sentire<br />

meglio quando rubate i bambini alle loro famiglie».<br />

Gabriel le scivola vicino, ma lei si allontana. «Lui è con la sua famiglia. Dio lo ha chiamato a sé, a casa».<br />

«Be’, allora Dio fa proprio schifo».<br />

Vado a sedermi al suo fianco e le prendo la mano, non resistendo al bisogno di fare qualcosa per alleviare il suo dolore.<br />

«Penso che Gabriel dica la verità. Se tu lo avessi ucciso la tua anima sarebbe già nostra, e posso assicurarti che non è così».<br />

«Be’, dovrebbe esserlo», dice sfilando la mano dalla mia.<br />

Le alzo il mento con un dito, fissando le profondità dei suoi occhi di zaffiro. «No. Non dovrebbe». Mi chino a baciarla. Per la terza volta uso il mio<br />

potere su Frannie, adesso per liberarla dal dolore e dalla rabbia che ha incanalato nella direzione sbagliata. Sono certo che non basterà, ma è tutto ciò<br />

che so fare.<br />

Frannie<br />

Esito un momento, poi mi perdo in quegli occhi neri che riescono a vedere la mia anima. E quando le sue labbra toccano le mie sento che tutto<br />

cambia e la mia rabbia si scioglie. Quando i suoi occhi mi permettono di staccarmi, ciò che mi corrodeva dentro e trafiggeva il mio cuore è scomparso.<br />

Gabe sospira, guardandomi con occhi feriti, e il senso di colpa si riabbatte su di me. Ho bisogno di entrambi, in modi diversi e che non so<br />

comprendere. Gabe va a sedersi sulla sedia sotto alla finestra. Io chino la testa e mi fisso le ginocchia.<br />

Luc mi stringe. «Allora, tornando alla domanda iniziale, che diavolo mi sta succedendo? In cosa mi sto trasformando? Non in uno di voi, spero», dice<br />

rivolgendo uno sguardo sprezzante a Gabe, «dimmi che non sto diventando un angelo, sarebbe troppo per me».<br />

Gabe ricambia il disprezzo e risponde: «Non lo so, tutto è possibile. Fammi sapere se ti crescono le ali».<br />

«Potrebbe diventare umano? Come me?», gli chiedo.<br />

Luc mi guarda con la stessa espressione speranzosa di prima. Gabe risponde, rassegnato: «È possibile. Per quanto ne so non ci sono precedenti in<br />

questo campo. Non ho idea di cosa stia succedendo, ma il fatto che succeda è significativo di per sé. La chiave sei tu, Frannie. Tu cambierai il mondo.<br />

È qualcosa di epocale».<br />

«Epocale…», ripeto cercando di capire cosa significhi. «Parliamo di epocale come “ricondurre quest’anima persa a Dio”», dico indicando Luc, «o<br />

tipo “immacolata concezione”?».<br />

Luc si fa scuro in volto, mentre un sorriso appare sul viso di Gabe. «Basandoci su quello che sai fare, sarei più per l’immacolata concezione. Certo<br />

che se tu riconducessi la sua anima a Dio sarebbe un bel colpo».<br />

Luc schizza dal divano e in un nanosecondo è dall’altra parte della stanza, a un palmo dal naso di Gabe, e lo fissa cupo. «Vorrai scherzare».<br />

«Non fare l’ingenuo. Se non fosse qualcosa di molto grosso pensi che Lui avrebbe mandato me? Lei si chiama Mary, dopotutto. Come si potrebbero<br />

convincere le masse di una immacolata concezione se non con i suoi poteri?». Vedo sul suo volto una smorfia ambigua, molto poco angelica. «Cosa c’è<br />

che non va, Lucifer? Non vuoi fare la parte di Giuseppe?».<br />

Luc si gira e appoggia le mani al muro, lanciando un grugnito che mi fa drizzare i capelli in testa. «Per le fiamme dell’Inferno! Non può essere vero».<br />

Poi si volta verso di me, fissandomi attonito.<br />

Mi alzo dal divano e resto lì in piedi, senza sapere dove andare. Penso al bacio di Gabe. Se quello è il Paradiso, ne voglio ancora. Ricordo di aver<br />

pensato che potrei vivere lì per sempre, in quell’oasi di pace e amore. Ma non è questo che mi sta offrendo. Pare che io abbia un qualche potere che mi<br />

permetterebbe di fare cose che dovrebbero salvare la gente. <strong>Il</strong> solo pensarci mi getta nel panico e non mi permette di respirare.<br />

Gabe si avvicina per prendermi fra le braccia, e questa volta glielo lascio fare, perché ho bisogno di lui. Mi sciolgo nella sua stretta mentre il profumo<br />

di neve d’estate mi riempie di calma e il mio respiro torna regolare.<br />

Quando ho immesso abbastanza ossigeno gli chiedo: «Cosa ne sarà di me?».


I suoi occhi sono profondi chilometri e chilometri. Vorrei tuffarmici dentro. «Be’, prima di tutto, questo». Si china e mi bacia sulla guancia,<br />

pericolosamente vicino alla bocca, e il mio cuore accelera di nuovo. «Io sarò sempre qui per te. Se hai bisogno di qualcosa», dice guardando Luc in<br />

cagnesco, «sai a chi rivolgerti. Ma al di là di questo, non lo so». Nei suoi occhi si fa largo l’angoscia.<br />

Lo abbraccio più forte e dall’altro lato della stanza Luc ci fissa con uno sguardo incendiario. «Stai rischiando grosso con quelle tue ali da pennuto, non<br />

hai paura che ti cadano?», apostrofa Gabe rabbiosamente.<br />

Per tutta risposta, Gabe mi stringe a sé con forza e sorride a Luc con aria superiore, ma nei suoi occhi leggo incertezza. Affondo nel suo abbraccio e<br />

mi lascio ricoprire dalla sua neve estiva. Non voglio più pensare a niente.


Capitolo 18<br />

Angeli e demoni<br />

Frannie<br />

Quei due sono una comica. Sono così impegnati a guardarsi in cagnesco che non si accorgono di quanto si somigliano. Uno è un bel tenebroso e<br />

l’altro mi acceca col suo splendore, ma tolto questo…<br />

Sto iniziando a capirci qualcosa, finalmente. Durante quest’ultima settimana, dopo avermi spiegato come stanno le cose, sia Luc che Gabe hanno<br />

smesso di starmi addosso, lasciandomi il tempo per pensare. E Gabe si è fatto da parte. Non restiamo praticamente mai da soli, e a mala pena mi<br />

tocca, cosa di cui potrei non essere così contenta. Non gli ho chiesto perché, ma immagino che il commento di Luc sul perdere le ali abbia sortito il suo<br />

effetto.<br />

Siamo nella cucina di Gabe, e sospetto che il chiarore eccessivo sia una sua aggiunta. Lui e Luc si guardano con aria di sfida.<br />

«Dopo tutto quello che hai visto, non capisco come tu possa avere ancora questo atteggiamento. L’unico motivo per cui l’Onnipotente non manda un<br />

altro diluvio è che il primo è stato inutile».<br />

Gabe scuote la testa. «Ogni giorno vengono compiuti atti che smentiscono quello che dici, gesti di grande umanità, che scaturiscono dal più puro<br />

altruismo».<br />

«Non sono d’accordo. Non esiste l’altruismo. Dietro ogni atto di cortesia c’è sempre un tornaconto».<br />

«Dovresti prenderti meno sul serio».<br />

Alzo gli occhi al cielo. «Lascialo perdere, Gabe, è senza speranza».<br />

Apro il libro di matematica sul tavolo, spingendo da parte la vaschetta di gelato vuota. «So che per voi due sono inezie, ma i test di fine anno iniziano<br />

domani, e io devo studiare se voglio superarli e andare alla UCLA».<br />

Luc mi guarda e sorride. «Ma perché proprio alla UCLA?»<br />

«Cosa vorresti dire?»<br />

«Sono solo curioso di sapere cosa ti spinge ad andare a cinquemila chilometri di distanza».<br />

«Be’, in parte la distanza. Ma la ragione principale è che hanno la miglior facoltà di Relazioni Internazionali del Paese, e che in seguito mi potrei<br />

specializzare in scienze politiche, o studi mediorientali».<br />

Luc alza un sopracciglio. «Sì, ma per fare cosa?».<br />

Mi sento avvampare. «Penso che la maggior parte dei casini al mondo siano causati dalle incomprensioni. La gente non riesce a comunicare. Sai, a<br />

causa delle differenze culturali e religiose. Insomma, roba così. È per questo che ho iniziato il progetto di corrispondenza col Pakistan. Volevo capire.<br />

Quindi… ora vorrei fare qualcosa di più grande, non so ancora bene come…».<br />

Gabe sorride, e la sua luce mi abbaglia di nuovo. «Obiettivi elevati».<br />

«Smettila», dico sempre più imbarazzata. So che suona stupido, ma è quello che ho sempre sognato di fare. Sono sempre stata brava a parlare con<br />

le persone e ad aiutarle a trovare dei punti in comune. Persino con Luc e Gabe, anche se in questo caso non conta, visto che il loro punto in comune<br />

sono io.<br />

«E pensi davvero di fare la differenza?». L’espressione di Luc ora è seria.<br />

«Magari no. Ma tentare non nuoce», rispondo giocherellando con la penna.<br />

«Tu farai la differenza, Frannie». Di colpo Gabe è serio quanto Luc.<br />

«Ah davvero? Non so se ne avrò l’opportunità».<br />

Luc e Gabe si guardano con diffidenza. Sanno che ho ragione. Poi gli occhi di Luc si fanno duri, anche se sotto la superficie sono pieni d’ansia. «Lega<br />

la sua anima».<br />

«Sei ancora più stupido di quanto non sembri», dice Gabe con un sorriso beffardo.<br />

«Cosa te lo impedisce?».<br />

L’espressione di Gabe si fa cupa, e i suoi occhi si posano su di me. «È Frannie che me lo impedisce».<br />

Lo stomaco mi schizza in gola. «Scusate un attimo. Come posso avere una vita se sono legata al Paradiso? In che modo sarebbe meglio dell’Inferno?<br />

».<br />

Luc si sforza di trovare le parole giuste. «L’Onnipotente…». Esita e in cerca di conferma guarda Gabe, che annuisce. «Non ti userebbe in modo<br />

così… meschino».<br />

«Sì, ma ha comunque intenzione di usarmi. Non sarò più padrona della mia vita». Rabbia e risentimento stanno per prendere il sopravvento, così le<br />

ficco nel mio vaso di Pandora. «Non voglio essere né Mosè, né Hitler. Voglio essere Frannie».<br />

Gabe interviene. «Se sei legata al Paradiso, io ti posso proteggere. Sarebbe estremamente difficile invertire il legame, e prima o poi smetterebbero<br />

di provarci. Ma se resti così continueranno a venire a cercarti».<br />

«Così come faranno i tuoi». <strong>Il</strong> mio cuore diventa pesante: non c’è via d’uscita. Improvvisamente mi sento in trappola, e vengo presa dal terrore. Torno<br />

al libro di matematica, che sfoglio con mano tremante. «Allora, voi la capite questa roba?», dico cercando di cambiare discorso.<br />

Luc si sofferma a pensare un istante poi raccoglie l’invito. «Su quale stai lavorando?», dice girando il libro verso di sé.<br />

Volto la pagina sotto alle sue dita, e lui tira via la mano di scatto.<br />

«Ahi!».<br />

«Ahi? Stai scherzando, vero?», dice Gabe quasi ridendo.<br />

Luc ci mostra la mano e vedo una piccola goccia di sangue cremisi che esce dalla punta del suo dito medio. Si è tagliato con la carta.<br />

«Be’, vale come risposta», dice Gabe.<br />

Luc continua a fissare la goccia che cresce, inebetito. Si gira verso di me con un sorriso timido e avvolgendomi la nuca con l’altra mano, mi bacia.<br />

Quando mi lascia andare, guardo nei suoi occhi sorridenti. «Che cosa mi sono persa?», dico quasi senza fiato e molto confusa.<br />

«I demoni non sanguinano», dice trionfante.<br />

Gabe è cupo e quando Luc mi lascia andare cerco di non sentirmi in colpa. «Neppure gli angeli», dice.


Luc<br />

Tornando a casa ripenso al significato di quello che è successo, ma mi resta oscuro. Sono mortale? Sto diventando umano? Penso a cosa<br />

significherebbe questo per Frannie e me. Lei è seduta al mio fianco, sulla Shelby, con la testa appoggiata sulla mia spalla. Sento il mio cuore che batte,<br />

questa volta davvero, mentre vaglio le possibilità che si aprono. Potremmo stare insieme? Stare insieme veramente?<br />

Uno dei problemi di diventare umano è che la mia connessione ai canali infernali si sta assottigliando. È un bene e un male. Un bene perché ho<br />

deciso che sono una massa di stronzi e non ho più voglia di entrare nelle loro teste. Un male perché non riesco ad accorgermi della loro presenza, e<br />

quindi non posso proteggere Frannie.<br />

Levo la mano destra dal volante, tiro fuori una scatolina dal portaoggetti e gliela porgo. «Ho qualcosa per te».<br />

«Che cos’è?»<br />

«Non è più semplice se prendi la scatola e la apri?», dico sorridendo.<br />

«Scemo», brontola afferrando la scatola per tirarne fuori un crocifisso, che poi osserva dondolare attaccato alla sua catena.<br />

«Mettitelo. La croce è di ferro con i bordi d’oro, e il Cristo è d’argento e platino».<br />

Mi guarda con un espressione cinica che quasi maschera il bagliore malizioso dei suoi occhi. «Ah. Se vuoi convincermi a venire a letto con te<br />

facendomi dei regali, questo qui non funziona».<br />

Scoppio a ridere. «Non era quello a cui miravo, ma adesso che mi ci fai pensare potrei sempre provarci».<br />

«Quindi… è uno scherzo?», dice guardandomi diffidente.<br />

«No, è un’arma».<br />

«Pensavo che fossero i vampiri ad avere problemi con le croci».<br />

«Certo. Ma in questo caso chi sta dall’altra parte dice: “Gesù è il salvatore”, e speriamo che abbia ragione».<br />

«Che diavolo stai dicendo?»<br />

«Ogni demone ha un punto debole, qualcosa che Re Lucifero ci ha inculcato al momento della nostra creazione, per poterci controllare». Una<br />

conseguenza della Sua paranoia, senza dubbio. «<strong>Il</strong> mio è l’oro. Non so quali siano quelli di Belias e Avaira, ma questo crocifisso tocca le debolezze più<br />

comuni. Voglio che tu lo porti sempre, e se si avvicinano usalo per per ferirli. Almeno li rallenterà un po’».<br />

«Pensi davvero che io ne abbia bisogno?».<br />

Accosto e la guardo dritta negli occhi. «Abbiamo bisogno di tutto l’aiuto possibile». Lei deglutisce e indossa il crocifisso, aggrappandovisi con le dita.<br />

«Perché sta succedendo?», mi chiede falsamente calma.<br />

Stringo il volante. «Non lo so».<br />

Mi guarda con un’espressione ferita. «Quello che ha detto Gabe, qualunque cosa sia… io non lo voglio».<br />

«Non credo tu abbia scelta. La Suggestione è qualcosa che possiedi dalla nascita, come gli occhi azzurri o i capelli biondi».<br />

«Sono cose che posso cambiare, mettendomi le lenti a contatto o tingendomi i capelli».<br />

«Non cambia niente, stai solo mascherando la realtà. E la Suggestione sarebbe molto difficile da nascondere».<br />

Abbattuta, affonda nel sedile. «Come faccio a fare in modo che mi lascino in pace?»<br />

«Non puoi. L’Inferno non smetterà di venirti a cercare finché non sarai legata, in un senso o nell’altro».<br />

Fa un grugnito e nasconde il volto fra le mani. «Voglio solo essere me stessa. Voglio vivere la mia vita».<br />

Le prendo la mano e la stringo. «Troveremo una soluzione per entrambi, Frannie. Te lo prometto». Solo che non so ancora quale. Distolgo lo sguardo,<br />

perché l’unica via d’uscita che vedo è lasciare che Gabriel la leghi. «Frannie?»<br />

«Eh».<br />

Esito un istante. «Puoi parlarmi di tuo fratello?».<br />

Alza la testa e mi guarda con diffidenza. «Perché?»<br />

«Perché vedo quanto ti fa star male».<br />

<strong>Il</strong> suo volto si fa cupo, gli occhi tormentati. «Cosa vuoi che ti dica? L’ho ucciso. Fine della storia».<br />

«So che non è vero».<br />

Lascia la mia mano con uno strattone e incrocia le braccia. «Sì che lo è».<br />

«Dimmi cos’è successo».<br />

Si gira verso il finestrino. «No».<br />

«Ti prego, Frannie».<br />

Cerco di prenderle nuovamente la mano, ma lei non me lo permette. Si volta verso di me e ha un’espressione terribile. Un amaro odore d’aglio<br />

riempie la macchina. «Non impicciarti in cose che non ti riguardano, Luc».<br />

Faccio un respiro profondo. «Parlarne potrebbe farti bene».<br />

<strong>Il</strong> mio tono partecipe non fa che peggiorare le cose, e si infuria di più. «Non c’è niente che può farmi bene. È morto!», mi urla contro.<br />

Avvicino una spalla alla sua, ma lei allunga una mano verso la portiera. Le afferro il braccio e lei si libera dimenandosi con foga. Una ventata di aglio e<br />

pepe nero mi pizzica la narici. «Lasciami in pace, stronzo!». Lacrime di rabbia le bagnano il volto mentre mi guarda ostile.<br />

«Lascia che ti aiuti, ti prego…».<br />

Con una forza sorprendente mi spinge contro la portiera. «Io… ti odio», dice senza convinzione. Sembra esausta, sconfitta. Affonda di nuovo il viso tra<br />

le mani, e tutta la rabbia viene lavata dal pianto. Quando i singhiozzi si diradano, le scosto le ciocche arruffate dal volto umido. Lei mi fissa in silenzio,<br />

versando le ultime lacrime.<br />

«Eravamo su un albero». La sua voce si incrina a ogni parola. «Gli piaceva così tanto salire sugli alberi… e…». Cerca di soffocare un singhiozzo e il<br />

suo corpo sussulta. «Si arrampicava così in fretta che non riuscivo a stargli dietro». Si volta dall’altra parte, appoggiandosi al finestrino. Emette un<br />

gemito, come quello di un animale ferito, a metà fra un mugolio e un lamento, e resta immobile a lungo.<br />

«È caduto?», finisco per chiedere.<br />

Sospira. «Ero così arrabbiata…». Prima che possa finire la frase, le si strozza la voce e ricomincia a piangere in silenzio.<br />

Lentamente le metto un braccio intorno alle spalle e la stringo. Lei si appoggia a me e io non dico niente, aspettando che se la senta di parlare.<br />

Quando è pronta, le parole sono appena percepibili. «Non sopportavo che si arrampicasse più veloce di me, così… l’ho preso per una gamba…». Si<br />

ferma e io la stringo forte. «Sono corsa a chiamare la mamma, ma…». La sua voce è come una ferita aperta, che sanguina a ogni parola. «Era… il mio<br />

gemello… l’altra metà di me. E io l’ho ucciso».<br />

Ed ecco che il mio cuore di zolfo va in mille pezzi. «Mi dispiace così tanto», sussurro fra i suoi capelli. «Ma avevi solo sette anni, Frannie. Non è stata<br />

colpa tua». La stringo al petto e vorrei poter sistemare le cose per lei. Ma neppure le mie arti occulte possono guarirla dai suoi demoni personali, quelli<br />

più intimi. Deve sconfiggerli da sola. Tutto quello che posso fare è tenerla stretta mentre piange.<br />

Resto lì seduto con il viso fra i suoi capelli, ad ascoltare i singhiozzi che la scuotono, e mi chiedo se è vero che l’amore vince ogni ostacolo. Perché se<br />

così non fosse, nonostante le promesse che le ho fatto, temo che saremmo fregati.


Frannie<br />

Quando arriviamo da Luc, Taylor e Riley ci aspettano nel parcheggio, sedute sul cofano della macchina di Riley. Non ricordo di avergli detto dove<br />

abita. «E loro cosa diavolo ci fanno qui?»<br />

«Senza dubbio si sono riunite per prendermi a calci», dice Luc.<br />

«Be’, te lo meriti».<br />

Mi guarda arcuando un sopracciglio e risveglia il formicolio ormai noto al mio corpo.<br />

Parcheggiamo vicino all’ingresso del palazzo, con che cerco di rimettere insieme i pezzi mentre le mia amiche ci corrono incontro. Sono felice di<br />

vedere Taylor di nuovo in forma. Oggi è stato il suo primo giorno di scuola dopo l’incidente di suo padre, e sembrava ancora molto giù.<br />

«Siamo venute a rapirti. Serata fra donne», dice Taylor.<br />

«È ancora pomeriggio e non è neanche mercoledì. Che storia è?»<br />

«Taci e fai come ti diciamo», dice con un sorriso furbo.<br />

Mi avvicino e la abbraccio. «Come te la cavi?».<br />

Per un istante sembra confusa, poi dice: «Bene».<br />

«Tuo padre è tornato a casa oggi?».<br />

Dà un’occhiata rapida a Riley e torna a me. «Già».<br />

«Sta bene?»<br />

«Sì».<br />

Aspetto che entri un po’ più nei dettagli, e quando non lo fa immagino che non abbia voglia di parlarne. «Allora, che succede?»<br />

«Che tu vieni via con noi».<br />

«Scusate, ma Luc e io siamo un po’ impegnati».<br />

Lui mi guarda, soffermandosi sul crocifisso sotto alla mia maglietta. «No, non c’è problema… penso che dovresti andare».<br />

Lo guardo storto. «Pensavo che avessimo da fare», o almeno, io immaginavo già lenzuola fresche su cui rotolare i nostri corpi caldi…<br />

«Vai pure, Frannie», dice allontanandosi e scrutando preoccupato il parcheggio e i palazzi.<br />

«Tutto bene?»<br />

«Sì». È quasi un grugnito. «Andate».<br />

C’è qualcosa che non va. Mi sforzo di distogliere lo sguardo da Luc, esamino il parcheggio e poi mi rivolgo a Taylor. «Dove andiamo?»<br />

«È una sorpresa», dice con un bagliore negli occhi.<br />

Quando mi volto a baciare Luc per salutarlo, il suo sguardo è ancora inquieto.<br />

«Che cos’hai?», gli sussurro all’orecchio quando si china su di me.<br />

«Niente. Ci vediamo dopo». Mi bacia e io mi impongo di lasciarlo andare.<br />

Monto in macchina, sul sedile posteriore. Mentre usciamo dal parcheggio, Riley continua a guardarmi dallo specchietto retrovisore.<br />

«Allora, volete dirmi che si fa?», chiedo.<br />

«Lo vedrai», mi risponde dallo specchietto.<br />

«Come avete fatto a trovarmi? Non vi ho mai detto dove vive Luc».<br />

Riley mi guarda dallo specchietto. «Ma sì che ce l’hai detto. Ti ricordi quella volta a scuola?»<br />

«No, non me la ricordo». Mi volto a guardare il palazzo, che scompare in lontananza. «E tutta questa storia mi sembra un po’ assurda».<br />

Taylor si volta a guardarmi. «Ci hai messe da parte per Lucifer. Non avevamo altra scelta».<br />

Lucifer? Un campanello d’allarme scatta nella mia mente. Cerco di stare calma, il panico non può che peggiorare la situazione. Sento il tocco del<br />

crocifisso sul petto e respiro profondamente. «Già, avete ragione. Scusatemi. Ma che dire di Riley e Trevor? Non sono da meno». Aspetto la reazione di<br />

Taylor.<br />

Si guardano un attimo, poi Taylor si volta verso di me con una smorfia e dice: «Già… ho dovuto rapire anche lei».<br />

Reazione sbagliata. Merda! La guardo e mi accorgo che i suoi occhi hanno un bagliore rossastro, appena un accenno dietro alle iridi grigie, ma<br />

abbastanza da essere percepibile nell’ombra della macchina.<br />

Non so cosa stia succedendo, ma ho la sensazione di essere in trappola.<br />

Cerco il momento adatto per scappare, ma ormai siamo fuori città, in aperta campagna, e non ci sono stop a cui fermarci. Non posso saltare dalla<br />

macchina in corsa, perché Riley guida molto più veloce del solito. Cerco di restare lucida e di guardarmi intorno e finalmente capisco dove siamo dirette.<br />

Mi stanno portando alla cava.<br />

Parcheggiamo vicino al sentiero che porta al laghetto. Io smonto dalla macchina e inizio ad allontanarmi.<br />

Taylor – o chiunque sia – è dietro di me in un lampo. «Ehi, dove vai?».<br />

Ottima domanda. Dove sto andando? La strada principale è ad almeno un chilometro e la fitta boscaglia è silenziosa. È troppo presto per le comitive<br />

di nuotatori estivi. Non ho scampo. «Da nessuna parte. Allora, che ci facciamo qui?»<br />

