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venerd 4 - Centro Sperimentale di Cinematografia

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1-5 aprile Luci e ombre dell’espressionismo<br />

6-11 aprile Obiettivo Argentina: uno sguardo al cinema contemporaneo<br />

12-16 aprile Nuvole in para<strong>di</strong>so. Viaggio nel cinema finlandese<br />

17-20 aprile Printemps du cinéma français. Caroline Champetier. La donna con<br />

la macchina da presa<br />

22-23 aprile Un regista “inesorabile”. Omaggio a Fritz Lang<br />

24 aprile Dalla Via Appia all’Oriente. Davide Mancori, la Jinko<br />

Communications e i suoi documentari: pillole <strong>di</strong> mondo<br />

25-29 aprile Schermi <strong>di</strong> piombo. Il terrorismo nel cinema italiano<br />

30 aprile Carta bianca a… Paolo Mereghetti<br />

1-5 aprile<br />

Luci e ombre dell’espressionismo<br />

«L’occhio dell’espressionismo non guarda all’esterno. È interiore e mira a penetrare ciò che è<br />

dentro. Non gli spetta il compito <strong>di</strong> riprodurre la realtà, ma <strong>di</strong> raffigurarla come l’in<strong>di</strong>viduo la sente<br />

e vede, cioè ricrea, dentro <strong>di</strong> sé. […] Una espressione che raggiunge l’intensità attraverso la<br />

deformazione».<br />

Mario Verdone<br />

Fiorito in Germania tra gli anni Dieci del Novecento e l’avvento del nazismo,<br />

l’espressionismo tedesco ha le sue ra<strong>di</strong>ci nel romanticismo e nel wagnerismo ed è un<br />

fenomeno complesso e multi<strong>di</strong>sciplinare, che investe <strong>di</strong>versi campi artistici e si<br />

sviluppa nell’arte, nel teatro e nell’architettura prima ancora che nel cinema. Il film<br />

che afferma definitivamente la tendenza espressionista del cinema tedesco è Il<br />

gabinetto del dottor Caligari <strong>di</strong> Robert Wiene (1919), che ad<strong>di</strong>rittura ha fatto parlare<br />

<strong>di</strong> “caligarismo”. Ed è impossibile non citare Metropolis (1926) <strong>di</strong> Fritz Lang, un film<br />

culto, che ha arricchito l’espressionismo cinematografico <strong>di</strong> motivi sociali, futuristi,<br />

costruttivisti. La rassegna presenta, accanto a questi due titoli fondamentali, i<br />

principali film espressionisti, cercando <strong>di</strong> dar conto delle tendenze e degli autori<br />

principali: da Wiene a Murnau, da Pabst a Lang, da Leni a Martin, da Rye a Jutzi, da<br />

Dupont a Oswald. Un’occasione per (ri)scoprire l’immensa innovazione estetica,<br />

etica e linguistica portata da questa che è una delle principali correnti artistiche del<br />

Novecento.<br />

Come nota Paolo Bertetto, «l’irruzione antirappresentativa della <strong>di</strong>mensione<br />

dell’immaginario e dell’allucinazione, la subor<strong>di</strong>nazione della traccia referenziale alla<br />

visione ipersoggettiva non acquisterebbero una forza <strong>di</strong> impatto così rilevante se non<br />

si inserissero in un processo complessivo <strong>di</strong> ridefinizione dello statuto estetico, del<br />

sistema <strong>di</strong> segni e del funzionamento del cinema. L’antiphysis, la ricostruzione totale<br />

del profilmico, la produzione <strong>di</strong> una totalità visivo-cinetica apertamente illusoria e<br />

illusionistica, il suo carattere <strong>di</strong> artificialità e <strong>di</strong> arbitrarietà, costituiscono, all’inizio<br />

degli anni Venti, all’interno dell’istituzione cinematografica, un’ipotesi filmica<br />

ra<strong>di</strong>calmente <strong>di</strong>versa dalle strutture dell’universo visivo-cinetico ufficiale. Accanto –<br />

e contro – al modello americano <strong>di</strong> funzionalizzazione reciproca della narratività,<br />

della spettacolarità e della impressione <strong>di</strong> realtà, e prima dell’esperienza sovietica <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>alettizzazione dell’immagine e <strong>di</strong> costruzione attraverso il montaggio <strong>di</strong> un cinema


<strong>di</strong> idee innervato al pathos (e al <strong>di</strong> là dell’esperienza dell’avanguar<strong>di</strong>a<br />

cinematografica, ovviamente rilevante sul piano dell’immaginario, ma secondaria sul<br />

piano dell’istituzione e del mercato cinematografico), il modello del cinema<br />

espressionista rappresenta la rottura <strong>di</strong> due degli effetti fondamentali su cui si era<br />

definito il cinema: l’impressione <strong>di</strong> realtà e l’identificazione nel processo percettivo,<br />

cioè le possibilità <strong>di</strong> assimilazione imme<strong>di</strong>ata dello spettacolo filmico al reale e <strong>di</strong><br />

rimozione del carattere <strong>di</strong> finzione del cinema».<br />

La rassegna è curata dalla Cineteca Nazionale in collaborazione con l’Università <strong>di</strong><br />

Roma “La Sapienza”. Si ringraziano, per il prezioso aiuto: la Cineteca <strong>di</strong> Bologna, il<br />

Museo Nazionale del Cinema <strong>di</strong> Torino, la Cineteca Italiana <strong>di</strong> Milano, la Friedrich<br />

Wilhelm Murnau Stiftung <strong>di</strong> Wiesbaden, la Deutsche Kinemathek <strong>di</strong> Berlino e il<br />

Nederlands Filmmuseum <strong>di</strong> Amsterdam.<br />

I film proiettati nell’ultimo spettacolo saranno accompagnati dal vivo dal Maestro<br />

Antonio Coppola, dal 1975 specialista, noto in tutto il mondo, nella creazione,<br />

realizzazione ed improvvisazione <strong>di</strong> colonne sonore per il cinema muto.<br />

In occasione della retrospettiva, il <strong>Centro</strong> <strong>Sperimentale</strong> <strong>di</strong> <strong>Cinematografia</strong> pubblica<br />

inoltre il libro L’espressionismo e il cinema tedesco, a cura <strong>di</strong> Paolo Bertetto, con<br />

saggi <strong>di</strong> Jacques Aumont, Ester De Miro D’Ayeta, Clau<strong>di</strong>ne Eizykman, Thomas<br />

Elsaesser, Jesús González Reqena, Jean-Louis Leutrat, Leonardo Quaresima,<br />

Giovanni Spagnoletti.<br />

martedì 1<br />

ore 16.30<br />

Abwege (Crisi, 1928)<br />

Regia: Georg Wilhelm Pabst; sceneggiatura: Adolf Lantz, La<strong>di</strong>slaus Vajda, Helen<br />

Gosewisch; fotografia: Theodor Sparkuhl; interpreti: Gustav Diessl, Brigitte Helm,<br />

Hertha von Walther, Jack Trevor, Fritz Odemar, Nico Turoff; origine: Germania;<br />

produzione: Erda Film Berlin; durata: 100’<br />

Trascurata dal marito, troppo preso dal lavoro, una donna progetta <strong>di</strong> fuggire con il<br />

suo ammiratore segreto. Il marito però riesce ad impe<strong>di</strong>re la fuga. La donna, per<br />

ripicca, una sera si reca <strong>di</strong> nascosto in un locale notturno, dove soccombe al fascino<br />

<strong>di</strong> un giovane boxeur. «L’azione è ridotta alla sua espressione più semplice, tutta<br />

risiede nel modo in cui è presentata. Gli autori della sceneggiatura […] hanno<br />

potuto trarre da questo soggetto banale una quantità <strong>di</strong> situazioni interessanti. Ciò<br />

che caratterizza l’atmosfera del film è il fatto che al centro dell’azione vi sia una<br />

scena che in un film più movimentato passerebbe facilmente inosservata. La donna è<br />

in casa <strong>di</strong> un pittore e non sa se lo ama o no. Bussano alla porta: è il marito, che lei<br />

o<strong>di</strong>a perché le preferisce il suo lavoro. Il pittore non vuole aprire, ma lei glielo<br />

or<strong>di</strong>na. Allora, con un gesto brutale, essa si spoglia e appare seminuda davanti agli<br />

occhi sconvolti del marito. Il film è stato condotto con tanta abilità che questa<br />

situazione ha qualcosa <strong>di</strong> sensazionale e <strong>di</strong> impressionante» («Licht Bild-Buhne», n.<br />

212, 1928).<br />

Copia proveniente dal Museo Nazionale del Cinema <strong>di</strong> Torino


ore 18.30<br />

Varieté (Varietà, 1928)<br />

Regia: Ewald Andreas Dupont; sceneggiatura: Leo Birinski, E. A. Dupont; fotografia:<br />

Karl Freund, Carl Hoffmann; interpreti: Georg Baselt, Emil Jannings, Maly<br />

Delschaft, Lya de Putti, Warwick Ward, Georg John; origine: Germania; produzione:<br />

Universum Film; durata: 99’<br />

È la storia <strong>di</strong> un trapezista che, con la moglie, manda avanti un baraccone del lunapark.<br />

Un giorno accoglie una ragazza sola, se ne innamora, fugge con lei e si<br />

ricostruisce una vita assieme a un altro saltimbanco. Quando scopre che la ragazza e<br />

l'amico lo tra<strong>di</strong>scono, uccide lui e si costituisce. «Se paragoniamo l’atmosfera del<br />

luna park <strong>di</strong> Varieté con quella della fiera <strong>di</strong> Caligari o con quella assai più<br />

artificiale del Gabinetto delle figure <strong>di</strong> cera, scorgiamo finalmente il segreto del<br />

talento <strong>di</strong> Dupont: egli ha il dono <strong>di</strong> cogliere e <strong>di</strong> fissare forme fluttuanti che<br />

cambiano in continuazione sotto l’effetto della luce e del movimento. […] Si tratta<br />

indubbiamente <strong>di</strong> un “impressionismo” che conserva le tracce del suo passaggio<br />

attraverso l’astrazione espressionista» (Lotte Eisner).<br />

Copia proveniente dalla Cineteca Italiana<br />

Accompagnamento dal vivo del Maestro Antonio Coppola<br />

ore 20.30<br />

Incontro con Paolo Bertetto e Sergio Toffetti<br />

Nel corso dell’incontro sarà presentato il libro L’espressionismo e il cinema tedesco,<br />

a cura <strong>di</strong> Paolo Bertetto<br />

a seguire<br />

Der Verfluchte (Il maledetto, 1921)<br />

Regia: Franz Osten [Franz Ostermayr]; sceneggiatura: Ernst B. Fey; fotografia: Franz<br />

Koch; interpreti: Violetta Napirska, Ila Loth, Lotte Lorring, Fritz Greiner, Max<br />

Schreck, Karl Wüstenhagen; origine: Germania; produzione: Münchener<br />

Lichtspielkunst A.G.¸ durata: 58’<br />

Il film, <strong>di</strong> ambientazione esotica, che mescola In<strong>di</strong>a e Sud America, racconta la storia<br />

<strong>di</strong> Enrico il quale, spinto dalla furia ven<strong>di</strong>cativa, si macchia dei più efferati delitti<br />

tanto da meritarsi il soprannome de “Il maledetto”. Motivo <strong>di</strong> tanto o<strong>di</strong>o è l’omici<strong>di</strong>o<br />

della madre. Viene accusato il padre, il quale per l’occasione viene torturato,<br />

umiliato ed esiliato. Una volta scoperto che il vero assassino della madre è il<br />

governatore del Sud America, Il maledetto può finalmente placare la sua sete <strong>di</strong><br />

vendetta. Ma a confondere i suoi piani, è una graziosa e dolce fanciulla, figlia del<br />

governatore. La pellicola, conservata presso gli archivi della Cineteca Nazionale, è<br />

attualmente l’unica esistente del film e, rispetto alla versione registrata con il visto <strong>di</strong><br />

censura tedesco, sud<strong>di</strong>visa in 6 atti, è composta solo da 4 parti. Il lavoro <strong>di</strong><br />

preservazione e restauro del positivo nitrato d’epoca, imbibito e virato, ha permesso<br />

la realizzazione <strong>di</strong> una copia, stampata con il metodo Desmet, che viene proiettata<br />

per la prima volta in occasione della presente rassegna. Il ritrovamento <strong>di</strong> questo<br />

film non solo permette <strong>di</strong> mostrare al pubblico un’opera, che si credeva scomparsa,


ma è anche una preziosa testimonianza dell’arte recitativa dell’attore, che ha<br />

incarnato in maniera magistrale e in<strong>di</strong>menticabile il Nosferatu <strong>di</strong> Murnau, Max<br />

Schreck, qui nella parte del Raja.<br />

Ingresso gratuito<br />

a seguire<br />

Von morgens bis Mitternacht (Dal mattino a mezzanotte, 1920)<br />

Regia: Karlheinz Martin; sceneggiatura: Herbert Juttke, K. Martin; fotografia: Carl<br />

Hoffmann; interpreti: Ernst Deutsch, Erna Morena, Roma Bahn, Adolf Edgar Licho,<br />

Hans Heinrich von Twardowski, Frida Richard; origine: Germania; produzione: Ilag<br />

Film Berlin; durata: 65’<br />

Il cassiere <strong>di</strong> banca <strong>di</strong> una piccola città ruba una grossa somma <strong>di</strong> denaro e si tuffa<br />

nei <strong>di</strong>vertimenti della grande città, senza però trovare veramente il proprio ideale <strong>di</strong><br />

vita. Una suora dell’esercito della salvezza, a cui egli si confida, lo ferma<br />

denunciandolo alla polizia. «Qui tutte le scenografie, e persino i volti e i costumi<br />

degli attori, erano stati striati <strong>di</strong> righe o animati da macchie bianche o scure, a<br />

rappresentare luci e ombre sovrapposte. Ma anziché rafforzare i volumi delle forme,<br />

questo artificio ne cancellò i contorni. […] Resta un effetto sorprendente per l’epoca:<br />

la corsa della “sei giorni”, filmata come lo farà più tar<strong>di</strong> “l’avanguar<strong>di</strong>a”.<br />

Anamorfosati, resi simili a sfaccettature scintillanti, grazie alla magia delle<br />

illuminazioni e all’uso, inconsueto per l’epoca, della lente deformante, corridori<br />

ciclisti si lanciano, si deformano, per non essere più che il simbolo stesso della<br />

velocità, nel vortice quasi astratto della corsa. Non c’è tanto da stupirsi <strong>di</strong> fronte a<br />

questa sequenza avanguar<strong>di</strong>stica ante litteram: già nel 1916, quel grande pioniere<br />

che era l’attore e regista Paul Wegener aveva definito, in una conferenza su Le<br />

possibilità artistiche del cinema, una specie <strong>di</strong> “kinetische Lyrik”, ossia <strong>di</strong> “lirismo<br />

cinematografico”, ispirato alla tecnica della fotografia» (Lotte Eisner).<br />

Copia proveniente dalla Cineteca <strong>di</strong> Bologna - Ingresso gratuito<br />

Accompagnamento dal vivo del Maestro Antonio Coppola<br />

mercoledì 2<br />

ore 17.00<br />

Unheimliche Geschichten (Storie inquietanti, 1919)<br />

Regia: Richard Oswald; sceneggiatura: R. Oswald, Robert Liebmann; fotografia: Carl<br />

Hoffmann; interpreti: Anita Berber, Reinhold Schünzel, Conrad Veidt, Hugo Döblin,<br />

Paul Morgan, Georg John; origine: Germania; produzione: Film AG; durata: 109’<br />

In una libreria antiquaria tre personaggi ritratti (la Morte, il Diavolo e la Fanciulla)<br />

si animano e cominciano a leggere alcuni libri. La ricetta è collaudata ed è quella<br />

del film a sketch che, data la brevità <strong>di</strong> ogni episo<strong>di</strong>o, autorizza a moltiplicare i<br />

momenti sensazionali. Ma il film sfrutta innanzitutto quello che non è ancora una<br />

ricetta: il terrore (è il primo dei Gruselfilme, dei film “dell'orrore”). Inoltre, Oswald<br />

ha saputo cogliere l'atmosfera “caligaresca” dell'epoca in anticipo rispetto alla sua<br />

piena definizione e ha saputo legare il terrore alla plasticità dell'immagine, e a volte<br />

a una certa semplificazione grafica. Unheimlich è un'antica parola della lingua


tedesca cui nel 1919 un celebre articolo <strong>di</strong> Freud riconosce la capacità <strong>di</strong> designare<br />

gli stessi processi psichici messi in gioco dallo schermo “demoniaco”. Del resto, si<br />

sa che non esiste un suo preciso equivalente nelle lingue latine, nessuna parola che<br />

ne renda l'ambiguità fondamentale per cui Unheimlich, ciò che è strano, può essere a<br />

volte identico al suo opposto Heimlich, ciò che è familiare.<br />

(Dal saggio <strong>di</strong> Jacques Aumont pubblicato nel libro-catalogo della retrospettiva)<br />

Copia proveniente dalla Deutsche Kinemathek <strong>di</strong> Berlino<br />

ore 19.00<br />

Faust (1926)<br />

Regia: Friedrich Wilhelm Murnau; soggetto: dalle opere omonime <strong>di</strong> Goethe,<br />

Marlowe e dal Volksbuch tedesco; sceneggiatura: Hans Dyser; fotografia: Carl<br />

Hoffmann; interpreti: Gösta Ekman, Emil Jannings, Camilla Horn, Frieda Richard,<br />

Wilhelm Dieterle, Yvette Guilbert; origine: Germania; produzione: UFA; durata:<br />

120’<br />

«La potenza dell’espressione plastica prende chiaramente il sopravvento sulla trama,<br />

in questo dramma che ogni spettatore conosce. I suoi contemporanei lo hanno<br />

apprezzato, e noi stessi lo apprezziamo come una sorta <strong>di</strong> melodramma visivo, ma<br />

dove la messa in scena svolge il ruolo della partitura. Quali che siano, infatti, la<br />

forza e la profon<strong>di</strong>tà del tema, come ce l’hanno consegnato il Volksbuch e il dramma<br />

<strong>di</strong> Goethe – che, a parte l’episo<strong>di</strong>o della peste, il film segue da vicino -, i meriti da<br />

attribuire al “soggetto” sono evidentemente minori qui che nelle due opere <strong>di</strong><br />

Murnau imme<strong>di</strong>atamente precedenti, [...] in cui è evidente l’impronta dello<br />

sceneggiatore Carl Mayer. Il fatto che Murnau, appunto, abbia fatto a meno, questa<br />

volta, della collaborazione <strong>di</strong> Mayer dovrebbe consentirci <strong>di</strong> cogliere meglio, allo<br />

stato puro, l’arte della sua messa in scena. In questo film [...] Murnau, all’apice<br />

della sua carriera, ha saputo e ha potuto mettere in atto tutti i mezzi capaci <strong>di</strong><br />

assicurargli [il] dominio totale dello spazio [...]. Tutte le forme, tanto quelle dei volti,<br />

dei corpi, degli oggetti che quelle dei paesaggi o degli elementi naturali [...], sono<br />

modellate o rimodellate in modo personale con una consumata perizia dell’effetto.<br />

Mai opera cinematografica ha contato così poco sul caso» (Eric Rohmer).<br />

Copia proveniente dalla Cineteca <strong>di</strong> Bologna<br />

ore 21.15<br />

Das Cabinett des dr. Caligari (Il gabinetto del dottor Caligari, 1920)<br />

Regia: Robert Wiene, soggetto e sceneggiatura: Carl Mayer, Hans Janowitz;<br />

fotografia: Willy Hameister; interpreti: Werner Krauss, Conrad Veidt, Lil Dagover,<br />

Friedrich Feher, Hans Heinz von Twardowski, Rudolf Lettinger, Rudolf Klein<br />

Rogge; origine: Germania; produzione: Decla, Filmgesellschaft; durata: 80’<br />

Due uomini passeggiano in un giar<strong>di</strong>no. Uno <strong>di</strong> essi, Francis, racconta la storia del<br />

dottor Caligari, che esibisce in un baraccone da fiera il sonnambulo Cesare,<br />

personaggio in grado <strong>di</strong> pre<strong>di</strong>re il futuro. Ad Alan, amico <strong>di</strong> Francis, pre<strong>di</strong>ce una<br />

morte imminente, e infatti, la notte stessa, il giovane viene pugnalato. Dopo altri<br />

strani acca<strong>di</strong>menti, Francis scopre che Caligari è il <strong>di</strong>rettore <strong>di</strong> un manicomio e che


ha ipnotizzato Cesare per commettere degli omici<strong>di</strong>. Lo fa quin<strong>di</strong> catturare. Il film<br />

torna poi alla scena iniziale per rivelare che Francis è pazzo e che la sua storia è<br />

solo un’allucinazione. «Contrariamente alle affermazioni <strong>di</strong> Janowitz, Kracauer e<br />

Lang, il lavoro <strong>di</strong> Wiene perfeziona la sceneggiatura e realizza un film che è “un<br />

sistema <strong>di</strong> ambiguità complesso in cui la realtà e l’apparenza, la verità e la<br />

menzogna, si intrecciano in maniera assolutamente inestricabile» (Paolo Bertetto).<br />

Copia proveniente dalla Cineteca <strong>di</strong> Bologna<br />

Accompagnamento dal vivo del Maestro Antonio Coppola<br />

giovedì 3<br />

ore 17.00<br />

Genuine (1920)<br />

Regia: Robert Wiene; soggetto e sceneggiatura: Carl Mayer; fotografia: Willy<br />

