Testo libro pdf - Comune di Cammarata
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Carlo LONGO<br />
LA CHIESA DI SANT’ANTONIO<br />
A CAMMARATA<br />
V CENTENARIO DELLA FONDAZIONE<br />
DEL CONVENTO DOMENICANO<br />
1509-2009<br />
<strong>Comune</strong> <strong>di</strong> <strong>Cammarata</strong><br />
2010<br />
3
4<br />
Veduta della chiesa <strong>di</strong> Sant’Antonio Abate e del convento domenicano<br />
quali si presentano oggi
Molti sono stati gli eventi che hanno caratterizzato la storia del nostro<br />
paese ed alcuni <strong>di</strong> essi sono stati fondamentali per l’evoluzione culturale e<br />
spirituale della società cammaratese; fra questi, senza alcun dubbio, <strong>di</strong> notevole<br />
importanza è stata la fondazione del convento domenicano, della quale<br />
ricorre il quinto centenario.<br />
A questa istituzione p. Carlo Longo, cammaratese e preside dell’Istituto<br />
storico domenicano – Università S. Tommaso – <strong>di</strong> Roma, per l’occasione ha<br />
de<strong>di</strong>cato una pubblicazione che ci svela l’importante ruolo che il convento<br />
ha svolto nella società locale, offrendo servizi come l’alfabetizzazione e l’assistenza<br />
ai più bisognosi; ci fa conoscere interessanti opere d’arte e manufatti,<br />
personaggi <strong>di</strong> grande cultura, apprezzati anche fuori dai nostri confini,<br />
che ci hanno trasmesso un inestimabile patrimonio <strong>di</strong> spiritualità. Una guida<br />
della memoria, per conoscere aspetti dell’animo dei nostri antenati e ricordarci<br />
delle nostre ra<strong>di</strong>ci.<br />
L’amministrazione comunale ha voluto patrocinare la pubblicazione <strong>di</strong><br />
questo volume - che verrà <strong>di</strong>stribuito alla popolazione - perché tutti i citta<strong>di</strong>ni<br />
abbiano la possibilità <strong>di</strong> attingere alla nostra storia e avere coscienza<br />
della nostra identità.<br />
L’Assessore alla Cultura<br />
Alfonso Di Piazza<br />
5
6<br />
Marco Lo Cascio (?), 1596, Sant’Antonio abate, <strong>Cammarata</strong>,<br />
Chiesa <strong>di</strong> Sant’Antonio
PARTE PRIMA<br />
NOTIZIE STORICHE<br />
I. LA CONFRATERNITA DI SANT’ANTONIO ABATE DI CAMMARATA<br />
1. La vita <strong>di</strong> sant’Antonio<br />
Conosciamo la vita e l’esperienza religiosa <strong>di</strong> sant’Antonio attraverso una biografia<br />
scritta attorno al 360 da un suo amico e <strong>di</strong>scepolo, sant’Atanasio (295-373),<br />
vescovo <strong>di</strong> Alessandria d’Egitto, il quale attinse a ricor<strong>di</strong> personali e a informazioni<br />
provenienti da testimoni e costruì un’opera <strong>di</strong> alto valore letterario nell’intento<br />
anche <strong>di</strong> attenuare la <strong>di</strong>rompente valenza dell’esperienza dei primi eremiti egiziani,<br />
ostinati nel rifiuto <strong>di</strong> tutti i compromessi istituzionali tra la chiesa cristiana e l’impero<br />
romano allora appena instauratisi. Era, infatti, convinzione <strong>di</strong> questa prima<br />
generazione <strong>di</strong> asceti che, sull’esempio <strong>di</strong> Gesù, solo la solitu<strong>di</strong>ne permettesse alla<br />
creatura umana <strong>di</strong> purificarsi da tutte le cattive inclinazioni e <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare così un<br />
uomo nuovo, ri<strong>di</strong>mensionando e relegando in secondo piano la me<strong>di</strong>azione ecclesiastica<br />
e le strutture organizzative e liturgiche che il primitivo cristianesimo si stava<br />
allora dando 1.<br />
Secondo la narrazione <strong>di</strong> Atanasio, Antonio nacque verso il 250 da un’agiata<br />
famiglia <strong>di</strong> agricoltori nel villaggio <strong>di</strong> Koma, oggi Qumans, in Egitto, e circa ventenne<br />
rimase orfano <strong>di</strong> entrambi i genitori, con un ricco patrimonio da amministrare<br />
e con una sorella minore da educare. Avendo un giorno ascoltato in chiesa il<br />
brano evangelico “Se vuoi essere perfetto, va’, ven<strong>di</strong> ciò che hai, dàllo ai poveri e<br />
avrai un tesoro nel cielo, poi vieni e seguimi”, e sull’esempio <strong>di</strong> alcuni monaci che<br />
vivevano nei <strong>di</strong>ntorni dei villaggi egiziani, de<strong>di</strong>candosi alla preghiera, Antonio volle<br />
scegliere questa strada e, venduti i suoi beni e affidata la sorella con la sua parte <strong>di</strong><br />
ere<strong>di</strong>tà a una comunità <strong>di</strong> donne, si de<strong>di</strong>cò alla vita ascetica davanti alla sua casa e<br />
poi appena al <strong>di</strong> fuori del suo paese.<br />
Alla ricerca <strong>di</strong> uno stile <strong>di</strong> vita penitente e lontano dalle <strong>di</strong>strazioni, chiese a<br />
Dio <strong>di</strong> essere illuminato e così vide poco lontano un eremita, che seduto lavorava<br />
intrecciando una corda, poi smetteva, si alzava e pregava, poi <strong>di</strong> nuovo tornava a<br />
lavorare e ancora a pregare. Gli apparve come un angelo inviatogli da Dio per sug-<br />
1 ATANASIO, Vita <strong>di</strong> Antonio, ed. G. J. M. BARTELINK, Milano 1974.<br />
7
gerirgli la strada del lavoro e della preghiera e cominciò a seguire questo ritmo <strong>di</strong><br />
vita; una parte del guadagno del suo lavoro gli serviva per procurarsi il cibo e un’altra<br />
parte la <strong>di</strong>stribuiva ai poveri.<br />
Dopo qualche anno <strong>di</strong> questa esperienza, cominciarono per lui durissime<br />
prove, le famose tentazioni <strong>di</strong> sant’Antonio, per cui atterrito chiese consiglio ad altri<br />
asceti, che gli <strong>di</strong>ssero <strong>di</strong> non spaventarsi, ma <strong>di</strong> continuare ad andare avanti con<br />
fiducia, perché Dio era con lui. Gli consigliarono, inoltre, <strong>di</strong> ritirarsi in un luogo più<br />
solitario. Ricoperto <strong>di</strong> panni <strong>di</strong> fortuna, si rifugiò in un’antica tomba scavata nella<br />
roccia su <strong>di</strong> una collina vicina al suo villaggio; un amico gli portava ogni tanto un<br />
po’ <strong>di</strong> pane e per il resto si cibava <strong>di</strong> frutta ed erbe.<br />
Qui alle prime tentazioni subentrarono terrificanti visioni e frastuoni, ma<br />
superò tutto perseverando nella fede, compiendo ogni giorno i suoi doveri, come<br />
gli avevano insegnato i suoi maestri. Quando alla fine Cristo gli si rivelò illuminandolo,<br />
gli chiese: “Dov’eri? Perché non sei apparso fin da principio per far cessare le<br />
mie sofferenze?”. Si sentì rispondere: “Antonio, io ero qui con te e assistevo alla tua<br />
lotta…”. Scoperto dai suoi concitta<strong>di</strong>ni, che, come tutti i cristiani <strong>di</strong> quei tempi,<br />
affluivano presso gli eremiti per riceverne consiglio, aiuto e consolazione, ma nello<br />
stesso tempo turbavano la loro solitu<strong>di</strong>ne, Antonio decise <strong>di</strong> trasferirsi in luogo<br />
ancor più isolato, verso il mar Rosso.<br />
Sulle montagne del Pispir c’era una vecchia fortezza in rovina, infestata dai<br />
serpenti, ma dotata <strong>di</strong> una sorgente <strong>di</strong> acqua, e in una grotta all’interno <strong>di</strong> essa, a<br />
partire dal 285, egli <strong>di</strong>morò per vent’anni, ricevendo solo due volte all’anno del<br />
pane che gli veniva calato dall’alto. Era solito mangiare questo pane essiccato<br />
bagnandolo con acqua e condendolo con sale. Molte persone, che volevano de<strong>di</strong>carsi<br />
alla vita eremitica, giunsero a quella fortezza e ne abbatterono i recinti e<br />
Antonio fu così costretto a uscire dalla sua grotta e cominciò a consolare gli afflitti,<br />
ottenendo dal Signore guarigioni, e a istruire nuovi <strong>di</strong>scepoli. Tra questi si formarono<br />
due gruppi <strong>di</strong> monaci che <strong>di</strong>edero origine a due monasteri, uno ad oriente<br />
e l’altro a occidente del grande fiume Nilo; a tutti Antonio dava ammaestramenti,<br />
anche a personaggi <strong>di</strong> alto rango, che accorrevano a lui.<br />
Nel 307 andò a visitarlo il giovane sant’Ilarione (292-372), che poi fondò un<br />
monastero a Gaza in Palestina; nel 311 Antonio non esitò a lasciare il suo eremo e<br />
a recarsi ad Alessandria, dove imperversava la persecuzione contro i cristiani, or<strong>di</strong>nata<br />
dall’imperatore romano Massimino Daia († 313), per sostenere e confortare i<br />
fratelli nella fede e desideroso egli stesso del martirio. Forse perché incuteva rispetto<br />
e timore reverenziale anche ai romani, non fu perseguitato; le sue uscite dall’eremo<br />
si moltiplicarono per servire la comunità cristiana e sostenne con la sua influente<br />
presenza l’amico vescovo <strong>di</strong> Alessandria, Atanasio, che combatteva l’eresia ariana,<br />
e scrisse in sua <strong>di</strong>fesa anche una lettera all’imperatore Costantino.<br />
Tornata la pace nell’impero e per sfuggire ai troppi curiosi che si recavano nel<br />
fortilizio del mar Rosso, decise <strong>di</strong> ritirarsi in un luogo ancor più isolato, dove prese<br />
a coltivare un piccolo orto per il suo sostentamento e <strong>di</strong> quanti, <strong>di</strong>scepoli e visita-<br />
8
tori, si recavano a trovarlo. Negli ultimi anni della sua lunghissima vita accolse presso<br />
<strong>di</strong> sé due monaci che l’accu<strong>di</strong>rono nell’estrema vecchiaia. Morì a 106 anni, il 17<br />
gennaio del 356 e fu sepolto in un luogo segreto.<br />
I suoi <strong>di</strong>scepoli tramandarono ai posteri la sua sapienza, una raccolta <strong>di</strong> centoventi<br />
detti e <strong>di</strong> venti lettere 2. Sulla sua tomba sorse il monastero <strong>di</strong> Sant’Antonio,<br />
ancora oggi esistente ed appartenente alla chiesa d’Egitto, una chiesa autonoma, che<br />
attualmente è governata da papa Scenuda III, dal 1971 patriarca <strong>di</strong> Alessandria e <strong>di</strong><br />
tutta l’Africa. Esso è ubicato in un’oasi del deserto occidentale, non <strong>di</strong>stante dal mar<br />
Rosso, a circa 40 km ad ovest della città <strong>di</strong> Zafarana e a 140 km a sud-est del Cairo.<br />
È il più antico monastero cristiano del mondo.<br />
Esso oggi è un villaggio autogestito con giar<strong>di</strong>ni, un mulino, un forno e cinque<br />
chiese, adornate <strong>di</strong> affreschi, i più antichi dei quali risalgono ai secoli VII e VIII,<br />
mentre quelli più recenti al XIII secolo. Il monastero possiede anche una biblioteca<br />
con oltre 1700 manoscritti antichi. La grotta dove sant’Antonio visse come eremita<br />
si trova a 2 chilometri <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza dal centro abitato, sulla montagna che lo<br />
sovrasta, chiamata oggi al-Qalzam, a 680 metri sul livello del mare. In tempi recenti<br />
scavi archeologici e restauri hanno messo in luce le celle dei monaci del IV secolo,<br />
le più antiche mai trovate, mentre rimane <strong>di</strong> proposito segreta la tomba del<br />
santo. Come tutti i monasteri egiziani esso vive un periodo <strong>di</strong> prosperità con forte<br />
incremento del numero dei monaci che vi risiedono.<br />
2 . La <strong>di</strong>ffusione del suo culto<br />
Antonio fu uno dei primi santi non martiri venerati in tutte le regioni cristiane<br />
e festeggiato il giorno della sua morte, il 17 gennaio, corrispondente al 30 gennaio<br />
del calendario giuliano e al 22 del mese <strong>di</strong> Tobi <strong>di</strong> quello egiziano. Nel 561, in<br />
seguito a una presunta rivelazione, sarebbe stata scoperta una tomba che si <strong>di</strong>sse<br />
essere quella che custo<strong>di</strong>va il suo corpo e i resti umani trovati in essa furono trasferiti<br />
ad Alessandria nella basilica <strong>di</strong> San Giovanni. Nel corso del secolo VII, in seguito<br />
alla conquista araba dell’Egitto, quanto trovato in quel sepolcro, che certamente<br />
non era quello del santo, fu trasportato a Costantinopoli. Da qui quelle presunte<br />
reliquie nell’XI secolo raggiunsero la Francia ad opera <strong>di</strong> Jocelin de Château-Neuf,<br />
che, <strong>di</strong> ritorno da un pellegrinaggio in Terra Santa, le avrebbe ottenute in dono dall’imperatore<br />
<strong>di</strong> Costantinopoli e che le fece deporre nella chiesa del villaggio <strong>di</strong> La-<br />
Motte-Saint-Di<strong>di</strong>er, chiamato oggi Saint-Antoine-l’Abbaye, presso Vienne. Qui nel<br />
1070 il nobile Guigues de Di<strong>di</strong>er fece costruire una chiesa per accoglierle degnamente;<br />
ad essa cominciarono ad accorrere i pellegrini, per cui nel 1088 i benedettini<br />
dell’abbazia <strong>di</strong> Montmajeur, presso Arles, vennero incaricati <strong>di</strong> assisterli religio-<br />
2 ANTONIO IL GRANDE, Secondo il vangelo. Le venti lettere <strong>di</strong> Antonio, ed. MATTA EL-MESKIN, Bose 1999.<br />
9
samente.<br />
Qui, inoltre, un nobile <strong>di</strong> quella regione, certo Gaston de Valloire, dopo la<br />
guarigione del figlio dall’ergotismo, decise <strong>di</strong> costruire un ospedale e <strong>di</strong> fondare una<br />
confraternita per l’assistenza dei pellegrini e dei malati. Così sorse una comunità laicale,<br />
formata da questi, dal figlio e da altri cinque nobili del Delfinato. Questa confraternita<br />
fu approvata da papa Urbano II nel 1095 e confermata da papa Onorio<br />
III nel 1218. Nel 1297 papa Bonifacio VIII la trasformò in or<strong>di</strong>ne religioso, comunemente<br />
denominato degli antoniani <strong>di</strong> Vienne.<br />
Esso era formato da laici, soprattutto con la qualifica <strong>di</strong> infermieri, che con le<br />
loro questue mantevano i loro ospedali, dove ospitavano i pellegrini e i viandanti e<br />
curavano gli ammalati. Gli antoniani si specializzarono nella cura dell’ergotismo e<br />
dell’ “herpes zoster” o fuoco <strong>di</strong> sant’Antonio, malattie ambedue dovute alle con<strong>di</strong>zioni<br />
<strong>di</strong> povertà della popolazione e alla loro cattiva alimentazione. Come rime<strong>di</strong>o<br />
contro alcuni sintomi <strong>di</strong> queste e <strong>di</strong> altre malattie usavano creme emollienti confezionate<br />
con il grasso <strong>di</strong> maiale, che o veniva prodotto negli allevamenti dei loro posse<strong>di</strong>menti<br />
o veniva raccolto nel corso delle loro questue, annunciate dal suono <strong>di</strong><br />
una campanella. Il loro abito era formato da una tunica e da un mantello neri, con<br />
una croce egizia azzurra cucita sulla spalla sinistra 3.<br />
L’or<strong>di</strong>ne antoniano, per la grande importanza sociale delle attività che svolgeva,<br />
ebbe rapida <strong>di</strong>ffusione e in quasi tutta Europa e nel bacino del Me<strong>di</strong>terraneo<br />
sorsero ben presto ospedali, tutti intitolati a Sant’Antonio abate, gestiti dai frati<br />
stessi o da confraternite laicali da loro fondate o ispirate. L’ospedale era un e<strong>di</strong>ficio<br />
modesto, posto sulle gran<strong>di</strong> vie <strong>di</strong> comunicazione o all’ingresso delle città, e comprendeva<br />
una cucina con la mensa, i dormitori, una chiesa, alcuni locali <strong>di</strong> servizio<br />
ed un giar<strong>di</strong>no.<br />
In occidente gli emblemi dell’or<strong>di</strong>ne antoniano, la fiamma, simbolo del fuoco<br />
<strong>di</strong> sant’Antonio, la croce egizia a “tau” o T, antico simbolo <strong>di</strong> vitalità dell’antica religione<br />
egiziana, il maialino e la campanella <strong>di</strong>vennero, nella devozione popolare,<br />
attributi iconografici <strong>di</strong> sant’Antonio, spesso in tempi più recenti ad<strong>di</strong>rittura raffigurato<br />
con abito francescano e attorniato da molti animali, essendo <strong>di</strong>venuto per<br />
estensione della primitiva protezione esercitata sui maiali protettore <strong>di</strong> tutti gli<br />
animali.<br />
Nell’antica iconografia cristiana, invece, sant’Antonio fu sempre raffigurato <strong>di</strong><br />
carnagione scura e con una lunga barba, abbigliato con una veste lunga e col capo<br />
coperto dal copricapo monastico, che poteva assumere la forma <strong>di</strong> un velo arrotolato<br />
attorno alla testa, la kefiah me<strong>di</strong>orientale, a cùfia o scùfia cammaratese, o <strong>di</strong> un<br />
basso berretto cilindrico, a scuzzètta cammaratese. Inoltre portava sempre il basto-<br />
3 L’or<strong>di</strong>ne degli Antoniani <strong>di</strong> Vienne operò fino al 1774, quando i membri del suo capitolo generale decisero<br />
l’unione con l’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> San Giovanni o dei cavalieri <strong>di</strong> Malta, che si prefiggeva identici scopi assistenziali; la<br />
fusione fu sancita nel 1776 da Pio VI. I. RUFFINO, Canonici regolari <strong>di</strong> Sant’Agostino <strong>di</strong> Sant’Antonio <strong>di</strong> Vienne in<br />
Dizionario degli istituti <strong>di</strong> perfezione, II, Roma 1975, pp. 134-141.<br />
10
ne, con l’impugnatura a forma <strong>di</strong> T, simbolo <strong>di</strong> autonomia e autorità, e reggeva un<br />
<strong>libro</strong> o un rotolo, segni <strong>di</strong> sapienza.<br />
A <strong>Cammarata</strong> le raffigurazioni iconografiche esistenti, rielaborazioni <strong>di</strong><br />
modelli molto più antichi, si ispirano alle note originarie e il santo è raffigurato solamente<br />
col T sulla spalla sinistra, il copricapo monastico a forma <strong>di</strong> scuzzètta, il bastone<br />
e il <strong>libro</strong>, né c’è traccia nella devozione popolare <strong>di</strong> altre manifestazioni proprie<br />
<strong>di</strong> tante altre località, ma introdotte in tempi recenti, quali la bene<strong>di</strong>zione delle stalle,<br />
l’accensione dei fuochi in suo onore, la processione degli animali; ciò a <strong>di</strong>mostrare<br />
un culto molto antico, mantenutosi integro nelle sue caratteristiche primor<strong>di</strong>ali.<br />
3 . L’ospedale <strong>di</strong> Sant’Antonio <strong>di</strong> <strong>Cammarata</strong><br />
Non <strong>di</strong>rettamente ad opera dei frati dell’or<strong>di</strong>ne antoniano <strong>di</strong> Vienne, perché<br />
non abbiamo documento alcuno che attesti una loro presenza a <strong>Cammarata</strong>, ma<br />
certamente ispirandosi alle loro attività assistenziali e forse <strong>di</strong>etro suggerimento e<br />
con il patrocinio <strong>di</strong> qualche membro <strong>di</strong> quell’or<strong>di</strong>ne, sorse a <strong>Cammarata</strong> nel secolo<br />
XIV un ospedale de<strong>di</strong>cato a Sant’Antonio abate, destinato ad accogliere viandanti<br />
e malati e gestito da una confraternita omonima. La prima attestazione che lo<br />
riguarda risale agli anni 1373-1374 e ci mostra un’istituzione ricca e consolidata, esistente<br />
certamente da parecchi anni.<br />
Infatti in quel periodo la curia papale, sia residente a Roma o in altre città<br />
dell’Italia centrale, sia residente ad Avignone, in Francia, per finanziarsi a scadenza<br />
fissa imponeva alle istituzioni ecclesiastiche più ricche delle tasse, chiamate decime,<br />
censi, annate e in altri mo<strong>di</strong> ancora, secondo la consistenza della percentuale imposta<br />
sulla ren<strong>di</strong>ta o l’occasione in cui esse venivano pretese. Dei collettori passavano<br />
paese per paese, riscuotevano le tasse e tenevano dei registri <strong>di</strong> entrata molto particolareggiati,<br />
che sono giunti quasi tutti fino a noi e, almeno per quel che riguarda il<br />
territorio italiano, e<strong>di</strong>ti integralmente.<br />
Nei registri delle decime riscosse negli anni 1275-1280 non appare alcuna istituzione<br />
cammaratese 4, mentre la riscossione degli anni 1308-1310 appare molto più<br />
fiscale e molto più capillare ed allora il rettore <strong>di</strong> San Nicola <strong>di</strong> <strong>Cammarata</strong>, cioè il<br />
parroco, prete Antonio de Tetis, dovette pagare un’oncia <strong>di</strong> tassa 5. Dopo alcuni<br />
decenni <strong>di</strong> silenzio documentario, altri resoconti <strong>di</strong> collette risalgono agli anni 1373-<br />
1374, quando vengono riscossi dei censi e il parroco <strong>di</strong> <strong>Cammarata</strong>, prete Orlando,<br />
paga otto tarì, mentre l’unica altra istituzione tassata, l’ospedale <strong>di</strong> Sant’Antonio,<br />
paga due tarì e grana <strong>di</strong>ciassette e mezzo, una tassa simile a quella che pagano chie-<br />
4 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Sicilia, a c. <strong>di</strong> P. SELLA (“Stu<strong>di</strong> e testi”, CXII), Città del Vaticano<br />
1944, p. 103.<br />
5 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Sicilia, p. 111.<br />
11
se o beneficiati che abbiano patrimoni <strong>di</strong> me<strong>di</strong>a consistenza 6.<br />
Questo documento ci consente <strong>di</strong> formulare qualche ipotesi non molto lontana<br />
dal vero e cioè che l’ospedale fosse stato fondato nei decenni precedenti, forse<br />
nei primi decenni del secolo XIV, che esso possedesse, oltre le strutture ricettive e<br />
la chiesa, anche un <strong>di</strong>screto patrimonio, che esso non fosse gestito da un or<strong>di</strong>ne religioso,<br />
come avrebbero potuto essere gli antoniani <strong>di</strong> Vienne, né da altri ecclesiastici,<br />
i cui nomi sarebbero apparsi annotati nel resoconto, ma da un’associazione <strong>di</strong><br />
laici, una confraternita, che si ispirava alle idealità antoniane e ne aveva anche assunto<br />
i simboli.<br />
Infatti gli emblemi <strong>di</strong> essa, la ban<strong>di</strong>era grande per le solenni processioni, quali<br />
quelle <strong>di</strong> Pasqua o del Crocifisso, e la ban<strong>di</strong>era piccola per le processioni minori e i<br />
funerali, furono contrassegnate sempre dal “tau” o T bianco in campo rosso,<br />
variando, così, i colori, rispetto al nero e blu degli antoniani, mentre il medesimo<br />
simbolo appare sulla spalla della statua del santo e, assieme alla fiamma, nella decorazione<br />
della cappella, manufatti tutti realizzati in epoche più recenti, dal secolo<br />
XVI al secolo XVIII, ma che tramandano simbologie molto più antiche, dato che<br />
quando furono realizzate le opere che oggi posse<strong>di</strong>amo esse avevano perduto significato<br />
e sant’Antonio ormai veniva raffigurato con altri attributi iconografici.<br />
Inoltre, la confraternita continua a vestire un abito dalla foggia molto antica,<br />
privo <strong>di</strong> tutti i fronzoli introdottisi con la controriforma, che potrebbe derivare<br />
<strong>di</strong>rettamente dall’abito che vestivano i primi confrati. Infatti si tratta <strong>di</strong> un semplice<br />
sacco bianco, legato ai fianchi da un cingolo bianco e con visiera bianca, ricordo<br />
ipotetico della primitiva attività infermieristica. In tempi recenti esso in occasioni<br />
più solenni è sostituito da un mantello bianco con un “tau” rosso ricamato sulla<br />
spalla sinistra.<br />
I locali, tenendo conto dell’orografia del territorio e reputando veritiera una<br />
raffigurazione del secolo XVI esistente alla base dell’acquasantiera della chiesa,<br />
erano ubicati su un pianoro, tra due <strong>di</strong>rupi, alle porte del paese, sulla strada che<br />
immetteva nella piazza principale, il Tocco vecchio, dove si tenevano le assemblee<br />
popolari. Questa strada era anticamente denominata “ruga Sancti Antonii” 7.Il<br />
complesso era certamente costituito da una piccola chiesa, che occupava la larghezza<br />
della chiesa attuale con abside a oriente, cioè verso il torrente, aveva due finestre<br />
per lato e l’ingresso, data la configurazione del terreno, nell’angolo tra il muro laterale<br />
e la facciata, nello spigolo <strong>di</strong> nord-ovest. Essa era dotata <strong>di</strong> campanile posto a<br />
mezzogiorno, cioè verso San Giovanni, mentre i locali dell’ospedale sono presumibilmente<br />
da collocare negli spazi oggi occupati dalle sale della rettoria e dal sottostante<br />
ampio corridoio, u currituri, che, se nel secolo XIV ospitava bestie e viandanti,<br />