«Un giro. Magari un bel bagno. Suona bene, no?».<br />

Già, grandioso. «Non mi va di fare il bagno. L’acqua è gelida».<br />

Taylor lancia un’occhiata d’intesa a Riley e i suoi occhi si accendono di un lampo rosso. «Dovremo stare molto vicine per sfruttare il calore corporeo»,<br />

dice con un sorriso lascivo.<br />

Le cose si mettono male. Vedo che Riley infila le chiavi nella tasca degli shorts e si incammina sul sentiero. Taylor resta dov’è e aspetta che io vada<br />

per prima. Seguo Riley, pensando a come prenderle le chiavi.<br />

Percorriamo il sentiero serpeggiante e arriviamo al laghetto. Taylor si avvicina all’acqua e si siede sopra una roccia. I suoi occhi lampeggiano e un<br />

sorriso malevolo le storce la bocca. «Io dico di spogliarci nude. L’acqua sembra fantastica».<br />

«Mmm… che buona idea», dice Riley guardandomi con lo stesso baluginio negli occhi. «Ma devo pisciare. Torno subito». Merda. Addio chiavi.<br />

Taylor si alza e viene verso di me. «Sembri così tesa. Rilassati». Mi afferra la mano e mi tira verso le rocce. È bollente, proprio come all’inizio era Luc.<br />

Mi invita a sedere, restando in piedi dietro di me. Mi massaggia le spalle, poi tenta di sfilarmi la maglietta.<br />

Io non glielo permetto. «Fa troppo freddo. Dico davvero». Non mi giro a guardare ma la sento grugnire. Ho bisogno di pensare, ma il battito del cuore<br />

mi martella nelle orecchie e non riesco a concentrarmi. Sento un leggerissimo stormire di foglie. Alzo gli occhi e butto fuori il fiato che avevo trattenuto a<br />

lungo: dal bosco esce una testa di capelli neri che scintillano al sole. Grazie a Dio. «Luc», dico liberandomi dalle grinfie di Taylor e alzandomi per andare<br />

da lui. Ma quando alza il capo mi accorgo di essermi sbagliata.<br />

«Ciao, Frannie», dice con una luce inquietante negli occhi rossi. «Sono Belias».<br />

Lo guardo e so che dovrei scappare, ma i miei piedi sono incollati al suolo e inizia a girarmi la testa. Con la coda dell’occhio vedo Taylor svignarsela


su per il sentiero.<br />

«Dalla sera in cui ci siamo conosciuti, davanti a casa tua, non ho potuto smettere di pensare a te». La sua voce è di velluto e le gambe non mi<br />

reggono più. Mi viene incontro lentamente, finché è a pochi centimetri da me. Con le dita traccia un sentiero rovente sul mio zigomo. «Va tutto bene,<br />

Frannie. Sarà fantastico». Sento le sue mani brucianti attorno alla vita, che mi attirano verso un corpo ancora più caldo.<br />

Una nebbia nera si impadronisce del mio cervello e mi fondo con lui. Mi sembra di essere con Luc, non posso che perdermi nella sua stretta. Quando<br />

le sue labbra toccano le mie riesco a malapena a respirare. Le mie mani lo stringono e lo spingono contro il mio corpo. Poi un angolo della mia mente<br />

grida: “No!”. Tiro un respiro profondo e cerco di pensare. D’istinto, mentre lotto per mantenere un briciolo di lucidità, la mia mano si sposta sulla croce<br />

che mi penzola al collo. Con l’ultimo lembo di libero arbitrio mi libero dal suo bacio, lo guardo e gli sorrido.<br />

Poi, con un movimento secco, mi strappo la croce dal collo e gliela ficco in un occhio.<br />

Un ruggito bestiale fa tremare l’intero bosco e lui cade in ginocchio, con la faccia che sembra ribollire. Si illumina brevemente, come un miraggio,<br />

mentre qualcosa di terrificante inizia a trasparire sotto alla sua pelle.<br />

La puzza di zolfo mi fa tornare in me. Mi giro e corro a perdifiato, senza mai voltarmi. Non ho idea di cosa farò quando arriverò alla macchina. Ma<br />

c’era davvero una macchina? E Taylor e Riley, sono mai state davvero qui? Non so più cosa è reale.<br />

Cerco di non piangere, uno sforzo inutile visto che sto già piangendo, e tutto ciò che vedo correndo sul sentiero è una sfocatura di verde. Così non<br />

vedo Taylor finché non inciampo nel suo corpo esanime, e finisco con la faccia nella polvere. Mentre mi arrabatto per alzarmi, sento qualcuno che si<br />

muove nel bosco e avanza verso di noi. Belias. Maledizione!<br />

Afferro Taylor per le ascelle e la trascino, ma siamo troppo lente e lui ci raggiunge. La appoggio a un albero e mi paro davanti, assumendo la<br />

posizione di guardia del judo, proprio mentre Luc spunta dal bosco.<br />

«Frannie! Grazie a Dio!». Afferra Taylor e se la carica in spalla. «Andiamo!». Mi spinge davanti a sé sul sentiero, e quando arriviamo in strada getta<br />

Taylor sul sedile posteriore della Shelby, dove è sdraiata anche Riley, incosciente.<br />

Montiamo in macchina sbattendo le portiere.<br />

«Gesù, Luc! Che cosa…». Di colpo metto insieme i pezzi.<br />

Belias! Aveva una macchina identica a questa, quella sera. Questo non è Luc.<br />

Resto impietrita. «Oh, merda!».<br />

«Cosa c’è, Frannie? Ti senti bene?». Dà gas al motore e la Shelby parte sgommando, provocando una pioggia di ghiaia dietro di noi.<br />

Guardo Taylor e Riley sul sedile posteriore, poi di nuovo Belias. Cosa faccio? Respiro e cerco di pensare. Quando sollevo lo sguardo, in mezzo alla<br />

strada davanti a noi c’è una ragazza alta, dai capelli corvini. È la ragazza che ho visto nel letto di Luc. «Oh, merda!», dico di nuovo.<br />

Immagino che Belias rallenti, invece la fissa determinato attraverso il parabrezza e accelera. Alzo le braccia, aspettando lo schianto, invece scompare.<br />

Puf, non c’è più.<br />

In vista della strada principale, afferro il volante e sterzo. La macchina sbanda a destra e rischiamo di finire contro un albero. Belias recupera il<br />

controllo appena in tempo, riportando la macchina sulla strada sterrata.<br />

«Ma che diavolo stai facendo?»<br />

«Va’ all’Inferno!», grido cercando di appendermi di nuovo al volante, ma lui non me lo permette.<br />

«Frannie, smettila! Così ci ammazziamo».<br />

Lo guardo negli occhi. Dio, sembra proprio Luc. Poi mi ricordo quello che ha detto quando ci ha trovate sul sentiero: «Grazie a Dio». Immagino che<br />

Belias non lo direbbe mai. E Luc, lo direbbe?<br />

«Luc?»<br />

«Perché, chi pensavi che fosse?». La voce stridula proviene dal sedile posteriore. Faccio un salto e la puzza di uova marce mi soffoca.<br />

Mi volto e c’è il vero Belias, che ora non assomiglia per niente a Luc. Non ci sono dubbi sulla sua natura: esala vapore, ha la pelle cremisi, un volto<br />

spaventoso e senza espressione, le corna, e tiene per il collo le mie migliori amiche con le mani dotate di artigli. In effetti non potrei giurare che si tratti di<br />

Belias, non fosse per la melma nera che gli gocciola da dove una volta c’era l’occhio sinistro.<br />

Luc inchioda e per poco non finisco sul tappetino. Si volta e punta un pugno incandescente contro Belias.<br />

«Sei sicuro di volerlo fare?». Belias scuote i corpi inerti di Riley e di Taylor. «Vedo che Frannie non ha subito danni troppo gravi». Fa una smorfia<br />

orribile e le sue labbra coriacee si schiudono, scoprendo diverse file di zanne. «Avanti. Fai una prova».<br />

Luc<br />

«Luc?», dice Frannie, esortandomi con gli occhi.<br />

«Non posso». Lascio cadere il pugno. «Ha ragione. Se non le scherma morirebbero».<br />

Belias sorride soddisfatto. «Bravo bambino».<br />

«Che cosa vuoi?».<br />

Incredulo, tossisce e ride contemporaneamente. «Ma che domande fai? Pensavo che fossi più intelligente visto che sei arrivato al Primo livello».<br />

Per le fiamme dell’Inferno.<br />

Guardo Riley e Taylor. Posso sacrificarle per Frannie? La mia testa dice di sì, ma l’eco fastidioso della mia nuova coscienza mi avverte che sarebbe<br />

sbagliato. Tanto più che, se anche ne uscissimo vivi, Frannie non mi perdonerebbe mai.<br />

«Cosa dobbiamo fare?», chiedo con un groppo in gola.<br />

«Frannie esce dalla macchina», dice Belias indicando il lato destro, dove Avaira aspetta con espressione corrucciata, «e ci andiamo a divertire nel<br />

bosco», termina con una smorfia brutale.<br />

Vedo Frannie allungare la mano verso lo sportello, mentre l’aroma penetrante d’agrumi si trasforma in chiodi di garofano e uvetta, l’odore dolce e<br />

speziato della sua anima, pronta per essere portata via. La mia mano schizza ad afferrarle il polso. Lei cerca di divincolarsi, ma io scuoto la testa<br />

supplicandola con gli occhi.<br />

«Non abbiamo altra scelta, Luc», dice rassegnata.<br />

Si libera con uno strattone e la lascio andare, mentre con la mente cerco freneticamente una soluzione. Apre la porta e mi guarda un’ultima volta,<br />

prima di uscire e restare lì in piedi, vicino ad Avaira. Con una vampata di zolfo Belias appare al loro fianco e sbatte la portiera di Frannie.<br />

Avanzo lentamente e nello specchietto vedo Belias che trascina Frannie attraverso la strada, verso il bosco. Dal modo in cui cammina capisco che è<br />

debole, il crocifisso deve aver fatto più danno di quanto non dia a vedere. Non dovrebbe aver bisogno di Avaira, che invece lo segue con il pugno<br />

rovente alzato, puntato sulla Shelby.<br />

Di botto ingrano la retromarcia e parto a tavoletta, chinandomi per schivare il colpo di Avaira, che manda in frantumi il vetro posteriore. Belias lascia la<br />

mano di Frannie, e mentre solleva il pugno per colpirmi gli piombo addosso a tutta velocità. Lui vola sopra alla macchina e finisce sulla strada, davanti a<br />

me, ma non aspetto di vedere se si rialza. Inserisco la prima e apro la portiera del passeggero, rallentando quando raggiungo Frannie. Lei salta in


macchina, e ancora prima che chiuda la portiera io accelero e investo Belias, lanciandomi verso la strada principale.<br />

Frannie tira dentro i piedi e sbatte la portiera, poi si volta a guardare indietro, attraverso il vetro posteriore infranto, e vede la figura inerte di Belias<br />

nella polvere. Avaira è scomparsa. «È… morto?»<br />

«Purtroppo ci vuole ben altro che una Shelby Cobra per ucciderlo, ma sentirà la botta per un po’». Mi trema la voce. «In realtà è il crocifisso nell’occhio<br />

ad averlo danneggiato, spero a lungo termine». Le prendo la mano. «Tu stai bene?»<br />

«Credo di sì», dice tastandosi mentre raggiungiamo la strada principale. Le cingo le spalle con il braccio e mi accorgo che sta tremando. La stringo e<br />

decido che questa è la distanza massima a cui si troverà da me d’ora in poi.


Capitolo 19<br />

Danzando con il Diavolo<br />

Luc<br />

Frannie raddrizza le gambe di Riley e si siede vicino alle amiche, sul mio letto. «Si riprenderanno?»<br />

«Sì, tra poco dovrebbero svegliarsi. La possessione demoniaca mette fuori gioco per un po’, ma non causa danni permanenti».<br />

«Vuoi dire che potete saltare nel corpo della gente quando vi pare e piace?».<br />

Al solo pensiero mi viene la nausea, poi però ricordo il piacere intenso che ho provato entrandole dentro. «Chi è legato al Paradiso è fuori dalla nostra<br />

portata. Per il resto, sì. Di solito è un’esperienza poco piacevole, ti trovi stipato in uno spazio angusto e viscido».<br />

«Come funziona? Siete dentro allo stesso corpo in due?»<br />

«In pratica sì. Ma solo qualcuno molto forte può mantenere la lucidità quando un demone cerca di controllarlo, di solito è come se il mortale non ci<br />

fosse, anche se continua a occupare spazio. Ci sono delle eccezioni, però». Penso a quando la mia anima danzava con la sua e rabbrividisco.<br />

Frannie guarda Taylor e Riley sul letto. «Ricorderanno qualcosa di Belias e Avaira?».<br />

«Direi di no. Quando un mortale viene posseduto è come se si addormentasse. Non ricorderanno nulla, ed è un bene che non sappiano cos’è<br />

successo».<br />

Si alza in piedi e mi viene incontro, abbracciandomi. «Tu come hai fatto a capire cosa stava succedendo?».<br />

È proprio questo il problema: ci sono arrivato tardi. Scuoto la testa. «Appena siamo scesi dalla macchina il mio sesto senso mi ha avvertito, ma non<br />

mi era venuto in mente che Belias e Avaira potessero ricorrere alla possessione. Ho pensato che avrebbero cercato di seguirvi e che allora li avrei potuti<br />

affrontare senza mettervi in pericolo. Ma quando siete uscite dal parcheggio, il mio sesto senso si è azzittito. È molto imbarazzante, ma devo ammettere<br />

che mi ci sono voluti un paio di minuti per fare due più due, e a quel punto era quasi troppo tardi. Sapevo in che direzione eravate andate… e mi sono<br />

ricordato della cava. Belias era là quella notte».<br />

«Cosa vuole da me?»<br />

«La stessa cosa che volevo io». Mi fa male al cuore dirle queste cose, so quanto sia doloroso per lei sentirle, ma deve capire che non si fermeranno<br />

finché non sarà legata, in un modo o nell’altro. «Ti perseguiteranno».<br />

Frannie si irrigidisce. «Odio questa storia. Perché doveva succedere proprio a me?».<br />

La stringo forte. «Non lo so», dico. Vorrei poterle dare una risposta.<br />

Sospira e nasconde il volto nel mio petto. «Quindi, sarà sempre così». Asciugo con un dito una lacrima che le scorre lungo le ciglia. «Chiedo solo una<br />

vita normale».<br />

Vorrei tenerla fra le braccia e dirle che andrà tutto bene, ma non ho più intenzione di mentirle. «Temo tu abbia rinunciato alla normalità quando ti sei<br />

innamorata di un demone». E forse di un angelo. Questo pensiero mi pesa sul cuore come un macigno. Le bacio la sommità del capo e sospiro. «In<br />

ogni caso, non si fermeranno finché non avranno ottenuto ciò che vogliono».<br />

«Non c’è niente che possiamo fare?»<br />

«Possiamo provare a scappare, ma dubito che esista un posto dove non ci troverebbero».<br />

La sua espressione si fa determinata. «Io riuscirò a vivere la mia vita. Se no che senso avrebbe lottare? Tanto varrebbe che mi legassero subito».<br />

La guardo negli occhi, sperando che capisca che le cose non sono solo bianche o nere. «Hai la tua Suggestione, Frannie».<br />

«Cosa vuoi dire?»<br />

«Se il tuo potere è forte abbastanza per trasformare me, dovresti essere in grado di usarlo per difenderti».<br />

«Come funziona?»<br />

«Solo tu puoi scoprirlo, ma se impari a controllarlo dovrebbe proteggerti».<br />

I suoi occhi sono colmi di paura. «Cosa mi ha fatto Belias?»<br />

«Belias è una creatura nata dalla lussuria, la sua tecnica di solito implica sedurre la sua preda per succhiarne l’anima. Ma questo dovrebbe essere<br />

lecito solo coi mortali che sono già stati legati, o almeno credo». Mi torna alla mente la conversazione avuta con Belias sotto all’albero nel giardino di<br />

Frannie. «Perché, in effetti, mi ha detto che le regole sono cambiate…». La sento rabbrividire fra le mie braccia.<br />

«Che sfiga», dice guardando le sue amiche, ancora inerti sul letto.<br />

Proprio in quel momento Taylor apre gli occhi e annaspa per tirarsi su a sedere. «Ma che diavolo…».<br />

«Ehi, Tay», dice Frannie, andandole a sedere vicino. Anche Riley si sveglia e mugola stropicciandosi gli occhi.<br />

«Cosa succede?». Taylor si guarda intorno con sospetto.<br />

«Stavamo facendo un giro», butto lì, aiutandomi con una spintarella del mio potere.<br />

Riley si mette a sedere, ancora intontita.<br />

«Ehi, Ry. Come ti senti?», le domanda Frannie.<br />

«Di merda».<br />

Taylor si volta di scatto e mi guarda. «Dove diavolo siamo?»<br />

«Benvenute nella mia umile dimora», dico con un sorriso e un’altra piccola spinta. «Non vi ricordate di essere salite?».<br />

Per un attimo, i suoi occhi si fanno vitrei. «Forse…».<br />

«Volete un’altra birra?», domando indicando il frigo.<br />

«No!», esclama Riley, urlando e sfregandosi la fronte.<br />

Accompagniamo Taylor e Riley alla macchina di Riley, che io e Frannie siamo tornati a prendere precedentemente, e le guardiamo andarsene. Do<br />

un’occhiata in giro e sospiro di sollievo, ben sapendo che c’è mancato un pelo, per tutti noi. Circondo le spalle di Frannie con un braccio in un gesto di<br />

protezione e torniamo insieme verso il palazzo. Una volta rientrati nell’appartamento, Frannie chiude a chiave e io lancio uno schermo protettivo, che<br />

spero possa agire da deterrente. Poi lei si appoggia a me, e sento il cuore accelerare. Sta ancora tremando… o sono io che tremo? Non lo so. «Stai<br />

bene?», le sussurro in un orecchio.<br />

«Ora sì», dice spingendo il corpo contro il mio, e mi guarda incuriosita: «Quello che hai detto prima… sull’entrare nei corpi degli altri…».<br />

«Sì…».


«Mi stavo chiedendo… potresti… provare a farlo con me?».<br />

Sentendomi colpevole, guardo il pavimento e mi fisso sulla punta del mio stivale mentre cerco di staccare una delle sudice margherite attaccate al<br />

linoleum. «L’ho già fatto».<br />

Con mia grande sorpresa, quando alzo lo sguardo la vedo sorridere. «Quando?»<br />

«Appena prima di baciarti».<br />

«Vorrai dire prima che io ti baciassi».<br />

Le faccio un gran sorriso. «In realtà ti ho baciato prima io, tu stavi ancora dormendo».<br />

Ride. «Potresti rifarlo? Intendo, entrare dentro di me. Prometto di restare sveglia».<br />

<strong>Il</strong> mio cuore prende il volo, ma mentre con la fantasia sto già sgusciando fra le labbra di Frannie e pregusto la sensazione di essere nuovamente lì con<br />

lei, mi rendo conto che forse non è più possibile. Le cose stanno cambiando in fretta. «Non lo so».<br />

Si alza sulla punta dei piedi e mi bacia, poi mi scruta fin nel profondo e sussurra: «Prova».<br />

La bacio ancora, tenendola più stretta possibile, e quando le sue labbra si schiudono lascio che la mia essenza scorra dentro di lei. Come la prima<br />

volta, sono stupito da quanto sia facile – di certo perché sono il benvenuto – e sento lo stesso travolgente flusso di emozioni, molte delle quali ora hanno<br />

un nome. Amore, sicuramente, ma anche gioia, speranza e ammirazione per la sua bellezza incorrotta. Dentro è ancora più bella che fuori, il che è tutto<br />

dire. Danziamo, e io mi sento in Paradiso.<br />

Lascio indietro giusto quel tanto di me che mi permette di controllare il mio corpo. La stringo fuori e accarezzo dentro, nutrendomi dei suoi sospiri, che<br />

mi incitano a continuare a esplorarla su entrambi i fronti. Sento la reazione fisica del suo corpo, per non parlare di quella del mio. Prima che me ne renda<br />

conto siamo sul letto, avvinghiati, le nostre magliette sul pavimento. Devo fare appello a tutta la mia forza di volontà per fermarmi. Con estrema riluttanza<br />

richiamo la mia essenza, provando la stessa sensazione di vuoto e solitudine della volta precedente.<br />

Frannie si tira su a sedere e sbuffa. «Perché ti sei fermato?»<br />

«Un atto consapevole di lussuria con un demone ti assicurerebbe un biglietto di sola andata per gli inferi. Non ci sono dubbi. Non possiamo farlo<br />

finché non sono certo che non ci sia pericolo per te».<br />

«Loro… tu… mi avete portato via tutto. La mia vita… tutto. Chiedo solo questo, un’unica cosa. Ti prego, sei quasi umano».<br />

«Non posso saperlo. Sembra che io stia andando in quella direzione… e anch’io vorrei farlo, ovviamente». Dio, quanto lo vorrei. «Ma il semplice fatto<br />

che io possa ancora fare… quello che ho appena fatto», rabbrividisco, «significa che non è ancora sicuro».<br />

Lei si lascia cadere indietro, fra i cuscini, soffiandosi via le ciocche ribelli dal volto. «Che palle».<br />

Mi appoggio sui gomiti e la bacio. «Sei l’unico essere che abbia mai saputo davvero cosa sono, cosa non sono e cosa vorrei essere. E nonostante<br />

questo mi ami lo stesso. Non correrò alcun rischio con te, Frannie».<br />

Lei rotola su un fianco e mi guarda negli occhi. Un sorriso allusivo prende il posto del broncio. «È stato incredibile», dice passandomi un dito sulla<br />

guancia, procurandomi un fremito. <strong>Il</strong> suo sorriso si allarga. «Forse anche meglio del sesso».<br />

Le sorrido di rimando, morendo dalla voglia di dimostrarle che si sbaglia. Però è vero che è stato incredibile. Strabiliante, direi. Ma dubito che il sesso<br />

con Frannie potrebbe essere da meno. «Cosa ricordi?».<br />

Sorride insinuante, scorrendo con il dito dal mio petto al bottone dei jeans. «Tutto».<br />

Non riesco a smettere di sorridere. «Interessante».<br />

Striscia il dito fra la mia pelle e la cintura dei jeans, facendomi impazzire, e sto per affondare di nuovo nel suo abbraccio quando mi chiede: «Dove si<br />

trova l’Inferno?».<br />

Mi trattengo dal ridere. «Al centro».<br />

Mi guarda sorpresa. «Al centro della Terra?»<br />

«Già».<br />

«Allora tutti quei bambini che scavano per arrivare in Cina ci resteranno male».<br />

«Poverini», dico sghignazzando.<br />

«Come sei finito laggiù? Ti è venuto a prendere qualcuno? Uno come te?»<br />

«No. Sono una creatura infernale». La guardo con la coda dell’occhio, incerto su come la prenderà, invece sembra solo persa nei suoi pensieri.<br />

«Cosa vuol dire?»<br />

«I demoni vengono creati all’Inferno. Non siamo mai stati umani».<br />

«Non capisco come funziona».<br />

«Nasciamo dal peccato. <strong>Il</strong> mio è la superbia, come fu in origine per il nostro mentore, Re Lucifero. <strong>Il</strong> mio nome è una certezza: solo le creature della<br />

superbia hanno l’arroganza di prendere il Suo nome».<br />

Si guarda una mano, appoggiata al mio petto. «Sarebbe così assurdo se ti dicessi che una parte di me lo ha sempre saputo?».<br />

Sorrido. «Sì».<br />

Mi guarda e poi distoglie lo sguardo per un paio di volte, fa per dire qualcosa, ma si ferma.<br />

<strong>Il</strong> mio sorriso si allarga. Le alzo il mento con un dito e le pianto gli occhi addosso. «Cosa c’è?».<br />

Arrossisce e fa una smorfia imbarazzata. «Niente», dice abbassando le ciglia.<br />

«È evidente che vuoi chiedermi qualcosa».<br />

«Voglio toccarti le corna», dice tutto d’un fiato, senza guardarmi.<br />

Faccio una smorfia. «Perché?».<br />

Mi gira la schiena. «Fa lo stesso. È una cosa stupida».<br />

La volto a pancia in su e mi appoggio sui gomiti, sopra di lei. «Non è che scappi urlando?».<br />

Mi guarda negli occhi e si allunga per baciarmi. «Dopo quello che abbiamo appena fatto? Secondo te?».<br />

Chiudo gli occhi, esco dalla mia forma umana – che ormai equivale a spingere fuori le corna – e vengo scosso da un fremito quando sento le dita di<br />

Frannie che mi passano fra i capelli. Anche lei freme mentre con un dito tocca la base del mio corno sinistro, scivola sulla punta e torna indietro. Poi<br />

avvolge entrambe le corna con le mani e mi tira verso di sé, per baciarmi. Mentre affondo contro di lei le corna spariscono.<br />

Quando mi tiro su, scruto i suoi occhi di zaffiro alla ricerca di qualche segno di disgusto, ma ci trovo solo il suo amore. Non riesco ancora a<br />

capacitarmi che quello sguardo sia diretto a me.<br />

«Ci riproveranno? Con Taylor e Riley, intendo».<br />

Sospiro e faccio scivolare un dito sul suo naso, poi sulle labbra, il mento, il collo, e mi fermo a breve distanza dal suo reggiseno rosso, sempre<br />

scandalosamente eccitante. «Forse no. Sanno che ce l’aspettiamo».<br />

«Cosa possiamo fare?».<br />

Rotolo via da lei e scuoto la testa. «Non lo so, sto perdendo il mio sesto senso. È una situazione pericolosa, Frannie, non riesco a sentire la loro<br />

presenza come in passato. Non so se sono ancora in grado di difenderti».<br />

Sorride. «Io ho bisogno di un’altra croce, e tu di un talismano. Qualcosa che tenga lontani gli spiriti maligni».


