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1 UCLA Giovanni Pico della Mirandola non scrisse mai un' Orazione ...

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CHI SCRISSE L’ORAZIONE DI PICO?<br />

BRIAN P. COPENHAVER<br />

1<br />

<strong>UCLA</strong><br />

<strong>Giovanni</strong> <strong>Pico</strong> <strong>della</strong> <strong>Mirandola</strong> <strong>non</strong> <strong>scrisse</strong> <strong>mai</strong> un’ <strong>Orazione</strong> sulla dignità<br />

dell'uomo, né <strong>mai</strong> pensò a redarre quella famosa e tanto celebrata proclamazione sulla<br />

libertà dell’uomo: le parole ‘de dignitate hominis’ sono state abbinate al discorso di <strong>Pico</strong><br />

a posteriori, decine d’anni dopo la sua morte. È così occorso anche per il concetto di<br />

libertà e dignità dell’uomo, comunemente attribuitogli, ma che in verità emerse ancora<br />

più tardi, arrivando dalla metafisica e filosofia morale di Emanuele Kant. Fu per la prima<br />

volta verso il 1800 e a causa di quegli studiosi che ri<strong>scrisse</strong>ro la storia <strong>della</strong> filosofia in<br />

termini kantiani – e poi hegeliani – che si cominciò ad intravedere questo concetto<br />

nell’<strong>Orazione</strong>. Per tanto accadde che nei due secoli che seguirono, l’<strong>Orazione</strong> sulla<br />

dignità dell’uomo si trasformò in quel discorso che <strong>Pico</strong> <strong>non</strong> proferì <strong>mai</strong>: discorso che<br />

<strong>non</strong> aveva nulla a che fare con le nozioni di libertà, di creatività, di personalità, di<br />

individualità, di auto-formazione e di auto-espressione che gli furono attribuite a partire<br />

dal nucleo fondante del pensiero kantiano e che diedero a <strong>Pico</strong> la fama di essere stato il<br />

promotore di quel grande ideale liberale eroico rinascimentale, cosa che in realtà <strong>non</strong> fece<br />

<strong>mai</strong>. 1<br />

Ci troviamo dunque a constatare che l’<strong>Orazione</strong> di <strong>Pico</strong> <strong>non</strong> si riferisce alla<br />

dignità e alla libertà dell’uomo. Di che cosa si occupa allora questo testo? Inteso a<br />

introdurre novecento proposizioni che <strong>non</strong> furono <strong>mai</strong> dibattute da <strong>Pico</strong>, questo testo può<br />

essere considerato il suo manifesto filosofico inedito. Fin dall’inizio chi scrive nel testo<br />

1 B. COPENHAVER, Magic and the Dignity of Man: De-Kanting <strong>Pico</strong>’s Oration, in The<br />

Italian Renaissance in the Twentieth Century: Acts of an International Conference,<br />

Florence, Villa I Tatti, June 9-11, 1999, ed. A.J. GRIECO et al., Firenze, 2002, pp. 295-<br />

320; COPENHAVER, The Secret of <strong>Pico</strong>’s Oration: Cabala and Renaissance Philosophy,<br />

«Midwest Studies in Philosophy«, XXVI, 2002, 56-81; alcune parti del presente saggio<br />

sono una rielaborazione di entrambi questi lavori citati; la resa in italiano è il risultato<br />

<strong>della</strong> collaborazione fra l’autore e il prezioso aiuto offerto da Rossella Pescatori<br />

(ricercatrice e dottoranda in studi del rinascimento presso il dipartimento di italiano a<br />

<strong>UCLA</strong>).


si proclama essere un filosofo ed esorta i suoi ricettori ad usare la filosofia per ottenere<br />

un tipo particolare di salvezza – la salvezza mistica. La filosofia morale, la dialettica, la<br />

filosofia naturale e la teologia sono le quattro fasi di un percorso ascetico volto a<br />

condurre oltre la natura umana, attraverso le nature angeliche verso la destinazione finale,<br />

che è l’unione con la divinità. L’ascesa è nello stesso tempo askesis e paideia, un<br />

rigoroso programma e un’iter educativo. Il filosofo impara a tappe prendendo il giudizio<br />

del discernere dai Troni, apprendendo la contemplazione dai Cherubini e l’amore dai<br />

Serafini; in questo modo il filosofo riesce ad istruire l’anima negando il corpo e riesce a<br />

staccarsi dal mondo inferiore <strong>della</strong> materia. La sua anima lascia il corpo, in modo<br />

definitivo o momentaneo, mentre percorre la strada che lo conduce all’unione colla<br />

divinità. Se il filosofo raggiunge la sua meta e vi rimane, l’Io ed il suo corpo svaniscono.<br />

Ma chi potrebbe desiderare di mortificare il corpo, fuggire il mondo e cedere l’Io?<br />

È questa dunque la dignità umana, quella moralità fatta per un’individuale personalità<br />

creativa che si dà forma liberamente? Questo è ad ogni modo quello che <strong>Pico</strong><br />

raccomanda nella parte principale del suo discorso, dopo la toccante introduzione. Sette<br />

volte, nel linguaggio dei saggi greci e giudaici, colla sapienza dei filosofi, dei teologi e<br />

dei cabalisti, il Nostro ripete ed esplica un programma di studi e un regime che trasforma<br />

l’umano nell’angelico per poi annientarlo in Dio. La vita migliore per le creature umane<br />

è la vita dei Cherubini, quegli angeli la cui la forza contemplativa si interpone fra i Troni,<br />

che stanno nella posizione inferiore colla loro energia di giudizio, e i Serafini, che stanno<br />

nella posizione superiore col potere dell’amore. La vita cherubinica è quella che gli<br />

esseri umani dovrebbero scegliere, se volessero essere salvati, e la filosofia è il primo<br />

passo per adempiere questa scelta. 2<br />

Perché <strong>Pico</strong> pone in primo piano il mito trasmutato <strong>della</strong> Genesi e vuole aprire<br />

con questo il discorso dello stesso testo? Dio dice ad Adamo di averlo messo nel mezzo<br />

del mondo ma senza una sua propria natura. Da questa posizione centrale vantaggiosa,<br />

l’uomo può osservare in alto o in basso per trovare ciò di cui ha bisogno per realizzarsi.<br />

2 COPENHAVER, Secret, pp. 59-63<br />

2


Può scegliere liberamente, poiché ha possibilità. Ma quando la questione è una questione<br />

di scelta fra equità di valore nelle possibilità, ovvero se una sia buona quanto l’altra,<br />

l’uomo <strong>non</strong> può più scegliere liberamente. Il cosmo dato ad Adamo è fondato da una<br />

gerarchia che discende dalle menti celesti attraverso le anime eteree fino agli animali<br />

corporei nelle «parti piene di escrementi e di rifiuti del mondo inferiore.» 3 Dalla sua<br />

posizione centrale, Adamo può osservare queste differenze e andare dove preferisce; per<br />

spostarsi, tuttavia, deve sprofondare o innalzarsi; e gli unici percorsi a lui aperti sono<br />

quelli datogli da vettori morali. L’unica scelta giusta è quella di scavalcare il gradiente<br />

del livello vegetale, sensuale, razionale, intellettuale e divino. Provvisoriamente disposto<br />

a metà di questi cinque stadi, come essere razionale, Adamo deve salire per <strong>non</strong> cadere.<br />

Onticamente, poiché la libertà e la necessità sono stati metafisici, può scegliere di <strong>non</strong><br />

divenire un angelo. Deonticamente, poiché la libertà e l’obbligo sono stati morali, <strong>non</strong> ha<br />

alcuna scelta.<br />

Nel discorso che <strong>Pico</strong> <strong>scrisse</strong> per Dio, il Creatore dice ad Adamo che può darsi la<br />

sua propria forma, ma nella parte del discorso che segue, propria di <strong>Pico</strong>, l’autore dice al<br />

filosofo che sarebbe suo proprio obbligo quello di trasformarsi in un angelo. Se è questo<br />

il messaggio di <strong>Pico</strong>, perché lo introduce colla sua famosa allusione a quel testo ermetico<br />

chiamato Asclepius?<br />

Circa quaranta anni fa, prendendo spunti da Eugenio Garin, Paul Kristeller e D.P.<br />

Walker, Frances Yates avviò quella fase degli studi ermetici su <strong>Pico</strong> che lo fecero<br />

diventare una celebrità culturale nel mondo anglofono. Nell’ultima parte del suo<br />

magnifico studio su Giordano Bruno, la Yates sostiene che la scienza moderna emerse<br />

dopo il Rinascimento da «una nuova direzione <strong>della</strong> volontà verso il mondo» e che una<br />

delle forze che stavano alla base di questo processo fu quell’ «importantissima<br />

associazione di Ermetismo con Cabalismo» fatta da <strong>Pico</strong>. La storia che la Yates racconta<br />

finisce nell’alba luminosa <strong>della</strong> scienza. Nel suo racconto, l'Uomo-Mago è un eroe<br />

3 G. PICO, Oratio de hominis dignitate, ed. e trad. E. GARIN, Porde<strong>non</strong>e, 1994, p. 4; ho<br />

usato questa versione del testo del Professore Garin (ma con le mie traduzioni), poiché<br />

<strong>non</strong> ho avuto accesso al momento <strong>della</strong> nuova versione del testo redatta dal Professore<br />

Bausi.<br />

3


vittorioso, che evoca dalla magia la scienza moderna. <strong>Pico</strong>, secondo la Yates, era un<br />

mago ancora più potente di Marsilio Ficino, perché rinforzò la magia di Ficino colla<br />

saggezza giudaica e creò una Cabala cristiana che fu nello stesso tempo ermetica. Egli<br />

insegnò che la magia <strong>non</strong> demonica poteva essere praticata giustamente, ma che la magia<br />

aveva bisogno <strong>della</strong> Cabala per essere efficace. Secondo la Yates, l’<strong>Orazione</strong> di <strong>Pico</strong> è<br />

da considerarsi estremamente importante soprattutto per questa nuova, efficace e potente<br />

fusione di magia ebraica e ellenica. 4<br />

Il saluto iniziale di <strong>Pico</strong> rivolto al miracolo umano, preso dall’ Asclepius ermetico,<br />

conduce subito, secondo la Yates, al suo «elogio <strong>della</strong> magia naturale,» che è considerata<br />

dalla studiosa come la magia dell’ Asclepius. 5 Su questo punto basilare, tuttavia, la Yates<br />

si sbaglia. La magia cui <strong>Pico</strong> si riferisce è neoplatonica e cabalistica piuttosto che<br />

ermetica. Se intendiamo con ‘testi ermetici’ i testi greci tradotti da Ficino e l’Asclepius<br />

latino già conosciuto da Agostino, questo fatto <strong>non</strong> dovrebbe sorprenderci visto che<br />

questi scritti <strong>non</strong> trattano di magia – e questo è un altro punto a svantaggio <strong>della</strong> Yates.<br />

