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I prigionieri dello Spielberg in luce austriaca - Bibliografia e ...

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I <strong>prigionieri</strong> <strong>dello</strong> <strong>Spielberg</strong> <strong>in</strong> <strong>luce</strong> <strong>austriaca</strong><br />

Molte pubblicazioni sono venute negli ultimi anni a gettar <strong>luce</strong> su quel triste periodo storico che<br />

tenne dietro ai moti del 1821 e sulle vittime della crudeltà <strong>austriaca</strong>. Quelle pubblicazioni hanno<br />

servito a sfrondare molte leggende ed anche, purtroppo, a rimpicciolire alcuni fra i martiri del<br />

dispotismo imperante a Vienna. Da quella di Alessandro Luzio specialmente, che è una biografia<br />

del Salvotti giudice <strong>in</strong>quirente del processo contro i Carbonari milanesi, si vede che i condannati<br />

allo <strong>Spielberg</strong> non erano così sdegnosi contro i loro oppressori come si supponeva, che anzi essi<br />

mantenevano eccellenti rapporti col Salvotti, dal quale ricevevano attenzioni, e che nei loro cuori<br />

non aveva posto quel nobile sprezzo contro tutto ciò che era austriaco, di cui vorremmo vederli<br />

animati. F<strong>in</strong> qui però nessuna delle pubblicazioni, per quanto io sappia, si basava su documenti<br />

ufficiali austriaci e nessuna ci diceva il perché della crudeltà apparentemente <strong>in</strong>utile con la quale<br />

l’Austria <strong>in</strong>veiva contro i Carbonari milanesi.<br />

Per questo mi pare importantissimo l’articolo di M. Tangl che ha veduto la <strong>luce</strong> nel fascicolo di<br />

gennaio 1902 della Deutsche Rundschau e si basa sugli atti della Direzione di polizia della Corte di<br />

Vienna, conservati nell’archivio del M<strong>in</strong>istero dell’<strong>in</strong>terno.<br />

Il processo del Ventuno aveva condotto Pellico e Maroncelli allo <strong>Spielberg</strong>, altri condannati al<br />

Castelo di Lubiana; ma quel processo, se era term<strong>in</strong>ato per la giustizia, <strong>in</strong>com<strong>in</strong>ciava per la politica.<br />

Lo czar Alessandro I, vivamente sollecitato dall’Austria d’<strong>in</strong>gerirsi nella successione al trono del<br />

Piemonte, prima di farlo voleva le prove che Carlo Alberto realmente avesse rapporti con i<br />

Carbonari milanesi e l’Austria si ost<strong>in</strong>ava a ricercarle per far nom<strong>in</strong>are erede il suo fido Duca di<br />

Modena o, nel peggiore dei casi, Vittorio Emanuele, affidando la reggenza a Maria Teresa, che era<br />

per nascita e per tendenza <strong>in</strong>teramente divota alla Casa di Absburgo e avrebbe certo saputo<br />

conservare <strong>in</strong> Piemonte l’<strong>in</strong>fluenza <strong>austriaca</strong>.<br />

Un anno dopo l’arresto del Pellico, e sempre con l’<strong>in</strong>tento di trovar le prove contro Carlo Alberto,<br />

fu arrestato pure Federico Confalonieri. L’imperatore Francesco era vivamente irato contro il<br />

patrizio milanese e con gran fatica soltanto si riuscì ad ottenere che la sua condanna a morte fosse<br />

commutata nel carcere duro.<br />

Nel febbraio del 1824, Confalonieri si mette <strong>in</strong> viaggio per lo <strong>Spielberg</strong>. Secondo l’it<strong>in</strong>erario<br />

prestabilito egli non doveva toccar Vienna, la sua salute malferma richedea riguardi; allora si<br />

cambia it<strong>in</strong>erario, si fa passar dalla capitale e il pr<strong>in</strong>cipe di Metternick stesso va ad <strong>in</strong>terrogarlo sui<br />

suoi rapporti col pr<strong>in</strong>cipe di Savoia-Carignano.<br />

Confalonieri nega esistessero e un’altra speranza svanisce per l’Austria.<br />

Ma già essa esercitava contro i primi condannati politici tutti i mezzi suggeriti da una crudeltà<br />