«E dove lo trovo un talismano del genere?».<br />

Se non sapessi che è impossibile, giurerei che stavolta sono i suoi occhi a essersi accesi. Si tira su voltandomi la schiena, apre i ganci del reggiseno<br />

e se lo sfila. Mentre la guardo, le cose si fanno… dure… e di nuovo devo mettere alla prova la mia forza di volontà per non saltarle addosso. Coprendosi<br />

con un cuscino si volta verso di me, coi capelli che le ricadono sul volto, e mi lancia il reggiseno con un sorriso peccaminoso, degno del peggior<br />

demone.<br />

«Ecco il tuo talismano».<br />

«Se credi che questo terrà lontani gli spiriti maligni», dico raccogliendolo, «non li conosci per niente». La guardo e inizio a iperventilare. «Non hai idea<br />

di cosa mi stai facendo». In realtà, anch’io non ne ho la più pallida idea: siamo in un territorio inesplorato. Ma qualunque cosa sia, non oso lamentarmi.<br />

«Non ho intenzione di chiedere scusa», dice senza abbandonare quell’espressione provocante.<br />

È allora che capisco cosa devo fare. Esito ancora un istante, mangiando Frannie con gli occhi, poi appendo il reggiseno alla testiera del letto e le<br />

lancio la sua maglietta. «Mi costa moltissimo, ma ti devi rivestire. Gabriel ha qualcosa che ci serve».<br />

Frannie<br />

«Non gli permetterò di legarmi», chiarisco mentre andiamo da Gabriel.<br />

«Invece dovresti. Sarebbe il modo più sicuro. Ma ci sono altre cose che possiamo fare, quasi altrettanto utili».<br />

«Ad esempio?»<br />

«Essendo una Dominazione, ha informazioni che io non ho, e poteri che io mi posso solo sognare».<br />

Penso al bacio che ci siamo dati, a come mi ha fatto sentire. Mi tocco le labbra con una mano e sospiro.<br />

«Cos’è successo fra voi?»<br />

«Niente». Almeno credo.<br />

«Stai mentendo».<br />

«Non…». Non sto mentendo, vorrei dire. Ma non posso, perché qualcosa è successo. Solo che non so bene di cosa si tratti. «L’ho baciato».<br />

Luc inchioda, andando a finire fuori strada. «Tu cosa?»<br />

«L’ho baciato».<br />

Lui mi fissa, trasudando collera. «Quando?»<br />

«Prima di noi, più o meno».<br />

«Più o meno? Cosa vorrebbe dire?».<br />

La sua rabbia mi contagia. «Sai una cosa? Non sono affari tuoi. Di certo non era mezzo nudo nel mio letto! E io non sono ancora convinta che tu non ti<br />

sia fatto Avaira!».<br />

Stringe i denti e i suoi occhi si fanno sottili. «Ha risposto al tuo bacio?».<br />

Affondo nel sedile e incrocio le braccia, trattenendomi per non tirargli un ceffone. «Ti ho detto che non sono affari tuoi».<br />

«Grandioso», dice con voce acida, «prima fai cadere i demoni e adesso anche gli angeli». Si rimette in carreggiata e guarda davanti a sé. «Allora, è<br />

lui che vuoi? Perché puoi avere più o meno tutto quello che vuoi, lo sai».<br />

Lo fulmino con lo sguardo. «Portami a casa».<br />

Resto a braccia conserte. <strong>Il</strong> dolore al petto minaccia di trasformarsi in lacrime di rabbia, ma mi sforzo di non piangere. Mi rifiuto di dargli questa<br />

soddisfazione.<br />

Accosta di nuovo e rimane lì seduto per un bel po’, immobile, a fissare la strada.<br />

«Da qui posso andare a piedi», dico aprendo la portiera.<br />

La sua mano raggiunge la mia. «Fermati».<br />

«Lasciami!», grido divincolandomi, ma quando mi giro a guardarlo, il suo volto si è addolcito e i suoi occhi sono pieni di tenerezza.<br />

«Frannie, ricordati che per me è tutto nuovo. Molte delle emozioni che mi si agitano dentro per me sono ancora un mistero. Non ho idea di come<br />

gestirle. Quello che ho detto… non lo penso davvero. Perdonami».<br />

Lotto nuovamente contro le lacrime. Voglio essere arrabbiata con lui, anzi vorrei odiarlo, perché è meno pericoloso che amarlo.<br />

«Troppo tardi», dico, e scendo dalla macchina. Ma prima che abbia fatto tre metri, Luc mi raggiunge, cingendomi da dietro con le braccia.<br />

«Lasciami andare!».<br />

Un automobile rallenta e accosta proprio nel momento in cui afferro il braccio di Luc e, facendo perno sulla spalla, lo faccio volare in terra davanti a<br />

me. Un signore alto e magro, che avrà l’età di mio padre, scende dalla macchina: «Ha bisogno d’aiuto, signorina?», chiede.<br />

Guardo Luc, ancora sdraiato sull’asfalto, e mi arrabbio ancora di più perché sta ridendo.<br />

«Pensi che sia divertente?», dico sarcastica. Poi mi rendo conto di quanto dobbiamo sembrare ridicoli, e non c’è modo di fermare la risatina idiota<br />

che mi sale in gola.<br />

«Signorina?», dice l’uomo avvicinandosi di un passo.<br />

Luc si alza da terra e io inizio a sghignazzare apertamente. Lui guarda il signore e dice: «Va tutto bene…», poi mi guarda e aggiunge: «Credo».<br />

L’uomo non sembra molto convinto, così mi sforzo di essere credibile: «Grazie, sto bene».<br />

Rivolge a Luc uno sguardo diffidente. «Se lo dice lei».<br />

Mi schiarisco la voce e cerco di stare seria. «Non si preoccupi».<br />

L’uomo sale in macchina e se ne va. Intanto Luc mi passa un braccio intorno alla vita, attirandomi a sé. «Hai finito di picchiarmi?», dice fra i miei<br />

capelli, con tono divertito.<br />

«Forse». Mi giro verso di lui e gli pulisco una guancia sporca di terra. «E tu hai finito di farmi incazzare?».<br />

Sorride. «Forse».<br />

Mi prende per mano e mi riporta alla macchina. Improvvisamente, quello che mi ha detto mi esplode nella testa e mi sento male.<br />

«Pensi che me ne sia approfittata?».<br />

Mi circonda le spalle con il braccio. «Eh?».<br />

«Hai appena detto che posso avere più o meno tutto quello che voglio. Allora sono io che ti ho fatto innamorare di me?».<br />

Si volta e mi guarda negli occhi, una smorfia buffa sulla sue labbra perfette. «Sì».<br />

«No, voglio dire, ti ho costretto ad amarmi? Nel senso che non è una cosa spontanea, perché ho usato questa… Suggestione, o come diavolo si<br />

chiama quello che Gabe dice che so fare».<br />

«È irrilevante».<br />

«Non per me».<br />

«Frannie, quello che conta è che i miei sentimenti sono reali e genuini. Non vorrei tornare indietro per niente al mondo. Come sono diventato quello


che sono non conta, conta solo che ora sono qui con te».<br />

«È un discorso stupido. È come se io ti avessi battuto a poker perché ho truccato il mazzo e tu fossi felice di esserti fatto derubare».<br />

«Se con quello che mi hai rubato mi compri un biglietto per il Paradiso, certo che ne sono felice. Ed è quello che hai fatto».<br />

Mi prende la mano e mi attira e sé, ma io lo respingo e guardo fuori dal finestrino. Sento i suoi occhi su di me, ma non riesco a guardarlo sapendo<br />

cosa ho fatto. Quello che davvero non sopporto, egoisticamente, è che non si sia innamorato di me di sua spontanea volontà. È stato suggestionato,<br />

quindi non mi ama per quello che sono, ma perché non aveva altra scelta.<br />

Luc<br />

Frannie è appollaiata su una sedia e fissa fuori dalla finestra. Gabriel, sul divano, mi guarda come se fossi pazzo. «Solo gli angeli e alcuni mortali<br />

possono essere schermati. E tu hai ben poco in comune con loro».<br />

«Cosa vuol dire “alcuni mortali”?»<br />

«Be’, Adamo e Lilith sono i primi su cui abbiamo provato, e come sai non è andata bene. Ma con altri ha funzionato». Si stringe nelle spalle. «Vai a<br />

sapere».<br />

«Vuoi dire Eva, Adamo ed Eva», dice Frannie ancora voltata verso la finestra.<br />

Gabriel fa un mezzo sorriso. «Hai ragione, non ha funzionato nemmeno con Eva. Lilith è stata la prima moglie di Adamo».<br />

Si gira a guardarlo, poi guarda me, cercando conferma del fatto che Gabriel è uscito di senno, ma io scuoto la testa. «È una storia lunga». Mi rivolgo a<br />

Gabriel. «Perché con Frannie non ha funzionato?».<br />

Lui mi guarda torvo. «Funzionava. Poi sei arrivato tu».<br />

«Oh».<br />

«Cos’è che non ha funzionato con me?», interviene Frannie.<br />

«Lo chiamiamo Schermo. In pratica, è una protezione contro i radar del Maligno. Ti nasconde a tutti gli esseri infernali», spiega Gabriel.<br />

La speranza le accende gli occhi. «Potrebbe nascondermi anche dagli angeli?».<br />

Un sorriso sconsolato piega le labbra di lui. «No».<br />

Lei torna allo stato di abbattimento iniziale, e chiede: «Perché non ha funzionato con me?»<br />

«Non lo so. A volte funziona parzialmente e per vanificarne l’effetto basta un demone che… per qualche ragione sia particolarmente sensibile alle tue<br />

vibrazioni».<br />

Mi guarda incerta. «Vuoi dire che Luc mi ha trovata nonostante questo “Schermo”?»<br />

«Pare di sì», risponde Gabriel, ma lei continua a guardare verso di me.<br />

Annuisco per confermare che è vero e le sorrido. Ha così paura di avermi manipolato perché mi innamorassi di lei. Mi fa male che non possa vedere<br />

quanto quel sentimento sia cresciuto, quanto sia grande ora. Magari è stata davvero la Suggestione a far scoccare la scintilla, ma il modo in cui mi fa<br />

sentire… è merito suo e basta. Non ho dubbi.<br />

<strong>Il</strong> suo sguardo si posa su Gabriel. «Provalo su di me un’altra volta».<br />

«Sei ancora schermata. Credo sia per questo che per ora ti ha trovata solo Lucifer».<br />

Aggrotto le sopracciglia. «E Belias e Avaira».<br />

Gabriel mi fulmina con gli occhi. «Di cosa stai parlando?»<br />

«<strong>Il</strong> tuo radar fa cilecca. Sono qui da settimane».<br />

La sua sorpresa diventa fastidio. «Dovevi dirmelo. Comunque è evidente che Belias ha trovato te, pezzo di cretino. Sei come un’insegna al neon che<br />

dice “sono qui!” a tutto ciò che esce dall’Inferno. La connessione psichica è un cordone difficile da recidere».<br />

Mi viene in mente un modo per reciderlo subito. «<strong>Il</strong> che ci riporta alla domanda d’origine».<br />

Gabriel mi guarda preoccupato. «Lo Schermo non è mai stato provato su un demone, non mi sembra una buona idea».<br />

«Ma io non sono più un demone, ricordi?»<br />

«Forse il tuo corpo sta diventando mortale, ma la tua essenza appartiene ancora a loro, perché è stata creata dagli Inferi».<br />

So che ha ragione, altrimenti non avrei potuto fare quello che ho fatto prima con Frannie. «Se nessuno l’ha mai provato su un demone, come sai che<br />

non funzionerà? Che rischi corro?»<br />

«Vediamo un po’… rischi di morire, ad esempio. Le forze di luce, in particolare quelle così potenti, tendono a uccidere le forze del male. E anche se<br />

non ti uccidesse, potrebbe alterarti in modi che non riesco nemmeno a immaginare».<br />

Frannie si alza e mi si para davanti, con gli occhi colmi d’ansia. «Volete spiegarmi cosa sta succedendo?».<br />

Gabriel la guarda con un sorriso beffardo. «Lucifer mi sta chiedendo di fare un miracolo».<br />

Alza gli occhi al cielo. «Già, come chiunque altro. Scherzi a parte…».<br />

Non riesco a trattenermi dal sorridere. «Dice sul serio. È proprio quello che gli sto chiedendo».<br />

«Un miracolo», dice, come se aspettasse la battuta finale che trasformi tutto in una barzelletta.<br />

«Già».<br />

Non è la risposta che sperava di ricevere. «Grandioso».<br />

Gabriel allaccia le dita a quelle di lei, fissandole il palmo della mano. «Lo Schermo di luce rende gli angeli invisibili alle forze del male. Con il loro<br />

Schermo sono anche in grado di proteggere i mortali che non possono averne uno proprio. È uno dei motivi per cui sono qui, per schermarti». Alza lo<br />

sguardo, affondando i suoi occhi in quelli di Frannie.<br />

Cioccolata.<br />

Sto per esplodere di gelosia, ma per il bene di Frannie la ricaccio indietro. «Anche il tuo Schermo fa cilecca, perché ho sentito arrivare la tua puzza da<br />

lontano», dico con una certa soddisfazione.<br />

Gli occhi di Gabriel non si allontanano da lei. «Sono io che te l’ho permesso, speravo di spaventarti e convincerti ad andartene».<br />

Mi scappa una risata. «Ma davvero! Che pia illusione».<br />

«Allora, cos’è questo Schermo? Cosa deve fare Luc?», chiede Frannie.<br />

Gabriel mi lancia uno sguardo cinico. «Deve farsi crescere l’aureola».<br />

«Siate seri», dice spazientita.<br />

La guardiamo entrambi, mortalmente seri.<br />

«Grandioso», dice di nuovo.<br />

Gabriel mi guarda scettico. «Funzionerà solo con un cuore puro e animato dalle intenzioni più innocenti».<br />

Frannie si lascia scappare un sorriso. «Ah, ecco perché con me non funziona».<br />

Lui non fa caso alle sue parole. «Sarebbe pericoloso anche per un mortale legato all’Inferno, e temo tu sia qualche gradino sotto».


«Quindi… potrebbe ucciderlo?». Frannie non sorride più.<br />

«Sì».<br />

«Allora non se ne fa niente».<br />

Mi fissa con gli occhi spalancati, scioccata. Le mie intenzioni sono innocenti, ne sono certo. <strong>Il</strong> mio unico fine è salvarla da un destino che non merita.<br />

Ma il mio cuore è puro? Non lo so, ma se lo fosse sarebbe merito di Frannie. «Cosa devo fare? Come funziona?». Devo almeno provarci. Se non posso<br />

proteggere Frannie, sono inutile. Peggio, sono un ostacolo, una corsia preferenziale per gli inferi.<br />

Gabriel la guarda, valutando le possibili ripercussioni sulla sua anima se mi succedesse qualcosa per mano sua. Furia, vendetta… tutti peccati.<br />

«Gabriel, è una mia decisione, non di Frannie», dico richiamando la sua attenzione.<br />

Lui annuisce.<br />

«Aspettate!». Frannie è incredula, con un misto di rabbia e terrore negli occhi. «Davvero potrebbe morire?».<br />

<strong>Il</strong> volto di Gabriel si vela di preoccupazione. La sua natura gli impedisce di mentire…<br />

«È uno dei rischi, perché è ancora al guinzaglio dell’Inferno».<br />

«Cosa intendi?»<br />

«A prescindere da quello che sta diventando è una creatura infernale, ci sarà sempre un canale che lo tiene collegato».<br />

Sento le viscere rivoltarsi per il disgusto che provo verso me stesso. Non riesco a guardare Frannie, non potrei sopportare di leggere lo stesso<br />

disgusto nei suoi occhi.<br />

Ma quando sento che non dice niente, le lancio un’occhiata. Mi fissa con freddezza. «Non credo che dovresti farlo, Luc. Non per me. Perché io non ti<br />

amo. Non ti voglio più».<br />

Anche se so che sta mentendo, il dolore che provo mi tramortisce. «Non lo pensi davvero».<br />

«Invece sì. Non voglio stare con uno che mi ama perché è costretto. Voglio stare con qualcuno che mi ama per quella che sono». Quando si volta<br />

verso Gabriel mi sembra di morire. «Cosa devo fare perché tu possa legarmi?»<br />

«Devi perdonare te stessa».<br />

Per un millesimo di secondo il dolore si impadronisce del suo volto, ma lo fa scomparire con la stessa velocità. «Perdonare me stessa… per Matt?»<br />

«Sì», risponde Gabriel con un sorriso triste.<br />

Ogni mia cellula desidera che lei sia al sicuro e che lui la protegga. Ma quello che non può sapere è che una volta legata al Paradiso le cose fra noi<br />

cambieranno. È come dice Gabriel: a prescindere da quello che sto diventando, sono una creatura degli Inferi. La vita di Frannie e le sue priorità<br />

cambieranno. Presto non mi vorrà più, non avrà più bisogno di me. Ma sarà al sicuro.<br />

«Fallo, Frannie», dico, e subito le volto le spalle, perché nonostante le migliori intenzioni il mio dolore è evidente.<br />

Lei resta in silenzio e quando mi giro a guardare sembra incerta. Persa.<br />

Alla fine è Gabriel a parlare: «Per quanto odi doverlo dire, così non va bene. Tu arriverai a perdonare te stessa, e a quel punto potrai essere legata al<br />

Paradiso, ma non puoi farlo forzatamente, nemmeno per lui». Dice le ultime parole con disgusto, accompagnandole con una smorfia ben poco angelica.<br />

Lei mi guarda e una lacrima le riga il volto. Si getta fra le mie braccia e mi stringe così forte che rischia di farmi male. «Luc, non farlo. Penseremo a<br />

qualcos’altro». Riesco a sentire il battito del suo cuore contro il petto.<br />

La bacio, poi mi stacco e guardo Gabriel. «Sono pronto».<br />

«Fermati! No!», urla Frannie avvinghiandosi a me per ostacolarmi.<br />

«Frannie», le si rivolge Gabriel con voce dolce e melodiosa, «Lucifer ha ragione. Se insisti a voler stare con lui dobbiamo fare un tentativo».<br />

Frannie fa capolino con la testa da sotto al mio braccio e lo guarda. Ha ricominciato a fare luce – che spreco di elettricità – ma sembra funzionare,<br />

perché la stretta di lei inizia ad allentarsi. Poi, però, sento le sue mani sul viso e mi avvolge in un ultimo bacio convulso.<br />

Gabriel si mette fra noi. «Togliti la maglietta».<br />

Obbedisco. Frannie prende la maglietta e ci affonda il volto. Lui mi mette una mano bagnata sulla fronte, che subito brucia come il Lago di fuoco.<br />

Acqua santa.<br />

Potevo pensare che questo dannato Schermo di luce non implicasse l’uso dell’acqua santa? Questi bigotti non farebbero un passo senza. Trattengo il<br />

respiro – con più fatica che mai – e strizzo gli occhi per il dolore. Gabriel mi traccia un cerchio sulla fronte e sento la pelle sotto alle sue dita che si<br />

riempie di vesciche. Quando scende sul petto, lasciando un’impronta di bolle rosse sul mio cuore, dalla gola mi si leva un grugnito e riesco a fatica a non<br />

interrompere tutto. Mi piego in due con una smorfia, perché so che Gabriel si sta godendo ogni secondo.<br />

Smettila di fare i capricci come un bambino e prenditi la responsabilità di quello vuoi. Me l’hai chiesto tu.<br />

Digrigno i denti e Frannie mi stringe la mano con forza inaudita. Posso sentire con chiarezza i suoi singhiozzi, che mi lacerano il cuore. Gabriel dice<br />

alcune parole in una lingua antica, ma io non le sento. Non sento niente che non sia Frannie, lei è l’unica cosa che conta.<br />

Poco dopo è fra le mie braccia e bacia la pelle scorticata sul mio petto. Apro gli occhi e lei mi guarda attraverso le lacrime.<br />

«Mi dispiace», sussurra, le parole miste al pianto.<br />

<strong>Il</strong> mio dolore è scomparso. La stringo forte e sorrido. «Perché dovresti dire una cosa così stupida?».<br />

Mentre allunga una mano verso la mia fronte le scappa un ultimo singhiozzo. «Stai bene?»<br />

«Mai stato meglio».<br />

Sfiora con un dito i segni che ho sul petto, e io rabbrividisco. Dopo essermi infilato la maglietta le prendo una mano per condurla alla porta. «Prossima<br />

fermata».<br />

Frannie<br />

<strong>Il</strong> nonno è seduto di fronte a noi, su un divanetto a due posti dall’altra parte del tavolino da caffè, i gomiti sulle ginocchia e la pipa dimenticata in una<br />

mano. Per un attimo sembra vacillare, e mi chiedo se non rischiamo di fargli venire un infarto. Fulmina Luc con lo sguardo. «Un demone», ripete per la<br />

sesta volta. All’inizio rideva e ci diceva di smettere di prenderlo per i fondelli. Adesso ogni ilarità è scomparsa.<br />

Luc regge lo sguardo del nonno senza battere ciglio. «Lo ero. Ora non sono certo di quello che sono».<br />

«Sei umano», dico io. «Stai diventando umano».<br />

Luc mi sorride preoccupato.<br />

«Come funziona questa… trasformazione?», domanda il nonno, con un tono stranamente debole.<br />

«Frannie è… speciale», dice Luc.<br />

Ed ecco tuonare la voce del nonno. «Questo lo so da me! Ma non spiega niente. Perché sei qui?»<br />

«La prego di scusarmi, signore, ma questo spiega ogni cosa. Frannie possiede doni fuori dal comune, un potere inestimabile per gli Inferi. Ero venuto<br />

per portare la sua anima all’Inferno, ma il suo potere mi sta cambiando».<br />

<strong>Il</strong> nonno balza in piedi. «Stalle lontano! Frannie, vieni subito qui». Si allunga verso di noi e mi prende per un braccio, portandomi dall’altra parte del


tavolino da caffè e nascondendomi dietro di sé.<br />

«Nonno, per favore, ascoltaci».<br />

«Vi sento forte e chiaro». Incenerisce Luc con lo sguardo. «Tornatene da dove sei venuto, non puoi avere Frannie».<br />

«Ma lui non mi vuole!», dico a precipizio, poi arrossisco e sorrido a Luc. «Be’, non in quel senso».<br />

Luc risponde al mio sorriso, ma subito la sua espressione si fa grave. «Signore, ho bisogno del suo aiuto».<br />

<strong>Il</strong> nonno ha una voce velenosa, che non gli ho mai sentito prima. «Vuoi che ti aiuti a trascinare mia nipote all’Inferno?»<br />

«No, voglio che mi aiuti a legare la sua anima al Paradiso».<br />

Resto senza fiato. «Sei uno stronzo! Mi avevi detto che volevi parlargli perché ci nascondesse».<br />

«Devi riuscire a perdonare te stessa, Frannie. Credo che tuo nonno sia la persona migliore per aiutarti a farlo. Questo Schermo potrebbe funzionare,<br />

ma se non è così Gabriel è l’unico che ti può proteggere. Ti ama, Frannie, e ha gli amici giusti ai piani alti. Forse potrebbe trovare un compromesso<br />

accettabile per te».<br />

«Io voglio la mia vita, è solo mia!».<br />

«Di cosa state parlando?». <strong>Il</strong> nonno non sa se essere più terrorizzato o confuso.<br />

«L’anima di Frannie non può essere legata all’Inferno se è già legata al Paradiso. Ma Frannie non può legarsi al Paradiso finché non perdona se<br />

stessa per M…».<br />

«Basta!», urlo. «Smettila! Non è quello che voglio!»<br />

«Ma è quello di cui hai bisogno», dice Luc con uno sguardo penetrante.<br />

«Va’ all’Inferno!».<br />

«Ci andrò, ma non voglio portarti con me».<br />

Sono un cumulo di rabbia inespressa. Lo strozzerei per avermi pugnalata alle spalle. «Vattene!».<br />

«Frannie?». Presa dalla rabbia mi sono dimenticata del nonno. «Parla con me».<br />

Lo guardo e scoppio a piangere. Con le forze che mi restano mi aggrappo a lui, come se fosse il mio ultimo appiglio prima di sprofondare nelle<br />

viscere della Terra. Mi fa sedere al suo fianco e io appoggio la testa alla sua spalla e piango per un’eternità. Quando rialzo lo sguardo Luc se n’è andato.<br />

«Frannie, di cosa parlava? Perché dovresti perdonare te stessa?».<br />

Le lacrime ricominciano a scorrere e la mia gola si chiude. Non posso dirlo. Non al nonno. Perché se anche lui mi odiasse, ne morirei. Poi guardo nei<br />

suoi occhi e vedo una saggezza così grande… «Nonno, ho ucciso Matt».<br />

Non dice niente, ma quando le mie lacrime diventano un fiume mi stringe forte al petto e mi sento sicura come mai negli ultimi dieci anni.<br />

Affondo nel suo abbraccio, esausta. Quando mi sveglio, sono ancora lì. E allora parliamo… e gli racconto tutto.<br />

Non dice niente per un bel po’, tanto che mi convinco di aver rovinato tutto. Ora che sa che persona orribile sono, le cose non saranno mai più le<br />

stesse. Invece mi guarda dritto negli occhi e dice: «Sembra che tu abbia portato questo orrore dentro di te per molto tempo».<br />

Lo sapevo, mi odia. <strong>Il</strong> petto mi si stringe, come se il cuore avesse appena collassato.<br />

«Ascoltami, Frannie. Io non c’ero e non so cosa sia successo, ma conosco il tuo cuore», mi dà una pacca sulla spalla, «e so che è buono. Se quello<br />

che dici è vero, è stato un terribile incidente».<br />

Scuoto forte la testa, come per togliermi di dosso il senso di colpa. «Ma ero così arrabbiata… lo odiavo».<br />

«Frannie, tu non saresti in grado di odiare qualcuno o qualcosa nemmeno se volessi. Non fa parte di te. Secondo me, quello che è successo non è<br />

colpa di nessuno».<br />

Ma si sbaglia. È stata colpa mia.<br />

«Abbiamo tutti il nostro fardello da portare. Lo so per esperienza. Quando tua nonna è morta…». Non finisce la frase e scuote la testa. Stringe la mano<br />

sulla mia spalla. «Fa parte della natura umana cercare qualcuno a cui addossare la colpa quando succede qualcosa di brutto. Spesso diamo la colpa a<br />

noi stessi, pensando a quello che avremmo potuto fare per cambiare il corso degli eventi».<br />

<strong>Il</strong> senso di colpa sul suo viso mi fa l’effetto di una pugnalata. «Quello che è successo alla nonna non è colpa tua, nonno». È stata colpa mia, invece.<br />

Avrei dovuto convincere la mamma ad andare a vedere.<br />

«Eppure mi sento come se lo fosse». Sposta il braccio che mi cingeva le spalle per prendermi la mano. «Tu e Matt eravate legati indissolubilmente.<br />

Non so cosa sia successo su quell’albero, ma tu non potevi uscirne illesa. Però il tempo passa e arriva il giorno in cui è necessario vedere le cose per<br />

quello che sono: è stato un incidente».<br />

Sento che il macigno di gelido terrore che mi sono portata in petto per dieci anni si alleggerisce un po’. Parte di ciò che ha detto è vero. Io non volevo<br />

uccidere Matt. Quindi, forse, non sono un mostro.<br />

Ma questo non cambia che sia stata colpa mia.<br />

Mi infilo di nuovo sotto al suo braccio e ci resto per ore.