La loro tematica infatti è la teologia nel senso più ampio. Per essere più precisi sarebbe<br />

più opportuno parlare di spiritualità piuttosto che di teologia poiché i libri Ermetici <strong>non</strong><br />

raggiungono <strong>mai</strong> la chiarezza filosofica che è il requisito fondamentale dalla teologia nel<br />

senso stretto <strong>della</strong> parola. 6<br />

<strong>Pico</strong> utilizza brevemente l’Asclepius per introdurre il suo discorso – si attesta solo<br />

uno dei due cenni nell’ <strong>Orazione</strong> ad Ermete o ai suoi seguaci – ma questo <strong>non</strong> lo<br />

impegna minimamente in alcuna parte del suo contenuto equivoco, e tanto meno nel suo<br />

incipit carico di retorica. Se la debolezza dell’<strong>Orazione</strong> consiste nella sua resa oratoria,<br />

4 F. YATES, Giordano Bruno and the Hermetic Tradition, London, 1964, p. 448;<br />

COPENHAVER, Dignity of Man, pp. 312-14.<br />

5 YATES, Bruno, pp. 103-6; COPENHAVER, Dignity of Man, pp. 313-14.<br />

6 COPENHAVER, Hermes Theologus: The Sienese Mercury and Ficino’s Hermetic Demons,<br />

nel J.W. O’MALLEY et al., eds., Humanity and Divinity in Renaissance and Reformation:<br />

Essays in Honor of Charles Trinkaus, Leiden, 1993, pp. 149-82; Lorenzo de’ Medici,<br />

Marsilio Ficino and the Domesticated Hermes, nel G.C. GARFAGNINI, ed., Lorenzo il<br />

Magnifico e il suo mondo: Convegno internazionale di studi, Firenze 9-13 giugno 1992,<br />

Firenze, 1994, pp. 225-57.<br />

4


la devozione ha leso di più l’Asclepius, che come tutti gli altri testi ermetici è troppo<br />

carico di toni emotivi quali pietà e consolazione, ma molto scarso di teorizzazioni<br />

filosofiche e logicamente incoerente. 7 Non di meno, <strong>Pico</strong> aveva un buon motivo di citare<br />

l’Asclepius a riguardo dell’argomento del miracolo umano visto che, citando le parole di<br />

quell’antico testo, egli voleva «cambiare la sua natura in quella di un dio, come se fosse<br />

un dio, … disprezzando la parte che è propria <strong>della</strong> natura umana.» Questo è anche lo<br />

scopo del programma proposto da <strong>Pico</strong> nell’<strong>Orazione</strong>: la filosofia morale, la dialettica e<br />

la filosofia naturale rivelano una teologia svelata soltanto all’iniziato che accetta la meta<br />

del vero filosofo: morire nel corpo per vivere nella Mente suprema. Il filosofo deve<br />

vivere la vita cherubinica, l’esistenza sacra, asessuata, disincarnata di quegli angeli che<br />

sono i più vicini agli altissimi. 8 Quindi l’Asclepius si ritrova ad essere più congeniale per<br />

gli intenti di <strong>Pico</strong> quando egli stesso rinunciò al mondo, invece di voltarsi verso di esso.<br />

La magia – ma <strong>non</strong> quelle tracce di magia demoniaca che ci sono nell’Asclepius ermetico<br />

– era anche mezzo per fuggire la natura, <strong>non</strong> di domarla. 9<br />

<strong>Pico</strong> intende la parola ‘magia’ in due modi: l’uno si riferisce alla greca goeteia<br />

(che significa stregoneria) e questo deve essere rinnegato perché opera di demoni<br />

malvagi; l’altro, chiamato mageia dai Greci, invece deve essere venerato in quanto<br />

saggezza e pietà. E Zoroastro, Salmose e Plotino sono i testimoni principali fra le venti<br />

persone che <strong>Pico</strong> elenca per deporre a favore <strong>della</strong> magia. 10<br />

<strong>Pico</strong> pone Zoroastro con Orfeo in quel numero di «padri fondatori <strong>della</strong> saggezza<br />

antica,» e sostiene che i suoi versi greci furono «mutilati in quella lingua [quando erano]<br />

più integri in quella caldaica.» Gli incompleti fragmenti in greco, cui si riferisce, furono<br />

quegli Oracoli Caldaici, quel testo che risale al secondo secolo e che impressionò i<br />

Neoplatonici postplotiniani proprio perché i suoi oracoli in esametri collimavano cogli<br />

7<br />

COPENHAVER, Hermetica: The Greek Corpus Hermeticum and the Latin Asclepius in<br />

English Translation, with Notes and Introduction, Cambridge, 1991, pp. xxxii-lxi.<br />

8<br />

PICO, Oratio, p. 12; COPENHAVER, Hermetica, pp. 69 (Asclep. 6), 218-21; Secret, pp. 60-<br />

1.<br />

9<br />

COPENHAVER, Hermetica, pp. 80-1, 89-91 (Asclep. 23-4, 37-8), 236-40, 253-7; Hermes<br />

Theologus, pp. 176-82; Domesticated Hermes, pp. 225-9.<br />

10<br />

PICO, Oratio, pp. 62-4.<br />

5


stessi motivi spirituali di fondo che ispiravano la loro filosofia. Gli Oracoli offrono<br />

giustificazioni teologiche e consigli pratici rivolti a quel mistico che voglia liberare la sua<br />

anima dalla prigione del corpo. Giorgio Gemisto Pletone li raccolse prima del 1452,<br />

offrendo in dono così una preziosa reliquia <strong>della</strong> saggezza antica a Ficino e ad altri eruditi<br />

del tempo. 11 Tuttavia <strong>Pico</strong> credeva di aver trovato una prova ancora più evidente. In una<br />

lettera ad Ficino, entusiasticamente raccontò i suoi miglioramenti nell’imparare l’ebraico,<br />

l’arabo ed il ‘caldaico,’ come lui stesso soleva definire l’ara<strong>mai</strong>co o il siriaco, e de<strong>scrisse</strong><br />

i libri in quelle lingue,<br />

libri, se libri siano e <strong>non</strong> tesori, … in caldaico: in primo luogo gli oracoli di Ezra, di<br />

Zoroastro, e di Melchiorre dei Magi, in cui si legge una versione completa e corretta<br />

di quello che in greco circola mutilato e coperto d’errori. Vi è pure l’interpretazione<br />

data dai saggi caldaici, breve, senza dubbio, e rudimentale ma colma di misteri, e<br />

anche un libro che espone la dottrina teologica caldaica. 12<br />

Quali furono questi libri, e come potevano essere usati da <strong>Pico</strong> nel suo discorso? La sua<br />

lettera al Ficino può documentare dei testi che sono scritti in una certa forma semitica, ed<br />

in effetti vi era del materiale in siriaco che <strong>Pico</strong> avrebbe potuto conoscere. Una linea di<br />

questa letteratura, pervenuta dalla Siria romana, si oppone a Zoroastro, identificandolo<br />

come un malvagio prete samaritano. Un’altra linea, più favorevole a Zoroastro, comincia<br />

dalla storia evangelica dei Magi e dalle tradizioni avestane che si riferivano a un salvatore<br />

del mondo nato da una vergine. In riferimento a questo, Zoroastro predice l’avvento del<br />

Messia e trasmette la sua intuizione profetica ai Magi, che in seguito danno in dono al<br />

Signore-bambino oro, incenso e mirra preservati nella caverna dei tesori di Adamo.<br />

Numerosi di questi racconti sull’infanzia di Gesù circolarono in siriaco per divulgare il<br />

prestigio dei Magi, uno dei quali si chiamava Melchiorre. Inoltre c’erano molteplici<br />

11 PICO, Oratio, p. 76; E. DES PLACES, ed., Oracles Chaldaïques avec un choix de<br />

commentaires anciens, Paris, 1971, pp. 7-53.<br />

12 PICO a Ficino nel P.O. KRISTELLER, Supplementum Ficinianum, Firenze, 1937, pp. 272-<br />

3.<br />

6


Apocalissi siriache e le visioni d’Ezra. 13 Dunque è da pensare che quando <strong>Pico</strong> disse a<br />

Ficino di aver visto «gli oracoli di Ezra, di Zoroastro, e di Melchiorre dei Magi,» potesse<br />

avere in mente e si riferisse a tali pseudoepigrafi siriache.<br />

Se <strong>Pico</strong> vide i testi siriaci in lode di Zoroastro, forse aveva anche potuto vedere<br />

quegli altri che lo condannarono. Di certo fu a conoscenza di quegli scrittori cristiani che<br />

vedevano Zoroastro «l’inventore delle arti magiche» <strong>non</strong> per onorarlo ma condannarlo ad<br />

essere stato uno strumento di Satana. Consapevole di queste posizioni ostili, <strong>Pico</strong> stipula<br />

che il suo Zoroastro «<strong>non</strong> è quello di cui si potrebbe pensare, ma il figlio d’Oromaso,»<br />

quando lo pone con Salmose come inventore <strong>della</strong> buona magia naturale. 14 E per<br />

distinguere il saggio caldaico da quello disprezzato che i cristiani associavano alle «arti<br />

false di magia trasmesse dagli angeli malvagi,» cita il passaggio platonico di Alcibiade I<br />

in cui si definisce Zoroastro come «il figlio di Horomazdos,» e così facendo scambia il<br />

dio (Ahura Mazda) del profeta per suo padre, esaltando la sua magia come «il culto degli<br />

dei.» 15<br />

Un testo platonico delineava la magia a Zoroastro, e un altro la pregava per le<br />

formule magiche purificatorie di Salmose, ma fu comunque Apuleio che li mise insieme,<br />

in un discorso di autodifesa in seguito ad un’accusa infertagli di praticare la magia nera.<br />

«La magia è un’arte che gli immortali approvano,» così asserisce, «colma di conoscenze<br />

e saperi che meglio ci permettono di adorarli e onorarli, un’arte pia e adeguata alla<br />

divinità,» e questo fu quello che Apuleio disse di aver appreso dall’autorità di Platone. 16<br />

Per istruire i loro figli, afferma l’autore dell’Alciabiades I, i re persiani nominavano<br />

quattro precettori che dovevano addestare i giovani nelle virtù cardinali – sapienza,<br />

13 J. BIDEZ e F. CUMONT, Les Mages hellénisés: Zoroastre, Ostanes et Hystaspe d’aprés la<br />

tradition grecque, Paris, 1938, I, 50-5, II, 93-135; H.F.D. SPARKS, ed., The Apocryphal<br />

Old Testament, Oxford, 1985, pp. 835-8, 927-31; A. HAMILTON, The Apocryphal<br />

