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Rommel Panzerarmee volume 2°

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La prima denominazione delle forze dell’Asse

in Africa fu quella di Panzergruppe Afrika. Così fu

chiamata fino al 23 gennaio 1942, quando Rommel

si presentò al Comando italiano informandoli che per

ordine di Hitler il Panzergruppe Afrika diventava la

Panzerarmee Afrika, in virtù anche del fatto che

Rommel era stato promosso generale d’armata. Tale

denominazione continuava a comprendere tutte le forze

italo-tedesche, sia quelle corazzate che di fanteria. Si

pensava di essere ormai sufficientemente numerosi e

potenti da far ritenere possibile la definitiva conquista

dell’Egitto.

Coordinamento editoriale: Mario Lazzarini

Progetto grafico e impaginazione: Angelo R. Todaro

© 2020 - Angelo R. Todaro

Prima edizione

Edito da Italia Editrice

Foggia, Viale degli Artigiani, 10b

Tel. 0881 723980 - 0881 368629

Fax. 0881 723980

Per le fotografie di cui non è stato possibile rintracciare gli eventuali aventi diritto,

l'editore si dichiara disponibile ad adempiere ai propri obblighi.


Angelo R. Todaro

ROMMEL

Panzerarmee Afrika

Italiani e Afrika Korps in Nordafrica

Dalla conquista di Tobruk

alla sconfitta definitiva in Tunisia

(febbraio 1942 - maggio 1943)


PANZER

ARMEE

AFRIKA

Capitolo 18

Pausa

di primavera

Una necessaria

pausa per potersi

riorganizzare…

276

La primavera del ‘42 fu dedicata

alla riorganizzazione generale. Il

problema principale per gli

Italiani era l’inesistente motorizzazione

della fanteria che, in ambiente

desertico, trovava ovviamente difficoltà

a spostarsi a piedi. Il Comando

Superiore stimò che, per sanare la

situazione, occorrevano almeno 6.650

automezzi e, al momento, l’arrivo in

Libia era di circa un migliaio al mese.

C’era poi il problema degli uomini.

Inizialmente era previsto che ogni

unità fosse tenuta in Africa per il massimo

di un anno, data la particolare

asprezza della guerra nel deserto. Ed

infatti i Tedeschi si attenevano a questa

regola ed effettuavano sostituzioni

regolari. Molti militari italiani, invece,

raggiunsero anche i quattro anni di

permanenza in Libia. Si studiò quindi

un piano di avvicendamento, ma

occorrevano almeno 55.000 uomini.

Anche trasportando via mare 10.000

uomini al mese (di cui 2.500 per il normale

rimpiazzo) per completare il

piano occorrevano sette mesi. Da

parte tedesca, invece, erano pronti

10.800 uomini di nuovi reparti e 8.000

complementi.

L’organizzazione logistica, invece,

fu completata e per ridurre la durata

dei percorsi si formò una catena di

basi di rifornimento che, partendo da

Tripoli, toccava Misurata, Sirte, el

Agheila, Bengasi e Berta. Altri punti

intermedi di rifornimento erano dislocati

a Homs, Buerat, en Nofilia,

Agedabia e Barce. Ogni centro logistico

alimentava con autocarri le unità

che si trovavano nelle vicinanze.

Questo sistema comunque andava

bene in una stasi operativa, ma quando

il ritmo dei combattimenti costringeva

i reparti a spostamenti convulsi,

mostrava tutti i suoi limiti. Il sistema

tedesco invece prevedeva che ogni

divisione si rifornisse con propri automezzi

e avesse al seguito dotazioni tali

da superare quei momenti in cui non

era possibile rifornirsi. In definitiva

quello dei rifornimenti era essenzialmente

un problema italiano.

C’era poi il problema delle riparazioni.

La Fiat disponeva di tre officine

fisse (a Tripoli, Misurata e Bengasi) e

una mobile (al villaggio Crispi). Ogni

mese effettuava 50 revisioni generali,

ma ora doveva triplicare il rendimento.

La Lancia aveva due officine fisse

(a Tripoli e Bengasi) e revisionava 60

automezzi al mese. Ora doveva raddoppiare

il lavoro.

C’era il problema del Sahara libico

e delle oasi. La Long Range Desert

Group (inglese) e le forze del col.

Leclerc (francesi) effettuavano continue

scorribande nelle retrovie. Attac-


Pagina precedente:

Cavallero con i generali

von Rintelen e

Baldassarre.

In basso, da sinistra:

i generali Curio Barbasetti

di Prun, Ludwig Crüwell

ed Ettore Baldassarre.

cavano i presidi sfruttando la sorpresa

e la mobilità; tendevano più alla cattura

o all’eliminazione dei presidi che

all’occupazione degli stessi. Inizialmente

i risultati furono limitati, ma i

successi invogliarono a obiettivi più

importanti, quali i campi d’aviazione.

Cavallero ordinò di rioccupare i presidi

perduti e di formare reparti mobili per

reprimere le puntate nemiche.

Ci fu poi un piccolo contrasto diplomatico:

Rommel, al momento di partire

per Roma, aveva lasciato il comando

della Panzerarmee al gen. Crüwell,

provocando il disappunto di Zingales

che, essendo più anziano, si attendeva

la nomina. Ci furono attriti con i

Tedeschi. Cavallero fu messo al corrente

e, poiché il Comando della

Panzerarmee era interamente tedesco,

ritenne ingiustificata la pretesa di

Zingales. In conclusione il generale

Baldassarre, vecchio comandante

dell’Ariete, andò a sostituire Zingales.

Il 17 febbraio, Rommel, nel frattempo

promosso colonnello generale, era

davanti a Hitler a Rastemburg. Pur

interessato all’avanzata in Egitto,

quando Rommel gli assicurò che con

altre 6 divisioni motorizzate avrebbe

spazzato via gli Inglesi, il Führer fu

costretto a respingere la richiesta. In

effetti era molto preoccupato per il

fronte russo, dove era in corso la controffensiva

sovietica; von Brauchitsch,

comandante in capo dell’esercito, era

stato esonerato; i tre comandanti di

gruppo d’armate in Russia, von

Rundsted, von Block e von Leeb, si

erano dimessi. Rommel propose allora

l’occupazione di Malta, che costituiva

una grave minaccia ai convogli, ma

ricevette risposte evasive.

La stessa proposta di prendere

Malta, Rommel la fece a Mussolini il

17 marzo, quando gli si presentò

accompagnato da Cavallero. Il Duce

sembrò convincersi, ma non si sbilanciò.

Il 19 marzo Rommel rientrò in

Libia.

Intanto, il 1° marzo, il gen. Barbasetti

di Prun aveva sostituito Bastico

nella carica di capo di Stato Maggiore

del Comando Superiore. Alla tensione

derivata dai suoi contrasti con

Rommel si erano aggiunti attriti con il

Comando Supremo a Roma.

A Londra il Comitato di Difesa era

in allerta perché il passaggio indisturbato

di tre navi tedesche nella

Manica, Scharnhorst, Gneisenau e

Prinz Eugen, fece pensare come imminente

un attacco a Malta. Churchill

inviò un telegramma ai capi di Stato

Maggiore: “Siamo decisi a impedire

che Malta cada senza che la vostra

intera armata affronti una battaglia

per tentare di evitarlo. La perdita della

fortezza implicherebbe la resa di

30.000 uomini con diverse centinaia di

pezzi di artiglieria. Il suo possesso permetterebbe

al nemico di gettare un

ponte solido e sicuro con l’Africa, con

tutte le relative conseguenze. […]

Inoltre comprometterebbe qualsiasi

progetto offensivo contro l’Italia, nonché

la sorte dei nostri piani, quali

Acrobat e Gymnast…”.

In altre parole Churchill desiderava

un’offensiva inglese al massimo entro i

primi di maggio, mentre Auchinleck

277


278

riteneva di non poter essere pronto

prima di giugno. Ma il Primo ministro

inglese sapeva di non poter aspettare

così tanto: Malta era in grave pericolo

e l’Inghilterra non poteva permettersi

di perdere quell’isola, perché in quel

caso l’Asse avrebbe avuto completa

libertà di rifornire Rommel, senza più

l’ostacolo della squadra navale di

Cunningham. A quel punto Tobruk

sarebbe caduta ed anche Suez. E non

solo i Tedeschi avrebbero avuto a

disposizione tutto il petrolio dell’Irak e

dell’Iran ma avrebbero potuto aprire

altre vie d’accesso alla Russia.

Diversi telegrammi furono scambiati

tra Londra e il Cairo con toni che

spesso si facevano aspri. Churchill

arrivò a convocare Auchinleck a

Londra per discutere i progetti mla il

generale declinò l’invito. Non restò a

Churchill di pregare sir Stafford Cripps,

Lord del Sigillo Privato, e il gen. Nye,

sottocapo di stato maggiore imperiale,

in partenza per l’India, di fermarsi al

Cairo per convincere Auchinleck a

non ritardare ulteriormente la data per

l’offensiva.

L’incontro al Cairo avvenne e così,

sia pure a malincuore, Auchinleck iniziò

a preparare un piano che fu chiamato

Buckshot. In sintesi, il 13° corpo

d’armata si sarebbe opposto frontalmente

alle divisioni di Rommel, mentre

il 30° corpo d’armata di Norrie

sarebbe avanzato a sud-ovest,

costruendo una serie di capisaldi presidiati

(chiamati box). Se Rommel li

avesse attaccati con le Panzerdivision,

allontanandosi così dalle statiche divisioni

italiane, sarebbe stato attaccato

dai corazzati britannici operanti tra i

box; se invece Rommel non avesse

reagito, Norrie avrebbe interrotto le

linee di rifornimento italo-tedesche e

minacciato Bengasi.

Nel frattempo l’acquedotto e la ferrovia

erano stati prolungati fino a

Belhamed (nei pressi di Tobruk); qui

furono costruiti alcuni depositi costituenti

la base avanzata n.4 e furono

approntate posizioni difensive sparpagliate

nel territorio. La preesistente

linea difensiva di Gazala fu trasformata

in quella principale, tenuta dalla 1ª

divisione di fanteria sudafricana del

gen. Pienaar. Fu approntata una

lunga fascia di 24 km. di campi minati

che dalla costa scendeva fino a Bir

Hacheim. Al termine di questa fascia

la difesa fu affidata alla 50ª divisione

di fanteria britannica, inviata da

Cipro, che si sistemò allungandosi

verso sud-est. Alcuni chilometri ad est

si trovava il caposaldo Knights Bridge;

davanti a Tobruk, verso sud, un’altra

fortificazione che gli Inglesi chiamavano

«La scatola di el Adem».

Stare in un carro sotto

il sole cocente, dove lo

spazio è ridotto al minimo,

è un vero tormento.

Fortunatamente si può

aprire il portellone

laterale, quando non si

è in combattimento.

Nella foto, carristi italiani

si affacciano da un

carro M11/39.


È primavera…

1 In un accampamento

del DAK c’è chi scava

trincee e chi si occupa del

rifornimento di carburante.

1

2 Forse per sentirsi più

vicini a casa qualcuno ha

piazzato un cartello che

indica la direzione per

Berlino: ci sono “soltanto”

5353 km per Papestrasse.

3 Un ufficiale della

Luftwaffe posa vicino

al precedente per una

foto da inviare a casa.

4 La cucina da campo

tedesca è in funzione.

5 Il rancio è pronto.

2 3 4

5


PANZER

ARMEE

AFRIKA

Capitolo 19

Malta

o Tobruk?

Atroce dilemma

nei Comandi

tedesco e italiano

284

Allo Stato Maggiore, a Roma,

Mussolini e Cavallero erano

ossessionati da un dilemma:

Malta o Tobruk?

A dire il vero, il problema di Malta

era stato evidenziato già durante una

riunione tenuta da Graziani, allora

capo di Stato Maggiore del Regio

Esercito, il 5 giugno 1940. Un progetto

approntato da Supermarina (denominato

Investimento di Malta) prevedeva

un bombardamento aereo di molti

giorni consecutivi e un blocco con

sommergibili, siluranti e mas. A seguire,

doveva avvenire uno sbarco di

20.000 uomini «dotati esclusivamente

di armi leggere automatiche, di

bombe a mano e pugnali, di reparti

lanciafiamme e di carri armati leggeri»,

tramite imbarcazioni a fondo piatto;

la flotta avrebbe dato copertura

con il fuoco di tutti i pezzi. Dal cielo un

lancio di paracadutisti e stormi di aerei

sarebbero intervenuti a bassa quota.

Ma, poiché si era convinti che la

Germania avesse ormai vinto la guerra,

il progetto fu abbandonato e si

pensò di «sterilizzare» Malta mediante

un continuo bombardamento ad

opera della 2ª Squadra Aerea. Fu un

fallimento.

All’inizio del ‘41 i Tedeschi intervennero

nel Mediterraneo e inviarono in

Sicilia anche una forza aerea, il X

Fliegerkorps ed anche la Marina tedesca

si affacciò nel Mediterraneo.

L’ammiraglio Raeder cercò di convincere

Hitler della necessità di prendere

Malta, ma siccome l’operazione sembrava

dover essere tutta tedesca, fu

rinviata a dopo l’occupazione dell’Unione

Sovietica.

A Roma, invece, il problema era

più sentito. L’incremento delle difese

dell’isola esigeva ora lo sbarco di

30.000 uomini, con imbarcazioni adatte

allo scopo (si pensò di usare le motozattere

tedesche Siebelfahr e pontoni

italiani a tre eliche); l’operazione

comunque appariva difficile e rischiosa.

A gennaio ‘42 Raeder ritornò sull’argomento

con Hitler che, confidando

invece nell’esaurimento di Malta

mediante bombardamenti continui,

prese tempo. Anche Kesselring intervenne

in febbraio; la risposta del

Führer fu: «Stia tranquillo, maresciallo,

agirò appena possibile».

Il Comando italiano interpellò i

Giapponesi che inviarono una missione

guidata dall’ammiraglio Abe;

costui, non solo fu d’accordo sulla

necessità dell’occupazione, ma preparò

anche un piano d’invasione, da

comparare con quello italiano: le

divergenze si rivelarono numerose e


Pagina precedente:

il gen. Cavallero e l’amm.

Tur passano in rassegna

i reparti destinati

all’invasione di Malta.

In basso: in piedi a bordo

di un Horch Pkw 108 è

Rommel. Alle sue spalle

il maresciallo Kesselring

e, più indietro, il gen.

Crüwell, comandante

del DAK.

importanti.

Il 20 marzo Kesselring ordinò di

intensificare i bombardamenti su

Malta, poi ottenne un’approvazione

parziale di Hitler all’invasione: la

Germania avrebbe partecipato con un

paio di battaglioni, un certo numero di

carri armati leggeri e alianti. Ma

Cavallero, che riteneva le forze tedesche

insufficienti e l’operazione ancora

troppo rischiosa, prese tempo informando

che le truppe italiane sarebbero

state pronte solo a fine luglio.

A Malta l’offensiva aerea si era scatenata

violentemente, con tre ondate

successive al giorno. Il governatore,

generale Dobbie, aveva scorte per tre

mesi di viveri e benzina e per quaranta

giorni di munizioni: chiese aiuto a

Londra.

L’ammiraglio Cunningham, da

Alessandria, pensò di intervenire

inviando rifornimenti con un convoglio

(M.W. 10) di quattro piroscafi,

scortati da quattro incrociatori leggeri

e dieci cacciatorpediniere: ciò che

restava disponibile alla Forza B dell’ammiraglio

Vian.

Contemporaneamente da Gibilterra

si sarebbe mossa a sostegno la Forza H

dell’amm. Syfret, che comprendeva

due portaerei, Eagle e Arcus, una

nave da battaglia, un incrociatore leggero

e otto cacciatorpediniere. La RAF

avrebbe attaccato gli aeroporti nemici

in Cirenaica e a Creta. L’8ª Armata,

invece, avrebbe attuato l’operazione

Fullsize, un attacco diversivo per tenere

impegnati il Fliegerführer e la 5ª

Squadra Aerea. Una ridotta Forza H,

composta da un incrociatore e un caccia,

sarebbe uscita da Malta per rinforzare

la scorta al convoglio. Tutto ad

iniziare dal 20 marzo.

La mattina del 20 fu notata dagli

Italiani l’uscita della Forza H da

Gibilterra e, il pomeriggio, la partenza

della Forza B e del convoglio.

Supermarina ordinò l’intercettazione

aeronavale del convoglio e Superaereo

l’intervento aereo contro la

Forza H, che però restò fuori della portata

degli aerei dislocati in Sardegna;

il 22 le portaerei lanciarono una trenti-

285


PANZER

ARMEE

AFRIKA

Capitolo 20

Si va

a Tobruk

Dilemma risolto.

Ma è la decisione

giusta?

294

Nel suo libro Guerra senza

odio Rommel scrisse: “Ancora

prima dell’inizio dell’offensiva

(su Tobruk), Malta doveva

essere presa da unità paracadutate

e da sbarco, ma le nostre autorità

superiori abbandonarono incomprensibilmente

questo progetto. La mia

domanda che questa bella impresa

venisse affidata al comando dell’armata

corazzata era stata, purtroppo,

respinta già nella primavera. Così, in

vista del continuo aumento delle forze

britanniche, stabilimmo al 26 maggio

la data dell’attacco”.

L’entità delle forze di Rommel restava

grosso modo quella precedente,

con l’aggiunta, a tempo determinato,

di un battaglione San Marco della

Regia Marina, del XXXI e XXX battaglione

guastatori e reparti nebbiogeni.

Il DAK disponeva di 53 Panzer II, 242

Panzer III e 38 Panzer IV; il XX corpo

di 228 carri M13 e M14: in totale 560

mezzi efficienti. L’8ª Armata opponeva

850 carri, più altri 120 in riserva.

Crüwell era appena tornato dalla

Germania, dove si era recato per l’improvvisa

morte della giovane moglie;

dato che si mostrava piuttosto turbato

Rommel gli affidò il coordinamento del

X e XXI corpo italiani: quindi Navarini e

Gioda, i rispettivi comandanti, passavano

alle sue dipendenze. Il comando del

DAK, nel frattempo, era stato affidato al

gen. Walter K. Nehring.

Intanto il gen. Ritchie aveva fatto

svolgere all’8ª Armata importanti

lavori difensivi. Tutto il settore tra Ain

Gazala e Sidi Muftà, lungo una quarantina

di chilometri, era dissipato di

ottimi caposaldi, ognuno dei quali protetto

dai due più vicini, simili a quelli

che avevano ben protetto Tobruk. Su

questa linea erano sulla difensiva le

divisioni di fanteria 1a sudafricana e

50ª inglese, e la 1ª e 32ª Brigata corazzata.

Tutta la restante zona, una sessantina

di chilometri, era protetta da

tre box, campi trincerati particolarmente

muniti. Il tutto era circondato

da campi minati; attorno a Bir

Hackeim erano stati posti oltre 500.000

mine. Il perimetro di Tobruk conservava

la propria linea difensiva ormai

sperimentata, con la 2ª Divisione

sudafricana di fanteria e la 9ª Brigata

indiana attestate ad el Adem e ad

Acroma. Anche Tobruk era protetta

da mezzo milione di mine.

La punta di forza dell’8ª Armata era

costituita dal 30° Corpo d’armata del

gen. Norrie, che disponeva dalla 1a

divisione corazzata, dislocata all’incrocio

della pista Capuzzo con quella Bir

Hackeim-Acroma, e la 7ª divisione

corazzata, disposta in un punto inter-


Pagina precedente:

il gen. Koenig, a sinistra,

conversa con il gen.

Norrie, comandante

del 30° corpo britannico.

medio tra Bir Hackeim e Bir el Gobi

(chiamato dagli Inglesi Knights-bridge);

a Bir el Gobi c’era un quarto box presidiato

dalla 29ª Brigata indiana.

In totale la linea difensiva britannica

formava un semicerchio lungo 80

chilometri , con la parte destra solida e

potente e teoricamente imprendibile

da parte delle forze di Rommel. Altre

forze mobili erano pronte ad intervenire

dove si fosse reso necessario.

