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Microsoft PowerPoint - 3 Lesmo Medio Oriente moderno [modalità compatibilità]

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La prima guerra mondiale nel <strong>Medio</strong><br />

<strong>Oriente</strong> e il sistema dei mandati


Il percorso di oggi<br />

‣Il califfo in guerra<br />

‣Il <strong>Medio</strong> <strong>Oriente</strong> arabo alla vigilia della<br />

Guerra<br />

‣Le trattative per la spartizione del <strong>Medio</strong><br />

<strong>Oriente</strong><br />

‣La guerra sul fronte medio-orientale<br />

‣La dichiarazione Balfour<br />

‣La conferenza di Parigi e il sistema dei<br />

mandati


Guerra Santa<br />

• O musulmani! Voi che con tanta passione tendete alla<br />

felicità, voi che siete alla vigilia di sacrificare la vostra<br />

vita e i vostri beni per la causa del diritto e di sfidare il<br />

pericolo, unitevi tutti oggi attorno al trono imperiale,<br />

obbedite agli ordini dell'Onnipotente che, nel Corano, ci<br />

promette beatitudini in questo mondo e nell'altro.<br />

• Comprendete che lo Stato è in guerra con la Russia,<br />

l'Inghilterra e la Francia e i loro alleati. Comprendete<br />

che questi Paesi sono nemici dell'Islam. Il comandante<br />

dei credenti, il califfo, vi chiama sotto la sua bandiera<br />

per la Guerra santa!


La proclamazione del Jihad<br />

• E’ il testo della<br />

proclamazione della<br />

guerra santa che lo sceicco<br />

ul-Islam pronunciò il 14<br />

novembre 1914 contro gli<br />

Stati dell’Intesa per conto<br />

del sultano Maometto V in<br />

quanto Califfo


I timori britannici<br />

• A temere in modo particolare gli effetti della<br />

proclamazione del Jihad da parte del sultano di<br />

Istanbul erano gli inglesi. Essi sapevano bene di<br />

governare il più grande Paese musulmano del<br />

mondo (corrispondente agli attuali Afghanistan,<br />

Pakistan, India, Bangladesh e Sri Lanka) abitato da<br />

alcune centinaia di milioni di islamici, che già in<br />

passato si erano ribellati con esiti sanguinosi. Il<br />

contagio irredentista sulle popolazioni<br />

musulmane indiane veniva considerato esiziale<br />

per il futuro dell'Impero britannico nel mondo<br />

asiatico


Il “fallimento” del Jihad<br />

• Nonostante i timori britannici e le attese ottomane e<br />

tedesche, l’appello alla guerra santa non sortì effetti di<br />

rilievo<br />

• Anzi, al contrario, la Prima guerra mondiale fu<br />

l’occasione per una ribellione, seppure circoscritta,<br />

degli arabi contro gli Ottomani<br />

• Per capire <strong>modalità</strong> e portata della ribellione, occorre<br />

approfondire la situazione politica del mondo arabo<br />

nella vigilia della Grande Guerra


Il <strong>Medio</strong> <strong>Oriente</strong> arabo alla<br />

vigilia della Guerra


Il <strong>Medio</strong> <strong>Oriente</strong> nel 1914


Il <strong>Medio</strong> <strong>Oriente</strong> arabo<br />

Sono tre le zone su cui concentrarsi per la loro specificità:<br />

La Siria - La Mesopotamia - La penisola arabica


Un territorio stratificato storicamente<br />

Sono tre zone che, sebbene unite dal dominio ottomano,<br />

presentavano delle loro specificità che le distinguevano<br />

tra loro, ma che<br />

‣ Non si connotavano in termini di “entità nazionali”,<br />

come potremmo intendere oggi questo concetto o<br />

come si era venuto elaborando nel corso dell’Europa<br />

moderna<br />

‣ Erano caratterizzate, al proprio interno, da notevoli<br />

forme di diversità locali e religiose, non presentandosi<br />

affatto “omogenee” né etnicamente né religiosamente<br />

né linguisticamente né culturalmente<br />

‣ Coesistevano con la presenza di un fortissimo<br />

denominatore comune, la civilizzazione islamica che<br />

aveva in quest’area la propria culla storica


La “Siria” storica<br />

La Siria Ottomana<br />

La Siria (quasi) attuale


La Siria come “Bilad ash-Sham”<br />

• Il termine Siria, di origine antica, in realtà, venne<br />

reintrodotto nell’Ottocento. Precedentemente ci si<br />

riferiva a questi territori come Bilad ash-Sham.<br />

• La denominazione risale alle prime conquiste arabomusulmane.<br />

Per i geografi e i cronisti dell’epoca la<br />

carta del Nuovo Mondo aveva Mecca come centro. I<br />

territori alla loro sinistra/nord (shimal/shamal)<br />

divennero così i Paesi di Sham, mentre di quelli alla<br />

loro destra (yamin) rimane ancora oggi la traccia<br />

nella parola Yemen (Yaman).<br />


Planisfero di Al-Idrisi (1154)


Il Paese di Sham<br />

• Dalle cronache e dalle storie arabe del XVIII<br />

secolo, l’aggettivo shami (dei Paesi di Sham)<br />

era usato indifferentemente per tutti coloro,<br />

musulmani e cristiani, originari di Aleppo,<br />

Damasco, Hama, Hims, Hebron, Khan Yunis,<br />

Acri, Nablus, Tripoli, Sidone. Al contrario, non<br />

era ancora attestato l’uso degli aggettivi<br />

filastiniyy (palestinese), lubnaniyy (libanese),<br />

jaliliyy (della Galilea).


Le regioni del Bilad as sham<br />

• Gli ottomani stessi percepivano queste regioni<br />

come distinte sia dall’Egitto, a occidente, sia<br />

dall’Iraq, a oriente. Una differenziazione<br />

funzionale: se l’Egitto era il panificio dell’impero e<br />

l’Iraq il limes con i rivali safavidi di Persia, i Bilad<br />

ash-Sham costituivano un centro economico<br />

politico e commerciale di vitale importanza, sia<br />

come perno per i traffici tra Asia profonda e<br />

Mediterraneo, sia come corridoio per assicurare il<br />

pellegrinaggio annuale a Mecca


La Siria come “Bilad ash-Sham”<br />

• Lo storico tedesco Thomas Philipp nel 2004 ha definito i<br />

Bilad ash-Sham come una area geografica composta da<br />

regioni più integrate fra loro, a livello politico e sociale, che<br />

con le terre confinanti. Erano spazi socio-economici distinti<br />

ma integrati fra loro, che al contempo godevano di una<br />

relativa autonomia politica ed erano culla e riferimento di<br />

élite ben connotate. Erano un amalgama di territori<br />

integrati localmente, ciascuno con la sua élite e ciascuno<br />

indipendente, ma erano anche un’insieme di regioni tutte<br />

stabilmente inserite in uno stesso quadro generale.<br />

• Fino alla metà del XVIII secolo questa macro-regione era<br />

divisa dagli ottomani in quattro grandi province (Sidone,<br />

Damasco, Tripoli e Aleppo)


La Siria Ottomana


Il termine Siria (Suraya)<br />

• A partire dalla fine del XVIII secolo, in corrispondenza con<br />

la crescente penetrazione politica e culturale europea, il<br />

termine Suriya (o Suriyya), su influsso dell’inglese Syria o<br />

del francese Syrie, cominciò a entrare nell’uso arabo per<br />

indicare la regione durante l’epoca classica o, comunque,<br />

prima delle conquiste islamiche. Nell’Ottocento, i cronisti<br />

locali e, con loro, gli intellettuali della Nahda (Risveglio), per<br />

lo più cristiani, presero a preferire il termine<br />

Suriya"/"Suriyya a quello di Bilad ash-Sham: un segno di<br />

rottura con l’"oscurantismo" e l’"arretratezza" del passato,<br />

verso la "modernità" e la "riforma" del presente e del<br />

futuro. Tra il 1864 e il 1865 gli ottomani crearono la<br />

Provincia di Siria (Suriye Vilayeti).


La fioritura culturale e politica<br />

• Intesa in questo senso ampio, la Siria costituiva,<br />

con l’Egitto, la zona del mondo arabo nel quale si<br />

svilupparono i più importanti movimenti culturali<br />

e politici dell’Ottocento sorti in ambito islamico e<br />

panarabo.<br />

• Da questo punto di vista, esercitava una sorta di<br />

“leadership culturale”, rispetto alla quale era<br />

molto distante la terra cugina della Mesopotamia,<br />

alla quale era accomunata dal dominio politico<br />

ottomano


Bilad al sham e “Grande Siria”


La regione mesopotamica<br />

• La regione Mesopotamica costituisce il cuore dell’attuale<br />

Iraq, un territorio pianeggiante sul quale scorrono prima di<br />

congiungersi i fiumi Tigri ed Eufrate. E' una terra che ha<br />

ospitato le più antiche civiltà: sumeri, assiri, babilonesi, ed è<br />

stata successivamente, innumerevoli volte, terra di<br />

conquista : persiani, macedoni... quindi arena di scontro<br />

tra romani e parti<br />

• Infine venne conquistata, islamizzata e “arabizzata” dagli<br />

arabi provenienti dalla penisola arabica, che le attribuirono<br />

l’attuale denominazione, Iraq.<br />

• I confini naturali con le regioni circostanti sono piuttosto<br />

labili, anche se la presenza di deserti e montagne segna una<br />

discontinuità nella presenza di popolazione<br />

• Se la “Siria” fu il centro, con Damasco, del califfato<br />

Omayyade, l’Iraq fu il centro di quello Abasside, con<br />

capitale Bagdad, la città delle Mille e una notte.


