Rommel Panzerarmee volume 2°
- No tags were found...
Create successful ePaper yourself
Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.
La prima denominazione delle forze dell’Asse
in Africa fu quella di Panzergruppe Afrika. Così fu
chiamata fino al 23 gennaio 1942, quando Rommel
si presentò al Comando italiano informandoli che per
ordine di Hitler il Panzergruppe Afrika diventava la
Panzerarmee Afrika, in virtù anche del fatto che
Rommel era stato promosso generale d’armata. Tale
denominazione continuava a comprendere tutte le forze
italo-tedesche, sia quelle corazzate che di fanteria. Si
pensava di essere ormai sufficientemente numerosi e
potenti da far ritenere possibile la definitiva conquista
dell’Egitto.
Coordinamento editoriale: Mario Lazzarini
Progetto grafico e impaginazione: Angelo R. Todaro
© 2020 - Angelo R. Todaro
Prima edizione
Edito da Italia Editrice
Foggia, Viale degli Artigiani, 10b
Tel. 0881 723980 - 0881 368629
Fax. 0881 723980
Per le fotografie di cui non è stato possibile rintracciare gli eventuali aventi diritto,
l'editore si dichiara disponibile ad adempiere ai propri obblighi.
Angelo R. Todaro
ROMMEL
Panzerarmee Afrika
Italiani e Afrika Korps in Nordafrica
Dalla conquista di Tobruk
alla sconfitta definitiva in Tunisia
(febbraio 1942 - maggio 1943)
PANZER
ARMEE
AFRIKA
Capitolo 18
Pausa
di primavera
Una necessaria
pausa per potersi
riorganizzare…
276
La primavera del ‘42 fu dedicata
alla riorganizzazione generale. Il
problema principale per gli
Italiani era l’inesistente motorizzazione
della fanteria che, in ambiente
desertico, trovava ovviamente difficoltà
a spostarsi a piedi. Il Comando
Superiore stimò che, per sanare la
situazione, occorrevano almeno 6.650
automezzi e, al momento, l’arrivo in
Libia era di circa un migliaio al mese.
C’era poi il problema degli uomini.
Inizialmente era previsto che ogni
unità fosse tenuta in Africa per il massimo
di un anno, data la particolare
asprezza della guerra nel deserto. Ed
infatti i Tedeschi si attenevano a questa
regola ed effettuavano sostituzioni
regolari. Molti militari italiani, invece,
raggiunsero anche i quattro anni di
permanenza in Libia. Si studiò quindi
un piano di avvicendamento, ma
occorrevano almeno 55.000 uomini.
Anche trasportando via mare 10.000
uomini al mese (di cui 2.500 per il normale
rimpiazzo) per completare il
piano occorrevano sette mesi. Da
parte tedesca, invece, erano pronti
10.800 uomini di nuovi reparti e 8.000
complementi.
L’organizzazione logistica, invece,
fu completata e per ridurre la durata
dei percorsi si formò una catena di
basi di rifornimento che, partendo da
Tripoli, toccava Misurata, Sirte, el
Agheila, Bengasi e Berta. Altri punti
intermedi di rifornimento erano dislocati
a Homs, Buerat, en Nofilia,
Agedabia e Barce. Ogni centro logistico
alimentava con autocarri le unità
che si trovavano nelle vicinanze.
Questo sistema comunque andava
bene in una stasi operativa, ma quando
il ritmo dei combattimenti costringeva
i reparti a spostamenti convulsi,
mostrava tutti i suoi limiti. Il sistema
tedesco invece prevedeva che ogni
divisione si rifornisse con propri automezzi
e avesse al seguito dotazioni tali
da superare quei momenti in cui non
era possibile rifornirsi. In definitiva
quello dei rifornimenti era essenzialmente
un problema italiano.
C’era poi il problema delle riparazioni.
La Fiat disponeva di tre officine
fisse (a Tripoli, Misurata e Bengasi) e
una mobile (al villaggio Crispi). Ogni
mese effettuava 50 revisioni generali,
ma ora doveva triplicare il rendimento.
La Lancia aveva due officine fisse
(a Tripoli e Bengasi) e revisionava 60
automezzi al mese. Ora doveva raddoppiare
il lavoro.
C’era il problema del Sahara libico
e delle oasi. La Long Range Desert
Group (inglese) e le forze del col.
Leclerc (francesi) effettuavano continue
scorribande nelle retrovie. Attac-
Pagina precedente:
Cavallero con i generali
von Rintelen e
Baldassarre.
In basso, da sinistra:
i generali Curio Barbasetti
di Prun, Ludwig Crüwell
ed Ettore Baldassarre.
cavano i presidi sfruttando la sorpresa
e la mobilità; tendevano più alla cattura
o all’eliminazione dei presidi che
all’occupazione degli stessi. Inizialmente
i risultati furono limitati, ma i
successi invogliarono a obiettivi più
importanti, quali i campi d’aviazione.
Cavallero ordinò di rioccupare i presidi
perduti e di formare reparti mobili per
reprimere le puntate nemiche.
Ci fu poi un piccolo contrasto diplomatico:
Rommel, al momento di partire
per Roma, aveva lasciato il comando
della Panzerarmee al gen. Crüwell,
provocando il disappunto di Zingales
che, essendo più anziano, si attendeva
la nomina. Ci furono attriti con i
Tedeschi. Cavallero fu messo al corrente
e, poiché il Comando della
Panzerarmee era interamente tedesco,
ritenne ingiustificata la pretesa di
Zingales. In conclusione il generale
Baldassarre, vecchio comandante
dell’Ariete, andò a sostituire Zingales.
Il 17 febbraio, Rommel, nel frattempo
promosso colonnello generale, era
davanti a Hitler a Rastemburg. Pur
interessato all’avanzata in Egitto,
quando Rommel gli assicurò che con
altre 6 divisioni motorizzate avrebbe
spazzato via gli Inglesi, il Führer fu
costretto a respingere la richiesta. In
effetti era molto preoccupato per il
fronte russo, dove era in corso la controffensiva
sovietica; von Brauchitsch,
comandante in capo dell’esercito, era
stato esonerato; i tre comandanti di
gruppo d’armate in Russia, von
Rundsted, von Block e von Leeb, si
erano dimessi. Rommel propose allora
l’occupazione di Malta, che costituiva
una grave minaccia ai convogli, ma
ricevette risposte evasive.
La stessa proposta di prendere
Malta, Rommel la fece a Mussolini il
17 marzo, quando gli si presentò
accompagnato da Cavallero. Il Duce
sembrò convincersi, ma non si sbilanciò.
Il 19 marzo Rommel rientrò in
Libia.
Intanto, il 1° marzo, il gen. Barbasetti
di Prun aveva sostituito Bastico
nella carica di capo di Stato Maggiore
del Comando Superiore. Alla tensione
derivata dai suoi contrasti con
Rommel si erano aggiunti attriti con il
Comando Supremo a Roma.
A Londra il Comitato di Difesa era
in allerta perché il passaggio indisturbato
di tre navi tedesche nella
Manica, Scharnhorst, Gneisenau e
Prinz Eugen, fece pensare come imminente
un attacco a Malta. Churchill
inviò un telegramma ai capi di Stato
Maggiore: “Siamo decisi a impedire
che Malta cada senza che la vostra
intera armata affronti una battaglia
per tentare di evitarlo. La perdita della
fortezza implicherebbe la resa di
30.000 uomini con diverse centinaia di
pezzi di artiglieria. Il suo possesso permetterebbe
al nemico di gettare un
ponte solido e sicuro con l’Africa, con
tutte le relative conseguenze. […]
Inoltre comprometterebbe qualsiasi
progetto offensivo contro l’Italia, nonché
la sorte dei nostri piani, quali
Acrobat e Gymnast…”.
In altre parole Churchill desiderava
un’offensiva inglese al massimo entro i
primi di maggio, mentre Auchinleck
277
278
riteneva di non poter essere pronto
prima di giugno. Ma il Primo ministro
inglese sapeva di non poter aspettare
così tanto: Malta era in grave pericolo
e l’Inghilterra non poteva permettersi
di perdere quell’isola, perché in quel
caso l’Asse avrebbe avuto completa
libertà di rifornire Rommel, senza più
l’ostacolo della squadra navale di
Cunningham. A quel punto Tobruk
sarebbe caduta ed anche Suez. E non
solo i Tedeschi avrebbero avuto a
disposizione tutto il petrolio dell’Irak e
dell’Iran ma avrebbero potuto aprire
altre vie d’accesso alla Russia.
Diversi telegrammi furono scambiati
tra Londra e il Cairo con toni che
spesso si facevano aspri. Churchill
arrivò a convocare Auchinleck a
Londra per discutere i progetti mla il
generale declinò l’invito. Non restò a
Churchill di pregare sir Stafford Cripps,
Lord del Sigillo Privato, e il gen. Nye,
sottocapo di stato maggiore imperiale,
in partenza per l’India, di fermarsi al
Cairo per convincere Auchinleck a
non ritardare ulteriormente la data per
l’offensiva.
L’incontro al Cairo avvenne e così,
sia pure a malincuore, Auchinleck iniziò
a preparare un piano che fu chiamato
Buckshot. In sintesi, il 13° corpo
d’armata si sarebbe opposto frontalmente
alle divisioni di Rommel, mentre
il 30° corpo d’armata di Norrie
sarebbe avanzato a sud-ovest,
costruendo una serie di capisaldi presidiati
(chiamati box). Se Rommel li
avesse attaccati con le Panzerdivision,
allontanandosi così dalle statiche divisioni
italiane, sarebbe stato attaccato
dai corazzati britannici operanti tra i
box; se invece Rommel non avesse
reagito, Norrie avrebbe interrotto le
linee di rifornimento italo-tedesche e
minacciato Bengasi.
Nel frattempo l’acquedotto e la ferrovia
erano stati prolungati fino a
Belhamed (nei pressi di Tobruk); qui
furono costruiti alcuni depositi costituenti
la base avanzata n.4 e furono
approntate posizioni difensive sparpagliate
nel territorio. La preesistente
linea difensiva di Gazala fu trasformata
in quella principale, tenuta dalla 1ª
divisione di fanteria sudafricana del
gen. Pienaar. Fu approntata una
lunga fascia di 24 km. di campi minati
che dalla costa scendeva fino a Bir
Hacheim. Al termine di questa fascia
la difesa fu affidata alla 50ª divisione
di fanteria britannica, inviata da
Cipro, che si sistemò allungandosi
verso sud-est. Alcuni chilometri ad est
si trovava il caposaldo Knights Bridge;
davanti a Tobruk, verso sud, un’altra
fortificazione che gli Inglesi chiamavano
«La scatola di el Adem».
Stare in un carro sotto
il sole cocente, dove lo
spazio è ridotto al minimo,
è un vero tormento.
Fortunatamente si può
aprire il portellone
laterale, quando non si
è in combattimento.
Nella foto, carristi italiani
si affacciano da un
carro M11/39.
È primavera…
1 In un accampamento
del DAK c’è chi scava
trincee e chi si occupa del
rifornimento di carburante.
1
2 Forse per sentirsi più
vicini a casa qualcuno ha
piazzato un cartello che
indica la direzione per
Berlino: ci sono “soltanto”
5353 km per Papestrasse.
3 Un ufficiale della
Luftwaffe posa vicino
al precedente per una
foto da inviare a casa.
4 La cucina da campo
tedesca è in funzione.
5 Il rancio è pronto.
2 3 4
5
PANZER
ARMEE
AFRIKA
Capitolo 19
Malta
o Tobruk?
Atroce dilemma
nei Comandi
tedesco e italiano
284
Allo Stato Maggiore, a Roma,
Mussolini e Cavallero erano
ossessionati da un dilemma:
Malta o Tobruk?
A dire il vero, il problema di Malta
era stato evidenziato già durante una
riunione tenuta da Graziani, allora
capo di Stato Maggiore del Regio
Esercito, il 5 giugno 1940. Un progetto
approntato da Supermarina (denominato
Investimento di Malta) prevedeva
un bombardamento aereo di molti
giorni consecutivi e un blocco con
sommergibili, siluranti e mas. A seguire,
doveva avvenire uno sbarco di
20.000 uomini «dotati esclusivamente
di armi leggere automatiche, di
bombe a mano e pugnali, di reparti
lanciafiamme e di carri armati leggeri»,
tramite imbarcazioni a fondo piatto;
la flotta avrebbe dato copertura
con il fuoco di tutti i pezzi. Dal cielo un
lancio di paracadutisti e stormi di aerei
sarebbero intervenuti a bassa quota.
Ma, poiché si era convinti che la
Germania avesse ormai vinto la guerra,
il progetto fu abbandonato e si
pensò di «sterilizzare» Malta mediante
un continuo bombardamento ad
opera della 2ª Squadra Aerea. Fu un
fallimento.
All’inizio del ‘41 i Tedeschi intervennero
nel Mediterraneo e inviarono in
Sicilia anche una forza aerea, il X
Fliegerkorps ed anche la Marina tedesca
si affacciò nel Mediterraneo.
L’ammiraglio Raeder cercò di convincere
Hitler della necessità di prendere
Malta, ma siccome l’operazione sembrava
dover essere tutta tedesca, fu
rinviata a dopo l’occupazione dell’Unione
Sovietica.
A Roma, invece, il problema era
più sentito. L’incremento delle difese
dell’isola esigeva ora lo sbarco di
30.000 uomini, con imbarcazioni adatte
allo scopo (si pensò di usare le motozattere
tedesche Siebelfahr e pontoni
italiani a tre eliche); l’operazione
comunque appariva difficile e rischiosa.
A gennaio ‘42 Raeder ritornò sull’argomento
con Hitler che, confidando
invece nell’esaurimento di Malta
mediante bombardamenti continui,
prese tempo. Anche Kesselring intervenne
in febbraio; la risposta del
Führer fu: «Stia tranquillo, maresciallo,
agirò appena possibile».
Il Comando italiano interpellò i
Giapponesi che inviarono una missione
guidata dall’ammiraglio Abe;
costui, non solo fu d’accordo sulla
necessità dell’occupazione, ma preparò
anche un piano d’invasione, da
comparare con quello italiano: le
divergenze si rivelarono numerose e
Pagina precedente:
il gen. Cavallero e l’amm.
Tur passano in rassegna
i reparti destinati
all’invasione di Malta.
In basso: in piedi a bordo
di un Horch Pkw 108 è
Rommel. Alle sue spalle
il maresciallo Kesselring
e, più indietro, il gen.
Crüwell, comandante
del DAK.
importanti.
Il 20 marzo Kesselring ordinò di
intensificare i bombardamenti su
Malta, poi ottenne un’approvazione
parziale di Hitler all’invasione: la
Germania avrebbe partecipato con un
paio di battaglioni, un certo numero di
carri armati leggeri e alianti. Ma
Cavallero, che riteneva le forze tedesche
insufficienti e l’operazione ancora
troppo rischiosa, prese tempo informando
che le truppe italiane sarebbero
state pronte solo a fine luglio.
A Malta l’offensiva aerea si era scatenata
violentemente, con tre ondate
successive al giorno. Il governatore,
generale Dobbie, aveva scorte per tre
mesi di viveri e benzina e per quaranta
giorni di munizioni: chiese aiuto a
Londra.
L’ammiraglio Cunningham, da
Alessandria, pensò di intervenire
inviando rifornimenti con un convoglio
(M.W. 10) di quattro piroscafi,
scortati da quattro incrociatori leggeri
e dieci cacciatorpediniere: ciò che
restava disponibile alla Forza B dell’ammiraglio
Vian.
Contemporaneamente da Gibilterra
si sarebbe mossa a sostegno la Forza H
dell’amm. Syfret, che comprendeva
due portaerei, Eagle e Arcus, una
nave da battaglia, un incrociatore leggero
e otto cacciatorpediniere. La RAF
avrebbe attaccato gli aeroporti nemici
in Cirenaica e a Creta. L’8ª Armata,
invece, avrebbe attuato l’operazione
Fullsize, un attacco diversivo per tenere
impegnati il Fliegerführer e la 5ª
Squadra Aerea. Una ridotta Forza H,
composta da un incrociatore e un caccia,
sarebbe uscita da Malta per rinforzare
la scorta al convoglio. Tutto ad
iniziare dal 20 marzo.
La mattina del 20 fu notata dagli
Italiani l’uscita della Forza H da
Gibilterra e, il pomeriggio, la partenza
della Forza B e del convoglio.
Supermarina ordinò l’intercettazione
aeronavale del convoglio e Superaereo
l’intervento aereo contro la
Forza H, che però restò fuori della portata
degli aerei dislocati in Sardegna;
il 22 le portaerei lanciarono una trenti-
285
PANZER
ARMEE
AFRIKA
Capitolo 20
Si va
a Tobruk
Dilemma risolto.
Ma è la decisione
giusta?
294
Nel suo libro Guerra senza
odio Rommel scrisse: “Ancora
prima dell’inizio dell’offensiva
(su Tobruk), Malta doveva
essere presa da unità paracadutate
e da sbarco, ma le nostre autorità
superiori abbandonarono incomprensibilmente
questo progetto. La mia
domanda che questa bella impresa
venisse affidata al comando dell’armata
corazzata era stata, purtroppo,
respinta già nella primavera. Così, in
vista del continuo aumento delle forze
britanniche, stabilimmo al 26 maggio
la data dell’attacco”.
L’entità delle forze di Rommel restava
grosso modo quella precedente,
con l’aggiunta, a tempo determinato,
di un battaglione San Marco della
Regia Marina, del XXXI e XXX battaglione
guastatori e reparti nebbiogeni.
Il DAK disponeva di 53 Panzer II, 242
Panzer III e 38 Panzer IV; il XX corpo
di 228 carri M13 e M14: in totale 560
mezzi efficienti. L’8ª Armata opponeva
850 carri, più altri 120 in riserva.
Crüwell era appena tornato dalla
Germania, dove si era recato per l’improvvisa
morte della giovane moglie;
dato che si mostrava piuttosto turbato
Rommel gli affidò il coordinamento del
X e XXI corpo italiani: quindi Navarini e
Gioda, i rispettivi comandanti, passavano
alle sue dipendenze. Il comando del
DAK, nel frattempo, era stato affidato al
gen. Walter K. Nehring.
Intanto il gen. Ritchie aveva fatto
svolgere all’8ª Armata importanti
lavori difensivi. Tutto il settore tra Ain
Gazala e Sidi Muftà, lungo una quarantina
di chilometri, era dissipato di
ottimi caposaldi, ognuno dei quali protetto
dai due più vicini, simili a quelli
che avevano ben protetto Tobruk. Su
questa linea erano sulla difensiva le
divisioni di fanteria 1a sudafricana e
50ª inglese, e la 1ª e 32ª Brigata corazzata.
Tutta la restante zona, una sessantina
di chilometri, era protetta da
tre box, campi trincerati particolarmente
muniti. Il tutto era circondato
da campi minati; attorno a Bir
Hackeim erano stati posti oltre 500.000
mine. Il perimetro di Tobruk conservava
la propria linea difensiva ormai
sperimentata, con la 2ª Divisione
sudafricana di fanteria e la 9ª Brigata
indiana attestate ad el Adem e ad
Acroma. Anche Tobruk era protetta
da mezzo milione di mine.
La punta di forza dell’8ª Armata era
costituita dal 30° Corpo d’armata del
gen. Norrie, che disponeva dalla 1a
divisione corazzata, dislocata all’incrocio
della pista Capuzzo con quella Bir
Hackeim-Acroma, e la 7ª divisione
corazzata, disposta in un punto inter-
Pagina precedente:
il gen. Koenig, a sinistra,
conversa con il gen.
Norrie, comandante
del 30° corpo britannico.
medio tra Bir Hackeim e Bir el Gobi
(chiamato dagli Inglesi Knights-bridge);
a Bir el Gobi c’era un quarto box presidiato
dalla 29ª Brigata indiana.
In totale la linea difensiva britannica
formava un semicerchio lungo 80
chilometri , con la parte destra solida e
potente e teoricamente imprendibile
da parte delle forze di Rommel. Altre
forze mobili erano pronte ad intervenire
dove si fosse reso necessario.
