BienNoLo 2019
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<strong>BienNoLo</strong><br />
Eptacaidecafobia<br />
a cura di ArtCityLab, Matteo Bergamini e Carlo Vanoni<br />
postmedia●books
ArtCityLab<br />
2501<br />
Stefano Arienti<br />
Mario Airò<br />
Elizabeth Aro<br />
Francesco Bertelè<br />
Stefano Boccalini<br />
Marco Ceroni<br />
The Cool Couple<br />
Vittorio Corsini<br />
Carlo Dell’Acqua<br />
Serena Fineschi<br />
Giovanni Gaggia<br />
Giuseppina Giordano<br />
Riccardo Gusmaroli<br />
Sergio Limonta<br />
Loredana Longo<br />
Iva Lulashi<br />
Massimo Kaufmann<br />
Francesca Marconi<br />
Alessandro Nassiri<br />
Adrian Paci<br />
Federica Perazzoli<br />
Matteo Pizzolante<br />
Premiata Ditta<br />
Alfredo Rapetti Mogol<br />
Margherita Morgantin<br />
Sara Rossi<br />
Alessandro Simonini<br />
Monica Sgrò<br />
Ivana Spinelli<br />
T-yong Chung<br />
Eugenio Tibaldi<br />
Luisa Turuani<br />
Massimo Uberti<br />
Vedovamazzei<br />
Bea Viinamäki<br />
Italo Zuffi<br />
Artisti progetto “Mi abito”:<br />
Francesco Bertelé, Francesca<br />
Marconi, Farmacia Wurmkos,<br />
Margherita Morgantin, Clara Rota<br />
PRATICHE URBANE:<br />
Scuola di Santa Rosa: Luigi Presicce<br />
e Francesco Lauretta<br />
PERFORMANCE:<br />
Stefano Arienti, Margaux Bricler,<br />
Marco Ceroni, Laura Cionci,<br />
Carlo Dell'Acqua, Giulio Lacchini,<br />
Francesca Marconi, Pawel und<br />
Pavel, Bea Viinamäki.<br />
Segreteria organizzativa<br />
ArtCityLab<br />
Coordinamento<br />
ArtCityLab, Chiara Rosati<br />
Logistica<br />
ArtCityLab, Enrico Bongiorno<br />
Ufficio stampa<br />
PCM Studio di Paola C. Manfredi<br />
Fotografie<br />
Fabrizio Stipari, Yayzaveda<br />
Bohachova, Adrienne Lawson,<br />
Angela Maderna, Laura Maggiore,<br />
Chiara Rosati, ArtCityLab<br />
Il logo di <strong>BienNoLo</strong> è di Riccardo<br />
Gusmaroli<br />
<strong>BienNoLo</strong> è un marchio registrato<br />
col numero 302018000024783<br />
<strong>BienNoLo</strong>. Eptacaidecafobia<br />
a cura di ArtCityLab, Matteo Bergamini e<br />
Carlo Vanoni<br />
© <strong>2019</strong> Postmedia Srl, Milano<br />
www.postmediabooks.it<br />
ISBN 9788874902835
<strong>BienNoLo</strong><br />
Eptacaidecafobia<br />
a cura di ArtCityLab, Matteo Bergamini e Carlo Vanoni<br />
postmedia books
Abbracciare il paesaggio<br />
Abbracciare il visibile e l’invisibile, come nel<br />
“tramonto in cattività” di Francesco Bertelé, che<br />
si rivela solo per mezz’ora al giorno nel passaggio<br />
tra il calare del sole e l’arrivo della sera, nato in<br />
stretto dialogo con l’installazione Mediterraneo di<br />
Sara Rossi, combinazione di 35 metri di cartoline<br />
postali, ideale landscape ottico. Un omaggio alla<br />
natura tra il reale e l’onirico è il tema della scultura<br />
in vetro blu di Vittorio Corsini, mentre Adrian Paci<br />
pone lo spettatore in condizione di contemplare<br />
la vegetazione spontanea dell’ex spazio Cova in<br />
quello che possiamo considerare un unico invisibile<br />
abbraccio fra uomo e natura.<br />
Muffe, camouflage e trasformazione<br />
All’interno del percorso espositivo si trovano delle<br />
opere che, per loro natura, nascono effimere e<br />
transitorie come nello storico intervento di coloritura<br />
delle muffe di Stefano Arienti, o nello skyline di Milano<br />
realizzato in occasione di RAID, nel 2017, di Eugenio<br />
Tibaldi. All’ex spazio Cova nascono, crescono e<br />
si colorano non solo le muffe ma anche le opere,<br />
ricordandoci che l’arte spesso ci racconta di visioni<br />
e non per forza di materia, come nell’intervento di<br />
Mario Airò che crea una relazione fra una vecchia<br />
tabella educativa aziendale e i muri che la ospitano.<br />
La forma delle parole<br />
Tutti conoscono il peso delle parole, soprattutto<br />
quando vengono scritte, ma non tutti ne conoscono<br />
la forma o ne ricercano la struttura: Alessandro Nassiri<br />
Tabibzadeh incide a mano su un vecchio specchio<br />
una frase che ci parla di razzismo, parole invisibili che si<br />
riflettono in chi si guarda; parole reticenti invece quelle<br />
dell’opera di Margherita Morgantin nascoste alla<br />
vista di chi non sa cercare. La parola “dono” diventa<br />
un campo dove coltivare la diversità nell’intervento<br />
di Stefano Boccalini, mentre V for Victory di Loredana<br />
Longo parte dall’idea di mettere insieme immagini o<br />
elementi in netta antitesi: gli estremi possono sempre<br />
incontrarsi e dare un senso nuovo alle immagini<br />
precostituite. Lo sconfinamento è il primo passo di<br />
una civiltà ci ricorda Giovanni Gaggia ricamando<br />
su una coperta grigia dell’esercito tedesco la parola<br />
Presentazione di <strong>BienNoLo</strong> all'Hug - 28 febbraio <strong>2019</strong> e al<br />
Mercato Comunale Crespi - 30 aprile <strong>2019</strong>
SCONFINARE, in cui lo sconfinamento non presuppone un luogo ma un movimento<br />
costante e un processo che si sviluppa intorno alla bellezza della parola condivisa. Per<br />
tutta la durata della manifestazione il pubblico interagisce con l’artista rispondendo<br />
alla domanda "Qual è stato l’avvenimento più importante della tua vita che ti ha spinto<br />
a fare la valigia?" Partner attiva del progetto è RadioNoLo.<br />
Metodo, materia e meditazione<br />
I processi di metodo prevedono pratiche che potremmo quasi definire meditative in cui<br />
l’artista sviluppa l’opera processando la materia: T-Yong Chung recupera e dà nuova<br />
vita a oggetti provenienti da fabbriche abbandonate attraverso un’azione costante<br />
sulla superficie degli stessi, utilizzando carta vetrata rimuove la ruggine del tempo,<br />
restituendo loro una nuova funzione; un incessante corpo a corpo con la materia<br />
caratterizza invece l’intervento di Serena Fineschi che realizzerà un’opera che cita<br />
l’Action painting: un grande dripping di chewing-gum masticati e sputati, tentativo<br />
di trasformare, provocare, assimilare e ricomporre la materia. L’intervento ambientale<br />
di 2501 evidenzia un processo creativo in cui il segno pittorico, la tensione del gesto,<br />
il movimento circolare e continuo come in un loop trasformano la materia, lo spazio,<br />
la superficie e l’architettura stessa, in un rito dove artista e luogo si fondono attraverso<br />
quella che potremmo definire una pittura automatica.<br />
Inquietudine relazionale<br />
La colonna di cemento e perlite installata da The Cool Couple è un monumento<br />
che il pubblico è invitato a prendere a mazzate, trasformandolo in una scultura<br />
modellata attraverso la veemenza. Laura Cionci invita lo spettatore a partecipare al<br />
racconto, all’incontro, allo scambio e al confronto sullo stato dell’essere tra dolore,<br />
consapevolezza, vita e morte.<br />
Soggetto/Oggetto<br />
Attraverso la metamorfosi di alcune carene di scooter Marco Ceroni crea sculture in<br />
bilico tra demoniaco e animale, innescando così un cortocircuito continuo tra reale<br />
e verosimile, tra quotidiano e perturbante; Sergio Limonta, in Solo la bandiera, lascia<br />
aperte allo spettatore infinite possibilità di interpretazioni sui simboli e sul concetto di<br />
monumento contemporaneo. Storno di Vedovamazzei, opera del 1995, riflette sul<br />
delirio di onnipotenza: chi vuole volare troppo alto rischia, in questo caso, uno schianto<br />
tra il tragico e l’ironico. Italo Zuffi, con l’opera Rarefatto, invece ci pone di fronte a<br />
una natura morta “mimetica” in cui materiale e soggetto riscrivono la relazione tra<br />
significante e significato. Federica Perazzoli costruisce un’opera (casa-autoritratto) dal<br />
titolo All I need: un ambiente domestico dove lo spettatore potrà accedere ma anche<br />
un involucro contenente il “minimo” contro la bulimia della vita contemporanea.<br />
Antropologie del trauma<br />
Attraverso la disposizione forzata in verticale di una parete di cactus, Carlo Dell’Acqua<br />
ci pone di fronte al concetto di resistenza al trauma, che se non affrontato diventa<br />
stato allucinatorio. Le quattro sculture in vetro di Massimo Kaufmann riproducono<br />
alcuni frammenti del corpo sezionato di un condannato a morte, utilizzati per costruire
un atlante anatomico online. Un lungo filo spinato nel quale<br />
sono inseriti boccioli di rosa rende meno respingente la paura<br />
del confine nell’opera di Giuseppina Giordano. E di confini e<br />
attraversamenti, di sradicamento e cronache ci parla anche<br />
Riccardo Gusmaroli, con un intervento realizzato per gli<br />
spazi esterni dell’ex spazio Cova, attraverso l’uso di coperte<br />
termiche e cerotti. Nei quadri di Iva Lulashi viene invece<br />
mixata l’iconografia erotica e quella di regime attraverso<br />
l’immagine di alcune donne seminude, in riferimento anche<br />
a questioni omofobiche.<br />
Geografie e tag<br />
Se Città ideale di Massimo Uberti ci racconta del desiderio<br />
dello spazio urbano immaginario, attraverso un’installazione<br />
di duecento candele quotidianamente accese, Cartografia<br />
dell’Orizzonte di Francesca Marconi indaga lo spazio del<br />
confine umano/geografico facendo dialogare territorio e<br />
persone, ricordandoci l’attraversamento come incontro. Con<br />
Elizabeth Aro tutti i continenti hanno perso la loro collocazione<br />
e convergono irrimediabilmente, vorticosamente verso<br />
sud, come a sottolineare la perdita dei punti di riferimento;<br />
Premiata Ditta costruisce, invece, una topografia di tags<br />
attraverso la mappatura di una serie di odori registrati nel<br />
quartiere di NoLo.<br />
Vertigo<br />
L’ipocondria è il tema scelto da Alessandro Simonini, che<br />
attraverso una vecchia scatola del primo soccorso resa<br />
specchiante, ci costringe di fronte al nostro ritratto, alla<br />
nostra stessa paura della fine. Stand Up di Matteo Pizzolante<br />
è una trasformazione scultorea della climacofobia, la paura<br />
delle scale, che caratterizzava le scene di Vertigo di Alfred<br />
Hitchcock. Nell’ipercinetica epoca contemporanea, Luisa<br />
Turuani ci pone di fronte alla paura della lentezza. Bea<br />
Viinamaki, con un atto performativo, riflette su creazione,<br />
nascita e identità, mentre Alfredo Rapetti Mogol trasformerà<br />
il seminterrato di ex spazio Cova in uno spazio al limite tra<br />
sacro e profano.<br />
Le iniziative fuori <strong>BienNoLo</strong><br />
Venerdì 3 maggio: Carlo Vanoni spiega Marcel Duchamp<br />
