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Quaderno didattico (pdf 8.8 MB) - Comune di Modena

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MODENA<br />

SOTTOSOPRA


MODENA<br />

SOTTOSOPRA


Progetto e coor<strong>di</strong>namento<br />

Cristiana Zanasi<br />

Direzione<br />

Ilaria Pulini<br />

Organizzazione e servizi <strong>di</strong>dattici<br />

Francesca Crotti, Valentina Gazzi, Valentina Longo, Laura Parisini, Diana Vezzelli<br />

Testi del quaderno<br />

Laura Parisini e Cristiana Zanasi<br />

Fotografie<br />

Paolo Terzi<br />

Archivio Fotografico del Museo Civico Archeologico Etnologico<br />

Illustrazioni<br />

Dimmer Mantovani e Riccardo Merlo<br />

Progetto grafico<br />

Alice Padovani - Ufficio Grafica del <strong>Comune</strong> <strong>di</strong> <strong>Modena</strong><br />

Stampa<br />

Stamperia comunale - gennaio 2013<br />

Ringraziamenti<br />

Donato Labate (Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna),<br />

Francesca Cenerini, Angela Donati, Daniela Rigato (Dipartimento <strong>di</strong> Storia, Culture<br />

e Civiltà dell’Università <strong>di</strong> Bologna)<br />

Camilla Benedetti, Filippo Partesotti, Gianluca Pellacani, Alessia Pelillo, Silvia<br />

Pellegrini, Maria Elena Righi, Mauro Terzi.<br />

Con il contributo <strong>di</strong><br />

In copertina<br />

La strada romana messa in luce nel 2010 nell’area Novi Sad


La recente scoperta <strong>di</strong> un importante sito archeologico <strong>di</strong> età romana nell’area del Foro<br />

Boario, a pochi passi dal centro storico e a soli cinque minuti dal Palazzo dei Musei, non<br />

poteva non avere una ricaduta <strong>di</strong>retta, oltre che sull’esposizione del museo archeologico,<br />

dove sono stati inseriti i reperti più significativi provenienti dal nuovo scavo, anche sui<br />

percorsi <strong>di</strong> visita che il museo propone alle scuole. Il nuovo sito infatti è stato valorizzato<br />

attraverso la creazione <strong>di</strong> un vero e proprio parco archeologico, il Novi Ark, che ricostruisce<br />

un angolo <strong>di</strong> suburbio dell’antica Mutina attraversato da una grande strada romana in<br />

ciottoli, ancora perfettamente conservata.<br />

La proposta destinata alle scuole è stata quin<strong>di</strong> rivista e ampliata in modo da abbinare alla<br />

visita al museo un approfon<strong>di</strong>mento specifico de<strong>di</strong>cato al Novi Ark, offrendo quin<strong>di</strong> un<br />

percorso che copre l’arco dell’intera mattinata.<br />

La creazione <strong>di</strong> un percorso rinnovato in molte sue parti è stata anche occasione per rivedere<br />

e aggiornare il quaderno <strong><strong>di</strong>dattico</strong> che accompagna la visita, dove sono state inseriti vari<br />

riferimenti a importanti scoperte effettuate negli ultimi anni, dall’ara funeraria <strong>di</strong> Vetilia<br />

alle mura della città portate in luce in Piazza Roma.<br />

La scelta, già operata per altri percorsi <strong>di</strong>dattici offerti dal museo archeologico, è stata quella<br />

<strong>di</strong> creare uno strumento operativo per le insegnanti a cui è stata abbinata una scheda <strong>di</strong><br />

lavoro destinata ai ragazzi. Confi<strong>di</strong>amo che la nuova proposta e il quaderno che la accompagna,<br />

frutto entrambi della collaborazione fra Cristiana Zanasi e Laura Parisini, che qui<br />

sentitamente si ringraziano, possa andare incontro nel modo più efficace possibile all’esigenza<br />

degli insegnanti <strong>di</strong> coniugare l’appren<strong>di</strong>mento della storia antica alla conoscenza del<br />

passato <strong>di</strong> Mutina e del suo territorio.<br />

Ilaria Pulini<br />

Direttrice del Museo Civico Archeologico Etnologico


4<br />

INDICE<br />

1. I Romani nella Pianura Padana<br />

2. I Romani nel Modenese<br />

3. La città: Mutina<br />

4. I luoghi pubblici<br />

5. Le domus<br />

6. Le necropoli<br />

7. La storia <strong>di</strong> Vetilia<br />

8. Il suburbio <strong>di</strong> Mutina<br />

Biografie degli autori antichi citati<br />

Per saperne <strong>di</strong> più<br />

Soluzioni della scheda <strong>di</strong> verifica per le scuole primarie<br />

Il quaderno e la scheda <strong>di</strong>dattica sono scaricabili al seguente in<strong>di</strong>rizzo:<br />

www.comune.modena.it/museoarcheologico<br />

Il <strong>di</strong>segno del volumen, rotolo <strong>di</strong> papiro, contrad<strong>di</strong>stingue le citazioni<br />

letterarie o epigrafiche.


1. I ROMANI<br />

NELLA PIANURA PADANA<br />

L’occupazione della Pianura Padana, già abitata da Etruschi e Galli, fu il risultato <strong>di</strong> un<br />

processo lento e graduale messo in atto dai Romani a partire dal III secolo a.C.<br />

A questo periodo risalgono infatti le prime fondamentali tappe della romanizzazione del<br />

territorio: la fondazione della colonia <strong>di</strong> Rimini alla foce del fiume Ariminus (268 a.C.) e<br />

<strong>di</strong> quelle <strong>di</strong> Cremona e Piacenza (218 a.C.), avamposti strategici lungo il corso del Po, nel<br />

cuore <strong>di</strong> quella terra che i Romani chiamavano “Gallia Cisalpina”.<br />

Questo grande progetto <strong>di</strong> espansione si concluse soltanto nel II secolo a.C., quando<br />

l’intera regione venne assorbita dallo stato romano, attraverso un vasto programma <strong>di</strong><br />

organizzazione territoriale che prevedeva opere <strong>di</strong> bonifica e <strong>di</strong> sud<strong>di</strong>visione agraria,<br />

costruzione <strong>di</strong> strade e creazione <strong>di</strong> nuove colonie.<br />

L’importanza strategica e la ricchezza del territorio indussero il governo <strong>di</strong> Roma a<br />

intraprendere, sotto la guida <strong>di</strong> Lepido, la costruzione della grande via consolare, l’Aemilia,<br />

ultimata nel 187 a.C.<br />

“[Il console Marco Emilio Lepido], pacificati i Liguri, condusse l’esercito nel<br />

territorio gallico e tracciò la via da Piacenza a Rimini, per congiungerla alla<br />

Flaminia” (Tito Livio, Ab urbe con<strong>di</strong>ta XXIX, 2, 10).<br />

Il tracciato della via Aemilia da Piacenza a Rimini.<br />

Lungo il tracciato della via Emilia i Romani fondarono numerose colonie, tra cui, nel 183<br />

a.C., Mutina, che ricevette un vasto territorio compreso fra i fiumi Secchia (ad Ovest) e<br />

Samoggia (a Est), delimitato a Nord dal corso del Po e a Sud dagli Appennini.<br />

Si trattava <strong>di</strong> un’area caratterizzata da paesaggi pianeggianti e collinari, dove le famiglie<br />

<strong>di</strong> coloni provenienti da Roma e dall’Italia centrale ebbero la possibilità <strong>di</strong> praticare<br />

l’agricoltura e l’allevamento, principali fonti <strong>di</strong> prosperità per tutto il territorio.<br />

1<br />

5


6<br />

Ciò che caratterizzò maggiormente l’intervento dei Romani fu la sud<strong>di</strong>visione del territorio<br />

attraverso il sistema della centuriazione: la pianura venne infatti <strong>di</strong>visa in porzioni regolari<br />

<strong>di</strong> terreno dalla forma quadrata, le centurie, da ripartire a loro volta in appezzamenti.<br />

I tracciati regolari della centuriazione si possono in<strong>di</strong>viduare facilmente ancora oggi<br />

attraverso le riprese aeree.<br />

Artefici <strong>di</strong> questo reticolo erano<br />

gli agrimensori, tecnici esperti<br />

nell’uso <strong>di</strong> un apposito strumento,<br />

la groma.<br />

Si tratta <strong>di</strong> un’asta che si infiggeva<br />

nel terreno, sormontata<br />

da 4 bracci in<strong>di</strong>catori ad essa<br />

perpen<strong>di</strong>colari, ai quali era appeso<br />

un filo a piombo. La groma<br />

era in<strong>di</strong>spensabile per tracciare<br />

linee <strong>di</strong>ritte ed angoli retti, che<br />

si ottenevano traguardando i<br />

punti dell’allineamento da realizzare<br />

a partire da quello in cui<br />

era fissata l’asta. Con lo stesso<br />

sistema venivano tracciati i percorsi<br />

<strong>di</strong> strade e canali.<br />

Agrimensori al lavoro<br />

per la realizzazione <strong>di</strong> una<br />

strada (<strong>di</strong>segno <strong>di</strong> Dimmer<br />

Mantovani).<br />

Peso da groma proveniente<br />

dal Modenese.<br />

“ … furono dedotte colonie <strong>di</strong> citta<strong>di</strong>ni romani a Mutina e Parma. Duemila coloni<br />

ricevettero così dei terreni nella regione appartenuta <strong>di</strong> recente ai Galli Boi e prima<br />

ancora agli Etruschi” (Tito Livio, Ab urbe con<strong>di</strong>ta XXIX, 5, 55).<br />

Sud<strong>di</strong>visioni agrarie della<br />

centuriazione ancora visibili<br />

nel paesaggio emiliano.<br />

“Misurare la terra non è compito del conta<strong>di</strong>no, ma dell’agrimensore” (Columella,<br />

De re rustica 5, 1, 3).


Un antico santuario a Cittanova<br />

La precoce romanizzazione del territorio è testimoniata dal ritrovamento, nei<br />

pressi <strong>di</strong> Cittanova, <strong>di</strong> un ampio complesso cultuale caratterizzato da <strong>di</strong>verse<br />

fasi e<strong>di</strong>lizie, comprese tra gli ultimi decenni del III sec. a.C. e il I sec. d.C.<br />

La costruzione più antica si colloca molto probabilmente tra il 224 a.C., anno della prima<br />

sottomissione dei Galli Boi da parte <strong>di</strong> Roma, e l’invasione <strong>di</strong> Annibale (218 a.C.).<br />

Durante la prima fase <strong>di</strong> espansione romana nella Cisalpina questo luogo sacro,<br />

sorto in prossimità del guado del fiume Secchia, contribuì a facilitare l’integrazione<br />

tra tutte le etnie allora presenti nel territorio: etruschi, celti, liguri e romani.<br />

Le antefisse a protome femminile rinvenute nell’area del santuario e ora esposte<br />

in Museo si riferiscono molto probabilmente a questa fase, se non a quella<br />

imme<strong>di</strong>atamente successiva (fine III sec. a.C. - inizio II sec. a.C.).<br />

Il santuario aveva probabilmente svolto un ruolo strategico in funzione <strong>di</strong> altre<br />

infrastrutture della zona: a breve <strong>di</strong>stanza dal luogo <strong>di</strong> culto, a partire dal I secolo<br />

a.C., si trovava un complesso <strong>di</strong> e<strong>di</strong>fici che gli archeologi riferiscono a un’area <strong>di</strong><br />

mercato e a una mutatio, ovvero una stazione <strong>di</strong> sosta lungo la via Emilia, presso<br />

la quale i viaggiatori potevano cambiare il proprio cavallo e ricevere assistenza per<br />

la riparazione dei carri.<br />

In età imperiale il santuario perse la sua antica funzione e alcuni ambienti furono<br />

riutilizzati come e<strong>di</strong>fici rurali con impianti produttivi.<br />

Antefisse a protome femminile<br />

dal santuario <strong>di</strong> Cittanova<br />

(fine III – inizio II sec. a.C.)<br />

e ricostruzione della loro<br />

collocazione originaria alle<br />

estremità dei coppi.<br />

1<br />

7


2. I ROMANI NEL MODENESE<br />

L’AGRICOLTURA<br />

E L’ALLEVAMENTO<br />

L’organizzazione romana del territorio agricolo favorì,<br />

soprattutto in pianura, un migliore utilizzo dei terreni,<br />

ma non bisogna <strong>di</strong>menticare che l’intervento <strong>di</strong> Roma<br />

nel Modenese si inseriva in un contesto già sfruttato<br />

precedentemente. Etruschi e Galli infatti avevano già<br />

sperimentato quali colture fossero adatte a questo tipo <strong>di</strong><br />

terreno e in che modo dovessero essere praticate.<br />

Al loro arrivo i Romani, oltre ad introdurre nuove<br />

colture e nuovi sistemi agricoli e <strong>di</strong> allevamento, fecero<br />

dunque propria la tra<strong>di</strong>zione precedente che ricevette un<br />

nuovo impulso grazie alla sud<strong>di</strong>visione in centurie, alla<br />

costruzione <strong>di</strong> nuovi canali per il deflusso delle acque e<br />

a uno sfruttamento sistematico delle risorse della nostra<br />

regione.<br />

Una delle maggiori fonti <strong>di</strong> ricchezza del territorio era<br />

la coltivazione <strong>di</strong> cereali: fonti letterarie e rinvenimenti<br />

archeologici segnalano infatti la presenza <strong>di</strong> frumento,<br />

orzo, panico, miglio, che erano perio<strong>di</strong>camente alternati a<br />

colture <strong>di</strong> legumi quali fave, lenticchie e piselli. L’aratura<br />

avveniva per mezzo <strong>di</strong> aratri trainati da buoi: la struttura<br />

dell’aratro, in legno, inglobava un vomere in ferro che<br />

serviva a rivoltare le zolle e a creare solchi più o meno<br />

profon<strong>di</strong> a seconda del tipo <strong>di</strong> semina.<br />

Pagina a fianco:<br />

Mosaico raffigurante la<br />

pigiatura dell’uva.<br />

Casa dell’Anfiteatro <strong>di</strong> Merida,<br />

Spagna. III sec. d.C.<br />

Agricoltore al lavoro con aratro<br />

e coppia <strong>di</strong> buoi (<strong>di</strong>segno <strong>di</strong><br />

Dimmer Mantovani).<br />

2<br />

9


10<br />

Un’altra fonte <strong>di</strong> prosperità per gli antichi abitanti del<br />

territorio modenese era l’allevamento <strong>di</strong> bovini, suini<br />

e ovini, la cui presenza è attestata sia dalle fonti letterarie<br />

che dai numerosi reperti osteologici rinvenuti<br />

durante gli scavi.<br />

A seguito <strong>di</strong> un’indagine archeologica svolta in città<br />

nell’area dell’attuale Unicre<strong>di</strong>t Banca, in Piazza Grande,<br />

sono stati accuratamente esaminati i resti <strong>di</strong> ossa<br />

animali provenienti da uno strato databile alla prima<br />

metà del I sec. d.C.<br />

Il 40% dei resti esaminati è riferibile a bovini, il rimanente,<br />

in parti più o meno uguali, a suini e caprovini.<br />

Se i bovini si utilizzavano soprattutto per il consumo<br />

<strong>di</strong> carne, non bisogna <strong>di</strong>menticare che questi animali<br />

erano anche ampiamente sfruttati per i lavori agricoli.<br />

Dai suini, allevati esclusivamente per la carne, si ottenevano,<br />

fin da allora, insaccati <strong>di</strong> ottima qualità che<br />

venivano richiesti anche da Roma stessa. Dalle pecore<br />

e dalle capre si ricavavano non solo latte e formaggi,<br />

che sulle tavole dei Romani non mancavano mai, ma<br />

anche la lana, uno dei prodotti per cui <strong>Modena</strong> era particolarmente<br />

rinomata.<br />

La produzione <strong>di</strong> vino aveva<br />

un ruolo preminente<br />

nell’economia del territorio<br />

emiliano e, in particolare,<br />

nel Modenese, tanto che il<br />

rinomato vino <strong>di</strong> Mutina<br />

veniva richiesto anche oltre<br />

i confini della colonia.<br />

Affresco con grappoli d’uva.<br />

Pompei, Complesso dei Riti<br />

Magici.<br />

“ <strong>Modena</strong> va fiera dell’uva perusinia, dall’acino nero, ma il cui vino sbianca nel<br />

giro <strong>di</strong> quattro anni” (Plinio, Naturalis Historia XIV, 4, 39).<br />

Le fonti antiche non parlano<br />

della coltivazione dell’olivo in<br />

area padana. La presenza della<br />

pianta è però documentata<br />

da numerosi noccioli <strong>di</strong> oliva<br />

rinvenuti sia nel Modenese<br />

che nel Bolognese.<br />

“Nei luoghi intorno a Mutina e al fiume Scultenna [il Panaro] si produce una lana<br />

morbida e molto più bella che in ogni altro sito” (Strabone, Geographia, V, 12).<br />

Nella Pianura Padana si svolgevano perio<strong>di</strong>camente fiere e mercati del bestiame: il più<br />

importante si teneva una volta all’anno prorpio nel Modenese in una località che le fonti<br />

chiamano Campi Macri e che, con ogni probabilità, corrisponde all’attuale Magreta, a<br />

Ovest <strong>di</strong> <strong>Modena</strong>. I Campi Macri richiamavano commercianti anche da notevoli <strong>di</strong>stanze.<br />

Varrone racconta che un certo Turranius Niger vi si recava ogni anno dall’Italia<br />

centrale, dove aveva le sue proprietà (De re Rustica, 2).


