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Le “imagini” di Bacco, dio del vino

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sato, già così testimoniata sul suolo italiano da innumerevoli manufatti, in monumenti

pubblici e in collezioni private, della gloriosa eredità greco-romana, che stavano

parallelamente godendo di una crescente diffusione illustrativa, tramite varie

edizioni a carattere archeologico che ne delineavano il ‘profilo’ e la consistenza in

nutrite antologie ‘cartacee’ 6 . Rispetto a queste Cartari, nei vari capitoli ‘genealogici’

del suo esaustivo e ben strutturato Olimpo antico, enucleava, organizzava, spiegava,

citava, avvalorava sull’autorità dei ‘Padri’ classici, sia scrittori che artisti: rendeva

percepibile, e confermava a sua volta, facendo ‘vedere’ con la parola, al punto

da portare in secondo piano l’”imagine” stessa, nonostante la scansione regolare

delle tavole illustrative di accompagnamento; ma comunque riuscendo a dare

l’illusione di toccare con mano – anche per chi non sapeva il latino, o addirittura

non sapeva leggere, proprio! – la ‘sostanza’ stessa delle divinità convocate e riesumate,

al punto da servire da vera ‘scorciatoia’ in prima istanza, e da ‘autorità’ accreditante

poi, per tutti coloro che si accingevano ad attingere al mito e a ricorrere

ancora alle figure di un armamentario, obiettivamente in scadenza alla vigilia della

nascita della scienza galileiana. Un ‘repertorio’ persistente, tuttavia, nel conferire

lustro nobilitante – non solo culturale! – a chi voleva immagini di dei antichi per

le proprie dimore private e pubbliche, dopo averle sollecitate in chi le sapeva realizzare

confrontandosi con la superiorità artistica inesauribile dei maestri classici e

di coloro tra i contemporanei che tanto li avevano emulati e, in certi casi sommi,

addirittura superati, attingendo tutti, spesso direttamente, in special modo alla letteratura

greco latina, in lingua originale o in traduzione.

Nel pieno dell’applicazione ‘pratica’ dei principi controriformistici, rigorosamente

antipaganeggianti, e di fronte a un fenomeno tanto persistente, il ‘colto’,

devoto e pugnace arcivescovo di Bologna Gabriele Paleotti si vedrà così costretto

a sincronizzarsi con questo clima di perdurante fioritura, ricerca, ‘produzione’ ed

esaltazione (anche percettiva) di figure mitologiche di dei – ancora e sempre dantescamente

“falsi e bugiardi” –, pubblicando quasi in contemporanea un controtrattato

dal titolo Discorso intorno alle imagini sacre e profane… 7 . In esso si può

leggere il seguente, stigmatizzante passo: “Ma de’ padroni che si troveranno in casa

tali pitture, che diremo? Noi, oltre la similitudine di quei che tengono libri proibiti,

[…] vi aggiungiamo che tanto più paiono questi colpevoli, quanto che, col tenere

simili pitture, pare che non solamente appruovino gli errori di esse, ma ancora

che gli tribuiscano certo onore e riputazione, che dalle imagini suole derivarsi”.

Nel novero dei libri ‘proibiti’ Paleotti avrà probabilmente inserito anche il trattato

mitografico, fresco di stampa, del reggiano Cartari, non solo per il suo argomento

in generale, ma anche per un linguaggio talvolta particolarmente esplicito nel riferire

alcuni contenuti scabrosi dei comportamenti fin troppo umani dei personaggi

olimpici.

2. Relativamente al personaggio mitico afferente a questa mostra 8 – anzi al presupposto

olimpico stesso del suo ‘argomento’ – iniziamo dunque a trascorrere il

testo di Cartari, che è ora informaticamente reperibile con facilità in tutte le sue edizioni

originali complete per riscontri e approfondimenti. Dal suo contesto selezioneremo

i passi relativi alle “imagini” di Bacco maggiormente frequentate dall’arte,

dando solo per supposto che la sua opera fosse punto di riferimento principale,

ma non certo obbligato, dei committenti, dei pittori e degli scultori a lui contemporanei

o posteriori che continuavano comunque – soprattutto i primi – ad abbeverarsi

alle ‘genuine’ fonti originali antiche. Si presume che tale selezione sia sufficiente

a restituire la temperie di un clima in cui nasceva, incubava e maturava, fino

al suo assetto definitivo di fissazione in figura, questo repertorio di “imagini”

mitologiche, nella sua complessità e specificità ormai così lontano dalla nostra cul-

tura da conformarsi veramente come un mondo perduto di cui ci si deve accontentare

di percepire solo una rarefatta atmosfera, ma al cui recupero la ‘scienza’ antropologica,

teologica e psicoanalitica moderna è tuttavia riuscita a dare contributi

fondamentali, che saranno nei passaggi cruciali citati in nota 9 con gli opportuni

rimandi bibliografici a corroborare e amplificare la selezione stessa, irrobustendola

di un indispensabile aggiornamento secondo ottiche a noi più pertinenti per una

conoscenza il più completa possibile dei presupposti, senza della quale non è nemmeno

probabile un’intelligenza appropriata ed adeguata dei risultati figurativi.

