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INTERNET Comunità virtuale e lavoro reale, le storie di chi guadagna con Facebook Trentenne, laureato, un po’ nerd e molto imprenditore. Ecco l’identikit dell’italiano che ha fatto del social network una professione. A costo di lasciare il posto fisso Filippo Santelli filippo.santelli@gmail.com Foto di Riccardo Cagini, Lorenzo Viscanti e Farmville Un passo in più, un attimo prima. È aprile del 2009 e Facebook sta invadendo l’Italia. Profili, profili, ancora nuovi profili: sono quasi dieci milioni. Lorenzo Viscanti è uno di loro. Ha appena lasciato un lavoro come programmatore a Parigi. Volato a Milano, con due amici e qualche risparmio, per fondare Mikamai, agenzia di comunicazione digitale. Ha 28 anni e l’esplosione del social network lo stupisce. «Dovevamo sfruttarla», racconta, «ma all’epoca Facebook non aveva neppure una sede in Europa». Una telefonata a un contatto in California, l’incarico di organizzare l’evento: il Facebook De- 2 veloper Garage nasce così, una specie di presentazione ufficiale della piattaforma all’Italia. Quel giorno a Milano si discute di nuove opportunità, per i creatori di applicazioni e per i pubblicitari. «Vennero in 500», ricorda Lorenzo. «Una sorpresa vedere che tante persone già lavoravano attorno a Facebook». Pensare che oggi, tre anni dopo, quelle persone sono 34 mila. Vespe e bilance Prudenza: è stato proprio Facebook a commissionare la ricerca, fornendo parte dei dati. Un po’ di promozione in vista dell’atteso, milionario, esordio a Wall Street. Chi l’ha redatta però, la società di consulenza Deloitte, garantisce rigore. Si intitola L’impatto economico di Facebook in Europa. Nel nostro Paese vale 2,5 miliardi di euro e 33.800 posti di lavoro. Pochi, se confrontati agli oltre 200 mila dell’indotto Fiat. Tantissimi, se si considera che i dipendenti diretti di Facebook in Italia sono appena una decina. La sede di Milano ha aperto solo da due anni. Ma è lo snodo per tutta l’Europa meridionale e cerca personale. Sulla pagina dell’ufficio (simbolo: una Vespa rossa) si scopre che le posizioni aperte sono cinque. Per quelle dirigenziali sono richiesti anni di esperienza. Altre, vedi addetto alle vendite, sono più accessibili. Ci si candida cliccando su un pulsante, veloce come un like. L’alternativa per i programmatori è risolvere un problema matematico online. Puro stile Zuckerberg: una stanza piena di bilance, con sopra altre bilance, con sopra dei pesi. Due ore di tempo per metterle tutte in equilibrio, in palio la chiamata della società. Dalla California però, perché nell’ufficio di Milano non si scrivono codici. Si vende solo pubblicità. Popolo di santi e di commentatori «Siamo un Paese di chiacchieroni». Gabriele Cuccirella, laurea in Comunicazione di impresa, ha 30 anni. «Per passione e lavoro, ho seguito da vicino l’ascesa di Facebook. Mi è sembrata subito una grande occasione». Dipendente di una multinazionale della comunicazione, nel 2010 si licenzia e diventa imprenditore: con due colleghi dà vita alla filiale italiana di We are social. Una società di pubblicità? «Noi preferiamo “di conversazione”», precisa. «Gestiamo il dialogo tra azienda e clienti sul web». E come in ogni buon dialogo tutto comincia dall’ascolto: tracciando le conversazioni in rete We are social misura la reputazione digitale di un marchio.
