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catalogo - Wannabee Gallery

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a Nicolò


Il mito della caverna nella società moderna e nei media<br />

L’idea della liberazione dell’uomo dalle catene della sua esperienza limitata ed il raggiungimento della pura conoscenza<br />

della realtà è comune a molte culture; anche le scoperte e le invenzioni che rendono tale il mondo moderno possono<br />

essere viste come risultato del tentativo dell’uomo di superare i propri limiti per raggiungere ciò che è oltre la conoscenza<br />

del momento. La letteratura, il cinema ed in generale tutte le arti sono ricche di storie di uomini che, sfidando l’ostilità dei<br />

contemporanei, si sono “liberati dalle catene” dell’opinione arrivando a conoscere la verità e sono poi tornati a riferirla, non<br />

sempre guadagnando rispetto ed ammirazione, agli ex compagni di prigionia. Inoltre, ultimamente il mito della caverna è<br />

divenuta una metafora che simboleggia quanto i mass media influenzino e dominino l’opinione pubblica, interponendosi tra<br />

l’individuo e la notizia, manipolando quest’ultima secondo necessità.<br />

Antonio de Luca, al pari del protagonista del mito di Platone, ha lasciato dietro di sé le catene, volge lo sguardo verso<br />

l’entrata della caverna e verso il cielo, abituando gli occhi alla luce e riuscendo finalmente a distinguere i contorni degli<br />

oggetti e dopo aver puntato gli occhi verso il sole si rende conto che<br />

Le fotografie in mostra con il tiolo “Lo schermo di Scipio”, bellissime e scomodissime sovraimpressioni, sono frutto<br />

dell’interazione di una critica feroce alla società della iper-comunicazione e una leggerezza dadaista e scanzonata che “osa”<br />

accostare immagini della realtà (o potremmo dire le Platoniche ombre) alla realtà stessa, creando, nella somma, contrasti<br />

e stridori che non possono non farci riflettere. Riusciremo, quindi, ad uscire dalla caverna? A liberarci dalle catene?<br />

Ai posteri……<br />

« è esso a produrre le stagioni e gli anni e a governare tutte le cose del mondo visibile e<br />

ad essere causa, in certo modo, di tutto quello che egli e suoi compagni vedevano. »<br />

(Platone, la Repubblica libro VII, 516 c - d, trad.: Franco Sartori)<br />

SILVIA PETTINICCHIO<br />

Antonio De Luca ha realizzato la maggior parte delle immagini, dal ‘94 a oggi, in formato analogico, sovrapponendo su rullini già<br />

precedentemente impressi nuovi cicli di immagini, e ottenendo così effetti di sovrapposizione e giustapposizione del tutto casuale<br />

di immagini diverse, a volte straordinariamente simboliche, altre volte disarmanti, altre ancora assolutamente esilaranti.<br />

L’effetto è quello di un “surrealismo del quotidiano” che ricorda il processo creativo dadaista, e che, nella sua bizzarra<br />

incongruenza, porta a riflettere sull’assurdità della realtà nell’epoca, appunto, della “sparizione del reale”, ormai definitivamente<br />

sostituito dal grande gioco dello spettacolo virtuale.<br />

Personalmente, seguo il lavoro di De Luca fin dai primi anni Novanta. Già nel 1998 l’avevo inserito, assieme a Claudio Vitale,<br />

all’interno della mostra Cronache vere, con il suo lavoro di sovrapposizione casuale di immagini, indifferentemente tratte dal<br />