L’Iraq <strong>moderno</strong>


L’Iraq “arabo”<br />

• Nel 750 la dinastia Abbaside sostituì quella degli<br />

Omayadi e il nuovo califfo al-Mansur fondò la<br />

città di Baghdad sulle rive del Tigri (spostando la<br />

capitale da Damasco). Baghdad crebbe sino a<br />

divenire la più grande città del suo tempo. Dopo<br />

aver raggiunto il suo apice l'impero araboislamico<br />

nel corso dei secoli successivi non cessò<br />

mai di indebolirsi con sempre nuovi territori che<br />

si autonomizzavano dal potere centrale, ed<br />

esponendosi così alle mire di altri popoli.


L’Iraq “ottomano”<br />

• Tra questi i mongoli che invasero la Mesopotamia<br />

distruggendone le infrastrutture agricole e<br />

conquistandone nel 1258 Baghdad, e radendola<br />

al suolo. Da questo colpo la regione non si riprese<br />

Venne poi conquistata dagli ottomani del cui<br />

impero entrò a far parte nel 1535. L'Impero<br />

Ottomano esercitava il suo potere attraverso<br />

dignitari locali (pascià) dotati di una certa<br />

autonomia sui propri territori. L'attuale Iraq era<br />

distribuito su tre province: Baghdad, Bassora e<br />

Mosul.


Una terra dalle grandi diversità<br />

• L’insieme di questi territori (Siria, Mesopotamia) – e<br />

il discorso di potrebbe estendere in parte anche alla<br />

penisola arabica che vedremo tra poco – era<br />

caratterizzata da grande disomogeneità, anche se<br />

questo non era incompatibile, in una ottica premoderna,<br />

con i tratti di una comune identità.<br />

• A titolo esemplificativo, possiamo enumerare<br />

‣Differenze religiose<br />

‣Differenze etniche<br />

‣Differenze linguistiche


Differenze religiose ed etniche<br />

• Millenni di storia hanno “stratificato” nella regione<br />

numerose differenze religiose, che talvolta si<br />

sovrappongono a quelle etniche talvolta ne sono<br />

distinte, in un quadro quanto mai frastagliato. Ad<br />

esempio, in campo religioso, abbiamo differenze<br />

religiose come:<br />

‣ Quella, interna all’Islam, tra sunniti e sciiti<br />

‣ Quella, sempre interna all’Islam, tra Islam ortodosso e<br />

sette eterodosse: alawiti, zayditi, drusi, etc<br />

‣ Quella tra islam e le altre religioni: il cristianesimo nelle<br />

sue varie forme (maroniti, caldei, etc); lo zorohastrismo<br />

(gli yazidi)…


Differenze etniche e religiose in Iraq


Differenze etniche e religiose in Siria


Differenze etniche e religiose in Libano


La situazione della penisola arabica<br />

• L’attuale regno dell’Arabia Saudita che unifica<br />

politicamente la maggior parte della penisola arabica è<br />

sorto recentemente e ne seguiremo la nascita.<br />

• Dopo l’unificazione operata da Maometto e dai primi<br />

califfi, in realtà la penisola arabica fu caratterizzata<br />

dalla frammentazione politica e militare, più coerente<br />

con la cultura beduina tipica delle tribù arabe che<br />

abitavano la penisola<br />

• L'alternarsi di resistenze e di alleanze con il potere<br />

centrale e le rivalità in seno allo stesso clan<br />

caratterizzano l'intera storia della Penisola Arabica.<br />

Allorché la dinastia abbasside spostò il centro del<br />

potere da Damasco a Baghdad i governatori provinciali<br />

cominciarono a rendersi indipendenti, riconoscendo<br />

solo formalmente l’autorità dei califfi.


La penisola arabica alla vigilia della<br />

Prima Guerra Mondiale<br />

• Si possono identificare tre “centri di potere” principali<br />

nella penisola arabica di inizio novecento:<br />

‣ Nella parte più importante della penisola, l’Hegiaz, che<br />

comprende le città della Mecca e di Medina, dominava<br />

la famiglia hascemita<br />

‣ Nella parte centrale della penisola, il Neged, dominava<br />

la famiglia dei Saud<br />

‣ Sulle coste, dove si trovavano emirati e regni di antiche<br />

origini, dominavano gli inglesi per motivi strategici<br />

legati alle rotte commerciali e militari con l’India e<br />

l’Estremo <strong>Oriente</strong>


La penisola arabica


L’influenza britannica<br />

• Insieme all'inospitale Yemen — chiuso ad ogni<br />

soffio innovatore -, la penisola arabica, oltre al<br />

quasi inesistente controllo turco, era rimasta<br />

in buona parte al di fuori delle mire europee,<br />

dato che per proteggere la via del Canale di<br />

Suez — la Gran Bretagna aveva occupato solo<br />

Aden e un gruppo di protettorati attorno a<br />

quel porto vitale, e, più a est, lungo la costa<br />

del golfo Persico, aveva assunto il protettorato<br />

di un'altra serie di sceiccati ed emirati


La strategia britannica


La rivalità tra hascemiti e sauditi<br />

• In Arabia due dinastie, in quel momento, si<br />

contendevano il predominio: quella del clan di<br />

Abdul Aziz Ibn Saud e quella del clan dei Beni<br />

Hascem, discendente in linea maschile da<br />

Fatima, figlia di Maometto che aveva il<br />

controllo della città sacra della Mecca, alla cui<br />

testa si trovava l'emiro Hussein


Gli hascemiti nell’Hegiaz<br />

Hussein<br />

Gli hascemiti<br />

• Nell’Hegiaz, sotto il formale<br />

dominio ottomano,<br />

governava una famiglia che<br />

discendeva direttamente da<br />

quella del profeta (il cui<br />

bisnonno si chiamava<br />

Hashim).<br />

• Essi detenevano il titolo di<br />

sceriffi della Mecca, e al<br />

padre Hussein si<br />

affiancavano i figli Fesayl e<br />

Abdallah


Lo sceriffo della Mecca<br />

• L'ufficio dello shariffato della Mecca risale al<br />

periodo degli Abbassidi. Lo Sharif era<br />

incaricato di proteggere la città ed i suoi<br />

dintorni e garantire la sicurezza dei pellegrini.<br />

Nel 1517, lo Sharif riconobbe la supremazia<br />

del Califfo dell'Impero Ottomano, ma<br />

mantenne un alto grado di autonomia locale.<br />

Durante l'epoca ottomana, lo shariffato<br />

ampliò la propria autorità a nord fino ad<br />

inserire Medina.


Gli hascemiti<br />

Feysal<br />

Abdallah


I sauditi nel Neged<br />

Ibn Saud<br />

La famiglia saudita<br />

• I sauditi, stabilitisi in Arabia nel<br />

XV secolo, avevano assunto un<br />

ruolo politico e militare via via<br />

crescente che nel XVIII secolo li<br />

aveva portati a conquistare gran<br />

parte della penisola arabica. La<br />

reazione ottomana sostenuta e<br />

attuata dai mamelucchi egiziani<br />

aveva ridimensionato le<br />

conquiste saudite, che all’inizio<br />

del Novecento, guidate da Ibn<br />

Saud, controllavano saldamente<br />

il Neged


Sauditi e wahabiti<br />

• Le fortune dei sauditi erano dovute in parte al<br />

fatto che nel XVIII secolo avevano abbracciato<br />

una “riforma” dell’Islam promossa da<br />

Muḥammad ibn ‛Abd al-Wahhāb e detta, per via<br />

del suo fondatore, wahabismo.<br />

• Tale appellativo è rifiutata dai wahabiti stessi, che<br />

non ritengono di aver apportato alcuna riforma<br />

ma di aver solo restaurato il più puro Islam e si<br />

definiscono perciò muwaḥḥidūn "gli affermanti<br />

l'unicità di Dio", con questo termine volendo<br />

affermare la purezza della loro credenza non<br />

inquinata dalle deviazioni ch'essi pensano trovarsi<br />

nella maggioranza degli altri musulmani.


Le origini del wahabismo<br />

• Muḥammad ibn ‛Abd al-Wahhāb nacque in<br />

Arabia nel 1703. In materia giuridica si professava<br />

ḥanbalita come la grande maggioranza degli<br />

abitanti dell'Arabia centrale. Nel rigorismo era<br />

seguace fedele dell'indirizzo del famoso ḥanbalita<br />

Ibn Taimiyyah (morto nel 728 eg., 1328 d. C.),<br />

rinnegante ogni credenza e usanza che apparisse<br />

introdotta dopo la prima generazione musulmana<br />

o repugnante ai primi insegnamenti<br />

dell'islamismo, ed esigenti la strettissima<br />

applicazione delle norme rituali e giuridiche sia<br />

da parte dei singoli sia da parte dei governanti.


