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Raccontare Pirano

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Raccontare

Pirano

DANIELA PALIAGA JANKOVIĆ

ALBERTO MANZIN

UNIONE ITALIANA 2023


Gentili lettori, visitatori, amici di Pirano,

a vostra disposizione ci sono 22 schede illustrative,

corredate da fotografie storiche e moderne

di monumenti, piazze e panorami, per conoscere

meglio la nostra bellissima cittadina.

Abbiamo iniziato presentando in sequenza temporale

avvenimenti e date importanti, mutamenti

locali e internazionali che hanno condizionato la

storia, la crescita, l’affermazione e la decadenza

della città in senso economico, sociale e culturale.

Le molteplici e ricche attività economiche del

periodo veneziano, austriaco e italiano, sono state

soppiantate nel secondo dopoguerra da un’unica

attività preponderante: il turismo. Ma dopo il boom

degli anni Sessanta, Settanta e Ottanta, il turismo

di massa si è velocemente esaurito. È necessario

perciò trovare un’alternativa che salvi e sviluppi le

tante attività che fiancheggiano e implementano la

nuova offerta, a favore di un turismo di nicchia, di

un turismo culturale, verde e sostenibile. Ciò comporta,

nello specifico, anche raccontare la nostra

storia in modo più interessante per il turista che ci

visita e la formazione di personale locale competente,

per una migliore offerta, ma anche per una

migliore gestione del territorio.

2


Potevamo creare una nuova opera scientifica,

serissima, con descrizioni minuziose, piene di riferimenti

storici e di spiegazioni a pie’ pagina. Ma

avremmo respinto i lettori ed allontanato i visitatori,

invece di attirarli. Abbiamo optato così per una

forma redazionale diversa, snella, interessante e di

facile lettura. Con chicche poco note e con contributi

qualche volta ironici, ma ricchi di particolarità

di ieri e di oggi.

Le schede vogliono essere un piccolo contributo

culturale per facilitare la divulgazione delle conoscenze

sulla città in cui viviamo, per apprezzarla e

tutelarla, per dare voce e ruolo ai nostri concittadini

e per far vivere al visitatore un’esperienza significativa

ed interessante.

Unica, come lo è la nostra città.

Daniela Paliaga Janković

e Alberto Manzin

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SCHEDA 1

Le date storiche

importanti

J. W. VALVASOR: MUGGIA, CAPODISTRIA, ISOLA E PIRANO

(grafica, 1689)

• Nelle fondamenta del Duomo sono visibili resti

di epoca preromana non meglio definiti. Molti

i resti di epoca romana e tardoromana trovati

nella zona di Piazza I maggio, Fornace, Fisine,

S. Lucia.

• VI-VII-VIII sec. Periodo bizantino, le città dell’Istria

fanno parte dell’Impero romano d’Oriente,

Ravenna è la capitale dell’Esarcato, dei territori

istriani e dalmati.

• VII sec. Anonimo Ravennate: Piranon viene nominata

per la prima volta in un elenco di località

istriane.

• VIII sec. Periodo longobardo, capitale: Cividale

del Friuli.

• IX sec. Periodo franco, 804 Placito del Risano

presso Cristoglie, assemblea in cui i rappresentanti

delle città e i vescovi istriani incontrano i

»missi dominici«, ambasciatori di Carlo Magno,

imperatore del Sacro Romano Impero. Pyran è

elencato fra i castelli, cioè insediamento fortificato

con mura.

• X-XIII sec. Dominio dei Patriarchi di Aquileia, investitura

da parte dell’Imperatore di Germania.

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A Pirano il loro rappresentante era il Gastaldo,

con compiti pure di capo militare e di amministratore

della giustizia.

• 26 gennaio 1283, dedizione a Venezia, inizia il

periodo veneziano che durerà fino alla caduta

della Repubblica nel 1797.

• 1797, Napoleone cede all’Austria i territori veneziani

dell’Istria.

• 1805-1814, periodo francese, Regno d’Italia, Provincie

illiriche.

• 1815, Congresso di Vienna: Restaurazione, cioè

ritornano le monarchie prima della Rivoluzione

francese e dell'avventura napoleonica. L’Istria

entra nell’Impero austriaco (1817), vi rimarrà fino

al 1918.

• 1914-1918, I° guerra mondiale.

LINEA MORGAN

RIVA SUD PRIMA DEL 1933

• 1918, Pace di Versailles. Si dissolve l’Impero

austro-ungarico, l’Austria diventa repubblica.

1918-19 l’Istria entra a far parte del Regno d’Italia

(sotto Casa Savoia). Il Comune di Pirano viene

registrato nel sistema amministrativo italiano

nel 1921.

• 1918, a ridosso del confine italiano nasce il Regno

dei Serbi, Croati e Sloveni, poi Regno di Jugoslavia.

• 1922, in Italia va al potere il Partito nazionale fascista.

Durerà fino al 25 luglio 1943.

• 8 settembre 1943, il Regno d’Italia firma l’Armistizio

con i paesi alleati.

• Autunno 1943, occupazione tedesca del Litorale

adriatico - Operationszone Adriatisches Küstenland

(OAK). Comprendeva l’intera Venezia

Giulia, il Friuli, la provincia di Fiume e la provincia

di Lubiana.

• 30 aprile 1945, dimissioni dell’ultimo podestà di

Pirano. Il CLN (Comitato di liberazione nazionale)

prende in gestione il Comune; era già avvenuta

la prima fuga dei fascisti, dei nazisti e dei

loro collaboratori.

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B, sotto amministrazione jugoslava (Capodistria,

Isola, Pirano, Buie, Umago, Cittanova).

RIVA SUD (RIVA NOVA) DOPO IL 1950

• 1° maggio 1945, Pirano imbandierata festeggia

la liberazione. Tante le bandiere rosse, arrivano

anche operai da Isola guidati da Gualtiero

Degrassi (Darco), ferito il giorno prima in uno

scontro con le truppe tedesche in ritiro verso

la Germania. Sventola anche la storica bandiera

rossa tenuta nascosta dal 1921 a Sicciole in una

damigiana.

• Maggio 1945, si insedia a Portorose il comando

dell’Armata Popolare Jugoslava.

• 6 febbraio 1946, dimissioni del Comitato di Liberazione

Nazionale (formato dai rappresentanti

dei partiti antifascisti italiani di Pirano),

presa del potere da parte del Partito Comunista

Sloveno. Si chiamerà Potere popolare. Viene

fondato il Comitato popolare cittadino (CPC).

• 10 febbraio 1947, firmato il Trattato di Pace di

Parigi tra i vincitori della seconda guerra mondiale

(potenze Alleate ed Associate) e gli sconfitti,

alleati della Germania.

• 1947, Territorio Libero di Trieste (TLT), stato

cuscinetto fra Italia e Jugoslavia: divisione

dell’ex-regione Venezia Giulia in Zona A con amministrazione

italiana (Muggia, Trieste) e Zona

• 5 ottobre 1954, naufraga il TLT. Regno Unito,

Stati Uniti, Repubblica d’Italia e Repubblica Federativa

Popolare di Jugoslavia firmano a Londra

il Memorandum d’Intesa (Memorandum of

Understanding of London) concernente il regime

di amministrazione provvisoria del Territorio

Libero di Trieste. Sono confermate le amministrazioni:

italiana per la zona A e jugoslava per

la zona B, divise da una linea di demarcazione,

detta linea Morgan. L’esodo della popolazione

locale, iniziato intorno al 1950, diventa massiccio.

Ad andarsene sono per la maggior parte italiani,

ma anche croati e sloveni. Si svuotano le

città costiere ed i villaggi dell’entroterra.

• 1955, massiccia immigrazione dalla Slovenia

interna e da altre regioni jugoslave. Propaganda

jugoslava per reperire operai, maestranze

di ogni genere: fabbriche, cantieri, miniere,

scuole, ecc. I primi nuovi arrivati ricevono un

mazzo di chiavi con gli indirizzi e il numero di

casa: scelgono dove abitare. Pirano, svuotata

della sua popolazione autoctona, accoglie i

nuovi abitanti.

• 1975, Trattato di Osimo, la linea di demarcazion

diventa confine di Stato fra Italia e Jugoslavia.

• 23 dicembre 1990, Plebiscito. La Slovenia esce

dalla RFS di Jugoslavia e sceglie l’indipendenza.

• 25 giugno 1991, proclamazione dell’indipendenza

della Slovenia, repubblica democratica pluripartitica.

• 2004, la Slovenia entra nell’UE.

• 2007, la nuova moneta è l’euro.

• 2023, la Croazia introduce l’euro, entra nell’area

Schengen e cade anche l’ultima frontiera in

Istria.

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SCHEDA 2

Le mura

LA CORONA

Pirano, a differenza di Isola e Capodistria,

conserva ancora notevoli testimonianze

della sua cinta muraria. Sono ben visibili

sulla collina sopra la città storica e qua e là

fra le case. In quale momento della loro storia furono

costruite? Quando assunsero l’aspetto odierno e

perché rispetto alle altre cittadine consorelle qui si

sono conservate? Sono le domande alle quali cercheremo

di rispondere con l’aiuto dei risultati degli

scavi e degli studi. Il resto lo affidiamo alla fantasia

dei visitatori e di chi legge.

Piranon era castello quando nell’804, partecipò

all’Assemblea delle cittadine istriane dove i loro

rappresentanti incontrarono i messaggeri (missi

dominici) dell’imperatore Carlo Magno nella valle

del Risano. Con il termine castello si indicavano le

città minori, difese da strutture militari come mura

e fortezza. Avevano pure un piccolo territorio detto

agro e quanto riguarda l’amministrazione ecclesiastica

non avevano vescovo. In genere non avevano

avuto una fondazione romana. Presumiamo che già

nel VII secolo Piranon fosse circondato da mura.

Sull'altura sopra il piccolo nucleo storico signoreggiava

la fortezza detta di San Zorzi.

Il panorama della città con a nord-est la corona di

mura ornata da merli a coda di rondine, è la sua più

nota e pittoresca cartolina. È quanto rimane dei 2

chilometri e mezzo della loro massima espansione

avvenuta nel XVI secolo. Ma bastano per fare di

Pirano un unicum in tutta la regione. La vista sulla

città e sul mare dall’alto dei loro spalti è affascinante.

Nonostante la brevità del tratto, paiono la colonna

vertebrale di un grosso animale che scende

la collina per scomparire nel tessuto urbano.

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MURA SULLA COLLINA

Le sue torri ancor oggi vigilano sui nostri sogni,

sulla nostra vita. Mute assistono allo scorrere del

tempo. Conosciamole da vicino.

Alla fine del XIX sec. Giulio de Franceschi per la

pubblicazione dei due volumi di G. Caprini (Istria

nobilissima, 1905), ha tracciato il loro più probabile

percorso partendo indubbiamente dai tre

celebri panorami immortalati nei quadri di Vittore

Carpaccio, di Domenico Tintoretto e di Angelo

Da Coster. Il suo disegno della cinta muraria e dei

vari rioni della città è oramai un’ipotesi generalmente

acquisita. Scavi archeologici eseguiti negli

ultimi anni Ottanta in Piazza I maggio, hanno

portato alla luce resti di mura di origine romana.

Era qui il primo nucleo dell’antico insediamento?

La risposta è molto probabilmente affermativa. E

come cresceva la sua popolazione, nuove mura si

spinsero verso est e verso ovest. Le precedenti

vennero spesso cavalcate o inglobate nelle case,

o servirono come materiale da costruzione dei

nuovi edifici.

Come sottolineato da F. Bonin nell’opuscoletto di

Sonja Hojer »Pirano e le sue mura« (1998), sin dal

Duecento l’amministrazione comunale costruì,

curò, protesse ed ampliò le sue strutture difensive.

Se ne occupavano il Podestà, il Maggior e il Minor

Consiglio e, quotidianamente, pure i capi contrada.

Vi era impegnata tutta l’amministrazione pubblica

fino ai custodi delle chiavi delle porte urbane. L’attenzione

era alta per paura di attacchi nemici ed

epidemie, quando nessuno aveva accesso alla città

senza salvacondotto sanitario. Per cui nei secoli si

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PIANTA DI G. DE FRANCESCHI

DA VIA TRUBAR VERSO IL DUOMO, ANTICHE MURA

radicò nella coscienza dei Piranesi che vivere dentro

le mura fosse garanzia di salute e di sicurezza,

dettata dagli Statuti comunali.

Se da Porta Campo il visitatore prende il primo

viottolo di destra di via Trubar, gli appare un brandello

della prima cinta muraria. I merli sono piatti

(guelfi) e alcuni oramai coperti dalle edere. Il muro

era più alto, oggi parzialmente interrato. Consigliamo

ai visitatori più curiosi di cercare questa

piccola testimonianza. In cima alle scale, presso il

Duomo, saranno ripagati dal bellissimo panorama

della città e della rada tutta.

La seconda cinta muraria risale alla seconda metà

del XV secolo. Fu un periodo di turbolenze e insicurezze

dovute alla minaccia turca nel Mediterraneo

e nel Friuli. Le mura abbracciarono tutta la penisola

dalla parte del mare (a sud e a nord) e furono

poste due torri all’imboccatura del mandracchio.

Al n. 1 di Riva Cankar si può vedere l’interno di una

delle due torri a guardia del porto. È praticamente

intatta. Al terzo piano ci sono le feritoie dalle quali

si controllava la riva del mare.

Altri esempi sono in via delle Mura: 24 metri in

prosieguo di Porta Misana con case molto più

moderne costruite sopra i percorsi di ronda e una

quindicina di metri dopo Porta Dolfin. Su questa

lo stemma del podestà Luca Dolfin con la data del

1483, quando le mura furono ristrutturate e alzate.

La seconda risalita turca dei Balcani spinse la Serenissima

a finanziare nuove mura e a consolidare

9


quelle precedenti. Riconosciamo in questi interventi

la terza cinta muraria, conclusasi nel 1535. Il

Podestà Priuli fece costruire in stile rinascimentale

Porta Marciana, l’ultima delle 8 porte di città ancora

visibili.

