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8. Rinaldo Paganelli, scj - Dehon.it

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Annunciamo la Buona Novella<br />

LA DIMENSIONE MISSIONARIA DELL’ANNUNCIO<br />

NEL CONTESTO OCCIDENTALE<br />

P. <strong>Rinaldo</strong> <strong>Paganelli</strong>, <strong>scj</strong><br />

La problematica della proposta della fede è diventata centrale nella riflessione e nella prassi dell’annuncio.<br />

Essa riguarda il cambiamento di paradigma dell’evangelizzazione. La cultura occidentale è defin<strong>it</strong>ivamente<br />

usc<strong>it</strong>a dal regime di cristian<strong>it</strong>à, all’interno del quale la fede cristiana coincideva con l’appartenenza sociale:<br />

essere un buon c<strong>it</strong>tadino significava essere un buon cristiano, e viceversa. La logica e il dispos<strong>it</strong>ivo della<br />

trasmissione della fede in questo contesto, avveniva per osmosi, attraverso una sorta di bagno sociologico.<br />

All’interno di una cultura plurietnica e plurireligiosa, che considera la libertà e la realizzazione personale<br />

come valori indiscussi, la fede cristiana non è più un dato acquis<strong>it</strong>o. Essa non può essere che dell’ordine<br />

della libertà e della scelta. L’evangelizzazione tradizionale si è specializzata a nutrire la fede, una fede già<br />

data. Essa si rivela incapace di proporre la fede. La prospettiva della proposta della fede o del primo<br />

annuncio, domanda ai cristiani e agli evangelizzatori una logica nuova, degli atteggiamenti e delle<br />

competenze ined<strong>it</strong>e.<br />

Il nuovo contesto culturale europeo di libertà può cost<strong>it</strong>uire una chance per un nuovo cristianesimo, un<br />

cristianesimo non di marca sociologica, ma dell’ordine della grazia e della libertà. Questo domanda alla<br />

comun<strong>it</strong>à cristiana e alla nostra congregazione una nuova capac<strong>it</strong>à di testimonianza e di proposta. Richiede<br />

all’evangelizzazione di recuperare la sua dimensione missionaria originale. Non a caso il tema della<br />

“conversione missionaria dell’annuncio” è al centro delle preoccupazioni ecclesiali e della riflessione<br />

catechetica attuale e giustamente il prossimo cap<strong>it</strong>olo generale può riprendere questa tematica.<br />

a) A livello di Chiesa universale, il tema della “nuova evangelizzazione”, caro a Giovanni Paolo II, ha avuto<br />

un momento fondamentale nell’evento del Giubileo dell’anno 2000 e un impulso determinante nella Lettera<br />

apostolica Novo millennio ineunte[1], con il suo inv<strong>it</strong>o fortemente evocativo a “prendere il largo” (duc in<br />

altum), a impegnarsi per una nuova evangelizzazione e inculturazione della fede.<br />

A livello delle Chiese europee, possiamo ricordare il grande impegno dell’episcopato francese con la svolta<br />

contenuta nella Lettre aux Catholique de France (1997)[2] e gli orientamenti innovativi del Texte National<br />

pour l’orientation de la catéchèse en France (2006)[3], testo che sollec<strong>it</strong>a la formazione di comun<strong>it</strong>à<br />

missionarie, pone al centro dell’annuncio il mistero della Pasqua, presenta l’iniziazione cristiana come<br />

percorso teologico e pedagogico fondamentale.<br />

Nello stesso anno 2006 i Vescovi del Belgio pubblicano un importante documento per il rinnovamento della<br />

catechesi: Devenir adulte dans la foi. La catéchèse dans la vie de l’Eglise[4], che pone il primo annuncio<br />

come base di ogni azione catechistica, segu<strong>it</strong>o dall’inv<strong>it</strong>o ad un dialogo pos<strong>it</strong>ivo con l’attuale cultura,<br />

contenuto nel documento Ne savez-vous pas interpréter les signes des temps? (2007)[5].<br />

Analogo nell’ispirazione e nell’intens<strong>it</strong>à è stato il cammino dell’Episcopato <strong>it</strong>aliano, ispirato dagli orientamenti<br />

pastorali per il decennio 2001-2010, raccolti nel documento Comunicare il vangelo in un mondo che cambia<br />

(2001)[6], concretizzati dalle tre note sull’iniziazione cristiana[7] e dal documento sul volto missionario della<br />

parrocchia[8], e finalmente culminate nella nota pastorale sul primo annuncio Questa è la nostra fede<br />

(2005)[9].


