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Raccontare
Pirano
DANIELA PALIAGA JANKOVIĆ
ALBERTO MANZIN
UNIONE ITALIANA 2023
Gentili lettori, visitatori, amici di Pirano,
a vostra disposizione ci sono 22 schede illustrative,
corredate da fotografie storiche e moderne
di monumenti, piazze e panorami, per conoscere
meglio la nostra bellissima cittadina.
Abbiamo iniziato presentando in sequenza temporale
avvenimenti e date importanti, mutamenti
locali e internazionali che hanno condizionato
la storia, la crescita e l’affermazione della città in
senso economico, sociale e culturale. Le molteplici
e ricche attività economiche del periodo veneziano,
austriaco e italiano, sono state soppiantate
nel secondo dopoguerra da un’unica attività preponderante:
il turismo. Ma dopo il boom degli anni
Sessanta, Settanta e Ottanta, il turismo di massa
si è velocemente esaurito. È necessario perciò
trovare un’alternativa che salvi e sviluppi le tante
attività che fiancheggiano e implementano la nuova
offerta, a favore di un turismo di nicchia, di un
turismo culturale, verde e sostenibile. Ciò comporta,
nello specifico, anche raccontare la nostra
storia in modo più interessante per il turista e per
la formazione di personale locale competente, per
una migliore offerta, ma anche per una migliore
gestione del territorio.
2
Potevamo scrivere un libretto ricco di riferimenti
storici, con descrizioni minuziose e spiegazioni
dettagliate a pie’ pagina. Ma avremmo respinto i
lettori ed allontanato i visitatori, invece di attirarli.
Abbiamo scelto così una forma redazionale diversa,
più snella, interessante e di facile lettura. Abbiamo
incluso dati poco noti, qualche osservazione
un po’ ironica, molte belle foto, particolari curiosi di
ieri e di oggi, per creare un racconto vivace, che sia
di stimolo per una visita entusiasmante.
La descrizione della città e della sua storia è raccontata
in singole schede, che permettono pure la
consultazione ad hoc di un determinato argomento.
Rappresentano un piccolo contributo culturale per
facilitare la divulgazione delle conoscenze sulla città
in cui viviamo, per condividere la sua storia passata
ed il suo presente. Ciò ci permette di apprezzarla e
tutelarla maggiormente, dando voce e ruolo ai nostri
concittadini e facendo vivere al visitatore un’esperienza
veramente significativa ed interessante.
Unica, come lo è la nostra città.
Daniela Paliaga Janković
e Alberto Manzin
3
SCHEDA 1
Le date storiche
importanti
J. W. VALVASOR: MUGGIA, CAPODISTRIA, ISOLA E PIRANO
(grafica, 1689)
• Nelle fondamenta del Duomo sono visibili resti
di epoca preromana non meglio definiti, mentre
scavi archeologici hanno portato alla luce
ceramiche dell’età del bronzo. I ritrovamenti
confermano che Pirano era abitata già nell’antichità.
Molti i resti di epoca romana e tardoromana
trovati nelle zone di Piazza I maggio,
Fornace, Fisine, S. Lucia, Sezza.
• VI-VII-VIII sec. Periodo bizantino: le città dell’Istria
fanno parte dell’Impero romano d’Oriente,
Ravenna è la capitale dell’Esarcato, dei territori
istriani e dalmati.
• VII sec. Cosmographia dell’Anonimo Ravennate:
in un elenco di località istriane Pirano viene nominata
per la prima volta in forma scritta come
Piranòn. Sull’origine del toponimo sono state
formulate varie ipotesi. Secondo alcuni il nome
deriva dal greco Pyr - fuoco, che forse veniva
acceso sul promontorio per segnalare la rotta
ai naviganti, fatto però poco probabile. Il nome
è sicuramente più antico. Probabilmente deriva
dal celtico Pyrn - alto colle e Bior dun - cima di
colle. Successivamente la grafia mutò più volte
(Castrum Piranum, Piranum, Py(r)ranum, Pyrhannum
...).
• VIII sec. Periodo longobardo: capitale Cividale
del Friuli.
• IX sec. Periodo franco: 804, Placito del Risano,
assemblea svoltasi sulle rive del fiume Risano
per esporre lamentele e richieste. I rappresen-
4
tanti delle città e i vescovi istriani incontrano i
missi dominici, ambasciatori di Carlo Magno,
imperatore del Sacro Romano Impero.
• XIII sec. Dominio dei Patriarchi di Aquileia, investitura
da parte dell’Imperatore del Sacro
Romano impero germanico. A Pirano il loro rappresentante
era il gastaldo, con compiti pure di
capo militare e di amministratore della giustizia.
• 26 gennaio 1283, dedizione a Venezia: inizia il
periodo veneziano che durerà fino alla caduta
della Repubblica nel 1797.
• 1797, Napoleone cede all’Austria i territori veneziani
dell’Istria.
• 1806–1813, periodo francese: Regno d’Italia, Provincie
illiriche.
• 1815, Congresso di Vienna: Restaurazione, cioè
ritornano le monarchie esistenti prima della Rivoluzione
francese e dell’avventura napoleonica.
L’Istria entra nell’Impero austriaco (1814), vi
rimarrà fino al 1918.
LINEA MORGAN
• 1914–1918, I guerra mondiale.
RIVA SUD PRIMA DEL 1933
• 1918–1919, si dissolve l’Impero austro-ungarico.
L’Istria entra a far parte del Regno d’Italia (sotto
Casa Savoia). Nel 1921 il Comune di Pirano viene
registrato nel sistema amministrativo italiano.
• 1° dicembre 1918, a ridosso del confine italiano
nasce il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, poi
Regno di Jugoslavia.
• 1922, in Italia va al potere il Partito nazionale fascista.
Durerà fino al 25 luglio 1943.
• 8 settembre 1943, il Regno d’Italia firma l’Armistizio
con i paesi alleati.
• Autunno 1943, occupazione tedesca del Litorale
adriatico - Operationszone Adriatisches Küstenland
(OZAK). Comprendeva l’intera Venezia
Giulia, il Friuli, la provincia di Fiume e la provincia
di Lubiana.
• 30 aprile 1945, dimissioni dell’ultimo podestà
di Pirano. Il Comitato di liberazione nazionale
(CLN) prende in gestione il Comune. La fuga dei
fascisti, dei nazisti e dei loro collaboratori era
già avvenuta.
• 1° maggio 1945, Pirano imbandierata festeggia
la liberazione. Tante le bandiere rosse, arrivano
anche operai da Isola guidati da Gualtiero
5
netto fra Italia e Jugoslavia, formalmente mai
costituito. La nuova Zona A comprende solo la
provincia di Trieste, la Zona B solo i distretti di
Capodistria e Buie.
LA RIVA SUD (RIVA NOVA) DOPO IL 1950
Degrassi (Darco), ferito il giorno prima in uno
scontro con le truppe tedesche in ritiro verso
la Germania. Sventola anche la storica bandiera
rossa tenuta nascosta dal 1921 a Sicciole in una
damigiana. Il maestro socialista Antonio Sema
tiene il suo primo discorso dopo oltre vent’anni
di persecuzioni.
• Maggio 1945, si insedia a Portorose il comando
dell’Armata popolare jugoslava.
• 1945–1947, divisione della Venezia Giulia in
Zona A, con amministrazione militare anglo-americana
(Gorizia, Monfalcone, Trieste e Pola),
e Zona B, il resto dell’Istria, sotto amministrazione
militare jugoslava. Le zone sono divise da
una linea di demarcazione, detta linea Morgan.
• 6 febbraio 1946, dimissioni del Comitato di Liberazione
Nazionale (formato dai rappresentanti
dei partiti antifascisti italiani di Pirano),
presa del potere da parte del Partito Comunista
Sloveno. Si chiamerà Potere popolare. Viene
fondato il Comitato popolare cittadino (CPC).
• 10 febbraio 1947, firmato il Trattato di pace di
Parigi tra i vincitori della seconda guerra mondiale
(potenze alleate ed associate) e gli sconfitti,
alleati della Germania. Viene previsto il
Territorio Libero di Trieste (TLT), stato cusci-
• 5 ottobre 1954, naufraga il TLT. Regno Unito,
Stati Uniti, Repubblica d’Italia e Repubblica
Federativa Popolare di Jugoslavia firmano a
Londra il Memorandum d’Intesa (Memorandum
of Understanding of London) concernente il regime
di amministrazione provvisoria del Territorio
Libero di Trieste. Sancì il passaggio della
Zona A all’amministrazione italiana e della Zona
B a quella jugoslava. L’esodo della popolazione
locale, iniziato intorno al 1950, diventa massiccio.
Ad andarsene sono per la maggior parte italiani,
ma anche croati e sloveni. Si svuotano le
città costiere ed i villaggi dell’entroterra.
• 1955, massiccia immigrazione dalla Slovenia
interna e da altre regioni jugoslave. Propaganda
jugoslava per reperire operai, maestranze
di ogni genere: fabbriche, cantieri, miniere,
scuole, ecc. I primi nuovi arrivati ricevono un
mazzo di chiavi con gli indirizzi e il numero di
casa: scelgono dove abitare. Pirano, svuotata
della sua popolazione autoctona, accoglie i
nuovi abitanti.
• 1975, Trattato di Osimo: la linea di demarcazione
diventa confine di Stato fra Italia e Jugoslavia.
• 23 dicembre 1990, Plebiscito: la Slovenia esce
dalla Repubblica socialista federativa di Jugoslavia
e sceglie l’indipendenza.
• 25 giugno 1991, proclamazione dell’indipendenza
della Slovenia, repubblica democratica pluripartitica.
• 1° maggio 2004, la Slovenia entra nell’UE.
• 1° gennaio 2007, la nuova moneta è l’euro.
• 1° gennaio 2023, la Croazia introduce l’euro,
entra nell’area Schengen e cade anche l’ultima
frontiera in Istria.
6
SCHEDA 2
Le mura
LA CORONA
Pirano, a differenza di Isola e Capodistria,
conserva ancora notevoli testimonianze
della sua cinta muraria. Sono ben visibili
sulla collina sopra la città storica e qua e là
fra le case. In quale momento della loro storia furono
costruite? Quando assunsero l’aspetto odierno e
perché rispetto alle altre cittadine consorelle qui si
sono conservate? Sono le domande alle quali cercheremo
di rispondere con l’aiuto dei risultati degli
scavi e degli studi. Il resto lo affidiamo alla fantasia
dei visitatori e di chi legge.
Pirano era cinta da una difesa muraria almeno
dall’epoca bizantina, ma dagli scavi archeologici effettuati
possiamo presumere che la cittadina fosse
ben difesa già molto prima. Le mura furono consolidate
ed ampliate nell’Alto Medioevo. Era dunque
“castrum” o “castello”, termine con il quale si indicavano
le città minori fortificate, che avevano un loro
territorio detto agro. Riguardo l’amministrazione
ecclesiastica avevano soltanto un pievano, che
oggi risponde al ruolo del parroco. Sull’altura sopra
il piccolo nucleo storico signoreggiava la fortezza
detta di San Zorzi, definitivamente abbattuta nel
XVII sec.
Il panorama della città con a nord-est la corona di
mura ornata da merli a coda di rondine, è la sua più
nota e pittoresca cartolina. È quanto rimane dei 2
chilometri e mezzo della loro massima espansione
avvenuta nel XVI secolo. Ma bastano per fare di Pirano
un unicum in tutta la regione. La vista sulla città
e sul mare dall’alto dei loro spalti è affascinante.
Nonostante la brevità del tratto, paiono la colonna
vertebrale di un grosso animale che scende la collina
per scomparire nel tessuto urbano.
7
LE MURA SULLA COLLINA
Le mura, con le sue torri, ancor oggi vigilano sui
nostri sogni, sulla nostra vita. Mute assistono allo
scorrere del tempo. Conosciamole da vicino.
Alla fine del XIX sec. Giulio de Franceschi per la
pubblicazione dei due volumi di G. Caprin (L’Istria
nobilissima, 1905–1907), ha tracciato il loro più
probabile percorso partendo indubbiamente dai
celebri panorami immortalati nei quadri di Vittore
Carpaccio, di Domenico Tintoretto e di Angelo de
Coster. Il suo disegno della cinta muraria e dei vari
rioni della città è oramai un’ipotesi generalmente
acquisita. Scavi archeologici eseguiti negli ultimi
anni Ottanta in Piazza I maggio, hanno portato alla
luce resti di mura di origine romana. Era qui il primo
nucleo dell’antico insediamento? La risposta è
molto probabilmente affermativa. E come cresceva
la sua popolazione, nuove mura si spinsero verso
est e verso ovest. Le precedenti vennero spesso
cavalcate o inglobate nelle case, o servirono come
materiale da costruzione dei nuovi edifici.
Come sottolineato da Flavio Bonin nell’opuscoletto
di Sonja Ana Hoyer Pirano e le sue mura (1998), sin
dal Duecento l’amministrazione comunale costruì,
curò, protesse ed ampliò le sue strutture difensive.
Se ne occupavano il podestà, il Maggior e il Minor
Consiglio e, quotidianamente, pure i capi contrada.
Vi era impegnata tutta l’amministrazione pubblica
fino ai custodi delle chiavi delle porte urbane. L’attenzione
era alta per paura di attacchi nemici ed
epidemie, quando nessuno aveva accesso alla città
senza salvacondotto sanitario. Per cui nei secoli si
radicò nella coscienza dei Piranesi che vivere den-
8
PIANTA DI G. DE FRANCESCHI
DA VIA TRUBAR VERSO IL DUOMO, ANTICHE MURA
tro le mura fosse garanzia di salute e di sicurezza,
dettata dagli Statuti comunali.
In base ai resti visibili possiamo affermare che esistevano
sicuramente almeno tre cerchie di mura
urbane, costruite seguendo l’espansione della città
verso sud-est.
Se da Porta Campo il visitatore prende il primo
viottolo di destra di Via Trubar, gli appare un brandello
della prima cinta muraria. I merli sono piatti
(guelfi) e alcuni oramai coperti dalle edere. Il muro
era più alto, oggi parzialmente interrato. Consigliamo
ai più curiosi di cercare questa piccola testimonianza.