Apocalypse: The Reception of the Second Book of Esdras (4 Ezra) from the Renaissance<br />

to the Enlightenment, Oxford, 1999, pp. 2-15, 30-6, 296.<br />

14 PICO, Oratio, p. 64; AGOSTINO, DCD 21.14; BIDEZ e CUMONT, Mages, II, 15-49.<br />

15 I Alcibiade 122A; ISIDORO, Etymol. 8.9; BIDEZ e CUMONT, Mages, II, p. 47; cf. PLINIO,<br />

HN 30.3-8.<br />

16 APUL. Apol. 25-6.<br />

7


temperanza, coraggio e giustizia. Il primo precettore, il responsabile per la sapienza,<br />

insegnava ‘la magia di Zoroastro, … ciò che è il culto degli dei, e anche i compiti del<br />

re.’ 17 La sapienza dei Magi, dunque, è una delle quattro virtù naturali che usavano i<br />

pagani prima che Cristo aprisse il tesoro <strong>della</strong> grazia e desse accesso alle virtù teologiche<br />

di fede, di speranza e di carità. Quindi, se la magia di Zoroastro è «la conoscenza <strong>della</strong><br />

divinità» ovvero la teologia, essa deve essere una teologia naturale fatta su misura per i<br />

principi e i reggenti perché dimostra loro come «amministrare il loro Stato sul modello<br />

dello stato cosmico.» 18<br />

«La magia di Salmose,» spiega <strong>Pico</strong>, «è medicina per lo spirito … che rende<br />

temperato lo spirito proprio come la medicina rende sano il corpo.» 19 Come la magia<br />

caldaica di Zoroastro insegna la sapienza, quella tracica di Salmose avvia alla<br />

temperanza, e queste due magie combinate insieme, nel programma di studi pichiano,<br />

inglobano la logica e la filosofia morale dando strada alla filosofia naturale e la teologia<br />

naturale. Secondo quanto dice Platone, il divino Salmose insegnò che quel rimedio<br />

curativo ‘la parte attraverso il tutto’ volesse dire che si deve sanare l’anima se si vuole<br />

che il corpo stia bene. «E l’anima … è guarita per mezzo di certi incantesimi … che sono<br />

parole belle, e da tali incantesimi che la temperanza è fatta arrivare nelle anime.’ »20<br />

L’atto fisico di guarire il corpo, che è un tipo di magia, richiede dunque un rimedio<br />

spirituale per l’anima stemperata, e la forza immateriale del linguaggio è l’incantesimo<br />

che attiva questa terapia psichica.<br />

Plotino, l’ultimo dei venti esperti di magia che <strong>Pico</strong> nomina, «lo menziona quando<br />

mostra che il mago è ministro <strong>della</strong> natura, <strong>non</strong> il suo artefice.» 21 Qui <strong>Pico</strong> si riferisce<br />

alla più ampia discussione dedicata alla magia nelle Enneadi, dove Plotino afferma che le<br />

formule magiche sono efficaci perché simpatie e antipatie agiscono in natura «senza che<br />

si intromettano macchinazioni; la vera magia è interna al Tutto…. È qui il primo mago e<br />

17 I Alcibiade 121D-22A.<br />

18 PICO, Oratio, p. 64.<br />

19 PICO, Oratio, p. 64.<br />

20 PLATONE, Charm. 156D-7C.<br />

21 PICO, Oratio, p. 64.<br />

8


stregone – scoperto da quegli uomini che poi ritorcono questi stessi sortilegi ed arti<br />

magiche l’uno contr’altro.» La magia è già lì sempre nella natura. I maghi <strong>non</strong> possono<br />

provocare effetti magici, sebbene sappiano dove trovarli e come sfruttarli per buoni o<br />

cattivi fini. Anche se Plotino ammette la magia, questa <strong>non</strong> è il suo principale interesse<br />

poiché è considerata da lui una deviazione dall’ascesa, una distrazione che conduce giù al<br />

mondo materiale. La magia naturale funziona, ma questa aiuta, per il migliore dei casi,<br />

solo quell’anima inferiore, e <strong>non</strong> è di nessun aiuto per la salvezza. Di fatto, l’anima che<br />

rimane coinvolta nella natura diviene preda <strong>della</strong> stregoniera. 22<br />

Plotino insegnò che l’unica via di uscita dalla natura e dalla magia è l’ascesa<br />

filosofica attraverso la contemplazione verso l’unione. Vediamo infatti come <strong>non</strong> volle<br />

né usare il rituale come modalità di salita verso l’Uno né <strong>mai</strong> lo intimorì la magia,<br />

considerata come trappola per il filosofo. La teurgia <strong>non</strong> trovò posto nella spiritualità<br />

neoplatonica finché Porfirio, allievo di Plotino, cercò di conciliare gli enigmatici Oracoli<br />

caldaici al Platonismo. Porfirio introdusse i riti caldaici come un’alternativa, <strong>non</strong> solo al<br />

rigore dell’educazione nelle virtù ma anche ai rischi di stregoneria, ed egli restrinse gli<br />

effetti rituali nell’anima inferiore. Solo la filosofia poteva mirare più in alto, perché<br />

aveva effetto nell’anima superiore. Quindi anche Porfirio, come Plotino, confinò la<br />

magia reale al mondo <strong>della</strong> natura e la considerò inutile per giungere al regno più alto. 23<br />

La filosofia per Plotino era l’unica via per ascendere, e per Porfirio fu ancora<br />

considerata di importanza primaria, ma Giamblico perse la fiducia nella filosofia. Egli<br />

infatti arrivò alla conclusione che la contemplazione operata tramite la filosofia di per sé<br />

<strong>non</strong> poteva condurre all’unione: essa è necessaria per l’ascesa ma <strong>non</strong> è sufficiente, ed è<br />

meno efficace del rituale teurgico, che riesce a toccare l’anima superiore. La teurgia –<br />

letteralmente, dio-operante – è l’opera degli dei che dall’alto arrivano nel mondo<br />

22 PLOT. Enn. 4.4.40-4; COPENHAVER, Renaissance Magic and Neoplatonic Philosophy:<br />

Ennead 4.3-5 in Ficino’s De vita coelitus comparanda, nel Marsilio Ficino e il ritorno di<br />

Platone: Studi e documenti, ed. G. GARFAGNINI, Firenze, 1986, pp. 351-69; Secret, p. 73.<br />

23 A. SMITH, Porphyry’s Place in the Neoplatonic Tradition, The Hague, 1974, pp. 70, 74,<br />

122, 128, 134-40, 147-8; R.T. WALLIS, Neo-Platonism, London, 1972, pp. 70-2, 108-10;<br />

COPENHAVER, Secret, p. 73.<br />

9


inferiore con azioni e con oggetti che di per sé trasmettono quell’energia divina.<br />

Quest’azioni e oggetti sono sempre collegati agli dei dalla forza dell’amicizia che si<br />

proietta dagli esseri superiori nelle entità inferiori. Dall’alto, l’amicizia provoca pure le<br />

simpatie che operano nella natura. Alcuni rituali sono solo una teurgia inferiore: essi<br />

provocano solo questa simpatia ma <strong>non</strong> possono portare l’anima all’unione. Il salto<br />

finale può essere compiuto solo dalla teurgia superiore che deve essere disposta dal<br />

potere dall’amicizia divina. Ma l’amicizia provoca pure la simpatia che è percepita dai<br />

mortali come la magia naturale che assomiglia alla teurgia inferiore, ed entrambe queste<br />

pratiche minori possono essere delle tappe che conducono alla teurgia superiore e<br />

all’unione finale. Diversa dalla teurgia di Porfirio, che è vista essere un’alternativa alla<br />

virtù, la teurgia superiore di Giamblico richiede inoltre un’educazione alle virtù – cosa<br />

analoga a quella che avviene nella magia virtuosa che Platone attribuisce a Zoroastro.<br />

Anche se questa teurgia si basa sull’amicizia divina e deve essere in sé buona, Giamblico<br />

ammette che questa può diventare pericolosa se corrotta o se invasa da demoni malvagi. 24<br />

Per dimostrare la fondatezza <strong>della</strong> magia naturale, <strong>Pico</strong> cita Porfirio ma <strong>non</strong><br />

Giamblico, ed è Plotino soprattutto che attira la sua attenzione. Lo sdegno del filosofo<br />

per i demoni minori, come è celebrato nella sua Vita scritta da Porfirio, rinforza<br />

quell’antitesi che <strong>Pico</strong> colloca fra magia naturale e demonica. L’una è schiavitù, l’altra<br />

dominio. L’una <strong>non</strong> è né arte né scienza, «mentre l’altra è colma dei misteri più<br />

profondi, … conducendo alla meta del sapere di tutta la natura intera.» Concentrandosi su<br />

un altro argomento di Plotino, <strong>Pico</strong> enfatizza che questo sapere deve essere rivolto «<strong>non</strong><br />

tanto a fare cose meravigliose, ma a cercare di servire accuratamente la natura come essa<br />

opera su di loro.» Le forze usate dal mago sono già in gioco nel mondo. 25 Come <strong>scrisse</strong><br />

Plotino:<br />

24 G. SHAW, Theurgy and the Soul: The Neoplatonism of Iamblichus, University Park,<br />

1995, pp. 4-5, 85, 110-12, 123, 129, 150-5, 169; WALLIS, Neoplatonism, pp. 99-100, 120-<br />

3; SMITH, Porphyry’s Place, pp. 59-61, 83-98, 105-10, 134-40, 148; COPENHAVER,<br />

Iamblichus, Synesius and the Chaldaean Oracles in Marsilio Ficino’s De vita libri tres:<br />

Hermetic Magic or Neoplatonic Magic? nel Supplementum Festivum: Studies in Honor<br />

of Paul Oskar Kristeller, ed. J. HANKINS et al., Binghamton, 1987, pp. 448-50; Secret, pp.<br />

73-4.<br />

25 PICO, Oratio, pp. 64-6; PORFIRIO, Vita Plot. 10.<br />

10


L’amore è dato nella natura; le qualità che conducono all’amore inducono una<br />

attrazione reciproca: una volta che è sorta un’arte magica che traccia amore, i cui<br />

praticanti applicano attraverso il contatto di certe sostanze … così formate<br />

dall’amore come per effettuare un legame d’unione; innestano l’anima ad un’altra<br />

anima come se fossero uniti due alberi insieme, uno con l’altro.<br />

Dando questa similitudine in un latino virgiliano, <strong>Pico</strong> spiega che «come l’agricoltore<br />

unisce l’olmo alla vite, così il mago riesce ad unire la terra al cielo, legando le cose che<br />

sono sotto a … quelle (che sono) sopra.» Tali simpatie o «incantesimi innati» sono<br />

seminati nella natura delle cose, e si possono scoprire e raffigurare quando «la magia<br />

rende note … le meraviglie celate nelle parti segrete del mondo.» 26<br />

Fino a questo punto <strong>Pico</strong> si riferisce a una magia naturale di tipo plotiniano, ma fa<br />

di questa un tema cristiano. Nello scoprire le meraviglie del mondo, la magia naturale<br />

«provoca nell’uomo quella stupefazione verso le opere di Dio la cui fede, speranza e<br />

disposizione caritatevole sono sicure e certe conseguenze.» Perciò, mentre la vecchia<br />

magia pagana aveva introdotto le quattro virtù naturali, ora si innestano le tre virtù<br />

teologali che sono a disposizione di una nuova magia cristiana che «contemplando<br />

continuamente le meraviglie di Dio» ci spinge verso un amore così ardente «da <strong>non</strong> poter<br />

trattenere la canzone, “colmi sono i cieli, colma è tutta la terra <strong>della</strong> grandezza <strong>della</strong> Tua<br />

gloria.» Quest’inno, che la magia naturale ci spinge a cantare, è la musica dei Serafini,<br />

una parte <strong>della</strong> loro triplice gloriosa cantica come è scritto in Isaia. La magia, ovvero la<br />

buona magia naturale che <strong>Pico</strong> difende, ci spinge ad unirci con questi angeli altissimi nel<br />

loro canto di amore ardente e autoconsumante. La magia naturale viene così a prendere<br />

lo stesso ruolo <strong>della</strong> filosofia naturale nel programma di studi angelici che <strong>Pico</strong> consiglia,<br />

e questo ci prepara alla teologia ed infine all’Unione. Questo è quello che <strong>Pico</strong> vuole dire<br />

quando dice che la magia è «la realizzazione finale <strong>della</strong> filosofia naturale.» 27 È questo il<br />

ruolo elevato dato alla magia che la fa entrare nella teologia che a sua volta consente di<br />

