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PROVE NUOVE E PRODUZIONE DI ... - Avv. Paolo Nesta

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<strong>PROVE</strong> <strong>NUOVE</strong> E <strong>PRODUZIONE</strong> <strong>DI</strong> DOCUMENTI IN APPELLO" ‐ Cass. civ. 4270/13 –<br />

commento e testo‐<br />

R.K.<br />

P&D.IT<br />

La sentenza si occupa di un tema consolidato: i limiti della produzione documentale<br />

e la deduzione di nuove prove in sede di appello.<br />

L'art. 345 c.p.c. deve essere interpretato secondo l'ormai consolidato orientamento<br />

della S.C., nel senso che esso fissa il principio della inammissibilità di mezzi di prova<br />

nuovi, cioè non richiesti in precedenza e, quindi, anche delle produzioni<br />

documentali, indicando nello stesso tempo i limiti di tale regola e cioè consentendo<br />

l'ammissione ove le parti dimostrino di non avere potuto proporli prima per causa<br />

ad esse non imputabile, ovvero nel convincimento del giudice della indispensabilità<br />

degli stessi per la decisione.<br />

Tale orientamento si è consolidato dopo la sentenza 20/4/2005 n. 8202 delle Sezioni<br />

unite, seppure pronunciata con riferimento all'art. 437 c.p.c. (formulato in termini<br />

identici all'art. 345 c.p.c. con riferimento al divieto di "nuovi mezzi di prova" in<br />

appello), nella quale si è ritenuto che la produzione di documenti rientri nei "nuovi<br />

mezzi di prova" che per regola generale non sono ammessi nel giudizio di appello.<br />

L'interpretazione di cui alla citata pronunzia è stata successivamente seguita dalla<br />

costante giurisprudenza della Corte di Cassazione, anche per i processi non regolati<br />

dal rito del lavoro (v. ad es. Cass. 26/6/2007 n. 14766 e, da ultimo, Cass. 1/6/2012 n.<br />

8877).<br />

Ricordiamo che , anche prima della suddetta decisione, ancorchè fosse nettamente<br />

maggioritario il diverso orientamento che consentiva le nuove produzioni<br />

documentali in appello, non mancavano contrarie decisioni.


Quindi, il principio dell'inammissibilità di prove nuove ex art. 345 c.p.c. trova il suo<br />

limite nei requisiti che i documenti, al pari degli altri mezzi di prova, devono<br />

presentare per poter trovare ingresso in sede di gravame: la dimostrazione che le<br />

parti non abbiamo potuto proporli prima per cause ad esse non imputabili, ovvero il<br />

convincimento del giudice dell'indispensabilità degli stessi per la decisione: l'articolo<br />

fissa sul piano generale il principio dell'inammissibilità di mezzi di prova nuovi ‐ la cui<br />

ammissione, cioè, non sia stata richiesta in precedenza ‐ e, quindi, anche delle<br />

produzioni documentali, indicando nello stesso tempo i limiti di tale regola, con il<br />

porre in via alternativa i requisiti che tali documenti, al pari degli altri mezzi di prova,<br />

devono presentare per poter trovare ingresso in sede di gravame (sempre che essi<br />

siano prodotti, a pena di decadenza, mediante specifica indicazione degli stessi<br />

nell'atto introduttivo del giudizio di secondo grado, a meno che la loro formazione<br />

non sia successiva e la loro produzione non sia stata resa necessaria in ragione dello<br />

sviluppo assunto dal processo). Tali requisiti consistono nella dimostrazione che le<br />

parti non abbiano potuto proporli prima per causa ad esse non imputabile, ovvero<br />

nel convincimento del giudice della indispensabilità degli stessi per la decisione<br />