mentre le sale superiori erano riservate agli ammalati, fino a circa un secolo<br />
6 “In Camerata. A presbitero Orlando archipresbitero eiusdem terre tar. VIII. Ab hospitale S. Antonii tar. II gr.<br />
XVII 1/2”. Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Sicilia, p. 149.<br />
7 DE GREGORIO, <strong>Cammarata</strong>. Notizie sul territorio e la sua storia, Agrigento 1986, p. 73.<br />
12
ad<strong>di</strong>etro continuò a svolgere le funzioni <strong>di</strong> luogo <strong>di</strong> riparo dei viaggiatori, fùnnacu,<br />
termine arabo che traduce il latino hospitale, luogo <strong>di</strong> accoglienza e <strong>di</strong> ricovero.<br />
L’ospedale <strong>di</strong> Sant’Antonio rese il suo servizio a cammaratesi e forestieri per<br />
circa due secoli, finché per mancanza <strong>di</strong> adeguate ren<strong>di</strong>te, venute a mancare in circostanze<br />
ignote, non decadde, mentre inutilmente ci si dava da fare per reperire i<br />
fon<strong>di</strong> necessari al suo restauro. Infatti il 6 gennaio 1493 in un’assemblea del clero<br />
<strong>di</strong> <strong>Cammarata</strong> fu stabilito <strong>di</strong> ripristinare il vecchio ospedale e furono istituite quattro<br />
commissioni per raccogliere offerte a questo fine, ma l’iniziativa non ebbe successo<br />
e finalmente a <strong>Cammarata</strong> potè essere aperto un altro ospedale, ad opera<br />
della compagnia dei bianchi, solamente nel 1568 8.<br />
4 . La confraternita <strong>di</strong> Sant’Antonio<br />
Chiuso l’ospedale <strong>di</strong> Sant’Antonio, continò a vivere la confraternita che lo<br />
aveva gestito, che si prese cura ormai solamente della chiesa che rimase aperta al<br />
culto. Anche quando, come appresso <strong>di</strong>remo, i locali <strong>di</strong> quell’istituzione caritativa<br />
furono ceduti ai domenicani per installarvi un loro convento, i confrati rimasero<br />
in<strong>di</strong>pendenti e mantennero nella chiesa l’altare <strong>di</strong> sant’Antonio sotto il loro patronato.<br />
Essa non era soggetta all’autorità dell’or<strong>di</strong>ne domenicano, anche se i frati<br />
curavano la formazione religiosa dei suoi membri, ma a quella del vescovo <strong>di</strong><br />
Agrigento, il quale durante le sue visite pastorali a <strong>Cammarata</strong> visitava e ispezionava<br />
solamente l’altare della confraternita non avendo facoltà <strong>di</strong> visitare tutta la chiesa<br />
dei domenicani, in quanto esente dalla sua giuris<strong>di</strong>zione.<br />
Da quanto detto nelle precedenti note si deduce che quella <strong>di</strong> Sant’Antonio è<br />
tra le più antiche, se non la più antica, tra le aggregazioni laicali esistite a<br />
<strong>Cammarata</strong>, assieme a quella dei <strong>di</strong>sciplinati <strong>di</strong> Santa Domenica, attestata nel 1432,<br />
poi forse trasformatasi nella confraternita <strong>di</strong> San Filippo <strong>di</strong> Argirò 9, e a quella <strong>di</strong> San<br />
Biagio, già esistente nel 1458 10. Esse, quando non avevano obblighi <strong>di</strong> servizio<br />
sociale verso la popolazione tutta, come nel caso della gestione dell’ospedale, assicuravano<br />
ai propri membri, oltre la formazione religiosa, sostegno economico nelle<br />
necessità, assistenza nelle malattie, alle loro famiglie, in caso <strong>di</strong> morte, aiuti materiali<br />
finché la vedova e gli orfani non fossero economicamente autosufficienti. Come<br />
si vede una forma <strong>di</strong> assistenza, quando erano assenti nella mentalità comune quei<br />
concetti <strong>di</strong> giustizia sociale e <strong>di</strong> sostegno statale dei più deboli oggi previsti dalla<br />
legislazione.<br />
La confraternita inizialmente era governata da alcuni rettori, da due a quattro,<br />
<strong>di</strong>venuti poi un priore e due assistenti. Essa, in seguito alla legislazione statale che<br />
8 DE GREGORIO, <strong>Cammarata</strong>, 1986, p. 162.<br />
9 DE GREGORIO, <strong>Cammarata</strong>, 1986, p. 429-430.<br />
10 DE GREGORIO, <strong>Cammarata</strong>, 1986, p. 439.<br />
13
iniziò a controllare nel secolo XVIII le aggregazioni <strong>di</strong> laici, fu giuri<strong>di</strong>camente riconosciuta<br />
nel 1746. I confrati erano gelosi della loro autonomia e formavano un<br />
corpo socialmente compatto che manifestava il proprio potere nelle pubbliche processioni<br />
e lo esercitava nelle forme <strong>di</strong> solidarietà interna. Con i domenicani ebbero<br />
rapporti <strong>di</strong> collaborazione e qualche momento <strong>di</strong> tensione fu appianato con delle<br />
transazioni, come quelle stipulate nel 1618 o nel 1770 11.<br />
Dal fatto che i confrati <strong>di</strong> Sant’Antonio abbiano assunto, in epoca imprecisabile,<br />
l’altare e le devozioni della confraternita del Santo Nome, sottoposta alla giuris<strong>di</strong>zione<br />
dell’or<strong>di</strong>ne domenicano e fondata a <strong>Cammarata</strong> nel 1610 12, si desume<br />
che probabilmente in un certo momento i domenicani vollero assimilarla a quest’ultima<br />
e così avere <strong>di</strong> essa pieno controllo, ma sembra che l’iniziativa fallì. Però i<br />
Ntunisi aggregarono alla propria quell’altra istituzione e cominciarono a solennizzare<br />
le feste peculiari <strong>di</strong> essa, quella del Santo Nome al primo gennaio, u Bamminu dâ<br />
strina, la cui statua portavano in processione quando ogni confraternita portava<br />
l’immagine del proprio santo titolare, e quella del Crocifisso, la prima domenica <strong>di</strong><br />
maggio, che orgogliosamente denominarono come segno dell’avvenuta annessione<br />
<strong>di</strong> quell’altra confraternita u Crucifissu <strong>di</strong> Sant’Antuoni.<br />
Essa esiste ancora oggi, tra le poche rimaste in vita a <strong>Cammarata</strong>, ed è sopravvissuta<br />
a una <strong>di</strong>storta mentalità clericale che ha pianificato la <strong>di</strong>struzione <strong>di</strong> tutte le<br />
aggregazioni religiose laicali che non poteva socialmente ed economicamente controllare,<br />
pur solennemente affermando il contrario in pomposi documenti ufficiali.<br />
I suoi statuti furono una prima volta rinnovati ed approvati dall’assemblea della<br />
confraternita il 20 gennaio 1907 e confermati dal vescovo <strong>di</strong> Agrigento,<br />
Bartolomeo Lagumina, il 23 marzo 1907 13. Il 7 aprile seguente i confrati si riunirono<br />
in chiesa, all’altare <strong>di</strong> sant’Antonio, e, in base alle nuove norme, elessero priore<br />
Salvatore Tuzzolino e assistenti Salvatore Lipari e Nicolò Consiglio e conferirono<br />
tutti gli altri incarichi previsti. Si noti che sopravvisse fino ad allora la carica <strong>di</strong> infermiere<br />
conferita a due confrati 14.<br />
Quelli attualmente in vigore furono redatti il 7 ottobre 1980 ed approvati dal<br />
vescovo Luigi Bommarito il 22 marzo 1981 ed integrati con le norme generali<br />
emesse dal vescovo Carmelo Ferraro il 1 gennaio 1997 per le confraternite della<br />
<strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> Agrigento 15. Oggi essa conta una trentina <strong>di</strong> membri; priore è il prof.<br />
Salvatore Tuzzolino, assistenti sono Giuseppe Consiglio e Giuseppe Arcieri, mentre<br />
Paolo Di Marco funge da cassiere.<br />
11 DE GREGORIO, <strong>Cammarata</strong>, 1986, pp. 435-436.<br />
12 FR. NICOTRA, Dizionario illustrato dei comuni siciliani, I, Palermo 1907, p. 960. C. LONGO, Una bolla per una confraternita<br />
del Nome <strong>di</strong> Dio (1582) in “Archivum fratrum Prae<strong>di</strong>catorum”, LXVI(1996), pp. 329-350.<br />
13 Copia <strong>di</strong> essi nell’archivio della confraternita <strong>di</strong> Sant’Antonio.<br />
14 DE GREGORIO, <strong>Cammarata</strong>, 2006, p. 404.<br />
15 Testi originali nell’archivio della confraternita <strong>di</strong> Sant’Antonio.<br />
14
La grotta <strong>di</strong> sant’Antonio ancora oggi meta <strong>di</strong> pellegrinaggi<br />
Il monastero <strong>di</strong> Sant’Antonio<br />
15
L’ingresso alla parte interna del monastero<br />
L’interno del monastero<br />
16
Gli affreschi in una delle antiche chiese<br />
La basilica <strong>di</strong> Saint-Antoine-l'Abbaye<br />
17
Frate antoniano<br />
Immagine <strong>di</strong> sant'Antonio <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione bizantina<br />
18<br />
Immagine devozionale cammaratese<br />
del secolo XIX<br />
Immagine <strong>di</strong> sant'Antonio<br />
<strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione copta
La ban<strong>di</strong>era grande<br />
della confraternita<br />
Confrati che fanno la catena umana durante la processione del Crocifisso e indossano l'antica <strong>di</strong>visa<br />
19
Scultore siciliano, sec. XVI, base dell'acquasantiera:<br />
san Domenico che tiene in mano un modellino <strong>di</strong> chiesa<br />
che potrebbe richiamarsi alla chiesa cinquecentesca<br />
<strong>di</strong> Sant'Antonio<br />
20<br />
Confrati che indossano la cappa bianca<br />
con T rosso
I locali della rettoria, probabile sede dell'ospedale trecentesco <strong>di</strong> Sant'Antonio<br />
Antonio La Bella, sec. XVIII,<br />
U Bamminu dâ strina<br />
U Crucifissu <strong>di</strong> Sant'Antuoni in una stampa devozionale<br />
del secolo XIX<br />
21
II. IL CONVENTO DOMENICANO E LA CHIESA DI SANT’ANTONIO<br />
1 . I primi domenicani a <strong>Cammarata</strong><br />
San Domenico, un canonico spagnolo, nato a Caleruega attorno al 1170 e<br />
morto a Bologna il 6 agosto 1221, durante i suoi molti viaggi per l’Europa si accorse<br />
del degrado religioso in cui versavano molte regioni <strong>di</strong> essa a causa dell’ignoranza<br />
<strong>di</strong> gerarchie ecclesiastiche e fedeli e progettò un’organizzazione religiosa che si<br />
de<strong>di</strong>casse allo stu<strong>di</strong>o e alla promozione dei centri <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o, all’educazione cristiana<br />
dei fedeli ed all’evangelizzazione dei molti popoli ancora pagani che esistevano<br />
anche in regioni europee. Questo suo progetto, al quale aderirono ben presto<br />
molti professori e studenti delle università, nel 1216 <strong>di</strong>venne l’or<strong>di</strong>ne dei frati<br />
Pre<strong>di</strong>catori, comunemente in seguito chiamato, dal nome del fondatore, or<strong>di</strong>ne dei<br />
domenicani.<br />
Esso dalle sue se<strong>di</strong> dove era nato, Tolosa, Bologna, Parigi, si <strong>di</strong>ffuse con molta<br />
celerità in molte città europee e del bacino del Me<strong>di</strong>terraneo. In Sicilia i primi<br />
domenicani arrivarono forse mentre ancora viveva san Domenico, attorno al 1221,<br />
e si stabilirono a Messina, città <strong>di</strong> vitale importanza per gli spostamenti marittimi<br />
verso l’Oriente, e poi nei decenni seguenti a Piazza Armerina, Augusta, Palermo,<br />
fino a inse<strong>di</strong>arsi in tutte le principali città isolane 1. Essi qui, come del resto dovunque<br />
arrivassero, si de<strong>di</strong>carono subito alla pre<strong>di</strong>cazione e all’educazione cristiana del<br />
popolo, anche con l’aiuto <strong>di</strong> gruppi <strong>di</strong> laici da loro guidati - terziari, membri <strong>di</strong> confraternite<br />
-, e supplirono alle croniche inefficienze delle gerarchie ecclesiastiche, e<br />
furono chiamati sin dalla metà del secolo XIII anche a governare molte <strong>di</strong>ocesi siciliane.<br />
Nell’attuale provincia <strong>di</strong> Agrigento era sorto agli inizi del secolo XIV un convento<br />
nel capoluogo, al quale si affiancarono nel 1490 quello <strong>di</strong> Bivona e, quin<strong>di</strong>,<br />
quello <strong>di</strong> <strong>Cammarata</strong>. Tutti gli altri conventi che costellarono la provincia sarebbero<br />
sorti nei decenni seguenti, a Villafranca nel 1530, a Sciacca nel 1533, a Santo<br />
1 C. LONGO, La fondazione del convento domenicano <strong>di</strong> Augusta in La fiaccola, Augusta 1992, pp. 8-21.<br />
22
Stefano Quisquina nel 1550 e a Raffadali nel 1574. Poi nel secolo XVII sarebbero<br />
stati fondati quelli <strong>di</strong> Naro nel 1610, <strong>di</strong> Canicattì nel 1613 e, infine, <strong>di</strong> Licata nel<br />
1618. A <strong>Cammarata</strong>, anche se certamente i domenicani risiedettero occasionalmente<br />
già in epoche antecedenti a motivo <strong>di</strong> soggiorni <strong>di</strong> pre<strong>di</strong>cazione, la prima presenza<br />
documentata <strong>di</strong> un frate dell’or<strong>di</strong>ne dei Pre<strong>di</strong>catori risale ai primi decenni del<br />
secolo XV, quando fr. Andrea d’Amoroso <strong>di</strong>venne titolare del beneficio annesso<br />
alla chiesa <strong>di</strong> Santa Maria, presso il quale nel 1428 si progettava già <strong>di</strong> fondare il convento<br />
dei francescani osservanti. Effettuata questa fondazione si spezzò quel tenue<br />
legame che univa <strong>Cammarata</strong> ai domenicani e bisognerà attendere poco meno <strong>di</strong> un<br />
cinquantennio per usufruire in paese del ministero <strong>di</strong> quei frati, anche se nel frattempo<br />
cammaratesi erano entrati in conventi <strong>di</strong> città vicine, soprattutto a San<br />
Domenico <strong>di</strong> Palermo 2.<br />
Attorno al 1470 i frati ritornarono in paese per volontà <strong>di</strong> Giovanni Francesco<br />
Abatellis, conte <strong>di</strong> <strong>Cammarata</strong> dal 1466 al 1485, e del figlio e successore, Antonio<br />
Abatellis, che detenne il medesimo titolo dal 1485 al 1503. Questi avendo il patronato<br />
della parrocchia <strong>di</strong> San Nicola, cedettero con assenso papale quel pingue beneficio<br />
ai domenicani, i quali si installarono nei locali attigui alla matrice e per circa un<br />
trentennio governarono spiritualmente il paese. Sappiamo che nel 1472 la carica <strong>di</strong><br />
arciprete <strong>di</strong> <strong>Cammarata</strong> era occupata da fr. Nicola, chiamato Schifanu, e che nel<br />
1489 era arciprete lo stesso fr. Nicola, chiamato ora o de Schifana o de Rifuna 3.Egli<br />
era coa<strong>di</strong>uvato da altri confratelli, che si erano organizzati in comunità vivendo nei<br />
locali parrocchiali e svolgendo il ministero al posto dell’arciprete, presumibilmente<br />
spesso assente perché al seguito del conte. Vissero in locali <strong>di</strong>fficilmente adattabili<br />
alla vita conventuale ed era questo l’antico convento <strong>di</strong> cui gli scrittori seicenteschi<br />
conoscevano l’esistenza, ma sul quale non sapevano fornire specifiche informazioni,<br />
né sapevano dove avesse avuto la sua sede. Fr. Nicola morì probabilmente alla<br />
fine del secolo, ma non sappiamo se gli successe nella carica qualche altro suo confratello.<br />
Dopo la morte del conte Antonio Abatellis, del quale era probabilmente confessore<br />
il domenicano fr. Girolamo da <strong>Cammarata</strong>, uno tra i tanti domenicani che<br />
assistettero alla stesura del suo testamento il 22 maggio 1503, l’arcipretura <strong>di</strong><br />
<strong>Cammarata</strong> fu concessa al car<strong>di</strong>nale Pietro Svaglia, o Silvaghes o Isvales, nativo <strong>di</strong><br />
Messina, arcivescovo <strong>di</strong> Reggio Calabria dal 1497 al 1506, che la ottenne forse alla<br />
sua rinuncia all’arcivescovato, fatta il 24 luglio 1506, e la mantenne fino alla morte<br />
2 Quando non altrimenti specificato tutte le notizie sul convento domenicano <strong>di</strong> <strong>Cammarata</strong> sono tratte da C.<br />
LONGO, Il convento <strong>di</strong> S. Antonio a <strong>Cammarata</strong> (1509-1866) e il suo “Necrologio” in “Archivum fratrum<br />
Prae<strong>di</strong>catorum”, LVII(1987), pp. 145-220 e da C. LONGO, I domenicani a <strong>Cammarata</strong> (1509-1913), Roma 1988.<br />
3 La carica è attestata da alcuni documenti vaticani. Infatti il 9 luglio 1472 il conte rivolse una supplica a papa<br />
Sisto IV (1471-1484) perché a fr. Nicola Schifanu, circa sessantenne, fosse confermato il beneficio che già<br />
deteneva da circa tre anni. Archivio segreto vaticano, Reg. suppl., 681, f. 234v. Ancora il 20 ottobre 1489 fr.<br />
Nicola in<strong>di</strong>rizzava due suppliche a papa Innocenzo VIII (1484-1492), qualificandosi in una “fr. Nicolaus de<br />
Schifana” e in un’altra “fr. Nicolaus de Rifuna”, ma sempre come “rector archipresbyter nuncupatus parochialis<br />
ecclesie Sancti Nicolai terre Camerate”. Archivio segreto vaticano, Reg. suppl., 910, ff. 173v-174r. 184.<br />
23
avvenuta a Cesena il 22 settembre 1511 4. Si trattava evidentemente <strong>di</strong> un semplice<br />
commendatario, che svolgeva incarichi <strong>di</strong> governo o <strong>di</strong>plomatici al servizio della<br />
curia romana lontano dalla Sicilia, ma che riscuoteva quelle pingui ren<strong>di</strong>te, pur non<br />
risiedendo mai in paese ed esercitando le sue funzioni tramite dei vicari da lui retribuiti.<br />
Nel frattempo, però, era giunto a <strong>Cammarata</strong> un altro domenicano, fr.<br />
Giacomo <strong>di</strong> Siracusa, autorizzato il 20 <strong>di</strong>cembre 1505 a svolgere il suo ministero in<br />
un luogo <strong>di</strong> culto non appartenente al suo or<strong>di</strong>ne e non meglio qualificato nei documenti,<br />
ma facilmente identificabile per le vicende successive con la chiesa <strong>di</strong><br />
Sant’Antonio. Certamente incoraggiato da Federico Abatellis, conte <strong>di</strong> <strong>Cammarata</strong><br />
dal 1503 al 1525, dopo aver preso tutti i contatti necessari ed aver avuto tutte le<br />
autorizzazioni previste dalla legge, riuscì finalmente a dare forma stabile al progetto<br />
che i suoi confratelli accarezzavano da <strong>di</strong>versi decenni, quello <strong>di</strong> fondare un convento<br />
a <strong>Cammarata</strong>.<br />
2 . 27 novembre 1509<br />
Il 27 novembre 1509 presso il notaio Antonino Conforto <strong>di</strong> <strong>Cammarata</strong> fu<br />
rogato l’atto con il quale i locali dell’antico ospedale <strong>di</strong> Sant’Antonio, compresa la<br />
chiesa, furono ceduti a fr. Giacomo perché vi fondasse un convento del suo or<strong>di</strong>ne.<br />
Dato il fallimento delle iniziative <strong>di</strong> restauro del decennio precedente, egli ricevette<br />
un e<strong>di</strong>ficio fatiscente da riattivare per potervi ospitare una comunità, la quale<br />
doveva anche poter contare su introiti certi per potersi mantenere. L’atto notarile<br />
era stato preceduto dall’istanza formale redatta dal procuratore del conte, don<br />
Girolamo Africano da Napoli, dall’assenso del vicario generale della <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong><br />
Agrigento, l’arci<strong>di</strong>acono don Giovanni <strong>di</strong> Guglielmo, e dall’autorizzazione del provinciale<br />
dei domenicani <strong>di</strong> Sicilia, fr. Tommaso <strong>di</strong> San Salvatore, eletto qualche mese<br />
appresso vescovo <strong>di</strong> Minori in Campania.<br />
Vennero in aiuto <strong>di</strong> fr. Giacomo, da quel momento impegnato nella strutturazione<br />
del nuovo convento, sia la generosità dei cammaratesi sia quella del conte<br />
Federico Abatellis, il quale dai proventi del feudo, quin<strong>di</strong> dai beni spettanti a lui personalmente,<br />
assicurò ogni anno ai frati “cantara setti <strong>di</strong> carne [ma da leggere: grano],<br />
uno cantaro <strong>di</strong> oglio, una butte <strong>di</strong> vino, uno cantaro <strong>di</strong> caso, uno crasto per la santa<br />
Pasca et uno porco la festa <strong>di</strong> Natale”.<br />
I lavori procedettero velocemente, altri frati erano arrivati in aiuto <strong>di</strong> fr.<br />
Giacomo, le risorse necessarie non mancavano, per cui un anno e mezzo dopo l’atto<br />
<strong>di</strong> cessione, il 13 giugno 1511, il maestro dell’or<strong>di</strong>ne domenicano, fr. Tommaso<br />
4 FR. RUSSO, Storia dell’archi<strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> Reggio Calabria, III, Napoli 1965, pp. 159-162. D. SPANÒ BOLANI, Storia <strong>di</strong><br />
Reggio Calabria, I, Napoli 1857, p. 244. ERASMUS, The correspondence. Letters 142 to 297, Toronto 1975, pp. 235-<br />
236.<br />
24
de Vio, famoso filosofo e teologo comunemente conosciuto come il car<strong>di</strong>nal<br />
Gaetano, <strong>di</strong>ede facoltà al provinciale dei domenicani <strong>di</strong> Sicilia, fr. Antonio Maida,<br />
<strong>di</strong> accettare ufficialmente quella nuova residenza, che il capitolo generale dei domenicani<br />
celebrato a Napoli nella Pentecoste del 1515 riconobbe come convento,<br />
come istituzione, cioè, che aveva l’obbligo <strong>di</strong> mantenere almeno do<strong>di</strong>ci frati, tra i<br />
quali un “lettore”, che tenesse lezioni gratuite agli studenti e corsi <strong>di</strong> cultura religiosa<br />
ai fedeli, e un “pre<strong>di</strong>catore generale” che avesse l’incarico <strong>di</strong> spostarsi per andare<br />
a pre<strong>di</strong>care anche in luoghi lontani, mentre tutti gli altri frati dovevano esercitare<br />
il medesimo ministero a <strong>Cammarata</strong> e nei paesi vicini.<br />
Da quel che appare dalla documentazione la procedura <strong>di</strong> fondazione seguì un<br />
percorso molto rapido e lineare, senza ostacoli o opposizioni, segno che fr.<br />
Giacomo <strong>di</strong> Siracusa non solo aveva assecondato le aspettative dei cammaratesi, ma<br />
che era anche riuscito a reperire tutti i fon<strong>di</strong> necessari sia per adattare i locali ricevuti<br />
alla nuova destinazione d’uso sia per assicurare ai numerosi frati che cominciavano<br />
a risiedere in quel convento il sostentamento necessario.<br />
Terminata la sua opera, egli si trasferì attorno al 1518 al convento <strong>di</strong> San<br />
Domenico <strong>di</strong> Palermo, dove probabilmente morì in data imprecisata. I domenicani<br />
cammaratesi gli furono riconoscenti e verso il 1730, quando fecero costruire il<br />
grande arma<strong>di</strong>o in noce per la sacrestia, al <strong>di</strong> sopra <strong>di</strong> esso posero un busto in legno<br />
che lo raffigurava, che oggi è andato <strong>di</strong>sperso, come notarono all’inizio <strong>di</strong> ogni relazione<br />
che riguardasse la storia del convento che esso era stato “preso dal patre fra’<br />
Japico saragusano” o “fondato ... da ... fr. Giacomo <strong>di</strong> Siracusa”.<br />
3 . Le attività dei frati<br />
Nel 1838, dopo più <strong>di</strong> tre secoli dell’apertura dei convento <strong>di</strong> Sant’Antonio, in<br />
una sua relazione il sindaco <strong>di</strong> <strong>Cammarata</strong> esprimeva il suo apprezzamento per le<br />
attività dei domenicani, dalle quali derivava “grande vantaggio per la pre<strong>di</strong>cazione,<br />
spiega del vangelo, catechismo in ogni domenica e festa, preghiera del rosario in<br />
ogni mattina e ancora la chiesa è coltivata per la confessione” 5, sintetizzando in una<br />
frase quanto essi facevano da secoli a servizio della popolazione locale e dei centri<br />
vicini.<br />
Infatti, appena inse<strong>di</strong>atisi stabilmente a <strong>Cammarata</strong>, essi <strong>di</strong>edero inizio alle<br />
loro attività. In un periodo in cui solo il parroco e alcuni frati <strong>di</strong> altri or<strong>di</strong>ni potevano<br />
parlare al popolo e spiegare la dottrina cristiana, essi avevano tutti, purché or<strong>di</strong>nati<br />
preti, questa facoltà, che esercitavano sia nella loro chiesa, sia nelle altre chiese<br />
anche dei paesi vicini, sia girando per le campagne del vasto territorio cammaratese,<br />
dove convocavano i conta<strong>di</strong>ni, facevano recitare alcune preghiere e poi spiega-<br />
5 DE GREGORIO, <strong>Cammarata</strong>, 1986, pp. 402-403.<br />
25
vano un tema religioso con linguaggio accessibile. Era questa la cosiddetta sciàbica,<br />
adunanza religiosa che aveva un tono molto <strong>di</strong>fferente dalle pre<strong>di</strong>che che essi tenevano<br />
