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Introduzione agli Scritti di Benjamin - Walter Benjamin 0.2

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Theodor W. Adorno<br />

<strong>Introduzione</strong> <strong>agli</strong> <strong>Scritti</strong> <strong>di</strong> <strong>Benjamin</strong><br />

[in Note per la letteratura 1961-1968, Torino, Einau<strong>di</strong> 1979, pp. 243-257.]<br />

La pubblicazione <strong>di</strong> un’ampia e<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> scritti <strong>di</strong> <strong>Benjamin</strong> 1 deve render<br />

giustizia al loro significato obiettivo. L’intenzione non è semplicemente <strong>di</strong> raccogliere<br />

l’opera <strong>di</strong> tutta una vita <strong>di</strong> un filosofo o <strong>di</strong> un dotto, né <strong>di</strong> render giustizia a uno che è<br />

morto vittima della persecuzione nazista e il cui nome fin dal 1933 fu rimosso dalla<br />

coscienza pubblica tedesca. Il concetto <strong>di</strong> opera <strong>di</strong> una vita, nell’accezione familiare<br />

al XIX secolo, è a <strong>Benjamin</strong> inadeguato; è <strong>di</strong>scutibile se una tale opera, che richiede<br />

una vita compiuta senza fratture in base a presupposti propri, oggi sia ancora<br />

concessa a qualcuno; certo è però che le catastrofi storiche della sua epoca<br />

negarono a <strong>Benjamin</strong> la rotonda unità del configurato e condannarono alla<br />

frammentarietà tutta quanta la sua filosofia, non soltanto il grande abbozzo dei suoi<br />

ultimi anni, sul quale puntò tutto. Il tentativo <strong>di</strong> proteggerlo proprio per questo alla<br />

minaccia dell’oblio sarebbe naturalmente legittimo a sufficienza: il livello <strong>di</strong> testi<br />

come quello sulle Affinità elettive <strong>di</strong> Goethe e sulle Origini del dramma barocco, da<br />

lungo tempo ben noto a una piccola cerchia, offrirebbe certo pienamente occasione<br />

<strong>di</strong> rendere nuovamente accessibili testi che per decenni sono andati perduti. Solo<br />

che un tale tentativo <strong>di</strong> risarcimento spirituale avrebbe un momento <strong>di</strong> impotenza<br />

che nessuno con maggior durezza <strong>di</strong> <strong>Benjamin</strong> avrebbe riconosciuto come <strong>di</strong>retto<br />

contro lui stesso, essendosi coraggiosamente <strong>di</strong>sfatto dell’infantile fede nella<br />

immutabilità e nella durata astorica delle creazioni spirituali. Quel che piuttosto<br />

motiva la decisione <strong>di</strong> pubblicare un’opus che il suo autore avrebbe magari preferito<br />

nascosta «in cripte <strong>di</strong> marmo» per venir <strong>di</strong>ssepolta in giorni migliori, è una promessa<br />

che emanava da <strong>Benjamin</strong>, sia come scrittore sia come persona, ricordare la quale è<br />

<strong>di</strong>venuto tanto più urgente in quanto le strapotenti forze dell’effettuale oggi appaiono<br />

congiurate per non far più insorgere niente del genere; è un fascino <strong>di</strong> una specie<br />

unica. Esso non <strong>di</strong>scende soltanto dallo spirito, dalla pienezza, dall’originalità e dalla<br />

profon<strong>di</strong>tà. I pensieri <strong>di</strong> <strong>Benjamin</strong> brillano <strong>di</strong> un colore che nello spettro dei pensieri<br />

non c’è e che appartiene a un or<strong>di</strong>namento nei confronti del quale la coscienza <strong>di</strong><br />

solito chiude subito gli occhi per non provar nausea del mondo usitato e dei suoi fini.<br />

Quel che. <strong>Benjamin</strong> <strong>di</strong>ceva e scriveva suonava come se provenisse dal mistero. La<br />

1 Cfr. W. BENJAMIN, Schriften, e<strong>di</strong>te da T.W. Adorno e G. Adorno con la collaborazione <strong>di</strong> F.<br />

Podszus, 2 voll., Frankfurt am Main 1955.


sua forza Ia riceveva dall’evidenza. La sua opera rimase esente dalle smancerie<br />

della dottrina del mistero e dell’iniziazione; <strong>Benjamin</strong> non esercitò mai un «pensiero<br />

privilegiato» 2 . Per la verità lo si sarebbe potuto immaginar bene come mago con<br />

l’alto cappello a punta e a volte egli ha anche consegnato ai suoi amici dei pensieri<br />

come oggetti magici preziosi e fragili; ma a tutti, anche ai più strani e avventurosi,<br />

era sempre aggiunta tacitamente una specie <strong>di</strong> in<strong>di</strong>cazione che la coscienza sveglia<br />

avrebbe potuto impadronirsi precisamente <strong>di</strong> quelle conoscenze solo se fosse stata<br />

sveglia a sufficienza. Le sue parole non si richiamavano alla rivelazione ma a un tipo<br />

<strong>di</strong> esperienza che si <strong>di</strong>stingueva da quella generale unicamente perché <strong>Benjamin</strong><br />

non rispettava le limitazioni e le proibizioni cui è solita piegarsi la coscienza<br />

ammaestrata. In nessuna delle sue manifestazioni <strong>Benjamin</strong> ha fatto riconoscimento<br />

dei limiti che tutto il pensiero dell’era moderna ha ritenuto ovvi, cioè l’imperativo<br />

kantiano <strong>di</strong> non fare incursioni nei mon<strong>di</strong> intelligibili o, come traduceva Hegel nel<br />

ribellarvisi, lì dove sono «case malvagie». Il pensiero <strong>di</strong> <strong>Benjamin</strong> si lascia negare<br />

tanto poco la felicità sensoriale, interdetta dalla tra<strong>di</strong>zionale morale del lavoro,<br />

quanto il suo opposto polo spirituale, il riferimento all’assoluto. Infatti l’ipernatura è<br />

inscin<strong>di</strong>bile dall’adempimento del naturale. Di conseguenza <strong>Benjamin</strong> non tesse il<br />

riferimento all’assoluto ricavandolo dal concetto ma lo cerca nel contatto fisico con i<br />