“mondo reale” o dallo schermo televisivo. Oggi, a più di dieci anni di distanza, con la parabola di de-realizzazione del mondo e<br />

di finzionalizzazione del reale ormai quasi definitivamente, e drammaticamente, compiuta, abbiamo deciso di riunire i frutti di<br />

quel mastodontico lavoro di riappropriazione delle immagini del mondo – e dunque, psicanaliticamente, di fuga dall’oblio, e dal<br />

fatale appiattimento omologante e ammorbante delle immagini e delle informazioni da cui siamo onnipresentemente annichiliti<br />

e ammorbati - in un’unica mostra. Questo ne è il risultato.<br />

La finzionalizzazione del mondo e la fine<br />

dell’informazione nell’èra della trans-politica<br />

Nel 1998, avevo messo in piedi la mia prima mostra collettiva. Il titolo era: Cronache vere. L’avevo messa in piedi riunendo i migliori<br />

artisti italiani che lavoravano sugli stimoli che la cronaca offriva a chiunque avesse la voglia e la capacità di cogliere ciò che già<br />

allora era possibile intravedere sotto la scorza di una società in vorticosa rotta di collo verso il nichilismo mediatico da cui oggi è<br />

completamente e fatalmente intrappolata - cronaca nera, rosa, viola, rossa, già magmaticamente intrisa di quella disperata voglia<br />

di sangue, di sesso, di ricatto, di violenza, di forca, di galera (sempre e solo per gli altri, ça va sans dire), di vilipendio standardizzato<br />

e generalizzato, di vendetta e di odio senza scampo e senza redenzione per chiunque avesse o abbia la sventura di cadere nel<br />

tritacarne mediatico, di presentificazione generalizzata, di cancellazione di senso generalizzato, di ostentazione generalizzata del<br />

peggio che ognuno di noi è capace di tirare all’occorrenza fuori, di sistematico rispecchiamento, senza più alcun complesso di<br />

colpa, nell’ignoranza altrui, nella violenza altrui, nella meschinità altrui, nella miseria altrui: Grandi fratelli, Amici, isole dei famosi,<br />

paparazzate, scandali sessuali, servizi girati di nascosto nelle camere d’albergo e comprati sotto banco da politici e manager dai<br />

vizi segreti, telecamere nascoste, fiumi di droga nelle discoteche, nelle aule parlamentari, nelle redazioni dei giornali, negli alberghi<br />

di lusso con puttana annessa per i politici o i boiardi di turno, e poi grandi pupazzi rossi che intervistano politici, comici travestiti da<br />

politici che intervistano altri politici, politici che fanno i comici, pochade, equivoci, segreti di pulcinella, veleni, omicidi travestiti da<br />

suicidi, suicidi travestiti da omicidi, travestiti tout court - travestiti ammazzati, travestiti vilipesi, travestiti sociologi, filosofi, politici,<br />

commentatori; e poi starlettes, veline, escort, puttane, puttanieri, froci che fanno gli etero, etero che fanno i froci, nazisti travestiti<br />

da mammolette, mammolette travestiti da nazisti, preti spretati, preti predicatori, preti esorcisti, preti politici, preti faccendieri, preti<br />

banchieri…<br />

Nel 1998: Craxi, Berlusconi, terroristi, piduisti, stupri, mostri, madonnine piangenti, assassini della porta accanto, guerre, omicidi; e<br />

poi il mostro di Glouchester, quello di Firenze, l’assassino di Versace, pistole, sangue, sesso, sesso, sesso: le cronache vere del 1998<br />

erano già questo e non già non più solo questo: erano già i processi televisivi, le retoriche televisive, le idiozie e le ipocrisie televisive,<br />

le trasmissioni-verità, i primi reality, i comici già fatalmente superati dalla comicità del reale, e poi misticismo isterizzato, politica<br />

isterizzata, cronaca isterizzata. Le puntate-fiume sulla cronaca nera a Porta a Porta erano ancora di là da venire, ma c’erano già i<br />

modellini delle case del delitto in tv, portate, con stile ancora datatamente british da Corrado Augias a Telefono Giallo (io ne feci<br />

venire uno per la mostra, e lo esposi); Berlusconi era appena sceso in campo, ma noi non sapevamo, o non volevamo accorgersi,<br />

che erano già dieci anni che aveva cominciato a cambiare, inesorabilmente e definitivamente, la nostra mente, aveva già plasmato<br />

gli italiani del domani con le sue televisioni, coi suoi programmi, con i suoi grandi magazzini, con i suoi valori, il suo cinismo, le sue<br />

cittadelle-satelliti, con la sua mentalità, fatta di corsa al soldo, al successo, al denaro, alla “sicurezza”, a un ordine fittizio raccontato