Capitolo 20<br />

Parli del Diavolo…<br />

Luc<br />

Sono rimasto seduto su un ramo davanti alla finestra di Frannie per tre giorni prima che si decidesse a rivolgermi di nuovo la parola. Ha faticato un po’<br />

coi test di fine anno, ma in certi casi avere amici ai piani alti non guasta. Grazie a un piccolo intervento divino è andato tutto bene.<br />

Non avevo in programma di andare alla consegna dei diplomi. Voglio dire, di quanti pezzi di carta si può aver bisogno? Poi mi è venuto in mente che<br />

se sto davvero diventando umano questo finirà per servirmi.<br />

Sono già al campo di football e aspetto Frannie nascosto dietro al tabellone segnapunti, quando sento un colpetto sulla spalla. Girandomi vedo<br />

Gabriel, appoggiato al palo della porta, che mi guarda con un sorriso di scherno, e mi accorgo di quanto io sia cieco senza il mio sesto senso, che è<br />

praticamente svanito.<br />

Tira un lembo svolazzante della ridicola toga bordeaux che indosso. «Che bel vestito».<br />

«Va’ all’Inferno».<br />

«Temo di no», dice scrollando le spalle e spostandosi dal palo.<br />

Guardo verso la tribuna e vedo arrivare Frannie con la sua famiglia.<br />

«Perché ti sei…»<br />

«Tirato indietro?», finisce la frase per me. «Perché lei ha fatto la sua scelta».<br />

«Come fai a saperlo?»<br />

«Stai scherzando, vero? Guardati», dice in tono di scherno.<br />

Mi rendo conto che ha ragione. Sto diventando umano, ed è merito di Frannie. È la prova di quanto mi vuole. Ciò che resta del mio potere sale in<br />

superficie e una calda scarica elettrica mi danza sulla pelle. «E tu, invece, ne saresti uscito illeso? Ce le hai ancora le ali?».<br />

Sorride. «Per un attimo ho rischiato di perderle».<br />

«Se lei… se le cose fossero andate diversamente, ci avresti rinunciato?».<br />

Guarda Frannie un istante e alza le sopracciglia con un sorriso buffo. «Avrei avuto altra scelta?».<br />

Ciò che leggo nei suoi occhi – e che lui nasconde dietro a quell’espressione divertita, forse anche a se stesso – è che per lei rinuncerebbe alle sue ali<br />

senza esitazione.<br />

Viene dietro al tabellone. «Solo perché non sei più un pericolo per la sua anima, non pensare che smetta di tenerti d’occhio. Dammi una buona scusa<br />

e ti fulmino sul posto». A quel punto sparisce, come se non fosse mai apparso.<br />

Dal campo di football, osservo la mamma di Frannie che le sistema i capelli e il tocco. Solo Frannie poteva trasformare toga e tocco in un<br />

abbigliamento provocante. Immagino come potrebbe essere vestita sotto, e poi quello che c’è sotto ancora. Spero di avere presto modo di scoprirlo. So<br />

già che non può essere il reggiseno rosso. Magari è passata al pizzo nero…<br />

Arriva sul campo con Riley e Taylor, mentre la sua famiglia prende posto sugli spalti. Quando mi raggiunge e mi bacia, l’espressione di suo padre è a<br />

dir poco esilarante. Scoppio a ridere, poi però vedo suo nonno che mi fissa severo e mi ricompongo. Sto per distogliere lo sguardo, ma faccio in tempo<br />

a vederlo sorridere con un cenno del capo nella mia direzione.<br />

Frannie guarda suo padre. «Dovremo trovare una soluzione».<br />

«Temo sia una causa persa», dico sperando di sbagliarmi. La tiro a me e la bacio un’altra volta.<br />

«Mi fate venire il diabete. Prendetevi una stanza», ci interrompe Taylor, caustica.<br />

Riley le afferra la mano e la trascina verso la palestra. «Stanno iniziando a formare le file, andiamo».<br />

Metto un braccio sulle spalle di Frannie e lancio un’occhiata a suo padre. Intanto ci facciamo largo nell’oceano bordeaux di tocchi e toghe, verso la fila<br />

che si sta formando dietro alla palestra.<br />

La musica parte e iniziamo a marciare in fila per due. Ci hanno detto di stare a una distanza di mezzo metro, ma Frannie mi passa un braccio intorno<br />

alla vita e mi sta vicina mentre attraversiamo il campo da football per raggiungere i nostri posti a sedere. Non riesco a nascondere il sorriso smagliante<br />

che ho stampato in faccia.<br />

Ci sediamo e guardo i corpi sudati che ci circondano, mentre la voce monotona del preside Grayson blatera di nuovi inizi e altre simili idiozie. Dopo<br />

circa trenta minuti, mi ricordo perché ho sempre evitato queste cerimonie come le piaghe d’Egitto.<br />

Proprio quando mi sto rassegnando, dopo sette millenni di scorribande, a morire di noia su questa sedia, iniziano finalmente a chiamare i nostri nomi.<br />

Attraverso la piattaforma e il preside mi porge il diploma con un sorriso e un rassicurante cenno del capo. Aspetto Frannie ai piedi delle scale, la toga<br />

mossa dal vento che le si appoggia al corpo mentre mi viene incontro, evidenziandone le curve dolci. Non posso che fantasticare su cosa succederà<br />

dopo: stanotte dovrebbe restare a dormire da Taylor, ma chissà se posso farle cambiare idea. Quando arriva in fondo alle scale la sollevo e le do un<br />

bacio.<br />

Appena la metto a terra mi dice: «Mmm, grazie. Ecco il modo per guadagnare punti coi miei».<br />

Guardo sugli spalti e vedo i suoi genitori lì in piedi, basiti. Suo padre brandisce una macchina fotografica, di cui però sembra essersi dimenticato, e il<br />

nonno se la ride. «Che piani hai?».<br />

«Ci sto ancora pensando, ma escluderanno che tu possa molestarmi davanti a loro».<br />

Dopo la cerimonia la famiglia di Frannie scende nel campo e suo padre continua a guardarmi con ostilità.<br />

«Allora», le chiede la madre, «vai alla festa con Taylor e Riley?». Si sforza di essere allegra, ma il suo sorriso è falso come i soldi del Monopoli.<br />

Frannie alza gli occhi al cielo. «Sì, mamma».<br />

<strong>Il</strong> nonno di Frannie si avvicina e mi dà una pacca sulla spalla. «Luc si prenderà cura di lei. Abbiamo un accordo. Vero, figliolo?».<br />

Sorrido sollevato. «Sì, signore».<br />

«Credo che Frannie sia in buone mani», dice facendomi l’occhiolino.<br />

<strong>Il</strong> sorriso fasullo della mamma di Frannie si trasforma in un’occhiataccia in direzione del nonno. «Scusa papà, ma non sono affari tuoi».<br />

«Hai ragione, in effetti sono affari di Frannie», risponde lui, stavolta ammiccando a Frannie.<br />

«Te l’ho detto, mamma. Vado alla festa con Riley e Taylor, sai che andiamo sempre insieme. E ricordati che Riley e io restiamo a dormire da Taylor».


Sua madre mi guarda sospettosa e suo padre apre la bocca per protestare, ma arrivano Taylor e Riley e si appropriano di Frannie.<br />

«Salve, signora Cavanaugh», dice Taylor, «sono venuta a rapire Frannie, ok?».<br />

<strong>Il</strong> padre di Frannie sembra rilassarsi un po’ e la madre dice: «Va bene. Ma voglio che voi ragazze restiate insieme». Guarda me e poi Frannie. «Tutta<br />

la notte».<br />

Poi Taylor si rivolge al padre di Frannie. <strong>Il</strong> suo volto si addolcisce e sembra che stia per mettersi a piangere. «Grazie, signor Cavanaugh. Mio padre è<br />

così contento di iniziare il nuovo lavoro. Le è davvero grato per il suo aiuto».<br />

«Prego, è il minimo che potessi fare. Mi fa piacere che si senta meglio».<br />

«L’avvocato ci sta davvero aiutando», dice lei. Esita un momento, poi stringe il signor Cavanaugh in un abbraccio. Riprendendosi dalla sorpresa, lui le<br />

dà dei buffetti sulla spalla: «Sono felice di essere stato d’aiuto».<br />

Quando si stacca dall’abbraccio, sono testimone di un evento inconsueto: Taylor arrossisce. In un baleno riacquista la sua espressione tipica e<br />

agguanta Frannie e Riley. «Andiamo, ragazze. È ora di festeggiare».<br />

Frannie abbraccia la sua famiglia e io allungo la mano a suo nonno, che la stringe, e a suo padre, che esita prima di accettare. Poi mi dà una stretta<br />

energica, una specie di avvertimento.<br />

«Passate una bella serata», dico a tutti loro con il mio sorriso più rassicurante e un cenno del capo. Quando mi giro per seguire le ragazze il mio cuore<br />

si ferma.<br />

Avaira.<br />

È in piedi davanti a noi e ci dà la schiena, coi lunghissimi capelli corvini che brillano nel sole di giugno. Mi metto davanti a Frannie e chiamo a raccolta<br />

il mio potere ormai debole. Avaira si volta lentamente e io faccio per alzare il pugno, poi però tiro un sospiro di sollievo, e il mio cuore riparte.<br />

Non è lei.<br />

Sono diventato paranoico, vedo Belias e Avaira dappertutto. Sono certo che siano ancora qui e so che sono pronti a tutto, perché non possono più<br />

permettersi di sbagliare.<br />

Frannie mi guarda perplessa e io la prendo fra le braccia. Quando arriviamo alla macchina di Riley mi sono calmato. Lei mi butta le braccia al collo e,<br />

dopo aver controllato che le sue amiche siano ancora impegnate a togliersi tocco e mollette varie, sussurra: «Cos’è successo?».<br />

Scuoto la testa.<br />

Mi guarda con gli occhi che sono due fessure, ma lascia cadere l’argomento, perché le altre la reclamano. «Ci vediamo là?»<br />

«Certo. Quanto vi ci vorrà?».<br />

Scrollano simultaneamente le spalle, tutte e tre. «Passiamo da Taylor a cambiarci e andiamo subito dai Gallagher. Diciamo una mezz’ora?».<br />

La bacio di nuovo. «A fra poco», dico, ben sapendo che non ho intenzione di perderla di vista. La seguo ovunque, ma non c’è bisogno che lei lo<br />

sappia. Non voglio stressarla ulteriormente. Farei qualsiasi cosa per farla sentire come se avesse una vita normale, almeno una volta ogni tanto.<br />

Frannie<br />

Pensa che io non sappia che mi segue dappertutto. Sa che voglio vivere la mia vita liberamente e fa tutto quello che può per aiutarmi. Non voglio che<br />

ci rimanga male, quindi faccio finta di niente, ma sono contenta di sapere che c’è. Se di notte non riesco a dormire vado alla finestra e fra le foglie degli<br />

alberi riconosco il riflesso della luna sul tettuccio della Shelby, e sogno di essere là fuori con lui.<br />

Lo cerco fra gli occhi appannati di birra che vagano nel giardino dei Gallagher, ed eccolo appoggiato a un albero, sempre più bello. Mentre incespico<br />

verso di lui, Riley e Trevor escono furtivi dal boschetto. Viro e li raggiungo vacillando, curandomi di togliere le foglie dai capelli di lei mentre Trevor se ne<br />

torna dai suoi amici sotto al portico. Sorrido. «Ehi, Ry. Vi siete divertiti nel capanno degli attrezzi?».<br />

Anche se la luna che filtra dagli alberi è poca, mi accorgo che è diventata rossa come un peperone. E riconosco lo sguardo nei suoi occhi, perché è lo<br />

stesso che vedo ultimamente quando mi guardo allo specchio. «È incredibile, Frannie. Le cose cha fa con…».<br />

Alzo le mani. «Troppe informazioni, Ry». Ma continuo a sorridere, è così bello vederla felice. «Quando lo direte a Taylor?»<br />

«Trevor dovrebbe dirglielo domani, almeno credo. Aveva detto la stessa cosa anche ieri… e la settimana scorsa».<br />

«Lei gli farebbe un occhio nero, e lui lo sa. Temo che dovrai dirglielo tu».<br />

In quel momento arriva Taylor, che ci si butta addosso urlando e mi fa quasi cadere in terra. Barcolla in modo preoccupante e Riley la prende al volo,<br />

ripristinando una specie di equilibrio. «Venite a divertirvi, sembrate due sfigate», dice ridendo e circondandoci le spalle con le braccia.<br />

«Ehi, Trev!», urlo, «Vieni qui!».<br />

Trevor mi guarda preoccupato, ma pian piano, e con una buona dose di circospezione, si avvicina. Io gli metto il braccio che mi è rimasto libero sulle<br />

spalle.<br />

«Allora, Tay, Riley e Trevor muoiono dalla voglia di dirti una cosa». Mi sfilo da sotto al braccio di Taylor e faccio in modo che Trevor prenda il mio<br />

posto.<br />

In circostanze diverse Taylor gli avrebbe rifilato uno spintone, ma essendo poco stabile ora si appoggia a lui. «Che c’è?».<br />

Riley e Trevor si guardano e uniscono le braccia rimaste vacanti, chiudendo il cerchio.<br />

Volto le spalle all’allegra famigliola e torno a pensare agli affari miei.<br />

I Roadkill sono schierati dietro alla casa e Delanie canta una cover dei Paramore. È sorprendente quanto siano migliorati, ora che hanno qualcuno che<br />

sa cantare. Reefer mi guarda e sorride. Gli restituisco il sorriso e lo saluto con la mano. Mi scappa da ridere ripensando a come l’ha chiamato Taylor: un<br />

autentico nerd della chitarra. È proprio vero, e fa parte del suo fascino.<br />

All’improvviso mi faccio prendere dall’emozione – sarà la birra – e rendendomi conto di quanto mi mancherà tutto questo mi vengono gli occhi lucidi.<br />

Spero di non dover sentire anche la mancanza di Luc. Ho un po’ paura di chiedergli cosa succederà dopo il diploma.<br />

Continuo ad avanzare verso di lui a passo incerto, ma sento Taylor che sbraita: «Sei una cretina!», e mi giro a guardare i miei amici. Taylor cerca di<br />

dare uno spintone a Riley e invece finisce col sedere nel fango.<br />

Mi giro sorridendo e finalmente raggiungo Luc. Mi avvinghio a lui, cercando di mantenermi dritta. Gli appoggio la testa al petto e lui mi cinge la vita con<br />

le mani, stringendomi a sé.<br />

«Ehi», dico con la bocca appiccicata alla sua maglietta.<br />

«Ti stai divertendo?»<br />

«Io sì, ma tu no, vero?»<br />

«Perché dici così?»<br />

«Boh, te ne stai lì in un angolo».<br />

«Mi godo il panorama», dice lui stringendomi più forte.<br />

«Fee! Sei una stronza!», mi urla intanto Taylor.<br />

Mi stacco da Luc per un attimo e le rispondo alzando il dito medio. Poi torno a gettare le braccia al collo di Luc e infilandogli le mani nei capelli lo


costringo ad abbassare il capo verso di me. Lui sorride lasciandomi fare, e quando mi bacia vorrei seriamente saltargli addosso.<br />

«Vieni qui», gli sussurro in un orecchio, infilandogli la mano sotto alla maglietta e facendo scivolare un dito fra la pelle e la cintura dei pantaloni. Voglio<br />

stare da sola con lui, ora.<br />

Sento che si irrigidisce quando lo prendo per il passante della cintura. «Dove andiamo?»<br />

«A fare un giretto», dico tirandolo verso la macchina.<br />

Lui sorride. «E i tuoi amici? Questa potrebbe essere l’ultima occasione di darvi alla pazza gioia tutti insieme».<br />

«Preferisco darmi alla pazza gioia con te». Lo trascino fino alla Shelby, che è parcheggiata vicino al boschetto. Ci appoggiamo al fianco della<br />

macchina, io su di lui, che spingo il mio corpo contro al suo. I Roadkill devono essere in pausa perché in lontananza sento Stairway to Heaven dei Led<br />

Zeppelin, ma al momento mi importa solo di Luc.<br />

«Che cos’hai in mente?», chiede scrutandomi in volto come se cercasse qualcosa che ha perso.<br />

«Potremmo cercare la nostra scala per il Paradiso, e la tua macchina sembra il posto giusto per trovarla», dico con voce impastata, scostandomi da<br />

lui per aprire la portiera.<br />

Mi gira la testa, ma un odore prepotente di uova marce si fa strada attraverso il mio stupore alcoolico. Faccio per voltarmi, ma due braccia bollenti mi<br />

afferrano da dietro. Di riflesso mi accovaccio e faccio volare l’aggressore in terra, davanti a me, perdendo però l’equilibrio. Appena prima di cadere<br />

indietro, nel fango, faccio in tempo a vederlo in faccia.<br />

L’occhio sano di Belias mi giura mortale vendetta. L’altro è coperto da una benda nera.<br />

Nel giro di un secondo mi sento sollevare da terra e volo nella macchina di Luc.<br />

Luc<br />

Sollevo Frannie e la getto in macchina, un attimo prima che Belias si rialzi e ci si scagli contro. Richiamo quel poco che resta del mio potere e lo<br />

colpisco al petto con uno sputacchio di fuoco che qualche settimana fa mi avrebbe gettato nel più nero imbarazzo. Ora, invece, ne vado fiero. Cade<br />

indietro, ma abbiamo giusto il tempo di sbattere le portiere prima che sia di nuovo in piedi. Memore della volta scorsa, mentre metto in moto lancio uno<br />

schermo protettivo intorno all’auto. Dubito che basti a tenerlo fuori dalla macchina, ma è tutto ciò che mi resta.<br />

Guardando nello specchietto retrovisore vedo un breve lampo di luce e qualcuno in piedi davanti a Belias. Gabriel? Non può che essere lui, ma<br />

sembra diverso, più piccolo.<br />

Respiro profondamente per dare sollievo al mio cuore impazzito. «Stai bene, Frannie?»<br />

«Già». La guardo, e non sembra nemmeno spaventata.<br />

«Sei sicura?».<br />

Sta addirittura sorridendo. «Già», ripete. Poi la sua testa cade all’indietro e gli occhi si chiudono.<br />

«Frannie?». Le do un colpetto.<br />

«Ah, per le colpe di Satana», borbotto fra me e me.<br />

Adesso cosa faccio? Non posso portarla a casa in queste condizioni, ubriaca e coperta di fango. C’è il mio appartamento… ma non è sicuro. Ho<br />

bisogno di rinforzi e c’è un’unica opzione. Speriamo che arrivi a casa prima di noi.<br />

Quando Gabriel apre la porta e vede Frannie fra le mie braccia, arrotolata in una coperta, gli viene quasi un colpo. «Non è…».<br />

«Rilassati, sta bene. È solo che non regge la birra».<br />

«Pensavo non avessi più bisogno di farla ubriacare».<br />

«Ma chi sei, il grillo parlante? Fammi passare».<br />

«Attento alla roba bianca… insomma, a tutto», dice lui. «Cos’ha fatto, la lotta nel fango?».<br />

La stendo sul divano. «Quasi. Non puoi buttarle addosso un po’ d’acqua santa e ripulirla?».<br />

Fa un mezzo sorriso. «A volte i miracoli sono necessari, ma in questo caso basta un po’ di detersivo. Toglile i vestiti che li metto in lavatrice».<br />

«Credo che il miracolo sarebbe una soluzione più sicura. Ormai sono un adolescente in preda alle tempeste ormonali». Guardo Frannie e scuoto la<br />

testa. «Devo dire che è molto più dura di quanto non immaginassi».<br />

Gabriel fa un sorrisetto ambiguo e alza le sopracciglia. «Ok, lo faccio io». Si piega su di lei e le toglie le scarpe infangate. Lo spingo via. «Aspetta in<br />

cucina».<br />

Se ne va ostentando noncuranza, senza però che quel sorriso sparisca.<br />

Aspetto che esca dalla stanza e le levo la maglietta.<br />

«Maledizione!», grugnisco fra me e me. Pizzo nero, avevo ragione. Che spreco.<br />

Tolti i jeans, la avvolgo nel panno e lancio i suoi vestiti a Gabe. Mi lascio cadere nella sedia di fianco al divano e rilasso il capo. Quando lui torna, si<br />

siede sulla sedia di fronte alla mia.<br />

«Grazie per l’aiuto», dico guardando Frannie. «Non potevo portarla a casa in queste condizioni. I suoi sospettavano che fossi il Diavolo, e ora che non<br />

lo sono più vorrei dimostrare che si sbagliano». La indico con una mano. «Questo non avrebbe aiutato».<br />

«Deve rientrare?», chiede lui.<br />

«No. Ufficialmente è a dormire da Taylor».<br />

«Allora può smaltirla sul mio divano».<br />

«Grazie, anche per prima, alla festa. Non sono più il demone di una volta, ormai ho le pile scariche», dico buttando giù l’orgoglio.<br />

«Di cosa stai parlando?»<br />

«Lo sai, Belias… alla festa».<br />

«Io non c’entro».<br />

«Come vuoi, grazie comunque».<br />

Scuote la testa e sorride.<br />

Lancio un’occhiata alla figura sottile di Frannie, sul divano.<br />

«Gabriel?»<br />

«Sì?»<br />

«La sua anima è ancora pura, vero? Non l’ho… sai… indotta in tentazione o simili? Non riesco più a capirlo».<br />

Vedo passare sul suo volto un’ombra di preoccupazione, che poi si appiana quando risponde: «Non hanno alcun diritto su di lei, se è questo che vuoi<br />

sapere. Ma non so quanto può durare, se continua a starti vicino. Tu sei un’influenza negativa».<br />

«Ne sono convinto. Allora, verrò fulminato da Dio uno di questi giorni? Sai, tipo punizione divina?».<br />

Gli scappa un sorriso. «Purtroppo no, ma se ti togliessi di torno non sarebbe male».<br />

So che ha ragione, l’ho sempre saputo… «Non credo di avere più alcun potere decisionale. Non riesco a starle lontano».


