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SENZA TITOLO (Macchine programmate), 2005<br />
Courtesy PAN, Palazzo delle Arti, Napoli<br />
Le Macchine di <strong>Maurizio</strong> <strong>Bolognini</strong> (centinaia dal 1988: serie IMs, WMs, Computer sigillati, Naa, Atlas 2 ecc.) sono computer<br />
programmati per produrre flussi di immagini casuali (in alcuni casi testi, voci) e lasciate funzionare all’infinito.<br />
SENZA TITOLO (Macchine programmate), 2003<br />
Courtesy Neon, Bologna<br />
DEP (Macchine programmate/Computer sigillati), 1997<br />
Courtesy Atelier de la Lanterne, Nizza. Foto Angelo Candiano<br />
La serie dei Computer sigillati di <strong>Maurizio</strong> <strong>Bolognini</strong> fa emergere ciò<br />
che potrebbe costituire la più significativa linea di forza nell’ambito della<br />
software art.<br />
In questa installazione, <strong>Bolognini</strong> dispone una dozzina di computer nello<br />
spazio espositivo, connettendoli in modo che producano semplici strutture<br />
grafiche che, tuttavia, non vengono mostrate al pubblico: i monitor buses<br />
di tutti i computer sono stati sigillati con del silicone e l’installazione non<br />
ci dà alcuna indicazione sulla comunicazione che intercorre tra le macchine<br />
né sui risultati prodotti. Ciò che possiamo percepire sono i computer<br />
interconnessi, forse occupati a eseguire del software, e il loro fruscio.<br />
Queste macchine non ci stanno nascondendo un segreto collettivo, né<br />
stanno “concependo” i risultati dei loro calcoli come strutture visive.<br />
L’esperienza dell’installazione è magica e sconcertante, in quanto ci viene<br />
impedito di controllare, o anche solo di comprendere pienamente, ciò che<br />
sta accadendo.<br />
L’esperienza estetica del sublime, formulata dagli scrittori romantici del<br />
tardo Settecento e del primo Ottocento, è caratterizzata dal confronto<br />
con una natura sconfinata e inarrestabile. Si tratta di un’esperienza<br />
contrastante, che non si fonda soltanto sul riconoscimento della grandiosità<br />
della bellezza naturale, ma sul senso, turbato, meravigliato, della sua forza<br />
illimitata e incontrollabile. Da una parte la nozione di sublime naturale è<br />
storicamente associata all’esperienza della natura selvaggia e alle sue<br />
catastrofi, dall’altra è legata al controllo e alla progressiva sottomissione<br />
della natura nel corso dell’industrializzazione. Per questo, paradossalmente, il<br />
sentimento del sublime implica sia la minaccia della natura sia la frustrazione<br />
legata alla perdita della “natura naturale”. E’ una sensazione che si<br />
realizza nel confronto con forze esterne, che emerge dal dramma di un<br />
divario incolmabile tra la nostra esperienza e le forze che la muovono: il<br />
moderno disagio verso le macchine è strettamente connesso al disagio<br />
romantico verso la natura.<br />
Mentre l’umanesimo modernista ha fatto di tutto per ristabilire la percezione<br />
di un mondo controllato, centro e motore dell’esperienza estetica,<br />
l’emergere dell’arte tecnologica ha riportato il sublime nell’esperienza<br />
dell’arte contemporanea.<br />
Le installazioni di <strong>Bolognini</strong> offrono un confronto con la “macchina” nella<br />
forma di un processo oscuro, guidato dal software, dal quale siamo<br />
completamente esclusi. Ci indicano un’estetica della macchina, vale a dire<br />
un’esperienza estetica determinata da strutture macchiniche, nella quale<br />
il ruolo decisivo non viene giocato né dall’intenzionalità artistica né da<br />
sistemi generativi controllabili, ma da un insieme di condizioni materiali,<br />
interazioni umane, restrizioni processuali e instabilità tecniche. Come ogni<br />
forma d’arte, la software art dovrebbe rifarsi alle esperienze che, come<br />
questa, destabilizzano le nostre aspettative sulla tecnologia.<br />
Andreas Broeckmann<br />
da “Software Art Aesthetics”, in D. O. Lartigaud (ed.), Art orienté programmation,<br />
Sorbonne, Paris 2007