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Registi, scenografi, costumisti

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Bolchi Sandro (Voghera, Pavia, 1924) regista. Dopo la laurea in<br />

lettere, ha esordito come attore al teatro «Guf» di Trieste, esperienza<br />

che ha proseguito anche dopo il trasferimento a Bologna,<br />

dove ha iniziato l'attività giornalistica e approfondito quella di regista.<br />

Nel 1950 ha fondato con alcuni amici divenuti poi celebri<br />

(Lamberto Sechi, Vittorio Vecchi. Luciano Damiani, Giuseppe Partirei,<br />

Giorgio Vecchietti) uno dei primi teatri stabili d'Italia, «La<br />

Soffitta», che ha avuto però vita breve (fu chiuso nel 1952) a causa<br />

di difficoltà finanziarie. Ha ottenuto i primi successi come regista<br />

teatrale allestendo L'imperatore Jones di O'Neill e L'avaro di Molière.<br />

Nel 1956 ha esordito come regista televisivo con la commedia Frana<br />

allo Scalo Nord di Ugo Betti. Da allora ha diretto per la TV un gran<br />

numero di sceneggiati, per lo più tratti dai capolavori della<br />

letteratura ottocentesca, e per cinque anni è stato premiato quale<br />

miglior regista italiano. Nel 1963 si è cimentato nella trasposizione<br />

televisiva de Il mulino del Po. tratto dal romanzo di Riccardo<br />

Bacchelli e sceneggiato insieme all'autore, che Bolchi considererà<br />

sempre come il suo più importante lavoro televisivo: nello stesso<br />

anno ha realizzato Demetrio Pianelli, dal romanzo di Emilio De<br />

Marchi. Nel 1964 ha diretto I miserabili da Victor Hugo, nel 1967 I<br />

promessi sposi da Alessandro Manzoni, nel 1968 Le mie prigioni da<br />

Silvio Pellico, nel 19691 I fratelli Karamazov da Dostoevskij, l'anno<br />

successivo Il cappello del prete da Emilio De Marchi, nel 1972 I<br />

demoni da Dostoevskij, nel 1973 Puccini, una biografia del<br />

musicista, nel 1974 Anna Karenina da Tolstoj, nel 1976 Camilla, da<br />

un romanzo di Fausta Cialente, nel 1978 Disonora il padre, dal<br />

romanzo di Enzo Biagi, nel 1979 Bel Ami, nel 1984 Melodramma, nel<br />

1988 La coscienza di Zeno e nel 1989 Solo. Soprannominato dagli<br />

amici il «regista dei mattoni», per il carattere serio delle sue opere,<br />

Bolchi resta certamente l'autore più rappresentativo dei tentativi di<br />

conferire alla televisione la stessa dignità riconosciuta al cinema e al<br />

teatro. Convinto assertore della funzione pedagogica del mezzo<br />

nuovo, ha contribuito attraverso i suoi numerosi sceneggiati a divulgare<br />

la conoscenza di grandi opere della letteratura. Per questo<br />

motivo è stato accusato di mancare di una certa levità e di<br />

esprimere nei confronti dell'originale una fedeltà troppo umile e<br />

quasi ossessiva. Ma la sua trasposizione dei Promessi sposi, se<br />

paragonata a quella di Nocita del 1989, appare a distanza di molti<br />

anni stilisticamente più controllata e meno esposta alle mode del<br />

consumo.<br />

(Enciclopedia della Televisione, Garzanti Editore, Milano 1996, pagg.<br />

80-81)<br />

Bollini Flaminio (Milano 1924 - Roma 1978) regista. Frequentò i<br />

corsi di regia all’Accademia nazionale di arte drammatica di Roma e<br />

fu aiuto regista di Visconti e Strehler. A rivelare le sue doti di estro,


sottile ironia e grande eleganza fu però la TV. Tra gli spettacoli di<br />

prosa e gli sceneggiati diretti si possono ricordare Una famiglia di<br />

cilapponi (1960) di Carlo Dossi, La granduchessa e il cameriere<br />

(1962) di A. Savoir, la Serata shawiana (tre atti unici di G. B. Shaw,<br />

1962), Sabrina (1963) di S. Taylor, La zitella (1965), Il delitto<br />

(1967) e La gibigianna (1969) di C. Bertolazzi, La carriera (1973) di<br />

G. Cesarano e G. Raboni, e Doppia indagine (1978). Fu anche<br />

l'autore del soggetto del Segno del comando, diretto con grande<br />

successo di pubblico da Daniele D'Anza.<br />

(Enciclopedia della Televisione, Garzanti Editore, Milano 1996, pag.<br />

81)<br />

Bongioanni Gianni (Torino 1928) regista. Assunto in RAI nel 1952,<br />

si è occupato a fianco di Sergio Pugliese dell'organizzazione del<br />

settore cinematografico dell'azienda. Le sue prime prove come<br />

regista televisivo sono state nel 1956 Filo d'erba, segnalato al<br />

Premio Italia, e nel 1959 La svolta pericolosa, considerato il primo<br />

telefilm italiano. In seguito ha girato una serie di inchieste: nel 1962<br />

II futuro delle Puglie, nel 1967 I rotoli della Bibbia e La coltivazione<br />

del deserto, neli 1969 L'alimentazione del futuro. Nel 1971 con<br />

Dedicato a un bambino ha affronto il problema dei ragazzi<br />

diseredati, attraverso dialoghi dal vero e interviste a esperti,<br />

ottenendo alti indici di gradimento. Nel 1977 ha sceneggiato e<br />

diretto l'autobiografico romanzo della Aleramo, Una donna. Nel 1981<br />

con Mia figlia ha tentato di raccontare il dramma di una madre di<br />

fronte alla figlia adolescente colpita da una malattia mentale; nel<br />

1989 con il film per la TV Piange al mattino il figlio del cuculo ha<br />

affrontato il dramma delle «madri in affitto». Regista quasi<br />

esclusivamente televisivo, se si eccettua un'unica esperienza<br />

cinematografica nel 1964 con il film Tre per una rapina, ha cercato<br />

di portare alla luce realtà dolorose, spesso dimenticate. Attraverso il<br />

tipico taglio da inchiesta, l'uso della presa diretta e la partecipazione<br />

di attori non professionisti, è riuscito a dar vita a un vero e proprio<br />

neorealismo televisivo.<br />

(Enciclopedia della Televisione, Garzanti Editore, Milano 1996, pag.<br />

83)<br />

Cortese Leonardo (Roma 1916-84) regista. Esordì come attore<br />

specializzato nei ruoli romantici ed ebbe il suo momento di gloria nel<br />

cinema e nel teatro degli anni '40. Per la televisione recitò da<br />

protagonista ne Il delitto di Lord Saville, Il bacio davanti allo specchio<br />

e L'osteria della posta; fu Mercuzio nella prima edizione<br />

televisiva di Romeo e Giulietta (1954), il marchese di Bruyères in<br />

Capitan Fracassa (1958) per la regia di Anton Giulio Majano e il<br />

signor Trelawney ne L'isola del tesoro (1959). Dopo un'esperienza<br />

come conduttore di Siamo tutti improvvisatori, che restò unica, si


dedicò con impegno costante e definitivo alla regia firmando La<br />

ragazza di Tucnah e Sera d'autunno (entrambi del 1961);<br />

Mezzanotte con l'eroe (1962); La maestra di canto, L'arma segreta,<br />

I cari mobili (1963); La lepre finta (1964); La figlia del capitano<br />

(1965); Luisa Sanfelice (1966); Oltre il buio (1967). Nel 1967<br />

diresse la serie Sheridan, squadra omicidi e l'anno successivo La<br />

donna di quadri e Intermezzo domenicale. Seguirono: II diritto<br />

dell'uomo e Donna di cuori (1969); Un certo Harry Brent (1970);<br />

Donna di picche (1972); Così per gioco (1979); Gelosia (1980);<br />

L'Andreana (1982).<br />

(Enciclopedia della Televisione, Garzanti Editore, Milano 1996, pagg.<br />

171-172)<br />

Cottafavi Vittorio (Modena 1914 - † ?) regista. Dopo aver<br />