raff<strong>in</strong>ata per <strong>in</strong>durli a confessare. Fra i documenti citati dal Tangl vi sono ord<strong>in</strong>anze <strong>in</strong> data 22, 31<br />

gennaio e 28 marzo 1822, del presidente di polizia di Vienna, del temuto conte Sedlnitzky dirette al<br />

conte Mittrowsky, governatore della Slesia e Moravia, con le quali gli ord<strong>in</strong>a “con la segregazione e<br />

con tutta la possibile <strong>in</strong>dustria poliziesca” di tutto tentare per istrappare ai condannati notizie e una<br />

chiara esposizione di tutto il moto dei Carbonari. Mittrowsky cercò di raggiungere lo scopo <strong>in</strong><br />

questo modo: prima di tutto i <strong>prigionieri</strong>, uscendo a prender aria, dovevano essere <strong>in</strong>dotti a parlare<br />

dai guardiani; poi si doveva far loro sentire tutta la severità del carcere per quello che riguardava il<br />

modo di giacere, il cibo, le catene, le vesti e far loro <strong>in</strong>tendere che tanta severità sarebbe stata<br />

attenuata se s’<strong>in</strong>ducevano a far confessioni. Il primo mezzo riuscì <strong>in</strong>efficace per la difficoltà<br />

d’<strong>in</strong>tendersi e per il grande divario che correva fra la cultura dei <strong>prigionieri</strong> e quella dei guardiani.<br />

Le magre rivelazioni che alcuni fecero <strong>in</strong> forma di memorandum e che altri, come il Pellico,<br />

consegnò al protocollo, offivano appena alcuni dati nuovi. Frattanto il cibo <strong>in</strong>sufficiente e malsano<br />

produceva malattie <strong>in</strong> tutti i <strong>prigionieri</strong>, le quali resero necessario un trattamento più mite e il vitto<br />

da malati. Mittrowsky stesso, nel suo rapporto, confessa che “il cibo ord<strong>in</strong>ario di legumi deve farli<br />

ammalare, come dice il medico, e che nessuno di essi vivrà oltre la pena”.<br />

Questo avveniva nei due primi anni dopo la condanna, dei quali parla così poco il Pellico ne Le mie<br />

prigioni, forse perché penosissimo riuscivagli il ricordo di quel periodo di tempo o per non


aggravare la sorte dei <strong>prigionieri</strong> rimasti allo <strong>Spielberg</strong> denunziando alla pubblica <strong>in</strong>dignazione i<br />

carcerieri e il sistema al quale ubbidivano.<br />

Riuscito vano, come si vede, anche il secondo mezzo, si volle un giudizio sui condannati. Da<br />

Vienna l’Imperatore non li perdeva di vista e di tutto esigeva rapporti circostanziati. Il difficile<br />

compito di fare uno schizzo del carattere di ciascun prigioniero lo ebbe il direttore di polizia di<br />

Brunn, Muth, il quale pare se la cavasse abbastanza male, se si giudica da quello sul Pellico che il<br />

Tangl pubblica: “Pellico sembra un uomo di mondo, f<strong>in</strong>o, abile, astuto e furbo, che non ha<br />

r<strong>in</strong>unziato alle sue idee ultraliberali”.<br />

Muth però, che forse non era <strong>in</strong>formato che anche il pessimo vitto era un mezzo per <strong>in</strong>durli a<br />

parlare, se ne lagnava nei suoi rapporti, che pervenivano all’Imperatore, il quale ord<strong>in</strong>ò che fosse<br />

loro dato “un cibo sano e mangiabile”.<br />

La sorte del Pellico <strong>in</strong>com<strong>in</strong>ciò a migliorare nel 1823, allorchè gli fu concesso di dividere la cella di<br />

Maroncelli, e poi nel 1827, quando gli furono tolte le catene che aveva portate c<strong>in</strong>que anni!<br />

Quando Silvio Pellico aveva quasi scontata la metà della pena, i suoi parenti ne chiesero la grazia,<br />

valendosi della <strong>in</strong>tromissione del conte Pralormo, m<strong>in</strong>istro sardo a Vienna. Pellico sperava, come<br />

avevagli fatto credere il commissario di polizia che lo accompagnò da Venezia allo <strong>Spielberg</strong>, che i<br />

giorni di pena sarebbero stati contati dodici ore. Questo non si volle ammettere <strong>in</strong> alto loco e tutto<br />

term<strong>in</strong>ò con una ramanz<strong>in</strong>a al commissario Engelbert, che gli aveva <strong>in</strong>fuso questa speranza.<br />

