Manifesti futuristi architettura arredamento urbanistica - Ticonzero
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Doesburg, il fondatore del De Sijl, riconobbe nel 1929 l‟originalità del<br />
contributo futurista proprio nel campo dell‟integrazione <strong>urbanistica</strong><br />
dell‟abitare con la mobilità.<br />
Enrico Prampolini (1894-1956) e Umberto Boccioni (1882-1916)<br />
preciseranno meglio i concetti, anche se i loro scritti, pur insistendo quasi<br />
sugli stessi valori, si appoggiano più sull‟estetica che sulla progettazione,<br />
dando così vita a un secondo filone ispiratore dell‟<strong>architettura</strong> futurista. C‟è<br />
qui, infatti, una differenza tra la linea di ricerca di Boccioni e quella di<br />
Sant‟Elia, destinata, nonostante i tentativi di sintesi teorica di Marinetti, a<br />
approfondirsi con il tempo e a togliere unitarietà alle proposte futuriste, a<br />
sfociare in un eclettismo di movimento del tutto privo di rigore. Del resto,<br />
sia Prampolini che Boccioni non erano architetti, anche se il primo costruirà<br />
nel 1928 il Padiglione Futurista all‟Esposizione nazionale delle arti<br />
decorative e presenterà molti anni dopo dei progetti per la costruzione<br />
dell‟E42 di Roma.<br />
Anche per Boccioni la decoratività di un edificio viene affidata<br />
all‟esposizione delle sue parti strutturali, alle giunzioni e ai raccordi tra i<br />
diversi materiali, rispettandone la natura e sottolineandone la presenza<br />
attraverso il colore, per esempio dipingendo con tonalità violente i bulloni.<br />
“È un errore bestiale – lasciò scritto nel Manifesto inedito pubblicato solo<br />
nel 1972 – il far scomparire dalla costruzione queste materie mascherandole<br />
truccandole con intonachi, stucchi finti marmi e altre simili volgarità<br />
dispendiose e inutili”. E aggiunge “anche la facciata di una casa deve<br />
scendere salire scomporsi entrare o sporgere secondo la potenza di necessità<br />
degli ambienti che la compongono. È l‟esterno che l‟architetto deve<br />
sacrificare all‟interno come in pittura e in scultura. E poiché l‟esterno è<br />
sempre un esterno tradizionale, il nuovo esterno che ne risulterà dal trionfo<br />
dell‟interno creerà ineluttabilmente la nuova linea architettonica”. Insomma,<br />
si assiste qui a un rovesciamento dell‟impostazione di Sant‟Elia. La<br />
simmetria non deve prevalere sull‟utilità e sono gli ambienti interni a essere<br />
assimilati a un motore, quanto a massimo rendimento, mentre l‟esterno deve<br />
essere sacrificato all‟interno, anzi ne deve essere una proiezione. La rottura<br />
della simmetria, componente tradizionale di ciò che è definito Bello, diviene<br />
anche qui uno dei fattori costitutivi della nuova estetica. Personalmente,<br />
considero il Beaubourg di Parigi, alla luce di queste teorizzazioni, un<br />
esempio da manuale di <strong>architettura</strong> futurista.<br />
Nel caso di Volt (Vincenzo Fani, 1888-1927) e della sua stravagante<br />
proposta di abolire i piani delle case, siamo nella sfera della non<br />
<strong>architettura</strong>, della provocazione che unisce il massimo dell‟asimmetria alla<br />
casualità mobile degli interni. Con Fani si entra nella classica dimensione<br />
futurista, nella quale alla progettazione architettonica, poverissima di<br />
realizzazioni pratiche, si sostituisce un fuoco artificiale di proposte, di<br />
suggestioni e di invenzioni tese a superare ciò che in precedenza era stato