da programmi tutti uguali, da pubblicità tutte uguali, da telegiornali tutti uguali, da telefilm tutti uguali. “Già Tom Wolfe”, scrivevo<br />

nel testo introduttivo a Cronache vere, “nel 1987, aveva riportato, nel Falò delle vanità, i tic e le manie dell’America in preda a una<br />

spettacolarizzazione selvaggia e frammentaria, ostaggio di un vero e proprio isterismo della comunicazione, in cui la notizia non ha<br />

perso, come sarebbe facile pensare, ogni rapporto con la realtà dei fatti, ma semplicemente ha invertito il suo rapporto con questa:<br />

nella maggior parte dei casi non sono più i fatti a determinare le notizie, ma le notizie a determinare i fatti”.<br />

Per fare quella mostra, m’ero ispirato (e avevo coinvolto, nella persona del suo direttore, Giuseppe Biselli, facendomi prestare parte<br />

del suo archivio, esposto come un’immensa opera d’arte) la rivista che, genialmente e senza ipocrisie e mascheramenti di sorta,<br />

aveva anticipato di molti e molti anni la tendenza che, più tardi, avrebbe omologato l’intera stampa e l’intero palinsesto televisivo<br />

futuro: Cronaca Vera. Prima che anche i giornali un tempo considerati “seri” diventassero essi stessi un groviglio inestricabile e<br />

irreversibile di paccottiglia, gossip, irrazionalismo, veleni; prima che anche tutta la stampa, tutta la televisione, tutta l’informazione si<br />

trasformasse in un’immensa ed eterna sputacchiera globalizzata, in uno strabordante gioco di ricatti, di sgambetti, di sputtanamenti<br />

pubblici e privati condotti con il solo scopo di far fuori l’avversario, non più per motivi politici ma semplicemente perché appartenenti<br />

a un clan opposto al nostro, a una cordata opposta alla nostra, dove la lotta al crimine è diventata uno specchietto per le allodole per<br />

far crescere e dilagare altre imprese criminali, altri interessi, altri centri di potere occulto, altri grovigli affaristico-criminali che come<br />

una piovra dai mille tentacoli avviluppano ormai ogni anfratto della società un tempo detta “civile”, della politica, dell’economia;<br />

prima che la società intera si trasformasse in un inestricabile e orrendo marasma sessual-affaristico-criminale, in uno spaventoso<br />

gioco a rimpiattino tra segreti sussurrati a mezza bocca, ricatti, foto compromettenti, pedinamenti, intercettazioni, rivelazioni piccanti,<br />

festini, orge, droga, mazzette, corruzioni, interi uffici parlamentari bloccati per mesi a studiare leggi ad hoc per fermare i processi<br />

contro il capo del governo, manine e manone dentro gli uffici giudiziari, carriere stroncate e carriere rilanciate grazie agli scandali,<br />

partiti dei giudici, partiti dei cancellieri, partiti degli avvocati, e poi giudici in lotta tra loro, faide intestine, dossier illegali, scoop<br />

creati ad hoc per distruggere gli avversari, agenti segreti, agenti corrotti, carabinieri corrotti, politici corrotti, giudici corrotti, giornalisti<br />

corrotti - una grande, immensa giostra vorticosa e senza alcun senso, che non sia quello della perdita stessa di senso; prima ancora<br />

che tutto questo si mostrasse come normale routine, già se ne cominciavano a intravvedere i frutti, sparsi qua e là come i tasselli di<br />

un puzzle non ancora ricomposto. Nel lavoro di qualche artista isolato, in qualche libro più acuto o più lungimirante di altri, in qualche<br />

mostra, ogni tanto. Sì, anche in Cronache vere.<br />

Era il 1998. Le triqueteuses affilavano già le loro armi di fronte allo schermo catodico, pregustando quello che sarebbe stato il leitmotiv<br />

della telenovela dell’Italia, e del mondo, negli anni a venire: un’ininterrotta e immensa fanghiglia fatta di frattaglie umane, di<br />