nella loro chiesa ogni domenica e dove invitati in occasione <strong>di</strong> festività o particolari<br />
perio<strong>di</strong> dell’anno, quali la Quaresima e Pasqua, dalle spiegazioni <strong>di</strong> libri del<br />
Nuovo Testamento, che ogni domenica pomeriggio proponevano ai citta<strong>di</strong>ni più<br />
dotti nella loro sede, da elogi, panegirici, commemorazioni che erano invitati a fare<br />
in particolari circostanze.<br />
Inoltre essi cominciarono a curare la formazione <strong>di</strong> gruppi <strong>di</strong> laici più impegnati,<br />
che si associavano in confraternite o compagnie e usufruivano delle istruzioni<br />
religiose <strong>di</strong> un frate loro <strong>di</strong>rettore spirituale. Queste costituivano sia una forma<br />
<strong>di</strong> aggregazione sociale molto utile per assicurare alla popolazione sostegni morali<br />
e materiali, altrimenti inesistenti, sia una preziosa collaborazione per i frati che<br />
potevano contare sulla <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> centinaia <strong>di</strong> persone sia per organizzare le<br />
attività liturgiche nella loro chiesa sia per inserirsi capillarmente nelle <strong>di</strong>namiche<br />
economiche e sociali della società in cui vivevano, dalla quale in segno <strong>di</strong> riconoscenza<br />
per la loro opera ricevevano donazioni, ere<strong>di</strong>tà, sostegno economico in<br />
momenti <strong>di</strong> particolare bisogno.<br />
La confraternita <strong>di</strong> Sant’Antonio per quattro secoli usufruì del sostegno spirituale<br />
e delle competenze professionali dei domenicani. Due confraternite più strettamente<br />
legate all’or<strong>di</strong>ne domenicano e poste sotto la sua giuris<strong>di</strong>zione nacquero<br />
grazie alle iniziative <strong>di</strong> frati del convento cammaratese.<br />
Quella del Santo Nome, i cui membri venivano educati a non bestemmiare e<br />
a non usare linguaggi irriguardosi e si riproponevano <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffondere un modo <strong>di</strong><br />
esprimersi rispettoso <strong>di</strong> Dio e del prossimo nei loro ambiti, fu fondata nel 1610, ma<br />
poi, come si è visto, confluì in quella <strong>di</strong> Sant’Antonio.<br />
Una compagnia del Rosario, scuola <strong>di</strong> preghiera aperta a tutti che attraverso la<br />
me<strong>di</strong>tazione dei momenti principali della vita <strong>di</strong> Cristo, espressi in lingua siciliana,<br />
proponeva la riflessione sui temi centrali della dottrina cristiana, fu fondata una<br />
prima volta nel 1592, fu rifondata nel 1652 6 e <strong>di</strong>venne uno strumento <strong>di</strong> catechesi<br />
efficacissimo, <strong>di</strong>ffusosi anche nei paesi vicini e <strong>di</strong>retto dal un frate, chiamato “il<br />
padre del rosario” 7. Ad essa fu aggregata sin dalla fondazione la compagnia <strong>di</strong><br />
Sant’Orsola, fondata nel 1592 nella propria chiesa poco <strong>di</strong>stante dal convento e che<br />
era formata da appartenenti alla classe <strong>di</strong>rigente del paese 8.<br />
6 NICOTRA, Dizionario, I, p. 960.<br />
7 Il canto del rosario in siciliano, preceduto e concluso da altre preghiere in rima nella stessa lingua, avveniva ogni<br />
mattina attorno alle 7,30 ed era seguito dalla celebrazione della messa, chiamata “la messa del rosario”. Prima<br />
della celebrazione <strong>di</strong> essa, attorno alle 8, suonavano le campane e quel suono era per gli scolari il segno <strong>di</strong> prepararsi<br />
per andare a scuola e per artigiani, muratori e conta<strong>di</strong>ni convenzionale e sancito inizio della pausa per<br />
la colazione. Dato che le funzioni religiose erano l’unica occasione offerta ai giovani per incontrarsi e dato che<br />
le cantanti del rosario erano ragazze avvenenti, nel 1817 succedevano dei <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ni che scandalizzarono “persone<br />
devote”, per cui intervenne il giu<strong>di</strong>ce della Monarchia. D. DE GREGORIO, <strong>Cammarata</strong>. Cronache dei secoli<br />
XIX e XX, ed. A. TUZZOLINO, <strong>Cammarata</strong> 2006, p. 38. I testi delle preghiere precedenti e seguenti il rosario e<br />
le strofe dei misteri in DE GREGORIO, <strong>Cammarata</strong>, 1986, pp. 499-503.<br />
8 DE GREGORIO, <strong>Cammarata</strong>, 1986, pp. 427-429.<br />
26
Dalla seconda metà del secolo XVII si propagò a <strong>Cammarata</strong> e nei paesi vicini<br />
l’uso <strong>di</strong> recitare per un’ora al mese il rosario. Agli iscritti veniva consegnata una<br />
“bolletta”, chiamata a <strong>Cammarata</strong> figliulanza, che riproduceva, dal 1740 in poi, l’immagine<br />
della Madonna venerata in chiesa e riportava l’elenco delle indulgenze che<br />
si lucravano e poi nome e cognome, modalità e orario destinato alla preghiera dell’aggregato.<br />
Un gruppo legato in modo particolare al convento, infine, era costituito dalla<br />
fraternita dei terziari, formata da laici, anche sposati, che si impegnavano con un<br />
rito <strong>di</strong> professione a vivere secondo lo spirito dell’or<strong>di</strong>ne domenicano nello stu<strong>di</strong>o,<br />
nella preghiera e nell’opera <strong>di</strong> catechesi ed evangelizzazione. Essi spesso impartivano<br />
le prime nozioni <strong>di</strong> catechismo ai bambini e accompagnavano i frati nel loro<br />
ministero fuori paese. Potevano indossare l’abito domenicano e venivano sepolti<br />
rivestiti <strong>di</strong> esso. Lo portavano abitualmente molti terziari <strong>di</strong> sesso femminile, che<br />
conducevano vita ritirata come “monache <strong>di</strong> casa”. Tra queste ultime è stata celebrata<br />
da un’epigrafe posta in chiesa sul suo sepolcro suor Gesia Maria Gerar<strong>di</strong>,<br />
morta trentaseienne il 6 maggio 1695, che lasciò ricordo <strong>di</strong> esemplari virtù e <strong>di</strong><br />
grande pazienza durante una lunga malattia sopportata con grande forza. Altre terziarie,<br />
invece, come suor Margherita La Nucha Lattino (+ 1576), suor Antonia<br />
Cavarretta (+ 1598), suor Giacinta Amodeo (+ 1629), suor Antonia Bonfanti<br />
(+ 1662), furono generose benefattrici del convento.<br />
Queste forme <strong>di</strong> organizzazione sociale e religiosa che i domenicani curarono<br />
furono lo strumento più efficace che essi sperimentarono sia per educare cristianamente<br />
il popolo sia per intervenire a favore <strong>di</strong> quanti avevano particolari bisogni<br />
materiali quando situazioni <strong>di</strong> in<strong>di</strong>genza o emergenze sociali lo esigevano.<br />
Altra preziosa attività che i frati svolsero con de<strong>di</strong>zione per secoli, almeno fino<br />
al Settecento, fu la scolarizzazione della popolazione, attraverso il servizio prestato<br />
da un “padre lettore”, <strong>di</strong> un insegnante, cioè, che in una sala del convento impartiva<br />
lezioni <strong>di</strong> grammatica, computo e catechismo ai ragazzini del paese, o almeno a<br />
quelli che le famiglie non impiegavano appena capaci nei lavori agricoli o ad<br />
apprendere un mestiere in qualche bottega artigiana.<br />
Quando poi, nel corso dei secoli XVII e XVIII, in convento risiedevano gruppi<br />
<strong>di</strong> studenti domenicani che seguivano le lezioni <strong>di</strong> filosofia gli insegnamenti loro<br />
impartiti da altri “padri lettori” erano spesso aperti a giovani già alfabetizzati, che<br />
poi andavano altrove a qualificarsi professionalmente come me<strong>di</strong>ci, notai, giuristi o<br />
speziali.<br />
In supporto dell’attività <strong>di</strong>dattica e culturale esisteva in convento sin dalla sua<br />
fondazione una biblioteca, ubicata probabilmente in locali contigui alla sacrestia.<br />
Essa si arricchì nel corso dei secoli <strong>di</strong> libri lasciati dai frati defunti o con acquisti<br />
effettuati in maniera mirata sul mercato librario e fu la migliore biblioteca esistente<br />
a <strong>Cammarata</strong>, della quale usufruivano studenti e persone <strong>di</strong> cultura del paese. Nel<br />
1866 vi furono in<strong>di</strong>viduati molte opere pregevoli ed essa fu devoluta alla Biblioteca<br />
comunale, nella quale ancora oggi si conserva nel ricco fondo <strong>di</strong> provenienza<br />
27
domenicana 9.<br />
Il ministero svolto con maggiore assiduità dai domenicani cammaratesi è,<br />
però, quello meno documentato, dato che il ministero delle confessioni, per la sua<br />
segretezza non può lasciare tracce scritte. In un paese, però, dove potevano confessare<br />
ed assolvere una minoranza del clero secolare e degli altri frati, avere a <strong>di</strong>sposizione<br />
sei o sette padri domenicani <strong>di</strong>sponibili ad ascoltare, in<strong>di</strong>rizzare, consigliare,<br />
era una grande risorsa per la popolazione, sulla quale in questo modo si esercitava<br />
un utile controllo affinché non deviasse dalle sane tra<strong>di</strong>zioni paesane.<br />
Controllo sociale oltre che religioso che arginava fenomeni come la violenza o il<br />
ban<strong>di</strong>tismo, effetto della povertà, o la ribellione contro l’or<strong>di</strong>ne costituito, anche se<br />
in quest’ultimo caso talora i frati si trovarono d’accordo con le aspirazioni<br />
popolari.<br />
Infatti durante la rivoluzione siciliana scoppiata il 12 gennaio 1848 forse tutti<br />
i frati residenti nel convento <strong>di</strong> Sant’Antonio, certamente in priore, fr. Domenico<br />
Cipolla, che in quegli anni era anche quaresimalista a <strong>Cammarata</strong>, in sintonia con il<br />
ceto dominante in paese, pre<strong>di</strong>carono a favore <strong>di</strong> essa e invogliarono la popolazione<br />
ad arruolarsi per <strong>di</strong>fendere la conquistata libertà, mentre un altro frate del convento,<br />
ma allora domiciliato a Palermo, fr. Costantino Carta, manifestava pubblicamente<br />
i suoi sentimenti filoborbonici 10.<br />
Il numero dei frati residenti nel convento <strong>di</strong> Sant’Antonio si mantenne, tranne<br />
qualche periodo <strong>di</strong> emergenza 11, attorno alla dozzina, anzi spesso, soprattutto<br />
quando vi risiedevano anche gli studenti, questo numero fu superato. Normalmente<br />
a <strong>Cammarata</strong> erano presenti sei o sette padri, provenienti dal ceto me<strong>di</strong>o-alto della<br />
società, che si de<strong>di</strong>cavano al ministero, nei secoli XVII e XVIII un gruppo <strong>di</strong> sei o<br />
sette studenti e, infine, tre o quattro fratelli conversi, <strong>di</strong> estrazione conta<strong>di</strong>na, che<br />
curavano le proprietà del convento, soprattutto le aziende agricole che esso possedeva,<br />
a Bocca <strong>di</strong> Crapa, al Fiume e allo Sciso, dove esisteva anche una casa <strong>di</strong> villeggiatura<br />
con chiesina de<strong>di</strong>cata a San Vincenzo.<br />
Il convento era governato da un priore, eletto a scadenza fissa dalla comunità,<br />
aiutato dal sottopriore, da un sindaco – amministratore -, da un procuratore –<br />
rappresentante legale – e da un bursario – cassiere -. Queste ultime tre cariche erano<br />
generalmente ricoperte da fratelli conversi. Tra quanti detennero l’ufficio <strong>di</strong> priore<br />
ricor<strong>di</strong>amo due illustri personaggi, il b. Vincenzo Trayna da Santo Stefano nel 1580<br />
e fr. Maurizio De Gregorio nel 1617, mentre due fratelli conversi per decenni e con<br />
maestria ricoprirono la carica <strong>di</strong> procuratore, fr. Giuseppe D’Alessandro dal 1648<br />
quasi ininterrottamente fino alla morte avvenuta l’8 marzo 1692 e fr. Giuseppe<br />
Marcennò dal 1714 alla morte avvenuta nel 1759.<br />
9 DE GREGORIO, <strong>Cammarata</strong>, 2006, p. 255.<br />
10 DE GREGORIO, <strong>Cammarata</strong>, 2006, pp. 161. 174.<br />
11 Come nel caso dell’isolamento del paese a causa della peste nel 1576, quando in convento rimasero solo due<br />
frati, il priore, fr. Paolo Tuzzolino, e il procuratore, fr. Tommaso La Lumia. DE GREGORIO, <strong>Cammarata</strong>, 1986,<br />
p. 191.<br />
28
La comunità conventuale si riuniva regolarmente in capitolo per eleggere i<br />
priori e gli altri ufficiali, per decidere tutto quello che riguardasse la vita interna, per<br />
autorizzare i procuratori o i sindaci a intraprendere negozi giuri<strong>di</strong>ci o iniziative economiche<br />
<strong>di</strong> una certa importanza. Ogni volta il consenso espresso da tutti i frati del<br />
convento, convocati “ad sonum campanellae capitularis in loco consueto et solito”,<br />
cioè nella sala delle assemblee, chiamata anch’essa capitolo, veniva riportato nell’atto<br />
notarile.<br />
Le elezioni o le votazioni per avere valore legale dovevano raggiungere sempre<br />
la maggioranza assoluta dei consensi, metà più uno dei voti vali<strong>di</strong>, e si svolgevano<br />
a scrutinio segreto. I frati nelle elezioni scrivevano un nome in una scheda,<br />
nelle votazioni esprimevano il proprio consenso o <strong>di</strong>ssenso facendo scivolare in un<br />
recipiente a forma <strong>di</strong> imbuto che versava dentro un cassettino una fava bianca per<br />
approvare o una fava nera per <strong>di</strong>sapprovare.<br />
Una forma <strong>di</strong> democrazia <strong>di</strong>retta <strong>di</strong> origine me<strong>di</strong>evale ancora in vigore, che ha<br />
ispirato molte legislazioni democratiche a partire dal secolo XIII e che nei piccoli<br />
centri spesso era il modello utilizzato per la redazione o revisione degli statuti<br />
comunali, operazione che <strong>di</strong> frequente veniva affidata dalle assemblee popolari agli<br />
stessi frati.<br />
4 . La chiesa e il convento<br />
Abbiamo ipotizzato che sia la chiesa <strong>di</strong> Sant’Antonio, sia i locali dell’ospedale<br />
omonimo ceduti ai frati nel 1509 fossero <strong>di</strong> modeste <strong>di</strong>mensioni e, per quanto subito<br />
adattati da fr. Giacomo <strong>di</strong> Siracusa alle esigenze conventuali, non erano certamente<br />
rispondenti ai progetti che i domenicani si riproponevano <strong>di</strong> realizzare. Per<br />
finanziare i lavori <strong>di</strong> restauro e per dotare la chiesa degli arre<strong>di</strong> necessari, vennero<br />
in soccorso delle loro aspirazioni molti sostegni economici, sia da parte <strong>di</strong> citta<strong>di</strong>ni,<br />
sia da parte <strong>di</strong> frati, tra i quali fr. Antonino Abatellis, figlio naturale del conte <strong>di</strong><br />
<strong>Cammarata</strong>, Antonio Abatellis, il quale mise a <strong>di</strong>sposizione le ren<strong>di</strong>te provenienti<br />
dall’ere<strong>di</strong>tà paterna.<br />
Nel 1540 la chiesa officiata dai domenicani era ancora il vecchio luogo <strong>di</strong> culto<br />
appartenente alla confraternita, certamente costruito alcuni secoli avanti, e in esso<br />
si trovavano un Crocifisso all’altare maggiore e due altari de<strong>di</strong>cati uno a san Michele<br />
e un altro a san Girolamo, oltre quello del titolare sant’Antonio 12. Verso la metà del<br />
secolo XVI i frati pensarono <strong>di</strong> ampliare i locali conventuali e i lavori <strong>di</strong> una parte<br />
furono ultimati nel 1584, mentre le costruzioni <strong>di</strong> tutto l’e<strong>di</strong>ficio a pianta quadrata,<br />
su tre piani sui lati orientale e meri<strong>di</strong>onale con cortile al centro furono completati<br />
attorno al 1660.<br />
Progettarono anche <strong>di</strong> costruire una nuova chiesa più ampia, che nelle sue<br />
12 DE GREGORIO, <strong>Cammarata</strong>, 1986, p. 322.<br />
29
strutture murarie era agibile già nel 1576, ma mancava <strong>di</strong> ogni decorazione e <strong>di</strong> tutti<br />
gli arre<strong>di</strong> necessari, per cui si chiese l’aiuto dell’università, cioè del comune, che in<br />
pubblica assemblea decise il 3 maggio 1587 <strong>di</strong> imporre a questo scopo - ed anche<br />
per finanziare la costruzione del convento dei carmelitani - per cinque anni una<br />
tassa <strong>di</strong> <strong>di</strong>eci tarì per ogni cantaro <strong>di</strong> olio prodotto. Nel quinquennio seguente, grazie<br />
a questa sovvenzione che si assommava alle altre provenienti da altri benefattori,<br />
i lavori furono portati a termine.<br />
Questa nuova chiesa, che probabilmente manteneva l’orientamento della precedente<br />
con abside verso il torrente e facciata verso la collina e, quin<strong>di</strong>, con ingresso<br />
principale laterale, esisteva un campanile, a destra dell’altare maggiore, situato<br />
cioè dal lato <strong>di</strong> San Giovanni. Sull’altare principale era stato forse collocato, secondo<br />
l’usanza domenicana, il Crocifisso già sull’altare maggiore della vecchia chiesa,<br />
mentre vi esistevano <strong>di</strong>versi altari. Quello <strong>di</strong> sant’Antonio a lavori appena ultimati,<br />
nel 1596, venne arricchito <strong>di</strong> una nuova pregevole statua ancora esistente. In quello<br />
<strong>di</strong> san Michele si continuava a venerare la statua del primo Cinquecento giunta<br />
fino a noi, mentre un altro altare, posto a destra dell’altare maggiore, era de<strong>di</strong>cato<br />
a san Francesco <strong>di</strong> Paola.<br />
Vi erano poi quello <strong>di</strong> san Vincenzo, dove si conservava l’antica statua del titolare<br />
poi trasferita alla chiesa dello Sciso, dove fu rubata circa <strong>di</strong>eci anni ad<strong>di</strong>etro,<br />
quello del Rosario con statua della Madonna, oggi in San Sebastiano, ed un altro,<br />
infine, de<strong>di</strong>cato a santa Caterina da Siena e ad altre sante, dove aveva sede la fraternita<br />
del terz’or<strong>di</strong>ne domenicano. Inoltre vi si conservava il quadro della Madonna<br />
<strong>di</strong> Monserrato, mentre nel corso del secolo XVII per questa chiesa furono <strong>di</strong>pinti i<br />
due gran<strong>di</strong> quadroni del Rosario e <strong>di</strong> san Domenico, opere tutte giunte fino a noi,<br />
così come si è conservata la base cinquecentesca della pila dell’acqua benedetta con<br />
stemmi e immagini <strong>di</strong> santi.<br />
Nella seconda metà del secolo XVII sorsero problemi per la statica dell’e<strong>di</strong>ficio<br />
<strong>di</strong> culto, posto su uno strapiombo sul torrente, e la chiesa, a meno <strong>di</strong> cento anni<br />
dalla sua costruzione, minacciò <strong>di</strong> crollare. Si decise allora la costruzione <strong>di</strong> un<br />
nuovo e<strong>di</strong>ficio in forme più ampie e <strong>di</strong> struttura più solida e i lavori si protrassero<br />
tra il 1662 e il 1721. Ispiratore della forma della nuova chiesa fu con ogni probabilità<br />
il cammaratese fr. Giuseppe Cardella, maestro in teologia, che aveva trascorso<br />
buona parte della sua vita come docente o come priore in molti conventi siciliani,<br />
che nel 1671 fu nominato assistente della fabbrica e che sovrintese ai lavori fino alla<br />
morte, avvenuta nel 1681, quando era sessantenne. Questi nei molti soggiorni al <strong>di</strong><br />
fuori del suo paese certemente ebbe contatti con architetti e marammieri, dai quali<br />
forse ebbe suggerimenti o progetti per la configurazione dell’e<strong>di</strong>ficio, che fu<br />
costruito seguendo un modello <strong>di</strong> ispirazione romana molto comune nelle chiese<br />
domenicane siciliane risalenti a quel periodo.<br />
Infatti la chiesa <strong>di</strong> Sant’Antonio <strong>di</strong> <strong>Cammarata</strong> presenta una struttura simile<br />
alle coeve chiese conventuali <strong>di</strong> San Domenico <strong>di</strong> Agrigento, Santa Maria dei<br />
Miracoli <strong>di</strong> Mussomeli, Santa Maria la Grande <strong>di</strong> Catania, ma tra tutte è quella che<br />
30
ha <strong>di</strong>mensioni maggiori. Essa ha la forma <strong>di</strong> un’amplissima aula monoabsidata e<br />
questo per potere avere a <strong>di</strong>sposizione un vasto spazio non solo per le celebrazioni<br />
liturgiche, ma anche per poter parlare a un vasto u<strong>di</strong>torio da un pulpito, oggi perduto,<br />
collocato al centro della chiesa. L’abside, al cui centro si trovava forse l’antico<br />
Crocifisso inserito in una tela che raffigurava in alto la Trinità e poi la Madonna,<br />
la Maddalena e san Giovanni ai pie<strong>di</strong> della croce - “come quello che è nella chiesa<br />
dei cappuccini”, narravano gli anziani -, era decorata in alto con stucchi che formavano<br />
due gran<strong>di</strong> pannelli, al centro dei quali si trovavano degli ovali con scene plastiche<br />
che rappresentavano soggetti imprecisati. La parte bassa, infine, era occupata<br />
dal coro in legno, dove i frati cantavano gli uffici <strong>di</strong>vini.<br />
L’altare era posto sotto l’arco centrale ed aveva un’ampia scalinata in pietra<br />
che sporgeva nella tribuna, a destra della quale era l’altare dell’Addolorata ancora<br />
esistente, mentre a sinistra si trovavano l’ingresso alla sacrestia e al convento e la<br />
cantoria, dove nel 1754 fu collocato un organo costruito a Palermo dai fratelli<br />
Mariano e Michelangelo Andronico. La tribuna era abbellita dai quattro gran<strong>di</strong> pilastri<br />
che delimitano non un quadrato, ma un trapezio. Questa <strong>di</strong>versa <strong>di</strong>mensione<br />
delle due pareti laterali fu uno sperimentato metodo usato per dotare l’ambiente <strong>di</strong><br />
un’ottima acustica, grazie anche alla struttura non rigida della volta, <strong>di</strong> qualche<br />
metro più alta dell’attuale, costruita con incannicciato intonacato, al quale furono<br />
sovrapposte decorazioni in stucco che incorniciavano dei quadri o degli affreschi <strong>di</strong><br />
soggetto imprecisato. L’aula era quale si presenta ancora oggi con tre ampie cappelle<br />
per lato, decorate con stucchi settecenteschi <strong>di</strong> buona fattura e intervallate da<br />
quattro nicchie dove si conservavano le statue processionali. Al <strong>di</strong> sopra <strong>di</strong> queste<br />
quattro cornici ospitavano quattro quadri, <strong>di</strong>versi dagli attuali <strong>di</strong> recente fattura, che<br />
raffiguravano o santi domenicani ai quali in chiesa non era de<strong>di</strong>cato nessun altare o<br />
i quattro papi appartenenti all’or<strong>di</strong>ne dei Pre<strong>di</strong>catori.<br />
Attorno al 1730 fu anche completata la sacrestia. Essa si trovava all’ultimo<br />
piano del lato meri<strong>di</strong>onale del convento ed era preceduta da un atrio dal quale si<br />
accedeva anche alla cantoria e alle abitazioni dei frati. Era, secondo ricor<strong>di</strong> tramandati<br />
dagli anziani, “grande quanto la chiesa <strong>di</strong> Santa Caterina” ed era abbellita con<br />
un bancone in noce. Questo era formato da una parte inferiore costituita da quattro<br />
file <strong>di</strong> tre cassetti ciascuno e da una parte superiore nella quale si trovava un<br />
grande arma<strong>di</strong>o a tre doppi sportelli. Sia le pile <strong>di</strong> cassetti sia gli sportelli erano <strong>di</strong>visi<br />
da lesene ornate con capitelli compositi. Al <strong>di</strong> sopra <strong>di</strong> esso i busti in legno del<br />
fondatore del convento, fr. Giacomo da Siracusa, e del priore che fece costruire<br />
quell’opera, fr. Giovanni Noto da Mussomeli. In sacrestia, inoltre, si conservavano<br />
due quadri ritenuti pregevoli nel 1866 e dei quali si sono perdute le tracce.<br />
Raffiguravano “L’adorazione dei magi” e “Gesù davanti a Caifa” 13.<br />
La chiesa così costruita e arredata rese il suo servizio al popolo per quasi due<br />
secoli.<br />
13 DE GREGORIO, <strong>Cammarata</strong>, 2006, p. 255.<br />
31
Figliulanza che veniva rilasciata a quanti si<br />
impegnavano alla recita mensile del rosario<br />
32<br />
Scultore siciliano, sec. XVI,<br />
Madonna del Rosario (mutila)<br />
La chiesa dopo l'incen<strong>di</strong>o: si<br />
notano la gra<strong>di</strong>nata dell'altare<br />
sporgente verso la navata e<br />
parte delle originali decorazioni<br />
dell'abside.
