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numero zero PAGINE SINGOLE

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il mistero più grande di questo strumento<br />

di registrazione però è come<br />

mai i fonici pensano, visto tutti questi<br />

esempi, che per usarla bene la<br />

compressione deve essere SEMPRE<br />

invisibile. Non è del tutto vero. Se è<br />

vero che un attacco molto veloce del<br />

compressore può cancellare le piccole<br />

imperfezioni umane del musicista<br />

è anche vero, io credo, che utilizzare<br />

un effetto per correggere una mancanza<br />

di un musicista abbia poco<br />

senso. Delle due si cambia il musicista.<br />

Molta musica pop americana<br />

cade in questo errore. Da quando le<br />

grandi radio hanno iniziato a sponsorizzare<br />

per lo più musica frastornante<br />

in termini volume, sì è creata<br />

un po’ l’esigenza nelle case di produzione<br />

di spingere il più possibile<br />

il master del brano sempre al limite,<br />

appena sotto la distorsione vera e<br />

propria. Ma farlo di nascosto, in<br />

sordina, rinnegando poi di aver mai<br />

utilizzato tali metodi o anche solo<br />

sentiti per caso, manco sia la peste,<br />

non è la soluzione migliore. Non<br />

si fa partecipare emotivamente l’ascoltatore<br />

e non accresce in nessun<br />

modo il suono. Come nel cinema<br />

anche per gli effetti audio vale la<br />

regola se non è strettamente necessario<br />

non metterlo. Con il passare dei<br />

decenni però sono state anche molte<br />

le sperimentazioni che hanno permesso<br />

di ottenere un suono originale<br />

e estetico da questo trend. Come<br />

Elvis usava il delay reverb per creare<br />

l’ipnotica melodia volcale della sua<br />

versione di Blue Moon ecco che una<br />

sperimentazione dei limiti aggressivi<br />

della compressione ci ha portato il<br />

suono dei Death Grips per cui il<br />

gruppo è tanto riconosciuto. Sporco,<br />

esagerato, pieno, diretto in faccia<br />

come un cazzotto, che arriva e stordisce<br />

l’ascoltatore come un tuono. Usato<br />

con vari settaggi diversi ma sempre<br />

onnipresente nelle composizioni del trio<br />

hardcore hiphop questa caratteristica ha<br />

fatto sì che la violenza di musica e testi<br />

venga trasportata anche nell’immediato<br />

del mixaggio creando un muro del suono<br />

che è riconoscibile subito tra tanti altri.<br />

Siccome applicando una compressione<br />

audio si vanno ad accentuare rumori di<br />

sottofondo, riverberi naturali ed armoniche<br />

degli strumenti è stato utilizzato con<br />

efficacia anche nel campionamento, per<br />

rendere più apparente all’ascoltatore dove<br />

il sample finisce e viene loopato sviluppando<br />

una trance del tutto analogica e<br />

umana, come per il montaggio analogico<br />

fatto con le forbici. Questo è utilizzatissimo<br />

nella Techno vecchia scuola e nella<br />

French House dove la compressione diventa<br />

fondamentale anche sulla grancassa<br />

per arricchirla di armoniche e alle volte<br />

saturazione. Ma dobbiamo ricordarci che<br />

in quasi tutti gli altri casi di musica<br />

mainstream avere un corretto rapporto<br />

tra momenti di quiete sonora e assordante<br />

caos è fondamentale, specie se comprimere<br />

all’inverosimile non incrementa<br />

le qualità di un brano ma serve solo a<br />

farsi accettare alla radio locale. Ricordo<br />

ancora il primo momento in cui capì<br />

veramente qual’era il vero scopo di avere<br />

un range dinamico alto nelle canzoni.<br />

Era la prima di molte volte che ascoltavo<br />

Amarok l’album uscito nel 1990 dal genio<br />

di Mike Oldfield, tuttora il mio album<br />

preferito. Dopo 25 secondi di una melodia<br />

molto “lazy” e arpeggiata suonata<br />

con un volume bassissimo entrano degli<br />

“stab” (pugnalate) di chitarra elettrica a<br />

violentare le orecchie dell’ascoltatore. Un<br />

gesto che va visto come un affronto di<br />

Oldfield e che io cito spesso come uno<br />

dei momenti più incredibili della musica<br />

del novecento.

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