Altri resti meno appariscenti sono sparsi un po’

ovunque in città. Sono ormai parte di edifici e in

qualche caso anche bene in vista all’interno di abitazioni

e di alberghi. Sulla riva sud all’interno di caffè

e di ristoranti fanno capolino nelle sale da pranzo

nascosti da credenze in stile e quadrerie varie.

Sono considerate troppo grezze con i loro grossi

conci di ottima pietra arenaria di colore grigio scuro.

Sono considerate »brutte« per essere lasciate

libere di raccontare la loro storia.

FERITOIE DELLA TORRE DEL PORTO

CAMMINAMENTI SULLE MURA DI S. NICOLÒ

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V. CARPACCIO: DETTAGLIO DALLA TELA MADONNA E SANTI (1518)

Sul finire del XIX sec. la Rappresentanza comunale

emanò una delibera con la quale si proibiva il prelievo

del materiale dalle mura sopravvissute. Fra il

1963 e il 1970 si fecero importanti interventi di recupero

statico e di restauro. Furono sanati i torrioni

sulla collina, i camminamenti, poste nuove travature

e parapetti metallici. Si è continuato nel 2002.

Nel 2004 è stato salvato dal crollo il primo torrione

sulla falesia esposta ad erosione. Ora una struttura

in cemento armato lo tiene ancorato al resto della

muraglia. Dopo aver ripulito i prati e le terrazze ai

loro piedi, un abile gioco notturno di luci crea uno

spettacolo veramente unico e avvincente.

MURA PRESSO PORTA DOLFIN

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SCHEDA 3

I rioni

VISTA AEREA DELLA CITTÀ

Pirano sin dai tempi antichi era divisa in rioni.

Se a Venezia si chiamarono sestieri (perché

la città era divisa amministrativamente in sei

parti) in epoca veneziana la nostra città era

divisa in contrade (13). Due di queste, forse le più antiche,

erano dette sestiere: Sestiere di Piazza Vecchia

e Sestiere della Salute. Con lo sviluppo della città

le varie contrade si fusero e ne nacquero di nuove.

Per avere un’idea, ecco quanto trovato nei documenti

dell’Archivio piranese dallo storico Almerigo

Apollonio, e riportato nel saggio »Pirano, una cittadina

istriana fra il 1805 e il 1813«. Sono indicati pure i

numeri civici compresi nelle singole contrada.

Sestiere Madonna della Salute da 1 a 95

Contrada di Sant’Andrea da 96 a 205

Contrada di San Stefano da 206 a 265

Contrada di San Giacomo da 266 a 355

Contrada della Carrara da 356 a 425

Contrada del Soler de Piazza (o di S. Pietro)

da 426 a 500

Contrada di San Rocco da 501 a 560

Contrada di Santa Margarita (piu' tardi detta Borgo)

da 561 a 631

Contrada degli Squeri e del Torchio (Marciana)

da 632 a 665

Contrada dei Forni di Riva da 666 a 720

Contrada di San Nicolò (piazzetta dei pescatori)

da 721 a 759

Contrada dei Torci (Piazza delle Erbe verso Porta

Dolfin) da 760 a 810

Sestier di Piazza Vecchia (Portadomo) da 811 a 862.

Sarà sufficiente per noi sapere quali erano i rioni

dalla seconda metà del XIX sec. fino agli anni

Cinquanta del XX sec. Partendo dalla Punta e fino

all’entrata in città:

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1. Porta Mugla

2. Porta Domo

3. Porta Misana

4. Porta Campo

5. Porta Marciana

6. Borgo

I nomi dei rioni andarono perduti in seguito al radicale

cambiamento della popolazione degli anni

Cinquanta. Gli attuali residenti hanno fuso Porta

Mugla, Portadomo e Porta Misana nell’unico nome

di Punta. Marciana e Borgo sono detti semplicemente

Marciana.

Ogni quartiere aveva una o più chiese, in genere

una era quella considerata del »patrono« del

quartiere. Per esempio Porta Mugla e Portadomo

avevano la Chiesa della Salute. Faceva parte

di Porta Misana la chiesa di Santo Stefano, Porta

Campo aveva S. Pietro, Marciana e Borgo avevano

S. Rocco. L’amministrazione comunale prevedeva

che ogni rione avesse pure un capo contrada con

il compito di raccogliere tutte le problematiche

riguardanti la sua zona: strade, case, danni e riparazioni,

pericolo di incendio, igiene, animali che

vivevano in città. In breve tutte le necessità della

contrada e dei suoi abitanti, e in casi urgenti le

segnalava direttamente al Podestà. Naturalmente

vigilava anche sulle porte urbane, teneva le chiavi

e controllava notte tempo affinché nessuno entrasse

o uscisse di soppiatto. La nomina del capo

contrada e dei suoi aiutanti durava, in epoca veneziana,

tutta la vita.

Possiamo concludere che l’amministrazione comunale

funzionava, eccome. Questi erano i bei

tempi passati!

PIANTA DI G. DE FRANCESCHI: I RIONI

13


SCHEDA 4

Le porte

urbane

Nel 1502 il Podestà Andrea Valier scriveva

al Doge che Pirano non si poteva difendere

poiché nelle mura c’erano ben 37

porte fra »maistre e bastarde«. »Maistre«

erano quelle legittime, bastarde erano quelle

che la popolazione nei vari quartieri apriva verso la

riva del mare, sulla spiaggia, per accorciare il percorso.

Di dieci porte »maestre« (legali) sette sono

quelle ancora visibili e discretamente conservate.

Andiamo ad elencarle tutte partendo dalle mura

sulla collina di S. Nicolò come indicato da G. Caprin

nel I volume di Istria Nobilissima:

1. Porta di S. Nicolò, fine via IX Corpo d’Armata

(distrutta)

2. Le due Porte di Raspo, prima e seconda

(detta questa anche Porta di Terra), via Rozman

3. Porta Marciana, fine via Libertà

4. Porta di San Giorgio, riva Kidrič

5. Porta Misana, via dei partigiani

6. Porta Dolfin, via Vidali

7. Porta Mugla, riva Prešeren, (porta bastarda)

8. Pusterla, riva Prešeren, (distrutta)

9. Porta Campo, via Trubar

Porta di San Nicolò (distrutta)

Attraverso questa porta si imboccava la via di Terra

che collegava il centro economico della città (il

mandracchio interno) con il territorio fuori le mura.

TORRI E MURA DI S. NICOLÒ, DISEGNO DI GUIDO LA PASQUALA

Tagliava in discesa la collina a settentrione per raggiungere

le colline di Strugnano. A sud scendeva

verso quelle di S. Lucia. Dentro le mura, presso la

porta, c’era la chiesetta di San Nicolò. Sul fronte

esterno dell’imponente torre omonima vediamo tre

stemmi in pietra bianca: il primo con un bel bassorilievo

in cornice dentellata rappresenta San Giorgio

che uccide il drago, il secondo un leone marciano e

il terzo è lo stemma della famiglia Bembo.

Una certa memoria vorrebbe attribuire la distruzione

della porta alla visita dell’imperatore d’Austria

Ferdinando I che, con la moglie, il 13 settembre

1844 venne a Pirano per inaugurare la costruzione

della Pia Casa di Ricovero. Secondo la memoria allargarono

il passaggio per far spazio alle carrozze

al seguito dell’Imperatore. In realtà come descritto

in un opuscolo pubblicato a Trieste per ricordare

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la visita, i reali attraversarono l’odierna Slovenia in

carrozza ma, dopo Trieste, tutto il viaggio si svolse

per mare.

Della porta si è conservato il toponimo »rastello«,

dal nome della pesante grata in ferro, che veniva

abbassata in caso di sfondamento. Con questa

voce oggi si indica la zona limitrofa, con case e villette

circondate da giardini.

Le due porte di Raspo

Presso la seconda Porta di Raspo, all’interno delle

mura, sono stati trovati dei resti attribuiti alla

chiesetta dei santi medici Ermagora e Fortunato.

Appena fuori le mura anche 17 tombe senza indicazioni

e molte ossa. Forse i resti del cimitero ebraico.

La seconda Porta di Raspo è detta anche porta

di Terra.

La prima porta di Raspo si trova in basso vicino al

centro storico. Fu costruita intorno alla metà del

XV sec., con l'espansione della città oltre il mandrachio.

Per tradizione questa fase viene identificata

con la costruzione della seconda cinta muraria. La

seconda porta fu costruita più tardi, verso la fine

del secolo. Ambedue sono gotiche. Portano il nome

del Capitano di Raspo, che per due secoli fu il comandante

militare dei territori veneziani in Istria.

Arrivava a Pirano accompagnato dal suo seguito a

cavallo passando sotto queste due porte.

PRIMA PORTA DI RASPO

FOTO STORICA DELLA SECONDA PORTA DI RASPO

Il Capitano di Raspo (dal nome del castello dove

risiedeva) controllava le strutture difensive e l’amministrazione

podestarile. A lui competeva pure la

»cernide« (scelta) dei giovani soldati, marinai e rematori,

per le guerre nelle quali la Repubblica era

coinvolta. I Piranesi parteciparono con coraggio e

impegno nelle guerre della Dominante, distinguendosi

per capacità e dedizione, tanto che in più occasioni

furono lodati e premiati dalle autorità veneziane.

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Porta Marciana

Via Libertà finisce in questa monumentale porta

rinascimentale che si apre sulla piazzetta di San

Rocco. È sovrastata da un arco a pieno sesto, in

pietra calcarea. Il leone marciano sopra l’arco, è affiancato

da due stemmi, quello della città e quello

del podestà Federico Prìuli (1533-1534), mentre le

iscrizioni sono state scalpellate probabilmente in

epoca francese (1805-1813), dai giacobini piranesi.

Sopra il largo e spazioso volto della porta c’era la

chiesetta dedicata a S. Ermagora.

Sul lato sinistro della Porta e lungo tutta la parete

posteriore del vicino edificio moderno si vedono

benissimo i contorni delle antiche mura con merli

a coda di rondine (secondo Caprin della torre di

guardia della porta). L’edificio fu costruito nel XX

sec. addossandolo alle mura, dove in precedenza

c’erano dei grandi frantoi per le olive, di proprietà

della famiglia Gabrielli.

PORTA MARCIANA

PORTA DI S.GIORGIO

Porta di S. Giorgio

Oggi vediamo inseriti nel porticato del Tribunale

il suo monumentale arco, la trabeazione con una

grande epigrafe in latino e stemmi. Avendo perduto

la sua funzione pochi sanno che nel XVII secolo,

era la più bella e splendida porta che immetteva

in città. Fu inaugurata il 5 giugno 1660 dal pretore

veneziano Andrea Barbi, coadiuvato dai nobili piranesi

Petronio Caldana cavaliere, Giovanni Petronio

e Domenico Petronio. La precedente molto più antica,

era piccola e inserita nella torre che, insieme

a quella dirimpetto, a destra, vigilava sull’imboccatura

del mandracchio.

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Porta Misana

»Misana« in piranese significa di 'mezzo'. Il suo

aspetto odierno si deve ai numerosi rifacimenti

avvenuti nei secoli. È una bella e grande porta quadrata

con arco ribassato. Era difesa da una torre

delle mura (non piu' visibili) che arrivavano fino alla

porta di San Giorgio. Sulla sua destra invece, sono

visibili e ben conservati circa 24 metri di mura che

terminano, dopo due »soleri« (sottoportici), in Porta

Dolfin. La muraglia è ben visibile da Piazza delle

erbe, mentre sulla sua parte esterna, nuove case

crebbero in altezza e la cavalcarono, appropriandosi

dei percorsi di ronda. Le mura erano merlate e

avevano feritoie (visibili dopo Porta Dolfin). In basso,

scavati nello spessore del muro, i ripostigli per

le munizioni dei cannoni. Da ciò deduciamo che le

mura dovevano essere più alte di un metro o due,

ora interrate. La targa in bronzo posta a fianco della

porta, testimonia l’8° incontro delle città murate

tenutosi a Pirano nel 1998.

Porta Dolfin

Delle quattro porte gotiche questa è la più bella. È

del 1483 quando il Podestà Luca Dolfin fece rafforzare

e consolidare le mura meridionali. Ha conservato

il suo aspetto originale. Sopra l’arco acuto è incastonato

lo stemma con tre delfini, le sue iniziali e

la data. È questa sicuramente la più celebre, la più

fotografata e ritratta delle porte.

Porta Campo

È la bella porta gotica dietro la sede delle Gallerie

costiere, dove inizia via Trubar. L’ampliamento

dell’edificio delle Gallerie costiere le ha portato via

il lato sinistro. All’interno della Porta, sono ben visibili

le pietre forate (piere buse) che sostenevano i

cardini in ferro. Un lungo corridoio con volta a botte

immetteva nella città. Sopra la Porta c’era la chiesetta

di San Giacomo, cappella riservata ai membri

del Maggior Consiglio che qui si raccoglievano in

preghiera prima di decisioni importanti.

PORTA MISANA PORTA DOLFIN PORTA CAMPO

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Porta Mugla

Forse è una delle 27 porte bastarde nominate dal

podestà Valier. Si trova fra i resti di una torre e la

muraglia che prosegue all’interno della casa di bel

colore rosa. Era la sede e l’abitazione del Gastaldo,

il rappresentante dei Patriarchi aquileiesi. Un’altra

»porta« simile è visibile nella trasversale che congiunge

via Zupančič a via Libertà. I suoi contorni

irregolari ci spiegano come le grosse pietre venivano

tolte una ad una, per ritornare al loro posto

in caso di pericolo. Per tradizione detta Porta di

Muggia poiché il vicolo collega la riva sud con quella

nord, in direzione di Muggia. È più probabile che

il suo nome derivi dalla voce tardo latina »mugla«

che significa pozzanghera, acqua che non si è prosciugata

sulla battigia. Il mare arrivava fin sotto le

case ancora negli anni Trenta del XX sec., prima

che venissero costruite le rive.

PORTA MUGLA

Pusterla (non visibile)

Il nome deriva dalla voce tardo latina »pusterla, posterula«

e significa posteriore. La »pusterla« che ogni città

dell’Istria aveva e che ancora si vede nelle antiche città

medievali, era un’angusta porta nelle fortificazioni. Usata

dalle guardie di ronda o come uscita di emergenza. Due

le »pusterle« documentate dal Caprin: questa distrutta

da interventi abusivi fatti da privati, e la seconda, nelle

mura di San Nicolò, distrutta nel XIX sec.