e Lucio Fontana dando appuntamento al pubblico alla<br />
pensilina (numero 12256) della fermata dell’autobus 56 di via<br />
Padova.<br />
Allestimento di <strong>BienNoLo</strong>, 13-16 maggio <strong>2019</strong>
<strong>BienNoLo</strong> Border. Manifesti<br />
Sui muri perimetrali della facciata dell’ex Laboratorio<br />
Panettoni Giovanni Cova di via Popoli Uniti 11 vi sarà una<br />
mostra “urbana” visibile 24 ore su 24 che comprenderà dieci<br />
manifesti dalla forte iconografia, realizzati da altrettanti artisti<br />
(i nomi saranno svelati il 17 maggio), sul tema dei confini,<br />
realizzati con torchio offset grazie alla partnership di Paolo<br />
Nava Studio e alla supervisione degli artisti.<br />
Al Mercato Comunale Crespi Ivana Spinelli, per tutta la<br />
durata di <strong>BienNoLo</strong>, dispone un “banco relazionale” che<br />
ridisegna per ri-concettualizzare l’idea di “mercato” e il suo<br />
rapporto con pubblico, società e cultura. Il banco diventa<br />
luogo di relazione e scambio, dove ciò che viene scambiato<br />
non sono merci e denaro ma beni ed esperienze.<br />
Al Tranvai di via Zuretti, martedì 21 maggio, si tiene<br />
l’appuntamento con la Scuola di Santa Rosa (progetto<br />
ideato da Francesco Lauretta e Luigi Presicce). I due artisti<br />
portano a Milano una pratica che hanno inaugurato nel<br />
2017: trovarsi, insieme a pubblico, amici, studenti e curiosi<br />
per disegnare insieme, raccontarsi la vita, in un’esperienza<br />
apparentemente “fuori tempo”.<br />
Al Parco Trotter, Monica Sgrò coinvolge gli studenti della<br />
Scuola del Sole, le Associazioni Amici del Parco Trotter e<br />
Viva Padova Viva, il Liceo Artistico Statale Caravaggio e i<br />
passanti. Il workshop preliminare dal titolo Disegna il nostro<br />
tappeto, coinvolge la classe 4°D del maestro Paolo Limonta<br />
(Scuola del Sole), e produce una serie di disegni utili per<br />
l’elaborazione della forma da dare all’opera in feltro. I<br />
partecipanti creano un grande tappeto con lana naturale<br />
che viene prima infeltrito collettivamente eppoi tagliato<br />
come tappeto singolo a misura della persona; l’intervento<br />
si chiuderà con un’esperienza di immobilità e silenzio nel<br />
parco, ciascuno disteso sul proprio tappeto.<br />
Dopo <strong>BienNoLo</strong> (in data da definirsi) Sara Rossi porterà gli<br />
abitanti del quartiere a fotografare la natura nascosta e a<br />
scoprire i “terzi paesaggi” dell’area.<br />
HABITAT.<br />
A seguito della nascita di <strong>BienNoLo</strong> il quartiere ha dimostrato,<br />
oltre ogni misura e aspettativa, un ampio coinvolgimento
ed entusiasmo. A riprova di questo si annuncia che, oltre la<br />
mostra “ufficiale”, c'è anche un programma off-<strong>BienNoLo</strong><br />
intitolato “Habitat”. Il quartiere da venerdì 24 a domenica<br />
26 maggio, quando tramonta la luce del sole sulla mostra,<br />
accende le luci nelle case e negli studi dei creativi del<br />
quartiere, in un programma “porta a porta” dove si manterrà<br />
viva la dimensione partecipativa.<br />
Le iniziative dentro <strong>BienNoLo</strong><br />
Il giorno sabato 25 maggio è dedicato interamente alle<br />
pratiche performative.<br />
Mi Abito<br />
Mi Abito è un progetto di Fondazione Wurmkos in collaborazione<br />
con Cooperativa Lotta Contro l’Emarginazione, a cura di<br />
Gabi Scardi. Si tratta di un progetto artistico partecipato<br />
sul tema dell’abito inteso come strumento per presentarsi<br />
e rappresentarsi. Il progetto si sviluppa nell’arco di un anno<br />
e comprende una serie di quattro laboratori condotti da<br />
Francesco Bertelé, Francesca Marconi, Margherita Morgantin<br />
e Wurmkos con il supporto di Clara Rota – Bassa Sartoria.<br />
Gli artisti accompagnano i partecipanti nell’elaborazione<br />
dei capi, stimolandoli ad assumere una posizione attiva e<br />
generativa, valorizzandone l’abilità e l’autonomia creativa<br />
individuale, fornendo strumenti tecnici e progettuali,<br />
contribuendo alla capacità di confrontarsi con il mondo<br />
esterno. Durante BienNolo è previsto, inoltre, un laboratorio<br />
aperto al pubblico. Mi Abito è vincitore del bando “Prendi<br />
pArte! Agire e pensare creativo” promosso dalla Direzione<br />
Generale Arte e architettura contemporanee e Periferie<br />
urbane (DGAAP) del Ministero per i Beni e le Attività Culturali.<br />
Piano City Milano @ #<strong>BienNoLo</strong><br />
Sabato 18 maggio, alle ore 11, si tiene il primo concerto negli<br />
spazi dell’Ex Laboratorio Panettoni Cova promosso nell’ambito<br />
di <strong>BienNoLo</strong> da Piano City Milano, in collaborazione con<br />
ArtCityLab. In occasione di <strong>BienNoLo</strong>, Piano City Milano<br />
presenta i concerti di Adriano Bassi con Alessandro Nardin,<br />
con la musica di Eric Satie e Maurice Ravel a quattro mani,<br />
e di Thomas Umbaca, vincitore del premio Hermès – Premio<br />
Piano City Milano “Renato Sellani”.<br />
Allestimento di <strong>BienNoLo</strong>, 13-16 maggio <strong>2019</strong>
ArtCityLab<br />
L’associazione ArtCityLab nasce il 17 novembre 2015 con<br />
l'intenzione di far interagire attori privati e istituzioni pubbliche<br />
interessate alla produzione di format culturali in alternativa<br />
alle tradizionali politiche culturali. Grazie all'esperienza<br />
maturata in alcuni eventi prodotti dai fondatori di ArtCityLab<br />
(Rossana Ciocca e Gianni Romano) abbiamo registrato<br />
e trovato conferma di quanto il pubblico desideri vivere in<br />
prima persona nello spazio pubblico eventi che riflettono<br />
dinamiche culturali complesse. ArtCityLab è quindi<br />
quell'associazione che si occupa di eventi legati allo spazio<br />
cittadino; qui vengono messe in scena pratiche performative,<br />
eventi relazionali che è possibile ripetere in altri luoghi e città<br />
indipendentemente dalla identità territoriale nel caso in cui<br />
l'artista li abbia ideati a prescindere dal territorio e dalla<br />
presenza dello stesso artista nell'opera. Lo spazio pubblico<br />
diventa in questo modo luogo d’incontro di una progettualità<br />
urbana che si sviluppa a partire da un’idea creativa ma<br />
che automaticamente perde la centralità del creatore<br />
per aiutare lo spettatore ad essere attivo e partecipe del<br />
processo di creazione o della visione. ArtCityLab riporta nello<br />
spazio pubblico tradizionale molti di quegli stimoli innovativi<br />
che ormai siamo abituati a vedere sul Web, restituendo<br />
un idea più coinvolgente della cultura e riproponendo<br />
nel contesto urbano una fruizione aperta a chiunque di<br />
fenomeni culturali: stimoli veri di una produzione culturale<br />
che cambia radicalmente rispetto al vecchio panorama<br />
mediale e salvaguarda quello che abitualmente definiamo<br />
bene comune. Tra i numerosi eventi ricordiamo: l'installazione<br />
Riflessioni riflesse di Paolo Masi a Piazza San Fedele (ottobre<br />
2016); il convegno Arte Fuori dall’Arte all'Università Cattolica<br />
di Milano (ottobre 2016); l'installazione di Sophie Usunnier, I<br />
would so much like that you remembered (novembre 2017-<br />
gennaio 2018) nella sede dell'ASP Golgi-Redaelli; la collettiva<br />
AndarXporte (ottobre-dicembre 2017), in collaborazione<br />
con l'ASP Golgi-Redaelli grazie alla quale viene aperto alla<br />
cittadinanza Palazzo Archinto.<br />
INFORMAZIONI PER IL PUBBLICO<br />
<strong>BienNoLo</strong> <strong>2019</strong> #eptacaidecafobia<br />
Da venerdì 17 a domenica 26 maggio <strong>2019</strong><br />
c/o Ex Laboratorio Panettoni Giovanni Cova<br />
Milano, via Popoli Uniti 11<br />
www.biennolo.org<br />
IG: biennolo_milano | FB: biennolo
Allestimento di <strong>BienNoLo</strong>, 13-16 maggio <strong>2019</strong>
Carlo Vanoni<br />
Ero straniero in una città che ho sempre amato e dove non avevo mai<br />
vissuto. Camminavo. Pensavo: ora che ci vivo finalmente, vorrei dare<br />
qualcosa a questo quartiere a nord di piazzale Loreto che mi accoglie.<br />
Per sentirlo un pò più mio. Per sentirmi un pò più suo.<br />
Un luglio caldo quello del 2018, un luglio di trasloco e di incertezze<br />
quando Carlo mi presenta Christian e insieme andiamo nell’ex fabbrica<br />
di panettoni Cova in via Popoli Uniti 11, spazio decadente, esempio<br />
perfetto di Terzo Paesaggio, luogo industriale dimenticato dall’uomo,<br />
che rovi e sterpaglie sono andati a riprendersi.<br />
Dentro, la mancanza del tetto amplifica il cielo terso di luglio, “il cielo di<br />
Lombardia, così bello quando è bello”.<br />
Questo è il posto, mi dico. Tra il cielo e il pavimento squarciato dalle<br />
radici delle piante, tra i muri macerati da muffe brunite, ripeto a me<br />
stesso che questo è il posto. Così forte e potente che il suo scheletro mi<br />
inchioda in un omaggio alla sua maestà. Questo è il posto per artisti di<br />
carattere. Questo è il posto per BienNolo, la prima Biennale di Milano.<br />
E poi via, lungo viale Monza, dentro il mese d’agosto dove ogni progetto<br />
lo si rimanda a settembre.<br />
Era già lì, settembre.<br />
Era nella via parallela, io e Vittorio dentro il ristorante cinese a<br />
fantasticare di inaugurare il 17 maggio, venerdì per l’esattezza, come<br />
a sfidare la superstizione e le paure. Sì, questa edizione intitoliamola<br />
proprio Eptacaidecafobia, la paura del numero 17. Porterà bene a noi<br />
e al quartiere, che ogni giorno sfida la paura più profonda dei nostri<br />
tempi.<br />
Centocinquanta etnie diverse.<br />
Questo si nasconde dietro l’acronimo NoLo, North of Loreto.<br />
I cingalesi e i negozi di generi alimentari aperti fino a tarda notte<br />
dirimpetto al ristorante pugliese e di fianco ai massaggi thailandesi,<br />
i Latinos di via Padova, le pizzerie napoletane nelle traverse che<br />
collegano viale Monza al parco Trotter e i bar dei cinesi, NoLo multietnica<br />
e multiculturale, NoLo, mi dicevano, è il quartiere dove vivono gli artisti.<br />
NoLo, in quel luglio agosto settembre azzurro, era un nuovo territorio<br />
che volevo attraversare.<br />
Ma ci vuole una squadra per esplorare. Perché “da soli è una ressa”,<br />
diceva qualcuno.<br />
Qui entrano in scena Rossana Ciocca e Gianni Romano di ArtCitylab<br />
Matteo Bergamini di Exibart, abbiamo sei, sette mesi di tempo ma non<br />
oltre, l’inaugurazione, ricordiamolo, era fissata per il 17 maggio.
