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David Donnini<br />

LA NASCITA<br />

DI GESÙ<br />

Tradizioni e contraddizioni<br />

della prima festa cristiana<br />

ATTENZIONE:<br />

Questo lavoro è coperto da copyright. L’unico uso consentito è la lettura<br />

personale. È vietato <strong>copia</strong>rne parti o diffonderne stampe. Chiunque volesse<br />

citarne una parte nei suoi scritti, riviste o pubblicazioni cartacee, digitali o<br />

altro, deve chiederne l’autorizzazione a david.donnini@gmail.com cell.<br />

3926276743 e, comunque, inserire sempre fra virgolette e citare chiaramente<br />

la fonte e l’autore dell’originale. Le violazioni saranno perseguite a termini di<br />

legge.<br />

Autore: David Donnini<br />

Anno: 2009<br />

URL: http://www.nostraterra.it<br />

e-mail: david.donnini@gmail.com<br />

cell. 3926276743


INDICE<br />

INTRODUZIONE 3<br />

I QUATTRO VANGELI CANONICI 6<br />

LA NATIVITÀ 15<br />

LA NATIVITÀ NEL VANGELO SECONDO MATTEO 21<br />

IL RACCONTO 21<br />

LA NATIVITÀ DI MATTEO 26<br />

LA NATIVITÀ NEL VANGELO SECONDO LUCA 43<br />

IL RACCONTO 43<br />

LA NATIVITÀ DI LUCA 49<br />

I CONTRASTI FRA LE NATIVITÀ. 58<br />

FRATELLI E SORELLE DI GESÙ. 65<br />

LE NATIVITÀ APOCRIFE. 72<br />

LA NASCITA DI GESÙ NELLE TRADIZIONI EBRAICHE 83<br />

LA NASCITA DI GESÙ NEL CORANO 90<br />

LA NASCITA DI GESÙ NELLA TRADIZIONE INDO-BUDDISTA 95<br />

DOV’È NATO GESÙ, UN’IPOTESI CORAGGIOSA 99<br />

NATALE. 110


Introduzione<br />

C’è un fatto importante, a proposito della letteratura religiosa cristiana, che viene dimenticato<br />

troppo spesso e sul cui significato non si riflette abbastanza: nei secoli passati la traduzione dei libri<br />

sacri in lingua volgare, il loro semplice possesso e la libera lettura erano proibiti dalla chiesa, sotto<br />

minaccia di severe punizioni. Soltanto nel corso delle funzioni ufficiali, e sotto la guida del<br />

sacerdote, il fedele poteva prendere conoscenza del contenuto dei testi. Anche perché la stragrande<br />

maggioranza del popolo non conosceva né il greco, né il latino, e dipendeva in modo totale dai colti<br />

e dagli ecclesiastici per accedere al racconto della vita e delle opere di Cristo.<br />

Poi è giunto il tempo della liberalizzazione e, a partire dal diciottesimo secolo, gli intellettuali si<br />

sono permessi di analizzare criticamente le scritture canoniche e, spesso, si sono azzardati a<br />

metterne in evidenza ambiguità e contraddizioni. È nata così un’aspra contesa tra i difensori a<br />

oltranza della lettera e della storicità del Nuovo Testamento e gli scettici anticlericali, intenzionati<br />

talvolta a negare la stessa esistenza storica di Gesù. Un conflitto di questo genere, fortunatamente<br />

distribuito in un ambito di sfumature molto più ricco ed articolato, permane ancora oggi. Anche<br />

perché, purtroppo, è ben lontana dal concludersi l’epoca dell’incompatibilità tra fede e ragione.<br />

Da secoli l’occidente cristiano ha soffiato sulla brace di questo scontro, generando quelli che<br />

sembrano essere fenomeni piuttosto irrilevanti in altre aree culturali e religiose: il materialismo e<br />

l’ateismo, intesi come rifiuto e negazione di ogni forma di spiritualità. Ed è proprio per colpa di<br />

questa cristallizzazione dialettica che la ricerca di un’autentica spiritualità risulta difficile nel<br />

mondo moderno e occidentale, dove la scelta sembra potersi articolare solo fra l’accettazione della<br />

dottrina ufficiale della chiesa, l’interesse rivolto verso religiosità esotiche, o l’abbandono di ogni<br />

sentimento religioso.<br />

Da un lato, la conoscenza scientifica è cresciuta in modo rapidissimo. Ma, nel fare questo, troppo<br />

spesso le istituzioni e gli uomini di scienza si sono lasciati condurre da interessi di mera<br />

convenienza: le ragioni del profitto commerciale e quelle della potenza militare, piuttosto che da<br />

quello spirito elevato, già proprio della civiltà greca antica, che poneva la conoscenza al centro di<br />

un interesse non necessariamente finalizzato. Ed è così che, negli ultimi secoli, la ricerca scientifica<br />

ha accresciuto il suo carattere materialista.<br />

Dall’altro lato, la chiesa, sentitasi minacciata nella sua autorità dalla crescita di una conoscenza che<br />

sembrava in grado di confutare alcuni presupposti della dottrina, ha concesso qualche inevitabile<br />

forma di apertura, ma si è sempre posta a baluardo dei propri dogmi, anche là dove l’insegnamento<br />

religioso produceva irrimediabili contrasti con la conoscenza della natura e delle sue leggi. Da<br />

questo deriva il conflitto più grave del mondo moderno: le tante stridenti incompatibilità fra<br />

spiritualità e razionalità che, a mio parere, sono alla base dei drammatici disagi della civiltà


moderna. In senso esteriore, con riferimento alla situazione economica, politica ed ecologica del<br />

genere umano, ma anche in senso interiore, con riferimento alla salute mentale dell’individuo e alla<br />

qualità globale della sua vita.<br />

Purtroppo, assai spesso, i miei scritti relativi all’analisi storica della letteratura cristiana sono stati<br />

interpretati come espressioni di un’indole anticlericale materialista, per la semplice ragione che a<br />

volte colpiscono, anche duramente, certe asserzioni e idee della dottrina ecclesiastica, e sembrano<br />

concepiti per combatterla da una posizione intollerante nei confronti di qualunque religiosità. Non è<br />

così. Ed è bene che fin dall’introduzione di questo lavoro dedicato ad un tema delicato ed<br />

affascinante, com’è il Natale, con tutte le tradizioni ad esso collegate, sia chiaro il fatto che l’analisi<br />

critica non parte da una motivazione distruttiva, ma dalla convinzione che lo sviluppo di<br />

un’autentica spiritualità non è possibile senza l’emancipazione dai vincoli culturali che, troppo<br />

spesso, hanno avuto lo scopo di contenere e di controllare, piuttosto che quello di educare e di far<br />

crescere.<br />

È impressionante l’incapacità cronica del mondo occidentale moderno di accettare la funzione del<br />

mito, nel suo alto significato educativo, senza porre subito, in modo puerile quanto superficiale ed<br />

inopportuno, una problematica di veridicità ed autenticità che vorrebbe ridurre tutto ad una logica<br />

da quiz del tipo vero/falso. E così: Gesù Cristo è esistito, oppure no? È risuscitato, oppure no? È<br />

nato da una vergine, oppure no? Da un lato i si della fede, e dall’altro i no della ragione.<br />

Di fronte ad un’impostazione mentale di questo genere, così profondamene radicata, non hanno<br />

prodotto effetti molto significativi gli sforzi di quegli studiosi che hanno voluto sottolineare la<br />

distinzione fra il Cristo della storia e quello della fede. La chiesa continua ad insegnare che i<br />

racconti evangelici, relativi a eventi miracolosi e non, sono da intendere come cronache di fatti<br />

realmente accaduti. I devoti hanno necessità di crederlo, affinché la loro fede non debba vacillare.<br />

Gli scettici continuano a parlare di bugie, e tendono a screditare il sentimento religioso nel suo<br />

complesso.<br />

Sembra molto difficile, per non dire generalmente impossibile, accedere ad una visione delle cose,<br />

peraltro antica quanto la civiltà umana, in cui il racconto mitico funge da veicolo di significati<br />

educativi, indipendentemente dall’insorgenza di una questione di veridicità. La veridicità, o meglio,<br />

la verità, dovrebbe essere intesa come validità dei contenuti che si vogliono trasmettere, al di là del<br />

fatto che lo strumento di comunicazione sia costituito da un linguaggio credibile alla lettera. Questo<br />

è l’atteggiamento culturale corretto nei confronti di una narrazione nata per essere mitologica.<br />

Ma questa capacità, che appartiene ad un’intelligenza matura, ricca e costruttiva, che riconosce il<br />

valore della fantasia, si è persa nello vie contorte dello sviluppo di questa civiltà moderna. E la<br />

responsabilità di questo fatto deve essere attribuita in uguale misura ai difensori inflessibili della<br />

religiosità dogmatica e dottrinale, quanto ai paladini di quel positivismo arrogante e di quel


materialismo ottuso, che pretendono di essere razionali senza essersi accorti che Carl Gustav Jung,<br />

già nei primi anni del secolo scorso, aveva proclamato su base scientifica il valore insostituibile dei<br />

simboli e della mitologia, come elementi formativi dell’inconscio individuale e collettivo.<br />

Spiritualità e scienza senza psicologia! Sono queste la fede e la ragione che non usciranno mai dal<br />

loro inguaribile conflitto.<br />

Personalmente, dopo quasi tre decenni di lettura e studio delle scritture religiose, cristiane e non, ho<br />

maturato un atteggiamento che, pur senza rinunciare alla necessità di analizzare le cose per<br />

verificarne la natura e l’origine, privilegia il valore della sintesi. Nella convinzione che può esservi<br />

molta verità in una cosiddetta bugia, là dove si incontrano nel modo giusto l’intenzione dell’autore<br />

e la capacità di lettura del destinatario.<br />

Il Natale cristiano, che affonda le sue radici nelle mitologie antichissime dell’Egitto, della Grecia,<br />

del medio oriente antico, e persino dell’oriente indo buddista, non deve essere mortificato né dalla<br />

credulità dogmatica, né dallo scetticismo ateo, ma essere arricchito, anche attraverso il giusto spirito<br />

critico, affinché possa svelare il valore educativo della mitologia e continuare ad offrire punti di<br />

riferimento che rendano l’uomo consapevole di sé e memore del proprio passato. Col Natale la<br />

civiltà occidentale ha nelle proprie mani qualcosa di grande e importante che non merita di essere<br />

né il Natale fideista e bigotto, né quello consumista e commerciale. Mi auguro che il presente lavoro<br />

sia interpretato come uno sforzo letterario in tal senso.<br />

Firenze, Aprile 2010<br />

David Donnini


I quattro vangeli canonici<br />

I quattro scritti canonici appartenenti al Nuovo Testamento, che raccontano la vita e le opere di<br />

Gesù detto il Cristo, sono i Vangeli secondo Matteo, Marco, Luca e Giovanni. Le versioni che<br />

leggiamo oggi sono state redatte in greco. I nomi degli evangelisti sembrano voler sottintendere che<br />

almeno due apostoli del maestro galileo, Matteo e Giovanni, avrebbero voluto registrare la loro<br />

conoscenza di fatti e insegnamenti dei quali erano stati testimoni oculari. Molti hanno avanzato<br />

l’idea che anche Marco, sebbene non sia contemplato nell’elenco dei dodici, potrebbe essere stato<br />

un testimone diretto. Luca, invece, forse un medico di Antiochia di Siria, sarebbe stato un discepolo<br />

di San Paolo, ed è l’unico di cui la tradizione ammette apertamente che non fu uno spettatore dei<br />

fatti, ma il destinatario di testimonianze indirette. A lui è attribuita la paternità degli Atti degli<br />

Apostoli, oltre che del terzo Vangelo.<br />

Matteo, detto Levi e figlio di Alfeo, sarebbe stato inizialmente un pubblicano, ovvero uno di quei<br />

giudei, detestati dai compatrioti, che collaboravano coi romani nella riscossione delle tasse. Stando<br />

ai racconti evangelici, quest’uomo era impegnato nella sua scellerata attività, quando Gesù sarebbe<br />

passato nelle sue vicinanze, lo avrebbe chiamato a sé, ed egli avrebbe improvvisamente<br />

abbandonato tutto, come rapito da un impulso irresistibile, per seguire colui che, da quel momento<br />

in poi, sarebbe diventato il suo maestro spirituale 1 .<br />

La posizione di questo discepolo, all’interno delle narrazioni evangeliche, è sfuggente perché, a<br />

parte l’episodio della sua strana chiamata e il fatto di essere nominato nella lista dei dodici<br />

apostoli 2 , possiamo leggere un solo breve cenno relativo ad una sua presenza attiva. Si trova nel<br />

Vangelo di Luca, nel momento in cui si parla di un banchetto che Matteo Levi avrebbe offerto a<br />

favore di Gesù 3 . Per il resto il discepolo scompare e, quel che è più significativo ed enigmatico, la<br />

1<br />

“Andando via di là, Gesù vide un uomo, seduto al banco delle imposte, chiamato Matteo, e gli disse: “Seguimi”. Ed<br />

egli si alzò e lo seguì.” (Mt IX, 9).<br />

“Uscì di nuovo lungo il mare; tutta la folla veniva a lui ed egli li ammaestrava. Nel passare, vide Levi, il figlio di<br />

Alfeo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: “Seguimi”. Egli, alzatosi, lo seguì.” (Mc II, 13 14).<br />

“Dopo ciò egli uscì e vide un pubblicano di nome Levi seduto al banco delle imposte, e gli disse: “Seguimi!”. Egli,<br />

lasciando tutto, si alzò e lo seguì.” (Lc V, 27-28).<br />

2<br />

“I nomi dei dodici apostoli sono: primo, Simone, chiamato Pietro, e Andrea, suo fratello; Giacomo di Zebedèo e<br />

Giovanni suo fratello, Filippo e Bartolomeo, Tommaso e Matteo il pubblicano, Giacomo di Alfeo e Taddeo, Simone il<br />

Cananeo e Giuda l'Iscariota, che poi lo tradì.” (Mt X, 2-4).<br />

“Costituì dunque i Dodici: Simone, al quale impose il nome di Pietro; poi Giacomo di Zebedèo e Giovanni fratello di<br />

Giacomo, ai quali diede il nome di Boanèrghes, cioè figli del tuono; e Andrea, Filippo, Bartolomeo, Matteo,<br />

Tommaso, Giacomo di Alfeo, Taddeo, Simone il Cananeo e Giuda Iscariota, quello che poi lo tradì.” (Mc III, 16-19).<br />

“Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede il nome di apostoli: Simone, che<br />

chiamò anche Pietro, Andrea suo fratello, Giacomo, Giovanni, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo<br />

d'Alfeo, Simone soprannominato Zelota, Giuda di Giacomo e Giuda Iscariota, che fu il traditore.” (Lc V, 13-16).<br />

3<br />

“Poi Levi gli preparò un grande banchetto nella sua casa. C'era una folla di pubblicani e d'altra gente seduta con<br />

loro a tavola. I farisei e i loro scribi mormoravano e dicevano ai suoi discepoli: “Perché mangiate e bevete con i<br />

pubblicani e i peccatori?”. Gesù rispose: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono<br />

venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a convertirsi”.” (Lc V, 29-32).


figura di Matteo non esiste affatto nel quarto Vangelo, che secondo la tradizione sarebbe stato<br />

scritto dall’apostolo Giovanni, un altro presunto testimone oculare. In quel testo Matteo non è<br />

conosciuto fra gli apostoli.<br />

L’ordine in cui i testi vengono comunemente presentati sembra anche voler sottintendere una<br />

successione cronologica nella loro redazione. Quello detto “secondo Matteo” sarebbe il più antico,<br />

almeno in un versione primitiva. Qualcuno l’ha sostenuto. Qualcuno ancora oggi vorrebbe farlo<br />

credere, sebbene contro molte evidenze.<br />

Possiamo effettuare alcune semplici considerazioni strutturali per intuire alcuni aspetti nella genesi<br />

dei quattro scritti canonici, il cui percorso dettagliato resta comunque piuttosto oscuro e dibattuto.<br />

Una prima analisi comparativa mostra che il Vangelo secondo Marco sarebbe stato quello che ha<br />

offerto il materiale di base della narrazione della vita e delle opere di Gesù, nel periodo che va dal<br />

suo battesimo sul Giordano alla sua presunta resurrezione, dopo essere stato crocifisso a<br />

Gerusalemme. Un racconto riguardante le azioni di un Gesù già adulto, in un periodo che sembra<br />

variare da uno a tre anni.<br />

Nel Vangelo secondo Marco la famiglia di origine di Gesù appare come un nucleo dal quale è<br />

assente la figura del padre, di cui non si conosce il nome, composto da una madre con diversi figli e<br />

figlie, assolutamente priva delle caratteristiche di verginità che gli sono attribuite da altri due<br />

Vangeli. Si direbbe, piuttosto, che Marco ci rappresenta una madre vedova con la sua prole<br />

numerosa. L’immagine della sacra famiglia, nota e amata, come nucleo composto da Gesù, figlio<br />

unico, Giuseppe, padre putativo, e Maria, vergine, è disattesa in questo testo. Maria è nominata in<br />

due occasioni sole, una volta come sua madre, un’altra volta col nome proprio 4 . Per comodità<br />

chiameremo “materiale marciano”, o “materiale Mc” la trama e la struttura complessiva di questo<br />

scritto.<br />

In altri due Vangeli canonici, quelli secondo Matteo e secondo Luca, si nota la presenza globale del<br />

materiale marciano, anche se con piccole variazioni, al punto che i tre Vangeli sono definiti<br />

sinottici, perché è possibile effettuare una lettura comparata affiancandoli là dove i brani,<br />

abbastanza spesso, presentano episodi similari, descritti con frasi e parole che talvolta coincidono<br />

letteralmente. In questi due Vangeli, al materiale marciano risulta aggiunto materiale ulteriore che<br />

può essere così descritto: nelle narrazioni della vita adulta di Gesù sono presenti brani non marciani<br />

comuni a Matteo e Luca, che definiremo “materiale Mt-Lc”; brani esclusivi di Matteo, che<br />

definiremo “materiale Mt”; e brani esclusivi di Luca, che definiremo “materiale Lc”.<br />

Molti studiosi hanno avanzato l’idea che il materiale Mt-Lc, in cui troviamo le famose beatitudini 5<br />

e il meraviglioso discorso della montagna 6 , sveli l’esistenza di una fonte antica, oggi perduta, detta<br />

4 Mc III, 31-35; Mc VI, 3.<br />

5 Mt V, 3-12; Lc VI, 20-26.


Q (dal termine tedesco Quelle, cioè fonte), nella quale qualcuno ha voluto individuare il primitivo<br />

Vangelo di Matteo, in una versione semitica. L’ipotesi rimane tale, e spesso è del tutto negata. A<br />

quanto abbiamo detto finora bisogna aggiungere che questi due evangelisti hanno iniziato i loro<br />

scritti con narrazioni relative alla nascita e alla primissima infanzia di Gesù, le cosiddette natività.<br />

Che, nondimeno, risultano molto diverse e, come vedremo, persino incongruenti.<br />

Schema strutturale dei quattro Vangeli canonici<br />

Marco Matteo Luca Giovanni<br />

Materiale Mc Materiale Mc Materiale Mc Materiale Mc<br />

Materiale Mt<br />

Materiale Lc<br />

Materiale Mt-Lc Materiale Mt-Lc<br />

Natività Mt<br />

Natività Lc<br />

Materiale Gv<br />

Già queste constatazioni, relative semplicemente all’architettura degli scritti, ci permettono di<br />

affermare che il Vangelo secondo Marco è stato utilizzato come fonte dagli altri due evangelisti. Ma<br />

quest’idea è suffragata anche da altre considerazioni, da cui emerge che i successivi redattori non si<br />

sono limitati al semplice fatto di aggiungere materiale narrativo, ma si sono spinti in avanti nei<br />

contenuti, nell’interpretazione teologica della figura di Gesù, e nell’intento celebrativo e costruttivo<br />

che seguiva di pari passo la rapida evoluzione dell’apologetica cristiana.<br />

Un discorso a parte deve essere fatto per il quarto Vangelo, quello detto secondo Giovanni. In esso<br />

possiamo notare uno scheletro narrativo che, a grandi linee, segue lo schema marciano: l’inizio con<br />

l’incontro fra Giovanni e Gesù sul Giordano, i viaggi a Gerusalemme, la cena di Betania, l’ingresso<br />

trionfale a dorso d’asino nella città santa, lo scontro coi mercanti nel tempio, l’ultima cena,<br />

l’arresto, il processo, l’esecuzione con la morte e la resurrezione. In realtà il Vangelo secondo<br />

Giovanni si distacca sensibilmente dagli altri tre. Esclude molti contenuti tipici dei sinottici (fra cui<br />

l’elencazione degli apostoli e, durante l’ultima cena, l’istituzione dell’eucarestia). Non conosce la<br />

natività. Aggiunge importanti episodi e personaggi, per esempio il miracolo della resurrezione di<br />

Lazzaro, e cita in più occasioni i componenti della famiglia di Betania, cioè Lazzaro con le sorelle<br />

Marta e Maria, che i Vangeli sinottici hanno praticamente ignorato 7 .<br />

6 Mt V, 13-48; VI, 1-29. Lc VI, 27-49.<br />

7 Matteo e Marco hanno letteralmente eliminato questi personaggi dalla loro narrazione. C’è un solo brano, nel Vangelo<br />

secondo Luca, in cui le sorelle Marta e Maria sono nominate. Ma possiamo notare che il villaggio è reso anonimo e non


Il quarto Vangelo, nel suo complesso, configura una cristologia diversa da quella dei Vangeli<br />

sinottici. Si avvicina ad alcuni concetti caratteristici dello gnosticismo. Inizia con un importante<br />

riferimento al logos, identificato come l’essenza stessa del Cristo. Offre interpretazioni dell’operato<br />

di Gesù che gli sono proprie. Dedica all’ultima cena uno spazio allargato, con sviluppi teologici<br />

molto approfonditi ed originali.<br />

Dei quattro Vangeli canonici si sostiene che sarebbero stati scritti negli anni fra il 70 d.C. e il<br />

termine del primo secolo. Anche se l’esegesi cattolica pretende spesso di fissare l’origine degli<br />

scritti canonici ad un periodo precedente di venti o persino trent’anni, avvicinando così la redazione<br />

evangelica al periodo in cui è vissuto Gesù. A parte il fatto che i tentativi di confermare questa<br />

anticipazione sono sempre risultati poco consistenti, c’è un elemento fondamentale che impedisce la<br />

datazione anche del più antico dei Vangeli ad un periodo antecedente al 70. Mi riferisco al fatto che<br />

nelle parole di Gesù sono contenuti espliciti riferimenti alla distruzione del tempio, avvenuta<br />

appunto nel 70 d.C., ad opera dell’allora generale romano Tito, figlio di Vespasiano e futuro<br />

imperatore. Si tratta della cosiddetta “piccola apocalisse” di Marco 8 , poi ripresa anche dagli altri<br />

evangelisti e riproposta da Luca in termini che la legano ancora più esplicitamente alle drammatiche<br />

vicende dell’assedio e della distruzione di Gerusalemme 9 . Sono prophetiae post eventum, ovverosia<br />

brani con riferimento a fatti successivi alla narrazione, che pertanto appaiono come profezie in<br />

bocca a Gesù, ma che sono stati scritti quando gli eventi si erano già svolti.<br />

In genere, quando si argomenta sull’epoca di composizione dei Vangeli, non si tiene abbastanza<br />

conto di un fatto: i Vangeli che leggiamo oggi non possono essere considerati come il frutto di una<br />

singola operazione redazionale, attribuibile ad un preciso autore, svoltasi in un periodo<br />

relativamente circoscritto, e seguita tutt’al più da qualche piccola rifinitura nei dettagli. Al<br />

contrario, le correzioni sono consistite in rilevanti operazioni di taglio, di censura e di aggiunta,<br />

ci sono altri elementi per poterle identificare meglio. Alle due donne è attribuito un fugace ruolo da semplici comparse:<br />

“Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo accolse nella sua casa. Essa aveva<br />

una sorella, di nome Maria, la quale, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola; Marta invece era tutta presa<br />

dai molti servizi. Pertanto, fattasi avanti, disse: “Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire?<br />

Dille dunque che mi aiuti”. Ma Gesù le rispose: “Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è<br />

la cosa di cui c'è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta”” (Lc X, 38-42).<br />

8 “Mentre usciva dal tempio, un discepolo gli disse: “Maestro, guarda che pietre e che costruzioni!”. Gesù gli<br />

rispose: “Vedi queste grandi costruzioni? Non rimarrà qui pietra su pietra, che non sia distrutta”” (Mc XIII, 1-2);<br />

“Quando vedrete l'abominio della desolazione stare là dove non conviene, chi legge capisca, allora quelli che si<br />

trovano nella Giudea fuggano ai monti; chi si trova sulla terrazza non scenda per entrare a prendere qualcosa nella<br />

sua casa; chi è nel campo non torni indietro a prendersi il mantello. Guai alle donne incinte e a quelle che<br />

allatteranno in quei giorni! Pregate che ciò non accada d'inverno; perché quei giorni saranno una tribolazione, quale<br />

non è mai stata dall'inizio della creazione, fatta da Dio, fino al presente, né mai vi sarà. Se il Signore non abbreviasse<br />

quei giorni, nessun uomo si salverebbe.” (Mc XIII, 14-20).<br />

9 “Ma quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, sappiate allora che la sua devastazione è vicina. Allora<br />

coloro che si trovano nella Giudea fuggano ai monti, coloro che sono dentro la città se ne allontanino, e quelli in<br />

campagna non tornino in città; saranno infatti giorni di vendetta, perché tutto ciò che è stato scritto si compia. Guai<br />

alle donne che sono incinte e allattano in quei giorni, perché vi sarà grande calamità nel paese e ira contro questo<br />

popolo. Cadranno a fil di spada e saranno condotti prigionieri tra tutti i popoli; Gerusalemme sarà calpestata dai<br />

pagani finché i tempi dei pagani siano compiuti” (Lc XXI, 20-24).


proseguite non solo nella stesura dei testi greci, ma anche nelle successive traduzioni nelle diverse<br />

lingue volgari. All’interno di queste operazioni si possono inoltre riconoscere meccanismi ricorrenti<br />

come, ad esempio, la confusione di certi titoli ed attributi con termini di significato geografico<br />

(nazareno come cittadino di Nazaret, galileo come proveniente dalla Galilea, cananeo come “dalla<br />

terra di Canaan”, quando tutti e tre i termini hanno espliciti riferimenti alle sette zelotiche).<br />

Qualcosa di simile dicasi per i termini latro, bar Jona, povero… che non sono da interpretare<br />

rispettivamente come ladrone, in senso generico, figlio di Giona, e persona indigente, ma sono<br />

sempre correlati alle sette esseno zelotiche (si ricordi che i romani chiamavano gli zeloti latrones,<br />

che l’ebraico barjona indicava i criminali latitanti, e che l’ebraico ebionim, poveri, era usato dagli<br />

esseni per indicare se stessi, in quanto avevano adottato un regime di frugalità e di proprietà<br />

comunitaria dei beni di sussistenza.<br />

Con questa consapevolezza, la domanda: “quando sono stati scritti i Vangeli?” perde una parte del<br />

suo significato e mostra l’esigenza di essere sostituita da un’altra impostazione problematica: “quali<br />

sono state le fasi di costruzione della letteratura evangelica?”.<br />

Gli archeologi che compiono scavi, ed esaminano un sito, sono preparati all’idea che i ritrovamenti<br />

in loco, siano essi piccoli e grandi oggetti mobili, o strutture immobili, non forniscono la fotografia<br />

di un singolo momento storico. Perché il più delle volte sono stati avvicinati da circostanze casuali e<br />

tenuti insieme per molto tempo dal seppellimento naturale. I reperti possono appartenere a periodi<br />

estremamente diversi, com’è nel caso della città di Troia, sullo stretto dei Dardanelli, dove sono<br />

riconosciuti coesistere almeno nove livelli: da un primo strato risalente al neolitico (3000 a.C.), fino<br />

a un nono strato di età romana (quarto sec. d.C.).<br />

Abbiamo fatto questa osservazione per notare che una circostanza del tutto simile può verificarsi<br />

anche per una struttura letteraria, la quale può essere il frutto di più momenti compositivi,<br />

dell’intervento di diversi autori, e di motivazioni redazionali che, nel corso del tempo, possono<br />

essere cambiate. Se c’è qualcosa su cui questo concetto può essere applicato, si tratta proprio della<br />

letteratura biblica. Ignorare questo fatto sarebbe semplicistico e porterebbe, come in effetti è<br />

successo e succede spesso, a compromettere irrimediabilmente l’attendibilità dell’indagine<br />

esegetica. Dunque i Vangeli devono essere riconosciuti come prodotti stratificati, come siti di<br />

un’archeologia testuale nei confronti dei quali il ricercatore si pone con la precisa intenzione di<br />

decifrare l’intreccio dei livelli e delle realtà storiche, o leggendarie, che essi rappresentano.<br />

I nostri Vangeli canonici sono il prodotto di una concezione teologica e cristologica già<br />

dichiaratamente esterna alla religiosità ebraica e conflittuale con essa. I presunti umili discepoli<br />

ebrei di Gesù, pescatori del lago di Tiberiade, non avrebbero mai potuto scriverli. Non solo perché<br />

non sarebbero stati abbastanza colti da poter produrre quei testi, ma perché la loro educazione<br />

religiosa non glielo avrebbe mai permesso, per molte e importanti incompatibilità di natura


teologica. Ne è testimonianza inconfondibile un fatto fondamentale, cioè l’idea che Gesù non sia<br />

considerato semplicemente come un profeta del Signore, ma la sua persona incarnata. Un pensiero<br />

che, all’interno della spiritualità ebraica, rappresenta un’intollerabile empietà, mentre in altre<br />

spiritualità latine, ellenistiche e medio orientali, costituisce un concetto normale e diffuso.<br />

E ancora: nei tre Vangeli sinottici, lo scenario dell’ultima cena 10 è caratterizzato dall’istituzione del<br />

rito eucaristico. Purtroppo assai poco spesso ci è stato fatto notare che, come il rito battesimale era<br />

la cerimonia di ammissione nella comunità essena di Qumran, così la circostanza dell’ultima cena<br />

riproduce molto puntualmente il rito esseno del pasto comunitario, come testimoniato dai<br />

manoscritti del Mar morto 11 . Con una fondamentale differenza: Marco, Matteo e Luca fanno dire a<br />

Gesù che il pane e il vino sono il suo corpo e il suo sangue, di cui i discepoli devono cibarsi. In<br />

particolare è solo Luca che aggiunge l’esortazione “fate questo in memoria di me”, dimostrando che<br />

la sua redazione appartiene a un periodo piuttosto avanzato in cui questo rito, con questo<br />

significato, era già entrato nelle abitudini delle comunità cristiane.<br />

Ora, l’atto di cibarsi della carne e del sangue del dio non era nuovo nella storia delle religioni,<br />

specialmente in ambito ellenistico e medio orientale 12 . Esempi tipici ci sono offerti sia dal culto<br />

ellenistico dionisiaco che da quello iranico mitraico, ben più antichi del cristianesimo. Il problema è<br />

che una concezione di questo genere era, ed è tuttora, assolutamente incompatibile con la<br />

spiritualità degli ebrei, i quali hanno un particolare tabù del sangue, della carne e dei morti, e non<br />

hanno alcuna disponibilità al sincretismo religioso con le idee e i culti del mondo pagano. Al<br />

contrario, sono fortemente esclusivisti e li respingono come cose immonde. Tutto questo ci porta<br />

verso conclusioni che dovrebbero essere semplici ed ovvie, ma che sono sempre state evitate perché<br />

mettono in seria discussione la dottrina cristiana, mostrando quanto sia improbabile che un rabbì,<br />

nel corso di una cena rituale, abbia potuto proporre ad un pubblico di ebrei un gesto di gusto e di<br />

significato altamente sacrilego. Già questo fatto indica che l’innesto di concezioni e di pratiche<br />

10 “Quando fu l'ora, prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e disse: “Ho desiderato ardentemente di mangiare<br />

questa Pasqua con voi, prima della mia passione, poiché vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel<br />

regno di Dio”. E preso un calice, rese grazie e disse: “Prendetelo e distribuitelo tra voi, poiché vi dico: da questo<br />

momento non berrò più del frutto della vite, finché non venga il regno di Dio”. Poi, preso un pane, rese grazie, lo<br />

spezzò e lo diede loro dicendo: “Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso<br />

modo dopo aver cenato, prese il calice dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato<br />

per voi”” (Lc XXII, 14-20)<br />

11 “In ogni luogo in cui saranno dieci uomini del consiglio della comunità, tra di essi non mancherà un sacerdote: si<br />

siederanno davanti a lui, ognuno secondo il proprio grado, e così (nello stesso ordine) sarà domandato il loro consiglio<br />

in ogni cosa. E allorché disporranno la tavola per mangiare o il vino dolce per bere, il sacerdote stenderà per primo la<br />

sua mano per benedire in principio il pane e il vino dolce. Per bere, il sacerdote stenderà per primo la sua mano per<br />

benedire in principio il pane e il vino dolce” (Regola della Comunità VI, 3-5); “E quando si raduneranno alla mensa<br />

comune oppure a bere il vino dolce, allorché la mensa comune sarà pronta e il vino dolce da bere sarà versato,<br />

nessuno stenda la sua mano sulla primizia del pane e del vino prima del sacerdote, giacché egli benedirà la primizia<br />

del pane e del vino dolce e stenderà per primo la sua mano sul pane. Dopo, il Messia di Israele stenderà le sue mani sul<br />

pane e poi benediranno tutti quelli dell'assemblea della comunità, ognuno secondo la sua dignità. In conformità di<br />

questo statuto essi si comporteranno in ogni refezione, allorché converranno insieme almeno dieci uomini” (Regola<br />

dell’Assemblea II, 17-22).<br />

12 J.G.Frazer, Il ramo d'oro, Newton Compton, 1992; Cap. 50, “il Dio come alimento”.


pagane su un cerimoniale ebreo è stato redazionalmente possibile solo perché lo scrittore era un<br />

gentile che si rivolgeva ad un pubblico gentile.<br />

E, come se non bastasse, che dire di quelle pesanti parole, presenti nel Vangelo secondo Matteo,<br />

con cui la stirpe degli ebrei viene dannata per il futuro a venire, in quanto responsabile della morte<br />

di Gesù 13 ? Possiamo credere che l’ex pubblicano Matteo Levi, figlio di Alfeo, ebreo, abbia voluto<br />

redigere un testo con cui ha maledetto il suo popolo e lo ha esposto all’odio antisemita che, proprio<br />

a causa di questa frase scellerata, ha imperversato per secoli nel mondo cristiano? La risposta è ben<br />

altra e, ancora una volta, consiste nel riconoscere che questo strato della redazione evangelica<br />

appartiene in tutto e per tutto ad un ambiente cristiano che ha già preso le distanze dal giudaismo,<br />

che intende proteggere l’immagine dei romani in Palestina, scagionandoli dall’accusa di aver voluto<br />

giustiziare Gesù, che responsabilizza di ciò gli ebrei, e che nasce nella mente di un gentile. Si tratta<br />

dell’evoluzione di un cristianesimo degiudaizzato, conseguente alla demessianizzazione e<br />

spoliticizzazione che Shaul di Tarso (San Paolo) aveva effettuato sulla figura di Gesù, in pieno ed<br />

aperto conflitto coi suoi discepoli giudeo cristiani.<br />

Un’altra considerazione ci aiuta nella comprensione del processo che ha portato allo sviluppo della<br />

letteratura evangelica. Mi riferisco, questa volta, alla presenza nei testi di alcuni brani finali che<br />

appaiono aggiunti in un momento successivo. Questo si verifica in modo evidente, e largamente<br />

riconosciuto, nei Vangeli di Marco e di Giovanni. Nel secondo, infatti, il capitolo ventesimo porta a<br />

quella che deve essere stata una conclusione primitiva dello scritto 14 . Ma nel testo canonico, che<br />

oggi leggiamo comunemente, è presente un ventunesimo capitolo, di cui la stessa versione della<br />

Conferenza Episcopale Italiana così annota: “Questo capitolo è un’appendice aggiunta<br />

posteriormente dallo stesso autore o da un suo fedele discepolo” 15 . In esso sono nominati, per la<br />

prima e l’unica volta in tutto il quarto Vangelo, i discepoli detti “figli di Zebedeo”, espressione<br />

normalmente usata nei Vangeli sinottici con riferimento agli apostoli Giacomo il maggiore e<br />

Giovanni. Inoltre sono riconoscibili elementi concettuali che possono aver motivato l’inserimento di<br />

questo finale aggiuntivo: l’insistenza enfatica sul primato di Simon Pietro, a cui Gesù affida il<br />

compito di succedergli, ripetendo ben tre volte le parole “pasci le mie pecorelle” 16 .<br />

Ma noi sappiamo che la successione reale nella guida della comunità giudeo cristiana fu quella di<br />

Giacomo il minore, fratello di Cristo, e non, come si pensa di solito, di Pietro. E sappiamo anche<br />

che la redazione degli Atti degli Apostoli, funzionale all’esaltazione della figura di San Paolo, è<br />

13 “E tutto il popolo rispose: “Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli”” (Mt XXVII, 25).<br />

14 “Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. Questi sono stati<br />

scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.” (Gv<br />

XX, 30-31).<br />

15 Vangelo e Atti degli Apostoli, Versione ufficiale della CEI, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi), 1987, pag.<br />

295.<br />

16 Gv XXI, 15-17.


stata caratterizzata dall’intento di censurare il ruolo preminente di Giacomo, giacché costui fu<br />

sempre un oppositore inflessibile della predicazione di Paolo.<br />

Per quanto riguarda la conclusione del Vangelo di Marco, non è attualmente molto diffusa la<br />

conoscenza di un fatto importante e significativo: la forma primitiva del testo terminava al verso<br />

16:8 con la descrizione delle pie donne che visitavano il sepolcro, scoprendolo vuoto 17 , e ometteva<br />

tutta la parte successiva, relativa alle apparizioni di Gesù risorto. Ancora una volta ce lo conferma la<br />

stessa versione CEI, annotando: “I vv. 9-20 sono un supplemento aggiunto in seguito per<br />

riassumere rapidamente le apparizioni” 18 . I manoscritti più antichi del Vangelo di Marco sono il<br />

Codex Vaticanus (325 d.C.) e il Codex Sinaiticus (370 d.C.), e nessuno dei due ha il finale con le<br />

apparizioni. Lo stesso dicasi per una versione siro-sinaitica (fine del IV sec.), una versione<br />

copto-shaidica (III-IV sec.), e alcune versioni armene e georgiane del V secolo.<br />

Lo stesso storico ecclesiastico Eusebio di Cesarea (265-340 d.C.), ha scritto che al suo tempo<br />

esistevano testi del Vangelo di Marco privi del finale. E così pure San Girolamo (340-420 d.C.), che<br />

tradusse i testi greci in latino (Vulgata latina), affermò che il finale in questione non poteva essere<br />

considerato autentico.<br />

Del resto, i racconti delle apparizioni, nei quattro Vangeli canonici, sono fortemente discordanti, a<br />

sostegno dell’idea che la loro redazione sia il frutto di un momento successivo, in cui si era<br />

instaurata la concezione teologica del Gesù risorto dai morti, in carne ed ossa, in aperta<br />

contraddizione con le idee della comunità giudeo cristiana e dei successivi sviluppi gnostici<br />

indipendenti dall’insegnamento di Paolo, secondo i quali la resurrezione aveva il significato di<br />

un’acquisizione spirituale e non era da intendersi in senso fisico 19 .<br />

Alla luce di queste riflessioni possiamo tornare a considerare le natività, presenti nei due Vangeli<br />

secondo Matteo e secondo Luca, e renderci conto che il loro inserimento all’interno dei testi è stato<br />

effettuato in un secondo tempo, già abbastanza lontano dalla stessa predicazione paolina. Non<br />

dimentichiamo che Paolo, nelle sue lettere, non conosce la madre di Gesù né, tantomeno, l’idea<br />

della nascita verginale, e si limita a dire che Gesù è “nato da donna”, come tutti i comuni mortali.<br />

Del resto, il cliché della nascita di Gesù, con l’annunciazione da parte dell’angelo Gabriele, si<br />

discosta dai modelli ebraici, nei quali viene solitamente annunciata una nascita prodigiosa da una<br />

donna sterile, e da una coppia anziana, e si dice che il nascituro sarà un uomo santo e dedito al<br />

Signore, ma non si dice certo che l’ingravidamento è verginale, operato dallo Spirito Santo, e il<br />

17<br />

“Ed esse, uscite, fuggirono via dal sepolcro perché erano piene di timore e di spavento. E non dissero niente a<br />

nessuno, perché avevano paura.” (Mc XVI, 8).<br />

18<br />

Vangelo e Atti degli Ap., cit., pag. 145.<br />

19<br />

“Coloro che dicono che il Signore prima è morto, poi è risorto, si sbagliano, perché egli prima è resuscitato e poi è<br />

morto. Se uno non consegue prima la resurrezione non morirà, perché, come è vero che Dio vive, egli sarà già morto”<br />

Vangelo di Filippo, 21; I Vangeli Apocrifi, a cura di M.Craveri, Einaudi, Torino, 1969, pag.514. “Mentre siamo in<br />

questo mondo è necessario per noi acquistare la resurrezione, cosicché, quando ci spogliamo della carne, possiamo<br />

essere trovati nella Quiete” Ivi, 63; op. cit., p. 523.


nascituro non viene certo riconosciuto come creatura dotata di essenza divina. Anche questi sono<br />

già elementi di una concezione cristiana dichiaratamente extraebraica.


