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Passi commentati del "Contratto sociale" di Jean Jacques Rousseau

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<strong>Jean</strong>-<strong>Jacques</strong> <strong>Rousseau</strong><br />

Il contratto sociale<br />

Libro I<br />

Capitolo I<br />

L’argomento <strong>di</strong> questo primo libro<br />

L’uomo è nato libero, e dovunque è in catene […] Come si è<br />

verificato questo mutamento? Lo ignoro. Cosa può renderlo legittimo? Credo <strong>di</strong><br />

poter risolvere tale questione.<br />

Se non considerassi che la forza e l’effetto che ne deriva, <strong>di</strong>rei: “Fin a<br />

quando un popolo, costretto ad obbe<strong>di</strong>re, obbe<strong>di</strong>sce, fa bene; se appena può<br />

scuotere il giogo, e lo scuote, fa ancora meglio: perché recuperando la propria<br />

libertà con lo stesso <strong>di</strong>ritto con il quel gliela si è sottratta, o è giustificato a<br />

riprendersela, o era ingiustificato togliergliela”. Ma l’or<strong>di</strong>ne sociale è un <strong>di</strong>ritto<br />

sacro, fondamento <strong>di</strong> tutti gli altri. Tuttavia questo <strong>di</strong>ritto non è fondato nella<br />

natura; è dunque fondato su convenzioni. Si tratta <strong>di</strong> sapere quali sono tali<br />

convenzioni […]<br />

Capitolo VI<br />

Del contratto sociale<br />

Suppongo gli uomini giunti a quel punto in cui gli ostacoli che<br />

nuocciono alla loro conservazione nello stato <strong>di</strong> natura<br />

superano, con la loro resistenza, le forze che ciascun in<strong>di</strong>viduo può<br />

impiegare per mantenersi in quello stato. Allora questo stato primitivo non può<br />

più sussistere; e il genere umano perirebbe se non mutasse il suo modo<br />

d’essere 1 .<br />

1 Diversamente da Hobbes, <strong>Rousseau</strong> postula uno stato <strong>di</strong> natura non conflittuale.<br />

I


Ora, poiché gli uomini non possono generare nuove forze, ma<br />

solamente unire e <strong>di</strong>rigere quelle esistenti, non posseggono altro mezzo, per<br />

sopravvivere, che formare per aggregazione una somma <strong>di</strong> forze che possa<br />

vincere la resistenza, avviarle con un impulso e farle agire concordemente.<br />

Questa somma <strong>di</strong> forze non può nascere che dal concorso <strong>di</strong> molti;<br />

ma essendo la forza e la libertà <strong>di</strong> ciascun uomo i primi strumenti <strong>del</strong>la sua<br />

conservazione, come li impiegherà senza nuocere e senza trascurare la cura che<br />

deve a se stesso? Questa <strong>di</strong>fficoltà, ricondotta al mio soggetto, può enunciarsi<br />

nei seguenti termini:<br />

“Trovare una forma d’associazione che <strong>di</strong>fenda e protegga con tutta<br />

la forza comune la persona e i beni <strong>di</strong> ciascun associato, e per la quale ciascuno,<br />

unendosi a tutti, tuttavia non obbe<strong>di</strong>sca che a se stesso, rimanendo così libero<br />

come prima”. Questo è il problema fondamentale <strong>di</strong> cui il contratto sociale offre<br />

la soluzione 2 .<br />

Le clausole <strong>di</strong> questo contratto sono talmente determinate dalla<br />

natura <strong>del</strong>l’atto, che la minima mo<strong>di</strong>fica le renderebbe vane e ne annullerebbe<br />

l’effetto 3 […] Queste clausole, correttamente intese, si riducono tutte a una sola:<br />

cioè, l’alienazione totale <strong>di</strong> ogni associato con tutti i suoi <strong>di</strong>ritti nell’intera<br />

comunità: perché, innanzitutto, dandosi ciascuno interamente, la con<strong>di</strong>zione è<br />

uguale per tutti; ed essendo la con<strong>di</strong>zione uguale per tutti, nessuno ha<br />

l’interesse a renderla onerosa agli altri 4 .<br />

Inoltre, facendosi l’alienazione senza riserve, l’unione è tanto perfetta<br />

quanto può esserlo, e nessun associato ha più nulla da reclamare: perché, se<br />

rimanesse qualche <strong>di</strong>ritto agli in<strong>di</strong>vidui, non essendoci alcun superiore comune<br />

abilitato a pronunciarsi tra loro e il pubblico, ciascuno, essendo su qualche<br />

punto giu<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> se stesso, pretenderebbe ben presto <strong>di</strong> esserlo su tutto;<br />

vigerebbe lo stato <strong>di</strong> natura, e l’associazione <strong>di</strong>verrebbe necessariamente<br />

tirannica o vana.<br />

Infine, dandosi ciascuno a tutti non si dà a nessuno; e non essendoci<br />

Il suo abbandono non è tuttavia frutto <strong>di</strong> libertà, ma <strong>di</strong> necessità. La pressione <strong>del</strong>le circostanze<br />

fisiche (clima? Insufficienze produttive <strong>del</strong>la natura malamente affrontata?) impone agli uomini<br />

l’adozione <strong>del</strong>la decisione <strong>di</strong> realizzare una società. Come in Hobbes, però, è la ragione a<br />

ingiungere all’uomo <strong>di</strong> uscire dallo stato <strong>di</strong> natura<br />

2 Il <strong>Contratto</strong> sociale si propone come una quadratura <strong>del</strong> cerchio perché intende<br />

coniugare necessità e libertà. Non esiste infatti associazione che non esiga la rinuncia, almeno<br />

parziale e temporanea, <strong>del</strong>l’in<strong>di</strong>viduo alla libertà. La socializzazione è, d’altra parte,<br />

in<strong>di</strong>spensabile alla sopravvivenza. Come è dunque possibile contemporaneamente salvare la<br />

vita e la libertà?<br />

3 Le clausole <strong>del</strong> contratto promuovono una società perfetta, cioè una società che<br />

non può essere migliorata e poiché i termini <strong>del</strong> contratto sociale sono espressione <strong>del</strong>la ragione,<br />

ogni deroga ai suoi princìpi è espressione <strong>del</strong>l’irrazionalità. Non esistono insomma comunità<br />

migliori e comunità peggiori. Esiste invece un’unica società perfetta e razionale a fronte <strong>di</strong><br />

molte irrazionali.<br />

4 L’uguaglianza è dunque il requisito fondamentale <strong>del</strong>l’associazione.<br />

Sull’uguaglianza <strong>Rousseau</strong> intende fondare la libertà.<br />

II


alcun associato sul quale non si acquisti lo stesso <strong>di</strong>ritto che gli si cede su <strong>di</strong> sé,<br />

si guadagna l’equivalente <strong>di</strong> tutto ciò che si perde, e maggior forza per<br />

conservare ciò che si ha […] Invece <strong>del</strong>la persona particolare <strong>di</strong> ciascun<br />

contraente, quest’atto associativo produce un corpo morale e collettivo,<br />

composto <strong>di</strong> tanti membri quanti sono i voti <strong>del</strong>l’assemblea, che riceve da<br />

questo stesso atto la sua unità, il suo io comune 5 , la sua vita e la sua volontà […]<br />

Capitolo VII<br />

Del sovrano<br />

[…] È contro la natura <strong>del</strong> corpo politico che il sovrano si imponga<br />

una legge che non possa infrangere […] È perciò evidente che non c’è né ci può<br />

essere alcun genere <strong>di</strong> legge fondamentale obbligatoria per il corpo <strong>del</strong> popolo,<br />

nemmeno il contratto sociale 6 […] Ciò non significa che questo corpo non possa<br />

efficacemente impegnarsi verso altri, in ciò che non rappresenta una deroga a<br />

questo contratto; perché, in rapporto allo straniero, <strong>di</strong>viene un essere semplice,<br />

un in<strong>di</strong>viduo.<br />

Ma il corpo politico o il sovrano, non ottenendo il proprio essere che<br />

dalla santità <strong>del</strong> contratto, non può mai obbligarsi, anche verso altri, a nulla che<br />

deroghi a questo atto primitivo, come alienare qualche porzione <strong>di</strong> se stesso, o<br />

sottomettersi a un altro sovrano. Violare l’atto tramite il quale esiste,<br />

equivarrebbe ad annullarsi; e ciò che è nulla non produce nulla 7 […]<br />

5 L’io empirico (o singolo, o sensibile) si <strong>di</strong>stingue (e si oppone) all’io comune.<br />

Quando, al mattino, suona la sveglia posta sul como<strong>di</strong>no, l’io empirico ambirebbe a riprendere<br />

sonno, e ostinatamente insiste per farlo. Le esigenze sociali, l’io comune, costringono invece a<br />

fuggire la tentazione e ad abbandonare il riposo. <strong>Rousseau</strong> definisce l’io comune “corpo<br />

morale” perché assume l’introiezione <strong>del</strong>l’esigenza sociale espressa come ingiunzione. Avendo<br />

ogni singolo uomo interamente alienato la propria libertà nella collettività, ha rinunciato al<br />

proprio volere: può volere unicamente ciò che vuole la collettività. Abbandona così la libertà<br />

naturale, per guadagnare la libertà civile. Dei suoi atti non decide più la sua singolarità<br />

empirica, la sua sensibilità. Decide la comunità, cioè la sua ragione, che gli ha comandato <strong>di</strong><br />

alienare interamente la sua volontà nella collettività. È libero, dunque, non chi riprende il<br />

sonno, ma chi si alza con sollecitu<strong>di</strong>ne. Le decisioni <strong>del</strong> corpo collettivo sono decisioni <strong>del</strong>la<br />

ragione, e si presentano come coman<strong>di</strong> giusti (perché razionali). È tuttavia impossibile fondare,<br />

come <strong>Rousseau</strong> pretende, la moralità <strong>di</strong> un comando sulla sua utilità. Il contratto sociale è<br />

stipulato dai contraenti per interesse, dunque per un vantaggio che ciascuno intende ottenere.<br />

La morale, per essere tale e non semplicemente sembrare tale, è invece fondata sul completo<br />

<strong>di</strong>sinteresse. <strong>Rousseau</strong> attribuisce al contratto sociale l’identità <strong>del</strong>la necessità e <strong>del</strong>la libertà, ma<br />

è ben lungi dal <strong>di</strong>mostrarne la realtà.<br />

6 Come nessun in<strong>di</strong>viduo è vincolato dagli impegni presi con se stesso, così il corpo<br />

sociale non è sottomesso alle leggi che si è spontaneamente dato. Il sovrano cioè, in quanto<br />

autore <strong>del</strong>le leggi, può in ogni istante abrogarle.<br />

7 Gli stati possono dunque stipulare reciproci patti, purché il loro contenuto non<br />

contempli la deroga, nemmeno parziale, alla sovranità.<br />

III


Ora il sovrano, non essendo formato che dagli in<strong>di</strong>vidui particolari<br />

che lo compongono, non ha né può avere interessi contrari ai loro;<br />

conseguentemente, il potere sovrano non ha alcun bisogno <strong>di</strong> garanzie verso i<br />

sud<strong>di</strong>ti, perché è impossibile che il corpo voglia nuocere ai suoi membri 8 […] Il<br />

sovrano, per il solo fatto <strong>di</strong> essere, è tutto ciò che deve essere 9 .<br />

Ma non è così dei sud<strong>di</strong>ti in rapporto al sovrano, verso il quale,<br />

malgrado l’interesse comune, niente garantirebbe il loro impegno, se [il<br />

sovrano] non trovasse i mezzi per garantirsi la loro fe<strong>del</strong>tà 10 .<br />

In effetti ogni in<strong>di</strong>viduo può, come uomo, avere una volontà<br />

particolare contraria o <strong>di</strong>ssimile alla volontà generale che ha come citta<strong>di</strong>no: il<br />

suo interesse particolare può parlargli in modo completamente <strong>di</strong>verso<br />

dall’interesse comune; la sua esistenza assoluta, e naturalmente in<strong>di</strong>pendente,<br />

può fargli considerare ciò che deve alla causa comune come un contributo<br />

superfluo, la cui per<strong>di</strong>ta sarà meno nociva agli altri <strong>di</strong> quanto il pagamento sia<br />

oneroso per lui; e considerando la persona morale che costituisce lo Stato come<br />

un essere <strong>di</strong> ragione, perché non è un uomo, gioirà dei <strong>di</strong>ritti <strong>del</strong> citta<strong>di</strong>no senza<br />

voler adempiere i doveri <strong>di</strong> sud<strong>di</strong>to; ingiustizia il cui progresso causerà la<br />

rovina <strong>del</strong> corpo politico 11 .<br />

8 Negazione <strong>del</strong>lo stato <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto: lo stato non può, per definizione, nuocere ai suoi<br />

membri.<br />

9<br />

Le <strong>del</strong>iberazioni <strong>del</strong> sovrano sono sempre giuste e sante proprio in quanto<br />

