Marrocu, Debrà Libanòs - Sardegna Cultura
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giovane destinato a collaborare con lui. Serra si era dimostrato<br />
all’altezza del compito, se il compito era quello<br />
di stare dietro a Carruezzo nell’elaborazione dei<br />
piani “antisovversione” che costituivano la sua specialità.<br />
In realtà, dopo alcuni clamorosi fallimenti, quei<br />
piani non avevano più trovato applicazione. Arturo<br />
Bocchini, sul cui tavolo arrivavano in forma di ponderosi<br />
dattiloscritti, si diceva ammirato dai barocchi stratagemmi<br />
che Eupremio continuava a inventare, ma regolarmente<br />
li bocciava. Vagliare, selezionare, graduare la<br />
repressione erano le parole-chiave di quei rapporti, parole<br />
che Arturo avrebbe apprezzato se non fosse che si<br />
traducevano nelle mille volute di un aggirarsi interminabile<br />
intorno alla preda, sinché la preda, resa avvertita<br />
da quell’incessante ronzare, alla fine prendeva<br />
il volo.<br />
Giudicato ormai inutilizzabile nell’antisovversione<br />
militante, Carruezzo aveva trovato una sua collocazione<br />
all’interno della Polizia politica nel Casellario Politico<br />
Centrale. A lui si doveva l’aver introdotto nel lavoro<br />
di schedatura dei sovversivi la categoria di attitudini<br />
psichiche salienti, secondo una griglia che, richiedendo<br />
di classificarli per tendenze morali, grado e forma<br />
di intelligenza, capacità volitive, proponeva una dettagliatissima<br />
tipologia, le cui ascendenze freudiane ben<br />
pochi a quei tempi avrebbero saputo cogliere. E certo<br />
non le coglievano informatori ed agenti, quando compilando<br />
su moduli predisposti i loro rapporti periodici<br />
si trovavano a dover decidere se il soggetto affidato<br />
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alle loro cure fosse o meno un egotista a sfondo narcisistico.<br />
Anche per queste sue trovate, alcuni, soprattutto tra<br />
la bassa forza del Ministero dell’Interno, giudicavano<br />
Carruezzo uno svitato, senza comprendere che al vertice<br />
del suo fulgore l’Ovra poteva ben permettersi uno<br />
svitato di talento. Uno come Carruezzo, pareva avesse<br />
detto Bocchini, costava allo Stato meno di certi antifascisti<br />
mantenuti a poltrire a Lampedusa o a Ventotene.<br />
Per stare dietro a Carruezzo nei labirinti delle sue<br />
realizzazioni e in quelli ancora più intricati delle sue<br />
conversazioni, che conduceva da autentico maestro del<br />
periodo interminabile, occorreva aver frequentato il<br />
corso completo. Serra l’aveva frequentato.<br />
Aveva seguito i fluviali monologhi a cui il capo era<br />
solito affidare il racconto della sua personale vicenda<br />
di poliziotto, che amava far iniziare da quando il 28<br />
ottobre 1922, il giorno stesso della storica marcia sulla<br />
capitale, era giunto a Roma dalla natia Lecce. Non che<br />
ci fosse un nesso tra quelle vicende e il suo arrivo a<br />
Roma, precisava. Era stato un caso, un semplice caso,<br />
che tuttavia aveva consentito per anni a superiori e<br />
colleghi di ripetere infinite volte la scadente battuta,<br />
con risolino stridulo d’accompagnamento: “Anche Carruezzo<br />
l’ha fatta la sua marcia su Roma. Vero Carruezzo,<br />
che anche tu l’hai fatta la tua marcia su Roma?”<br />
Il trasferimento a Roma era stato lui stesso a cercarlo,<br />
per motivi che nel suo racconto - fattosi a questo<br />
punto reticente e confuso - avevano a che fare con<br />
imprecisate solitudini ed anche con un fatto, un fatto<br />
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