La chiesa dopo l'incen<strong>di</strong>o:<br />
si notano i resti dei<br />
quadri sovrapposti alle<br />
nicchie laterali e la decorazione<br />
delle cappelle<br />
rimasta integra<br />
Scultore siciliano, sec.<br />
XVI, Colonna <strong>di</strong> sostegno<br />
della pila dell'acqua<br />
benedetta<br />
Il complesso conventuale<br />
quale si presentava dagli<br />
inizi del secolo XVIII agli<br />
inizi del XX<br />
33
III. AVVENIMENTI RECENTI 1<br />
1 . La soppressione del convento e l’incen<strong>di</strong>o della chiesa<br />
Nella prima metà dell’Ottocento la chiesa <strong>di</strong> Sant’Antonio, ormai popolarmente<br />
denominata <strong>di</strong> San Domenico, fu vittima <strong>di</strong> un primo incen<strong>di</strong>o dagli effetti<br />
limitati. Si narra che una lampada a olio avesse cominciato a oscillare a causa <strong>di</strong> un<br />
topo che cercava <strong>di</strong> arrampicarsi sulle catene che la reggevano ed avesse lambito<br />
con la sua fiamma il parato in stoffa che era stato approntato per la celebrazione <strong>di</strong><br />
un funerale. L’incen<strong>di</strong>o fu subito spento dai frati e dalla popolazione accorsa ed<br />
ebbe danni limitati.<br />
Il convento fu retto negli anni a cavallo della metà del secolo XIX da fr.<br />
Domenico Cipolla e poi da fr. Prospero Coniglio e Corra<strong>di</strong>, morto nel 1860, al<br />
quale successe fr. Vincenzo Carta. Esso fu soppresso in forza della legge del 7<br />
luglio 1866 e dei suoi locali l’11 <strong>di</strong>cembre seguente prese possesso l’amministrazione<br />
del demanio. In quel momento risiedevano a <strong>Cammarata</strong> il priore, fr. Vincenzo<br />
Carta, fr. Domenico Carta e i conversi fr. Giuseppe Lo Muzzo, morto nel 1874, e<br />
fr. Vincenzo Loria, morto a Roma nel 1892, mentre altri quattro padri appartenenti<br />
alla comunità cammaratese vivevano altrove.<br />
Buona parte dei locali conventuali furono trasformati in caserma, la ricca<br />
biblioteca fu acquisita dal comune, al quale con atto del 15 ottobre 1870 fu affidata<br />
anche la chiesa con un corridoio a<strong>di</strong>acente ed altri locali. L’amministrazione<br />
comunale si impegnò a stipen<strong>di</strong>are il rettore, il sacrista e l’organista e a mantenerla<br />
aperta al culto. Nelle stanze rimaste <strong>di</strong>sponibili alcuni frati rimasero a svolgere in<strong>di</strong>sturbati<br />
il loro ministero, sostenuti dall’aiuto e dalla stima delle istituzioni comunali<br />
e della popolazione, ma abbandonati al loro destino, come tanti altri frati <strong>di</strong> altri<br />
conventi, dalle autorità dell’or<strong>di</strong>ne domenicano, impegnate nel frattempo a realizzare<br />
altri gran<strong>di</strong>osi progetti altrove.<br />
Primo rettore della chiesa fu nominato dal municipio il priore fr. Vincenzo<br />
1 Quando non altrimenti notato, questo capitolo è stato redatto attingendo a ricor<strong>di</strong> <strong>di</strong> persone anziane e alle<br />
cronache cammaratesi del periodo riportate in DE GREGORIO, <strong>Cammarata</strong>, 2006, pp. 252-599.<br />
34
Carta, che morì nel 1872; gli successe fr. Domenico Carta, morto il 18 gennaio<br />
1892. Questi furono coa<strong>di</strong>uvati da altri domenicani ritornati nel frattempo a vivere<br />
in patria, fr. Costantino Carta (+ 1876) e fr. Pio Amormino (+ 1888), mentre fr.<br />
Francesco Mendola era stato già alla fine del 1867 ricoverato per turbe psichiche a<br />
Palermo, dove morì alla fine del secolo.<br />
Il 30 maggio 1892 dall’amministrazione comunale fu nominato rettore don<br />
Antonio Longo, già novizio domenicano col nome <strong>di</strong> fr. Giacinto, il quale intraprese<br />
subito, con il contributo della popolazione e del comune e con beni personali, i<br />
lavori <strong>di</strong> riparazione del tetto della chiesa che appariva pericolante, che si protrassero<br />
per circa due anni. Furono anche restaurati l’organo e il campanile. Nel corso<br />
dei lavori, il 24 agosto 1892, avvenne il crollo <strong>di</strong> parte della volta causando la morte<br />
<strong>di</strong> alcuni operai. Dal 1903 egli fu coa<strong>di</strong>uvato dal fratello domenicano, fr. Timoteo<br />
Longo, ritiratosi a <strong>Cammarata</strong> per motivi <strong>di</strong> salute e deceduto il 25 febbraio 1913.<br />
Sono rimasti impressi nella memoria collettiva dei cammaratesi i fatti della<br />
notte del 17 agosto 1913, narrati dagli anziani ai più giovani e ancora ricordati da<br />
quanti ascoltarono quelle testimonianze. Infatti un incen<strong>di</strong>o scoppiato nella parte<br />
del coro fece accorrere in chiesa tutta la popolazione <strong>di</strong> <strong>Cammarata</strong> e San Giovanni,<br />
svegliata nel cuore della notte dal suono insistente delle campane. Si tentò inizialmente<br />
<strong>di</strong> spegnere il fuoco con mezzi <strong>di</strong> fortuna, poi, quando si vide che anche il<br />
tetto cominciava a bruciare, si salvò depositandolo nella piazza antistante quanto<br />
poteva essere tirato fuori, quadri, statue, arre<strong>di</strong>, paramenti, finché per il pericolo<br />
incombente <strong>di</strong> crolli non si fu costretti a sopendere. Quasi tutte le immagini sacre,<br />
poi, trovarono ricovero nella chiesa <strong>di</strong> San Sebastiano.<br />
Furono <strong>di</strong>strutti il coro, l’organo, il pulpito e l’altare maggiore e si perdettero<br />
preziosi paramenti depositati in una cassa <strong>di</strong> noce intagliato collocata in quella parte<br />
della chiesa. Crollarono il tetto e il muro dell’abside e il rettore Longo chiese al<br />
comune la cessione della proprietà del luogo <strong>di</strong> culto per ricostruirlo a sue spese.<br />
Difficoltà burocratiche e la sopravvenuta morte <strong>di</strong> don Antonio, avvenuta il 24<br />
ottobre seguente, vanificarono i tentativi <strong>di</strong> un imme<strong>di</strong>ato restauro. Né ebbero esito<br />
migliore le iniziative comunali miranti a ricostruire quanto <strong>di</strong>strutto con contributi<br />
pubblici e sottoscrizioni popolari, per cui la chiesa rimase per se<strong>di</strong>ci anni abbandonata<br />
alle intemperie, ma integra nella facciata e nei muri laterali. Restava efficiente<br />
solo il campanile, le cui campane suonavano per segnalare avvenimenti eccezionali,<br />
come avvenne il 5 novembre 1918, quando annunziarono alla popolazione la fine<br />
della prima guerra mon<strong>di</strong>ale.<br />
2 . La ricostruzione<br />
Negli anni 1926-1928 le autorità fasciste, sindaco e poi podestà, progettarono<br />
<strong>di</strong> adattare i ruderi della chiesa a municipio, ma la loro iniziativa non sortì alcun<br />
effetto, anzi suscitò la reazione contraria dei cammaratesi e allora si <strong>di</strong>mostrò effi-<br />
35
cace la presa <strong>di</strong> posizione <strong>di</strong> un gruppo <strong>di</strong> citta<strong>di</strong>ni, soprattutto membri della confraternita<br />
<strong>di</strong> Sant’Antonio, i quali con scrittura privata redatta l’8 maggio 1929, si<br />
impegnarono a contrarre un mutuo <strong>di</strong> 20.000 lire per procedere alla ricostruzione<br />
della chiesa, saldando il debito personalmente qualora non si fosse giunti a raccogliere<br />
le offerte necessarie per sod<strong>di</strong>sfare il cre<strong>di</strong>tore.<br />
Perché non cadano nell’oblio i nomi dei nostri antenati che si presero la<br />
responsabilità <strong>di</strong> un’impresa tanto impegnativa, ne trascriviamo il testo in appen<strong>di</strong>ce<br />
da una copia conservata nell’archivio della confraternita <strong>di</strong> Sant’Antonio. Primo<br />
firmatario dell’atto fu Enrico Longo, fratello minore del rettore don Antonio, che<br />
però non poté vedere neanche l’inizio dei restauri, perché morì il 14 giugno seguente,<br />
lasciando, anche per ottemperare alla volontà del fratello, cartelle del debito pubblico<br />
per complessive 30.000 lire, i cui interessi avrebbero dovuto servire a sostentare<br />
il rettore della chiesa ricostruita. Queste cartelle si <strong>di</strong>sse essergli state sottratte<br />
sul letto <strong>di</strong> morte da persone estranee, ma a lui vicine; in ogni caso non furono trovate<br />
quando furono rotti i sigilli apposti alla sua casa al momento della morte, per<br />
cui gli ere<strong>di</strong> mossero accuse circostanziate, inviate anche al Vaticano, ma non si riuscì<br />
mai ad appurare con certezza che fine avessero fatto quelle cartelle, le famose<br />
bust’i don Erricu.<br />
La coraggiosa presa <strong>di</strong> posizione sua e dei confrati innescò gli entusiasmi della<br />
popolazione. Un domenicano che risiedeva ad Acireale, fr. Emanuele Intieri, fu<br />
chiamato a tenere corsi <strong>di</strong> pre<strong>di</strong>cazione e ad animare iniziative cultuali; l’arciprete<br />
Nicolò Giacchino teneva con pignola precisione i conti dell’amministrazione; i confrati<br />
<strong>di</strong> sant’Antonio coinvolsero, impegnandosi in prima persona, la popolazione<br />
dei due paesi nei lavori <strong>di</strong> reperimento e trasporto dei materiali, che avvenivano <strong>di</strong><br />
domenica al suono delle campane della chiesa; le terziarie domenicane con l’aiuto<br />
<strong>di</strong> molte altre donne si presero cura <strong>di</strong> eseguire lavori <strong>di</strong> ricamo, tessitura, cucito per<br />
dotare la chiesa degli arre<strong>di</strong> necessari, comprando, inoltre, anche i vasi sacri; fr.<br />
Giuseppe Consiglio, francescano <strong>di</strong> Terrasanta, che non potè partecipare assieme a<br />
tutti i suoi familiari all’opera <strong>di</strong> ricostruzione, inviò da Gerusalemme quattro pregevoli<br />
pianete, una lampada in alpacca proveniente da quelle che pendevano davanti<br />
al santo Sepolcro e una balla <strong>di</strong> damasco rosso, tessuto proprio in Me<strong>di</strong>o Oriente,<br />
per confezionare la nuova ban<strong>di</strong>era della confraternita.<br />
Nonostante la forte crisi economica allora in corso, la popolazione tutta dei<br />
due paesi contribuì sia con il proprio lavoro sia con offerte. Si raccoglievano in<br />
campagna cereali che poi venivano venduti, oro e argento che poi furono fusi, stoffe<br />
che furono adattate al bisogno. Sono rimasti celebri nella memoria degli anziani<br />
alcuni episo<strong>di</strong> quali la lunga sfilata <strong>di</strong> carri e <strong>di</strong> animali carichi <strong>di</strong> pietra, sabbia e<br />
gesso che la domenica mattina, dopo una settimana <strong>di</strong> duro lavoro in campagna,<br />
scendeva dalla montagna alla chiesa o la processione che fu organizzata per raccogliere<br />
offerte quando le statue del Crocifisso, della Madonna del Rosario con san<br />
Domenico e <strong>di</strong> san Vincenzo attraversarono per un giorno intero per le vie dei due<br />
paesi, accompagnate dalle preghiere <strong>di</strong> tutti gli abitanti e gratificate con oboli che<br />
36
<strong>di</strong>edero modo <strong>di</strong> portare a termine i lavori, pagando con essi le maestranze specializzate<br />
ed acquistando i materiali non reperibili in natura.<br />
Così i lavori <strong>di</strong> rifacimento del muro dell’abside e la copertura del tetto furono<br />
ultimati alla fine del 1931; poi si procedette al restauro dell’interno degradato da<br />
anni <strong>di</strong> abbandono e al rifacimento degli altari. Furono spese in tutto circa 70.000<br />
lire, non computando le offerte <strong>di</strong> materiali e oggetti e le molte giornate <strong>di</strong> lavoro<br />
gratuito prestato dalla popolazione. Venerdì 5 maggio 1933, trasportate da una folla<br />
rumoreggiante per l’entusiasmo, le immagini dei santi ritornarono nella loro chiesa,<br />
ultima tra le quali quella del Crocifisso, accompagnate dal rullo dei tamburi e dallo<br />
sventolare delle ban<strong>di</strong>ere.<br />
Il can. Antonino Catarella, allora cancelliere <strong>di</strong>ocesano, poi vescovo <strong>di</strong> Piazza<br />
Armerina, ribene<strong>di</strong>sse la chiesa, tenendo un famoso sermone in cui paragonava i<br />
cammaratesi ai fratelli Maccabei, che a Gerusalemme avevano liberato il tempio<br />
dalle ortiche e dai rovi e lo avevano ricostruito e riaperto al culto. La prima messa<br />
solenne vi fu celebrata da don Agostino Sansone la domenica seguente 7 maggio,<br />
festa del Crocifisso, con panegirico dettato dal p. Emanuele Intieri. Così in quattro<br />
anni esatti fu portata a compimento dalla volontà popolare un’opera che né l’amministrazione<br />
comunale, che pur poteva contare su somme messe da parte a quel<br />
fine, né le autorità ecclesiastiche, <strong>di</strong>verse volte richiamate dal vescovo Lagumina,<br />
erano riuscite a realizzare.<br />
Paradossalmente questo movimento <strong>di</strong> massa fu stimolato dalla collettiva<br />
presa <strong>di</strong> coscienza dei <strong>di</strong>ritti del popolo propugnati dai partiti della sinistra, che con<br />
larghissimo consenso governarono <strong>Cammarata</strong>, espellendo dalla gestione del<br />
comune il solito gruppo <strong>di</strong> notabili e proprietari terrieri, dal 1920 al 1925, e contemporaneamente<br />
dalla <strong>di</strong>stensione dei rapporti tra Italia e Vaticano culminati nella<br />
conciliazione e nei patti lateranensi dell’11 febbraio 1929, che prevedevano, tra l’altro,<br />
la cessione dei luoghi <strong>di</strong> culto alla gestione ecclesiastica.<br />
Il 16 settembre dell’anno seguente, 1934, nella chiesa si iniziò a celebrare<br />
anche la festa <strong>di</strong> san Giovanni Bosco, per iniziativa <strong>di</strong> don Salvatore Consiglio, mentre<br />
il culto della chiesa era curato dall’arciprete Giacchino, nominato ufficialmente<br />
rettore il 10 giugno 1936. Gli successe nel 1939 don Vitale Madonia, che intraprese<br />
nonostante la <strong>di</strong>fficoltà dei tempi la costruzione del pavimento della chiesa, completato<br />
con mattonelle <strong>di</strong> graniglia bianche e rosa nel 1940. Quello stesso anno fu<br />
nominato come suo successore don Luigi Livatino <strong>di</strong> Canicattì, che rimase rettore<br />
fino al 1947. Questi riuscì a concludere le pratiche per la cessione dell’uso della<br />
chiesa all’autorità ecclesiastica, che avevano avuto inizio il 18 marzo 1932 ad opera<br />
<strong>di</strong> Ernesto Eugenio Filippi, arcivescovo <strong>di</strong> Monreale e amministratore <strong>di</strong> Agrigento.<br />
L’atto fu finalmente stipulato dal podestà Luigi Mendola e dal rettore il 30 settembre<br />
1942. In forza <strong>di</strong> esso i locali dell’e<strong>di</strong>ficio <strong>di</strong> culto e della rettoria e gli arre<strong>di</strong> sacri<br />
furono ceduti in uso alla <strong>di</strong>ocesi <strong>di</strong> Agrigento, che si impegnò a mantenere la chiesa<br />
efficiente ed aperta al culto, a non asportare o alienare gli arre<strong>di</strong> sacri, accuratamente<br />
inventariati e valutati, sui quali soltanto gli organismi statali mantengono<br />
37
<strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> prelievo.<br />
Dopo qualche anno <strong>di</strong> vacanza, nel 1950 la rettoria fu affidata dal vescovo<br />
Giovanni Battista Peruzzo a don Francesco La Placa <strong>di</strong> San Giovanni Quell’anno<br />
per l’ultima volta si tenne la processione della Festa d’u Signuri al modo antico e la<br />
confraternita <strong>di</strong> sant’Antonio portò in processione la statua del Bamminu dâ Strina<br />
adornata <strong>di</strong> ainuzzi. L’anno seguente 1951 arrivò a <strong>Cammarata</strong> don Filippo<br />
Bonanno <strong>di</strong> Sant’Angelo Muxaro ed ebbe l’incarico <strong>di</strong> rettore <strong>di</strong> San Domenico.<br />
Questi, assieme all’arciprete Madonia, promosse il completamento <strong>di</strong> alcuni lavori<br />
rimasti in sospeso a causa della guerra, l’elevazione del campanile e la costruzione<br />
del soffitto, dato che la chiesa era ancora coperta dal solo tetto con travature a vista.<br />
Dalla fine del 1952 al 1956, essendo stata chiusa per urgenti lavori la matrice, vi si<br />
trasferirono tutte le attività parrocchiali e vi si tennero tutte le cerimonie che solitamente<br />
si svolgevano nella chiesa maggiore. Quando don Bonanno nel 1953 fu trasferito<br />
a Casteltermini, l’arciprete assunse la carica <strong>di</strong> rettore e la mantenne fino al<br />
1978. Nel 1969 vi costruì il nuovo altare maggiore, abbattendo il vecchio altare a<br />
gra<strong>di</strong>ni, e lo decorò con un palliotto <strong>di</strong> marmo intarsiato del secolo XVII, donato<br />
da mons. Domenico De Gregorio.<br />
Nel 1970, in seguito a ripetute alluvioni, si incrinò la trave centrale al <strong>di</strong> sopra<br />
della tribuna e il tetto della chiesa <strong>di</strong>venne pericolate e per or<strong>di</strong>ne del sindaco essa<br />
fu chiusa al culto. Ancora una volta si parlò <strong>di</strong> demolirla, almeno in parte, <strong>di</strong> installare<br />
al suo posto uffici pubblici, ma ancora una volta la reazione popolare vanificò<br />
ogni progetto. Antonietta Trayna, che era stata battezzata a San Domenico, con una<br />
fitta corrispondenza sensibilizzò le autorità regionali; sant’Antonio in persona si<br />
<strong>di</strong>sse avesse con mo<strong>di</strong> perentori convinto l’arciprete della necessità <strong>di</strong> non abbandonare<br />
la chiesa al destino <strong>di</strong> preve<strong>di</strong>bili crolli imminenti. Questi, efficacemente<br />
coa<strong>di</strong>uvato da don Mario Albanese, ottenne, tramite l’interessamento del cammaratese<br />
Michelangelo Lo Sardo, i finanziamenti necessari e così negli anni 1975-1976<br />
si procedette al rifacimento del tetto e del soffitto e al consolidamento delle strutture<br />
murarie 2. La chiesa, rimessa in sesto per l’uso liturgico dall’intraprendenza <strong>di</strong><br />
don Albanese e <strong>di</strong> Enzo Li Gregni, che coor<strong>di</strong>narono la collaborazione <strong>di</strong> tutta la<br />
popolazione, fu riaperta nel settembre 1977 e l’autore <strong>di</strong> queste note il 18 <strong>di</strong> quel<br />
mese vi cantò la prima messa solenne e vi tenne l’omelia.<br />
Il seguente anno 1978 la rettoria fu affidata a mons. De Gregorio 3, che la man-<br />
2 DE GREGORIO, <strong>Cammarata</strong>, 1986, pp. 326-327.<br />
3 Fu una delle figure più eminenti del clero agrigentino del secolo XX, storico, teologo, poeta, ma soprattutto<br />
pastore assiduo nel curare il gregge a lui affidato sia con la parola che con la penna. Nacque a <strong>Cammarata</strong> il 24<br />
agosto 1923 e trascorse la maggior parte della sua vita tra il paese natale e Agrigento. A questi due centri, <strong>di</strong>stanti<br />
appena una cinquantina <strong>di</strong> chilometri l’uno dall’altro, de<strong>di</strong>cò tutto il proprio impegno <strong>di</strong> ricercatore, privilegiandoli<br />
come luoghi della storia in cui incontrare e comprendere l’uomo. Dopo gli anni della fanciullezza trascorsi<br />
in famiglia, a un<strong>di</strong>ci anni, fece il suo ingresso nel seminario <strong>di</strong>ocesano, portandosi <strong>di</strong>etro come retaggio<br />
una grande capacità <strong>di</strong> auto<strong>di</strong>sciplinarsi e una ricca tra<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> cultura popolare e religiosa, attinte nella propria<br />
parrocchia e nelle laboriose botteghe artigiane del suo parentado. Per l’avvio della sua carriera <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>oso<br />
fu però necessario un insuccesso. Al primo anno ginnasiale, con molta probabilità per soggezione verso la<br />
38
tenne fino alla morte avvenuta nel 2006. Qui egli per quasi un trentennio mise a<br />
<strong>di</strong>sposizione del popolo la profon<strong>di</strong>tà della sua cultura e la fragranza della sua santità,<br />
con i gesti e le parole, col ministero assiduo e con silenziosi atti <strong>di</strong> carità.<br />
Egli completò la decorazione interna delle cappelle, attuò il restauro <strong>di</strong> statue<br />
e quadri e la costruzione del coro ligneo, progettato da Enzo Li Gregni e realizzato<br />
dalla <strong>di</strong>tta Salvatore Sacco, curò l’acquisto <strong>di</strong> suppellettile e vasi sacri, elettrificò<br />
le campane, alle quali aggiunse una quarta, e, ultimo regalo alla chiesa nel 2005, pro-<br />
schiacciante personalità <strong>di</strong> un insegnante <strong>di</strong> lettere, ricevette una bocciatura in latino. Quell’umiliazione del suo<br />
giovanile orgoglio, più tar<strong>di</strong> definita da lui stesso provvidenziale, <strong>di</strong>venne l’occasione propizia per la svolta<br />
verso l’interiorità e il trampolino per un riscatto culturale che lo portò a uno stu<strong>di</strong>o appassionato dei testi scolastici<br />
e non, e a una carriera cinquantennale <strong>di</strong> ricercatore appassionato. La sua personale curiositas gli permise<br />
<strong>di</strong> allargare <strong>di</strong> molto il pur apprezzabile bagaglio culturale usualmente consegnato dalle scuole <strong>di</strong> allora.<br />
Segnalato al vescovo da un suo insegnante, subito dopo esser stato or<strong>di</strong>nato sacerdote il 29 giugno 1947, fu<br />
nominato docente <strong>di</strong> <strong>di</strong>scipline umanistiche nel ginnasio del seminario e inoltre si iscrisse ai corsi dell’università<br />
<strong>di</strong> Palermo, dove conseguì nel 1953 al laurea in lettere classiche e nel 1956 quella in filosofia. Attento a non<br />
circoscrivere la sua preparazione culturale ai confini regionali e nazionali, e certo emulo cosciente <strong>di</strong> altri illustri<br />
agrigentini, perfezionò le lingue e la letteratura d’oltralpe. Alle lingue francese e spagnola, già perfettamente<br />
possedute negli anni <strong>di</strong> seminario, si aggiunse nel 1958 il <strong>di</strong>ploma <strong>di</strong> lingua tedesca, conseguito all’università<br />
<strong>di</strong> Salisburgo e nel 1960, a Bonn, quello in lingua e letteratura germanica. Vissuti nella ricerca indefessa in<br />
archivi e biblioteche, i suoi soggiorni all’estero lo ricaricavano sempre spiritualmente e culturalmente per una<br />
ricerca storica più approfon<strong>di</strong>ta della sua <strong>di</strong>ocesi e provincia agrigentina, alla quale coniugò molti oneri pastorali.<br />
Fu parroco alla Zorba in territorio <strong>di</strong> Aragona, guidò come assistente spirituale il Movimento maestri cattolici<br />
e l’Unione donne cattoliche e tante altre forme <strong>di</strong> associazionismo agrigentine. Nel 1976, ricevette l’incarico<br />
<strong>di</strong> <strong>di</strong>rettore del <strong>di</strong>ffusissimo settimanale <strong>di</strong>ocesano, “L’Amico del Popolo”, che <strong>di</strong>venne la sua “parrocchia<br />
<strong>di</strong> carta”, attraverso il quale <strong>di</strong>alogò per quasi un trentennio con tutte le componenti della società agrigentina.<br />
Già membro del capitolo della cattedrale, nel 1977 fu eletto canonico teologo e in seguito ciantro del medesimo,<br />
il che gli consentì l’accesso all’archivio capitolare, che rior<strong>di</strong>nò in vista <strong>di</strong> una fruizione da parte degli stu<strong>di</strong>osi.<br />
Nel frattempo fu nominato anche <strong>di</strong>rettore della prestigiosa biblioteca Lucchesiana, che cercò <strong>di</strong> riportare<br />
agli antichi splendori e alla quale lasciò la sua ricchissima biblioteca personale. Riaperto nel 1983 il corso<br />
teologico in seminario, ne <strong>di</strong>venne docente fino alla fine della sua vita e primo prefetto, conferendogli un or<strong>di</strong>namento<br />
degli stu<strong>di</strong>, che in seguito fu riconosciuto idoneo per l’affiliazione alla facoltà teologica <strong>di</strong> Sicilia. Con<br />
una pro<strong>di</strong>giosa laboriosità e con puntiglioso programma giornaliero - si alzava alle 4 del mattino, pranzava puntualmente<br />
alle 12 e in soli quin<strong>di</strong>ci minuti, si ritirava, per quanto poteva, alle 20 -, alternò gli incarichi <strong>di</strong>ocesani<br />
con la cattedra <strong>di</strong> docente <strong>di</strong> lettere nei licei statali (prima all’Empedocle <strong>di</strong> Agrigento, poi a quello <strong>di</strong><br />
<strong>Cammarata</strong>), senza mai tralasciare la ricerca e gli stu<strong>di</strong>. Tra il 1960 e il 2000, pubblicò, infatti, a ritmi vertiginosi<br />