Il giorno prima dell’attacco tutte le
divisioni italo-tedesche avevano occupato
le posizioni assegnate a ridosso
della linea difensiva britannica; l’aeronautica
si preparava ad un’azione a
fondo contro le basi della Desert Air
Force; la Marina tedesca (amm.
Weichorn) aveva messo a disposizione
una quarantina di mezzi, tra cui 8
sommergibili, per proteggere lo sbarco
del battaglione San Marco e reparti
tedeschi sulla costa ad ovest di Ain el
Gazala; la Regia Marina si accingeva
a proteggere il traffico costiero tra
Tripoli e Bengasi.
Il 26 maggio l’aeronautica entrò in
azione. A nord, il XXI e il X agli ordini
di Crüwell, rinforzati entrambi da un
reparto corazzato del DAK, avviarono
un forte tiro di artiglieria, poi passarono
all’attacco contro la posizione difensiva
di Gazala. L’azione combinata di
fanteria da terra e di uno sbarco sulla
costa doveva indurre i Britannici a credere
che fosse l’attacco principale, in
modo che spostassero in questa zona
più forze corazzate possibili. Le truppe
esploranti britanniche, dopo aver
“visto”, opposero una debole resistenza
e tornarono indietro e a sera i reparti
corazzati del DAK, realizzato il loro
scopo, ritornarono ai rispettivi reparti.
Nel frattempo il vero gruppo offensivo,
composto dal DAK, la 90ª leggera
e il XX italiano, prendevano posizione
più a sud delle difese inglesi; parte di
questi reparti si mossero come se volessero
raggiungere il gruppo attaccante
di Crüwell per far credere agli Inglesi
che lì dovesse avvenire la concentrazione
di tutte le forze. Ma dopo essere
stati avvistati dalla ricognizione nemica
tornarono indietro.
Alle 20,30, nella zona predefinita A, i
10.000 automezzi ruotati e cingolati del
vero gruppo attaccante si mossero a
luci spente, nel chiarore del plenilunio,
in direzione di Bir Hacheim (zona B).
La mattina seguente il XXI e il X
ripresero il loro attacco, ma questa
volta gli Inglesi opposero un intenso
tiro di artiglieria che provocò perdite di
uomini e automezzi.
In viaggio per la zona B le colonne
in marcia furono avvistate da autoblindo
sudafricane e in parte sfumò
l’attacco di sorpresa. Infatti il gen.
Renton, della 7ª brigata motorizzata,
prese per buona la notizia e si diresse
velocemente a sud; Messervy, invece,
che era al comando della 7ª divisione
corazzata (ricostituita), restò scettico
alla notizia di una massa così imponente
di mezzi nemici in movimento e
volle vederci chiaro; l’unica cosa che
Generali tedeschi.
Da sinistra,
von Birmarck
(21ª Panzerdivision),
von Vaerst
(15ª Panzerdivision).
295
296
INIZIO OFFENSIVA (26 maggio ‘42)
fece fu di mettere in pronto allarme la
4ª brigata corazzata.
Alle 3 del 27 le colonne in marcia
raggiunsero la zona B. Le autoblindo
in ricognizione del III gruppo Nizza riferirono
a Baldassarre che la strada era
sbarrata da una postazione nemica. Il
generale fece schierare l’Ariete e,
dopo aver chiesto aiuto al DAK, che
era nei pressi, lanciò l’attacco. Di fronte
c’era la 3ª brigata motorizzata indiana
del gen. Filose il quale, avvistato il
nemico, inviò una comunicazione a
Messervy: «Ho di fronte un’intera maledetta
divisione corazzata tedesca!».
Invece era l’Ariete; i carri M13 e M14,
come forsennati, travolsero la postazione
distruggendo numerosi pezzi controcarro
e facendo un migliaio di prigionieri;
il gen. Filose riuscì a filarsela
con i resti della brigata.
Tra i prigionieri c’era un… ammiraglio!
Si trattava di sir Walter Cowan e si
trovava lì per spirito d’avventura. A
lotta terminata l’arzillo ammiraglio
(aveva 72 anni) era in una buca e si
rifiutava energicamente di arrendersi;
il s. ten. D’Anna, romano, gli continuava
ad intimare la resa urlando bonariamente:
«Daje! Vié fora!». Intervenne il
magg. Pinna, comandante del X battaglione;
solo alla vista di un ufficiale
superiore l’ammiraglio si arrese.
L’Ariete lamentò 30 morti, 40 feriti e
la perdita di 15 carri non riparabili.
Ma ci fu un fatto strano: il IX battaglione
era sparito! Cos’era successo? Nel
furore della lotta il battaglione si era
sparpagliato; il comandante, ten. col.
Prestisimone, che aveva perso il suo
carro (l’unico che aveva la bussola
compensata), salì su un altro carro e
cercò di riordinare il battaglione lontano
dalla zona dei combattimenti. Poi,
a velocità sostenuta, riprese l’assalto;
ma non si accorse di aver sbagliato
direzione e si trovò di fronte a Bir
Hacheim. Questa era difesa dalla 1ª
brigata France Libre del gen. Koenig,
da alcuni reparti della Legione
Straniera, dal 1° reggimento artiglieria
e unità minori. In totale 3.800 uomini.
La difesa era completamente interrata
e al di fuori dei reticolati c’erano
campi minati con 50.000 mine. Poiché
Bir Hacheim si trovava vicino alla
zona dello scontro precedente, gli
Italiani non si resero conto di aver sbagliato
obiettivo, né di avere di fronte
una ben diversa organizzazione difensiva.
Così il comandante ordinò l’attacco
e i carri si mossero. La lotta degli
M13 fu drammatica e durò un ora e
mezza; alla fine restarono sul terreno
31 carri (18 furono distrutti dalle mine)
ed un semovente; i superstiti si allontanarono.
Poi l’Ariete si rimise in marcia
per raggiungere i Tedeschi.
Intanto il DAK e la 90ª leggera,
dopo aver aggirato a sud Bir Hackeim,
A sinistra: un periscopio
binoculare tedesco, per
poter osservare senza
pericolo dalla trincea.
puntarono in direzione nord e nord-est.
La 21ª Panzer avvistò un raggruppamento
di mezzi nemici e dette battaglia;
era la 22ª brigata corazzata del
gen. Carr, che ripiegò velocemente a
nord lasciando sul terreno una trentina
di carri.
La 15ª Panzer, invece, piombò a
tutta velocità sulla 4ª brigata corazzata
di Richards che si stava avviando in
soccorso della 3ª brigata motorizzata
indiana, impegnata dagli Italiani. L’8°
ussari e il 3° Royal Tanks ebbero la peggio
e i superstiti ripiegarono. Ma anche
i Tedeschi riportarono gravi perdite.
La 90ª leggera assalì violentemente
la 7ª brigata motorizzata che era in
sosta per la colazione; la sorpresa fu
totale. Ciò che ne rimase si allontanò
verso Bir el Gobi. Sullo slancio, il 33°
gruppo esplorante tedesco piombò
anche sul Comando della 7ª divisione
corazzata, dove si trovava Messervy
con tutto lo Stato Maggiore. Furono
tutti catturati, ma poco dopo il generale
inglese riuscì a fuggire. La 90ª leggera
riprese la sua corsa e raggiunse il
bivio di el Adem.
Norrie aveva ora capito che questo
era l’attacco principale, ma aveva
perso il controllo della situazione e
AIN EL GAZALA (27 maggio ‘41)
pensò di raggiungere Gott al Comando
del 13° corpo per decidere il da farsi.
Intanto il DAK riprendeva la sua
marcia verso nord, ma improvvisamente
furono assaliti dalla 22ª e dalla
2ª brigata corazzata e, successivamente,
dalla 1ª divisione corazzata britannica.
Il combattimento imperversò per
tutto il pomeriggio, spezzettandosi in
tanti episodi con perdite d’ambo le
parti.
Il gen. von Vaerst, che era al
comando della 15ª Panzer, fu ferito da
una scheggia di granata e sostituito
dal col. Grasemann. Non fu l’unico
generale che Rommel perse in quella
battaglia.
I temibili carri Grant americani,
dotati di un cannone da 77 facevano
sentire la loro potenza; i proietti del
Grant erano in grado di perforare la
corazza dei carri tedeschi ad una
distanza maggiore di quella necessaria
ai panzer per fare altrettanto. Fu
una sgradevole sorpresa per i
Tedeschi, ma nella confusione della
battaglia i carri si trovarono spesso a
spararsi addosso a distanza ravvicinata,
talvolta a pochissimi metri. In quei
casi contava di più l’esperienza e la
tempestività, dato che il primo che
sparava vinceva il duello. Inoltre,
alcuni duelli tra carri avvennero in
contrasto agli ordini dati da Rommel,
che richiedevano l’intervento dei panzer
in seconda fase, cioè solo dopo che
i cannoni anticarro tedeschi avessero
messo fuori combattimento una buona
quantità di carri nemici. In tal modo la
perdita di panzer fu superiore a quanto
era stato previsto.
Ciò nonostante il DAK si aprì la strada
verso nord e a sera si fermò a 12
km da Acroma. La 21ª Panzer era
rimasta con 80 carri e benzina per
poche ore; la 15ª Panzer con soli 29
carri, senza carburante e munizioni:
praticamente un terzo dei carri era
andato perduto. La 90ª era isolata più
a sud, l’Ariete non poteva intervenire
e, inoltre, la linea di rifornimento era
interrotta.
Al fronte nord il XXI corpo si era fermato
a ridosso della linea di difesa
della 1ª div. sudafricana e il X corpo si
era dilatato fin sulla linea difensiva
tenuta dalla 50ª divisione di fanteria
britannica.
297
AEREI DELL’ASSE
MESSERSCHMITT BF109
caccia monoposto
Versione 109 G-6
Armamento: 2 mitragliatrici MG131 da 13 mm – 1 cannoncino
MK108 da 30 mm – 2 cannoncini MG151da 20 mm (sotto le ali).
Motore: Dailmer-Benz a 12 cilindri a V invertito da 1.475 HP.
Velocità: 623 km/h a 7.000 m di quota.
Dimensioni: Lungh. m 9,02; Apertura alare: m 9,92
Peso: (a vuoto) 2.700 kg
Volò per la prima volta nel settembre del 1936 e assegnato alla
Luftwaffe nel ‘37. Fu largamente usato su tutti i fronti, dimostrando
di essere un eccellente caccia. Il suo arrivo in Libia dette la svolta
decisiva ai duelli aerei contro i velivoli inglesi e statunitensi.
JUNKERS Ju 87 (Stuka)
bombardiere in picchiata biposto
Grazie alla conformazione delle ali (gabbiano rovesciato)
era possibile a questo aereo effettuare delle picchiate di
precisione sul bersaglio per poi risalire velocemente, manovra
estremante rischiosa per i caccia che tentavano di mettersi
sulla sua coda. La velocità, però, era piuttosto scarsa.
Versione Ju 87D-I
Armamento: 2 mitragliatrici MG17 da 7,9 mm – 2 mitragliatrici
MG81da 7,9 mm (nell’abitacolo); una bomba da 249 kg, 1 da 498
kg, 1 da 996 kg, o 1 da 1.790 kg sotto la fusoliera; oppure 4 da 50
kg, 2 da 249 kg, o 2 da 996 kg sotto le ali.
Motore: Junkers Jumo 211J-1 a 12 cilindri a V invertito da 1.400 HP.
Velocità: 388 km/h a 4.000 m di quota.
Dimensioni: Lungh. m 11,50; Apertura alare: m 13,80
Peso: (con carico normale) 5.700 kg
MACCHI C.200 Saetta
caccia bombardiere monoposto
Versione serie 6
Armamento: 2 mitragliatrici Breda-SAFAT da 12,7
mm; due bombe da 150 kg.
Motore: stellare Fiat A74 RC 38 da 870 HP.
Velocità: 504 km/h a 4.500 m di quota.
Dimensioni: Lungh. m 8,25; Apertura alare: m 10,58
Peso: (a vuoto) 2.395 kg
Progettato da Mario Castoldi, il Macchi C.200 montava, in mancanza d’altro, un
motore stellare di così scarsa potenza che i piloti preferirono inizialmente tornare al
biplano CR.42. Volò per la prima volta nel dicembre 1937 e allo scoppio della guerra
comunque equipaggiava diversi stormi. Si rivelò alla pari dei primi Hurricane inglesi
e dei vecchi caccia sovietici, ma non tenne il passo con i miglioramenti effettuati
nelle nuove versioni dal nemico. Fu largamente usato in Africa settentrionale.
312
MACCHI C.202 Folgore
caccia monoposto
Prodotto da Mario Castoldi, derivò dal C.200, ma con un motore
Daimler-Benz costruito su licenza dall’Alfa Romeo. Volò per la
prima volta il 10 agosto 1940, entrò in servizio nell’estate del ‘41
e fu inviato in Libia a novembre. Fu prodotto in 11 serie, per un
totale di 1.500 esemplari. Si mostrò, in quanto a prestazioni,
all’altezza dello Spitfire inglese e superiore all’Airacobra americano,
ma insufficiente nell’armamento.
Versione serie IX
Armamento: 2 mitragliatrici Breda-SAFAT da 12,7 mm nel
muso – 2 mitragl. da 7,7 mm nelle ali (non in tutti i caccia).
Motore: Alfa Romeo RA 1000 RC 411 a 12 cilindri a V invertito
da 1.075 HP.
Velocità: 600 km/h a 5.600 m di quota.
Dimensioni: Lungh. m 8,85; Apertura alare: m 10,58
Peso: (a vuoto) 2.490 kg
3
1 Nei campi d’aviazione
si sta all’erta. Nella foto
una postazione
contraerea italiana.
2 Hans-Joachim Marseille,
un asso della Luftwaffe
nel deserto. Con un Me
Bf109 a maggio aveva
raggiunto 87 vittorie
aeree. Fu uno dei pochi
piloti, a fine guerra, ad
aver abbattuto 200 aerei.
3 Stuka in volo sul
deserto.
2
1
313
PANZER
ARMEE
AFRIKA
Capitolo 22
Tobruk
cade
Le forze dell’Asse
finalmente
conquistano
Tobruk e Rommel
riceve un regalo
dal Führer:
il bastone di
feldmaresciallo
318
Al contrario di quanto aveva
disposto Auchinleck, Churchill
affermò: «Tobruk deve
essere difesa ad ogni costo.
[…] Finché Tobruk è nelle nostre mani,
non è possibile alcuna seria avanzata
nemica in Egitto…».
Auchinleck non sapeva che fare e
comunque inviò un dispaccio a
Ritchie con quale annunciava: “Non
ho nessuna intenzione di rinunciare a
Tobruk”, ma nello stesso tempo di:
“Non permettere che le sue forze vengano
investite in Tobruk”. Il messaggio,
alquanto contraddittorio, concludeva
che Ritchie era “libero di organizzare
la guarnigione come meglio riteneva…”.
Ma le cose si erano complicate
poiché il grosso della 1ª sudafricana
e della 50ª inglese si trovava ormai al
confine cirenaico e quello che restava
della 1ª divisione corazzata stava procedendo
sulla Balbia verso l’Egitto.
L’armata, quindi, era tutt’altro che
concentrata a difesa di Tobruk.
Ritchie comunque si recò a Tobruk
da Gott per organizzare con il gen.
Klopper, comandante della 2ª div.
sudafricana, la difesa della città. La
situazione apparve non disperata e si
giunse alla convinzione che la guarnigione
poteva resistere almeno tre
mesi, prima dell’arrivo dei rinforzi.
Rommel, invece, era convinto che
la guarnigione di Tobruk fosse «molto
disorganizzata» e che bisognasse
«agire rapidamente».
I combattimenti attorno alla città
erano terminati; erano stati fatti altri
6.000 prigionieri e catturate intatte intere
colonne di carri leggeri britannici.
Il 17 giugno, Rommel indisse una
riunione con Baldassarre e Nehring
per studiare la conquista di Tobruk: le
divisioni corazzate di sarebbero spinte
ad oriente sia per conquistare
Gambut, e cacciare via dall’aeroporto
la Desert Air Force, sia per dare l’impressione
di voler soltanto assediare
Pagina precedente:
al centro il gen.
Baldassarre, a destra
il gen. Piacenza, morti
entrambi il 26 giugno
1942.
Pagina precedente, in
basso: il gen. W.H. Gott,
comandante del 13°
corpo d’armata britannico.
Tobruk, così come era stato fatto l’anno
precedente. Poi avrebbero inscenato
un finto attacco sul lato sud-ovest,
per tenere impegnati gli avversari in
quel punto, e colpire invece, di sorpresa,
dal lato opposto. Si trattava dello
stesso piano elaborato da Rommel
l’anno precedente, ma che non era
stato possibile attuare per il precipitare
degli eventi.
Il servizio informazioni tedesco
aveva però avvisato che la 7ª divisione
corazzata inglese si trovava a 15
km da Sidi Rezegh, e la sua presenza
fu considerata una spina nel fianco: il
DAK e l’Ariete dovevano risolvere la
questione. In realtà si trattava di una
sessantina di carri, residui della 1ª e 7ª
divisione al comando del gen.
Richards. La colonna fu investita violentemente
dalla 21ª Panzer, e più
tardi dalla 15ª Panzer; quello che
rimase ripiegò a sud di Gabr Saleh e
comunque non rappresentava più
una minaccia. Il DAK non inseguì i
carri nemici ma, come previsto, si
diresse a nord verso Gambut. Quando
vi giunse la guarnigione e le formazioni
della Desert Air Force si erano già
trasferite. Fu raggiunta anche la via
Balbia, isolando di fatto Tobruk.
Il pomeriggio del 18 giugno al
Cairo, tramite Ultra, giunse l’informazione
che Rommel si avviava ad espugnare
Tobruk; ma anche i comandanti
in capo erano ottimisti perché ritenevano
eccellente la guarnigione della
città, elevato il morale delle truppe e
ottima la quantità delle provviste (3
milioni di razioni viveri, 7.000 tonn.
d’acqua, 7 milioni di litri di carburante,
150.000 colpi di artiglieria e
140.000 proietti anticarro) che consentiva
di resistere a lungo. Inoltre era in
arrivo l’8ª divisione corazzata, a cui
avrebbe fatto seguito la 44ª divisione.
E poi, se anche Tobruk avesse ceduto,
sembrava improbabile che il nemico
potesse tentare un’avanzata in Egitto.
Il 18 Rommel trasferì il suo Comando
tattico ad el Hatian e il giorno trascorse
completando l’accerchiamento
della fortificazione; il 19 fu dedicato
agli schieramenti di artiglieria e il 20 si
alzarono gli Stuka e i cannoni cominciarono
a sparare. Contro eventuali
provenienze da est fu schierata la 90ª
leggera, a sud le autoblindo del gruppo
Nizza e il gruppo Ewert, composto
dal 3° e 33° gruppo esplorante tedesco.
Le divisioni di fanteria Sabratha,
Trento e Pavia avevano occupato le
posizioni ad ovest e sud di Tobruk; la
Brescia si era sistemata a sud-est, così
come il XX corpo e il DAK che però si
trovavano più addossati alla cerchia
difensiva. Era arrivata anche la divisione
corazzata Littorio, sia pure non
completa e composta in maggior
parte dal 12° bersaglieri (al comando
del gen. Gervasio Bitossi), che prese
posizione sulla pista Capuzzo, a sudovest
di Gambut.
Alle 5,20 del 20 giugno Rommel,
dall’alto di una scarpata, assisteva
all’attacco degli Stuka e alle scariche
Rommel, Cavallero e
Barbasetti in una foto di
fine giugno 1942.
319
L’ASSALTO A TOBRUK (20 giugno ‘42)
di artiglieria che durarono una ventina
di minuti. Poi Baldassarre dette il
via ai guastatori che si misero all’opera:
occorreva sminare una fascia di 25
metri creando un corridoio largo 7
metri e poi aprire un varco di 12 metri
nel reticolato a siepe. Nel settore
Trieste i guastatori dovettero arrestarsi
per la reazione del nemico, non superata
nemmeno dopo l’intervento degli
M13. Nel settore Ariete i guastatori
comunicarono di essere riusciti ad
aprire due varchi tra i fortini, sia pure
al di fuori dei settori previsti, e su questa
posizione si spinsero i carri italiani.