Il rigorismo wahabita<br />

• Perciò i wahibiti si scagliarono contro l'ormai diffuso culto dei santi<br />

viventi o defunti, il credere nell'intercessione loro o di Maometto<br />

stesso per ottenere favori materiali in questa vita e in tale credenza il<br />

fare visite pie ai loro sepolcri e formare voti e invocare i loro nomi<br />

(incluso quello di Maometto), giudicati atti di shirk (politeismo),<br />

poiché implicavano il far condividere da esseri umani l'onnipotenza e<br />

il volere di Dio.<br />

• Si proibiva e dichiarava peccato capitale l'erigere mausolei sulle<br />

tombe (che invece dovrebbero appena sporgere dalla terra), il farne<br />

moschee per la preghiera canonica, il rivolgersi in Medina verso il<br />

mausoleo di Maometto orando.<br />

• Era vietato agli uomini di portar vesti di seta e oggetti d'oro e<br />

d'argento. Proscritte in modo assoluto le figure d'esseri viventi


L’accusa di essere un kāfir<br />

• I wahabiti, oltre a combattere queste<br />

manifestazioni dell’Islam, si spinsero a<br />

dichiarare kāfir coloro che indulgevano in esse.<br />

Tale qualifica, in diritto musulmano, mette fuori<br />

della legge chi l'ha veramente meritata se, dopo<br />

le esortazioni a ricredersi, persiste nel suo<br />

traviamento; la sua vita e i suoi beni diventano<br />

leciti ai credenti, il suo matrimonio decade ipso<br />

facto, si rompono i suoi rapporti ereditarî con i<br />

parenti, la sua testimonianza nei giudizî non può<br />

venir accolta.


Il Takfir<br />

• E’ detto takfir il pronunciamento con cui si<br />

dichiara che un individuo è kāfir.<br />

• A motivo della sua gravità, sin dalle origini si è<br />

discusso nel mondo islamico su quali<br />

condizioni rendessero applicabile tale<br />

sentenza. La risposta prevalente fu quella che<br />

tale accusa, oltre a dover essere pronunciata<br />

da un muftì, era dovuta a chi negava l’Unicità<br />

di Dio, la profezia di Maometto e gli altri<br />

pilastri dell’Islam.


Peccato, differenza ed “eresia”<br />

• Restavano escluse perciò sia le differenze su<br />

altri punti della pratica religiosa (“le differenze<br />

tra i dotti della mia comunità sono una<br />

benedizione”), che permette la differenza tra<br />

le grandi scuole del Fiqh, sia motivi legati al<br />

comportamento morale (anche il grave<br />

peccatore rimaneva un credente – e questo<br />

aveva come primo riferimento il<br />

comportamento degli stessi califfi dinastici,<br />

tutt’altro che irreprensibile moralmente)


Le posizioni estremiste<br />

• Tuttavia sin dalle origini alcuni ritenevano che il<br />

comportamento peccaminoso fosse sufficiente a<br />

rendere kāfir chi se ne macchiava, con tutto ciò<br />

che ne segue. Secondo i Kharigiti, setta sorta nel<br />

primo secolo della civiltà islamica, il peccatore<br />

doveva essere considerato decaduto dalla qualità<br />

di musulmano e, come apostata ne era lecita<br />

l'uccisione.<br />

• I wahabiti ampliarono invece gli elementi ritenuti<br />

essenziali per ritenere un individuo un vero<br />

credente, con il risultato di sottoporre qualsiasi<br />

altro musulmano, in linea di principio, all’accusa<br />

di essere un kafir.


L’incontro tra wahabiti e sauditi<br />

• Decisivo fu il momento in cui Muḥammad ibn<br />

‛Abd al-Wahhāb incontrò Muḥammad ibn Sa‛ūd,<br />

il quale sposò la sua causa, a favore della quale<br />

mise il suo braccio temporale. Fu un momento<br />

decisivo per il wahhābismo, che da semplice<br />

movimento di puritanismo religioso si trasformò<br />

in moto a un tempo religioso e politico-militare:<br />

secondo i principî wahhābiti, come si vide, tutti i<br />

non aderenti a essi erano considerati politeisti o<br />

miscredenti e il combatterli senza pietà, dopo<br />

averli invitati invano alla resipiscenza, era un<br />

dovere religioso, era un gihād ossia guerra santa


La riscossa di Ibn Saud<br />

• Nel corso del XVIII e XIX secolo, il movimento<br />

wahabita incarnato dai sauditi conobbe alterne<br />

vicende. Nel 1902, mostrando grandi capacità di<br />

riscossa, entrò in scena Ibn Saud, che, alla testa<br />

di un reparto di guerrieri devoti al wahabismo (in<br />

seguito denominati ikhwan, fratelli) conquistò<br />

Riyadh.<br />

• Per più di un quindicennio Abdulaziz ibn Saud<br />

rafforzò il suo regno del Neged in attesa di<br />

tentare la conquista del resto dell’Arabia, mentre i<br />

suoi ikhwan fondavano delle colonie, le hijra (le<br />

egire, dal nome della fuga dalla Mecca politeista<br />

di Maometto del 622).


La politica di Ibn Saud<br />

• Nell'iniziale opera di riconquista, lbn Saud riuscì a<br />

trasformare in pochi anni un'assieme disparato di tribù,<br />

gelose delle proprie leggi e delle proprie tradizioni, in<br />

una unità nazionale relativamente omogenea e<br />

soggetta ad una legge centrale di origine<br />

rigorosamente religiosa.<br />

• Per dare, infatti, una certa disciplina a dei beduini che<br />

non avevano per niente il senso della nazione, era<br />

necessario proporre loro un ideale comune. Poiché<br />

questo ideale non poteva essere né sociale né politico,<br />

visto che nella società nomade non esisteva né il senso<br />

di classe né quello di nazione, questo ideale non<br />

poteva, dunque, essere se non religioso. Precise ragioni<br />

politiche e il sincero attaccamento alle tradizioni<br />

religiose spinsero cosi Ibn Saud verso il rigorismo<br />

wahhabita


Wahabismo e Arabia saudita<br />

• L'antico rigorismo wahhābita vige ancora in<br />

Arabia, anche se i musulmani non wahhābiti non<br />

vengono più designati quali politeisti e dove<br />

entrano i portati della civiltà moderna. Tuttavia<br />

non si tollerano in pubblico l'uso della musica, del<br />

canto e del fumare tabacco, non si ammettono le<br />

confraternite religiose dei ṣūfī e le cerimonie a<br />

esse collegate, sono vietate case malfamate, si<br />

applica il diritto penale islamico nella sua<br />

integrità (compreso il taglio della mano al ladro) e<br />

i giudizî devono attenersi alle norme della scuola<br />

ḥanbalita.


Le trattative per la spartizione del<br />

<strong>Medio</strong> <strong>Oriente</strong><br />

Il coinvolgimento degli arabi nella<br />

guerra


La “sirena” ottomana<br />

• Quando l’Impero<br />

Ottomano scende in<br />

guerra contro l’Intesa, sia<br />

gli ottomani che i<br />

britannici cercano di<br />

coinvolgere i potentati<br />

arabi e la nascente classe<br />

politico-intellettuale dalla<br />

propria parte<br />

• Gli Ottomani, come visto,<br />

fanno leva sulla<br />

dimensione religiosa della<br />

figura del Califfo, ma<br />

senza successo<br />

Per i panarabisti, gli<br />

Ottomani restano gli<br />

oppressori di cui liberarsi,<br />

e contro cui la guerra può<br />

fornire l’opportunità di<br />

una rivolta<br />

Per i potentati dell’Arabia,<br />

gli Ottomani sono il<br />

principale ostacolo alle<br />

proprie mire<br />

espansionistiche


Il coinvolgimento arabo<br />

• Il coinvolgimento arabo nella prima guerra<br />

mondiale contro gli Ottomani risulta dunque<br />

caratterizzato dal complesso e contraddittorio<br />

intrecciarsi di diversi fattori<br />

‣le mire dei potentati arabi<br />

‣il risveglio del nazionalismo arabo<br />

‣l’ambigua politica inglese


La “sirena” britannica<br />

• Gli inglesi cercavano dal canto loro di sfruttare la<br />

situazione per procurarsi nuovi alleati, ma anche<br />

la loro situazione è ambigua, perché avevano fino<br />

a quel momento di fatto “protetto” l’Impero<br />

ottomano dalla dissoluzione.<br />

• In questa chiave avevano, appena prima della<br />

guerra, respinto le richieste di appoggio in chiave<br />

anti-ottomana, avviate sia dagli hascemiti che dai<br />

sauditi<br />

• Ora però dovevano tornare sui propri passi e<br />

sollecitare quelle alleanze da poco respinte


Hussein contatta i britannici<br />

• Ad una rivolta dello Hegiaz Hussein aveva già<br />

pensato anche prima che l'Impero ottomano<br />

entrasse in guerra, sondando nel febbraio del<br />

1914, attraverso il figlio Abdallah, l'Alto<br />

commissario britanni-co al Cairo circa l'interesse<br />

che il suo paese poteva avere ad appoggiarla. Ne<br />

aveva ricevuto una risposta evasiva: la Gran<br />

Bretagna, infatti, seguitando nella sua<br />

tradizionale politica di difendere l'integrità<br />

dell'Impero, non voleva, evidentemente,<br />

compromettersi con le ambizioni personali di<br />

Hussein


Gli inglesi contattano Hussein<br />

• L'atteggiamento britannico mutò completamente<br />

dopo il coinvolgimento di Costantinopoli nel<br />

conflitto e la proclamazione della guerra santa.<br />

Solo un mese più tardi, infatti, e cioè nel dicembre<br />

di quel 1914, Sia Ronald Storr, il consigliere per gli<br />

Affari orientali dell'Alto commissario britannico in<br />

Egitto, indirizzò una lettera ad Hussein,<br />

assicurandogli che il proprio paese avrebbe<br />

garantito « l'indipendenza, i diritti ed i privilegi<br />

dello sceriffato » riferendosi, quindi, allo Hegiaz,<br />

dato che, ormai, scrisse, la « causa degli arabi »<br />

era divenuta « anche la causa della Gran Bretagna


Il carteggio Mac Mahon - Hussein<br />

• L’interesse degli inglesi verso Hussein era comprensibile:<br />

chi, più del protettore dei Luoghi Santi, era in grado di<br />

guidare la sollevazione contro il sultano? Lo avevano già<br />

riconosciuto nel 1911 trentacinque deputati arabi al<br />

parlamento ottomano, che gli avevano scritto<br />

dichiarandosi pronti ad insorgere con lui « contro il giogo<br />

che pesa sugli arabi ».<br />

• In questo modo Hussein cominciò a maturare l’idea di<br />

una propria leadership non solo nell’Arabia ma in tutto il<br />

<strong>Medio</strong> <strong>Oriente</strong> arabo, ricollegandosi al panarabismo<br />