In cima alle scale, presso il Duomo,
saranno ripagati dal bellissimo panorama della città
e di tutta la rada.
La seconda cinta muraria risale alla seconda metà
del XV secolo. Fu un periodo di turbolenze e insicurezze
dovute alla minaccia turca nel Mediterraneo
e nel Friuli. Le mura abbracciarono tutta la penisola
dalla parte del mare (a sud e a nord) e furono
poste due torri all’imboccatura del mandracchio.
Al n. 1 di Riva Cankar si può vedere l’interno di una
delle due torri a guardia del porto. È praticamente
intatta. Al terzo piano ci sono le feritoie dalle quali
si controllava la riva del mare.
Troviamo altri resti in Via delle Mura: 24 metri in prosieguo
di Porta Misana con case molto più moderne
costruite sopra i percorsi di ronda e una quindicina
di metri dopo Porta Dolfin. Su questa lo stemma del
podestà Luca Dolfin con la data del 1483, quando le
mura furono ristrutturate ed alzate.
9
La seconda risalita turca dei Balcani spinse la Serenissima
a finanziare nuove mura e a consolidare
quelle precedenti. Riconosciamo in questi interventi
la terza cinta muraria, conclusasi nel 1533-34.
Il podestà Priuli fece costruire in stile rinascimentale
Porta Marciana, l’ultima delle otto porte di città
ancora visibili.
Altri resti meno appariscenti sono sparsi un po’
ovunque in città. Sono ormai parte di edifici e in
qualche caso anche bene in vista all’interno di abitazioni
e di alberghi. Sulla riva sud all’interno di caffè
e di ristoranti fanno capolino nelle sale da pranzo
nascosti da credenze in stile e quadrerie varie.
Sono considerate troppo grezze con i loro grossi
conci di ottima pietra arenaria di colore grigio scuro,
troppo “brutte” per essere lasciate libere di raccontare
la loro storia.
FERITOIE DELLA TORRE DEL PORTO
CAMMINAMENTI SULLE MURA DI S. NICOLÒ
10
V. CARPACCIO: DETTAGLIO DALLA TELA MADONNA E SANTI (1518)
Sul finire del XIX sec. la Rappresentanza comunale
emanò una delibera con la quale si proibiva il prelievo
del materiale dalle mura sopravvissute. Fra il
1963 e il 1970 si fecero importanti interventi di recupero
statico e di restauro. Furono sanati i torrioni
sulla collina, i camminamenti, poste nuove travature
e parapetti metallici. Si è continuato nel 2002.
Nel 2004 è stato salvato dal crollo il primo torrione
sulla falesia esposta ad erosione. Ora una struttura
in cemento armato lo tiene ancorato al resto della
muraglia. Dopo aver ripulito i prati e le terrazze ai
loro piedi, un abile gioco notturno di luci crea uno
spettacolo veramente unico e avvincente.
LE MURA PRESSO PORTA DOLFIN
11
SCHEDA 3
I rioni
VISTA AEREA DELLA CITTÀ
Pirano sin dai tempi antichi era divisa in rioni.
Se a Venezia si chiamarono sestieri (perché
la città era divisa amministrativamente in sei
parti) in epoca veneziana la nostra città era
divisa in contrade (13). Due di queste, forse le più antiche,
erano dette sestiere: Sestiere di Piazza Vecchia
e Sestiere della Salute. Con lo sviluppo della città
le varie contrade si fusero e ne nacquero di nuove.
Per avere un’idea, ecco quanto trovato nei documenti
dell’Archivio piranese dallo storico Almerigo
Apollonio, e riportato nel saggio Una cittadina
istriana nell’età napoleonica: Pirano 1805-1813. Sono
indicati pure i numeri civici compresi nelle singole
contrade.
Sestiere Madonna della Salute da 1 a 95
Contrada di Sant’Andrea da 96 a 205
Contrada di San Stefano da 206 a 265
Contrada di San Giacomo da 266 a 355
Contrada della Carrara da 356 a 425
Contrada del Soler de Piazza (o di S. Pietro) da 426
a 500
Contrada di San Rocco da 501 a 560
Contrada di Santa Margherita (più tardi detta Borgo)
da 561 a 631
Contrada degli Squeri e del Torchio (Marciana) da
632 a 665
Contrada dei Forni di Riva da 666 a 720
Contrada di San Nicolò (piazzetta dei pescatori) da
721 a 759
Contrada dei Torci (Piazza delle Erbe verso Porta
Dolfin) da 760 a 810
Sestier di Piazza Vecchia (Portadomo) da 811 a 862.
Sarà sufficiente per noi sapere quali erano i rioni
secondo G. Caprin agli inizi del XX sec., partendo
dalla Punta e fino all’entrata in città:
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1. Rione di Porta Mugla
2. Rione di Porta Domo
3. Rione di Porta Misana
4. Rione di Porta Campo
5. Rione di Porta Marciana
6. Rione di Borgo
I nomi dei rioni andarono perduti in seguito al radicale
cambiamento della popolazione degli anni
Cinquanta. Gli attuali residenti hanno fuso Porta
Mugla, Portadomo e Porta Misana nell’unico nome
di Punta. Marciana e Borgo sono detti semplicemente
Marciana.
Ogni quartiere aveva una o più chiese, in genere una
era quella considerata del “patrono” del quartiere.
Per esempio Porta Mugla e Portadomo avevano la
Chiesa della Salute. Faceva parte di Porta Misana
la Chiesa di Santo Stefano, Porta Campo aveva S.
Pietro, Marciana e Borgo avevano S. Rocco. L’amministrazione
comunale prevedeva che ogni rione
avesse pure un capo contrada con il compito di
raccogliere tutte le problematiche riguardanti la
sua zona: strade, case, danni e riparazioni, pericolo
di incendio, igiene, animali che vivevano in città.
In breve tutte le necessità della contrada e dei suoi
abitanti, e in casi urgenti le segnalava direttamente
al podestà. Naturalmente vigilava anche sulle
porte urbane, teneva le chiavi e controllava notte
tempo affinché nessuno entrasse o uscisse di
soppiatto. La nomina del capo contrada e dei suoi
aiutanti durava, in epoca veneziana, tutta la vita.
Possiamo concludere che l’amministrazione comunale
funzionava, eccome. Questi erano i bei
tempi passati!
PIANTA DI G. DE FRANCESCHI: I RIONI
13
SCHEDA 4
Le porte
urbane
Nel 1502 il podestà Andrea Valier scriveva
al doge che Pirano non si poteva difendere
poiché nelle mura c’erano ben
37 porte fra “maistre e bastarde”. “Maistre”
erano quelle legittime, bastarde erano quelle
che la popolazione nei vari quartieri apriva verso la
riva del mare, sulla spiaggia, per accorciare il percorso.
Di dieci porte maestre (legali) sette sono
quelle ancora visibili e discretamente conservate.
Andiamo ad elencarle tutte partendo dalle mura
sulla collina di S. Nicolò come indicato da G. Caprin
nel I volume de L’Istria nobilissima:
1. Porta S. Nicolò, fine Via IX Corpo d’Armata
(distrutta)
2. Le due Porte di Raspo, prima e seconda (dette
queste anche Porte di Terra), Via Rozman
3. Porta Marciana, fine Via Libertà
4. Porta San Giorgio, Riva Kidrič
5. Porta Misana, Via dei partigiani
6. Porta Dolfin, Via Vidali
7. Porta Mugla, Riva Prešeren (porta bastarda)
8. Pusterla, Riva Prešeren (distrutta)
9. Porta Campo, Via Trubar.
Porta San Nicolò (distrutta)
TORRE E MURA DI S. NICOLÒ, DISEGNO DI GUIDO LA PASQUALA
Attraverso questa porta si imboccava la via di terra
che collegava il centro economico della città (il
mandracchio interno) con il territorio fuori le mura.
Tagliava in discesa la collina a settentrione per raggiungere
le colline di Strugnano. A sud scendeva
verso quelle di Santa Lucia. Dentro le mura, presso
la porta, c’era la chiesetta di San Nicolò. Sul fronte
esterno dell’imponente torre omonima vediamo tre
stemmi in pietra bianca: il primo con un bel bassorilievo
in cornice dentellata rappresenta San Giorgio
che uccide il drago, il secondo un leone marciano e
il terzo è lo stemma della famiglia Bembo.
Una certa memoria vorrebbe attribuire la distruzione
della porta alla visita dell’imperatore d’Austria
Ferdinando I che, con la moglie, il 13 settembre
1844 venne a Pirano per inaugurare la costruzione
della Pia Casa di Ricovero. Secondo la memoria allargarono
il passaggio per far spazio alle carrozze
al seguito dell’Imperatore. In realtà come descritto
in un opuscolo pubblicato a Trieste per ricordare
la visita, i reali attraversarono l’odierna Slovenia in
14
carrozza ma, dopo Trieste, tutto il viaggio si svolse
per mare.
Della porta si è conservato il toponimo rastello,
dal nome della pesante grata in ferro, che veniva
abbassata per evitare lo sfondamento. Con questa
voce oggi si indica la zona limitrofa, con case e villette
circondate da giardini.
Le due porte di Raspo
Sono dette anche porte di Terra.
Presso la seconda Porta di Raspo, all’interno delle
mura, sono stati trovati dei resti attribuiti alla
chiesetta dei santi medici Ermagora e Fortunato.
Appena fuori le mura anche 17 tombe non meglio
identificate e molte ossa. Forse i resti del cimitero
ebraico che per legge era extra muros.
La prima Porta di Raspo si trova più in basso, vicino
al centro storico. Fu costruita intorno alla
metà del XV sec., con l’espansione della città oltre
il mandracchio. Per tradizione questa fase viene
identificata con la costruzione della seconda cinta
muraria.
PRIMA PORTA DI RASPO
FOTO STORICA DELLA SECONDA PORTA DI RASPO
Ambedue le porte sono gotiche. Portano il nome
del Capitano di Raspo, che per più secoli rappresentò
l’autorità militare dei territori veneziani in
Istria. Arrivava a Pirano dal centro dell’Istria, accompagnato
dal suo seguito a cavallo, passando
proprio sotto queste due porte.
Il capitano di Raspo (dal nome del castello dove
risiedeva) controllava le strutture difensive e l’amministrazione
podestarile. A lui competeva pure la
“cernide” (scelta) dei giovani soldati, marinai e rematori,
per le guerre nelle quali la Repubblica era
coinvolta. I Piranesi parteciparono con coraggio e
impegno alle guerre della Dominante, distinguendosi
per capacità e dedizione, tanto che in più occasioni
furono lodati e premiati dalle autorità veneziane.
15
Porta Marciana
Via Libertà finisce con la monumentale porta rinascimentale
che si apre sulla piazzetta di San Rocco.
È in pietra calcarea con arco a pieno sesto. Il
leone marciano al centro è affiancato da due stemmi,
quello della città e quello del podestà Federico
Prìuli, in carica nel 1533-34. Le iscrizioni sono state
scalpellate probabilmente in epoca francese (1806-
1813), dai giacobini piranesi. Sopra il volto c’era
un’altra chiesetta dedicata a S. Ermagora.
A sinistra di Porta Marciana, guardando dalla piazza,
e lungo tutta la parete posteriore del vicino edificio,
si vede ancora il muro della torre di guardia
con merli a coda di rondine, che vigilava sull’entrata
in città. L’edificio fu costruito nel XX sec. addossandolo
alle antiche mura, dove in precedenza
c’erano dei grandi frantoi per le olive, di proprietà
della famiglia Gabrielli.
PORTA MARCIANA
PORTA S.GIORGIO
Porta S. Giorgio
Oggi vediamo inserito sul lato sud del porticato del
Tribunale il suo monumentale arco con la ricca trabeazione,
una grande epigrafe in latino e stemmi.
Avendo perduto la sua funzione, pochi sanno che
nel XVII secolo, era la più bella e splendida porta
che immetteva in città. Fu inaugurata il 5 giugno
1660 dal pretore veneziano Andrea Balbi, coadiuvato
dai nobili piranesi Petronio Caldana cavaliere,
Giovanni Petronio e Domenico Petronio. La precedente
molto più antica, era piccola e inserita nella
torre che, insieme a quella dirimpetto, a destra, vigilava
sull’imboccatura del mandracchio.
16
Porta Misana
Misana in piranese significa “di mezzo”. Il suo aspetto
odierno si deve ai numerosi rifacimenti avvenuti
nei secoli. È una bella e grande porta quadrata con
arco ribassato. Era difesa da una torre, oggi non più
visibile. Le mura arrivavano fino a Porta San Giorgio.
Sulla sua destra invece, sono visibili e ben conservati
circa altri 24 metri che terminano, dopo due
soleri (sottoportici), in Porta Dolfin. La muraglia è
ben visibile da Piazza delle erbe, mentre all’esterno,
nuove case crebbero in altezza e la cavalcarono,
appropriandosi dei percorsi di ronda. Le mura erano
merlate e avevano feritoie (visibili dopo Porta
Dolfin). Scavati nello spessore del muro, i ripostigli
per le munizioni dei cannoni oggi si trovano troppo
in basso. Ciò fa pensare che la pavimentazione della
strada fosse più bassa di almeno un metro o due.
La targa in bronzo a fianco della porta, testimonia
l’8° incontro delle città murate tenutosi a Pirano nel
1998.
Porta Dolfin
Delle quattro porte gotiche questa è la più bella. È
del 1483 quando il podestà Luca Dolfin fece rafforzare
e consolidare le mura meridionali. Ha conservato
il suo aspetto originale. Sopra l’arco acuto è incastonato
lo stemma con tre delfini, le sue iniziali e
la data. È questa sicuramente la più celebre, la più
fotografata e ritratta delle porte.
Porta Campo
È la porta gotica più antica. Si trova dietro la sede
delle Gallerie costiere, dove inizia Via Trubar. Proprio
l’ampliamento di questo edificio le ha portato
via il lato sinistro. All’interno della Porta, sono ben
visibili le pietre forate (piere buse) che sostenevano
i cardini in ferro. Un lungo corridoio con volta
a botte immetteva nella città. Sopra la Porta c’era
la chiesetta di San Giacomo, cappella riservata ai
membri del Maggior Consiglio che qui si raccoglievano
in preghiera prima di decisioni importanti.