Hameister; interpreti: Fern Andra, Albert Bennefeld, Lewis Brody, John Gottwt;<br />

Ernst Gronau, Hans Heinrich von Twardowski; origine: Germania; produzione:<br />

Decla-Bioscop Ag; durata: 105’<br />

Genuine è una sacerdotessa sanguinaria che viene comperata in un mercato<br />

orientale <strong>di</strong> schiavi da un vecchio Pigmalione moderno, il quale però se ne innamora<br />

al punto <strong>di</strong> rinchiuderla in una strana gabbia <strong>di</strong> vetro inaccessibile ai visitatori. La<br />

donna riesce a convincere un giovane barbiere a tagliare la gola al padrone e, una<br />

volta libera, <strong>di</strong>venta una temibile supervamp che porta alla rovina tutti gli uomini<br />

che incontra.<br />

Copia proveniente dalla Cineteca <strong>di</strong> Bologna<br />

ore 19.00<br />

Raskolnikow (Delitto e castigo, 1923)<br />

Regia: Robert Wiene; soggetto: dal romanzo Delitto e castigo <strong>di</strong> Fédor Dostoievskij;<br />

sceneggiatura: R. Wiene; fotografia: Willi Goldberger; interpreti: Grigorij Chmara,<br />

Pavel Pavlov, Maria Germanova, Michail Tarsanov, Maria Kryzanovskaja, Elisavet<br />

Skulskaja; origine: Germania; produzione: Lionar<strong>di</strong> Film, Neumann Produktion;<br />

durata: 141’<br />

Dopo il capolavoro Il gabinetto del dottor Caligari e il me<strong>di</strong>ometraggio horror gotico<br />

Genuine, Robert Wiene si cimenta con il celebre romanzo <strong>di</strong> Fédor Dostoevskij,<br />

senza rinunciare al suo stile peculiare: scenografie teatrali deformate, traiettorie<br />

sghembe, luci fortemente contrastate che riflettono sullo schermo cinematografico i<br />

conflitti interiori dei personaggi, vittime <strong>di</strong> manipolazioni e sdoppiamenti. «Il film<br />

include alcune inquadrature dove scenografia e personaggi sembrano veramente<br />

sorgere dall’universo <strong>di</strong> Dostoevskij e interagire in una sorta <strong>di</strong> allucinazione<br />

reciproca» (Lotte Eisner).<br />

La copia è stata restaurata dal Nederlands Filmmuseum. Negli archivi del<br />

Nederlands Filmmuseum furono trovati a più riprese <strong>di</strong>verse parti del film in nitrato,<br />

per un totale <strong>di</strong> 2700 metri. La versione originale era <strong>di</strong> 3168 metri. La copia del<br />

Nederlands risultava essere la più lunga esistente, poiché le altre versioni conservate<br />

negli archivi <strong>di</strong> Berlino, Monaco, Bruxelles erano <strong>di</strong> 1900 metri. Dopo varie ricerche


si è appurato che le tre versioni <strong>di</strong> 1900 metri provenivano tutte dalla copia<br />

conservata al Gosfilmfond <strong>di</strong> Mosca. Purtroppo il Gosfilmfond non era più in<br />

possesso del nitrato originale, ma la qualità fotografica della copia moscovita era<br />

migliore, dal momento che le altre erano un suo duplicato. La copia del Nederlands e<br />

quella del Gosfilmfond presentavano sostanziali <strong>di</strong>fferenze dovute dal fatto che la<br />

stessa scena era stata ripresa con due macchine da presa <strong>di</strong>fferenti e dunque due<br />

angoli <strong>di</strong> ripresa <strong>di</strong>versi. In altri casi la stessa scena era costituita da ciak <strong>di</strong>versi; in<br />

altri ancora erano presenti <strong>di</strong>fferenze <strong>di</strong> montaggio. A fronte <strong>di</strong> questi problemi il<br />

lavoro <strong>di</strong> ricostruzione ha cercato <strong>di</strong> risolvere le incongruenze privilegiando il<br />

rispetto delle <strong>di</strong>fferenze all’integrazione forzata tra le due copie.<br />

Copia proveniente dal Nederlands Filmmuseum<br />

ore 21.30<br />

Nosferatu, eine Symphonie des Grauens (Nosferatu il vampiro, 1922)<br />

Regia: Friedrich Wilhelm Murnau; soggetto: dal romanzo Dracula <strong>di</strong> Bram Stoker;<br />

sceneggiatura: Henrik Galeen; fotografia: Fritz Arno Wagner; interpreti: Max<br />

Schreck, Gustav von Waggenheim, Greta Schröder, Alexander Granach, Max<br />

Nemetz; origine: Germania; produzione: Prana Film; durata: 106’<br />

«Scritto da Henrich Galeen che s’ispirò liberamente al romanzo Dracula (1897) <strong>di</strong><br />

Bram Stroker, cambiando nomi e posti per non pagare i <strong>di</strong>ritti d’autore: dal suo<br />

castello nei Carpazi il vampirico conte Orlock, chiuso nel suo sarcofago, si fa<br />

trasportare nel 1838 a bordo <strong>di</strong> una nave al porto <strong>di</strong> Brema dove si <strong>di</strong>ffonde la peste.<br />

[…] È il più grande film vampiresco <strong>di</strong> tutti i tempi. Senza ricorrere alla<br />

manipolazione dello spazio, tipica dell’espressionismo, Murnau sceglie la<br />

concretezza e il rischio degli scenari naturali, ricorrendo a mezzi più specificamente<br />

cinematografici (angolazioni, montaggio, immagini in negativo, ecc.) e a una fitta<br />

rete <strong>di</strong> richiami metaforici e simbolici. Nella sua complessità si presta a <strong>di</strong>verse<br />

letture in chiave psico-sociologica, metafisico-esistenziale, romantico-dostoevskiana,<br />

psicoanalitica» (Moran<strong>di</strong>ni).<br />

Copia proveniente dalla Cineteca <strong>di</strong> Bologna<br />

Accompagnamento dal vivo del Maestro Antonio Coppola<br />

<strong>venerd</strong>ì 4<br />

ore 17.00<br />

Metropolis (1926)<br />

Regia: Fritz Lang; soggetto e sceneggiatura: Thea Von Harbou, F. Lang; fotografia:<br />

Karl Freund, Günther Rittau; interpreti: Brigitte Helm, Alfred Abel, Gustave<br />

Frölhich, Rudolph Klein-Rogge, Heinrich Georg, Fritz Rasp, Theodor Loos; origine:<br />

Germania; produzione: UFA, durata: 149’<br />

Metropolis è una città del futuro dominata da Fredersen ed è <strong>di</strong>visa in settori: in alto<br />

la classe <strong>di</strong>rigente, in basso gli operai ridotti in stato <strong>di</strong> semischiavitù. Gli operai<br />

hanno come leader una giovane e bella ragazza, Maria, <strong>di</strong> cui si innamora Freder,<br />

figlio del <strong>di</strong>ttatore. Per rompere l’unità degli operai, Fredersen fa costruire al mago<br />

Rotwang un robot, sosia <strong>di</strong> Maria, perché semini <strong>di</strong>scor<strong>di</strong>a, ma questo incita invece


gli operai alla rivolta e alla <strong>di</strong>struzione. Toccherà alla vera Maria e a Freder<br />

riconciliare le parti, ponendo le basi per un nuovo or<strong>di</strong>ne sociale garantito dalla<br />

religione cristiana.<br />

L’immaginario <strong>di</strong> Metropolis fonde suggestioni <strong>di</strong>verse, legate alla tra<strong>di</strong>zione<br />

culturale cristiana e alla scienza, all’alchimia e alla storia della mitologia,<br />

elaborando scene e fantasmi <strong>di</strong> chiaro impianto psicanalitico, in cui il demoniaco e il<br />

peccato si intrecciano con il modello e<strong>di</strong>pico e l’ossessione della madre perduta.<br />

Inoltre Lang realizza «una sinfonia visiva complessa e raffinata attraverso la<br />

combinazione <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenti proce<strong>di</strong>menti linguistici, valorizzando tutte le potenzialità<br />

della messa in scena, e articolando la produzione <strong>di</strong> effetti monumentali e la ricerca<br />

sperimentale e visiva più avanzata» (Paolo Bertetto).<br />

Copia proveniente dalla Friedrich Wilhelm Murnau Stiftung <strong>di</strong> Wiesbaden<br />

ore 19.45<br />

Metropolis (1926)<br />

durata: 83’<br />

Si tratta della versione colorata e musicata in chiave rock del celebre film <strong>di</strong> Fritz<br />

Lang. «Nel 1984 il musicista Giorgio Moroder ha confezionato una nuova versione<br />

<strong>di</strong> Metropolis <strong>di</strong> 87’, virata in vari colori e accompagnata da una colonna sonora<br />

rock con canzoni, tra gli altri, <strong>di</strong> Freddy Mercury e Pat Benatar, che tenta <strong>di</strong><br />

ricostruire l’impatto spettacolare che il film ebbe sugli spettatori dell’epoca»<br />

(Mereghetti).<br />

ore 21.30<br />

Der müde Tod (Destino, 1921)<br />

Regia: Fritz Lang; soggetto e sceneggiatura: Thea Von Harbou e F. Lang; fotografia:<br />

Errich Nietzchmann, Hermann Salfrank, Fritz Arno Wagner; interpreti: Lil Dagover,<br />

Walter Janssen, Bernhard Goetke, Rudolf Klein-Rogge; origine: Germania;<br />

produzione: Decla-Bioscop; durata: 106’<br />

Una fanciulla e il suo innamorato arrivano in una locanda, dove vengono raggiunti<br />

da un misterioso straniero che porta via con sé il giovane. La ragazza li rintraccia e<br />

chiede che le venga restituito il fidanzato, ma lo straniero, personificazione della<br />

Morte, le chiede in cambio <strong>di</strong> salvare la vita <strong>di</strong> un altro essere umano. Viene quin<strong>di</strong><br />

trasportata in tre epoche e paesi <strong>di</strong>fferenti: una città araba, la Venezia del<br />

Rinascimento e una Cina fantastica. La fanciulla non riesce nel suo compito;<br />

preferirà morire per poter raggiungere il suo amato.<br />

«Bisogna [...] riconoscere nella narrazione <strong>di</strong> Lang una nozione che fu il primo ad<br />

applicare – per quanto ne sappiamo – sin dal 1921, ovvero in un’epoca in cui i<br />

migliori si limitavano a seguire lo sviluppo originario del racconto o cercavano la<br />

liberazione artistica nell’impressionismo della camera. Mi riferisco al montaggio<br />

intuitivo <strong>di</strong> cui il più semplice esempio si trova in apertura <strong>di</strong> Der müde Tod».<br />

(Georges Franju)<br />

Copia proveniente dalla Friedrich Wilhelm Murnau Stiftung <strong>di</strong> Wiesbaden<br />

Accompagnamento dal vivo del Maestro Antonio Coppola


sabato 5<br />

ore 16.00<br />

Dr. Mabuse, der Spieler. 1. Teil: Der Grosse Spieler - Ein Bild unserer Zeit<br />

(Dottor Mabuse, il giocatore. Parte I: Il grande giocatore - Un ritratto della nostra<br />

epoca, 1922)<br />

Regia: Fritz Lang; soggetto: da un romanzo <strong>di</strong> Norbert Jacques; sceneggiatura: Thea<br />

von Harbou, F. Lang; fotografia: Carl Hoffmann; scenografia: Otto Hunte, Stahl-<br />

Urach; interpreti: Rudolf Klein-Rogge, Bernhard Goetzke, Alfred Abel, Aude Egene<br />

Nissen, Gertrud Weicker, Paul Richter; origine: Germania; produzione: Uco Film;<br />

durata: 161’<br />

Aiutato dalla ballerina Cara Carozza, il dott. Mabuse, un supercriminale dai poteri<br />

ipnotici e dai mille volti, è alla testa <strong>di</strong> una banda internazionale della malavita.<br />

«Definito dal suo autore “un documento del mondo attuale”, il film ebbe due<br />

sottotitoli, per le due parti in cui fu <strong>di</strong>viso (…). Il personaggio <strong>di</strong> Mabuse,<br />

appren<strong>di</strong>sta stregone e superuomo del male, compare successivamente sotto<br />

travestimenti <strong>di</strong>versi. Tutti gli elementi narrativi (società segrete, ipnotismo, violenze,<br />

tra<strong>di</strong>menti) appartengono al repertorio del serial d’avventura e alle convenzioni del<br />

poliziesco d’azione, già sperimentati da Fritz Lang in Die Spinner. Qui però il<br />

regista adotta una rappresentazione realistica, solo a tratti memore<br />

dell’espressionismo» (Nepoti).<br />

Copie provenienti dalla Friedrich Wilhelm Murnau Stiftung <strong>di</strong> Wiesbaden<br />

Accompagnamento dal vivo del Maestro Antonio Coppola<br />

ore 19.00<br />

Dr. Mabuse, der Spieler. 2. Teil: Inferno, ein Spiel von Menschen unserer Zeit<br />

(Dottor Mabuse, il giocatore. Parte II: Inferno, un gioco degli uomini della nostra<br />

epoca, 1922)<br />

Regia: Fritz Lang; soggetto: da un romanzo <strong>di</strong> Norbert Jacques; sceneggiatura: Thea<br />

von Harbou, F. Lang; fotografia: Carl Hoffmann; scenografia: Otto Hunte, Stahl-<br />

Urach; interpreti: Rudolf Klein-Rogge, Paul Richter, Bernhard Goetzke, Alfred Abel,<br />

Aud Egene Nissen, Gertrud Weicker; origine: Germania; produzione: Uco Film;<br />

durata: 116’<br />

Sembra che Mabuse stia per trionfare, ma la polizia interviene in tempo e irrompe<br />

nella sua casa sgominando la banda <strong>di</strong> criminali. Mabuse viene scovato solo dopo<br />

alcuni giorni, in preda alla follia, nel sotterraneo che serviva da laboratorio agli<br />

invisibili falsari, e condotto al manicomio.<br />

«Se ancor oggi è possibile presentare per quattro ore filate i due episo<strong>di</strong> <strong>di</strong> Mabuse<br />

(un tempo presentati in due riprese) senza che il pubblico si stanchi, è grazie alla<br />

precisione del montaggio. Si sa che il giovane Ejzenštejn, ammirato, aveva scrutato,<br />

analizzato, smontato e rimontato le inquadrature <strong>di</strong> questo film per in<strong>di</strong>viduarne tutti<br />

i meccanismi. Il fatto è che tutto è stato previsto in questo montaggio ingegnoso, e<br />

che ogni immagine implica l’altra, dando senso a quella, insostituibile, che sola può


seguirla. Così si stringe la catena delle avventure, portando la suspense al suo<br />

apice» (Lotte Eisner).<br />

Copie provenienti dalla Friedrich Wilhelm Murnau Stiftung <strong>di</strong> Wiesbaden<br />

Accompagnamento dal vivo del Maestro Antonio Coppola<br />

ore 21.00<br />

Das Testament des Dr. Mabuse (Il testamento del Dottor Mabuse, 1933)<br />

Regia: Fritz Lang; soggetto e sceneggiatura: Thea von Harbou; fotografia: Fritz Arno<br />

Wagner; musica: Hans Erdmann, Franz R. Friedl, Walter Sieber; montaggio: Lothar<br />

Wolff ; interpreti: Rudolf Klein-Rogge, Oscar Beregi, Theodor Loos, Karl Meixner,<br />

Otto Wernicke; origine: Germania; produzione: Nero-Film AG; durata: 122’; v.o.;<br />

sott. it.<br />

Ultimo film tedesco <strong>di</strong> Lang, finito <strong>di</strong> girare poco dopo l’incen<strong>di</strong>o del Reichstag e<br />

l’avvento <strong>di</strong> Hitler al potere, Das Testament des Dr. Mabuse non si può non leggere<br />

come metafora della situazione politica e sociale del tempo, a cui il regista attribuirà<br />

in seguito un deciso messaggio antinazista. Il film, proibito alla sua uscita (uno dei<br />

censori scriverà: «Per gli elementi comunisti, potrebbe essere un vero e proprio<br />

manuale <strong>di</strong> preparazione e <strong>di</strong> esecuzione <strong>di</strong> atti terroristici»…) approfon<strong>di</strong>sce il<br />

personaggio <strong>di</strong> Mabuse in una <strong>di</strong>rezione precisa, poiché la volontà <strong>di</strong> dominio del<br />

criminale del 1922 <strong>di</strong>venta il delirio <strong>di</strong> onnipotenza <strong>di</strong> chi arriva a <strong>di</strong>re «Lo Stato<br />

sono io». Vero e proprio testamento cinematografico (per il regista, che andrà in<br />

esilio, per la grande stagione dello Schermo Demoniaco, per la libertà del cinema<br />

tedesco in generale), il film rimane uno dei capolavori più amati <strong>di</strong> Lang.<br />

Copia proveniente dal Goethe Institut<br />

6-11 aprile<br />

Obiettivo Argentina: uno sguardo al cinema contemporaneo<br />

L’Argentina è senza dubbio uno dei Paesi latino-americani più significativi sotto il<br />

profilo della produzione cinematografica, come <strong>di</strong>mostrano i riconoscimenti<br />

internazionali raccolti dai giovani autori come dai veterani. Il cinema argentino<br />

riflette molto efficacemente le contrad<strong>di</strong>zioni del Paese ed è il campo nel quale si<br />

confrontano le voci più sensibili ed autorevoli del <strong>di</strong>battito culturale interno <strong>di</strong> questi<br />

ultimi anni. Con questa rassegna si intende offrire una panoramica della recente e più<br />

qualificata produzione argentina <strong>di</strong> lungo e cortometraggi, mettendo in particolare in<br />

evidenza i titoli premiati nei principali festival internazionali e presentando<br />

esclusivamente film ine<strong>di</strong>ti in Italia, che saranno proposti al pubblico nella versione<br />

originale con sottotitoli italiani.<br />

Rassegna a cura <strong>di</strong> Andrea Morini e Alberto Morsiani, con la collaborazione <strong>di</strong> Erika<br />

Angiolini, promossa da Cineteca del Comune <strong>di</strong> Bologna, Associazione Circuito<br />

Cinema <strong>di</strong> Modena, Mostra Internazionale del Cinema Libero in collaborazione con<br />

<strong>Centro</strong> <strong>Sperimentale</strong> <strong>di</strong> <strong>Cinematografia</strong>-Cineteca Nazionale, Museo Nazionale del<br />

Cinema <strong>di</strong> Torino, Instituto Nacional de Cine y Artes Au<strong>di</strong>ovisuales (INCAA),<br />

Ambasciata della Repubblica Argentina in Italia.


domenica 6<br />

ore 17.00<br />

Illuminados por el fuego (2005)<br />

Regia: Tristán Bauer; soggetto e sceneggiatura: T. Bauer, Miguel Bonasso, Edgardo<br />

Esteban, Gustavo Romero Borri; fotografia: Javier Julia; musica: Federico Bonasso,<br />

León Gieco; montaggio: Alejandro Brodersohn; interpreti: Gastón Pauls, Pablo Riva,<br />

César Albarracín, Hugo Carrizo, Virginia Innocenti, Juan Leyrado; origine:<br />

Argentina; produzione: Canal + España, INCAA, Universidad Nacional de San<br />

Martín; durata: 100’; v.o.; sott. it.<br />

Il suici<strong>di</strong>o <strong>di</strong> un compagno d’armi porta in superficie i vecchi ricor<strong>di</strong> <strong>di</strong> un uomo. Il<br />

film mostra una realtà che è stata <strong>di</strong>menticata per molti anni in Argentina. Un<br />

governo militare che dovrebbe essere finito sta cercando <strong>di</strong> restare al potere<br />

attraverso un peccato imperdonabile: il sangue delle giovani reclute. L’Argentina<br />

riconquisterà le isole, ma solo quando la gente finalmente capirà ciò che è accaduto<br />

e perché è accaduto. Premio Orizontes Latinos a San Sebastian 2005.<br />

ore 19.00<br />

Familia rodante (2004)<br />

Regia: Pablo Trapero; soggetto e sceneggiatura: P. Trapero; fotografia: Guillermo<br />

Nieto; musica: Hugo Diaz, León Gieco, Juaujo Soza; montaggio: Ezequiel<br />

Borovinsky; interpreti: Graciana Chironi, Nicolás López, Liliana Capurro, Ruth<br />

Dobel, Marianela Pedano, Bernardo Forteza; origine: Argentina; produzione: Lumina<br />

Films, Para<strong>di</strong>s Films, Pandora Filmproduktion, Videofilmes Produçoes Artisticas,<br />

Axiom Films, Buena Onda, Matanza Cine, Pol-Ka Producciones; durata: 103’; v.o.;<br />

sott. it.<br />

Un road movie paesano intelligente e scanzonato. La nonna compie 84 anni, grande<br />

festa in giar<strong>di</strong>no. Arriva una telefonata che annuncia l’imminente matrimonio <strong>di</strong> una<br />

nipote: nonna sarà testimone e tutta la famiglia dovrà partecipare. Inizia un lungo<br />

viaggio da Buenos Aires ad una zona rurale al confine col Brasile, a bordo <strong>di</strong> uno<br />

scalcinato camper, e ne succedono <strong>di</strong> tutti i colori. Un film che strappa più <strong>di</strong> una<br />

risata, ma che al contempo riesce a trasmettere il malessere <strong>di</strong> una famiglia coi suoi<br />

piccoli gran<strong>di</strong> drammi.<br />

ore 21.00<br />

Il cinema del Csc<br />

Tao (1999)<br />

Regia Edo Tagliavini; sceneggiatura: E. Tagliavini, Roberto Scarpetti; fotografia:<br />