sesso dato e dispensato senza senso, di violenza in diretta, di idiozia in diretta, di volgarità in diretta, di sangue in diretta, di vendetta<br />

in diretta. Le eterne e consunte vittime in attività permanente avrebbero presto avuto il loro tristo guiderdone, i colpevoli o le vittime<br />

sacrificali sarebbero stati sbattuti in prima pagina tra fiumi di lacrime e sangue, fino a che non sarebbe toccato al prossimo disperato<br />

di turno far le veci di capro espiatorio, le coscienze si sarebbero spente e annichilite in una frustrazione eterna, in un senso di sconfitta<br />

disarmante e totale, di perdita di ogni limite, di ogni pudore, di ogni valore, di ogni seppur vago buon senso, di ogni verosimiglianza<br />

con quello che un tempo chiamavamo “reale” - e al contempo di totale identificazione con ciò in cui, a tutti gli effetti, e fuor da ogni<br />

dubbio, si stava trasformando, sotto i nostri occhi, proprio il reale.<br />

Era il 1998. A Londra, pochi mesi prima, aveva fatto scandalo una mostra che avrebbe cambiato la storia dell’arte del decennio<br />

successivo, lanciando sulla scena artisti come Damien Hirst, Jake & Dino Chapman, Chris Ofili. Anche loro parlavano di sangue, di<br />

disperazione, di morte, di presa di possesso delle nostre vite da parte del Nulla mediatico e spettacolare. Quella mostra si chiamava<br />

Sensation. Io non avevo visto Sensation. Vivevo in Italia. Giravo poco. Non avevo una lira. Scrivevo libri gialli. Leggevo James Ellroy.<br />

E sentivo che nell’aria stava crescendo qualcosa di nuovo. In Italia, però, il mondo dell’arte andava avanti come un pachiderma<br />

lobotomizzato, sulla sua strada sempre uguale. Giancarlo Politi, su Flash Art, difendeva l’ultimo avanguardista possibile: un tale<br />

Alexander Brener, “originalissimo e singolare artista russo-israeliano”, il cui capolavoro consistette nel “dipingere con una bomboletta<br />

spray la sigla del dollaro sull’opera Quadrato bianco su bianco del suo conterraneo Kasimir Malevic, esposta allo Stedelijk Museum”.<br />

Politi ne chiedeva la liberazione, “in nome dell’arte e della creatività”. Cattelan, in quegli stessi anni, si faceva beffe di critica e<br />

pubblico dell’arte inscenando la sua mascherata picassiana fuori dal Moma. L’arte girava vorticosamente intorno al proprio ombelico,<br />

e intanto la società camminava, altrettanto vorticosamente, verso il baratro mediatico.<br />

Qualche filosofo, qualche sociologo, qualche etnologo ci avvertiva già da tempo circa la consistenza scivolosa e disarticolata del<br />

terreno su cui ci stavamo fatalmente incamminando. Guy Débord aveva intuito tutto prima del tempo, molto prima del tempo,<br />

condannando senza scampo il futuro di questa orrenda società in cui oggi viviamo al suo destino implacabile – lo spettacolo,<br />

null’altro che lo spettacolo, àpres tout. Soltanto lo spettacolo, divenuto “il cuore dell’irrealismo della società attuale”.”Lo spettacolo si<br />

è mischiato a ogni realtà, irradiandola”, scriveva nei suoi Commentari alla Società dello spettacolo, nel 1988. “Come era facilmente<br />

prevedibile sul piano teorico, l’esperienza pratica della realizzazione sfrenata della volontà della religione mercantile avrà dimostrato<br />

rapidamente e senza eccezioni che il divenir-mondo della falsificazione era anche un divenir-falsificazione del mondo”.<br />

“La realtà è stata scacciata dalla realtà”, gli faceva eco, pochi anni più tardi – nel 1995 – Jean Baudrillard nel suo Il delitto perfetto.<br />