fiorente sulle coste siriane.<br />

• I tentativi inglesi di coinvolgere Hussein e i tentativi di<br />

quest’ultimo di strappare l’appoggio inglese verso i<br />

propri piani sono documentati dal cosiddetto carteggio<br />

Mac Mahon – Hussein del 1915


Lo stato panarabo hascemita<br />

• Dopo l'ultima pressione inglese nei confronti di<br />

Hussein, il 14 luglio 1915 l'Alto Commissario per<br />

l'Egitto, Sir Henry MacMahon, ricevette lo schema delle<br />

rivendicazioni di Hussein, che ormai si riferivano<br />

all'indipendenza non solo dello sceriffato dello Hegiaz<br />

ma di tutta l'Arabia e di tutta la regione siriana e<br />

mesopotamica, di cui, evidentemente, intendeva<br />

mettersi a capo.<br />

• La lettera di MacMahon del 25 ottobre è il più<br />

importante documento di tutto questo scambio di<br />

messaggi. Ma che cosa promette MacMahon a<br />

Hussein?.


La lettera di Mac Mahon a Hussein<br />

• In questa lettera, notevolmente lunga e<br />

passabilmente oscura, l'Alto commissario si<br />

sforzò infatti di soddisfare Hussein, ma senza<br />

prendere posizioni troppo definite.<br />

• Si vincolava l'indipendenza alla condizione che gli<br />

arabi restassero « particolarmente » amici della<br />

Gran Bretagna, dai territori ai quali era concessa<br />

l'indipendenza venivano esclusi « parte della<br />

Siria, ad occidente dei tre distretti di Damasco,<br />

Holm, Hama, Aleppo », e cioè la zona costiera<br />

della Siria, il Libano e quella che allora si<br />

chiamava la Bassa Siria, cioè la Palestina, ed<br />

inoltre «tutti quei paesi legati a Londra da<br />

trattati».


I motivi della reticenza inglese<br />

• I motivi della reticenza inglese a precisare più<br />

dettagliatamente i termini territoriali degli<br />

accordi si spiega con il fatto che gli inglesi<br />

stavano conducendo, rispetto agli stessi<br />

territori, altre due trattative parallele:<br />

‣La trattativa con Ibn Saud<br />

‣La trattativa con la Francia


Le trattative di Ibn Saud<br />

• Dopo avere assalito nel 1913 la ricca provincia dello Hassa,<br />

che in passato aveva fatto parte del regno degli avi,<br />

temendo una reazione da parte dei turchi, Ibn Saud aveva<br />

cercato l'appoggio della Gran Bretagna. Ma, esattamente<br />

come era accaduto ad Hussein, aveva anche lui ricevuto<br />

l'evasiva risposta britannica. S'era rivolto, allora, a<br />

Costantinopoli, proponendo un trattato attraverso cui il<br />

governo turco lo avrebbe dovuto riconoscere come re<br />

ereditario del Neged, ma anche gli ottomani risposero in<br />

modo evasivo. Poi lo scoppio della guerra pose fine alle<br />

esitazioni e, come nei confronti di Hussein, spinse la Gran<br />

Bretagna a cercare un accordo con Ibn Saud in funzione<br />

anti-ottomana


Le trattative di Ibn Saud con gli inglesi<br />

• Come nei confronti di Hussein, infatti, la Gran<br />

Bretagna accettò di riconoscere Ibn Saud come<br />

sovrano del Neged, garantendogli la difesa da<br />

eventuali attacchi turchi se si fosse schierato dalla<br />

parte inglese. Messi alla porta gli emissari turchi<br />

venuti ad incitarlo alla guerra santa, Ibn Saud da<br />

postulante diventò, quindi, anche lui oggetto di<br />

forti sollecitazioni opposte. E, cosciente di questa<br />

insperata situazione, decise cosí di far pagare cara<br />

la sua adesione esigendo armi, un sussidio<br />

economico ed un trattato in piena regola che<br />

riconoscesse la sua potestà formale sulle regioni di<br />

cui già disponeva.


Gli accordi con Ibn Saud<br />

• Si arrivò cosí al trattato del dicembre 1915, nel<br />

quale gli inglesi — che stavano ancora<br />

trattando con Hussein — altrettanto<br />

intenzionalmente che con questi, lasceranno<br />

nel vago il problema delle frontiere tra<br />

l'Hegiaz e il Neged, mentre, al contrario, una<br />

clausola assai precisa garantii gli emirati<br />

protetti dalla Gran Bretagna da ogni ingerenza<br />

saudita.


Le trattative con la Francia<br />

• In realtà, mentre trattava (a insaputa di<br />

entrambi) con hascemiti e sauditi, la Gran<br />

Bretagna aveva avviato un serrato confronto<br />

diplomatico con la Francia, il cui scopo era –<br />

ancora una volta – la futura sistemazione dei<br />

territori ottomani, nei quali entrambe le<br />

potenze miravano ad un potenziamento del<br />

proprio impero coloniale. Tali trattative,<br />

iniziate nel 1915, vennero formalizzate nel<br />

1916 con i famosi accordi Sykes Picot.


Gli accordi Sykes Picot (1916)<br />

• L'accordo tra i due paesi, che va sotto il nome<br />

delle due personalità che lo trattarono, Georges<br />

Picot e Mark Sykes, segui di quattro mesi quello<br />

tra Hussein e MacMahon, firmato come fu il 16<br />

maggio 1916. Grazie a questo accordo, la Francia<br />

ottenne i territori posti a nord di Haifa, e cioè la<br />

regione libanese. La Palestina meno la zona<br />

attorno a Gerusalemme, da internazionalizzare —<br />

sarebbe stata sottomessa a un regime speciale,<br />

da fissare in futuro con un accordo tra Francia,<br />

Gran Bretagna e Russia. Alla Gran Bretagna venne<br />

attribuita una zona « rossa » (quella francese,<br />

invece, era « blu ») che comprendeva i distretti di<br />

Bagdad e Bàssora.


La spartizione del <strong>Medio</strong> <strong>Oriente</strong><br />

• Ed infine il resto venne diviso in due zone, « A » e<br />

« B »; la prima, da Homs, Aleppo, Damasco sino a<br />

Mossul., attribuita alla Francia; la seconda, da<br />

Akaba risalendo verso la Palestina e poi puntando<br />

sull'Eufrate e il Tigri, attribuita all'Inghilterra. In<br />

queste due zone avrebbe potuto esser costituito<br />

« uno stato arabo o una confederazione di stati<br />

sotto la sovranità dello sceriffo della Mecca », col<br />

diritto di controllo spettante alla Francia e alla<br />

Gran Bretagna, a seconda che si fossero trovati<br />

nella zona A o nella zona B.


Gli accordi Sykes – Picot: Francia e<br />

Inghilterra


Gli accordi Sykes – Picot: gli “stati”<br />

arabi


La guerra sul fronte medioorientale


Il fronte medio orientale nel suo<br />

complesso<br />

• Quali effetti sortirono gli accordi presi dai<br />

britannici tanto con i sauditi quanto con gli<br />

hascemiti?<br />

• Prima di approfondire questo punto, è<br />

opportuno farsi un idea del fronte medio<br />

orientale nel suo complesso


I fronti di battaglia<br />

nell’Impero Ottomano


Il fronte egiziano e palestinese


Il fronte mesopotamico


Il fronte egiziano<br />

• Sul fronte egiziano furono<br />

gli ottomani (sempre<br />

supportati dai tedeschi) a<br />

prendere l’iniziativa, con<br />

l’intento di ostacolare le<br />

comunicazioni interne<br />

all’Impero coloniale<br />

britannico. I Turchi, dopo<br />

aver invaso il deserto del<br />

Sinai, fallirono però nel<br />

tentativo d’insediarsi sul<br />

Canale di Suez.<br />

Trincee turche sul Mar Morto


L’occupazione della Palestina<br />

• Dopo l’ultimo scacco ottomano (agosto 1916), i<br />

Britannici, approfittando della rivolta degli arabi<br />

di cui tra breve parleremo, passarono alla<br />

controffensiva, giungendo alle soglie della<br />

Palestina. Nel 1917, dopo tre tentativi, le truppe<br />

del Commonwealth conquistarono Gaza e, il 9<br />

dicembre 1917, entrarono a Gerusalemme. Si<br />

trattava non solo di sconfiggere gli Ottomani ma<br />

di acquisire delle posizioni fondamentali per la<br />

futura sistemazione dei territori ex-ottomani.


