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Antologia 2004 - Cerda nuova compagnia

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Le più belle poesie si scrivono sopra le pietre,<br />

coi ginocchi piagati e le menti aguzzate dal<br />

Mistero.<br />

Le più belle poesie si scrivono davanti ad un<br />

altare vuoto, accerchiati da agenti della divina<br />

follia.<br />

1<br />

Alda Merini, Terra Santa


ANTOLOGIA<br />

I° CONCORSO LETTERARIO<br />

“MAESTRO RASA CALOGERO”<br />

A CURA DI<br />

SALVATORE IMBURGIA<br />

ANTONIO LEONE<br />

GAETANA LEONE<br />

3


UN ILLUSTRE E SAGGIO POETA POPOLARE<br />

MAESTRO RASA CALOGERO<br />

Nacque l’8 ottobre 1918 a S. Cristina Gela (PA), una delle cinque colonie<br />

albanesi di Sicilia. Perse il padre in tenera età e frequentò nel suo paese le<br />

scuole elementari. Notato dal Parroco per la sua vivace intelligenza, fu<br />

mandato a continuare gli studi presso il seminario “S.Maria dei Padri<br />

Brasiliani” a Mezzojuso (PA). Scoppiata la seconda guerra mondiale venne<br />

destinato a Rodi, nell’Egeo. Quando le sorti della guerra volsero a sfavore<br />

dell’alleata Germania, fu prigioniero dei tedeschi per due anni e dopo<br />

molteplici avversità riusci a ritornare in patria. Nel 1947 inizio a lavorare a<br />

<strong>Cerda</strong> dove conobbe e sposò Vincenza Anzalone dalla quale ebbe 4 figli.<br />

Nel febbraio 1948 vinse il concorso magistrale e iniziò il suo lavoro di<br />

maestro a <strong>Cerda</strong>.<br />

Diede inizio alla sua produzione poetica in dialetto<br />

con l’intento di salvaguardare dall’oblio i proverbi,<br />

espressioni di saggezza popolare. I suoi primi<br />

scritti(“L’Onorevuli mancanti”, e “Li cumizi di<br />

chiusura”) sono costituiti su di essi.<br />

I temi ricorrenti nela sua poesia sono: l’amore per<br />

il lavoro che svolgeva (Lu maestru , Addiu a la<br />

scola,); il ricordo accorato del terribile periodo di<br />

prigionia(Ricordu di la prigionia, Pani spartutu), il<br />

rifiuto di ogni forma di totalitarismo ed il rispetto<br />

per la democrazia (Li dui Napuliuna, lu guvernu<br />

semu nui, ); e ancora: L’attenzione verso i semplici oggetti della vita<br />

quotidiana (Lu chiovu, La zappa, La Pignata); la descrizione affettuosa ed<br />

attenta di quello che egli considerava il “suo paese” (Ministoria di <strong>Cerda</strong>, La<br />

chiazza, Malluta, Casteddazzu); cantò inoltre le glorie cerdesi: La Targa<br />

Florio Picchì l’ann’a livari ?, A cacocciula)<br />

Il maestro Rasa definì le sue poesie “spigolature umilissime” ma, in effetti,<br />

egli riusci non solo a parlare con cori di profonda umanità ed interiorità, ma<br />

anche di autentica poesia.<br />

4


Lu scravagghiu<br />

“cu si la senti, si stringi li renti”<br />

Appuntidda li granfuzzi,…<br />

si ferma e s’aripigghia….<br />

Ammutta la paluuzza<br />

chi porta a la so ‘ngagghia!<br />

Un filu d’erba, un lignu,<br />

‘na ciacudduzza, un ramu,<br />

pi iddu sunnu ostacoli<br />

di sforzu sovrumanu!<br />

Si nun ci po’ d’avanti,<br />

spinci pi d’arreri;<br />

chissa è lu sò fini<br />

e tuttu ‘u so pinseri!<br />

Lu sentu baschiari,<br />

s’accanna e s’affatica…..<br />

ma nun s’arrenni<br />

e ammutta<br />

circannu la so buca!<br />

Mi parino li vrazza<br />

di lu putenti Atlanti<br />

chi teni cu li spaddi<br />

Lu munnu e l’abitanti!<br />

S’anzamaddiu ci scappa<br />

torna a ripigghiarla<br />

cu nova forza e ‘mpegnu<br />

comincia ad ammuttarla!<br />

Decisu, risulutu,<br />

né parra né talja,<br />

ma senza titubanza<br />

ripigghia la fatica!<br />

Esempiu di travagghiu,<br />

cuscenza e precisioni,<br />

sforzu, volontà<br />

costanza a fari beni!<br />

Guardannu iu ‘na vota<br />

lu scravagghiu bruttu,<br />

mi ‘nzignai ‘sti cosi<br />

e m’affruntaiu tuttu!?!?<br />

Per gentile concessione della famiglia Rasa<br />

5<br />

RASA CALOGERO


BREVE STORIA E CURRICULUM<br />

DELL’ ASS. CULTURALE<br />

“LA NUOVA COMPAGNIA CITTA’ DI CERDA”<br />

GRUPPO FOLK “I CARRITTIERI”<br />

L’Associazione Culturale folkloristica “LA NUOVA COMPAGNIA<br />

CITTA’ DI CERDA” ha una costituzione abbastanza recente essendo nata<br />

ufficialmente nel 1998 , anche se fino a quella data gli stessi soci fondatori si<br />

erano presi l’impegno dello studio folkloristico della nostra società cerdese,<br />

partecipando con successo a varie manifestazioni cittadine siciliane e<br />

internazionali.<br />

Ripropone nei suoi costumi, il vestiario festivo dei popolani fine settecento<br />

primi ottocento, risalendo fino alla dominazione spagnola di cui la società<br />

cerdese ne ha subito l’influsso. <strong>Cerda</strong> è nata direttamente dalla dominazione<br />

spagnola da cui ne prende il nome, essendo un marchesato del dominio<br />

spagnolo del XVI secolo.<br />

Le loro performances consistono in balli e tarantelle popolari che<br />

riproducono il lavoro dei campi e della primaria attività locale che fin dai<br />

primi secoli di vita della comunità cerdese è stata quella di viaggiatori o di<br />

“carrettieri”<br />

<strong>Cerda</strong> originariamente era denominata “FONDACO NUOVO” o<br />

“TAVERNA NUOVA, perché era il punto d’incontro di tutti i carrettieri che<br />

viaggiavano verso Palermo o l’entroterra siciliano.<br />

Per questo motivo il gruppo Folk della Nuova Compagnia si chiama “I<br />

CARRITTIERI”<br />

Un ballo tipico del gruppo folk, è il ballo della cordella che è originario delle<br />

Madonie e viene riproposto dai soci in svariate figure.<br />

Esso rappresenta nella sua esibizione, il continuo evolversi della vita con le<br />

sue vicissitudini. nell’arco dell’anno; infatti vi sono 24 cordelle tenute da<br />

dodici coppie di ballerini a simboleggiare i dodici mesi dell’anno.<br />

Anticamente veniva rappresentato nelle cerimonie nuziali come rito<br />

propiziatorio, dove i ballerini, a ritmo della tarantella intrecciavano una<br />

cordella legata ad un palo, che poi con la stessa abilità dovevano sciogliere<br />

L’associazione ha animato diverse manifestazioni della rinomata sagra del<br />

carciofo di <strong>Cerda</strong>, che ogni anno viene festeggiata il 25 aprile, organizzando<br />

per tale occasione un festival di gruppi folcloristici che ogni anno riscuote<br />

sempre maggiore successo e prestigio, In questa manifestazione si sono<br />

avvicendati diversi gruppi folcloristici di rilievo, diventando una tappa<br />

importante per ogni gruppo folk.<br />

6


CURRICULUM<br />

98 Bivona: raduno folk “Sagra della Pesca”<br />

Maggio 98 e 99 <strong>Cerda</strong>: festa di San Giuseppe sagra della Sfincia.<br />

25 aprile 98-99-00,01-02 <strong>Cerda</strong>: Organizzazione della “SAGRA DEL<br />

CARCIOFO”.<br />

1999: Organizzazione corsi di tradizioni popolari alle scuole<br />

elementari di <strong>Cerda</strong> .<br />

23.05.99 Trabia: “Sagra del Nespolo”.<br />

29.05.99 <strong>Cerda</strong>: festa della Legalità<br />

Agosto 99 <strong>Cerda</strong>: Realizzazione della commedia “L’Aria del Continente” di<br />

Martoglio, inserita all’interno del programma “Estate Cerdese”<br />

27.08.99 Naso: Festival internazionale del folk<br />

08.12.99 <strong>Cerda</strong>: festa dell’Immacolata<br />

25.04.00: intervento alla trasmissione televisiva di RAI 2 “LA VITA IN<br />

DIRETTA” in occasione della XIX sagra del carciofo<br />

28.07.00 Caltabellotta (AG): Festa di San Lorenzo<br />

21 08.00 <strong>Cerda</strong>: Organizzazione “Estate Cerdese”<br />

22.08.00 <strong>Cerda</strong>: Ideazione e Realizzazione dello Spettacolo “50 anni di musica<br />

italiana” I° edizione, inserito nella programmazione“Estate Cerdese”.<br />

26.08.00 <strong>Cerda</strong>: Sagra della salsiccia<br />

07.09.00 <strong>Cerda</strong>: Festa della Madonna dei Miracoli<br />

16-17. 09.00 Monaco di Baviera (Germania):Partecipazione in qualità di<br />

rappresentanti dell’ Italia all’ “OCTOBER FEST”, sfilata per le vie del centro di<br />

Monaco ed esibizione ufficiale all’interno del “Circo Krone”<br />

21.09.00 Termini Imerese: Estate degli anziani<br />

Settembre-Ottobre 2000: Festa della Provincia nei comuni di Sclafani<br />

Bagni – Borgetto – Campofelice di Roccella .- <strong>Cerda</strong>- Roccapalumba<br />

05-2000: “La Nuova Compagnia” viene inserita fra gli 8 gruppi del circuito<br />

dell’ A.A.P.I.T. di Palermo<br />

08-2001 <strong>Cerda</strong>: Ideazione e Realizzazione dello spettacolo “Polvere di Stelle”<br />

inserito nella programmazione “Estate Cerdese”<br />

20.agosto 2001 fino al 30.agosto 2001 Polonia: Tournèe<br />

05.11.2001 -Finale di Pollina: Sagra dell’olio<br />

7


Agosto 03: Organizzazione del I° Gemellaggio del Comune di <strong>Cerda</strong> con il gruppo<br />

folk portoghese della città di Lamego<br />

19 -30 Agosto 2002 Portogallo: tournèe a Lamego<br />

Ottobre 2002 Piedimonte Etneo: Partecipazione al “GALA’<br />

INTERNAZIONALE” di Piedimonte Etneo (CT)<br />

27 Maggio 2003 Collesano: Festa Maria SS. Dei Miracoli<br />

03. Agosto 2003 Atina (Fr): partecipazione al XXV° festival internazionale<br />

del folklore.<br />

04 – 12 Agosto.2003 Romania: torunèe a Cluj Napoca<br />

19. Agosto 2003: gemellaggio con il gruppo folk Katerinca di BRNO (rep.<br />

CEKA) con progetto finanziato dalla Comunità Europea sul tema: “Delinquenza.<br />

Cerchiamo di Capire”.<br />

19 – 24 Agosto .2003: Ideazione e Realizzazione del 1° Festival<br />

Internazionale del folklore “BASSA VALLE DEL TORTO”<br />

08.02.<strong>2004</strong> Agrigento: Partecipazione alla 59° edizione della sagra del<br />

“Mandorlo in fiore”, in collaborazione con l’istituto Goethe di Palermo,<br />

nell’ambito del progetto “I CAVALIERI VIRTUALI”<br />

25 APRILE <strong>2004</strong> <strong>Cerda</strong>: Partecipazione alla XXIII sagra del carciofo<br />

29 MAGGIO - 01 GIUGNO <strong>2004</strong> Lussemburgo: Partecipazione alla<br />

manifestazione “I CAVALIERI VIRTUALI” in collaborazione con il “GOETHE<br />

INSTITUT” di Palermo Diretto dal Prof. Paul Eubel, tenutasi presso Wiltz<br />

(Lux).<br />

Aprile - Settembre <strong>2004</strong> : Collaborazione con l’ agenzia “Aereoviaggi” di<br />

Palermo per la realizzazione di una serie di spettacoli folk presso diverse strutture<br />

alberghiere.<br />

08.10.04: Collaborazione con il museo “Pro Targa Florio” di <strong>Cerda</strong>, diretto<br />

da Antonio Catanzaro, per il 10° raduno del “Bugatti Club Italia”<br />

06.02.04 Agrigento: Partecipazione alla LX Sagra del “Mandorlo in Fiore”<br />

06.02.05 Agrigento: Partecipazione alla LXI Sagra del “Mandorlo in Fiore”<br />

19.04.05- 23.04.05 : Stoccarda: realizzazione spettacolo folk in occasione<br />

dei festeggiamenti per i sessant’anni dell’azienda Wurth,<br />

incontro con Reinhold Wurth. Direzione del Goethe Institut di Palermo.<br />

8


Altre attività svolte:<br />

99-2002: Ideazione e Realizzazione Museo etno-storico:<br />

Il progetto, cofinaziato dal Comune di <strong>Cerda</strong>, è stato interamente elaborato ed<br />

eseguito dall’associazione. Suo obbiettivo principale era fornire una testimonianza<br />

viva dei costumi, dell’artigianato e dei modi di vita dello scorso secolo. Il museo,<br />

inserito all’interno di una palazzina di tre piani lungo la via principale del paese, è<br />

stato strutturato prevedendo la realizzazione di tre spazi diversi ma<br />

ideologicamente collegati. Si sono ricostruiti all’interno dell’edificio le abitazioni<br />

di una famiglia borghese dell’ottocento, curando la struttura degli appartamenti,<br />

dalle pareti all’arredamento, al vestiario. Sono state ricostruite interamente una<br />

camera da letto, un salone. La seconda sezione dell’edificio è stata destinata a<br />

contenere tutti gli attrezzi da lavoro del secolo scorso, secondo precise coordinate:<br />

attrezzi da cucina, da lavoro nei campi, attrezzatura dei mestieri. L’ultimo piano<br />

dell’edificio e’ stato diviso: da un lato si e’ pensato di allestire mostre temporanee<br />

a ciclo continuato di arte contemporanea e artigianato artistico, cercando in tal<br />

modo di dare possibilità ai giovani artisti di avere uno spazio a loro disposizione e<br />

che permettesse loro la fruizione dei propri lavori.<br />

Parte dell’area dell’ultimo piano è stata dedicata alle mostre<br />

storiche.<br />

Sono state realizzate le seguenti mostre:<br />

- <strong>Cerda</strong>: la sua storia attraverso le foto.<br />

- I Florio: Storia di una famiglia.<br />

- La targa Florio. Le emozioni, i ricordi, e la ricchezza di un mondo che fu…<br />

Info: http://www.comune.cerda.pa.it/ museo etno-storico.<br />

Agosto 03: ideazione e realizzazione della I° “Fiera Mercato” del<br />

Comune di <strong>Cerda</strong>:la manifestazione, articolatasi in tre giornate, ha previsto la<br />

realizzazione di 50 stand occupati da artigiani provenienti da tutta la Sicilia. La<br />

fiera si è articolata in diverse sezione: Artigianato in ferro -legno- vetro ;<br />

Artigianato- artistico; eno-gastronomia- Arte e arredamento. Le giornate sono<br />

state scandite con la programmazione di tre serate musicali i tema diverso: jazz;<br />

afro-brasiliane con la partecipazione del gruppo di capoiera “Zumbì” di Palermo;<br />

musica leggera con il gruppo “Sturmuntruppen” di Palermo.<br />

2003-2005: Ideazione e Realizzazione del periodico “L’Opinione”:<br />

L’Opinione, periodico di attualità, cultura e informazione, registrato presso il<br />

Tribunale di Termini Imerese n° 04/05 R.Per. del 26-04-05mensile culturale<br />

9


curato e finanziato interamente dall’associazione. Tiratura 5.000 copie. Il circuito<br />

entro cui avviene la diffusione gratuita e’ quello dei comuni aderenti all’ “Unione<br />

dei Comuni della Bassa Valle del Torto”<br />

12-<strong>2004</strong>:Ideazione e realizzazione del 1° Concorso Letterario nazionale<br />

“MAESTRO RASA CALOGERO” con il patrocinio, della Presidenza<br />

dell’A.R.S., dell’AAPIT e del C.N.A<br />

<strong>2004</strong>: Accreditamento al Servizio Civile Nazionale come classe quarta per<br />

la realizzazione di attività culturali.<br />

Dicembre <strong>2004</strong>: Ideazione e Realizzazione del Libretto “<strong>Cerda</strong>, la sua<br />

Storia per le vie” a cura di Ermelinda Imburgia.<br />

Dicembre <strong>2004</strong>: Ideazione e realizzazione del libretto “Storie, due anni di<br />

Opinione” in allegato al numero di Dicembre del periodico L’Opinione, a cura di<br />

Antonio Leone e Daniela Cappadonia.<br />

***********************<br />

ASSOCIAZIONE CULTURALE “LA NUOVA COMPAGNIA”<br />

&<br />

GRUPPO FOLK “I CARRITTIERI”<br />

10


PRESENTAZIONE<br />

Il premio letterario dedicato al Maestro Rasa Calogero, ha fatto<br />

scrivere una pagina indimenticabile e significativa per <strong>Cerda</strong> e<br />

la sua storia, conferendo alla nostra cittadina prestigio,<br />

credibilità e visibilità esterna, per il richiamo che ha suscitato<br />

non solo dalla Sicilia, ma da tutta l’Italia.<br />

L’ Associazione Culturale, unica nel suo genere a <strong>Cerda</strong>, è<br />

soddisfatta dell’evento, riuscito anche grazie alle importanti<br />

sponsorizzazioni, come il patrocinio della Presidenza dell’ARS,<br />

dell’A.A.P.I.T. di Palermo e del C.N.A.-<br />

Al momento del bando nessuna credeva alla buona riuscita del<br />

concorso, ma grazie all’impegno di alcuni soci a cui si deve<br />

dare merito, il concorso prendeva una piega di rilevanza<br />

nazionale, tant’ è che tra i partecipanti vi sono numerosi<br />

personaggi di spicco nel mondo della cultura e non nuovi a<br />

questo tipo di concorso.<br />

Pertanto, così come abbiamo creduto nel concorso, altrettanto<br />

crediamo nell’insieme del progetto che continua con la<br />

pubblicazione di questa antologia delle opere partecipanti,<br />

testimoniando l’enorme successo ottenuto e la risonanza<br />

dell’evento.<br />

Un vivo ringraziamento va a tutti i partecipanti al concorso, e<br />

un arrivederci alla seconda edizione.<br />

IL PRESIDENTE<br />

SALVATORE IMBURGIA<br />

11


12<br />

NARRATIVA


LO SCONTRO<br />

di PIETRO DATTOLA<br />

1°classificato<br />

Con passo lento e cadenzato, il Capitano passò in rassegna i suoi uomini. Erano tutti<br />

uomini del suo villaggio: gente fidata, piena di coraggio, ciascuno pronto a<br />

sacrificarsi per l'interesse superiore del gruppo. Nessun uomo vanaglorioso o<br />

propenso a colpi di mano, ma tutti pronti a eseguire gli ordini del Capitano e a<br />

mantenere le rispettive posizioni anche all’approssimarsi della sconfitta - e nessuno<br />

di loro aveva la benché minima intenzione di perdere: di quei cento uomini - dal<br />

ragazzino imberbe al vegliardo veterano - neanche uno temeva il peggio, quel giorno.<br />

Il Capitano ripassò mentalmente lo schieramento. Aveva optato per un gruppo<br />

frontale di venti uomini e due ali da quindici ciascuna; tutti gli altri sul retro, disposti<br />

a mo’ di incudine schiacciata in senso longitudinale.<br />

La sera precedente dopo l’ultima esercitazione, si era molto discusso sulla strategia<br />

da adottare. Alcuni erano del parere di attaccare subito a testa bassa, per impedire che<br />

i più giovani cadessero preda del naturale timore nei confronti dell'avversario: se la<br />

paura della sconfitta si fosse fatta largo tra gli uomini, anche i più intrepidi avrebbero<br />

potuto vacillare al momento decisivo. La miglior difesa è l'attacco, dicevano questi.<br />

Altri, e fra questi vi era il Capitano, propendevano invece per una tattica d'attesa: far<br />

stancare gli altri trattenendo il loro impeto e riducendo al minimo i danni in un primo<br />

tempo, sfiancarli sfruttando le ali e sorprenderli con l’avanzamento improvviso della<br />

retroguardia in un secondo. Alla fine, fu questa l’idea che trovò l'appoggio della<br />

maggioranza, ed era senz’altro meglio così: l’autorità del Capitano non era certo<br />

messa in discussione, ma “cento uomini compatti valgono più di mille disuniti,”<br />

come amava ripetere il Capitano.<br />

Quella sera, dopo la riunione, ciascun membro del villaggio, facesse parte o meno dei<br />

cento prescelti, si era ritirato pensando all'evento dell'indomani. Sulla strada di casa,<br />

un bambino che aveva assistito alla riunione chiese al padre se anche lui avrebbe<br />

potuto dare un contributo - eh sì, il Capitano poteva ben essere orgoglioso dello<br />

spirito combattivo che serpeggiava nel villaggio! Con il sorriso alle labbra, il padre<br />

rispose “Non dire sciocchezze!”, ma pensava “Nel giro di pochi anni anche tu potrai<br />

toglierti le tue soddisfazioni; per il momento pensa soltanto a crescere forte e sano.”<br />

Parecchie donne erano preoccupate. Le giovani mogli, in particolare, che temevano<br />

di ritrovarsi in casa, così presto, un uomo invalido o, forse, neanche quello. Le<br />

suocere le rassicuravano (o almeno quella era la loro intenzione) e con la memoria<br />

andavano ripercorrendo gli scontri precedenti, puntualmente interrotte, coadiuvate e<br />

corrette dalle rievocazioni dei loro uomini che, troppo anziani per dare ancora una<br />

volta il proprio contributo, si limitavano ad assicurarsi che la memoria delle proprie<br />

13


gesta non venisse distorta o confusa dalle parole gracchiate distrattamente dalle<br />

consorti.<br />

Infatti proprio gli uomini, che in quelle occasioni rischiavano di perdere un occhio,<br />

un arto o la vita stessa, erano quelli che più soffrivano a esser tenuti lontani dallo<br />

scontro; e in serate di vigilia come quella, i familiari disposti intorno al focolare, gli<br />

anziani si abbandonavano alle loro narrazioni - in parte certamente (fin troppo)<br />

fantasiose, ma sostanzialmente genuine nella loro innocente spontaneità. E terminata<br />

la rievocazione, per così dire, pubblica, le matrone a letto erano spesso costrette a<br />

sorbirsi ulteriori commenti e memorie dei mariti coricati al loro fianco: del fatto che<br />

quando era toccato a loro, avevano sempre fatto il loro dovere; di quella volta che<br />

quando tutto sembrava ormai perduto, il loro reparto aveva ribaltato la situazione, o<br />

di quell’altra in cui il villaggio a nord non si era nemmeno presentato, perdendo<br />

anche l'onore - e a questo punto del discorso, di solito l’anziano, accontentatosi di<br />

aver dimostrato la grandezza del proprio valore al mondo intero e alla consorte (le<br />

due cose, per lui, coincidevano), perdeva ogni veemenza e loquacità e con un “Ah!”<br />

finale si addormentava di colpo, con buona pace della moglie assonnata. Ma c’era chi<br />

andava oltre, sentendosi in dovere di sottolineare che i ragazzi di oggi non<br />

sembravano mettercela tutta, rammolliti com’erano da tutte le comodità a loro<br />

disposizione; che nel villaggio erano ormai in pochi a essere davvero attaccati ai<br />

simboli aviti; che ai loro tempi la tecnologia era rudimentale - e allora sì che la<br />

tecnica era determinante, non come oggi! “Hai proprio ragione,” rispondevano le<br />

consorti ravvoltolate sotto le coperte, nel tentativo di interrompere il dolce flusso di<br />

ricordi che magicamente risanava anche l’uomo più sciancato. E solo quando proprio<br />

non ne potevano più, con uno sbadiglio leggermente più prolungato degli altri e<br />

sapientemente indirizzato, spegnevano la tremula fiammella della candela sul<br />

comodino sperando che, col buio, si spegnesse una buona volta anche l'eccitazione<br />

del marito.<br />

Oggi non si poteva proprio perdere. L'attrezzatura era tutta a posto. Le divise erano<br />

pulite e lucenti, e sembrava quasi un peccato, perché di lì a poco non lo sarebbero più<br />

state: fango e sangue le avrebbero rese irriconoscibili. Un mezzo sorriso si affacciava<br />

sui volti degli uomini più navigati, mentre quelli nuovi, gli esordienti, erano tutti<br />

eccitati e parlottavano con i compagni di reparto, ridacchiando e alzando la voce un<br />

tono di troppo. Il Capitano lasciò fare - era normale, prima. Dopo, non ci sarebbe<br />

stata l'energia nemmeno per dire ‘ah’.<br />

Nulla era cambiato. Si ricordò di quando, ed erano passati anni, ormai, aveva fatto<br />

parte del reparto avanzato - quello che per primo vedeva gli avversari disporsi<br />

sull'altro colle, di fronte a loro. In mezzo, allora come oggi, una vallata lunga mezzo<br />

chilometro e larga all’incirca altrettanto. E oggi come allora, dietro il reparto<br />

dell’estrema difesa, fervevano gli ultimi preparativi e si sprecavano gli incitamenti<br />

del resto del villaggio, assiepato al sicuro ma poco lontano. Si sbandieravano<br />

14


lenzuola bianche con lo stemma del villaggio cucito al centro e si suonava con<br />

trombette ammaccate o tamburi di fortuna l’inno a tempo di marcia.<br />

Infine si videro i nemici risalire la propria collinetta. Si stavano disponendo secondo<br />

uno schieramento che il Capitano, con la sua esperienza, non tardò a riconoscere<br />

come alquanto offensivo. “Bene, le due tattiche sono complementari” - non fece<br />

quasi in tempo a pensarlo, che la nota bassa e prolungata di un corno squarciò l’aria<br />

ferma; una sfera di stracci e cuoio lucido cuciti robustamente venne scagliata verso il<br />

centro della vallata dalle retrovie degli avversari.<br />

Dalle sommità delle rispettive collinette, cento da una parte e cento dall'altra, gli<br />

uomini si lanciarono urlanti in una corsa carica di eccitazione e di gioia. E questo non<br />

era che il calcio d'inizio: il divertimento, per i due villaggi, sarebbe durato ore.<br />

15


MEMORIE DI NONNA<br />

dI VALERIA PAGANO<br />

II° classificato ex equo<br />

Sono nata nel 1922, in una famiglia ricca, ma che ha sempre lavorato per guadagnarsi<br />

il pane. Mio padre era un pescatore e mia madre era la capofamiglia. Donna dura<br />

mamma, tanto che nel piccolo paesino dove abitavamo, dove io abito ancora,<br />

giravano leggende sulla mia terribile madre. Bassa di statura, ma molto decisa. Se<br />

facevamo un rumore a tavola, arrivava un leccamusso dritto sul mento. Era umiliante.<br />

E faceva male.<br />

Dei miei tre fratelli ero la più buona, la più calma, mi chiamavano lo strordiglione,<br />

perché a volte mi dimenticavo le cose. E accadeva spesso che, se dovevo andare fino<br />

alla soffitta di casa per prendere qualcosa, arrivavo sopra e non mi ricordavo più<br />

quello che dovessi fare.<br />

Sono nata nell’anno della marcia su Roma e dell’avvento del fascismo. Ho vissuto la<br />

guerra mondiale e ho visto finire Mussolini, ho vissuto durante la prima Repubblica<br />

ed ora sono qui, ancora viva, durante la seconda.<br />

Da giovane ero la più corteggiata del paese, l’ho scoperto solo di recente,<br />

incontrando vecchi amici che a distanza di settanta anni mi hanno rivelato la loro<br />

passata cotta per me. Ma lo so che ad ottantadue anni sono ancora piacente. Meglio<br />

di molte donne incartapecorite che fanno di tutto per togliersi le rughe. Io le mie<br />

rughe le vivo con dignità. Le uniche cose con cui le ho piallate sono state le mie<br />

mani.<br />

Mia madre mi ha condannato da giovane ad essere vedova.<br />

Mi costrinse al matrimonio con un uomo più vecchio di me di sedici anni. Era stato<br />

cresciuto da lei e ha visto bene di promettergli in sposa me. E mi sono fidanzata a<br />

quattordici anni. La prima volta che lui si avvicinò per farmi una carezza, sono<br />

scappata, impaurita, su per la tromba delle scale di casa. A sedici anni ero già<br />

maritata.<br />

Mio marito mi lasciò a casa, da sola, un mese dopo il matrimonio. Partì per l’Africa.<br />

Mi lasciò illibata. Una sedicenne coniugata ancora ignara dei doveri matrimoniali.<br />

Quindici anni ad aspettarlo. Quindici anni tra cui la guerra. Che periodo terribile. Io e<br />

un gruppo di compaesani scappammo sopra i monti Aurunci. Avevo paura. Avevo<br />

perso i contatti con mamma e papà. Sapevo che mio padre era in guerra a combattere,<br />

insieme ai miei tre fratelli.<br />

Un giorno riuscii a ripararmi in una casa e una bomba venuta dall’alto la distrusse.<br />

Fui travolta da grossi pezzi di soffitto. Feci in tempo a vedermi interamente<br />

insanguinata dalla testa ai piedi, con il ginocchio che mi sembrava rotto. Poi svenni.<br />

Mi svegliai dopo alcuni giorni in ospedale, con tutta la testa fasciata. Non avevo nulla<br />

di grave – dissero – un calcinaccio aveva colpito marginalmente la testa, la ferita al<br />

ginocchio era solo un profondo taglio.<br />

16


Mi ricordo tutti gli stranieri che vennero dalle nostre parti durante la guerra. Mongoli,<br />

Tedeschi, Inglesi, Americani e poi Africani con l’orecchino al naso e il ciuffo in<br />

testa, gli Indiani con il turbante.<br />

Gli Inglesi erano proprio dei bastardi. Nascondevano il cibo sotto terra per non farlo<br />

trovare. Gli Americani invece ci riempivano di leccornie. Me le ricordo bene le<br />

patate che ci davano. E il cioccolato. I tedeschi non erano cattivi. Quando volevano<br />

cacciarci urlavano “RAUS!RAUS!” e facevano gesti con le mani. Mi ricordo anche il<br />

tedesco, giovane, avrà avuto la mia età, che un gruppo di contadini inferociti uccise a<br />

colpi di zappa e bastone. Davanti ai miei occhi.<br />

Le bombe distrussero tutte le case che fittavamo ai turisti, riducendole ad un cumulo<br />

irriconoscibile di macerie. Fatica di anni smontata in pochi secondi.<br />

Mi ricordo ancora i ragazzi giovani che andavano in guerra. Erano ragazzetti con<br />

divise larghe, sembrava andassero ad una festa di carnevale a far la parodia di se<br />

stessi più che in battaglia.<br />

Finita la guerra aspettavo mio padre. Dicono che sia morto durante una attacco e che<br />

lo abbiano seppellito chissà dove. Sono rimasta orfana di padre e non posso piangere<br />

sulla sua tomba. E così rimanemmo con la mamma, che, nonostante la forza che la<br />

distingueva, era la sola a tirare avanti la baracca. Sono stati giorni difficili, di<br />

sacrifici, pane e cipolle era in nostro cibo quotidiano. Stavamo ricostruendo la nostra<br />

ricchezza.<br />

I miei fratelli partirono pochi mesi dopo la fine della guerra per andare a cercar<br />

fortuna in Australia, la <strong>nuova</strong> terra, con l’attività ittica di papà.<br />

Io invece ero rimasta lì, nel mio piccolo paesino, ad aspettare<br />

il ritorno di mio marito. Erano passati quindici anni dal mio matrimonio. E non mi<br />

ricordavo nemmeno il viso di quello che davanti allo Stato e davanti a Dio doveva<br />

essere il mio coniuge. Fui costretta a richiamarlo ufficialmente tramite i carabinieri.<br />

