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Hello America - James G. Ballard.pdf - Autistici

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tre auto a carbone. Mentre filavano attraverso il Kansas occidentale, dritti verso i picchi montagnosi che<br />

indicavano la vicinanza delle Rocciose, Wayne era assiso sui sedili posteriori della vettura di testa,<br />

avendo al fianco Anne Summers. Lunghe piume di vapore argenteo sprizzavano dai pistoni martellanti, a<br />

rinfrescare la fronte del giovane. A ogni filo di vento prodotto dalla corsa, Wayne sentiva tornare la<br />

propria fiducia, a ristorargli ogni nervo e ogni vaso sanguigno.<br />

Stavano viaggiando in grande stile. I tre veicoli a carbone — una Buick Roadmaster, una Ford Galaxy e<br />

una Chrysler Imperial — erano stati costruiti appositamente per il sindaco di Detroit negli ultimi anni del<br />

secolo ventesimo. Rifiniti internamente come vetture fuoriserie, e muniti di vetri antiproiettile e forcelle<br />

per armi antisommossa, erano i mezzi di trasporto più confortevoli che Wayne avesse mai conosciuto, di<br />

gran lunga più veloci e più potenti delle caute ambulanze di Dublino, alimentate ad accumulatori.<br />

Procedevano a più di 50 km all'ora, e a mezzogiorno del primo giorno avevano coperto 130 chilometri —<br />

una distanza che, a dorso di cammello, avrebbe richiesto una settimana. Il deserto sfilava via, una<br />

successione baluginante di cactus e uadi polverosi che collegavano fattorie derelitte e granai, città<br />

fatiscenti, ognuna aggrappata alla sua stazione di servizio fortificata. Sulla Strada 50 i veicoli<br />

abbandonati erano pochi, e il terzetto delle auto già del sindaco di Detroit potevano mantenere una<br />

media consolante. Proteso sul grosso volante della Chrysler, con i suoi occhialoni e il suo casco, Heinz<br />

schiacciava l'acceleratore a tavoletta, dandogli fiato solo quando McNair, in qualità di fuochista, doveva<br />

scodellare un'altra palata di carbone attraverso il portello rovente del focolaio.<br />

Lasciatasi alle spalle di cento miglia Dodge City, nell'affrontare i primi gradienti con facilità, McNair<br />

indicò i manometri sul cruscotto.<br />

«Heinz, i motori li sapevano fare a Detroit — quei vecchi costruttori di auto conoscevano il fatto loro!» Si<br />

rialzò gli occhialoni sulla fronte e gridò<br />

volgendosi a Wayne: «Non andiamo troppo veloci per te, Wayne? Se vuoi possiamo scendere a<br />

trentacinque chilometri».<br />

Wayne era sparapanzato sul suo sedile, godendosi l'assalto umido del vapore sulla faccia.<br />

«Avanti tutta, Heinz! Schiaccia quel chiodo!» esclamò beato. Al suo fianco, Anne Summers si aggrappava<br />

alla forcella portamitragliatore, verde in volto per la vertigine. Wayne sbirciò, ruotando la testa, le due<br />

macchine che seguivano. La Buick di GM era subito dietro, le grandi ruote a solcare la polvere con un<br />

ventaglio gemello di vapore che spazzava la strada come baffi infuriati. GM sedeva al volante, mentre<br />

sua moglie dai polsi robusti spadellava carbone, di fianco a lui, tenendosi stretto al petto il bambino<br />

addormentato dietro gli occhialoni. La potente Ford di Pepsodent chiudeva la marcia, rimorchiando la<br />

cisterna dell'acqua, nonché, legato sul tetto, l'aliante smontato. I nomadi si erano impratichiti della<br />

guida con sorprendente bravura ed entusiasmo, ma, d'altra parte, Wayne non l'aveva dimenticato, essi<br />

erano americani veri. Dopo la prospettiva di totale disastro, la spedizione era di nuovo rinata. Il<br />

salvataggio a opera di McNair segnava un decisivo giro di boa, altra dimostrazione del loro sogno. I<br />

nomadi avevano trasportato Wayne dal cimitero di Boot Hill alle auto, avevano recuperato un'Anne<br />

Summers ormai boccheggiante nel Long Branch Saloon, ricoverando l'uno e l'altra nella vicina Holiday<br />

Inn. E mentre Wayne e Anne recuperavano le forze, riposando sotto una tenda vicino alla piscina in<br />

secco, McNair aveva raccontato la sua fuga per la salvezza — assieme a tutti, tranne due, gli uomini<br />

d'equipaggio sull' Apollo<br />

— dalla nube radioattiva del fall-out che era deviata su New York. Durante l'ultima settimana dei lavori<br />

di riparazione della nave, McNair aveva scoperto le tre auto a carbone in un deposito di Brooklyn.<br />

«Erano lì, pronte a essere spedite in Europa per uso personale da parte del Presidente Brown.<br />

Magnifiche bestie, era una delizia lavorarci sopra. Per fortuna, avevo appena finito di rimettere a posto i<br />

motori quando il sismografo cadde dalla parete. Era il terremoto di Boston. Prima di andare a investigare<br />

cosa fosse successo, lasciai quell'ultimo messaggio per voi. Arrivammo all'aeroporto Kennedy, e,<br />

naturalmente, non trovammo nulla. Decisi di dare un'occhiata ai monitor in cima al palazzo della Pan<br />

Am, caso mai si fosse trattato di radioattività nell'atmosfera. Be', i contatori Geiger strillavano in blu.<br />

Piantammo lì tutti i lavori sull' Apollo, imbottimmo le auto di antracite dalla stiva della nave, e<br />

partimmo a tutta velocità imboccando l'autostrada del New Jersey...»<br />

Due fuochisti in franchigia, intenti a esplorare i night-clubs di Harlem, avevano ignorato gli ultimi muggiti<br />

d'allarme della sirena dell' Apollo; era presumibile che fossero rimasti vittime della nube radioattiva, ma<br />

tutti gli altri erano riusciti a fuggire in tempo. A dieci miglia da Washington, aveva raggiunto i quattro<br />

nomadi Executives in marcia coi loro cammelli. Sebbene gli avvertimenti di McNair circa la nuvola di gas

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