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catalogo - Wannabee Gallery

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Il mito della caverna nella società moderna e nei media<br />

L’idea della liberazione dell’uomo dalle catene della sua esperienza limitata ed il raggiungimento della pura conoscenza<br />

della realtà è comune a molte culture; anche le scoperte e le invenzioni che rendono tale il mondo moderno possono<br />

essere viste come risultato del tentativo dell’uomo di superare i propri limiti per raggiungere ciò che è oltre la conoscenza<br />

del momento. La letteratura, il cinema ed in generale tutte le arti sono ricche di storie di uomini che, sfidando l’ostilità dei<br />

contemporanei, si sono “liberati dalle catene” dell’opinione arrivando a conoscere la verità e sono poi tornati a riferirla, non<br />

sempre guadagnando rispetto ed ammirazione, agli ex compagni di prigionia. Inoltre, ultimamente il mito della caverna è<br />

divenuta una metafora che simboleggia quanto i mass media influenzino e dominino l’opinione pubblica, interponendosi tra<br />

l’individuo e la notizia, manipolando quest’ultima secondo necessità.<br />

Antonio de Luca, al pari del protagonista del mito di Platone, ha lasciato dietro di sé le catene, volge lo sguardo verso<br />

l’entrata della caverna e verso il cielo, abituando gli occhi alla luce e riuscendo finalmente a distinguere i contorni degli<br />

oggetti e dopo aver puntato gli occhi verso il sole si rende conto che<br />

Le fotografie in mostra con il tiolo “Lo schermo di Scipio”, bellissime e scomodissime sovraimpressioni, sono frutto<br />

dell’interazione di una critica feroce alla società della iper-comunicazione e una leggerezza dadaista e scanzonata che “osa”<br />

accostare immagini della realtà (o potremmo dire le Platoniche ombre) alla realtà stessa, creando, nella somma, contrasti<br />

e stridori che non possono non farci riflettere. Riusciremo, quindi, ad uscire dalla caverna? A liberarci dalle catene?<br />

Ai posteri……<br />

« è esso a produrre le stagioni e gli anni e a governare tutte le cose del mondo visibile e<br />

ad essere causa, in certo modo, di tutto quello che egli e suoi compagni vedevano. »<br />

(Platone, la Repubblica libro VII, 516 c - d, trad.: Franco Sartori)<br />

SILVIA PETTINICCHIO<br />

Antonio De Luca ha realizzato la maggior parte delle immagini, dal ‘94 a oggi, in formato analogico, sovrapponendo su rullini già<br />

precedentemente impressi nuovi cicli di immagini, e ottenendo così effetti di sovrapposizione e giustapposizione del tutto casuale<br />

di immagini diverse, a volte straordinariamente simboliche, altre volte disarmanti, altre ancora assolutamente esilaranti.<br />

L’effetto è quello di un “surrealismo del quotidiano” che ricorda il processo creativo dadaista, e che, nella sua bizzarra<br />

incongruenza, porta a riflettere sull’assurdità della realtà nell’epoca, appunto, della “sparizione del reale”, ormai definitivamente<br />

sostituito dal grande gioco dello spettacolo virtuale.<br />

Personalmente, seguo il lavoro di De Luca fin dai primi anni Novanta. Già nel 1998 l’avevo inserito, assieme a Claudio Vitale,<br />

all’interno della mostra Cronache vere, con il suo lavoro di sovrapposizione casuale di immagini, indifferentemente tratte dal<br />

“mondo reale” o dallo schermo televisivo. Oggi, a più di dieci anni di distanza, con la parabola di de-realizzazione del mondo e<br />

di finzionalizzazione del reale ormai quasi definitivamente, e drammaticamente, compiuta, abbiamo deciso di riunire i frutti di<br />

quel mastodontico lavoro di riappropriazione delle immagini del mondo – e dunque, psicanaliticamente, di fuga dall’oblio, e dal<br />

fatale appiattimento omologante e ammorbante delle immagini e delle informazioni da cui siamo onnipresentemente annichiliti<br />