Prime riunioni e prime visite negli studi degli artisti. Primi sopralluoghi.<br />
Insieme a loro visitiamo lo spazio espositivo e decidiamo dove collocare<br />
i lavori, molti dei quali site specific. Alla fine saranno 37 gli artisti invitati,<br />
alcuni molto noti, altri emergenti.<br />
E poi gli sponsor. Amici, imprenditori, collezionisti, entusiasti del progetto<br />
decidono di finanziarlo senza esitare un istante. Troviamo un ufficio<br />
stampa, contattiamo la vigilanza, paghiamo l’affitto dello spazio<br />
espositivo, contribuiamo ai trasporti delle opere d’arte, facciamo un<br />
appello per trovare qualche volontario e se ne presentano 30.<br />
Il quartiere si dà da fare, a propria volta, e gli artisti che ci lavorano<br />
decidono di aprire al pubblico i propri studi la sera, dopo la chiusura<br />
della mostra.<br />
Il 17 maggio alle 12 in punto <strong>BienNoLo</strong> apre il cancello.<br />
A visitarla ci vengono critici affermati e giornalisti, galleristi, addetti ai<br />
lavori e gente di passaggio, gente incuriosita dall’evento, bambini<br />
e cagnolini, famiglie, un pubblico eterogeneo che si avvicina con<br />
rispetto e ringrazia i volontari che li aiutano nella lettura delle opere più<br />
complesse, opere perfettamente integrate in questo spazio decadente<br />
che mette a proprio agio, che fa sentire a casa anche chi è poco<br />
avvezzo ai linguaggi contemporanei, al mondo dell’arte che troppo<br />
spesso crea barriere.<br />
A <strong>BienNoLo</strong> di barriere non ce n’erano. A BienNolo si è fatta famiglia.<br />
E per questo, nell’arco di dieci giorni, dalle 12 alle 20, di persone ne sono<br />
entrate ottomila. Gratuitamente. Però ottomila.<br />
BienNolo - ben oltre le aspettative - è diventata un evento, uno di quei<br />
posti dove bisogna andarci assolutamente, io ci torno e ti accompagno,<br />
mi hanno detto che, vai a vedere, guarda, hai letto su…, non me<br />
l’aspettavo, c’è quell’opera che…<br />
L’ex fabbrica di panettoni Cova con sede in via Popoli Uniti 11 era<br />
uno spazio vuoto. Noi l’abbiamo riempito di entusiasmo, gioia e<br />
partecipazione, di voglia di stare insieme guardando opere d’arte<br />
contemporanea. Opere stimolanti, forti, che hanno affrontato i temi del<br />
nostro vivere quotidiano con intelligenza e gentilezza.<br />
La gente lo ha capito.<br />
E per questo ci ha ringraziato.<br />
<strong>BienNoLo</strong> non è un gioco di parole, ma una parola che diventa gioco.<br />
Perché giocare è una cosa seria.<br />
Soprattutto quando di mezzo c’è l’arte contemporanea.
Sergio Limonta
Si tratta di una grande bandiera italiana in stoffa della larghezza di un metro e mezzo per<br />
una lunghezza di circa diciotto metri. È retta da un’apposita asta di oltre quattro metri, che si<br />
prolunga nel vuoto partendo dal porta asta, a sua volta aggettante, che si regge al muro. A<br />
causa della sua lunghezza, parte della bandiera rimane piegata a terra. Le pieghe che si creano<br />
naturalmente formano un basamento e questo rende l’opera una scultura, che va letta dal<br />
basso verso l’alto. In realtà l’opera, essendo in stoffa, è leggerissima e fragile, basta un minimo<br />
movimento d’aria per cambiare la sua forma. Il titolo lascia spazio a infinite interpretazioni:<br />
potrebbe voler dire “ci è rimasta solo la bandiera” o “questa è solo la bandiera ma c’è molto di<br />
più”. È un lavoro che si fa raccontare da chi lo osserva.
Marco Ceroni
Quella di 2501 è una pittura automatica che tenta<br />
di escludere la volontà pittorica. Wall painting dai<br />
tratti precisi con l’intento di conferire una sorta di<br />
spessore al dipinto che alteri la percezione della<br />
superficie bidimensionale. Tratti che imprimono<br />
movimento, tensione, loop. L’idea è quella di<br />
sviluppare una pittura basata sulla continuità<br />
dell’esperienza, una sorta di flusso legato al<br />
movimento. Dipingere come antidoto in quanto<br />
pratica, modo di esprimersi con il corpo e con la<br />
mente in una sorta di rituale ripetuto, che si tramuta<br />
in pratica meditativa nel momento in cui l’attività<br />
pittorica crea uno spazio interiore di raccoglimento<br />
in cui nascono idee e suggestioni.<br />
2501
Giovanni Gaggia
“Lo sconfinamento è il primo passo di una civiltà” (dalla prefazione di Furio Colombo nel libro:<br />
Sconfinare, di Donatella Ferrario, San Paolo Edizioni), ci ricorda Giovanni Gaggia ricamando<br />
su una coperta grigia dell’esercito tedesco la parola SCONFINARE, in cui lo sconfinamento<br />
non presuppone un luogo ma un movimento costante e un processo che si sviluppano intorno<br />
alla bellezza della parola condivisa. Per tutta la durata della manifestazione il pubblico potrà<br />
anche interagire con l’artista in dialogo con l’autrice, rispondendo alla domanda: “Qual è stato<br />
l’avvenimento più importante della tua vita che ti ha spinto a fare la valigia?”. RadioNoLo<br />
(https://radionolo.it) è partner attiva del progetto.
Francesca Marconi
Italo Zuffi
Cosa accadrebbe a un uccello nel momento in cui non avesse più voglia di volare? Gli uccelli<br />
non si siedono, gli uccelli non si sdraiano, gli uccelli riposano sui cavi dell’alta tensione e poi<br />
ripartono verso altri cieli, consapevoli che non troveranno né poltrone dove sedersi, né tanto<br />
meno letti dove sdraiarsi. Il nido è troppo piccolo per chi solitamente frequenta il cielo. L’uccello<br />
vola alto e, quandanche si stancasse, mai potrebbe sostare sulla strada, non sarebbe quello<br />
il suo mondo. Quindi, ancora una volta, cosa accadrebbe a un uccello nel momento in cui<br />
non avesse più voglia di volare? La risposta è in quest’opera di VedovaMazzei. L’uccellino<br />
imbalsamato è immobile con il becco infilzato nel muro, non per aver sbagliato traiettoria, ma<br />
per aver trovato il modo di fermarsi in quota, liberi di aprire o di chiudere le ali, immobili, ma<br />
vivi. Non hanno più voglia di volare questi uccelli. Non si sono arresi. Sono stanchi… Chi l’ha<br />
detto che gli uccelli debbano sempre volare? Dove sta scritto che debbano sempre girovagare<br />
inesorabilmente? Lasciamoli lì, se è lì che hanno scelto di stare. Finché il becco tiene, noi non<br />
ci dobbiamo preoccupare.<br />
VedovaMazzei
L’artista realizza un’opera pensata appositamente per questi spazi che cita la pittura<br />
informale della Scuola di New York; un’opera pittorica di chewing-gum masticati, schiacciati,<br />
strappati e sputati. L’artista già in precedenza ha omaggiato i grandi maestri dell’arte al fine di<br />
esorcizzarne la fama e segnare una linea di continuità tra irriverenza, consapevolezza e rispetto<br />
del passato. In questi lavori, parte della serie “Trash” e iniziati nel 2017. Il materiale che utilizza<br />
è il chewing-gum che per l’artista ben rappresenta la società odierna: l’unico “alimento” che<br />
mastichiamo e poi sputiamo, anziché digerirlo, come l’innumerevole quantità di informazioni<br />
alle quali siamo quotidianamente esposti. La materia ci appare così trasformata e sublimata<br />
al fine di porre le basi per una riflessione critica e sociale, tanto nella dimensione intima,<br />
quanto in quella pubblica; un modo per scontrarsi con la decadenza sociale e esistenziale in<br />
cui viviamo che percepisce il suo declino senza assumersene pienamente la responsabilità.<br />
Serena Fineschi
Luisa Turuani
Eugenio Tibaldi
Realizzata in occasione di Raid, evento in cui un insieme di artisti fanno irruzione in luoghi dalla<br />
forte identità e realizzano in sole sei ore delle opere utilizzando esclusivamente i materiali presenti<br />
in loco, l’opera di Eugenio Tibaldi, ottenuta grattando via le muffe del muro dell’Ex Fabbrica<br />
Panettoni Giovanni Cova, omaggia la città di Milano ricreandone uno skyline raso terra.<br />
Senza avere alcuna immagine di Milano ho raccolto i ricordi dalla mia memoria ed ho<br />
immaginato una sequenza di volumi e forme che potessero rappresentare un profilo.<br />
Qualcosa che risuonasse esteticamente come Milano pur non seguendo le regole dello<br />
skyline reale. Per me era un omaggio alla Milano che tutti i provinciali (come me) guardano<br />
da lontano. (Eugenio Tibaldi)
Ad un primo sguardo Mundo non ha nulla di insolito, ma solo prestando maggiore attenzione<br />
ci accorgiamo che qualcosa non va… tutti i continenti hanno perso la loro collocazione<br />
conosciuta e convergono irrimediabilmente verso sud. L’opera, realizzata in feltro bianco, ha<br />
un diametro di tre metri e un colore delicato. Il materiale accentua una sensazione di calore e<br />
di accoglienza, ma la caduta dei continenti e la perdita dei punti di riferimento lasciano nello<br />
spettatore un senso di inaspettata inquietudine.<br />
Elizabeth Aro
Stefano Arienti
Come suggerisce il titolo (All I need, Tutto ciò di cui ho bisogno) questa installazione raggruppa<br />
simbolicamente tutto ciò di cui l’artista sente di avere necessità. Pensando alle fobie che<br />
possono colpire un artista Federica Perazzoli ha racchiuso in pochi oggetti accatastati senza<br />
un ordine particolare le proprie esigenze: lo spettatore si ritrova davanti a un accumulo, ma<br />
invertendo il senso di questo “disordine” bisogna convenire che in realtà si tratta anche di una<br />
selezione: questa raccolta elimina ciò che l’individuo sente come “troppo”, come ingombro non<br />
necessario alla propria vivibilità. Sin da bambina l’artista è accompagnata dal pensiero di avere<br />
uno spazio proprio dove potersi rifugiare, ma anche accogliere, dove è possibile continuare<br />
una sorta di sopravvivenza sia personale, sia artistica. “Mi piace stare in spazi piccoli e in<br />
mezzo alla natura, uno spazio dove vivo, leggo, studio... Per me il minimo indispensabile sono<br />
un tavolo, una sedia e le mie cose per dipingere”.<br />
Federica Perazzoli
V for Victory di Loredana Longo parte dall’idea di mettere insieme immagini o elementi in<br />
netta antitesi: gli estremi si possono sempre incontrare e dare un senso nuovo alle immagini<br />
precostituite. Tutti i lavori di Loredana Longo nascono nella tensione, nel contrasto degli<br />
opposti, nel conflitto della materia, perché è solo lì che si crea e si forma un nuovo tipo di<br />
energia creativa: quella dei contrari.<br />
Loredana Longo
Riccardo Gusmaroli
Mario Airò
Margherita Morgantin
Stefano Boccalini
Oggi la parola è diventata un vero e proprio strumento di produzione e di captazione di valore.<br />
Col mio lavoro cerco di spostare l’attenzione da un valore di tipo economico ad un valore<br />
di tipo sociale. La paura della diversità che oggi spesso si trasforma in fobia, in quest’opera<br />
viene ribaltata attraverso la parola DONO che diventa un “vaso”, un contenitore mobile,<br />
dove all’interno ho sistemato della terra in cui ho piantumato varietà vegetali eterogenee,<br />
trasformando idealmente l’opera in un spazio in cui la diversità diventa un terreno comune da<br />
coltivare e non il luogo della paura. (Stefano Boccalini)
Adrian Paci<br />
Foto di Dario Azzaro
Massimo Kaufmann
L’opera di Kaufmann si ispira al libro Ghiaccio Blu (1997) di Pino Corrias, che narra la<br />
vicenda di un condannato all’esecuzione capitale in Texas nel 1993, il cui corpo è sezionato<br />
e fotografato al fine di costituire il più aggiornato e realistico atlante di anatomia online. Le<br />
sculture, quattro elementi che costituiscono un lavoro unitario, riproducono le sagome di<br />
alcune parti del corpo. Il titolo, Resurrezione, allude alla vita eterna che le immagini hanno<br />
su internet.