(Cass. sez. lav., 14198/2010).<br />

Il requisito per l'ammissibilità della produzione di nuovi documenti in appello a<br />

norma dell'art. 345, terzo comma, c.p.c., e cioè la verifica da parte del giudice della<br />

indispensabilità dello stesso ‐ requisito posto dalla legge per escludere che il potere<br />

del giudice venga esercitato in modo arbitrario ‐ non richiede necessariamente un<br />

apposito provvedimento motivato di ammissione, essendo sufficiente che la<br />

giustificazione dell'ammissione sia desumibile inequivocabilmente dalla motivazione<br />

della sentenza di appello, dalla quale risulti, anche per implicito, la ragione per la<br />

quale tale prova sia stata ritenuta decisiva ai fini del giudizio. Anche il principio di<br />

infrazionabilità della prova tra i vari gradi di giudizio non è stato soppresso in<br />

conseguenza dell'intervenuta abrogazione dell'art. 244, comma 2, c.p.c., ma<br />

rafforzato dalla previsione contenuta nell'art. 345 del c.p.c. novellato, in base alla<br />

quale anche per le prove testimoniali vale il principio della inammissibilità della<br />

nuova prova in appello, che può essere ammessa solo in quanto senza alterare il<br />

regime delle preclusioni ritenuta dal giudice indispensabile ai fini della decisione,<br />

sempre che il fatto che si vuole provare sia stato già dedotto nel corso del giudizio di<br />

primo grado.


I criteri fissati dall'art. 345 c.p.c. stabiliscono, quindi, che la produzione di documenti<br />

rientra nei "nuovi mezzi di prova" non ammessi, salvo che i documenti siano ritenuti<br />

indispensabili ai fini della decisione della causa o che la parte dimostri di non avere<br />

potuto produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabili (da<br />

ultimo Cass. civ., 1370/13).<br />

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 13 dicembre 2012 – 20 febbraio 2013, n.<br />

4270<br />

Presidente Felicetti – Relatore Proto<br />

Svolgimento del processo<br />

Con citazione del 5/12/1995 S.L. e S.M.F. convenivano in giudizio la sorella S.M.T.<br />

chiedendo:<br />

‐ l'accertamento di una donazione indiretta, avente ad oggetto un immobile<br />

intestato alla convenuta, ma asseritamente pagato dai loro genitori, e dalla loro zia<br />

paterna;<br />

‐ la riduzione della donazione in quanto lesiva della loro quota di legittima.<br />

Nei confronti di S.M.F. era dichiarata l'improcedibilità della domanda per<br />

precedente giudicato che aveva rigettato la stessa domanda.<br />

Nei confronti di S. Lucia l'azione di riduzione relativa alla quota di legittima<br />

sull'eredità del padre L. era dichiarata prescritta ed era dichiarata improponibile la<br />

pretesa di una quota di legittima sull'eredità della zia paterna; quanto alla quota di<br />

legittima sull'eredità della madre Z.M. e alla correlativa azione di riduzione, il<br />

Tribunale di Rovigo con sentenza del 5/2/2001 rigettava la domanda di riduzione<br />

della donazione indiretta per mancanza della prova che la madre avesse posto in<br />

essere una donazione indiretta a favore della convenuta S.M.T. .


L'appello di S.L. e stato rigettato dalla Corte di Appello di Venezia con sentenza del<br />

23/5/2005 sulla base di una pluralità di rationes decidendi, osservando:<br />

‐ che non v'è prova di esborsi dei genitori a favore dell'appellata M.T. ;<br />

che gli eventuali esborsi sostenuti dal padre non implicano una dazione anche da<br />

parte della madre (della cui eredità si tratta) perché la stessa attrice aveva dedotto<br />

che erano avvenuti negli anni 1965‐1971 e, quindi, prima della riforma della<br />

comunione legale tra i coniugi, introdotta solo con la riforma del diritto di famiglia;<br />

che la pretesa inadeguatezza dei redditi dell'appellata rispetto agli oneri economici<br />

sostenuti per l'acquisto dell'immobile e la sproporzione della sua ampiezza rispetto<br />

alle esigenze dell'appellata sono circostanze non rilevanti, in mancanza di un<br />

qualsiasi collegamento tra le pretese esigenze finanziarie dell'appellata e le dazioni<br />

di denaro da parte di sua madre.<br />

Quanto alle richieste istruttorie ‐ formulate con l'atto di appello (prove per testi) e<br />

all'udienza di precisazione delle conclusioni (produzioni documentali) e che<br />

costituiscono oggetto dei primi due motivi di ricorso, la Corte di Appello ha rilevato:<br />

che il documento prodotto dall'appellante solo all'udienza di precisazione delle<br />

conclusioni non può essere prodotto; al riguardo richiama un precedente di questa<br />