Il giorno prima dell’attacco tutte le

divisioni italo-tedesche avevano occupato

le posizioni assegnate a ridosso

della linea difensiva britannica; l’aeronautica

si preparava ad un’azione a

fondo contro le basi della Desert Air

Force; la Marina tedesca (amm.

Weichorn) aveva messo a disposizione

una quarantina di mezzi, tra cui 8

sommergibili, per proteggere lo sbarco

del battaglione San Marco e reparti

tedeschi sulla costa ad ovest di Ain el

Gazala; la Regia Marina si accingeva

a proteggere il traffico costiero tra

Tripoli e Bengasi.

Il 26 maggio l’aeronautica entrò in

azione. A nord, il XXI e il X agli ordini

di Crüwell, rinforzati entrambi da un

reparto corazzato del DAK, avviarono

un forte tiro di artiglieria, poi passarono

all’attacco contro la posizione difensiva

di Gazala. L’azione combinata di

fanteria da terra e di uno sbarco sulla

costa doveva indurre i Britannici a credere

che fosse l’attacco principale, in

modo che spostassero in questa zona

più forze corazzate possibili. Le truppe

esploranti britanniche, dopo aver

“visto”, opposero una debole resistenza

e tornarono indietro e a sera i reparti

corazzati del DAK, realizzato il loro

scopo, ritornarono ai rispettivi reparti.

Nel frattempo il vero gruppo offensivo,

composto dal DAK, la 90ª leggera

e il XX italiano, prendevano posizione

più a sud delle difese inglesi; parte di

questi reparti si mossero come se volessero

raggiungere il gruppo attaccante

di Crüwell per far credere agli Inglesi

che lì dovesse avvenire la concentrazione

di tutte le forze. Ma dopo essere

stati avvistati dalla ricognizione nemica

tornarono indietro.

Alle 20,30, nella zona predefinita A, i

10.000 automezzi ruotati e cingolati del

vero gruppo attaccante si mossero a

luci spente, nel chiarore del plenilunio,

in direzione di Bir Hacheim (zona B).

La mattina seguente il XXI e il X

ripresero il loro attacco, ma questa

volta gli Inglesi opposero un intenso

tiro di artiglieria che provocò perdite di

uomini e automezzi.

In viaggio per la zona B le colonne

in marcia furono avvistate da autoblindo

sudafricane e in parte sfumò

l’attacco di sorpresa. Infatti il gen.

Renton, della 7ª brigata motorizzata,

prese per buona la notizia e si diresse

velocemente a sud; Messervy, invece,

che era al comando della 7ª divisione

corazzata (ricostituita), restò scettico

alla notizia di una massa così imponente

di mezzi nemici in movimento e

volle vederci chiaro; l’unica cosa che

Generali tedeschi.

Da sinistra,

von Birmarck

(21ª Panzerdivision),

von Vaerst

(15ª Panzerdivision).

295


296

INIZIO OFFENSIVA (26 maggio ‘42)

fece fu di mettere in pronto allarme la

4ª brigata corazzata.

Alle 3 del 27 le colonne in marcia

raggiunsero la zona B. Le autoblindo

in ricognizione del III gruppo Nizza riferirono

a Baldassarre che la strada era

sbarrata da una postazione nemica. Il

generale fece schierare l’Ariete e,

dopo aver chiesto aiuto al DAK, che

era nei pressi, lanciò l’attacco. Di fronte

c’era la 3ª brigata motorizzata indiana

del gen. Filose il quale, avvistato il

nemico, inviò una comunicazione a

Messervy: «Ho di fronte un’intera maledetta

divisione corazzata tedesca!».

Invece era l’Ariete; i carri M13 e M14,

come forsennati, travolsero la postazione

distruggendo numerosi pezzi controcarro

e facendo un migliaio di prigionieri;

il gen. Filose riuscì a filarsela

con i resti della brigata.

Tra i prigionieri c’era un… ammiraglio!

Si trattava di sir Walter Cowan e si

trovava lì per spirito d’avventura. A

lotta terminata l’arzillo ammiraglio

(aveva 72 anni) era in una buca e si

rifiutava energicamente di arrendersi;

il s. ten. D’Anna, romano, gli continuava

ad intimare la resa urlando bonariamente:

«Daje! Vié fora!». Intervenne il

magg. Pinna, comandante del X battaglione;

solo alla vista di un ufficiale

superiore l’ammiraglio si arrese.

L’Ariete lamentò 30 morti, 40 feriti e

la perdita di 15 carri non riparabili.

Ma ci fu un fatto strano: il IX battaglione

era sparito! Cos’era successo? Nel

furore della lotta il battaglione si era

sparpagliato; il comandante, ten. col.

Prestisimone, che aveva perso il suo

carro (l’unico che aveva la bussola

compensata), salì su un altro carro e

cercò di riordinare il battaglione lontano

dalla zona dei combattimenti. Poi,

a velocità sostenuta, riprese l’assalto;

ma non si accorse di aver sbagliato

direzione e si trovò di fronte a Bir

Hacheim. Questa era difesa dalla 1ª

brigata France Libre del gen. Koenig,

da alcuni reparti della Legione

Straniera, dal 1° reggimento artiglieria

e unità minori. In totale 3.800 uomini.

La difesa era completamente interrata

e al di fuori dei reticolati c’erano

campi minati con 50.000 mine. Poiché

Bir Hacheim si trovava vicino alla

zona dello scontro precedente, gli

Italiani non si resero conto di aver sbagliato

obiettivo, né di avere di fronte

una ben diversa organizzazione difensiva.

Così il comandante ordinò l’attacco

e i carri si mossero. La lotta degli

M13 fu drammatica e durò un ora e

mezza; alla fine restarono sul terreno

31 carri (18 furono distrutti dalle mine)

ed un semovente; i superstiti si allontanarono.

Poi l’Ariete si rimise in marcia

per raggiungere i Tedeschi.

Intanto il DAK e la 90ª leggera,

dopo aver aggirato a sud Bir Hackeim,

A sinistra: un periscopio

binoculare tedesco, per

poter osservare senza

pericolo dalla trincea.


puntarono in direzione nord e nord-est.

La 21ª Panzer avvistò un raggruppamento

di mezzi nemici e dette battaglia;

era la 22ª brigata corazzata del

gen. Carr, che ripiegò velocemente a

nord lasciando sul terreno una trentina

di carri.

La 15ª Panzer, invece, piombò a

tutta velocità sulla 4ª brigata corazzata

di Richards che si stava avviando in

soccorso della 3ª brigata motorizzata

indiana, impegnata dagli Italiani. L’8°

ussari e il 3° Royal Tanks ebbero la peggio

e i superstiti ripiegarono. Ma anche

i Tedeschi riportarono gravi perdite.

La 90ª leggera assalì violentemente

la 7ª brigata motorizzata che era in

sosta per la colazione; la sorpresa fu

totale. Ciò che ne rimase si allontanò

verso Bir el Gobi. Sullo slancio, il 33°

gruppo esplorante tedesco piombò

anche sul Comando della 7ª divisione

corazzata, dove si trovava Messervy

con tutto lo Stato Maggiore. Furono

tutti catturati, ma poco dopo il generale

inglese riuscì a fuggire. La 90ª leggera

riprese la sua corsa e raggiunse il

bivio di el Adem.

Norrie aveva ora capito che questo

era l’attacco principale, ma aveva

perso il controllo della situazione e

AIN EL GAZALA (27 maggio ‘41)

pensò di raggiungere Gott al Comando

del 13° corpo per decidere il da farsi.

Intanto il DAK riprendeva la sua

marcia verso nord, ma improvvisamente

furono assaliti dalla 22ª e dalla

2ª brigata corazzata e, successivamente,

dalla 1ª divisione corazzata britannica.

Il combattimento imperversò per

tutto il pomeriggio, spezzettandosi in

tanti episodi con perdite d’ambo le

parti.

Il gen. von Vaerst, che era al

comando della 15ª Panzer, fu ferito da

una scheggia di granata e sostituito

dal col. Grasemann. Non fu l’unico

generale che Rommel perse in quella

battaglia.

I temibili carri Grant americani,

dotati di un cannone da 77 facevano

sentire la loro potenza; i proietti del

Grant erano in grado di perforare la

corazza dei carri tedeschi ad una

distanza maggiore di quella necessaria

ai panzer per fare altrettanto. Fu

una sgradevole sorpresa per i

Tedeschi, ma nella confusione della

battaglia i carri si trovarono spesso a

spararsi addosso a distanza ravvicinata,

talvolta a pochissimi metri. In quei

casi contava di più l’esperienza e la

tempestività, dato che il primo che

sparava vinceva il duello. Inoltre,

alcuni duelli tra carri avvennero in

contrasto agli ordini dati da Rommel,

che richiedevano l’intervento dei panzer

in seconda fase, cioè solo dopo che

i cannoni anticarro tedeschi avessero

messo fuori combattimento una buona

quantità di carri nemici. In tal modo la

perdita di panzer fu superiore a quanto

era stato previsto.

Ciò nonostante il DAK si aprì la strada

verso nord e a sera si fermò a 12

km da Acroma. La 21ª Panzer era

rimasta con 80 carri e benzina per

poche ore; la 15ª Panzer con soli 29

carri, senza carburante e munizioni:

praticamente un terzo dei carri era

andato perduto. La 90ª era isolata più

a sud, l’Ariete non poteva intervenire

e, inoltre, la linea di rifornimento era

interrotta.

Al fronte nord il XXI corpo si era fermato

a ridosso della linea di difesa

della 1ª div. sudafricana e il X corpo si

era dilatato fin sulla linea difensiva

tenuta dalla 50ª divisione di fanteria

britannica.

297


AEREI DELL’ASSE

MESSERSCHMITT BF109

caccia monoposto

Versione 109 G-6

Armamento: 2 mitragliatrici MG131 da 13 mm – 1 cannoncino

MK108 da 30 mm – 2 cannoncini MG151da 20 mm (sotto le ali).

Motore: Dailmer-Benz a 12 cilindri a V invertito da 1.475 HP.

Velocità: 623 km/h a 7.000 m di quota.

Dimensioni: Lungh. m 9,02; Apertura alare: m 9,92

Peso: (a vuoto) 2.700 kg

Volò per la prima volta nel settembre del 1936 e assegnato alla

Luftwaffe nel ‘37. Fu largamente usato su tutti i fronti, dimostrando

di essere un eccellente caccia. Il suo arrivo in Libia dette la svolta

decisiva ai duelli aerei contro i velivoli inglesi e statunitensi.

JUNKERS Ju 87 (Stuka)

bombardiere in picchiata biposto

Grazie alla conformazione delle ali (gabbiano rovesciato)

era possibile a questo aereo effettuare delle picchiate di

precisione sul bersaglio per poi risalire velocemente, manovra

estremante rischiosa per i caccia che tentavano di mettersi

sulla sua coda. La velocità, però, era piuttosto scarsa.

Versione Ju 87D-I

Armamento: 2 mitragliatrici MG17 da 7,9 mm – 2 mitragliatrici

MG81da 7,9 mm (nell’abitacolo); una bomba da 249 kg, 1 da 498

kg, 1 da 996 kg, o 1 da 1.790 kg sotto la fusoliera; oppure 4 da 50

kg, 2 da 249 kg, o 2 da 996 kg sotto le ali.

Motore: Junkers Jumo 211J-1 a 12 cilindri a V invertito da 1.400 HP.

Velocità: 388 km/h a 4.000 m di quota.

Dimensioni: Lungh. m 11,50; Apertura alare: m 13,80

Peso: (con carico normale) 5.700 kg

MACCHI C.200 Saetta

caccia bombardiere monoposto

Versione serie 6

Armamento: 2 mitragliatrici Breda-SAFAT da 12,7

mm; due bombe da 150 kg.

Motore: stellare Fiat A74 RC 38 da 870 HP.

Velocità: 504 km/h a 4.500 m di quota.

Dimensioni: Lungh. m 8,25; Apertura alare: m 10,58

Peso: (a vuoto) 2.395 kg

Progettato da Mario Castoldi, il Macchi C.200 montava, in mancanza d’altro, un

motore stellare di così scarsa potenza che i piloti preferirono inizialmente tornare al

biplano CR.42. Volò per la prima volta nel dicembre 1937 e allo scoppio della guerra

comunque equipaggiava diversi stormi. Si rivelò alla pari dei primi Hurricane inglesi

e dei vecchi caccia sovietici, ma non tenne il passo con i miglioramenti effettuati

nelle nuove versioni dal nemico. Fu largamente usato in Africa settentrionale.

312


MACCHI C.202 Folgore

caccia monoposto

Prodotto da Mario Castoldi, derivò dal C.200, ma con un motore

Daimler-Benz costruito su licenza dall’Alfa Romeo. Volò per la

prima volta il 10 agosto 1940, entrò in servizio nell’estate del ‘41

e fu inviato in Libia a novembre. Fu prodotto in 11 serie, per un

totale di 1.500 esemplari. Si mostrò, in quanto a prestazioni,

all’altezza dello Spitfire inglese e superiore all’Airacobra americano,

ma insufficiente nell’armamento.

Versione serie IX

Armamento: 2 mitragliatrici Breda-SAFAT da 12,7 mm nel

muso – 2 mitragl. da 7,7 mm nelle ali (non in tutti i caccia).

Motore: Alfa Romeo RA 1000 RC 411 a 12 cilindri a V invertito

da 1.075 HP.

Velocità: 600 km/h a 5.600 m di quota.

Dimensioni: Lungh. m 8,85; Apertura alare: m 10,58

Peso: (a vuoto) 2.490 kg

3

1 Nei campi d’aviazione

si sta all’erta. Nella foto

una postazione

contraerea italiana.

2 Hans-Joachim Marseille,

un asso della Luftwaffe

nel deserto. Con un Me

Bf109 a maggio aveva

raggiunto 87 vittorie

aeree. Fu uno dei pochi

piloti, a fine guerra, ad

aver abbattuto 200 aerei.

3 Stuka in volo sul

deserto.

2

1

313


PANZER

ARMEE

AFRIKA

Capitolo 22

Tobruk

cade

Le forze dell’Asse

finalmente

conquistano

Tobruk e Rommel

riceve un regalo

dal Führer:

il bastone di

feldmaresciallo

318

Al contrario di quanto aveva

disposto Auchinleck, Churchill

affermò: «Tobruk deve

essere difesa ad ogni costo.

[…] Finché Tobruk è nelle nostre mani,

non è possibile alcuna seria avanzata

nemica in Egitto…».

Auchinleck non sapeva che fare e

comunque inviò un dispaccio a

Ritchie con quale annunciava: “Non

ho nessuna intenzione di rinunciare a

Tobruk”, ma nello stesso tempo di:

“Non permettere che le sue forze vengano

investite in Tobruk”. Il messaggio,

alquanto contraddittorio, concludeva

che Ritchie era “libero di organizzare

la guarnigione come meglio riteneva…”.

Ma le cose si erano complicate

poiché il grosso della 1ª sudafricana

e della 50ª inglese si trovava ormai al

confine cirenaico e quello che restava

della 1ª divisione corazzata stava procedendo

sulla Balbia verso l’Egitto.

L’armata, quindi, era tutt’altro che

concentrata a difesa di Tobruk.

Ritchie comunque si recò a Tobruk

da Gott per organizzare con il gen.

Klopper, comandante della 2ª div.

sudafricana, la difesa della città. La

situazione apparve non disperata e si

giunse alla convinzione che la guarnigione

poteva resistere almeno tre

mesi, prima dell’arrivo dei rinforzi.

Rommel, invece, era convinto che

la guarnigione di Tobruk fosse «molto

disorganizzata» e che bisognasse

«agire rapidamente».

I combattimenti attorno alla città

erano terminati; erano stati fatti altri

6.000 prigionieri e catturate intatte intere

colonne di carri leggeri britannici.

Il 17 giugno, Rommel indisse una

riunione con Baldassarre e Nehring

per studiare la conquista di Tobruk: le

divisioni corazzate di sarebbero spinte

ad oriente sia per conquistare

Gambut, e cacciare via dall’aeroporto

la Desert Air Force, sia per dare l’impressione

di voler soltanto assediare


Pagina precedente:

al centro il gen.

Baldassarre, a destra

il gen. Piacenza, morti

entrambi il 26 giugno

1942.

Pagina precedente, in

basso: il gen. W.H. Gott,

comandante del 13°

corpo d’armata britannico.

Tobruk, così come era stato fatto l’anno

precedente. Poi avrebbero inscenato

un finto attacco sul lato sud-ovest,

per tenere impegnati gli avversari in

quel punto, e colpire invece, di sorpresa,

dal lato opposto. Si trattava dello

stesso piano elaborato da Rommel

l’anno precedente, ma che non era

stato possibile attuare per il precipitare

degli eventi.

Il servizio informazioni tedesco

aveva però avvisato che la 7ª divisione

corazzata inglese si trovava a 15

km da Sidi Rezegh, e la sua presenza

fu considerata una spina nel fianco: il

DAK e l’Ariete dovevano risolvere la

questione. In realtà si trattava di una

sessantina di carri, residui della 1ª e 7ª

divisione al comando del gen.

Richards. La colonna fu investita violentemente

dalla 21ª Panzer, e più

tardi dalla 15ª Panzer; quello che

rimase ripiegò a sud di Gabr Saleh e

comunque non rappresentava più

una minaccia. Il DAK non inseguì i

carri nemici ma, come previsto, si

diresse a nord verso Gambut. Quando

vi giunse la guarnigione e le formazioni

della Desert Air Force si erano già

trasferite. Fu raggiunta anche la via

Balbia, isolando di fatto Tobruk.

Il pomeriggio del 18 giugno al

Cairo, tramite Ultra, giunse l’informazione

che Rommel si avviava ad espugnare

Tobruk; ma anche i comandanti

in capo erano ottimisti perché ritenevano

eccellente la guarnigione della

città, elevato il morale delle truppe e

ottima la quantità delle provviste (3

milioni di razioni viveri, 7.000 tonn.

d’acqua, 7 milioni di litri di carburante,

150.000 colpi di artiglieria e

140.000 proietti anticarro) che consentiva

di resistere a lungo. Inoltre era in

arrivo l’8ª divisione corazzata, a cui

avrebbe fatto seguito la 44ª divisione.

E poi, se anche Tobruk avesse ceduto,

sembrava improbabile che il nemico

potesse tentare un’avanzata in Egitto.

Il 18 Rommel trasferì il suo Comando

tattico ad el Hatian e il giorno trascorse

completando l’accerchiamento

della fortificazione; il 19 fu dedicato

agli schieramenti di artiglieria e il 20 si

alzarono gli Stuka e i cannoni cominciarono

a sparare. Contro eventuali

provenienze da est fu schierata la 90ª

leggera, a sud le autoblindo del gruppo

Nizza e il gruppo Ewert, composto

dal 3° e 33° gruppo esplorante tedesco.

Le divisioni di fanteria Sabratha,

Trento e Pavia avevano occupato le

posizioni ad ovest e sud di Tobruk; la

Brescia si era sistemata a sud-est, così

come il XX corpo e il DAK che però si

trovavano più addossati alla cerchia

difensiva. Era arrivata anche la divisione

corazzata Littorio, sia pure non

completa e composta in maggior

parte dal 12° bersaglieri (al comando

del gen. Gervasio Bitossi), che prese

posizione sulla pista Capuzzo, a sudovest

di Gambut.

Alle 5,20 del 20 giugno Rommel,

dall’alto di una scarpata, assisteva

all’attacco degli Stuka e alle scariche

Rommel, Cavallero e

Barbasetti in una foto di

fine giugno 1942.

319


L’ASSALTO A TOBRUK (20 giugno ‘42)

di artiglieria che durarono una ventina

di minuti. Poi Baldassarre dette il

via ai guastatori che si misero all’opera:

occorreva sminare una fascia di 25

metri creando un corridoio largo 7

metri e poi aprire un varco di 12 metri

nel reticolato a siepe. Nel settore

Trieste i guastatori dovettero arrestarsi

per la reazione del nemico, non superata

nemmeno dopo l’intervento degli

M13. Nel settore Ariete i guastatori

comunicarono di essere riusciti ad

aprire due varchi tra i fortini, sia pure

al di fuori dei settori previsti, e su questa

posizione si spinsero i carri italiani.