L’opera medita sulla paura attraverso la carezza, la dolcezza. Una scala in vetro sale verso il<br />
cielo (la natura) portando in dono una piantina, insieme aiuto e gesto del portare i fiori, come<br />
quando si va a trovare un amico. Il vetro, da sempre tra i materiali di interesse per l’artista, sia<br />
per la trasparenza, sia per l’idea di mettersi in mezzo a qualcosa, sia per la fragilità, l’attenzione,<br />
simile alla meditazione, di cui necessita, rende la scala non utilizzabile e appartenente al mondo<br />
delle possibilità, a differenza degli altri elementi, come il vaso di fiori, che appartengono alla<br />
dimensione del reale.<br />
Vittorio Corsini
Quando siamo coperti dall’anonimato spesso ci sentiamo protetti, al punto di sentirci liberi<br />
di dare il peggio di noi stessi. Fino a qualche anno fa i bagni pubblici, gli ascensori, le sale<br />
d’attesa erano piene di scritte e simboli che inneggiavano all’odio razziale, frasi volgari a sfondo<br />
sessuale e altri tipi di messaggi che rivelavano una necessità di sfogarsi. Ora questi sfoghi<br />
li troviamo nei social network, che li amplificano, dando la possibilità di sentirsi, falsamente,<br />
coperti dall’anonimato. Su alcuni specchi, realizzati prima della seconda guerra mondiale, ho<br />
inciso alcune frasi che ho preso dai commenti di utenti alle dichiarazioni di un importante uomo<br />
politico su un noto social network. (Alessandro Nassiri Tabibzadeh)<br />
Alessandro Nassiri Tabibzadeheh
Alessandro Simonini
Per <strong>BienNoLo</strong> Alessandro Simonini ha concepito un ready-made utilizzando una vecchia<br />
cassetta del pronto soccorso trovata alle pareti dell’ex panettonificio Cova. La riflessione,<br />
che parte dal tema della paura, è incentrata sul senso di ipocondria, fobia legata all’erronea<br />
interpretazione di sintomi somatici da parte del “malato immaginario”, che non riconosce<br />
la natura psicologica del suo problema e ricerca la soluzione medica della patologia<br />
organica. La cassetta del pronto soccorso rappresenta, e con essa la sua funzione, il<br />
simbolo della medicina allopatica prefigurando nel senso comune l’ideale di una “cura” di<br />
fatto irraggiungibile. Svuotata del suo contenuto, internamente rivestita di specchi e aperta<br />
alla vista del visitatore, questo oggetto lo induce inevitabilmente alla riflessione verso la<br />
conoscenza di sé e del proprio corpo.
T-Yong Chung
Sara Rossi
Sara Rossi
Francesco Bertelé
All’orizzonte, di fronte al mare, al crepuscolo, la frontiera è una linea immaginaria<br />
e realissima che separa e insieme unisce due mondi (come scriveva Alessandro<br />
Leogrande). Vedere, non vedere. È qui che si dilata lo spazio della messa in scena.<br />
(Francesco Bertelé)
PianoCity<br />
18 maggio <strong>2019</strong>
Serena Fineschi
The Cool Couple
Matteo Pizzolante
Carlo Dell'Acqua
MiAbito<br />
Francesco Bertelé, Francesca Marconi, Margherita Morgantin, Wurmkos, Clara Rota e<br />
Bassa Sartoria<br />
Fondazione Wurmkos e Cooperativa Lotta contro l’Emarginazione collaborano per dare<br />
vita a Mi Abito: progetto artistico partecipato, a cura di Gabi Scardi, incentrato sul tema<br />
dell’abito inteso come interfaccia tra individuo e mondo e come strumento per presentarsi<br />
e rappresentarsi. Il progetto si sviluppa nell’arco di un anno e comprende una serie di<br />
quattro laboratori condotti da artisti. Francesco Bertelé, Francesca Marconi, Margherita<br />
Morgantin e Wurmkos, con il supporto di Clara Rota di Bassa Sartoria, accompagneranno i<br />
partecipanti nella creazione di una collezione di capi a propria misura. Mi Abito è un progetto<br />
vincitore del bando “Prendi Parte! Agire e pensare creativo” promosso dalla Direzione<br />
Generale Arte e architettura contemporanee e Periferie urbane (DGAAP) del Ministero per i<br />
Beni e le Attività Culturali. Foto di Cesare Lopopolo.<br />
MiAbito
Massimo Uberti
Il lavoro di Rapetti Mogol si basa principalmente sulla scrittura. è una scrittura non<br />
traducibile che, proprio per questo, diviene universale. Il segno, svuotato del proprio<br />
significato, diviene puro significante, traccia dell’artista lasciata sulla superficie come<br />
testimonianza che non lascia intendere una provenienza. Come orme sulla terra, i segni<br />
di Rapetti Mogol diventano segnali di presenza umana che non conoscono scrittura, ma<br />
al contempo comunicano il proprio passaggio, la propria testimonianza attraverso questi<br />
segni stessi. L’installazione esposta a <strong>BienNoLo</strong> consiste in blocchi di cemento con segni<br />
incisi che simulano nomi propri di persona posizionati sopra altrettante vasche di ferro<br />
intese come acquasantiere che raccolgono lacrime di gioia e di dolore provenienti da<br />
tutto il mondo.<br />
Alfredo Rapetti Mogol
Stefano Arienti
Alessandro Nassiri Tabibzadeh
Premiata Ditta
Per <strong>BienNoLo</strong> Premiata Ditta realizza un lavoro site specific costituito da odori raccolti nei<br />
giorni 27-28 febbraio <strong>2019</strong> durante il sopralluogo alla ex fabbrica Cova e in occasione della<br />
prima conferenza stampa. La serie “Odori” nasce dalla frequentazione quotidiana con il<br />
quartiere: «Ogni giorno, per un paio d’ore, camminiamo per il nostro quartiere telefonando,<br />
organizzando il lavoro, discutendo tra noi su come realizzarlo. Durante questo tempo<br />
registriamo gli odori che costituiscono queste raccolte. In questa sorta di archivi c’è quindi<br />
il portato del tempo e del pensiero dedicati a ideare non solo queste ma anche future opere.<br />
Per realizzare l’installazione abbiamo raccolto pezzi d’asfalto e piccoli sassi lungo le strade,<br />
a questi abbiamo legato dei fili elastici trasparenti a cui sono fissate delle strisce di carta<br />
velina. Su questa carta, estremamente volatile e leggera, sono stampate le descrizioni degli<br />
odori insieme alla geolocalizzazione di ognuno. I sassi sono fissati al soffitto e i fili con le<br />
carte pendono verso il pavimento, fluttuando o fremendo a secondo dei soffi d’aria che li<br />
percorrono».
The Wall of Delicacy (Ode to America) è una pratica meditativa, una riflessione sui confini e<br />
sulla delicatezza che si realizza attraverso gesti semplici e pieni di grazia: l’artista inserisce<br />
lungo un filo metallico un bocciolo di rosa dopo l’altro prestando attenzione a non rovinarli,<br />
e osservando i petali che inevitabilmente cadono a terra. Nato come intervento site specific<br />
durante la residenza dell’artista al MASS MoCA di North Adams (Massachusetts), si è<br />
trasformato in un progetto itinerante e partecipato.<br />
Giuseppina Giordano
Tutto parte più di vent'anni fa al momento del mio concepimento. Ancora dentro l'utero,<br />
chissà per quale motivo, il mio corpo prese attributi femminili che nel tempo si tradusse<br />
nell'arrivo del primo mestruo. Questo piccolo dipinto è un regalo, forse per mia madre.<br />
(Bea Viinamaki)<br />
Bea Viinamaki
Iva Lulashi
Ivana Spinelli<br />
Banco relazionale<br />
(al Mercato Comunale Crespi)<br />
Al Mercato Comunale Crespi, Ivana Spinelli, per tutta la durata di<br />
<strong>BienNoLo</strong>, dispone un “banco relazionale” che cerca di ridisegnare<br />
e ri-concettualizzare l’idea di “mercato” e il suo rapporto con<br />
pubblico, società e cultura. Il banco diventa luogo di relazione e<br />
scambio, dove ciò che viene scambiato non sono merci e denaro<br />
ma beni ed esperienze. Sul bancone, corredato dei contrassegni<br />
zigzag, vengono così disposti libri, stoffe, spezie, supporti audiovisivi<br />
(CD, chiavette usb, dischi), che possono essere presi e sostituiti<br />
con beni simili. Una modalità di ripristino di baratto ed economie<br />
alternative, che al termine dei dieci giorni di mostra diventa anche<br />
una sorta di indagine antropologica basata sul concetto di fiducia<br />
nell’epoca urbana contemporanea.
