Antologia 2004 - Cerda nuova compagnia
Antologia 2004 - Cerda nuova compagnia
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Le più belle poesie si scrivono sopra le pietre,<br />
coi ginocchi piagati e le menti aguzzate dal<br />
Mistero.<br />
Le più belle poesie si scrivono davanti ad un<br />
altare vuoto, accerchiati da agenti della divina<br />
follia.<br />
1<br />
Alda Merini, Terra Santa
ANTOLOGIA<br />
I° CONCORSO LETTERARIO<br />
“MAESTRO RASA CALOGERO”<br />
A CURA DI<br />
SALVATORE IMBURGIA<br />
ANTONIO LEONE<br />
GAETANA LEONE<br />
3
UN ILLUSTRE E SAGGIO POETA POPOLARE<br />
MAESTRO RASA CALOGERO<br />
Nacque l’8 ottobre 1918 a S. Cristina Gela (PA), una delle cinque colonie<br />
albanesi di Sicilia. Perse il padre in tenera età e frequentò nel suo paese le<br />
scuole elementari. Notato dal Parroco per la sua vivace intelligenza, fu<br />
mandato a continuare gli studi presso il seminario “S.Maria dei Padri<br />
Brasiliani” a Mezzojuso (PA). Scoppiata la seconda guerra mondiale venne<br />
destinato a Rodi, nell’Egeo. Quando le sorti della guerra volsero a sfavore<br />
dell’alleata Germania, fu prigioniero dei tedeschi per due anni e dopo<br />
molteplici avversità riusci a ritornare in patria. Nel 1947 inizio a lavorare a<br />
<strong>Cerda</strong> dove conobbe e sposò Vincenza Anzalone dalla quale ebbe 4 figli.<br />
Nel febbraio 1948 vinse il concorso magistrale e iniziò il suo lavoro di<br />
maestro a <strong>Cerda</strong>.<br />
Diede inizio alla sua produzione poetica in dialetto<br />
con l’intento di salvaguardare dall’oblio i proverbi,<br />
espressioni di saggezza popolare. I suoi primi<br />
scritti(“L’Onorevuli mancanti”, e “Li cumizi di<br />
chiusura”) sono costituiti su di essi.<br />
I temi ricorrenti nela sua poesia sono: l’amore per<br />
il lavoro che svolgeva (Lu maestru , Addiu a la<br />
scola,); il ricordo accorato del terribile periodo di<br />
prigionia(Ricordu di la prigionia, Pani spartutu), il<br />
rifiuto di ogni forma di totalitarismo ed il rispetto<br />
per la democrazia (Li dui Napuliuna, lu guvernu<br />
semu nui, ); e ancora: L’attenzione verso i semplici oggetti della vita<br />
quotidiana (Lu chiovu, La zappa, La Pignata); la descrizione affettuosa ed<br />
attenta di quello che egli considerava il “suo paese” (Ministoria di <strong>Cerda</strong>, La<br />
chiazza, Malluta, Casteddazzu); cantò inoltre le glorie cerdesi: La Targa<br />
Florio Picchì l’ann’a livari ?, A cacocciula)<br />
Il maestro Rasa definì le sue poesie “spigolature umilissime” ma, in effetti,<br />
egli riusci non solo a parlare con cori di profonda umanità ed interiorità, ma<br />
anche di autentica poesia.<br />
4
Lu scravagghiu<br />
“cu si la senti, si stringi li renti”<br />
Appuntidda li granfuzzi,…<br />
si ferma e s’aripigghia….<br />
Ammutta la paluuzza<br />
chi porta a la so ‘ngagghia!<br />
Un filu d’erba, un lignu,<br />
‘na ciacudduzza, un ramu,<br />
pi iddu sunnu ostacoli<br />
di sforzu sovrumanu!<br />
Si nun ci po’ d’avanti,<br />
spinci pi d’arreri;<br />
chissa è lu sò fini<br />
e tuttu ‘u so pinseri!<br />
Lu sentu baschiari,<br />
s’accanna e s’affatica…..<br />
ma nun s’arrenni<br />
e ammutta<br />
circannu la so buca!<br />
Mi parino li vrazza<br />
di lu putenti Atlanti<br />
chi teni cu li spaddi<br />
Lu munnu e l’abitanti!<br />
S’anzamaddiu ci scappa<br />
torna a ripigghiarla<br />
cu nova forza e ‘mpegnu<br />
comincia ad ammuttarla!<br />
Decisu, risulutu,<br />
né parra né talja,<br />
ma senza titubanza<br />
ripigghia la fatica!<br />
Esempiu di travagghiu,<br />
cuscenza e precisioni,<br />
sforzu, volontà<br />
costanza a fari beni!<br />
Guardannu iu ‘na vota<br />
lu scravagghiu bruttu,<br />
mi ‘nzignai ‘sti cosi<br />
e m’affruntaiu tuttu!?!?<br />
Per gentile concessione della famiglia Rasa<br />
5<br />
RASA CALOGERO
BREVE STORIA E CURRICULUM<br />
DELL’ ASS. CULTURALE<br />
“LA NUOVA COMPAGNIA CITTA’ DI CERDA”<br />
GRUPPO FOLK “I CARRITTIERI”<br />
L’Associazione Culturale folkloristica “LA NUOVA COMPAGNIA<br />
CITTA’ DI CERDA” ha una costituzione abbastanza recente essendo nata<br />
ufficialmente nel 1998 , anche se fino a quella data gli stessi soci fondatori si<br />
erano presi l’impegno dello studio folkloristico della nostra società cerdese,<br />
partecipando con successo a varie manifestazioni cittadine siciliane e<br />
internazionali.<br />
Ripropone nei suoi costumi, il vestiario festivo dei popolani fine settecento<br />
primi ottocento, risalendo fino alla dominazione spagnola di cui la società<br />
cerdese ne ha subito l’influsso. <strong>Cerda</strong> è nata direttamente dalla dominazione<br />
spagnola da cui ne prende il nome, essendo un marchesato del dominio<br />
spagnolo del XVI secolo.<br />
Le loro performances consistono in balli e tarantelle popolari che<br />
riproducono il lavoro dei campi e della primaria attività locale che fin dai<br />
primi secoli di vita della comunità cerdese è stata quella di viaggiatori o di<br />
“carrettieri”<br />
<strong>Cerda</strong> originariamente era denominata “FONDACO NUOVO” o<br />
“TAVERNA NUOVA, perché era il punto d’incontro di tutti i carrettieri che<br />
viaggiavano verso Palermo o l’entroterra siciliano.<br />
Per questo motivo il gruppo Folk della Nuova Compagnia si chiama “I<br />
CARRITTIERI”<br />
Un ballo tipico del gruppo folk, è il ballo della cordella che è originario delle<br />
Madonie e viene riproposto dai soci in svariate figure.<br />
Esso rappresenta nella sua esibizione, il continuo evolversi della vita con le<br />
sue vicissitudini. nell’arco dell’anno; infatti vi sono 24 cordelle tenute da<br />
dodici coppie di ballerini a simboleggiare i dodici mesi dell’anno.<br />
Anticamente veniva rappresentato nelle cerimonie nuziali come rito<br />
propiziatorio, dove i ballerini, a ritmo della tarantella intrecciavano una<br />
cordella legata ad un palo, che poi con la stessa abilità dovevano sciogliere<br />
L’associazione ha animato diverse manifestazioni della rinomata sagra del<br />
carciofo di <strong>Cerda</strong>, che ogni anno viene festeggiata il 25 aprile, organizzando<br />
per tale occasione un festival di gruppi folcloristici che ogni anno riscuote<br />
sempre maggiore successo e prestigio, In questa manifestazione si sono<br />
avvicendati diversi gruppi folcloristici di rilievo, diventando una tappa<br />
importante per ogni gruppo folk.<br />
6
CURRICULUM<br />
98 Bivona: raduno folk “Sagra della Pesca”<br />
Maggio 98 e 99 <strong>Cerda</strong>: festa di San Giuseppe sagra della Sfincia.<br />
25 aprile 98-99-00,01-02 <strong>Cerda</strong>: Organizzazione della “SAGRA DEL<br />
CARCIOFO”.<br />
1999: Organizzazione corsi di tradizioni popolari alle scuole<br />
elementari di <strong>Cerda</strong> .<br />
23.05.99 Trabia: “Sagra del Nespolo”.<br />
29.05.99 <strong>Cerda</strong>: festa della Legalità<br />
Agosto 99 <strong>Cerda</strong>: Realizzazione della commedia “L’Aria del Continente” di<br />
Martoglio, inserita all’interno del programma “Estate Cerdese”<br />
27.08.99 Naso: Festival internazionale del folk<br />
08.12.99 <strong>Cerda</strong>: festa dell’Immacolata<br />
25.04.00: intervento alla trasmissione televisiva di RAI 2 “LA VITA IN<br />
DIRETTA” in occasione della XIX sagra del carciofo<br />
28.07.00 Caltabellotta (AG): Festa di San Lorenzo<br />
21 08.00 <strong>Cerda</strong>: Organizzazione “Estate Cerdese”<br />
22.08.00 <strong>Cerda</strong>: Ideazione e Realizzazione dello Spettacolo “50 anni di musica<br />
italiana” I° edizione, inserito nella programmazione“Estate Cerdese”.<br />
26.08.00 <strong>Cerda</strong>: Sagra della salsiccia<br />
07.09.00 <strong>Cerda</strong>: Festa della Madonna dei Miracoli<br />
16-17. 09.00 Monaco di Baviera (Germania):Partecipazione in qualità di<br />
rappresentanti dell’ Italia all’ “OCTOBER FEST”, sfilata per le vie del centro di<br />
Monaco ed esibizione ufficiale all’interno del “Circo Krone”<br />
21.09.00 Termini Imerese: Estate degli anziani<br />
Settembre-Ottobre 2000: Festa della Provincia nei comuni di Sclafani<br />
Bagni – Borgetto – Campofelice di Roccella .- <strong>Cerda</strong>- Roccapalumba<br />
05-2000: “La Nuova Compagnia” viene inserita fra gli 8 gruppi del circuito<br />
dell’ A.A.P.I.T. di Palermo<br />
08-2001 <strong>Cerda</strong>: Ideazione e Realizzazione dello spettacolo “Polvere di Stelle”<br />
inserito nella programmazione “Estate Cerdese”<br />
20.agosto 2001 fino al 30.agosto 2001 Polonia: Tournèe<br />
05.11.2001 -Finale di Pollina: Sagra dell’olio<br />
7
Agosto 03: Organizzazione del I° Gemellaggio del Comune di <strong>Cerda</strong> con il gruppo<br />
folk portoghese della città di Lamego<br />
19 -30 Agosto 2002 Portogallo: tournèe a Lamego<br />
Ottobre 2002 Piedimonte Etneo: Partecipazione al “GALA’<br />
INTERNAZIONALE” di Piedimonte Etneo (CT)<br />
27 Maggio 2003 Collesano: Festa Maria SS. Dei Miracoli<br />
03. Agosto 2003 Atina (Fr): partecipazione al XXV° festival internazionale<br />
del folklore.<br />
04 – 12 Agosto.2003 Romania: torunèe a Cluj Napoca<br />
19. Agosto 2003: gemellaggio con il gruppo folk Katerinca di BRNO (rep.<br />
CEKA) con progetto finanziato dalla Comunità Europea sul tema: “Delinquenza.<br />
Cerchiamo di Capire”.<br />
19 – 24 Agosto .2003: Ideazione e Realizzazione del 1° Festival<br />
Internazionale del folklore “BASSA VALLE DEL TORTO”<br />
08.02.<strong>2004</strong> Agrigento: Partecipazione alla 59° edizione della sagra del<br />
“Mandorlo in fiore”, in collaborazione con l’istituto Goethe di Palermo,<br />
nell’ambito del progetto “I CAVALIERI VIRTUALI”<br />
25 APRILE <strong>2004</strong> <strong>Cerda</strong>: Partecipazione alla XXIII sagra del carciofo<br />
29 MAGGIO - 01 GIUGNO <strong>2004</strong> Lussemburgo: Partecipazione alla<br />
manifestazione “I CAVALIERI VIRTUALI” in collaborazione con il “GOETHE<br />
INSTITUT” di Palermo Diretto dal Prof. Paul Eubel, tenutasi presso Wiltz<br />
(Lux).<br />
Aprile - Settembre <strong>2004</strong> : Collaborazione con l’ agenzia “Aereoviaggi” di<br />
Palermo per la realizzazione di una serie di spettacoli folk presso diverse strutture<br />
alberghiere.<br />
08.10.04: Collaborazione con il museo “Pro Targa Florio” di <strong>Cerda</strong>, diretto<br />
da Antonio Catanzaro, per il 10° raduno del “Bugatti Club Italia”<br />
06.02.04 Agrigento: Partecipazione alla LX Sagra del “Mandorlo in Fiore”<br />
06.02.05 Agrigento: Partecipazione alla LXI Sagra del “Mandorlo in Fiore”<br />
19.04.05- 23.04.05 : Stoccarda: realizzazione spettacolo folk in occasione<br />
dei festeggiamenti per i sessant’anni dell’azienda Wurth,<br />
incontro con Reinhold Wurth. Direzione del Goethe Institut di Palermo.<br />
8
Altre attività svolte:<br />
99-2002: Ideazione e Realizzazione Museo etno-storico:<br />
Il progetto, cofinaziato dal Comune di <strong>Cerda</strong>, è stato interamente elaborato ed<br />
eseguito dall’associazione. Suo obbiettivo principale era fornire una testimonianza<br />
viva dei costumi, dell’artigianato e dei modi di vita dello scorso secolo. Il museo,<br />
inserito all’interno di una palazzina di tre piani lungo la via principale del paese, è<br />
stato strutturato prevedendo la realizzazione di tre spazi diversi ma<br />
ideologicamente collegati. Si sono ricostruiti all’interno dell’edificio le abitazioni<br />
di una famiglia borghese dell’ottocento, curando la struttura degli appartamenti,<br />
dalle pareti all’arredamento, al vestiario. Sono state ricostruite interamente una<br />
camera da letto, un salone. La seconda sezione dell’edificio è stata destinata a<br />
contenere tutti gli attrezzi da lavoro del secolo scorso, secondo precise coordinate:<br />
attrezzi da cucina, da lavoro nei campi, attrezzatura dei mestieri. L’ultimo piano<br />
dell’edificio e’ stato diviso: da un lato si e’ pensato di allestire mostre temporanee<br />
a ciclo continuato di arte contemporanea e artigianato artistico, cercando in tal<br />
modo di dare possibilità ai giovani artisti di avere uno spazio a loro disposizione e<br />
che permettesse loro la fruizione dei propri lavori.<br />
Parte dell’area dell’ultimo piano è stata dedicata alle mostre<br />
storiche.<br />
Sono state realizzate le seguenti mostre:<br />
- <strong>Cerda</strong>: la sua storia attraverso le foto.<br />
- I Florio: Storia di una famiglia.<br />
- La targa Florio. Le emozioni, i ricordi, e la ricchezza di un mondo che fu…<br />
Info: http://www.comune.cerda.pa.it/ museo etno-storico.<br />
Agosto 03: ideazione e realizzazione della I° “Fiera Mercato” del<br />
Comune di <strong>Cerda</strong>:la manifestazione, articolatasi in tre giornate, ha previsto la<br />
realizzazione di 50 stand occupati da artigiani provenienti da tutta la Sicilia. La<br />
fiera si è articolata in diverse sezione: Artigianato in ferro -legno- vetro ;<br />
Artigianato- artistico; eno-gastronomia- Arte e arredamento. Le giornate sono<br />
state scandite con la programmazione di tre serate musicali i tema diverso: jazz;<br />
afro-brasiliane con la partecipazione del gruppo di capoiera “Zumbì” di Palermo;<br />
musica leggera con il gruppo “Sturmuntruppen” di Palermo.<br />
2003-2005: Ideazione e Realizzazione del periodico “L’Opinione”:<br />
L’Opinione, periodico di attualità, cultura e informazione, registrato presso il<br />
Tribunale di Termini Imerese n° 04/05 R.Per. del 26-04-05mensile culturale<br />
9
curato e finanziato interamente dall’associazione. Tiratura 5.000 copie. Il circuito<br />
entro cui avviene la diffusione gratuita e’ quello dei comuni aderenti all’ “Unione<br />
dei Comuni della Bassa Valle del Torto”<br />
12-<strong>2004</strong>:Ideazione e realizzazione del 1° Concorso Letterario nazionale<br />
“MAESTRO RASA CALOGERO” con il patrocinio, della Presidenza<br />
dell’A.R.S., dell’AAPIT e del C.N.A<br />
<strong>2004</strong>: Accreditamento al Servizio Civile Nazionale come classe quarta per<br />
la realizzazione di attività culturali.<br />
Dicembre <strong>2004</strong>: Ideazione e Realizzazione del Libretto “<strong>Cerda</strong>, la sua<br />
Storia per le vie” a cura di Ermelinda Imburgia.<br />
Dicembre <strong>2004</strong>: Ideazione e realizzazione del libretto “Storie, due anni di<br />
Opinione” in allegato al numero di Dicembre del periodico L’Opinione, a cura di<br />
Antonio Leone e Daniela Cappadonia.<br />
***********************<br />
ASSOCIAZIONE CULTURALE “LA NUOVA COMPAGNIA”<br />
&<br />
GRUPPO FOLK “I CARRITTIERI”<br />
10
PRESENTAZIONE<br />
Il premio letterario dedicato al Maestro Rasa Calogero, ha fatto<br />
scrivere una pagina indimenticabile e significativa per <strong>Cerda</strong> e<br />
la sua storia, conferendo alla nostra cittadina prestigio,<br />
credibilità e visibilità esterna, per il richiamo che ha suscitato<br />
non solo dalla Sicilia, ma da tutta l’Italia.<br />
L’ Associazione Culturale, unica nel suo genere a <strong>Cerda</strong>, è<br />
soddisfatta dell’evento, riuscito anche grazie alle importanti<br />
sponsorizzazioni, come il patrocinio della Presidenza dell’ARS,<br />
dell’A.A.P.I.T. di Palermo e del C.N.A.-<br />
Al momento del bando nessuna credeva alla buona riuscita del<br />
concorso, ma grazie all’impegno di alcuni soci a cui si deve<br />
dare merito, il concorso prendeva una piega di rilevanza<br />
nazionale, tant’ è che tra i partecipanti vi sono numerosi<br />
personaggi di spicco nel mondo della cultura e non nuovi a<br />
questo tipo di concorso.<br />
Pertanto, così come abbiamo creduto nel concorso, altrettanto<br />
crediamo nell’insieme del progetto che continua con la<br />
pubblicazione di questa antologia delle opere partecipanti,<br />
testimoniando l’enorme successo ottenuto e la risonanza<br />
dell’evento.<br />
Un vivo ringraziamento va a tutti i partecipanti al concorso, e<br />
un arrivederci alla seconda edizione.<br />
IL PRESIDENTE<br />
SALVATORE IMBURGIA<br />
11
12<br />
NARRATIVA
LO SCONTRO<br />
di PIETRO DATTOLA<br />
1°classificato<br />
Con passo lento e cadenzato, il Capitano passò in rassegna i suoi uomini. Erano tutti<br />
uomini del suo villaggio: gente fidata, piena di coraggio, ciascuno pronto a<br />
sacrificarsi per l'interesse superiore del gruppo. Nessun uomo vanaglorioso o<br />
propenso a colpi di mano, ma tutti pronti a eseguire gli ordini del Capitano e a<br />
mantenere le rispettive posizioni anche all’approssimarsi della sconfitta - e nessuno<br />
di loro aveva la benché minima intenzione di perdere: di quei cento uomini - dal<br />
ragazzino imberbe al vegliardo veterano - neanche uno temeva il peggio, quel giorno.<br />
Il Capitano ripassò mentalmente lo schieramento. Aveva optato per un gruppo<br />
frontale di venti uomini e due ali da quindici ciascuna; tutti gli altri sul retro, disposti<br />
a mo’ di incudine schiacciata in senso longitudinale.<br />
La sera precedente dopo l’ultima esercitazione, si era molto discusso sulla strategia<br />
da adottare. Alcuni erano del parere di attaccare subito a testa bassa, per impedire che<br />
i più giovani cadessero preda del naturale timore nei confronti dell'avversario: se la<br />
paura della sconfitta si fosse fatta largo tra gli uomini, anche i più intrepidi avrebbero<br />
potuto vacillare al momento decisivo. La miglior difesa è l'attacco, dicevano questi.<br />
Altri, e fra questi vi era il Capitano, propendevano invece per una tattica d'attesa: far<br />
stancare gli altri trattenendo il loro impeto e riducendo al minimo i danni in un primo<br />
tempo, sfiancarli sfruttando le ali e sorprenderli con l’avanzamento improvviso della<br />
retroguardia in un secondo. Alla fine, fu questa l’idea che trovò l'appoggio della<br />
maggioranza, ed era senz’altro meglio così: l’autorità del Capitano non era certo<br />
messa in discussione, ma “cento uomini compatti valgono più di mille disuniti,”<br />
come amava ripetere il Capitano.<br />
Quella sera, dopo la riunione, ciascun membro del villaggio, facesse parte o meno dei<br />
cento prescelti, si era ritirato pensando all'evento dell'indomani. Sulla strada di casa,<br />
un bambino che aveva assistito alla riunione chiese al padre se anche lui avrebbe<br />
potuto dare un contributo - eh sì, il Capitano poteva ben essere orgoglioso dello<br />
spirito combattivo che serpeggiava nel villaggio! Con il sorriso alle labbra, il padre<br />
rispose “Non dire sciocchezze!”, ma pensava “Nel giro di pochi anni anche tu potrai<br />
toglierti le tue soddisfazioni; per il momento pensa soltanto a crescere forte e sano.”<br />
Parecchie donne erano preoccupate. Le giovani mogli, in particolare, che temevano<br />
di ritrovarsi in casa, così presto, un uomo invalido o, forse, neanche quello. Le<br />
suocere le rassicuravano (o almeno quella era la loro intenzione) e con la memoria<br />
andavano ripercorrendo gli scontri precedenti, puntualmente interrotte, coadiuvate e<br />
corrette dalle rievocazioni dei loro uomini che, troppo anziani per dare ancora una<br />
volta il proprio contributo, si limitavano ad assicurarsi che la memoria delle proprie<br />
13
gesta non venisse distorta o confusa dalle parole gracchiate distrattamente dalle<br />
consorti.<br />
Infatti proprio gli uomini, che in quelle occasioni rischiavano di perdere un occhio,<br />
un arto o la vita stessa, erano quelli che più soffrivano a esser tenuti lontani dallo<br />
scontro; e in serate di vigilia come quella, i familiari disposti intorno al focolare, gli<br />
anziani si abbandonavano alle loro narrazioni - in parte certamente (fin troppo)<br />
fantasiose, ma sostanzialmente genuine nella loro innocente spontaneità. E terminata<br />
la rievocazione, per così dire, pubblica, le matrone a letto erano spesso costrette a<br />
sorbirsi ulteriori commenti e memorie dei mariti coricati al loro fianco: del fatto che<br />
quando era toccato a loro, avevano sempre fatto il loro dovere; di quella volta che<br />
quando tutto sembrava ormai perduto, il loro reparto aveva ribaltato la situazione, o<br />
di quell’altra in cui il villaggio a nord non si era nemmeno presentato, perdendo<br />
anche l'onore - e a questo punto del discorso, di solito l’anziano, accontentatosi di<br />
aver dimostrato la grandezza del proprio valore al mondo intero e alla consorte (le<br />
due cose, per lui, coincidevano), perdeva ogni veemenza e loquacità e con un “Ah!”<br />
finale si addormentava di colpo, con buona pace della moglie assonnata. Ma c’era chi<br />
andava oltre, sentendosi in dovere di sottolineare che i ragazzi di oggi non<br />
sembravano mettercela tutta, rammolliti com’erano da tutte le comodità a loro<br />
disposizione; che nel villaggio erano ormai in pochi a essere davvero attaccati ai<br />
simboli aviti; che ai loro tempi la tecnologia era rudimentale - e allora sì che la<br />
tecnica era determinante, non come oggi! “Hai proprio ragione,” rispondevano le<br />
consorti ravvoltolate sotto le coperte, nel tentativo di interrompere il dolce flusso di<br />
ricordi che magicamente risanava anche l’uomo più sciancato. E solo quando proprio<br />
non ne potevano più, con uno sbadiglio leggermente più prolungato degli altri e<br />
sapientemente indirizzato, spegnevano la tremula fiammella della candela sul<br />
comodino sperando che, col buio, si spegnesse una buona volta anche l'eccitazione<br />
del marito.<br />
Oggi non si poteva proprio perdere. L'attrezzatura era tutta a posto. Le divise erano<br />
pulite e lucenti, e sembrava quasi un peccato, perché di lì a poco non lo sarebbero più<br />
state: fango e sangue le avrebbero rese irriconoscibili. Un mezzo sorriso si affacciava<br />
sui volti degli uomini più navigati, mentre quelli nuovi, gli esordienti, erano tutti<br />
eccitati e parlottavano con i compagni di reparto, ridacchiando e alzando la voce un<br />
tono di troppo. Il Capitano lasciò fare - era normale, prima. Dopo, non ci sarebbe<br />
stata l'energia nemmeno per dire ‘ah’.<br />
Nulla era cambiato. Si ricordò di quando, ed erano passati anni, ormai, aveva fatto<br />
parte del reparto avanzato - quello che per primo vedeva gli avversari disporsi<br />
sull'altro colle, di fronte a loro. In mezzo, allora come oggi, una vallata lunga mezzo<br />
chilometro e larga all’incirca altrettanto. E oggi come allora, dietro il reparto<br />
dell’estrema difesa, fervevano gli ultimi preparativi e si sprecavano gli incitamenti<br />
del resto del villaggio, assiepato al sicuro ma poco lontano. Si sbandieravano<br />
14
lenzuola bianche con lo stemma del villaggio cucito al centro e si suonava con<br />
trombette ammaccate o tamburi di fortuna l’inno a tempo di marcia.<br />
Infine si videro i nemici risalire la propria collinetta. Si stavano disponendo secondo<br />
uno schieramento che il Capitano, con la sua esperienza, non tardò a riconoscere<br />
come alquanto offensivo. “Bene, le due tattiche sono complementari” - non fece<br />
quasi in tempo a pensarlo, che la nota bassa e prolungata di un corno squarciò l’aria<br />
ferma; una sfera di stracci e cuoio lucido cuciti robustamente venne scagliata verso il<br />
centro della vallata dalle retrovie degli avversari.<br />
Dalle sommità delle rispettive collinette, cento da una parte e cento dall'altra, gli<br />
uomini si lanciarono urlanti in una corsa carica di eccitazione e di gioia. E questo non<br />
era che il calcio d'inizio: il divertimento, per i due villaggi, sarebbe durato ore.<br />
15
MEMORIE DI NONNA<br />
dI VALERIA PAGANO<br />
II° classificato ex equo<br />
Sono nata nel 1922, in una famiglia ricca, ma che ha sempre lavorato per guadagnarsi<br />
il pane. Mio padre era un pescatore e mia madre era la capofamiglia. Donna dura<br />
mamma, tanto che nel piccolo paesino dove abitavamo, dove io abito ancora,<br />
giravano leggende sulla mia terribile madre. Bassa di statura, ma molto decisa. Se<br />
facevamo un rumore a tavola, arrivava un leccamusso dritto sul mento. Era umiliante.<br />
E faceva male.<br />
Dei miei tre fratelli ero la più buona, la più calma, mi chiamavano lo strordiglione,<br />
perché a volte mi dimenticavo le cose. E accadeva spesso che, se dovevo andare fino<br />
alla soffitta di casa per prendere qualcosa, arrivavo sopra e non mi ricordavo più<br />
quello che dovessi fare.<br />
Sono nata nell’anno della marcia su Roma e dell’avvento del fascismo. Ho vissuto la<br />
guerra mondiale e ho visto finire Mussolini, ho vissuto durante la prima Repubblica<br />
ed ora sono qui, ancora viva, durante la seconda.<br />
Da giovane ero la più corteggiata del paese, l’ho scoperto solo di recente,<br />
incontrando vecchi amici che a distanza di settanta anni mi hanno rivelato la loro<br />
passata cotta per me. Ma lo so che ad ottantadue anni sono ancora piacente. Meglio<br />
di molte donne incartapecorite che fanno di tutto per togliersi le rughe. Io le mie<br />
rughe le vivo con dignità. Le uniche cose con cui le ho piallate sono state le mie<br />
mani.<br />
Mia madre mi ha condannato da giovane ad essere vedova.<br />
Mi costrinse al matrimonio con un uomo più vecchio di me di sedici anni. Era stato<br />
cresciuto da lei e ha visto bene di promettergli in sposa me. E mi sono fidanzata a<br />
quattordici anni. La prima volta che lui si avvicinò per farmi una carezza, sono<br />
scappata, impaurita, su per la tromba delle scale di casa. A sedici anni ero già<br />
maritata.<br />
Mio marito mi lasciò a casa, da sola, un mese dopo il matrimonio. Partì per l’Africa.<br />
Mi lasciò illibata. Una sedicenne coniugata ancora ignara dei doveri matrimoniali.<br />
Quindici anni ad aspettarlo. Quindici anni tra cui la guerra. Che periodo terribile. Io e<br />
un gruppo di compaesani scappammo sopra i monti Aurunci. Avevo paura. Avevo<br />
perso i contatti con mamma e papà. Sapevo che mio padre era in guerra a combattere,<br />
insieme ai miei tre fratelli.<br />
Un giorno riuscii a ripararmi in una casa e una bomba venuta dall’alto la distrusse.<br />
Fui travolta da grossi pezzi di soffitto. Feci in tempo a vedermi interamente<br />
insanguinata dalla testa ai piedi, con il ginocchio che mi sembrava rotto. Poi svenni.<br />
Mi svegliai dopo alcuni giorni in ospedale, con tutta la testa fasciata. Non avevo nulla<br />
di grave – dissero – un calcinaccio aveva colpito marginalmente la testa, la ferita al<br />
ginocchio era solo un profondo taglio.<br />
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Mi ricordo tutti gli stranieri che vennero dalle nostre parti durante la guerra. Mongoli,<br />
Tedeschi, Inglesi, Americani e poi Africani con l’orecchino al naso e il ciuffo in<br />
testa, gli Indiani con il turbante.<br />
Gli Inglesi erano proprio dei bastardi. Nascondevano il cibo sotto terra per non farlo<br />
trovare. Gli Americani invece ci riempivano di leccornie. Me le ricordo bene le<br />
patate che ci davano. E il cioccolato. I tedeschi non erano cattivi. Quando volevano<br />
cacciarci urlavano “RAUS!RAUS!” e facevano gesti con le mani. Mi ricordo anche il<br />
tedesco, giovane, avrà avuto la mia età, che un gruppo di contadini inferociti uccise a<br />
colpi di zappa e bastone. Davanti ai miei occhi.<br />
Le bombe distrussero tutte le case che fittavamo ai turisti, riducendole ad un cumulo<br />
irriconoscibile di macerie. Fatica di anni smontata in pochi secondi.<br />
Mi ricordo ancora i ragazzi giovani che andavano in guerra. Erano ragazzetti con<br />
divise larghe, sembrava andassero ad una festa di carnevale a far la parodia di se<br />
stessi più che in battaglia.<br />
Finita la guerra aspettavo mio padre. Dicono che sia morto durante una attacco e che<br />
lo abbiano seppellito chissà dove. Sono rimasta orfana di padre e non posso piangere<br />
sulla sua tomba. E così rimanemmo con la mamma, che, nonostante la forza che la<br />
distingueva, era la sola a tirare avanti la baracca. Sono stati giorni difficili, di<br />