L’INSEDIAMENTO<br />

Nelle campagne erano presenti numerosi e<strong>di</strong>fici rurali <strong>di</strong> piccole e me<strong>di</strong>e <strong>di</strong>mensioni, a<br />

volte dotati <strong>di</strong> impianti produttivi (fornaci per la cottura <strong>di</strong> laterizi, anfore e vasellame;<br />

forni per la fusione dei metalli; telai per la tessitura).<br />

Complessi più articolati erano le ville, caratterizzate dalla presenza della cosiddetta pars<br />

urbana (A), una consistente porzione del complesso a<strong>di</strong>bita a residenza padronale.<br />

Accanto agli ambienti riservati al dominus (proprietario della struttura e dei terreni annessi),<br />

si trovava la pars rustica (B), dotata <strong>di</strong> impianti produttivi (soprattutto fornaci, 1) oltre che<br />

<strong>di</strong> alloggi per gli schiavi, granai, stalle, porcilaie, ripostigli per gli attrezzi (2), ampi spazi<br />

destinati a orto (3), frutteto e vigneto (4).<br />

A<br />

Una tipica villa della campagna modenese nel I sec. d.C. (<strong>di</strong>segno <strong>di</strong> Riccardo Merlo).<br />

4<br />

1<br />

2<br />

3<br />

B<br />

2<br />

11


12<br />

Le vetrine del Museo custo<strong>di</strong>scono parecchi reperti<br />

provenienti da e<strong>di</strong>fici rurali e ville del Modenese che<br />

forniscono numerose informazioni sull’aspetto <strong>di</strong> questi<br />

inse<strong>di</strong>amenti.<br />

I muri delle abitazioni erano costruiti in gran parte<br />

in mattoni. I tetti presentavano una travatura in<br />

legno che sosteneva la copertura, costituita da tegole<br />

e coppi in terracotta. Una funzione ornamentale,<br />

pertanto destinata quasi esclusivamente alle ville,<br />

avevano le antefisse, elementi in terracotta con<br />

soggetti mitologici o motivi vegetali, collocate alle<br />

estremità dei coppi.<br />

Nelle sale <strong>di</strong> rappresentanza e in alcuni<br />

ambienti delle ville più ricche<br />

si trovavano pavimenti in marmo<br />

e mosaici con decorazioni<br />

geometriche o figurate,<br />

anche particolarmente<br />

complesse.<br />

Frammento <strong>di</strong> mosaico romano rinvenuto<br />

a Savignano sul Panaro (Mo).<br />

Antefissa configurata a Gorgone o Medusa<br />

(mostro spaventoso con il volto incorniciato<br />

da serpenti) da una villa romana <strong>di</strong><br />

Castelvetro (Mo).<br />

Le pareti erano semplicemente intonacate,<br />

ma gli ambienti <strong>di</strong> prestigio presentavano<br />

anche pitture: i colori più usati erano il rosso<br />

porpora, l’ocra, il nero.<br />

Negli e<strong>di</strong>fici più modesti e nei cortili la<br />

pavimentazione era realizzata in cocciopesto<br />

(un impasto ottenuto da frammenti <strong>di</strong> mattoni<br />

misti a calce), oppure in mattoncini <strong>di</strong> forma<br />

rettangolare <strong>di</strong>sposti a spina <strong>di</strong> pesce, o <strong>di</strong><br />

forma esagonale, le cosiddette “esagonette”.<br />

Pavimentazioni a esagonette e a spina <strong>di</strong> pesce<br />

da Torre Maina - Maranello (Mo).


ansa (5)<br />

Le porte, costruite in legno e a volte rivestite <strong>di</strong><br />

bronzo, erano fissate alle pareti con grossi car<strong>di</strong>ni<br />

metallici (in ferro o bronzo). La chiusura era<br />

assicurata da serrature, catenacci e chiavi.<br />

Chiavi più piccole appartenevano probabilmente ad<br />

arma<strong>di</strong>, bauli o cofanetti.<br />

serbatoio (1)<br />

foro d’alimentazione (3)<br />

Chiavi romane dal Modenese.<br />

stoppino (4)<br />

beccuccio (2)<br />

La lucerna romana era costituita da un serbatoio per l’olio (1) che<br />

terminava con una parte allungata, il beccuccio (2). Due <strong>di</strong>versi fori<br />

servivano rispettivamente per versare l’olio (3) e per estrarre lo stoppino<br />

(4) che a poco a poco veniva consumato dalla fiamma. A volte la lucerna<br />

era dotata <strong>di</strong> un’ansa (manico) che facilitava la presa (5).<br />

Come veniva misurato il tempo?<br />

La necessità <strong>di</strong> misurare il tempo si manifesta fin dai<br />

tempi più antichi: la volontà <strong>di</strong> articolare il giorno<br />

in momenti <strong>di</strong>versi determinò nel mondo romano<br />

la creazione del concetto <strong>di</strong> ”ora” e, dal 273 a.C.,<br />

il giorno fu <strong>di</strong>viso in 24 ore.<br />

I principali strumenti per misurare il tempo<br />

erano orologi solari e clessidre.<br />

La meri<strong>di</strong>ana è un orologio solare che segna l’ora<br />

in base alla posizione e alla lunghezza dell’ombra<br />

prodotta da una lunga asta su una superficie<br />

concava sud<strong>di</strong>visa in 12 parti, corrispondenti alle<br />

ore <strong>di</strong> luce <strong>di</strong> una giornata.<br />

La clessidra era formata da due recipienti in<br />

vetro trasparente sovrapposti e comunicanti,<br />

tra i quali scorreva una determinata quantità <strong>di</strong><br />

acqua. Era utilizzata per misurare il tempo a<br />

<strong>di</strong>sposizione degli oratori in tribunale, la durata<br />

dei turni <strong>di</strong> guar<strong>di</strong>a notturna dell’esercito e<br />

il lavoro degli schiavi. Nel IV secolo l’acqua<br />

fu sostituita con sabbia finissima e gusci<br />

d’uovo polverizzati.<br />

La luminosità degli ambienti<br />

era assicurata dalla luce<br />

naturale che entrava dalle<br />

porte che si aprivano sui<br />

cortili interni e da poche e<br />

anguste finestre che potevano<br />

essere dotate <strong>di</strong> vetri con<br />

un’intelaiatura <strong>di</strong> legno.<br />

Nelle zone più buie e nelle<br />

ore notturne si usavano<br />

candele e lucerne.<br />

La lucerna faceva luce grazie<br />

alla fiammella prodotta da<br />

uno stoppino in fibra vegetale<br />

imbevuto d’olio.<br />

Frammento <strong>di</strong> meri<strong>di</strong>ana in<br />

marmo dalla villa romana della<br />

Scartazza a S. Damaso (Mo).<br />

2


14<br />

LE FORNACI<br />

Fra le tante ere<strong>di</strong>tà lasciateci dai Romani si può <strong>di</strong>re che la lavorazione dell’argilla sia oggi<br />

fra le più evidenti: come non pensare infatti alla fiorente industria ceramica che tuttora dà<br />

un forte impulso all’economia della nostra regione?<br />

Lo sviluppo dell’artigianato della ceramica è dovuto anche alla presenza, nella zona pedecollinare,<br />

<strong>di</strong> vasti depositi <strong>di</strong> argilla, sfruttati fin dai tempi più antichi.<br />

Nell’area compresa tra Maranello, Castelvetro e Savignano sul Panaro, così come a Magreta,<br />

sono documentate archeologicamente numerose fornaci <strong>di</strong> età romana, a volte pertinenti<br />

ad e<strong>di</strong>fici rurali o ville, a volte interpretabili come impianti produttivi autonomi.<br />

Nelle fornaci si producevano laterizi, lucerne, anfore e vari tipi <strong>di</strong> vasellame.<br />

Sezione <strong>di</strong> fornace romana.<br />

In basso la camera <strong>di</strong> combustione. In alto, separata da un piano forato, la camera <strong>di</strong> cottura.<br />

Laterizi<br />

Per laterizi si intendono tutti quei materiali<br />

realizzati in argilla che venivano utilizzati<br />

nell’e<strong>di</strong>lizia: mattoni <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse forme e<br />

<strong>di</strong>mensioni, tegole e coppi. Fin dal II sec.<br />

a.C. venne introdotto l’uso <strong>di</strong> contrassegnare<br />

i laterizi con simboli e lettere ma, già<br />

a partire dal I a.C., fecero la loro comparsa<br />

i “marchi <strong>di</strong> fabbrica”, impressi con sigilli<br />

in legno, terracotta o metallo, che in<strong>di</strong>cavano<br />

all’interno <strong>di</strong> una cornice, spesso rettangolare,<br />

il nome dell’officina o dell’officinator,<br />

il produttore.<br />

Mattone con bollo del produttore dal Modenese.


Lucerne<br />

La produzione <strong>di</strong> lucerne nel Modenese<br />

si attribuisce a numerose officine<br />

testimoniate dalla presenza<br />

del “marchio <strong>di</strong> fabbrica”.<br />

Tra i produttori modenesi <strong>di</strong> lucerne<br />

uno dei più rinomati in tutto<br />

il mondo romano era certamente<br />

Lucius Aemilius Fortis: le sue lucerne<br />

sono state rinvenute anche in Germania<br />

e nell’Africa Settentrionale. Da una<br />

fornace rinvenuta a<br />

Pratoguarrato - Savignano sul<br />

Panaro (Mo), proviene una lastra<br />

in terracotta con il marchio <strong>di</strong><br />

Lucius Aemilius Fortis e attesta la<br />

presenza <strong>di</strong> uno o più impianti <strong>di</strong> proprietà <strong>di</strong><br />

questo antico “impren<strong>di</strong>tore” modenese.<br />

Bolli <strong>di</strong> lucerne dal Modenese:<br />

Aprio, Atimeti, Communis, Exorati, Fortis, Phoetaspi, Sexti, Silvini, Strobili, Thalli.<br />

Lucerne dal Modenese.<br />

A sinistra esemplare con bollo<br />

Fortis impresso sul fondo.<br />

2<br />

15


16<br />

Anfore<br />

La funzione principale delle anfore era legata al contenimento dei liqui<strong>di</strong>, soprattutto olio<br />

e vino. La particolare conformazione del fondo, con terminazione a punta, è dovuta al<br />

fatto che per il trasporto <strong>di</strong> questi contenitori venivano utilizzati appositi ripiani forati che<br />

assicuravano la stabilità del contenuto durante il tragitto.<br />

Vasellame<br />

La cosiddetta ceramica comune, termine con cui si in<strong>di</strong>cano<br />

varie tipologie <strong>di</strong> vasellame da cucina, comprende<br />

<strong>di</strong>versi contenitori destinati alla cottura e alla conservazione<br />

<strong>di</strong> cibi e bevande: pentole, tegami, piatti, brocche<br />

e anforette.<br />

Bottiglie in ceramica comune<br />

da <strong>Modena</strong>, viale V. Reiter.<br />

Produzioni più raffinate erano riservate al vasellame<br />

da mensa: fra queste, la ceramica a vernice nera è caratterizzata<br />

da forme generalmente <strong>di</strong> piccole <strong>di</strong>mensioni<br />

con superfici scure ottenute spalmando sulla superficie<br />

del vaso argilla <strong>di</strong>luita che, in seguito ad una cottura in ambiente<br />

privo <strong>di</strong> ossigeno, assumeva il colore nero.<br />

Anfore da <strong>Modena</strong>, area <strong>di</strong> Piazza Grande.<br />

Coppa a vernice nera<br />

da Magreta - Formigine (Mo).


La ceramica sigillata, dal colore corallino, è così<br />

chiamata per la presenza, sulla superficie dei vasi,<br />

<strong>di</strong> decorazioni a rilievo ottenute con uno stampo, il<br />

cosiddetto sigillum. In ceramica sigillata si producevano<br />

piatti da portata, coppe e bicchieri che spesso<br />

recavano il marchio del fabbricante sul fondo.<br />

Coppa in ceramica sigillata decorata a rilievo con scena <strong>di</strong> danza.<br />

<strong>Modena</strong>, area <strong>di</strong> Piazza Grande.<br />

Sulle mense dei Romani non mancavano infine coppette e<br />

bicchieri cosiddetti “a pareti sottili”, realizzati con argilla<br />

finissima a imitazione dei pregiati e costosi esemplari in<br />

metallo.<br />

Coppetta a pareti sottili da Cognento (Mo).<br />

Dalla cava all’officina del vasaio<br />

Il processo <strong>di</strong> produzione dei manufatti ceramici partiva<br />

dalla cava <strong>di</strong> argilla, nella quale veniva estratta la<br />

materia prima necessaria alla lavorazione. Difficilmente<br />

l’argilla estratta poteva essere <strong>di</strong>rettamente utilizzata. Più<br />

spesso doveva essere sottoposta a una serie <strong>di</strong> operazioni<br />

che la trasformassero in un impasto omogeneo e stabile.<br />

La modellazione in età romana avveniva quasi<br />

esclusivamente al tornio, costituito da un piatto rotante<br />

montato su un supporto azionato solitamente dalla mano<br />

o dal piede del vasaio. Rispetto alle tecniche manuali<br />

l’uso del tornio, oltre ad abbreviare notevolmente i tempi<br />

<strong>di</strong> realizzazione dei manufatti, consentiva la creazione <strong>di</strong><br />

contenitori dalle forme più regolari.<br />

In altri casi, prevalentemente per la realizzazione <strong>di</strong><br />

manufatti <strong>di</strong> piccole <strong>di</strong>mensioni come le lucerne, l’argilla<br />

veniva modellata con delle matrici, che permettevano la<br />

rapida creazione <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> quantità <strong>di</strong> manufatti, talvolta<br />

provvisti <strong>di</strong> decorazioni complesse. La matrice era un vero e<br />

proprio stampo, <strong>di</strong> solito in terracotta, realizzato premendo<br />

due o più masse <strong>di</strong> argilla cruda contro le superfici<br />

dell’oggetto che si intendeva riprodurre, in maniera da<br />

ricavarne l’impronta in negativo.<br />

Matrici <strong>di</strong> lucerne da<br />

Pratoguarrato - Savignano<br />

sul Panaro (Mo).<br />

2<br />

17


3. LA CITTÀ: MUTINA<br />

Molto probabilmente la colonia romana <strong>di</strong> Mutina venne fondata nel luogo <strong>di</strong> un<br />

preesistente centro etrusco. A testimoniarlo non è soltanto la presenza, sia pure spora<strong>di</strong>ca,<br />