<strong>del</strong>iberazioni <strong>del</strong> sovrano. Non possono essere impugnate. È esclusa ogni critica alle decisioni<br />

<strong>del</strong>lo stato. La socializzazione integrale <strong>del</strong>l’uomo non avrebbe potuto produrre risultati<br />

<strong>di</strong>fferenti. È, naturalmente, negata l’obbiezione <strong>di</strong> coscienza. È cioè negato il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> resistere<br />

alle <strong>del</strong>iberazioni <strong>del</strong> sovrano perché contrad<strong>di</strong>centi princìpi morali <strong>del</strong> sud<strong>di</strong>to. Infatti, aveva<br />

scritto <strong>Rousseau</strong> nel capitolo VI, “se rimanesse qualche <strong>di</strong>ritto agli in<strong>di</strong>vidui, non essendoci<br />

alcun superiore comune abilitato a pronunciarsi tra loro e il pubblico, ciascuno, essendo su<br />

qualche punto giu<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> se stesso, pretenderebbe ben presto <strong>di</strong> esserlo su tutto; vigerebbe lo<br />

stato <strong>di</strong> natura, e l’associazione <strong>di</strong>verrebbe necessariamente tirannica o vana”. La questione è<br />

estremamente importante e pone interrogativi anche in rapporto ad organizzazioni politiche<br />

che non esigono l’integrale socializzazione dei membri. Se, come avviene nelle democrazie<br />

liberali, la legislazione contemplasse circostanze lecite (e quin<strong>di</strong> anche illecite) per l’obbiezione<br />

<strong>di</strong> coscienza, essa non sarebbe più tale. L’obbiezione <strong>di</strong> coscienza è infatti un rifiuto ad obbe<strong>di</strong>re<br />

alla legge in nome <strong>di</strong> una superiore autorità in<strong>di</strong>cata nella coscienza <strong>del</strong> singolo. Non può<br />

dunque essere lo stato a stabilire le circostanze in cui le è lecito pronunciarsi perché la pretesa<br />

sottometterebbe la voce <strong>del</strong>la coscienza alla supervisione <strong>del</strong>lo stato. L’obiezione <strong>di</strong> coscienza<br />

rappresenta quin<strong>di</strong> un <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> appello, per così <strong>di</strong>re, selvaggio, non passibile <strong>di</strong> normazione.<br />

In tal modo, però, nessuna imposizione può ritenersi legittima. L’esito è il ritorno allo stato <strong>di</strong><br />

natura o, ma solo il nome è <strong>di</strong>verso, l’anarchia.<br />

10 Sud<strong>di</strong>ti astuti e ingannatori, dunque. Accettate le clausole <strong>del</strong> patto sociale,<br />

rifiutano successivamente l’obbe<strong>di</strong>enza ai decreti <strong>del</strong>lo stato. Risorge l’io empirico, sensibile,<br />

cioè il principio <strong>del</strong> male, come avversario <strong>del</strong>l’io comune, <strong>del</strong>la ragione, principio <strong>del</strong> bene. La<br />

completa socializzazione è il para<strong>di</strong>so futuro <strong>del</strong>l’uomo nuovo. Il presente vede l’uomo vecchio,<br />

terreno, facile preda <strong>del</strong>le tentazioni.<br />

11 <strong>Rousseau</strong> illustra la meccanica <strong>del</strong> peccato sociale. Un sud<strong>di</strong>to che ricevesse<br />

l’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> partire per il fronte potrebbe facilmente osservare che, obbedendo, esporrebbe la<br />

propria persona al massimo pericolo <strong>di</strong> danno, mentre la sua <strong>di</strong>serzione, sottraendo una sola<br />

unità da un numeroso esercito, procurerebbe un danno trascurabile allo stato.<br />

IV


Affinché non sia una formula vana, il patto sociale include<br />

implicitamente questo impegno, che solo conferisce forza agli altri, che<br />

chiunque rifiuterà <strong>di</strong> obbe<strong>di</strong>re alla volontà generale, vi sarà costretto da tutto il<br />

corpo: ciò non significa altra cosa se non che lo si costringerà ad essere libero 12<br />

[…]<br />

Capitolo VIII<br />

Dello stato civile<br />

Questo passaggio dallo stato <strong>di</strong> natura allo stato civile produce<br />

nell’uomo un notevole cambiamento, sostituendo nella sua condotta la giustizia<br />

all’istinto, e conferendo alle sue azioni la moralità precedentemente loro<br />

mancante. È solo allora che succedendo la voce <strong>del</strong> dovere all’impulso fisico e il<br />

<strong>di</strong>ritto all’appetito, l’uomo […] si vede costretto ad agire con altri princìpi, e a<br />

consultare la ragione prima <strong>di</strong> ascoltare le sue inclinazioni. Benché in questo<br />

stato si privi <strong>di</strong> numerosi privilegi derivantigli dalla natura, ne guadagna <strong>di</strong><br />

così gran<strong>di</strong> […] che se gli abusi <strong>di</strong> questa nuova con<strong>di</strong>zione non lo degradassero<br />

spesso al <strong>di</strong> sotto <strong>di</strong> quella da cui è uscito 13 , dovrebbe senza sosta bene<strong>di</strong>re il<br />

fortunato istante che l’ha affrancato per sempre e che, <strong>di</strong> un animale stupito e<br />

limitato, ne ha fatto un essere intelligente e un uomo […] Ciò che l’uomo perde<br />

attraverso il contratto sociale, è la sua libertà naturale e un <strong>di</strong>ritto illimitato a<br />

tutto ciò che lo attira e che può desiderare; ciò che guadagna è la libertà civile e<br />

12 Ossimoro celebre. Naturalmente non è possibile obbligare nessuno ad essere<br />

libero, perché la libertà è spontaneità, che, come tale, non può essere coatta. È possibile<br />

costringere qualcuno a fare ciò che non vorrebbe, non a volere ciò che non vorrebbe.<br />

13 La società è il terreno <strong>di</strong> cultura <strong>del</strong>l’uomo. Qui realizza pienamente se stesso,<br />

perché sviluppa le proprie facoltà. Tuttavia la società può trasformarsi da fattore <strong>di</strong> sviluppo<br />

etico in artefice <strong>di</strong> corruzione morale. Entrando in relazione con i suoi simili l’uomo può<br />

migliorarsi o peggiorarsi, ma non permanere nell’innocenza che caratterizza lo stato <strong>di</strong> natura,<br />

che viene qualificato da <strong>Rousseau</strong> come al <strong>di</strong> là <strong>del</strong> bene e <strong>del</strong> male. Nello stato <strong>di</strong> natura<br />

l’uomo è infatti buono solo perché non sa (né può) essere malvagio. È, cioè, naturalmente<br />

buono, non moralmente buono. Gli istinti vengono giu<strong>di</strong>cati buoni perché intrinsecamente non<br />

malvagi. Solo la società corrompe o esalta le prerogative <strong>del</strong>l’uomo. Non c’è traccia <strong>di</strong> una<br />

corruzione metafisica, <strong>di</strong> un peccato originale, <strong>di</strong> una naturale inclinazione al male, come in<br />

Hobbes (che scorge nella società l’in<strong>di</strong>spensabile strumento per rendere feconda l’originaria<br />

malvagità, non per cancellarla). Il peccato è un fenomeno politico: il cattivo or<strong>di</strong>namento sociale<br />

corrompe l’uomo. Sarà dunque necessario e sufficiente mutare l’assetto <strong>del</strong>la comunità per<br />

correggere le storture umane.<br />

Diversi elementi <strong>di</strong>fferenziano il comunismo rousseauiano dal comunismo<br />

platonico: il primo è egualitario, il secondo gerarchico (o élitario); il primo afferma l’originaria<br />

bontà <strong>del</strong>l’uomo, il secondo la nega; il primo fonda lo stato sulla razionale salvaguar<strong>di</strong>a<br />

<strong>del</strong>l’interesse <strong>di</strong> ciascuno, il secondo pone a capo <strong>del</strong>lo stato un filosofo che, contemplando il<br />

bene eterno, immutabile e trascendente, costruisce la città ispirandosi al mo<strong>del</strong>lo.<br />

V


la proprietà <strong>di</strong> tutto ciò che possiede 14 […] Si potrebbe, inoltre, aggiungere<br />

all’acquisizione <strong>del</strong>lo stato civile la libertà morale, che sola rende l’uomo<br />

padrone <strong>di</strong> sé; perché la spinto <strong>del</strong> solo appetito è schiavitù, e l’obbe<strong>di</strong>enza alla<br />

legge che ci si è prescritta è libertà […]<br />

Libro II<br />

Capitolo I<br />

La sovranità è inalienabile<br />

[…] Se l’opposizione degli interessi particolari ha reso necessaria<br />

l’istituzione <strong>del</strong>le società, è l’accordo <strong>di</strong> questi stessi interessi che l’ha resa<br />

possibile. È ciò che c’è <strong>di</strong> comune tra i <strong>di</strong>versi interessi che forma il legame<br />

sociale; e se non ci fosse qualche punto in cui tutti gli interessi si accordano, non<br />

potrebbe esistere nessuna società. Ora, è unicamente su questo interesse<br />

comune che la società deve essere governata 15 .<br />

Sostengo dunque che la sovranità, non essendo che l’esercizio <strong>del</strong>la<br />

volontà generale, che non è altro che un essere collettivo, non può essere<br />

rappresentata che da se stessa: il potere può trasmettersi, ma non la volontà 16 .<br />

In effetti, se non è impossibile che una volontà particolare si accor<strong>di</strong><br />

in qualche punto con la volontà generale, è quantomeno impossibile che questo<br />

accordo sia durevole e costante; perché la volontà particolare tende, per sua<br />

natura, verso le preferenze, e la volontà generale all’uguaglianza 17 […] Se<br />

dunque il popolo promette semplicemente <strong>di</strong> obbe<strong>di</strong>re, per questo stesso atto si<br />

<strong>di</strong>ssolve, perde la sua specificità <strong>di</strong> popolo; non appena c’è un padrone, non c’è<br />

più un sovrano, e da allora il corpo politico è <strong>di</strong>strutto […]<br />

14 L’uomo è libero quando segue la ragione, non quando è trascinato dagli istinti,<br />

anche se spesso è convinto <strong>del</strong> contrario.<br />

15 Viene riba<strong>di</strong>ta l’affermazione che l’interesse dei contraenti rappresenta il legame<br />

<strong>del</strong> contratto<br />

16 È infatti possibile incaricare altri <strong>del</strong>l’attuazione <strong>di</strong> una decisione senza derogare<br />

alla propria sovranità. Non è invece possibile alienare ad altri la facoltà <strong>di</strong> decidere.<br />

17 Il popolo non può dunque alienare la propria volontà nelle mani <strong>di</strong> un terzo<br />

(come pretendeva Hobbes, che aveva cercato <strong>di</strong> mostrare la convenienza degli interessi <strong>del</strong><br />

sovrano e <strong>del</strong> popolo), perché l’in<strong>di</strong>viduo opera in vista <strong>del</strong> personale e non <strong>del</strong> comune<br />

vantaggio. L’eventuale accordo dei fini (e dei mezzi) è questione <strong>di</strong> fatto, non <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto. Può<br />

cioè contingentemente verificarsi, ma non rappresenta una necessità.<br />

VI


Capitolo II<br />

La sovranità è in<strong>di</strong>visibile<br />

Come la sovranità è inalienabile, così è in<strong>di</strong>visibile; perché la volontà<br />

o è generale o non lo è 18 ; è quella <strong>del</strong> corpo politico, o solamente <strong>di</strong> una sua<br />

parte 19 . Nel primo caso, questa <strong>di</strong>chiarata volontà è un atto <strong>di</strong> sovranità e crea la<br />

legge; nel secondo non è che una volontà particolare, o un atto <strong>di</strong> magistratura;<br />

tutt’al più è un decreto 20 .<br />

Ma i nostri politici, non potendo <strong>di</strong>videre la sovranità nel suo<br />

principio, la <strong>di</strong>vidono nel suo oggetto 21 : […] la <strong>di</strong>vidono in potere legislativo e<br />

in potere esecutivo […] Fanno <strong>del</strong> sovrano un essere fantastico e formato <strong>di</strong><br />

parti giustapposte […]<br />

Questo errore proviene dal non essersi fatti <strong>del</strong>le nozioni esatte <strong>del</strong>la<br />

sovranità, e dall’aver preso per parti <strong>di</strong> questa autorità ciò che non erano che<br />