Lorenzo Viscanti ha una laurea in Ingegneria informatica. A 32 anni è già un imprenditore seriale: venduta la sua prima creazione, l’agenzia di pubblicità Mikamai, sta per lanciare un aggregatore di notizie «Cambiare piattaforma per me è un abitudine». Riccardo Cangini, 43 anni, da 15 progetta videogiochi. Prima per Pc, poi Playstation e Nintendo Wii. Con Goods Games è approdato su Facebook Community Twitter e gli altri: tutte le opportunità della rete Ora tocca all’uccellino azzurro far vedere quanto vale. Twitter ha 200 milioni di utenti nel mondo. Lontano dal (quasi) miliardo di Facebook, ma il club cresce veloce. E negli ultimi mesi la mania da cinguettio ha preso piede anche l’Italia. I numeri - non ufficiali parlano di due milioni e mezzo di iscritti, cresciuti del 40 per cento da settembre ad oggi. Merito anche dell’outing di Fiorello, che ha chiamato il suo show di prima serata su Rai1: #ilpiùgrandespettacolodopoilweekend. È stato subito trend. Se però di ashtag si potrà lavorare, e in quanti, ancora non è chiaro. Molti esperti di social media sono scettici: «Twitter è poco comunità e meno piattaforma», spiega Lorenzo Viscanti, fondatore di Mikamai. «Rispetto a Facebook offre meno opportunità di avere un profilo degli utenti», difficile quindi pensare a un utilizzo pubblicitario. All’estero, qualcuno ci prova. Se un passeggero twitta gli estremi del suo volo, la compagnia KLM gli fa trovare a bordo un regalo, legato alla destinazione. Non farà vendere, ma dà visibilità. Chissà poi che quei 140 caratteri non salvino il posto a qualche giornalista. «Per il mondo dei media», dice Giuliano Noci, professore di Marketing al Politecnico, «Twitter è molto promettente». Un microblog, più adatto alla comunicazione uno--a-molti che a quella tra pari. «È un nuovo canale di diffusione e accesso ai contenuti editoriali, potrebbe perfino diventare un’alternativa a Google». Ma in tema di social network la vera novità, secondo Noci, è Pinterest. Unione di pin, la puntina, e interest: una bacheca online dove ognuno attacca le foto degli oggetti che preferisce. Dalle tappezzerie alle torte: un anno di vita, già 2 milioni di appassionati. «Qualcosa di davvero inedito», spiega il professore, «un legame basato sui propri interessi». Sulla carta, anche più forte di Facebook, dove molte della amicizie sono solo presunte. In Italia la community è ancora piccola. Ma chi insegue nuove tendenze, si sa, deve giocare d’anticipo. F.S. Poi propone una strategia per migliorarla, con tutti gli strumenti del social network: dai giochini pubblicitari alle pagine aziendali. «Strategia di cui Facebook è il perno. Specie in Italia, dove i 20 milioni di utenti hanno una grande propensione a commentare e condividere». Gabriele mostra la pagina creata per Milka, la mucca del cioccolato: un milione e 400 mila like, di cui 70 mila dall’Italia. Il primo Paese d’Europa, rivela Deloitte, per posti di lavoro generati dal marketing su Facebook. Molte delle vecchie agenzie pubblicitarie cercano di espandersi nel settore, ma intanto ne sono nate di nuove, tutte dedicate al 2.0. «A Milano cinque o sei», spiega Cuccirella. «Noi siamo giovani, ma già competiamo per le commesse dei grandi gruppi». Così nel 2012 il fatturato di We are social dovrebbe raddoppiare. A giungo impiegava nove persone; oggi, tra creativi, account e tecnici, sono 25. «E 25 è anche l’età media. Mangiamo e respiriamo social network». Unica distrazione: un tavolo da ping pong in mezzo all’ufficio. Lo stesso entusiasmo anche nella voce di Lorenzo Viscanti, il fondatore di Mikamai. «Ci siamo buttati, senza pianificare granché. Fortuna, eravamo i primi». Poche aziende hanno al loro interno un esperto di Facebook, ma la sua efficacia come canale promozionale è sempre più evidente. Conoscere le preferenze delle persone, il sogno di ogni venditore. Lorenzo e i suoi colleghi, tutti ingegneri, l’hanno capito in anticipo: «La competenza tecnica, rara in Italia, ci ha aiutato. Ma per sfondare nella pubblicità abbiamo dovuto mostrare di non essere dei nerd. O di essere dei nerd simpatici». Racconta di una campagna pensata per Alviero Martini, tutta giocata sul tema del viaggio. «Sulla pagina c’erano i profili di alcune ragazze: potevi scegliere la compagna ideale. Otto milioni di contatti (metà degli internauti italiani, ndr); la società ha guadagnato 100 mila profili». Più misurabile e meno costoso di uno spot televisivo: in tempi di crisi le aziende apprezzano. Un milione di fatturato e 30 dipendenti, molti dei quali ventenni: ecco i numeri di Mikamai quando Viscanti e soci l’hanno lasciata. Venduta, circa un mese fa, a un gruppo di imprenditori italiani: «Ci abbiamo guadagnato parecchio, ma non abbastanza per smettere di lavorare». Via con un nuovo progetto allora, un aggregatore di notizie. Pronto fra qualche settimana. Sgarbi e il Fantacalcio, tutti in piattaforma La pagina di Barack Obama ha fatto scuola. Con una nuova e scintillante timeline Nicolas Sarkozy ha lanciato la sua campagna elettorale sul web. E anche qualche politico italiano comincia a comunicare via Facebook. Vittorio Sgarbi ha affidato il suo profi- 3 ◄
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