<strong>di</strong> ceramica etrusca in vari punti del centro urbano, ma anche il nome stesso della città<br />

che si fa derivare dall’etimo MVTNA, attestato anche archeologicamente da un’iscrizione<br />

in caratteri etruschi presente su un frammento <strong>di</strong> scodella rinvenuto alcuni anni fa nel<br />

territorio reggiano. D’altra parte, anche le fonti antiche sembrano confermare l’esistenza <strong>di</strong><br />

un centro fortificato già prima della fondazione della colonia nel 183 a.C.<br />

Le monumentali fortificazioni<br />

<strong>di</strong> Mutina sono note<br />

archeologicamente già dagli<br />

anni ‘40 del secolo scorso,<br />

quando gran<strong>di</strong> blocchi <strong>di</strong><br />

pietra furono rintracciati in<br />

via Albinelli, presso il Mercato<br />

Coperto, a circa 8 metri<br />

<strong>di</strong> profon<strong>di</strong>tà.<br />

Una significativa porzione<br />

del tratto <strong>di</strong> mura che correva<br />

lungo il limite settentrionale<br />

<strong>di</strong> Mutina è stata oggetto<br />

<strong>di</strong> indagini tra il 2006 e il<br />

2007 in Piazza Roma, dove,<br />

a circa 3,60 metri <strong>di</strong> profon<strong>di</strong>tà,<br />

è stato messo in luce il<br />

piano <strong>di</strong> calpestio originale<br />

delle fortificazioni.<br />

Le mura sono realizzate con<br />

un tipo <strong>di</strong> mattone in uso fino<br />

al II secolo a.C.: tale caratteristica<br />

costruttiva ha indotto<br />

ad ipotizzare che si tratti delle<br />

stesse fortificazioni che offrirono<br />

riparo ai triumviri in<br />

fuga da Piacenza durante la<br />

rivolta dei Galli Boi descritta<br />

da Livio e Polibio.<br />

Polibio e Livio raccontano che nel 218 a.C., all’inizio della II guerra punica, tra le<br />

mura <strong>di</strong> Mutina si rifugiarono i triumviri in fuga da Piacenza inseguiti dai Galli<br />

Boi (Polibio, Storie, III, 40.8; Livio, Ab Urbe Con<strong>di</strong>ta, XXI, 25.3 - 8).<br />

Un tratto delle mura <strong>di</strong> Mutina rinvenute in Piazza Roma.<br />

Pagina a fianco:<br />

Lo scavo in Piazza Roma.<br />

3<br />

19


20<br />

Il limite settentrionale della città si trovava a ridosso dell’attuale Piazza Roma, mentre il<br />

confine orientale coincideva con l’asse delle vie Trento Trieste e Ciro Menotti ed era lambito<br />

da un antico ramo del torrente Tiepido. A Sud il limite urbano correva probabilmente<br />

lungo via Mascherella, mentre il confine occidentale si trovava lungo il lato Est <strong>di</strong> Piazza<br />

Grande dove, parallelo alle fortificazioni, correva un altro corso d’acqua. La città romana<br />

era dunque sensibilmente spostata verso Est rispetto all’attuale centro storico.<br />

Mutina era attraversata in senso Est-Ovest dal decumano massimo, coincidente con la via<br />

Emilia. Strade minori ad essa parallele e perpen<strong>di</strong>colari (rispettivamente decumani e car<strong>di</strong>ni),<br />

formavano il caratteristico reticolo delle città romane.<br />

Reggio E.<br />

ovest<br />

Mantova nord<br />

Verona<br />

Appennino sud<br />

Appennino<br />

Ricostruzione del perimetro e delle principali strade <strong>di</strong> Mutina. In giallo le aree <strong>di</strong> espansione urbana <strong>di</strong><br />

età imperiale.<br />

Bologna<br />

La città costituiva un nodo viario <strong>di</strong> primaria importanza non solo per il fatto <strong>di</strong> essere<br />

lungo la via Emilia ma anche perché da <strong>Modena</strong> aveva origine la via per Este, Verona e la<br />

valle dell’A<strong>di</strong>ge (corrispondente al car<strong>di</strong>ne massimo), molto importante per i collegamenti<br />

transalpini e con il resto dell’Italia settentrionale.<br />

est


TRA LA REPUBBLICA E L’IMPERO<br />

Proprio per la sua posizione strategica, la città <strong>di</strong>venne durante il<br />

I secolo a.C. un punto chiave nelle guerre civili che insanguinarono<br />

la fase finale della repubblica.<br />

Già poco dopo la morte <strong>di</strong> Silla nel 78 a.C. Mutina venne asse<strong>di</strong>ata<br />

da Pompeo Magno. Qui si era infatti rifugiato con i suoi sostenitori<br />

Marco Giunio Bruto, uno del capi del partito popolare. La città si arrese<br />

per fame e Bruto in fuga venne assassinato a Reggio Emilia, forse per<br />

or<strong>di</strong>ne dello stesso Pompeo.<br />

Pochi anni dopo, nel 72 a.C., Spartaco, che aveva capeggiato una<br />

rivolta <strong>di</strong> gla<strong>di</strong>atori e raccolto intorno a sè migliaia <strong>di</strong> schiavi<br />

fuggiaschi, si <strong>di</strong>resse con il suo esercito verso i valichi alpini e, nei<br />

pressi <strong>di</strong> <strong>Modena</strong>, <strong>di</strong>strusse l’accampamento <strong>di</strong> Cassio Longino.<br />

Evidentemente Mutina era considerata una vera e propria capitale,<br />

almeno dal punto vista militare. Non è dunque un caso che la città sia<br />

stata teatro <strong>di</strong> un episo<strong>di</strong>o decisivo per il destino <strong>di</strong> Roma e del nascente<br />

impero, la “guerra <strong>di</strong> <strong>Modena</strong>”, così chiamata dalle fonti (Bellum<br />

Mutinense) perché proprio qui, entro le gran<strong>di</strong> mura, si erano rifugiati<br />

gli assassini <strong>di</strong> Cesare, guidati da Decimo Bruto, governatore della<br />

Cisalpina.<br />

Busto marmoreo <strong>di</strong> Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto.<br />

Antonio asse<strong>di</strong>a Decimo Bruto a <strong>Modena</strong>, ha circondato la città con fortificazioni<br />

e opere militari, stringe d’asse<strong>di</strong>o i nostri coloni, l’esercito del popolo romano<br />

… saccheggia i campi dei citta<strong>di</strong>ni, provocando ovunque sofferenze (Cicerone,<br />

Philippicae, XIII, 20-21).<br />

L’uccisione <strong>di</strong> Cesare, nel 44 a.C. aveva provocato una guerra civile i cui protagonisti furono<br />

gli ere<strong>di</strong> del grande condottiero: Marco Antonio, ufficiale <strong>di</strong> Cesare, e<br />

Gaio Giulio Cesare Ottaviano, suo figlio adottivo e legittimo erede,<br />

destinato a <strong>di</strong>ventare il primo imperatore <strong>di</strong> Roma con il titolo <strong>di</strong><br />

Augusto. Una possibile traccia tangibile degli scontri tra i contendenti<br />

alle porte <strong>di</strong> Mutina è costituita da alcune ghiande<br />

missili, i mici<strong>di</strong>ali proiettili dei frombolieri romani, recuperate<br />

presso il ponte <strong>di</strong> S.Ambrogio.<br />

Ghianda missile dall’area<br />

del Ponte <strong>di</strong> S.Ambrogio (Mo).<br />

Immagine <strong>di</strong> fromboliere tratta dai rilievi<br />

della Colonna Traiana.<br />

I frombolieri utilizzavano una sorta <strong>di</strong> fionda costituita<br />

da una striscia <strong>di</strong> cuoio con al centro l’alloggiamento del<br />

proiettile. Con più rotazioni del braccio si faceva acquistare<br />

forza e velocità alla ghianda che veniva lanciata<br />

rilasciando una delle estremità della fionda.<br />

Per garantire il successo del lancio e il raggiungimento<br />

del bersaglio, i Romani plasmavano ghiande<br />

missili con scritte intimidatorie a rilievo, come ad<br />

esempio “FERI”, che in latino significa “colpisci!”.<br />

L’espressione poteva essere accompagnata dall’iniziale<br />

del nome della legione o del generale avversario: si trattava<br />

dunque <strong>di</strong> vere e proprie “male<strong>di</strong>zioni” contro il nemico!<br />

3<br />

21


22<br />

MUTINA SPLENDIDISSIMA<br />

All’importanza strategica <strong>di</strong> Mutina doveva corrispondere una grande agiatezza dei suoi<br />

abitanti confermata dai rinvenimenti archeologici e dalle fonti. I numerosi ritrovamenti<br />

nel sottosuolo della città moderna restituiscono un’immagine <strong>di</strong> benessere che doveva<br />

essere garantito anche dalla ricchezza del territorio circostante.<br />

“firmissima ac splen<strong>di</strong><strong>di</strong>ssima populi Romani colonia” (Cicerone, Philippicae,<br />

V, 24).<br />

Con la fine delle guerre civili e l’ascesa al potere<br />

<strong>di</strong> Augusto, l’Italia settentrionale si trova a<br />

vivere una lunga stagione <strong>di</strong> pace. Mutina, ora<br />

parte della regione Aemilia, sembra beneficiare<br />

<strong>di</strong> un certo favore da parte dell’imperatore e<br />

approfitta largamente <strong>di</strong> questa situazione per<br />

sviluppare la propria economia.<br />

All’espansione economica, sociale e demografica<br />

che si registra a partire dai primi decenni del<br />

I secolo d.C. corrisponde anche uno sviluppo<br />

urbano <strong>di</strong> Mutina che assume ora pienamente<br />

le caratteristiche <strong>di</strong> una città romana con gran<strong>di</strong><br />

e<strong>di</strong>fici pubblici <strong>di</strong> tipo monumentale e con<br />

splen<strong>di</strong>de <strong>di</strong>more private. Tale sviluppo coincide<br />

anche con un ampliamento dell’area urbana<br />

che si allarga probabilmente su tre lati, al <strong>di</strong> fuori<br />

della cinta muraria.<br />

L’espansione urbanistica della prima età imperiale comportò<br />

probabilmente opere <strong>di</strong> consolidamento <strong>di</strong> terreni paludosi nelle<br />

vicinanze <strong>di</strong> corsi d’acqua. Sembra essere questa la funzione<br />

della bonifica con anfore trovata nell’area <strong>di</strong> Piazza Grande.<br />

Statuetta <strong>di</strong> lepre in bronzo. Area <strong>di</strong> Piazza Grande.<br />

I secolo d.C.<br />

Lucerna in bronzo con ansa terminante a testa <strong>di</strong> felino.<br />

Area <strong>di</strong> Piazza Grande. Seconda metà I secolo d.C.


Nel periodo <strong>di</strong> maggiore ricchezza (I-II secolo d.C.) Mutina aveva un’estensione <strong>di</strong> circa<br />

700.000 mq (più o meno come 35 campi da calcio) ed una popolazione stimabile tra i 15.000<br />

e i 20.000 abitanti (all’incirca come Pompei al momento dell’eruzione del Vesuvio).<br />

Mutina nel periodo <strong>di</strong> maggiore splendore (<strong>di</strong>segno <strong>di</strong> Riccardo Merlo).<br />

I SECOLI DELLA CRISI<br />

La crisi che investì l’Italia e l’impero a partire dalla fine del III secolo d.C. non risparmiò<br />

Mutina, che riuscì tuttavia a mantenere una certa importanza.<br />

Nel V secolo e, in particolare, alla fine del VI, si verificarono alcune <strong>di</strong>sastrose alluvioni<br />

che costrinsero gli abitanti a lasciare Mutina e sigillarono gran parte della città romana<br />

inglobando i suoi resti in uno spesso strato <strong>di</strong> argilla e sabbia.<br />

E’ per questo che gli attuali abitanti <strong>di</strong> <strong>Modena</strong> non hanno la percezione delle origini romane<br />

della città: Mutina è infatti una città sepolta che tuttavia fa la sua comparsa ogni qual<br />

volta interventi nel sottosuolo intercettano l’antico impianto urbano a profon<strong>di</strong>tà variabili<br />

dai 3 ai 9 metri.<br />

In molte zone della città i ripetuti episo<strong>di</strong> alluvionali andarono ad incrementare lo spessore<br />

del deposito. Soltanto una piccola area a Ovest della città antica, interessata da un lieve<br />

dosso, venne in parte risparmiata dalle alluvioni: qui sorgerà la Cattedrale nella quale si<br />

veneravano le spoglie <strong>di</strong> San Geminiano e, attorno ad essa, si svilupperà la città me<strong>di</strong>evale.<br />

Mutina invasa dalle alluvioni (<strong>di</strong>segno <strong>di</strong> Riccardo Merlo).<br />

3<br />

23


5<br />

4<br />

1<br />

3<br />

4<br />

6<br />

2


ovest<br />

4. I LUOGHI PUBBLICI<br />

In una città ricca e importante come Mutina non potevano mancare i gran<strong>di</strong> e<strong>di</strong>fici pubblici,<br />

i monumenti, i negozi e le zone <strong>di</strong> mercato affollate dalle bancarelle degli ambulanti.<br />

Tra le principali infrastrutture destinate ad uso pubblico vi erano il foro, le terme, gli e<strong>di</strong>fici<br />

per spettacoli e le botteghe, documentate nel sottosuolo <strong>di</strong> <strong>Modena</strong> in parte archeologicamente,<br />

grazie a scavi condotti in città a partire dalla metà del XIX secolo, in parte da<br />

fonti epigrafiche e letterarie.<br />

IL FORO<br />

nord<br />

sud<br />

Pianta della città con posizionamento<br />

<strong>di</strong> foro (rosso), terme<br />

(viola), anfiteatro (azzurro).<br />

In giallo le aree <strong>di</strong> espansione<br />

urbana <strong>di</strong> età imperiale.<br />

Pagina a fianco:<br />

Ricostruzione ipotetica<br />

del foro <strong>di</strong> Mutina<br />

(<strong>di</strong>segno <strong>di</strong> Riccardo Merlo).<br />

Nelle città romane il foro, cuore della vita politica, economica e religiosa della città, era<br />

significativamente collocato al centro dell’impianto urbano. Generalmente occupava<br />

un’area rettangolare <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni, ai lati della quale erano <strong>di</strong>sposti i principali<br />

e<strong>di</strong>fici pubblici.<br />

A <strong>Modena</strong>, sulla base <strong>di</strong> una serie <strong>di</strong> ritrovamenti, è possibile ipotizzare che il foro si<br />

trovasse nella zona compresa tra viale Martiri della Libertà ad Est e Rua Pioppa a Ovest.<br />

I lati brevi, a Nord e a Sud, corrispondevano rispettivamente a due tratti <strong>di</strong> via Emilia<br />