Tornò e quasi non lo riconobbi. Era invecchiato, ormai aveva cinquant’anni suonati,<br />

aveva una gamba finta, con cui avevano sostituito quella vera, dilaniata da un carro<br />

armato che lo travolse durante il lavoro. La vita coniugale non era esaltante, era senza<br />

amore e mio marito era stanco e malato, aveva vissuto la sua vita altrove, con<br />

un’altra donna ed era tornato non perché lo volesse, ma perché obbligato dalla legge.<br />

Nel cinquantacinque nacque la nostra unica figlia, che illuminò la mia vita. Il mio<br />

sposo non poté godersela a lungo, perché ci lasciò una notte, con un infarto, quando<br />

la piccola aveva solo otto anni. Ci lasciò senza nulla, tranne che una misera pensione<br />

di invalidità. Io, benché ancora giovane , benché avessi bisogno di un uomo per me e<br />

la mia bambina, non volli risposarmi, non volevo che le voci maligne del paesino<br />

pettegolassero sulla mia poca serietà. Tengo molto al giudizio altrui. La mia è sempre<br />

stata una famiglia seria, e tale doveva rimanere.<br />

Mia figlia è sempre stata più avveduta di tutti i suoi coetanei e appena ebbe l’età per<br />

ragionare si rimboccò le maniche e, quando poteva, si metteva a lavorare. Dava<br />

ripetizioni ai ragazzi più piccoli di lei, mi aiutava a fittare le case e, quando era<br />

necessario, andava a casa altrui a fare i lavori domestici. Non potevo offrirle molto,<br />

doveva contentarsi di un pantalone per l’inverno e uno per l’estate, un cappottino e<br />

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qualche maglione. Il nostro nucleo familiare era composto da me, mia figlia e ancora<br />

mia madre, avanti con l’età, ma ancora forte e con l’indole combattiva.<br />

Comprammo con i nostri risparmi un terreno e decidemmo di costruirci la casa. Ma<br />

non avevamo tanti soldi al tempo, fui costretta ad indebitarmi con della gentaglia. E<br />

nonostante mangiassimo pasta e fagioli o poco più, a fine mese i conti non<br />

quadravano mai.<br />

Ma avevo una ricca amica che, sapendomi in difficoltà, si offrì di pagarmi i debiti e<br />

mi assicurò che potevo ridarle i soldi con calma.<br />

E’ stata dura, abbiamo sofferto, ma alla fine siamo riuscite a costruire una bella<br />

villetta in campagna, sempre nel mio paesino. Mancavano ancora le porte e i<br />

pavimenti, ma erano dettagli che avremmo inserito giorno dopo giorno.Un giorno<br />

mia figlia venne a casa con un ragazzo brutto, zotico e sporco, me lo presentò come il<br />

suo fidanzato. Mi sentii morire. Come poteva lei farmi questo? Non poteva trovarsi<br />

un bravo paesano, magari il figlio del medico, che mi sembrava tanto a posto?<br />

Quel ragazzo non mi piaceva. Non guardava mai in faccia quando parlava. Anzi,<br />

spesso non parlava. Faceva sì con la testa e per no faceva uno strano rumore con la<br />

bocca tirando la testa indietro.<br />

La riempii di botte per evitare che lei lo vedesse ancora. Me ne pento ancora, ma<br />

adesso so che era la cosa giusta da fare.<br />

Malgrado tutto mia figlia e quel coso si sposarono pochi anni dopo. Dopo la laurea di<br />

lui. La mia piccola invece, innamorata e cieca, aveva lasciato gli studi per seguirlo.<br />

Così mi ritrovai sola con la mia vecchia madre, in quella casa grande e <strong>nuova</strong>, che<br />

aveva una stanza in più che non era stata mai occupata dalla mia creatura.<br />

Quanto dolore a sentire mia figlia lontana, quante ho pianto quando ho scoperto che<br />

suo marito la picchiava.<br />

L’unica cosa buona che ha fatto mio genero è quella di mettere al mondo due<br />

bambine, le mie nipotine, che sono diventate le mie gioie dopo mia figlia. Ho potuto<br />

crescerle quando venivano a trovarmi e io stessa mi muovevo per andare in visita nei<br />

vari posti in cui si muoveva tutta la famiglia.<br />

Ora sono vecchia e sola, mia madre è morta più di dieci anni fa, ho superato gli<br />

ottanta anni, non riesco a muovermi più come una volta. Ho le ossa acciaccate e il<br />

cuore sta facendo il resto. Ma ogni anno cerco di fare un sacrificio e prendo il treno,<br />

faccio un lungo viaggio e arrivo da mia figlia e le mie nipoti, ormai grandi. Loro non<br />

riescono a venire spesso a trovarmi, disto più di cinque ore di treno da loro, ma<br />

quando mi vengono a trovare, anche se stravolgono un po’ le mie abitudini, sono<br />

felice. Riempiono la mia vita con rumori, sorrisi e abbracci.<br />

Quando rimango sola la mia <strong>compagnia</strong> è la radio e una vecchia amica, mia coetanea,<br />

a volte petulante, ma che almeno scambia due chiacchiere.<br />

Aspetto ogni sera la chiamata di mia figlia, così posso parlare un po’ di tante cose,<br />

della mia piccola vita, delle mie opinioni sulle vicende che seguo in tv. Poi mi<br />

addormento felice, spesso con il televisore acceso.<br />

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IL RE E IL BUFFONE<br />

dI RODOLFO ROSSI<br />

C’era una volta un re.<br />

II° classificato ex equo<br />

Isolato dai resti del suo esercito, accerchiato dalle truppe nemiche, attendeva<br />

immobile l’ultimo assalto. Il re era nero. Ma la guerra che combatteva contro i suoi<br />

nemici, tutti bianchi, non era una questione di razza, né di territorio o di interessi<br />

economici. Altre ben più sottili erano le cause di questo conflitto. Astuzia, audacia,<br />

intelligenza, strategia: questi erano i valori che si misuravano sul campo, come tutti<br />

quei fattori che portano un uomo a combattere contro un altro uomo per stabilire chi<br />

valga di più. Un fante scivolò lentamente alla sua destra, apparentemente per coprire<br />

l’avanzata di un cavaliere o forse per chiudergli una via di fuga: non se ne curò. La<br />

manovra era troppo lenta per costituire un pericolo immediato e il suo cavallo, uno<br />

splendido morello dal manto color ebano, era troppo lontano per essergli d’aiuto.<br />

Concentrò la sua attenzione sui due lancieri che vedeva schierati alla sua sinistra:<br />

guerrieri veloci, anche se non troppo agili. Non avevano grandi possibilità di<br />

manovra ma così appaiati costituivano una seria minaccia, soprattutto per il poco<br />

spazio nel quale poteva muoversi. Si spostò di un passo indietro, stringendo la spada<br />

in pugno. Un altro fante seguì il primo a breve distanza e il re nero capì lo scopo<br />

della manovra: benchè le forze avversarie fossero abbondantemente superiori, il<br />

nemico non voleva rischiare e stava mandando i suoi fanti a recuperare rinforzi,<br />

proprio là, alle sue spalle. Se la manovra fosse riuscita si sarebbe trovato in trappola,<br />

senza neanche la possibilità di vendere cara la pelle, cosa che, oramai, gli sembrava<br />

l’unico scopo per il quale valesse la pena di lottare. Se sua moglie fosse stata ancora<br />

con lui forse avrebbe avuto la speranza di potersi opporre al nemico; quanto meno<br />

avrebbe cercato di ostacolare il suo avversario al punto da imporgli un armistizio. Ma<br />

adesso era solo e non aveva più né la forza né la voglia di sperare qualcosa. Fece<br />

ancora un passo indietro. Aveva perso la sua regina nel bel mezzo del conflitto e<br />

questo era stato un colpo troppo duro per lui. Il re era un uomo forte, non temeva la<br />

vita né le sue sconfitte. Aveva combattuto molte battaglie ed era stato un esempio per<br />

i suoi uomini che lo stimavano e lo rispettavano.<br />

La sua compagna era sempre stata al suo fianco: dovunque lui fosse lei poteva<br />

raggiungerlo velocemente, sorreggendolo e spronandolo nei momenti difficili. Questa<br />

era stata la sua vera forza e ora che l’aveva persa si sentiva solo e senza energie. Né<br />

in qualche modo lo poteva consolare il fatto che anche la regina del suo avversario<br />

avesse fatto, dopo poco, la stessa fine. Pensò, con una punta d’ironia, che forse la<br />

guerra non era una cosa da uomini. Un cavaliere si lanciò in avanti e si dispose a<br />

copertura dei fanti che lentamente stavano scivolando alle sue spalle. Se avesse<br />

potuto raggiungerli li avrebbe spazzati via con facilità: quei guerrieri numerosi ma<br />

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piccoli non potevano competere con la forza della sua spada. Ma il cavaliere e, ora se<br />

ne accorse, i due lancieri presidiavano il terreno davanti ai due fanti che, lentamente<br />

ma inesorabilmente, avrebbero di lì a poco terminato la manovra. Non sarebbe<br />

riuscito a fermarli in tempo per cui restò immobile al proprio posto. Fu un bene: una<br />

furia nera si abbatté devastante contro la fanteria nemica, eliminando un primo fante<br />

e ostacolando la marcia al secondo, così da neutralizzare l’operazione del nemico. Il<br />

suo fedele lanciere non l’aveva abbandonato: inviato sotto le torri nemiche ad<br />

impegnare l’avversario con una manovra diversiva, tornava ora a difendere il suo re e<br />

a combattere al suo fianco. L’azione scompigliò i piani d’attacco del re bianco che,<br />

persa la possibilità di concludere il conflitto senza altre perdite, lanciò i suoi<br />

all’attacco scatenando una violenta battaglia. Il lanciere bianco attaccò il suo diretto<br />

avversario cercando di prenderlo alle spalle ma passò troppo vicino al re nero che,<br />

con un solo passo, gli fu addosso. Questo salvò il lanciere nero dall’attacco diretto ed<br />

egli avanzò per coprire maggior spazio dinanzi a se mentre il suo nemico si poneva<br />

precipitosamente in salvo, a poco distanza dal cavaliere. La manovra era solo<br />

apparentemente difensiva: quando il primo lanciere fu al riparo dall’attacco nemico e<br />

il re ripiegò un poco stringendosi accanto al suo ufficiale, il secondo partì all’attacco,<br />

tanto rapidamente quanto vigliaccamente. Anziché affrontare il suo avversario di<br />

fronte, misurandosi cavallerescamente faccia a faccia con il suo pari, attaccò di<br />

fianco minacciando direttamente il re che si trovò così chiuso tra i due lancieri e il<br />

cavaliere: qualunque mossa avesse fatto non avrebbe potuto sottrarsi al tiro nemico.<br />

Che triste fine, pensò il re. Finire sotto i colpi di un lanciere senza neanche la<br />

possibilità di lanciare un ultimo assalto, senza potere incrociare la spada con un mio<br />

pari. Molte volte il re aveva immaginato il momento della sua fine. Come tutti,<br />

sapeva che prima o poi sarebbe arrivata e come tutti credeva, o sperava, che sarebbe<br />

stato un momento speciale, solenne e, in qualche modo, dolce. Amaramente<br />

considerò che ognuno, cavaliere o stalliere, re o buffone, bianco o nero che sia si<br />

ritiene in ogni caso al centro della vita, protagonista, nel bene e nel male, della partita<br />

che siamo invitati a giocare. Ma la partita non è una sola: e ognuno è protagonista<br />

solo della sua. Per tutte le altre è uno dei personaggi, talvolta un comprimario e può<br />

solo augurarsi di fare bene la sua parte, con serenità e dignità. Questo pensava, il re<br />

nero, stringendo in pugno la spada, ormai inutile, cercando di capire da quale parte<br />

sarebbe partito l’attacco che avrebbe giocato l’ultima mano. Ma prima che questo<br />

avvenisse il suo lanciere scattò e si frappose fra il re e il lanciere bianco. Forse è<br />

questo che rende gli uomini tutti protagonisti, pensò il re mentre vedeva il suo fedele<br />

compagno soccombere sotto il colpo del nemico: la capacità di sacrificarsi per chi si<br />

ama e di conoscere valori più grandi della vita stessa. Il colpo che lasciò partire<br />

vendicò il suo compagno e spazzò via il lanciere bianco. La sua furia si abbatté sui<br />

nemici che, sorpresi dalla sua reazione, cominciarono lentamente ad indietreggiare. –<br />

Codardi! – gridava il re nero, forse ferito, trascinandosi lentamente un passo alla<br />

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volta e avanzando tra le file del nemico. – Cosa temete? Un uomo solo e ferito?<br />

Dov’è il vostro coraggio? Dov’è il vostro onore? Dov’è il vostro re?<br />

I due cavalieri, il lanciere superstite, i fanti: tutti rimasero immobili e muti. Il re nero,<br />

alto e terribile, fece scivolare lo sguardo sul nemico che lo circondava da ogni lato:<br />

era solo, ma non si sentiva solo. Accanto a sè, dentro di sé, aveva la forza di tutti<br />

coloro che lo avevano amato, dalla regina all’ultimo dei suoi fanti, e che avevano<br />

combattuto al suo fianco. Fece, lentamente, un altro passo avanti. Allora, dopo un<br />

istante che sembrò eterno, sentì alle sue spalle un unico, solenne, regale passo. Girò<br />

la testa e guardò il suo avversario, fissando i suoi occhi dritti in quello dell’altro,: il re<br />

bianco era lì.<br />

“Ti faccio tagliare la testa! Ti spedisco a spaccare le pietre nelle mie miniere” gridò il<br />

re mentre con una manata spazzo via la scacchiera facendo volare i pezzi per la<br />

stanza. Pedoni, cavalli, torri e alfieri schizzarono in aria, mancando di poco il buffone<br />

che, sorridendo sotto la sua maschera cialtrona, cominciò pazientemente a<br />

raccoglierli e a disporli in bella fila.<br />

“Sono anni che giochiamo e non ho ancora vinto una sola partita. Mai. Nemmeno<br />

una. Ti faccio rinchiudere nelle prigioni e getto via la chiave!”<br />

“Non lo farete, maestà,” rispose paziente l’ometto, scuotendo lentamente il capo nel<br />

tintinnio dei campanelli del suo buffo cappello.<br />

“Chi ti dà tanta sicurezza, buffone? Perché non dovrei farlo?”<br />

“Perché io sono l’unica persona di cui vi potete fidare. Vi faccio ridere per quello che<br />

sono e per lo stesso motivo vi faccio arrabbiare: vinco a scacchi perché sono più<br />

bravo di voi. Se giocaste con qualcuno dei vostri consiglieri, con il primo ministro o<br />

con il capo delle guardie, probabilmente vincereste. Ma non sapreste mai se perché<br />

siete bravo o perché siete il re. Invece il giorno che sconfiggerete me, saprete<br />

realmente qual è il vostro valore. Sire.<br />

Il re lo guardò torvo. “Disponi i pezzi, disse, facciamo un’altra partita”.<br />

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III° classificato<br />

ALI DI CRISTALO (ai bordi della vita)<br />

dI GLORIA VENTURINI<br />

Ai bordi della strada, in un'ora morta del giorno, un bambino viene<br />

abbandonato da una madre troppo giovane, troppo egoista per amarlo. Per il<br />

padre è stato solamente il piacere di una notte, niente di più. Ai bordi della<br />

strada, vicino ad un cassonetto, avvolto da un asciugamano insanguinato, ora<br />

c'è un bambino rinnegato.<br />

Un'automobile fugge veloce, senza rimpianti, senza esitazioni, neppure una<br />

lacrima, solo un problema risolto. Il bambino sorride all'azzurro del cielo, un<br />

alito di vento lo accarezza, in quel caldo pomeriggio d'estate. Agita le sue<br />

minute gambe e con le piccole manine sembra salutare il sole abbagliante ed<br />

afoso.<br />

Nel volto una serenità senile, un'espressione gioiosa, sconosciuta alla gente. Le<br />

cicale sono le uniche compagne del piccolino, gli cantano una dolce ninna<br />

nanna, e lui, s'addormenta. Il giorno lascia il posto alla notte, mai un tramonto<br />

così tenue aveva colorato l'orizzonte. La luce brilla negli occhi del bambino,<br />

che avvolto dalla meraviglia, è incantato dalle bellezze del mondo. Giunge la<br />

notte, le stelle con il loro scintillio lo cullano e nel cuore infante, ignara vibra<br />

la poesia più bella dell'infinito. L'aurora apre la porta al nuovo giorno. Il<br />

bimbo rivolge gli occhi al cielo amico, senza sapere che la sua piccola vita si<br />

sta spegnendo. Non ha pensieri, sente solo i morsi della fame e il calore<br />

insopportabile del sole. Piange e si agita con le ultime forze rimaste. Le cicale<br />

cantano, l'azzurro del cielo sovrasta sereno, e piano piano, il bambino chiude<br />

gli occhi e si addormenta per sempre. Non ha capito la vita, l'ha osservata solo<br />

per un momento. Quando l'indomani gli uomini della nettezza urbana lo<br />

trovano, nonostante il ghiaccio che gela le loro vene, si addolciscono nello<br />

scorgere un beato sorriso tra le piccole labbra; lui rideva ancora al cielo.<br />

Le sue piccole braccia sono abbandonate in una dolcezza infinita, che nessun<br />

adulto potrebbe mai provare. Con il cuore dilaniato da una ferita senza storia,<br />

con l'animo a pezzi, con le lacrime che scendono impotenti dagli occhi, l'uomo<br />

culla il bimbo, come fosse stato suo figlio, come non ha mai fatto la madre.<br />

L'autoambulanza arriva, per dare un giusto valore a quella piccola vita<br />

stroncata. Il cielo è azzurro, il sole risplende, le cicale cantano, poco più in là,<br />

bambini giocano gioiosi sul prato.<br />

Ai bordi dei giardini celesti, un angelo prende tra le braccia il piccolo<br />

abbandonato, ora non ha più fame, ora non ha più caldo, ma sorride ritrovando<br />

il celeste nello sguardo dell'amico divino.<br />

Ai bordi della vita la luce dell'anima vola serena con ali di cristallo.<br />

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Premio speciale giuria<br />

BONGO<br />

dI SALVATORE CARTA<br />

L’avevano incontrato l’ultima volta nel chiostro duramente acciottolato della<br />

chiesa S.Anna la Misericordia, grande più di un campo di calcio, e tutto<br />

attorno a conformare la figura geometrica un porticato ritmato e compassato<br />

da colonne di marmo grigio con archi a pieno centro, scritto dal tempo e dalle<br />

penne. Bongo era il più alto del gruppo, con muscoli che apparivano flaccidi,<br />

incapaci di forti tensioni, come se non avessero voglia di contrarsi, tantomeno<br />

di lottare. Da sempre si ricordavano di lui quando, ogni volta che lo vedevano<br />

e ovunque fossero, veniva apostrofato: ”Ciao Bongo!” e subito dopo in coro:<br />

“Bingo Bongo Bengo/ Molte scuse ma non vengo/ Io rimando qui/ No bono<br />

scarpe strette saponette/ Treni e tassi/ Ma con questa voglia al collo/ Star bene<br />

qui/ Oh…. Bongo Bongo Bongo/ Stare bene solo al Congo/ Non mi muovo No<br />

No./<br />

E su questo doppio No, tante pacche sulle spalle, anche dal più basso della<br />

comitiva tentavano di fare arrossire la sua pelle stranamente di colore ebano.<br />

Lui finalmente riprendeva respiro, con la bocca rivolta verso quelle pietre<br />

imbronciate, e non tentava neanche d’incrociare i loro sguardi, rassegnato<br />

com’era nella sua impotenza; e pago nello stesso tempo di essere uh elemento<br />

estraneo e conosciuto da tutti. Ogni pomeriggio feriale quello era il loro<br />

cortile, l’agorà lucida partecipata da chi aveva finito rapidamente i compiti<br />

aiutato da una memoria giovane e per niente intasata, e da quelli che<br />

sonnecchiando e senza aver toccato o scritto pagine avevano detto di averlo<br />

fatto, e anche da chi diceva niente di niente, e spavaldo si chiudeva dietro la<br />

porta di casa. Fatalmente iniziavano col prendere a calci qualsiasi cosa che<br />

somigliasse ad una sfera; qualche volta, quando la colletta aveva avuto buon<br />

fine, anche ad una vera palla, che era poi il risultato di una frequente rinunzia<br />

al “pane e panelle”,. E quando le canottiere erano fortemente inzuppate di<br />

sudore, e le ombre ed il vento appena rigido ne arrischiavano i bronchi, la voce<br />

perentoria, ma da prete di Don Bartolo li invitava ad entrare nella sala<br />

parrocchiale. Si appassionavano, tracciando una linea rigida, al vecchio<br />

western americano: alla fine della fiera, quando “il buono” stava per essere<br />

sopraffatto, c’era sempre una pallottola a ristabilire canoni di giustizia, e<br />

l’eccitazione li portava ad accompagnare con sfrenati urrà ed incoscienti “ola”<br />

la caduta rallentata del “cattivo”. Era uno dei tanti gruppi che si componeva<br />

dopo la guerra: sembrava che non avessero un passato, forse per dotta e<br />

conveniente ignoranza, e si sentivano pervasi dalla grande voglia di nascere<br />

per ripartire. Preparavano le prime sigarette con tabacco riciclato e carta velina<br />

tanto pesante da formare anelli scuri e grigiastri, che si aprivano ed iniziavano<br />

a sfaldarsi dopo troppo tempo per non tossirci sopra. Ed in uno di quei<br />

pomeriggi, dopo il confezionamento, quella sigaretta, che sin dall’inizio si era<br />

mostrata senza spian dorsale, era già aspirata da tutti, quando Bongo, con tono<br />

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lieve, forse perché certo di non essere preso sul serio, ebbe a chiedere: “ Mi<br />

fate dare una tirata?” Franco e Claudio, Nino “u longu” e Salvatore, e gli altri<br />

tracciarono diverse diagonali di sguardi densi di sorpresa, e quindi di richiesta<br />

di consenso ecumenico da parte di tutti, prima che Claudio, gran sacerdote,<br />

passasse con attenzione quel mozzicone appiattito e sbavato, trafitto da una<br />

piccola spina di rovo, aggiungendo: “ Bongo, succhia a pieni polmoni; non te<br />

la fumare tutta!” La sua bocca si trasformò in una verde idrovora, ma i<br />

filamenti di tabacco erano troppo laschi e profondamente trinciati per opporre<br />

qualsiasi resistenza; per cui, subito il niente si dileguò in fumo ed il viso,<br />

sospettosamente paffuto, sembrò una sfera magica di colore viola. Si erano<br />

ritrovati a tappe in quel cortile: ognuno aveva vissuto la guerra con sofferta<br />

incoscienza e senza alcuna voglia di ricordare, ciascuno per motivi diversi,<br />

tutti per la stessa causa. Bongo e la sua famiglia erano ritornati, dopo qualche<br />

anno di assenza, da Pian del Mugnone dove una delle due sorelle, Graziella,<br />

aveva sposato, mentre le cannonate si fronteggiavano sull’Arno, un partigiano<br />

alto e biondo, con capelli lunghi che spontaneamente si componevano in<br />

riccioli; gli mancava il mignolo della mano sinistra, spappolato quando, calato<br />

in fondo ad un pozzo cercò di sfuggire ad una retata delle truppe tedesche.<br />

Erano scesi dal treno Bongo, la mamma e il cavaliere, l’altra sorella e la lunga<br />

scale di figli maschi, che avevano reso felice Benito; e subito, con le doglie nei<br />

cuori avevano pianto sui resti del palazzo dei Napoli e del Giglio: soltanto<br />

grandi buche, mentre le convessità erano un insieme di terriccio e macerie, con<br />

muri che si sbriciolavano per il vento e la pioggia appena insistente. Dopo<br />

qualche mese il Comune riuscì a “sistemarli” in una stanza dell’Hotel Patria,<br />

in attesa che, con i fondi ERP, si potesse assegnare loro una casa popolare.<br />

Per più di un anno dormirono in una camera dell’altissimo quinto piano.<br />

Dall’unica finestra s’intravedeva la facciata di S. Carlo Borromeo, che, verso<br />

l’interno, nascondeva un delizioso e piccolo chiostro. Le stanze, una per<br />

famiglia, si disponevano per tre lati, formando una T lunga circa duecento<br />

metri; e la camera dove dormiva Bongo, con la madre, il cavaliere, fratelli e<br />

sorella, era distante dall’unico doppio gabinetto. E le fugaci, ma frequenti<br />

coliche mattutine, più dovute alla mancanza d’acqua che ad abbondanza di<br />

cibo, dovevano attendere per esaurirsi, che le code si azzerassero. Quello era il<br />

periodo in cui la testa di Bongo e degli altri compagni era uno shaker nel quale<br />

venivano a miscelarsi Ettore e Achille, Ulisse e Penelope, la prima democrazia<br />

in Atene, la Chiesa e la tavola di Mendeleev, Foscolo e Leopardi, Vincenti e<br />

Amadeus. E ognuno di questi, superando la tensione di superfice, formava una<br />

bollicina che tendeva ad alzarsi, insieme ai loro pensieri ed ai primi amori,<br />

trasformando tutto, in grappoli di nuvole ricche di cariche intense. I<br />

comportamenti di ognuno del gruppo sembravano delineati dalla sintesi degli<br />

avi e dei miti greci, e venivano ritagliati dalle loro vivaci interazioni e dalla<br />

presenza assidua delle famiglie; speravano che la <strong>nuova</strong> generazione, essendo<br />

stata soltanto sfiorata dal disastro, avrebbe avuto maggiori opportunità e tempi<br />

per incidere e migliorare ognuna di esse. E così, mese dopo mese iniziarono in<br />

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qualche caso a disaggregarsi: l’Istituto Autonomo Case Popolari, da un lato,<br />

cominciò ad assegnare i nuovi appartamenti, mentre, per altra parte, si<br />

ricostruiva lo Stato, le Industrie, la Chiesa, i Partiti, la Mafia, per cui i padri e i<br />

fratelli maggiori provavano a trovare lavoro. E quel nuovo trasferimento<br />

coinvolse la maggior parte del gruppo: due palazzi anonimi, a cinque piani,<br />

subito dopo il ponte dell’Oreto, iniziarono ad accoglierli. Quella di Bongo fu<br />

una delle ultime assegnazioni; e quando arrivo insieme al cavaliere, alla madre<br />

ed ai fratelli, trovarono un primo piano, con un balcone che dava su una<br />

distesa di mandarini ad alto fusto, recintata da siepi verde scuro, mosse dal<br />

bianco e dal giallo delle calle e dai rovi con fiocchetti rosa. La casa era situata<br />

nella scala H, e per questa lettera, come per la K, Bongo provava una istintiva<br />

avversione, perché una è muta, non ti giunge alle orecchie quando inizia la<br />

parola, la devi immaginare, risulta misteriosamente orientale, aspira i nomi e<br />

te li rende torbidamente voluttuosi; L’altro spesso è una costante con una<br />

lunga serie di cifre che gli sembravano trasportarlo, come nei sogni che<br />

frequentemente aveva fatto da bambino, giù lungo un baratro senza fine,<br />

accompagnato soltanto dall’urlo di chi cade da un quinto piano alto, fino al<br />

centro della terra. La porta d’ingresso era la prima a destra dopo due rampe di<br />

scale e continuava subito con un corridoio-trincea che si apriva prima in un<br />

cesso, nel quale erano stati collocati, facendoli calare dall’alto il lavandino, il<br />

bidè e la tazza che prendevano luce da una finestrella che pescava nel balcone,<br />

poi in una cucina con due pensili smaltati ed un tavolo per quattro, stretto ai<br />

muri. Dopo tre passi, la camera da letto, in cui a sinistra avevano piantato un<br />

armadio con i laterali bombati di finto noce, che tenevano uno specchio lungo<br />

e molato che rifletteva chi dormiva, chi tentava il nodo scarpino, chi era<br />

bucato dall’intramuscolare, chi provava il vestito da sposa. L’ultima porta ti<br />

faceva entrare nella camera da pranzo-salotto-letto, nella quale s’imponeva un<br />

tavolo coperto da una cera trasparente che copriva a sua volta un tappeto<br />

rosso-scuro, l’ultima reliquia dei Napoli, convessa al centro come il calco della<br />

testa di Bongo. Si era formato perché Graziella ogni volta che, durante la<br />

guerra, prima del bombardamento, ululava la sirena, in cinquanta secondi lo<br />

stanava, lo imbracava diventando un tutt’uno, faceva slittare il tappeto<br />

dall’austero e vecchio tavolo, e avvolgendogli tutto il corpo, aveva soprattutto<br />

cura che la sua testa, affollata di boccollotti neri, coincidesse con il centro del<br />

tappeto, sovrastato dal giglio e dal leone rampante, e poi tutta una corsa verso<br />

il ricovero. Comunque così era la casa e così l’avevano potuto arredare, in quei<br />

primi mesi i suoi genitori. E abbassandosi sotto i mandarini per vedere le<br />

gambe di chi arrivava, negli ampi spazi sottostanti si ritrovarono una buona<br />

parte di quelli che erano stati il nucleo di piazza S. Anna, mentre si<br />

introducevano quelli che arrivavano da storie e luoghi diversi. Da una parte il<br />

gruppo tornava a ricomporsi, accogliendo <strong>nuova</strong> linfe; e senza un<br />

appuntamento preciso, mai dato, si riunivano scaglionati secondo fasce di età<br />

mentale, spesso iniziando a cercare per terra un bastoncino che doveva essere<br />

compatto e duro per potere tagliare fendendola l’aria, ed un altro ancora più<br />

25


massiccio per percuotere il primo con un colpo secco, farlo rimbalzare e<br />

quindi, colpirlo questa volta al volo per inviarlo il più lontano possibile. E fu<br />

uno di questi pomeriggi che videro avvicinarsi due possenti ginocchia che<br />

articolavano gambe da centometrista, e dalle foglie subito apparve una piccola<br />

sfera tonda con gli occhi colore pece: era Bongo! Si sentirono intimamente<br />

felice di averlo ritrovato e anche per celebrarlo partirono con: “Bongo,Bongo,<br />

Ben….”. Non riuscirono a terminare la prima strofa perché quella massa nera,<br />

trasformatasi in un pantera, si lanciò su Claudio, lo avvinghiò in una morsa<br />

greco-romana, e prima che divenisse del tutto cianotico, lo scagliò sul prato di<br />

ortiche. Le diagonali di sguardi furono più leste del solito ad incrociarsi, e<br />

Nico “u longu”, stringendogli la mano superò facilmente il fruscio delle foglie:<br />

“Questo è Giovanni!”. E da quel momento divenne conosciuto e caro a tutti.<br />

Ognuno aveva scelto , o lo riteneva, la propria ragazza; Giovanni aveva da<br />

parecchi giorni puntato un balcone con una filiera di gerani rosa e viola, ma<br />

ancora non aveva ricevuto nessuna risposta e tutto ciò gli dava insolite<br />

tristezze e cariche di inutili tensioni. E proprio per il sei Agosto, giorno in cui<br />

ricorreva l’onomastico di Salvatore, come se si fossero passata voce, si<br />

ritrovarono nei viottoli e nelle macchie dense di canneti, sotto il ponte del<br />

fiume; l’acqua annaspava sudando per raggiungere il mare, e le rane sotto le<br />

prime ombre iniziavano a comparire per cercare cibo e compagnie, quando,<br />

come in una orchestra dodecafonica ognuno fu preso dall’irrefrenabile bisogno<br />

di parlare, spesso inventando, di languori e baci e di situazioni particolari che<br />

avevano incrociato con le loro ragazze: chi al cinema; i più fortunati,<br />

motorizzati con lambrette ed un Ducati novantotto a quattro marce e pedali,<br />

nelle campagne che circondano il circuito di <strong>Cerda</strong>. Tanto più le storie si<br />

appassionavano e gli amori si aggrovigliavano, quanto più perle di sudore si<br />

formavano nella fronte di Giovanni, e scivolavano veloci, prima rigandogli il<br />

viso, poi il collo, sino a formare un piccolo laghetto proprio sotto il pomo<br />

d’Adamo, Giovanni cominciò a farfugliare e ad arrossarsi nelle orecchie, si<br />

alzò di scatto come se fosse stato morso da un tafano, e muovendosi proprio<br />

come IO raccattò un rametto concavo e rinsecchito di mandarino, che si<br />

continuava a mo’ di Y in due rami più piccoli. Lo adagiò leggermente a terra<br />

fra le margherite gialle che nascevano rachitiche e spontanee e allontanandosi<br />

raccontò la storia di Shaharazàd; la musica e le storie si trasformarono in un<br />

crescendo infuocato e a quel punto gli occhi del mandingo divennero due palle<br />

staccate dal sole mediterraneo, e lui prese con frenesia a curarsi con passione<br />

soltanto di se stesso. Stava per lanciare un urlo che avrebbe terrorizzato i cani<br />

randagi che erano soliti seguire il gruppo in attesa di coccole, pane e bastonate,<br />

quando Claudio, con tempismo da cronometrista , dette uno strappo secco al<br />

filo che aveva legato, e mimetizzato con ciuffi di gramigna, proprio nel punto<br />

in cui le tre braccia della Y s’incontrano. E fu così che Giovanni vide<br />

scomparire “L’origine del mondo”, castrando l’eccitazione: quindi un algido<br />

silenzio ringhiò ai cani; e rese scuro di botto il cielo. Un bolo di saliva gli<br />

scese giù per la gola , portandogli in modo esasperato in avanti le carotidi, e<br />