frequentato il Centro sperimentale di cinematografia, ha iniziato la<br />

carriera come aiuto regista e sceneggiatore, girando nel 1943 il suo<br />

primo film, I nostri sogni. I suoi lavori, privi di connotazione<br />

ideologica, non incontravano molti favori nell'acceso clima politico<br />

del dopoguerra. Dopo una serie di film commerciali, che<br />

mantenevano comunque una certa cura formale e contenutistica, ha<br />

deciso nel 1957 di rivolgere le sue attenzioni alla neonata<br />

televisione e, con Sette piccole croci, da un romanzo di Simenon, ha<br />

dato il via a una lunghissima serie di produzioni (più di cinquanta)<br />

marcate da un personale uso estetico del mezzo. Come regista ha<br />

dato prova di grande eclettismo affrontando testi letterari e opere<br />

teatrali, autori classici e moderni: del 1958 sono Casa di bambola di<br />

Ibsen e Umiliati e offesi di Dostoevskij. Nel 1962 di nuovo<br />

Dostoevskij con Le notti bianche, nel 1963 Tennessee Williams con<br />

Lo zoo di vetro, Nozze di sangue di Garcia Lorca, Mille franchi di<br />

ricompensa di Victor Hugo. Nel 1965 ha affrontato lo sceneggiato<br />

storico con Vita di Dante, seguito da Crìstoforo Colombo e Olivier<br />

Cromwell (1968) e da Ritratto di un dittatore (1969). Una certa vena<br />

umoristica gli ha permesso di portare sullo schermo nel 1970 I<br />

racconti di Padre Brown con Renato Rascel. Nel 1972 ha tentato un<br />

genere nuovo per la TV, la fantascienza, con lo sceneggiato A come<br />

Andromeda. L'anno successivo è tornato a Pirandello con Vestire gli<br />

ignudi e ha proposto La scuola delle mogli di Molière. Nel 1975 ha<br />

curato la sceneggiatura e la regia di un programma sul tema<br />

«Scrittori e potere nella Russia zarista» e Gente delle Langhe, un<br />

ciclo di racconti tratti da Pavese, Fenoglio e Lajolo. Nel 1979 ha<br />

diretto Con gli occhi dell'Occidente e nel 1981 ha girato la storia di<br />

Maria Zef, dal romanzo di Paola Drigo. Particolarmente significative<br />

restano le sue trasposizioni dei classici greci: Antigone (1958), Le<br />

Troiane (1967,1971) e I Persiani (1975).<br />

(Enciclopedia della Televisione, Garzanti Editore, Milano 1996, pagg.<br />

173-174)


D'Anza Daniele (Milano 1922 - Roma 1984) regista. Nelle storie del<br />

cinema si dice che una cinematografia è grande quando si può<br />

permettere grandi artigiani: Daniele D'Anza è stato un grande<br />

artigiano della storia della televisione italiana. Con Landi ed<br />

Enriquez, apparteneva alla «mitica» generazione dei primi registi<br />

sperimentali della RAI. La sua solida formazione professionale gli<br />

consentì di attraversare con disinvoltura diversi generi - dallo<br />

sceneggiato al teatro tragico, dalla commedia all'originale, al musical<br />

- e di inventare nuove formule, come il primo contenitore<br />

televisivo (Il mattatore. 1959), la ricostruzione del mondo di un autore<br />

attraverso i suoi racconti (// novelliere, 1967) o la realizzazione<br />

di un giornale elettronico (II giornalaccio, 1962). D'Anza è stato<br />

capace di confrontarsi anche con generi nuovi per il pubblico, come<br />

il «fantastique» del Segno del comando (1971) e il «thrilling<br />

morale» dei racconti di Durrenmatt, Il giudice e il suo boia e Il<br />

sospetto (1972). Oltre ai lavori già ricordati, diresse numerose commedie,<br />

drammi, sceneggiati e serie televisive: La carrozza del SS.<br />

Sacramento (1952); Viaggio verso l'ignoto (1953); Nodo stradale<br />

(1954); Vacanze ai quartieri alti (1956); Orgoglio e pregiudizio,<br />

Capitano tutte a me, La signora delle camelie (1957); Donne in ermellino,<br />

Le avventure di Nicola Nickleby, Aprite polizia, La bisbetica<br />

domata (1958); Sammy (1959); Vita col padre e con la madre<br />

(I960); Paura per Janet (1963); Fine d'anno sulle scale, II<br />

Sempione strizza l'occhio al Fréjus, Perché non mi hai fatto più alto,<br />

Io e lui (1964); Questa sera parla Mark Twain, Scaramouche<br />

(1965); La coscienza di Zeno, Melissa (1966); Abramo Lincoln<br />

(1967); Non cantare, spara! (1968); Giocando a golf, una mattina<br />

(1969); Coralba, Antonio Meucci, cittadino toscano, contro il<br />

monopolio Bell (1970); La casa di Bernarda Alba (1971); Joe<br />

Petrosino (1972); ESP (1973); Ho incontrato un'ombra, Accadde a<br />

Lisbona (1974); L'amaro caso della baronessa di Carini (1975);<br />

Extra (1976); L'ultimo aereo per Venezia (1977); Madame Bovary<br />

(1978); Racconti fantastici (1979); tre episodi della serie Orient<br />

Express (1980); II punto d'osservazione (1981); La sconosciuta. Tre<br />

colpi di fucile (1982); Piccolo mondo moderno, La ragazza dell'addio<br />

(1984).<br />

(Enciclopedia della Televisione, Garzanti Editore, Milano 1996, pagg.<br />

188-189)<br />

De Matteis Maria (Firenze 1912 - ivi 1988), costumista e<br />

scenografa. Inizia la sua attività come illustratrice di fiabe, per<br />

dedicarsi al teatro prima come assistente di Sensani, poi come<br />

costumista. Dopo alcuni fortunati allestimenti (Alceste di Gluck,<br />

regia di G. Salvini, 1936; Il deserto tentato di A. Casella, Maggio<br />

musicale 1937; Vita col padre di Lindsay e Crouse, regia di G.


Guerrieri, 1947), disegna i costumi per Troilo e Cressida di<br />

Shakespeare diretto nel 1949 da L. Visconti: nella Troia turrita<br />

ideata dalle scene di F. Zeffirelli si muovono personaggi leggendari e<br />

fiabeschi; come gli eroi dei codici miniati medioevali, i troiani hanno<br />

colori squillanti, i greci i toni dell'acciaio: l'attenzione all'intero<br />

complesso dello spettacolo le permette di ottenere raffinate fusioni<br />

di colore. Le sue preferenze vanno in effetti alle opere con<br />

importanti scene d'insieme, come Gigi di Colette e Loos (regia di G.<br />

De Lullo, 1955), Ifigenia in Tauride di Euripide (regia di M. Ferrero,<br />

Taormina 1957), L'avaro di Molière (regia di O. Costa, 1952). Negli<br />

ultimi anni preferisce lavorare per il cinema (spesso con lo<br />

scenografo Mario Chiari), disegnando i costumi per alcune pellicole<br />

(Un colpo di pistola di R. Castellani, 1942; La carrozza d'oro di J.<br />

Renoir, 1952; La Bibbia di J. Huston, 1956).<br />

(Dizionario dello Spettacolo del ‘900, Baldini & Castoldi, Milano<br />

1998, p. 326)<br />

Donati Danilo (Suzzara 1926), scenografo e costumista. Inizia la<br />

sua carriera come assistente di P. Zuffi, lavorando poi con L.<br />

Visconti per il Il crogiuolo di Miller (1955) che, rievocando<br />

fedelmente i dipinti di Hals, Vermeer e Rembrandt, già evidenzia il<br />

suo amore per la ricostruzione colta. Successivamente, per L.<br />

Squarzina si occupa di Anna dei miracoli di W. Gibson (Milano,<br />

Teatro alla Scala 1960), e per F. Zeffirelli di un discusso Amleto di<br />

Shakespeare (1963), in cui, nella simbolica ambientazione<br />

progettata dal regista (funzionale, ma scarna, con una scena<br />

composta da un piano a cerchi concentrici che muta secondo<br />

l'incidenza delle luci), i costumi tingono i protagonisti di colori decisi,<br />