PUSTERLA

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SCHEDA 5

COMPLESSO DELLA SALUTE

Porta Mugla

Comprende la zona di Punta che termina

sulla cima della penisola dove c'è l’unico

bastione rotondo (rondella) delle mura

urbane. Il bastione è terrapienato cioè

riempito da pietre di diversa grossezza e risale al

1510. Probabilmente in un primo periodo isolato sul

promontorio a fare da sentinella. Le strette scale

di accesso a settentrione furono costruite in epoca

austriaca quando, usato dai gendarmi, vennero

collocati sul bastione due cannoni.

Il rione aveva il suo santo. Prima del bastione, isolata

sugli scogli sin dal 1274, c’era la piccola chiesa

di S. Clemente papa, protettore dei marinai. Con

l'aumento della popolazione non bastò più. L'occasione

per costruire un nuovo edificio furono le pestilenze,

che tormentarono tutta la regione. Quella

del 1630 lasciò un segno profondo nella popolazione.

Mentre nelle cittadine vicine i morti furono numerosi,

Pirano, rinchiusa dentro le mura, riuscì a

limitare l’epidemia. Per ringraziare la Vergine della

sua protezione si volle una nuova chiesa più grande,

inglobando la vecchia, oramai degradata. Opera

del proto (maestro muratore) Zuanne Dongetti fu

inaugurata nel 1776 e dedicata pure alla Madonna

della Salute. Sotto la sua protezione tutti i giovani

del rione vi si sposavano. Aveva tre altari, bassorilievi

e stucchi.

Nella foto vi presentiamo la rondella con l’imponente

chiesa della Madonna della Salute e il campanile

neogotico del 1855, un complesso architettonico

19


CASA DEL GASTALDO

GLI STEMMI

ANTICHE CASE ADDOSSATE ALLE MURA

molto conosciuto e fotografato a livello non solo

nazionale.

Il quartiere finiva circa in Via Vega (ex-calle Andrea

Dandolo). Il nome del rione deriva da Porta Mugla,

che si trova presso l’ultima grande casa color rosa di

Riva Prešeren, nella quale gli esperti hanno individuato

la Casa del Gastaldo. Sull’architrave del vicino

portale laterale vediamo le copie degli stemmi delle

antiche famiglie piranesi insieme a quello crociato

della città. L’architrave originale purtroppo andò distrutto

durante un restauro poco attento.

Negli anni Trenta del XX sec. fu costruita la riva nova

(oggi Riva Prešeren) allontanando così il mare che

arrivava fino alle case. La costa era di ciottoli, sabbia

e fango, selvaggia. Quando la marea era particolarmente

bassa rimanevano sulla battigia, macchie

– macule in latino – pozzanghere che nelle cunette

20


più profonde, evaporata l’acqua, lasciava croste di

sale. Da macula a mugla il passo è breve. Altri invece

fanno derivare il nome da Muggia (in latino anche

Burgus Muglae, Castrum Muglae), cittadina istriana

in Italia. Pure in sloveno la Porta è detta Miljska vrata,

Porta di Muggia. Vero è che tradurre Porta Macchia

sarebbe ridicolo.

Nel rione, in via Galileo Galilei (ex-calle Rapicio) si

può vedere conservato benissimo un contrafforte

delle antiche mura.

Il rione era fittamente popolato e le case sono ancor

oggi alte e strette, con numerose terrazze sui

tetti (altane) aggiunte recentemente a scopo turistico.

Altra dimostrazione della fitta tessitura urbana

sono i volti che abbracciano due o tre strade

di direzioni diverse. Si costruivano per guadagnare

spazio, quando la popolazione aumentava. I volti, a

Pirano, si dicono soleri. Ogni volto aveva il suo lumino

con un santo. I lumini ad olio rendevano meno bui

questi passaggi, prima dell’illuminazione pubblica,

introdotta molto più tardi.

CONTRAFFORTE

Le case più ricche, risalenti in genere al periodo

barocco, avevano la cisterna per raccogliere l’acqua

piovana e, in bella pietra bianca istriana stipiti,

architravi, davanzali e mensole. Da osservare le

mensole a zampa di leone sulle quali poggiano i davanzali.

TRIBIO CON SOLER

MENSOLE A ZAMPA DI LEONE

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SCHEDA 6

Rione di

Portadomo

Si estendeva dall’odierna via Jurij Vega

(ex-calle Andrea Dandolo) e arrivava fino a

Piazza I Maggio. Comprendeva circa 150 numeri

civici. Porta Mugla ne aveva circa un

centinaio. Le sue chiese erano quella di Sant’Andrea

e quella di San Donato, oggi galleria d’arte. Era

questo il primo nucleo abitato dell’antica Pirano.

FOTO STORICA DI PIAZZA PORTADOMO

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SITO DELL'EX-CHIESA DI S. ANDREA

Nella chiesa di Sant’Andrea, addossata alle mura

sulla scogliera a nord, il 26 gennaio del 1283, i piranesi

sostenitori della Serenissima, chiesero ufficialmente

di entrare a far parte dei suoi territori. Il

documento conosciuto con il nome di »dedizione«,

è una piccola pergamena con l'elenco di tutti i possedimenti

della città ed è custodita nell’Archivio

storico piranese. Pirano godette, grazie a questo

»atto diplomatico«, parecchi privilegi e fu considerata

sempre città fedelissima della Dominante.

EX-CHIESA DI S. DONATO

La chiesa di S. Donato è in piazza I maggio. Fu costruita

nel Trecento dalla famiglia Dal Senno. Pare

fosse la chiesa dei fuoriusciti aretini (Arezzo, città

della Toscana, nel 1300 ricco comune) approdati

a Pirano per sfuggire alle lotte intestine della loro

città e dedicarsi ai propri commerci. S. Donato era

il loro protettore e patrono. Nel XVII secolo è stata

rimaneggiata in stile barocco. Infine nel 1989/91 fu

trasformata in galleria d’arte. Il progetto è dell’architetto

triestino Boris Podrecca.

FOTO STORICA DEL GHETTO

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SCULTURA DI JANEZ LENASSI

Ghetto degli ebrei

SCULTURA DI MASAIUKI NAGASE

Su questa piazza troneggia la grande cisterna del

1776. Fu costruita dopo una grande e ripetuta siccita'

con il supporto di Venezia e il contributo del

Comune. Ha fornito acqua potabile fino all’arrivo

dell’acquedotto istriano.

In questo rione, vicino alla piazza, c'è quanto rimane

del ghetto degli ebrei. Restaurato (male, a detta

di molti esperti) alla fine degli anni ’80 dello scorso

secolo, si presenta come un isolato con tre porte

d’accesso che immettono su tre cortili collegati fra

loro. Il nucleo abitativo è antico.

Nel cortile centrale vi era probabilmente una cisterna.

La scultura di Janez Lenassi inserita nella pavimentazione

la ripropone in modo molto interessante.

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Nel passaggio da questo cortile a quello attiguo,

andando verso piazza I maggio, lo scultore giapponese

Masayuki Nagase, ha decorato una parete con

un gioco di sporgenze e rientranze.

Nel terzo cortile vediamo a sinistra una vera da

pozzo di provenienza sconosciuta. Al centro di

questo spazio c'e' parte di un frantoio per le olive.

Si trovava sotto la casa al n. 11 di Piazza I maggio.

È esposto così come apparve durante gli scavi archeologici

del 1988. Dovrebbe risalire al XII sec.

I primi ebrei documentati a Pirano risalgono già al

XIII sec. Con una lettera dogale del XV sec. si stabilì

dietro il palazzo podestarile la zona dove gli ebrei

potevano abitare. Viene identificata nel Ghetto

di cui sopra. Era comunque una piccola comunità

con meno di 20 famiglie. Nel XVII sec. molti fra

loro scelsero di stabilirsi a Trieste, diventata porto

franco.

I pochi rimasti si convertirono al cristianesimo.

Si ricordano diversi cognomi ebrei fino alle soglie

dell'Ottocento.

ANTICO FRANTOIO

ANTICHE FINESTRE

STELLA DI DAVIDE

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SCHEDA 7

Rione di

Porta Misana

Comprendeva i numeri civici dalla chiesa di

Santo Stefano a Piazza delle erbe. Il nome

»Misana« significa che è porta di mezzo

ed è posizionata fra quella di San Giorgio

e Porta Dolfin. Ha un grande arco ribassato e la sua

luce è ampia. Non conosciamo il suo primo aspetto

perché è stata molto rimaneggiata.

Alla sua sinistra c’era una torre, inglobata oramai

dalle case vicine costruite e appoggiate alle mura.

A destra un pezzo di mura lungo 24 metri con alla

base, a cuneo nella muraglia, ripari per le munizioni

dei cannoni. Esternamente le case hanno cavalcato

i percorsi di ronda. Erano alte sicuramente una

decina di metri, se teniamo conto che nel periodo

in cui furono costruite, la pavimentazione della

strada era più bassa di almeno un metro o due.

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VISTA VERSO IL MERCATO


RESTI DI ANTICHE MURA

ANTICO ARCO IN VIA TRUBAR

Il quartiere è attraversato da due lunghe vie parallele

che lo percorrono in direzione est ovest. Sono

via Primož Trubar (ex-via San Giacomo) e via G. Verdi

(ex-via Portadomo). Sono vie strette, fresche in

estate, con case alte anche quattro piani e spesso

con intonaci cadenti e mangiati dall’umidità.

CASE BENVENUTI E DAVANZO

In via Fran Levstik, (ex-via Venezia) una bella casa

in stile neogotico del 1861 secondo l’Ente per la tutela

del patrimonio culturale fu Casa Benvenuti, è

la sede della scuola di musica. Accanto a questa

un’altra casa ben restaurata in stile anche vagamente

neogotico, forse la Casa Davanzo ricordata

nella Voce di S. Giorgio.

Al n. 9 di via Salvore vediamo una graziosa palazzina

del ‘700 (Casa Bruni-Bonetti), con un mascherone

notevole sull’arco del portone. È il »pandur«

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CASA BRUNI-BONETTI

(gendarme), il cui truce aspetto serviva a tener

lontani gli spiriti cattivi. Sopra l’elegante balconcino

del piano nobile, nelle chiavi di volta degli archi

delle portefinestre, le teste di Diana con la luna e di

Marte con l’elmo.

Sulla sinistra, sopra il volto che conduce a Porta

Dolfin, un’antica casa con un leone andante con

stemma dei Grimani, iscurito nel tempo. Da come è

scolpito e consumato dal tempo, pare molto antico.

Nel XV sec. furono parecchi i podestà appartenenti

a questa antica famiglia veneziana. Il primo, Pietro,

nel 1303/5 e poi nel 1309, seguì Nicolò nel 1384 e nel

1394, ultimo, nel 1401, fu Bernardo Grimani.

Da notare ancora l’originale antica casa gotica del

n. 6 di Via Verdi con la trifora ad ogiva e i ritratti

maschile e femminile in cima agli archi trilobati del

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TIPICA VIA PIRANESE

LEONE E BLASONE DEI GRIMANI

primo piano. Una scala, ricavata facendo rientrare

la parete, conduce al primo piano. È una dei pochi

esempi di stile gotico (sei in tutto) arrivato fino a

noi.

TRIFORA IN VIA VERDI

Una sequenza di caratteristici soleri ci riporta indietro

nel tempo in un affascinante gioco di luci e di

ombre. Fra Porta Misana e Porta Mugla si possono

contare 37 volti. La descrizione di Stane Bernik 1 è

sintetica e precisa: »un unicum per la tessitura urbana

fitta e compatta che non ha eguali in Slovenia

e che è tipica delle cittadine medievali istriane«.

1 S. Bernik, Organizem slovenskih obmorskih mest Koper Izola Piran,

MZSV Piran, Mladinska knjiga, Ljubljana, 1968

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SCHEDA 8

Rione di

Porta Campo

FOTO STORICA DI DOMENICO PETTENER (1875)

Quando nel 1291 la Serenissima inaugurò,

fuori le mura, il palazzo podestarile, dette

un segnale importante: avrebbe dominato

portando pace e benessere a tutti gli

abitanti. Lo spazio antistante il nuovo edificio, detto

alla veneta »campo«, diventò il nome del rione.

Una grande porta gotica apriva all’alba e richiudeva

al tramontar del sole le enormi ante di legno. Sono

arrivate fino a noi le »piere buse« poste orizzontalmente

per infilarvi i cardini in ferro.

In questo rione, che andò crescendo nei secoli,

c’erano le strutture politico-amministrative ed

economiche più importanti della città: il palazzo

podestarile con di fianco la Loggia, il porto, il Fondaco

dei grani e il Monte di Pietà, dove oggi c'è il

Tribunale.

Fuori le mura, dietro al Fondaco, c’erano il macello

cittadino e gli squeri. Intorno alla chiesetta di S.

Pietro del 1272, alcune famiglie benestanti costru-

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CHIOSTRO DEL CONVENTO FRANCESCANO

CONVENTO DI S. FRANCESCO

irono le loro case in stile gotico, secondo la nuova

moda. Erano le più belle e godevano di aria e luce.

A mezza collina verso settentrione nel 1301 fu posta

la prima pietra del Convento di S. Francesco.

Fu inaugurato nel 1318. Vicino a questo sorsero altre

chiese e scuole religiose. Il quartiere si spinse

verso oriente con la seconda cerchia di mura. Era

il XV secolo. Ben presto sarebbero state costruite

anche le mura verso il colle di San Nicolò. Ne vediamo

un suo resto presso la Canonica in via IX Corpo

d'Armata.

Nel 1578 venne costruito il ponte levatoio che collegava

le rive opposte all’entrata del porto.

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CASA VENEZIANA IN VIA DELL’OSPEDALE

MURA PRESSO LA CANONICA

PONTE LEVATOIO (FOTO DI ALFREDO PETTENER)

Dall’odierna piazza Tartini verso nord si dipartono

tre vie, che nel passato erano tutte dette»carrare«

perché abbastanza larghe da essere percorse con

i carri.