Gianni Cigna; montaggio: Clelio Benevento; musica: Marco Benevento; scenografia:<br />

Ivana Gargiulo; costumi: Luca Canfora, Emilio Ortu Lieto; suono: Stefano Campus;<br />

organizzatore: Michela Giovinetti; interpreti: Clive Griffith, Marco Mario De Notaris,<br />

Valeria Sanna, Angela Sapeva; origine: Italia; produzione: Csc; durata: 17’<br />

In un futuro non troppo lontano, America ed Europa si sono unite in una<br />

confederazione democratica, chiudendo le porte al resto del mondo. L’unica<br />

possibilità che hanno gli extracomunitari-terzomon<strong>di</strong>sti per poter entrare in questa


nuova società “civile” ed “evoluta”, è quella <strong>di</strong> partecipare a Tao, un gioco<br />

televisivo violento e popolarissimo. La puntata <strong>di</strong> oggi vede fronteggiarsi per la<br />

Green Card, l’albanese Dan e la russa Rak…<br />

a seguire<br />

Madres (2007)<br />

Regia: Eduardo Félix Walger; soggetto e sceneggiatura: E. F. Walger; montaggio:<br />

origine: E. F. Walger; Argentina; durata: 120’; v.o.; sott. it.<br />

Le sciarpe bianche delle madri dei desaparecidos sono il simbolo universale della<br />

lotta per i <strong>di</strong>ritti umani. Il terrorismo <strong>di</strong> Stato in Argentina era basato sulla<br />

scomparsa forzata delle persone. L’amore per i figli assenti le spingeva a superare la<br />

paura e le muoveva nel centro economico e politico del paese, confrontandosi<br />

<strong>di</strong>sarmate con un potere totalitario e brutale. Oggi esse conservano l’identità dei<br />

loro figli con il grido «30.000 detenuti scomparsi, presenti, ora e sempre!». Premio<br />

Orizontes Latinos, San Sebastian 2007.<br />

lunedì 7<br />

chiuso<br />

martedì 8<br />

ore 17.00<br />

Illuminados por el fuego (replica)<br />

ore 19.00<br />

El otro (2007)<br />

Regia: Ariel Rotter; soggetto e sceneggiatura: A. Rotter; fotografia: Marcelo<br />

Lavintman; montaggio: Eliane Katz; interpreti: Julio Chávez, María Onetto, María<br />

Ucedo, Inés Molina, Arturo Goetz, Osvaldo Bonet; origine: Argentina; produzione:<br />

Aquafilms, Celluloid Dreams, Selavy, AireCine; durata: 83’; v.o.; sott. it.<br />

É la storia <strong>di</strong> un avvocato <strong>di</strong> Buenos Aires che, in viaggio <strong>di</strong> lavoro fuori città, decide<br />

improvvisamente <strong>di</strong> assumere l’identità <strong>di</strong> varie persone e <strong>di</strong> passare due giorni fuori<br />

da se stesso, dalle proprie responsabilità. Il ritorno a casa lo vedrà (forse) maturato.<br />

Un percorso <strong>di</strong> formazione, un personaggio in fuga, in balìa degli eventi, sbandato e<br />

perplesso. Orso d’Argento per miglior film e miglior attore protagonista al Festival<br />

<strong>di</strong> Berlino 2007.<br />

ore 20.45<br />

Il cinema del Csc<br />

Sole (2003)<br />

Regia Michele Carrillo; soggetto e sceneggiatura: M. Carrillo, Barbara Rossi<br />

Prudente; fotografia Marco Grazia Plena; scenografia: Marcela Iriarte Villalobos;<br />

costumi: Tiziano Musetti, Veronica Pietrini; montaggio: Cristina Flamini; suono:<br />

Daniele Turchetta; musica: Francesco Volpicelli; interpreti: Gianluca Izzo, Fabio Del


Prete, Danilo Salvi, Mirko Nasta, Enrietta Fontana; organizzazione: Teresa Bion<strong>di</strong>;<br />

origine: Italia; produzione: Csc, Rai Cinema; durata 20’<br />

Una torrida giornata estiva, in un sud degradato ed irreale, quattro ragazzini<br />

incontrano una prostituta <strong>di</strong> colore. Così una giornata uguale a tante altre, per uno<br />

<strong>di</strong> loro si trasforma in un momento <strong>di</strong> scoperta e crescita.<br />

a seguire<br />

El aura (2005)<br />

Regia: Fabián Bielinsky; soggetto e sceneggiatura: F. Bielinsky; fotografia: Checco<br />

Varese; musica: Lucia Godoy; montaggio: Alejandro Carrillo Penovi, Fernando<br />

Pardo; interpreti: Ricardo Darín, Dolores Fonzi, Pablo Cedrón, Nahuel Pérez<br />

Biscayart, Jorge D’Elía, Alejandro Awada; origine: Argentina; produzione: Aura<br />

Films, Canal + España, Davis-Films, Naya Films, Patagonik Film Group, Tornasol<br />

Films, Productores Asociados, Televisión Española; durata: 134’; v.o.; sott. it.<br />

Un tranquillo, cinico tassidermista, sofferente <strong>di</strong> attacchi epilettici, è ossessionato<br />

dal commettere il delitto perfetto. Pretende che i poliziotti siano troppo stupi<strong>di</strong> per<br />

scoprirlo una volta che sia stato effettuato e che i criminali siano troppo stupi<strong>di</strong> per<br />

eseguirlo nel modo giusto: è convinto <strong>di</strong> poterlo realizzare grazie alla sua memoria<br />

fotografica e alla sua abilità strategica. Miglior film per i critici argentini, premio<br />

Fipresci al Festival dell’Havana.<br />

mercoledì 9<br />

ore 17.00<br />

El otro (replica)<br />

ore 19.00<br />

Derecho de familia (2005)<br />

Regia: Daniel Burman; soggetto e sceneggiatura: D. Burman; fotografia: Ramiro<br />

Civita; musica: César Lerner; montaggio: Alejandro Parysow; interpreti: Daniel<br />

Hendler, Arturo Goetz, Eloy Burman, Julieta Díaz, Adriana Aizemberg, Jean-Pierre<br />

Reguerraz; origine: Argentina; produzione: BD Cine, Classic Film, Para<strong>di</strong>s Films,<br />

Wanda Visión; durata: 102’; v.o.; sott. it.<br />

Ariel Perelman ha seguito le orme paterne ed è <strong>di</strong>ventato avvocato, ma non si è mai<br />

sentito troppo legato al mondo dell’avvocatura e non ha mai lavorato serenamente<br />

con il padre, un uomo capace <strong>di</strong> adattarsi ad ogni situazione e che da quando è<br />

rimasto vedovo si è de<strong>di</strong>cato completamente al suo lavoro. Finché un giorno<br />

Perelman Sr. chiede ad Ariel <strong>di</strong> passare più tempo insieme… Miglior film per i critici<br />

qrgentini. Miglior film al Festival <strong>di</strong> Mar del Plata. Miglior film e miglior regia<br />

all’Alba Film Festival.<br />

ore 21.00<br />

Il cinema del Csc<br />

Monna Lisa (1999)


Regia: Matteo Delbò; sceneggiatura: M. Delbò, Andrea Virilli; fotografia: Mario<br />

Amura; montaggio: Stefano Pasetto; suono: Luca Novelli; scenografia: Federica<br />

Russo, Giuliano Pannuti; costumi; Sonia Salvatori; organizzatore: Federica Verani;<br />

interpreti: Sandro Dori, Silvia Ferreri, Victor Cavallo, Andrea Sasso; origine: Italia;<br />

produzione: Csc; durata: 27’<br />

Ignazio, custode <strong>di</strong> uno sfasciacarrozze, vive solo, chiuso dentro uno spazio <strong>di</strong><br />

rottami d’auto e ferri arrugginiti, innamorato dell’immagine <strong>di</strong> Monna Lisa. Per<br />

conto <strong>di</strong> una banda <strong>di</strong> piccoli malviventi tiene segregata una ragazza dell’est. Lo<br />

sfasciacarrozze si ribella e la libera.<br />

a seguire<br />

El custo<strong>di</strong>o (2005)<br />

Regia: <strong>di</strong> Rodrigo Moreno; soggetto e sceneggiatura: Rorido Moreno; fotografia:<br />

Bárbara Álvarez; musica: Federico Jusid; montaggio: Nicolas Goldbart; interpreti:<br />

Julio Chávez, Osmar Núñez, Marcelo D’Andrea, Elvira Onetto, Cristina Villamor,<br />

Luciana Lifschitz; origine: Argentina/Francia/Germania/Uruguay; produzione:<br />

Rizoma Films, Ctrl Z Films, Zarlek Producciones; durata: 95’; v.o.; sott. it.<br />

Secco, inquietante e impeccabile ritratto <strong>di</strong> un guardaspalle grigio e me<strong>di</strong>ocre,<br />

Rubén, un personaggio insignificante che passa inosservato nell’ombra <strong>di</strong> un<br />

ministro che deve accompagnare dovunque (anche al bagno). Moreno costruisce un<br />

interessante saggio sopra il punto <strong>di</strong> vista, sopra quello che la macchina da presa<br />

mostra e quello che occulta, sopra quello che il protagonista vede o ascolta. Un<br />

cinema costruito sulle piccole osservazioni, sui minimi in<strong>di</strong>zi, sui silenzi, in cui la<br />

critica politica (sul vuoto della politica) affiora sempre sullo sfondo, come il<br />

guar<strong>di</strong>aspalle del titolo.<br />

giovedì 10<br />

ore 17.00<br />

Familia rodante (replica)<br />

ore 19.00<br />

XXY (2007)<br />

Regia: Lucia Puenzo; soggetto: Sergio Bizzio; sceneggiatura: L. Puenzo; fotografia:<br />

Natasha Braier; musica: Andrés Goldstein, Daniel Tarrab; montaggio: Hugo Primero,<br />

Alex Zito; interpreti: Riccardo Darin, Valeria Bertuccelli, Germán Palacios, Carolina<br />

Pelleritti, Martín Piroyansky; origine: Argentina/Francia/Spagna; produzione:<br />

Historias Cinematograficas Cinemania, Pyramide Films, Wanda Visión; durata: 86’<br />

Alex è una ragazza <strong>di</strong> quin<strong>di</strong>ci anni <strong>di</strong>versa dalle altre che nasconde un segreto.<br />

Poco tempo dopo la sua nascita, per proteggerla, i suoi genitori hanno deciso <strong>di</strong><br />

lasciare Buenos Aires e <strong>di</strong> andare ad abitare in una casa <strong>di</strong> legno isolata tra le dune<br />

della costa uruguayana. Ora, per la prima volta, la sua famiglia sta aspettando una<br />

visita. Una coppia <strong>di</strong> amici li sta per raggiungere da Buenos Aires insieme al figlio<br />

Álvaro, un ragazzo <strong>di</strong> 16 anni. L'uomo è un famoso chirurgo plastico che si è fatto<br />

convincere ad affrontare questo viaggio soltanto per la curiosità professionale nei


confronti <strong>di</strong> Alex. Gran Premio della Semaine Internationale de la Critique al<br />

Festival <strong>di</strong> Cannes 2007 e premio per il miglior regista esor<strong>di</strong>ente al Festival<br />

Internazionale del Cinema <strong>di</strong> E<strong>di</strong>mburgo.<br />

ore 20.45<br />

Il cinema del Csc<br />

Prima della fucilazione (1997)<br />

Regia: Salvatore Mereu; sceneggiatura: S. Mereu, Luca Pellegrini; soggetto: tratto da<br />

Lettere a Fanni <strong>di</strong> Salvatore Mannironi; fotografia: Nicolas Franik; scenografia:<br />

Dimitri Capuani; montaggio: Fulvio Molena; musica: coro <strong>di</strong> Nuoro; suono:Antonio<br />

Ricossa; interpreti: Ivano Marescotti, Fausto Sid<strong>di</strong>, Flavia Casana, Massimo<br />

Sarchielli; origine: Italia; produzione: Csc; durata: 14’<br />

L’ultimo giorno <strong>di</strong> vita <strong>di</strong> Antonio Pintore, primo condannato a morte in Sardegna<br />

durante il fascismo.<br />

a seguire<br />

Estrellas (2007)<br />

Regia: Federico León, Marcos Martinez; soggetto e sceneggiatura: F. León, M.<br />

Martinez; origine: Argentina; durata: 64’; v.o.; sott. it.<br />

Il film è girato alla Villa 21, una bidonville <strong>di</strong> Barracas nella periferia <strong>di</strong> Buenos<br />

Aires, e ne svela uno spaccato ironico, <strong>di</strong>silluso e fantasioso. Realizzato con i sol<strong>di</strong><br />

che León ricevette dal prestigioso Premio Rolex per un suo lavoro teatrale tratto da I<br />

demoni <strong>di</strong> Dostoevskij, il film riesce in maniera leggera e acuta a mostrarci le varie<br />

declinazioni della povertà in una sorta <strong>di</strong> documentario crudo per l’analisi della<br />

realtà e ironico nei suoi cenni fantascientifici.<br />

<strong>venerd</strong>ì 11<br />

ore 17.00<br />

Cama adentro (2004)<br />

Regia: Jorge Gaggero; soggetto e sceneggiatura: J. Gaggero; fotografia: Javier Julia;<br />

montaggio: Guillermo Represa; interpreti: Norma Aleandro, Norma Argentina,<br />

Marcos Mundstock, Clau<strong>di</strong>a Lapacó, Elsa Berenguer, Monica Gonzaga; origine:<br />

Argentina; produzione: Aquafilms, Filmanova, Libido Cine; durata: 83’; v.o.; sott. it.<br />

Un dramma ambientato a Buenos Aires durante la crisi economica agli inizi del<br />

2000. Racconta della relazione tra Beba, esponente ricca <strong>di</strong> temperamento della<br />

classe me<strong>di</strong>o-alta argentina, impoverita dalla crisi e costretta a vendere prodotti <strong>di</strong><br />

bellezza porta a porta, e la sua fedele cameriera Dora. Miglior Opera Prima per i<br />

critici argentini. Premio Speciale della Giuria al Sundance Film Festival. Premio<br />

Fipresci a Toulouse.<br />

ore 19.00<br />

Derecho de familia (replica)<br />

ore 21.00


Il cinema del Csc<br />

In casa d’altri (2003)<br />

Regia: Paolo Tripo<strong>di</strong>; soggetto e sceneggiatura: Federico Fanelli, Giuliano Miniati, P.<br />

Tripo<strong>di</strong>; fotografia: Marco Gualtieri; scenografia: Dionisia Cirasola; costumi:<br />

Veronica Pietrini; montaggio: Eleonora Cao; suono: Emiliano Tirocini; musica:<br />

Giulia Cozzi; interpreti: Ekaterina Kopnina, Maria Pia Calzone; organizzazione<br />

Corrado Lorefice; origine: Italia; produzione: Csc, Rai Cinema; durata: 16’<br />

Una giovane donna ucraina lavora come domestica e badante a tempo pieno. Ansia e<br />

malinconia attraversano la sua ultima giornata <strong>di</strong> lavoro.<br />

a seguire<br />

Selezione <strong>di</strong> cortometraggi 2005-2007<br />

v.o.; sott. it.<br />

Al sol en bici <strong>di</strong> Grupo Humus (2007 - 15’)<br />

a seguire<br />

Otakus <strong>di</strong> Andrés Borghi (2007 - 8’)<br />

a seguire<br />

Infamia <strong>di</strong> Juan Cordón e Maxi Blanco (2007 - 15’)<br />

a seguire<br />

Ay! Latinoamerica <strong>di</strong> Ricardo Pieterbag (2007 - 24’)<br />

a seguire<br />

Septimo piso <strong>di</strong> Federico Peretti (2007 - 6’)<br />

a seguire<br />

Amor autoadhesivo <strong>di</strong> Pablo Barbieri e Leticia Christoph (2007 - 11’)<br />

a seguire<br />

Hoy no estoy <strong>di</strong> Gustavo Taretto (2007 - 8’)<br />

12-16 aprile<br />

Nuvole in para<strong>di</strong>so. Viaggio nel cinema finlandese<br />

La Cineteca Nazionale è lieta <strong>di</strong> ospitare una preziosa retrospettiva de<strong>di</strong>cata alla<br />

storia del cinema finlandese, dagli anni Trenta ad oggi, per scoprire un cinema ed un<br />

paese ancora poco conosciuti in Italia, nonostante il successo <strong>di</strong> alcuni autori <strong>di</strong> fama<br />

internazionale, come Aki Kaurismäki. La rassegna itinerante raccoglie un<strong>di</strong>ci titoli<br />

fra i più significativi, presentati in <strong>di</strong>verse città italiane: prima a Bologna e poi a<br />

Torino, Roma e Milano. Un<strong>di</strong>ci film che valgono come passaporto per un’esotica<br />

cultura nor<strong>di</strong>ca e che sono stati scelti sulla base della loro rappresentatività <strong>di</strong> epoche<br />

e linguaggi, della loro appartenenza <strong>di</strong> genere e, non da ultimo, della loro bellezza.


Come precisa Peter von Bagh, «i film finlandesi riflettono una quantità <strong>di</strong> abitu<strong>di</strong>ni,<br />

dettagli <strong>di</strong> cultura materiale e sociale, comportamenti legati a un’appartenenza <strong>di</strong><br />

classe, in<strong>di</strong>zi <strong>di</strong> come funzionano le relazioni familiari, e così via. Ci restituiscono la<br />

vibrante presenza <strong>di</strong> luoghi, case, paesaggi che non esistono più, o sopravvivono in<br />

mo<strong>di</strong> profondamente alterati. Ci rendono testimoni, ad esempio, della graduale<br />

<strong>di</strong>sintegrazione del paesaggio rurale, un tempo prospero e vitale, oggi solo una<br />

scheletrica periferia <strong>di</strong> tragica emarginazione». Ed anche oggi, dopo che Kaurismäki<br />

«senza cedere ad alcun compromesso e senza il sostegno <strong>di</strong> macchine pubblicitarie, si<br />

è imposto nel mondo come cineasta geniale», e che «le platee straniere hanno<br />

cominciato a lasciarsi conquistare dai timi<strong>di</strong> e impacciati e quasi afasici personaggi <strong>di</strong><br />

Kaurismäki», va detto che «sono questi i tratti che hanno da sempre dominato<br />

l’immagine del cinema finlandese».<br />

La rassegna – curata da Guy Borlée e Peter von Bagh, in collaborazione con Merja<br />

Mäkelä e Sanna Maria Martin – è promossa da Cineteca <strong>di</strong> Bologna e Mostra<br />

Internazionale del Cinema Libero in collaborazione con Finnish Film Archive <strong>di</strong><br />

Helsinki, <strong>Centro</strong> <strong>Sperimentale</strong> <strong>di</strong> <strong>Cinematografia</strong>-Cineteca Nazionale, Museo<br />

Nazionale del Cinema <strong>di</strong> Torino e Cineteca Italiana. L’evento, patrocinato dal <strong>Centro</strong><br />

Finlandese <strong>di</strong> Promozione del Turismo, dagli Amici <strong>di</strong> Villa Lante al Gianicolo e<br />

dall’Associazione Finlandese Suomi-Seura <strong>di</strong> Roma, è realizzato con il contributo<br />

dell’Ambasciata <strong>di</strong> Finlan<strong>di</strong>a a Roma.<br />

Il libro Nuvole in Para<strong>di</strong>so. Una guida al cinema finlandese <strong>di</strong> Peter von Bagh viene<br />

pubblicato in italiano in una versione aggiornata in occasione della rassegna (E<strong>di</strong>zioni<br />

Cineteca <strong>di</strong> Bologna) e sarà <strong>di</strong>sponibile da maggio nelle principali librerie italiane.<br />

sabato 12<br />

ore 17.00<br />

Sellaisena kuin sinä minut halusit (Come tu mi volevi, 1944)<br />

Regia: Teuvo Tulio; soggetto: Ahti H. Einola; sceneggiatura: Nisse Hirn; fotografia:<br />

Olavi Gunnari, Eino Heino, Gunnar Juselius, Auvo Mustonen, Esko Töyri;<br />

montaggio: Teuvo Tulio; musica: Tapio Ilomäki; interpreti: Marie-Louise Fock, Ture<br />

Ara, Kunto Karapää, Lauri Korpela, Annie Sundman, Ida Salmi; origine: Finlan<strong>di</strong>a;<br />

produzione: Teuvo Tulio; durata: 99’; v.o.; sott. it.<br />

Lo schema base <strong>di</strong> un film <strong>di</strong> Teuvo Tulio: una ragazza lascia la campagna per la<br />

città e viene sedotta. Seguono, <strong>di</strong> norma, passione, abbandono, rimorso, vita grama<br />

ed espiazione. Tulio è per eccellenza l’autore <strong>di</strong> melodrammi del cinema finlandese:<br />

le sue opere incrociano audacia visionaria e dura critica sociale. «Lo splendore<br />

sensuale delle immagini incanta, mentre l’immagine del maschio finlandese che<br />

emerge da Come tu mi volevi è senza pietà. […] La ragazza è l’immagine della<br />

Finlan<strong>di</strong>a, che ha subito la guerra e la <strong>di</strong>sfatta, è spezzata, è l’ombra <strong>di</strong> se stessa –<br />

ma ha conservato in sé un’immagine ideale <strong>di</strong> pace e <strong>di</strong> felicità» (von Bagh).<br />

ore 19.00<br />

Ombre in Para<strong>di</strong>so (Varjoja paratiisissa, 1986)