MONICA SGRÒ<br />
Disegnare con la classe 4D della Scuola del Sole<br />
(workshop al Parco Trotter)<br />
Il progetto Margini Trotter Biennolo ’19 è stato proposto per il Parco Trotter e ha<br />
coinvolto gli studenti della classe 4D della Scuola del Sole con i maestri Paolo<br />
Limonta e Antonella Meina, insieme alle Associazioni Amici del Parco Trotter<br />
Onlus , Via Padova Viva e i passanti; il workshop si è svolto in classe e nel cortile<br />
della Stanza delle Scoperte dedicata a Bruno Munari.<br />
Si è trattato di un’esperienza individuale e collettiva, in cui i bambini della<br />
scuola hanno ideato la forma di un grande tappetto in lana naturale partendo<br />
dall’unione di tappeti da loro disegnati in piena libertà nelle settimane<br />
precedenti. Dopo aver osservato i disegni realizzati, si sono infatti unificate<br />
le loro forme considerandone le caratteristiche salienti: buchi, tagli, margini<br />
morbidi o rigidi, ecc. La creazione di un cartamodello del tappeto collettivo<br />
ha permesso il passaggio alla seconda fase del lavoro, la stesura della lana,<br />
successivamente infeltrita tutti insieme. L’infeltritura manuale è una tecnica<br />
antica che prevede movimenti rotatori delle mani e l’uso coordinato dei<br />
piedi: durante il rito il gruppo ha camminato scalzo tra acqua calda e sapone<br />
cercando di procedere come un unico corpo.
Nei giorni successivi i partecipanti si sono diversificati, generando relazioni<br />
multietniche e transgenerazionali. L’ultima fase di lavoro prevedeva la<br />
divisione del grande tappeto - che copriva gran parte del cortile della Stanza<br />
delle Scoperte - in tappeti più piccoli, da destinare alle future attività libere<br />
dell’associazione e della scuola. Tutti i partecipanti si sono stesi sul tappeto<br />
gli uni accanto agli altri: l’intera superficie è stata così segnata dai margini<br />
dettati da ciascun corpo, il quale fungeva da unità di misura di un singolo<br />
tappetino. L’area totale è stata quindi suddivisa in 12 tappeti più piccoli di<br />
diverse forme e dimensioni: tappeti la cui matericità ricorda pelli di animale,<br />
cortecce d’albero, superfici che stanno dentro, fuori, ai margini degli esseri<br />
viventi; tappeti usati per sdraiarsi nel parco, leggere, scrivere o semplicemente<br />
per contemplare la natura.<br />
Le foto del workshop sono di Antonio Maniscalco
Matteo Bergamini<br />
La delicatezza disfunzionale e necessaria<br />
Suona Memento mori di Luisa Turuani. La più giovane artista invitata a<br />
prendere parte alla prima <strong>BienNoLo</strong> ha disposto negli spazi dell’Ex Cova<br />
sessanta piccole sveglie dal forte bip bip. Suonano ogni otto minuti, dalle<br />
12 alle 20, gli orari di apertura quotidiani: è una riflessione che riguarda<br />
la fobia della lentezza.<br />
Abbiamo scelto di non realizzare mappe per i visitatori; alcuni se la<br />
sono un po’ presa. In questi milleseicento metri quadrati consumati dal<br />
tempo le opere si sono inserite con una modalità interstiziale: si possono<br />
incontrare, udire misteriosamente nel loro trillo elettronico, metallico.<br />
Possono accadere come colpi di fulmine o, per altri occhi, passare<br />
inosservate. È la vita che scorre con il suo tempo, anche meteorologico;<br />
è la stessa vita che ritorna e si rivela attraverso la vegetazione spontanea<br />
in grado di farsi largo tra le marmette rosse, emblema di un’epoca di<br />
produzione e consumo che – dall’interno di questo “terzo paesaggio”<br />
che sembra la distopica evoluzione di un cortile milanese – si direbbe sia<br />
tramontata in maniera drammatica.<br />
Quello che invece è sembrato rinascere, con <strong>BienNoLo</strong>, è stata una<br />
dimensione dell’arte che ha avuto come focus la razionalizzazione di<br />
un atteggiamento poetico che attualmente sembra essersi perso nella<br />
lotta all’ultimo evento, nella conquista della visibilità.<br />
<strong>BienNoLo</strong>, in questo senso, si è posta come un’esperienza disfunzionale ad<br />
un obiettivo di comunicazione: una mostra d’ombra, di prestidigitazione.<br />
Una mostra necessaria per tentare di riprendersi la dimensione più<br />
sfuggente del contemporaneo; una mostra fuori dal tempo che ha<br />
incoraggiato, quando non imposto, la ricostruzione del momento<br />
necessario per l’osservazione, la riflessione, la relazione con l’opera<br />
e la sua ricerca in uno spazio fagocitante, e per questo ancora più<br />
energizzante.<br />
<strong>BienNoLo</strong> è nata respirando gli ambienti di via Popoli Uniti 11, dove<br />
tutti gli artisti, a turno, hanno effettuato continui sopralluoghi. È nata<br />
in relazione a un edificio la cui conservazione è in prognosi a dir poco<br />
riservata e che a sua volta è inserito in un quartiere, in una città, in un<br />
tema-mondo dai contorni complessi, frastagliati e taglienti.<br />
<strong>BienNoLo</strong> è nata indagando muffe e pozze d’acqua, ascoltando un<br />
silenzio quasi irreale per una zona semi-centrale di Milano, lavorando a<br />
contatto con polvere, spifferi, riflessi.
In un’altra ex fabbrica, in un altro quartiere, in un altro tempo,<br />
<strong>BienNoLo</strong> non sarebbe potuta nascere nelle forme in cui l’abbiamo<br />
vista: “Eptacaidecafobia”, titolo della prima edizione passato un po’<br />
in secondo piano rispetto al neologismo <strong>BienNoLo</strong>, catalizzatore di un<br />
intenso successo mediatico grazie alla sua aria svagata e irriverente,<br />
si può dire sia stata un’esperienza di “contesto” in tutte le sue forme:<br />
riflettendo sull’area milanese di NoLo, pensando alla sua ricchezza<br />
e complessità, oltre che all’architettura dell’Ex Cova e la sua storia e<br />
simbologia.<br />
Situato tra piazzale Loreto e via Ferrante Aporti, chiuso a nord dalla<br />
ferrovia che taglia viale Monza e via Padova, confinante a est con<br />
lo storicamente impegnativo Casoretto questo NoLo Nord of Loreto,<br />
acronimo copiato scimmiottando il SoHo South of Houston Street<br />
newyorchese, ha una conformazione urbanistica che non lascia spazio<br />
a una gentrificazione architettonica. A NoLo si sta guardando il futuro<br />
comprendendo il passato, curandolo anziché abbattendolo.<br />
Una forte identità urbana che sembra rispecchiare esattamente quella<br />
della sua popolazione, meticcia da tempi non sospetti, attraversata<br />
negli anni da fasi complesse di incontri, scontri e integrazioni reali<br />
o mancate, in indifferenze scambiate per libertà. NoLo, ancora,<br />
designata come un’area pericolosa nell’immaginario comune a causa<br />
di una comunicazione politica, e dunque mediatica, mirata alla paura<br />
e dunque al controllo.<br />
Poi, grazie a quattro lettere simpatiche e sciocche, il risveglio di quello<br />
che è diventato NIL, nucleo di identità locale.<br />
Mi piace citare – per fare un parallelismo - Milton Glaser, ideatore del logo<br />
I ♥ NEW YORK nel 1976: “Alla gente sembrava di non meritare niente. Si<br />
camminava giorno dopo giorno in una città lercia, piena di immondizia.<br />
Ma poi successe una cosa incredibile: ci fu un cambiamento nella<br />
sensibilità delle persone. Un bel giorno qualcuno ha detto: ‘Sono stufo di<br />
pestare merda, levatemela dal marciapiede’. E la città ha cominciato<br />
a reagire. Ci hanno detto: ‘Se fate cacare il cane sul marciapiede sono<br />
100 dollari di multa’, e nel giro di pochissimo tempo divenne un tabù<br />
sociale far cacare il cane per la strada. Fino al giorno prima nessuno<br />
ci faceva caso e poi all'improvviso tutti i newyorchesi si sono stufati e<br />
hanno detto: ‘La città è nostra e adesso ce la riprendiamo. Certe cose<br />
non devono più succedere’. Questa campagna [I ♥ NY] è stata una<br />
parte di quel momento storico. Anche se lo slogan era una trovata per<br />
incoraggiare il turismo”.<br />
Oltre al turismo si è incitata una nuova coscienza sociale. La stessa – sarà<br />
il tempo a dirlo – che sta facendo muovere NoLo.<br />
Un respiro fresco e allo stesso momento un geyser bollente arrivato dopo<br />
una lunga apnea.
<strong>BienNoLo</strong> è nata con la volontà di calpestare i terreni infuocati della<br />
personalità, mettendo in scena l’incontro tra pubblico e privato,<br />
della salvaguardia della terra, della vita e della morte, resocontando<br />
tensioni sociali, del conflitto, della rabbia; della tutela e del linguaggio,<br />
dell’omaggio alla vita e alla fantasia.<br />
<strong>BienNoLo</strong> è stata una mostra di crisi, probabilmente necessaria per<br />
riprendere il filo interrotto dalla logica puramente commerciale del<br />
prodotto, verso una declinazione dell’arte come pensiero, come<br />
frattura.<br />
Potremmo dire romanticamente, ma senza scadere nella citazione<br />
biblica, che <strong>BienNoLo</strong> è stato un frutto della conoscenza in grado<br />
di trasgredire i precetti imposti. In grado di ritagliarsi ancora una<br />
nicchia di resistenza che va di pari passo con il desiderio di scoperta,<br />
di riappropriazione di luoghi e temperature di un’anima trascurata<br />
dove vento, pioggia e sole come componenti di una natura esplosiva<br />
diventano anche materiali dell’arte.<br />
<strong>BienNoLo</strong> è stato un lampo di poesia necessaria, la descrizione<br />
visiva contro le barriere come costruzioni funzionali alla paura, un<br />
ragionamento intorno alla necessità fondamentale di lasciar mescolare<br />
le acque della cultura e della discussione.<br />
Abbattendo resistenze, diffidenze e riuscendo, non in ultimo, a prendere<br />
forma e vita grazie all’incontro con una serie di donatori privati. Perché<br />
senza sostegno l’arte non può esistere, e l’innovazione sociale deve per<br />
forza passare dalla coscienza condivisa, dall’idea di responsabilità e<br />
valore delle azioni di supporto.