monografie ponderose e libretti <strong>di</strong>vulgativi, saggi su temi <strong>di</strong>versi e raccolte poetiche, intervenendo anche a<br />
molte conferenze e convegni. Nel 1985 conseguì a Roma il dottorato in teologia dommatica con una tesi sul<br />
Commento all’Ecclesiaste <strong>di</strong> S. Gregorio Agrigentino; in seguito collaborò con l’Accademia <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> me<strong>di</strong>terranei<br />
per la pubblicazione delle opere <strong>di</strong> Gerlando da Besançon, rifondatore della <strong>di</strong>ocesi agrigentina dopo il dominio<br />
arabo; fu presidente del tribunale ecclesiastico per le cause dei santi. Negli ultimi anni, pur debilitato dalla<br />
malattia, non abbandonò la ricerca, lasciando ine<strong>di</strong>te alcune opere in seguito pubblicate per iniziativa dei suoi<br />
molti <strong>di</strong>scepoli ed estimatori. Dopo mesi <strong>di</strong> silenziosa sofferenza, accolta con la forza della sua fede ben temprata<br />
nel tempo e confortata dall’esempio dei suoi stimati amici santi, sui quali aveva estaticamente scritto, si<br />
spense a questo mondo il 26 maggio 2006. Impossibile qui riportare un elenco completo della settantina <strong>di</strong><br />
volumi da lui pubblicati. Ricor<strong>di</strong>amo, oltre le due corpose monografie riguardanti la storia <strong>di</strong> <strong>Cammarata</strong> già<br />
ampiamente citate, altri scritti riguardanti il suo paese natale: <strong>Cammarata</strong> (“Paesi <strong>di</strong> Sicilia”), Palermo 1965. P.<br />
Girolamo da <strong>Cammarata</strong>, Palermo 1980. S. Caterina <strong>di</strong> Alessandria e il suo culto in <strong>Cammarata</strong>, <strong>Cammarata</strong> 1981. La<br />
devozione al Crocifisso in <strong>Cammarata</strong> e S. Giovanni Gemini, S. Giovanni Gemini 1984. P. Timoteo Longo O.P., fondatore<br />
delle Domenicane del Sacro Cuore, Catania 1988. Lettere <strong>di</strong> <strong>di</strong>rezione spirituale <strong>di</strong> Mons. A. Ficarra alla Sig.na A. Traina,<br />
Agrigento 1990. Il quadro dei Diecimila Martiri nella Matrice <strong>di</strong> <strong>Cammarata</strong>, Agrigento 1993. La sua opera e la sua<br />
personalità sono state tratteggiate in V. LOMBINO, Ricordando Domenico De Gregorio: l’opera storica in “Ho theològos”<br />
XXV(2007), pp. 289-299, da cui abbiamo attinto a piene mani e spesso alla lettera per tracciare questo<br />
profilo, oltre che in molti scritti celebrativi pubblicati su quoti<strong>di</strong>ani e perio<strong>di</strong>ci in occasione della sua morte o<br />
<strong>di</strong> manifestazioni in suo onore, quali l’intitolazione al suo nome del sagrato della cattedrale <strong>di</strong> Agrigento, <strong>di</strong><br />
un’aula della biblioteca Lucchesiana della stessa città e della biblioteca comunale <strong>di</strong> <strong>Cammarata</strong>.<br />
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mosse la costruzione dell’organo a canne, effettuata artigianalmente dalla <strong>di</strong>tta<br />
Colletti <strong>di</strong> Chiusa Sclafani.<br />
Con meto<strong>di</strong>cità quoti<strong>di</strong>ana vi svolse soprattutto il ministero delle confessioni,<br />
accorrendo a usufruire dei suoi consigli penitenti non solo da <strong>Cammarata</strong> e San<br />
Giovanni, ma anche da molti paesi vicini. Anche a costo <strong>di</strong> <strong>di</strong>fficili spostamenti,<br />
facendo la spola tra Agrigento e <strong>Cammarata</strong>, celebrava tutte le funzioni dell’anno<br />
liturgico, <strong>di</strong>spensando i suoi chiari e pacati insegnamenti in ogni occasione anche<br />
feriale.<br />
Durante gli ultimi mesi <strong>di</strong> sua vita, impossibilitato ormai a recarsi in chiesa, fu<br />
sostituito da don Vincenzo Lombino, che continua a curare il culto della chiesa e a<br />
seminare la parola <strong>di</strong> Dio con metodo approfon<strong>di</strong>to e con linguaggio accessibile a<br />
tutto l’u<strong>di</strong>torio. Si perpetua, così, a San Domenico una tra<strong>di</strong>zione che ormai ha alle<br />
spalle mezzo millennio <strong>di</strong> storia, che ha fatto della chiesa un luogo in cui i fedeli<br />
sono stimolati alla personale riflessione e all’arricchimento interiore, grazie al ministero<br />
della parola che vi viene svolto con competenza e sobrietà e al clima accogliente<br />
che sempre ha contrad<strong>di</strong>stinto l’ambiente fisico del luogo <strong>di</strong> culto e l’ambiente<br />
umano che vi si raduna.<br />
“Quannu sientu sunari a campan’i SanNuminicu mi veni u cori”, ripeteva un’anziana<br />
fedele morta ultracentenaria, a zza Maria, che ricordava con precisione come fosse<br />
la chiesa prima dell’incen<strong>di</strong>o, aveva lavorato indefessamente per la sua ricostruzione,<br />
continuò a frequentarla con assiduità anche quando aveva superato i cento anni.<br />
I suoi racconti vivaci e dettagliati sono una fonte della quale ci siamo serviti nello<br />
stendere questi capitoli.<br />
La chiesa quale si presentava dopo l'incen<strong>di</strong>o<br />
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La facciata della chiesa abbandonata col campanile efficiente<br />
I lavori in corso<br />
41
42<br />
L'abside ricostruita<br />
Il tetto ricostruito
Il coro come si presentava tra il 1969<br />
e gli anni '80. Si notano i due gran<strong>di</strong><br />
candelieri in legno poi trafugati<br />
L'altare maggiore costruito nel 1933<br />
e abbattuto nel 1969<br />
43
Il nuovo campanile<br />
44
E. Li Gregni, Progetto per il coro ligneo<br />
R. La Mattina, 2004,<br />
Mons. D. De Gregorio<br />
45
Facciata della chiesa<br />
46
I. L’ESTERNO<br />
La facciata<br />
SECONDA PARTE<br />
GUIDA DELLA CHIESA<br />
La mole della chiesa domina tutto il paesaggio circostante e si impone su tutti<br />
gli e<strong>di</strong>fici vicini caratterizzando così, assieme al castello e a qualche altro e<strong>di</strong>ficio<br />
sacro, il paesaggio <strong>di</strong> <strong>Cammarata</strong>. La facciata ha linee semplici che si richiamano al<br />
tardo manierismo romano e nelle sue strutture essenziali appare molto simile alla<br />
ben più elaborata facciata della chiesa romana <strong>di</strong> San Domenico a Magnanapoli,<br />
progettata da un architetto siciliano, Vincenzo La Greca, la cui opera potè ispirare<br />
anche questo progetto architettonico assieme ad altri patrocinati dai domenicani <strong>di</strong><br />
Sicilia, quale ad esempio la rifinita facciata della chiesa <strong>di</strong> San Domenico <strong>di</strong><br />
Agrigento.<br />
Essa, come tutto l’e<strong>di</strong>ficio, è costruita con massi squadrati <strong>di</strong> tufo, estratti<br />
nello stesso luogo della costruzione, la rocca su cui sono ancorati gli e<strong>di</strong>fici del paese,<br />
tra i quali sono inserite, al livello inferiore, pietre <strong>di</strong> altra provenienza che inglobano<br />
gran<strong>di</strong> venature <strong>di</strong> agate rosa e <strong>di</strong> <strong>di</strong>aspri amaranto. E’ <strong>di</strong>visa in due or<strong>di</strong>ni, contrassegnati<br />
da un ampio cornicione, e coronata da un timpano triangolare. Ogni<br />
or<strong>di</strong>ne è scan<strong>di</strong>to da quattro alte paraste e decorato da due nicchie, dove avrebbero<br />
dovuto essere poste delle statue <strong>di</strong> santi, mai realizzate. Al centro del secondo<br />
or<strong>di</strong>ne, ribassata rispetto al progetto originario, si trova una grande finestra.<br />
Il portale<br />
Il portale è preceduto da una scalinata a doppia rampa laterale, con ringhiera<br />
in ferro, sistemata in questo modo nella seconda metà del secolo XIX in concomitanza<br />
con l’apertura della strada carrozzabile, che passa lateralmente alla chiesa.<br />
Esso risale probabilmente al secolo XVI e decorava la facciata della chiesa costruita<br />
in quel secolo. E’ in pietra calcarea: un’elegante cornice sostiene un timpano<br />
spezzato, al centro della quale è inserito il cartiglio quadrato che reca inciso il titolo.<br />
Esso recita: “TEMPLVM DEO DIVOQ[VE] ANTONIO DICATVM A PRÆ-<br />
DICATORIBVS COLITVR”. Il portone in legno è originale del secolo XVII, con<br />
47
car<strong>di</strong>ni e serrature ancora conservati e funzionanti. Nella parte inferiore <strong>di</strong> esso si<br />
aprono due porte più piccole, anche queste come il portale delimitate da cornici<br />
sovrastate da timpano spezzato, al centro del quale si trovano degli stemmi. Sulla<br />
porta destra quello dell’Inquisizione <strong>di</strong> Sicilia, che qui aveva sede, anche se non era<br />
gestita dai frati, e sulla porta sinistra quello dell’or<strong>di</strong>ne domenicano.<br />
Gli e<strong>di</strong>fici conventuali<br />
A sinistra della facciata della chiesa al pianterreno un grande portone immette<br />
nel currituri, luogo aperto a tutti fino a un secolo ad<strong>di</strong>etro come ricettacolo dei<br />
viaggiatori e dei loro animali. Al <strong>di</strong> sopra <strong>di</strong> esso il balcone dei locali della rettoria.<br />
Il campanile originale, che si trova accanto, sovrastava <strong>di</strong> qualche metro il tetto <strong>di</strong><br />
questa. L’attuale, allungato <strong>di</strong> una <strong>di</strong>ecina <strong>di</strong> metri, raggiunge l’altezza della facciata<br />
e fu realizzato negli anni ‘50 del XX secolo. Nella cella, delimitata e decorata con<br />
cornici e contrassegnata da quattro gran<strong>di</strong> arcate, sono poste quattro campane.<br />
L’e<strong>di</strong>ficio conventuale ha subito rimaneggiamenti e consolidamenti; fu a<strong>di</strong>bito<br />
per circa un secolo a caserma dei carabinieri ed oggi ospita il liceo scientifico. Il<br />
portale originale, oggi allargato, immetteva in un cortile, al centro del quale su una<br />
base <strong>di</strong> colonna era posta una fontana decorata da una statua <strong>di</strong> putto, ritenuto<br />
Gesù Bambino. Gli ultimi resti <strong>di</strong> essa andarono <strong>di</strong>spersi qualche decennio ad<strong>di</strong>etro.<br />
Tutto il complesso è preceduto da un’ampia piazza triangolare, delimitata dal<br />
lato panoramico da un lungo se<strong>di</strong>le in pietra con spalliera in ferro, a banchina, realizzato<br />
negli ultimi decenni del secolo XIX.<br />
II. L’INTERNO<br />
La navata<br />
L’interno della chiesa ha forma <strong>di</strong> un’amplissima aula rettangolare, delimitata<br />
da un’abside semicircolare. Questa configurazione fu progettata appositamente per<br />
un luogo <strong>di</strong> culto che non doveva alimentare devozioni private o <strong>di</strong> piccoli gruppi<br />
in un alternarsi <strong>di</strong> cappelline o navatelle, ma doveva servire alle gran<strong>di</strong> assemblee<br />
popolari sia <strong>di</strong> carattere religioso in occasione <strong>di</strong> celebrazioni o pre<strong>di</strong>cazioni sia <strong>di</strong><br />
carattere civico in caso <strong>di</strong> adunanze pubbliche che non trovavano spazio adeguato<br />
altrove.<br />
Le pareti laterali sono originali della chiesa settecentesca e sono scan<strong>di</strong>te da<br />
decorate paraste con capitelli compositi. Per ogni lato presentano tre gran<strong>di</strong> cappelle<br />
decorate con stucchi <strong>di</strong> scuola palermitana e sovrastate da un elaborato cartiglio.<br />
Ognuna <strong>di</strong> esse presenta un’immagine centrale sostenuta o affiancata da due angeli<br />
e sovrastata da un timpano spezzato decorato con foglie o fiori. Al centro in alto,<br />
48
attorniato da testine <strong>di</strong> angeli, il simbolo del santo a cui è de<strong>di</strong>cata. Tra le cappelle,<br />
due per ogni lato, trovano posto le nicchie che servivano a conservare le statue processionali;<br />
esse in seguito <strong>di</strong>vennero altri altari. Il soffitto, illuminato da otto gran<strong>di</strong><br />
finestroni, si trovava nella progettazione originaria <strong>di</strong> qualche metro rialzato<br />
rispetto all’attuale, così come il catino dell’abside. Questa è preceduta da una tribuna<br />
delimitata da quattro gran<strong>di</strong> pilastri, che reggono due archi, e ingloba da un lato<br />
la cantoria e dall’altro una grande cappella.<br />
Il pavimento attuale in marmo bianco fu realizzato nel 1976 in sostituzione <strong>di</strong><br />
quello in mattonelle bianche e rosa del 1940. Originariamente esso era in pietra;<br />
sopravvive una parte <strong>di</strong> questa pavimentazione nell’atrio e nei gra<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> entrata.<br />
Essa fino all’incen<strong>di</strong>o era costellata <strong>di</strong> pietre sepolcrali, che per la maggior parte<br />
andarono <strong>di</strong>sperse; una si conserva proprio all’ingresso, ma è illeggibile, mentre<br />
altre due sono state murate nei pilastri della tribuna.<br />
Il portone principale è sovrastato da un grande arco, al centro del quale rimase<br />
per secoli, <strong>di</strong>venendo custode della chiesa abbandonata dopo l’incen<strong>di</strong>o, un quadro<br />
raffigurante san Pietro Martire. Esso fu <strong>di</strong>strutto durante i restauri degli anni<br />
‘70 del secolo scorso e sostituito con un bel quadro ottocentesco che raffigura san<br />
Gioacchino e la Madonna bambina, opera firmata dal famoso pittore Gregorio<br />
Scalia 1.<br />
La parete interna della facciata, oltre che dall’arco che sovrasta il portone principale,<br />
è decorata anche da due e<strong>di</strong>cole, che una volta ospitavano le vare usate per<br />
le processioni. In quella a sinistra entrando si conserva ancora quella del Crocifisso,<br />
in legno intagliato e ferro battuto dorato del secolo XVIII.<br />
In quella a destra, su una base costruita con materiale <strong>di</strong> recupero, è stata collocata,<br />
negli anni ‘80 del secolo scorso, una statua in marmo <strong>di</strong>pinto della Madonna<br />
della Catena. Questa devozione è <strong>di</strong> origine palermitana e ha il suo centro nell’omonima<br />
chiesa situata sulle banchine dell’antico porto della Cala, all’interno della quale<br />
tre condannati a morte, a fine secolo XIV, sarebbero stati liberati dalla Madonna<br />
che per <strong>di</strong>mostrare la loro innocenza spezzò le loro catene. La statua in marmo<br />
<strong>di</strong>pinto e decorato, che è stata attribuita ad Andrea Mancino, scultore lombardo che<br />
operò anche a <strong>Cammarata</strong> 2, fu realizzata alla fine del secolo XV 3. Raffigura la<br />
1 La raffinata tela si ricollega alla promozione del culto <strong>di</strong> san Gioacchino, voluta da papa Leone XIII-<br />
Gioacchino Pecci (1878-1903) e fu eseguita da un pittore certamente lontano dai movimenti devozionali, ma<br />
molto sensibile ai simbolismi della natura e delle figure umane. Gregorio Scalia, infatti, nato a San Gregorio <strong>di</strong><br />
Catania nel 1842, nel 1860, seguendo l’esempio <strong>di</strong> tanti altri giovani siciliani, abbandonò gli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> pittura per<br />
seguire Garibal<strong>di</strong> ed i Mille e in seguito rispose al suo appello anche nel 1866. Dopo aver stu<strong>di</strong>ato a Firenze,<br />
nel 1869 si trasferì ad Avola, dove riprese l’attività artistica, frequentando contemporaneamente i circoli intellettuali<br />
e politici del tempo e mostrando una convinta adesione alla massoneria, tanto che alla sua morte, nel<br />
1922, si celebrò ad Avola un imponente funerale massonico. Seppe conciliare queste sue idee politiche con un<br />
forte afflato religioso, realizzando ispirate opere per enti ecclesiastici della provincia <strong>di</strong> Siracusa e lavorando<br />
anche a Scicli nel 1887, dove quasi certamente eseguì questo quadro per p. Timoteo Longo, che poi lo portò<br />
con sé a <strong>Cammarata</strong>. L. SARULLO, Dizionario degli artisti siciliani, II, Pittura, Palermo 1993, p. 486.<br />
2 L. SARULLO, Dizionario degli artisti siciliani, III, Scultura, Palermo 1994, pp. 197-198.<br />
3 D. DE GREGORIO, ‘A Beddamatri, Agrigento 2005, pp. 57-59.<br />
49
Madonna mentre allatta il Bambino e non ha attributi iconografici specifici <strong>di</strong> quel<br />
culto. La catena che regge con la mano destra è un’aggiunta recente. Essa si trovava<br />
in matrice nell’altare omonimo, ma fu sostituita circa un secolo ad<strong>di</strong>etro con<br />
un’immagine in gesso, per cui la vecchia statua fu collocata tra il materiale <strong>di</strong> scarto,<br />
che vagò da un deposito all’altro, finché, durante i lavori <strong>di</strong> restauro degli anni<br />
‘70, non fu abbandonata nel piazzale antistante la chiesa. Essa e altri marmi lavorati<br />
superstiti furono salvati da mons. De Gregorio, che con l’autorizzazione dell’arciprete<br />
Madonia li portò a casa sua, collocando la Madonna su una mensola nell’atrio<br />
<strong>di</strong> ingresso del suo palazzo. Da qui in seguito trasportò il tutto in chiesa,<br />
facendo elaborare con quel materiale e con resti <strong>di</strong> gra<strong>di</strong>ni dell’altare maggiore quest’e<strong>di</strong>cola<br />
che accoglie i fedeli al loro ingresso.<br />
La cappella <strong>di</strong> Santa Caterina<br />
La prima cappella a destra entrando è de<strong>di</strong>cata a santa Caterina da Siena,<br />
patrona d’Italia e d’Europa. Al centro della decorazione come simbolo della santa<br />
si trova un <strong>libro</strong> aperto a in<strong>di</strong>care la sua sapienza <strong>di</strong> dottore della chiesa. La pala<br />
d’altare è attribuita a pittore siciliano della seconda metà del secolo XVIII, che fu<br />
certamente in contatto con le accademie romane, Francesco Olivieri da Palermo,<br />
altrimenti ignoto, che avrebbe realizzato l’opera nel 1772 4. Essa nella parte superiore<br />
rappresenta Gesù che cambia il suo cuore con quello <strong>di</strong> santa Caterina sostenuta<br />
da un angelo, mentre nella parte inferiore sono raffigurati san Giacinto e san<br />
Vincenzo Ferreri. Il primo, un missionario domenicano polacco morto nel 1257,<br />
presenta i soliti suoi attributi iconografici, reggendo l’ostensorio con le ostie e una<br />
statua della Madonna, in ricordo <strong>di</strong> una sua fuga dal convento <strong>di</strong> Kiev incen<strong>di</strong>ato<br />
dai tatari, quando fu sollecitato dalla Madonna stessa a portare in salvo anche la sua<br />
immagine. Il secondo, famoso pre<strong>di</strong>catore e taumaturgo spagnolo morto nel 1419,<br />
è raffigurato con la fiammella dello Spirito Santo sulla testa e il <strong>libro</strong> aperto, a in<strong>di</strong>care<br />
l’efficacia della sua dottrina e della sua pre<strong>di</strong>cazione, e il cappello car<strong>di</strong>nalizio<br />
ai pie<strong>di</strong>, in ricordo della sua rinuncia al car<strong>di</strong>nalato. In basso tra i due santi un paesaggio<br />
che richiama le proprietà del convento <strong>di</strong> quel periodo, il colli dello Sciso e<br />
il corso del Platani.<br />
La statua lignea posta al centro dell’altare raffigura san Giuseppe col Bambino<br />
ed è opera del primo Ottocento realizzata nella bottega palermitana dei Bagnasco.<br />
4 SARULLO, Dizionario, II, p. 382. Ci sorge il dubbio che il nome del pittore tramandato dai repertori possa essere<br />
stato travisato e che in realtà si tratti del domenicano palermitano Lorenzo Olivier (1710-1791), <strong>di</strong>segnatore,<br />
architetto e matematico, che visse anche a Roma tra il 1740 e il 1750, dove poté attingere <strong>di</strong>segni poi in questo<br />
quadro rielaborati, ma la cui presenza a <strong>Cammarata</strong> non sembra attestata. Nel 1772, però, era priore del<br />
convento <strong>di</strong> San Domenico <strong>di</strong> Palermo, dove l’Olivier viveva e <strong>di</strong>rigeva il cantiere per gli ultimi abbellimenti <strong>di</strong><br />
quella basilica, proprio il cammaratese fr. Antonino Lo Presti. Coincidenze sulle quali forse vale la pena indagare.C.LONGO,<br />
Fr. Lorenzo Olivier tra matematica e storiografia in L. OLIVIER, Annali del real convento <strong>di</strong> S. Domenico<br />
<strong>di</strong> Palermo, ed. M. RANDAZZO (“Ercta”, XXIII), Palermo 2006, pp. 9-22.<br />
50
Fu scolpita per la chiesa <strong>di</strong> San Vito, ma, quando circa un secolo ad<strong>di</strong>etro fu lì trasferita<br />
da Sant’Agostino la bella statua <strong>di</strong> san Giuseppe <strong>di</strong> Antonio La Bella, essa fu<br />
portata nella chiesa <strong>di</strong> San Biagio. Chiusa questa circa trent’anni fa, pervenne qui e<br />
collocata nel primo luogo <strong>di</strong>sponibile.<br />
Al <strong>di</strong> sotto dell’altare una statua in cera della Madonna sul letto <strong>di</strong> morte.<br />
Questa è una delle poche statue superstiti <strong>di</strong> questo genere. Esse erano custo<strong>di</strong>te in<br />
casa e durante i primi quin<strong>di</strong>ci giorni <strong>di</strong> agosto su una decorata lettiga venivano portate<br />
ogni sera dai ragazzi in processione con l’accompagnamento <strong>di</strong> qualche strumento<br />
musicale per festeggiare la “Quin<strong>di</strong>cina”.<br />
La cappella della Madonna <strong>di</strong> Monserrato<br />
E’ la prima cappella a sinistra; la decorazione al centro presentava forse il<br />
monte segato dagli angeli. Quest’ultimo emblema è andato perduto e sostituito con<br />
do<strong>di</strong>ci stelle. La pala dell’altare è del secolo XVI e raffigura la Madonna venerata a<br />
Montserrat in Catalogna in un santuario posto su una montagna, le cui cime appaiono<br />
intervallate da scoscesi strapiombi, per cui si narra che furono segate dagli<br />
angeli. Su questi <strong>di</strong>rupi sorsero sin dal secolo IX degli eremi, dai quali ebbero origine<br />
il santuario e il monastero annesso 5. Nell’immagine che lì si conserva la<br />
Madonna e il Bambino hanno carnagione molto scura.<br />
La devozione fu importata in Sicilia dai catalani qui presenti sia per motivi<br />
commerciali sia al seguito della <strong>di</strong>nastia aragonese e introdotta anche in conventi<br />
domenicani, quali quelli <strong>di</strong> San Domenico <strong>di</strong> Palermo o <strong>di</strong> Ciminna. Questo quadro<br />
appare simile alle pale palermitane dello stesso soggetto, una delle quali fu<br />
<strong>di</strong>pinta nel 1528 da Antonello Panormita e si conserva nel convento della Gangia 6<br />
e un’altra dello stesso secolo, proveniente dalla chiesa <strong>di</strong> Sant’Eulalia dei Catalani,<br />
adorna l’altare della chiesa delle Croci o <strong>di</strong> Monserrato 7.<br />
Il quadro cammaratese si richiama in tutto all’iconografia palermitana e presenta<br />
il monte con suggestivi particolari <strong>di</strong> pellegrini, cacciatori, monaci e animali,<br />
il santuario tra le gole <strong>di</strong> esso, l’immagine della Madonna <strong>di</strong> carnagione chiara e ai<br />
suoi pie<strong>di</strong> due angeli che segano un monte. Esso è il quadro più antico conservato<br />
in chiesa e fu certamente <strong>di</strong>pinto nel secolo XVI, dato che al centro presenta uno<br />
stemma che sembrerebbe richiamarsi a quello degli Abatellis, <strong>di</strong>nastia che si estinse<br />
nel ramo cammaratese attorno al 1560. Abbiamo ipotizzato che i due santi in primo<br />
5 DE GREGORIO, ‘A Beddamatri, pp. 54-56.<br />
6 Accanto la Madonna le sante Caterina d’Alessandria e Agata e ai suoi pie<strong>di</strong>, sotto gli angeli che segano il monte,<br />
i committenti. G. MANDEL, L’opera completa <strong>di</strong> Antonello da Messina, Milano 1967, p. 106. Fr. ABBATE, Storia dell’arte<br />
nell’Italia meri<strong>di</strong>onale, III, Roma 2001, p. 35.<br />
7 Di Giuseppe Sirena, datata 1582. Sotto la Madonna i santi Vincenzo Ferreri, Eulalia e altra santa variamente<br />
identificata.<br />
51
piano, san Domenico e santa Caterina d’Alessandria, possano tramandare le sembianze<br />
<strong>di</strong> fr. Antonino Abatellis e della sorella Margherita, contessa <strong>di</strong> <strong>Cammarata</strong>.<br />
Per la precisione dei particolari, quasi miniature, esso è accostabile al quadro <strong>di</strong> san<br />
Placido, conservato a San Vito, firmato dal pittore cammaratese Francesco Lo<br />
Presti e datato 1597, ma questo è certamente anteriore e forse opera <strong>di</strong> un altro pittore<br />
