PARROCCHIA dei SS. FAUSTINO e GIOVITA - MODENA
PARROCCHIA dei SS. FAUSTINO e GIOVITA - MODENA
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O C C H I A<br />
spesso nella vita quotidiana non vivono concretamente i valori che<br />
professano in Chiesa. Emerge sempre più un senso di<br />
deresponsabilizzazione nei confronti della città, dell’ambiente (creato)<br />
nel quale si vive e questo porta a non partecipare alla “vita pubblica”<br />
intesa come servizio agli altri, cioè come forma di carità non solo per i<br />
singoli ma per la collettività. E' importante quindi riflettere sulla<br />
situazione relativa alla trasmissione della tradizione cristiana e sul<br />
patrimonio di valori che essa comprende e di cui si fa portatrice. Si è<br />
rilevato anche nel nostro territorio un forte decadimento <strong>dei</strong> valori<br />
cristiani, che sono poi anche quelli morali e civili della nostra società,<br />
decadimento che si nota nella diffusa indifferenza a tutti i livelli, anche<br />
nelle persone vicine alla parrocchia. Esiste un problema di<br />
allontanamento delle persone da Cristo, dalla Chiesa e dal suo<br />
annuncio. Molti cristiani hanno una scarsa conoscenza della Sacra<br />
Scrittura e <strong>dei</strong> contenuti della fede. Questa non incide sullo stile di vita<br />
ed in ciò sta la principale debolezza nel momento del confronto con le<br />
altre religioni e con la società civile, con il rischio di indebolimento<br />
della propria identità cristiana.<br />
La catechesi ai fanciulli ed ai ragazzi<br />
In questo ambito ha particolarmente importanza l'azione di<br />
catechesi <strong>dei</strong> fanciulli e di animazione giovanile. Le giovani<br />
generazioni odierne sono da curare in modo particolare in quanto<br />
saranno i cristiani ed i testimoni di Cristo di domani. La catechesi<br />
<strong>dei</strong> fanciulli è particolarmente importante in quanto questa va ad<br />
impattare sul senso di appartenenza alla Chiesa che i ragazzi poi<br />
svilupperanno e sul tipo di relazione con Cristo e con gli altri che<br />
essi vivranno. I tassi di abbandono al post cresima sono molto<br />
elevati e le cause, molteplici, solo minimamente controllabili dalla<br />
parrocchia. Aiuterebbe forse una catechesi che punti meno alle<br />
nozioni e più allo sviluppo di relazioni, con Cristo innanzitutto e<br />
quindi anche con le persone. Occorre far sperimentare ai fanciulli<br />
il senso di appartenenza ad una comunità viva e vitale, far loro<br />
comprendere che tutti facciamo parte della grande famiglia di<br />
Cristo, per invogliarli a continuare il rapporto con il Signore e con<br />
la Chiesa. In questa azione riveste particolare importanza il<br />
coinvolgimento delle famiglie nel cammino di fede <strong>dei</strong> fanciulli e<br />
degli adolescenti.<br />
La relazione tra le generazioni<br />
I giovani spesso non si sentono capiti e accolti nel momento in cui<br />
propongono strade nuove, non tradizionali per servizi ed<br />
animazioni in parrocchia. Essi chiedono maggiore attenzione e più<br />
spazi di aggregazione. Gli adulti, da parte loro, fanno forza sulla<br />
tradizione, sull'esperienza, e non sempre hanno riscontrato nei<br />
giovani quell'impegno responsabile e soprattutto quella costanza<br />
che è fondamentale quando si prendono impegni rivolti alla<br />
comunità. Occorre un maggiore sforzo da entrambe le parti per<br />
venirsi incontro. Da parte degli adulti, che rivestono un chiaro<br />
ruolo educativo in senso lato verso le nuove generazioni, questo<br />
sforzo deve essere poi particolarmente intenso.<br />
La responsabilità del laico<br />
e la condivisione della responsabilità<br />
Quest'ultimo passaggio ci consente di volgere lo sguardo sul<br />
settore del laicato adulto. Si è rilevata la necessità di laici che siano<br />
più disponibili ad assumere la responsabilità di impegnarsi per una<br />
crescita della comunità, abbandonando un atteggiamento a volte<br />
troppo passivo e collaborando maggiormente negli ambiti che<br />
vengono proposti, fornendo quindi la disponibilità per compiti e<br />
ministeri. Uno strumento di straordinaria importanza è in questo<br />
senso il Consiglio Pastorale Parrocchiale, organo ufficialmente<br />
deputato a condividere con il Parroco la responsabilità della<br />
conduzione della parrocchia. Esso è il luogo privilegiato per<br />
trattare tutte le questioni che riguardano la vita della parrocchia e<br />
<strong>dei</strong> suoi membri (l’evangelizzazione, la liturgia, i poveri, le<br />
fragilità, le opere di carità, le iniziative, la destinazione delle<br />
risorse…). Occorre perdere il timore di esporsi, di proporre, di<br />
enunciare nuove strategie, nuove visioni anche non tradizionali di<br />
pensare la pastorale in senso lato. In tal senso si auspica che le<br />