neri profondi e candidi bianchi, mentre i personaggi minori sfilano in<br />

secondo piano, vestiti di grigi spenti e bruni terrosi. Con la scaligera<br />

Traviata di Verdi (1965) rafforza il suo rapporto con il regista<br />

toscano, con il quale successivamente lavora anche per il cinema<br />

(La bisbetica domata, 1967; Romeo e Giulietta, 1968), a cui si<br />

dedica ormai quasi esclusivamente (torna al teatro con G. Ferrara<br />

per Trovarsi di L. Pirandello, Milano, Teatro Carcano 1981 e, più di<br />

recente, con M.M. Giorgetti per Edipo re di Sofocle, Vicenza, Teatro<br />

Olimpico 1995), collaborando anche con Pasolini (Il Vangelo secondo<br />

Matteo, 1964; Edipo Re, 1967; Decameron, 1971; Il fiore delle mille<br />

e una notte, 1973) e Fellini (Satyricon, 1969), con cui divide un<br />

Oscar per Casanova (1976).<br />

(Dizionario dello Spettacolo del ‘900, Baldini & Castoldi, Milano<br />

1998, p. 345)<br />

Fenoglio Edmo (Torino 1928-96) regista. Diplomatosi all'Accademia<br />

nazionale d'arte drammatica, iniziò la carriera in teatro mettendo in<br />

scena testi di Sofocle, Buzzati, Pinter, Miller, Dostoevskij e Cechov.


Debuttò come regista televisivo nel 1956 con un giallo di Gastone<br />

Tanzi, L'istantanea sotto l'orologio. Nel 1960 realizzò Le buone<br />

occasioni,nel 1961 Guerra in tempo di bagni e, per la serie Racconti<br />

dell'Italia di ieri, II maestro dei ragazzi e I coniugi Spazzoletti. Nel<br />

1962 riuscì a conquistare il grande pubblico con I giacobini di<br />

Federico Zardi, cui fece seguito Una burla riuscita. Nel 1963 curò la<br />

regia de Le anime morte e nel 1964 de Le gocce; nel lo stesso anno<br />

l'intesa fra il regista e Zardi si rinnovò per I grandi camaleonti. Nel<br />

1965 Fenoglio mise in scena un classico del teatro piemontese,<br />

Come le foglie, di Giuseppe Giacosa e gli sceneggiati I giocatori, II<br />

padrone del villaggio e II marito geloso, tutti e tre adattamenti di<br />

testi di Dostoevskij. Nel 1966 portò sullo schermo Il conte di<br />

Montecristo, nel 1968 Tartarino sulle Alpi di Daudet e Piccoli<br />

borghesi di Gor'kij. L'anno dopo andò in onda il suo allestimento di<br />

Una serata fuori di Harold Pinter. Nel 1971 I Buddenbrook di Th.<br />

Mann gli offrirono l'occasione per un vasto affresco storico e per uno<br />

studio psicologico dei personaggi; seguirono nel 1972 II marchese di<br />

Roccaverdina di Luigi Capuana e nel 1973 II calzolaio di Vigevano<br />

dal romanzo di Lucio Mastronardi. Dopo La bufera (1975), scrisse e<br />

realizzò la serie La patria in minore dal 1870 al1945 (1982).<br />

Fenoglio è stato sicuramente un raffinato e delicato narratore di<br />

storie, anche se è rimasto un po' prigioniero della «sacralità» dei<br />

romanzi che ha messo in scena; le sue opere più riuscite sono quelle<br />

in cui il testo di riferimento non è di un autore consacrato.<br />

(Enciclopedia della Televisione, Garzanti Editore, Milano 1996, pagg.<br />

263-264)<br />

Ferrero Mario (Firenze 1922) regista. Formatosi in ambito teatrale,<br />

ha firmato la regia del primo originale scritto appositamente da Ugo<br />

Buzzolan per la televisione, La domenica di un fidanzato, andato in<br />

onda nel 1954 durante il primo mese di programmazione. Regista<br />

descrittivo, puntigliosamente fedele al testo, attento a dare il<br />

massimo risalto all'ambientazione e alla recitazione degli attori, ha<br />

dedicato una parte rilevante della sua attività alla televisione,<br />

dividendosi soprattutto tra l'allestimento di spettacoli di prosa e la<br />

realizzazione di sceneggiati. Nel 1954 ha messo in scena Candida di<br />

G.B. Shaw, nel 1955 Assassinio nella cattedrale di Th.S. Eliot, nel<br />

1957 Teresa la ninfa fedele, dal romanzo di Margaret Kennedy. Nel<br />

1959 ha curato la regia di un varietà, Le divine, con Franca Valeri,<br />

Monica Vitti e Vittorio Caprioli. Nel 1960 ha affrontato Ibsen,<br />

mettendo in scena Il costruttore Solness; nel 1961 è tornato a Shaw<br />

con La professione della signora Warren e ha girato lo sceneggiato<br />

Graziella, riduzione dell'omonimo romanzo di A. de Lamartine; sono<br />

seguiti Il potere e la gloria (1965), dal romanzo di Graharn Green;<br />

Amarsi male (1966) da Francis Mauriac; un'ottima edizione de le<br />

Sorelle Materassi (1972), dal romanzo di Palazzeschi. Nel 1974 ha


diretto Paolo Stoppa nei primi quattro episodi de Il commissario De<br />

Vincenzi, cui ne sono seguiti altri tre nel 1977. Nel 1978 ha messo<br />

in scena In memoria di una signora amica di Giuseppe Patroni Griffi<br />

e Un lungo grido di libertà, da un romanzo di Federico Garcìa Lorca;<br />

nel 1980 La tela del ragno, pièce teatrale di Agatha Christie, e La<br />

Velia, dal romanzo di Bruno Cicognani.<br />

(Enciclopedia della Televisione, Garzanti Editore, Milano 1996, pag.<br />

265)<br />

Fino Claudio (Torino 1914) regista. Grande artigiano della radio, è<br />

stato uno dei primi registi della nascente TV. Anche se non ha<br />

ottenuto i riconoscimenti di altri suoi colleghi (Vaccari, Majano,<br />

Bolchi, Fenoglio), ha firmato numerose trasposizioni, dimostrando<br />

versatilità e mestiere: Eravamo giovani (1955, originale di Ugo<br />

Buzzolan), L'inseguimento (1956, originale di Riccardo Bacchelli),<br />

Mont Oriol (1958, da Guy de Maupassant), Primo amore (1962, da<br />

Turgenev), I polli di Enrico IV (1964, originale di Vladimiro Cajoli),<br />

Le vie di fatto (1964, originale di Belisario Randone), Oblomov<br />

(1966, da Goncarov, secondo alcuni critici la sua miglior regia),<br />

Dove è finito Hermann Schneider? (1969, di Lunari). Nel 1960 ha<br />

inaugurato il terzo ciclo delle «Grandi produzioni di prosa» con Le<br />

Troiane di Euripide.<br />

(Enciclopedia della Televisione, Garzanti Editore, Milano 1996, pag.<br />

467)<br />

Ghelli Ferdinando (Firenze 1920) scenografo. Per molti anni<br />

ordinario di Scenografia all'Accademia di belle arti di Firenze, ha<br />

realizzato molti allestimenti per i teatri della sua città e per il Maggio<br />

Musicale Fiorentino. Intensa anche la sua attività televisiva come<br />

curatore delle scene di numerosi e drammi e commedie tra cui:<br />

Nozze di sangue, II malato immaginario, Elisir d'amore, Boris<br />

Godunov, I fratelli Castiglioni, In prima pagina, Laura, I lupi, Vestire<br />

gli ignudi, Luisa Miller, Le nozze difficili, Mata Hari, Testa o croce, I<br />

diari, Esami di maturità, La vita di San Benedetto.<br />

(Enciclopedia della Televisione, Garzanti Editore, Milano 1996, pag.<br />

313)<br />

Guglielminetti Eugenio (Asti 1921) scenografo. Diplomatesi in<br />

pittura all'Accademia Albertina di Torino, si è dedicato dal 1953 al<br />

teatro. L'incontro con la televisione è avvenuto dieci anni dopo con<br />

la messa in scena de L'avaro (19j53) di Molière e con // gabbiano<br />

(1964) di Cechov, per la regia di Orazio Costa. Le potenzialità del<br />

mezzo televisivo hanno esaltato l'arte di Guglielminetti, che ha<br />

incominciato a studiare <strong>scenografi</strong>e mobili ideate appositamente per<br />