La natività<br />

Sebbene il termine natività abbia una sua accezione generale che significa nascita, origine, genesi,<br />

nell’universo cristiano ha assunto un significato ulteriore, allargato, ben stabilizzato dalla<br />

consuetudine. Di frequente, in modo inequivocabile, indica il racconto della nascita di Cristo. Non è<br />

un caso, dal momento che la parte della narrazione evangelica relativa all’infanzia di Gesù è la più<br />

suggestiva e cara ai fedeli. Essa costituisce la base delle tradizioni natalizie e, nell’imminenza delle<br />

festività di fine anno, è capace di coinvolgere l’intera civiltà occidentale, spiritualmente,<br />

culturalmente, sentimentalmente ed economicamente.<br />

La natività è un condensato di simboli archetipici che appaga l’inconscio umano suscitando calore,<br />

misericordia e commozione. E non potrebbe essere diversamente. L’immagine della giovane donna<br />

che tiene in braccio il bambino è una figura simbolica appartenente alle culture di tutti i tempi e di<br />

tutti i popoli. Legata all’idea della fecondità, della vita, dell’amore, del bene e di tutto ciò che<br />

nell’esistenza umana rappresenta le qualità positive che si oppongono al male e alla morte. La<br />

presenza del padre, nelle sembianze di un uomo forte ma, contemporaneamente, giudizioso, onesto<br />

e premuroso, ha un carattere rassicurante e completa la figura femminile come lo yang completa lo<br />

yin nella simbologia taoista. Il maschio e la femmina, Shiva e Shakti, il dio e la dea, il re e la regina,<br />

il sole e la luna…<br />

Allora, in questo contesto, il bambino offre l’immancabile complemento di uno schema trinitario<br />

universale che attraversa orizzontalmente e verticalmente tutte le civiltà umane: padre, madre e<br />

figlio. Non si dimentichi che la trinità cristiana contempla, accanto alla figura del Padre, quella<br />

dello Spirito Santo che ha una derivazione diretta dalla Ruah ebraica, lo spirito femminile,<br />

nascondendo così, sotto principi solo apparentemente desessualizzati, lo schema del nucleo<br />

familiare monogamico.<br />

Il valore dell’immagine rappresentativa della sacra famiglia è legato senz’altro al primato attuale<br />

del concetto monogamico. Dopo decine o centinaia di migliaia di anni, durante i quali i nostri<br />

antenati, storici ed evolutivi, hanno sperimentato diversi modelli familiari, dal clan caratterizzato da<br />

liberi scambi sessuali, a quello matriarcale, a quello patriarcale poligamico, finalmente il genere<br />

umano è approdato al matrimonio monogamico. Giuseppe e Maria simboleggiano proprio questo:<br />

l’unione coniugale in cui un singolo uomo e una singola donna si impegnano in un legame di<br />

fedeltà reciproca e di continuità, non solo nella prospettiva di garantirsi rispetto, ma soprattutto in<br />

quella di offrire ai figli stabilità affettiva ed educazione. Con tutti gli annessi e connessi che questo<br />

comporta, primo fra tutti il diritto all’eredità e l’appartenenza ad una precisa stirpe.<br />

Ora, per quanto le figure di Giuseppe e Maria rappresentino in modo esplicito ed esauriente le<br />

figure del padre e della madre, tuttavia il nucleo coniugale della sacra famiglia cristiana è


caratterizzato da un principio singolare: l’esaltazione del concetto di verginità. Un principio che<br />

mette in discussione i caratteri del rapporto matrimoniale, nel quale l’uomo e la donna prolificano<br />

attraverso l’esercizio di funzioni naturali, carica di colpa la sfera sessuale e presenta un idealismo<br />

morale che pone l’essere umano in uno stato di conflittualità interiore.<br />

Non si può non osservare che si tratta di un percorso etico innaturale, molto distante da altre forme<br />

di spiritualità che, invece di condannare gli aspetti naturali ed istintivi del comportamento umano,<br />

hanno cercato di sacralizzarli. Evidentemente, nel corso complesso della storia sociale e psicologica<br />

dell’uomo, in certi contesti e non in altri, la verginità ha finito in qualche modo per rappresentare<br />

autenticamente un valore.<br />

Ma le shakti 20 di Kajuraho e di Karnak, in India, non vantano certo una sdegnosa estraneità al<br />

contatto fisico col maschio, al contrario, esibiscono il più disinvolto abbandono alla libidine come<br />

espressione di genuina spiritualità. Le giovani donne di molte civiltà del mediterraneo e della<br />

Mesopotamia, ai tempi della religione della grande Madre, erano obbligate ad offrire prestazioni<br />

sessuali nel tempio o, in sostituzione, a subire un umiliante taglio dei capelli.<br />

Ciò nonostante, in palese opposizione all’idea della fecondità come prodotto della sessualità<br />

naturale, il principio della verginità non ha mancato di produrre un fascino collettivo che l’ha<br />

trasformato, dove e quando, in un valore positivo. Al punto da suscitare il mito della nascita<br />

verginale, come segno distintivo di una perfezione sovrumana che appartiene solo alle figure divine,<br />

ma anche come elemento prodigioso che garantisce l’origine sovrannaturale di un determinato<br />

evento. Il mito della nascita verginale, ampiamente al di là di quanto i cristiani sono abituati a<br />

credere, è talmente diffuso nel tempo passato e nello spazio etnico e geografico, da far sì che la<br />

Madonna possa essere definita come l’ultima arrivata di una lunga e ricchissima serie 21 . Quasi una<br />

semplice imitatrice. Si tratta di una considerazione insopportabile per i cristiani, ma pienamente<br />

corretta.<br />

“Un istruttivo residuo della lunga lotta [tra il mitraismo e il cristianesimo] è rimasto nel<br />

nostro Natale, che la Chiesa sembra aver preso a prestito direttamente dalla sua rivale<br />

pagana. Nel calendario giuliano, il 25 dicembre segnava il solstizio d’inverno ed era<br />

considerato la nascita del sole, poiché le giornate cominciavano ad allungarsi e ad<br />

aumentare il calore del radioso astro. Il rituale della natività [del dio sole], come sembra<br />

20 Nel contesto della teologia indù, a fianco dell’archetipo maschile shiva, la shakti rappresenta l’archetipo femminile<br />

esaltato sul piano spirituale, con tutta la sua carica erotica. I bassorilievi dei templi di Kajuraho e Karnak mostrano una<br />

concezione religiosa che non intende dissociare la sfera istintiva da quella spirituale ma che, al contrario, suggeriscono<br />

l’identificazione del potere divino e di quello naturale.<br />

21 “Come quella di molti altri eroi, anche la sua nascita [del dio Attis] era stata miracolosa. Sua madre, Nana, era una<br />

vergine che lo concepì ponendosi in seno una mandorla o una melagrana matura… Questi racconti di madri vergini<br />

sono retaggio di un’epoca di ignoranza puerile, quando ancora gli uomini non avevano identificato l’atto sessuale<br />

come vera causa della procreazione.” (J. G. Frazer, Il ramo d’oro, Newton Compton Ed., Roma, 1992; pag. 396).


venisse celebrato in Siria e in Egitto, era estremamente interessante. I celebranti si<br />

ritiravano in certi santuari interni, da dove poi uscivano, a mezzanotte, gridando – La<br />

Vergine ha partorito! La luce cresce! –. Gli egizi rappresentavano persino il neonato sole<br />

con l’immagine di un bambino che, nel suo giorno natalizio, cioè quello del solstizio<br />

d’inverno, esponevano ai fedeli. Senza dubbio, la vergine che così aveva concepito e<br />

partorito un figlio il 25 dicembre era la grande dea orientale, che i semiti chiamavano la<br />

Vergine Celeste o, semplicemente, la Dea Celeste; e che, nei territori semitici, era una<br />

delle raffigurazioni di Astarte. Ora, gli adoratori di Mitra identificavano sempre il loro dio<br />

con il sole, il sole invitto, come lo chiamavano. Quindi anche il suo giorno natalizio cadeva<br />

il 25 dicembre” 22 .<br />

In realtà, l’elemento fondamentale racchiuso nel mito della nascita verginale è un altro, ovverosia<br />

quello dell’incarnazione divina, dell’idea che l’ente supremo abbia voluto farsi carne e vivere il<br />

dramma dell’esistenza umana accanto agli uomini stessi. Per insegnare con le parole e con<br />

l’esempio, per redimere, liberare, salvare. In particolare, nel concetto cristiano, attraverso un<br />

sacrificio personale.<br />

Ecco quindi il primo significato dei racconti della natività nel contesto del Nuovo Testamento, che<br />

altrimenti poteva rimanere troppo implicito e quindi non sufficientemente espresso, in quei Vangeli<br />

che trattano solo della vita adulta dell’uomo Gesù: Dio stesso scende sulla terra e prende forma<br />

umana nella persona del Salvatore. Le natività non aggiungono, nel senso esatto dell’espressione,<br />

ma puntualizzano un elemento teologico che appartiene in modo inequivocabile e irrinunciabile alla<br />

teologia cristiana, così come essa si è definitivamente configurata in occasione del concilio<br />

ecumenico di Nicea (325 d.C.): Gesù è Dio (omoousios = consustanziale), non semplicemente un<br />

suo profeta e ambasciatore.<br />

La tradizione ebraica e quella islamica non conoscono questo genere di uomo-dio: Abramo, Isacco,<br />

Giacobbe, Mosè, Davide, Samuele, Sansone, Maometto… sono araldi del Signore ed esecutori<br />

privilegiati dei suoi piani, talvolta accompagnati nella loro comparsa da segni prodigiosi, come i<br />

miracoli, le gravidanze di madri sterili e l’annunciazione di angeli. Ma la loro natura è e rimane<br />

umana, mentre la divinità compete solo all’ente di cui non si può mostrare effigie e, talvolta, non si<br />

può pronunciare il nome. In questo senso il cristianesimo, con la sua natività protesa a dipingere il<br />

mito dell’incarnazione verginale del dio, rappresenta una forma di paganizzazione dell’ebraismo,<br />

perché utilizza una veneranda tradizione gentile e la applica all’attesa messianica degli ebrei. Per<br />

poi decorarla con un’iconografia ricchissima, anch’essa estranea all’ebraismo e derivata quasi<br />

sempre dai più antichi modelli pagani.<br />

22 J. G. Frazer, Il ramo d’oro, Newton Compton Ed., Roma, 1992; pag. 409


Una delle più curiose caratteristiche della letteratura evangelica è la notevole discordanza fra i testi,<br />

relativamente ad alcuni importanti aspetti della natività: date, luoghi, eventi e circostanze. Si tratta<br />

spesso di divergenze fondamentali, tali da configurare quadri che risultano del tutto inconciliabili,<br />

allorché sottoposti all’esame della ragione e della storia.<br />

Del resto è ben noto quanto la logica e la critica, alla stregua di attitudini blasfeme, siano state<br />

sistematicamente tenute lontane dalla lettura dei testi sacri. A cominciare dal fatto che, per lunghi<br />

secoli, la traduzione in lingua volgare del Nuovo Testamento, la lettura individuale e il semplice<br />

possesso dei libri sono stati rigidamente proibiti dalla chiesa sotto la minaccia e l’attuazione di pene<br />

severissime. Ed è proprio grazie a questo regime culturale, una tirannia nel senso proprio del<br />

termine, nonché all’obbedienza e all’assuefazione popolari, che i contrasti fra i testi hanno potuto<br />

trovare compatibilità e verosimiglianza, con l’aiuto, naturalmente, di una schiera di dotti<br />

conformisti che, eredi della tendenza mistificatoria di Eusebio di Cesarea, il grande apologeta del<br />

periodo costantiniano, hanno piegato la verità storica alle esigenze della teologia dogmatica.<br />

Oggi, modificando l’atteggiamento mentale, ed accettando l’idea che i testi sacri del cristianesimo<br />

possano essere sottoposti all’osservazione critica, è facile accorgersi che gli evangelisti non si sono<br />

incontrati nemmeno su questioni semplici e fondamentali come il luogo ove Gesù sarebbe nato.<br />

Prendiamo ad esempio in considerazione il più antico dei quattro Vangeli, quello secondo Marco. È<br />

il testo più breve, quello in cui mancano molti dei brani più cari ai credenti e significativi per<br />

l’immagine teologica di Gesù. Presenti invece negli altri Vangeli. Si noti un dettaglio significativo:<br />

nel Vangelo di Marco non è mai nominata, per alcun motivo, la città di Betlemme. Né in quanto<br />

città natale di Cristo, né come luogo di origine del grande re Davide. Al contrario, l’origine galilaica<br />

di Gesù è attestata fin dall’inizio 23 , anche se la città di Nazaret, a voler essere esatti, è nominata una<br />

sola volta, per essere successivamente indicata con l’espressione “sua patria” 24 , o per essere<br />

considerata erroneamente implicita nell’aggettivo “nazareno”.<br />

Si tenga presente che all’aggettivo “nazareno”, così frequentemente usato nei testi evangelici, non<br />

può essere attribuito, come di solito si fa, il significato di “cittadino di Nazaret”. Molti fattori lo<br />

rivelano come titolo religioso o settario. Così come lo scritto apocrifo “Vangelo dei nazareni” e il<br />

movimento dei “nazareni”, che esso rappresentava, non avevano alcun riferimento con la città di<br />

Nazaret, la cui esistenza, al tempo di Gesù, è ancora oggetto di discussioni aperte.<br />

Che dire poi del fatto che, nel Vangelo secondo Marco, come abbiamo già osservato, è del tutto<br />

assente la figura tipica della sacra famiglia, come nucleo composto da Gesù, Giuseppe e Maria, così<br />

fondamentale nella fede e nella devozione cristiana? Addirittura il mestiere di falegname (o<br />

23 “In quei giorni Gesù venne da Nàzaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E, uscendo dall'acqua,<br />

vide aprirsi i cieli e lo Spirito discendere su di lui come una colomba. E si sentì una voce dal cielo: “Tu sei il Figlio<br />

mio prediletto, in te mi sono compiaciuto”.” (Mc I, 9-11)<br />

24 “Partito quindi di là, andò nella sua patria e i discepoli lo seguirono.” (Mc VI, 1)


carpentiere) è attribuito direttamente a Gesù 25 . Questo testo, come il quarto Vangelo, inizia il suo<br />

racconto a partire dall’età adulta di Gesù, in occasione del battesimo sul Giordano, e non si occupa<br />

in alcun modo della nascita e dell’infanzia.<br />

Abbiamo poi il Vangelo secondo Giovanni, il quale dichiara più volte, in modo perentorio, l’origine<br />

galilaica di Gesù, negando esplicitamente che sia nato a Betlemme, nel momento in cui qualcuno<br />

sostiene che la pretesa messianica di Gesù è vanificata dal fatto di non essere originario del<br />

villaggio di Davide 26 . La stessa cosa viene detta a proposito del padre, in aperto contrasto col fatto<br />

che in altri scritti del Nuovo Testamento si dichiara l’origine betlemita di Giuseppe 27 . Sempre il<br />

quarto Vangelo, come quello secondo Marco, usa l’espressione “sua patria” con riferimento alla<br />

regione della Galilea 28 , inoltre inizia con la vita adulta di Gesù e trascura ogni narrazione relativa a<br />

nascita e infanzia.<br />

Ben diverso è il quadro offerto dai testi secondo Matteo e Luca, che hanno in comune il fatto di<br />

cominciare con un impianto narrativo sulla nascita di Gesù, e sulle coordinate storiche, geografiche<br />

e genealogiche che caratterizzano la sua famiglia. Anche se poi i due evangelisti finiscono per<br />

tessere, a loro volta, un’insanabile rete di contrasti.<br />

Qui, in entrambi i casi, in totale disaccordo con gli altri due evangelisti, il luogo di nascita di Gesù è<br />

Betlemme, il villaggio giudeo situato una decina di km a sud di Gerusalemme. Il fatto è presentato<br />

come requisito messianico, dal momento che Betlemme era la patria di Davide e che, secondo le<br />

profezie, avrebbe dovuto esserlo anche dell’atteso messia. Analizzeremo in seguito quanto sia<br />

fragile questo punto di contatto fra i testi di Matteo e Luca. Infatti, nel primo caso, Betlemme<br />

appare come città di residenza dei fidanzati Giuseppe e Maria, e conseguentemente Gesù nasce<br />

nella propria casa, dove viene successivamente visitato dai magi. Mentre, nel secondo caso, i<br />

genitori abitano a Nazaret, dove si conoscono e si fidanzano, e Betlemme appare come destinazione<br />

di un viaggio obbligato da esigenze amministrative, in occasione del censimento voluto da Cesare<br />

25 “Venuto il sabato, incominciò a insegnare nella sinagoga. E molti ascoltandolo rimanevano stupiti e dicevano:<br />

“Donde gli vengono queste cose? E che sapienza è mai questa che gli è stata data? E questi prodigi compiuti dalle sue<br />

mani? Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue<br />

sorelle non stanno qui da noi?”. E si scandalizzavano di lui. Ma Gesù disse loro: “Un profeta non è disprezzato che<br />

nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua”” (Mc VI, 2-4)<br />

26 “All'udire queste parole, alcuni fra la gente dicevano: “Questi è davvero il profeta!”. Altri dicevano: “Questi è il<br />

Cristo!”. Altri invece dicevano: “Il Cristo viene forse dalla Galilea? Non dice forse la Scrittura che il Cristo verrà<br />

dalla stirpe di Davide e da Betlemme, il villaggio di Davide?”. E nacque dissenso tra la gente riguardo a lui.” (Gv VII,<br />

40-43).<br />

“Disse allora Nicodemo, uno di loro, che era venuto precedentemente da Gesù: “La nostra Legge giudica forse un<br />

uomo prima di averlo ascoltato e di sapere ciò che fa?”. Gli risposero: “Sei forse anche tu della Galilea? Studia e<br />

vedrai che non sorge profeta dalla Galilea”.” (Gv VII, 50-52)<br />

27 “Filippo incontrò Natanaèle e gli disse: “Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i<br />

Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nàzaret”. Natanaèle esclamò: “Da Nàzaret può mai venire qualcosa di buono?”.”<br />

(Gv I, 45-46)<br />

28 “Trascorsi due giorni, partì di là per andare in Galilea. Ma Gesù stesso aveva dichiarato che un profeta non riceve<br />

onore nella sua patria. Quando però giunse in Galilea, i Galilei lo accolsero con gioia, poiché avevano visto tutto<br />

quello che aveva fatto a Gerusalemme durante la festa; anch'essi infatti erano andati alla festa.” (Gv IV, 43-45)


Augusto. Tant’è vero che Gesù non nasce in una casa, ma in un rifugio malamente arrangiato, a<br />

conclusione di un lungo e difficile viaggio a dorso di mulo. La differenza, di solito, non è rilevata<br />

nelle tradizioni natalizie del presepe, che associano la visita dei magi con l’immagine della<br />

capannuccia, e della mangiatoia per gli animali. Ma si tratta di un modo sbrigativo per sorvolare sui<br />

contrasti tra i racconti delle natività.


La natività nel Vangelo secondo Matteo<br />

Il racconto<br />

Quando il cielo è sereno e la luna è nuova, le stelle della notte palestinese non si possono contare.<br />

Nel firmamento scuro brillano a decine di migliaia, e intorno alla via lattea si infittiscono formando<br />

una nube luminescente. L’incanto è sempre profondo, anche per chi è abituato a vegliare.<br />

Attraverso la finestrella della stanza, Maria si lasciava sorprendere da questo spettacolo eterno.<br />

Emozionata dalla promessa che i genitori avevano combinato con Giuseppe, il suo futuro sposo,<br />

interrogava gli astri sulla sua futura felicità. Si domandava che cosa significasse “conoscere”<br />

l’uomo. Pensava che la realtà del matrimonio fosse troppo grande da sopportare, ma era attratta<br />

dall’idea della maternità e dall’immagine di un pargolo da stringere al seno.<br />

Improvvisamente sentì un turbamento, un fremito le scosse il ventre. Ebbe subito la sensazione di<br />

capire: si sentiva gravida. Si carezzò l’addome. Questo pensiero di pura follia le giunse con la<br />

serenità imperturbabile delle cose prudenti e sensate. Era come se una voce rassicurante le avesse<br />

detto: “Non avere paura. La tua innocenza è intatta. Ciò che il Padre vuole da te gli uomini non<br />

potranno impedire”. Non le venne neanche in mente di riflettere su quali assurde complicazioni ciò<br />

avrebbe provocato a se stessa, ai genitori, a Giuseppe, al paese intero, se solo fosse stato vero. Si<br />

addormentò, e trascorse la notte come protetta da una grande pace 29 .<br />

Alle prime luci dell’alba il villaggio di Betlemme si destava, come sempre, e gli abitanti si<br />

preparavano con lentezza a raggiungere i loro compiti quotidiani. L’aria era colma dei belati delle<br />

capre, del cinguettio degli uccelli, dello starnazzìo delle papere e dei polli. Non appena fu sveglia<br />

Maria si alzò in piedi, portò le mani in grembo, comprimendo la veste sulla pancia, e si guardò per<br />

scoprire se per caso fosse visibile qualche segno dello stato di gravidanza. Poi, finalmente, si stupì,<br />

fu intimorita, ed ebbe la sensazione di avere peccato col pensiero. Capì di avere immaginato cose<br />

sconclusionate e cercò di ricomporre la mente. Doveva andare a prendere l’acqua, doveva<br />

controllare le capre, doveva aiutare la madre 30 .<br />

Ciò non ostante i pensieri strani non la abbandonavano, sentiva che qualcosa le era successo, e<br />

lasciava che un silenzio inquieto accompagnasse la sua confusione, come in trepida attesa di una<br />

risposta. E la risposta giunse quando il ciclo tardò a presentarsi e percepì il seno teso e tanti altri<br />

indizi nel suo giovane corpo.<br />

29 “Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che<br />

andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo” (Mt I, 18)<br />

30 “Gesù nacque a Betlemme di Giudea” (Mt II, 1)


La prima persona che intuì la circostanza anomala fu, ovviamente, la madre. Constatò che la figlia<br />

non era in regola coi flussi e, dopo qualche giorno, fu presa da cupi sospetti: forse una malattia, una<br />

maledizione, o l’ombra dell’infamia. Ne parlò col marito ed insieme decisero che era necessario<br />

verificare l’integrità della fanciulla. Non furono trovati segni di colpa. Ma la cosa non fu abbastanza<br />

rassicurante perché l’anomalia persisteva e il dilemma non aveva risposta. Il mese successivo la<br />

mancanza si fece nuovamente notare, insieme a tanti altri fatti che ormai parlavano chiaro: la<br />

fanciulla era in stato interessante.<br />

Il padre volle chiedere a Giuseppe se mai era successo qualcosa, ma ottenne come unico risultato<br />

che al suo dolore si aggiunse quello del promesso sposo. Il quale comprese tutto prima ancora che il<br />

suocero gli svelasse il motivo delle domande.<br />

Su molte persone, a questo punto, era scesa una tenebra d’angoscia. Nessuno sapeva come reagire.<br />

La vergogna, la paura, la rabbia, e tutti i più disperati sentimenti paralizzavano il pensiero.<br />

Giuseppe avrebbe potuto accusare la ragazza, liberando se stesso, ma gettando la famiglia di lei in<br />

un disonore senza riparo, e Maria nel pericolo di essere processata e lapidata 31 .<br />

Poi, provvidenziale come può essere solo un messaggio dell’Altissimo, Giuseppe ebbe una visione.<br />

Una creatura sovrannaturale gli apparve nel sonno e gli disse: “Giuseppe, della stirpe del re David,<br />

non temere di essere stato tradito. Infatti il seme che ha fecondato Maria viene dallo Spirito Santo.<br />

Il figlio che ella darà alla luce sarà il salvatore del suo popolo, e tu lo chiamerai Gesù” 32 . Subito<br />

l’uomo si svegliò e seppe che quanto aveva udito era vero. Corse dai genitori della ragazza e spiegò<br />

l’accaduto 33 .<br />

Quanto gli fu difficile farsi credere! Ma anche la madre di Maria, nel momento in cui vide la<br />

convinzione di Giuseppe, seppe che ciò era vero e, piangendo, si inginocchiò a terra. E fu così che i<br />

due andarono ad abitare nella stessa casa ove, quando i tempi furono maturi, la vergine Maria, dette<br />

alla luce un fanciullo a cui fu dato il nome Gesù 34 .<br />

Correvano gli ultimi anni del regno di Erode, l’idumeo che aveva saputo conquistare il favore dei<br />

romani e della classe sacerdotale giudea 35 . Dopo avere ricoperto la carica di tetrarca della Galilea,<br />

era stato eletto re di tutta la Palestina e aveva iniziato a ricostruire il grande tempio di<br />

Gerusalemme. Quello che Salomone aveva fatto edificare quasi mille anni prima, era stato distrutto<br />

dai babilonesi all’epoca della deportazione, e da allora il primo desiderio di ogni ebreo era di vedere<br />

31 “Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto” (Mt I, 19)<br />

32 “Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: “Ecco, la<br />

vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele”” (Mt I 22-23)<br />

33 “Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse:<br />

“Giuseppe, figlio di David, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene<br />

dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati””<br />

(Mt I, 20-21)<br />

34 “Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa, la<br />

quale, senza che egli la conoscesse, partorì un figlio, che egli chiamò Gesù” (Mt I, 24-25)<br />

35 “Gesù nacque a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode” (Mt II, 1)


innalzate, nel cuore della capitale, le mura che avrebbero dovuto mostrare la gloria infinita del<br />

Padre di Israele. Erode, amato quanto odiato, aveva abilità eccezionali e grande scaltrezza. Con<br />

polso di ferro aveva fatto assassinare conoscenti, amici, una moglie e due figli, per timore delle<br />

congiure nei suoi confronti, ma con intelligenza sapeva venire incontro alle richieste dei diversi ceti<br />

della società giudaica, riuscendo a reggere le fila di un regno difficile per ben trentatré anni. Finché<br />

lo colse la morte naturale.<br />

Ora, con grande sorpresa di tutta la corte del grande monarca, erano inaspettatamente giunti alcuni<br />

curiosi quanto illustri personaggi: ministri del culto di Zoroastro i quali, provenienti dalla Persia,<br />

reclamavano di avere seguito la stella del re dei Giudei che era nato – così dicevano – e di essere<br />

venuti per adorare il principe fanciullo 36 . Erode finse compiacimento ed ebbe riguardo per gli<br />

onorevoli ospiti, ma interrogò rapidamente gli scribi e i sacerdoti venendo a sapere di una profezia<br />

sulla nascita del messia che avrebbe dovuto regnare su Israele 37 . I sapienti non ebbero dubbi: la città<br />

destinata a dare i natali al futuro sovrano era Betlemme, il villaggio dove, mille anni prima, era nato<br />

David, il grande re degli ebrei che aveva unificato le dodici tribù sotto un’unica nazione e aveva<br />

scelto Gerusalemme come capitale del regno 38 .<br />

Alquanto turbato da questa notizia, il monarca invitò i Magi a visitare il principe e, in seguito, ad<br />

informarlo sul luogo ove si trovasse, affinché anche lui potesse onorarlo. Ma il suo pensiero, nella<br />

realtà, non era quello di offrire un omaggio di rispetto bensì di sbarazzarsi dell’eventuale pericolo<br />

che incombeva sulla sua sovranità o sulla successione familiare. Erode non credeva alle profezie,<br />

ma sapeva quanto potente fosse la loro suggestione 39 .<br />

La stella, brillando straordinaria nel cielo di Palestina, si spostava e guidava i nobili pellegrini fino<br />

al paese di Betlemme, verso la casa di Giuseppe e Maria. E quando vi giunsero, trovarono il bimbo<br />

e la madre e si inchinarono come di fronte ad un imperatore, tributandogli gli onori più alti.<br />

Sembrava impossibile che la modesta cornice del piccolo alloggio fosse il teatro di un simile<br />

cerimoniale degno di un palazzo reale. Per quanto Maria fosse consapevole delle qualità eccezionali<br />

del suo pargolo, non poté fare a meno di essere molto colpita dall’inatteso arrivo di quei dignitari,<br />

36 “Alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemme e domandavano: “Dov'è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo<br />

visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo”” (Mt II, 1-2)<br />

37 “All'udire queste parole, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i sommi sacerdoti e gli<br />

scribi del popolo, s'informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Messia” (Mt II, 2-4)<br />

38 “Gli risposero: “A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: E tu, Betlemme, terra di Giuda,<br />

non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda: da te uscirà infatti un capo che pascerà il mio popolo, Israele” (Mt<br />

II, 5-6)<br />

39 “Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire con esattezza da loro il tempo in cui era apparsa la stella e<br />

li inviò a Betlemme esortandoli: “Andate e informatevi accuratamente del bambino e, quando l'avrete trovato, fatemelo<br />

sapere, perché anch'io venga ad adorarlo”” (Mt II, 7-8)


dei loro segni di devozione e dei loro preziosi omaggi: oro, incenso e mirra. Fu imbarazzata per<br />

l’umiltà della dimora e per non essere in grado di accogliere degnamente gli illustri visitatori 40 .<br />

E tutto il popolo di Betlemme fu impressionato da questa visita straordinaria e la gente volle riverire<br />

il fanciullo e gli stranieri. La casa di Giuseppe e Maria era così diventata la meta di un silenzioso<br />

ma appassionato pellegrinaggio, perché la notizia dell’evento singolare si era sparsa in men che non<br />

si dica e alcuni per curiosità, altri per sincera devozione, volevano essere presenti e testimoni di un<br />

fatto che, ai loro occhi, appariva magnifico e irrinunciabile.<br />

Conclusa la loro missione, gli uomini ripresero il viaggio, non prima che una creatura celeste li<br />

avesse prudentemente avvertiti delle cattive intenzioni di Erode, e consigliati di evitare<br />

Gerusalemme affinché il monarca non avesse informazioni per rintracciare il predestinato 41 . Lo<br />

stesso messaggero divino si fece premura di apparire in sogno a Giuseppe per invitarlo a fuggire:<br />

“Erode cerca tuo figlio per ucciderlo, prendi il bambino e la madre e portali in Egitto, dove l’invidia<br />

del monarca non potrà far loro del male”. Giuseppe non se lo fece dire due volte. Nella stessa notte<br />

raccattò poche misere cose, caricò i muli e intraprese il lungo e difficile viaggio, con l’unica<br />

consolazione di adempiere la volontà del Padre e la certezza di essere protetto contro i mille pericoli<br />

del percorso 42 .<br />

Il silenzio del cielo stellato continuava imperturbabile a vegliare sulla scena della povera famiglia in<br />

cammino nel paesaggio desertico. I passi lenti del mulo sembravano scandire un tempo che non<br />

finiva mai, Maria non parlava, se non quando strettamente necessario, e il bimbo, ignaro delle<br />

fatiche e delle angosce, viveva nutrito d’amore e d’affetto. La fede incrollabile era la forza che li<br />

avrebbe condotti sani e salvi, nel periodo di qualche settimana, alla terra d’Egitto.<br />

Dopo qualche tempo il monarca, resosi conto che i Magi avevano disatteso la promessa e se n’erano<br />

andati senza informarlo sul luogo della visita, fu preso dall’ira 43 . Sapeva che i saggi di Israele<br />

tenevano in grande considerazione la profezia, e che larghi strati della popolazione attendevano un<br />

Messia che restituisse la libertà al paese, cacciando via gli odiati romani. L’ansia gli logorava i<br />

nervi e gli toglieva la gioia dei suoi successi e della sua posizione. Fu in questo stato d’animo che<br />

concepì il più scellerato dei piani per sbarazzarsi del pericolo incombente: al bimbo non sarebbe<br />

40 “Udite le parole del re, essi partirono. Ed ecco la stella, che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva, finché<br />

giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia.<br />

Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli<br />

offrirono in dono oro, incenso e mirra” (Mt II, 9-11)<br />

41 “Avvertiti poi in sogno di non tornare da Erode, per un'altra strada fecero ritorno al loro paese” (Mt II, 12)<br />

42 “Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: “Alzati, prendi<br />

con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino<br />

per ucciderlo”. Giuseppe, destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto, dove rimase fino<br />

alla morte di Erode, perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Dall'Egitto ho<br />

chiamato il mio figlio” (Mt II, 13-15)<br />

43 “Erode, accortosi che i Magi si erano presi gioco di lui, s'infuriò” (Mt II, 16)


stato utile nascondersi nell’anonimato di un villaggio rurale, e nemmeno il silenzio complice della<br />

gente 44 .<br />

E fu così che, in una notte bugiarda, la cui quiete nascondeva l’incombenza della sciagura,<br />

Betlemme fu invasa da soldati feroci che la circondarono da ogni parte e, violando le abitazioni,<br />

scovarono tutti i pargoli innocenti e implacabili li passarono a fil di spada. Inutili furono le grida<br />

delle madri e i tentativi di fuga. Vani furono gli eroismi dei padri e le loro esigue difese. Inefficaci i<br />

nascondigli, perché dove non giunse la lama affilata delle spade giunse il fuoco e il fumo, a<br />

seminare morte ingiusta e comunque inesorabile<br />

Quando giunse il mattino i carnefici si erano già dileguati, e l’alba si era stesa sopra un villaggio<br />

straziato, dove le lacrime e il sangue facevano da cornice al canto sommesso di gemiti soffocati.<br />

Infelici coloro che erano sopravvissuti, perché il dolore non avrebbe mai più abbandonato il loro<br />

cuore. Il massacro era stato compiuto. Erode pensava, con questo, di aver annientato una profezia e<br />

di potersi tranquillizzare, fra tante ostilità, almeno mostrando al popolo che il dominio è frutto della<br />

volontà e della forza, non degli oroscopi e delle superstizioni. Né ebbe a confrontarsi di nuovo con<br />

questo grattacapo, finché la malattia lo condusse alla tomba.<br />

E quando questo avvenne, ancora una volta l’angelo del Signore apparve a Giuseppe in Egitto per<br />

esortarlo al ritorno: “Non hai più motivo di nasconderti, prendi il bambino e la madre e riportali in<br />

terra di Israele ” 45 . Ancora una volta i tre intrapresero il cammino e, giunti in Giudea, vennero a<br />

sapere che nel palazzo regnava Archelao, figlio di Erode. Giuseppe fu intimorito da questo fatto e<br />

non ebbe animo di tornare a vivere a Betlemme, troppo vicina a Gerusalemme. Decise<br />

prudentemente di continuare il viaggio verso settentrione e si stabilì a Nazaret, in Galilea, dove<br />

Gesù ebbe modo di crescere al sicuro, e di apprendere la professione del padre 46 .<br />

Queste furono le vicende fondamentali dell’infanzia di Gesù, figlio di Giuseppe e, attraverso di lui,<br />

discendente in linea diretta dalla stirpe regale di Salomone e di David 47 .<br />

44 “e mandò ad uccidere tutti i bambini di Betlemme e del suo territorio dai due anni in giù, corrispondenti al tempo su<br />

cui era stato informato dai Magi. Allora si adempì quel che era stato detto per mezzo del profeta Geremia: “Un grido è<br />

stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande; Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché<br />

non sono più”” (Mt II, 16-18)<br />

45 “Morto Erode, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: “Alzati, prendi con te il<br />

bambino e sua madre e va nel paese d'Israele; perché sono morti coloro che insidiavano la vita del bambino”. Egli,<br />

alzatosi, prese con sé il bambino e sua madre, ed entrò nel paese d'Israele” (Mt II, 19-21)<br />

46 “Avendo però saputo che era re della Giudea Archelào al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito<br />

poi in sogno, si ritirò nelle regioni della Galilea e, appena giunto, andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret,<br />

perché si adempisse ciò che era stato detto dai profeti: “Sarà chiamato Nazareno”” (Mt II, 22-23)<br />

47 "Genealogia di Gesù Cristo figlio di David, figlio di Abramo. Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe,<br />

Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esròm, Esròm generò<br />

Aram, Aram generò Aminadab, Aminadab generò Naassòn, Naassòn generò Salmòn, Salmòn generò Booz da Racab,<br />

Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse, Iesse generò il re David. David generò Salomone da quella che era stata<br />

la moglie di Urìa, Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abìa, Abìa generò Asàf, Asàf generò Giòsafat,<br />

Giòsafat generò Ioram, Ioram generò Ozia, Ozia generò Ioatam, Ioatam generò Acaz, Acaz generò Ezechia, Ezechia<br />

generò Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò Giosia, Giosia generò Ieconia e i suoi fratelli, al tempo della<br />

deportazione in Babilonia. Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconia generò Salatiel, Salatiel generò Zorobabèle,


La natività di Matteo<br />

Il racconto che si trova all’inizio del Vangelo secondo Matteo, nei primi due capitoli, presenta la<br />

nascita di Gesù ambientandola entro precise coordinate spazio temporali. L’epoca è durante gli<br />

ultimi anni del regno di Erode il Grande (74 a.C. - 4 a.C.), detto Ascalonita, in prossimità della sua<br />

morte. Il luogo è il paese di Betlemme, posto qualche chilometro a sud di Gerusalemme, dove i<br />

genitori abitano. Solo al termine del racconto, quando Erode è morto e la sacra famiglia fa ritorno<br />

dall’Egitto, entra in gioco il villaggio galileo di Nazaret con cui Giuseppe e Maria, in precedenza,<br />

non avrebbero avuto niente a che fare. Non si dimentichi questo particolare, perché vedremo quanto<br />

stridente sia la divergenza con la natività di Luca.<br />

Il contributo peculiare di questo racconto alla tradizione natalizia cristiana è quello relativo<br />

all’adorazione dei Magi e alla loro stella prodigiosa, nonché alla persecuzione di Erode, con le<br />

conseguenze della fuga in Egitto e della presunta strage dei bambini di Betlemme. A dir la verità<br />

l’immagine prevalente della natività, come appare nell’arte e nel folclore del presepe, è derivata in<br />

modo assai più deciso dal racconto lucano, dove la nascita si svolge in una stalla, il bimbo è adorato<br />

dai pastori, ecc…<br />

Il periodo indicato dall’evangelista Matteo corrisponde ad un momento di apparente stabilità<br />

politica della Palestina. Soggiogata ormai da decenni al dominio romano, la nazione degli ebrei<br />

aveva trovato un certo equilibrio sotto la sovranità di Erode, detto il Grande, un re passato alla<br />

notorietà come simbolo di cinica crudeltà, ma anche un genio nell’arte di governare e di conciliare<br />

opposte esigenze. Suo padre Antipatro, non giudeo ma idumeo, nel 47 a.C. fu fatto amministratore<br />

della Giudea dai romani. Antipatro aveva tre figli: Fasael, stratega di Gerusalemme, Giuseppe,<br />

prefetto di Masada, Erode, stratega di Galilea. Di costoro il più ambizioso e capace era<br />

quest’ultimo, il quale si impegnava con energia nella lotta contro i nemici del regime di Roma e del<br />

suo capo, in un primo momento Giulio Cesare, in seguito l’imperatore Ottaviano Augusto.<br />

In effetti, in seno alla società palestinese, l’opposizione politico religiosa era tenace, anche perché<br />

fondata sulle numerose profezie che esaltavano il Messia che avrebbe dovuto liberare il paese dagli<br />

stranieri e ristabilire una giusta monarchia, nella figura di un discendente di David, nonché una<br />

degna classe sacerdotale. Sulle rive nord occidentali del Mar Morto i dissidenti hassidici (esseni)<br />

avevano occupato il sito di Kirbeth Qumran, dove avevano creato una comunità ascetica votata alla<br />

salvaguardia della purezza religiosa, ma anche alla preparazione ai tempi promessi della riscossa<br />

politica. Di loro produzione conosciamo i famosi Rotoli del Mar Morto che furono scoperti da<br />

Zorobabèle generò Abiùd, Abiùd generò Elìacim, Elìacim generò Azor, Azor generò Sadoc, Sadoc generò Achim,<br />

Achim generò Eliùd, Eliùd generò Eleàzar, Eleàzar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe, Giacobbe generò<br />

Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo. La somma di tutte le generazioni, da Abramo a<br />

David, è così di quattordici; da David fino alla deportazione in Babilonia è ancora di quattordici; dalla deportazione in<br />

Babilonia a Cristo è, infine, di quattordici" (Mt I, 1-17)


alcuni beduini dopo quasi venti secoli di giacenza nelle grotte del suddetto sito. Da questi<br />

documenti oggi sappiamo che i Messia attesi dagli Yahwisti 48 erano due: uno, detto di David, la<br />

figura politica, il combattente che avrebbe dovuto guidare la rivolta antiromana e diventare re,<br />

l’altro, detto di Aronne, la figura religiosa, che avrebbe dovuto assumere la carica di sommo<br />

sacerdote. Oltre ad occupare l’insediamento sulle rive del Mar Morto, gli esseni avevano creato una<br />

rete clandestina che coinvolgeva numerosi strati della popolazione palestinese in tutto il paese, e<br />

avevano senza dubbio legami con l’altro importante partito della dissidenza ebraica: gli zeloti.<br />

Questi ultimi si erano manifestati inizialmente nel nord della Palestina, e la fiamma del loro<br />

movimento aveva avuto origine nel territorio del Golan, presso la città di Gamla (o Gamala), situata<br />

8 km a nord est del lago di Tiberiade (Kinnereth). Qui, all’epoca in cui il giovane Erode inseguiva<br />

piani ambiziosi (siamo negli anni 40 a.C.) viveva un autorevole Rabbì (maestro o dottore della<br />

legge) di nome Ezechia. Lo storico ebreo Giuseppe Flavio lo descrive come un capo brigante<br />

(archilestes) che infervorava gli animi del popolo con ideali di liberazione nazional religiosa e<br />

organizzava azioni di guerriglia. All’incirca nel 44 a.C. Erode riuscì a tendere un agguato agli<br />

uomini di Ezechia e ad uccidere il ribelle 49 . Fu un’azione importante, che valse senza dubbio al<br />

giovane idumeo un credito capace di portarlo a diventare tetrarca della Galilea (nel 42 a.C.) e,<br />

successivamente, re su tutta la Palestina (nel 37 a.C.).<br />

Una volta che ebbe conquistato il potere supremo, una delle caratteristiche principali<br />

dell’atteggiamento psicologico di Erode fu l’ossessione per i complotti nei suoi confronti. Egli<br />

sapeva di non essere giudeo e di non avere le caratteristiche attese per il re degli ebrei. Il suo odio e<br />

il suo timore erano rivolti soprattutto ai membri della dinastia asmonea, ovverosia ai discendenti<br />

degli antichi maccabei che, nel secondo secolo a.C. avevano combattuto contro i seleucidi al potere<br />

in Palestina. Ebbe diverse mogli che gli dettero numerosi figli e figlie 50 . Non si fece scrupolo,<br />

quando credette di averne motivo, di far assassinare la moglie Mariamme (nel 29 a.C.) e i figli avuti<br />

da lei: Alessandro e Aristobulo (nel 7 a.C.).<br />

48 Col termine Yahwisti si intendano gli ebrei integralisti che pretendevano un’applicazione rigorosa della legge sacra e<br />

che non tolleravano una sovranità sul paese diversa da quella del Signore di Israele e del suo legittimo rappresentante<br />

terreno: l’unto di Yahweh, il messia della dinastia davidica a cui soltanto spettava di occupare il trono di Gerusalemme.<br />

Questi dissidenti cospiravano per la liberazione nazional religiosa, cercando di coinvolgere il popolo a partecipare ad<br />

un’autentica ribellione armata, ed erano ispirati da profezie sull’avvento del Salvatore che, nel periodo relativo alla<br />

nascita e alla vita di Gesù, era considerata imminente. (NdA)<br />

49 “[Erode] che era energico di natura, trovò subito campo per la sua azione. Catturò infatti Ezechia, un capobrigante<br />

che con una grossa banda infestava la regione sul confine della Siria, e lo uccise con molti dei suoi. L’impresa fu<br />

accolta col più grande favore dagli abitanti della Siria: nelle città e nei villaggi si inneggiava a Erode come al<br />

salvatore della pace e dei beni, e questi divenne noto anche a Sesto Cesare, che era parente del grande Cesare e<br />

governava la Siria” (Giuseppe Flavio, La guerra giudaica I, 204-205)<br />

50 “aveva infatti nove mogli, e figli da sette di loro: Antipatro da Doris, Erode da Mariamme, la figlia del sommo<br />

sacerdote, Antipa e Archelao da Maltace la samaritana, e da questa la figlia Olimpiade che fu moglie di suo nipote<br />

Giuseppe, da Cleopatra di Gerusalemme Erode e Filippo, da Pallade Fasael. Di figlie ne ebbe anche altre: Rossane e<br />

Salomè, la prima da Fedra, la seconda da Elpis. Due delle mogli non avevano avuto figli, una sua cugina e una sua<br />

nipote. Oltre a queste poi le due sorelle di Alessandro e Aristobulo, nate da Mariamme” (idem, I 562-563)


Erode si prodigò nell’organizzare grandi lavori a beneficio della nazione: innanzitutto riscosse<br />

molte simpatie popolari per il fatto di avere iniziato la ricostruzione del grande tempio di<br />

Gerusalemme. Il precedente, infatti, edificato da Salomone figlio di David, era stato distrutto dai<br />

babilonesi all’epoca della deportazione, quattro secoli prima, e tutti gli ebrei sognavano che la città<br />

santa potesse nuovamente ospitare un tempio sfarzoso. Poi fece costruire l’imponente fortezza di<br />

Masada, presso la riva sud occidentale del Mar Morto, dotata di straordinarie vasche termali e di<br />

splendidi affreschi. Quindi, sulla costa settentrionale del paese, fece costruire la città di Cesarea col<br />

relativo porto, che divenne lo scalo più importante per le navigazioni da e per il mediterraneo<br />

centrale. Qui fu eretto un grande stadio per le manifestazioni sportive.<br />

Erode morì di malattia nel 4 a.C. e lo storico Giuseppe Flavio ci racconta della sua crudeltà nel<br />

lasciare esplicita volontà che, al momento della sua morte, tutte le persone presenti nell’ippodromo<br />

fossero passate a fil di spada 51 .<br />

Nonostante la celebre malvagità del sovrano, non sembra proprio che il racconto del massacro dei<br />

bambini di Betlemme abbia alcun riscontro storico. Non esiste alcuna testimonianza che faccia<br />

cenno ad una vicenda così efferata e ci sono tutte le ragioni per credere che appartenga alla<br />

leggenda della natività, così come è stata concepita dall’autore del Vangelo secondo Matteo.<br />

Durante il regno di Erode gli ardori dei rivoluzionari Yahwisti non furono certo frenati dalla morte<br />

di Ezechia, che il re stesso aveva fatto uccidere. Anzi, da quell’episodio nacque una questione di<br />

rivalità familiare. Infatti il figlio di Ezechia, Giuda, detto di Gamala, o “il galileo”, raccolse l’eredità<br />

del padre e con altrettanta energia si mise ad organizzare il movimento zelota. Aveva pretese<br />

dinastiche, vantando una dignità regale e, in seguito alla morte di Erode, approfittò del momento di<br />

instabilità politica per organizzare rivolte nell’area della Galilea 52 . Proprio per questo il movimento<br />

degli zeloti, da lui fondato, fu spesso indicato con l’aggettivo “galilaei” che, pur essendo un<br />

appellativo geografico, assunse le tinte fosche del titolo sovversivo. Altri sinonimi del termine<br />

zeloti in latino furono “latrones” e “sicarii”, mentre in greco venivano usati i termini “zelotai” e<br />