I due ultimi piani pastorali dell’Episcopato spagnolo vanno nella stessa direzione, insistendo sulla necess<strong>it</strong>à<br />

del primo annuncio e sulla prior<strong>it</strong>à di una catechesi iniziatica[10].<br />

C<strong>it</strong>iamo infine il documento dei Vescovi tedeschi La catechesi in un tempo mutato (Katechese in veranderter<br />

ZEIT) del 2004[11], che riafferma la necess<strong>it</strong>à di un ricentramento fondamentale sulla dimensione<br />

missionaria della catechesi, inv<strong>it</strong>ando a un superamento della distinzione classica tra catechesi e primo<br />

annuncio.<br />

Potremmo continuare la ricognizione dei documenti dei differenti episcopati, accorgendoci di una comune<br />

ispirazione di tipo missionario, ispirazione che va oltre le chiese europee e che è stata confermata<br />

dall’Episcopato latino americano nell’importante documento di Aparecida[12].<br />

Il tema della “proposta della fede”, del passaggio da un annuncio “di inquadramento” a un annuncio “di<br />

rigenerazione”, l’esigenza di un cambiamento dei paradigmi dell’annuncio, la svolta missionaria della<br />

catechesi e il tema del “primo annuncio” sono temi familiari e sono la base della grammatica comunicativa<br />

dei responsabili dell’evangelizzazione.<br />

1. Determinare le coordinate<br />

Per rinnovare la missione è importante correlare la coscienza di chiesa, la forma ecclesiale e i processi di<br />

ist<strong>it</strong>uzionalizzazione.<br />

Una decisa conversione missionaria dell’annuncio richiede prima di tutto una più lucida determinazione della<br />

coscienza di chiesa che ci sostiene e verso la quale vogliamo camminare. Indicherei come necessari due<br />

tratti specifici: riconoscersi e porre una scelta chiara per la visione di chiesa nel mondo; pensarsi secondo<br />

una visione di chiesa come ist<strong>it</strong>uzione aperta e in divenire.<br />

L’annuncio deve essere, prima di tutto, sostenuto e suffragato da una visione quale quella espressa in GS<br />

44: conoscere i linguaggi del nostro tempo per poter meglio annunciare il vangelo, ma anche per poterlo<br />

meglio comprendere. Dalla scelta di cammini di annuncio vissuti in questa logica di ascolto autentico<br />

dell’interlocutore, viene la possibil<strong>it</strong>à per la chiesa di comprendere più profondamente il vangelo grazie alle<br />

domande, ai dubbi, alle resistenze, alle precomprensioni esistenziali che gli adulti sempre pongono davanti<br />

all’annuncio evangelico che la chiesa pone.<br />

In secondo luogo si tratta di superare ogni nostalgia per la cristian<strong>it</strong>à e ogni sacralizzazione del già<br />

ecclesiale, anche davanti alla richiesta di ident<strong>it</strong>à sicura che molti rivolgono alla chiesa, per accettare di<br />

vivere secondo una coscienza certa di relativ<strong>it</strong>à (al mondo, al regno) e di flessibil<strong>it</strong>à che un cristianesimo<br />

post-secolare chiede. In un contesto che vive secondo la leg<strong>it</strong>timazione del cambiamento continuo,<br />

dobbiamo imparare a pensare l’ident<strong>it</strong>à di chiesa non come un permanere in un elemento acquis<strong>it</strong>o una volta<br />

per tutte, ma come costruzione progressiva di un’ident<strong>it</strong>à, mai conclusa, come essere nel divenire. Non<br />

siamo già dati come chiesa perché la ver<strong>it</strong>à verrà rivelata pienamente nel compimento escatologico.<br />

2. Uno sguardo evangelico sulla s<strong>it</strong>uazione odierna<br />

Fatte salve queste due attenzioni, è indubbio che nel contesto attuale ci sono resistenze alla fede, in questo<br />

universo eterogeneo, colorato, contrastato del mondo contemporaneo, che dub<strong>it</strong>a, che cerca a tentoni,<br />

possiamo dire anche oggi, come san Paolo nell’agora ateniese: “In realtà, Dio non è lontano da ciascuno di<br />

noi” (At 17,27). Questa è, di fatto, una prima affermazione che possiamo sostenere nella fede: Dio non è mai<br />

lontano dall’uomo. Questo rientra proprio nel campo delle sue difficoltà di credere che Dio è presente e può<br />

farsi riconoscere attraverso percorsi che possono sorprenderci.<br />

Una seconda affermazione che possiamo sostenere nelle fede è che l’uomo permane “capace di Dio”.<br />

L’evangelizzatore non crea la “capac<strong>it</strong>à di Dio”, questa è presente oggi come lo era in passato nel profondo


degli esseri umani Questa fede nell’uomo “capace di Dio” ci autorizza a proporre un annuncio evangelico,<br />

intelligente certo, ma senza timore né timidezza.<br />

Se Dio non è lontano dall’uomo e se l’uomo è “capace di Dio”, allora l’intero lavoro dell’evangelizzatore<br />

consiste nel raggiungere gli uomini là dove essi sono, per accompagnarli nel cammino del riconoscimento di<br />

Dio che è già lì. Ricordiamo il messaggio evangelico del mattino di Pasqua: “Vi precede in galilea. Là lo<br />

vedrete” (Mc 16,7). Questo annuncio evangelico ci sconvolge sempre, in quanto evangelizzatori, poiché<br />

inv<strong>it</strong>a a capovolgere radicalmente le proprie prospettive. Di fatto, non pochi annunciatori pensano di avere<br />