cammaratese della famiglia Lo Presti 8.<br />
Sotto l’altare un moderno presepe. A sinistra <strong>di</strong> esso un grande stemma in pietra<br />
raffigurante l’emblema del regno <strong>di</strong> Sicilia.<br />
L’altare della Madonna del Carmelo<br />
Addossata alla lesena l’acquasantiera, che conserva il pilastro <strong>di</strong> base originale<br />
del secolo XVI. Scultura molto raffinata e decorata con elegante sobrietà nei<br />
quattro lati presenta le immagini <strong>di</strong> san Domenico che regge un modellino <strong>di</strong> chiesa<br />
e un giglio, sant’Antonio in atto <strong>di</strong> bene<strong>di</strong>re affiancato da un minuscolo maiale,<br />
lo stemma dei Branciforti - il leone rampante con le zappe anteriori mozzate che<br />
regge una ban<strong>di</strong>era – e quello dei domenicani – uno scudo cappato con stella e<br />
cagnolino che regge con la bocca una fiaccola -.<br />
Al <strong>di</strong> sopra <strong>di</strong> essa una statua in marmo, mutila della parte inferiore, raffigurante<br />
santa Rosalia, compatrona <strong>di</strong> <strong>Cammarata</strong>. Essa fu realizzata nella prima metà<br />
del secolo XVII per la chiesa omonima, chiusa la quale nella seconda metà del secolo<br />
XIX passò a quella della Madonna della Scala o Scalidda, che fu <strong>di</strong>strutta qualche<br />
decennio appresso, per cui la scultura trasmigrò in quella della Raccomandata, che<br />
crollò nel 1966. Recuperata da mons. De Gregorio, fu qui collocata qualche decennio<br />
appresso.<br />
Sull’altare dopo il 1740 fu collocata l’antica statua cinquecentesca della<br />
Madonna del Rosario, ri<strong>di</strong>pinta e rivestita così <strong>di</strong> abito marrone e bianco e affiancata<br />
da una statuetta <strong>di</strong> san Simone Stock. Essendo in cattivo stato fu trasportata<br />
agli inizi del secolo XX nella chiesa <strong>di</strong> San Sebastiano, dove ancora si trova, priva<br />
del Bambino e della statuetta del santo, trafugati qualche decennio ad<strong>di</strong>etro. Fu<br />
sostituita con una nuova statua in cartapesta voluta dalla famiglia Di Marco, che<br />
acquistò anche la statua della Pietà che si conserva sotto l’altare. La Madonna del<br />
Carmelo continua a festeggiarsi il 16 luglio a cura della famiglia Di Marco e dei suoi<br />
<strong>di</strong>scendenti. In quel giorno si bene<strong>di</strong>cono piccoli scapolari con l’immagine della<br />
Madonna che si <strong>di</strong>stribuiscono ai fedeli, i quali li indossano al <strong>di</strong> sotto dell’abbigliamento.<br />
Al <strong>di</strong> sopra dell’altare una colorata tela <strong>di</strong> Giovanni Filippone (1922-1993), pittore<br />
sangiovannese, che raffigura san Nicola bene<strong>di</strong>cente, avendo alle spalle il panorama<br />
del castello <strong>di</strong> <strong>Cammarata</strong>.<br />
8 SARULLO, Dizionario, II, p. 304.<br />
52
L’altare <strong>di</strong> San Michele<br />
E’ il secondo altare a sinistra che conserva, come quello <strong>di</strong> fronte, la forma <strong>di</strong><br />
semplice e<strong>di</strong>cola a volta. All’interno <strong>di</strong> essa, collocata sulla vara originale, si venera<br />
una bella statua cinquecentesca raffigurante san Michele in atto <strong>di</strong> uccidere il drago,<br />
che ha le fauci spalancate. Opera elegante in legno dorato <strong>di</strong> ignoto artista siciliano,<br />
è annoverata tra le opere conservate in questa chiesa già nel 1540.<br />
Al <strong>di</strong> sopra dell’e<strong>di</strong>cola una sgargiante tela <strong>di</strong> Filippone rappresenta san<br />
Gerlando e la valle dei templi <strong>di</strong> Agrigento. Si noti che questa è l’unica raffigurazione<br />
del santo patrono agrigentino presente a <strong>Cammarata</strong>.<br />
La cappella del Rosario<br />
La cappella presenta al centro della decorazione la colomba raffigurazione<br />
dello Spirito Santo e sul timpano spezzato mazzi <strong>di</strong> rose. Era la cappella dove si<br />
custo<strong>di</strong>va l’Eucaristia e fino a qualche decennio ad<strong>di</strong>etro pendevano al centro <strong>di</strong><br />
essa tre gran<strong>di</strong> lampade in rame dove stavano accese le lampade a olio. Ora esse<br />
sono state collocate lateralmente. Il tabernacolo è quello originale del secolo XVII,<br />
anche se è stato malamente ri<strong>di</strong>pinto.<br />
La pala d’altare è inserita in una preziosissima cornice barocca del secolo<br />
XVII, finemente intagliata e dorata. Il quadro raffigura la Madonna del Rosario,<br />
incorniciata da una mandorla <strong>di</strong> angeli, con san Domenico, san Tommaso<br />
d’Aquino, sant’Agata e santa Lucia. In alto e lateralmente quin<strong>di</strong>ci ton<strong>di</strong> rappresentano<br />
i quin<strong>di</strong>ci misteri del rosario, mentre al centro in basso un’aggiunta posteriore<br />
raffigura le anime del purgatorio. Il soggetto si richiama a simili opere presenti in<br />
molte chiese siciliane, non solo domenicane, che si ispirano alla grande tavola <strong>di</strong>pinta<br />
nel 1540 da Vincenzo da Pavia per la chiesa <strong>di</strong> San Domenico <strong>di</strong> Palermo e alle<br />
rielaborazioni dello stesso tema effettuate dall’olandese Simone <strong>di</strong> Wobreck. La tela<br />
fu <strong>di</strong>pinta nel 1634 dal pittore cammaratese Francesco Lo Presti 9. In questa cappella<br />
aveva sede la compagnia del Rosario e sotto l’altare si trova una statua giacente<br />
raffigurante santa Caterina da Siena.<br />
La cappella <strong>di</strong> San Domenico<br />
In alto al centro degli stucchi decorativi il simbolo del santo, la stella che<br />
emana due raggi luminosi sul globo del mondo. La pala d’altare è inserita in una<br />
bella cornice e raffigura il santo fondatore dei domenicani recante in mano i sim-<br />
9 SARULLO, Dizionario, II, p. 304.<br />
53
oli usuali – il <strong>libro</strong> della scienza e il giglio della virtù – che mira in alto la croce<br />
mostratagli da un coro <strong>di</strong> angeli, mentre in basso un dragone si ritira sconfitto. Ai<br />
suoi pie<strong>di</strong> il ricordo della leggenda che narra che la madre, la beata Giovanna de<br />
Aza, prima che egli nascesse avesse sognato <strong>di</strong> partorire un cagnolino bianco e nero<br />
che con una fiaccola in bocca illuminava il mondo, per in<strong>di</strong>care l’efficacia della sua<br />
pre<strong>di</strong>cazione. Il quadro è firmato e datato e fu <strong>di</strong>pinto nel 1628 dal pittore cammaratese<br />
Vincenzo Lo Presti, figlio <strong>di</strong> Francesco 10. Esso assieme alla sua cornice –<br />
unico tra le opere d’arte custo<strong>di</strong>te in chiesa – non è stato mai restaurato.<br />
Fino a qualche decennio ad<strong>di</strong>etro era uso accendere in quest’altare delle lampade<br />
e quin<strong>di</strong> utilizzare l’olio tratto da esse per bene<strong>di</strong>re gli ammalati, ungendoli e<br />
segnando una croce col pollice sulla loro fronte e ripetendo la formula<br />
“SanNuminicu Surianu, / vui ci mintiti l’uogliu / e io ci mintu la manu. / N nomu dû Patri,<br />
dû Figliu e dû Spiritu Santu”. L’invocazione era rivolta a san Domenico venerato a<br />
Soriano Calabro, in provincia <strong>di</strong> Vibo Valentia, a cui si rivolgevano preghiere anche<br />
alla fine del rosario: “A sanNuminicu Surianu e a santa Catarina <strong>di</strong> Sena ...”.<br />
Il tabernacolo settecentesco, malamente ri<strong>di</strong>pinto, è quello che fino al 1969<br />
campeggiava sull’altare maggiore. Ai lati <strong>di</strong> esso delle cornici contengono teche con<br />
reliquie <strong>di</strong> santi. Sotto l’altare, protetto da un vetro, il palliotto <strong>di</strong>pinto nel secolo<br />
XVIII per l’altare <strong>di</strong> Santa Caterina, raffigurante i tre santi venerati in quell’altare,<br />
Caterina da Siena, Vincenzo e Giacinto.<br />
L’altare <strong>di</strong> San Vincenzo<br />
Originariamente era una nicchia dove si conservava la statua processionale del<br />
santo, poi fu decorata e <strong>di</strong>venne sede <strong>di</strong> una devozione ancora molto sentita. A<br />
<strong>Cammarata</strong> come <strong>di</strong>ffusione il nome Vincenzo è secondo solo a quello <strong>di</strong> Giuseppe<br />
e proprio i molti Vincenzo sono i devoti più affezionati. San Vincenzo è anche<br />
patrono dei muratori e protettore contro le cadute e le per<strong>di</strong>te <strong>di</strong> senno e quest’ultima<br />
protezione è collegata alla fiammella che appare sulla testa del santo in tutte le<br />
sue immagini, mentre la prima si ricollega a un miracolo che si narra avesse egli operato.<br />
Infatti, dati i suoi poteri straor<strong>di</strong>nari, si racconta che il priore del suo convento<br />
gli avesse proibito <strong>di</strong> fare miracoli senza il suo permesso. Un giorno, camminando<br />
per strada, vide un muratore che stava cadendo da un’impalcatura, per cui lo<br />
fermò a mezz’aria, <strong>di</strong>cendogli: “Aspetta un attimo, ché vado a chiedere il permesso<br />
al priore”, mentre il malcapitato rimaneva sospeso tra cielo e terra.<br />
La nicchia fu decorata nel secolo XVIII con gusto popolaresco raffigurandovi<br />
simboli ed episo<strong>di</strong> della vita del santo. Al centro, tra due angeli, il <strong>libro</strong> con la<br />
scritta che invita ad aver timore <strong>di</strong> Dio - “TIMETE DEUM ET DATE ILLI<br />
10 SARULLO, Dizionario, II, p. 304.<br />
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HONOREM” -, assieme alla tromba e alla fiamma, tutti segni che rendono visibile<br />
plasticamente la sua opera <strong>di</strong> evangelizzazione svolta in tutta Europa tra i secoli<br />
XIV e XV, al tempo della <strong>di</strong>visione della chiesa d’occidente prima in due e poi in<br />
tre obbe<strong>di</strong>enze con relativi due o tre papi in contemporanea. Allora egli, che personalmente<br />
stava dalla parte del papa che risiedeva ad Avignone, si incaricò <strong>di</strong> fronte<br />
alle incertezze e alle turbolenze istituzionali <strong>di</strong> smuovere le coscienze popolari invitandole<br />
a vivere secondo il vangelo e a temere l’approssimarsi del giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong>vino,<br />
in<strong>di</strong>pendentemente dalle obbe<strong>di</strong>enze ecclesiastiche, per cui fu definito l’”angelo<br />
dell’apocalisse”; da ciò quei simboli che denotano in quel <strong>libro</strong> biblico gli angeli che<br />
annunciano la manifestazione <strong>di</strong> Dio.<br />
Nelle parete laterali sono raffigurati due episo<strong>di</strong> clamorosi della sua vita. A<br />
sinistra è raffigurata una delle sue estasi che lo portavano a librarsi fino al tetto,<br />
mentre gli altri confratelli lo guardano meravigliati. A destra è narrata la ricomposizione<br />
del corpo <strong>di</strong> un bambino, squartato dalla madre, a cui egli ri<strong>di</strong>ede forma<br />
umana e vita. Questo bambino, <strong>di</strong>venuto adulto e domenicano, fr. Giovanni da<br />
Pistoia, sarebbe stato poi uno dei promotori della sua canonizzazione e il propagatore<br />
del suo culto in Sicilia.<br />
La statua che respira un leggero movimento <strong>di</strong> gusto barocco raffigura il santo<br />
in atto <strong>di</strong> pre<strong>di</strong>care col <strong>di</strong>to destro alzato al cielo, mentre con la mano sinistra regge<br />
il <strong>libro</strong>. Come angelo dell’apocalisse, ha delle gran<strong>di</strong> ale e la consueta fiammella sulla<br />
testa. E’ uno dei capolavori dello scultore cammaratese Antonio La Bella 11, che realizzò<br />
l’opera nella seconda metà del secolo XVIII. Ai pie<strong>di</strong> dell’immagine il reliquiario<br />
in ottone e argento contiene un pezzo consistente <strong>di</strong> osso del santo, proveniente<br />
dal suo sepolcro nella cattedrale <strong>di</strong> Vannes in Bretagna (Francia). Questa reliquia<br />
in passato veniva portata in casa degli ammalati e con essa venivano benedetti quanti<br />
dal santo imploravano grazie.<br />
San Vincenzo viene festeggiato il 5 aprile, quando questo giorno non coincide<br />
con i giorni della settimana santa, ad opera soprattutto dei molti Vincenzo cammaratesi.<br />
Quando Pasqua cade il 5 aprile, la sua statua viene portata in processione<br />
e partecipa all’incontro del Cristo risorto con la Madonna. Esce da chiesa accompagnata<br />
dalla confraternita <strong>di</strong> Sant’Antonio e viene collocata nel punto dove si svolgerà<br />
a bini<strong>di</strong>zzioni e rimane in attesa dell’incontro. Nella processione che segue sfila<br />
per prima e poi ritorna in chiesa. L’ultima volta questo rito fu celebrato nel 1953 in<br />
una giornata invernale <strong>di</strong> pioggia, quando i portatori del Risorto caddero durante la<br />
corsa a causa del fango e ruppero la mano destra della statua del Cristo. La prossi-<br />
11 Misterioso e geniale scultore cammaratese, stu<strong>di</strong>ò a Roma, lavorò nel paese natale, da dove si allontanò per non<br />
aver realizzato secondo i suoi intenti la statua del Cristo risorto, ispirato alla statua <strong>di</strong> Michelangelo che raffigura<br />
il medesimo soggetto della basilica romana <strong>di</strong> Santa Maria sopra Minerva. Si trasferì, quin<strong>di</strong>, a Napoli,<br />
dove morì forse alla fine del Settecento. A <strong>Cammarata</strong> rimangono oltre il Cristo risorto e il san Vincenzo, anche<br />
l’urna del sepolcro con l’agnello sgozzato sul coperchio alla Matrice, il Crocifisso <strong>di</strong> sant’Antonio e il Bambino<br />
a San Domenico, il san Giuseppe <strong>di</strong> San Vito, proveniente da Sant’Agostino. Alla Matrice <strong>di</strong> San Giovanni è<br />
opera sua la statua <strong>di</strong> san Francesco <strong>di</strong> Paola. SARULLO, Dizionario, III, p. 171.<br />
55
ma Pasqua il 5 aprile sarà celebrata nel 2015.<br />
Al <strong>di</strong> sopra della nicchia un quadro <strong>di</strong> Filippone raffigura san Francesco<br />
d’Assisi, avendo come sfondo il monte <strong>Cammarata</strong>.<br />
L’altare del Rosario<br />
Data la compresenza nella stessa chiesa <strong>di</strong> due altari de<strong>di</strong>cati allo stesso titolo<br />
mariano, il gruppo statuario della Madonna del Rosario con san Domenico, qui<br />
conservato sulla sua vara processionale, fino al’incen<strong>di</strong>o della chiesa veniva tenuto<br />
nascosto da uno sportello velato con un drappo merlettato. Si scopriva solamente<br />
per la festa del Rosario e per tutto il mese <strong>di</strong> ottobre. Durante questo mese ogni<br />
sera si recitava il rosario, si cantava la litania e poi, fino agli anni Cinquanta del secolo<br />
scorso, si impartiva la bene<strong>di</strong>zione, mentre in tempi più recenti si celebrava la<br />
messa con omelia. Il mese del rosario, come veniva chiamato, fu celebrato quasi<br />
sempre in quest’altare fino a qualche anno ad<strong>di</strong>etro, finché visse mons. De<br />
Gregorio.<br />
La nicchia è decorata internamente con stucchi settecenteschi a motivi floreali.<br />
Il gruppo statuario, <strong>di</strong> particolare imponenza e rifinito con pregiate decorazioni,<br />
è opera <strong>di</strong> anonimo scultore palermitano settecentesco e fu portato a <strong>Cammarata</strong><br />
nella primavera del 1740 12. Normalmente era adornato con corone e aureole <strong>di</strong> pregevole<br />
fattura settecentesca, oggi conservate il luogo sicuro. In particolari occasioni<br />
esso si collocava sull’altare maggiore e in rarissime circostanze, almeno negli ultimi<br />
cento anni, si portava in processione.<br />
Il tabernacolo portatile posto sull’altare è del Settecento, è stato quasi del tutto<br />
ri<strong>di</strong>pinto, ma mostra ancora sulla porticina una bella immagine in monocromia <strong>di</strong><br />
Gesù bambino abbracciato alla croce.<br />
Al <strong>di</strong> sopra dell’altare la più bella delle tele realizzate da Giovanni Filippone<br />
per questa chiesa, una gentile santa Caterina svettante sul panorama <strong>di</strong> Siena.<br />
Accanto il pulpito settecentesco proveniente da San Sebastiano, trasferito qui alla<br />
riapertura della chiesa dopo l’incen<strong>di</strong>o in sostituzione del <strong>di</strong>strutto pergamo con<br />
baldacchino scolpito in legno <strong>di</strong> noce, in ricordo del quale rimane pendente dalla<br />
lesena la catena in ferro a cui era attaccata la parte superiore.<br />
La cappella del Santo Nome o del Crocifisso<br />
Il culto del Crocifisso è attestato nella chiesa <strong>di</strong> Sant’Antonio sin dalle sue origini<br />
e una statua del Crocifisso si trovava all’altare maggiore dell’antica chiesa<br />
12 D. DE GREGORIO, <strong>Cammarata</strong>. Cronaca dei secoli XIX e XX, <strong>Cammarata</strong> 2006, p. 619.<br />
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me<strong>di</strong>evale. Questa poi, quando fu realizzata la nuova statua oggi ancora venerata,<br />
fu probabilmente posta all’altare maggiore della nuova chiesa e fu <strong>di</strong>strutta dall’incen<strong>di</strong>o<br />
del 1913.<br />
La cappella attuale, al centro della cui decorazione campeggia l’agnello immolato<br />
adagiato su un <strong>libro</strong>, conserva due statue, ambedue opera <strong>di</strong> Antonio La Bella<br />
e risalenti alla seconda metà del secolo XVIII, che richiamano i due momenti in cui<br />
si manifestò il nome <strong>di</strong> Gesù. Il Bambino, infatti, festeggiato il 1 gennaio, ricorda<br />
come otto giorni dopo la nascita gli fu imposto il nome Gesù e alle sue spalle è<br />
posto l’emblema con la scritta “IHS”, abbreviazione della forma greca del nome. Il<br />
Crocifisso appare come la manifestazione del nome salvifico – Gesù significa Dio<br />
salva –, in<strong>di</strong>cato dalla tabella posta sulla croce “Gesù Nazareno re dei Giudei”,<br />
abbreviato I.N.R.I.<br />
Il Bambino, u Bamminu dâ strina, veniva portato in processione per il Corpus<br />
Domini in una vara a tempietto adornata <strong>di</strong> fiori e <strong>di</strong> ainuzzi, mentre col braccio<br />
destro, per questo motivo deteriorato, reggeva una cordata <strong>di</strong> sette squillanti campanelle<br />
d’argento.<br />
Il Crocifisso da molti secoli è festeggiato la prima domenica <strong>di</strong> maggio e la<br />
processione che si svolge in quel giorno è una delle più significative e antiche della<br />
tra<strong>di</strong>zione cammaratese. Si tratta <strong>di</strong> una pasqua, <strong>di</strong> un rito <strong>di</strong> passaggio dalla stagione<br />
fredda alla stagione calda e nello stesso tempo <strong>di</strong> un rito <strong>di</strong> passaggio fisico dei<br />
cammaratesi con i loro simboli religiosi per delimitare il loro territorio e implorare<br />
la bene<strong>di</strong>zione <strong>di</strong>vina su <strong>di</strong> esso. La statua, che è uno stu<strong>di</strong>o condotto sulla figura<br />
<strong>di</strong> Cristo della Pietà <strong>di</strong> Michelangelo della basilica vaticana, una volta veniva tirata<br />
fuori dalla sua cappella la mattina del sabato precedente la festa, veniva adornata<br />
con i chio<strong>di</strong> e la corona d’argento e portata in processione in piazza; quin<strong>di</strong> collocata<br />
all’altare maggiore. Ora questo rito si svolge la domenica precedente e in quest’occasione<br />
si confezionano i curded<strong>di</strong> o zaghared<strong>di</strong>, misurando la statua dalla testa ai<br />
pie<strong>di</strong> con dei nastri, che così tagliati venivano e vengono indossati da ammalati e<br />
devoti.<br />
Il giorno della festa per simboleggiare il passaggio tra le due stagioni la vara<br />
viene adornata con tutte le primizie locali, manipoli <strong>di</strong> spighe, piante <strong>di</strong> fave coi loro<br />
baccelli, rami <strong>di</strong> ciliegio coi loro frutti, tovaglie <strong>di</strong> lino appena tessute, che vengono<br />
donate anche nel corso della processione – da ciò il nome popolare <strong>di</strong> Crucifissu dî<br />
tuvagli -, e tantissimi fiori, soprattutto rose.<br />
Per simboleggiare, invece, il passaggio fisico a delimitare il territorio l’itinerario<br />
della processione seguiva una volta un lunghissimo percorso, ora ri<strong>di</strong>mensionato,<br />
ma sempre significativo. Uscivano i confrati col loro sacco bianco, la ban<strong>di</strong>era<br />
grande e i tamburi portando a spalla la vara adornata in quel modo subito dopo la<br />
messa cantata e scendevano fino alla Gianguarna, alla punta del paese. Da qui, organizzando<br />
una lunga catena umana e attraversando i campi <strong>di</strong> ncap’a costa, tiravano la<br />
vara fino al palazzo. Alla piazza dei cappuccini si bene<strong>di</strong>cevano i due paesi, facendo<br />
muovere la vara in <strong>di</strong>rezione dei quattro punti car<strong>di</strong>nali, e, quin<strong>di</strong>, si faceva una<br />
57
lunga sosta per rifocillarsi. Qui i devoti già avevano imban<strong>di</strong>to delle tavole e<br />
avevano preparato cibo e vino che venivano e vengono ancora <strong>di</strong>stribuiti agli intervenuti.<br />
Poi per un antico <strong>di</strong>ritto consuetu<strong>di</strong>nario, che risale al me<strong>di</strong>oevo, dato che,<br />
prima che fosse costruito il centro abitato, il Crocifisso passava per i campi allora<br />
denominati i piani <strong>di</strong> San Giovanni, la processione, senza dover chiedere autorizzazione<br />
alcuna ad autorità ecclesiastica o civica, attraversava tutta San Giovanni fino<br />
alla trazzera – u strittu dî vacchi – che conduceva a Santa Maria. Dopo aver fatto il<br />
giro della Casazza e una sosta al piano <strong>di</strong> Santa Maria, l’itinerario prevedeva l’attraversamento<br />
<strong>di</strong> tutta <strong>Cammarata</strong>, passando per San Vito, il castello e la piazza, dove<br />
si procedeva e si procede ancora, come anche nella piazza <strong>di</strong> San Giovanni, a passo<br />
lentissimo, mentre i tamburi rullavano a Ntunisa, il particolare ritmo usato dalla confraternita.<br />
L’arrivo in chiesa avveniva dopo molte ore<br />
Oggi l’itinerario è stato ri<strong>di</strong>mensionato, ma mantiene tutta la sua simbologia<br />
<strong>di</strong> festa del passaggio. Infatti la vara continua ad essere adornata con tutte le primizie,<br />
ma la processione, accompagnata da confrati, tamburi e ban<strong>di</strong>era, raggiunge<br />
<strong>di</strong>rettamente la piazza dei cappuccini, dove si impartisce la bene<strong>di</strong>zione ai due paesi<br />
e ci si ferma per consumare cibo e bevande in segno <strong>di</strong> ringraziamento. Quanto<br />
rimasto sulle lunghe tavole imban<strong>di</strong>te viene portato a casa dai devoti e <strong>di</strong>stribuito a<br />
poveri e ammalati. Si continua a far valere il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> attraversare tutta San<br />
Giovanni, ma alla cappella dell’Ecce Homo si gira a destra, attraversando il viale ed<br />
entrando a <strong>Cammarata</strong> dal ponte <strong>di</strong> Sant’Agostino. Da qui la processione prosegue<br />
con le antiche modalità verso il castello e la piazza. All’arrivo in chiesa, come da<br />
inveterata consuetu<strong>di</strong>ne, gli ornamenti della vara vengono <strong>di</strong>stribuiti tra i devoti che<br />
li portano in casa o in campagna in segno <strong>di</strong> devozione e per implorare fecon<strong>di</strong>tà.<br />
Una volta la mattina del lunedì seguente, oggi la domenica successiva l’immagine<br />
viene riportata in processione in piazza e poi riposta nel suo altare. In queste<br />
due piccole processioni il Crocifisso viene portato da una sola persona, che spesso<br />
per voto adempie il suo compito fino a tarda età.<br />
Sotto l’altare si trova un palliotto settecentesco in marmo intarsiato, mentre<br />
nel pilastro a sinistra una lapide ricorda l’anno santo del 1950, quando fu restaurata<br />
la cappella per iniziativa <strong>di</strong> Nicolò Chimento e l’arcivescovo Peruzzo concesse<br />
delle indulgenze.<br />
La cappella <strong>di</strong> Sant’Antonio<br />
La cappella de<strong>di</strong>cata al titolare della chiesa è contrassegnata dai simboli antoniani,<br />
il T e la fiamma, e si tramanda fosse l’altare maggiore della chiesetta me<strong>di</strong>evale<br />
attigua all’ospizio <strong>di</strong> Sant’Antonio. Conserva la splen<strong>di</strong>da statua cinquecentesca<br />