Regia: Aki Kaurismäki; soggetto e sceneggiatura: A. Kaurismäki; fotografia: Timo<br />

Salminen; montaggio: Raija Talvio; scenografia: Pertti Hilkamo, Heikki Ukkonen;<br />

interpreti: Matti Pellonpää, Kati Outinen, Sakari Kuosmanen, Esko Nikkari, Kylli<br />

Köngäs, Pekka Laiho; origine: Finlan<strong>di</strong>a; produzione: Mika Kaurismäki; durata: 71’;<br />

v.o.; sott. it.<br />

Fredde albe a Helsinki, pancetta fritta a colazione in squalli<strong>di</strong> bar, bidoni della<br />

spazzatura da raccogliere e svuotare. Poi, nella vita <strong>di</strong> Matti Pellonpää, arrivano<br />

umili sogni infranti e l’amore silenzioso <strong>di</strong> Kati Outinen, cameriera fuggita con la<br />

cassa: un film con i più carismatici attori del cinema <strong>di</strong> Kaurismäki. Il regista «ha<br />

descritto una Finlan<strong>di</strong>a marginale, un mondo <strong>di</strong> sfortunati e <strong>di</strong> perdenti, <strong>di</strong> cui i suoi<br />

film colgono la luce magica, la sofferenza autentica, la compassione profonda e<br />

l’umorismo – con un fantastico senso dello stile. […] Primo titolo della trilogia<br />

kaurismakiana sui lavoratori» – cui seguono Ariel e La fiammiferaia – «è una delle<br />

più sensibili descrizioni <strong>di</strong> vita proletaria mai realizzate […] nella profon<strong>di</strong>tà e ai<br />

margini d’una Finlan<strong>di</strong>a colonizzata, una Finlan<strong>di</strong>a da terzo mondo – descrizione<br />

immersa in un potente, già inconfon<strong>di</strong>bile umanismo, con<strong>di</strong>to <strong>di</strong> sovrana ironia e<br />

gelido sprezzo per la burocrazia e il potere» (von Bagh).<br />

ore 21.00<br />

Juha (1937)<br />

Regia: Nyrki Tapiovaara; soggetto: dal romanzo omonimo <strong>di</strong> Juhani Aho;<br />

sceneggiatura: Heikki Aho, Björn Soldan, N. Tapiovaara; fotografia: Olavi Gunnari,<br />

Björn Soldan; montaggio: Heikki Aho, Björn Soldan; interpreti: Hannes Närhi, Irma<br />

Seikkula, Walle Saikko, Tuulikki Paananen, Aino Haverinen, Ida Kuusela; origine:<br />

Finlan<strong>di</strong>a; produzione: Heikki Aho; durata: 96’; v.o.; sott. it.<br />

Da uno dei più celebri romanzi finlandesi, un’ossessione d’amore portata sullo<br />

schermo anche da Stiller (versione muta del 1919) e da Kaurismäki (nel 1999,<br />

versione non meno muta). Ma il vero capolavoro è questo <strong>di</strong> Nyrki Tapiovaara. Un<br />

uomo quasi vecchio e innamorato come un bambino. Una moglie giovane e vergine.<br />

Un vagabondo che la seduce e la porta via, verso una sorta <strong>di</strong> barbaro harem<br />

nor<strong>di</strong>co. Lo strazio romantico prende alla gola, mentre intorno riluce la struggente<br />

bellezza del creato (acque trasparenti, alte betulle, nuvole gonfie). Tapiovaara fu una<br />

sorta <strong>di</strong> Jean Vigo scan<strong>di</strong>navo: girò cinque film, fondò il primo cineclub del paese<br />

(Projektio), con forte ispirazione d’avanguar<strong>di</strong>a, morì in guerra a ventinove anni – il<br />

genio spezzato del cinema finlandese. «Un classico triangolo romantico […] <strong>di</strong>venta<br />

presto una trage<strong>di</strong>a cinematografica alta, grazie alla profon<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> sguardo con cui<br />

osserva questi personaggi privi <strong>di</strong> qualsiasi artificio e grazie a un potente senso della<br />

natura» (von Bagh).<br />

domenica 13<br />

ore 17.00<br />

Incontro moderato da Andrea Morini con Fernando Solanas e Eduardo<br />

Almirantearena


a seguire<br />

Argentina latente (2007)<br />

Regia: Fernando Solanas; origine: Argentina; durata: 97’; v.o.; sott. it.<br />

Il film, considerato l’ultima parte <strong>di</strong> una trilogia iniziata con Memorie del sottosuolo,<br />

a <strong>di</strong>fferenza dei due precedenti che erano un documento storico sulla crisi finanziaria<br />

e sociale in Argentina agli inizi <strong>di</strong> questo secolo, è una scommessa ottimistica sul<br />

presente e le future generazioni. Solanas viaggia in varie parti del paese e visita<br />

organizzazioni nazionali generalmente sconosciute alla popolazione. Il film<br />

documenta la situazione tecnologica, energetica e scientifica del paese in un modo<br />

assai accurato. Più esplicitamente, il film espone il messaggio che se si è citta<strong>di</strong>ni<br />

argentini si è stati sottoposti a un lavaggio del cervello da parte della propaganda in<br />

modo da sentirsi inferiori al resto del mondo. Il film cerca <strong>di</strong> confutare questa<br />

propaganda.<br />

Ingresso gratuito<br />

ore 19.30<br />

Mieheke (Surrogato <strong>di</strong> marito, 1936)<br />

Regia: Valentin Vaala; sceneggiatura: Hilja Valtonen, V. Vaala; fotografia: Theodor<br />

Luts; montaggio: Valentin Vaala; interpreti: Tuulikki Paananen, Tauno Palo, Uuno<br />

Laakso, Regina Linnanheimo, Hilja Jorma, Helmer Kaski; origine: Finlan<strong>di</strong>a;<br />

produzione: Matti Schreck; durata: 75’; v.o.; sott. it.<br />

Una comme<strong>di</strong>a screwball coi fiocchi. Per guadagnarsi un posto da segretaria, una<br />

donna deve fingere <strong>di</strong> avere un marito e trova uno sconosciuto che si presta, ma,<br />

poiché lui è il bel tenebroso del cinema finlandese Tauno Palo, le conseguenze sono<br />

preve<strong>di</strong>bili. Valentin Vaala è un regista raffinato, Lubitsch il suo nume tutelare.<br />

Attenzione allo strepitoso design: non c’è da stupirsi, sono gli anni in cui maestri<br />

finlandesi come Alvar Aalto e (dall’America) Eero Saarinen rivoluzionano il<br />

modernismo con le loro sinuose invenzioni. «Il film portava a compimento la<br />

missione così formulata dai suoi sceneggiatori: “L’era moderna deve essere<br />

inventata”. Il frizzante intreccio richiama dozzine <strong>di</strong> comme<strong>di</strong>e borghesi europee<br />

degli stessi anni, ma una singolare prospettiva femminile attribuisce al film un<br />

sapore tutto suo: il regista Vaala amava ricorrere al lavoro <strong>di</strong> sceneggiatrici.<br />

Mieheke è firmato dall’autrice <strong>di</strong> best-seller Hilja Valtonen, che […] seppe dar voce<br />

al risentimento sociale delle donne» (von Bagh).<br />

ore 21.00<br />

Komisario palmun erehdys (Il mistero Rygseck, 1960)<br />

Regia: Matti Kassila; soggetto: dal romanzo <strong>di</strong> Mika Waltari; sceneggiatura: M.<br />

Kassila; fotografia: Olavi Tuomi; montaggio: Elmer Lahti; musica: Osmo Lindeman;<br />

interpreti: Joel Rinne, Elina Pohjanpää, Matti Ranin, Leo Riuttu, Leo Jokela, Elina<br />

Salo; origine: Finlan<strong>di</strong>a; produzione: T.J. Särkkä; durata: 103’; v.o.; sott. it.<br />

Il migliore tra i film che hanno per protagonista il commissario Palmu, serie<br />

amatissima negli anni Sessanta. Classico delitto nella camera chiusa: un produttore<br />

cinematografico viene trovato morto nella vasca da bagno. «Un genere nuovo <strong>di</strong>


detective-film ironico, dove la combinazione <strong>di</strong> scatenata paro<strong>di</strong>a e vere indagini<br />

produce un effetto irresistibile – non ultimo per via dei brillanti attori» (von Bagh).<br />

Di grande atmosfera una Helsinki in bianco e nero, percorsa da brivi<strong>di</strong> <strong>di</strong> musica<br />

jazz: una visione <strong>di</strong> città che Kaurismäki cita tra le proprie fonti.<br />

lunedì 14<br />

chiuso<br />

martedì 15<br />

ore 17.00<br />

Ajolähtö (Batti e corri!, 1981)<br />

Regia: Mikko Niskanen; sceneggiatura: Matti Ijäs, M. Niskanen; fotografia: Jukka<br />

Lampinen, Henrik Paersch, Keijo Venho, Jarmo Villebrand; montaggio: Tuula<br />

Mehtonen, Lena Paersch; interpreti: Sami Aarva, Markku Hannula, Kauko Hynninen,<br />

Ville-Pekka Kiviranta, Tuulikki Kuorikoski, Lis Laviola; origine: Finlan<strong>di</strong>a;<br />

produzione: Alf Hemming, Mikko Niskanen; durata: 104’; v.o.; sott. it.<br />

Tra i più personali e importanti registi finlandesi tra gli anni Sessanta e Ottanta,<br />

autore del “leggendario” Eight Deadly Shots (crime-movie rurale lungo oltre cinque<br />

ore), Mikko Niskanen osserva con angoscia un mondo che ha perso le proprie ra<strong>di</strong>ci.<br />

«Il tema ricorrente dei suoi film è lo stesso che ossessiona la società finlandese in<br />

generale: la scomparsa <strong>di</strong> un antico mondo rurale sostituito da un altro. Questo<br />

processo viene descritto con tale emozione che lo spettatore finisce per sospettare<br />

che il regista si abbandoni a una parallela, febbrile ricerca delle proprie ra<strong>di</strong>ci. […]<br />

I tre ragazzi <strong>di</strong> Ajolähtö lasciano il loro villaggio natale per andare a lavorare in<br />

Svezia: destino <strong>di</strong> tutta una generazione, sullo sfondo <strong>di</strong> una campagna che ha<br />

perduto il suo aspetto familiare» (von Bagh).<br />

ore 19.00<br />

Tuntematon sotilas (Il milite ignoto, 1955)<br />

Regia: Edvin Laine; soggetto: dal romanzo omonimo <strong>di</strong> Väinö Linna; sceneggiatura:<br />

Juha Nevalainen; fotografia: Osmo Harkimo, Antero Ruuhonen, Olavi Tuormi, Pentti<br />

Unho, Kalle Peronkoski; montaggio: Osmo Harkimo, Armas Vallasvuo; scenografia:<br />

Aarre Koivisto; interpreti: Kosti Klemelä, Heikki Savolainen, Reino Tolvanen,<br />

Veikko Sinisalo, Âke Lindman, Pentti Siimes; origine: Finlan<strong>di</strong>a; produzione: T.J.<br />

Särkkä; durata: 140’; v.o.; sott. it.<br />

Dal capolavoro <strong>di</strong> Vaino Linna, uno dei più gran<strong>di</strong> film <strong>di</strong> guerra mai realizzati. La<br />

guerra è la Guerra <strong>di</strong> Continuazione, che <strong>di</strong>lagò nella Finlan<strong>di</strong>a dei primi anni<br />

Quaranta, presa nell’ambigua alleanza con la Germania nazista. «L’arco degli<br />

eventi assume una drammatica densità, dai momenti relativamente tranquilli della<br />

“guerra <strong>di</strong> posizione” (quando ancora le manovre potevano sembrare escursioni in<br />

tempo <strong>di</strong> pace) al terrificante cataclisma che ciecamente coinvolge tutto, esseri<br />

umani e natura. Il film trascorre da un’atmosfera rilassata e naturale alle più acute<br />

manifestazioni <strong>di</strong> nevrosi, terrore e follia» (von Bagh).


ore 21.30<br />

Juurakon Hulda (Hulda <strong>di</strong> Juurako, 1938)<br />

Regia: Valentin Vaala; soggetto: dall’omonimo dramma <strong>di</strong> Hella Wuolijoki;<br />

sceneggiatura: V. Vaala, Jaakko Huttunen; fotografia: Armas Hirvonen; montaggio:<br />

V. Vaala; scenografia: Ossi Elstelä; interpreti: Irma Seikkula, Tauno Palo, Topo<br />

Leistelä, Hugo Hytönen, Ossi Elstelä, Vappu Ela; origine: Finlan<strong>di</strong>a; produzione:<br />

Risto Orko; durata: 81’; v.o.; sott. it.<br />

La ragazza <strong>di</strong> campagna Hulda va a Helsinki, si impiega come cameriera presso un<br />

giovane parlamentare, lavora, stu<strong>di</strong>a, <strong>di</strong>spiega il suo ironico buon senso, arriva a<br />

farsi strada nella politica ufficiale e lungo la strada, naturalmente, trova l’amore.<br />

«Nel 1997 il festival <strong>di</strong> La Rochelle presentò una serie <strong>di</strong> film <strong>di</strong> Vaala. I<br />

commentatori entusiasti furono d’accordo: “<strong>di</strong>menticate Capra, Cukor, McCarey – e<br />

fate largo a Valentin Vaala!”» (von Bagh). In effetti, quanta magica sintonia con la<br />

miglior comme<strong>di</strong>a americana: il motivo ricorrente dei servi più saggi dei loro<br />

padroni, l’energica mozione femminista, l’incrocio <strong>di</strong> classi, lo schema romantico.<br />

Tanta sintonia che, dallo stesso dramma <strong>di</strong> Hella Wuolijoki, per trent’anni figura<br />

eminente della cultura finlandese, Hollywood trasse nel 1947 un film con Loretta<br />

Young, e, negli anni Sessanta, una serie televisiva <strong>di</strong> largo successo.<br />

mercoledì 16<br />

ore 17.00<br />

Evakko (Il profugo, 1956)<br />

Regia: Ville Salminen; soggetto: dal romanzo omonimo <strong>di</strong> Unto Seppänen;<br />

sceneggiatura: V. Salminen, Jussi Talvi; fotografia: Unto Kumpulainen; montaggio:<br />

Nils Holm; scenografia: Ville Salminen; interpreti: Santeri Karilo, Linda Lampinen,<br />

Aino-Maija Tikkanen, Eila-Kaarina Roine, Tauno Söder, Kaarlo Wilska; origine:<br />

Finlan<strong>di</strong>a; produzione: Mauno Mäkelä; durata: 96’; v.o.; sott. it.<br />

Insieme a Tuntematon sotilas (Il milite ignoto), è il monumento antimilitarista del<br />

cinema finlandese. Si parla <strong>di</strong> anni tra i più drammatici nella storia del paese: i<br />

primi anni Quaranta, nei quali la Carelia, tormentata regione <strong>di</strong> confine, venne<br />

annessa all’Unione Sovietica e migliaia <strong>di</strong> famiglie si trovarono nella bufera <strong>di</strong> un<br />

esodo forzato. «Nonostante la portata storica del soggetto, il film ha un tono<br />

sommesso, una qualità intimista. Una barca tra gran<strong>di</strong> fiocchi <strong>di</strong> neve, un gatto sulla<br />

neve: sono le immagini-chiave <strong>di</strong> un film dominato da un’atmosfera onirica (<strong>di</strong> sogno<br />

e d’incubo) che trova splen<strong>di</strong>da resa visiva – e da una malinconia <strong>di</strong> cui si è detto<br />

che è profonda come la notte» (von Bagh).<br />

ore 19.00<br />

Jäniksen vuosi (L’anno della lepre, 1977)<br />

Regia: Risto Jarva; soggetto: dal romanzo omonimo <strong>di</strong> Arto Paasilinna;<br />

sceneggiatura: R. Jarva, Kullervo Kukkasjärvi, A. Paasilinna; fotografia: Juha-Veli<br />

Äkräs, Antti Peippo, Erkki Peltomaa; montaggio: Risto Jarva, Matti Kuortti, Tuula<br />

Mehtonen; scenografia: Matti Marttila; interpreti: Antti Litja, Kauko Helovirta,


Markku Huhtamo, Paavo Hukkinen, Juha Kandolin, Kosti Klemelä; origine:<br />

Finlan<strong>di</strong>a; produzione: Kullervo Kukkasjärvi; durata: 123’; v.o.; sott. it.<br />

Dal romanzo <strong>di</strong> Arto Paasilinna, accolto con attenzione anche in Italia (e<strong>di</strong>zioni<br />

Iperborea). «È la storia <strong>di</strong> un pubblicitario che un bel giorno decide <strong>di</strong> sottrarsi<br />

all’infernale ingranaggio della sua professione. Un uomo <strong>di</strong> successo, socialmente<br />

appagato, che molla tutto. […] Il tema ecologico, sempre caro a Jarva, attraversa<br />

tutto il film come una sovrana forza della natura. Questa variante delle storie <strong>di</strong><br />

transfughi e <strong>di</strong> salti nel vuoto è tanto più commovente e singolare se consideriamo<br />

che il solo compagno del protagonista, Antti Litja (magistrale la sua interpretazione),<br />

non è altri che un leprotto» (von Bagh).<br />

ore 21.15<br />

Koirankynnen leikkaaja (L’artiglio del cane, 2003)<br />

Regia: Markku Pölönen; soggetto: dal romanzo omonimo <strong>di</strong> Veikko Huovinen;<br />

sceneggiatura: M. Pölönen; fotografia: Kari Sohlberg; montaggio: Jukka Nykänen;<br />

musica: Vesa Mäkinen; interpreti: Peter Franzén, Taisto Reimaluoto, Ahti Kuoppala,<br />

Ville Virtanen, Risto Salmi, Timo Lavikainen; origine: Finlan<strong>di</strong>a; produzione: Kari<br />

Sara; durata: 99’; v.o.; sott. it.<br />

Gli anni Duemila del cinema finlandese guardano al passato. «Markku Pölönen ha<br />

affrontato con ottimi risultati il delicato rapporto tra letteratura e cinema. Nel suo<br />

film, il caporale ferito alla testa nella seconda guerra mon<strong>di</strong>ale è un giovane invalido<br />

mite e allo stesso tempo smarrito, “un uomo <strong>di</strong>viso nel mondo razionato”, come l’ha<br />

definito lo scrittore Veikko Huovinen. Il film è un toccante racconto <strong>di</strong> sopravvivenza,<br />

e approda a un punto <strong>di</strong> vista significativo: i veri eroi del paese sono gli svantaggiati.<br />

Pölönen dà il meglio <strong>di</strong> sé sullo stesso terreno che Huovinen pre<strong>di</strong>lige come<br />

scrittore: nel descrivere la natura umana e i personaggi con comprensione, con<br />

gentilezza, con rispetto» (von Bagh).<br />

17-20 aprile<br />

Printemps du cinéma français. Caroline Champetier. La donna con la macchina<br />

da presa<br />

Siamo ormai alla quinta e<strong>di</strong>zione del Festival Printemps du cinéma français. Da<br />

cinque anni il Cinema Trevi accompagna questa manifestazione che vuole attirare<br />

l’attenzione del pubblico romano su artisti ancora non abbastanza conosciuti in Italia<br />

sebbene rappresentino il cinema francese attuale: Olivier Assayas, Arnaud<br />

Desplechin, Lucas Belvaux, ecc. Quest’anno, il Festival compie una svolta,<br />

mantenendo fede all’ambizione <strong>di</strong> suscitare una vera curiosità per il cinema francese,<br />

<strong>di</strong> svegliare un amore assopito per dei film che hanno interessato la critica e che <strong>di</strong><br />

sicuro faranno anche appassionare il pubblico. Giovani registe emergenti saranno<br />

invitate presso la Villa Me<strong>di</strong>ci mentre il Cinema Farnese mostrerà in anteprima<br />

italiana film che in Francia hanno riscosso successo. Al Cinema Trevi verrà a<br />

presentare il suo lavoro Caroline Champetier, una <strong>di</strong>rettrice della fotografia<br />

imprescin<strong>di</strong>bile nel cinema recente, francese e non. Il ruolo del <strong>di</strong>rettore della<br />

fotografia è decisivo in ogni tappa del processo <strong>di</strong> creazione <strong>di</strong> un film. È all’incrocio


tra tecnica e inventiva. Con le mani sulla macchina da presa e all’ascolto del regista, a<br />

monte e a valle della realizzazione del film: del quadro, dell’immagine, della visione<br />

del girato, fino al bilanciamento dei colori. È in questo modo che, per riprendere<br />

parole a lei care, Caroline Champetier ha sempre «accompagnato» un autore, si è<br />

sempre «impegnata» nei film per i quali ha lavorato. È in questo modo che negli<br />

ultimi 20 anni ha lavorato con gran<strong>di</strong> cineasti, francesi e non solo (Jean-Luc Godard,<br />

Jacques Rivette, Jacques Doillon, André Techiné, Benoît Jacquot e Philippe Garrel,<br />

ma anche la coppia Jean-Marie Straub e Danièle Huillet, Nobuhiro Suwa, Robert<br />

Altman, Amos Gitaï). Ha lavorato, inoltre, con la giovane generazione <strong>di</strong> registi<br />

francesi, alla cui notorietà ha contribuito (Arnaud Desplechin, Laetitia Masson e<br />