Corte e precisamente la sentenza n. 5463/2002 (per un evidente errore materiale è<br />

indicata dalla Corte territoriale con l'errato numero 5643), che ha ritenuto che la<br />

facoltà di produrre nuovi documenti in appello deve essere esercitata, a pena di<br />

decadenza, con la costituzione in giudizio ed entro il termine all'uopo fissato dagli<br />

artt. 165 e 166 c.p.c.;<br />

che le richieste di prove testimoniali sono state abbandonate nei giudizio di primo<br />

grado dopo la sentenza non definitiva e neppure riproposte con la precisazione delle<br />

conclusioni davanti al primo giudice; pertanto, secondo la Corte distrettuale,<br />

l'appellante è decaduta dalla prova testimoniale. L..S. propone ricorso affidato tre<br />

motivi; resiste con controricorso S.M.T. che deposita memoria.<br />

Motivi della decisione


1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell'art.<br />

345 c.p.c. e l'omesso esame di un documento decisivo con riferimento:<br />

a) alla mancata ammissione di un documento costituito da una lettera in data<br />

19/4/1982 nella quale S.M.T. scrive al fratello pregandolo (a dire della ricorrente) di<br />

parlare con gli altri e di procedere velocemente alla cointestazione del bene<br />

riconoscendo alla scrivente M.T. i 2/9 dell'immobile; nel documento è contenuto un<br />

riferimento alla vendita al padre, che, secondo la ricorrente significherebbe<br />

retrocessione; il documento sarebbe pervenuto nella disponibili la della ricorrente<br />

solo pochi giorni prima dell'udienza di precisazione delle conclusioni in appello;<br />

b) alla mancata ammissione dei verbali di inventario, comprovanti, a suo dire,<br />

l'accettazione dell'eredità materna. La ricorrente sostiene:<br />

che il giudice di appello aveva l'obbligo di ammettere ed esaminare i nuovi<br />

documenti trattandosi di prove precostituite e non di prove costituende alle quali<br />

ultime solamente si applica il divieto di nuove prove;<br />

‐ che la produzione della lettera 19/4/1982 non poteva essere effettuata al<br />

momento della costituzione nel giudizio di appello perché reperita solo prima della<br />

precisazione delle conclusioni;<br />

‐ che il documento era decisivo;<br />

che la mancata ammissione del documento ne ha comportato la mancata<br />

valutazione e, quindi, il vizio di motivazione.<br />

1.1 Il motivo è manifestamente infondato sotto ogni profilo.<br />

In primo luogo, la censura relativa alla mancata ammissione dei verbali di inventario,<br />

comprovanti, a suo dire, l’accettazione dell'eredità materna è inammissibile per<br />

manifesta irrilevanza in quanto i documenti, asseritamente diretti a provare la sua<br />

accettazione della eredità con beneficio di inventario, sono del tutto irrilevanti<br />

rispetto alla ratio decidendi per la quale non si è esclusa l'ammissibilità della<br />

domanda di riduzione (la convenuta aveva sostenuto che ai sensi dell'art. 564 c.c.,<br />

essendo la erede pretermessa, per l'esercizio dell'azione di riduzione nei suoi<br />

confronti occorresse l'accettazione con beneficio di inventario).<br />

La Corte territoriale, invece, ha rigettato la domanda per la mancata prova che<br />

l'immobile fosse stato acquistato con una contribuzione in denaro della madre delle


due sorelle (rispettivamente attrice e convenuta); pertanto viene meno lo stesso<br />

interesse a dolersi della mancata ammissione dei verbali di inventario in quanto<br />

l'azione di riduzione, rigettata nel merito, è stata implicitamente ritenuta<br />

ammissibile.<br />

Quanto alla lettera 19/4/1982 che S.M.T. avrebbe inviato al fratello M. , il vizio di<br />

motivazione non sussiste perche il giudice di appello ha rilevato l'inammissibilità<br />

delle produzione e quindi non doveva valutare il documento; quanto alla<br />

motivazione sull'inammissibilità della produzione, la stessa si ricava<br />

inequivocabilmente dall'espresso riferimento al fatto che la produzione era<br />

avvenuta solo in sede di precisazione delle conclusioni in appello e dal richiamo alla<br />