Scuola di Santa Rosa<br />
21 maggio <strong>2019</strong><br />
Al Tranvai di via Zuretti, martedì 21 maggio, si è tenuto l’appuntamento<br />
con la Scuola di Santa Rosa (progetto ideato da Francesco Lauretta<br />
e Luigi Presicce). I due artisti portano a Milano una pratica che<br />
hanno inaugurato nel 2017 a Firenze: trovarsi, insieme a pubblico,<br />
amici, studenti e curiosi per disegnare insieme, raccontarsi la vita, in<br />
un’esperienza apparentemente “fuori tempo” che corrisponde invece<br />
alla gioia della spontaneità e di una ritrovata condivisione.<br />
Disegnano insieme, si raccontano ciò che vedono, i propri pensieri.<br />
“Una pratica semplice, apparentemente ottocentesca e fuori luogo,<br />
poco contemporanea, ma ti assicuro che aspetto quel momento con<br />
un’euforia indescrivibile”, confida Luigi Presicce. “Non dipingiamo<br />
quadri come gli impressionisti, ma ci dedichiamo a piccoli disegni,<br />
che sono tutto quello che di più spontaneo e gioioso c’è. Sono piccoli<br />
miracoli, niente che nascerebbe altrove o nella singolarità dello<br />
studio”. Questo movimento spontaneo di idee, poi diventato progetto,<br />
assumendo – per garantire una prosecuzione con momenti nobili<br />
della storia dell’arte – il nome di Scuola di Santa Rosa, lascia trasparire<br />
inoltre un bisogno, sempre più sentito dagli artisti, di ritornare dopo anni<br />
flagellati anche da un certo individualismo (non è il caso di Presicce<br />
che con le esperienze di Lu Cafausu e Brown Project Space ha sempre<br />
fatto “gruppo” con i colleghi, né di Lauretta), a parlarsi, confrontarsi e<br />
di aprirsi a nuovi fronti della cultura.<br />
(Santa Nastro, Artribune, 14 gennaio 2018)
Performance<br />
25 maggio <strong>2019</strong><br />
STEFANO ARIENTI<br />
Muffe, 50'<br />
MARGAUX BRICLER<br />
La Pizia e il significante cavallo (tête à tête), 10'<br />
MARCO CERONI<br />
Pupa, 35'<br />
LAURA CIONCI<br />
Stato di grazia, 2'<br />
CARLO DELL’ACQUA<br />
Acufeni, 10' (con Valeria Manzi)<br />
GIULIO LACCHINI<br />
Accordo e disaccordo, 22'<br />
FRANCESCA MARCONI<br />
Tranhumus, 50'<br />
PAWEL UND PAVEL<br />
Uscita n. 9, 60'<br />
BEA VIINAMAKI<br />
Learning the Laws, 60'<br />
IVANA SPINELLI (al Mercato Crespi)<br />
Banco relazionale<br />
MONICA SGRÒ (al Parco Trotter)<br />
Disegnare con la classe 4D della Scuola del Sole
Stefano Arienti<br />
Muffe, 50'<br />
#performance
Margaux Bricler<br />
La Pizia e il significante cavallo (tête à tête), 10'<br />
Tramite un dispositivo estetico, l’artista invita il fruitore ad appartarsi<br />
per attraversare una curiosa esperienza psicoanalitica.
#performance
Marco Ceroni<br />
Pupa, 35'<br />
PUPA è un’azione che dialoga con l’immagine di un incidente e quella di un<br />
atto sessuale, come se questo schianto permettesse la liberazione di un’energia<br />
erotica che ridefinisce le forme e la percezione dei corpi e del paesaggio. La<br />
performer esegue movimenti della disciplina di pole dance ma invece che una<br />
musica ritmica la accompagna il suono costante e atono degli scooter portati<br />
al massimo dei giri. L’urlo dei motorini da così voce al movimento atletico<br />
e sensuale della performer, che a sua volta si fa carne degli assemblaggi<br />
meccanici che compongono il suono.<br />
(Marco Ceroni <strong>2019</strong>)
#performance
Laura Cionci<br />
Stato di grazia, 2'<br />
#performance<br />
(performer Sara Facchinotti; assistenza tecnica GLAMOURGA Macao;<br />
foto Fabio Tarantola)<br />
Benvenuta/o.<br />
Prima di avvicinarti all’opera, ti presento Sara.<br />
Oggi, 25 Maggio, è il suo onomastico. Santa Sara protettrice dei<br />
viaggiatori, degli zingari.<br />
Io sono una di loro.<br />
In questo momento mi trovo in viaggio dentro il deserto australiano alla<br />
ricerca della mia cura.<br />
Sara è la voce più dolce che io conosca, rappresenta il mio viaggio.<br />
Lei potrà raccontarti la mia paura, i dubbi, le domande che ho vissuto<br />
in questi mesi invernali. Paure che forse senti anche tu, che hai vissuto o<br />
che hai sfiorato accanto a qualcuno.<br />
La paura della morte.<br />
Ho bisogno di condividere con te questi momenti bui della mia vita.<br />
Non è facile per me, ma so che lo scambio creerà energia tra di noi e<br />
per noi.<br />
Avvicinati a lei. Non ti parlerà finchè non entrerai in un contatto più<br />
intimo pronunciando le parole:<br />
“La materia un mezzo, il fine lo spirito”.<br />
Ora sei dentro. Potrai accomodarti di fronte a Sara che sceglierà per te<br />
un brano del mio diario.<br />
Ascolta la sua voce rassicurante, dolce, e lasciati rilassare dal suono.<br />
Ascolta il mio racconto.<br />
Una volta finito, se vorrai, potrai scrivermi una lettera, lasciarmi una<br />
poesia, una canzone, un disegno. Rendimi l’incontro, se credi. Fissa il<br />
momento ed il tuo sentimento per quello che hai ascoltato.<br />
Chiudilo in una busta. Arriverà a me e diventerà parte del mio diario.<br />
Altrimenti, se non vuoi scrivere nulla, alzati, l’incontro è terminato.<br />
Sara ti ringrazierà: abbracciala, e cingendola, appoggia le tue mani<br />
sulla sua schiena. Sentirai una strana vibrazione della voce nelle parole<br />
“La materia un mezzo, il fine lo spirito”. E’ il suo dono.<br />
Respira, sorridi e continua la tua ricerca.<br />
Sei viva/o.
Carlo Dell’Acqua<br />
Acufeni, 15' (con Valeria Manzi)<br />
Un megafono appeso alla parete diffonde un audio composto da enunciati<br />
scanditi da una sequenza di “colpi”.<br />
Sotto il megafono una donna ondeggia ossessivamente premendosi due<br />
bicchieri sulle orecchie.<br />
Il megafono amplifica la voce maschile dell’artista impegnato in discorsi e parole<br />
continuamente ribadite da una voce femminile che ripete immediatamente<br />
ogni singola parola pronunciata.<br />
Il contenuto spazia da improbabili descrizioni scientifiche per crollare dentro<br />
ricordi e considerazioni tra il pulsionale e il politico sino ad abbandonarsi a un<br />
flusso delirante come se la parola, i suoi enunciati, passassero decisamente al<br />
vaglio dell’inconscio.<br />
(Carlo Dell'Acqua <strong>2019</strong>)
#performance
Giulio Lacchini<br />
Accordo e disaccordo, 22'<br />
La performance consiste nelle azioni di accordare una chitarra classica scordata,<br />
riscordarla e riaccordarla nuovamente.<br />
La lentezza degli atti di accordo e disaccordo fanno dell’azione della tradizionale<br />
accordatura una sonorizzazione quasi musicale.
#performance
Francesca Marconi<br />
Tranhumus, 50'<br />
#performance<br />
Il progetto indaga lo spazio del confine<br />
umano/ geografico (border scape)<br />
realizzato insieme a comunità miste; è il<br />
risultato di un dialogo fra territorio e persone<br />
che lo attraversano e lo abitano. Transhumus<br />
è il luogo, lo spazio o il paesaggio scelto<br />
dall’altro in uno stretto dialogo con l’artista<br />
durante una passeggiata all’interno della<br />
residenza Urban Heat a Centrale Fies (Drò).<br />
Il titolo ci rimanda alla transumanza, agli<br />
spostamenti, alla libertà di movimento e di<br />
essere in qualunque luogo. Diventare così<br />
noi stessi quel luogo o la trasformazione del<br />
luogo operata dal passaggio dell’uomo.<br />
Questi i temi centrali dell’opera che porta in<br />
sé le tracce dei muri dell’ex Fabbrica Cova,<br />
avvolgendo coloro che lo indossano.
PAWEL UND PAVEL<br />
Uscita n. 9, 60'<br />
Intervento performativo per una persona di nazionalità polacca. L’azione si<br />
svolge attorno ad una lastra di vetro su cui è presente lo stemma con aquila<br />
della bandiera polacca. Acqua colorata, bianca e rossa, viene prelevata dai<br />
secchi e passata sul vetro, più volte, nel tentativo di fissare e rimuovere i colori<br />
della propria bandiera nazionale.<br />
#performance
BEA VIINAMAKI<br />
Learning the Laws, 60'<br />
È una sostanza spessa che ci unisce tutti, in una materia densa e mobile, in questo<br />
stato le forze invisibili hanno effetti diretti, esse si rivelano a chi le cerca. Tre performer si<br />
muovono nello spazio, i corpi punteggiati da stelle, interagiscono fra di loro con lente<br />
movenze, influenzandosi a vicenda, mossi da forze invisibili. Questa performance<br />
pone al centro della ricerca l'energia invisibile ad occhi inesperti, utilizzato come<br />
generatore di movimento, riprendendo tecniche orientali come il thai chi, il qi gong<br />
ma anche l'euritmia. La paura dell'invisibile, su cui l'essere umano ha da sempre<br />
ricamato sopra miti e leggende, viene in questa performance vista in ottica positiva,<br />
come forza che permea il tutto.
#performance
<strong>BienNoLo</strong> Border<br />
Paolo Nava Studio<br />
11 manifesti per i confini sulla facciata di<br />
via Popoli Uniti 11, Milano<br />
Grazie alla collaborazione di Paolo<br />
Nava Studio, stamperia d’arte, i muri<br />
esterni dell’Ex Laboratorio Panettoni<br />
Cova di via Popoli Uniti diventano<br />
un display espositivo per una serie<br />
di manifesti d’artista. Ogni mattina<br />
dal 17 al 26 maggio i manifesti sono<br />
affissi come nella normale pratica<br />
cartellonistica: uno sostitusce l’altro,<br />
raccontandoci dell’incontro fra<br />
la strada e l’arte. Undici artisti di<br />
diversa generazione sono stati invitati<br />
a partecipare partendo dall’idea<br />
di confine, nel suo significato più<br />
semplice, una linea che al tempo<br />
stesso separa e unisce. Economia e<br />
mercato (anche dell’arte), lo sguardo<br />
su questioni politiche e di genere<br />
attraverso la sostituzione dell’identità<br />
delle più immortali icone del cinema,<br />
i confini e il “peso dell’esistenza”, la<br />
chiusura e l’esplorazione tagliente<br />
dello stereotipo della femminilità<br />
nel mondo della comunicazione,<br />
così come la volontà di riscattare<br />
gli “ultimi” della società, sono i<br />
temi toccati in affissioni declinate<br />
attraverso immagini di natura grafica<br />
o fotografica.