Dietro la Casa veneziana, la via che conduce al

Duomo era Carrara Granda, (via IX Corpo d’Armata).

Fu aperta durante la costruzione del vecchio

palazzo municipale per portare i materiali

necessari. È la più larga delle tre.

La seconda, dopo la chiesa di S. Pietro, era detta

Carrara picia o dell’Ospedale (oggi via dell’Ospedale).

Presso il Convento francescano fino al

XVIII sec. c’era un ospedale e ricovero per gli anziani

abbandonati. A poca distanza, nel 1854, fu

inaugurata la Pia Casa di Ricovero il cui grande

edificio nel XX sec. diventò ospedale. Oggi l’edificio

completamente ristrutturato è destinato

ad attività medico-diagnostiche.

La terza Carrara era quella di Raspo (oggi via

Franc Rozman). Parte in salita di fianco alla Casa

Barocca e arriva fino alle ultime mura. Passa sotto

le due Porte e collega la città con l'entroterra.

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Il rione di Porta Campo era ed è tuttora ricco di edifici

sacri, li nominiamo tutti:

presso il Convento di S. Francesco c'è la chiesa

di Santa Caterina, molto antica, per lungo tempo

abbandonata. Recentemente recuperata e

visitabilevisitabile. All’interno sono state trovate

tombe di notabili piranesi.

la chiesa votiva di Santa Maria della Neve del XV

sec. voluta dalla nobildonna Elgandona de Vanto.

All’interno, sull’arco di trionfo gli affreschi

con l’Annunciazione, opera di Nicola di Antonio

da Pirano, che lavorò pure a Venezia.

sulla Carrara grande la chiesa barocca della

Madonna della Consolazione, fino al XVII sec.

dedicata a S. Michele. L’interno custodisce una

bella cornice intagliata di Andrea Brustolon con

uccellini, putti e angeli in volo intorno al tondo

centrale con la Madonna e il Bambino. Molto

belli i lavori ad intarsio dei banchi in legno tutto

intorno al perimetro. Ricordiamo che sull’altare,

fino al 1940, c’era una tela di G.B. Tiepolo con la

CHIESA DELLA MADONNA DELLA CONSOLAZIONE

CHIESETTA DI S. MARIA DELLA NEVE

CORNICE INTAGLIATA

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Madonna della cintola e santi, ora al Museo civico

Sartorio di Trieste.

∙ vicino alla chiesa, dal XVII al XIX sec., i Padri Filippini

vi tennero scuola, frequentata anche dal

giovanissimo Giuseppe Tartini insieme ai suoi

fratelli. L'edificio completamente ristrutturato è

il piccolo museo cittadino Mediadom Phyrrani.

∙ sulla stessa Porta Campo c’era la chiesetta di S.

Giacomo, un oratorio destinato ai membri del

Consiglio cittadino.

Le maggiori trasformazioni urbanistiche di tutta la

storia della città si sono concentrate in questo rione

e sono avvenute nei due ultimi secoli. Nuovi palazzi

eleganti hanno sostituito quelli medievali. Per

primo il nuovo edificio del Municipio inaugurato nel

1879. Il Tribunale nel 1891, dove prima c'erano il Fondaco

dei grani e il Monte di Pietà. Il mandracchio

nel 1894 è diventato piazza con monumenti, sculture,

eleganti e nobili case di stili diversi. Casa Tartini

nel XIX sec. fu ingrandita e alzata di un piano.

La piazza è stata completamente ristrutturata fra

il 1993 e il 2003 con qualche mugugno da parte della

cittadinanza, che nel suo aspetto moderno non

si riconosce. Il progetto è dell'architetto Boris Podrecca.

Lo spazio è diviso in grandi riquadri di pietra

serena con l’elisse centrale in pietra dalmata,

come l’occhio del vecchio mandracchio. Una volta

parcheggio e capolinea del tram e dei bus, oggi è

zona pedonale. È il luogo ideale dei caffè, dell’aperitivo,

degli incontri internazionali, dei festival e

delle manifestazioni artistiche.

PIAZZA TARTINI

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SCHEDA 9

Piazza Tartini

e i suoi palazzi

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Diventò piazza con l'interramento dell'antico

mandracchio nel 1894. Le autorità

sanitarie avevano chiesto a più riprese il

suo imbonimento per ragioni igieniche:

spesso e nonostante i divieti nel mandracchio venivano

versati liquami vari e rifiuti. L’odore che si

diffondeva era criticato ampiamente da chi abitava

lungo le sue rive. La paura del colera fece il resto.

In un primo tempo fu lastricata nella parte esterna,

lungo le facciate degli edifici. Nel 1896 fu collocata

e inaugurata la statua a G. Tartini. Dal 1909 al 1912

qui girava la filovia, dal 1912 al 1953 il tram, per intraprendere

la corsa di ritorno verso Santa Lucia. Nel

1935, in occasione dell’arrivo dell’acqua corrente

(Acquedotto istriano), fu eretta una fontan fontana

detta Zampillo. La piazza fu in seguito, con l’avvento

delle automobili, parcheggio pubblico.

DETTAGLIO DECORATIVO: LA CHIOCCIOLA

PALAZZO DEL COMUNE

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La piazza che oggi vediamo è il risultato della sua

ristrutturazione avvenuta nella Slovenia indipendente

su progetto dell’arch. Boris Podrecca. Realizzata

in due tempi: la prima fase vide la costruzione

dell'elisse, la seconda completò la sua pavimentazione.

I lavori terminarono nel 2003. Numerosi

erano i dettagli in marmo di Verona e in bronzo che

le davano un aspetto ricercato e raffinato. Purtroppo

l’opera di vandali rimasti impuniti, ha distrutto

e rovinato parecchie sculture che sono state poi

tolte dal loro posto. Pochi ancora i pezzi visibili sul

posto.

Palazzo del Comune

Il Palazzo Comunale, ex-Municipio, chiude a ovest

la piazza. Fu costruito su progetto dell’architetto

triestino Giovanni Righetti ed inaugurato nel 1879.

È parecchio più grande rispetto l'antico palazzo

podestarile del 1291, voluto su ordine della Serenissima,

dal podestà Matteo Manolesso. Ne ricorda la

costruzione un’epigrafe collocata nell’atrio dell’odierno

municipio. Al centro della facciata ci sono

quattro belle colonne istoriate con bassorilievi e il

balconcino lungo e stretto dal quale si affacciavano

le autorità nelle occasioni importanti. Da questo

balcone furono celebrati gli anniversari austriaci,

l’arrivo delle truppe italiane dopo la I guerra mondiale,

ed il primo maggio del 1945 fu dichiarata la

Liberazione di Pirano ad opera del CLN cittadino

(Comitato di Liberazione nazionale). Fra le colonne

il leone di S Marco che già fu sull'antico palazzo

podestarile abbattuto nel 1877, mentre le figure

allegoriche della Giustizia e dell’Abbondanza con al

centro lo stemma crociato della città, fanno da corona

all’edificio. Nella sala del Consiglio Comunale

è ritornato negli anni ’90 il grande quadro di Domenico

Tintoretto (figlio di Jacopo Robusti detto Il

Tintoretto) con la Madonna in trono fra i santi Marco

e Giorgio e, in primo piano, i notabili cittadini.

È una tela importante perché vi si può ammirare il

panorama della città fra XVI e XVII sec. Il quadro era

stato tolto durante il periodo jugoslavo in quanto il

suo soggetto religioso era considerato non compatibile

in edificio pubblico.

Il palazzo neoclassico

delle Gallerie Costiere

Fu costruito entro i primi due decenni del XIX sec.

sul posto dove sorgeva l’antica »Loggia« comunale

con la Sala del maggior consiglio. Casino dei nobili,

luogo di ritrovo ma anche luogo di affari per l’aristocrazia

commerciale e fondiaria. Al pianterreno

c’era un elegante caffè cittadino. Durante il periodo

italiano fu sede del PNF (partito nazionale fascista).

Nel 1945 diventò »Casa del popolo«, negli anni Sessanta

l'edificio diventò la sede delle Gallerie costiere

con salone d'esposizione delle nuove tendenze

nazionali, jugoslave ed internazionali. Eleganti lesene

scanalate scandiscono il ritmo delle facciate

a due piani con semplici finestre neoclassiche.

Sulla facciata che dà sulla piazza, al primo piano,

un lungo e stretto balcone interrompe la verticalità

dell'edificio chiuso in alto da timpano ad arco. Due

SEDE DELLE GALLERIE COSTIERE

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CASA VENEZIANA

meridiane, una per facciata, segnano il tempo. Al

suo pianoterra trova da sempre posto il »caffè cittadino«,

incurante dei cambiamenti politici.

Casa veneziana (Lasa pur dir)

La bella Casa veneziana che spesso è stata considerata

la Ca’ d’oro di Pirano si trova sull’angolo

di fondo a nord della piazza principale. La facciata

che dà sulla piazza si presenta con la bella trifora

del piano nobile, il balconcino d'angolo con testine

scolpite a tutto tondo, due finestre gotiche al

secondo piano. Al pianterreno il bel portale con

finestra dentro a cornice dentellata. Fra le due finestre

superiori un blasone in cornice gotica. È lo

stemma dei Del Bello con il leone rampante e un

nastro avente la scritta »Lasa pur dir« che ha dato

anche il nome a questo edificio. Sulla scritta »che

la gente parli pure«, i Piranesi si sono sbizzarriti

nell'inventare storie più o meno verosimili. Di fine

fattura le parti in pietra bianca istriana. Ricordiamo

che l’edificio subì una totale ricostruzione nei

primi anni del XX sec. L'interno è stato completamente

cambiato. Un recente restauro degli intonaci

ha portato alla luce forse quello originale. In

precedenza era dipinta di un bel rosso intenso.

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Casa Tartini

CASA TARTINI

CHIESA DI S. PIETRO

L’altro edificio degno di essere presentato è la casa

natale del celebre violinista e compositore Giuseppe

Tartini (nato a Pirano l’8 aprile 1692 e morto a

Padova il 26 febbraio 1770). Un’epigrafe sulla facciata

principale lo ricorda, mentre una seconda,

su quella di lato, ricorda il restauro più importante

avvenuto negli anni Ottanta dello scorso secolo. Fu

uno dei progetti di recupero del patrimonio storico-culturale

autoctono previsti dal Trattato di Osimo

(1975).

Casa Tartini era in origine un piccolo edificio gotico

di proprietà della famiglia Pizzagrua (noto il giudice

Lorenzo Pizzagrua nel 1300). L'edificio fu rimaneggiato

in epoca barocca probabilmente quando passò

in proprietà ai Tartini. Ingrandito nell'Ottocento

dai fratelli Simone e Pietro Vatta, ospita all'interno

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un notevole percorso museale per chi volesse conoscere

la vita del musicista e quella della famiglia.

Vi sono esposti un violino appartenuto al compositore,

la maschera mortuaria insieme ad altri suoi

cimeli. Meritano una visita la casa, gli affreschi che

contribuiscono ad una »full immersion« nella storia

settecentesca fatta di spade, fughe, musica, commerci,

sale, genialità, scienza ed erudizione.

Chiesa di S. Pietro

CASA BASSI-FABRIS

CASA COLOMBANI-FABRIS

La chiesa neoclassica di S. Pietro è la più antica fra

quelle piranesi, risale al 1272. Ricostruita nel 1818

dopo un cannoneggiamento da parte delle navi inglesi

per contrastare il dominio francese. La ricostruzione

fu eseguita su progetto dell’arch. ticinese

Pietro Nobile.

Sul bel portale con colonne scanalate, un bassorilievo

con la consegna delle chiavi a S. Pietro, opera

di Antonio Bosa, scultore veneto, allievo di Antonio

Canova.

Casa Bassi-Fabris (Casa barocca)

La bella »Casa barocca« interrompe la linea del

perimetro disegnato dagli edifici intorno alla piazza.

Dell’originale edificio del XVII sec. si conserva

il balconcino barocco in ferro battuto sulla facciata

rivolta a ovest. Un elegante motivo a triangolo

con volute orna la parte alta dell’edificio. L'interno

è completamente ristrutturato.

Casa neogotica Colombani-Fabris

A destra della Casa barocca risalta nella sua particolarità

la bella e più moderna »Casa neogotica«,

risalente alla fine del XIX sec. È a tre piani, esprime

la sua eleganza nelle belle finestre incorniciate di

pietra bianca sulla facciata in mattoni. Fra le finestre

del primo piano un leone di S. Marco fa bella

mostra di sé. È uno dei pochi esempi a Pirano di

neogotico. La casa si trova sopra un lungo volto (in

via Libertà) con porticato aperto verso la piazza.

Orazio Colombani fu un buon e onesto podestà fra

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il 1870 e il 1873. Era medico comunale e realizzò il

prolungamento del molo vecchio. Morì in povertà

nel 1873.

Il tribunale

Merita una descrizoine più dettagliata anche il

grande edificio del Tribunale circondariale, ex-Pretura,

costruito nel 1891 quando era podestà l'avvocato

Domenico Fragiacomo. Per la sua edificazione

fu abbattuto il vecchio Fondaco dei grani con il

Monte di Pietà e la vecchia torre con la Porta di San

Giorgio. Quest’ultima è stata recuperata e inserita

nella parte rivolta a sud del grande Portico a sinistra

del Tribunale. Costruito su progetto dell’arch.

triestino Enrico Nordio con la collaborazione del

geometra Giuseppe Moso, è in bello e semplice stile

neorinascimentale. Nello stesso edificio per un

breve periodo nel 1900 fu aperta la Banca di Pirano,

poi fu la sede della Biblioteca civica. I suoi volumi

più preziosi sono oggi conservati nella biblioteca

del Museo del Mare.

IL TRIBUNALE

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SCHEDA 10

Piazza Tartini

e i monumenti

Il monumento a G. Tartini

Da qui si può godere un colpo d'occhio eccezionale:

il monumento al violinista con, in diagonale verso

nord, in alto, l'incombente edificio del Duomo e

parte del campanile. È questo uno dei più riusciti

e fotografati angoli della piazza e forse di tutta la

città.

In uno dei fuochi dell’elisse si erge, su alto basamento

in pietra d’Aurisina, la statua a Giuseppe

Tartini, opera di Antonio dal Zotto, scultore veneziano.