“lestai”.<br />

È possibile che questi ribelli delle regioni settentrionali abbiano avuto contatti con i dissidenti<br />

qumraniani del Mar Morto. Innanzitutto va detto che nell’anno 31 a.C. un terribile terremoto<br />

51 “So che i Giudei faranno festa per la mia morte, ma io ho il modo di farli piangere per altri motivi e ottenere un<br />

grandissimo lutto, se voi vorrete eseguire le mie disposizioni. Quando io morirò, fate imediatamente circondare dai<br />

soldati e uccidere quelli che stanno rinchiusi [nell’ippodromo], sì che tutta la Giudea e ogni famiglia, anche non<br />

volendo, abbiano a piangere per la mia morte” (idem, I, 660)<br />

52 “C'era anche un certo Giuda, figlio di quell'Ezechia che era stato capo dei ribelli; il quale Ezechia era un uomo<br />

molto forte, ed era stato catturato da Erode con grande difficoltà. Questo Giuda, avendo riunito insieme una<br />

moltitudine di esaltati nei pressi di Sefforis, in Galilea, fece laggiù un assalto all'arsenale e sottrasse tutte le armi che<br />

ivi si trovavano, e con esse armò tutti quelli che erano con lui, e prese anche tutto il denaro che era stato lasciato in<br />

quel luogo; e divenne un capo terribile, tiranneggiando su tutti quelli che gli erano vicino; e tutto ciò in modo da farsi<br />

sempre più potente, per un desiderio ambizioso della dignità regale; e sperava di raggiungere questo obiettivo come


distrusse l’insediamento di Kirbeth Qumran e produsse lo spopolamento del sito. In seguito,<br />

probabilmente, qualcuno si è occupato di ristrutturare gli edifici e di favorire il ripopolamento, e<br />

questo può aver causato una trasformazione della comunità da un carattere più ascetico e monastico<br />

ad uno più nazional religioso e interventista. Non mancano gli studiosi che parlano della presenza di<br />

Giuda il galileo a Kirbeth Qumran, anche se, a mio parere, questo non può essere<br />

inequivocabilmente dimostrato. Certo è che il documento qumraniano noto come “Regola della<br />

guerra dei figli della luce contro i figli delle tenebre” appare come un evidente manifesto zelotico,<br />

nel quale si descrivono le modalità della rivolta che, favorita dallo stesso Padre di Israele, avrebbe<br />

dovuto causare la disfatta delle forze di invasione romane.<br />

Una delle caratteristiche principali della natività secondo Matteo è quella di nominare i Magi che<br />

venivano dall’oriente per l’unica volta in tutto il Nuovo Testamento, esclusi naturalmente i testi<br />

apocrifi. Tutto ciò che è detto nel Nuovo Testamento relativamente ai Magi, ad eccezione degli<br />

scritti apocrifi, è questo breve passo:<br />

“Alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemme e domandavano: “Dov'è il re dei<br />

Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo”.<br />

All'udire queste parole, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti<br />

tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, s'informava da loro sul luogo in cui<br />

doveva nascere il Messia. Gli risposero: “A Betlemme di Giudea, perché così è scritto<br />

per mezzo del profeta: - E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero il più piccolo<br />

capoluogo di Giuda: da te uscirà infatti un capo che pascerà il mio popolo, Israele 53 -.<br />

Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire con esattezza da loro il tempo<br />

in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme esortandoli: “Andate e informatevi<br />

accuratamente del bambino e, quando l'avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch'io<br />

venga ad adorarlo”. Udite le parole del re, essi partirono. Ed ecco la stella, che<br />

avevano visto nel suo sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove<br />

si trovava il bambino. Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia. Entrati<br />

nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi<br />

aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti poi in<br />

sogno di non tornare da Erode, per un'altra strada fecero ritorno al loro paese.” 54 .<br />

premio non delle sue qualità virtuose nel combattimento ma della sua originalità nel commettere nefandezze”<br />

(Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche X, 5)<br />

53 Vedi Mic V, 1<br />

54 Mt II, 1-12


Si tratta di una presenza molto significativa perché mostra la volontà di legare la nascita di Gesù ad<br />

elementi di spiritualità, non ebraica, ma iranico caldea. I Magi, infatti, erano una casta religiosa<br />

persiana di cui è testimoniata l’esistenza, l’autorità e l’attività da numerose fonti antiche, romane,<br />

greche, arabe, orientali e persino da parte degli scribi del cristianesimo antico 55 . La fonte ispiratrice<br />

delle loro concezioni era senz’altro la religione avestica (dal titolo del testo Zend Avesta), predicata<br />

da Zarathustra, seguita ancora oggi dai Parsi, soprattutto in area indiana 56 . Intimamente legata a<br />

questa concezione religiosa iranica è la profezia della “stella”.<br />

Gli studiosi moderni sono abbastanza concordi nel ritenere che Zarathustra (o Zoroastro) sia nato<br />

nel 630 a.C. circa, nella città di Battra (oggi territorio afghano), e sia morto nel 550 a.C. circa, nel<br />

Khorasan (nord est iraniano). L’opera di Zarathustra si sarebbe svolta nella prima metà del VI sec.<br />

a.C., proprio quando una parte importante della società ebraica fu deportata in Babilonia. Egli<br />

predicò in Persia una spiritualità monoteistica all’interno della quale si individua però il dualismo<br />

dovuto alla lotta di due principi contrapposti: il bene e il male. Il primo essendo identificato con la<br />

luce del sole (Ahura Mazda o Ormudz), il secondo con le tenebre (Angra Mainyu o Ahriman). Una<br />

visione che sembra ripresa in modo assai fedele dagli esseni ebrei, ritiratisi a Khirbet Qumran nel<br />

periodo a cavallo delle primitive origini cristiane. Essi infatti si consideravano Figli della Luce,<br />

testimoni del bene (che, nel loro contesto, significava autentici seguaci della legge Mosaica), in<br />

lotta contro i Figli delle Tenebre, testimoni del male (pagani ed ebrei di fede e osservanza<br />

discutibili).<br />

La predicazione di Zarathustra comprendeva l’idea che un giorno il conflitto fra le forze del bene e<br />

quelle del male si sarebbe concluso definitivamente a favore delle prime, in corrispondenza con la<br />

venuta di un Salvatore (Saoshyant), figlio di una vergine. È possibile che, durante il periodo<br />

trascorso in esilio in Babilonia, gli ebrei abbiano assimilato parte di queste concezioni, e le abbiano<br />

55 “…dal VI sec. A.C. fino, addirittura, al VII d.C. ed oltre (se non si considerano le regioni circonvicine che non<br />

furono subito invase dalla conquista araba), il peso dei Magi sulla vita politica, sociale e religiosa dell’area iranica e<br />

di alcune regioni a cultura parzialmente iranizzata fu davvero grande. Le fonti dell’epoca convergono, tutte, sulla loro<br />

importanza. Come casta o classe sacerdotale essi si proclamarono seguaci della dottrina di Zarathustra, ossia di<br />

Zoroastro…” (Bussagli, Chiappori, I Re Magi, Rusconi, Milano, 1985. Pag. 26)<br />

56 “Secondo Erodoto, i magoi erano una sorta di società segreta persiana, in cui la pratica religiosa si amalgamava a<br />

quella divinatoria. Per Seofonte erano ‘esperti in tutto ciò che concerne gli dei’. Il termine greco magheia e il latino<br />

magia indicavano le pratiche rituali caldee, spesso in opposizione al culto imperiale e dogmatico. In genere, come noto,<br />

magheia (dono) era collegato alla scienza dei Magi persiani, propagatori della dottrina di Zarathistra, a cui il concetto<br />

di magia è rimasto indissolubilmente legato per tutta l’antichità e il Medioevo. Secondo l’Enciclopedia cattolica, ‘il<br />

nome deriva dai Magi (magoi) che erano una delle sei tribù del popolo dei medi, i cui membri, forse appartenenti alla<br />

classe sacerdotale, dovettero osteggiare Zarathustra nella sua opera di riforma dell’antica religione del paese’. Anche<br />

l’identificazione della patria dei Magi risulta un’operazione alquanto complessa: in genere ricorrono l’Arabia e<br />

Babilonia, ma tra gli autori del passato (Clemente Alessandrino, Origene, Diodoro di Tarso, Crisostomo) era diffusa<br />

l’opinione che i Magi provenissero dalla Persia. A confortare queste tesi contribuiva l’attesa, negli ambienti di cultura<br />

persiana, della nascita di un ‘soccorritore’ (saushyant), concepito da una vergine in un lago dove si credeva fosse<br />

conservato il seme di Zarathustra (kayanseh)” M. Centini, La vera storia dei Re Magi, Piemme, Casale Monf. (AL),<br />

1997


poi incluse nella loro fede, specialmente per quanto riguarda la parte escatologica, ovverosia<br />

relativa all’idea messianica della salvezza.<br />

Ora, poiché la nascita di Zarathustra era stata preceduta da una rara combinazione planetaria,<br />

ovverosia dalla congiunzione di Giove e Saturno nella costellazione dei Pesci (VII sec. a.C.), la<br />

profezia iranica della stella consisteva proprio in questo fatto: allorché tale congiunzione si fosse<br />

ripetuta sarebbe comparso il successore di Zarathustra, a realizzare la vittoria definitiva del bene sul<br />

male. Ebbene, questo evento astronomico ebbe a verificarsi ben tre volte nel 7 a.C., quando in<br />

Palestina regnava Erode il Grande, e non mancò certo di essere osservato da tutti coloro che<br />

scrutavano il cielo interrogandolo sui destini del mondo. Questo è senz’altro il “segno della stella”,<br />

del quale si è voluto vedere il riferimento ad alcune profezie, come quella detta di Balaam:<br />

“Io lo vedo, ma non ora, io lo contemplo, ma non da vicino: Una stella spunta da<br />

Giacobbe e uno scettro sorge da Israele, spezza le tempie di Moab e il cranio dei figli di<br />

Set, Edom diverrà sua conquista e diverrà sua conquista Seir, suo nemico, mentre<br />

Israele compirà prodezze. Uno di Giacobbe dominerà i suoi nemici e farà perire gli<br />

scampati da Ar” 57 .<br />

Il redattore della natività di Matteo ha inserito l’episodio dei Magi e della stella nel desiderio di<br />

arricchire la figura di Gesù col maggior numero possibile di autorevoli richiami messianici, non<br />

certo per dovere di cronaca storica, e lo possiamo affermare con una certa attendibilità anche<br />

perché, come vedremo in un capitolo successivo, la natività di Luca ignora nel modo più assoluto<br />

tutto ciò, escludendo dal suo racconto i Magi, la stella, la persecuzione di Erode, la fuga in Egitto e<br />

la strage dei bambini di Betlemme. Ciò nonostante l’episodio ha una sua importanza significativa<br />

proprio perché mostra le motivazioni e i riferimenti da cui erano mossi gli autori del Nuovo<br />

Testamento, legati in qualche modo alle idee dell’antica religiosità iranica.<br />

Dobbiamo senz’altro notare che, nel brano di Matteo, non esiste un’indicazione sul numero dei<br />

Magi. Il testo, a questo proposito, dice semplicemente “alcuni”. Al contrario, la tradizione dà per<br />

scontato che i Magi fossero tre, forse per corrispondenza con i famosi doni, oro, incenso e mirra, e<br />

si spinge fino a identificarne i nomi: Gaspare, re dell’India, Melchiorre, re dei Persiani, e<br />

Baldassarre, re degli Arabi, dalla pelle scura. In realtà esistono altre tradizioni, espresse per esempio<br />

nella Cronaca di Zuqnin (Codice Vaticano siriaco 192) e nel Libro dell’Ape di Salomone di<br />

Bassora 58 , secondo le quali i magi erano dodici, come le costellazioni zodiacali e come gli apostoli.<br />

57 Num XXIV, 17<br />

58 Bussagli, Chiappori, I Re Magi, Rusconi, Milano, 1985. Pagg.64-65


La natività secondo Matteo offre alcune indicazioni relative al periodo in cui sarebbe nato Gesù,<br />

infatti il breve racconto, dalla gravidanza di Maria al ritorno della sacra famiglia dall’esilio in<br />

Egitto, si svolge a cavallo della morte di Erode, che sarebbe avvenuta nel 4 a.C. secondo la<br />

maggioranza degli storici. In particolare, poiché lo storico Giuseppe Flavio (Joseph ben Matthias,<br />

Gerusalemme 37 d.C. ca. - Roma 100 d.C. ca.) ha scritto che nel giorno della morte di Erode si<br />

sarebbe osservata un’eclisse lunare, questo fatto indica la data del 13 marzo di quell’anno. Se però<br />

ci domandiamo quanto prima della scomparsa del monarca sarebbe nato Gesù, la natività secondo<br />

Matteo offre in supporto un altro elemento: la famosa stella che avrebbe guidato i Magi fino<br />

all’abitazione di Giuseppe e Maria, nel villaggio di Betlemme.<br />

Personalmente sono incline ad interpretare il racconto relativo alla visita dei Magi come un inserto<br />

del tutto leggendario ma, non potendo vantare certezze, credo sia opportuno prendere in<br />

considerazione le indagini effettuate a questo proposito e osservare a quali conclusioni possono<br />

condurre. Senz’altro, la migliore corrispondenza tra il racconto della stella e un fatto di comprovata<br />

autenticità si ha con la combinazione planetaria di cui abbiamo già parlato, la congiunzione di<br />

Giove e Saturno nella costellazione dei Pesci. Accettando questo collegamento, la nascita di Gesù<br />

verrebbe a situarsi nel periodo compreso fra il 7 e il 4 a.C., che nel computo latino è il periodo<br />

compreso fra il 747 e il 750 ab urbe condita, cioè dalla fondazione di Roma. E se, come la<br />

narrazione evangelica sembra voler mostrare, la stella era presente e visibile sulla culla del neonato<br />

Gesù, costui allora sarebbe nato proprio nel 7 a.C., un triennio prima che Erode morisse.<br />

Ma, allora, perché il nostro calendario, che in linea di principio pretende di avere come punto di<br />

riferimento la nascita di Cristo, parte con un ritardo di alcuni anni? La risposta deve tenere conto del<br />

fatto che l’occidente cristiano segue attualmente il calendario gregoriano, introdotto nel 1582 da<br />

Papa Gregorio XIII, che inizia a contare gli anni dalla nascita di Gesù. La posticipazione di tale<br />

evento deriva da un errore commesso dal monaco sciita Dionigi il Piccolo (Dionysius Exiguus),<br />

vissuto a Roma fra il V e il VI secolo. Infatti costui, nel 1527, propose di contare gli anni ab<br />

incarnatione Domini nostri Jesu Christi e, nel tentativo di stabilire quando ciò sarebbe avvenuto,<br />

giunse alla conclusione errata che l’anno 1 della nuova era doveva essere identificato con l’anno<br />

754 dalla fondazione di Roma. Questa convinzione fu accettata alcuni anni dopo, nel 1534, dal papa<br />

Giovanni II e, in tal modo, il monaco sciita ebbe l’onore di fornire alla civiltà cristiana, per i secoli a<br />

venire, il punto di inizio per il computo delle date. Il quale, secondo i riferimenti storici emergenti<br />

dalla natività di Matteo, risulterebbe così posticipato da un minimo di 4 ad un massimo di 7 anni.<br />

Anche se, pensandoci seriamente, queste argomentazioni partono dal presupposto che i capitoli I e<br />

II del Vangelo secondo Matteo possiedano un attendibile valore storico, il che è del tutto discutibile.<br />

Un altro importante elemento aggiunto dalla natività di Matteo riguarda il concetto della nascita<br />

verginale. C’è un passo in cui leggiamo:


“Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo<br />

del profeta: Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato<br />

Emmanuele, che significa Dio con noi” 59 .<br />

Evidentemente l’evangelista ha voluto collegare la nascita di Gesù con una profezia di Isaia, ma lo<br />

ha fatto in modo abbastanza inopportuno. Il passo in questione è tradotto comunemente come<br />

segue:<br />

“Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un<br />

figlio, che chiamerà Emmanuele. Egli mangerà panna e miele finché non imparerà a<br />

rigettare il male e a scegliere il bene” 60 .<br />

In realtà, là dove noi oggi leggiamo vergine, il testo originale ebraico non usa la parola betulah (che<br />

indica appunto la condizione fisica della verginità), ma almah, che sta per giovane donna in età da<br />

marito. È la traduzione greca, cosiddetta "dei settanta", risalente ai secoli terzo o secondo a.C., che<br />

utilizza impropriamente il termine greco parthenos, cioè vergine, dando adito ad un malinteso.<br />

Inoltre il passo di Isaia non voleva riferirsi alla venuta di un messia liberatore all’epoca della<br />

dominazione romana, bensì ad una situazione simile ma precedente di alcuni secoli, cioè alla<br />

sottomissione degli ebrei al dominio assiro. Questo fatto ci fornisce un’indicazione per pensare che<br />

la natività attribuita a Matteo sia nata originariamente in greco e che il suo autore, un gentile, abbia<br />

fatto riferimento non alle scritture ebraiche, ma alla loro versione greca.<br />

Si faccia caso ad una questione molto importante: nell’unico testo evangelico sicuramente<br />

precedente a quello di Matteo, fra i quattro cosiddetti canonici, ovverosia nel Vangelo secondo<br />

Marco, non è contenuto il benché minimo riferimento al fatto che Maria avrebbe concepito vergine.<br />

Al contrario, viene detto in modo chiaro che Gesù aveva fratelli e sorelle:<br />

59 Mt I, 22-23<br />

60 Is VII, 14-15<br />

“Giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, lo mandarono a chiamare. Tutto<br />

attorno era seduta la folla e gli dissero: “Ecco tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle<br />

sono fuori e ti cercano”. Ma egli rispose loro: “Chi è mia madre e chi sono i miei<br />

fratelli?”. Girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno, disse: “Ecco


mia madre e i miei fratelli! Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella<br />

e madre”.” 61 .<br />

“Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di<br />

Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?”. E si scandalizzavano di<br />

lui.” 62 .<br />

Nel testo greco è utilizzato il termine adelfos, che indica i fratelli di sangue, e si distingue<br />

esplicitamente dal termine anepsios, che significa cugino. In pratica, se ci basassimo<br />

esclusivamente sul testo di Marco, che senz’altro è stato la base per i redattori degli altri<br />

Vangeli, non solo non avremmo alcun elemento per credere nella verginità di Maria, ma non<br />

conosceremmo nemmeno il nome del padre di Gesù: Giuseppe.<br />

Molto similmente dicasi per l’altro testo evangelico che non contiene alcun racconto relativo<br />

alla natività, quello secondo Giovanni. In esso la madre di Gesù è rappresentata come una<br />

madre di famiglia, il cui marito si chiama Giuseppe. Oltre a Gesù ci sono altri fratelli. Indicati in<br />

modo distinto dai discepoli, ad evitare così il frainteso che il termine potesse essere usato per<br />

indicare genericamente i “confratelli”.<br />

“Dopo questo fatto, discese a Cafàrnao insieme con sua madre, i fratelli e i suoi<br />

discepoli e si fermarono colà solo pochi giorni.” 63 ;<br />

“Si avvicinava intanto la festa dei Giudei, detta delle Capanne; i suoi fratelli gli dissero:<br />

“Parti di qui e va nella Giudea perché anche i tuoi discepoli vedano le opere che tu fai.<br />

Nessuno infatti agisce di nascosto, se vuole venire riconosciuto pubblicamente. Se fai<br />

tali cose, manifestati al mondo!”. Neppure i suoi fratelli infatti credevano in lui.” 64 .<br />

“Ma andati i suoi fratelli alla festa, allora vi andò anche lui; non apertamente però: di<br />

nascosto.” 65 .<br />

Come possiamo non notare che l’immagine della madre di Gesù, anche in tutti gli altri scritti del<br />

Nuovo Testamento, è quella di una donna normale, estranea al presupposto della verginità?<br />

61 Mc III, 31-35<br />

62 Mc VI, 3<br />

63 Gv II, 12<br />

64 Gv VII, 2-5<br />

65 Gv VI, 10


Addirittura nelle numerose lettere di Paolo la Madonna non esiste, e negli Atti degli Apostoli,<br />

nell’unica citazione in cui appare, figura come una buona madre di famiglia con numerosi figli:<br />

“Tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con<br />

Maria, la madre di Gesù e con i fratelli di lui.” 66 .<br />

Dunque la verginità di Maria si può dedurre soltanto dalle due natività inserite nei Vangeli secondo<br />

Matteo e Luca ma, a voler analizzare la questione in modo accurato, dobbiamo riconoscere che i<br />

due testi mostrano una certa scollatura tra le loro rispettive parte iniziali, riguardanti l’infanzia di<br />

Cristo, e le parti successive che, come i testi di Marco e Giovanni, iniziano col battesimo sul<br />

Giordano, quando Gesù è adulto. Per comodità chiamiamo queste seconde parti “ministeri della vita<br />

pubblica”. Sebbene le due natività, come vedremo, siano racconti del tutto diversi e inconciliabili,<br />

in esse Maria è una protagonista di spicco, mentre nei due ministeri della vita pubblica<br />

improvvisamente diventa evanescente, quasi una comparsa. E, soprattutto, scende dalla cornice<br />

idealizzata e spiritualizzata che la distingue, con tanto di verginità, e acquista caratteri di totale<br />

normalità, in quanto donna e madre, come negli altri Vangeli. Nel ministero di Matteo compare due<br />

volte, ed ha diversi figli e figlie:<br />

“Mentre egli parlava ancora alla folla, sua madre e i suoi fratelli, stando fuori in<br />

disparte, cercavano di parlargli. Qualcuno gli disse: “Ecco di fuori tua madre e i tuoi<br />

fratelli che vogliono parlarti”. Ed egli, rispondendo a chi lo informava, disse: “Chi è<br />

mia madre e chi sono i miei fratelli?”. Poi stendendo la mano verso i suoi discepoli<br />

disse: “Ecco mia madre ed ecco i miei fratelli; perché chiunque fa la volontà del Padre<br />

mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre”.” 67 ;<br />

“Non è egli forse il figlio del carpentiere? Sua madre non si chiama Maria e i suoi<br />

fratelli Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle non sono tutte fra noi? Da<br />

dove gli vengono dunque tutte queste cose?”.” 68 .<br />

Nel ministero di Luca, Maria compare una volta sola, in un passo in cui, si faccia ben attenzione,<br />

non ha neanche un nome, ma ha figli:<br />

66 At I, 14<br />

67 Mt XII, 46-50<br />

68 Mt XIII, 55-56


“Un giorno andarono a trovarlo la madre e i fratelli, ma non potevano avvicinarlo a<br />

causa della folla. Gli fu annunziato: “Tua madre e i tuoi fratelli sono qui fuori e<br />

desiderano vederti”. Ma egli rispose: “Mia madre e miei fratelli sono coloro che<br />

ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica”.” 69 .<br />

Dobbiamo onestamente notare la coerenza dei “ministeri della vita pubblica” di tutti e quattro i<br />

Vangeli, e del resto della letteratura neotestamentaria in generale, nel presentare Maria come donna<br />

e madre normale, dalle presenze fugaci, con numerosi figli e figlie. O nel non presentarla affatto, in<br />

disaccordo con le due natività, a loro volta del tutto scollegate l’una dall’altra. Dobbiamo<br />

riconoscere che, se invece dei Vangeli si fosse trattato di scritti appartenenti a religioni<br />

extracristiane, sarebbe stato praticamente automatico, per uno studioso occidentale, parlare di<br />

“inserimenti leggendari successivi di carattere apologetico…”.<br />

La mia convinzione, anche se con questa espressione non voglio riferirmi ad una certezza, ma solo<br />

all’ipotesi a cui attribuisco il maggior carattere di verosimiglianza, è che gli autori delle due<br />

natività, assolutamente ignari l’uno dell’altro, abbiano inventato due racconti molto diversi e<br />

contrastanti, nei quali però si possono individuare elementi di interesse comune. Il primo è che<br />

Gesù sarebbe nato a Betlemme, città nella quale avrebbe dovuto compiersi la profezia relativa<br />

all’atteso messia. Il secondo è che il suo sangue sarebbe appartenuto alla stirpe dell’antico re<br />

Davide. Il terzo è che sarebbe stato concepito per opera dello Spirito Santo nel grembo vergine di<br />

Maria. Il quarto è che sarebbe cresciuto a Nazaret, fino all’età adulta. Quattro concetti comuni. Ma<br />

quanto incompatibili le loro attuazioni dal punto di vista narrativo! Sui piani geografico,<br />

cronologico, genealogico e nella concatenazione globale dei fatti.<br />

Per quanto riguarda il presupposto della nascita verginale, i cristiani di oggi sembrano dimenticare<br />

del tutto che questa caratteristica apparteneva già, nel tempo e nello spazio, ad una ricca serie di<br />

tradizioni religiose precedenti a quella di Gesù. In oriente, per esempio, troviamo in tal senso due<br />

illustri precursori: Krishna e Buddha. Tutti e due annunciati, e generati da una vergine. Per non<br />

parlare poi degli dei egiziani, ellenistici e medio orientali.<br />

Ciò non di meno la somiglianza più impressionante è quella fra la Madonna e Iside, non solo nelle<br />

caratteristiche teologiche – entrambe sono madri vergini di un’incarnazione divina, che muore e<br />

resuscita – ma persino nell’aspetto iconografico, talmente coincidente da generare confusione, come<br />

in effetti è capitato nel passato quando alcuni cristiani adoravano l’immagine di Iside pensando che<br />

si trattasse di Maria.<br />

C’è un passo, della natività di Matteo, di cui dobbiamo analizzare la traduzione che possiamo<br />

leggere nelle moderne versioni, le quali così recitano:<br />

69 Lc VIII, 19-21


“e (Giuseppe) prese con sé la sua sposa, la quale, senza che egli la conoscesse, partorì<br />

un figlio, che egli chiamò Gesù” 70 ,<br />

“e (Giuseppe) prese la sua moglie con sé. E senza che l’abbia conosciuta, diede alla<br />

luce un figlio, e lo chiamò Gesù” 71 .<br />

Ma se leggiamo i testi latino e greco, troviamo ben altre parole, come:<br />

“Et non cognoscebat eam donec peperit filium suum primogenitum: et vocavit nomen<br />

eius Iesum” 72 ,<br />

la cui traduzione corretta è:<br />

“E (Giuseppe) non la conobbe finché ella non ebbe partorito il suo figlio primogenito, e<br />

gli dette nome Gesù” 73 .<br />

L’espressione “non la conobbe” significa, com’è uso nella letteratura biblica, “non ebbe con lei<br />

rapporto carnale”, ma l’elemento importante è costituito da quel “finché” che sembra voler limitare<br />

la mancanza del rapporto coniugale alla semplice generazione di Gesù e non di eventuali altri figli,<br />

come potrebbe essere avvalorato dal termine esplicito “primogenito” (ben presente anche nella<br />

versione greca: “prototokon”). I traduttori hanno letteralmente eliminato quella parola<br />

compromettente che, insieme alla successive citazioni di fratelli e sorelle, con tanto di nomi,<br />

contribuisce a rendere sempre più verosimile l’idea che Giuseppe e Maria abbiano avuto più di un<br />

figlio.<br />

Il racconto della fuga in Egitto è un’altra delle peculiarità della natività di Matteo, così come il<br />

drammatico episodio ad esso collegato: l’eliminazione fisica di tutti i bambini di Betlemme, dai due<br />

anni in giù:<br />

“Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe<br />

e gli disse: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là<br />

finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo”. Giuseppe,<br />

70 Vangelo e Atti degli Apostoli, versione ufficiale della CEI, Ed. Paoline, Roma, 1982.<br />

71 La Sacra Bibbia, traduzione dai testi originali, Ed. Paoline, Roma, 1964.<br />

72 Novum Testamentum Graece et Latine, Ist. Bibl. Pontificio, Roma, 1933; Mt I, 25.<br />

73 Mt I, 25.


destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto, dove rimase<br />

fino alla morte di Erode…” 74 ;<br />

“Erode, accortosi che i Magi si erano presi gioco di lui, s'infuriò e mandò ad uccidere<br />

tutti i bambini di Betlemme e del suo territorio dai due anni in giù, corrispondenti al<br />

tempo su cui era stato informato dai Magi…” 75 .<br />

Nessun altro cenno a fatti di questo genere esiste in tutto il Nuovo Testamento e, soprattutto, non<br />

esiste, storicamente, alcun riferimento ad un gesto così efferato da parte di Erode il grande, sebbene<br />

Giuseppe Flavio si sia dilungato spesso, nelle sue opere, nel descrivere minuziosamente le<br />

molteplici crudeltà del monarca.<br />

Un’ipotesi, destinata senz’altro a rimanere tale, può essere avanzata. Ovverosia quella che la fuga di<br />

Giuseppe, Maria e il fanciullo, riflettano nella realtà una questione analoga, con personaggi<br />

omonimi ma completamente diversi. Mi riferisco al fatto che molte tradizioni sostengono la<br />

condizione matrimoniale di Gesù, il quale, come discendente della stirpe regale di Davide e<br />

aspirante al trono di Israele, sarebbe stato sposato con Maria Maddalena e che costei, gravida di un<br />

figlio di Gesù stesso, e aiutata da un illustre personaggio del sinedrio, all’indomani dell’esecuzione<br />

del marito si sarebbe rifugiata in Egitto, per sfuggire alla persecuzione di cui sarebbe stata<br />

certamente vittima da parte delle autorità di Gerusalemme. La fuga in Egitto, pertanto riguarderebbe<br />

Giuseppe di Arimatea, Maria di Magdala e l’erede ancora da partorire. Di sicuro non possiamo<br />

affermare niente. Tranne che la redazione della natività di Matteo è stata ispirata quasi<br />

esclusivamente da esigenze catechistiche ed apologetiche, piuttosto che da spirito di cronaca.<br />

Ovviamente non possiamo dimenticare che, molti secoli prima, in India, si era scritto del neonato<br />

Krishna, figlio della vergine Devaki e incarnazione del dio Vishnu, che era stato ricercato dal re<br />

Kansa, il quale voleva ucciderlo, e che dovette rifugiarsi fra i pastori per sfuggire alla persecuzione.<br />

Un altro dettaglio di grande importanza del racconto di Matteo, lo abbiamo quando viene detto che<br />

la sacra famiglia, di ritorno dall’Egitto in seguito alla morte di Erode, non si sarebbe fermata a<br />

Betlemme, città in cui risiedeva prima della fuga, ma avrebbe continuato verso il nord della<br />

Palestina, andando a stabilirsi nella città di Nazaret. Tutto questo per paura di Archelao, figlio di<br />

Erode il Grande, che avrebbe potuto perpetuare l’intento persecutorio del padre. Teniamo presente<br />

che, secondo Matteo, solo a questo punto la città di Nazaret sarebbe entrata nello scenario della vita<br />

di Gesù, Giuseppe e Maria:<br />

74 Mt II, 13-15<br />

75 Mt II, 16.


“Morto Erode, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse:<br />

“Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e va nel paese d'Israele; perché sono<br />

morti coloro che insidiavano la vita del bambino”. Egli, alzatosi, prese con sé il<br />

bambino e sua madre, ed entrò nel paese d'Israele. Avendo però saputo che era re della<br />

Giudea Archelào al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in<br />

sogno, si ritirò nelle regioni della Galilea e, appena giunto, andò ad abitare in una città<br />

chiamata Nazaret…” 76 .<br />

Possiamo osservare che il nord della Palestina era governato da un alto figlio di Erode il grande,<br />

cioè da Erode Antipa, e che anche questo erede avrebbe potuto, in linea di principio, perpetuare lo<br />

stesso intento persecutorio paterno.<br />

Addirittura il redattore ha sentito ancora una volta la necessità di illustrare il trasferimento nel nord<br />

come compimento di una profezia biblica:<br />

“…perché si adempisse ciò che era stato detto dai profeti: “Sarà chiamato Nazareno”<br />

(Nazoraios nel testo greco)” 77 .<br />

Ora, ciò che dobbiamo sottolineare è costituito dal fatto che non esiste in tutto il Vecchio<br />

Testamento alcuna profezia in cui si annunci che qualcuno sarà chiamato nazareno, con riferimento<br />

ad una città di nome Nazaret. Nella Bibbia esistono passi, come questo, riferito a Sansone:<br />

“...poiché concepirai e darai alla luce un figlio, sul capo del quale non passerà il rasoio.<br />

Egli sarà Nazireo, fin dalla nascita...” 78 ,<br />

in cui si fa riferimento al cosiddetto nazireato, che è una condizione di purezza religiosa,<br />

temporanea o perenne, a seguito della quale una persona assume determinati voti e li rispetta con<br />

grande impegno. Tuttavia nessun esegeta ha mai preso in considerazione questo passo come<br />

possibile riferimento alla profezia di cui parla Matteo. Anche perché sarebbe stato come ammettere<br />

che l’aggettivo nazareno (nazoraios) non si riferisce alla città di Nazaret, ma al voto di nazireato.<br />

Invece, una spiegazione che è stata tentata dai teologi si richiama al seguente passo di Isaia:<br />

“Un virgulto sorgerà dal tronco di Jesse e un pollone verrà su dalle sue radici” 79 .<br />

76 Mt II, 19-23.<br />

77 Mt II, 23.<br />

78 Gdc XIII, 5<br />

79 Is XI, 1


Isaia intendeva dire che il futuro liberatore di Israele sarebbe stato un discendente di Davide,<br />

ovverosia un ramo di Jesse (Jesse è, appunto, il padre del grande re Davide). Ebbene, in ebraico la<br />

parola ramo si dice netzer, la cui radice consonantica, NZR, è simile a quella di Nazaret.<br />

L’espediente escogitato nello sforzo di trovare una spiegazione impossibile è fin troppo palese.<br />

Innanzitutto perché Isaia non si riferiva a Gesù e alla sottomissione di Israele al dominio romano,<br />

ma, come al solito, a quello assiro, risalente a molti secoli prima. E poi perché Isaia non intendeva<br />

neanche lontanamente affermare che il liberatore sarebbe venuto dalla città di Nazaret. Ai tempi di<br />

Isaia la città di Nazaret non esisteva e, forse, non esisteva nemmeno ai tempi di Gesù.<br />

Noi possiamo osservare che sia il redattore della natività attribuita a Matteo, sia i successivi<br />

interpreti, hanno effettuato operazioni nelle quali si denuncia l’esistenza di un preciso intento<br />

censorio: il senso originario della parola nazareno non doveva essere riconosciuto.<br />

Questo aggettivo, che nei testi evangelici redatti in greco antico suona nazoraios o nazarenos, nella<br />

tradizione cristiana ha assunto un significato che lo lega indissolubilmente alla città di Nazaret. In<br />

pratica nazareno significa automaticamente “cittadino di Nazaret”. Niente di più inesatto!<br />

Innumerevoli documenti e autori, da molto tempo, lo hanno inequivocabilmente riconosciuto: laici,<br />

ebrei, cristiani, e persino gli stessi cattolici. Riccardo Calimani, nella sua opera ‘Gesù Ebreo’,<br />

afferma:<br />

“Appare difficile, invece, spiegare in modo univoco e convincente l’appellativo<br />

Nazareno. A una prima analisi non sembra che possano sorgere dubbi: nei Vangeli<br />

esistono numerosi passi che collegano intuitivamente Nazareno alla città di Nazareth e<br />

oggi Nazareth è effettivamente una cittadina della Galilea, ma nessun testo pagano o<br />

giudaico fa menzione di Nazareth: questo nome non compare né nella Bibbia, né nella<br />

vasta letteratura talmudica, né nelle opere dettagliate di Giuseppe Flavio; solo Eusebio<br />

ne parla citando Giulio Africano (tra il 170 e il 240), buon conoscitore dei luoghi. Le<br />

perplessità tuttavia restano e sono alimentate dalla difficoltà di collegare nella lingua<br />

aramaica Nazareno, Nazoreo, Nazoreno, tre forme considerate nei Vangeli<br />

intercambiabili, con Nazareth. Qualche studioso ha suggerito che l’originale significato<br />

aramaico dell’attributo Nazareno, di difficile comprensione per seguaci cristiani<br />

ellenizzanti, sia andato perduto e sostituito con una più semplice e immediata<br />

indicazione geografica. Considerazioni linguistiche e filologiche hanno spinto all’ipotesi<br />

che Nazareno potesse voler dire Santo di Dio, anche alla luce del fatto che i fedeli di<br />

Gesù, che continuarono nella terra d’origine a chiamarsi nazareni, in terra greca<br />

inizialmente furono chiamati i santi e solo successivamente prevalse il nome cristiani


dato loro dai pagani di Antiochia. Nazarenos e Nazoraios sono dunque forse nomi legati<br />

a una radice linguistica ebraica natzìr (in aramaico natzirà) che li collegava ai nazirei<br />

“separati” o i “consacrati”, un gruppo che aveva fatto a Dio uno speciale voto di<br />

consacrazione e che costituiva una setta a sé stante che faceva voto di astinenza e di<br />

castità e non si tagliava i capelli. In quesi tempi il nazireato, di origine molto antica (ne<br />

parla il profeta Amos), era considerato la coscienza viva di Israele: Samuele e Sansone<br />

erano stati esempi ammirati di questa particolare scelta di vita… Anche l’individuazione<br />

precisa del luogo di nascita di Gesù è un problema arduo che non trova la sua soluzione<br />

neanche dopo un’attenta analisi delle narrazioni dei Vangeli” 80 .<br />

Già nel diciannovesimo secolo scriveva il sacerdote Alfred Loisy (Francia, 1857/1940, professore di<br />

ebraico e di sacra scrittura dell'Istituto Cattolico di Parigi, successivamente rimosso dall'incarico):<br />

"La stessa tradizione ha fissato il domicilio della famiglia di Gesù a Nazareth allo scopo<br />

di spiegare così il soprannome di Nazoreo, originariamente unito al nome di Gesù e che<br />

rimase il nome dei cristiani nella letteratura rabbinica e nei paesi d'oriente. Nazoreo è<br />

certamente un nome di setta, senza rapporto con la città di Nazareth..." 81 .<br />

Ma anche un vangelo gnostico del II secolo dopo Cristo, interpreta il termine nazareno in senso<br />

completamente diverso da quello a cui siamo abituati oggi:<br />

"Gli apostoli che sono stati prima di noi l'hanno chiamato così: Gesù Nazareno Cristo...<br />

‘Nazara’ è la ‘Verità’. Perciò ‘Nazareno’ è ‘Quello della verità’..." 82 .<br />

E quanti altri studiosi si sono espressi similmente: Elia Benamozegh (Italia, 1823-1900) 83 , Charles<br />

Guignebert (Francia, 1867/1939) 84 , Ambrogio Donini (Italia, 1903-1991) 85 , Marcello Craveri<br />

80 Riccardo Calimani, Gesù Ebreo, Rusconi, Milano, 1990.<br />

81 A.Loisy, La Naissance du Christianisme<br />

82 Vangelo di Filippo, capoverso 47.<br />

83 "Neppure è improbabile che i primi cristiani siano stati detti Nazareni nel senso di Nazirei, piuttosto che in quello di<br />

originari della città di Nazareth, etimologia davvero poco credibile e che probabilmente ha sostituito la prima solo<br />

quando l'antica origine dall'essenato cominciava ad essere dimenticata" (Elia Benamozegh, filosofo ebreo membro del<br />

collegio rabbinico di Livorno, Gli Esseni e la Cabbala, 1979).<br />

84 "La piccola città che porta questo nome [Nazareth], dove ingenui pellegrini possono visitare l'officina di Giuseppe,<br />

fu identificata come la città di Cristo solamente nel medio evo..." (Charles Guignebert, professore di Storia del<br />

Cristianesimo presso l'Università Sorbona di Parigi, Manuel d'Histoire Ancienne du Christianisme).<br />

85 "In realtà, per quel che riguarda Nazareth, gli storici non hanno potuto trovar traccia di una città di quel nome sino<br />

al IV secolo d.C.; secondo le fonti ebraiche, bisogna scendere addirittura sino al secolo IX. Nei Vangeli non troviamo<br />

mai l'espressione Gesù di Nazareth ma soltanto Gesù il Nazoreo, talvolta scritto anche Nazoreno o Nazareno... ora,<br />

nessuno di questi appellativi, per quanto si sia cercato di forzarne l'etimologia, può farsi risalire ad un nome come<br />

Nazareth... è da questi termini che è derivato il nome della città di Nazareth, e non viceversa" (Ambrogio Donini,


(Italia, vivente) 86 , E.B.Szekely (Ungheria) 87 , R.H.Eiseman (California, USA, vivente) 88 , Daniel<br />

Gershenson (Israele, vivente) 89 .<br />

Non ci possiamo esimere dal ricordare che molti padri della Chiesa, nelle loro opere finalizzate alla<br />

confutazione delle cosiddette eresie, hanno citato alcuni vangeli che oggi non possiamo consultare,<br />

per la semplice ragione che sono stati fatti sparire ormai da tempo immemorabile, e che fra questi è<br />

da annoverare un testo chiamato “Vangelo dei Nazareni”. Ce ne sono poi altri chiamati “Vangelo<br />

degli Ebioniti” e “Vangelo degli Ebrei”. Si tratta di scritti definiti giudeo cristiani, ovverosia di<br />

seguaci di Gesù che si consideravano pienamente ebrei e che non avevano mai preso in<br />

considerazione l’idea che la loro fede si configurasse come una religione distinta dall’ebraismo. Da<br />

parte di alcuni studiosi è stato proposto che i tre testi fossero in realtà uno solo, redatto in lingua<br />

semitica, o comunque diverse stesure di una medesima fonte. Su questo mancano oggettivamente<br />

elementi per assumere delle certezze.<br />

San Gerolamo (347-420 d.C.), padre della chiesa, scrisse:<br />

“Nel Vangelo usato dai nazareni ed ebioniti, che recentemente ho tradotto dalla lingua<br />

ebraica in greco e che da molti è detto l’autentico (vangelo) di Matteo…” 90 .<br />

accademico, specializzatosi in ebraico e siriaco presso la Harvard University, USA, è stato docente universitario in<br />

Italia, Breve Storia delle religioni, 1959).<br />

86 "El-Nasirah è un villaggio della Galilea, posto a circa quattrocento metri di altezza, nel quale la tradizione cristiana<br />

riconosce l'antica Nazareth, patria di Gesù. Secondo vari studiosi, tuttavia, Nazareth - meglio Natzrath o Notzereth -<br />

non è mai esistita e l'appellativo Nazareno che accompagna il nome di Gesù negli scritti neotestamentari non indica<br />

affatto il suo paese di origine..." (M. Craveri, autore di saggi sulla storia delle cristianesimo, tradotti in diverse lingue e<br />

pubblicati in Italia e all'estero, nonché curatore di una raccolta di scritti apocrifi, La Vita di Gesù, 1974).<br />

87 "Le forme Nazoraios, Nazarenos, Nazaraeus, Nazarene, provano tutte che gli scribi ecclesiastici conoscevano<br />

l'origine della parola ed erano ben consapevoli che non era derivata da Nazareth... Il nome storico e la posizione<br />

geografica della città natale di Cristo è Gamala... questa è la patria del Nazoreo... la montagna di Gamala è la<br />

'montagna' dell'evangelista Luca, la 'montagna' di tutti i Vangeli, che ne parlano incessantemente, senza nemmeno<br />

nominarla..." (E.B.Szekely, teologo ungherese che ha frequentato gli studi presso il Vaticano, The Essene Origins of<br />

Christianity, IBS, USA, 1980).<br />

88 "É stato Matteo per primo a generare l'equivoco secondo cui l'espressione 'Gesù il Nazoreo' dovesse avere qualche<br />

relazione con Nazareth, citando la profezia "sarà chiamato Nazareno (Nazoraios)" che, a conclusione del suo racconto<br />

sulla natività, egli associa col passo "ritirandosi in Galilea e andando a vivere in una città chiamata Nazareth". Questa<br />

non può essere la derivazione del termine, poiché anche in greco le ortografie di Nazareth e nazoreo differiscono<br />

sostanzialmente" (R.H.Eisenman, professore di religioni medio orientali e di archeologia, nonché direttore dell'Istituto<br />

per lo studio delle origini giudeo-cristiane alla California State University di Long Beach, James the Brother of Jesus,<br />