il piccolo schermo e integrate dagli effetti elettronici. Nel 1973 in<br />

Moby Dick, per la regia di Quartucci, ha studiato un allargamento


dello spazio scenico attraverso l'uso del chroma key. Nello stesso<br />

anno ha incominciato a collaborare con Ugo Gregoretti, con cui ha<br />

realizzato Le tigri di Mompracem (1973) e Viaggio a Goldonia<br />

(1982).<br />

(Enciclopedia della Televisione, Garzanti Editore, Milano 1996, pag.<br />

345)<br />

Landi Mario (Messina 1920 - Roma 1992) regista. Pioniere della<br />

regia televisiva in Italia, arrivò alla professione dopo essersi<br />

diplomato in regia teatrale all'Accademia ed essere stato giornalista,<br />

collaboratore di riviste letterarie, regista teatrale (mise in scena al<br />

circolo culturale Diogene di Milano una sessantina di commedie, su<br />

testi di Pirandello, Capuana, Moravia, De Benedetti) e<br />

cinematografico (Canzoni per le strade; Siamo tutti milanesi; Due<br />

sergenti, come sceneggiatore). Nel 1952 fu assunto in RAI, dove il<br />

ruolo di regista televisivo era ancora tutto da inventare. Dopo un<br />

viaggio a Londra compiuto per documentarsi, si lanciò nella nuova<br />

avventura, ispirandosi al teatro, al cinema, alla radio, al varietà per<br />

ideare originali moduli narrativi. Con Landi incominciò la grande<br />

stagione della prosa e degli sceneggiati televisivi. La sua prima regia<br />

fu nel 1952 una riduzione dell'Orso di Cechov. Seguirono nel 1954<br />

Io sono Gionata Scrivener, nel 1956 Cime tempestose, in cui ricorse<br />

per la prima volta all'uso del rumore fuori campo per rendere l'idea<br />

del sottofondo atmosferico del romanzo della Brönte nel 1957 Il<br />

bambino da un soldo, nel 1958 Canne al vento, nel 1959 Il romanzo<br />

di un maestro e Gli oggetti d'oro, nel 1960 Ragazza mia. Nel 1963<br />

diresse la serie in sei episodi Ritorna il tenente Sheridan e dal 1964<br />

al 1972 tutte le serie delle famose Inchieste del commissario<br />

Maigret, capolavori di finezza psicologica, attenzione ai dettagli,<br />

gusto del racconto popolare. Nel 1967 realizzò Questi nostri figli e<br />

Dossier Mata Hari, mentre l'anno successivo firmò I racconti del<br />

maresciallo. Ricca anche la produzione degli anni '70: diresse nel<br />

1973 Nessuno deve sapere, uno sceneggiato sulla mafia, e Serata al<br />

gatto nero, nel 1979 Accadde ad Ankara e la serie La vedova e il<br />

piedipiatti. Landi allestì inoltre per la TV un centinaio di commedie<br />

(da Turgenev a Pirandello, da Ibsen a Cocteau) e fu anche uno dei<br />

migliori registi di varietà della RAI, dotato di un irriverente gusto<br />

dell'ironia sempre temperato però da un'istintiva misura; portavano<br />

la sua firma Un, due, tre (1954-59) con Tognazzi e Vianello; Casa<br />

Cugat (1955), con Xavier Cugat e Abbe Lane; l'edizione 1960 di<br />

Canzonissima. Nel corso della carriera ottenne numerosi<br />

riconoscimenti, tra cui la Maschera d'Argento, il Microfono d'Argento<br />

e il Premio Napoli.<br />

(Enciclopedia della Televisione, Garzanti Editore, Milano 1996, pagg.<br />

385-386)