Va subito detto che Vincenzo Cartari deve fare i conti con l’“imagine” di Bacco

ben prima del capitolo XI, dedicato in esclusiva alla figura mitica e artistica del

dio del vino, così ‘vasta’ e complessa – per colui che, al pari del Sole di Apollo e

della Natura generatrice 10 , è sempre “giovane in viso e senza barba” 11 – da risultare

addirittura pervasiva, anzi “panica”, se non altro per l’incondizionata gratitudine

di numi e di mortali per il dono ‘inebriante’ del suo dolce liquore, superato solo

da quello offerto in natura dalle api con il miele 12 . Ma, è noto fin da Schiller, che

“nessun dio appare mai da solo” 13 : e la metodologia stessa di Cartari lo conferma

a ogni pagina nella sua intricata trama di relazioni tra divinità e divinità.

Anche da quest’angolazione è molto significativa la collocazione del capitolo

dedicato a Bacco dal Reggiano nel suo trattato mitografico. Esso viene subito

dopo quello consacrato a un nume ‘primario’ come Minerva, inclusivo di altre figure

di ‘sommi’ olimpici come ad esempio Marte e Vulcano, che non godono così

di una trattazione ‘autonoma’ quanto Bacco stesso. Al ‘suo’ capitolo segue quello

dedicato alla Fortuna, dea ‘impalpabile’ quanto condizionante l’esistenza umana

in tutti i suoi strati esistenziali e sociali, subito ‘a ruota’ seguito da quelli riservati

a figure della stazza di Cupido e di Venere, vale a dire della potenza generatrice

stessa della vita, tramite l’‘amore’. L’ubicazione la dice lunga non solo sull’importanza

attribuita a Bacco stesso, ma sui significati della sua ‘personalità’ nel senso

etimologico più riposto del termine, che Cartari in qualche modo presagisce, ma

di cui coglie soltanto l’evidenza epidermica rispetto a quanto appurato e approfondito

dalle conoscenze scientifiche a noi contemporanee. Solo, infatti, come

si è anticipato, l’affondo dell’antropologia e della psicologia contemporanea, da

Nietzsche a Otto, da Kerényi a Hillmann, tanto per citare i nomi principali di chi ha

studiato il “dionisiaco” 14 , saprà veramente andare oltre le evidenze, per rivelare dell’argomento

lo ‘spessore’ consustanziale alla natura stessa dell’Uomo, spiegando

tra l’altro la posizione di privilegio del dio nell’immaginario inconscio e conscio, riposto

ed evidente, del medesimo e di tutto quello che implica la manifestazione

della sua “forma”, o anche solo l’allusione ad essa, tramite preventivo o postumo

occultamento “misterico” 15 .

Ciò che vediamo nell’arte della divinità di Dioniso/Bacco – per esserne percettivamente

filtrato – non è quasi mai di più di quello che leggiamo in Cartari e

che ammiriamo e meditiamo direttamente nell’antologia di questa mostra. A eccezione

del mito della sua nascita e dell’incontro con Arianna ai quali – come sorprendentemente

vedremo, obbligandoci a corpose integrazioni sulla scorta di presenze

artistiche tanto numerose rispetto alla ‘lezione’ di Vincenzo – il Cartari dedica

sbrigativi e ‘inadeguati’ paragrafi, rispetto agli interessi suscitati dai due episodi

nell’arte di “disegnare”, come dice lui stesso. Anche se all’interno di questo perimetro

trattatistico (prescelto perché emblematico) cercheremo di contenerci, ben

consci – sull’onda della citazione del Kerényi posta emblematicamente ad apertura

di questo intervento – che l’immaginario gravitante attorno a Bacco e alla sua

manifestazione non hanno forse uguali per nessun’ altra divinità antica, soprattutto

perché la sua figura evoca e rimanda alla sostanza più ‘inebriante’ ed esaltante,

in positivo e in negativo’, nell’ambito di ciò che è più radicale nell’Uomo e al man-

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