Xavier Beauvois). Caroline Champetier ha selezionato alcuni suoi film che presenterà<br />

al Cinema Trevi <strong>di</strong>alogando con Eugenio Renzi, critico dei Cahiers du Cinéma, e<br />

incontrando il pubblico e alcune cineaste. Tra queste, Sabina Guzzanti, per la quale<br />

ha curato la fotografia de Le ragioni dell’aragosta. Insieme a lei commenterà questa<br />

collaborazione transalpina.<br />

A cura <strong>di</strong> Florence Ferran, Stéphane Solier, Eugenio Renzi, Frédéric Sicamois<br />

(Associazione Regards/Sguar<strong>di</strong>), il festival Printemps du cinéma français è<br />

organizzato sotto l’egida del Servizio culturale dell’Ambasciata <strong>di</strong> Francia in Italia, in<br />

collaborazione con <strong>Centro</strong> <strong>Sperimentale</strong> <strong>di</strong> <strong>Cinematografia</strong>-Cineteca Nazionale,<br />

Académie de France à Rome - Villa Me<strong>di</strong>ci, Università “La Sapienza” <strong>di</strong> Roma e<br />

Università Roma Tre.<br />

Il programma completo sui siti: www.ambafrance-it.org e www.france-italia.it<br />

giovedì 17<br />

ore 18.00<br />

Plus tard tu comprendras... (2008)<br />

Regia: Amos Gitaï; soggetto: tratto dal romanzo omonimo <strong>di</strong> Jérôme Clément;<br />

sceneggiatura: A. Gitaï, Marie-José Sanselme, Dan Franck; fotografia: Caroline<br />

Champetier; musica: Louis Sclavis; montaggio: Isabelle Ignold; interpreti: Hippolyte<br />

Girardot, Jeanne Moreau, Emmanuelle Devos, Dominique Blanc, Daniel Duval,<br />

Denise Aron-Schropfer; origine: Francia/Germania; produzione: Image et<br />

Compagnie, NDR; durata : 90’; v.o.; sott.it.<br />

Victor viene a sapere che una parte della sua famiglia è stata deportata durante la<br />

seconda guerra mon<strong>di</strong>ale. Cerca <strong>di</strong> saperne <strong>di</strong> più interrogando sua madre. Plus tard<br />

tu comprendras... adatta al piccolo schermo la biografia <strong>di</strong> Jérôme Clément, <strong>di</strong>rettore<br />

del canale tematico Arté. Il film è stato presentato al 58° festival <strong>di</strong> Berlino (2008)<br />

nella sezione Berlinale Special.<br />

ore 19.40<br />

Incontro con Caroline Champetier<br />

ore 20.30<br />

Promised Land (Terra promessa, 2004)


Regia: Amos Gitaï; soggetto e sceneggiatura: A. Gitaï, Marie-José Sanselme;<br />

fotografia: Caroline Champetier; musica: Simon Stockhausen; montaggio: Isabelle<br />

Ingold, Isabelle Mongald, Kobi Netanel; interpreti: Anne Parillaud, Hanna Schygulla,<br />

Diana Bespechny, Rosamund Pike, Amos Lavi, Alla An; origine: Francia/Gran<br />

Bretagna/Israele; produzione: Agav Films; durata: 90’; v.o.; sott.it.<br />

Attraverso il deserto tra l’Egitto e l’Israele, una delle frontiere più sorvegliate al<br />

mondo, delle prostitute vengono introdotte clandestinamente e rivendute sul mercato<br />

<strong>di</strong> Ramallah. «Con Caroline Champetier abbiamo cercato <strong>di</strong> filmare in modo che<br />

l’incertezza della macchina da presa incontrasse l’incertezza imposta a queste<br />

donne» (Gitaï). «Il trentesimo lungometraggio <strong>di</strong> Amos Gitaï e forse il suo migliore»<br />

(Philippe Azoury).<br />

ore 22.30<br />

Toute une nuit (1992)<br />

Regia: Chantal Akerman; sceneggiatura: C. Akerman; fotografia: Caroline<br />

Champetier; montaggio: Luc Barnier; interpreti: Frank Aendenboom, Natalia<br />

Akerman, Véronique Alain, Paul Allio, Jacques Bau<strong>di</strong>n, François Beukelaers;<br />

origine: Francia; produzione: Para<strong>di</strong>se Film e Avi<strong>di</strong>a Films; durata: 90’; v.o.; sott. it.<br />

Amanti insonni, tante coppie <strong>di</strong>verse o la moltiplicazione <strong>di</strong> una sola. Pochi <strong>di</strong>aloghi,<br />

una sottile ironia, e un vero campionario <strong>di</strong> gesti, costumi, pratiche amorose degli<br />

anni Ottanta. Toute une nuit è una comme<strong>di</strong>a sentimentale trattata come una<br />

coreografia: un ballo appassionato fino al termine del desiderio.<br />

<strong>venerd</strong>ì 18<br />

ore 18.00<br />

Soigne ta droite (Cura la tua destra, 1987)<br />

Regia: Jean-Luc Godard; fotografia: Caroline Champetier; montaggio: Christine<br />

Benoît; interpreti: Jacques Villeret, Jane Birkin, François Périer, Dominique<br />

Lavanant, Pauline Lafont, Eva Darlan; produzione: JLG Films, Xanadu Films, Rtsr,<br />

Gaumont; origine: Francia-Svizzera; durata: 82’; v.o.; sott. it.<br />

Film per situazioni, gag, immagini. Folle rilettura de L’I<strong>di</strong>ota <strong>di</strong> Dostoevski. Il<br />

“Principe” (Godard stesso) è un regista che deve girare un film. L’“Uomo”<br />

(François Périer) gli impone <strong>di</strong> terminarlo in fretta. L’“In<strong>di</strong>viduo” (Jacques Villeret)<br />

è l’eroe <strong>di</strong> una storia senza né capo né coda. Imper<strong>di</strong>bile esperimento del Godard<br />

anni Ottanta. In Cura la tua destra il regista continua la ricerca <strong>di</strong> One+one e Je vous<br />

salue Marie : rompere la narrazione attraverso il testo letterario (Beckett, Malraux,<br />

ma anche Racine, Lautrémont e qualcun altro) e ricomporla filmando la creazione<br />

musicale (Rita Mitsouko).<br />

ore 19.30<br />

Incontro con Caroline Champetier e Anne-Marie Faux<br />

ore 20.30<br />

Hic rosa, partition botanique (2006)


Regia: Anne-Marie Faux; fotografia: Kamel Belaïd; montaggio: Sébastien Descoin;<br />

voce: A-M. Faux, Anne Sabatelli; origine: Francia; durata: 56’; v.o.; sott.it.<br />

La corrispondenza dal carcere <strong>di</strong> Rosa Luxembourg con Sonia Liebknecht e Mathilde<br />

Wurm, tra il giugno del 1916 e l’ottobre del 1918. Con grande generosità estetica la<br />

regista Anne-Marie Faux materializza l’evasione poetica del leader rivoluzionario:<br />

la natura, il canto degli uccelli, il colore dei fiori.<br />

ore 22.00<br />

Sobibor 14 octobre 1943 16 heures (2001)<br />

Regia: Claude Lanzmann ; fotografia: Caroline Champetier; montaggio: Chantal<br />

Hymans; interpreti: Yehuda Lerner, C. Lanzmann (voce); origine: Francia; 95’; v.o.;<br />

sott. it.<br />

Nel campo <strong>di</strong> sterminio nazista <strong>di</strong> Sobibor, il 14 ottobre 1943 alle ore 16, un gruppo<br />

<strong>di</strong> circa sessanta detenuti fomenta una ribellione e fugge dal lager. Nel 1979 Claude<br />

Lanzmann aveva filmato il racconto <strong>di</strong> uno dei protagonisti della rivolta: Yahuda<br />

Lerner. Quell’intervista, insieme alle immagini dei luoghi degli eventi, riprese da<br />

Caroline Champetier nel 2001, formano il <strong>di</strong>spositivo, semplice e impeccabile, <strong>di</strong><br />

questo film.<br />

sabato 19<br />

ore 16.00<br />

Ponette (1996)<br />

Regia; Jacques Doillon; sceneggiatura: J. Doillon; fotografia: Caroline Champetier;<br />

musica: Philippe Sarde; montaggio: Jacqueline Lecompte; interpreti: Victoire<br />

Thivisol, Delphine Schiltz, Matiaz Bureau Caton, Marie Trintignant, Xavier<br />

Beauvois, Aurelie Verillon; origine: Francia; produzione: Le Films Alain Sarde,<br />

Region Rhoane, Alpes Centre National de la Cinematographie Canal +; durata: 97’;<br />

v.o.; sott. it.<br />

Ponette ha quattro anni; vive in un collegio <strong>di</strong> montagna, dove attende il ritorno<br />

della madre, morta in un incidente automobilistico. Affidata alla zia, non si rassegna<br />

alla per<strong>di</strong>ta, convinta del suo ritorno. «Jacques Doillon filma con un’intelligenza<br />

rara la conversione <strong>di</strong> tante credenze in una fede, toccando vette <strong>di</strong> sublime<br />

ingenuità» (Roth Laurent). Coppa Volpi a Victoire Thivisol alla Mostra del Cinema<br />

<strong>di</strong> Venezia (1996).<br />

ore 18.00<br />

Incontro con Caroline Champetier e proiezione <strong>di</strong> estratti commentati<br />

ore 20.00<br />

Un couple parfait (2005)<br />

Regia: Nobuhiro Suwa; sceneggiatura: N. Suwa; fotografia: Caroline Champetier,<br />

musica: Haruyuki Suzuki; montaggio: Dominique Auvray, Hisako Suwa; interpreti:<br />

Valeria Bruni Tedeschi, Bruno Todeschini, Natalie Boutefeu, Jacques Doillon;


origine: Francia/Giappone; produzione: Comme des Cinemas, Bitters End; durata:<br />

104’; v.o.; sott. it.<br />

Nicolas (Bruno Todeschini) e Marie (Valeria Bruni Tedeschi) stanno <strong>di</strong>vorziando. Il<br />

viaggio che intraprendono per partecipare al matrimonio <strong>di</strong> una coppia <strong>di</strong> amici è<br />

forze l’ultimo che fanno insieme. «Suwa è l’erede del cinema moderno. Qui<br />

ripercorre, reinventandolo, il percorso <strong>di</strong> Rossellini, <strong>di</strong> Godard e <strong>di</strong> Garrel»<br />

(Emmanuel Burdeau). Premio speciale della giuria e premio C.I.C.A.E./Arte & Essai<br />

alla 58ma e<strong>di</strong>zione del Festival Internazionale del film <strong>di</strong> Locarno (2005).<br />

ore 22.00<br />

H Story (2001)<br />

Regia: Nobuhiro Suwa; fotografia: Caroline Champetier; musica: Haruyuki Suzuki;<br />

montaggio: N. Suwa; interpreti: Béatrice Dalle, Kou Machida, Hiroaki Umano, N.<br />

Suwa, C. Champetier, Michiko Yoshitake; origine: Giappone; durata: 111’; v.o.; sott.<br />

it.<br />

Un regista (Nobuhiro Suwa) vuole girare il remake <strong>di</strong> Hiroshima mon amour.<br />

Un’attrice francese (Béatrice Dalle) impara il testo <strong>di</strong> Duras, entra nel ruolo che fu<br />

<strong>di</strong> Emmanuelle Riva. Ma la ripetizione è interrotta da buchi <strong>di</strong> memoria. «H Story è<br />

un film su ciò che manca. Nel film c’è her story, ma poco dell’his story e certamente<br />

nulla dell’history» (Stéphane Bouquet).<br />

domenica 20<br />

ore 17.00<br />

Le ragioni dell’aragosta (2007)<br />

Regia: Sabina Guzzanti; sceneggiatura: S. Guzzanti, Luca Ban<strong>di</strong>rali; fotografia:<br />

Caroline Champetier; musica: Riccardo Giagni, Maurizio Rizzuto; montaggio: Clelio<br />

Benevento; interpreti: S. Guzzanti, Antonello Fassari, Cinzia Leone, Francesca<br />

Reggiani, Stefano Masciarelli, Pierfrancesco Loche; origine: Italia; produzione:<br />

Ambrafandango, Secol Superbo, Sciocco Produzioni; durata: 90’<br />

Un pescatore <strong>di</strong> aragoste contatta Sabina Guzzanti per sensibilizzarla sullo<br />

spopolamento del mare nella Sardegna occidentale. Inizialmente non interessata,<br />

l'attrice si entusiasma quando scopre il passato <strong>di</strong> operaio alla Fiat del pescatore.<br />

Non solo, ma allestire uno spettacolo per attirare l'attenzione dei me<strong>di</strong>a sulle<br />

aragoste potrebbe essere l'occasione per riunire la banda <strong>di</strong> Avanzi dopo 15 anni.<br />

Senza contare che Pierfrancesco Loche, una delle colonne del gruppo <strong>di</strong> allora, si è<br />

trasferito nel villaggio <strong>di</strong> Su Pallosu e sarebbe felice <strong>di</strong> ospitarli. Inizia così<br />

un'avventura artistica e umana esaltante ma anche densa <strong>di</strong> ostacoli.<br />

ore 18.30<br />

Incontro con Caroline Champetier e Sabina Guzzanti<br />

ore 20.00<br />

En avoir (ou pas) (1995)


Regia: Laetitia Masson; soggetto e sceneggiatura: L. Masson; fotografia: Caroline<br />

Champetier; montaggio: Yann Dedet, Babeth Si Ramdane; interpreti: Sandrine<br />

Kimberlain, Arnaud Giovaninetti, Roschdy Zem, Claire Denis, Daniel Kiberlain,<br />

Nathalie Villeneuve; origine: Francia; produzione: CPL, Dacia Film; durata: 90’;<br />

v.o.; sott. it.<br />

Boulogne-sur-Mer. Alice, 26 anni, manutentrice in una fabbrica <strong>di</strong> pesci è licenziata.<br />

Lascia il suo compagno e se ne va. Lione. Bruno, 27 anni, operaio solitario, si rifugia<br />

presso il proprio amico Joseph, portiere d’hotel. Una sera, nota al bar una giovane<br />

dall’aspetto misterioso. È Alice. «Il tono del film, realismo sociale tinto <strong>di</strong> umorismo,<br />

deve molto all’immagine <strong>di</strong> Caroline Champetier» (Toulza Pierre-Olivier).<br />

ore 22.00<br />

Le petit lieutenant (2005)<br />

Regia: Xavier Beauvois; soggetto e sceneggiatura: X. Beauvois, Cédric Anger,<br />

Guillaume Bréaud, Jean-Eric Troubat; fotografia: Caroline Champetier; montaggio:<br />

Martine Giordano; interpreti: Nathalie Baye, Jalil Lespert, Roschdy Zem, Antoine<br />

Chappey, X. Beauvois, Jacques Perrin, Patrick Chauvel; produzione: Why Not<br />

Productions; durata: 110’; v.o.; sott. it.<br />

Appena uscito dall’accademia <strong>di</strong> polizia, il “tenentino” Antoine Derouère è<br />

assegnato alla “police ju<strong>di</strong>ciarie” <strong>di</strong> Parigi. Durante un’inchiesta viene pugnalato a<br />

morte. Questo quarto lungometraggio <strong>di</strong> Xavier Beauvois è secco e preciso. Nessuna<br />

concessione al pathos o alla macchietta poliziesca, ma un convincente spaccato<br />

umano e sociale. Evento speciale in apertura della II e<strong>di</strong>zione delle “Giornate degli<br />

autori”, Mostra del Cinema <strong>di</strong> Venezia 2005. Premio Cesar (2006) come miglior<br />

attrice protagonista a Nathalie Baye.<br />

lunedì 21<br />

chiuso<br />

22-23 aprile<br />

Un regista “inesorabile”. Omaggio a Fritz Lang<br />

Ancora oggi è <strong>di</strong>fficile trovare un modo per descrivere Fritz Lang che sia più<br />

appropriato della celeberrima frase <strong>di</strong> Truffaut: «Una parola sola per qualificarlo:<br />

inesorabile. Ogni inquadratura, ogni movimento <strong>di</strong> macchina, ogni taglio, ogni<br />

spostamento degli attori, ogni gesto ha qualcosa <strong>di</strong> decisivo, <strong>di</strong> inimitabile». Capace<br />

come pochi <strong>di</strong> unire un’incre<strong>di</strong>bile forza espressiva a un’inesausta tensione morale,<br />

nonché <strong>di</strong> lasciare una traccia profonda nell’immaginario degli spettatori, Fritz Lang<br />

appare tuttora un autore <strong>di</strong> grande modernità, anche grazie a una filmografia che,<br />

affrontando le situazioni produttive più <strong>di</strong>sparate, ha saputo sempre conservare una<br />

coerenza e un’autenticità ammirevoli.<br />

In occasione della riproposta al Cinema Trevi dei classici espressionisti del regista, è<br />

sembrato doveroso rendergli un breve omaggio che attraversi agilmente una carriera<br />

quarantennale, alternando i titoli del periodo tedesco a quelli hollywoo<strong>di</strong>ani e<br />

mescolando classici assoluti come M - Il mostro <strong>di</strong> Düsseldorf o Gardenia Blu con


arità come Harakiri, presentato nella versione restaurata per la prima volta a Roma,<br />

o Il ven<strong>di</strong>catore <strong>di</strong> Jess il ban<strong>di</strong>to, suo primo film a colori. Chiude la rassegna un<br />

capolavoro del noir come La donna del ritratto, che sarà introdotto al pubblico da<br />

Vieri Razzini.<br />

La rassegna è promossa dal <strong>Centro</strong> <strong>Sperimentale</strong> <strong>di</strong> <strong>Cinematografia</strong>-Cineteca<br />

Nazionale e dall’Associazione Culturale La Farfalla sul Mirino. Un ringraziamento<br />

particolare per averla resa possibile va alla Cineteca Griffith <strong>di</strong> Genova, alla Cineteca<br />

Italiana <strong>di</strong> Milano, alla Cineteca <strong>di</strong> Bologna, alla Cineteca Sarda e alla Lab80.<br />

martedì 22<br />

ore 16.30<br />

Harakiri (1919)<br />

Regia: Fritz Lang; soggetto: da Madame Butterfly <strong>di</strong> John Long e David Belasco;<br />

sceneggiatura: Max Jungk; fotografia: Max Fassbender; Paul Biensfeldt, Lil Dagover,<br />

Georg John, Meinhardt Maur, Rudolf Lettinger, Erner Hübsch; origine: Germania;<br />

produzione: Decla Bioscop; durata: 85’; <strong>di</strong>d. it.<br />

Quarto film realizzato da Lang (e secondo superstite), Harakiri è stato considerato a<br />

lungo perduto, fino al recente ritrovamento <strong>di</strong> una copia presso il Nederlands<br />

Filmmuseum. Ad un primo restauro, per alcuni versi lacunoso, ne è seguito un<br />

secondo, realizzato dalla Cineteca <strong>di</strong> Bologna con tecniche più sofisticate, che ha<br />

restituito tutto il suo fascino a un’opera da subito acclamata come tra le migliori<br />

prove giovanili <strong>di</strong> Lang. Traendo ispirazione dalla storia <strong>di</strong> Madame Butterfly,<br />

all’epoca spesso rivisitata sul grande schermo, il regista riesce ad esplorare alcuni<br />

dei temi che lo accompagneranno per tutta la sua carriera, primi fra tutti il rapporto<br />

tra colpa e punizione e l’ineluttabilità del destino. Una rarità assolutamente da<br />

riscoprire nella versione restaurata, presentata a Roma per la prima volta.<br />

Copia restaurata proveniente dalla Cineteca <strong>di</strong> Bologna<br />

ore 18.10<br />

Spione (L’inafferrabile, 1928)<br />

Regia: Fritz Lang; soggetto e sceneggiatura: Thea von Harbou, F. Lang; fotografia:<br />

Fritz Arno Wagner; musica: Werner R. Heymann; <strong>di</strong>rezione artistica: Otto Hunte,<br />

Karl Vollbrecht; interpreti: Rudolf Klein-Rogge, Gerda Maurus, Lien Deyers, Louis<br />

Ralph, Craighall Sherry, Willy Fritsch; origine: Germania; produzione: Fritz Lang<br />

Film, UFA; durata: 100’; <strong>di</strong>d. ingl.<br />

Dopo la prima guerra mon<strong>di</strong>ale, il falso paralitico Haghi guida un’organizzazione<br />

spionistica internazionale specializzata nell’impadronirsi <strong>di</strong> documenti segreti. Tra le<br />

spie c’è la bella Sonja, che s’innamora dell’agente britannico 326 e finisce per<br />

aiutarlo a scampare a un attentato e a sconfiggere il perfido Haghi. Dopo<br />

Metropolis, il regista sembra tornare ai temi del Mabuse, come <strong>di</strong>mostra la figura del<br />

protagonista e la trascinante cadenza narrativa tipica del feuilleton e dei romanzi<br />

pulp. Grazie a un’abilità registica con pochi eguali e una serie <strong>di</strong> invenzioni<br />

memorabili, il film ha anche il merito <strong>di</strong> anticipare molte idee e situazioni che in


seguito <strong>di</strong>venteranno i pilastri del genere spionistico. In<strong>di</strong>menticabile la sequenza<br />

finale.<br />

Copia proveniente dalla Cineteca Griffith<br />

ore 20.00<br />

M (M - Il mostro <strong>di</strong> Düsseldorf, 1931)<br />

Regia: Fritz Lang; soggetto e sceneggiatura: Thea von Harbou, F. Lang; fotografia:<br />