“Forse solamente la tecnologia collega ancora i frammenti sparsi del reale. Ma dov’è finita la costellazione di senso? L’unica<br />

suspense che resti consiste nel sapere fino a che punto il mondo possa de-realizzarsi prima di soccombere alla sua scarsissima<br />

realtà, o viceversa fin dove possa iperrelizzarsi prima di soccombere sotto troppa realtà (ossia quando, divenuto perfettamente reale,<br />

divenuto più vero del vero, sarà preda della simulazione totale”).<br />

È la “finzionalizzazione” del mondo – per dirla con Marc Augé – che si prende i suoi diritti; che accampa le sue pretese, e si estende fino<br />

a occupare ogni anfratto, ogni spazio della nostra vita quotidiana. “Non contenti di percepire immagini, gli esseri umani in generale<br />

(…), i dilettanti, i turisti si mettono a produrne”, scrive Augé ne La guerra dei sogni. “Certo non per farne un’opera, per fare dell’arte<br />

(…), quanto piuttosto per accumulare testimonianza del loro passaggio nei luoghi che hanno appena avuto il tempo di vedere. ‘Il<br />

mondo è fatto per finire in un bel libro’, ha scritto Mallarmè. ‘Il mondo è fatto per finire in un video’, rispondono in coro i turisti i tutti i<br />

paesi”. E il reale, così, comincia a soccombere, piano piano, sotto la sua stessa rappresentazione, ripetuta migliaia e migliaia di volte,<br />

e restituitaci milioni e milioni di volte, da Youtube, dalla rete, dalla televisione perennemente accesa. Non c’è più differenza, non c’è<br />

più distanza tra politica e spettacolo, tra informazione e spettacolo, tra vita reale e spettacolo. Il Grande fratello, incredibilmente<br />

giunto al suo decimo anno di trasmissione, ha tragicamente superato i sogni dei suoi stessi inventori. Il chiacchericcio idiota e banale<br />

dei suoi partecipanti è lo stesso che permea ogni anfratto della vita sociale. Non c’è più alcuna differenza tra la stanca, disarmante,<br />

ignorantissima banalità dei discorsi scambiati dai personaggi chiusi nella “casa” e quelli degli astuti imbecilli che pontificano dalle<br />

sedie parlamentari, dai tigì all’ora di cena, dagli sconfortanti salotti televisivi, cavillando in mala fede su ogni questione possibile, il<br />

più delle volte per coprire il malaffare diffuso di cui sono quasi sempre complici - gli interessi privati, le tresche segrete, i vizi e i ricatti<br />

a cui sono fatalmente sottoposti. È, in tutta la sua disarmante banalità, l’effetto ultimo di quel “colpo di stato mediatico” di cui parlava<br />

Paul Virilio, ne Lo schermo e l’oblio, già nel 1994; a cui oggi si contrappone, in maniera perfettamente speculare, il contro-colpo di<br />

stato, anch’esso mediatico e anch’esso populista e trans-politico, del “partito del giudici”: “una sorta di congiura implicita”, scriveva<br />

Paul Virilio, “finisce così per svilupparsi necessariamente tra il potere giudiziario e il quarto potere dell’informazione di massa; come<br />

se la stampa scritta di ieri, ma soprattutto i media audiovisivi di oggi, garantissero con l’investigazione il ruolo della pubblica inchiesta<br />

non più sull’uno o sull’altro sospetto (…), ma nei confronti della classe politica del suo insieme. Si attua così un accoppiamento<br />

fatale tra il potere di liberazione degli scandali svelati dai mass media e il puritanesimo proprio dei paesi anglosassoni, (…) in nome<br />

di una lotta alla corruzione in cui l’idealità di una giustizia ‘politicamente corretta’ non si distingue più troppo bene dal carattere<br />