Fu inaugurata il 2 agosto 1896 in presenza di

un numerosissimo pubblico proveniente da tutta la

regione e da Trieste. Erano presenti fra gli altri lo

storico Giuseppe Caprin 1 e il musicista di Dignano

1 Nato a Trieste (16 maggio 1843 – 15 ottobre 1904) è stato uno

scrittore italiano, giornalista e patriota, combatté con Giuseppe

Garibaldi. Ferito gravemente fece ritorno a Trieste

continuando a dedicarsi al giornalismo, la tipografia e l’editoria.

Ottenne due volte il premio municipale di storia patria.

L’ultima sua opera, L’Istria nobilissima, fu pubblicata postuma.

(tratto da Wikipedia)

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(Pola) Antonio Smareglia 2 . Quattro anni prima era

stata bandita una sottoscrizione in tutta l’Istria, a

Trieste e in Italia per raccogliere fondi per il monumento

al grande figlio di Pirano. Era un periodo

particolarmente delicato dal punto di vista politico

con l’irredentismo che aveva molti sostenitori. Da

qui la dedica sul basamento: »A Tartini, l’Istria«.

Poche ma significative parole. Durante l’indagine

condotta dall’Ente per la tutela dei monumenti sloveno,

nel settembre del 2016 venne scoperta sul

violino la dedica dello scultore alla moglie Ida Lessiach

Naya Dal Zotto, morta tre anni prima. La statua

è molto realistica, il maestro viene rappresentato

nel momento in cui si inchina al suo pubblico.

I pili portabandiera

Sulla piazza ci sono pure i due pili che sostengono

i pennoni in legno per le bandiere. Sono alti oltre i

2 metri. Risalgono al XV sec. Sono due bei pilastri

monolitici in pietra d’Istria della cava di Parenzo.

Uno è dedicato a San Giorgio (1463) che uccide il

drago. I Piranesi gli si rivolgono chiedendo protezione

in cambio delle loro preghiere. L'altro è dedicato

a San Marco (1466) e il bassorilievo rappresenta

il leone alato. L’iscrizione è una lode e un

riconoscimento della potenza della Dominante: »il

leone carpisce e domina tutto quanto c'è in terra, in

mare e in cielo«. Sullo stesso pilo ci sono le misure

di lunghezza usate dal Medioevo in poi. Il sistema

decimale subentrerà ufficialmente molto più tardi.

2 Antonio Francesco Smareglia (Pola, 5 maggio 1854 - Grado,

15 aprile 1929). Scrisse diverse opere ma non ebbe grande

fortuna. L'opera più nota è Nozze istriane. Il vero problema

della musica di Smareglia, fu quello di avere una chiara impronta

centro-europea, considerata dagli italiani troppo

austriaca o slava, e dai popoli mitteleuropei troppo italianeggiante.

Di una musica cioè di confine. Un vero e proprio

caso sui generis, nato dalla mescolanza delle diverse tradizioni

e culture dell’Istria e di Trieste, come provato pure

dal matrimonio misto dei genitori del compositore. Su tutti

questi problemi e sull’opera del compositore la musicologia

si è generalmente limitata a pochi saggi. La lacuna è stata

colmata nel 2004 dal musicologo triestino Paolo Petronio,

dal titolo »Le opere di Antonio Smareglia«. (da Wikipedia).

Recentissimo il volume »Antonio Smareglia e il suo mondo«

di Giuliana Stecchina, sulla vita, l’opera e l’ambiente musicale

in cui visse il musicista istriano. (Fonte Radio Capodistria

20/I/2023)

43


Le antiche misure sono: la pertica, il brazzo (cioè

braccio), il passo, la mazza e la stroppa. Mentre le

prime quattro sono conosciute, meno lo è la stroppa.

Potrebbe essere una curiosità poiché di questa

misura era la cordicella che stringeva il fascio

di rami sottili e secchi per accendere il fuoco nelle

case dei Piranesi. Erano le »fascine« che dalle

campagne arrivavano via barca e venivano vendute

sulle rive del mandracchio. Nel 1475 Marin Sanudo

scrisse nel suo diario di viaggio che allora Pirano

faceva 700 fuochi e le case erano tutte di pietra

viva. Secondo i documenti, in città c’erano poco

meno di 5000 persone! Tantissime per l’epoca, più

che a Capodistria che a mala pena raggiungeva

4500 abitanti e Isola circa 2000.

I pili stavano davanti all’antico palazzo podestarile.

Furono spostati nel 1879 nel posto dove si trovano

ancora oggi, per ricordare l’imboccatura del mandracchio.

MONUMENTO E DEDICA SUL BORDO DEL VIOLINO

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Prometeo

È il piccolo bronzo dello scultore sloveno Stojan

Batič (nato a Trbovlje il 2 giugno 1925, morto a

Lubiana il 17 settembre 2015). Artista prevalentemente

figurativo, è noto per le sue sculture sul

tema della LPL, esposte in molti luoghi pubblici

del paese. Grazie ad una borsa di studio nel 1957

studiò a Parigi entrando in contatto con la scultura

contemporanea europea e le sue molteplici

forme espressive. Ritornato in patria si è distinto

nella produzione di opere commissionate dal sistema

socialista in stile realistico, che non era il suo

preferito. Ha comunque prodotto ritratti notevoli

che godono tutt’ora del consenso della critica. La

sua produzione più genuina e intima si è espressa

meglio nelle piccole sculture e nei motivi spesso

ispirati alla mitologia greca e slovena. Anche questo

piccolo Prometeo del 1959 è rivelatore del suo

pensiero: rappresenta l’inno alla libertà pur nella

sofferenza della punizione per avere trasgredito le

regole. Esposto prima a Portorose è ora in questo

angolo della piazza che non gli rende giusto onore.

Molti i premi ricevuti a livello nazionale. Fra le sue

numerose mostre ha avuto molta eco la retrospettiva

del 2015 nella Galleria Jakopič di Lubiana dal

titolo »L’uomo e il mito«.

Pegasus

Davanti alle Gallerie costiere un possente torso

bronzeo rappresenta Pegaso, il mitico cavallo

alato. Si erge poderoso sulle zampe posteriori

mentre il torso è ridotto all'essenziale e

le ali paiono costole aperte sul petto. Privo di

testa suscita notevole impressione. È opera

dello scultore bosniaco, naturalizzato sloveno,

Jakov Brdar. Artista di fama internazionale ha

opere esposte a Vienna, Graz, Parigi, Berlino,

Motta di Livenza e Roma. Questo Pegasus fu

esposto nel 1991 davanti al Pergamon Museum

di Berlino.

45


SCHEDA 11

Rione di

Marciana

VICOLO DEL PONTARO

Partiva all’altezza dell’odierna via Lenin e arrivava

fino all’ultima cinta muraria con la bella

Porta Marciana fatta costruire dal podestà

Priuli nel 1534. Il rione si espanse velocemente

verso est fin sotto le colline, e verso sud in

direzione del mare rubandogli la battigia che, imbonita,

fu in epoca più moderna, tutta edificata

con grandi palazzi. Lo percorrono due lunghe vie

parallele alla riva. Via Marciana, oggi via Libertà, indicava

la »contrada de dentro« e terminava nell’omonima

Porta. Via Caldana, oggi via Zupančič, era

la »contrada de mexo« che finiva in via Tomšič

(ex-via Mogoròn), e »la riva vecia« - riva Cankar, era

detta »contrada de fora«.

Il nome Marciana, secondo Morteani, è di origine

latina: »Fu questo un predio romano (fondo urbano

dato come cauzione) della gente Marcia. A questi

si deve aggiungere ancora una plebe marina e

peschereccia che avrà abitato in Figarola (oggi

in zona di via Alma Vivoda), parte di Marciana extra-muros«.

Anche secondo il Kandler »fu colonia

urbica corrispondente alla sedicesima parte di

una solita colonia, con 700 abitanti calcolati 7 per

fuoco«, nata con il trasferimento di 100 coloni condotti

a stanziare a Pirano. Ma nessun scritto o ritrovamento

archeologico mai confermò questa tesi,

per cui è più probabile che il nome significhi »di S.

Marco«, come si usava all’epoca, poichè il rione si

espanse sotto la dominazione veneta e si chiudeva

proprio con Porta Marciana.

Le case in Marciana sono alte e strette, quelle trasversali

anche buie. Alcune case più antiche hanno

una fondazione gotica. Nel rione, fra via Zupančič

e via Libertà, una porta urbana di quelle bastarde è

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CASA FUREGONI

SCULTURA GOTICA DEL PATRONO S. GIORGIO

PORTALE

così lontana dalla riva che ci dà la misura di come

l’antico rione serpeggiasse lungo il poco terreno

piatto e stretto seguendo l’andamento della riva

marina. La maggioranza degli edifici nella sua parte

più alta, verso il monte, risale al XVII e XVIII sec.

Qui stradine e scalette laterali si inerpicano verso

le mura, conducono al Pontaro, dove una volta c’erano

orti e oliveti. Oggi resiste qualche giardino. Da

queste stradine si esce in via Rozman (Carrara di

Raspo) e rappresentano le scorciatoie che permettono

di salire velocemente al colle.

In questo rione due bei palazzi, quello dei conti Furegoni

al n. 5 di via Zupančič addossato alle mura

che ha fatto proprie. Da notare il bassorilievo gotico

con S. Giorgio e il drago, già sulle mura, e sul

terrazzo una vera da pozzo con la data del 1792.

Merita una speciale menzione Palazzo Zaccaria

Ravasini al n. 24 di via Libertà. È il risultato della

fusione di due edifici, il più antico inglobato dal secondo,

dandogli un aspetto barocco. Un'epigrafe

ricorda che l’ha ampliato il medico di origine muggesana,

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PALAZZO ZACHARIA-RAVASINI

Floreno Zacharia, morto nel 1683. Acquistato (forse)

dall’avvocato Ravasini, che nel 1817 fece parte di

un consiglio ristretto della prima amministrazione

austriaca cittadina.

L’interno si è conservato nonostante nel secondo

dopoguerra sia stato adibito a casa-vacanze per

non vedenti. Ha una scala di pietra che conduce al

primo piano, sono in legno quelle che conducono al

secondo e al terzo piano. Al primo piano troviamo

due vere da pozzo, la cisterna con l’acqua piovana

stava al piano terra. Le stanze sono molto grandi,

con ampie finestre e due balconi che si affacciano

su via Libertà e su via Zupančič. Dimostrano che l’edificio

era isolato: da una parte guardava il monte e

a sud si affacciava sul mare. Nelle sale affreschi in

attesa di essere restaurati e valorizzati.

Le magnifiche case e i palazzi della riva invece risalgono

tutti all’Ottocento. Nel medesimo periodo

fu sistemata la riva, furono prolungati e costruiti i

moli, nel 1892 fu portata fino a Pirano l’acqua delle

sorgenti di Sezza con un piccolo acquedotto locale.

.

48


Per tutti descriviamo la storia curiosa dei due palazzi

più imponenti: il primo Bartole-Fonda del

1847, oggi sede della Scuola elementare italiana

dedicata a Vincenzo e Diego de Castro, il secondo

Bartole-Ventrella del 1848. Furono costruiti con le

entrate della vendita delle sanguisughe, molto usa-

te nelle cure mediche di allora. I Bartole avevano

istituito a Strugnano un allevamento di sanguisughe,

importate dal Medio Oriente. L’affare andò a

gonfie vele. Ancora oggi a Strugnano sopravvive il

toponimo Sanguetera.

PALAZZI BARTOLE IN COPPIA

49


SCHEDA 12

Rione di Borgo

PARACARRO IN GHISA

Uscendo da Porta Marciana ci si trova nel

rione di Borgo, termine oramai caduto in

disuso a vantaggio del primo. È il quartiere

più moderno, gli edifici sono stati

costruiti fra il XVIII e il XIX sec. Quelli sulla riva sono

alti e maestosi. Volevano assomigliare agli edifici

signorili che nel medesimo periodo sorgevano sulle

rive di Trieste. Le vie sono larghe e ariose, hanno i

paracarri in bella pietra bianca, altri curiosi e originali.

La chiesa di questo rione è dedicata a S. Rocco.

Fu costruita nel 1578 in stile classicheggiante con

un bel portale timpanato come le finestre laterali.

Dietro la facciata sinistra ha un campaniletto a

torre. All’interno un bell’altare con tre statue lignee:

al centro la Madonna e ai lati S. Sebastiano e San

Rocco. Risalgono al XVIII sec. La chiesa fu particolarmente

frequentata dopo la terribile peste del

1630, che seminò morte in tutta l'Istria.

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FOTO STORICA DELLA CHIESA S. ROCCO

INTERNO BAROCCO

Sul lato sinistro presso la chiesa di S. Rocco, una

casa antica fa angolo con via Marx (ex-via San Rocco).

Nell’elenco dei monumenti di rilevanza locale è

detta Casa Benedetti. È stata recentemente liberata

dai vecchi intonaci ed è apparso un muro fatto

a scacchi con bei conci di pietra bianca e grigia. Al

primo piano una bifora rinascimentale, al secondo

piano altre due con graziosi balconcini, mentre

sull’architrave del portone sono scolpiti un martello

e un compasso. Sono simboli di una confraternita

o di un'officina? Nella loro massima espansione, le

confraternite variarono da 21 a 32, ognuna aveva il

suo santo e i suoi simboli. Avevano una funzione

sociale molto importante: per i soci rappresentavano

un'assicurazione in caso di disgrazia, malattia

o morte. Aiutavano la famiglia con donazioni e crediti

agevolati. Utilizzavano il patrimonio per opere

pie e per sostenere i confratelli. Durante il breve

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CASA BENEDETTI

SIMBOLO SULL’ARCHITRAVE

SALITA IN VIA MATTEOTTI CON LUNGHE SCALE CHE

PORTANO AL MOGORÒN

periodo francese molte confraternite furono chiuse.

Rimase attiva quella del Santissimo Sacramento.

In questo rione molti erano i nomi pittoreschi delle

vie antiche. Ad es. dopo Porta Marciana, la prima

salita a sinistra era erta del Paradiso, oggi via

Gortan. Congiunge Porta Marciana con il cimitero.