Nel settore del DAK i pionieri germanici

furono inchiodati dal tiro dei

fortini britannici. Ma l’intervento di

alcuni pezzi da 88 mise fuori uso i fortini

e consentì l’apertura di un varco nel

settore tenuto dal II/5° Mahratta.

Furono gettati dei ponti e i carri cominciarono

a passare.

Due contrattacchi lanciati da

Anderson con truppe Gurka e

Mahratta contro la 21ª Panzer furono

inutili e dopo mezz’ora la resistenza

degli Indiani cessò.

320

Il gen. Willison spostò a King’s Cross il

4° Royal Tanks e qui, in corrispondenza

dei campi minati, i carri si posero in formazione

difensiva, nonostante la richiesta

degli Indiani di procedere oltre.

Furono poi raggiunti dal 7° Royal Tanks

che schierò i suoi carri; uno squadrone

fu inviato a dare man forte al II

Cameron Highlanders che si trovava in

difficoltà sotto la pressione dell’Ariete.

Le due Panzerdivision ormai attraversavano

il varco, penetrando all’interno

della cinta difensiva. A mezzogiorno

si scontravano con la linea

difensiva a King’s Cross: i cannoni dei

panzer, di maggior gittata, cominciarono

ad eliminare uno ad uno i pezzi

di artiglieria e i carri britannici. Dopo

due ore il 4° Royal Tanks era ridotto a

6 carri e Rommel potè raggiungere il

bivio di Sidi Mahmud, punto cruciale

della difesa, dove si trovava una brigata

delle Guardie.

Intanto il 132° carristi dell’Ariete era

passato dal varco creato dalla 15ª

Panzer e attaccava alle spalle il II

Cameron e altre unità. Passò anche il

9° carristi, che raggiunse il bivio di Sidi


Batterie di artiglieria

italiana sparano contro

le difese di Tobruk.

Mahmud per coprire il fianco del DAK.

A metà pomeriggio von Bismark

superò il bivio e condusse la 21ª

Panzer verso Tobruk; ci fu una breve

sosta all’altezza del forte Solaro, per

l’intervento di artiglierie subito neutralizzate,

ma un’altra colonna proseguì

per la città.

Il col. Crasemann, nel frattempo,

aveva sgominato le Guards catturandone

due terzi. Il Comando della divisione

e della guarnigione si disintegrò

sotto l’attacco, ma Klopper si era già

rifugiato al Comando della 6ª brigata

sudafricana che era ancora intatta

(aveva subìto soltanto il finto attacco

di Navarini), così come la 4ª sudafricana

che, aggirata da oriente dalla 15ª

Panzer, si apprestava alla difesa.

Ritchie tentò di portare aiuto ai

difensori di Tobruk inviando la 7ª div.

corazzata verso Sidi Rezegh, tentativo

che servì a nulla. Koppler, all’alba del

21 giugno, lo informò della situazione

disperata e chiese: «…Ritenete consigliabile

combattere fino all’ultimo? Se

state per contrattaccare fatemelo

sapere». Seguì un amaro colloquio tra i

due via radio e in conclusione Ritchie

lo autorizzò a regolarsi secondo le circostanze;

Koppler inviò alcuni parlamentari

con bandiera bianca verso la

15ª Panzer e la Trento.

Alle 9,30 Rommel incontrò Koppler

a 6 km ad ovest di Tobruk e accettò la

resa chiesta dal generale sudafricano.

Quando la notizia fu diramata ci fu

sgomento e incredulità da parte di

alcuni reparti britannici, specialmente

quelli che erano stati poco impegnati

e che non capivano la decisione del

comandante. I Gurkhas si arresero a

sera e i Cameron Highlanders addirittura

la mattina dopo.

Furono catturati 33.000 Britannici,

2.000 automezzi e 30 carri potevano

essere resi efficienti. Inoltre ingenti

quantitativi di viveri, munizioni e altro

materiale bellico. La maggior parte

della benzina era stata distrutta; tuttavia

se ne salvarono 2.000 tonnellate.

Rommel diramò un ordine del giorno

col quale elogiava le truppe e

annunciava le sue intenzioni future.

Hitler gli concesse in premio il

bastone di feldmaresciallo.

A destra, i carri della

Littorio in movimento

verso Tobruk.

Medaglia della divisione

corazzata Littorio.

321


Qui Duce, a voi Führer!

.

Il 21 giugno 1942, Mussolini inviò una lettera ad Hitler. Eccone alcuni brani:

Führer!

La battaglia aeronavale nel Mediterraneo si è conclusa con un grave scacco e

grosse perdite per il nemico; lo stesso può dirsi delle operazioni nella Marmarica,

che stanno per raggiungere il loro coronamento.

È mio avviso e certamente anche vostro, Führer, che bisogna consolidare e al

più presto possibile ampliare i risultati così raggiunti.

Al centro del nostro quadro strategico sta il problema di Malta, a riguardo del

quale abbiamo preso a suo tempo le note decisioni.

Desidero dirvi subito che la preparazione per l’azione su Malta è molto progredita;

le operazioni in Marmarica hanno reso necessario di differire quest’azione

all’agosto, ciò è stato vantaggioso soprattutto perché in agosto avremo al

completo i mezzi che per questo scopo sono stati predisposti e costituiti, specie

le motozattere e gli altri natanti.

Quest’azione su Malta si impone più che mai. Gli effetti veramente cospicui

delle azioni aeree a massa svolte dall’aviazione dell’Asse e principalmente dalla II

Luftflotte nell’aprile hanno prolungato la loro efficacia il maggio; ma ormai, in

giugno, Malta viene rifornita costantemente di apparecchi, ha ricuperato la sua

capacità offensiva aerea, cosicché oggi la nostra navigazione per la Libia è nuovamente

resa molto difficile. Ora, per mantenere i risultati conseguiti in Marmarica

e provvedere alle future esigenze occorre poter eseguire con sufficiente sicurezza

i necessari trasporti.

A fondamento di queste esigenze sta il problema della nafta.

La recente battaglia mediterranea ha impedito a due grossi convogli inglesi di

raggiungere Malta. Ma l’uscita delle nostre forze navali ha imposto un consumo

di circa 15.000 tonnellate e ci ha privati delle ultime disponibilità. Ora le nostre

navi da guerra hanno i depositi di nafta vuoti e non è più possibile rifornirle; una

seconda uscita delle nostre forze navali non è ora possibile e perciò ad un nuovo

tentativo di rifornire Malta noi non potremo opporre che una limitata azione di

sommergibili in aggiunta all’azione, non sempre possibile specie per le condizioni

atmosferiche, degli aerosiluranti.

Non mi indugio, Führer, ad esporvi in dettaglio la situazione della nafta ed i

relativi fabbisogni […]. Mi limiterò a confermarvi che per l’operazione su Malta è

previsto un consumo di 40.000 tonnellate di nafta e che questa dovrebbe giungere

almeno una settimana prima della fine di luglio, perché durante le due ultime

settimane prima dell’azione i trasporti saranno impiegati per le truppe, che

debbono affluire all’ultimo momento.

[La lettera continua con una richiesta finale di 70.000 tonnellate di nafta ed evidenzia

la necessità di operare su Malta entro agosto, altrimenti sarà giocoforza

attendere l’estate ‘42, con conseguenze immaginabili. Mussolini cerca di convincere

Hitler che l’eliminazione di Malta porterà sicuramente, oltre ad una maggiore sicurezza

dei convogli, ad una diminuzione del consumo della nafta].

Sono fiducioso, Führer, che, nonostante le gravi difficoltà delle quali mi rendo

pienamente conto, il vostro personale intervento condurrà a felice soluzione questo

problema che ha importanza assolutamente vitale per la nostra situazione in

Mediterraneo e per i suoi futuri svolgimenti.

Mussolini

336


Qui Führer!

.

Hitler risponde a Mussolini con una lettera datata 23 giugno.

Lo ringrazia della lettera e assicura che la questione degli

approvvigionamenti è allo studio e che presto riceverà una

risposta precisa. Poi continua…

…Vorrei però in questo momento, che dal punto di

vista militare mi sembra una svolta storica, esporvi nel

modo più breve il mio pensiero su una questione, che può

essere di importanza decisiva per l’esito della guerra. Il

destino, Duce, ci ha offerto una possibilità che in nessun

caso si presenterà una seconda volta sullo stesso teatro di

guerra. Il più rapido e totalitario sfruttamento di essa costituisce

a mio avviso la principale prospettiva militare. Fino

ad ora ho sempre fatto, tanto a lungo e completamente,

inseguire ogni nemico battuto, quanto è stato consentito

dalle nostre possibilità. L’8ª Armata inglese è praticamente

distrutta. In Tobruk, i cui impianti portuali sono quasi intatti,

Voi possedete, Duce, una base ausiliaria, il cui significato

è tanto più grande in quanto gli stessi Inglesi hanno

costruito da lì una ferrovia fin quasi in Egitto. Se ora i resti

di questa armata britannica non venissero inseguiti fino

all’ultimo respiro di ogni uomo, succederebbe la stessa

cosa che ha fatto sfuggire il successo agli Inglesi, quando,

giunti a poca distanza da Tripoli, si sono improvvisamente

fermati per inviare forze in Grecia. Soltanto questo errore

capitale del Comando inglese ha allora reso possibile che il

nostro sforzo fosse premiato dalla riconquista della

Cirenaica.

Se adesso le nostre forze non proseguono fino all’estremo

limite del possibile nel cuore stesso dell’Egitto, si verificherà

innanzi tutto un nuovo afflusso di bombardieri americani

che, come aeroplani da lunga distanza, possono facilmente

raggiungere l’Italia…

[Hitler adduce ulteriori motivi di rischio di un rafforzamento

inglese e americano]

Quindi se io, Duce, in quest’ora storica che non si ripeterà,

posso darvi un consiglio che viene dal cuore più premuroso,

esso è questo: ordinate il proseguimento delle

operazioni fino al completo annientamento delle truppe

britanniche, fino a che il Vostro Comando e il maresciallo

Rommel credono di poterlo fare militarmente con le loro

forze. La dea della fortuna nelle battaglie passa accanto ai

condottieri soltanto una volta…

[chiude la lettera con la preghiera di voler accettare il consiglio

di un amico]

Con fedele cameratismo, Vostro

Adolf Hitler

337


PANZER

ARMEE

AFRIKA

Capitolo 24

El Alamein

Le colonne

italo-tedesche

avanzano, ma ad

el Alamein sono

ricevute da un

intenso fuoco

di sbarramento: i

Britannici giocano

il tutto per tutto

342

La paura di Rommel e dei suoi

panzer si ingigantiva nei

Britannici ormai in maniera

incontrollabile, così da far

sopravvalutare le sue forze e potenzialità.

Al Cairo il Comando si preparava

a trasferirsi a Gaza, in Palestina, e si

bruciava tutto ciò che non si poteva

portar via, si decideva cosa demolire e

dove invece costruire barriere difensive.

Centinaia di civili si apprestavano

a lasciare l’Egitto.

Persino la flotta fu trasferita, parte

in Haifa, parte in Beirut e il resto a sud

del Canale di Suez; la RAF trasferì i

bombardieri medi e pesanti in Palestina.

Anche Churchill attraversava un

brutto momento: sia in Patria che al

Parlamento statunitense si cominciava

a dubitare della validità dei comandanti

in Medio Oriente e della direzione

politica della guerra dello stesso

Premier britannico.

Ma tutto ciò durò poco tempo.

Alcuni giorni dopo i sogni degli Italiani

e dei Tedeschi si sarebbero infranti e i

timori dei Britannici sarebbero svaniti.

Ciò doveva avvenire sul campo di

battaglia di el Alamein, una piccola

stazione ferroviaria sul golfo degli

Arabi, a 100 km da Alessandria. A 60

km a sud si stende la grande depressione

di Qattara, un’enorme distesa

intransitabile perché disseminata di

sabbie mobili e paludi di acqua salata.

Fra la costa e la depressione si apriva

una fascia di terreno percorribile

dai mezzi e che divenne appunto il

campo di battaglia; era completamente

pianeggiante e, a parte alcuni

dossi di scarso rilievo (chiamati tell) e

doline poco profonde (deir), soltanto

alcuni costoni rocciosi (ridges) che si

sviluppavano in lunghezza potevano

offrire ripari difensivi. I più significativi

erano: el Miteiriya, el Ruweisat, Alam

el Halfa.

Gli Inglesi trincerarono la stazione e

costruirono altre tre aree difensive,

distanti tra loro una trentina di km. Il

gen. Norrie aveva assunto il comando

dei box. Ad el Alamein fu dislocata la

1ª divisione sudafricana di Pienaar; la

18ª brigata di fanteria indiana, proveniente

dall’Iraq, andò ad occupare il

primo box, Deir el Shein; nel secondo

box, Bab el Qattara (chiamata anche

Qaret el Abd), si sistemò la 6ª brigata

di fanteria neozelandese, con alle

spalle ciò che restava della 4ª e 5ª brigata

di fanteria; il terzo, Naqb Abu

Dweis, fu occupato dalla 9ª brigata di

fanteria indiana. Nella stretta presero

posto il resto delle divisioni e delle brigate

e, alle spalle, i rispettivi Comandi.

Stava anche arretrando la 1ª divi-


Pagina precedente:

Rommel decora il gen.

Lombardi, comandante

della Brescia.

In basso, il gen. Rommel

su un blindato tedesco.

sione corazzata di Lumsden, ancora

impegnata a rallentare l’avanzata

nemica. Le unità statiche furono

inquadrate nel 30° corpo di Norrie e le

altre nel 13° corpo di Gott. Il 10° corpo

di Holmes (ciò che era rimasto), fu

inviato a difendere il Delta.

Il 29 giugno Auchinleck visitò la

posizione difensiva. Sapeva che el

Alamein rappresentava l’ultima spiaggia

ma c’era anche la possibilità di fermare

la Panzerarmee, ridotta ormai

all’ombra di se stessa. Gott e Norrie,

comunque, ricevettero anche le disposizioni

da adottare in caso di ritirata.

Un messaggio Ultra rivelò che

Rommel avrebbe attaccato el

Alamein alle 15 del giorno 30, e un

altro spostava l’attacco al giorno successivo.

Infatti la mattina del 1° luglio, alle

4,30, la 90° leggera avanzò contro la

posizione di el Alamein e fu subito ricevuta

da un intenso fuoco di sbarramento;

la Trento, postasi sulla sua scia,

fu così costretta a fermarsi. Il DAK subì

un attacco aereo della RAF, ma alle

6,45 Nehring potè lanciare le sue divisioni

all’attacco e, con un movimento

aggirante verso sud, investire il box di

Deir el Shein, protetto da campi minati.

Il XX corpo e la Littorio si tenevano

pronti per l’inseguimento. La Brescia,

invece, si trovava prigioniera della

sabbia ad ovest di Tell el Aqqaqir e

cercava di liberare gli autocarri.

A mezzogiorno si sollevò una tempesta

di sabbia che bloccò gli assalti

del DAK, ma consentì anche alla 90ª

leggera di sottrarsi al fuoco della posizione

di el Alamein. Poi si diresse a

nord-est, ma finì sotto il fuoco della 1ª

e 2ª brigata di fanteria sudafricana e

fu costretta a fermarsi. Intervenne personalmente

Rommel, col suo scaglione

armato, per cercare di sfondare lo

sbarramento di artiglieria anglo-sudafricano.

Intervenne la RAF, ma giunsero

anche gli aerei dell’Asse; la caccia

di scorta agli Stuka attaccò i bombardieri

inglesi che furono costretti a tornare

indietro. Nel cielo cominciarono a

sibilare i traccianti della contraerea

britannica. La situazione era bloccata.

Rommel e Bayerlein restarono per due

ore distesi sul terreno, finché la violenza

dell’artiglieria diminuì consentendo

lo sganciamento dello scaglione

armato.

Nel frattempo Auchinleck lanciava

l’attacco della 22ª brigata corazzata

che, con 18 carri, piombò alle spalle

della 15ª Panzer, impegnata ad attaccare

la posizione di Deir el Shein.

Durante il combattimento alcune centinaia

di Indiani fuggirono dalla posizione

difensiva; i carristi inglesi pensarono

di aver assolto il loro compito e si

ritirarono. Invece buona parte della

18ª brigata di fanteria indiana si trovava

ancora all’interno di Deir el


Shein e, soverchiata dai Tedeschi, si

arrese alle 19. Alle 20 tutte le truppe

tedesche si ponevano sulla difensiva

nelle posizioni raggiunte.

All’alba la 90ª leggera tornò all’attacco

ma dovette subito rinunciare.

Rommel chiese al DAK di puntare ad

oriente, attaccare le due brigate sudafricane

e poi convergere sulla postazione

di el Alamein. Ma durante l’avanzata

il DAK si scontrò con la 1ª divisione

corazzata e la 7ª brigata motorizzata,

che Auchinleck aveva spostato in

avanti, e si trovò anche sotto il fuoco

delle batterie neozelandesi da sud. Il

combattimento fu violento e durò fino

a sera, finché i Tedeschi riuscirono a

sganciarsi. La 21ª Panzer era rimasta

con 20 carri e la 15ª solo con 6.

Il fallimento del DAK provocò uno

scombussolamento generale: la 90ª

leggera era bloccata; il XXI corpo

scosso dalle incursioni aeree; l’Ariete si

era trovata sotto il fuoco della 7ª B.

mot. e solo l’intervento di un reparto

della 15ª Panzer fece ripiegare gli

Inglesi; la Trieste, più a sud, era stata

presa a cannonate dalle batterie di

Bab el Qattara e si fermò; il X corpo si

era portato su alcune alture e attendeva

la notte.

Il giorno seguente Rommel ritentò

con un nuovo attacco del DAK verso

est per raggiungere la costa e del XX

corpo per isolare almeno i neozelandesi.

Mentre le due Panzerdivision si

muovevano in avanti, a sud accadevano

fatti drammatici. L’Ariete si era

messa in marcia quand’era ancora

buio, con gli 8 carri efficienti e una

quarantina di pezzi, in direzione di

una località chiamata Deep Well. Al

chiarore dell’alba, il comandante,

gen. Arena, capì di essere in un mare

di guai: tutt’intorno era un brulicare di

uomini e automezzi britannici. Arena

inviò un messaggio d’aiuto, ma il DAK

era impegnato nell’avanzata ad est e

la Trieste era lontana. Alle 8 cominciarono

a sparare le artiglierie britanniche,

poi attaccò la 4ª brigata corazzata

inglese da nord-est e la 4ª brigata

di fanteria neozelandese da sud. Gli

M13 si opposero ai tanks, i bersaglieri

ai neozelandesi, in una lotta impari e

senza speranza. Alle 10 era tutto finito.

L’Ariete aveva perso 531 uomini e 36

pezzi; i superstiti riuscirono a ripiegare.

Nelle retrovie l’Ariete ricostituì al

momento un plotone con 5 carri e una

sezione di pezzi da 90, giunti dalla 15ª

Panzer.

Il DAK non aveva fatto molti progressi

essendo più o meno rimasto sul

posto: gli uomini era provati e ormai si

rendevano conto che l’armata, vittoriosa

a Tobruk, era giunta alla fine.

Era meglio passare alla difensiva per

cercare di completare gli organici e

l’apparato logistico. Rommel pensava

ad una pausa di 15 giorni per far

affluire complementi tedeschi e italiani.

Era necessario perciò che le truppe

corazzate e motorizzate fossero ritirate

alle spalle delle fanterie.