contenuti. Tutto ciò contro cui sono solite irrigi<strong>di</strong>rsi le norme dell’esperienza deve<br />

pervenire all’esperienza, secondo l’impulso <strong>di</strong> <strong>Benjamin</strong>, nella misura in cui essa si<br />

limita a insistere sulla propria concrezione invece <strong>di</strong> vanificare questa sua parte<br />

immortale assoggettandola allo schema dell’universale astratto. <strong>Benjamin</strong> si è così<br />

posto in brusca antitesi a tutta quanta la filosofia moderna, forse con la sola<br />

eccezione <strong>di</strong> Hegel il quale sapeva che innalzare un confine significa sempre anche<br />

oltrepassarlo e ha reso il compito facile a coloro che contestano ai suoi pensieri un<br />

carattere <strong>di</strong> norma e vorrebbero liquidarli come intuizioni semplicemente soggettive,<br />

semplicemente estetiche, oppure come semplice ideologia metafisica. Rispetto a<br />

questi criteri egli era in posizione talmente <strong>di</strong>rottata che nemmeno gli venne mai in<br />

mente <strong>di</strong> <strong>di</strong>fendersi dalla loro pretesa <strong>di</strong> vali<strong>di</strong>tà, come fece Bergson; ha anche<br />

<strong>di</strong>sdegnato <strong>di</strong> reclamare per sé una particolare fonte <strong>di</strong> conoscenza, tipo l’intuizione.<br />

Egli affascinava perché le obiezioni correnti contro l’evidenza della sua esperienza,<br />

che non era affatto ricostruibile in tutti i suoi passaggi ma che spesso era lampante,<br />

finivano col sembrare uno sciocco agitarsi, apologetiche, col tono del «Sì però».<br />

2 Cfr. BENJAMIN, Schriften cit. vol. II, pp. 315 sgg.


Suonavano come semplici sforzi della coscienza convenzionale <strong>di</strong> affermarsi contro<br />

l’inconfutabile, contro una sorgente <strong>di</strong> luce che era più forte della scorza che<br />

protegge una razionalità che si è legata al vigente. Tutt’altro che irrazionale, la<br />

filosofia <strong>di</strong> <strong>Benjamin</strong> ha tuttavia <strong>di</strong>mostrato senza polemiche, con la sua semplice<br />

esistenza, la stupi<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> quella razionalità. Non per mancanza <strong>di</strong> conoscenze o per<br />

in<strong>di</strong>sciplinata fantasia egli ignorò la tra<strong>di</strong>zione filosofica e le regole usuali della logica<br />

scientifica, ma perché vi sospettava sterilità, inutilità, spossatezza e perché la forza<br />

della verità non atrofizzata, non ammannita era in lui troppo potente per lasciarsi egli<br />

intimi<strong>di</strong>re dall’in<strong>di</strong>ce alzato del controllo intellettuale.<br />

La filosofia <strong>di</strong> <strong>Benjamin</strong> provoca l’equivoco <strong>di</strong> consumarla e <strong>di</strong>sinnescarla<br />

considerandola conseguenza <strong>di</strong> intuizioni slegate e obbe<strong>di</strong>enti alla casualità del<br />

giorno e dello stimolo. A un tale equivoco va contrapposto non soltanto il carattere<br />

delle sue penetrazioni, spirituale per tensione, completamente contrario a ogni<br />

reagire da molluschi, anche nel mezzo degli oggetti più sensoriali. Ché anzi<br />

ciascuna sua conoscenza possiede il suo valore posizionale in una straor<strong>di</strong>naria<br />

unità della coscienza filosofica. Solo che l’essenza <strong>di</strong> quest’unità è nell’andare<br />

all’esterno, a conquistarsi mentre si dà via al molteplice. Misura dell’esperienza, che<br />

fa da base a ciascuna frase <strong>di</strong> <strong>Benjamin</strong>, è la forza <strong>di</strong> porre incessantemente il<br />

centro in periferia invece <strong>di</strong> sviluppare il periferico a partire dal centro, come<br />

pretendono l’esercizio dei filosofi e della teoria tra<strong>di</strong>zionale. Se il pensiero <strong>di</strong><br />

<strong>Benjamin</strong> non rispetta il confine <strong>di</strong> con<strong>di</strong>zionato e incon<strong>di</strong>zionato, nemmeno d’altra<br />

parte avanza la pretesa <strong>di</strong> totalità conclusa, che si fa u<strong>di</strong>re ovunque il pensiero<br />

delimiti il proprio campo, zona signoriale della soggettività, per agirvi da sovrano. Il<br />

suo metodo speculativo coincide paradossalmente con l’empirico. Nella prefazione<br />

al libro sul dramma barocco ha intrapreso un salvataggio metafisico del<br />

nominalismo: le sue conclusioni non avvengono proprio mai dall’alto verso il basso<br />

ma ad<strong>di</strong>rittura «induttivamente», da eccentrico. La fantasia filosofica è per lui la<br />

capacità <strong>di</strong> «interpolazione nel minimale» e una cellula <strong>di</strong> realtà osservata gli<br />

controbilancia – anche questa è una sua formula – il resto del mondo. Dalla<br />

presunzione del sistema <strong>Benjamin</strong> è tanto lungi quanto dalla rassegnazione nel<br />

finito; anzi le due gli sembrano intimamente la stessa cosa; i sistemi abbozzano<br />

l’inane chimera <strong>di</strong> quella verità che ha la sua patria nella teologia e <strong>di</strong> cui egli ricerca<br />

la fedele e ra<strong>di</strong>cale traduzione nel secolare. Alla sua forza autoespressiva<br />

corrisponde sotterraneamente un lavoro da talpa, con gallerie che collegano tutto.