L'odierna via Matteotti era via S. Margherita. Si

inerpica sul monte Mogoròn con scale ripide di pietra.

C'era poi via delle Fontanelle, piena di sorgenti

d'acqua fresca, oggi via Prežihov Voranc.

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Ricordiamo le belle piazzette del rione con i loro

nomi tipici come Largo della Creta (Gradnikov trg),

Campo del Salario (Vodnikov trg) con due fontanelle

per l’acqua costruite con il lavoro volontario nel

1949. Chiuse purtroppo dopo che l’acquedotto negli

anni Settanta e Ottanta raggiunse anche questa

zona. Si trova in questo quartiere il famoso Posso

Longo.

Qui si trovava pure uno dei forni più noti della città:

il forno della Bia. Le sue »pastecreme« sono ancora

oggi una leggenda fra i residenti più anziani. Il

forno è oggi un B&B. Via Figarola, oggi via Alma Vivoda,

ci svela la presenza un tempo diffusa di alberi

di fico.

EX MAGAZZINO DEL SALE, FORNO DELLA BIA, OGGI B&B

PASSAGGIO DA VIA TOMŠIČ

RESTI DI MACINE IN PIETRA

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SCHEDA 13

I piloni del

duomo

DISEGNO DI PIETRO NOBILE (1820)

LLa collina di San Giorgio dove imponenti

si elevano il Duomo, il Campanile e il Battistero

di San Giovanni, è rinforzata sul

versante sud da 5 archi in muratura. Sulla

sponda nord, sopra la falesia, 11 giganteschi piloni

arcuati svolgono la medesima funzione, difendendo

la scogliera dall’instancabile erosione del mare

e delle intemperie. È uno degli investimenti che

per mole, difficoltà, spesa e tempi di realizzazione

può essere paragonato alla costruzione dei 2 chilometri

e mezzo di cinta muraria che abbracciava

Pirano.

L’idea nacque alla fine del XVI sec., quando si decise

di modificare la posizione degli edifici ecclesiastici

e di ampliare la chiesa gotica del 1344, sita

sul ciglione dominante la città, che però franava da

ambedue i lati. Il vecchio campanile fu demolito, il

nuovo più grande e simile a quello di S. Marco, fu

costruito dietro l'abside. Fu demolito e spostato

pure il vecchio battistero del IX sec., uno più grande

trovò posto presso il campanile.

Il 4 giugno del 1600, il Comitato che avrebbe guidato

i lavori della “Fabbrica del Duomo” firmò con il

lapicida veneziano Bonfante Torre il contratto per

costruire una “scarpa” alla base della scogliera settentrionale.

Bonfante realizzò il muro di contenimento

che vediamo ancora oggi. Il lavoro fu molto

apprezzato e Bonfante si assicurò così buona parte

degli appalti della chiesa (la facciata, l’arco di trionfo

e la zona absidale) e la costruzione del campanile

insieme al capodistriano Giacomo Nodari. Bonfante

a Pirano aprì bottega. Morì nel 1621 e i suoi figli

portarono a termine i lavori intrapresi.

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La costruzione dei piloni a nord si protrasse per

oltre due secoli, dal 1641 al 1812, in cinque fasi, testimoniate

ognuna da una epigrafe. I primi piloni a

nord furono inaugurati nel 1668. I lavori proseguirono

non senza difficoltà, causa la crisi economica

generale. L’opera fu completata appena nel 1812.

Durante questi due secoli i Piranesi accettarono di

autotassarsi per sostenere un tale sforzo economico:

fu tassato l'olio di oliva e richiesto aiuto (volontario

e obbligatorio) per il trasporto dei materiali.

Secondo i cronisti e gli studiosi si usarono tutti i

materiali dell’ormai cadente Castello (Fortezza) di

San Zorzi, parte delle vecchie lapidi dell’antico cimitero

presso la chiesa e il materiale della demolizione

del campanile e del battistero. Le pietre nuove

provenivano dalla vicina cava in zona Pusterla.

Esistono testimonianze dei piloni che ci permettono

di datare con esattezza le ultime due fasi. La

veduta del 1803 di Karl Friederick Schinkel del Museo

di Stato di Berlino, quando i piloni erano 9. Nel

disegno di Pietro Nobile del 1820 si vedono tutti e

11 gli archi.

I PILONI

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SCHEDA 14

Piere buse

Chi va a zonzo per le vie interne della Punta

vedrà sulle facciate delle case, qua e là,

delle pietre bucate che si protendono parallelamente

dagli antichi edifici.

“Piere buse”, in dialetto, sono le pietre bucate che

troviamo in tutta l’area veneta adriatica, sia sulla

costa occidentale che su quella orientale. Le cittadine

istriane ne conservano ancora molte. Sono

praticamente tutte uguali, in pietra d’Istria e sembrano

delle piccole lapidi. Sporgono dalle pareti

56


delle case per circa 25-35 cm, il buco centrale ha

un diametro di 10 cm. Furono usate soprattutto

fra il XIII e il XV sec. come testimoniano i quadri di

Vittore Carpaccio. Ma il loro vero uso pone ancora

oggi numerose domande.

Molti si sono sbizzarriti nella ricerca delle funzioni

che queste pietre potevano o dovevano avere.

Il fatto che si trovino ai piani alti ha fatto supporre

che servissero per sollevare, con l’uso di corde,

mobili, tavoli e altro arredo che non poteva passare

per le strette scale.

Altri hanno detto che facendo passare da buco a

buco un palo di legno o di ferro, servivano ad es.

per stendere le reti da pesca. Ipotesi assolutamente

fuori luogo, data la difficoltà di portare fino al

terzo o quarto piano le reti bagnate (pesantissime)

e puzzolenti, a causa della decomposizione degli

organismi rimasti impigliati. Si è ipotizzato pure

che sui pali venissero stesi arazzi, tappeti e tovaglie

ricamate in occasione delle processioni.

Le torri delle mura sulla collina di S. Nicolò ci mostrano

moltissime piere buse. Alcuni studiosi hanno

cercato di assegnar loro una funzione. Luigi Foscàn

scrive, nel suo volume I Castelli dell'Istria, che

servivano per nascondere i soldati che si muovevano

sugli spalti. Il palo che passava da buca a buca,

reggeva una portella mobile che copriva o scopriva

lo spazio fra i merli. Per fortuna la città non subì

mai un vero assedio, le "piere buse" possono tener

stretto il loro segreto.

PIERA BUSA IN VIA TRUBAR

PIERA BUSA DI CASA MANZIOLI AD ISOLA

PIERE BUSE SULLE TORRI DI S. NICOLÒ

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SCHEDA 15

Finestre murate

IN VIA GARIBALDI

IN PIAZZA I MAGGIO

Girando nel centro storico si vedono ancora,

sia su case più povere, come su quelle

restaurate, alcune proprio belle. Sono

le finestre “finte”. In realtà sono finestre

murate molti decenni fa. All’origine di questo fenomeno

in tutta l’area europea c’è la storia delle tasse

“imposte”. Si cominciò in Inghilterra alla fine del

XVII sec., la ripresero i Francesi, la confermarono

gli Austriaci. Non fu da meno il Regno d’Italia, che

negli anni Trenta, durante la grande crisi del XX

sec., la rispristinò. I proprietari le cui case avevano

più di cinque finestre, videro la sesta già tassata.

Così con la storia di queste tasse assurde e ingiuste

più di altre, scopriamo che in Liguria, alla fine

XVIII sec., sotto la Repubblica francese, venne introdotta

la »tassa patriottica sulle finestre«. Colpì

soprattutto i patrizi, i quali per non sottostare a

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tale »ignobile« tassazione, murarono le finestre,

riproducendo all’esterno le imposte o facendo dipingere

dei “trompe l’oïel”, rappresentazioni illusionistiche

di finestre con vasi di fiori, gatti, uccellini,

ecc. Pittoresche e interessanti, sono diventate una

moderna attrazione turistica. Come ogni medaglia,

ha due facce. Una statistica condotta in Italia negli

anni immediatamente prima del secondo conflitto

mondiale, mise in evidenza l’aumento della tubercolosi

e di altre malattie fra coloro che vivevano

in appartamenti con poche finestre, in locali poco

arieggiati e poco illuminati.

Nella nostra Pirano i proprietari fecero murare

quelle “non indispensabili” preoccupandosi di

renderle soltanto uguali nella forma e nel colore a

quelle vere. I nuovi residenti le hanno piu' o meno

conservate.

DIETRO L’ALBERGO TARTINI

IN VIA GARIBALDI

DIETRO L’HOTEL PIRAN

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IN VIA KUMAR

Da una valutazione approssimativa sono ben oltre il

centinaio le finestre ancora murate e ben visibili in

tutti i rioni. Data la loro frequenza e il loro numero

sono uno di quei dettagli che ci riportano indietro

nel tempo. Poco notate, le finestre cieche sono

sicuramente degne di attenzione. Cercarle vi farà

scoprire angoli intatti e pittoreschi nelle vie meno

frequentate, nei vicoli, nelle androne. Nelle fotografie

pubblicate, si vedono tutte diverse fra loro

per colori, forme e soluzioni.

IN PIAZZA TARTINI PRESSO LA CASA NEOGOTICA

IN VIA GORTAN

IN VIA DELL'OSPEDALE

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SCHEDA 16

Finestre con

sburto

IN PIAZZA I MAGGIO

Alla voce »sburto« del Dizionario Etimologico

e Fraseologico del triestino, compilato

dal professor Mario Doria si trova

esattamente questa definizione: »Nelle

vecchie case sono quelle con lo sporto della finestra,

piccola chiostrina a vetri che si applica ai davanzali.

Asportabile nei mesi estivi per essere sostituita

dalla griglia (o persiana)«.

Sono parte dell’architettura del tempo degli Asburgo.

Conservarle significa portare rispetto per il

nostro passato. Che non è poco. Infatti nell’area

danubiana hanno vari nomi, anche quello di »kibitz

fenster«, da un termine yiddish »guardare di nascosto,

come nel gioco delle carte«.

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IN VIA DELLE MURA

Sulle case più vetuste si vedono ancora queste

»edicole«, chiamate localmente, in dialetto »jazzére«

(ghiacciaie) o »sporti, sburti«. Si tratta di

una sporgenza della finestra che permette di guardar

fuori senza prendere freddo o venir colpiti

dalle raffiche di bora. Le edicole si trasformavano

spesso in improvvisati frigoriferi di famiglia dov’era

possibile conservare il burro (nella sua vaschetta

con l’acqua) o altri generi deperibili, da cui appunto

il nome in vernacolo »jazzére«. Oggi rappresentano

una rarità e soprattutto una caratteristica destinata

a scomparire nelle ristrutturazioni, perché chi

restaura tende a risparmiare su tutto quanto non

è stabilito dettagliatamente dall’Ente per la tutela

del patrimonio culturale e così è anche per queste

semplici, ma simpatiche testimoni della vita di un

tempo, quando non esistevano gli elettrodomestici.

Rappresentano però un elemento di unicità ar-

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chitettonica tipico della zona urbana e quindi, secondo

gli addetti ai lavori, una caratteristica da salvare.

»Vanno assolutamente conservate e mantenute«

osservano i falegnami più seri e consapevoli.

»Parliamo di finestre che possiedono un doppio

telaio distaccato e fanno parte dell’architettura del

secolo scorso, quando i serramenti si realizzavano

con un certo criterio, non come oggi che si utilizza

esclusivamente il pvc o l’alluminio. Il legno si ripara

sempre, il resto no«.

Vi presentiamo diversi esempi di finestre »con

sburto«. Spesso la fotografia non rende il loro fascino

nelle diverse stagioni. Ce ne sono di nuove e

di vecchie. Cercatele e fotografatele, arricchendo il

nostro catalogo ed il vostro album dei ricordi della

visita a Pirano.

63


SCHEDA 17

Le pagode

Sono pochi i porti in Istria ed anche in Dalmazia

che possono vantare mini-costruzioni

in muratura per i fanali posti sulla cima dei

moli. In genere sono su colonne o aste metalliche

con in cima la lanternina raggiungibile da

una scala più o meno sicura.

I nostri fari invece, uno sul molo grande con luce

rossa e l'altro sul molo della Sanità con luce verde,

occhieggiano da sotto un tetto a “pagoda” sovrastato

da un cappello metallico che ricordano insieme

le atmosfere dei telefilm dedicati a Marco Polo

e alla Cina di Gengis Khan. La torretta in muratura

permette di raggiungere i fanali dall’interno, tramite

una scaletta. Simili, anzi quasi uguali sono le “pagode”

di Lignano, che dovrebbero anch'essi risalire

al medesimo periodo, dopo gli anni Venti del secolo

scorso.

Queste di Pirano, si disse furono costruite con i

mattoni avanzati della costruzione del teatro ai

piedi del molo (1910). Furono sicuramente costruite

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appena dopo la prima guerra mondiale. Ma visto il

perfezionismo dell’arte del risparmio sviluppatosi

nei secoli a Pirano, è possibile che siano stati realmente

usati i mattoni avanzati.

All'inizio le lanterne furono fissate su un'asta di ferro.

Funzionavano a petrolio. La struttura a torretta

permise di alimentare i fanali con bombole di acetilene,

che davano una luce più intensa. Oggi tutto è

automatizzato e comandato elettronicamente.

Le pagode, ricordiamo che questo nome fu loro

assegnato dai Piranesi nella parlata comune, sono

oggi un'attrazione fotografica. Quando soffia rabbioso

lo scirocco e invade tutti e due i moli sommergendoli,

sembrano indomiti fari in mezzo ai

marosi.

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SCHEDA 18

Il faro

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FORTINO O RONDELLA CON LANTERNA


Sulla punta della penisola che si protende in

mare il bastione del XVI sec. continua a vigilare.

In origine era più alto, privo di scale,

rappresentava l'avamposto difensivo più

esposto della cinta muraria rivolta verso il mare.

Accanto c’era solamente la piccola chiesetta di S.

Clemente del 1274. Sul lato sud-ovest del bastione

vediamo due stemmi: quello della famiglia Bembo

(Podestà) e quello del Comune con la data del 1617.