Il fronte Mesopotamico<br />

• La Mesopotamia era un fronte a bassa priorità<br />

per gli Ottomani, che non si aspettavano attacchi<br />

da quel settore e lo avevano scarsamente<br />

presidiato. I britannici invece puntarono su di<br />

esso sia per difendere i propri interessi petroliferi<br />

nel Golfo e in Persia sia perché speranzosi di<br />

sfondare facilmente le linee avversarie<br />

giungendo al cuore dell’Impero. Le operazioni<br />

erano principalmente a carico dell’esercito angloindiano<br />

proveniente dall’India.


Gli anglo-indiani


La prima avanzata britannica


La battaglia di Kut<br />

• Giunti nei pressi di Bagdad<br />

nel 1915, i britannici furono<br />

però costretti a ripiegare e a<br />

rifugiarsi nella città di Kut,<br />

dove, dopo un lungo<br />

assedio, furono costretti ad<br />

arrendersi con 8000 uomini.<br />

Per i britannici, la battaglia<br />

di Kut fu un’umiliante<br />

disfatta. Erano parecchi<br />

anni, infatti, che un numero<br />

così alto di soldati di Sua<br />

Maestà non si arrendeva al<br />

nemico. Inoltre, la sconfitta<br />

arrivava solo quattro mesi<br />

dopo il disastro di Gallipoli.


La contro-offensiva britannica<br />

• Tuttavia i britannici, riorganizzatisi e con di fronte<br />

un esercito ottomano in difficoltà di rifornimenti<br />

e di mezzi, ripresero l’offensiva nel 1917,<br />

riconquistando Kut e poi,a marzo, entrando in<br />

Bagdad. A quel punto gli inglesi si concentrarono<br />

sul fronte palestinese, riprendendo l’offensiva e<br />

solo per motivi legati alla conquista delle migliori<br />

posizioni strategiche nel 1918, cominciando ad<br />

organizzare l’amministrazione della Mesopotamia<br />

con il personale coloniale proveniente dall’India.


La rivolta araba<br />

• Il principale contributo degli arabi alla guerra<br />

contro gli ottomani fu la cosiddetta rivolta araba,<br />

iniziata nel 1916 dallo Sceriffo della Mecca<br />

Hussein e affidata militarmente ai suoi due figli,<br />

Feysal e Abdallah, e che si concentrò sulle linee di<br />

comunicazione ottomane.<br />

• Una rivolta che, quindi, non contribuirà se non<br />

assai modestamente alla guerra, che venne<br />

svolta alla maniera beduina, con alcune scorrerie<br />

senza molta continuità e senza molti effetti<br />

duraturi.


Le divisioni tra gli arabi<br />

• Ibn Saud, però, rifiutò di mettersi sotto la<br />

bandiera di Hussein, preoccupato dal fatto che<br />

lo sceriffo della Mecca, autonominatosi « re<br />

degli arabi », volesse imporre la sua egemonia<br />

anche sul suo regno. Ibn Saud, allora, cercò di<br />

rassicurarsi sondando a più riprese il comando<br />

britannico; il quale, davanti a Ibn Saud e<br />

Hussein, apparve diviso.


Le divisioni tra gli inglesi<br />

• Se, infatti, il Comando dell'Armata d'Egitto<br />

sosteneva Hussein, quello delle forze<br />

britanniche in Irak appoggiava Ibn Saud. E<br />

ciascuna delle due tendenze aveva, a sua<br />

volta, appoggi nel seno stesso del governo<br />

inglese. Queste due tendenze possono trovare<br />

una espressione in due ufficiali britannici,<br />

entrambi inviati in <strong>Medio</strong> <strong>Oriente</strong> con il<br />

compito di coltivare l’alleanza con gli arabi.


Due capitani<br />

Lawrence d’Arabia<br />

William Shakespear


India Office vs. Foreign Office<br />

• Due capitani inglesi batterono i deserti della penisola<br />

arabica nel 1916. Entrambi corteggiarono i re arabi<br />

con le borse piene di sterline d'oro per consolidare i<br />

patti. Il primo si chiamava Thomas Edward Lawrence.<br />

Il secondo William Henry Shakespeare. Nel corso del<br />

conflitto i due consegnarono nelle tasche di re, sharif<br />

e capitribù arabi una cifra corrispondente a<br />

cinquecento milioni di dollari di oggi. Mentre il primo,<br />

grazie anche ad un importante campagna publicistica,<br />

divenne ed è tuttora molto famoso, il secondo morì<br />

proprio in Arabia durante una battaglia tribale<br />

combattuta con Ibn Saud.<br />

• Uno seguiva le indicazioni dell'India Office. L'altro<br />

applicava la strategia del Foreign Office


La linea dell’ India Office<br />

• L'India Office sotto la responsabilità di Edwin Montagu<br />

considerava il futuro dei Paesi arabi, una volta collassato<br />

l'Impero ottomano, in funzione della difesa e dello<br />

sviluppo dei rapporti tra la madrepatria e il subcontinente<br />

indiano. Era dunque innanzitutto interessato a mantenere<br />

le alleanze storiche e i protettorati intessuti con gli emirati<br />

della costa della penisola arabica nonché i rapporti con i<br />

principati della penisola arabica come quello di Saud.<br />

L'India Office, sapeva, come abbiamo già visto, di<br />

governare il più grande Paese musulmano del mondo<br />

(corrispondente agli attuali Afghanistan, Pakistan, India,<br />

Bangladesh e Sri Lanka) abitato da alcune centinaia di<br />

milioni di islamici, che già in passato si erano ribellati con<br />

esiti sanguinosi. Il contagio irredentista sulle popolazioni<br />

musulmane indiane veniva considerato esiziale per il<br />

futuro dell'Impero britannico nel mondo asiatico


La posizione dell’India Office<br />

• Un memorandum del ministero degli Esteri del<br />

governo indiano del 1914 sintetizzava<br />

perfettamente questa posizione:<br />

• Ciò che noi auspichiamo non è un'Arabia unita,<br />

ma un'Arabia debole e disunita, divisa in piccoli<br />

principati soggetti il più possibile alla nostra<br />

tutela, incapaci di prendere iniziative coordinate a<br />

nostro danno, ma in grado di fungere da tampone<br />

nei confronti delle altre potenze occidentali.


La linea del Foreign Office<br />

• Il Foreign Office, con una maggiore preveggenza,<br />

vedeva un'articolazione della potenza inglese<br />

basata non tanto sulla conservazione dello status<br />

quo, quanto sulla capacità di Londra di costruire<br />

una grande sfera di influenza che accompagnasse<br />

le nascenti nazioni arabe in un cammino<br />

omogeneo a quello di Londra. Politica teorizzata a<br />

Londra ma che Lawrence d’Arabia aveva il<br />

compito di rendere operativa in loco, “pilotando”<br />

i propri interlocutori arabi con le lusinghe, la<br />

diplomazia, il denaro e l’esibizione della forza<br />

militare britannica.


La dichiarazione Balfour


Una regione, tre “accordi<br />

• 1915: corrispondenza tra Hussein della<br />

Mecca e Mac Mahon (alto commissario<br />

britannico in Egitto) che prevedeva la<br />

sovranità araba sui territori arabi con il ruolo<br />

determinante della dinastia hashemita<br />

• Gli accordi tra Ibn Saud e i britannici con i<br />

quali i britannici promettono il proprio<br />

appoggio alle mire terriotoriali di Ibn Saud<br />

sulla penisola arabica<br />

• Gli accordi di Sikes- Pikot del 1916 dividono<br />

il <strong>Medio</strong> <strong>Oriente</strong> in zone di influenza inglesi e<br />

francesi


La Dichiarazione Balfour<br />

• E’ un documento<br />

ufficiale del governo<br />

britannico inviato dal<br />

ministro Lord Balfour<br />

a Lord Rothschild -<br />

leader dell’ebraismo<br />

inglese, ma rivolta alla<br />

federazione sionista<br />

• Balfour era un politico<br />

conservatore che<br />

rivestiva nel 1917<br />

l’incarico di ministro<br />

degli esteri


Il testo della Dichiarazione Balfour<br />

• "Il governo di Sua Maestà vede con favore la<br />

costituzione in Palestina di un focolare<br />

nazionale per il popolo ebraico, e si adoprerà<br />

per facilitare il raggiungimento di questo<br />

scopo, essendo chiaro che nulla deve essere<br />

fatto che pregiudichi i diritti civili e religiosi<br />

delle comunità non ebraiche della Palestina,<br />

né i diritti e lo status politico degli ebrei nelle<br />

altre nazioni”


Un nuovo attore sulla scena medio-orientale<br />

• Con la dichiarazione Balfour si inseriva un<br />

nuovo attore nella già affollata scena medioorientale,<br />

un altro interlocutore che intendeva<br />

partecipare alla spartizione dei territori<br />

medio-orientali dell’Impero Ottomano già<br />

contesi da arabi, francesi e inglesi<br />

• Si trattava del movimento sionista, fondato nel<br />

1897 a Basilea, e che godeva, come si è visto,<br />

dell’esplicito appoggio britannico.