PORTA MISANA PORTA DOLFIN PORTA CAMPO
17
Porta Mugla
Forse è una delle 27 porte bastarde nominate dal
podestà Valier. Si trova fra i resti di una torre e la
muraglia che prosegue all’interno della casa di bel
colore rosa. Era la sede e l’abitazione del gastaldo, il
rappresentante dei Patriarchi aquileiesi. Per tradizione
detta Porta di Muggia poiché il vicolo collega
la riva sud con quella nord, in direzione di Muggia. È
più probabile che il suo nome derivi dalla voce tardo
latina “mugla” che significa pozzanghera, acqua
che non si è prosciugata sulla battigia. Il mare arrivava
fin sotto le case ancora negli anni Trenta del
XX sec., prima che venissero costruite le rive.
Un’altra “porta” simile è visibile nella trasversale (Via
Lenin) che congiunge Via Župančič a Via Libertà. I
suoi contorni irregolari ci spiegano come le grosse
pietre venivano tolte una ad una, per ritornare al
loro posto in caso di pericolo.
PORTA MUGLA
Pusterla (non visibile)
Il nome deriva dalla voce tardo latina “pusterla,
posterula” e significa posteriore. La “pusterla” che
ogni città medievale dell’Istria aveva, era un’angusta
porta nelle fortificazioni. Usata dalle guardie di
ronda o come uscita di emergenza. Due le “pusterle”
documentate da G. Caprin: questa, distrutta da
interventi abusivi fatti da privati, e la seconda, nelle
mura di San Nicolò, distrutta nel XIX sec.
PUSTERLA
18
SCHEDA 5
IL COMPLESSO DELLA SALUTE
Porta Mugla
Comprende la zona di Punta che termina
sulla cima della penisola dove c’è l’unico
bastione rotondo delle mura urbane (perciò
detto pure rondella). Il bastione è terrapienato,
cioè riempito da pietre di diversa grossezza
e risale al 1510. Probabilmente in un primo periodo
era isolato sul promontorio a fare da sentinella. Le
strette scale di accesso a settentrione furono costruite
in epoca austriaca quando, usato dai gendarmi,
vennero collocati sul bastione due cannoni.
Il rione aveva il suo santo. Prima del bastione, isolata
sugli scogli sin dal 1274, c’era la piccola chiesa
di S. Clemente papa, protettore dei marinai. Con
l’aumento della popolazione non bastò più. L’occasione
per costruire un nuovo edificio furono le pestilenze,
che tormentarono tutta la regione. Quella
del 1630 lasciò un segno profondo nella popolazione.
Mentre nelle cittadine vicine i morti furono numerosi,
Pirano, rinchiusa dentro le mura, riuscì a
limitare l’epidemia. Per ringraziare la Vergine della
sua protezione si volle una nuova chiesa più grande,
inglobando la vecchia, oramai degradata. Opera
del proto (maestro muratore) Zuanne Dongetti fu
inaugurata nel 1776 e dedicata pure alla Madonna
della Salute. Tutti i giovani del rione vi si sposavano.
Aveva tre altari, bassorilievi e stucchi.
Nella foto vi presentiamo la rondella con l’imponente
chiesa della Madonna della Salute e il campanile neogotico
del 1855, un complesso architettonico molto
conosciuto e fotografato a livello non solo nazionale.
Il quartiere finiva circa in Via Vega (ex calle Andrea
Dandolo). Il nome del rione deriva da Porta Mugla,
19
LA CASA DEL GASTALDO
GLI STEMMI
ANTICHE CASE ADDOSSATE ALLE MURA
che si trova presso l’ultima grande casa color rosa di
Riva Prešeren, nella quale gli esperti hanno individuato
la Casa del gastaldo. Sull’architrave del vicino
portale laterale vediamo le copie degli stemmi delle
antiche famiglie piranesi insieme a quello crociato
della città. L’architrave originale purtroppo andò distrutto
durante un restauro assai poco attento.
Negli anni Trenta del XX sec. fu costruita la riva
nova (oggi Riva Prešeren) allontanando così il mare
che arrivava fino alle case. Prima la costa era di
ciottoli, sabbia e fango, selvaggia. Quando la marea
era particolarmente bassa rimanevano sulla
battigia, macchie - macule in latino - pozzanghere
che nelle cunette più profonde, evaporata l’acqua,
lasciava croste di sale. Da macula a mugla il passo
è breve. Altri invece fanno derivare il nome mugla
da Muggia (in latino anche Burgus Mugla, Castrum
20
Mugla), cittadina istriana oggi in Italia. Pure in sloveno
la Porta è detta Miljska vrata, Porta di Muggia.
Vero è che tradurre Porta Macchia sarebbe ridicolo.
Nel rione, in Via Galileo Galilei (ex calle Rapicio) si
può vedere conservato benissimo un contrafforte.
Fu per decenni considerato parte delle antiche
mura. In verità si tratta di una costruzione abbastanza
recente, risalente ai primi anni 60. Due case
adiacenti versavano in condizioni pietose. Si decise
perciò di abbatterne una e con lo stesso materiale
consolidare la seconda. Infatti ancora oggi manca il
civico n. 4. Possiamo concludere scherzosamente
che, il contrafforte è si recente, ma costruito con
pietre medievali.
Le case più ricche, risalenti in genere al periodo
barocco, avevano la cisterna per raccogliere l’acqua
piovana e, in bella pietra bianca istriana stipiti,
architravi, davanzali e mensole. Da osservare le
mensole a zampa di leone sulle quali poggiano i davanzali.
Il rione era fittamente popolato e le case sono alte
e strette, con numerose terrazze sui tetti (altane)
aggiunte recentemente a scopo turistico. Altra dimostrazione
della fitta tessitura urbana sono i volti
che abbracciano due o tre strade di direzioni diverse.
Si costruivano per guadagnare spazio, quando
la popolazione aumentava. I volti, a Pirano, si dicono
soleri. Ogni volto aveva il suo lumino con un
santo. I lumini ad olio rendevano meno bui questi
passaggi, prima dell’illuminazione pubblica, introdotta
molto più tardi.
CONTRAFFORTE
TRIBIO CON SOLER
MENSOLE A ZAMPA DI LEONE
21
SCHEDA 6
Rione di
Portadomo
Si estendeva dall’odierna Via Jurij Vega (ex
calle Andrea Dandolo) e arrivava fino a Piazza
I maggio. Comprendeva circa 150 numeri
civici. Porta Mugla ne aveva circa un centinaio.
Le sue chiese erano quella di Sant’Andrea e
quella di San Donato, oggi galleria d’arte. Era questo
il primo nucleo abitato dell’antica Pirano.
La decisione di dedicarsi a Venezia fu deliberata
il 14 gennaio 1283 nella piccola Chiesa di Sant’Andrea.
La richiesta dei piranesi di entrare a far
parte dei suoi territori fu accolta il 22 gennaio dal
Maggior Consiglio veneziano e dal doge Giovanni
22
FOTO STORICA DI PIAZZA PORTADOMO
SITO DELL'EX-CHIESA DI S. ANDREA
Dandolo. Alcuni giorni dopo, il 26 gennaio 1283, fu
redatto l’atto di dedizione, piccola pergamena custodita
nell’Archivio storico piranese. In essa sono
descritti i diritti ed i doveri del podestà veneto e gli
obblighi della città nei suoi confronti. Grazie a questo
“atto diplomatico”, Pirano godette di parecchi
privilegi e fu considerata sempre città fedelissima
della Dominante. Superfluo sottolineare la celerità
delle amministrazioni comunali dell’epoca.
EX-CHIESA DI S. DONATO
In piazza I maggio c’è la chiesa di S. Donato, costruita
nel Trecento dalla famiglia Dal Senno. Pare
fosse la chiesa dei fuoriusciti aretini (Arezzo, città
della Toscana, nel 1300 ricco comune) approdati
a Pirano per sfuggire alle lotte intestine della loro
città e dedicarsi ai propri commerci. S. Donato era
il loro protettore e patrono. Nel XVII secolo è stata
rimaneggiata in stile barocco. Infine nel 1989/91 fu
trasformata in galleria d’arte su progetto dell’arch.
Boris Podrecca.
FOTO STORICA DEL GHETTO
23
SCULTURA DI JANEZ LENASSI
Su questa piazza troneggia la grande cisterna del
1776. Fu costruita dopo una grande e ripetuta siccità
con il supporto di Venezia e il contributo del
Comune. Ha fornito acqua potabile fino all’arrivo
dell’acquedotto istriano.
SCULTURA DI MASAIUKI NAGASE
In questo rione, vicino alla piazza, c’è quanto rimane
del ghetto degli ebrei. Restaurato (male) alla
fine degli anni ’80 dello scorso secolo, poiché non
rende l’aspetto originale che si vede nelle vecchie
fotografie. Si presenta come un isolato con tre porte
d’accesso che immettono su tre cortili collegati
fra loro. Il nucleo abitativo è antico.
Nel cortile centrale vi era probabilmente una cisterna.
La scultura di Janez Lenassi inserita nella
pavimentazione la ripropone in modo molto interessante.
24
Nel passaggio da questo cortile a quello attiguo,
andando verso Piazza I maggio, lo scultore giapponese
Masayuki Nagase, ha decorato una parete con
un gioco di sporgenze e rientranze.
Nel terzo cortile vediamo a sinistra una vera da
pozzo di provenienza sconosciuta e al centro parte
di un frantoio per le olive. Si trovava sotto la casa al
n. 11 di Piazza I maggio. È esposto così come apparve
durante gli scavi archeologici del 1988. Dovrebbe
risalire al XII sec.
I primi ebrei sono documentati a Pirano già nel XIII
sec. Con una lettera il doge stabilì che gli ebrei potevano
abitare dietro il palazzo podestarile, circa in
questa zona. Era comunque una piccola comunità
con meno di 20 famiglie. Già nel XVII e XVIII sec.
molti fra questi scelsero di stabilirsi a Trieste, diventata
porto franco.
I pochi rimasti si convertirono al cristianesimo. Si
registrano cognomi ebrei fino alle soglie dell’Ottocento.
ANTICO FRANTOIO
ANTICHE FINESTRE
STELLA DI DAVIDE
25
SCHEDA 7
Rione di
Porta Misana
Comprendeva i numeri civici dalla chiesa di
Santo Stefano a Piazza delle erbe. Il nome
Misana significa che è porta di mezzo
ed infatti è posizionata fra quella di San
Giorgio e Porta Dolfin. Ha un grande arco ribassato
e la sua luce è ampia. Non conosciamo il suo primo
aspetto perché è stata molto rimaneggiata.
Alla sua sinistra c’era una torre, inglobata oramai
dalle case vicine costruite e appoggiate alle mura.
A destra un pezzo di mura lungo 24 metri con alla
base, a cuneo nella muraglia, ripari per le munizioni
dei cannoni. Esternamente le case hanno cavalcato
i percorsi di ronda. Le mura erano alte sicuramente
una decina di metri, se teniamo conto che
nel periodo in cui furono costruite, la pavimentazione
della strada era più bassa di almeno un metro
o due.
26
VISTA VERSO IL MERCATO
RESTI DI ANTICHE MURA
ANTICO ARCO IN VIA TRUBAR
Il quartiere è attraversato da due lunghe vie parallele
che lo percorrono in direzione est ovest. Sono
Via P. Trubar (ex Via San Giacomo) e Via G. Verdi (ex
Via Portadomo). Sono vie strette, fresche in estate,
con case alte anche quattro piani e spesso con intonaci
cadenti e mangiati dall’umidità.
CASE BENVENUTI E DAVANZO
In Via Fran Levstik (ex Via Venezia), una bella casa
in stile neogotico del 1861, secondo l’Istituto per la
tutela dei beni culturali fu Casa Benvenuti. Oggi è
la sede della scuola di musica. Accanto a questa
un’altra casa ben restaurata in stile vagamente neogotico,
forse Casa Davanzo.
Al n. 9 di Via Salvore vediamo una graziosa palazzina
del ‘700 (Casa Bruni-Bonetti), con un mascherone
notevole sull’arco del portone. È il “pandur” (gendarme),
il cui truce aspetto serviva a tener lontani gli
27
CASA BRUNI-BONETTI
spiriti cattivi. Sopra l’elegante balconcino del piano
nobile, nelle chiavi di volta degli archi delle portefinestre,
le teste di Diana con la luna e di Marte con
l’elmo.
Sulla sinistra, sopra il volto che conduce a Porta
Dolfin, un’antica casa con un leone andante e stemma
dei Grimani, iscurito nel tempo. Da come è scolpito
e consumato, pare molto antico. Nel XV sec.
furono parecchi i podestà appartenenti a questa
antica e gloriosa famiglia veneziana. Il primo, Pietro,
nel 1303/5 e poi nel 1309, seguì Nicolò nel 1384 e
nel 1394, ultimo, nel 1401, fu Bernardo Grimani.
Da notare ancora l’originale antica casa gotica del
n. 6 di Via Verdi con la trifora ad ogiva e i ritratti
maschile e femminile in cima agli archi trilobati del
primo piano. Una scala, ricavata facendo rientrare
28
TIPICA VIA PIRANESE
LEONE E BLASONE DEI GRIMANI
la parete, conduce al primo piano. È uno dei pochi
esempi di stile gotico (sei in tutto) arrivato fino a
noi.
TRIFORA IN VIA VERDI
Una sequenza di caratteristici soleri ci riporta indietro
nel tempo in un affascinante gioco di luci
e di ombre. Fra Porta Misana e Porta Mugla se ne
possono contare 37 volti. La descrizione di Stane
Bernik 1 è sintetica e precisa: “un unicum per la tessitura
urbana fitta e compatta che non ha eguali
in Slovenia e che è tipica delle cittadine medievali
istriane”.
1 S. Bernik, Organizem slovenskih obmorskih mest Koper Izola Piran,
MZSV Piran, Mladinska knjiga, Ljubljana, 1968
29
SCHEDA 8
Rione di
Porta Campo
FOTO STORICA DI DOMENICO PETTENER (1875)
Quando nel 1291 la Serenissima inaugurò,
fuori le mura, il nuovo palazzo podestarile,
dette un segnale importante alle diverse
fazioni politiche della cittadina: avrebbe
dominato portando pace e benessere a tutti gli
abitanti. Poco distante, la grande porta gotica delle
antiche mura apriva le enormi ante di legno all’alba
e le richiudeva al tramontar del sole. Sono arrivate
fino a noi le piere buse poste orizzontalmente per
infilarvi i cardini in ferro.