<strong>del</strong>le emanazioni. Così, ad esempio, si è considerato l’atto <strong>di</strong> <strong>di</strong>chiarare guerra e<br />

quello <strong>di</strong> concludere la pace come atti <strong>di</strong> sovranità; ciò che non è, perché<br />

nessuno <strong>di</strong> questi atti è una legge, ma solamente un’applicazione <strong>del</strong>la legge, un<br />

atto particolare che determina il caso <strong>del</strong>la legge […]<br />

Ci si inganna ogniqualvolta si crede <strong>di</strong> vedere la sovranità <strong>di</strong>visa;<br />

[…] i <strong>di</strong>ritti ritenuti parti <strong>del</strong>la sovranità gli sono subor<strong>di</strong>nati, e suppongono<br />

sempre <strong>del</strong>le volontà supreme <strong>di</strong> cui questi <strong>di</strong>ritti non offrono che l’esecuzione<br />

[…]<br />

18 La volontà generale non conosce limiti, altrimenti non sarebbe generale. Non<br />

possono esistere dunque più centri decisionali. Potere legislativo, esecutivo e giu<strong>di</strong>ziario sono<br />

unificati.<br />

19 Se la volontà non è generale, appartiene solamente ad una parte <strong>del</strong> corpo<br />

politico.<br />

20 Il potere autentico <strong>del</strong>la volontà generale è il legislativo. L’esecutivo non è,<br />

propriamente, il potere <strong>del</strong>la volontà generale, limitandosi ad attuare la decisione <strong>del</strong><br />

legislativo.<br />

21 La sovranità è, per principio, in<strong>di</strong>visibile perché la decisione è un atto unitario,<br />

anche se può nascere da un compromesso (che, proprio in quanto tale, è una decisione comune,<br />

cioè unitaria). Può però essere <strong>di</strong>visa in quanto l’oggetto possiede numerosi aspetti. Così, ad<br />

esempio, una <strong>di</strong>chiarazione <strong>di</strong> guerra (che è una decisione, in quanto tale unitaria, <strong>del</strong>la volontà<br />

generale) esige che sia proposto ed approvato il testo <strong>del</strong> documento, che venga comunicato,<br />

che vengano iniziate le operazioni militari, che vengano puniti i <strong>di</strong>sertori, ecc. L’esecuzione<br />

<strong>del</strong>la legge non è un atto <strong>di</strong> sovranità e quin<strong>di</strong> non la <strong>di</strong>vide, ma i “nostri politici” cui si riferisce<br />

<strong>Rousseau</strong>, <strong>di</strong>videndo i momenti <strong>del</strong>l’esecuzione, credono <strong>di</strong> <strong>di</strong>videre la decisione. La <strong>di</strong>vidono,<br />

cioè, “nel suo oggetto”.<br />

VII


Capitolo III<br />

Se la volontà generale può errare<br />

Da quanto precede segue che la volontà generale è sempre retta e<br />

tende sempre all’utilità pubblica 22 : ma non segue che le <strong>del</strong>iberazioni <strong>del</strong> popolo<br />

abbiano sempre la stessa rettitu<strong>di</strong>ne. Si vuole sempre il proprio bene, ma non lo<br />

si vede sempre 23 : non si corrompe mai il popolo, ma sovente lo si inganna, ed è<br />

solo allora che sembra volere ciò che è male.<br />

C’è spesso una <strong>di</strong>fferenza tra la volontà <strong>di</strong> tutti e la volontà generale;<br />

questa non concerne che l’interesse comune; l’altra concerne l’interesse privato,<br />

e non è che una somma <strong>di</strong> volontà particolari 24 : ma cancellate da queste stesse<br />

volontà il più e il meno che si elidono reciprocamente, rimane come somma<br />

<strong>del</strong>le <strong>di</strong>fferenze la volontà generale.<br />

Se, quando un popolo sufficientemente informato <strong>del</strong>ibera, i citta<strong>di</strong>ni<br />

non avessero alcuna reciproca comunicazione, dal grande numero <strong>del</strong>le piccole<br />

<strong>di</strong>fferenze risulterebbe sempre la volontà generale, e la <strong>del</strong>iberazione sarebbe<br />

sempre buona 25 . Ma quando si formano dei partiti, <strong>del</strong>le associazioni parziali a<br />

danno <strong>del</strong>la grande, la volontà <strong>di</strong> ciascuna <strong>del</strong>le associazioni <strong>di</strong>viene generale in<br />

22 L’indefettibile applicazione <strong>del</strong>la massima <strong>di</strong> amare il proprio prossimo come se<br />

stessi, se privata <strong>di</strong> essenziali specificazioni, non sortisce necessariamente l’effetto desiderato. Se<br />

fosse infatti rivolta ad un gruppo <strong>di</strong> masochisti, gli esiti sarebbero devastanti. Bisognerebbe<br />

preliminarmente specificare che la massima prescrive innanzitutto <strong>di</strong> amare se stessi. Così non<br />

si può escludere che una comunità si avvii alla catastrofe anche se, in virtù <strong>del</strong> contratto sociale,<br />

nessuno ha interesse a rendere onerose ad altri le clausole <strong>del</strong>la convivenza. Se i singoli si<br />

ingannano circa il loro bene (o il loro utile) non si vede come non possa ingannarsi la comunità<br />

che <strong>del</strong>la volontà dei singoli è l’espressione, prescindendo da ogni occulto <strong>di</strong>segno or<strong>di</strong>to da<br />

misteriosi terzi. Appare qui il pericoloso limite <strong>del</strong>l’argomentazione rousseauiana. Il filosofo<br />

platonico contemplando il Bene immutabile e trascendente mo<strong>del</strong>la la città. Il popolo<br />

rousseauiano non ha invece alcun sentore <strong>di</strong> valori trascendenti ciò che ritiene essere il proprio<br />

interesse. Per <strong>Rousseau</strong> è l’accordo tra gli uomini resi tutti uguali che rende la città giusta, per<br />

Platone è la capacità <strong>di</strong> or<strong>di</strong>narla seguendo una misura eterna che pochi riescono a scorgere.<br />

Per <strong>Rousseau</strong>, insomma, la giustizia è un prodotto <strong>del</strong>la decisione umana, per Platone un dono<br />

degli dei.<br />

23 Affermazione <strong>di</strong> sapore socratico, che contrad<strong>di</strong>ce l’esperienza quoti<strong>di</strong>ana.<br />

24 Ciascun citta<strong>di</strong>no può valutare l’incidenza <strong>di</strong> un provve<strong>di</strong>mento politico in<br />

rapporto al proprio in<strong>di</strong>viduale vantaggio. Dalla somma <strong>del</strong>le opinioni nasce la volontà <strong>di</strong> tutti.<br />

Può però anche valutarne l’incidenza in rapporto al vantaggio comune. Esprimerà allora una<br />

personale opinione, <strong>di</strong>fferente da molte altre, non riferendosi all’interesse privato, ma al bene<br />

pubblico. Nasce così la volontà generale.<br />

25 Se nessuno può sperare <strong>di</strong> rendere vantaggiosa per sé la <strong>del</strong>iberazione politica<br />

(perché non può influenzarla con la sua isolata e in<strong>di</strong>viduale iniziativa) allora cercherà <strong>di</strong><br />

renderla non onerosa per ciascuno. Poiché l’associazione in partiti permette <strong>di</strong> rendere efficaci<br />

gli interessi privati, è necessario che i votanti esprimano in un completo isolamento la propria<br />

opzione.<br />

VIII


apporto ai suoi membri, e particolare in rapporto allo Stato 26 : si può allora <strong>di</strong>re<br />

che non ci sono più tanti votanti quanti uomini, ma solamente quante<br />

associazioni. Le <strong>di</strong>fferenze <strong>di</strong>vengono meno numerose e offrono un risultato<br />

meno generale. Infine quando una <strong>di</strong> queste associazioni è così grande che<br />

supera tutte le altre, non si ha più per risultato una somma <strong>di</strong> piccole <strong>di</strong>fferenze,<br />

ma una <strong>di</strong>fferenza unica; allora non c’è più una volontà generale, e l’opinione<br />

che domina non è che un’opinione particolare 27 .<br />

Occorre dunque, per avere il reale pronunciamento <strong>del</strong>la volontà<br />

generale, che non ci siano società particolari nello Stato, e che ogni citta<strong>di</strong>no non<br />

si pronunci che da solo […] Se ci sono società parziali, occorre moltiplicarne il<br />

numero e prevenirne l’ineguaglianza […] Queste sono le uniche precauzioni<br />

efficaci affinché la volontà generale sia sempre manifestata, e che il popolo non<br />

si inganni mai.<br />

Capitolo IV<br />

Dei limiti <strong>del</strong>la volontà generale<br />

Come la natura dà a ciascun uomo un potere assoluto su tutti i suoi<br />

membri, il patto sociale dà al corpo politico un potere assoluto su tutti i suoi; ed<br />

è questo stesso potere che, <strong>di</strong>retto dalla volontà generale, porta […] il nome <strong>di</strong><br />

sovranità.<br />

Ma oltre la persona pubblica, noi dobbiamo considerare le persone<br />

private che la compongono, e la cui vita e libertà sono naturalmente<br />

in<strong>di</strong>pendenti da essa. Bisogna dunque <strong>di</strong>stinguere i <strong>di</strong>ritti rispettivi dei citta<strong>di</strong>ni<br />

e <strong>del</strong> sovrano […]<br />

Si riconosce che tutto ciò che ciascuno aliena, tramite il patto sociale,<br />

<strong>del</strong> proprio potere, dei propri beni, <strong>del</strong>la propria libertà, è solamente la<br />

porzione <strong>di</strong> tutto ciò il cui uso coinvolge la comunità; ma bisogna anche<br />

convenire che il sovrano solo è giu<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> questa importanza […] Il sovrano, da<br />

parte sua, non può legare il soggetto con alcuna catena inutile alla comunità:<br />

non può nemmeno volerlo; perché, sotto la legge <strong>del</strong>la ragione, niente è fatto<br />

senza una causa, più <strong>di</strong> quanto non avvenga sotto la legge <strong>di</strong> natura […]<br />

La volontà generale, per essere veramente tale, deve esserlo tanto nel<br />

26 Quando il partito e non lo stato rappresenta gli interessi <strong>del</strong> citta<strong>di</strong>no, nel partito<br />

e non nello stato il citta<strong>di</strong>no aliena la propria volontà. Il vantaggio <strong>del</strong> partito è il suo stesso<br />

vantaggio. Valuterà allora le iniziative <strong>del</strong> partito non riferendoli al personale vantaggio, ma<br />

giu<strong>di</strong>candoli alla luce <strong>del</strong>l’interesse <strong>del</strong> partito. Quando (e se) l’interesse personale e l’interesse<br />

<strong>del</strong> partito dovessero <strong>di</strong>varicarsi, nulla impe<strong>di</strong>sce all’aderente uscire dall’associazione.<br />

27 È la volontà <strong>del</strong>la maggioranza, intesa come somma degli interessi in<strong>di</strong>viduali,<br />

che è altra cosa dalla volontà <strong>del</strong>la maggioranza come espressione <strong>del</strong>la volontà generale.<br />

<strong>Rousseau</strong> ha in<strong>di</strong>cato un metodo, una procedura per l’in<strong>di</strong>viduazione <strong>del</strong>la volontà generale.<br />

IX


suo oggetto quanto nella sua essenza 28 […] e […] perde la sua rettitu<strong>di</strong>ne<br />

naturale quando tende a qualche oggetto in<strong>di</strong>viduale e determinato […]<br />

Quando il popolo ateniese, per esempio, […] attraverso un’inflazione <strong>di</strong> decreti<br />

particolari, esercitava in<strong>di</strong>stintamente tutti gli atti <strong>del</strong> governo, il popolo non<br />

possedeva più una volontà generale propriamente detta; non agiva più come<br />

sovrano, ma come magistrato […] Si deve comprendere che quanto generalizza<br />

la volontà è meno il numero <strong>del</strong>le voci che l’interesse comune che le unisce […]<br />