La presenza ebraica in Palestina<br />

• In realtà, l’immigrazione di ebrei in Palestina<br />

era una realtà già alcuni decenni. Nel 1897,<br />

quando si tenne il primo congresso sionista,<br />

circa 20 mila ebrei già vivevano in Palestina.<br />

Erano in maggioranza agricoltori, altri,<br />

soprattutto a Gerusalemme e nella città di<br />

Safed, erano ebrei ortodossi. La maggior parte<br />

degli agricoltori era arrivata durante i<br />

precedenti 30 anni, molti per sfuggire alle<br />

persecuzioni in Russia


La nascita del sionismo<br />

• Nel 1897 era stato fondato il movimento sionista<br />

che aveva come obiettivo l’insediamento degli<br />

ebrei in Palestina. Suo principale promotore fu un<br />

giornalista ungherese, Theodor Herzl. Gli obiettivi<br />

del movimento erano ambiziosi “l'obiettivo finale<br />

del Sionismo consiste nell'assicurare agli ebrei<br />

residenti in Palestina un proprio territorio<br />

nazionale sicuro e riconosciuto<br />

internazionalmente”. Il ritorno nella Terra<br />

Promessa di Israele, che per duemila anni era stato<br />

solo una aspirazione spirituale e sentimentale,<br />

trovò una forma pratica: il Sionismo, il ritorno a<br />

Sion.


Theodor Herzl


Alle origini del sionismo<br />

• Per comprendere le ragioni che<br />

determinarono la nascita del sionismo, è<br />

necessario inquadrarlo nel più ampio contesto<br />

della storia europea dell’Ottocento,<br />

prendendo in considerazione:<br />

‣La situazione delle comunità ebraiche in<br />

Europa<br />

‣Lo stimolo fornito dall’ideologia nazionalista


Dalla ghettizzazione all’assimilazione<br />

• Se, a partire dal basso <strong>Medio</strong> Evo e per tutto l’antico<br />

regime la condizione delle comunità ebraica era stata la<br />

ghettizzazione, che attraverso una insopportabile<br />

discriminazione aveva spinto gli ebrei a preservare una<br />

propria identità separata dai “gentili”, con l’illuminismo<br />

e l’affermarsi degli stati liberali la politica di molti stati<br />

aveva perseguito l’uguaglianza dei diritti di tutti i<br />

cittadini e quindi promosso politiche di “assimilazione”<br />

per le comunità ebraiche.<br />

• Specularmente era maturato in una parte delle<br />

comunità ebraiche il desiderio di “assimilarsi” alle<br />

società di cui facevano parte, lasciando la propria<br />

identità ebraica quale “retaggio” religioso di una<br />

identità indistinguibile da quella degli altri cittadini.


Gli ostacoli all’assimilazione<br />

• Tuttavia, pesantissimi ostacoli si frapponevano a<br />

questa nuova linea di condotta:<br />

• Il permanere, in numerose parti d’Europa,<br />

soprattutto nell’Europa Orientale e in primis in<br />

Russia, di atteggiamenti antisemiti, appoggiati<br />

spesso dal potere politico e che sfociarono in veri<br />

e propri massacri di massa<br />

• Il manifestarsi di movimenti antisemiti anche nei<br />

paesi dell’Europa occidentale e proprio in<br />

concomitanza con il tentativo di promuovere<br />

l’assimilazione


L’emergere dell’antisemitismo<br />

Due eventi si prestano a rappresentare questa situazione:<br />

• Il caso Dreyfus in<br />

Francia<br />

• I progrom russi<br />

di fine ottocento


I pogrom russi<br />

• Pogrom è un termine di derivazione russa che<br />

significa letteralmente «devastazione», con cui<br />

vengono indicate le sommosse popolari<br />

antisemite, e i conseguenti massacri e saccheggi.<br />

• In Russia, a partire dal 1871, e in particolare dalla<br />

seconda metà degli anni Settanta, scoppiò contro<br />

la popolazione ebraica un’ondata di violenza<br />

sempre più feroce, il cui apice fu raggiunto dai<br />

pogrom del biennio 1881-1882, attuati in seguito<br />

all'assassinio dello zar Alessandro II.


Il caso Dreyfus<br />

• Theodor Herzl, giornalista ungherese di religione<br />

ebraica, si trovava a Vienna quando nel 1894<br />

l'esercito francese accusò un ufficiale ebreo, il<br />

Capitano Alfred Dreyfus, di essere una spia<br />

tedesca. Il processo a Dreyfus, che alla fine fu<br />

giudicato colpevole di alto tradimento (anche<br />

sulla base di documenti rivelatisi in seguito falsi),<br />

spaccò letteralmente l'opinione pubblica francese<br />

che si divise in innocentisti e colpevolisti e generò<br />

anche diverse manifestazioni anti-ebraiche in<br />

Francia.


Il caso Dreyfus


Herzl e il caso Dreyfus<br />

• Il processo era chiaramente motivato da sentimenti<br />

antisemiti e creò sdegno tra gli ebrei di tutto il mondo.<br />

Dreyfus, infatti, fu accusato di tradimento sulla base di un<br />

biglietto anonimo e non datato ritrovato in mille pezzi in<br />

un cestino dell'immondizia. Inviato a Parigi dal giornale<br />

viennese per cui lavorava, Herzl seguì da vicino il<br />

processo a Dreyfus e rimase colpito dall'intensità<br />

del sentimento anti-ebraico che si sviluppò in Francia.<br />

• Agli occhi di Herzl, paradossalmente, il caso Dreyfus si<br />

presentava ancora più grave dei pogrom russi, in quanto<br />

evidenziava che nemmeno nella patria della rivoluzione<br />

francese gli ebrei venivano veramente accettati dalla<br />

società


Herzl: l’antisemitismo europeo<br />

• Gli attacchi nei parlamenti, nei comizi, nella stampa,<br />

dai pulpiti delle chiese, per la strada, in viaggio -<br />

esclusione da certi alberghi - e perfino nei luoghi di<br />

divertimento, crescono di giorno in giorno. Le<br />

persecuzioni hanno diverso carattere secondo i paesi<br />

ed i ceti sociali. In Russia si taglieggiano i villaggi degli<br />

Ebrei, in Rumenia si accoppa un paio di uomini, in<br />

Germania, se se ne offre il destro, si bastonano, in<br />

Austria gli antisemiti terrorizzano tutta la vita pubblica,<br />

in Algeria compaiono dei predicatori ambulanti che<br />

aizzano contro gli Ebrei, a Parigi la cosiddetta miglior<br />

società si ritira e i circoli si chiudono di fronte ad essi.<br />

Le sfumature non si contano. (Lo Stato Ebraico)


Herzl: fuori gli ebrei<br />

• Credo che l'oppressione esista dappertutto. Negli<br />

strati ebraici economicamente superiori essa<br />

produce un disagio; negli strati medi c'è un<br />

affanno grave, cupo; in quelli inferiori la nuda<br />

disperazione.<br />

• E' un fatto che si finisce dappertutto nella stessa<br />

musica, la quale può riassumersi nel classico grido<br />

berlinese: Fuori gli Ebrei!<br />

• Ora io enuncerò il problema ebraico nella sua<br />

forma più concisa: dobbiamo ormai andarcene<br />

"fuori"? e dove?<br />

• Oppure possiamo ancora restare? e quanto?


Herzl: il fallimento dell’assimilazione<br />

• Ho già parlato della nostra "assimilazione". Non dico<br />

affatto di desiderarla. La personalità del nostro popolo<br />

è storicamente troppo gloriosa e, malgrado tutte le<br />

umiliazioni, troppo alta perché se ne abbia a desiderare<br />

la scomparsa. Ma forse noi potremmo sperderci<br />

dovunque nei popoli che ci circondano, senza che<br />

restasse traccia di noi, se ci si lasciasse in pace per due<br />

generazioni. Non ci si lascerà in pace. Dopo brevi<br />

periodi di tolleranza si ridesta sempre di nuovo<br />

l'animosità contro di noi; il nostro benessere sembra<br />

contenere qualcosa d'irritante, essendo il mondo<br />

abituato da molti secoli a vedere in noi i più spregevoli<br />

fra i povero.


Herzl: lo stato ebraico<br />

• Tutto il mio piano, nella sua forma essenziale, è<br />

straordinariamente semplice, e deve anch'esserlo,<br />

se l'hanno da capire tutti gli uomini.<br />

• Ci si dia la sovranità di un pezzo della superficie<br />

terrestre, che basti per i giusti bisogni del nostro<br />

popolo, e di tutto il resto ci occuperemo noi stessi.<br />

• Il sorgere di una nuova sovranità non ha niente di<br />

ridicolo o d'impossibile. A un simile fatto abbiamo<br />

pure assistito a' nostri giorni, e si tratta di popoli che<br />

non sono, come noi, popoli di ceto medio, ma più<br />

poveri, incolti, e perciò più deboli. Il procurarci la<br />

sovranità è un interesse vitale per i governi dei paesi<br />

dove compare l'antisemitismo.


Herzl e il sionismo<br />

• Herzl giunse così alla conclusione che il popolo ebraico<br />

non avrebbe mai potuto raggiungere un benessere e<br />

un'integrazione perfetta permanente nelle nazioni in cui<br />

era presente come minoranza. Tornato a Vienna, Herzl<br />

propose una risposta alle ingiustizie dell'antisemitismo,<br />

che consisteva nel movimento chiamato Sionismo.<br />

Secondo questa ideologia, solo vivendo in un territorio a<br />

nazionalità ebraica gli ebrei possono essere<br />

completamente al sicuro dall’antisemitismo.<br />

• Inoltre, questo territorio doveva corrispondere all'antico<br />

Regno di Israele, la Palestina, regione all'epoca<br />

appartenente all'Impero Ottomano e gestita dal Sultano<br />

turco.