Aveva una <strong>di</strong>ffidenza profon<strong>di</strong>ssima per l’organizzazione classificatoria in superficie:<br />

in essa temeva <strong>di</strong> <strong>di</strong>menticare il meglio, secondo l’ammonimento della favola. La tesi<br />

<strong>di</strong> laurea <strong>di</strong> <strong>Benjamin</strong> era de<strong>di</strong>cata a un aspetto teoretico centrale del primo<br />

romanticismo tedesco e in una cosa è rimasto debitore <strong>di</strong> Friedrich von Schlegel e <strong>di</strong><br />

Novalis per tutta la vita, nella concezione del frammento come forma filosofica che<br />

proprio perché fratta e incompleta mantiene un po’ <strong>di</strong> quella forza dell’universale che<br />

svanisce nella stesura ampia. Se l’opera <strong>di</strong> <strong>Benjamin</strong> è rimasta frammentaria ciò<br />

dunque non va ascritto unicamente all’avverso destino ma era insito da sempre nella<br />

compagine del suo pensiero, nella sua idea portante. Anche il libro più ampio che <strong>di</strong><br />

lui ci resta, le Origini del dramma barocco tedesco, nonostante l’accuratissima<br />

architettura delle linee generali, è costruito in modo che ognuna delle sezioni,<br />

fittamente intessuta e internamente priva <strong>di</strong> interruzioni, per così <strong>di</strong>re riprenda fiato e<br />

ricominci da capo invece <strong>di</strong> sfociare nella successiva, come vorrebbe lo schema del<br />

decorso continuativo del pensiero. Questo principio <strong>di</strong> composizione letteraria ha la<br />

pretesa niente <strong>di</strong> meno che <strong>di</strong> esprimere la concezione benjaminiana della verità.<br />

Questa, per lui come già per Hegel non è la semplice adaequatio del pensiero alla<br />

cosa – non c’è luogo <strong>di</strong> <strong>Benjamin</strong> che obbe<strong>di</strong>sca mai a questo criterio – ma una<br />

costellazione <strong>di</strong> idee che tutte insieme (forse era questo il suo pensiero) formano il<br />

nome <strong>di</strong> Dio; e queste idee si cristallizzano <strong>di</strong> volta in volta nel particolare quale loro<br />

campo <strong>di</strong> forza.<br />

<strong>Benjamin</strong> appartiene alla generazione filosofica che da tutte le parti cercava<br />

<strong>di</strong> evadere dall’idealismo e dal sistema e non mancano suoi rapporti con i<br />

rappresentanti più anziani <strong>di</strong> tale sforzo. Alla fenomenologia lo lega, soprattutto nella<br />

sua giovinezza, il proce<strong>di</strong>mento della determinazione delle essenze, che è obiettivo<br />

e analizzatore dei significati, basato sul linguaggio e contrapposto all’arbitraria<br />

imposizione <strong>di</strong> termini. La Critica della violenza è esemplare <strong>di</strong> questo proce<strong>di</strong>mento.<br />

<strong>Benjamin</strong> ha sempre <strong>di</strong>sposto <strong>di</strong> una forza definitoria <strong>di</strong> una severità all’antica, dalla<br />

definizione del destino quale «nesso <strong>di</strong> colpa fra viventi» 3 fino alla tarda definizione<br />

dell’«aura» 4 . Alla scuola <strong>di</strong> George, cui egli deve più <strong>di</strong> quel che non lasci notare la<br />

superficie dei suoi insegnamenti, rinvia qualcosa della sua gestualità filosofica:<br />

alcunché <strong>di</strong> immobilizzante, che costringe il movimento a una sosta precaria, quella<br />

monumentalità del momentaneo che costituisce una delle tensioni determinanti della<br />

3 BENJAMIN, Schriften cit., vol. I, p. 69; cfr. ibid., p. 35.<br />

4 Ibid., pp. 372 sg. e 461 sgg.


sua forma <strong>di</strong> pensiero. – A Simmel, l’antisistematico, è affine il suo sforzo <strong>di</strong> condurre<br />

la filosofia fuori dal «deserto <strong>di</strong> ghiaccio dell’astrazione» e immettere il pensiero in<br />

concrete immagini storiche. – Fra i coetanei egli concorda con Franz Rosenzweig<br />

nella tendenza a convertire la speculazione in dottrina teologica; con l’Ernst Bloch<br />

dello Spirito dell’utopia nella concezione del «messianismo teoretico», nella<br />

noncuranza del limite criticistico del filosofare così come nell’intenzione <strong>di</strong><br />

interpretare l’esperienza inframondana come cifra <strong>di</strong> quella trascendente. Ma proprio<br />

dai filosofemi con i quali sembrava convergere quasi con correnti dell’epoca si è<br />

<strong>di</strong>stanziato nella maniera più energica. Ha preferito incorporarsi come un vaccino<br />

elementi <strong>di</strong> un pensiero a lui estraneo e minaccioso piuttosto che affidarsi a filosofie<br />

similari nelle quali da incorruttibile constatava complicità con la corruzione e<br />

l’ufficialità, anche li dove ci si comportava come se fosse spuntato il primo giorno e si<br />

dovesse ricominciare da capo. Di Husserl, la cui temerarietà speculativa era<br />

stranamente accoppiata a resti <strong>di</strong> un neokantismo da studente, anzi a <strong>di</strong>stinzioni<br />

scolastiche soleva <strong>di</strong>re che non lo capiva; Scheler, egli e Scholem lo schernivano,<br />

secondo la tra<strong>di</strong>zione ebraico-teologica, per la resurrezione della metafisica sul<br />

mercato. Ma quel che almeno lo <strong>di</strong>stingueva da tutto ciò che in qualche modo nella<br />

sua epoca scorreva parallelamente a lui era il, peso specifico del concreto nella sua<br />

filosofia. Egli non ha mai umiliato il concreto a far da esempio del concetto,<br />

nemmeno a «intenzione simbolica», traccia messianica in mezzo all’intrico del<br />

mondo naturale, ma il concetto <strong>di</strong> concrezione, nel frattempo decaduto a ideologia e<br />

oscurantismo, egli l’ha preso talmente alla lettera da farlo <strong>di</strong>ventare sic et simpliciter<br />

inadatto a tutte quelle manipolazioni che ci si fanno oggigiorno in nome del mandato<br />

e dell’incontro, dell’esigenza, dell’autenticità e della peculiarità. Era estremamente<br />

sensibile nei confronti della tentazione <strong>di</strong> contrabbandare, sotto la protezione <strong>di</strong><br />

enunciati concreti, concetti non legittimati facendoli passare per sostanziali e pieni <strong>di</strong><br />

esperienza, scambiando tacitamente il concreto per un semplice esemplare del suo<br />

concetto, già pensato in anticipo. Nella misura in cui ciò è in generale concesso al<br />

pensiero, egli ha, sempre scelto per oggetto i punti nodali del concreto, quel che vi è<br />

