8. Rinaldo Paganelli, scj - Dehon.it
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) La matur<strong>it</strong>à culturale della fede. Ma vorrei soprattutto sottolineare la dimensione culturale della matur<strong>it</strong>à<br />
della fede. La domanda sulla fede adulta, infatti, non può restare solo sul piano del processo di maturazione<br />
dell’individuo. Occorre parlare di maturazione culturale della fede.<br />
Per matur<strong>it</strong>à culturale della fede possiamo intendere lo stato della fede quando questa può essere vissuta<br />
(dai cristiani) e socialmente percep<strong>it</strong>a (dai non cristiani) come culturalmente ab<strong>it</strong>abile, vale a dire come<br />
intellettualmente sensata e umanizzante, sia nei riguardi dell’individuo che della società.<br />
È soprattutto su questo campo che la fede è chiamata oggi a dare prova della sua pertinenza e del suo<br />
valore. Molti cristiani vivono con la sensazione che la loro fede li obblighi a essere un po’ meno umani degli<br />
altri, un po’ meno liberi, un po’ meno realizzati, un po’ meno c<strong>it</strong>tadini. Questa percezione è condivisa dai non<br />
credenti. Alcuni hanno lasciato la fede (cioè quelli che così pensano sia la fede) per poter vivere meglio. La<br />
fede cristiana sarebbe dunque infantile, inadatta, superata, obsoleta.<br />
Proprio su questo terreno sociale e culturale si gioca oggi la sfida della fede adulta e di conseguenza della<br />
missione.<br />
E la fede cristiana non ha nulla da temere in questa sfida. Il Dio, infatti, che essa annuncia si è fatto umano,<br />
si è presentato nella storia nel massimo di uman<strong>it</strong>à e per promuovere il massimo di uman<strong>it</strong>à. È stato in<br />
mezzo agli uomini e continua a essere tra loro da Signore Risorto come l’offerta massima di umanizzazione<br />
personale, sociale, culturale.<br />
Una fede così adulta permette di stare bene nella propria pelle di credenti e c<strong>it</strong>tadini, senza schizofrenie.<br />
Essa ha molto da dare e molto da ricevere dalla cultura. È una fede in grado di appoggiarsi su alcuni<br />
elementi della cultura per ripensare il cammino della fede, per renderla ragionevole. Appoggiandosi così alla<br />
cultura per rendere ragione di se stessa, la fede “salva” la cultura (la integra nel dinamismo della salvezza) e<br />
si s<strong>it</strong>ua essa stessa come ragionevole, possibile, desiderabile nel proprio contesto.[15] Si può ben vedere<br />
come la questione sulla fede adulta raggiunge la problematica dell’inculturazione. In fondo, una fede adulta è<br />
una fede che permette ai cristiani di vivere con “naturalezza” e “pertinenza” in una determinata cultura (il che<br />
implica in essi una libertà di parola, di iniziativa, di cr<strong>it</strong>ica…). Questo permetterebbe di uscire tutti insieme<br />
(cristiani e non cristiani) da un rapporto con il cristianesimo segnato dalla “vergogna”. Quando i cristiani non<br />
osano dirsi cristiani vuol dire che la fede, dal punto di vista culturale, non è matura (adulta) e/o non è<br />
percep<strong>it</strong>a socialmente come umanizzante.<br />
5. Forma ecclesiale<br />
La missione e, al suo interno, il primo annuncio si caratterizza per essere al servizio del nascere della fede,<br />
in coloro che non sono credenti e di coloro che si esprimono sul cristianesimo con parole che mostrano che<br />
non è stato loro annunciato il vangelo nel suo nucleo di buona novella di salvezza.<br />
I documenti richiamati ci rendono consapevoli del fatto che se viene meno l’annuncio a chi non è credente la<br />
chiesa finisce nel breve tempo di una generazione. Il principio v<strong>it</strong>ale che fa esistere la chiesa è proprio<br />
l’annuncio. Questo comporta di ridare effettiva prior<strong>it</strong>à alla comunicazione del vangelo, anche verbale, a tu<br />
per tu, all’adulto, in forma dialogica e personalizzata, non come un’attiv<strong>it</strong>à tra tante, ma come la realtà<br />
necessaria per esistere. Parlare di missione riporta a un “essenziale di Chiesa”, che ha valore primario in<br />
senso generatore e che insegna la logica base per ogni altra attiv<strong>it</strong>à ecclesiale. Per ciascun momento di v<strong>it</strong>a<br />
della chiesa è importante interrogarsi sul tipo di dinamica comunicativa che si mette in atto, su chi siano i<br />
soggetti che la propongono, su quali siano i luoghi. E quindi su quale forma di chiesa deriva da questa<br />
tipologia di comunicazione.<br />
Il tema della missione porta al cuore di una delle grandi questioni dell’ecclesiologia: come pensare la<br />
relazione tra singoli soggetti che cost<strong>it</strong>uiscono il noi ecclesiale. Il caso della missione fa percepire la<br />
differenza tra fede e professione di fede, che si tende ad appiattire: la fede è realtà interiore, l’affidamento<br />
pieno, l’Amen che sta nel cuore della persona. Professare la fede è dichiarare personalmente la propria<br />
adesione di fede nel momento celebrativo, è annunciare a chi non è credente ciò che è divenuto fondamento<br />
e senso dell’esistenza. Solo se la fede viene simbolizzata e comunicata è cogeneratrice di chiesa. In questo<br />
senso il cr<strong>it</strong>erio di appartenenza alla chiesa non è la fede, che rimane interiore, conosciuta solo da Dio,