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Enzo Raffaelli, Andrea Castagnotto, Ernesto Brunetta,<br />
Daniele Ceschin, Stefano Gambarotto, Benito Buosi, Livio Vanzetto,<br />
Francesco Scattolin, Roberto Tessari<br />
L’ultimo <strong>anno</strong> <strong>della</strong><br />
a cura di<br />
Steno Zanandrea
La linea <strong>della</strong> memoria<br />
volume 12
1918: <strong>L'ultimo</strong> <strong>anno</strong> <strong>della</strong> Grande Guerra<br />
Il volume contiene gli atti del convegno: «La linea <strong>della</strong> memoria. La provincia<br />
di Treviso durante l’ultimo <strong>anno</strong> di guerra. Economia – politica – società.<br />
Venerdì 14 novembre 2008, ore 9.00 – 18.30, Palazzo <strong>della</strong> Provincia di<br />
Treviso – Sala Marton<br />
1 edizione 2011<br />
copyright © 2011<br />
ISTRIT<br />
Via Sant'Ambrogio in Fiera, 60<br />
31100 - TREVISO<br />
email: ist.ris<strong>org</strong>imento.tv@email.it<br />
email: istitutoris<strong>org</strong>imentotv@interfree.it<br />
Grafi ca, impaginazione, fotorestauro<br />
Stefano Gambarotto<br />
Le immagini fotografi che che illustrano il presente volume, ove non diversamente<br />
indicato, sono state tratte da: Servizi Fotografi ci dell'Esercito Italiano (SFEI);<br />
Archivio Istrit (ISTRIT); Museo del Ris<strong>org</strong>imento di Treviso (MRT); Museo del 55<br />
Reggimento Fanteria (M55F); Museo Centrale del Ris<strong>org</strong>imento (MCR). L'editore<br />
ha effettuato ogni possibile tentativo di individuare altri soggetti titolari di copyright<br />
ed è comunque a disposizione degli eventuali aventi diritto.<br />
ISBN 978-88-96032-15-2
1918<br />
<strong>L'ultimo</strong> <strong>anno</strong> <strong>della</strong><br />
a cura di<br />
Steno Zanandrea<br />
con scritti di<br />
Enzo Raffaelli - Andrea Castagnotto - Ernesto Brunetta<br />
Daniele Ceschin - Stefano Gambarotto - Benito Buosi<br />
Livio Vanzetto - Francesco Scattolin - Roberto Tessari<br />
Istituto per la Storia del Ris<strong>org</strong>imento Italiano<br />
- Comitato di Treviso -<br />
2011
1918. Sentinelle italiane e inglesi a Nervesa <strong>della</strong> Battaglia. ISTRIT<br />
25 giugno 1919. Il 113 Fanteria al «Castello di Nervesa». ISTRIT
GRANDE GUERRA: ULTIMO ATTO<br />
1° novembre 1917, giovedì. L’illustre abate Luigi Bailo, con vibrante richiamo<br />
ad anni critici <strong>della</strong> nostra storia moderna, lancia un appello pieno<br />
di amor patrio al sindaco avvocato Zaccaria Bricito. Deplorando infatti «con<br />
profondo disgusto» che nel «penoso momento attuale... signori <strong>della</strong> Giunta<br />
abbandonano il posto», scrive:<br />
Mi permetto di darle questo consiglio: come in casi simili nel 1797, nel<br />
1798, nel 1809, nel 1813, nel 1848, nel 1866 costituisca sotto la sua presidenza...<br />
un Comitato di ordine e direzione presso il Municipio stesso, composto<br />
di cittadini forti e coraggiosi, energici e saggi, i quali suppliscano ai bisogni<br />
del momento dolorosi ai quali possiamo andare incontro. S’intende di persone<br />
disposte a restare sul luogo fi no al momento che Ella giudicherà opportuno...<br />
Sono indicati e ne avrebbero il dovere di far parte di esso Comitato,<br />
primi di tutti coi signori assessori coraggiosi e devoti al dovere, che restano,<br />
tutti coloro che h<strong>anno</strong> fi rmato il manifesto a stampa, affi sso ed a mano del<br />
30 ottobre Concittadini. Restiamo tutti etc. etc. e altri che Sua Signoria saprà<br />
trovare, tra i quali, se crede di metter me pure, mi metta, e per quello che potrò<br />
fare, darò esempio co’ miei ottantadue anni di attività consigliare, e di energia<br />
effettiva.<br />
Pur richiamando alla memoria infatti i momenti dell’ultimo secolo (invero<br />
con qualche largheggio), che videro a Treviso bensì più o meno repentini cambi<br />
di regime, ma sempre attenuati o mediati da una costante presenza ‛civile’<br />
in grado di farvi fronte, l’<strong>anno</strong>so bibliotecario il due novembre è costretto a<br />
rivedere al ribasso un tale impeto di generosità, ed al sindaco, che vuole affrettare<br />
l’abbandono <strong>della</strong> città, replica di essere «deliberato di restare fi nché<br />
è possibile, e se è possibile partire ultimo cogli ultimi». Bando al titanismo,<br />