26


obbligandolo a scivolare la mano sinistra verso il basso, per accoppiare ogni<br />

asola forse con il suo bottone. Nessuno rise e tutti s’indirizzarono mogi, mogi<br />

verso casa. E i giorni si nutrivano di singulti di frenesia, di eccitazioni<br />

esagerate che li possedevano, solitamente dopo momenti sonnacchiosi, come<br />

quando verso la fine dell’estate, improvvise scariche si rincorrono nei cieli,<br />

intrufolandosi fra le nuvole, animali saettanti che tornano ad impadronirsi dei<br />

territori, e quindi si dissolvono tingendo l’occidente di una distesa di veli rosa<br />

e celeste tenue, e rosso smunto; e ogni giorno possedeva la capacità di<br />

prolungarsi, di stiracchiarsi su se stesso rinviando i domani. Queste sensazioni<br />

rendevano continui ed interminabili gli sbadigli della testa di Giovanni ogni<br />

giovedì, quando arrivavano alla spicciolata, al primo piano della scala H, una<br />

decina di giovani lupetti con il viso inizialmente preoccupato, e bloccandosi<br />

sul pianerottolo, bussavano alla sua porta semiaperta. Li accoglieva sua madre:<br />

“Ciao Carmelo”, “Hai imparato la tabelline del nove? Giuseppina!” Si<br />

chinava su ognuno di loro, attendendo che i loro volti si rassicurassero e il<br />

fatto di trovarsi a casa del Cavaliere non li impensierisse più. Trovavano, dopo<br />

avere attraversato il corridoio, la stanza grande con il tavolo non più a centro;<br />

e a prendere tutto lo spazio che restava tre file di sedie impagliate, disposte a<br />

chiesa. E quando tutto si era sistemato, la madre, in piedi, usciva dalla tasca<br />

della lunga gonna un rosario di ciliegio brunito dal tempo, ed iniziava,<br />

amorevole, il paternoster, un gloria patri ed uno dei misteri, e di seguito la<br />

prima decina di avemaria. Davanti a lei quei bimbi l’avvolgevano in una<br />

nuvola sussurrata di ritorni; snocciolando i grani, se li guardava uno per uno,<br />

lambendone gli occhi, come se fosse utile per tenere il conto di quella giovane<br />

litania. Riusciva ad accorgersi quando la liturgia non era più amata, anche<br />

perché quelle piccole gambe iniziavano a muoversi, sedute, con maggiore<br />

frequenze, ed in qualsiasi punto si trovassero diceva: “Anche questa mattina<br />

abbiamo ringraziato la madre di Gesù”. Si avvicinava, e porgeva nella mano di<br />

ognuno un sacchetto colorato con dentro una zolletta di zucchero, e cinque<br />

gallette. Giovanni, dalla cucina in cui studiava, avvertiva la fine di quella<br />

intrusione massiccia e non riusciva a comprendere se venissero per il<br />

sacchetto, per i capelli di seta di sua madre o perché venivano inviati da Gesù.<br />

Quella settimana, sin dal pomeriggio del martedì, tutti, piccoli e grandi, in età<br />

di scuola elementare, di servizio di leva, e di tesi di laurea, avevano<br />

cominciato a portare, al centro della vasta area non asfaltata fastelli di rami<br />

secchi, resti di tronchi tagliati per dare spazio alla costruzione di un <strong>nuova</strong><br />

edificio, cartacce e pochi giornali già letti da tempo, mobili vecchi e scomposti<br />

affinché fosse più facile trasportarli, e in serata si era formata una catasta così<br />

alta che riusciva a gareggiare con le “vampe” delle altre borgate e con quelle<br />

che venivano preparate, qualche secondo prima, contro gli eretici dai delegati<br />

papali. Fino al tardo pomeriggio del diciotto continuavano ad allargare la base,<br />

per innalzare sempre più la cima, e per tutti iniziava l’attesa: i bimbi si<br />

accovacciavano sui marmi dei balconi sperando che intanto potessero vedere<br />

S. Giuseppe, le moglie sbirciavano fra le gelosie le prime donne affacciate, i<br />

27


mariti erano presi come da una strana tensione, forse perché non avevano<br />

potuto partecipare ai preparativi, le “sfinge” riposavano, scortate dai pensieri<br />

di tutte nelle cucine, le ragazze da marito continuavano a ravviarsi i capelli; e<br />

frattanto alcuni dei loro probabili compagni accatastavano libri, o perché<br />

avevano ricevuto la cartolina di precetto, o perché si attendevano che fra pochi<br />

giorni sarebbe arrivata; c’era chi aveva ricevuto la promessa di lavoro nella<br />

propria città, e chi ne aveva visto alimentare, soltanto, il fumo della vampa<br />

degli anni precedenti, e adesso aveva deciso di prendere il primo treno per il<br />

continente. Diveniva, comunque, un atto di notifica per tutti: fra poche ore, le<br />

cassette con i libri di osteologia e semeiotica, trigonometria ed integrali, diritto<br />

romano e filosofia sarebbero stati annullati dal primo crepito della vampa.<br />

Adesso gli occhi si alzavano per scrutare il cielo, e se c’erano nuvole ognuno<br />

sapeva che S. Giuseppe non avrebbe potuto rinunziare alla sua festa, e che, una<br />

volta che il fuochista aveva portato lo stoppino nella piccola cavità che i<br />

ragazzi avevano formato nella catasta, nessuna goccia di pioggia avrebbe<br />

offeso un Santo così potente. Le famiglie avevano trasportato le sedie nei<br />

balconi; mentre sui tavoli da pranzo attendevano le sfinge ed i rosoli fatti con<br />

alcool, zucchero ed assenze, e l’acqua e l’anice Tutone. Lo scricchiolio delle<br />

noccioline americane, delle carrube e della semenza salata e abbrustolita inizio<br />

a calare insieme al frinire delle cicale; e anticipato da una leggera brezza<br />

marina videro avanzare lentamente, ma sicuro nell’andamento verso la vampa,<br />

Giovanni vestito di nero. Nella sinistra alzava una scatola con cinque-sei libri<br />

di letteratura italiana e latina; nella destra una torcia resinosa con un grosso<br />

stoppino acceso che gli rischiarava, fluttuando, varie gradazione di viola. I<br />

minuti si allungavano, gli scarponi sembravano essere trattenuti dall’erba, i<br />

tessuti contenevano a stento i muscoli, ma seppe giungere al centro del<br />

cerchio: poggiò con delicatezza sacrale i volumi nella bocca della vampa, e la<br />

sinistra, ormai libera,aiutò l’altra per indirizzare la torcia verso la lingua sazia<br />

di paglia. Il fuoco divampò in pochi secondi; e in tempo, prima che i balconi<br />

rossi di gerani trionfassero, Giovanni indirizzò anche a quellio degli ultimi<br />

piani “Viva San Giuseppe! Io parto. Viva San Giuseppe!”.<br />

28


E INOLTRE….<br />

IN ORDINE ALFABETICO:<br />

RACCONTO<br />

dI CAPPADONIA LO DATO FRANCESCA<br />

Durante la mia infanzia non esisteva il televisore.<br />

Ci riunivamo davanti al braciere.<br />

Insieme ai cugini organizzavamo qualche gioco:<br />

con la palla, legando dei vestiti vecchi;<br />

con i bottoni, lanciandoli per terra dentro un quadrato disegnato col gesso;<br />

con le bambole di pezza;<br />

con la “ciammarita”, fatta da un pezzo di mattone, che veniva lanciato il più<br />

vicino possibile a una riga sul marciapiedi.<br />

Ora i bambini giocano in modo diverso:<br />

computer, playstation e altri giochi elettronici.<br />

Paragonando quei periodi a questi, prima i giochi si inventavano, oggi sono<br />

già creati.<br />

29


LO SBARCO SULLA LUNA<br />

dI DI GREGORIO ANTONINA<br />

Antonio aveva fatto tardi.<br />

Come al solito si era attardato a giocare sul piazzale della chiesa come faceva<br />

tutti i giorni. Il tempo gli era volato come sempre ma proprio quella sera non<br />

avrebbe voluto far venire buio giocando per cui ora si stava avviando di buon<br />

passo verso casa arrabbiato e preoccupato per due motivi. Il primo e il più<br />

importante era che di sicuro, visto il ritardo, non gli avrebbero permesso di<br />

guardare alla televisione lo sbarco sulla luna dei tre astronauti americani, il<br />

secondo era che avrebbe sicuramente ricevuto il solito liscio e busso e magari<br />

avrebbe saltato pure la cena, e stava morendo dalla fame.<br />

Ninuzzo come lo chiamavano in famiglia aveva quasi undici anni ed era un<br />

ragazzino vivace e curioso della vita, sempre a fare domande su questo e su<br />

quello, come funziona? Posso smontarlo? Quando casualmente posava le mani<br />

su qualche cosa, inavvertitamente, quasi senza accorgersene lo aveva già<br />

ridotto in mille pezzi, rompendolo completamente. Era affascinato dallo<br />

spazio, dagli astronauti, dal cosmo in generale e soprattutto dall’idea che da<br />

grande avrebbe esplorato l’universo intero.<br />

Appena mise piede in casa restò ammutolito.<br />

La tavola era apparecchiata per sei persone e loro in casa erano quattro.<br />

La madre che portava il lutto da oltre un anno per la morte di un fratello stava<br />

parlando a bassa voce con la sorella, la zia Filuccia che anch’essa vestiva di<br />

nero per lo stesso motivo. Come mai si trovava lì, perché era venuta da<br />

Termini? Forse per lo sbarco? Nel piccolo salotto lo zio Salvo, marito della<br />

zia, stava seduto in silenzio.<br />

Papà non era ancora arrivato e sua sorella Marinella nemmeno e questo era<br />

molto strano perché si faceva sempre trovare in casa quando rincasava il<br />

padre, ben conoscendo la reazione qualora non la avesse trovato.<br />

Il televisore spento. Come… spento? Inammissibile.<br />

- Mamma, la televisione!!!!!!, c’è lo sbarco sulla luna, tu scurdasti? –<br />

- Quale televisione e televisione, corri a lavarti e zitto che non è<br />

momento….. –<br />

- Non è giusto….. dai accendiamo…….. magari già sbarcano….. non me<br />

lo voglio perdere……-<br />

- Pi piaceri curri a lavariti e muto che a testa mi sta scoppiando….. u<br />

capisti?.- gli urlò isterica.<br />

Zitto zitto e piangendo Ninuzzo si avviò nel piccolo bagno a lavarsi le mani.<br />

- Marinella dov’è? Mà…… u sintisti….. unnè Marinella? –<br />

Nessuna risposta.<br />

Mentre si asciugava le mani sentì che il padre Giuseppe era entrato in casa.<br />

30


- Chi succirì, picchì si trova cà ta soru? Forse tua madre……-<br />

- Me matri è a Termini a casa e sta bene, non ti preoccupare, chiuttosto<br />

assettati…… un ti scantari nenti succirì, nenti succirì…. - E sbotto a<br />

piangere.<br />

- Il fatto è Giuseppe che…..- lo zio Salvo comparve come per magia dal<br />

salotto che era al buio – quando si hanno figlie femmine le disgrazie<br />

cominciano nel preciso momento che vengono al mondo, loro fanno,<br />

sfanno e non si preoccupano di dare dispiacere al padre e alla madre e<br />

alla famiglia intera……-<br />

Giuseppe ebbe un lampo rivelatore…….<br />

- Marinella…… dov’è? ..Che mi vuoi dire? Che mi stai dicendo?...... E’<br />

quello che penso io?......<br />

- Si Giuseppe, è come pensi tu, Marinella si ni fuì cu Pietro. – Le parole<br />

gli uscirono a spintoni.<br />

Fu il patatrac. I piatti e i bicchieri sibilarono da tutti i lati andando a<br />

frantumarsi in ogni dove, i presenti abbassarono la testa coprendosi con le<br />

braccia e solo per un fortuito caso non venne colpito al volto proprio Ninuzzo<br />

che aveva deciso di uscire dal bagno, già piangendo.<br />

Saruccia non osò neppure alzare lo sguardo verso il marito che sicuramente<br />

l’avrebbe accusata quanto meno di complicità, già perché a lei Pietro piaceva<br />

e lo aveva sempre rimproverato quando lui apostrofava la figlia ricordandole<br />

che se l’avesse vista solo parlare con lui l’avrebbe riempita di timpulati e di<br />

cauci ‘nto culu, pure in chiesa, all’occorrenza.<br />

Raccattava da terra i cocci e piangeva.<br />

Ninuzzo si rannicchiò vicino alla porta che era stata chiusa ed osservava<br />

impaurito. Gli mancava la sorella che in quella circostanza lo avrebbe<br />

abbracciato.<br />

Marinella che di anni ne aveva quasi sedici non aveva mai chiesto poi chissà<br />

cosa, a lei sarebbe bastato poter prendere un gelato con Pietro e magari<br />

chiacchierare passeggiando, forse non era neppure innamorata. Certamente<br />

però il comportamento categorico ed autoritario del padre avevano scatenato<br />

in lei la visione del grande amore e ciò che era una semplice cotta si era<br />

trasformata dal divieto in una autentica fissazione, quasi una malattia, E<br />

quindi……<br />

- E ora che facciamo? –<br />

- Che dobbiamo fare<br />

- Quello che fanno tutti….-<br />

- E no bella mia, non in casa mia…. Per me era morta….. avevo una figlia<br />

e non ce l’ho più…<br />

- Ragiona Giuseppe, che la lasci in mezzo a una strada?-<br />

31


- Dpve si trova ora? A Termini a casa tua? Allora tienitela, tanto tu figli<br />

non ne hai….-<br />

Saruccia a quelle parole accennò a un lieve malore, dovuto più alla mancanza<br />

di aria nella stanza che ad un effettivo mancamento.<br />

- Eccola… tagliatela, si sente male, sulu chissà sai fare….. brava….<br />

Complimenti….. comunque non voglio sentire questioni, quello che ho<br />

detto ho detto, non mi interessa…. Non voglio sentire una parola. Chi<br />

sbaglia paga …. E basta…..- urlava incontrollato.<br />

Ninuzzo ormai divorato dalla fame asservava la scena che ora si prolungava<br />

da oltre un’ora, le stesse parole, gli stessi gesti, gli stessi sguardi, nessuno<br />

capitolava, il padre non cedeva, la madre si sentiva male un po’ si un po’ no,<br />

la zia cercava di mediare, lo zio muto e scazzato.<br />

Di mangiare nessuno parlava, la pasta condita nella padella era lievitata e<br />

aveva cambiato colore, era diventata pallida come mamma.<br />

Fu tentato di passare sotto il tavolo e senza farsi vedere accendere il<br />

televisore, gli fosse riuscito di tenere a zero il volume forse non se ne<br />

sarebbero nemmeno accorti. Sempre se non era tutto già finito…..<br />

Vi rendete conto? Si stava perdendo lo sbarco sulla luna, tutta colpa di<br />

Marinella che era scappata di casa con quel Pietro che non gli comperava un<br />

gelato nemmeno morto. Maledetti tutte e due.<br />

- Se la cosa ti può interessare, viri ca a carusa non fece niente di male, me<br />

lo giurò e io stanotte li feci dormire separati, ancora non è successo<br />

niente…. Anche ora sono con la nonna, non li lasciamo soli.-<br />

- Nenti? E tu pensi che la gente ci criri? Oppure pensi che io ci credo? Mi<br />

fai accussi fissa? …. E poi cosa vuol dire stanotte, da quando manca di<br />

casa?.... Tu sei complice, tu lo sapevi… tu eri d’accordo….. figghia di<br />

buttana…..ora fai finta di svenire……- e fece per colpire la moglie che<br />

prontamente si allontanò dal tiro.<br />

Salvo lo trattenne – Calmati, nessuno sa niente ancora…… i carusi si<br />

presentarono verso mezzanotte, che dovevo fare? Dimmelo tu che dovevo<br />

fare…….-<br />

- Mi state facendo la sceneggiata tutti quanti… Tutti d’accordo eravate!!!!<br />

- rivolgendosi alla moglie - Ti ni poi iri cu ta figghia!!!!!! E tu Salvo…..<br />

come parli bene…. proprio bene… bravo bravissimo!!!!..... nessuna sa<br />

niente? Tuttu u paisi u sapi, donna Nunziatina si sta pigghiannu u friscu<br />

da quannu arrivaiu, e di sicuru un si ni trasì….. belle parole…… nuddu<br />

sapi nenti…….-<br />

- Certu pi comu griri tu, si misu ca griri ca ti sentunu finu ‘nta chiazza. . lo<br />

riprese Filaccia.<br />

- Bravi… proprio bravi…. Ora la curpa è mia….. certo la colpa è mia….. perché<br />

difendo l’onorabilità della famiglia….. io travagghiu comu un curnuto e guarda<br />

32


come vengo ricambiato…. Che non si presenti più davanti ai miei occhi…. E<br />

ora itivinni tutti… tutti quanti…. E tu Ninuzzu va cùrcati sennò pigghiu u<br />

cinturino….. –<br />

- Io voglio vedere lo sbarco sulla luna……-<br />

- Che luna e luna…. Te lo vedi domani…..-<br />

- Ti pare che ci vanno tutti i giorni sulla luna?.... – ora il piccolo singhiozzava<br />

disperato.<br />

- Ti dissi va cercati…. – lo sguardo minaccioso.<br />

Antonio in un batter d’occhio sparì.<br />

- U carusu arraggiuni avi, c’era lo sbarco sulla luna stasera… - Salvo disse quasi<br />

tra sé e sé.<br />

- Che mi interessa della luna…. Che mi porta la luna a me?... e a te che ti<br />

porta?... – già la voce di Giuseppe calava di tono.<br />

La stanchezza a poco a poco vinse i nostri quattro che si trovarono seduti al tavolo<br />

rimesso in qualche modo in ordine. Le donne in silenzio prepararono un caffè. Gli<br />

uomini aprirono la porta e assaporarono in silenzio la brezza che finalmente<br />

giungeva. Sembrava una veglia funebre. Tutto silenzio e sospiri.<br />

Dopo un po’:<br />

- Certo ….. se ci ragioniamo bene….. oggi gli uomini sbarcano sulla luna e noi<br />

siamo qua come se avessimo un morto in casa…… cose da medioevo…… qua<br />

le cose non cambiano mai…. Il mondo intero cambia….. ma noi no…. Noi<br />

pensiamo alla gente…… come ci giudica la gente…… quando impareremo? –<br />

Salvo l’intellettuale disse le uniche parole.<br />

Nessuno rispose.<br />

Marinella si sposò quattro mesi dopo. Giuseppe l’accompagnò all’altare orgoglioso<br />

di una figlia così bella e non ancora incinta, sollevato del peso che si era tolto, ora<br />

alla figlia ci avrebbe pensato il marito, erano fatti suoi. Aveva passata la palla.<br />

Antonio si perse lo sbarco sulla luna ma sognò di essere lui stesso l’astronauta che<br />

camminò per primo sul suolo lunare e si convinse che in futuro, da grande, l’avrebbe<br />

fatto per davvero.<br />

33


LA FORZA DELL’AMORE<br />

dI LEONARDO GAGLIO<br />

Un giorno come tanti altri, svegliato dalla leggera brezza mattutina, lasciai le calde<br />

lenzuola e mi diressi verso la cucina per controllare l’ora. Era ancora molto presto,<br />

così decisi di prendermela con comodo; dopo essermi lavato e vestito, mangiai con<br />

piacere una brioches ma, mentre ero trasportato dall’inebriante gusto di quel<br />

fantastico cibo,scoprii che forse era arrivata l’ora di prendere lo zaino e dirigermi a<br />

scuola. Dopo aver percorso i pochi chilometri che dividevano la mia casa dalla mia<br />

meta, arrivai a scuola puntuale come sempre.<br />

Giunto in classe, solo come di consueto, posai lo zaino e mi sedetti; dopo pochi<br />

secondi la visione di un bel gruppo di scolari diretti verso il fondo della classe, fu<br />

accompagnata dall’assordante rumore di un branco di bufali inferociti e dal suono<br />

della campanella che dava inizio alle lezioni.<br />

Appena la classe si riempì si sentirono i lievi passi della professoressa Pizzurro,<br />

stranamente accompagnati da altri. Quando la professoressa entrò, calò il silenzio;<br />

dietro di lei comparve un’altra ragazza che però non notai subito. La professoressa,<br />

dopo essersi schiarita la voce, disse<br />

- “ Cari alunni, sono lieta di presentarvi la vostra <strong>nuova</strong> compagna, Chiara!” poi si<br />

rivolse a lei e disse : “ Chiara, puoi sederti lì ”.<br />

Subito dopo cominciai a scarabocchiare la copertina del libro che avevo davanti a<br />

me, ma una dolce voce mi distrasse:<br />

- “ Scusa, posso? ”<br />

Alzai gli occhi e vidi quello che alla prima impressione mi sembrò un angelo; mi<br />

diedi un pizzicotto per capire se sognavo, ma quella ragazza bionda con gli occhi<br />

azzurri così simile ad un corpo celestiale, stava davanti a me, immobile in attesa di<br />

una risposta.<br />

Così precipitosamente le dissi :<br />

- “Si, fai pure, per me è un piacere”.<br />

Lei si sedette vicino a me ed un profumo dolce e sincero mi avvolse. In seguito<br />

cominciai a parlarle con dolcezza, fino ad allora non ero mai stato romantico con<br />

nessuno, ma quelle parole mi scivolano dalla bocca naturalmente.<br />

Per la prima volta nella mia vita provavo per una ragazza qualcosa di straordinario<br />

che mi prendeva allo stomaco e che poi mi saliva fino alla gola, qualcosa che mi<br />

faceva gelare le mani quando le parlavo ma non sapevo cos’era così decisi di<br />

confidarmi con la mia migliore amica : Ginny.<br />

-“ Ciao Ginny”<br />

- “ Oh, ciao Leo è un bel po’ che non ci si vede”<br />

- “ Ginny, volevo un consiglio da te”<br />

- “ Dai, dì pure, sono tua amica”<br />

- “ Conosci Chiara, la <strong>nuova</strong> arrivata?”<br />

- “ Si”<br />

- “ Sai quando sono con lei è come se qualcosa dentro di me………”<br />

- “ Amore”<br />

Stupito e con la bocca spalancata dissi :<br />

- “ Cosa ?!??!?!”<br />

- “ Sei innamorato di Chiara e ti convieni che ti sbrighi a dirglielo mancano solo<br />

pochi giorni all’inizio delle vacanze natalizie. Ora mi dispiace, devo andare, è<br />

34


tardissimo mia madre mi sgriderà. Scusa , ciao Leo” disse Ginny mentre scompariva<br />

tra la nebbia di quella scura strada.<br />

- “ Ma Ginny, sono……” Era ormai troppo lontana e non poteva sentirmi.<br />

Il giorno dopo, alla fine delle lezioni dissi a Chiara:<br />

- “ Senti Chiara, devo dirti una cosa”<br />

- “ Di pure” disse Chiara fissandomi con i suoi occhi azzurri.<br />

- “ Hem…allora….hai già fatto i compiti per oggi?”<br />

- “Si, ma dovevi dirmi solo questo?” disse chiara sorridendo.<br />

- “ Certo….”<br />

- “ Allora ci vediamo”<br />

Appena la sua immagine scomparì presi a rimproverarmi domandandomi perché ero<br />

stato così stupido e alla fine tornai a casa sconfitto.<br />

I giorni seguenti provai a rivelare i miei sentimenti a Chiara, ma ogni volta sviavo il<br />

discorso su cose banali facendo la figura dello stupido. Le vacanze natalizie erano<br />

cominciate e le occasioni per parlare con Chiara erano ormai terminate. Trascorsi<br />

tutte le vacanze chiuso in camera mia, a nuotare tra i miei pensieri, tra i miei quesiti e<br />

tra i miei sensi di colpa.<br />

La vigilia di Natale decisi di andare in giro per le vie del paese per comprare qualche<br />

regalo, mentre girovagavo, mi ritrovai davanti al mio negozio preferito di strumenti<br />

musicali ad ammirare gli addobbi: rametti di vischio disposti sopra la vetrata e la<br />

porta d’ingresso e, agrifoglio e luci coloratissime abbellivano tutte le pareti. Ma<br />

mentre ammiravo cotanta bellezza qualcuno mi chiamò, mi girai bruscamente e vidi<br />

Chiara. La sua bellezza era tale che quegli addobbi non mi sembravano più così belli.<br />

Chiara sorridente come sempre mi disse :<br />

- “ Ciao, che fai da queste parti?”<br />

Timidamente risposi: “Compere…”<br />

Calò il silenzio per pochi secondi ma poco dopo Chiara, indicando gli addobbi sopra<br />

la mia testa, disse:<br />

- “ Vischio”<br />

Io non risposi, ero gelato dalla timidezza, ma poco dopo fui avvolto da un’inebriante<br />

calore: Chiara mi aveva baciato. Il calore si propagava dalle labbra fino a riscaldare<br />

tutto il mio corpo. Le mie mani si mossero e mi ritrovai amorosamente abbracciato<br />

alla ragazza che desideravo più di ogni altra cosa. Era stupendo.<br />

Dopo pochi minuti staccò dolcemente le sue dolci labbra dalle mie e mi guardò.<br />

- “Questo è un si alla domanda di fidanzamento che ti dovevo fare da qui a poco?”<br />

- “Si” e mi ribaciò riappoggiando con altrettanta dolcezza le sue labbra sulle mie. In<br />

quello stesso istante capii che un piccolo bacio poteva racchiudere l’amore più<br />

grande; infatti dopo quel bacio ne seguirono molti altri accompagnati da un grande<br />

amore finchè mi ritrovai davanti all’altare a baciarla come la prima volta.<br />

I giorni dopo il matrimonio furono stupendi ma una sera mentre eravamo sul nostro<br />

letto una frase mi stranizzò :<br />

- “ Senti Leo, devo dirti una cosa ma prendila diciamo come un consiglio che<br />

metterai in pratica al momento giusto. Se un giorno non troverai più il calore nelle<br />

mie labbra sappi sempre che sarò acconto a te, non ti lascerò mai. Basterà cercarmi,<br />

quando tu vorrai mi troverai.”<br />

- “ Chiara, perché dici queste cose? Abbiamo una vita davanti a noi piena d’amore e<br />

felicità”<br />

Chiara non rispose e si girò dall’altra parte come se si fosse addormentata mentre io<br />

le parlavo. Allora presi ad abbracciarla ma poco dopo il sonno trascinò anche me.<br />

35


L’indomani mattina i raggi del sole entravano dalla finestra illuminando pian piano il<br />

mio viso mentre il sole si alzava su nel cielo. Quando mi svegliai mi ritrovai in una<br />

tarda domenica mattina soleggiata; mi rivolsi verso Chiara per svegliare anche lei con<br />

un lieve bacio ma…….<br />

- “ Nooooooooo!!!!!!!”<br />

Più volte tentai di svegliarla ma non dava alcun segno di vita. Non volevo crederci, la<br />

sera prima parlavamo insieme ed adesso lei giaceva ormai fredda accanto a me. Dissi<br />

alla donna di servizio, con la voce tremante di andare a chiamare qualcuno perché<br />

Chiara stava male.<br />

Mi sedetti a terra. Vidi fiumi di gente che mi parlavano, correvano, strillavano,<br />

chiamavano. Immagini sfocate mi sfrecciavano davanti agli occhi poi alla fine calò il<br />

silenzio, solo due o tre persone restarono intorno a me. Quando misi a fuoco le<br />

immagini vidi alcuni miei parenti continuare ad andare avanti. Ma io non ero<br />

d’accordo.<br />

Era soltanto un incubo, uno stupido incubo e fra poco Chiara mi avrebbe svegliato<br />

portandomi la solita tazzina di caffé. Da lì a poco capii che erano passati diversi<br />

giorni e il corpo di Chiara era già stato seppellito, ma non mi preoccupavo: era<br />

soltanto un sogno. Un pomeriggio vidi le persone che erano state accanto a me,<br />

andarsene distrutte. Io restai, non so per quanto tempo, lì dov’ero ma ben presto<br />

dovetti accettare la realtà: Chiara non era più vicino a me e questo fu il colpo più<br />

atroce. Stavo impazzendo, volevo distruggere tutto, nulla aveva più senso senza di<br />

lei. Restai solo con il mio dolore. Sentivo che per me non ci sarebbe stata più né gioia<br />

né felicità.<br />

Passarono parecchie settimane finché, chiuso nel mio dolore e pensando a lei,<br />

ricordai le parole che mi aveva detto poco prima di morire “ Se un giorno non<br />

troverai più il calore sulle mie labbra, sappi sempre che sarò accanto a te, non ti<br />

lascerò mai, basterà, quando tu lo vorrai, cercarmi e mi troverai”.<br />

Vidi uno spiraglio di speranza nel mio cuore.<br />

Pensai intensamente a lei, mi alzai e toccai il vuoto: un varco sembrò aprirsi ed una<br />

luce abbagliante mi avvolse, intravidi il viso roseo di Chiara che sorridente mi disse:<br />

“Finalmente hai trovato in te la forza dell’amore! Quando tu vorrai, mi troverai.<br />

Ricordi? Eri così distrutto dal dolore che non hai pensato a me, alle mie parole.”<br />

La riabbracciai e la baciai mentre un fiume di lacrime scendevano sul mio viso.<br />

*<br />

Non so se la voglia di rivedere chiara mi abbia portato ad avere allucinazioni d’amore<br />

o se il Signore mi diede la grazia di rivedere Chiara per l’ultima volta.<br />

Sono sicuro che anche voi siete avvolti nel dubbio……<br />

Io posso dire soltanto che quel l’incontro mi aiutò ad andare avanti.<br />

36


INDELEBILI RICORDI DELLA SECONDA GUERRA<br />

MONDIALE<br />

dI LILIANA MAMO RANZINO<br />

Quello che sto per raccontare è un pezzo di storia della mia vita, la testimonianza di<br />

una bambina di appena cinque anni e il cui ricordo dei fatti è rimasto indelebile nella<br />

mente. Così, mettendo in carta ciò che sto per raccontare è come fare una<br />

confessione, come liberarmi da qualcosa che mi porto dentro da più di 60 anni,cioè<br />

dalla seconda guerra mondiale e quando si parla di guerra è parlare di tutto. Alcuni<br />

episodi tristi che ivi sulla tua pelle, in prima persona, ti lasciano un segno per tutta la<br />

vita, ti fortificano, ti rendono più umani, più comprensivi dell’altrui sofferenza. Noi<br />

tutti, purtroppo,<br />

ai nostri giorni quotidianamente siamo tempestati da immagini di guerra che infuria<br />

in ogni parte del mondo, ma questo ci porta all’abitudine, quindi all’indifferenza. Io,<br />

invece rimango sempre più sconvolta e coinvolta, perché la guerra l’ho vissuta con<br />

tutte le ansie e paure di una bambina. Siamo nel 1940, anno in cui l’Italia viene<br />

coinvolta nella seconda guerra mondiale e così mio padre maresciallo di finanza,<br />

messosi in congedo ancora giovane, a causa della mia nascita a Nardò in Puglia e di<br />

un contemporaneo trasferimento nel trentino Alto Adige, è stato richiamato.<br />