sacrifici, pane e cipolle era in nostro cibo quotidiano. Stavamo ricostruendo la nostra<br />
ricchezza.<br />
I miei fratelli partirono pochi mesi dopo la fine della guerra per andare a cercar<br />
fortuna in Australia, la <strong>nuova</strong> terra, con l’attività ittica di papà.<br />
Io invece ero rimasta lì, nel mio piccolo paesino, ad aspettare<br />
il ritorno di mio marito. Erano passati quindici anni dal mio matrimonio. E non mi<br />
ricordavo nemmeno il viso di quello che davanti allo Stato e davanti a Dio doveva<br />
essere il mio coniuge. Fui costretta a richiamarlo ufficialmente tramite i carabinieri.<br />
Tornò e quasi non lo riconobbi. Era invecchiato, ormai aveva cinquant’anni suonati,<br />
aveva una gamba finta, con cui avevano sostituito quella vera, dilaniata da un carro<br />
armato che lo travolse durante il lavoro. La vita coniugale non era esaltante, era senza<br />
amore e mio marito era stanco e malato, aveva vissuto la sua vita altrove, con<br />
un’altra donna ed era tornato non perché lo volesse, ma perché obbligato dalla legge.<br />
Nel cinquantacinque nacque la nostra unica figlia, che illuminò la mia vita. Il mio<br />
sposo non poté godersela a lungo, perché ci lasciò una notte, con un infarto, quando<br />
la piccola aveva solo otto anni. Ci lasciò senza nulla, tranne che una misera pensione<br />
di invalidità. Io, benché ancora giovane , benché avessi bisogno di un uomo per me e<br />
la mia bambina, non volli risposarmi, non volevo che le voci maligne del paesino<br />
pettegolassero sulla mia poca serietà. Tengo molto al giudizio altrui. La mia è sempre<br />
stata una famiglia seria, e tale doveva rimanere.<br />
Mia figlia è sempre stata più avveduta di tutti i suoi coetanei e appena ebbe l’età per<br />
ragionare si rimboccò le maniche e, quando poteva, si metteva a lavorare. Dava<br />
ripetizioni ai ragazzi più piccoli di lei, mi aiutava a fittare le case e, quando era<br />
necessario, andava a casa altrui a fare i lavori domestici. Non potevo offrirle molto,<br />
doveva contentarsi di un pantalone per l’inverno e uno per l’estate, un cappottino e<br />
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qualche maglione. Il nostro nucleo familiare era composto da me, mia figlia e ancora<br />
mia madre, avanti con l’età, ma ancora forte e con l’indole combattiva.<br />
Comprammo con i nostri risparmi un terreno e decidemmo di costruirci la casa. Ma<br />
non avevamo tanti soldi al tempo, fui costretta ad indebitarmi con della gentaglia. E<br />
nonostante mangiassimo pasta e fagioli o poco più, a fine mese i conti non<br />
quadravano mai.<br />
Ma avevo una ricca amica che, sapendomi in difficoltà, si offrì di pagarmi i debiti e<br />
mi assicurò che potevo ridarle i soldi con calma.<br />
E’ stata dura, abbiamo sofferto, ma alla fine siamo riuscite a costruire una bella<br />
villetta in campagna, sempre nel mio paesino. Mancavano ancora le porte e i<br />
pavimenti, ma erano dettagli che avremmo inserito giorno dopo giorno.Un giorno<br />
mia figlia venne a casa con un ragazzo brutto, zotico e sporco, me lo presentò come il<br />
suo fidanzato. Mi sentii morire. Come poteva lei farmi questo? Non poteva trovarsi<br />
un bravo paesano, magari il figlio del medico, che mi sembrava tanto a posto?<br />
Quel ragazzo non mi piaceva. Non guardava mai in faccia quando parlava. Anzi,<br />
spesso non parlava. Faceva sì con la testa e per no faceva uno strano rumore con la<br />
bocca tirando la testa indietro.<br />
La riempii di botte per evitare che lei lo vedesse ancora. Me ne pento ancora, ma<br />
adesso so che era la cosa giusta da fare.<br />
Malgrado tutto mia figlia e quel coso si sposarono pochi anni dopo. Dopo la laurea di<br />
lui. La mia piccola invece, innamorata e cieca, aveva lasciato gli studi per seguirlo.<br />
Così mi ritrovai sola con la mia vecchia madre, in quella casa grande e <strong>nuova</strong>, che<br />
aveva una stanza in più che non era stata mai occupata dalla mia creatura.<br />
Quanto dolore a sentire mia figlia lontana, quante ho pianto quando ho scoperto che<br />
suo marito la picchiava.<br />
L’unica cosa buona che ha fatto mio genero è quella di mettere al mondo due<br />
bambine, le mie nipotine, che sono diventate le mie gioie dopo mia figlia. Ho potuto<br />
crescerle quando venivano a trovarmi e io stessa mi muovevo per andare in visita nei<br />
vari posti in cui si muoveva tutta la famiglia.<br />
Ora sono vecchia e sola, mia madre è morta più di dieci anni fa, ho superato gli<br />
ottanta anni, non riesco a muovermi più come una volta. Ho le ossa acciaccate e il<br />
cuore sta facendo il resto. Ma ogni anno cerco di fare un sacrificio e prendo il treno,<br />
faccio un lungo viaggio e arrivo da mia figlia e le mie nipoti, ormai grandi. Loro non<br />
riescono a venire spesso a trovarmi, disto più di cinque ore di treno da loro, ma<br />
quando mi vengono a trovare, anche se stravolgono un po’ le mie abitudini, sono<br />
felice. Riempiono la mia vita con rumori, sorrisi e abbracci.<br />
Quando rimango sola la mia <strong>compagnia</strong> è la radio e una vecchia amica, mia coetanea,<br />
a volte petulante, ma che almeno scambia due chiacchiere.<br />
Aspetto ogni sera la chiamata di mia figlia, così posso parlare un po’ di tante cose,<br />
della mia piccola vita, delle mie opinioni sulle vicende che seguo in tv. Poi mi<br />
addormento felice, spesso con il televisore acceso.<br />
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IL RE E IL BUFFONE<br />
dI RODOLFO ROSSI<br />
C’era una volta un re.<br />
II° classificato ex equo<br />
Isolato dai resti del suo esercito, accerchiato dalle truppe nemiche, attendeva<br />
immobile l’ultimo assalto. Il re era nero. Ma la guerra che combatteva contro i suoi<br />
nemici, tutti bianchi, non era una questione di razza, né di territorio o di interessi<br />
economici. Altre ben più sottili erano le cause di questo conflitto. Astuzia, audacia,<br />
intelligenza, strategia: questi erano i valori che si misuravano sul campo, come tutti<br />
quei fattori che portano un uomo a combattere contro un altro uomo per stabilire chi<br />
valga di più. Un fante scivolò lentamente alla sua destra, apparentemente per coprire<br />
l’avanzata di un cavaliere o forse per chiudergli una via di fuga: non se ne curò. La<br />
manovra era troppo lenta per costituire un pericolo immediato e il suo cavallo, uno<br />
splendido morello dal manto color ebano, era troppo lontano per essergli d’aiuto.<br />
Concentrò la sua attenzione sui due lancieri che vedeva schierati alla sua sinistra:<br />
guerrieri veloci, anche se non troppo agili. Non avevano grandi possibilità di<br />
manovra ma così appaiati costituivano una seria minaccia, soprattutto per il poco<br />
spazio nel quale poteva muoversi. Si spostò di un passo indietro, stringendo la spada<br />
in pugno. Un altro fante seguì il primo a breve distanza e il re nero capì lo scopo<br />
della manovra: benchè le forze avversarie fossero abbondantemente superiori, il<br />
nemico non voleva rischiare e stava mandando i suoi fanti a recuperare rinforzi,<br />
proprio là, alle sue spalle. Se la manovra fosse riuscita si sarebbe trovato in trappola,<br />
senza neanche la possibilità di vendere cara la pelle, cosa che, oramai, gli sembrava<br />
l’unico scopo per il quale valesse la pena di lottare. Se sua moglie fosse stata ancora<br />
con lui forse avrebbe avuto la speranza di potersi opporre al nemico; quanto meno<br />
avrebbe cercato di ostacolare il suo avversario al punto da imporgli un armistizio. Ma<br />
adesso era solo e non aveva più né la forza né la voglia di sperare qualcosa. Fece<br />
ancora un passo indietro. Aveva perso la sua regina nel bel mezzo del conflitto e<br />
questo era stato un colpo troppo duro per lui. Il re era un uomo forte, non temeva la<br />
vita né le sue sconfitte. Aveva combattuto molte battaglie ed era stato un esempio per<br />
i suoi uomini che lo stimavano e lo rispettavano.<br />
La sua compagna era sempre stata al suo fianco: dovunque lui fosse lei poteva<br />
raggiungerlo velocemente, sorreggendolo e spronandolo nei momenti difficili. Questa<br />
era stata la sua vera forza e ora che l’aveva persa si sentiva solo e senza energie. Né<br />
in qualche modo lo poteva consolare il fatto che anche la regina del suo avversario<br />
avesse fatto, dopo poco, la stessa fine. Pensò, con una punta d’ironia, che forse la<br />
guerra non era una cosa da uomini. Un cavaliere si lanciò in avanti e si dispose a<br />
copertura dei fanti che lentamente stavano scivolando alle sue spalle. Se avesse<br />
potuto raggiungerli li avrebbe spazzati via con facilità: quei guerrieri numerosi ma<br />
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piccoli non potevano competere con la forza della sua spada. Ma il cavaliere e, ora se<br />
ne accorse, i due lancieri presidiavano il terreno davanti ai due fanti che, lentamente<br />
ma inesorabilmente, avrebbero di lì a poco terminato la manovra. Non sarebbe<br />
riuscito a fermarli in tempo per cui restò immobile al proprio posto. Fu un bene: una<br />
furia nera si abbatté devastante contro la fanteria nemica, eliminando un primo fante<br />
e ostacolando la marcia al secondo, così da neutralizzare l’operazione del nemico. Il<br />
suo fedele lanciere non l’aveva abbandonato: inviato sotto le torri nemiche ad<br />
impegnare l’avversario con una manovra diversiva, tornava ora a difendere il suo re e<br />
a combattere al suo fianco. L’azione scompigliò i piani d’attacco del re bianco che,<br />
persa la possibilità di concludere il conflitto senza altre perdite, lanciò i suoi<br />
all’attacco scatenando una violenta battaglia. Il lanciere bianco attaccò il suo diretto<br />
avversario cercando di prenderlo alle spalle ma passò troppo vicino al re nero che,<br />
con un solo passo, gli fu addosso. Questo salvò il lanciere nero dall’attacco diretto ed<br />
egli avanzò per coprire maggior spazio dinanzi a se mentre il suo nemico si poneva<br />
precipitosamente in salvo, a poco distanza dal cavaliere. La manovra era solo<br />
apparentemente difensiva: quando il primo lanciere fu al riparo dall’attacco nemico e<br />
il re ripiegò un poco stringendosi accanto al suo ufficiale, il secondo partì all’attacco,<br />
tanto rapidamente quanto vigliaccamente. Anziché affrontare il suo avversario di<br />
fronte, misurandosi cavallerescamente faccia a faccia con il suo pari, attaccò di<br />
fianco minacciando direttamente il re che si trovò così chiuso tra i due lancieri e il<br />
cavaliere: qualunque mossa avesse fatto non avrebbe potuto sottrarsi al tiro nemico.<br />
Che triste fine, pensò il re. Finire sotto i colpi di un lanciere senza neanche la<br />
possibilità di lanciare un ultimo assalto, senza potere incrociare la spada con un mio<br />
pari. Molte volte il re aveva immaginato il momento della sua fine. Come tutti,<br />
sapeva che prima o poi sarebbe arrivata e come tutti credeva, o sperava, che sarebbe<br />
stato un momento speciale, solenne e, in qualche modo, dolce. Amaramente<br />
considerò che ognuno, cavaliere o stalliere, re o buffone, bianco o nero che sia si<br />
ritiene in ogni caso al centro della vita, protagonista, nel bene e nel male, della partita<br />
che siamo invitati a giocare. Ma la partita non è una sola: e ognuno è protagonista<br />
solo della sua. Per tutte le altre è uno dei personaggi, talvolta un comprimario e può<br />
solo augurarsi di fare bene la sua parte, con serenità e dignità. Questo pensava, il re<br />
nero, stringendo in pugno la spada, ormai inutile, cercando di capire da quale parte<br />
sarebbe partito l’attacco che avrebbe giocato l’ultima mano. Ma prima che questo<br />
avvenisse il suo lanciere scattò e si frappose fra il re e il lanciere bianco. Forse è<br />
questo che rende gli uomini tutti protagonisti, pensò il re mentre vedeva il suo fedele<br />
compagno soccombere sotto il colpo del nemico: la capacità di sacrificarsi per chi si<br />
ama e di conoscere valori più grandi della vita stessa. Il colpo che lasciò partire<br />
vendicò il suo compagno e spazzò via il lanciere bianco. La sua furia si abbatté sui<br />
nemici che, sorpresi dalla sua reazione, cominciarono lentamente ad indietreggiare. –<br />
Codardi! – gridava il re nero, forse ferito, trascinandosi lentamente un passo alla<br />
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volta e avanzando tra le file del nemico. – Cosa temete? Un uomo solo e ferito?<br />
Dov’è il vostro coraggio? Dov’è il vostro onore? Dov’è il vostro re?<br />
I due cavalieri, il lanciere superstite, i fanti: tutti rimasero immobili e muti. Il re nero,<br />
alto e terribile, fece scivolare lo sguardo sul nemico che lo circondava da ogni lato:<br />
era solo, ma non si sentiva solo. Accanto a sè, dentro di sé, aveva la forza di tutti<br />
coloro che lo avevano amato, dalla regina all’ultimo dei suoi fanti, e che avevano<br />
combattuto al suo fianco. Fece, lentamente, un altro passo avanti. Allora, dopo un<br />
istante che sembrò eterno, sentì alle sue spalle un unico, solenne, regale passo. Girò<br />
la testa e guardò il suo avversario, fissando i suoi occhi dritti in quello dell’altro,: il re<br />
bianco era lì.<br />
“Ti faccio tagliare la testa! Ti spedisco a spaccare le pietre nelle mie miniere” gridò il<br />
re mentre con una manata spazzo via la scacchiera facendo volare i pezzi per la<br />
stanza. Pedoni, cavalli, torri e alfieri schizzarono in aria, mancando di poco il buffone<br />
che, sorridendo sotto la sua maschera cialtrona, cominciò pazientemente a<br />
raccoglierli e a disporli in bella fila.<br />
“Sono anni che giochiamo e non ho ancora vinto una sola partita. Mai. Nemmeno<br />
una. Ti faccio rinchiudere nelle prigioni e getto via la chiave!”<br />
“Non lo farete, maestà,” rispose paziente l’ometto, scuotendo lentamente il capo nel<br />
tintinnio dei campanelli del suo buffo cappello.<br />
“Chi ti dà tanta sicurezza, buffone? Perché non dovrei farlo?”<br />
“Perché io sono l’unica persona di cui vi potete fidare. Vi faccio ridere per quello che<br />
sono e per lo stesso motivo vi faccio arrabbiare: vinco a scacchi perché sono più<br />
bravo di voi. Se giocaste con qualcuno dei vostri consiglieri, con il primo ministro o<br />
con il capo delle guardie, probabilmente vincereste. Ma non sapreste mai se perché<br />
siete bravo o perché siete il re. Invece il giorno che sconfiggerete me, saprete<br />
realmente qual è il vostro valore. Sire.<br />
Il re lo guardò torvo. “Disponi i pezzi, disse, facciamo un’altra partita”.<br />
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III° classificato<br />
ALI DI CRISTALO (ai bordi della vita)<br />
dI GLORIA VENTURINI<br />
Ai bordi della strada, in un'ora morta del giorno, un bambino viene<br />
abbandonato da una madre troppo giovane, troppo egoista per amarlo. Per il<br />
padre è stato solamente il piacere di una notte, niente di più. Ai bordi della<br />
strada, vicino ad un cassonetto, avvolto da un asciugamano insanguinato, ora<br />
c'è un bambino rinnegato.<br />
Un'automobile fugge veloce, senza rimpianti, senza esitazioni, neppure una<br />
lacrima, solo un problema risolto. Il bambino sorride all'azzurro del cielo, un<br />
alito di vento lo accarezza, in quel caldo pomeriggio d'estate. Agita le sue<br />
minute gambe e con le piccole manine sembra salutare il sole abbagliante ed<br />
afoso.<br />
Nel volto una serenità senile, un'espressione gioiosa, sconosciuta alla gente. Le<br />
cicale sono le uniche compagne del piccolino, gli cantano una dolce ninna<br />
nanna, e lui, s'addormenta. Il giorno lascia il posto alla notte, mai un tramonto<br />
così tenue aveva colorato l'orizzonte. La luce brilla negli occhi del bambino,<br />
che avvolto dalla meraviglia, è incantato dalle bellezze del mondo. Giunge la<br />
notte, le stelle con il loro scintillio lo cullano e nel cuore infante, ignara vibra<br />
la poesia più bella dell'infinito. L'aurora apre la porta al nuovo giorno. Il<br />
bimbo rivolge gli occhi al cielo amico, senza sapere che la sua piccola vita si<br />
sta spegnendo. Non ha pensieri, sente solo i morsi della fame e il calore<br />
insopportabile del sole. Piange e si agita con le ultime forze rimaste. Le cicale<br />
cantano, l'azzurro del cielo sovrasta sereno, e piano piano, il bambino chiude<br />
gli occhi e si addormenta per sempre. Non ha capito la vita, l'ha osservata solo<br />
per un momento. Quando l'indomani gli uomini della nettezza urbana lo<br />
trovano, nonostante il ghiaccio che gela le loro vene, si addolciscono nello<br />
scorgere un beato sorriso tra le piccole labbra; lui rideva ancora al cielo.<br />
Le sue piccole braccia sono abbandonate in una dolcezza infinita, che nessun<br />
adulto potrebbe mai provare. Con il cuore dilaniato da una ferita senza storia,<br />
con l'animo a pezzi, con le lacrime che scendono impotenti dagli occhi, l'uomo<br />
culla il bimbo, come fosse stato suo figlio, come non ha mai fatto la madre.<br />
L'autoambulanza arriva, per dare un giusto valore a quella piccola vita<br />
stroncata. Il cielo è azzurro, il sole risplende, le cicale cantano, poco più in là,<br />
bambini giocano gioiosi sul prato.<br />
Ai bordi dei giardini celesti, un angelo prende tra le braccia il piccolo<br />
abbandonato, ora non ha più fame, ora non ha più caldo, ma sorride ritrovando<br />
il celeste nello sguardo dell'amico divino.<br />
Ai bordi della vita la luce dell'anima vola serena con ali di cristallo.<br />
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Premio speciale giuria<br />
BONGO<br />
dI SALVATORE CARTA<br />
L’avevano incontrato l’ultima volta nel chiostro duramente acciottolato della<br />
chiesa S.Anna la Misericordia, grande più di un campo di calcio, e tutto<br />
attorno a conformare la figura geometrica un porticato ritmato e compassato<br />
da colonne di marmo grigio con archi a pieno centro, scritto dal tempo e dalle<br />
penne. Bongo era il più alto del gruppo, con muscoli che apparivano flaccidi,<br />
incapaci di forti tensioni, come se non avessero voglia di contrarsi, tantomeno<br />
di lottare. Da sempre si ricordavano di lui quando, ogni volta che lo vedevano<br />
e ovunque fossero, veniva apostrofato: ”Ciao Bongo!” e subito dopo in coro:<br />
“Bingo Bongo Bengo/ Molte scuse ma non vengo/ Io rimando qui/ No bono<br />
scarpe strette saponette/ Treni e tassi/ Ma con questa voglia al collo/ Star bene<br />
qui/ Oh…. Bongo Bongo Bongo/ Stare bene solo al Congo/ Non mi muovo No<br />
No./<br />
E su questo doppio No, tante pacche sulle spalle, anche dal più basso della<br />
comitiva tentavano di fare arrossire la sua pelle stranamente di colore ebano.<br />
Lui finalmente riprendeva respiro, con la bocca rivolta verso quelle pietre<br />
imbronciate, e non tentava neanche d’incrociare i loro sguardi, rassegnato<br />
com’era nella sua impotenza; e pago nello stesso tempo di essere uh elemento<br />
estraneo e conosciuto da tutti. Ogni pomeriggio feriale quello era il loro<br />
cortile, l’agorà lucida partecipata da chi aveva finito rapidamente i compiti<br />
aiutato da una memoria giovane e per niente intasata, e da quelli che<br />
sonnecchiando e senza aver toccato o scritto pagine avevano detto di averlo<br />
fatto, e anche da chi diceva niente di niente, e spavaldo si chiudeva dietro la<br />
porta di casa. Fatalmente iniziavano col prendere a calci qualsiasi cosa che<br />
somigliasse ad una sfera; qualche volta, quando la colletta aveva avuto buon<br />
fine, anche ad una vera palla, che era poi il risultato di una frequente rinunzia<br />
al “pane e panelle”,. E quando le canottiere erano fortemente inzuppate di<br />
sudore, e le ombre ed il vento appena rigido ne arrischiavano i bronchi, la voce<br />
perentoria, ma da prete di Don Bartolo li invitava ad entrare nella sala<br />
parrocchiale. Si appassionavano, tracciando una linea rigida, al vecchio<br />
western americano: alla fine della fiera, quando “il buono” stava per essere<br />
sopraffatto, c’era sempre una pallottola a ristabilire canoni di giustizia, e<br />
l’eccitazione li portava ad accompagnare con sfrenati urrà ed incoscienti “ola”<br />
la caduta rallentata del “cattivo”. Era uno dei tanti gruppi che si componeva<br />
dopo la guerra: sembrava che non avessero un passato, forse per dotta e<br />
conveniente ignoranza, e si sentivano pervasi dalla grande voglia di nascere<br />
per ripartire. Preparavano le prime sigarette con tabacco riciclato e carta velina<br />
tanto pesante da formare anelli scuri e grigiastri, che si aprivano ed iniziavano<br />
a sfaldarsi dopo troppo tempo per non tossirci sopra. Ed in uno di quei<br />
pomeriggi, dopo il confezionamento, quella sigaretta, che sin dall’inizio si era<br />
mostrata senza spian dorsale, era già aspirata da tutti, quando Bongo, con tono<br />
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lieve, forse perché certo di non essere preso sul serio, ebbe a chiedere: “ Mi<br />
fate dare una tirata?” Franco e Claudio, Nino “u longu” e Salvatore, e gli altri<br />
tracciarono diverse diagonali di sguardi densi di sorpresa, e quindi di richiesta<br />
di consenso ecumenico da parte di tutti, prima che Claudio, gran sacerdote,<br />
passasse con attenzione quel mozzicone appiattito e sbavato, trafitto da una<br />
piccola spina di rovo, aggiungendo: “ Bongo, succhia a pieni polmoni; non te<br />
la fumare tutta!” La sua bocca si trasformò in una verde idrovora, ma i<br />
filamenti di tabacco erano troppo laschi e profondamente trinciati per opporre<br />
qualsiasi resistenza; per cui, subito il niente si dileguò in fumo ed il viso,<br />
sospettosamente paffuto, sembrò una sfera magica di colore viola. Si erano<br />
ritrovati a tappe in quel cortile: ognuno aveva vissuto la guerra con sofferta<br />
incoscienza e senza alcuna voglia di ricordare, ciascuno per motivi diversi,<br />
tutti per la stessa causa. Bongo e la sua famiglia erano ritornati, dopo qualche<br />
anno di assenza, da Pian del Mugnone dove una delle due sorelle, Graziella,<br />
aveva sposato, mentre le cannonate si fronteggiavano sull’Arno, un partigiano<br />
alto e biondo, con capelli lunghi che spontaneamente si componevano in<br />
riccioli; gli mancava il mignolo della mano sinistra, spappolato quando, calato<br />
in fondo ad un pozzo cercò di sfuggire ad una retata delle truppe tedesche.<br />
Erano scesi dal treno Bongo, la mamma e il cavaliere, l’altra sorella e la lunga<br />
scale di figli maschi, che avevano reso felice Benito; e subito, con le doglie nei<br />
cuori avevano pianto sui resti del palazzo dei Napoli e del Giglio: soltanto<br />
grandi buche, mentre le convessità erano un insieme di terriccio e macerie, con<br />
muri che si sbriciolavano per il vento e la pioggia appena insistente. Dopo<br />
qualche mese il Comune riuscì a “sistemarli” in una stanza dell’Hotel Patria,<br />
in attesa che, con i fondi ERP, si potesse assegnare loro una casa popolare.<br />
Per più di un anno dormirono in una camera dell’altissimo quinto piano.<br />
Dall’unica finestra s’intravedeva la facciata di S. Carlo Borromeo, che, verso<br />
l’interno, nascondeva un delizioso e piccolo chiostro. Le stanze, una per<br />
famiglia, si disponevano per tre lati, formando una T lunga circa duecento<br />
metri; e la camera dove dormiva Bongo, con la madre, il cavaliere, fratelli e<br />
sorella, era distante dall’unico doppio gabinetto. E le fugaci, ma frequenti<br />
coliche mattutine, più dovute alla mancanza d’acqua che ad abbondanza di<br />
cibo, dovevano attendere per esaurirsi, che le code si azzerassero. Quello era il<br />
periodo in cui la testa di Bongo e degli altri compagni era uno shaker nel quale<br />
venivano a miscelarsi Ettore e Achille, Ulisse e Penelope, la prima democrazia<br />
in Atene, la Chiesa e la tavola di Mendeleev, Foscolo e Leopardi, Vincenti e<br />
Amadeus. E ognuno di questi, superando la tensione di superfice, formava una<br />
bollicina che tendeva ad alzarsi, insieme ai loro pensieri ed ai primi amori,<br />
trasformando tutto, in grappoli di nuvole ricche di cariche intense. I<br />
comportamenti di ognuno del gruppo sembravano delineati dalla sintesi degli<br />
avi e dei miti greci, e venivano ritagliati dalle loro vivaci interazioni e dalla<br />
presenza assidua delle famiglie; speravano che la <strong>nuova</strong> generazione, essendo<br />
stata soltanto sfiorata dal disastro, avrebbe avuto maggiori opportunità e tempi<br />
per incidere e migliorare ognuna di esse. E così, mese dopo mese iniziarono in<br />
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qualche caso a disaggregarsi: l’Istituto Autonomo Case Popolari, da un lato,<br />
cominciò ad assegnare i nuovi appartamenti, mentre, per altra parte, si<br />
ricostruiva lo Stato, le Industrie, la Chiesa, i Partiti, la Mafia, per cui i padri e i<br />
fratelli maggiori provavano a trovare lavoro. E quel nuovo trasferimento<br />
coinvolse la maggior parte del gruppo: due palazzi anonimi, a cinque piani,<br />
subito dopo il ponte dell’Oreto, iniziarono ad accoglierli. Quella di Bongo fu<br />
una delle ultime assegnazioni; e quando arrivo insieme al cavaliere, alla madre<br />
ed ai fratelli, trovarono un primo piano, con un balcone che dava su una<br />
distesa di mandarini ad alto fusto, recintata da siepi verde scuro, mosse dal<br />
bianco e dal giallo delle calle e dai rovi con fiocchetti rosa. La casa era situata<br />
nella scala H, e per questa lettera, come per la K, Bongo provava una istintiva<br />
avversione, perché una è muta, non ti giunge alle orecchie quando inizia la<br />
parola, la devi immaginare, risulta misteriosamente orientale, aspira i nomi e<br />
te li rende torbidamente voluttuosi; L’altro spesso è una costante con una<br />
lunga serie di cifre che gli sembravano trasportarlo, come nei sogni che<br />
frequentemente aveva fatto da bambino, giù lungo un baratro senza fine,<br />
accompagnato soltanto dall’urlo di chi cade da un quinto piano alto, fino al<br />
centro della terra. La porta d’ingresso era la prima a destra dopo due rampe di<br />
scale e continuava subito con un corridoio-trincea che si apriva prima in un<br />
cesso, nel quale erano stati collocati, facendoli calare dall’alto il lavandino, il<br />
bidè e la tazza che prendevano luce da una finestrella che pescava nel balcone,<br />
poi in una cucina con due pensili smaltati ed un tavolo per quattro, stretto ai<br />
muri. Dopo tre passi, la camera da letto, in cui a sinistra avevano piantato un<br />
armadio con i laterali bombati di finto noce, che tenevano uno specchio lungo<br />
e molato che rifletteva chi dormiva, chi tentava il nodo scarpino, chi era<br />
bucato dall’intramuscolare, chi provava il vestito da sposa. L’ultima porta ti<br />
faceva entrare nella camera da pranzo-salotto-letto, nella quale s’imponeva un<br />
tavolo coperto da una cera trasparente che copriva a sua volta un tappeto<br />
rosso-scuro, l’ultima reliquia dei Napoli, convessa al centro come il calco della<br />
testa di Bongo. Si era formato perché Graziella ogni volta che, durante la<br />
guerra, prima del bombardamento, ululava la sirena, in cinquanta secondi lo<br />
stanava, lo imbracava diventando un tutt’uno, faceva slittare il tappeto<br />
dall’austero e vecchio tavolo, e avvolgendogli tutto il corpo, aveva soprattutto<br />
cura che la sua testa, affollata di boccollotti neri, coincidesse con il centro del<br />
tappeto, sovrastato dal giglio e dal leone rampante, e poi tutta una corsa verso<br />
il ricovero. Comunque così era la casa e così l’avevano potuto arredare, in quei<br />
primi mesi i suoi genitori. E abbassandosi sotto i mandarini per vedere le<br />
gambe di chi arrivava, negli ampi spazi sottostanti si ritrovarono una buona<br />
parte di quelli che erano stati il nucleo di piazza S. Anna, mentre si<br />