26 PICO, Oratio, p. 66; PLOT. Enn. 4.4.40; VERG. E 2.70; G 1.2, 2.221; COPENHAVER,<br />

Iamblichus, pp. 446-7, 451.<br />

27 PICO, Oratio, pp. 62, 66-8; ISA. 6:3.<br />

11


varcare quel confine – il limite dell’anima inferiore – teorizzato da Plotino. Questo rende<br />

la definizione <strong>della</strong> magia che ritroviamo nell’<strong>Orazione</strong> più vicina a Giamblico o a<br />

Proclo. Recuperando le posizioni di questi due ultimi neoplatonici, <strong>Pico</strong> <strong>non</strong> vuole<br />

dominare il mondo <strong>della</strong> natura ma fuggirlo e superarlo. E la Cabala, cioè la saggezza<br />

giudaica volta a rinforzare la magia greca e caldaica di <strong>Pico</strong>, mira allo stesso scopo, che è<br />

quello di fuggire il mondo.<br />

I riferimenti alla Cabala nell’<strong>Orazione</strong> sono prevalentemente di carattere storico o<br />

apologetico. La storia racconta e giustifica la distinzione fra rivelazioni essoteriche ed<br />

esoteriche trasmesse dalla tradizione giudaica e rinforzate dai Gentili. Il motivo<br />

apologetico di <strong>Pico</strong> è quella di «dar battaglia in nome <strong>della</strong> fede e contro le calunnie<br />

spietate degli Ebrei.» 28 Per convincere i Cristiani a combattere gli Ebrei con la forza<br />

aliena <strong>della</strong> Cabala, ne asserice la verità e importanza, ponendola al livello <strong>della</strong> filosofia<br />

platonica. Più persuasiva ancora è la sua autorità teologica, come è dimostrato da <strong>Pico</strong><br />

colla promessa fatta dal profeta Ezra di «un flusso intellettuale, una fonte di sapienza e un<br />

fiume di sapere» che scorre da settanta libri segreti. Presupponendo che avesse<br />

conosciuto questi libri di Cabala, quel che <strong>Pico</strong> trovò in quelli fu «una teologia indicibile,<br />

… una metafisica esatta e … la più ferma e sicura filosofia <strong>della</strong> natura.» Questa<br />

progressione dalla natura fisica attraverso le forme metafisiche diretta a congiungersi alla<br />

Divinità inesprimibile rispecchia l’ascesa mistica come proposto dal suo discorso.<br />

Inoltre, poiché la Cabala che <strong>Pico</strong> conosceva era tanto una teurgia quanto una teosofia, il<br />

rapporto tra essa e quella magia naturale preliminare conferma le sue posizioni in accordo<br />

con quelle degli ultimi neoplatonici. 29<br />

Tutto questo è detto esplicitamente nell’<strong>Orazione</strong>, anche se in un modo succinto<br />

ed arcano. Sottintesi ed addirittura impenetrabili al pubblico cristiano di <strong>Pico</strong> erano gli<br />

altri usi taciti <strong>della</strong> Cabala nell’<strong>Orazione</strong> rivolti per interpretare i testi biblici che si<br />

28 PICO, Oratio, p. 68.<br />

29 PICO, Oratio, p. 74; 2 ESDRAS 14:3-6, 42-8; C. WIRSZUBSKI, <strong>Pico</strong> <strong>della</strong> <strong>Mirandola</strong>’s<br />

Encounter with Jewish Mysticism, Cambridge, 1989, pp. 122, 126-7, 132, 140-2;<br />

COPENHAVER, Secret, p. 75; sopra, nota 13.<br />

12


iferivano a Giacobbe, Giobbe, Mosè, Abramo e altri. 30 Questi lunghi passaggi che<br />

rimangono tuttavia oscuri rinforzano il suo messaggio sulla via che conduce all’unione<br />

mistica per quegli uomini che imparano a vivere come Cherubini: essa comincia dalla<br />

filosofia e sale attraverso la magia e teurgia. <strong>Pico</strong> presenta le sue argomentazione sette<br />

volte, citando <strong>non</strong> solo i patriarchi biblici ma anche i saggi greci ed altri antichi teologi.<br />

La settima ed ultima esposizione <strong>della</strong> vita cherubinica si apre con i «memoriali dei<br />

Caldei,» e finisce, come si può prevedere, cogli angeli. 31 Diviene chiaro il fatto che<br />

questa parte dell’<strong>Orazione</strong> dipende dalla conoscenza <strong>della</strong> Cabala, che <strong>Pico</strong> scelse di<br />

tenere segreta, solo se la si mette a confronto con le sue Conclusioni, dove la Cabala è<br />

molto più esplicita e ampiamente discussa. 32<br />

Anche se quella tradizione mistica giudaica chiamata ‘Cabala’ era cominciata nel<br />

dodicesimo secolo, prima di <strong>Pico</strong> pochissimi cristiani ne avevano una discreta<br />

conoscenza. La Cabala è costituita sia da teoria che da pratica, e generalmente la si può<br />

considerare un tipo di ermeneutica biblica. 33 Una teoria <strong>della</strong> scrittura sta alla base di una<br />

pratica spirituale la cui meta è l’ascesa mistica, ovvero la provocazione di stati profetici o<br />

messianici con diverse tecniche che includono la magia e la teurgia. I Cabalisti ritengono<br />

che il Dio nascosto, che porta il nome d’Infinito, si riveli <strong>non</strong> solo nella Bibbia ma anche<br />

nelle sue dieci emanazioni o attributi, le Sefirot. Ipostatizzate nei miti, concretizzate nelle<br />

immagini e simbolizzate nelle lettere e nei numeri, le Sefirot sono al centro <strong>della</strong><br />

30 PICO, Oratio, pp. 18-20, 26, 34-8.<br />

31 PICO, Oratio, pp. 34-8.<br />

32 Per le Conclusioni, citerò (dalla pagina, sezione e tesi) l’edizione di A. BIONDI,<br />

Conclusiones <strong>non</strong>gentae; Le novecento tesi dell’anno 1486, Firenze, 1995; si veda anche<br />

S.A. FARMER, Syncretism in the West: <strong>Pico</strong>’s 900 Theses (1486): The Evolution of<br />

Traditional Religious and Philosophical Systems, Tempe, 1998; COPENHAVER, Number,<br />

Shape and Meaning in <strong>Pico</strong>’s Christian Cabala: The Upright Tsade, the Closed Mem<br />

and the Gaping Jaws of Azazel, nel Renaissance Natural Philosophy and the Disciplines,<br />

ed. A. GRAFTON e N. SIRAISI (MIT Press, 2000), pp. 25-76; Secret, pp. 74-80.<br />

33 Per introduzioni alla Cabala, si veda: G. SCHOLEM, Major Trends in Jewish Mysticism,<br />

New York, 1946; Kabbalah, Jerusalem, 1974; M. IDEL, Abraham Abulafia: An Ecstatic<br />

Kabbalist (Two Studies), ed. M. LAZAR, Lancaster, 2002; Kabbalah: New Perspectives,<br />

New Haven, 1988; Messianic Mystics, New Haven, 1998; Absorbing Perfections:<br />

Kabbalah and Interpretation, New Haven, 2002; A. GREEN, A Guide to the Zohar,<br />

Stanford, 2004.<br />

13


speculazione cabalistica, il cui altro punto focale è rivolto ai nomi d’Iddio e la loro<br />

risonanza nelle parole <strong>della</strong> sacra Scrittura.<br />

I Cabalisti prendono in considerazione il significato <strong>della</strong> sacra parola di Dio nel<br />

testo sacro per eccellenza: la Bibbia in ebraico. La Bibbia è per loro un’ infinita fonte di<br />

conoscenza e la studiano soffermandosi su ogni sua minima parte linguistica e strutturale<br />

– <strong>non</strong> solo le parole dette da Dio, ma anche il modo in cui sono state proferite, ovvero le<br />

lettere che le formano e di conseguenza la loro quantità (le lettere sono anche numeri) e la<br />

loro forma. Le parole più potenti sono i nomi di Dio, il cui santissimo, cioè il<br />

Tetragramma, <strong>non</strong> può essere detto; scritto come Y-H-V-H, esso è pronunciato come<br />

Adonai, un nome enunciato come Elohim, Ehieh, El Sciaddai ed altri nomi che si<br />

riferiscono a Dio nella Bibbia ebraica. Altre parole di grande potenza sono i nomi delle<br />

Sefirot, che come tali sono sconosciuti alla Bibbia; sono nomi <strong>non</strong> di Dio ma di aspetti o<br />

manifestazioni <strong>della</strong> divinità. Poiché Dio nella sua essenza altissima rimane nascosto, gli<br />

esseri finiti possono conoscere l’Infinito solo in quanto discende dall’alto segreto. Gli<br />

ultimi momenti di quella discesa constituiscono il mondo dell’ordinaria consapevolezza<br />

umana. I primi momenti, lontanissimi e ben al di là <strong>della</strong> normale percezione, sono le<br />

dieci Sefirot.<br />

Uno degli scopi principali <strong>della</strong> Cabala è quello di descrivere le Sefirot, spesso<br />

come mostrato nella Figura 1, dove tutte e dieci (indicate da S1 a S10) sono organizzate<br />

in uno schema ovvero in un ‘albero.’ I principali nomi ebraici di S4, per esempio, sono<br />

14


S1 Keter<br />

Corona<br />

Fatum Supremum<br />

Ehyeh<br />

S3 Binah S2 Hokmah<br />

Intelligenza Sapienza<br />

Intelligentia Sapientia<br />

IHWH (Elohim) Yah<br />

S5 Gevurah/Din S4 Gedullah/Chesed<br />

Potere/Giudizio Grandezza/Amore o Pietà<br />

Potentia/Judicium Amor or Pietas<br />

Elohim El<br />

S6 Tiferet/Rahamim<br />

Bellezza/Compassione<br />

Tipheret/Clementia<br />

IHWH (Adonai)<br />

S8 Hod S7 Nezah<br />

Maestà Permanenza<br />

Decor Eternitas<br />

Elohim Zevaot IHWH Zevaot<br />

S9 Zaddiq/Yesod<br />

Giustizia/Fondamento<br />

Justus/Fundamentum<br />

El Hay/Sadday<br />

S10 Malchut/Atarah<br />

Regno/Diadema<br />

Regnum<br />

Adonay<br />

Figura 1: Le dieci Sefirot<br />

Ghedulla e Chesed, che significano ‘Grandezza’ e ‘Amore’ o ‘Pietà,’ e sono resi da <strong>Pico</strong><br />

come Amor o Pietas. Il nome divino associato a S4 è El, ma <strong>Pico</strong> sapeva che i Cabalisti<br />

usavano molte altre parole e nomi (Abramo, Michele, il Sud, l’Acqua) per descrivere S4.<br />

La Figura 2 illustra con maggiori dettagli la terminologia sefirotica usata da <strong>Pico</strong>.<br />