Documentano i lavori di consolidamento, a distanza

di oltre un secolo dalla sua costruzione.

Oggi si sale sul bastione tramite strette scale, costruite

quando gli Austriaci vi sistemarono due

cannoni. Dopo il 1850 con lo sviluppo della marineria,

l’esigenza di rendere sicura l’entrata in porto

anche “durante le notti procellose”, fece ottenere

dal Governo marittimo di Trieste il permesso di collocare

una lanterna per orientare di notte i marinai.

Si pensò di porla sul campanile neogotico, nella

loggia delle campane. Da circa 20 metri sul livello

del mare sarebbe stata più visibile. Constatata da

esperti la pericolosità della scala interna a chiocciola,

si decise di collocare provvisoriamente, sul

ripiano del bastione, un fanale a luce rossa fissa.

Era il 2 marzo del 1872. Il fanale nel tempo diventò

lanterna a luce bianca intermittente. Oggi è a 12

metri sul livello del mare e la sua lanterna maggiore

ha una visibilità di 15 miglia marine. È il maggiore

faro della Slovenia su struttura muraria.

Due anni più tardi, a spese del Comune, fu costruita

una piccola abitazione per il fanalista. Il Comune

usò le pietre bianche del campanile di S. Clemente

(del XVII sec.), bombardato più di sessant'anni prima

dagli Inglesi.

INTERNO DEL CAMPANILE CON SCALA A CHIOCCIOLA

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1000 nel rione di Borgo. Nel 1925 fu costruita la cisterna

alimentata dalle grondaie che vi convogliavano

l’acqua piovana, indispensabile per pulire le

lenti della lanterna dai cristalli di sale. L'ultimo fanalista

abbandonò l’appartamentino nel 1981, quando

tutti i comandi del faro furono automatizzati.

ALUNNI IN VISITA SUL BASTIONE

Quando nel 1900 furono introdotte le vie con i numeri

civici, il fortino conservò il numero 1 di Campo

della Salute. Da questo punto partivano tutti i numeri

delle case del centro storico fino a superare il

La struttura fu affidata successivamente alle Gallerie

costiere. Artisti e poeti la scelsero a dimora

estiva traendo ispirazione dalla sua splendida posizione,

quasi una prua sul mare. Seguì l’abbandono

durato qualche decennio. La sua riapertura nel

2018 sta restituendo nuova vita al complesso del

faro ed offre l’occasione di raccontare ai visitatori

le storie incrociate del bastione, della lanterna,

delle navi della locale Splošna plovba che hanno

doppiato Punta Madonna con l’ultimo saluto alla

città, prima di affrontare il mare aperto. Bei ricordi

di una Pirano vivace e piena di abitanti. Ora, durante

la stagione estiva, gli eventi culturali e l’ammirazione

dei tramonti lo elevano a luogo privilegiato

della passeggiata costiera.

TRAMONTO

BOTOLA NELLA CELLA DELLE CAMPANE

68


SCHEDA 19

Pozzi e cisterne

Tutte le cittadine istriane hanno sofferto la

sete. L’acqua potabile era poca e spesso

non della migliore qualità. A Venezia l’arte

di raccoglierla e conservarla nelle cisterne

era stata perfezionata tanto che esisteva un Magistrato

alle acque (un ministero), che provvedeva

alla loro costruzione, manutenzione e fruibilità. Le

botteghe artigiane si specializzarono nell’arte delle

cisterne, inventando nuovi intonaci impermeabili e

mattoni adatti solo per questo uso. Queste nuove

competenze tecniche si diffusero velocemente anche

negli altri territori governati dalla Repubblica.

Nel solo centro storico di Pirano, sul finire del XIX

sec., c’erano almeno un’ottantina di cisterne e una

ventina di pozzi. Le case date in affitto che avevano

nel cortile comune una cisterna, costavano di più.

(Per chi volesse approfondire, nel 2017, la Comunità

degli italiani di Pirano ha pubblicato un catalogo di

quelle sopravvissute, circa una trentina).

Il pozzo più antico

A Pirano il pozzo più antico, noto ancora oggi, era

quello di Lùprica in via del Castello. Non era mai

secco perché alimentato da una vena sotterranea.

Questa sua proprietà è passata perfino nei modi di

dire del dialetto piranese: a chi chiedeva i pochi

centesimi per una gazzosa o un gelato, si rispondeva

»No son miga el poso de Luprica!«. Sulla vera

da pozzo era scolpito un leone andante con la data

della sua costruzione (23 marzo 1485). Questa lastra

è custodita nel deposito lapidario del Museo

del Mare S. Mašera.

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FOTO STORICA DEL POZZO DI LUPRICA

Oggi in via del Castello, dove nel 1936, il pozzo fu

riempito di pietre e fu smontata la vera, una tabella

trilingue narra la sua storia.

Acqua pubblica

LASTRA FRONTALE

Fino all’arrivo del famoso Acquedotto Istriano che

portò l'acqua in città nel 1935, fu per secoli usata

l'acqua dei pozzi e delle cisterne. Praticamente

tutte le case più ricche avevano la propria riserva

d'acqua. In determinati orari e giorni della settimana

veniva aperta per uso pubblico pure la cisterna

del convento.

Il pozzo più antico visibile è Posso longo, che si trova

in Borgo, alla fine di via Alma Vivoda. Fu costruito

nel XVI sec. Si chiama Posso Longo proprio per la

sua notevole profondità (ben 12 m.). È sempre ricco

d’acqua in quanto attinge a vene sotterranee che

defluiscono dagli strati argillosi del Mogoròn. Carte

d’archivio del XIV sec. testimoniano che la zona circostante

era acquitrinosa e ricca di polle sorgive.

Il Comune comprò il terreno proprio per costruirvi

70


POSSO LONGO, VERA DA POZZO

»a pubblico bene« un pozzo fuori le mura. Fu realizzato

qualche secolo dopo, con vera da pozzo di

forma esagonale. Interpretando l'iscrizione molto

rovinata, l'Ente per il patrimonio culturale lo fa risalire

al 1581, all'epoca del Podestà Andrea Marcello,

individuando in un leggero motivo obliquo e ondulato

la principale caratteristica del suo blasone.

Altri lo attribuiscono al Podestà Silvestro "de Leze"

che governò nel 1523.

INTERNO DELLA CANNA

Per secoli qui venivano legati gli asini (i mussi) che

dal contado portavano i prodotti dell'agricoltura.

Per loro c'erano acqua e ombra fino al momento del

ritorno in campagna.

Il pozzo fu usato fino a che la rete dell’acquedotto

istriano lo raggiunse, distribuendo l'acqua con un

sistema di fontanelle. Negli anni Settanta l'acqua

corrente arrivò anche in tutte le case della zona.

Abbandonato e privo di coperchio, rappresentò un

vero pericolo quando i ragazzi giocando, si sporgevano

sul pozzo e facevano eco nella canna, richiamando

“le streghe dal fondo dell’acqua”. Fu messo

71


in sicurezza dai vicini che decisero di ripulirlo delle

immondizie e di chiuderlo. Così è ancor oggi, la sua

acqua serve per annaffiare i fiori e le verdure degli

orti vicini.

Cisterna in piazza I Maggio

Durante la lunga dominazione veneziana, durata

oltre cinque secoli, fu questo il suo maggior investimento

pubblico per garantire a tutti acqua potabile.

L’acqua veniva venduta due volte al giorno per

pochi centesimi al secchio. Serviva a far comprendere

che non andava sprecata.

Fu inaugurata nel 1776. Costruita dal lapicida Simone

Battistella di Rovigno, è indubbiamente il suo

capolavoro. Tutta in pietra della cava di Rovigno, si

presenta sollevata di qualche metro sopra il livello

della piazza. La cisterna vera e propria è in mattoni

ed è per metà interrata. I suoi serbatoi (4 gallerie

con volta a botte) sono alti internamente dai 2 ai 3

m., a seconda della pendenza del terreno. La superficie

della cisterna, di forma ottagonale, misura

più di 200 m2 ed è circondata da un parapetto.

SERBATOIO SOTTERRANEO

FOTO STORICA DELLA CISTERNA

La sua capacità era di 450 m3 d’acqua quando era

a pieno regime. Veniva alimentata dalle grondaie

che, raccogliendo l’acqua piovana dai tetti delle

case vicine, la convogliavano nella cisterna.

Due le statue allegoriche: la Forza, con scudo ed

epigrafe, vi sono scolpiti per lunga memoria i nomi

degli artefici di questo grande investimento; la Vigilanza,

con elmo e stemmi del Comune e dei senatori

veneziani Bembo e Marcello.

Sul lato verso nord, due putti su colonne reggono

e versano l’acqua sul piazzale. Due scale in pietra

permettono di accedere alle ottagonali vere da

pozzo.

72


Con l’Acquedotto Istriano, sul suo angolo esterno,

fu collocata una fontanella. La cisterna non fu più

usata e fu abbandonata ad ogni scempio. Ripulita

delle immondizie appena nel 1988, i coperchi delle

vere furono messi sotto chiave. Nel 2018 la nuova

fontanella, provvisoria dal 1989, fu finalmente allacciata

all’acquedotto.

Oggi la sua poca acqua che comunque si raccoglie

nei serbatoi, viene usata per lavare strade e innaffiare

giardini e parchi pubblici. L'importante restauro

del 2007 ne aveva constatato ancora la sua

buona funzionalità. Unica nel suo genere in Istria

per bellezza e grandezza, è monumento storico-architettonico

che non ha eguali in Slovenia.

Purtroppo viene usata per scopi e attività poco rispettosi

della sua storia, valore e funzione, contribuendo

ad un suo più veloce degrado.

73


SCHEDA 20

Acquedotti

FOTO STORICA DELLA PIAZZA CON LA FONTANA ZAMPILLO

ESTERNO DELL’EX-SERBATOIO, OGGI BAGNO PUBBLICO

Il primo acquedotto comunale

Alla fine dell’800 Portorose attraeva già turisti e villeggianti,

soprattutto dalla vicina Trieste e dall'Austria.

Sorgevano i primi alberghi e villette. Spesso

gli inverni tiepidi e soleggiati trattenevano anche

i proprietari per più tempo a Portorose. Per lo sviluppo

di questa moderna attività economica diventò

di grande importanza assicurare l’acqua corrente.

Non sarebbe stata la prima volta che si voleva

costruire un acquedotto. Quello del 1840 non era

andato a buon fine. Ma ora alla testa della Rappresentanza

municipale c’era il dinamico e deciso avv.

Domenico Fragiacomo. Nominò una commissione

di esperti che in di meno di un anno, dopo avere

analizzato l'acqua di più sorgenti, la loro portata

nelle diverse stagioni e la purezza, presentò pro-

74


poste concrete. Fu così individuata la possibilità

di sfruttare la sorgente Fontana Granda di Sezza.

Diverse ditte italiane e austriache parteciparono

al concorso pubblico sia per la fornitura di tubature

che per l’esecuzione dei lavori. L’acquedotto fu

realizzato nel 1893. Lungo quasi 6 chilometri portò

l'acqua a Portorose e arrivò fino alle soglie di Pirano,

dove fu costruito un serbatoio di accumulazione.

Durante i periodi di siccità lo si riempiva con

l'acqua della sorgente di Fiesso trasportata dalle

maone, o da Trieste, in via eccezionale anche con

navi militari.

Acquedotto istriano: la fontana Zampillo

L’arrivo del famoso Acquedotto del Risano, terzo

troncone dell’Acquedotto istriano, che portò

l'acqua in gran parte dell'Istria, fu inaugurato il 26

maggio 1935 con una bella fontana detta Zampillo,

alla presenza del Duca d’Aosta. Fu collocata in

uno dei fuochi ideali dell’elisse di piazza Tartini, in

modo da fare da pendant al monumento del famosissimo

violinista.

Numerose le pubblicazioni su quest’opera faraonica,

per tutte ricordiamo due: Z. Hočevar e altri

ZAMPILLO CON I SIMBOLI DEL REGIME

75


»L’acquedotto del Risano dal 1895 al 1964«, 2010; e

di A. Apollonio »Il senatore Cesare Primo Mori, ‘prefetto

di ferro’ e la sua opera per la rinascita dell’Istria

negli anni 1930-1942«, (Atti e memorie della

società istriana di archeologia e storia patria, vol.

XCVVIII, TS 1998).

Lo Zampillo fu smontato nel 1946 con la scusa che

era pieno di immondizie e di scarafaggi. Scomparve

il bell’effetto di rosetta, con l’acqua che ad ombrello

girava verso la vasca. Il piatto di marmo più

piccolo fu dato alla signora di un alto funzionario

del partito comunista sloveno, che lo usò fino agli

anni ’90 per tenere i fiori, a ridosso della sua casa

vacanze in Punta. La vasca più ampia fu invece

adattata ad accogliere l’acqua della fontana, con

tanto di pesci rossi, nel giardinetto presso il Museo

del Mare.

Lo Zampillo si presentava con un triplice giro di

gradini che portavano ad un bacino poligonale abbastanza

grande. Qui tutta l’acqua si raccoglieva e

tornava in circolo verso l’alto. Su un paio di lastre

c’erano la data dell’era fascista dell’inaugurazione e

i simboli del regime, motivo per cui venne smontata.

Le prime due vasche furono recuperate negli

anni ’90 e sono state riunite nella fontana che si trova

nel giardino sulla riva Cankar, sotto un’immensa

e splendida magnolia.

Quale fosse l’importanza dell’acquedotto per queste

terre lo possiamo dedurre anche dalle personalità

presenti e dagli ospiti intervenuti all’inaugurazione

dello stesso. Primi tra tutti il Duca d’Aosta, il

senatore Cesare Primo Mori e l’on. Giuseppe Tassinari,

sottosegretario di stato all’agricoltura, che

tenne il discorso di inaugurazione. Al Duca spettò

l’onore di aprire lo zampillo in piazza Tartini. A Portorose

gli ospiti furono accolti nel salone dell’albergo

»Palace« e fu inaugurata la fontana che sorgeva

alla radice del molo (a tre archi su una colonna di

marmo che formava tre fasci littori). Lo svolgimento

degli imponenti lavori realizzati per garantire

acqua potabile a pubblici e privati, fu illustrato da

varie autorità intervenute.