Cristo con sé come fosse un oggetto che afferrano, che detengono o controllano e che dovrebbero<br />

trasmettere ad altri che, invece, non lo avrebbero. Il Cristo non è un oggetto posseduto che si può<br />

mantenere qui per poi comunicarlo altrove. Per raggiungerlo, si deve uscire dalle proprie case, lasciare i<br />

propri luoghi per andare verso il luogo dell’altro, la Galilea delle nazioni, dove Egli ci precede. Si è sempre<br />

infatti preceduti dallo Spir<strong>it</strong>o di Cristo nei luoghi in cui ci si rende presenti.<br />

Il comp<strong>it</strong>o dell’evangelizzatore oggi è quello di comprendere e di accompagnare le resistenze alla fede, per<br />

sconfiggere gli ostacoli e agevolare l’accesso. L’evangelizzatore non ha il potere di trasmettere la fede. Egli<br />

non può sost<strong>it</strong>uirsi all’altro ma, almeno, può adoperarsi per creare le migliori condizioni al fine di rendere la<br />

fede possibile, credibile e desiderabile. L’amore di Dio è dato gratu<strong>it</strong>amente ad ognuno. Diventare cristiano,<br />

accedere al riconoscimento di questa grazia già donata, può essere un cammino lungo e difficile. Pertanto,<br />

la missione dell’evangelizzatore, come ci insegna l’apostolo Giacomo, è quella di accompagnare i suoi<br />

fratelli e sorelle nell’uman<strong>it</strong>à sul difficile cammino, rendendolo, per quanto possibile, agevole.<br />

3. Per una proposta della fede possibile, comprensibile e desiderabile<br />

Vorrei indicare alcuni spazi di lavoro per aiutarci ad incontrare e a superare le resistenze alla fede.<br />

3.1. Dio aiuta a pensare<br />

Per molti il cristianesimo appare come un dogmatismo che cerca di imporsi dall’alto, per via di una ver<strong>it</strong>à<br />

indub<strong>it</strong>abilmente posseduta mediante la rivelazione. In altri termini, il cristianesimo è percep<strong>it</strong>o come una<br />

realtà che frena la ragione.<br />

Dinnanzi al mistero dell’esistenza, l’uomo non può escludere, a priori, la possibil<strong>it</strong>à di una eventuale<br />

rivelazione. La parola di Dio si colloca sull’asse “chiamata/risposta”. Tale chiamata si esprime in seno alla<br />

storia, nell’ordine dell’evento, si inserisce nella storia di un popolo e si propone come l’offerta di un’alleanza<br />

che fa vivere.<br />

La fede è allora una risposta ad una chiamata che interroga e che si può riconoscere, con la massima<br />

intelligenza e libertà, come vera perché buona, giusta e salutare per la v<strong>it</strong>a. Pertanto, l’atto di fede è vissuto<br />

dal credente come ragionevole sul piano intellettuale e nel contempo come benefico sul piano della v<strong>it</strong>a<br />

pratica.<br />

Certamente, bisogna fare in modo che le prassi ecclesiali si adattino a questa esigenza, prendendo le<br />

distanze da qualsiasi forma di indottrinamento.<br />

L’equilibrio della figura della fede è insieme atto, contenuto e atteggiamento. Ognuno dei tre lati può<br />

utilmente essere interrogato circa gli es<strong>it</strong>i che produce, la sua prevalenza o la sua lat<strong>it</strong>anza: ad esempio una<br />

fede più protagonista che testimone, più intellettuale che generatrice di atteggiamenti e prassi, più devota<br />

che discepola. Oppure ridotta a sensibil<strong>it</strong>à ambientale, appartenenza culturale, sentimento, sprovvista di<br />

condizioni che la alimentano.<br />

Nella figura armonica della fede si salda il quadro delle competenze e si apre la possibil<strong>it</strong>à di un suo<br />

esercizio in modo adulto, vale a dire competente a rispondere responsabilmente e costruttivamente alle<br />

s<strong>it</strong>uazioni della v<strong>it</strong>a nel nostro mondo.


3.2. Libertà e divieto per esprimersi in pienezza<br />

L’affermazione di Dio pesa sull’uomo come una minaccia alla sua libertà, Dio è importuno, è insopportabile e<br />

indesiderabile, poiché pesa sulla libertà costringendo l’uomo all’obbedienza. Ciò che è riservato a Dio viene<br />

tolto. Dio appare come il divieto che lim<strong>it</strong>a. Queste obiezioni inv<strong>it</strong>ano a rileggere il racconto della Genesi le<br />

cui interpretazioni diverse hanno avuto un’influenza enorme sulla nostra cultura. In questo racconto tutto<br />

inizia con il dono di un magnifico giardino e con un permesso illim<strong>it</strong>ato. “Di tutti gli alberi del giardino tu puoi<br />

mangiare” (Gen 2,16). Poi arriva il divieto: “ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi<br />

mangiarne, perché nel giorno in cui tu te ne cibassi, dovrai certamente morire” (Gen 2,17). Questo divieto<br />

non è un obbligo, lascia la libertà o, per meglio dire, risveglia la libertà, rendendola però responsabile dinanzi<br />

alla v<strong>it</strong>a e alla morte. D’ora in poi, l’essere umano sa che può agire in modo da invertire la creazione e<br />

dirigersi verso la morte.<br />

In ordine a questo tema occorre lavorare profondamente sulle rappresentazioni di Dio, sia in campo<br />

ecclesiale che culturale, affinché noi stessi ed i nostri contemporanei possiamo godere della possibil<strong>it</strong>à di<br />

avvicinarci a Dio, per essere ancora di più noi stessi. Come dice san Paolo, noi non abbiano ricevuto uno<br />

spir<strong>it</strong>o di schiav<strong>it</strong>ù che ci riconduce al timore, ma uno spir<strong>it</strong>o di adozione a figli che ci fa dire, in piena fiducia<br />