Nel settore del DAK i pionieri germanici
furono inchiodati dal tiro dei
fortini britannici. Ma l’intervento di
alcuni pezzi da 88 mise fuori uso i fortini
e consentì l’apertura di un varco nel
settore tenuto dal II/5° Mahratta.
Furono gettati dei ponti e i carri cominciarono
a passare.
Due contrattacchi lanciati da
Anderson con truppe Gurka e
Mahratta contro la 21ª Panzer furono
inutili e dopo mezz’ora la resistenza
degli Indiani cessò.
320
Il gen. Willison spostò a King’s Cross il
4° Royal Tanks e qui, in corrispondenza
dei campi minati, i carri si posero in formazione
difensiva, nonostante la richiesta
degli Indiani di procedere oltre.
Furono poi raggiunti dal 7° Royal Tanks
che schierò i suoi carri; uno squadrone
fu inviato a dare man forte al II
Cameron Highlanders che si trovava in
difficoltà sotto la pressione dell’Ariete.
Le due Panzerdivision ormai attraversavano
il varco, penetrando all’interno
della cinta difensiva. A mezzogiorno
si scontravano con la linea
difensiva a King’s Cross: i cannoni dei
panzer, di maggior gittata, cominciarono
ad eliminare uno ad uno i pezzi
di artiglieria e i carri britannici. Dopo
due ore il 4° Royal Tanks era ridotto a
6 carri e Rommel potè raggiungere il
bivio di Sidi Mahmud, punto cruciale
della difesa, dove si trovava una brigata
delle Guardie.
Intanto il 132° carristi dell’Ariete era
passato dal varco creato dalla 15ª
Panzer e attaccava alle spalle il II
Cameron e altre unità. Passò anche il
9° carristi, che raggiunse il bivio di Sidi
Batterie di artiglieria
italiana sparano contro
le difese di Tobruk.
Mahmud per coprire il fianco del DAK.
A metà pomeriggio von Bismark
superò il bivio e condusse la 21ª
Panzer verso Tobruk; ci fu una breve
sosta all’altezza del forte Solaro, per
l’intervento di artiglierie subito neutralizzate,
ma un’altra colonna proseguì
per la città.
Il col. Crasemann, nel frattempo,
aveva sgominato le Guards catturandone
due terzi. Il Comando della divisione
e della guarnigione si disintegrò
sotto l’attacco, ma Klopper si era già
rifugiato al Comando della 6ª brigata
sudafricana che era ancora intatta
(aveva subìto soltanto il finto attacco
di Navarini), così come la 4ª sudafricana
che, aggirata da oriente dalla 15ª
Panzer, si apprestava alla difesa.
Ritchie tentò di portare aiuto ai
difensori di Tobruk inviando la 7ª div.
corazzata verso Sidi Rezegh, tentativo
che servì a nulla. Koppler, all’alba del
21 giugno, lo informò della situazione
disperata e chiese: «…Ritenete consigliabile
combattere fino all’ultimo? Se
state per contrattaccare fatemelo
sapere». Seguì un amaro colloquio tra i
due via radio e in conclusione Ritchie
lo autorizzò a regolarsi secondo le circostanze;
Koppler inviò alcuni parlamentari
con bandiera bianca verso la
15ª Panzer e la Trento.
Alle 9,30 Rommel incontrò Koppler
a 6 km ad ovest di Tobruk e accettò la
resa chiesta dal generale sudafricano.
Quando la notizia fu diramata ci fu
sgomento e incredulità da parte di
alcuni reparti britannici, specialmente
quelli che erano stati poco impegnati
e che non capivano la decisione del
comandante. I Gurkhas si arresero a
sera e i Cameron Highlanders addirittura
la mattina dopo.
Furono catturati 33.000 Britannici,
2.000 automezzi e 30 carri potevano
essere resi efficienti. Inoltre ingenti
quantitativi di viveri, munizioni e altro
materiale bellico. La maggior parte
della benzina era stata distrutta; tuttavia
se ne salvarono 2.000 tonnellate.
Rommel diramò un ordine del giorno
col quale elogiava le truppe e
annunciava le sue intenzioni future.
Hitler gli concesse in premio il
bastone di feldmaresciallo.
A destra, i carri della
Littorio in movimento
verso Tobruk.
Medaglia della divisione
corazzata Littorio.
321
Qui Duce, a voi Führer!
.
Il 21 giugno 1942, Mussolini inviò una lettera ad Hitler. Eccone alcuni brani:
Führer!
La battaglia aeronavale nel Mediterraneo si è conclusa con un grave scacco e
grosse perdite per il nemico; lo stesso può dirsi delle operazioni nella Marmarica,
che stanno per raggiungere il loro coronamento.
È mio avviso e certamente anche vostro, Führer, che bisogna consolidare e al
più presto possibile ampliare i risultati così raggiunti.
Al centro del nostro quadro strategico sta il problema di Malta, a riguardo del
quale abbiamo preso a suo tempo le note decisioni.
Desidero dirvi subito che la preparazione per l’azione su Malta è molto progredita;
le operazioni in Marmarica hanno reso necessario di differire quest’azione
all’agosto, ciò è stato vantaggioso soprattutto perché in agosto avremo al
completo i mezzi che per questo scopo sono stati predisposti e costituiti, specie
le motozattere e gli altri natanti.
Quest’azione su Malta si impone più che mai. Gli effetti veramente cospicui
delle azioni aeree a massa svolte dall’aviazione dell’Asse e principalmente dalla II
Luftflotte nell’aprile hanno prolungato la loro efficacia il maggio; ma ormai, in
giugno, Malta viene rifornita costantemente di apparecchi, ha ricuperato la sua
capacità offensiva aerea, cosicché oggi la nostra navigazione per la Libia è nuovamente
resa molto difficile. Ora, per mantenere i risultati conseguiti in Marmarica
e provvedere alle future esigenze occorre poter eseguire con sufficiente sicurezza
i necessari trasporti.
A fondamento di queste esigenze sta il problema della nafta.
La recente battaglia mediterranea ha impedito a due grossi convogli inglesi di
raggiungere Malta. Ma l’uscita delle nostre forze navali ha imposto un consumo
di circa 15.000 tonnellate e ci ha privati delle ultime disponibilità. Ora le nostre
navi da guerra hanno i depositi di nafta vuoti e non è più possibile rifornirle; una
seconda uscita delle nostre forze navali non è ora possibile e perciò ad un nuovo
tentativo di rifornire Malta noi non potremo opporre che una limitata azione di
sommergibili in aggiunta all’azione, non sempre possibile specie per le condizioni
atmosferiche, degli aerosiluranti.
Non mi indugio, Führer, ad esporvi in dettaglio la situazione della nafta ed i
relativi fabbisogni […]. Mi limiterò a confermarvi che per l’operazione su Malta è
previsto un consumo di 40.000 tonnellate di nafta e che questa dovrebbe giungere
almeno una settimana prima della fine di luglio, perché durante le due ultime
settimane prima dell’azione i trasporti saranno impiegati per le truppe, che
debbono affluire all’ultimo momento.
[La lettera continua con una richiesta finale di 70.000 tonnellate di nafta ed evidenzia
la necessità di operare su Malta entro agosto, altrimenti sarà giocoforza
attendere l’estate ‘42, con conseguenze immaginabili. Mussolini cerca di convincere
Hitler che l’eliminazione di Malta porterà sicuramente, oltre ad una maggiore sicurezza
dei convogli, ad una diminuzione del consumo della nafta].
Sono fiducioso, Führer, che, nonostante le gravi difficoltà delle quali mi rendo
pienamente conto, il vostro personale intervento condurrà a felice soluzione questo
problema che ha importanza assolutamente vitale per la nostra situazione in
Mediterraneo e per i suoi futuri svolgimenti.
Mussolini
336
Qui Führer!
.
Hitler risponde a Mussolini con una lettera datata 23 giugno.
Lo ringrazia della lettera e assicura che la questione degli
approvvigionamenti è allo studio e che presto riceverà una
risposta precisa. Poi continua…
…Vorrei però in questo momento, che dal punto di
vista militare mi sembra una svolta storica, esporvi nel
modo più breve il mio pensiero su una questione, che può
essere di importanza decisiva per l’esito della guerra. Il
destino, Duce, ci ha offerto una possibilità che in nessun
caso si presenterà una seconda volta sullo stesso teatro di
guerra. Il più rapido e totalitario sfruttamento di essa costituisce
a mio avviso la principale prospettiva militare. Fino
ad ora ho sempre fatto, tanto a lungo e completamente,
inseguire ogni nemico battuto, quanto è stato consentito
dalle nostre possibilità. L’8ª Armata inglese è praticamente
distrutta. In Tobruk, i cui impianti portuali sono quasi intatti,
Voi possedete, Duce, una base ausiliaria, il cui significato
è tanto più grande in quanto gli stessi Inglesi hanno
costruito da lì una ferrovia fin quasi in Egitto. Se ora i resti
di questa armata britannica non venissero inseguiti fino
all’ultimo respiro di ogni uomo, succederebbe la stessa
cosa che ha fatto sfuggire il successo agli Inglesi, quando,
giunti a poca distanza da Tripoli, si sono improvvisamente
fermati per inviare forze in Grecia. Soltanto questo errore
capitale del Comando inglese ha allora reso possibile che il
nostro sforzo fosse premiato dalla riconquista della
Cirenaica.
Se adesso le nostre forze non proseguono fino all’estremo
limite del possibile nel cuore stesso dell’Egitto, si verificherà
innanzi tutto un nuovo afflusso di bombardieri americani
che, come aeroplani da lunga distanza, possono facilmente
raggiungere l’Italia…
[Hitler adduce ulteriori motivi di rischio di un rafforzamento
inglese e americano]
Quindi se io, Duce, in quest’ora storica che non si ripeterà,
posso darvi un consiglio che viene dal cuore più premuroso,
esso è questo: ordinate il proseguimento delle
operazioni fino al completo annientamento delle truppe
britanniche, fino a che il Vostro Comando e il maresciallo
Rommel credono di poterlo fare militarmente con le loro
forze. La dea della fortuna nelle battaglie passa accanto ai
condottieri soltanto una volta…
[chiude la lettera con la preghiera di voler accettare il consiglio
di un amico]
Con fedele cameratismo, Vostro
Adolf Hitler
337
PANZER
ARMEE
AFRIKA
Capitolo 24
El Alamein
Le colonne
italo-tedesche
avanzano, ma ad
el Alamein sono
ricevute da un
intenso fuoco
di sbarramento: i
Britannici giocano
il tutto per tutto
342
La paura di Rommel e dei suoi
panzer si ingigantiva nei
Britannici ormai in maniera
incontrollabile, così da far
sopravvalutare le sue forze e potenzialità.
Al Cairo il Comando si preparava
a trasferirsi a Gaza, in Palestina, e si
bruciava tutto ciò che non si poteva
portar via, si decideva cosa demolire e
dove invece costruire barriere difensive.
Centinaia di civili si apprestavano
a lasciare l’Egitto.
Persino la flotta fu trasferita, parte
in Haifa, parte in Beirut e il resto a sud
del Canale di Suez; la RAF trasferì i
bombardieri medi e pesanti in Palestina.
Anche Churchill attraversava un
brutto momento: sia in Patria che al
Parlamento statunitense si cominciava
a dubitare della validità dei comandanti
in Medio Oriente e della direzione
politica della guerra dello stesso
Premier britannico.
Ma tutto ciò durò poco tempo.
Alcuni giorni dopo i sogni degli Italiani
e dei Tedeschi si sarebbero infranti e i
timori dei Britannici sarebbero svaniti.
Ciò doveva avvenire sul campo di
battaglia di el Alamein, una piccola
stazione ferroviaria sul golfo degli
Arabi, a 100 km da Alessandria. A 60
km a sud si stende la grande depressione
di Qattara, un’enorme distesa
intransitabile perché disseminata di
sabbie mobili e paludi di acqua salata.
Fra la costa e la depressione si apriva
una fascia di terreno percorribile
dai mezzi e che divenne appunto il
campo di battaglia; era completamente
pianeggiante e, a parte alcuni
dossi di scarso rilievo (chiamati tell) e
doline poco profonde (deir), soltanto
alcuni costoni rocciosi (ridges) che si
sviluppavano in lunghezza potevano
offrire ripari difensivi. I più significativi
erano: el Miteiriya, el Ruweisat, Alam
el Halfa.
Gli Inglesi trincerarono la stazione e
costruirono altre tre aree difensive,
distanti tra loro una trentina di km. Il
gen. Norrie aveva assunto il comando
dei box. Ad el Alamein fu dislocata la
1ª divisione sudafricana di Pienaar; la
18ª brigata di fanteria indiana, proveniente
dall’Iraq, andò ad occupare il
primo box, Deir el Shein; nel secondo
box, Bab el Qattara (chiamata anche
Qaret el Abd), si sistemò la 6ª brigata
di fanteria neozelandese, con alle
spalle ciò che restava della 4ª e 5ª brigata
di fanteria; il terzo, Naqb Abu
Dweis, fu occupato dalla 9ª brigata di
fanteria indiana. Nella stretta presero
posto il resto delle divisioni e delle brigate
e, alle spalle, i rispettivi Comandi.
Stava anche arretrando la 1ª divi-
Pagina precedente:
Rommel decora il gen.
Lombardi, comandante
della Brescia.
In basso, il gen. Rommel
su un blindato tedesco.
sione corazzata di Lumsden, ancora
impegnata a rallentare l’avanzata
nemica. Le unità statiche furono
inquadrate nel 30° corpo di Norrie e le
altre nel 13° corpo di Gott. Il 10° corpo
di Holmes (ciò che era rimasto), fu
inviato a difendere il Delta.
Il 29 giugno Auchinleck visitò la
posizione difensiva. Sapeva che el
Alamein rappresentava l’ultima spiaggia
ma c’era anche la possibilità di fermare
la Panzerarmee, ridotta ormai
all’ombra di se stessa. Gott e Norrie,
comunque, ricevettero anche le disposizioni
da adottare in caso di ritirata.
Un messaggio Ultra rivelò che
Rommel avrebbe attaccato el
Alamein alle 15 del giorno 30, e un
altro spostava l’attacco al giorno successivo.
Infatti la mattina del 1° luglio, alle
4,30, la 90° leggera avanzò contro la
posizione di el Alamein e fu subito ricevuta
da un intenso fuoco di sbarramento;
la Trento, postasi sulla sua scia,
fu così costretta a fermarsi. Il DAK subì
un attacco aereo della RAF, ma alle
6,45 Nehring potè lanciare le sue divisioni
all’attacco e, con un movimento
aggirante verso sud, investire il box di
Deir el Shein, protetto da campi minati.
Il XX corpo e la Littorio si tenevano
pronti per l’inseguimento. La Brescia,
invece, si trovava prigioniera della
sabbia ad ovest di Tell el Aqqaqir e
cercava di liberare gli autocarri.
A mezzogiorno si sollevò una tempesta
di sabbia che bloccò gli assalti
del DAK, ma consentì anche alla 90ª
leggera di sottrarsi al fuoco della posizione
di el Alamein. Poi si diresse a
nord-est, ma finì sotto il fuoco della 1ª
e 2ª brigata di fanteria sudafricana e
fu costretta a fermarsi. Intervenne personalmente
Rommel, col suo scaglione
armato, per cercare di sfondare lo
sbarramento di artiglieria anglo-sudafricano.
Intervenne la RAF, ma giunsero
anche gli aerei dell’Asse; la caccia
di scorta agli Stuka attaccò i bombardieri
inglesi che furono costretti a tornare
indietro. Nel cielo cominciarono a
sibilare i traccianti della contraerea
britannica. La situazione era bloccata.
Rommel e Bayerlein restarono per due
ore distesi sul terreno, finché la violenza
dell’artiglieria diminuì consentendo
lo sganciamento dello scaglione
armato.
Nel frattempo Auchinleck lanciava
l’attacco della 22ª brigata corazzata
che, con 18 carri, piombò alle spalle
della 15ª Panzer, impegnata ad attaccare
la posizione di Deir el Shein.
Durante il combattimento alcune centinaia
di Indiani fuggirono dalla posizione
difensiva; i carristi inglesi pensarono
di aver assolto il loro compito e si
ritirarono. Invece buona parte della
18ª brigata di fanteria indiana si trovava
ancora all’interno di Deir el
Shein e, soverchiata dai Tedeschi, si
arrese alle 19. Alle 20 tutte le truppe
tedesche si ponevano sulla difensiva
nelle posizioni raggiunte.
All’alba la 90ª leggera tornò all’attacco
ma dovette subito rinunciare.
Rommel chiese al DAK di puntare ad
oriente, attaccare le due brigate sudafricane
e poi convergere sulla postazione
di el Alamein. Ma durante l’avanzata
il DAK si scontrò con la 1ª divisione
corazzata e la 7ª brigata motorizzata,
che Auchinleck aveva spostato in
avanti, e si trovò anche sotto il fuoco
delle batterie neozelandesi da sud. Il
combattimento fu violento e durò fino
a sera, finché i Tedeschi riuscirono a
sganciarsi. La 21ª Panzer era rimasta
con 20 carri e la 15ª solo con 6.
Il fallimento del DAK provocò uno
scombussolamento generale: la 90ª
leggera era bloccata; il XXI corpo
scosso dalle incursioni aeree; l’Ariete si
era trovata sotto il fuoco della 7ª B.
mot. e solo l’intervento di un reparto
della 15ª Panzer fece ripiegare gli
Inglesi; la Trieste, più a sud, era stata
presa a cannonate dalle batterie di
Bab el Qattara e si fermò; il X corpo si
era portato su alcune alture e attendeva
la notte.
Il giorno seguente Rommel ritentò
con un nuovo attacco del DAK verso
est per raggiungere la costa e del XX
corpo per isolare almeno i neozelandesi.
Mentre le due Panzerdivision si
muovevano in avanti, a sud accadevano
fatti drammatici. L’Ariete si era
messa in marcia quand’era ancora
buio, con gli 8 carri efficienti e una
quarantina di pezzi, in direzione di
una località chiamata Deep Well. Al
chiarore dell’alba, il comandante,
gen. Arena, capì di essere in un mare
di guai: tutt’intorno era un brulicare di
uomini e automezzi britannici. Arena
inviò un messaggio d’aiuto, ma il DAK
era impegnato nell’avanzata ad est e
la Trieste era lontana. Alle 8 cominciarono
a sparare le artiglierie britanniche,
poi attaccò la 4ª brigata corazzata
inglese da nord-est e la 4ª brigata
di fanteria neozelandese da sud. Gli
M13 si opposero ai tanks, i bersaglieri
ai neozelandesi, in una lotta impari e
senza speranza. Alle 10 era tutto finito.
L’Ariete aveva perso 531 uomini e 36
pezzi; i superstiti riuscirono a ripiegare.
Nelle retrovie l’Ariete ricostituì al
momento un plotone con 5 carri e una
sezione di pezzi da 90, giunti dalla 15ª
Panzer.
Il DAK non aveva fatto molti progressi
essendo più o meno rimasto sul
posto: gli uomini era provati e ormai si
rendevano conto che l’armata, vittoriosa
a Tobruk, era giunta alla fine.
Era meglio passare alla difensiva per
cercare di completare gli organici e
l’apparato logistico. Rommel pensava
ad una pausa di 15 giorni per far
affluire complementi tedeschi e italiani.
Era necessario perciò che le truppe
corazzate e motorizzate fossero ritirate
alle spalle delle fanterie.