In questo rione, che andò crescendo nei secoli,
c’erano le strutture politico-amministrative ed
economiche più importanti della città: il palazzo
podestarile con a fianco la Loggia, il porto, il Fondaco
dei grani e il Monte di Pietà, dove oggi c’è il
Tribunale.
Fuori le mura, dietro al Fondaco, c’erano il macello
cittadino e gli squeri. Intorno alla chiesetta di S.
Pietro del 1272, alcune famiglie benestanti costru-
30
CHIOSTRO DEL CONVENTO FRANCESCANO
irono le loro case in stile gotico, secondo la nuova
moda. Erano le più belle, non erano ammassate e
godevano di aria e luce.
CONVENTO DI S. FRANCESCO
A mezza collina verso settentrione nel 1301 fu posta
la prima pietra del Convento di S. Francesco. Fu
inaugurato nel 1318. Vicino a questo sorsero altre
chiese e scuole religiose. Il quartiere si spinse verso
oriente con la seconda cerchia di mura. Era il XV secolo.
Ben presto sarebbero state costruite anche le
mura verso il colle di San Nicolò. Ne vediamo un suo
resto presso la Canonica in Via IX Corpo d'Armata.
Nel 1578 venne costruito il ponte levatoio che collegava
le rive opposte all’entrata del porto. Dall’odierna
Piazza Tartini verso nord si dipartono tre vie,
31
CASA VENEZIANA IN VIA DELL’OSPEDALE
MURA PRESSO LA CANONICA
PONTE LEVATOIO (FOTO STORICA DI ALFREDO PETTENER)
che nel passato erano tutte dette carrare perché
abbastanza larghe da permettere il passaggio dei
carri.
∙ La prima, dietro la Casa veneziana, conduce al
Duomo. Era Carrara granda (oggi Via IX Corpo
d’Armata). Fu aperta durante la costruzione del
vecchio palazzo municipale per portare i materiali
necessari. È la più larga delle tre.
∙ La seconda, dopo la chiesa di S. Pietro, era detta
Carrara picia o dell’Ospedale (Via dell’Ospedale).
Nelle vicinanze del Convento francescano fino al
XVIII sec. c’erano veramente un ospedale e un ricovero
per gli anziani abbandonati. A poca distanza,
nel 1854, fu inaugurata la Pia Casa di Ricovero
il cui grande edificio nel XX sec. diventò ospedale.
Completamente ristrutturato, oggi è un Sanatorio
destinato ad attività medico-diagnostiche.
∙ La terza Carrara era quella di Raspo (Via Franc
Rozman). Parte in salita di fianco alla Casa barocca
e arriva fino alle ultime mura. Passa sotto le
due Porte e collega la città con l’entroterra.
Il rione di Porta Campo era ed è tuttora ricco di edifici
sacri, li nominiamo tutti:
32
∙
∙
∙
Presso il Convento di S. Francesco c’è la chiesa
di Santa Caterina, molto antica, per lungo tempo
abbandonata. Recentemente recuperata e
visitabile. All’interno sono state trovate tombe
di notabili piranesi.
La chiesa votiva di Santa Maria della Neve del XV
sec., voluta dalla nobildonna Elgandona de Vanto.
All’interno, sull’arco di trionfo, gli affreschi
con l’Annunciazione, opera attribuita a Nicola di
Antonio da Pirano, che lavorò pure a Venezia.
Sulla Carrara granda la chiesa barocca della Madonna
della Consolazione, che dal XVI sec. ingloba
pure la precedente chiesetta dedicata a
S. Michele del 1433. Il suo aspetto tardo barocco
è il risultato di vari rifacimenti. L’interno custodisce
una ricca cornice intagliata del bellunese
Andrea Brustolon (1662-1732) con uccellini, putti
e angeli in volo intorno al delicato tondo centrale.
Molto belli i lavori ad intarsio dei banchi in
legno tutto intorno al perimetro. Sull’altare un’icona
bizantina del 1345 con Vergine e bambino.
Più volte si erano viste sulla tavola “lagrime pro-
CHIESA DELLA MADONNA DELLA CONSOLAZIONE
CHIESETTA DI S. MARIA DELLA NEVE
CORNICE INTAGLIATA
33
∙
digiosamente versate”. Il processo di verifica ne
consacrò l’autenticità. È considerata miracolosa
a partire dal 1692 e da allora detta della Beatissima
Vergine del Sudore.
Vicino alla chiesa, dal XVII al XIX sec., i padri filippini
vi tennero scuola, frequentata anche dal
giovanissimo Giuseppe Tartini insieme ai suoi
fratelli. L’edificio completamente ristrutturato
è il piccolo museo cittadino Mediadom Pyrhani.
∙ Sulla stessa Porta Campo c’era la chiesetta di S.
Giacomo, un oratorio destinato ai membri del
Consiglio cittadino.
Sei dunque gli edifici sacri in un unico rione. Ma Pirano,
ai tempi di grande devozione, ebbe ben 22 chiese,
delle quali ne sono sopravvissute soltanto otto.
Le maggiori trasformazioni urbanistiche di tutta
la storia della città si sono concentrate in questo
rione e sono avvenute nei due ultimi secoli. Nuovi
palazzi eleganti hanno sostituito quelli medievali.
Per primo il nuovo edificio del Municipio, inaugurato
nel 1879. Dove prima c’erano il Fondaco dei grani
e il Monte di Pietà, nel 1891 fu costruito il Tribunale,
mentre nel 1894 fu interrato il mandracchio che divenne
piazza. Casa Tartini nel XIX sec. fu ingrandita
e alzata di un piano.
La piazza è stata completamente ristrutturata fra il
1993 e il 2008 con qualche mugugno da parte della
cittadinanza, che nel suo aspetto moderno non si
riconosce. Il progetto è dell’architetto Boris Podrecca,
che ha realizzato ben 25 ristrutturazioni di piazze
in 8 stati diversi. Lo. Lo spazio è diviso in grandi riquadri
di pietra serena con l’elisse centrale in pietra
dalmata, come l’occhio del vecchio mandracchio.
Una volta parcheggio e capolinea del tram e dei bus,
oggi è zona pedonale. È il luogo ideale dei caffè,
dell’aperitivo, degli incontri internazionali, dei festival
e delle manifestazioni artistiche.zona pedonale.
PIAZZA TARTINI
34
SCHEDA 9
Piazza Tartini
e i suoi palazzi
35
Uin po' di storia la piazza se la merita. Diventò
tale con l’interramento dell’antico
mandracchio nel 1894. Le autorità sanitarie
avevano chiesto a più riprese la sua
completa ristrutturazione per ragioni igieniche:
nonostante i divieti, spesso vi venivano versati liquami
vari e rifiuti. Protestava soprattutto chi abitava
lungo le sue rive. La paura del colera fece il
resto.
In un primo tempo fu lastricata nella parte esterna,
lungo le facciate degli edifici. La parte centrale
rimase in terra battuta Nel 1896 fu collocata e
inaugurata la statua a G. Tartini. Dal 1909 al 1912 qui
girava la filobus, dal 1912 al 1953 il tram, per intraprendere
la sua corsa verso Santa Lucia. Nel 1935,
in occasione dell’arrivo dell’acqua corrente (Acquedotto
istriano), fu eretta una fontana nota come
Zampillo. La piazza fu in seguito, con l’avvento delle
automobili, parcheggio pubblico.
DETTAGLIO DECORATIVO: LA CHIOCCIOLA
IL PALAZZO DEL COMUNE
36
La piazza che oggi vediamo è il risultato della sua
ristrutturazione avvenuta nella Slovenia indipendente.
Realizzata in due tempi: la prima fase vide
la costruzione dell’elisse, la seconda completò la
sua pavimentazione. I lavori terminarono nel 2008.
Numerosi erano i dettagli in marmo di Verona e in
bronzo che le davano un aspetto ricercato e raffinato.
Purtroppo l’opera di vandali rimasti impuniti,
ha distrutto e rovinato parecchie sculture che sono
state poi tolte dal loro posto. Pochi ancora i pezzi
visibili sul posto.
Il palazzo del Comune
Questo grande e monumentale edificio chiude a
ovest la piazza. Fu costruito su progetto dell’architetto
triestino Giovanni Righetti ed inaugurato nel
1879. Più grande rispetto all’antico palazzo podestarile
del 1291, voluto dalla Serenissima quando fu
podestà Matteo Manolesso. Nell’atrio dell’odierno
municipio un’epigrafe lo ricorda. Al centro della
facciata ci sono quattro belle colonne istoriate
con bassorilievi e il balcone lungo e stretto dal
quale si affacciavano le autorità nelle occasioni
importanti. Da questo balcone furono celebrati
gli anniversari austriaci, l’arrivo delle truppe italiane
dopo la I guerra mondiale, ed il primo maggio
del 1945 fu dichiarata la Liberazione di Pirano ad
opera del CLN cittadino (Comitato di Liberazione
nazionale). Fra le colonne il leone di S. Marco che
già fu sull’antico palazzo podestarile abbattuto nel
1877, mentre le figure allegoriche della Giustizia e
dell’Abbondanza con al centro lo stemma crociato
della città, fanno da corona all’edificio. Nella sala
del Consiglio Comunale è ritornato negli anni ’90
il grande quadro di Domenico Tintoretto (figlio di
Jacopo Robusti detto Tintoretto) con la Madonna
in trono fra i santi Marco e Giorgio e, in primo piano,
i notabili cittadini. È una tela importante perché
vi si può ammirare il panorama della città fra
XVI e XVII sec. Il quadro era stato tolto durante il
periodo jugoslavo in quanto il suo soggetto religioso
era considerato ideologicamente non adatto
per un edificio pubblico.
Il palazzo neoclassico
delle Gallerie costiere
Fu costruito entro i primi due decenni del XIX sec.
sul posto dove sorgeva l’antica loggia comunale con
gli uffici dei cataveri (curavano gli interessi fiscali
della Serenissima) e, secondo Caprin, con la sala
del Maggior consiglio. Fu Casino dei nobili, luogo
di ritrovo ma anche luogo di affari per l’aristocrazia
commerciale e fondiaria. Al pianterreno c’era un
elegante caffè cittadino e fino all’affermazione del
fascismo anche Casino sociale. Nel 1945 diventò
“Casa del popolo”. Dagli anni Sessanta è la sede delle
Gallerie costiere con salone d’esposizione per le
nuove tendenze nazionali e internazionali. Eleganti
lesene scanalate scandiscono il ritmo delle facciate
a due piani con semplici finestre neoclassiche.
Sulla facciata che dà sulla piazza, al primo piano,
un lungo e stretto balcone interrompe la verticalità
SEDE DELLE GALLERIE COSTIERE
37
CASA VENEZIANA
dell’edificio chiuso in alto da timpano ad arco. Due
meridiane, una per facciata, segnano il tempo. Al
suo pianoterra trova da sempre posto il “caffè cittadino”,
incurante dei cambiamenti politici.
Casa veneziana (Lasa pur dir)
La bella Casa veneziana, spesso considerata la Ca’
d’oro di Pirano, si trova nell’angolo di fondo della
piazza principale. Al pianterreno troviamo un portale
con finestra dentro a cornice dentellata. Al
piano nobile una trifora e un balconcino d’angolo
con testine scolpite a tutto tondo. Al secondo piano
due finestre monofore gotiche. Fra loro il blasone
dei del Bello, dove il leone rampante tiene il nastro
con la scritta “Lasa pur dir” che ha dato anche il
nome all’edificio. La scritta “che la gente parli pure”,
ha ispirato nei secoli i Piranesi, che si sono sbizzarriti
nell’inventare storie più o meno verosimili. La
fantasia non è certo mancata. Di fine fattura tutte
le parti in pietra istriana. Ricordiamo che l’edificio
subì una totale ricostruzione nei primi anni del XX
sec. L’interno è stato completamente cambiato.
Un recente restauro degli intonaci ha portato alla
luce forse quello originale. In precedenza era dipinta
di un bel rosso intenso.
38
Casa Tartini
L’altro edificio degno di essere presentato è la
casa natale del celebre violinista e compositore
Giuseppe Tartini (nato a Pirano l’8 aprile 1692 e
morto a Padova il 26 febbraio 1770). Un’epigrafe
sulla facciata principale lo ricorda, mentre una
seconda, su quella di lato, ricorda l’importante restauro
avvenuto avvenuto negli anni Ottanta dello
scorso secolo. Fu uno dei progetti di recupero del
patrimonio storico-culturale previsti dal Trattato
di Osimo (1975).
CASA TARTINI
CHIESA DI S. PIETRO
Casa Tartini era in origine un piccolo edificio gotico
di proprietà della famiglia Pizagrua (noto il giudice
Lorenzo Pizagrua nel 1300). L’edificio fu rimaneggiato
in epoca barocca probabilmente quando
passò in proprietà ai Tartini. Ingrandito nell’Ottocento
dai fratelli Simone e Domenico Vatta, ospita
all’interno un notevole percorso museale per chi
volesse conoscere la vita del musicista e quella
della famiglia.
39
Vi sono esposti un violino appartenuto al compositore,
la maschera mortuaria insieme ad altri suoi
cimeli. Meritano una visita la casa, gli affreschi che
contribuiscono ad una full immersion nella storia
settecentesca fatta di spade, fughe, musica, commerci,
sale, genialità, scienza ed erudizione.
Chiesa di S. Pietro
La chiesa neoclassica di S. Pietro è la più antica fra
quelle piranesi, risale al 1272. Ricostruita nel 1818
dopo un cannoneggiamento da parte delle navi inglesi
per contrastare il dominio francese. La ricostruzione
fu eseguita su progetto dell’arch. ticinese
Pietro Nobile.
CASA BASSI-FABRIS
CASA COLOMBANI-FABRIS
Sul bel portale con colonne scanalate, un bassorilievo
con la consegna delle chiavi a S. Pietro, opera
di Antonio Bosa, scultore veneto, allievo di Antonio
Canova. Le sue sculture ornano anche il Palazzo
della Borsa di Trieste.