Penguin Books, 1997)<br />

89 "Io penso veramente che i cristiani non possano affermare che l'espressione 'Gesù Nazareno' significhi 'Gesù<br />

cittadino di Nazareth', nello stesso modo in cui l'espressione 'Leonardo da Vinci' significa 'Leonardo cittadino di Vinci'.<br />

La forma ebraica per Nazareth è NZRT, che è tarda ed è stata indicata come Nazrat o Nazeret, invece la forma greca<br />

'Iesous o Nazoraios' deriva dall'aramaico Nazorai... la radice NZR (senza T) capita nella traduzione aramaica di Isaia<br />

26:2, nella quale la parola 'emunim' (=fede) deriva dalla radice 'emeth' (=verità), in questo modo risulta chiaro perché<br />

nel Vangelo di Filippo si poté dire che 'Nazareno' significa 'della verità'..." (Daniel E. Gershenson, archeologo, docente<br />

e ricercatore presso il Dipartimento di Studi Classici della Università di Tel-Aviv, e-mail del 12/05/1998 indirizzata a<br />

David Donnini).<br />

90 Gerolamo, In Math., XII, 13; Apocrifi del Nuovo Testamento, a cura di Luigi Moraldi, UTET, Torino.


Dando così ad intendere che i termini nazareni ed ebioniti potrebbero essere sinonimi ma,<br />

soprattutto, che sono titoli settari, non indicazioni geografiche. Altrove possiamo leggere:<br />

“[i nazareni] accettano unicamente il Vangelo secondo gli Ebrei e chiamano apostata<br />

l’apostolo [Paolo]” 91 .<br />

“Essi [i nazareni] sono Giudei che onorano Cristo come uomo giusto e usano il Vangelo<br />

chiamato “secondo Pietro” ” 92 .<br />

Lo studioso americano Robert Eisenman tende ad identificare i nazareni e gli ebioniti con la<br />

comunità dei seguaci di Cristo i quali, in seguito alla morte del loro maestro, si sarebbero raccolti<br />

sotto la guida di Giacomo, fratello di Gesù, identificabile, a sua volta, col “maestro di giustizia” di<br />

cui si fa menzione nei celebri manoscritti del Mar Morto. Questa comunità è sempre stata in aperto<br />

contrasto con le concezioni espresse da Shaul di Tarso (San Paolo) e avrebbe inteso la figura di<br />

Gesù come semplicemente umana, non di natura divina.<br />

A noi, in questo momento, interessa sottolineare l’estraneità del termine nazareno rispetto alla città<br />

di Nazaret, ed anche il motivo che avrebbero avuto i cristiani scismatici per camuffare il significato<br />

di quella parola, sconfessando la concezione giudeo cristiana originale, dopo che l’immagine<br />

teologica di Gesù era stata revisionata, divinizzata, e arricchita da elementi extragiudaici ellenistici<br />

ed orientali.<br />

Non ci si meravigli per l’utilizzazione di un riferimento geografico artificioso nel corso di<br />

un’operazione di censura di questo genere. Molte altre ne sono state fatte, come l’impiego dei<br />

termini “cananeo” e “galileo” separati dal loro significato originario, che li lega invece alle sette dei<br />

patrioti yahwisti, combattenti per la libertà di Israele e la purezza del culto.<br />

La natività nel Vangelo secondo Luca<br />

Il racconto<br />

Il villaggio di Nazaret sorgeva nella conca fra i morbidi rilievi della Galilea, nella Palestina<br />

settentrionale, a due giorni di cammino dalle rive del lago di Tiberiade. Carezzato dalle brezze del<br />

91 Teodoreto, Haer. Fabul. Comp. II, 1; Apocrifi del N.T., op. cit.<br />

92 Teodoreto, Haer. Fabul. Comp. II, 1; Apocrifi del N.T., op. cit.


mediterraneo, aveva un clima mite e piacevole, era circondato da terre fertili e vegetazione<br />

rigogliosa, e gli abitanti laboriosi vi conducevano una vita serena.<br />

Qui abitava Maria, una giovane donna, vergine e promessa sposa a Giuseppe, un uomo della<br />

discendenza dell’antico re David. Un giorno, mentre era sola nella casa, dedita alle faccende<br />

domestiche, avvertì una strana presenza. Non ebbe paura. I suoni che udiva erano leggeri, soavi e<br />

inconsueti, e le sensazioni che provava suscitavano meraviglia o, al massimo, stupore. Si spostò<br />

nella stanzetta centrale della casa, che trovò illuminata da un chiarore senza sorgente. Rimase<br />

incantata. Poi, come in una dissolvenza dal nulla, le apparve la figura di un giovane bellissimo, con<br />

la veste rossa e le ali socchiuse sopra le spalle, il quale si presentò come arcangelo Gabriele e la<br />

salutò con parole riverenti.<br />

Maria non capiva cosa stesse succedendo e non credeva ai suoi occhi 93 , ma fu pervasa da una calma<br />

olimpica. Allora l’angelo le annunciò che ella avrebbe partorito un figlio e lo avrebbe chiamato<br />

Gesù: “Salirà sul trono di David e regnerà sulla casa di Israele” 94 . Maria sapeva di non sognare, ma<br />

di essere ben sveglia e cosciente. Sapeva anche che quelle parole dovevano essere vere, e che la<br />

loro origine era dall’altissimo Signore di Israele.<br />

Ciò nonostante il suo animo fu traversato da una nube d’inquietudine. Era vergine e fidanzata a<br />

Giuseppe, che osservava rigorosamente le regole di castità, come avrebbe potuto concepire un<br />

fanciullo e, soprattutto, cosa avrebbero pensato tutti coloro che l’avessero saputa incinta prima del<br />

matrimonio? 95<br />

E l’angelo, prontamente: “Questa gravidanza è opera dello Spirito Santo. Niente è impossibile alla<br />

volontà divina. Anche Elisabetta, vecchia e sterile, è rimasta incinta già da sei mesi. E il figlio che<br />

tu partorirai sarà detto Figlio di Dio 96 ”. Allora Maria accolse le parole dell’angelo e si dichiarò<br />

serva del Signore 97 .<br />

93 “l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa<br />

di un uomo della casa di David, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: “Ti saluto,<br />

o piena di grazia, il Signore è con te”. A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale<br />

saluto” (Lc I, 26-29)<br />

94 “L'angelo le disse: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai<br />

alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide<br />

suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine”” (Lc I, 30-33)<br />

95 “Allora Maria disse all'angelo: “Come è possibile? Non conosco uomo”” (Lc I, 34)<br />

96 L’aramaico per l’espressione “Figlio di Dio” è bar Abbà (anche nella forma contratta barabba), letteralmente “Figlio<br />

del Padre”, dal momento che gli ebrei non potevano pronunciare il nome di Dio e usavano in sostituzione termini come<br />

Padre, Altissimo, Signore… (NdA)<br />

97 “Le rispose l'angelo: “Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui<br />

che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha<br />

concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio”. Allora Maria<br />

disse: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”. E l'angelo partì da lei” (Lc I, 35-38)


Nel frattempo, lontano da Nazaret, ad Ain Karim, nella regione di Gerusalemme, Elisabetta, cugina<br />

di Maria, viveva insieme al marito Zaccaria. Costui, al tempo in cui era re della Giudea Erode<br />

Archelao, figlio di Erode il Grande 98 , era un anziano sacerdote. I due non avevano mai avuto figli 99 .<br />

Un giorno, mentre Zaccaria si dedicava al culto nel tempio, gli capitò il turno di compiere l’offerta<br />

dell’incenso. Entrò così nell’area sacra e, quando si trovò solo, ebbe una visione 100 . L’uomo fu<br />

spaventato ma subito la creatura celeste lo rassicurò: “Esulta Zaccaria, perché ciò che desideravi si è<br />

avverato: presto avrai un figlio da tua moglie Elisabetta e lo chiamerai Giovanni. Prenderà i voti di<br />

nazireato, sarà santo e benedetto. Ricondurrà molti dei figli di Israele al loro Signore e le sue opere<br />

saranno famose” 101 .<br />

Il vecchio non si capacitava di ciò che aveva udito: “Com’è possibile che succeda questo a me e mia<br />

moglie, dal momento che finora non è accaduto e adesso siamo così avanti negli anni?”. L’angelo si<br />

irritò per l’incredulità dell’uomo, e si affrettò a rispondere che a Dio tutto è possibile: “Io sono<br />

l’arcangelo Gabriele, sono stato mandato dal Signore, e tu sarai punito per non avere prestato fede<br />

alle mie parole, infatti non potrai parlare fino al giorno in cui tutto questo si avvererà” 102 . Il<br />

pover’uomo era sbalordito e indugiò confuso presso l’altare dell’incenso. La gente, nel frattempo,<br />

aveva notato il ritardo e si domandava cosa mai fosse successo. Ed ecco che quando Zaccaria uscì e<br />

ricomparve ai loro occhi, tutti capirono che aveva avuto una visione, perché il vecchio era fuori di<br />

sé e gesticolava senza riuscire a pronunciare una parola 103 . E fu così che Elisabetta rimase gravida e<br />

si rallegrò per avere ottenuto, quando ormai ne aveva perso le speranze, ciò che aveva sempre<br />

desiderato, e la cui mancanza le procurava vergogna 104 .<br />

98 Erode il Grande non è mai stato re della Giudea (NdA)<br />

99 “Al tempo di Erode, re della Giudea, c'era un sacerdote chiamato Zaccaria, della classe di Abìa, e aveva in moglie<br />

una discendente di Aronne chiamata Elisabetta. Erano giusti davanti a Dio, osservavano irreprensibili tutte le leggi e<br />

le prescrizioni del Signore. Ma non avevano figli, perché Elisabetta era sterile e tutti e due erano avanti negli anni”<br />

(Lc I, 5-7)<br />

100 “Mentre Zaccaria officiava davanti al Signore nel turno della sua classe, secondo l'usanza del servizio sacerdotale,<br />

gli toccò in sorte di entrare nel tempio per fare l'offerta dell'incenso. Tutta l'assemblea del popolo pregava fuori<br />

nell'ora dell'incenso. Allora gli apparve un angelo del Signore, ritto alla destra dell'altare dell'incenso” (Lc I, 8-11)<br />

101 “Quando lo vide, Zaccaria si turbò e fu preso da timore. Ma l'angelo gli disse: “Non temere, Zaccaria, la tua<br />

preghiera è stata esaudita e tua moglie Elisabetta ti darà un figlio, che chiamerai Giovanni. Avrai gioia ed esultanza e<br />

molti si rallegreranno della sua nascita, poiché egli sarà grande davanti al Signore; non berrà vino né bevande<br />

inebrianti, sarà pieno di Spirito Santo fin dal seno di sua madre e ricondurrà molti figli d'Israele al Signore loro Dio.<br />

Gli camminerà innanzi con lo spirito e la forza di Elia, per ricondurre i cuori dei padri verso i figli e i ribelli alla<br />

saggezza dei giusti e preparare al Signore un popolo ben disposto”” (Lc I, 12-17)<br />

102 “Zaccaria disse all'angelo: “Come posso conoscere questo? Io sono vecchio e mia moglie è avanzata negli anni”.<br />

L'angelo gli rispose: “Io sono Gabriele che sto al cospetto di Dio e sono stato mandato a portarti questo lieto<br />

annunzio. Ed ecco, sarai muto e non potrai parlare fino al giorno in cui queste cose avverranno, perché non hai<br />

creduto alle mie parole, le quali si adempiranno a loro tempo”” (Lc I, 18-20)<br />

103 “Intanto il popolo stava in attesa di Zaccaria, e si meravigliava per il suo indugiare nel tempio. Quando poi uscì e<br />

non poteva parlare loro, capirono che nel tempio aveva avuto una visione. Faceva loro dei cenni e restava muto” (Lc I,<br />

21-22)<br />

104 “Compiuti i giorni del suo servizio, tornò a casa. Dopo quei giorni Elisabetta, sua moglie, concepì e si tenne<br />

nascosta per cinque mesi e diceva: “Ecco che cosa ha fatto per me il Signore, nei giorni in cui si è degnato di togliere<br />

la mia vergogna tra gli uomini”” (Lc I, 23-25)


Ora, quando l’anziana donna era incinta di sei mesi, Maria ricevette a Nazaret l’annuncio<br />

dall’arcangelo Gabriele e fu informata che un fatto analogo era capitato alla vecchia cugina. Volle<br />

così andare in visita alla parente e, ottenuto il permesso, si aggregò ad una carovana di persone<br />

fidate che partivano per la Giudea, e raggiunse Elisabetta nella sua casa 105 . Il viaggio fu lungo e<br />

faticoso ma, dopo quello che le era capitato, Maria si sentiva sicura e protetta. Non le era possibile<br />

trovarsi al centro di una predestinazione e, nel medesimo tempo, temere i colpi della fortuna<br />

avversa. Non appena Elisabetta la vide esultò e con lei il bimbo che portava in grembo, Maria si<br />

fermò tre mesi dalla cugina, prima di fare ritorno a Nazaret 106 .<br />

Dopo la partenza di Maria, Elisabetta partorì e tutti furono felici per l’evento 107 . Com’era uso presso<br />

i Giudei l’ottavo giorno dalla nascita venne effettuata la circoncisione e, in quell’occasione, si<br />

decise il nome del fanciullo. La madre voleva chiamarlo Giovanni, come aveva detto l’angelo,<br />

mentre alcuni obiettavano che non c’era nessuno nella famiglia che portava quel nome e insistevano<br />

per chiamarlo come il padre: Zaccaria. Interrogato sul da farsi, l’anziano sacerdote, che ancora non<br />

poteva parlare, scrisse il nome Giovanni su una tavoletta.<br />

Ma ecco che il suo mutismo ebbe fine e cominciò a tessere le lodi del Signore. I presenti furono<br />

molto colpiti dalla quantità di circostanze prodigiose che accompagnavano la nascita del bambino.<br />

La fama di questi fatti si sparse velocemente per tutta la Giudea e la gente si domandava chi mai<br />

fosse questo fanciullo che Dio aveva voluto presentare con tanta enfasi 108 . E Giovanni crebbe<br />

105 “In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda” (Lc I, 39)<br />

106 “Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le<br />

sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: “Benedetta tu fra le donne e<br />

benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena la voce del<br />

tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto<br />

nell'adempimento delle parole del Signore”. Allora Maria disse: “L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito<br />

esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l'umiltà della sua serva. D'ora in poi tutte le generazioni mi<br />

chiameranno beata. Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente e Santo è il suo nome: di generazione in generazione la<br />

sua misericordia si stende su quelli che lo temono. Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei<br />

pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha<br />

rimandato a mani vuote i ricchi. Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva<br />

promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre”. Maria rimase con lei circa tre mesi, poi<br />

tornò a casa sua.” (Lc I, 40-56)<br />

107 “Per Elisabetta intanto si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il<br />

Signore aveva esaltato in lei la sua misericordia, e si rallegravano con lei” (Lc I, 57-58)<br />

108 “All'ottavo giorno vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo col nome di suo padre, Zaccaria. Ma<br />

sua madre intervenne: “No, si chiamerà Giovanni”. Le dissero: “Non c'è nessuno della tua parentela che si chiami<br />

con questo nome”. Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una<br />

tavoletta, e scrisse: “Giovanni è il suo nome”. Tutti furono meravigliati. In quel medesimo istante gli si aprì la bocca<br />

e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio. Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione<br />

montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Coloro che le udivano, le serbavano in cuor loro: “Che sarà<br />

mai questo bambino?” si dicevano. Davvero la mano del Signore stava con lui. Zaccaria, suo padre, fu pieno di<br />

Spirito Santo, e profetò dicendo: “Benedetto il Signore Dio d'Israele, perché ha visitato e redento il suo popolo, e ha<br />

suscitato per noi una salvezza potente nella casa di Davide, suo servo, come aveva promesso per bocca dei suoi santi<br />

profeti d'un tempo: salvezza dai nostri nemici, e dalle mani di quanti ci odiano. Così egli ha concesso misericordia ai<br />

nostri padri e si è ricordato della sua santa alleanza, del giuramento fatto ad Abramo, nostro padre, di concederci,<br />

liberati dalle mani dei nemici, di servirlo senza timore, in santità e giustizia al suo cospetto, per tutti i nostri giorni. E<br />

tu, bambino, sarai chiamato profeta dell'Altissimo perché andrai innanzi al Signore a preparargli le strade, per dare al<br />

suo popolo la conoscenza della salvezza nella remissione dei suoi peccati, grazie alla bontà misericordiosa del nostro


confermando quanto l’angelo aveva predetto di lui, fino a ritirarsi nel deserto della Giudea per<br />

condurre vita ascetica 109 .<br />

Vennero allora i giorni in cui l’imperatore Ottaviano Augusto ordinò il censimento della Palestina,<br />

per disciplinare la riscossione dei tributi. Era il tempo in cui la Siria era governata da Publio<br />

Sulpicio Quirinio 110 , il quale dette disposizione che la gente avrebbe dovuto farsi censire nel luogo<br />

d’origine della famiglia 111 . Vi furono così grandi spostamenti di persone che tornavano nella loro<br />

città per essere registrati ed evitare le sanzioni previste dai romani nei confronti di coloro che si<br />

fossero sottratti. Ovunque si potevano trovare carovane in movimento e smisurata era la confusione.<br />

Ora, Giuseppe e la sua promessa sposa Maria, pur abitando a Nazaret, erano originari di Betlemme<br />

e furono costretti ad affrontare il viaggio verso la Giudea, nonostante la gravidanza avanzata della<br />

donna. Prepararono dunque le loro misere cose e si misero a dorso di mulo 112 . Non appena furono<br />

giunti nel villaggio di destinazione Maria, stanca e affaticata dal percorso, avvertì le doglie del<br />

parto. Non avevano un luogo ove ritirarsi e nemmeno l’albergo disponeva di posti liberi. I due, nella<br />

circostanza urgente e delicata, dovettero trovare un riparo di fortuna, alloggiando in una stalla per i<br />

pellegrini, dove la donna dette alla luce il suo maschio primogenito. Dopo averlo avvolto in panni<br />

occasionali, lo pose in una mangiatoia e riposò sul terreno ricoperto di paglia 113 .<br />

Nel frattempo alcuni angeli andarono a raggiungere i pastori che stavano vegliando sul gregge ed<br />

annunciarono la nascita del Messia, dicendo loro: “Andate a Betlemme e troverete il bimbo in una<br />

mangiatoia, adoratelo perché egli è il Salvatore”. E quando Giuseppe e Maria videro arrivare tutti<br />

costoro, che erano stati avvertiti dagli angeli, furono pieni di stupore, e la donna meditava in cuor<br />

suo sulla predilezione che aveva ricevuto dal Signore e sulla gloria di essere madre del Salvatore 114 .<br />

Dio, per cui verrà a visitarci dall'alto un sole che sorge per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell'ombra<br />

della morte e dirigere i nostri passi sulla via della pace”.” (Lc I, 59-79)<br />

109 “Il fanciullo cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione<br />

a Israele” (Lc I, 80)<br />

110 Le informazioni degli storici ci fanno capire che il periodo corrisponde al 6/7 d.C., ovverosia dieci/undici anni dopo<br />

la morte di Erode il Grande (NdA)<br />

111 “In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo<br />

censimento fu fatto quando era governatore della Siria Quirinio. Andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua<br />

città” (Lc II, 1-3)<br />

112 “Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì in Giudea<br />

alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta” (Lc II, 4-5)<br />

113 “Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio<br />

primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo” (Lc II,<br />

6-7)<br />

114 “C'erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del<br />

Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento, ma<br />

l'angelo disse loro: “Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella<br />

città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che<br />

giace in una mangiatoia”. E subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste che lodava Dio e diceva:<br />

“Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama”. Appena gli angeli si furono allontanati<br />

per tornare al cielo, i pastori dicevano fra loro: “Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il<br />

Signore ci ha fatto conoscere”. Andarono dunque senz'indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, che giaceva<br />

nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udirono, si<br />

stupirono delle cose che i pastori dicevano. Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore. I


Otto giorni dopo la nascita il bimbo fu circonciso e gli venne imposto il nome Gesù. Quindi fu<br />

portato a Gerusalemme, per la dedica al Signore, com’era uso fare per tutti i maschi primogeniti 115 .<br />

Allorché Giuseppe e Maria raggiunsero il tempio incontrarono un vecchio, di nome Simeon, che si<br />

avvicinò loro e, prendendo fra le braccia il bambino, iniziò a lodare Dio: “Adesso i miei occhi sono<br />

pronti a chiudersi per sempre, perché hanno visto il Messia che libererà Israele. Che tu sia<br />

benedetta, madre del Salvatore, a cui una spada trafiggerà il cuore” 116 . Anche una vecchia donna,<br />

Anna, considerata una profetessa, si fermò a lodare il bambino, indicandolo ai presenti come<br />

l’atteso Salvatore. I genitori, stupiti, lasciavano che tutto questo accadesse e sempre di più<br />

comprendevano la gloria a cui erano innalzati. E quando questi fatti furono compiuti, Giuseppe e<br />

Maria col loro bambino intrapresero il viaggio di ritorno alla città di Nazaret 117 .<br />

E quando il bimbo ebbe dodici anni, nel corso di un pellegrinaggio pasquale a Gerusalemme, i<br />

genitori lo persero di vista credendo che fosse con altri, nella carovana. Allorché si resero conto che<br />

egli non c’era, dopo una giornata di viaggio verso Nazaret, furono presi da grande sgomento e<br />

tornarono indietro per cercarlo. Dovettero passare tre giorni prima che potessero rintracciarlo. Con<br />

immenso stupore lo trovarono fra gli anziani del tempio, che dissertava con loro e mostrava grande<br />

saggezza. La madre si avvicinò a lui, domandandogli perché mai avesse provocato una simile<br />

angoscia ai suoi genitori. Ma il ragazzo, impassibile, rispose che il suo compito era quello di<br />

occuparsi delle cose che riguardavano il Padre suo, Signore di Israele. Dopo di che partì con loro,<br />

alla volta di Nazaret 118 .<br />

pastori poi se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com'era stato detto<br />

loro.” (Lc II, 8-20)<br />

115 “Quando furon passati gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato<br />

chiamato dall'angelo prima di essere concepito nel grembo della madre” (Lc II, 21)<br />

116 “Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme<br />

per offrirlo al Signore, come è scritto nella Legge del Signore: ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore; e per<br />

offrire in sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi, come prescrive la Legge del Signore. Ora a<br />

Gerusalemme c'era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e timorato di Dio, che aspettava il conforto d'Israele; lo<br />

Spirito Santo che era sopra di lui, gli aveva preannunziato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il<br />

Messia del Signore. Mosso dunque dallo Spirito, si recò al tempio; e mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù<br />

per adempiere la Legge, lo prese tra le braccia e benedisse Dio: “Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace<br />

secondo la tua parola; perché i miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per<br />

illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele”. Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano<br />

di lui. Simeone li benedisse e parlò a Maria, sua madre: “Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele,<br />

segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l'anima”.”<br />

(Lc II, 22-24)<br />

117 “C'era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto<br />

col marito sette anni dal tempo in cui era ragazza, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si<br />

allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si<br />

mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme. Quando<br />

ebbero tutto compiuto secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nazaret.” (Lc II, 36-39)<br />

118 “Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui. I suoi genitori si<br />

recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo<br />

secondo l'usanza; ma trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a<br />

Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio, e<br />

poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme.<br />

Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli<br />

che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti e sua madre


La natività di Luca<br />

L’altra natività presente nel Nuovo Testamento è collocata all’inizio del Vangelo secondo Luca. Già<br />

le primissime parole di questo scritto forniscono un’importante collocazione temporale agli eventi<br />

descritti:<br />

“Al tempo di Erode, re della Giudea” 119 .<br />

La laconica frase viene interpretata, normalmente, con riferimento a Erode il grande, anche perché<br />

in precedenza Matteo aveva precisato che Gesù era nato sotto il regno di quel famoso e terribile<br />

monarca. In realtà, una difficoltà è determinata già dalla definizione “re della Giudea”, in quanto,<br />

egli non ha mai assunto quel titolo. Infatti, poco dopo che suo padre Antipatro, amministratore della<br />

Giudea, morì assassinato nel 43 a.C., Erode fu eletto dai romani tetrarca (la Palestina era suddivisa<br />

in tetrarchie) o “re della Galilea”<br />

Solo successivamente, nel 37 d.C., dopo alterne vicende che lo videro in contrasto coi membri della<br />

dinastia asmonea, Erode riuscì a farsi eleggere re su tutte le province unificate della Palestina, dalla<br />

Giudea alla Galilea, attraverso la Samaria. E questa volta come monarca, non come tetrarca. A<br />

questo punto non poteva essere definito propriamente “re della Giudea”, ovverosia della sola<br />

provincia che comprendeva Gerusalemme. Sarebbe stato riduttivo. Anche se, per dovere d’onestà,<br />

dobbiamo ammettere che poteva essere invalso l’uso, da parte dei romani, di chiamare<br />

sbrigativamente Giudea tutta la Palestina. In tal caso Luca avrebbe potuto adottare questa<br />

espressione estensiva, sebbene scorretta.<br />

Ma dobbiamo anche aggiungere che un vero “re della Giudea” fu Erode Archelao, figlio di Erode il<br />

grande. Infatti, alla morte del monarca, i romani divisero nuovamente la Palestina, ponendo<br />

Archelao a capo della regione meridionale col titolo di etnarca. Suo fratello Erode Antipa fu<br />

nominato tetrarca della Galilea e della Perea, mentre l’altro fratello Erode Filippo fu posto al<br />

governo della Batanea, della Traconitide e dell’Auranitide.<br />

Luca doveva essere al corrente di queste cose, doveva anche essere consapevole che<br />

quell’espressione era impropria. L’espressione “Erode, re della Giudea” potrebbe benissimo riferirsi<br />

ad Archelao, perché tutti i sovrani di questa dinastia venivano comunemente chiamati Erode. A<br />

gli disse: “Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo”. Ed egli rispose: “Perché mi<br />

cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. Ma essi non compresero le sue parole.<br />

Partì dunque con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore. E<br />

Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.” (Lc II, 40-52)<br />

119 Lc I, 5.


conferma di ciò, l'Erode al quale, nella passione secondo Luca, fu condotto il Cristo prigioniero,<br />

poco prima della crocifissione, era Antipa, re della Galilea. Ci sono poi monete, fatte coniare da<br />

Archelao, re della Giudea, recanti l'iscrizione Erodou ethnarchou.<br />

In ogni caso, possiamo essere certi che l‘Erode di cui parla Matteo è il padre, anche perché ci dice<br />

che, dopo la morte del monarca, al ritorno dall’Egitto, la famiglia di Gesù ebbe paura di stabilirsi in<br />

vicinanza di Gerusalemme, dove si era insediato il figlio Archelao.<br />

Apparentemente tutti questi ragionamenti potrebbero sembrare superflui, abbiamo già detto che il<br />

significato estensivo dell’espressione “re della Giudea” spiegherebbe tutta la questione. Se non<br />

fosse per il fatto che lo stesso Luca, successivamente, fornisce un’altra indicazione temporale che,<br />

non solo riapre il dubbio, ma lo rende estremamente attuale. Egli scrive:<br />

“In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di<br />

tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando era governatore della Siria<br />

Quirinio.” 120 .<br />

Luca si riferisce al periodo immediatamente successivo alla nascita di Giovanni Battista e<br />

nell’imminenza della nascita di Gesù, quando Maria, gravida, era ormai prossima alle doglie del<br />

parto.<br />

Per comprendere adeguatamente il senso di questa indicazione dobbiamo accennare al fatto che<br />

Erode Archelao, nel 6 d.C., era stato deposto ed esiliato nella Gallia, a Vienne. Al suo posto non fu<br />

eletto un etnarca successore, ma fu eseguita una riorganizzazione amministrativa che vedeva la<br />

Giudea diventare una parte autonoma della provincia romana di Siria. Sulla quale era governatore<br />

Publio Sulpicio Quirinio. In particolare la Giudea venne posta sotto la giurisdizione di un<br />

praefectus, nella persona di Coponio, il quale era sottoposto all’autorità del governatore di Siria. A<br />

seguito di questa riorganizzazione ai romani occorreva censire la regione per poter riscuotere le<br />

tasse in denaro, e i riferimenti storici, fra cui la stessa testimonianza di Giuseppe Flavio, ci<br />

informano che il censimento di cui parla Luca, supervisionato da Quirinio, fu effettuato nel 7 d.C.,<br />

ben undici anni dopo la morte di Erode il grande.<br />

Si tratta di un evento famoso, perché il cambiamento amministrativo e fiscale della Giudea scatenò<br />

l’ira di molti ebrei, in particolar modo degli yahwisti che consideravano blasfema la signoria di un<br />

pagano sulla regione, ed anche il pagamento della tassa con una moneta che recava l’effigie<br />

dell’imperatore. Si scatenò all’occasione una grande ribellione, nota come rivolta del censimento,<br />

capeggiata da un certo Zadok e da Giuda il galileo, figlio di quell’Ezechia che, nel 44 a.C., Erode<br />

aveva ucciso. La rivolta fu domata e i suoi capi giustiziati.<br />

120 Lc II, 1-2


Naturalmente lo sfasamento di undici anni fra le natività di Matteo e quella di Luca, ha sempre<br />

gettato gli esegeti del Nuovo Testamento in un grande imbarazzo. Non solo c’è una consistente<br />

distanza temporale, ma sussistono differenze fondamentali: se Erode il grande era morto da undici<br />

anni come avrebbe fatto a perseguitare Gesù, causandone la fuga in Egitto? E perché Giuseppe e<br />

Maria avrebbero temuto la presenza di Archelao sul trono di Gerusalemme, se questi era già stato<br />

deposto ed esiliato?<br />

Qualcuno ha tentato di conciliare i fatti sostenendo che il censimento di cui parla Luca sia stato<br />

eseguito sotto il regno di Erode il grande, e per questo sono state proposte due possibili soluzioni.<br />

Una è l’ipotesi che Publio Sulpicio Quirinio fosse stato nominato governatore di Siria già sotto la<br />

sovranità del monarca ascalonita, anche se le fonti storiche dimostrano che a quel tempo Quirinio<br />

era occupato altrove in ben altri incarichi. L’altra è quella che la frase “questo primo censimento fu<br />

fatto quando era governatore della Siria Quirinio” debba essere tradotta “questo censimento fu<br />

fatto prima che fosse governatore della Siria Quirinio”, alterandone completamente il senso. In<br />

realtà, si tratta di una forzatura voluta per aggiustare le cose a tutti i costi. Il vocabolo greco prote<br />

non è una forma avverbiale (prima che), ma una forma aggettivale (il primo), perfettamente<br />

concordata col termine apografe (censimento). L’arte di arrampicarsi sugli specchi ha trovato, in<br />

questi tentativi, delle performance veramente estreme.<br />

È lo stesso evangelista a fornirci un’altra indicazione per identificare il censimento della natività<br />

con quello del 7 d.C. (se è vero che Luca è l'autore degli Atti degli Apostoli):<br />

“si sollevò Giuda il galileo, al tempo del censimento, e indusse molta gente a seguirlo,<br />

ma anch'egli perì e quanti s'eran lasciati persuadere da lui furono dispersi” 121 .<br />

Ebbene, la sollevazione di cui si parla nella citazione è proprio quella in cui Giuda e centinaia dei<br />

suoi sicari persero la vita, avvenuta nel 7 d.C. in conseguenza del censimento supervisionato da<br />

Quirinio.<br />

Una delle caratteristiche principali della natività di Luca è quella di correlare le nascite di Gesù e di<br />

Giovanni Battista. Anzi, il racconto lucano inizia proprio con la nascita di quest’ultimo. Si tratta di<br />

un’origine infarcita di segni miracolosi, che riproduce cliché biblici alquanto noti. Innanzitutto la<br />

circostanza assomiglia straordinariamente a quella della nascita di Isacco, dai vecchi Abramo e<br />

Sara, di cui quest’ultima sterile 122 , ma anche a quella di Sansone 123 e di Samuele 124 . In entrambi<br />

questi due ultimi casi ricorre il tema del nazireato.<br />

121 At V, 37<br />

122 “Dio aggiunse ad Abramo: Quanto a Sarai tua moglie, non la chiamerai più Sarai, ma Sara. Io la benedirò e anche<br />

da lei ti darà un figlio; la benedirò e diventerà nazioni e re di popoli nasceranno da lei. Allora Abramo si prostrò con<br />

la faccia a terra e rise e pensò: Ad uno di cento anni può nascere un figlio? E Sara all'età di novanta anni potrà


Anche Elisabetta, moglie del sacerdote Zaccaria, era sterile e i due erano anziani. L’angelo Gabriele<br />

annuncia la venuta al mondo del loro figlio e costui è destinato ad una condizione di nazireato<br />

perenne, addirittura fin dalla nascita.<br />

Al sesto mese di gravidanza di Elisabetta, Luca fa annunciare dall’angelo Gabriele la nascita di<br />

Gesù direttamente a Maria, nel villaggio di Nazaret, in Galilea, dove ella abitava ed era fidanzata<br />

con Giuseppe. Questo breve episodio lucano dell’annunciazione a Maria è stato la fonte ispiratrice<br />

di una immensa produzione artistica pittorica, nell’arco di numerosi secoli.<br />

Luca fa compiere a Maria, pur nel suo stato interessante, un lungo viaggio a dorso di mulo per<br />

andare a trovare la parente Elisabetta e, al momento dell’incontro fra le due donne gravide, fa<br />

produrre a Maria un inno poetico 125 , noto come magnificat. Anche questo cantico costituisce uno<br />

dei momenti più rilevanti della letteratura evangelica, che fin dal medio evo è stato inserito nella<br />

liturgia. E, come l’annunciazione, è stato il punto ispiratore per una grande produzione artistica,<br />

specialmente in campo musicale. È estremamente interessante, in questo passo, la visione del<br />

Signore decantato come colui che<br />

“ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha<br />

innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i<br />

ricchi” 126 .<br />

Maria si sarebbe fermata tre mesi dalla parente Elisabetta, e poi sarebbe tornata a Nazaret.<br />

partorire?. Abramo disse a Dio: Se almeno Ismaele potesse vivere davanti a te! E Dio disse: No, Sara, tua moglie, ti<br />

partorirà un figlio e lo chiamerai Isacco. Io stabilirò la mia alleanza con lui come alleanza perenne, per essere il Dio<br />

suo e della sua discendenza dopo di lui. Anche riguardo a Ismaele io ti ho esaudito: ecco, io lo benedico e lo renderò<br />

fecondo e molto, molto numeroso: dodici principi egli genererà e di lui farò una grande nazione. Ma stabilirò la mia<br />

alleanza con Isacco, che Sara ti partorirà a questa data l'anno venturo” (Gn XVII, 15-21)<br />

123 “Ora, vi era un uomo d Saraa, della tribù dei Dan, di nome Manoe. Il quale aveva una moglie sterile e senza alcun<br />

figlio. A costei apparve l’Angelo del Signore e le disse: - Tu sei sterile e senza prole; ma ecco, tu concepirai e darai<br />

alla luce un figlio. Guardati bene però dal bere vino o bevanda inebriante e dal mangiare nulla di immondo, poiché<br />

concepirai e darai alla luce un figlio, sul capo del quale non passerà il rasoio. Egli sarà Nazireo, fin dalla nascita e<br />

comincerà a liberare Israele Dalle mani dei Filistei” (Gdc XIII, 1-5)<br />

124 “Anna, dopo aver mangiato in Silo e bevuto, si alzò e andò a presentarsi al Signore. In quel momento il sacerdote<br />

Eli stava sul sedile davanti a uno stipite del tempio del Signore. Essa era afflitta e innalzò la preghiera al Signore,<br />

piangendo amaramente. Poi fece questo voto: Signore degli eserciti, se vorrai considerare la miseria della tua<br />

schiava e ricordarti di me, se non dimenticherai la tua schiava e darai alla tua schiava un figlio maschio, io lo offrirò<br />

al Signore per tutti i giorni della sua vita e il rasoio non passerà sul suo capo” (I Sam I, 9-11)<br />

“Il mattino dopo si alzarono e dopo essersi prostrati davanti al Signore tornarono a casa in Rama. Elkana si unì a sua<br />

moglie e il Signore si ricordò di lei. Così al finir dell'anno Anna concepì e partorì un figlio e lo chiamò Samuele” (I<br />

Sam I, 19-20)<br />

125 “L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l'umiltà della<br />

sua serva. D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente e Santo è il<br />

suo nome: di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono. Ha spiegato la potenza<br />

del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli<br />

umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi. Ha soccorso Israele, suo servo,<br />

ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per<br />

sempre” (Lc I, 46-55).<br />

126 Lc I, 51-53.


Anche a Zaccaria, in seguito alla nascita di Giovanni, Luca fa pronunciare un cantico di giubilo nel<br />

quale il neonato viene esplicitamente presentato come il precursore, colui che andrà “innanzi al<br />

Signore a preparargli le strade”, per annunciare al popolo l’imminenza della salvezza, grazie alla<br />

visita di “un sole che sorge per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell'ombra della morte,<br />

e dirigere i nostri passi sulla via della pace”. In tutto e per tutto si configura la subordinazione di<br />

Giovanni a Gesù, come suo semplice araldo.<br />

In particolare l’evangelista intende precisare che il fanciullo crebbe e<br />

“visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele” 127 ,<br />

informazione che unitamente alle sue abitudini alimentari e alla pratica del rito battesimale ci<br />

fornisce solidi indizi per pensare che Giovanni fosse un affiliato della comunità essena degli asceti<br />

di Qumran, sulle rive del Mar morto. Si osservino i seguenti confronti fra la letteratura evangelica e<br />

i Manoscritti del Mar morto:<br />

E ancora:<br />

“Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, si<br />

cibava di cavallette e miele selvatico” 128 ;<br />

“tutte le specie di cavallette saranno messe nel fuoco o nell’acqua mentre sono vive, tale<br />

è infatti l’ordine conforme alla loro natura” 129 .<br />

“Ed egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione<br />

per il perdono dei peccati, com'è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia: Voce di<br />

uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri” 130 ;<br />

“…per andare nel deserto a preparare la via di lui, come sta scritto: nel deserto<br />

preparate la via, appianate nella steppa una strada per il nostro Dio” 131 .<br />

Il racconto vero e proprio della nascita di Gesù, nel Vangelo secondo Luca, occupa un breve spazio<br />

ed ha un carattere molto sintetico:<br />

127 Lc I, 80<br />

128 Mc I, 6<br />

129 Documento di Damasco.<br />

130 Lc III, 3-4.


“In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di<br />

tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando era governatore della Siria<br />

Quirinio. Andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua città. Anche Giuseppe,<br />

che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì<br />

in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con<br />

Maria sua sposa, che era incinta. Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono<br />

per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e<br />

lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo.” 132 .<br />

Ma la quantità di commenti che queste poche righe possono sollevare è ricca. Innanzitutto abbiamo<br />

già fatto notare quanto emerge dai primi due periodi, relativi al censimento, in merito al problema<br />

della datazione e del contrasto che si genera con la natività di Matteo. Ora, se andiamo avanti, ci<br />

troviamo dinanzi ad un’affermazione alquanto discutibile, secondo la quale le persone avrebbero<br />

dovuto essere censite non nel luogo dove vivevano ed esercitavano attività redditizie, ma nel luogo<br />

di origine della famiglia. Si tratta di un’assurdità, dovuta al fatto che l’evangelista doveva in<br />

qualche modo giustificare la nascita di Gesù nella città di Betlemme, soddisfacendo così un<br />

requisito messianico, non ostante che i fidanzati risiedessero in Galilea, a Nazaret.<br />

Se le persone avessero dovuto essere censite nel luogo di nascita, o di origine della famiglia, la<br />

realizzazione del censimento avrebbe prodotto un caos indescrivibile. Folle oceaniche avrebbero<br />

dovuto spostarsi per tutta la Palestina, magari per dichiarare che i loro interessi economici erano<br />

lontani decine o centinaia di km più a nord o a sud. Sarebbe successivamente stata inviata loro una<br />

cartella delle tasse, via posta?<br />

Ma le cose si sono svolte in modo completamente diverso. I romani avevano assoldato un buon<br />

numero di giudei compiacenti, i cosiddetti pubblicani, che conoscevano il territorio e la<br />

popolazione, avevano accesso ad utili informazioni e si occupavano di scovare le persone là dove si<br />

trovavano e generavano redditi significativi 133 . Per questo i pubblicani erano così odiati dagli ebrei,<br />

perché si comportavano come autentici collaborazionisti e traditori. Prendiamo allora la notizia col<br />

giusto scetticismo e procediamo nell’analisi del breve ma intenso passo.<br />

Giuseppe avrebbe dovuto spostarsi a Betlemme perché era originario di quel villaggio, situato poco<br />

a sud di Gerusalemme, che mille anni prima aveva dato i natali al grande re Davide. Le profezie<br />

131<br />

Regola della Comunità VIII, 13-14.<br />

132<br />

Lc II, 1-7.<br />

133<br />

“Lo Schűrer sostiene infatti che in un censimento provinciale romano finalizzato all’imposizione dei tributa capitis<br />

et soli, le motivazioni genealogico tribali avanzate nel vangelo di Luca per spiegare l’iscrizione a Betlemme di<br />

Giuseppe e Maria, i quali abitavano a Nazaret in Galilea, non potrebbero trovare spazio alcuno di credibilità.”<br />

(G.Firpo, Il problema cronologico della nascita di Gesù, Paideia, Brescia, 1983)


sostenevano che l’atteso messia, che avrebbe dovuto liberare Israele dalla sua schiavitù a potenze<br />

straniere, restituendo al popolo la libertà e la purezza del culto, sarebbe nato a Betlemme e sarebbe<br />

stato un discendente di sangue della dinastia davidica. È per questo motivo che l’evangelista non<br />

manca di precisare che Giuseppe “era della casa e della famiglia di Davide”. Anche se poi i quattro<br />

Vangeli del Nuovo Testamento sembrano impegnarsi in diverse occasioni per alterare il senso<br />

corretto del ruolo messianico di Gesù. In realtà, offuscandone la natura politica e regale, gli scritti<br />

mostrano una contraddizione in termini e l’esistenza di un preciso scopo censorio, che potremmo<br />

chiamare intento di spoliticizzazione.<br />

Ma la contraddizione più grossa si genera nel momento in cui consideriamo che, avendo Maria<br />

partorito vergine ad opera dello Spirito Santo, Giuseppe non avrebbe generato Gesù nella modalità<br />

biologica che avrebbe dato un senso alla sua ascendenza davidica. Gesù non avrebbe ereditato il<br />

sangue “della casa e della famiglia di Davide”.<br />

Ora, i coniugi avrebbero affrontato il lungo viaggio dalla Galilea alla Giudea, nella delicata<br />

condizione di gravidanza terminale di Maria e, una volta raggiunto il paesello, costei avrebbe<br />

accusato le prime doglie del parto. Dobbiamo senz’altro riflettere su un particolare che continua a<br />

gettare una luce sospetta sul racconto di Luca: i due non avrebbero trovato alcun luogo decente in<br />

cui sistemarsi per alloggiare e partorire. Come può conciliarsi una situazione di questo genere col<br />

fatto che essi sarebbero stati originari di Betlemme, al punto da dover essere colà censiti? Quale<br />

legame potevano avere con una città per loro così estranea ed inospitale da non trovare né un<br />

parente, né un amico, né un conoscente… insomma, assolutamente nessuno che potesse avere<br />

compassione di Maria e prendersi cura dei due coniugi?<br />

Se Giuseppe fosse stato veramente di Betlemme, il minimo che avrebbe potuto fare, arrivando lì in<br />

quella circostanza impellente, sarebbe stato di rivolgersi a qualcuno della sua famiglia. E invece no.<br />

Poiché, così come è leggendaria la stessa nascita betlemita di Gesù, inventata al semplice scopo di<br />

applicare su di lui le profezie messianiche, è altrettanto leggendaria la descrizione della nascita nella<br />

mangiatoia, fra i pastori e gli animali, che è stata inserita perché richiama cliché mitologici sulla<br />

nascita del salvatore.<br />

Un altro commento può essere sollevato sulla frase “si compirono per lei i giorni del parto. Diede<br />

alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia ”. Anche<br />

Luca usa il termine primogenito, che nelle traduzioni moderne del Nuovo Testamento, come<br />

abbiamo già visto, è censurato nel testo di Matteo. Evidentemente Gesù aveva avuto fratelli ed<br />

anche sorelle, come è abbondantemente testimoniato nei racconti evangelici della vita pubblica e<br />

negli altri scritti del Nuovo Testamento, come le lettere di Paolo e gli Atti degli Apostoli, e in altri<br />

documenti storici extra testamentari.