Auchinleck, sempre ben informato
grazie a Ultra (ormai si decrittavano
un centinaio di messaggi Enigma al
giorno), seppe che Rommel non l’avrebbe
attaccato e che si poneva sulla
difensiva. Ma quando la 21ª Panzer fu
tolta dal fronte per l’avvicendamento,
i Britannici pensarono evidentemente
ad una ritirata generale perché,
improvvisamente, una quarantina di
carri inglesi si presentarono da est
attaccando e sfondando la prima
linea; un contrattacco e il tiro delle
artiglierie italiane misero a posto la
situazione in un paio d’ore.
Dopo questa puntata di carri inglesi
Il maresciallo tedesco
Erwin Rommel osserva
il campo vicino a
El Alamein.
In basso: mitragliatrice
pesante tedesca MG34
in posizione avanzata.
Le forze contrapposte
nella 1ª battaglia ad el Alamein
15.000 uomini
400 pezzi
150 carri armati
10.000 uom.
530 pezzi
125 carri
Italiani: 8.000
Tedeschi: 2.000
Italiani: 200
Tedeschi: 330
Italiani: 70
Tedeschi: 55
100 autoblindo 15 autoblindo
344
GLI SCHIERAMENTI AD EL ALAMEIN E INIZIO ATTACCO (1 luglio ‘42)
Rommel fece approntare e sistemare
vari finti dispositivi, come sagome di
carri armati e di pezzi da 88, per
ingannare il nemico. Si piazzarono
anche alcune batterie da 25 inglesi
catturate a Deir el Sheine insieme a
1.500 proiettili.
Il 5 luglio Mussolini giunse in Libia e
visitò la Cirenaica. Sentite le notizie dal
fronte, ordinò di accelerare gli arrivi
dall’Italia e di portare avanti quanto
disponibile in Tripolitania, chiedendo
anche di fare «l’impossibile».
Dall’altra parte anche Auchinleck
approfittava della pausa per riordinare
le sue fila. Scontento dell’inattività
di Norrie lo sostituì al comando del 30°
corpo con il gen. Ramsden.
L’8 luglio, a mezzogiorno, arrivarono
al DAK informazioni su un arretramento
della 5ª brigata di fanteria neozelandese;
a sera il caposaldo di Bab
el Qattara sembrava sguarnito.
Rommel, pensando che i Britannici
stessero ritirando il fianco sinistro, continuamente
punzecchiato dai Tedeschi,
ordinò alla 21ª Panzer l’occupazione
del box. Il pomeriggio del 9 raggiunse
von Bismarck a Bab el Qattara;
si rivelò un caposaldo ben strutturato,
con opere di cemento, e ancora dotato
di munizioni, “tanto che lo sgombero di
questa posizione ci sembrò incomprensibile”,
scrisse poi Rommel. Comunque
trascorsero là una notte tranquilla.
Ma la mattina seguente “verso le
ore 5 fummo svegliati dal sordo rimbombo
dell’artiglieria proveniente dal
settore settentrionale. Ebbi subito un
cattivo presentimento…”. Il cattivo presentimento
di Rommel trovò conferma
nell’allarmante notizia che gli Inglesi
avevano effettuato una sortita da el
Alamein e stavano travolgendo la D.f.
Sabratha. Auchinleck sapeva, attraverso
le intercettazioni, che il grosso di
Rommel gravitava nel settore centromeridionale
e che a nord c’erano soltanto
deboli formazioni italiane. Così
aveva studiato il diversivo per allontanare
maggiormente Rommel e le sue
forze. Il XXI corpo italiano fu investito
per due ore dal fuoco di artiglieria, poi
dalle fanterie sudafricane, supportate
dai corazzati, e infine attaccarono
anche gli australiani. Questi sfondarono
la linea della Sabratha tra la litora-
345
Bernard Law
Montgomery
366
GLI UOMINI
Nacque nel 1887 a Londra in un famiglia
irlandese proveniente dalla regione
di Ulster. Si laureò alla Royal Military
Academy di Sandhurst e durante la prima
guerra mondiale combattè in Francia e in
Belgio. Promosso maggiore generale andò
a comandare una divisione in Medio
Oriente dal 1938 al 1939.
All’inizio della seconda guerra era in
Francia al comando di una divisione che
subì l’onta di Dunkerque. In patria gli fu
affidato il comando del 5° corpo d’armata.
Il 18 agosto 1942, a seguito dell’improvvisa
morte del gen. Gott, fu chiamato
in Egitto per assumere il comando del 8ª
Armata. In quel periodo il mito della
“Volpe del Deserto” era al suo apice e
influenzava negativamente il morale dei
soldati britannici: pertanto occorreva un
generale che avesse una una forte personalità.
Churchill pensò che Montgomery
fosse l’uomo giusto da contrapporre a
Rommel, e siccome ad un mito era giusto
contrapporne un altro, per Montgomery
fu creata la leggenda dell’«Incrollabile» in
modo da incrementare nell’8ª Armata la
volontà di lottare.
Effettivamente Montgomery era diverso
dagli altri generali: era un solitario, vestiva
in modo particolare, consumava pranzi
spartani e non accettava mai l’invito di un
suo ufficiale. Si portava dovunque le sue
roulotte ufficio-abitazione e seguiva un
orario programmato al secondo. Tutto ciò
lo portò anche ad avere screzi con i propri
subalterni, che lo consideravano un rude e
un burbero, ma i soldati finirono per amarlo
affibbiandogli il nomignolo di “Monty”.
Montgomery prese anche l’abitudine di
lavorare tenendo davanti a sé, bene in
vista, una grande foto di Rommel: anche
se non ciò intendeva smitizzarlo dentro di
sé, probabilmente, sperava di poter assimilare
l’estro tattico e l’astuzia del suo illustre
avversario. Dopo una lunga preparazione
lanciò l’attacco finale ad el Alamein che gli
fu favorevole.
Al termine della campagna d’Africa
condusse l’8ª Armata durante l’invasione
della Sicilia e della penisola italiana.
A gennaio del 1944 ritornò in Gran
Bretagna per guidare le forze da sbarco in
Normandia sotto il comando del gen.
Eisenowher. Avvenuto lo
sbarco a giugno 1944
Montgomery diresse le
operazioni fino ad agosto,
quando l’intero
Comando fu riorganizzato.
Egli fu a capo del
Second Army Group, consistente
di forze britanniche
e canadesi, con le
quali tenne il fronte nord
alleato.
Il 1° settembre del
1944 fu promosso Maresciallo,
il più alto grado
dell’esercito britannico.
Montgomery ebbe il
suo peggior momento nella battaglia di
Arnhem, in Olanda, di settembre 1944
durante la quale subì la perdita di più di
6.000 paracadutisti.
Il 17 dicembre 1944, dopo un tentativo
tedesco di attaccare dalle Ardenne,
Montgomery assunse temporaneamente il
comando delle forze britanniche e statunitensi
a nord della linea belga. Il 4 maggio
1945 egli accettò la resa delle truppe tedesche
in Olanda e nel nord della Germania.
Il 22 maggio divenne capo delle forze
d’occupazione britanniche in Germania e
membro della Commossione di Controllo
alleata.
Nel 1946 Montgomery fu insignito del
titolo di Primo visconte Montgomery di
Alamein.
Dal 1948 al 1951 fu a capo dell’organizzazione
di difesa permanente della
Western European Union, e dal 1951 al
1958 fu delegato supremo comandante
delle forze della Nato (North Atlantic Treaty
Organization). Poi si ritirò per scrivere le
sue memorie.
Morì il 24 marzo 1976 ad Alton,
Hampshire.
Chi fu il migliore generale, Montgomery
o Rommel? A questa domanda
non si può dare risposta a causa della
grande sproporzione di forze e materiali
utilizzati durante la battaglia di el Alamein,
la sola vera circostanza in cui i due generali
si fronteggiarono direttamente.
Montgomery possedeva sicuramente
una forte personalità (occorre comunque
dire che avere a che fare con Churchill era
altrettanto difficile che con Hitler) ma in
quanto ad abilità tattica Rommel ne
mostrò di più di quanto ne abbia mai esibito
Montgomery.
Carri italiani M13/40
in movimento.
Clifton il temerario
attacco portato dalla 2ª divisione neozelandese
durante l’operazione
L’
Beresford era fallito: la 6ª brigata di fanteria
si stava ritirando in disordine lasciando sul
terreno una cinquantina di morti. Alcuni
paracadutisti della Folgore, dopo aver
respinto l’attacco, uscirono dalle linee per
recuperare armi e catturare prigionieri.
Una pattuglia s’imbatté in un uomo
che girovagava sperduto nella notte, e certamente
nessuno di quegli uomini poteva
immaginare di incontrare un generale.
Quell’uomo era proprio il comandante
della 6ª brigata, il gen. George Clifton,
smarritosi mentre cercava il suo 26° battaglione.
Portava ancora con sé una borsa
contenente carte segnate e documenti
operativi.
Fu preso e, il giorno seguente, condotto
da Rommel. Il generale inglese si disse
mortificato di essere stato catturato proprio
dagli Italiani. Anzi raccontò di aver
urlato alla pattuglia italiana che era circondata
da forti unità corazzate britanniche e
pertanto doveva arrendersi. Gli Italiani
erano caduti nel tranello e stavano posando
le armi, quando sopraggiunse un ufficiale
tedesco che mandò a monte il suo
piano.
Forse Rommel credette alla storiella di
Clifton, poiché la riportò esattamente così
nel suo libro Guerra senza odio, senza commentarla.
Ed evidentemente il generale
inglese ammirava più i Tedeschi che gli
Italiani, poiché dichiarò di voler restare in
mano tedesca e non essere consegnato agli
Italiani. Rommel cercò di accontentarlo.
Invece le cose non erano andate così.
Effettivamente Clifton tentò di ingannare
la pattuglia italiana, ma l’ufficiale che lo
fermò parlava bene l’inglese e gli rispose:
«Siamo qui per combattere!». Poi fece
scortare il generale al posto di Comando
del 187° fanteria. Il portaordini del col.
Carmosso entrò nell’ufficio del comandante
dicendo: «Là fuori c’è un tizio con un
berretto da capostazione!». Il colonnello
restò perplesso, poi si ricordò del fatto che
i generali inglesi portavano sul berretto
una larga fascia rossa, capì e fece entrare il
prigioniero. Anche a Carmosso Clifton raccontò
la storiella che numerosi corazzati
inglesi stavano circondando la postazione
e gli chiese la resa. Carmosso rispose che
intanto era lui il prigioniero e comunque
non aveva tempo da perdere. Il giorno
dopo fu mandato da Rommel.
Da qui Clifton fu trasferito ad un posto
tedesco di Marsa Matruh. Chiese di poter
andare al gabinetto e, poiché la sorveglianza
era scarsa, ne approfittò per scivolare
dalla finestra e allontanarsi nel deserto.
Scattò l’allarme e le pattuglie tedesche
si sparpagliarono alla ricerca, ma dell’intraprendente
generale non c’era più traccia.
Alcuni giorni dopo il cap. Medicus,
mentre era a caccia di gazzelle con altri
ufficiali tedeschi, intravide un uomo che
avanzava a fatica nel deserto. Lo raggiunse
e scoprì che era il gen. Clifton. Al limite
delle sue forze, si trascinava portando con
sé un piccolo bidone d’acqua.
Fu rispedito da Rommel, il quale, per
evitare un ulteriore tentativo di fuga, lo
mandò subito in Italia. Nel frattempo il
Comando Superiore della Wehrmacht
aveva ordinato la consegna del generale
inglese agli Italiani, secondo gli accordi.
Il cap. Medicus chiese a Rommel una
licenza premio per la cattura del generale,
ma la risposta fu negativa, perché al
momento ogni uomo era necessario lì al
fronte.
«Allora il prossimo generale lo lascerò
scappare!», borbottò Medicus.
Le peripezie di Clifton non erano però
finite. In Italia, mentre veniva trasportato
ad un campo di prigionia, tentò la fuga
una seconda volta. Ma lo fece da un treno
in corsa e il tentativo fallì miseramente:
ottenne soltanto la frattura del bacino e
non fu più in grado di camminare.
367
PANZERARMEE AFRIKA (23 ottobre ‘42)
Comandante: gen. Georg Stumme • Capo di S. M.: col. Siegfried Westphal
DAK
gen.
Wilhelm von
Thoma
15ª Panzerdivision
(gen. Gustav von Vaerst)
21ª Panzerdivision
(gen. Heinz von Randow)
– 8° Panzerregiment
– 115ª Panzergranadiere regiment
– 33° gruppo esplorante
– 33° rgm. artigl. motorizzato
– 33° gruppo Panzerjäger
– unità minori e servizi
– 5° Panzerregiment
– 104° Panzergranadiere regiment
– 3° gruppo esplorante
– 155° rgm. artigl. motorizzato
– 39° gruppo Panzerjäger
– unità minori e servizi
90ª div. leggera
(gen. Theodor von Sponeck)
164ª Divisione di fanteria
(gen. Karl Hans Lungershausen)
– 155° rgm. fanteria
– 361° rgm. fant. Afrika
– 200 rgm. fanteria
– 228° Panzergranadiere regiment
– unità minori e servizi
– 125° Panzergranadiere regiment
– 382° Panzergranadiere regiment
– 433° Panzergranadiere regiment
– 220° rgm. artiglieria motorizzato
– unità minori e servizi
Il “pessimista”
Erwin Rommel.
22ª brigata paracadutisti (gen. Hermann Ramcke)
XX corpo
di armata
gen.
Giuseppe
De Stefanis
XXI C.A.
gen.
Alessandro
Gloria
X C.A.
gen.
Enrico Frattini
D. cor. Ariete
(gen. Francesco Arena)
D. mot. Trieste
(gen. Francesco La Ferla)
D.f. Bologna
(gen. Alessandro Gloria)
D.f. Trento
(gen. Giorgio Masina)
D.f. Brescia
(gen. Brunetto Brunetti)
D.f. Pavia
(gen. Nazareno Scattaglia)
D.f. Folgore
(gen. Enrico Frattini)
– 8° Bersaglieri
– 132° fanteria carrista
– 132° artiglieria
– unità minori
– 65° e 66° fanteria
– 9° bersaglieri
– 21° artiglieria
– unità minori
– 39° e 40° fanteria
– 205° rgm. artiglieria
– unità minori
– 61° e 62° fanteria
– 46° artiglieria
– unità minori
– 19° e 20° fanteria
– 1° rgm. artiglieria celere
– unità minori
– 27° e 28° fanteria
– 26° rgm. artiglieria
– unità minori
– 186° e 187° fanteria
– 185° rgm. artiglieria celere
– unità minori
Supporti e servizi d’armata e di corpo d’armata (italiani e tedeschi)
Hitler si congratula con Rommel
Caro Führer,
vienimi incontro
Quando Rommel arrivò a Berlino fu accolto con
tutti gli onori e ricevette il bastone di
Maresciallo dalle mani di Hitler. Rommel raccontò al
Führer delle cause dell’insuccesso ad el Alamein,
380
della supremazia aerea britannica e del fatto che per
affrontare la RAF occorreva un immediato invio di
unità aeree; anche per le forze terrestri era necessaria
una notevole quantità di rifornimenti.
Göring, presente all’incontro, minimizzò le difficoltà
espresse da Rommel e quando sentì che gli
aerei britannici avevano messo fuori combattimento
i panzer con granate americane da 40 mm, affermò:
«Impossibile! Gli americani sanno fabbricare soltanto
8ª ARMATA BRITANNICA (23 ottobre ‘42)
Comandante: gen. Bernard L. Montgomery
Capo di Stato Maggiore: gen Francis de Guingand
Hermann Göring,
eterno ottimista.
10° corpo
d’armata
gen.
Herbert
Lumsden
13° corpo
d’armata
gen.
Brian
G. Horrocks
1ª Div. corazzata
(gen. Raymond Briggs)
10ª Div. corazzata
(gen. Alec H. Gatehouse)
8ª Div. corazzata
(gen. C.H. Gairdner)
7ª Div. corazzata
(gen. Iohn Harding)
44ª Div. fanteria
(gen. I.T.P. Hughes)
50ª Div. fanteria
(gen. John S. Nichols)
51ª Div. f. scozzese
(gen.D.N. Wimberley)
– 2ª brigata corazzata
– 7ª brigata motorizzata
– unità minori e servizi
– 8ª brigata corazzata
– 24ª brigata corazzata
– 133ª brigata motorizzata
– unità minori e servizi
– pochi reparti
supporti di corpo d’armata
– 4ª brigata corazzata leggera
– 22ª brigata corazzata
– 1ª brigata di fanteria francese
– unità minori e servizi
– 131ª e 132ª brigata di fanteria
– unità minori e servizi
– 69ª brigata di fanteria
– 151ª brigata di fanteria
– 1ª brigata di fanteria greca
– 2ª brigata di fanteria francese
– unità minori e servizi
supporti di corpo d’armata
– 152ª 153ª 154ª brigata di fanteria
– unità minori e servizi
30° corpo
d’armata
gen.
Oliver Leese
2ª Div. f. neozel.
(gen. B.C. Freyberg)
4ª Div. f. indiana
(gen. F.I.S. Tuker)
4ª Div. f. australiana
(gen. Leslie Morshead)
4ª Div. f. sudafricana
(gen. Daniel H. Pienaar)
supporti di c.a.
– 5ª e 6ª brigata di fanteria
– 9ª brigata corazzata
– unità minori e servizi
– 5ª 7ª e 161ª brigata di fanteria
– unità minori e servizi
– 20ª 24ª e 26ª brigata di fanteria
– unità minori e servizi
– 1ª 2ª e 3ª brigata di fanteria
– unità minori e servizi
– 23ª brigata corazzata
– 121 ° rgm. artiglieria da campagna
– 7° 64° e 69° rgm. artiglieria pesante campale
truppe
d’armata
– 1ª brigata corazzata (gen. B.N. Todd)
– 2ª brigata contraerei per difesa Comando di armata e ferrovia
– 12ª brigata contraerei
– 25ª brigata di fanteria indiana per protezione Comando di armata
per le vittorie ottenute.
lamette da barba».
«Signor Maresciallo – rispose Rommel – ne vorrei
anch’io di quelle lamette». E mostrò un proiettile
che aveva portato con sé: era stato sparato a volo
radente da un aereo inglese ed aveva ucciso l’intero
equipaggio di un carro.
Hitler si mostrò più attento e assicurò che avrebbe
presto inviato un alto numero di Siebelfähren,
zatteroni a basso pescaggio, inaffondabili dai siluri
perché ci passavano sotto, e armati di parecchi cannoni
antiaereo. Sarebbero stati usati per il trasporto
dei rifornimenti in Libia, e sarebbero presto arrivati
in grande quantità. Si impegnò anche ad inviare una
brigata di 500 Nebelwerfer (lanciarazzi fumogeni
multipli), semoventi e persino 40 carri Tiger .
Ogni promessa è debito, si dice, e forse era nelle
intenzioni del Führer mantenerla, ma non fece in
tempo per la battaglia finale.
381
PANZER
ARMEE
AFRIKA
Capitolo 27
Ritorna
Rommel
Rommel arriva
in Africa in tempo
affrontare
la ripresa dell’offensiva
britannica.
Giunge un nave
carica di
carburante, ma
niente di più…
390
Nel tardo pomeriggio del 25
ottobre Rommel raggiunse, a
bordo di un Cicogna, il
Comando della Panzerarmee.
In seguito alle informazioni
ricevute da von Rintelen il feldmaresciallo
aveva fatto un viaggio di ritorno
piuttosto amareggiato. “Con la sensazione
che avremmo combattuto
questa battaglia con ben poca speranza
di ottenere un successo difensivo
– scrisse poi – attraversai in volo il
Mediterraneo…”.
Seppe del ritrovamento del corpo di
Stumme, che giaceva sul terreno adiacente
alla pista. Si pensò che fosse
caduto dalla macchina perché colpito
da apoplessia. Il corpo fu trasferito a
Derna.
La situazione delle scorte era disperata.
C’era carburante per 1,5 razioni.