Fritz Arno Wagner; musica: tratta dal “Peer Gynt” <strong>di</strong> Edvard Grieg; montaggio: Paul<br />

Falkenberg; interpreti: Peter Lorre, Otto Wernicke, Gustaf Gründgens, Ellen<br />

Widmann, Paul Kemp, Theo Lingen; origine: Germania; produzione: Nero-Film AG;<br />

durata: 100’; v.o.; sott. it.<br />

Terrorizzata da un maniaco che violenta e uccide bambine, l’intera città si mobilita<br />

alla ricerca del mostro, finché le forze dell’or<strong>di</strong>ne si ritrovano a collaborare con la<br />

gente comune e la malavita: la caccia darà i suoi frutti ma l’epilogo sembra volgere<br />

in trage<strong>di</strong>a. Primo film sonoro <strong>di</strong> Lang, M è considerato a buon <strong>di</strong>ritto uno dei suoi<br />

capolavori, sorretto da un’interpretazione magistrale <strong>di</strong> Peter Lorre nei panni <strong>di</strong> uno<br />

dei primi serial killer della storia del cinema. «Forte riven<strong>di</strong>cazione dell’inviolabilità<br />

della libertà umana, per quanto mostruoso ne possa essere il depositario, M è anche<br />

un magistrale esercizio <strong>di</strong> stile, un modello assoluto <strong>di</strong> regia considerata come<br />

un’equazione tra tutti gli elementi costitutivi del film. Il minimo particolare è pieno <strong>di</strong><br />

significato, le inquadrature si intersecano, secondo un or<strong>di</strong>ne infallibile, come le<br />

linee <strong>di</strong> forza <strong>di</strong> un campo magnetico» (Claude Beylie).<br />

Copia proveniente dalla Cineteca Italiana <strong>di</strong> Milano<br />

ore 22.00<br />

The Return of Frank James (Il ven<strong>di</strong>catore <strong>di</strong> Jess il ban<strong>di</strong>to, 1940)<br />

Regia: Fritz Lang; soggetto e sceneggiatura: Sam Hellman; fotografia: George<br />

Barnes; musica: David Buttolph, Charles Henderson, Herbert W. Spencer;<br />

montaggio: Walter Thompson; interpreti: Henry Fonda, Gene Tierney, Jackie<br />

Cooper, Henry Hull, John Carra<strong>di</strong>ne, J. Edward Bromberg: origine: Usa; produzione:<br />

Twentieth Century-Fox Film Corporation; durata: 92’; v.o.; sott. it.<br />

Prima opera a colori e primo western per Fritz Lang, il film è una sorta <strong>di</strong> sequel <strong>di</strong><br />

Jess il ban<strong>di</strong>to <strong>di</strong> Henry King, <strong>di</strong> cui riprende l’azione dopo la morte del<br />

protagonista: quando i responsabili dell’uccisione <strong>di</strong> Jesse vengono graziati, infatti,<br />

il fratello <strong>di</strong> quest’ultimo, Frank, decide <strong>di</strong> ven<strong>di</strong>carsi, inseguendoli ovunque insieme<br />

a un giovanissimo compagno. Lang raccoglie la sfida <strong>di</strong> Hollywood e si confronta<br />

con il genere americano per eccellenza, <strong>di</strong>simpegnandosi con classe: anche grazie a<br />

un cast d’eccezione, in cui primeggiano Henry Fonda e una giovane Gene Tierney<br />

(al suo esor<strong>di</strong>o assoluto), The Return of Frank James è un western cre<strong>di</strong>bile e<br />

appassionante, capace <strong>di</strong> una riflessione non banale sui retroscena storici e politici<br />

legati all’epopea del west. Pellicola rarissima, da non perdere per i cultori del<br />

regista.<br />

mercoledì 23


ore 16.00<br />

Cloak and Dagger (Maschere e pugnali, 1946)<br />

Regia: Fritz Lang; soggetto: Boris Ingster, John Larkin dal romanzo omonimo <strong>di</strong><br />

Corey Ford e Alastair MacBain; sceneggiatura: Ring Lardner Jr., Albert Maltz;<br />

fotografia: Sol Polito; musica: Max Steiner; montaggio: Christian Nyby; interpreti:<br />

Gary Cooper, Lilli Palmer, Robert Alda, Vla<strong>di</strong>mir Sokoloff, J. Edward Bromberg,<br />

Marjorie Hoshelle; origine: Usa; produzione: Warner Bros; durata: 106’<br />

Quando ormai la seconda guerra mon<strong>di</strong>ale volge al termine, i servizi segreti<br />

americani inviano in Svizzera uno scienziato, Alvah Jesper, per raccogliere<br />

informazioni sulle ricerche del Terzo Reich sulla bomba atomica. Jesper fa la<br />

conoscenza <strong>di</strong> un collega italiano, costretto a lavorare per i nazisti che gli hanno<br />

rapito la figlia. Ultimo dei film antinazisti del regista (dopo Man Hunt, Hangman<br />

Also Die e Ministry of Fear) Cloak and Dagger rimane un gioiello <strong>di</strong> suspense e <strong>di</strong><br />

precisione registica, affidato per <strong>di</strong> più al carisma dell’interpretazione <strong>di</strong> un Gary<br />

Cooper ai vertici della carriera. Il finale previsto originariamente, in cui il<br />

protagonista fa una violenta requisitoria contro l’incubo dell’atomica, venne<br />

censurato dalla Warner Bros, visto il clima politico che <strong>di</strong> lì a poco avrebbe condotto<br />

alla guerra fredda.<br />

Copia proveniente dalla Cineteca Griffith<br />

ore 18.00<br />

House by the River (Bassa marea, 1950)<br />

Regia: Fritz Lang; soggetto: dal romanzo House by the River <strong>di</strong> A.P. Herbert;<br />

sceneggiatura: Mel Dinelli; fotografia: Edward Cronjager; musica: George Antheil;<br />

montaggio: Arthur Hilton; interpreti: Louis Hayward, Jane Wyatt, Lee Bowman,<br />

Dorothy Patrick, Ann Shoemaker, Jody Gilbert; origine: Usa; produzione: Republic<br />

Pictures; durata: 88’<br />

Uno scrittore fallito strangola la sua domestica, colpevole <strong>di</strong> aver respinto le sue<br />

avances sessuali: tenterà <strong>di</strong> far cadere i sospetti sul fratello, che lo aveva aiutato a<br />

nascondere il cadavere, ma non saprà resistere alla tentazione <strong>di</strong> utilizzare la storia<br />

per scrivere finalmente un libro <strong>di</strong> successo. Grazie alla produzione a basso costo<br />

dell’in<strong>di</strong>pendente Republic, Lang riesce a girare in piena libertà uno dei suoi noir<br />

migliori, claustrofobico e notturno, in cui sono <strong>di</strong>spiegate con una forza notevole le<br />

sue ossessioni sul sesso e sulla colpevolezza, sulla violenza e le contrad<strong>di</strong>zioni<br />

dell’animo umano.<br />

Copia proveniente dalla Cineteca Sarda<br />

ore 19.40<br />

The Blue Gardenia (Gardenia Blu, 1953)<br />

Regia: Fritz Lang; soggetto: Vera Caspary dal suo racconto Gardenia; sceneggiatura:<br />

Charles Hoffman; fotografia: Nicholas Musuraca; musica: Raoul Kraushaar;<br />

montaggio: Edward Mann; interpreti: Anne Baxter, Richard Conte, Ann Sothern,<br />

Raymond Burr, Jeff Donnell, Richard Erdman; origine: Usa; produzione: Warner<br />

Bros; durata: 90’


Da poco lasciata dal fidanzato, una telefonista si reca a un appuntamento con un<br />

famoso <strong>di</strong>segnatore. Dopo essersi ubriacata e averne respinto le avance, la donna<br />

perde i sensi, ma la mattina dopo scopre che l’uomo è stato ucciso. Convinta in un<br />

primo momento <strong>di</strong> essere lei stessa l’assassina, sarà aiutata da un intraprendente<br />

giornalista a risolvere il mistero. Dopo un periodo <strong>di</strong> <strong>di</strong>soccupazione dovuto al<br />

Maccartismo, che lo aveva inserito nella lista nera come “comunista potenziale”,<br />

Lang torna al lavoro con quello che sulla carta doveva essere un piccolo film<br />

commerciale, ma che nelle sue mani <strong>di</strong>venta un noir <strong>di</strong> altissimo livello, teso e ben<br />

scritto, girato con uno stile inconfon<strong>di</strong>bile. Notevole la fotografia <strong>di</strong> Nicholas<br />

Musuraca, preso in prestito dalla RKO, mentre la canzone Gardenia Blu è cantata da<br />

Nat “King” Cole, che appare anche in un cameo.<br />

ore 21.20<br />

Presentazione del film <strong>di</strong> Vieri Razzini<br />

a seguire<br />

The Woman in the Window (La donna del ritratto, 1944)<br />

Regia: Fritz Lang; soggetto: dal romanzo Once off Guard <strong>di</strong> J.H. Wallis;<br />

sceneggiatura: Nunnally Johnson; fotografia: Milton R. Kranser; musica: Arthur<br />

Lang; montaggio: Gene Fowler Jr; interpreti: Edward G. Robinson, Joan Bennett,<br />

Edmond Breon, Raymond Massey, Dan Duryea, Frank Dawson; origine: Usa;<br />

produzione: Christie Co. International Pictures, RKO Ra<strong>di</strong>o; durata: 99’; v.o.; sott. it.<br />

Partita la famiglia per le vacanze, un tranquillo professore <strong>di</strong> criminologia si imbatte<br />

per caso in una donna bellissima, il cui ritratto, ammirato nella vetrina <strong>di</strong> un<br />

negozio, aveva colpito la sua fantasia. Quella che sembra essere una banale<br />

avventura, però, si trasforma presto in un incubo fatto <strong>di</strong> misteri e delitti. Un classico<br />

del noir <strong>di</strong> tutti i tempi, sospeso tra realismo e suggestioni oniriche, in cui il regista<br />

viennese torna ancora una volta a interrogarsi sul labile confine che separa<br />

innocenza e colpevolezza, svelando l’ipocrisia nascosta <strong>di</strong>etro la maschera della<br />

rispettabilità borghese. Straor<strong>di</strong>nario il cast, con Robinson e la Bennett in testa, e<br />

decisivo l’apporto creativo <strong>di</strong> alcuni gran<strong>di</strong> nomi <strong>di</strong> Hollywood, come Nunnally<br />

Johnson per la sceneggiatura e Milton Kranser per la fotografia.<br />

Copia proveniente dalla Lab80<br />

giovedì 24<br />

Dalla Via Appia all’Oriente. Davide Mancori, la Jinko Communications e i suoi<br />

documentari: pillole <strong>di</strong> mondo<br />

Davide Mancori, autore della fotografia, membro della A.I.C. e produttore<br />

in<strong>di</strong>pendente, erede <strong>di</strong> una grande <strong>di</strong>nastia <strong>di</strong> cinematografari, i Mancori (il padre<br />

Sandro e gli zii Alvaro e Guglielmo), con la sua casa <strong>di</strong> produzione la Jinko<br />

Communications, ha realizzato una serie <strong>di</strong> documentari, in giro per il mondo, dalla<br />

Patagonia all’In<strong>di</strong>a, dal Giappone all’Eritrea, dalla Cina al Brasile, che vengono<br />

presentati al Cinema Trevi, alcuni in anteprima nazionale. Una vocazione<br />

cosmopolita, in linea con le attuali tendenze del cinema mon<strong>di</strong>ale, sempre più volto


ad abbattere barriere (e in controtendenza, invece, con la situazione italiana), che è<br />

attestata anche dal lungometraggio The Mark (2003), un horror movie nato da un’idea<br />

<strong>di</strong> Andrea Materia e prodotto insieme alla spagnola Filmax S.A., <strong>di</strong>stribuito in Italia<br />

dalla Universal Pictures e venduto in <strong>di</strong>versi continenti, tanto da <strong>di</strong>ventare un<br />

fenomeno <strong>di</strong> culto per gli amanti del genere. La nuova idea su cui sta lavorando la<br />

Jinko è non a caso un film, Dreamfactory, da girare in Cina, ultima frontiera del<br />

cinema (e del commercio) mon<strong>di</strong>ale. Del progetto Jinko Communications, nato a<br />

Roma, sull’Appia Antica, fanno parte, oltre a Davide Mancori, Rollo Martins,<br />

Stefano Carbone (autori, sceneggiatori e registi) ed Enrico Idrofano (videomaker e<br />

produttore da oltre 30 anni), ai quali successivamente si sono aggiunti il manager<br />

Ezio Prosperi, esperto <strong>di</strong> <strong>di</strong>stribuzione in campo internazionale, e il poeta Giovanni<br />

Lupi, i quali, a <strong>di</strong>verso titolo, hanno contribuito alla realizzazione dei documentari in<br />

programma in questa rassegna.<br />

Proiezioni a ingresso gratuito<br />

ore 18.00<br />

Il cammino della carità (2007)<br />

Regia: Enrico Idrofano; riprese e montaggio: E. Idrofano; collaborazione alla regia:<br />

Roberto Campili, Rollo Martins; voci narranti: Franca Salerno, Anna Giampiccoli,<br />

Annibale Grasso; organizzatore generale: Fer<strong>di</strong>nando Pala<strong>di</strong>ni; origine: Italia;<br />

produzione: Congregazione Figlie della Carità del Preziosissimo Sangue; durata: 50’<br />

Tommaso Maria Fusco vive nella Campania dell’Ottocento, tra Borboni,<br />

Garibal<strong>di</strong>ni, colera, peste e terremoti. Tra avvenimenti e mutamenti che cambieranno<br />

per sempre l’Italia e il suo meri<strong>di</strong>one. Ma chi era Tommaso? Non è facile raccontare<br />

la vita <strong>di</strong> un uomo. Tommaso Maria Fusco era un santo. Dalla nascita. Da quando<br />

bambino dona la sua camicia a un men<strong>di</strong>cante. Da quando appena sacerdote si<br />

de<strong>di</strong>ca ad alleviare la miseria umana: orfani, <strong>di</strong>seredati, anziani, ammalati, fanciulli<br />

bisognosi. Apre scuole, orfanotrofi e fonda la Congregazione delle Figlie della<br />

Carità del Preziosissimo Sangue.<br />

Questo documentario è un viaggio dalla Campania agli Usa, dal Brasile all’In<strong>di</strong>a,<br />

dalla Nigeria e alle Filippine, luoghi in cui le suore <strong>di</strong> Tommaso Maria Fusco<br />

continuano la sua opera come messaggere <strong>di</strong> carità, uguaglianza e pace.<br />

ore 19.00<br />

Tokyo No Omisoka (2003)<br />

Regia: Rollo Martins; <strong>di</strong>rettore della fotografia: Davide Mancori; musica: Ruichi<br />

Sakamoto; montaggio: Enrico Idrofano; origine: Italia; produzione: Jinko<br />

Communications LTD; durata: 40’<br />

«Cosa facciamo quest’anno a Capodanno? Una festa tra amici? Un locale? Sai che<br />

ti <strong>di</strong>co? An<strong>di</strong>amo a Tokyo!». Tre giorni a Tokyo. Settantadue ore sono talmente<br />

poche da non doversi sforzare neanche <strong>di</strong> dover comprendere un popolo; ci si può<br />

accontentare <strong>di</strong> cogliere le sensazioni <strong>di</strong> un villaggio <strong>di</strong> pescatori <strong>di</strong>ventato una città<br />

<strong>di</strong> un<strong>di</strong>ci milioni <strong>di</strong> abitanti. Del villaggio antico Tokyo conserva i riti sacri con i<br />

bastoncini, i simboli del buddhismo, le uova nere bollite con i vapori solforosi. Della


città <strong>di</strong> un<strong>di</strong>ci milioni <strong>di</strong> abitanti ha i treni veloci che collegano in pochi minuti le<br />

immense periferie al centro, i grattacieli, la frenesia che raramente si scinde dalla<br />

modernità. E poi, a Capodanno, i 108 rintocchi della campana del tempio che<br />

rappresentano i 108 desideri terreni da cui purificarsi. Viene da pensare che tre<br />

giorni sono pochi per capire se la purificazione avviene allontanandosi dai desideri o<br />

esaudendoli tutti.<br />

ore 19.45<br />

Patagonia 8500 kms por la ruta (2003)<br />

Regia: Rollo Martins; aiuto regia: Stefano Carbone; voce narrante: Cesare Rascel;<br />

<strong>di</strong>rettore della fotografia: Davide Mancori; musica: Huella Pampa, Herb Alpert, Billy<br />

Cobham, Al Di Meola, Pat Metheny, Andreas Vollenweider, Lost Tribe, Michael<br />

Brecker; montaggio: Enrico Idrofano; origine: Italia; produzione: Jinko<br />

Communications LTD - Video & Click Roma; durata: 32’<br />

Il Perito Moreno, la Troquita de Esquel, la Cueva de las Manos. È il suono <strong>di</strong> questi<br />

nomi leggendari la colonna sonora <strong>di</strong> un percorso lungo le strade polverose, i vivi<br />

colori, i rumorosi silenzi della Patagonia. Tessere <strong>di</strong> un mosaico esteso quanto la<br />

fantasia: l’Arma<strong>di</strong>llo, i Leoni Marini, il Bosco pietrificato, la Isla Grande. E alla fine<br />

del viaggio, dopo aver visto la Tierra del Fuego e Capo Horn, al confine del mondo,<br />

poco prima del tra<strong>di</strong>zionale “The end”, tra le foto che accompagnano i titoli <strong>di</strong> coda,<br />

facciamo attenzione a quella <strong>di</strong> una scritta su un cartello tra la gente. Potrebbe<br />

essere la giusta conclusione del percorso: «Tutti vogliono cambiare il mondo, ma<br />

nessuno vuole cambiare se stesso». Miglior documentario al 61° Festival<br />

Internazionale del Cinema <strong>di</strong> Salerno.<br />

ore 20.30<br />

Incontro moderato da Marco Giusti con Davide Mancori e Rollo Martins<br />

a seguire<br />

Un uomo, il cinema. Alvaro Mancori (2007)<br />

Regia: Rollo Martins; aiuto regia: Giovanni Lupi; <strong>di</strong>rettore della fotografia: Davide<br />

Mancori; operatore: Enrico Idrofano; musica: Marcello Giombini, Ennio Morricone;<br />

montaggio: Giovanni Lupi; origine: Italia; produzione: Jinko Communications LTD;<br />

durata: 14’<br />

Alvaro Mancori è il sibilo delle macchine da presa in azione, la pellicola liscia e<br />

lucente che trattiene le immagini, il cestino all’ora <strong>di</strong> pranzo. Alvaro Mancori è il<br />

rumore dei cavalli al villaggio Elios, Frank Kramer invece <strong>di</strong> Gianfranco Parolini,<br />

l’azione <strong>di</strong> Sergio Leone, il sogno <strong>di</strong> Federico Fellini. Alvaro Mancori è un<br />

operatore, un autore della fotografia, un produttore che ha contribuito a far grande<br />

il cinema italiano con la creatività e l’umiltà. È un “cinematografaro” e ne va fiero.<br />

a seguire<br />

Cina in viaggio (2007)


Regia: Rollo Martins, Giovanni Lupi; voce narrante: Clau<strong>di</strong>o Capone; <strong>di</strong>rettore della<br />

fotografia: Davide Mancori; operatore: Enrico Idrofano; musica: Tang Liangxing,<br />

The Guo Brothers & Shung Tian, Pat Metheny (Devil Dee version); montaggio: R.<br />

Martins, G. Lupi; interpreti: Monica Mazzitelli, Silvia Parisi; origine: Italia;<br />

produzione: Jinko Communications LTD - Video & Click Roma; durata: 27’<br />

In Cina si mangiano gli spaghetti, si lanciano i nastri sugli alberi, si fanno volare gli<br />

aquiloni. In Cina si viaggia, si viaggia verso lo sviluppo, si viaggia verso la<br />

“crescita” economica ad ogni costo. Con questo documentario tentiamo una sintesi<br />

tra le piccole abitu<strong>di</strong>ni quoti<strong>di</strong>ane <strong>di</strong> un popolo e le sue aspirazioni <strong>di</strong> grandezza, tra<br />

lo sguardo in<strong>di</strong>viduale e il sentimento collettivo. Viaggiare attraverso una nazione<br />

che è a sua volta in viaggio può far perdere l’equilibrio, a meno che non si adotti una<br />

prospettiva <strong>di</strong>versa, quella del Tempo.<br />

Anteprima nazionale<br />

a seguire<br />

Gabbiani (2008)<br />

Regia: Rollo Martins, Giovanni Lupi; voce narrante: Bianca Ciocca; <strong>di</strong>rettore della<br />

fotografia: Davide Mancori; operatore: Enrico Idrofano, Donatella Altieri;<br />

montaggio: R. Martins, G. Lupi; origine: Italia; produzione: Jinko Communications<br />

LTD - Video & Click Roma; durata 30’<br />

Tra Terra e Terra il confine è sangue. Tra sangue e sangue il confine, liquido,<br />

scompare. Il documentario racconta l’infinito conflitto tra Etiopia ed Eritrea e il<br />

solitario volo <strong>di</strong> due gabbiani verso il mare. Una giovane donna africana prepara il<br />

caffè, nero. Il suono delle onde muta urla e spari in eco lontano. Il caffè è pronto:<br />

può essere versato.<br />

Anteprima nazionale<br />

25-29 aprile<br />

Schermi <strong>di</strong> piombo. Il terrorismo nel cinema italiano<br />

Schermi <strong>di</strong> piombo. Il terrorismo nel cinema italiano, dopo essere stato un libro,<br />