15


S1 Fatum Supremum<br />

Padre, Unità<br />

Signore del Naso<br />

alef, hu<br />

S3 Intelligentia S2 Sapientia<br />

Spirito Santo, Ragione Figlio, Cristo, Gesù, Messia, Intelletto<br />

Linea Verde, Giubileo, Pentimento, Amore Principio, Eden, Timore, Cervello<br />

beth, he, scin beth, iod<br />

S5 Judicium, Potentia S4 Amor, Pietas<br />

Isacco, Gabriele Abramo, Michele<br />

Rettitudine, Nord, Timore, Fuoco Pietà, Amore, Sud, Acqua<br />

S6 Tipheret, Clementia<br />

Figlio, Cristo, Gesù, Messia<br />

Giaccobe, Uriele<br />

Luce, Est, Sole, Giorno, Specchio Che Brilla, Cielo, Cuore<br />

vav<br />

S8 Decor S7 Eternitas<br />

S9 Fundamentum, Justus<br />

Redentore, Acqua<br />

nun, ze<br />

S10 Regnum<br />

Spirito Santo<br />

Davide, Raffaele, Israele, Sabato<br />

Ovest, Sposa, Figlia, Dimora, Luna, Notte, Specchio Che Non Brilla, Timore<br />

Espiazione, Giovenca Rossa, Cerva Unicorna, Vino Puro, Mare, Fegato<br />

tav, he<br />

Figura 2: le Sefirot di <strong>Pico</strong> ( Numerazioni)<br />

<strong>Pico</strong> fu il primo cristiano che prese sul serio la Cabala e che trattò il suo sapere<br />

come materiale prezioso. Naturalmente le sue informazioni dipendevano da Giudei<br />

eruditi, con cui egli aveva stabilito i primi contatti negli anni universitari. L’informatore<br />

più importante fu un converso (convertito) che per <strong>Pico</strong> tradusse (<strong>non</strong> bene, talvolta<br />

tradendole) migliaia di pagine <strong>della</strong> Cabala in latino. Molte parti dell’<strong>Orazione</strong> sono<br />

sotto l’influsso di questi testi e viene mo<strong>della</strong>ta secondo l’ermeneutica cabalistica in un<br />

modo che nessun cristiano contemporaneo avrebbe potuto rilevare, tanto meno un<br />

cristiano che <strong>non</strong> era a conoscenza <strong>della</strong> chiave di lettura fornita dalle Conclusioni.<br />

L’intenzione esoterica del pensiero pichiano, dichiarata con enfasi nell’<strong>Orazione</strong>, è la<br />

caratteristica che più lo distanzia dall’intero progetto <strong>della</strong> filosofia occidentale post<br />

16


cartesiana e pure dalle filosofie più antiche di <strong>non</strong> tradizione platonica. Desiderando <strong>non</strong><br />

solo mistificare ma anche provocare, <strong>Pico</strong> riuscì nel suo intento, pagando il prezzo <strong>della</strong><br />

censura da parte <strong>della</strong> Chiesa. 34<br />

La teologia, la spiritualità e la filosofia – tutte nel loro senso più ampio – sono i<br />

soggetti principali <strong>della</strong> Cabala pichiana, che mostra (ovvero accenna) come Dio si riveli<br />

nelle Sefirot, nei nomi divini e nelle parole <strong>della</strong> Sacra Scrittura. Nelle 72 tesi<br />

cabalistiche che formano l’apice delle 900 Conclusioni, questa rivelazione diviene<br />

Cristologia e teologia Trinitaria. 35 Da un punto di vista cabalistico, le Sefirot ed i nomi<br />

divini sono gli attori nel teatro del mondo teologico, cosmologico, antropologico e<br />

angelogico i cui temi principali sono l’esilio, la morte, l’espiazione e la redenzione: sono<br />

queste le storie che <strong>Pico</strong> fa trasparire sulla Trinità cristiana e dove l’eroe-salvatore è Gesù<br />

Cristo, il Messia.<br />

Di conseguenza, i punti principali <strong>della</strong> pratica spirituale come sono detti nelle<br />

Conclusioni sono la preghiera, la profezia e l’ascesa verso l’unione mistica con Dio, che è<br />

inoltre il soggetto principale dell’<strong>Orazione</strong>. Qui <strong>Pico</strong> si dimostra favorevole tanto alla<br />

magia quanto alla teurgia come tappe necessarie verso l’ascesa. Le Conclusioni, che<br />

confermano l’assenso alla magia, fanno vedere inoltre con più accurata precisione dell’<br />

<strong>Orazione</strong> perché <strong>Pico</strong> collega la magia colla Cabala. Egli intende la Cabala come una<br />

tecnica spirituale che, come la teurgia superiore dei filosofi neoplatonici, trova ed apre le<br />

strade verso Dio. Queste sono di solito sconosciute agli esseri umani e dunque chiuse a<br />

loro. La pratica <strong>della</strong> Cabala comincia colla teoria perché questi segreti canali <strong>della</strong><br />

divinità devono essere scoperti ed interpretati prima di essere usati: la spiritualità segue<br />

l’ermeneutica.<br />

34 WIRSZUBSKI, <strong>Pico</strong>, pp. 1-18, 67-74, 106-18; D. RUDERMAN, The Italian Renaissance<br />

and Jewish Thought, nel A. RABIL, ed., Renaissance Humanism: Foundations, Forms<br />

and Legacy, Philadelphia, 1988, I, 382-43; COPENHAVER, Secret, pp. 80-1.<br />

35 La mia interpretazione delle conclusioni Cabalistiche comincia a partire dall’analisi<br />

meticolosa effettuata da Wirszubski; con M. Allen e C. Normore, sto preparando una<br />

nuova edizione inglese delle Conclusiones per I Tatti Renaissance Library di Harvard.<br />

17


I dettagli tecnici sull’ermeneutica, soprattutto le speculazioni sui segreti delle<br />

parole e lettere ebraiche, sono il materiale più recondito delle Conclusioni. Il linguaggio<br />

è la via d’entrata per la sapienza; gli elementi del linguaggio sono lettere e numeri; e<br />

questi segni proliferano nei codici segreti. Il genio di <strong>Pico</strong> e la sua ambizione, che la<br />

Chiesa reputò impudenza, lo condussero a questa provocante teologia <strong>della</strong> parola<br />

nascosta, i cui enigmi ed ambiguità lo incitarono verso il fascino dell’esoterico.<br />

Il più ampio progetto cabalistico presente nelle Conclusioni – e dunque la Cabala<br />

nell’<strong>Orazione</strong> – è cristologico e trinitario. Le manifestazione più modeste di Cabala, che<br />

sono usate da <strong>Pico</strong> per sostenere la sua teoria di fondo, mettono a fuoco particolari testi<br />

biblici, illuminati inoltre dalla sapienza degli antichi teologi dei Gentili. Fra queste<br />

minori esposizioni di Cabala, l’ultima nell’<strong>Orazione</strong> comincia con quello che <strong>Pico</strong><br />

chiama «memoriali dei Caldei,» che sono i frammanti degli Oracoli attribuiti a<br />

Zoroastro. 36<br />

36 PICO, Oratio, pp. 34-8: «Recenseamus et Chaldaeorum monumenta, videbimus (si illis<br />

creditur) per easdem artes patere viam mortalibus ad felicitatem. Scribunt interpretes<br />

Chaldaei verbum fuisse Zoroastris alatam esse animam, cumque alae exciderent, ferri<br />

illam praeceps in corpus, tum illis subcrescentibus ad superos revolare. Percunctantibus<br />

eum discipulis alis quo pacto bene plumantibus volucres animos sortirentur: “irrigetis,”<br />

dixit, “alas aquis vitae.” Iterum sciscitantibus unde has aquas peterent, sic per parabolam<br />

(qui erat hominis mos) illis respondit: “quattuor amnibus paradisus Dei abluitur et<br />

irrigatur, indidem vobis salutares aquas hauriatis. Nomen ei qui ab aquilone ,ae, quod<br />

rectum denotat; ei qui ab occasu Irpf, quod expiationem significat; ei qui ab ortu trrvb,<br />

quod lumen sonat; ei qui a meridie ,bnjr, quod pietatem interpretari possumus.”<br />

Advertite animum et diligenter considerate, Patres, quid haec sibi velint Zoroastris<br />

dogmata. Profecto nihil aliud nisi ut morali scientia, quasi undis hibericis, oculorum<br />

sordes expiemus; dialectica, quasi boreali amussi, illorum aciem liniemus ad rectum.<br />

Tum, in naturali contemplatione, debile adhuc veritatis lumen, quasi nascentis solis<br />

incunabula, pati assuescamus, ut tandem per theologicam pietatem et sacratissimum Dei<br />

cultum, quasi caelestes aquilae, meridiantis solis fulgidissimum iubar fortiter perferamus.<br />

Hae illae forsan et a Davide decantatae primum, et ab Augustino explicatae latius,<br />

matutinae, meridianae et vespertinae cognitiones. Haec est illa lux meridialis quae<br />

Seraphinos ad lineam inflammat et Cherubinos pariter illuminat. Haec illa regio quam<br />

versus semper antiquus pater Abraham proficiscebatur; hic ille locus ubi immundis<br />

spiritibus locum <strong>non</strong> esse, ut Cabalistarum et Maurorum dogmata tradiderunt. Et si<br />

secretiorum aliquid mysteriorum fas est, vel sub aenigmate, in publicum proferre,<br />

postquam et repens e caelo casus nostri hominis caput vertigine damnavit et, iuxta<br />

Hieremiam, ingressa per fenestras mors iecur pectusque male affecit, Raphaelem<br />

18


Riguardiamo anche i memoriali dei Caldei, dove vedremo (se si crede in loro) che una<br />

via alla felicità sia data ai mortali attraverso la loro stessa arte. Gli interpreti caldaici<br />

scrivono di una storia di Zoroastro dove si dice che l’anima è dotata di ali, e quando<br />

queste ali cadono, l’anima cade a dirotto nel corpo, ma quando queste crescono, essa vola<br />

di nuovo verso gli dei. I suoi discepoli gli chiesero come prendere questi agili spiriti<br />

colle ali così ben piumate, e lui disse, “Bagnate le vostre ali colle acque <strong>della</strong> vita.”<br />

Allora vollero sapere dove cercare queste acque, ed egli rispose loro con una parabola<br />

(secondo la sua abitudine): “Il paradiso di Dio è lavato ed irrorato da quattro fiumi, ed<br />

io vi ho concesso di bere le acque salvifiche. Il nome di quello che viene dal nord è<br />

Qesciot, che significa ‘diritto’; quello che viene dall’ovest è Chaphron, che indica<br />