introducevano quelli che arrivavano da storie e luoghi diversi. Da una parte il<br />
gruppo tornava a ricomporsi, accogliendo <strong>nuova</strong> linfe; e senza un<br />
appuntamento preciso, mai dato, si riunivano scaglionati secondo fasce di età<br />
mentale, spesso iniziando a cercare per terra un bastoncino che doveva essere<br />
compatto e duro per potere tagliare fendendola l’aria, ed un altro ancora più<br />
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massiccio per percuotere il primo con un colpo secco, farlo rimbalzare e<br />
quindi, colpirlo questa volta al volo per inviarlo il più lontano possibile. E fu<br />
uno di questi pomeriggi che videro avvicinarsi due possenti ginocchia che<br />
articolavano gambe da centometrista, e dalle foglie subito apparve una piccola<br />
sfera tonda con gli occhi colore pece: era Bongo! Si sentirono intimamente<br />
felice di averlo ritrovato e anche per celebrarlo partirono con: “Bongo,Bongo,<br />
Ben….”. Non riuscirono a terminare la prima strofa perché quella massa nera,<br />
trasformatasi in un pantera, si lanciò su Claudio, lo avvinghiò in una morsa<br />
greco-romana, e prima che divenisse del tutto cianotico, lo scagliò sul prato di<br />
ortiche. Le diagonali di sguardi furono più leste del solito ad incrociarsi, e<br />
Nico “u longu”, stringendogli la mano superò facilmente il fruscio delle foglie:<br />
“Questo è Giovanni!”. E da quel momento divenne conosciuto e caro a tutti.<br />
Ognuno aveva scelto , o lo riteneva, la propria ragazza; Giovanni aveva da<br />
parecchi giorni puntato un balcone con una filiera di gerani rosa e viola, ma<br />
ancora non aveva ricevuto nessuna risposta e tutto ciò gli dava insolite<br />
tristezze e cariche di inutili tensioni. E proprio per il sei Agosto, giorno in cui<br />
ricorreva l’onomastico di Salvatore, come se si fossero passata voce, si<br />
ritrovarono nei viottoli e nelle macchie dense di canneti, sotto il ponte del<br />
fiume; l’acqua annaspava sudando per raggiungere il mare, e le rane sotto le<br />
prime ombre iniziavano a comparire per cercare cibo e compagnie, quando,<br />
come in una orchestra dodecafonica ognuno fu preso dall’irrefrenabile bisogno<br />
di parlare, spesso inventando, di languori e baci e di situazioni particolari che<br />
avevano incrociato con le loro ragazze: chi al cinema; i più fortunati,<br />
motorizzati con lambrette ed un Ducati novantotto a quattro marce e pedali,<br />
nelle campagne che circondano il circuito di <strong>Cerda</strong>. Tanto più le storie si<br />
appassionavano e gli amori si aggrovigliavano, quanto più perle di sudore si<br />
formavano nella fronte di Giovanni, e scivolavano veloci, prima rigandogli il<br />
viso, poi il collo, sino a formare un piccolo laghetto proprio sotto il pomo<br />
d’Adamo, Giovanni cominciò a farfugliare e ad arrossarsi nelle orecchie, si<br />
alzò di scatto come se fosse stato morso da un tafano, e muovendosi proprio<br />
come IO raccattò un rametto concavo e rinsecchito di mandarino, che si<br />
continuava a mo’ di Y in due rami più piccoli. Lo adagiò leggermente a terra<br />
fra le margherite gialle che nascevano rachitiche e spontanee e allontanandosi<br />
raccontò la storia di Shaharazàd; la musica e le storie si trasformarono in un<br />
crescendo infuocato e a quel punto gli occhi del mandingo divennero due palle<br />
staccate dal sole mediterraneo, e lui prese con frenesia a curarsi con passione<br />
soltanto di se stesso. Stava per lanciare un urlo che avrebbe terrorizzato i cani<br />
randagi che erano soliti seguire il gruppo in attesa di coccole, pane e bastonate,<br />
quando Claudio, con tempismo da cronometrista , dette uno strappo secco al<br />
filo che aveva legato, e mimetizzato con ciuffi di gramigna, proprio nel punto<br />
in cui le tre braccia della Y s’incontrano. E fu così che Giovanni vide<br />
scomparire “L’origine del mondo”, castrando l’eccitazione: quindi un algido<br />
silenzio ringhiò ai cani; e rese scuro di botto il cielo. Un bolo di saliva gli<br />
scese giù per la gola , portandogli in modo esasperato in avanti le carotidi, e<br />
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obbligandolo a scivolare la mano sinistra verso il basso, per accoppiare ogni<br />
asola forse con il suo bottone. Nessuno rise e tutti s’indirizzarono mogi, mogi<br />
verso casa. E i giorni si nutrivano di singulti di frenesia, di eccitazioni<br />
esagerate che li possedevano, solitamente dopo momenti sonnacchiosi, come<br />
quando verso la fine dell’estate, improvvise scariche si rincorrono nei cieli,<br />
intrufolandosi fra le nuvole, animali saettanti che tornano ad impadronirsi dei<br />
territori, e quindi si dissolvono tingendo l’occidente di una distesa di veli rosa<br />
e celeste tenue, e rosso smunto; e ogni giorno possedeva la capacità di<br />
prolungarsi, di stiracchiarsi su se stesso rinviando i domani. Queste sensazioni<br />
rendevano continui ed interminabili gli sbadigli della testa di Giovanni ogni<br />
giovedì, quando arrivavano alla spicciolata, al primo piano della scala H, una<br />
decina di giovani lupetti con il viso inizialmente preoccupato, e bloccandosi<br />
sul pianerottolo, bussavano alla sua porta semiaperta. Li accoglieva sua madre:<br />
“Ciao Carmelo”, “Hai imparato la tabelline del nove? Giuseppina!” Si<br />
chinava su ognuno di loro, attendendo che i loro volti si rassicurassero e il<br />
fatto di trovarsi a casa del Cavaliere non li impensierisse più. Trovavano, dopo<br />
avere attraversato il corridoio, la stanza grande con il tavolo non più a centro;<br />
e a prendere tutto lo spazio che restava tre file di sedie impagliate, disposte a<br />
chiesa. E quando tutto si era sistemato, la madre, in piedi, usciva dalla tasca<br />
della lunga gonna un rosario di ciliegio brunito dal tempo, ed iniziava,<br />
amorevole, il paternoster, un gloria patri ed uno dei misteri, e di seguito la<br />
prima decina di avemaria. Davanti a lei quei bimbi l’avvolgevano in una<br />
nuvola sussurrata di ritorni; snocciolando i grani, se li guardava uno per uno,<br />
lambendone gli occhi, come se fosse utile per tenere il conto di quella giovane<br />
litania. Riusciva ad accorgersi quando la liturgia non era più amata, anche<br />
perché quelle piccole gambe iniziavano a muoversi, sedute, con maggiore<br />
frequenze, ed in qualsiasi punto si trovassero diceva: “Anche questa mattina<br />
abbiamo ringraziato la madre di Gesù”. Si avvicinava, e porgeva nella mano di<br />
ognuno un sacchetto colorato con dentro una zolletta di zucchero, e cinque<br />
gallette. Giovanni, dalla cucina in cui studiava, avvertiva la fine di quella<br />
intrusione massiccia e non riusciva a comprendere se venissero per il<br />
sacchetto, per i capelli di seta di sua madre o perché venivano inviati da Gesù.<br />
Quella settimana, sin dal pomeriggio del martedì, tutti, piccoli e grandi, in età<br />
di scuola elementare, di servizio di leva, e di tesi di laurea, avevano<br />
cominciato a portare, al centro della vasta area non asfaltata fastelli di rami<br />
secchi, resti di tronchi tagliati per dare spazio alla costruzione di un <strong>nuova</strong><br />
edificio, cartacce e pochi giornali già letti da tempo, mobili vecchi e scomposti<br />
affinché fosse più facile trasportarli, e in serata si era formata una catasta così<br />
alta che riusciva a gareggiare con le “vampe” delle altre borgate e con quelle<br />
che venivano preparate, qualche secondo prima, contro gli eretici dai delegati<br />
papali. Fino al tardo pomeriggio del diciotto continuavano ad allargare la base,<br />
per innalzare sempre più la cima, e per tutti iniziava l’attesa: i bimbi si<br />
accovacciavano sui marmi dei balconi sperando che intanto potessero vedere<br />
S. Giuseppe, le moglie sbirciavano fra le gelosie le prime donne affacciate, i<br />
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mariti erano presi come da una strana tensione, forse perché non avevano<br />
potuto partecipare ai preparativi, le “sfinge” riposavano, scortate dai pensieri<br />
di tutte nelle cucine, le ragazze da marito continuavano a ravviarsi i capelli; e<br />
frattanto alcuni dei loro probabili compagni accatastavano libri, o perché<br />
avevano ricevuto la cartolina di precetto, o perché si attendevano che fra pochi<br />
giorni sarebbe arrivata; c’era chi aveva ricevuto la promessa di lavoro nella<br />
propria città, e chi ne aveva visto alimentare, soltanto, il fumo della vampa<br />
degli anni precedenti, e adesso aveva deciso di prendere il primo treno per il<br />
continente. Diveniva, comunque, un atto di notifica per tutti: fra poche ore, le<br />
cassette con i libri di osteologia e semeiotica, trigonometria ed integrali, diritto<br />
romano e filosofia sarebbero stati annullati dal primo crepito della vampa.<br />
Adesso gli occhi si alzavano per scrutare il cielo, e se c’erano nuvole ognuno<br />
sapeva che S. Giuseppe non avrebbe potuto rinunziare alla sua festa, e che, una<br />
volta che il fuochista aveva portato lo stoppino nella piccola cavità che i<br />
ragazzi avevano formato nella catasta, nessuna goccia di pioggia avrebbe<br />
offeso un Santo così potente. Le famiglie avevano trasportato le sedie nei<br />
balconi; mentre sui tavoli da pranzo attendevano le sfinge ed i rosoli fatti con<br />
alcool, zucchero ed assenze, e l’acqua e l’anice Tutone. Lo scricchiolio delle<br />
noccioline americane, delle carrube e della semenza salata e abbrustolita inizio<br />
a calare insieme al frinire delle cicale; e anticipato da una leggera brezza<br />
marina videro avanzare lentamente, ma sicuro nell’andamento verso la vampa,<br />
Giovanni vestito di nero. Nella sinistra alzava una scatola con cinque-sei libri<br />
di letteratura italiana e latina; nella destra una torcia resinosa con un grosso<br />
stoppino acceso che gli rischiarava, fluttuando, varie gradazione di viola. I<br />
minuti si allungavano, gli scarponi sembravano essere trattenuti dall’erba, i<br />
tessuti contenevano a stento i muscoli, ma seppe giungere al centro del<br />
cerchio: poggiò con delicatezza sacrale i volumi nella bocca della vampa, e la<br />
sinistra, ormai libera,aiutò l’altra per indirizzare la torcia verso la lingua sazia<br />
di paglia. Il fuoco divampò in pochi secondi; e in tempo, prima che i balconi<br />
rossi di gerani trionfassero, Giovanni indirizzò anche a quellio degli ultimi<br />
piani “Viva San Giuseppe! Io parto. Viva San Giuseppe!”.<br />
28
E INOLTRE….<br />
IN ORDINE ALFABETICO:<br />
RACCONTO<br />
dI CAPPADONIA LO DATO FRANCESCA<br />
Durante la mia infanzia non esisteva il televisore.<br />
Ci riunivamo davanti al braciere.<br />
Insieme ai cugini organizzavamo qualche gioco:<br />
con la palla, legando dei vestiti vecchi;<br />
con i bottoni, lanciandoli per terra dentro un quadrato disegnato col gesso;<br />
con le bambole di pezza;<br />
con la “ciammarita”, fatta da un pezzo di mattone, che veniva lanciato il più<br />
vicino possibile a una riga sul marciapiedi.<br />
Ora i bambini giocano in modo diverso:<br />
computer, playstation e altri giochi elettronici.<br />
Paragonando quei periodi a questi, prima i giochi si inventavano, oggi sono<br />
già creati.<br />
29
LO SBARCO SULLA LUNA<br />
dI DI GREGORIO ANTONINA<br />
Antonio aveva fatto tardi.<br />
Come al solito si era attardato a giocare sul piazzale della chiesa come faceva<br />
tutti i giorni. Il tempo gli era volato come sempre ma proprio quella sera non<br />
avrebbe voluto far venire buio giocando per cui ora si stava avviando di buon<br />
passo verso casa arrabbiato e preoccupato per due motivi. Il primo e il più<br />
importante era che di sicuro, visto il ritardo, non gli avrebbero permesso di<br />
guardare alla televisione lo sbarco sulla luna dei tre astronauti americani, il<br />
secondo era che avrebbe sicuramente ricevuto il solito liscio e busso e magari<br />
avrebbe saltato pure la cena, e stava morendo dalla fame.<br />
Ninuzzo come lo chiamavano in famiglia aveva quasi undici anni ed era un<br />
ragazzino vivace e curioso della vita, sempre a fare domande su questo e su<br />
quello, come funziona? Posso smontarlo? Quando casualmente posava le mani<br />
su qualche cosa, inavvertitamente, quasi senza accorgersene lo aveva già<br />
ridotto in mille pezzi, rompendolo completamente. Era affascinato dallo<br />
spazio, dagli astronauti, dal cosmo in generale e soprattutto dall’idea che da<br />
grande avrebbe esplorato l’universo intero.<br />
Appena mise piede in casa restò ammutolito.<br />
La tavola era apparecchiata per sei persone e loro in casa erano quattro.<br />
La madre che portava il lutto da oltre un anno per la morte di un fratello stava<br />
parlando a bassa voce con la sorella, la zia Filuccia che anch’essa vestiva di<br />
nero per lo stesso motivo. Come mai si trovava lì, perché era venuta da<br />
Termini? Forse per lo sbarco? Nel piccolo salotto lo zio Salvo, marito della<br />
zia, stava seduto in silenzio.<br />
Papà non era ancora arrivato e sua sorella Marinella nemmeno e questo era<br />
molto strano perché si faceva sempre trovare in casa quando rincasava il<br />
padre, ben conoscendo la reazione qualora non la avesse trovato.<br />
Il televisore spento. Come… spento? Inammissibile.<br />
- Mamma, la televisione!!!!!!, c’è lo sbarco sulla luna, tu scurdasti? –<br />
- Quale televisione e televisione, corri a lavarti e zitto che non è<br />
momento….. –<br />
- Non è giusto….. dai accendiamo…….. magari già sbarcano….. non me<br />
lo voglio perdere……-<br />
- Pi piaceri curri a lavariti e muto che a testa mi sta scoppiando….. u<br />
capisti?.- gli urlò isterica.<br />
Zitto zitto e piangendo Ninuzzo si avviò nel piccolo bagno a lavarsi le mani.<br />
- Marinella dov’è? Mà…… u sintisti….. unnè Marinella? –<br />
Nessuna risposta.<br />
Mentre si asciugava le mani sentì che il padre Giuseppe era entrato in casa.<br />
30
- Chi succirì, picchì si trova cà ta soru? Forse tua madre……-<br />
- Me matri è a Termini a casa e sta bene, non ti preoccupare, chiuttosto<br />
assettati…… un ti scantari nenti succirì, nenti succirì…. - E sbotto a<br />
piangere.<br />
- Il fatto è Giuseppe che…..- lo zio Salvo comparve come per magia dal<br />
salotto che era al buio – quando si hanno figlie femmine le disgrazie<br />
cominciano nel preciso momento che vengono al mondo, loro fanno,<br />
sfanno e non si preoccupano di dare dispiacere al padre e alla madre e<br />
alla famiglia intera……-<br />
Giuseppe ebbe un lampo rivelatore…….<br />
- Marinella…… dov’è? ..Che mi vuoi dire? Che mi stai dicendo?...... E’<br />
quello che penso io?......<br />
- Si Giuseppe, è come pensi tu, Marinella si ni fuì cu Pietro. – Le parole<br />
gli uscirono a spintoni.<br />
Fu il patatrac. I piatti e i bicchieri sibilarono da tutti i lati andando a<br />
frantumarsi in ogni dove, i presenti abbassarono la testa coprendosi con le<br />
braccia e solo per un fortuito caso non venne colpito al volto proprio Ninuzzo<br />
che aveva deciso di uscire dal bagno, già piangendo.<br />
Saruccia non osò neppure alzare lo sguardo verso il marito che sicuramente<br />
l’avrebbe accusata quanto meno di complicità, già perché a lei Pietro piaceva<br />
e lo aveva sempre rimproverato quando lui apostrofava la figlia ricordandole<br />
che se l’avesse vista solo parlare con lui l’avrebbe riempita di timpulati e di<br />
cauci ‘nto culu, pure in chiesa, all’occorrenza.<br />
Raccattava da terra i cocci e piangeva.<br />
Ninuzzo si rannicchiò vicino alla porta che era stata chiusa ed osservava<br />
impaurito. Gli mancava la sorella che in quella circostanza lo avrebbe<br />
abbracciato.<br />
Marinella che di anni ne aveva quasi sedici non aveva mai chiesto poi chissà<br />
cosa, a lei sarebbe bastato poter prendere un gelato con Pietro e magari<br />
chiacchierare passeggiando, forse non era neppure innamorata. Certamente<br />
però il comportamento categorico ed autoritario del padre avevano scatenato<br />
in lei la visione del grande amore e ciò che era una semplice cotta si era<br />
trasformata dal divieto in una autentica fissazione, quasi una malattia, E<br />
quindi……<br />
- E ora che facciamo? –<br />
- Che dobbiamo fare<br />
- Quello che fanno tutti….-<br />
- E no bella mia, non in casa mia…. Per me era morta….. avevo una figlia<br />
e non ce l’ho più…<br />
- Ragiona Giuseppe, che la lasci in mezzo a una strada?-<br />
31
- Dpve si trova ora? A Termini a casa tua? Allora tienitela, tanto tu figli<br />
non ne hai….-<br />
Saruccia a quelle parole accennò a un lieve malore, dovuto più alla mancanza<br />
di aria nella stanza che ad un effettivo mancamento.<br />
- Eccola… tagliatela, si sente male, sulu chissà sai fare….. brava….<br />
Complimenti….. comunque non voglio sentire questioni, quello che ho<br />
detto ho detto, non mi interessa…. Non voglio sentire una parola. Chi<br />
sbaglia paga …. E basta…..- urlava incontrollato.<br />
Ninuzzo ormai divorato dalla fame asservava la scena che ora si prolungava<br />
da oltre un’ora, le stesse parole, gli stessi gesti, gli stessi sguardi, nessuno<br />
capitolava, il padre non cedeva, la madre si sentiva male un po’ si un po’ no,<br />
la zia cercava di mediare, lo zio muto e scazzato.<br />
Di mangiare nessuno parlava, la pasta condita nella padella era lievitata e<br />
aveva cambiato colore, era diventata pallida come mamma.<br />
Fu tentato di passare sotto il tavolo e senza farsi vedere accendere il<br />
televisore, gli fosse riuscito di tenere a zero il volume forse non se ne<br />
sarebbero nemmeno accorti. Sempre se non era tutto già finito…..<br />
Vi rendete conto? Si stava perdendo lo sbarco sulla luna, tutta colpa di<br />
Marinella che era scappata di casa con quel Pietro che non gli comperava un<br />
gelato nemmeno morto. Maledetti tutte e due.<br />
- Se la cosa ti può interessare, viri ca a carusa non fece niente di male, me<br />
lo giurò e io stanotte li feci dormire separati, ancora non è successo<br />
niente…. Anche ora sono con la nonna, non li lasciamo soli.-<br />
- Nenti? E tu pensi che la gente ci criri? Oppure pensi che io ci credo? Mi<br />
fai accussi fissa? …. E poi cosa vuol dire stanotte, da quando manca di<br />
casa?.... Tu sei complice, tu lo sapevi… tu eri d’accordo….. figghia di<br />
buttana…..ora fai finta di svenire……- e fece per colpire la moglie che<br />
prontamente si allontanò dal tiro.<br />
Salvo lo trattenne – Calmati, nessuno sa niente ancora…… i carusi si<br />
presentarono verso mezzanotte, che dovevo fare? Dimmelo tu che dovevo<br />
fare…….-<br />
- Mi state facendo la sceneggiata tutti quanti… Tutti d’accordo eravate!!!!<br />
- rivolgendosi alla moglie - Ti ni poi iri cu ta figghia!!!!!! E tu Salvo…..<br />
come parli bene…. proprio bene… bravo bravissimo!!!!..... nessuna sa<br />
niente? Tuttu u paisi u sapi, donna Nunziatina si sta pigghiannu u friscu<br />
da quannu arrivaiu, e di sicuru un si ni trasì….. belle parole…… nuddu<br />
sapi nenti…….-<br />
- Certu pi comu griri tu, si misu ca griri ca ti sentunu finu ‘nta chiazza. . lo<br />
riprese Filaccia.<br />
- Bravi… proprio bravi…. Ora la curpa è mia….. certo la colpa è mia….. perché<br />
difendo l’onorabilità della famiglia….. io travagghiu comu un curnuto e guarda<br />
32
come vengo ricambiato…. Che non si presenti più davanti ai miei occhi…. E<br />
ora itivinni tutti… tutti quanti…. E tu Ninuzzu va cùrcati sennò pigghiu u<br />
cinturino….. –<br />
- Io voglio vedere lo sbarco sulla luna……-<br />
- Che luna e luna…. Te lo vedi domani…..-<br />
- Ti pare che ci vanno tutti i giorni sulla luna?.... – ora il piccolo singhiozzava<br />
disperato.<br />
- Ti dissi va cercati…. – lo sguardo minaccioso.<br />
Antonio in un batter d’occhio sparì.<br />
- U carusu arraggiuni avi, c’era lo sbarco sulla luna stasera… - Salvo disse quasi<br />
tra sé e sé.<br />
- Che mi interessa della luna…. Che mi porta la luna a me?... e a te che ti<br />
porta?... – già la voce di Giuseppe calava di tono.<br />
La stanchezza a poco a poco vinse i nostri quattro che si trovarono seduti al tavolo<br />
rimesso in qualche modo in ordine. Le donne in silenzio prepararono un caffè. Gli<br />
uomini aprirono la porta e assaporarono in silenzio la brezza che finalmente<br />
giungeva. Sembrava una veglia funebre. Tutto silenzio e sospiri.<br />
Dopo un po’:<br />
- Certo ….. se ci ragioniamo bene….. oggi gli uomini sbarcano sulla luna e noi<br />
siamo qua come se avessimo un morto in casa…… cose da medioevo…… qua<br />
le cose non cambiano mai…. Il mondo intero cambia….. ma noi no…. Noi<br />
pensiamo alla gente…… come ci giudica la gente…… quando impareremo? –<br />
Salvo l’intellettuale disse le uniche parole.<br />
Nessuno rispose.<br />
Marinella si sposò quattro mesi dopo. Giuseppe l’accompagnò all’altare orgoglioso<br />
di una figlia così bella e non ancora incinta, sollevato del peso che si era tolto, ora<br />
alla figlia ci avrebbe pensato il marito, erano fatti suoi. Aveva passata la palla.<br />
Antonio si perse lo sbarco sulla luna ma sognò di essere lui stesso l’astronauta che<br />
camminò per primo sul suolo lunare e si convinse che in futuro, da grande, l’avrebbe<br />
fatto per davvero.<br />
33
LA FORZA DELL’AMORE<br />
dI LEONARDO GAGLIO<br />
Un giorno come tanti altri, svegliato dalla leggera brezza mattutina, lasciai le calde<br />
lenzuola e mi diressi verso la cucina per controllare l’ora. Era ancora molto presto,<br />
così decisi di prendermela con comodo; dopo essermi lavato e vestito, mangiai con<br />
piacere una brioches ma, mentre ero trasportato dall’inebriante gusto di quel<br />
fantastico cibo,scoprii che forse era arrivata l’ora di prendere lo zaino e dirigermi a<br />
scuola. Dopo aver percorso i pochi chilometri che dividevano la mia casa dalla mia<br />
meta, arrivai a scuola puntuale come sempre.<br />
Giunto in classe, solo come di consueto, posai lo zaino e mi sedetti; dopo pochi<br />
secondi la visione di un bel gruppo di scolari diretti verso il fondo della classe, fu<br />
accompagnata dall’assordante rumore di un branco di bufali inferociti e dal suono<br />
della campanella che dava inizio alle lezioni.<br />
Appena la classe si riempì si sentirono i lievi passi della professoressa Pizzurro,<br />
stranamente accompagnati da altri. Quando la professoressa entrò, calò il silenzio;<br />
dietro di lei comparve un’altra ragazza che però non notai subito. La professoressa,<br />
dopo essersi schiarita la voce, disse<br />
- “ Cari alunni, sono lieta di presentarvi la vostra <strong>nuova</strong> compagna, Chiara!” poi si<br />
rivolse a lei e disse : “ Chiara, puoi sederti lì ”.<br />
Subito dopo cominciai a scarabocchiare la copertina del libro che avevo davanti a<br />
me, ma una dolce voce mi distrasse:<br />
- “ Scusa, posso? ”<br />
Alzai gli occhi e vidi quello che alla prima impressione mi sembrò un angelo; mi<br />
diedi un pizzicotto per capire se sognavo, ma quella ragazza bionda con gli occhi<br />
azzurri così simile ad un corpo celestiale, stava davanti a me, immobile in attesa di<br />
una risposta.<br />
Così precipitosamente le dissi :<br />
- “Si, fai pure, per me è un piacere”.<br />
Lei si sedette vicino a me ed un profumo dolce e sincero mi avvolse. In seguito<br />
cominciai a parlarle con dolcezza, fino ad allora non ero mai stato romantico con<br />
nessuno, ma quelle parole mi scivolano dalla bocca naturalmente.<br />
Per la prima volta nella mia vita provavo per una ragazza qualcosa di straordinario<br />
che mi prendeva allo stomaco e che poi mi saliva fino alla gola, qualcosa che mi<br />
faceva gelare le mani quando le parlavo ma non sapevo cos’era così decisi di<br />
confidarmi con la mia migliore amica : Ginny.<br />
-“ Ciao Ginny”<br />
- “ Oh, ciao Leo è un bel po’ che non ci si vede”<br />
- “ Ginny, volevo un consiglio da te”<br />
- “ Dai, dì pure, sono tua amica”<br />
- “ Conosci Chiara, la <strong>nuova</strong> arrivata?”<br />
- “ Si”<br />
- “ Sai quando sono con lei è come se qualcosa dentro di me………”<br />
- “ Amore”<br />
Stupito e con la bocca spalancata dissi :<br />
- “ Cosa ?!??!?!”<br />
- “ Sei innamorato di Chiara e ti convieni che ti sbrighi a dirglielo mancano solo<br />
pochi giorni all’inizio delle vacanze natalizie. Ora mi dispiace, devo andare, è<br />
34
tardissimo mia madre mi sgriderà. Scusa , ciao Leo” disse Ginny mentre scompariva<br />
tra la nebbia di quella scura strada.<br />
- “ Ma Ginny, sono……” Era ormai troppo lontana e non poteva sentirmi.<br />
Il giorno dopo, alla fine delle lezioni dissi a Chiara:<br />
- “ Senti Chiara, devo dirti una cosa”<br />
- “ Di pure” disse Chiara fissandomi con i suoi occhi azzurri.<br />
- “ Hem…allora….hai già fatto i compiti per oggi?”<br />
- “Si, ma dovevi dirmi solo questo?” disse chiara sorridendo.<br />
- “ Certo….”<br />
- “ Allora ci vediamo”<br />
Appena la sua immagine scomparì presi a rimproverarmi domandandomi perché ero<br />
stato così stupido e alla fine tornai a casa sconfitto.<br />
I giorni seguenti provai a rivelare i miei sentimenti a Chiara, ma ogni volta sviavo il<br />
discorso su cose banali facendo la figura dello stupido. Le vacanze natalizie erano<br />
cominciate e le occasioni per parlare con Chiara erano ormai terminate. Trascorsi<br />
tutte le vacanze chiuso in camera mia, a nuotare tra i miei pensieri, tra i miei quesiti e<br />
tra i miei sensi di colpa.<br />
La vigilia di Natale decisi di andare in giro per le vie del paese per comprare qualche<br />
regalo, mentre girovagavo, mi ritrovai davanti al mio negozio preferito di strumenti<br />
musicali ad ammirare gli addobbi: rametti di vischio disposti sopra la vetrata e la<br />
porta d’ingresso e, agrifoglio e luci coloratissime abbellivano tutte le pareti. Ma<br />
mentre ammiravo cotanta bellezza qualcuno mi chiamò, mi girai bruscamente e vidi<br />
Chiara. La sua bellezza era tale che quegli addobbi non mi sembravano più così belli.<br />
Chiara sorridente come sempre mi disse :<br />
- “ Ciao, che fai da queste parti?”<br />
Timidamente risposi: “Compere…”<br />
Calò il silenzio per pochi secondi ma poco dopo Chiara, indicando gli addobbi sopra<br />
la mia testa, disse:<br />
- “ Vischio”<br />
Io non risposi, ero gelato dalla timidezza, ma poco dopo fui avvolto da un’inebriante<br />
calore: Chiara mi aveva baciato. Il calore si propagava dalle labbra fino a riscaldare<br />
tutto il mio corpo. Le mie mani si mossero e mi ritrovai amorosamente abbracciato<br />
alla ragazza che desideravo più di ogni altra cosa. Era stupendo.<br />
Dopo pochi minuti staccò dolcemente le sue dolci labbra dalle mie e mi guardò.<br />
- “Questo è un si alla domanda di fidanzamento che ti dovevo fare da qui a poco?”<br />
- “Si” e mi ribaciò riappoggiando con altrettanta dolcezza le sue labbra sulle mie. In<br />
quello stesso istante capii che un piccolo bacio poteva racchiudere l’amore più<br />
grande; infatti dopo quel bacio ne seguirono molti altri accompagnati da un grande<br />
amore finchè mi ritrovai davanti all’altare a baciarla come la prima volta.<br />
I giorni dopo il matrimonio furono stupendi ma una sera mentre eravamo sul nostro<br />
letto una frase mi stranizzò :<br />
- “ Senti Leo, devo dirti una cosa ma prendila diciamo come un consiglio che<br />
metterai in pratica al momento giusto. Se un giorno non troverai più il calore nelle<br />
mie labbra sappi sempre che sarò acconto a te, non ti lascerò mai. Basterà cercarmi,<br />
quando tu vorrai mi troverai.”<br />
- “ Chiara, perché dici queste cose? Abbiamo una vita davanti a noi piena d’amore e<br />
felicità”<br />
Chiara non rispose e si girò dall’altra parte come se si fosse addormentata mentre io<br />
le parlavo. Allora presi ad abbracciarla ma poco dopo il sonno trascinò anche me.<br />
35
L’indomani mattina i raggi del sole entravano dalla finestra illuminando pian piano il<br />