Auchinleck, sempre ben informato

grazie a Ultra (ormai si decrittavano

un centinaio di messaggi Enigma al

giorno), seppe che Rommel non l’avrebbe

attaccato e che si poneva sulla

difensiva. Ma quando la 21ª Panzer fu

tolta dal fronte per l’avvicendamento,

i Britannici pensarono evidentemente

ad una ritirata generale perché,

improvvisamente, una quarantina di

carri inglesi si presentarono da est

attaccando e sfondando la prima

linea; un contrattacco e il tiro delle

artiglierie italiane misero a posto la

situazione in un paio d’ore.

Dopo questa puntata di carri inglesi

Il maresciallo tedesco

Erwin Rommel osserva

il campo vicino a

El Alamein.

In basso: mitragliatrice

pesante tedesca MG34

in posizione avanzata.

Le forze contrapposte

nella 1ª battaglia ad el Alamein

15.000 uomini

400 pezzi

150 carri armati

10.000 uom.

530 pezzi

125 carri

Italiani: 8.000

Tedeschi: 2.000

Italiani: 200

Tedeschi: 330

Italiani: 70

Tedeschi: 55

100 autoblindo 15 autoblindo

344


GLI SCHIERAMENTI AD EL ALAMEIN E INIZIO ATTACCO (1 luglio ‘42)

Rommel fece approntare e sistemare

vari finti dispositivi, come sagome di

carri armati e di pezzi da 88, per

ingannare il nemico. Si piazzarono

anche alcune batterie da 25 inglesi

catturate a Deir el Sheine insieme a

1.500 proiettili.

Il 5 luglio Mussolini giunse in Libia e

visitò la Cirenaica. Sentite le notizie dal

fronte, ordinò di accelerare gli arrivi

dall’Italia e di portare avanti quanto

disponibile in Tripolitania, chiedendo

anche di fare «l’impossibile».

Dall’altra parte anche Auchinleck

approfittava della pausa per riordinare

le sue fila. Scontento dell’inattività

di Norrie lo sostituì al comando del 30°

corpo con il gen. Ramsden.

L’8 luglio, a mezzogiorno, arrivarono

al DAK informazioni su un arretramento

della 5ª brigata di fanteria neozelandese;

a sera il caposaldo di Bab

el Qattara sembrava sguarnito.

Rommel, pensando che i Britannici

stessero ritirando il fianco sinistro, continuamente

punzecchiato dai Tedeschi,

ordinò alla 21ª Panzer l’occupazione

del box. Il pomeriggio del 9 raggiunse

von Bismarck a Bab el Qattara;

si rivelò un caposaldo ben strutturato,

con opere di cemento, e ancora dotato

di munizioni, “tanto che lo sgombero di

questa posizione ci sembrò incomprensibile”,

scrisse poi Rommel. Comunque

trascorsero là una notte tranquilla.

Ma la mattina seguente “verso le

ore 5 fummo svegliati dal sordo rimbombo

dell’artiglieria proveniente dal

settore settentrionale. Ebbi subito un

cattivo presentimento…”. Il cattivo presentimento

di Rommel trovò conferma

nell’allarmante notizia che gli Inglesi

avevano effettuato una sortita da el

Alamein e stavano travolgendo la D.f.

Sabratha. Auchinleck sapeva, attraverso

le intercettazioni, che il grosso di

Rommel gravitava nel settore centromeridionale

e che a nord c’erano soltanto

deboli formazioni italiane. Così

aveva studiato il diversivo per allontanare

maggiormente Rommel e le sue

forze. Il XXI corpo italiano fu investito

per due ore dal fuoco di artiglieria, poi

dalle fanterie sudafricane, supportate

dai corazzati, e infine attaccarono

anche gli australiani. Questi sfondarono

la linea della Sabratha tra la litora-

345


Bernard Law

Montgomery

366

GLI UOMINI

Nacque nel 1887 a Londra in un famiglia

irlandese proveniente dalla regione

di Ulster. Si laureò alla Royal Military

Academy di Sandhurst e durante la prima

guerra mondiale combattè in Francia e in

Belgio. Promosso maggiore generale andò

a comandare una divisione in Medio

Oriente dal 1938 al 1939.

All’inizio della seconda guerra era in

Francia al comando di una divisione che

subì l’onta di Dunkerque. In patria gli fu

affidato il comando del 5° corpo d’armata.

Il 18 agosto 1942, a seguito dell’improvvisa

morte del gen. Gott, fu chiamato

in Egitto per assumere il comando del 8ª

Armata. In quel periodo il mito della

“Volpe del Deserto” era al suo apice e

influenzava negativamente il morale dei

soldati britannici: pertanto occorreva un

generale che avesse una una forte personalità.

Churchill pensò che Montgomery

fosse l’uomo giusto da contrapporre a

Rommel, e siccome ad un mito era giusto

contrapporne un altro, per Montgomery

fu creata la leggenda dell’«Incrollabile» in

modo da incrementare nell’8ª Armata la

volontà di lottare.

Effettivamente Montgomery era diverso

dagli altri generali: era un solitario, vestiva

in modo particolare, consumava pranzi

spartani e non accettava mai l’invito di un

suo ufficiale. Si portava dovunque le sue

roulotte ufficio-abitazione e seguiva un

orario programmato al secondo. Tutto ciò

lo portò anche ad avere screzi con i propri

subalterni, che lo consideravano un rude e

un burbero, ma i soldati finirono per amarlo

affibbiandogli il nomignolo di “Monty”.

Montgomery prese anche l’abitudine di

lavorare tenendo davanti a sé, bene in

vista, una grande foto di Rommel: anche

se non ciò intendeva smitizzarlo dentro di

sé, probabilmente, sperava di poter assimilare

l’estro tattico e l’astuzia del suo illustre

avversario. Dopo una lunga preparazione

lanciò l’attacco finale ad el Alamein che gli

fu favorevole.

Al termine della campagna d’Africa

condusse l’8ª Armata durante l’invasione

della Sicilia e della penisola italiana.

A gennaio del 1944 ritornò in Gran

Bretagna per guidare le forze da sbarco in

Normandia sotto il comando del gen.

Eisenowher. Avvenuto lo

sbarco a giugno 1944

Montgomery diresse le

operazioni fino ad agosto,

quando l’intero

Comando fu riorganizzato.

Egli fu a capo del

Second Army Group, consistente

di forze britanniche

e canadesi, con le

quali tenne il fronte nord

alleato.

Il 1° settembre del

1944 fu promosso Maresciallo,

il più alto grado

dell’esercito britannico.

Montgomery ebbe il

suo peggior momento nella battaglia di

Arnhem, in Olanda, di settembre 1944

durante la quale subì la perdita di più di

6.000 paracadutisti.

Il 17 dicembre 1944, dopo un tentativo

tedesco di attaccare dalle Ardenne,

Montgomery assunse temporaneamente il

comando delle forze britanniche e statunitensi

a nord della linea belga. Il 4 maggio

1945 egli accettò la resa delle truppe tedesche

in Olanda e nel nord della Germania.

Il 22 maggio divenne capo delle forze

d’occupazione britanniche in Germania e

membro della Commossione di Controllo

alleata.

Nel 1946 Montgomery fu insignito del

titolo di Primo visconte Montgomery di

Alamein.

Dal 1948 al 1951 fu a capo dell’organizzazione

di difesa permanente della

Western European Union, e dal 1951 al

1958 fu delegato supremo comandante

delle forze della Nato (North Atlantic Treaty

Organization). Poi si ritirò per scrivere le

sue memorie.

Morì il 24 marzo 1976 ad Alton,

Hampshire.

Chi fu il migliore generale, Montgomery

o Rommel? A questa domanda

non si può dare risposta a causa della

grande sproporzione di forze e materiali

utilizzati durante la battaglia di el Alamein,

la sola vera circostanza in cui i due generali

si fronteggiarono direttamente.

Montgomery possedeva sicuramente

una forte personalità (occorre comunque

dire che avere a che fare con Churchill era

altrettanto difficile che con Hitler) ma in

quanto ad abilità tattica Rommel ne

mostrò di più di quanto ne abbia mai esibito

Montgomery.


Carri italiani M13/40

in movimento.

Clifton il temerario

attacco portato dalla 2ª divisione neozelandese

durante l’operazione

L’

Beresford era fallito: la 6ª brigata di fanteria

si stava ritirando in disordine lasciando sul

terreno una cinquantina di morti. Alcuni

paracadutisti della Folgore, dopo aver

respinto l’attacco, uscirono dalle linee per

recuperare armi e catturare prigionieri.

Una pattuglia s’imbatté in un uomo

che girovagava sperduto nella notte, e certamente

nessuno di quegli uomini poteva

immaginare di incontrare un generale.

Quell’uomo era proprio il comandante

della 6ª brigata, il gen. George Clifton,

smarritosi mentre cercava il suo 26° battaglione.

Portava ancora con sé una borsa

contenente carte segnate e documenti

operativi.

Fu preso e, il giorno seguente, condotto

da Rommel. Il generale inglese si disse

mortificato di essere stato catturato proprio

dagli Italiani. Anzi raccontò di aver

urlato alla pattuglia italiana che era circondata

da forti unità corazzate britanniche e

pertanto doveva arrendersi. Gli Italiani

erano caduti nel tranello e stavano posando

le armi, quando sopraggiunse un ufficiale

tedesco che mandò a monte il suo

piano.

Forse Rommel credette alla storiella di

Clifton, poiché la riportò esattamente così

nel suo libro Guerra senza odio, senza commentarla.

Ed evidentemente il generale

inglese ammirava più i Tedeschi che gli

Italiani, poiché dichiarò di voler restare in

mano tedesca e non essere consegnato agli

Italiani. Rommel cercò di accontentarlo.

Invece le cose non erano andate così.

Effettivamente Clifton tentò di ingannare

la pattuglia italiana, ma l’ufficiale che lo

fermò parlava bene l’inglese e gli rispose:

«Siamo qui per combattere!». Poi fece

scortare il generale al posto di Comando

del 187° fanteria. Il portaordini del col.

Carmosso entrò nell’ufficio del comandante

dicendo: «Là fuori c’è un tizio con un

berretto da capostazione!». Il colonnello

restò perplesso, poi si ricordò del fatto che

i generali inglesi portavano sul berretto

una larga fascia rossa, capì e fece entrare il

prigioniero. Anche a Carmosso Clifton raccontò

la storiella che numerosi corazzati

inglesi stavano circondando la postazione

e gli chiese la resa. Carmosso rispose che

intanto era lui il prigioniero e comunque

non aveva tempo da perdere. Il giorno

dopo fu mandato da Rommel.

Da qui Clifton fu trasferito ad un posto

tedesco di Marsa Matruh. Chiese di poter

andare al gabinetto e, poiché la sorveglianza

era scarsa, ne approfittò per scivolare

dalla finestra e allontanarsi nel deserto.

Scattò l’allarme e le pattuglie tedesche

si sparpagliarono alla ricerca, ma dell’intraprendente

generale non c’era più traccia.

Alcuni giorni dopo il cap. Medicus,

mentre era a caccia di gazzelle con altri

ufficiali tedeschi, intravide un uomo che

avanzava a fatica nel deserto. Lo raggiunse

e scoprì che era il gen. Clifton. Al limite

delle sue forze, si trascinava portando con

sé un piccolo bidone d’acqua.

Fu rispedito da Rommel, il quale, per

evitare un ulteriore tentativo di fuga, lo

mandò subito in Italia. Nel frattempo il

Comando Superiore della Wehrmacht

aveva ordinato la consegna del generale

inglese agli Italiani, secondo gli accordi.

Il cap. Medicus chiese a Rommel una

licenza premio per la cattura del generale,

ma la risposta fu negativa, perché al

momento ogni uomo era necessario lì al

fronte.

«Allora il prossimo generale lo lascerò

scappare!», borbottò Medicus.

Le peripezie di Clifton non erano però

finite. In Italia, mentre veniva trasportato

ad un campo di prigionia, tentò la fuga

una seconda volta. Ma lo fece da un treno

in corsa e il tentativo fallì miseramente:

ottenne soltanto la frattura del bacino e

non fu più in grado di camminare.

367


PANZERARMEE AFRIKA (23 ottobre ‘42)

Comandante: gen. Georg Stumme • Capo di S. M.: col. Siegfried Westphal

DAK

gen.

Wilhelm von

Thoma

15ª Panzerdivision

(gen. Gustav von Vaerst)

21ª Panzerdivision

(gen. Heinz von Randow)

– 8° Panzerregiment

– 115ª Panzergranadiere regiment

– 33° gruppo esplorante

– 33° rgm. artigl. motorizzato

– 33° gruppo Panzerjäger

– unità minori e servizi

– 5° Panzerregiment

– 104° Panzergranadiere regiment

– 3° gruppo esplorante

– 155° rgm. artigl. motorizzato

– 39° gruppo Panzerjäger

– unità minori e servizi

90ª div. leggera

(gen. Theodor von Sponeck)

164ª Divisione di fanteria

(gen. Karl Hans Lungershausen)

– 155° rgm. fanteria

– 361° rgm. fant. Afrika

– 200 rgm. fanteria

– 228° Panzergranadiere regiment

– unità minori e servizi

– 125° Panzergranadiere regiment

– 382° Panzergranadiere regiment

– 433° Panzergranadiere regiment

– 220° rgm. artiglieria motorizzato

– unità minori e servizi

Il “pessimista”

Erwin Rommel.

22ª brigata paracadutisti (gen. Hermann Ramcke)

XX corpo

di armata

gen.

Giuseppe

De Stefanis

XXI C.A.

gen.

Alessandro

Gloria

X C.A.

gen.

Enrico Frattini

D. cor. Ariete

(gen. Francesco Arena)

D. mot. Trieste

(gen. Francesco La Ferla)

D.f. Bologna

(gen. Alessandro Gloria)

D.f. Trento

(gen. Giorgio Masina)

D.f. Brescia

(gen. Brunetto Brunetti)

D.f. Pavia

(gen. Nazareno Scattaglia)

D.f. Folgore

(gen. Enrico Frattini)

– 8° Bersaglieri

– 132° fanteria carrista

– 132° artiglieria

– unità minori

– 65° e 66° fanteria

– 9° bersaglieri

– 21° artiglieria

– unità minori

– 39° e 40° fanteria

– 205° rgm. artiglieria

– unità minori

– 61° e 62° fanteria

– 46° artiglieria

– unità minori

– 19° e 20° fanteria

– 1° rgm. artiglieria celere

– unità minori

– 27° e 28° fanteria

– 26° rgm. artiglieria

– unità minori

– 186° e 187° fanteria

– 185° rgm. artiglieria celere

– unità minori

Supporti e servizi d’armata e di corpo d’armata (italiani e tedeschi)

Hitler si congratula con Rommel

Caro Führer,

vienimi incontro

Quando Rommel arrivò a Berlino fu accolto con

tutti gli onori e ricevette il bastone di

Maresciallo dalle mani di Hitler. Rommel raccontò al

Führer delle cause dell’insuccesso ad el Alamein,

380

della supremazia aerea britannica e del fatto che per

affrontare la RAF occorreva un immediato invio di

unità aeree; anche per le forze terrestri era necessaria

una notevole quantità di rifornimenti.

Göring, presente all’incontro, minimizzò le difficoltà

espresse da Rommel e quando sentì che gli

aerei britannici avevano messo fuori combattimento

i panzer con granate americane da 40 mm, affermò:

«Impossibile! Gli americani sanno fabbricare soltanto


8ª ARMATA BRITANNICA (23 ottobre ‘42)

Comandante: gen. Bernard L. Montgomery

Capo di Stato Maggiore: gen Francis de Guingand

Hermann Göring,

eterno ottimista.

10° corpo

d’armata

gen.

Herbert

Lumsden

13° corpo

d’armata

gen.

Brian

G. Horrocks

1ª Div. corazzata

(gen. Raymond Briggs)

10ª Div. corazzata

(gen. Alec H. Gatehouse)

8ª Div. corazzata

(gen. C.H. Gairdner)

7ª Div. corazzata

(gen. Iohn Harding)

44ª Div. fanteria

(gen. I.T.P. Hughes)

50ª Div. fanteria

(gen. John S. Nichols)

51ª Div. f. scozzese

(gen.D.N. Wimberley)

– 2ª brigata corazzata

– 7ª brigata motorizzata

– unità minori e servizi

– 8ª brigata corazzata

– 24ª brigata corazzata

– 133ª brigata motorizzata

– unità minori e servizi

– pochi reparti

supporti di corpo d’armata

– 4ª brigata corazzata leggera

– 22ª brigata corazzata

– 1ª brigata di fanteria francese

– unità minori e servizi

– 131ª e 132ª brigata di fanteria

– unità minori e servizi

– 69ª brigata di fanteria

– 151ª brigata di fanteria

– 1ª brigata di fanteria greca

– 2ª brigata di fanteria francese

– unità minori e servizi

supporti di corpo d’armata

– 152ª 153ª 154ª brigata di fanteria

– unità minori e servizi

30° corpo

d’armata

gen.

Oliver Leese

2ª Div. f. neozel.

(gen. B.C. Freyberg)

4ª Div. f. indiana

(gen. F.I.S. Tuker)

4ª Div. f. australiana

(gen. Leslie Morshead)

4ª Div. f. sudafricana

(gen. Daniel H. Pienaar)

supporti di c.a.

– 5ª e 6ª brigata di fanteria

– 9ª brigata corazzata

– unità minori e servizi

– 5ª 7ª e 161ª brigata di fanteria

– unità minori e servizi

– 20ª 24ª e 26ª brigata di fanteria

– unità minori e servizi

– 1ª 2ª e 3ª brigata di fanteria

– unità minori e servizi

– 23ª brigata corazzata

– 121 ° rgm. artiglieria da campagna

– 7° 64° e 69° rgm. artiglieria pesante campale

truppe

d’armata

– 1ª brigata corazzata (gen. B.N. Todd)

– 2ª brigata contraerei per difesa Comando di armata e ferrovia

– 12ª brigata contraerei

– 25ª brigata di fanteria indiana per protezione Comando di armata

per le vittorie ottenute.

lamette da barba».

«Signor Maresciallo – rispose Rommel – ne vorrei

anch’io di quelle lamette». E mostrò un proiettile

che aveva portato con sé: era stato sparato a volo

radente da un aereo inglese ed aveva ucciso l’intero

equipaggio di un carro.

Hitler si mostrò più attento e assicurò che avrebbe

presto inviato un alto numero di Siebelfähren,

zatteroni a basso pescaggio, inaffondabili dai siluri

perché ci passavano sotto, e armati di parecchi cannoni

antiaereo. Sarebbero stati usati per il trasporto

dei rifornimenti in Libia, e sarebbero presto arrivati

in grande quantità. Si impegnò anche ad inviare una

brigata di 500 Nebelwerfer (lanciarazzi fumogeni

multipli), semoventi e persino 40 carri Tiger .

Ogni promessa è debito, si dice, e forse era nelle

intenzioni del Führer mantenerla, ma non fece in

tempo per la battaglia finale.

381


PANZER

ARMEE

AFRIKA

Capitolo 27

Ritorna

Rommel

Rommel arriva

in Africa in tempo

affrontare

la ripresa dell’offensiva

britannica.

Giunge un nave

carica di

carburante, ma

niente di più…

390

Nel tardo pomeriggio del 25

ottobre Rommel raggiunse, a

bordo di un Cicogna, il

Comando della Panzerarmee.

In seguito alle informazioni

ricevute da von Rintelen il feldmaresciallo

aveva fatto un viaggio di ritorno

piuttosto amareggiato. “Con la sensazione

che avremmo combattuto

questa battaglia con ben poca speranza

di ottenere un successo difensivo

– scrisse poi – attraversai in volo il

Mediterraneo…”.

Seppe del ritrovamento del corpo di

Stumme, che giaceva sul terreno adiacente

alla pista. Si pensò che fosse

caduto dalla macchina perché colpito

da apoplessia. Il corpo fu trasferito a

Derna.

La situazione delle scorte era disperata.

C’era carburante per 1,5 razioni.