‘espiazione’; dall’est viene Nehora, che significa ‘luce’; e dal sud viene Rahamanut, che<br />

possiamo rendere con ‘pietà.’”<br />

Ascoltate, padri, e contemplate attentamente quel che questi precetti di Zoroastro<br />

potrebbero essere dati a significare. Di certo <strong>non</strong> vogliono dire molto più che il pulire la<br />

sporcizia dai nostri occhi colla conoscenza morale, colle acque dall’estremo ovest, e poi<br />

raddrizzare la nostra vista e correggerla colla dialettica, come con una riga retta dal<br />

nord. Allora, nel contemplare la natura, possiamo imparare ad abituarci alla luce <strong>della</strong><br />

verità mentre è ancora debole, <strong>non</strong> appena il nuovo sole sorge, in modo che più tardi,<br />

colla pietà teologica ed il più sacro culto divino, possiamo, come aquile del cielo,<br />

resistere con valore allo splendore del sole fiammaggiante meridiano. Queste sono,<br />

forse, le conoscenze mattutine, di mezzogiorno e serale cantate prima da Davide, e<br />

spiegate in modo più completo da Agostino. Questa è la luce meridiana che brilla diretta<br />

sui Serafini per incendiarli e sui Cherubini per illuminarli. Questa è la regione verso cui<br />

il vecchio padre Abramo sempre si dirigeva, cioè il posto dove gli spiriti maligni <strong>non</strong><br />

hanno posto, come ci dicono le dottrine dei Mori e Cabalisti.<br />

E se è giusto rivelare qualche parte dei misteri più segreti, persino in un indovinello,<br />

considerate questo: Dopo che una caduta rapida dal cielo ha stordito il nostro uomo in<br />

testa, e (secondo Geremia) dopo che la morte è entrata dalla finestra per affliggere il<br />

cuore e fegato nostri, dovremmo invitare Raffaele, il medico celeste, che usa la morale<br />

e la dialettica come farmaci salutari per liberarci. Una volta che siamo ritornati in buona<br />

salute, Gabriele – la forza di Dio – vorrà rimanere con noi, e guidarci attraverso le<br />

meraviglie <strong>della</strong> natura, mostrarci la virtù e la potenza di Dio che risiede tutt’intorno a<br />

noi, ed infine consegnarci al sommo sacerdote Michele, che ci conferirà, dopo che<br />

avremo adempiuto il nostro tempo colla filosofia, il sacerdozio <strong>della</strong> teologia, come una<br />

corona di gemme preziose.<br />

<strong>Pico</strong> su Zoroastro, i Caldei e Abramo<br />

caelestem medicum advocemus, qui nos morali et dialectica uti pharmacis salutaribus<br />

liberet. Tum ad valitudinem bonam restitutos, jam Dei robur Gabriel inhabitabit, qui nos<br />

per naturae ducens miracula, ubique Dei virtutem potestatemque indicans, tandem<br />

sacerdoti summo Michaeli nos tradet qui, sub stipendiis philosophiae emeritos, theologiae<br />

sacerdotio quasi corona preciosi lapidis insignet.» Per la trascrizione delle quattro parole<br />

‘caldaiche’ (i.e., ara<strong>mai</strong>che o ebraiche) in questo brano, si veda WIRSZUBSKI, <strong>Pico</strong>, p.<br />

242, che ha emendato il testo di Garin.<br />

19


Come molti commentatori prima di lui, <strong>Pico</strong> trovò in questo testo caldaico<br />

venerabile l’immagine platonica dell’anima le cui ali («cux∞w koÊfaiw pterÊgessin»,<br />

con le parole degli Oracoli) hanno bisogno di acqua per crescere. 37 Per rafforzare queste<br />

ali psichiche e per evitare la perdita delle loro piume, Zoroastro raccomandava ai suoi<br />

discepoli di bagnarle bene con l’acqua attinta dai quattro fiumi del paradiso, i cui nomi<br />

‘caldaici’ rappresentano l’espiazione, la rettitudine, la luce e la pietà nelle direzioni di<br />

ovest, nord, est e sud. I Cabalisti conosciuti da <strong>Pico</strong> avevano trasformato questa<br />

topografia biblica in teosofia. Immaginavano le emanazioni di Dio scendere giù (Fig.1)<br />

dall’Infinito abissale attraverso le triadi di Sefirot fino all’ultima di loro, la Scekinah<br />

FIUMI ANGELI DIREZIONI PROGRAMMA DI STUDI SEFIROT<br />

espiazione Raffaele ovest filosofia morale S10<br />

rettitudine Gabriele nord dialettica S5<br />

luce Uriele est filosofia naturale S6<br />

pietà Michele sud teologia S4<br />

Figura 3 Fiumi, Angeli e Direzioni<br />

(S10) o Dimora di Dio. «Essi dicono,» con le parole di <strong>Pico</strong>,«da fuori dall’Eden arriva un<br />

fiume che si divide in quattro affluenti, e questo vuole dire che al di là <strong>della</strong> seconda<br />

numerazione [S2] arriva la terza [S3] che si divide nella quarta [S4], quinta [S5], sesta<br />

[S6] e decima [S10].» La fonte di <strong>Pico</strong> per questa conclusione è un cabalistico<br />

commentario sul Pentateuco fatto da Menahem Recanati, che attinse anche dallo Zohar, il<br />

testo principale <strong>della</strong> Cabala. Una volta che la Scekinah va al di là delle Sefirot, come<br />

spiega Recanati, «allora comincia il mondo degli esseri separati, mentre prima di questo<br />

punto tutto era unito…. i quattro appostamenti <strong>della</strong> Scekinah … sono indicati dai nomi<br />

dei fiumi.» 38 Similmente, secondo lo Zohar, il ‘giardino-noce’ che è menzionato nel<br />

Cantico dei cantici è il giardino che «emerge dall’ Eden, ovvero la Scekinah [S10].<br />

37 PLAT. Phaedr. 255B-D; Orac. chal. 217; PROC. Comm. in Remp. 2.126.8-30; Comm. in<br />

I Alc. 29.7-13; M.J.B. ALLEN, Marsilio Ficino and the Phaedran Charioteer, Berkeley,<br />

1981, pp. 77, 99, 103, 109, 129, 149, 161-3, 173, 191, 219, 223-5, 229, dove Ficino dice<br />

molto delle ali dell’anima ma <strong>non</strong> del bere l’acqua.<br />

38 Gen. 2:10; M. RECANATI, Commentary on the Pentateuch, Venice, 1545, fol. 18 v , citato<br />

in WIRSZUBSKI, <strong>Pico</strong>, pp. 30-1; PICO, Conclusiones, pp. 56-8 (4.9.11, 27).<br />

20


“Noce” – ecco qui dunque il santo carro celeste dei quattro fiumi-ceppi che uscirono dal<br />

giardino.» I quattro fiumi sono pure angeli – Michele, Gabriele, Uriele e Raffaele. 39<br />

Anche se <strong>Pico</strong> rivela un po’ quest’esegesi cabalistica nelle sue Conclusioni,<br />

nell’<strong>Orazione</strong> egli decodifica la parabola zoroastriana in un modo più semplice, la cui<br />

applicazione, <strong>non</strong>ostante l’oscurità <strong>della</strong> Cabala, al suo programma di studi mistico è<br />

evidente: scorrendo da ovest, le acque <strong>della</strong> filosofia morale «puliranno i nostri occhi<br />

dalla sporcizia» mentre da nord la dialettica disporrà in linea retta gli occhi perché<br />

scorgiamo la luce <strong>della</strong> verità naturale che sorge nell’alba orientale prima di essere<br />

preparati per l’intera visione di mezzogiorno, l’ardente sud <strong>della</strong> teologia. Questa figura<br />

<strong>della</strong> luce diurna dispone <strong>Pico</strong> alla preghiera mattutina, meridiana e serale dettata dal<br />

Salmista, come era stato interpretato da Agostino nella cognizione angelica che riesce a<br />

vedere al di là delle barriere temporali. 40 È una luce come lo splendore divino che<br />

illumina gli acquosi cherubini e che fa bruciare i serafini. 41<br />

Il raggiante territorio meridiano di S4, come si vede nell’<strong>Orazione</strong> di <strong>Pico</strong>, è «la<br />

regione verso cui il vecchio padre Abramo sempre si dirigeva, cioè il posto dove gli<br />

spiriti maligni <strong>non</strong> hanno posto, come ci dicono le dottrine dei Mori e Cabalisti.» Dopo<br />

le genealogie dei discendenti di Noè, Abramo entra nella storia biblica dapprima come<br />

Abram (senza la lettera ‘h’ di Abrahamo), un membro <strong>della</strong> famiglia di Terah che partì da<br />

Ur dei Caldei (la terra di Zoroastro) verso Cannaan attraverso Harran: è lì che Abram<br />

ricevette da Dio la promessa di un patto e udì quell’ordine di proseguire. «Il vecchio<br />

padre Abramo,» come lo descrive <strong>Pico</strong>, in queste parole <strong>della</strong> Bibbia<br />

aveva settantacinque anni quando partì dal Harran … ed entrò nella regione di<br />

Cannaan…. e attraversando una montagna ad est di Bethel, vi piantò le tende, poiché<br />

39 SS 1:11; Zohar II, 15b; F. LACHOWER e I. TISHBY, The Wisdom of the Zohar: An<br />

Anthology of Texts, London, 1989, II, 620-1. Non c’è prova che <strong>Pico</strong> avesse avuto un<br />

accesso diretto allo Zohar, un testo molto grande che <strong>non</strong> è stato trovato fra i libri tradotti<br />

per lui, ma dal Recanati e da altre autorità avrebbe potuto conoscere <strong>non</strong> soltanto le idee<br />

ma anche le parole di questo libro; WIRSZUBSKI, <strong>Pico</strong>, p. 20.<br />

40 Ps. 55:18; AUG. De Gen. ad lit. 4.29-30.<br />

41 PICO, Oratio, p. 14; cf. Conclusiones, pp. 58 (4.9.24), 140 (5.11.67).<br />

21


Bethel era ad ovest e Hai ad est. Lì pure adibì un altare al Signore e si rivolse al Suo<br />

nome. Allora Abram andò avanti, dirigendosi più lontano verso sud. 42<br />

Lo Zohar commentando il viaggio di Abramo presenta il suo itinerario a Cannaan come<br />

una ascesa spirituale da S10, dove la Scekinah prende contatto con il mondo inferiore, a<br />

S4, la più rialzata regione di Chesed, Pietà o Amore. Per andare su verso Cannaan,<br />

Abramo tiene Bethel (S10, la casa di Dio, la Scekinah) a ovest e Hai (S6) ad est, perciò<br />

spostandosi verso sud in questo spazio teosofico da S10 attraverso S6 verso S4 evitando<br />

S5, la regione del nord di Gevurah o Din, Potere o Giudizio (Figure 1, 4). 43<br />

S5 S4<br />

nord sud<br />

sinistra destra<br />

Cannaan<br />

S6<br />

est<br />

Hai<br />

S10<br />

ovest<br />

Bethel<br />

Fig. 4 Il viaggio sefirotico di Abramo<br />

Giuseppe Gikatilla, il Cabalista che <strong>Pico</strong> segue su questo punto nelle Conclusioni, spiega<br />

lo stesso materiale. Tutti i fiumi e flussi del mondo, sia naturali che teosofici, si<br />

bloccarono e si corruppero col diluvio. Pure gli stessi sbocchi <strong>della</strong> Scekinah si<br />

ostruirono fin tanto che Abram<br />

si diresse verso Beth-El passando una montagna ad est – Kedem in ebraico – e questo<br />

significa che egli prese canali da Kedem a Beth-El in quanto prese da un canale di<br />

destra che si chiama Pietà. Dunque tutti gli itinerari di Abramo furono a destra, e<br />