in legno decorato e dorato che raffigura il santo in pensierosa lettura, appoggiato<br />
al suo bastone. L’opera che ripropone in chiave rinascimentale modelli molto più<br />
58
antichi, usando anche uno stile arcaizzante, fu sempre considerata un capolavoro<br />
della scultura siciliana in legno. Fu realizzata nel 1596 ed attribuita a Marco Lo<br />
Cascio <strong>di</strong> Chiusa Sclafani 13. Ai lati del santo sono poste due statuette <strong>di</strong> angeli,<br />
anch’esse <strong>di</strong> legno dorato, ma che denotano stili alquanto <strong>di</strong>versi, rinascimentale e<br />
meno appariscente quella a destra, elegante e barocca quella a sinistra. Secondo l’interpretazione<br />
popolare raffigurano quella “brutta” il <strong>di</strong>avolo che tentava<br />
sant’Antonio e quella “bella” l’angelo che lo confortava perché resistesse alle tentazioni.<br />
Sant’Antonio da tempo immemorabile si festeggia il 17 gennaio e la sua festa<br />
è preceduta dall’ottava. Per otto giorni ogni sera i confrati con i tamburi girano per<br />
le vie del paese, accompagnati da torme <strong>di</strong> ragazzini e gratificati nelle loro soste da<br />
cibo e bevande 14. Al ritorno del gruppo nella piazza antistante la chiesa un festoso<br />
scampanio annuncia l’imminenza della festa. La vigilia <strong>di</strong> essa si bene<strong>di</strong>ce un vassoio<br />
<strong>di</strong> sale, che viene preso dai fedeli, assaggiato e portato in casa e in campagna.<br />
Vuole ricordare il frugale cibo <strong>di</strong> cui si nutriva il santo, pane biscottato bagnato con<br />
l’acqua e con<strong>di</strong>to con sale, ma anche la sapienza a lui concessa nella solitu<strong>di</strong>ne del<br />
deserto.<br />
Il santo è invocato contro le malattie della pelle e soprattutto in caso <strong>di</strong> fuoco<br />
<strong>di</strong> sant’Antonio, ma anche come garante dell’abbondanza dei frutti della terra.<br />
Pertanto quanti ne hanno potuto godere, anche dopo un pasto abbondante, vengono<br />
consigliati <strong>di</strong> fare u viaggiu a sant’Antuoni. Il giorno della festa, data l’inclemenza<br />
della stagione – egli è il primo dî santi dâ nivi 15 -, non si usa fare la processione, ma<br />
i devoti o quanti hanno ottenuto grazie fanno u viaggiu fino alla chiesa, portando in<br />
dono ceri e qualche volta anche pane.<br />
La tribuna<br />
Questo quadrato della chiesa delimitato da quattro gran<strong>di</strong> pilastri nella liturgia<br />
domenicana aveva la sua funzione in quanto era sede <strong>di</strong> alcune strutture essenziali<br />
allo svolgimento <strong>di</strong> essa. Infatti nel lato sinistro si trovavano la cantoria con l’organo<br />
e la sede dei cantori, ora rocostruita, e poi la campana e la ruota delle campanelle<br />
che sottolineava i momenti più solenni delle liturgie festive, della quale rimangono<br />
in alto ancora i ferri <strong>di</strong> aggangio, e, infine, la porta della sacrestia.<br />
13 SARULLO, Dizionario, III, pp. 185-186. L’attribuzione non è con<strong>di</strong>visa in una monografia de<strong>di</strong>cata agli scultori<br />
Lo Cascio <strong>di</strong> Chiusa. A. G. MARCHESE, I Lo Cascio da Chiusa Sclafani, scultori in legno del ‘500, Palermo 1989, pp.<br />
33. 39. In ogni caso la statua appare opera <strong>di</strong> raffinatissimo scultore ed è molto simile alla statua raffigurante il<br />
medesimo santo <strong>di</strong> Santo Stefano Quisquina, una volta conservata nella chiesa omonima e ora in quella del<br />
Purgatorio.<br />
14 Nicola DE GREGORIO, Cibo e parole <strong>di</strong> una comunità <strong>di</strong> montagna. A <strong>Cammarata</strong> con il questionario dell’ALS (“Materiali<br />
e ricerche dell’Atlante linguistico della Sicilia”, 20), Palermo 2008, pp. 64-65.<br />
15 “U <strong>di</strong>cissetti Antuoni, u vinti Bastianu, u vintunu Agnesi, u vinticincu Paulu e, ppi fari u cuntu chjnu, u trenta Pid<strong>di</strong>rinu”.<br />
59
Nel lato destro l’attuale altare dell’Addolorata era usato come altare della preparazione,<br />
quando nelle liturgie solenni il <strong>di</strong>acono e il sud<strong>di</strong>acono all’inizio della<br />
messa qui preparavano i doni – il calice con il vino e l’acqua, la pisside con le ostie<br />
-, che ricoprivano con un velo omerale e poi andando processionalmente consegnavano<br />
al celebrante sull’altare maggiore al momento dell’offertorio. All’altare centrale,<br />
inoltre, si celebravano solamente la messa capitolare festiva, solennemente cantata<br />
con la partecipazione <strong>di</strong> tutti i frati e dei membri delle confraternite, e i vespri<br />
festivi cantati e preceduti o seguiti da un corso <strong>di</strong> istruzione religiosa. In altre occasioni<br />
in cui c’era un particolare affollamento si utilizzava, a preferenza <strong>di</strong> altri, quest’altare<br />
laterale, visibile da tutta la chiesa.<br />
Nel primo pilastro a destra si trova, sormontata dallo stemma della famiglia<br />
Trayna – due mani che stringono un ramo <strong>di</strong> palma – la lapide sepolcrale <strong>di</strong> don<br />
Gregorio Trayna, morto il 30 gennaio 1759, e del fratello don Michele, deceduto<br />
negli anni seguenti 16. Accanto a questo pilastro, su una base in muratura è collocata<br />
la statua della Madonna della Raccomandata, realizzata in pietra e gesso nel secolo<br />
XVII e proveniente dalla chiesa omonima, <strong>di</strong>strutta nel 1966 17.<br />
Nel pilastro <strong>di</strong> fronte, invece, si trova, la memoria funebre della terziaria<br />
domenicana Gesia Maria Gerar<strong>di</strong>, morta dopo lunga malattia il 6 maggio 1695 18.<br />
Nel secondo pilastro a destra, invece, sta appeso un quadro moderno, quasi<br />
una delicata miniatura, che raffigura il beato Matteo d’Agrigento, fondatore del<br />
convento francescano <strong>di</strong> <strong>Cammarata</strong> nel 1428 e vescovo del capoluogo dal 1442 al<br />
1445. E’ opera <strong>di</strong> un pittore contemporaneo, Carmelo Vaccaro, e fu regalato nel<br />
2003 a mons. De Gregorio in ricordo della sua lunga attività giornalistica come<br />
<strong>di</strong>rettore dell’”Amico del popolo”.<br />
Altrettanto raffinato il quadro posto nel secondo pilastro a sinistra. Esso è<br />
opera dello stesso Carmelo Vaccaro e raffigura san Giordano Ansalone, domenicano,<br />
nato a Santo Stefano Quisquina nel 1598, morto martire in Giappone, a<br />
Nagasaki, il 17 novembre 1634 19. Esso, come recita il cartiglio ai pie<strong>di</strong> del santo, fu<br />
donato alla chiesa dall’autore <strong>di</strong> queste note in ricordo del quinto centenario della<br />
fondazione del convento domenicano <strong>di</strong> Sant’Antonio, e collocato in chiesa i primi<br />
giorni del 2010.<br />
16 “VENTVS EST VITA MEA / REV. SAC. VIC. D. GREGORIVS TRAYNA / LITTERARVM PERITIA<br />
MORVM / PROBITATE CONSPICVVS AC PATRIAE / BENEMERENTISSIMVS SPIRITVM / DEO<br />
REDDIDIT TERTIO KALENDAS / FEBRVARII 1759 DVM PRIMVM DECIMI / QVARTI LVSTRI<br />
AGERET ANNVM ET / SVB HOC QVIESCIT LAPIDE CVIVS / CINERES VIC. D. MICHAEL TRAY-<br />
NA / FRATER ADDICTISSIMVS CVM SVIS / HOC LAPIDE COMMISCENDOS SVBSIGNAVIT / VT<br />
QVOS IN TEMPORE MORS SEPARAVIT / POST EORVM MORTEM EADEM VRNA / CONIVNGE-<br />
RET”.<br />
17 DE GREGORIO, ‘A Beddamatri, pp. 91-94.<br />
18 “D. O. M. / SOROR GESIA MARIA GERARDI CAMERATENSIS / DIVI DOMINICI ALBO ADSCRIP-<br />
TA CANDIDIS / MORIBVS VIRGINITATIS CANDOREM ADAVXIT / CHRISTO SPONSO HAVD<br />
ABSIMILIS A / PLENO AETATIS FLORE DIRIS ADFLICTA DOLORIBVS / LECTO CRVCIFIXA<br />
DECVBVIT DONEC VIRTVTIBVS / AC MIRA PATIENTIA EFFLORESCENS AD COELVUM /<br />
EVECTA FVIT DIE VI MAII MDCLXXXXV”.<br />
19 C. LONGO, Giordano Ansalone e i martiri giapponesi del 1633-1637, Reggio Calabria 1980.<br />
60
La cappella dell’Addolorata<br />
E’ la cappella più ornata <strong>di</strong> tutta la chiesa, incorniciata da due angeli a tutto<br />
tondo e contrassegnata da un cuore trafitto. Nella cornice centrale al <strong>di</strong> sopra della<br />
nicchia si trovava prima dell’incen<strong>di</strong>o un quadro, che forse raffigurava il volto <strong>di</strong><br />
Gesù coronato <strong>di</strong> spine. La statua <strong>di</strong> struttura monumentale è settecentesca e reca<br />
alla base lo stemma della famiglia Trayna e anche la Madonna viene comunemente<br />
chiamata a D<strong>di</strong>lurata dî Trajini. Si narra, infatti, che nel secolo XVIII un membro<br />
della famiglia Trayna ritornando dalla campagna fu avvicinato da una donna vestita<br />
a lutto che lo avvertì <strong>di</strong> non continuare a percorrere la strada consueta perché dei<br />
nemici gli stavano tendendo un agguato. Ritornato a casa e accertata la verità del<br />
fatto, attribuì quell’intervento alla Madonna, della quale fece scolpire la statua da<br />
ignoto scultore probabilmente palermitano. Da allora l’ultimo venerdì <strong>di</strong> quaresima<br />
l’Addolorata fu festeggiata a cura della famiglia Trayna. Quel giorno si adornava<br />
l’altare con fasci <strong>di</strong> giaggioli bianchi e viola, coltivati a questo scopo nel giar<strong>di</strong>no <strong>di</strong><br />
famiglia, si celebrava la messa solenne e alla fine <strong>di</strong> essa agli in<strong>di</strong>genti intervenuti si<br />
<strong>di</strong>stribuivano offerte e generi alimentari. Questa tra<strong>di</strong>zione durò fino alla riforma<br />
liturgica del Vaticano II, quando fu abolita la festa dell’Addolorata al venerdì prima<br />
delle Palme.<br />
Questo che una volta era l’altare della preparazione della liturgia domenicana,<br />
ricostruito in pregiati marmi da mons. De Gregorio, è stato trasformato nell’altare<br />
in cui si conserva l’Eucaristia.<br />
L’altare maggiore e il coro<br />
E’ la zona della chiesa che ha subito maggiori trasformazioni, sia a causa dell’incen<strong>di</strong>o,<br />
sia a causa della riforma liturgica della seconda metà del secolo XX.<br />
L’altare maggiore originario, molto più avanzato rispetto all’attuale, era al culmine<br />
<strong>di</strong> una scalinata <strong>di</strong> cinque gra<strong>di</strong>ni e probabilmente costruito in pietra decorata. Nella<br />
ricostruzione del 1933 fu sostituito da un altare a gra<strong>di</strong>ni, con scala posteriore che<br />
giungeva fino all’attuale nicchia centrale. Quest’altare fu demolito nel 1969 dall’arciprete<br />
Madonia e sostituito con l’attuale, che si presenta ricco ed elegante. Esso,<br />
infatti, è collocato su una scalinata per costruire la quale furono riutilizzati i gra<strong>di</strong>ni<br />
settecenteschi in pietra, debitamente restaurati, ed è adornato da un pregevole<br />
palliotto in marmo intarsiato proveniente dalla cattedrale <strong>di</strong> Agrigento e donato da<br />
mons. De Gregorio.<br />
Inizialmente il coro fu solo dotato dalla se<strong>di</strong>a del celebrante posta al centro,<br />
finché a metà degli anni ‘80 del secolo scorso non fu realizzato il nuovo coro in<br />
legno <strong>di</strong> ciliegio. Esso fu progettato da Enzo Li Gregni e scolpito da Salvatore<br />
Sacco e dai suoi collaboratori. E’ costituito da una cattedra centrale rialzata e da<br />
se<strong>di</strong>ci stalli, otto per lato. Nelle due lesene che incorniciano la nicchia centrale sono<br />
61
posti due emblemi, a destra uno stemma mariano e a sinistra lo stemma dell’or<strong>di</strong>ne<br />
domenicano: uno scudo bianco cappato <strong>di</strong> nero dove campeggia il cagnolino che<br />
con la torcia accesa in bocca illumina il mondo, simbolo <strong>di</strong> san Domenico.<br />
Su una mensola a sinistra una bella statua cinquecentesca della Madonna, scolpita<br />
in legno e indorata, ben restaurata, ma integrata con un Bambino sproporzionato<br />
per <strong>di</strong>fetto. In alto nelle pareti laterali due quadri settecenteschi, collegati col<br />
culto antoniano. Infatti quello a sinistra rappresenta il battesimo <strong>di</strong> sant’Agostino,<br />
impartitogli da sant’Ambrogio, dopo che il giovane africano aveva letto la Vita <strong>di</strong><br />
Antonio e aveva deciso <strong>di</strong> farsi cristiano. La tela, <strong>di</strong> autore non identificato, risente<br />
<strong>di</strong> incoerenze prospettiche e, tranne in qualche ritratto in secondo piano, <strong>di</strong>pinto dal<br />
vero, appare scialba e preve<strong>di</strong>bile. Il quadro a sinistra, invece, raffigura l’autore della<br />
Vita <strong>di</strong> Antonio, sant’Atanasio <strong>di</strong> Alessandria. La tela può essere considerata un<br />
capolavoro e ritrae il santo in età avanzata che spiega il mistero della Trinità a un<br />
personaggio altolocato. I ritratti dei due presentano profonda intensità, il <strong>di</strong>alogo<br />
appare serrato, i colori che emergono da un fondo ombroso sono brillanti e calibrati,<br />
tutta la scena mostra un’unitarietà <strong>di</strong> composizione convergente verso il fulcro,<br />
le tre <strong>di</strong>ta aperte del santo.<br />
Al centro dell’abside dopo la ricostruzione era stato posto un grande drappo<br />
rosso che incorniciava un piccolo quadro ottocentesco del Cuore <strong>di</strong> Gesù, che ora<br />
si conserva in sacrestia. Durante la guerra stettero a <strong>Cammarata</strong>, ospitati nei locali<br />
dell’Opera pia “Suor M. A. Longo”, e officiavano la chiesa alcuni gesuiti, tra i quali<br />
il p. Vincenzo Insolera, sfollati dalla bombardata loro Casa Professa <strong>di</strong> Palermo.<br />
Finita la guerra con l’occupazione americana, nel 1944 poterono tornare in città e<br />
allora vollero mandare a <strong>Cammarata</strong> un segno <strong>di</strong> riconoscenza per l’accoglienza<br />
avuta. Così Giuseppe Bellavia andò a prelevare la statua del Sacro Cuore, che fu collocata<br />
nella nicchia appositamente preparata al centro dell’abside. L’immagine in<br />
cartapesta leccese sproporzionata e dai tratti non particolarmente attraenti da più<br />
<strong>di</strong> sessant’anni accoglie chi entra in chiesa come un’ulteriore testimonianza della<br />
calda e generosa ospitalità cammaratese.<br />
62
Interno della chiesa<br />
Maestranze siciliane, sec. XVI,<br />
Portale in pietra intagliata<br />
63
64<br />
Francesco Olivieri, 1772,<br />
Estasi <strong>di</strong> santa Caterina coi santi<br />
Giacinto e Vincenzo<br />
Particolare raffigurante paesaggio<br />
del Monte <strong>Cammarata</strong><br />
Gregorio Scalia, fine sec. XIX,<br />
San Gioacchino e la Madonna bambina
Andrea Mancino (?), sec. XV,<br />
Madonna col bambino<br />
Cappella <strong>di</strong> Santa Caterina<br />
Scultore siciliano, 1630ca, Santa Rosalia<br />
65
66<br />
Altare della Madonna del Carmelo<br />
Pittore siciliano, sec. XVI,<br />
Madonna <strong>di</strong> Monserrato
Cappella del Rosario<br />
Scultore siciliano, sec. XVI,<br />
San Michele<br />
67
Francesco Lo Presti, 1634,<br />
Madonna del rosario<br />
68<br />
Vincenzo Lo Presti, 1628,<br />
San Domenico<br />
Particolare che potrebbe raffigurare un giovane<br />
domenicano cammaratese preso<br />
come modello per l'immagine <strong>di</strong> san<br />
Tommaso d'Aquino
Scultore palermitano, 1740,<br />
Madonna del Rosario<br />
con san Domenico<br />
Antonio La Bella, sec. XVIII,<br />
San Vincenzo<br />
69
70<br />
Antonio La Bella, sec. XVIII,<br />
Crocifisso <strong>di</strong> sant'Antonio<br />
Cappella del Crocifisso
La vara ornata durante per la processione<br />
La processione al palazzo negli anni '30 del XX secolo<br />
71
72<br />
La cantoria con l'organo<br />
Cappella <strong>di</strong> Sant'Antonio
Carmelo Vaccaro, 2009,<br />
San Giordano Ansalone<br />
Carmelo Vaccaro, 2003,<br />
Beato Matteo d'Agrigento<br />
73
74<br />
Maestranze siciliane,<br />
sec. XVIII, Angelo<br />
Cappella dell'Addolorata
Maestranze siciliane, sec. XVIII, Altare in marmo intarsiato<br />
Enzo Li Gregni-Salvatore Sacco, fine sec. XX, Coro ligneo<br />
75
Altare maggiore e coro<br />
76
Scultore siciliano, sec. XVI,<br />
Madonna<br />
Scultore siciliano, sec. XVII,<br />
Madonna della Raccomandata<br />
77
APPENDICI<br />
1. FIGURE DOMENICANE CAMMARATESI<br />
Antonino Abatellis (1490ca-1556ca)<br />
Nacque a Palermo verso il 1490, figlio naturale del conte Antonio Abatellis.<br />
Al battesimo ricevette il nome <strong>di</strong> Francesco. Divenne domenicano attorno al 1510<br />
in un convento imprecisato, forse in quello <strong>di</strong> Valladolid, in Spagna, ma fu affiliato<br />
a San Domenico <strong>di</strong> Palermo nel 1521. Dal padre per testamento ricevette una ren<strong>di</strong>ta<br />
annua <strong>di</strong> quin<strong>di</strong>ci onze, per recuperare la quale dovette a<strong>di</strong>re alle vie legali in<br />
una controversia che si protrasse a lungo. Nel 1532 fu affiliato al convento <strong>di</strong><br />
<strong>Cammarata</strong>. Nel 1536 dalla sorella Elisabetta Abatellis Ventimiglia, baronessa <strong>di</strong><br />
Ciminna, per testamento ricevette un capitale <strong>di</strong> cento onze. Risiedette a lungo nella<br />
capitale e i suoi soggiorni a <strong>Cammarata</strong> probabilmente furono spora<strong>di</strong>ci, ma efficaci<br />
nel sostenere i suoi confratelli in quei primi decenni del loro inse<strong>di</strong>amento. Qui<br />
risiedeva spesso la sorella, contessa <strong>di</strong> <strong>Cammarata</strong>, Margherita Abatellis, fino al<br />
1523 moglie <strong>di</strong> Federico Abatellis e dal 1537 moglie <strong>di</strong> Blasco Branciforti. Nel 1551<br />
fu autorizzato a impiegare le sue ren<strong>di</strong>te per la fabbrica del convento e per dotare<br />
<strong>di</strong> arre<strong>di</strong> la chiesa <strong>di</strong> Sant’Antonio, purché il capitale rimanesse integro e alla sua<br />
morte andasse al convento <strong>di</strong> Palermo. Morì forse nel 1556.<br />
Il quadro della Madonna <strong>di</strong> Monserrato, che risale alla metà del secolo XVI,<br />
reca al centro in basso uno stemma con drago, identificato con quello degli<br />
Abatellis. Se l’identificazione è esatta, esso fu con ogni probabilità fatto <strong>di</strong>pingere<br />
da lui. Le figure dei due santi in primo piano, a destra e a sinistra delle armi della<br />
casata, santa Caterina d’Alessandria e san Domenico, potrebbero essere i ritratti<br />
della sorella Margherita e <strong>di</strong> fr. Antonino, che sappiamo portava la barba.<br />
LONGO, I domenicani a <strong>Cammarata</strong>, pp. 40-41. L. OLIVIER, Annali del real convento <strong>di</strong> S. Domenico <strong>di</strong><br />
Palermo, ed. M. RANDAZZO, Palermo 2006, pp. 176-177.<br />
78
Paolo Trayna (Paolo da <strong>Cammarata</strong> OFMCap, 1495ca-1550ca)<br />
Nacque a <strong>Cammarata</strong> nell’ultimo decennio del secolo XV, verso il 1495, e<br />
<strong>di</strong>venne domenicano in un convento imprecisato, ma stu<strong>di</strong>ò inizialmente a Palermo<br />
nel 1522, poi a Parigi, a Bologna, nel 1525, e, infine a Padova, nel 1527. Nel 1529<br />
sostenne l’esame <strong>di</strong> baccellierato all’università <strong>di</strong> Catania e, promosso, fu designato<br />
come baccelliere straor<strong>di</strong>nario nello stu<strong>di</strong>o generale <strong>di</strong> Sant’Agostino a Padova, ma<br />
probabilmente si recò a insegnare a San Domenico <strong>di</strong> Bologna, dove ancora insegnava<br />
l’anno seguente, nel 1530, quando conseguì il magistero in teologia. Quello<br />
stesso anno fu trasfiliato al convento <strong>di</strong> San Domenico <strong>di</strong> Palermo, dove ben presto<br />
si trasferì e dove si trovava già nel 1532. Probabilmente tra il 1532 e il 1534 fu<br />
priore del convento <strong>di</strong> Siracusa, poi nel biennio seguente ricoprì la stessa carica in<br />
quello <strong>di</strong> Trapani e nel 1536 nel suo convento <strong>di</strong> Palermo, dove nel 1539 era vicario.<br />
Dopo una brillante e promettente carriera accademica e dopo aver ricoperto<br />
importanti incarichi <strong>di</strong> governo, verso il 1540 entrò nell’or<strong>di</strong>ne cappuccino <strong>di</strong> recente<br />
fondazione. La sua permanenza tra questi frati ha lasciato poche tracce; forse fu<br />
vicario provinciale <strong>di</strong> Sicilia e morì verso la metà del secolo.<br />
LONGO, I domenicani a <strong>Cammarata</strong>, pp. 72-73. DE GREGORIO, <strong>Cammarata</strong>, 1986, p. 200. OLIVIER,<br />
Annali, p. 180. S. DI LORENZO, Laureati e baccellieri dell’Università <strong>di</strong> Catania ... (1449-1570), Firenze 2005,<br />
p. 51.<br />
Maurizio De Gregorio (1581ca-1651)<br />
Nacque a <strong>Cammarata</strong> attorno al 1581 e verso la fine del secolo <strong>di</strong>venne domenicano<br />
nel convento <strong>di</strong> Sant’Antonio. Stu<strong>di</strong>ò inizialmente a Santa Zita <strong>di</strong> Palermo<br />
nel 1603, e poi, negli anni seguenti, a San Domenico <strong>di</strong> Napoli, dove attorno al<br />
1606 ricevette tutti gli or<strong>di</strong>ni ecclesiastici. Pur continuando a seguire il corso <strong>di</strong> stu<strong>di</strong><br />
<strong>di</strong> specializzazione, nel 1607, pre<strong>di</strong>cava già nella chiese napoletane <strong>di</strong> Santo Spirito<br />
e dell’Annunziata e nella cappella del palazzo reale. Conseguì il primo titolo accademico,<br />
il lettorato, verso il 1608 e l’anno seguente <strong>di</strong>venne familiare e teologo <strong>di</strong><br />
fiducia <strong>di</strong> Orazio Acquaviva d’Aragona, vescovo <strong>di</strong> Cajazzo dal 1592 al 1617, del<br />
quale fu vicario generale, e del fratello <strong>di</strong> questi, car<strong>di</strong>nal Ottavio, arcivescovo <strong>di</strong><br />
Napoli dal 1605 al 1613. Nel 1612 fu promosso baccellliere e insegnò per qualche<br />
tempo a Salerno e a Palermo, dove pre<strong>di</strong>cò nel 1613 il quaresimale nella chiesa <strong>di</strong><br />
San Domenico. In quest’occasione strinse amicizia col conte <strong>di</strong> <strong>Cammarata</strong>, Ercole<br />
Branciforti, che lo volle precettore <strong>di</strong> suo figlio Girolamo. Si trasferì, perciò, al suo<br />
paese natale, dove nel 1617 era priore del suo convento e dove contemporaneamente<br />
frequentava il castello. Era ancora in Sicilia nel 1619, forse ancora a <strong>Cammarata</strong>,<br />
e rimase nell’isola probabilmente fino al 1626, quanto ebbe termine il suo biennio<br />
<strong>di</strong> insegnamento come baccelliere or<strong>di</strong>nario nello stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> San Domenico <strong>di</strong><br />
Messina. Da qui ritornò in Campania e <strong>di</strong>venne teologo del car<strong>di</strong>nal Giulio Savelli,<br />
79
arcivescovo <strong>di</strong> Salerno dal 1630 al 1642, e fu questi probabilmente che propose il<br />
suo nome per i vescovati <strong>di</strong> Giovinazzo in Puglia e <strong>di</strong> San Marco Argentano in<br />
Calabria, che egli rifiutò. Nel 1633, dopo il prescritto esame nel collegio <strong>di</strong> San<br />
Tommaso <strong>di</strong> Napoli, fu promosso maestro in teologia e trasfiliato nel convento <strong>di</strong><br />
Santa Caterina a Formello della stessa città. Qui si de<strong>di</strong>cò a re<strong>di</strong>gere o a completare<br />
le molte opere che <strong>di</strong>ede alle stampe e qui morì il 3 novembre 1651.<br />
Il suo sapere enciclope<strong>di</strong>co lo rese personaggio <strong>di</strong> primo piano nella cultura<br />
italiana del secolo XVII, della quale nei suoi scritti assecondò le tendenze letterarie<br />
usando un linguaggio ridondante ed elaborato. Ideologicamente, però, rimase inizialmente<br />
ancorato alla vecchia visione del mondo <strong>di</strong> matrice aristotelica, polemizzando<br />
contro i novatori, quali fr. Tommaso Campanella, che si trovava in quei<br />
tempi carcerato proprio a Napoli e aveva tanti seguaci nei conventi napoletani. Poi<br />
si aprì al metodo empirico allora propugnato e rimase affascinato dalla cultura degli<br />
antichi, cominciando a collezionare in una specie <strong>di</strong> museo privato pezzi archeologici,<br />
oggetti strani, strumenti scientifici.<br />
Molto giovane, nel 1606, <strong>di</strong>ede inizio alla pubblicazione delle sue opere, alcune<br />
delle quali ebbero molte e<strong>di</strong>zioni, e vasta <strong>di</strong>ffusione in Europa; esse riguardarono<br />