“Abbà Padre” (cf. Rm 8,15). È dunque nostro dovere portare avanti una rigorosa opera di ascolto delle<br />

aspirazioni odierne, di rilettura della tradizione e di vigilanza nelle attiv<strong>it</strong>à pastorali, affinché Dio possa essere<br />

veramente riconosciuto come l’alleato e non come il nemico della libertà.<br />

3.3. Il piacere come elemento pos<strong>it</strong>ivo<br />

Si vive in una società che spesso viene defin<strong>it</strong>a edonista. La ricerca del piacere, della soddisfazione dei<br />

sensi, svolgono un ruolo fondamentale per la ricerca della felic<strong>it</strong>à e di una buona qual<strong>it</strong>à della v<strong>it</strong>a. Nella<br />

chiesa il termine “edonismo” è spesso utilizzato con disprezzo, perché rinvia alla ricerca di piacere effimero,<br />

talvolta anche degradante e non all’altezza della dign<strong>it</strong>à umana. Pertanto, nella cultura contemporanea, il<br />

cristianesimo è percep<strong>it</strong>o, in molti casi, come triste, nemico del piacere. Per molti infatti, il cristianesimo, con<br />

la sua tradizione ascetica, con la sua insistenza sul nutrimento spir<strong>it</strong>uale e sulle gioie durature, in<br />

opposizione ai nutrimenti terreni e ai piaceri effimeri, appare come un crimine contro la v<strong>it</strong>a.<br />

Eppure, nella tradizione giudeo cristiana non mancano gli elementi che ci conducono a concepire il piacere<br />

come una benedizione divina. Basta ricordare il racconto della creazione: Dio vide che era buono ed anche<br />

molto buono (cf. Gen 1). Gli alberi del giardino sono belli da vedere e i loro frutti sono buoni da mangiare. In<br />

quanto alla fine che ci attende, questa è evocata nel Vangelo con l’immagine di una festa di nozze, vale a<br />

dire con le gioie dell’amore e della tavola (Lc 12, 35ss).<br />

La tradizione cristiana dispone degli strumenti per parlare di Dio in questa cultura, si può dire che le sue<br />

risorse sono poco note. Prendiamo, ad esempio, il libro del Qohèlet, per lui la v<strong>it</strong>a è insignificante, ma offre<br />

dei momenti di felic<strong>it</strong>à di cui possiamo godere (cf. Qo 9, 7-10; 11,3-10). L’arte di vivere sta nel cogliere i<br />

piccoli momenti di piacere che Dio dona.<br />

Nell’evangelizzazione odierna è importante non trattare negativamente il piacere, ma piuttosto considerarlo<br />

con lo sguardo benevolo di Dio. L’uomo è destinato al piacere. Non a caso l’Eucaristia assume la realtà del<br />

vino che rallegra il cuore e il corpo dell’uomo e lo tramuta in segno della presenza di Dio in mezzo a noi, il<br />

segno della nuova alleanza.<br />

La ricerca del piacere è leg<strong>it</strong>tima, ma non bisogna dimenticare che può portare, per stupid<strong>it</strong>à o per malizia, a<br />

fare del male agli altri e a se stessi. Riconoscere la bontà del piacere e celebrare la gioia di vivere impegna a<br />

compiere un’opera di educazione affinché la ricerca del piacere sia responsabile e non dia ad<strong>it</strong>o all’egoismo,<br />

alle ingiustizie, alle dominazioni o a violenze di ogni genere.<br />

3.4. Lasciarsi accogliere e accogliere<br />

Il comp<strong>it</strong>o della missione e dell’evangelizzazione è spesso enunciato in termini di esigenza di accoglienza.<br />

Le comun<strong>it</strong>à cristiane, si dice, devono essere accoglienti; in tanti nostri documenti si parla di comun<strong>it</strong>à che<br />

devono essere accoglienti. Nel gioco della comunicazione, colui che accoglie si mette impercettibilmente in<br />

posizione di superior<strong>it</strong>à, mentre quello che è accolto è rinviato ad una posizione di inferior<strong>it</strong>à. Da qui la


difficoltà di condurre un dialogo evangelico autentico, dal momento che si è presi nel laccio di un rapporto<br />

dominante/dominato.<br />

Per uscirne si dovrebbe, conformemente al Vangelo, invertire la logica: non tanto cercare di accogliere l’altro<br />

presso di sé, quanto assumere il rischio di lasciarsi accogliere da lui, affidandosi alle sue capac<strong>it</strong>à di<br />

accoglienza.<br />

Il Vangelo parla di osp<strong>it</strong>al<strong>it</strong>à domandata. Infatti, il Vangelo non dice: “Siate accoglienti”. Inv<strong>it</strong>a piuttosto ad<br />