<strong>di</strong>venta la prima e la più completa retrospettiva (che proseguirà a maggio) delle opere<br />

che hanno affrontato il tema dei terrorismi e della violenza politica, con particolare<br />

riferimento ai quattro decenni <strong>di</strong> storia repubblicana fatta <strong>di</strong> lotta armata, trame nere,<br />

attentati, sequestri, attacchi al “cuore dello Stato”, bombe nelle piazze e sui treni,<br />

servizi segreti deviati, tentati Golpe, ecc, ecc.<br />

Il quadro che la retrospettiva traccia – approfon<strong>di</strong>to ulteriormente da un convegno<br />

accademico organizzato dall’Università Roma Tre insieme con la Cineteca Nazionale<br />

e programmato per la giornata dell’8 maggio – evidenzia una certa iniziale latitanza<br />

<strong>di</strong> “gran<strong>di</strong> firme” <strong>di</strong>etro ai film che, soprattutto negli anni Settanta, hanno tentato <strong>di</strong><br />

affrontare la questione della violenza politica e del terrorismo, come se «una sorta <strong>di</strong><br />

presbiopia [avesse impe<strong>di</strong>to] <strong>di</strong> guardare il vicino, <strong>di</strong>stricarne le forze e capirne le<br />

<strong>di</strong>namiche ideologiche» (Brunetta). Bisogna infatti attendere l’inizio degli anni<br />

Ottanta, il momento in cui, a sinistra come a destra, la lotta armata va<br />

progressivamente a spegnersi (non senza aver lasciato sull’asfalto altri morti), per


vedere apparire sulla scena cinematografica i primi film d’autore sul terrorismo. Nel<br />

frattempo, a tentare una presa <strong>di</strong>retta sugli anni <strong>di</strong> piombo é stato un altro tipo <strong>di</strong><br />

cinema, meno autoriale e più popolare. Gli ultimi anni Sessanta e i primi Settanta<br />

costituiscono infatti il periodo storico in cui il cinema italiano, confidando ancora su<br />

un apparato industriale che si <strong>di</strong>ssolverà <strong>di</strong> lì a poco a causa dell’avvento della tv<br />

commerciale, riesce ancora a fare affidamento sui generi per dare vita ad un consumo<br />

“<strong>di</strong> denuncia” che si configura come l’altra faccia del cinema civile dei Rosi e dei<br />

Petri. Sono soprattutto la comme<strong>di</strong>a satirica e il poliziesco all’italiana a raccogliere da<br />

subito la sfida <strong>di</strong> fotografare le tensioni e i drammi che sconvolgono il Paese sotto<br />

forma <strong>di</strong> violenza politica tra “opposti estremismi”, <strong>di</strong> vero e proprio terrorismo, ma<br />

anche <strong>di</strong> stragismo e <strong>di</strong> piani eversivi originati da sezioni deviate dello Stato.<br />

Allo scopo, dunque, <strong>di</strong> dare conto della reale entità, stratificazione e articolazione del<br />

fenomeno “schermi <strong>di</strong> piombo”, si vuole offrire al pubblico la totalità delle<br />

declinazioni che la macchina-cinema ha utilizzato per fissare su pellicola la storia <strong>di</strong><br />

quegli anni, nella consapevolezza che un <strong>di</strong>scorso composito, articolato e<br />

approfon<strong>di</strong>to su quella stagione possa emergere solo dalla somma delle suggestioni,<br />

dei suggerimenti, degli sprazzi <strong>di</strong> verità che ciascuna opera, anche in minima parte, è<br />

stata in grado <strong>di</strong> offrire.<br />

La retrospettiva, organizzata dalla Cineteca Nazionale, ideale continuazione della<br />

rassegna Schermi in fiamme. Il cinema della contestazione, è curata da Christian Uva,<br />

autore del volume Schermi <strong>di</strong> piombo. Il terrorismo nel cinema italiano (Rubbettino,<br />

2007), in collaborazione con Pierpaolo De Sanctis.<br />

<strong>venerd</strong>ì 25<br />

ore 17.00<br />

La macchina ammazzacattivi (1948)<br />

Regia: Roberto Rossellini; soggetto: Eduardo De Filippo, Fabrizio Sarazari;<br />

sceneggiatura: Sergio Amidei, Franco Brusati, Liana Ferri, R. Rossellini, Giancarlo<br />

Vigorelli; fotografia: Tino Santoni; musica: Renzo Rossellini; montaggio: Luigi<br />

Rovere; interpreti: Giovanni Amato, Clara Bin<strong>di</strong>, Marilyn Buferd, Camillo Buonanni,<br />

Pietro Carloni, John Falletta; origine: Italia; produzione: Universalia; durata: 80’<br />

«Celestino riceve in dono dal Santo protettore del paese un apparecchio fotografico<br />

fatato che consente, riprendendone l’immagine, <strong>di</strong> far letteralmente “sparire” dalla<br />

circolazione tutti i “cattivi”. Inizialmente certo della propria buona fede e del<br />

proprio buon <strong>di</strong>ritto a ripulire il piccolo mondo della sua quoti<strong>di</strong>anità, il personaggio<br />

si ritrova progressivamente <strong>di</strong>vorato dai dubbi fino a scoprire che la “macchina<br />

ammazzacattivi” è in realtà uno strumento <strong>di</strong>abolico messogli in mano da Satana in<br />

persona camuffato da santo protettore. Con la consueta imme<strong>di</strong>atezza <strong>di</strong> un cinema<br />

capace <strong>di</strong> “mostrare” ancor prima che <strong>di</strong> “<strong>di</strong>mostrare”, Roberto Rossellini mette in<br />

evidenza i rischi (cui molti all’epoca indulgevano) della compilazione <strong>di</strong> liste<br />

ideologiche <strong>di</strong> “buoni” e <strong>di</strong> “cattivi”. Per Rossellini infatti – e la sua resta forse una<br />

delle più nette condanne del “terrorismo” – si rivela impossibile trasferire nel<br />

sociale una spinta etica in<strong>di</strong>viduale se questa non viene “con<strong>di</strong>visa”, perché senza<br />

questa morale “<strong>di</strong>alogata” la delega all’azione che il singolo si attribuisce è


condannata allo scacco dal proprio stesso orgoglio. Anche se il film non fa alcun<br />

riferimento esplicito al terrorismo, ne ritroviamo dunque delineate alcune delle<br />

“figure” centrali, come la <strong>di</strong>alettica tra “azione e pentimento”, il mito dell’azione<br />

definitiva, il narcisismo dell’assunzione <strong>di</strong> responsabilità globale, il pentimento come<br />

lavacro purificatore, la confessione ed, eventualmente, il tra<strong>di</strong>mento» (Toffetti).<br />

ore 19.00<br />

Il terrorista (1963)<br />

Regia: Gianfranco De Bosio; soggetto e sceneggiatura: G. De Bosio, Luigi<br />

Squarzina; fotografia: Lamberto Caimi, Alfio Contini; musica: Piero Piccioni;<br />

montaggio: Carla Colombo; interpreti: Gian Maria Volonté, Philippe Leroy, Giulio<br />

Bosetti, Raffaella Carrà, José Quaglio; origine: Francia/Italia; produzione: 22<br />

Dicembre Cinematografica, Galatea, Societé Cinématographique Lyre; durata: 100’<br />

«In sintonia con la tra<strong>di</strong>zione cinematografica del dopoguerra, quest’opera conclude<br />

il ciclo dei film resistenziali sul periodo fascista. Al centro della vicenda è la figura<br />

<strong>di</strong> Renato Braschi (Gian Maria Volonté, maschera ricorrente degli “schermi <strong>di</strong><br />

piombo”), esponente del Partito d’Azione e capo <strong>di</strong> un gruppo <strong>di</strong> partigiani deciso a<br />

proseguire le azioni <strong>di</strong> sabotaggio nella Venezia della Repubblica <strong>di</strong> Salò, nonostante<br />

l’invito dei superiori alla prudenza e alla sospensione degli attentati. «È la prima<br />

volta che il termine “terrorista”, come sostantivo riferito ad una specifica con<strong>di</strong>zione<br />

umana e politica, fa la sua apparizione in ambito strettamente cinematografico»<br />

(Fantoni Minnella). Importante è infatti nel film il rilievo conferito alla delicata<br />

questione semantica relativa alla parola “terrorismo”, definizione, come è noto,<br />

fermamente respinta dagli ex brigatisti e da loro attribuita a chi abbia utilizzato<br />

l’esplosivo e la violenza in<strong>di</strong>scriminata tipica dello stragismo. Para<strong>di</strong>gmatica la<br />

scena in cui si vedono raccolti intorno ad un tavolo i rappresentanti del Comitato <strong>di</strong><br />

Liberazione Nazionale all’indomani <strong>di</strong> un sanguinoso attentato compiuto dai<br />

partigiani ai danni dei tedeschi: da un lato siedono i Liberali, che si <strong>di</strong>chiarano<br />

favorevoli ai sabotaggi ma non alle azioni terroristiche con morti e bombe, dall’altro<br />

l’esponente del Partito d’Azione, secondo il quale il vero terrorismo è quello dei<br />

tedeschi e delle loro rappresaglie» (Uva).<br />

ore 21.00<br />

Colpo <strong>di</strong> stato (1968)<br />

Regia: Luciano Salce; soggetto: Ennio De Concini; sceneggiatura: E. De Concini, L.<br />

Salce; fotografia: Luciano Trasatti; musica: Gianni Marchetti; montaggio: Sergio<br />

Montanari; interpreti: Steffen Zacharias, Dimitri Tamarav, Silvano Spadaccino,<br />

Orchidea De Santis, Bebert H. Marboutie, Anna Casalino; origine: Italia; produzione:<br />

Vides Cinematografica; durata: 105’<br />

La lunga lunga notte dello scrutinio elettorale del 1972 secondo le menti geniali <strong>di</strong><br />

Salce e De Concini, che immaginano un’impennata imprevista dei voti conquistati<br />

dal partito comunista. Libero esperimento cinematografico figlio del ’68 italiano,<br />

seriamente danneggiato da una <strong>di</strong>stribuzione a <strong>di</strong>r poco fantasma che ha portato alla<br />

sparizione quasi totale del film. Salce mischia una satira politica beffarda, quasi


sempre lontana dagli schemi sicuri della comme<strong>di</strong>a all’italiana del periodo, al<br />

cinema-verité, al film-inchiesta, al film nel film, al film corale (con tanto <strong>di</strong> coro<br />

greco a commentare i passaggi narrativi principali), frantumando la trama in un<br />

susseguirsi delirante <strong>di</strong> situazioni, avvenimenti, <strong>di</strong>namismi.<br />

Prodotto dopo mille <strong>di</strong>fficoltà con un budget ridotto lungo un anno <strong>di</strong> duro lavoro,<br />

Colpo <strong>di</strong> stato è certamente tra i film più ambiziosi e preziosi <strong>di</strong> Luciano Salce, da<br />

riscoprire urgentemente.<br />

sabato 26<br />

ore 17.00<br />

Mor<strong>di</strong> e fuggi (1972)<br />

Regia: Dino Risi; soggetto e sceneggiatura: Ruggero Maccari, D. Risi, Bernar<strong>di</strong>no<br />

Zapponi; fotografia: Luciano Tovoli; musica: Carlo Rustichelli; montaggio: Alberto<br />

Gallitti; interpreti: Marcello Mastroianni, Oliver Reed, Carol André, Lionel Stander,<br />

Nicoletta Machiavelli; origine: Italia/Francia; produzione: Compagnia<br />

Cinematografica Champion, Les Films Corona; durata: 113’<br />

«È curioso che l’affacciarsi per la prima volta sul grande schermo <strong>di</strong> questioni<br />

riguardanti la cronaca politica dei comunisti combattenti sia avvenuta per mezzo del<br />

grandangolo tagliente della personalissima “comme<strong>di</strong>a psichiatrica” <strong>di</strong> Dino Risi.<br />

[…] In Francia segnò l’occasione <strong>di</strong> una riscoperta critica della filmografia del<br />

regista, mentre da noi fu snobbato e guadagnò pochissimo. Mor<strong>di</strong> e fuggi (slogan<br />

delle Brigate Rosse del primo periodo, quello del sequestro Sossi per sottoporlo a un<br />

“processo proletario” e delle punizioni simboliche ai capetti <strong>di</strong> fabbrica) è una<br />

satira sociale, che mette a raffronto il “coniglio borghese e il leone<br />

extraparlamentare”, l’industrialotto <strong>di</strong> prodotti farmaceutici Marcello Mastroianni,<br />

vigliacchetto che si crogiola nel comodo tepore della cuccia della sua classe sociale,<br />

e un professore <strong>di</strong> sociologia nonché militante filo-operaista <strong>di</strong> un gruppuscolo<br />

rivoluzionario, che ha la stazza cinghialesca e la febbrile veemenza <strong>di</strong> un Oliver<br />

Reed che ricorda vagamente Prospero Gallinari» (Guastella).<br />

ore 19.00<br />

Terminal (1975)<br />

Regia: Paolo Breccia; soggetto e sceneggiatura: P. Breccia; fotografia: Gianni<br />

Bonicelli; musica: Giovanna Marini; montaggio: Sergio Nuti; interpreti: William<br />

Berger, Mirella D’Angelo, Niccolò Piccolomini, Rossella Or, Giuliana Calandra,<br />

Ezio Marano; origine: Italia; produzione: Cooperativa Bocca <strong>di</strong> Leone; durata: 110’<br />

Apologo sul tema del potere e sui mezzi forti per conquistarlo, avvolto in una<br />

struttura da giallo che lavora il cinema politico <strong>di</strong> quegli anni in uno scenario<br />

futuristico dagli echi vagamente kafkiani. «All’epoca mi interessava un tipo <strong>di</strong><br />

cinema metaforico, ma da una parte in cui la metafora fosse contenuta all’interno <strong>di</strong><br />

una struttura convenzionale. […] Avevo fondamentalmente due archetipi – esistenti<br />

sia nella letteratura sia nel cinema – sulla cui variazione, rivisitazione volevo<br />

lavorare: il tema del sosia e il tema <strong>di</strong> Jekyll & Hyde. Mischiando le due cose,<br />

arrivai alla storia del film, uno che entra nella vita <strong>di</strong> un altro…» (Breccia). Nella


colonna sonora si segnalano ben quattro pezzi dei Perigeo, storico gruppo jazzprogressive<br />

italiano.<br />

ore 21.00<br />

Donna è bello (1974)<br />

Regia: Sergio Bazzini; soggetto: S. Bazzini; sceneggiatura: S. Bazzini, Silvano<br />

Agosti; fotografia: Mario Masini; musica: Ruggero Cini; montaggio: Silvano Agosti;<br />

interpreti: Andréa Férreol, Joe Dallessandro, Marino Masé, Daniela Metternich, Piero<br />

Gerlini, Massimo Sarchielli; origine: Italia/Germania/Francia; produzione: P.A.C.,<br />

Hermes Film Synchron, Société Générale de Production; durata: 94’<br />

Ottavia è moglie <strong>di</strong> un conta<strong>di</strong>no comunista, Enea, e madre <strong>di</strong> un ritardato mentale,<br />

Piero, avuto col padrone. La donna lavora, infatti, come cameriera nella casa <strong>di</strong> un<br />

conte fascista implicato nelle cosiddette “trame nere”. Mentre il marito è assente,<br />

Ottavia ospita un giovane neofascista <strong>di</strong>namitardo. Tra i due nasce un torbido<br />

rapporto sessuale. Due amici del terrorista, venuto a trovarlo, <strong>di</strong>menticano nella<br />

casa pillole mici<strong>di</strong>ali. Esor<strong>di</strong>o alla regia <strong>di</strong> Sergio Bazzini, valente sceneggiatore per<br />

Ferreri, Samperi, Bellocchio, con il montaggio <strong>di</strong> Silvano Agosti (che collabora alla<br />

sceneggiatura), Donna è bello «mescola il Kamasutra alle piste nere, lo scemo del<br />

villaggio agli attacchi da sinistra contro il PCI, i peti alla <strong>di</strong>namite; e per buona<br />

misura fa mangiare un feto da un cane» (Kezich). Invisibile da anni.<br />

domenica 27<br />

ore 17.00<br />

San Babila ore 20: un delitto inutile (1976)<br />

Regia: Carlo Lizzani; soggetto: C. Lizzani, Mino Giarda; sceneggiatura: Ugo Pirro,<br />

M. Giarda, C. Lizzani; fotografia: Pier Giorgio Pozzi; musica: Ennio Morricone;<br />

montaggio: Franco Fraticelli; interpreti: Daniele Asti, Grazia Baccari, Pietro<br />

Brambilla, Brigitte Skay, Gilberto Squizzato, Giuliano Cesareo; origine: Italia;<br />

produzione: Produzioni Thousand Associate; durata: 105’<br />

«Film ricalcato sulla vicenda <strong>di</strong> Alberto Brasili, giovane <strong>di</strong> sinistra ucciso il 25<br />

maggio 1975 a Milano da cinque neofascisti. Come raccontato da Lizzani, l’errore<br />

fatale <strong>di</strong> Brasili e della sua fidanzata, riconoscibili come “compagni” per il modo <strong>di</strong><br />

vestire, fu quello <strong>di</strong> attraversare una zona notoriamente “nera” della città e <strong>di</strong><br />

sfiorare un manifesto dell’MSI. È per questo che il regista è particolarmente attento<br />

al dato sociologico, in particolare ai “costumi” e agli accessori fatti indossare dai<br />

suoi personaggi. Il film, più che per un’approfon<strong>di</strong>ta indagine sociale o<br />

antropologica, si fa ricordare per il tratteggio dell’iconografia del fascistello<br />

“sanbabilino” (a Roma si sarebbe trattato del “pariolino”), con la sua faccia pulita,<br />

gli occhiali da sole Rayban “a goccia”, il giubbotto <strong>di</strong> pelle nera e le calzature <strong>di</strong><br />

or<strong>di</strong>nanza <strong>di</strong> ogni buon camerata (gli stivali “Camperos”). Fondato sull’impiego<br />

delle riprese in loco (spesso rubate in mezzo alla folla) e della “macchina a mano”,<br />

l’impianto estetico si caratterizza per uno stile che asseconda l’aggressività dello<br />

spaccato umano descritto, un universo giovanile in stile Arancia meccanica in cui al<br />

drugo kubrickiano si sostituisce il camerata che, con la connivenza della polizia,


spadroneggia nella sua zona marciando al passo dell’oca, sognando <strong>di</strong> arrivare ad<br />

una vera guerra contro il nemico “rosso” e desiderando ardentemente conoscere<br />

cosa si prova quando si compie una strage...» (Uva).<br />

ore 19.00<br />

Gruppo <strong>di</strong> famiglia in un interno (1974)<br />

Regia: Luchino Visconti; soggetto: Enrico Me<strong>di</strong>oli; sceneggiatura: Suso Cecchi<br />

D’Amico, E. Me<strong>di</strong>oli, L. Visconti; fotografia: Pasqualino De Santis; musica: Franco<br />

Mannino; montaggio: Ruggero Mastroianni; interpreti: Burt Lancaster, Helmut<br />

Berger, Silvana Mangano, Clau<strong>di</strong>a Marsani, Stefano Patrizi, Elvira Cortese; origine:<br />

Italia/Francia: Rusconi Film, Gaumont International; durata: 121’<br />

Un anziano professore vive nel palazzo <strong>di</strong> famiglia circondato dai suoi libri e dai<br />

suoi ricor<strong>di</strong>, un equilibrio spezzato dall’arrivo, nell’appartamento sopra il suo, <strong>di</strong><br />

una donna e della sua “strana” famiglia, l’amante, il figlio e la fidanzata del figlio.<br />

Della quale alla fine, volente e nolente, entra a far parte… «Gruppo <strong>di</strong> famiglia in un<br />

interno, una delle opere maggiori <strong>di</strong> Luchino Visconti, forse la sua più sofferta, la più<br />

intima. Ancora una volta, come in Senso, come nel Gattopardo, l’in<strong>di</strong>viduo e la<br />

Storia, l’uomo e la società. […] Una metafora della morte, perciò. Ma anche il<br />

“punto” sui vecchi e i giovani, sulla società e la morale, sulla politica e sull’arte. In<br />

Italia e dappertutto. Proposti in un film che è “teatro da camera” e che, quasi sulle<br />

orme <strong>di</strong> Lupu-Pick e <strong>di</strong> Mayer, è, in certi momenti anche Kammerspielfilm, un<br />

dramma fra cinque personaggi, una trage<strong>di</strong>a in un interno, fra quattro pareti.<br />

Affannoso, turbinoso, allucinato, travolgente; duramente realistico nei suoi mo<strong>di</strong>,<br />

nelle sue cadenze; angosciosamente simbolico, emblematico, nei suoi significati»<br />

(Ron<strong>di</strong>). In questo ritratto dell’Italia post ’68 affiorano, come scheletri negli arma<strong>di</strong>,<br />

le ombre delle trame nere.<br />

ore 21.15<br />

L’attentato (1962)<br />

Regia Luigi Perelli; soggetto e sceneggiatura: L. Perelli; fotografia: Ettore De<br />

Tomasi; interpreti: Gianluigi Crescenzi, Stefano Satta Flores, Maurizio Tocchi,<br />