Centro e via Mascherella.<br />

Sul lato breve settentrionale, all’incirca in corrispondenza dell’attuale chiesa <strong>di</strong> San Biagio,<br />

si affacciava probabilmente il Capitolium (1), il tempio principale della città mentre,<br />

all’estremità opposta, si trovava la Curia (2), dove si riunivano i rappresentanti politici<br />

della città. I lati lunghi erano percorsi da imponenti e<strong>di</strong>fici porticati fra cui la Basilica (3),<br />

destinata alle attività giuri<strong>di</strong>che e agli affari. Botteghe e bancarelle <strong>di</strong> ven<strong>di</strong>tori ambulanti<br />

occupavano i portici (4) e parte della piazza vera e propria. Presso il limite meri<strong>di</strong>onale<br />

della piazza si trovava probabilmente un Caesareum (5), importante luogo <strong>di</strong> culto de<strong>di</strong>cato<br />

agli imperatori <strong>di</strong>vinizzati e, in corrispondenza all’attuale Palazzo della Provincia, un<br />

grande e<strong>di</strong>ficio termale (6).<br />

est<br />

4<br />

25


26<br />

LE TERME<br />

Nei pressi delle aree pubbliche, ogni città romana possedeva almeno un impianto termale<br />

che svolgeva all’incirca le funzioni degli attuali “centri benessere”: alle terme era possibile<br />

lavarsi e rilassarsi, fare ginnastica, giocare e chiacchierare con gli amici.<br />

Le terme erano frequentate da tutti: uomini e donne, anziani e bambini, schiavi e padroni.<br />

I prezzi erano assolutamente accessibili e alcune categorie <strong>di</strong> frequentatori, tra cui gli<br />

anziani, i giovanissimi e i militari, avevano <strong>di</strong>ritto all’ingresso gratuito.<br />

Gli impianti termali comprendevano <strong>di</strong>versi ambienti, spesso separati per uomini e<br />

donne: spogliatoi, palestre, vasche con acqua calda (calidaria), tiepida (tepidaria) e fredda<br />

(frigidaria), sale per massaggi e per la depilazione.<br />

Un centro vivace come Mutina doveva possedere certamente più <strong>di</strong> un impianto: uno <strong>di</strong><br />

questi si trovava molto probabilmente nei pressi del foro, lungo l’attuale viale Martiri della<br />

Libertà, dove uno scavo ottocentesco ha messo in luce alcuni ambienti <strong>di</strong> epoca romana<br />

con la caratteristica pavimentazione dotata <strong>di</strong> ipocausto (qualcosa <strong>di</strong> molto simile al nostro<br />

“riscaldamento a pavimento”), in<strong>di</strong>spensabile per aumentare la temperatura negli ambienti<br />

destinati al bagno caldo.<br />

Calidarium con pavimentazione<br />

a ipocausto (tratto da<br />

J.P.Adam, La construction<br />

Romaine, Paris, 1984).<br />

Pavimento con ipocausto.<br />

Rimini, palazzo tardoantico.


GLI EDIFICI PER SPETTACOLI<br />

A Mutina non sono documentate, almeno fino ad ora, strutture<br />

riferibili a teatri, anche se è molto probabile che la nostra<br />

città ne possedesse uno, o forse più. Esistono invece in<strong>di</strong>zi<br />

consistenti sulla presenza <strong>di</strong> un anfiteatro nell’area compresa<br />

tra le attuali via Canalino e via Mondatora. Osservando una<br />

pianta urbana si nota infatti come questo isolato presenti<br />

una conformazione del tutto simile all’andamento ovale<br />

proprio <strong>di</strong> questo particolare tipo <strong>di</strong> e<strong>di</strong>ficio. Durante<br />

sondaggi archeologici effettuati nel 1940 nel sottosuolo <strong>di</strong><br />

via Mondatora furono in<strong>di</strong>viduate monumentali strutture<br />

a gradoni decrescenti, proprio come quelle degli anfiteatri<br />

romani. Resti <strong>di</strong> un muro <strong>di</strong> notevoli <strong>di</strong>mensioni rintracciato<br />

poco più a Sud, in via S. Geminiano, potrebbero essere riferiti<br />

al tratto meri<strong>di</strong>onale del perimetro dell’anfiteatro.<br />

Un e<strong>di</strong>ficio <strong>di</strong> queste <strong>di</strong>mensioni era in grado <strong>di</strong> ospitare circa<br />

15.000 -16.000 spettatori.<br />

Mosaico con rappresentazione <strong>di</strong> gla<strong>di</strong>atori. Torrenova<br />

(Roma). Seconda metà III secolo d. C.<br />

Negli anfiteatri erano protagonisti i<br />

gla<strong>di</strong>atori, che combattevano nell’arena<br />

rischiando la vita per il <strong>di</strong>vertimento del<br />

pubblico. Tra i gla<strong>di</strong>atori vi erano schiavi,<br />

prigionieri <strong>di</strong> guerra e condannati a morte<br />

che speravano in un riscatto, ma anche<br />

ex-schiavi (liberti) e citta<strong>di</strong>ni liberi<br />

che si sottoponevano alla <strong>di</strong>sciplina e ai<br />

rischi <strong>di</strong> tale professione per ragioni <strong>di</strong><br />

guadagno o <strong>di</strong> prestigio. I gla<strong>di</strong>atori erano<br />

infatti splen<strong>di</strong><strong>di</strong> atleti amati dal popolo (e<br />

soprattutto dalle donne!).<br />

Area fra via Canalino e via Mondatora.<br />

Balsamario in bronzo dall’area <strong>di</strong> Piazza Grande, <strong>Modena</strong>.<br />

Questi recipienti , in alcuni casi rinvenuti assieme a strigili,<br />

erano probabilmente utilizzati dai gla<strong>di</strong>atori e più in generale<br />

dai frequentatori delle palestre come contenitori <strong>di</strong> olii<br />

profumati da spalmare sul corpo.<br />

4<br />

27


28<br />

Tra le <strong>di</strong>verse forme <strong>di</strong> spettacolo le più cruente<br />

erano le cacce, in cui combattevano animali contro<br />

animali o uomini contro animali. In questo caso si<br />

seguiva il criterio del luogo <strong>di</strong> origine degli<br />

schiavi, per cui i Celti combattevano contro<br />

gli orsi, gli Africani contro i leoni, gli Orientali<br />

contro tigri ed elefanti.<br />

Uno spettacolo raro e costosissimo era la naumachia,<br />

durante la quale venivano rappresentate<br />

battaglie navali del passato.<br />

LE BOTTEGHE<br />

“Set” da atleta composto da ciotola<br />

per versare sulla pelle l’acqua<br />

fredda, balsmario e strigili<br />

(<strong>di</strong>segno <strong>di</strong> Dimmer Mantovani).<br />

Strigile in bronzo con manico decorato<br />

da figura <strong>di</strong> gla<strong>di</strong>atore con elmo<br />

e scudo. <strong>Modena</strong>, Area Novi Sad.<br />

Lo strigile è uno strumento <strong>di</strong> metallo<br />

usato dagli atleti per raschiare<br />

la pelle, dopo averla vigorosamente<br />

frizionata con gli olii misti a cenere<br />

e pomice, o per detergere il sudore<br />

(<strong>di</strong>segno <strong>di</strong> Gianluca Pellacani).<br />

Un’iscrizione rinvenuta a Verona ricorda il gla<strong>di</strong>atore modenese Glauco, morto<br />

nell’arena della città veneta a 23 anni, durante il suo ottavo combattimento.<br />

Il gruppo degli amatores, i tifosi <strong>di</strong> Glauco, aiutarono la sua giovane vedova,<br />

Aurelia, a sostenere le spese funebri per lo sfortunato campione (CIL V, 3466).<br />

I portici del foro e le facciate delle case, al piano terra, potevano ospitavare negozi, botteghe<br />

e laboratori artigianali, generalmente affittati ai commercianti dal governo della<br />

città o dai singoli proprietari degli stabili. Nelle strade delle città romane si riversava una<br />

moltitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> ven<strong>di</strong>tori ed acquirenti, pronti a scambiare merci provenienti dal territorio<br />

circostante o importati da zone lontane.<br />

Numerose erano le osterie (thermopolia), dove si beveva, si consumavano piccoli pasti e,<br />

non <strong>di</strong> rado, si giocava d’azzardo. Mancavano del tutto i parrucchieri per signora, perché<br />

le matrone si facevano acconciare dalle schiave <strong>di</strong> casa (ornatrices), mentre erano numerosi<br />

i barbieri (tonsores), poiché gli uomini usavano tenere i capelli corti e il viso rasato.


Rilievo con bottega <strong>di</strong> ven<strong>di</strong>tore <strong>di</strong> tessuti da Roma (Vigna Strozzi). Prima metà del I secolo d.C.<br />

A <strong>Modena</strong> non sono ancora documentati archeologicamente resti <strong>di</strong> botteghe,<br />

ma alcune testimonianze epigrafiche ci segnalano la presenza in città <strong>di</strong><br />

un oste (copo), <strong>di</strong> un orefice (aurifex), <strong>di</strong> un probabile barbiere (tonsor), <strong>di</strong> ben<br />

4 commercianti d’abiti (vestiarii), <strong>di</strong> un mercante <strong>di</strong> lana (lanarius) e della<br />

gens Purpuraria, che probabilmente deve il suo nome alla lavorazione della<br />

lana e in particolare all’uso della porpora per la tintura dei filati.<br />

Il poeta latino Marziale ricorda il ricco proprietario <strong>di</strong> una<br />

lavanderia (fullo) che offrì a Mutina uno spettacolo <strong>di</strong><br />

gla<strong>di</strong>atori (Epigrammata, III, 59).<br />

Contrappesi in bronzo a forma <strong>di</strong> cinghiale (Castelvetro,<br />

Mo), <strong>di</strong> anforetta (Cittanova, Mo), <strong>di</strong> testa <strong>di</strong> Dioniso (Baggiovara,<br />

Mo), <strong>di</strong> testa femminile (Gavello - Mirandola, Mo).<br />

La stadera romana era dotata <strong>di</strong> un braccio graduato, <strong>di</strong><br />

piatti (da uno a tre) per accogliere la merce da pesare e da un<br />

peso cursore che poteva assumere la forma <strong>di</strong> piccolo busto <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>vinità o <strong>di</strong> oggetti legati al commercio.<br />

4<br />

29


ovest<br />

5. LE DOMUS<br />

Molte delle nostre conoscenze sulle abitazioni delle città romane provengono dagli scavi<br />

<strong>di</strong> Ercolano e Pompei che hanno restituito, pressoché intatti, e<strong>di</strong>fici pubblici, case, strade,<br />

botteghe con i loro arre<strong>di</strong> originali.<br />

Le case <strong>di</strong> città erano generalmente <strong>di</strong> due tipi, corrispondenti alle possibilità economiche<br />

degli occupanti: e<strong>di</strong>fici su più piani, le insulae, affollatissimi appartamenti <strong>di</strong> piccole<br />

<strong>di</strong>mensioni per la classe meno abbiente, e residenze <strong>di</strong> lusso, le domus, per i ceti benestanti.<br />

In base a <strong>di</strong>versi rinvenimenti possiamo affermare che a <strong>Modena</strong> in età romana si trovassero<br />

numerose e ricchissime domus. Le scoperte più significative sono avvenute fra gli anni ’50 e<br />

’60 del secolo scorso in via Farini, in via S. Carlo e in via Università, successivamente anche<br />

in Largo Garibal<strong>di</strong> e in Piazza Grande e più recentemente in Piazza Roma.<br />

Rinvenimenti <strong>di</strong> e<strong>di</strong>fici residenziali <strong>di</strong> Mutina.<br />

nord<br />

sud<br />

Pagina a fianco:<br />

Ricostruzione del peristilio della domus <strong>di</strong> via Università (Mo), particolare.<br />

est<br />

5<br />

31


32<br />

La domus era costituita da <strong>di</strong>versi ambienti con specifiche funzioni.<br />

L’ingresso immetteva in un ambiente aperto, l’atrio, caratterizzato da un’ampia apertura<br />

al centro del soffitto, il compluvium, che consentiva l’entrata <strong>di</strong> luce e aria. Una vasca sottostante,<br />

l’impluvium, raccoglieva l’acqua piovana. Nell’atrio erano custo<strong>di</strong>te, all’interno<br />

<strong>di</strong> un arma<strong>di</strong>etto simile a un tempio in miniatura (“e<strong>di</strong>cola”), le statue dei Lari, gli dèi<br />

protettori della casa, e degli antenati. Da questo ambiente si poteva accedere alle <strong>di</strong>verse<br />

stanze che si <strong>di</strong>stribuivano attorno all’atrio: camere da letto (cubicula), stanze destinate al<br />

soggiorno e allo stu<strong>di</strong>o, sale per banchetti (triclinia). La parte più interna della casa coincideva<br />

generalmente con il peristilio, un ambiente aperto rettangolare, con un giar<strong>di</strong>no<br />

circondato da un portico con colonne, che ben si prestava alla creazione <strong>di</strong> effetti scenografici<br />

ottenuti con gli affreschi parietali, le decorazioni a mosaico dei pavimenti, arre<strong>di</strong> quali<br />

panchine, tavolini, statue, nonché alberi da frutto, arbusti e aiuole fiorite. Fra le colonne<br />

del portico erano appesi gli oscilla, decorazioni a forma <strong>di</strong> <strong>di</strong>sco in bronzo lucidato che,<br />

oscillando, riflettevano i raggi <strong>di</strong> sole creando suggestivi giochi <strong>di</strong> luce.<br />

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2<br />

4<br />

Ricostruzione della pianta <strong>di</strong> una domus del I secolo d.C. 1. Ingresso; 2. Atrio; 3. Camera da letto; 4. Peristilio con giar<strong>di</strong>no;<br />

5. Triclinio invernale; 6. Triclinio estivo; 7. Sala <strong>di</strong> rappresentanza; 8. Ambiente con riscaldamento a ipocausto; 9.<br />

Latrina; 10. Cucina; 11. Dispensa; 12. Stanza <strong>di</strong> soggiorno; 13. Corridoio; 14. Ambienti <strong>di</strong> deposito; 15. Orto; 16. Forno<br />

per riscaldamento; 17. Scale; 18. Vasca; 19. Forno per alimenti; 20. Pozzo; 21. Fontana; 22. Taverna; 23. Botteghe; 24.<br />

Retrobottega (<strong>di</strong>segno <strong>di</strong> Riccardo Merlo).<br />

7<br />

17<br />

18<br />

13<br />

6<br />

12<br />

24<br />

1<br />

23 23 23 23 22<br />

3<br />

3<br />

12<br />

3<br />

14<br />

3


Ricostruzione grafica <strong>di</strong> una gamba in bronzo<br />

del letto con scena a carattere mitologico.<br />

Ricostruzione del letto e del tavolino<br />

della domus <strong>di</strong> via Università (parti<br />

lignee <strong>di</strong> Germano Bertolani).<br />

In Museo sono conservati gli elementi bronzei<br />

dell’elegante triclinium <strong>di</strong> una domus rinvenuta in<br />

via Università e databile alla fine del I secolo a.C.<br />

La stanza prende il nome dal “triclinio”, il letto<br />

usato dai Romani per consumare i pasti nella classica<br />

posizione “semisdraiata”, prendendo il cibo<br />

<strong>di</strong>rettamente con le mani dai contenitori appoggiati<br />

sulla piccola mensa (tavolino).<br />

Ricostruzione dell’ambiente tricliniare della domus <strong>di</strong> via Università.<br />

5<br />

33


34<br />

Ricostruzione del peristilio della domus<br />

<strong>di</strong> via Università.<br />

Grazie a questo raffinato congegno<br />

gli antichi abitanti della<br />

domus potevano stupire i propri<br />

ospiti offrendo lo spettacolo <strong>di</strong> un<br />

getto multiplo che formava spirali prima<br />

<strong>di</strong> ricadere nella vasca della fontana.<br />

Ricostruzione della cucina della domus <strong>di</strong> via Università.<br />

Al peristilio della stessa domus<br />

appartengono alcuni elementi<br />

in bronzo riferibili ad<br />

una fontana: due getti a forma<br />

<strong>di</strong> anatra, dal cui becco usciva<br />

uno zampillo, e un elemento a<br />

forma <strong>di</strong> calice con più fori per<br />

la fuoriuscita simultanea <strong>di</strong> più<br />

getti d’acqua. Ogni zampillo riceveva<br />

una particolare forza e<br />

inclinazione, che <strong>di</strong>pendevano<br />

dalle <strong>di</strong>mensioni e dal tipo <strong>di</strong><br />

apertura <strong>di</strong> ciascun foro.<br />

Elemento <strong>di</strong> fontana<br />

in bronzo a forma <strong>di</strong><br />

anatra dalla domus <strong>di</strong><br />

via Università.<br />

Oltre agli ambienti residenziali la domus comprendeva locali <strong>di</strong> servizio, magazzini e latrine.<br />

La cucina non ebbe mai una collocazione precisa nella <strong>di</strong>stribuzione degli spazi domestici:<br />

sono noti esempi <strong>di</strong> cucine nei sottoscala, negli angoli dell’atrio o tra gli ambienti<br />

<strong>di</strong> servizio affacciati sulla strada. Le cucine erano sempre dotate <strong>di</strong> un focolare con piano<br />

<strong>di</strong> cottura, <strong>di</strong> un lavan<strong>di</strong>no, <strong>di</strong> un forno e <strong>di</strong> piani d’appoggio per la preparazione dei cibi.