mio viso mentre il sole si alzava su nel cielo. Quando mi svegliai mi ritrovai in una<br />
tarda domenica mattina soleggiata; mi rivolsi verso Chiara per svegliare anche lei con<br />
un lieve bacio ma…….<br />
- “ Nooooooooo!!!!!!!”<br />
Più volte tentai di svegliarla ma non dava alcun segno di vita. Non volevo crederci, la<br />
sera prima parlavamo insieme ed adesso lei giaceva ormai fredda accanto a me. Dissi<br />
alla donna di servizio, con la voce tremante di andare a chiamare qualcuno perché<br />
Chiara stava male.<br />
Mi sedetti a terra. Vidi fiumi di gente che mi parlavano, correvano, strillavano,<br />
chiamavano. Immagini sfocate mi sfrecciavano davanti agli occhi poi alla fine calò il<br />
silenzio, solo due o tre persone restarono intorno a me. Quando misi a fuoco le<br />
immagini vidi alcuni miei parenti continuare ad andare avanti. Ma io non ero<br />
d’accordo.<br />
Era soltanto un incubo, uno stupido incubo e fra poco Chiara mi avrebbe svegliato<br />
portandomi la solita tazzina di caffé. Da lì a poco capii che erano passati diversi<br />
giorni e il corpo di Chiara era già stato seppellito, ma non mi preoccupavo: era<br />
soltanto un sogno. Un pomeriggio vidi le persone che erano state accanto a me,<br />
andarsene distrutte. Io restai, non so per quanto tempo, lì dov’ero ma ben presto<br />
dovetti accettare la realtà: Chiara non era più vicino a me e questo fu il colpo più<br />
atroce. Stavo impazzendo, volevo distruggere tutto, nulla aveva più senso senza di<br />
lei. Restai solo con il mio dolore. Sentivo che per me non ci sarebbe stata più né gioia<br />
né felicità.<br />
Passarono parecchie settimane finché, chiuso nel mio dolore e pensando a lei,<br />
ricordai le parole che mi aveva detto poco prima di morire “ Se un giorno non<br />
troverai più il calore sulle mie labbra, sappi sempre che sarò accanto a te, non ti<br />
lascerò mai, basterà, quando tu lo vorrai, cercarmi e mi troverai”.<br />
Vidi uno spiraglio di speranza nel mio cuore.<br />
Pensai intensamente a lei, mi alzai e toccai il vuoto: un varco sembrò aprirsi ed una<br />
luce abbagliante mi avvolse, intravidi il viso roseo di Chiara che sorridente mi disse:<br />
“Finalmente hai trovato in te la forza dell’amore! Quando tu vorrai, mi troverai.<br />
Ricordi? Eri così distrutto dal dolore che non hai pensato a me, alle mie parole.”<br />
La riabbracciai e la baciai mentre un fiume di lacrime scendevano sul mio viso.<br />
*<br />
Non so se la voglia di rivedere chiara mi abbia portato ad avere allucinazioni d’amore<br />
o se il Signore mi diede la grazia di rivedere Chiara per l’ultima volta.<br />
Sono sicuro che anche voi siete avvolti nel dubbio……<br />
Io posso dire soltanto che quel l’incontro mi aiutò ad andare avanti.<br />
36
INDELEBILI RICORDI DELLA SECONDA GUERRA<br />
MONDIALE<br />
dI LILIANA MAMO RANZINO<br />
Quello che sto per raccontare è un pezzo di storia della mia vita, la testimonianza di<br />
una bambina di appena cinque anni e il cui ricordo dei fatti è rimasto indelebile nella<br />
mente. Così, mettendo in carta ciò che sto per raccontare è come fare una<br />
confessione, come liberarmi da qualcosa che mi porto dentro da più di 60 anni,cioè<br />
dalla seconda guerra mondiale e quando si parla di guerra è parlare di tutto. Alcuni<br />
episodi tristi che ivi sulla tua pelle, in prima persona, ti lasciano un segno per tutta la<br />
vita, ti fortificano, ti rendono più umani, più comprensivi dell’altrui sofferenza. Noi<br />
tutti, purtroppo,<br />
ai nostri giorni quotidianamente siamo tempestati da immagini di guerra che infuria<br />
in ogni parte del mondo, ma questo ci porta all’abitudine, quindi all’indifferenza. Io,<br />
invece rimango sempre più sconvolta e coinvolta, perché la guerra l’ho vissuta con<br />
tutte le ansie e paure di una bambina. Siamo nel 1940, anno in cui l’Italia viene<br />
coinvolta nella seconda guerra mondiale e così mio padre maresciallo di finanza,<br />
messosi in congedo ancora giovane, a causa della mia nascita a Nardò in Puglia e di<br />
un contemporaneo trasferimento nel trentino Alto Adige, è stato richiamato.<br />
Indossata la divisa fu costretto a partire lasciando me e mia madre da sole a Catania.<br />
Intanto la guerra si faceva sempre più sentire specie nelle grandi città. Così anche<br />
Catania veniva tempestata dai bombardamenti e quasi ogni notte al suono assordante<br />
delle sirene, ancora ben chiaro nella mente, ci si doveva alzare dal letto e correre a<br />
riparo nel rifugio sottostante il nostro palazzo.<br />
Ricordo benissimo lo sforzo sovrumano di mia madre, piccola donna, nel dover<br />
portare me in braccio e trascinarsi dietro l’ottuagenaria zia Rosina che abitava con<br />
noi. Giunti nel rifugio, rischiarato appena dalla fioca luce di una candela, circondati<br />
da moltissimi sacchi di sabbia, ci ritrovavamo in tanti soprattutto donne, vecchi e<br />
bambini. Vedevo molte donne che pregavano tenendo in mano il rosario e così fin da<br />
piccola è incominciato a farsi strada nel mio cuore il più alto dei sentimenti: la<br />
FEDE.<br />
Ed ecco, come la guerra con la sua terribile faccia, sia capace di far nascere alti<br />
sentimenti verso DIO e verso il prossimo. In questi tristi momenti ci si sente<br />
accomunati e quindi più solidali e comprensivi delle altrui sofferenze. Spesso,<br />
parlando con i miei figli e nipoti, mi compiaccio di definirmi “figlia della guerra”.<br />
Riprendo il discorso della mia narrazione e così dopo circa un anno di sacrifici e di<br />
lontananza mio padre, dopo aver ottenuto un permesso straordinario, segretamente è<br />
riuscito a portarci con sé a Castelluzzo una frazione di San Vito Lo Capo in provincia<br />
di Trapani e dove appunto prestava servizio. Siamo giunti a destinazione dopo un<br />
avventuroso viaggio in treno durato quasi due giorni. I nostri bagagli erano due sole<br />
valige, legate fuori dal treno ed anche mio padre era afferrato ad una maniglia fuori<br />
dal treno, mentre io, mia madre e la vecchia zia, abbiamo trovato posto dentro un<br />
vagone di terza classe pigiate come sardine. Io addirittura sono stata sistemata sul<br />
portabagagli. Giunti a Trapani e da lì con una corriera d’altri tempi a Castelluzzo.<br />
Qui siamo stati ospitati da una famiglia terriera benestante che ci ha messo a<br />
disposizione la migliore stanza, quella dei ricevimenti, come la chiamavano loro, e<br />
37
che si è trasformata subito in camera da letto e in cucina separata da una tenda, il<br />
gabinetto era in comune con i proprietari. E’ proprio a Castelluzzo che ho aperto gli<br />
occhi alla mia vita. Qui ho incominciato ad amare la natura, perché ero in mezzo alla<br />
campagna; ho incominciato a seguire le varie fasi delle stagioni, ad apprezzare i frutti<br />
del faticoso lavoro del contadino.<br />
Ho assistito direttamente alla semina, alla mietitura del frumento, alla macina del<br />
grano e alla lavorazione del pane fatto in casa. Ho partecipato alla vendemmia, alla<br />
pigiatura dell’uva, alla raccolta delle ulive e alla spremitura. Ho incominciato ad<br />
amare tutti gli animali e soprattutto i cani. Proprio a Castelluzzo ho ricevuto in dono<br />
all’età di sei anni, la mia prima cagnetta Fosca dalla quale non mi sono più staccata<br />
fino alla mia venuta a Cefalù. Sempre a Castelluzzo ho iniziato a frequentare la<br />
scuola elementare, una pluriclasse. Ho avuto i primi compagnetti di scuola e anche di<br />
gioco e ho incominciato a socializzare con gli altri bambini.<br />
In questo luogo in mezzo alla campagna, effettivamente l’eco della guerra era lontana<br />
e si viveva una vita un po’ disagiata per noi che venivamo da una città, privi d’ogni<br />
comodità e persino dalla luce. Si usavano, infatti, le candele ad olio. Il lume a<br />
petrolio e l’acetilene. In compenso, però si viveva una vita serena, salubre, piena di<br />
calore umano, d’affetti familiari e soprattutto al sicuro dai bombardamenti.<br />
Ma, dopo due anni, le cose, improvvisamente cambiarono, con tanto dispiacere<br />
abbiamo dovuto lasciare Castelluzzo, tutto il mio mondo, per un trasferimento di mio<br />
padre a Finale di Pollina. Così, dopo un altro viaggio avventuroso e disastroso siamo<br />
giunti appunto a Finale, una frazione di Pollina, un luogo strategicamente molto<br />
importante. Ed ecco che qui la guerra si è fatta sentire incutando in tutti paura e<br />
terrore. Ogni pomeriggio si sentivano le raffiche di mitra che gli americani<br />
sferravano dagli aerei contro il treno passeggeri. Ogni notte si udivano i richiami<br />
insistenti e lamenti strazianti dei poveri soldati di marina che invocavano aiuto dopo<br />
che la loro nave era stata affondata, ma ogni richiamo cessava dal momento che il<br />
mare era diventata la loro definitiva tomba. Ricordo le immagini raccapriccianti di<br />
alcuni marinai che il mare riporta a riva con la testa e la pancia molto gonfia. A<br />
Finale già avevo otto anni e quindi frequentavo la terza elementare anche qui in una<br />
pluriclasse e ricordo la maestra Elvira che a dorso di mulo scendeva tutte le mattine<br />
da Pollina. Anche a Finale una piccola frazione con poche anime e poche casupole ho<br />
avuto modo di crescere in fretta, di sentirmi più matura dei miei otto anni, perché<br />
sono venuta a contatto con gente più grande di me, quali ufficiali dell’esercito amici<br />
di mio padre, guardie di finanza, gente anziana del luogo soprattutto donne, dalle<br />
quali ho avuto modo di apprendere usi, costumi e tanta umanità. Il momento più<br />
intenso della guerra l’ho vissuto, quando è avvenuto lo sbarco degli americani, che<br />
sono sbarcati proprio sulla spiaggia di Finale. C’è stato un momento di grande<br />
confusione generale. L’esercito si è sfasciato, i militari si sono tolta la divisa e in<br />
abiti borghesi si sparpagliavano per la campagna nascondendosi nelle grotte. Anche<br />
mio padre si è tolta la divisa e così mia madre, io e l’anziana zia e tante altre persone,<br />
come dei latitanti, ci siamo messi in fuga per le campagne del territorio di Pollina. La<br />
notte, le donne e i bambini dormivano dentro le grotte oppure dentro i pagliai dei<br />
pastori, mentre gli uomini dormivano fuori. Di giorno, mentre ci arrampicavamo per i<br />
viottoli, quando venivamo avvistati dagli aerei venivamo mitragliati. Ed ecco che<br />
improvvisamente c’è stato un mitragliamento a bassa quota, mio padre ha ordinato a<br />
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tutti di metterci a pancia in giù e così abbiamo evitato il peggio. Mentre venivamo<br />
mitragliati, ricordo che la mia cagnetta Fosca che ho portato sempre con me da<br />
Castelluzzo, ha avuto un ripetuto sobbalzo che ho avvertito benissimo, perché per<br />
proteggerla le tenevo una mano sul dorso. Intanto noi ci siamo ritrovati coperti da un<br />
manto di foglie di carrubo che erano state strappate dai rami dalle raffiche del<br />
mitragliatore. Un momento ancora più tragico è stato quando dopo una settimana di<br />
girovagare per la campagna, soffrendo la fame, la sete e il caldo, ci è stato annunziato<br />
da una persona che veniva da Finale che gli americani erano finalmente sbarcati.<br />
Allora mio padre stese sull’imboccatura del pagliaio dove eravamo rifugiati un<br />
quadrato di tela bianca in segno di arresa. Ma, quale fu la nostra amara sorpresa nel<br />
trovarci improvvisamente davanti due esacerbati soldati tedeschi in ritirata, i quali<br />
con il mitra in mano ci hanno inveito nella loro lingua puntandocelo<br />
minacciosamente in faccia. Allora mio padre persona molto sensibile, capita<br />
l’antifona, tolse immediatamente quel quadrato di tela bianca giustificandosi che<br />
altro non era che un pannolino messo ad asciugare e indicò appunto un neonato che<br />
fortunatamente una madre teneva fra le braccia. Con l’aiuto del Buon Dio i due<br />
tedeschi si allontanarono farfugliando e così noi fummo tutti salvi. All’imbrunire<br />
siamo giunti finalmente a Pollina, un paesino arroccato a circa 800 metri, dove<br />
abbiamo ricevuto una calorosa accoglienza da parte del Sindaco amico di mio padre e<br />
da parte di tutti gli abitanti. E fu proprio a Pollina che ho visto i primi soldati<br />
americani che non sembravano affatto soldati invasori, ma dei veri liberatori perché<br />
si distinguevano per la loro gentilezza, umanità e generosità verso la popolazione. E<br />
fu a Pollina che bambina piena di contentezza ho potuto portare la prima sigaretta di<br />
buon tabacco a mio padre che insieme ad altri aveva fumato persino le foglie di<br />
melanzane. Avvenuto lo sbarco degli americani che ormai chiamavamo alleati, mio<br />
padre ha indossato di nuovo la divisa, ha ripreso il suo servizio e siamo venuti a<br />
Cefalù e ricordo un momento molto emozionante, quando mio padre con la fascia<br />
bianca al braccio con le lettere P.M. dal balcone del palazzo Comunale insieme al<br />
Maggiore degli alleati ha annunciato a tutta la popolazione che finalmente si poteva<br />
macinare di nuovo il grano. Io vivo a Cefalù dall’età di nove anni, qui ho continuato<br />
gli studi; a Cefalù mi sono sposata, qui sono nati i miei figli e nipoti, qui ho insegnato<br />
e così che considero Cefalù non la mia seconda patria, ma la mia vera terra.<br />
Una mia personale considerazione sulla guerra è quella che ogni guerra ha due facce,<br />
per chi la vive veramente può sperimentare la faccia del dolore, della distruzione,<br />
della desolazione, ma anche quella della speranza, della ricostruzione e quella più<br />
importante di saper forgiare l’uomo facendolo diventare più comprensivo e rispettoso<br />
verso DIO e verso il prossimo.<br />
Con la famiglia sono stata costretta a rimanere a Cafalù, perché pochi giorni prima<br />
dell’entrata degli americani, la nostra casa di Catania è stata distrutta da un terribile<br />
bombardamento.<br />
39
ASPETTANDO LEI<br />
dI AGOSTINO MOSCATO<br />
L’acqua della doccia cade sul mio corpo come una pioggia primaverile, è calda,<br />
scorre velocemente dalla testa ai piedi dandomi una sensazione di benessere su tutte<br />
le membra stanche. Mi piace soprattutto sentire l’acqua sulla testa e sulla schiena, mi<br />
rilassa in modo straordinario dopo una giornata faticosa, stressata dal frenetico ritmo<br />
della vita quotidiana.<br />
Quando faccio la doccia non penso a niente, rimango concentrato indugiando sulla<br />
calda pioggia che bagna ogni piccola parte del mio corpo e, come un fiore che viene<br />
innaffiato dopo tanto tempo, mi rivitalizzo sentendomi addosso una piacevole<br />
sensazione di freschezza.<br />
Adesso il mio corpo sembra immerso in una fragranza di freschi odori che mi fa<br />
sentire veramente pulito. Mi sono lavato così a lungo da percepire la netta sensazione<br />
di aver reso tersa anche la mia anima! Certo sarebbe troppo semplice sbarazzarsi<br />
delle colpe che albergano dentro di noi con un getto d’acqua.<br />
Guardo l’orologio e, nel silenzio assoluto in cui è avvolta la stanza, riesco a sentire il<br />
rumore della lancetta dell’orologio che scandisce i secondi, ho l’impressione di<br />
percepire il divenire del tempo. Nella mia mente il tempo si concretizza e riesco a<br />
vedere i secondi che vivono, transitano nel mio corpo e li identifico. Pura<br />
immaginazione!<br />
Mi muovo nella stanza nell’impaziente attesa che arrivi Lei, da tanto tempo aspetto<br />
questo momento! Probabilmente l’agitazione dell’attesa mi fa vedere il tempo.<br />
Manca ancora mezz’ora al nostro appuntamento, mi sembra un’infinità, giro per casa<br />
senza sapere che fare, anche perché non riuscirei e non potrei far nulla.<br />
Quando aspetto Lei avverto un buco nello stomaco e non riesco a compiere nessun<br />
gesto sensato, mi accingo a leggere e ottengo solamente un tremolìo della gamba,<br />
solitamente la destra, sfoglio le pagine senza neanche guardarle.<br />
L’unica cosa che riesco a fare è mangiare, in questi momenti mangerei senza<br />
interruzione, è come se il cibo riesca riempire il vuoto che ho dentro lo stomaco reso<br />
sempre più profondo dall’emozione. Non posso mangiare del formaggio, tra poco Lei<br />
sarà qui e magari sente il puzzo caprino nelle mie labbra impregnate da quel pezzo di<br />
pecorino che ho dentro il frigorifero. Meglio evitare, è il primo incontro a casa mia e<br />
non vorrei dare l’impressione dello zotico. Potrei mangiare della frutta, ma no, è<br />
meglio di no, sarebbe conveniente bere qualcosa di fresco in modo da lasciare l’alito<br />
profumato e farglielo sentire quando i nostri volti saranno molto vicini, ecco bevo<br />
subito un bicchiere d’acqua e anice così mi sento completamente a posto.<br />
Sono già le sette e ancora non suona il campanello. Non posso pretendere che arrivi<br />
puntuale, è sempre una donna, qualche minuto di ritardo si può concedere. C’è un<br />
problema, io sono da solo e non so più cosa inventarmi per trascorrere il tempo che<br />
mi rimane prima di poterla rivedere. Questo è l’unico caso in cui ho paura di stare da<br />
solo, la solitudine incombe minacciosa schiacciandomi in uno stato di abbandono in<br />
cui mi riverso nell’indugiare.<br />
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Solitamente sto molto bene da solo, è un momento di riflessione, di introspezione,<br />
ricercare la propria essenza per poi essere sicuri di poter incontrare altri simili senza<br />
nessuna preoccupazione, con serenità e senza timore dell’altro.<br />
Ma in questi momenti terribili non ho nemmeno la forza di produrre semplici<br />
pensieri, la mia mente si svuota ed è lo stesso vuoto che mi ritrovo nello stomaco, ed<br />
è la stessa emozione di sempre, quella che mi coglie allorquando devo incontrarmi<br />
con Lei.<br />
L’orologio, incurante delle mie smanie, continua senza tregua a scandire i secondi, i<br />
minuti che mi sembrano un’eternità. È già in ritardo di dieci minuti, più si avvicina il<br />
momento del suo arrivo, più il mio buco nello stomaco diventa una voragine. Mi<br />
sforzo di pensare a qualcosa di diverso, la mia fantasia non è molto feconda, questi<br />
istanti tormentati annullano la mia creatività, così l’immaginazione mi conduce a<br />
dipingere con i pennelli della memoria un suo ritratto.<br />
La mia fantasia si ferma immediatamente sui suoi capelli, sono neri come una notte<br />
senza luna, lucenti come un diamante colto da un raggio di sole. Sono belli i suoi<br />
capelli, morbidi e sinuosi, toccandoli si ha la sensazione di accarezzare fili di seta<br />
pregiata. Anche i suoi occhi sono luminosi, il colore delle pupille è comune a molte<br />
persone, ma la luminosità no, è come se avesse una lucciola per ogni occhio che mi<br />
incanta quando il mio sguardo incontra il suo. La bocca è piccola contornata da<br />
labbra vermiglie delicate come petali di rosa.<br />
È strano, ricordo benissimo ogni particolare del suo volto, ma non riesco a mettere<br />
insieme tutti i dettagli per immaginarmi il volto nella sua compiutezza. È come se un<br />
pittore sa dipingere benissimo singolarmente il naso, la bocca, gli occhi e non è<br />
capace di dipingere integralmente un volto. Cerco di capire il perché mi succeda un<br />
fatto così strano, eppure la vedo ogni giorno, la riconoscerei confusa tra mille<br />
persone, ma la mia fantasia riesce solamente a cogliere piccoli particolari frazionati.<br />
Sono trascorsi solo pochi minuti, credevo che il tempo si consumasse più in fretta<br />
pensando alla bellezza del suo viso, ma i miei pensieri non riescono a colmare<br />
l’ansiosa attesa.<br />
Allora percorro con la mente, è un esercizio che faccio spesso, il tragitto che Lei<br />
potrebbe fare per arrivare qui da me, calcolo tutti i tempi impiegati nell’ascensore,<br />
nel prendere la macchina. Mi vieni facile immaginare tutte le vie che potrebbe<br />
imboccare, ad ogni strada conto i secondi necessari per percorrerla, ecco adesso sono<br />
arrivato qui dietro l’angolo, sento una macchina che si avvicina, deve essere Lei, mi<br />
affaccio alla finestra e con grande delusione scopro che non è la sua macchina, devo<br />
aver fatto male tutti i calcoli di percorrenza. Ricomincio, la paranoia sta prendendo il<br />
sopravvento, soffermandomi qualche secondo in più lungo tutto il tragitto, magari c’è<br />
un po’ di traffico che l’avrà fatta ritardare. È un modo, questo, per tentare di<br />
ingannare l’emozione, sono talmente concentrato sul percorso che deve fare per<br />
venire a casa mia che non sento più il vuoto nello stomaco. Ad ogni rumore di<br />
macchina, però, ho un sussulto, e la profondità che ho dentro si dilata sempre più.<br />
Eccola, è arrivata sta scendendo dalla macchina, scorgo una gonna gialla e nera che<br />
copre fino ai ginocchi le sue bianche gambe, una camicia di un giallo molto luminoso<br />
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come il grano rischiarato dal caldo sole di giugno. Il nero dei suoi capelli è interrotto<br />
da un fermaglio a forma di fiore anch’esso giallo come la camicia.<br />
Sento il battito del mio cuore acquistare un’accelerazione inconsueta che dal petto mi<br />
sale fino alla gola, l’emozione fa fremere tutto il mio corpo, blocca le corde vocali<br />
con la paura che non possano vibrare al momento opportuno.<br />
Sta per suonare il campanello della porta, il suono elettrico ormai familiare diventa<br />
un frastuono insopportabile per le mie orecchie. Sono attimi in cui non si può pensare<br />
a niente, la morsa dell’emozione ti restringe la mente lasciandoti un piccolo spazio<br />
dove si possono percepire gli stimoli più semplici.<br />
Inspiro profondamente, come se dovessi affrontare un esame difficilissimo, ed apro<br />
la porta. Occhi chiusi, come quando faccio un tuffo al mare, li riapro<br />
contemporaneamente all’apertura della porta, Lei, finalmente, davanti a me, i raggi<br />
del sole che le restano dietro illuminano la sua immagine rendendola più bella e più<br />
allegra. I colori dei suoi vestiti sono resi più vivaci dal chiarore del giorno che sta per<br />
andarsene.<br />
Il tumulto del mio cuore sembra ormai placarsi, lentamente la frequenza cardiaca<br />
torna alla normalità, il vuoto nello stomaco, come d’incanto, colmarsi nel momento<br />
in cui guardo i suoi occhi così intensi, così iridescenti.<br />
Con un sorriso di complicità si avvicina lentamente, mi saluta offrendomi le sue<br />
labbra regalandomi un tenerissimi, caldo bacio.<br />
42
L’INCONFESSABILE ALEGGIA SUI TRENI<br />
dI KATIA OLIVIERI<br />
Sedersi in un antiquato vagone del treno Roma-Pescara con la vaga illusione di poter<br />
leggere, in tutta tranquillità, una rivista interamente coniugata al femminile, fu<br />
praticamente impossibile.<br />
Mi sedetti, sì, con quest’illusione presto infranta, visto che, accanto a me, sedeva uno<br />
sconosciuto che non aveva l’aria di rimanere tale.<br />
“Cosa legge di bello,signorina?”<br />
Di malavoglia mostrai la copertina. Ma la mia seccatura non apparve affatto palese,<br />
dal momento che lo sconosciuto, di cui vi ho poc’anzi detto, si dette subito da fare<br />
per ficcare il suo naso dappertutto.<br />
Le sue grosse nari respiravano en plein air su tutta la campagna della pagina ventitrè.<br />
E non smise di respirare neppure quando voltai pagina;anzi, il respiro parve farsi<br />
ancor più beato non appena intravide una ragazza, alla cui vista gli saltarono gli<br />
occhiali, quasi gli fossero d’impaccio, impedendogli di baciarla.<br />
“Uhm, graziosa, eh?”<br />
“Eh, già!”<br />
“Le somiglia,sa?”<br />
“Trova?” domandai. Non l’avessi mai detto!<br />
“Tanto tempo fa”, disse, “mi capitò d’incontrare una così”.<br />
Ma l’inflessione grave di quella mi diede una sensazione tutt’altro che superficiale.<br />
Non soleva trattarsi d’un fatterello. Pensai. L’inconfessabile aleggia sui treni.<br />
“L’ho amata tanto” disse.<br />
Dal finestrino sfrecciavano i pini, e qualche dispettoso cipresso non mancava di<br />
gettare nel marasma la tranquilla misura del verde. Una casa e poi un’altra stavano<br />
impiccate sopra un cucuzzolo, soleva trattarsi d’un paese: un traballante paese che si<br />
reggeva sopra le eliche del vento. In mezzo alla straordinaria e confusa vegetazione<br />
s’affacciavano e si nascondevano talune timide code d’acqua.<br />
“E poi”, gli chiesi, sollevando lo sguardo “com’è finita?”<br />
“Se n’è andata.”<br />
Sotto la rupe, una donna si dileguava come un ruscello, scompariva insieme allo<br />
sguardo dell’uomo, d’una sfumatura che non saprò mai dire.<br />
“Era mia nuora” disse,qualche istante dopo. “La moglie di mio figlio.”<br />
Il treno correva imperterrito divorando cielo, case e qualche cipresso; il treno correva<br />
ossequioso alla sua legge; il treno correva senza mai fermarsi.<br />
Parlava di lei, di lei che lo aspettava davanti ad un negozio di scarpe, in un’altra<br />
località, con due grandi occhi chiari, due occhi che fendevano il buio: tutto il resto<br />
stava sotto una sciarpa; o sotto un foulard, quando le sferze dell’inverno erano<br />
passate.<br />
“Anche lei mi amava” disse.<br />
Il treno correva senza accennare a fermarsi. Correva. L’uomo ebbe tutto il tempo di<br />
lasciarsi ai suoi inconfessabili ricordi, finché mi resi conto d’esser arrivata.<br />
Una voce femminile annunciava l’arrivo alla stazione d’Avezzano.<br />
“Ora le donne sono arruolate dappertutto” dissi.<br />
43
“Già” rispose.<br />
Ci salutammo di quell’addio che osa pronunziarsi solo nello sguardo. Misi un piede<br />
sul predellino, anzi lo saltai. Ero sulla banchina.<br />
Un fischio, e il treno riprese a correre con l’uomo e il suo segreto. A me non restava<br />
neppure il nome. Un uomo di cui tutto sapevo, senza conoscerlo. Chi mai avrebbe<br />
potuto giudicarlo? Io non mi sentivo proprio di farlo.<br />
Era meglio salire su un treno ch’entrare in chiesa, pensai. Si può essere di carne e<br />
ossa. E si può essere anche innamorati. Non c’è penitenza.<br />
Una donna anziana sedeva ad un a panchina. Dietro, il grande orologio segnava le<br />
dieci. La donna mi stava a guardare con tutta l’immobilità dei suoi occhi, pari alle<br />
lancette dell’orologio, non si muovevano neppure d’un secondo.<br />
Era lì, ferma, quell’anziana signora perbene, e nessuna supplica valse a far partire un<br />
treno.<br />
Un’ora sola restava prima che iniziasse lo sciopero.<br />
44
VERDEFOGLIA E IL PIRATA JOUNNO<br />
dI GIUSEPPE SETTEMBRE<br />
C’era una volta, un villaggio pacifico ed ospitale che stava festeggiando con gioia la<br />
nascita di una principessa.<br />
Il re Atomp camminava impaziente alla due estremità del salone reale del suo<br />
castello in cui attendeva al suono del vagito della bambina; alle sue spalle, una porta<br />
lo distanziava dalla camera da letto dove la moglie regina, Slitta, partoriva gemendo<br />
dolori con urli.<br />
La sua impazienza ebbe fine quando la porta si aprì ed uscì una delle sue dame che<br />
sorrideva lanciandogli sguardi,> esclamò esausta ma felice; il re<br />
cominciò a sorridere e corse incontro alla moglie lasciando tutti alle sue spalle, era<br />
così felice, la sua felicità aumentò non appena vide la bambina, era talmente bella che<br />
tutti i presenti piangevano di gioia.<br />
esclamò il re senza distogliere lo sguardo dalla<br />
figlia che sorrideva spostando lo sguardo<br />
verso la moglie che gli accarezzava i suoi lisci capelli <br />
rispose prontamente la moglie regina sorridendo mostrando una foglia ancora viva<br />
indicò con l’indice un grosso albero<br />
che lanciava ombre e alcuni tratti dei raggi solari che abbagliavano la camera da<br />
letto.<br />
ººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººº<br />
Dalla nascita della bambina principessina, Verdefoglia, decise di avventurarsi nei<br />
boschi situati a nord – est dal castello che al momento brillava abbagliato dalla luce<br />