Casa Bassi-Fabris (Casa barocca)
La bella “Casa barocca” interrompe la linea del perimetro
disegnato dagli edifici intorno alla piazza.
Di probabile fondazione medievale, l’interessante
edificio barocco con balconcino e ringhiera in ferro
battuto sulla facciata rivolta a ovest, è del XVII sec.
Un elegante frontone, con motivo triangolare e volute,
orna la parte superiore dell’edificio. Osservato
attentamente ci si accorge che potrebbe rappresentare
un personaggio con un cappello in testa
comodamente seduto in poltrona. Capricci tipici
del periodo barocco. L’interno è completamente
ristrutturato.
Casa neogotica Colombani-Fabris
A destra della Casa barocca, un po’ discosta dalla
linea degli edifici, risalta nella sua particolarità
la bella e più moderna “Casa neogotica”, risalente
alla fine del XIX sec. È a tre piani, esprime la sua
eleganza nelle belle finestre incorniciate di pietra
bianca sulla facciata in mattoni, nel tipico contra-
40
sto veneziano di bianco su rosso. Fra le finestre del
primo piano un leone di S. Marco fa bella mostra di
sé. È uno dei pochi esempi di neogotico. La casa
si trova sopra un lungo volto (in Via Libertà) con
porticato aperto verso la piazza. Orazio Colombani
fu medico comunale e fra il 1870 e il 1873 fu anche
buon podestà. Realizzò il prolungamento del molo
vecchio. Morì in povertà nel 1873.
Il tribunale
Merita una descrizoine più dettagliata anche il
grande edificio del Tribunale circondariale, ex Pretura,
costruito nel 1891 quando era podestà l’avvocato
Domenico Fragiacomo. Per la sua edificazione
fu abbattuto il vecchio Fondaco dei grani con il
Monte di Pietà e la vecchia torre con la Porta di San
Giorgio. Quest’ultima è stata recuperata e inserita
nella parte rivolta a sud del grande Portico a sinistra
del Tribunale. Costruito su progetto dell’arch.
triestino Enrico Nordio con la collaborazione del
geometra Giuseppe Moso, è in bello e semplice stile
neorinascimentale. Nello stesso edificio per un
breve periodo nel 1900 operò la Banca di Pirano, poi
fu la sede della Biblioteca civica. I suoi volumi più
preziosi sono oggi conservati nella biblioteca del
Museo del mare.
IL TRIBUNALE
41
SCHEDA 10
Piazza Tartini
e i monumenti
Il monumento a G. Tartini
Da qui si può godere un colpo d’occhio eccezionale:
il monumento al violinista con, in diagonale verso
nord, in alto, l’incombente edificio del Duomo e
parte del campanile. È questo uno dei più riusciti
e fotografati angoli della piazza e forse di tutta la
città.
In uno dei fuochi dell’elisse si erge, su basamento
in pietra d’Aurisina alto ben 6,4 m, la statua a Giuseppe
Tartini (alta 2,4 m), opera di Antonio Dal
Zotto, scultore veneziano. Fu inaugurata il 2 agosto
1896 in presenza di un numerosissimo pubblico
proveniente da tutta la regione e da Trieste. Erano
presenti fra gli altri lo storic Giuseppe Caprin 1 e il
musicista di Dignano (Pola) Antonio Smareglia 2 .
1 Nato a Trieste (1843-1904) è stato uno scrittore italiano,
giornalista e patriota, combatté con Giuseppe Garibaldi.
Ritornato a Trieste continuò a dedicarsi al giornalismo, alla
tipografia e all’editoria. Premiato due volte per la sua opera
di recupero della storia patria, ricordiamo i due volumi de
L’Istria nobilissima, pubblicata postuma (Wikipedia).
2 Antonio Smareglia (Pola, 1854 - Grado, 1929), autore di alcune
opere di notevole successo, la più nota è Nozze istriane.
La musica di Smareglia ha una chiara impronta centro-europea,
considerata dagli italiani troppo austriaca o slava, e
dai popoli mitteleuropei troppo italianeggiante. Di una mu-
42
Parecchi anni prima era stata bandita una sottoscrizione
in tutta l’Istria, a Trieste e in Italia per raccogliere
fondi per il monumento al grande figlio di
Pirano. Era un periodo particolarmente delicato dal
punto di vista politico con l’irredentismo che aveva
molti sostenitori. Da qui la dedica sul basamento:
“A Tartini, l’Istria”. Poche, ma significative parole.
L’artista veneziano ha reso molto realisticamente il
momento in cui il maestro si inchina al suo pubblico
che lo applaude.
Nel 2016, durante un’indagine sullo stato di conservazione
della statua, venne scoperta sul violino la
dedica dello scultore alla moglie Ida Lessiach Naya
Dal Zotto, morta tre anni prima.
I pili portabandiera
Sulla piazza ci sono i due pilastri monolitici detti
“pili” con i pennoni in legno per le bandiere. Sono
alti oltre i 2 metri in pietra d’Istria della cava di
Parenzo. Risalgono al XV sec. Uno è dedicato a
San Giorgio (1463) che uccide il drago. I Piranesi
gli chiedono protezione in cambio delle loro preghiere.
L’altro è dedicato a San Marco (1466) e il
bassorilievo rappresenta il leone alato. L’iscrizione
è la lode e il riconoscimento della potenza della
Dominante: “il leone carpisce e domina tutto
quanto c’è in terra, in mare e in cielo”. Sullo stesso
pilo ci sono le misure di lunghezza usate dal Medioevo
in poi. Il sistema decimale subentrerà ufficialmente
molto più tardi, appena nel tardo ’800.
Le antiche misure sono: la pertica, il brazzo (braccio),
il passo, la mazza e la stroppa. Mentre le prime
quattro sono conosciute, meno lo è la stroppa. Era
la misura della cordicella che ad esempio stringeva
il fascio di rami sottili e secchi per accendere il
sica cioè di confine. Su questi problemi e sull’opera del compositore
la musicologia si è generalmente limitata a pochi
saggi. La lacuna è stata colmata nel 2004 dal musicologo
triestino Paolo Petronio, con “Le opere di Antonio Smareglia”
(Wikipedia). Recentissimo il volume “Antonio Smareglia e il
suo mondo” di Giuliana Stecchina, sulla vita, l’opera e l’ambiente
musicale in cui visse il musicista istriano. (Radio Capodistria
20/1/2023)
43
fuoco nelle case dei Piranesi. Le “fascine” arrivavano
dalle campagne via barca e venivano vendute
sulle rive del mandracchio. Nel 1475 Marin Sanudo
scrisse nel suo diario di viaggio che allora Pirano
faceva 700 fuochi e le case erano tutte di pietra
viva. In città c’erano poco meno di 5000 persone!
Tantissime per l’epoca, più che a Capodistria che
non raggiungeva i 4500 abitanti e a Isola che ne
aveva circa 2000.
I pili stavano davanti all’antico palazzo podestarile.
Furono spostati dopo il 1895 nel posto dove si trovano
ancora oggi, per ricordare l’imboccatura del
mandracchio.
MONUMENTO E DEDICA SUL BORDO DEL VIOLINO
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Prometeo
Il bronzo è dello scultore sloveno Stojan Batič
(Trbovlje, 1925 - Lubiana, 2015). Artista prevalentemente
figurativo, è noto per le sue sculture sul
tema della Lotta popolare di liberazione, esposte
in molti luoghi pubblici del paese. Nel 1957 studiò a
Parigi entrando in contatto con la scultura contemporanea
europea e le sue forme espressive. Ritornato
in patria si è distinto nella produzione di opere
realistiche commissionate dal sistema socialista.
Ha comunque prodotto ritratti notevoli che godono
tuttora del consenso della critica. La sua produzione
più genuina e intima si è espressa meglio nelle
piccole sculture e nei motivi spesso ispirati alla mitologia
greca e slovena. Anche questo Prometeo,
del 1959, rivela il suo pensiero: rappresenta l’inno
alla libertà pur nella sofferenza. Esposto prima a
Portorose, è ora in questo angolo della piazza che
non gli rende giusto onore.
Pegasus
Davanti alle Gallerie costiere un possente torso
bronzeo rappresenta Pegaso, il mitico cavallo alato.
Si erge poderoso sulle zampe posteriori mentre
il torso è ridotto all’essenziale e le ali paiono costole
aperte sul petto. Privo di testa suscita notevole
impressione. È opera dello scultore bosniaco, naturalizzato
sloveno, Jakov Brdar. Artista di fama
internazionale ha opere esposte a Vienna, Graz,
Parigi, Berlino, Motta di Livenza e Roma. Questo
Pegasus fu esposto nel 1991 davanti al Pergamonmuseum
di Berlino.
45
SCHEDA 11
Rione di
Marciana
VICOLO DEL PONTARO
PPartiva all’altezza dell’odierna Via Lenin e
arrivava fino all’ultima cinta muraria con
la bella Porta Marciana fatta costruire dal
podestà Priuli nel 1534. Il rione si espanse
velocemente verso est fin sotto le colline, e verso
sud in direzione del mare. Successivamente e
a più riprese fu risistemata la riva, tutta edificata
con grandi palazzi. Due lunghe vie parallele alla riva
percorrono il rione. Via Marciana, oggi Via Libertà,
indicava la “contrada de drento” e terminava nell’omonima
Porta. Via Caldana, oggi Via Župančič, era
la “contrada de mexo” che finiva in Via Tomšič (ex
Via Mogoròn), e la “riva vecia” - Riva Cankar, era detta
“contrada de fora”.
Il nome Marciana è di origine latina. Secondo Morteani
fu un fondo urbano di proprietà della gente
Marcia, dato come cauzione. Quando arrivarono i
Romani c’era già “una plebe marinara e peschereccia”
che abitava in Figarola, oggi in zona di Via Alma
Vivoda. Anche secondo Kandler questo nome testimonia
la presenza di una colonia di latini, condotti
a “stanziare a Pirano”.
Ma nessuno scritto o ritrovamento archeologico
mai confermò queste tesi, per cui è più probabile
che il nome significhi “di S. Marco”, come si usava
all’epoca, poichè il rione si espanse sotto la dominazione
veneta e si chiudeva proprio con Porta
Marciana.
Le case in Marciana sono alte e strette, quelle trasversali
anche buie. Alcune case più antiche hanno
una fondazione gotica. Nel rione, fra Via Župančič
e Via Libertà, una porta urbana di quelle bastarde,
è così lontana dalla riva che ci dà la misura di come
46
CASA FUREGONI
SCULTURA GOTICA RAPPRESENTANTE S. GIORGIO
PORTALE
l’antico rione serpeggiasse lungo il poco terreno
piatto e stretto seguendo l’andamento della riva
marina. La maggioranza degli edifici nella sua parte
più alta, verso il monte, risale al XVII e XVIII sec.
Qui stradine e scalette laterali si inerpicano verso
le mura, conducono al Pontaro, dove una volta c’erano
orti e oliveti. Oggi resiste qualche giardino. Da
queste stradine si esce in Via Rozman (Carrara di
Raspo) e rappresentano le scorciatoie che permettono
di salire velocemente al colle.
In questo rione due bei palazzi. Quello dei conti Furegoni
si trova al n. 5 di Via Župančič addossato alle
mura che ha fatto proprie. Da notare sulla sua facciata
il bassorilievo gotico con S. Giorgio e il drago,
già sulle mura. Sul terrazzo una vera da pozzo con
la data del 1792.
Merita una speciale menzione Palazzo Zaccaria
Ravasini al n. 87 di Via Libertà, fino a qualche anno
fa erroneamente denominato Palazzo Apollonio. È
il risultato della fusione di due edifici, il più antico
inglobato dal secondo. Un’epigrafe ricorda che nel
1687 l’ha ampliato il medico di origine muggesana
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PALAZZO ZACHARIA-RAVASINI
Floreno Zacharia. In seguito acquistato dall’avvocato
Ravasini, che nel 1817 fece parte di un consiglio
ristretto dell’amministrazione austriaca cittadina.
L’interno si è conservato nonostante nel secondo
dopoguerra sia stato adibito a casa-vacanze per
ipovedenti. Ha una scala in pietra che conduce al
primo piano, sono in legno quelle che conducono
ai piani superiori. Al primo troviamo le due vere da
pozzo della cisterna con l’acqua piovana che sta al
piano terra. Le stanze sono molto grandi, con ampie
finestre e due balconi che si affacciano su Via
Libertà e su Via Župančič. Dimostrano che l’edificio
era isolato: da una parte guardava il monte e a sud
si affacciava sul mare. Nelle sale affreschi in attesa
di essere restaurati e valorizzati.
Le magnifiche case e i palazzi della riva invece risalgono
tutti all’Ottocento. Nel medesimo periodo
fu sistemata la riva, furono prolungati e costruiti i
moli, nel 1892 fu portata fino a Pirano l’acqua delle
sorgenti di Sezza con un piccolo acquedotto locale.
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Per tutti descriviamo la storia curiosa dei due palazzi
più imponenti: il primo Bartole-Fonda del
1847, oggi sede della Scuola elementare italiana
dedicata a Vincenzo e Diego de Castro, il secondo
Bartole-Ventrella del 1848. Furono costruiti con le
entrate della vendita delle sanguisughe, molto usa-
te nelle cure mediche di allora. I Bartole avevano
istituito a Strugnano un allevamento di sanguisughe,
importate dal Medio Oriente. L’affare andò a
gonfie vele. Ancora oggi a Strugnano sopravvive il
toponimo Sanguetera.
PALAZZI BARTOLE IN COPPIA
49
SCHEDA 12
Rione di Borgo
PARACARRO IN GHISA
UUscendo da Porta Marciana ci si trova nel
rione di Borgo, termine oramai caduto in
disuso a vantaggio del primo. È il quartiere
più moderno, gli edifici sono stati
costruiti fra il XVIII e il XIX sec. Quelli sulla riva sono
alti e maestosi. Volevano assomigliare agli edifici
signorili che nel medesimo periodo sorgevano sulle
rive di Trieste. Le vie sono larghe e ariose, hanno i
paracarri in bella pietra bianca, alcuni sono curiosi
e originali.