<strong>di</strong> insolubile, ciò in cui è veramente concresciuto. Con tutta la sua tenera de<strong>di</strong>zione<br />

alle cose, la sua filosofia si rompe incessantemente i denti mordendo i noccioli. In tal<br />

senso è, in maniera inesprimibile, una conseguenza <strong>di</strong> Hegel, essendo sforzo<br />

permanente del concetto, esente da ogni fiducia nei meccanismi autoattivi <strong>di</strong> un<br />

categorizzare che semplicemente riveste gli oggetti. In contrasto estremo con la


coeva fenomenologia, <strong>Benjamin</strong> – quando non tratta ad<strong>di</strong>rittura esplicitamente <strong>di</strong><br />

intenzioni, come <strong>di</strong> quella allegorica nel libro sul barocco – non vuole ricalcare le<br />

intenzioni col pensiero bensì stritolarle e spingerle verso il non intenzionale, quando<br />

non ad<strong>di</strong>rittura decifrare il non intenzionale stesso, in una specie <strong>di</strong> fatica <strong>di</strong> Sisifo.<br />

Quanto maggiori sono le pretese avanzate da <strong>Benjamin</strong> nei confronti del concetto<br />

speculativo, tanto più spietata, quasi si potrebbe <strong>di</strong>re più cieca, è la de<strong>di</strong>zione <strong>di</strong><br />

questo pensiero al suo materiale. Non per civetteria ma in tutta serietà egli <strong>di</strong>sse una<br />

volta <strong>di</strong> aver bisogno <strong>di</strong> un’adeguata porzione <strong>di</strong> stupi<strong>di</strong>tà per poter pensare un<br />

pensiero decente.<br />

Lo strato <strong>di</strong> materiali cui si legò era storico,.e letterario. Quando era ancora<br />

assai giovane, all’inizio degli anni venti, formulò una volta come sua massima <strong>di</strong> non<br />

voler mai attaccare a pensare a ruota libera o, come si esprimeva lui,<br />

«<strong>di</strong>lettantescamente», ma sempre ed esclusivamente in rapporto con testi già<br />

esistenti. <strong>Benjamin</strong> smaschera l’impostura della metafisica idealistica che fa<br />

l’esistente identico a un significato. Al tempo stesso però ogni enunciato imme<strong>di</strong>ato<br />

su tale senso, sulla trascendenza, gli è storicamente negato. Ciò imprime nella sua<br />

filosofia la <strong>di</strong>mensione allegorica. Essa punta all’assoluto, ma in maniera fratta,<br />

me<strong>di</strong>ata. Tutta la creazione gli <strong>di</strong>venta scrittura che occorre decifrare mentre il<br />

co<strong>di</strong>ce è sconosciuto. Egli si sprofonda nella realtà come in un palinsesto.<br />

Interpretazione, traduzione, critica sono gli schemi del suo pensiero. Il muro delle<br />

parole da lui percosso in auscultazione concede autorità e protezione al suo<br />

pensiero senza tetto; alcune volte parlò del suo metodo come <strong>di</strong> una paro<strong>di</strong>a del<br />

metodo filologico. Anche qui non è <strong>di</strong>sconoscibile un modello teologico, la tra<strong>di</strong>zione<br />

dell’interpretazione ebraica e soprattutto mistica della Bibbia. Tra le operazioni per<br />

secolarizzare la teologia al fine <strong>di</strong> salvarla non l’ultima è quella <strong>di</strong> considerare i testi<br />

profani come se fossero sacri. Era qui l’affinità elettiva <strong>di</strong> <strong>Benjamin</strong> con Karl Kraus.<br />

Ma l’ascetico limitarsi della sua filosofia a quel che è già stato preformato dallo<br />

spirito, alla «cultura» anche lì dove contro <strong>di</strong> essa faceva provocatoriamente uso del<br />

concetto <strong>di</strong> barbarie – questo limitarsi a ciò che è stato maturato dallo spirito, il<br />

rinunciare a occuparsi filosoficamente <strong>di</strong> tutta l’imme<strong>di</strong>atezza dell’esistente e <strong>di</strong> tutta<br />

la cosiddetta originarietà, testimoniano al tempo stesso che proprio il mondo <strong>di</strong> quel<br />

che è fatto dall’uomo e del socialmente me<strong>di</strong>ato, che riempie il suo orizzonte<br />

filosofico, si è infilato, come totalità, davanti alla «natura». Perciò in <strong>Benjamin</strong> lo<br />

storico stesso appare come natura. Non a caso il concetto <strong>di</strong> «storia naturale» sta al


centro della sua interpretazione del barocco. Qui, come in molti luoghi <strong>Benjamin</strong><br />

<strong>di</strong>stilla la propria essenza da materiale altrui. Lo storicamente concreto per lui<br />

<strong>di</strong>venta «immagine» – immagine originaria della natura così come della<br />

soprannatura – e viceversa la natura <strong>di</strong>venta metafora <strong>di</strong> una storicità.<br />

«Incomparabile linguaggio del teschio: esso unisce una totale mancanza <strong>di</strong><br />

espressione – il nero delle sue occhiaie – con l’espressione più selvaggia: il<br />