dei raggi solari.<br />
Verdefoglia cantilenava allegramente salutando tutti i cittadini che come ogni giorno,<br />
vendevano e compravano la merci, la quale la ricambiavano con inchini gentili e<br />
sorrisi di cuore.<br />
Tutti rispettavano la famiglia reale per il loro buon rapporto con il popolo,<br />
governavano con giustizia e uguaglianza.<br />
All’entrata del bosco, si fermò per respirare aria pura e godersi tratti del panorama, il<br />
suo volto era ancora più bello con il rossore apparso sulle sue guance.<br />
esclamò Verdefoglia respirando allegramente <br />
Presto riprese il suo cammino ed entrò nel bosco,molti animali la osservavano ad<br />
ogni suo passo leggero e molte piante frusciavano spinte dal vento la quale<br />
fischiettavano dolci melodie naturali.<br />
Giunta al centro del bosco, Verdefoglia si sedette davanti al lago che era in mezzo al<br />
bosco la quale al suo centro, una colonna altissima erogava dell’acqua bella fresca<br />
che proveniva da altissime montagne.<br />
disse tra sé Verdefoglia, si<br />
avvicinò alla riviera del lago per specchiarsi il suo bel volto la quale appariva come<br />
45
una gemella fosse davanti a lei sorridente, stava per cantare, ma presto fu bloccata dai<br />
gridi che provenivano dal suo villaggio.<br />
si domandò tra sé mentre si alzava per vedere, il villaggio distava<br />
a pochi passi, ma una voce maschile lo aveva bloccata.<br />
esordì una voce maschile alle sue spalle,era così leggera e<br />
gentile.<br />
Verdefoglia si voltò spaventata, i suoi occhi erano puntati nella mano del giovane che<br />
teneva saldamente la sua spada lucida che rifletteva il suo volto, si trattava di un<br />
ragazzo di circa ventenne vestito da pirata fu bloccata dal pirata.<br />
rassicurò il pirata presto emise un fischio che alle sue spalle apparvero cinque<br />
giovani vestiti da pirati, erano due ragazzi e tre ragazze indicando il resto della sua ciurma<br />
e rise divertito.<br />
concluse rivolgendosi alla principessa che si era calmata.<br />
rispose la principessa <br />
rassicurò Jounno <br />
Tutti si erano seduti intorno ad un falò che abbagliava i loro volti.<br />
esordì Jounno senza<br />
interruzioni.<br />
disse Rossennata<br />
sorridendo.<br />
Il giorno seguente pioveva a dirotto, il cielo era coperto da nuvoli grevi che avevano<br />
preso il posto della bella giornata.<br />
Verdefoglia, Jounno e company erano scesi al villaggio, tutto era stato distrutto, i<br />
cittadini lavoravano da schiavi e molti pirati controllavano le postazioni.<br />
osservò Verdefoglia a Jounno che continuava a osservare il<br />
villaggio <br />
rispose Jounno sorridendo ,<br />
ordinò alla sua ciurma ordinando a Verdefoglia di r rimanere al suo<br />
posto senza fare nulla.<br />
46
Come previsto da Jounno, la sua ciurma pur essendo in minoranza, si era mostrata<br />
più forte ed era riuscita a battere molti pirati cattivi e a liberare i cittadini e i soldati<br />
reali.<br />
Dall’altra parte, improvvisamente Verdefoglia scomparve dal suo posto e si ritrovò<br />
nella sala del trono del castello di suo padre e davanti un pirata anziano con la barba<br />
grigia, Ogriggo, il capo dei pirati della ciurma Piratutto, si avvicinava per<br />
imprigionarla; intorno c’erano altri pirati e una strega che saccheggiava rise Ogriggo con l’eco delle risate di altri > e mostrò il re e la regina incatenati che pregavano<br />
lasciasse la loro figlia.<br />
gridò Verdefoglia guardandoli di continuo, era stata legata<br />
anche lei.<br />
Fortunatamente presto il portone della sala del trono si aprì ed apparvero Jounno con<br />
la sua ciurma, i cittadini e i soldati che erano stati liberati, erano tutti pronti per lo<br />
scontro finale che avrebbe portato fine ad Ogriggo.<br />
spiò perplesso Jounno <br />
rispose Ogriggo altero<br />
<br />
ordinò Jounno.<br />
mimò Ogriggo e rise così forte che altri<br />
indietreggiarono un po’ tappandosi le orecchie.<br />
Ma, Verdefoglia diede un colpo sullo stomaco ad Ogriggo che essendo distratto dal<br />
dolore, Jounno lanciò la sua spada uccidendolo.<br />
Così il villaggio si era ripreso la libertà ed era ritornato come sempre; e i pirati<br />
d’Ogriggo erano stati portati nelle prigioni con lavori forzati.<br />
Il re e la regina diedero onore a Jounno e alla sua ciurma che divenne parte del<br />
villaggio e la principessa Verdefoglia si sposò con Jounno dove vissero tutti felici e<br />
contenti come il resto del villaggio.<br />
THE END<br />
47
CRONACA ANONIMA DI UNA TRAGEDIA<br />
dI LUIGI SCORSONE<br />
Come spesso accadeva riuscivo ad estraniarmi dalla realtà circostante, non mi<br />
trovavo nel mio paese e come ad ogni viaggiatore tutto avrebbe dovuto interessarmi,<br />
eppure trascorsi le mie vacanze in quell’albergo di periferia scelto per caso. La<br />
stanza era per me come un immenso batuffolo di cotone, i rumori giungevano attutiti<br />
e di ciò che accadeva fuori nulla m’importava. L’unica realtà erano le mie riflessioni<br />
sul caso, perché mai io che ero fuggito da ogni responsabilità avrei dovuto<br />
interessarmi alle vicende di quel paese straniero? Di notte ottemperavo meticoloso e<br />
solerte ai miei doveri di turista, vivo e buon cibo, musica e belle donne, questa era la<br />
degna cornice che riempivo di me stesso.<br />
La notte è come un giorno all’incontrario con meno persone e con la luna al posto del<br />
sole, la tenue oscurità che ai più concilia i sogni permette ad altri di vivere la propria<br />
vita. Tanta era la mia dedizione a queste abitudini che alla vita che mi pervadeva di<br />
notte si contrapponeva nell’ozio delle ore diurne un’apatia che avvolgeva corpo e<br />
mente con la quale sprofondavo in un profondo sonno. Avevo dovuto ricorrere alla<br />
sveglia per alzarmi al calar del sole per iniziare la mia “giornata”, che bello pensai<br />
essere sufficiente a me stesso tanto il mondo è così grande che non ha proprio<br />
bisogno di me. Un brutto giorno la sveglia si ruppe e suonò con rumore di mille<br />
petardi intercalati da acute sirene che si conficcavano come aculei nel mio cervello.<br />
Portai le mani alle tempie cercando di coprire le orecchie ma il rumore non<br />
accennava a smettere, così con un gesto di stizza scagliai la sveglia lontano da me.<br />
Tentai di addormentarmi ma tutto fu vano ormai l’idillio era lacerato, mi alzai e<br />
vestendomi notai che la sveglia era finita fuori dalla finestra e cosa strana c’era del<br />
vetro anche all’interno della stanza. Uscendo dall’albergo osservai che quel luogo di<br />
giorno era simile ad un contenitore vuoto, non c’è niente di più squallido di un posto<br />
dove la gente dorme soltanto senza vivervi. Uscire all’aperto fu per me un trauma, il<br />
sole è un giudice severo verso chi a lungo si sottrae alle sue udienze. Calai il cappello<br />
sulla fronte scrollando le spalle come colui che si rifiuta di ascoltare il capo<br />
d’imputazione preferendo che sia l’avvocato a riferirglielo. Dove andare era il<br />
dilemma, poiché tutte le persone si dirigevano verso la stazione io decisi di andare<br />
dalla parte opposta, andare dove gli altri non vanno per rimanere lontani dal mondo è<br />
il modo migliore per non farsi coinvolgere in vicende che non ci riguardavano.<br />
All’imbrunire arrivai in un parco, gli alberi d’inverno sembravano stringere a se le<br />
poche foglie rimaste quasi a volerne conservare la vita nell’estremo tentativo di<br />
proteggerle dal freddo.<br />
Orrmai esausto decisi di fermarmi, la mia attenzione fu attirata da un bambino seduto<br />
accanto ad un cumulo di giocattoli. Periodicamente giungeva al suo cospetto, credo si<br />
trattasse dell’autista, che portava ogni volta un nuovo giocattolo “ Gradisce questo<br />
signorino?” Il bambino rispondeva caparbiamente “No!Deve essere uguale a quello<br />
che questa mattina mio papà ha promesso di regalarmi”.<br />
L’uomo rimaneva imbarazzato, alzava gli occhi al cielo allargando le braccia e con<br />
un sospiro prendeva il telefonino…..e poi rimaneva immobile. Un altro bambino<br />
48
giunse nel parco fischiettando, dai vestiti dignitosi ma non di certo lussuosi, egli<br />
aveva le mani in tasca intento a cercare un fazzolettino di carta lindo e ben piegato,<br />
trovatolo gli faceva compiere delle evoluzioni. “ Che gioco è” chiese l’altro bambino<br />
incuriosito. “Non è un gioco, è il pegno che mio padre mi lascia ogni volta che riesce<br />
a trovare lavoro e che io devo custodire e non sporcare per nessun motivo”. “Ma<br />
come? Queste cose sono fatte per essere consumate e buttate”,“Mio papà dice sempre<br />
che un fazzolettino pulito può sempre servire” , “ Sei strano, perché continui a<br />
fischiettare?” Indugiando e abbassando lo sguardo rispose “Vorrei tanto avere un<br />
flauto e nell’attesa che mio papà me lo comperi mi alleno a memorizzare motivi<br />
musicali”, “Ma così sprechi fiato”, “No, coltivo la speranza per quello che la vita ci<br />
può riservare da un momento all’altro”, “Tieni,questo giocattolo te lo regalo, oggi<br />
questo servo sciocco ne ha comprati due uguali”.”Grazie cosa posso darti in<br />
cambio?” “Niente,aiutami a sopportare la noia mentre attendo mio papà, tieni anche<br />
un po’ d’acqua bevi e fammi sentire qualche motivetto allegro”.<br />
Il bambino si riempì la bocca d’acqua tanto da gonfiargli le guance, poi emise un alto<br />
fiotto verso l’alto emettendo acqua e un sibilo modulato che somigliava alla sirena di<br />
un treno a vapore, l’altro bambino scoppiò in una sonora risata. Egli aveva donato un<br />
giocattolo ed era stato ricambiato con un sorriso. D’improvviso arrivò un’auto della<br />
polizia, rallentando notarono la targa della macchina che attendeva il bambino dai<br />
molti giocattoli, scese un’agente con un foglio in mano e chiamò a sé l’autista con il<br />
quale iniziò a scambiare fraso concitate, così gli fu indicato chi tra i due bambini<br />
fosse quello dei giocattoli. Intanto l’agente rimasto in auto si asciugava il sudore<br />
nonostante si trattasse di una fredda giornata, giratosi verso il parco riconobbe il<br />
bambino del fazzolettino, scese, si mise a correre verso di lui e lo abbracciò.<br />
Ora i due agenti si trovarono di fronte ai due bambini ma nessuno osava parlare,<br />
l’autista si era appartato e fingeva di pulire il vetro della macchina. Uno strano<br />
silenzio che né i versi degli uccelli né il vento osavano rompere, solo qualche foglia<br />
cadeva dai rami degli alberi, ondeggiava nell’aria e arrivata sulle foglie secche, che si<br />
trovavano per terra, sembrava volersi scavare un posto per essere più vicino alla<br />
terra, per venire coperta da chi gialla e secca lo era da tempo.<br />
Sopraggiunse una donna dal passo incerto e con il volto smarrito, guardò gli agenti<br />
come chi giunto sull’orlo di un baratro girandosi guarda le orme lasciate dai suoi<br />
passi pur avendo negli occhi solo l’immagine dell’abisso. Urlò “Me lo dovete dire<br />
c’era anche mia figlia tra quelli uccisi dalla bomba!?” I due bambini all’unisono si<br />
guardarono negli occhi, i bambini sono perspicaci anche quando non dovrebbero, a<br />
volte come animati da una crudele forza riescono ad abbandonare il loro spensierato<br />
mondo di fantasia per essere precipitati nel mondo dei grandi, ambedue senza che<br />
nessuno gli avesse spiegato nulla compresero.<br />
Il bambino dei giocattoli figlio di un’ispettore generale delle ferrovie che si trovava<br />
su quel treno per verificare che arrivasse in orario, e il bambino del fazzolettino figlio<br />
di un’operaio che alla stessa ora aveva preso lo stesso treno per il suo primo giorno di<br />
lavoro. Trascinarono le gambe per quei pochi passi che li separavano con le lacrime<br />
che scendevano per terra nel sordo rumore delle foglie infrante. Abbracciandosi si<br />
strinsero l’uno all’altro come quelle poche foglie rimaste sui rami si stringevano agli<br />
49
alberi. Si divisero l’unica cosa che gli era rimasta in mano, un fazzolettino di carta<br />
lindo e ben piegato.<br />
Rimasi turbato, si può essere in un paese ma non insensibili al dolore, mi chiesi<br />
perché tutto questo era accaduto, avrei voluto davvero capire, avrei sacrificato vino e<br />
buon cibo, musica e belle donne per dare un senso a quella vicenda. Gli agenti<br />
andarono via insieme ai bambini, due innocenti che si erano conosciuti in una<br />
tragedia, mi alzai e avviandomi verso l’albergo riflettevo; forse quei due bambini<br />
erano venuti al mondo per un caso o forse per un consapevole atto d’amore. Due<br />
bambini così diversi resi orfani dallo stesso odio, non c’era senso in tutto questo, solo<br />
l’assurda e tragica mano del caso. Mentre rincasavo si stava formando una<br />
manifestazione di protesta spontanea contro l’attentato, mi dissero che ci sarebbero<br />
stati “tizio” e “caio” esponenti prestigiosi di schieramenti politici e poi anche<br />
“sempronio” e tanti altri…… Rimasi confuso, era una cornice troppo grande dentro<br />
la quale mi sarei smarrito. La manifestazione, cosa giusta dissi tra me e me ma uno in<br />
più o in meno non fa nessuna differenza e di certo la mia presenza non avrebbe<br />
potuto porre rimedio all’accaduto…..ne tantomeno cambiare il mondo. Ritornai nella<br />
mia stanza dove i rumori giungevano attutiti proponendomi di ripartire al più presto,<br />
annotai che ogni giorno era preferibile spostarsi in aereo poiché non avevo mai<br />
sentito di attentati sugli aeroplani. Non conobbi mai le complicate vicende socioeconomiche<br />
e geopolitiche che avevano fatto da sfondo a quell’attentato, mi limitai a<br />
scrivere sul diario “Oggi attentato al treno, sveglia rotta e vetri infranti da pagare”<br />
prima di fare le valigie mi avvicinai alla finestra per togliere il vetro che si trovava<br />
per terra, guardando distrattamente fuori rimasi impietrito…..Dalla finestra potevo<br />
vedere tutto quello che era accaduto, oh Dio com’era vicina quella stazione alla mia<br />
stanza!!<br />
Madrid<br />
11 marzo <strong>2004</strong><br />
50
SONO UN ASSASSINO<br />
dI LENIO VALLATI<br />
Le condizioni necessarie si erano concretizzate. Non restava altro da fare che partire.<br />
Mi trovavo nel mio appartamento. Cucina, camera e un piccolo ripostiglio. Solo.<br />
Seduto al tavolo di cucina davanti a una lattina di birra gelata. Il frigo aperto. Lo<br />
chiusi con una pedata. Poi aprii il cassetto del tavolo e controllai che ci fosse tutto. La<br />
mia pistola se ne stava sul fondo, come rettile, seminascosta da un panno nero. Mi<br />
stava aspettando. C’era anche una busta gialla con dentro una foto. A mezzo busto. E<br />
un biglietto con un indirizzo, hotel Trieste, via Donizetti 32. E una data, 18 luglio.<br />
Domani. Ripresi la foto e me la rigirai tra le mani, osservandola fin nei minimi<br />
particolari. Erano cinque giorni che non facevo altro. Sono un killer professionista,<br />
ben pagato per uccidere chiunque mi venga indicato. Non ho mai fatto domande. Ho<br />
ucciso e basta. Si è sempre trattato di tipi poco raccomandabili, di veri delinquenti.<br />
Bastava guardare le loro facce! Dopo ogni esecuzione scoprivo, leggendo i giornali,<br />
che si trattava di uno stupratore, di uno spacciatore oppure di uno strozzino. Uno<br />
vende l’eroina a tuo figlio, lui muore per un’overdose e tu che fai? Oppure ti violenta<br />
la figlia. Aspetti paziente il percorso della giustizia? No, se puoi, se hai i soldi, te la<br />
fai da solo. Paghi uno come me, un killer appunto. Lo so che sono un delinquente<br />
anch’io, ma questo è il mio lavoro. Non me lo sono scelto. Uno se lo trova addosso,<br />
come un vestito fatto su misura. Comunque io uccido per denaro,e tipi che non<br />
meritano di vivere. Non sto cercando di giustificarmi, ma non sono un assassino.<br />
Forse sono un giustiziere, uno che contribuisce senza volerlo a ripulire questa zozza<br />
società dall’immondizia che non si riesce altrimenti ad eliminare. Ma questo tizio<br />
della foto era diverso. Mezza età, lineamenti regolari. Capelli spruzzati di bianco.<br />
Occhi grandi da buon padre di famiglia sotto spesse lenti. Ben curato, ben vestito,<br />
giacca e cravatta. Serio. No, non era uno dei soliti delinquenti. Ma perché lo dovevo<br />
uccidere? Non lo sapevo. Ero pagato per farlo e basta. Non dovevo fare domande.<br />
Qualche giorno prima non avevo comunque resistito alla curiosità. Così avevo<br />
telefonato a Lorenzo. Lo so, ero stato uno sciocco. Nel mio lavoro non bisogna mai<br />
lasciare tracce. “Pronto, Lorenzo?”. “Ma perché diavolo mi telefoni? Non hai tutte le<br />
istruzioni?”. “Certo, ma volevo sapere il motivo per cui debbo uccidere il tizio della<br />
foto”. “Non lo so neanch’io. Tu fallo e basta. E non telefonare più, intesi?”. Presi<br />
un’altra birra dal frigo. La bevvi avidamente, ma lentamente, assaporandola goccia a<br />
goccia. Poi indossai la giacca, cercai la pistola e la misi nella tasca destra. La foto e<br />
l’indirizzo in quella sinistra. Mi alzai per uscire. Destinazione hotel Trieste, all’altro<br />
capo della città. L’indomani mi sarei alzato molto presto. Alle sette. Sarei sceso e<br />
l’avrei aspettato, nascosto dietro un’edicola di giornali. Non appena lo avessi visto<br />
passare l’avrei ucciso. Tutto calcolato. Fin nei minimi particolari. Di lui sapevo solo<br />
il nome. Si chiamava Vittorio Bartolini. Non sapevo altro. Neppure che mestiere<br />
faceva. Neppure l’età. Improvvisamente suonarono alla porta. Chi poteva essere alle<br />
nove di sera? Nascosi la giacca e il suo contenuto nell’armadio della camera da letto.<br />
Andai ad aprire. Era Martina. “che ci fai tu a quest’ora?” dissi, cercando celare una<br />
punta di stizza. “Sono venuta a trovarti, non ti fa piacere?”. “Certo” le dico, “entra”.<br />
51
Martina aveva appena vent’anni. La conoscevo da poche settimane. Era successo<br />
tutto in un bar a due chilometri da casa mia, all’ora di pranzo. Mi viene di fronte.<br />
Capelli a baschetto, nerissimi, un largo sorriso. Lo zainetto stracolmo di libri<br />
abbandonato in un angolo. Mi chiede se per caso ho da cambiarle cinque euro. “Non<br />
so”, faccio io, visibilmente impacciato. “Ci guardo”. Era evidente che si trattava di<br />
una scusa. Tiro fuori il portamonete, ma rovescio goffamente il suo contenuto sul<br />
pavimento. Lei ride divertita, e mi aiuta a raccogliere i centesimi che si erano<br />
insinuati tintinnando tra le sedie. I nostri sguardi si incrociano. “Come ti chiami?” le<br />
domando . “Martina”. “Martina come?” “Non ti basta?” mi rispose lei ridendo. Le<br />
offrii un caffè. Poi ci rivedemmo il giorno dopo sempre al solito bar. Poi fissammo<br />
per la sera seguente a casa mia. Da quel giorno Martina è entrata nella mia vita.<br />
Accontentandosi delle briciole di tempo che le lasciavo. La compagna ideale per un<br />
killer. “Che mestiere fai?” mi aveva chiesto soltanto. “L’operatore di borsa” le<br />
risposi. Lì per lì non mi era venuto in mente altro. Ebbi l’impressione che ci avesse<br />
creduto. Spesso veniva a trovarmi, la sera. Ma se le dicevo che avevo da fare se ne<br />
andava senza fare storie. Passavamo insieme ore deliziose nella mia camera.<br />
Cucinavamo insieme, divertendoci un mondo. Poi facevamo l’amore. Fino all’alba.<br />
Finché il sole non si insinuava da una scolorita persiana illuminando la mia piccola<br />
stanza. Martina era entrata nella mia vita con tutta la sua frizzante gioventù. Era un<br />
fresco ruscello di montagna che scorre allegro tra campi riarsi. O un sorso di<br />
spumantino frizzante nella mia opaca vita di tutti i giorni. “Martina, ti prego, stasera<br />
ho un terribile mal di testa”. Le dico dopo averla baciata teneramente sulle calde<br />
labbra. “Ma mi mandi già via?Non mi vuoi?”. “No, che dici! E’ che ho avuto una<br />
giornata terribile e domani mattina debbo alzarmi prestissimo…”. “Okay! Me ne<br />
vado!” Martina è così. Mi abbraccia teneramente, mi bacia a lungo e se ne va. Senza<br />
chiedere altro. Senza domandare perché. Scese soltanto le scale con l’aria di un<br />
bimbo imbronciato al quale sia stato appena tolto un giocattolo. Aspettai qualche<br />
minuto. Che non ritornasse. Poi uscii anch’io. Dopo aver preso due autobus arrivai<br />
davanti all’hotel Trieste. Come supponevo era di infimo ordine. Due stelle ed<br />
evidenti screpolature sulla facciata. Salii nella mia camera prenotata cercando di<br />
farmi notare il meno possibile. Non prima di aver acquistato tre birre al bar<br />
all’angolo. Faceva caldo. Molto caldo. Evidentemente l’impianto di aria condizionata<br />
non funzionava. Ammesso che ci fosse. Mi distesi sul letto vestito. Mi sbottonai il<br />
colletto della camicia. Il tizio della foto mi stava facendo impazzire. Andai più volte<br />
in bagno a rinfrescarmi. Aprii una birra. Perché debbo ucciderlo? Bevvi avidamente.<br />
Riguardai la foto più volte. Me la rigiravo tra le mani. Mi scolai tutta la lattina e ne<br />
presi un’altra. Faceva un caldo terribile. Mi sorpresi a scendere le scale e a chiedere<br />
un elenco del telefono alla signorina della reception. Batoli………Bartolini…ecco,<br />
prof. Vittorio Bartolini. Forse un insegnante. Lo vogliono uccidere perché ha<br />
bocciato qualche alunno? Assurdo. Ormai non connettevo più. Mi sorpresi a<br />
comporre un numero di telefono. “Pronto? Parlo con il professor Vittorio Bartolini?”.<br />
“No, sono la moglie. Chi lo desidera?”. Riattaccai prontamente. Dunque il tizio della<br />
foto era sposato. Forse aveva anche dei figli. Ci doveva essere un errore, senz’altro,<br />
chi poteva volere la sua morte? Quasi quasi domani mi apposto, dicevo tra me, lo<br />
52
guardo bene ma poi lo lascio andare. Che cosa mi possono fare? Non mi daranno altri<br />
incarichi, e allora? E’ l’occasione buona per lasciare questo dannato mestiere.<br />
Sposerò Martina e mi troverò un altro lavoro. In fondo, ho solo dieci anni più di lei e<br />
al computer ci so fare. Con queste intenzioni e con l’ausilio della terza birra riuscii a<br />
dormire un paio d’ore. Al mattino alle sei e mezza ero già sveglio. Ormai ci ero<br />
abituato. Come un cacciatore nel giorno dell’apertura. Mi lavai, mi cambiai, presi<br />
solo la pistola. Scesi. In pochi attimi ero in strada. Girai l’angolo e mi ritrovai in una<br />
piccola piazza. Era vuota. Mi appostai dietro all’edicola e attesi. Cinque, dieci<br />
minuti. Eccolo, è lui. Lo guardai attentamente. La mia mano accarezzava la pistola.<br />
L’uomo attraversava lentamente la piazza. L’andatura calma e serena dell’uomo<br />
onesto. Che non deve temere niente e nessuno. L’avrei lasciato andare, molto<br />
probabilmente, quando una ragazza corse verso di lui. Si sorrisero, poi si<br />
abbracciarono teneramente. Il mio cuore dette un sobbalzo. Era Martina! In un attimo<br />
credetti di aver capito tutto. Certo, il mandante era la moglie! Il lurido porco se la<br />
intendeva con una ragazzina appena ventenne! “Vergognati!”, sentii gridare dentro di<br />
me, mentre la mia pistola usciva dalla tasca destra della mia giacca e faceva fuoco.<br />
Due, tre, quattro colpi. L’uomo si accasciò al suolo. Martina urlava. Nessuno mi<br />
aveva visto. La piazzetta era ancora deserta. Scappai di corsa nella direzione opposta<br />
all’hotel. Mi voltai. Nessuno mi stava inseguendo. Improvvisamente, presi a<br />
camminare come niente mi fosse successo per due-tre chilometri. Entrai in un ber.<br />
“Una birra ghiacciata!” Mi sedetti. Ero affranto. Pensai a Martina. Mi parve strano,<br />
ma non la stavo odiando. Amavo quella ragazzina. Mi dissi che l’avrei senz’altro<br />
perdonata. Un’altra birra. La trangugiai d’un fiato. Un’altra ancora. Poi mi trascinai a<br />
piedi verso casa. Il telefono stava squillando. Senza tregua. “Pronto?”. All’altro capo<br />
parole spezzate da un pianto dirotto, inconsolabile. “Hanno sparato a mio padre! Me<br />
l’hanno ucciso!” Ero diventato un assassino. Ma non avrei trovato il coraggio di<br />
dirtelo. Di dirti che ti avevo ucciso il padre. Chissà per quanto tempo. Forse un<br />
giorno ci riuscirò. E cambierò questo mestiere che mi sta troppo stretto, come un<br />
vestito vecchio.<br />
53
POESIE<br />
IN ITALIANO<br />
54
1° CLASSIFICATO<br />
CRUCIANO ANTONIO RUNFOLA<br />
PEPPINAEIDOS<br />
Facta virumque cano, alma mater<br />
Di quella creatura senza fama dai moti<br />
Della vita nel silenzio riarso<br />
Rivoluzionario rivoluzionato<br />
Placato dal venereo abbraccio<br />
N’ammurato di la so terra matri.<br />
Peppino, re vichingo, osservavi<br />
Le tue conquiste sudate, la lavorata<br />
Distesa di terra spazzata<br />
Dal vento indolente, indolente<br />
Tu stesso finchè potevi, mentre<br />
Ti sforzavi di perfezionare il Creato.<br />
Si ti ergevi, finchè udisti<br />
Nel silenzio la deflagrazione<br />
Del tuo cuore che esplodeva.<br />
Era il tuo sedicesimo lustro<br />
E così ti accasciavi verso Terra,<br />
La tua amata che ti abbracciava.<br />
Vedesti la tua dimensione<br />
Distorcersi, accartocciarsi, comprimersi,<br />
contorcersi, stiracchiarsi, appiattirsi<br />
in lunghe strisce piane roteanti in<br />
Un vortice di bobine cinematografiche<br />
Srotolate andanti dalle tue pupille al cielo.<br />
Ti concentrasti, le ghermisti una ad una.<br />
Nella prima sei un puero nelle braccia<br />
Calde di tua madre, tuo padre<br />
Ha una voce antica, inusuale, serena nella<br />
Ristrettezza. L’aria è abbondante nel paese<br />
Minuscolo, dimenticato da Dio.<br />
55
Poi, sotto la scure di oscuri malefici<br />
Tua madre prega tuo padre di far<br />
Aggiungere al prete un altro nome<br />
Per confondere i maestri di alchimie.<br />
L’asino sospira nella casa, tuo padre<br />
Pensa alle elettriche luci d’America.<br />
Nella seguente sei piegato sui ceci,<br />
Faccia al muro, al maestro non piace il tuo<br />
Puzzo di capre, la tua ostinazione.<br />
Ma fra un attimo ti alzerai e tuo padre<br />
Porterà latte al Maestro e te al pascolo<br />
Ove ti insegnerà l’Alfabeto e ti erudirà.<br />
A lu saluni di lu varberi lu signorottu<br />
Quannu t’assetti e pigghi lu giurnali sfardatu<br />
Ti rimprovera: “Talia stu strunziddu!<br />
Leggi! Voli divintari qualcuno”.<br />
Ti veni ‘ncontru, cu li mani ti spingi<br />
Fora e: “Va talia li pecuri!” Ti grida.<br />
Nell’altra striscia la tua casa sprofonda,<br />
Sotto il peso dell’Ignoranza superstiziosa,<br />
Della Malattia e della Morte, i tuoi cari<br />
Fratelli muoino, tua sorella genera<br />
Nazarena, una bimba senza nome, il ricurvo<br />
Tuo padre ti chiama e poi muore.<br />
Ecco appare la rossa bandiera del riscatto.<br />
L’abbracci, la terra di tuo padre bruciata<br />
Dal demone di tua sorella ti manca,<br />
Il vuoto è in te, l’onore lo hai perduto.<br />
Sull’autobus scricchiolante miri e brami<br />
Quella terra tappezzata di canneti sparsi.<br />
Lu to desideriu si leggi ‘na la to’ frunti<br />
Vai giranno cu la bannera di li comunisti<br />
“Compagni, vutati, pigghiamuni li terri<br />
Abbannunati di li patruna”. Li campera<br />
T’arrispunninu: “Vo’ la terra?<br />
Va a Trivadduna e ti la ‘nsacchi”.<br />
56
Con la lotta e col miracolo è tua,<br />
“La terra con le canne”, la lavori,<br />
La fruttifichi, la fiorisci. Ivi ti stabilisci<br />
Con tua moglie, li allevi i tuoi figli,<br />
Il riscatto è compiuto. La terra<br />
Origina il bene, La felicità. Non la cederai mai.<br />
Il sole di buon mattino già ti trova<br />
Nei campi. Le lotte adesso le guardi<br />
In TV. Il sole allo zenit ti trova<br />
Ancor curvo sui tuoi frutti. Tua moglie<br />
Irosamente ti appella al desco.<br />
Ti giri lentamente e vedi il paradiso.<br />
Di nuovo la nemesi squassa casa tua,<br />
La tua armoniosa bimba eroica ti lascia,<br />
Le infermità ritornano tra i tuoi cari,<br />