Il patto sociale stabilisce tra i citta<strong>di</strong>ni una tale eguaglianza, che tutti si<br />

impegnano sotto le medesime con<strong>di</strong>zioni e devono fruire <strong>di</strong> tutti i <strong>di</strong>ritti. […]<br />

Per la natura <strong>del</strong> patto, ogni atto <strong>di</strong> sovranità […] obbliga o favorisce<br />

ugualmente tutti i citta<strong>di</strong>ni; così che il sovrano conosce solamente il corpo <strong>del</strong>la<br />

nazione e non <strong>di</strong>stingue alcuno dei suoi componenti […] Ogni uomo può<br />

pienamente <strong>di</strong>sporre <strong>di</strong> quanto gli è stato lasciato dalle convenzioni [sociali] dei<br />

suoi beni e <strong>del</strong>la sua libertà 29 ; così che il sovrano non ha mai il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> oberare<br />

un soggetto più <strong>di</strong> un altro perché in tal caso, <strong>di</strong>venendo la questione<br />

particolare, il suo potere non è più competente.<br />

Ammesse queste <strong>di</strong>stinzioni, è falso che nel contratto sociale ci sia, da<br />

parte dei singoli, alcuna autentica rinuncia […] La loro situazione, per effetto <strong>di</strong><br />

questo contratto, si trova realmente preferibile a quella precedente […] Invece<br />

28 Deve, cioè, non solo esprimere la volontà unitaria <strong>di</strong> tutti coloro che hanno<br />

alienato la personale volontà tramite il contratto sociale, ma deve anche riferirsi ad oggetti<br />

universali. La volontà generale così è il potere legislativo (lex, ligare), che, in quanto tale, si<br />

esercita su un universo <strong>di</strong> oggetti, reciprocamente legati. Il potere esecutivo si occupa invece <strong>di</strong><br />

applicare le decisioni ai singoli casi, cioè declinarle. Il potere legislativo è il potere <strong>del</strong>le regole, il<br />

potere esecutivo è il potere <strong>del</strong>la sussunzione <strong>del</strong> caso particolare alla regola. Che il peso lordo<br />

sia equivalente al peso netto aggiunto alla tara, che il peso netto sia la tara sottratta al peso<br />

lordo, e che la tara sia il peso netto sottratto al peso lordo, è una regola. Applicare la formula,<br />

cioè scoprire come applicare la regola (quale dei dati sia peso netto, quale tara e quale peso<br />

lordo) significa sussumere il caso particolare alla regola. Significa valutare se il caso particolare,<br />

il dato preso in esame, rientra (e in quale modo) nella regola, vi sta sotto. La capacità <strong>di</strong><br />

concepire le regole è molto <strong>di</strong>versa dalla capacità <strong>di</strong> applicarle. È infatti possibile conoscere<br />

l’intera sintassi e tutto il lessico latino senza per ciò riuscire a tradurre una sola proposizione. È<br />

possibile conoscere l’intera anatomia, l’intera fisiologia, l’intera patologia <strong>del</strong>l’organismo<br />

umano senza riuscire a formulare una <strong>di</strong>agnosi. L’incapacità <strong>di</strong> applicare una regola, cioè <strong>di</strong><br />

eseguire, è da Kant (eloquentemente) denominata “grullaggine”. Il potere esecutivo,<br />

contaminandosi con l’in<strong>di</strong>viduale, non può essere legge, ma solo decreto. La volontà generale,<br />

avendo riposto il proprio valore e il proprio significato nell’eguaglianza, non può occuparsi <strong>di</strong><br />

decisioni che concernono in<strong>di</strong>vidui. Potremmo anche <strong>di</strong>re che il potere esecutivo interpreta il<br />

potere legislativo proprio in quanto deve scegliere (non certo arbitrariamente, cioè senza<br />

attinente motivazione) le modalità <strong>del</strong>la sua applicazione. La <strong>di</strong>stinzione tra potere legislativo e<br />

potere esecutivo non equivale ad una bipartizione <strong>del</strong> potere, perché il luogo <strong>del</strong>la decisione<br />

<strong>del</strong>le regole rimane il legislativo. Per usare una terminologia già introdotta: l’esecutivo incarna<br />

il potere, non la volontà.<br />

29 La libertà, intesa come sfera <strong>di</strong> autodeterminazione privata, conosce una<br />

restrizione maggiore nel rousseauianesimo che nell’hobbesismo. Qui è ridotta a ciò che le leggi<br />

non proibiscono, là in ciò che consentono. Qui è lecito tutto ciò che non è contemplato, là è<br />

proibito tutto ciò che non è contemplato.<br />

X


<strong>di</strong> un’alienazione non si è fatto che uno scambio vantaggioso tra una maniera <strong>di</strong><br />

essere incerta e precaria e un’altra migliore e più sicura […] La […] stessa vita,<br />

che hanno devoluto allo Stato, risulta continuamente protetta; e quando<br />

l’espongono per la sua <strong>di</strong>fesa, cosa fanno se non rendere ciò che hanno da lui<br />

ricevuto? Che cosa fanno che non facessero più frequentemente e con maggior<br />

pericolo nello stato <strong>di</strong> natura, quando, ingaggiando battaglie inevitabili,<br />

<strong>di</strong>fendevano a rischio <strong>del</strong>la loro vita ciò che serviva a conservarla? 30 […]<br />

Capitolo VI<br />

Della legge<br />

[…] Quando affermo che l’oggetto <strong>del</strong>la legge è sempre generale,<br />

intendo <strong>di</strong>re che la legge considera i soggetti in quanto corpo [collettivo] e le<br />

azioni come astratte, mai un uomo come in<strong>di</strong>viduo né un’azione particolare.<br />

Così la legge può certamente stabilire dei privilegi, ma non li può attribuire<br />

nominalmente a nessuno; la legge può istituire <strong>di</strong>verse classi <strong>di</strong> citta<strong>di</strong>ni […] ma<br />

non può includervi un tale o un altro 31 […]<br />

Definisco dunque repubblica ogni Stato retto dalle leggi, qualunque<br />

sia la sua amministrazione […] Ogni governo legittimo è repubblicano […] Le<br />

leggi non sono propriamente che le con<strong>di</strong>zioni <strong>del</strong>l’associazione civile. Il<br />

popolo, sottomesso alle leggi, ne deve essere l’autore […] Come una<br />

moltitu<strong>di</strong>ne cieca, che spesso non sa ciò che vuole, perché raramente conosce il<br />

proprio bene, compirebbe un’impresa così grande, così <strong>di</strong>fficile come un<br />

sistema legislativo? 32 […] La volontà generale è sempre retta, ma il giu<strong>di</strong>zio che<br />

la guida non è sempre illuminato. Bisogna mostrargli gli oggetti quali sono,<br />

qualche volta come devono apparirgli, mostrargli il buon itinerario che sta<br />

cercando, garantirla dalle seduzioni <strong>del</strong>le volontà private, avvicinare ai suoi<br />

occhi i luoghi e i tempi, bilanciare l’attrazione dei vantaggi presenti e sensibili<br />

con il danno dei mali lontani e nascosti. Gli in<strong>di</strong>vidui vedono il bene che<br />

rifiutano, il pubblico vuole il bene che non vede […] Ecco donde nasce la<br />

necessità <strong>di</strong> un legislatore.<br />

pacifico.<br />

30 <strong>Rousseau</strong> <strong>di</strong>mentica <strong>di</strong> aver precedentemente posto lo stato <strong>di</strong> natura come<br />

31 La legge potrà, ad esempio, stabilire che tutti i reduci <strong>di</strong> guerra che hanno<br />

riportato ferite invalidanti hanno <strong>di</strong>ritto ad una pensione, ma non potrà in<strong>di</strong>viduare gli excombattenti,<br />

le specifiche persone. Sarà il potere esecutivo a <strong>di</strong>chiarare che il citta<strong>di</strong>no X Y ha<br />

<strong>di</strong>ritto ad usufruire o a non usufruire <strong>del</strong>la pensione <strong>di</strong> invali<strong>di</strong>tà.<br />

32 Le espressioni spregiative qui impiegate da <strong>Rousseau</strong> non contrad<strong>di</strong>cono gli<br />

elogi precedentemente tributati al popolo. Bisogna infatti <strong>di</strong>stinguere il popolo reale, il popolo,<br />

cioè, <strong>di</strong> carne e <strong>di</strong> sangue, il popolo storicamente esistente, dal popolo ideale, il popolo esistente<br />

nella mente e nell’attesa <strong>di</strong> <strong>Rousseau</strong>. Solo il secondo è capace <strong>di</strong> scorgere e <strong>di</strong> realizzare il<br />

proprio bene, il primo deve essere sapientemente educato e <strong>di</strong>retto da un saggio legislatore.<br />

XI


Capitolo VII<br />

Del legislatore<br />

Per scoprire le regole sociali che meglio si ad<strong>di</strong>cono alle nazioni,<br />

occorrerebbe un’intelligenza superiore che vedesse ogni passione umana senza<br />

provarne alcuna; che non avesse alcun rapporto con la nostra natura, e che la<br />

conoscesse a fondo; il cui bene fosse in<strong>di</strong>pendente da noi, e che ciononostante <strong>di</strong><br />

noi volesse occuparsi […] Occorrerebbero degli dei per dare le leggi agli<br />

uomini 33 […]<br />

Ma se è vero che un gran principe è un uomo raro, cosa <strong>di</strong>re <strong>di</strong> un<br />

gran legislatore? 34 Il primo si limita a seguire il mo<strong>del</strong>lo proposto dall’altro […]<br />

Quando nascono le società, <strong>di</strong>ce Montesquieu, sono i capi <strong>del</strong>la repubblica che<br />

fanno l’istituzione, ma poi è l’istituzione che forma i capi <strong>del</strong>la repubblica 35 .<br />

Chi osa iniziare l’istituzione <strong>di</strong> un popolo deve sentirsi capace <strong>di</strong><br />

cambiare, per così <strong>di</strong>re, la natura umana 36 , <strong>di</strong> trasformare ogni in<strong>di</strong>viduo, che in<br />

33 Affermazione apparentemente paradossale, ma che testimonia la sagacità non<br />

meno <strong>del</strong>l’astrattezza <strong>del</strong>la riflessione rousseauiana. Non bastano le volontà umane unificate<br />

nella volontà generale a creare buone leggi? Il popolo può essere ingannato ma mai corrotto,<br />

può accadere che voglia un bene che tuttavia non vede. Il popolo verso il quale <strong>Rousseau</strong> è<br />

fiducioso non è il popolo reale, storico, esistente, ma un popolo ideale, appartenente ad un<br />

inverosimile futuro, un ideale, un progetto geometricamente perfetto ma, per ciò stesso,<br />

irrealizzabile. Il “<strong>Contratto</strong> sociale” si propone due obbiettivi: 1) <strong>di</strong>segnare la fisionomia <strong>del</strong>la<br />

società perfetta 2) misurare la <strong>di</strong>stanza tra la società perfetta (il futuro) e l’attuale configurazione<br />

sociale (cioè <strong>del</strong>l’uomo quale attualmente è) contemporaneamente in<strong>di</strong>cando l’itinerario e gli<br />

espe<strong>di</strong>enti che permettano la transizione <strong>del</strong>la seconda alla prima.<br />

34 Il principe <strong>di</strong>spone unicamente <strong>del</strong> potere esecutivo.<br />

35 Le istituzioni (e quin<strong>di</strong>, a maggior ragione, le leggi) creano una mentalità. Il<br />

potere pubblico possiede sempre un’immensa autorità morale a cui è <strong>di</strong>fficilissimo sfuggire. Chi<br />

osa sottrarvisi, in nome <strong>di</strong> un superiore ideale o, ancora peggio, in nome <strong>del</strong>la propria<br />

irriducibile in<strong>di</strong>vidualità, è inesorabilmente punito (es.: Socrate).<br />

36 Affermazione terribile, se assunta in senso forte. È ragion d’essere <strong>del</strong><br />

totalitarismo, sua specifica fisionomia, l’aspirazione a mutare la natura umana. L’osservazione<br />

viene solo apparentemente mitigata precisando che <strong>Rousseau</strong> si riferisce alla sostituzione<br />

all’uomo naturale (in sé buono unicamente perché incapace <strong>di</strong> essere buono o cattivo essendo la<br />

coscienza, organo <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinzione <strong>del</strong> bene e <strong>del</strong> male, un prodotto sociale) <strong>del</strong>l’uomo culturale.<br />