COSA MANGIAVANO I ROMANI?<br />

Presso i Romani il pasto principale della giornata era la cena,<br />

che cominciava nel primo pomeriggio e si protraeva fino a<br />

sera. Spesso, più che un pasto, era un’occasione sociale per<br />

manifestare agli invitati la propria ricchezza, o per intrattenere<br />

rapporti con amici e conoscenti in completo relax.<br />

I citta<strong>di</strong>ni più facoltosi potevano permettersi <strong>di</strong> offrire spettacoli<br />

con attori, musici, danzatori, a seconda delle preferenze<br />

dei presenti.<br />

In una cena c’erano generalmente tre o quattro portate, ma il<br />

numero era spesso superato, fino a raggiungere anche sette<br />

portate.<br />

Per stuzzicare l’appetito si iniziava con antipasti pepati a<br />

base <strong>di</strong> uova sode, zucche, verdure, pollo, ostriche, accompagnate<br />

da vini al miele. La seconda portata era costituita da<br />

un piatto <strong>di</strong> pesce, carne e verdure, mentre la terza da uno<br />

o più arrosti, generalmente <strong>di</strong> selvaggina. Particolarmente<br />

ricercato era il fegato d’oca, ottenuto ingrassando l’animale<br />

con i fichi: il risultato era un saporito fegato chiamato ficatum.<br />

L’ultima portata era il dessert, a base <strong>di</strong> dolci, frutta<br />

fresca e secca fra cui i datteri, <strong>di</strong> cui i Romani erano davvero<br />

molto golosi.<br />

Nel corso <strong>di</strong> uno scavo condotto nell’area <strong>di</strong> Piazza Grande,<br />

in un settore della città occupato nel I secolo d.C. da una domus,<br />

la setacciatura del terreno ha consentito <strong>di</strong> recuperare<br />

microresti vegetali e animali che hanno dato preziose informazioni<br />

sulle abitu<strong>di</strong>ni alimentari degli antichi modenesi.<br />

Tra i resti vegetali prevalgono olive, corniole, noci, nocciole,<br />

pinoli, uva, fichi, ciliegie e pesche, queste ultime da poco introdotte<br />

in Italia. Particolarmente interessante è la presenza<br />

<strong>di</strong> una bacca <strong>di</strong> pepe, spezia importata dall’Oriente e utilizzata<br />

anche allora per aromatizzare le carni.<br />

Fra i resti <strong>di</strong> ossa animali, oltre a bovini, suini e ovini (cfr. p.<br />

10) sono stati in<strong>di</strong>viduati resti <strong>di</strong> pollame e <strong>di</strong> animali selvatici<br />

tra cui caprioli, lepri ed alcuni uccelli. Non mancano<br />

poi resti <strong>di</strong> pesci d’acqua dolce, come il luccio o la tinca, e <strong>di</strong><br />

mare, come il dentice e la spigola.<br />

Cena che Nasi<strong>di</strong>eno Rufo offrì a Mecenate: “Prima<br />

portata: cinghiale <strong>di</strong> Lucania con contorno <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>ci<br />

nere piccanti, lattughe, ra<strong>di</strong>ci or<strong>di</strong>narie, raperonzoli, e<br />

feccia <strong>di</strong> vino <strong>di</strong> Cos. Seconda portata: uccelletti e molluschi, interiora<br />

<strong>di</strong> passere <strong>di</strong> mare e <strong>di</strong> rombo, murena coronata <strong>di</strong> canocchie.<br />

Terza portata: una gru maschio tagliata a pezzi insaporita con sale<br />

e farro, con contorno <strong>di</strong> patè <strong>di</strong> fegato d’oca femmina bianca ingrassata<br />

con fichi, spalle <strong>di</strong> lepri, merli dal petto abbrustolito e piccioni<br />

(Orazio, Sermones, II, 8).<br />

Mosaici e affreschi con raffigurazioni<br />

<strong>di</strong> prelibatezze romane.<br />

CURIOSITA’<br />

35


CURIOSITA’<br />

36<br />

Abbigliamento maschile<br />

In alto a destra:<br />

Specchio in bronzo da Cittanova<br />

(Mo), I secolo d.C.<br />

COME SI VESTIVANO I ROMANI?<br />

All’interno delle mura domestiche, gli<br />

uomini portavano una tunica semplice e<br />

sandali <strong>di</strong> cuoio. Quando uscivano, calzavano<br />

scarpe <strong>di</strong> cuoio chiuse e indossavano<br />

la toga, scomoda e ingombrante, ma<br />

che rappresentava un vero segno <strong>di</strong>stintivo<br />

per il citta<strong>di</strong>no romano. I pantaloni erano considerati<br />

un’usanza straniera e indegna <strong>di</strong> un uomo,<br />

mentre si potevano utilizzare mantelli <strong>di</strong> varie fogge.<br />

Frequente era l’uso <strong>di</strong> anelli d’oro con una pietra intagliata<br />

usata per apporre il sigillo sui documenti.<br />

La vestizione della matrona era più complessa: le<br />

donne romane, anche le più austere, seguivano volentieri<br />

i capricci della moda. La prima operazione<br />

mattutina era la lavatio, eseguita con l’aiuto <strong>di</strong> ancelle<br />

che provvedevano poi a cospargere <strong>di</strong> unguenti e profumi<br />

le loro padrone. Per la pulizia dei denti si utilizzava<br />

l’appuntito dentiscalpium, un antenato dei moderni<br />

stuzzicadenti, generalmente in bronzo, che all’estremità<br />

opposta veniva impiegato per pulire le orecchie, con<br />

funzione <strong>di</strong> auriscalpium.<br />

Sopra la tunica le donne romane portavano la stola, una<br />

lunga veste <strong>di</strong> lino o cotone stretta in vita da una cintura.<br />

Per uscire indossavano la palla, un mantello rettangolare<br />

<strong>di</strong> tessuto leggero, colorato, a volte decorato con<br />

fili d’oro. Le calzature più comuni erano sandali colorati<br />

<strong>di</strong> rosso o dorati.<br />

Abbigliamento<br />

femminile


Le acconciature femminili, a seconda della<br />

moda, andavano dalle più semplici alle più<br />

complesse, che prevedevano l’uso <strong>di</strong> nastri, pettini,<br />

spilloni e strumenti per arricciare i capelli.<br />

Ritratto femminile<br />

da una tomba romana,<br />

I secolo d.C.<br />

Bracciale e orecchini<br />

in oro e pietre preziose.<br />

Acconciature<br />

femminili<br />

Le donne benestanti amavano ornarsi <strong>di</strong> gioielli, come<br />

<strong>di</strong>mostrano alcuni ritratti <strong>di</strong> matrone giunti fino a noi.<br />

Un anello particolare era quello che reca, incise in una<br />

gemma o sull’oro, due mani destre che si stringono,<br />

simbolo dell’unione matrimoniale.<br />

Anche le donne meno ricche non rinunciavano<br />

ai monili: si accontentavano<br />

però della bigiotteria, <strong>di</strong> bronzo o <strong>di</strong><br />

vetro.<br />

Anello d’oro con<br />

simbolo nuziale.<br />

Anello d’oro con<br />

castone a cratere<br />

da Piazza Roma (Mo).<br />

Collane con<br />

vaghi in vetro<br />

dagli scavi<br />

nell’area Novi<br />

Sad (Mo).<br />

CURIOSITA’<br />

37


CURIOSITA’<br />

38<br />

GIOCHI E GIOCATTOLI<br />

Gli adulti apprezzavano molto i giochi d’azzardo<br />

che, però, erano vietati dalla legge. La proibizione<br />

era tuttavia largamente ignorata e si giocava ovunque:<br />

alle terme, nelle taverne e all’interno delle case.<br />

Un gioco molto <strong>di</strong>ffuso era il duodecim scripta, simile ai<br />

nostri attuali dama, gioco dell’oca e backgammon.<br />

Si giocava su una tabella con incisa una frase composta<br />

da 36 caratteri, equamente <strong>di</strong>stribuiti su 3 linee <strong>di</strong> testo.<br />

A ogni lettera corrispondeva una casella: scopo del gioco<br />

era probabilmente quello <strong>di</strong> percorrere la frase attraversando<br />

tutte le lettere-caselle con le proprie pe<strong>di</strong>ne e<br />

uscire dal tabellone prima che ci riuscisse l’avversario.<br />

Per spostare le pe<strong>di</strong>ne ciascun giocatore aveva a <strong>di</strong>sposizione,<br />

a turno, il lancio <strong>di</strong> una coppia <strong>di</strong> da<strong>di</strong>.<br />

I bambini romani amavano molto i giochi con le noci,<br />

come quello del “castello”: una volta sistemate tre noci<br />

a terra, a formare un triangolo, si doveva lanciare la<br />

quarta noce cercando <strong>di</strong> farla atterrare sulle altre tre<br />

senza scomporle. Chi riusciva nell’impresa guadagnava<br />

le noci. Molto <strong>di</strong>ffusi erano anche gli astragali, ossicini<br />

delle articolazioni delle pecore, utilizzati come pe<strong>di</strong>ne,<br />

che a scuola venivano regalati come premio agli alunni<br />

più stu<strong>di</strong>osi.<br />

La piccola tessera in osso a forma pesce<br />

rinvenuta una trentina <strong>di</strong> anni fa in<br />

Piazza Grande (Mo), a lungo interpretata<br />

come probabile biglietto <strong>di</strong> ingresso per<br />

le aree destinate agli spettacoli,<br />

potrebbe avere avuto una<br />

funzione molto <strong>di</strong>versa<br />

da quella<br />

inizialmente ipotizzata<br />

dagli stu<strong>di</strong>osi: secondo<br />

opinioni più recenti,<br />

sarebbe infatti una semplice<br />

pe<strong>di</strong>na da gioco.<br />

Tabella per il gioco del<br />

duodecim scripta.<br />

La frase incisa riporta<br />

un tipico menù da<br />

taverna: “abbiamo<br />

per cena pollo, pesce,<br />

prosciutto, pavone.”<br />

Bambola in avorio<br />

trovata nel<br />

sarcofago <strong>di</strong> una<br />

giovane romana.<br />

Museo Nazionale<br />

Romano<br />

Rilievo su un sarcofago <strong>di</strong><br />

fanciullo con bambini che<br />

giocano alle “noci”.<br />

I secolo d.C., Vienna<br />

Kunsthistorisches Museum.<br />

In epoca romana, come oggi, le<br />

bambine giocavano con le bambole.<br />

Queste antenate delle nostre<br />

Barbie, dagli arti snodabili<br />

e dai tratti delicati, dotate <strong>di</strong><br />

vestitini e accessori colorati, accompagnavano<br />

la bambina per<br />

tutta l’infanzia, fino al giorno<br />

prima delle nozze, quando la<br />

giovane sposa, ormai grande,<br />

abbandonava i suoi amati giocattoli<br />

e, simbolicamente, li offriva<br />

agli dèi.


STRUMENTI PER LO STUDIO<br />

Nei primi secoli della Repubblica l’educazione dei bambini era affidata ai genitori ma, a<br />

partire dal III secolo a.C., comparvero le prime scuole pubbliche.<br />

La frequenza alle lezioni e il pagamento delle tasse non erano obbligatori: saltuariamente<br />

le famiglie offrivano doni e denaro al maestro. Maschi e femmine <strong>di</strong> famiglie modeste e<br />

benestanti stu<strong>di</strong>avano fino ai do<strong>di</strong>ci anni; soltanto i maschi <strong>di</strong> buona famiglia potevano<br />

proseguire gli stu<strong>di</strong> fino ai 20 anni e approfon<strong>di</strong>re la grammatica, la letteratura, la storia, la<br />

geografia, l’astronomia e la fisica.<br />

Gli scolari <strong>di</strong> età romana potevano imparare a tracciare le prime lettere su tavolette <strong>di</strong> legno<br />

rivestite <strong>di</strong> cera utilizzando gli stili, piccole aste <strong>di</strong> metallo o in osso: la parte appuntita<br />

serviva per incidere la cera, l’estremità piatta per cancellare.<br />

Gli adulti scrivevano quasi sempre su<br />

fogli <strong>di</strong> papiro, ricavati dall’omonima<br />

pianta, o <strong>di</strong> pergamena, ottenuti da pelli<br />

<strong>di</strong> pecora raschiate e levigate con pietra<br />

pomice. Su questi fogli si scriveva<br />

con cannucce o penne <strong>di</strong> uccelli.<br />

L’inchiostro, fatto con acqua, resina,<br />

nero <strong>di</strong> seppia e fuliggine, era conservato<br />

in calamai portatili.<br />

Riproduzione <strong>di</strong> tavoletta <strong>di</strong> cera e<br />

<strong>di</strong> stilo in bronzo.<br />

Affresco raffigurante coppia <strong>di</strong> sposi.<br />

La donna tiene in mano una tavoletta<br />

cerata. L’uomo stringe un rotolo <strong>di</strong><br />

papiro. Pompei, I secolo a.C.<br />

Stili scrittori in osso dall’area<br />

del santuario <strong>di</strong> Cittanova (Mo).<br />

CURIOSITA’


6. LE NECROPOLI<br />

Nel mondo antico i riti legati alla morte e alla sepoltura erano<br />

accompagnati da cerimonie che riflettevano le convinzioni religiose<br />

e le credenze delle comunità in una vita ultraterrena.<br />

In età romana il rituale funerario maggiormente documentato,<br />

almeno fino al II secolo d.C., è quello della cremazione<br />

o incinerazione: al termine del rogo funebre le ossa combuste<br />

venivano raccolte in un’urna cineraria in pietra o in<br />

terracotta che successivamente era sepolta in una piccola<br />

fossa e in<strong>di</strong>cata da un semplice segnacolo oppure da un monumento<br />

funerario.<br />

Pagina a fianco:<br />

Balsamari in vetro da corre<strong>di</strong><br />

<strong>di</strong> tombe recuperate durante<br />

gli scavi della ferrovia<br />

<strong>Modena</strong>-Sassuolo.<br />

Rappresentazione <strong>di</strong> una<br />

cerimonia funebre con<br />

cremazione del defunto (in alto)<br />

e con inumazione (a fianco).<br />

Disegni <strong>di</strong> Riccardo Merlo.<br />

Urna in terracotta contenente<br />

le ceneri del defunto, rinventa<br />

all’interno del recinto<br />

funerario dell’ara <strong>di</strong> Vetilia<br />

(metà I secolo d.C.). <strong>Modena</strong>,<br />

via Emilia Est.<br />

A partire dal II secolo d.C. si assiste ad un mutamento delle pratiche <strong>di</strong> seppellimento con<br />

il progressivo affermarsi dell’inumazione e la conseguente <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> sepolture adatte a<br />

contenere il corpo del defunto, quali sarcofagi in marmo e casse in pietra o mattoni.<br />