Il tuo vecchio cuore perde regolarità.<br />
Consideri i tuoi discendenti e gioisci.<br />
Nonostante la fatica, stai erto.<br />
Non straziato piagato in un letto,<br />
Ma alzato come un re nordico<br />
Che guarda l’immenso campo<br />
Di battaglia della Realtà, ti ha colto<br />
Il decisivo colpo, il tuo cuore<br />
E’ deflagrato per la insostenibile fatica.<br />
Le strisce andanti verso il cielo<br />
Adesso si diradano come nebbia<br />
Inghiottita dall’oscurità. Le luci<br />
Si spengono sulla tua Alba Longa<br />
Prostrato su di lei, nella quasi oscurità<br />
Girando leggermente la testa,<br />
Con le ciglia pietrificate, l’hai baciata,<br />
comu na mugghieri valenti e duci<br />
Terra, amore mio, alma mater.<br />
Idda ti detti sustentamentu,<br />
Riparo, conforto, tranquillità<br />
57
GIOVANNA BONAFEDE<br />
Quale sortilegio<br />
Puntella voracemente<br />
La mia stella?<br />
Chiosa d’un Karma<br />
Non conosce ragione.<br />
Quanto il maligno<br />
ricamerà per me<br />
sulla tela dell’infinito?<br />
Cosa dovrò<br />
ancora tributare<br />
all’oscuro signore dei violini<br />
per potere avere infine<br />
la mia sorte?<br />
Non ho più perle di sale<br />
Da offrire in dono<br />
E della mia sorgente<br />
Sono secche le acque,<br />
polveri di cielo<br />
mi sotterrano i piedi<br />
catene di ghiaccio<br />
mi stringono le man<br />
Il mio angolo di cielo<br />
È qui<br />
In questo niente<br />
Di soffici parole,<br />
che dispiegano chete<br />
l’andar delle mie Moire.<br />
Il mio angolo di cielo<br />
È qui<br />
Bandito a Nemesi,<br />
sottratto al vento freddo,<br />
qui Diana riposa e<br />
Cartagine è lontana.<br />
2° CLASSIFICATO<br />
SORTILEGIO<br />
IL MIO ANGOLO DI CIELO<br />
58
Confusa, smarrita,<br />
il freddo dentro<br />
attraverso l’anima<br />
inquieta.<br />
Si aprono i varchi<br />
dell’oblio,<br />
Enlil scatena<br />
la sua forza<br />
incalzante, selvaggia<br />
inarrestante.<br />
Non risparmia<br />
di Perseide la figlia<br />
designata.<br />
Vaga signora<br />
di nero vestita<br />
come tenebra<br />
fulgente di sua vita,<br />
traversa il mare,<br />
piega il volere,<br />
sfigura in pianto<br />
il volto.<br />
ENLIL<br />
59
ROBERTO MARZANO<br />
Mani nell’aria,<br />
scolpiscono<br />
scie di spillo,<br />
orridi sibili….<br />
Improvvise<br />
Micidiali, decise,<br />
infliggono<br />
al mio corpo<br />
mortali offese……<br />
Scappare!?<br />
E dove mai, poi, ora?<br />
Ho perso i miei fratelli,<br />
non ho più la mia terra,<br />
evapora<br />
la vita…..<br />
Vita, oh mia vita!<br />
Appena assaporata<br />
e già<br />
ti sto perdendo…….<br />
Vengono uomini urlanti<br />
siam tutti fatti a pezzi!<br />
La sola mia difesa,<br />
unghie acuminate, vilipese, derise,<br />
mi vengono amputate!!<br />
Pian-piano,<br />
strato a strato,<br />
mi strappano la pelle,<br />
il cuore mio scoperto,<br />
persino preso a morsi….<br />
Ormai non ho speranze<br />
Il futuro mio è remoto……<br />
Ma vale così poco la vita di un….<br />
Carciofo?!?<br />
3° CLASSIFICATO<br />
UNA VITA DA POCO<br />
60
DOV’E’ FINITA LA POESIA?<br />
Dov’è finita la poesia? Dov’è finita!?<br />
L’avevo lasciata lì ieri! Evaporata…..svanita!<br />
Vi prego ditemi dove se n’è andata!<br />
L’aria già mi manca al pensier che sia sparita…<br />
Dov’è finita la poesia? Dov’è finita!?<br />
Nel spaccar teste di manganelli ciechi che non trovano l’entrata?<br />
O nel ripicchiarci sopra di altri tristi randelli che non trovano l’uscita?<br />
Dov’è finita la poesia? Dov’è finita?<br />
O, forse, nel folle carro-armato sparante al “bimbo-armato”<br />
Di sassi polverosi<br />
Che il giorno prima eran la sua stessa casa?<br />
Dov’è finita la poesia? Dov’è finita?<br />
Oppur sotto le macerie genovesi del<br />
“Museo del Mar di Sangue Umano”<br />
Dove giace chi mangiava tanto a pranzo (come da contratto),<br />
Così da saltar la cena<br />
E poter mandare il corrispettivo alla Famiglia Colgegya di Tirana…?<br />
Dov’è finita la poesia? Dov’è finita?<br />
Negli angoli della ragione, protervi sputi,<br />
Mille foto, guinzagli, sacchi in testa, scope in culo,<br />
torture assurde inflitte con piacere<br />
e proiettili all’uranio, “democratici” saluti,<br />
simpatici ricordi che pian piano fan morire?<br />
Dov’è finita la poesia? Dov’è finita?<br />
Nella “guerra preventiva” senza fine<br />
Fiumi e fosse di lacrime d’argento<br />
Navi piene di famiglie disperate<br />
Bucato fin al cervello dente marcio cariato<br />
E l’assenza di un fratello fatto a pezzi<br />
Musiche cupe, neri fondali stesi…..?<br />
Dov’è finita la poesia? Dov’è finita?<br />
Forse nei meandri più oscuri del “Reparto Psichiatria”<br />
Dove strappa le porte delle camicie di follia?<br />
61
Oppure , meglio, al “Reparto Cattiveria”<br />
Dove non ci si fa scrupolo alcuno pur di passare alla storia….<br />
…. Storie di miasmi inumane, ciuccia-sangue, banditi,<br />
affamanti infami, bastonatori di mano…?!!?<br />
Per favore ditemi dov’è finita la poesia? Dov’è finita!?<br />
Si lo so che ogni tanto si riposa, non è che non ci sia,<br />
Ma non per questo non mi struggo e mi dispero<br />
Nella mia malinconia….<br />
Lì dobbiamo fermare!<br />
Si dovrà pur potere uscire da questo vortice di orrori<br />
E riprendere a far poesie sugli uccellini e sui fiori.<br />
Con l’anima urticata,<br />
offesa,<br />
scolopendra inviperita,<br />
Chiedo scusa…<br />
CHIEDO SCUSA<br />
Ai bombardati<br />
Corpi flosci nella polvere improvvisa<br />
E alla signora affettata, sulle strisce,<br />
la domenica mattina,<br />
ancor mezza addormentata, poverina….<br />
Chiedo scusa agli operai “Contratto-Special”<br />
Veri funamboli del “circo” dei cantieri<br />
Che stanno, finalmente, in posa per il telegiornale<br />
Sotto un lenzuolo bianco e rosso…..<br />
E alle barcate di disperati nottambuli<br />
Che si giocano la vita a Lampedusa,<br />
ai bambini gonfi di fame,<br />
e alle loro mamme,<br />
senza latte, senza denti<br />
e senza pane,<br />
62
chiedo scusa!<br />
Chiedo scusa a Bagdad e ai newyorkesi,<br />
Dublino, Grozny, Bucarest e Falluja,<br />
scusatemi a Guantanamo, Beslan e Gaza,<br />
Come Genova, San Paulo, Bankok e nel Chiapas<br />
E ancora ai siciliani, ai tibetani, ai sudanesi<br />
E a tutti i dimenticati, da me per primo….<br />
Chiedo scusa se,<br />
malgrado l’assordante sottofondo dei vostri orrori quotidiani<br />
continuo, comunque, a mangiare la mia cena<br />
e chiede ai miei figli “Com’è andata a scuola?”<br />
Chiedo scusa ma<br />
Lo scorrere frenetico della vita<br />
Non mi da tempo abbastanza<br />
Per tamponare le ferite<br />
E avere la forza di spegnere<br />
Quel maledetto televisore-bombardiere<br />
Anzi,<br />
forse,<br />
il far questo,<br />
mi farebbe vergognare di più ancora!<br />
Chiedo scusa ma non so se basti: sono molto, ma molto, confuso…….<br />
63
PREMIO SPECIALE DEL PRESIDENTE DELLA<br />
COMMISSIONE<br />
CARLA CAVALLO<br />
E come puoi dirti padre<br />
Se l’ardore d’amore<br />
Di chi hai generato<br />
Affoghi nell’insofferenza,<br />
e come pretenderai l’abbraccio<br />
nel domani della tua vecchiaia<br />
se incateni nell’indifferenza<br />
la carezza del tuo presente.<br />
A UN PADRE<br />
GERACI SALVATRICE PIETRA<br />
Labbra aride<br />
Che dissipano<br />
Angelici sogni<br />
Che feriscono<br />
Cuori fragili<br />
Che calpestano<br />
Candidi gigli<br />
Che intorpidiscono<br />
Tiepidi corpi<br />
Che liberano<br />
Amare lacrime.<br />
Voi labbra<br />
Quanto male siete<br />
Capaci di far<br />
Riaffiorare<br />
Anche se solo a voi<br />
E’ consentito<br />
Ardenti e teneri baci<br />
Donare.<br />
DALLE LABBRA<br />
64
DANIELA COSTANTINI<br />
PICCOLA DONNA<br />
Ci sono ricordi da conservare per sempre,<br />
come delicate pagine di un libro antico.<br />
Che bello sedersi in poltrona<br />
e rigirarsi tra le mani le care pagine ingiallite,<br />
frammenti di ricordi lontani.<br />
L’identica emozione<br />
di quando io, piccola donna,<br />
sfogliavo i petali di un fiore<br />
per interrogarlo sul futuro<br />
del mio giovane amore.<br />
Cos’è accaduto da allora?<br />
Quella piccola donna dov’è?<br />
Ha la stessa tenerezza d’allora,<br />
ma tra i suoi capelli<br />
si è posato qualche fiocco di neve<br />
e nei suoi occhi spunta una lacrima.<br />
Ripiega con cura le pagine antiche<br />
e baciandole le posa<br />
accanto a fogli ancora bianchi,<br />
quelli che la vita per lei ha preparato.<br />
Tra le mani stringe una margherita…..<br />
Giocando col tempo,<br />
forse non ha ancora chiesto tutto<br />
sulla sua vita.<br />
Attende risposte e sposta lo sguardo….<br />
Ascolta echi lontani<br />
di un domani che verrà<br />
65
Continuiamo questa antologia con le opere degli altri<br />
autori partecipanti al concorso, in ordine alfabetico:<br />
PIETRO BARBERA<br />
Parlami delle gazze ladre, nonna,<br />
che gracchiavano al mattino<br />
tra le foglie del fico,<br />
inseguendosi,<br />
saltellando<br />
sulle tegole di casa.<br />
Dimmi della vastità di bionde spighe<br />
che catturavano dal vento<br />
il profumo di pane appena lievitato.<br />
Quella palma altissima è ancora lì,<br />
ai suoi piedi le pietre<br />
lanciate per scrollare i datteri<br />
raccolti da mani bambine<br />
come stelle cadenti.<br />
Raccontami dei lunghi filari di vigne<br />
e di contadini sorridenti<br />
assaporando un acino d’uva.<br />
Parlami degli ulivi contorti<br />
e del sole all’alba tra le foglie.<br />
PARLAMI…. NONNA<br />
Dimmi come gioiva il tuo semplice mondo<br />
mentre io son qui tra i filari d’auto,<br />
stretto nel rumore dei clacson,<br />
immerso in una densa atmosfera<br />
di benzene.<br />
66
GIUSEPPE BATTAGLIA<br />
Per appagare una femminista<br />
Cercasi uomo senza la vista<br />
Se poi è sordo ed ignorante<br />
Qualsiasi uomo si faccia avanti<br />
Ma c’è di più s’è zappatore<br />
Gli farete un gran favore<br />
Solo così l’appagherai<br />
E ti cacci in mezzo ai guai<br />
Tu non vedi più non senti<br />
Si vende i denti per i suoi parenti<br />
Nulla apprezza e nulla gli garba<br />
Vai a vendere pure la barba<br />
Dalla sera alla mattina<br />
Lei ti porta alla rovina<br />
Stai attento alla tua zappa<br />
Anche quella lei ti strappa<br />
E’ davvero un occasione<br />
Questa femminista è confusione<br />
Hai cercato hai trovato<br />
E ti sei inguaiato<br />
A A A “CERCASI”<br />
67
ROSARIO CALI’<br />
RIFLESSIONI<br />
Da un angolo di balcone<br />
Il mio occhio vede una montagna vicina<br />
Che illumina il mare sottostante<br />
Con dolcezza cullante cullante.<br />
Come se all’improvviso<br />
Diventa tutt’uno ammaliante ammaliante.<br />
Proiettandomi lontano lontano<br />
Dove si sogna dove si vive.<br />
Il mio occhio diventa così<br />
Uno specchio infinito di colori<br />
Facendo capire all’umanità<br />
Di quali miracoli è capace la natura.<br />
68
CAMPILUNGO LOREDANA<br />
Vivo ogni istante<br />
Della mia vita,<br />
……vivo per essere<br />
riscaldata dal sole<br />
e accarezzata dal vento,<br />
vivo per assaporare<br />
i mille gusti della vita<br />
dell’aspro limone<br />
alla dolce mela…<br />
Vivo volteggiando quieta<br />
e a passi leggeri, un lungo,<br />
lungo valzer aspettando piano<br />
l’ultimo raggio di sole.<br />
VIVO……<br />
69
EMANUELE CAPPADONIA<br />
Ho tanta stanchezza sulle mie spalle<br />
Mi sento un gomitolo abbandonato,<br />
abbandonato sul mio divano.<br />
Sul mio divano caldo<br />
Pieno di ricordi.<br />
“IL VECCHIETTO”<br />
70
SALVATORE CARTA<br />
Voglio un pennino d’oro e bottiglie<br />
d’inchiostro nero. Uno sull’altro,<br />
spessori di fogli bianchi attendono<br />
albe di vita, accarezzate da voci e<br />
parole,<br />
Ora la punta scrive che mi ami; e<br />
sporge il tuo profilo all’ingresso:<br />
una mano saluta, l’altra scompone<br />
la goccia, separando ogni granello<br />
di sabbia nel deserto.<br />
Si ribalta la clessidra, allungando<br />
ogni tempo. Canto fra i tamerici;<br />
percorrendo oasi di palme, dentro<br />
i grappoli di datteri ti nascondi e con<br />
gli occhi stuzzichi le stelle.<br />
UN PENNINO<br />
Provi a velare il volto: giochi? Forse,<br />
non vista, vuoi scegliere: sei donna<br />
sicuramente, forse io uomo. Tu vuoi<br />
integrazione; anch’io. Quale Dio noi<br />
preghiamo? Il tuo? Il mio?<br />
Come si chiameranno i nostri figli? Il<br />
sangue di tutte e due è sangue; non è<br />
nero quello che pulsa nell’ombelico tuo,<br />
né è bianco ciò che transita fra le<br />
mie gambe. Dio, mio, tuo, senza confini.<br />
Vogliono pace, soccorrono i dolori senza<br />
chiedere nomi. Bloccano il loro cuore per teste<br />
e gambe sul muro spiaccicate, e pianti sui<br />
morti ammazzati di bombe intelligenti. Ma,<br />
nessuno morirà del tutto se parlerà d’amore.<br />
71
ANGELA CASALE<br />
SONO RICCA<br />
Sono ricca<br />
Quando mio figlio torna a casa<br />
Sono ricca<br />
Quando mio figlio mi chiama mamma.<br />
Quando stiro le sue camicie pensando<br />
Gia’ al domani.<br />
Quando mi dice: mamma fammi trovare cose buone<br />
Da mangiare.<br />
Quando discutiamo come due innamorati.<br />
Quando mi vedi dietro i fornelli e pian, pianino<br />
Ti avvicini e mi abbracci.<br />
Sono ricca per questo modo tuo di fare.<br />
Sono ricca!!! Anzi ricchissima per questo figlio<br />
Che il Signore mi ha dato d’amare.<br />
72
GIORGIO CASTAGNA<br />
Soffrire e sognarti, chissà s’esisti<br />
All’ombra incerta del domani.<br />
Soffrire e non gioire,<br />
sapendo che il desiato sogno<br />
è velato da sentieri distinti,<br />
soffrire e non gioire,<br />
all’idea ch’estremi incompatibili<br />
allontanino l’agogno futuro<br />
Gioire e sfiorarti, sapendo ch’esisti,<br />
baciarti e volerlo ancora domani.<br />
DOMANI SAPRO’<br />
73
VALERIA CURCIO<br />
MORIRE<br />
Anche tu,<br />
impaurito,<br />
come tutti, sentirai la violenza delicata<br />
dell’abbraccio silenzioso.<br />
Sentirai la frenesia di un istante,<br />
ed un sussulto,<br />
un gemito di dolore e piacere,<br />
un’amara fine di spasmi e grida,<br />
di dolce luce bianca<br />
che sfuma in oscurità profonda.<br />
Nel buio velato di scarlatto tepore<br />
sveglierai i tuoi sensi<br />
e nell’immenso fremito<br />
di compresa apparenza<br />
diverrai essenza muta legata all’anima.<br />
Sarai accanto al passato<br />
e vicino al futuro,<br />
non più tristezza,<br />
non più paura,<br />
niente di realmente verosimile<br />
ma di reale e vero.<br />
Come tutti<br />
sentirai la tua vita nell’abbraccio violento spegnersi,<br />
e non sarai più smarrito.<br />
74
ENZO DI GAETANO<br />
Se prima di partir per<br />
un’istante<br />
pensassi a quelli che hai lasciato<br />
a casa,<br />
alla ragazza che ti sta<br />
aspettando,<br />
agli amici, alla festa che deve<br />
incominciare,<br />
sicuramente metteresti<br />
il casco,<br />
per poi non farli tutti<br />
disperare.<br />
METTI IL CASCO<br />
75
SILVIA DAVANZO<br />
LUCI<br />
Luci nel mondo,<br />
luci ovunque, Cina, Italia, Messico,<br />
ogni bambino accende una candela.<br />
Luce al mattino,<br />
il sole sorge ovunque in tempi diversi,<br />
ogni bambino celeste esprime un desiderio.<br />
Luci alle case, ai negozi, ai bar.<br />
Luci per la strada, in cielo, a terra,<br />
luci intermittenti, colorate, grandi,<br />
questo Natale sarà colorato da luci incantate,<br />
per portare del bene nel mondo,<br />
luce come speranza,<br />
più ce ne sono e più speriamo in un nuovo mondo.<br />
76
MICHELANGELO DI LORENZO<br />
Stanchi di pensare<br />
Barattano le loro vite<br />
Lasciandosi dietro<br />
I demoni del passato.<br />
Sono i senza patria<br />
Gli extra-comunitari<br />
Che in punta di piedi<br />
Trascinano<br />
I morsi della sofferenza<br />
All’ombra di bandiere<br />
Che sventola a mezz’asta.<br />
ALL’OMBRA DI BANDIERE<br />
77
ENRICO DI PASQUALE<br />
…DESIDERAVO TANTO CHE LEI RITORNASSE AD AMARE!!<br />
Sobrio d’amore il mio tenero dolce cuore,<br />
naufragava tra le onde tempestose del suo amore;<br />
navigavo in un mar d’amor pieno,<br />
disteso con la testa appoggiata dolcemente sul suo seno.<br />
Imperterrito le parole della sua vita ascoltavo,<br />
e con sicurezza dalla mia mente le cattiverie dette dagli altri cacciavo.<br />
Vagamente sentivo la sua inspirazione,<br />
mentre lei impaurita lasciava in me qualche emozione,<br />
catturata da una breve carezza,<br />
ma bastava per colorare la mia anima di tenerezza.<br />
Atterrito provai a baciare le sue dita,<br />
ad un tratto sentì il profumo della sua vera vita;<br />
alzai il mio sguardo audace,<br />
e la guardai dritto negli occhi,<br />
volevo vedere il suo volto felice,<br />
ma vidi scivolar lentamente dei fiocchi.<br />
Ero sicuro che erano lacrime di felicità,<br />
gettate via per dimenticare il passato vissuto in crudeltà.<br />
Stanco di osservare il suo retrattile sorriso,<br />
le chiesi se potevo riportare il sole nel suo viso;<br />
Mi rispose, fissandomi negl’iridi per qualche attimo,<br />
sembrava stordita da un incantesimo;<br />
raccolse le mie mani sparsi tra i suoi vestiti bianchi,<br />
e le portò al centro dei suoi fianchi,<br />
mi strinse a se con tutta la forze che le rimaneva;<br />
intanto il mio cuore più forte urlava.<br />
Chiusi pian piano le palpebre tremanti,<br />
e iniziai a sentire il suo respiro farsi avanti,<br />
docilmente le nostre labbra si sfiorarono,<br />
ed insieme i nostri sogni decollarono.<br />
Dopo pochi istanti riaccesi la luce alla mia vita,<br />
e capì che da quel momento la nostra vera vita era appena iniziata.<br />
Finalmente vidi la sua faccia inondata di un gran sorriso,<br />
con miliardi di raggi di felicità esplosi all’improvviso;<br />
contento notai le nuvole dai suoi occhi scapare,<br />
….desideravo tanto che lei ritornasse ad amare!!<br />
78
LEONARDO GAGLIO<br />
Avvolto dal dolore<br />
cerco<br />
Tra i tuoi baci<br />
ed i tuoi abbracci<br />
la passione di vivere<br />
portatami via<br />
in un sol secondo.<br />
Cerco la quiete<br />
che giaceva un tempo<br />
nel mio cuore.<br />
Stanco ed oppresso<br />
mi accoscio a terra<br />
sperando,<br />
che il tramonto<br />
arrivi presto<br />
e che mi porti via<br />
con lui,<br />
mostrandomi<br />
la vera quiete<br />
che si rifugia<br />
al di la della vita.<br />
AETERNA TRANQUILLITAS<br />
79
PAOLA GALIOTO GRISANTI<br />
L’AMORE<br />
L’amore è come il vento<br />
che corre su un binario,<br />
corre, sbuffa, ansima, rallenta,<br />
alle stazioni si ferma.<br />
E tu fanciulla svegliati,<br />
ascolta il tum, tum del suo cuore,<br />
sappi riconoscere se quello è<br />
il treno giusto dell’amore,<br />
se indugi, il treno potrebbe ripartire.<br />
Se ti capita di salire su quello sbagliato,<br />
aziona il freno, scendi,<br />
perché il treno dell’amore<br />
quello che per la vita<br />
ti accompagnerà presto arriverà.<br />
Ma tu fanciulla sappilo riconoscere<br />
non indugiare ancora,<br />
sali, e buon viaggio.<br />
80
PIETRO GIOJA<br />
Notte di vigilia<br />
lenta,<br />
arida,<br />
irreale.<br />
Di sterili sapori<br />
senz’amore,<br />
di torbidi silenzi<br />
senza pace,<br />
di vana pena<br />
sospirosa e mesta.<br />
Di cipressi<br />
e crisantemi<br />
aleggia cupo<br />
un senso d’abbandono<br />
tra gli amanti<br />
ed ella,<br />
schiena a schiena<br />
stesa,<br />
di fredda intima<br />
rugiada scintillante<br />
rivolge gli occhi<br />
in supplica<br />
ad una luna<br />
argento.<br />
E a ridestar rimorsi<br />
e amari<br />
ecco l’alba cinica<br />
sulla deserta terra.<br />
Ed egli allora<br />
in nugoli lunari<br />
polverosi<br />
di piatto lume<br />
diafano e rombante<br />
incontri a porti va,<br />
d’ogni rimpatrio vani.<br />
NOTTE DI VIGILIA<br />
81
Gelida,<br />
buia e vuota<br />
landa<br />
senza vita<br />
il borgo appare, ed ella,<br />
com’ossa inerti<br />
e sparse,<br />
ne resta invano<br />
eternamente<br />
parte.<br />
82
ENZA GIURDANELLA<br />
L’OLOCAUSTO<br />
Corpi ignudi buttati in una fossa,<br />
denudati della propria dignità….<br />
Corpi che sono solo un numero<br />
prigionieri di un’assurda<br />
spietata idea di perfezione<br />
che esalta quella razza che non esiste<br />
se non nella misera essenza di una folle idea….<br />
Corpi stracciati dalla fatica del sopravvivere<br />
chiusi come animali affamati di libertà<br />
in recinti di morte e di dolore<br />
appassiscono pian piano<br />
senza inutili lamenti… pochi lamenti<br />
in cui si specchiano grandi dolori<br />
ci guidano sul tortuoso sentiero dell’olocausto…<br />
Pochi lamenti ci dicono che esso è<br />
il frutto marcio d’un albero malato<br />
una cruda realtà che ha lasciato<br />
il marchio dell’orrore<br />
sui suoi martoriati figli.<br />
Chi osa ancora dire che esso sia<br />
solo l’illusione di gente allucinata<br />
da fervide fantasie?<br />
L’olocausto una cruda realtà.<br />
83
SALVO INSERAUTO<br />
Come spinge il tempo,<br />
quanto fretta mi mette addosso<br />
ed io a tamponar qua e là<br />
fra lavoro, famiglia e sogni.<br />
Corrono tutti,<br />
corre questa società,<br />
corre il consumo.<br />
Hanno votato la materia.<br />
Dov’è lo spirito?<br />
E quando è tempo<br />
Per le mie passioni?<br />
Voglio ritmi lenti, io<br />
Voglio osservare e studiare<br />
Ciò che sembra fermo,<br />
voglio assaporare cose e momenti<br />
ed intrattenermi con l’amore.<br />
Dov’è diretto l’uomo?<br />
Cos’è che cerca?<br />
Se questa è la strada,<br />
preferisco piccoli sentieri<br />
dove umile passeggia poca gente<br />
disposta ancora<br />
ad incontrar poesia.<br />
RITMI LENTI<br />
84
FRANCESCA LO DATO<br />
LA NATURA<br />
Quant’è bella la natura:<br />
c’è il mare, c’è la terra, c’è il sole e c’è la luna<br />
c’è il vento e la tramontana,<br />
c’è chi suona la campana,<br />
il prete che dice la messa,<br />
le persone tutte in festa,<br />
il tamburo va suonando per le strade allegramente,<br />
i bambini si risvegliano con ansia e chiamano la mamma.<br />
Mamma oggi è festa!<br />
Un vestito nuovo voglio indossare<br />
Che alla festa voglio andare.<br />
85
LILIANA MAMO RANZINO<br />
Nel deserto della mia vita<br />
piena di interrogativi, delusioni,<br />
dolori,<br />
ho trovato finalmente<br />
la vera e giusta risposta<br />
ai miei infiniti perché<br />
e alle mie ansiose attese.<br />
Altrettanto infiniti sono stati<br />
i granelli di quella<br />
finissima sabbia,<br />
sollevata da un immane bufera<br />
e che sono riusciti ad entrare<br />
nella mia mente,<br />
nei meandri del mio cuore<br />
e hanno lavato e spazzato via<br />
ogni mio dubbio,<br />
facendomi, così, conoscere<br />
chi sono io<br />
e a riconoscere chi è veramente Dio.<br />
NEL DESERTO DELLA VITA<br />
86
GIOVANNI MANNINO<br />
Afona scorre la notte.<br />
Occhi socchiusi<br />
Petto scoperto<br />
Supino riposo sul letto.<br />
Una zanzara<br />
Ronza all’ore4cchio<br />
Scrollo la testa, si sposta,<br />
mi punge sul petto.<br />
Accendo la luce<br />
Già ronza al soffitto.<br />
Le tiro il cuscino,<br />
ritorna, mi sfida.<br />
Le tiro una scarpa<br />
Sbaglio la mira,<br />
Che botta!... che schianto!...<br />
Ho rotto lo specchio.<br />
Mi armo<br />
D’un pezzo di straccio<br />
Con gli occhi sbarrati,<br />
L’aspetto.<br />
Non odo respiro<br />
Silenzio perfetto,<br />
E’ sparito nell’aria<br />
Quel piccolo insetto.<br />
Mi guardo ad un pezzo di specchio,<br />
sorrido, rifletto:<br />
“Che danno che ho fatto,<br />
era solo un invisibile insetto”.<br />
Se ti prendo!<br />
Ti strozzo, ti smonto, ti schiaccio.<br />
SE… TI PRENDO!...<br />
NOTTE D’ESTATE<br />
87
FABIO NOVELLI<br />
Ramoscello<br />
Placida acqua<br />
Inzuppar lento<br />
Nel frusciar del tempo<br />
Sottili onde<br />
Fra flutti disperse<br />
E soave vento<br />
Di sirena sospiro<br />
Regalar<br />
Profonde note incenso<br />
Sul pel del fiume<br />
Delicato Sole<br />
Affannosi raggi<br />
Riscaldar<br />
Nella silente quiete<br />
Dell’arso orto.<br />
ARSO ORTO<br />
88
KATIA OLIVIERI<br />
Le parole tra noi<br />
Cadono come l’ultima<br />
Indifferente pioggia<br />
Dai cornicioni.<br />
Ad un tratto<br />
si rammenta<br />
d’aver piovuto,<br />
che invano<br />
ha piovuto.<br />
INVANO<br />
89
MARIANGELA ROMANO<br />
Non temere<br />
non scorderò d’aver visto<br />
il tuo sguardo fiero<br />
chinarsi e tingersi<br />
di tristezza,<br />
non scorderò<br />
le tue lacrime piene<br />
d’amarezza,<br />
non scorderò<br />
il tuo profondo<br />
silenzio,<br />
non scorderò<br />
le tue mani tese<br />
per trovare conforto…<br />
Non temere<br />
non scorderò d’amare<br />
ciò che sei<br />
perché ho amato<br />
ciò che sei stato.<br />
NON TEMERE<br />
90
SCORSONE LUIGI SALVATORE<br />
L’ODIO<br />
Velo di vernice penetrante<br />
Sveglia la sofferenza e riapre le ferite<br />
Poiché l’animo non può sopportare a lungo<br />
cicatrici vecchie e stanche.<br />
Come un sibilo esaltante<br />
Lento e costante consuma la mente<br />
Ma spesso rinvigorisce la carne dolorante.<br />
Globo di fuoco dalle molteplici sembianze<br />
Corre veloce lo spillo vagante<br />
Attraversa il cuore… e con esso esplode inebriante!.<br />
Eppure gelido ferro è il suo primo segno<br />
Che viene vicino, si accosta supino<br />
Degno compagno del suo immenso freddo.<br />
Dopo è manifesto il suo urlo compiaciuto<br />
Alto e maestoso il suo ruggito<br />
Accolto forse…. solo perché ha trovato il vuoto.<br />
Figlio dei giorni dalla vita strappati<br />
Frutto amaro della coscienza che rinnega il dolore<br />
Ma come…..<br />
Come avrebbe potuto trasformarlo in amore?<br />
91
MAURO SAVINO<br />
L’ARIA NUDA<br />
Ascolto le foglie spezzarsi sul cemento,<br />
i rami stringere la mano al vento,<br />
i nastri sui lampioni schiaffeggiarsi,<br />
le piccole vendette dei bambini.<br />
Ascolto la paura<br />
e l’irrecuperabile.<br />
Ascolto la nostalgia del nulla.<br />
Ma dura solo un attimo.<br />
Torno ad illudermi<br />
di avere qualcosa da fare.<br />
92
GIUSEPPE SETTEMBRE<br />
Come un falcone inquadravi<br />
Dalla tua poltrona gli uomini<br />
Vigliacchi della mafia<br />
E dentro il borsellino del tuo<br />
Collega sbattevi i don… don…<br />
Che si innalzavano incutendo orrore<br />
E con ignoranza e la vostra<br />
Saggezza con coraggio<br />
Ha schiacciato il potere<br />
Della mafia.<br />
Morti siete per mano dei<br />
Mafiosi, ma il vostro coraggio<br />
Nei nostri cuori sarà per<br />
Sempre e la mafia guadagna<br />
Un nuovo soprannome:<br />
uomini dell’ignoranza<br />
e vigliaccheria.<br />
FALCONE E BORSELLINO<br />
93
CATERINA SICLARI<br />
Filtrano appena i raggi<br />
Dalle persiane semichiuse,<br />
nella casa del sole,<br />
un tempo infuocata<br />
da impetuose passioni<br />
e rischiarata<br />
da irrefrenabili emozioni.<br />
Ritratti, sfumati<br />
dalla luce fioca,<br />
che, di sbieco,<br />
ferisce volti e sagome<br />
del tempo che fu.<br />
Gingilli, dalle tinte indecise,<br />
che si ergono a testimoniare<br />
che la felicità,<br />
un giorno,<br />
albergò nella casa del sole.<br />
LA CASA DEL SOLE<br />
94
SALVATORE SUNSERI<br />
Apro gli occhi<br />
E mi trovo in un immenso campo<br />
Quanti colori,<br />
quanti profumi,<br />
quanti pensieri….<br />
…. Ad un tratto<br />
una rosa rossa<br />
spicca più alta di tutti;<br />
La vedo,<br />
e’ lontana, irraggiungibile,<br />
ma è troppo bella.<br />
La voglio,<br />
ma è troppo lontana.<br />
Allora un petalo rosso<br />
s’innalza in volo e si avvicina,<br />
si avvicina si avvicina<br />
E’ lei!<br />
Un petalo rosso è servito<br />
a rendermi per sempre<br />
l’uomo più felice del mondo<br />
UN PETALO ROSSO<br />
95
MARIA ROSA TOMASELLO<br />
Arriva con enormi pesi,<br />
valige, zaini,<br />
coperte, viveri.<br />
E’ gente del sud,<br />
triste, taciturna,<br />
ha attraversato<br />
il lungo sentiero<br />
che porta al nord,<br />
la nebbia li accoglie<br />
ed una fabbrica<br />
aspetta braccia robuste<br />