ogni campo dello scibile, dalla poesia alla retorica, dalla storia al <strong>di</strong>ritto, dalla teologia<br />
alle scienze, dall’archeologia alla filosofia. Alla sua morte nel convento napoletano<br />
<strong>di</strong> Santa Caterina rimase il suo museo privato, del quale ci rimane la descrizione<br />
nello scritto <strong>di</strong> un suo confratello contemporaneo, fr. Tommaso Renal<strong>di</strong>, il<br />
quale narra che egli “aveva adunato et unito molte cose rare e peregrine et anco <strong>di</strong><br />
non or<strong>di</strong>nario valore e ne aveva formato un vago e curiosissimo museo, o sia galleria,<br />
nel quale vi erano <strong>di</strong> tutte le sorti <strong>di</strong> monete e medaglie antiche, d’ogni sorte<br />
<strong>di</strong> minerale, pietre intagliate, come corniole, agate e <strong>di</strong>aspri, e vasi antichi, e <strong>di</strong> creta<br />
e <strong>di</strong> bronzo, urne gran<strong>di</strong> antichissime, vasi <strong>di</strong> <strong>di</strong>versa materia, armi antiche, <strong>di</strong>versi<br />
mostri e molte altre infinite curiosità”. Questa raccolta, visitata da molti stranieri<br />
che giungevano a Napoli, nel 1674 fu degnamente collocata in un locale più accessibile<br />
al pubblico e veniva segnalata nelle guide turistiche settecentesche della città.<br />
Fu <strong>di</strong>spersa all’inizio del secolo XIX con la soppressione napoleonica del 1806.<br />
LONGO, I domenicani a <strong>Cammarata</strong>, pp. 44-45. DE GREGORIO, <strong>Cammarata</strong>, 1986, pp. 169-179. 241-<br />
251. G. IPPOLITO, Spezierie domenicane a Napoli, Napoli 2006, pp. 86-88.<br />
Pietro Vincenzo Platamone (1666-1733), vescovo <strong>di</strong> Lipari<br />
Nacque a <strong>Cammarata</strong> il 15 febbraio 1666 e al battesimo ebbe i nomi <strong>di</strong><br />
Vincenzo Faustino. Entrò nell’or<strong>di</strong>ne domenicano nel convento palermitano <strong>di</strong> San<br />
Domenico il 17 <strong>di</strong>cembre 1681 e ricevette l’abito dallo zio, fr. Pietro Geremia<br />
Platamone. Compì il noviziato a Santa Zita, mentre stu<strong>di</strong>ò nel suo convento. Fu<br />
or<strong>di</strong>nato prete nel 1689 e quello stesso anno conseguì il lettorato, dando inizio alla<br />
sua carriera <strong>di</strong> docente, ricoprendo nello stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> San Domenico <strong>di</strong> Palermo tutte<br />
80
le cariche, fino a quella <strong>di</strong> reggente. Trascorreva le sue vacanze a <strong>Cammarata</strong>, dove<br />
vivevano alcuni suoi fratelli. Nel 1708 ottenne il titolo <strong>di</strong> maestro e subito dopo fu<br />
eletto dal capitolo <strong>di</strong> Taormina priore provinciale dei domenicani <strong>di</strong> Sicilia, ma ne<br />
seguì una lunga controversia, per cui la sua elezione fu confermata soltanto due<br />
anni appresso nel 1710. Governò la provincia per due anni e mezzo, fino al 1713.<br />
Negli anni seguenti si spostò tra <strong>Cammarata</strong>, Palermo e Roma, dove furono notate<br />
le sue capacità. Infatti il 23 marzo 1722 fu eletto vescovo <strong>di</strong> Lipari e fu consacrato<br />
a Roma dal car<strong>di</strong>nale Michele Federico von Althan il 6 aprile seguente. Andato<br />
a risiedere in quell’isola non troncò i suoi rapporti né con la sua patria, né con il suo<br />
convento palermitano. In ambedue i luoghi si recava in occasione delle celebrazioni<br />
più solenni. A Lipari celebrò un sinodo nel 1725, promosse nel 1728 la realizzazione<br />
in argento della statua del patrono san Bartolomeo e la costruzione della cappella<br />
che la ospita e morì il 13 febbraio 1733, sepolto in cattedrale, dove ancora si<br />
conserva il suo sepolcro con stemma ed epitafio.<br />
LONGO, I domenicani a <strong>Cammarata</strong>, pp. 74-76. DE GREGORIO, <strong>Cammarata</strong>, 1986, pp. 303-304.<br />
OLIVIER, Annali, pp. 274-275.<br />
Francesco Langela (1671-1748)<br />
Nacque a Mussomeli il 10 gennaio 1671 e fu battezzato col nome <strong>di</strong> Giacinto.<br />
Apparteneva a famiglia benestante ed ebbe due fratelli preti.<br />
Molto giovane commise un omici<strong>di</strong>o, per cui fu costretto a scappare a Roma,<br />
dove entrò in contatto con personaggi in vista della curia papale e con la regina<br />
Cristina <strong>di</strong> Svezia. Ritornato in Sicilia, entrò nell’or<strong>di</strong>ne domenicano a Caltanissetta<br />
nel 1691. Trascorse l’anno <strong>di</strong> noviziato e i primi anni <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o a Santa Zita <strong>di</strong><br />
Palermo, ma nel 1694 fu trasfiliato a <strong>Cammarata</strong>, dove completò i suoi stu<strong>di</strong> e ricevette<br />
gli or<strong>di</strong>ni ecclesiastici. Qui rimase più <strong>di</strong> un decennio, ricoprendo anche incarichi<br />
<strong>di</strong> amministrazione. Si trasferì, quin<strong>di</strong> a Mussomeli, per fondarvi, seguendo un<br />
antico desiderio della popolazione, un convento domenicano.<br />
Nel 1713 ricevette dai suoi familiari la donazione <strong>di</strong> una grande casa in paese<br />
e <strong>di</strong> proprietà agricole e dai confrati della Madonna dei Miracoli la loro chiesa con<br />
tutti gli arre<strong>di</strong> e le ren<strong>di</strong>te, da notabili locali e dall’amministrazione comunale altre<br />
donazioni, raggiungendo così una ren<strong>di</strong>ta complessiva annua <strong>di</strong> duecentotrenta<br />
onze. Nel 1720 le autorità locali inoltrarono la loro richiesta a Roma, che esaminata<br />
dalle congregazioni competenti, fu accolta con una serie <strong>di</strong> autorizzazioni emanate<br />
tra il 1722 e il 1724, sancite con bolla papale del 16 giugno 1724, quanto fr.<br />
Francesco prese possesso <strong>di</strong> beni mobili e immobili a nome dell’or<strong>di</strong>ne e <strong>di</strong>venne<br />
primo priore della comunità appena impiantata, che poteva ospitare fino a quin<strong>di</strong>ci<br />
frati. Curò la costruzione del nuovo convento a pianta quadrata con chiostro e <strong>di</strong><br />
una nuova chiesa, realizzata sul modello cammaratese. Tutte queste opere furono<br />
81
completate nel 1730. Qui trascorse il resto della sua vita, al servizio dei suoi compaesani,<br />
fino alla morte avvenuta nel 1748.<br />
LONGO, I domenicani a <strong>Cammarata</strong>, pp. 51-52. R. MISTRETTA, La Madonna e l’assassino redento,<br />
Caltanissetta 2004.<br />
Francesco Gerar<strong>di</strong> (1692ca-1775)<br />
Nacque a <strong>Cammarata</strong> attorno al 1692 e, dopo aver trascorso tutta la trafila <strong>di</strong><br />
stu<strong>di</strong> accademici in località imprecisate, ritornò in patria, già lettore, nel 1727. Nel<br />
1732 fu priore del convento <strong>di</strong> Sciacca, poi nel 1733 maestro <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o nel collegio<br />
<strong>di</strong> Trapani, nel 1736 baccelliere or<strong>di</strong>nario nello stu<strong>di</strong>o generale <strong>di</strong> San Domenico <strong>di</strong><br />
Palermo, dove <strong>di</strong>venne reggente nel 1739. Nel 1741 fu nominato professore <strong>di</strong><br />
morale nel collegio agrigentino dei Ss. Agostino e Tommaso e nel 1742 promosso<br />
maestro in teologia. Fu priore <strong>di</strong> <strong>Cammarata</strong> forse dal 1743 al 1753 e priore <strong>di</strong> San<br />
Domenico <strong>di</strong> Palermo nel 1759-1760. Ritiratosi in patria si de<strong>di</strong>cò al ministero,<br />
morendo il 2 <strong>di</strong>cembre 1775.<br />
LONGO, I domenicani a <strong>Cammarata</strong>, pp. 53-54. OLIVIER, Annali, p. 306.<br />
Vincenzo Lo Presti (1695ca-1772)<br />
Nacque a <strong>Cammarata</strong> nell’ultimo decennio del secolo XVII ed entrò come<br />
domenicano nel convento patrio. Stu<strong>di</strong>ò probabilmente a Palermo e conseguì il lettorato<br />
nel 1721. Dopo un soggiorno nel convento <strong>di</strong> Corleone, si recò nel 1730 a<br />
Roma per sostenere l’esame finale per conseguire tutti i titoli accademici e fu approvato.<br />
Ritornato fu priore del convento <strong>di</strong> Sant’Antonio nel 1731. Si trasferì, quin<strong>di</strong>,<br />
ad Agrigento, chiamato dal vescovo Gioeni a ristrutturare il seminario, del quale fu<br />
<strong>di</strong>rettore spirituale dal 1732 al 1763, formando più <strong>di</strong> una generazione <strong>di</strong> preti agrigentini<br />
e <strong>di</strong>venendo nello stesso tempo consigliere <strong>di</strong> molte persone ecclesiastiche<br />
e laiche. Dovette così rinunciare alla carriera accademica, ma fu promosso ugualmente<br />
baccelliere nel 1752. Probabilmente nell’ultimo decennio del suo incarico<br />
agrigentino alternò soggiorni in patria, dove la sua presenza è documentata molto<br />
spesso, con soggiorni in seminario. Trascorse a <strong>Cammarata</strong> gli ultimi anni della sua<br />
vita e morì nel suo convento il 1 ottobre 1772.<br />
LONGO, I domenicani a <strong>Cammarata</strong>, p. 52. DE GREGORIO, <strong>Cammarata</strong>, 1986, p. 303.<br />
Antonino Lo Presti (1696-1784)<br />
Nacque a <strong>Cammarata</strong> nel gennaio 1696, stu<strong>di</strong>ò nel seminario <strong>di</strong> Agrigento e<br />
or<strong>di</strong>nato prete <strong>di</strong>venne canonico <strong>di</strong> quella cattedrale. Il 26 novembre 1724, entrò<br />
82
nell’or<strong>di</strong>ne domenicano nel convento <strong>di</strong> San Domenico <strong>di</strong> Palermo e, quin<strong>di</strong>, intraprese<br />
gli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> specializzazione per conseguire i gra<strong>di</strong> accademici. Divenne lettore<br />
a Palermo attorno al 1729, nel 1735 sostenne a Roma l’esame per il magistero<br />
che superò col massimo dei voti. Dal 1731 per sette anni insegnò teologia nel collegio<br />
agrigentino dei Ss. Agostino e Tommaso o nel seminario della stessa città; nel<br />
1744 fu nominato baccelliere or<strong>di</strong>nario nello stu<strong>di</strong>o generale <strong>di</strong> San Domenico <strong>di</strong><br />
Palermo e nel 1747 reggente del medesimo. Nel 1748 assunse anche l’incarico <strong>di</strong><br />
giu<strong>di</strong>ce or<strong>di</strong>nario del Sant’Uffizio <strong>di</strong> Sicilia e <strong>di</strong>venne maestro in teologia. Proposto<br />
nel 1751 all’arcivescovato <strong>di</strong> Monreale, probabilmente non accettò. Fu priore del<br />
suo convento palermitano negli anni 1752-1754, 1767-1769 e 1771-1773, ricoprendo<br />
anche in certi perio<strong>di</strong> la carica <strong>di</strong> vicario generale della provincia <strong>di</strong> Sicilia. Nel<br />
1775 a Cefalù fu eletto provinciale dei domenicani dell’isola e governò per tre anni.<br />
Quin<strong>di</strong> si ritirò a Palermo, dove morì il 28 <strong>di</strong>cembre 1784.<br />
Fu teologo molto acuto, storico ben documentato e partecipò con serietà <strong>di</strong><br />
dottrina a molte controversie del suo tempo, pubblicando <strong>di</strong>verse opere, alcune<br />
delle quali sotto lo pseudonimo <strong>di</strong> Valentino Barcellona. Prese posizione contro<br />
alcune usanze propagandate da religiosi <strong>di</strong> altri or<strong>di</strong>ni, quali le rappresentazioni teatrali<br />
che si effettuavano in conventi e monasteri e soprattutto, in sintonia col grande<br />
Ludovico Antonio Muratori, contro il cosiddetto “voto del sangue”, per cui i<br />
siciliani venivano invogliati a far voto <strong>di</strong> dare anche la vita per <strong>di</strong>fendere la posizione<br />
teologica che voleva la Madonna concepita senza peccato originale.<br />
LONGO, I domenicani a <strong>Cammarata</strong>, pp. 76-77. DE GREGORIO, <strong>Cammarata</strong>, 1986, pp. 293-296.<br />
OLIVIER, Annali, pp. 301-304. 308-312.<br />
Luigi Maria Catalano (1722-1793)<br />
Nato a <strong>Cammarata</strong> nel 1722, entrò tra i domenicani verso il 1739, compì il<br />
noviziato nel convento <strong>di</strong> Agrigento ed emise la professione verso il 1740. Ricevuti<br />
gli or<strong>di</strong>ni, stu<strong>di</strong>ò a Palermo, dove fu <strong>di</strong>scepolo del Lo Presti. Nel 1748 conseguì il<br />
lettorato e si trasferì a Marsala, da dove nel 1755 si recò a Roma per sostenere l’esame<br />
per conseguire i gra<strong>di</strong> accademici, superato il quale passò a insegnare filosofia<br />
ad Agrigento, dove fu anche priore. Dal 1757 al 1760 fu docente <strong>di</strong> filosofia a San<br />
Domenico <strong>di</strong> Palermo. Trascorse i decenni successivi de<strong>di</strong>candosi all’insegnamento<br />
in <strong>di</strong>verse se<strong>di</strong>, Santa Zita <strong>di</strong> Palermo nel 1769 per esempio, e contemporaneamente,<br />
quando libero da impegni scolastici, percorrendo la Sicilia come apprezzato<br />
pre<strong>di</strong>catore. Negli anni 1776-1778 fu reggente dello stu<strong>di</strong>o generale <strong>di</strong> Palermo<br />
e nel biennio seguente del collegio <strong>di</strong> Noto. Ritornò a Palermo nel 1780 con la carica<br />
<strong>di</strong> maestro dei novizi e nel 1782 conseguì il magistero in teologia, ritornando nel<br />
1783 a Noto con la carica <strong>di</strong> rettore. Negli ultimi anni <strong>di</strong> sua vita si ritirò in patria,<br />
dove, dopo una lunga malattia sopportata con molta forza d’animo, morì il 3 settembre<br />
1793. Schivo e riservato, avrebbe pubblicato delle opere sotto pseudonimo,<br />
83
mentre ne avrebbe lasciato altre manoscritte, ma <strong>di</strong> esse si sono perdute le tracce.<br />
LONGO, I domenicani a <strong>Cammarata</strong>, pp. 54-56. DE GREGORIO, <strong>Cammarata</strong>, 1986, pp. 296-298.<br />
Costantino Carta (1823-1876)<br />
Nativo <strong>di</strong> San Giovanni Gemini, dove vide la luce nel 1823 e dove al battesimo<br />
ricevette il nome <strong>di</strong> Giuseppe. Entrato nell’or<strong>di</strong>ne domenicano, emise la professione<br />
nel 1842. Stu<strong>di</strong>ò a San Domenico <strong>di</strong> Palermo, dove durante la rivoluzione<br />
del 1848, già or<strong>di</strong>nato prete, mostrò i suoi sentimenti filoborbonici. Nel 1855 fu<br />
nominato docente <strong>di</strong> sacra scrittura nel convento <strong>di</strong> Santa Maria della Quercia presso<br />
Viterbo, mentre l’anno seguente a Palermo conseguì il lettorato. Sostenne a<br />
Roma l’esame per il magistero nel 1856 e pubblicò la sua tesi. Fu, quin<strong>di</strong> professore<br />
<strong>di</strong> teologia nel 1856-1857 a Palermo, baccelliere or<strong>di</strong>nario nel collegio <strong>di</strong> Noto,<br />
istituito nel 1857 e in carica fino al 1861. Tra il 1866 e il 1869 fu priore del convento<br />
<strong>di</strong> San Giorgio Morgeto, in provincia <strong>di</strong> Reggio Calabria, dove riuscì a salvare<br />
dalla soppressione la ricca biblioteca ancora esistente. Nel 1873 fu nominato maestro<br />
in teologia. Allora si ritirò nella parte assegnata ai frati del convento <strong>di</strong><br />
<strong>Cammarata</strong>, dove morì il 3 aprile 1876.<br />
LONGO, I domenicani a <strong>Cammarata</strong>, pp. 54-56. DE GREGORIO, <strong>Cammarata</strong>, 2006, pp. 174. 289.<br />
Timoteo Longo (1835-1913)<br />
Nacque a <strong>Cammarata</strong> il 26 novembre 1835 e fu battezzato col nome <strong>di</strong> Carlo.<br />
Entrò nell’or<strong>di</strong>ne domenicano nel 1851 e compì il noviziato nel convento <strong>di</strong><br />
Sciacca. Tra il 1853 e il 1857 stu<strong>di</strong>ò filosofia e teologia a Roma, nel convento <strong>di</strong><br />
Santa Sabina, e a Viterbo, nel convento <strong>di</strong> Santa Maria della Quercia. Qui emise la<br />
professione nel 1856. Ritornato in Sicilia, seguì dal 1857 i corsi <strong>di</strong> specializzazione<br />
nel collegio <strong>di</strong> Noto, dove fu or<strong>di</strong>nato prete nel 1859. Negli anni seguenti svolse le<br />
sue attività nello stesso collegio e a La Valletta, nell’isola <strong>di</strong> Malta, come docente e<br />
a Caltagirone e a Palermo come pre<strong>di</strong>catore. La soppressione del 1866 lo colse a<br />
Noto, dove, assieme a fr. Vincenzo Lombardo, che poi avrebbe restaurato la provincia<br />
domenicana <strong>di</strong> Sicilia, riuscì a organizzare la vita conventuale con un gruppo<br />
<strong>di</strong> frati in casa privata. Con il Lombardo si recò in Nord Africa per saggiare le con<strong>di</strong>zioni<br />
per aprirvi una missione. Nel 1877 fu istituito baccelliere. Nel 1883 riuscì a<br />
ricomprare il soppresso convento domenicano <strong>di</strong> Scicli e pose le fondamenta, assieme<br />
alla m. Concezione Jannitto, per la fondazione <strong>di</strong> una congregazione <strong>di</strong> suore<br />
domenicane de<strong>di</strong>ta all’assistenza e soprattutto all’insegnamento, che fu approvata<br />
dal vescovo <strong>di</strong> Noto nel 1886, si <strong>di</strong>ffuse in altri centri e poi assunse la denominazione<br />
<strong>di</strong> congregazione delle suore domenicane del sacro Cuore. Seguì per un ventennio<br />
lo sviluppo <strong>di</strong> questa sua opera, finché per avverse circostanze e per la mal-<br />
84
ferma salute non fu costretto a ritirarsi a casa sua a <strong>Cammarata</strong>, dove aiutò il fratello,<br />
don Antonio Longo, nel curare la chiesa <strong>di</strong> Sant’Antonio. Nel 1909, per il cinquantesimo<br />
della sua or<strong>di</strong>nazione, un altro fratello, il poeta Emanuele Longo, gli<br />
de<strong>di</strong>cò un fascicolo <strong>di</strong> poesie religiose in siciliano e in italiano. Morì a <strong>Cammarata</strong><br />
il 25 febbraio 1913 e fu sepolto nella tomba <strong>di</strong> famiglia. Da qui i suoi resti nel 1983<br />
furono traslati a Scicli nella casa madre della congregazione da lui fondata, mentre<br />
nella casa generalizia <strong>di</strong> Catania gli fu eretto un monumento.<br />
LONGO, I domenicani a <strong>Cammarata</strong>, p. 60. D. DE GREGORIO, P. Timoteo Longo, O.P., fondatore delle<br />
Domenicane del S. Cuore, Agrigento 1988.<br />
2. ATTO DEL 1929<br />
8 maggio 1929. <strong>Cammarata</strong>. Scrittura privata con la quale un gruppo <strong>di</strong> citta<strong>di</strong>ni si<br />
impegnano a contrarre un mutuo per dare inizio alla ricostruzione della chiesa.<br />
<strong>Cammarata</strong>, Archivio della confraternita <strong>di</strong> S. Antonio abate. Copia. DE GREGORIO, <strong>Cammarata</strong>,<br />
2006, p. 496-497. Regesto.<br />
Per la presente scrittura privata i sottoscritti premettono e stabiliscono quanto<br />
segue.<br />
E’ noto il desiderio ardentissimo delle due citta<strong>di</strong>nanze <strong>di</strong> <strong>Cammarata</strong> e <strong>di</strong> San<br />
Giovanni Gemini <strong>di</strong> vedere risorgere al culto dei fedeli la monumentale chiesa <strong>di</strong><br />
San Domenico e sono noti altresì i loro generosi propositi <strong>di</strong> concorrere con larghi<br />
contributi alla ricostruzione <strong>di</strong> detta chiesa.<br />
Epperò i detti signori sottoscritti, raccogliendo i fervi<strong>di</strong> voti delle due citta<strong>di</strong>nanze<br />
e nell’intento <strong>di</strong> sod<strong>di</strong>sfare il pio desiderio, hanno stabilito <strong>di</strong> costituirsi in<br />
una specie <strong>di</strong> comitato esecutivo per dare opera con la massima sollecitu<strong>di</strong>ne al<br />
cominciamento dei lavori ricostruttivi.<br />
Trovandosi intanto sprovvisti <strong>di</strong> mezzi, han <strong>di</strong>visato <strong>di</strong> contrarre un mutuo <strong>di</strong><br />
lire ventimila per l’acquisto dei materiali in<strong>di</strong>spensabili al cominciamento delle<br />
opere, quale debito verrà estinto con i contributi popolari, proporzionatamente alla<br />
quantità delle offerte, in modo che il mutuo non sia <strong>di</strong> ostacolo al proseguimento<br />
dei lavori.<br />
Il mutuo sarà contratto dai sottoscritti solidalmente verso il cre<strong>di</strong>tore e personalmente<br />
tra <strong>di</strong> loro ciascuno per la sua quota. Delle somme fatte in mutuo e dei<br />
contributi <strong>di</strong> qualsiasi specie viene scelto a depositario il signor Longo Enrico fu<br />
Calogero che ne avrà l’amministrazione e provvederà alle necessarie erogazioni<br />
senza <strong>di</strong>ritto a compenso <strong>di</strong> sorta.<br />
La presente scrittura privata firmata dai sottoscritti è per consenso unanime<br />
depositata presso il rev.mo sig. arciprete Nicolò Giacchino, che rilascerà ricevuta del<br />
85
deposito della presente scrittura e non potrà che a tutti i sottoscritti riuniti o, in caso<br />
<strong>di</strong> <strong>di</strong>saccordo, alla maggioranza <strong>di</strong> essi e sempre dopo la estinzione del mutuo.<br />
<strong>Cammarata</strong>, otto maggio nillenovecentoventinove.<br />
86<br />
Enrico Longo<br />
Arciprete Nicolò Giacchino<br />
Sac.te Salvatore Consiglio<br />
Lipari Salvatore<br />
Mendola Francesco<br />
Consiglio Nicolò<br />
Maggio Salvatore<br />
Nocera Pietro<br />
Tuzzolino Nicolò<br />
Maggio Giuseppe<br />
Di Marco Vito<br />
Di Marco Paolo<br />
Sacco Domenico<br />
Russotto Salvatore<br />
Nicolò Madonia<br />
Tuzzolino Francesco<br />
Madonia Vincenzo<br />
Ing. Giacomo Longo<br />
Nascé Antonino<br />
Di Marco Calogero<br />
Azzarello Nicolò<br />
De Gregorio Vincenzo<br />
Martorana Giuseppe<br />
Concetto Mario Leotta<br />
Spinelli Sebastiano<br />
Domenico Carmeci<br />
Nocera Nicolò<br />
Lo Bue Nicolò<br />
Virga Stefano<br />
Reina Filippo<br />
Pinella Nicolò<br />
Azzarello Emanuele<br />
Madonia Giuseppe<br />
Lupo Nicolò<br />
Nocera Nicolò
Maestranze siciliane, sec. XVIII, Lapide sepolcrale<br />
del vescovo Platamone, Lipari, Cattedrale<br />
Incisore napoletano, 1645, Fr. Maurizio De<br />
Gregorio offre alla Madonna le sue opere, in<br />
M. DE GREGORIO, Commentarii laconici,<br />
Neapoli 1645<br />
87
88<br />
Fr. Timoteo Longo<br />
Pittore siciliano, sec. XVIII, Mons.<br />
Pietro Vincenzo Platamone,<br />
Lipari, sacrestia della cattedrale
Pittore siciliano, 1750ca., Fr. Francesco Gerar<strong>di</strong><br />
89
INDICE<br />
91
PARTE PRIMA<br />
NOTIZIE STORICHE<br />
I. LA CONFRATERNITA DI SANT’ANTONIO ABATE<br />
DI CAMMARATA<br />
1. La vita <strong>di</strong> sant’Antonio Pag. 7<br />
2. La <strong>di</strong>ffusione del suo culto » 9<br />
3. L’ospedale <strong>di</strong> Sant’Antonio <strong>di</strong> <strong>Cammarata</strong> » 11<br />
4. La confraternita <strong>di</strong> Sant’Antonio » 13<br />
II. IL CONVENTO DOMENICANO<br />
E LA CHIESA DI SANT’ANTONIO<br />
1. I primi domenicani a <strong>Cammarata</strong> » 22<br />
2. 27 novembre 1509 » 24<br />
3. Le attività dei frati » 25<br />
4. La chiesa e il convento » 29<br />
III. AVVENIMENTI RECENTI<br />
1. La soppressione del convento e l’incen<strong>di</strong>o della chiesa » 34<br />
2. La ricostruzione » 35<br />
I. L’ESTERNO<br />
SECONDA PARTE<br />
GUIDA DELLA CHIESA<br />
La facciata Pag. 47<br />
Il portale » 47<br />
Gli e<strong>di</strong>fici conventuali » 48<br />
93
II. L’INTERNO<br />
La navata Pag. 48<br />
La cappella <strong>di</strong> Santa Caterina » 50<br />
La cappella della Madonna <strong>di</strong> Monserrato » 51<br />
L’altare della Madonna del Carmelo » 52<br />
L’altare <strong>di</strong> San Michele » 53<br />
La cappella del Rosario » 53<br />
La cappella <strong>di</strong> San Domenico » 53<br />
L’altare <strong>di</strong> San Vincenzo » 54<br />
L’altare del Rosario » 56<br />
La cappella del Santo Nome o del Crocifisso » 56<br />
La cappella <strong>di</strong> Sant’Antonio » 58<br />
La tribuna » 59<br />
La cappella dell’Addolorata » 61<br />
L’altare maggiore e il coro » 61<br />
APPENDICI<br />
1. FIGURE DOMENICANE CAMMARATESI<br />
Antonino Abatellis (1490ca-1556ca) Pag. 78<br />
Paolo Trayna (Paolo da <strong>Cammarata</strong> OFMCap, 1495ca-1550ca) » 79<br />
Maurizio De Gregorio (1581ca-1651) » 79<br />
Pietro Vincenzo Platamone (1666-1733), vescovo <strong>di</strong> Lipari » 80<br />
Francesco Langela (1671-1748) » 81<br />
Francesco Gerar<strong>di</strong> (1692ca-1775) » 82<br />
Vincenzo Lo Presti (1695ca-1772) » 82<br />
Antonino Lo Presti (1696-1784) » 82<br />
Luigi Maria Catalano (1722-1793) » 83<br />
Costantino Carta (1823-1876) » 84<br />
Timoteo Longo (1835-1913) » 84<br />
2. ATTO DEL 1929 » 85<br />
94
Stampato nel mese <strong>di</strong> Marzo 2010<br />
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