Si vede però che l’Imperatore era conv<strong>in</strong>to della <strong>in</strong>utilità del sistema tenuto f<strong>in</strong>o a quel momento<br />

verso i Carbonari milanesi, oppure sperava che facendo loro grazia si sarebbero più facilmente<br />

<strong>in</strong>dotti a parlare. E’ un fatto che il 19 gennaio 1830 il sovrano diresse uno scritto al conte<br />

Sedlnetzky richiedendo rapporti sui condannati italiani dai due confessori <strong>dello</strong> <strong>Spielberg</strong>, Wrba e<br />

Ziak. I rapporti erano favorevolissimi al Pellico. Ziak specialmente profondamente pentito e<br />

migliorato, e chiedeva grazia.<br />

Questa fu concessa il 26 luglio 1830; il I° agosto venne comunicata a Maroncelli, Pellico e Tonelli.<br />

Essi partirono il 6 agosto dallo <strong>Spielberg</strong>, accompagnati f<strong>in</strong>o alla frontiera <strong>austriaca</strong> dal<br />

commissario capo della polizia, von Noe. L’Austria, o meglio l’Imperatore, non aveva perduto<br />

<strong>in</strong>teramente la speranza di strappar loro confessioni, ma con altra tattica di quella usata <strong>in</strong> passato, e<br />

per questo affida vasi al von Noe, uomo di modi cortesi, affabile e tale da cattivarsi l’animo di<br />

uom<strong>in</strong>i sensibili, espansivi come erano i liberali italiani. Il Pellico, affranto di salute, si ammalò più<br />

volte durante il viaggio, e per fortuna ignorò, come lo ignorarono i suoi compagni, il pericolo che li<br />

m<strong>in</strong>acciava.<br />

A Parigi, nel luglio, era scoppiata quella rivoluzione che tolse la corona al ramo primogenito dei<br />

Borboni, per farla passare negli Orléans. La Direzione di polizia di Milano, <strong>in</strong>formata che i tre<br />

Carbonari erano liberati, che il Tonelli sarebbe tornato a Brescia, il Pellico <strong>in</strong> Piemonte e il<br />

Maroncelli <strong>in</strong> Romagna, chiese per mezzo del vicerè, arciduca Ranieri, che essi fossero trattenuti <strong>in</strong><br />

una città delle prov<strong>in</strong>ce austriache. L’ord<strong>in</strong>e fu comunicato al von Noe, quando erano a<br />

Feldkirchen. Egli si oppose a questa deliberazione, facendo osservare che era un caso che essi si<br />

trovassero ancora sul territorio austriaco, avendo dovuto fermarsi per via a cagione della malattia<br />

del Pellico. Se il von Noe era cortese come lo descrive il Pellico, era anche molto accorto e aveva<br />

occhio più acuto dei governanti austriaci. La sua lettera all’Imperatore dice:<br />

“E’ del resto prevedibile che se i tre graziati fossero trattenuti, trovandosi già <strong>in</strong> viaggio per<br />

raggiungere i loro coniugi, questa misura sarebbe o prima o poi nota ai liberali d’Italia come degli<br />

altri paesi, i quali se ne varrebbero per divulgarla come segno evidente delle pusillanimità<br />

dell’Austria e per sfruttarla eccitando gli animi contro V. M. “.<br />

L’Imperatore si lasciò conv<strong>in</strong>cere e il 27 agosto fu ripreso il viaggio. Il Pellico e il Maroncelli, nei<br />

c<strong>in</strong>que giorni di fermata a Feldkirchen, scrissero una lettera di r<strong>in</strong>graziamento all’Imperatore e una<br />

supplica perché fosse loro concesso di tornare negli Stati austriaci; a quest’ultima Francesco rispose<br />

che “non v’era da parlarne”.