sentenza n. 5463/2002 di questa Corte che, come sopra riferito, ha ritenuto che la<br />

facoltà di produrre nuova documenti in appello deve essere esercitata, a pena di<br />

decadenza, con la costituzione in giudizio ed entro il termine all'uopo fissato dagli<br />

artt. 165 e 166 c.p.c..<br />

L'art. 345 c.p.c. (nella formulazione vigente ratione temporis e anteriore alla riforma<br />

di cui alla L. n. 69/2009), in ordine alle nuove prove in appello (comprese le prove<br />

documentali: v. Cass. S.U. 20/4/2005 n. 8203) fissa presupposti perché tali<br />

documenti, al pari degli altri mezzi di prova, possano trovare ingresso in sede di<br />

gravame, ossia, alternativamente, la dimostrazione che le parti non hanno potuto<br />

proporli nel giudizio di primo grado per causa ad esse non imputabile, ovvero il<br />

convincimento del giudice della indispensabilità degli stessi per la decisione, ma<br />

sempre che essi siano prodotti, a pena di decadenza, mediante specifica indicazione<br />

degli stessi nell'atto introduttivo del giudizio di secondo grado, a meno che la loro<br />

formazione non sia successiva e la loro produzione non sia stata resa necessaria in<br />

ragione dello sviluppo assunto dal processo.<br />

Nella sentenza impugnata l'inammissibilità è stata ritenuta non già perché il<br />

documento è stato prodotto per la prima volta in appello, bensì perche la<br />

produzione è avvenuta solo nel corso del giudizio di secondo grado, anziché in sede<br />

di costituzione come prescritto dal codice di rito a pena di decadenza. Tale<br />

statuizione non merita censura, essendo conforme all'orientamento ‐ già espresso<br />

da questa Corte in molteplici pronunce antecedenti al citato arresto delle sezioni<br />

unite del 2005 (cfr. ex multis n. 12731/2011 e, ivi, i richiami a Cass. n. 6528/2004; n.<br />

5463/2002; n. 7510/2001) che fonda le sue ragioni, da un lato, sul disposto degli<br />

artt. 163 e 166 c.p.c. richiamati dall'art. 342 c.p.c., comma 1, e art. 347 c.p.c.,


comma 1 e dall'altro sull'esigenza di concentrare, ancor più nel processo di appello,<br />

le attività assertive e probatorie nella fase iniziale del procedimento (sempre che<br />

ovviamente la formazione dei documenti da esibire non sia successiva).<br />

Nel ricorso per cassazione si afferma che il documento non poteva essere prodotto<br />

anteriormente perché "non in possesso della sig.ra S.L. , ma reperito dopo<br />

l’introduzione del giudizio di appello".<br />

L'affermazione è priva dell'indicazione di qualsiasi elemento che possa consentire la<br />

verifica della sua veridicità così che non integra la necessaria dimostrazione che non<br />

era stata possibile una tempestiva produzione.<br />

Per completezza di motivazione va ulteriormente osservato che siccome è stata<br />

dedotta in sede di legittimità la violazione di norma processuale (art. 345 c.p.c.) e,<br />

quindi, un error in procedendo (malgrado l'erroneo richiamo, in ricorso, all'art. 360<br />

n. 3 c.p.c. che attiene agli errores in iudicando), per la mancata ammissione di un<br />

documento che la ricorrente ritiene decisivo la Corte di cassazione, chiamata ad<br />

accertare un "error in procedendo", è giudice anche del fatto, ed è quindi tenuta a<br />

stabilire essa stessa se il documento è indispensabile; cfr. Cass. 16/10/2009 n.<br />