Fa un altro mezzo sorriso. «Già. L’ho intuito quando mi hai permesso di bruciarti vivo con l’acqua santa».<br />

«Pensi che lo Schermo non abbia funzionato?»<br />

«È difficile da dire. Se, come dici tu, Belias e Avaira sono qui da settimane, sono certo che ti stanno seguendo».<br />

Torno a posare lo sguardo su Frannie, addormentata sul divano. Deve esserci un modo per proteggerla.<br />

«Se scomparissimo per un po’ e ce ne andassimo lontano, pensi che sarebbe al sicuro?»<br />

«Forse. Non possiamo saperlo finché non provate. Ma sai meglio di me qual è la soluzione migliore».<br />

«Legare la sua anima al Paradiso», dico rassegnato. «Ma perché è così importante che perdoni se stessa?».<br />

Di colpo, Gabriel mi va in estasi. «<strong>Il</strong> perdono è la chiave di tutto, Lucifer».<br />

«Voi creature celesti rendete tutto così difficile». Mi drizzo sulla sedia. «Cosa succederebbe se Belias per sbaglio… la uccidesse?». Sento una cappa<br />

scura che pesa sul mio cuore al pensiero di quanto ci sia già andato vicino.<br />

«Finirebbe nel Limbo, e a breve Michael la metterebbe in una corsia preferenziale per il Paradiso. La chiave è l’essenza di Frannie, la sua anima. Per<br />

quanto ci riguarda, è preziosa in Paradiso tanto quanto sulla Terra».<br />

«È come immaginavo». Ho visto la sua essenza, e so che ha ragione. Danzarci insieme, mescolarmi con lei… è stata un’esperienza al di sopra di<br />

ogni altra mai provata prima. «Non permetterò che le succeda niente».<br />

«Lo so. E ci conto». La minaccia è chiara nella sua voce.<br />

La guardo dormire. «Non permetterò che se la prendano», dico, conscio di fare anch’io parte del pericolo. Ma, almeno per ora, scivolo sul divano e mi<br />

sdraio al suo fianco, circondandola con le braccia e stringendola come se la mia vita dipendesse da lei. E, in effetti, credo che le cose stiano proprio<br />

così.


Capitolo 21<br />

Fuoco e fiamme<br />

Frannie<br />

«Lo sai che stavo prendendo Lucifer per il naso con quella storia dell’immacolata concezione, vero?».<br />

Sollevo la testa, che avevo appoggiato al finestrino della macchina, e guardo Gabe, ancora stordita dal dopo sbornia. «Eh?»<br />

«Sai… quella sera che sei venuta da me, dopo che lui ti aveva detto… da dove viene».<br />

«Ah, sì. Allora non sono la Vergine Maria?»<br />

«No».<br />

«Grazie al cielo. Sarei stata una pessima madre». Mi massaggio le tempie. «E poi, spero di non restare vergine ancora per molto». Lascio cadere la<br />

testa contro il finestrino, ma calcolo male e do una gran botta, riducendo in poltiglia il mio cervello martoriato. «Ahia…», grugnisco.<br />

«Ben ti sta», dice Gabriel ridendo.<br />

«Ma sta un po’ zitto».<br />

Arriviamo a casa mia e mia madre esce sul portico. Gabe apre la portiera e mi aiuta a scendere. Mentre camminiamo le gambe non mi reggono e<br />

Gabe deve praticamente trascinarmi. Quando arriviamo ai piedi delle scale ci rinuncia e mi prende in braccio.<br />

«Vi siete divertiti, ragazzi?», cinguetta mia madre.<br />

Vorrei sapere quante ragazze di diciassette anni potrebbero tornare a casa alle nove del mattino devastate dall’alcool, nelle braccia di un ragazzo<br />

(persino se si tratta di un autentico angelo del Signore, dettaglio di cui i miei genitori non possono essere a conoscenza), e sentirsi dire: «Vi siete<br />

divertiti?». È disgustoso. Certo, se fossi stata fra le braccia di Luc le cose sarebbero andate diversamente.<br />

«Che ne dici, Frannie?», Gabe sta cercando di trattenersi dal ridere. Se ne avessi la forza gli darei un pugno, invece mi limito a borbottare qualcosa di<br />

poco gentile alla sua spalla.<br />

Mia madre ci segue su per le scale e mi mettono a letto. Sento un sottofondo di risatine di sorelle, ma non apro gli occhi per verificare di chi si tratta.<br />

Gabe si siede sul bordo del letto e mi accarezza il volto. Anche se mi sento come se mi avesse investito un TIR, vengo percorsa da un fremito.<br />

«Va un po’ meglio?»<br />

«Sparami», lo supplico.<br />

Si china su di me e le sue labbra scivolano dalla mia guancia all’orecchio, in cui sussurra: «Troppa birra». Gli scappa da ridere e mi chiedo se non<br />

potrei sparare io a lui.<br />

«Togliti di torno», dico girandomi su un fianco e tirandomi le coperte sulla testa.<br />

Mia madre si ricorda di avere la zuppa di pollo sul fuoco e se ne va. Ma Gabe è ancora qui, sento la sua presenza.<br />

«Cosa vuoi?», biascico fra le lenzuola.<br />

«Quello che ho sempre voluto: legare la tua anima. Devi perdonare te stessa».<br />

«No».<br />

«Perché? Perché non puoi farlo?».<br />

Non ho intenzione di piangere. «Perché no». Respiro per trattenere le lacrime. «Ne ho bisogno».<br />

«Hai bisogno di cosa?».<br />

È come se qualcuno mi prendesse la testa a martellate. «Possiamo parlarne un’altra volta?»<br />

«Parliamone ora. Cosa vuol dire “ne ho bisogno”?».<br />

Una fitta tremenda mi attraversa il cervello. Gemendo tiro fuori la testa dalle coperte in cerca d’aria. «Non posso farlo. Ma tu non conosci già i miei<br />

pensieri? Perché non mi guardi nella testa e tiri fuori quello che non ti piace, così poi mi lasci stare?»<br />

«Se fosse nei tuoi pensieri potrei farlo. È per questo che ti spingo a pensarci, voglio che tu capisca la ragione per cui non puoi perdonarti».<br />

«Perché non posso».<br />

«Perché?»<br />

«Oh, Dio! Vattene».<br />

<strong>Il</strong> letto cigola mentre Gabe mi scivola vicino. Sento il suo respiro fresco nell’orecchio: «Non vado da nessuna parte, Frannie. Sarò sempre al tuo fianco,<br />

qualunque cosa accada». Le sue labbra mi sfiorano la guancia e il mio mal di testa scompare, ma solo per essere rimpiazzato da un altro genere di fitte,<br />

in luoghi che non dovrebbero essere coinvolti. Mi giro e gli passo una mano fra i capelli. Le sue labbra sfiorano le mie, proprio quando mia madre<br />

appare sulla soglia con due tazze fumanti in mano.<br />

«Oh! Io…».<br />

Gabe mi sorride con gli occhi ancora per un attimo, poi scivola via e si alza in piedi. «Devo proprio andare».<br />

«Oh, vai già via?», dice mia madre con un sorriso imbarazzato, e porgendogli una tazza aggiunge: «Non vuoi un po’ di zuppa?»<br />

«Grazie, signora Cavanaugh, ma Frannie è in buone mani», risponde sorridendo. «Passo più tardi a vedere come stai», aggiunge rivolto a me, ed<br />

esce.<br />

«Ok». L’unica risposta che riesco a mettere insieme.<br />

Mi giro su un fianco verso il muro, ignorando mia madre e la sua zuppa, per cercare di capire cos’è appena successo. Poi penso a Luc. Viene a<br />

trovarmi stasera, e ho deciso che proverò a usare questa famosa Suggestione sui miei genitori. Vediamo se funziona davvero così bene.<br />

Ma forse prima dovrei chiarirmi le idee.<br />

Penso alla Shelby parcheggiata dall’altra parte della strada e mi batte il cuore. Lo amo, ne sono certa. Allora perché diavolo voglio ancora baciare<br />

Gabe?<br />

Luc<br />

Quando Gabriel porta Frannie a casa li seguo, e resto lì davanti per gran parte della giornata. Osservo la finestra della sua stanza, chiedendomi cosa<br />

potrò mai dire per fare buona impressione ai suoi genitori, o almeno per rassicurarli che non sono più il Diavolo in Terra. Ma mentre me ne sto lì seduto,


fissando la sua finestra, sento una fitta sconosciuta alla pancia, accompagnata da un ignoto brontolio. Col passare del tempo, il dolore peggiora e i<br />

suoni continuano, finché non posso più ignorarli.<br />

Per le fiamme dell’Inferno, che sia il mio stomaco? Cioè, ho fame? Alzo un braccio per massaggiarmi l’addome e dall’ascella mi arriva una zaffata<br />

maleodorante. Grugnisco disgustato. Altro che zolfo, questa è semplice carenza di acqua e sapone. Certo non farei bella figura coi genitori di Frannie in<br />

queste condizioni. Essere diventato umano ha i suoi inconvenienti, e sotto certi aspetti, fa anche un po’ schifo.<br />

Prima del tramonto, dopo essermi assicurato della presenza di Gabriel, smonto la guardia e nell’andare a casa per farmi una doccia mi procuro un<br />

panino. Salta fuori che il cibo umano non è poi così male. Chi l’avrebbe mai detto?<br />

Scopro anche che la quantità di cose di cui avrò bisogno per l’igiene personale è sbalorditiva, chissà il resto. Sto pensando a tutto ciò che devo<br />

procurarmi prima che il mio potere magico scompaia definitivamente – conti in banca, investimenti, identità alternative sia per Frannie che per me, in<br />

caso dovessimo fuggire, e perché no, una borsa di studio alla UCLA – quando, entrando nel mio appartamento, l’odore pungente di zolfo mi colpisce<br />

dritto in faccia con la potenza di una mazza da baseball. Faccio una smorfia, reazione involontaria alla puzza, e mi ricredo sul fetore del corpo umano,<br />

che in fondo non è poi così tremendo. Ma come facevo a pensare che l’odore di zolfo fosse buono?<br />

Guardo Beherit – il mio capo – con gli occhi che mi lacrimano. Anche se non posso più percepire le presenze demoniache e divine, dovevo<br />

aspettarmi qualcosa di simile. Si è palesato in tutta la sua gloria infernale, ergendosi in una nuvola di vapore, la pelle coriacea color cremisi chiazzata di<br />

nero, le contorte corna nere che sfiorano il soffitto, e la coda arrotolata intorno alla pelliccia della sua metà di satiro. Anche se non lo ammetterebbe mai,<br />

il fatto che sia avvolto in una corta tunica rossa e porti sempre la corona in testa non lascia dubbi. È figlio della superbia. Mi dà le spalle e ammira le<br />

stampe di Doré appese di fianco alla cucina. Faccio per indietreggiare, come se non fossi mai rientrato, ma uno scatto del suo orecchio appuntito mi<br />

avverte che è troppo tardi.<br />

Entro e mi chiudo la porta alle spalle. «È una visita di cortesia, Beherit, o volevi dirmi qualcosa?».<br />

Si gira lentamente, con gli artigli che sfrigolano sul linoleum, e avanza lasciando impronte nere e fumanti sulle margherite del pavimento. Non c’è ironia<br />

nelle fiamme rosse dei suoi occhi e le sue zanne luccicano quando il suo volto cadaverico e inespressivo si contorce in una smorfia spaventosa.<br />

La sua voce è un raschio grave e sibilante. «Dovevi fare il tuo lavoro, Lucifer, e senza pugnalarmi alle spalle. Pensavi davvero di essere al mio livello?<br />

Di poter prendere il mio posto? Be’, ora sappiamo bene che non è così. Hai dimostrato la tua inettitudine in ogni modo possibile, ne siamo tutti<br />

testimoni, soprattutto Re Lucifero». Mi arriva un odore di cane e un gran tanfo di carne putrida. So di cosa si tratta ancor prima di sentirli ringhiare:<br />

segugi infernali. Perfetto.<br />

«Questo complesso residenziale non ammette animali domestici, Beherit. Mi spiace, ma dovrai prendere Fido…», vedo uscire dal bagno tre cani<br />

enormi, uno con tre teste, e tutti con gli occhi rossi e fiammeggianti, «…e i suoi amici e andartene», concludo.<br />

«Che peccato. Pensavo che avresti gradito la loro compagnia. Sei stato qui così a lungo che ho temuto avessi nostalgia di casa».<br />

«No, va tutto bene, grazie».<br />

In un lampo mi è di fronte, e quasi mi solleva per il collo con una mano incandescente. Per la prima volta, mi accorgo di essere umano per davvero: i<br />

miei polmoni non possono più fare a meno dell’ossigeno e rischio di soffocare.<br />

«Sei ben lontano dallo stare bene!», urla furioso, scagliandomi dall’altra parte della stanza. Sbatto forte la faccia contro al muro e cado boccheggiante<br />

sul pavimento, ai piedi dei cani. Diventare umano continua a essere sorprendentemente poco pratico, e il sangue che mi cola dalla fronte non mi aiuterà<br />

certo a tenere a bada i segugi.<br />

Mi alzo a sedere, passandomi un braccio sulla fronte come se niente fosse, ignorando la mia testa che pulsa e i grugniti dei cani. «Era proprio<br />

necessario?».<br />

Gli occhi di Beherit si accendono, e sul volto gli appare un ghigno brutale. «Sangue? Questa incursione diventa più divertente ogni minuto che passa»,<br />

dice avvicinandosi fulmineo per piantarmi uno zoccolo sul petto, trapassando la T-shirt e la pelle al di sotto come se fossero fatte di burro. Mentre il<br />

sangue inizia a sgorgare anche dalla ferita sul petto, annusa l’aria, storcendo la faccia. «Mi sembrava che avessi un odore strano. E io che pensavo di<br />

essermi preso un raffreddore». Volge gli occhi iniettati di sangue ai cani. «Questo mi risparmierà la fatica di trascinarti giù nell’Abisso di fuoco. Ho già<br />

perso troppo tempo con Belias e Avaira». Scuote la testa lentamente e per un istante sembra desolato. «Tre dei miei elementi migliori, che spreco…». I<br />

suoi occhi si accendono. «Ma questo è ciò che accade ai traditori. Re Lucifero si accorgerà del suo errore di valutazione quando sarò io a legare<br />

l’anima della bambina. Tu e Belias non siete mai stati all’altezza».<br />

Belias e Avaira sono nell’Abisso di fuoco. Dovrei essere al settimo cielo, invece mi si rivolta lo stomaco. Non ci sono seconde opportunità all’Inferno.<br />

Sospira e la sua desolazione diventa una smorfia beffarda. «Dicono che se si vuole un lavoro fatto bene è meglio farselo da sé, ma non riesco a<br />

capire, Lucifer, era un bersaglio facile, una creaturina piccola e inerme».<br />

<strong>Il</strong> volto di Frannie, così attraente, mi fluttua davanti agli occhi. Piccola sì, ma non così inerme.<br />

Si rivolge ai cani. «Cerbero, Barghest, Gwyllgi, vi lascio al vostro lavoro. Io devo portare a termine il mio, o meglio, il suo», dice guardandomi in tralice.<br />

E poi si trasforma, prendendo la mia forma umana.<br />

No!<br />

Ricaccio indietro la paura e il nodo in gola. «Dubito che il trucchetto dei gemelli funzionerebbe, Beherit. Del resto, stiamo cercando di passare<br />

inosservati, no? E i gemelli attirano l’attenzione», dico alzandomi dal pavimento.<br />

«Non ti preoccupare, a breve rimarrò soltanto io». Vedo il mio sosia ghignare, come se fossi davanti all’immagine di uno specchio che fa quel che gli<br />

pare. Schiocca le dita, e mentre varca la porta i cani mi sono addosso.<br />

Cosa non darei per una sacchetto di crocchette, in questo momento.<br />

Frannie<br />

Mi sveglio a causa del fulmine che mi squarcia la testa, in preda al panico. Mi giro e vomito succhi gastrici nel cestino della carta, mentre l’immagine<br />

di Luc accasciato in terra e coperto di sangue mi si para davanti.<br />

«No!».<br />

In un attimo mia madre è al mio capezzale, atterrita. «Frannie, che cos’hai? Stai male?».<br />

Immobilizzata dall’orrore riesco solo a ripetere «No… no…». È come se ogni mia cellula cerebrale fosse andata in corto circuito. Non sono padrona di<br />

me, né dei miei pensieri.<br />

Mia madre mi aiuta a mettermi a sedere. «Vieni, tesoro. Andiamo dal dottore».<br />

Ritrovo la voce. «No! Voglio vedere Luc». <strong>Il</strong> mio cuore batte a un ritmo impossibile e sto iperventilando quando inizio a vedere il mondo a pallini<br />

bianchi. «Devo trovarlo».<br />

Proprio in quel momento, sento il rumore di un clacson provenire dal vialetto. Balzo giù dal letto e volo alla finestra. Luc mi aspetta seduto nella Shelby.<br />

Mi sorride e con una mano mi fa cenno di scendere.<br />

«Oh, Dio!». <strong>Il</strong> sangue ricomincia a fluirmi nelle vene. Non è morto. «Devo andare, mamma», dico infilandomi i jeans in fretta e furia e raggiungendo la


porta con le gambe che mi reggono a mala pena.<br />

«Frannie! Cosa sta succedendo?», mi grida dietro lei, rincorrendomi giù per le scale.<br />

«Niente. Dammi un minuto». Esco di casa sbattendo la porta. Corro alla macchina e salto dentro, gettandogli le braccia al collo.<br />

«Anch’io sono felice di vederti», dice con un bagliore allusivo negli occhi.<br />

Mi stacco da lui e lo guardo. È vivo, almeno per ora. «Sta per succederti qualcosa. Ti ho visto…».<br />

«Che succede, Frannie? Cos’hai visto?». Non sembra né spaventato né preoccupato. Se dovessi dire che aspetto ha, direi che è impaziente, anzi,<br />

affamato.<br />

«C’era un sacco di sangue… e tu eri…».<br />

«Morto?», conclude con un sorriso.<br />

Annuisco.<br />

«Ti sembro morto, Frannie?»<br />

«Non ora, ma succederà».<br />

«Cosa?»<br />

«Non lo so… forse Belias…».<br />

Mi interrompe scuotendo la testa. «Mi sono occupato io di Belias, non devi più preoccuparti di lui».<br />

«In che senso? Se n’è andato?»<br />

«Molto andato».<br />

«Allora sarà qualcos’altro… so che sei in pericolo».<br />

«Andrà tutto bene, non preoccuparti».<br />

Ma io mi preoccupo lo stesso. Solo quando mi bacia inizio a calmarmi un po’. <strong>Il</strong> mio respiro si fa più regolare e il mio cuore rallenta.<br />

«È stato davvero spaventoso. Promettimi di stare attento».<br />

«Sono nato attento. Non mi succederà niente».<br />

Vorrei potergli credere. Guardo verso casa e vedo mia madre che ci fissa dalla finestra. Avrà pensato che sono impazzita, il che non può che<br />

peggiorare la nostra situazione. Soprattutto dopo l’episodio di stamattina con Gabe. Sospiro. «Sei pronto?»<br />

«Per cosa?»<br />

«Sai, tutta la storia di impressionare i miei».<br />

«Ah, già. Quello».<br />

«Dai Luc, pensavo che fossimo d’accordo. Ci tengo molto che tu possa passare del tempo qui, quest’estate». Lo voglio vicino, ora anche di più.<br />

«Non sono in vena, adesso. Preferirei stare da solo con te», dice con gli occhi in fiamme, facendomi fremere in tutto il corpo.<br />

«A cosa stai pensando?»<br />

«A tutte le cose indecenti che ti potrei fare, a come ti farei sentire se me lo permettessi».<br />

Deglutisco a fatica e faccio un bel respiro, mentre mi attira a sé. «E questa da dove esce? Sei tu che hai detto che non potevamo… sai…». Ma ormai<br />

sono curiosa di scoprire cosa intende con “indecenti”.<br />

«Ho cambiato idea. Ti voglio». Mi bacia il collo con labbra brucianti.<br />

Lascio andare la testa in modo invitante. «Quindi, la questione della lussuria? Non è più un problema?»<br />

«No, non è un problema». Fa scivolare una mano sotto alla mia maglietta. «Potremmo infilarci sul sedile posteriore della mia macchina…».<br />

«Gesù, Luc! Mia madre ci sta guardando dalla finestra», protesto, spingendolo via e sistemandomi la maglietta. «Perché ti comporti così?»<br />

«Mi stai facendo impazzire», dice sorridendo insinuante.<br />

«Bene, allora andiamo a casa tua».<br />

«C’è un gran casino al momento. Qualcuno ha fatto entrare dei cani e sono andati a rovistare nella spazzatura. Adesso è sparsa per la casa, a pezzi».<br />

«Cosa? E chi è stato?»<br />

«Un vecchio amico, niente di cui preoccuparsi», dice con un sorriso ambiguo. E, solo per una frazione di secondo, sento puzza di uova marce.<br />

«Andiamo da un altra parte, dove posso farti perdere la testa». Mi dà un bacio forte e penetrante, poi si sistema sul sedile e mette in moto. Mentre<br />

usciamo dal vialetto mi mette una mano sulla coscia.<br />

Accostiamo in fondo alla via, vicino al parchetto del quartiere. Non fa in tempo a fermare la macchina che mi è già addosso. Do un’occhiata in giro e il<br />

parco è quasi deserto. Le altalene sono vuote e l’ultima mamma sta spingendo via una carrozzina, verso un tramonto rosa.<br />

Mi lascio avvolgere dalle labbra infuocate di Luc e il suo tocco rovente mi fa venire la pelle d’oca. Dopo un bacio particolarmente lungo mi tiro su per<br />

respirare, col cuore che martella, e la sua voce suadente mi sussurra nell’orecchio: «Ti voglio così tanto». Rabbrividisco, sentendo le sue mani infilarsi<br />

sotto alla maglietta per slacciare il reggiseno. La mia mano scorre sul suo petto e sotto alla sua maglietta. «Sarà indimenticabile, te lo prometto», dice.<br />

La punta delle sue dita traccia sulla mia pancia un sentiero bruciante, diretto verso il bottone dei miei jeans.<br />

Ed è allora che mi rendo conto che il suo corpo è troppo caldo. Più di quanto non sia stato da diverso tempo. Resto senza fiato. «Aspetta», dico<br />

afferrandogli la mano un attimo prima che raggiunga il suo obbiettivo. «Non capisco cosa sta succedendo. Sono settimane che mi dici che non<br />

possiamo farlo. Ho bisogno di pensare». Ma è davvero difficile pensare, mentre lui mi offre ciò che voglio più di ogni altra cosa.<br />

Per un istante, una cupa espressione d’ira s’impadronisce del suo volto, ma subito torna perfettamente calmo. «A cosa devi pensare? Sono stanco di<br />

aspettare, Frannie. Ti voglio così tanto che non ce la faccio più. Giuro che sarà bellissimo, aspetta di vedere cosa ti faccio…». Mi infila la sua lingua<br />

bollente in un orecchio.<br />

Non riesco a concentrarmi, colpa delle cose che anch’io voglio che mi faccia, ma le sue parole continuano a echeggiarmi nella mente. Non possiamo<br />

farlo finché non sono certo che sia sicuro per te, aveva detto. Faccio un respiro profondo e mi sforzo di collegare gli ultimi neuroni dotati di razionalità<br />

alla mia bocca. «Cos’è cambiato, Luc?»<br />

«Io. È sicuro, lo so per certo. Adesso sono umano, non possono trovarci».<br />

Vorrei credergli con tutta me stessa, ma il mio neurone sano si è impuntato e vuole essere ascoltato. Gli allontano la mano dal bottone dei miei jeans.<br />

«Quello che dici non ha senso. Prima dicevi che ora è più pericoloso perché non puoi più sentirli arrivare». E a un tratto eccolo di nuovo: fetore di uova<br />

marce. Oh Dio, è zolfo. Belias?<br />

Gli occhi di Luc si incendiano, illuminando di rosso la penombra della macchina. «Dai, bambina, mi stai uccidendo», dice. Mi sento come se la gravità<br />

raddoppiasse e tutto l’ossigeno fosse stato risucchiato. Luc non mi chiamerebbe mai “bambina”.<br />

Merda! È Belias. Pensa, Frannie!<br />

La voce di Gabe mi rimbomba nella testa, ripetendomi che se ho bisogno di qualcosa posso contare su di lui. Anche se mi rendo conto che sentire le<br />

voci non è un buon segno, accetto di buon grado.<br />

«So dove possiamo andare», dico allacciandomi il reggiseno e cercando di mantenere la calma. «Stiamo tenendo d’occhio la casa di un amico in<br />

vacanza, è qua dietro l’angolo. Lì possiamo starcene da soli». Mi trema la voce e il mio cuore sta tentando di suicidarsi scagliandosi a ritmi folli contro lo<br />

sterno.