Lodovici Carlo (Pistoia 1912 - Parma 1982), attore, regista e<br />

autore. Fu uno dei principali esponenti del teatro Veneto, che<br />

dimostrò di preferire a quello in italiano. Debuttò come attore nella<br />

compagnia di C. Baseggio, dove restò dal 1927 al 1936,<br />

frequentando soprattutto il repertorio goldoniano. Successivamente<br />

recitò con la compagnia del Teatro di Venezia e con S. Tofano. Nel<br />

dopoguerra esordì nella regia e riscosse notevoli consensi con gli<br />

spettacoli diretti per il festival di Venezia. Come autore vanno<br />

ricordate le sue commedie E Giuditta aprì gli occhi! (1949) e Gente<br />

alla finestra (1952).<br />

(Dizionario dello Spettacolo del ‘900, Baldini & Castoldi, Milano<br />

1998, p. 629)<br />

Macchi Eros (Milano 1920) regista. Insieme a Daniele D'Anza, Mario<br />

Landi, Franco Enriquez, Piero Turchetti e Guglielmo Morandi è stato<br />

uno dei primi registi della televisione italiana. Dopo essersi dedicato<br />

alla cinematografia (dal 1949) con una serie di documentali, è<br />

passato alla televisione realizzando nel periodo delle trasmissioni<br />

sperimentali il rotocalco d'informazione Avvenimenti d'oggi;ha<br />

inoltre curato la rubrica di musica leggera Orchestra delle 15,<br />

presentata da Febo Conti e andata in onda il giorno dell'inizio<br />

ufficiale delle trasmissioni (3 gennaio 1954). Si è cimentato in tutti i<br />

generi televisivi, dimostrando grandi capacità inventive. Fin dal<br />

1955, con Via delle sette note e Un due e tre si è accostato al<br />

varietà: ha firmato diverse edizioni di Canzonissima ('61, 71, '74),<br />

dal 1963 al 1966 i varietà serali di cui era protagonista Dorelli,<br />

Johnny 7 e Johnny sera, Adriano Clan (1964), il gioco a premi<br />

condotto da Corrado Su e giù (1968), Doppia coppia (1969) con<br />

Alighiero Noschese e Bice Valori, Signore e signora (1970) con<br />

l'«amore litigarello» di Delia Scala e Lando Buzzanca, Formula due<br />

(1973), in cui ha tenuto a battesimo Loretta Goggi come soubrette;<br />

e ancora, Settimo anno (1978), Luna park (1979), Zim Zum Zam<br />

(1981), Le regine (1982), Io a modo mio (1985), sorta di riedizione<br />

del Mattatore costruita sulle performance di Gigi Proietti. Per<br />

Retequattro (nel periodo in cui l'emittente era controllata da<br />

Mondadori) ha curato la regia di Un milione al secondo, game show<br />

condotto da Pippo Baudo. Nella fiction, dopo alcuni polizieschi -<br />

L'arma del delitto (1958), Sospetto (1959) - si è distinto per la<br />

messa in scena di importanti testi della letteratura mondiale: se si<br />

eccettua la versione un po' edulcorata di Tom Jones (1960), si è<br />

trattato sempre di trasposizioni rigorose che rendevano pienamente<br />

la forza comunicativa delle opere da cui erano tratte. Tra le prove<br />

migliori: La tua mano (1962) da Tennessee Williams, La luna è<br />

tramontata (1962) da Steinbeck, La bella addormentata (1963) da<br />

Feydeau, Erano tutti figli miei (1965) da Arthur Miller, È mezzanotte<br />

dottor Schweitzer (1966) da Cesbron, Candida (1969) da Shaw. Ha


affrontato anche testi meno impegnativi, come Invito a pranzo e<br />

Sheila si sposa (1958), Capitano tutte a me (1960), Tutto da<br />

rifare pover'uomo (1961), La volpe fortunata (1963), Le buffe<br />

solitudini (1976), La superspia (1977).<br />

(Enciclopedia della Televisione, Garzanti Editore, Milano 1996, pag.<br />

418)<br />

Majano Anton Giulio (Chieti 1912 - Roma 1994) regista. Impegnato<br />

nella resistenza, nell'ultima fase del conflitto organizzò a Bari un<br />

programma radiofonico, L'Italia combatte, che mandò in onda fino a<br />

liberazione avvenuta, spostandone la redazione verso il Nord col<br />

progredire del fronte. Nel dopoguerra, dopo diversi anni di attività<br />

giornalistica e radiofonica, girò alcuni film (Vento d'Africa, 1949; I<br />

fratelli còrsi, 1963). All'avvento della televisione «inventò» e<br />

realizzò, con Piccole donne (1955) da L.M. Alcott, il teleromanzo a<br />

puntate, un nuovo genere di spettacolo destinato a un immediato e<br />

straordinario successo. Da allora in poi i teleromanzi di Majano si<br />

susseguirono numerosi, segnando tappe decisive nella storia della<br />

televisione italiana: L'alfiere (1956), Jane Eyre (1957), Capitan<br />

Fracassa (1958), L'isola del tesoro (1959), I figli di Medea (1959),<br />

Ottocento (1959), Una tragedia americana (1962), Delitto e castigo<br />

(1963), La cittadella (1964), David Copperfield (1965), La fiera delle<br />

vanità (1967), La freccia nera (1968), E le stelle stanno a guardare<br />

(1971), Marco Visconti (1975), Il signore dì Ballantrae (1979),<br />

L'eredità della priora (1980), L'amante dell'Orsa Maggiore (1982).<br />

Fu anche il regista della fortunata serie d'azione Qui squadra mobile<br />

(1973 e '76). «Al caldo consenso che il pubblico - ha scritto Italo<br />

Moscati - ha riservato ai teleromanzi di Majano si è spesso<br />

accompagnato il dissenso della critica; o almeno, di quella che suol<br />

definirsi "più esigente", che rimprovera al regista una certa<br />

tendenza a far vibrare un po' troppo la corda del sentimento. È una<br />

critica dalla quale Majano non si lascia turbare; e alla quale,<br />

volendo, avrebbe da opporre validi argomenti. Narrare a un pubblico<br />

di milioni di persone, e perciò quanto mai eterogeneo, non è come<br />

narrare a ristrette platee di iniziati. Sottolineare i grandi sentimenti<br />

che circolano in una storia: che peccato è? Quanto allo stile e al<br />

linguaggio, il regista dissente da quanti vedono nel racconto<br />

televisivo niente altro che cinema da piccolo schermo». Ha<br />

dichiarato Majano: «Io ritengo che il teleromanzo debba avere il<br />

ritmo, l'ampiezza, l'apertura analitica del libro. Confrontare il<br />

teleromanzo con un film è una sciocchezza: i veri fumetti sono<br />

proprio certi film, che delle opere letterarie fanno sintesi ridicole».<br />

Majano è stato l'interprete più fedele di quella televisione delle<br />

origini che sognava di trasformare il nuovo mezzo in una sorta di<br />

«seconda scuola», in una biblioteca illustrata attraverso cui far<br />

conoscere tutte «le grandi firme» della letteratura mondiale. Con


uno sguardo al sentimentalismo ottocentesco (le cui atmosfere<br />

vengono evocate attraverso sapienti dettagli, struggenti giochi<br />

narrativi ed enfatici finali) e con feconde intuizioni linguistiche (con<br />

cui realizza, spesso con mezzi artigianali, prodigiosi quadri<br />

televisivi), Majano rappresenta felicemente l'ortodossia della regia<br />

televisiva nel teleromanzo codificando quello che sarà per molto<br />

tempo un sicuro modello di riferimento.<br />

(Enciclopedia della Televisione, Garzanti Editore, Milano 1996, pag.<br />

425)<br />

Mammì Maurizio (Roma 1929) scenografo. Dopo alcuni anni di<br />

lavoro in teatro, nel 1958 è entrato in RAI dove ha realizzato gli<br />

allestimenti di un gran numero di romanzi sceneggiati. Già nel 1959<br />

si è distinto per le accurate ambientazioni (fino alla ricstruzione dello<br />

studio e della poltrona di Cavour) di Ottocento, diretto da Majano;<br />

nello stesso anno ha lavorato alle <strong>scenografi</strong>e del Romanzo di un<br />

maestro di De Amicis e della tragedia shakespeariana Giulio Cesare,<br />

diretta da Sandro Bolchi, che ha affiancato anche nella commedia di<br />

Kleist La brocca rotta (1961), in Demetrio Pianelli (1963), nei<br />

Miserabili (1964) e nei Demoni (1972). È stato lo scenografo di Le<br />

colonne della società (1960) diretto da Paolo Giuranna, Peppino<br />

Girella (1963) di Eduardo De Filippo, Faust a Manhattan (1965),<br />

opera lirica di Mario Nascimbene, Qualcuno tra voi di Diego Fabbri,<br />

cimentandosi anche nelle ambientazioni di varietà come Il mattatore<br />

(1959, per alcune puntate), Discoring e del contenitore domenicale<br />

di Raiuno Domenica in. Sostenitore della possibilità di costruire gli<br />

esterni in studio e ideatore di fondali utilizzabili per situazioni e<br />

ambientazioni diverse (come nella Vita di Michelangelo, firmato da<br />

Blasi nel 1964), ha realizzato con esiti apprezzabili anche spazi che<br />

prescindessero dal vincolo del realismo, come le scene del Processo<br />

di Kafka (1978).<br />

(Enciclopedia della Televisione, Garzanti Editore, Milano 1996, pag.<br />

427)<br />

Marzot Vera (Milano 1931), costumista. Compie gli studi classici,<br />

all'Università internazionale di studi sociali di Roma e vince una<br />

borsa di studio per la sezione costume del Centro sperimentale di<br />

cinematografia. Inizia l'attività professionale nel cinema come<br />

assistente ai costumi con P. Zuffi nel 1959 per il film Il Generale<br />

della Rovere di R. Rossellini. Per alcuni anni a partire dal 1962 è<br />

assistente di P. Tosi con cui inizia una lunga collaborazione lavorando<br />

a film come Il Gattopardo di Visconti. Il suo esordio nel<br />

teatro lirico avviene quando Visconti le affida i costumi per il Don<br />

Carlos di Verdi (Opera di Roma 1965); seguiranno altre produzioni<br />

come Rosenkavalier di Strauss (1966) sempre all'Opera e Traviata<br />

di Verdi (Covent Garden di Londra). Trascura sempre più il cinema


dedicandosi al teatro, instaurando un'interessante collaborazione<br />

con il regista L. Ronconi, creando i costumi per numerosi spettacoli<br />

di prosa tra cui L'anitra selvatica di Ibsen (Stabile di Genova, 1976),<br />

L'uccellino azzurro di Maeterlinck (Teatro Regio di Reggio Emilia,<br />

1979), Ignorabimus di Holtz (Prato Teatro Regionale Toscano,<br />

1986), Il mercante di Venezia di Shakespeare (Comédie-Francaise,<br />

1987), L'uomo difficile di Hofmannsthal (Stabile di Torino, 1990),<br />

Questa sera si recita a soggetto di Pirandello (coproduzione Teatro<br />

di Roma, Expo Lisbona, 1998). Inoltre disegna i figurini per Aida di<br />

Verdi (Teatro alla Scala, 1985), spettacolo in cui i costumi hanno<br />

una parte dominante nell’illusione scenica. Qui alla ricerca minuziosa<br />

del dettaglio e al sensibile uso del colore, abbina una grande abilità<br />

e fantasia nell'uso dei tessuti e dei materiali. E ancora per il teatro<br />

d'opera il Fetonte di Jommelli (1988), Oberon di Weber (1989),<br />

Lodoiska di Cherubini (1991), Tasca di Puccini (1996), tutte opere<br />

progettate per il Teatro alla Scala con la regia di L. Ronconi. Sempre<br />

con il medesimo regista fra gli altri cura i costumi di Giro di vite di<br />

Britten al Teatro Regio di Torino (1995), L'Orfeo e Il ritorno di Ulisse<br />

in patria di Monteverdi nel 1998.<br />

(Dizionario dello Spettacolo del ‘900, Baldini & Castoldi, Milano<br />

1998, p. 682)<br />

Mercuri Mariano (Ancona 1928) scenografo. Sotto l'egida del<br />

maestro Guido Ballo, nel 1953 è stato scelto con altri tre <strong>scenografi</strong><br />