42 Gen. 12:4-9 (Vulg.)<br />

43 Zohar I, 79b-81a, 83a, 85a.<br />

22


questo è il segreto del testo, ‘Ed Abramo andò avanti, viaggiando e spostandosi verso<br />

sud.’ 44<br />

Abram (S4) si sempre dirige a destra, che nel reticolo teosofico è il lato benefico delle<br />

Sefirot. Questo è «il posto dove gli spiriti maligni <strong>non</strong> hanno posto» perché è l’opposto<br />

<strong>della</strong> mano sinistra Sefirot, da cui si origina il demoniaco ‘altro lato’ (sitra achra).<br />

Conseguentemente, uno dei nomi principali <strong>della</strong> quarta Sefirah è Pietà, ‘Caldaico’<br />

termine di <strong>Pico</strong> per il fiume che scorre a sud nell’Eden.<br />

Nelle Conclusioni, dove la Cabala è più espiclita che nell’<strong>Orazione</strong>, <strong>Pico</strong> spiega<br />

che «chi conosce gli attibuti del sud nel gruppo sulla destra, conoscerà perché Abramo<br />

intraprende i suoi viaggi sempre verso sud.» 45 In più, avendo guadagnato questo<br />

vantaggioso punto <strong>della</strong> quarta Sefirah, Abramo «vide il giorno di Cristo attraverso una<br />

linea retta e se ne rallegrò.» Il senso di ‘giorno’ qui è tanto teosofico quanto cronologico:<br />

‘giorno’ vuole significare la Sefirah, in modo che Abramo prevede l’avvento di Cristo<br />

come un’intuizione cabalistica. 46 Il patriarca dell’Amore e <strong>della</strong> Pietà guarda diritto (da<br />

S4 a S2) al Messia <strong>della</strong> Sapienza, la seconda Sefirah, messa in trono nella triade<br />

superiore, col Padre come Corona – ossia la prima Sefirah (S1) – e lo Spirito Santo come<br />

Intelligenza, la terza Sefirah (S3). Se il punto cruciale per cui <strong>Pico</strong> spaziò nella geografia<br />

sacra era quello di spiegare, ancora una volta, il disincarnamento del corpo e l’ascesa<br />

mistica, egli ebbe come un buon modello nell’Abramo sefirotico per salire diritto<br />

all’Infinito. L’anima incarnata, al contrario, è come il patriarca che va giù nelle regioni<br />

straniere, e ascende dopo essersi purificato, come lo Zohar racconta la storia: «Abraham<br />

discese in Egitto. Fu liberato da lì, <strong>non</strong> sedotto dai quei demoni abbaglianti …. Essendo<br />

disceso e essendosi purificato, immediatamente Abram è risalito dall’Egitto, … ritornado<br />

al suo territorio … e diventando la mano destra del mondo.» 47<br />

44 PICO, Conclusiones, p. 56 (4.9.14); J. GIKATILLA, Portae iustitiae nel Cod. Vat. Chigi,<br />

fols. 121-2, citato nel WIRSZUBSKI, <strong>Pico</strong>, pp. 32-3.<br />

45 PICO, Conclusiones, p. 56 (4.9.14).<br />

46 PICO, Conclusiones, pp. 56 (4.9.6, 8, 9), 134 (5.11.37).<br />

47 Gen. 12:10, 13:1; Zohar I, 83b; The Zohar: Pritzker Edition, ed. e trad., D. MATT,<br />

Stanford, 2004, p. 33.<br />

23


Sono difficili da seguire questi itinerari di Abramo attraverso le Sefirot, e<br />

l'<strong>Orazione</strong> dà solo una piccola guida per i ricettori cristiani. Invece <strong>Pico</strong> si sposta su un<br />

altro indovinello, che <strong>non</strong> comincia dall’alto con l’Abramo purificato, ma da «una caduta<br />

rapida dal cielo» nella malattia terrena e nella morte. Lo stordimento causato da questa<br />

caduta sulla terra ci fa considare il lamento di Geremia, come interpretato da <strong>Pico</strong>:<br />

La morte è venuta dentro attraverso le finestre<br />

Ed è entrata nelle nostre case<br />

Per annientare i piccoli nei mercati<br />

Ed i giovanetti nelle strade.<br />

Parla! Questa è la parola del Signore:<br />

La morte umana cade<br />

Come sterco sulla faccia <strong>della</strong> terra,<br />

Come la paglia dietro al mietitore,<br />

E nessuno la raccoglie. 48<br />

La morte di cui Geremia si lamenta colpisce i giovani ma è altrimenti <strong>non</strong> specificata.<br />

Secondo <strong>Pico</strong>, tuttavia, questa affligge il cuore e il fegato, organi che lo Zohar sistema in<br />

una gerarchia sefirotica: rispecchiando S2, S6 e S10, il cervello (Sapientia nella Fig. 2)<br />

deve governare il cuore (Clementia) come il cuore regola il fegato. Altrimenti, un corpo<br />

in disordine condurrà l’anima al peccato: l’omicida succhia il sangue dal cuore, e<br />

«chiunque pecchi di omicidio, idolatria, e incesto bandisce la sua anima attraverso il<br />

fegato, la bile, e la milza, ed è punito nella Gaienna in queste tre membra, per mezzo dei<br />

tre capi demoni, Mashith (distruttore), Af (ira), and Hemah (furore).» 49 La bile, il fegato e<br />

il cuore sono anche gli organi che Tobia estrae da un pesce quando l’angelo Raffaele gli<br />

ordina di usarli come rimedi magici. Raffaele spiega che il cuore e il fegato hanno poteri<br />

48 JER. 9:21-3 (Vulg.).<br />

49 Zohar I, 27b, II, 153a, III, 224-5; The Zohar, trad. H. SPERLING e M. SIMON, London,<br />

1984, I, 104-5.<br />

24


speciali contro i demoni maligni, ed è con questo potente spirito che <strong>Pico</strong> apre la sua<br />

supplica diretta ai grandi arcangeli Raffaele, Gabriele e Michele. 50<br />

La posizione di Raffaele è con la Scekinah (S10) nell’estremità inferiore delle<br />

Sefirot, dove l’ascesa comincia. Egli è il medico celeste e flagello dei demoni e userà «la<br />

morale e la dialettica come farmaci salutari per liberarci» dai tormenti cui si riferisce<br />

Geremia. Gli sta vicino Gabriele, guerriero e messaggero, la cui posizione teosofica è<br />

colla quinta Sefirah del Giudizio e Potere (S5), parole che si abbinano all’angelo che <strong>Pico</strong><br />

chiama «la forza di Dio». Egli è il dispensatore di visioni e annuncia le novelle celesti;<br />

«lui ci guiderà attraverso le meraviglie <strong>della</strong> natura … [e] ci consegnerà al sommo<br />

sacerdote Michele.» Michele (S4), il prete eccelso e comandante dell’esercito angelico,<br />

arriva per ultimo nell’elaborata sequenza pichiana dei programmi di studi angelici ed è<br />

posizionato col padre Abramo a destra delle Sefirot, come ricettacolo d’Amore. Da quel<br />

porto fuori pericolo, Michele ci conduce ad un sacerdozio teologico che <strong>Pico</strong> descrive<br />

come «una corona delle gemme preziose,» il tesoro occulto <strong>della</strong> Corona (S1) che<br />

misteriosamente domina sulle Sefirot. 51<br />

Secondo quanto si dice nello Zohar, all’inizio del suo viaggio l’anima quando<br />

rimane «nel mezzo, fra l’ascesa al mondo superiore e la discesa al mondo inferiore,»<br />

rimane «fra Bethel e Hai» nel racconto dell’itinerare di Abramo, cioé fra il mondo<br />

superiore <strong>della</strong> salvezza ed il mondo inferiore <strong>della</strong> corruzione. Quando l’anima si salva,<br />

ritorna prima al posto dove Abramo aveva eretto il suo altare, cioé «il posto dove il<br />

grande principe Michele offre in sacrificio le anime dei giusti.» 52 Nello spazio teosofico,<br />

questo posto è la quarta Sefirah (S4), vicino alla triade suprema dove l’anima ascendente<br />

può gioire <strong>della</strong> sua estinzione nella Divinità. Il viaggio è pericoloso a quest’altezza, ma<br />

il regno di Michele e di Abramo è il sud, «un posto dove gli spiriti maligni <strong>non</strong> hanno<br />

posto,» come ci dicono le parole pichiane, dove il nemico di Lucifero protegge il mistico<br />

50<br />

TOBIT 6:1-8.<br />

51<br />

K. VAN DER TOORN et al., Dictionary of Deities and Demons in the Bible, Leiden, 1999,<br />

pp. 338-9, 569-72, 688.<br />

52<br />

Zohar II, 67b, 159a, II, 231a, III, 30a-b; Zohar Hadash, Lekh Lekha, 24a-c; LACHOWER<br />

e TISHBY, Zohar, II, 799-800.<br />

25


dalla minaccia demonica. Michele, quell’angelo che sgominò gli angeli caduti all’inizio<br />

del tempo e che presiederà il giudizio finale, colui che separerà i salvati dai dannati così<br />

come già lottò contro Satana per l’anima di Mosè e sfidò Samael, l’angelo <strong>della</strong> morte –<br />

questo Michele, quest’angelo terribile e sommo sacerdote celeste – «che ci conferirà,<br />

dopo che avremmo adempiuto il nostro tempo colla filosofia, il sacerdozio <strong>della</strong> teologia»<br />

– è egli stesso un angelo <strong>della</strong> morte, ma di quella morte benedetta e benigna, in quanto<br />

finisce nell’unione con la Corona (S1).<br />

Questa morte santa è una cabalistica alternativa al felice esito di un martirio<br />

cristiano, la cui ricompensa è una corona di altro tipo. Negli Atti degli Apostoli si<br />

racconta la storia del primo martire, Stephanos, il cui nome significa ‘corona,’ quella<br />

ghirlanda data dai Greci ai vincitori nei loro giochi e poi ripresa dai Cristiani per gli eroi<br />

di un nuovo tipo. Stefano fece innumerevoli cose meravigliose a Gerusalemme, ma le<br />

sue imprese fecero in modo che gli Ebrei lo attaccassero e lo portassero davanti al<br />

Sanhedrin. La sua difesa fu un lungo e amaro discorso che riesaminava la storia del patto<br />

e delle sue ripetute rotture, finendo con una denuncia degli Ebrei come ostinati<br />

miscredenti. 53 «Quali furono i profeti che i vostri padri <strong>non</strong> accusarono?» domandò.<br />

«Essi uccisero coloro che annunciarono la venuta del Giusto, i cui esecutori <strong>della</strong> morte e<br />

traditori ora siete diventati. Avete ricevuto la legge dalle mani degli angeli, e <strong>non</strong> l’avete<br />

conservata.» 54 Poi, mentre si aprivano gli occhi di Stefano alla visione <strong>della</strong> gloria di<br />