e mani callose,<br />
la nera terra fertile,<br />
il sole, il mare,<br />
sono ormai lontani.<br />
Un giorno<br />
ritorneranno al sud<br />
e i loro vecchi, chissà<br />
se li aspetteranno nel cortile<br />
o in un angolo accovacciati<br />
con la morte nel cuore<br />
per la solitudine,<br />
per il loro muto dolore.<br />
Un giorno<br />
ritorneranno al sud,<br />
riposeranno sotto il grande albero<br />
nella nera terra fertile,<br />
dove avevano lasciato<br />
le loro radici.<br />
GENTE DEL SUD<br />
96
GLORIA VENTURINI<br />
Si strugge la sera<br />
dentro al rosso di un tramonto,<br />
dietro il tetto di una chiesa solitaria.<br />
Le mani delle alghe<br />
afferrano le lacrime salate<br />
del mare in bufera.<br />
Deboli speranze di cicala svaniscono,<br />
falciate dalla mietitura di Atropo.<br />
- Non chiudere<br />
il volo d’aquila<br />
dentro al cassetto! -<br />
Quel sorriso di ninfea<br />
scioglie stille di rugiada,<br />
il giglio tatuato sulla pelle<br />
profuma di purezza,<br />
di anima e di vita.<br />
E ti ritrovo<br />
nel bosco dei sentimenti,<br />
tra i sentieri degli amanti<br />
dove s’incontrano<br />
di nascosto i ciclamini,<br />
poi, insieme,<br />
asciugheremo il pianto delle cicogne,<br />
le vestiremo di nuove rose.<br />
Nell’arcata della notte,<br />
la via delle stelle illumina il cammino.<br />
- Vola con ali di gabbiano -<br />
Una culla,<br />
tra i fiori bianchi di ciliegio<br />
- Lieto dormi tenero amore-<br />
Bussa alla finestra<br />
la primavera,<br />
soffia sui sogni,<br />
ti vuole svegliare.<br />
ALI DI GABBIANO<br />
97
LUANA ZAMPIERI<br />
Scendono<br />
Lacrime d’amore<br />
Sulla favola<br />
Che ha scritto il cuore<br />
Ormai<br />
Senza personaggi.<br />
Lei,<br />
delusa dal finale<br />
pensa<br />
ai teneri momenti ormai distrutti.<br />
Lei,<br />
sola tra tanti immagini<br />
che invadono la mente,<br />
ormai, lontane da afferrare.<br />
Lei,<br />
isolata nel dolore<br />
nel nido ancora caldo di speranza.<br />
Forse cerca il coraggio….<br />
La forza per tornare<br />
a guardare il sole.<br />
Sbrigati che tramonterà…<br />
ORMAI…FINE<br />
98
POESIA<br />
IN DIALETTO<br />
SICILIANO<br />
99
GIUSY RENDA<br />
A li voti taliu i strati<br />
e mi parinu trazzeri,<br />
i cristiani mi parino<br />
cu cavaddi e cu sciccareddi.<br />
Ci su cavaddi ca caminanu<br />
ca testa tisa tisa<br />
e un ti talianu<br />
chini chini di boria e di superbia.<br />
Ci sunnu i sciccareddi<br />
ca un annu mancu la forza<br />
d’arragghiari<br />
e u stissucaminanu e travagghianu<br />
puru pi patrunazzi tinti…<br />
Ci sunnu i cavadduzzi sapuriti<br />
ca pari ca ridissiru<br />
quanni rapinu la vucca<br />
cu ‘ddi beddi denti bianchi<br />
Chisti pari ca ridissiru<br />
ma ‘cchiu spissu chiancinu<br />
e unnu sapi nuddu…<br />
mancu si fannu sentiri<br />
pi fari nu lamentu<br />
Ci sunnu i scecchi<br />
ca vulissiru fari i cavaddi<br />
ma un annu né a linia<br />
né mancu a vuci<br />
E va cummattitici cu chisti…<br />
Duri, ma duri comu su,<br />
‘ci putissuru scafazzari i nuci<br />
cu la testa…<br />
Megghiu starici luntanu<br />
si sunnu arraggiati,<br />
picchi di tanti buoni buoni<br />
ca ti parinu,<br />
tanti beddi cavuci ti sannu dari,<br />
si c’acchiana a giuggiulena….<br />
Ci sunnu beddi cavaddi,<br />
1° CLASSIFICATO<br />
CAVADDUZZI E SCICCAREDDI<br />
100
ma beddi veru,<br />
ca beddi su sulu di faccia<br />
e no ‘nta la testa<br />
Appena parranu<br />
c’è sulu di scappari o<br />
di mittirici un tappu<br />
‘n mucca.<br />
Piccatu,<br />
picchì putissiru curriri luntanu<br />
e inveci arrestanu sulu<br />
‘nta stadia unni nasceru<br />
Ci semu tanti cavadduzzi,<br />
lari e beddi,<br />
ci semu tanti sciccareddi,<br />
‘ntuntaruti e svigghiareddi<br />
ma sempre armaluzzi arristamu<br />
si la bedda ‘ntelligenza<br />
ca u Patri Eternu ‘nni retti,<br />
misericurdiusu com’è,<br />
unna facemu stiddiari<br />
comu ‘ddu raggiu di suli e d’amuri<br />
ca ogni matina ‘nni vasa e<br />
nn’arruspigghia…<br />
101
RITA ELIA<br />
2° CLASSIFICATO<br />
U PRISEPIU VIVENTI<br />
Chi cci porti o Signuruzzu?<br />
-Nà fascedda di ricotta,<br />
picuraru sugnu iu,<br />
‘un haiu autru ‘ntà sta sporta!<br />
Tu chi porti jardiunaru?<br />
-Portu ciuri vellutati<br />
e un panaru chinu di frutta,<br />
mi cuntaru ca sta notti<br />
ci fu nascita ‘ntà grutta!<br />
Piscatori, tu chi porti?<br />
-Pisciteddi vivi-vivi,<br />
fannu ciauru di mari,<br />
‘un c’è autru ‘ntò cannistru;<br />
chistu è tuttu u mè campari!<br />
Tu chi porti, lavannara?<br />
-Panniceddi profumati pi ‘nfasciari lu Missia<br />
ca nasciu ‘nta stù munnu puvureddu comu a mìa!<br />
Tu craparu, chi ci porti?<br />
-Na pizzudda di formaggiu<br />
e latti friscu di crapuzza pi cuariari ddà vuccuzza!<br />
Furnareddu, tu chi porti?<br />
-Dui panuzzi cauri-cauri, quattro ligna e carbuneddu<br />
p’addumari canticchia di focu e cuaruari u bambineddu!<br />
Picciutteddu, tu chi porti?<br />
-Iu ci vaiu p’addummannari comu fari pi campari,<br />
Portu appressu i mè spiranzi,<br />
Portu appressu i mè penzeri,<br />
ci li mettu avanti e peri!<br />
E tu, riccu, chi ci porti?<br />
-Iu nun portu nenti a nuddu,<br />
tuttu chiddu ca haiu è miu,<br />
cu stu poviru ‘un haiu chi fari:<br />
nun è chistu lu me Diu!<br />
102
NOTTI D’ECCLISSI<br />
‘Nto cori haiu casciunedda di ricordi<br />
ca ogni tantu grapu e nesciu fora;<br />
stasera nni grapìu unu cchiù anticu<br />
mentri staiu a taliari l’infinitu.<br />
E m’attrovu ‘ntò paisi unni crisciu,<br />
unni muviu li primio passiceddi,<br />
paisi ca è chiamatu “di li stiddi”<br />
unni mè matri di nica m’annacò<br />
e “pi grazia ricivuta”<br />
p’amuri a Santa Rita a Idda mi vutò.<br />
Mi viru picciridda ‘ntà ddì strati,<br />
ci attrovu muntagneddi di frumentu,<br />
astrattu misu o suli, mennuli a mannari<br />
e iu, chi trizziteddi o ventu,<br />
a curriri e a scialari.<br />
Ci viru carritteddi di ramagghia<br />
E sciccareddi carricati a fenu e pagghia.<br />
E attrovu li cianuri di nà vota,<br />
di cosi veri, di cosi sinceri;<br />
di oani di casa<br />
e di mè matri ca m’abbrazza e mi vasa.<br />
Stanotte ca u suli s’abbrazza ca luna e l’accarizza<br />
e idda arrùssica e poi affruntusa si v’ammuccia;<br />
grapìu stù casciuneddu assai luntanu<br />
e tornu arreri ddòcu…<br />
p’attruvari i so vasati, p’arrubbari i carezzi di so manu.<br />
103
L’EMIGRANTI<br />
Quann’eru caruseddu,lassai lu mè paisi,<br />
a genti canusciuta e a terra catalisi.<br />
Eru comu un passareddu ca fa canciu di nidu,<br />
in cerca di distino, vulaiu ‘nta n’autru lidu.<br />
‘Nta l’occhi mi purtaiu u mari da Sicilia.<br />
‘ntò cori la me genti,<br />
i cianuri, la parrata e a festa di sant’Agata.<br />
E’ appressu li spiranzi di conciari u me avveniri,<br />
d’aviri cchiù fortuna, d’attruvari dignità<br />
e scurdarimi pi sempri a fami e a puvirtà.<br />
E’ l’anni hannu passatu, nun sugnu cchiù carusu,<br />
canciò lu me distino ma u coru l’haiu piatusu;<br />
quannu penzu a mè la terra ca mi dava pani amaru<br />
e arrivannu a fini misi si tirava u paru e sparu .<br />
E spissu iu ci tornu e m’afferra a nostalgia<br />
E tornu arrè ‘ntarreri cu la mè fantasia:<br />
- vaiu a trovu li mè amici, mè matri picciuttedda,<br />
i cianuri di nà vota, vanedda pi vanedda.<br />
Mi viru arrè carusu, cu cori spiranzusu.<br />
I tempi si canciaru, l’amici si straviaru,<br />
giranno pi vaneddi, nun trovi i vicchiareddi,<br />
a genti di nà vota ormai ‘un sunnu cchiù,<br />
taliu la mè matruzza ca persi a gioventù:<br />
- mi sentu un catalisi, stranieru o so paisi.<br />
‘Nto cori marristò sulu la nostalgia<br />
e lu disiu d’amuri pi la terra mia!<br />
104
SALVO INZERAUTO<br />
Vulissi ca mi passassiru lu stipendio<br />
Senza ca io avissi a travagghiari<br />
Ma no picchi sugnu lagnusu<br />
Ma pi tuttu chiddu c’addisiu di fari.<br />
Putissi scriviri nu libru<br />
aviri chiù tempu pi la puisia<br />
ririssi sempri lu me cori<br />
fussi chiù bedda a vita mia.<br />
Pi cumpletari li me versi<br />
mi tocca fari li nuttati<br />
e quannu stancu mi va curcu<br />
è sulu tempu di latrati.<br />
A voti mi sentu comu gravitu<br />
l’avvertu forti dintra di mia<br />
e comu na fimmina c’accatta<br />
partorisci l’ultima puisia.<br />
Bedda Sicilia mia<br />
quasi sempre vistuta di stu suli<br />
truccata d’alligria<br />
nascunni la to facci di duluri.<br />
Supporti ‘sti supprusi<br />
nun guarisci mai di ‘stu tumuri<br />
ca tutti ‘sti mafiosi<br />
ca sunnu tuttu tranni ca dutturi.<br />
Ma ‘nta sta terra<br />
la genti nun po sempri subiri<br />
e fa na guerra<br />
dunni spissu s’arrisica a muriri.<br />
L’unica so arma è lu curaggiu<br />
e tu tintu guvernu<br />
c’avissi a essiri chiù saggiu<br />
nun smovi un pernu.<br />
Poi quannu suddedi un fattu gravi<br />
3° CLASSIFICATO<br />
TEMPU PI LA PUISIA<br />
SICILIA MIA<br />
105
prumetti sempri tantu<br />
e mentri cu la vucca siti bravi<br />
ccà resta lu chianti.<br />
Lu sicilianu servi sulu allu putiri<br />
p’aviri a maggioranza<br />
e dintra di tia ancora viu cu dispiaceri<br />
tanta ‘gnuranza.<br />
- Domani ti porto dai nonni<br />
Li lo sai che ti diverti –<br />
Spissu dicinu accussì li figgi<br />
a li so picciriddi.<br />
E già! Li nonni su sempri pronti<br />
a tinirisilli li niputeddi<br />
quannu li figgi sunnu ‘npignati<br />
o nescinu pi ghirisi a scialari.<br />
Ma iddi lu fannu cun amuri<br />
e virennusi arrivari ‘sti ‘nuccenti<br />
nun sannu prima zoccu ci hannu a dari<br />
e li figghiuzzi stanno assai contenti.<br />
Poi si li portanu pissinu a spassu<br />
firmannusi ‘nta na villa pi jucari<br />
e si ci trovanu li jaggi cu l’armali<br />
li picciriddi si c’incoddanu a talari.<br />
Turnannu dintra dopu la passiata<br />
si nni fannu fari di tutti li coluri<br />
si mettine macari a quattro zampi<br />
e lu picciriddu s’addiverti a cavarcari.<br />
LI NONNI<br />
Quannu sunnu stanchi poi, cumincianu:<br />
-Nonno cos’è questo? Nonna cos’è quello? –<br />
E li nonni rispunnennu li sannu suddisfari<br />
ma comu raccumannanu li figgi, in italianu.<br />
Appressu,’nvicchiannu ‘sti nunnuzzi<br />
pi certi figghi diventanu di pisu<br />
e s’arriducinu via via sempri chiù suli<br />
pirdennu araciu araciu ogni surrisu.<br />
Ora, spirannu ca nonnu ci addiventu<br />
Nun criu c’avissi a passari tanti peni<br />
Nun m’abbannunerannu, mi lu sentu<br />
La figghia mia mi voli troppu beni.<br />
106
E, in ordine alfabeto, tutti gli altri che hanno partecipato a<br />
questa sezione del concorso.<br />
GIUSEPPE BATTAGLIA<br />
A matina s’arruspigghia<br />
Quannu a casa s’è quariata<br />
Apri l’occhi spadigghiannu<br />
Accumincia n’autra junnata<br />
Mentri infial li tappini<br />
Idda nun s’api cosa fari<br />
E unn’havi accuminciari<br />
Pi la casa arrisittari<br />
Idda pensa consu u lettu<br />
Megghiu rugnu na scupata<br />
E accussi lu tempu passa<br />
E si sciupa a matinata<br />
Pi lu sforzu di pinzari<br />
La so menti ormai è stanca<br />
Mancu scupa nu ffa nenti<br />
E la vuluntà ci manca<br />
Quannu la sira lu maritu<br />
S’arricogli ri travagghiari<br />
Viri la mogghi stanca assai<br />
Cu la testa di pinzari<br />
Talja lu lettu munciuniatu<br />
Cu lu linzolo tuttu sporcu<br />
Comu fussi priparatu<br />
Pi ddurmirici nu porcu<br />
Mischinazzu ci siddia<br />
Di fari alla mogghi na carizza<br />
La s’o casa è ‘ngrasciata<br />
Tutta china ri munnizza<br />
Ci pigghia nu cestu<br />
Comu fussi na pazzia<br />
A MUGGHERI N’GRASCIATA<br />
107
Nun s’afira chiù a stari<br />
fra la grascia e la fittizia<br />
iddu allora unni po’ cchiù<br />
e scuppiata a so pazzia<br />
abbannuna mogghi e casa<br />
pi ‘nanticchia di pulizia<br />
108
ANGELA CASALE<br />
‘Na la me casa nun c’è nenti<br />
nun ci sù mobili divani<br />
nun ci su cosi appariscenti p’ingannari<br />
l’uocchi di lu visitatori<br />
Ma ci sù du fari lucenti<br />
Ca la me casa inchinu di sbrannuri.<br />
‘NA LA ME CASA<br />
M’abbasta pur una vota d’acqua e un muzzicuni<br />
Di pani e gghirimi a ccurcari<br />
Mianzu a sta luci<br />
Ca la me casa inchi e lu tiampu<br />
Un si viri passari<br />
O cori di Gesù<br />
Canaluto juarnu<br />
Sti du figghiunazzi mi vulisti dari<br />
Ia tirringraziu assai e a tuttu<br />
Lu munnu lu vuogghiu gridari.<br />
109
ENZO DI GAETANO<br />
Forsi su tutti ca la<br />
Paci cercanu,<br />
forsi su tutti ca la<br />
paci vonnu.<br />
Però piccatu ca sta<br />
Gran parola,<br />
è comu l’aria chiusa<br />
rintra on pugnu,<br />
c’appena rapi a manu<br />
nun si trova.<br />
SI CERCA E NUN SI TROVA<br />
110
PIETRO DI GIOVANNI<br />
Cent’anni, natri centu e centu ancora<br />
passaru, hann’a passari e passeranu<br />
e finu a quannu girerà stu munnu<br />
‘nto cori ci sarà sempri a me terra.<br />
E pensu a cu è partutu<br />
E pensu a cu è partutu<br />
Cu lassa la so terra unn’è mai cuntentu<br />
E pensa all’aria frisca e o beddu suli<br />
E a quannu si parteva cu li muli<br />
Pi ‘gghiri a siminari lu furmentu.<br />
Cu a bedda pupa ‘i pani ‘nna vardedda.<br />
Cu a furma di tumazzu e quattro alivi<br />
E ancora oggi ia li sentu vivi<br />
Sti sciauri e sti sapuri campagnoli.<br />
Chisti su cosi santi e veri<br />
Chisti su cosi di ricurdari<br />
Chista è la forza di na cultura<br />
Chisti su cosi ormai luntani.<br />
E pensu o munnu d’oggi<br />
E pensu: ci vò curaggiu.<br />
Oggi ca un c’è travagghiu<br />
Oggi ca c’è pitittu<br />
Oggi ca si sta peggiu<br />
Di quannu si stava “peggiu”<br />
Cent’anni, n’atri centu e centu ancora<br />
Passaru, hann’a passari e passerannu<br />
E finu a quannu girerà stu munnu<br />
Ìnto cori ci sarà l’aria di lu paisi.<br />
L’ARIA DI LU PAISI<br />
111
MICHELANGELO DI LORENZO<br />
‘Nsemula tiramu avanti<br />
spartinninu puru lu sonnu.<br />
Mi veni appressu<br />
cuntannumi li pidati<br />
senza lagnarisi<br />
di nudda cosa.<br />
‘Un è la mè cumpagna<br />
‘Un è lu mè amicu<br />
e amncu è<br />
ddu figghiu masculu<br />
ca ‘un haju.<br />
Si vò sapiri di cu parru!<br />
Ascuta lu cori.<br />
Si batti senza timuri<br />
‘un aviri scantu<br />
picchi si ‘ntra di tia<br />
cc’è ‘na cuscenza….<br />
Chidda è!<br />
CHIDDA E’<br />
112
PAOLA GALIOTO GRISANTI<br />
QUANNU ‘U PANI A LA CASA SI FACIA<br />
Quannu ‘u pani a la casa si facia<br />
tutti prestu a la matina si struvigghiavanu<br />
e cu fari lestu e allegru,<br />
dopo avirisi misu ‘u muccaturi ‘ntesta<br />
a farina ri frumentu<br />
mittivanu intra la madida.<br />
La farina viniva cullucata a funtanedda<br />
e dinta sta funtana sali,<br />
lievitu e acqua aggiungivanu.<br />
Cun fari amurusu la fimmina<br />
cuminciava a ‘mpastari.<br />
Tantu era l’amuri ca ci zittiva,<br />
ca pi idda tutti i furmi chi costruiva<br />
eranu comu tanti picciriddi.<br />
Li lisciava mittennuci a giuggiulena<br />
l’aggiustava, picchi vuleva ca nun<br />
si sformassiru quannu dintra<br />
a lu furnu già camiatu<br />
so maritu a cociri li mittia.<br />
I jorna i festa, si ‘n famigghia<br />
c’erano picciriddi, u pani<br />
pi sti picciriddi viniva mudillatu<br />
a forma di pupidduzza pa fimminedda<br />
u cavadduzzu cu cavaleri era pu masculiddu.<br />
Poi a furma a cannistru cui ciuri<br />
era pi dunarlu a ‘n signora<br />
privileggiata ca magari idda a<br />
casa ‘u pani ri frumentu nun facia.<br />
Ah chi ciauru si rispirava<br />
‘n dda casa quannu ‘u pani si facia!<br />
113
ENZA GIURDANELLA<br />
Nànna ca si sempri ntò ma cori<br />
m’arrivuòrdu li tà cùnti<br />
ntà li sìrì timpistùsi<br />
cuànnu iu rè lampi e truòna<br />
mi scantàva e m’ammucciàva.<br />
ca vuciùzza tua ammalata<br />
mi ciamàutu e mabbrazzàutu,<br />
iu cu tia m’alliscìautu<br />
av’a ‘u curagghiu ri’n liùni<br />
e ‘a furzàzza ri nu draùni.<br />
Puòi lu tièmpu trascùrria<br />
puòi ‘ntantu iu criscia<br />
ma li cùnti ri la nànna<br />
nto ma còri mi purtàva.<br />
Iu criscìa, iu criscìa…<br />
M’arrivuòrdu i ta palori<br />
sèmpri aruci e allatinàti<br />
cuànnu iu mi rispìrava<br />
pi n’amùri cuntrariàtu<br />
na passiòni nun capùta<br />
pi l’amùri chiddu miu:<br />
Iu criscìa, iu criscìa….<br />
Ora nànna sùgnu rònna<br />
e puòi cuànnu piènzu a tia<br />
iu ti rìciu e ti cunfièssu<br />
ràmmi a fòrza ri caìiri<br />
tùtti i pèni e li catìni…<br />
Pacinziùsa còmu a tia<br />
vuògghiu sìri nànna mia<br />
picchì sì pi mia na stìdda<br />
ca mi pùnta e m’ancuatrìa<br />
picchì si pi mia lu spècciu<br />
e ‘a vèra fòrza ra vìta mia.<br />
I CUNTI RA NANNA<br />
114
SERAFINA MARIA GULLO<br />
Chi fannu li stinni ‘nto cielu?<br />
NOTTI D’AUSTU<br />
Parino tanti lamparini annusati pi fari festa<br />
pì l’omini boni e pì chinni malvagi.<br />
Ascutanu li nostri prieri<br />
e sentinu li nostri lamenti.<br />
Talianu stu munnu chi furria continuamente<br />
e nun trova mai risettu.<br />
115
TOTO’ IMBURGIA<br />
Un ghiornu ‘ nta la chiazza caminannu<br />
C’era un furasteri supra un mulu<br />
Chi si nnhi ava tranquillu e sulu<br />
A lu so paisi luntanu un munnu.<br />
Lu vitti unu ca di ririri lu spinnu avia<br />
E virennu ca c’eranu du’ corna ‘ncantu,<br />
ca di vitennu eranu statu gran vantu,<br />
s’avvicinau, e senti a chiddu chi dicia:<br />
“amicu ca iri faciti di cursa,<br />
nun viriti ca pirdistivu l’urnamentu<br />
ca a lu vostru paisi è grannhi vantu?<br />
Turnati pi nun fari fatia persa!<br />
Stu passiggeru, senza scumpunimentu,<br />
si ferma di bottu cu maravigghia,<br />
e, isannu la manu lassa la brigghia,<br />
e la frunti si tocca p’un mumento;<br />
e arrispunnennu all’amicu furbu<br />
ca cririri si facia gran furfanti:<br />
“Amicu li me corna sunnu ‘nfrunti,<br />
li vostri però nun viu o sugnu orbu?<br />
Certu perdiri li facistivu ccà,<br />
nun viri ca la testa s’alliggiriu cchiossà?<br />
LI CORNA DI CU SUNNU?<br />
116
LO DATO FRANCESCA<br />
POESIA<br />
Compari ortulanu vi cunfessu cà<br />
a mia mi piaci assai lu vinu<br />
e lu tegnu caru nà la utti mia.<br />
E ora arrispunnu iu cumpari pitturi e vi dicu,<br />
cà pi mia amu assai l’acqua,<br />
cà iu senza acqua mi viu persu<br />
cà di tanti travagghi ca aiu fattu<br />
si nùn chiovi sugnu pirdutu,<br />
e prego notti e jornu a lu signuruzzu<br />
chi mi aiuta e fa chioviri,<br />
ca si manna l’acqua di lu cielu<br />
iu e la mia famigghia la pasta<br />
e lu pani dicà laiu accattari,<br />
caru compari ognunu garantemu u nostru interessu<br />
117
ANTONINO LO PIPARO<br />
‘NTA LU MUNNU IN CERCA D’AMURI<br />
Un toccu di picciriddi di la luntana Russia,<br />
si misiru l’ali e vosiru velari,<br />
e vonnu sapiri, si ancora ‘nta stu munnu<br />
chinu di massacri e di tirruri, chi fu fattu bellu di nostru Signuri,<br />
ancora c’è un angulu d’amuri.<br />
E parteru, passaru celu, terra e mari<br />
e ‘mmenzu di acqui azzurri<br />
vittiru la nostra bedda Sicilia,<br />
ridenti, china di suli e d’amuri,<br />
chi l’aspittava.<br />
Calare ‘nta lu nostru paisi<br />
e pusaru supra un grandissimu arbulu di pinu,<br />
unni supra la cchiù avuta cima,<br />
c’era mamma Antonella cu li brazza aperti<br />
ca cu tantu amuri l’aspittava,<br />
si l’abbrazzò tutti e si li scinniu<br />
dintra la so bella casa.<br />
Io li vitti e mi ficiru tanta tinnirizza,<br />
la vuci e l’amuri di mamma Antonella<br />
traforò tutti li casi di lu nostru paisi,<br />
unnè chi tanti matri disposti a dari affettu e amuri<br />
si sparpagghiaru e si li purtaru dintra li so casi<br />
e iddi chini di gioia, facennu lu cantu come l’acidduzzi,<br />
truvaru lu nidu di l’amuri e di la paci.<br />
Vulissi ca pi tutti li Nazioni<br />
e pi tutti i paisi ru munnu<br />
avissiru l’amuri e l’esempiu<br />
c’annu ratu sti granni matri di lu nostru paisi,<br />
nun ci fussiru cchiù guerri,<br />
nun ci fussiru massacri<br />
e rignari la paci.<br />
118
MANNINO GIOVANNI<br />
A ‘n’angilu<br />
ca si pusò supra li me spaddi<br />
cci vosi dummanari:<br />
“Unn’è l’autru munnu?”.<br />
Iddu m’arrispunniu:<br />
“E’ ccà!”<br />
Quannu sta vita<br />
ti vota li spaddi<br />
ti cci trovi ‘nfunnu.<br />
ANGILU<br />
119
LILIANA MAMO RANZINO<br />
Senza a nuddu vuliri livari<br />
v’assicuru ca sulu ‘na matri<br />
certi cosi li po’ capiri.<br />
Li figgi sunnu sangu du sò sangu<br />
ciamma di lu sò cori<br />
focu di li so vini.<br />
A matri di li figghi<br />
talia la cera<br />
e quannu li viri patuti e sicchi<br />
ccu l’occhi ci vulissi<br />
unciari li masciddi.<br />
Subbitu s’innaduna<br />
si soffrinu<br />
e già ‘nta lu sò cori<br />
c’è ‘n ranni pena.<br />
A matri a li figghi<br />
ci talia la vucca<br />
e l’ucchiuzzi<br />
si sunni risolini<br />
e ‘nta lu so cori<br />
si viri passari tutti li peni.<br />
Accussi, iu e tutti li mastri veri<br />
talianu li propri figghi,<br />
li propri criaturi<br />
e vulissiru<br />
ca sempri contenti e alleri fusiru<br />
mai afflitti da guai e peni<br />
e pì iddi preianu<br />
matina e sira<br />
ccu sincera firi.<br />
OCCHIU DI MATRI<br />
120
MARIA ROSA TOMASELLO<br />
Picchì si sinteva granni,<br />
picchì si sinteva omu<br />
picchì vuleva essiri libiru,<br />
comu na foggia<br />
ca si stacca di l’arbulu,<br />
un ghiornu<br />
di casa scappò Renzinu<br />
e, ‘ncumpagnia<br />
di quattro amici,<br />
lassò lu so paisi.<br />
Ma aveva fattu pochi passi,<br />
pochi passi appena<br />
e già n’era pintutu,<br />
vuleva a casa riturnari,<br />
ma comu a correnti d’un ciumi<br />
chiddi quattro su trascinare luntanu.<br />
Passò na simana<br />
e chi sacchetti vacanti<br />
tutti si truvaru;<br />
qualcunoi piunsò di iri a rrubari<br />
pi putiri campari<br />
senza travagghiari.<br />
Ma sulu Renzinu dissi:<br />
“iu nun ci vegnu!<br />
sta pinsata nun mi convinci<br />
pigghiatimi pi vigliaccu,<br />
si vuliti,<br />
ma iu lu stessu vi salutu<br />
e pi la me strata vaiu.<br />
Iu vogghiu sazziarimi di pani<br />
‘mpastatu di travagghiu,<br />
rispirari aria pulita<br />
‘nta la vecchia casa<br />
rispicchiarimi<br />
nna l’uocchidi lu munnu,<br />
e cerca<br />
di paroli saggi.”<br />
LU SBAGLIU DI RENZINU<br />
121
CATEGORIA BAMBINI<br />
E RAGAZZI<br />
122
SEZ A POESIA DIALETTALE<br />
1° CLASSIFICATO SEZ A POESIA DIALETTALE<br />
ENZO CIVILETTO:<br />
Civiletto Vincenzo è nato a Termini Imerese il29.09.1994, abita a <strong>Cerda</strong> e frequenta<br />
nell’anno scolastico <strong>2004</strong>-2005 la 5° elementare nell’istituto di <strong>Cerda</strong>.<br />
U MISTERI DI ME PATRI<br />
Quannu a notti veni,<br />
accumincia u misteri di me patri.<br />
Iddu arriva o furnu ch’è ancora scuru<br />
E accumincia a ‘mpastari.<br />
Fa u pani e tanti autri cosi boni.<br />
Metti ‘nsemmula<br />
A farina, u Sali, u lievitu, l’acqua,<br />
e li fa girari.<br />
U fa comu ‘na vota.<br />
Sulu ca si fa aiutari de macchini<br />
ca ci sunnu uora.<br />
Quannu su pronti i pupi,<br />
li fa limitari.<br />
Aspetta cu pazienza u tempu ca ci voli.<br />
Ora è pronto pi ‘nfurnari.<br />
Passa u tempu, e quannu si coci,<br />
u sciauru arriva, arasciu arasciu,<br />
‘nte casi di li cristiani, e li fa struvigghiari.<br />
Eccu ca aggiorna<br />
E tutti s’accattanu lu pani cauru cauru.<br />
Comu è bieddu u misteri di me patri<br />
123
MARRAFFINO ELENA:<br />
Marraffino Elena undici anni, ha tanti hobby, ma il suo preferito è la lettura.le piace<br />
la scuola ed adora stare insieme agli amici. E’ vincitrice del concorso per “LA<br />
MIGLIORE PRODUZIONE COMUNICATIVA”, anno scolastico 2002/2003 E’<br />
vincitrice del concorso di letteratura “IO E IL LIBRO”, anno scolastico <strong>2004</strong>/2005.<br />
Ha partecipato al 1° concorso letterario “MAESTRO CALOGERO RASA”,<br />
presentando la poesia in dialetto siciliano sotto citata “U PUTIRI DI NNIENTI”, che<br />
è stato oggetto di studio di una scuola del Friuli, con la pubblicazione su un giornale<br />
locale…… Anche nella sua scuola L. Pirandello di <strong>Cerda</strong>, il Preside ha messo in<br />
circolare la stessa, al fine di farla leggere ai ragazzi dell’istituto.<br />
U PUTIRI DI NNIENTI<br />
(IL POTERE DEL NIENTE)<br />
A MAFIA………..<br />
A MAFIA UNN’ESISTE !<br />
CHI CUOSA E’ A MAFIA ?<br />
UNNI’ E’ A MAFIA ?<br />
A CHISTA DUMANNA ARRISPUNNINU TUTT’ ACCUSSI’……<br />
STAIU ZITTA, TALIU A TELEVISIONE E SIENTU,<br />
SIENTU CUOSI E CAPISCIU.<br />
CAPISCIU CHIU’ DI UNU RANNI E PUOZZU MMAGGINARI.<br />
SUGNU STATA FURTUNATA……………<br />
FURTUNATA PICCHI’ NASCIU N’TA NA FAMIGGHIA<br />
CA’UNNE MAFIUSA<br />
MA AUTRI PICCIRIDDI COMMU AMMIA, UNN’ANNU<br />
AVUTU STA FURTUNA.<br />
SUBBISCINU E CUNTINUANU A SUBBIRI<br />
E QUANNU SU’ GRANNI ANNU FUORSI UN PUTIRI<br />
U PUTIRI DI NNIENTI<br />
PICCHI A MAFIA E’……….. NNIENTI !!!!!!!<br />
Questa poesia la dedico alla mia famiglia, e ai miei docenti che mi hanno<br />
insegnato in tutto questo tempo……………<br />
124
SEZ B “POESIA IN ITALIANO ”<br />
1° CLASSIFICATA SEZ B POESIA IN ITALIANO<br />
JLENIA MARIA MARRAFFINO:<br />
Marraffino Jlenia Maria ,di Francesco Antonio e Tuso Concetta è nata a Cefalù (PA)<br />
il 24.12.1994 è residente in Via G.Cascino n°58 – 90010 <strong>Cerda</strong>(PA). Frequenta il I°<br />
anno della scuola secondaria di I° grado dell’Istituto Comprensivo “ L. Pirandello ”<br />
di <strong>Cerda</strong> (PA).<br />
Vincitrice del I° Concorso Letterario “ Maestro Calogero Rasa ”, Categoria “<br />
Poesia in Italiano ”, organizzato dall’associazione culturale “ La Nuova Compagnia<br />
Città di <strong>Cerda</strong> ”, svoltosi a <strong>Cerda</strong> il 26/12/<strong>2004</strong> (vedi Poesia allegata); Seconda<br />
classificata alla 5^ Festa della Canzone Italiana organizzata dall’Istituto Comprensivo<br />
“ Paolo Balsamo ” di Termin Imerese (PA) il 15/04/2005.<br />
Hobby: Disegno; Canto; Ballo ( frequenta da diversi anni la scuola di danza “ Show<br />
Dance “ di <strong>Cerda</strong> e ha partecipato a diverse gare regionali di Ballo Liscio con ottimi<br />
piazzamenti );<br />
Jlenia Maria Marraffino ha partecipato anche alla sezione narrativa con il<br />
brano “Una ragazza coraggiosa”<br />
“ IO VORREI ”<br />
……….Per Natale Vorrei…..<br />
………qualche cosa che molto apprezzerei.<br />
Per i bambini del terzo mondo Vorrei che avessero da mangiare,<br />
qualche abito da indossare<br />
e una casa dove alloggiare.<br />
Loro per passare un Natale felice, in allegria ed armonia,<br />
io so che per loro basterebbe un sorriso pieno di affetto e magia.<br />
125
BONDI’ SINA:<br />
Bondì Sina è nata a Termini Imerese il 27.05.1994, abita a <strong>Cerda</strong> e frequenta<br />
nell’anno scolastico <strong>2004</strong>-2005 la 5° elementare nell’istituto di <strong>Cerda</strong>.<br />
Titolo di studio: Sono stata ammessa al successivo grado di istruzione con OTTIMO<br />
Attestati di partecipazione:<br />
Mi piace ballare,cantare e studiare;ho partecipato a tante manifestazioni<br />
-Ho vinto il 2° trofeo di Mazzara il 25/03/01 Liscio Unificato 3° posto; Una coppa<br />
Conca D’Oro Bagheria Maggio 2001 Liscio Unificato 2° posto ; 1° Trofeo<br />
dell’amicizia Bagheria Aprile 2002 Ballo da Sala 3° posto 2° Trofeo Dionisio<br />
Siracusa 3 Novembre 20 Liscio Unificato 1° posto; 2° Trofeo Dionisio Siracusa 3<br />
Novembre 2002 Ballo da Sala 2° posto.<br />
Al Campionato Regionale Sicilia 23-24 Novembre 2002 Di Barcellona Liscio<br />
Unificato 2° posto Nella categoria 6-9 anni<br />
Al Trofeo Conca D’Oro Palermo 12 Dicembre <strong>2004</strong> Liscio Unificato 1° posto; Al<br />
Campionato Regionale Bagheria 4-5 Giugno 2005 Competizione Danza Sportiva 2°<br />
posto<br />
E in molte altre gare mi sono classificata nei primi 6 posti<br />
Ho partecipato a molti FESTIVAL della canzone BABY classificandomi una volta 2°<br />
posto e un’altra volta al 3° posto e anche quest’anno ho partecipato classificandomi<br />
2° posto; Ho vinto quest’anno a scuola il 1° posto partecipando al primo corso di<br />
BASKET a squadra<br />
Ho partecipato alla 5° festa della canzone italiana A.S. <strong>2004</strong>-2005 all’istituto<br />