Indossata la divisa fu costretto a partire lasciando me e mia madre da sole a Catania.<br />

Intanto la guerra si faceva sempre più sentire specie nelle grandi città. Così anche<br />

Catania veniva tempestata dai bombardamenti e quasi ogni notte al suono assordante<br />

delle sirene, ancora ben chiaro nella mente, ci si doveva alzare dal letto e correre a<br />

riparo nel rifugio sottostante il nostro palazzo.<br />

Ricordo benissimo lo sforzo sovrumano di mia madre, piccola donna, nel dover<br />

portare me in braccio e trascinarsi dietro l’ottuagenaria zia Rosina che abitava con<br />

noi. Giunti nel rifugio, rischiarato appena dalla fioca luce di una candela, circondati<br />

da moltissimi sacchi di sabbia, ci ritrovavamo in tanti soprattutto donne, vecchi e<br />

bambini. Vedevo molte donne che pregavano tenendo in mano il rosario e così fin da<br />

piccola è incominciato a farsi strada nel mio cuore il più alto dei sentimenti: la<br />

FEDE.<br />

Ed ecco, come la guerra con la sua terribile faccia, sia capace di far nascere alti<br />

sentimenti verso DIO e verso il prossimo. In questi tristi momenti ci si sente<br />

accomunati e quindi più solidali e comprensivi delle altrui sofferenze. Spesso,<br />

parlando con i miei figli e nipoti, mi compiaccio di definirmi “figlia della guerra”.<br />

Riprendo il discorso della mia narrazione e così dopo circa un anno di sacrifici e di<br />

lontananza mio padre, dopo aver ottenuto un permesso straordinario, segretamente è<br />

riuscito a portarci con sé a Castelluzzo una frazione di San Vito Lo Capo in provincia<br />

di Trapani e dove appunto prestava servizio. Siamo giunti a destinazione dopo un<br />

avventuroso viaggio in treno durato quasi due giorni. I nostri bagagli erano due sole<br />

valige, legate fuori dal treno ed anche mio padre era afferrato ad una maniglia fuori<br />

dal treno, mentre io, mia madre e la vecchia zia, abbiamo trovato posto dentro un<br />

vagone di terza classe pigiate come sardine. Io addirittura sono stata sistemata sul<br />

portabagagli. Giunti a Trapani e da lì con una corriera d’altri tempi a Castelluzzo.<br />

Qui siamo stati ospitati da una famiglia terriera benestante che ci ha messo a<br />

disposizione la migliore stanza, quella dei ricevimenti, come la chiamavano loro, e<br />

37


che si è trasformata subito in camera da letto e in cucina separata da una tenda, il<br />

gabinetto era in comune con i proprietari. E’ proprio a Castelluzzo che ho aperto gli<br />

occhi alla mia vita. Qui ho incominciato ad amare la natura, perché ero in mezzo alla<br />

campagna; ho incominciato a seguire le varie fasi delle stagioni, ad apprezzare i frutti<br />

del faticoso lavoro del contadino.<br />

Ho assistito direttamente alla semina, alla mietitura del frumento, alla macina del<br />

grano e alla lavorazione del pane fatto in casa. Ho partecipato alla vendemmia, alla<br />

pigiatura dell’uva, alla raccolta delle ulive e alla spremitura. Ho incominciato ad<br />

amare tutti gli animali e soprattutto i cani. Proprio a Castelluzzo ho ricevuto in dono<br />

all’età di sei anni, la mia prima cagnetta Fosca dalla quale non mi sono più staccata<br />

fino alla mia venuta a Cefalù. Sempre a Castelluzzo ho iniziato a frequentare la<br />

scuola elementare, una pluriclasse. Ho avuto i primi compagnetti di scuola e anche di<br />

gioco e ho incominciato a socializzare con gli altri bambini.<br />

In questo luogo in mezzo alla campagna, effettivamente l’eco della guerra era lontana<br />

e si viveva una vita un po’ disagiata per noi che venivamo da una città, privi d’ogni<br />

comodità e persino dalla luce. Si usavano, infatti, le candele ad olio. Il lume a<br />

petrolio e l’acetilene. In compenso, però si viveva una vita serena, salubre, piena di<br />

calore umano, d’affetti familiari e soprattutto al sicuro dai bombardamenti.<br />

Ma, dopo due anni, le cose, improvvisamente cambiarono, con tanto dispiacere<br />

abbiamo dovuto lasciare Castelluzzo, tutto il mio mondo, per un trasferimento di mio<br />

padre a Finale di Pollina. Così, dopo un altro viaggio avventuroso e disastroso siamo<br />

giunti appunto a Finale, una frazione di Pollina, un luogo strategicamente molto<br />

importante. Ed ecco che qui la guerra si è fatta sentire incutando in tutti paura e<br />

terrore. Ogni pomeriggio si sentivano le raffiche di mitra che gli americani<br />

sferravano dagli aerei contro il treno passeggeri. Ogni notte si udivano i richiami<br />

insistenti e lamenti strazianti dei poveri soldati di marina che invocavano aiuto dopo<br />

che la loro nave era stata affondata, ma ogni richiamo cessava dal momento che il<br />

mare era diventata la loro definitiva tomba. Ricordo le immagini raccapriccianti di<br />

alcuni marinai che il mare riporta a riva con la testa e la pancia molto gonfia. A<br />

Finale già avevo otto anni e quindi frequentavo la terza elementare anche qui in una<br />

pluriclasse e ricordo la maestra Elvira che a dorso di mulo scendeva tutte le mattine<br />

da Pollina. Anche a Finale una piccola frazione con poche anime e poche casupole ho<br />

avuto modo di crescere in fretta, di sentirmi più matura dei miei otto anni, perché<br />

sono venuta a contatto con gente più grande di me, quali ufficiali dell’esercito amici<br />

di mio padre, guardie di finanza, gente anziana del luogo soprattutto donne, dalle<br />

quali ho avuto modo di apprendere usi, costumi e tanta umanità. Il momento più<br />

intenso della guerra l’ho vissuto, quando è avvenuto lo sbarco degli americani, che<br />

sono sbarcati proprio sulla spiaggia di Finale. C’è stato un momento di grande<br />

confusione generale. L’esercito si è sfasciato, i militari si sono tolta la divisa e in<br />

abiti borghesi si sparpagliavano per la campagna nascondendosi nelle grotte. Anche<br />

mio padre si è tolta la divisa e così mia madre, io e l’anziana zia e tante altre persone,<br />

come dei latitanti, ci siamo messi in fuga per le campagne del territorio di Pollina. La<br />

notte, le donne e i bambini dormivano dentro le grotte oppure dentro i pagliai dei<br />

pastori, mentre gli uomini dormivano fuori. Di giorno, mentre ci arrampicavamo per i<br />

viottoli, quando venivamo avvistati dagli aerei venivamo mitragliati. Ed ecco che<br />

improvvisamente c’è stato un mitragliamento a bassa quota, mio padre ha ordinato a<br />

38


tutti di metterci a pancia in giù e così abbiamo evitato il peggio. Mentre venivamo<br />

mitragliati, ricordo che la mia cagnetta Fosca che ho portato sempre con me da<br />

Castelluzzo, ha avuto un ripetuto sobbalzo che ho avvertito benissimo, perché per<br />

proteggerla le tenevo una mano sul dorso. Intanto noi ci siamo ritrovati coperti da un<br />

manto di foglie di carrubo che erano state strappate dai rami dalle raffiche del<br />

mitragliatore. Un momento ancora più tragico è stato quando dopo una settimana di<br />

girovagare per la campagna, soffrendo la fame, la sete e il caldo, ci è stato annunziato<br />

da una persona che veniva da Finale che gli americani erano finalmente sbarcati.<br />

Allora mio padre stese sull’imboccatura del pagliaio dove eravamo rifugiati un<br />

quadrato di tela bianca in segno di arresa. Ma, quale fu la nostra amara sorpresa nel<br />

trovarci improvvisamente davanti due esacerbati soldati tedeschi in ritirata, i quali<br />

con il mitra in mano ci hanno inveito nella loro lingua puntandocelo<br />

minacciosamente in faccia. Allora mio padre persona molto sensibile, capita<br />

l’antifona, tolse immediatamente quel quadrato di tela bianca giustificandosi che<br />

altro non era che un pannolino messo ad asciugare e indicò appunto un neonato che<br />

fortunatamente una madre teneva fra le braccia. Con l’aiuto del Buon Dio i due<br />

tedeschi si allontanarono farfugliando e così noi fummo tutti salvi. All’imbrunire<br />

siamo giunti finalmente a Pollina, un paesino arroccato a circa 800 metri, dove<br />

abbiamo ricevuto una calorosa accoglienza da parte del Sindaco amico di mio padre e<br />

da parte di tutti gli abitanti. E fu proprio a Pollina che ho visto i primi soldati<br />

americani che non sembravano affatto soldati invasori, ma dei veri liberatori perché<br />

si distinguevano per la loro gentilezza, umanità e generosità verso la popolazione. E<br />

fu a Pollina che bambina piena di contentezza ho potuto portare la prima sigaretta di<br />

buon tabacco a mio padre che insieme ad altri aveva fumato persino le foglie di<br />

melanzane. Avvenuto lo sbarco degli americani che ormai chiamavamo alleati, mio<br />

padre ha indossato di nuovo la divisa, ha ripreso il suo servizio e siamo venuti a<br />

Cefalù e ricordo un momento molto emozionante, quando mio padre con la fascia<br />

bianca al braccio con le lettere P.M. dal balcone del palazzo Comunale insieme al<br />

Maggiore degli alleati ha annunciato a tutta la popolazione che finalmente si poteva<br />

macinare di nuovo il grano. Io vivo a Cefalù dall’età di nove anni, qui ho continuato<br />

gli studi; a Cefalù mi sono sposata, qui sono nati i miei figli e nipoti, qui ho insegnato<br />

e così che considero Cefalù non la mia seconda patria, ma la mia vera terra.<br />

Una mia personale considerazione sulla guerra è quella che ogni guerra ha due facce,<br />

per chi la vive veramente può sperimentare la faccia del dolore, della distruzione,<br />

della desolazione, ma anche quella della speranza, della ricostruzione e quella più<br />

importante di saper forgiare l’uomo facendolo diventare più comprensivo e rispettoso<br />

verso DIO e verso il prossimo.<br />

Con la famiglia sono stata costretta a rimanere a Cafalù, perché pochi giorni prima<br />

dell’entrata degli americani, la nostra casa di Catania è stata distrutta da un terribile<br />

bombardamento.<br />

39


ASPETTANDO LEI<br />

dI AGOSTINO MOSCATO<br />

L’acqua della doccia cade sul mio corpo come una pioggia primaverile, è calda,<br />

scorre velocemente dalla testa ai piedi dandomi una sensazione di benessere su tutte<br />

le membra stanche. Mi piace soprattutto sentire l’acqua sulla testa e sulla schiena, mi<br />

rilassa in modo straordinario dopo una giornata faticosa, stressata dal frenetico ritmo<br />

della vita quotidiana.<br />

Quando faccio la doccia non penso a niente, rimango concentrato indugiando sulla<br />

calda pioggia che bagna ogni piccola parte del mio corpo e, come un fiore che viene<br />

innaffiato dopo tanto tempo, mi rivitalizzo sentendomi addosso una piacevole<br />

sensazione di freschezza.<br />

Adesso il mio corpo sembra immerso in una fragranza di freschi odori che mi fa<br />

sentire veramente pulito. Mi sono lavato così a lungo da percepire la netta sensazione<br />

di aver reso tersa anche la mia anima! Certo sarebbe troppo semplice sbarazzarsi<br />

delle colpe che albergano dentro di noi con un getto d’acqua.<br />

Guardo l’orologio e, nel silenzio assoluto in cui è avvolta la stanza, riesco a sentire il<br />

rumore della lancetta dell’orologio che scandisce i secondi, ho l’impressione di<br />

percepire il divenire del tempo. Nella mia mente il tempo si concretizza e riesco a<br />

vedere i secondi che vivono, transitano nel mio corpo e li identifico. Pura<br />

immaginazione!<br />

Mi muovo nella stanza nell’impaziente attesa che arrivi Lei, da tanto tempo aspetto<br />

questo momento! Probabilmente l’agitazione dell’attesa mi fa vedere il tempo.<br />

Manca ancora mezz’ora al nostro appuntamento, mi sembra un’infinità, giro per casa<br />

senza sapere che fare, anche perché non riuscirei e non potrei far nulla.<br />

Quando aspetto Lei avverto un buco nello stomaco e non riesco a compiere nessun<br />

gesto sensato, mi accingo a leggere e ottengo solamente un tremolìo della gamba,<br />

solitamente la destra, sfoglio le pagine senza neanche guardarle.<br />

L’unica cosa che riesco a fare è mangiare, in questi momenti mangerei senza<br />

interruzione, è come se il cibo riesca riempire il vuoto che ho dentro lo stomaco reso<br />

sempre più profondo dall’emozione. Non posso mangiare del formaggio, tra poco Lei<br />

sarà qui e magari sente il puzzo caprino nelle mie labbra impregnate da quel pezzo di<br />

pecorino che ho dentro il frigorifero. Meglio evitare, è il primo incontro a casa mia e<br />

non vorrei dare l’impressione dello zotico. Potrei mangiare della frutta, ma no, è<br />

meglio di no, sarebbe conveniente bere qualcosa di fresco in modo da lasciare l’alito<br />

profumato e farglielo sentire quando i nostri volti saranno molto vicini, ecco bevo<br />

subito un bicchiere d’acqua e anice così mi sento completamente a posto.<br />

Sono già le sette e ancora non suona il campanello. Non posso pretendere che arrivi<br />

puntuale, è sempre una donna, qualche minuto di ritardo si può concedere. C’è un<br />

problema, io sono da solo e non so più cosa inventarmi per trascorrere il tempo che<br />

mi rimane prima di poterla rivedere. Questo è l’unico caso in cui ho paura di stare da<br />

solo, la solitudine incombe minacciosa schiacciandomi in uno stato di abbandono in<br />

cui mi riverso nell’indugiare.<br />

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Solitamente sto molto bene da solo, è un momento di riflessione, di introspezione,<br />

ricercare la propria essenza per poi essere sicuri di poter incontrare altri simili senza<br />

nessuna preoccupazione, con serenità e senza timore dell’altro.<br />

Ma in questi momenti terribili non ho nemmeno la forza di produrre semplici<br />

pensieri, la mia mente si svuota ed è lo stesso vuoto che mi ritrovo nello stomaco, ed<br />

è la stessa emozione di sempre, quella che mi coglie allorquando devo incontrarmi<br />

con Lei.<br />

L’orologio, incurante delle mie smanie, continua senza tregua a scandire i secondi, i<br />

minuti che mi sembrano un’eternità. È già in ritardo di dieci minuti, più si avvicina il<br />

momento del suo arrivo, più il mio buco nello stomaco diventa una voragine. Mi<br />

sforzo di pensare a qualcosa di diverso, la mia fantasia non è molto feconda, questi<br />

istanti tormentati annullano la mia creatività, così l’immaginazione mi conduce a<br />

dipingere con i pennelli della memoria un suo ritratto.<br />

La mia fantasia si ferma immediatamente sui suoi capelli, sono neri come una notte<br />

senza luna, lucenti come un diamante colto da un raggio di sole. Sono belli i suoi<br />

capelli, morbidi e sinuosi, toccandoli si ha la sensazione di accarezzare fili di seta<br />

pregiata. Anche i suoi occhi sono luminosi, il colore delle pupille è comune a molte<br />

persone, ma la luminosità no, è come se avesse una lucciola per ogni occhio che mi<br />

incanta quando il mio sguardo incontra il suo. La bocca è piccola contornata da<br />

labbra vermiglie delicate come petali di rosa.<br />

È strano, ricordo benissimo ogni particolare del suo volto, ma non riesco a mettere<br />

insieme tutti i dettagli per immaginarmi il volto nella sua compiutezza. È come se un<br />

pittore sa dipingere benissimo singolarmente il naso, la bocca, gli occhi e non è<br />

capace di dipingere integralmente un volto. Cerco di capire il perché mi succeda un<br />

fatto così strano, eppure la vedo ogni giorno, la riconoscerei confusa tra mille<br />

persone, ma la mia fantasia riesce solamente a cogliere piccoli particolari frazionati.<br />

Sono trascorsi solo pochi minuti, credevo che il tempo si consumasse più in fretta<br />

pensando alla bellezza del suo viso, ma i miei pensieri non riescono a colmare<br />

l’ansiosa attesa.<br />

Allora percorro con la mente, è un esercizio che faccio spesso, il tragitto che Lei<br />

potrebbe fare per arrivare qui da me, calcolo tutti i tempi impiegati nell’ascensore,<br />

nel prendere la macchina. Mi vieni facile immaginare tutte le vie che potrebbe<br />

imboccare, ad ogni strada conto i secondi necessari per percorrerla, ecco adesso sono<br />

arrivato qui dietro l’angolo, sento una macchina che si avvicina, deve essere Lei, mi<br />

affaccio alla finestra e con grande delusione scopro che non è la sua macchina, devo<br />

aver fatto male tutti i calcoli di percorrenza. Ricomincio, la paranoia sta prendendo il<br />

sopravvento, soffermandomi qualche secondo in più lungo tutto il tragitto, magari c’è<br />

un po’ di traffico che l’avrà fatta ritardare. È un modo, questo, per tentare di<br />

ingannare l’emozione, sono talmente concentrato sul percorso che deve fare per<br />

venire a casa mia che non sento più il vuoto nello stomaco. Ad ogni rumore di<br />

macchina, però, ho un sussulto, e la profondità che ho dentro si dilata sempre più.<br />

Eccola, è arrivata sta scendendo dalla macchina, scorgo una gonna gialla e nera che<br />

copre fino ai ginocchi le sue bianche gambe, una camicia di un giallo molto luminoso<br />

41


come il grano rischiarato dal caldo sole di giugno. Il nero dei suoi capelli è interrotto<br />

da un fermaglio a forma di fiore anch’esso giallo come la camicia.<br />

Sento il battito del mio cuore acquistare un’accelerazione inconsueta che dal petto mi<br />

sale fino alla gola, l’emozione fa fremere tutto il mio corpo, blocca le corde vocali<br />

con la paura che non possano vibrare al momento opportuno.<br />

Sta per suonare il campanello della porta, il suono elettrico ormai familiare diventa<br />

un frastuono insopportabile per le mie orecchie. Sono attimi in cui non si può pensare<br />

a niente, la morsa dell’emozione ti restringe la mente lasciandoti un piccolo spazio<br />

dove si possono percepire gli stimoli più semplici.<br />

Inspiro profondamente, come se dovessi affrontare un esame difficilissimo, ed apro<br />

la porta. Occhi chiusi, come quando faccio un tuffo al mare, li riapro<br />

contemporaneamente all’apertura della porta, Lei, finalmente, davanti a me, i raggi<br />

del sole che le restano dietro illuminano la sua immagine rendendola più bella e più<br />

allegra. I colori dei suoi vestiti sono resi più vivaci dal chiarore del giorno che sta per<br />

andarsene.<br />

Il tumulto del mio cuore sembra ormai placarsi, lentamente la frequenza cardiaca<br />

torna alla normalità, il vuoto nello stomaco, come d’incanto, colmarsi nel momento<br />

in cui guardo i suoi occhi così intensi, così iridescenti.<br />

Con un sorriso di complicità si avvicina lentamente, mi saluta offrendomi le sue<br />

labbra regalandomi un tenerissimi, caldo bacio.<br />

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L’INCONFESSABILE ALEGGIA SUI TRENI<br />

dI KATIA OLIVIERI<br />

Sedersi in un antiquato vagone del treno Roma-Pescara con la vaga illusione di poter<br />

leggere, in tutta tranquillità, una rivista interamente coniugata al femminile, fu<br />

praticamente impossibile.<br />

Mi sedetti, sì, con quest’illusione presto infranta, visto che, accanto a me, sedeva uno<br />

sconosciuto che non aveva l’aria di rimanere tale.<br />

“Cosa legge di bello,signorina?”<br />

Di malavoglia mostrai la copertina. Ma la mia seccatura non apparve affatto palese,<br />

dal momento che lo sconosciuto, di cui vi ho poc’anzi detto, si dette subito da fare<br />

per ficcare il suo naso dappertutto.<br />

Le sue grosse nari respiravano en plein air su tutta la campagna della pagina ventitrè.<br />

E non smise di respirare neppure quando voltai pagina;anzi, il respiro parve farsi<br />

ancor più beato non appena intravide una ragazza, alla cui vista gli saltarono gli<br />

occhiali, quasi gli fossero d’impaccio, impedendogli di baciarla.<br />

“Uhm, graziosa, eh?”<br />

“Eh, già!”<br />

“Le somiglia,sa?”<br />

“Trova?” domandai. Non l’avessi mai detto!<br />

“Tanto tempo fa”, disse, “mi capitò d’incontrare una così”.<br />

Ma l’inflessione grave di quella mi diede una sensazione tutt’altro che superficiale.<br />

Non soleva trattarsi d’un fatterello. Pensai. L’inconfessabile aleggia sui treni.<br />

“L’ho amata tanto” disse.<br />

Dal finestrino sfrecciavano i pini, e qualche dispettoso cipresso non mancava di<br />

gettare nel marasma la tranquilla misura del verde. Una casa e poi un’altra stavano<br />

impiccate sopra un cucuzzolo, soleva trattarsi d’un paese: un traballante paese che si<br />

reggeva sopra le eliche del vento. In mezzo alla straordinaria e confusa vegetazione<br />

s’affacciavano e si nascondevano talune timide code d’acqua.<br />

“E poi”, gli chiesi, sollevando lo sguardo “com’è finita?”<br />

“Se n’è andata.”<br />

Sotto la rupe, una donna si dileguava come un ruscello, scompariva insieme allo<br />

sguardo dell’uomo, d’una sfumatura che non saprò mai dire.<br />

“Era mia nuora” disse,qualche istante dopo. “La moglie di mio figlio.”<br />

Il treno correva imperterrito divorando cielo, case e qualche cipresso; il treno correva<br />

ossequioso alla sua legge; il treno correva senza mai fermarsi.<br />

Parlava di lei, di lei che lo aspettava davanti ad un negozio di scarpe, in un’altra<br />

località, con due grandi occhi chiari, due occhi che fendevano il buio: tutto il resto<br />

stava sotto una sciarpa; o sotto un foulard, quando le sferze dell’inverno erano<br />

passate.<br />

“Anche lei mi amava” disse.<br />

Il treno correva senza accennare a fermarsi. Correva. L’uomo ebbe tutto il tempo di<br />

lasciarsi ai suoi inconfessabili ricordi, finché mi resi conto d’esser arrivata.<br />

Una voce femminile annunciava l’arrivo alla stazione d’Avezzano.<br />

“Ora le donne sono arruolate dappertutto” dissi.<br />

43


“Già” rispose.<br />

Ci salutammo di quell’addio che osa pronunziarsi solo nello sguardo. Misi un piede<br />

sul predellino, anzi lo saltai. Ero sulla banchina.<br />

Un fischio, e il treno riprese a correre con l’uomo e il suo segreto. A me non restava<br />

neppure il nome. Un uomo di cui tutto sapevo, senza conoscerlo. Chi mai avrebbe<br />

potuto giudicarlo? Io non mi sentivo proprio di farlo.<br />

Era meglio salire su un treno ch’entrare in chiesa, pensai. Si può essere di carne e<br />

ossa. E si può essere anche innamorati. Non c’è penitenza.<br />

Una donna anziana sedeva ad un a panchina. Dietro, il grande orologio segnava le<br />

dieci. La donna mi stava a guardare con tutta l’immobilità dei suoi occhi, pari alle<br />

lancette dell’orologio, non si muovevano neppure d’un secondo.<br />

Era lì, ferma, quell’anziana signora perbene, e nessuna supplica valse a far partire un<br />

treno.<br />

Un’ora sola restava prima che iniziasse lo sciopero.<br />

44


VERDEFOGLIA E IL PIRATA JOUNNO<br />

dI GIUSEPPE SETTEMBRE<br />

C’era una volta, un villaggio pacifico ed ospitale che stava festeggiando con gioia la<br />

nascita di una principessa.<br />

Il re Atomp camminava impaziente alla due estremità del salone reale del suo<br />

castello in cui attendeva al suono del vagito della bambina; alle sue spalle, una porta<br />

lo distanziava dalla camera da letto dove la moglie regina, Slitta, partoriva gemendo<br />

dolori con urli.<br />

La sua impazienza ebbe fine quando la porta si aprì ed uscì una delle sue dame che<br />

sorrideva lanciandogli sguardi,> esclamò esausta ma felice; il re<br />

cominciò a sorridere e corse incontro alla moglie lasciando tutti alle sue spalle, era<br />

così felice, la sua felicità aumentò non appena vide la bambina, era talmente bella che<br />

tutti i presenti piangevano di gioia.<br />

esclamò il re senza distogliere lo sguardo dalla<br />

figlia che sorrideva spostando lo sguardo<br />

verso la moglie che gli accarezzava i suoi lisci capelli <br />

rispose prontamente la moglie regina sorridendo mostrando una foglia ancora viva<br />

indicò con l’indice un grosso albero<br />

che lanciava ombre e alcuni tratti dei raggi solari che abbagliavano la camera da<br />

letto.<br />

ººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººººº<br />

Dalla nascita della bambina principessina, Verdefoglia, decise di avventurarsi nei<br />

boschi situati a nord – est dal castello che al momento brillava abbagliato dalla luce<br />

dei raggi solari.<br />

Verdefoglia cantilenava allegramente salutando tutti i cittadini che come ogni giorno,<br />

vendevano e compravano la merci, la quale la ricambiavano con inchini gentili e<br />

sorrisi di cuore.<br />

Tutti rispettavano la famiglia reale per il loro buon rapporto con il popolo,<br />

governavano con giustizia e uguaglianza.<br />

All’entrata del bosco, si fermò per respirare aria pura e godersi tratti del panorama, il<br />

suo volto era ancora più bello con il rossore apparso sulle sue guance.<br />

esclamò Verdefoglia respirando allegramente <br />

Presto riprese il suo cammino ed entrò nel bosco,molti animali la osservavano ad<br />

ogni suo passo leggero e molte piante frusciavano spinte dal vento la quale<br />

fischiettavano dolci melodie naturali.<br />

Giunta al centro del bosco, Verdefoglia si sedette davanti al lago che era in mezzo al<br />

bosco la quale al suo centro, una colonna altissima erogava dell’acqua bella fresca<br />

che proveniva da altissime montagne.<br />

disse tra sé Verdefoglia, si<br />

avvicinò alla riviera del lago per specchiarsi il suo bel volto la quale appariva come<br />

45


una gemella fosse davanti a lei sorridente, stava per cantare, ma presto fu bloccata dai<br />

gridi che provenivano dal suo villaggio.<br />

si domandò tra sé mentre si alzava per vedere, il villaggio distava<br />

a pochi passi, ma una voce maschile lo aveva bloccata.<br />

esordì una voce maschile alle sue spalle,era così leggera e<br />

gentile.<br />

Verdefoglia si voltò spaventata, i suoi occhi erano puntati nella mano del giovane che<br />

teneva saldamente la sua spada lucida che rifletteva il suo volto, si trattava di un<br />

ragazzo di circa ventenne vestito da pirata fu bloccata dal pirata.<br />

rassicurò il pirata presto emise un fischio che alle sue spalle apparvero cinque<br />

giovani vestiti da pirati, erano due ragazzi e tre ragazze indicando il resto della sua ciurma<br />

e rise divertito.<br />

concluse rivolgendosi alla principessa che si era calmata.<br />

rispose la principessa <br />

rassicurò Jounno <br />

Tutti si erano seduti intorno ad un falò che abbagliava i loro volti.<br />

esordì Jounno senza<br />

interruzioni.<br />

disse Rossennata<br />

sorridendo.<br />

Il giorno seguente pioveva a dirotto, il cielo era coperto da nuvoli grevi che avevano<br />

preso il posto della bella giornata.<br />

Verdefoglia, Jounno e company erano scesi al villaggio, tutto era stato distrutto, i<br />

cittadini lavoravano da schiavi e molti pirati controllavano le postazioni.<br />

osservò Verdefoglia a Jounno che continuava a osservare il<br />

villaggio <br />

rispose Jounno sorridendo ,<br />

ordinò alla sua ciurma ordinando a Verdefoglia di r rimanere al suo<br />

posto senza fare nulla.<br />

46


Come previsto da Jounno, la sua ciurma pur essendo in minoranza, si era mostrata<br />

più forte ed era riuscita a battere molti pirati cattivi e a liberare i cittadini e i soldati<br />

reali.<br />

Dall’altra parte, improvvisamente Verdefoglia scomparve dal suo posto e si ritrovò<br />

nella sala del trono del castello di suo padre e davanti un pirata anziano con la barba<br />

grigia, Ogriggo, il capo dei pirati della ciurma Piratutto, si avvicinava per<br />

imprigionarla; intorno c’erano altri pirati e una strega che saccheggiava rise Ogriggo con l’eco delle risate di altri > e mostrò il re e la regina incatenati che pregavano<br />

lasciasse la loro figlia.<br />

gridò Verdefoglia guardandoli di continuo, era stata legata<br />

anche lei.<br />

Fortunatamente presto il portone della sala del trono si aprì ed apparvero Jounno con<br />

la sua ciurma, i cittadini e i soldati che erano stati liberati, erano tutti pronti per lo<br />

scontro finale che avrebbe portato fine ad Ogriggo.<br />

spiò perplesso Jounno <br />

rispose Ogriggo altero<br />

<br />

ordinò Jounno.<br />

mimò Ogriggo e rise così forte che altri<br />

indietreggiarono un po’ tappandosi le orecchie.<br />

Ma, Verdefoglia diede un colpo sullo stomaco ad Ogriggo che essendo distratto dal<br />

dolore, Jounno lanciò la sua spada uccidendolo.<br />

Così il villaggio si era ripreso la libertà ed era ritornato come sempre; e i pirati<br />

d’Ogriggo erano stati portati nelle prigioni con lavori forzati.<br />

Il re e la regina diedero onore a Jounno e alla sua ciurma che divenne parte del<br />

villaggio e la principessa Verdefoglia si sposò con Jounno dove vissero tutti felici e<br />

contenti come il resto del villaggio.<br />

THE END<br />

47


CRONACA ANONIMA DI UNA TRAGEDIA<br />

dI LUIGI SCORSONE<br />

Come spesso accadeva riuscivo ad estraniarmi dalla realtà circostante, non mi<br />

trovavo nel mio paese e come ad ogni viaggiatore tutto avrebbe dovuto interessarmi,<br />

eppure trascorsi le mie vacanze in quell’albergo di periferia scelto per caso. La<br />

stanza era per me come un immenso batuffolo di cotone, i rumori giungevano attutiti<br />

e di ciò che accadeva fuori nulla m’importava. L’unica realtà erano le mie riflessioni<br />

sul caso, perché mai io che ero fuggito da ogni responsabilità avrei dovuto<br />

interessarmi alle vicende di quel paese straniero? Di notte ottemperavo meticoloso e<br />

solerte ai miei doveri di turista, vivo e buon cibo, musica e belle donne, questa era la<br />

degna cornice che riempivo di me stesso.<br />

La notte è come un giorno all’incontrario con meno persone e con la luna al posto del<br />

sole, la tenue oscurità che ai più concilia i sogni permette ad altri di vivere la propria<br />

vita. Tanta era la mia dedizione a queste abitudini che alla vita che mi pervadeva di<br />

notte si contrapponeva nell’ozio delle ore diurne un’apatia che avvolgeva corpo e<br />

mente con la quale sprofondavo in un profondo sonno. Avevo dovuto ricorrere alla<br />

sveglia per alzarmi al calar del sole per iniziare la mia “giornata”, che bello pensai<br />

essere sufficiente a me stesso tanto il mondo è così grande che non ha proprio<br />

bisogno di me. Un brutto giorno la sveglia si ruppe e suonò con rumore di mille<br />

petardi intercalati da acute sirene che si conficcavano come aculei nel mio cervello.<br />