Il congresso di Basilea<br />

• Herzl dopo aver pubblicato nel 1896 Der<br />

Judenstaat (“Lo Stato ebraico”) con cui, come<br />

abbiamo visto, teorizzava le <strong>modalità</strong> della<br />

nascita di uno Stato per gli ebrei, nel 1897<br />

tenne una conferenza a Basilea in Svizzera.<br />

Delegati arrivarono da tutto il mondo, la<br />

maggior parte di essi giunsero dalla Russia,<br />

altri dal Canada, dagli USA, dall'Inghilterra e<br />

da altri paesi dell'Europa Occidentale: si trattò<br />

del primo congresso del sionismo.


Aliyah<br />

• I pogrom russi e la nascita del sionismo<br />

incoraggiarono perciò l’immigrazione ebraica in<br />

Palestina. L’immigrazione organizzata di gruppi<br />

consistenti di popolazione venne chiamata aliyah<br />

(lett. Pellegrinaggio). Prima del 1914, si<br />

riconoscono due grandi aliyah:<br />

• Prima Aliyah (1882-1903), per i pogrom del 1880-<br />

1882<br />

• Seconda Aliyah (1904-1914), per i pogrom del<br />

1903-1906


Sionismo e nazionalismo<br />

• Come si vede, la risposta di Herzl al problema<br />

dell’antisemitismo si ispira decisamente al<br />

nazionalismo, ideologia così influente non solo in<br />

Europa ma nello stesso <strong>Medio</strong> <strong>Oriente</strong>.<br />

• Il paradosso ebraico, secondo Herzl, è proprio il<br />

fatto che si trattava di una “nazione” privata, per<br />

ragioni storiche, della propria terra; solo la<br />

nascita di uno “stato nazionale” ebraico avrebbe<br />

potuto garantire la sopravvivenza e il benessere<br />

degli ebrei.<br />

• Ciò è ben riassunto dalla frase spesso associata al<br />

sionismo delle origini: "Una terra senza popolo<br />

per un popolo senza terra"


I sionisti e la prima guerra mondiale<br />

• Considerando che gli ebrei della Palestina confidavano<br />

nel fatto che una sconfitta turca avrebbe loro permesso<br />

di fondare il loro Stato, le autorità ottomane si<br />

insospettirono e ne espulsero molti dalla regione<br />

attraverso il Sinai verso la zona dell’Egitto controllata<br />

dagli inglesi. Altri ebrei palestinesi furono portati in Siria<br />

e costretti a costruire strade. Quelli che raggiunsero<br />

l’Egitto furono disposti a collaborare con l’Inghilterra,<br />

sperando di condurre i turchi fuori dalla Palestina per<br />

contribuire alla costruzione del futuro Stato. Occorre<br />

tenere presente che molti ebrei tedeschi e austriaci<br />

sostenevano invece con forza la causa imperiale perché<br />

diretta contro la Russia, la principale persecutrice degli<br />

ebrei.


Il contributo ebraico alla guerra<br />

• Due ebrei nati in Russia (Jabotinsky<br />

e Trumpeldor) che vivevano a Il<br />

Cairo convinsero gli inglesi alla<br />

messa a punto di un’unità<br />

dell’esercito interamente ebraica. Il<br />

primo atto dell’azione militare<br />

ebraica ebbe luogo nella Penisola di<br />

Gallipoli.<br />

• Dietro le linee turche, un gruppo di<br />

ebrei palestinesi conosciuto<br />

come Nili Group (dall’acronimo<br />

ebraico della frase tratta dal libro di<br />

Samuel “Netzah Yisrael lo<br />

yeshakker”: la forza di Israele non<br />

mentirà) forniva agli inglesi<br />

informazioni importantissime di<br />

intelligence sulla posizione delle<br />

forze nemiche nonché sul modo<br />

migliore di avanzare nel deserto del<br />

Sinai verso la Palestina.<br />

contro gli ottomani


• Un altro ebreo andò in<br />

Inghilterra prima della<br />

Guerra Mondiale: si trattava<br />

del chimico russo Chaim<br />

Weizmann, il quale diede<br />

un aiuto essenziale nello<br />

sviluppo di esplosivi.<br />

Divenuto capo del<br />

movimento Sionista in<br />

Inghilterra, persuase molti<br />

leader inglesi<br />

nell’appoggiare la nascita di<br />

uno Stato ebraico in<br />

Palestina.<br />

Chaim Weizmann


La stesura della dichiarazione Balfour<br />

• Come riconoscenza per l’aiuto dato all’esercito<br />

inglese dal Nili Group e sperando di spingere<br />

gli ebrei di Russia e Stati Uniti a stimolare i<br />

loro governi nel supportare la guerra contro la<br />

Germania, il segretario agli affari esteri Arthur<br />

James Balfour il 2 novembre 1917 inviò una<br />

lettera a Lord Rothschild, il leader<br />

dell’ebraismo inglese, promettendo la nascita<br />

di un focolare ebraico(“National Home”) in<br />

Palestina in caso di sconfitta dei Turchi


Il testo della Dichiarazione Balfour<br />

• "Il governo di Sua Maestà vede con favore la<br />

costituzione in Palestina di un focolare<br />

nazionale per il popolo ebraico, e si adoprerà<br />

per facilitare il raggiungimento di questo<br />

scopo, essendo chiaro che nulla deve essere<br />

fatto che pregiudichi i diritti civili e religiosi<br />

delle comunità non ebraiche della Palestina,<br />

né i diritti e lo status politico degli ebrei nelle<br />

altre nazioni”


L’interpretazione della<br />

dichiarazione Balfour<br />

• Le ambiguità presenti nel testo e il contesto<br />

che circondò la sua stesura hanno spesso<br />

condotto a differenze di interpretazione circa<br />

la portata e il significato della dichiarazione<br />

Balfour. Anche se manifesta chiaramente<br />

l’appoggio britannico al movimento sionista,<br />

non si possono trascurare le profonde divisioni<br />

esistenti nel governo britannico e nello stesso<br />

mondo ebraico.


Le divisioni nel mondo ebraico<br />

• Il progetto sionista incontrava diverse opposizioni<br />

nel mondo ebraico, che si possono così<br />

sommariamente schematizzare:<br />

‣L’opposizione di parte dell’ortodossia religiosa,<br />

convinta che la fondazione di uno stato ebraico<br />

costituisse un tradimento dell’attesa messianica e<br />

contraria al carattere fondamentalmente laico del<br />

movimento sionista<br />

‣L’opposizione degli ebrei che avevano perseguito<br />

la strada dell’assimilazione e che non accettavano<br />

il progetto sionista<br />

‣Le divisioni tra gli stessi sionisti dovute alla<br />

differenti appartenenze nazionali


L’opposizione degli ebrei antisionisti<br />

• L'opposizione degli ebrei britannici antisionisti<br />

venne condotta, all'interno del governo<br />

stesso, dal ministro per gli Affari indiani Edwin<br />

Montagu, e al suo esterno dalla Anglo jewish<br />

Association, il cui presidente, Montefiore,<br />

temeva, come Montagu, che la nascita di una<br />

comunità statale ebraica avrebbe potuto far<br />

sorgere dubbi sulla fedeltà al loro paese dei<br />

cittadini ebrei.


Le divisioni tra i sionisti<br />

• La massa più numerosa di ebrei viveva in Russia; Io Yishuv<br />

nell'Impero ottomano, cioè la comunità ebraica in Palestina; la<br />

direzione del movimento si trovava a Berlino; gli istituti finanziari a<br />

Londra. Dei sei membri dell'esecutivo due erano tedeschi, tre russi,<br />

uno austriaco; i ventisei membri del consiglio permanente<br />

comprendevano tedeschi, austriaci, russi, inglesi, francesi, belgi. Oltre<br />

alle divisioni tra nazioni ormai opposte, era forte anche la divisione<br />

nei sentimenti, giacche la maggioranza degli ebrei russi odiava a tal<br />

punto quel regime di discriminazioni e pogrom da desiderare<br />

ardentemente la vittoria degli imperi centrali; sostenendo per di più,<br />

non senza qualche ragione, che se il movimento avesse preso partito<br />

per gli Alleati avrebbe rischiato di mettere in grave pericolo la<br />

comunità ebraica della Palestina, che avrebbe potuto avere la stessa<br />

sorte toccata in precedenza agli armeni.<br />

• Solo una minoranza, che faceva capo a Weizmann, si dichiarava<br />

invece convinta che il futuro del movimento sionista stava proprio<br />

nella liquidazione dell'Impero ottomano, e che, cli conseguenza, gli<br />

ebrei dovevano sostenere la causa degli Alleati, senza pensare alla<br />

Russia, per contare sulla loro vittoria e raggiungere, cori, gli scopi del<br />

movimento.


La conferenza di Parigi e il<br />

sistema dei mandati


LA CONFERENZA DI PARIGI<br />

Nel gennaio del 1919, si aprì a Parigi una conferenza tra le potenze vincitrici che avrebbe<br />

dovuto stabilire le condizioni dei trattati di pace.<br />

La conferenza di Parigi, da destra: il presidente statunitense Woodrow Wilson, il<br />

francese Georges Clemenceau, l’italiano Vittorio Emanuele Orlando e il<br />

britannico Lloyd George.