La transizione si risolverebbe in una realizzazione, in un <strong>di</strong>spiegamento <strong>di</strong> doti implicite<br />

nell’uomo naturale, aristotelicamente: in un’attualizzazione <strong>di</strong> energie latenti. La trasmutazione<br />

non sarebbe quin<strong>di</strong> uno stravolgimento ma una riappropriazione. È tuttavia senza residui la<br />

socializzazione pretesa dal contratto sociale. Non conservando l’uomo singolo alcuna<br />

emergenza dalla comunità, la sua in<strong>di</strong>vidualità è cancellata. Per l’alienazione integrale <strong>del</strong>la<br />

volontà (poco importa se, rousseauianamente, <strong>di</strong> ciascuno in ciascun altro o, hobbesianamente,<br />

a vantaggio <strong>di</strong> un terzo) è cancellata l’obbiezione <strong>di</strong> coscienza, che salvaguarda la libertà<br />

in<strong>di</strong>viduale.<br />

L’espressione <strong>di</strong> <strong>Rousseau</strong> mostra inoltre tutta la <strong>di</strong>stanza che lo separa da Hobbes.<br />

Per il primo il contratto sociale muta l’uomo, che smette <strong>di</strong> essere un animale stupido per<br />

XII


se stesso è una totalità perfetta e solitaria in parte <strong>di</strong> un tutto più grande da cui<br />

quest’in<strong>di</strong>viduo riceve in qualche modo la vita e l’esistenza; <strong>di</strong> alterare la<br />

costituzione <strong>del</strong>l’uomo per rinforzarla; <strong>di</strong> sostituire una esistenza parziale e<br />

morale 37 all’esistenza fisica e in<strong>di</strong>pendente che abbiamo ricevuto dalla natura.<br />

Bisogna, in una parola, che tolga all’uomo le sue forze per donargliene <strong>di</strong><br />

estranee, e che non possa impiegare senza l’altrui concorso. Più queste forze<br />

naturali sono morte e annientate, più le acquisizioni sono gran<strong>di</strong> e durevoli,<br />

più, inoltre, l’istituzione è solida e perfetta: così che se ciascun citta<strong>di</strong>no è<br />

niente, né qualcosa può se non attraverso tutti gli altri […] si può <strong>di</strong>re che la<br />

legislazione ha raggiunto il più alto grado <strong>di</strong> perfezione 38 .<br />

Il legislatore è sotto ogni rispetto un uomo straor<strong>di</strong>nario all’interno<br />

<strong>del</strong>lo stato. Se è necessario che lo sia per la sua intelligenza, non è meno<br />

necessario che lo sia per la sua esemplarità […] Era abitu<strong>di</strong>ne <strong>del</strong>le città greche<br />

riservare agli stranieri l’istituzione <strong>del</strong>le loro [leggi … e i romani si videro<br />

prossimi alla <strong>di</strong>ssoluzione] per aver riunito sotto la medesima autorità il potere<br />

legislativo e il potere sovrano […]<br />

Chi re<strong>di</strong>ge le leggi né ha né deve avere alcun potere legislativo, e il<br />

popolo stesso non può, quand’anche lo volesse, spogliarsi <strong>di</strong> questo <strong>di</strong>ritto<br />

inalienabile 39 […]<br />

Così si ritrovano nell’attività legislativa due realtà apparentemente<br />

inconciliabili: una decisione che supera le forze umane e, per eseguirla,<br />

un’autorità che è nulla 40 .<br />

trasformarsi in essere libero e intelligente. <strong>Rousseau</strong> pensa che ogni malanno abbia ra<strong>di</strong>ce<br />

nell’irrazionale or<strong>di</strong>namento <strong>del</strong>la società e che, cancellate le sue <strong>di</strong>sarmonie, l’in<strong>di</strong>viduo sia<br />

guarito da ogni peccato. Hobbes è invece assai meno utopista. L’uomo non smette il suo abito<br />

ferino entrando in una società costruita non per mutare la natura dei suoi membri ma per<br />

impiegare, fin dove è possibile, la ra<strong>di</strong>cale e inestirpabile malvagità dei componenti per il<br />

maggior bene possibile. Insomma, per <strong>Rousseau</strong>, ma non per Hobbes, la socializzazione<br />

cancella la malvagità umana.<br />

37 Parziale perché per il contratto sociale ciascuno può agire solamente tramite<br />

ciascun altro. La comunità rousseauiana è inoltre un corpo morale e collettivo.<br />

38 <strong>Rousseau</strong> deprime inesorabilmente l’io empirico (naturale) a vantaggio <strong>del</strong>l’io<br />

comune (sociale). Il finito, l’io empirico, viene <strong>di</strong>sprezzato in quanto artefice <strong>del</strong> male. Sua<br />

specificità è, per il pensatore ginevrino, un pervicace, capriccioso, egoismo, un’inaccettabile<br />

irrazionalità. Il finito si presenta così, per essenza, come decettivo da raddrizzare, dove<br />

possibile, e da estirpare dove impossibile. La volontà generale si incarica <strong>del</strong> compito. Manca in<br />

tutto il “<strong>Contratto</strong> sociale” la cognizione <strong>del</strong>l’io personale, la cognizione <strong>del</strong> finito come<br />

positivo.<br />

39 Al popolo appartiene la prerogativa <strong>di</strong> approvare le leggi, cioè <strong>di</strong> legiferare, ma<br />

la proposta <strong>di</strong> legge è allogena. <strong>Rousseau</strong> sospetta che il popolo, per pigrizia, ambisca ad<br />

alienare il proprio potere. Gli ricorda allora i suoi doveri (che sono anche necessità sotto il<br />

profilo logico).<br />

40 Il legislatore, l’uomo che propone le leggi, <strong>di</strong>spone <strong>di</strong> una vista penetrante, che<br />

oltrepassa l’orizzonte comune. Le sue proposte sono connotate da una profonda saggezza, che<br />

<strong>di</strong> molto supera il comune raziocinio umano. Il suo potere è tuttavia nulla, perché<br />

l’approvazione <strong>del</strong>le leggi pertiene al popolo.<br />

XIII


C’è un’ulteriore <strong>di</strong>fficoltà che merita attenzione. I saggi che vogliono<br />

parlare al popolo col loro linguaggio non potrebbero essere compresi 41 . Ci sono<br />

migliaia <strong>di</strong> pensieri che è impossibile tradurre nel linguaggio <strong>del</strong> popolo. Le<br />

prospettive troppo generali e gli oggetti troppo lontani sono al <strong>di</strong> là <strong>del</strong>la sua<br />

portata: ogni in<strong>di</strong>viduo, non riuscendo ad apprezzare <strong>del</strong> governo, che quanto<br />

si riferisce al suo personale interesse, <strong>di</strong>fficilmente percepisce il vantaggio che<br />

deve attendersi dalle continue privazioni imposte dalle buone leggi 42 . Affinché<br />

un popolo neonato potesse gustare le sane massime <strong>del</strong>la politica e seguire le<br />

regole fondamentali <strong>del</strong>la ragion <strong>di</strong> Stato, occorrerebbe che l’effetto potesse<br />

<strong>di</strong>venire la causa, che lo spirito sociale, opera <strong>del</strong>l’istituzione, presiedesse alla<br />

stessa istituzione; e che gli uomini fossero prima <strong>del</strong>le leggi ciò che devono<br />

<strong>di</strong>venire per loro tramite. Così, dunque, il legislatore non potendo impiegare né<br />

la forza né la ragione, necessariamente deve ricorrere ad un’autorità <strong>di</strong> <strong>di</strong>verso<br />

or<strong>di</strong>ne, capace <strong>di</strong> trascinare senza violenza e persuadere senza convincere.<br />

Ecco ciò che costringe i padri <strong>del</strong>le nazioni <strong>di</strong> ogni tempo a ricorrere<br />

all’intervento <strong>del</strong> cielo […] affinché i popoli, sottomessi alle leggi <strong>del</strong>lo Stato<br />

come alle leggi <strong>del</strong>la natura 43 […] obbe<strong>di</strong>ssero spontaneamente e portassero<br />

docilmente il giogo <strong>del</strong>la felicità pubblica. Questa sublime motivazione, che si<br />

41 Il saggio è isolato non solo perché scorge problematiche e realtà che si<br />

sottraggono all’occhio <strong>del</strong>la maggioranza degli uomini, ma anche perché non riesce a<br />

comunicarle. Non potrebbe infatti accadere che il saggio, viste cose che agli altri sfuggono,<br />

riuscisse ad in<strong>di</strong>carle, così da non essere più il solo a conoscerle.<br />

42 L’in<strong>di</strong>viduo è cioè miope perché abbarbicato alla propria finitezza (sensibilità), al<br />

proprio io empirico. Ma non aveva in precedenza <strong>Rousseau</strong> sostenuto che la volontà generale<br />

(sempre retta) sarebbe scaturita da una votazione nella quale non si fossero costituiti partiti?<br />

Perché ora il popolo non potrebbe, votando le proposte <strong>del</strong> legislatore, approvarle? Le proposte<br />

<strong>del</strong> legislatore non sono l'espressione <strong>di</strong> quella volontà generale che il singolo non può<br />

apprezzare, ma che il popolo non può mancare <strong>di</strong> riconoscere? Ricompare la <strong>di</strong>fferenza tra il<br />

popolo perfetto, ma inesistente, e il popolo quoti<strong>di</strong>ano, imperfetto ma reale. Il contratto sociale<br />

rappresenta la fabbricazione <strong>del</strong> popolo ideale, <strong>del</strong> popolo che sarà. È un’operazione<br />

trascendentale, cioè <strong>di</strong> fondazione, non <strong>di</strong> ciò che esiste nella storia, ma <strong>di</strong> ciò che il pensatore<br />

ginevrino si attende giunga ad esistenza proprio attraverso l’astuta pedagogia <strong>del</strong> legislatore e<br />

l’opera paziente <strong>del</strong>le buone leggi. Si precisano qui le annotazioni e gli avvertimenti circa<br />

l’inutilità <strong>di</strong> un apparato giuri<strong>di</strong>co deputato alla <strong>di</strong>fesa <strong>del</strong> citta<strong>di</strong>no dallo stato e invece<br />

l’in<strong>di</strong>spensabilità <strong>di</strong> misure capaci <strong>di</strong> tutelare il corpo sociale dalle defezioni <strong>del</strong>l’in<strong>di</strong>viduo. Ma<br />

allora, chi riconosce la razionalità <strong>di</strong> quell’azione che produce il “<strong>Contratto</strong> sociale”? Non si<br />

tratta solamente <strong>di</strong> informare l’uomo dei termini <strong>del</strong> contratto, <strong>di</strong> mostrargli i suoi infiniti<br />

vantaggi. Non basta produrre un rischiaramento <strong>del</strong>l’intelletto perché nessun rischiaramento<br />

intellettuale può prodursi senza un’adeguata propedeutica. Il popolo non basta a se stesso, ha<br />

bisogno <strong>di</strong> guide capaci <strong>di</strong> stratagemmi. É dunque inutile, anzi, dannoso, <strong>di</strong>re la verità. È<br />

in<strong>di</strong>spensabile, per il suo stesso bene, utilizzare l’inganno. Ancora: posta la futura<br />

emancipazione <strong>del</strong> popolo, quando e chi deciderà <strong>del</strong>la sua avvenuta maturazione? <strong>Rousseau</strong><br />

stima il popolo meno <strong>di</strong> quanto Platone stimasse gli uomini in cui prevaleva l’anima<br />

concupiscibile. Per il primo la persuasione poteva essere indotta solamente dalla parola <strong>di</strong> una<br />

<strong>di</strong>vinità, per il secondo bastava il decreto <strong>del</strong> filosofo.<br />

43 Le leggi <strong>di</strong> natura vengono accettate non solo con la rassegnazione <strong>di</strong> chi ne<br />

conosce l’ineluttabilità, ma anche con la serenità <strong>di</strong> chi ne percepisce la saggezza.<br />

XIV


eleva oltre lo sguardo degli uomini volgari, induce il legislatore ad attribuire le<br />