un sano realismo s’imponeva. Come un fulmine a ciel sereno, il disastro di<br />
Caporetto di una settimana prima, che costringerà le divisioni italiane ad<br />
abbandonare, precipitosamente, le postazioni sul Carso ed a ritirarsi sul Tagliamento<br />
prima di attestarsi, arretrando ulteriormente, sul Piave, getterà nel<br />
terrore un’intera popolazione destinata, coll’incalzare dell’esodo friulano, al<br />
rapido profugato, e determinerà il nostro pio protagonista, impossibilitato a<br />
mettere in salvo in poche ore tutto il patrimonio di memorie e opere d’arte<br />
pazientemente raccolte in quarant’anni, a maturare l’idea «di abbandonare<br />
con fi ducia alla protezione divina il tutto». Per fortuna dopo Caporetto, che<br />
portava la guerra «sin sull’uscio di casa» – come si disse – vennero la resistenza<br />
al Piave e poi la battaglia del Solstizio a ridare fi ducia ai trevigiani.<br />
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Ma ci vollero mesi e intanto l’ordinaria amministrazione in tempo di crisi,<br />
colla civica giunta scappata a Pistoia (circostanza che Bailo ricorderà poi<br />
sempre con palese esecrazione nei suoi scritti epistolari), veniva rassegnata<br />
nelle mani di un commissario prefettizio, il ragioniere Agostino Battistel. Altro<br />
che 1797! Altro che 1848! La nuova guerra, combattuta su un fronte che<br />
facile ossimoro direbbe costantemente mutevole, con armi e tattiche nuove<br />
(movimenti fi ttizi e ritorni, ed il ristagno in trincea), con un'imponenza di cui<br />
i viventi di allora non ricordavano l'eguale, vedeva Treviso pienamente investita<br />
dall'urgenza militarista incurante delle ferite che tanto impatto recava<br />
alle popolazioni civili. Pianifi cato per tempo subito dopo l’Unità, il sistema<br />
difensivo che insiste sul confi ne italo-austriaco subisce ripensamenti ritardi<br />
e ritrosie – specie di tipo economico – che peraltro non possono trascurare<br />
la natura del terreno, pur ricco di difese naturali tali da interferire positivamente<br />
con apprestamenti razionali che investono ambiti naturali assai<br />
diversifi cati: non solo la montagna, con il perno sul Grappa ed il comprensorio<br />
asiaghese, ma altresì la pianura veneta coi campi trincerati di Treviso,<br />
Mestre ecc. nonché le difese di Venezia fi nalizzati a favorire ogni possibile<br />
movimento ed evacuazione, come informa in misura abbastanza dettagliata<br />
Andrea Castagnotto, nel secondo saggio di questo volume.<br />
Ma a raccontare l’ultimo atto di questa vicenda non si può non muovere il<br />
passo dalla tragedia di Caporetto; le ragioni <strong>della</strong> rotta sono effi cacemente,<br />
sia pure in sintesi, riferite, nel contributo dovuto alla penna di Enzo Raffaelli,<br />
e si riassumono – detto qui alla buona – nella ritardata Bewußtwerdung da<br />
parte del Comando supremo (leggi Cadorna), il cui Uffi cio Situazione riteneva<br />
ancora a fi ne settembre del ’17, secondo una prospettiva pur sempre<br />
presuntiva, di non dover escludere a priori la possibilità di una offensiva nemica,<br />
ma stimava assai improbabile uno sfondamento sul fronte dell’Isonzo.<br />
Il primo dei fi umi ungarettiani, il più immediato alla scarna scrittura di un<br />
fante che nel 1916 vi si accoccola «come un beduino» ad attingervi la parola<br />
essenziale, il fi ume due volte infausto alla memoria dei veneti, è lì ad attestare<br />
il naufragio di una strategia costata al nostro Paese, con le migliaia di vittime,<br />
un cambiamento di vertice ed un ripensamento delle strategie belliche.<br />
Sono essenzialmente tre gli attori che recitano l’ultimo atto dell’immane<br />
tragedia che fu la Grande Guerra. Qui, nelle retrovie del gran teatro <strong>della</strong><br />
guerra guerreggiata, nuovi protagonisti salgono sulla ribalta, a sostituire altri<br />
che invece si sono letteralmente volatilizzati: il ceto politico, per esempio,<br />
sembra essersi messo al riparo dietro le quinte, mentre il vero protagonista<br />
– il militare – si vede contendere la parte da un coro sempre più numeroso<br />
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e più eloquente: i profughi, i fuggiaschi, i senza patria che nessuno vuole. È<br />