Sarebbe molto utile che il Tangl avesse riprodotto quelle lettere e quelle suppliche. Però ci è dato<br />

arguire <strong>in</strong> quale tono fosse concepita quella del Pellico da un’altra lettera diretta da Tor<strong>in</strong>o al<br />

commissario von Noe <strong>in</strong> data del 22 settembre 1830.<br />

Quella lettera, che sono costretta a tradurre dalla versione tedesca, non posso garantire che<br />

corrisponda perfettamente all’orig<strong>in</strong>ale; forse molte parole non saranno quelle usate da Silvio<br />

Pellico, ma l’<strong>in</strong>tonazione di essa è resa fedelmente. Essa dice:<br />

“ Stimatissimo signor Commissario Imperiale!<br />

“La riconoscenza mi sp<strong>in</strong>ge a scriverle; il mio cuore prova il bisogno di esprimerle di nuovo i<br />

sentimenti che mi furono suggeriti dalle tante bontà di cui mi ha ricolmo. Questi sentimenti mi<br />

svelarono un’anima così nobile e così sensibile, che io, senza esitare, annovero fra le più care che io<br />

mi conosca, di quelle anime che, mentre da un lato suscitano la massima stima, destano pure un<br />

sentimento paragonabile alla delicata amicizia degli antichi.<br />

“Poiché Ella <strong>in</strong> tal guisa m’impose di amarla, mi prendo la libertà di scriverle, non già usando il<br />

l<strong>in</strong>guaggio formale della sottomissione, ma bensì quello della naturalezza e della amicizia che mi<br />

viene dal cuore. Eccellente signor Carlo! Uomo carissimo! Uno di quegli <strong>in</strong>dividui che fanno onore<br />

a un Governo quando hanno missione di servirlo per far valere tutto ciò che ha <strong>in</strong> sé di confortante e<br />

di bello un atto di grazia!<br />

“F<strong>in</strong> dal primo giorno del vostro <strong>in</strong>contro Ella non si stancò di dimostrare a noi, poveri redivivi,<br />

tutte le attenzioni suggerite dalla più affabile cortesia. Posso dire che se i lunghi anni di sventura ci<br />

avessero <strong>in</strong>durito l’animo, Ella sarebbe stato l’uomo adatto per ridestare <strong>in</strong> noi la facoltà d’amare.<br />

“Questo pensiero mi venne alla mente cento volte durante il viaggio e soprattutto ogni volta che<br />

colpito dal male, anche nell’apatia delle mie ore di sofferenza, sentivo il conforto di esserle vic<strong>in</strong>o,<br />

di vederla di leggere nel suo volto l’espressione di una <strong>in</strong>dole rara. Mi accade di esser poco proclive<br />

a mentovare qualcuno, ma Ella appartiene a quel piccolo numero di persone di cui provo piacere a<br />

parlare spesso e molto con coloro ai quali apro il mio cuore. I miei parenti mi hanno già sentito dir<br />

tanto bene del signor Carlo che temo essi possano volergli più bene di me. Sì, eccellente signore ed<br />

amico, Ella fu vero profeta: io trovai risorti i miei adorati genitori, i miei due fratelli teneramente<br />

amanti e mia sorella che è un angelo. Le perdite che io temeva di aver fatte, mi crucciavano <strong>in</strong><br />

modo <strong>in</strong>dicibile.<br />

“Quello che ho ritrovato è un tesoro così grande che non oso lagnarmi della perdita di una delle mie<br />

sorelle, di cui però sento dolorosamente la mancanza. Mentre io piango la mia brava Maria, così<br />

amata da tutti noi, penso alla sorella che una morte immatura strappò al mio eccellente signor<br />

Carlo! Siffatte sventure di famiglia colpiscono duramente! Ma no, io non debbo lagnarmi della<br />

Provvidenza: essa mi ha lasciato c<strong>in</strong>que cuori amorosi che davanti a me non pensano ad altro che a<br />

colmarmi con attestati d’affetto.<br />

“Mentre assaporo questa felicità, si può immag<strong>in</strong>are con quale profondo sentimento io sappia<br />

valutare la benevolenza dimostratami da S. M. l’Imperatore nel concedermi la grazia e con quanta<br />

riconoscenza rammenti le premure di S. E., del signor Barone, del Direttore Generale per farmi<br />

guarire dalla malattia aff<strong>in</strong>chè potessi volare nelle braccia de’miei. Iddio benedica tutte quelle<br />

anime nobili che tanto profondamente mi obbligarono!<br />

“Dopo aver esperimentato tutto questo sul suolo tedesco, qui ebbi egual fortuna. Io fui accolto dalle<br />

autorità del mio paese precisamente con la stessa bontà che mi aveva accompagnato f<strong>in</strong>o allora. Sua<br />