Si era tentato di inviare rifornimenti,
ma soltanto nel periodo dell’assenza di
Rommel erano state affondate 13
navi, tra piroscafi e motonavi, 1 cisterna
e 3 rimorchiatori diretti in Africa. Le
truppe resistevano bene, ma la 164ª
divisione di fanteria aveva perso il
30% della forza iniziale e la Folgore
circa 5 compagnie (ognuna di 120
uomini). La carenza di carburante
legava le mani in modo impressionante,
perché le forze motorizzate e corazzate
non erano più in grado di muoversi.
E per di più anche le munizioni
cominciavano a scarseggiare.
Il 26 ottobre riprese l’offensiva britannica.
Era ancora buio quando le
artiglierie aprirono il fuoco senza la
preoccupazione di sprecare munizioni.
Decollarono anche i bombardieri della
RAF.
La 9ª divisione australiana di
Morshead riuscì, con un sanguinoso
corpo a corpo, a sfondare la resistenza
di q. 28, catturando i restanti 173
Tedeschi del 125° fanteria e 67 Italiani
del 62° fanteria Nell’importante postazione
continuarono poi a sopraggiungere
nuove unità britanniche. Anche
agli scozzesi andò bene. Dovevano
conquistare il loro tratto di Oxalic.
Un’aliquota della 51ª divisione di fanteria
si avvicinò con cautela all’obiettivo
e finì per trovare la posizione occupata
solo da morti; un’altra aliquota,
invece, dovette conquistare la sua
posizione con sanguinosi assalti alla
baionetta. A Deir el Munassib gli
attacchi della 44ª divisione di fanteria
di Hughes contro il 187° fanteria della
Folgore si chiusero con un fiasco completo:
700 uomini perduti.
Gli Stuka si alzarono in volo per
contrastare l’avanzata nemica, ma la
reazione della contraerea fu violenta.
«Sul teatro di guerra africano non ave-
La situazione è difficile
e Rommel è rientrato
in Africa.
vamo mai visto un così denso tiro contraereo.
– dirà poi Rommel – Centinaia
di tracce luminose si incrociavano
nello spazio trasformando l’aria in un
vero inferno». Decise così di raccogliere
maggiori forze a nord, compresa la 90ª
leggera, la 21ª Panzer e un gruppo
dell’Ariete.
Giunse notizia che erano affondate
altre navi: la cisterna Proserpina con
2.500 tonn. di benzina, proprio davanti
al porto di Tobruk, e la Tergestea,
che trasportava 3.000 tonn. di munizioni
e 1.000 di viveri. Una conferma,
per Rommel, di una lotta senza speranze.
Anche se l’offensiva dell’8ª
armata si trovava ad un punto morto,
poiché la fanteria aveva fallito i suoi
assalti e i corazzati non riuscivano a
superare la barriera delle armi controcarro;
anche se le perdite britanniche
in uomini e mezzi risultavano doppie
di quelle dell’Asse, non si sapeva proprio
come superare la crisi. Rommel
comunicò la drammatica situazione e
l’urgente bisogno di rifornimenti al
Quartier generale del Führer, ma
senza molte speranze.
Montgomery non aveva dubbi
sull’esito della battaglia. Non si era
ottenuta la rottura del fronte? Ebbene,
si doveva riprovare. La Folgore sembrava
un osso duro? Allora era meglio
tentare a nord. Così Horrocks assunse
una posizione statica con le fanterie.
La 7ª divisione corazzata, rimasta con
70 Grant, 27 Crusader e 50 Stuart, fu
recuperata e passata a nord. Anche i
neozelandesi furono recuperati.
Occorreva soltanto una breve pausa
per riordinare meglio tutte le forze, in
vista dell’attacco decisivo.
La notte sul 27 il gen. Briggs pensò
di spingere la sua 7ª divisione corazzata
oltre Oxalic e occupare due posizioni
(semplici pezzi di deserto) chiamate
convenzionalmente Woodstock e
Snipe, che erano stati protetti da reticolati
e pezzi controcarro. A mezzanotte
due battaglioni motorizzati mossero
verso gli obiettivi. Superata la debole
resistenza di elementi avanzati tedeschi,
Woodstock fu raggiunta, almeno
così sembrava, perché all’alba ci si
rese conto di trovarsi invece a sud
dell’obiettivo e in posizione infelice. La
mancata occupazione dell’obiettivo
spinse il gen. Fisher a bloccare la 2ª
brigata corazzata che stava colà
avviandosi.
Anche gli attaccanti a Snipe si fermarono
in una posizione errata scambiando
per l’obiettivo una posizione
difensiva tedesca che fu attaccata e
conquistata. Dopo aver fatto 20 prigionieri
chiamarono avanti i cannoni da 6
Le forze contrapposte
nell’ultima battaglia ad el Alamein
195.000 uomini
Italiani: 54.000
104.000 uom.
Tedeschi: 50.000
2.359 pezzi
campali e controcarro
812 pezzi contraerei
1.093 pezzi
campali e c.c.
1.340 pezzi
contraerei
Italiani: 521
Tedeschi: 572
Italiani: 740
Tedeschi: 600
1.029 carri armati
490 carri
Italiani: 279
Tedeschi: 211
435 autoblindo 119 autoblin.
973 aerei da combatt. 340 aerei
Italiani: 72
Tedeschi: 47
Italiani: 110
Tedeschi: 230
Confronto dei carri per tipo e quantità all’inizio della 3ª battaglia
Stuart 119
Crusader 294
Grant 170
Sherman 252
Valentine 194
279 M14
85 Panzer III
88 Panzer III Sp.
8 Panzer IV
30 Panzer IV Sp.
1.029 490
391
PANZER
ARMEE
AFRIKA
Capitolo 29
La
ritirata
Dopo aver
distrutto le armi
intrasportabili e
i carri armati
rimasti a secco
inizia il triste
ripiegamento
in direzione
di Bardia
414
Alle 15,30 del 4 novembre
1942 le speranze del feldmaresciallo
Rommel e degli
Italiani di raggiungere Alessandria
e conquistare l’Egitto erano
ormai sfumate.
Già nei giorni precedenti si era evidenziata
la superiorità schiacciante
delle forze britanniche, sia in armamenti
che in uomini e mezzi; Rommel,
nell’impossibilità di perforare la barriera
difensiva nemica sul fronte di el
Alamein, era stato costretto a porsi
sulla difensiva, sperando nell’arrivo di
rinforzi e rifornimenti di carburante e
munizioni che invece non giunsero
mai. Le artiglierie e i carri armati
distrutti, o comunque danneggiati,
non potevano più essere rimpiazzati e
le scorte erano ormai esaurite.
La rinuncia dei Comandi italiano e
tedesco ad occupare Malta, importantissimo
crocevia del traffico inglese nel
Mediterraneo aveva causato il continuo
affondamento di navi cisterna italiane
da parte di aerei e sottomarini di
base sull’isola britannica. Il loro carico
(fusti di benzina, munizioni, pezzi di
ricambio e scorte alimentari) giaceva
ormai sul fondo del Mediterraneo e il
mancato arrivo al fronte aveva inceppato
inesorabilmente il meccanismo
della macchina bellica italo-tedesca.
La mancanza di carburante immobilizzò
i panzer del DAK, i carri italiani
dell’Ariete e ciò che restava della
corazzata Littorio e della motorizzata
Trieste; di tutto ciò approfittò il gen.
Montgomery, che poteva permettersi
di distruggere pezzo per pezzo la
Panzerarmee, anche a costo di perdite
elevate, subito rimpiazzate.
Gli aerei dell’Asse avevano potuto
fare ben poco di fronte alla grande
massa di aerei inglesi e americani ed
erano costretti a tornare indietro, finendo,
poi, per non alzarsi più in volo,
lasciando agli avversari il completo
dominio del cielo.
Quando la situazione peggiorò
notevolmente Rommel avrebbe voluto
effettuare subito la ritirata, che invece
fu contrastata sia da Mussolini che da
Hitler. Se fosse stata effettuata al
momento opportuno, quando le forze
corazzate italo-tedesche erano ancora
fortemente attive, queste avrebbero
potuto proteggere il ripiegamento
della truppa più lenta e gli Inglesi non
avrebbero osato attaccare; così era
avvenuto l’anno precedente, durante
l’operazione britannica Crusader,
quando Rommel, pressato dal nemico,
aveva preferito arretrare in buon ordine
in Tripolitania, per poi riattaccare
alcuni mesi più tardi, riconquistando
la Cirenaica e la tanto contesa città di
Pagina precedente:
Una pattuglia australiana
rastrella il territorio
circostante in cerca di
fuggitivi isolati.
Tobruk. Ma ora la situazione era ben
diversa, la disfatta totale era alle porte
e in tal caso nulla avrebbe potuto
sbarrare agli Inglesi la via per Tripoli.
Rommel si era quindi deciso: rititata
a Fuka.
Così; durante la notte tra il 4 e il 5
novembre, lungo tutto il fronte e attraverso
il deserto, il ripiegamento ebbe
inizio. “Fu una gara di corsa con i carri
armati nemici – spiegò Rommel nel suo
libro-diario “Guerra senza odio” – Molte
delle mie unità, che disponevano di
pochi autocarri, erano costrette a ricorrere
ai mezzi di trasporto delle unità
corazzate e faticarono a trarre in salvo i
loro uomini verso occidente, poiché il
tragitto fino a Fuka era di 100 km. I
paracadutisti e gli Italiani del settore
sud andarono a piedi. Purtroppo non
era stato possibile assicurare negli ultimi
giorni l’approvvigionamento delle
truppe, perché le autoblindo nemiche,
sfondato il nostro schieramento, avevano
molestato il traffico delle colonne.
Così queste unità soffrivano di una
grande scarsità di benzina e di acqua”.
Distrutte le armi pesanti, intrasportabili,
e i carri armati che erano rimasti
senza benzina, i soldati italiani del
XXI, XX e X corpo e i paracadutisti
tedeschi cominciarono ad arretrare
attraverso il deserto per poi convogliare
a nord verso la via Balbia, pensando
che la rotabile avrebbe agevolato
la loro ritirata. Ne derivò un caotico
intasamento dell’arteria, tra l’altro illuminata
a giorno dai razzi sparati dai
RITIRATA A FUKA
Britannici e costantemente sotto l’incursione
dei velivoli della RAF.
Da parte britannica Montgomery
voleva la vittoria completa e pensò di
spedire il gen. Freyberg e la sua 2ª D. f.
neozelandese, con la 9ª B. cor. e la 4ª B.
cor. leggera, a tagliare la ritirata a
Rommel con un movimento a tenaglia
da sud, per imbottigliare così la retroguardia
della Panzerarmee e la fanteria
italiana; nel frattempo il 30° corpo
del gen. Leese, il 10° corpo del gen.
Lumsden e il 13° corpo del gen.
Horrocks, avrebbero incalzato gli
avversari da est. Ma i movimenti di
truppe, corazzati e colonne di rifornimento
crearono una tal confusione,
durante la giornata del 4 novembre,
che, giunta la sera, si dovette rinviare
l’impresa alla mattina seguente, poiché
non parve consigliabile affrontare una
marcia notturna in pieno deserto.
Cosicché la mattina del 5 Rommel
aveva già raggiunto il campo di aviazione
di Fuka e aveva posto il suo
Comando su una altura che distava 3
km. Nel frattempo giunse l’approvazione
del Duce e di Hitler alla ritirata da
el Alamein. A Rommel non restò che
scrollare il capo. Per la prima volta –
pensò – il Führer con il suo ordine «la
vittoria o la morte» aveva imposto all’esercito
una decisione tattica catastrofica.
Cominciò a dubitare della competenza
militare di Hitler, che in una situazione
di crisi aveva perso la testa
dando un ordine così insulso. Di colpo il
fondatore del Terzo Reich perdeva ai
suoi occhi la sua fama di stratega
geniale e Rommel era ormai convinto
che l’intervento diretto dei tanti bistrattati
Americani avrebbe causato un
risvolto non piacevole alla guerra. Al di
là dell’oceano un esercito interamente
motorizzato e corazzato, e con una
potente aviazione (se ne erano visti i
primi effetti con quanto era stato già
dato ai britannici), si preparava a dare
battaglia, concedendo scarse possibilità
alla Wehrmacht. La delusione che
provava nei confronti di Hitler, e la
profonda convinzione che ormai la
guerra stava prendendo la piega sbagliata,
modificherà il comportamento
futuro di Rommel; non sempre egli
prenderà decisioni valide e all’altezza
della sua fama (in Italia e in Francia,
durante lo sbarco in Norman-dia), e
415
Si salvi chi può
1
1 Chi può lascia
el Alamein bruciando ciò
che non può essere
trasportato.
2 Si lasciano alle spalle
anche cimiteri
improvvisati con tante
croci.
3 Smobilitazione generale.
Mezzi tedeschi e italiani (i
pochi che ci sono)
tornano indietro per la
Pista dell'Asse.
4 Tra i panzer distrutti
i cannoni britannici sparano
ancora sui fuggitivi.
2
3
4
422
5 Mezzi in fuga sollevano
nuvole di polvere di
sabbia.
5
6 Poco prima di arrivare a
Fuka i fanti del X Corpo
d’armata italiano vengono
raggiunti dalle autoblinde
inglesi e catturati. Una
massa enorme di uomini
che tentava la fuga a
piedi.
7 La rotabile dell’Asse è la
via di fuga più comoda.
Ma la grande massa di
veicoli creano ingorghi.
6
7
423
1
2
1 Ai Britannici resta
il penoso compito di
estrarre dai carri nemici
incendiati i corpi dei
carristi carbonizzati.
2 Fila di mezzi
italo-tedeschi in fuga
verso il confine libico.
424
3
4
3 Il ripiegamento si è
ormai trasformato in
ritirata. Chi può a bordo
dei mezzi motorizzati
(prevalentemente i
tedeschi), gli altri con
tragiche marce attraverso
il deserto.
4 Al Cairo un Panzer IV
catturato viene ispezionato
con curiosità dal gen.
Briggs, dai suoi uomini e
da ufficiali americani.
425
PANZER
ARMEE
AFRIKA
Capitolo 31
Gli sbarchi
nell’Africa francese
Americani
e Britannici
iniziano a
sbarcare sulle
coste del Marocco
e dell’Algeria, ma
è più difficile di
quanto potesse
sembrare…
438
Per tutto il 7 novembre le emittenti
americane e inglesi trasmisero
ad ore prestabilite il messaggio
radio “Arriva Robert!”.
Queste due innocenti parole stavano
ad indicare, a coloro che ne conoscevano
il significato, l’inizio dell’avventura
angloamericana in Africa settentrionale.
L’operazione Torch iniziava l’8
novembre, come previsto.
Dalle 1,30 del mattino dell’8
novembre, ogni mezz’ora, la BBC
diffondeva in lingua francese un messaggio
del presidente Roosevelt che si
attendeva un grande effetto psicologico:
“Nessuna nazione più degli Stati
Uniti d’America è intimamente legata,
tanto per la sua storia che per l’amicizia
profonda, al popolo di Francia e ai
suoi amici.
Gli Americani lottano attualmente
non soltanto per il proprio avvenire,
ma per restituire le libertà e i principi
democratici a tutti coloro che sono vissuti
sotto la bandiera tricolore.
Veniamo verso di voi per liberarvi
dai conquistatori che desiderano solo
privarvi per sempre dei vostri diritti
sovrani, del vostro diritto alla libertà di
culto, del vostro diritto a vivere in
pace.
Veniamo da voi solo per annientare
i vostri nemici; non vogliamo farvi
alcun male.
Veniamo da voi assicurandovi che
partiremo non appena la minaccia
della Germania e dell’Italia sarà stata
sventata. Faccio appello tanto al
vostro realismo quanto ai vostri più alti
ideali.
Non fate nulla per opporvi al compimento
di questo grande disegno.
Aiutateci, l’avvento del giorno della
pace universale ne sarà avvicinato.”
L’appello, invece, cadde praticamente
nel vuoto, dato che pochi ebbero
il tempo o il mezzo per ascoltarlo. In
alcune zone la reazione francese fu
quindi molto decisa.
Era ancora una notte buia, anche
perché una pioggia minuta riduceva
di molto l’efficacia dei proiettori, quando
le navi da trasporto americane gettarono
le ancore al largo, ad una
quindicina di miglia dalla costa algerina.
Erano però visibili le segnalazioni
luminose emesse da bordo dei sommergibili
che erano avanzati il più
vicino possibile alla riva. I mezzi da
sbarco furono messi in acqua, non
senza difficoltà anche a causa delle
onde che causarono anche numerosi
incidenti: qualche soldato, ad esempio,
scendendo lungo le corde a mo’ di
scale, mancò la propria imbarcazione
e cadde in acqua, oppure saltò a
GLI SBARCHI DELL’OPERAZIONE TORCH
Pagina precedente: al
momento dello sbarco
dell'8 novembre '72,
Darlan fu sorpreso ad
Algeri; qui è fotografato
tra Eisenhower (a sinistra)
e Clark. Divenne una
preziosissima pedina
per gli Alleati, anche se
scomoda. Il 24 dicembre
fu assassinato.
In basso: un giornale
statunitense annuncia
l’avvenuto sbarco in
Nordafrica delle truppe
americane.
bordo nel momento in cui un’ondata
la spostava, portando un braccio o
una gamba a finire stretti tra l’imbarcazione
e lo scafo della nave. Urla di
dolore si levavano allora a coprire tutti
gli altri rumori: baccano dei motori,
cigolio degli argani, imprecazioni
degli operatori, ordini e contrordini,
fragore delle onde…
Raggiunta la terra, i soldati si gettavano
in acqua, a volte in punti in cui
l’acqua giungeva sino alle spalle, per
dar modo alle imbarcazioni di tornare
rapidamente alle navi per un’altra
infornata di uomini. Altri incidenti
comunque avvennero: alcuni timonieri
affrontarono male un’onda bagnando
il motore; altri non riuscirono a
tenere l’imbarcazione perpendicolarmente
alle onde durante l’operazione
di sbarco, per cui, presi di traverso,
furono rapidamente spinti
sulla sabbia; in altri casi, nella fretta di
tornare alle navi, i timonieri si dimenticarono
persino di richiudere il portello
di sbarco; decine di soldati si trovarono
a lottare contro le onde nella notte
nera e annegarono dopo essersi disperatamente
dibattuti.
Ad Algeri, già alle 2 del mattino, i
congiurati avevano disposto uomini
armati attorno alla “Villa degli Ulivi”,
residenza del generale Juin. Alcuni
edifici amministrativi e militari, come
la Posta centrale e il Commissariato
centrale di Polizia, erano stati anch’essi
circondati. Alle diverse unità francesi
erano stati diramati ordini falsi che
imponevano loro di non lasciare le
caserme. Diverse personalità si trovarono
agli arresti, come il gen. Koeltz,
comandante della XIX Regione militare,
oppure ad essere sorvegliati a vista
nei loro domicili, come il prefetto, e
vari generali e ammiragli.
Tutto ciò avveniva mentre
il gen. Mast si recava personalmente
incontro agli
Americani per prendere
contatto con loro; questi
però sbarcarono in ritardo e
non potettero essere in città
nell’ora prevista.
439
GLI SBARCHI AD ALGERI
Molto rapidamente la situazione precipitò.
La reazione delle autorità francesi,
che avevano avuto tutto il tempo
per riorganizzarsi, si fece presto sentire e
tutta la manovra dei congiurati si trasformò
in un fiasco totale: plotoni di
guardie si riversarono in città disperdendo
o arrestando gli assedianti.
Ciò nonostante, la sorpresa consentì
agli americani di sbarcare. Il
gruppo denominato Beer poté sbarcare
a Sidi Ferruch senza sparare un
colpo d’arma. Anche il gruppo Apples
prese terra a Castiglione senza incontrare
resistenza e, grazie all’aiuto del
gen. Montsbert, s’impadronì dell’aeroporto
di Blida, dopo che le truppe francesi
si erano ritirate verso le montagne.
Il gruppo Charlie incontrò a capo
Matifu una breve resistenza; superata
rapidamente, andò ad occupare il
campo d’aviazione di Maison Carrée.