La chiesa di questo rione è dedicata a S. Rocco.
Fu costruita nel 1578 in stile classicheggiante con
un bel portale timpanato come le finestre laterali.
Sulla parete posteriore ha un campaniletto a torre.
All’interno un bell’altare con tre statue lignee: al
centro la Madonna e ai lati S. Sebastiano e S. Rocco.
Risalgono al XVIII sec. La chiesa fu particolarmente
frequentata dopo la terribile peste del 1630,
che seminò morte in tutta l’Istria.
50
FOTO STORICA DELLA CHIESA S. ROCCO
INTERNO BAROCCO
Nella fila di case sul lato sinistro, nascosta dalla
chiesa di S. Rocco, una casa antica fa angolo con
Via Marx (ex Via San Rocco). Nel Registro dei monumenti
di rilevanza locale è detta Casa Benedetti.
È stata recentemente liberata dai vecchi intonaci
facendo apparire la facciata di bei conci di pietra
bianca e grigia disposti quasi a scacchiera. Al primo
piano una bifora rinascimentale, al secondo
piano altre due con graziosi balconcini, mentre
sull’architrave del portone sono scolpiti un martello
e un compasso. Sono simboli di una confraternita o
di un’officina?
Approfittiamo per spiegare cosa erano le confraternite.
Va detto che nella loro massima espansione,
queste associazioni erano numerose e variarono
nel tempo da 21 a 32. Ognuna aveva il suo santo
protettore e i suoi simboli. Avevano una funzione
51
CASA BENEDETTI
SIMBOLO SULL’ARCHITRAVE
SALITA IN VIA MATTEOTTI CON LUNGHE SCALE CHE
PORTANO AL MOGORÒN
sociale molto importante e in certi ambiti anche
religiosa. In caso di disgrazia, malattia o morte sostenevano
i propri soci. Aiutavano le loro famiglie
con donazioni e crediti agevolati. Utilizzavano il patrimonio
accumulato pure per acquisti di opere sacre
e opere pie. Durante il breve periodo francese
molte confraternite furono chiuse. Rimase attiva
solo quella del Santissimo Sacramento.
In questo rione le vie antiche avevano nomi pittoreschi.
Ad es. dopo Porta Marciana, la prima salita
a sinistra era Erta del Paradiso, oggi Via Gortan,
52
che da Porta Marciana arriva fin sotto al cimitero.
L’odierna Via Matteotti era Via S. Margherita, protettrice
delle partorienti. Parte dalla riva per inerpicarsi
sul Monte Mogoron con scale ripide in pietra.
C’era poi Via delle Fontanelle, ricca di sorgenti
d’acqua, oggi Via Prežihov Voranc.
Ricordiamo le belle piazzette del rione con i loro
nomi tipici come Largo della Creta (Gradnikov trg),
Campo del Salario (Vodnikov trg) ambedue con fontanelle
per l’acqua costruite con il lavoro volontario
nel 1949. Chiuse dopo che l’acquedotto negli anni
Settanta raggiunse anche questa zona. Si trova in
questo quartiere (fine Via Alma Vivoda) il famoso
Posso Longo.
Qui si trovava pure uno dei forni più noti della città:
il forno della Bia. Le sue pastecreme sono ancora
oggi una leggenda fra i residenti più anziani. Oggi è
un B&B. Via Figarola, oggi Via Alma Vivoda, ci svela
la presenza un tempo diffusa di alberi di fico.
EX MAGAZZINO DEL SALE, FORNO DELLA BIA, OGGI B&B
PASSAGGIO DA VIA TOMŠIČ
RESTI DI MACINE IN PIETRA
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SCHEDA 13
I piloni del
duomo
DISEGNO DI PIETRO NOBILE (1820)
La collina di San Giorgio dove imponenti
si elevano il Duomo, il Campanile e il Battistero
di San Giovanni, è rinforzata sul
versante sud da 5 archi in muratura. Sulla
sponda nord, sopra la falesia, 11 giganteschi piloni
arcuati svolgono la medesima funzione, difendendo
la scogliera dall’instancabile erosione del mare
e delle intemperie. È uno degli investimenti che
per mole, difficoltà, spesa e tempi di realizzazione
può essere paragonato alla costruzione dei 2 chilometri
e mezzo di cinta muraria che abbracciava
Pirano.
L’idea nacque alla fine del XVI sec., quando si decise
di modificare la posizione degli edifici ecclesiastici
e di ampliare la chiesa gotica del 1344, sita
sul pianoro dominante la città, che però franava da
ambedue i lati. Il vecchio campanile fu demolito,
il nuovo più grande e simile a quello di S. Marco,
fu costruito dietro l’abside. Fu demolito e spostato
pure il vecchio battistero del IX sec. Il nuovo, più
grande, trovò posto presso il campanile.
Il 4 giugno del 1600, il Comitato che avrebbe guidato
i lavori della “Fabbrica del Duomo” firmò con
il lapicida veneziano Bonfante Torre il contratto
per costruire una “scarpa” alla base della scogliera
settentrionale. Bonfante realizzò il muro di contenimento
che vediamo ancora oggi. Il lavoro fu molto
apprezzato e Bonfante si assicurò così buona
parte degli appalti della chiesa (la facciata, l’arco
di trionfo e la zona absidale) e la costruzione del
campanile insieme al capodistriano Giacomo Nodari.
Bonfante a Pirano aprì bottega. Morì nel 1621
e i suoi figli portarono a termine i lavori intrapresi.
54
La costruzione dei piloni a nord si protrasse per oltre
170 anni, dal 1641 al 1812, in cinque fasi, testimoniate
ognuna da una epigrafe. I primi piloni a nord
furono inaugurati nel 1668. I lavori proseguirono
non senza difficoltà, causa la crisi economica generale.
L’opera fu completata appena nel 1812.
Durante questi due secoli i Piranesi accettarono di
autotassarsi per sostenere lo sforzo economico: fu
tassato l’olio di oliva e richiesto lavoro volontario e
obbligatorio per il trasporto dei materiali. Secondo
i cronisti dell’epoca si usarono tutti i materiali
dell’ormai cadente Castello (Fortezza) di San Zorzi,
parte delle vecchie lapidi dell’antico cimitero
presso la chiesa e il materiale della demolizione del
campanile e del battistero. Le pietre nuove provenivano
dalla vicina cava in zona Pusterla.
Esistono testimonianze artistiche dei piloni che ci
permettono di datare con esattezza le ultime due
fasi. La veduta del 1803 di Karl Friederick Schinkel
del Museo di Stato di Berlino, quando i piloni erano
9. Nel disegno di Pietro Nobile del 1816 si vedono
invece tutti e 11 gli archi.
I PILONI
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SCHEDA 14
Piere buse
Chi va a zonzo per le vie interne della Punta
vedrà sulle facciate delle case, qua e
là, delle pietre bucate che si protendono
parallelamente dagli antichi edifici. Ad
esempio questa in fotografia si trova in Via Trubar
al n. c. 25.
Piere buse, in dialetto, sono le pietre bucate che
troviamo in tutta l’area veneta adriatica, sia sulla
costa occidentale sia su quella orientale. Le cittadine
istriane ne conservano ancora molte. Sono
praticamente tutte uguali, in pietra locale e sembrano
delle piccole lapidi. Sporgono dalle pareti
56
delle case per circa 25-35 cm, il buco centrale ha
un diametro di 10 cm. Furono usate soprattutto
fra il XIII e il XV sec. come testimoniano i quadri di
Vittore Carpaccio. Ma il loro vero uso pone ancora
oggi numerose domande.
Molti si sono sbizzarriti nella ricerca delle funzioni
che queste pietre potevano o dovevano avere.
Il fatto che si trovino ai piani alti ha fatto supporre
che servissero per sollevare, con l’uso di corde,
mobili, tavoli e altro arredo che non poteva passare
per le strette scale.
Altri hanno detto che facendo passare da buco a
buco un palo di legno o di ferro, servivano ad es. per
stendere le reti da pesca. Ipotesi assolutamente
fuori luogo, data la difficoltà di portare fino al terzo
o quarto piano le reti bagnate (pesantissime) e
puzzolenti, a causa della decomposizione degli organismi
rimasti impigliati. Si è ipotizzato pure, con
ragione, che sui pali venissero stesi arazzi, tappeti
e tovaglie ricamate in occasione delle processioni.
Le torri delle mura sulla collina di S. Nicolò ci mostrano
moltissime piere buse. Alcuni studiosi hanno
cercato di assegnar loro una funzione. Luigi Foscàn
scrive, nel suo volume I Castelli dell’Istria, che
servivano per nascondere i soldati che si muovevano
sugli spalti. Il palo che passava da buca a buca,
reggeva una portella mobile che copriva o scopriva
lo spazio fra i merli. Per fortuna la città non subì
mai un vero assedio, le piere buse possono tener
stretto il loro segreto.
PIERA BUSA IN VIA TRUBAR
PIERA BUSA DI CASA MANZIOLI AD ISOLA
PIERE BUSE SULLE TORRI DI S. NICOLÒ
57
SCHEDA 15
Finestre murate
58
IN VIA GARIBALDI
Girando nel centro storico si vedono ancora,
sia su case più povere, sia su quelle
restaurate. Sono le finestre “finte”. In
realtà sono finestre murate molto tempo
fa, come conseguenza dell’introduzione in tutta
Europa di una tassa sul numero di finestre, da pagare
se supera quello stabilito per legge. Ricordiamo
che il sinonimo di tassa è imposta che significa
persiana (da noi comunemente detta scuro).
Come ogni medaglia, anche questa ha due facce.
Una statistica condotta in Italia negli anni immediatamente
prima del secondo conflitto mondiale,
mise in evidenza l’aumento della tubercolosi e di
altre malattie fra coloro che vivevano in appartamenti
con poche finestre, in locali poco arieggiati
e poco illuminati.
DIETRO L’ALBERGO TARTINI
IN PIAZZA I MAGGIO
DIETRO L’ALBERGO PIRAN
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IN VIA KUMAR
Da noi i proprietari fecero murare quelle “non indispensabili”,
preoccupandosi di rappresentarle
uguali nella forma e nel colore a quelle vere. I nuovi
residenti le hanno più o meno conservate.
Da una valutazione approssimativa sono ben oltre
il centinaio le finestre murate e ben visibili in tutti
i rioni. Cercarle vi farà scoprire angoli intatti e pittoreschi
in vie meno frequentate e nei vicoli. Nelle
fotografie pubblicate, si vedono tutte diverse fra
loro per colori, forme e soluzioni.
IN PIAZZA TARTINI PRESSO LA CASA NEOGOTICA
IN VIA GORTAN
IN VIA DELL'OSPEDALE
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SCHEDA 16
Finestre con
sburto
IN PIAZZA I MAGGIO
AAlla voce “sburto” del Grande dizionario
del dialetto triestino - storico, etimologico,
fraseologico, compilato da Mario
Doria si trova questa definizione: “Nelle
vecchie case sono quelle con lo sporto della finestra,
piccola chiostrina a vetri che si applica ai davanzali.
Asportabile nei mesi estivi per essere sostituita
dalla griglia (o persiana)”.
Sono parte dell’architettura del tempo degli Asburgo.
Conservarle significa portare rispetto per il
nostro passato. Che non è poco. Infatti nell’area
danubiana hanno vari nomi, anche quello di kibitz
fenster, da un termine yiddish “guardare di nascosto,
come nel gioco delle carte”.Sulle case più ve-
61
IN VIA DELLE MURA
tuste si vedono ancora queste “edicole”, localmente
dette jazzére (ghiacciaie) o sburti. La finestra
che “sporge” permette di guardar fuori senza prendere
freddo e al riparo dalla bora. Si trasformavano
spesso in improvvisati frigoriferi di famiglia dov’era
possibile conservare il burro nella sua vaschetta
con l’acqua insieme ad altri generi deperibili, da cui
appunto in vernacolo jazzére.
Oggi rappresentano una rarità e soprattutto una
caratteristica destinata a scomparire dopo le ristrutturazioni.
In genere, chi restaura tende a risparmiare
su tutto. Così è anche per queste semplici,
ma simpatiche testimonianze della vita di un
tempo, quando non esistevano gli elettrodomestici.
62
Sono un elemento di unicità architettonica tipico
della zona cittadina e quindi, secondo gli addetti ai
lavori, da salvare. I falegnami più seri e consapevoli
dicono che “Queste finestre fanno parte dell’architettura
del secolo scorso, quando i serramenti
in legno si realizzavano con un certo criterio”. Gli
“sburti” hanno un fascino particolare ed una funzione
diversa nelle diverse stagioni dell’anno.
Nella nostra città ce ne sono di vecchi e di nuovi.
Cercateli e fotografateli, arricchendo il vostro album
dei ricordi.
63
SCHEDA 17
Le pagode
SSono pochi i porti in Istria ed anche in Dalmazia
che possono vantare costruzioni in muratura
per i fanali posti sulla cima dei moli. I
nostri invece, uno sul molo grande con luce
rossa e l’altro sul molo della Sanità con luce verde,
occhieggiano da un tetto a “pagoda” sovrastato da
un cappello metallico, che ricordano le atmosfere
dei film dedicati a Marco Polo, alla Cina e a Kubilai
Khan. Sono quasi uguali le “pagode” di Lignano, che
dovrebbero anch’esse risalire al medesimo periodo,
cioè a dopo gli anni Venti del secolo scorso.
Queste di Pirano, si disse, furono costruite con i
mattoni avanzati della costruzione del teatro ai
piedi del molo (1910). Furono sicuramente costruite
appena dopo la prima guerra mondiale. Ma visto il
perfezionismo dell’arte del risparmio sviluppatosi
nei secoli a Pirano, è possibile che siano stati realmente
usati i mattoni avanzati più di 10 anni prima.
Dapprima le lanterne furono fissate su un’asta di
ferro. Funzionavano a petrolio. La struttura a torretta
permise di raggiungere i fanali dall’interno,
64
tramite una scaletta e di alimentarli con bombole
di acetilene, che davano una luce più intensa. Oggi
tutto è automatizzato e comandato elettronicamente.