Il racconto della visita dei pastori, che dipinge nel testo lucano un quadro di lirismo agreste, evoca<br />

memorie provenienti da altre tradizioni religiose, assai più antiche. Per esempio quella della nascita<br />

di Krishna, incarnazione del dio indu Vishnu:<br />

“...la volontà dei Deva fu compiuta; tu concepisti nella purezza del cuore e dell'amore<br />

divino. Vergine e madre, salve! Nascerà da te un figlio e sarà il Salvatore del mondo.<br />

Ma fuggi, poiché il re Kansa ti cerca per farti morire col tenero frutto che rechi nel<br />

seno. I nostri fratelli ti guideranno dai pastori, che stanno alle falde del monte Meru...<br />

ivi darai al mondo il figlio divino...” 134 .<br />

Gli elementi di contatto con la tradizione cristiana sono riscontrabili nella nascita verginale, nel<br />

ruolo di salvatore, nell’essere perseguitato da un re che vuole eliminarlo, nel nascere fra i pastori e,<br />

infine, nella natura divina.<br />

Luca, descrivendo l’esecuzione delle pratiche rituali di purificazione del neonato, attraverso<br />

l’offerta al tempio di una coppia di colombe, testimonia un clima sereno, su cui non incombe<br />

l’ombra di alcuna persecuzione. Un duplice episodio deve essere notato: due personaggi di aspetto<br />

profetico incontrano nel tempio il bambino e lo riconoscono come l’atteso messia 135 . Si tratta del<br />

vecchio Simeone, il quale ringraziò il Signore per avergli consentito di vivere abbastanza da aver<br />

potuto vedere il Salvatore, e che predisse a Maria la sofferenza che avrebbe dovuto sopportare a<br />

causa di suo figlio. C’è poi la profetessa Anna, vedova e dedita alla devozione, che si mise a lodare<br />

il bambino come liberatore di Gerusalemme.<br />

Anche queste immagini appartengono ad un cliché rappresentativo della nascita dei grandi salvatori:<br />

ce ne dà esempio la storia di Buddha, nell’episodio del vecchio saggio Asita Kaladevela che,<br />

secondo la leggenda, visitò il palazzo in cui si festeggiava la nascita del piccolo Siddharta.<br />

Anch’egli, come il vecchio Simeone, prese in braccio il bambino e si dispiacque di non poter vivere<br />

abbastanza da ascoltare i suoi insegnamenti, una volta che fosse cresciuto. Non possiamo fare a<br />

meno di aggiungere che Buddha fu generato miracolosamente dalla vergine Mahamaya, ingravidata<br />

in sogno dall’immagine di un grande elefante bianco a sei zanne che sarebbe entrato nel suo corpo.<br />

Ella avrebbe poi partorito da un fianco, conservando così la sua integrità.<br />

La natività lucana si conclude con l’unico episodio, presente in tutto il Nuovo Testamento, che<br />

faccia riferimento ad un’età giovanile di Gesù, prima dell’inizio della sua manifestazione<br />

pubblica 136 . È quello in cui la famiglia si sarebbe recata a Gerusalemme, durante una festa pasquale,<br />

col figlio dodicenne. Durante il ritorno, mentre i genitori pensavano che si trovasse sulla carovana<br />

134 E. Shurè, I grandi iniziati, Bari, 1941.<br />

135 Lc II, 25-38.


insieme a loro, il ragazzo si sarebbe trattenuto nel tempio a dissertare coi saggi del tempio, dando<br />

prova di una sapienza esemplare. Come, del resto, anche il giovane Siddharta aveva fatto, a suo<br />

tempo, mostrando una straordinaria intelligenza nello studio e nel commento dei Veda.<br />

136 Lc II, 41-52.


I contrasti fra le natività.<br />

Il nostro presepe cristiano affonda le sue radici più remote nelle tradizioni dei lares familiares, già<br />

presenti nell’antica Roma e fra gli Etruschi. Verso la fine di dicembre si festeggiavano i lari,<br />

ovverosia gli antenati defunti, con riti che ricorrevano alla disposizione di statuine nella casa e allo<br />

scambio fra parenti di regali, detti sigilla. Con l’avvento e la diffusione del cristianesimo, molte<br />

feste pagane furono semplicemente mutate nel significato, ma conservate nei costumi e nelle<br />

esteriorità. Il Dies Natalis, già celebrazione della rinascita, o resurrezione, del dio sole, che veniva<br />

festeggiato il 25 dicembre, tre giorni dopo il solstizio invernale, diventò il Natale cristiano e assorbì<br />

molti degli usi già esistenti.<br />

Il praesepe era un piccolo recinto (anche greppia, mangiatoia) in cui venivano poste le effigi dei<br />

lari, il cui aspetto, talvolta imitava un paesaggio agreste. Abitualmente si attribuisce a San<br />

Francesco d’Assisi il merito di aver voluto inscenare, per la prima volta nel 1223, a Greccio, una<br />

rappresentazione vivente della nascita di Gesù secondo quanto indicato dalle natività evangeliche.<br />

Ma sarebbe stato Arnolfo di Cambio, intorno al 1290, a creare le prime statue del presepe scolpite a<br />

tutto tondo. Poi l’usanza si diffuse nelle chiese e, dal diciassettesimo secolo, persino nelle case dei<br />

nobili e del popolo. Fino ai giorni nostri e nella nostra moderna civiltà, dove si perpetua per il suo<br />

indiscutibile e irresistibile fascino.<br />

I tratti caratteristici di un presepe sono: la capannuccia o la grotta, la mangiatoia, la stella, il<br />

bambino con Giuseppe e Maria, il bue e l’asino, i tre re magi coi doni, i pastori e gli altri visitatori,<br />

tutti rappresentanti di una società contadina e artigianale, inseriti in un paesaggio rurale. Tranne il<br />

bue e l’asino, che non sono citati nelle narrazioni evangeliche, il presepe contiene gli elementi<br />

fondamentali delle natività di Matteo e di Luca, fondendole insieme come se i due racconti fossero<br />

compatibili l’uno con l’altro. I re magi, che nel racconto di Matteo si muovono sullo sfondo storico<br />

del regno di Erode il grande, sono affiancati all’umile rifugio che la famiglia avrebbe dovuto<br />

adottare a Betlemme, alla fine del suo viaggio da Nazaret, sullo sfondo storico della terribile rivolta<br />

del censimento. Ci si dimentica totalmente di queste parole di Matteo:<br />

“Entrati nella casa, [i magi] videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo<br />

adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra” 137 .<br />

Infatti, si ricordi, secondo Matteo i genitori di Gesù abitavano a Betlemme prima della nascita del<br />

bambino, in una casa ovviamente, e si sarebbero trasferiti a Nazaret solo al ritorno dall’Egitto,<br />

137 Mt II, 11.


mentre, secondo Luca, abitavano a Nazaret fin dal tempo in cui erano fidanzati, e si sarebbero recati<br />

a Betlemme solo per la registrazione fiscale.<br />

Le coordinate sono inequivocabilmente discordanti: oltre cento kilometri di distanza nello spazio,<br />

dalla Giudea alla Galilea; undici o più anni di differenza nel tempo, dal 4 a.C., o prima, al 7 d.C.;<br />

due quadri storici profondamente mutati, dal regno di Erode il Grande, che comprendeva tutta la<br />

Palestina, alla nuova suddivisione in tetrarchie, successiva alla deposizione di Archelao, che vedeva<br />

Gerusalemme sotto l’amministrazione diretta del praefectus Iudaeae.<br />

Ora, la tradizione del presepe può essere giustificata nella sua inesattezza, tenendo presente che ha<br />

un carattere evocativo fondato sulle emozioni e sulla pietà religiosa, dove la correttezza storica<br />

passa decisamente in secondo piano. Ma le numerose moderne opere cinematografiche che hanno<br />

trattato l’argomento, hanno eseguito e continuano ad eseguire questa stessa operazione di fusione<br />

fra le natività, come se non esistessero già abbondanti consapevolezze per dissociare i due racconti<br />

e contribuendo così a mantenere l’ignoranza popolare su questo importante argomento.<br />

Evidentemente questi stessi film vogliono essere soltanto dei “presepi in pellicola”.<br />

Come possono conciliarsi due frasi di questo genere?<br />

“Avendo però saputo che era re della Giudea Archelào al posto di suo padre Erode,<br />

ebbero paura di andarvi [a Betlemme, loro precedente dimora]. Avvertito poi in sogno,<br />

si ritirò nelle regioni della Galilea e, appena giunto, andò ad abitare in una città<br />

chiamata Nazaret” 138 ,<br />

“Quando ebbero tutto compiuto secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea,<br />

alla loro città di Nazaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la<br />

grazia di Dio era sopra di lui” 139 .<br />

Ovviamente nella natività lucana non c’è alcuna persecuzione da parte di Erode il grande, non c’è la<br />

strage dei bambini di Betlemme, non c’è la fuga in Egitto, non ci sono i magi venuti dall’oriente,<br />

non c’è il ritorno dall’Egitto e il trasferimento di città. C’è, però, la presenza fondamentale della<br />

figura di Giovanni Battista, che manca completamente nella natività di Matteo.<br />

L’autore della natività lucana è già un rappresentante di quella tradizione che desidera porre la<br />

figura di Giovanni in una posizione subordinata rispetto a quella di Gesù. Noi sappiamo che questo<br />

è stato un presupposto caratteristico della catechesi di San Paolo 140 , del quale possiamo ricordare<br />

138 Mt II, 22-23.<br />

139 Lc II, 39-40.<br />

140 At XVIII, 25; XIX, 3-4)


che i nazareni e gli ebioniti, ovverosia i giudeo cristiani che rappresentavano i veri seguaci di Gesù,<br />

lo respingevano in modo assoluto.<br />

“La testimonianza che Giovanni avrebbe reso a Gesù, presentandosi come il precursore<br />

del messia oppure designando espressamente Gesù come il messia atteso, è un'altra<br />

finzione, concepita dall'apologetica cristiana per attenuare o dissimulare la dipendenza<br />

originaria del cristianesimo dalla setta battista... Sembra certo che Giovanni si sia<br />

presentato come inviato da Dio, come il profeta del novissimo giorno: come un profeta<br />

la cui missione non era subordinata a quella di nessun altro, nemmeno a quella del<br />

messia. Non era il precursore di altri fuor che di Dio” 141 .<br />

Il desiderio di fondere le due natività in un unico quadro narrativo potrebbe diventare legittimo nel<br />

momento in cui si prendesse coscienza della natura leggendaria di queste storie. In tal caso, poiché<br />

il mito ha una funzione rappresentativa ed educativa che prescinde dalla veridicità del racconto, non<br />

c’è niente di male nel creare una tradizione intorno alla quale si raccoglie l’immaginario collettivo e<br />

si fondano le basi di una civiltà etica. In effetti, nella moderna epoca tecnologica, non è giusto<br />

trasmettere i valori attraverso l’ignoranza e l’ottundimento dell’intelligenza, ed è solo la piena<br />

consapevolezza che può avvalorare il significato delle tradizioni, renderle funzionali e compatibili,<br />

risolvendo le contraddizioni che, ancora oggi, contrappongono la spiritualità alla razionalità.<br />

I filosofi del cristianesimo dovrebbero capire che la fede non ha altro da ricavare che un vantaggio<br />

dal confronto con la verità. Purtroppo, invece, la maggioranza dei fedeli e degli ecclesiastici pensa<br />

che le basi del credo cristiano verrebbero irrimediabilmente a mancare se non dovesse essere<br />

considerato storicamente credibile il racconto evangelico. Una fiaba non può bastare! O si tratta di<br />

fatti reali, o di inutili fantasie. Senza apparire in modo palese, una forma di materialismo invisibile<br />

si cela dietro questa mentalità morbosamente legata al concreto degli eventi, incapace di rendersi<br />

conto della larghissima misura in cui i miti, di ogni genere, già operano nel guidare il pensiero dei<br />

popoli e le scelte degli individui.<br />

A questo si aggiunga il fatto che le istituzioni ecclesiastiche rappresentanti della sapienza religiosa<br />

hanno sempre privilegiato le ragioni della propria egemonia, su quelle della verità, e hanno sempre<br />

temuto l’emancipazione dei fedeli, insistendo per lasciarli in una condizione di subordinazione e<br />

persino di ignoranza che, nel corso dei secoli, non ha riguardato solo la dimensione spirituale ma<br />

anche quelle economica, politica, sociale e culturale.<br />

Da qui le antiche proibizioni di leggere la Bibbia, solo apparentemente paradossali; la necessità di<br />

ricorrere al dogma, all’autoritarismo sfrenato, alla caccia alle eresie; la difesa incondizionata della<br />

141 A. Loisy, Le Origini del Cristianesimo, Il Saggiatore, 1984.


dottrina come corpus intoccabile, effettuata da schiere di teologi, esegeti ed apologeti che hanno<br />

elaborato un’abilità straordinaria nell’arrampicarsi sugli specchi pur di giustificare in qualche modo<br />

ogni possibile contraddizione. Tranne che secondo un limpido e sereno criterio di verità.<br />

Un ulteriore esempio di tutto ciò ci è offerto dall’esame delle genealogie di Gesù Cristo, presenti in<br />

entrambi i Vangeli. Matteo ne offre una all’inizio del suo scritto. Luca alla fine del terzo capitolo,<br />

dopo l’episodio del battesimo sul Giordano.<br />

Si tratta di due elenchi completamente diversi. Lasciando perdere il fatto che Luca preferisce partire<br />

dalla creazione dell’umanità, cioè da Adamo, includendo i nomi dei grandi patriarchi della Genesi,<br />

mentre Matteo si contenta di partire da Abramo, possiamo notare che le due genealogie hanno in<br />

comune solo la parte che si conclude con Davide. Da qui in poi, relativamente ad un periodo di<br />

mille anni, gli elenchi divergono pesantemente nei nomi e nel numero complessivo dei medesimi.<br />

Matteo contempla ventotto nomi (due volte quattordici) passanti attraverso il figlio di Davide che<br />

gli succedette sul trono, Salomone, e costituenti una lista di personalità regali. Luca contempla<br />

quarantadue nomi (tre volte quattordici) passanti attraverso il figlio di Davide che fu sacerdote,<br />

Natan, e costituenti una lista di personalità sacerdotali. Saltano evidenti le esigenze apologetiche<br />

che i redattori si erano imposti, e che hanno ispirato la loro redazione al di là di qualunque criterio<br />

di veridicità. Anche i criteri numerologici hanno ispirato queste redazioni ma, più che altro, il fatto<br />

che ciascuno desiderasse sottolineare un aspetto dell’eredità genealogica di Gesù: politico in un<br />

caso, religioso in un altro. È estremamente curioso notare che al centro di una divergenza quasi<br />

completa si incontrano due nomi concordanti: Salatiel e Zorobabel, poi i due elenchi si staccano di<br />

nuovo l’uno dall’altro per reincontrarsi solo con Giuseppe, padre di Gesù.<br />

Ovviamente molti hanno cercato soluzioni per spiegare la spaventosa divergenza, dal momento che<br />

il padre di Giuseppe figura come Giacobbe, nell’elenco di Matteo, e come Eli, in quello di Luca. In<br />

questo si è distinto Eusebio di Cesarea, apologeta del cristianesimo al tempo di Costantino, che ha<br />

avanzato l’ipotesi del levirato per spiegare come Giuseppe potesse essere contemporaneamente<br />

figlio di Giacobbe e di Eli. Il levirato era una legge ebraica secondo la quale una vedova poteva<br />

concepire prole col fratello del marito defunto. In pratica il bambino sarebbe stato figlio del padre<br />

defunto, secondo la legge, e figlio del padre reale, secondo la natura. Se non che, in tal modo,<br />

Giacobbe ed Eli avrebbero dovuto essere fratelli, mentre le genealogie li danno come figli,<br />

rispettivamente, di Matthan e Mattat. Ed ecco che lo storico costantiniano ha avanzato l’idea che<br />

costoro fossero figli della stessa donna, ma di due padri diversi, Eleazar e Levi.<br />

Non si è mai voluto ammettere ciò che appare evidente dall’esame delle due natività e delle<br />

genealogie. I punti di interesse comune dei due autori sono riconducibili solo all’idea della nascita<br />

verginale, all’origine betlemita e all’appartenenza alla stirpe di Davide. Per il resto tutto è diverso.


In particolare, la diversa attribuzione della residenza di Giuseppe e Maria all’epoca del loro<br />

fidanzamento, contribuisce ad alimentare sensibilmente il dibattito sul fatto che Nazaret fosse<br />

realmente la città di Gesù o, addirittura, sul fatto stesso che questa città esistesse al tempo di Gesù.<br />

Ha senz’altro un impatto drammatico la constatazione che, per Matteo, Nazaret entra nella vita di<br />

questa famiglia quando Gesù ha già qualche anno d’età, per un fatto accidentale, che è la necessità<br />

di tenersi prudentemente lontano da Gerusalemme e da Erode Archelao. Mentre Luca ambienta già<br />

il magnifico quadro dell’annunciazione a Nazaret. Ora, abbiamo già considerato il fatto che<br />

l’aggettivo nazareno, così frequentemente usato nei racconti evangelici, senz’altro molto più spesso<br />

dello stesso nome della città di Nazaret, non ha il significato che gli viene comunemente attribuito –<br />

cittadino di Nazaret – ma è un titolo religioso e/o settario che corrisponde all’ebraico ha nozri o<br />

all’aramaico nazorai.<br />

La domanda che ci possiamo legittimamente porre è la seguente: la città di Nazaret esisteva, al<br />

tempo di Cristo, ed è stata usata per uno spostamento opportunistico di significato del titolo<br />

nazareno? Oppure la città non esisteva affatto, ed è stata letteralmente inventata in seguito per<br />

dirottare non solo l’interpretazione del titolo, ma per denaturare completamente tutte le coordinate<br />

relative alla personalità storica di Gesù?<br />

Questa seconda ipotesi, senz’altro destinata a rimanere tale, almeno per il momento, sembra<br />

estremamente azzardosa ma non lo è affatto, nel momento in cui si analizza una lunga serie di<br />

questioni, non solo sull’assenza totale della città nei resoconti degli storici 142 e sulle sue<br />

caratteristiche archeologiche 143 , ma anche sulla sua configurazione geografica che, dai racconti<br />

evangelici, sembra discostarsi molto dalla Nazaret che oggi possiamo visitare in Galilea 144 .<br />

Personalmente non intendo negare definitivamente che Nazaret esistesse nel primo secolo, ma<br />

semplicemente considerare aperta la questione. In fin dei conti, l’uso strumentale di questa<br />

residenza non veritiera, nel racconto evangelico, può benissimo avere risposto all’esigenza di<br />

contraffare il senso del titolo nazareno, attraverso un meccanismo di dissimulazione che abbiamo<br />

già visto usare coi termini cananeo e galileo, sempre attributi associati agli zeloti e alle sette dei<br />

patrioti yahwisti.<br />

Senz’altro i racconti evangelici nel loro complesso, e non solo le natività, mostrano un chiaro<br />

intento censorio nei confronti del titolo nazareno, che aveva un esplicito riferimento alla setta<br />

giudeo cristiana da cui l’insegnamento cristiano ellenizzato, derivato dalla predicazione di Paolo,<br />

aveva preso le distanze con decisione. I nazareni e gli ebioniti dovevano identificarsi con quei<br />

seguaci di Giacomo, il fratello carnale di Gesù, che aveva assunto il ruolo leader della comunità<br />

142<br />

Lo stesso Giuseppe Flavio, che ha minuziosamente descritto ogni angolo della Galilea nei suoi scritti, ha<br />

sistematicamente dimenticato Nazaret.<br />

143<br />

Archeologicamente parlando Nazaret sembra una città bizantina, priva di testimonianze significative dell’epoca di<br />

Gesù.


dopo l’esecuzione di Cristo. Si trattava probabilmente dei cosiddetti giusti (zaddikim) che, almeno<br />

dopo la morte di Cristo, possono essere riconosciuti negli esseni occupanti il sito di Khirbet<br />

Qumran, sulle rive del Mar morto. Da cui lo stesso Giovanni battista si muoveva per accogliere<br />

nuovi adepti tramite il rito battesimale.<br />

Tornando al problema sollevato dall’analisi delle due genealogie, ovverosia alla duplice personalità,<br />

regale e sacerdotale, non possiamo fare a meno di osservare che il messia singolo della predicazione<br />

paolina evoca le figure dei Soter ellenistici, se non addirittura del Saoshyant persiano e dei<br />

Krisha/Buddha indiani, mentre la più ortodossa aspettativa degli ebrei, rappresentata proprio dagli<br />

autori dei manoscritti del Mar morto, riguardava, come abbiamo già osservato, due figure<br />

messianiche distinte: una di carattere politico ed una di carattere sacerdotale.<br />

Può forse essere che Giovanni Battista e Gesù fossero stati identificati come i due messia attesi? Ci<br />

limitiamo rigorosamente a porlo come semplice domanda, perché non esistono gli elementi per<br />

giungere ad una risposta sicura. Ma vedremo in seguito, dall’analisi di alcuni scritti apocrifi, come<br />

possano essere correlati, in tal senso, i ruoli dei due personaggi.<br />

Riassumiamo dunque le divergenze fra le due natività in un quadro schematico:<br />

1) il momento della nascita differisce di almeno undici anni,<br />

2) le città di residenza della famiglia prima della nascita sono completamente diverse,<br />

3) il luogo di nascita è una casa, in un caso, e un rifugio occasionale, nell’altro,<br />

4) in un caso si ignora Giovanni Battista, nell’altro si correlano le due nascite,<br />

5) in un caso si parla dei magi venuti dall’oriente, nell’altro caso no,<br />

6) la persecuzione e la fuga in Egitto competono solo alla natività secondo Matteo,<br />

7) in un caso c’è un cambio della residenza, nell’altro no,<br />

8) in un caso si propone una genealogia regale, nell’altro una genealogia sacerdotale.<br />

E i punti di contatto:<br />

1) la nascita betlemita,<br />

2) l’appartenenza alla dinastia di Davide,<br />

3) la verginità di Maria,<br />

4) il fatto di essere cresciuto a Nazaret.<br />

Quali conclusioni possiamo trarre da queste analisi? Innanzitutto abbiamo individuato abbastanza<br />

precisamente la mappa dei punti di contatto e di divergenza fra le due natività, ma abbiamo anche<br />

144 Vedi D.Donnini, Gesù e i Manoscritti del Mar Morto, Coniglio Editore, 2006, Roma.


notato le differenze sostanziali che allontanano le natività evangeliche dai racconti riguardanti la<br />

vita adulta di Gesù, che abbiamo chiamato ministeri della vita pubblica. Nelle natività si insiste<br />

sulla personalità di Gesù come emanazione divina, generato ad opera dello Spirito Santo, e si<br />

attribuisce un ruolo importante alla madre Maria, che offre la figura della vergine diventata in<br />

seguito, nella teologia cattolica, la “madre di dio”.<br />

Il culto mariano, così rilevante nelle tradizioni cristiane, non avrebbe potuto svilupparsi sulla base<br />

dei ministeri della vita pubblica di Gesù, o di altri scritti del Nuovo Testamento (abbiamo già<br />

nominato le lettere di Paolo), in cui Maria è rappresentata come una donna del tutto normale, alla<br />

cui verginità non si accenna mai ma, piuttosto, la si rappresenta spesso affiancata ai suoi numerosi<br />

figli e figlie.<br />

Già questo è sufficiente per comprendere che i Vangeli primitivi, quelli giudeo cristiani, redatti in<br />

lingua semitica, dovevano essere privi dei racconti sulla nascita di Gesù, i quali hanno un carattere<br />

estraneo alla concezione religiosa degli ebrei, all’interno della quale non si sarebbe mai potuto<br />

attribuire ad un qualunque messia una natura sovrumana, alla pari di dio, legata alle immagini dei<br />

salvatori ellenistici e orientali.<br />

Se alle contraddizioni fra le natività e i ministeri aggiungiamo le contraddizioni fra le natività<br />

stesse, le quali mostrano come sui quattro presupposti ideologici comuni siano state tessute delle<br />

leggende assolutamente libere, ci rendiamo conto di quale sia stato il meccanismo redazionale<br />

apologetico, che ha soddisfatto non il bisogno di cronaca, ma quello di creare una predicazione a<br />

tutti gli effetti riferita ad un Gesù Cristo spirituale, nato non in una capannuccia o in una casa da un<br />

parto verginale, ma dalla più pura creatività teologica. Al punto che l’operazione di andare a<br />

considerare gli elementi storici dello scenario di fondo, come il segno della stella, il regno di Erode,<br />

la circostanza del censimento, ecc…, per cercare una possibile datazione della nascita di Gesù,<br />

appare come un tentativo ridicolo incapace di portare a qualsivoglia risultato attendibile.<br />

Il cristiano non ha niente da perdere nel riconoscere la distanza tra il Cristo della storia e quello<br />

della fede. Anche perché il processo di identificazione forzata delle due figure è stato funzionale<br />

alle ragioni dell’egemonia ecclesiastica assai più di quanto non lo sia stato per il valore spirituale<br />

della fede. La storicità del racconto evangelico non aggiunge nulla a questo valore, poiché esso<br />

riposa sui contenuti del messaggio, i quali scaturiscono in tutta la loro integrità ed efficacia anche<br />

da un supporto simbolico. Rinforzati dalla consapevolezza degli sviluppi storici, politici, sociali,<br />

umani e religiosi che hanno portato alla nascita di quel messaggio e alla composizione di quelle<br />

scritture.


Fratelli e sorelle di Gesù.<br />

Nel paragrafo relativo alla natività di Matteo abbiamo già affrontato il problema dei fratelli e delle<br />

sorelle di Gesù, in un contesto finalizzato a mostrare che il presupposto della verginità di Maria<br />

appartiene ad uno strato della redazione evangelica successivo a quello che vide la primitiva stesura<br />

del Vangelo secondo Marco. Abbiamo visto numerose citazioni presenti in tutti i testi canonici,<br />

dalle quali scaturiscono complessivamente quattro nomi: Giacomo, Joses (Giuseppe), Giuda e<br />

Simone.<br />

Evidentemente, quando venivano scritte queste cose, non si era ancora formata la convinzione che<br />

Gesù fosse nato da un parto verginale, e la composizione reale della sua famiglia non suscitava<br />

alcun imbarazzo. Addirittura nel Vangelo secondo Marco, la figura del padre non esiste, il<br />

falegname è Gesù stesso: “Non è costui [Gesù] il carpentiere?” 145 , e la madre, forse una vedova,<br />

accompagna spesso i figli nei loro movimenti al seguito di Gesù.<br />

Ma, già nel Vangelo secondo Matteo, le cose sono leggermente cambiate: “Non è egli forse il figlio<br />

del carpentiere?” 146 . Si noti un fatto importante: Matteo conosce il nome del padre di Gesù,<br />

Giuseppe, solo nella natività, dove costui è nominato ben otto volte. Ma nel ministero della vita<br />

pubblica il nome del padre è totalmente sconosciuto e la sua figura è citata una sola volta, come<br />

carpentiere, in quella che sembra un’alterazione deliberata della fonte marciana da cui ha attinto<br />

l’autore di Matteo. È abbastanza naturale pensare che, in questo testo, le discrepanze fra la natività e<br />

il ministero della vita pubblica, a riguardo delle figure di Maria e di Giuseppe, della loro importanza<br />

e della loro condizione, siano dovute al fatto che la natività appartiene ad una redazione posteriore,<br />

che è stata inserita successivamente nel Vangelo secondo Matteo.<br />

Luca esegue un altro passo avanti, nel suo Vangelo la frase diventa: “non è il figlio di<br />

Giuseppe?” 147 ma, si noti bene, esattamente come nel Vangelo secondo Matteo, il padre non è mai<br />

più citato nel ministero della vita pubblica, né per nome, né anonimo. Compare solo nella natività e,<br />

se non fosse per la modifica rispetto al testo di Marco, anche questa volta il buon padre di Gesù non<br />

esisterebbe affatto.<br />

Come abbiamo già detto, in tutte le citazioni evangeliche riguardanti i fratelli, il termine greco<br />

usato, adelphos, è quello specifico per indicare proprio i fratelli, non i cugini, pertanto l’obiezione<br />

posta da alcuni, che si trattasse dei figli di un fratello o di una sorella di Maria o di Giuseppe, cade<br />

automaticamente. Rimane, ovviamente, l’ipotesi che si trattasse di fratellastri, ovverosia di figli<br />

avuti da Giuseppe in un precedente matrimonio.<br />

145 Mc VI, 3.<br />

146 Mt XIII, 55.<br />

147 Lc IV, 22.


San Paolo, nelle sue lettere, non mostra alcun interesse per la natività e, nell’unico punto in cui si<br />

occupa della nascita di Gesù, si limita ad affermare: “Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato<br />

sotto la legge” 148 . Sarebbe stato molto strano se il sedicente apostolo si fosse regolarmente astenuto<br />

dal dire che Gesù era nato da una vergine, qualora una simile caratteristica gli fosse già stata<br />

attribuita. Avrebbe costituito un silenzio inspiegabile. Ma, a noi, il fatto indica una verità che si<br />

impone in modo abbastanza chiaro: verso la metà del primo secolo, e fino al periodo successivo alla<br />

disfatta di Israele conseguente alla guerra degli anni 66/70, ovverosia fino al momento della<br />

redazione del testo marciano, il presupposto della nascita verginale non esisteva proprio, ed è stato<br />

creato successivamente per adattare la figura di Gesù ad altre figure teologiche dell’universo<br />

religioso pagano.<br />

Sempre nella lettera ai Galati, San Paolo parla esplicitamente del fratello Giacomo:<br />

"Solo tre anni dopo andai a Gerusalemme per conoscere Pietro e non vidi nessuno degli<br />

altri apostoli, ad eccezione di Giacomo, il fratello del Signore..." 149 .<br />

E aggiunge, nella prima lettera ai Corinzi:<br />

“Non abbiamo il diritto di portare con noi una donna credente, come fanno anche gli<br />

altri apostoli e i fratelli del Signore e Cefa?” 150 ,<br />

mostrandosi così del tutto sereno nel rappresentare i normali rapporti di parentela di Gesù.<br />

Ma le citazioni relative ai fratelli esistono anche nelle fonti extratestamentarie. Nella prima metà del<br />

quarto secolo d.C., lo scriba ufficiale di Costantino, Eusebio di Cesarea, compose in greco una<br />

celebre opera apologetica, la Storia della Chiesa (Historia Ecclesiastica), nella quale ha nominato<br />

Giacomo per tre volte, senza dimenticare di specificare che si trattava del fratello di Gesù:<br />

“Poi egli comparve a Giacomo, uno dei cosiddetti fratelli del Salvatore” 151 ;<br />

“In quel tempo Giacomo, detto fratello del Signore, poiché anch'egli era chiamato figlio<br />

di Giuseppe, e Giuseppe era padre di Cristo ... soprannominato dagli antichi anche il<br />

148<br />

“Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge” (Gal IV, 4).<br />

149<br />

Gal I, 18,19.<br />

150<br />

1Cor IX, 5.<br />

151<br />

Eus. di Cesarea, Hist. Eccl. I, 12, 5.


Giusto in virtù dei suoi meriti, fu il primo, dicono, ad occupare il trono episcopale della<br />

Chiesa di Gerusalemme.” 152 ;<br />

“Giacomo, fratello del Signore, succedette all'amministrazione della Chiesa insieme con<br />

gli apostoli. Dal tempo del Signore fino a noi, egli fu da tutti soprannominato il<br />

Giusto...” 153 .<br />

Confermando, tra l’altro, che questo fratello era uno degli apostoli, e che fu lui a succedere a Gesù<br />

nel primato sulla comunità e non, come si pensa spesso, Simon Pietro. Ci sono altri importanti passi<br />

di Eusebio, nei quali si parla di un altro fratello di Gesù, da cui possiamo ricavare informazioni<br />

significative:<br />

“Quando lo stesso Domiziano ordinò di sopprimere i discendenti di Davide, un’antica<br />

tradizione riferisce che alcuni eretici denunciarono anche quelli di Giuda, che era<br />

fratello carnale del Salvatore, come appartenenti alla stirpe di Davide e alla parentela<br />

del Cristo stesso” 154 ;<br />

“Egesippo riporta queste notizie, dicendo testualmente: “Della famiglia del Signore<br />

rimanevano ancora i nipoti di Giuda, detto fratello suo secondo la carne, i quali furono<br />

denunciati come appartenenti alla stirpe di Davide. L’evocatus li condusse davanti a<br />

Domiziano Cesare, poiché anch’egli, come Erode, temeva la venuta di Cristo”” 155 .<br />

Due sono gli aspetti che dobbiamo sottolineare. Il primo riguarda il fatto che questo Giuda era<br />

considerato fratello carnale di Gesù. Il secondo riguarda la questione dinastica, ovverosia<br />

l’appartenenza alla stirpe davidica come elemento turbativo dell’ordine pubblico romano.<br />

Evidentemente la persecuzione anticristiana messa in atto da questo imperatore non era mossa da<br />

un’ostilità pregiudiziale nei confronti della teologia, ma dal fatto che i cristiani erano conosciuti<br />

come i seguaci dell’ideale messianico degli ebrei, che così spesso e così gravemente avevano agito<br />

contro i romani, nel proposito di liberare la Palestina e restaurare la dinastia davidica sul trono di<br />

Gerusalemme. L’ostinazione messianista era arrivata sino a provocare la tragica guerra degli anni<br />

66/70 e la disfatta completa di Israele. Dopodiché i romani si auguravano bene che non dovessero<br />

risorgere i movimenti yahwisti, e tenevano ben d’occhio coloro che rivendicavano una discendenza<br />

152 Ivi II, 1, 2.<br />

153 Ivi II, 23, 4.<br />

154 Ivi III, 19.<br />

155 Ivi III, 20, 1.


davidica, come soggetti potenzialmente molto pericolosi. È importante la frase di Eusebio in cui si<br />

afferma che l’imperatore Domiziano “…come Erode, temeva la venuta di Cristo”. Ovviamente in<br />

qualità di aspirante re dei Giudei, non certo come predicatore pacifista.<br />

Anche Giuseppe Flavio fa riferimento a Giacomo, fratello di Gesù, nella sua monumentale opera<br />

Antichità Giudaiche:<br />

“[Anania, sommo sacerdote] convocò una sessione del Sinedrio e vi fece comparire il<br />

fratello di Gesù detto Cristo che si chiamava Giacomo” 156 .<br />

Ora, dal momento in cui è stato introdotto il principio della nascita verginale e sono state composte<br />

le natività fondate su quest’idea, le numerose testimonianze dell’esistenza di fratelli e sorelle di<br />

Gesù ponevano un problema assai scomodo, andavano a colpire direttamente l’immagine di Maria<br />

come donna rimasta vergine per tutta la vita. Questo fatto ha dato luogo a numerosi interventi volti<br />

a spiegare in qualche modo la presenza dei fratelli.<br />

La dottrina cristiana ortodossa adotta come interpretazione più attendibile quella che i cosiddetti<br />

fratelli siano in realtà i figli avuti da Giuseppe in un suo precedente matrimonio, con una moglie di<br />

cui sarebbe rimasto vedovo. Questa ipotesi è già presentata nel Papiro Bodmer V (o Protovangelo di<br />

Giacomo), risalente, forse, al secondo secolo.<br />

I cattolici sono fortemente legati all’opinione che si tratti di cugini, nati da un certo Alfeo/Cleofa,<br />

fratello di Giuseppe, e dalla moglie di lui, detta Maria di Cleofa. Naturalmente ciò implica l’idea<br />

che il termine greco adelphos possa essere inteso anche con l’accezione cugini, la qual cosa crea<br />

non poche difficoltà. Qualcuno, come è stato sostenuto da uno studioso tedesco 157 , pensa addirittura<br />

che i quattro fratelli siano due cugini per parte di madre (Giacomo e Giuseppe) e due cugini per<br />

parte di padre (Simone e Giuda).<br />

È certo che i cristiani dei primi secoli hanno ampiamente discusso su queste diverse soluzioni, come<br />

ci mostra una frase di Girolamo:<br />

“Giacomo, chiamato fratello del Signore, soprannominato il Giusto, alcuni ritengono<br />

che fosse figlio di Giuseppe con un'altra moglie ma a me pare piuttosto il figlio di Maria<br />

sorella della madre di nostro Signore di cui Giovanni fa menzione nel suo libro” 158 .<br />

In questo caso, si noti, la madre dei cosiddetti fratelli sarebbe una sorella di Maria, madre di Gesù.<br />

Forse Alfeo/Cleofa, fratello di Giuseppe, aveva sposato una sorella di Maria, con lei omonima?<br />

156 Flavio Giuseppe, Antichità Giudaiche, XX, 200.<br />

157 Josef Blinzler, I fratelli e le sorelle di Gesù, Paideia, Brescia 1974.


Personalmente, avendo osservato numerosi casi di contraffazione delle identità nei testi evangelici,<br />

nonché di sdoppiamenti o di convergenze 159 , non mi meraviglio che il proposito di salvaguardare il<br />

principio della verginità di Maria abbia prodotto effetti simili.<br />

Nei testi evangelici questa evenienza appare in tutta la sua plausibilità durante il racconto della<br />

passione di Cristo, con riferimento alle donne che assistettero alla crocifissione, alla morte, alla<br />

deposizione e alla sepoltura. Nella tradizione popolare sono conosciute come “le tre Marie”, ma i<br />

testi dei quattro vangeli canonici sembrano non essere d’accordo sull’identità di queste donne e<br />

producono una grave confusione. L’unica che risulta costantemente presente, in tutte le narrazioni<br />

di tutti gli autori, è Maria Maddalena.<br />

Marco e Matteo scrivono che, durante l’agonia di Gesù sulla croce, erano presenti Maria di<br />

Magdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Ioses, e Salome, madre dei figli di Zebedeo 160 ,<br />

Luca preferisce lasciare anonime tutte le donne “che lo avevano seguito fin dalla Galilea” 161 . È<br />

molto curiosa l’assenza della madre di Gesù, che manca anche nelle fasi successive, compresa la<br />

sepoltura, a cui Marco e Matteo continuano a far presenziare le donne già nominate 162 . E così anche<br />

per la visita al sepolcro vuoto, dove Marco e Matteo insistono sulle solite persone 163 , mentre Luca,<br />

che finalmente fa nomi espliciti, è d’accordo su Maria di Magdala e Maria madre di Giacomo e<br />

Giuseppe, ma aggiunge una terza inaspettata presenza: Giovanna moglie di Chuza, intendente di<br />

palazzo di Erode 164 .<br />

Il quadro offerto dal Vangelo secondo Giovanni è completamente diverso: sarebbero state presenti<br />

Maria di Magdala, Maria la madre di Gesù, e Maria di Cleofa, sorella di sua madre 165 . Dobbiamo<br />

innanzitutto osservare che, come hanno spesso obiettato anche gli esegeti cattolici, è abbastanza<br />

improbabile che due sorelle portassero lo stesso nome, pertanto è difficile credere che Maria di<br />

Cleofa fosse la sorella di Maria madre di Gesù. Nella elencazione dei dodici apostoli, presente nei<br />

vangeli sinottici 166 , figurano Giacomo di Alfeo e Giuda di Giacomo, da intendersi come fratello di<br />

Giacomo, e quindi figlio di Alfeo/Cleofa. Anche perché fra le lettere apostoliche che completano il<br />

Nuovo Testamento, proprio la Lettera di Giuda inizia così: “Giuda, servo di Gesù Cristo, fratello di<br />

Giacomo” 167 .<br />

158<br />

Girolamo, De viris illustribus<br />

159<br />

Ci sono sdoppiamenti possibili nelle figure degli apostoli, in quella di Maria di Magdala/Betania, in quella del<br />

discepolo prediletto… Vedi David Donnini, Gesù e i Manoscritti del Mar morto, Coniglio ed., Roma, 2006.<br />

160<br />

Mc XV, 40-41; Mt XXVII, 55-56.<br />

161<br />

Lc XXIII, 49.<br />

162<br />

Mc XV, 47; Mt XXVII, 61.<br />

163<br />

Mc XVI, 1; Mt XXVIII, 1.<br />

164<br />

Lc VIII, 2-3; Lc XXIV, 9-10.<br />

165<br />

Gv XIX, 25.<br />

166<br />

“Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede il nome di apostoli: Simone, che<br />

chiamòanche Pietro, Andrea suo fratello, Giacomo, Giovanni, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo<br />

d'Alfeo, Simone soprannominato Zelota, Giuda di Giacomo e Giuda Iscariota” (Lc VI, 13-15)<br />

167<br />

Lettera di Giuda, 1.


In pratica, possiamo dedurre che Maria [moglie] di Cleofa, fosse la madre di Giacomo, Joses, Giuda<br />

e Simone, fratelli di Cristo, ovverosia la stessa persona che i Vangeli sinottici definiscono, appunto,<br />

Maria di Giacomo e di Joses. Il quarto vangelo la distingue nettamente dalla madre di Gesù, perché<br />

la nomina a parte, come Maria di Cleofa, sorella di sua madre. Ma quel che è strano è il fatto che i<br />

Vangeli sinottici non citano la madre di Gesù, facendo pensare due possibili cose. La prima è che la<br />

madre di Gesù fosse veramente assente ma, in tal caso, come può il quarto vangelo dirci che Gesù<br />

morente si sarebbe rivolto alla madre e al discepolo prediletto, lì presenti ai piedi della croce, per<br />

affidare a lui la donna 168 ? La seconda è che la madre fosse presente nella persona di Maria madre di<br />

Giacomo e Joses, in quanto madre di Gesù e dei suoi fratelli. Il che ci porta a supporre che<br />

Alfeo/Cleofa, marito di questa donna e padre dei fratelli di Gesù, sia l’identità reale del Giuseppe,<br />

padre di Gesù, che le lettere di Paolo e il Vangelo di Marco non conoscono affatto e che il Vangelo<br />

di Matteo conosce come Giuseppe solo grazie alla natività, che sappiamo essere un’aggiunta<br />

posteriore. Insomma, il Giuseppe del presepe potrebbe essere semplicemente una creazione<br />

posticcia, prodotta al semplice scopo di nascondere la vera famiglia di origine di Gesù e di generare<br />

la leggenda della nascita verginale.<br />

Si osservi questo verso del Vangelo gnostico di Filippo:<br />

“Erano tre che andavano sempre con il Signore: sua madre Maria, sua sorella, e la<br />

Maddalena, che è detta sua consorte. Infatti era Maria sua sorella, sua madre, e la sua<br />

consorte” 169 .<br />

In esso le tre Marie che accompagnano sempre Gesù sono configurate in modo diverso dalle<br />

identità che troviamo negli scritti canonici, appaiono come una cerchia di parenti strettissime,<br />

casualmente omonime: la madre, la sorella e la moglie. Ammesso che, naturalmente, il termine<br />

consorte debba essere inteso come moglie.<br />

Questa osservazione ci induce a riflettere sul fatto che la cosiddetta Maria di Cleofa potrebbe essere<br />

intesa, non come moglie di Cleofa, ma come figlia e, in tal caso, sarebbe proprio la sorella di Gesù<br />

che compare nel terzetto delle Marie del Vangelo di Filippo.<br />

È importante notare che questi ragionamenti ci portano verso una conclusione a cui ormai diversi<br />

studiosi sono giunti 170 : alcuni degli apostoli erano fratelli di Gesù, e l’istituzione della comunità dei<br />

dodici, invece che una creazione voluta da Gesù raccogliendo qua e là discepoli selezionati, o anche<br />

168 “Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Magdala. Gesù<br />

allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: “Donna, ecco il tuo<br />

figlio!”. Poi disse al discepolo: “Ecco la tua madre!”. E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa.” Gv<br />

XIX, 25-27.<br />

169 Vangelo di Filippo, 32 (I vangeli apocrifi, a cura di M. Craveri, Einaudi, Torino 1969).<br />

170 Vedi R. Eisenman, Giacomo il fratello di Gesù, Edizioni Piemme, Casale Monferrato (Al), 2007.


degli emeriti sconosciuti incontrati casualmente per la strada, deve essere storicamente<br />

reinterpretata come una sorta di califfato islamico, una famiglia con ambizioni di dignità regale.<br />

Uno degli apostoli fratelli di Gesù, Giacomo, è stato il suo successore. Che dire del fatto che anche<br />

l’apostolo Matteo è definito figlio di Alfeo?