<strong>di</strong>grignare dei denti», si legge in Senso unico 5 . Il peculiare carattere metaforico della<br />

speculazione <strong>di</strong> <strong>Benjamin</strong>, se si vuole: il suo aspetto mitizzante, <strong>di</strong>scende proprio dal<br />

fatto che sotto il suo profondo sguardo lo storico si trasforma in natura in forza della<br />

propria caducità e tutta la naturalezza si trasforma in una parte della storia della<br />

creazione. <strong>Benjamin</strong> gira instancabilmente intorno a questo rapporto; è come se<br />

volesse <strong>di</strong>panare l’enigma che per lo stupore infantile rappresentano le cabine della<br />

nave ed i carri degli zingari e, come a Baudelaire, tutto gli <strong>di</strong>venta allegoria. Solo nel<br />

non intenzionale tale sprofondamento troverebbe il suo confine, solo in esso si<br />

estinguerebbe il pensiero acquietato e perciò egli innalza il simbolo a ideale. Ma<br />

quanto poco egli ha mirato a una filosofia irrazionalistica poiché unicamente gli<br />

elementi determinati dal pensiero sono capaci <strong>di</strong> raggrupparsi fino a formare questa<br />

metaforicità, altrettanto lontane in verità sono le immagini <strong>di</strong> <strong>Benjamin</strong> da quelle<br />

mitiche, per esempio nella descrizione che ne fa Jung. Esse non rappresentano<br />

archetipi invarianti che andrebbero enucleati dalla storia ma spuntano proprio<br />

attraverso la forza della storia. Lo sguardo micologico <strong>di</strong> <strong>Benjamin</strong>, l’inconfon<strong>di</strong>bile<br />

colore del suo tipo <strong>di</strong> concrezione, è la tendenza alla storicità in un senso opposto<br />

alla philosophia perennis. Il suo interesse filosofico non si volge in generale allo<br />

astorico ma proprio a quel che è temporalmente più determinato, non capovolgibile.<br />

Da qui il titolo Senso unico. Le immagini benjaminiane hanno rapporto con la natura<br />

non quali momenti <strong>di</strong> un’ontologia che rimane uguale a se stessa ma in nome della<br />

morte, della transitorietà quale categoria suprema dell’esistenza naturale, verso cui<br />

la speculazione <strong>di</strong> <strong>Benjamin</strong> procede. Eterno in esse è unicamente il transeunte. A<br />

ragione egli ha definito <strong>di</strong>alettiche le immagini della sua filosofia: il piano del libro<br />

Passages parigini ha <strong>di</strong> mira tanto un panorama <strong>di</strong> immagini <strong>di</strong>alettiche quanto la<br />

loro teoria. Il concetto <strong>di</strong> immagine <strong>di</strong>alettica era inteso con significato obiettivo, non<br />

psicologico: la rappresentazione dell’era moderna quale al tempo stesso nuova, già<br />

5 BENJAMIN, Schriften cit., vol. I, p. 544.


passata e sempre uguale, sarebbe <strong>di</strong>ventata il tema filosofico centrale e l’immagine<br />

<strong>di</strong>alettica centrale.<br />

Le enormi <strong>di</strong>fficoltà davanti alle quali <strong>Benjamin</strong> pone il lettore non sono in<br />

primo luogo <strong>di</strong>fficoltà espositive, sebbene anche queste, almeno nei primi testi,<br />

pretendano da lui un bel po’ col loro tono <strong>di</strong> dottrina, con un linguaggio che in sé e<br />

per sé, in forza del suo denominare, reclama autorità e spesso – in ciò non troppo<br />

<strong>di</strong>ssimile dalla fenomenologia – rifiuta i nessi giustificanti e le argomentazioni.<br />

Maggiori però sono le esigenze che nascono dal contenuto filosofico. Questo<br />

richiede <strong>di</strong> lasciar fuori le attese con le quali solitamente chi ha cultura filosofica<br />

entra nei testi. Innanzitutto l’impulso antisistematico <strong>di</strong> <strong>Benjamin</strong> definisce il modo <strong>di</strong><br />

procedere in maniera molto più ra<strong>di</strong>cale <strong>di</strong> quanto solitamente non soglia occorrere<br />

anche <strong>agli</strong> antisistematici. La fiducia nell’esperienza in quel significato particolare<br />

che non si lascia quasi delineare in maniera generale ma si lascia conseguire<br />

soltanto nel contatto col pensiero <strong>di</strong> <strong>Benjamin</strong> proibisce <strong>di</strong> enunciare pensieri<br />

cosiddetti fondamentali deducendone il resto come conseguenza. Qui è <strong>di</strong>fficile<br />

decidere in che misura il concetto <strong>di</strong> pensiero fondamentale venga negato<br />

ra<strong>di</strong>calmente da <strong>Benjamin</strong> stesso o in che misura predomini la sua inclinazione a<br />

tacere quei pensieri fondamentali per farli agire <strong>di</strong> nascosto con tanta maggior forza,<br />

così che la loro luce cada sui fenomeni, mentre dovrebbe abb<strong>agli</strong>are chi li fissasse<br />

imme<strong>di</strong>atamente. Comunque nella sua giovinezza <strong>Benjamin</strong> – per usare una sua<br />

espressione – a volte ha giocato a carte più scoperte che in seguito. Personalmente<br />

ebbe sempre in altissima considerazione il breve lavoro Destino e carattere e lo<br />

considerò una specie <strong>di</strong> modello teoretico <strong>di</strong> ciò che aveva in mente. Chi voglia<br />

avvicinarglisi farà bene a stu<strong>di</strong>are dapprima intensamente quel saggio. Vi noterà sia<br />

il legame profondo e un po’ démodé <strong>di</strong> <strong>Benjamin</strong> con Kant, soprattutto con la sua<br />

concisa <strong>di</strong>stinzione <strong>di</strong> natura e soprannatura, sia l’involontario rifacimento e<br />

straniamento <strong>di</strong> tali concetti sotto lo sguardo saturnio. Infatti proprio il carattere, che<br />

<strong>Benjamin</strong> separa dall’or<strong>di</strong>namento del morale tanto energicamente quanto il<br />

concetto <strong>di</strong> destino, è in Kant, quale «intelligibile» e autonomamente posto, la<br />

fondazione della libertà morale; nel che naturalmente risuona anche il motivo<br />

benjaminiano secondo cui nel carattere la soprannatura, l’uomo, si strappa<br />

all’amorfo del mito. Dal momento che moto tempo dopo la nascita questo lavoro<br />

relativamente giovanile ci si affaccendò in un’interpretazione ontologica <strong>di</strong> Kant, è<br />

oggi opportuno ricordare che sotto lo sguardo medusiaco <strong>di</strong> <strong>Benjamin</strong>, che forzava


all’irrigi<strong>di</strong>mento, il pensiero <strong>di</strong> Kant, in tutto e per tutto funzionale e mirante alle<br />