Elena Bellantoni<br />
Fabrizio Bellomo<br />
BiancoValente<br />
Ivo Bonacorsi<br />
Monica Carocci<br />
Daniela Comani<br />
The Cool Couple<br />
Paola Di Bello<br />
Kensuke Koike<br />
Francesca Marconi<br />
VedovaMazzei
Volontari<br />
Giorgio Bernasconi<br />
Yayzaveda Bohachova<br />
Enrico Bongiorno<br />
Paola Bordini<br />
Alexandra Buzalis<br />
Claudio Caffi<br />
Petra Chiodi<br />
Elena Corbella<br />
Alessandra Cortellezzi<br />
Erica Prous<br />
Christian Putelli<br />
Monica Rebecchi<br />
Chiara Rosati<br />
Elisa Sterpetti<br />
Elisa Suardi<br />
Federico Trotti<br />
Nicoletta Valenti<br />
Roberto Ziranu<br />
Marina Cotelli<br />
Piera Digonzelli<br />
Salvatore Fazio<br />
Gianluca Fava<br />
Adrienne Lawson<br />
Francesca Lombardo<br />
Laura Maggiore<br />
Lorena Mentasti<br />
Alessio Oliveri<br />
Marco Paleari<br />
Vittoria Parrinello<br />
Alessia Perrino
Didascalie delle opere (in ordine di apparizione)<br />
Sergio Limonta<br />
Lecco - 1972. Vive e lavora a Oggiono (LC)<br />
Solo la bandiera, 2018<br />
Marco Ceroni<br />
Faenza - 1987. Vive e lavora a Milano<br />
Nitro, Spirit, Pegaso, Rocket, <strong>2019</strong><br />
La ricerca di Marco Ceroni deriva dal fascino per gli spazi e<br />
gli immaginari quotidiani. L’artista stesso racconta così il suo<br />
progetto per <strong>BienNoLo</strong>: «Feticci che collassano violentemente su<br />
se stessi sincretizzano frammenti di realtà e la loro esaltazione.<br />
Le carene anteriori di alcuni scooter vengono alterate attraverso<br />
l’innesto di altre forme, creando immagini in bilico tra demoniaco<br />
e animale. Si innesca così un cortocircuito continuo tra<br />
reale e verosimile, tra quotidiano e perturbante, tra banale e<br />
soprannaturale. Alterando elementi dell’esistenza quotidiana<br />
questi cessano di apparirci come siamo abituati a vederli e ci<br />
mostrano una faccia diversa della realtà, magari qualcosa che<br />
non siamo in grado di nominare: si aprono così traiettorie di<br />
possibilità parallele all’interno del quotidiano. Forme che oscillano<br />
tra passato e futuro ricollassando nel presente in una corsa in<br />
motorino attraverso la città».<br />
2501<br />
Milano - 1981. Vive e lavora a Milano<br />
Senza titolo, <strong>2019</strong><br />
Giovanni Gaggia<br />
Pergola (PU) - 1977. Vive e lavora a Pergola<br />
Sconfinare, <strong>2019</strong><br />
Francesca Marconi<br />
Milano - 1972. Vive e lavora a Milano<br />
Cartografia dell’orizzonte/Transhumus, 2018-19
Il progetto indaga lo spazio del confine umano/<br />
geografico (border scape) realizzato insieme<br />
a comunità miste; è il risultato di un dialogo<br />
fra territorio e persone che lo attraversano e lo<br />
abitano. Transhumus è il luogo, lo spazio o il<br />
paesaggio scelto dall’altro in uno stretto dialogo<br />
con l’artista durante una passeggiata all’interno<br />
della residenza Urban Heat a Centrale Fies<br />
(Drò). Il titolo ci rimanda alla transumanza, agli<br />
spostamenti, alla libertà di movimento e di essere<br />
in qualunque luogo. Diventare così noi stessi<br />
quel luogo o la trasformazione del luogo operata<br />
dal passaggio dell’uomo. Questi i temi centrali<br />
dell’opera che porta in sé le tracce dei muri dell’Ex<br />
Fabbrica di panettoni Cova, avvolgendo coloro<br />
che lo indossano.<br />
Luisa Turuani<br />
Milano - 1992. Vive e lavora a Milano<br />
Memento mori, <strong>2019</strong><br />
________BeepBeep________BeepBeep________<br />
BeepBeep________BeepBeep________<br />
L’intervento obbliga lo spettatore a essere fuori<br />
luogo; l’opera è l’impossibilità di stare a passo con<br />
il tempo, è la certezza di un accadimento futuro e<br />
l’imbarazzo di non poterne coglierne le coordinate<br />
spaziali.<br />
Eugenio Tibaldi<br />
Alba - 1977. Vive e lavora Torino e Napoli<br />
Senza titolo, 2017<br />
Italo Zuffi<br />
Imola - 1969. Vive e lavora a Milano<br />
Rarefatto, <strong>2019</strong><br />
Si tratta di una natura morta “mimetica” in cui<br />
materiale e soggetto riscrivono la relazione<br />
tra significante e significato. La pratica<br />
artistica chiede di essere espliciti, di dichiarare<br />
immediatamente cosa si è piuttosto che passare<br />
attraverso una forma che imita il dato esteriore,<br />
e per queste ragioni la scultura porta in sé un<br />
interrogativo. Ciò che interessa l’artista si trova<br />
forse nel lavoro di ricopiatura: l’attenzione<br />
impiegata nel ripercorrere la forma di qualcos’altro,<br />
in questo caso attraverso l’utilizzo di mattoni<br />
antichi e acrilico, quale possibile risposta.<br />
VedovaMazzei<br />
(Stella Scala e Simeone Crispino)<br />
Milano - 1962 e 1964. Vivono e lavorano a<br />
Milano<br />
Storno, 1995<br />
Serena Fineschi<br />
Siena - 1973. Vive e lavora tra Siena e Bruxelles<br />
Flowers (VIXI) Trash Series, <strong>2019</strong><br />
Elizabeth Aro<br />
Buenos Aires. Vive e lavora a Milano<br />
Mundo, 2004-<strong>2019</strong><br />
Stefano Arienti<br />
Asola (MN) - 1961. Vive e lavora a Milano<br />
Muffe, 1985-<strong>2019</strong><br />
Nel 1985 Stefano Arienti partecipava con Muffe<br />
alla sua prima collettiva dal titolo Bi Bi, in una<br />
ex fabbrica abbandonata di motori elettrici nel<br />
quartiere Isola, la Brown Boveri. Fin da allora<br />
l’artista si afferma con una modalità processuale<br />
e una ricerca che da sempre caratterizzano il suo<br />
lavoro.Questo processo prevede la trasformazione<br />
della superficie di materiali esistenti rivelando, non<br />
solo un nuovo senso e significato all’immagine,<br />
ma anche una vera e propria trasformazione<br />
della materia. Muffe è un intervento semplice,<br />
quasi effimero, in cui l’artista colora con i gessetti<br />
le superfici ammuffite e scrostate dello spazio<br />
quasi come fossero spore colorate. L’opera viene<br />
riproposta diversi anni dopo per Isola Art Center,<br />
mentre allo spazio Cova Stefano Arienti interviene<br />
in modo fortemente diffuso, modificando su più<br />
punti e piu muffe nello spazio. L’opera viene<br />
completata dal vivo durante l’inaugurazione di<br />
<strong>BienNoLo</strong> del 17 Maggio <strong>2019</strong>.
Federica Perazzoli<br />
Milano - 1966. Vive e lavora a Milano<br />
All I Need, <strong>2019</strong><br />
Loredana Longo<br />
Catania - 1967. Vive e lavora a Milano<br />
Victory, <strong>2019</strong><br />
Riccardo Gusmaroli<br />
Verona - 1963. Vive e lavora a Milano<br />
Coperta termica, <strong>2019</strong><br />
La coperta isotermica, solitamente utilizzata per<br />
la stabilizzazione termica di un paziente in attesa<br />
di soccorso, è qui appesa in modo tale da offrire<br />
allo spettatore la parte dorata, che consente il<br />
passaggio di luce e calore, e che è quella visibile in<br />
caso di utilizzo in occasione di traumi o infortuni.<br />
Il retro, di colore argenteo, è invece la parte che<br />
nell’uso medico rimane a contatto con il corpo,<br />
perché respinge luce e calore, e nell’installazione<br />
resta celata allo sguardo. è proprio questa la<br />
coperta dorata nella quale vengono avvolti i<br />
migranti salvati dal mare. è una coperta fragile,<br />
così per ovviare allo spessore sottile, l’artista ha<br />
rinforzato la coperta con grandi strisce di cerotto,<br />
bucandola poi in più punti. Il cerotto tiene insieme,<br />
il cerotto unifica, il cerotto cicatrizza, il cerotto<br />
aiuta a guarire le ferite. E, in questo caso, il cerotto<br />
consente di creare dei fori per guardare attraverso<br />
qualcosa che, altrimenti, se bucato si romperebbe.<br />
La “coperta dei migranti” diventa quindi un invito<br />
a guardare oltre, superando le barriere tra noi e lo<br />
straniero.<br />
Margherita Morgantin<br />
Venezia - 1971. Vive e lavora a Milano<br />
Reticenza, <strong>2019</strong><br />
Reticenza è quell’atteggiamento di studiata<br />
cautela nel parlare: è anche il titolo dell’opera<br />
di Margherita Morgantin. Si presenta come due<br />
anonime cassettine in metallo grigio, portachiavi,<br />
come quelle che troviamo in alcuni<br />
alberghi e uffici. Lo spettatore potrà decidere se<br />
aprirle per scoprirne il contenuto. L’opera parla<br />
di quel sentimento di reticenza che sviluppiamo<br />
quando dobbiamo farci vedere, conoscere,<br />
trovare, come il buio all’interno della scatola.<br />
Stefano Boccalini<br />
Milano - 1963. Vive e lavora a Milano<br />
Parole/Dono, <strong>2019</strong><br />
Adrian Paci<br />
Scutari (Albania) - 1969. Vive e lavora a Milano<br />
Il silenzio delle piante, <strong>2019</strong><br />
L’ex panettonificio Cova può essere descritto<br />
come quello che Gilles Clément ci indica<br />
come Terzo Paesaggio, un luogo abbandonato<br />
dall’uomo, un’area ex industriale dismessa<br />
in cui crescono rovi e sterpaglie. L’opera di<br />
Adrian Paci pone lo spettatore nella condizione<br />
di ascoltare, contemplare o semplicemente<br />
guardare questo angolo di verde incolto. Una<br />
struttura in ferro dalla forma orbitale, di circa<br />
otto metri di lunghezza circonda una gigantesca<br />
pianta di “Buddleja davidii”, detta anche “albero<br />
delle farfalle”. Ai due poli di fronte alla pianta<br />
due sedute, per gli spettatori che avranno voglia,<br />
tempo e pazienza di ascoltare il silenzio della vita.<br />
Mario Airò<br />
Pavia - 1961. Vive e lavora a Milano<br />
Nerita, <strong>2019</strong><br />
L’artista crea una relazione fra una vecchia tabella<br />
educativa aziendale e i muri che la ospitano.<br />
Massimo Kaufmann<br />
Milano - 1963. Vive e lavora a Milano<br />