‘otticamente corretto’ che le conferiscono la rappresentazione televisiva e coloro che la gestiscono e dirigono”. La Grande Congiura<br />

mediatica, buona, in teoria, solo per gli amanti di spy stories e di intrighi letterari o cinematografici, si è in realtà già affermata in tutta<br />

la sua potenza, e senza grande spargimento di sangue. L’affare e il malaffare, il Buono e il cattivo, la ragione e la pancia si alternano<br />

senza soluzione di continuità sulla superficie sempre cangiante, e infine sempre uguale, dello schermo televisivo; un giorno, i “nuovi<br />

politici” tuoneranno contro una o l’altra emergenza, o delitto, o stupro, o ingiustizia, e macchineranno nuove e sempre più inutili<br />

misure repressive e punitive – carcere a vita, ghetti, fame, bastonate, umiliazioni, privazioni, medicine coatte, castrazione chimica,<br />

morte sociale - per mettere momentaneamente a tacere la folla desiderosa di sangue e di vendetta; un altro giorno - se essi stessi<br />

ne avranno necessità -, inventeranno qualche cavillo e qualche lambicco giuridico per rendere inoffensive o inutili le stesse leggi che<br />

il giorno prima hanno promulgato. E via di questo passo, in eterno, in un sempre più insensato mescolamento e rovesciamento di<br />

parole e di concetti, e in un flusso ininterrotto di immagini che sempre di più faranno da schermo, offuscante e insieme riflettente, a<br />

quel che un tempo credevamo si chiamasse semplicemente “realtà”.<br />

ALESSANDRO RIVA


G311812 1994


I media si sono sostituiti al mondo di prima. Anche se volessimo recuperare questo mondo di prima potremmo farlo soltanto con uno studio intenso di come i media lo hanno inghiottito. Marshall McLuhan<br />

THERAPY?????<br />

carta baritata montata su dibond 51x200 cm


.......PQRZSITCOM!”123PSICODRIVENOXXX...STRISCIA LA NOTIZIA!!!!!!!!!!!!!


NON TACERE NON TACERE NON TACERE


SORRISI ELEZIONI TV


EXIT POLL<br />

LO SCHERMO DI SCIPIO


BEAUTIFOOL BEAUTIFOOL BEAUTIFOOL ........P238................................X<br />

nascita della seconda repubblica - carta analogica ai sali d’argento montata su dibond 45x120 cm


L’ideologia è una malattia mentale J. Rubin<br />

DIO TI VIDEO digitale su plexiglass 100x153 cm<br />

digitale su plexiglass 70x100 cm<br />

WIFI...WIFI...WIFI...W


tecnica mista polapan e digit stampata su carta baritata montata su dibond 51x200 cm<br />

SOLO PER I TUOI OCCHI


analogica stampata su carta cotone montata su dibond 72x200 cm<br />

JOB..............................


Una civiltà morente distrugge tutto ciò che tocca<br />

Il linguaggio è una delle prima cose a degenerare<br />

Nessuno comunica più realmente mediante parole<br />

Le parole hanno perduto la loro forza emotiva,<br />

l’intimo rapporto, la capacità di scandalizzare o di<br />

ispirare timore.<br />

Il linguaggio impedisce di comunicare.<br />

LE AUTOMOBILI AMANO SHELL<br />

Come posso dire<br />

“Ti amo”<br />

dopo aver sentito dire:<br />

LE AUTOMOBILI AMANO SHELL?<br />

J. Rubin<br />

baritata su alluminio 40x52 cm<br />

25 APRILE 1994


stampa su carta baritata montata su dibond 47x200 cm LA FISARNOMICA....scalf..bk..@giù..clin..ton....no....il card jvn,v........vkfg.,osunt


stampata su carta baritata montata su dibond 60x165 cm<br />

LARGO FEDERICO FELLINI


ESISTENZA? digitale su carta baritata montata su alluminio 40x52 cm digitale su carta baritata montata su alluminio 40x52 cm<br />

MEZZO CUORE FERITO


Gli uomini si uccidono ancora tra loro, non hanno ancora capito come vivono e perchè vivono;<br />

i politici non riescono a vedere che la terra è un’entità, eppure è stata inventata la televisione<br />

(Telehor): il “Lungi Veggente” - domani riusciremo a guardare nel cuore dei nostri simili a essere<br />

dappertutto e a essere tuttavia soli... a milioni, la non ambiguità del reale, la verità insita nella<br />

situazione quotidiana viene offerta a tutte le classi, sta lentamente affiorando l’igiene dell’ottico,<br />

la salute del visibile. Laszlò Moholy-Nagy (1925)<br />

OTV! OTV! OTV! 2010


Antonio De Luca è nato a Montagnareale (ME) nel 1956. Vive e lavora a Milano.<br />