Le pagode, ricordiamo che questo nome fu loro
assegnato dai Piranesi nella parlata comune, sono
oggi un’attrazione fotografica. Quando soffia rabbioso
lo scirocco e invade tutti e due i moli sommergendoli,
sembrano indomiti fari in mezzo ai
marosi.
65
SCHEDA 18
Il faro
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FORTINO O RONDELLA CON LANTERNA
SSulla punta della penisola che si protende
in mare il bastione del XVI sec. continua a
vigilare. In origine era più alto, privo di scale,
rappresentava l’avamposto difensivo più
esposto della cinta muraria rivolta verso il mare.
Accanto c’era solamente la piccola chiesetta di S.
Clemente del 1274. Sul lato sud-ovest del bastione
vediamo due stemmi: quello della famiglia Bembo
(podestà) e quello del Comune con la data del 1617.
Documentano i lavori di consolidamento, a distanza
di oltre un secolo dalla sua costruzione.
Oggi si sale sul bastione tramite strette scale, costruite
quando gli Austriaci vi sistemarono due
cannoni. Dopo il 1850 con lo sviluppo della marineria,
l’esigenza di rendere sicura l’entrata in porto
anche “durante le notti procellose”, fece ottenere
dal Governo Marittimo di Trieste il permesso di collocare
una lanterna per orientare di notte i marinai.
Si pensò di porla sul campanile neogotico, nella
loggia delle campane. Da circa 20 metri sul livello
del mare sarebbe stata più visibile. Constatata da
esperti la pericolosità della scala interna a chiocciola,
si decise di collocare provvisoriamente, sul
ripiano del bastione, un fanale a luce rossa fissa.
Era il 2 marzo del 1872. Il fanale nel tempo diventò
lanterna a luce bianca intermittente. Oggi è a 12
metri sul livello del mare e la sua lanterna maggiore
ha una visibilità di 15 miglia marine. È il maggiore
faro della Slovenia su struttura muraria.
Due anni più tardi, nel 1874, a spese del Comune, fu
costruita una piccola abitazione per il fanalista. Fu
abitata fino al 1981, quando l’ultimo addetto l’abbandonò
in seguito all’automatizzazione di tutti i comandi
del faro.
INTERNO DEL CAMPANILE CON SCALA A CHIOCCIOLA
67
fino a superare il 1100 nel rione di Borgo. Nel 1925 fu
costruita la cisterna alimentata dalle grondaie che
vi convogliavano l’acqua piovana, indispensabile
per pulire le lenti della lanterna dai cristalli di sale e
per le altre necessità.
ALUNNI IN VISITA SUL BASTIONE
All’introduzione dei numeri civici, il fortino conservò
il numero 1 di Campo della Salute. Da questo punto
partivano tutti i numeri delle case del centro storico
La struttura fu affidata successivamente alle Gallerie
costiere. Artisti e poeti la scelsero a dimora
estiva traendo ispirazione dalla sua splendida posizione,
quasi una prua sul mare. Seguì l’abbandono
durato qualche decennio. La sua riapertura nel
2018 sta restituendo nuova vita al complesso del
faro ed offre l’occasione di raccontare ai visitatori
le storie incrociate del bastione e della lanterna.
E quella delle navi della locale Splošna plovba (una
volta grossa ditta armatrice) che, dopo aver doppiato
Punta Madonna, mandavano l’ultimo saluto alla
città, prima di affrontare il mare aperto.
Bei ricordi di una Pirano vivace e piena di abitanti.
Ora, solamente durante la stagione turistica, gli
eventi culturali e l’ammirazione dei tramonti lo elevano
a luogo privilegiato della passeggiata costiera.
TRAMONTO
BOTOLA NELLA CELLA DELLE CAMPANE
68
SCHEDA 19
CISTERNA
Pozzi e cisterne
Tutte le cittadine istriane hanno sofferto la
sete. L’acqua potabile era poca e spesso
non della migliore qualità. A Venezia l’arte
di raccoglierla e conservarla nelle cisterne
era stata perfezionata, tanto che esistevano i provveditorati,
addetti alla loro costruzione e manutenzione.
Le botteghe artigiane si specializzarono
nell’arte delle cisterne, inventando nuovi intonaci
impermeabili e mattoni adatti solo per questo uso.
Queste nuove competenze tecniche si diffusero
velocemente anche negli altri territori governati
dalla Repubblica.
Nel solo centro storico di Pirano, sul finire del XIX
sec., c’erano almeno un’ottantina di cisterne e una
ventina di pozzi. Le case date in affitto che avevano
nel cortile comune una cisterna, costavano di più.
(Per chi volesse approfondire, nel 2017, la Comunità
degli Italiani di Pirano ha pubblicato un catalogo di
quelle sopravvissute, circa una trentina).
Il pozzo più antico
Il pozzo più antico, noto ancora oggi, era quello di
Lùprica in Via del Castello. Non era mai secco perché
alimentato da una vena sotterranea. Questa
sua proprietà è passata perfino nei modi di dire del
dialetto piranese: a chi chiedeva i pochi centesimi
per una gazzosa o un gelato, si rispondeva “No son
miga el poso de Luprica!”. Sottinteso il riferimento
all’acqua che mai mancava ovvero “i miei soldi non
sono mica inesauribili come l'acqua del pozzo”.
Sulla vera da pozzo era scolpito un leone andante
con la data della sua costruzione (23 marzo 1485).
Questa lastra è custodita nel deposito lapidario del
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FOTO STORICA DEL POZZO DI LUPRICA
Museo del mare S. Mašera. Oggi in Via del Castello,
dove nel 1936, il pozzo fu riempito di pietre e fu
smontata la vera, una tabella trilingue narra la sua
storia.
LASTRA FRONTALE
Acqua pubblica
Fino all’arrivo del famoso Acquedotto Istriano che
portò l’acqua in città nel 1935, fu per secoli usata
l’acqua dei pozzi e delle cisterne. Infatti le case più
ricche avevano la propria riserva d’acqua. In determinati
orari e giorni della settimana veniva aperta
per uso pubblico pure la cisterna del convento di S.
Francesco.
Il pozzo più antico visibile oggi è Posso longo, che
si trova in Borgo, alla fine di Via Alma Vivoda. Fu costruito
nel XVI sec. Si chiama Posso Longo proprio
per la sua notevole profondità (intorno ai 10 m.). È
sempre ricco d’acqua in quanto attinge a vene sotterranee
che defluiscono dagli strati argillosi del
Mogoròn. Carte d’archivio del XIV sec. testimoniano
che la zona circostante era acquitrinosa e ricca
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POSSO LONGO, VERA DA POZZO
di polle sorgive. Il Comune comprò il terreno proprio
per costruirvi ”a pubblico bene” un pozzo fuori
le mura. Fu realizzato qualche secolo dopo. Sulla
vera da pozzo di forma esagonale l’iscrizione è molto
rovinata. L’Istituto per la tutela dei beni culturali
lo fa risalire al 1581, all’epoca del podestà Andrea
Marcello, individuando in un motivo obliquo e ondulato
appena leggibile, la principale caratteristica
del suo blasone. Altri lo attribuiscono al podestà
Silvestro da Lezze che governò nel 1523.
INTERNO DELLA CANNA
Per secoli qui venivano legati gli asini (i mussi) che
dal contado portavano i prodotti dell’agricoltura.
Per loro c’erano acqua e ombra fino al momento del
ritorno in campagna.
Il pozzo fu usato fino a che la rete dell’Acquedotto
istriano lo raggiunse, distribuendo l’acqua con un
sistema di fontanelle. Negli anni Settanta l’acqua
corrente arrivò anche in tutte le case della zona. Il
pozzo fu abbandonato. Privo di coperchio, rappresentò
un vero pericolo quando i ragazzi giocando,
si sporgevano sul pozzo e facevano eco nella can-
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na, richiamando “le streghe dal fondo dell’acqua” (Š.
Pahor). Fu messo in sicurezza dai vicini che decisero
di ripulirlo delle immondizie e di chiuderlo. Così è
ancor oggi, la sua acqua pulita e potabile, serve per
annaffiare i fiori e le verdure degli orti vicini.
Cisterna in piazza I Maggio
Durante la lunga dominazione veneziana, durata
oltre cinque secoli, fu questo il maggior investimento
pubblico per garantire a tutti acqua potabile.
L’acqua veniva venduta due volte al giorno per
pochi centesimi al secchio. Serviva a far comprendere
che non andava sprecata.
Fu inaugurata nel 1776. Costruita dell’architetto rovignese
Simone Battistella, è indubbiamente il suo
capolavoro. Tutta in pietra della cava di Rovigno, si
presenta sollevata di qualche metro sopra il livello
della piazza. La cisterna al suo interno è in mattoni
ed è per metà interrata. I suoi serbatoi (4 gallerie
con volta a botte) sono alti internamente dai 2 a
oltre i 2,5 m., a seconda della pendenza del terreno.
La superficie ottagonale della cisterna misura
SERBATOIO SOTTERRANEO
FOTO STORICA DELLA CISTERNA
quasi 200 m 2 ed è circondata da un parapetto. La
sua capacità a pieno regime era di 450 m 3 d’acqua.
Veniva alimentata dalle grondaie che, raccogliendo
l’acqua piovana dai tetti delle case vicine, la convogliavano
nella cisterna.
Due le statue allegoriche: la Forza, con sullo scudo
scolpiti, per lunga memoria, i nomi dei promotori
di questo grande investimento; la Vigilanza, con
l’elmo e sullo scudo gli stemmi del Comune e dei
senatori veneziani Bembo e Marcello.
Sul lato verso nord, due putti su colonne reggono
e versano l’acqua sul piazzale. Due scale in pietra
permettono di accedere alle ottagonali vere da
pozzo.
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Con l’Acquedotto Istriano, sul suo angolo esterno,
fu collocata una fontanella. La cisterna non fu più
usata e fu abbandonata ad ogni scempio. Ripulita
delle immondizie appena nel 1988, i coperchi delle
vere furono messi sotto chiave. Nel 2018 la nuova
fontanella, provvisoria dal 1989, fu finalmente allacciata
all’acquedotto.
Oggi la sua poca acqua che comunque si raccoglie
nei serbatoi, viene usata per lavare strade e innaffiare
giardini e parchi pubblici. L’importante restauro
del 2007 ne aveva constatato ancora la sua
buona funzionalità. Unica nel suo genere in Istria
per bellezza e grandezza, è monumento storico-architettonico
che non ha eguali in Slovenia.
Purtroppo viene usata per scopi e attività di lucro
che sono in evidente conflitto con la sua storia, valore
e funzione, contribuendo ad un suo più veloce
degrado.
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SCHEDA 20
Acquedotti
FOTO STORICA DELLA PIAZZA CON LA FONTANA ZAMPILLO
ESTERNO DELL’EX-SERBATOIO, OGGI BAGNO PUBBLICO
Il primo acquedotto comunale
Alla fine dell’800 Portorose attraeva già turisti e villeggianti,
soprattutto dalla vicina Trieste e dall’Austria.
Sorgevano i primi alberghi e villette. Spesso
gli inverni tiepidi e soleggiati trattenevano anche
i proprietari per più tempo a Portorose. Per lo sviluppo
di questa moderna attività economica diventò
di grande importanza assicurare l’acqua corrente.
Non sarebbe stata la prima volta che si voleva
costruire un acquedotto. Quello del 1840 non era
andato a buon fine. Ma ora alla testa della Rappresentanza
municipale c’era il dinamico e deciso avv.
Domenico Fragiacomo. Nominò una commissione
di esperti che in di meno di un anno, dopo avere
analizzato l’acqua di più sorgenti, la loro portata
nelle diverse stagioni e la purezza, presentò proposte
concrete.
74
Fu così individuata la possibilità di sfruttare la
sorgente Fontana Granda di Sezza. Diverse ditte
italiane e austriache parteciparono al concorso
pubblico sia per la fornitura di tubature che per
l’esecuzione dei lavori. L’acquedotto fu realizzato
nel 1893. Lungo quasi 6 chilometri portò l’acqua a
Portorose e arrivò fino alle soglie di Pirano, dove
fu costruito un serbatoio di accumulazione. Durante
i periodi di siccità lo si riempiva con l’acqua
della sorgente di Fiesso trasportata dalle maone,
o da Trieste, in via eccezionale anche con navi militari.
Acquedotto istriano: la fontana detta Zampillo
L’arrivo del famoso Acquedotto del Risano, terzo
troncone dell’Acquedotto istriano, che portò
l’acqua in gran parte dell’Istria, fu inaugurato il 26
maggio 1935 con una bella fontana detta Zampillo,
alla presenza del Duca d’Aosta. Fu collocata in
uno dei fuochi ideali dell’elisse di piazza Tartini, in
modo da fare da pendant al monumento del famosissimo
violinista.
Numerosissime le pubblicazioni su quest’opera faraonica,
per tutte ricordiamo quella edita nel 1998
ZAMPILLO CON I SIMBOLI DEL REGIME
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dello stesso. Primi tra tutti il Duca d’Aosta, il senatore
Cesare Primo Mori e l’on. Giuseppe Tassinari,
sottosegretario al Ministero dell’Agricoltura e delle
Foreste, che tenne il discorso di inaugurazione. Al
Duca spettò l’onore di aprire lo zampillo in piazza
Tartini. A Portorose gli ospiti furono accolti nel salone
dell’albergo Palace. Pure qui fu inaugurata una
fontana che sorgeva alla radice del molo. Aveva tre
archi con i fasci littori sulle colonne.
Il filmato originale dell’evento può essere consultato
all’indirizzo https://www.youtube.com/watch?-v=bj3Eh7AON8Y&feature=youtu.be
sui lavori effettuati e quella del 2010 in occasione
del 75.mo dell’acquedotto del Risano.
Lo Zampillo fu smontato nel 1946 con la scusa che
era pieno di immondizie e di scarafaggi.
Si presentava con un triplice giro di gradini che
portavano ad un bacino poligonale abbastanza
grande. Qui tutta l’acqua si raccoglieva e tornava in
circolo verso l’alto, ridiscendendo poi su due piatti
di dimensioni diverse. Su un paio di lastre c’erano i
simboli del regime, motivo per cui la fontana venne
smontata. Il secondo piatto diventò parte della
fontanella con pesci rossi del giardinetto presso
il Museo del mare. Il piatto più piccolo fu dato alla
moglie di un alto funzionario del partito comunista
sloveno, che lo usò fino agli anni ’90 come fioriera
davanti alla sua casa per le vacanze, in Punta.