Le natività apocrife.<br />

Già nel capitolo precedente abbiamo accennato alla problematica del rapporto intercorso fra<br />

Giovanni battista e Gesù. Riconoscendo che la subordinazione del primo al secondo appare come<br />

un presupposto catechistico generato con tutta probabilità dagli sviluppi del cristianesimo gentile<br />

(extraebraico), che ha preso le mosse dalla predicazione di San Paolo, in contrapposizione alla fede<br />

dei giudeo cristiani, nazareni e/o ebioniti.<br />

In realtà, alcuni interessanti scritti apocrifi, tendono a correlare le due figure in modo alquanto<br />

diverso, mostrando alcuni aspetti della figura di Giovanni battista, che sembrano recuperarne il<br />

prestigio e l’importanza verso un ruolo più paritario rispetto a quello di Gesù. Gli scritti apocrifi, se<br />

tralasciamo i Vangeli giudeo cristiani e quelli gnostici, sono piuttosto tardi, per questo scarsamente<br />

attendibili, e spesso mostrano la facilità con cui si tendeva ad arricchire di leggenda la figura di<br />

Gesù, esaltandone le facoltà sovrannaturali e la capacità di compiere miracoli. Ciò nonostante, in<br />

alcuni di essi, compaiono notizie e descrizioni che potrebbero avere una derivazione da tradizioni<br />

antiche, dimenticate nei Vangeli canonici, o volutamente scartate perché ritenute poco funzionali, o<br />

addirittura dannose, al profilo teologico della dottrina che andava affermandosi.<br />

Uno scritto che merita interesse, in tal senso, è il cosiddetto Papiro Bodmer V, un testo in lingua<br />

greca che, nel sedicesimo secolo, fu scoperto e tradotto in latino da un certo Guglielmo Postel,<br />

studioso francese. Più comunemente, al giorno d’oggi, è chiamato Protovangelo di Giacomo, in<br />

quanto il testo stesso si autoattribuisce a Giacomo il minore, apostolo e fratello di Cristo. Si tratta,<br />

in sostanza di una natività di Maria, con riferimento alla madre di Gesù, dai vecchi Gioacchino e<br />

Anna. Dei nomi dei genitori della Madonna non si fa cenno negli scritti del canone<br />

neotestamentario, e scaturiscono solo dalla letteratura apocrifa.<br />

La datazione dello scritto prende le mosse dalla constatazione che alcuni antichi autori cristiani lo<br />

citano, a partire addirittura da Giustino (morto nel 165 d.C.). Si pensò infatti, in un primo tempo,<br />

che il protovangelo potesse datare al secondo secolo ma, in seguito, ci si rese conto che il testo cui<br />

fece riferimento Giustino potrebbe essere stato una versione ridotta che, nei secoli successivi,<br />

sarebbe stata ampliata. A seconda degli studiosi la versione attuale risalirebbe almeno al IV secolo<br />

d.C., al V, o addirittura al VI.<br />

Questo protovangelo contiene, nelle sue parti centrale e finale, anche un resoconto della nascita di<br />

Gesù, nonché della strage degli innocenti e della morte di Zaccaria. Ed è su quest’ultima parte che<br />

desideriamo porre l’attenzione adesso.<br />

“Essendo stati avvertiti [i magi] da un angelo di non entrare nella Giudea, se ne<br />

tornarono al loro paese per un’altra via. Accortosi di essere stato giocato dai magi,


Erode si adirò e mandò dei sicari, dicendo loro: - Ammazzate i bambini dai due anni in<br />

giù -. Maria, avendo sentito che si massacravano i bambini, prese il bambino, lo fasciò e<br />

lo pose in una mangiatoia di buoi. Anche Elisabetta, sentito che si cercava Giovanni, lo<br />

prese e salì nella collina guardandosi attorno, ove nasconderlo; ma non c’era alcun<br />

posto come nascondiglio. Elisabetta, allora, gemendo, disse a gran voce: - Monte di<br />

Dio, accogli una madre con il suo figlio -. Subito il monte si spaccò e l’accolse. E<br />

apparve loro una luce, perché un angelo del Signore era con loro per custodirli. Erode,<br />

nel mentre, cercava Giovanni, e mandò dei ministri a Zaccaria, dicendo: - Dove hai<br />

nascosto tuo figlio? - Rispose loro: - Io sono un pubblico ufficiale di Dio e dimoro<br />

costantemente nel tempio del Signore, non so dove sia mio figlio -. Adiratosi, Erode<br />

disse loro: - È suo figlio colui che regnerà su Israele! -. Mandò, perciò, di nuovo da lui<br />

per dirgli: - Dì proprio la verità: dov’è tuo figlio? Sai bene che il tuo sangue sta sotto la<br />

mia mano -. Zaccaria rispose: - Se tu spargerai il mio sangue, io sarò un testimone di<br />

Dio… - … Allo spuntare del giorno Zaccaria fu ucciso” 171<br />

Possiamo già notare che in questo scritto le due natività canoniche, quella di Matteo e quella di<br />

Luca, tendono ad essere fuse, perché al racconto dei magi venuti dall’oriente è unito un<br />

collegamento con Giovanni battista.<br />

Ma soffermiamoci su alcuni interessanti dettagli. Innanzitutto, alla notizia che Erode intende<br />

eseguire un massacro dei bambini dai due anni in giù, non segue alcuna fuga in Egitto, bensì Maria<br />

prende suo figlio e si limita a nasconderlo in una mangiatoia per i buoi. Questo è tutto ciò che viene<br />

detto di Gesù. Ben più grande attenzione, invece, è dedicata a Giovanni. Anche la madre di costui,<br />

Elisabetta, “sentito che si cercava Giovanni”, cercò di nasconderlo sulla collina, dove fu aiutata da<br />

un evento miracoloso, e dalla presenza di un angelo custode. A questo punto viene precisato che<br />

Erode cercava proprio Giovanni e che, nel tentativo, mandò a Zaccaria dei sicari, dicendo loro: “ È<br />

suo figlio colui che regnerà su Israele!”.<br />

Se riflettiamo su quanto abbiamo letto, ci rendiamo conto che Maria avrebbe nascosto Gesù, non<br />

perché suo figlio fosse il destinatario specifico della persecuzione, ma solo perché apparteneva alla<br />

fascia di età dei bambini in grave pericolo di vita. Le parole successive del protovangelo indicano il<br />

ricercato specifico nella persona di Giovanni, nei confronti del quale Erode sarebbe arrivato ad<br />

affermare che si trattava del predestinato al trono di Israele.<br />

Osserviamo quanto segue. Se leggiamo la natività secondo Matteo, vediamo che Giovanni non è<br />

neanche nominato e la persecuzione riguarda solamente Gesù, con la conseguenza che la famiglia<br />

deve fuggire in Egitto. Se leggiamo la natività secondo Luca, c’è un’intima correlazione fra<br />

171 Papiro Bodmer V; XXI, 4 - XXIII, 3. Apocrifi del Nuovo Testamento, a cura di L. Moraldi, UTET, Torino, 1975


Giovanni e Gesù, però non c’è alcuna persecuzione. Giovanni è presentato subito come un<br />

personaggio secondario a Gesù, e a quest’ultimo “il Signore darà il trono di Davide, suo padre”. Se<br />

leggiamo il Papiro Bodmer V, Giovanni e Gesù sono correlati, c’è una persecuzione ma non c’è la<br />

fuga in Egitto, Gesù non appare come il perseguitato specifico bensì sembra che costui sia proprio<br />

Giovanni, il quale è “colui che regnerà su Israele”. Si tratta di un’immagine abbastanza<br />

sorprendente che, ancora una volta, ci ricorda la duplice aspettativa messianica della comunità di<br />

Khirbet Qumran: il messia di Davide e quello di Aronne. Erano forse questi i ruoli dei due<br />

personaggi più alti della narrazione evangelica?<br />

Quanto abbiamo letto nel Protovangelo di Giacomo si trova anche in altri testi, come il codice<br />

Hereford 0.3.9, e il codice Arundel 404. Questi furono scoperti nel 1927 da M. Rhodes James, come<br />

manoscritti in lingua latina, comprendenti rispettivamente 100 e 102 capitoli. Uno era una <strong>copia</strong> del<br />

XIII secolo d.C., l’altro del XIV secolo. Oggi si pensa che la redazione originale non possa essere<br />

fatta risalire a prima del VI secolo. In essi possiamo leggere:<br />

“Erode dunque, adirato, disse a coloro che gli avevano riferito questo: - Zaccaria si<br />

beffa di noi perché suo figlio sta per regnare in Israele con il Cristo -” 172 ;<br />

“Ma quando i servi del re ritornarono e gli riferirono la risposta di Zaccaria, il re<br />

furibondo disse ai suoi: - Zaccaria si beffa di noi perché spera che suo figlio regni con il<br />

Cristo in Israele -” 173 .<br />

Il riferimento alla duplice aspettativa messianica, per quanto ipotetico, sembra apparire dall’idea<br />

che Giovanni avrebbe dovuto regnare su Israele con il Cristo.<br />

Se volessimo elencare i Vangeli apocrifi della natività e dell’infanzia, oltre ai tre documenti di cui<br />

abbiamo già parlato possiamo nominare:<br />

1) la Natività di Maria, versione armena incompleta la cui redazione originale sembra non<br />

posteriore al V secolo;<br />

2) il Vangelo sulla nascita di Maria, che data probabilmente all’epoca carolingia;<br />

3) il Vangelo dello pseudo Matteo, di cui una parte poteva esistere già in latino nel IV secolo,<br />

mentre la versione attualmente conosciuta dovrebbe risalire al VI, VII secolo;<br />

172 cod. Arundel 404, 99; Apocr. del N. T., op. cit.<br />

173 cod. Hereford 0.3.9, 99; Apocr. del N. T., op. cit.


4) il Vangelo di Tomaso (da non confondere col testo copto noto come Vangelo gnostico di<br />

Tomaso), che pare esistesse già alla fine del II secolo, dal momento che Ireneo, morto nel<br />

202 d.C., lo cita;<br />

5) il Vangelo arabo sull’infanzia del Salvatore, la cui redazione originale siriaca potrebbe<br />

essere anteriore al V secolo;<br />

6) la Storia di Giuseppe falegname, che può essere fatta risalire al IV, V secolo.<br />

Questi scritti tendono ad attribuire molta importanza alla figura di Maria, madre di Gesù, e a<br />

costruire fantasiose leggende relative alla questione della concezione verginale. Come la storia<br />

dell’acqua di gelosia che appare in diversi degli scritti che abbiamo nominato. Qui possiamo<br />

leggerne una versione presente nel Vangelo dello pseudo Matteo:<br />

“Mentre [Giuseppe] pensava di levarsi, di nascondersi e di abitare in luoghi nascosti,<br />

quella stessa notte gli apparve in sogno un angelo del Signore, dicendo: - Giuseppe,<br />

figlio di David, non temere. Prendi Maria come tua moglie: infatti, quanto è nel suo<br />

utero, proviene dallo Spirito santo. Partorirà un figlio e il suo nome sarà Gesù: egli,<br />

infatti, salverà il suo popolo dai suoi peccati. Giuseppe, alzatosi dal sonno, rese grazie a<br />

Dio e narrò la sua visione. Si rallegrò rispetto a Maria, dicendo: - Ho peccato avendo<br />

nutrito qualche sospetto a tuo riguardo -. Dopo di questo si diffuse la voce che Maria<br />

fosse gravida. Allora Giuseppe fu afferrato dagli inservienti del tempio e con Maria<br />

condotto dal pontefice che, insieme con i sacerdoti prese a rimproverarlo, dicendo: -<br />

Perché hai ingannato una tanta e tale vergine, che fu nutrita dagli angeli di Dio nel<br />

tempio, che mai volle vedere o avere un uomo, che aveva un’istruzione ottima nella<br />

legge di Dio? Se tu non le avessi usato violenza, ella sarebbe ancora nella sua verginità<br />

-. Giuseppe assicurò, con giuramento, che non l’aveva mai neppure toccata. Il pontefice<br />

Abiatar gli rispose: - Quant’è vero che Dio vive, ora io ti farò portare l’acqua della<br />

bevanda del Signore, e subito si svelerà il tuo peccato. Si radunò allora<br />

un’innumerevole moltitudine di popolo, e Maria fu condotta al tempio. I sacerdoti, gli<br />

affini e i parenti, piangendo, dicevano a Maria: - Confessa ai sacerdoti il tuo peccato.<br />

Tu infatti eri come una colomba nel tempio di Dio e ricevevi il cibo dalla mano di un<br />

angelo -. Di nuovo Giuseppe fu chiamato all’altare e gli fu data l’acqua della bevanda<br />

del Signore: il bugiardo che l’avesse gustata, dopo che aveva compiuto sette giri intorno<br />

all’altare, riceveva da Dio un qualche segno sulla faccia. Giuseppe dunque dopo aver<br />

bevuto sicuro, compì i sette giri intorno all’altare, e in lui non apparve alcun segno di<br />

peccato. Allora tutti i sacerdoti, gli inservienti e la folla lo dichiararono giusto,


esclamando: - Sei stato beatificato perché in te non fu trovata colpa alcuna -. E,<br />

chiamata Maria, le dissero: - E tu che scusa puoi avere? Qual segno apparirà in te<br />

maggiore di questa gravidanza del tuo ventre che ti tradisce? Poiché Giuseppe a tuo<br />

riguardo è puro, da te domandiamo soltanto questo, che tu confessi chi è colui che ti ha<br />

tradito. Poiché è meglio che ti sveli la tua confessione, piuttosto che l’ira di Dio ti<br />

manifesti in mezzo al popolo imprimendo un segno sulla tua faccia -. Maria allora,<br />

intrepida, disse fermamente: - Signore Dio, re di tutti, che conosci i segreti, se in me vi è<br />

qualche macchia o qualche peccato, o una concupiscenza o impudicizia, tu scoprimi al<br />

cospetto di tutti i popoli affinché a tutti io diventi esempio di emendazione -. Così<br />

dicendo si appressò fiduciosa all’altare del Signore e bevve l’acqua della bevanda, fece<br />

sette giri intorno all’altare, e in essa non si trovò macchia alcuna.” 174<br />

In alcuni degli scritti apocrifi che abbiamo precedentemente elencato ricorre la vicenda delle<br />

ostetriche che hanno assistito Maria durante il parto. Si tratta di racconti nei quali è evidente<br />

l’intenzione di soddisfare una certa morbosità popolare, attenta a dettagli anche confidenziali<br />

relativi alla conservazione dell’integrità verginale da parte di Maria. La narrazione è caratterizzata<br />

da un clima intensamente prodigioso. Segni straordinari di ogni genere accompagnano gli eventi, a<br />

voler confermare, ad ogni piè sospinto, la loro qualità sovrannaturale.<br />

Uno di questi, di gusto molto infelice, riguarda l’atto compiuto dall’ostetrica Salomè, che avrebbe<br />

voluto ispezionare personalmente l’integrità di Maria. Un atteggiamento che rispecchia quello<br />

dell’apostolo Tommaso 175 , il quale non avrebbe creduto alla resurrezione di Gesù se non avesse<br />

toccato personalmente le ferite del suo costato. Questa volta il contatto riguarda le parti intime, ed è<br />

descritto in termini fin troppo espliciti. In conseguenza di ciò, la sfiducia della donna sarebbe stata<br />

punita con l’inaridimento della mano, successivamente guarita grazie al contatto col piccolo Gesù<br />

bambino.<br />

“Vidi una donna discendere dalla collina e mi disse: - Dove vai, uomo? – Risposi: -<br />

Cerco una ostetrica ebrea - E lei: - Sei di Israele? - Si - Le risposi - E lei proseguì: - E<br />

chi è che partorisce nella grotta? - La mia promessa sposa - Le risposi. Mi domandò: -<br />

Non è tua moglie? - Risposi: - È Maria, allevata nel tempio del Signore. Io l’ebbi in<br />

sorte per moglie, e non è mia moglie, bensì ha concepito per opera dello Spirito santo -<br />

La ostetrica gli domandò: - È vero questo? - Giuseppe rispose: - Vieni e vedi - . E la<br />

ostetrica andò con lui. Si fermarono al luogo della grotta ed ecco che una nube<br />

174 Vangelo dello pseudo Matteo, X, 1 – XII, 3; Apocr. del N. T., op. cit.


splendente copriva la grotta. La ostetrica disse: - Oggi è stata magnificata l’anima mia,<br />

perché i miei occhi hanno visto delle meraviglie e perché è nata la salvezza per Israele -<br />

Subito la nube si ritrasse dalla grotta, e nella grotta apparve una gran luce che gli occhi<br />

non potevano sopportare. Poco dopo quella luce andò dileguandosi fino a che apparve<br />

il bambino: venne e prese la poppa di Maria, sua madre. L’ostetrica esclamò: Oggi per<br />

me è un gran giorno, perché ho visto questo nuovo miracolo -. Uscita dalla grotta<br />

l’ostetrica si incontrò con Salomè, e le disse : - Salomè, Salomè! Ho un miracolo<br />

inaudito da raccontarti: una vergine ha partorito, ciò di cui non è capace la sua natura<br />

– Rispose Salomè: - [Come è vero che] vive il Signore, se non ci metto il dito e non<br />

esamino la sua natura, non crederò mai che una vergine abbia partorito. Entrò<br />

l’ostetrica e disse a Maria: - Mettiti bene. Intorno a te, c’è, infatti, un non lieve<br />

contrasto - Salomé mise il suo dito nella natura di lei, e mandò un grido, dicendo: -<br />

Guai alla mia iniquità e alla mia incredulità, perché ho tentato il Dio vivo ed ecco che<br />

ora la mia mano si stacca da me, bruciata - E piegò le ginocchia davanti al Signore,<br />

dicendo: - Dio dei miei padri, ricordati di me che sono stirpe di Abramo, di Isacco e di<br />

Giacobbe. Non fare di me un esempio per i figli di Israele, ma rendimi ai poveri. Tu,<br />

Padrone, sai, infatti, che nel tuo nome io compivo le mie cure, e la mia ricompensa la<br />

ricevevo da te -. Ed ecco apparirle un angelo del Signore, dicendole: - Salomè, Salomè!<br />

Il Signore ti ha esaudito: accosta la tua mano al bambino e prendilo si, e te ne verrà<br />

salute e gioia -. Salomè si avvicinò e lo prese su, dicendo: - L’adorerò perché a Israele è<br />

nato un grande re – E subito Salomè fu guarita e uscì dalla grotta giustificata. Ed ecco<br />

una voce che diceva: - Salomè, Salomè! Non propalare le cose meravigliose che hai<br />

visto, sino a quando il ragazzo non sia entrato in Gerusalemme -” 176 .<br />

Il testo che segue, appartenente al cosiddetto Vangelo dello Pseudo Matteo, tratta del viaggio<br />

compiuto durante la fuga in Egitto e mostra un Gesù bambino che già compie miracoli di ogni tipo,<br />

risolvendo spesso le difficoltà del tragitto. Vi sono infatti brani, successivi a quello che stiamo per<br />

leggere, in cui leoni, lupi e leopardi si inchinano al passaggio della famiglia e la accompagnano nel<br />

suo cammino. In seguito Gesù fa scaturire fonti di acque fresche e limpide e, di fronte alla<br />

pericolosa arsura del deserto, fa percorrere il cammino di trenta giorni in un giorno solo.<br />

“Giunti a una certa grotta volevano riposarsi in essa e la beata Maria discese dal<br />

giumento e, seduta, teneva il fanciullo Gesù nel suo grembo. Con Giuseppe c’erano tre<br />

175 “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel<br />

suo costato, non crederò” (Gv XX, 25)


agazzi e con Maria una ragazza che facevano la stessa strada. Ed ecco che<br />

improvvisamente dalla grotta uscirono molti draghi: i ragazzi, vedendoli, furono presi<br />

da gran timore e gridarono. Allora Gesù scese dal grembo di sua madre, e stette dritto<br />

sui suoi piedi davanti ai draghi: essi allora adorarono Gesù e se ne andarono via da<br />

loro. Si adempì allora quanto era stato detto dal profeta David, con le parole: Dalla<br />

terra lodate il Signore, o draghi, draghi e abissi tutti. Ma egli, il bambinello Gesù,<br />

camminando davanti ad essi, ordinò loro di non fare più male a nessun uomo. Maria e<br />

Giuseppe temevano assai che il bambinello fosse leso dai draghi. Ad essi, perciò Gesù<br />

disse: - Non temete, e non pensate che io sia un bambinello. Io infatti sono sempre stato<br />

perfetto e lo sono tuttora: è necessario che tutte le bestie selvatiche davanti a me<br />

diventino mansuete.” 177 .<br />

In queste ultime righe possiamo notare il concetto dell’incarnazione divina. Il piccolo dichiara<br />

apertamente di mostrarsi come bambino solo nell’aspetto esteriore, ma di essere, in realtà, un<br />

principio perfetto eterno, incarnato e manifestato. Possiamo capire quanto sarebbe stato impossibile<br />

che un giudeo, come il presunto autore Matteo, presentasse un’idea simile, del tutto estranea alla<br />

religiosità ebraica, che pone una distanza incolmabile fra la natura divina e quella umana. Il dio<br />

degli ebrei interviene spesso nelle vicende umane, ma sempre dall’alto della sua superiorità<br />

incorporea. Gli uomini possono essere scelti, favoriti, aiutati, protetti, o puniti e fatti oggetto di<br />

vendetta. Mai comunque la natura divina e quella umana possono mescolarsi, come è comune in<br />

altre concezioni religiose pagane. Da qui anche il divieto di creare rappresentazioni idolatre del dio<br />

in forma animale o umana.<br />

Alcuni scritti apocrifi si dilungano su avvenimenti dell’infanzia di Gesù, ovverosia su quel periodo<br />

oscuro che la letteratura canonica sfiora semplicemente col breve episodio del bambino dodicenne<br />

fra i dottori del tempio. In essi la tendenza a rappresentare Gesù come artefice di miracoli si<br />

moltiplica a dismisura facendo compiere al fanciullo ogni genere di prodigi, e finendo per<br />

dipingerlo come una sorta di stregone. Assai spesso la sostanza di questi racconti decade verso<br />

fantasie di gusto macabro che deteriorano l’immagine di Gesù come principe della saggezza e della<br />

misericordia, perché gli attribuiscono tutti gli impulsi dell’orgoglio, della rabbia e della vanità<br />

umana, lasciando apparire le sue facoltà sovrannaturali come se fossero abilità diaboliche piuttosto<br />

che attributi della divinità. Si nota così come, nella redazione di questi scritti, abbia prevalso il<br />

desiderio di colpire l’emotività popolare con le suggestioni dei prodigi, lasciando scadere il valore<br />

spirituale. In effetti, in epoca medievale, questi scritti apocrifi, pur essendo ufficialmente dichiarati<br />

176 Papiro Bodmer V; XIX, 1 – XX, 4. Apocr. del N. T., op. cit.<br />

177 Vangelo dello pseudo Matteo, XVIII, 1; Apocr. del N. T., op. cit.


non autentici dalla chiesa, hanno esercitato un certo peso sulle tradizioni popolari e sono stati alla<br />

base di alcune diffuse credenze. I tre testi che seguono appartengono al cosiddetto Vangelo di<br />

Tomaso, recensione greca “A”, di cui si arriva a supporre che una versione primitiva potesse già<br />

esistere alla fine del II secolo.<br />

“Dopo di ciò [Gesù fanciullo] camminava attraverso il villaggio, quando un ragazzo,<br />

correndo, andò a urtare contro la sua spalla. Gesù irritato, gli disse: - Non percorrerai<br />

tutta la tua strada! - E subito cadde morto. Ma alcuni, vedendo ciò che accadeva,<br />

dissero: - Dov’è nato questo ragazzo, che ogni sua parola è un fatto compiuto? -. I<br />

genitori del morto, andati da Giuseppe, lo biasimavano dicendo: - Tu, che hai un tale<br />

ragazzo, non puoi abitare nel villaggio con noi. Oppure insegnagli a benedire, e a non<br />

maledire. Egli, infatti, fa morire i nostri ragazzi -. Giuseppe, chiamato in disparte il<br />

ragazzo, lo ammoniva dicendo: - Perché fai tali cose? Costoro ne soffrono, ci odiano e<br />

perseguitano - Gesù gli rispose: - Io so che queste tue parole non sono tue, tuttavia starò<br />

zitto per amor tuo; ma quelli porteranno la loro punizione -. Quanti videro questo, si<br />

spaventarono fortemente, restarono perplessi e dicevano, a proposito di lui, che ogni<br />

parola che pronunziava, buona o cattiva che fosse, era un fatto compiuto. E divenne una<br />

meraviglia. Vedendo che Gesù aveva fatto una tale cosa, Giuseppe si levò, gli prese<br />

l’orecchio e glielo tirò forte. Ma il ragazzo si sdegnò e gli disse: - A te basti cercare e<br />

non trovare. Veramente non hai agito in modo sensato. Non sai che sono tuo? Non mi<br />

molestare!” 178 .<br />

“Alcuni giorni dopo, mentre Gesù giocava sulla terrazza di un tetto, uno dei bambini che<br />

giocavano con lui cadde dalla terrazza e morì. Gli altri ragazzi, visto ciò, fuggirono e<br />

Gesù rimase solo. Venuti i genitori del morto, l’accusavano di averlo gettato giù… Ma<br />

quelli lo maltrattavano. Gesù allora scese precipitosamente giù dal tetto, si fermò vicino<br />

al cadavere del ragazzo e gridò a gran voce: - Zenone - questo era il suo nome - alzati e<br />

dimmi: sono io che ti ho gettato giù? - E subito, alzatosi, rispose: - No, Signore, tu non<br />

mi hai gettato giù, ma mi hai risuscitato -. I presenti rimasero attoniti. Mentre i genitori<br />

del ragazzo glorificarono Dio per il segno avvenuto, e adorarono Gesù.” 179 .<br />

“Suo padre era falegname e, in quel tempo faceva aratri e gioghi. Una persona ricca gli<br />

ordinò di fare un letto; ma una delle assi, quella detta trasversale, era troppo corta e<br />

178 Vangelo di Tomaso, recens. gr. A; IV, 1 – V, 3. Apocr. del N. T., op. cit.<br />

179 Vangelo di Tomaso, recens. gr. A; IX, 1 – 3. Apocr. del N. T., op. cit.


Giuseppe non sapeva che fare. Il ragazzo Gesù disse allora a suo padre Giuseppe: -<br />

Metti in terra le due assi e pareggiale da una delle due parti -. Giuseppe fece come gli<br />

aveva detto il ragazzo: Gesù si pose dall’altra parte, afferrò l’asse più corta e la tirò a<br />

sé rendendola pari all’altra. A tale vista, suo padre Giuseppe rimase stupito e<br />

abbracciava il ragazzo e lo baciava esclamando: - Me felice, giacché Dio mi ha dato<br />

questo ragazzo! -” 180 .<br />

Un interessante scritto apocrifo è il cosiddetto “Vangelo arabo sull’infanzia del Salvatore”. Si tratta<br />

di un testo in lingua araba di cui possediamo alcuni manoscritti arabi e siriaci non anteriori al secolo<br />

tredicesimo. Uno dei più antichi fra questi è il Codex Orientalis 32, conservato presso la bibioteca<br />

laurenziana di Firenze. L’opinione prevalente degli studiosi è che la versione araba sia, in realtà, la<br />

traduzione di un testo composto originariamente in siriaco, anche se si pensa che il Vangelo arabo<br />

che conosciamo sia il risultato di un lavoro compilativo e che, pertanto, quello che leggiamo oggi<br />

possa essere fatto risalire al massimo all’ottavo o al nono secolo.<br />

Le varie parti denunciano fonti diverse: la sezione relativa alla nascita di Gesù sembra collegata al<br />

Papiro Bodmer, quella relativa alla fuga in Egitto al Vangelo dello pseudo-Matteo, i miracoli di<br />

Gesù bambino sembrano essere stati presi dal Vangelo di Tomaso e, infine, la conclusione sembra<br />

riferita alle natività dei Vangeli canonici.<br />

Ci sono anche disomogeneità stilistiche, per esempio il gran numero di miracoli e di guarigioni di<br />

cui si parla in questo testo vedono quasi sempre l’intervento mediatore di Maria e la figura del<br />

bambino è benevola e mite, tranne nei capitoli dal 46 al 49, in cui Gesù mostra di usare i suoi poteri<br />

sovrannaturali per compiere feroci azioni vendicative:<br />

“Un’altra volta mentre, di sera, il signore Gesù ritornava a casa con Giuseppe gli venne<br />

incontro, correndo, un ragazzo e lo urtò così violentemente da farlo cadere. Il signore<br />

Gesù gli disse: “come è svanita quest’acqua, così svanisca la tua vita”. E<br />

immediatamente quel ragazzo restò secco.” 181 ;<br />

“Lo condussero allora a un altro maestro più dotto. Questi appena lo vide gli disse:<br />

“Pronuncia l’alef”. Pronunciato che ebbe l’alef il maestro gli ordinò di pronunciare<br />

bet. Ma il signore Gesù gli rispose: “Dimmi prima il significato di alef, poi io<br />

pronuncerò bet”. Avendo il maestro alzato la mano per fustigarlo subito la mano inaridì<br />

180 Vangelo di Tomaso, recens. gr. A; XIII, 1 – 2. Apocr. del N. T., op. cit.<br />

181 Vangelo arabo dell’infanzia del Salvatore XLVII, 1; Apocr. del N. T., op. cit.


ed egli morì. Allora Giuseppe disse alla padrona Maria: “di qui in poi non lasciamolo<br />

più uscire di casa. Chiunque infatti lo contraria è colpito a morte”” 182 .<br />

Nel capitolo 7, quando si parla dei magi, è fatto esplicito riferimento ad una profezia di Zarathustra,<br />

confermando il collegamento fra le figure dei magi e la religiosità avestica iraniana:<br />

“Nato il signore Gesù in Betlemme di Giuda, al tempo di re Erode, ecco che dei magi<br />

vennero a Gerusalemme, come aveva predetto Zeradusht, portando seco dei doni, oro,<br />

incenso e mirra; lo adorarono e gli offrirono i loro doni” 183 .<br />

In particolare, il manoscritto laurenziano conservato a Firenze è più ampio su questo particolare, e<br />

afferma che Zarathustra aveva profetizzato che una vergine avrebbe generato un bimbo in Israele, il<br />

quale successivamente avrebbe dovuto sacrificarsi per il suo popolo, e che una stella sarebbe<br />

apparsa al momento della sua nascita per guidare i magi a Betlemme.<br />

Il Vangelo arabo narra di una curiosa tradizione relativa al prepuzio di Gesù bambino, collegato con<br />

l’ampolla di olio di nardo che sarebbe stata usata da Maria, sorella di Lazzaro, durante l’episodio<br />

dell’unzione di Betania:<br />

“Lo circoncisero dunque nella grotta: quella vecchia ebrea [che era stata chiamata da<br />

Giuseppe in aiuto al parto] prese questa membrana, secondo altri invece essa prese il<br />

cordone ombelicale, e lo mise in una ampolla di vecchio olio di nardo. Aveva un figlio<br />

profumiere e affidandogli quell’ampolla gli disse: guardati dal vendere quest’ampolla di<br />

olio di nardo, anche se per essa ti offrissero trecento denari. Questa è l’ampolla<br />

comprata da Maria peccatrice e versata sul capo e sui piedi del Signore nostro Gesù<br />

Cristo asciugati poi con i capelli del suo capo” 184 .<br />

Nello scritto sono fatti comparire ben tre futuri apostoli di Gesù, i quali beneficiano di qualche<br />

prodigio che li guarisce da una malattia, da un morso di serpente velenoso o da una possessione<br />

demoniaca:<br />

“Quando lo pose sul letto ove giaceva Cristo, era ormai morto alla vita e aveva chiuso<br />

gli occhi. Ma subito quel fanciullo fu colpito dal profumo delle vesti del signore Gesù<br />

182 Vangelo arabo dell’infanzia del Salvatore XLIX, 1-2; Apocr. del N. T., op. cit.<br />

183 Vangelo arabo dell’infanzia del Salvatore VII, 1; Apocr. del N. T., op. cit.<br />

184 Vangelo arabo dell’infanzia del Salvatore V, 1; Apocr. del N. T., op. cit.


Cristo, aprì gli occhi e, chiamando a gran voce la madre, le chiese del pane … Questo<br />

fanciullo guarito è quello che nel Vangelo è chiamato Bartolomeo” 185 .<br />

“Questo ragazzo che percosse Gesù e dal quale uscì satana sotto forma di cane, era<br />

Giuda Iscariota che lo consegnò ai Giudei. E il lato percosso da Giuda è quello stesso<br />

nel quale i Giudei confissero la lancia” 186 .<br />

“Egli disse: “Va e succhia tutto il veleno che hai iniettato in questo ragazzo. Il serpente<br />

si avvicinò al ragazzo e succhiò tutto il suo veleno”. Poi il signore Gesù lo maledisse e<br />

subito scoppiò. Il ragazzo, invece, accarezzato dalla mano del signore Gesù, guarì. E<br />

avendo cominciato a piangere, il signore Gesù gli disse: “Non piangere, presto sarai<br />

mio discepolo”. Questo è Simone il cananeo del quale parla il Vangelo” 187 .<br />

Il Vangelo arabo ebbe grande diffusione e fu usato anche dai musulmani, si pensa addirittura che le<br />

sue versioni più antiche possano aver avuto influenza sulla genesi delle tradizioni coraniche relative<br />

a Gesù. Fu usato dai siri nestoriani, dai persiani, dagli egiziani copti e arabi.<br />

185 Vangelo arabo dell’infanzia del Salvatore XXX, 2; Apocr. del N. T., op. cit.<br />

186 Vangelo arabo dell’infanzia del Salvatore XXXV, 2; Apocr. del N. T., op. cit.<br />

187 Vangelo arabo dell’infanzia del Salvatore XLII, 3-4; Apocr. del N. T., op. cit.


La nascita di Gesù nelle tradizioni ebraiche<br />

A seguito della predicazione paolina, la cui prerogativa fondamentale è stata la dissociazione<br />

della figura di Gesù dal contesto politico e religioso messianico in cui si è svolta l’attività dei<br />

primi giudeo cristiani, ebioniti e nazareni, la nuova fede ha iniziato a svilupparsi in modo<br />

autonomo lungo molteplici correnti, dai caratteri alquanto diversi, ma con un elemento in<br />

comune: la distanza crescente dall’ebraismo e la contrapposizione ad esso. Già nei Vangeli<br />

canonici troviamo evidenti segni di questo fatto. Lo abbiamo visto nella celebre maledizione<br />

della stirpe giudaica 188 , e ne abbiamo un’altra testimonianza, nello stesso Vangelo, fra le ultime<br />

righe:<br />

“Mentre esse erano per via, alcuni della guardia giunsero in città e annunziarono ai<br />

sommi sacerdoti quanto era accaduto. Questi si riunirono allora con gli anziani e<br />

deliberarono di dare una buona somma di denaro ai soldati dicendo: “Dichiarate: i suoi<br />

discepoli sono venuti di notte e l'hanno rubato, mentre noi dormivamo. E se mai la cosa<br />

verrà all'orecchio del governatore noi lo persuaderemo e vi libereremo da ogni noia”.<br />

Quelli, preso il denaro, fecero secondo le istruzioni ricevute. Così questa diceria si è<br />

divulgata fra i Giudei fino ad oggi.” 189 .<br />

In particolare notiamo che l’espressione “questa diceria si è divulgata fra i Giudei” pone una<br />

tale distanza e avversione fra l’evangelista e gli ebrei, da rendere palese che questi testi non<br />

possono essere nati nella mente di un ebreo, né possono essere stati concepiti per un pubblico<br />

ebreo. Sembra che l’autore si sentisse in dovere di confutare le obiezioni che, in ambiente<br />

giudaico, erano già sorte intorno alla figura di Gesù e alle convinzioni dei cristiani.<br />

Nel tentativo di comprendere queste dinamiche non possiamo dimenticare che, già nella prima<br />

metà del primo secolo d.C., le sette messianiche avevano prodotto una serie ininterrotta di disagi<br />

al popolo, confluita poi nella degenerazione in conflitto totale, nel 66, e nella catastrofe<br />

completa della nazione, nell’estate del 70, quando Tito espugnò Gerusalemme e saccheggiò il<br />

tempio. In seguito a questi fatti, una buona parte degli israeliti conservava un forte rancore nei<br />

confronti dei seguaci di Gesù, prima, e di suo fratello Giacomo, poi, cioè delle prime forme di<br />

cristianesimo giudaico non ancora configuratosi come religione separata.<br />

Ma quando i seguaci di San Paolo iniziarono a produrre elementi teologici esterni, ad assimilare<br />

sincretisticamente dalle spiritualità pagane, ad individuare nei giudei i colpevoli della condanna<br />

188 Mt XXVII, 25.<br />

189 Mt XXVIII, 11-15.


di Gesù, allora l’ebraismo, dalla posizione di grave svantaggio in cui era improvvisamente<br />

venuto a trovarsi nell’impero romano, iniziò a sua volta a produrre potenti anticorpi contro la<br />

religione che era diventata ostile e pericolosa per la stessa identità etnica e culturale dei figli di<br />

Israele.<br />

L’ebraismo del tempio e dei sacerdoti sadducei era morto, i discendenti dei farisei si<br />

adoperavano con ogni energia per rimettere in piedi una tradizione che, adesso, aveva come<br />

punto di riferimento la sinagoga e l’insegnamento rabbinico. È stata inevitabile, in questo<br />

contesto, la nascita di credenze relative alla scomoda figura di Gesù, così paradossalmente ebreo<br />

per nascita e per educazione, e diventato così maledettamente gentile per fisionomia teologica e<br />

per pubblico di seguaci.<br />

“Schema Yisrael Adonai Elohenu Adonai Echod” 190 , così recita il credo fondamentale degli<br />

ebrei, nel quale si ribadisce in modo inequivocabile il concetto dell’unicità di dio, del tutto<br />

incompatibile con una teologia di carattere trinitario, com’è quella cristiana, in cui a Gesù viene<br />

addirittura attribuita una consunstanzialità con la natura divina del padre celeste. Per la fede<br />

cristiana sviluppatasi a partire dalla revisione paolina Gesù condivide natura divina ed umana,<br />

cosa che per gli ebrei costituisce una blasfemia insopportabile. Per gli ebrei è eretico il solo fatto<br />

che qualcuno pretenda di essere anche semplicemente parte di dio o figlio di dio. Ed è per<br />

questo che l’ebraismo respinge nel complesso la figura teologica del Gesù cristiano.<br />

Analogamente dicasi per l’attribuzione a Gesù di una dignità messianica, dal momento che il<br />

messia atteso in conformità alle profezie che lo annunciano deve dare concretamente inizio ad<br />

un’era di pace e prosperità per il suo popolo, sconfiggendo i suoi nemici, ricostruendo il tempio<br />

di Gerusalemme, stabilendo una condizione in cui la “conoscenza di dio riempie il mondo”, e le<br />

nazioni riconoscono i loro torti nei confronti di Israele. Per gli ebrei la caratteristica<br />

fondamentale che deve distinguere un autentico messia è il raggiungimento del successo nella<br />

propria missione. Perché ciò mostra la reale presenza di Dio a guida e sostegno del suo<br />

prescelto.<br />

Ma un presunto figlio di Davide che annuncia la realizzazione del “regno di Dio”, e poi finisce<br />

crocifisso in mezzo a due latrones 191 , lasciando una schiera di seguaci disperati che continuano<br />

a promettere una salvezza che non arriva, appare come un millantatore fallito, destinato a cadere<br />

nell’oblio o nel disprezzo. Tanto più che, a posteriori dell’opera messianica di Gesù e dei suoi<br />

seguaci, la nazione e il popolo di Israele furono precipitati nella catastrofe e il tempio fu<br />

letteralmente raso al suolo.<br />

190 “Ascolta Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è l’unico Dio”<br />

191 Si tenga presente che, per i romani, il termine latrones, come i termini sicarii e galilaei, era indicativo dei ribelli<br />

yahwisti che credevano nell’imminente compimento delle profezie messianiche.


Gesù non era caduto nell’oblio. Sebbene totalmente ridisegnato nel suo profilo ideologico e<br />

spirituale, aveva offerto il punto di riferimento per un nuovo culto e una nuova religione, che<br />

aggiungevano alle già terribili disgrazie degli ebrei un’ulteriore mole di difficoltà e di<br />

sofferenze. Prima fra tutte quella di essere odiati per il semplice fatto di essere ebrei.<br />

Nacquero allora racconti e tradizioni a carattere denigratorio che, con tutta probabilità,<br />

circolavano già, in forma orale e forse anche scritta, nel secondo secolo. Abbiamo una<br />

testimonianza di Giustino martire (giustiziato a Roma intorno al 168 d.C.), il quale ha scritto nel<br />

suo “Dialogo con Trifone” che gli ebrei mandavano in giro predicatori che mettessero in guardia<br />

gli israeliti contro l’inaccettabile eresia cristiana. Non sappiamo cosa ciò significhi esattamente,<br />

ma ne possiamo dedurre comunque un impegno attivo degli ebrei contro il cristianesimo. In<br />

questo impegno dobbiamo individuare le radici primitive di ciò che, alcuni secoli più tardi,<br />

prenderà la forma di una tradizione scritta sotto il nome di Toledoth Jeshu (le storie di Gesù),<br />

nella quale si attribuisce al sedicente messia una nascita illegittima, un’attività da “mago”, e una<br />

morte disonorevole. Noi sappiamo che questi libri esistevano senz’altro nel nono secolo perché,<br />

a quell’epoca, un certo Agobardo 192 , vescovo di Lione, ne ha testimoniato l’esistenza. Le prime<br />

redazioni dovevano essere state composte in aramaico, ma poi ne furono prodotte versioni in<br />

ebraico, giudeo persiano, arabo, yiddish e giudeo spagnolo, che ebbero ampia circolazione in<br />

Europa e nel vicino oriente.<br />

Per lungo tempo i cristiani hanno ignorato queste opere, non solo nel senso di non attribuire loro<br />

alcuna importanza, ma anche in quello di non conoscerne nemmeno l’esistenza. Poi, nel<br />

tredicesimo secolo, un certo Raimondo Martì 193 si prese cura di tradurle in latino. Le reazioni<br />

del mondo cristiano furono di estremo scandalo e, non raramente, furono usate come pretesto<br />

per fomentare il rancore antisemita: la teoria opportunistica era quella che, non solo gli ebrei<br />

avevano provocato la morte di Gesù, ma continuavano a indirizzargli calunnie vergognose,<br />

mostrando così una natura irrimediabilmente perversa.<br />

La prima edizione stampata delle Toledoth Jeshu fu quella del 1681, curata da Wagenseil, che<br />

definiva l’opera come “nefandum et abominabilem libellum”, “cacatus a Satana”. Nel 1705 fu<br />

pubblicata da Huldreich un’altra versione, diversa. E nel 1902 un’altra versione ancora, da parte<br />

di Krauss, che eseguì un importante studio filologico su questi scritti ebraici.<br />

Confrontando le versioni, possiamo notare quanto siano diverse le interpretazioni dei fatti che<br />

avrebbero riguardato il concepimento di Gesù da parte di Maria, anche se l’elemento comune è<br />

quello di far apparire Gesù come il frutto di una relazione illegittima. Compare sempre il nome<br />

192 Agobardus Lugdunensis (778-840 d.C.), De Iudaicis Superstitionibus.<br />

193 Raimondo Martì o Martini, nato intorno al 1215 nei pressi di Barcellona, forse di origini ebraiche e convertito al<br />

cristianesimo, ma si tratta di un’ipotesi non confermata. Fu frate domenicano impegnato nel tentativo missionario di<br />

conquistare musulmani ed ebrei alla fede cristiana.