Portai le mani alle tempie cercando di coprire le orecchie ma il rumore non<br />

accennava a smettere, così con un gesto di stizza scagliai la sveglia lontano da me.<br />

Tentai di addormentarmi ma tutto fu vano ormai l’idillio era lacerato, mi alzai e<br />

vestendomi notai che la sveglia era finita fuori dalla finestra e cosa strana c’era del<br />

vetro anche all’interno della stanza. Uscendo dall’albergo osservai che quel luogo di<br />

giorno era simile ad un contenitore vuoto, non c’è niente di più squallido di un posto<br />

dove la gente dorme soltanto senza vivervi. Uscire all’aperto fu per me un trauma, il<br />

sole è un giudice severo verso chi a lungo si sottrae alle sue udienze. Calai il cappello<br />

sulla fronte scrollando le spalle come colui che si rifiuta di ascoltare il capo<br />

d’imputazione preferendo che sia l’avvocato a riferirglielo. Dove andare era il<br />

dilemma, poiché tutte le persone si dirigevano verso la stazione io decisi di andare<br />

dalla parte opposta, andare dove gli altri non vanno per rimanere lontani dal mondo è<br />

il modo migliore per non farsi coinvolgere in vicende che non ci riguardavano.<br />

All’imbrunire arrivai in un parco, gli alberi d’inverno sembravano stringere a se le<br />

poche foglie rimaste quasi a volerne conservare la vita nell’estremo tentativo di<br />

proteggerle dal freddo.<br />

Orrmai esausto decisi di fermarmi, la mia attenzione fu attirata da un bambino seduto<br />

accanto ad un cumulo di giocattoli. Periodicamente giungeva al suo cospetto, credo si<br />

trattasse dell’autista, che portava ogni volta un nuovo giocattolo “ Gradisce questo<br />

signorino?” Il bambino rispondeva caparbiamente “No!Deve essere uguale a quello<br />

che questa mattina mio papà ha promesso di regalarmi”.<br />

L’uomo rimaneva imbarazzato, alzava gli occhi al cielo allargando le braccia e con<br />

un sospiro prendeva il telefonino…..e poi rimaneva immobile. Un altro bambino<br />

48


giunse nel parco fischiettando, dai vestiti dignitosi ma non di certo lussuosi, egli<br />

aveva le mani in tasca intento a cercare un fazzolettino di carta lindo e ben piegato,<br />

trovatolo gli faceva compiere delle evoluzioni. “ Che gioco è” chiese l’altro bambino<br />

incuriosito. “Non è un gioco, è il pegno che mio padre mi lascia ogni volta che riesce<br />

a trovare lavoro e che io devo custodire e non sporcare per nessun motivo”. “Ma<br />

come? Queste cose sono fatte per essere consumate e buttate”,“Mio papà dice sempre<br />

che un fazzolettino pulito può sempre servire” , “ Sei strano, perché continui a<br />

fischiettare?” Indugiando e abbassando lo sguardo rispose “Vorrei tanto avere un<br />

flauto e nell’attesa che mio papà me lo comperi mi alleno a memorizzare motivi<br />

musicali”, “Ma così sprechi fiato”, “No, coltivo la speranza per quello che la vita ci<br />

può riservare da un momento all’altro”, “Tieni,questo giocattolo te lo regalo, oggi<br />

questo servo sciocco ne ha comprati due uguali”.”Grazie cosa posso darti in<br />

cambio?” “Niente,aiutami a sopportare la noia mentre attendo mio papà, tieni anche<br />

un po’ d’acqua bevi e fammi sentire qualche motivetto allegro”.<br />

Il bambino si riempì la bocca d’acqua tanto da gonfiargli le guance, poi emise un alto<br />

fiotto verso l’alto emettendo acqua e un sibilo modulato che somigliava alla sirena di<br />

un treno a vapore, l’altro bambino scoppiò in una sonora risata. Egli aveva donato un<br />

giocattolo ed era stato ricambiato con un sorriso. D’improvviso arrivò un’auto della<br />

polizia, rallentando notarono la targa della macchina che attendeva il bambino dai<br />

molti giocattoli, scese un’agente con un foglio in mano e chiamò a sé l’autista con il<br />

quale iniziò a scambiare fraso concitate, così gli fu indicato chi tra i due bambini<br />

fosse quello dei giocattoli. Intanto l’agente rimasto in auto si asciugava il sudore<br />

nonostante si trattasse di una fredda giornata, giratosi verso il parco riconobbe il<br />

bambino del fazzolettino, scese, si mise a correre verso di lui e lo abbracciò.<br />

Ora i due agenti si trovarono di fronte ai due bambini ma nessuno osava parlare,<br />

l’autista si era appartato e fingeva di pulire il vetro della macchina. Uno strano<br />

silenzio che né i versi degli uccelli né il vento osavano rompere, solo qualche foglia<br />

cadeva dai rami degli alberi, ondeggiava nell’aria e arrivata sulle foglie secche, che si<br />

trovavano per terra, sembrava volersi scavare un posto per essere più vicino alla<br />

terra, per venire coperta da chi gialla e secca lo era da tempo.<br />

Sopraggiunse una donna dal passo incerto e con il volto smarrito, guardò gli agenti<br />

come chi giunto sull’orlo di un baratro girandosi guarda le orme lasciate dai suoi<br />

passi pur avendo negli occhi solo l’immagine dell’abisso. Urlò “Me lo dovete dire<br />

c’era anche mia figlia tra quelli uccisi dalla bomba!?” I due bambini all’unisono si<br />

guardarono negli occhi, i bambini sono perspicaci anche quando non dovrebbero, a<br />

volte come animati da una crudele forza riescono ad abbandonare il loro spensierato<br />

mondo di fantasia per essere precipitati nel mondo dei grandi, ambedue senza che<br />

nessuno gli avesse spiegato nulla compresero.<br />

Il bambino dei giocattoli figlio di un’ispettore generale delle ferrovie che si trovava<br />

su quel treno per verificare che arrivasse in orario, e il bambino del fazzolettino figlio<br />

di un’operaio che alla stessa ora aveva preso lo stesso treno per il suo primo giorno di<br />

lavoro. Trascinarono le gambe per quei pochi passi che li separavano con le lacrime<br />

che scendevano per terra nel sordo rumore delle foglie infrante. Abbracciandosi si<br />

strinsero l’uno all’altro come quelle poche foglie rimaste sui rami si stringevano agli<br />

49


alberi. Si divisero l’unica cosa che gli era rimasta in mano, un fazzolettino di carta<br />

lindo e ben piegato.<br />

Rimasi turbato, si può essere in un paese ma non insensibili al dolore, mi chiesi<br />

perché tutto questo era accaduto, avrei voluto davvero capire, avrei sacrificato vino e<br />

buon cibo, musica e belle donne per dare un senso a quella vicenda. Gli agenti<br />

andarono via insieme ai bambini, due innocenti che si erano conosciuti in una<br />

tragedia, mi alzai e avviandomi verso l’albergo riflettevo; forse quei due bambini<br />

erano venuti al mondo per un caso o forse per un consapevole atto d’amore. Due<br />

bambini così diversi resi orfani dallo stesso odio, non c’era senso in tutto questo, solo<br />

l’assurda e tragica mano del caso. Mentre rincasavo si stava formando una<br />

manifestazione di protesta spontanea contro l’attentato, mi dissero che ci sarebbero<br />

stati “tizio” e “caio” esponenti prestigiosi di schieramenti politici e poi anche<br />

“sempronio” e tanti altri…… Rimasi confuso, era una cornice troppo grande dentro<br />

la quale mi sarei smarrito. La manifestazione, cosa giusta dissi tra me e me ma uno in<br />

più o in meno non fa nessuna differenza e di certo la mia presenza non avrebbe<br />

potuto porre rimedio all’accaduto…..ne tantomeno cambiare il mondo. Ritornai nella<br />

mia stanza dove i rumori giungevano attutiti proponendomi di ripartire al più presto,<br />

annotai che ogni giorno era preferibile spostarsi in aereo poiché non avevo mai<br />

sentito di attentati sugli aeroplani. Non conobbi mai le complicate vicende socioeconomiche<br />

e geopolitiche che avevano fatto da sfondo a quell’attentato, mi limitai a<br />

scrivere sul diario “Oggi attentato al treno, sveglia rotta e vetri infranti da pagare”<br />

prima di fare le valigie mi avvicinai alla finestra per togliere il vetro che si trovava<br />

per terra, guardando distrattamente fuori rimasi impietrito…..Dalla finestra potevo<br />

vedere tutto quello che era accaduto, oh Dio com’era vicina quella stazione alla mia<br />

stanza!!<br />

Madrid<br />

11 marzo <strong>2004</strong><br />

50


SONO UN ASSASSINO<br />

dI LENIO VALLATI<br />

Le condizioni necessarie si erano concretizzate. Non restava altro da fare che partire.<br />

Mi trovavo nel mio appartamento. Cucina, camera e un piccolo ripostiglio. Solo.<br />

Seduto al tavolo di cucina davanti a una lattina di birra gelata. Il frigo aperto. Lo<br />

chiusi con una pedata. Poi aprii il cassetto del tavolo e controllai che ci fosse tutto. La<br />

mia pistola se ne stava sul fondo, come rettile, seminascosta da un panno nero. Mi<br />

stava aspettando. C’era anche una busta gialla con dentro una foto. A mezzo busto. E<br />

un biglietto con un indirizzo, hotel Trieste, via Donizetti 32. E una data, 18 luglio.<br />

Domani. Ripresi la foto e me la rigirai tra le mani, osservandola fin nei minimi<br />

particolari. Erano cinque giorni che non facevo altro. Sono un killer professionista,<br />

ben pagato per uccidere chiunque mi venga indicato. Non ho mai fatto domande. Ho<br />

ucciso e basta. Si è sempre trattato di tipi poco raccomandabili, di veri delinquenti.<br />

Bastava guardare le loro facce! Dopo ogni esecuzione scoprivo, leggendo i giornali,<br />

che si trattava di uno stupratore, di uno spacciatore oppure di uno strozzino. Uno<br />

vende l’eroina a tuo figlio, lui muore per un’overdose e tu che fai? Oppure ti violenta<br />

la figlia. Aspetti paziente il percorso della giustizia? No, se puoi, se hai i soldi, te la<br />

fai da solo. Paghi uno come me, un killer appunto. Lo so che sono un delinquente<br />

anch’io, ma questo è il mio lavoro. Non me lo sono scelto. Uno se lo trova addosso,<br />

come un vestito fatto su misura. Comunque io uccido per denaro,e tipi che non<br />

meritano di vivere. Non sto cercando di giustificarmi, ma non sono un assassino.<br />

Forse sono un giustiziere, uno che contribuisce senza volerlo a ripulire questa zozza<br />

società dall’immondizia che non si riesce altrimenti ad eliminare. Ma questo tizio<br />

della foto era diverso. Mezza età, lineamenti regolari. Capelli spruzzati di bianco.<br />

Occhi grandi da buon padre di famiglia sotto spesse lenti. Ben curato, ben vestito,<br />

giacca e cravatta. Serio. No, non era uno dei soliti delinquenti. Ma perché lo dovevo<br />

uccidere? Non lo sapevo. Ero pagato per farlo e basta. Non dovevo fare domande.<br />

Qualche giorno prima non avevo comunque resistito alla curiosità. Così avevo<br />

telefonato a Lorenzo. Lo so, ero stato uno sciocco. Nel mio lavoro non bisogna mai<br />

lasciare tracce. “Pronto, Lorenzo?”. “Ma perché diavolo mi telefoni? Non hai tutte le<br />

istruzioni?”. “Certo, ma volevo sapere il motivo per cui debbo uccidere il tizio della<br />

foto”. “Non lo so neanch’io. Tu fallo e basta. E non telefonare più, intesi?”. Presi<br />

un’altra birra dal frigo. La bevvi avidamente, ma lentamente, assaporandola goccia a<br />

goccia. Poi indossai la giacca, cercai la pistola e la misi nella tasca destra. La foto e<br />

l’indirizzo in quella sinistra. Mi alzai per uscire. Destinazione hotel Trieste, all’altro<br />

capo della città. L’indomani mi sarei alzato molto presto. Alle sette. Sarei sceso e<br />

l’avrei aspettato, nascosto dietro un’edicola di giornali. Non appena lo avessi visto<br />

passare l’avrei ucciso. Tutto calcolato. Fin nei minimi particolari. Di lui sapevo solo<br />

il nome. Si chiamava Vittorio Bartolini. Non sapevo altro. Neppure che mestiere<br />

faceva. Neppure l’età. Improvvisamente suonarono alla porta. Chi poteva essere alle<br />

nove di sera? Nascosi la giacca e il suo contenuto nell’armadio della camera da letto.<br />

Andai ad aprire. Era Martina. “che ci fai tu a quest’ora?” dissi, cercando celare una<br />

punta di stizza. “Sono venuta a trovarti, non ti fa piacere?”. “Certo” le dico, “entra”.<br />

51


Martina aveva appena vent’anni. La conoscevo da poche settimane. Era successo<br />

tutto in un bar a due chilometri da casa mia, all’ora di pranzo. Mi viene di fronte.<br />

Capelli a baschetto, nerissimi, un largo sorriso. Lo zainetto stracolmo di libri<br />

abbandonato in un angolo. Mi chiede se per caso ho da cambiarle cinque euro. “Non<br />

so”, faccio io, visibilmente impacciato. “Ci guardo”. Era evidente che si trattava di<br />

una scusa. Tiro fuori il portamonete, ma rovescio goffamente il suo contenuto sul<br />

pavimento. Lei ride divertita, e mi aiuta a raccogliere i centesimi che si erano<br />

insinuati tintinnando tra le sedie. I nostri sguardi si incrociano. “Come ti chiami?” le<br />

domando . “Martina”. “Martina come?” “Non ti basta?” mi rispose lei ridendo. Le<br />

offrii un caffè. Poi ci rivedemmo il giorno dopo sempre al solito bar. Poi fissammo<br />

per la sera seguente a casa mia. Da quel giorno Martina è entrata nella mia vita.<br />

Accontentandosi delle briciole di tempo che le lasciavo. La compagna ideale per un<br />

killer. “Che mestiere fai?” mi aveva chiesto soltanto. “L’operatore di borsa” le<br />

risposi. Lì per lì non mi era venuto in mente altro. Ebbi l’impressione che ci avesse<br />

creduto. Spesso veniva a trovarmi, la sera. Ma se le dicevo che avevo da fare se ne<br />

andava senza fare storie. Passavamo insieme ore deliziose nella mia camera.<br />

Cucinavamo insieme, divertendoci un mondo. Poi facevamo l’amore. Fino all’alba.<br />

Finché il sole non si insinuava da una scolorita persiana illuminando la mia piccola<br />

stanza. Martina era entrata nella mia vita con tutta la sua frizzante gioventù. Era un<br />

fresco ruscello di montagna che scorre allegro tra campi riarsi. O un sorso di<br />

spumantino frizzante nella mia opaca vita di tutti i giorni. “Martina, ti prego, stasera<br />

ho un terribile mal di testa”. Le dico dopo averla baciata teneramente sulle calde<br />

labbra. “Ma mi mandi già via?Non mi vuoi?”. “No, che dici! E’ che ho avuto una<br />

giornata terribile e domani mattina debbo alzarmi prestissimo…”. “Okay! Me ne<br />

vado!” Martina è così. Mi abbraccia teneramente, mi bacia a lungo e se ne va. Senza<br />

chiedere altro. Senza domandare perché. Scese soltanto le scale con l’aria di un<br />

bimbo imbronciato al quale sia stato appena tolto un giocattolo. Aspettai qualche<br />

minuto. Che non ritornasse. Poi uscii anch’io. Dopo aver preso due autobus arrivai<br />

davanti all’hotel Trieste. Come supponevo era di infimo ordine. Due stelle ed<br />

evidenti screpolature sulla facciata. Salii nella mia camera prenotata cercando di<br />

farmi notare il meno possibile. Non prima di aver acquistato tre birre al bar<br />

all’angolo. Faceva caldo. Molto caldo. Evidentemente l’impianto di aria condizionata<br />

non funzionava. Ammesso che ci fosse. Mi distesi sul letto vestito. Mi sbottonai il<br />

colletto della camicia. Il tizio della foto mi stava facendo impazzire. Andai più volte<br />

in bagno a rinfrescarmi. Aprii una birra. Perché debbo ucciderlo? Bevvi avidamente.<br />

Riguardai la foto più volte. Me la rigiravo tra le mani. Mi scolai tutta la lattina e ne<br />

presi un’altra. Faceva un caldo terribile. Mi sorpresi a scendere le scale e a chiedere<br />

un elenco del telefono alla signorina della reception. Batoli………Bartolini…ecco,<br />

prof. Vittorio Bartolini. Forse un insegnante. Lo vogliono uccidere perché ha<br />

bocciato qualche alunno? Assurdo. Ormai non connettevo più. Mi sorpresi a<br />

comporre un numero di telefono. “Pronto? Parlo con il professor Vittorio Bartolini?”.<br />

“No, sono la moglie. Chi lo desidera?”. Riattaccai prontamente. Dunque il tizio della<br />

foto era sposato. Forse aveva anche dei figli. Ci doveva essere un errore, senz’altro,<br />

chi poteva volere la sua morte? Quasi quasi domani mi apposto, dicevo tra me, lo<br />

52


guardo bene ma poi lo lascio andare. Che cosa mi possono fare? Non mi daranno altri<br />

incarichi, e allora? E’ l’occasione buona per lasciare questo dannato mestiere.<br />

Sposerò Martina e mi troverò un altro lavoro. In fondo, ho solo dieci anni più di lei e<br />

al computer ci so fare. Con queste intenzioni e con l’ausilio della terza birra riuscii a<br />

dormire un paio d’ore. Al mattino alle sei e mezza ero già sveglio. Ormai ci ero<br />

abituato. Come un cacciatore nel giorno dell’apertura. Mi lavai, mi cambiai, presi<br />

solo la pistola. Scesi. In pochi attimi ero in strada. Girai l’angolo e mi ritrovai in una<br />

piccola piazza. Era vuota. Mi appostai dietro all’edicola e attesi. Cinque, dieci<br />

minuti. Eccolo, è lui. Lo guardai attentamente. La mia mano accarezzava la pistola.<br />

L’uomo attraversava lentamente la piazza. L’andatura calma e serena dell’uomo<br />

onesto. Che non deve temere niente e nessuno. L’avrei lasciato andare, molto<br />

probabilmente, quando una ragazza corse verso di lui. Si sorrisero, poi si<br />

abbracciarono teneramente. Il mio cuore dette un sobbalzo. Era Martina! In un attimo<br />

credetti di aver capito tutto. Certo, il mandante era la moglie! Il lurido porco se la<br />

intendeva con una ragazzina appena ventenne! “Vergognati!”, sentii gridare dentro di<br />

me, mentre la mia pistola usciva dalla tasca destra della mia giacca e faceva fuoco.<br />

Due, tre, quattro colpi. L’uomo si accasciò al suolo. Martina urlava. Nessuno mi<br />

aveva visto. La piazzetta era ancora deserta. Scappai di corsa nella direzione opposta<br />

all’hotel. Mi voltai. Nessuno mi stava inseguendo. Improvvisamente, presi a<br />

camminare come niente mi fosse successo per due-tre chilometri. Entrai in un ber.<br />

“Una birra ghiacciata!” Mi sedetti. Ero affranto. Pensai a Martina. Mi parve strano,<br />

ma non la stavo odiando. Amavo quella ragazzina. Mi dissi che l’avrei senz’altro<br />

perdonata. Un’altra birra. La trangugiai d’un fiato. Un’altra ancora. Poi mi trascinai a<br />

piedi verso casa. Il telefono stava squillando. Senza tregua. “Pronto?”. All’altro capo<br />

parole spezzate da un pianto dirotto, inconsolabile. “Hanno sparato a mio padre! Me<br />

l’hanno ucciso!” Ero diventato un assassino. Ma non avrei trovato il coraggio di<br />

dirtelo. Di dirti che ti avevo ucciso il padre. Chissà per quanto tempo. Forse un<br />

giorno ci riuscirò. E cambierò questo mestiere che mi sta troppo stretto, come un<br />

vestito vecchio.<br />

53


POESIE<br />

IN ITALIANO<br />

54


1° CLASSIFICATO<br />

CRUCIANO ANTONIO RUNFOLA<br />

PEPPINAEIDOS<br />

Facta virumque cano, alma mater<br />

Di quella creatura senza fama dai moti<br />

Della vita nel silenzio riarso<br />

Rivoluzionario rivoluzionato<br />

Placato dal venereo abbraccio<br />

N’ammurato di la so terra matri.<br />

Peppino, re vichingo, osservavi<br />

Le tue conquiste sudate, la lavorata<br />

Distesa di terra spazzata<br />

Dal vento indolente, indolente<br />

Tu stesso finchè potevi, mentre<br />

Ti sforzavi di perfezionare il Creato.<br />

Si ti ergevi, finchè udisti<br />

Nel silenzio la deflagrazione<br />

Del tuo cuore che esplodeva.<br />

Era il tuo sedicesimo lustro<br />

E così ti accasciavi verso Terra,<br />

La tua amata che ti abbracciava.<br />

Vedesti la tua dimensione<br />

Distorcersi, accartocciarsi, comprimersi,<br />

contorcersi, stiracchiarsi, appiattirsi<br />

in lunghe strisce piane roteanti in<br />

Un vortice di bobine cinematografiche<br />

Srotolate andanti dalle tue pupille al cielo.<br />

Ti concentrasti, le ghermisti una ad una.<br />

Nella prima sei un puero nelle braccia<br />

Calde di tua madre, tuo padre<br />

Ha una voce antica, inusuale, serena nella<br />

Ristrettezza. L’aria è abbondante nel paese<br />

Minuscolo, dimenticato da Dio.<br />

55


Poi, sotto la scure di oscuri malefici<br />

Tua madre prega tuo padre di far<br />

Aggiungere al prete un altro nome<br />

Per confondere i maestri di alchimie.<br />

L’asino sospira nella casa, tuo padre<br />

Pensa alle elettriche luci d’America.<br />

Nella seguente sei piegato sui ceci,<br />

Faccia al muro, al maestro non piace il tuo<br />

Puzzo di capre, la tua ostinazione.<br />

Ma fra un attimo ti alzerai e tuo padre<br />

Porterà latte al Maestro e te al pascolo<br />

Ove ti insegnerà l’Alfabeto e ti erudirà.<br />

A lu saluni di lu varberi lu signorottu<br />

Quannu t’assetti e pigghi lu giurnali sfardatu<br />

Ti rimprovera: “Talia stu strunziddu!<br />

Leggi! Voli divintari qualcuno”.<br />

Ti veni ‘ncontru, cu li mani ti spingi<br />

Fora e: “Va talia li pecuri!” Ti grida.<br />

Nell’altra striscia la tua casa sprofonda,<br />

Sotto il peso dell’Ignoranza superstiziosa,<br />

Della Malattia e della Morte, i tuoi cari<br />

Fratelli muoino, tua sorella genera<br />

Nazarena, una bimba senza nome, il ricurvo<br />

Tuo padre ti chiama e poi muore.<br />

Ecco appare la rossa bandiera del riscatto.<br />

L’abbracci, la terra di tuo padre bruciata<br />

Dal demone di tua sorella ti manca,<br />

Il vuoto è in te, l’onore lo hai perduto.<br />

Sull’autobus scricchiolante miri e brami<br />

Quella terra tappezzata di canneti sparsi.<br />

Lu to desideriu si leggi ‘na la to’ frunti<br />

Vai giranno cu la bannera di li comunisti<br />

“Compagni, vutati, pigghiamuni li terri<br />

Abbannunati di li patruna”. Li campera<br />

T’arrispunninu: “Vo’ la terra?<br />

Va a Trivadduna e ti la ‘nsacchi”.<br />

56


Con la lotta e col miracolo è tua,<br />

“La terra con le canne”, la lavori,<br />

La fruttifichi, la fiorisci. Ivi ti stabilisci<br />

Con tua moglie, li allevi i tuoi figli,<br />

Il riscatto è compiuto. La terra<br />

Origina il bene, La felicità. Non la cederai mai.<br />

Il sole di buon mattino già ti trova<br />

Nei campi. Le lotte adesso le guardi<br />

In TV. Il sole allo zenit ti trova<br />

Ancor curvo sui tuoi frutti. Tua moglie<br />

Irosamente ti appella al desco.<br />

Ti giri lentamente e vedi il paradiso.<br />

Di nuovo la nemesi squassa casa tua,<br />

La tua armoniosa bimba eroica ti lascia,<br />

Le infermità ritornano tra i tuoi cari,<br />

Il tuo vecchio cuore perde regolarità.<br />

Consideri i tuoi discendenti e gioisci.<br />

Nonostante la fatica, stai erto.<br />

Non straziato piagato in un letto,<br />

Ma alzato come un re nordico<br />

Che guarda l’immenso campo<br />

Di battaglia della Realtà, ti ha colto<br />

Il decisivo colpo, il tuo cuore<br />

E’ deflagrato per la insostenibile fatica.<br />

Le strisce andanti verso il cielo<br />

Adesso si diradano come nebbia<br />

Inghiottita dall’oscurità. Le luci<br />

Si spengono sulla tua Alba Longa<br />

Prostrato su di lei, nella quasi oscurità<br />

Girando leggermente la testa,<br />

Con le ciglia pietrificate, l’hai baciata,<br />

comu na mugghieri valenti e duci<br />

Terra, amore mio, alma mater.<br />

Idda ti detti sustentamentu,<br />

Riparo, conforto, tranquillità<br />

57


GIOVANNA BONAFEDE<br />

Quale sortilegio<br />

Puntella voracemente<br />

La mia stella?<br />

Chiosa d’un Karma<br />

Non conosce ragione.<br />

Quanto il maligno<br />

ricamerà per me<br />

sulla tela dell’infinito?<br />

Cosa dovrò<br />

ancora tributare<br />

all’oscuro signore dei violini<br />

per potere avere infine<br />

la mia sorte?<br />

Non ho più perle di sale<br />

Da offrire in dono<br />

E della mia sorgente<br />

Sono secche le acque,<br />

polveri di cielo<br />

mi sotterrano i piedi<br />

catene di ghiaccio<br />

mi stringono le man<br />

Il mio angolo di cielo<br />

È qui<br />

In questo niente<br />

Di soffici parole,<br />

che dispiegano chete<br />

l’andar delle mie Moire.<br />

Il mio angolo di cielo<br />

È qui<br />

Bandito a Nemesi,<br />

sottratto al vento freddo,<br />

qui Diana riposa e<br />

Cartagine è lontana.<br />

2° CLASSIFICATO<br />

SORTILEGIO<br />

IL MIO ANGOLO DI CIELO<br />

58


Confusa, smarrita,<br />

il freddo dentro<br />

attraverso l’anima<br />

inquieta.<br />

Si aprono i varchi<br />

dell’oblio,<br />

Enlil scatena<br />

la sua forza<br />

incalzante, selvaggia<br />

inarrestante.<br />

Non risparmia<br />

di Perseide la figlia<br />

designata.<br />

Vaga signora<br />

di nero vestita<br />

come tenebra<br />

fulgente di sua vita,<br />

traversa il mare,<br />

piega il volere,<br />

sfigura in pianto<br />

il volto.<br />

ENLIL<br />

59


ROBERTO MARZANO<br />

Mani nell’aria,<br />

scolpiscono<br />

scie di spillo,<br />

orridi sibili….<br />

Improvvise<br />

Micidiali, decise,<br />

infliggono<br />

al mio corpo<br />

mortali offese……<br />

Scappare!?<br />

E dove mai, poi, ora?<br />

Ho perso i miei fratelli,<br />

non ho più la mia terra,<br />

evapora<br />

la vita…..<br />

Vita, oh mia vita!<br />

Appena assaporata<br />

e già<br />

ti sto perdendo…….<br />

Vengono uomini urlanti<br />

siam tutti fatti a pezzi!<br />

La sola mia difesa,<br />

unghie acuminate, vilipese, derise,<br />

mi vengono amputate!!<br />

Pian-piano,<br />

strato a strato,<br />

mi strappano la pelle,<br />

il cuore mio scoperto,<br />

persino preso a morsi….<br />

Ormai non ho speranze<br />

Il futuro mio è remoto……<br />

Ma vale così poco la vita di un….<br />

Carciofo?!?<br />

3° CLASSIFICATO<br />

UNA VITA DA POCO<br />

60


DOV’E’ FINITA LA POESIA?<br />

Dov’è finita la poesia? Dov’è finita!?<br />

L’avevo lasciata lì ieri! Evaporata…..svanita!<br />

Vi prego ditemi dove se n’è andata!<br />

L’aria già mi manca al pensier che sia sparita…<br />

Dov’è finita la poesia? Dov’è finita!?<br />

Nel spaccar teste di manganelli ciechi che non trovano l’entrata?<br />

O nel ripicchiarci sopra di altri tristi randelli che non trovano l’uscita?<br />