Resurrezione, 2001
Vittorio Corsini<br />
Cecina - 1956. Vive e lavora a Milano<br />
Scala, 1991<br />
Alessandro Nassiri Tabibzadeh<br />
Milano - 1975. Vive e lavora a Milano<br />
Senza titolo, <strong>2019</strong><br />
Alessandro Simonini<br />
Modena - 1985. Vive e lavora a Milano<br />
Pharmakon, <strong>2019</strong><br />
Sara Rossi<br />
Milano - 1970. Vive e lavora a Milano<br />
Mediterraneo (Carosello), <strong>2019</strong><br />
Carosello è un loop cartaceo, una sequenza<br />
lineare che si svolge nello spazio, un paesaggio<br />
realizzato come un puzzle aperto alla scoperta di<br />
continue coincidenze. 36 metri di cartoline postali<br />
ci raccontano un possibile giro dello sguardo a 360<br />
gradi come una macchina ottica in cui lo spettatore<br />
stesso anima il paesaggio, reale ma tuttavia<br />
immaginario, in un viaggio di pochi passi attraverso<br />
luoghi distanti nello spazio e nel tempo. Luoghi<br />
souvenir che hanno viaggiato portando messaggi<br />
brevi dai mittenti ai destinatari, un ricordo, un<br />
pensiero, una immagine.<br />
T-Yong Chung<br />
Taegu (Corea del Sud) - 1977. Vive e lavora a<br />
Milano<br />
Untitled 1, 2012<br />
In quest’opera senza titolo T-Yong Chung, recupera<br />
e dà nuova vita a oggetti provenienti da fabbriche<br />
abbandonate. Attraverso quella che possiamo<br />
considerare quasi una pratica meditativa, l’artista<br />
rimuove con un’azione costante, attraverso la carta<br />
vetrata, la ruggine del tempo, delle intemperie<br />
e dell’abbandono. Parti di putrelle, avanzi di<br />
un’epoca occidentale e industriale nati con una<br />
funzione precisa vengono, attraverso il gesto<br />
dell’artista, invece che rottamati, resi al mondo<br />
ancora più preziosi. Impossibile non pensare,<br />
guardando quest’opera, al modo di approcciare il<br />
passato nella filosofia orientale dove la cura di ciò<br />
che è stato, permette una visione più lucida del<br />
futuro, un po’ come se noi riuscissimo guardando<br />
quei frammenti provenienti dallo stabilimento di<br />
Marghera a darci delle risposte, invece che porci<br />
solo domande.<br />
Francesco Bertelé<br />
Cantù (CO) - 1978. Vive e lavora a Canzo<br />
Apocalisse 21.1, <strong>2019</strong><br />
Matteo Pizzolante<br />
Tricase (Le) - 1989. Vive e lavora a Milano<br />
Stand up!, <strong>2019</strong><br />
Stand up! è una riflessione sul concetto di<br />
Climacofobia, ovvero la paura persistente e<br />
ingiustificata delle scale, sia di salirle che della<br />
possibilità di cadere da esse. L’opera è composta<br />
da una serie di elementi scultorei e fotografici: le<br />
immagini sono visioni di scale interne, ottenute<br />
attraverso un paziente lavoro di ricostruzione<br />
digitale, tramite l’utilizzo di software di modellazione<br />
3D. Queste immagini sono proiezioni mentali, tracce<br />
evocative, miraggi caratterizzati da una visione<br />
antica e circolare del tempo e dello spazio. Gli<br />
elementi scultorei in acciaio e tessuto amplificano<br />
questa vertigine, con l’intento di suscitare squilibrio<br />
e instabilità percettiva.
The Cool Couple<br />
(Niccolò Benetton e Simone Santilli)<br />
Vicenza e Portogruaro - 1986 e 1987. Vivono e<br />
lavorano a Milano<br />
Turborage, 2017<br />
L’opera prende ispirazione da una favola di Gianni<br />
Rodari, Il palazzo da rompere, che racconta di<br />
una comunità in cui i bambini sono così iperattivi<br />
da distruggere qualunque cosa. Per trovare una<br />
soluzione, un personaggio pensa di costruire<br />
un palazzo in cui rinchiuderli e lasciarli sfogare,<br />
permettendogli di rompere tutto. Il piano funziona:<br />
i bambini tornano a casa sfiniti e ritornano alla<br />
normalità. Questo racconto anticipa il fenomeno<br />
delle anger room, ed è metafora della capacità di<br />
ogni forma di potere di gestire la violenza, isolandola<br />
e rendendola inoffensiva. Considerando i molti<br />
modi in cui la libera espressione del nostro corpo è<br />
sottoposta a rigidi protocolli (e le numerose fessure<br />
attraverso cui la violenza riemerge nella nostra<br />
vita quotidiana) The Cool Couple trae ispirazione<br />
dalla fiaba per costruire una scultura partecipativa.<br />
Turborage, infatti, consiste in un pilastro di<br />
cemento fresco, contro il quale il pubblico (proprio<br />
come i bambini del racconto di Rodari) può<br />
sfogarsi, grazie a delle mazze. La malleabilità del<br />
materiale (cemento più perlite) rende ogni pilastro<br />
una scultura astratta e la registrazione di un atto<br />
aggressivo partecipato.<br />
utilizzando nelle sue sperimentazioni l’alterazione,<br />
la sospensione e la ripetizione. Ciò che emerge<br />
dall’opera è una continua necessità di verifica<br />
della verità dell’oggetto e della partecipazione del<br />
soggetto.<br />
Massimo Uberti<br />
Brescia - 1966. Vive e lavora a Milano<br />
Città ideale, <strong>2019</strong><br />
Massimo Uberti ama costruire luoghi per abitanti<br />
poetici. Per questa mostra realizza un’opera site<br />
specific, Città ideale, composta da duecento<br />
candele che, disposte sul pavimento, disegnano<br />
la città ideale del Filarete. Sforzinda è la<br />
rappresentazione rinascimentale di un’architettura<br />
utopica, una città che non esiste, se non come<br />
segno, forma o come luogo mentale. Oggi, ci<br />
racconta l’artista, la città ideale è un luogo che<br />
possiamo solo immaginare che tende a essere<br />
spazio, necessario, amato e infinito.<br />
Alfredo Rapetti Mogol<br />
Milano - 1961. Vive e lavora a Milano<br />
Sei la mia cura, 2018<br />
Abbi cura di te, 2018<br />
Acquasantiere, 2012<br />
Carlo Dell’Acqua<br />
Bormio - 1966. Vive e lavora a Milano<br />
Costellazioni (in cattività), <strong>2019</strong><br />
Il lavoro riprende nella forma l’opera Costellazioni,<br />
che l’artista ha realizzato per la prima volta nel<br />
2002: un raggruppamento di cactus casualmente<br />
disposti e violentemente costretti su una parete<br />
ci appaiono nella loro bellezza respingente, come<br />
possibile metafora di una resistenza/residenza<br />
difficile. L’intenzione dell’artista, nel cercare un<br />
posizionamento forzato e verticale delle piante,<br />
è di spostare lo spettatore entro una dimensione<br />
allucinata dello spazio. Carlo Dell’Acqua è da<br />
sempre interessato ai meccanismi psichici che<br />
sottendono la percezione della realtà spesso<br />
Premiata Ditta<br />
Anna Stuart Tovini e Vincenzo Chiarandà. Vivono e<br />
lavorano a Milano<br />
Odori, <strong>2019</strong><br />
Giuseppina Giordano<br />
Mazara del Vallo - 1987. Vive e lavora a Milano<br />
The Wall of Delicacy<br />
(Ode to America), <strong>2019</strong>
Bea Viinamaki<br />
Bloody Bunny, 2018<br />
Iva Lulashi<br />
Tirana (Albania) - 1988. Vive e lavora a Milano<br />
Tea Time, 2017<br />
Il lavoro di Iva Lulashi nasce da una ricerca<br />
iconografica che attinge da frame di video di<br />
diverso genere, ad esempio appartenenti al<br />
periodo comunista albanese, oppure filmati erotici,<br />
in riferimento all’assenza di materiale vietato ai<br />
minori durante il regime. Nel suo corpus di lavoro<br />
è presente anche la religione, che a sua volta era<br />
stata “abolita” in quel periodo. In alcuni frame dei<br />
filmati erotici scelti per essere dipinti dall’artista<br />
si ritrovano le ripetizioni di gesti o movimenti che<br />
ricordano i momenti di ginnastica collettiva imposta<br />
dalla dittatura comunista. Il lavoro di ricerca<br />
del materiale avviene attraverso canali comuni:<br />
YouTube, o comunque siti facilmente accessibili.<br />
In alcuni casi Lulashi sceglie frame tratti da film di<br />
cui, però, non segue la trama né ascolta i dialoghi,<br />
per non farsi influenzare e perché non vi siano<br />
elementi riconoscibili o diretti nell’opera. Una volta<br />
catturato il frame, l’artista lo modifica tagliandolo,<br />
cancellando alcune parti o aggiungendone altre, in<br />
modo da personalizzare l’immagine.
ArtCityLab<br />
<strong>BienNoLo</strong><br />
Eptacaidecafobia<br />
AA.VV<br />
postmedia books 2018<br />
160 pp. 240 ill.<br />
ISBN 9788874902385<br />
Si ringraziano<br />
Carlo Bellomo, Marco Bianchi, Eredi Gambini, Antonella e Pietro Gallotti, Daniela Nocivelli,<br />
isorropiahomegallery (no profit exhibition space), Antonio Romanelli, Leonardo Manera,<br />
Riccardo Rossi e Alfons Pepaj (Ristruttura Interni), Carlo Turati, Luciano e Cristina Viganò,<br />
Antonella Vizzari, Giorgio Gherarducci e Licia Negri<br />
Uno speciale ringraziamento a Fastweb per la collaborazione all'opera di Carlo Dell'Acqua; a<br />
Paolo Nava Studio per la serie di manifesti <strong>BienNoLo</strong> Border; a Oltremodo Srl di Marianna<br />
Cappellina e Christian Tortato per il restauro dell'opera di Eugenio Tibaldi.<br />
<strong>BienNoLo</strong> <strong>2019</strong> è stata realizzata grazie ai seguenti sponsor<br />
Finito di stampare nel mese di giugno <strong>2019</strong><br />
presso Ediprima, Piacenza<br />
tutti i diritti riservati / all rights reserved<br />
è vietata la riproduzione non autorizzata<br />
con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia<br />
o qualsiasi forma di archiviazione digitale.<br />
Un pdf gratuito di questa pubblicazione è disponibile sul nostro sito.<br />
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or transmitted in any form or by any means, electronic or mechanical,<br />
without permission in writing from the Publisher.<br />
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Milano<br />
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