Eccellenza il Governatore di Tor<strong>in</strong>o (di cui mio fratello Luigi ha l’onore di essere segretario) mi<br />

accolse come un padre. Io vivo adesso <strong>in</strong> tutto e per tutto come mi ero proposto: ritiratissimo, felice<br />

delle gioie che mi offre la famiglia e tutto dedito <strong>in</strong> pace ai miei studi letterari. Il mio stato migliora,<br />

il polmone promette di resistere alcuni anni ancora aff<strong>in</strong>chè io possa cercar di rimediare<br />

all’immenso dolore cagionato ai miei genitori e al torto commesso.<br />

“Mi faccia l’onore, signor Carlo, se gli alti doveri della sua carica glielo consentono, di ricordarsi di<br />

me e di pormi fra coloro che non sono ultimi nella sua stima. La prego di rammentarmi alla sua


stimabile famiglia, i cui componenti non mi sono estranei, benché non abbia l’onore di conoscerli<br />

personalmente; per l’amore con cui Ella me ne parlava così spesso, io li venero altamente.<br />

“L’abbraccio col vivo desiderio che una circostanza qualsiasi possa un giorno condurla a Tor<strong>in</strong>o; e<br />

non io solo, ma padre, madre, fratelli e sorella, tutti facciamo voti che Ella sia ricompensata per le<br />

sue cordiali attenzioni dimostratemi, tutti La r<strong>in</strong>graziamo, tutti Le auguriamo ogni bene, tutti<br />

preghiamo il Cielo che Ella possa essere sempre felice.<br />

“Mi onoro di essere<br />

“Suo affezionatissimo<br />

devotissimo e riconoscentissimo servo<br />

“SILVIO PELLICO"<br />

Questa lettera prova come <strong>in</strong> quel tempo il cuore del poeta fosse ancora aperto agli entusiasmi, ma<br />

prova pure quanta abilità possedesse il commissario di polizia per <strong>in</strong>s<strong>in</strong>uarsi nell’animo di Pellico.<br />

Poiché sta di fatto che mentre i graziati facevano lentamente il viaggio di ritorno verso la patria, il<br />

Governo austriaco, non potendo più sperare da essi rivelazioni, cercasse ancora per mezzo del<br />

commissario von Noe di <strong>in</strong>terrogarli sui compagni di sventura rimasti allo <strong>Spielberg</strong>. Il rapporto del<br />

commissario dimostra quale fosse la sua missione e come egli la compiesse. Ecco quella parte che<br />

riguarda Federico Confalonieri, pubblicata da Tangl:<br />

“Dotato di splendide qualità e di <strong>in</strong>gegno, ma acciecato da una riprovevole ambizione ed allettato<br />

dalla speranza di rappresentare un giorno <strong>in</strong> patria una parte importante si lasciò trasc<strong>in</strong>are a quelle<br />

imprese colpevoli, cagione della presente sventura. Quelle imprese sono piuttosto da attribuirsi a<br />

idee errate che a un cuore pervertito, poiché <strong>in</strong> ogni altro rapporto della vita era uomo onorato e<br />

sempre proclive a fare il bene. Se egli fosse graziato e gli si potesse strappare la parola d’onore di<br />

non mai più cospirare contro il potere legittimo – così assicurano unanimemente i tre graziati – non<br />

v’è dubbio che la riconoscenza lo legherebbe per la vita alla D<strong>in</strong>astia. E’ un fervente cattolico, cerca<br />

conforto nella religione e negli ultimi due anni specialmente è molto cambiato. Tutti quelli che lo<br />

conobbero da vic<strong>in</strong>o, negano che egli abbia partecipato all’uccisione del Pr<strong>in</strong>a. Ha perduto tutti i<br />

capelli, però ha l’aspetto di un uomo sano, ma è il colore dell’idropico che gli dà quest’apparenza”.<br />