Si era tentato di inviare rifornimenti,

ma soltanto nel periodo dell’assenza di

Rommel erano state affondate 13

navi, tra piroscafi e motonavi, 1 cisterna

e 3 rimorchiatori diretti in Africa. Le

truppe resistevano bene, ma la 164ª

divisione di fanteria aveva perso il

30% della forza iniziale e la Folgore

circa 5 compagnie (ognuna di 120

uomini). La carenza di carburante

legava le mani in modo impressionante,

perché le forze motorizzate e corazzate

non erano più in grado di muoversi.

E per di più anche le munizioni

cominciavano a scarseggiare.

Il 26 ottobre riprese l’offensiva britannica.

Era ancora buio quando le

artiglierie aprirono il fuoco senza la

preoccupazione di sprecare munizioni.

Decollarono anche i bombardieri della

RAF.

La 9ª divisione australiana di

Morshead riuscì, con un sanguinoso

corpo a corpo, a sfondare la resistenza

di q. 28, catturando i restanti 173

Tedeschi del 125° fanteria e 67 Italiani

del 62° fanteria Nell’importante postazione

continuarono poi a sopraggiungere

nuove unità britanniche. Anche

agli scozzesi andò bene. Dovevano

conquistare il loro tratto di Oxalic.

Un’aliquota della 51ª divisione di fanteria

si avvicinò con cautela all’obiettivo

e finì per trovare la posizione occupata

solo da morti; un’altra aliquota,

invece, dovette conquistare la sua

posizione con sanguinosi assalti alla

baionetta. A Deir el Munassib gli

attacchi della 44ª divisione di fanteria

di Hughes contro il 187° fanteria della

Folgore si chiusero con un fiasco completo:

700 uomini perduti.

Gli Stuka si alzarono in volo per

contrastare l’avanzata nemica, ma la

reazione della contraerea fu violenta.

«Sul teatro di guerra africano non ave-


La situazione è difficile

e Rommel è rientrato

in Africa.

vamo mai visto un così denso tiro contraereo.

– dirà poi Rommel – Centinaia

di tracce luminose si incrociavano

nello spazio trasformando l’aria in un

vero inferno». Decise così di raccogliere

maggiori forze a nord, compresa la 90ª

leggera, la 21ª Panzer e un gruppo

dell’Ariete.

Giunse notizia che erano affondate

altre navi: la cisterna Proserpina con

2.500 tonn. di benzina, proprio davanti

al porto di Tobruk, e la Tergestea,

che trasportava 3.000 tonn. di munizioni

e 1.000 di viveri. Una conferma,

per Rommel, di una lotta senza speranze.

Anche se l’offensiva dell’8ª

armata si trovava ad un punto morto,

poiché la fanteria aveva fallito i suoi

assalti e i corazzati non riuscivano a

superare la barriera delle armi controcarro;

anche se le perdite britanniche

in uomini e mezzi risultavano doppie

di quelle dell’Asse, non si sapeva proprio

come superare la crisi. Rommel

comunicò la drammatica situazione e

l’urgente bisogno di rifornimenti al

Quartier generale del Führer, ma

senza molte speranze.

Montgomery non aveva dubbi

sull’esito della battaglia. Non si era

ottenuta la rottura del fronte? Ebbene,

si doveva riprovare. La Folgore sembrava

un osso duro? Allora era meglio

tentare a nord. Così Horrocks assunse

una posizione statica con le fanterie.

La 7ª divisione corazzata, rimasta con

70 Grant, 27 Crusader e 50 Stuart, fu

recuperata e passata a nord. Anche i

neozelandesi furono recuperati.

Occorreva soltanto una breve pausa

per riordinare meglio tutte le forze, in

vista dell’attacco decisivo.

La notte sul 27 il gen. Briggs pensò

di spingere la sua 7ª divisione corazzata

oltre Oxalic e occupare due posizioni

(semplici pezzi di deserto) chiamate

convenzionalmente Woodstock e

Snipe, che erano stati protetti da reticolati

e pezzi controcarro. A mezzanotte

due battaglioni motorizzati mossero

verso gli obiettivi. Superata la debole

resistenza di elementi avanzati tedeschi,

Woodstock fu raggiunta, almeno

così sembrava, perché all’alba ci si

rese conto di trovarsi invece a sud

dell’obiettivo e in posizione infelice. La

mancata occupazione dell’obiettivo

spinse il gen. Fisher a bloccare la 2ª

brigata corazzata che stava colà

avviandosi.

Anche gli attaccanti a Snipe si fermarono

in una posizione errata scambiando

per l’obiettivo una posizione

difensiva tedesca che fu attaccata e

conquistata. Dopo aver fatto 20 prigionieri

chiamarono avanti i cannoni da 6

Le forze contrapposte

nell’ultima battaglia ad el Alamein

195.000 uomini

Italiani: 54.000

104.000 uom.

Tedeschi: 50.000

2.359 pezzi

campali e controcarro

812 pezzi contraerei

1.093 pezzi

campali e c.c.

1.340 pezzi

contraerei

Italiani: 521

Tedeschi: 572

Italiani: 740

Tedeschi: 600

1.029 carri armati

490 carri

Italiani: 279

Tedeschi: 211

435 autoblindo 119 autoblin.

973 aerei da combatt. 340 aerei

Italiani: 72

Tedeschi: 47

Italiani: 110

Tedeschi: 230

Confronto dei carri per tipo e quantità all’inizio della 3ª battaglia

Stuart 119

Crusader 294

Grant 170

Sherman 252

Valentine 194

279 M14

85 Panzer III

88 Panzer III Sp.

8 Panzer IV

30 Panzer IV Sp.

1.029 490

391


PANZER

ARMEE

AFRIKA

Capitolo 29

La

ritirata

Dopo aver

distrutto le armi

intrasportabili e

i carri armati

rimasti a secco

inizia il triste

ripiegamento

in direzione

di Bardia

414

Alle 15,30 del 4 novembre

1942 le speranze del feldmaresciallo

Rommel e degli

Italiani di raggiungere Alessandria

e conquistare l’Egitto erano

ormai sfumate.

Già nei giorni precedenti si era evidenziata

la superiorità schiacciante

delle forze britanniche, sia in armamenti

che in uomini e mezzi; Rommel,

nell’impossibilità di perforare la barriera

difensiva nemica sul fronte di el

Alamein, era stato costretto a porsi

sulla difensiva, sperando nell’arrivo di

rinforzi e rifornimenti di carburante e

munizioni che invece non giunsero

mai. Le artiglierie e i carri armati

distrutti, o comunque danneggiati,

non potevano più essere rimpiazzati e

le scorte erano ormai esaurite.

La rinuncia dei Comandi italiano e

tedesco ad occupare Malta, importantissimo

crocevia del traffico inglese nel

Mediterraneo aveva causato il continuo

affondamento di navi cisterna italiane

da parte di aerei e sottomarini di

base sull’isola britannica. Il loro carico

(fusti di benzina, munizioni, pezzi di

ricambio e scorte alimentari) giaceva

ormai sul fondo del Mediterraneo e il

mancato arrivo al fronte aveva inceppato

inesorabilmente il meccanismo

della macchina bellica italo-tedesca.

La mancanza di carburante immobilizzò

i panzer del DAK, i carri italiani

dell’Ariete e ciò che restava della

corazzata Littorio e della motorizzata

Trieste; di tutto ciò approfittò il gen.

Montgomery, che poteva permettersi

di distruggere pezzo per pezzo la

Panzerarmee, anche a costo di perdite

elevate, subito rimpiazzate.

Gli aerei dell’Asse avevano potuto

fare ben poco di fronte alla grande

massa di aerei inglesi e americani ed

erano costretti a tornare indietro, finendo,

poi, per non alzarsi più in volo,

lasciando agli avversari il completo

dominio del cielo.

Quando la situazione peggiorò

notevolmente Rommel avrebbe voluto

effettuare subito la ritirata, che invece

fu contrastata sia da Mussolini che da

Hitler. Se fosse stata effettuata al

momento opportuno, quando le forze

corazzate italo-tedesche erano ancora

fortemente attive, queste avrebbero

potuto proteggere il ripiegamento

della truppa più lenta e gli Inglesi non

avrebbero osato attaccare; così era

avvenuto l’anno precedente, durante

l’operazione britannica Crusader,

quando Rommel, pressato dal nemico,

aveva preferito arretrare in buon ordine

in Tripolitania, per poi riattaccare

alcuni mesi più tardi, riconquistando

la Cirenaica e la tanto contesa città di


Pagina precedente:

Una pattuglia australiana

rastrella il territorio

circostante in cerca di

fuggitivi isolati.

Tobruk. Ma ora la situazione era ben

diversa, la disfatta totale era alle porte

e in tal caso nulla avrebbe potuto

sbarrare agli Inglesi la via per Tripoli.

Rommel si era quindi deciso: rititata

a Fuka.

Così; durante la notte tra il 4 e il 5

novembre, lungo tutto il fronte e attraverso

il deserto, il ripiegamento ebbe

inizio. “Fu una gara di corsa con i carri

armati nemici – spiegò Rommel nel suo

libro-diario “Guerra senza odio” – Molte

delle mie unità, che disponevano di

pochi autocarri, erano costrette a ricorrere

ai mezzi di trasporto delle unità

corazzate e faticarono a trarre in salvo i

loro uomini verso occidente, poiché il

tragitto fino a Fuka era di 100 km. I

paracadutisti e gli Italiani del settore

sud andarono a piedi. Purtroppo non

era stato possibile assicurare negli ultimi

giorni l’approvvigionamento delle

truppe, perché le autoblindo nemiche,

sfondato il nostro schieramento, avevano

molestato il traffico delle colonne.

Così queste unità soffrivano di una

grande scarsità di benzina e di acqua”.

Distrutte le armi pesanti, intrasportabili,

e i carri armati che erano rimasti

senza benzina, i soldati italiani del

XXI, XX e X corpo e i paracadutisti

tedeschi cominciarono ad arretrare

attraverso il deserto per poi convogliare

a nord verso la via Balbia, pensando

che la rotabile avrebbe agevolato

la loro ritirata. Ne derivò un caotico

intasamento dell’arteria, tra l’altro illuminata

a giorno dai razzi sparati dai

RITIRATA A FUKA

Britannici e costantemente sotto l’incursione

dei velivoli della RAF.

Da parte britannica Montgomery

voleva la vittoria completa e pensò di

spedire il gen. Freyberg e la sua 2ª D. f.

neozelandese, con la 9ª B. cor. e la 4ª B.

cor. leggera, a tagliare la ritirata a

Rommel con un movimento a tenaglia

da sud, per imbottigliare così la retroguardia

della Panzerarmee e la fanteria

italiana; nel frattempo il 30° corpo

del gen. Leese, il 10° corpo del gen.

Lumsden e il 13° corpo del gen.

Horrocks, avrebbero incalzato gli

avversari da est. Ma i movimenti di

truppe, corazzati e colonne di rifornimento

crearono una tal confusione,

durante la giornata del 4 novembre,

che, giunta la sera, si dovette rinviare

l’impresa alla mattina seguente, poiché

non parve consigliabile affrontare una

marcia notturna in pieno deserto.

Cosicché la mattina del 5 Rommel

aveva già raggiunto il campo di aviazione

di Fuka e aveva posto il suo

Comando su una altura che distava 3

km. Nel frattempo giunse l’approvazione

del Duce e di Hitler alla ritirata da

el Alamein. A Rommel non restò che

scrollare il capo. Per la prima volta –

pensò – il Führer con il suo ordine «la

vittoria o la morte» aveva imposto all’esercito

una decisione tattica catastrofica.

Cominciò a dubitare della competenza

militare di Hitler, che in una situazione

di crisi aveva perso la testa

dando un ordine così insulso. Di colpo il

fondatore del Terzo Reich perdeva ai

suoi occhi la sua fama di stratega

geniale e Rommel era ormai convinto

che l’intervento diretto dei tanti bistrattati

Americani avrebbe causato un

risvolto non piacevole alla guerra. Al di

là dell’oceano un esercito interamente

motorizzato e corazzato, e con una

potente aviazione (se ne erano visti i

primi effetti con quanto era stato già

dato ai britannici), si preparava a dare

battaglia, concedendo scarse possibilità

alla Wehrmacht. La delusione che

provava nei confronti di Hitler, e la

profonda convinzione che ormai la

guerra stava prendendo la piega sbagliata,

modificherà il comportamento

futuro di Rommel; non sempre egli

prenderà decisioni valide e all’altezza

della sua fama (in Italia e in Francia,

durante lo sbarco in Norman-dia), e

415


Si salvi chi può

1

1 Chi può lascia

el Alamein bruciando ciò

che non può essere

trasportato.

2 Si lasciano alle spalle

anche cimiteri

improvvisati con tante

croci.

3 Smobilitazione generale.

Mezzi tedeschi e italiani (i

pochi che ci sono)

tornano indietro per la

Pista dell'Asse.

4 Tra i panzer distrutti

i cannoni britannici sparano

ancora sui fuggitivi.

2

3

4

422


5 Mezzi in fuga sollevano

nuvole di polvere di

sabbia.

5

6 Poco prima di arrivare a

Fuka i fanti del X Corpo

d’armata italiano vengono

raggiunti dalle autoblinde

inglesi e catturati. Una

massa enorme di uomini

che tentava la fuga a

piedi.

7 La rotabile dell’Asse è la

via di fuga più comoda.

Ma la grande massa di

veicoli creano ingorghi.

6

7

423


1

2

1 Ai Britannici resta

il penoso compito di

estrarre dai carri nemici

incendiati i corpi dei

carristi carbonizzati.

2 Fila di mezzi

italo-tedeschi in fuga

verso il confine libico.

424


3

4

3 Il ripiegamento si è

ormai trasformato in

ritirata. Chi può a bordo

dei mezzi motorizzati

(prevalentemente i

tedeschi), gli altri con

tragiche marce attraverso

il deserto.

4 Al Cairo un Panzer IV

catturato viene ispezionato

con curiosità dal gen.

Briggs, dai suoi uomini e

da ufficiali americani.

425


PANZER

ARMEE

AFRIKA

Capitolo 31

Gli sbarchi

nell’Africa francese

Americani

e Britannici

iniziano a

sbarcare sulle

coste del Marocco

e dell’Algeria, ma

è più difficile di

quanto potesse

sembrare…

438

Per tutto il 7 novembre le emittenti

americane e inglesi trasmisero

ad ore prestabilite il messaggio

radio “Arriva Robert!”.

Queste due innocenti parole stavano

ad indicare, a coloro che ne conoscevano

il significato, l’inizio dell’avventura

angloamericana in Africa settentrionale.

L’operazione Torch iniziava l’8

novembre, come previsto.

Dalle 1,30 del mattino dell’8

novembre, ogni mezz’ora, la BBC

diffondeva in lingua francese un messaggio

del presidente Roosevelt che si

attendeva un grande effetto psicologico:

“Nessuna nazione più degli Stati

Uniti d’America è intimamente legata,

tanto per la sua storia che per l’amicizia

profonda, al popolo di Francia e ai

suoi amici.

Gli Americani lottano attualmente

non soltanto per il proprio avvenire,

ma per restituire le libertà e i principi

democratici a tutti coloro che sono vissuti

sotto la bandiera tricolore.

Veniamo verso di voi per liberarvi

dai conquistatori che desiderano solo

privarvi per sempre dei vostri diritti

sovrani, del vostro diritto alla libertà di

culto, del vostro diritto a vivere in

pace.

Veniamo da voi solo per annientare

i vostri nemici; non vogliamo farvi

alcun male.

Veniamo da voi assicurandovi che

partiremo non appena la minaccia

della Germania e dell’Italia sarà stata

sventata. Faccio appello tanto al

vostro realismo quanto ai vostri più alti

ideali.

Non fate nulla per opporvi al compimento

di questo grande disegno.

Aiutateci, l’avvento del giorno della

pace universale ne sarà avvicinato.”

L’appello, invece, cadde praticamente

nel vuoto, dato che pochi ebbero

il tempo o il mezzo per ascoltarlo. In

alcune zone la reazione francese fu

quindi molto decisa.

Era ancora una notte buia, anche

perché una pioggia minuta riduceva

di molto l’efficacia dei proiettori, quando

le navi da trasporto americane gettarono

le ancore al largo, ad una

quindicina di miglia dalla costa algerina.

Erano però visibili le segnalazioni

luminose emesse da bordo dei sommergibili

che erano avanzati il più

vicino possibile alla riva. I mezzi da

sbarco furono messi in acqua, non

senza difficoltà anche a causa delle

onde che causarono anche numerosi

incidenti: qualche soldato, ad esempio,

scendendo lungo le corde a mo’ di

scale, mancò la propria imbarcazione

e cadde in acqua, oppure saltò a


GLI SBARCHI DELL’OPERAZIONE TORCH

Pagina precedente: al

momento dello sbarco

dell'8 novembre '72,

Darlan fu sorpreso ad

Algeri; qui è fotografato

tra Eisenhower (a sinistra)

e Clark. Divenne una

preziosissima pedina

per gli Alleati, anche se

scomoda. Il 24 dicembre

fu assassinato.

In basso: un giornale

statunitense annuncia

l’avvenuto sbarco in

Nordafrica delle truppe

americane.

bordo nel momento in cui un’ondata

la spostava, portando un braccio o

una gamba a finire stretti tra l’imbarcazione

e lo scafo della nave. Urla di

dolore si levavano allora a coprire tutti

gli altri rumori: baccano dei motori,

cigolio degli argani, imprecazioni

degli operatori, ordini e contrordini,

fragore delle onde…

Raggiunta la terra, i soldati si gettavano

in acqua, a volte in punti in cui

l’acqua giungeva sino alle spalle, per

dar modo alle imbarcazioni di tornare

rapidamente alle navi per un’altra

infornata di uomini. Altri incidenti

comunque avvennero: alcuni timonieri

affrontarono male un’onda bagnando

il motore; altri non riuscirono a

tenere l’imbarcazione perpendicolarmente

alle onde durante l’operazione

di sbarco, per cui, presi di traverso,

furono rapidamente spinti

sulla sabbia; in altri casi, nella fretta di

tornare alle navi, i timonieri si dimenticarono

persino di richiudere il portello

di sbarco; decine di soldati si trovarono

a lottare contro le onde nella notte

nera e annegarono dopo essersi disperatamente

dibattuti.

Ad Algeri, già alle 2 del mattino, i

congiurati avevano disposto uomini

armati attorno alla “Villa degli Ulivi”,

residenza del generale Juin. Alcuni

edifici amministrativi e militari, come

la Posta centrale e il Commissariato

centrale di Polizia, erano stati anch’essi

circondati. Alle diverse unità francesi

erano stati diramati ordini falsi che

imponevano loro di non lasciare le

caserme. Diverse personalità si trovarono

agli arresti, come il gen. Koeltz,

comandante della XIX Regione militare,

oppure ad essere sorvegliati a vista

nei loro domicili, come il prefetto, e

vari generali e ammiragli.

Tutto ciò avveniva mentre

il gen. Mast si recava personalmente

incontro agli

Americani per prendere

contatto con loro; questi

però sbarcarono in ritardo e

non potettero essere in città

nell’ora prevista.

439


GLI SBARCHI AD ALGERI

Molto rapidamente la situazione precipitò.

La reazione delle autorità francesi,

che avevano avuto tutto il tempo

per riorganizzarsi, si fece presto sentire e

tutta la manovra dei congiurati si trasformò

in un fiasco totale: plotoni di

guardie si riversarono in città disperdendo

o arrestando gli assedianti.

Ciò nonostante, la sorpresa consentì

agli americani di sbarcare. Il

gruppo denominato Beer poté sbarcare

a Sidi Ferruch senza sparare un

colpo d’arma. Anche il gruppo Apples

prese terra a Castiglione senza incontrare

resistenza e, grazie all’aiuto del

gen. Montsbert, s’impadronì dell’aeroporto

di Blida, dopo che le truppe francesi

si erano ritirate verso le montagne.

Il gruppo Charlie incontrò a capo

Matifu una breve resistenza; superata

rapidamente, andò ad occupare il

campo d’aviazione di Maison Carrée.