e ammorbati - in un’unica mostra. Questo ne è il risultato.<br />

La finzionalizzazione del mondo e la fine<br />

dell’informazione nell’èra della trans-politica<br />

Nel 1998, avevo messo in piedi la mia prima mostra collettiva. Il titolo era: Cronache vere. L’avevo messa in piedi riunendo i migliori<br />

artisti italiani che lavoravano sugli stimoli che la cronaca offriva a chiunque avesse la voglia e la capacità di cogliere ciò che già<br />

allora era possibile intravedere sotto la scorza di una società in vorticosa rotta di collo verso il nichilismo mediatico da cui oggi è<br />

completamente e fatalmente intrappolata - cronaca nera, rosa, viola, rossa, già magmaticamente intrisa di quella disperata voglia<br />

di sangue, di sesso, di ricatto, di violenza, di forca, di galera (sempre e solo per gli altri, ça va sans dire), di vilipendio standardizzato<br />

e generalizzato, di vendetta e di odio senza scampo e senza redenzione per chiunque avesse o abbia la sventura di cadere nel<br />

tritacarne mediatico, di presentificazione generalizzata, di cancellazione di senso generalizzato, di ostentazione generalizzata del<br />

peggio che ognuno di noi è capace di tirare all’occorrenza fuori, di sistematico rispecchiamento, senza più alcun complesso di<br />

colpa, nell’ignoranza altrui, nella violenza altrui, nella meschinità altrui, nella miseria altrui: Grandi fratelli, Amici, isole dei famosi,<br />

paparazzate, scandali sessuali, servizi girati di nascosto nelle camere d’albergo e comprati sotto banco da politici e manager dai<br />

vizi segreti, telecamere nascoste, fiumi di droga nelle discoteche, nelle aule parlamentari, nelle redazioni dei giornali, negli alberghi<br />

di lusso con puttana annessa per i politici o i boiardi di turno, e poi grandi pupazzi rossi che intervistano politici, comici travestiti da<br />

politici che intervistano altri politici, politici che fanno i comici, pochade, equivoci, segreti di pulcinella, veleni, omicidi travestiti da<br />

suicidi, suicidi travestiti da omicidi, travestiti tout court - travestiti ammazzati, travestiti vilipesi, travestiti sociologi, filosofi, politici,<br />

commentatori; e poi starlettes, veline, escort, puttane, puttanieri, froci che fanno gli etero, etero che fanno i froci, nazisti travestiti<br />

da mammolette, mammolette travestiti da nazisti, preti spretati, preti predicatori, preti esorcisti, preti politici, preti faccendieri, preti<br />

banchieri…<br />

Nel 1998: Craxi, Berlusconi, terroristi, piduisti, stupri, mostri, madonnine piangenti, assassini della porta accanto, guerre, omicidi; e<br />

poi il mostro di Glouchester, quello di Firenze, l’assassino di Versace, pistole, sangue, sesso, sesso, sesso: le cronache vere del 1998<br />

erano già questo e non già non più solo questo: erano già i processi televisivi, le retoriche televisive, le idiozie e le ipocrisie televisive,<br />

le trasmissioni-verità, i primi reality, i comici già fatalmente superati dalla comicità del reale, e poi misticismo isterizzato, politica<br />

isterizzata, cronaca isterizzata. Le puntate-fiume sulla cronaca nera a Porta a Porta erano ancora di là da venire, ma c’erano già i<br />

modellini delle case del delitto in tv, portate, con stile ancora datatamente british da Corrado Augias a Telefono Giallo (io ne feci<br />

venire uno per la mostra, e lo esposi); Berlusconi era appena sceso in campo, ma noi non sapevamo, o non volevamo accorgersi,<br />

che erano già dieci anni che aveva cominciato a cambiare, inesorabilmente e definitivamente, la nostra mente, aveva già plasmato<br />

gli italiani del domani con le sue televisioni, coi suoi programmi, con i suoi grandi magazzini, con i suoi valori, il suo cinismo, le sue<br />

cittadelle-satelliti, con la sua mentalità, fatta di corsa al soldo, al successo, al denaro, alla “sicurezza”, a un ordine fittizio raccontato

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