L’Eastern Task ebbe qualche difficoltà
di ordine navale: due torpediniere
inglesi dovevano penetrare nel
porto di Algeri ma furono accolti da
un fuoco di sbarramento; i Francesi
furono ben lieti di poter cannoneggiare
le navi inglesi, visto che avevano
440
ricevuto l’ordine di sparare. La
Malcolm fu colpita sullo scafo all’altezza
delle caldaie e fece dietro front. La
Broke riuscì a compiere la propria missione,
nonostante avesse incassato
numerosi colpi che la fecero colare a
Una seduta del Governo
americano all'inizio della
guerra. Il presidente
Roosevelt è al centro.
La scienza al servizio
delle forze armate
A
giugno del 1940 il presidente degli USA Roosevelt stabilì che
il National Defense Research Committee (Comitato nazionale
di ricerca per la difesa) dovesse coordinare e condurre una ricerca
scientifica per lo sviluppo, la produzione, e l’uso di meccanismi
e apparecchiature di guerra. Molto di questo lavoro fu fatto,
ovviamente, in assoluta segretezza. A giugno del 1941 l’Office of
Scientific Research and Development (Ufficio di Ricerca Scientifica e
Sviluppo) (OSRD) sostituì il comitato precedente. I progetti
dell’OSRD dettero agli Stati Uniti e ai soldati alleati bombe più
potenti e più precisi, detonatori più affidabili, arme più leggere e
più precise, trattamenti medici più sicuri e di maggiore effetto,
veicoli più versatili.
Di tutti dei progetti scientifici e tecnici, la storia del DUKW
(pronunciato dack) è forse l’esempio più interessante della diffidenza
dei militari all’uso di nuove tecnologie. La sua introduzione
causò un’accesa battaglia tra gli scienziati civili e i militari.
Il DUKW era, come mostra il disegno, un autocarro anfibio,
definito dagli scienziati che lo progettarono come un mezzo utile
all’esercito poiché in grado di attraversare i fiumi e portare uomini
e materiale sulle spiagge. Inizialmente l’esercito non volle
prendere in considerazione quello stupido autocarro civile. Anche
dopo il completamento di un prototipo di DUKW l’esercito si
ostinò a non vedere alcun interesse in quel mezzo. Però quando
gli ingegneri usarono quel prototipo per salvare sette guardie
costiere, portandole a riva sotto un temporale sulla spiaggia di
Capo Cod; l’interesse dell’esercito si accese improvvisamente.
Infatti il DUKW divenne un mezzo importante per gli sbarchi
nel Pacifico, in Africa, e sulle spiagge della Normandia. Soltanto
in Normandia, il DUKW portò a riva 18 milioni di tonnellate di
materiale in un periodo di 90 giorni, quando il nemico aveva
ancora il possesso di tutti porti disponibili.
picco due giorni dopo in un punto non
molto lontano da Algeri. Comunque, il
commando che era riuscito a sbarcare
fu catturato e sbattuto in prigione.
In Marocco il gen. Béthouart,
comandante della divisione di
Casablanca, precedentemente avvertito
che lo sbarco sarebbe avvenuto
alle 2 del mattino, fece circondare la
Residenza generale di Rabat e tagliare
i fili telefonici che la collegavano al
mondo esterno. Poi si presentò a
Noguès annunciandogli l’arrivo imminente
degli Americani e la presa del
potere ad Algeri da parte del gen.
Giraud. Poiché Noguès rifiutò di collaborare
fu messo in stato d’arresto. Una
linea telefonica era però sfuggita agli
uomini addetti all’interruzione delle
comunicazioni; questa linea era collegata
direttamente con l’ammiraglio
Michelier, comandante della Marina
in Marocco. Così l’ammiraglio fu
messo al corrente della situazione,
ricevendo anche l’incarico di arrestare
Béthouart e i suo complici per tradimento
e di respingere i commandos
che sbarcavano in Marocco.
Alle 5 del mattino i primi Landing
craft raggiunsero le spiagge prescelte,
aprirono le loro porte simili a ponti
levatoi riversando sulla sabbia le truppe.
Ciò avveniva quando i congiurati
francesi erano stati ormai tutti arrestati
e condotti nelle prigioni.
A Safi, il punto più meridionale in
cui le truppe dovevano sbarcare, tutto
fu facile. I 6.500 uomini incaricati
incontrarono una debole resistenza e
la eliminarono.
Negli altri due settori le cose andarono
peggio, perché il fuoco di sbarramento
fu violento e l’avanzamento
piuttosto difficoltoso. Inoltre, si svolse
una battaglia navale: le due flotte si
cannoneggiarono a vista, la francese
nel porto di Casablanca e quella americana
che si teneva al largo. Le navi
americane, più potenti, tra le quali
c’era la corazzata Massachusetts, dotata
di 9 cannoni da 406 con proietti che
pesavano 250 chili, annientarono a
poco a poco la 2ª squadra leggera e i
sommergibili francesi. L’aviazione francese
non poté assolutamente lottare
ad armi pari e restò praticamente fuori
combattimento.
Solo in terra i Marines facevano fati-
441
LE ARMI LEGGERE STATUNITENSI
Pistola Colt 1911 e 1911 A1
Il fatto che l’esercito statunitense abbia adottato la pistola Colt calibro 45, modello 1911, per così lungo
tempo (compreso le due guerre mondiali), la dice lunga sulla qualità di quest’arma. La Colt era il prodotto
di una persona veramente capace, John Moses Browning, padre di molte armi moderne.
L’esercito USA indisse una gara alla ricerca dell’arma adatta con un Ordine Speciale del Segretario della
Guerra datato 28 dicembre 1906. Le armi sottoposte alla prova erano tutte di calibro 45: pistole automatiche
della Colt, Luger, Savage, Knoble, Bergmann, Webley-Fosbery e White-Merrill, e rivoltelle a doppia-azione
della Colt e Smith & Wesson.
Il programma di valutazione era piuttosto rigido ed includeva la persistenza dell’arma alla polvere, alla
ruggine, l’accuratezza, il funzionamento, e numerose altre prove tese a rivelare eventuali crepe formatesi nel
modello e le capacità di servizio generali.
Nel 1907 la commissione aveva completato il suo lavoro e, per quanto riguarda le armi automatiche, le
superstiti erano quelle della Colt e della Savage, che furono assegnate alla Cavalleria per la sperimentazione.
Ma, messe alla prova pratica, nessuna delle pistole sembrò rispondere alle aspettative. Per cui il
Dipartimento d’Artiglieria effettuò una serie di nuovi esperimenti che portarono ad indire una nuova gara tra
i due costruttori per marzo del 1911.
Alla fine la Colt si dimostrò superiore, perché più affidabile, più durevole, più facilmente smontabile per
eventuali sostituzioni di parti, ed anche più accurata. Perciò la Colt entrò in servizio nell’esercito con la
denominazione di “Pistola automatica Browning-Colt calibro 45, Modello del 1911”.
Per raggiungere questo risultato pare che la Colt abbia realizzato quasi 200 prototipi prima del modello
finale, quello che fu accettato. Ciò nonostante la pistola fu negli anni seguenti sottoposta a continui piccoli
miglioramenti che portarono a realizzare il modello finale M1911-A1. La pistola Colt 45 è stata continuamente
prodotta negli anni a seguire restando essenzialmente la stessa, con varianti soltanto di ordine estetico.
Durante la guerra, a causa dell’alto fabbisogno, la pistola fu realizzata anche da altri fabbricanti, come
Ithaca, Remington-Rand, Union Switch, etc.
Un’altra buona arma che gli americani usarono durante la seconda guerra fu il revolver Colt Army 1917,
il cui prototipo era stato presentato nella stessa gara del 1906, ma, dopo le opportune modifiche richieste,
oltre al calibro che da 45 passò a
Revolver
Colr Army 1917.
38mm, fu consegnato all’esercito
solo nel 1917.
Pistola automatica
Colt M1911 A1.
Revolver Colt Navy/Army/Marine
Calibro: .38 Long Colt
lunghezza totale: 280 mm
peso (scarico): 0,965 kg
lunghezza canna: 152 mm
rigature canna: 6 sinistrorse
alimentazione: 6 colpi
velocità del proiettile: 262 m/sec.
Pistola Colt M1911 A1
Calibro: .45
lunghezza totale: mm
peso (scarico): 1,125 kg
lunghezza canna: mm
rigature canna: 6 sinistrorse
alimentazione: 7 colpi
velocità del proiettile: 262 m/sec.
448
MITRAGLIATORI STATUNITENSI
Il mitra Thompson
L
’esercito degli Stati Uniti, alla ricerca di un mitra, nel 1941 si affidò al Thompson. Ne aveva già in possesso
un piccolo numero, acquistato nel 1928 per sperimentazione, e all’inizio della guerra sembrò l’arma
più adatta.
Il Thompson adottato dall’esercito, denominato M1928 o
1928Al, era differente nel sistema di sparo dal modello in vendita
ai civili, anche perché non usava il caricatore circolare ma
quello classico rettangolare. Poiché l’arma era piuttosto difficile
da fabbricare, l’esercito richiese una versione più semplice in
modo che potesse essere prodotto in serie velocemente; dopo
vari esperimenti fu realizzato il mitra noto come Thompson
M1, adottato ad aprile del 1942.
Nonostante ciò il Thompson restava un problema: era ancora
troppo complesso da fabbricare.
Fucile mitragliatore Thompson M1
Calibro: .45 ACP
lunghezza totale: 813 mm
peso (scarico): 4,74 kg
lunghezza canna: 268 mm
rigature canna: 6 destrorse
alimentazione: caricatore da 20 o 30 colpi
velocità del proiettile: 620 m/sec.
ritmo di tiro: 700 colpi al minuto
Thompson M1
Mitra US M3 A1
US M3 A1
Calibro: .45 ACP o 9mm Parabellum
lunghezza: esteso 745mm, retratto 570 mm
peso (scarico): 3,67 kg
lunghezza canna: 230 mm
rigature canna: 4 destrorse
alimentazione: caricatore da 30 colpi
velocità del proiettile: 274 m/sec.
ritmo di tiro: 400 colpi al minuto
Si guardò pertanto al modello tedesco MP40, che aveva sostituito l’MP38 proprio perché era più facile
da fare. Poi l’esercito optò per un’arma ancora più semplice, una copia modificata dello Sten britannico che
fu ribattezzata M3, e soprannominata “grease gun”.
L’M3 era un’arma da fuoco semplice e fatta interamente da tubi di ferro, con camera di scoppio e canna
di acciaio. Il caricatore, però, si inseriva sotto l’arma anziché di lato.
Poiché alcune unità si lamentarono proprio del fatto che l’arma era troppo semplice, furono apportante
alcune modifiche migliorative che dettero vita al modello M3A1. Tutti questi modelli furono realizzati dalla
Guide Lamp Division della General Motors Corporation, che produsse all’incirca 646.000 pezzi di entrambi i
tipi di mitra prima che la guerra fosse finita.
449
PANZER TIGRE I (PZKPFW VI)
Comunemente noto come Tiger (Tigre), Tiger I e PzKpfw VI, ufficialmente
fu prodotto in un solo tipo, invece subì nel tempo diversi miglioramenti
tanto da poterne contare almeno tre modelli principali. Ricevette
inizialmente la designazione di «Panzerkampfwagen VI H (8.8 cm) Ausf
H1- Sd.Kfz.182» e i primi prototipi furono costruiti dalla Porsche. A
marzo del 1943 fu rinominato «Panzerkampfwagen Tiger (8,8 cm L /56)
Ausf E- Sd.Kfz.181», quando la produzione passò alle fabbriche
Henschel e Wegmann, che consegnarono i primi Tigre ad agosto del
1942, spediti subito a Leningrado. Da luglio 1942 ad agosto 1944,
Henschel e Wegmann costruirono solo 1.355 Tigre, a causa della difficoltà
e dell’alto costo di produzione. Mentre la Henschel produceva i
telai, Wegmann assemblava le torrette, che quindi raggiungevano la
Henschel per il montaggio finale. La massima produzione di Tigre avvenne
ad aprile 1944 con 105 esemplari.
Per la Tunisia fu organizzato un Battaglione formato dall’unione
delle schwere Panzer Kompanie 501 e schwere Panzer Kompanie
502, insieme a personale del Panzer Ersatz Abteilung 1 e della
Scuola di Artiglieria Carrista di Putlos. Il comandante dell’unità era il
Major Hans-Georg Lüder. Il Major Hannes Kümmel, esperto comandante
di carri del teatro africano, curò invece l'addestramento degli
equipaggi e dei servizi dello sPzAbt 501 alle speciali condizioni operative
della guerra nel deserto. I carri dello sPzAbt 501, così come i
primi quattro Tigre della 1./502, erano modelli della primissima
serie, con equipaggiamento tropicale, compreso grandi filtri antisabbia
a bagno d'olio Feifel montati sul retro dello scafo. I primi Tigre
dello sPzAbt 501 erano colorati in marrone deserto, un marrone
rosato scuro adatto
alla forte luminosità
del sole nordafricano, mentre quelli dello sPzAbt 502 erano stati
dipinti completamente in grigio scuro, ma si coprirono presto di
uno strato di polvere rossa e fango.
Il maggiore Lüder
raggiunse la Tunisia il
22 novembre 1942,
prima dei Tigre. I
primi ordini che ricevette
furono di appoggiare
il Fallschirmjägergruppe Koch
del 5. Fallschirmjäger Regiment a
Mediez el Bab, perciò formò un distaccamento,
chiamato Kampfgruppe Lüder, con carri e
truppe della 10ª Panzerdivision (due compagnie del
Panzer Abteilung 190 ed una Kradschützen
Kompanie). Il 23 novembre giunsero a
Biserta i primi tre carri Tigre. Altri 3
carri arrivarono a Tunisi l’1 dicembre,
insieme a 4 PzKpfw III. Entro
la metà di gennaio 1943,
con l'arrivo degli ultimi
8 Tigre, entrambe le
compagnie di Lüder
erano a pieni effettivi.
L'operazione
«Eilbote» fu la
prima azione sostenuta
dal Battaglione
al completo.
Panzer Tiger Ausf E- Sd.Kfz.181
Peso: 56 t
Equipaggio: 5 uomini
Armamento: 1 pezzo da 88mm KwK 36 L/56 – 2
mitr. da 7.92mm MG34 – 6 NbK 39 90mm (generatori
di fumo)
Corazza: 26mm minima - 100mm massima
Motore: Maybach HL 210 P 45 - 12 cilindri/650hp
Velocità: 38 km/h su strada - 20 km/h fuori strada
Autonomia: 140 km su strada
464
I primi scontri
1 In Algeria parte del
materiale americano viene
consegnato alle truppe
francesi.
1
2 Una colonna americana
in movimento in Algeria
per dirigersi verso la
frontiera con la Tunisia.
3 Paracadutisti americani
pronti al lancio per una
missione di guerra.
4 Uno Sherman si
prepara ad attaccare,
mentre alcuni soldati
muniti di jeep scrutano il
territorio circostante.
2 3
4
465
PANZER
ARMEE
AFRIKA
Capitolo 35
Guerra
nella Sirte
La Parzerarmee
si pone sulla
difensiva…
ma rischia di
essere presa alle
spalle tramite
un aggiramento
da sud…
484
Il trasporto delle truppe italo-tedesche
non motorizzate era terminato
sulle posizioni arretrate, ma poiché
occorreva evitare che le truppe
poste sulla linea di Marsa el Brega fossero
impegnate nella lotta con i britannici,
Rommel fece dare il segnale della
ritirata. La benzina a disposizione era
sufficiente appena per compire questa
manovra e tra le forze a Tripoli e quelle
al comando di Rommel continuava
a sussistere pochissima coesione.
Grazie alle intercettazioni di
Enigma, gli Inglesi erano perfettamente
a conoscenza delle scarse forze
nemiche rimaste sulla linea Marsa el
Brega. Ciò spinse Montgomery ad anticipare
l’offensiva rispetto alla data prevista
per il 17.
Il mattino del 13 la 51ª Highlanders
(gen. Wimberley) si mise in movimento
sulla via Balbia insieme alla 152ª e
153ª brigata e la 1ª brigata greca,
giunta di rinforzo. Più a sud si mosse la
152ª B.f. scozzese insieme alla 7ª D.cor.
L’avanzata fu lentissima per timore
delle mine.
La mattina del 14 la retroguardia
italo-tedesca (90ª leggera tedesca e il
gruppo Cantaluppi) che si trovava a
sud-ovest di el Agheila venne in contatto
con l’8ª B. cor., ma soltanto verso
mezzogiorno si profilò il massiccio
attacco britannico. Dopo dieci ore di
accaniti combattimenti, durante i
quali ci furono diversi interventi dei
carri M13 della Centauro per evitare
l’avvolgimento della 90ª leggera e
una violenta reazione di fuoco dei
capisaldi, l’azione della 7ª D.cor. fu
stroncata. Le ombre della sera consentirono
poi a Cantaluppi e alla 90ª leggera
di sganciarsi e di portarsi sulla
stretta di el Mugtaa, presidiata dalla
21ª Panzer.
Le perdite erano state notevoli: 109
uomini (di cui 8 ufficiali) tra morti, feriti
e dispersi; otto pezzi da 47/32, dodici
automezzi e quattordici carri distrutti.
Comunque anche i britannici avevano
subito la perdita di 22 carri d’assalto
e 2 carri esploranti. Il proposito britannico
di tagliar fuori la 90ª D. leggera
era fallito, ma nella stessa giornata
la petroliera Macedonia e due navi
veloci che trasportavano complessivamente
3500 tonn di carburante destinate
a Rommel erano state affondate
e al DAK restava in tutto una giornata
di carburante a disposizione.
L’esporazione aerea tedesca
accertò, il giorno seguente, la presenza
di un grosso complesso nemico in
movimento in direzione di Merduma, e
ciò costrinse Rommel ad usare le ultime
gocce di benzina per sgomberare la
sacca. “Mi irritava oltre misura – scrisse
Rommel – vedere che il nemico ci offri-
BATTAGLIA AD EL AGHEILA (14 dicembre 1942)
SGANCIAMENTO DEL DAK (15-16 dicembre 1942)
natura logistica (disguidi nei rifornimenti
di carburante). Si muoveva su
due colonne: a destra la 4ª B.cor. leggera
(gen. Harvey), a sinistra la 6ª e la
5ª B.f. Per tenere libera la via Balbia
alla 21ª divisione, ancora impegnata
dal nemico, il 33° gruppo esplorante
tedesco e la 15ª Panzer era state spostate
da Rommel verso Merduna. In
queste unità si imbatterono le autoblindo
del 1° Royal Dragoons e del 1°
King’s Dragoon Guards. I Royal Scots
Greys erano invece fortemente in ritardo
rispetto al previsto perché rimasti
senza benzina, unici a possedere carri
armati (complessivamente 17 Sherman,
4 Grant e 15 Stuart).
Nel frattempo la 7ª D.cor. tentava
di forzare la stretta di el Mugtaa difesa
dalla 21ª Panzer.
La lotta risultò complicata per i
tedeschi perché impossibilitati a
manovrare, a quando finalmente
arrivò un po’ di benzina, i reparti del
DAK cominciarono l’arretramento
verso en Nofilia. Durante la notte le
unità raggiunsero i punti loro assegnati
e al mattino si trovavano ancora
senza carburante. Nuovamente i britannici
attaccarono. La lotta si stava
spostando sempre più verso la
Litoranea. Quando finalmente giunse
un po’ di benzina, i reparti tedeschi
passarono al contrattacco distruggendo
una ventina di carri nemici, poi
defluirono verso occidente.
Pagina precedente:
Rommel a colloquio
con ufficiali italiani.
va le migliori occasioni per efficaci
contromisure. I comandanti britannici
avevano messo alla loro ala sinistra di
aggiramento soltanto 2000 automezzi
circa. Se avessimo avuto benzina
sarebbe stato facile sbarrare la stretta
di Mugtaa con reparti di truppe e
annientare quel gruppo di aggiramento
con l’impiego della maggior parte
delle nostre unità motorizzate”.