«effettualità», si congelava anticipatamente a una specie <strong>di</strong> ontologia. I concetti <strong>di</strong><br />

fenomeno e noumeno, che in Kant sono fra loro collegati da un’unica ragione e che<br />

anche nella loro contrapposizione si definiscono vicendevolmente, in <strong>Benjamin</strong><br />

<strong>di</strong>ventano sfere <strong>di</strong> un or<strong>di</strong>ne teocratico. In questo spirito egli ha sempre rimodellato<br />

quanto <strong>di</strong> cultura entrava nel suo ambito, come se la forma della sua organizzazione<br />

spirituale e la tristezza con cui la sua natura concepiva l’idea della soprannatura e<br />

della conciliazione avesse dovuto dare un b<strong>agli</strong>ore funereo a tutto quello su cui<br />

stendeva la mano. Perfino il concetto <strong>di</strong> <strong>di</strong>alettica, cui egli inclinò nella sua ultima<br />

fase, quella materialistica, ha caratteri del genere. Non a caso è una <strong>di</strong>alettica <strong>di</strong><br />

immagini invece che <strong>di</strong> processo e <strong>di</strong> continuità; una «<strong>di</strong>alettica in requie»,<br />

espressione che del resto trovò senza sapere che la malinconia <strong>di</strong> Kierkegaard<br />

l’aveva evocata da assai lungo tempo. Sfuggì all’antitesi <strong>di</strong> eterno e storico<br />

attraverso il proce<strong>di</strong>mento micrologico, attraverso la concentrazione sul minimale, in<br />

cui il movimento storico si arresta e si se<strong>di</strong>menta a immagine. Si capisce<br />

correttamente <strong>Benjamin</strong> soltanto se <strong>di</strong>etro ognuna delle sue frasi si sente il<br />

capovolgimento <strong>di</strong> un’estrema mobilità in staticità, anzi la concezione statica del<br />

movimento stesso; tale capovolgimento plasma anche l’essenza specifica della sua<br />

lingua. Nelle decisive tesi sul concetto <strong>di</strong> storia, che appartengono al complesso<br />

della tarda opera Passages parigini, alla fine ha parlato in maniera aperta della sua<br />

idea filosofica, sorpassando concetti <strong>di</strong>namici come quello <strong>di</strong> progresso con la forza<br />

della sua esperienza incomparabile, simile forse soltanto all’istantanea fotografica. –<br />

Se al <strong>di</strong> fuori del saggio giovanile e delle Tesi, stese con enorme fatica,<br />

probabilmente già in vista del pericolo estremo, si seguitano a cercare chiavi, allora<br />

andrebbe ancora citata in primo luogo la Critica della violenza nella quale la polarità<br />

<strong>di</strong> mito e conciliazione viene alla ribalta con tanta potenza. Nella <strong>di</strong>ssociazione in<br />

mancanza <strong>di</strong> forma e <strong>di</strong> soggetto da una parte e sottrazione a ogni or<strong>di</strong>ne naturale e<br />

giustizia dall’altra si <strong>di</strong>sfa in <strong>Benjamin</strong> tutto ciò che sotto forma <strong>di</strong> <strong>di</strong>namismo,<br />

sviluppo e libertà è solito formare il mondo me<strong>di</strong>ano dell’umano. In forza <strong>di</strong> tale<br />

<strong>di</strong>ssociazione la filosofia <strong>di</strong> <strong>Benjamin</strong> è effettivamente inumana: l’uomo è per essa<br />

piuttosto luogo e teatro che non un esistente <strong>di</strong> per sé e per sé. Lo sgomento<br />

provato nei confronti <strong>di</strong> quest’aspetto definisce <strong>di</strong> certo l’intima <strong>di</strong>fficoltà dei testi <strong>di</strong><br />

<strong>Benjamin</strong>. Di rado le <strong>di</strong>fficoltà spirituali <strong>di</strong>scendono da semplice mancanza <strong>di</strong><br />

comprensibilità; per lo più sono conseguenza <strong>di</strong> uno choc. Si ritrae davanti a


<strong>Benjamin</strong> colui cui non piace affidarsi a pensieri nei quali fiuta un pericolo mortale<br />

per la fiduciosa coscienza che ha <strong>di</strong> se stesso. La lettura <strong>di</strong> <strong>Benjamin</strong> può tornare<br />

feconda e felice soltanto per colui che guarda questo pericolo negli occhi senza<br />

subito irrigi<strong>di</strong>rsi nella decisione <strong>di</strong> non voler avere niente a che fare con tale<br />

snaturamento dell’esistenza. Veramente in <strong>Benjamin</strong> l’elemento <strong>di</strong> salvazione nasce<br />

soltanto lì dove c’è pericolo.<br />

La composizione interna della sua prosa è scomoda anche nel collegamento<br />

dei pensieri e da nessuna parte è più necessario che qui far piazza pulita <strong>di</strong> attese<br />

sb<strong>agli</strong>ate se non si vuol finire fuori strada. Infatti l’idea <strong>di</strong> <strong>Benjamin</strong>, nella sua<br />

severità, esclude tanto i motivi fondamentali quanto il loro sviluppo, la loro<br />

elaborazione, tutto quanto il meccanismo <strong>di</strong> presupposti, affermazioni e<br />

<strong>di</strong>mostrazioni, <strong>di</strong> tesi e risultati. Al modo in cui la musica moderna nei suoi<br />

rappresentanti che non ammettono compromessi non tollera più l’«elaborazione»,<br />

non ammette più la <strong>di</strong>stinzione <strong>di</strong> tema e sviluppo e invece ogni pensiero musicale,<br />

anzi ogni suono <strong>di</strong> esso è ugualmente vicino al centro, così anche Ia filosofia <strong>di</strong><br />

<strong>Benjamin</strong> è «atematica». Essa significa <strong>di</strong>alettica in quiete anche nel senso che<br />

propriamente non conosce nel suo interno tempi <strong>di</strong> sviluppo e riceve invece la sua<br />

forma dalla costellazione dei singoli enunciati. Da qui la sua affinità con l’aforisma. Al<br />

tempo stesso, tuttavia, l’elemento teoretico <strong>di</strong> <strong>Benjamin</strong> richiede sempre <strong>di</strong> nuovo<br />

gran<strong>di</strong> nessi <strong>di</strong> pensiero. Egli ha paragonato la sua forma a una trama e il suo<br />

carattere chiusissimo è causato da questa: i singoli motivi sono accordati fra <strong>di</strong> loro e<br />

intrecciati gli uni negli altri senza curarsi <strong>di</strong> riprodurre con la loro successione un<br />

processo <strong>di</strong> pensiero, <strong>di</strong> «comunicare» qualcosa o <strong>di</strong> convincere il lettore:<br />