Il rito <strong>di</strong>venta pressochè esclusivo nel IV secolo con l’affermarsi della religione cristiana.<br />

6<br />

41


42<br />

Le necropoli <strong>di</strong> età romana si sviluppavano lungo le principali strade <strong>di</strong> accesso alla città<br />

che <strong>di</strong>venivano vere e proprie vie sepolcrali. Dalla via Emilia a Est della città provengono<br />

le testimonianze più monumentali, riferibili per la maggior parte ad un periodo compreso<br />

fra la fine del I secolo a.C. e il II secolo d.C.<br />

A partire dalla fine del III secolo d.C., e più consistentemente nei secoli successivi, l’area<br />

urbana si contrae e le necropoli occupano aree prossime alla città, precedentemente<br />

urbanizzate.<br />

I MONUMENTI FUNERARI<br />

Nella tarda età repubblicana e nel primo secolo dell’impero sono attestate sepolture monumentali<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>verse tipologie. Anche se non si conservano monumenti integri, gli imponenti<br />

blocchi lapidei recuperati negli scavi lasciano supporre la ricchezza e la raffinatezza <strong>di</strong><br />

queste strutture che testimoniano la volontà <strong>di</strong> affermazione del ceto dominante.<br />

Una delle tipologie più <strong>di</strong>ffuse in città era il monumento a e<strong>di</strong>cola, che poteva raggiungere<br />

anche un’altezza <strong>di</strong> oltre 12 metri. All’apparato decorativo <strong>di</strong> un monumento a e<strong>di</strong>cola doveva<br />

appartenere la celebre lastra dei Niobi<strong>di</strong>, copia romana da un originale <strong>di</strong> Fi<strong>di</strong>a.<br />

Lastra dei Niobi<strong>di</strong> (I sec. d.C.),<br />

<strong>Modena</strong>, via Crespellani.<br />

2<br />

3


1 4<br />

Ipotesi ricostruttiva <strong>di</strong> un tratto della necropoli orientale <strong>di</strong> Mutina (<strong>di</strong>segno <strong>di</strong> Riccardo Merlo). Le testimonianze<br />

monumentali recuperate lungo via Emilia Est sono esposte nel Lapidario Romano dei Musei Civici e nel Lapidario Estense.<br />

1. Monumento a e<strong>di</strong>cola; 2. Monumento a corpo cilindrico; 3. Monumento a dado; 4. Stele; 5. Ara; 6. Sarcofago.<br />

Anche a Mutina sono attestati alcuni<br />

monumenti a corpo cilindrico, e<strong>di</strong>fici<br />

a pianta circolare con <strong>di</strong>ametro a<br />

volte superiore ai 10 metri, che riproducono<br />

il modello costituito dal colossale<br />

mausoleo <strong>di</strong> Augusto a Roma,<br />

il cui esempio più noto è rappresentato<br />

dalla tomba <strong>di</strong> Cecilia Metella<br />

sull’Appia antica.<br />

Il monumento a dado, <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni<br />

minori rispetto alle e<strong>di</strong>cole, era costituito<br />

da un corpo quadrangolare su<br />

cui si sviluppava l’iscrizione.<br />

A un monumento a e<strong>di</strong>cola <strong>di</strong> età romana<br />

potevano appartenere i due leoni recuperati<br />

nel Me<strong>di</strong>oevo e collocati ai lati<br />

del Portale Maggiore del Duomo.<br />

6<br />

5<br />

6


44<br />

Alla relativa scarsità <strong>di</strong> resti <strong>di</strong> monumenti funerari <strong>di</strong><br />

imponenti <strong>di</strong>mensioni, fa riscontro l’elevata quantità <strong>di</strong> stele,<br />

attestate a Mutina a partire dalla seconda metà del I secolo a.C.<br />

Le stele più antiche sono spesso<br />

caratterizzate dai ritratti dei<br />

defunti inseriti entro nicchie,<br />

come quella <strong>di</strong> Lucius Rubrius<br />

Stabilio Primus (<strong>Modena</strong>,<br />

via Emilia Est), oppure decorate<br />

da elementi architettonici<br />

e floreali e da ornamentazioni<br />

simboliche connesse alla protezione<br />

del sepolcro, alla caducità<br />

della vita o al mondo ultraterreno.<br />

Dalla fine del I secolo a.C. compaiono i monumenti ad ara: caratterizzati<br />

da una struttura parallelepipeda, venivano spesso<br />

collocati su un’alta gra<strong>di</strong>nata ed erano sormontati da elementi<br />

decorativi.<br />

Ara anepigrafe, metà I secolo d.C.<br />

<strong>Modena</strong>, via Emilia Est.<br />

Stele e are erano inserite<br />

all’interno <strong>di</strong> recinti sepolcrali<br />

che potevano essere in<br />

blocchi <strong>di</strong> pietra o muratura<br />

oppure demarcati da siepi.


A partire dal II sec d. C. si <strong>di</strong>ffondono<br />

le sepolture all’interno <strong>di</strong> sarcofagi,<br />

gran<strong>di</strong> casse in pietra, spesso in<br />

marmo, destinate a contenere il corpo<br />

del defunto.<br />

Dalla metà del III secolo d.C., in concomitanza<br />

con la grave crisi economica<br />

che investì l’impero, <strong>di</strong>venne<br />

frequente l’uso <strong>di</strong> recuperare il materiale<br />

lapideo dei gran<strong>di</strong> monumenti<br />

funerari dei perio<strong>di</strong> più antichi per<br />

riutilizzarlo in nuove strutture sepolcrali<br />

o per inserirlo in contesti <strong>di</strong>versi<br />

(ad esempio nell’e<strong>di</strong>lizia).<br />

La scarsità del materiale lapideo produsse<br />

anche un aumento <strong>di</strong> sepolture<br />

in cassa laterizia, sicuramente più<br />

“economiche” sia come materiale<br />

che come manodopera.<br />

Sarcofago rinvenuto in Piazza Matteotti ed esposto<br />

nel Museo Lapidario Estense.<br />

I CORREDI<br />

Il rituale funerario prevedeva<br />

spesso l’inserimento nella tomba<br />

<strong>di</strong> oggetti che costituivano il corredo<br />

del defunto per il suo viaggio<br />

nell’al<strong>di</strong>là.<br />

I rinvenimenti più frequenti sono<br />

costituiti da lucerne che servivano<br />

per irra<strong>di</strong>are luce sulla via<br />

dell’oltretomba, da balsamari,<br />

destinati a <strong>di</strong>ffondere nel sepolcro<br />

l’aroma <strong>di</strong> essenze e profumi,<br />

e da contenitori, soprattutto anfore,<br />

usati per le libagioni.<br />

Elemento ricorrente è anche il cosiddetto<br />

“obolo <strong>di</strong> Caronte”, moneta<br />

offerta come simbolico pagamento<br />

del pedaggio al nocchiere<br />

infernale per traghettare l’anima<br />

nell’oltretomba.<br />

Sepoltura a inumazione rinvenuta nel corso<br />

degli scavi nell’area Novi Sad con “obolo<br />

<strong>di</strong> Caronte” in corrispondenza della cavità<br />

orbitale. IV secolo d.C.<br />

6<br />

45


7. LA STORIA DI VETILIA<br />

Nel settembre 2007, in occasione<br />

dei lavori per realizzare<br />

un e<strong>di</strong>ficio residenziale in via<br />

Emilia Est a <strong>Modena</strong>, venne<br />

alla luce un’ara monumentale,<br />

composta da vari elementi lapidei<br />

sovrapposti per un’altezza<br />

complessiva superiore ai 4 metri:<br />

una base, un grande dado<br />

sormontato da tre gra<strong>di</strong>ni e, al<br />

<strong>di</strong> sopra <strong>di</strong> essi, un altare parallelepipedo<br />

in marmo orientale<br />

finemente lavorato.<br />

L’ara <strong>di</strong> Vetilia in corso <strong>di</strong> scavo.<br />

Nel <strong>di</strong>cembre dello stesso anno<br />

l’ara fu accuratamente smontata<br />

e collocata nella sua nuova<br />

sede: il Lapidario Romano, al<br />

piano terra <strong>di</strong> Palazzo dei Musei,<br />

dove è tuttora esposta.<br />

L’ara, databile intorno alla<br />

metà del I secolo d.C., ospita<br />

un’iscrizione che permette <strong>di</strong><br />

ricostruire le vicende <strong>di</strong> un’antica<br />

liberta modenese, ma anche<br />

<strong>di</strong> far luce su alcuni aspetti<br />

della storia sociale <strong>di</strong> Mutina<br />

nella prima età imperiale.<br />

L’ara <strong>di</strong> Vetilia nel Lapidario Romano<br />

dei Musei Civici.<br />

7<br />

47


48<br />

V(iva) f(ecit) / Vetilia (mulieris) lib(erta) / Egloge sibi et / L(ucio) Valerio Q(uinti) f(ilio) Constant(i)<br />

/ decurioni Mut(inae) viro / optumo et carissimo et / L(ucio) Valerio L(uci) lib(erto) Constanti / filio<br />

piissimo apollinar(i) / et augustali.<br />

“Quando era ancora in vita, Vetilia Egloge, liberta <strong>di</strong> una donna, fece costruire questo monumento<br />

per se stessa e per Lucio Valerio Costante, figlio <strong>di</strong> Quinto, decurione <strong>di</strong> Mutina,<br />

marito ottimo e carissimo, e per Lucio Valerio Costante, liberto <strong>di</strong> Lucio, figlio assai devoto,<br />

membro del collegio religioso degli Apollinari e degli Augustali.”<br />

L’iscrizione funeraria dell’ara <strong>di</strong> Vetilia.<br />

La de<strong>di</strong>cante era in origine una semplice schiava e, come tutte le persone <strong>di</strong> origine servile,<br />

portava un unico nome, Egloge, che in greco significa “la prescelta”. La sua padrona, una<br />

matrona della gens Vetilia, le concesse la libertà: la donna <strong>di</strong>venne una ricca liberta e da<br />

quel momento il suo nome da schiava venne preceduto, come richiedeva la legge, dal gentilizio<br />

della sua antica proprietaria.<br />

Una volta riscattata, Vetilia Egloge fu libera <strong>di</strong> unirsi ufficialmente in matrimonio a un uomo<br />

libero, Lucio Valerio Costante, decurione <strong>di</strong> Mutina, che <strong>di</strong>venne il suo“ottimo e carissimo<br />

marito”. Il collegio dei decurioni rappresentava l’élite <strong>di</strong>rigente della città: Costante era<br />

dunque uno degli uomini <strong>di</strong> nascita libera più ricchi e potenti <strong>di</strong> tutta Mutina.


L’iscrizione nomina anche un terzo personaggio, figlio <strong>di</strong> Vetilia e liberto <strong>di</strong> Costante: si<br />

tratta probabilmente <strong>di</strong> un figlio che la donna aveva dato alla luce prima della manomissione,<br />

dal momento che il piccolo nacque schiavo. Il ragazzo fu poi riscattato dal decurione,<br />

dal quale ricevette il nome e la con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> liberto.<br />

Ma chi era veramente il giovane Costante? Il fatto che porti gli stessi tria nomina del suo<br />

patrono induce a credere che fosse non solo il figlio <strong>di</strong> Vetilia Egloge e il liberto <strong>di</strong> Costante<br />

senior, ma anche il figlio naturale del decurione, nato prima che i genitori si sposassero.<br />

Qualunque fosse il legame tra Costante junior e Costante senior, il giovane acquisì una<br />

posizione sociale <strong>di</strong> tutto rispetto, in qualità <strong>di</strong> membro del collegio sacerdotale degli Apollinari,<br />

de<strong>di</strong>to al culto <strong>di</strong> Augusto <strong>di</strong>vinizzato. Lo stato sociale raggiunto dalla liberta e dai<br />

suoi cari si ad<strong>di</strong>ce quin<strong>di</strong> perfettamente alla monumentalità del sepolcro <strong>di</strong> famiglia.<br />

L’ara <strong>di</strong> Vetilia, simbolo della città<br />

Una copia fedele del monumento è stata collocata al centro della rotatoria <strong>di</strong> via Emilia Est,<br />

all’ingresso della città, per rappresentare simbolicamente le origini romane <strong>di</strong> <strong>Modena</strong>.<br />

La copia del monumento è stata realizzata utilizzando gli stessi materiali lapidei dell’originale.<br />

L’analisi delle pietre, eseguita dal Dipartimento <strong>di</strong> Scienze della Terra dell’Università <strong>di</strong><br />

<strong>Modena</strong> e Reggio Emilia, ha portato all’identificazione <strong>di</strong> tre<br />

<strong>di</strong>verse tipologie lapidee: gli elementi della base sono<br />

in calcari delle prealpi veronesi e vicentine, la parte<br />

superiore invece in marmo proconnesio, proveniente<br />

da una piccola isola nel Mar <strong>di</strong> Marmara.<br />

Con una scansione a triangolazione laser si è ottenuto<br />

un modello 3D sulla base del quale sono stati<br />

sbozzati meccanicamente i blocchi lapidei, poi rifiniti<br />

con l’intervento manuale <strong>di</strong> uno scalpellino.<br />

Realizzazione e rifinitura della copia.<br />

Rotatoria fra la Tangenziale Pasternak e la via Emilia.<br />

Copia del monumento <strong>di</strong> Vetilia. A fianco dell’ara una<br />

lastra <strong>di</strong> acciaio reca incisi i nomi che la città ha avuto<br />

nei secoli: Mutna, il nome etrusco; Mutina, il nome<br />

romano e <strong>Modena</strong> il nome attuale.<br />

7


8. IL SUBURBIO DI MUTINA<br />

NOVI ARK<br />

UN PARCO ARCHEOLOGICO PER LA CITTÀ<br />

La costruzione del parcheggio interrato del Parco Novi Sad, a Ovest dell’attuale centro<br />

urbano, è stata preceduta fra il 2009 e il 2011 da uno scavo archeologico che ha interessato<br />

un’area <strong>di</strong> circa 23.000 mq.<br />

A 5 metri <strong>di</strong> profon<strong>di</strong>tà, al <strong>di</strong> sotto degli strati <strong>di</strong> età moderna e me<strong>di</strong>evale, è stato messo<br />

in luce un settore periferico <strong>di</strong> Mutina attraversato dalla strada proveniente da Mantova.<br />

Oltre alla strada sono stati in<strong>di</strong>viduati i resti <strong>di</strong> una necropoli, <strong>di</strong> e<strong>di</strong>fici rurali con impianti<br />

produttivi, oltre a tre gran<strong>di</strong> <strong>di</strong>scariche contenenti scarti <strong>di</strong> anfore e altri materiali archeologici.<br />

La strada, i monumenti funerari e parte degli e<strong>di</strong>fici e degli impianti <strong>di</strong> età romana sono<br />

stati asportati dal piano originario e ricomposti in superficie per dare vita al Novi Ark, museo<br />

archeologico all’aperto de<strong>di</strong>cato ad un settore <strong>di</strong> suburbio dell’antica Mutina.<br />

La strada e le altre strutture si trovano dunque nel loro sito originario, ma oltre 5 metri più<br />

in alto rispetto al livello <strong>di</strong> ritrovamento.<br />

La strada romana, scoperta a 5 metri <strong>di</strong> profon<strong>di</strong>tà, è stata smontata pezzo per pezzo e ricostruita sulla superficie<br />

del NoviArk.<br />

Pagina a fianco:<br />

Stratigrafia semplificata dello scavo del Parco Novi Sad (<strong>di</strong>segno <strong>di</strong> Riccardo Merlo).<br />

Che cos’e’ una stratigrafia<br />

Gli strati archeologici si formano attraverso le tracce lasciate sul terreno dalla presenza<br />

umana nel corso del tempo. Queste tracce possono essere sepolte da eventi naturali come le<br />

alluvioni o le eruzioni vulcaniche, in grado <strong>di</strong> “sigillare”, come è avvenuto a Pompei, intere<br />

città. In altri casi, anche senza l’intervento della natura, può accadere che l’uomo stesso<br />

ricopra le tracce dei suoi antenati, continuando a costruire e ad abitare nello stesso luogo,<br />

accumulando strati <strong>di</strong> rifiuti e <strong>di</strong> terra. Con il passare dei secoli, il terreno tende a rialzarsi<br />

e non ci si deve quin<strong>di</strong> stupire che i resti dell’antica Mutina siano sepolti a <strong>di</strong>versi metri <strong>di</strong><br />

profon<strong>di</strong>tà dall’o<strong>di</strong>erno piano stradale.<br />

L’archeologo, indagando con metodo il terreno a partire dallo strato più recente (quello più<br />

in alto), legge gli strati uno dopo l’altro, come se sfogliasse un libro che racconta un viaggio<br />

a ritroso nel tempo.<br />

8<br />

51


La città e il settore periferico in<strong>di</strong>viduato nell’area Novi Sad (<strong>di</strong>segno <strong>di</strong> Riccardo Merlo).