Invece il grosso complesso nemico
(era la divisione neozelandese) procedeva
bene, nonostante gli intoppi di
Nel fortino di Buerat il giorno 17
avvenne un incontro tra Rommel e
Bastico e fu fatto un riassunto delle
vicende degli ultimi giorni. Emerse che
il DAK aveva a disposizione 60 carri,
12 carri erano a Buerat ed altri 10
erano a Tripoli ma privi di benzina.
Con questi mezzi e con scarso carburante
era conveniente affrontare una
lotta ad oltranza sulla linea di Buerat?
«Se perdessimo questa battaglia –
disse Rommel – nessuno potrebbe
sbarrare la strada al nemico fino a
Tunisi». Occorreva quindi arretrare fino
in Tunisia. Alla fine Bastico si disse
d’accordo con la tesi di Rommel, e fu
convenuto di chiedere per radio al
Comando supremo una decisione in
merito. In ogni caso la decisione doveva
essere rapida per poter arretrare
tempestivamente le truppe appiedate
(in maggioranza quelle italiane).
485
PANZER
ARMEE
AFRIKA
Capitolo 37
L’Asse
alla riscossa
In Tunisia arriva
il generale von
Arnim, che era
stato in Russia…
Intanto sta
arrivando pure
Rommel con le
sue truppe
498
Ancor prima che in Tunisia
giungessero le truppe di
Rommel, il gen. Nehring,
sotto l’insistenza di Kesselring,
aveva deciso di prendere l’iniziativa
contro gli anglo-americani, approfittando
dell’arrivo di parte della 10ª
Panzerdivision del gen. Fischer. Lo
scopo della manovra era quello di
impossessarsi della stretta di Tébourba
che, meglio di Djedeida, avrebbe consento
la difesa di Tunisi contro attacchi
provenienti da ovest.
Ma la stretta era occupata dal
17°/21° lancieri e nelle vicinanze stazionavano
altre forze alleate: a
Tébourka il V Northamptonshire e gli
americani del II/13° carri e 5° artiglieria,
dove stavano combattendo contro
una compagnia di paracadutisti tedeschi
colà asserragliatasi; a nord-ovest
di Tébourka si trovavano la Blade
Force e il I/1° cor. americano; il II
Hampshire era ad un paio di km da
Djedeida ed il I East Surrey ad el
Bathan.
Contro queste forze il gen. Fisher
contrappose quattro gruppi tattici
composti da:
il gruppo Lüder (una compagnia carri,
una di motociclisti ed una batteria
campale);
il gruppo Hudel (due compagnie del
1/7° Panzerregiment, una di motociclisti
e due compagnie controcarri);
il gruppo Kock (un battaglione del 5°
paracadutisti, una compagnia controcarri
tedesca e una italiana);
il gruppo Djedeida (una compagnia
paracadutisti e due di fanteria dotati
di due carri Tigre, due Panzer III e tre
cacciacarri).
I primi due gruppi, comandati direttamente
da Fisher, avrebbero attaccato
Tébourka aggirandola dal nord; il
secondo gruppo avrebbe attaccato da
sud-est e il terzo lo doveva impegnare
frontalmente, ma senza forzare.
L’attacco dei tedeschi iniziò con successo
poco prima delle ore 8 del 1°
dicembre 1942. A mezzogiorno la
Blade Force ripiegava in disordine,
mentre a Djedeida gli Inglesi resistevano.
Durante la notte il II Hampshire
arretrò verso Tébourka, mentre il V
Northamptonshire si spostava più a
nord per fronteggiare il gruppo Hudel.
A sostituire la Blade Force fu inviato
sul posto il Combat Command B della
1ª D. Cor. americana, che la mattina
successiva riuscì a respingere momentaneamente
il gruppo Lüder. I tedeschi
però tornarono all’attacco e strinsero il
cerchio.
Il 3 dicembre, con il sopraggiungere
dell’86° Panzergrenadiere che
andava a rinforzare il gruppo Djedei-
Pagina precedente:
i generali Rommel e
Nehring in occasione
di un loro incontro.
In basso: il 18 e 19
dicembre 1942
avvengono dei colloqui
al Quartier Generale
germanico tra Hitler e
Ciano. Sono presenti
Hermann Goering,
il ministro degli Esteri von
Ribbentropp, il Capo del
Comando supremo delle
Forze armate tedesche
Felmaresciallo Keitel e il
Capo di Stato Maggiore
generale Maresciallo
Cavallero. Inoltre, Dino
Alfieri, ambasciatore
italiano a Berlino, e von
Mackensen, ambasciatore
tedesco a Roma.
da e gli interventi della Luftwaffe, la
pressione sulle forze alleate aumentò a
tal punto che queste furono costrette a
ripiegare subendo grandi perdite: 55
carri armati, 4 autoblindo, 4 cannoni
controcarri, 25 pezzi di vario calibro,
300 automezzi e un migliaio di prigionieri.
L’esito della battaglia dimostrò che
le forze italo-tedesche avevano riacquistato
capacità offensiva, e ancor
più che la Luftwaffe aveva fornito un
appoggio efficace tramite incursioni a
volo radente contro i mezzi blindati
nemici. Ciò spinse Eisenhower ad
affermare che se la RAF non sarebbe
riuscita a frenare le incursioni aeree
nemiche sarebbe stato necessario
ripiegare ancora, fino al punto in cui
sarebbe stato garantito un protettivo
«ombrello aereo». Come in effetti
avvenne, perché il gen. Fisher rinnovò
il contrattacco il 6 dicembre, costringendo
gli anglo-americani ad abbandonare
il terreno e a portarsi in tappe
successive (in tre giorni, sotto una
pioggia battente) a nord di Medjerda,
su una posizione denominata convenzionalmente
Longstop Hill.
Intanto tra i tedeschi avvenivano
altri cambiamenti. Qualche giorno
prima, a Berlino, Hitler aveva convocato
al Quartier Generale il gen von
Arnim, che aveva comandato il
XXXIX corpo d’armata in Russia, ed il
gen. Ziegler, suo capo di S.M. Al primo
conferì l’incarico di andare a sostituire
in Africa Nehring, al secondo quello di
“sostituto permanente con pieni poteri”
di von Arnim. In altre parole, se von
Arnim si fosse allontanato girando per
i campi di battaglia (come aveva fatto
Rommel) Ziegler l’avrebbe sostituito al
comando dell’armata con piena autorità.
Hitler assicurò i due che in Tunisia
sarebbero arrivate altre tre divisioni
corazzate e tre motorizzate, oltre la
potente divisione Hermann Göring
della Luftwaffe. Ma i due generali non
furono ben informati delle enormi difficoltà
di rifornimento attraverso il
Mediterraneo controllato dalle forze
alleate. Comunque, dopo tante assicurazioni
e prospettive e la promozione
al grado superiore, Hitler spedì i due
generali in Tunisia, dove giunsero la
sera dell’8 dicembre. Il giorno seguente
Nehring rimpatriò.
La prima cosa che von Arnim fece,
tramite il gen. Gause (giunto nel frattempo
da Roma), fu di consegnare
all’amm. Derrien, comandante delle
forze navali francesi in Tunisia, l’ultimatum
di Hitler. I Francesi dovevano
consegnare immediatamente le instal-
499
PANZER
ARMEE
AFRIKA
Capitolo 38
Operazione
Eilbote
In Tunisia von
Arnim si dà da
fare e dispone una
barriera difensiva
per proteggersi da
ovest. Intanto
pianifica
un’operazione
rapida…
506
Una settimana dopo l’arrivo di
Sogno in Tunisia, il Comando
del corpo d’armata non era
ancora operativo, nonostante
fossero giunti da tempo tutti i responsabili
degli uffici operazioni, informazioni
e servizi. Cosicché von Arnim finì
per chiedere quando il comandante
del corpo italiano si sarebbe assestato
sul fronte assegnatogli. Sogno si recò
da lui il pomeriggio del 7 gennaio
1943, assicurandogli che dal 9 avrebbe
stabilito il proprio comando tattico
a Sousse. Ma c’era un problema: con
c’erano mezzi di collegamento e benché
ne fosse stato ripetutamente sollecitato
l’invio dall’Italia, questi non
erano ancora arrivati. Von Arnim offrì
subito i propri camion, cosicché il 22
gennaio il XXX corpo era già inserito
nel dispositivo, inglobando tutte le
truppe dell’Asse dislocate nella Tunisia
centrale, da Sousse a Sfax. A sud,
invece, si era disposta la D. cor.
Centauro, agli ordini del Comando
Superiore della Libia.
Tra gli Alleati c’erano novità: dal 1°
gennaio la Task Force orientale cambiava
nome in 1ª Armata britannica,
mentre il 4 si costituiva la 5ª Armata
americana, prevalentemente dislocata
in Marocco ed Algeria per timore di
una eventuale offensiva tedesca attraverso
la Spagna ed il Marocco spagnolo,
ma anche per evitare che un
rovescio sul fronte tunisino desse vita
all’opposizione del Nordafrica francese.
Quindi soltanto il 2° corpo d’armata
del gen. Fredendall si stava portando
al fronte.
Eisenhower era allo studio dei vari
piani d’attacco sottoposti alla sua
attenzione. La migliore sembrava
essergli l’operazione Satin, che consisteva
essenzialmente nel taglio della
Tunisia centrale fino a Sfax, e poi l’avanzata
verso nord; oppure un attacco
in direzione di Gabés, e risalita
verso Sfax; o ancora uno sfondamento
nel settore di Kirouan e puntata successiva
su Sousse.
Ma anche i francesi avevano presentato
un loro piano: attacco in direzione
di Sfax per stabilire una barriera
fonte a sud in modo da tagliare la
strada a Rommel, poi effettuare un
rastrellamento della fascia costiera
sino a Capo Bon, ed infine puntare
verso Tunisi.
L’11 gennaio, alla presenza di
Anderson, Juin e Fredendall, Eisenhower
comunicò la sua decisione:
occorreva interrompere la linea di
comunicazione italo-tedesca dando il
via all’operazione Satin, ma prima
occorreva conquistare Fondouk el
Okbi (a questo ci dovevano pensare i
Pagina precedente: dopo
aver combattuto nelle oasi
libiche il gen. Leclerc si è
ricongiunto con le forze
dell'8ª Armata.
A lato: una foto storica
scattata a Casablanca
durante la “Conferenza
della resa incondizionata”
di gennaio 1943.
Da sinistra, Giraud,
Roosevelt, De Gaulle
e Churchill.
In basso:
a Casablanca i due
protagonisti-antagonisti
della resistenza
francese, Giraud e
De Gaulle, costretti a
stringersi la mano davanti
all'obiettivo.
francesi in collaborazione con unità
corazzate americane) e contemporaneamente
la stretta di el Guettar (da
parte del 2° corpo americano).
L’attacco francese riguardò il fianco
sinistro della Superga disposta su un
fronte di venti chilometri che fu sopraffatta
dopo sei ore di lotta. L’impeto
francese fu bloccato dal battaglione di
marcia tedesco A 22 disposto in seconda
linea, cosicché il nemico tentò di
allargare la breccia attaccando altri
obiettivi.
Von Arnim corse ai ripari facendo
studiare un’azione rapida che spazzasse
via la minaccia francese dalla
Dorsale orientale, senza dar tempo
agli Alleati di intervenire con le truppe
di riserva. L’operazione fu chiamata
Eilbote (corriere espresso), e si sviluppava
in due mosse: la prima effettuata
dalla colonna Koch (con la 10ª
Panzer) e la seconda da un gruppo
costituito con reparti della 334ª D. f. e
della 10ª D.cor. agli ordini del col.
Weber.
La colonna Koch si diresse verso Bu
Arada ed impegnò a fondo la fanteria
della 6ª D.cor.; non riuscì a sfondare,
tuttavia ottenne quant’era nelle previsioni,
cioè impedire che andasse a dar
man forte ai francesi.
507
Contemporaneamente in direzione
sud avanzarono le forze di Weber. Alle
5,30 del 18 gennaio il 756° Gebirgsjäger
attaccò la postazione tenuta
dalla Legione Straniera che si difese
accanitamente, tanto da costringere i
tedeschi a far intervenire, con un aggiramento
a breve raggio, i carri del
gruppo Lüder (una quindicina di Tigre
e una trentina di Panzer III); in breve
la postazione francese fu circondata e
a niente servì il contrattacco di un’altra
aliquota di legionari (spalleggiata
da carri Valentine) che fu costretta a
retrocedere.
Il gruppo Lüder riprese il movimento
verso sud e alle 22 giunse ad el
Hamra, sopraffacendo le resistenze
incontrate. Intanto il gruppo tattico
Hasemann (parte del battaglione A 25
e una compagnia del 190° gruppo
cor.), che aveva avuto il compito di
agevolare la discesa del gruppo
Lüder, ancora prima che questi arrivassero,
attaccò il I/7° tirailleurs
marocchino, sfondandone le difese in
un’ora. Per tamponare la breccia
sopraggiunse il III/7° tirailleur, che era
in secondo scaglione, e nonostante
l’appoggio di carri leggeri inglesi non
ottenne alcun esito. Quando giunse il
gruppo Lüder, l’intero settore mosse in
avanti occupando nuove importanti
posizioni. Ciò spinse il gen. Mathenet a
comunicare via telefono con tono
allarmato: «i carri tedeschi stanno
facendo a pezzetti la divisione»; poi
ordinò la ritirata di tutte le unità sul
Djebel Bargou, dove (a 1.200 metri
d’altezza) i carri del nemico non sarebbero
certo arrivati.
Il 20 mattina, consolidato il possesso
di Nenchir Moussa da parte del gruppo
Lüder, l’attacco tedesco riprese con
la fanteria che si impossessò della
stretta di Sidi Salah cacciando via i
francesi. Il tratto settentrionale della
Dorsale orientale era tornato in possesso
dell’Asse, e ai francesi l’operazione
era costata la perdita di 4.000 uomini
(3.000 furono i prigionieri), 70 cannoni,
13 carri, 200 automezzi e molto materiale
vario, contro le irrilevanti perdite
italo-tedesche.
508
DISPOSITIVO ITALO-TEDESCO al 12 gennaio 1943
Poiché l’operazione Eilbote aveva
dato fino a quel momento ottimi risultati,
von Arnim decise di far proseguire
l’azione. Il gruppo Lüder, perciò, riprese
il movimento a sud andando a
scontrare le truppe francesi che si
erano rafforzate e posizionate su tre
sbarramenti: il primo, il più robusto, fu
superato d’impeto; gli altri due aggirati
a breve raggio.
Il giorno seguente, 21 gennaio, i
tedeschi fecero una pausa, limitandosi,
con gli italiani della Superga, ad eliminare
le ultime sacche di resistenza
nella zona. Nel pomeriggio gli americani
effettuarono un raid aereo sulle
posizioni germaniche, il cui scopo principale
fu quello di recuperare le truppe
francesi.
A questo punto von Arnim pensò
fosse giunto il momento di interrompere
l’operazione tedesca, non essendo
possibile un’ulteriore avanzata; il 23 il
gruppo Lüder rientrò nelle proprie
OPERAZIONE EILBOTE (18-20 gennaio 1943)
e mezzi e l’aumento dell’irascibilità di
Giraud, che se la prese con i britannici
e la lentezza dell’aviazione americana.
Costoro, invece, più a nord avevano
il loro da fare nel cercare di tenere
lontani i carri tedeschi.
R R R
linee e fu sciolto. La Superga si riassestava
tra i battaglioni di fanteria tedeschi.
Ad Eisenhower non restò altro da
fare che sciogliere il distaccamento
d’armata francese, e i soldati tunisini
del gen. Barré si andarono a raccogliere
nella zona di Costantina. In tal modo
la 1ª Armata britannica risultava ora
composta dal 5° corpo britannico, dal
19° francese e dal 2° americano.
Tra la fine di gennaio e l’inizio di
febbraio avvennero altri tentativi di
attacco da parte dei francesi che
sostanzialmente non portarono a
nulla, se non la perdita di altri uomini
Nel frattempo Roosevelt e Churchill,
dando per scontato l’esito favorevole
della guerra in Africa, si ponevano il
quesito di cosa fare successivamente.
Inoltre, gli U-Boote stavano compiendo
in Atlantico una strage nei convogli e
occorreva risolvere il problema della
sicurezza nella navigazione. Per risolvere
i dilemmi proposero a Stalin un
incontro a tre, ma poiché costui era al
momento indisponibile, si decise di
organizzare un incontro a due a
Casablanca.
La conferenza ebbe luogo dal 14 al
24 gennaio. Risultò evidente che la
lotta in Nordafrica era tutt’altro che
conclusa e probabilmente l’invasione
dell’Europa non sarebbe potuta avvenire
prima del 1944.
Gli Inglesi sostennero che occorresse
sfruttare la conquista del Nordafrica
per costringere l’Italia ad uscire dal
conflitto e far intervenire la Turchia al
fianco degli Alleati. Nel frattempo
occorreva continuare ad inviare rifornimenti
in Russia e i preparativi di
Bolero. Se la conquista del Nordafrica
fosse avvenuta in breve tempo si
sarebbe potuto inviare un corpo di
spedizione di 20-25 divisioni nel continente
europeo anche l termine dell’estate
del ‘43. Ancor meglio, dare avvio
all’operazione Husky (invasione della
Sicilia) o Brimstone (invasione della
Sardegna) e, successivamente, balzo
nella penisola italiana. Le conseguenze
di ciò sarebbero state: la sicura
caduta di Mussolini e dell’Italia; maggior
impegno di Hitler nel Mediterrneo
a spese delle difese in Europa occidentale;
basi aere a disposizione in Italia
per colpire gli impianti bellici nella
Germania meridionale e i campi
petroliferi in Romania.
Gli Americani invece temevano
che una lotta in Italia avrebbe ridotto
di molto le riserve destinate all’invasione
dell’Europa. Tanto valeva aspettare
e impegnarsi maggiormente nel
Pacifico contro i Giapponesi.
509
La Tunisia è bombardata
1
1 In una Biserta che ha
già conosciuto l’orrore del
bombardamento aereo
arrivano navi che
scaricano materiali bellici
e provviste.
2 Vengono anche
scaricati nuovi carri M14.
3 Una postazione italiana
del 131° Reggimento
Artiglieria Corazzata ad
el Guettar.
4 Fuoco della contraerea
a Tunisi.
5 Una strada di Biserta
dopo il bombardamento
del 6 gennaio 1943.
2
510
3 4
5
511
I Tedeschi incutono ancora timore
1
1 Anche se gli Alleati
hanno a vantaggio la
superiorità aerea, ciò non
vuol dire che la Luftwaffe
non sia presente nei cieli.
Questo B25 è stato
attaccato da un
Messerschmitt 109 ed ha
effettuato un atterraggio
di fortuna in Algeria,
nei pressi della frontiera
tunisina.
2
3 4
526
2 Un carro Valentine
funge da trasporto di fanti
della 51ª Highland
Division.
5
3 Quest’altro Valentine,
invece, catturato dai
tedeschi è stato usato
dalla 7ª Panzer Regiment
ed ora dalla
10ª Panzerdivision.
4 Soldati britannici
avanzano in Tunisia
con l'appoggio di carri
americani.
5 Uno Stuart M3
americano della 1 D.cor.
è stato catturato ed è ora
oggetto di curiosità da
parte di soldati tedeschi.
6
527
PANZER
ARMEE
AFRIKA
Capitolo 40
Battaglia
a Mareth
Le truppe di
Montgomery
pressano gli italotedeschi
da sud e
giungono a
battaglia, mentre
Rommel prepara
il piano Capri…
che non è una
vacanza…
528
Sulla linea di Mareth, i Britannici
al comando di Montgomery si
trovavano a stretto contatto con
le logorate unità italo-tedesche,
già al comando del gen. Messe. Dopo
il suo insediamento (20 febbraio), il
generale italiano comunicò al comando:
“(…) non bisogna però nascondersi
che gli uomini sono usciti da questa
durissima impresa provati nel fisico e
turbati nello spirito. Logori ne sono
usciti i materiali. Lo sforzo tuttavia
rimarrebbe infruttuoso se in questo
periodo che abbiamo a disposizione
fino alla prossima battaglia le forze
tratte in salvo non ricevessero il necessario
potenziamento per affrontare
nuovamente l’urto (…)”.