per costituire il primo gruppo di supporto agli spettacoli della RAI di<br />

Milano. Utilizzando le suggestioni dell'arte contemporanea e i<br />

materiali offerti dalle nuove tecnologie, ha saputo nelle sue<br />

<strong>scenografi</strong>e ricostruire il fantastico nel reale. Esempi significativi di<br />

questa sua capacità sono le fanta-scientifiche scene di A come<br />

Andromeda, il gusto realistico che domina il Trittico milanese e<br />

l'ironia borghese che è esaltata sul palcoscenico della Commediante<br />

di Venezia. Ha continuato con successo a lavorare per il teatro<br />

anche dopo l'inizio dell'attività televisiva. Il suo lavoro ha ottenuto<br />

riconoscimenti internazionali e la Scala gli ha affidato l'allestimento<br />

delle ambientazioni per centinaia di opere teatrali classiche e<br />

moderne.<br />

(Enciclopedia della Televisione, Garzanti Editore, Milano 1996, pagg.<br />

449-450)<br />

Molinari Vito (Sestri Levante 1929) regista. Dopo un inizio di<br />

carriera avvenuto in teatro, dal 1954 si è dedicato quasi esclusivamente<br />

alla regia televisiva, cominciando con i varietà Un, due, tre<br />

(1954), Ti conosco mascherina (1955) e l'operetta No, no, Nanette<br />

(1955), di cui ha curato anche le edizioni del 1961 e 1974, e<br />

proseguendo con La via del successo (1958), con Walter Chiari,<br />

Valentina (1958), firmata con Marchesi e Metz, e L'amico del


giaguaro (1961). Nel 1962 ha diretto l'edizione di Canzonissima,<br />

rimasta memorabile per la censura di uno sketch di Dario Fo e<br />

Franca Rame da parte dei vertici della RAI. Regista e coautore di<br />

Macario più nel 1978, ha curato nel 1981 l'omaggio della televisione<br />

all'indimenticabile Gilberto Govi. Versatile e intuitivo, Molinari non<br />

ha trascurato la prosa, cimentandosi con l'impegnativo Annuncio a<br />

Maria (1957) e con la riduzione de I nervi di Cechov (1962). Nel<br />

1986 ha firmato un (insipido) sceneggiato sul mondo delle riviste di<br />

moda, Atelier. È stato anche regista del varietà Macario Uno e Due<br />

(1992) e curatore di uno special con Paolo Poli su Radiodue (1994).<br />

(Enciclopedia della Televisione, Garzanti Editore, Milano 1996, pag.<br />

467)<br />

Morandi Guglielmo (Roma 1913) regista. Dal suo esordio nel 1938,<br />

appena venticinquenne, con il Fuenteovejuna di Lope de Vega, ha<br />

firmato più di mille regie in teatro, radio e televisione. Considerato<br />

uno dei pionieri della televisione, regista meticoloso e colto, si è<br />

cimentato in numerosi generi, dalla prosa al giallo, dalla commedia<br />

al dramma. Ha diretto: Il sogno dello zio da Dostoevskij (1956),<br />

Omicidio in biblioteca e Padri e figli di Turgenev (entrambi nel<br />

1958), II fuggiasco, La casa delle sette torri e Il vicario di Wakefield<br />

nel 1959; nel 1960 ha curato la regia di Appuntamento con la morte<br />

e la terza serie di Giallo club. Invito al poliziesco di cui l'anno<br />

successivo ha firmato altri otto episodi. Con la compagnia «I nuovi»,<br />

affidatagli dalla RAI, ha girato tra il 1961 e il 1962 le commedie Tre<br />

maschi e una femmina, Addio giovinezza e Giorni felici. Sempre del<br />

1961 è lo sceneggiato Compagno di viaggio, mentre nel 1962 (e<br />

negli anni successivi) si è occupato di numerose puntate della lunga<br />

serie Vivere insieme. Nel 1965 ha diretto Marianna Sirca, dal<br />

romanzo della Deledda, e nel 1968 i racconti della serie Sherlock<br />

Holmes. Nel 1971 è stata la volta di Giallo di sera (di cui ha curato<br />

anche l'adattamento), di due episodi della rassegna dedicata a<br />

Paddy Chayefsky e dello sceneggiato Il laccio rosso di Edgar<br />

Wallace; nel 1977, infine, ha firmato Don Giovanni in Sicilia.<br />

(Enciclopedia della Televisione, Garzanti Editore, Milano 1996, pagg.<br />

471-472)<br />

Passalacqua Tommaso (Roma 1936) scenografo. Entrato in RAI nel<br />

1961, ha collaborato con i più grandi registi televisivi, realizzando<br />

ambientazioni d'epoca per gli sceneggiati, scene essenziali per il<br />

dramma classico, allestimenti fantasiosi per il varietà. Sue sono le<br />

scene del fortunato Giornalino di Gian Burrasca (1964), diretto da<br />

Lina Wertműller, e di Mixer (1980), il programma giornalistico di<br />

Giovanni Minoli. Tra i più importanti lavori di fiction o di prosa per i<br />

quali ha curato le <strong>scenografi</strong>e vanno ricordati La sciarpa (1961), per<br />

la regia di Morandi, Filumena Marturano (1962) e Sabato domenica


e lunedi (1963), diretti da E. De Filippo, La bisbetica domata (1963)<br />

di Enriquez, Paura per Janet (1963) di D'Anza, Gli equivoci d'una<br />

notte (1963) e La verità sospetta (1964) di Fenoglio, Cosi è (se vi<br />

pare) (1963) di Cottafavi, La porta chiusa (1964) di Morandi, Tra<br />

vestiti che ballano (1965) di Colli-Lilioni-Macchi, Del vento fra i rami<br />

del sassofrasso (1967) di Bolchi, La donna di quadri (1968) di Cortese,<br />

La parigina (1969) di Montemurri, La miliardario (1972),<br />

Giovanni Cena (1978) e Gli ospiti (1980) di Berlinguer, Gli irreperibili<br />

(1976) di Nocita, Delitto all'isola delle capre (1977) di Colosimo, Il<br />

giorno dell'attacco (1979) di Pino Passalacqua.<br />

(Enciclopedia della Televisione Garzanti, Garzanti Editore, Milano<br />

1996, pag. 530)<br />

Pizzi Pierluigi (Milano 1930), scenografo, costumista e regista.<br />

Dopo aver frequentato la facoltà di architettura inizia la sua carriera<br />

nel 1951 al Teatro Stabile di Genova. Nel 1957 incontra il regista G.<br />

De Lullo con il quale instaura una intensa collaborazione destinata a<br />

protrarsi negli anni successivi, nell'ambito del teatro di prosa e<br />

lirico. Collabora con De Lullo alla Compagnia dei Giovani allestendo<br />

numerosi spettacoli tra cui La notte dell'Epifania di Shakespeare<br />

(Verona 1961), e nel 1963 il memorabile Sei personaggi in cerca<br />

d'autore di Pirandello e Il malato immaginario di Molière al Festival<br />

di Spoleto, dove conferma il fertile sodalizio con G. De Lullo e R.<br />

Valli. Per il teatro d'opera realizza numerosi spettacoli, tra cui<br />

l’Alceste di Gluck (Maggio musicale fiorentino 1966), I vespri siciliani<br />

di Verdi, entrambi per la regia di De Lullo (Teatro alla Scala 1970).<br />

Interessante è la collaborazione con L. Ronconi, per il celeberrimo<br />

Orlando furioso nel 1969 e in seguito per discussa edizione del Ring<br />

wagneriano. Le sue <strong>scenografi</strong>e raffinate ed eleganti costruiscono un<br />