Gesù, gli Ebrei lo lapidarono, e Saul era lì ad approvare quell’esecuzione. Come inizio di<br />

questo discorso incendiario, prima di riassumere i racconti dell’esilio, dell’esodo e del<br />

vagabondare, Stefano aveva iniziato con Abraham, che «lasciò la terra dei Caldei» per<br />

ricevere il patto. 55 Insomma quale altro poteva essere un così magnifico modello per<br />

l’oratoria di <strong>Pico</strong> se <strong>non</strong> questo sedizioso discorso fatto da un Cristiano desideroso di<br />

morire e pronto a reinterpretare la storia santa degli Ebrei, partendo dai Caldei per finire<br />

con gli angeli?<br />

53 Atti 6:8-8-2 (Vulg.).<br />

54 Atti 7:52-3 (Vulg.).<br />

55 Atti 7:4 (Vulg.)<br />

26


La «corona di gemme preziose» di <strong>Pico</strong>, che finisce la settima e ultima<br />

dichiarazione degli stadi dell’ascesa nell’ <strong>Orazione</strong>, è «il sacerdozio <strong>della</strong> teologia» che<br />

Michele conferisce al filosofo. La prima delle tesi cabalistiche che è contenuta nelle sue<br />

Conclusioni tratta pure del compito sacerdotale di Michele, cioé quello di «sacrificare le<br />

anime degli animali razionali.» Un’altra tesi spiega che «le anime razionali sono<br />

sacrificate a Dio da un arcangelo … quando l’anima esce dal corpo, <strong>non</strong> il corpo<br />

dall’anima – salvo il caso che può accadere nella morte da bacio.» In più si aggiunge una<br />

terza tesi che «quando l’anima … si unisce ad un’anima superiore, quella si sbarazzerà<br />

<strong>della</strong> sua superficie terrestre, ne estrarrà da quella le sue radici e si riattaccherà colla<br />

divinità.» Tutto questo sta scritto nella Genesi e nei Salmi. Quando morirono Giacobbe<br />

ed altri patriarchi, le loro anime persero i corpi per unirsi con un’anima superiore, la<br />

Scekinah (S10), che sempre rende «la morte dei suoi santi … preziosa alla vista del<br />

Signore» – secondo quanto dice il Salmista. 56 Dunque, quando l’anima esce dal corpo<br />

per adempiere l’unione estatica, la morte che ne risulta, chiamandosi ‘la morte da bacio,’<br />

<strong>non</strong> assomiglia alla morte ordinaria, quando il corpo lascia l’anima. Se l’arcangelo<br />

Michele sacrifica così un’anima, la vittima potrebbe <strong>non</strong> essere soggetta alla morte<br />

ordinaria. In ogni caso, la morte da bacio è preziosa, davvero un passo verso l’unione<br />

beata, ed è diversa dalla morte nelle mascelle di Azazel, il demonio che sta in agguato di<br />

chi abusa <strong>della</strong> Cabala. I Cabalisti identificano Azazel, il demoniaco capro espiatorio del<br />

Levitico, col Samael satanico e coll’attributo sefirotico del Giudizio (S5), che sta alla<br />

sinistra, in contrapposizione all’attributo di Amore (S4) proprio di Michele. 57<br />

Per scoprire i ruoli di Michele e dei suoi compagni celesti nell’<strong>Orazione</strong>, bisogna<br />

leggere – passaggio per passaggio e riga per riga – questo testo ben noto ma frainteso,<br />

mettendolo a confronto con le meno conosciute Conclusioni di <strong>Pico</strong>, soprattutto le 119<br />

enigmatiche tesi cabalistiche. Avendo in mente che <strong>Pico</strong> <strong>scrisse</strong> l’<strong>Orazione</strong> per<br />

introdurre le Conclusioni, bisognerà dunque affrontare un ovvio, sebbene difficile,<br />

compito di interpretazione, un lavoro che ora è reso più facile dopo l’analisi originale di<br />

56<br />

PICO, Conclusiones, pp. 56-60 (4.9.1, 44), 128 (5.11.11); Gen. 49:33; Ps. 89:7, 116:15;<br />

SS 1:2; Zohar II, 124, 146.<br />

57<br />

WIRSZUBSKI, <strong>Pico</strong>, pp. 21-2, 50, 153-60, 252-3; COPENHAVER, Closed Mem, pp. 46-51.<br />

27


Chaim Wirszubski e le più generali spiegazioni date sulla Cabala da parte di Gershom<br />

Scholem e Moshe Idel. 58 Per la mancanza dello spazio necessario per compiere una<br />

analisi minuziosa di questo tipo, <strong>non</strong> mi rimane che ricapitolare il nucleo del messaggio<br />

pichiano dell’<strong>Orazione</strong>: la dignità dell’uomo è una posizione celeste che è conferita<br />

all’umanità solamente dalla volontà divina, ma che <strong>non</strong> può <strong>mai</strong> essere trovata nel mondo<br />

corporeo; per raggiungerla, quindi, gli esseri umani devono abbandonare i loro corpi e<br />

trasformarsi in angeli.<br />

Questo obbligo di vivere la vita dei Cherubini, che si riconnette alla famosa<br />

apertura dell’<strong>Orazione</strong> e il suo encomio del miracolo umano, è stata spesso lasciata<br />

nell’ombra del dimenticatoio per gli ultimi due secoli, quando invece questo discorso è<br />

stato letto da un punto di vista simile a quello di Kant piuttosto che a quello di <strong>Pico</strong>. Il<br />

suo argomento può essere diviso come segue:<br />

1. L’uomo è la meraviglia più grande perché può scegliere di trasformarsi.<br />

2. Per scegliere bene, deve emulare gli angeli.<br />

3. Per emulare gli angeli, deve imparare come vivere la vita angelica –<br />

soprattutto la vita cherubinica.<br />

4. Questa lezione, che è un programma di studi, può essere appresa dai antichi<br />

padri, che sono<br />

a. Paolo e Dionigi;<br />

b. Giacobbe;<br />

c. Giobbe;<br />

d. Mosè;<br />

e. Gli antichi teologi (Orfeo, Socrate, Platone, Plotino);<br />

f. Pitagora;<br />

g. I Caldei: Zoroastro e Abramo.<br />

5. Poiché la filosofia conduce alla vita cherubinica, <strong>Pico</strong> si proclama essere un<br />

filosofo.<br />

6. Lo studio <strong>della</strong> filosofia ha portato <strong>Pico</strong> a interessarsi a nuove dottrine,<br />

ragguardevolmente la magia e la Cabala.<br />

7. Dunque, <strong>non</strong>ostante le proteste dei suoi critici, <strong>Pico</strong> si accingerà alla sua<br />

disputa filosofica e dibatterà le nuove dottrine.<br />

58 Sopra, nota 33.<br />

28


La lezione impartita sette volte nella parte centrale dell’<strong>Orazione</strong> (4) è un programma di<br />

studi il cui scopo è l’unione mistica con Dio. L’allievo comincia colla filosofia morale e<br />

poi si muove attraverso la dialettica e la filosofia naturale verso la teologia, dopo di che il<br />

pensiero discorsivo dà spazio alla pura contemplazione ed infine volge all’unificazione.<br />

Le tappe sono<br />

1. filosofia morale;<br />

2. dialettica;<br />

3. filosofia naturale;<br />

4. teologia;<br />

5. unione.<br />

La magia e la Cabala svolgono dei ruoli preliminari, ma <strong>non</strong>dimeno importanti, in questo<br />

processo diretto all’unione con Dio. La magia aiuta il passaggio dalla filosofia naturale<br />

alla teologia naturale, mentre la Cabala, ad un livello più elevato, trasforma gli esseri<br />

umani in angeli. Perciò, come la più alta teurgia dei dei Neoplatonici, la Cabala indica la<br />

direzione da intraprendere per arrivare all’unione, anche se l’<strong>Orazione</strong>, così<br />

intenzionalmente esoterica com’è, riesce solo un po’ a mostrare la via <strong>della</strong> Cabala.<br />

Eppure se paragoniamo l’<strong>Orazione</strong> colle Conclusioni si vede chiaramente che il grande<br />

discorso di <strong>Pico</strong> è tanto cabalistico, distintamente e pienamente, quanto anche<br />

neoplatonico e con spunti da Dionigi l’Areopagita – e per questo <strong>non</strong> è ermetico, dopo il<br />

suo iniziale squillo oratorio.<br />

Nemmeno è eroico il destino umano, secondo il parere di <strong>Pico</strong>, se intendiamo<br />

questo eroismo a partire dal tipo romantico legato alla concezione moderna e liberale<br />

<strong>della</strong> dignità umana e libertà – concezione imposta all’<strong>Orazione</strong> due secoli fa. Anche<br />

prima che <strong>Pico</strong> fosse stato trasformato in un liberale, Lessing – seguito da Goethe – aveva<br />

cominciato a fare di Faust un romantico. Questo è il Faust cercato ma <strong>non</strong> trovato da<br />

Frances Yates nella composizione teatrale di Marlowe, cioé «l’eroica anima individuale,<br />

che si affanna per risolvere i problemi di magia, ovvero di scienza contro la religione.»<br />

La studiosa invece trovò «una specie di propaganda» concentrata al Rinascimento i cui i<br />

grandi eroi del ‘400, secondo la sua opinione, furono <strong>Pico</strong> e Marsilio Ficino. Fu a causa<br />

<strong>della</strong> loro magia, e <strong>non</strong> a suo malgrado, che <strong>Pico</strong> e Fico furono, per la Yates, araldi <strong>della</strong><br />

29


scienza moderna e profeti del progresso culturale. Avendo in mente l’opera di Marlowe<br />

come «rifiuto <strong>della</strong> magia e <strong>della</strong> scienza rinascimentale,» la nostra studiosa confronta il<br />

Faust marlowiano con questi maghi eruditi. 59 Nel caso di <strong>Pico</strong>, il confronto è molto<br />

azzeccato, anche se fino ad un certo punto. Prima di farsi rapire dalla magia, Faust trova<br />

la filosofia «odiosa ed oscura,» e questo è completamente in contrasto con i ruoli di<br />

magia e filosofia che si ritrovano nel programma di studi pichiano. Ma Faust, «lo<br />

studioso artigiano,» ritiene pure che «un mago sano sia un semidio,» e questo <strong>non</strong> è<br />

lontano dalla concezione pichiana <strong>della</strong> magia angelica. Infatti, come osserva la Yates,<br />

l’opera inizia con Faust che evoca gli angeli. Poiché desidererebbe «un mondo fatto di<br />

utili e piaceri, di potere, di onore e di onnipotenza,» lui convoca i diavoli usando la<br />

Cabala – «il nome del Ieova anagrammatizzato per davanti ed indietro.» 60<br />

Alla fine, ciò che ottiene Faust è morte e dannazione. Ciò che desidera, tuttavia, è<br />

il potere di questo mondo, <strong>non</strong> la morte e né il suo rinnegamento, quale invece era la<br />

meta di <strong>Pico</strong>. Questa differenza centrata sul desiderio è quello che rende <strong>Pico</strong> <strong>non</strong>-<br />

faustiano, <strong>non</strong> eroico nel modo romantico ed infine <strong>non</strong> moderno o liberale, e così <strong>non</strong> lo<br />

rende neppure l’autore di quella nostra <strong>Orazione</strong> sulla dignità dell’uomo tanto celebrata,<br />

che alla fine risulta essere un discorso che abbiamo scritto per noi stessi.<br />

59 YATES, The Occult Philosophy in the Elizabethan Age, London, 1979, p. 119.<br />

60 C. MARLOWE, Doctor Faustus, I.i.51-3, 59, 100, ii.8-9; YATES, Occult Philosophy, pp.<br />

116-18.<br />

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