L’Eastern Task ebbe qualche difficoltà

di ordine navale: due torpediniere

inglesi dovevano penetrare nel

porto di Algeri ma furono accolti da

un fuoco di sbarramento; i Francesi

furono ben lieti di poter cannoneggiare

le navi inglesi, visto che avevano

440

ricevuto l’ordine di sparare. La

Malcolm fu colpita sullo scafo all’altezza

delle caldaie e fece dietro front. La

Broke riuscì a compiere la propria missione,

nonostante avesse incassato

numerosi colpi che la fecero colare a

Una seduta del Governo

americano all'inizio della

guerra. Il presidente

Roosevelt è al centro.


La scienza al servizio

delle forze armate

A

giugno del 1940 il presidente degli USA Roosevelt stabilì che

il National Defense Research Committee (Comitato nazionale

di ricerca per la difesa) dovesse coordinare e condurre una ricerca

scientifica per lo sviluppo, la produzione, e l’uso di meccanismi

e apparecchiature di guerra. Molto di questo lavoro fu fatto,

ovviamente, in assoluta segretezza. A giugno del 1941 l’Office of

Scientific Research and Development (Ufficio di Ricerca Scientifica e

Sviluppo) (OSRD) sostituì il comitato precedente. I progetti

dell’OSRD dettero agli Stati Uniti e ai soldati alleati bombe più

potenti e più precisi, detonatori più affidabili, arme più leggere e

più precise, trattamenti medici più sicuri e di maggiore effetto,

veicoli più versatili.

Di tutti dei progetti scientifici e tecnici, la storia del DUKW

(pronunciato dack) è forse l’esempio più interessante della diffidenza

dei militari all’uso di nuove tecnologie. La sua introduzione

causò un’accesa battaglia tra gli scienziati civili e i militari.

Il DUKW era, come mostra il disegno, un autocarro anfibio,

definito dagli scienziati che lo progettarono come un mezzo utile

all’esercito poiché in grado di attraversare i fiumi e portare uomini

e materiale sulle spiagge. Inizialmente l’esercito non volle

prendere in considerazione quello stupido autocarro civile. Anche

dopo il completamento di un prototipo di DUKW l’esercito si

ostinò a non vedere alcun interesse in quel mezzo. Però quando

gli ingegneri usarono quel prototipo per salvare sette guardie

costiere, portandole a riva sotto un temporale sulla spiaggia di

Capo Cod; l’interesse dell’esercito si accese improvvisamente.

Infatti il DUKW divenne un mezzo importante per gli sbarchi

nel Pacifico, in Africa, e sulle spiagge della Normandia. Soltanto

in Normandia, il DUKW portò a riva 18 milioni di tonnellate di

materiale in un periodo di 90 giorni, quando il nemico aveva

ancora il possesso di tutti porti disponibili.

picco due giorni dopo in un punto non

molto lontano da Algeri. Comunque, il

commando che era riuscito a sbarcare

fu catturato e sbattuto in prigione.

In Marocco il gen. Béthouart,

comandante della divisione di

Casablanca, precedentemente avvertito

che lo sbarco sarebbe avvenuto

alle 2 del mattino, fece circondare la

Residenza generale di Rabat e tagliare

i fili telefonici che la collegavano al

mondo esterno. Poi si presentò a

Noguès annunciandogli l’arrivo imminente

degli Americani e la presa del

potere ad Algeri da parte del gen.

Giraud. Poiché Noguès rifiutò di collaborare

fu messo in stato d’arresto. Una

linea telefonica era però sfuggita agli

uomini addetti all’interruzione delle

comunicazioni; questa linea era collegata

direttamente con l’ammiraglio

Michelier, comandante della Marina

in Marocco. Così l’ammiraglio fu

messo al corrente della situazione,

ricevendo anche l’incarico di arrestare

Béthouart e i suo complici per tradimento

e di respingere i commandos

che sbarcavano in Marocco.

Alle 5 del mattino i primi Landing

craft raggiunsero le spiagge prescelte,

aprirono le loro porte simili a ponti

levatoi riversando sulla sabbia le truppe.

Ciò avveniva quando i congiurati

francesi erano stati ormai tutti arrestati

e condotti nelle prigioni.

A Safi, il punto più meridionale in

cui le truppe dovevano sbarcare, tutto

fu facile. I 6.500 uomini incaricati

incontrarono una debole resistenza e

la eliminarono.

Negli altri due settori le cose andarono

peggio, perché il fuoco di sbarramento

fu violento e l’avanzamento

piuttosto difficoltoso. Inoltre, si svolse

una battaglia navale: le due flotte si

cannoneggiarono a vista, la francese

nel porto di Casablanca e quella americana

che si teneva al largo. Le navi

americane, più potenti, tra le quali

c’era la corazzata Massachusetts, dotata

di 9 cannoni da 406 con proietti che

pesavano 250 chili, annientarono a

poco a poco la 2ª squadra leggera e i

sommergibili francesi. L’aviazione francese

non poté assolutamente lottare

ad armi pari e restò praticamente fuori

combattimento.

Solo in terra i Marines facevano fati-

441


LE ARMI LEGGERE STATUNITENSI

Pistola Colt 1911 e 1911 A1

Il fatto che l’esercito statunitense abbia adottato la pistola Colt calibro 45, modello 1911, per così lungo

tempo (compreso le due guerre mondiali), la dice lunga sulla qualità di quest’arma. La Colt era il prodotto

di una persona veramente capace, John Moses Browning, padre di molte armi moderne.

L’esercito USA indisse una gara alla ricerca dell’arma adatta con un Ordine Speciale del Segretario della

Guerra datato 28 dicembre 1906. Le armi sottoposte alla prova erano tutte di calibro 45: pistole automatiche

della Colt, Luger, Savage, Knoble, Bergmann, Webley-Fosbery e White-Merrill, e rivoltelle a doppia-azione

della Colt e Smith & Wesson.

Il programma di valutazione era piuttosto rigido ed includeva la persistenza dell’arma alla polvere, alla

ruggine, l’accuratezza, il funzionamento, e numerose altre prove tese a rivelare eventuali crepe formatesi nel

modello e le capacità di servizio generali.

Nel 1907 la commissione aveva completato il suo lavoro e, per quanto riguarda le armi automatiche, le

superstiti erano quelle della Colt e della Savage, che furono assegnate alla Cavalleria per la sperimentazione.

Ma, messe alla prova pratica, nessuna delle pistole sembrò rispondere alle aspettative. Per cui il

Dipartimento d’Artiglieria effettuò una serie di nuovi esperimenti che portarono ad indire una nuova gara tra

i due costruttori per marzo del 1911.

Alla fine la Colt si dimostrò superiore, perché più affidabile, più durevole, più facilmente smontabile per

eventuali sostituzioni di parti, ed anche più accurata. Perciò la Colt entrò in servizio nell’esercito con la

denominazione di “Pistola automatica Browning-Colt calibro 45, Modello del 1911”.

Per raggiungere questo risultato pare che la Colt abbia realizzato quasi 200 prototipi prima del modello

finale, quello che fu accettato. Ciò nonostante la pistola fu negli anni seguenti sottoposta a continui piccoli

miglioramenti che portarono a realizzare il modello finale M1911-A1. La pistola Colt 45 è stata continuamente

prodotta negli anni a seguire restando essenzialmente la stessa, con varianti soltanto di ordine estetico.

Durante la guerra, a causa dell’alto fabbisogno, la pistola fu realizzata anche da altri fabbricanti, come

Ithaca, Remington-Rand, Union Switch, etc.

Un’altra buona arma che gli americani usarono durante la seconda guerra fu il revolver Colt Army 1917,

il cui prototipo era stato presentato nella stessa gara del 1906, ma, dopo le opportune modifiche richieste,

oltre al calibro che da 45 passò a

Revolver

Colr Army 1917.

38mm, fu consegnato all’esercito

solo nel 1917.

Pistola automatica

Colt M1911 A1.

Revolver Colt Navy/Army/Marine

Calibro: .38 Long Colt

lunghezza totale: 280 mm

peso (scarico): 0,965 kg

lunghezza canna: 152 mm

rigature canna: 6 sinistrorse

alimentazione: 6 colpi

velocità del proiettile: 262 m/sec.

Pistola Colt M1911 A1

Calibro: .45

lunghezza totale: mm

peso (scarico): 1,125 kg

lunghezza canna: mm

rigature canna: 6 sinistrorse

alimentazione: 7 colpi

velocità del proiettile: 262 m/sec.

448


MITRAGLIATORI STATUNITENSI

Il mitra Thompson

L

’esercito degli Stati Uniti, alla ricerca di un mitra, nel 1941 si affidò al Thompson. Ne aveva già in possesso

un piccolo numero, acquistato nel 1928 per sperimentazione, e all’inizio della guerra sembrò l’arma

più adatta.

Il Thompson adottato dall’esercito, denominato M1928 o

1928Al, era differente nel sistema di sparo dal modello in vendita

ai civili, anche perché non usava il caricatore circolare ma

quello classico rettangolare. Poiché l’arma era piuttosto difficile

da fabbricare, l’esercito richiese una versione più semplice in

modo che potesse essere prodotto in serie velocemente; dopo

vari esperimenti fu realizzato il mitra noto come Thompson

M1, adottato ad aprile del 1942.

Nonostante ciò il Thompson restava un problema: era ancora

troppo complesso da fabbricare.

Fucile mitragliatore Thompson M1

Calibro: .45 ACP

lunghezza totale: 813 mm

peso (scarico): 4,74 kg

lunghezza canna: 268 mm

rigature canna: 6 destrorse

alimentazione: caricatore da 20 o 30 colpi

velocità del proiettile: 620 m/sec.

ritmo di tiro: 700 colpi al minuto

Thompson M1

Mitra US M3 A1

US M3 A1

Calibro: .45 ACP o 9mm Parabellum

lunghezza: esteso 745mm, retratto 570 mm

peso (scarico): 3,67 kg

lunghezza canna: 230 mm

rigature canna: 4 destrorse

alimentazione: caricatore da 30 colpi

velocità del proiettile: 274 m/sec.

ritmo di tiro: 400 colpi al minuto

Si guardò pertanto al modello tedesco MP40, che aveva sostituito l’MP38 proprio perché era più facile

da fare. Poi l’esercito optò per un’arma ancora più semplice, una copia modificata dello Sten britannico che

fu ribattezzata M3, e soprannominata “grease gun”.

L’M3 era un’arma da fuoco semplice e fatta interamente da tubi di ferro, con camera di scoppio e canna

di acciaio. Il caricatore, però, si inseriva sotto l’arma anziché di lato.

Poiché alcune unità si lamentarono proprio del fatto che l’arma era troppo semplice, furono apportante

alcune modifiche migliorative che dettero vita al modello M3A1. Tutti questi modelli furono realizzati dalla

Guide Lamp Division della General Motors Corporation, che produsse all’incirca 646.000 pezzi di entrambi i

tipi di mitra prima che la guerra fosse finita.

449


PANZER TIGRE I (PZKPFW VI)

Comunemente noto come Tiger (Tigre), Tiger I e PzKpfw VI, ufficialmente

fu prodotto in un solo tipo, invece subì nel tempo diversi miglioramenti

tanto da poterne contare almeno tre modelli principali. Ricevette

inizialmente la designazione di «Panzerkampfwagen VI H (8.8 cm) Ausf

H1- Sd.Kfz.182» e i primi prototipi furono costruiti dalla Porsche. A

marzo del 1943 fu rinominato «Panzerkampfwagen Tiger (8,8 cm L /56)

Ausf E- Sd.Kfz.181», quando la produzione passò alle fabbriche

Henschel e Wegmann, che consegnarono i primi Tigre ad agosto del

1942, spediti subito a Leningrado. Da luglio 1942 ad agosto 1944,

Henschel e Wegmann costruirono solo 1.355 Tigre, a causa della difficoltà

e dell’alto costo di produzione. Mentre la Henschel produceva i

telai, Wegmann assemblava le torrette, che quindi raggiungevano la

Henschel per il montaggio finale. La massima produzione di Tigre avvenne

ad aprile 1944 con 105 esemplari.

Per la Tunisia fu organizzato un Battaglione formato dall’unione

delle schwere Panzer Kompanie 501 e schwere Panzer Kompanie

502, insieme a personale del Panzer Ersatz Abteilung 1 e della

Scuola di Artiglieria Carrista di Putlos. Il comandante dell’unità era il

Major Hans-Georg Lüder. Il Major Hannes Kümmel, esperto comandante

di carri del teatro africano, curò invece l'addestramento degli

equipaggi e dei servizi dello sPzAbt 501 alle speciali condizioni operative

della guerra nel deserto. I carri dello sPzAbt 501, così come i

primi quattro Tigre della 1./502, erano modelli della primissima

serie, con equipaggiamento tropicale, compreso grandi filtri antisabbia

a bagno d'olio Feifel montati sul retro dello scafo. I primi Tigre

dello sPzAbt 501 erano colorati in marrone deserto, un marrone

rosato scuro adatto

alla forte luminosità

del sole nordafricano, mentre quelli dello sPzAbt 502 erano stati

dipinti completamente in grigio scuro, ma si coprirono presto di

uno strato di polvere rossa e fango.

Il maggiore Lüder

raggiunse la Tunisia il

22 novembre 1942,

prima dei Tigre. I

primi ordini che ricevette

furono di appoggiare

il Fallschirmjägergruppe Koch

del 5. Fallschirmjäger Regiment a

Mediez el Bab, perciò formò un distaccamento,

chiamato Kampfgruppe Lüder, con carri e

truppe della 10ª Panzerdivision (due compagnie del

Panzer Abteilung 190 ed una Kradschützen

Kompanie). Il 23 novembre giunsero a

Biserta i primi tre carri Tigre. Altri 3

carri arrivarono a Tunisi l’1 dicembre,

insieme a 4 PzKpfw III. Entro

la metà di gennaio 1943,

con l'arrivo degli ultimi

8 Tigre, entrambe le

compagnie di Lüder

erano a pieni effettivi.

L'operazione

«Eilbote» fu la

prima azione sostenuta

dal Battaglione

al completo.

Panzer Tiger Ausf E- Sd.Kfz.181

Peso: 56 t

Equipaggio: 5 uomini

Armamento: 1 pezzo da 88mm KwK 36 L/56 – 2

mitr. da 7.92mm MG34 – 6 NbK 39 90mm (generatori

di fumo)

Corazza: 26mm minima - 100mm massima

Motore: Maybach HL 210 P 45 - 12 cilindri/650hp

Velocità: 38 km/h su strada - 20 km/h fuori strada

Autonomia: 140 km su strada

464


I primi scontri

1 In Algeria parte del

materiale americano viene

consegnato alle truppe

francesi.

1

2 Una colonna americana

in movimento in Algeria

per dirigersi verso la

frontiera con la Tunisia.

3 Paracadutisti americani

pronti al lancio per una

missione di guerra.

4 Uno Sherman si

prepara ad attaccare,

mentre alcuni soldati

muniti di jeep scrutano il

territorio circostante.

2 3

4

465


PANZER

ARMEE

AFRIKA

Capitolo 35

Guerra

nella Sirte

La Parzerarmee

si pone sulla

difensiva…

ma rischia di

essere presa alle

spalle tramite

un aggiramento

da sud…

484

Il trasporto delle truppe italo-tedesche

non motorizzate era terminato

sulle posizioni arretrate, ma poiché

occorreva evitare che le truppe

poste sulla linea di Marsa el Brega fossero

impegnate nella lotta con i britannici,

Rommel fece dare il segnale della

ritirata. La benzina a disposizione era

sufficiente appena per compire questa

manovra e tra le forze a Tripoli e quelle

al comando di Rommel continuava

a sussistere pochissima coesione.

Grazie alle intercettazioni di

Enigma, gli Inglesi erano perfettamente

a conoscenza delle scarse forze

nemiche rimaste sulla linea Marsa el

Brega. Ciò spinse Montgomery ad anticipare

l’offensiva rispetto alla data prevista

per il 17.

Il mattino del 13 la 51ª Highlanders

(gen. Wimberley) si mise in movimento

sulla via Balbia insieme alla 152ª e

153ª brigata e la 1ª brigata greca,

giunta di rinforzo. Più a sud si mosse la

152ª B.f. scozzese insieme alla 7ª D.cor.

L’avanzata fu lentissima per timore

delle mine.

La mattina del 14 la retroguardia

italo-tedesca (90ª leggera tedesca e il

gruppo Cantaluppi) che si trovava a

sud-ovest di el Agheila venne in contatto

con l’8ª B. cor., ma soltanto verso

mezzogiorno si profilò il massiccio

attacco britannico. Dopo dieci ore di

accaniti combattimenti, durante i

quali ci furono diversi interventi dei

carri M13 della Centauro per evitare

l’avvolgimento della 90ª leggera e

una violenta reazione di fuoco dei

capisaldi, l’azione della 7ª D.cor. fu

stroncata. Le ombre della sera consentirono

poi a Cantaluppi e alla 90ª leggera

di sganciarsi e di portarsi sulla

stretta di el Mugtaa, presidiata dalla

21ª Panzer.

Le perdite erano state notevoli: 109

uomini (di cui 8 ufficiali) tra morti, feriti

e dispersi; otto pezzi da 47/32, dodici

automezzi e quattordici carri distrutti.

Comunque anche i britannici avevano

subito la perdita di 22 carri d’assalto

e 2 carri esploranti. Il proposito britannico

di tagliar fuori la 90ª D. leggera

era fallito, ma nella stessa giornata

la petroliera Macedonia e due navi

veloci che trasportavano complessivamente

3500 tonn di carburante destinate

a Rommel erano state affondate

e al DAK restava in tutto una giornata

di carburante a disposizione.

L’esporazione aerea tedesca

accertò, il giorno seguente, la presenza

di un grosso complesso nemico in

movimento in direzione di Merduma, e

ciò costrinse Rommel ad usare le ultime

gocce di benzina per sgomberare la

sacca. “Mi irritava oltre misura – scrisse

Rommel – vedere che il nemico ci offri-


BATTAGLIA AD EL AGHEILA (14 dicembre 1942)

SGANCIAMENTO DEL DAK (15-16 dicembre 1942)

natura logistica (disguidi nei rifornimenti

di carburante). Si muoveva su

due colonne: a destra la 4ª B.cor. leggera

(gen. Harvey), a sinistra la 6ª e la

5ª B.f. Per tenere libera la via Balbia

alla 21ª divisione, ancora impegnata

dal nemico, il 33° gruppo esplorante

tedesco e la 15ª Panzer era state spostate

da Rommel verso Merduna. In

queste unità si imbatterono le autoblindo

del 1° Royal Dragoons e del 1°

King’s Dragoon Guards. I Royal Scots

Greys erano invece fortemente in ritardo

rispetto al previsto perché rimasti

senza benzina, unici a possedere carri

armati (complessivamente 17 Sherman,

4 Grant e 15 Stuart).

Nel frattempo la 7ª D.cor. tentava

di forzare la stretta di el Mugtaa difesa

dalla 21ª Panzer.

La lotta risultò complicata per i

tedeschi perché impossibilitati a

manovrare, a quando finalmente

arrivò un po’ di benzina, i reparti del

DAK cominciarono l’arretramento

verso en Nofilia. Durante la notte le

unità raggiunsero i punti loro assegnati

e al mattino si trovavano ancora

senza carburante. Nuovamente i britannici

attaccarono. La lotta si stava

spostando sempre più verso la

Litoranea. Quando finalmente giunse

un po’ di benzina, i reparti tedeschi

passarono al contrattacco distruggendo

una ventina di carri nemici, poi

defluirono verso occidente.

Pagina precedente:

Rommel a colloquio

con ufficiali italiani.

va le migliori occasioni per efficaci

contromisure. I comandanti britannici

avevano messo alla loro ala sinistra di

aggiramento soltanto 2000 automezzi

circa. Se avessimo avuto benzina

sarebbe stato facile sbarrare la stretta

di Mugtaa con reparti di truppe e

annientare quel gruppo di aggiramento

con l’impiego della maggior parte

delle nostre unità motorizzate”.