Il condizionamento del nuovo<br />

contesto post-bellico<br />

Quando si apre la Conferenza,<br />

l’assetto internazionale, oltre che<br />

dalla fine del conflitto, è<br />

condizionato da 4 eventi<br />

“imprevisti” ma direttamente<br />

collegati alla guerra e che<br />

sconvolgono ulteriormente il<br />

quadro internazionale<br />

Elvira Valleri 2010-11<br />

126


Un quadro internazionale sconvolto<br />

1)<br />

1917: crollo dell’Impero<br />

zarista. La Russia è<br />

diventata una Repubblica<br />

socialista<br />

2)<br />

Nov.1918 anche il Reich<br />

tedesco non esiste più, la<br />

Germania è diventata una<br />

Repubblica democratica<br />

3)La fine della guerra<br />

porta con se anche il crollo<br />

dell’Impero Austroungarico.<br />

4)<br />

Anche l’Impero ottomano<br />

viene travolto dalla guerra:<br />

e si pone il problema di un<br />

suo riassetto definitivo<br />

Elvira Valleri 2010-11<br />

127


I contrasti tra i quattro “grandi”<br />

Alla conferenza di pace, i quattro «grandi» vi arrivano con<br />

aspettative e pre-comprensioni totalmente diverse:<br />

i paesi europei dell’Intesa vi arrivano con una serie di accordi più o<br />

meno segreti che intendono far valere, gli USA con i principi espressi<br />

nei cosiddetti “14 punti”<br />

18 gennaio 1918 Wilson ha<br />

fissato in 14 PUNTI gli obiettivi<br />

che gli STATI UNITI si prefiggono<br />

entrando in guerra<br />

14 PUNTI: libertà di navigazione<br />

, rinuncia alla diplomazia<br />

segreta, disarmo generale,<br />

reintroduzione di accordi comm.<br />

liberistici, l’autodeterminazione<br />

dei popoli e la creazione della<br />

SDN<br />

A fondamento della politica di<br />

Wison vi è l’affermazione di una<br />

“pace senza vincitori”<br />

Ma la pace senza vincitori non la<br />

vuole la Francia, nemmeno la<br />

Gran Bretagna, ma nemmeno<br />

l’ITALIA che vuole “incassare le<br />

promesse del Patto di Londra<br />

Le relazioni diplimatiche saranno<br />

così molto difficili e soprattutto<br />

lontane dai 14 PUNTI di WILSON<br />

128


Un compito “immane” per la<br />

Conferenza di Parigi<br />

• Alla luce dello sconvolgimento prodotto dalla<br />

guerra, dall’enorme quantità di stati e territori<br />

coinvolti in tutto il mondo, il compito della<br />

Conferenza di Parigi si rivelò percio immane:<br />

• Non solo stipulare dei “semplici” trattati di<br />

pace, ma disegnare un nuovo volto in primis<br />

dell’Europa ma anche di altre parti del mondo,<br />

come il <strong>Medio</strong> <strong>Oriente</strong> ad esempio


I 12° punto di Wilson<br />

Nel gennaio del 1918 Wilson aveva anticipato i suoi principi<br />

relativi all'ordine mondiale post-bellico. Dell’Impero<br />

ottomano si parla nel punto 12:<br />

Alle regioni turche dell'attuale impero ottomano dovrà<br />

essere assicurata una sovranità non contestata, ma alle<br />

altre nazionalità, che ora sono sotto il giogo turco, si<br />

dovranno garantire un'assoluta sicurezza d'esistenza e<br />

la piena possibilità di uno sviluppo autonomo e senza<br />

ostacoli. I Dardanelli dovranno rimanere aperti al libero<br />

passaggio delle navi mercantili di tutte le nazioni sotto la<br />

protezione di garanzie internazionali


Una regione, quattro “accordi<br />

• 1915: corrispondenza tra Hussein della<br />

Mecca e Mac Mahon (alto commissario<br />

britannico in Egitto) che prevedeva la<br />

sovranità araba sui territori arabi con il ruolo<br />

determinante della dinastia hashemita<br />

• Gli accordi tra Ibn Saud e i britannici con i<br />

quali i britannici promettono il proprio<br />

appoggio alle mire terriotoriali di Ibn Saud<br />

sulla penisola arabica<br />

• Gli accordi di Sikes- Pikot del 1916 dividono<br />

il <strong>Medio</strong> <strong>Oriente</strong> in zone di influenza inglesi e<br />

francesi<br />

• La dichiarazione Balfour del 1917 indirizzata<br />

alla federazione sionista e che impegna<br />

alla costruzione di un focolaio nazionale<br />

ebraico in Palestina


La “sistemazione” del <strong>Medio</strong> <strong>Oriente</strong><br />

• Il problema dell’assetto da dare al <strong>Medio</strong><br />

<strong>Oriente</strong> liberato dal dominio ottomano<br />

rappresenta un caso chiarissimo di come le<br />

diverse preoccupazioni dei vincitori nonché le<br />

conseguenze delle politiche da loro adottate<br />

durante il conflitto dovessero dar luogo a<br />

situazioni difficili da dipanare.<br />

• Nelle stesse regioni si sovrappongono le<br />

ambizioni di arabi di diverso orientamento,<br />

degli ebrei sionisti, degli inglesi.


Il “compromesso”: il sistema dei<br />

mandati<br />

• Il compromesso tra le aspirazioni dei popoli (o<br />

meglio, delle loro classi dirigenti) e quello dei<br />

paesi vincitori e imperialisti (Gran Bretagna e<br />

Francia) fu trovato attraverso il sistema dei<br />

mandati.<br />

• Il sistema mandatario fu definito a questo modo:<br />

• « Alcune comunità appartenenti all'Impero<br />

ottomano hanno raggiunto un tale grado di<br />

sviluppo che la loro esistenza come nazioni<br />

indipendenti può essere riconosciuta, a patto che i<br />

consigli e l'aiuto di un mandatario guidino la loro<br />

amministrazione fino al momento in cui saranno<br />

capaci di condursi da sole. »


I nuovi confini del <strong>Medio</strong> <strong>Oriente</strong><br />

• Sulla base del sistema dei mandati si procedette quindi<br />

a suddividere i territori medio-orientali sulla base di<br />

frontiere “nazionali” che, come si è visto, non erano un<br />

carattere tipico dell’area.<br />

• Non si trattò di restituire dei territori alla sovranità di<br />

popoli che ne erano stati privati dagli ottomani ma di<br />

“definire” e quasi “creare” entità nazionali nuove sulla<br />

base delle aspettative non solo dei potentati locali ma<br />

anche delle potenze coloniali e del movimento sionista.<br />

• Il sistema dei mandati era stato anticipato da<br />

importanti prese di posizione, quella congiunta di<br />

Weizmann e Feysal rigurdante la Palestina e quella di<br />

Feysal riguardante il resto del <strong>Medio</strong> <strong>Oriente</strong>.


La dichiarazione Feisal<br />

e Weizmann del 1919<br />

• Feisal e Weizmann si incontrarono a Londra il 3<br />

gennaio 1919, dove stilarono un documento ufficiale<br />

che confermò la loro intenzione di procedere in<br />

stretto accordo per Io sviluppo sia di uno stato arabo<br />

che della Palestina, prevedendo per questa « tutte le<br />

misure necessarie per incoraggiare l'immigrazione<br />

ebraica », pur salvaguardando, venne specificato, « i<br />

diritti dei contadini e dei coloni arabi ». Era pure<br />

previsto che le frontiere tra lo stato arabo e la<br />

Palestina sarebbero state delimitate in seguito da una<br />

commissione, che le due stesse parti avrebbero<br />

dovuto nominare, ricorrendo, in caso di dispute,<br />

all'arbitrato britannico


Le richieste di Feysal alla<br />

Conferenza di Parigi<br />

• Feisal avrebbe chiesto poco dopo ai rappresentanti della<br />

Conferenza della pace che per la Palestina venisse nominata<br />

una potenza fiduciaria — in pratica l'Inghilterra — fino<br />

all'istituzione di una amministrazione rappresentativa locale,<br />

e riconosciuto pure il diverso livello di sviluppo economico e<br />

sociale dei vari territori arabi, per cui sarebbe stato difficile<br />

racchiuderli tutti entro un identico assetto. Oltre la Palestina,<br />

la sua conclusione fu:<br />

‣ indipendenza — di cui già in pratica godevano — per Yemen,<br />

Neged, Hegiaz (cioè l'Arabia);<br />

‣ l'Irak, invece, avrebbe dovuto essere, si, retto da arabi, ma<br />

sotto la sorveglianza di una potenza straniera,<br />

‣ mentre la Siria, già politicamente avanzata, avrebbe dovuto<br />

autonomamente reggersi da sé.


I mandati inglesi e francesi<br />

• Seguendo le linee di fondo degli accordi Sykes-Picot,<br />

pur con alcuni aggiustamenti, il sistema dei mandati<br />

prevedeva:<br />

• Un mandato inglese sull’attuale Palestina, Giordania e<br />

Iraq<br />

– Una amministrazione fiduciaria inglese in Palestina, non<br />

sottoposta ad autorità arabe o ebraiche<br />

– La creazione di un regno comprendente le altre regioni del<br />

mandato britannico che avesse come re Abdallah<br />

– Il riconoscimento in Arabia di un regno dell’Hegiaz<br />

sottoposto a Hussein e di un regno del Neged sottoposto a<br />

Ibn Saud<br />

• Un mandato francese sugli attuali Siria e Libano, con la<br />

creazione di un regno con a capo Feysal


I mandati in Mesopotamia


La situazione in Arabia


I mandati nel loro complesso


La fragilità del sistema dei mandati<br />

• Ma il sistema dei mandati si rivelò nel suo<br />

complesso fragile e in parte anche artificiale,<br />

tanto che importanti aspetti della sua<br />

architettura furono subito rimessi in<br />

discussione o smantellati.<br />

• E’ questo l’argomento del prossimo incontro…

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