Furio Dioguardi - Alfabetizzazione ludica e sport giovanile
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Università degli Studi di Genova
Scuola di Scienze Mediche e Farmaceutiche
Corso di laurea magistrale lm-67
Anno Accademico 2019-20
57754 - T.T. ATTIVITA' MOTORIE NELL'ETA‘ EVOLUTIVA (Annuale)
M-EDF/01 4 4 CFU CARATTERIZZANTI
Discipline Motorie e Sportive DIOGUARDI FURIO LEZ: 20 ESE: 20
Play literacy e formazione dell’uomo
Docente: Furio Dioguardi
furio.dioguardi@edu.unige.it
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Concetti fondamentali
• Apprendimento non formale
• Intersoggettività
• Relazione e corporeità
• Nature Deficit Disorder
• Coaching
• Play literacy
• Gioco autentico e agonismo
• Outdoor education (OE)
• Play Deficit Disorder”
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Tipologie di apprendimento
Formale: scuola, università
Informale: quello che avviene in tutti i contesti della vita
quotidiana di una persona
Non-formale: attività nelle quali i giovani sono stimolati a
prendere iniziative, fare esperienze creative, stringere relazioni e
rendersi attivi nella loro comunità
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Appendimento cognitivo o emozionale?
• Ingolfamento cognitivo (cfr Daniela Lucangeli)
• Obesità cognitiva
• Analfabetismo funzionale
• Cosa significa insegnare al giovane?
• Il saper fare, il saper stare insieme, il saper
perdere tempo.
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Lo sport allena al gioco?
Un allenatore dovrebbe (ri)scoprire l’intenzionalità
educativa del proprio lavoro partendo da una lettura
critica dello sport (in cui emergono i segni dell’alienazione e della
corruzione?).
L ‘esperienza sportiva deve recuperare il senso
originario e formativo del gioco.
Lo sport è in antitesi rispetto ad una buona
alfabetizzazione motoria?
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Gaburro in “Calcio al calcio” coglie le incongruenze di
allenamenti che fanno perdere quasi del tutto il senso del
gioco ai bambini ma coglie anche i nessi fra i problemi
apparentemente solo tecnici dell’allenatore con quelli più
profondi del rapporto mente/corpo/ mente, fatica/piacere
del senso della competizione.
Si accorge di quanto il calcio dei grandi sia spesso un orrore
pedagogico.
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L’azione educativa del coaching mai asettica si
risolve nel processo decisionale affidato
all’educando, nella sua volontà di non sfuggire alle
esperienze che richiedono scelte e responsabilità.
Coaching è “prendersi cura”, creando una rete di
sostegno che consente ai soggetti di “mettersi in
gioco”, di rischiare.
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Si fa mentore colui, che agli occhi
dell’educando, a livello interiore e di vissuto,
lo porta verso un “altrove”.
Nel mentore il giovane coglie “l’apertura al
possibile”. (Piero Bertolini, 1988)
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La costruzione dell’identità (identificazione e differenziazione),
avviene grazie anche ai rapporti con adulti diversi dai
propri genitori, con i loro modi di pensare, comportarsi,
relazionarsi.
L’ambiente sportivo è una realtà che incide sui giovani.
Fondamentali sono l’ascolto empatico e l’atteggiamento
non giudicante che sono alla base del rapporto basato
sulla fiducia.
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Spirito agonistico e gioco: capacità di…
1) mettersi in gioco nel rispetto delle regole
2) dare sempre il meglio di sé, specialmente nelle difficoltà
Porre i bambini in competizione evidenziando i risultati
porterà i bambini meno dotati, a sottrarsi al confronto e a
maturare uno stato di ansia e timore (e spesso rifiuto). La
precocità della selezione porta il giovane verso un
probabile abbandono?
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Con la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia
dell’Adolescenza il gioco è diventato un “Diritto”
dell’infanzia da tutelare e nel quale l’autenticità è
valore costitutivo.
La dimensione ludica si è connotata come uno dei tratti
distintivi della cultura per l’educazione, del tempo
libero e dei consumi di massa.
Il paradosso è che le possibilità di gioco sono
sempre meno libere e più condizionate.