Nel 1832 il Pellico pubblicò a Tor<strong>in</strong>o Le mie Prigioni, quel libro che al dire di Cesare Balbo fece<br />

più danno all’Austria che una battaglia perduta. A Vienna provarono gran dolore per quella<br />

pubblicazione e il conte Sedlnitzky, al quale il libro fu spedito il 25 novembre di quell’anno, dalle<br />

autorità milanesi, <strong>in</strong>vitò subito il Governo della Slesia e Morovia a farne una confutazione. Il<br />

rapporto giunse a Vienna il 16 gennaio 1833, ma era così mesch<strong>in</strong>o, che Sedlnitzky e il pr<strong>in</strong>cipe di<br />

Metternick lo giudicarono del tutto <strong>in</strong>sufficiente per essere pubblicato. L’impiegato che avevalo<br />

redatto, per citare un esempio, negava che i colloqui fra il Pellico e il carceriere Schiller, che sono il<br />

conforto dei primi due anni di prigionìa, fossero avvenuti, perché il primo non sapeva il tedesco e il<br />

secondo era ignaro dell’italiano. Questa confutazione così poco abile, faceva arguire che il Pellico<br />

avesso <strong>in</strong>vece che esagerato, idealizzato, i primi tempi del soggiorno allo <strong>Spielberg</strong>.<br />

Il giorno 8 febbraio, il m<strong>in</strong>istro di polizia fece un rapporto all’Imperatore su questa faccenda,<br />

rapporto nel quale riconosceva che il danno che si doveva attendere dal libro era appunto nel tono<br />

misurato <strong>in</strong> cui era redatto.<br />

Il volume fu proibito nei paesi austriaci e il censore di Tor<strong>in</strong>o, che avevalo lasciato passare, fu<br />

redarguito per istigazione del Metternick. Frattanto il Governo di Milano preparò un’altra<br />

confutazione a Le mie Prigioni e ne mandò lo schema al conte Sedlnitzky, suggerendogli di<br />

pubblicarla nel Journal de Frankfort, il periodico allora più diffuso di ogni altro. Sedlnitzky ne fece<br />

il 24 giugno rapporto all’Imperatore, che rispose all’11 di luglio: “mi serve di notizia ed aspetto<br />

subito che si metta d’accordo col pr<strong>in</strong>cipe Metternick e stabiliscano se sia opportuna una<br />

confutazione allo scritto di Silvio Pellico e, nel caso affermativo, come debba farsi per produrre<br />

l’effetto voluto”. Il cancellieri von Metternick aveva dunque l’ultima parola nell’affare. Egli rispose<br />

duramente, quasi ironicamente, constatando la poca abilità della polizia. Diceva che il libro era<br />

comparso da troppo tempo perché una confutazione potesse riuscire efficace e facendola doveva


essere esauriente, ma tale non era. Essa si occupava di cose secondarie e non ribatteva i due capi<br />

pr<strong>in</strong>cipali d’accusa, cioè che a Venezia fosse stato promesso al Pellico di abbreviare la durata della<br />

condanna, che non fosse stato concesso per più anni ai condannati di assistere alla messa, né di<br />

avere i conforti della religione. Fu dunque stabilito, dopo il parere del Metternick, di porre <strong>in</strong> tacere<br />

la faccenda e l’Imperatore, con rescritto del giorno 11 ottobre, sanzionò questa risoluzione.<br />

Nel 1834 si pubblicarono a Parigi Le addizioni alle mie prigioni del Maroncelli. In esse, oltre tante<br />

accuse al Governo austriaco, l’A deplorava che né a lui, né al Pellico, uscendo dallo <strong>Spielberg</strong>,<br />

fossero stati restituiti i libri e gli scritti sequestrati loro entrando nella fortezza, secondo la promessa<br />

avuta, perché quel fatto defraudava l’umanità e la letteratura delle opere preziose di Silvio Pellico.<br />