Come fotografo ha lavorato e pubblicato per numerose pubblicazioni,riviste, case editrici, tra cui Rizzoli , Mondadori,<br />

Rusconi, Condè Nast,Elle Japon, Madame Figarò.<br />

Ha inoltre realizzato video pubblicitari, cataloghi, calendari,pubblicazioni per BGS, HDMWE, Satchi&Satchi, Fiat immagine,<br />

Blue Imp., Azzurra, Sbernadori Del Conte, Ricordi BMG, IVECO, Pirella&G, Red Cell, Penno advertising , Olivetti, MPIO.<br />

Come artista ha preso parte a numerose mostre, tra le quali ricordiamo: CRONACHE VERE a cura di Alessandro Riva, Milano,<br />

spazio Consolo, 1997; DESTRA, Spazio Enzo Nocera Milano; SULLA TV, Spazio San Fedele Milano; SKULL, <strong>Wannabee</strong><br />

<strong>Gallery</strong> e spazio Revel, Milano; NEW LOOK a cura di Pino Centomani e Lillo Marciano, villa Brescianelli, Mantova; RIMINI<br />

ROUND 92 con il video “Eldorado”; MONTBLANC ART PROJECT 2001 con il video “Bohéme” a Tokyo e Sidney; MALE DI<br />

MIELE, <strong>Wannabee</strong> <strong>Gallery</strong>, Milano; AFFETTI SPECIALI a cura di Renzo Castiglioni, Ponte in Valtellina (Sondrio); CELESTE<br />

PRIZE exhibition, Berlino; RODI ART EXHIBITION.<br />

bed and breakfast<br />

Vergiate (VA)<br />

grazie a:<br />

Cinzia<br />

Maurizio<br />

Roberto<br />

Alessandro<br />

Felipe<br />

Miranda<br />

Vania<br />

Claudio<br />

Silvia<br />

Thomas<br />

Patrizia<br />

Florencia<br />

Rossana<br />

FRATELLI DI TAGLIA mix Roberto Fumana da un’idea di Antonio De Luca<br />

<strong>Wannabee</strong> <strong>Gallery</strong> nasce a Milano nel 2006 con l’obiettivo di selezionare e promuovere artisti<br />

italiani e stranieri, esordienti ed emergenti e di seguirli con professionalità ed attenzione curatoriale<br />

lungo la loro carriera. Ad oggi il portafoglio <strong>Wannabee</strong> conta in permanenza un selezionato gruppo<br />

di artisti di diversa estrazione che stanno affermandosi in Italia e all’estero.<br />

Sita nel moderno ed elegante spazio polifunzionale del Revel Scalo d’Isola, in uno dei quartieri più<br />

vibranti della città, <strong>Wannabee</strong> <strong>Gallery</strong> è ormai un punto di riferimento per artisti, collezionisti, cultori dell’arte ed intellettuali. Gli<br />

eventi ospitati e le mostre sono seguitissime dalla città e dai media per il forte contenuto di rottura e di innovazione e la qualità<br />

dei progetti proposti (presentazioni di libri, spettacoli teatrali, performance artistiche, conferenze...) .<br />

Da diverso tempo, inoltre, <strong>Wannabee</strong> <strong>Gallery</strong> ha creato per i propri artisti in permanenza un programma di scambio con importanti<br />

gallerie ed istituzioni internazionali, ampliando per loro in maniera semplice ed immediata, la notorietà anche all’estero. Le opere<br />

degli artisti <strong>Wannabee</strong> sono così entrate in poco tempo a far parte di importanti collezioni private e musei in tutto il mondo (Miami,<br />

New York, Shangai, Londra, Berlino, Montreal, Parigi, Dubai, Los Angeles....)<br />

via Thaon de Revel 3, 20159 Milano, ITALY - www.wannabee.it - be@wannabee.it - tel/fax 0236518733

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