[proprie] decisioni alla volontà degli immortali, per trascinare attraverso<br />

l’autorità <strong>di</strong>vina chi non potrebbe essere smosso dalla saggezza umana 44 . Ma<br />

non tutti gli uomini possono far parlare gli dei, né spacciarsi per loro cre<strong>di</strong>bili<br />

interpreti. La grande anima <strong>del</strong> legislatore è il vero miracolo capace <strong>di</strong> provarne<br />

la missione 45 . Chiunque […] può fingere un segreto commercio con qualche<br />

<strong>di</strong>vinità […] Chi [però] non saprà fare altro potrà anche raccogliere casualmente<br />

una masnada <strong>di</strong> insensati, ma non fonderà mai un impero, e la sua stravagante<br />

opera morirà con la sua persona. Un illusorio prestigio rappresenta un legame<br />

passeggero, solo la saggezza lo rende duraturo. La legge giudaica, tuttora<br />

sussistente […] che da <strong>di</strong>eci secoli regge la metà <strong>del</strong> mondo, testimonia ancor<br />

oggi la grandezza degli uomini che l’hanno dettata; e per quanto l’orgogliosa<br />

filosofia o il cieco spirito <strong>di</strong> parte non vi vedano che imposture, l’autentico<br />

politico ammira la grande e possente intelligenza che presiede alle decisioni<br />

durevoli 46 .<br />

Con ciò non è necessario concludere […] che la politica e la religione<br />

abbiano un oggetto comune, ma che, nell’origine <strong>del</strong>le nazioni, l’una è<br />

strumento <strong>del</strong>l’altra.<br />

Libro III<br />

Capitolo I<br />

Del governo in generale<br />

[…] Ogni azione libera ha due cause che concorrono a produrla:<br />

l’una morale, cioè la volontà che determina l’atto: l’altra fisica, cioè il potere che<br />

la esegue. Quando mi <strong>di</strong>rigo verso un oggetto, occorre innanzitutto che voglia<br />

andarvi, secondariamente che i miei pie<strong>di</strong> mi ci portino […] Il corpo politico<br />

possiede gli stessi moventi: vi si <strong>di</strong>stinguono […] la forza e la volontà; questa<br />

sotto il nome <strong>di</strong> potere legislativo, l’altra sotto il nome <strong>di</strong> potere esecutivo […]<br />

Abbiamo visto che il potere legislativo appartiene al popolo, et non<br />

può che appartenere che a lui. Al contrario, è facile vedere […] che il potere<br />

44 L’uomo segue assai più facilmente l’autorità che la ragione.<br />

45 Il legislatore deve dunque possedere ciò che, in termini weberiani, potremmo<br />

definire potere carismatico<br />

46 Disprezzare le sentenze religiose che reggono le costituzioni politiche <strong>di</strong><br />

numerosi popoli come imposture inventate dai preti, significa mostrare la propria pochezza<br />

intellettuale, incapace <strong>di</strong> scorgere l’eccezionale rilievo che la finzione riveste nell’economia <strong>del</strong>la<br />

società. <strong>Rousseau</strong> conclude dunque che, per il bene <strong>del</strong> popolo, è non solo lecito, ma ad<strong>di</strong>rittura<br />

auspicabile essere ingannato. Si ripropone allora drammaticamente la domanda che attraversa<br />

tutta la riflessione <strong>del</strong> “<strong>Contratto</strong> sociale”: chi conosce la volontà generale?<br />

XV


esecutivo non può appartenere alla generalità come legislatrice o sovrana,<br />

perché questo potere non consiste che in atti particolari che non sono <strong>di</strong><br />

pertinenza <strong>del</strong>la legge, né <strong>di</strong> conseguenza <strong>del</strong> sovrano, i cui atti non possono<br />

essere che leggi […] Ecco qual è, nello Stato, la ragion d’essere <strong>del</strong> governo,<br />

erroneamente confuso col sovrano, <strong>di</strong> cui non è che un ministro.<br />

Cos’è dunque il governo? Un corpo interme<strong>di</strong>o posto tra i sud<strong>di</strong>ti e il<br />

sovrano […] preposto all’esecuzione <strong>del</strong>le leggi e al mantenimento <strong>del</strong>la libertà<br />

tanto civile che politica.<br />

I membri <strong>di</strong> questo corpo si chiamano magistrati o re, cioè<br />

governatori; e il loro corpo intero porta il nome <strong>di</strong> principe. Ha così pienamente<br />

ragione chi pretende che l’atto tramite il quale un popolo si sottomette ai dei<br />

capi non è in nessun modo un contratto. Non è che una commissione, un<br />

incarico, in cui, semplici ufficiali <strong>del</strong> sovrano, esercitano in suo nome il potere<br />

<strong>di</strong> cui li ha fatti depositari, e che può limitare, mo<strong>di</strong>ficare e riprendere quando<br />

ritiene opportuno, essendo la natura <strong>di</strong> un tale <strong>di</strong>ritto incompatibile con la<br />

natura <strong>del</strong> corpo sociale e contraria al fine <strong>del</strong>l’associazione.<br />

Definisco dunque governo o suprema amministrazione l’esercizio<br />

legittimo <strong>del</strong> potere esecutivo, e principe o magistrato l’uomo o il corpo<br />

incaricato <strong>di</strong> questa amministrazione.<br />

È nel governo che sono riposte le forze interme<strong>di</strong>arie […] Se il<br />

sovrano vuol governare, o se il magistrato vuol fare le leggi […] la forza e la<br />

volontà non agiscono più coor<strong>di</strong>natamente e lo stato <strong>di</strong>ssolto precipita nel<br />

<strong>di</strong>spotismo o nell’anarchia […]<br />

Capitolo XV<br />

Dei deputati o rappresentanti<br />

Non appena il servizio pubblico smette <strong>di</strong> essere la principale<br />

occupazione dei citta<strong>di</strong>ni 47 , e preferiscono servire con la loro borsa che con la<br />

loro persona, lo stato è già vicino alla rovina. Bisogna andare in guerra? Pagano<br />

le truppe restano a casa; bisogna andare al consiglio? Nominano dei deputati e<br />

rimangono a casa. A forza <strong>di</strong> pigrizia e <strong>di</strong> rappresentanti, ottengono dei soldati<br />

per asservirla e dei rappresentanti per venderla.<br />

Sono le preoccupazioni <strong>del</strong> commercio e <strong>del</strong>le arti 48 , l’avido interesse<br />

47 Il servizio pubblico smette <strong>di</strong> essere la principale occupazione dei citta<strong>di</strong>ni non<br />

appena si profilano gli interessi privati, che <strong>Rousseau</strong> mostra <strong>di</strong> <strong>di</strong>sprezzare e temere come la<br />

maggiore minaccia all’integrità <strong>del</strong>lo stato.<br />

48 Correttamente <strong>Rousseau</strong> in<strong>di</strong>vidua nel commercio e nelle arti la sfera degli<br />

interessi privati, che l’età moderna ha visto svilupparsi a <strong>di</strong>smisura. Lo sviluppo <strong>del</strong>la ricchezza<br />

è legato al loro incremento. L’atteggiamento moralistico <strong>del</strong> “<strong>Contratto</strong> sociale” spinge il suo<br />

autore a sottovalutarne l’importanza. <strong>Rousseau</strong> vorrebbe un popolo <strong>di</strong> virtuosi interamente<br />

XVI


<strong>del</strong> guadagno, la mollezza e l’amore <strong>del</strong>le como<strong>di</strong>tà, che trasformano le<br />

prestazioni personali in denaro […]<br />

Più solidamente è costituito lo stato, più, nello spirito dei citta<strong>di</strong>ni,<br />

gli affari pubblici prevalgono sui privati. Ci sono anche molti meno affari<br />

privati, perché la somma dei beni comuni fornendone a ciascuno una porzione<br />

più rilevante, gliene resta meno da cercare nelle preoccupazioni particolari 49<br />

[…] Non appena qualcuno <strong>di</strong>ce <strong>del</strong>lo Stato: che cosa mi importa? si deve stimare<br />

perduto lo Stato.<br />

L’intiepi<strong>di</strong>rsi <strong>del</strong>l’amore per la patria 50 , l’esercizio degli interessi<br />

privati 51 , le <strong>di</strong>mensioni <strong>del</strong>lo Stato 52 , le conquiste, l’abuso <strong>del</strong> governo 53 , hanno<br />

fatto escogitare l’espe<strong>di</strong>ente dei deputati o rappresentanti <strong>del</strong> popolo nelle<br />

assemblee <strong>del</strong>la nazione […]<br />

La sovranità non può essere rappresentata, per la stessa ragione per<br />

cui non può essere alienata; consiste essenzialmente nella volontà generale, e la<br />

volontà non si rappresenta […] I deputati <strong>del</strong> popolo dunque non sono né<br />

possono essere i suoi rappresentanti, non ne sono che i commissari […] Gli<br />

inglesi pensano <strong>di</strong> essere liberi, si sbagliano <strong>di</strong> grosso; non lo sono che durante<br />

l’elezione dei membri <strong>del</strong> parlamento: non appena sono stati eletti, [gli inglesi]<br />

de<strong>di</strong>ti al pubblico bene e immagina che l’antichità l’abbia conosciuto.<br />

49 Se cresce l’attenzione per il bene pubblico, cresce anche la ricchezza comune e<br />

quin<strong>di</strong> aumenta la porzione riservata a ciascun citta<strong>di</strong>no.<br />

50 Ecco il primo fattore <strong>di</strong> <strong>di</strong>sgregazione: un elemento sociologico.<br />

51 Un secondo elemento <strong>di</strong> natura economica.<br />

52 Terza componente, <strong>di</strong> natura politica. Innegabilmente nel citta<strong>di</strong>no si affievolisce<br />

la percezione (e la persuasione) <strong>del</strong>l’importanza <strong>del</strong> proprio contributo alla comunità in misura<br />

<strong>di</strong>rettamente proporzionale alle sue <strong>di</strong>mensioni. È un problema non trascurabile <strong>del</strong>le<br />

democrazie <strong>di</strong> massa. Per <strong>Rousseau</strong>, che è un democratico antiliberale, cioè totalitario, libero<br />

non è l’uomo in quanto riesce a resistere al potere ritagliandosi una sfera <strong>di</strong> assoluta autonomia.<br />

Libero è l’uomo in quanto partecipa alle decisioni. La <strong>di</strong>saffezione verso la politica ferisce<br />

quin<strong>di</strong> in maniera assai più grave, in maniera ad<strong>di</strong>rittura mortale, il democratico. Se libertà<br />

significa infatti partecipazione alle decisioni, il rifiuto, o anche solo la freddezza, verso i luoghi e<br />

i tempi <strong>del</strong>le <strong>del</strong>iberazioni collettive equivale alla morte <strong>del</strong>la libertà. Per il liberale, invece, che<br />

concepisce la libertà come esercizio <strong>di</strong> attività poste oltre ogni possibile interferenza <strong>del</strong> potere<br />

pubblico, l’in<strong>di</strong>fferenza per la vita politica rappresenta l’affermazione <strong>del</strong>la libertà. Migliore è lo<br />

stato che meno esige in termini <strong>di</strong> contributo alla realizzazione <strong>del</strong>la res publica e che minori<br />

impe<strong>di</strong>menti frappone al pieno <strong>di</strong>spiegamento <strong>del</strong>le energie <strong>del</strong>l’in<strong>di</strong>viduo completamente<br />

autonomo. Stiamo perciò ascoltando un sciocchezza quando sentiamo qualcuno <strong>di</strong>re: “Siamo in<br />

democrazia, quin<strong>di</strong> io (inteso come in<strong>di</strong>vidualità astratta dalla comunità) faccio ciò che voglio”.<br />

La democrazia esige infatti che ciascuno si adegui perfettamente alle decisioni prese dal popolo.<br />

La democrazia è, nella sua essenza, nella sua versione pura, non declinata da alcun aggettivo,<br />

totalitaria. “Siamo in regime liberale, quin<strong>di</strong> io (inteso come in<strong>di</strong>vidualità astratta dalla<br />

comunità) faccio ciò che voglio” rappresenta la formulazione corretta. Naturalmente anche per<br />

il liberale è posto il vincolo <strong>del</strong>le leggi, che tuttavia hanno più marcatamente un significato<br />

negativo: tracciano il limite <strong>di</strong> ciò che è consentito più che in<strong>di</strong>care ciò che deve essere<br />

compiuto.<br />

53 Un fattore etico: la corruzione che inevitabilmente accompagna il potere.<br />

XVII


sono schiavi, sono nulla 54 . L’uso che fanno <strong>del</strong> breve momento <strong>del</strong>la libertà,<br />

merita pienamente che la perdano.<br />

L’idea dei rappresentanti è moderna: ci proviene dal governo<br />

feudale, questo iniquo e assurdo governo nel quale la specie umana è<br />

degradata, e dove il nome <strong>del</strong>l’uomo è <strong>di</strong>sonorato 55 . Nelle antiche repubbliche, e<br />

anche nelle monarchie, mai il popolo ebbe dei rappresentanti; il termine era<br />

sconosciuto […]<br />

Nel potere legislativo il popolo non può essere rappresentato; ma<br />

può e deve esserlo nel potere esecutivo […] Ciò <strong>di</strong>mostra che ben esaminando si<br />

troverà che pochissime nazioni hanno <strong>del</strong>le leggi […]<br />

Libro IV<br />

Capitolo VI<br />

Della <strong>di</strong>ttatura<br />

L’inflessibilità <strong>del</strong>le leggi, che impe<strong>di</strong>sce loro <strong>di</strong> piegarsi agli<br />

avvenimenti può, in certi casi, renderle perniciose e causare la <strong>di</strong>struzione <strong>del</strong>lo<br />