discorso visuale tendente al preziosismo; gli oggetti di scena<br />

diventano parte essenziale della <strong>scenografi</strong>a, sino a determinarne<br />

l'essenza. Debutta come regista nel 1977 con il Don Giovanni di<br />

Mozart (Teatro Regio di Torino). Una segnalazione particolare<br />

meritano il suo interesse e la sua passione per la messinscena di<br />

opere barocche: un percorso iniziato con l'Orlando furioso di Vivaldi<br />

(Verona, Teatro Filarmonico 1978) e sviluppato con la Semiramide<br />

(Aix-en-Provence 1980) e il Tancredi di Rossini (Festival di Pesare<br />

1982). In questi allestimenti predomina il colore bianco nella<br />

<strong>scenografi</strong>a; la plasticità e i costumi, costruiti come forme e volumi<br />

(colonne, capitelli), si accostano e si integrano nell'architettura di<br />

scena, per la sintesi nel dettaglio e la scelta cromatica. La sua<br />

attività di regista scenografo e costumista si sviluppa negli anni '80<br />

producendo interessanti spettacoli, dove lo stile barocco viene<br />

esaltato nelle sue caratteristiche linee decorative, ottenendo<br />

impianti scenici di estremo rigore architettonico, a volte usando<br />

macchine e trucchi teatrali tipici del teatro sei-settecentesco. Tra le


sue produzioni Ippolito e Aricia di Rameau (Festival di Aix-en-<br />

Provence 1983), Ariodante e Rinaldo di Handel (Parigi, Teatro<br />

Chàtelet 1985), Alceste di Gluck (Roma, Teatro dell'Opera 1985), La<br />

passione secondo san Giovanni di Bach (Venezia, Teatro la Fenice<br />

1984), Armide di Gluck come apertura di stagione al Teatro alla<br />

Scala (1996). Collabora frequentemente con il Rossini Opera<br />

Festival a Pesare; tra le sue messinscene ricordiamo Mosè in Egitto<br />

(1983), Comte Ory (1984), Maometto II (1985), Guglielmo Tell<br />

(1996). Il suo stile eclettico e personale si integra anche con il<br />

melodramma ottocentesco, come Capuleti e Montecchi (1987), I<br />

vespri siciliani (1990), entrambe al Teatro alla Scala, Don Carlos<br />

(Maggio fiorentino 1989). Inaugura il Teatro dell'Opéra-Bastille di<br />

Parigi con Les Troyens di H. Berlioz.<br />

(Dizionario dello Spettacolo del ‘900, Baldini & Castaldi, Milano<br />

1998, pagg. 849-850)<br />

Rubertelli Nicola (Napoli 1937) scenografo. Dagli anni '60 ha<br />

curato allestimenti sia per il teatro (Riccardo III, diretto da Calenda;<br />

Il mondo della luna, per la regia di Ferrero) sia per la televisione.<br />

Per quest'ultima ha realizzato di preferenza le ambientazioni per<br />

spettacoli di prosa - tra cui Il padre, diretto da Giorgio Pressburger,<br />

Leocadia, messa in scena da Ferrero, La putta onorata e La buona<br />

moglie dirette da Ronconi - e per sceneggiati: La fiera delle vanità<br />

(1967) di Majano, Il segno del comando (1971) di D'Anza, Il<br />

marchese di Roccaverdina (1972) di Fenoglio, La morte al lavoro<br />

(1979) girato da Amelio. Distintosi per i suoi allestimenti<br />

particolarmente elaborati, ha dimostrato di aver ben compreso la<br />

valenza segnica del linguaggio <strong>scenografi</strong>co, vero e proprio codice<br />

espressivo capace di raccontare per immagini.<br />

(Enciclopedia della Televisione, Garzanti Editore, Milano 1996, pag.<br />

637<br />

Salvini Guido (Firenze 1893 - ivi 1964), regista e scenografo.<br />

Studiò giurisprudenza e musica all'università e al Conservatorio di<br />

Padova. Tra il 1925 e il 1927 collaborò con il Teatro d'Arte di Roma<br />

diretto da Pirandello; tra l'altro, guidò la compagnia in una fortunata<br />

tournée all'estero, e successivamente (a Praga, Vienna e Budapest)<br />

allestì con attori locali testi di Pirandello e Bontempelli. Al ritorno in<br />

Italia firmò regie di spettacoli di prosa, lirica e balletto, curando<br />

spesso anche la <strong>scenografi</strong>a. Nel 1930 costituì una compagnia di<br />

giovani (formata da R. Ricci, C. Ninchi, E. Biliotti, B. Starace Sainati,<br />

P. Cei) con cui mise in scena la prima versione italiana di Questa<br />

sera si recita a soggetto. Nel 1933 fu direttore dell'allestimento<br />

scenico e responsabile del settore prosa alla prima edizione del<br />

Maggio musicale fiorentino, invitando, per la prima volta in Italia,<br />

Max Reinhardt e Jacques Copeau. Organizzatore di grandi spettacoli


all'aperto in luoghi particolarmente suggestivi (Giardino di Boboli),<br />

sostenne la creazione di un teatro nazionale e di teatri stabili,<br />

istituzioni ritenute in grado di formare adeguatamente gli attori<br />

italiani. Tra il 1938 e il 1944 insegnò regia all'Accademia d'arte<br />

drammatica e, dal 1950 al 1952, diresse la compagnia del Teatro<br />

Nazionale. Salvini, oltre a curare il repertorio classico, fu attento<br />

valorizzatore della drammaturgia contemporanea. I suoi allestimenti<br />

furono molto apprezzati anche all'estero.<br />

(Dizionario dello Spettacolo del ‘900, Baldini & Castoldi, Milano<br />

1998, p. 958)<br />

Scaglione Massimo (Garessio, Cuneo, 1931) regista. Entrato in RAI<br />

nel 1955, ha lavorato per 37 anni nella sede di Torino come regista;<br />

nel frattempo collaborava con il Teatro Stabile di Torino e fondava<br />

(1958) II Teatro delle Dieci. In televisione si è occupato prevalentemente<br />

di prosa, mostrando un particolare gusto per lo<br />

svelamento della rappresentazione e cercando di portare in scena la<br />

diversità degli stili e dei linguaggi; ha diretto anche programmi<br />

culturali e spettacoli di intrattenimento. Tra le sue principali regie Il<br />

teatro di Arlecchino (1966), I giovedì della signora Giulia (1970),<br />

Una nuvola d'ira con Gipo Farassino (1982), Grand Hotel Folies<br />

(1982), su testi di Guido Davico Bonino, Storie naturali, dai racconti<br />

di Primo Levi. Nel 1990 ha pubblicato Il dizionario del teatro.<br />

Divertimento intorno al mondo dello spettacolo.<br />

(Enciclopedia della Televisione, Garzanti Editore, Milano 1996, pag.<br />

653)<br />

Scandella Mischa (Mario S.; Venezia, 1921 - ivi 1983), scenografo<br />

e costumista. Il suo esordio al Teatro Universitario di Padova gli<br />

consente di collaborare con G. Poli (con cui realizza più avanti L'amore<br />

delle tre melarance di Prokof’ev, Torino, Teatro Regio,<br />

stagione 1977-78, con una singolare piattaforma scorrevole sulla<br />

quale poggiano tre grandi melarance arancioni) e G. De Bosio, con<br />

cui in seguito dirige il Teatro Ruzante. Considerato infatti un esperto<br />

di spettacoli ruzantiani (e goldoniani), il suo repertorio <strong>scenografi</strong>co<br />

rimane caratteristicamente legato alla cultura veneziana con uno<br />

stile tradizionale, particolarmente adeguato all'allestimento delle<br />

opere dei due drammaturghi. Tuttavia, la prolifica attività degli anni<br />

della maturazione e di quelli più recenti, lo conduce a confrontarsi<br />

con successo con i moderni (Brecht, Moravia, Anouilh), con il teatro<br />

d'opera (Macbeth di Verdi, Torino, Teatro Regio, stagione 1977-78;<br />

Ernani di Verdi, Trieste, Teatro Verdi, 1979) ed il balletto (La cimice<br />

di Majakovskij).<br />

(Dizionario dello Spettacolo del ‘900, Baldini & Castoldi, Milano<br />

1998, p. 977)