Dov’è finita la poesia? Dov’è finita?<br />

O, forse, nel folle carro-armato sparante al “bimbo-armato”<br />

Di sassi polverosi<br />

Che il giorno prima eran la sua stessa casa?<br />

Dov’è finita la poesia? Dov’è finita?<br />

Oppur sotto le macerie genovesi del<br />

“Museo del Mar di Sangue Umano”<br />

Dove giace chi mangiava tanto a pranzo (come da contratto),<br />

Così da saltar la cena<br />

E poter mandare il corrispettivo alla Famiglia Colgegya di Tirana…?<br />

Dov’è finita la poesia? Dov’è finita?<br />

Negli angoli della ragione, protervi sputi,<br />

Mille foto, guinzagli, sacchi in testa, scope in culo,<br />

torture assurde inflitte con piacere<br />

e proiettili all’uranio, “democratici” saluti,<br />

simpatici ricordi che pian piano fan morire?<br />

Dov’è finita la poesia? Dov’è finita?<br />

Nella “guerra preventiva” senza fine<br />

Fiumi e fosse di lacrime d’argento<br />

Navi piene di famiglie disperate<br />

Bucato fin al cervello dente marcio cariato<br />

E l’assenza di un fratello fatto a pezzi<br />

Musiche cupe, neri fondali stesi…..?<br />

Dov’è finita la poesia? Dov’è finita?<br />

Forse nei meandri più oscuri del “Reparto Psichiatria”<br />

Dove strappa le porte delle camicie di follia?<br />

61


Oppure , meglio, al “Reparto Cattiveria”<br />

Dove non ci si fa scrupolo alcuno pur di passare alla storia….<br />

…. Storie di miasmi inumane, ciuccia-sangue, banditi,<br />

affamanti infami, bastonatori di mano…?!!?<br />

Per favore ditemi dov’è finita la poesia? Dov’è finita!?<br />

Si lo so che ogni tanto si riposa, non è che non ci sia,<br />

Ma non per questo non mi struggo e mi dispero<br />

Nella mia malinconia….<br />

Lì dobbiamo fermare!<br />

Si dovrà pur potere uscire da questo vortice di orrori<br />

E riprendere a far poesie sugli uccellini e sui fiori.<br />

Con l’anima urticata,<br />

offesa,<br />

scolopendra inviperita,<br />

Chiedo scusa…<br />

CHIEDO SCUSA<br />

Ai bombardati<br />

Corpi flosci nella polvere improvvisa<br />

E alla signora affettata, sulle strisce,<br />

la domenica mattina,<br />

ancor mezza addormentata, poverina….<br />

Chiedo scusa agli operai “Contratto-Special”<br />

Veri funamboli del “circo” dei cantieri<br />

Che stanno, finalmente, in posa per il telegiornale<br />

Sotto un lenzuolo bianco e rosso…..<br />

E alle barcate di disperati nottambuli<br />

Che si giocano la vita a Lampedusa,<br />

ai bambini gonfi di fame,<br />

e alle loro mamme,<br />

senza latte, senza denti<br />

e senza pane,<br />

62


chiedo scusa!<br />

Chiedo scusa a Bagdad e ai newyorkesi,<br />

Dublino, Grozny, Bucarest e Falluja,<br />

scusatemi a Guantanamo, Beslan e Gaza,<br />

Come Genova, San Paulo, Bankok e nel Chiapas<br />

E ancora ai siciliani, ai tibetani, ai sudanesi<br />

E a tutti i dimenticati, da me per primo….<br />

Chiedo scusa se,<br />

malgrado l’assordante sottofondo dei vostri orrori quotidiani<br />

continuo, comunque, a mangiare la mia cena<br />

e chiede ai miei figli “Com’è andata a scuola?”<br />

Chiedo scusa ma<br />

Lo scorrere frenetico della vita<br />

Non mi da tempo abbastanza<br />

Per tamponare le ferite<br />

E avere la forza di spegnere<br />

Quel maledetto televisore-bombardiere<br />

Anzi,<br />

forse,<br />

il far questo,<br />

mi farebbe vergognare di più ancora!<br />

Chiedo scusa ma non so se basti: sono molto, ma molto, confuso…….<br />

63


PREMIO SPECIALE DEL PRESIDENTE DELLA<br />

COMMISSIONE<br />

CARLA CAVALLO<br />

E come puoi dirti padre<br />

Se l’ardore d’amore<br />

Di chi hai generato<br />

Affoghi nell’insofferenza,<br />

e come pretenderai l’abbraccio<br />

nel domani della tua vecchiaia<br />

se incateni nell’indifferenza<br />

la carezza del tuo presente.<br />

A UN PADRE<br />

GERACI SALVATRICE PIETRA<br />

Labbra aride<br />

Che dissipano<br />

Angelici sogni<br />

Che feriscono<br />

Cuori fragili<br />

Che calpestano<br />

Candidi gigli<br />

Che intorpidiscono<br />

Tiepidi corpi<br />

Che liberano<br />

Amare lacrime.<br />

Voi labbra<br />

Quanto male siete<br />

Capaci di far<br />

Riaffiorare<br />

Anche se solo a voi<br />

E’ consentito<br />

Ardenti e teneri baci<br />

Donare.<br />

DALLE LABBRA<br />

64


DANIELA COSTANTINI<br />

PICCOLA DONNA<br />

Ci sono ricordi da conservare per sempre,<br />

come delicate pagine di un libro antico.<br />

Che bello sedersi in poltrona<br />

e rigirarsi tra le mani le care pagine ingiallite,<br />

frammenti di ricordi lontani.<br />

L’identica emozione<br />

di quando io, piccola donna,<br />

sfogliavo i petali di un fiore<br />

per interrogarlo sul futuro<br />

del mio giovane amore.<br />

Cos’è accaduto da allora?<br />

Quella piccola donna dov’è?<br />

Ha la stessa tenerezza d’allora,<br />

ma tra i suoi capelli<br />

si è posato qualche fiocco di neve<br />

e nei suoi occhi spunta una lacrima.<br />

Ripiega con cura le pagine antiche<br />

e baciandole le posa<br />

accanto a fogli ancora bianchi,<br />

quelli che la vita per lei ha preparato.<br />

Tra le mani stringe una margherita…..<br />

Giocando col tempo,<br />

forse non ha ancora chiesto tutto<br />

sulla sua vita.<br />

Attende risposte e sposta lo sguardo….<br />

Ascolta echi lontani<br />

di un domani che verrà<br />

65


Continuiamo questa antologia con le opere degli altri<br />

autori partecipanti al concorso, in ordine alfabetico:<br />

PIETRO BARBERA<br />

Parlami delle gazze ladre, nonna,<br />

che gracchiavano al mattino<br />

tra le foglie del fico,<br />

inseguendosi,<br />

saltellando<br />

sulle tegole di casa.<br />

Dimmi della vastità di bionde spighe<br />

che catturavano dal vento<br />

il profumo di pane appena lievitato.<br />

Quella palma altissima è ancora lì,<br />

ai suoi piedi le pietre<br />

lanciate per scrollare i datteri<br />

raccolti da mani bambine<br />

come stelle cadenti.<br />

Raccontami dei lunghi filari di vigne<br />

e di contadini sorridenti<br />

assaporando un acino d’uva.<br />

Parlami degli ulivi contorti<br />

e del sole all’alba tra le foglie.<br />

PARLAMI…. NONNA<br />

Dimmi come gioiva il tuo semplice mondo<br />

mentre io son qui tra i filari d’auto,<br />

stretto nel rumore dei clacson,<br />

immerso in una densa atmosfera<br />

di benzene.<br />

66


GIUSEPPE BATTAGLIA<br />

Per appagare una femminista<br />

Cercasi uomo senza la vista<br />

Se poi è sordo ed ignorante<br />

Qualsiasi uomo si faccia avanti<br />

Ma c’è di più s’è zappatore<br />

Gli farete un gran favore<br />

Solo così l’appagherai<br />

E ti cacci in mezzo ai guai<br />

Tu non vedi più non senti<br />

Si vende i denti per i suoi parenti<br />

Nulla apprezza e nulla gli garba<br />

Vai a vendere pure la barba<br />

Dalla sera alla mattina<br />

Lei ti porta alla rovina<br />

Stai attento alla tua zappa<br />

Anche quella lei ti strappa<br />

E’ davvero un occasione<br />

Questa femminista è confusione<br />

Hai cercato hai trovato<br />

E ti sei inguaiato<br />

A A A “CERCASI”<br />

67


ROSARIO CALI’<br />

RIFLESSIONI<br />

Da un angolo di balcone<br />

Il mio occhio vede una montagna vicina<br />

Che illumina il mare sottostante<br />

Con dolcezza cullante cullante.<br />

Come se all’improvviso<br />

Diventa tutt’uno ammaliante ammaliante.<br />

Proiettandomi lontano lontano<br />

Dove si sogna dove si vive.<br />

Il mio occhio diventa così<br />

Uno specchio infinito di colori<br />

Facendo capire all’umanità<br />

Di quali miracoli è capace la natura.<br />

68


CAMPILUNGO LOREDANA<br />

Vivo ogni istante<br />

Della mia vita,<br />

……vivo per essere<br />

riscaldata dal sole<br />

e accarezzata dal vento,<br />

vivo per assaporare<br />

i mille gusti della vita<br />

dell’aspro limone<br />

alla dolce mela…<br />

Vivo volteggiando quieta<br />

e a passi leggeri, un lungo,<br />

lungo valzer aspettando piano<br />

l’ultimo raggio di sole.<br />

VIVO……<br />

69


EMANUELE CAPPADONIA<br />

Ho tanta stanchezza sulle mie spalle<br />

Mi sento un gomitolo abbandonato,<br />

abbandonato sul mio divano.<br />

Sul mio divano caldo<br />

Pieno di ricordi.<br />

“IL VECCHIETTO”<br />

70


SALVATORE CARTA<br />

Voglio un pennino d’oro e bottiglie<br />

d’inchiostro nero. Uno sull’altro,<br />

spessori di fogli bianchi attendono<br />

albe di vita, accarezzate da voci e<br />

parole,<br />

Ora la punta scrive che mi ami; e<br />

sporge il tuo profilo all’ingresso:<br />

una mano saluta, l’altra scompone<br />

la goccia, separando ogni granello<br />

di sabbia nel deserto.<br />

Si ribalta la clessidra, allungando<br />

ogni tempo. Canto fra i tamerici;<br />

percorrendo oasi di palme, dentro<br />

i grappoli di datteri ti nascondi e con<br />

gli occhi stuzzichi le stelle.<br />

UN PENNINO<br />

Provi a velare il volto: giochi? Forse,<br />

non vista, vuoi scegliere: sei donna<br />

sicuramente, forse io uomo. Tu vuoi<br />

integrazione; anch’io. Quale Dio noi<br />

preghiamo? Il tuo? Il mio?<br />

Come si chiameranno i nostri figli? Il<br />

sangue di tutte e due è sangue; non è<br />

nero quello che pulsa nell’ombelico tuo,<br />

né è bianco ciò che transita fra le<br />

mie gambe. Dio, mio, tuo, senza confini.<br />

Vogliono pace, soccorrono i dolori senza<br />

chiedere nomi. Bloccano il loro cuore per teste<br />

e gambe sul muro spiaccicate, e pianti sui<br />

morti ammazzati di bombe intelligenti. Ma,<br />

nessuno morirà del tutto se parlerà d’amore.<br />

71


ANGELA CASALE<br />

SONO RICCA<br />

Sono ricca<br />

Quando mio figlio torna a casa<br />

Sono ricca<br />

Quando mio figlio mi chiama mamma.<br />

Quando stiro le sue camicie pensando<br />

Gia’ al domani.<br />

Quando mi dice: mamma fammi trovare cose buone<br />

Da mangiare.<br />

Quando discutiamo come due innamorati.<br />

Quando mi vedi dietro i fornelli e pian, pianino<br />

Ti avvicini e mi abbracci.<br />

Sono ricca per questo modo tuo di fare.<br />

Sono ricca!!! Anzi ricchissima per questo figlio<br />

Che il Signore mi ha dato d’amare.<br />

72


GIORGIO CASTAGNA<br />

Soffrire e sognarti, chissà s’esisti<br />

All’ombra incerta del domani.<br />

Soffrire e non gioire,<br />

sapendo che il desiato sogno<br />

è velato da sentieri distinti,<br />

soffrire e non gioire,<br />

all’idea ch’estremi incompatibili<br />

allontanino l’agogno futuro<br />

Gioire e sfiorarti, sapendo ch’esisti,<br />

baciarti e volerlo ancora domani.<br />

DOMANI SAPRO’<br />

73


VALERIA CURCIO<br />

MORIRE<br />

Anche tu,<br />

impaurito,<br />

come tutti, sentirai la violenza delicata<br />

dell’abbraccio silenzioso.<br />

Sentirai la frenesia di un istante,<br />

ed un sussulto,<br />

un gemito di dolore e piacere,<br />

un’amara fine di spasmi e grida,<br />

di dolce luce bianca<br />

che sfuma in oscurità profonda.<br />

Nel buio velato di scarlatto tepore<br />

sveglierai i tuoi sensi<br />

e nell’immenso fremito<br />

di compresa apparenza<br />

diverrai essenza muta legata all’anima.<br />

Sarai accanto al passato<br />

e vicino al futuro,<br />

non più tristezza,<br />

non più paura,<br />

niente di realmente verosimile<br />

ma di reale e vero.<br />

Come tutti<br />

sentirai la tua vita nell’abbraccio violento spegnersi,<br />

e non sarai più smarrito.<br />

74


ENZO DI GAETANO<br />

Se prima di partir per<br />

un’istante<br />

pensassi a quelli che hai lasciato<br />

a casa,<br />

alla ragazza che ti sta<br />

aspettando,<br />

agli amici, alla festa che deve<br />

incominciare,<br />

sicuramente metteresti<br />

il casco,<br />

per poi non farli tutti<br />

disperare.<br />

METTI IL CASCO<br />

75


SILVIA DAVANZO<br />

LUCI<br />

Luci nel mondo,<br />

luci ovunque, Cina, Italia, Messico,<br />

ogni bambino accende una candela.<br />

Luce al mattino,<br />

il sole sorge ovunque in tempi diversi,<br />

ogni bambino celeste esprime un desiderio.<br />

Luci alle case, ai negozi, ai bar.<br />

Luci per la strada, in cielo, a terra,<br />

luci intermittenti, colorate, grandi,<br />

questo Natale sarà colorato da luci incantate,<br />

per portare del bene nel mondo,<br />

luce come speranza,<br />

più ce ne sono e più speriamo in un nuovo mondo.<br />

76


MICHELANGELO DI LORENZO<br />

Stanchi di pensare<br />

Barattano le loro vite<br />

Lasciandosi dietro<br />

I demoni del passato.<br />

Sono i senza patria<br />

Gli extra-comunitari<br />

Che in punta di piedi<br />

Trascinano<br />

I morsi della sofferenza<br />

All’ombra di bandiere<br />

Che sventola a mezz’asta.<br />

ALL’OMBRA DI BANDIERE<br />

77


ENRICO DI PASQUALE<br />

…DESIDERAVO TANTO CHE LEI RITORNASSE AD AMARE!!<br />

Sobrio d’amore il mio tenero dolce cuore,<br />

naufragava tra le onde tempestose del suo amore;<br />

navigavo in un mar d’amor pieno,<br />

disteso con la testa appoggiata dolcemente sul suo seno.<br />

Imperterrito le parole della sua vita ascoltavo,<br />

e con sicurezza dalla mia mente le cattiverie dette dagli altri cacciavo.<br />

Vagamente sentivo la sua inspirazione,<br />

mentre lei impaurita lasciava in me qualche emozione,<br />

catturata da una breve carezza,<br />

ma bastava per colorare la mia anima di tenerezza.<br />

Atterrito provai a baciare le sue dita,<br />

ad un tratto sentì il profumo della sua vera vita;<br />

alzai il mio sguardo audace,<br />

e la guardai dritto negli occhi,<br />

volevo vedere il suo volto felice,<br />

ma vidi scivolar lentamente dei fiocchi.<br />

Ero sicuro che erano lacrime di felicità,<br />

gettate via per dimenticare il passato vissuto in crudeltà.<br />

Stanco di osservare il suo retrattile sorriso,<br />

le chiesi se potevo riportare il sole nel suo viso;<br />

Mi rispose, fissandomi negl’iridi per qualche attimo,<br />

sembrava stordita da un incantesimo;<br />

raccolse le mie mani sparsi tra i suoi vestiti bianchi,<br />

e le portò al centro dei suoi fianchi,<br />

mi strinse a se con tutta la forze che le rimaneva;<br />

intanto il mio cuore più forte urlava.<br />

Chiusi pian piano le palpebre tremanti,<br />

e iniziai a sentire il suo respiro farsi avanti,<br />

docilmente le nostre labbra si sfiorarono,<br />

ed insieme i nostri sogni decollarono.<br />

Dopo pochi istanti riaccesi la luce alla mia vita,<br />

e capì che da quel momento la nostra vera vita era appena iniziata.<br />

Finalmente vidi la sua faccia inondata di un gran sorriso,<br />

con miliardi di raggi di felicità esplosi all’improvviso;<br />

contento notai le nuvole dai suoi occhi scapare,<br />

….desideravo tanto che lei ritornasse ad amare!!<br />

78


LEONARDO GAGLIO<br />

Avvolto dal dolore<br />

cerco<br />

Tra i tuoi baci<br />

ed i tuoi abbracci<br />

la passione di vivere<br />

portatami via<br />

in un sol secondo.<br />

Cerco la quiete<br />

che giaceva un tempo<br />

nel mio cuore.<br />

Stanco ed oppresso<br />

mi accoscio a terra<br />

sperando,<br />

che il tramonto<br />

arrivi presto<br />

e che mi porti via<br />

con lui,<br />

mostrandomi<br />

la vera quiete<br />

che si rifugia<br />

al di la della vita.<br />

AETERNA TRANQUILLITAS<br />

79


PAOLA GALIOTO GRISANTI<br />

L’AMORE<br />

L’amore è come il vento<br />

che corre su un binario,<br />

corre, sbuffa, ansima, rallenta,<br />

alle stazioni si ferma.<br />

E tu fanciulla svegliati,<br />

ascolta il tum, tum del suo cuore,<br />

sappi riconoscere se quello è<br />

il treno giusto dell’amore,<br />

se indugi, il treno potrebbe ripartire.<br />

Se ti capita di salire su quello sbagliato,<br />

aziona il freno, scendi,<br />

perché il treno dell’amore<br />

quello che per la vita<br />

ti accompagnerà presto arriverà.<br />

Ma tu fanciulla sappilo riconoscere<br />

non indugiare ancora,<br />

sali, e buon viaggio.<br />

80


PIETRO GIOJA<br />

Notte di vigilia<br />

lenta,<br />

arida,<br />

irreale.<br />

Di sterili sapori<br />

senz’amore,<br />

di torbidi silenzi<br />

senza pace,<br />

di vana pena<br />

sospirosa e mesta.<br />

Di cipressi<br />

e crisantemi<br />

aleggia cupo<br />

un senso d’abbandono<br />

tra gli amanti<br />

ed ella,<br />

schiena a schiena<br />

stesa,<br />

di fredda intima<br />

rugiada scintillante<br />

rivolge gli occhi<br />

in supplica<br />

ad una luna<br />

argento.<br />

E a ridestar rimorsi<br />

e amari<br />

ecco l’alba cinica<br />

sulla deserta terra.<br />

Ed egli allora<br />

in nugoli lunari<br />

polverosi<br />

di piatto lume<br />

diafano e rombante<br />

incontri a porti va,<br />

d’ogni rimpatrio vani.<br />

NOTTE DI VIGILIA<br />

81


Gelida,<br />

buia e vuota<br />

landa<br />

senza vita<br />

il borgo appare, ed ella,<br />

com’ossa inerti<br />

e sparse,<br />

ne resta invano<br />

eternamente<br />

parte.<br />

82


ENZA GIURDANELLA<br />

L’OLOCAUSTO<br />

Corpi ignudi buttati in una fossa,<br />

denudati della propria dignità….<br />

Corpi che sono solo un numero<br />

prigionieri di un’assurda<br />

spietata idea di perfezione<br />

che esalta quella razza che non esiste<br />

se non nella misera essenza di una folle idea….<br />

Corpi stracciati dalla fatica del sopravvivere<br />

chiusi come animali affamati di libertà<br />

in recinti di morte e di dolore<br />

appassiscono pian piano<br />

senza inutili lamenti… pochi lamenti<br />

in cui si specchiano grandi dolori<br />

ci guidano sul tortuoso sentiero dell’olocausto…<br />

Pochi lamenti ci dicono che esso è<br />

il frutto marcio d’un albero malato<br />

una cruda realtà che ha lasciato<br />

il marchio dell’orrore<br />

sui suoi martoriati figli.<br />

Chi osa ancora dire che esso sia<br />

solo l’illusione di gente allucinata<br />

da fervide fantasie?<br />

L’olocausto una cruda realtà.<br />

83


SALVO INSERAUTO<br />

Come spinge il tempo,<br />

quanto fretta mi mette addosso<br />

ed io a tamponar qua e là<br />

fra lavoro, famiglia e sogni.<br />

Corrono tutti,<br />

corre questa società,<br />

corre il consumo.<br />

Hanno votato la materia.<br />

Dov’è lo spirito?<br />

E quando è tempo<br />

Per le mie passioni?<br />

Voglio ritmi lenti, io<br />

Voglio osservare e studiare<br />

Ciò che sembra fermo,<br />

voglio assaporare cose e momenti<br />

ed intrattenermi con l’amore.<br />

Dov’è diretto l’uomo?<br />

Cos’è che cerca?<br />

Se questa è la strada,<br />

preferisco piccoli sentieri<br />

dove umile passeggia poca gente<br />

disposta ancora<br />

ad incontrar poesia.<br />

RITMI LENTI<br />

84


FRANCESCA LO DATO<br />

LA NATURA<br />

Quant’è bella la natura:<br />

c’è il mare, c’è la terra, c’è il sole e c’è la luna<br />

c’è il vento e la tramontana,<br />

c’è chi suona la campana,<br />

il prete che dice la messa,<br />

le persone tutte in festa,<br />

il tamburo va suonando per le strade allegramente,<br />

i bambini si risvegliano con ansia e chiamano la mamma.<br />

Mamma oggi è festa!<br />

Un vestito nuovo voglio indossare<br />

Che alla festa voglio andare.<br />

85


LILIANA MAMO RANZINO<br />

Nel deserto della mia vita<br />

piena di interrogativi, delusioni,<br />

dolori,<br />

ho trovato finalmente<br />

la vera e giusta risposta<br />

ai miei infiniti perché<br />

e alle mie ansiose attese.<br />

Altrettanto infiniti sono stati<br />

i granelli di quella<br />

finissima sabbia,<br />

sollevata da un immane bufera<br />

e che sono riusciti ad entrare<br />

nella mia mente,<br />

nei meandri del mio cuore<br />

e hanno lavato e spazzato via<br />

ogni mio dubbio,<br />

facendomi, così, conoscere<br />

chi sono io<br />

e a riconoscere chi è veramente Dio.<br />

NEL DESERTO DELLA VITA<br />

86


GIOVANNI MANNINO<br />

Afona scorre la notte.<br />

Occhi socchiusi<br />

Petto scoperto<br />

Supino riposo sul letto.<br />

Una zanzara<br />

Ronza all’ore4cchio<br />

Scrollo la testa, si sposta,<br />

mi punge sul petto.<br />

Accendo la luce<br />

Già ronza al soffitto.<br />

Le tiro il cuscino,<br />

ritorna, mi sfida.<br />

Le tiro una scarpa<br />

Sbaglio la mira,<br />

Che botta!... che schianto!...<br />

Ho rotto lo specchio.<br />

Mi armo<br />

D’un pezzo di straccio<br />

Con gli occhi sbarrati,<br />

L’aspetto.<br />

Non odo respiro<br />

Silenzio perfetto,<br />

E’ sparito nell’aria<br />

Quel piccolo insetto.<br />

Mi guardo ad un pezzo di specchio,<br />

sorrido, rifletto:<br />

“Che danno che ho fatto,<br />

era solo un invisibile insetto”.<br />

Se ti prendo!<br />

Ti strozzo, ti smonto, ti schiaccio.<br />

SE… TI PRENDO!...<br />

NOTTE D’ESTATE<br />

87


FABIO NOVELLI<br />

Ramoscello<br />

Placida acqua<br />

Inzuppar lento<br />

Nel frusciar del tempo<br />

Sottili onde<br />

Fra flutti disperse<br />

E soave vento<br />

Di sirena sospiro<br />

Regalar<br />

Profonde note incenso<br />

Sul pel del fiume<br />

Delicato Sole<br />

Affannosi raggi<br />

Riscaldar<br />

Nella silente quiete<br />

Dell’arso orto.<br />

ARSO ORTO<br />

88


KATIA OLIVIERI<br />

Le parole tra noi<br />

Cadono come l’ultima<br />

Indifferente pioggia<br />

Dai cornicioni.<br />

Ad un tratto<br />

si rammenta<br />

d’aver piovuto,<br />

che invano<br />

ha piovuto.<br />

INVANO<br />

89


MARIANGELA ROMANO<br />

Non temere<br />

non scorderò d’aver visto<br />

il tuo sguardo fiero<br />

chinarsi e tingersi<br />

di tristezza,<br />

non scorderò<br />

le tue lacrime piene<br />

d’amarezza,<br />

non scorderò<br />

il tuo profondo<br />

silenzio,<br />

non scorderò<br />

le tue mani tese<br />

per trovare conforto…<br />

Non temere<br />

non scorderò d’amare<br />

ciò che sei<br />

perché ho amato<br />

ciò che sei stato.<br />

NON TEMERE<br />

90


SCORSONE LUIGI SALVATORE<br />

L’ODIO<br />

Velo di vernice penetrante<br />

Sveglia la sofferenza e riapre le ferite<br />

Poiché l’animo non può sopportare a lungo<br />

cicatrici vecchie e stanche.<br />

Come un sibilo esaltante<br />

Lento e costante consuma la mente<br />

Ma spesso rinvigorisce la carne dolorante.<br />

Globo di fuoco dalle molteplici sembianze<br />

Corre veloce lo spillo vagante<br />

Attraversa il cuore… e con esso esplode inebriante!.<br />

Eppure gelido ferro è il suo primo segno<br />

Che viene vicino, si accosta supino<br />

Degno compagno del suo immenso freddo.<br />

Dopo è manifesto il suo urlo compiaciuto<br />

Alto e maestoso il suo ruggito<br />

Accolto forse…. solo perché ha trovato il vuoto.<br />

Figlio dei giorni dalla vita strappati<br />

Frutto amaro della coscienza che rinnega il dolore<br />

Ma come…..<br />

Come avrebbe potuto trasformarlo in amore?<br />

91


MAURO SAVINO<br />

L’ARIA NUDA<br />

Ascolto le foglie spezzarsi sul cemento,<br />

i rami stringere la mano al vento,<br />

i nastri sui lampioni schiaffeggiarsi,<br />

le piccole vendette dei bambini.<br />

Ascolto la paura<br />

e l’irrecuperabile.<br />

Ascolto la nostalgia del nulla.<br />

Ma dura solo un attimo.<br />

Torno ad illudermi<br />

di avere qualcosa da fare.<br />

92


GIUSEPPE SETTEMBRE<br />

Come un falcone inquadravi<br />

Dalla tua poltrona gli uomini<br />

Vigliacchi della mafia<br />

E dentro il borsellino del tuo<br />

Collega sbattevi i don… don…<br />

Che si innalzavano incutendo orrore<br />

E con ignoranza e la vostra<br />

Saggezza con coraggio<br />

Ha schiacciato il potere<br />

Della mafia.<br />

Morti siete per mano dei<br />

Mafiosi, ma il vostro coraggio<br />

Nei nostri cuori sarà per<br />

Sempre e la mafia guadagna<br />

Un nuovo soprannome:<br />

uomini dell’ignoranza<br />

e vigliaccheria.<br />

FALCONE E BORSELLINO<br />

93


CATERINA SICLARI<br />

Filtrano appena i raggi<br />

Dalle persiane semichiuse,<br />

nella casa del sole,<br />

un tempo infuocata<br />

da impetuose passioni<br />

e rischiarata<br />

da irrefrenabili emozioni.<br />

Ritratti, sfumati<br />

dalla luce fioca,<br />

che, di sbieco,<br />

ferisce volti e sagome<br />

del tempo che fu.<br />

Gingilli, dalle tinte indecise,<br />

che si ergono a testimoniare<br />

che la felicità,<br />

un giorno,<br />

albergò nella casa del sole.<br />

LA CASA DEL SOLE<br />

94


SALVATORE SUNSERI<br />

Apro gli occhi<br />

E mi trovo in un immenso campo<br />

Quanti colori,<br />

quanti profumi,<br />

quanti pensieri….<br />

…. Ad un tratto<br />

una rosa rossa<br />

spicca più alta di tutti;<br />

La vedo,<br />

e’ lontana, irraggiungibile,<br />

ma è troppo bella.<br />

La voglio,<br />

ma è troppo lontana.<br />

Allora un petalo rosso<br />

s’innalza in volo e si avvicina,<br />

si avvicina si avvicina<br />

E’ lei!<br />

Un petalo rosso è servito<br />

a rendermi per sempre<br />

l’uomo più felice del mondo<br />

UN PETALO ROSSO<br />

95


MARIA ROSA TOMASELLO<br />

Arriva con enormi pesi,<br />

valige, zaini,<br />

coperte, viveri.<br />

E’ gente del sud,<br />

triste, taciturna,<br />

ha attraversato<br />

il lungo sentiero<br />

che porta al nord,<br />

la nebbia li accoglie<br />

ed una fabbrica<br />

aspetta braccia robuste<br />

e mani callose,<br />

la nera terra fertile,<br />

il sole, il mare,<br />

sono ormai lontani.<br />

Un giorno<br />

ritorneranno al sud<br />

e i loro vecchi, chissà<br />

se li aspetteranno nel cortile<br />

o in un angolo accovacciati<br />

con la morte nel cuore<br />

per la solitudine,<br />

per il loro muto dolore.<br />

Un giorno<br />

ritorneranno al sud,<br />

riposeranno sotto il grande albero<br />

nella nera terra fertile,<br />

dove avevano lasciato<br />

le loro radici.<br />

GENTE DEL SUD<br />

96


GLORIA VENTURINI<br />

Si strugge la sera<br />

dentro al rosso di un tramonto,<br />

dietro il tetto di una chiesa solitaria.<br />

Le mani delle alghe<br />

afferrano le lacrime salate<br />

del mare in bufera.<br />

Deboli speranze di cicala svaniscono,<br />

falciate dalla mietitura di Atropo.<br />

- Non chiudere<br />

il volo d’aquila<br />

dentro al cassetto! -<br />

Quel sorriso di ninfea<br />

scioglie stille di rugiada,<br />

il giglio tatuato sulla pelle<br />

profuma di purezza,<br />

di anima e di vita.<br />

E ti ritrovo<br />

nel bosco dei sentimenti,<br />

tra i sentieri degli amanti<br />

dove s’incontrano<br />

di nascosto i ciclamini,<br />

poi, insieme,<br />

asciugheremo il pianto delle cicogne,<br />

le vestiremo di nuove rose.<br />

Nell’arcata della notte,<br />

la via delle stelle illumina il cammino.<br />

- Vola con ali di gabbiano -<br />

Una culla,<br />

tra i fiori bianchi di ciliegio<br />

- Lieto dormi tenero amore-<br />

Bussa alla finestra<br />

la primavera,<br />

soffia sui sogni,<br />

ti vuole svegliare.<br />

ALI DI GABBIANO<br />

97


LUANA ZAMPIERI<br />

Scendono<br />

Lacrime d’amore<br />

Sulla favola<br />

Che ha scritto il cuore<br />

Ormai<br />

Senza personaggi.<br />

Lei,<br />

delusa dal finale<br />

pensa<br />

ai teneri momenti ormai distrutti.<br />

Lei,<br />

sola tra tanti immagini<br />

che invadono la mente,<br />

ormai, lontane da afferrare.<br />

Lei,<br />

isolata nel dolore<br />

nel nido ancora caldo di speranza.<br />

Forse cerca il coraggio….<br />

La forza per tornare<br />