Era stato quindi predisposto lo spostamento
a sud della 10ª e 21ª Panzer,
ma a causa dell’attacco della 5ª
Armata tale manovra subì il ritardo di
alcuni giorni. Anche il DAK fu assegnato
alla 1ª Armata, ma Rommel
dispose che Ziegler assumesse il
comando di tutte le unità tedesche,
eccetto che per la 90ª leggera che
restava al XXX corpo
Da parte italiana il XX corpo aveva
bisogno di essere resa più organica. Fu
decisa la trasformazione della Giovani
Fascisti in Bersaglieri d’Africa (7° e 8°
bersaglieri), però i due battaglioni
necessari per completare i reggimenti
sarebbero arrivati solo a fine aprile per
carenza di armi controcarri e automezzi;
c’erano enormi difficoltà per ricostituire il
DLIX gruppo semoventi da 75/18, il cui
materiale si trovava in fondo al mare; si
cercava, tuttavia, di inviare in Tunisia
altri dieci battaglioni e venti batterie per
completare le unità. Anche la Centauro,
che passava all’armata, doveva
essere ricostruita, però il 31° carristi
doveva limitarsi a due battaglioni, il 5°
bersaglieri non avrebbe ricevuto il terzo
battaglione che a fine aprile.
Montgomery ebbe quindi tutto il
tempo necessario per rafforzare i preparativi
difensivi delle sue truppe sulle
nuove posizioni occupate, per cui un
attacco contro l’8ª Armata britannica
diveniva ora assai arduo. Restava una
speranza: che il nemico non si fosse
ancora ben assestato nella zona intorno
a Medenine; disperdere queste
forze avrebbe consentito di guadagnare
tempo. Ma possiamo ben immaginare
quale fosse il morale delle truppe
italo-tedesche, se consideriamo che
aveva di fronte un nemico superiore di
forze e mezzi, esperto della guerra nel
deserto, che poteva spostarsi ovunque
liberamente e rapidamente, e dotato
di risorse praticamente inesauribili.
Fu vivacemente discusso se convenisse
restare sulla difensiva o attacca-
LA POSIZIONE DI MARETH-EL HAMMA
re; inoltre, la difesa doveva posizionarsi
sulla linea di Mareth el Hamma,
oppure ad Akarit, come avrebbero
preferito Rommel e Messe? Ma il
Comando supremo già da dicembre
aveva scelto la prima posizione e su
questa erano stati effettuati la maggior
parte dei lavori per renderla efficiente.
Questa posizione era suddivisa in due
settori: la linea di Mareth, fronte a sudest,
chiamata pomposamente “la
Maginot del deserto”, e la linea di el
Hamma, fronte a sud-ovest. La prima
s’imperniava praticamente sulle vecchie
fortificazioni francesi (casematte e
capisaldi campali) tutto sommato piuttosto
modesti, sia per le demolizioni
operate dei francesi che per l’incuria
del tempo; fu necessario perciò fortificata
maggiormente con l’aggiunta di
fossi anticarri, 68 km di reticolato e
18.000 mine anticarro.
Complessivamente l’armata contava
circa 77.000 uomini, 400 pezzi d’artiglieria
da campagna e pesanti, 80 carri
efficienti (14 italiani e 66 tedeschi) e 87
autoblindo (40 italiani e 47 tedeschi).
La decisione presa fu: attaccare.
Messe e Rommel furono tutt’altro che
Pagina precedente:
il gen. Freyberg dirige le
operazioni dai monti di
Matmata sul carro del
comandante, un Honey
soprannominato Polly III.
LA BATTAGLIA DI MEDENINE (6 marzo 1943)
529
PANZER
ARMEE
AFRIKA
Capitolo 41
La lotta
finale
La fronte a sud
non si può tenere
senza aiuti e
Rommel
raggiunge in
Russia Hitler, il
quale è abbattuto
per la disfatta di
Stalingrado… In
queste condizioni
quale aiuto
può ricevere il
felmaresciallo?
540
Rommel, nel suo rapporto al
Comando supremo e all’OKW,
descrisse la situazione delle
forze dell’Asse e finì col chiedere:
“Poiché l’estensione del fronte di 625
km sarebbe alla lunga insostenibile,
essa deve essere ridotta a 150 km.
Come nuova linea sarebbe da prendere
in considerazione il fronte attuale
della 5ª Armata corazzata fino a
Gebel Mansour e di qui, attraverso le
montagne, fino a Enfidaville. Sarebbe
inoltre desiderabile che il nemico
venisse respinto oltre le montagne in
direzione ovest, fuori dalla zona di
Medjez el Bab e di Bou Arada.
Naturalmente il proposto accorciamento
del fronte avrebbe per conseguenza
l’abbandono di gran parte
della Tunisia e, fra l’altro, anche di
campi di aviazione. Il nemico, inoltre,
potrebbe stabilire via terra il collegamento
fra il gruppo ovest e il gruppo
est. Ma il fronte accorciato avrebbe il
vantaggio di poter essere presumibilmente
tenuto più a lungo di quello
presente. Se questo lungo fronte crollasse,
la 1ª Armata non potrebbe più
essere rifornita. Le due armate sarebbero
sopraffatte separatamente. E allora
non si potrebbe più stabilire un fronte
accorciato delle dimensioni proposte,
per mancanza di forze insufficienti
e la testa di ponte in Africa sarebbe
completamente perduta.”
Si occupò anche del problema dei
rifornimenti: “(…) spiegai che si poteva
incominciare a stabilire le scorte indispensabili
alla difesa da un attacco in
grande quando gli arrivi raggiungessero
almeno 140.000 tonn mensili. Da
quanto si può umanamente calcolare
e in base all’esperienza degli ultimi
anni questo risultato non è però raggiungibile.”
Chiuse il rapporto in questo modo:
“In considerazione di questa difficile
situazione del gruppo di armate, prego
di comunicarmi una rapida decisione
sull’ulteriore condotta strategica della
guerra in Tunisia. Si può calcolare sull’inizio
della grande offensiva nemica già
nella prossima fase di luna piena.”
La decisione si fece attendere a
lungo, finché il comandante in capo
del sud informò Rommel che Hitler non
si trovava d’accordo sul suo giudizio
della situazione. Accluso alla risposta
c’era uno specchietto comparativo
delle forze in campo, compilato in
base al numero dei reggimenti, senza
tener conto dell’armamento e dei
mezzi a disposizione. In quel modo si
voleva dimostrare che non si era così
inferiori al nemico.
«Evidentemente – commentò Rom-
Pagin precedente:
il gen. Messe e
il gen. Mancinelli in una
foto di marzo 1943.
Un colloquio del 16 marzo
tra i generali Patton
ed Eisenhower prima
dell'offensiva del
2° corpo americano.
mel – lassù si facevano delle illusioni a
causa del fatto che le possibilità dei
trasporti erano di molto accresciute in
rapporto ai tempi precedenti».
Infatti, in gennaio erano arrivati
46.000 tonn di merci, con 50 carri
armati, 2000 automezzi e 200 cannoni;
in febbraio 53.000 tonn, con altri 50
carri armati, 1300 automezzi e 120
cannoni. Tuttavia non si teneva conto
che nel frattempo l’equipaggiamento
degli anglo-americani non solo era
divenuto più numeroso ma anche
migliorato qualitativamente.
Il 7 marzo Rommel ritornò a Beni
Zelten dove congedò il gen. Ziegler e il
col. Bayerlein; quest’ultimo fu assegnato
al gen. Messe in qualità di capo
tedesco dello stato maggiore generale.
Poi, il 9, Rommel partì in volò per il
Quartier generale del Führer in Russia
con l’intento di informare Hitler dei
reali problemi operativi in Tunisia.
Fece prima una tappa a Roma, dove
parlò con Mussolini; si rese conto che
anche costui mancava del senso della
realtà, probabilmente perché temeva
che una caduta di Tunisi avrebbe
causato ripercussioni sulla politica
interna italiana. Rommel rifiutò persino
l’invio di un’altra divisione italiana
in Tunisia, rispondendo al Duce che
avrebbe preferito piuttosto un maggior
rifornimento d’armi alle truppe già esistenti
sul territorio tunisino. Il tono del
Duce, che parlava in tedesco, era iniziato
in modo cordiale ma divenne
alla fine alquanto aspro, irritato dalle
opinioni “disfattiste” di Rommel.
Cosicché egli prese la medaglia d’oro
che voleva consegnargli, in bella
mostra sulla scrivania, e la pose in un
cassetto. Rommel notò la manovra e si
morse la lingua: sarebbe stato meglio
attendere la consegna della medaglia,
prima di parlare, pensò. Tuttavia
Mussolini lo ringraziò per le sue prestazioni
durante la campagna d’Africa e
gli espresse tutta la sua fiducia.
A proposito di Mussolini Rommel
scrisse: “Ho sempre apprezzato molto il
Duce. Era, è vero, un grande commediante
come la maggior parte degli
italiani. Sebbene avesse un livello
intellettuale molto elevato, era troppo
schiavo del sentimento per poter realizzare
i suoi piani ambiziosi. Ma è fuor
di dubbio che il popolo italiano gli
deve molto. La bonifica delle paludi
pontine, la colonizzazione della Libia e
dell’Abissinia non sarebbero mai
avvenute senza di lui. Purtroppo, molti
suoi collaboratori non vedevano sempre
le cose da un punto di vista ideale
come il suo, bensì esercitavano una
corruzione organizzata. Ora il Duce
vedeva infrangersi il suo sogno. Erano
ore amare per lui ed egli non era certamente
in grado di trarne le conseguenze.
Forse, alla fine, avrei dovuto
comportarmi verso di lui in un altro
modo, ma ero così irritato per quell’eterna
mania di veder tutto roseo che
proprio non potevo”.
Nel pomeriggio del 10 Rommel era
in Russia alla presenza di Hitler. Costui
era molto abbattuto per la catastrofe
di Stalingrado; disse che dopo una
sconfitta si era inclini al pessimismo, e
questo poteva condurre a fallaci con-
541
PANZER
ARMEE
AFRIKA
Capitolo 42
Enfidaville:
ultima battaglia
Inutile difesa
alle porte di
Enfidaville. La
resa è inevitabile,
ma tocca a von
Arnim. L’aveva
scampata in
Russia, ma qui…
552
Il 7 aprile 1943 i capi di Stato
Maggiore britannici segnalarono a
Washington che probabilmente
l’Asse avrebbe tentato un’evacuazione
in massa dalla Tunisia, cosa da
impedire ad ogni costo.
Il 10 aprile Ultra inviò a Montgomery
un’altra lieta novella: gran
parte della 21ª Panzer, della 164ª e
della 90ª leggera ripiegavano a piedi
per mancanza di carburante, ed avevano
quindi abbandonato il materiale
pesante.
Montgomery chiese ad Alexander
quale armata sarebbe stata incaricata
di svolgere la parte principale nella
fase finale della campagna. A quest’ultimò
sembro più adatta la 1ª di
Anderson, in quanto i suoi mezzi corazzati
avrebbero potuto irrompere con
più facilità nella piana ad ovest di
Tunisi, mentre la cortina montana di
Enfidaville sembrava un ostacolo più
duro da superare. In realtà in questa
scelta c’era lo zampino di Eisenhower,
il quale desiderava che il merito del
successo finale andasse alla 1ª
Armata e in particolare al 2° corpo
americano. Fece così in modo che il
piano fosse subito approvato. A
Montgomery fu soltanto chiesto: «Spero
che pensiate a sviluppare la massima
pressione contro la posizione di
Enfidaville in concomitanza con l’attacco
della 1ª Armata…».
L’attacco a nord, secondo le istruzioni
impartite il 12 aprile, doveva svilupparsi
nel seguente modo:
– offensiva da parte della 1ª
Armata con obiettivo Tunisi;
– attacco contemporaneo del 2°
corpo americano, alle dipendenze di
Alexander, con obiettivo Biserta;
– forte pressione dell’8ª Armata su
Enfidaville ed eventuale avanzamento
lungo la direttrice Enfideville-
Hammamet-Tunisi.
L’intera operazione rientrava in un
piano chiamato Vulcan. Il calcolo
delle forze in campo era di circa 10 a 1
per i carri, 4 a 1 per le artiglierie, 5 a 1
per i pezzi controcarro.
Intanto, in campo avverso, si faceva
tutto il possibile per rinforzare le
difese. Tra le unità italiane di nuova
costituzione figurava il reggimento
d’assalto Duca d’Aosta della Regia
Aeronautica. Scomparve dalla scena
la Centauro, i cui reparti corazzati si
unirono al gruppo Piscicelli, altri al
Reco Lodi oppure passarono alle
dipendenze della Pistoia. Il 5° bersaglieri
era in via di ricostituzione.
Il sistema difensivo comprendeva
una posizione avanzata, una zona
definita “di sicurezza” ed una posizione
di resistenza. La posizione avanzata
RIPIEGAMENTO DEL 10 E 11 APRILE
e la Trieste. Poi il XXI con la Pistoia, la
164ª leggera e la Spezia.
Le riserve erano misere, praticamente
la sola 15ª Panzer ridotta ad un
pugno di carri.
La difesa nella retrovie doveva
essenzialmente occuparsi di vigilare
contro eventuali azioni di commandos
e di paracadutisti, ma anche contro
eventuali tentativi di sbarco. Per questa
ragione fu particolarmente rinforzata
la penisola di Capo Bon con artiglierie
costiere e con reparti autoblindo di
cavalleria: Reco Lodi, Nizza e Monferrato.
Nei giorni successivi si estesero le
misure lungo tutta la costa interessata.
Ogni presidio si organizzò a caposaldo
contro ogni direzione.
Pagina precedente:
il gen. britannico
Anderson incontra
il gen. Bradley,
comandante del 2° corpo
americano.
doveva essere occupata da elementi
in grado di potersi muovere agevolmente
e con buona potenza di fuoco,
in modo da dare l’impressione che
fosse quella principale. La zona di
sicurezza era più profonda, specialmente
in corrispondenza di Enfidaville,
di Biada e di Saouaf. In questa zona
era compresa il saliente di Takrouna,
una ripida altura rocciosa di 150 m,
dalla quale si poteva dominare la
valle e che avrebbe potuto esercitare
un effetto frenante alle spalle di un
nemico che si fosse avventurato negli
“inviti” naturali della posizione difensiva.
Lo schieramento vedeva in sostanza
il XX corpo, posizionato ad oriente
con la 90ª leggera, la Giovani Fascisti
A metà aprile la consistenza del
gruppo d’armate venne valutato in
200.000 uomini: 70.000 italiani e
43.000 tedeschi per la 1ª Armata;
34.000 italiani e 18.000 tedeschi per il
DAK; 1.800 italiani e 34.000 tedeschi
per la 5ª Armata.
Quanto all’aviazione, quella italiana
veniva inglobata nel Comando
Aeronautica Tunisia del gen. Boschi,
con due gruppi del 54° stormo caccia
e due squadriglie MC.200 del 162°
gruppo d’assalto (in tutto 50 aerei). Il
Fliegerführer disponeva di 328 aerei
tedeschi.
Montgomery effettuò delle ricognizioni
su Enfidaville e persino alcuni
tentativi di occupare di slancio qualche
buona posizione, tutti falliti. Si convinse
che la posizione del nemico era
difficilmente prendibile, se questo si
fosse ben arroccato. Il terreno effettivamente
era inadatto ad un attacco di
carri armati ed il nemico disponeva di
ottimi punti d’osservazione.
Ciò nonostante inviò un messaggio
ad Alexander che annunciava: “Tutte
le mie truppe hanno un altissimo
morale e vogliono essere presenti alla
Dunkerque finale…”.
Alexander era impegnato a preparare
gli ordini per l’attacco imminente:
nella notte sul 20 avrebbe attaccato
l’8ª Armata con tre divisioni in prima
linea, la 50ª inglese, la 2ª neozelandese
e la 4ª indiana; il 22 avrebbe attaccato
la 1ª Armata britannica; il 23 il 2°
corpo americano.
Montgomery, dal canto suo, asse-
553
La resa
1
1 Prigionieri tedeschi
catturati il 12 maggio
1943 a Hamman Lif,
alla base della penisola
di Capo Bon.
2 Hans-Jürgen von Arnim
fotografato subito dopo la
resa.
2
562
3 4
5
3 Un primo piano di von
Arnim e un altro ufficiale
tedesco catturato dalle
truppe alleate.
4-5 Dopo la capitolazione
in Africa von Arnim viene
inviato a Londra. Eccolo
qui dopo l’atterraggio
all’aeroporto della capitale
inglese.
I
Indice del volume
276
Capitolo 18
Pausa di primavera
Riorganizzazione generale
284
Capitolo 19
Malta o Tobruk?
Atroce dilemma nei Comandi tedesco e italiano
294
299
Capitolo 20
Si va a Tobruk
Dilemma risolto. Ma è la decisione giusta?
Un incontro col nemico Rommel
304
306
312
316
Capitolo 21
Vittoria nel deserto
Operazione di “mezzo giugno ‘42”
Aerei dell’Asse
Aerei degli Alleati
318
327
Capitolo 22
Tobruk cade
La nave ospedale
330
336
337
Capitolo 23
Sull’onda del successo
Qui Duce, a voi Führer!
Qui Führer!
342
347
349
350
Capitolo 24
El Alamein
Mussolini cambia idea?
Rommel e il soldato italiano
L’Egitto di re Faruk: meta agognata
358
366
367
Capitolo 25
Gli uomini
Halam el Halfa
Bernard Law Montgomery
Clifton il temerario
372
379
382
383
Capitolo 26
Il male di Rommel
Nuovi mezzi britannici
Operazione Big Party
Special Air Service (SAS)
390
Capitolo 27
Ritorna Rommel
577
400
405
407
Capitolo 28
La stoccata finale
I “Leoni” della divisione Folgore
I sacrari ad el Alamein
414
Capitolo 29
La ritirata
426
433
434
Capitolo 30
Gli uomini
Gli uomini
Operazione Torch
Henri-Philippe-Omer Pétain
Franklin Delano Roosevelt
438
441
446
449
Capitolo 31
Gli sbarchi nell’Africa francese
La scienza al servizio delle forze armate
Le armi leggere statunitensi
Mitragliatori statunitensi
452
Capitolo 32
L’Asse reagisce
458
459
464
468
Capitolo 33
Primi scontri in Tunisia
In Tunisia comandiamo noi!
Panzer Tigre I
Bombe e accessori made in USA
470
477
Capitolo 34
Ritirata in Cirenaica
A proposito di rifornimenti
484
Capitolo 35
Guerra nella Sirte
Il Natale di Rommel
490
Capitolo 36
Via dalla Cirenaica
498
501
Capitolo 37
L’Asse alla riscossa
L’azione dei commandos
506
512
513
Capitolo 38
Gli uomini
Operazione Eilbote
George S. Patton
Uniformi statunitensi
516
Capitolo 39
Ultimi attacchi dell’Asse
528
532
Capitolo 40
Battaglia a Mareth
Le forze aeree degli Alleati
578
540
547
Capitolo 41
La lotta finale
Come ti risolvo il problema Rommel e quello dei rifornimenti
552
559
570
Capitolo 42
Enfidaville: ultima battaglia
La stampa tedesca
L’emporio dello zio Sam
Indice generale
4
6
Prefazione
La corsa alle colonie d’Africa delle nazioni europee
8
Antefatto
La situazione politica in Italia e in Europa
40
Capitolo 1
Il territorio conteso
50
Capitolo 2
Si muove Graziani
68
Capitolo 3
Gli Inglesi attaccano
82
Capitolo 4
Arriva Rommel
106
Capitolo 5
Guerra nelle oasi
122
Capitolo 6
L’Asse avanza
146
Capitolo 7
Operazione Brevity
154
Capitolo 8
Battleaxe
170
Capitolo 9
Pausa operativa
180
Capitolo 10
I preparativi
198
Capitolo 11
Operazione Crusader
579