Invece il grosso complesso nemico

(era la divisione neozelandese) procedeva

bene, nonostante gli intoppi di

Nel fortino di Buerat il giorno 17

avvenne un incontro tra Rommel e

Bastico e fu fatto un riassunto delle

vicende degli ultimi giorni. Emerse che

il DAK aveva a disposizione 60 carri,

12 carri erano a Buerat ed altri 10

erano a Tripoli ma privi di benzina.

Con questi mezzi e con scarso carburante

era conveniente affrontare una

lotta ad oltranza sulla linea di Buerat?

«Se perdessimo questa battaglia –

disse Rommel – nessuno potrebbe

sbarrare la strada al nemico fino a

Tunisi». Occorreva quindi arretrare fino

in Tunisia. Alla fine Bastico si disse

d’accordo con la tesi di Rommel, e fu

convenuto di chiedere per radio al

Comando supremo una decisione in

merito. In ogni caso la decisione doveva

essere rapida per poter arretrare

tempestivamente le truppe appiedate

(in maggioranza quelle italiane).

485


PANZER

ARMEE

AFRIKA

Capitolo 37

L’Asse

alla riscossa

In Tunisia arriva

il generale von

Arnim, che era

stato in Russia…

Intanto sta

arrivando pure

Rommel con le

sue truppe

498

Ancor prima che in Tunisia

giungessero le truppe di

Rommel, il gen. Nehring,

sotto l’insistenza di Kesselring,

aveva deciso di prendere l’iniziativa

contro gli anglo-americani, approfittando

dell’arrivo di parte della 10ª

Panzerdivision del gen. Fischer. Lo

scopo della manovra era quello di

impossessarsi della stretta di Tébourba

che, meglio di Djedeida, avrebbe consento

la difesa di Tunisi contro attacchi

provenienti da ovest.

Ma la stretta era occupata dal

17°/21° lancieri e nelle vicinanze stazionavano

altre forze alleate: a

Tébourka il V Northamptonshire e gli

americani del II/13° carri e 5° artiglieria,

dove stavano combattendo contro

una compagnia di paracadutisti tedeschi

colà asserragliatasi; a nord-ovest

di Tébourka si trovavano la Blade

Force e il I/1° cor. americano; il II

Hampshire era ad un paio di km da

Djedeida ed il I East Surrey ad el

Bathan.

Contro queste forze il gen. Fisher

contrappose quattro gruppi tattici

composti da:

il gruppo Lüder (una compagnia carri,

una di motociclisti ed una batteria

campale);

il gruppo Hudel (due compagnie del

1/7° Panzerregiment, una di motociclisti

e due compagnie controcarri);

il gruppo Kock (un battaglione del 5°

paracadutisti, una compagnia controcarri

tedesca e una italiana);

il gruppo Djedeida (una compagnia

paracadutisti e due di fanteria dotati

di due carri Tigre, due Panzer III e tre

cacciacarri).

I primi due gruppi, comandati direttamente

da Fisher, avrebbero attaccato

Tébourka aggirandola dal nord; il

secondo gruppo avrebbe attaccato da

sud-est e il terzo lo doveva impegnare

frontalmente, ma senza forzare.

L’attacco dei tedeschi iniziò con successo

poco prima delle ore 8 del 1°

dicembre 1942. A mezzogiorno la

Blade Force ripiegava in disordine,

mentre a Djedeida gli Inglesi resistevano.

Durante la notte il II Hampshire

arretrò verso Tébourka, mentre il V

Northamptonshire si spostava più a

nord per fronteggiare il gruppo Hudel.

A sostituire la Blade Force fu inviato

sul posto il Combat Command B della

1ª D. Cor. americana, che la mattina

successiva riuscì a respingere momentaneamente

il gruppo Lüder. I tedeschi

però tornarono all’attacco e strinsero il

cerchio.

Il 3 dicembre, con il sopraggiungere

dell’86° Panzergrenadiere che

andava a rinforzare il gruppo Djedei-


Pagina precedente:

i generali Rommel e

Nehring in occasione

di un loro incontro.

In basso: il 18 e 19

dicembre 1942

avvengono dei colloqui

al Quartier Generale

germanico tra Hitler e

Ciano. Sono presenti

Hermann Goering,

il ministro degli Esteri von

Ribbentropp, il Capo del

Comando supremo delle

Forze armate tedesche

Felmaresciallo Keitel e il

Capo di Stato Maggiore

generale Maresciallo

Cavallero. Inoltre, Dino

Alfieri, ambasciatore

italiano a Berlino, e von

Mackensen, ambasciatore

tedesco a Roma.

da e gli interventi della Luftwaffe, la

pressione sulle forze alleate aumentò a

tal punto che queste furono costrette a

ripiegare subendo grandi perdite: 55

carri armati, 4 autoblindo, 4 cannoni

controcarri, 25 pezzi di vario calibro,

300 automezzi e un migliaio di prigionieri.

L’esito della battaglia dimostrò che

le forze italo-tedesche avevano riacquistato

capacità offensiva, e ancor

più che la Luftwaffe aveva fornito un

appoggio efficace tramite incursioni a

volo radente contro i mezzi blindati

nemici. Ciò spinse Eisenhower ad

affermare che se la RAF non sarebbe

riuscita a frenare le incursioni aeree

nemiche sarebbe stato necessario

ripiegare ancora, fino al punto in cui

sarebbe stato garantito un protettivo

«ombrello aereo». Come in effetti

avvenne, perché il gen. Fisher rinnovò

il contrattacco il 6 dicembre, costringendo

gli anglo-americani ad abbandonare

il terreno e a portarsi in tappe

successive (in tre giorni, sotto una

pioggia battente) a nord di Medjerda,

su una posizione denominata convenzionalmente

Longstop Hill.

Intanto tra i tedeschi avvenivano

altri cambiamenti. Qualche giorno

prima, a Berlino, Hitler aveva convocato

al Quartier Generale il gen von

Arnim, che aveva comandato il

XXXIX corpo d’armata in Russia, ed il

gen. Ziegler, suo capo di S.M. Al primo

conferì l’incarico di andare a sostituire

in Africa Nehring, al secondo quello di

“sostituto permanente con pieni poteri”

di von Arnim. In altre parole, se von

Arnim si fosse allontanato girando per

i campi di battaglia (come aveva fatto

Rommel) Ziegler l’avrebbe sostituito al

comando dell’armata con piena autorità.

Hitler assicurò i due che in Tunisia

sarebbero arrivate altre tre divisioni

corazzate e tre motorizzate, oltre la

potente divisione Hermann Göring

della Luftwaffe. Ma i due generali non

furono ben informati delle enormi difficoltà

di rifornimento attraverso il

Mediterraneo controllato dalle forze

alleate. Comunque, dopo tante assicurazioni

e prospettive e la promozione

al grado superiore, Hitler spedì i due

generali in Tunisia, dove giunsero la

sera dell’8 dicembre. Il giorno seguente

Nehring rimpatriò.

La prima cosa che von Arnim fece,

tramite il gen. Gause (giunto nel frattempo

da Roma), fu di consegnare

all’amm. Derrien, comandante delle

forze navali francesi in Tunisia, l’ultimatum

di Hitler. I Francesi dovevano

consegnare immediatamente le instal-

499


PANZER

ARMEE

AFRIKA

Capitolo 38

Operazione

Eilbote

In Tunisia von

Arnim si dà da

fare e dispone una

barriera difensiva

per proteggersi da

ovest. Intanto

pianifica

un’operazione

rapida…

506

Una settimana dopo l’arrivo di

Sogno in Tunisia, il Comando

del corpo d’armata non era

ancora operativo, nonostante

fossero giunti da tempo tutti i responsabili

degli uffici operazioni, informazioni

e servizi. Cosicché von Arnim finì

per chiedere quando il comandante

del corpo italiano si sarebbe assestato

sul fronte assegnatogli. Sogno si recò

da lui il pomeriggio del 7 gennaio

1943, assicurandogli che dal 9 avrebbe

stabilito il proprio comando tattico

a Sousse. Ma c’era un problema: con

c’erano mezzi di collegamento e benché

ne fosse stato ripetutamente sollecitato

l’invio dall’Italia, questi non

erano ancora arrivati. Von Arnim offrì

subito i propri camion, cosicché il 22

gennaio il XXX corpo era già inserito

nel dispositivo, inglobando tutte le

truppe dell’Asse dislocate nella Tunisia

centrale, da Sousse a Sfax. A sud,

invece, si era disposta la D. cor.

Centauro, agli ordini del Comando

Superiore della Libia.

Tra gli Alleati c’erano novità: dal 1°

gennaio la Task Force orientale cambiava

nome in 1ª Armata britannica,

mentre il 4 si costituiva la 5ª Armata

americana, prevalentemente dislocata

in Marocco ed Algeria per timore di

una eventuale offensiva tedesca attraverso

la Spagna ed il Marocco spagnolo,

ma anche per evitare che un

rovescio sul fronte tunisino desse vita

all’opposizione del Nordafrica francese.

Quindi soltanto il 2° corpo d’armata

del gen. Fredendall si stava portando

al fronte.

Eisenhower era allo studio dei vari

piani d’attacco sottoposti alla sua

attenzione. La migliore sembrava

essergli l’operazione Satin, che consisteva

essenzialmente nel taglio della

Tunisia centrale fino a Sfax, e poi l’avanzata

verso nord; oppure un attacco

in direzione di Gabés, e risalita

verso Sfax; o ancora uno sfondamento

nel settore di Kirouan e puntata successiva

su Sousse.

Ma anche i francesi avevano presentato

un loro piano: attacco in direzione

di Sfax per stabilire una barriera

fonte a sud in modo da tagliare la

strada a Rommel, poi effettuare un

rastrellamento della fascia costiera

sino a Capo Bon, ed infine puntare

verso Tunisi.

L’11 gennaio, alla presenza di

Anderson, Juin e Fredendall, Eisenhower

comunicò la sua decisione:

occorreva interrompere la linea di

comunicazione italo-tedesca dando il

via all’operazione Satin, ma prima

occorreva conquistare Fondouk el

Okbi (a questo ci dovevano pensare i


Pagina precedente: dopo

aver combattuto nelle oasi

libiche il gen. Leclerc si è

ricongiunto con le forze

dell'8ª Armata.

A lato: una foto storica

scattata a Casablanca

durante la “Conferenza

della resa incondizionata”

di gennaio 1943.

Da sinistra, Giraud,

Roosevelt, De Gaulle

e Churchill.

In basso:

a Casablanca i due

protagonisti-antagonisti

della resistenza

francese, Giraud e

De Gaulle, costretti a

stringersi la mano davanti

all'obiettivo.

francesi in collaborazione con unità

corazzate americane) e contemporaneamente

la stretta di el Guettar (da

parte del 2° corpo americano).

L’attacco francese riguardò il fianco

sinistro della Superga disposta su un

fronte di venti chilometri che fu sopraffatta

dopo sei ore di lotta. L’impeto

francese fu bloccato dal battaglione di

marcia tedesco A 22 disposto in seconda

linea, cosicché il nemico tentò di

allargare la breccia attaccando altri

obiettivi.

Von Arnim corse ai ripari facendo

studiare un’azione rapida che spazzasse

via la minaccia francese dalla

Dorsale orientale, senza dar tempo

agli Alleati di intervenire con le truppe

di riserva. L’operazione fu chiamata

Eilbote (corriere espresso), e si sviluppava

in due mosse: la prima effettuata

dalla colonna Koch (con la 10ª

Panzer) e la seconda da un gruppo

costituito con reparti della 334ª D. f. e

della 10ª D.cor. agli ordini del col.

Weber.

La colonna Koch si diresse verso Bu

Arada ed impegnò a fondo la fanteria

della 6ª D.cor.; non riuscì a sfondare,

tuttavia ottenne quant’era nelle previsioni,

cioè impedire che andasse a dar

man forte ai francesi.

507


Contemporaneamente in direzione

sud avanzarono le forze di Weber. Alle

5,30 del 18 gennaio il 756° Gebirgsjäger

attaccò la postazione tenuta

dalla Legione Straniera che si difese

accanitamente, tanto da costringere i

tedeschi a far intervenire, con un aggiramento

a breve raggio, i carri del

gruppo Lüder (una quindicina di Tigre

e una trentina di Panzer III); in breve

la postazione francese fu circondata e

a niente servì il contrattacco di un’altra

aliquota di legionari (spalleggiata

da carri Valentine) che fu costretta a

retrocedere.

Il gruppo Lüder riprese il movimento

verso sud e alle 22 giunse ad el

Hamra, sopraffacendo le resistenze

incontrate. Intanto il gruppo tattico

Hasemann (parte del battaglione A 25

e una compagnia del 190° gruppo

cor.), che aveva avuto il compito di

agevolare la discesa del gruppo

Lüder, ancora prima che questi arrivassero,

attaccò il I/7° tirailleurs

marocchino, sfondandone le difese in

un’ora. Per tamponare la breccia

sopraggiunse il III/7° tirailleur, che era

in secondo scaglione, e nonostante

l’appoggio di carri leggeri inglesi non

ottenne alcun esito. Quando giunse il

gruppo Lüder, l’intero settore mosse in

avanti occupando nuove importanti

posizioni. Ciò spinse il gen. Mathenet a

comunicare via telefono con tono

allarmato: «i carri tedeschi stanno

facendo a pezzetti la divisione»; poi

ordinò la ritirata di tutte le unità sul

Djebel Bargou, dove (a 1.200 metri

d’altezza) i carri del nemico non sarebbero

certo arrivati.

Il 20 mattina, consolidato il possesso

di Nenchir Moussa da parte del gruppo

Lüder, l’attacco tedesco riprese con

la fanteria che si impossessò della

stretta di Sidi Salah cacciando via i

francesi. Il tratto settentrionale della

Dorsale orientale era tornato in possesso

dell’Asse, e ai francesi l’operazione

era costata la perdita di 4.000 uomini

(3.000 furono i prigionieri), 70 cannoni,

13 carri, 200 automezzi e molto materiale

vario, contro le irrilevanti perdite

italo-tedesche.

508

DISPOSITIVO ITALO-TEDESCO al 12 gennaio 1943

Poiché l’operazione Eilbote aveva

dato fino a quel momento ottimi risultati,

von Arnim decise di far proseguire

l’azione. Il gruppo Lüder, perciò, riprese

il movimento a sud andando a

scontrare le truppe francesi che si

erano rafforzate e posizionate su tre

sbarramenti: il primo, il più robusto, fu

superato d’impeto; gli altri due aggirati

a breve raggio.

Il giorno seguente, 21 gennaio, i

tedeschi fecero una pausa, limitandosi,

con gli italiani della Superga, ad eliminare

le ultime sacche di resistenza

nella zona. Nel pomeriggio gli americani

effettuarono un raid aereo sulle

posizioni germaniche, il cui scopo principale

fu quello di recuperare le truppe

francesi.

A questo punto von Arnim pensò

fosse giunto il momento di interrompere

l’operazione tedesca, non essendo

possibile un’ulteriore avanzata; il 23 il

gruppo Lüder rientrò nelle proprie


OPERAZIONE EILBOTE (18-20 gennaio 1943)

e mezzi e l’aumento dell’irascibilità di

Giraud, che se la prese con i britannici

e la lentezza dell’aviazione americana.

Costoro, invece, più a nord avevano

il loro da fare nel cercare di tenere

lontani i carri tedeschi.

R R R

linee e fu sciolto. La Superga si riassestava

tra i battaglioni di fanteria tedeschi.

Ad Eisenhower non restò altro da

fare che sciogliere il distaccamento

d’armata francese, e i soldati tunisini

del gen. Barré si andarono a raccogliere

nella zona di Costantina. In tal modo

la 1ª Armata britannica risultava ora

composta dal 5° corpo britannico, dal

19° francese e dal 2° americano.

Tra la fine di gennaio e l’inizio di

febbraio avvennero altri tentativi di

attacco da parte dei francesi che

sostanzialmente non portarono a

nulla, se non la perdita di altri uomini

Nel frattempo Roosevelt e Churchill,

dando per scontato l’esito favorevole

della guerra in Africa, si ponevano il

quesito di cosa fare successivamente.

Inoltre, gli U-Boote stavano compiendo

in Atlantico una strage nei convogli e

occorreva risolvere il problema della

sicurezza nella navigazione. Per risolvere

i dilemmi proposero a Stalin un

incontro a tre, ma poiché costui era al

momento indisponibile, si decise di

organizzare un incontro a due a

Casablanca.

La conferenza ebbe luogo dal 14 al

24 gennaio. Risultò evidente che la

lotta in Nordafrica era tutt’altro che

conclusa e probabilmente l’invasione

dell’Europa non sarebbe potuta avvenire

prima del 1944.

Gli Inglesi sostennero che occorresse

sfruttare la conquista del Nordafrica

per costringere l’Italia ad uscire dal

conflitto e far intervenire la Turchia al

fianco degli Alleati. Nel frattempo

occorreva continuare ad inviare rifornimenti

in Russia e i preparativi di

Bolero. Se la conquista del Nordafrica

fosse avvenuta in breve tempo si

sarebbe potuto inviare un corpo di

spedizione di 20-25 divisioni nel continente

europeo anche l termine dell’estate

del ‘43. Ancor meglio, dare avvio

all’operazione Husky (invasione della

Sicilia) o Brimstone (invasione della

Sardegna) e, successivamente, balzo

nella penisola italiana. Le conseguenze

di ciò sarebbero state: la sicura

caduta di Mussolini e dell’Italia; maggior

impegno di Hitler nel Mediterrneo

a spese delle difese in Europa occidentale;

basi aere a disposizione in Italia

per colpire gli impianti bellici nella

Germania meridionale e i campi

petroliferi in Romania.

Gli Americani invece temevano

che una lotta in Italia avrebbe ridotto

di molto le riserve destinate all’invasione

dell’Europa. Tanto valeva aspettare

e impegnarsi maggiormente nel

Pacifico contro i Giapponesi.

509


La Tunisia è bombardata

1

1 In una Biserta che ha

già conosciuto l’orrore del

bombardamento aereo

arrivano navi che

scaricano materiali bellici

e provviste.

2 Vengono anche

scaricati nuovi carri M14.

3 Una postazione italiana

del 131° Reggimento

Artiglieria Corazzata ad

el Guettar.

4 Fuoco della contraerea

a Tunisi.

5 Una strada di Biserta

dopo il bombardamento

del 6 gennaio 1943.

2

510


3 4

5

511


I Tedeschi incutono ancora timore

1

1 Anche se gli Alleati

hanno a vantaggio la

superiorità aerea, ciò non

vuol dire che la Luftwaffe

non sia presente nei cieli.

Questo B25 è stato

attaccato da un

Messerschmitt 109 ed ha

effettuato un atterraggio

di fortuna in Algeria,

nei pressi della frontiera

tunisina.

2

3 4

526


2 Un carro Valentine

funge da trasporto di fanti

della 51ª Highland

Division.

5

3 Quest’altro Valentine,

invece, catturato dai

tedeschi è stato usato

dalla 7ª Panzer Regiment

ed ora dalla

10ª Panzerdivision.

4 Soldati britannici

avanzano in Tunisia

con l'appoggio di carri

americani.

5 Uno Stuart M3

americano della 1 D.cor.

è stato catturato ed è ora

oggetto di curiosità da

parte di soldati tedeschi.

6

527


PANZER

ARMEE

AFRIKA

Capitolo 40

Battaglia

a Mareth

Le truppe di

Montgomery

pressano gli italotedeschi

da sud e

giungono a

battaglia, mentre

Rommel prepara

il piano Capri…

che non è una

vacanza…

528

Sulla linea di Mareth, i Britannici

al comando di Montgomery si

trovavano a stretto contatto con

le logorate unità italo-tedesche,

già al comando del gen. Messe. Dopo

il suo insediamento (20 febbraio), il

generale italiano comunicò al comando:

“(…) non bisogna però nascondersi

che gli uomini sono usciti da questa

durissima impresa provati nel fisico e

turbati nello spirito. Logori ne sono

usciti i materiali. Lo sforzo tuttavia

rimarrebbe infruttuoso se in questo

periodo che abbiamo a disposizione

fino alla prossima battaglia le forze

tratte in salvo non ricevessero il necessario

potenziamento per affrontare

nuovamente l’urto (…)”.