Pandira, o Pandera, o Panther, che già era stato nominato da Celso, filosofo greco anticristiano,<br />

nel suo libro “Discorso Vero”, del 178 d.C. circa. In questo scritto l’autore ha affermato che<br />

Maria era stata ingravidata da un soldato romano chiamato Pantera, e successivamente ripudiata<br />

dal marito. Il padre della chiesa Origene (185-254 d.C.), nella sua opera “Contra Celsum”, si è<br />

sentito in dovere di confutare puntigliosamente tutte le opinioni di Celso.<br />

Ora, sembra proprio che il nome Pantera fosse ricorrente fra i soldati romani, e alcuni studiosi<br />

hanno avanzato l’ipotesi che l’espressione Jeshu ben Pantera (Gesù figlio di Pantera) sia un<br />

irriverente gioco di parole che ironizza sull’idea che Gesù fosse figlio di una vergine, parthenos<br />

in greco. Non possiamo sapere quanto ciò sia vero, dal momento che esistono prove del fatto<br />

che l’espressione “Gesù figlio di Pantera” era usata dagli ebrei, già dalla fine del primo secolo, o<br />

dall’inizio del secondo, per indicare Gesù 194 , senza il significato denigratorio che associa il<br />

nome Pantera ad un soldato romano.<br />

Il testo che segue, chiamato manoscritto di Strasburgo, rappresenta Maria come fidanzata a un<br />

certo Jochannan, discendente di Davide, che viene violentata da un vicino di casa, tale Josef ben<br />

Pandera, il quale la mette incinta, sebbene ella si trovi nel periodo del ciclo. Venendo a<br />

conoscenza del fatto, il fidanzato Jochannan ritiene di essere profondamente disonorato e, per<br />

la vergogna, parte e si stabilisce definitivamente a Babilonia. Quindi Maria partorisce un figlio<br />

maschio e lo chiama Jehoshua, poi semplificato in Jeshu.<br />

“Inizio della creazione di Jeshu. Sua madre Miriam era ebrea e aveva un marito che<br />

era della stirpe di David [si riferisce alla condizione di fidanzamento, ovverosia al<br />

periodo iniziale in cui, secondo l’usanza ebraica, ai coniugi non sono consentiti rapporti<br />

sessuali (nda)]; si chiamava Jochannan, ed era un uomo colto e molto timorato del<br />

Signore. C’era vicino alla sua porta di casa, di rimpetto, un uomo di bell’aspetto, …<br />

Josef ben Pandera. Aveva messo gli occhi su di lei, ed una notte, all’uscita del Sabato,<br />

passò davanti alla sua porta ubriaco; entrò da lei e lei pensò che fosse suo marito<br />

Jochannan; si nascose il volto e provò vergogna… Egli la abbracciò, mentre lei gli<br />

diceva: “Non toccarmi, che sono mestruata”; non pensò e non si preoccupò delle sue<br />

parole e giacque con lei e lei rimase incinta di lui. A mezzanotte arrivò suo marito R.<br />

Jochannan; lei gli disse: “Cos’è questo? Non c’era una simile abitudine dal giorno che<br />

mi hai sposato, di venire da me due volte in una notte”. Le rispose: “È per la prima<br />

volta che vengo da te questa notte”. Lei disse: “Sei venuto da me e ti ho detto che ero<br />

mestruata e non te ne sei preoccupato e hai fatto ciò che volevi e te ne sei andato”.<br />

194 Tosefta Palestinese e Talmud Babilonese.


Appena sentito ciò, egli riconobbe subito che Josef ben Pandera le aveva messo gli<br />

occhi addosso e che era stato lui a compiere quell’azione…” 195 .<br />

Nel manoscritto siglato K2, appartenente ai cosiddetti “testi italiani”, è presente una storia molto<br />

simile a quella che abbiamo appena visto, con la differenza che i personaggi sono letteralmente<br />

scambiati. Il fidanzato è Josef Pandera, mentre il malvagio stupratore si chiama Jochannan, ed è<br />

un vicino di casa:<br />

“…c’era un uomo della stirpe della casa di David, chiamato Josef Pandera; aveva una<br />

moglie di nome Miriam; egli era timoroso di Dio ed era discepolo di R. Shimon ben<br />

Shatach. Abitava vicino a queso Josef un malvagio, di nome Jochannan il malvagio,<br />

tresgressore ed adultero. Miriam era una donna di bell’aspetto, ed il malvagio<br />

Jochannan aveva puntato gli occhi su di lei, volendo possederla. Così seguiva sempre la<br />

modesta donna, in modo che non si accorgesse di nulla. E così avvenne il fatto nel mese<br />

di Nisan, alla fine della Pasqua, all’uscita del Sabato, a mezzanotte. Poiché Josef era<br />

andato nella scuola, questo malvagio si alzò nottetempo e si fermò vicino alla porta di<br />

casa; e dopo che Josef uscì, il malvagio entrò in casa e trovò Miriam che giaceva<br />

separata dal marito, perché era mestruata. Il malvagio si mosse e giacque con lei,<br />

mentre lei gridava a lungo, pensando che fosse suo marito, dicendo: “Mio signore, mio<br />

signore, non lo sai che sono mestruata ed impura? Allontanati e non fare questa orribile<br />

azione, e non suscitare l’ira divina”. Alla fine il malvagio giacque con lei e lei rimase<br />

incinta di lui…” 196 .<br />

L’ultimo manoscritto che esaminiamo è la cosiddetta versione Huldricus, secondo l’edizione del<br />

1705. Esso offre una versione ancora diversa dalle precedenti. Questa volta Maria appare<br />

fidanzata ad un certo Pappos, che è molto geloso e costringe la donna a rimanere chiusa in casa.<br />

Il responsabile di adulterio è un certo Josef Pandera di Notzrì, dove l’espressione “di Notzrì”<br />

mostra un evidente errore dell’autore, che confonde l’aggettivo ebraico che significa nazareno<br />

(come titolo religioso) col nome stesso della città di provenienza. In realtà gli ebrei chiamavano<br />

Gesù Jehoshua ha Notzrì o, parlando in aramaico, Jeshu Nazorai, senza intendere con questo la<br />

sua provenienza geografica, ma indicando un’appartenenza settaria.<br />

195 Riccardo Di Segni, Il Vangelo del Ghetto, Newton Compton Editori, Roma, 1985, pagg. 51-52.<br />

196 Idem, pag. 67.


“Durante il regno di Erode il proselita c’era un uomo di nome Pappos ben Jehudah che<br />

aveva una moglie di nome Miriam, figlia di Qlopas; questa Miriam prima di sposarsi<br />

faceva la parrucchiera, ed era sposata a Pappos secondo la legge di Mosè e di Israele<br />

ed era molto bella; era della tribù di Beniamino. Suo marito Pappos non la lasciava<br />

uscire di casa e le chiudeva la porta, per impedire che gente senza scrupoli facesse<br />

adulterio con lei. Ci fu un giorno, il giorno del digiuno di Kippur, che passò davanti alla<br />

sua finestra Josef Pandera di Notzrì, un uomo empio e di bell’aspetto; quando egli vide<br />

che non c’era nessuno in casa di lei, alzò la voce e le gridò: “Miriam, Miriam, fino a<br />

quando te ne starai prigioniera a farti vedere dalla finestra?”. Gli rispose: “Josef,<br />

Josef, salvami”. Josef andò a prendere una scala e Miriam uscì dalla finestra e<br />

fuggirono entrambi da Gerusalemme a Betlemme nel giorno del digiuno di Kippur e<br />

dimorarono a Betlemme per molto tempo, senza che alcuno li riconoscesse. Josef<br />

giacque con Miriam nel giorno del digiuno di Kippur e costei concepì e gli partorì,<br />

passato l’anno, Jeshua Notzrì; e concepì ancora e partorì figli e figlie...” 197 .<br />

Nel seguito della storia, il marito legittimo Pappos viene avvertito che la moglie lo aveva tradito<br />

con Josef Pandera, che aveva avuto prole da lui e che viveva a Betlemme. Addirittura Erode<br />

sarebbe stato informato dell’adulterio, dopodiché il regnante in persona si sarebbe preoccupato<br />

di cercare Josef, Miriam e i figli per punirli. Non avendoli trovati avrebbe ordinato l’assassinio<br />

di tutti i bambini di Betlemme. Abbiamo così una versione estremamente curiosa, sia del<br />

massacro di Betlemme, sia della fuga in Egitto. Dal momento che Josef, avvertito del pericolo<br />

incombente, sarebbe fuggito in Egitto con tutta la famiglia.<br />

La causa della fuga e del massacro, che nel Vangelo di Matteo è individuata nella personalità<br />

messianica del bambino e nella paura del monarca che Gesù potesse mettere in pericolo la sua<br />

sovranità su Israele, è completamente alterata. Di personalità messianica non si parla proprio, e<br />

su Gesù rimane semplicemente l’infamia di essere figlio adulterino e bastardo. Quando poi egli<br />

stesso avrebbe scoperto la propria origine, in un impeto di rabbia avrebbe ucciso il padre Josef.<br />

197 Idem, pag. 84.<br />

“Quando Jeshua si rese conto che era bastardo, e per questo i sapienti lo avevano<br />

segnato, andò alla città di Notzrì dalla madre e fece finta di soffrire di mal di denti.<br />

Disse alla madre: “Quando studiavo a scuola ho sentito che c’è questa cura per il mal<br />

di denti: che la madre del malato vada a mettere i suoi seni tra i cardini e la porta e il<br />

malato succhi dai suoi seni e guarisca”. La madre gli disse: “Alzati figlio mio e lo<br />

farò”. Appena lo fece, Jeshua si alzò e chiuse il seno di lei nella porta, dicendo: “Non ti


lascio fino a che non mi dici come sono nato e quali sono le tue azioni”. Gli rispose:<br />

“Sei bastardo, perché ho un altro marito, di nome Pappos; tuo padre Josef mi ha preso<br />

senza divorzio da mio marito Pappos e tutti i miei figli sono bastardi”. Quando Jeshua<br />

sentì quelle parole, preso da ira uccise suo padre Josef; fuggì quindi nella regione di<br />

Giudea.” 198 .<br />

198 Idem, pagg. 86-87.


La nascita di Gesù nel Corano<br />

Alle origini della sintesi coranica, operata principalmente da Maometto nel settimo secolo d.C.,<br />

deve essere riconosciuta la volontà, non tanto di creare una nuova religione, ma di rivelare che<br />

l’autentico creatore dell’universo e dell’umanità, Allah, era lo stesso unico dio in cui avevano<br />

già creduto uomini come Abramo, Mosè e Gesù. Il concetto primitivo dell’Islam era quello che<br />

Maometto si inserisse in questa serie di profeti, come messaggero di Allah, e che tutto ciò<br />

potesse essere accettato anche dagli ebrei e dai cristiani, coi quali condivideva l’ideale<br />

monoteistico e molte delle tradizioni antiche. Maometto aveva sentito parlare delle antiche<br />

scritture degli ebrei e dei cristiani, la Torah (Tawrat) e il Vangelo (Injil), anche se,<br />

probabilmente, non conosceva le lingue in cui erano scritte, ebraico, greco, latino, e non le<br />

aveva lette di persona. Ciò nonostante Maometto avrebbe derivato parte del suo pensiero<br />

teologico proprio dalle tradizioni ebraica e cristiana. Si pensa che abbia potuto attingere, per<br />

quanto riguarda il cristianesimo, a testi come il “Vangelo arabo sull’infanzia del Salvatore”<br />

piuttosto che ai Vangeli canonici. L’antagonista naturale del pensiero di Maometto,<br />

inizialmente, era il politeismo arabo preislamico, ovverosia la molteplice religiosità tribale<br />

adottata dai popoli che abitavano nella penisola araba.<br />

Certo è che l’islam non ha mai potuto accogliere la credenza che un uomo in carne ed ossa,<br />

come Gesù si sarebbe manifestato, potesse condividere la natura umana e quella divina, o che<br />

potesse essere figlio esclusivo di dio, dal momento che Allah è considerato uno, unico, distinto<br />

dagli uomini, e non ha figli specifici. L’islam nega dunque la concezione teologica trinitaria,<br />

tipica del cristianesimo, e l’idea che Gesù fosse il “figlio di dio”.<br />

L’ambizione di una sintesi che potesse conciliare tutti i popoli del libro fu presto disillusa e non<br />

ci volle molto perché sorgessero aperti conflitti con gli ebrei e coi cristiani. Ciò nonostante, il<br />

Corano contempla Gesù fra i grandi profeti di Allah, riconoscendogli un ruolo privilegiato, al<br />

pari di un “novello Adamo”, in quanto non avrebbe avuto un padre umano, ma sarebbe stato<br />

generato miracolosamente attraverso un intervento diretto di dio.<br />

La differenza fondamentale fra il Gesù evangelico e quello coranico non è tanto nella nascita,<br />

quanto nella morte. Il cristianesimo, infatti, crede nella resurrezione di Gesù, dopo la morte per<br />

crocifissione, mentre l’islam non solo non ammette il racconto evangelico della resurrezione,<br />

considerata inaccettabile nel suo principio, e delle successive apparizioni, ma rifiuta il fatto<br />

stesso che Gesù sia stato crocifisso, affermando che qualcun altro, al suo posto, avrebbe subito<br />

l’atroce esecuzione. Gesù, al contrario, sarebbe stato innalzato al cielo, verso Allah.<br />

Nel Corano Gesù è definito Isa ibn Maryam, `abd-Allāh (Gesù figlio di Maria, servo del<br />

Signore), mentre Giovani Battista è definito Yahya ibn Zakariyya (Giovanni figlio di Zaccaria).


Già nella Sura III (capitolo terzo del Corano) compare un racconto della nascita di Maria, di<br />

Giovanni e di Gesù, di evidente derivazione dalla letteratura apocrifa cristiana:<br />

“Quando la moglie di 'Imrân disse: “Mio Signore, ho consacrato a Te e solo a Te quello<br />

che è nel mio ventre. Accettalo da parte mia. In verità Tu sei Colui che tutto ascolta e<br />

conosce!”. Poi, dopo aver partorito, disse: “Mio Signore, ecco che ho partorito una<br />

femmina”, ma Allah sapeva meglio di lei quello che aveva partorito, “Il maschio non è<br />

certo simile alla femmina! L'ho chiamata Maria e pongo lei e la sua discendenza sotto la<br />

Tua protezione contro Satana il lapidato”. L'accolse il suo Signore di accoglienza bella,<br />

e la fece crescere della migliore crescita. L'affidò a Zaccaria e ogni volta che egli<br />

entrava nel santuario trovava cibo presso di lei. Disse: “O Maria, da dove proviene<br />

questo?”. Disse: “Da parte di Allah”. In verità Allah dà a chi vuole senza contare.<br />

Zaccaria allora si rivolse al suo Signore e disse: “O Signor mio, concedimi da parte<br />

Tua una buona discendenza. In verità Tu sei Colui che ascolta l'invocazione”. Gli angeli<br />

lo chiamarono mentre stava ritto in preghiera nel Santuario: “Allah ti annuncia<br />

Giovanni, che confermerà una parola di Allah , sarà un nobile, un casto, un profeta, uno<br />

dei devoti”. Disse: “O mio Signore, come mai potrò avere un figlio? Già ho raggiunto<br />

la vecchiaia e mia moglie è sterile”. Disse: "Così! Allah fa quel che vuole”. “Signore”,<br />

disse Zaccaria, “dammi un segno”. “Il tuo segno, disse [il Signore], sarà che per tre<br />

giorni potrai parlare alla gente solo a segni. Ma ricorda molto il tuo Signore e<br />

glorificaLo al mattino e alla sera”. E quando gli angeli dissero: “In verità, o Maria,<br />

Allah ti ha eletta; ti ha purificata ed eletta tra tutte le donne del mondo. O Maria, sii<br />

devota al tuo Signore, prosternati e inchinati con coloro che si inchinano”. Ti riveliamo<br />

cose del mondo invisibile, perché tu non eri con loro quando gettarono i loro calami per<br />

stabilire chi dovesse avere la custodia di Maria e non eri presente quando disputavano<br />

tra loro. Quando gli angeli dissero: “O Maria, Allah ti annuncia la lieta novella di una<br />

Parola da Lui proveniente: il suo nome è il Messia, Gesù figlio di Maria, eminente in<br />

questo mondo e nell'Altro, uno dei più vicini. Dalla culla parlerà alle genti e nella sua<br />

età adulta sarà tra gli uomini devoti”. Ella disse: “Come potrei avere un bambino se<br />

mai un uomo mi ha toccata?”. Disse: “È così che Allah crea ciò che vuole: quando<br />

decide una cosa dice solo Sii ed essa è”. E Allah gli insegnerà il Libro e la saggezza, la<br />

Torâh e il Vangelo. E [ne farà un] messaggero per i figli di Israele [che dirà loro]: “In<br />

verità vi reco un segno da parte del vostro Signore. Plasmo per voi un simulacro di<br />

uccello nella creta e poi vi soffio sopra e, con il permesso di Allah, diventa un uccello. E<br />

per volontà di Allah, guarisco il cieco nato e il lebbroso, e resuscito il morto. E vi


informo di quel che mangiate e di quel che accumulate nelle vostre case. Certamente in<br />

ciò vi è un segno se siete credenti! [Sono stato mandato] a confermarvi la Torâh che mi<br />

ha preceduto e a rendervi lecito qualcosa che vi era stata vietata. Sono venuto a voi con<br />

un segno da parte del vostro Signore. Temete dunque Allah e obbeditemi. In verità Allah<br />

è il mio e vostro Signore. AdorateLo dunque: ecco la retta via”. Quando poi Gesù<br />

avvertì la miscredenza in loro, disse: “Chi sono i miei ausiliari sulla via di Allah?”,<br />

“Noi, dissero gli apostoli, siamo gli ausiliari di Allah. Noi crediamo in Allah, sii<br />

testimone della nostra sottomissione. Signore! Abbiamo creduto in quello che hai fatto<br />

scendere e abbiamo seguito il messaggero, annoveraci tra coloro che testimoniano”.<br />

Tessono strategie e anche Allah ne tesse. Allah è il migliore degli strateghi! E quando<br />

Allah disse: “O Gesù, ti porrò un termine e ti eleverò a Me e ti purificherò dai<br />

miscredenti. Porrò quelli che ti seguono al di sopra degli infedeli, fino al Giorno della<br />

Resurrezione”. Ritornerete tutti verso di Me e Io giudicherò le vostre discordie. E<br />

castigherò di duro castigo quelli che sono stati miscredenti, in questa vita e nell'Altra, e<br />

non avranno chi li soccorrerà. Quelli che invece hanno creduto e operato il bene,<br />

saranno ripagati in pieno. Allah non ama i prevaricatori. Ecco quello che ti recitiamo<br />

dei segni e del Saggio Ricordo. In verità, per Allah Gesù è simile ad Adamo che Egli<br />

creò dalla polvere, poi disse: “Sii” ed egli fu. [Questa è] la verità [che proviene] dal tuo<br />

Signore. Non essere tra i dubbiosi”” 199<br />

La Sura XIX riprende e amplia questi racconti, seguendo uno schema narrativo che è<br />

sostanzialmente quello del Vangelo secondo Luca. Il Corano sembra ignorare l’impostazione<br />

della natività di Matteo, secondo la quale Gesù sarebbe stato perseguitato da Erode e, in<br />

conseguenza, la famiglia sarebbe fuggita in Egitto. Non conosce nemmeno la visita dei Magi:<br />

“[Questo è il] racconto della Misericordia del tuo Signore verso il Suo servo Zaccaria,<br />

quando invocò il suo Signore con un'invocazione segreta, dicendo: “O Signor mio, già<br />

sono stanche le mie ossa e sul mio capo brilla la canizie e non sono mai stato deluso<br />

invocandoti, o mio Signore! Mia moglie è sterile e temo [il comportamento] dei miei<br />

parenti dopo di me: concedimi, da parte Tua, un erede che erediti da me ed erediti dalla<br />

famiglia di Giacobbe. Fa’, mio Signore, che sia a Te gradito!”. “O Zaccaria, ti diamo la<br />

lieta novella di un figlio. Il suo nome sarà Giovanni. A nessuno, in passato, imponemmo<br />

lo stesso nome.” Disse: “Come potrò mai avere un figlio? Mia moglie è sterile e la<br />

vecchiaia mi ha rinsecchito”. Rispose: “È così! Il tuo Signore ha detto: Ciò è facile per<br />

199 Corano, Sura III, 35-60


me: già una volta ti ho creato quando non esistevi”. Disse [Zaccaria]: “Dammi un<br />

segno, mio Signore! ”. Rispose: “Il tuo segno sarà che, pur essendo sano, non potrai<br />

parlare alla gente per tre notti”. Uscì dall'oratorio verso la sua gente e indicò loro di<br />

rendere gloria [al Signore] al mattino e alla sera. “O Giovanni, tienti saldamente alla<br />

Scrittura.” E gli demmo la saggezza fin da fanciullo, tenerezza da parte <strong>Nostra</strong> e<br />

purezza. Era uno dei timorati, amorevole con i suoi genitori, né violento, né<br />

disobbediente. Pace su di lui, nel giorno in cui nacque, in quello della sua morte e nel<br />

Giorno in cui sarà risuscitato a [nuova] vita.” 200 .<br />

Il brano seguente riguarda l’annunciazione a Maria, il parto, e la presentazione ai parenti, con un<br />

Gesù neonato che parla, compie un primo miracolo (sfama Maria con frutti che cadono da un<br />

albero) e si presenta ai parenti come servo di Allah, a giustificazione dello stupore e dello<br />

scandalo che la nascita ha suscitato:<br />

“Ricorda Maria nel Libro, quando si allontanò dalla sua famiglia, in un luogo ad<br />

oriente. Tese una cortina tra sé e gli altri. Le inviammo il Nostro Spirito che assunse le<br />

sembianze di un uomo perfetto. Disse [Maria]: “Mi rifugio contro di te presso il<br />

Compassionevole, se sei [di Lui] timorato!”. Rispose: “Non sono altro che un<br />

messaggero del tuo Signore, per darti un figlio puro”. Disse: “Come potrei avere un<br />

figlio, ché mai un uomo mi ha toccata e non sono certo una libertina?”. Rispose: “È<br />

così. Il tuo Signore ha detto: Ciò è facile per Me... Faremo di lui un segno per le genti e<br />

una misericordia da parte <strong>Nostra</strong>. È cosa stabilita”. Lo concepì e, in quello stato, si<br />

ritirò in un luogo lontano. I dolori del parto la condussero presso il tronco di una<br />

palma. Diceva: “Me disgraziata! Fossi morta prima di ciò e fossi già del tutto<br />

dimenticata!”. Fu chiamata da sotto: “Non ti affliggere, ché certo il tuo Signore ha<br />

posto un ruscello ai tuoi piedi; scuoti il tronco della palma: lascerà cadere su di te<br />

datteri freschi e maturi. Mangia, bevi e rinfrancati. Se poi incontrerai qualcuno, dì: ho<br />

fatto un voto al Compassionevole e oggi non parlerò a nessuno”. Tornò dai suoi<br />

portando [il bambino]. Dissero: “O Maria, hai commesso un abominio! O sorella di<br />

Aronne, tuo padre non era un empio, né tua madre una libertina”. Maria indicò loro [il<br />

bambino]. Dissero: “Come potremmo parlare con un infante nella culla?”, [Ma Gesù]<br />

disse: “In verità, sono un servo di Allah. Mi ha dato la Scrittura e ha fatto di me un<br />

profeta. Mi ha benedetto ovunque sia e mi ha imposto l'orazione e la decima finché avrò<br />

vita, e la bontà verso colei che mi ha generato. Non mi ha fatto né violento, né<br />

200 Corano, Sura XIX, 2-15


miserabile. Pace su di me, il giorno in cui sono nato, il giorno in cui morrò e il Giorno<br />

in cui sarò resuscitato a nuova vita”. Questo è Gesù, figlio di Maria, parola di verità<br />

della quale essi dubitano.” 201 .<br />

201 Corano, Sura XIX, 16-34


La nascita di Gesù nella tradizione indo-buddista<br />

Fra l’episodio lucano, che colloca il Gesù dodicenne nel tempio di Gerusalemme a discutere<br />

dottamente con gli anziani, e l’episodio del battesimo sul fiume Giordano, i Vangeli lasciano il<br />

silenzio completo su quella che sarebbe stata la vita dell’aspirante Messia di Israele. Stando alle<br />

cronologie abituali si sarebbe trattato di un periodo di diciotto anni, o poco più. In realtà alcune<br />

considerazioni storiche, sull’età di Gesù all’epoca del suo ministero e della sua passione, aprono la<br />

possibilità che questo periodo sia più ampio, fino a raggiungere o superare i ventiquattro anni. Si<br />

tratterebbe dei cosiddetti “anni oscuri”, un vuoto che diversi autori hanno riempito nei modi più<br />

svariati.<br />

La tradizione comune lo immagina a Nazareth, in seno alla famiglia, intento a crescere, istruirsi e<br />

lavorare come carpentiere. Altre tradizioni lo vogliono in Egitto, a studiare con i Terapeuti; o nelle<br />

isole britanniche insieme a Giuseppe di Arimatea, dove oggi sorge Glastonbury; o nel deserto di<br />

Giuda, presso il monastero degli esseni di Qumran; o in viaggio verso l’oriente, attraverso la Persia,<br />

fino all’India brahmanica e buddista. È a quest’ultima affascinante ipotesi, probabilmente<br />

leggendaria, che vogliamo fare riferimento in questo capitolo.<br />

La figura principale a cui è associata l’idea di una presenza di Gesù in India è senz’altro quella di<br />

un aristocratico russo, Nicola Notovich (n. 1858), di origini ebree, che avrebbe visitato il Tibet<br />

meridionale (Ladhak) e, in seguito ad un incidente, sarebbe stato ospitato nel monastero buddista di<br />

Hemis. Egli sostiene che il lama superiore del tempio gli avrebbe mostrato un manoscritto tibetano<br />

tradotto dal pali (l’antica lingua dei testi buddisti): “Vita del santo Issa, migliore tra i figli<br />

dell’uomo”. Tornato in occidente, Notovich avrebbe pubblicato la traduzione del manoscritto in<br />

Francia, col titolo “La vie inconnue de Jesus Christ”, che non ha mancato di suscitare accese<br />

polemiche sulla sua autenticità. Sembra addirittura che lo stesso lama di Hemis abbia voluto<br />

sconfessare le affermazioni di Notovich.<br />

In realtà, prima ancora dell’opera dell’autore russo, nella cittadina indiana di Qadian (Punjab), era<br />

nato un movimento islamico chiamato Ahmadiyya, fondato nel 1889 da Mirza Ghulam Ahmad che,<br />

fra le tante cose, sosteneva che Yuz Asaf (Gesù) non era morto sulla croce (coerentemente con<br />

quanto insegna il Corano), e si era recato nel Kashmir, dove aveva vissuto a lungo ed era morto.<br />

Ancora oggi, recandosi nel distretto Kanjar della città di Srinagar, capitale del Kashmir, è possibile<br />

trovare una sorta di mausoleo, chiamato Rozabal, che riscuote l’interesse di ben tre comunità<br />

religiose: indù, musulmani e buddisti. In esso si trovano almeno due tombe, una di un celebre<br />

musulmano del luogo, la quale rispetta le caratteristiche richieste dalle sepolture islamiche, una più<br />

antica, di un personaggio che sembra essere ebreo, perché è sepolto secondo certi requisiti del


costume ebraico. Secondo alcuni si tratterebbe proprio della tomba di Yuz Asaf, il saggio che, dopo<br />

aver molto sofferto in Israele, sarebbe vissuto e morto in Kashmir lasciando anche una discendenza.<br />

In vicinanza della tomba un bassorilievo scolpito sulla roccia ritrae l’impronta dei piedi del santo,<br />

con l’evidente traccia delle ferite lasciate dai chiodi della crocifissione. Numerosi autori hanno<br />

speculato anche sul fatto che l’apostolo Didimo Giuda Tommaso, considerato fratello gemello del<br />

Messia, avrebbe compiuto opera missionaria in India, e questo rinforzerebbe l’idea che Gesù lo<br />

abbia raggiunto e si sia soffermato in Kashmir.<br />

La questione di Gesù in India sembra basata su presupposti molto evanescenti e, a mio parere, ha i<br />

caratteri di una bellissima leggenda, anche se esistono testimonianze serie di un contatto fra<br />

l’ebraismo e la religiosità indo buddista. Una di queste ce la fornisce lo stesso Giuseppe Flavio, nel<br />

momento in cui descrive il discorso finale che Eleazar ben Jair avrebbe tenuto agli assediati di<br />

Masada, ormai condannati ad una imminente sconfitta da parte dei romani, nel 73 d.C., per<br />

convincerli ad effettuare un suicidio di massa 202 . Non sappiamo come abbia fatto Giuseppe a<br />

conoscere le parole di Eleazar, visto che non si trovava a Masada in quei giorni, ma a Roma, e che<br />

gli assediati morirono tutti (circa novecento persone).<br />

Se anche il discorso fosse un’invenzione di Giuseppe, ci dimostra comunque che egli era<br />

perfettamente al corrente di certi usi e costumi funebri degli indù, come le cremazioni che venivano<br />

effettuate su grandi cataste di legna presso le rive del Gange. Il presunto discorso di Eleazar non si<br />

limitava a descrivere questi riti, ma entrava nel merito della concezione religiosa, secondo cui<br />

l’anima aspettava di svincolarsi dal corpo mentre la vera sofferenza era costituita dalla vita<br />

materiale piuttosto che da quella spirituale. Personalmente, se volessi difendere l’ipotesi di Gesù in<br />

India, darei più peso a certi parallelismi filosofici e religiosi, anziché fidarmi dei racconti e delle<br />

presunte reliquie.<br />

La parte del presunto manoscritto buddista contenente indicazioni sulla nascita di Gesù è il capitolo<br />

IV, che riportiamo integralmente qui di seguito:<br />

“[1] Giunse l’ora scelta dal Giudice di Clemenza per incarnarsi in un essere umano. [2] E<br />

lo Spirito Eterno, che dimorava in uno stato d’inazione completa e di suprema beatitudine,<br />

si destò e si distaccò, per un periodo indeterminato, dall’Essere Eterno, [3] onde indicare,<br />

rivestendo un’immagine umana, i mezzi d’identificarsi con la Divinità e di pervenire<br />

all’eterna beatitudine. [4] E per mostrare, col suo esempio, come si possa giungere alla<br />

purezza morale e separare l’anima dal suo sviluppo corporeo materiale per poter<br />

raggiungere la perfezione necessaria al passaggio nel regno dei Cielo, che è immutabile, e<br />

dove regna la felicità eterna. [5] Un fanciullo meraviglioso nacque allora nella terra di<br />

202 Giuseppe Flavio, Guerra giudaica, VII, 8.


Israele; Dio stesso parlò, per bocca di questo fanciullo, delle mieserie della carne e della<br />

grandezza dell’anima. [6] I genitori del nato in povertà appartenevano ad illustre famiglia<br />

che, con opere di pietà, obliava l’antica grandezza terrena onde celebrare il nome del<br />

Creatore e ringraziarlo delle sventure con le quali Egli si compiaceva provarla. [7] Per<br />

ricompensarla di non essersi lasciata stornare dalla via della verità, Dio benedisse il<br />

primogenito di questa famiglia, lo scelse per suo eletto e lo inviò in sostegno di coloro che<br />

erano caduti nel male ed a guarire i sofferenti. [8] Il divino fanciullo, cui venne dato il<br />

nome di Issa, cominciò sin dalla più tenera età a parlare del Dio unico ed invisibile,<br />

esortando le anime traviate al pentimento per la purificazione dei peccati dei quali si erano<br />

resi colpevoli. [9] Da ogni luogo venivano ad ascoltarlo e tutti erano meravigliati dei<br />

discorsi che pronunciava la sua bocca infantile; tutti gli Israeliti dovettero convenire che lo<br />

Spirito Eterno risiedeva in quel fanciullo. [10] Allorché Issa raggiunse i tredici anni, epoca<br />

in cui ogni Israelita deve sposare, [11] la casa in cui i suoi genitori lavoravano per<br />

guadagnarsi la vita mediante un modesto lavoro, cominciò ad essere luogo di ritrovo per la<br />

gente ricca e nobile che avrebbe voluto imparentarsi col giovane Issa, già celebre per i suoi<br />

edificanti discorsi nel nome del Potentissimo, [12] fu allora che Issa lasciò di nascosto la<br />

casa paterna, uscì da Gerusalemme ed in compagnia di mercanti si diresse verso il Sind.<br />

[13] Nell’intento di perfezionarsi nella divina parola e di studiare le leggi dei grandi<br />

Budda.” 203 .<br />

Già nelle prime righe si riconosce una concezione tipica del cristianesimo extra-giudaico e, in<br />

particolare, della teologia del primo concilio di Nicea: Gesù è un’incarnazione di Dio e nella sua<br />

persona condivide natura umana e divina. Tutto questo è ben lontano dalla concezione ebraica, ma<br />

anche da quella buddista, perché i Budda non sono incarnazioni divine come il Krishna indù<br />

(incarnazione di Vishnu) e il Gesù cristiano, ma semplici uomini illuminati, dotati di uno spirito<br />

molto puro, ma non consustanziali (omoousios fu il termine usato a Nicea) con Dio. Inoltre non<br />

ricordo, leggendo i sutra buddisti, di aver mai visto nominare Dio.<br />

Dettagli episodici sulla nascita non ce ne sono. Non si nominano località, case, capannucce o<br />

mangiatoie, stelle annuncianti, magi o pastori adoranti, persecuzioni da parte del re Erode e<br />

conseguenti fughe in Egitto. Un particolare solo: il bambino nasce “in povertà”, ma i suoi genitori<br />

“appartenevano ad illustre famiglia”.<br />

Coerentemente con la natività lucana, ma anche con le leggende relative al Budda, il fanciullo<br />

mostra una virtù precoce nell’argomentare di cose sacre suscitando lo stupore del suo popolo.<br />

203 N.Notovich “Il Vangelo Buddista della Vita di Gesù”, Editrice Atanor, 1985, Roma. Cap. IV.


E infine la sorpresa che sembra colmare i vuoti lasciati dai Vangeli canonici: all’età in cui un<br />

Israelita diventa adulto, il giovane Gesù decide di partire nascostamente per l’oriente, si unisce a<br />

una carovana di mercanti e si dirige verso l’India.<br />

Contenuti, linguaggio e stile tradiscono una realtà molto probabile: Notovich ha ampiamente<br />

lavorato di fantasia, ha forse attinto dalle affascinanti credenze degli Ahmadiyya, che ha collegato<br />

alle tradizioni riguardanti San Tommaso e a certi scritti arabi che parlano di Yuz Asaf, santo<br />

itinerante, arbitrariamente collegato con Gesù. Ma si ricordi che Gesù nella tradizione araba è<br />

chiamato Isa ibn Maryam, non Yuz Asaf, denominazione questa che, verosimilmente, deve essere<br />

interpretata come Josaphat.<br />

Se le cose stanno come penso, ciò che abbiamo letto nella citazione non è la nascita di Gesù nella<br />

tradizione buddista, ma semplicemente la nascita di Gesù nella mente fantasiosa di Nicola<br />

Notovich. Del resto, quante altre nascite di Gesù appartengono nella realtà alla libera creatività di<br />

chi le ha scritte?


Dov’è nato Gesù, un’ipotesi coraggiosa<br />

La questione delle coordinate di nascita di Gesù è subordinata ad altre questioni, che non possono<br />

non essere poste in precedenza, senza che la discussione sul luogo e sul tempo diventi un vaniloquio<br />

privo di fondamento. Le domande sono queste: a partire da quale, o quali supporti storici, è stata<br />

costruita la figura del protagonista della narrazione evangelica, Gesù Cristo? In altre parole: la<br />

composizione teologica che, nell’arco di un tempo piuttosto esteso, ha creato la figura di Cristo,<br />

così come è rappresentata oggi nel catechismo cristiano e nelle scritture del Nuovo Testamento, fa<br />

riferimento ad un singolo personaggio realmente esistito, di nome Gesù? O ha <strong>preleva</strong>to frammenti<br />

di personalità storica appartenuti, nella realtà, a più individualità diverse?<br />

Non ci si meravigli di questa domanda, relativa ad una possibile molteplice individualità storica del<br />

personaggio Gesù Cristo. Le fusioni e gli assemblaggi di questo genere, nella genesi delle scritture<br />

religiose, nel Nuovo e nel Vecchio Testamento, ma anche in altre aree religiose fuori dal<br />

cristianesimo e dall’ebraismo, sono assolutamente comuni e ricorrenti. Mosè, per fare un esempio, è<br />

uno dei principali candidati a questo tipo di elaborazione. Alcuni degli apostoli, altrimenti fratelli<br />

carnali di Gesù, sono stati sdoppiati, così come Maria di Betania, e la madre di Gesù, suo padre,<br />

ecc… La confusione delle individualità, sia nel senso della dissociazione che della fusione, è stato<br />

uno dei meccanismi di costruzione dei personaggi delle narrazioni bibliche. Eccellenti sono, a<br />

questo proposito, gli studi e le pubblicazioni di Robert H. Eisenman 204 . Egli ha mostrato in modo<br />

chiaro i meccanismi di costruzione delle personalità evangeliche e gli equilibrismi effettuati sui loro<br />

nomi. In effetti sono presenti sia dissociazioni, che danno l’impressione di trovarsi di fronte a due o<br />

tre personalità diverse, quando invece si tratta sempre della medesima, sia fusioni, che attribuiscono<br />

ad una sola persona i ruoli di due o più individualità storiche.<br />

Domandarsi se la stessa cosa può valere per Gesù Cristo è pienamente legittimo. Rispondere con<br />

certezza è tutt’altra questione, probabilmente non risolvibile. Ciò nonostante la domanda è<br />

necessaria per comprendere quanto sia inopportuno pensare che si possa porre la questione delle<br />

coordinate di nascita di Cristo, dando semplicemente per scontato che egli sia stato un singolo<br />

personaggio storico, ben identificabile. Se non altro possiamo renderci conto di come certe<br />

elucubrazioni dotte che fanno riferimento alla congiunzione di Giove e Saturno nella costellazione<br />

dei Pesci, o al conto dei mesi che avrebbero separato la nascita di Giovanni da quella di Gesù,<br />

204 Professore di archeologia e religioni del Medio oriente, nonché direttore dell’Istituto per le origini giudeo-cristiane<br />

presso la California State University di Long Beach; membro dell'Albright Institute of Archeological Research a<br />

Gerusalemme. Ha contribuito energicamente, nel corso degli anni ’80, affinché i Rotoli del Mar morto, tenuti segregati<br />

dal gruppo di studiosi cattolici diretto dal sacerdote R. de Vaux, fossero resi accessibili alla comunità internazionale.<br />

Egli stesso ha lavorato agli scavi nel sito di Kirbeth Qumran, effettuando interessanti scoperte. La casa editrice Piemme<br />

(Casale Monferrato, AL) ha pubblicato in lingua italiana i suoi seguenti libri: R.H.Eisenman, M.Wise, Manoscritti<br />

segreti di Qumran (1994); R.H.Eisenman, Giacomo il fratello di Gesù (2007); R.H.Eisenman, Codice Gesù (2008).


ecc…, abilmente sviluppate da astronomi, scienziati, storici ed altri accademici, per giungere ad una<br />

conclusione sulla data di nascita di Cristo, non sono altro che patetiche illusioni fondate sulla base<br />

inconsistente del mito e della leggenda. Sarebbe come domandarsi in quale punto esatto di<br />

Betlemme sia nato Gesù, senza domandarsi se è nato davvero a Betlemme, e senza capire, come<br />

invece sostengono anche molti studiosi cattolici, che la nascita betlemita è puramente leggendaria.<br />

Come abbiamo affermato più volte, i redattori delle natività, entrando in contraddizione diretta coi<br />

ministeri della vita pubblica, hanno piazzato la nascita di Gesù a Betlemme spinti da una ragione<br />

apologetica: per attribuirgli un forte requisito di natura messianica.<br />

Personalmente, preferisco dichiarare apertamente che non ho raggiunto alcuna certezza su quanto,<br />

della figura evangelica di Cristo, appartenga ad una personalità storica e quanto alla creatività<br />

teologica, e tanto meno se le personalità storiche a cui si fa riferimento siano state una o due. Tanto<br />

più che il problema sollevato dall’analisi del ballottaggio fra Gesù e Barabba, di cui i Vangeli<br />

raccontano in occasione del processo che si sarebbe svolto di fronte a Ponzio Pilato, ripropone<br />

drammaticamente il problema della duplice individualità, con una concretezza che non può essere<br />

trascurata.<br />

In questa sede sono costretto ad illustrare la questione, almeno brevemente, anche se nei miei<br />

precedenti scritti l’ho già fatto più volte 205 . Desidero ricordare che il termine Barabba non è altro<br />

che la condensazione dell’espressione aramaica bar Abbà, che significa “figlio del Padre”,<br />

alternativa a “figlio di dio”. Come è largamente testimoniato dalla consuetudine in uso per secoli<br />

nella liturgia latina: “filius Patris”, espressione riferita a Gesù stesso col significato, appunto, di<br />

“figlio di dio”. Si tenga presente che gli ebrei non possono pronunciare il nome di dio e che, al suo<br />

posto, usavano e usano tuttora termini alternativi, come possiamo osservare in questo passo del<br />

Vangelo di Marco: “E diceva: - Abbà, Padre! Tutto è possibile a te…” 206 .<br />

Dunque, il prigioniero famoso che si trovava sotto processo a fianco di Gesù, portava lo stesso titolo<br />

del suo sfortunato compagno, ed evidentemente non era il suo nome, come spesso ci viene lasciato<br />

credere. A queste mie considerazioni sono state mosse le più acrobatiche obiezioni, nel corso di<br />

innumerevoli discussioni telematiche, ma puntualmente giunge la conferma da parte di insigni<br />

accademici, come il prof. Daniel Gershenson, che ho avuto modo di incontrare personalmente alla<br />

Tel Aviv University, e lo stesso prof. Robert Eisenman:<br />

“Tutti questi soprannomi (Barsabba, Barnaba e Barabba) sono importanti e spesso<br />

collegati ai nomi dei membri della famiglia di Gesù. Per esempio, nei Vangeli Barabba<br />

205 Vedi D.Donnini, Cristo una vicenda storica da riscoprire, liberamente reperibile on line al seguente URL:<br />

http://www.nostraterra.it/cristianesimo_.html . Oppure D.Donnini, Gesù e i Manoscritti del Mar Morto, Coniglio<br />

Editore, Roma, 2006.


è una specie di controfigura di Gesù. In alcuni testi troviamo addirittura ‘Gesù<br />

Barabba’: in aramaico Barabba vuol dire ‘figlio del Padre’” 207 .<br />

Il vero nome di questo misterioso prigioniero, che sarebbe stato scarcerato, appare da antichi<br />

manoscritti greci del Vangelo secondo Matteo, nei quali è detto esplicitamente che Barabba si<br />

chiamava Gesù 208 . Il prigioniero rilasciato sarebbe stato Gesù Barabba, alias Yeshu bar Abbà, Gesù<br />

il figlio di dio. Col piccolo inconveniente che anche il prigioniero condannato e crocifisso sarebbe<br />

stato Gesù il figlio di dio. Ecco un altro più che evidente, quanto misterioso, esempio di<br />

contraffazione delle personalità e dei nomi.<br />

Questo per osservare quanto la narrazione del processo appaia sospetta di contenere manipolazioni,<br />

tra i cui scopi ci può essere quello di nascondere la reale identità dei personaggi e la possibile<br />

doppia identità dei messia a cui la sintesi evangelica avrebbe fatto riferimento. In effetti tutto il<br />

racconto evangelico è caratterizzato da un’ossessione redazionale, quella che abbiamo definito<br />

intento di spoliticizzazione, cioè la volontà di nascondere ogni collegamento tra il movimento<br />

giudeo cristiano e i gruppi della dissidenza nazional religiosa yahwista.<br />

Se dunque il Cristo crocifisso a Gerusalemme da Ponzio Pilato, alla vigilia di una Pèsah ebraica fra<br />

gli anni 30/36, era uno dei due messia individuati dagli esseno zeloti, in particolare quello detto di<br />

Davide, potrebbe anche non essere stato quello che si chiamava Gesù. Tanto più che gli storici<br />

romani che hanno parlato di lui, Tacito, Svetonio, Plinio, lo hanno sempre citato come Cristo o<br />

Cresto, senza dar segno di conoscere il nome Gesù 209 . Gesù avrebbe potuto essere l’altro, quello<br />

scarcerato: un iniziato? un maestro spirituale? un sacerdote esseno? Ammesso che non sia<br />

leggendaria tutta la descrizione del ballottaggio.<br />

Nelle considerazioni che seguono, relative alla possibile individuazione del luogo di nascita, faccio<br />

riferimento alla personalità storica che fu arrestata nottetempo sul monte degli ulivi, processata di<br />

fronte a Pilato, con l’accusa di volersi fare re dei Giudei, e giustiziata mediante crocifissione. A me<br />

rimane il dubbio, per ora non risolvibile, se costui si chiamasse Gesù, o se Gesù fosse un altro.<br />

206<br />

Mc XIV, 36.<br />

207<br />

R.Eisenman, Giacomo il fratello di Gesù, Piemme, Casale Monferrato (Al), 2007.<br />

208<br />

Vedi Novum Testamentum Graece et Latine, a cura di A. Merk, Istituto Biblico Pontificio, Roma, 1933, pag. 101;<br />

riferito a Mt XXVII, 16.<br />

209<br />

“...furono puniti i cristiani, un gruppo di persone dedite ad una superstizione nuova e malefica. Quel nome essi<br />

derivarono da Cristo, che sotto il regno di Tiberio fu mandato a morte dal procuratore Ponzio Pilato. Quella funesta<br />

superstizione, soffocata per breve tempo, riprendeva ora vigore diffondendosi non solo in Giudea, luogo d'origine di<br />

quel male, ma anche a Roma, dove da ogni parte confluiscono tutte le atrocità e le vergogne, trovandovi grande<br />

seguito...” (Tacito, Annales XV, 44).<br />

“...egli [l'imperatore Claudio] scacciò da Roma i Giudei che, istigati da Cresto, erano continuamente in lotta...”<br />

(Svetonio, Claudius XXV, 4).<br />

“...erano soliti riunirsi alle prime luci dell'alba, ed innalzare un canto a Cristo, come se fosse un dio...” (Plinio il<br />

giovane, Epistolae, 96).