«Ora sì che ragioniamo. Dov’è?», chiede mettendo in moto.<br />

«Gira a destra».<br />

Gli faccio fare il giro dell’isolato, passando davanti alla casa di Taylor e alla mia, fingendo di essermi persa. Giusto il tempo di decidere che fare.<br />

Quando arriviamo alla casa con il cactus di Natale sotto al portico, dico: «Aspetta, è questa».<br />

«Finalmente. Iniziavo a pensare che lo facessi apposta».<br />

Questo tizio mi sta proprio facendo incazzare. «Parcheggia nel vialetto».<br />

Inizio a chiedermi se ho fatto bene. Sto mettendo Gabriel in pericolo? Si accorgerà che questo non è Luc? E soprattutto, la domanda più pressante:<br />

se questo è Belias, Luc dov’è? L’immagine del suo corpo riverso nel sangue mi tormenta. Ricaccio indietro il terrore a fatica e scendo dalla macchina.<br />

Ma la casa è scura, e subito vengo nuovamente presa dal panico. Come faccio se Gabe non c’è?<br />

<strong>Il</strong> finto Luc fa il giro della macchina e mi afferra. Ci avviciniamo alla porta e io mi rendo conto di non avere la chiave. E non posso nemmeno bussare,<br />

perché gli ho detto che la casa è vuota…<br />

«La porta principale dovrebbe essere aperta», dico sperando di avere ragione.<br />

In effetti ho più che ragione, e la porta si spalanca, mostrando l’interno scuro.<br />

«Ricordami di non affidarti mai casa mia», sbuffa il falso Luc.<br />

«Già… be’…». La mia mente va a cento all’ora. Forse Gabe ha degli oggetti d’oro o d’argento che posso usare per difendermi.<br />

Lui mi spinge dentro e chiude la porta. È completamente buio e me lo sento addosso, dappertutto. Mi guardo disperatamente intorno, nell’oscurità, e<br />

anche se non vedo niente mi ricordo che ogni cosa è bianca. Niente oro, niente argento. Niente di niente.<br />

«Cerchiamo un letto», mi dice nell’orecchio con voce roca.<br />

«Uhm… forse di sopra». Parlo abbastanza forte perché se c’è qualcuno in casa mi senta.<br />

Mi spinge verso le scale, illuminate appena da un debole raggio di luna che entra da una finestra e attraversa il salotto, colpendo i gradini più bassi.<br />

Raggiunto il corrimano, il falso Luc si blocca e comincia a guardarsi intorno con diffidenza.<br />

«Di chi hai detto che è questa casa?»<br />

«Di un amico».<br />

Mi guarda con una smorfia e, alla luce argentea e flebile della luna, lo vedo trasformarsi in… qualcosa. Nel giro di pochi secondi torreggia sopra di me<br />

e con una mano infuocata mi afferra una manciata di capelli, ustionandomi la nuca. <strong>Il</strong> tanfo di capelli strinati e uova marce mi fa lacrimare gli occhi.<br />

D’impulso, mi chino e faccio per tirargli un calcio al petto, ma lui mi tiene sospesa per i capelli, così che non ho nessun punto d’appoggio che renda il<br />

calcio efficace. Ad ogni modo, lo scricchiolio delle sue ossa sotto al mio piede è inconfondibile.<br />

Mi pare che stia sghignazzando… insomma, siamo lontani dalla reazione che speravo di ottenere… però suona un po’ come se si stesse strozzando.<br />

«Oooh… sei focosa!», tossisce. «Mi piace». Mi trascina via dalle scale. «Una mossa astuta, mortale. Ma vedi, noi demoni abbiamo un sesto senso».<br />

Si gira e sibila forte: «Sei arrivato tardi, Gabriel».<br />

Provo a sferrare un altro calcio, questa volta al braccio che mi tiene sospesa, ma lo sfioro a mala pena. Mi guarda di traverso, scuotendomi per i<br />

capelli. «La prima volta è stato divertente, ma adesso inizi a darmi fastidio. Smettila».<br />

Proprio quando inizio a disperare, la voce melodiosa di Gabe ci avvolge, provenendo da ogni parte. Altro che dolby surround. «Ti conviene lasciarla<br />

andare, Beherit».<br />

Appare in cima alle scale, dove riesco a distinguere solo una figura vaga, da cui emana un’intensa luce bianca. <strong>Il</strong> suo splendore illumina l’intera stanza,<br />

compreso il mostro che mi tiene prigioniera. Guardo il suo grugno raccapricciante e sento me stessa gemere, mentre tutto il sangue che ho in circolo<br />

diventa istantaneamente freddo. Non è Belias. Questo è più grosso e più cattivo. E poi puzza in modo insopportabile, come se respirare non fosse già<br />

un’impresa quasi impossibile a causa del panico.<br />

«Gabriel, hai sempre avuto un senso dell’umorismo un po’ criptico. Perché mai dovrei lasciare andare il mio trofeo, adesso?»<br />

«Perché lei non è il tuo trofeo. Non hai nessun diritto su di lei, la sua anima è pura».<br />

«Mmm… già, Lucifer non mi ha dato molto su cui lavorare, vero? Ha trovato l’incarico… troppo difficile». Mi guarda con cipiglio e fa di nuovo quella<br />

risata strozzata. «Sì è innamorato, poverino». È un risata secca, tagliente. «Amore! Che cosa pittoresca».<br />

«Sì, un’esperienza che lo ha trasformato totalmente. Sai come si dice: l’amore supera ogni ostacolo».<br />

«Peccato che alla fine non abbia superato un bel niente. Lui è morto e il trofeo ce l’ho io».<br />

«La morte è un concetto relativo, non credi?».<br />

Al suono della voce di Luc il mio cuore prende il volo, ma quando riesco a girarmi verso la cucina, ruotando come una pallina di Natale che pende<br />

dall’albero, torna a sprofondarmi nel petto. Luc è coperto di sangue, la sua maglietta è ridotta a brandelli e ha degli squarci profondi su petto, spalle e<br />

guancia destra.<br />

«Oh mio Dio», rantolo.<br />

«<strong>Il</strong> tuo Dio non può salvare né te né lui», gracchia il mostro divertito. Mi solleva al livello dei suoi occhi ed è come se mi stesse strappando la testa dal<br />

collo. «Sei proprietà dell’altra squadra, ormai».<br />

«Se fossi in te ci ripenserei, Beherit», dice Luc, lasciando la cucina per addentrarsi in salotto.<br />

Beherit ride, e il fragore della sua risata scuote la casa fino alle fondamenta. «Mi stai minacciando? Tu, un mortale mezzo morto e senza più voce in<br />

capitolo?», ringhia rimettendomi a terra, dove continuo a penzolare come una marionetta. «Mi occuperò di te appena finisco col tuo cucciolo». Mi scuote<br />

per i capelli, casomai non si fosse capito di chi sta parlando.<br />

«Oh, sì che ho voce in capitolo. Parlando di cuccioli…». <strong>Il</strong> sorriso di Luc mi fa balzare il cuore e d’istinto tendo una mano verso di lui. <strong>Il</strong> suo sguardo<br />

penetra il mio e dalla porta dietro di lui spuntano cinque paia di grandi occhi, il cui bagliore rosso sembra fissarsi su di me dal buio della cucina. Luc si fa<br />

da parte schioccando le dita e tre giganteschi cani neri, di cui uno con tre teste, schizzano fuori mostrando le zanne e mi si gettano addosso.<br />

Ma a me non succede niente, perché assalgono lui, la cosa che mi tiene stretta. C’è anche Luc, che mi ha preso la mano e mi urla qualcosa. Fra il<br />

rumore dei cani e la confusione che ho in testa ci metto un po’ a capire. Sta dicendo: «Usa il tuo potere, Frannie!».<br />

La mia Suggestione. Cosa devo fare? Non so nemmeno cosa sia o come funzioni.<br />

«Lasciami andare». Emetto un gracidio strangolato e non succede niente. Ci riprovo, e questa volta la mia voce è più forte: «Tu non mi vuoi! Lasciami<br />

andare!».<br />

Mentre con l’altra mano colpisce i cani che cercano di azzannarlo, sento che la sua stretta sui miei capelli si fa meno ferrea. Luc mi tira per un braccio<br />

e dappertutto ci sono fauci di cane che ringhiano e mordono.<br />

«Tu non mi vuoi!», grido ancora. Do uno strattone, lasciando Beherit con un pugno di capelli bruciacchiati in mano, e Luc mi trascina via. Mi abbasso<br />

per tirare un calcio a uno dei cani, che ci sta seguendo, ma Luc mi ferma.<br />

«Non credo sia il caso di far arrabbiare Barghest. Soprattutto dopo che ci ha salvato il culo».<br />

«Barghest?»<br />

«È un mio vecchio amico. Sono stato a lungo in quella che possiamo definire un’unità canina, a guardia dei Cancelli infernali. Barghest e io siamo<br />

stati piuttosto vicini per circa un millennio, però gli ci è voluto più di quanto sperassi per riconoscermi in tutta la mia umanità». Indica i segni lasciati dagli


artigli sul suo petto, ancora sanguinanti.<br />

Barghest piega la testa da un lato e mugola, poi ci si siede davanti, dandoci le spalle, e ringhia verso la mischia ai piedi delle scale. Non posso<br />

guardare mentre i cani riducono Beherit a brandelli, così mi volto verso Luc e cerco un punto in cui poterlo toccare senza fargli male.<br />

«Perché non hanno attaccato anche me?», chiedo accoccolandomi sotto al suo braccio destro.<br />

«Gli ho detto io di non farlo». Sorride. «E il mio talismano – il tuo reggiseno rosso – è stato utile per l’odore. Ora Barghest ha l’incarico di proteggerti».<br />

Lascio Luc e mi giro a guardare il cane seduto davanti a noi, le cui spalle sono alte come le mie. «Proteggermi da cosa?».<br />

<strong>Il</strong> viso di Luc s’incupisce per un momento. «Dall’Inferno e da tutto ciò che ne esce».<br />

Faccio per infilarmi di nuovo sotto al suo braccio, quando sento qualcosa passare fra i miei capelli arruffati. Luc arretra e si piega su se stesso.<br />

«Ahhh».<br />

«Luc? Cos’hai?».<br />

Rantola e guarda Beherit, il volto contorto dal dolore e gli occhi che si illuminano di rosso. Vedo il riflesso del manico di un pugnale che fuoriesce dalla<br />

sua spalla, e quando Luc lo estrae capisco. Oro, il punto debole di Luc.<br />

Col cuore in gola e l’adrenalina che mi esce dalle orecchie mi giro verso Beherit, mentre Gabe avanza scendendo dalle scale e lo avvolge con la sua<br />

luce bianca. È come guardare dentro a una nuvola durante una tempesta di elettricità, piccole saette lampeggiano nella luce bianca. Mi si drizzano tutti i<br />

peli e l’aria si impregna di ozono. Quando dal palmo di Gabriel parte un fulmine che colpisce dritto Beherit, inizio a urlare.<br />

<strong>Il</strong> volto di Beherit si torce in agonia, e mentre i cani continuano ad attaccarlo i suoi lamenti si spandono per la casa. Ma il centro della sua attenzione<br />

siamo sempre Luc e io, e nonostante il dolore ha sul volto un ghigno trionfante.<br />

Lo fisso pietrificata dal terrore e dalla rabbia, e vedo materializzarsi nelle sue mani un altro pugnale d’oro. Lo shock mi restituisce la lucidità.<br />

«Fermo!», grido. «Lascialo in pace. Lui non è più affar tuo». Mi paro davanti a Luc. «Verrò con te se lo lasci stare».<br />

Beherit emette un ruggito vittorioso e Luc mi afferra la mano, ancora piegato su stesso. Scuote la testa e con gli occhi che gli escono dalle orbite<br />

trattiene un rantolo. Volute di fumo nero si alzano dalla ferita sanguinante che il pugnale ha inferto alla sua spalla sinistra. «No, usa la Suggestione!».<br />

Non riesco a pensare. Ricaccio indietro un singhiozzo e mi giro verso Beherit. «Fermo!», grido di nuovo, e Barghest ringhia. Lascio la mano di Luc e<br />

faccio un passo avanti. «Lascia stare Luc! Verrò con te, ma lascia stare Luc! Ti prego!».<br />

<strong>Il</strong> mio cuore batte all’impazzata mentre mi avvicino lentamente alle scale. Barghest strappa la mia maglietta afferrandola coi denti per cercare di<br />

fermarmi, ma io vado avanti. La luce bianca di Gabe aumenta d’intensità, come per dissuadermi, ma io la ignoro e arrivo davanti a Beherit.<br />

Lui alza il capo ed emette un ruggito roboante. Nell’istante in cui sento i suoi artigli bruciarmi sulle spalle mi rannicchio e mi allungo verso l’altra mano,<br />

che ancora regge il pugnale d’oro. Lo afferro e glielo punto contro, ancora accovacciata, poi balzo in piedi e con tutte le mie forze glielo pianto nel petto.<br />

«Va’ all’Inferno!», urlo.<br />

Ma la mia voce è coperta dal suo grido, acuto e fortissimo, uno stridore che probabilmente mi lacererà i timpani. Cado per terra e chiudo gli occhi,<br />

chiedendomi cosa proverò quando mi ucciderà.<br />

Quando il lungo grido di Beherit cessa, sento un calore intenso che mi avvolge, ma invece che da una tremenda agonia vengo pervasa da un senso di<br />

serenità. Forse, dopo tutto, la morte non è così terribile, persino se avviene per mano del Diavolo.<br />

Poi mi rendo conto che il calore viene da dietro di me, e aprendo gli occhi vedo Barghest, che si è messo fra Beherit e me, azzannandolo al braccio.<br />

Quando mi giro vedo Luc, e ora non solo gli occhi, ma il suo intero corpo emette un bagliore rosso. È il suo calore che mi attraversa, avvolgendomi in<br />

un campo protettivo.<br />

<strong>Il</strong> fulmine di Gabe lampeggia di nuovo, quasi accecandomi. Sento l’urlo acuto di Beherit e attraverso la luce vedo un liquido spesso e purulento che<br />

fuoriesce dalla ferita sul suo petto, mentre spirali di fumo gli avvolgono in una nuvola la parte superiore del corpo. Un’esplosione sonora mi fa<br />

indietreggiare, e quando la luce sfuma tutto ciò che resta di Beherit è il sibilo del fumo nero e il puzzo di zolfo e carne bruciata. Lui e i cani sono spariti.<br />

Gabe si precipita giù dalle scale, il suo splendore si smorza e posso vedere la sua espressione angosciata.<br />

«Gabe?». Non sta guardando me. Sento un tonfo alle mie spalle e il terrore più nero mi assale. Mi volto, e vedo l’immagine di cui non ho potuto<br />

liberarmi da quando mi sono svegliata: Luc riverso sul pavimento, bianco come un cadavere e imbrattato di sangue.


Capitolo 22<br />

Redenzione<br />

Frannie<br />

L’ospedale è troppo freddo, troppo luminoso, troppo pieno di odori che odio. Ma anche se ci hanno già detto che Luc non ce la farà, non posso<br />

andarmene. Non posso lasciarlo qui.<br />

L’unica cosa che mi permette di non impazzire è la presenza di Gabe. <strong>Il</strong> suo braccio è come un bozzolo in cui resto nascosta, e non mi ha lasciato<br />

andare nemmeno mentre mi mettevano i punti sulla spalla.<br />

«Non capisco», dico attraverso le lacrime. «Era diventato umano. Perché Beherit se l’è portato via assieme a tutto ciò che c’era di infernale? Ormai<br />

Luc non gli apparteneva più».<br />

Negli occhi di Gabe c’è tristezza e partecipazione. «L’hai cambiato fisicamente, ma la sua forza vitale scaturiva dall’Inferno. È stato così per più di<br />

sette millenni, non ci poteva essere una separazione definitiva. E alla fine ha scelto di abbracciare quel lato di sé, facendo appello al suo potere infernale<br />

per salvarti».<br />

Ripenso a Luc, al calore e al bagliore rosso che emanava usando ciò che rimaneva del suo potere per avvolgermi in un campo protettivo, e il mio<br />

cuore si accartoccia e si trasforma in un pezzo di pietra. Doveva salvare se stesso, non me.<br />

La gente si affaccenda per i corridoi dell’ospedale come ogni giorno. Come se il mondo non avesse appena terminato la sua corsa. Com’è possibile?<br />

<strong>Il</strong> mondo dovrebbe collassare tutto intorno a noi.<br />

Sento una fitta alla spalla – l’effetto dell’anestesia sta scemando – ma vorrei che il dolore fosse più intenso. Vorrei che Beherit mi avesse uccisa.<br />

Magari, in quel modo, Luc e io saremmo insieme. Affondo il volto nelle mani e sento le braccia di Gabe che mi stringono. «Non posso credere che stia<br />

succedendo. È tutta colpa mia».<br />

«Mi dispiace così tanto, Frannie».<br />

«È così ingiusto. Lui era buono, io lo so. <strong>Il</strong> suo posto non è all’Inferno».<br />

«Come essere umano non era legato all’Inferno. Non è detto che sia là».<br />

«Ma tu hai detto che Beherit se l’è portato all’Inferno».<br />

«No, Frannie. Non posso saperlo».<br />

Trattengo il respiro. «Vuoi dire che potrebbe essere in Paradiso?».<br />

Mi accarezza i capelli. «È possibile. La sua anima mortale era pura».<br />

Luc<br />

Qui è tutto tranquillo, bianco e… vuoto. Non c’è niente, come nella mia testa. Sono consapevole di un corpo – il mio, immagino – ma non posso né<br />

vederlo, né sentirlo. Non vedo nulla. Sento una gran pace e mi abbandono, fluttuando. Poi però vengo risucchiato attraverso lo spazio e il tempo con<br />

un’accelerazione vertiginosa.<br />

Re Lucifero.<br />

Quando atterro e la vertigine si acquieta apro gli occhi, certo di trovarmi nel castello di Pandemonium. Invece sono alla fine di un lungo corridoio<br />

bianco che sfuma all’orizzonte, e davanti a me c’è una porta di legno a due ante, tipo quelle dei saloon. Sulla porta è attaccato un cartello penzolante, con<br />

lo scotch, e sopra al cartello c’è scritto “Limbo”.<br />

Sono nel limbo. Dove le anime non ancora legate vanno dopo la morte per essere smistate.<br />

Immagino significhi che sono morto.<br />

Rendermi conto improvvisamente che non vedrò mai più Frannie, che non potrò più baciarla e toccarla, mi colpisce facendomi vacillare. Mi sforzo di<br />

far entrare aria nei polmoni, poi mi accorgo che non è più necessario. Sono morto.<br />

Ma Frannie non lo è. Lei è salva.<br />

È questa consapevolezza che mi permette di ritrovare la lucidità. Frannie è salva. Libera dalla mia presenza deviante, permetterà a Gabriel di legare<br />

la sua anima e sarà al sicuro. Lui la proteggerà. Questo è un bene, ed è l’unico modo in cui avrei potuto separarmi da lei. Starà meglio senza di me.<br />

Mi ricompongo e attraverso la porta, entrando in una stanza senza fine. <strong>Il</strong> soffitto è basso, con luci fluorescenti che ronzano piano, ma non ci sono<br />

pareti, sono perse nello spazio infinito. Davanti a me c’è una vecchia scrivania di legno, sulla cui superficie scura e usurata sono sparse delle riviste. Di<br />

fianco alla scrivania c’è un dispenser rosso, di plastica, su cui è attaccato un post-it che recita: “Prendete un numero e accomodatevi”. Mi avvicino e<br />

vedo che dietro alla scrivania ci sono file di sedie di plastica a perdita d’occhio, occupate dalle innumerevoli anime che attendono di conoscere il proprio<br />

destino. Altre si aggirano senza meta, piangendo e lamentandosi di essere morte. Sono tutte sfumate di grigio o beige, e alcune hanno venature nere,<br />

rosso vermiglio od ocra, la via di mezzo. Sono anime che non pendevano abbastanza chiaramente da una parte o dall’altra.<br />

Per la prima volta guardo me stesso, aspettandomi il nero colore dell’ossidiana. Invece sono di un bianco splendente, con spirali blu zaffiro e rosate.<br />

Bianco? Resto lì a fissarmi per diversi minuti, intimorito, poi mi rianimo e prendo un numero dal dispenser. Mi trovo in mano un pezzo di carta verde, su<br />

cui è stampato un grosso “1” in un carattere laminato d’oro. Alzo lo sguardo al monitor appeso sulla scrivania, che dichiara: “Stiamo servendo il numero<br />

64.839.394.563.172.289.516”. Torno a guardare il mio numero.<br />

Uno.<br />

«<strong>Il</strong> numero uno è pregato di presentarsi all’ufficio numero uno». Nella mia testa, distinguo chiaramente la voce androgina e monotona che pronuncia<br />

queste parole, ma il monitor non accenna a cambiare. Me ne sto in piedi chiedendomi dove troverò mai l’ufficio numero uno, quando una porta di legno<br />

intagliato con un grosso uno dorato dipinto sopra mi si materializza di fronte. Giro la maniglia e apro lentamente la porta.<br />

Cercando di mantenere la calma, entro in una stanza larga e luminosa, con un’immensa scrivania di mogano, dietro alla quale c’è una sedia dallo<br />

schienale altissimo. La stanza è ingannevolmente confortevole. In fondo, un fuoco allegro arde in un grande camino, emanando un aroma invitante di<br />

legno di noce americano. Divani e poltrone beige sono sparsi per la stanza, in mezzo a numerose librerie. Fra i titoli dei libri appoggiati su un tavolino da<br />

caffè vicino a me vedo il Purgatorio di Dante, e non riesco a fare a meno di sorridere. Michael ha fatto i compiti.<br />

Mi dà la schiena, ed è sospeso a pochi centimetri da terra, a lato del camino, mentre le sue vesti bianche ondeggiano lievemente, sospinte da una


ezza che non c’è.<br />

Molto teatrale.<br />

Si volta lentamente e sorride, ma non c’è calore nel suo sorriso. Si liscia la barba nera a punta e mi studia. Pelle e capelli scuri contrastano con gli<br />

occhi chiari color del cielo, che sembrano splendere e danno al suo sguardo un che di maestoso, senza dubbio inteso a intimidire chi si trova al suo<br />

cospetto. Michael è famoso per questo.<br />

«Benvenuto, Lucifer. A quanto pare l’Altissimo ti ha messo in corsia preferenziale. Io ti avrei fatto aspettare». Mi indica una sedia di pelle dall’aspetto<br />

confortevole, davanti alla sua scrivania. «Accomodati».<br />

«No, grazie. Preferisco stare in piedi». Sono in giro da troppo tempo per abbassare la guardia quando c’è un arcangelo nei dintorni. Tanto più se si<br />

tratta di lui. Aver passato l’eternità a giudicare deve avergli procurato un discreto complesso d’onnipotenza.<br />

<strong>Il</strong> Paradiso e l’Inferno seguono i dettami dell’innocenza fino a prova contraria, e il Limbo è sotto al controllo del Paradiso. O meglio, di Michael. Uno<br />

penserebbe che questo sia un vantaggio per loro, ma Michael applica criteri di controllo della qualità strettissimi, e i numeri finiscono per essere a favore<br />

dell’Inferno.<br />

Faccio un passo avanti. «Cosa succede? Perché non sono all’Inferno?»<br />

«Se ci tieni tanto a bruciare per l’eternità, fai pure. Avevo erroneamente pensato che volessi discutere delle alternative». Fa un cenno con la mano per<br />

congedarmi e si gira per tornare alla sua scrivania.<br />

Calpesto ogni orgoglio e ignoro il nodo che ho in gola. «Aspetta». Lo seguo alla scrivania e scivolo sulla sedia di fronte a lui. «Quali alternative?».<br />

I suoi occhi si rilassano e la sua espressione sembra divertita. «Pare che qualcuno nel regno dei mortali ti rivoglia indietro. Disperatamente, a quanto<br />

mi dicono. È una cosa davvero toccante. Pare anche che questo qualcuno abbia una cospicua quantità di Suggestione, che immagino si estenda anche<br />

agli esseri celestiali, visto che Gabriel sta facendo molta fatica a dirle di no».<br />

Mi gira la testa. È possibile? Frannie potrebbe avere abbastanza Suggestione da riportarmi in vita? Non si è mai sentito niente di simile. Ma non si è<br />

mai sentito neppure di un demone che diventasse umano…<br />

«Dalla tua reazione deduco che questa sia un’alternativa accettabile».<br />

Uscendo dal mio stato meditativo mi accorgo di avere un sorriso sulle labbra e una lacrima che mi scende su una guancia. Faccio sparire entrambi e<br />

rivolgo a Michael uno sguardo duro. «È possibile?»<br />

«Sì. Ma ci sono delle condizioni».<br />

<strong>Il</strong> mio cuore affonda. Ecco la fregatura, ce n’è sempre una. «Quali condizioni?»<br />

«Quello che sappiamo è che Frannie ti ha cambiato. La sua Suggestione è potente». Quello che non dice, ma che gli leggo negli occhi, è che potente<br />

sta per pericolosa. Un mortale che influenza il mondo dei mortali è un conto, ma quando inizia a influenzare creature infernali e celestiali è tutt’altra storia.<br />

Ha paura di lei.<br />

Come se avesse letto nei miei pensieri, e di certo è così, inizia a infuriarsi. «Oggi lei ti vuole e ti ha ottenuto facendoti diventare mortale». Dice le<br />

ultime parole con disgusto, come se le sputasse. «Quello che nessuno di noi può sapere è cosa succederà il giorno in cui non ti vorrà più. Dopo tutto, gli<br />

umani sono così volubili». Mi guarda incassare e un sorriso traboccante di autocompiacimento gli si fissa in volto.<br />

So che è stata la Suggestione di Frannie, il suo amore, a cambiarmi, ma non ho mai pensato a cosa succederebbe se i suoi sentimenti mutassero.<br />

Resterei umano? Morirei? O tornerei a essere un demone?<br />

«A quali condizioni?», chiedo nuovamente, col cuore pesante. Non ha senso giocare di tattica quando lui può entrare a suo piacimento nella mia testa.<br />

«Convincila a perdonare se stessa, in modo che Gabriel possa legarla al Paradiso».<br />