Era stato quindi predisposto lo spostamento

a sud della 10ª e 21ª Panzer,

ma a causa dell’attacco della 5ª

Armata tale manovra subì il ritardo di

alcuni giorni. Anche il DAK fu assegnato

alla 1ª Armata, ma Rommel

dispose che Ziegler assumesse il

comando di tutte le unità tedesche,

eccetto che per la 90ª leggera che

restava al XXX corpo

Da parte italiana il XX corpo aveva

bisogno di essere resa più organica. Fu

decisa la trasformazione della Giovani

Fascisti in Bersaglieri d’Africa (7° e 8°

bersaglieri), però i due battaglioni

necessari per completare i reggimenti

sarebbero arrivati solo a fine aprile per

carenza di armi controcarri e automezzi;

c’erano enormi difficoltà per ricostituire il

DLIX gruppo semoventi da 75/18, il cui

materiale si trovava in fondo al mare; si

cercava, tuttavia, di inviare in Tunisia

altri dieci battaglioni e venti batterie per

completare le unità. Anche la Centauro,

che passava all’armata, doveva

essere ricostruita, però il 31° carristi

doveva limitarsi a due battaglioni, il 5°

bersaglieri non avrebbe ricevuto il terzo

battaglione che a fine aprile.

Montgomery ebbe quindi tutto il

tempo necessario per rafforzare i preparativi

difensivi delle sue truppe sulle

nuove posizioni occupate, per cui un

attacco contro l’8ª Armata britannica

diveniva ora assai arduo. Restava una

speranza: che il nemico non si fosse

ancora ben assestato nella zona intorno

a Medenine; disperdere queste

forze avrebbe consentito di guadagnare

tempo. Ma possiamo ben immaginare

quale fosse il morale delle truppe

italo-tedesche, se consideriamo che

aveva di fronte un nemico superiore di

forze e mezzi, esperto della guerra nel

deserto, che poteva spostarsi ovunque

liberamente e rapidamente, e dotato

di risorse praticamente inesauribili.

Fu vivacemente discusso se convenisse

restare sulla difensiva o attacca-


LA POSIZIONE DI MARETH-EL HAMMA

re; inoltre, la difesa doveva posizionarsi

sulla linea di Mareth el Hamma,

oppure ad Akarit, come avrebbero

preferito Rommel e Messe? Ma il

Comando supremo già da dicembre

aveva scelto la prima posizione e su

questa erano stati effettuati la maggior

parte dei lavori per renderla efficiente.

Questa posizione era suddivisa in due

settori: la linea di Mareth, fronte a sudest,

chiamata pomposamente “la

Maginot del deserto”, e la linea di el

Hamma, fronte a sud-ovest. La prima

s’imperniava praticamente sulle vecchie

fortificazioni francesi (casematte e

capisaldi campali) tutto sommato piuttosto

modesti, sia per le demolizioni

operate dei francesi che per l’incuria

del tempo; fu necessario perciò fortificata

maggiormente con l’aggiunta di

fossi anticarri, 68 km di reticolato e

18.000 mine anticarro.

Complessivamente l’armata contava

circa 77.000 uomini, 400 pezzi d’artiglieria

da campagna e pesanti, 80 carri

efficienti (14 italiani e 66 tedeschi) e 87

autoblindo (40 italiani e 47 tedeschi).

La decisione presa fu: attaccare.

Messe e Rommel furono tutt’altro che

Pagina precedente:

il gen. Freyberg dirige le

operazioni dai monti di

Matmata sul carro del

comandante, un Honey

soprannominato Polly III.

LA BATTAGLIA DI MEDENINE (6 marzo 1943)

529


PANZER

ARMEE

AFRIKA

Capitolo 41

La lotta

finale

La fronte a sud

non si può tenere

senza aiuti e

Rommel

raggiunge in

Russia Hitler, il

quale è abbattuto

per la disfatta di

Stalingrado… In

queste condizioni

quale aiuto

può ricevere il

felmaresciallo?

540

Rommel, nel suo rapporto al

Comando supremo e all’OKW,

descrisse la situazione delle

forze dell’Asse e finì col chiedere:

“Poiché l’estensione del fronte di 625

km sarebbe alla lunga insostenibile,

essa deve essere ridotta a 150 km.

Come nuova linea sarebbe da prendere

in considerazione il fronte attuale

della 5ª Armata corazzata fino a

Gebel Mansour e di qui, attraverso le

montagne, fino a Enfidaville. Sarebbe

inoltre desiderabile che il nemico

venisse respinto oltre le montagne in

direzione ovest, fuori dalla zona di

Medjez el Bab e di Bou Arada.

Naturalmente il proposto accorciamento

del fronte avrebbe per conseguenza

l’abbandono di gran parte

della Tunisia e, fra l’altro, anche di

campi di aviazione. Il nemico, inoltre,

potrebbe stabilire via terra il collegamento

fra il gruppo ovest e il gruppo

est. Ma il fronte accorciato avrebbe il

vantaggio di poter essere presumibilmente

tenuto più a lungo di quello

presente. Se questo lungo fronte crollasse,

la 1ª Armata non potrebbe più

essere rifornita. Le due armate sarebbero

sopraffatte separatamente. E allora

non si potrebbe più stabilire un fronte

accorciato delle dimensioni proposte,

per mancanza di forze insufficienti

e la testa di ponte in Africa sarebbe

completamente perduta.”

Si occupò anche del problema dei

rifornimenti: “(…) spiegai che si poteva

incominciare a stabilire le scorte indispensabili

alla difesa da un attacco in

grande quando gli arrivi raggiungessero

almeno 140.000 tonn mensili. Da

quanto si può umanamente calcolare

e in base all’esperienza degli ultimi

anni questo risultato non è però raggiungibile.”

Chiuse il rapporto in questo modo:

“In considerazione di questa difficile

situazione del gruppo di armate, prego

di comunicarmi una rapida decisione

sull’ulteriore condotta strategica della

guerra in Tunisia. Si può calcolare sull’inizio

della grande offensiva nemica già

nella prossima fase di luna piena.”

La decisione si fece attendere a

lungo, finché il comandante in capo

del sud informò Rommel che Hitler non

si trovava d’accordo sul suo giudizio

della situazione. Accluso alla risposta

c’era uno specchietto comparativo

delle forze in campo, compilato in

base al numero dei reggimenti, senza

tener conto dell’armamento e dei

mezzi a disposizione. In quel modo si

voleva dimostrare che non si era così

inferiori al nemico.

«Evidentemente – commentò Rom-


Pagin precedente:

il gen. Messe e

il gen. Mancinelli in una

foto di marzo 1943.

Un colloquio del 16 marzo

tra i generali Patton

ed Eisenhower prima

dell'offensiva del

2° corpo americano.

mel – lassù si facevano delle illusioni a

causa del fatto che le possibilità dei

trasporti erano di molto accresciute in

rapporto ai tempi precedenti».

Infatti, in gennaio erano arrivati

46.000 tonn di merci, con 50 carri

armati, 2000 automezzi e 200 cannoni;

in febbraio 53.000 tonn, con altri 50

carri armati, 1300 automezzi e 120

cannoni. Tuttavia non si teneva conto

che nel frattempo l’equipaggiamento

degli anglo-americani non solo era

divenuto più numeroso ma anche

migliorato qualitativamente.

Il 7 marzo Rommel ritornò a Beni

Zelten dove congedò il gen. Ziegler e il

col. Bayerlein; quest’ultimo fu assegnato

al gen. Messe in qualità di capo

tedesco dello stato maggiore generale.

Poi, il 9, Rommel partì in volò per il

Quartier generale del Führer in Russia

con l’intento di informare Hitler dei

reali problemi operativi in Tunisia.

Fece prima una tappa a Roma, dove

parlò con Mussolini; si rese conto che

anche costui mancava del senso della

realtà, probabilmente perché temeva

che una caduta di Tunisi avrebbe

causato ripercussioni sulla politica

interna italiana. Rommel rifiutò persino

l’invio di un’altra divisione italiana

in Tunisia, rispondendo al Duce che

avrebbe preferito piuttosto un maggior

rifornimento d’armi alle truppe già esistenti

sul territorio tunisino. Il tono del

Duce, che parlava in tedesco, era iniziato

in modo cordiale ma divenne

alla fine alquanto aspro, irritato dalle

opinioni “disfattiste” di Rommel.

Cosicché egli prese la medaglia d’oro

che voleva consegnargli, in bella

mostra sulla scrivania, e la pose in un

cassetto. Rommel notò la manovra e si

morse la lingua: sarebbe stato meglio

attendere la consegna della medaglia,

prima di parlare, pensò. Tuttavia

Mussolini lo ringraziò per le sue prestazioni

durante la campagna d’Africa e

gli espresse tutta la sua fiducia.

A proposito di Mussolini Rommel

scrisse: “Ho sempre apprezzato molto il

Duce. Era, è vero, un grande commediante

come la maggior parte degli

italiani. Sebbene avesse un livello

intellettuale molto elevato, era troppo

schiavo del sentimento per poter realizzare

i suoi piani ambiziosi. Ma è fuor

di dubbio che il popolo italiano gli

deve molto. La bonifica delle paludi

pontine, la colonizzazione della Libia e

dell’Abissinia non sarebbero mai

avvenute senza di lui. Purtroppo, molti

suoi collaboratori non vedevano sempre

le cose da un punto di vista ideale

come il suo, bensì esercitavano una

corruzione organizzata. Ora il Duce

vedeva infrangersi il suo sogno. Erano

ore amare per lui ed egli non era certamente

in grado di trarne le conseguenze.

Forse, alla fine, avrei dovuto

comportarmi verso di lui in un altro

modo, ma ero così irritato per quell’eterna

mania di veder tutto roseo che

proprio non potevo”.

Nel pomeriggio del 10 Rommel era

in Russia alla presenza di Hitler. Costui

era molto abbattuto per la catastrofe

di Stalingrado; disse che dopo una

sconfitta si era inclini al pessimismo, e

questo poteva condurre a fallaci con-

541


PANZER

ARMEE

AFRIKA

Capitolo 42

Enfidaville:

ultima battaglia

Inutile difesa

alle porte di

Enfidaville. La

resa è inevitabile,

ma tocca a von

Arnim. L’aveva

scampata in

Russia, ma qui…

552

Il 7 aprile 1943 i capi di Stato

Maggiore britannici segnalarono a

Washington che probabilmente

l’Asse avrebbe tentato un’evacuazione

in massa dalla Tunisia, cosa da

impedire ad ogni costo.

Il 10 aprile Ultra inviò a Montgomery

un’altra lieta novella: gran

parte della 21ª Panzer, della 164ª e

della 90ª leggera ripiegavano a piedi

per mancanza di carburante, ed avevano

quindi abbandonato il materiale

pesante.

Montgomery chiese ad Alexander

quale armata sarebbe stata incaricata

di svolgere la parte principale nella

fase finale della campagna. A quest’ultimò

sembro più adatta la 1ª di

Anderson, in quanto i suoi mezzi corazzati

avrebbero potuto irrompere con

più facilità nella piana ad ovest di

Tunisi, mentre la cortina montana di

Enfidaville sembrava un ostacolo più

duro da superare. In realtà in questa

scelta c’era lo zampino di Eisenhower,

il quale desiderava che il merito del

successo finale andasse alla 1ª

Armata e in particolare al 2° corpo

americano. Fece così in modo che il

piano fosse subito approvato. A

Montgomery fu soltanto chiesto: «Spero

che pensiate a sviluppare la massima

pressione contro la posizione di

Enfidaville in concomitanza con l’attacco

della 1ª Armata…».

L’attacco a nord, secondo le istruzioni

impartite il 12 aprile, doveva svilupparsi

nel seguente modo:

– offensiva da parte della 1ª

Armata con obiettivo Tunisi;

– attacco contemporaneo del 2°

corpo americano, alle dipendenze di

Alexander, con obiettivo Biserta;

– forte pressione dell’8ª Armata su

Enfidaville ed eventuale avanzamento

lungo la direttrice Enfideville-

Hammamet-Tunisi.

L’intera operazione rientrava in un

piano chiamato Vulcan. Il calcolo

delle forze in campo era di circa 10 a 1

per i carri, 4 a 1 per le artiglierie, 5 a 1

per i pezzi controcarro.

Intanto, in campo avverso, si faceva

tutto il possibile per rinforzare le

difese. Tra le unità italiane di nuova

costituzione figurava il reggimento

d’assalto Duca d’Aosta della Regia

Aeronautica. Scomparve dalla scena

la Centauro, i cui reparti corazzati si

unirono al gruppo Piscicelli, altri al

Reco Lodi oppure passarono alle

dipendenze della Pistoia. Il 5° bersaglieri

era in via di ricostituzione.

Il sistema difensivo comprendeva

una posizione avanzata, una zona

definita “di sicurezza” ed una posizione

di resistenza. La posizione avanzata


RIPIEGAMENTO DEL 10 E 11 APRILE

e la Trieste. Poi il XXI con la Pistoia, la

164ª leggera e la Spezia.

Le riserve erano misere, praticamente

la sola 15ª Panzer ridotta ad un

pugno di carri.

La difesa nella retrovie doveva

essenzialmente occuparsi di vigilare

contro eventuali azioni di commandos

e di paracadutisti, ma anche contro

eventuali tentativi di sbarco. Per questa

ragione fu particolarmente rinforzata

la penisola di Capo Bon con artiglierie

costiere e con reparti autoblindo di

cavalleria: Reco Lodi, Nizza e Monferrato.

Nei giorni successivi si estesero le

misure lungo tutta la costa interessata.

Ogni presidio si organizzò a caposaldo

contro ogni direzione.

Pagina precedente:

il gen. britannico

Anderson incontra

il gen. Bradley,

comandante del 2° corpo

americano.

doveva essere occupata da elementi

in grado di potersi muovere agevolmente

e con buona potenza di fuoco,

in modo da dare l’impressione che

fosse quella principale. La zona di

sicurezza era più profonda, specialmente

in corrispondenza di Enfidaville,

di Biada e di Saouaf. In questa zona

era compresa il saliente di Takrouna,

una ripida altura rocciosa di 150 m,

dalla quale si poteva dominare la

valle e che avrebbe potuto esercitare

un effetto frenante alle spalle di un

nemico che si fosse avventurato negli

“inviti” naturali della posizione difensiva.

Lo schieramento vedeva in sostanza

il XX corpo, posizionato ad oriente

con la 90ª leggera, la Giovani Fascisti

A metà aprile la consistenza del

gruppo d’armate venne valutato in

200.000 uomini: 70.000 italiani e

43.000 tedeschi per la 1ª Armata;

34.000 italiani e 18.000 tedeschi per il

DAK; 1.800 italiani e 34.000 tedeschi

per la 5ª Armata.

Quanto all’aviazione, quella italiana

veniva inglobata nel Comando

Aeronautica Tunisia del gen. Boschi,

con due gruppi del 54° stormo caccia

e due squadriglie MC.200 del 162°

gruppo d’assalto (in tutto 50 aerei). Il

Fliegerführer disponeva di 328 aerei

tedeschi.

Montgomery effettuò delle ricognizioni

su Enfidaville e persino alcuni

tentativi di occupare di slancio qualche

buona posizione, tutti falliti. Si convinse

che la posizione del nemico era

difficilmente prendibile, se questo si

fosse ben arroccato. Il terreno effettivamente

era inadatto ad un attacco di

carri armati ed il nemico disponeva di

ottimi punti d’osservazione.

Ciò nonostante inviò un messaggio

ad Alexander che annunciava: “Tutte

le mie truppe hanno un altissimo

morale e vogliono essere presenti alla

Dunkerque finale…”.

Alexander era impegnato a preparare

gli ordini per l’attacco imminente:

nella notte sul 20 avrebbe attaccato

l’8ª Armata con tre divisioni in prima

linea, la 50ª inglese, la 2ª neozelandese

e la 4ª indiana; il 22 avrebbe attaccato

la 1ª Armata britannica; il 23 il 2°

corpo americano.

Montgomery, dal canto suo, asse-

553


La resa

1

1 Prigionieri tedeschi

catturati il 12 maggio

1943 a Hamman Lif,

alla base della penisola

di Capo Bon.

2 Hans-Jürgen von Arnim

fotografato subito dopo la

resa.

2

562


3 4

5

3 Un primo piano di von

Arnim e un altro ufficiale

tedesco catturato dalle

truppe alleate.

4-5 Dopo la capitolazione

in Africa von Arnim viene

inviato a Londra. Eccolo

qui dopo l’atterraggio

all’aeroporto della capitale

inglese.



I

Indice del volume

276

Capitolo 18

Pausa di primavera

Riorganizzazione generale

284

Capitolo 19

Malta o Tobruk?

Atroce dilemma nei Comandi tedesco e italiano

294

299

Capitolo 20

Si va a Tobruk

Dilemma risolto. Ma è la decisione giusta?

Un incontro col nemico Rommel

304

306

312

316

Capitolo 21

Vittoria nel deserto

Operazione di “mezzo giugno ‘42”

Aerei dell’Asse

Aerei degli Alleati

318

327

Capitolo 22

Tobruk cade

La nave ospedale

330

336

337

Capitolo 23

Sull’onda del successo

Qui Duce, a voi Führer!

Qui Führer!

342

347

349

350

Capitolo 24

El Alamein

Mussolini cambia idea?

Rommel e il soldato italiano

L’Egitto di re Faruk: meta agognata

358

366

367

Capitolo 25

Gli uomini

Halam el Halfa

Bernard Law Montgomery

Clifton il temerario

372

379

382

383

Capitolo 26

Il male di Rommel

Nuovi mezzi britannici

Operazione Big Party

Special Air Service (SAS)

390

Capitolo 27

Ritorna Rommel

577


400

405

407

Capitolo 28

La stoccata finale

I “Leoni” della divisione Folgore

I sacrari ad el Alamein

414

Capitolo 29

La ritirata

426

433

434

Capitolo 30

Gli uomini

Gli uomini

Operazione Torch

Henri-Philippe-Omer Pétain

Franklin Delano Roosevelt

438

441

446

449

Capitolo 31

Gli sbarchi nell’Africa francese

La scienza al servizio delle forze armate

Le armi leggere statunitensi

Mitragliatori statunitensi

452

Capitolo 32

L’Asse reagisce

458

459

464

468

Capitolo 33

Primi scontri in Tunisia

In Tunisia comandiamo noi!

Panzer Tigre I

Bombe e accessori made in USA

470

477

Capitolo 34

Ritirata in Cirenaica

A proposito di rifornimenti

484

Capitolo 35

Guerra nella Sirte

Il Natale di Rommel

490

Capitolo 36

Via dalla Cirenaica

498

501

Capitolo 37

L’Asse alla riscossa

L’azione dei commandos

506

512

513

Capitolo 38

Gli uomini

Operazione Eilbote

George S. Patton

Uniformi statunitensi

516

Capitolo 39

Ultimi attacchi dell’Asse

528

532

Capitolo 40

Battaglia a Mareth

Le forze aeree degli Alleati

578


540

547

Capitolo 41

La lotta finale

Come ti risolvo il problema Rommel e quello dei rifornimenti

552

559

570

Capitolo 42

Enfidaville: ultima battaglia

La stampa tedesca

L’emporio dello zio Sam

Indice generale

4

6

Prefazione

La corsa alle colonie d’Africa delle nazioni europee

8

Antefatto

La situazione politica in Italia e in Europa

40

Capitolo 1

Il territorio conteso

50

Capitolo 2

Si muove Graziani

68

Capitolo 3

Gli Inglesi attaccano

82

Capitolo 4

Arriva Rommel

106

Capitolo 5

Guerra nelle oasi

122

Capitolo 6

L’Asse avanza

146

Capitolo 7

Operazione Brevity

154

Capitolo 8

Battleaxe

170

Capitolo 9

Pausa operativa

180

Capitolo 10

I preparativi

198

Capitolo 11

Operazione Crusader

579

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