LA FONTANA OGGI, IN RIVA CANKAR
I due piatti, recuperati negli anni ’90, sono stati
riuniti nella fontana che si trova nel giardino che
si affaccia sulla Riva Cankar, sotto un’immensa e
splendida magnolia.
È però andato perduto il bell’effetto della rosetta
in cima: l’acqua ad ombrello girava verso la vasca,
come si vede nella foto.
Quale fosse l’importanza dell’acquedotto per queste
terre lo possiamo dedurre anche dalle personalità
presenti e dagli ospiti intervenuti all’inaugurazione
76
SCHEDA 21
Storia del porto
IL PORTO AL TEMPO DI D. TINTORETTO
Non è facile raccontare la storia del porto
e del mandracchio. Con questa parola
dalle nostre parti si indica una piccola
insenatura naturale, riparata dai venti.
La costa piranese ne è ricca. A nord troviamo Fiesso,
con i suoi laghetti, Pazzugo e Strugnano con le
saline. A sud: Portorose, Santa Lucia, Sezza, nonché
il vallone di Sicciole, detto anche Largone, con
le saline più grandi.
Tornando a Pirano, pare che il primo antico mandracchio
fosse nel luogo dell’odierna Piazza I maggio.
Qui trovarono riparo le imbarcazioni del primo
insediamento, testimoniato anche dagli scavi archeologici.
Erano modeste barche da pesca per
navigare lungo la costa, fino al fiume Argòn, oggi
Dragogna. Lo sviluppo della città verso est, spostò
il mandracchio nell’insenatura più ampia, dove oggi
c’è Piazza Tartini. Fu usato per molti secoli fino al
1894, quando venne interrato.
77
Ma procediamo con ordine.
Il nuovo porticciolo nel rione di Porta Campo, sin
dal Medioevo, diventò il centro della vita economica
della città. Vi si specchiava il vecchio palazzo
podestarile. Sulla riva sinistra c’era il Fondaco dei
grani, sulla riva destra poche case. Dietro la sede
podestarile, le mura e Porta Campo ad arco gotico.
Sulla riva del mandracchio nel XV sec. furono posti
i pili portastendardo: uno per S. Giorgio, uno per
S. Marco con le misure di lunghezza. Un terzo pilo,
poligonale come una vera da pozzo, con scavate le
misure per gli aridi, si trova oggi nell’atrio del Municipio.
Le attività commerciali erano vivacissime.
Qui si stipulavano gli accordi e i contratti commerciali.
Vi arrivavano merci di ogni genere: prodotti
della campagna, legname, sale, olio, vino, stoffe,
piccoli animali domestici, prodotti della pastorizia,
pesce e carne salata, olive sotto sale, prodotti
dell’artigianato, pellami e molto altro.
Il porto era per i Piranesi un occhio aperto sul mondo.
Tutto da qui partiva e arrivava. Così già nei primi
decenni del XIV sec. i notabili piranesi chiesero
alla Serenissima di sistemare le rive e il permesso
di costruire un nuovo molo fuori il mandracchio,
verso il Mogoròn. Gli esperti inviati dalla Serenissima
spiegarono al Maggior Consiglio veneziano che
il miglioramento del porto di Pirano non avrebbe
favorito solo i locali, ma sarebbe stato di grande
utilità anche per le imbarcazioni veneziane (F. Gestrin).
Fu ingaggiato il noto mastro carpentiere
Ognobene da Cividale, il quale richiese un pagamento
molto alto. I lavori iniziarono subito (1334) e
furono completati prima del termine stabilito, già
nel 1337 (D. Mihelič). Fioriva a Pirano in quel tempo
ogni sorta di attività. Data l’esiguità dello spazio a
disposizione, si proibì perciò di costruire e riparare
le imbarcazioni sulla riva di Porta Campo e sotto
la vicina Loggia. Il luogo riservato a queste attività
fu l’odierna Piazzetta del pescatore fino a Porta
Dolfin, e verso il Mogoron, dove oggi c’è il Museo
del mare.
Fra le due alte torri dell’imboccatura del mandracchio,
nottetempo, veniva sollevata una catena. Nel
78
BITTA ORIGINALE E SUA COPIA
1578 fu costruito un ponte levatoio in pietra, per
collegare le due opposte rive. I resti ben conservati
di una delle due torri sono visibili in Riva Cankar 1.
Nel 1500 fu inviata al Senato veneziano la richiesta
di permesso per costruire un molo adiacente
alla porta di S. Giorgio. Venezia fornì una vecchia
galea, che riempita di pietre e affondata, servì a
costruirvi sopra le fondamenta del nuovo molo.
Oggi riconosciamo il luogo nella riva prospicente
Palazzo Trevisini e la piazzetta del pescatore. Nel
1503 il podestà Andrea Valier pose sul molo una
grande bitta per legare le galee. Vi fece incidere le
sue iniziali A V e il simbolo della famiglia: un’aquila
con la testa coronata rivolta a sinistra e le ali aperte,
che vediamo scolpita in modo molto stilizzato.
Oggi la sua copia si trova sulla piazzetta dei pescatori
con una targa impropria: colonna dell’infamia.
L’originale, completa dello zoccolo lungo un metro
e mezzo che sprofondava nel molo, è custodita nel
piccolo museo del Mediadom Phyrrani. La bitta fu
ripescata intorno agli anni ’30 del XX secolo, durante
il dragaggio del fondale.
I lavori importanti in porto ripresero verso la fine
del XVIII sec. Nei secoli precedenti le attività marinare
avevano conosciuto periodi sia di prosperità
sia di crisi. Erano però un settore economico fondamentale
che impegnava sicuramente più di un
quarto della popolazione cittadina. Per i lavori più
umili spesso venivano ingaggiate persone provenienti
da fuori città. Gli armatori e i commercianti
erano organizzati in commende, contratti che prevedevano
l’assegnazione di un incarico che poteva
durare più tempo. La divisione dei guadagni e delle
perdite, veniva equamente spartita.
Nel XIX secolo, lo sviluppo di Pirano fu fortemente
condizionato dalla vicinanza di Trieste, che era in
fase di grandissima evoluzione, sia come edilizia
sia come porto franco. Incrementarono le proprie
attività i cantieri e gli squeri. Le numerose barche
di piccolo e medio cabotaggio furono impegnate
nei trasporti di materiale edile, di persone, di prodotti
della pesca e dell’agricoltura.
PARTE SUPERIORE DELLA BITTA CON AQUILA E INIZIALI A. V.
Si ripresentò il problema del porto. Il mandracchio
interno non era più sufficiente e verso il Mogoròn
non era sicuro, perché troppo esposto ai venti meridionali.
Dopo discussioni, progetti e accordi andati
a vuoto, finalmente nel 1872 il vecchio molo,
che arrivava circa alla radice di quello attuale, fu
prolungato di 60 tese viennesi (113 metri). L’investimento
fu a carico del Governo Marittimo di Trieste
e il Comune avrebbe restituito il proprio debito
(72.000 fiorini) in quasi vent’anni. Fu un efficace
riparo dai venti di ponente, tanto che spesso fu indicato
pure con il nome di “diga”.
Vent’anni più tardi fu costruito anche il secondo
molo, detto molo nuovo o della Sanità. Nel 1891 il
podestà avv. Domenico Fragiacomo supportò, fra
i diversi progetti, quello di Alfredo Purschka, che
aveva considerato tutte le osservazioni dei marittimi
piranesi e dei pescatori locali, i quali indicarono
dove e come doveva essere posizionato il molo
per difendere efficacemente il bacino dai venti meridionali.
Il molo prese il nome dalla vicina Sanità, in quanto
alla sua radice c’erano gli ambienti adibiti a quarantena
preventiva per chi proveniva da terre lontane.
79
80
La sua costruzione fu assegnata a Pietro Petronio
detto Patata, che nel 1894 avrebbe interrato anche
il mandracchio. Nonostante il soprannome, che a
noi sembra canzonatorio, era invece un imprenditore
estremamente serio e capace. Oltre ai lavori
commissionati a Pirano, ricordiamo che nel 1890
costruì il molo di Isola e nel 1900 quello di Umago.
FOTO STORICA (PRESUBIMILMENTE) DEL 1896
I progetti ed i preventivi dell’ing. Purschka per il
nuovo molo erano estremamente esigenti, rigidi ed
impegnativi, ma il Petronio riuscì a rispettare sia i
tempi previsti per la sua realizzazione che l’ammontare
dei costi. Per contratto questi ammontavano
a 43.128 fiorini e 17 soldi. La spesa totale fu
superiore solamente dell’1,4% (43.737 fiorini e 28
soldi), che rapportata alle pratiche odierne ci sembra
incredibile.
81
SCHEDA 22
Misurare
il tempo
SULLA SEDE DELLE GALLERIE COSTIERE
SULLA CHIESA DELLA MADONNA DELLA SALUTE
Le meridiane
Non ricordiamo di avere visto meridiane nelle cittadine
istriane consorelle di Capodistria e Isola,
forse ce n’è qualcuna più nascosta. Nel nostro
piccolo centro storico se ne contano ben cinque.
Sono meridiane poco notate, diverse fra loro per
foggia e posizione. Ma come di solito avviene con
l'arrivo delle nuove tecnologie, sono state messe in
secondo piano dal grande orologio del campanile di
S. Giorgio.
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SULLA CASA DEL GASTALDO
SUL DUOMO
Secondo la nostra esperienza le meridiane sono
ancora funzionanti. Partendo dalla Punta, la prima
si trova in Riva Prešeren, posta molto in alto sulla
facciata della chiesa della Madonna della Salute.
La seconda si trova a poca distanza, sulla vicina casa
rosa presso Porta Mugla, che secondo gli storici, fu in
origine la Casa del gastaldo. È stata ridipinta e risistemata,
fa bella figura sulla facciata rivolta verso il mare.
L’orologio sulla facciata meridionale del campanile
da oltre due secoli si fa “sentire” giorno e notte.
Mentre il campanile fu inaugurato nel 1609, l’orologio
fu montato nel 1802. Era un orologio a pesi,
costruito dalla ditta dei fratelli Solari di Pesariis
in provincia di Udine, ditta che esiste tuttora. Nel
1905 il podestà Fragiacomo si congratulava con i
Solari perché, dopo un secolo, l’orologio era puntuale
e perfettamente funzionante, a dimostrazione
del lavoro impeccabile della ditta.
Altri due orologi solari sono posti sul palazzo neoclassico
delle Gallerie costiere. Sono molto diversi dai primi
due, in particolar modo nel disegno degli intervalli fra
ora e ora. Le ore dalle 5 alle 8 sono spostate e basse, devono
attendere l’ombra lunga del primo sole sulla piazza.
Quelle in alto, dalle 9 alle 12, hanno bisogno dell’ombra
corta del sole che si avvicina allo zenit. Lo gnomone
svolge ancor oggi il suo compito puntualmente.
La quinta è sulla facciata meridionale della sacrestia del
Duomo di S. Giorgio. Unica fornita di epigrafe, ammonisce
che il tempo scorre, Dio rimane. Quando si rifecero
gli intonaci dell’edificio, nei primi anni 2000, fu rinnovata
anch’essa. Per riposizionare correttamente lo gnomone
venne ingaggiato un esperto da Trieste. La sua ora, sole
permettendo, è esatta.
L’orologio del campanile
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MECCANISMO PRIMA DEL RESTAURO
OROLOGIO DOPO IL RESTAURO
Solamente alcuni anni dopo la II guerra mondiale
l’orologio fu automatizzato con motori elettrici che
azionavano sia le lancette che i rintocchi delle campane.
Nel 1977 i comandi elettrici furono spostati in
sagrestia. I Solari chiamati a Pirano negli anni ’90,
risistemarono il meccanismo elettrico. Il 2015 fu
l’anno in cui tutto l’interno del campanile e l’orologio
stesso furono sottoposti a revisione e restauro.
Furono sostituite le vecchie e pericolose scale con
140 nuovi gradini in legno di larice. Sono sicure, larghe
e agevoli nella salita che conduce alla terrazza
con la cella delle campane, da dove si gode un invidiabile
panorama sulla città e sulla rada di Pirano.
A metà campanile è in mostra l’antico meccanismo
dell’orologio a pesi in ferro di Giacomo Solari. I pesi
sono tre e servivano: uno per l’orologio, uno per la
campana delle ore e uno per la campana dei quarti
d’ora.
Molto più impegnativo fu il restauro del quadrante
in pietra dell’orologio (2015), composto da 20 pezzi
separati, pesanti ognuno circa 100 chilogrammi.
Già il primo sopralluogo ne aveva evidenziato i gravi
danni. È stato un miracolo che qualche pezzo non
sia precipitato al suolo, con impensabili conseguenze.
Furono perciò sostituiti i ferri che li tenevano
ancorati al campanile, restaurati i numeri delle
ore incisi nella pietra, le lancette di rame del peso
di 7 kg (quella dei minuti) e di 5 kg (per le ore), collegate
a due campane più piccole. La parrocchia di
Berlino regalò due nuove campane per sostituire
le danneggiate. Delle campane precedenti è stata
conservata soltanto quella risalente al 1477, che
batte l'ora piena. Apparteneva al primo campanile
demolito nel XVII sec.
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140 NUOVI GRADINI
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UNIONE ITALIANA, FIUME - CAPODISTRIA
2023
Titolo:
RACCONTARE PIRANO
Contributi per far conoscere meglio la nostra città
Testi:
Daniela Paliaga Janković
Alberto Manzin
Documentazione:
Daniela Paliaga Janković
Alberto Manzin
Progetto grafico:
Duška Đukić
Foto:
Jaka Jeraša
Zorko Bajc
Peter Litavsky
Alberto Manzin
Daniela Paliaga Janković
Joey Palakovič
Giulio Ruzzier
Igor Štibilj
Internet, Facebook
Disegni:
Johann Weichard Valvasor
Guido La Pasquala
Giulio de Franceschi
In copertina:
DETTAGLIO DEL CORO DEL DUOMO
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