Sequi Sandro (Roma 1933 - presso Konya, Turchia, 1998), regista.<br />

Si laurea in lettere all'Università di Roma nel 1956 e nello stesso<br />

anno entra all'Accademia d'arte drammatica 'S. D'Amico' (corso di<br />

regia), diplomandosi nel 1959 con lo spettacolo-saggio II giuoco<br />

delle parti di Pirandello. Già durante l'università svolge attività di<br />

critico, collaborando alla realizzazione dell'Enciclopedia dello<br />

spettacolo e assumendo la rubrica di danza nel quotidiano romano<br />

"II Tempo". Dal 1960 al 1962 è assistente di F. Enriquez alla<br />

direzione artistica del Teatro stabile di Napoli, dove debutta come<br />

regista di prosa con la novità di Aldo Nicolaj Il soldato Piccicò<br />

(protagonista Gian Maria Volonté); allestisce anche una serie di atti<br />

unici italiani (di Guaita, Flaiano e Wilcock) al Festival di Spoleto.<br />

Inizia la sua attività nel campo della regia lirica, che lo porterà nei<br />

maggiori teatri europei (Covent Garden, Opera, Scala) e americani<br />

(Metropolitan di New York). Nella prosa, nel 1969 dirige l'attività del<br />

Teatro Flaiano (allora Teatro Arlecchino) per il Teatro Stabile di<br />

Roma, mettendo in scena due novità assolute: Faust '67 di Landolfi<br />

e Soluzione finale di Augias. Nel 1970 forma una compagnia con la<br />

Brignone e Santuccio per una riuscita edizione de Il matrimonio di<br />

Figaro di Beaumarchais (con Proietti, Adriana Asti e Sergio Fantoni)<br />

e di un'importante Danza di morte di Strindberg con le scene di E.<br />

Colombotto Rosso; in tv dirige, nel corso degli anni 70, una ventina<br />

di commedie. Nel 1980 fonda a Roma la Cooperativa Teatromusica,<br />

per la quale presenta, nei suoi tre anni di vita, tre spettacoli basati<br />

sull'idea di un teatro di alto valore poetico: Stella di Goethe,<br />

Britannico di Ra-cine e Olimpiade di Metastasio. Lavora in seguito<br />

quasi sempre in strutture pubbliche, come Veneto Teatro (I<br />

pettegolezzi delle donne di Goldoni, 1982; Elettra di Hofmannsthal e<br />

Il campiello di Goldoni, 1983; I pitocchi fortunati di Gozzi, 1984; La<br />

sorpresa dell'amore di Marivaux, 1989), il Teatro stabile di Catania<br />

(Bellini di Isgrò, 1986; La vita che ti diedi di Pirandello, 1987;<br />

Rapacità di Gor'kij, 1988; Stelle del firmamento di Puig, 1989), il<br />

Teatro di Roma (La bella selvaggia di Goldoni, 1987). Poche le<br />

collaborazioni con compagnie private: Molto rumore per nulla di<br />

Shakespeare con la Moriconi e Micol, Il malinteso di Camus (1985) e<br />

A porte chiuse da Sartre e Mishima (1987) con la compagnia Valli-<br />

Malfatti. Dal 1989 al 1996 è direttore artistico del Centro teatrale<br />

bresciano; il primo progetto di lavoro da lui avviato, dedicato alla<br />

cultura russa, inizia con I villeggianti di Gor'kij (1989-90) e si<br />

conclude nella stagione 1990-91 con Hotel des àmes di Enrico<br />

Groppali e Anfissa di Andreev. Con la stagione 1991-92 inizia il<br />

progetto dedicato al teatro francese, nell'ambito del quale mette in<br />

scena Britannico e Berenice di Racine (in un'unica serata) e Vittime<br />

del dovere di lonesco. Nella stagione 1992-93 allestisce una novità<br />

assoluta per l'Italia, Non c'è domani di Julien Green, e<br />

successivamente (1993-94) A mosca cieca di Groppali. Dalla


stagione successiva iniziano i 'Percorsi di teatro anglosassone':<br />

Sequi propone la prima rappresentazione in Italia di La sposa di<br />

campagna di Wycherley e, nella stagione 1995-96, Ali di Kopit e<br />

Macbeth di Shakespeare. Fra i maggiori successi in campo lirico,<br />

l'Ifigenia in Tauride di Gluck con le scene e i costumi di G. Manzù<br />

(Firenze 1981) e il Rigoletto di Verdi (Vienna 1983), entrambi diretti<br />

da Riccardo Muti, e la prima mondiale del Saint Francois d'Assise di<br />

Messiaen (Parigi 1983). L'ultimo suo lavoro, prima dell'incidente<br />

automobilistico in cui ha perso la vita, è stato Il barbiere di Siviglia<br />

di Rossini, che ha debuttato all'Opera del Cairo nel marzo 1998.<br />

(Dizionario dello Spettacolo del ‘900, Baldini & Castoldi, Milano<br />

1998, pag. 998)<br />

Spadaro Ottavio (Catania 1922 - Roma 1996), regista, critico e<br />

autore drammatico. Laureatosi in giurisprudenza, fondò nel 1942 il<br />

Teatro universitario di Bolzano. Nel 1948 si diplomò all'Accademia<br />

nazionale d'arte drammatica con un allestimento del Cane del<br />

giardiniere di Lope de Vega. Tra le sue molte regie vanno ricordate<br />

quelle legate al teatro pirandelliano, quella di Corruzione al Palazzo<br />

di Giustizia di U. Betti (1956) e quelle di testi contemporanei. Nei<br />

suoi spettacoli dedicò un'attenzione particolare alla cura della recitazione,<br />

considerandola l'elemento primo e fondante di ogni messa<br />

in scena. Scrisse anche alcuni importanti saggi sul teatro di Betti.<br />

(Dizionario dello Spettacolo del ‘900, Baldini & Castoldi, Milano<br />

1998, pag. 1024)<br />

Voglino Emilio (Asti 1929) scenografo. Ha iniziato a collaborare con<br />

la RAI nel 1954; da quel momento ha firmato gli allestimenti di<br />

decine di sceneggiati e commedie, nonché di serie poliziesche (Qui<br />

squadra mobile) e di teleromanzi a sfondo storico, come L'affare<br />

Dreyfus (1968) e Oliver Cromwell (1969), che richiedevano un<br />

notevole realismo nella ricostruzione degli ambienti. Di lui si<br />

ricordano in particolare le <strong>scenografi</strong>e di Piccole donne (1955), //<br />

Vicario di Wakefield (1959), La Pisana (1960), Canne al vento<br />

(1961), David Copperfield (1965), E le stelle stanno a guardare<br />

(1971), nei quali si è distinto per la fedeltà agli ambienti descritti nei<br />

testi letterari.<br />

(Enciclopedia della Televisione, Garzanti Editore, Milano 1996, pag.<br />

844)

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