Niente di nuovo, è quello che ho sempre voluto fare, ma mentre lo dice non mi sfugge lo sguardo nei suoi occhi. È a metà fra avarizia e lussuria.<br />

«Cosa le succederà una volta che sarà legata?»<br />

«Questo non è affar tuo», dice rimettendomi al mio posto con un gesto della mano.<br />

Mi alzo di scatto. «Sì che è affar mio». Piazzo le mani sulla scrivania e mi sporgo verso di lui. «Lei vuole una vita. Se viene legata all’Inferno non potrà<br />

averla e sarà il burattino di Re Lucifero. Dimmi che se viene legata al Paradiso le cose andranno diversamente».<br />

«Non so cosa succederà. Non è compito mio».<br />

Cerco di tenere sotto controllo la rabbia, ma mi trema la voce. «Non ti credo».<br />

Mi fissa e scuote la testa. «Povero, piccolo ragazzo patetico. Ti comporti come se la tua opinione avesse qualche peso qui. Farai ciò che ti dico, o<br />

brucerai all’Inferno».<br />

Do un’occhiata alle mie sembianze. Bianco. Non capisco come sia possibile, ma sono pulito. Niente nero, né grigio, né rosso. Solo bianco. «Qual è il<br />

peccato che mi condanna all’Inferno?»<br />

«Starai scherzando». <strong>Il</strong> suo sorriso è divertito, ma vedo la frustrazione nascosta dietro alla facciata.<br />

Non posso leggergli nel pensiero, ma posso leggere i suoi occhi. Sta bluffando. Mentre lo smaschero mantengo un tono calmo e gentile. «Non sei<br />

obbligato a rimandarmi da Frannie, ma non puoi neppure rispedirmi negli Inferi».<br />

Sbatte il pugno sulla scrivania e per un istante vedo nei suoi occhi un bagliore rosso. Alle mie orecchie la sua voce suona come un fragore indistinto,<br />

ma nella mia mente le sue parole sono chiarissime: «Forse no, ma potrei farti pentire di esserne uscito!».<br />

Può il Paradiso diventare peggio dell’Inferno? Se qualcuno può farlo succedere, quello è Michael. Ma meglio che sia il mio Inferno, piuttosto che quello<br />

di Frannie. Prima di guardare Michael negli occhi, pensavo che quella di essere legata al Paradiso fosse una buona opzione per Frannie. Di solito non<br />

calcano troppo la mano, e con Gabriel al suo fianco a intercedere…<br />

Ma ora non ne sono più così certo. Forse l’unica possibilità che ha di vivere la sua vita è rimanendo slegata. Gabriel non la tradirebbe. «D’accordo.<br />

Vada per gli Inferi».<br />

Spalanca gli occhi, stupefatto. A quanto pare non è la risposta che si aspettava. Troppo sicuro di sé, ha dimenticato di spiare i miei pensieri. «Forse<br />

non ci siamo capiti. Devi farlo. Ti sto dando una seconda possibilità, dovresti essermi grato».<br />

«Le seconde possibilità non mi hanno mai convinto». Mi giro ed esco sbattendo la porta. <strong>Il</strong> ruggito di Michael si spegne in lontananza e tutto diventa<br />

tranquillo e bianco. Sto nuovamente fluttuando. Se questo nulla infinito è il Paradiso, temo di aver fatto la scelta sbagliata. Galleggiare in questo modo<br />

per l’eternità sarebbe una noia mortale.<br />

Immagino gli occhi blu di Frannie, e invece di fluttuare mi alzo in volo. Sento il suono della sua risata, l’odore speziato della sua anima e il tocco delle<br />

sue dita come se fosse qui con me. La mia essenza e la sua si avvinghiano e vorticano insieme, fino a diventare un’unica cosa.<br />

Questo è il Paradiso.<br />

Frannie<br />

Nel mio sogno, Luc e io danziamo sotto le stelle, volteggiando e ridendo come se fossimo un’unica persona, uniti in un unico corpo. Sento la sua<br />

presenza dappertutto, fuori e dentro me. <strong>Il</strong> suo tocco è come il Paradiso, e posso sentirmi gemere. Voglio restare così per sempre, vicina a lui, morire fra


le sue braccia.<br />

«Frannie?». Gabe mi sussurra dolcemente nell’orecchio. Apro gli occhi. Mi ci vuole un po’ per abituarmi alla violenza delle luci artificiali e rendermi<br />

conto di dove mi trovo. Siamo ancora nella sala d’aspetto dell’ospedale e Gabriel mi sta cullando fra le sue braccia. «Ehi, Frannie, svegliati», dice<br />

passando una mano sul groviglio dei miei capelli.<br />

<strong>Il</strong> dolore alla spalla e l’inconfondibile tanfo di capelli bruciati mi confermano che non si è trattato solo di un brutto sogno.<br />

«Frannie?», ripete.<br />

«Sì, sono sveglia. Possiamo andare a casa, per favore?», dico col volto ancora nascosto contro al suo petto, mentre le lacrime ricominciano a<br />

pizzicarmi gli occhi gonfi.<br />

«Ehi». Gabe mi mette un dito sotto al mento facendomi alzare lo sguardo a incontrare il suo. Sta sorridendo, e ogni sofferenza è scomparsa dai suoi<br />

splendenti occhi blu.<br />

«Cosa c’è?», chiedo. «Cos’è successo?». Mi guardo intorno e vedo un dottore in camice verde che mi sorride.<br />

«<strong>Il</strong> tuo amico è uscito ora dalla sala operatoria», dice. «Davvero non saprei come spiegarlo, è stato un miracolo. Sull’ambulanza sono riusciti a<br />

rianimarlo, ma quando è arrivato qui era in condizioni critiche. Durante l’operazione l’abbiamo perso, non c’erano più speranze, ma all’ultimo siamo<br />

riusciti a recuperarlo. È incredibile…».<br />

«Quindi… cosa mi sta dicendo?». La disperazione nella mia voce è evidente.<br />

«Sembra che se la caverà. Lo sapremo per certo nelle prossime ore, voi continuate a pregare».<br />

<strong>Il</strong> mio cuore esplode in minuscoli pezzi e inizio a respirare con affanno. Le lacrime scorrono come fiumi sulle mie guance mentre affondo il volto fra le<br />

mani. «Oh mio Dio. Luc».


Capitolo 23<br />

Grazie al Cielo<br />

Frannie<br />

Questa mattina finalmente mi hanno lasciato entrare da Luc, ma non riesco nemmeno a guardarlo. Dopo tutto quello che è successo, e dopo aver<br />

passato gli ultimi due giorni in agonia per decidermi, so cosa fare. Fisso lo sguardo fuori dalla finestra, dove la nebbia fa sembrare il paesaggio quello<br />

di un film di fantasmi. So che dovrei dire qualcosa, ma non mi fido della mia voce. Respiro profondamente e cerco di concentrarmi.<br />

«<strong>Il</strong> dottore non ha trovato niente di… strano mentre ti ricuciva, vero?», dico appoggiando la testa al vetro.<br />

«No».<br />

«Questo significa che ora sei umano, non è così?»<br />

«Direi di sì».<br />

Non riesco a respirare. Devo andarmene. Mi avvio alla porta senza voltarmi. «È meglio che vada».<br />

«Frannie, dimmi cos’hai». <strong>Il</strong> tono disperato della sua voce mi costringe a fermarmi.<br />

Mi volto lentamente, cercando di dissimulare il pianto. La sua espressione mi fa sprofondare, devo abbassare lo sguardo. Non sono abbastanza forte<br />

per fare ciò che è giusto.<br />

Lui mi tende una mano e io non riesco a resistere. Mi avvicino al letto e mi siedo sull’orlo. Quando mi tocca il mio cuore impazzisce, ma continuo a non<br />

riuscire a guardarlo.<br />

«Dimmi cosa pensi», chiede, e i miei occhi si riempiono di lacrime.<br />

«Penso che non dovremmo stare insieme. Io sono un pericolo per te».<br />

Emette un lungo sospiro. Quando risponde, non cerca neppure di nascondere che sta ridendo. «Tu? Tu saresti un pericolo per me?».<br />

Non riesco a credere che mi stia prendendo in giro, che prenda la cosa alla leggera. Dentro di me si accende un’ira profonda, che si rispecchia nella<br />

mia voce. Lo fulmino con lo sguardo. «Per colpa mia hai rischiato di morire. Eri immortale, e io ti ho cambiato. Avresti vissuto in eterno se non fosse<br />

stato per me».<br />

«La vita eterna non è questa gran cosa. E la parte di eternità che ho già vissuto è più che sufficiente».<br />

«Lo dici così per dire». Mi volto dall’altra parte, cercando di ricompormi.<br />

Mi mette una mano sulla guancia e mi gira verso di sé. «Frannie, guardami». Obbedisco riluttante. «Per poter sentire quello che sento qui», dice<br />

battendo sul petto l’altra mano, «darei qualunque cosa. La mia immortalità è un prezzo ridicolo da pagare, ma io sento di non aver pagato un bel niente.<br />

E di aver ricevuto in cambio la cosa più preziosa che si possa desiderare». Una lacrima mi scende dalle ciglia e lui me la asciuga. «Tu mi ami. Cos’altro<br />

potrei chiedere?».<br />

Nuove lacrime scorrono calde sulle mie guance mentre mi avvicino e lo bacio.<br />

«Fate come se non ci fossi». Letteralmente apparso dal nulla, Gabe è sulla sedia sotto alla finestra e ostenta un’aria angelica.<br />

Luc lo incenerisce con lo sguardo. «Devi smetterla di farlo. Non ti hanno insegnato che è maleducazione entrare senza bussare?».<br />

È allora che capisco cosa devo fare davvero. Balzo dal letto, sentendomi mille volte più leggera, e vado da Gabe. Lo prendo per un braccio, tirandolo<br />

su dalla sedia. «Dobbiamo parlare».<br />

Lo trascino fuori dalla porta mentre Luc ci guarda indeciso se essere divertito o preoccupato. Ci sediamo su una panchina nell’atrio e io appoggio i<br />

gomiti sulle ginocchia e la fronte sulle mani.<br />

<strong>Il</strong> chiasso dell’ospedale agisce da rumore di fondo, regolare, su cui concentrarmi per rallentare il senso di vertigine e il ronzio nella mia testa. Mi<br />

attorciglio i capelli intorno alle dita e fisso il pavimento fra i miei piedi. «Tu vuoi legarmi al Paradiso?»<br />

«Sì», risponde Gabe.<br />

«E a quel punto smetteranno di venirmi a cercare».<br />

«Già».<br />

«Ma prima devo perdonare me stessa».<br />

«Sì».<br />

Alzo la testa dalle mani, sorpresa di quanto mi sembri leggera. «Ti propongo un accordo», dico, e mi accorgo che anche il peso sul mio cuore si sta<br />

sollevando.<br />

Gabe si rilassa sulla panchina, sorridente, e io rientro nella stanza di Luc. Scivolo a sedere sul bordo del letto e lui mi prende la mano, ma i suoi occhi<br />

si fanno sottili. «Di cosa parlavate?». Non riesce a nascondere la gelosia nella sua voce.<br />

«Di niente».<br />

Lascia andare la mia mano e mi fruga con lo sguardo.<br />

Gli passo un dito sulla guancia, segnando il perimetro delle sue bende, e lui freme. Fa un sospiro e allunga la mano verso il mio volto. «Sai, quando ti<br />

ho detto di usare la Suggestione su Beherit intendevo per salvare te, non me».<br />

Stringo la sua mano contro la mia guancia. «Non ero in grado di pensare. Ho agito d’istinto, sapevo quello che volevo».<br />

Mi attira verso di sé per baciarmi, ma quando le nostre labbra si sfiorano sentiamo bussare alla porta. Faccio per voltarmi, ma lui mi tiene stretta e<br />

finiamo di baciarci. Solo allora sorride e urla: «Avanti!».<br />

La porta si apre e appare Gabe, trasudante orgoglio per la sua prodezza, cioè l’aver bussato. «Attento!», dice prima di lanciare un oggetto argentato<br />

attraverso la stanza.<br />

Luc lo afferra al volo per evitare che gli arrivi in faccia. «Grazie».<br />

Gabe si appoggia allo stipite della porta. «Non sono il tuo fattorino. La prossima volta che ti serve qualcosa te la prendi da solo».<br />

L’oggetto nelle mani di Luc si rivela un crocifisso, più grosso dell’ultimo e con il braccio inferiore appuntito.<br />

«Avevo questo per te… quella notte». Fa un sorriso debole. «Ma come sai mi hanno distratto prima che potessi dartelo». Mi mette il crocifisso in una<br />

mano.<br />

Gabe fa qualche passo nella stanza. «Ti mandano a casa domani».<br />

«Come fai a saperlo?», gli chiedo.


Mi lancia uno sguardo divertito e torna a stravaccarsi sulla sedia sotto alla finestra.<br />

«Gabriel…». <strong>Il</strong> volto di Luc passa dalla frustrazione alla rabbia per arrivare alla confusione. «Come…?»<br />

«La decisione era già stata presa. Non è mai stata nelle mani di Michael». <strong>Il</strong> suo sguardo luminoso si sposta su di me. «Lo ha voluto lei, ma tu te lo sei<br />

meritato». Poi si fa serio e sposta lo sguardo nuovamente su Luc. «In più, abbiamo bisogno del tuo aiuto».<br />

Luc annuisce. «Grazie».<br />

Gabe fa un sorrisetto. «Non è me che devi ringraziare, è Lui che hai impressionato», dice levando lo sguardo al soffitto.<br />

Confusa, faccio la spola con lo sguardo fra Luc e Gabe. «Potreste rendermi partecipe?».<br />

Luc mi sorride. «Stai facendo tremare gli arcangeli».<br />

Questa sì che è una risposta esauriente.<br />

Gabe si alza dalla sedia e viene a fianco del letto, mettendomi una mano sulla spalla. «Diciamo che c’è stato un po’ di disaccordo ai piani alti, ma<br />

abbiamo risolto per il meglio». Poi si rivolge a Luc: «Come ti senti?».<br />

Luc sfodera un sorriso smagliante e mi strizza una mano. «Invincibile».<br />

«Be’, ricordati che ormai non lo sei più, quindi se vuoi andare in giro con Frannie le mosse avventate non sono una buona strategia».<br />

Luc alza gli occhi al cielo.<br />

Gabe fa uno dei suoi sorrisi splendenti. «Sapevo che avresti reagito così, allora per stare tranquillo vi ho reclutato un aiutante. Ha appena finito<br />

l’addestramento – proprio ieri, in effetti – ma ha delle referenze imbattibili per questo lavoro».<br />

«Ehi, Frannie». La voce è melodiosa come quella di Gabe, ma diversa. Sembra più leggera. Mi volto e vedo un ragazzo sui diciassette anni, altezza<br />

media, con i capelli ondulati color sabbia, gli occhi color del cielo e il viso… be’, di un angelo. È appoggiato al muro con le mani nelle tasche dei jeans e<br />

mi sorride.<br />

L’aria mi schizza fuori dai polmoni e le mie gambe si fanno deboli. «Matt?», dico con un filo di voce. È identico all’immagine che mi sono fatta di lui<br />

nella mia testa, come sarebbe oggi se fosse ancora vivo.<br />

«In carne e ossa, be’, forse non letteralmente». <strong>Il</strong> bagliore del suo sorriso mi acceca.<br />

Mi volto verso Gabe. «Io non…», ma non riesco a formulare nessun pensiero sensato.<br />

Matt ride, un suono delicato, come di campane del vento. «Sono il tuo angelo custode». Continua a ridere. «L’avresti mai detto, quando ti appiccicavo<br />

la gomma nei capelli e ti rubavo la bici?».<br />

Le mie gambe tremanti decidono di muoversi e mi portano dall’altra parte della stanza. Sento che le lacrime iniziano a rigarmi il volto, e non c’è niente<br />

che potrei fare per fermarle. Le emozioni più disparate mi ronzano nella testa ed è difficile farle convivere. Ma quando lo raggiungo è il senso di colpa a<br />

prendere il sopravvento. Non riesco a guardarlo negli occhi. «Oh mio Dio… Matt, mi dispiace».<br />

Mi avvolge nel suo abbraccio e mi appoggio alla sua spalla. «Non c’è niente di cui essere dispiaciuti, Frannie. Hai bisogno di perdonarti».<br />

«Non ci riesco». Guardo Gabe e i suoi occhi penetrano i miei. Posso quasi sentirlo frugare nella mia testa, in cerca di risposte.<br />

«Devi farlo, se no la mia presenza non ha più senso». Scocca uno sguardo a Luc.<br />

I miei organi interni si sono tramutati in gelatina e la mia testa è piena di cotone. Non sono in grado di pensare. Poi un pensiero si fa strada come un<br />

faro nella nebbia. «Mamma e papà. Ci resteranno secchi quando ti vedono!». Invece resto io senza fiato quando mi rendo conto di quello che ho appena<br />

detto. «Volevo dire…».<br />

Matt mi abbraccia di nuovo. «No, Frannie. Non possono saperlo. Nessuno può saperlo».<br />

«Perché?»<br />

«È così che funziona. Ci è severamente vietato mostrarci a chiunque ci conoscesse. Soprattutto familiari».<br />

Sollevo il capo dalla sua spalla. «Io ti conoscevo».<br />

Lancia un’occhiata a Gabe. «È stata fatta un’eccezione tenendo conto delle circostanze straordinarie», dice con un tono di voce basso, formale.<br />

Cerco conferma negli occhi di Gabe e sorrido, ma poi di nuovo piango. «Quindi, io ti ho ucciso, ma sono l’unica a cui è dato vederti?»<br />

«Non so come fare per farti capire che non è stata colpa tua».<br />

«Ma è stata colpa mia», dico singhiozzandogli sulla maglietta e cospargendolo di moccio. «Io ero lì, ti ricordi? Ero quella che ti ha tirato per una<br />

gamba e ti ha fatto cadere dall’albero».<br />

«Sai che ora non posso mentire, vero? Non è stata colpa tua, devi credermi».<br />

Inizio a sentire la testa che mi gira e la gola mi si chiude. Lo lascio andare e metto le mani sulle ginocchia, cercando di far entrare aria nei miei<br />

polmoni contratti.<br />

«Chiamate un’infermiera!», dice Luc, e lo sento che cerca di liberarsi dalla flebo.<br />

Poi ecco il profumo di neve d’estate e le braccia di Gabe che mi avvolgono. «Frannie, respira». Sento nell’orecchio il suo alito fresco.<br />

Vengo attraversata da un brivido e mi stringo a lui.<br />

«Respira piano, con calma», sussurra.<br />

Mi accorgo che ha ragione. Se respiro lentamente riesco a far entrare l’aria. A breve il mondo non è più a pallini.<br />

Mi raddrizzo, e Gabe mi lascia andare. Fisso Matt mentre mi pulisco il naso con la manica della maglia. Non posso crederci. Lo volevo indietro così<br />

tanto, ed eccolo qui. Mi butto fra le sue braccia un’altra volta e lo stringo, fermamente decisa a non lasciarlo più andare. «Oh mio Dio».<br />

Sorride. «Andrà tutto bene, Frannie. Davvero».<br />

<strong>Il</strong> suo sorriso è contagioso. Tiro su col naso e rispondo sorridendo attraverso le lacrime. «Non hai più l’aspetto di un bambino. Perché sembri un<br />

ragazzo di diciassette anni?».<br />

Fa un sorriso accattivante. «Per mimetizzarmi. A volte dovrò rendermi visibile, e un bambino di sette anni che ti segue in giro darebbe nell’occhio, non<br />

credi?»<br />

«Temo di sì».<br />

Luc si schiarisce rumorosamente la voce. Tiro Matt verso il letto con un sorriso impacciato. «Matt, ti presento Luc. Luc, questo è Matt».<br />

Luc alza le sopracciglia e spalanca gli occhi. «Eri tu… alla festa dell’altra sera, con Belias».<br />

Matt guarda Luc senza simpatia. «È stato il mio esame pratico».<br />

«Immagino tu l’abbia superato».<br />

La mancanza di simpatia diventa aperta ostilità. «Ovviamente». Si volta verso di me. «Non sarò sempre con te, ci sono cose che non voglio<br />

supervisionare», dice accennando a Luc con fastidio. «Ma se hai bisogno di me, ci sarò sempre».<br />

Luc gli porge la mano. «Siamo felici di avere il tuo aiuto».<br />

Matt si limita a guardarla, prossimo al disgusto.<br />

Di colpo, tutta la mia gioia svanisce. Luc lascia cadere la mano e io fisso il vuoto fra loro, cercando di capire cosa sia appena successo.<br />

«Non provare a fare l’eroe, Lucifer», dice Gabe rompendo il silenzio imbarazzato e fissando Luc con severità. «Se hai bisogno d’aiuto, chiamalo».<br />

Luc lo guarda di traverso. «Sì, mamma».<br />

Gabe sorride. «Parlando di madri, avete visite».


Qualcuno bussa alla porta e Matt scompare. Meno male, perché l’attimo dopo sulla soglia ci sono i nostri genitori, con un cestino del pranzo.<br />

«Un dono divino», mormora Luc, poi fa una smorfia. «<strong>Il</strong> cibo dell’ospedale è al di là di ogni umana possibilità».<br />

Grazie al fatto che sono ancora convalescente dall’attacco dei “cani” sono riuscita a evitare il ritiro spirituale a cui partecipa la mia famiglia.<br />

Ne approfitto per esaminare il mio guardaroba e scegliere cosa portarmi a Los Angeles. Guardo Luc, che è in piedi vicino al mio armadio. È uscito<br />

dall’ospedale da una settimana e gli hanno tolto la maggior parte delle bende. Una cicatrice rossa gli segna lo zigomo destro. <strong>Il</strong> mio bel tenebroso non è<br />

più dannato, ma in compenso è sfregiato, il che lo rende ancora più sexy. Gnam gnam.<br />

«Questo te lo porti?», dice tirando su con un dito il mio reggiseno di pizzo nero.<br />

«Direi di sì. Se no come faccio a farmi guardare dai ragazzi della UCLA?».<br />

Si fa cupo e rimette il reggiseno nel cassetto.<br />

«Certo, se tu venissi con me non avrei tempo per nessun altro». Mentre lo abbraccio cerco di darmi un tono, ma sono troppo tesa.<br />

Lui si rasserena e mi lega i capelli sulla nuca. «Dove altro potrei andare?».<br />

Sospiro nervosa. «Allora vieni con me a LA?».<br />

«Prova a fermarmi», dice con quel suo sorriso obliquo.<br />

Osservo il collage di immagini che ricopre le pareti della mia stanza e per la prima volta mi rendo conto di quanto mi mancherà la mia casa.<br />

Contemporaneamente, sono consapevole che se Luc sarà con me mi sentirò a casa ovunque. «E tu cosa farai, una volta là?»<br />

«Potrei seguire qualche corso… trovarmi un lavoro». Si stringe nelle spalle. «Vedremo».<br />

«Con settemila anni di esperienza lavorativa qualcosa troverai».<br />

Sorride divertito. «Non credo ci siano molte opportunità nel settore “dannazione anime”».<br />

Sorrido di rimando. «È Los Angeles. Potresti essere sorpreso».<br />

Ride, ma subito torna serio e mi stringe a sé. «Non so se sia una buona idea. Non è ancora finita. Se Re Lucifero lo lascia in vita, Beherit manderà<br />

qualcun altro, o tornerà lui stesso, visto che ormai è un fatto personale». Si sfrega il mento col pollice. «Se non l’hai ucciso tu. Dalla sua reazione,<br />

immagino che l’oro sia il suo punto debole. Con quel pugnale nel suo cuore di zolfo… chi lo sa».<br />

Non so come sentirmi al riguardo. Mi stacco da Luc, cercando di scrollarmi di dosso l’ondata di senso di colpa che si abbatte su di me, e lo guardo.<br />

«Se è così, seguendo i tuoi dettami ora dovrei essere legata all’Inferno».<br />

I suoi occhi sono attraversati dall’ansia e diventa istantaneamente pallido. «Di cosa stai parlando?»<br />

«Se l’ho ucciso, non sono meglio di Tom. Sei stato tu a dire che non esistono circostanze attenuanti. Quindi andrò dritta all’Inferno, senza passare dal<br />

via».<br />

Gli occhi gli si velano d’insicurezza. «È stata legittima difesa. E uccidere un demone è diverso», dice col tono di chi prova a dire una cosa per sentire<br />

se suona bene.<br />

«Adesso fai delle eccezioni? Sei proprio un ipocrita».<br />

La sua espressione si fa dura e determinata. Come se bastasse la sua forza di volontà a deciderlo, dice: «Tu non sei legata all’Inferno».<br />

Io resto muta. Lui si gira verso la finestra, tormentato dai suoi pensieri, e fissando il vuoto dice: «È tutta colpa mia. Non sarei mai dovuto venire qui».<br />

«Avrebbero mandato qualcun altro. Qualcuno come Belias».<br />

Scuote la testa e si gira lentamente a incontrare i miei occhi. «Lui non ti avrebbe mai trovata».<br />

Ma Luc ci è riuscito. Siamo stati legati fin dal principio. Cerco riparo nel suo petto e lui mi stringe fra le braccia.<br />