uscire verso l’altro per ricevere l’osp<strong>it</strong>al<strong>it</strong>à. “Zaccheo, oggi devo fermarmi a casa tua” (Lc 19,5). “Quando<br />

avete trovato osp<strong>it</strong>al<strong>it</strong>à in una casa, rimaneteci fino alla vostra partenza” (Mc 6,10). “Chi accoglie voi,<br />

accoglie me” (Mt 10,40). “Sono alla porta e busso. Se qualcuno mi ascolta, entrerò e cenerò con lui ed egli<br />

con me” (Ap 3,20).<br />

Queste prospettive evangeliche non sopprimono le esigenze dell’accoglienza presso di sé, ma aprono ad<br />

un’ottica di reciproc<strong>it</strong>à, nella quale gli uni e gli altri danno e ricevono. L’osp<strong>it</strong>al<strong>it</strong>à ricevuta infatti, inv<strong>it</strong>a<br />

all’osp<strong>it</strong>al<strong>it</strong>à rest<strong>it</strong>u<strong>it</strong>a. La parola “osp<strong>it</strong>e” designa altrettanto bene la persona che riceve quanto quella che è<br />

ricevuta.<br />

4. La formazione ad una fede adulta<br />

Possiamo ora aprire un’ultima finestra: quella della formazione a una fede adulta. “Una fede adulta e<br />

pensata”[13], infatti, è la final<strong>it</strong>à ultima di ogni missione e formazione cristiana. Occorre qui tenere presenti<br />

due dimensioni di tale formazione a una fede adulta e pensata: quella soggettiva e quella culturale.<br />

a) Una fede adulta e pensata a livello soggettivo[14]. Un cr<strong>it</strong>erio fondamentale da assumere, parlando della<br />

matur<strong>it</strong>à soggettiva della fede degli adulti, è questo: la fede adulta non è un traguardo, ma un processo.<br />

Facilmente si è portati a interpretare la fede come un punto acquis<strong>it</strong>o, un dono, che va conservato e<br />

incrementato. Allora ad esempio si usano espressioni come: “perdere la fede”; “ho perso la fede”. La fede è<br />

un dato che ho e che posso perdere.<br />

Ora, sia l’AT che il NT mostrano <strong>it</strong>inerari di fede non lineari, spesso contorti e faticosi, proprio da parte di<br />

coloro che diventano nelle Scr<strong>it</strong>ture i destinatari privilegiati dell’agire di Dio, i loro testimoni e quindi anche i<br />

modelli per il discepolo.<br />

Questa è anche l’esperienza delle donne e degli uomini di oggi. Per nessuno la fede è un lungo fiume<br />

tranquillo, ma sempre un cammino, una tensione che non raramente vive più del dubbio che di certezze,<br />

spesso con la connotazione della lotta che il famoso testo di Giacobbe (la lotta con l’angelo, Gen 32,23-32)<br />

ci ricorda.<br />

È importante considerare la fede come un’esperienza che non ha mai fin<strong>it</strong>o di svilupparsi, di evolvere, di<br />

cambiare, esattamente come non si è mai fin<strong>it</strong>o di diventare umani e adulti. La fede è un’esperienza<br />

relazionale, si s<strong>it</strong>ua all’incrocio di due libertà, quella dell’uomo e quella di Dio. Come ogni rapporto essa non<br />

è mai esaur<strong>it</strong>a, è soggetta all’imprevedibil<strong>it</strong>à, ai progressi e ai regressi, alle spinte in avanti e ai blocchi.<br />

La storia di tutti i credenti mostra che questo cammino è una storia di grazia e peccato, di docil<strong>it</strong>à e di<br />

resistenza, di slanci e di cadute. Proprio perché rapporto, la fede non è vicenda lineare.<br />

La sant<strong>it</strong>à cristiana prende forma in una relazione che si mantiene viva sia nei tempi felici che nei giorni di<br />

sofferenza, nei momenti di fedeltà come in quelli di debolezza. La fede di un adulto è viva come ogni suo<br />

rapporto. I salmi ci autorizzano a vivere tutta la gamma dei registri della fede.<br />

Questa consapevolezza ci offre un cr<strong>it</strong>erio di fondo: formare a una fede adulta significa aiutare una persona<br />

a mantenersi in cammino, sempre aperta, e a non considerare nessuna delle sue s<strong>it</strong>uazioni ed esperienze,<br />

anche quelle oggettivamente più fragili, come “una fede persa”, ma come una tappa del proprio percorso di<br />

fede.