relazioni tra laici e sacerdoti si evolvano sempre più verso un<br />
maggior senso di collegialità e trasparenza. E' soltanto dal<br />
confronto, dall'ascolto delle ragioni reciproche, dalla possibilità di<br />
dissentire, dalla non prevenzione nei confronti di idee diverse e<br />
pareri contrari che possono consolidarsi relazioni improntate a<br />
mutua stima e rispetto.<br />
Il lavoro ed il senso della festa<br />
Il mondo del laicato adulto è inoltre interessato da un altro<br />
tema particolarmente importante, quello del lavoro. Occorre<br />
riprendere una sana alternanza tra tempo dedicato al lavoro e<br />
tempo dedicato alla festa, oggi non più distinti in modo chiaro.<br />
A ciò ha contribuito l'aumento considerevole di lavoratori con<br />
orario flessibile scandito sui sette giorni della settimana e la<br />
perdita del legame storico tra festività e tradizione religiosa (il<br />
Natale è talora vissuto come una “festa laica” di buoni<br />
sentimenti, la Pasqua come festa di primavera…). Il lavoro<br />
inoltre si è fatto più precario (i cosiddetti contratti atipici) con<br />
la conseguente difficoltà a progettare la propria vita famigliare<br />
sul medio lungo termine. Al contempo si rileva una tendenza a<br />
divenire schiavi sia del lavoro che del guadagno, sacrificando<br />
ad entrambi il nostro tempo. Anche la precarietà può condurre<br />
a situazioni di vero e proprio ricatto: di fronte al rischio di<br />
perdere il lavoro si è indotti a sacrificarvi più tempo. La prima<br />
comunità a pagare una simile situazione è certamente la<br />
famiglia. Le relazioni famigliari hanno infatti bisogno di<br />
tempo. Senza di esse difficilmente si potranno trasmettere i<br />
valori fondamentali alle nuove generazioni. Occorre quindi un<br />
maggior impegno a far sì che le scelte professionali non<br />
badino esclusivamente alla carriera ed al riscontro economico.<br />
Conclusione: Per essere testimoni di speranza<br />
Per concludere, una breve riflessione scaturita dai gruppi di lavoro<br />
su cosa significhi essere “testimoni di speranza”. Il testimone è una<br />
persona che mostra visibilmente quello in cui crede attraverso la<br />
propria vita quotidiana. Se non si “vedesse” non potrebbe essere un<br />
testimone. Sarebbe al più un uomo di fede, ma questo non farebbe<br />
di lui un testimone. Il cristiano è colui che racconta quello che è e<br />
che vive; è colui che si pone in ascolto della Parola di Dio e la mette<br />
in pratica nell’unico comandamento dell’amore a Dio ed al<br />
prossimo. Questa da sempre è la migliore testimonianza che<br />
possiamo dare del Vangelo. Due elementi qualificano poi nel<br />
concreto la testimonianza del cristiano: l’attenzione ai poveri e<br />
l’unità della Chiesa. Per essere veri testimoni di speranza occorre<br />
avere gli occhi puntati sui poveri, sugli ultimi, sugli emarginati, su<br />
chi soffre nel corpo e nello spirito. Gesù per primo è stato “un<br />
povero” ed ha indicato nel “povero” la via privilegiata della<br />
manifestazione di Dio. I cristiani devono essere riconosciuti per<br />
essere quelli più vicini ai poveri, quelli che vedono le ingiustizie e<br />
che intervengono per cambiare le situazioni. Per testimoniare la<br />
speranza, la parrocchia deve poi essere visibilmente una comunità.<br />
In essa si devono concretamente sperimentare relazioni vere, calde,<br />
affettuose, faccia a faccia, occorre condividere reciprocamente<br />
gioie, dolori, bisogni. E ciò non soltanto perché tutti apparteniamo<br />
alla famiglia umana e quindi per un generico senso di filantropia,<br />
ma perché tutti facciamo parte della famiglia di Cristo e<br />
condividiamo la stessa fede in lui. In una famiglia nessuno è<br />
indifferente a ciò che succede all’altro. Così deve essere nella nostra<br />
parrocchia. Emerge la necessità, da parte di tutti e a tutti i livelli, che<br />
si ritorni a riflettere su cosa significhi essere una comunità cristiana<br />
e su cosa possa risvegliare il senso profondo di appartenenza ad<br />
essa. Occorre favorire momenti profondi di spiritualità al pari di<br />
momenti di condivisione di vita. Occorre più desiderio di mettersi<br />
in gioco, di lasciarsi “impastare”, coinvolgere, puntando<br />
maggiormente su ciò che ci unisce, rispetto a ciò che ci divide.<br />
Occorre combattere fortemente contro tutto ciò che spezza i legami,<br />
le relazioni, contro tutto ciò che divide invece di unire. L’unità è<br />
ciò a cui tendiamo in Cristo alla fine <strong>dei</strong> tempi. L’unità deve quindi<br />
essere anche ciò a cui tendiamo oggi, pur con la limitatezza <strong>dei</strong><br />
nostri mezzi e delle nostre energie. Riconoscere le nostre fragilità<br />
assumendo uno stile di vita essenziale è il primo passo per poter<br />
condividere le difficoltà e le sofferenze degli altri, stando vicino a<br />
chi soffre.