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Sul piano pedagogico il dato
preoccupante è la play literacy, cioè
l’alfabetizzazione ludica dei bambini,
particolarmente ridotta e povera di
esperienze formative.
La presenza di troppe attività strutturate
mortifica lo spontaneismo.
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I bambini non giocano più liberamente all’aria
aperta dove possono sperimentare soluzioni
motorie in libertà senza aspettative da parte di
nessuno.
Spesso ci si ritrova ad allenare bimbi che passano
direttamente dal divano al campo o palestra, senza
una naturale predisposizione al movimento;
questo comporta, oltre ad un deficit motorio anche
un impatto psicologico e motivazionale
particolare.
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La crisi del gioco: identità, tempo e spazi liberi
•Il gioco è sempre più “agli arresti domiciliari” e gli
appartamenti sono una “ludoteca domestica coatta”, i
bambini giocano sorvegliati, diretti, animati da adulti.
•L’idea che il bambino possa godere di un’attività ludica, da
solo o insieme ad altri, liberamente e fuori dallo sguardo di
un adulto, è pressoché inconcepibile.
•Eppure gli adulti ben ricordano che i giochi che li hanno
più formati sono quelli dove tutto si faceva fuori dalla
presenza degli adulti.
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Il gioco aiuta anche nel disagio dei bambini
stranieri o nei casi di eccessiva conflittualità.
Le problematiche dell’infanzia possono essere
rivissute attraverso il gioco e prevenute tramite
una corretta alfabetizzazione ludica.
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Il gioco crea dialogo, relazione e nel
momento in cui la persona decide di stare
al gioco condivide e accetta le regole.
Chi sa giocare sa riconoscere la libertà
propria e dell’altro e la rispetta, si crea
così la lealtà.
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“Nature Deficit Disorder”,
Lo stile di vita dei bambini favorisce un “disturbo
da mancanza di rapporto con la natura” le cui
conseguenze possono rivelarsi sulla crescita (R. Louv)
La società “del benessere” produce “malessere”,
perché la “natura” dell’infanzia richiede tempi e spazi
e un bisogno insopprimibile: il gioco libero.
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Oggi si esagera con le attività strutturate fin dalla
giovane età e ne consegue la perdita
dello spontaneismo che è poi all’origine della
creatività e della libera espressione.
Si privano i bambini quindi dei momenti “vuoti”,
di riposo mentale e psicologico che sono
importanti per il benessere e crescita del bambino.
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Peter Gray e R. Louv analizzano:
1) il posto fondamentale che occupa
il gioco libero nello sviluppo naturale dell’infanzia;
2) la denuncia dei danni
conseguenti alla negazione del gioco libero;
3) l’individuazione
dei fattori che impediscono lo sviluppo delle forme naturali
del gioco infantile
e sottolineano come il “Play Deficit Disorder” è
importante in un numero crescente di bambini con BES e
difficoltà sul piano emotivo/relazionale.
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P. Gray attribuisce alla scuola la maggiore responsabilità
sulla mancanza di gioco naturale più che ai videogiochi.
Anzi Gray afferma che i videogiochi sono forse l’unico
modo che i bambini hanno per avere spazi indipendenti
dagli adulti.
Brian Sutton-Smith sostiene che i videogiochi introducono i
giovani a categorie estetiche e culturali, ad abilità cognitive e
manuali tipiche della società odierna.
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La percezione di questo disagio ha creato interesse
sull’ Outdoor education (OE), inteso come
valorizzazione dell’ambiente esterno.
L’Outdoor education si afferma attraverso:
1. le sue modalità spontanee e naturali,
2. l’insegnante che stimola le esperienze dei
bambini all’aperto sulla base di percorsi orientati
su obiettivi specifici.
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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Roberto Farné, Studium Educationis • anno XVI - n. 3 - ottobre 2015 •
l’educativo nelle professioni
Gianfranco Staccioli, Il gioco e il giocare – elementi di didattica ludica ,
Carocci editore
Piero Bertolini, L’esistere pedagogico, La Nuova Italia
Roberto Farné ,sport e formazione guerini scientifica
Marco Gaburro, Calcio al calcio Libere edizioni
Richard Louv, L’ultimo bambino nei boschi (2006)
Peter Gray, Lasciateli giocare (2005)
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