Stato durante la sua crisi. L’or<strong>di</strong>ne e la lentezza <strong>del</strong>le forme esigono un<br />

intervallo <strong>di</strong> tempo che le circostanze in qualche caso rifiutano. Possono<br />

presentarsi mille circostanze alle quali il legislatore non ha pensato ed è<br />

un’in<strong>di</strong>spensabile preveggenza sapere che non è possibile prevedere tutto.<br />

Non è dunque possibile voler consolidare le istituzioni politiche fino<br />

a vietarsi il potere <strong>di</strong> sospenderne l’efficacia […]<br />

Ma […] non si deve mai arrestare il potere sacro <strong>del</strong>le leggi se non<br />

quando si tratta <strong>del</strong>la salvezza <strong>del</strong>la patria. In questi casi rari e manifesti 56 , si<br />

54 Non solamente l’estensione <strong>del</strong> territorio e il numero degli abitanti rendono<br />

necessaria la forma rappresentativa <strong>del</strong>la vita politica. L’attenzione per gli affari privati<br />

costituisce una motivazione altrettanto forte. Il tempo e le energie che richiedono rende<br />

impossibile la vita politica e necessaria la <strong>del</strong>ega <strong>del</strong>le decisioni relative al bene pubblico.<br />

L’elettore si riserva <strong>di</strong> verificare l’operato <strong>di</strong> un rappresentante che, fino alla scadenza <strong>del</strong><br />

mandato, gode <strong>di</strong> piena autonomia decisionale. Non potrebbe, infatti, consultare i suoi elettori<br />

in occasione <strong>di</strong> ogni <strong>del</strong>iberazione. Il suo mandato, quin<strong>di</strong>, non è imperativo. La vita politica è<br />

opera <strong>di</strong> un uomo libero, cioè affrancato dalle necessità economiche. I greci si permettevano<br />

interminabili <strong>di</strong>scussioni nell’agorà unicamente perché altri, gli schiavi, svolgevano le mansioni<br />

connesse alle esigenze <strong>del</strong>la sopravvivenza biologica. Quando, nel ventesimo secolo, si vollero<br />

introdurre i lavoratori a tempo pieno nella vita politica, si fece ricorso ai Soviet.<br />

55 Il me<strong>di</strong>oevo non conobbe la democrazia <strong>del</strong>le società antiche e moderne, ma<br />

conobbe la libertà come resistenza al potere. Per trovare un giu<strong>di</strong>zio opposto alla stroncatura<br />

rousseauiana <strong>del</strong> me<strong>di</strong>oevo è sufficiente riferirsi a Tocqueville, attento <strong>di</strong>fensore <strong>del</strong>le libertà<br />

<strong>del</strong>l’in<strong>di</strong>viduo e sottile critico <strong>del</strong>l’uguaglianza.<br />

56 Non è dubbia la rarità dei casi, è dubbia la loro evidenza. Chi dovrebbe<br />

XVIII


provvede alla sicurezza pubblica tramite un atto particolare che attribuisce<br />

l’incarico al più degno […] Se il pericolo è tale che l’apparato <strong>del</strong>le leggi <strong>di</strong>venta<br />

un ostacolo alla loro stessa garanzia, allora si nomina un capo supremo, che<br />

metta a tacere ogni legge e momentaneamente sospenda l’autorità sovrana. In<br />

simili casi la volontà generale non è dubbia, ed è evidente che la prima<br />

preoccupazione <strong>del</strong> popolo è che lo stato non muoia. In tal modo la sospensione<br />

<strong>del</strong>l’autorità legislativa non l’abolisce in alcun modo: il magistrato che la fa<br />

tacere non può farla parlare; la domina senza poterla rappresentare. Può fare<br />

ogni cosa, eccetto le leggi.<br />

Capitolo VIII<br />

Della religione civile<br />

All’inizio gli uomini non ebbero altri re che le <strong>di</strong>vinità, né altro<br />

governo che il [governo] teocratico […] Occorre un lungo mutamento <strong>di</strong><br />

sentimenti e <strong>di</strong> idee per decidersi ad accettare un proprio simile come guida, e<br />

illudersi che ci si troverà bene 57 .<br />

Dal solo fatto che si metteva Dio a capo <strong>di</strong> ogni società politica,<br />

consegue che ci furono tante <strong>di</strong>vinità quanti popoli […] Dalle <strong>di</strong>visioni<br />

nazionali risultò il politeismo, e da ciò l’intolleranza teologica e civile, che<br />

naturalmente è la medesima […]<br />

Se si chiede come nel paganesimo, dove ogni Stato aveva il proprio<br />

culto e le proprie <strong>di</strong>vinità, non ci fossero guerre <strong>di</strong> religione 58 , rispondo che era<br />

per lo stesso motivo per il quale ogni Stato, avendo un proprio culto come un<br />

proprio governo, non <strong>di</strong>stingueva le proprie <strong>di</strong>vinità dalle proprie leggi. La<br />

guerra politica era anche teologica; le circoscrizioni degli dei erano, per così<br />

<strong>di</strong>re, fissate dai limiti <strong>del</strong>le nazioni […] Gesù venne a stabilire sulla terra un<br />

regno spirituale, e così, separando il sistema teologico dal sistema politico,<br />

provocò la rottura <strong>del</strong>l’unità <strong>del</strong>lo Stato, e provocò le <strong>di</strong>visioni interne che non<br />

hanno mai cessato <strong>di</strong> sconvolgere i popoli cristiani. Ora, non avendo mai potuto<br />

riconoscerla? Il popolo? Quale popolo? Il popolo ideale o il popolo reale? Solo il primo non può<br />

essere ingannato, il secondo, come ammette lo stesso <strong>Rousseau</strong>, lo è fin troppo facilmente. E<br />

quando siano stati attribuiti tutti i poteri (eccetto il legislativo) al <strong>di</strong>ttatore, cosa garantisce la sua<br />

lealtà allo stato? Certamente un semplice calcolo invita ad accettare il pericolo: se non venisse<br />

nominato il <strong>di</strong>ttatore lo stato perirebbe con certezza, se viene nominato c’è solo la possibilità che<br />

non intenda restituire il potere ricevuto.<br />

57 Come già ampiamente mostrato nel cap. VII <strong>del</strong> libro II, occorre un lungo<br />

tirocinio perché l’umanità, educata da buone leggi, promulgate da un carismatico legislatore,<br />

possa giungere alla maturità necessaria per riconoscere il valore <strong>del</strong> contratto sociale,<br />

associazione puramente umana (nei fondamenti, negli scopi, nelle norme)<br />

58 Naturalmente non c’erano guerre <strong>di</strong> religione all’interno <strong>del</strong>lo stato. Tra stato e<br />

stato, invece, ogni guerra politica era contemporaneamente guerra religiosa.<br />

XIX


entrare nella testa dei pagani questa nuova idea <strong>di</strong> un regno <strong>del</strong>l’altro mondo,<br />

considerarono sempre i cristiani come degli autentici ribelli che, <strong>di</strong>etro<br />

un’ipocrita sottomissione, attendevano solamente l’opportunità <strong>di</strong> rendersi<br />

in<strong>di</strong>pendenti e padroni, e <strong>di</strong> usurpare abilmente l’autorità che fingevano <strong>di</strong><br />

rispettare nel periodo <strong>del</strong>la loro debolezza. Tale fu la causa <strong>del</strong>le persecuzioni.<br />

Quanto i pagani paventavano si è verificato. Così tutto ha mutato<br />

volto; gli umili cristiani hanno mutato linguaggio, e ben presto si è visto questo<br />

preteso regno <strong>del</strong>l’altro mondo <strong>di</strong>ventare, sotto la guida <strong>di</strong> un capo visibile, il<br />

più violento <strong>di</strong>spotismo in questo.<br />

Tuttavia, essendoci sempre stato un principe e <strong>del</strong>le leggi civili, da<br />

questo doppio potere è risultato un continuo conflitto <strong>di</strong> giuris<strong>di</strong>zione che ha<br />

reso impossibile negli stati cristiani ogni buona costituzione politica; e non si è<br />

mai riusciti a sapere se si doveva obbe<strong>di</strong>re al padrone o al prete […]<br />

Tra tutti gli autori cristiani, Hobbes è l’unico ad aver visto con<br />

precisione il male e il rime<strong>di</strong>o, che ha osato proporre <strong>di</strong> riunire le due teste<br />

<strong>del</strong>l’aquila, e ricondurre tutto all’unità politica, senza la quale mai Stato né<br />

governo saranno ben organizzati. Ma ha dovuto rendersi conto che lo spirito<br />

dominatore <strong>del</strong> cristianesimo era incompatibile con il suo sistema, e che<br />

l’interesse <strong>del</strong> prete sarà sempre più forte <strong>di</strong> quello <strong>del</strong>lo Stato 59 . Non è tanto ciò<br />

che c’è <strong>di</strong> orribile e <strong>di</strong> falso nella sua politica, quanto ciò che c’è <strong>di</strong> giusto e <strong>di</strong><br />

vero, che l’ha reso o<strong>di</strong>oso […]<br />

Per farmi compiutamente intendere basta conferire una maggiore<br />

precisione alle idee troppo vaghe <strong>di</strong> religione relative al mio soggetto.<br />

La religione […] può <strong>di</strong>vidersi in due generi: ossia, la religione<br />

<strong>del</strong>l’uomo, e quella <strong>del</strong> citta<strong>di</strong>no. La prima, senza templi, senza altari, senza riti,<br />

limitata al culto puramente interiore <strong>del</strong> Dio supremo e ai doveri eterni <strong>del</strong>la<br />

morale, è la pura e semplice religione <strong>del</strong> Vangelo, il vero teismo, ciò che può<br />

definirsi il <strong>di</strong>ritto naturale <strong>di</strong>vino. L’altra, appartenente ad un solo paese, gli<br />

offre le sue <strong>di</strong>vinità, i suoi numi propri e tutelari. Ha i propri dogmi, i propri<br />

riti, il proprio culto esteriore prescritto dalle leggi: oltre la sola nazione che la<br />

segue, tutto è per lei infe<strong>del</strong>e, straniero, barbaro […] Tali furono tutte le<br />

religioni dei popoli primitivi, ai quali si può dare il nome <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong>vino civile<br />

o positivo […]<br />

La seconda è buona in quanto riunisce il culto <strong>di</strong>vino e l’amore per le<br />

leggi, e perché, facendo <strong>del</strong>la patria l’oggetto <strong>del</strong>l’adorazione dei citta<strong>di</strong>ni,<br />

insegna loro che servire lo stato non è che servire il Dio che li <strong>di</strong>fende. È una<br />

specie <strong>di</strong> teocrazia, nella quale non si deve avere altro pontefice che il principe,<br />

né altro prete che il magistrato. Allora morire per il proprio paese è andare al<br />

martirio; violare le leggi significa essere empio […]<br />

Ma è cattiva in quanto, essendo fondata sull’errore e sulla menzogna,<br />

59 La religione, nell’anima umana, raggiunge profon<strong>di</strong>tà inaccessibili alla politica. È<br />

assai più il potere politico ad aver bisogno <strong>del</strong> potere religioso, che non viceversa.<br />

XX


inganna gli uomini, li rende creduli e superstiziosi, e annega il culto autentico<br />

<strong>del</strong>la Divinità in un vano cerimoniale. È ancora malvagia quando, facendosi<br />

esclusiva e tirannica, rende un popolo sanguinario e intollerante, così che non<br />

respira che martirio e massacro, e crede <strong>di</strong> compiere un’azione santa uccidendo<br />

chiunque non ammetta le sue <strong>di</strong>vinità. Tutto ciò pone il popolo in uno stato<br />

naturale <strong>di</strong> guerra con tutti gli altri, estremamente nocivo alla propria sicurezza.<br />