Il filmato originale dell’evento puo’ essere consultato

all’indirizzo https://www.youtube.com/watch?-

v=bj3Eh7AON8Y&feature=youtu.be

ZAMPILLO OGGI IN RIVA CANKAR.

76


SCHEDA 21

Storia del porto

IL PORTO AL TEMPO DI D. TINTORETTO

Non è facile raccontare la storia del porto

e del mandracchio. La parola mandracchio

sta ad indicare un porto ricavato

in una piccola insenatura naturale ben

riparata dai venti. La costa piranese annovera diverse

piccole insenature. Verso nord a Fiesso, con i

suoi laghetti, e a Strugnano con le saline. Verso sud

a Portorose, a S. Lucia, a Sezza, nonchè il vallone di

Sicciole, con le saline più grandi e più produttive.

La rada fu nel passato detta pure Largone.

Tornando a Pirano, pare che il primo antico mandracchio

fosse nell'odierna Piazza I maggio. Qui

furono all’ancora le imbarcazioni del primo insediamento

della Punta. Erano modeste barche da

pesca per muoversi lungo la costa, fino al fiume

Argòn (Dragogna) nel vallone di Sicciole. La città

crescendo e allargandosi verso est, spostò il porto

nell'insenatura dove oggi abbiamo piazza Tartini.

Fu usato fino al 1894 quando venne interrato.

77


Ma procediamo con ordine.

Il nuovo porticciolo nel rione di Porta Campo, sin

dal Medioevo fu il centro della vita economica della

città. Vi si specchiava il palazzo podestarile in stile

romanico-gotico. Sulla riva sinistra c’era il Fondaco

dei grani, sulla riva destra poche case. Dietro la

sede podestarile, c’erano le mura e Porta Campo

con il suo bell’arco gotico. Sulla riva del mandracchio

furono posti i pili portastendardo: uno per S.

Giorgio, uno per S. Marco con le misure di lunghezza.

Un terzo per gli aridi, oggi nell’atrio del Municipio.

Le attività commerciali erano vivacissime. Qui

si stipulavano gli accordi e i contratti commerciali.

Spesso scoppiavano liti per cui un giudice, esperto

in tematiche economiche, risolveva le cause quando

non si trovava l'accordo. Vi arrivavano merci di

ogni genere: prodotti della campagna, legname,

sale, olio, vino, stoffe, piccoli animali domestici,

prodotti della pastorizia, si vendevano pesce e carne

salata, olio, olive sotto sale, prodotti dell’artigianato

e molto altro.

Il porto era per i Piranesi un occhio aperto sul

mondo. Tutto partiva e arrivava qui. Così già nei

primi decenni del XIV sec. i notabili piranesi chiesero

alla Serenissima di sistemare le rive presso il

“Campo” ed il permesso di costruire un nuovo molo

fuori il mandracchio, verso il Mogoròn. Da Venezia

furono inviati degli esperti per studiare come

e dove ampliare e dragare il bacino, per permettere

l'attracco anche a navi più grandi. Gli esperti

parlarono davanti al Gran Consiglio veneziano puntualizzando

che il miglioramento del porto di Pirano

non avrebbe favorito solo i locali, ma sarebbe

stato di grande utilità anche per le imbarcazioni

veneziane (F. Gestrin). Fu ingaggiato il noto mastro

carpentiere Ognobene da Cividale, il quale richiese

e patteggiò un pagamento molto alto. I lavori iniziarono

subito (1334) e furono completati prima del

termine stabilito, già nel 1337 (Darja Mihelič). Fioriva

a Pirano in quel tempo ogni sorta di attività:

commerci, edilizia, squeri, pesca, trasporti, sale,

pellami, legname, pietre, sabbia, prodotti agricoli.

Negli Statuti dell'epoca, data l'esiguità dello spazio

a disposizione, si proibì di costruire e riparare le

78

BITTA ORIGINALE E SUA COPIA


imbarcazioni sulla riva del Campo e sotto la vicina

Loggia. I luoghi riservati a tali attività erano: la riva

dell'odierna piazzetta del pescatore, fuori Porta

Dolfin e sulla costa dove oggi c'è il Museo del mare.

Fra le due alte torri dell'imboccatura del mandracchio,

nottetempo, veniva sollevata una catena. Nel

1548 fu costruito un ponte levatoio in pietra, per

collegare le due opposte rive. I resti ben conservati

di una delle due torri sono visibili in Riva Cankar

1.

Nel XV sec. fu inviata al Senato veneziano la richiesta

di costruire un molo adiacente alla porta di S.

Giorgio. Venezia fornì una vecchia galea, che riempita

di pietre e affondata, servì a costruirvi sopra

le fondamenta del nuovo molo. Oggi riconosciamo

il luogo nella riva prospicente Palazzo Trevisini e

la piazzetta del pescatore. Nel 1503 il podestà Andrea

Valier pose sul molo una bitta, per legare le

galee. Vi fece incidere le sue iniziali A V e il simbolo

della famiglia: un’aquila con la testa coronata rivolta

a sinistra e le ali aperte, che vediamo scolpita

in modo molto stilizzato. Oggi la sua copia si trova

sulla piazzetta dei pescatori con una targa impropria:

colonna dell’infamia. L’originale, completo

dello zoccolo lungo un metro e mezzo che sprofondava

nel molo, è custodito nel piccolo museo del

Mediadom Phyrrani. La bitta fu ripescata intorno

agli anni ’30 del XX secolo, durante il dragaggio del

fondale.

Purtroppo non tutto è possibile ricostruire. Ci furono

interventi importanti anche verso la fine del

XVIII sec. Intanto le attività marinare conobbero

periodi sia di prosperità, sia di crisi. Nei mestieri

e nelle attività marinaresche era impegnato sicuramente

più di un quarto della popolazione cittadina.

Per i lavori più umili spesso venivano ingaggiati

operai da fuori città. Gli armatori e i commercianti

si organizzavano in commende, cioè contratti che

prevedevano l’assegnazione di un incarico che poteva

durare più tempo. La divisione dei guadagni o

delle perdite, veniva equamente spartita.

Nel XIX secolo la marineria fece molti progressi. La

vicinanza di Trieste, che era in fase di grandissima

PARTE SUPERIORE DELLA BITTA CON AQUILA E INIZIALI DEL PODESTÀ

evoluzione, sia come edilizia sia come porto franco,

condizionò lo sviluppo della vicina Pirano. Fiorivano

attività di trasporto e fornitura di materiale

da costruzione di ogni genere, oltre che di prodotti

della pesca e dell'agricoltura. Numerosi erano gli

squeri, i cantieri, molte le barche di piccolo e medio

cabotaggio. Si ripresentò il problema del porto.

Il mandracchio interno non era più sufficiente e

verso il Mogoròn non era sicuro, troppo esposto ai

venti meridionali. Dopo discussioni, progetti e accordi

andati a vuoto, finalmente nel 1872 il vecchio

molo, che arrivava circa alla radice di quello attuale,

fu prolungato di 60 tese (113 metri). L’investimento

fu a carico del governo Marittimo di Trieste e il Comune

avrebbe restituito il proprio debito (72.000

fiorini) in quasi vent’anni. Fu un efficace riparo dai

venti di ponente, tanto che spesso fu indicato pure

con il nome di diga.

Come risultato di un intenso lavoro di contatti e

progettazione, vent’anni più tardi fu costruito anche

il secondo molo, detto molo nuovo o della Sanità.

Nel 1891 il podestà avv. Domenico Fragiacomo

supportò, fra i diversi progetti, quello di Alfredo

Purschka, che aveva considerato tutte le osservazioni

dei marittimi piranesi e dei pescatori, i quali

79


indicarono dove e come doveva essere posizionato

il molo per difendere efficacemente il bacino dai

venti meridionali.

Il molo prese il nome dalla vicina Sanità, in quanto

alla sua radice c'erano gli ambienti adibiti a quarantena

preventiva per le imbarcazioni che provenivano

da terre lontane.

La sua costruzione fu assegnata a Pietro Petronio

detto Patata, che nel 1894 avrebbe interrato anche

il mandracchio. Nonostante il soprannome, che a

noi sembra canzonatorio, era invece un imprenditore

estremamente serio e capace. Oltre ai lavori

commissionati a Pirano, ricordiamo che nel 1890

costruì il molo di Isola e nel 1900 quello di Umago.

80


FOTO STORICA (PRESUBIMILMENTE) DEL 1896

I progetti ed i preventivi dell'ing. Purschka per il

nuovo molo erano estremamente esigenti, rigidi ed

impegnativi, ma il Petronio riuscì a rispettare sia i

tempi previsti per la sua realizzazione che l’ammontare

dei costi. Per contratto questi ammontavano

a 43.128 fiorini e 17 soldi. La spesa totale fu

superiore solamente dell’1,4% (43.737 fiorini e 28

soldi), che rapportata alle pratiche odierne ci sembra

incredibile.

81


SCHEDA 22

Misurare il tempo

GALLERIE COSTIERE

Meridiane

CHIESA DELLA MADONNA DELLA SALUTE

Non ricordiamo di avere visto meridiane nelle cittadine

istriane consorelle di Capodistria e Isola,

forse ce n'è qualcuna più nascosta. Nel nostro

piccolo centro storico se ne contano ben cinque.

Sono meridiane spesso poco notate, ma ben visibili,

diverse fra loro per foggia e posizione. Ma come

avviene con le novità tecnologiche, anche a Pirano

sono state messe in secondo piano dal grande orologio

del campanile di S. Giorgio.

Secondo la nostra esperienza tutte le meridiane

sono perfettamente funzionanti e segnano l’ora

esatta. Partendo dalla Punta, la prima che incon-

82


CASA DEL GASTALDO

DUOMO

triamo si trova in Riva Prešeren, sulla chiesa della

Madonna della Salute, molto in alto.

La seconda si trova a poca distanza, sulla vicina

casa rosa presso Porta Mugla, che secondo gli

storici, fu in origine la Casa del Gastaldo. È stata

ridipinta e risistemata, fa bella figura sulla facciata

rivolta verso il mare.

costruito dalla ditta dei fratelli Solari di Pesariis

in provincia di Udine, ditta che esiste tutt’ora. Nel

1905 il Podestà Fragiacomo si congratulava con i

Solari che, dopo un secolo, l’orologio era puntualissimo

e perfettamente funzionante, a dimostrazione

del lavoro impeccabile della ditta.

Altri due orologi solari sono quelli delle Gallerie

costiere in piazza Tartini. Data la loro posizione

sul bel palazzo neoclassico sono particolari nel

disegno degli intervalli fra ora e ora. Le ore dalle

5 alle 8 sono spostate e basse, devono attendere

l’ombra lunga del primo sole ancora basso sulla

piazza. Quelle in alto, dalle 9 alle 12, hanno bisogno

di un’ombra corta: il sole si avvicina allo zenit. Lo

gnomone svolge ancor oggi il suo compito molto

puntualmente.

La quinta è sulla facciata meridionale della sacrestia

del Duomo di S. Giorgio. Unica fornita di epigrafe,

ammonisce che il tempo scorre, Dio rimane.

Anch’essa è stata rinnovata insieme agli intonaci

dell’edificio.

L’orologio del campanile

L’orologio sulla facciata meridionale del campanile

da oltre due secoli si fa “sentire” giorno e notte.

Mentre il campanile fu inaugurato nel 1609, l’orologio

fu montato nel 1802. Era un orologio a pesi,

83


Solamente alcuni anni dopo la II guerra mondiale

l'orologio fu automatizzato con motori elettrici

che azionavano sia le lancette che i rintocchi delle

campane. Nel 1977 i comandi elettrici furono

spostati in sagrestia. I Solaris furono nuovamente

chiamati a Pirano negli anni '90, per risistemare il

meccanismo elettrico.

Il 2015 fu l’anno in cui tutto l’interno del campanile

e l’orologio stesso furono sottoposti a revisione e

restauro. Furono sostituite le scale con 140 nuovi

gradini in legno di larice. Sono sicure, larghe e

agevoli nella salita che conduce alla terrazza con la

cella delle campane, da dove si gode un invidiabile

panorama sulla città e sulla rada di Pirano.

MECCANISMO PRIMA DEL RESTAURO

OROLOGIO DOPO IL RESTAURO

Salendo le scale, a metà campanile è in mostra l’antico

meccanismo dell’orologio a pesi in ferro di Giacomo

Solaris. I pesi sono tre e servivano: uno per

l’orologio, uno per la campana delle ore e uno per la

campana dei quarti d’ora.

Molto più impegnativo fu il restauro del quadrante

in pietra dell’orologio (2015), composto da 20 pezzi

separati, pesanti ognuno circa 100 chilogrammi.

Già il primo sopralluogo ne aveva evidenziato i

gravi danni. È stato un miracolo che qualche pezzo

non sia precipitato al suolo, con impensabili conseguenze.

Furono perciò sostituiti i ferri che li tenevano

ancorati al campanile, restaurati i numeri

delle ore incisi nella pietra, le lancette di rame del

peso di 7 kg (quella dei minuti) e di 5 kg (per le ore),

collegate a due campane più piccole. La parrocchia

di Berlino regalò a quella piranese due nuove

campane per sostituire le danneggiate. Delle campane

precedenti è stata conservata soltanto quella

»precolombiana« risalente al 1477, che segna l’ora

piena. Apparteneva al primo campanile demolito

nel XVII sec.

84


140 NUOVI GRADINI

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UNIONE ITALIANA, FIUME - CAPODISTRIA

2023

Titolo:

RACCONTARE PIRANO

Contributi per far conoscere meglio la nostra città

Responsabile:

Alberto Manzin

Testi:

Daniela Paliaga Janković

Alberto Manzin

Documentazione:

Daniela Paliaga Janković

Alberto Manzin

Progetto grafico:

Duška Đukić

Foto:

Jaka Jeraša

Zorko Bajc

Peter Litavsky

Alberto Manzin

Daniela Paliaga Janković

Joey Palakovich

Giulio Ruzzier

Igor Štibilj

Facebook

Disegni:

Guido La Pasquala

Giulio de Franceschi

In copertina:

DETTAGLIO DEL CORO DEL DUOMO

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