a guardare il sole.<br />

Sbrigati che tramonterà…<br />

ORMAI…FINE<br />

98


POESIA<br />

IN DIALETTO<br />

SICILIANO<br />

99


GIUSY RENDA<br />

A li voti taliu i strati<br />

e mi parinu trazzeri,<br />

i cristiani mi parino<br />

cu cavaddi e cu sciccareddi.<br />

Ci su cavaddi ca caminanu<br />

ca testa tisa tisa<br />

e un ti talianu<br />

chini chini di boria e di superbia.<br />

Ci sunnu i sciccareddi<br />

ca un annu mancu la forza<br />

d’arragghiari<br />

e u stissucaminanu e travagghianu<br />

puru pi patrunazzi tinti…<br />

Ci sunnu i cavadduzzi sapuriti<br />

ca pari ca ridissiru<br />

quanni rapinu la vucca<br />

cu ‘ddi beddi denti bianchi<br />

Chisti pari ca ridissiru<br />

ma ‘cchiu spissu chiancinu<br />

e unnu sapi nuddu…<br />

mancu si fannu sentiri<br />

pi fari nu lamentu<br />

Ci sunnu i scecchi<br />

ca vulissiru fari i cavaddi<br />

ma un annu né a linia<br />

né mancu a vuci<br />

E va cummattitici cu chisti…<br />

Duri, ma duri comu su,<br />

‘ci putissuru scafazzari i nuci<br />

cu la testa…<br />

Megghiu starici luntanu<br />

si sunnu arraggiati,<br />

picchi di tanti buoni buoni<br />

ca ti parinu,<br />

tanti beddi cavuci ti sannu dari,<br />

si c’acchiana a giuggiulena….<br />

Ci sunnu beddi cavaddi,<br />

1° CLASSIFICATO<br />

CAVADDUZZI E SCICCAREDDI<br />

100


ma beddi veru,<br />

ca beddi su sulu di faccia<br />

e no ‘nta la testa<br />

Appena parranu<br />

c’è sulu di scappari o<br />

di mittirici un tappu<br />

‘n mucca.<br />

Piccatu,<br />

picchì putissiru curriri luntanu<br />

e inveci arrestanu sulu<br />

‘nta stadia unni nasceru<br />

Ci semu tanti cavadduzzi,<br />

lari e beddi,<br />

ci semu tanti sciccareddi,<br />

‘ntuntaruti e svigghiareddi<br />

ma sempre armaluzzi arristamu<br />

si la bedda ‘ntelligenza<br />

ca u Patri Eternu ‘nni retti,<br />

misericurdiusu com’è,<br />

unna facemu stiddiari<br />

comu ‘ddu raggiu di suli e d’amuri<br />

ca ogni matina ‘nni vasa e<br />

nn’arruspigghia…<br />

101


RITA ELIA<br />

2° CLASSIFICATO<br />

U PRISEPIU VIVENTI<br />

Chi cci porti o Signuruzzu?<br />

-Nà fascedda di ricotta,<br />

picuraru sugnu iu,<br />

‘un haiu autru ‘ntà sta sporta!<br />

Tu chi porti jardiunaru?<br />

-Portu ciuri vellutati<br />

e un panaru chinu di frutta,<br />

mi cuntaru ca sta notti<br />

ci fu nascita ‘ntà grutta!<br />

Piscatori, tu chi porti?<br />

-Pisciteddi vivi-vivi,<br />

fannu ciauru di mari,<br />

‘un c’è autru ‘ntò cannistru;<br />

chistu è tuttu u mè campari!<br />

Tu chi porti, lavannara?<br />

-Panniceddi profumati pi ‘nfasciari lu Missia<br />

ca nasciu ‘nta stù munnu puvureddu comu a mìa!<br />

Tu craparu, chi ci porti?<br />

-Na pizzudda di formaggiu<br />

e latti friscu di crapuzza pi cuariari ddà vuccuzza!<br />

Furnareddu, tu chi porti?<br />

-Dui panuzzi cauri-cauri, quattro ligna e carbuneddu<br />

p’addumari canticchia di focu e cuaruari u bambineddu!<br />

Picciutteddu, tu chi porti?<br />

-Iu ci vaiu p’addummannari comu fari pi campari,<br />

Portu appressu i mè spiranzi,<br />

Portu appressu i mè penzeri,<br />

ci li mettu avanti e peri!<br />

E tu, riccu, chi ci porti?<br />

-Iu nun portu nenti a nuddu,<br />

tuttu chiddu ca haiu è miu,<br />

cu stu poviru ‘un haiu chi fari:<br />

nun è chistu lu me Diu!<br />

102


NOTTI D’ECCLISSI<br />

‘Nto cori haiu casciunedda di ricordi<br />

ca ogni tantu grapu e nesciu fora;<br />

stasera nni grapìu unu cchiù anticu<br />

mentri staiu a taliari l’infinitu.<br />

E m’attrovu ‘ntò paisi unni crisciu,<br />

unni muviu li primio passiceddi,<br />

paisi ca è chiamatu “di li stiddi”<br />

unni mè matri di nica m’annacò<br />

e “pi grazia ricivuta”<br />

p’amuri a Santa Rita a Idda mi vutò.<br />

Mi viru picciridda ‘ntà ddì strati,<br />

ci attrovu muntagneddi di frumentu,<br />

astrattu misu o suli, mennuli a mannari<br />

e iu, chi trizziteddi o ventu,<br />

a curriri e a scialari.<br />

Ci viru carritteddi di ramagghia<br />

E sciccareddi carricati a fenu e pagghia.<br />

E attrovu li cianuri di nà vota,<br />

di cosi veri, di cosi sinceri;<br />

di oani di casa<br />

e di mè matri ca m’abbrazza e mi vasa.<br />

Stanotte ca u suli s’abbrazza ca luna e l’accarizza<br />

e idda arrùssica e poi affruntusa si v’ammuccia;<br />

grapìu stù casciuneddu assai luntanu<br />

e tornu arreri ddòcu…<br />

p’attruvari i so vasati, p’arrubbari i carezzi di so manu.<br />

103


L’EMIGRANTI<br />

Quann’eru caruseddu,lassai lu mè paisi,<br />

a genti canusciuta e a terra catalisi.<br />

Eru comu un passareddu ca fa canciu di nidu,<br />

in cerca di distino, vulaiu ‘nta n’autru lidu.<br />

‘Nta l’occhi mi purtaiu u mari da Sicilia.<br />

‘ntò cori la me genti,<br />

i cianuri, la parrata e a festa di sant’Agata.<br />

E’ appressu li spiranzi di conciari u me avveniri,<br />

d’aviri cchiù fortuna, d’attruvari dignità<br />

e scurdarimi pi sempri a fami e a puvirtà.<br />

E’ l’anni hannu passatu, nun sugnu cchiù carusu,<br />

canciò lu me distino ma u coru l’haiu piatusu;<br />

quannu penzu a mè la terra ca mi dava pani amaru<br />

e arrivannu a fini misi si tirava u paru e sparu .<br />

E spissu iu ci tornu e m’afferra a nostalgia<br />

E tornu arrè ‘ntarreri cu la mè fantasia:<br />

- vaiu a trovu li mè amici, mè matri picciuttedda,<br />

i cianuri di nà vota, vanedda pi vanedda.<br />

Mi viru arrè carusu, cu cori spiranzusu.<br />

I tempi si canciaru, l’amici si straviaru,<br />

giranno pi vaneddi, nun trovi i vicchiareddi,<br />

a genti di nà vota ormai ‘un sunnu cchiù,<br />

taliu la mè matruzza ca persi a gioventù:<br />

- mi sentu un catalisi, stranieru o so paisi.<br />

‘Nto cori marristò sulu la nostalgia<br />

e lu disiu d’amuri pi la terra mia!<br />

104


SALVO INZERAUTO<br />

Vulissi ca mi passassiru lu stipendio<br />

Senza ca io avissi a travagghiari<br />

Ma no picchi sugnu lagnusu<br />

Ma pi tuttu chiddu c’addisiu di fari.<br />

Putissi scriviri nu libru<br />

aviri chiù tempu pi la puisia<br />

ririssi sempri lu me cori<br />

fussi chiù bedda a vita mia.<br />

Pi cumpletari li me versi<br />

mi tocca fari li nuttati<br />

e quannu stancu mi va curcu<br />

è sulu tempu di latrati.<br />

A voti mi sentu comu gravitu<br />

l’avvertu forti dintra di mia<br />

e comu na fimmina c’accatta<br />

partorisci l’ultima puisia.<br />

Bedda Sicilia mia<br />

quasi sempre vistuta di stu suli<br />

truccata d’alligria<br />

nascunni la to facci di duluri.<br />

Supporti ‘sti supprusi<br />

nun guarisci mai di ‘stu tumuri<br />

ca tutti ‘sti mafiosi<br />

ca sunnu tuttu tranni ca dutturi.<br />

Ma ‘nta sta terra<br />

la genti nun po sempri subiri<br />

e fa na guerra<br />

dunni spissu s’arrisica a muriri.<br />

L’unica so arma è lu curaggiu<br />

e tu tintu guvernu<br />

c’avissi a essiri chiù saggiu<br />

nun smovi un pernu.<br />

Poi quannu suddedi un fattu gravi<br />

3° CLASSIFICATO<br />

TEMPU PI LA PUISIA<br />

SICILIA MIA<br />

105


prumetti sempri tantu<br />

e mentri cu la vucca siti bravi<br />

ccà resta lu chianti.<br />

Lu sicilianu servi sulu allu putiri<br />

p’aviri a maggioranza<br />

e dintra di tia ancora viu cu dispiaceri<br />

tanta ‘gnuranza.<br />

- Domani ti porto dai nonni<br />

Li lo sai che ti diverti –<br />

Spissu dicinu accussì li figgi<br />

a li so picciriddi.<br />

E già! Li nonni su sempri pronti<br />

a tinirisilli li niputeddi<br />

quannu li figgi sunnu ‘npignati<br />

o nescinu pi ghirisi a scialari.<br />

Ma iddi lu fannu cun amuri<br />

e virennusi arrivari ‘sti ‘nuccenti<br />

nun sannu prima zoccu ci hannu a dari<br />

e li figghiuzzi stanno assai contenti.<br />

Poi si li portanu pissinu a spassu<br />

firmannusi ‘nta na villa pi jucari<br />

e si ci trovanu li jaggi cu l’armali<br />

li picciriddi si c’incoddanu a talari.<br />

Turnannu dintra dopu la passiata<br />

si nni fannu fari di tutti li coluri<br />

si mettine macari a quattro zampi<br />

e lu picciriddu s’addiverti a cavarcari.<br />

LI NONNI<br />

Quannu sunnu stanchi poi, cumincianu:<br />

-Nonno cos’è questo? Nonna cos’è quello? –<br />

E li nonni rispunnennu li sannu suddisfari<br />

ma comu raccumannanu li figgi, in italianu.<br />

Appressu,’nvicchiannu ‘sti nunnuzzi<br />

pi certi figghi diventanu di pisu<br />

e s’arriducinu via via sempri chiù suli<br />

pirdennu araciu araciu ogni surrisu.<br />

Ora, spirannu ca nonnu ci addiventu<br />

Nun criu c’avissi a passari tanti peni<br />

Nun m’abbannunerannu, mi lu sentu<br />

La figghia mia mi voli troppu beni.<br />

106


E, in ordine alfabeto, tutti gli altri che hanno partecipato a<br />

questa sezione del concorso.<br />

GIUSEPPE BATTAGLIA<br />

A matina s’arruspigghia<br />

Quannu a casa s’è quariata<br />

Apri l’occhi spadigghiannu<br />

Accumincia n’autra junnata<br />

Mentri infial li tappini<br />

Idda nun s’api cosa fari<br />

E unn’havi accuminciari<br />

Pi la casa arrisittari<br />

Idda pensa consu u lettu<br />

Megghiu rugnu na scupata<br />

E accussi lu tempu passa<br />

E si sciupa a matinata<br />

Pi lu sforzu di pinzari<br />

La so menti ormai è stanca<br />

Mancu scupa nu ffa nenti<br />

E la vuluntà ci manca<br />

Quannu la sira lu maritu<br />

S’arricogli ri travagghiari<br />

Viri la mogghi stanca assai<br />

Cu la testa di pinzari<br />

Talja lu lettu munciuniatu<br />

Cu lu linzolo tuttu sporcu<br />

Comu fussi priparatu<br />

Pi ddurmirici nu porcu<br />

Mischinazzu ci siddia<br />

Di fari alla mogghi na carizza<br />

La s’o casa è ‘ngrasciata<br />

Tutta china ri munnizza<br />

Ci pigghia nu cestu<br />

Comu fussi na pazzia<br />

A MUGGHERI N’GRASCIATA<br />

107


Nun s’afira chiù a stari<br />

fra la grascia e la fittizia<br />

iddu allora unni po’ cchiù<br />

e scuppiata a so pazzia<br />

abbannuna mogghi e casa<br />

pi ‘nanticchia di pulizia<br />

108


ANGELA CASALE<br />

‘Na la me casa nun c’è nenti<br />

nun ci sù mobili divani<br />

nun ci su cosi appariscenti p’ingannari<br />

l’uocchi di lu visitatori<br />

Ma ci sù du fari lucenti<br />

Ca la me casa inchinu di sbrannuri.<br />

‘NA LA ME CASA<br />

M’abbasta pur una vota d’acqua e un muzzicuni<br />

Di pani e gghirimi a ccurcari<br />

Mianzu a sta luci<br />

Ca la me casa inchi e lu tiampu<br />

Un si viri passari<br />

O cori di Gesù<br />

Canaluto juarnu<br />

Sti du figghiunazzi mi vulisti dari<br />

Ia tirringraziu assai e a tuttu<br />

Lu munnu lu vuogghiu gridari.<br />

109


ENZO DI GAETANO<br />

Forsi su tutti ca la<br />

Paci cercanu,<br />

forsi su tutti ca la<br />

paci vonnu.<br />

Però piccatu ca sta<br />

Gran parola,<br />

è comu l’aria chiusa<br />

rintra on pugnu,<br />

c’appena rapi a manu<br />

nun si trova.<br />

SI CERCA E NUN SI TROVA<br />

110


PIETRO DI GIOVANNI<br />

Cent’anni, natri centu e centu ancora<br />

passaru, hann’a passari e passeranu<br />

e finu a quannu girerà stu munnu<br />

‘nto cori ci sarà sempri a me terra.<br />

E pensu a cu è partutu<br />

E pensu a cu è partutu<br />

Cu lassa la so terra unn’è mai cuntentu<br />

E pensa all’aria frisca e o beddu suli<br />

E a quannu si parteva cu li muli<br />

Pi ‘gghiri a siminari lu furmentu.<br />

Cu a bedda pupa ‘i pani ‘nna vardedda.<br />

Cu a furma di tumazzu e quattro alivi<br />

E ancora oggi ia li sentu vivi<br />

Sti sciauri e sti sapuri campagnoli.<br />

Chisti su cosi santi e veri<br />

Chisti su cosi di ricurdari<br />

Chista è la forza di na cultura<br />

Chisti su cosi ormai luntani.<br />

E pensu o munnu d’oggi<br />

E pensu: ci vò curaggiu.<br />

Oggi ca un c’è travagghiu<br />

Oggi ca c’è pitittu<br />

Oggi ca si sta peggiu<br />

Di quannu si stava “peggiu”<br />

Cent’anni, n’atri centu e centu ancora<br />

Passaru, hann’a passari e passerannu<br />

E finu a quannu girerà stu munnu<br />

Ìnto cori ci sarà l’aria di lu paisi.<br />

L’ARIA DI LU PAISI<br />

111


MICHELANGELO DI LORENZO<br />

‘Nsemula tiramu avanti<br />

spartinninu puru lu sonnu.<br />

Mi veni appressu<br />

cuntannumi li pidati<br />

senza lagnarisi<br />

di nudda cosa.<br />

‘Un è la mè cumpagna<br />

‘Un è lu mè amicu<br />

e amncu è<br />

ddu figghiu masculu<br />

ca ‘un haju.<br />

Si vò sapiri di cu parru!<br />

Ascuta lu cori.<br />

Si batti senza timuri<br />

‘un aviri scantu<br />

picchi si ‘ntra di tia<br />

cc’è ‘na cuscenza….<br />

Chidda è!<br />

CHIDDA E’<br />

112


PAOLA GALIOTO GRISANTI<br />

QUANNU ‘U PANI A LA CASA SI FACIA<br />

Quannu ‘u pani a la casa si facia<br />

tutti prestu a la matina si struvigghiavanu<br />

e cu fari lestu e allegru,<br />

dopo avirisi misu ‘u muccaturi ‘ntesta<br />

a farina ri frumentu<br />

mittivanu intra la madida.<br />

La farina viniva cullucata a funtanedda<br />

e dinta sta funtana sali,<br />

lievitu e acqua aggiungivanu.<br />

Cun fari amurusu la fimmina<br />

cuminciava a ‘mpastari.<br />

Tantu era l’amuri ca ci zittiva,<br />

ca pi idda tutti i furmi chi costruiva<br />

eranu comu tanti picciriddi.<br />

Li lisciava mittennuci a giuggiulena<br />

l’aggiustava, picchi vuleva ca nun<br />

si sformassiru quannu dintra<br />

a lu furnu già camiatu<br />

so maritu a cociri li mittia.<br />

I jorna i festa, si ‘n famigghia<br />

c’erano picciriddi, u pani<br />

pi sti picciriddi viniva mudillatu<br />

a forma di pupidduzza pa fimminedda<br />

u cavadduzzu cu cavaleri era pu masculiddu.<br />

Poi a furma a cannistru cui ciuri<br />

era pi dunarlu a ‘n signora<br />

privileggiata ca magari idda a<br />

casa ‘u pani ri frumentu nun facia.<br />

Ah chi ciauru si rispirava<br />

‘n dda casa quannu ‘u pani si facia!<br />

113


ENZA GIURDANELLA<br />

Nànna ca si sempri ntò ma cori<br />

m’arrivuòrdu li tà cùnti<br />

ntà li sìrì timpistùsi<br />

cuànnu iu rè lampi e truòna<br />

mi scantàva e m’ammucciàva.<br />

ca vuciùzza tua ammalata<br />

mi ciamàutu e mabbrazzàutu,<br />

iu cu tia m’alliscìautu<br />

av’a ‘u curagghiu ri’n liùni<br />

e ‘a furzàzza ri nu draùni.<br />

Puòi lu tièmpu trascùrria<br />

puòi ‘ntantu iu criscia<br />

ma li cùnti ri la nànna<br />

nto ma còri mi purtàva.<br />

Iu criscìa, iu criscìa…<br />

M’arrivuòrdu i ta palori<br />

sèmpri aruci e allatinàti<br />

cuànnu iu mi rispìrava<br />

pi n’amùri cuntrariàtu<br />

na passiòni nun capùta<br />

pi l’amùri chiddu miu:<br />

Iu criscìa, iu criscìa….<br />

Ora nànna sùgnu rònna<br />

e puòi cuànnu piènzu a tia<br />

iu ti rìciu e ti cunfièssu<br />

ràmmi a fòrza ri caìiri<br />

tùtti i pèni e li catìni…<br />

Pacinziùsa còmu a tia<br />

vuògghiu sìri nànna mia<br />

picchì sì pi mia na stìdda<br />

ca mi pùnta e m’ancuatrìa<br />

picchì si pi mia lu spècciu<br />

e ‘a vèra fòrza ra vìta mia.<br />

I CUNTI RA NANNA<br />

114


SERAFINA MARIA GULLO<br />

Chi fannu li stinni ‘nto cielu?<br />

NOTTI D’AUSTU<br />

Parino tanti lamparini annusati pi fari festa<br />

pì l’omini boni e pì chinni malvagi.<br />

Ascutanu li nostri prieri<br />

e sentinu li nostri lamenti.<br />

Talianu stu munnu chi furria continuamente<br />

e nun trova mai risettu.<br />

115


TOTO’ IMBURGIA<br />

Un ghiornu ‘ nta la chiazza caminannu<br />

C’era un furasteri supra un mulu<br />

Chi si nnhi ava tranquillu e sulu<br />

A lu so paisi luntanu un munnu.<br />

Lu vitti unu ca di ririri lu spinnu avia<br />

E virennu ca c’eranu du’ corna ‘ncantu,<br />

ca di vitennu eranu statu gran vantu,<br />

s’avvicinau, e senti a chiddu chi dicia:<br />

“amicu ca iri faciti di cursa,<br />

nun viriti ca pirdistivu l’urnamentu<br />

ca a lu vostru paisi è grannhi vantu?<br />

Turnati pi nun fari fatia persa!<br />

Stu passiggeru, senza scumpunimentu,<br />

si ferma di bottu cu maravigghia,<br />

e, isannu la manu lassa la brigghia,<br />

e la frunti si tocca p’un mumento;<br />

e arrispunnennu all’amicu furbu<br />

ca cririri si facia gran furfanti:<br />

“Amicu li me corna sunnu ‘nfrunti,<br />

li vostri però nun viu o sugnu orbu?<br />

Certu perdiri li facistivu ccà,<br />

nun viri ca la testa s’alliggiriu cchiossà?<br />

LI CORNA DI CU SUNNU?<br />

116


LO DATO FRANCESCA<br />

POESIA<br />

Compari ortulanu vi cunfessu cà<br />

a mia mi piaci assai lu vinu<br />

e lu tegnu caru nà la utti mia.<br />

E ora arrispunnu iu cumpari pitturi e vi dicu,<br />

cà pi mia amu assai l’acqua,<br />

cà iu senza acqua mi viu persu<br />

cà di tanti travagghi ca aiu fattu<br />

si nùn chiovi sugnu pirdutu,<br />

e prego notti e jornu a lu signuruzzu<br />

chi mi aiuta e fa chioviri,<br />

ca si manna l’acqua di lu cielu<br />

iu e la mia famigghia la pasta<br />

e lu pani dicà laiu accattari,<br />

caru compari ognunu garantemu u nostru interessu<br />

117


ANTONINO LO PIPARO<br />

‘NTA LU MUNNU IN CERCA D’AMURI<br />

Un toccu di picciriddi di la luntana Russia,<br />

si misiru l’ali e vosiru velari,<br />

e vonnu sapiri, si ancora ‘nta stu munnu<br />

chinu di massacri e di tirruri, chi fu fattu bellu di nostru Signuri,<br />

ancora c’è un angulu d’amuri.<br />

E parteru, passaru celu, terra e mari<br />

e ‘mmenzu di acqui azzurri<br />

vittiru la nostra bedda Sicilia,<br />

ridenti, china di suli e d’amuri,<br />

chi l’aspittava.<br />

Calare ‘nta lu nostru paisi<br />

e pusaru supra un grandissimu arbulu di pinu,<br />

unni supra la cchiù avuta cima,<br />

c’era mamma Antonella cu li brazza aperti<br />

ca cu tantu amuri l’aspittava,<br />

si l’abbrazzò tutti e si li scinniu<br />

dintra la so bella casa.<br />

Io li vitti e mi ficiru tanta tinnirizza,<br />

la vuci e l’amuri di mamma Antonella<br />

traforò tutti li casi di lu nostru paisi,<br />

unnè chi tanti matri disposti a dari affettu e amuri<br />

si sparpagghiaru e si li purtaru dintra li so casi<br />

e iddi chini di gioia, facennu lu cantu come l’acidduzzi,<br />

truvaru lu nidu di l’amuri e di la paci.<br />

Vulissi ca pi tutti li Nazioni<br />

e pi tutti i paisi ru munnu<br />

avissiru l’amuri e l’esempiu<br />

c’annu ratu sti granni matri di lu nostru paisi,<br />

nun ci fussiru cchiù guerri,<br />

nun ci fussiru massacri<br />

e rignari la paci.<br />

118


MANNINO GIOVANNI<br />

A ‘n’angilu<br />

ca si pusò supra li me spaddi<br />

cci vosi dummanari:<br />

“Unn’è l’autru munnu?”.<br />

Iddu m’arrispunniu:<br />

“E’ ccà!”<br />

Quannu sta vita<br />

ti vota li spaddi<br />

ti cci trovi ‘nfunnu.<br />

ANGILU<br />

119


LILIANA MAMO RANZINO<br />

Senza a nuddu vuliri livari<br />

v’assicuru ca sulu ‘na matri<br />

certi cosi li po’ capiri.<br />

Li figgi sunnu sangu du sò sangu<br />

ciamma di lu sò cori<br />

focu di li so vini.<br />

A matri di li figghi<br />

talia la cera<br />

e quannu li viri patuti e sicchi<br />

ccu l’occhi ci vulissi<br />

unciari li masciddi.<br />

Subbitu s’innaduna<br />

si soffrinu<br />

e già ‘nta lu sò cori<br />

c’è ‘n ranni pena.<br />

A matri a li figghi<br />

ci talia la vucca<br />

e l’ucchiuzzi<br />

si sunni risolini<br />

e ‘nta lu so cori<br />

si viri passari tutti li peni.<br />

Accussi, iu e tutti li mastri veri<br />

talianu li propri figghi,<br />

li propri criaturi<br />

e vulissiru<br />

ca sempri contenti e alleri fusiru<br />

mai afflitti da guai e peni<br />

e pì iddi preianu<br />

matina e sira<br />

ccu sincera firi.<br />

OCCHIU DI MATRI<br />

120


MARIA ROSA TOMASELLO<br />

Picchì si sinteva granni,<br />

picchì si sinteva omu<br />

picchì vuleva essiri libiru,<br />

comu na foggia<br />

ca si stacca di l’arbulu,<br />

un ghiornu<br />

di casa scappò Renzinu<br />

e, ‘ncumpagnia<br />

di quattro amici,<br />

lassò lu so paisi.<br />

Ma aveva fattu pochi passi,<br />

pochi passi appena<br />

e già n’era pintutu,<br />

vuleva a casa riturnari,<br />

ma comu a correnti d’un ciumi<br />

chiddi quattro su trascinare luntanu.<br />

Passò na simana<br />

e chi sacchetti vacanti<br />

tutti si truvaru;<br />

qualcunoi piunsò di iri a rrubari<br />

pi putiri campari<br />

senza travagghiari.<br />

Ma sulu Renzinu dissi:<br />

“iu nun ci vegnu!<br />

sta pinsata nun mi convinci<br />

pigghiatimi pi vigliaccu,<br />

si vuliti,<br />

ma iu lu stessu vi salutu<br />

e pi la me strata vaiu.<br />

Iu vogghiu sazziarimi di pani<br />

‘mpastatu di travagghiu,<br />

rispirari aria pulita<br />

‘nta la vecchia casa<br />

rispicchiarimi<br />

nna l’uocchidi lu munnu,<br />

e cerca<br />

di paroli saggi.”<br />

LU SBAGLIU DI RENZINU<br />

121


CATEGORIA BAMBINI<br />

E RAGAZZI<br />

122


SEZ A POESIA DIALETTALE<br />

1° CLASSIFICATO SEZ A POESIA DIALETTALE<br />

ENZO CIVILETTO:<br />

Civiletto Vincenzo è nato a Termini Imerese il29.09.1994, abita a <strong>Cerda</strong> e frequenta<br />

nell’anno scolastico <strong>2004</strong>-2005 la 5° elementare nell’istituto di <strong>Cerda</strong>.<br />

U MISTERI DI ME PATRI<br />

Quannu a notti veni,<br />

accumincia u misteri di me patri.<br />

Iddu arriva o furnu ch’è ancora scuru<br />

E accumincia a ‘mpastari.<br />

Fa u pani e tanti autri cosi boni.<br />

Metti ‘nsemmula<br />

A farina, u Sali, u lievitu, l’acqua,<br />

e li fa girari.<br />

U fa comu ‘na vota.<br />

Sulu ca si fa aiutari de macchini<br />

ca ci sunnu uora.<br />

Quannu su pronti i pupi,<br />

li fa limitari.<br />

Aspetta cu pazienza u tempu ca ci voli.<br />

Ora è pronto pi ‘nfurnari.<br />

Passa u tempu, e quannu si coci,<br />

u sciauru arriva, arasciu arasciu,<br />

‘nte casi di li cristiani, e li fa struvigghiari.<br />

Eccu ca aggiorna<br />

E tutti s’accattanu lu pani cauru cauru.<br />

Comu è bieddu u misteri di me patri<br />

123


MARRAFFINO ELENA:<br />

Marraffino Elena undici anni, ha tanti hobby, ma il suo preferito è la lettura.le piace<br />

la scuola ed adora stare insieme agli amici. E’ vincitrice del concorso per “LA<br />

MIGLIORE PRODUZIONE COMUNICATIVA”, anno scolastico 2002/2003 E’<br />

vincitrice del concorso di letteratura “IO E IL LIBRO”, anno scolastico <strong>2004</strong>/2005.<br />

Ha partecipato al 1° concorso letterario “MAESTRO CALOGERO RASA”,<br />

presentando la poesia in dialetto siciliano sotto citata “U PUTIRI DI NNIENTI”, che<br />

è stato oggetto di studio di una scuola del Friuli, con la pubblicazione su un giornale<br />

locale…… Anche nella sua scuola L. Pirandello di <strong>Cerda</strong>, il Preside ha messo in<br />

circolare la stessa, al fine di farla leggere ai ragazzi dell’istituto.<br />

U PUTIRI DI NNIENTI<br />

(IL POTERE DEL NIENTE)<br />

A MAFIA………..<br />

A MAFIA UNN’ESISTE !<br />

CHI CUOSA E’ A MAFIA ?<br />

UNNI’ E’ A MAFIA ?<br />

A CHISTA DUMANNA ARRISPUNNINU TUTT’ ACCUSSI’……<br />

STAIU ZITTA, TALIU A TELEVISIONE E SIENTU,<br />

SIENTU CUOSI E CAPISCIU.<br />

CAPISCIU CHIU’ DI UNU RANNI E PUOZZU MMAGGINARI.<br />

SUGNU STATA FURTUNATA……………<br />

FURTUNATA PICCHI’ NASCIU N’TA NA FAMIGGHIA<br />

CA’UNNE MAFIUSA<br />

MA AUTRI PICCIRIDDI COMMU AMMIA, UNN’ANNU<br />

AVUTU STA FURTUNA.<br />

SUBBISCINU E CUNTINUANU A SUBBIRI<br />

E QUANNU SU’ GRANNI ANNU FUORSI UN PUTIRI<br />

U PUTIRI DI NNIENTI<br />

PICCHI A MAFIA E’……….. NNIENTI !!!!!!!<br />

Questa poesia la dedico alla mia famiglia, e ai miei docenti che mi hanno<br />

insegnato in tutto questo tempo……………<br />

124


SEZ B “POESIA IN ITALIANO ”<br />

1° CLASSIFICATA SEZ B POESIA IN ITALIANO<br />

JLENIA MARIA MARRAFFINO:<br />

Marraffino Jlenia Maria ,di Francesco Antonio e Tuso Concetta è nata a Cefalù (PA)<br />

il 24.12.1994 è residente in Via G.Cascino n°58 – 90010 <strong>Cerda</strong>(PA). Frequenta il I°<br />

anno della scuola secondaria di I° grado dell’Istituto Comprensivo “ L. Pirandello ”<br />

di <strong>Cerda</strong> (PA).<br />

Vincitrice del I° Concorso Letterario “ Maestro Calogero Rasa ”, Categoria “<br />

Poesia in Italiano ”, organizzato dall’associazione culturale “ La Nuova Compagnia<br />

Città di <strong>Cerda</strong> ”, svoltosi a <strong>Cerda</strong> il 26/12/<strong>2004</strong> (vedi Poesia allegata); Seconda<br />

classificata alla 5^ Festa della Canzone Italiana organizzata dall’Istituto Comprensivo<br />

“ Paolo Balsamo ” di Termin Imerese (PA) il 15/04/2005.<br />

Hobby: Disegno; Canto; Ballo ( frequenta da diversi anni la scuola di danza “ Show<br />

Dance “ di <strong>Cerda</strong> e ha partecipato a diverse gare regionali di Ballo Liscio con ottimi<br />

piazzamenti );<br />

Jlenia Maria Marraffino ha partecipato anche alla sezione narrativa con il<br />

brano “Una ragazza coraggiosa”<br />

“ IO VORREI ”<br />

……….Per Natale Vorrei…..<br />

………qualche cosa che molto apprezzerei.<br />

Per i bambini del terzo mondo Vorrei che avessero da mangiare,<br />

qualche abito da indossare<br />

e una casa dove alloggiare.<br />

Loro per passare un Natale felice, in allegria ed armonia,<br />

io so che per loro basterebbe un sorriso pieno di affetto e magia.<br />

125


BONDI’ SINA:<br />

Bondì Sina è nata a Termini Imerese il 27.05.1994, abita a <strong>Cerda</strong> e frequenta<br />

nell’anno scolastico <strong>2004</strong>-2005 la 5° elementare nell’istituto di <strong>Cerda</strong>.<br />

Titolo di studio: Sono stata ammessa al successivo grado di istruzione con OTTIMO<br />

Attestati di partecipazione:<br />

Mi piace ballare,cantare e studiare;ho partecipato a tante manifestazioni<br />

-Ho vinto il 2° trofeo di Mazzara il 25/03/01 Liscio Unificato 3° posto; Una coppa<br />

Conca D’Oro Bagheria Maggio 2001 Liscio Unificato 2° posto ; 1° Trofeo<br />

dell’amicizia Bagheria Aprile 2002 Ballo da Sala 3° posto 2° Trofeo Dionisio<br />

Siracusa 3 Novembre 20 Liscio Unificato 1° posto; 2° Trofeo Dionisio Siracusa 3<br />

Novembre 2002 Ballo da Sala 2° posto.<br />

Al Campionato Regionale Sicilia 23-24 Novembre 2002 Di Barcellona Liscio<br />

Unificato 2° posto Nella categoria 6-9 anni<br />

Al Trofeo Conca D’Oro Palermo 12 Dicembre <strong>2004</strong> Liscio Unificato 1° posto; Al<br />

Campionato Regionale Bagheria 4-5 Giugno 2005 Competizione Danza Sportiva 2°<br />

posto<br />

E in molte altre gare mi sono classificata nei primi 6 posti<br />

Ho partecipato a molti FESTIVAL della canzone BABY classificandomi una volta 2°<br />

posto e un’altra volta al 3° posto e anche quest’anno ho partecipato classificandomi<br />

2° posto; Ho vinto quest’anno a scuola il 1° posto partecipando al primo corso di<br />

BASKET a squadra<br />

Ho partecipato alla 5° festa della canzone italiana A.S. <strong>2004</strong>-2005 all’istituto<br />

Comprensivo “PAOLO BALSAMO” di Termini Imprese classificandomi al 4° posto.<br />

Ho partecipato al 1° Concorso Letterario “MAESTRO CALOGERO RASA” a<br />

<strong>Cerda</strong> il 26/12/<strong>2004</strong>.<br />

LA LUCE<br />

Nel cielo c’è una luce<br />

che splende ogni dì,<br />

fa sorridere l’uomo<br />

e tutti quelli che ci stanno intorno.<br />

Illumina tutto il mondo<br />

e dà vita ogni giorno.<br />

Ogni tanto scompare<br />

e finisce di luccicare.<br />

126


CIRRITO GIUSEPPE:<br />

Cirrito Giuseppe è nata a Termini Imerese il 20.01.1994, abita a <strong>Cerda</strong> e frequenta<br />

nell’anno scolastico <strong>2004</strong>-2005 la 5 elementare nell’istituto di <strong>Cerda</strong>.<br />