Rimane dunque la religione <strong>del</strong>l’uomo ovvero il cristianesimo, non<br />

quello <strong>di</strong> oggi ma quello <strong>del</strong> Vangelo, che è completamente <strong>di</strong>fferente. Per<br />

questa religione santa, sublime, veritiera, gli uomini, figli <strong>del</strong>lo stesso Dio, si<br />

riconoscono tutti fratelli, e la società che li unisce non si <strong>di</strong>ssolve neppure con la<br />

morte.<br />

Ma questa religione, non avendo alcuna relazione particolare con il<br />

corpo politico, lascia alle leggi la sola forza che deriva da loro stesse senza<br />

aggiungergliene altra; e così uno dei gran<strong>di</strong> legami <strong>del</strong>la società […] rimane<br />

senza effetto. Ma, peggio ancora, lungi dal legare i cuori dei citta<strong>di</strong>ni allo Stato,<br />

li <strong>di</strong>stacca come da tutte le cose <strong>del</strong>la terra. Non conosco nulla <strong>di</strong> più contrario<br />

allo spirito sociale.<br />

Ci <strong>di</strong>cono che un popolo <strong>di</strong> veri cristiani formerebbe la società più<br />

perfetta che si possa immaginare […]<br />

Questa supposta società non sarebbe, con tutta la sua perfezione, né<br />

la più forte né la più durevole: a forza <strong>di</strong> essere perfetta, mancherebbe <strong>di</strong><br />

legame; il suo vizio <strong>di</strong>struttore starebbe nella sua stessa perfezione.<br />

Ciascuno compirebbe il proprio dovere; il popolo sarebbe sottomesso<br />

alle leggi, i capi sarebbero giusti e moderati, i magistrati integri, incorruttibili; i<br />

soldati <strong>di</strong>sprezzerebbero la morte; non ci sarebbero né vanità né lusso: tutto ciò<br />

è molto bello, ma guar<strong>di</strong>amo più lontano.<br />

Il cristianesimo è una religione completamente spirituale, occupata<br />

unicamente <strong>del</strong>le cose <strong>del</strong> cielo; la patria <strong>del</strong> cristiano non è <strong>di</strong> questo mondo.<br />

[Il cristiano] compie il proprio dovere, è vero, ma lo compie con profonda<br />

in<strong>di</strong>fferenza circa il buono o cattivo esito <strong>del</strong>le sue cure. Purché nulla debba<br />

rimproverarsi, poco gli importa che tutto proceda bene o male quaggiù. Se lo<br />

Stato è florido, a mala pena osa gioire <strong>del</strong>la pubblica felicità; teme <strong>di</strong><br />

inorgoglirsi <strong>del</strong>la gloria <strong>del</strong> proprio paese: se lo Stato deperisce, bene<strong>di</strong>ce la<br />

mano <strong>di</strong> Dio che pesa sul suo popolo.<br />

Perché la società fosse pacifica e l’armonia si mantenesse,<br />

bisognerebbe che tutti i citta<strong>di</strong>ni senza eccezione fossero egualmente dei buoni<br />

cristiani: ma se sfortunatamente si trova un solo ambizioso, un solo ipocrita, un<br />

Catilina, per esempio, un Cromwell, costui avrà certissimamente buon gioco<br />

con i suoi compatrioti […] Non appena avrà trovato con qualche astuzia l’arte<br />

<strong>di</strong> imporsi loro e <strong>di</strong> impadronirsi <strong>del</strong>la pubblica autorità, ecco un uomo<br />

costituito in <strong>di</strong>gnità; Dio vuole che lo si rispetti: ecco imme<strong>di</strong>atamente un<br />

potere: Dio vuole che gli si obbe<strong>di</strong>sca. Il depositario <strong>di</strong> questa autorità ne<br />

XXI


abuserà, è la verga con cui Dio punisce i suoi figli: bisognerebbe turbare la<br />

tranquillità pubblica, usare la violenza, versare il sangue: tutto ciò si accorda<br />

male con la dolcezza <strong>del</strong> cristiano, e dopo tutto, cosa importa essere liberi o<br />

schiavi in questa valle <strong>di</strong> lacrime? L’essenziale è andare in para<strong>di</strong>so, e la<br />

rassegnazione non è che un mezzo ulteriore.<br />

Scoppia qualche guerra, i citta<strong>di</strong>ni si incamminano senza <strong>di</strong>fficoltà<br />

verso il combattimento; nessuno pensa alla fuga; compiono il proprio dovere,<br />

ma senza passione per la vittoria; sanno piuttosto morire che vincere. Che siano<br />

vincitori o vinti, che importa? la Provvidenza non sa meglio <strong>di</strong> loro che è<br />

necessario? È facile immaginare quale vantaggio può trarre un nemico fiero,<br />

impetuoso, appassionato dal loro stoicismo! Mettete <strong>di</strong> fronte a loro questi<br />

popoli generosi che l’amore ardente <strong>del</strong>la gloria e <strong>del</strong>la patria <strong>di</strong>vorano,<br />

immaginate la vostra repubblica cristiana <strong>di</strong>nanzi a Sparta o a Roma […]<br />

Le truppe cristiane sono eccellenti, si <strong>di</strong>ce. Personalmente non<br />

conosco truppe cristiane. Mi si citeranno i crociati. Senza <strong>di</strong>scutere il valore dei<br />

crociati, faccio notare che, ben lungi dall’essere cristiani, erano soldati <strong>del</strong> prete,<br />

citta<strong>di</strong>ni <strong>del</strong>la Chiesa: combattevano per il proprio paese spirituale, che<br />

avevano, non si sa come, reso temporale. A ben guardare ciò rientra nel<br />

paganesimo: poiché il Vangelo non pone affatto una religione nazionale, ogni<br />

guerra sacra è impossibile tra i cristiani […]<br />

Ma, lasciando da parte le considerazioni politiche, torniamo al<br />

<strong>di</strong>ritto, e fissiamo i princìpi circa questo punto importante. Il <strong>di</strong>ritto sui sud<strong>di</strong>ti<br />

che il patto sociale conferisce al sovrano non supera, come già detto, i limiti<br />

<strong>del</strong>l’utilità pubblica. I sud<strong>di</strong>ti non devono dunque render conto al sovrano <strong>del</strong>le<br />

loro opinioni che nella misura in cui queste opinioni ricadono sulla comunità.<br />

Sicuramente importa allo Stato che ogni citta<strong>di</strong>no abbia una religione che gli<br />

faccia amare i propri doveri; ma i dogmi <strong>di</strong> questa religione non interessano né<br />

lo Stato né i membri se non in quanto questi dogmi si riferiscono alla morale e<br />

ai doveri che chi la professa è tenuto a compiere verso gli altri. Ciascuno può<br />

avere, in aggiunta, tutte le opinioni che preferisce, senza che il sovrano abbia<br />

<strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> conoscerle: perché, non avendo competenza nell’altro mondo, non è<br />

suo affare la sorte dei citta<strong>di</strong>ni nella vita futura, essendo sufficiente che siano<br />

buoni citta<strong>di</strong>ni in questa.<br />

C’è dunque una professione <strong>di</strong> fede puramente civile <strong>di</strong> cui<br />

appartiene al sovrano fissare gli articoli, non come dogmi religiosi, ma come<br />

sentimenti <strong>di</strong> socievolezza senza i quali è impossibile essere buon citta<strong>di</strong>no o<br />

sud<strong>di</strong>to fe<strong>del</strong>e. Senza poter obbligare nessuno a credere, può ban<strong>di</strong>re dallo<br />

Stato chiunque non crede, non come empio, ma come asociale […]<br />

I dogmi <strong>del</strong>la religione civile debbono essere semplici 60 , poco<br />

60 Così da essere imme<strong>di</strong>atamente comprensibili.<br />

XXII


numerosi 61 , enunciati con precisione 62 , senza spiegazioni né commenti 63 .<br />

L’esistenza <strong>del</strong>la <strong>di</strong>vinità potente, intelligente, benevolente, preveggente e<br />

provvidente, la vita futura, il premio dei giusti, la punizione dei malvagi, la<br />

santità <strong>del</strong> contratto sociale e <strong>del</strong>la legge: ecco i dogmi positivi. Quanto ai<br />

dogmi negativi, li limito a uno solo, è l’intolleranza […] Chi <strong>di</strong>stingue<br />

l’intolleranza civile e l’intolleranza religiosa, a mio avviso, si inganna. È<br />

impossibile vivere in pace con gente che si crede dannata; amarli sarebbe o<strong>di</strong>are<br />

Dio che la punisce: occorre assolutamente che li si converta o li si perseguiti.<br />

Ovunque l’intolleranza teologica è ammessa, è impossibile che non abbia<br />

qualche effetto civile, e fino a quando ne ha, il sovrano non è più tale […] Allora<br />

i preti sono i veri padroni, i re non sono che i loro ufficiali.<br />

Ora che non c’è né può più esserci una religione nazionale esclusiva,<br />

devono essere tollerate tutte quelle che tollerano le altre, se i loro dogmi non<br />

contrad<strong>di</strong>cono i doveri <strong>del</strong> citta<strong>di</strong>no. Ma chiunque osi <strong>di</strong>re: Fuori <strong>del</strong>la Chiesa<br />

non c’è salvezza, deve essere espulso dallo stato, a meno che lo Stato non sia la<br />

Chiesa, e che il principe non sia il pontefice […] La ragione per la quale si <strong>di</strong>ce<br />

che Enrico IV ha abbracciato la religione romana la dovrebbe far abbandonare a<br />

ogni uomo onesto, e soprattutto a ogni principe che sappia ragionare 64 […]<br />

61 Così da poter essere facilmente ricordati.<br />

62 Così da evitare ambiguità.<br />

63 Perché spiegazioni e commenti inducono alla <strong>di</strong>scussione, la <strong>di</strong>scussione alla<br />

critica, e la critica alla <strong>di</strong>ssidenza.<br />

64 Enrico IV <strong>di</strong> Borbone, pur <strong>di</strong> ottenere la corona <strong>di</strong> Francia, ha accettato <strong>di</strong><br />

convertirsi al Cattolicesimo, ha accettato cioè la sottomissione al Papa. Malgrado le rassicuranti<br />

<strong>di</strong>chiarazioni rousseauiane, ogni religione che non sia identificata con il potere politico, deve<br />

essere ban<strong>di</strong>ta dallo stato perfetto. Non esiste infatti opzione religiosa privata priva <strong>di</strong> ricadute<br />

politiche, possibili o attuali. Chi crede può sempre invocare il proprio <strong>di</strong>ritto all’obiezione <strong>di</strong><br />

coscienza. La religione <strong>del</strong>l’uomo non rappresenta, a tale proposito, un’eccezione. Lo stato<br />

rousseauiana non è dunque laico, ma ateo (se si eccettua la religione <strong>del</strong> citta<strong>di</strong>no). È<br />

in<strong>di</strong>fferente in materia religiosa perché ha già prescritto i limiti <strong>del</strong>l’obbiezione <strong>di</strong> coscienza. I<br />

rapporti tra politica e religione appaiono però insolubili non solo nella teorizzazione<br />

rousseauiana, ma per ogni associazione umana. L’obbiezione <strong>di</strong> coscienza non può infatti essere<br />

normata. Non può, cioè, preliminarmente stabilire lo Stato gli argomenti e le modalità<br />

<strong>del</strong>l’obbiezione <strong>di</strong> coscienza, che riconosce, come unico tribunale solamente se stessa (se<br />

riconoscesse lo stato come istanza suprema non potrebbe impugnare nessuna sua<br />

<strong>del</strong>iberazione). L’assetto politico <strong>del</strong>la comunità è dunque o totalitario (se il tribunale ultimo<br />

<strong>del</strong>le <strong>del</strong>iberazioni è lo stato) o anarchico (se il tribunale ultimo <strong>del</strong>le <strong>del</strong>iberazioni è la<br />

coscienza in<strong>di</strong>viduale). Ciò che implica la logica <strong>del</strong>la politica non esige tuttavia la prassi, che,<br />

operando sul fondamento <strong>del</strong>la ragionevolezza e non <strong>del</strong>la ragione, me<strong>di</strong>a gli estremi<br />

accomodando un or<strong>di</strong>namento non perfetto ma perfettibile.<br />

XXIII

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