) La matur<strong>it</strong>à culturale della fede. Ma vorrei soprattutto sottolineare la dimensione culturale della matur<strong>it</strong>à<br />

della fede. La domanda sulla fede adulta, infatti, non può restare solo sul piano del processo di maturazione<br />

dell’individuo. Occorre parlare di maturazione culturale della fede.<br />

Per matur<strong>it</strong>à culturale della fede possiamo intendere lo stato della fede quando questa può essere vissuta<br />

(dai cristiani) e socialmente percep<strong>it</strong>a (dai non cristiani) come culturalmente ab<strong>it</strong>abile, vale a dire come<br />

intellettualmente sensata e umanizzante, sia nei riguardi dell’individuo che della società.<br />

È soprattutto su questo campo che la fede è chiamata oggi a dare prova della sua pertinenza e del suo<br />

valore. Molti cristiani vivono con la sensazione che la loro fede li obblighi a essere un po’ meno umani degli<br />

altri, un po’ meno liberi, un po’ meno realizzati, un po’ meno c<strong>it</strong>tadini. Questa percezione è condivisa dai non<br />

credenti. Alcuni hanno lasciato la fede (cioè quelli che così pensano sia la fede) per poter vivere meglio. La<br />

fede cristiana sarebbe dunque infantile, inadatta, superata, obsoleta.<br />

Proprio su questo terreno sociale e culturale si gioca oggi la sfida della fede adulta e di conseguenza della<br />

missione.<br />

E la fede cristiana non ha nulla da temere in questa sfida. Il Dio, infatti, che essa annuncia si è fatto umano,<br />

si è presentato nella storia nel massimo di uman<strong>it</strong>à e per promuovere il massimo di uman<strong>it</strong>à. È stato in<br />

mezzo agli uomini e continua a essere tra loro da Signore Risorto come l’offerta massima di umanizzazione<br />

personale, sociale, culturale.<br />

Una fede così adulta permette di stare bene nella propria pelle di credenti e c<strong>it</strong>tadini, senza schizofrenie.<br />

Essa ha molto da dare e molto da ricevere dalla cultura. È una fede in grado di appoggiarsi su alcuni<br />

elementi della cultura per ripensare il cammino della fede, per renderla ragionevole. Appoggiandosi così alla<br />

cultura per rendere ragione di se stessa, la fede “salva” la cultura (la integra nel dinamismo della salvezza) e<br />

si s<strong>it</strong>ua essa stessa come ragionevole, possibile, desiderabile nel proprio contesto.[15] Si può ben vedere<br />

come la questione sulla fede adulta raggiunge la problematica dell’inculturazione. In fondo, una fede adulta è<br />

una fede che permette ai cristiani di vivere con “naturalezza” e “pertinenza” in una determinata cultura (il che<br />

implica in essi una libertà di parola, di iniziativa, di cr<strong>it</strong>ica…). Questo permetterebbe di uscire tutti insieme<br />

(cristiani e non cristiani) da un rapporto con il cristianesimo segnato dalla “vergogna”. Quando i cristiani non<br />

osano dirsi cristiani vuol dire che la fede, dal punto di vista culturale, non è matura (adulta) e/o non è<br />

percep<strong>it</strong>a socialmente come umanizzante.<br />

5. Forma ecclesiale<br />

La missione e, al suo interno, il primo annuncio si caratterizza per essere al servizio del nascere della fede,<br />

in coloro che non sono credenti e di coloro che si esprimono sul cristianesimo con parole che mostrano che<br />

non è stato loro annunciato il vangelo nel suo nucleo di buona novella di salvezza.<br />

I documenti richiamati ci rendono consapevoli del fatto che se viene meno l’annuncio a chi non è credente la<br />

chiesa finisce nel breve tempo di una generazione. Il principio v<strong>it</strong>ale che fa esistere la chiesa è proprio<br />

l’annuncio. Questo comporta di ridare effettiva prior<strong>it</strong>à alla comunicazione del vangelo, anche verbale, a tu<br />

per tu, all’adulto, in forma dialogica e personalizzata, non come un’attiv<strong>it</strong>à tra tante, ma come la realtà<br />

necessaria per esistere. Parlare di missione riporta a un “essenziale di Chiesa”, che ha valore primario in<br />

senso generatore e che insegna la logica base per ogni altra attiv<strong>it</strong>à ecclesiale. Per ciascun momento di v<strong>it</strong>a<br />

della chiesa è importante interrogarsi sul tipo di dinamica comunicativa che si mette in atto, su chi siano i<br />

soggetti che la propongono, su quali siano i luoghi. E quindi su quale forma di chiesa deriva da questa<br />

tipologia di comunicazione.<br />

Il tema della missione porta al cuore di una delle grandi questioni dell’ecclesiologia: come pensare la<br />

relazione tra singoli soggetti che cost<strong>it</strong>uiscono il noi ecclesiale. Il caso della missione fa percepire la<br />

differenza tra fede e professione di fede, che si tende ad appiattire: la fede è realtà interiore, l’affidamento<br />

pieno, l’Amen che sta nel cuore della persona. Professare la fede è dichiarare personalmente la propria<br />

adesione di fede nel momento celebrativo, è annunciare a chi non è credente ciò che è divenuto fondamento<br />

e senso dell’esistenza. Solo se la fede viene simbolizzata e comunicata è cogeneratrice di chiesa. In questo<br />

senso il cr<strong>it</strong>erio di appartenenza alla chiesa non è la fede, che rimane interiore, conosciuta solo da Dio,


quanto piuttosto la professione di fede. La missione serve la fede in rapporto e in ordine alla professione<br />

della fede ecclesiale.<br />

Da una parte questo ci ricorda che la fede cristiana è propriamente ecclesiale, perché fede ricevuta<br />

attraverso la chiesa che mantiene la memoria di Gesù. Se è vero che si può accettare Cristo e il suo<br />

messaggio anche individualmente, è però altrettanto certo che non è possibile divenire cristiani se non nella<br />

chiesa, nella v<strong>it</strong>a sacramentale, sulla base della professione di fede ecclesiale. Dall’altra parte, questo<br />

insegna a porre una forma di chiesa che parta sempre e in ogni caso dall’autodefinizione di ciascuno dei<br />

soggetti coinvolti nell’espressione della fede.<br />

Proprio queste attenzioni chiedono di riconfigurare il volto di chiesa. Si tratta di una riforma nel senso<br />

etimologico della parola, di una reinterpretazione delle ist<strong>it</strong>uzioni esistenti e della creazione di nuove.<br />