«Voglio solo che tu sia al sicuro», mi sussurra nell’orecchio. «Gabriel e Matt possono proteggerti molto meglio di me».<br />

«È qui che mi sento sicura», dico ancora rintanata nelle sue braccia.<br />

«Non possiamo farcela da soli, Frannie. Avremo bisogno dell’aiuto di Gabriel e Matt, soprattutto se insisti nel voler andare a LA».<br />

Mi ritraggo e lo guardo. «Ok, se andare a LA non è una buona idea, cosa proponi di fare?»<br />

«Dovremmo scappare. Trovare un posto dove nasconderci». Nei suoi occhi è tornato quel bagliore malizioso, e l’accenno di un sorriso appare sulle<br />

sue labbra. «Potremmo comprare un’isola deserta da qualche parte ai tropici… solo noi, vestiti facoltativi».<br />

Scoppio a ridere: non è un’idea malvagia. «Per me va bene, ma sei stato tu a dire che ci troverebbero ovunque».<br />

Sul suo volto c’è speranza. «Prima era così. Ma ti sei accorta che quella notte Beherit non sapeva che ero a casa di Gabriel? L’ho preso alla<br />

sprovvista, e avevo anche i cani con me, quindi il mio Schermo ha nascosto anche loro. Con l’aiuto di Matt, potrebbe funzionare». Ci pensa un attimo e<br />

sorridendo aggiunge: «Immagino che LA sia un posto come un altro per far perdere le proprie tracce».<br />

Spero abbia ragione, ma in questo momento tutto ciò che desidero è perdermi in lui. Lo stringo e gli affondo il volto nel petto. «Ti amo».<br />

«Lo so. È l’unica cosa che mi ha potuto salvare. Sei riuscita a redimermi». Si china a baciarmi.<br />

Guardo nei suoi occhi perfetti e passo un dito leggero sulla cicatrice del suo zigomo. Lui chiude gli occhi ed è attraversato da un fremito, poi sospira.<br />

Spingo il mio corpo contro il suo, conscia di quello che voglio. «Fai di nuovo quella cosa».<br />

Apre gli occhi e mi guarda con tenerezza. «Non credo di poterlo più fare».<br />

Mi alzo sulle punte dei piedi, gli cingo il collo con le braccia e lo bacio. «Provaci», gli sussurro sulle labbra, con la voglia di sentirlo ancora così vicino.<br />

Chiude gli occhi, fa un respiro profondo e si china su di me, baciandomi con intensità. Dopo un minuto si tira su. «Non ci riesco. La mia essenza è<br />

umana, ora. È diventata un’anima e non può lasciare il mio corpo finché sono vivo». Ma non sembra deluso, anzi sorride.<br />

<strong>Il</strong> mio battito accelera e sento un formicolio elettrico che mi attraversa il corpo, risvegliando ogni cellula. «Allora… significa che possiamo…».<br />

Incontro i suoi occhi penetranti, due laghi neri che brillano di una luce nuova, e sono certa di poter vedere la sua anima. Lui annuisce e si china a<br />

baciarmi. Affondiamo nelle lenzuola e io so, nel profondo, che quello che stiamo facendo non può essere sbagliato.<br />

Luc<br />

Non avrei mai pensato che esistessero emozioni come queste. La bacio e sento il mio nuovo cuore, fatto di carne, che si espande come se mi<br />

volesse uscire dal petto, riempiendomi di una gioia indescrivibile.<br />

Possiamo stare insieme, davvero.<br />

Le sue mani raggiungono il bottone dei miei jeans, e un po’ rimpiango l’abilità di far scomparire i nostri vestiti.<br />

Ma quella era la mia vecchia vita. E no… non era vita, ma a malapena una vuota esistenza. Prendo Frannie fra le braccia e la stringo forte. Questa è<br />

vita.<br />

Mi stacco un attimo da lei per guardarla, certo di non aver mai visto niente di più bello. Chiude gli occhi mentre le passo un dito sulle sopracciglia e sul<br />

naso, ma quando raggiungo le labbra apre gli occhi di scatto e i suoi lineamenti si contorcono per il dolore. «No!», dice sussultando e balzando a<br />

sedere. <strong>Il</strong> suo terrore diventa istantaneamente anche il mio.<br />

Ha il volto cinereo e rotola al bordo del letto per vomitare nel cestino della carta. Poi si siede, stringendosi le ginocchia al petto. «Sono io…», sussurra


pianissimo.<br />

Mi tiro su e le siedo accanto. «Cosa c’è? Cos’hai visto?»<br />

«Sta arrivando», dice con voce soffocata. In un lampo si alza dal letto e si mette la maglietta.<br />

«Chi?», chiedo in preda alla confusione. Mi alzo in piedi e mi allaccio i jeans. «Chi sta arrivando, Frannie?».<br />

La stanza inizia a girare e appare Gabriel, che ha abbandonato ogni pretesa di umanità. Si libra a pochi centimetri da terra nelle sue fluenti vesti<br />

bianche e il terrore di Frannie ha contagiato anche lui.<br />

Matt appare al suo fianco. «Sta arrivando».<br />

Ed è allora che, come una palla di cannone, una forza invisibile solleva Frannie da terra e la sbatte contro al muro con violenza. Matt cerca di afferrarla,<br />

ma è troppo tardi. Lei si accascia sul pavimento.<br />

«Frannie!». La raggiungo in un lampo e quando la prendo fra le braccia vedo il vapore che inizia a esalare dalla sua pelle. Sta diventando<br />

incandescente. «Frannie!», ripeto scuotendola. Poi apre gli occhi e capisco.<br />

Sono invasi da una luce rossa.<br />

«Lucifer», dice con una voce che non le appartiene, «chi vince, adesso?»<br />

«No!». Sento la mia voce come da una lunga distanza e la rabbia quasi mi strappa le carni.<br />

«Beherit!». La voce di Gabriel fa vibrare la stanza. «Non puoi farlo. Non ne hai il diritto».<br />

«Oh, sì che posso. In effetti lo sto già facendo». Le labbra di Frannie sono animate da un ghigno sinistro. «Ho una dispensa speciale dal re in persona.<br />

Va bene tutto».<br />

Guardo in quegli occhi rossi e so che è tutto finito. Se Re Lucifero la vuole così tanto da gettare al vento ogni regola, forse nemmeno l’Onnipotente in<br />

persona potrebbe salvarla.<br />

Non posso arrendermi.<br />

Guardo il crocifisso che le penzola al collo. È d’oro. Glielo strappo dal collo e lo sollevo sopra di lei.<br />

Ma Matt mi prende per il polso e mi strappa il crocifisso di mano. Ha ragione. Potrei usarlo per mandare via Beherit, ma a quale costo?<br />

Lei lotta per liberarsi e io la lascio andare. Poi d’istinto le prendo la mano e la stringo in una morsa d’acciaio. Frannie è ancora lì dentro, e nonostante<br />

l’ineluttabilità dei fatti una parte di me vuole disperatamente mantenere un contatto. Si alza in piedi, dando l’impressione di essere più alta, e mi guarda<br />

negli occhi.<br />

«Sei stucchevole, Lucifer. Siamo ben al di là del tenerci per mano, non credi?». Mi afferra il volto e mi bacia con violenza. Ma non è Frannie, è Beherit,<br />

e i fumi della sua essenza cercano di introdursi nella mia bocca.<br />

Mi stacco da lei, che rantola rumorosamente, e il suo volto si storce in uno sforzo immane mentre le esce di bocca un «No» soffocato.<br />

Gabriel la prende dalle mie braccia e con il dito indice le disegna un cerchio sulla fronte, sussurrando qualcosa di misterioso.<br />

Gli occhi di lei si aprono di scatto, ancora pervasi da quel bagliore inquietante, e il suo viso si atteggia a una smorfia beffarda. «Buona fortuna,<br />

Gabriel. Ne avrai bisogno».<br />

Per quanto sia paradossale, per non dire asinesco, mi accorgo di essere geloso di Gabriel, che almeno può provare a fare qualcosa, invece di<br />

starsene in piedi a cincischiare. Mi ritrovo a lottare contro l’impulso di strappare Frannie dalle sue braccia.<br />

«Osso duro, questa qui», dice lei con voce stentata, decisamente non la sua.<br />

«Combattilo, Frannie!». Le prendo la mano.<br />

<strong>Il</strong> suo volto si contorce per la fatica. «Vai fuori». È poco più di un sussurro, ma riconosco la sua voce. <strong>Il</strong> suo corpo si dimena fra le braccia di Gabriel, e<br />

quando lui la adagia sul letto finalmente posso abbracciarla e trasmetterle tutta la mia forza.<br />

«Ce la puoi fare, Frannie», dice Gabriel. «Usa il tuo potere».<br />

Vengo sopraffatto da un’ondata di speranza. Frannie può usare la Suggestione su di lui. Se combatte, se lo vuole abbastanza…<br />

«Tu non vuoi restare qui dentro». La sua voce è più forte, e quando apre gli occhi è rimasto solo un sottile anello di luce rossa attorno alle sue iridi.<br />

«Tu… non mi vuoi», ringhia.<br />

Continua a dibattersi, lottando per il predominio interno, poi di colpo si ferma, come se uno dei due avesse ceduto. Mentre la scruto, il panico rischia<br />

di portarmi alla follia. «Frannie?».<br />

Per un istante le si rivoltano gli occhi e un lamento si leva dalle profondità del suo corpo, crescendo d’intensità. Poi diventa paonazza e gli occhi<br />

sembrano uscirle dalle orbite. C’è una vampata di energia rossa e lei ricade indietro bruscamente, priva di sensi.<br />

Respirando per combattere il panico, la stringo al petto. «Frannie? Mi senti?». Finalmente torna in sé e mi guarda con occhi spaventati, ma presenti e<br />

del colore giusto.<br />

«Se n’è andato», dice con un sorriso stanco. Faccio un paio di respiri profondi per rallentare il battito furioso del mio cuore, poi mi chino a baciarla.<br />

Frannie<br />

Stringo la mano di Luc, seduto al mio fianco sul letto.<br />

«Sei stata brava. La tua Suggestione non fa che aumentare», dice.<br />

Sto ancora tremando e mi battono denti. «Perché ricordo solo una piccola parte di quello che è successo?»<br />

«Probabilmente ricordi i momenti in cui eri tu ad avere il controllo».<br />

«Mi sento come se mi avesse investito un treno. Come mai con te è stato tanto diverso?»<br />

«Be’, prima di tutto io non ti ho lanciata contro un muro». Gabe lo guarda, e Luc se ne esce con un sorriso insolente. «Poi, credo sia diverso quando<br />

sei tu che inviti il demone a entrare».<br />

Matt si lascia cadere sulla sedia davanti alla scrivania e lancia a Luc un’occhiata incendiaria.<br />

Gabe mi guarda con un sorriso mesto. Mi stringo nelle spalle, senza sapere cosa dire, poi un brivido mi percorre la schiena e mi viene la nausea.<br />

Tanto repentine quanto inaspettate arrivano le lacrime, e io sono incapace di fermarle. «Non avrò mai una vita normale, vero?», dico fra i singhiozzi.<br />

Luc mi stringe a sé con forza, ma non dice niente.<br />

Gabe è in piedi sulla soglia e mi fissa. «Nessuno conosce il futuro, Frannie. Ogni cosa che succede cambia il susseguirsi degli eventi. Ma resta il fatto<br />

che sei preziosa per entrambe le parti. La possibilità di cavartela senza che la tua anima venga legata è quasi inesistente. E una volta legata – da una<br />

parte o dall’altra – puoi essere manipolata. Ovviamente io non sono obbiettivo, ma se dovessi scegliere da chi farmi mettere nel sacco preferirei non si<br />

trattasse dell’Inferno».<br />

<strong>Il</strong> mio cuore pesa come un macigno. So cosa devo fare, ma… «Come faccio a perdonare me stessa per la cosa peggiore che ho fatto? La cosa<br />

peggiore che chiunque abbia mai fatto?»<br />

«Inizia col ricordare quello che è successo davvero». Matt si avvicina ai piedi del letto e si siede. Luc si districa dal nostro abbraccio e raggiunge<br />

Gabe sulla porta, lasciando a Matt e me un po’ d’intimità.


«Sono caduto perché mi stavo arrampicando troppo velocemente. È stata colpa mia».<br />

La mia gola si stringe al ricordo. «No, ti ho afferrato per una caviglia. Ero furiosa, e ti ho tirato giù dall’albero».<br />

«Smettila. Ti sei data addosso per troppo tempo. Non è stata colpa tua. Devi perdonarti». Mi prende fra le braccia, e restiamo seduti così per un<br />

tempo che mi sembra infinito.<br />

«È solo che ti rivolevo con me», dico alla fine.<br />

Lui sorride. «Ora sono qui».<br />

<strong>Il</strong> mio cuore è così pesante. «Non come dovresti. Sei comunque morto».<br />

«Hai ragione. Non posso avere la vita che avrei se non fossi caduto dall’albero, ma ai miei occhi questo non rende il motivo della mia presenza qui<br />

meno importante. Né ti rende in alcun modo responsabile della mia morte».<br />

Mi guarda a lungo e io non so cosa dire. Alla fine parla lui: «Gabriel dice che se non perdoni te stessa non ti possiamo proteggere». Gli spunta un<br />

sorriso. «Devi farlo, Frannie. Sarebbe un pessimo inizio se il mio primo incarico andasse all’aria a causa di un cliente che non collabora. E di cattivo<br />

auspicio per il resto dell’eternità».<br />

«Non posso…».<br />

Ritorna serio e mi interrompe: «Devi capire perché non puoi lasciar andare il senso di colpa».<br />

«Perché…». Lottando contro le lacrime tiro fuori da sotto al materasso il diario che ho scritto per lui. Ripenso a tutte le conversazioni avute scrivendo lì<br />

sopra, perché lui avesse un pezzetto di me, della mia vita. Avevo bisogno di tenerlo vivo nel mio cuore. «Mi serviva per non dimenticare. Avevo bisogno<br />

di odiare me stessa perché il dolore teneva in vita la memoria. Teneva in vita una parte di te».<br />

Di colpo sento l’impulso di vomitare. C’è qualcosa dentro di me che il mio corpo deve espellere. «Come faccio a liberarmi?»<br />

«È normale essere tristi, ma devi lasciar andare il senso di colpa, dal profondo. Cerca di ricordare cos’è successo davvero».<br />

Appoggio la fronte sulle ginocchia, aspettando che la nausea si fermi, ma nel rivivere quella scena nella mia mente peggiora soltanto. Vedo Matt<br />

arrampicarsi e il suo piede scivolare. Stringo forte gli occhi ed emetto un gemito. Vedo la mia mano che cerca di prenderlo, ma non ci riesco e mi<br />

rimane la sua scarpa in mano. Sento il mio grido quando sbatte per terra.<br />

I miei occhi si aprono di scatto e vomito aria nel cestino. Le braccia di Matt mi cingono per portarmi verso la sua spalla, dove mi appoggio tremante.<br />

Alzo la testa e lo guardo attraverso il fluire incessante delle lacrime. «Perché sei dovuto cadere?».<br />

Si stringe nelle spalle.<br />

Non sono sorpresa di sentirmi così in collera, ma sono sorpresa di essere in collera con lui. Lo spingo via. «Avresti dovuto andare più piano, stare più<br />

attento».<br />

Annuisce. «Ma tu non avresti potuto fare niente per evitarlo. È stato un incidente».<br />

Affondo il volto nelle mani e respiro per calmare la rabbia. Quando i miei tremori si placano, raccolgo il diario dal letto e me lo appoggio sulla fronte,<br />

poi glielo consegno. «L’ho scritto per te… o forse più per me stessa. Per tutti questi anni, sei stato l’unica persona con cui potevo parlare apertamente».<br />

Prende il diario dalle mie mani e sorride. «Io ti rispondevo. Mi sentivi? Ti dicevo di stare lontana da lui», dice indicando Luc.<br />

<strong>Il</strong> mio cuore sprofonda. «Perché odi Luc così tanto?»<br />

«Perché? Stai scherzando, vero? Per colpa sua hai rischiato di morire, Frannie. È uno di loro».<br />

«No, è opera mia», lo correggo alzando la voce.<br />

Luc e Gabe smettono di sussurrare fra loro e ci guardano. Luc fa un passo avanti e dice con aria preoccupata: «Ha diritto ad avere una sua opinione,<br />

e ha buone ragioni a sostegno delle sue idee. È vero che per colpa mia hai rischiato di morire… e più di una volta».<br />

«No. In realtà sei tu che hai rischiato di morire per colpa mia», gli ricordo.<br />

Matt guarda Luc, la sua espressione è ancora ostile. «Non sopporto l’idea che tu le stia vicino. Se le fai del male, in qualsiasi modo, ti uccido con le<br />

mie stesse mani».<br />

Luc annuisce, con gli occhi fissi su quelli di Matt. «D’accordo».<br />

Poi si volta a guardare Gabe con aria severa, e immagino che pensi la stessa cosa che sto pensando io. Gabe sostiene che Matt sia l’angelo più<br />

adatto a questo incarico, ma inizio ad avere qualche dubbio al riguardo.<br />

Matt si rilassa un po’ e appoggia la fronte alla mia. La sua voce è bassa, indirizzata a me sola. «Frannie, faccio davvero fatica ad accettarlo. Sei<br />

sicura? Di Luc, intendo. Non riesco a fidarmi di un demone, nemmeno se me lo dice Gabriel».<br />

«Sono sicura, Matt. Lui mi ama. Non puoi leggergli nel pensiero? Te ne accorgeresti subito».<br />

«Mi spiace, ma non sono abbastanza in alto nella catena alimentare. La lettura del pensiero è riservata alle Dominazioni e ai loro superiori».<br />

«Ti prego, dagli una possibilità».<br />

Guarda Luc con freddezza, poi però mi abbraccia e nella sua voce intuisco un sorriso. «Non proverai mica a convincermi coi tuoi superpoteri, vero?».<br />

Sorrido con la testa sulla sua spalla. «Dipende solo da te».<br />

Luc<br />

Guardo Frannie e Matt dalla soglia, assieme a Gabriel, e so che è finita. Vieni fuori che ti devo parlare, penso. Lui annuisce e scivola in corridoio con<br />

me, chiudendosi dietro la porta.<br />

«È pronta», dico.<br />

«Già».<br />

«Dimmi che ti prenderai cura di lei. Lo sguardo negli occhi di Michael…». Rabbrividisco.<br />

Gabriel si appoggia al muro. «È un bel bocconcino. Questo aiuta». Sorride.<br />

«Ce la fai a essere serio tipo per due minuti?».<br />

Aggrotta le sopracciglia. «Va bene, smettila di agitarti. L’Onnipotente sa che lei è speciale, e ricordati che la vita di Mosè non ha mica fatto schifo.<br />

Starà benissimo, non la stiamo portando via».<br />

«Ma non starà con me. Ho solo bisogno di essere certo che starà bene, prima di lasciarla andare».<br />

Lui sostiene il mio sguardo, e mentre contempla quello che ho detto la sua mascella si irrigidisce. «Non farò finta di credere che non cambierà niente,<br />

ma quello che succederà fra voi dipende da Frannie. Non sei più un demone. Sei umano, hai un’anima pura ed è stata fatta tabula rasa del tuo passato.<br />

Se Frannie ti vuole ancora», dice rischiando di strozzarsi con le parole, «non c’è motivo per cui non possiate stare insieme».<br />

È questo il punto: lei mi vorrà ancora? Apparterrà al Paradiso. A Gabriel. La sua vita cambierà e io non sarò più alla sua altezza. Sarò un peso morto,<br />

o peggio, “quello che era un demone”. Non ci vorrà molto prima che si stanchi di me. Apro appena la porta e la guardo attraverso quella fessura. Sembra<br />

così stanca, ma finalmente in pace con se stessa. È giunto il momento.<br />

Gabriel apre la porta e io lo seguo nella stanza, restando vicino alla soglia. Ma Frannie mi tende la mano e subito corro al suo fianco, ho bisogno di<br />

quel contatto.


«Sei pronta?». Lei annuisce. «Bene», dico a me stesso. «Questo è un bene», ripeto un po’ più forte, per lei. La bacio velocemente e mi faccio da<br />

parte.<br />

«Ok», dico rivolto a Gabriel, facendogli un segnale.<br />

«Ok cosa?», risponde lui con un sorriso di scherno.<br />

«Legala. È pronta».<br />

«Era cosa fatta prima che rientrassimo in questa stanza. Cosa ti aspettavi, una cerimonia in pompa magna?».<br />

Gli lancio uno sguardo torvo. «Sei proprio uno stronzo. Pensavo che almeno l’avresti avvertita, tutto qua».<br />

«Se è pronta, perché dovrei avvertirla?».<br />

«Smettete di parlare di me come se non ci fossi», dice lei spazientita.<br />

«Avrei dovuto avvertirti, Frannie?», le domanda Gabriel in tono canzonatorio.<br />

Frannie sghignazza. «No, ma magari Luc avrebbe gradito».<br />

La guardo confuso. «Ma di cosa state parlando?».<br />

Gli occhi di Frannie brillano di una luce nuova. «Sei stato legato anche tu».<br />

Guardo Gabriel. «È uno scherzo», dico basito.<br />

Lui sorride e scrolla le spalle. «Faceva parte delle condizioni di Frannie. E, in ogni caso, hai impressionato positivamente la divinità giusta, anche se<br />

Michael non era molto contento».<br />

Cerco di digerire la notizia. «Sono legato… al Paradiso…», dico per sentire che effetto fa.<br />

«Potresti almeno fingere di essere contento? O sarò costretto a rimangiarmi tutto».<br />

Sento un sorriso che mi si allarga sul volto. Frannie mi tende una mano e io la prendo fra le mie, sedendomi sulla sedia della scrivania di fianco al<br />

letto. «Merda».<br />

Matt fa un sorriso incerto. «Puoi dirlo forte. Un demone che va in Paradiso…», dice scuotendo la testa.<br />

«E ora cosa succederà?», chiede Frannie. «Voglio dire, con la mia vita, il college e…» il suo sguardo si sposta su di me e poi di nuovo su Gabe, «<br />

…con voi».<br />

Gabriel si siede di fianco a lei sul letto e le prende l’altra mano, evidentemente in difficoltà su come rispondere. Ma i suoi occhi esprimono quello che<br />

lui non può dire. Anche se lei non lo vede, per me è chiaro come il sole: per lei rinuncerebbe alle sue ali anche subito, se solo glielo chiedesse.<br />

I suoi occhi si abbassano, ma la sua mano la stringe più forte. «Quello che succede ora dipende da te».


Ringraziamenti<br />

Ringrazio di cuore Steven, il mio paziente marito, per aver provveduto alle necessità basilari permettendoci di sopravvivere nel periodo in cui io ero<br />

ossessionata dai miei amici immaginari. Le mie ragazze, Michelle e Nicole, per essere fonte d’ispirazione per tutto ciò che faccio. I miei genitori, che mi<br />

hanno sempre insegnato a credere in me stessa. <strong>Il</strong> mio onnipotente überagente, Suzie Townsend, per aver creduto in me all’inizio, quando dev’esserle<br />

sembrato un salto nel buio. La mia grandiosa editor, Melissa Frain, per aver trasformato ciò che io amo in qualcosa che anche gli altri potrebbero amare.<br />

Eric Elfman e il mio gruppo a Big Sur, per avermi convinto che ce la potevo fare, dandomi la spinta necessaria per mettere su carta ciò che avevo nella<br />

testa. Le mie amiche letterarie, Andrea Cramer e Stephanie Howard, per avermi tenuto in carreggiata.<br />

E, visto che la mia musa è un’aspirante rockstar, un ringraziamento speciale va a Chad Kroeger e ai Nickelback per Savin’ Me, l’incredibile pezzo da<br />

cui ho tratto ispirazione per il personaggio di Luc, e ad Isaac Slade e The Fray, per aver scritto l’intensa You Found Me, un brano che stimola la<br />

riflessione e che mi ha ispirato per Frannie.


Indice<br />

Capitolo 1. Peccato originale<br />

Capitolo 2. Scontare l’inferno<br />

Capitolo 3. Occhi d’angelo<br />

Capitolo 4. Lo sa il Cielo<br />

Capitolo 5. All’inferno!<br />

Capitolo 6. Come una palla di neve all’inferno<br />

Capitolo 7. Demoni personali<br />

Capitolo 8. L’inferno in terra<br />

Capitolo 9. <strong>Il</strong> Diavolo si riconosce dai dettagli<br />

Capitolo 10. <strong>Il</strong> mio inferno personale<br />

Capitolo 11. Colpa del Diavolo<br />

Capitolo 12. Come in Paradiso<br />

Capitolo 13. Una fredda giornata infernale<br />

Capitolo 14. Dare al Diavolo quel che è del Diavolo<br />

Capitolo 15. Che l’inferno abbia inizio<br />

Capitolo 16. <strong>Il</strong> Diavolo, se lo conosci<br />

Capitolo 17. Per l’amor del Cielo<br />

Capitolo 18. Angeli e demoni<br />

Capitolo 19. Danzando con il Diavolo<br />

Capitolo 20. Parli del Diavolo…<br />

Capitolo 21. Fuoco e fiamme<br />

Capitolo 22. Redenzione<br />

Capitolo 23. Grazie al Cielo<br />

Ringraziamenti

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