Spesso nei miei precedenti scritti ho avanzato un’ipotesi: il Cristo giustiziato da Pilato avrebbe<br />

potuto essere un membro della famiglia di Giuda il galileo, uno degli esponenti di quella fazione<br />

messianista intransigente che già all’epoca del censimento aveva dato molto filo da torcere ai<br />

romani. Ed anche prima, al tempo della morte di Erode il grande, quando i cosiddetti galilaei<br />

avevano assalito gli arsenali regi di Sefforis per <strong>preleva</strong>re armi e rifornire i propri adepti. Ripeto,<br />

onde evitare fraintesi, desidero considerare quest’idea come una semplice ipotesi, a favore della<br />

quale esiste una vasta serie di indizi. Lo stesso professor Eisenman afferma a questo proposito:<br />

“…sono evidenti i parallelismi fra la famiglia di Giuda il galileo e quella di ‘Giuseppe e<br />

Maria’ o ‘Cleofa e Maria’. Ma quali sono i legami tra questi individui e in che modo si<br />

sovrappongono? A meno di una descrizione non falsificata di questo periodo,<br />

indubbiamente non lo sapremo mai” 210 .<br />

Giuda il galileo, figlio di quell’Ezechia che Erode aveva ucciso nel 44 a.C., aveva fondato il partito<br />

degli zeloti insieme ad un certo Saddok, e cercava di coinvolgere la popolazione ebraica della<br />

Palestina in un progetto di restaurazione messianica, facendo leva sulla protesta fiscale, sull’ideale<br />

di libertà e sulla purezza del culto religioso. Giuda stesso era morto, lasciando in eredità ai suoi figli<br />

la causa messianica, nel corso della rivolta del censimento avvenuta nel 7 d.C., epoca nella quale<br />

Luca ambienta la nascita di Gesù. In effetti i figli si mostrarono seguaci dello stesso impegno<br />

ideologico che aveva contraddistinto il padre e il nonno e, a quanto ci risulta dagli scritti di<br />

Giuseppe Flavio, tutti o quasi persero la vita per la causa. Due di costoro si chiamavano Giacomo e<br />

Simone, e furono arrestati e giustiziati negli anni fra il 46 e il 48 d.C. 211 , in un’epoca non identica<br />

ma nemmeno lontana da quando sarebbero stati arrestati due apostoli e fratelli di Cristo: Giacomo e<br />

Simone. Ma i testi dei Vangeli e degli Atti degli Apostoli mostrano a più riprese il vizio di slittare<br />

gli eventi.<br />

Un altro figlio, probabilmente, era il Giuda detto Teuda, o Taddeo, che aveva cercato di sollevare<br />

una rivolta, intorno al 45 d.C., ed era stato catturato e ucciso dal procuratore Fado 212 . Di lui parlano<br />

210 Robert Eisenman, Giacomo il fratello di Gesù, Edizioni Piemme, Casale Monferrato (Al), 2007.<br />

211 “Oltre a ciò, i figli di Giuda il galileo furono uccisi; intendo di quel Giuda che produsse una rivolta di popolo,<br />

quando Quirino censì le proprietà dei giudei, come abbiamo mostrato in un libro precedente. I nomi di quei figli erano<br />

Giacomo e Simone, che Alessandro aveva fatto crocifiggere.” (G. Flavio, Antichità Giudaiche, XX, cap. 5, 2).<br />

212 “Capitò che, mentre Fado era procuratore della Giudea, un certo mago, il cui nome era Teuda, persuase una gran<br />

parte del popolo a prendere le loro cose e seguirlo al fiume Giordano; poiché aveva detto di essere un profeta e che, al<br />

suo comando, avrebbe fatto aprire il fiume per consentire loro un facile passaggio; e molti furono ingannati dalle sue<br />

parole. Comunque, Fado non consentì loro di trarre vantaggio dal tentativo, ma spedì una squadra di cavalieri contro<br />

di loro che, aggredendoli di sorpresa, ne uccise molti e molti li prese prigionieri. Catturarono vivo anche Teuda, e gli<br />

tagliarono la testa, portandola poi a Gerusalemme” (G. Flavio, Ant. Giu., XX, cap. 5, 1).


anche gli Atti degli Apostoli 213 . Potrebbe trattarsi di quel Giuda, detto Lebbeo, o Taddeo, ma<br />

anche Giuda Zelota, Giuda [fratello] di Giacomo, Giuda Tommaso detto Didimo, il terzo fratello di<br />

Gesù. Un altro si chiamava Menahem il quale, coerentemente con l’ossessione messianica che<br />

aveva caratterizzato tutta la famiglia da oltre un secolo, nel corso della fatidica guerra contro i<br />

romani degli anni 66/70 si insediò sul trono di Gerusalemme indossando la veste regale, finché non<br />

fu ucciso da avversari ebrei seguaci di altre fazioni 214 .<br />

Ora, considerato il fatto che molti studiosi hanno mostrato come il gruppo degli apostoli di Gesù<br />

sarebbe stato in realtà la cerchia dei suoi fratelli, talvolta moltiplicati in più personalità 215 , l‘ipotesi<br />

che in passato ho preso in considerazione è quella che il Cristo crocifisso da Pilato potesse essere il<br />

primogenito tra i figli di Giuda il galileo.<br />

Alla genesi di questa supposizione concorrono una lunga serie di indizi fra cui:<br />

1. le omonimie fra i fratelli di Gesù e i figli di Giuda il galileo;<br />

2. la vicinanza cronologica fra l’arresto di Giacomo e Simone, apostoli di Gesù, e l’arresto di<br />

Giacomo e Simone figli di Giuda, nonché il loro destino simile a quello di Cristo: la<br />

crocifissione;<br />

3. l’evidente censura ideologica operata nel corso della redazione evangelica tendente a<br />

scorporare la personalità zelotica dagli apostoli, nel tentativo di farli apparire totalmente<br />

estranei ad ogni interesse nella causa messianica;<br />

213 “Qualche tempo fa venne Teuda, dicendo di essere qualcuno, e a lui si aggregarono circa quattrocento uomini. Ma<br />

fu ucciso, e quanti s’erano lasciati persuadere da lui si dispersero e finirono nel nulla. Dopo di lui sorse Giuda il<br />

galileo, al tempo del censimento, e indusse molta gente a seguirlo, ma anch’egli perì e quanti s’eran lasciati<br />

persuadere da lui furono dispersi” (At V, 36); si noti curiosamente l’inversione dei tempi relativi alla comparsa dei<br />

due personaggi, in effetti Teuda operò una quarantina d’anni dopo la rivolta del censimento. Questo ci mostra ancora<br />

una volta come i redattori degli scritti neotestamentari siano abituati a compiere operazioni di slittamento nel tempo<br />

degli eventi di cui parlano.<br />

214 “La distruzione delle opere fortificate e la morte del sommo sacerdote Anania avevano esaltato Menahem fino alla<br />

ferocia, ed egli, ritenendo di non avere rivali come capo, si comportava da tiranno insopportabile. Ma contro di lui si<br />

levarono i partigiani di Eleazar, ripetendosi l’un l’altro che non era il caso di ribellarsi ai romani spinti dal desiderio<br />

di libertà per poi sacrificarla ad un boia paesano, e sopportare un padrone che, se anche non avesse fatto nulla di<br />

male, era pur sempre inferiore a loro; e ammesso pure che ci dovesse essere uno a capo del governo, questo compito<br />

spettava a chiunque altro più che a lui; così si misero d’accordo e lo assalirono nel tempio; vi si era infatti recato a<br />

pregare in gran pompa, ornato della veste regia e avendo i suoi più fanatici seguaci come guardia del corpo. Come gli<br />

uomini di Eleazar si furono scagliati su di lui, anche il resto del popolo tutto infuriato afferrò delle pietre e si diede a<br />

colpire il dottore, ritenendo che, levatolo di mezzo, sarebbe interamente cessata la rivolta; gli uomini di Menahem<br />

fecero un po’ di resistenza, ma quando videro che tutta la folla era contro di loro, fuggirono dove ognuno poté, e allora<br />

seguì una strage di quelli che venivano presi e una caccia a quelli che si nascondevano. Pochi trovarono scampo<br />

rifugiandosi nascostamente a Masada, e fra questi Eleazar figlio di Giairo, legato a Menahem da vincoli di parentela,<br />

che in seguito fu capo della resistenza a Masada. Quanto a Menahem, che era scappato nel quartiere detto Ofel e vi si<br />

era vigliaccamente nascosto, fu preso, tirato fuori e dopo molti supplizi ucciso, e così pure i suoi luogotenenti e<br />

Absalom, il principale ministro della sua tirannide” (G.Flavio, Guerra giudaica, II, 17, 442-448).<br />

215 Simone detto Pietro e Simone detto zelota, Giacomo di Zebedeo e Giacomo di Alfeo, Giuda Tommaso e Giuda<br />

Taddeo. Per non parlare poi degli apostoli con nomi greci, come Andrea e Filippo. O di quello che compare nei sinottici<br />

ma non nel quarto Vangelo: Matteo. E viceversa: Natanaele. Anche gli Atti degli Apostoli mostrano l’evidenza di<br />

personalità sdoppiate o confuse.


4. le censure e i tagli sulle identità dei personaggi 216 ;<br />

5. la censura del significato del termine nazareno;<br />

6. l’adozione di città fittizie come luoghi di nascita o di residenza di Cristo;<br />

7. l’inadeguatezza della città di Nazaret rispetto a certe descrizioni geografiche presenti nella<br />

narrazione evangelica, per esempio la questione del precipizio 217 , unitamente al fatto che la<br />

discussione sull’esistenza di Nazaret al tempo di Cristo è ancora argomento aperto;<br />

8. il comune nome di setta: galilaei 218 ;<br />

9. la comune politica di obiezione fiscale 219 ;<br />

10. la comune ambizione messianica 220 .<br />

Purtroppo ho riscontrato spesso una grande difficoltà nel far capire ai miei lettori che, nel corso di<br />

un lavoro di indagine su una materia complessa e sfuggente come questa, così ricca di aspetti<br />

irrimediabilmente contraddittori, che ad ogni piè sospinto sembrano confermare un’idea per poi<br />

riconfutarla, può essere utile avanzare ipotesi che mostrano alcuni elementi di verosimiglianza,<br />

anche senza essere disposti a sostenerle in modo assoluto e definitivo. Con troppa insistenza il<br />

pubblico mostra l’esigenza di ricevere risposte che diano l’impressione di avere finalmente<br />

raggiunto un risultato definitivo e appagante. Con troppa facilità si pensa che colui che propone<br />

un’ipotesi sia il suo incondizionato patrocinatore.<br />

Al di là delle argomentazioni storiche, archeologiche e filologiche 221 che gettano sospetti sulla città<br />

di Nazaret, quando la visitai, sulle morbide colline della Galilea, fui colpito in modo concreto dal<br />

fatto che, per molti aspetti, essa non sembrava corrispondere alle descrizioni evangeliche del<br />

villaggio in cui i Vangeli ambientano la vita di Gesù adulto. Innanzitutto perché a Nazaret si nota la<br />

più totale assenza di rovine risalenti all’epoca di Cristo, che invece abbondano altrove. Dove sono<br />

216 Per esempio, i Vangeli sinottici si sono impegnati a far praticamente scomparire l’importante famiglia di Betania,<br />

quella di Lazzaro e delle sorelle Marta e Maria, in particolare quest’ultima è stata reinserita nelle narrazioni sinottiche,<br />

ma solo dopo un cambio di identità, chiamandola Maria Maddalena, o di Magdala.<br />

217 Lc IV, 14-30.<br />

218 “In verità, anche questo era con lui; è anche lui un galileo” (Lc XXII, 59); “Una serva gli si avvicinò e disse: Anche<br />

tu eri con Gesù, il galileo!” (Mc XXVI, 69). Si tenga presente che Giuda era chiamato “il galileo” senza che nemmeno<br />

lo fosse realmente, a dimostrazione di quanto si fosse affermato il significato dell’attributo, con riferimento alla setta<br />

degli zeloti, dopo che costoro, a Sefforis, in Galilea, nel 4 a.C., erano riusciti, con una straordinaria operazione militare,<br />

a depredare gli arsenali regi.<br />

219 “Abbiamo trovato costui che sobillava il nostro popolo, impediva di dare tributi a Cesare…” (Lc XXIII, 2). Questo,<br />

nonostante che gli stessi Vangeli si adoperino, altrove, a far credere che Gesù avesse preso una esplicita posizione<br />

lealista nei confronti della questione del tributo a Cesare. In realtà, la ragione che lo portò a morire sulla croce, fu<br />

proprio l’adesione al tema caratteristico della protesta zelotica avviata da Giuda di Gamala.<br />

220 “…e affermava di essere il Cristo re” (Lc XXIII, 2); “Erano le nove del mattino quando lo crocifissero. E<br />

l'iscrizione con il motivo della condanna diceva: Il re dei Giudei” (Mc XV, 25).<br />

221 Né la Bibbia, né il Talmud, né Filone Alessandrino, né Giuseppe Flavio, hanno mai nominato la città di Nazaret.<br />

Nessun contemporaneo di Gesù, o persona vissuta nei periodi successivi, nel primo secolo, ha mai conosciuto questa<br />

città. Eppure Giuseppe Flavio è stato comandante generale delle truppe ebraiche in Galilea, e nei suoi scritti ha fornito<br />

dettagliati resoconti di ogni centro abitato della Galilea. Si tratta di una prova in negativo, cioè non si tratta di una<br />

prova, nel senso corretto del termine. Ma le conclusioni sembrano volersi imporre in modo abbastanza robusto.


finite le mura, le case e la sinagoga del primo secolo, di cui invece esistono i resti visibili, in altre<br />

località della Palestina? Come si spiega che, percorrendo in macchina il tragitto da Nazaret al lago<br />

di Tiberiade, si comprende quanto sarebbe stato difficile per gli abitanti seguire il maestro quando si<br />

recava a predicare sulla riva del lago? 36 km, con un dislivello di circa seicento metri. L’andata e il<br />

ritorno avrebbero richiesto giorni di faticoso cammino. Non sarebbe stato così semplice ed<br />

immediato, come appare invece dai racconti evangelici. E poi perché la città di Cristo, con una certa<br />

insistenza, è descritta come “una città sul monte”, mentre la Nazaret ove oggi sorge la basilica della<br />

natività è posta nell’avvallamento fra i colli? E ancora perché Luca, nel suo Vangelo, parla<br />

esplicitamente di un precipizio che avrebbe dovuto trovarsi a fianco del paese?<br />

“All'udire queste cose, tutti nella sinagoga furono pieni di sdegno; si levarono, lo<br />

cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte sul quale la loro città<br />

era situata, per gettarlo giù dal precipizio. Ma egli, passando in mezzo a loro, se ne<br />

andò” 222 .<br />

Nella Nazaret moderna, dove si svolgono innumerevoli pellegrinaggi dei fedeli cristiani, non ci<br />

sono resti di sinagoghe, né traccia di precipizi. Alcuni esegeti commentano che Luca non aveva una<br />

buona conoscenza geografica dei luoghi di cui scriveva, ma l’episodio in cui la gente minaccia<br />

apertamente di gettare l’uomo dal precipizio non sembra poter dipendere da una conoscenza<br />

imprecisa, perché la mancanza del precipizio esclude la sostanza del fatto stesso.<br />

Al contrario, per me fu abbastanza intenso l’impatto col sito archeologico della città di Gamla (o<br />

Gamala), nel Golan, dopo avere già acquisito una buona serie di ragioni per pensare che questa<br />

potesse essere la città d’origine dell’aspirante messia che Pilato aveva fatto crocifiggere. Non<br />

appena ebbi posteggiata l’auto e mi fui affacciato dall’alto sulla vallata di Gamla, molti dei paesaggi<br />

e degli eventi descritti dalla narrazione evangelica sembrarono acquistare finalmente uno scenario<br />

in cui potevano ambientarsi naturalmente.<br />

Il termine gamla significa cammello, ed è diventato il nome del villaggio perché questo è situato<br />

sulla ripida fiancata di un colle, in prossimità della cima, come adagiato su una schiena di<br />

cammello. Un’autentica “città sul monte”. Nel primo secolo a.C. era la città di quell’Ezechia di cui<br />

abbiamo già parlato, autorevole rabbì e padre di Giuda il galileo, che fomentava rivolte antiromane<br />

e che fu definito da Giuseppe Flavio col termine dispregiativo di archilestes, capo brigante. Si<br />

faccia attenzione ad un fatto importante: Giuda era chiamato “il galileo” non perché fosse originario<br />

della Galilea, in realtà era golanita, ma perché le sue gesta sovversive si erano svolte inizialmente<br />

nei territori della Galilea, e l’aggettivo, oltre ad essere affibbiato a lui, finì per diventare un attributo<br />

222 Lc IV, 28-30.


comune della setta degli zeloti. A quel tempo, pronunciare in Gerusalemme un’espressione come<br />

“Gesù il galileo” avrebbe potuto suscitare significati compromettenti, ben oltre la semplice<br />

indicazione geografica. Questo fatto deve essere chiaramente inteso e tenuto presente, se non si<br />

vuole rischiare di travisare completamente la comprensione del clima politico in cui si sono svolti i<br />

fatti della narrazione evangelica.<br />

Gamla era fortificata con una cinta di mura robuste di cui ancora oggi restano evidenti<br />

testimonianze. Gli scavi archeologici, iniziati da parte del governo israeliano dopo la guerra del<br />

1967 che aveva portato alla conquista di parte del territorio del Golan, hanno mostrato la sua<br />

struttura e hanno offerto la possibilità di identificare quel sito con la città di Gamla, di cui Giuseppe<br />

Flavio aveva scritto copiosamente, ma la cui collocazione, fino a quel momento, era ritenuta<br />

sconosciuta. Si noti, a questo proposito, una passo del Vangelo copto di Tomaso:<br />

“...Gesù disse: “Nessun profeta è benvenuto nel proprio circondario; i dottori non curano i<br />

loro conoscenti... una città costruita su un'alta collina e fortificata non può essere presa, né<br />

nascosta...”” 223 .<br />

È interessante confrontare questo passo di un testo gnostico, appartenente alla collezione reperita a<br />

Nag Hammadi a metà del secolo scorso, con un analogo passo dei Vangeli canonici:<br />

“Ma Gesù disse loro: “Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa<br />

sua”” 224 ,<br />

Cristo si riferisce alla sua città, dove non è riconosciuto dalla gente comune per il suo<br />

insegnamento. La frase successiva del Vangelo copto di Tomaso parla di una città situata sul monte<br />

e “fortificata”, come lo era Gamla, ma la frase analoga, nel Vangelo secondo Matteo,<br />

“non può restare nascosta una città collocata sopra un monte” 225 ,<br />

è stata allontanata da quel passo ed è stata privata del riferimento alle fortificazioni. Come se<br />

l’evangelista si fosse preoccupato di non lasciar intravedere che la città di Cristo era situata su un<br />

monte ed era fortificata.<br />

Gli scavi archeologici hanno evidenziato la presenza di monete, inesistenti altrove, che<br />

inneggiavano alla “liberazione di Gerusalemme la santa”. Non ce ne meravigliamo: Gamla era la<br />

223 Vangelo copto di Tomaso, 31-32.<br />

224 Mt XIII, 57


patria d’origine del movimento dei galilaei, i terribili zeloti che insanguinarono la Palestina per<br />

decenni e che, alla fine, provocarono la scintilla della grande guerra degli anni 66/70 e, con essa, la<br />

distruzione completa di Israele.<br />

Ma c’è di più. I romani conoscevano bene questa città, perché le legioni di Vespasiano, guidate dal<br />

futuro imperatore, la dovettero cingere d’assedio, per mesi, prima di riuscire ad espugnarla ed<br />

annientare questo pericoloso focolaio di ribelli. Giuseppe Flavio ci racconta i particolari<br />

dell’assedio durissimo ed anche di azioni di combattimento in cui lo stesso Vespasiano rischiò la<br />

vita. Di notevole importanza è la condotta degli abitanti della città che, vistisi perduti, preferirono<br />

suicidarsi in massa, proprio come i ribelli di Masada, passandosi a fil di spada o gettandosi giù dalla<br />

scarpata. Un tipico comportamento zelotico.<br />

Qui esiste veramente un precipizio! Ed esistono anche i bellissimi resti della sinagoga, a breve<br />

distanza dalla scarpata. Ed è qui che il racconto Lucano della folla inferocita, che voleva scagliare<br />

Gesù nel baratro, avrebbe potuto realmente ambientarsi. Così come sarebbe stato possibile che gli<br />

abitanti seguissero il Cristo allorché si recava a predicare sulla riva del lago, dal momento che fra<br />

Gamla e il lago c’è un percorso diretto di circa 8 km, lungo una valle solcata da un torrente. In<br />

meno di due ore chiunque avrebbe potuto discendere lungo il torrente e raggiungere la riva nord<br />

orientale del lago, presso il villaggio che costituiva l’accesso naturale di Gamla alle acque di<br />

Tiberiade: Betsaida.<br />

Purtroppo, su mappe presenti in alcuni libri di storia del cristianesimo primitivo, ed anche in alcuni<br />

siti web, la posizione della città di Gamla (e talvolta anche di Betsaida) è indicata in modo molto<br />

impreciso: spesso allontanata dal lago e spostata verso sud. Non saprei dire se ciò deriva da<br />

semplice ignoranza o, talvolta, dal desiderio di staccare quel luogo dalle aree di frequentazione di<br />

Gesù. Al fine di togliersi ogni dubbio è sufficiente consultare l’immagine satellitare offerta da<br />

Google Earth, per verificare che Gamla è molto vicina al lago di Tiberiade, che si trova in<br />

prossimità della costa nord est e che da essa scorre un torrente che sfocia nel lago, nelle vicinanze di<br />

Betsaida di Galilea.<br />

In pratica, nei loro movimenti, i cittadini di Gamla dovevano comunque scendere verso Betsaida e<br />

poi, eventualmente, proseguire in barca. Questo fatto lega intimamente Gamla e Betsaida, anche<br />

considerando il fatto che, ai tempi di Gesù, l’economia di Gamla si basava sulla produzione di olio<br />

di oliva e che, certamente, Betsaida era il centro di smistamento della merce che partiva per le varie<br />

destinazioni. È anche possibile che, per coloro che vivevano affacciati sulle rive del lago di<br />

Tiberiade, l’espressione “andare a Betsaida”, cioè prendere un’imbarcazione ed approdare a<br />

Betsaida, fosse implicitamente sinonimo di “andare a Gamla”.<br />

225 Mt V,14.


Il silenzio intorno a Gamla, nella letteratura neotestamentaria, è assoluto e categorico. Praticamente<br />

la città non esiste. Mentre esiste abbondantemente nei resoconti storici, specialmente quelli di<br />

Giuseppe Flavio. Negli scritti evangelici esiste invece una città situata sul monte, tale da non poter<br />

rimanere nascosta, fortificata, con una sinagoga vicina ad un precipizio, abbastanza vicina al lago di<br />

Tiberiade da consentire spostamenti verso la riva in tempi reali. Ma questa città si chiama Nazaret, e<br />

non esiste affatto nei resoconti storici. E in realtà non ha alcun precipizio, nessuna sinagoga, non è<br />

fortificata, è molto lontana dal lago di Tiberiade. E si pretende anche, contro ogni evidenza, che<br />

nazareno significhi cittadino di Nazaret! Si ricordi che gli autori delle due natività, i presunti<br />

Matteo e Luca, hanno fatto nascere Gesù a Betlemme e l’hanno fatto crescere a Nazaret, ma si<br />

prenda in considerazione la possibilità che entrambe le attribuzioni siano del tutto leggendarie.<br />

Si noti adesso quanto segue:<br />

“Filippo era di Betsaida, la città di Andrea e di Pietro” 226 .<br />

Veniamo cioè a sapere, attraverso il quarto Vangelo, che una scena di reclutamento di nuovi<br />

apostoli si svolge proprio a Betsaida, e che Simon Pietro, Andrea e Filippo sarebbero stati originari<br />

di quel paese, che sorgeva ai piedi di Gamla. Ora, molti elementi fanno capire che, al di là di certe<br />

apparenze della narrazione evangelica, alcuni degli apostoli erano fratelli fra loro e fratelli di Cristo<br />

e, fra questi, anche Simone detto Pietro, il barjona – non figlio di Giona ma, secondo la lingua<br />

aramaica, latitante, fuorilegge, ribelle 227 . Come abbiamo già detto, fratelli di Cristo erano anche<br />

Giacomo e Giuda Tommaso, o Taddeo/Teuda.<br />

“Ordinò poi ai discepoli di salire sulla barca e precederlo sull'altra riva, verso Betsàida,<br />

mentre egli avrebbe licenziato la folla. Appena li ebbe congedati, salì sul monte a pregare.<br />

Venuta la sera, la barca era in mezzo al mare ed egli solo a terra” 228 ;<br />

“Giunsero a Betsàida, dove gli condussero un cieco pregandolo di toccarlo” 229 ;<br />

“Allora si mise a rimproverare le città nelle quali aveva compiuto il maggior numero di<br />

miracoli, perchè non si erano convertite: “Guai a te, Corazin! Guai a te, Betsàida. Perché,<br />

226 Gv I, 44<br />

227 Si vedano i miei già citati scritti ed anche i già citati lavori di R. Eisenman.<br />

228 Mc VI, 45-46<br />

229 Mc VIII, 22


se a Tiro e a Sidone fossero stati compiuti i miracoli che sono stati fatti in mezzo a voi, già<br />

da tempo avrebbero fatto penitenza, ravvolte nel cilicio e nella cenere” 230 ;<br />

“Allora li prese con sé e si ritirò verso una città chiamata Betsàida. Ma le folle lo seppero e<br />

lo seguirono. Egli le accolse e prese a parlar loro del regno di Dio” 231 ;<br />

“Guai a te, Corazin, guai a te, Betsàida! Perché se in Tiro e Sidone fossero stati compiuti i<br />

miracoli compiuti tra voi, già da tempo si sarebbero convertiti vestendo il sacco e<br />

coprendosi di cenere. Perciò nel giudizio Tiro e Sidone saranno trattate meno duramente<br />

di voi. E tu, Cafàrnao, sarai innalzata fino al cielo? Fino agli inferi sarai precipitata!” 232 ;<br />

“Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa, c'erano anche alcuni Greci. Questi<br />

si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli chiesero: “Signore, vogliamo<br />

vedere Gesù”” 233 .<br />

Le tre città, Betsaida, Corazim e Cafarnao, che evidentemente rappresentano luoghi in cui Gesù si<br />

trovava spesso, mostrano un’assidua frequentazione del versante nord e nord orientale del lago di<br />

Tiberiade. Tanto più che i suoi apostoli fratelli erano di Betsaida. È qui che Gesù aveva compiuto<br />

“il maggior numero di miracoli”, è proprio contro queste città che si è scagliato quando, infervorato<br />

dall’ira, lanciava oscure maledizioni. Non ha inveito contro Nazaret, o Cana, Magdala, luoghi<br />

comuni della Galilea centrale. Non possiamo non capire che questa zona, a cavallo fra la Galilea<br />

settentrionale e il Golan, era l’area dei suoi spostamenti comuni. Invece, l’accesso naturale di<br />

Nazaret al lago, pur tenendo conto della distanza non indifferente, è sul versante sud occidentale.<br />

Betsaida era il porto di Gamla, e questo ci dimostra che Gesù doveva avere avuto a che fare con la<br />

fatidica città fortificata sul monte, che i romani ricordavano come uno dei luoghi maledetti della<br />

loro attività politica e militare in Palestina.<br />

Confessare, nelle scritture evangeliche, che Gesù frequentava questo villaggio o, addirittura, che era<br />

originario di Gamla, sarebbe stato come riconoscerlo immediatamente collegato ai movimenti zeloti<br />

e alla famiglia di Giuda il galileo. Molto meglio allontanarlo da quel luogo e, nello stesso tempo,<br />

denaturare il significato del titolo nazoraios, facendolo passare per cittadino di Nazaret.<br />

230 Mt XI, 20-21<br />

231 Lc IX, 10-11<br />

232 Lc X, 13-15<br />

233 Gv XII, 20-21


Natale.<br />

Alcuni anni fa fui invitato ad un congresso anticlericale, nel corso del quale un relatore esordì<br />

affermando, in modo categorico e sbrigativo, che le religioni sono inutili e dannose. Alla sua<br />

dichiarazione fecero seguito vivaci espressioni di entusiasmo da parte del pubblico. Provai<br />

istintivamente una sensazione fastidiosa, ebbi la percezione di un clima culturalmente scorretto,<br />

ideologicamente schierato, nel quale è facile abbandonarsi al fanatismo.<br />

Quando arrivò il mio turno per parlare, feci notare che, se dovessimo trovare un punto, nel cammino<br />

evolutivo della nostra specie, in cui possiamo immaginare che l’animale sia diventato uomo, questo<br />

potrebbe essere individuato nella fase in cui i neandertaliani iniziarono a sviluppare un complesso<br />

culto dei morti, manifestando così il senso del sacro. L’atto di nascita dell’umanità, a mio parere,<br />

piuttosto che da certi risultati del progresso tecnologico, è rappresentato dalla comparsa della<br />

spiritualità. Non ci furono contestazioni, ma un sorpreso silenzio che riconosceva il peso di queste<br />

parole, sebbene in un contesto non molto disponibile alle arringhe in difesa della spiritualità.<br />

L’uomo, essere pensante e creatura sociale, ha bisogno di simboli e di riti, e la verità ha bisogno del<br />

supporto della fantasia, la quale spesso produce immagini rappresentative, atte a comunicare e<br />

insegnare e non, come da qualche parte si vorrebbe credere, semplici bugie. È così che gli adulti<br />

insegnano ai bambini, attraverso la suggestione delle fiabe, le quali sono destinate, un giorno, a<br />

perdere la loro cornice fantastica per conservare il valore psicologico, etico e culturale in generale.<br />

Non credo che qualcuno accuserebbe di disonestà essenziale coloro che hanno creato i miti religiosi<br />

dell’antica Grecia, o di altri popoli, pensando che lo abbiano fatto con la precisa volontà di<br />

ingannare la gente. O che un’infamia di questo genere possa essere attribuita ad Omero, nel<br />

momento in cui, componendo l’Iliade e l’Odissea, le infarciva di leggenda e di magia. Così come<br />

non credo che sia stato un atto di disonestà la nascita del mito cristiano, anche se spesso si è svolto<br />

mediante una libera reinterpretazione della storia. Almeno fintantoché ciò non è diventato una<br />

strumentalizzazione ai fini del potere. Di questo, senz’altro, ci ha dato testimonianza l’ispirazione<br />

che mosse Costantino nel condurre il Concilio di Nicea, nel corso del quale fece il possibile per<br />

adattare la dottrina della chiesa alle esigenze e alle convenienze del governo dell’impero.<br />

In effetti lo spirito combattivo e la partigianeria degli anticlericali può trovare giustificazione nelle<br />

violenze effettuate sul senso del sacro, negli abusi dell’autorità religiosa, e nei dispotismi dottrinari,<br />

ma non è autorizzato per questo ad estendersi verso una pretesa radicale di eliminazione della<br />

spiritualità, una sorta di crociata abrogativa della religione.<br />

Non esiste un popolo senza religione. Non può esistere un popolo che, in un modo o nell’altro, non<br />

abbia una tradizione religiosa e un sistema di riti legati al senso del sacro. Non può esistere una


cultura che faccia a meno del mito e, da questo punto di vista, possiamo affermare che la dottrina<br />

cattolica, da una parte, e l’ateismo materialista, dall’altra, commettono uno sbaglio fondamentale: la<br />

prima non volendo riconoscere l’immagine di Gesù come mito, il secondo rifiutando a priori il mito<br />

in quanto tale. In effetti entrambi, per motivi diversi, accettano che la società evolva in una<br />

direzione che impoverisce comunque il senso della spiritualità, perché coinvolge l’uomo in una<br />

corsa sfrenata verso un benessere materiale esagerato, irresponsabile, accecante, capace di<br />

demotivarlo sempre di più dall’alzare lo sguardo verso la luce fragile delle stelle.<br />

Ma il Natale giunge puntualmente ogni anno nelle città dell’occidente cristiano, generalmente<br />

associato al clima invernale, anche se molti paesi, in America latina e in Australia, lo festeggiano in<br />

una cornice decisamente estiva. Il Natale fa parte della civiltà occidentale da molto prima che<br />

nascesse il cristianesimo. Abbiamo già parlato del fatto che il 25 dicembre fosse una festività<br />

affermata e diffusa nel mondo pagano mediterraneo, riferita alla nascita del dio sole. Persino il<br />

presepe e il costume dei doni natalizi hanno un’origine precristiana.<br />

In effetti, così come non è possibile immaginare una civiltà senza religione, non è possibile neanche<br />

immaginarla senza una tradizione che faccia riferimento all’archetipo della nascita, della maternità<br />

e della famiglia. A questo proposito aggiungerei anche “della paternità”, spinto da un’attitudine che<br />

mi costringe ad associare nella loro complementarità naturale i ruoli della madre e del padre. Ruoli<br />

che l’immagine evangelica distorce, lasciando alla donna il compito biologico di custodire il<br />

nascituro nel suo grembo, anzi, contribuendo a sacralizzare questa funzione, ma privando il maschio<br />

del suo ruolo, e determinando così due rovinose conseguenze. Una è quella di dipingere l’archetipo<br />

del padre come semplice tutore familiare, buon amministratore e protettore, l’altra è quella di<br />

misconoscere totalmente l’importanza della sessualità, al contrario, di associarla indissolubilmente<br />

all’idea del peccato e di produrre una fortissima inibizione nei confronti della gioia fisica<br />

dell’unione coniugale.<br />

Ma non è questo l’aspetto del Natale cristiano su cui vogliamo porre la nostra attenzione,<br />

intendiamo piuttosto domandarci cosa e quanto significa ancora questa festa nella civiltà moderna<br />

occidentale. E, naturalmente, la risposta deve avere un carattere articolato. La società non è<br />

omogenea, le persone hanno culture, credenze e atteggiamenti diversi, e il senso del Natale<br />

rispecchia questa molteplicità. Certo è che, se cerchiamo di generalizzare, non possiamo non<br />

rilevare che l’aspetto più appariscente, e forse anche preponderante, è diventato quello<br />

consumistico. Veicolato dai mass media i quali, accanto ad uno sforzo modesto per ricordare il<br />

senso religioso delle natività evangeliche, si dedicano con energia a rappresentare il Natale come<br />

una grande festa dello shopping, dei regali, delle riunioni familiari a base di pasti pantagruelici,<br />

delle vacanze invernali, dei viaggi, e quant’altro.


Mi domando se l’eventuale mortificazione del Natale è realizzata in modo più nocivo, e persino<br />

inafferrabile, dall’esecuzione di un’analisi storica che vuole distinguere gli aspetti leggendari da<br />

quelli storici, o piuttosto dallo stabilirsi di una suggestione consumistica collettiva che ne distorce<br />

l’immagine spirituale e l’insieme dei valori che questa ricorrenza dovrebbe rappresentare.<br />

Da più parti si risponde che il Natale come gioia, come festa, come incontro, è coerente col suo<br />

spirito originario, anche nel fatto stesso di pensare, una volta l’anno, a regalare qualcosa a parenti,<br />

amici e conoscenti. E questo potrebbe essere vero, se non fosse che, in realtà, la dimensione<br />

consumistica fagocita tutto in modo così arrogante da produrre un inevitabile, e talvolta<br />

irrimediabile, effetto psicologico. Personalmente ritengo che questo equivalga ad una dissacrazione<br />

del Natale assai peggiore di quella che può essere effettuata da studi storici che mostrano gli aspetti<br />

mitologici della tradizione.<br />

E, viene inevitabilmente domandarsi, in quale misura i rappresentanti della dottrina cristiana, si<br />

adoperano, al di là di qualche debole sporadico intervento verbale, per insistere affinché il Natale<br />

sia vissuto dalla collettività in modo coerente coi valori che dovrebbe trasmettere? O non<br />

preferiscono piuttosto tollerare, rassegnati ad una logica di convenienza, che il Natale si associ,<br />

nella realtà dei fatti, all’idea dell’abbondanza, dell’ostentazione e dello spreco? Contentandosi di<br />

salvaguardare gli aspetti liturgici e le abitudini cultuali, per poi cedere il posto ad un atteggiamento<br />

secolarizzante, ormai ben consolidato.<br />

Per quanto leggendari possano essere i racconti della natività, essi trasmettono alcune precise scelte<br />

ideologiche e religiose che non possono essere facilmente travisate. La nascita del dio incarnato, o<br />

del re messianico, non si ambienta nella cornice opulenta adeguata ad una concezione faraonica, che<br />

glorifica la grandezza spirituale attraverso la grandezza materiale. Al contrario, la famiglia in cui è<br />

generato Gesù è dipinta nella sua caratteristica umiltà e, se nella natività di Matteo il bambino vede<br />

la luce in una modesta abitazione, in quella lucana è partorito addirittura in un serraglio per gli<br />

animali, e posto in una mangiatoia, come la più dimessa delle creature.<br />

Tutto ciò non incoraggia l’immagine di un Natale opulento, né si confà con la filosofia di fondo<br />

dell’occidente cristiano, che guida il mondo intero coi suoi modelli di consumo, trascinando nella<br />

corsa al benessere materiale, o purtroppo semplicemente nell’ambizione ad esso, i paesi di tutto il<br />

pianeta, a qualunque tradizione e cultura essi appartengano.<br />

Questa consapevolezza è incorporata anche nella moderna contestazione anticlericale, fondata su<br />

una concezione di derivazione marxista. Ma, al posto delle tradizioni religiose, e al calore che esse<br />

portano nello scorrere delle stagioni, quale legame propone il materialismo storico con le nostre<br />

origini culturali e spirituali? E quali espressioni sociali del nostro anelito istintivo ad una<br />

dimensione di sacertà che possa essere vissuta collettivamente?


Buona parte dell’anticlericalismo moderno rappresenta la volontà sommaria di cancellare la<br />

tradizione religiosa, e invita ad una visione materialistica della vita, esaltando il principio della<br />

ragione, o meglio della razionalità, come unico riferimento a cui ispirare i valori dell’esistenza. Si<br />

tratta, a mio parere, di una posizione infantile, più immatura di quella che, millenni fa, già<br />

caratterizzava il pensiero dei filosofi greci. Non possiamo certo rimproverare loro di aver<br />

sottovalutato l’importanza della ragione. La principale affermazione pitagorica era che “il mondo<br />

intero fosse armonia e numero”. Ciò nonostante i filosofi greci non hanno mai costruito sistemi di<br />

pensiero all’interno dei quali razionalità e spiritualità fossero destinate a confrontarsi così<br />

conflittualmente. Almeno nel modo in cui si sono confrontate, a partire dal diciassettesimo secolo,<br />

nell’occidente cristiano.<br />

È proprio l’occidente cristiano che ha coltivato questa contraddizione, attraverso un plurisecolare<br />

connubio fra chiesa e potere, fra religione ed economia, che ha portato a circostanze di autentica<br />

dittatura culturale, in cui l’autorità ecclesiastica pretendeva, e in buona misura pretenderebbe ancora<br />

oggi, di avere il monopolio e il controllo assoluto sulla conoscenza scientifica, sulle verità dello<br />

spirito, sull’etica sociale. Il razionalismo materialista è una conseguenza di questa realtà, scusabile<br />

in quanto tale, ma senz’altro da compatire per la povertà essenziale del suo valore,<br />

irrimediabilmente insufficiente a rappresentare le esigenze dell’uomo e la complessità della sua<br />

interiorità.<br />

Credo che l’uomo moderno abbia bisogno di compiere una maturazione, nel senso di superare<br />

questa antica contraddizione, e di recuperare la compatibilità fra la ragione e il senso del sacro. È<br />

difficile, da un lato, perché le consuetudini sono radicate, ma non è difficile, dall’altro, perché ciò<br />

rappresenta un’esigenza sentita, in modo consapevole o meno, da tutti.<br />

Quando chiedo alle persone, principalmente di estrazione laica e di educazione aconfessionale, se il<br />

Natale significa in qualche modo, per loro, una circostanza che tocca l’animo, che suscita emozioni,<br />

che rappresenta qualcosa, la risposta può anche essere formulata in modo critico, ma c’è sempre un<br />

sì che appare, esplicitamente o meno, a dimostrazione del fatto che l’importanza e la suggestione<br />

del Natale non risparmiano nessuno. Non foss’altro perché ognuno è legato ai ricordi della sua<br />

infanzia, all’affetto dei genitori, dei nonni, degli zii, ai regali, al folklore, ai colori delle luminarie,<br />

degli alberi decorati, ai paesaggi del presepe, ai suoni delle zampogne.<br />

Gli anticlericali vorrebbero relegare la ricorrenza religiosa agli spazi riservati che una società<br />

laicizzata, ma democratica, può permettersi di concedere ai credenti. Come quando una legge<br />

consistente di follia pura decise di abrogare, per fortuna provvisoriamente, la festa dell’Epifania.<br />

Ma la Befana si è presa la rivincita sul giudizio dei legislatori, ed è rientrata nel calendario. Il 6<br />

gennaio a scuola si era trasformato spontaneamente in una celebrazione in cui i primi entusiasti,<br />

nostalgici e pronti a cavalcare scope volanti, erano gli insegnanti.


Nessuno, nella civiltà occidentale, seguirà gli inviti dei campioni del raziocinio laico, e tutti<br />

continueranno a festeggiare, nella santa notte, la nascita del bambinello Gesù. Nei secoli a venire. Il<br />

problema non è quello della laicizzazione, anche perché, di fatto, il processo di globalizzazione<br />

commerciale agisce già come una forte laicizzazione, nel senso più lato del termine. Il problema è<br />

quello dell’attribuzione del significato alle cose e, nel nostro caso, alla ricorrenza del Natale.<br />

Personalmente sono convinto che la liberazione del Natale dai vincoli di un’impostazione<br />

dottrinaria dogmatica, erede degli sviluppi passati di un’istituzione ecclesiastica che spesso ha<br />

smerciato il sacro in cambio del profano, non può che aprire le porte ad un arricchimento spirituale,<br />

e al recupero dei valori autentici del Natale. Non posso fare a meno di ripetere, a questo proposito,<br />

un concetto già espresso: di un Natale che non ha solo duemila anni, ma molti di più.<br />

Il problema è la lettura delle cose e la conoscenza delle loro radici. Allora l’uomo può conoscere se<br />

stesso e migliorarsi. Il Natale è senz’altro una delle porte attraverso le quali dobbiamo continuare a<br />

passare. Da svegli.

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