Infatti arrivando allo <strong>Spielberg</strong> erano stati tolti ai <strong>prigionieri</strong> denari, roba, libri e scritti e se n’era<br />

fatta una nota esatta. Il conte Mittrowsky, appena ebbe fra le mani gli scritti, diedesi subito a<br />

studiarli, sperando trovarvi le bramate rivelazioni, ma questo suo lavoro fu <strong>in</strong>tralciato dalla<br />

difficoltà della l<strong>in</strong>gua e da quella di decifrare la calligrafia. Non potendo venire a capo di nulla<br />

spedì tutto a Vienna con annesso rapporto.<br />

Con lettera del 18 settembre 1826 l’Imperatore dette ord<strong>in</strong>e di tener nota esatta degli scritti e di<br />

chiedere se nelle prigioni <strong>dello</strong> <strong>Spielberg</strong> e di Lubiana fosse rimasto qualcosa. Dallo <strong>Spielberg</strong> non<br />

giunse nulla. Il conte Sedlnitzky presentò gli scritti <strong>in</strong>sieme con la nota all’Imperatore, il quale il 15<br />

giugno 1828 stabilì quanto segue: “A quei condannati italiani costuditi nei castelli di Lubiana e<br />

<strong>dello</strong> <strong>Spielberg</strong> che hanno scontato la pena o che io condanna, come pure agli eredi di quelli morti<br />

durante la prigionia, debbono esser rimessi libri e scritti, per quanto <strong>in</strong>significanti, purchè nonj<br />

contengano nulla di pericoloso. I libri e gli scritti appartenenti ai <strong>prigionieri</strong> non ancora liberati<br />

dallo <strong>Spielberg</strong>, saranno consegnati all’ufficio della polizia aulica con <strong>in</strong>carico di esam<strong>in</strong>arli e di<br />

rimettere quegli <strong>in</strong>nocui ai <strong>prigionieri</strong> all’atto della liberazione e d’<strong>in</strong>dicare a me quei documenti la<br />

cui restituzione potesse costituire un pericolo”.<br />

Il Tangl ci dice che fra i libri del Pellico fu trattenuto soltanto Il Decamerone. Negli scritti non fu<br />

trovato nulla che potesse allarmare, <strong>in</strong>vece <strong>in</strong> quelli del Maroncelli si r<strong>in</strong>venne molto ed essi sono<br />

ancora custoditi <strong>in</strong> tanti piccoli <strong>in</strong>volti.<br />

Ma il Pellico uscì di prigione e le carte, benché riconosciute tutte <strong>in</strong>nocue, rimasero quattro anni e<br />

mezzo a Vienna. Il Maroncelli era dunque nel vero accusando l’Austria di trattenere gli scritti del<br />

Pellico e i proprii.<br />

F<strong>in</strong>almente fu stabilita la restituzione, ma non si sapeva come effettuarla. Silvio Pellico trovavasi a<br />

Tor<strong>in</strong>o, e questo era noto a Vienna; di Maroncelli e Adryane s’ignorava l’<strong>in</strong>dirizzo, sapevasi solo<br />

che erano <strong>in</strong> Francia, forse a Parigi. Il 12 giugno 1834 libri e scritti furono consegnati al conte di<br />

Pralormo, m<strong>in</strong>istro sardo a Vienna, che ne rilasciò regolare ricevuta, che il Tangl pubblica, nella<br />

quale prometteva farli pervenire al Pellico.<br />

Nella prefazione a Giorgio e Raffaell<strong>in</strong>a, pubblicata a Parigi nel 1837, il Pellico dice che il poema<br />

di Raffaella doveva avere più largo svolgimento, ma che quello scritto andò perduto <strong>in</strong>sieme con<br />

altri della sua gioventù. Questo fa ritenere che neppure dopo tre anni da che gli scritti erano stati<br />

consegnati al conte Pralormo, fossero giunti nelle mani del martire <strong>dello</strong> <strong>Spielberg</strong>.<br />

Ecco le preziose notizie contenute nella Deutsche Rundschau che mi pare utile pubblicare riassunte<br />

<strong>in</strong> una rivista italiana aff<strong>in</strong>chè di esse si valagano gli studiosi del nostro Risorgimento. Sarebbe bene<br />

che quell’archivio del M<strong>in</strong>istero dell’<strong>in</strong>terno di Vienna nel quale il Tangl ha frugato, fosse visitato<br />

da qualche italiano, perché è utile che fatti e <strong>in</strong>dividui si vedano anche <strong>in</strong> <strong>luce</strong> <strong>austriaca</strong>,<br />

specialmente se essa è benigna come quella che irradia dai documenti aulici sul Pellico e sul<br />

Confalonieri.<br />

EMMA PERODI

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