14098; Cass. 15/11/2011 n. 23963).<br />

Ma anche sotto questo diverso profilo il motivo è manifestamente infondato perché<br />

dall'ipotetica ammissione di non essere proprietaria dell'intero bene e dal<br />

riferimento alla possibile vendita al padre non può in alcun modo desumersi un<br />

riconoscimento che l'acquisto è avvenuto con la contribuzione della madre Pertanto<br />

la prova documentale manca anche di ogni ragionevole indicazione circa il requisito<br />

di indispensabilità del documento, tale da comportare il ribaltamento della sentenza<br />

di prime cure.<br />

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione<br />

dell'art. 345 c.p.c. e sostiene che il giudice di appello avrebbe errato nel ritenerla<br />

decaduta dalla prova testimoniale in quanto i fatti che essa intendeva provare non<br />

erano fatti nuovi e, quindi, non era applicabile il divieto di prove nuove in appello di<br />

cui all’art. 345 c.p.c.<br />

2.1 Il motivo è manifestamente infondato.<br />

La prova testimoniale richiesta con l'atto di appello non poteva e non doveva essere<br />

ammessa proprio per la mancanza del requisito della novità e per la decadenza in


cui era incorsa l'appellante per avervi, sia pur implicitamente, rinunciato in primo<br />

grado. Come più volte affermato nella giurisprudenza di questa Corte, la pronuncia<br />

di decadenza dalla prova (nella specie, testimoniale) può legittimamente essere<br />

contenuta nel provvedimento di chiusura dell'istruzione e nell'invito rivolto alle parli<br />

alla precisazione delle conclusioni, con conseguente preclusione, per la parte<br />

interessata, di ogni ulteriore richiesta di articolazione dello stesso mezzo istruttorie)<br />

in secondo grado; infatti, allorché il giudice dichiara chiusa l'istruttoria ed invita le<br />

parti alla precisazione delle conclusioni, le stesse decadono dai mezzi istruttori non<br />

assunti indipendentemente da una espressa dichiarazione di decadenza (Cass.<br />

22/5/1991 n. 5751; Cass. 30/5/2005 n. 11394; Cass. 25/10/2006 n. 22843) e la prova<br />

non può essere riproposta in appello proprio in quanto non si tratta di prova nuova,<br />

ma di prova già dedotta in prime cure e abbandonata. A tali principi si è uniformata<br />

la Corte territoriale.<br />

3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce l'insufficiente e contraddittoria<br />

motivazione della sentenza sostenendo che il giudice di appello ha sottovalutato e<br />

non adeguatamente motivato sugli indizi idonei a fare ritenere l'esistenza della<br />

donazione indiretta costituiti:<br />

a) dalla circostanza che S.T. aveva contestato che la sorella L. avesse accettato<br />

l'eredità materna;<br />

b) la mancata impugnazione da parte della sorella T. del testamento della madre che<br />

l'aveva espressamente esclusa dalle proprie disposizioni testamentarie, dal che si<br />

doveva desumere che essa aveva già ricevuto donazioni ben maggiori della<br />

legittima.<br />

3.1 Gli elementi indiziari esposti nel motivo appaiono, all'evidenza, di totale<br />

irrilevanza ai fini della prova dei le elargizioni materne dirette all'acquisto<br />

dell'immobile:<br />

‐ la contestazione, nel processo, del l'accettazione dell'eredità materna da parte<br />

della sorella prova soltanto il ricorso ad uno strumento processuale diretto a<br />

contrastare la pretesa avversaria e non costituisce certamente indizio della<br />

fondatezza della pretesa;<br />

‐ la mancata impugnazione del testamento che esclude la convenuta dalla<br />

successione non può valere neppure come semplice indizio non sussistendo,<br />

neppure sotto il profilo meramente logico, un collegamento univoco tra la rinuncia a


far valere il diritto sull'eredità della madre (della quale neppure si conosce l'entità) e<br />

il percepimento di somme di denaro dalla madre in vita e specificamente dirette<br />

all'acquisto dell'immobile. Ne discende che il giudice di appello, non considerando e<br />

non valutando gli evidenziati indizi che risultano all'evidenza irrilevanti, non è<br />

incorso nel vizio di motivazione denunciabile con il ricorso per cassazione e che<br />

sussiste scio quando la motivazione sia carente su un "punto decisivo" (nella<br />

formulazione dell'art. 360 n. 5 c.p.c. vigente prima della modifica apportata dalla L.<br />

n. 40/06).<br />

4. Il ricorso deve essere rigettato con la condanna della ricorrente al pagamento<br />

delle spese di questo giudizio di cassazione liquidate come in dispositivo.<br />

P.Q.M.<br />

La Corte rigetta il ricorso e condanna S.L. a pagare a S.M.T. le spese di questo<br />

giudizio di cassazione che liquida in Euro 2.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi.

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