Comprensivo “PAOLO BALSAMO” di Termini Imprese classificandomi al 4° posto.<br />
Ho partecipato al 1° Concorso Letterario “MAESTRO CALOGERO RASA” a<br />
<strong>Cerda</strong> il 26/12/<strong>2004</strong>.<br />
LA LUCE<br />
Nel cielo c’è una luce<br />
che splende ogni dì,<br />
fa sorridere l’uomo<br />
e tutti quelli che ci stanno intorno.<br />
Illumina tutto il mondo<br />
e dà vita ogni giorno.<br />
Ogni tanto scompare<br />
e finisce di luccicare.<br />
126
CIRRITO GIUSEPPE:<br />
Cirrito Giuseppe è nata a Termini Imerese il 20.01.1994, abita a <strong>Cerda</strong> e frequenta<br />
nell’anno scolastico <strong>2004</strong>-2005 la 5 elementare nell’istituto di <strong>Cerda</strong>.<br />
CERDA<br />
<strong>Cerda</strong> è un piccolo paesino,<br />
molto bello e tanto carino,<br />
conta 6.000 abitanti<br />
e sono per la maggior parte persone eleganti.<br />
Il carciofo è uno dei simboli principali,<br />
insieme alla chiesa e alle zone municipali.<br />
La “Targa Florio” è una gara automobilistica rilevante,<br />
definita dai migliori automobilisti una corsa molto importante.<br />
Il paese si trova ai piedi di una collina,<br />
e per le sue bellezze l’hanno messo in cartolina.<br />
Questo è tutto dalla mia fantasia<br />
E mi raccomando non buttatela via!<br />
127
FUSCO MARIA ELENA:<br />
Fusco Elena Maria è nata a Termini Imerese il 19.10.1994, abita a <strong>Cerda</strong> e<br />
frequenta nell’anno scolastico <strong>2004</strong>-2005 la 5° elementare nell’istituto di <strong>Cerda</strong>.<br />
Sono Fusco Elena Maria, ho 11 anni, a settembre frequenterò la 1^ classe della<br />
scuola media.<br />
Quando non ho impegni, preferisco giocare al computer, guardare la Tv o ascoltare la<br />
radio, nelle belle giornate vado in giro con i miei amici,la sera , invece, preferisco<br />
leggere qualche pagina del mio nuovo libro.<br />
Quando ho scritto questa poesia, ero molto entusiasta all’idea di partecipare per la<br />
prima volta ad un concorso letterario che, secondo me, è stata una bella iniziativa.<br />
POVERA NATURA!<br />
La natura sta morendo<br />
perché tutti stanno continuando<br />
a farle del male.<br />
Inquinando il mare<br />
inquinando l’aria<br />
e neanche si accorgono che<br />
stanno facendo del male a loro stessi.<br />
Tagliando gli alberi<br />
l’ossigeno si tolgono,<br />
ma essi,<br />
non stanno neanche ad ascoltare<br />
le persone che la vogliono salvare.<br />
128
GULLO VINCENZO:<br />
Gullo Vincenzo è nato a Termini Imerese il 20.08.1990, abita a <strong>Cerda</strong> dove è solito<br />
dedicarsi alla lettura e scrittura.<br />
L’AUTUNNO<br />
Non c’è niente di bello<br />
Dopo l’estate vien l’autunno;<br />
i colori, i rumori<br />
e lo scricchiolar delle foglie<br />
che pian pian van cadendo<br />
dagli alberi.<br />
Il sospirar della tranquillità<br />
e del tuo fresco profumo;<br />
le passeggiate nei boschi<br />
il pensier di vita degli scoiattoli e di natura.<br />
Le giornate di vento<br />
E di un sospirar di tranquillità.<br />
Mio caro vecchio autunno<br />
Ti saluto con tutto il mio cuor.<br />
129
LAZZARA ANGELA:<br />
Lazzara Angela è nata a Termini Imerese il 02.03.1994, abita a <strong>Cerda</strong> e frequenta<br />
nell’anno scolastico <strong>2004</strong>-2005 la 5° elementare nell’istituto di <strong>Cerda</strong>.<br />
IL MIO DIARIO<br />
Tondo come il sole,<br />
ci scrivo tante parole.<br />
Azzurro come il mare<br />
Non mi potrei di certo annoiare.<br />
O giallo, o blu<br />
Il mio diario sei solo tu!<br />
130
MICELI MARIA LUISA:<br />
Miceli Maria Luisa è nata a Cefalù il 29.04.1994, abita a <strong>Cerda</strong> e frequenta<br />
nell’anno scolastico <strong>2004</strong>-2005 la 5° elementare nell’istituto di <strong>Cerda</strong>.<br />
IL MIO CARO DIARIO<br />
Filastrocca del buon diario<br />
Che ti scrivo in ogni orario,<br />
Tutto ti scrivo con impegno<br />
E ti decoro con qualche disegno.<br />
Ti rileggo con allegria<br />
E ti richiudo con simpatia.<br />
Spero di tenerti sempre con me<br />
E fare colazione con latte e caffè.<br />
Il diario è il mio migliore amico.<br />
131
PIZZO CONCETTA:<br />
Pizzo Concetta abita a <strong>Cerda</strong> e frequenta nell’anno scolastico <strong>2004</strong>-2005 la 5°<br />
elementare nell’istituto di <strong>Cerda</strong><br />
LA PIOGGIA<br />
In cielo c’è un grande nuvolose<br />
E presto tutti apriranno l’ombrellone.<br />
La pioggia scende piano piano<br />
Formando un acquitrino.<br />
C’è acqua su un fiorellino<br />
Che si asciuga con un fazzolettino.<br />
La pioggia smette, è tutto sereno<br />
E in cielo c’è l’arcobaleno.<br />
NATALE<br />
Il Natale è bello e buono<br />
E in ognuno di noi c’è qualcosa di buono.<br />
C’è una stella bella e gialla<br />
Sopra la capanna.<br />
C’è il bue e l’asinello<br />
Che riscaldano il Bambinello.<br />
In ogni casa c’è qualcosa di bello<br />
Un bell’ alberello<br />
132
RUBINO CHIARA :<br />
Rubino Chiara è nata a Nola (NA) il 31.05.1994 e vive a <strong>Cerda</strong>. Ha frequentato<br />
nell’anno <strong>2004</strong>-2005 la 5^ elementare – sez B – istituto comprensivo di <strong>Cerda</strong>.<br />
Hobby preferiti: Leggere, scrivere poesie e racconti, e disegnare; Materie scolastiche<br />
preferite: Italiano, storia ed educazione all’immagine<br />
NATALE<br />
Festeggiamo insieme,<br />
quando arriva<br />
il Natale,<br />
con canti, canzoni<br />
e preghiere.<br />
Festeggiamolo insieme<br />
Per stare felici<br />
Con parenti, persone care e amici<br />
133
SEZ C “NARRATIVA”<br />
1° CLASSIFICATA ALLA SEZ C “NARRATIVA BAMBINI”<br />
RUBINO CHIARA:<br />
Rubino Chiara è nata a Nola (NA) il 31.05.1994 e vive a <strong>Cerda</strong>. Ha frequentato<br />
nell’anno <strong>2004</strong>-2005 la 5^ elementare – sez B – istituto comprensivo di <strong>Cerda</strong>.<br />
Hobby preferiti: Leggere, scrivere poesie e racconti, e disegnare; Materie scolastiche<br />
preferite: Italiano, storia ed educazione all’immagine<br />
NERINA<br />
C’era una volta una strega che si chiamava Nerina ed era molto distratta. Ella, infatti,<br />
dimenticava ogni cosa. Una volta fece una pozione per trasformare la principessa<br />
Rosa in una rana; ci riuscì, ma solo per un giorno, perché si era dimenticata le ali di<br />
pipistrello. Un’altra volta cadde dalla scopa proprio in un campo di aglio e ci volle<br />
l’aiuto di una sua amica per tirarla fuori dal campo, perché l’aglio l’aveva indebolita.<br />
Un giorno decise di fare una passeggiata nel bosco, per concentrarsi sul suo prossimo<br />
incantesimo. Mentre passeggiava fu attirata da una rosa nera che aveva il potere di<br />
trasformare una strega allieva in una strega superiore cioè quella con poteri maggiori.<br />
Allora lei non resistette alla tentazione e raccolse la rosa; a quel punto si trasformò in<br />
una strega potentissima. Da quel momento tutti ebbero paura di lei e restò da sola. La<br />
solitudine però la rese sempre più triste e Nerina pensava che forse era meglio se non<br />
avesse raccolto la rosa nera. Un giorno, durante un incantesimo, apprese che nel<br />
bosco esisteva la rosa bianca che poteva farla ritornare buona anche se avesse perso<br />
tutti i suoi poteri. Andò nel bosco a cercare la rosa bianca e dopo un po’ la trovò. A<br />
quel punto, raccolse la rosa preferendo di non restare mai più da sola e visse da allora<br />
in <strong>compagnia</strong> delle sue amiche di un tempo, passando le giornate a ridere e scherzare<br />
anche dei guai che combinava.<br />
134
LO NERO ROSSELLA:<br />
Lo Nero Rossella è nata a Termini Imerese il 03.08.1994, abita a <strong>Cerda</strong> e<br />
frequenta nell’anno scolastico <strong>2004</strong>-2005 la 5° elementare nell’istituto di <strong>Cerda</strong>.<br />
IL SOGNO DI UNA PICCOLA BALLERINA<br />
Tanto tempo fa in un paesino sulle montagne delle Madonie viveva una bambina di<br />
nome Rossella. Aveva un grande sogno, quello di fare la ballerina di danza classica.<br />
Rossella quando non era a scuola, ballava sempre, anche la notte, quando dormiva<br />
sognava di ballare e la sua mamma la trovava in piedi sul letto. Rossella viveva in<br />
una casetta molto piccola e così quando doveva ballare si metteva in una piccola<br />
piazzetta vicino casa. Quando lei ballava sembrava una farfalla che volava e cosi le<br />
persone che passavano si fermavano a guardarla e rimanevano incantate. Un giorno<br />
in quel paesino arrivò un circo. Un acrobata girava per le vie del paesino, la vide<br />
ballare e rimase incantato dalla sua bravura. L’acrobata andò a dirlo al proprietario<br />
del circo. Rossella accettò. Il giorno della sua esibizione, il circo era pieno zeppo di<br />
persone. Quella giornata per Rossella fu un grande successo. Da quel giorno Rossella<br />
insieme a quelli del circo girò il mondo: così il sogno di Rossella si avverò e divenne<br />
la ballerina più brava e famosa del mondo.<br />
II° brano presentato al concorso:<br />
LA PICCOLA PRINCIPESSA<br />
C’era una volta una bambina di nome Karima ed era la figlia della regina Carolina e<br />
del Re Calimero. Per il compleanno della principessa Karima, il Re e la Regina<br />
organizzarono una grande festa e invitarono tutte le persone più ricche del Reame. La<br />
piccola principessa il giorno del suo compleanno era felice, ma quando cominciarono<br />
ad arrivare gli invitati si accorse che erano tutte persone grandi, non c’era neanche un<br />
bambino, e il suo viso si rattristò. La Regina le chiese: “ che hai? Non sei contenta<br />
della sorpresa”. “ Si mamma, sono contenta, ma avrei preferito una festa con tanti<br />
bambini come me” rispose la principessa. La festa però continuò lo stesso, e quando<br />
portarono la torta si spensero le luci. Al momento di spegnere le candeline, il Re le<br />
disse: “prima di esprimere le candeline esprimi un desiderio, e tutto quello che<br />
vorrai, io te lo darò.” La principessa disse: “il mio desiderio è quello di volere alla<br />
mia festa tutti i bambini del regno, ricchi e poveri, e voglio mangiare la torta con<br />
loro”. Allora il Re fece chiamare al castello tutti i bambini del regno e sul viso della<br />
principessa spuntò il sorriso: Karima fu felice e vissero tutti felici e contenti.<br />
Questa favola ci vuole fare capire che tutti siamo uguali sia ricchi che poveri.<br />
135
JLENIA MARIA MARRAFFINO:<br />
Marraffino Jlenia Maria ,di Francesco Antonio e Tuso Concetta è nata a Cefalù (PA)<br />
il 24.12.1994 è residente in Via G.Cascino n°58 – 90010 <strong>Cerda</strong>(PA). Frequenta il I°<br />
anno della scuola secondaria di I° grado dell’Istituto Comprensivo “ L. Pirandello ”<br />
di <strong>Cerda</strong> (PA).<br />
UNA RAGAZZA CORAGGIOSA<br />
C’era una volta un leone scappato dal circo e andava girolonzolando per le strade<br />
della città facendo paura a tutte le persone che incontrava. La notizia arrivò<br />
all’orecchio di una bambina che si chiamava Luisa e che parlava con gli animali, ma<br />
nessuno le credeva. Il suo sogno era di essere creduta da tutti. Così la bambina si<br />
mise subito in cerca del leone. Trovatolo si misero a parlare e il leone le disse che lui<br />
era scappato dalla sua gabbia perché lo frustavano e, per quel motivo, noin ci sarebbe<br />
più tornato. Luisa rispose che se lui fosse ritornato a lavorare al circolo, i suoi<br />
padroni non gli avrebbero dato più frustate. Il leone si convinse a tornare al circolo, e<br />
le disse di rimanere con lui e i suoi padroni per lo spettacolo. Luisa accettò e così lei<br />
il leone e i suoi padroni fecero un grande spettacolo e diventarono tanto amici da<br />
stare tutti insieme a fare tanti altri spettacoli maestosi. Tutti i bambini vedendo quegli<br />
spettacoli bellissimi, rimanevano tutti incantati. Luisa suscitava tanto stupore che<br />
continuò a lavorare al circo con i suoi amici migliori: il leone e i padroni del circo.<br />
Da quel giorno il leone non ebbe più frustate, e rimasero tutti insieme felici e<br />
contenti. Luisa realizzò il suo sogno di far credere a tutti che lei veramente parlava<br />
con gli animali.<br />
La morale di questa favola è che¨” Con le buone maniere si ottiene tutto”<br />
136
INDICE DEGLI AUTORI<br />
BARBERA PIETRO è nato a Trapani nel 1959 dove risiede.Testo a pag. 65<br />
BATTAGLIA GIUSEPPE è nato a Paleremo nel 1929 e vive a Sciara dedicandosi<br />
alla poesia e alla lettura. Testo a pag. 66-106<br />
BONAFEDE GIOVANNA è nata a Paleremo nel 1963. Abita a Cefalù. Testi pag.<br />
57<br />
CALI ROSARIO vive a <strong>Cerda</strong> dedicandosi agli studi.Testo a pag. 67<br />
CAMPILUNGO LOREDANA è nata a Colonia nel 1980 e vive a Cariano (LE).<br />
Testo a pag. 68<br />
CAPPADONIA EMANUELE nato a Paleremo il 15.10.1990, abita a <strong>Cerda</strong>. Testo a<br />
pag. 69<br />
CAPPADONIA LO DATO FRANCECA è nata a Montemaggiore Belsito il<br />
19.05.1940, abita a <strong>Cerda</strong> coltivando l’amore per la Poesia. Testi pag. 28 – 84 - 115<br />
CARTA SALVATORE Nativo di Paleremo nel 1939 dove abita Testi pag..<br />
22 - 70<br />
CASALE ANGELA nata ad Alia nel 1957 vi abita coltivando l’amore della famiglia<br />
e della poesia.Testi pag 71 - 107<br />
CASTAGNA GIORGIO , Nato a Milano il 11.01.1974, abita a <strong>Cerda</strong> (PA).<br />
Studente universitario laureando in scienze geologiche. Ha partecipato a diversi<br />
concorsi letterari. Testo pag. 72<br />
CAVALLO CARLA è nata a Modica (RG) il 12.07.1962 dove risiede. Testo pag.<br />
63<br />
COSTANTINI DANIELA<br />
ha un grande amore per la poesia e nel suo sito web raccoglie i suoi scritti carichi di<br />
emozioni e ricordi. Proprio per questo il suo sito si chiama “Nostalgia e Tenerezza”<br />
(www.nostalgiaetenerezza.it). Ha 47 anni e lavora presso il Ministero per i beni e le<br />
attività culturali. Vive nella splendida città di Roma ed ha due figlie, Elisa e Valeria<br />
Rimasta vedova dopo una tremenda malattia del marito, è, in questo momento della<br />
sua esistenza, una delle poche cose che la tiene saldamente attaccata alla vita è<br />
proprio il conforto della poesia. Ha conseguito diverse vittorie e segnalazioni speciali<br />
in concorsi letterari nazionali ed internazionali tra cui<br />
“Un Messaggio in bottiglia”<br />
“Premio Poesia d’Amore <strong>2004</strong>” indetto dall’A.I.A. Poesie della vita<br />
Premio Nazionale di Poesia e Narrativa “Creatività Itinerante città di Bari”<br />
Premio Letterario Internazionale di Narrativa e Poesia “Tra le Parole e l’Infinito”.<br />
137
È stato inoltre pubblicato un suo racconto intitolato “La forza della vita” nell’ambito<br />
della raccolta intitolata “Le donne. La storia, le storie” a cura della Dott.ssa Silvia<br />
Pezzoli e della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Firenze, prof. Giovanni<br />
Bechelloni. Ha conseguito inoltre una MENZIONE D'ONORE nella II edizione del<br />
Premio Nazionale di Poesia "SAN PRIMO" con il patrocinio del Comune di<br />
Leggiuno - Provincia di Varese .<br />
Ha partecipato inoltre al Premio Autore dell’anno 2005 “Renato Milleri – REMIL "<br />
ottenendo ottimi risultati.<br />
Tra le ultime vittorie, ha avuto una MENZIONE D'ONORE nella VI edizione del<br />
Premio Poesia Itinerante Città di Bari, una Poesia Selezionata nell’ambito del<br />
Concorso Letterario “Scriviamo insieme il CD dell'Amore” ed un attestato di<br />
partecipazione alla 3° Edizione Premio Internazionale di Poesia "TRABIA" -<br />
Giuseppe Sanseri -Maggio 2005. Testo a pag. 64<br />
CURCIO VALERIA è nato a Paleremo nel 1986 e abita a Cfalù. Testo pag. 73<br />
DATTOLA PIETRO<br />
Laureando in Giurisprudenza, lavora in qualità di traduttore dall’inglese presso la<br />
Synthesis International, per la quale cura la localizzazione e l’adattamento in lingua<br />
italiana di videogiochi per PC e console. Da tre anni è anche impegnato nello studio<br />
della lingua giapponese, non saprebbe spiegare neanche lui bene perché.<br />
Nel <strong>2004</strong> scrive il suo primo dramma, L’attesa, con il quale vince la IX edizione del<br />
premio Oddone Cappellino. Nello stesso anno, con il monologo L’uomo senza<br />
abitudini rientra nella rosa dei semifinalisti della IV edizione del premio Napoli<br />
Drammaturgia in Festival e vince e viene segnalato in diversi concorsi letterari per<br />
narrativa breve, tra cui quello intitolato al prof. Rasa con il racconto Lo Scontro. Il<br />
suo secondo dramma, Il signor Cugino, vince la XXXII edizione del premio Flaiano<br />
per il teatro (sezione under 30). Testo pag. 12<br />
DAVANZO SILVIA è nata a Vercelli nel 1985 e abita a Lignina Vercelli (VC).<br />
Testo pag. 75<br />
DI GAETANO ENZO Nativo di Termini Imerese nel 1942 ove risiede. Pensionato<br />
della Fiat, da qualche anno si dedica alla poesia.Testi pag. 74 - 108<br />
DI GIOVANNI PIETRO Nato a Seeheim-Jugenheim (Germania) nel 1978, risiede<br />
a <strong>Cerda</strong>. Studente Universitario.Testo pag 109<br />
DI GREGORIO ANTONINA è nata a <strong>Cerda</strong> il 10.02.1955 e risiede a Novi Ligure,<br />
anche se ritorna spesso nel suo paese d’origine. Si dedica nella scrittura di racconti.<br />
Ha scritto diversi libri fra i quali “Il Bottone Nero” Testo pag. 29<br />
DI LORENZO MICHELANGELO è nativo di Bagheria nel 1942 dove vi abita.<br />
Testi pag. 76-110<br />
DI PASQUALE ENRICO è nato a Paleremo il 06.05.1987, abita a <strong>Cerda</strong>. Testo pa.<br />
77<br />
138
ELIA RITA Nativa di Termini Imerese vi abita dedicandosi alla poesia. Testi pag<br />
102<br />
GAGLIO LEONARDO Nativo di Palermo , frequenta il liceo di Partitico . Si è<br />
classificato 2° alla 7° edizione del concorso di narrativa presso la scuola media<br />
Ettore Romagnoli di Gela. testi pag 33 - 78<br />
GALIOTO GRISANTI PAOLA Residente a BagheriaTesti pag. 79 -111<br />
GERACI SALVATRICE PIETRA Nativa di Petraia Sottana nel 1978 e residente a<br />
Sclafani Bagni. Testo pag. 63<br />
GIOJA PIETRO è nato a Paleremo nel 1958 e residente sempre a Paleremo. Testo<br />
a pag. 80<br />
GIURDANELLA ENZA è nata a Modica (Ragusa) nel 1969 dove abita. Testi pag.<br />
82 -112<br />
GULLO SERAFINA MARIA è nata a <strong>Cerda</strong> nel 1963, abita a <strong>Cerda</strong>. Studente<br />
universitaria.Testo pag. 113<br />
IMBURGIA SALVATORE Nato a <strong>Cerda</strong> nel 1946 vi abita fin dalla nascita.<br />
Occupa la carica di vice comandante la Polizia Municipale. E’ Presidente<br />
dell’associazione La Nuova Compagnia città di <strong>Cerda</strong> gruppo folk i Carrettieri con i<br />
quali ha girato quasi tutta l’Europa. Testo pag. 114<br />
INZERAUTO SALVO Nato a Paleremo nel 1949, risiede a Santa Flavia (PA).<br />
Testi pag 83 -104<br />
LO PIPARO ANTONINO nativo di Bagheria dove abita dedicandosi alla poesia<br />
dialettale. Testi pag. 116<br />
MAMO RANZINO LILIANA è nata a Nardò (LE) il 04.09.1934. Risiede a Cefalù<br />
dove ha insegnato alle scuole elementari, ora in pensione. Ha pubblicato diversi libri<br />
tra i quali: QUEL CHE RESTA, ed ETERNA CONTEMPLAZIONE. Ha vinto<br />
innumerevoli concorsi di poesie. Testi pag. 36 – 85 - 118<br />
MANNINO GIOVANNI è nato a Carini nel 1937 dove risiede dedicandosi alla<br />
Poesia. Testi pag 86-117<br />
MARZANO ROBERTO Nativo di Genova nel 1959 e residente a Chaivari (GE)<br />
Testi a pag. 59<br />
MOSCATO AGOSTINO è nato a Termi Imerese nel 1959 dove risiede. Diplomato<br />
ISEF si specializzato per l’insegnamento del sostegno, si è sempre occupato a scuola<br />
degli alunni diversamente abili. Dal 1992 è presidente del circolo “L’Acquilone”. Ha<br />
partecipato a innumerevoli corsi. Ha pubblicato un libro dal titolo “Quattro temi per<br />
l’ambiente”. Testo pag. 39<br />
139
NOVELLI FABIO vive a San Benedetto del Tronto(AP) . Testo a pag. 87<br />
OLIVIERI KATIA è nata ad Avellano nel 1973, vive a Tivoli Terme. Testi pag. 42<br />
- 88<br />
PAGANO VALERIA<br />
È nata a Torre del Greco il 2 aprile 1981. Attualmente vive a Milano dove studia<br />
Lettere Moderne e si occupa da qualche anno prevalentemente di letteratura e<br />
giornalismo.<br />
Ha curato un mini saggio sulla grammaticografia italiana per il sito internet<br />
“Letteratour.it” , scrive per alcune testate online e per il giornale Ephemerides di<br />
Torre del Greco.<br />
Nel dicembre <strong>2004</strong> vince il secondo premio del concorso indetto dalla città di <strong>Cerda</strong><br />
“Maestro Calogero Rasa”, mentre nel marzo 2005 arriva finalista al concorso<br />
“Miglior incipit libidinoso” indetto dalla Scipioni Editore.<br />
In futuro spera di continuare ad occuparsi di giornalismo (sua grande passione oltre<br />
la fotografia) e di avere la possibilità di far sentire la sua voce attraverso quello che<br />
scrive. Testo pa. 15<br />
RENDA GIUSY è nata a Paleremo nel 1957 dove risiede dedicandosi alla poesia.<br />
Vincitrice della Sez. “A” Testo pag. 100<br />
RUNFOLA LUCIANO E’ nato ad Aliminusa il 22.04.1967 Vive a <strong>Cerda</strong> dove<br />
insegna Lettere alla scuola Media di <strong>Cerda</strong> .Vincitore del Concorso Maestro Rasa<br />
Calogero sez “B”. Testo a pag. 54<br />
ROMANO MARIA ANGELA è nata a Paleremo il 01.09.1985e e abita a <strong>Cerda</strong>.<br />
Testo a pag. 89<br />
ROSSI RODOLFO nato a Sinalunga (SI) nel 1957 è residente a Roma. Testo a pag<br />
18<br />
SAVINO MARIO nativo di Tricarico(MT) nel 1976 vive a Potenza. Testo a pag. 91<br />
SETTEMBRE GIUSEPPE Vive a Termini Imerese dove si dedica con passion e<br />
alla poesia. Testo pag. 44 - 92<br />
SICLARI CATERINA nativa di Messina nel 1952 dove abita. Testo a pag. 93<br />
SCORSONE LUIGI SALVATORE è nato a <strong>Cerda</strong> dove vive dedicandosi alla<br />
lettura e alla poesia. Studente universitario. Testi a Pag. 47 – 90<br />
SUNSERI SALVATORE è nato a Paleremo il 30.09.1979 e risiede a <strong>Cerda</strong><br />
dedicandosi a molteplice attività come sunare nella Banda musicale di <strong>Cerda</strong> e nel<br />
gruppo folk I Carrettieri- Testo a pag. 94<br />
TOMASELLO MARIA ROSA risiede a Bagheria coltivando l’amore per la<br />
poesia.Testi pag 95-119<br />
140
VALLATI LENIO Testo a pag. 50<br />
VENTURINI GLORIA<br />
ha ideato e organizzato la prima, seconda e terza edizione del Concorso<br />
Internazionale di Poesia e Prosa, “L’arcobaleno della vita” della Città di Lendinara,<br />
di cui è anche il Presidente della giuria.<br />
Collabora con il Centro Studio di Torino, come giurata nei concorsi letterari. Le sue<br />
opere sono state pubblicate in varie antologie, su siti internet, dove ha ottenuto<br />
l’interesse dei lettori.<br />
Gloria è stata ospite del programma televisivo “Guglielmo Tell”, trasmesso da<br />
Telestense, in qualità di autrice di poesie. - Pubblica la sua prima raccolta di poesie<br />
nel febbraio 2003: Camminando tra i giardini dell’anima.<br />
La giuria del premio letterario “I Fiori 2002” (Edizioni fiori di campo – Londriano<br />
PV) ha giudicato la sua poesia Luce svelata meritevole del quarto posto.<br />
La commissione della XX° Edizione Internazionale “Premio per la pace” a cura<br />
dell’Associazione Cultura e Società di Torino, le ha conferito una segnalazione di<br />
merito per l’opera Rimasero solo anime.<br />
A Gloria viene assegnato il terzo premio nella sezione poesia del Concorso San<br />
Giacomo (FE) con l’opera Perdonami. - Nel giugno 2003 pubblica la seconda<br />
edizione integrata della sua raccolta di poesie Camminando tra i giardini dell’anima<br />
e la prima edizione della raccolta di racconti: L’arcobaleno della vita.<br />
Concorso “Finalmente poesia” di Procida (NA) viene selzionata la sua poesia “Orme<br />
che scompaiono”,<br />
Conquista il 3° posto al Concorso nazionale L’arca dei sentimenti di Tradate (VA)<br />
nella sezione narrativa con il racconto Ai bordi della vita,<br />
3° posto al Concorso “Mario Mambretti” indetto dall’Associazione Anno Zero di<br />
Senago (MI) con la poesia Scrittore di silenzi.<br />
Si classifica al primo posto assoluto al Premio del Triveneto Città di Lonigo con la<br />
poesia “Coriandoli di ricordi”;<br />
con una trilogia di poesie il 3° posto alla V Edizione del Premio Ungaretti di Acerra<br />
Napoli.<br />
Vince il Premio unico per la sezione C al concorso Internazionale I Colori delle<br />
Donne di Ascoli Piceno con la poesia Tra le mani stringevi ancora cotone.<br />
Primo premio per la sezione narrativa alla 3° Edizione del concorso i Fiori 2003<br />
Edizioni I Fiori di Campo (PV) con il racconto Ai bordi della vita; (Pubblicazione<br />
del libro di racconti con ’omonimo titolo)<br />
Segnalazione di merito alla XV Edizione del premio Biennale di poesia “Città di<br />
Solfora” Acerra (NA) ;<br />
Nomina di Accademico dall’Accademia Internazionale Il Convivio di Castiglione di<br />
Sicilia;<br />
4° posto con il racconto “Ai bordi della vita” al concorso letterario del Comune di<br />
Crispano di Napoli.<br />
Primo premio sezione narrativa al Concorso Letterario Parrocchia di San Giacomo di<br />
Ferrara.<br />
Terzo premio per la sezione silloge alla XXVI^ Edizione del Concorso Letterario<br />
Internazionale Città di Avellino con la raccolta di poesia Petali d’ambrosia.<br />
Vince il Concorso Don Lelio Podestà di Chiavari (GE) nella sezione narrativa,<br />
segnalazione nella sezione poesia.<br />
141
Pubblica il terzo libro di poesie Coriandoli di ricordi edito dalla casa Editrice e<br />
Società Culturale I Nuovi Poeti (MI);<br />
3° premio alla quarta edizione del premio nazionale di poesia Il Nodo di Taranto, con<br />
la poesia La quinta stagione.<br />
2° posto sezione poesia inedita al Premio Internazionale IL CONVIO <strong>2004</strong>. Giuria<br />
presieduta dal Prof. Giorgio Barberi Squarotti, la scelta è stata effettuata dal rinomato<br />
scrittore.<br />
2° posto sezione poesia premio internazionale ALIAS Consolato di Melburne-<br />
Australia <strong>2004</strong>.<br />
3° premio alla nona edizione del premio nazionale di poesia La quintastagione di<br />
Lama Polesine (Ro)<br />
Primo premio al Concorso del Triveneto Città di Lonigo con la poesia “Come una<br />
quercia”.<br />
Secondo premio all’ Ungaretti di Acerra Napoli. Testi pag. 19 – 101<br />
Testo a pag 21- 96<br />
ZAMPIERI LUANA vive a Quagliuzzo (Torino).Testo a pag. 97<br />
142
Un ringraziamento particolare va alla commissione giudicatrice che per<br />
diversi giorni si è impegnata nella lettura delle opere e poterle giudicare<br />
e alle ragazze che hanno coadiuvato i giudici nelle operazioni per la<br />
buona riuscita del lavoro.<br />
LA COMMISSIONE GIUDICATRICE<br />
DOTT. MICHELE LA TONA PRESIDENTE<br />
PROF.SSA DANIELA CAPPADONIA GIURATO<br />
PROF. SALVATORE LUZIO GIURATO<br />
PROF.SSA ROSANNA CICERO GIURATO<br />
PROF.SSA MONICA ALBANESE GIURATO<br />
SEGRETARIA DELLA COMMISSIONE<br />
GIUSY MUSCARELLA<br />
COLLABORATRICE<br />
FRANCESCA IMBURGIA – CICERO ROSITA<br />
143
Un ringraziamento particolare al Presidente dell’A.R.S. che ha voluto<br />
onorarci del Patrocino<br />
Un ringraziamento all’A.A.P.I.T. che ha fornito le coppe.<br />
Al C.N.A. che ha voluto contribuire con un sostegno economico.<br />
A tutte le ragazze e ragazzi che si sono impegnati per la buona riuscita<br />
della manifestazione di premiazione.<br />
Per la realizzazione di questo volume hanno collaborato:<br />
Francesca Castagna<br />
Maria Assunta D’Avolio<br />
Francesco Dioguardi<br />
Ermelinda Imburgia<br />
Gaetana Leone<br />
Loredana Mangano<br />
144
Indice<br />
Un illustre saggio poeta pag. 4<br />
Breve storia e curriculum pag. 5<br />
Presentazione pag. 10<br />
Narrativa pag. 11<br />
Poesia in italiano pag. 53<br />
Poesia dialettale pag. 101<br />
Categoria bambini pag. 125<br />
Indice degli autori pag. 140<br />
Commissione pag. 146<br />
Ringraziamenti pag. 147<br />
145