La missione e, al suo interno, il primo annuncio chiede di orientarsi a un modello ecclesiale che valorizzi e<br />

supporti una differenziazione di percorsi, di forme di appartenenza, di livelli di coscienza tematizzata per i<br />

suoi membri.<br />

La configurazione assunta e la scelta dei mezzi per il raggiungimento del fine non deve essere<br />

contradd<strong>it</strong>toria rispetto al messaggio annunciato.<br />

La parrocchia ha sempre garant<strong>it</strong>o due elementi essenziali di forma ecclesiale: il rapporto tra vangelo e<br />

terr<strong>it</strong>orio; la forma di popolo di Dio, al di fuori di ogni el<strong>it</strong>arismo e di ogni riduzione a cr<strong>it</strong>eri di appartenenza<br />

omogenei per i membri di una comun<strong>it</strong>à. La fine della civiltà parrocchiale tridentina chiede di ripensare le<br />

figure di comun<strong>it</strong>à nelle quali si vive l’esperienza cristiana ecclesiale e che propongono l’annuncio<br />

evangelico. Si tratta di mantenere e curare la forma di popolo, sulla base di una libera, cosciente,<br />

responsabile adesione, affidando a una rete di soggetti comun<strong>it</strong>ari il comp<strong>it</strong>o di una prima evangelizzazione.<br />

Più specificamente, dato il contesto culturale nel quale si vive che fa della libertà una chiave di definizione<br />

portante sul piano antropologico, la chiesa deve mostrarsi ed essere, madre dei liberi. Su questa<br />

scommessa si gioca molto del futuro delle chiese, come lo snodo della missione mostra. L’altro che si<br />

incontra è libero di accogliere la proposta, di rifiutarla, di accoglierla parzialmente, di obiettare, di accettare e<br />

poi di andarsene. Tutto questo risulta sconvolgente per chiese monol<strong>it</strong>iche, ma molto si gioca sulla capac<strong>it</strong>à<br />

della chiesa di divenire una “ist<strong>it</strong>uzione di libertà” e uno “spazio di libertà corresponsabile”.<br />

Conclusione<br />

Quanto detto sollec<strong>it</strong>a fortemente la missione ecclesiale, e anche la missione della nostra Congregazione, a<br />

tutti i livelli, da quelli della riflessione teologica fino alla prassi catechistica. Richiede un ripensamento nei<br />

suoi contenuti, nei suoi obiettivi, nei suoi modelli.<br />

Un prezioso indicatore sul tema affrontato è venuto, per l’Italia, dal Convegno ecclesiale di Verona<br />

(2006)[16], dove l’aspetto più originale è stato il suo desiderio di inscrivere la speranza cristiana dentro la<br />

secolar<strong>it</strong>à della v<strong>it</strong>a.<br />

Questa intuizione è stata tradotta nella scelta degli amb<strong>it</strong>i. Si sono abbandonati gli amb<strong>it</strong>i sol<strong>it</strong>i intraecclesiali<br />

(segnalati dalle dimensioni classiche della pastorale: catechesi, l<strong>it</strong>urgia, car<strong>it</strong>à) per concentrarsi sulle<br />

dimensioni di v<strong>it</strong>a di ogni uomo e di ogni donna, quelli in cui ognuno gioca la sua avventura umana,<br />

personale e sociale: gli affetti, le fragil<strong>it</strong>à, il lavoro/festa, la tradizione, la c<strong>it</strong>tadinanza. Si tratta di un<br />

decentramento dalla propria organizzazione interna, di un dislocamento dentro le vicende degli uomini e<br />

delle donne di oggi. La speranza cristiana deve dare ragione di sé sui banchi della v<strong>it</strong>a. Viene rest<strong>it</strong>u<strong>it</strong>a alla<br />

fede cristiana la sua natura secolare, la sua profan<strong>it</strong>à.<br />

La fede adulta alla quale si è iniziati e si è chiamati a iniziare è quella che allena a stare al mondo, a starci<br />

dentro volentieri, a starci dentro da figli di Dio e da fratelli e sorelle di tutti. La fede adulta è quella che riporta<br />

alla secolar<strong>it</strong>à battesimale, che rende il meno possibile ecclesiastici, il meno riparati possibile, il più possibile<br />

amanti della v<strong>it</strong>a, promotori di quell’uman<strong>it</strong>à che si è massimamente espressa nel Figlio di Dio fatto umano.