CERDA<br />

<strong>Cerda</strong> è un piccolo paesino,<br />

molto bello e tanto carino,<br />

conta 6.000 abitanti<br />

e sono per la maggior parte persone eleganti.<br />

Il carciofo è uno dei simboli principali,<br />

insieme alla chiesa e alle zone municipali.<br />

La “Targa Florio” è una gara automobilistica rilevante,<br />

definita dai migliori automobilisti una corsa molto importante.<br />

Il paese si trova ai piedi di una collina,<br />

e per le sue bellezze l’hanno messo in cartolina.<br />

Questo è tutto dalla mia fantasia<br />

E mi raccomando non buttatela via!<br />

127


FUSCO MARIA ELENA:<br />

Fusco Elena Maria è nata a Termini Imerese il 19.10.1994, abita a <strong>Cerda</strong> e<br />

frequenta nell’anno scolastico <strong>2004</strong>-2005 la 5° elementare nell’istituto di <strong>Cerda</strong>.<br />

Sono Fusco Elena Maria, ho 11 anni, a settembre frequenterò la 1^ classe della<br />

scuola media.<br />

Quando non ho impegni, preferisco giocare al computer, guardare la Tv o ascoltare la<br />

radio, nelle belle giornate vado in giro con i miei amici,la sera , invece, preferisco<br />

leggere qualche pagina del mio nuovo libro.<br />

Quando ho scritto questa poesia, ero molto entusiasta all’idea di partecipare per la<br />

prima volta ad un concorso letterario che, secondo me, è stata una bella iniziativa.<br />

POVERA NATURA!<br />

La natura sta morendo<br />

perché tutti stanno continuando<br />

a farle del male.<br />

Inquinando il mare<br />

inquinando l’aria<br />

e neanche si accorgono che<br />

stanno facendo del male a loro stessi.<br />

Tagliando gli alberi<br />

l’ossigeno si tolgono,<br />

ma essi,<br />

non stanno neanche ad ascoltare<br />

le persone che la vogliono salvare.<br />

128


GULLO VINCENZO:<br />

Gullo Vincenzo è nato a Termini Imerese il 20.08.1990, abita a <strong>Cerda</strong> dove è solito<br />

dedicarsi alla lettura e scrittura.<br />

L’AUTUNNO<br />

Non c’è niente di bello<br />

Dopo l’estate vien l’autunno;<br />

i colori, i rumori<br />

e lo scricchiolar delle foglie<br />

che pian pian van cadendo<br />

dagli alberi.<br />

Il sospirar della tranquillità<br />

e del tuo fresco profumo;<br />

le passeggiate nei boschi<br />

il pensier di vita degli scoiattoli e di natura.<br />

Le giornate di vento<br />

E di un sospirar di tranquillità.<br />

Mio caro vecchio autunno<br />

Ti saluto con tutto il mio cuor.<br />

129


LAZZARA ANGELA:<br />

Lazzara Angela è nata a Termini Imerese il 02.03.1994, abita a <strong>Cerda</strong> e frequenta<br />

nell’anno scolastico <strong>2004</strong>-2005 la 5° elementare nell’istituto di <strong>Cerda</strong>.<br />

IL MIO DIARIO<br />

Tondo come il sole,<br />

ci scrivo tante parole.<br />

Azzurro come il mare<br />

Non mi potrei di certo annoiare.<br />

O giallo, o blu<br />

Il mio diario sei solo tu!<br />

130


MICELI MARIA LUISA:<br />

Miceli Maria Luisa è nata a Cefalù il 29.04.1994, abita a <strong>Cerda</strong> e frequenta<br />

nell’anno scolastico <strong>2004</strong>-2005 la 5° elementare nell’istituto di <strong>Cerda</strong>.<br />

IL MIO CARO DIARIO<br />

Filastrocca del buon diario<br />

Che ti scrivo in ogni orario,<br />

Tutto ti scrivo con impegno<br />

E ti decoro con qualche disegno.<br />

Ti rileggo con allegria<br />

E ti richiudo con simpatia.<br />

Spero di tenerti sempre con me<br />

E fare colazione con latte e caffè.<br />

Il diario è il mio migliore amico.<br />

131


PIZZO CONCETTA:<br />

Pizzo Concetta abita a <strong>Cerda</strong> e frequenta nell’anno scolastico <strong>2004</strong>-2005 la 5°<br />

elementare nell’istituto di <strong>Cerda</strong><br />

LA PIOGGIA<br />

In cielo c’è un grande nuvolose<br />

E presto tutti apriranno l’ombrellone.<br />

La pioggia scende piano piano<br />

Formando un acquitrino.<br />

C’è acqua su un fiorellino<br />

Che si asciuga con un fazzolettino.<br />

La pioggia smette, è tutto sereno<br />

E in cielo c’è l’arcobaleno.<br />

NATALE<br />

Il Natale è bello e buono<br />

E in ognuno di noi c’è qualcosa di buono.<br />

C’è una stella bella e gialla<br />

Sopra la capanna.<br />

C’è il bue e l’asinello<br />

Che riscaldano il Bambinello.<br />

In ogni casa c’è qualcosa di bello<br />

Un bell’ alberello<br />

132


RUBINO CHIARA :<br />

Rubino Chiara è nata a Nola (NA) il 31.05.1994 e vive a <strong>Cerda</strong>. Ha frequentato<br />

nell’anno <strong>2004</strong>-2005 la 5^ elementare – sez B – istituto comprensivo di <strong>Cerda</strong>.<br />

Hobby preferiti: Leggere, scrivere poesie e racconti, e disegnare; Materie scolastiche<br />

preferite: Italiano, storia ed educazione all’immagine<br />

NATALE<br />

Festeggiamo insieme,<br />

quando arriva<br />

il Natale,<br />

con canti, canzoni<br />

e preghiere.<br />

Festeggiamolo insieme<br />

Per stare felici<br />

Con parenti, persone care e amici<br />

133


SEZ C “NARRATIVA”<br />

1° CLASSIFICATA ALLA SEZ C “NARRATIVA BAMBINI”<br />

RUBINO CHIARA:<br />

Rubino Chiara è nata a Nola (NA) il 31.05.1994 e vive a <strong>Cerda</strong>. Ha frequentato<br />

nell’anno <strong>2004</strong>-2005 la 5^ elementare – sez B – istituto comprensivo di <strong>Cerda</strong>.<br />

Hobby preferiti: Leggere, scrivere poesie e racconti, e disegnare; Materie scolastiche<br />

preferite: Italiano, storia ed educazione all’immagine<br />

NERINA<br />

C’era una volta una strega che si chiamava Nerina ed era molto distratta. Ella, infatti,<br />

dimenticava ogni cosa. Una volta fece una pozione per trasformare la principessa<br />

Rosa in una rana; ci riuscì, ma solo per un giorno, perché si era dimenticata le ali di<br />

pipistrello. Un’altra volta cadde dalla scopa proprio in un campo di aglio e ci volle<br />

l’aiuto di una sua amica per tirarla fuori dal campo, perché l’aglio l’aveva indebolita.<br />

Un giorno decise di fare una passeggiata nel bosco, per concentrarsi sul suo prossimo<br />

incantesimo. Mentre passeggiava fu attirata da una rosa nera che aveva il potere di<br />

trasformare una strega allieva in una strega superiore cioè quella con poteri maggiori.<br />

Allora lei non resistette alla tentazione e raccolse la rosa; a quel punto si trasformò in<br />

una strega potentissima. Da quel momento tutti ebbero paura di lei e restò da sola. La<br />

solitudine però la rese sempre più triste e Nerina pensava che forse era meglio se non<br />

avesse raccolto la rosa nera. Un giorno, durante un incantesimo, apprese che nel<br />

bosco esisteva la rosa bianca che poteva farla ritornare buona anche se avesse perso<br />

tutti i suoi poteri. Andò nel bosco a cercare la rosa bianca e dopo un po’ la trovò. A<br />

quel punto, raccolse la rosa preferendo di non restare mai più da sola e visse da allora<br />

in <strong>compagnia</strong> delle sue amiche di un tempo, passando le giornate a ridere e scherzare<br />

anche dei guai che combinava.<br />

134


LO NERO ROSSELLA:<br />

Lo Nero Rossella è nata a Termini Imerese il 03.08.1994, abita a <strong>Cerda</strong> e<br />

frequenta nell’anno scolastico <strong>2004</strong>-2005 la 5° elementare nell’istituto di <strong>Cerda</strong>.<br />

IL SOGNO DI UNA PICCOLA BALLERINA<br />

Tanto tempo fa in un paesino sulle montagne delle Madonie viveva una bambina di<br />

nome Rossella. Aveva un grande sogno, quello di fare la ballerina di danza classica.<br />

Rossella quando non era a scuola, ballava sempre, anche la notte, quando dormiva<br />

sognava di ballare e la sua mamma la trovava in piedi sul letto. Rossella viveva in<br />

una casetta molto piccola e così quando doveva ballare si metteva in una piccola<br />

piazzetta vicino casa. Quando lei ballava sembrava una farfalla che volava e cosi le<br />

persone che passavano si fermavano a guardarla e rimanevano incantate. Un giorno<br />

in quel paesino arrivò un circo. Un acrobata girava per le vie del paesino, la vide<br />

ballare e rimase incantato dalla sua bravura. L’acrobata andò a dirlo al proprietario<br />

del circo. Rossella accettò. Il giorno della sua esibizione, il circo era pieno zeppo di<br />

persone. Quella giornata per Rossella fu un grande successo. Da quel giorno Rossella<br />

insieme a quelli del circo girò il mondo: così il sogno di Rossella si avverò e divenne<br />

la ballerina più brava e famosa del mondo.<br />

II° brano presentato al concorso:<br />

LA PICCOLA PRINCIPESSA<br />

C’era una volta una bambina di nome Karima ed era la figlia della regina Carolina e<br />

del Re Calimero. Per il compleanno della principessa Karima, il Re e la Regina<br />

organizzarono una grande festa e invitarono tutte le persone più ricche del Reame. La<br />

piccola principessa il giorno del suo compleanno era felice, ma quando cominciarono<br />

ad arrivare gli invitati si accorse che erano tutte persone grandi, non c’era neanche un<br />

bambino, e il suo viso si rattristò. La Regina le chiese: “ che hai? Non sei contenta<br />

della sorpresa”. “ Si mamma, sono contenta, ma avrei preferito una festa con tanti<br />

bambini come me” rispose la principessa. La festa però continuò lo stesso, e quando<br />

portarono la torta si spensero le luci. Al momento di spegnere le candeline, il Re le<br />

disse: “prima di esprimere le candeline esprimi un desiderio, e tutto quello che<br />

vorrai, io te lo darò.” La principessa disse: “il mio desiderio è quello di volere alla<br />

mia festa tutti i bambini del regno, ricchi e poveri, e voglio mangiare la torta con<br />

loro”. Allora il Re fece chiamare al castello tutti i bambini del regno e sul viso della<br />

principessa spuntò il sorriso: Karima fu felice e vissero tutti felici e contenti.<br />

Questa favola ci vuole fare capire che tutti siamo uguali sia ricchi che poveri.<br />

135


JLENIA MARIA MARRAFFINO:<br />

Marraffino Jlenia Maria ,di Francesco Antonio e Tuso Concetta è nata a Cefalù (PA)<br />

il 24.12.1994 è residente in Via G.Cascino n°58 – 90010 <strong>Cerda</strong>(PA). Frequenta il I°<br />

anno della scuola secondaria di I° grado dell’Istituto Comprensivo “ L. Pirandello ”<br />

di <strong>Cerda</strong> (PA).<br />

UNA RAGAZZA CORAGGIOSA<br />

C’era una volta un leone scappato dal circo e andava girolonzolando per le strade<br />

della città facendo paura a tutte le persone che incontrava. La notizia arrivò<br />

all’orecchio di una bambina che si chiamava Luisa e che parlava con gli animali, ma<br />

nessuno le credeva. Il suo sogno era di essere creduta da tutti. Così la bambina si<br />

mise subito in cerca del leone. Trovatolo si misero a parlare e il leone le disse che lui<br />

era scappato dalla sua gabbia perché lo frustavano e, per quel motivo, noin ci sarebbe<br />

più tornato. Luisa rispose che se lui fosse ritornato a lavorare al circolo, i suoi<br />

padroni non gli avrebbero dato più frustate. Il leone si convinse a tornare al circolo, e<br />

le disse di rimanere con lui e i suoi padroni per lo spettacolo. Luisa accettò e così lei<br />

il leone e i suoi padroni fecero un grande spettacolo e diventarono tanto amici da<br />

stare tutti insieme a fare tanti altri spettacoli maestosi. Tutti i bambini vedendo quegli<br />

spettacoli bellissimi, rimanevano tutti incantati. Luisa suscitava tanto stupore che<br />

continuò a lavorare al circo con i suoi amici migliori: il leone e i padroni del circo.<br />

Da quel giorno il leone non ebbe più frustate, e rimasero tutti insieme felici e<br />

contenti. Luisa realizzò il suo sogno di far credere a tutti che lei veramente parlava<br />

con gli animali.<br />

La morale di questa favola è che¨” Con le buone maniere si ottiene tutto”<br />

136


INDICE DEGLI AUTORI<br />

BARBERA PIETRO è nato a Trapani nel 1959 dove risiede.Testo a pag. 65<br />

BATTAGLIA GIUSEPPE è nato a Paleremo nel 1929 e vive a Sciara dedicandosi<br />

alla poesia e alla lettura. Testo a pag. 66-106<br />

BONAFEDE GIOVANNA è nata a Paleremo nel 1963. Abita a Cefalù. Testi pag.<br />

57<br />

CALI ROSARIO vive a <strong>Cerda</strong> dedicandosi agli studi.Testo a pag. 67<br />

CAMPILUNGO LOREDANA è nata a Colonia nel 1980 e vive a Cariano (LE).<br />

Testo a pag. 68<br />

CAPPADONIA EMANUELE nato a Paleremo il 15.10.1990, abita a <strong>Cerda</strong>. Testo a<br />

pag. 69<br />

CAPPADONIA LO DATO FRANCECA è nata a Montemaggiore Belsito il<br />

19.05.1940, abita a <strong>Cerda</strong> coltivando l’amore per la Poesia. Testi pag. 28 – 84 - 115<br />

CARTA SALVATORE Nativo di Paleremo nel 1939 dove abita Testi pag..<br />

22 - 70<br />

CASALE ANGELA nata ad Alia nel 1957 vi abita coltivando l’amore della famiglia<br />

e della poesia.Testi pag 71 - 107<br />

CASTAGNA GIORGIO , Nato a Milano il 11.01.1974, abita a <strong>Cerda</strong> (PA).<br />

Studente universitario laureando in scienze geologiche. Ha partecipato a diversi<br />

concorsi letterari. Testo pag. 72<br />

CAVALLO CARLA è nata a Modica (RG) il 12.07.1962 dove risiede. Testo pag.<br />

63<br />

COSTANTINI DANIELA<br />

ha un grande amore per la poesia e nel suo sito web raccoglie i suoi scritti carichi di<br />

emozioni e ricordi. Proprio per questo il suo sito si chiama “Nostalgia e Tenerezza”<br />

(www.nostalgiaetenerezza.it). Ha 47 anni e lavora presso il Ministero per i beni e le<br />

attività culturali. Vive nella splendida città di Roma ed ha due figlie, Elisa e Valeria<br />

Rimasta vedova dopo una tremenda malattia del marito, è, in questo momento della<br />

sua esistenza, una delle poche cose che la tiene saldamente attaccata alla vita è<br />

proprio il conforto della poesia. Ha conseguito diverse vittorie e segnalazioni speciali<br />

in concorsi letterari nazionali ed internazionali tra cui<br />

“Un Messaggio in bottiglia”<br />

“Premio Poesia d’Amore <strong>2004</strong>” indetto dall’A.I.A. Poesie della vita<br />

Premio Nazionale di Poesia e Narrativa “Creatività Itinerante città di Bari”<br />

Premio Letterario Internazionale di Narrativa e Poesia “Tra le Parole e l’Infinito”.<br />

137


È stato inoltre pubblicato un suo racconto intitolato “La forza della vita” nell’ambito<br />

della raccolta intitolata “Le donne. La storia, le storie” a cura della Dott.ssa Silvia<br />

Pezzoli e della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Firenze, prof. Giovanni<br />

Bechelloni. Ha conseguito inoltre una MENZIONE D'ONORE nella II edizione del<br />

Premio Nazionale di Poesia "SAN PRIMO" con il patrocinio del Comune di<br />

Leggiuno - Provincia di Varese .<br />

Ha partecipato inoltre al Premio Autore dell’anno 2005 “Renato Milleri – REMIL "<br />

ottenendo ottimi risultati.<br />

Tra le ultime vittorie, ha avuto una MENZIONE D'ONORE nella VI edizione del<br />

Premio Poesia Itinerante Città di Bari, una Poesia Selezionata nell’ambito del<br />

Concorso Letterario “Scriviamo insieme il CD dell'Amore” ed un attestato di<br />

partecipazione alla 3° Edizione Premio Internazionale di Poesia "TRABIA" -<br />

Giuseppe Sanseri -Maggio 2005. Testo a pag. 64<br />

CURCIO VALERIA è nato a Paleremo nel 1986 e abita a Cfalù. Testo pag. 73<br />

DATTOLA PIETRO<br />

Laureando in Giurisprudenza, lavora in qualità di traduttore dall’inglese presso la<br />

Synthesis International, per la quale cura la localizzazione e l’adattamento in lingua<br />

italiana di videogiochi per PC e console. Da tre anni è anche impegnato nello studio<br />

della lingua giapponese, non saprebbe spiegare neanche lui bene perché.<br />

Nel <strong>2004</strong> scrive il suo primo dramma, L’attesa, con il quale vince la IX edizione del<br />

premio Oddone Cappellino. Nello stesso anno, con il monologo L’uomo senza<br />

abitudini rientra nella rosa dei semifinalisti della IV edizione del premio Napoli<br />

Drammaturgia in Festival e vince e viene segnalato in diversi concorsi letterari per<br />

narrativa breve, tra cui quello intitolato al prof. Rasa con il racconto Lo Scontro. Il<br />

suo secondo dramma, Il signor Cugino, vince la XXXII edizione del premio Flaiano<br />

per il teatro (sezione under 30). Testo pag. 12<br />

DAVANZO SILVIA è nata a Vercelli nel 1985 e abita a Lignina Vercelli (VC).<br />

Testo pag. 75<br />

DI GAETANO ENZO Nativo di Termini Imerese nel 1942 ove risiede. Pensionato<br />

della Fiat, da qualche anno si dedica alla poesia.Testi pag. 74 - 108<br />

DI GIOVANNI PIETRO Nato a Seeheim-Jugenheim (Germania) nel 1978, risiede<br />

a <strong>Cerda</strong>. Studente Universitario.Testo pag 109<br />

DI GREGORIO ANTONINA è nata a <strong>Cerda</strong> il 10.02.1955 e risiede a Novi Ligure,<br />

anche se ritorna spesso nel suo paese d’origine. Si dedica nella scrittura di racconti.<br />

Ha scritto diversi libri fra i quali “Il Bottone Nero” Testo pag. 29<br />

DI LORENZO MICHELANGELO è nativo di Bagheria nel 1942 dove vi abita.<br />

Testi pag. 76-110<br />

DI PASQUALE ENRICO è nato a Paleremo il 06.05.1987, abita a <strong>Cerda</strong>. Testo pa.<br />

77<br />

138


ELIA RITA Nativa di Termini Imerese vi abita dedicandosi alla poesia. Testi pag<br />

102<br />

GAGLIO LEONARDO Nativo di Palermo , frequenta il liceo di Partitico . Si è<br />

classificato 2° alla 7° edizione del concorso di narrativa presso la scuola media<br />

Ettore Romagnoli di Gela. testi pag 33 - 78<br />

GALIOTO GRISANTI PAOLA Residente a BagheriaTesti pag. 79 -111<br />

GERACI SALVATRICE PIETRA Nativa di Petraia Sottana nel 1978 e residente a<br />

Sclafani Bagni. Testo pag. 63<br />

GIOJA PIETRO è nato a Paleremo nel 1958 e residente sempre a Paleremo. Testo<br />

a pag. 80<br />

GIURDANELLA ENZA è nata a Modica (Ragusa) nel 1969 dove abita. Testi pag.<br />

82 -112<br />

GULLO SERAFINA MARIA è nata a <strong>Cerda</strong> nel 1963, abita a <strong>Cerda</strong>. Studente<br />

universitaria.Testo pag. 113<br />

IMBURGIA SALVATORE Nato a <strong>Cerda</strong> nel 1946 vi abita fin dalla nascita.<br />

Occupa la carica di vice comandante la Polizia Municipale. E’ Presidente<br />

dell’associazione La Nuova Compagnia città di <strong>Cerda</strong> gruppo folk i Carrettieri con i<br />

quali ha girato quasi tutta l’Europa. Testo pag. 114<br />

INZERAUTO SALVO Nato a Paleremo nel 1949, risiede a Santa Flavia (PA).<br />

Testi pag 83 -104<br />

LO PIPARO ANTONINO nativo di Bagheria dove abita dedicandosi alla poesia<br />

dialettale. Testi pag. 116<br />

MAMO RANZINO LILIANA è nata a Nardò (LE) il 04.09.1934. Risiede a Cefalù<br />

dove ha insegnato alle scuole elementari, ora in pensione. Ha pubblicato diversi libri<br />

tra i quali: QUEL CHE RESTA, ed ETERNA CONTEMPLAZIONE. Ha vinto<br />

innumerevoli concorsi di poesie. Testi pag. 36 – 85 - 118<br />

MANNINO GIOVANNI è nato a Carini nel 1937 dove risiede dedicandosi alla<br />

Poesia. Testi pag 86-117<br />

MARZANO ROBERTO Nativo di Genova nel 1959 e residente a Chaivari (GE)<br />

Testi a pag. 59<br />

MOSCATO AGOSTINO è nato a Termi Imerese nel 1959 dove risiede. Diplomato<br />

ISEF si specializzato per l’insegnamento del sostegno, si è sempre occupato a scuola<br />

degli alunni diversamente abili. Dal 1992 è presidente del circolo “L’Acquilone”. Ha<br />

partecipato a innumerevoli corsi. Ha pubblicato un libro dal titolo “Quattro temi per<br />

l’ambiente”. Testo pag. 39<br />

139


NOVELLI FABIO vive a San Benedetto del Tronto(AP) . Testo a pag. 87<br />

OLIVIERI KATIA è nata ad Avellano nel 1973, vive a Tivoli Terme. Testi pag. 42<br />

- 88<br />

PAGANO VALERIA<br />

È nata a Torre del Greco il 2 aprile 1981. Attualmente vive a Milano dove studia<br />

Lettere Moderne e si occupa da qualche anno prevalentemente di letteratura e<br />

giornalismo.<br />

Ha curato un mini saggio sulla grammaticografia italiana per il sito internet<br />

“Letteratour.it” , scrive per alcune testate online e per il giornale Ephemerides di<br />

Torre del Greco.<br />

Nel dicembre <strong>2004</strong> vince il secondo premio del concorso indetto dalla città di <strong>Cerda</strong><br />

“Maestro Calogero Rasa”, mentre nel marzo 2005 arriva finalista al concorso<br />

“Miglior incipit libidinoso” indetto dalla Scipioni Editore.<br />

In futuro spera di continuare ad occuparsi di giornalismo (sua grande passione oltre<br />

la fotografia) e di avere la possibilità di far sentire la sua voce attraverso quello che<br />

scrive. Testo pa. 15<br />

RENDA GIUSY è nata a Paleremo nel 1957 dove risiede dedicandosi alla poesia.<br />

Vincitrice della Sez. “A” Testo pag. 100<br />

RUNFOLA LUCIANO E’ nato ad Aliminusa il 22.04.1967 Vive a <strong>Cerda</strong> dove<br />

insegna Lettere alla scuola Media di <strong>Cerda</strong> .Vincitore del Concorso Maestro Rasa<br />

Calogero sez “B”. Testo a pag. 54<br />

ROMANO MARIA ANGELA è nata a Paleremo il 01.09.1985e e abita a <strong>Cerda</strong>.<br />

Testo a pag. 89<br />

ROSSI RODOLFO nato a Sinalunga (SI) nel 1957 è residente a Roma. Testo a pag<br />

18<br />

SAVINO MARIO nativo di Tricarico(MT) nel 1976 vive a Potenza. Testo a pag. 91<br />

SETTEMBRE GIUSEPPE Vive a Termini Imerese dove si dedica con passion e<br />

alla poesia. Testo pag. 44 - 92<br />

SICLARI CATERINA nativa di Messina nel 1952 dove abita. Testo a pag. 93<br />

SCORSONE LUIGI SALVATORE è nato a <strong>Cerda</strong> dove vive dedicandosi alla<br />

lettura e alla poesia. Studente universitario. Testi a Pag. 47 – 90<br />

SUNSERI SALVATORE è nato a Paleremo il 30.09.1979 e risiede a <strong>Cerda</strong><br />

dedicandosi a molteplice attività come sunare nella Banda musicale di <strong>Cerda</strong> e nel<br />

gruppo folk I Carrettieri- Testo a pag. 94<br />

TOMASELLO MARIA ROSA risiede a Bagheria coltivando l’amore per la<br />

poesia.Testi pag 95-119<br />

140


VALLATI LENIO Testo a pag. 50<br />

VENTURINI GLORIA<br />

ha ideato e organizzato la prima, seconda e terza edizione del Concorso<br />

Internazionale di Poesia e Prosa, “L’arcobaleno della vita” della Città di Lendinara,<br />

di cui è anche il Presidente della giuria.<br />

Collabora con il Centro Studio di Torino, come giurata nei concorsi letterari. Le sue<br />

opere sono state pubblicate in varie antologie, su siti internet, dove ha ottenuto<br />

l’interesse dei lettori.<br />

Gloria è stata ospite del programma televisivo “Guglielmo Tell”, trasmesso da<br />

Telestense, in qualità di autrice di poesie. - Pubblica la sua prima raccolta di poesie<br />

nel febbraio 2003: Camminando tra i giardini dell’anima.<br />

La giuria del premio letterario “I Fiori 2002” (Edizioni fiori di campo – Londriano<br />

PV) ha giudicato la sua poesia Luce svelata meritevole del quarto posto.<br />

La commissione della XX° Edizione Internazionale “Premio per la pace” a cura<br />

dell’Associazione Cultura e Società di Torino, le ha conferito una segnalazione di<br />

merito per l’opera Rimasero solo anime.<br />

A Gloria viene assegnato il terzo premio nella sezione poesia del Concorso San<br />

Giacomo (FE) con l’opera Perdonami. - Nel giugno 2003 pubblica la seconda<br />

edizione integrata della sua raccolta di poesie Camminando tra i giardini dell’anima<br />

e la prima edizione della raccolta di racconti: L’arcobaleno della vita.<br />

Concorso “Finalmente poesia” di Procida (NA) viene selzionata la sua poesia “Orme<br />

che scompaiono”,<br />

Conquista il 3° posto al Concorso nazionale L’arca dei sentimenti di Tradate (VA)<br />

nella sezione narrativa con il racconto Ai bordi della vita,<br />

3° posto al Concorso “Mario Mambretti” indetto dall’Associazione Anno Zero di<br />

Senago (MI) con la poesia Scrittore di silenzi.<br />

Si classifica al primo posto assoluto al Premio del Triveneto Città di Lonigo con la<br />

poesia “Coriandoli di ricordi”;<br />

con una trilogia di poesie il 3° posto alla V Edizione del Premio Ungaretti di Acerra<br />

Napoli.<br />

Vince il Premio unico per la sezione C al concorso Internazionale I Colori delle<br />

Donne di Ascoli Piceno con la poesia Tra le mani stringevi ancora cotone.<br />

Primo premio per la sezione narrativa alla 3° Edizione del concorso i Fiori 2003<br />

Edizioni I Fiori di Campo (PV) con il racconto Ai bordi della vita; (Pubblicazione<br />

del libro di racconti con ’omonimo titolo)<br />

Segnalazione di merito alla XV Edizione del premio Biennale di poesia “Città di<br />

Solfora” Acerra (NA) ;<br />

Nomina di Accademico dall’Accademia Internazionale Il Convivio di Castiglione di<br />

Sicilia;<br />

4° posto con il racconto “Ai bordi della vita” al concorso letterario del Comune di<br />

Crispano di Napoli.<br />

Primo premio sezione narrativa al Concorso Letterario Parrocchia di San Giacomo di<br />

Ferrara.<br />

Terzo premio per la sezione silloge alla XXVI^ Edizione del Concorso Letterario<br />

Internazionale Città di Avellino con la raccolta di poesia Petali d’ambrosia.<br />

Vince il Concorso Don Lelio Podestà di Chiavari (GE) nella sezione narrativa,<br />

segnalazione nella sezione poesia.<br />

141


Pubblica il terzo libro di poesie Coriandoli di ricordi edito dalla casa Editrice e<br />

Società Culturale I Nuovi Poeti (MI);<br />

3° premio alla quarta edizione del premio nazionale di poesia Il Nodo di Taranto, con<br />

la poesia La quinta stagione.<br />

2° posto sezione poesia inedita al Premio Internazionale IL CONVIO <strong>2004</strong>. Giuria<br />

presieduta dal Prof. Giorgio Barberi Squarotti, la scelta è stata effettuata dal rinomato<br />

scrittore.<br />

2° posto sezione poesia premio internazionale ALIAS Consolato di Melburne-<br />

Australia <strong>2004</strong>.<br />

3° premio alla nona edizione del premio nazionale di poesia La quintastagione di<br />

Lama Polesine (Ro)<br />

Primo premio al Concorso del Triveneto Città di Lonigo con la poesia “Come una<br />

quercia”.<br />

Secondo premio all’ Ungaretti di Acerra Napoli. Testi pag. 19 – 101<br />

Testo a pag 21- 96<br />

ZAMPIERI LUANA vive a Quagliuzzo (Torino).Testo a pag. 97<br />

142


Un ringraziamento particolare va alla commissione giudicatrice che per<br />

diversi giorni si è impegnata nella lettura delle opere e poterle giudicare<br />

e alle ragazze che hanno coadiuvato i giudici nelle operazioni per la<br />

buona riuscita del lavoro.<br />

LA COMMISSIONE GIUDICATRICE<br />

DOTT. MICHELE LA TONA PRESIDENTE<br />

PROF.SSA DANIELA CAPPADONIA GIURATO<br />

PROF. SALVATORE LUZIO GIURATO<br />

PROF.SSA ROSANNA CICERO GIURATO<br />

PROF.SSA MONICA ALBANESE GIURATO<br />

SEGRETARIA DELLA COMMISSIONE<br />

GIUSY MUSCARELLA<br />

COLLABORATRICE<br />

FRANCESCA IMBURGIA – CICERO ROSITA<br />

143


Un ringraziamento particolare al Presidente dell’A.R.S. che ha voluto<br />

onorarci del Patrocino<br />

Un ringraziamento all’A.A.P.I.T. che ha fornito le coppe.<br />

Al C.N.A. che ha voluto contribuire con un sostegno economico.<br />

A tutte le ragazze e ragazzi che si sono impegnati per la buona riuscita<br />

della manifestazione di premiazione.<br />

Per la realizzazione di questo volume hanno collaborato:<br />

Francesca Castagna<br />

Maria Assunta D’Avolio<br />

Francesco Dioguardi<br />

Ermelinda Imburgia<br />

Gaetana Leone<br />

Loredana Mangano<br />

144


Indice<br />

Un illustre saggio poeta pag. 4<br />

Breve storia e curriculum pag. 5<br />

Presentazione pag. 10<br />

Narrativa pag. 11<br />

Poesia in italiano pag. 53<br />

Poesia dialettale pag. 101<br />

Categoria bambini pag. 125<br />

Indice degli autori pag. 140<br />

Commissione pag. 146<br />

Ringraziamenti pag. 147<br />

145

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