Settimia Ercolino; origine: Italia; produzione: Csc; durata: 9’<br />

Attentato <strong>di</strong>namitardo contro una sezione romana del P.C.I. ad opera <strong>di</strong> un gruppo <strong>di</strong><br />

giovani neofascisti, che si ritrovano nella stanza <strong>di</strong> uno <strong>di</strong> essi dopo il fatto. Una<br />

donna è rimasta ferita e lotta fra la vita e la morte. L’esecutore materiale<br />

dell’attentato, figlio <strong>di</strong> un fascista ucciso dai partigiani, non si dà pace per le sorti<br />

della donna e ripensa a tutta l’operazione, voluta dagli altri per scuotere il partito e<br />

smuovere alla rivoluzione i fascisti “all’acqua <strong>di</strong> rose” («Le nostre bombe daranno<br />

fiducia»). E ripensa alla propria esistenza, comprendendo che l’insegnamento del<br />

padre, con la sua morte, non è la vendetta, ma piuttosto non lasciarsi “infinocchiare<br />

dalla stessa gente” che l’ha portato alla morte. Esce dalla stanza e se ne va<br />

definitivamente, dando un calcio al passato, mentre un altro lo segue cercando <strong>di</strong><br />

fargli cambiare idea e il terzo, obbedendo al padre che lo educato con libri sulla<br />

cultura fisica e il culto del duce (commentando l’attentato il padre, senza sapere che


anche il figlio era coinvolto, aveva <strong>di</strong>chiarato che bisognava buttarne una al giorno<br />

<strong>di</strong> bombe), s’appresta a lasciare l’Italia. Il primo film che indaga sugli ambienti della<br />

destra neofascista, mettendo in luce caratteri e influenze familiari, e probabilmente,<br />

in assoluto, il primo film che tratta il tema del terrorismo. Luigi Perelli vanta una<br />

lunga carriera come documentarista, sempre attento alle vicende politiche <strong>di</strong> tutto il<br />

mondo, oscurata dalla fama televisiva per La piovra (dalla terza alla settima serie).<br />

a seguire<br />

La polizia ha le mani legate (1974)<br />

Regia: Luciano Ercoli; soggetto: Mario Bregni; sceneggiatura: Gianfranco<br />

Calligarich; fotografia: Marcello Gatti; musica: Stelvio Cipriani; montaggio: Angelo<br />

Curi; interpreti: Clau<strong>di</strong>o Cassinelli, Arthur Kennedy, Franco Fabrizi, Sara Sperati,<br />

Bruno Zanin, Francesco D’Adda; origine: Italia; produzione: P.A.C.; durata: 100’<br />

«Impostato su un attentato (qui ad un hotel milanese) che riprende quello vero<br />

accaduto nel 1969 a Piazza Fontana, dunque un film apparentemente de<strong>di</strong>cato<br />

esplicitamente alle stragi del terrorismo nero. Apparentemente però, perché<br />

l’impostazione <strong>di</strong> denuncia è alla fine stritolata dal solito schema narrativo del<br />

poliziesco: il rapporto conflittuale tra il commissario ed il magistrato incaricato<br />

delle indagini, quello ambiguo tra il commissario ed una studentessa universitaria, la<br />

scoperta della talpa all’interno delle istituzioni, la presenza del solito ricatto emotivo<br />

[…] Certo c’è un’attenzione maggiore nel <strong>di</strong>segno dei giovani attentatori che<br />

assumono i lineamenti <strong>di</strong> figli <strong>di</strong> papà sbandati e <strong>di</strong>sorientati […]. Questi ragazzi<br />

frequentano gli ambienti universitari, hanno la durezza dei gangster e la goffaggine<br />

dei pivelli» (Uva).<br />

lunedì 28<br />

chiuso<br />

martedì 29<br />

ore 17.00<br />

Poliziotti violenti (1976)<br />

Regia: Michele Massimo Tarantini; soggetto: M. M. Tarantini, Adriano Belli;<br />

sceneggiatura: A. Belli, M. M. Tarantini, Franco Ferrini, Sauro Scavolini; fotografia:<br />

Giancarlo Ferrando; musica: Guido e Maurizio De Angelis; interpreti: Henry Silva,<br />

Antonio Sabato, Ettore Manni, Silvia Dionisio, Ettore Manni, Clau<strong>di</strong>o Nicastro;<br />

origine: Italia; produzione: Staff Professionisti Associati, Capitol International;<br />

durata: 92’<br />

Le trame eversive dei servizi segreti italiani deviati, dell’esercito e della destra<br />

impren<strong>di</strong>toriale e finanziaria. Il film <strong>di</strong> Tarantini intreccia il poliziottesco classico<br />

con il cinema d’impegno civile, proponendosi come una variazione su tema del<br />

seminale La polizia ringrazia <strong>di</strong> Stefano Vanzina. «Quello che, al momento <strong>di</strong><br />

or<strong>di</strong>nare lo scioglimento <strong>di</strong> Or<strong>di</strong>ne Nuovo (23 novembre 1973), il ministro degli<br />

Interni Paolo Emilio Taviani aveva definito “il pericolo <strong>di</strong> un rigurgito fascista, se<br />

non ad<strong>di</strong>rittura nazista” si affaccia anche in Poliziotti violenti <strong>di</strong> Tarantini, dove il


maggiore dei parà Henry Silva, spe<strong>di</strong>to a Roma e sotto stretta sorveglianza per avere<br />

denunciato certe magagne dell’esercito, scopre un traffico <strong>di</strong> armi orchestrato per<br />

scopi destabilizzanti da una fantomatica multinazionale» (Curti).<br />

ore 18.45<br />

Milano trema: la polizia vuole giustizia (1973)<br />

Regia. Sergio Martino; soggetto e sceneggiatura: Ernesto Gastal<strong>di</strong>; fotografia:<br />

Giancarlo Ferrando; musica: Guido e Maurizio De Angelis; montaggio: Eugenio<br />

Alabiso; interpreti: Luc Merenda, Richard Conte, Silvano Tranquilli, Carlo Alighiero,<br />

Martine Brochard, Luciano Bartoli; origine: Italia; produzione: Compagnia<br />

Cinematografica Champion, Dania Film; durata: 103’<br />

«Nella Milano dei tempi <strong>di</strong> Calabresi, Luc Merenda è un ispettore ra<strong>di</strong>ato dalla<br />

polizia per i suoi meto<strong>di</strong> sbrigativi e per il suo anticomunismo. Ma seguita a lottare<br />

contro i malviventi e scopre un giro capeggiato da un alto funzionario della Questura<br />

e da un e<strong>di</strong>tore fascista. I due cercano <strong>di</strong> corromperlo perché vada dalla loro parte,<br />

ma Merenda spara. Verina Glassner al tempo sul “Monthly Film Bulletin” lo bollò<br />

<strong>di</strong> fascismo alla Callaghan facendo notare certe battute <strong>di</strong> Merenda sugli anarchici e<br />

sui comunisti. Per far parlare una ragazza le mostra la foto <strong>di</strong> una donna incinta<br />

morta commentata da un terribile “Ti piace l’inizio della rivoluzione? Non è certo<br />

una gran bella ban<strong>di</strong>era per il Cremlino”. [...] La risposta del tempo <strong>di</strong> Martino:<br />

“Sono stato tra i primi a fare un film sulla polizia, un film che conteneva anche dei<br />

riferimenti all’attualità, al caso Calabresi. Ma il valore politico <strong>di</strong> questi film è<br />

sempre abbastanza relativo, hanno sempre una matrice qualunquista, <strong>di</strong> destra, cioè<br />

si vede il poliziotto, il commissario che in uno stato democratico è molto limitato,<br />

non gli vengono dati mezzi adeguati. E allora cerca <strong>di</strong> farsi giustizia da sé e ci<br />

riesce”» (Giusti).<br />

ore 20.45<br />

Incontro moderato da Pierpaolo De Sanctis e Christian Uva con Sergio Bazzini,<br />

Paolo Breccia, Mario Bregni, Massimo Felisatti, Mino Giarda, Carlo Lizzani,<br />

Sergio Martino, Luigi Perelli, Sergio Nuti<br />

a seguire<br />

La polizia accusa: il servizio segreto uccide (1974)<br />

Regia: Sergio Martino; soggetto: Massimo Felisatti, Fabio Pittorru; sceneggiatura: M.<br />

Felisatti, F. Pittorru, S. Martino, G. Couyoumdjan; fotografia: Giancarlo Ferrando;<br />

musica: Luciano Michelini; montaggio: Eugenio Alabiso; interpreti: Luc Merenda,<br />

Mel Ferrer, Delia Boccardo, Michele Gammino, Paola Tedesco, Gianfranco Barra;<br />

origine: Italia; produzione: Dania Film, Flora Film, Medusa Distribuzione; durata:<br />

98’<br />

«Siamo nel regno delle cimici negli uffici, [...] delle talpe nelle forze <strong>di</strong> polizia, dei<br />

servizi segreti che spiano le mosse della pubblica sicurezza e prevengono i movimenti<br />

dei commissari. [...] È un film “<strong>di</strong> sinistra” e porta l’evidente firma <strong>di</strong> Massimo<br />

Felisatti e Fabio Pittorru, cronisti dell’impegno poliziesco che, sulle tracce dello


scrittore americano Ed McBain, hanno inventato le avventure della Squadra Mobile<br />

capitanata dal commissario Solmi, riscuotendo successo sia nel campo letterario<br />

[...], sia in quello televisivo [...]. Felisatti e Pittorru, per il film <strong>di</strong> Martino, hanno<br />

rielaborato la trama <strong>di</strong> Telefoni sotto controllo, il secondo racconto lungo contenuto<br />

[in] Violenza a Roma, mettendolo in rapporto al caso <strong>di</strong> Guido Giannettini, agente<br />

dell’ufficio “Z” del SID, giornalista del “Secolo d’Italia” coinvolto nella strage<br />

della Banca dell’Agricoltura a Piazza Fontana. Sergio Martino, <strong>di</strong> solito abbastanza<br />

compassato e impersonale, ha stavolta sufficiente ironia per strizzare l’occhio agli<br />

spettatori e cercare <strong>di</strong> far lievitare il film al <strong>di</strong> là della pura e semplice esposizione<br />

dei fatti: si mette hitchcockianamente in primo piano nella sequenza del campo<br />

paramilitare fascista, rende imme<strong>di</strong>atamente sospettabile il personaggio del capo dei<br />

servizi segreti, affidandolo alla maschera <strong>di</strong> un Tomas Milian [...]. Questa<br />

rappresentazione <strong>di</strong> neofascisti con le ra<strong>di</strong>ci tra i colletti bianchi dei funzionari e le<br />

barbe lunghe dei sottoproletari ha comunque una sua fanatica evidenza e gli autori<br />

sono tra i pochi che hanno avuto abbastanza coraggio per mettere in scena un campo<br />

paramilitare <strong>di</strong> nostalgici fascisti» (Uva).<br />

Ingresso gratuito<br />

mercoledì 30<br />

Carta bianca a… Paolo Mereghetti<br />

Un nuovo appuntamento al Cinema Trevi: “Carta bianca a…”, da un’idea <strong>di</strong> Goffredo<br />

Fofi e Paolo Mereghetti, volta a valorizzare le passioni più nascoste dei critici italiani<br />

e a sod<strong>di</strong>sfare quin<strong>di</strong> la curiosità dei cinefili grazie al recupero <strong>di</strong> capolavori<br />

<strong>di</strong>menticati o, comunque, <strong>di</strong> film meritevoli <strong>di</strong> essere rivisti. Carta bianca quin<strong>di</strong> a<br />

Paolo Mereghetti, critico del «Corriere della Sera», da sempre nostro collaboratore<br />

“ombra” con le schede del suo fortunatissimo <strong>di</strong>zionario, punto <strong>di</strong> riferimento per chi<br />

scrive <strong>di</strong> cinema.<br />

«Comprimere in soli tre titoli i “guilty pleasures” <strong>di</strong> una lunga frequentazione<br />

cinematografica è praticamente una tortura. E fermarsi ai titoli italiani non aiuta per<br />

niente. Anzi, aumenta i tormenti. Così ho deciso <strong>di</strong> darmi regole ancora più strette,<br />

limitando la mia scelta agli anni Cinquanta, cioè agli anni più belli ma anche meno<br />

conosciuti del nostro cinema.<br />

Poi, però, ho dovuto fare i conti anche con l’impossibilità (o la <strong>di</strong>fficoltà) <strong>di</strong> trovare<br />

certi film. E così, aspettando <strong>di</strong> poter finalmente <strong>di</strong>sporre <strong>di</strong> una copia a colori de La<br />

Nave delle donne maledette <strong>di</strong> Matarazzo o <strong>di</strong> un positivo proiettabile <strong>di</strong> Papà<br />

<strong>di</strong>venta mamma <strong>di</strong> Fabrizi o <strong>di</strong> Noi due soli <strong>di</strong> Girolami, Metz e Marchesi, ho scelto<br />

tre film per cercare <strong>di</strong> rendere un po’ <strong>di</strong> giustizia a registi e filoni ancora troppo<br />

<strong>di</strong>menticati. Il culto <strong>di</strong> Leonviola è coltivato, ahimé, solo da pochi, spregiu<strong>di</strong>cati<br />

pionieri, quello <strong>di</strong> Gora regista ha abbattuto qualche steccato ma procede a fatica,<br />

quello <strong>di</strong> Soldati ha dovuto aspettare il centenario della nascita per ricevere un po’<br />

dell’attenzione che merita. Ma quello che mi piace sottolineare è che tutti e tre i film<br />

scelti – Noi cannibali, Febbre <strong>di</strong> vivere e Fuga in Francia – offrono tre declinazioni<br />

<strong>di</strong>verse del melodramma, un genere troppo volte sbrigativamente condannato e


invece meritevole <strong>di</strong> una ben maggiore attenzione. Soprattutto se si vuole capire<br />

davvero buona parte della storia del cinema italiano e dei suoi rapporti con gli<br />

italiani».<br />

Paolo Mereghetti<br />

ore 17.00<br />

Fuga in Francia (1948)<br />

Regia: Mario Soldati; soggetto e sceneggiatura: Carlo Musso, Ennio Flaiano, M.<br />

Soldati; collaborazione alla sceneggiatura: Mario Bonfantini, Emilio Cecchi, Cesare<br />

Pavese; fotografia: Domenico Scala; musica: Nino Rota; montaggio: Mario Bonotti;<br />

interpreti: Folco Lulli, Rosi Mirafiore, Mario Vercellone, Giovanni Dufour, Enrico<br />

Olivieri, Pietro Germi; origine: Italia; produzione: Lux Film; durata: 104’<br />

«Dopo la Liberazione, il tentativo <strong>di</strong> fuga verso Grenoble dell’ex gerarca Riccardo<br />

Torre (Lulli) e <strong>di</strong> suo figlio Fabrizio (Olivieri) si intreccia con quello <strong>di</strong> tre operai<br />

che vogliono emigrare clandestinamente in Francia, il sognatore Gino (Vercellone),<br />

il <strong>di</strong>silluso Tembien (Germi) e il “tunisino” (Du Four), il più allegro e superficiale<br />

dei tre. [...] Insolito e coraggioso thriller politico, [...] costruito sapientemente su due<br />

dei gran<strong>di</strong> temi sociali <strong>di</strong> quegli anni: il fascismo non ancora rimosso e<br />

l’emigrazione come unica prospettiva concreta per trovare lavoro. Un’opera da<br />

rivalutare per il cinema italiano e una svolta personale per Soldati che, con uno stile<br />

a metà strada tra il neorealismo e l’espressionismo made in Usa (possibili le<br />

influenze <strong>di</strong> Welles), vivifica la sua eleganza compositiva con inquadrature dai tagli<br />

irregolari e dall’illuminazione contrastata, con riprese dal basso <strong>di</strong> primi piani e<br />

soffitti incombenti, legati tra loro da un montaggio carico <strong>di</strong> tensione drammatica.<br />

Folco Lulli giganteggia nel ruolo <strong>di</strong> un fascista senza rimorsi, cinico e crudele (che<br />

lo scenografo e costumista Piero Gherar<strong>di</strong> fa vestire sempre con un inquietante<br />

cappottone nero), vera anima dannata <strong>di</strong> un mondo che sembra ancora<br />

appartenergli, ma altrettanta bravura mette Pietro Germi nel <strong>di</strong>segnare il ritratto<br />

dolente del reduce Tembien [...] e Soldati nel raccontare la figura del piccolo<br />

Fabrizio, a cui la giovanissima età non risparmierà un drammatico confronto con la<br />

crudezza della vita» (Mereghetti).<br />

ore 19.00<br />

Noi cannibali (1953)<br />

Regia: Antonio Leonviola; soggetto: A. Leonviola; sceneggiatura: A. Leonviola,<br />

Gian Gaspare Napolitano, Giuseppe Mangione, Daniele D’Anza; fotografia: Aldo<br />

Giordani; musica: Bruno Maderna; montaggio: Roberto Cinquini; interpreti: Silvana<br />

Pampanini, Folco Lulli, Milly Vitale, Vincenzo Musolino, Giuseppe Porelli, Gildo<br />

Bocci; origine: Italia; produzione: Excelsa Film, Slogan Film, Marea Film; durata:<br />

90’<br />

«Una ballerina d’avanspettacolo, Virginia (Pampanini), e un marginale che si<br />

arrangia col contrabbando, Aldo (Musolino), si mettono insieme sperando <strong>di</strong> rifarsi<br />

una vita: lei deve continuamente respingere le avances degli uomini (bellissima la<br />

sequenza della festa popolare durante la quale il ballo si trasforma in una specie <strong>di</strong>


stupro collettivo), lui fatica a trovare a lavoro. [...]. Straor<strong>di</strong>nario melodramma<br />

sceneggiato dal regista con Gian Gaspare Napolitano, Giuseppe Mangione e Daniele<br />

D’Anza, che si stacca per forza <strong>di</strong> stile e d’astrazione dalla produzione corrente <strong>di</strong><br />

quegli anni. Ambientato tra i baraccati del porto <strong>di</strong> Civitavecchia (dove il lavoro<br />

dello scenografo Luigi Scaccianoce si fonde perfettamente con le riprese del vero), il<br />

film sa evitare l’ottimismo ideologico <strong>di</strong> certo neorealismo e il moralismo<br />

consolatorio <strong>di</strong> tanti melodrammi [...]. Recuperando una lezione <strong>di</strong> stile che viene<br />

<strong>di</strong>rettamente dal cinema degli anni Trenta (Clair, Pabst), Leonviola racconta la<br />

<strong>di</strong>sperazione senza uscita <strong>di</strong> chi si sente destinato alla sconfitta con uno stile molto<br />

controllato (certe inquadrature, specie dei panorami industriali, ripropongono la<br />

lezione della pittura metafisica) e in questo modo evita gli eccessi <strong>di</strong>dascalici che<br />

potrebbero derivare dall’uso <strong>di</strong> elementi <strong>di</strong>chiaratamente simbolici [...].<br />

Straor<strong>di</strong>nario il lavoro <strong>di</strong> Aldo Giordani sul colore, “filtrato nel Ferrania squillante<br />

che illustra la passionalità <strong>di</strong> una Pampanini da bidonville”, assolutamente<br />

convincente in uno dei più bei ruoli <strong>di</strong> tutta la sua carriera. [...]. Leonviola è la<br />

maschera che all’inizio del film fa entrare lo spettatore nel teatrino <strong>di</strong> varietà»<br />

(Mereghetti).<br />

ore 21.00<br />

Febbre <strong>di</strong> vivere (1953)<br />

Regia: Clau<strong>di</strong>o Gora; soggetto: liberamente tratto dal dramma Cronaca <strong>di</strong> Leopoldo<br />

Trieste; sceneggiatura: Suso Cecchi D’Amico, L. Trieste, Lamberto Santilli, Filippo<br />

Mercati [Luigi Filippo D’Amico], C. Gora; fotografia: Enzo Serafin, Oberdan<br />

Troiani; musica: Valentino Bucchi; montaggio: Mariano Ar<strong>di</strong>ti; interpreti: Massimo<br />

Serato, Marina Berti, Anna Maria Ferrero, Marcello Mastroianni, Sandro Milani<br />

[Alessandro Mancinelli-Scotti], Nyta Dover; origine: Italia; produzione: P.A.C.<br />

(Produzione Artistica Cinematografica); durata: 110’<br />

«Ribelle e amorale, Massimo (Serato) si vede costretto a confrontarsi con le proprie<br />

azioni quando scopre che la fidanzata Elena (Ferrero) è incinta e Daniele<br />

(Mastroianni), che lui aveva tra<strong>di</strong>to, esce <strong>di</strong> prigione. Per cavarsi d’impiccio cerca <strong>di</strong><br />

piegare ai propri voleri il giovane Sandro (Milani) e l’ex fidanzata Lucia (Berti), ma<br />

questa volta l’esito delle sue azioni sarà ben più tragico. Uno dei più insoliti e<br />

crudeli film dei primi anni Cinquanta, che tra i primissimi punta l’obiettivo su<br />

personaggi <strong>di</strong> giovani borghesi ai margini del bel mondo romano. [...] il film rivela,<br />

<strong>di</strong>etro una trama non perfettamente controllata e qualche <strong>di</strong>alogo un po’ troppo<br />

letterario, un moralismo acre e spregiu<strong>di</strong>cato, decisamente controcorrente per quegli<br />

anni (per esempio parlando <strong>di</strong> aborto – cui Massimo costringe Elena – come <strong>di</strong> una<br />

pratica molto conosciuta nella rispettabile, e religiosa, borghesia). Problemi<br />

finanziari rallentarono le riprese iniziate nel 1951 e permisero la <strong>di</strong>stribuzione del<br />

film solo due anni dopo» (Mereghetti).

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