Davvero la missione ha ancora davanti a sé un promettente e impegnativo cammino. Non è tempo di essere<br />

semplicemente realisti, è tempo di essere coraggiosi e liberi fac<strong>it</strong>ori dell’ined<strong>it</strong>o.<br />

[1] Novo Millennio Ineunte, in Regno Documenti, n.4, 2001, p. 126.<br />

[2] LES EVEQUES DE FRANCE, Proposer la foi dans la société actuelle. Lettre aux catholique de France, Paris, Cerf<br />

1997; trad. <strong>it</strong>. : I VESCOVI DI FRANCIA. Proporre la fede nella società atttuale. Lettera ai cattolici. Torino-Leumann,<br />

Elledici 199<strong>8.</strong><br />

[3] CONFERENCE DES EVEQUES DE FRANCE, Texte national pour l’orinetacion de la catéchèse en France, et<br />

principes d’organisation, préface du cardinal Jean-Pierre Ricard, Paris, Bayard-Cerf-Flurus-Mame 2006.<br />

[4] LES EVEQUES DE BELGIQUE, Devenir adulte dans la foi. La catéchèse dans la vie de l’Eglise. Série “Dèclarations<br />

des éveques de Belgique”, n. 34, Bruxelles; ID., Volwassen worden in geloof Catechese in het leve van de kerk. Reeks<br />

Verklaringen van de bischoppen van Belgie, nieuwe reeks, n. 34 brussel, LICAP.<br />

[5] LES EVEQUES DE BELGIQUE, Ne savez-vous donc pas interpreter les signes des temps? (Cf. Mt 16,3b) Bruxelles,<br />

LICAP, 2007.<br />

[6] CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia. Orientamenti pastorali dell’episcopato <strong>it</strong>aliano per il primo<br />

decennio del 2000, EDB, Bologna 2000.<br />

[7] CONSIGLIO EPISCOPALE PERMANENTE CEI, L’iniziazione cristiana. 1. Orientamenti per il catecumenato degli<br />

adulti, 30 marzo 1997, EDB, Bologna; 2. Orientamenti per l’iniziazione cristiana dei fanciulli e dei ragazzi dai 7 ai 14 anni,<br />

23 maggio 1999, EDB, Bologna; 3. Orientamenti per il risveglio della fede e il completamento dell’iniziazione in età<br />

adulta, 8 giugno 2003, EDB, Bologna.<br />

[8] CEI, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, 30 maggio 2004, EDB, Bologna.<br />

[9] COMMISSIONE EPISCOPALE CEI PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, L’ANNUNCIO E LA CATECHESI, Questa è<br />

la nostra fede. Nota pastorale sul primo annuncio del Vangelo, 15 maggio 2005, EDB, Bologna.<br />

[10] CONFERENCIA EPICOPAL ESPANOLA, Plan pastoral de la Conferencia Episcopla Espanola 2002-2005. Una<br />

iglesia esperanzada “Mar adentro” (Lc 5,4). LXXVII Asamblea Plenaria 19-23 de Noviembre de 2001, Madrid, EDICE<br />

2002; Plan pastoral de la Conferencia Episcopal Espanola 2006-2010, “Yo soy el pan de vida” (Jn 6,35). Vivir la<br />

Eucaristia. LXXXVI Asamblea Plenaria 27-31 de marzo de 2006, Madrid, EDICE 2006.<br />

[11] CONFERENZA EPISCOPALE TEDESCA, La catechesi in un tempo mutato, in Regno Documenti n. 5, 2005, pp.<br />

173-182.<br />

[12] V CONFERENZA GENERALE DELL’EPISCOPATO LATINO-AMERICANO, Aparecida: documento conclusivo, in<br />

Regno Documenti n. 15, 2007, p. 503; n. 17, p. 540; n. 19, p. 623.<br />

[13] Così si esprimono i Vescovi <strong>it</strong>aliani nei loro orientamenti pastorali per l’attuale decennio: «ci sembra importante che<br />

la comun<strong>it</strong>à sia coraggiosamente aiutata a maturare una fede adulta, “pensata”, capace di tenere insieme i vari aspetti<br />

della v<strong>it</strong>a facendo un<strong>it</strong>à di tutto in Cristo. Solo così i cristiani saranno capaci di vivere nel quotidiano, nel feriale – fatto di<br />

famiglia, lavoro, studio, tempo libero – la sequela del Signore, fino a rendere conto della speranza che li ab<strong>it</strong>a (cf. 1Pt<br />

3,15)”.<br />

[14] Per approfondire il tema della maturazione/matur<strong>it</strong>à di fede si veda ad esempio: PAUL-ANDRE GIGUERE, Une foi<br />

d’adulte, Novalis, Québec 1991, p. 99 (Traduzione <strong>it</strong>aliana: Che cosa significa fede adulta. Percorsi di ricerca per adulti,<br />

Elledici, 2003). Dello stesso autore: Catéchèse et matur<strong>it</strong>é de la foi, Lumen V<strong>it</strong>ae, Novalis, 2002.<br />

[15] FOSSION André, La catéchèse dans un monde en pleine mutation, in Catéchèse en mutation I, Les actes du<br />

colloque de l’ISPC, «Catéchèse” 172, 3/2003, 99.<br />

[16] CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Testimoni di Gesù risorto speranza del mondo. Atti del 4° convegno<br />

ecclesiale nazionale, EDB, Bologna 200<strong>8.</strong>

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