54<br />

LA STRADA<br />

Il reperto meglio conservato e, certamente, il più monumentale dello scavo, è il tracciato <strong>di</strong><br />

una strada che si staccava dalla via Emilia poco a Ovest <strong>di</strong> Mutina e proseguiva poi a Nord<br />

in <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> Mantova.<br />

La prima costruzione <strong>di</strong> questa importante <strong>di</strong>rettrice è probabilmente da collocare tra il II<br />

e il I sec. a.C.; successivamente, la strada subì <strong>di</strong>verse opere <strong>di</strong> manutenzione e ripristino,<br />

almeno fino al IV secolo d.C., quando venne progressivamente cancellata dagli eventi<br />

alluvionali che interessarono la città e il territorio. La strada, realizzata con ciottoli <strong>di</strong><br />

fiume <strong>di</strong> varie <strong>di</strong>mensioni, aveva una larghezza <strong>di</strong> 5 metri ed era fiancheggiata da due<br />

marciapie<strong>di</strong> in argilla battuta, a loro volta affiancati da due fossati per il deflusso dell’acqua<br />

piovana. Per facilitare il percorso delle acque verso i fossati, la strada aveva una struttura<br />

convessa “a schiena d’asino”. L’intenso traffico <strong>di</strong> mezzi in entrata e in uscita da Mutina<br />

è sottolineato dalla profon<strong>di</strong>tà dei solchi carrai, ben riconoscibili lungo tutto il tracciato.<br />

La porzione <strong>di</strong> strada rinvenuta ha una lunghezza <strong>di</strong> m 118 e comprende all’incirca 13.000<br />

ciottoli.<br />

La grande strada<br />

acciottolata con i<br />

solchi prodotti dal<br />

frequente passaggio<br />

dei carri.<br />

Rappresentazione<br />

della strada e della<br />

necropoli in età<br />

imperiale (<strong>di</strong>segno<br />

<strong>di</strong> Riccardo Merlo).


LA NECROPOLI DI ETÀ IMPERIALE<br />

Su lato destro della strada è stato riproposto un tratto della necropoli <strong>di</strong> età imperiale con<br />

un allineamento <strong>di</strong> stele funerarie inserite all’interno <strong>di</strong> lotti <strong>di</strong> terreno le cui <strong>di</strong>mensioni si<br />

ricavano dal testo dell’iscrizione funeraria. Me<strong>di</strong>amente i lotti misurano tra i 14 e i 15 mq;<br />

uno soltanto è <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni inferiori, mentre un’altro supera i 20 mq.<br />

Le iscrizioni dei monumenti riportano i nomi <strong>di</strong> personaggi vissuti a Mutina durante<br />

la prima età imperiale. Molti sono liberti, ossia ex schiavi liberati dallo stato <strong>di</strong> servitù,<br />

che durante il I secolo rappresentano in città la vera e propria classe emergente, ma sono<br />

presenti anche uomini e donne <strong>di</strong> nascita libera, o schiavi.<br />

Stele funeraria <strong>di</strong> Sesto<br />

Peduceo Eutico.<br />

Offerta presso il monumento<br />

funerario <strong>di</strong> Sesto Peduceo Eutico<br />

(<strong>di</strong>segno <strong>di</strong> Riccardo Merlo).<br />

La stele del liberto Sesto Peduceo Eutico presenta<br />

nella parte inferiore un bassorilievo con un volto<br />

maschile, che quasi sicuramente si riferisce al<br />

giovane delicius, schiavo pre<strong>di</strong>letto, sepolto assieme<br />

al suo padrone, il cui nome non è più leggibile a<br />

causa <strong>di</strong> una lacuna nell’iscrizione. Il termine<br />

delicius, così come l’espressione “delicatus”, in<strong>di</strong>cava<br />

una precisa categoria <strong>di</strong> giovanissimi servitori, che<br />

venivano appositamente istruiti per accompagnare<br />

il padrone nelle occasioni ufficiali, ai banchetti,<br />

alle terme. I delicii o delicati erano ben vestiti, colti<br />

e raffinati, come dei veri paggetti. Questa loro<br />

attività era considerata un’arte, se non ad<strong>di</strong>rittura<br />

un mestiere vero e proprio. Sebbene appartenesse<br />

al ceto servile, il giovane schiavo <strong>di</strong> Eutico era in<br />

un certo senso un privilegiato, perchè era istruito<br />

e seguiva il suo padrone, un ricco liberto, negli<br />

ambienti più esclusivi della città.<br />

In un’altra iscrizione rinvenuta in<br />

via Emilia Est è attestato un delicius<br />

chiamato Argutus: a giu<strong>di</strong>care dal<br />

nome, doveva essere un ragazzo molto<br />

sveglio e intelligente.<br />

8<br />

55


56<br />

Stele funeraria <strong>di</strong> Sepunia<br />

Secunda e particolare del<br />

timpano.<br />

Sepunia Secunda e il fratello<br />

(<strong>di</strong>segno <strong>di</strong> Riccardo Merlo).<br />

Un’elegante stele a timpano con decorazioni vegetali<br />

e zoomorfe è de<strong>di</strong>cata da una donna, Sepunia Seconda,<br />

al fratello Tito Sepunio Postumo, centurione<br />

della XV legione Apollinare, a quel tempo stanziata<br />

in Pannonia (attuale area danubiana, in Austria). Sepunio,<br />

centurione legionario, nacque a Mutina, come<br />

attesta la sua appartenenza alla tribù Pollia, e trascorse<br />

lunghi anni in missione nelle province dell’impero,<br />

per poi trovare degna sepoltura nella città natale<br />

insieme alla sorella e a un terzo personaggio, Lucio<br />

Pugilio Expectato, <strong>di</strong> cui non si specifica il legame<br />

(amicizia? servizio? L’onomastica sembra escludere<br />

la parentela) con i fratelli Sepunii.<br />

La particolare decorazione del timpano, due uccellini<br />

ciascuno dei quali recide un fiore con il becco,<br />

potrebbe alludere alla precoce morte del centurione.


Che aspetto aveva un centurione?<br />

Il centurione comandava 80 uomini e, come segno <strong>di</strong>stintivo<br />

del suo grado, portava sull’elmo una coda <strong>di</strong> cavallo tinta <strong>di</strong><br />

porpora, che insieme all’oro era il colore del comando.<br />

Altro simbolo del suo potere era la vitis, nodoso bastone in<br />

legno <strong>di</strong> vite usato per mantenere la <strong>di</strong>sciplina.<br />

Ai pie<strong>di</strong> indossava como<strong>di</strong> calzari in cuoio muniti <strong>di</strong><br />

chio<strong>di</strong> per far presa nel terreno; le tibie erano protette da<br />

gambali in lega metallica <strong>di</strong> ferro e piombo, gli schinieri.<br />

La “corazza” era in realtà una maglia in ferro, spesso<br />

decorata da falerae (“borchie”) a testa <strong>di</strong> Gorgone<br />

o a protome leonina.<br />

L’arma da offesa era il gla<strong>di</strong>us, la spada, mentre<br />

il pugius, il pugnale, serviva prevalentemente<br />

come arma da <strong>di</strong>fesa.<br />

Falera con immagine <strong>di</strong> leone<br />

da Cognento (Mo).<br />

Falera con immagine <strong>di</strong> gorgone<br />

dal Modenese.<br />

Ricostruzione dell’armatura<br />

<strong>di</strong> un centurione romano.<br />

8<br />

57


58<br />

LA NECROPOLI<br />

TARDOANTICA<br />

A partire dalla fine del III secolo, e soprattutto<br />

nel IV, la fisionomia della necropoli<br />

cambia ra<strong>di</strong>calmente. I contesti sepolcrali<br />

non sono più costituiti da monumenti or<strong>di</strong>natamente<br />

<strong>di</strong>sposti all’interno <strong>di</strong> recinti funerari,<br />

ma piuttosto organizzati per nuclei<br />

<strong>di</strong> tombe <strong>di</strong> <strong>di</strong>versa tipologia costruite talvolta<br />

riutilizzando le stele <strong>di</strong> età imperiale<br />

come elementi <strong>di</strong> copertura.<br />

Quasi tutte le stele recuperate nello scavo,<br />

ora esposte nel Novi Ark lungo la strada<br />

romana secondo un’ipotetica ricostruzione<br />

della necropoli <strong>di</strong> età imperiale, avevano in<br />

realtà subito questa sorte. Per testimoniare<br />

la pratica del reimpiego, nel Novi Ark è stato<br />

riproposto lungo la strada, sull’altro lato<br />

rispetto alla ricostruzione della necropoli <strong>di</strong><br />

età imperiale, uno dei contesti tardoantichi<br />

in cui sono state reimpiegate come coperture<br />

<strong>di</strong> tombe a cassa le stele <strong>di</strong> Sesto Peduceo<br />

Eutico e <strong>di</strong> Cneo Nonio Filocrate.<br />

Sepoltura tardoantica a cassa laterizia<br />

in corso <strong>di</strong> scavo.<br />

Il contesto <strong>di</strong> età tardoantica con il reimpiego<br />

delle stele <strong>di</strong> Sesto Peduceo Eutico e <strong>di</strong> Cneo<br />

Nonio Filocrate.


Particolare del Novi Ark con la strada romana in primo piano.<br />

Il tesoretto<br />

Gli scavi del Novi Sad hanno restituito un’importante testimonianza del momento <strong>di</strong><br />

crisi attraversato dalla città in età tardoantica: un tesoretto composto da 296 monete<br />

d’argento che qualcuno, per paura, aveva nascosto sottoterra insieme a un prezioso<br />

anello “benaugurale” che reca incastonata una gemma in <strong>di</strong>aspro rosso con l’immagine<br />

<strong>di</strong> Bonus Eventus (in latino significa letteralmente “buon esito”), <strong>di</strong>vinità protettrice<br />

dell’economia, dei commerci e dell’agricoltura. Purtroppo il proprietario del tesoro<br />

non tornò mai a recuperare le sue monete e il suo anello, che sono stati invece ritrovati<br />

dagli archeologi circa 1750 anni più tar<strong>di</strong>.<br />

L’occultamento del tesoretto monetale, che comprende emissioni degli imperatori Caracalla,<br />

Gallieno, Clau<strong>di</strong>o Gotico e Quintillo, più due monete dell’usurpatore Postumo, si<br />

può far risalire al clima <strong>di</strong> guerra e <strong>di</strong> incertezza instauratosi in occasione della seconda<br />

invasione degli Alamanni (268-271 d.C.).<br />

8<br />

59


GLI EDIFICI<br />

A Est della strada si trovavano alcuni e<strong>di</strong>fici rurali con vasche e pozzi destinati ad attività<br />

produttive, inseriti in un paesaggio agrario solcato da fossati e canali.<br />

L’e<strong>di</strong>ficio in<strong>di</strong>viduato nel settore Nord è stato oggetto <strong>di</strong> ricostruzioni, ampliamenti e<br />

rifacimenti a partire dagli inizi del I a.C. fino al IV secolo d.C. La ricostruzione proposta<br />

nel parco archeologico si riferisce al I secolo d.C., quando il complesso si presentava come<br />

un’ampia area scoperta delimitata su un lato da un portico.<br />

Fra la fine del I e il II secolo la struttura viene mo<strong>di</strong>ficata con la costruzione <strong>di</strong> nuovi<br />

ambienti, parte dei quali non indagati perché situati del tutto o parzialmente oltre il limite<br />

dello scavo.<br />

Nel IV secolo l’area cortiliva viene in parte trasformata in uno spazio coperto ad uso<br />

abitativo al cui margine è presente un piazzale in ciottoli e un pozzo con imboccatura in<br />

pietra dotato <strong>di</strong> una vasca per abbeverare gli animali.<br />

L’e<strong>di</strong>ficio dell’area Sud è riferibile all’età tardoantica e consiste in una piccola fattoria con<br />

tre vani preceduti da un portico.<br />

E<strong>di</strong>ficio del settore Nord<br />

in corso <strong>di</strong> scavo.<br />

Ricostruzione dell’e<strong>di</strong>ficio<br />

del settore Nord nel I secolo<br />

d.C. (<strong>di</strong>segno <strong>di</strong> Riccardo<br />

Merlo).


LE VASCHE<br />

All’e<strong>di</strong>ficio rustico <strong>di</strong> I secolo erano annessi alcuni impianti, fra cui due vasche e un pozzo,<br />

anch’essi riproposti nell’allestimento del Novi Ark.<br />

La vasca rettangolare, rivestita in laterizi, presenta una pavimentazione in ciottoli inclinata<br />

verso il fondo: si ipotizza che potesse servire per il lavaggio delle pecore prima della<br />

tosatura, un’attività connessa alla lavorazione della lana che, come si è detto, costituiva<br />

una delle principali risorse del territorio modenese.<br />

A tale proposito è importante ricordare che nel 1635 venne rinvenuta, nella stessa<br />

area della necropoli messa in luce al Parco Novi Sad, un’ara iscritta che ricordava<br />

il commerciante <strong>di</strong> lane (negotians lanarius) Quinto Alfi<strong>di</strong>o Hyla, ricco liberto<br />

originario <strong>di</strong> Fossombrone (Marche), trasferitosi poi a Roma e infine a Mutina,<br />

dove morì.<br />

Vasca rettangolare e pozzo riportati in superfice nel Novi Ark.<br />

Pozzo con imboccatura in pietra visibile al Novi Ark presso la vasca rettangolare.<br />

La canalina <strong>di</strong> scolo alimentava probabilmente un abbeveratoio destinato agli animali domestici.<br />

8<br />

61


62<br />

La grande vasca circolare rivestita in laterizi fu costruita all’inizio del I sec. d.C. e utilizzata<br />

per l’itticoltura, l’allevamento <strong>di</strong> pesci, cibo molto apprezzato dai Romani.<br />

Macrobio (Saturnalia, III, 15, 1-3) ricorda la famiglia dei Licinii Murena, così<br />

chiamati perché amavano allevare e consumare murene, e Sergio Orata, che<br />

doveva il proprio nome al suo pesce d’allevamento preferito.<br />

La vasca era probabilmente destinata alle carpe, come farebbero pensare le tracce, rinvenute<br />

sul fondo, <strong>di</strong> pastinaca sativa e ceratophyllum, specie vegetali compatibili con l’allevamento<br />

<strong>di</strong> questi pesci. Già dalla seconda metà del I secolo la vasca cambiò la sua destinazione<br />

d’uso: venne infatti impiegata come deposito <strong>di</strong> anfore e come immondezzaio.<br />

La vasca circolare riportata in superficie al Novi Ark e una ricostruzione del suo probabile utilizzo come bacino per<br />

l’allevamento delle carpe (<strong>di</strong>segno <strong>di</strong> Riccardo Merlo).