«Convincere è sterile» 6 . Se nella filosofia <strong>di</strong> <strong>Benjamin</strong> si va a cercare quel che ne<br />

risulta si resta necessariamente delusi; essa sod<strong>di</strong>sfa soltanto colui che vi rimugina<br />

tanto a lungo fino a trovare quel che le è insito: «E una sera l’opera <strong>di</strong>venta viva»,<br />

come nel Tappeto <strong>di</strong> George. In anni più tar<strong>di</strong>, sotto l’effetto <strong>di</strong> iniezioni<br />

materialistiche, <strong>Benjamin</strong> ha voluto espungere l’elemento non comunicativo, che nei<br />

primi scritti non conosce riguar<strong>di</strong> e che ha trovato la stesura più vincolante nel<br />

lavoro, estremamente significativo, Il compito del traduttore; L’opera d’arte<br />

nell’epoca della sua riproducibilità tecnica descrive non soltanto i nessi storico-<br />

filosofici che <strong>di</strong>ssolvono quell’elemento ma contiene segretamente anche un<br />

programma per la stessa attività letteraria <strong>di</strong> <strong>Benjamin</strong>, cui poi cercano <strong>di</strong> obbe<strong>di</strong>re il<br />

6 BENJAMIN, Schriften cit., vol. I, p. 517.


saggio Su alcuni motivi <strong>di</strong> Baudelaire e le tesi Sul concetto <strong>di</strong> storia. Aveva in mente<br />

la comunicazione dell’incomunicabile attraverso l’espressione lapidaria. Una certa<br />

semplificazione dei mezzi linguistici è in<strong>di</strong>sconoscibile. Ma, come spesso avviene<br />

nella storia della filosofia, la semplicità inganna; nell’ottica del pensiero <strong>di</strong> <strong>Benjamin</strong><br />

non è mutato nulla e mentre le conoscenze più strane si enunciano come se fossero<br />

puro buon senso, la loro estraneità non ne viene che potenziata: niente potrebbe<br />

essere più benjaminiano della risposta che una volta <strong>di</strong>ede, richiesto <strong>di</strong> un esempio<br />

<strong>di</strong> buon senso: «Quanto. più tarda è la sera, tanto più belli sono gli ospiti». Il suo<br />

gesto linguistico riprende, come nella giovinezza, qualcosa <strong>di</strong> autoritario; in questo<br />

caso assume un po’ il tono del proverbio fittizio, forse nella volontà <strong>di</strong> trovare un<br />

accomodamento fra il suo tipo <strong>di</strong> esperienza spirituale e una comunicazione più<br />

vasta. Di certo al materialismo <strong>di</strong>alettico lo attrasse, in linea generale, meno il suo<br />

contenuto teoretico che la speranza <strong>di</strong> un <strong>di</strong>scorso autorizzato, garantito dal<br />

collettivo. Egli non credeva più come in gioventù che gli fosse consentito attingere<br />

dalla teologia mistica senza però sacrificare l’idea della dottrina: anche qui si esterna<br />

il motivo dell’abbandono liberatorio della teologia, della sua schietta<br />

secolarizzazione. La configurazione del non unificabile, al tempo stesso spietata<br />

verso ciò che egli da sempre rifiutò, dà all’ultima filosofia <strong>di</strong> <strong>Benjamin</strong> la sua<br />

profon<strong>di</strong>tà dalle dolorose fratture.<br />

Il bisogno <strong>di</strong> autorità nel senso <strong>di</strong> copertura collettiva non era del resto per<br />

nulla così estraneo a <strong>Benjamin</strong> come ci sarebbe da supporre in base alla sua natura<br />

spirituale sottratta a qualunque consensualità. Anzi proprio l’incommensurabilità <strong>di</strong><br />

questo pensiero e del suo portatore, la sua in<strong>di</strong>viduatezza che giunge a un<br />

isolamento tormentoso, fin dal primo giorno hanno cercato l’alienazione anche nel<br />

tentativo, per quanto <strong>di</strong>sperato, <strong>di</strong> inserirsi in comunità e or<strong>di</strong>namenti. Sicuramente<br />

<strong>Benjamin</strong> fu uno dei primi tra i filosofanti a notare l’antagonismo per cui l’in<strong>di</strong>viduo<br />

borghese che si mette a pensare è <strong>di</strong>ventato <strong>di</strong>scutibile fin nel suo intimo senza che<br />

tuttavia nell’esistenza sia presente una superin<strong>di</strong>vidualità in cui il soggetto singolo si<br />

trovi spiritualmente superato senza però essere represso; egli ha dato espressione a<br />

tale situazione definendo se stesso come uno che aveva abbandonato la sua classe<br />

senza però appartenere all’altra. La sua funzione nella Jugendbewegung, che allora<br />

era naturalmente toto coelo <strong>di</strong>versa dalle sue successive manifestazioni – fu tra i<br />

collaboratori principali dello «Anfang» e amico <strong>di</strong> Wyneken finché questi non cambiò<br />

ban<strong>di</strong>era passando <strong>agli</strong> apologeti della prima guerra mon<strong>di</strong>ale – forse ad<strong>di</strong>rittura la


sua inclinazione a concezioni teocratiche, sono della stessa specie del suo tipo <strong>di</strong><br />

marxismo, che egli pensava <strong>di</strong> accogliere da ortodosso, come un complesso <strong>di</strong><br />

insegnamenti, senza sospettare quali produttivi equivoci combinava. Non è <strong>di</strong>fficile<br />

rendersi conto dell’inanità <strong>di</strong> tutti questi tentativi <strong>di</strong> evasione, dello sprovveduto<br />

conformarsi alle forze insorgenti, <strong>di</strong> cui nessuno deve aver avuto più orrore <strong>di</strong><br />