LE DISCARICHE<br />

Tre ampie buche utilizzate come <strong>di</strong>scariche hanno<br />

restituito centinaia <strong>di</strong> anfore sistemate con l’imboccatura<br />

verso il basso e in larga parte forate in<br />

prossimità del puntale. Da questi gran<strong>di</strong> immondezzai<br />

urbani, paragonabili a enormi depositi <strong>di</strong><br />

materiale “in<strong>di</strong>fferenziato”, proviene inoltre una<br />

notevole varietà <strong>di</strong> reperti databili tra il I sec. d.C.<br />

e la metà del II, alcuni dei quali <strong>di</strong> pregio: strigili,<br />

pesi da bilancia, chiavi e altri oggetti d’uso quoti<strong>di</strong>ano<br />

realizzati in bronzo, ma anche numerosi<br />

scarti <strong>di</strong> lucerne in terracotta del noto produttore<br />

modenese Fortis.<br />

Grande fossa <strong>di</strong> scarico<br />

riempita con anfore.<br />

Le anfore delle <strong>di</strong>scariche<br />

esposte nel parcheggio interrato.<br />

8


64<br />

1 2 3<br />

Reperti <strong>di</strong> età imperiale dallo scavo degli e<strong>di</strong>fici e delle <strong>di</strong>scariche:<br />

1. Cucchiaino in argento; 2. Lucerna con bollo fortis; 3. Applique<br />

a foglia; 4. Lucerna a tre beccucci con presa configurata a busto <strong>di</strong><br />

Zeus; 5. Ansa (manico) <strong>di</strong> vaso in bronzo; 6. Chiave in bronzo;<br />

7. Piccola patera (coppa poco profonda con manico) in bronzo;<br />

8. Pesi da stadera a forma <strong>di</strong> ghianda, anforetta e pigna; 9. Strigile<br />

(strumento usato per detergere il corpo dal sudore e dall’olio) in<br />

bronzo con decorazione incisa.<br />

4<br />

7<br />

6<br />

8 9<br />

5


L’enigma dei crani<br />

Dalle <strong>di</strong>scariche, così come dalla vasca circolare, sono venuti in luce decine<br />

<strong>di</strong> crani umani. Le analisi effettuate hanno permesso agli antropologi<br />

<strong>di</strong> riscontrare segni <strong>di</strong> decapitazione, <strong>di</strong>sarticolazione e scarnificazione<br />

riferibili ad eventi successivi alla morte. Non è escluso che possa<br />

trattarsi <strong>di</strong> resti <strong>di</strong> condannati a morte, le cui teste, dopo la decapitazione,<br />

venivano esposte per giorni come monito per i delinquenti e i ribelli<br />

e poi gettate nelle <strong>di</strong>scariche suburbane.<br />

Sulla base della datazione delle <strong>di</strong>scariche alla metà<br />

del I sec. d.C., si può forse ipotizzare un collegamento<br />

tra questi resti umani e le persecuzioni<br />

contro coloro che a Mutina nel 69 d.C.<br />

(l’anno <strong>di</strong> guerra civile che seguì la morte<br />

dell’imperatore Nerone) furono coinvolti<br />

nella lotta per la successione tra Marco<br />

Salvio Otone, proclamatosi imperatore,<br />

e il suo rivale Aulo Vitellio.<br />

Crani rinvenuti durante lo scavo delle <strong>di</strong>scariche.<br />

8


66<br />

Biografie degli autori antichi citati<br />

CICERONE (Marcus Tullius Cicero; Arpino, 106 a.C. - Formia, 43 a.C). Oratore, filosofo e<br />

politico romano, lasciò cicli <strong>di</strong> orazioni (Verrine, Catilinarie, Filippiche) e <strong>di</strong>versi trattati fra<br />

cui “Sull’Amicizia”, “Sul Fato”, “Sulla Natura degli Dei”, “Sulla Vecchiaia”, “Sulla Repubblica”.<br />

Stu<strong>di</strong>ò a Roma, Atene e Ro<strong>di</strong>, frequentando i più gran<strong>di</strong> maestri <strong>di</strong> retorica, filosofia<br />

e <strong>di</strong>ritto. Parallelamente alla carriera politica (fu infatti questore, e<strong>di</strong>le, pretore e console)<br />

svolse a lungo l’attività forense. Alla morte <strong>di</strong> Cesare, Antonio e i filocesariani lo ritennero<br />

il responsabile morale della congiura e lo fecero decapitare.<br />

COLUMELLA (Lucius Junius Moderatus Columella; Ca<strong>di</strong>ce, Spagna, 4 d.C. - 70 d.C.). Nato<br />

in Spagna, intraprese la carriera militare arrivando al grado <strong>di</strong> tribuno in Siria, dopo<strong>di</strong>ché<br />

si de<strong>di</strong>cò all’agricoltura. Del suo trattato De Re rustica, in 12 libri, ci è rimasto il solo De arboribus,<br />

de<strong>di</strong>cato all’osservazione e allo stu<strong>di</strong>o delle piante.<br />

LIVIO (Titus Livius; Padova, 59 a.C. - 17 d.C.). Storico latino, cui Augusto affidò l’educazione<br />

<strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o, il futuro imperatore. La sua gran<strong>di</strong>osa opera storica Ab urbe con<strong>di</strong>ta (Dalla<br />

fondazione <strong>di</strong> Roma) trattava la storia romana dalla fondazione dell’Urbe fino alla morte <strong>di</strong><br />

Druso (9 a.C.). Dei 142 libri originari ne conosciamo purtroppo solo 35.<br />

MACROBIO (Ambrosius Theodosius Macrobius; Provincia romana d’Africa, 390 - 430 d.C.).<br />

é stato un filosofo, astronomo e funzionario romano. Durante il Me<strong>di</strong>oevo fu erroneamente<br />

identificato come un autore cristiano e per questo poté godere <strong>di</strong> una buona reputazione,<br />

che gli permise <strong>di</strong> essere letto, stu<strong>di</strong>ato e tramandato fino ai giorni nostri.<br />

MARZIALE (Marcus Valerius Martialis; Augusta Bilbilis, Spagna, 40? d.C. - Augusta Bilbilis,<br />

104 d.C.). Poeta latino, trascorse gran parte della sua vita a Roma, dove visse come<br />

cliente nelle case dei potenti, riuscendo ad accattivarsi le simpatie dell’imperatore Tito. Tra<br />

l’86 e l’88 d.C. fu ospitato da un amico a Forum Cornelii (Imola) ed ebbe occasione <strong>di</strong> visitare<br />

anche altre città dell’Emilia, più volte citate nei suoi versi: Bologna, <strong>Modena</strong>, Parma e Ravenna.<br />

Protagonista dei suoi brevi ed efficaci componimenti (epigrammi) è la vita quoti<strong>di</strong>ana.<br />

Oltre ai 14 libri <strong>di</strong> epigrammi, Marziale scrisse il Liber de Spectaculis, de<strong>di</strong>cato all’imperatore<br />

Tito in occasione della solenne inaugurazione dell’Anfiteatro Flavio (poi Colosseo).<br />

ORAZIO (Quintus Horatius Flaccus; Venosa, 65 a.C. - Roma, 8 a.C.). Poeta latino, figlio <strong>di</strong> un<br />

liberto che si arricchì enormemente lavorando come esattore nelle aste pubbliche. Grazie<br />

alle notevoli possibilità economiche della famiglia, Orazio stu<strong>di</strong>ò prima a Roma, poi ad<br />

Atene, dove si specializzò in letteratura greca e filosofia. Dopo la morte <strong>di</strong> Cesare <strong>di</strong>venne<br />

tribuno militare nell’esercito <strong>di</strong> Bruto ma, in seguito alla <strong>di</strong>sfatta <strong>di</strong> Filippi (42 a.C.), fu costretto<br />

ad abbandonare la carriera militare. Rientrato a Roma intraprese l’attività letteraria:<br />

il poeta Virgilio lo presentò all’amico Mecenate, che lo accolse nel suo circolo letterario e<br />

nella sua intima cerchia <strong>di</strong> amici.


PLINIO IL VECCHIO (Gaius Plinius Secundus Maior; Como, 23 d.C. - Stabia, 79 d.C.).<br />

Autore latino, ebbe anche incarichi militari e civili. Era a Miseno, in veste <strong>di</strong> comandante<br />

della flotta, alla fine dell’estate del 79 d.C., quando il Vesuvio <strong>di</strong>strusse Pompei, Ercolano e<br />

Stabia. Recatosi sul posto per portare aiuto e stu<strong>di</strong>are da vicino il fenomeno eruttivo, rimase<br />

vittima delle esalazioni venefiche sul litorale <strong>di</strong> Stabia. La sua opera principale è la Naturalis<br />

Historia, enciclope<strong>di</strong>ca raccolta <strong>di</strong> notizie scientifiche, de<strong>di</strong>cata all’imperatore Tito.<br />

POLIBIO (Polybios; Megalopoli, 206 a.C. – Grecia, 124 a.C.). Storico greco <strong>di</strong> nobili origini.<br />

Visse per 17 anni a Roma, dove ebbe occasione <strong>di</strong> osservare e stu<strong>di</strong>are le ragioni che determinarono<br />

il sorgere della potenza <strong>di</strong> Roma, fenomeno che lo storico attribuì all’onestà dei<br />

Romani e all’eccellenza delle loro istituzioni civiche e militari.<br />

STRABONE (Stràbon; Amasia Pontica, 63 a.C. – 20 d.C.). Storico e geografo greco. Frutto<br />

dei suoi numerosi viaggi è la “Geografia”, ampio trattato in 17 libri <strong>di</strong> grande importanza<br />

per la conoscenza del Me<strong>di</strong>terraneo antico, <strong>di</strong> cui descrive i paesi e le etnie, con utili osservazioni<br />

<strong>di</strong> carattere storico e scientifico.<br />

VARRONE (Marcus Terentius Varro; Rieti, 116 a.C. – Roma, 27 a.C.). Fu uno dei più longevi<br />

autori latini: vanta una produzione <strong>di</strong> circa 70 opere sud<strong>di</strong>vise in più <strong>di</strong> 600 libri. Stu<strong>di</strong>ò<br />

retorica e filosofia a Roma e in Grecia, rivestì prestigiose cariche militari prima al fianco <strong>di</strong><br />

Pompeo e, successivamente, <strong>di</strong> Cesare, che gli affidò anche l’ambizioso progetto <strong>di</strong> realizzare<br />

due biblioteche, una in lingua latina e una in greco. Il progetto fu però abbandonato<br />

alla morte del <strong>di</strong>ttatore e Varrone fu iscritto nella lista dei nemici <strong>di</strong> Roma. Grazie alla me<strong>di</strong>azione<br />

<strong>di</strong> un potente amico, egli riuscì comunque a entrare nella cerchia <strong>di</strong> Ottaviano, il<br />

futuro imperatore.<br />

67


68<br />

Per saperne <strong>di</strong> più<br />

- <strong>Modena</strong> dalle origini all’anno Mille. Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Archeologia e Storia.<br />

Catalogo <strong>di</strong> mostra, coor<strong>di</strong>namento scientifico <strong>di</strong> Andrea Cardarelli. <strong>Modena</strong>,<br />

Franco Cosimo Panini, 1988. 2 volumi.<br />

- Aemilia. La cultura romana in Emilia Romagna dal III secolo a.C. all’età<br />

costantiniana.<br />

A cura <strong>di</strong> Mirella Marini Calvani. Venezia, 2000.<br />

- Lapidario Romano dei Musei Civici <strong>di</strong> <strong>Modena</strong>.<br />

Testi <strong>di</strong> Andrea Cardarelli e Nicoletta Giordani. <strong>Modena</strong>, Il Fiorino, 2002.<br />

- Atlanti dei beni archeologici della Provincia <strong>di</strong> <strong>Modena</strong>.<br />

A cura <strong>di</strong> Andrea Cardarelli e Luigi Malnati.<br />

I, Pianura (2003); II, Montagna (2006); III, Collina e alta pianura, tomo 1 e 2 (2009).<br />

Firenze, All’Insegna del Giglio.<br />

- Il Museo Lapidario Estense. Catalogo generale.<br />

A cura <strong>di</strong> Nicoletta Giordani e Giovanna Paolozzi Strozzi. Venezia 2005.<br />

- Guida al Museo Civico Archeologico Etnologico.<br />

A cura <strong>di</strong> Ilaria Pulini e Cristiana Zanasi. <strong>Modena</strong>, 2008.<br />

- Mutina oltre le mura. Recenti scoperte archeologiche sulla Via Emilia.<br />

A cura <strong>di</strong> L. Malnati, S. Pellegrini, I. Pulini. <strong>Modena</strong> 2009.<br />

- Il gioco e i giocattoli nel mondo classico.<br />

Stefano de’ Siena. <strong>Modena</strong>, Mucchi, 2009.<br />

- Parco Novi Sad. Archeologia <strong>di</strong> uno spazio urbano.<br />

A cura <strong>di</strong> Donato Labate, Mauro Librenti, Silvia Pellegrini, Ilaria Pulini. <strong>Modena</strong> 2010.<br />

Materiali in formato <strong>di</strong>gitale<br />

- CD-ROM Mutina. Riscoperta <strong>di</strong> una città romana, <strong>Modena</strong> 2002.<br />

- Sito internet http://www.aemiliaonline.it<br />

- Sito internet http://www.comune.modena.it/museoarcheologico


Soluzioni della scheda <strong>di</strong> verifica<br />

per le scuole primarie<br />

1. La strada era percorsa da carri che trasportavano le merci in città o si <strong>di</strong>rigevano in<br />

campagna, viandanti, visitatori della necropoli. Ai lati della strada c’erano i monumenti<br />

funerari.<br />

2. Una strada moderna alla perferia della città potrebbe essere illustrata con automobili,<br />

autocarri, biciclette, pedoni e ai lati case <strong>di</strong> campagna o capannoni industriali.<br />

3. La strada è stata in<strong>di</strong>viduata a 5 metri <strong>di</strong> profon<strong>di</strong>tà e successivamente smontata e rimontata<br />

sulla superficie del Novi Ark.<br />

4. elmo; cinturone, spada, pugnale; bastone; schiniere; calzari.<br />

5. lampa<strong>di</strong>na (una lucerna), lampadario (più lucerne); orologio.<br />

6. tessera a forma <strong>di</strong> pesce; gamba <strong>di</strong> letto dal triclinio della domus; antefissa; soprammobile<br />

a forma <strong>di</strong> lepre; elemento <strong>di</strong> fontana a forma <strong>di</strong> anatra dal peristilio della domus.<br />

7. VETILIA<br />

9. 1. via Aemilia; 2. strada per Mantova; 3. foro; 4. anfiteatro; 5. <strong>di</strong>scariche; 6. vasche;<br />

7. e<strong>di</strong>fico rurale; 8. necropoli.<br />

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Palazzo dei Musei - Largo Porta S.Agostino 337 – <strong>Modena</strong><br />

www.comune.modena.it/museoarcheologico<br />

museo.archeologico@comune.modena.it<br />

tel. 059 2033100 - 2033122

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