<strong>Benjamin</strong>: «era come se non volessi formare in nessun caso un fronte comune,<br />

nemmeno con mia madre», <strong>di</strong>ce ancora in Infanzia berlinese 7 . "Era consapevole<br />

dell’impossibilità <strong>di</strong> inserirsi e tuttavia non ha mai smentito l’esigenza <strong>di</strong> farlo. Ma tale<br />

contrad<strong>di</strong>zione non rinvia unicamente alla debolezza dell’isolato; in essa fa capolino<br />

una verità, la comprensione dell’insufficienza della riflessione privata finché questa è<br />

separata dalla tendenza obiettiva e dalla prassi trasformante. Di questa insufficienza<br />

soffre anche chi fa <strong>di</strong> se stesso, come fece <strong>Benjamin</strong> in misura straor<strong>di</strong>naria, un<br />

sismografo <strong>di</strong> ciò che è all’or<strong>di</strong>ne del giorno. Una volta <strong>Benjamin</strong> si <strong>di</strong>sse d’accordo<br />

con la caratterizzazione del suo pensiero come un pensare per fratture; e non si è<br />

tirato in<strong>di</strong>etro nemmeno <strong>di</strong> fronte all’estremo; ha assimilato ciò che gli era<br />

mortalmente nemico, rinunciando perfino a una forma già assunta dalla coerenza e<br />

che sarebbe stata possibile anche a lui: quella della monade senza finestre, che<br />

non<strong>di</strong>meno «rappresenta» l’universo. Sapeva infatti che nessun appello all’armonia<br />

prestabilita sarebbe più plausibile, ammesso che lo sia mai stato. Dal tour de force in<br />

cui egli si impegnò, senza molte illusioni sulla possibilità <strong>di</strong> una riuscita, si può<br />

imparare non meno che dalle produzioni magistrali uscite dalle sue mani. Quando a<br />

un articolo <strong>di</strong>ede il titolo Contro un capolavoro scrisse anche contro se stesso e<br />

proprio la capacità <strong>di</strong> farlo è inscin<strong>di</strong>bile dalla sua forza produttiva.<br />

In questa contrad<strong>di</strong>zione va cercata la ragione del cordoglio <strong>di</strong> <strong>Benjamin</strong>, il<br />

suo «carattere», nel significato che egli stesso <strong>di</strong>ede al termine. Cordoglio – non<br />

tristezza – era la <strong>di</strong>sposizione della sua natura in quanto sapere ebraico della<br />

permanenza della minaccia e della catastrofe così come inclinazione antiquariale<br />

davanti alla quale anche il presente per incantesimo <strong>di</strong>veniva trapassato. <strong>Benjamin</strong>,<br />

dalle trovate inesauribili, produttivo, completamente padrone dello spirito in ogni<br />

desto attimo della sua vita e completamente dominato dallo spirito, era però tutt’altro<br />

dalla spontaneità considerata secondo cliché; siccome parlava come un libro<br />

stampato, si ad<strong>di</strong>ceva nel complesso anche a lui la sua bella formula sul Goethe<br />

7 BENJAMIN, Schriften cit., vol. I, p. 633.


vecchio, che definì un cancelliere della propria interiorità 8 . La preponderanza dello<br />

spirito lo aveva estremamente alienato dalla sua esistenza fisica e perfino<br />

psicologica. Analogamente a quel che <strong>di</strong>ceva Schönberg <strong>di</strong> Webern, la cui scrittura<br />

ricorda quella <strong>di</strong> <strong>Benjamin</strong>, egli aveva calato il tabù sul calore animale; che gli amici<br />

non osassero anche soltanto mettergli una mano sulla spalla; e forse anche la sua<br />

morte ha che fare con la soggezione con cui nell’ultima notte a Port Bou il gruppo<br />

con cui era fuggito gli concesse una camera singola, così che poté prendere<br />

inosservato la morfina che aveva raccolto per il caso estremo. Ciononostante la sua<br />

aura era calda, non fredda. Sua era una capacità che quanto a forza <strong>di</strong> dare felicità<br />

si lasciava infinitamente al <strong>di</strong>sotto ogni capacità semplicemente imme<strong>di</strong>ata: la<br />

capacità <strong>di</strong> donare illimitatamente. Il bene supremo celebrato da Zaratustra, la virtù<br />

del dono, era suo in tal grado che tutto il resto al confronto entrava nell’ombra:<br />

«Immensa è la virtù suprema e inutile, brillante e tenera nello splendore». E il suo<br />

chiamare l’emblema che s’era scelto – l’Angelus Novus <strong>di</strong> Klee – l’angelo che non<br />

dà ma prende 9 , adempie anch’esso un pensiero <strong>di</strong> Nietzsche: «Grassatore <strong>di</strong> tutti i<br />

valori deve <strong>di</strong>ventare tale amor donante» perché «un luogo <strong>di</strong> guarigione deve la<br />

terra ancora <strong>di</strong>ventare! E già un profumo nuovo aleggia intorno a essa, che dà<br />

salute, – g e una speranza nuova!» Di questa speranza ha testimoniato la parola <strong>di</strong><br />

<strong>Benjamin</strong>, il suo sorriso incorporeo, tacito come in una fiaba, e il suo silenzio. Ogni<br />

volta che si stava insieme con lui si ricostituiva una cosa altrimenti morta senza<br />

possibilità <strong>di</strong> recupero, la festa. Standogli vicini si aveva la sensazione che ha il<br />

bambino nell’attimo in cui si apre uno spir<strong>agli</strong>o della stanza natalizia e un flusso <strong>di</strong><br />

luce costringe l’occhio alle lagrime, più commovente e più certo <strong>di</strong> quanto non sia<br />

tutto il chiarore che lo saluta quando il bimbo è invitato a entrare nella stanza. In<br />

<strong>Benjamin</strong> tutta la forza del pensiero si riuniva per preparare tali attimi e in essi<br />

soltanto è trapassato quel che una volta veniva promesso d<strong>agli</strong> insegnamenti della<br />

teologia.<br />

8 Cfr. W. BENJAMIN, Deutsche Menschen. Eine Folge von Briefen, scelta e introduzione <strong>di</strong> Detlef<br />

Holz (Pseud.), Luzern 1936, p. 90.<br />

9 Cfr. BENJAMIN, Schriften cit., vol. II, p. 194.

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