un attore dal molteplice registro vocale, e ci parla con le parole degli oscuri<br />
che non cercano gloria, in un linguaggio a volte approssimativo ma effi cace:<br />
vediamo nei diari come in un prisma dalle molte facce rifl essi gli effetti e gli<br />
aspetti più vari <strong>della</strong> guerra da cui fuggono, dove tutto subisce una amplifi -<br />
cazione che solo la eccezionalità degli eventi giustifi ca. E poi c’è il nemico<br />
invasore che desta risentimento ma anche speranza di riscatto.<br />
Ma torniamo per un momento al militare. Invece la voce dei gravi fautori<br />
<strong>della</strong> rotta isontina si fa ora muta e ci si interroga oggi (più che sulle responsabilità<br />
degli irresponsabili, che sono state sviscerate le mille volte ed h<strong>anno</strong><br />
fatto scrivere migliaia di pagine ai protagonisti stessi ed ai loro giudici di ora<br />
come di allora) sul malessere <strong>della</strong> milizia, sugli umori <strong>della</strong> truppa, sulle<br />
tecniche di persuasione e di coercizione poste in atto dalle gerarchie militari<br />
per dare effetto e sostanza a una scommessa di vittoria che aveva portato il<br />
nostro Paese da una opzione iniziale di neutralismo convinto a un repentino<br />
‛salto <strong>della</strong> quaglia’ maturato nello schieramento al fi anco dell’Intesa, italica<br />
vocazione a sostenere sempre le sorti del favorito del momento. Ernesto<br />
Brunetta non esita a riconoscere una rassegnazione di massa sulla quale<br />
avrà avuto buon gioco l’annullamento delle coscienze mutuato da padre Gemelli<br />
ed ampiamente praticato da Cadorna per avere a disposizione oltreché<br />
soldati-automi, indifferenziata ‛carne da macello’. Qualche dato statistico<br />
fornito dal Brunetta richiama alla memoria sì il malcontento ma anche il suo<br />
sfogo dis<strong>org</strong>anizzato e sterile, mentre l’esautoramento del ‛generalissimo’<br />
coincise con una fase di scelte politico-strategiche di tipo ‛anti-depressivo’<br />
che il subentrato Diaz assecondò.<br />
L’autentico protagonista di questo libro è però la gente comune, soprattutto<br />
le possibilità di reazione messe in moto da eventi tanto abnormi da confi -<br />
gurare una sorta di tsunami umano: ne espone le ragioni e le vicende, anche<br />
minute, Daniele Ceschin nel bel saggio Gli attori sociali nella provincia del<br />
Piave, articolato in capitoli che sono insieme una scansione cronologica e<br />
tematica. Lo studioso ci offre l’immagine dolente di un popolo in cammino,<br />
divelto dalle terre cui era abbarbicato da generazioni, che richiama movimenti<br />
di portata storica e che, se suscitano in noi postume emozioni, ben altre<br />
reazioni destarono sui contemporanei. Il paragone con movimenti analoghi<br />
che in queste settimane del 2011 spingono a centinaia tunisini e libici dalla<br />
sponda africana verso Lampedusa, porta per l’occidente, non può farci però<br />
dimenticare che allora era un movimento tutto interno, di italiani verso altri<br />
italiani. «Il 6 novembre Treviso si ritrova con le vie imbrattate di rifi uti, le<br />
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strade ingombre di carri militari e di carretti dei profughi», ricorda Ceschin,<br />
mentre tre giorni dopo è già una città fantasma, presidiata quasi solo dai<br />
parroci urbani e da uno sparuto esercito di miserabili che non dispongono<br />
di alcun mezzo per andarsene. Come in un perfetto sistema idraulico, per<br />
un vaso che si vuota, uno si riempie. Segusino, Refrontolo, Cessalto... Villa<br />
Spada, a Refrontolo, diventa sede di comando nemico: la contessa Maria è<br />
presa in un tourbillon di cose che <strong>anno</strong>ta nel suo breve diario: la sera del 24<br />
novembre «gran pranzo con 40 coperti... profusione di champagne, brindisi,<br />
musica e... il rombo terrorizzante del c<strong>anno</strong>ne», come riporta Raffaelli. Con<br />
l’invasione, l’arretramento <strong>della</strong> linea difensiva sul Piave, e, con effetto domino,<br />
la seconda ondata di profughi, da Soligo, Sernaglia, Mosnigo, Cison,<br />
Segusino, Valdobbiadene, Tarzo ecc. ecc., e con l’inoltrarsi <strong>della</strong> stagione<br />
l’acuirsi <strong>della</strong> penuria di viveri e parallelamente il prevalere delle ostilità<br />
sulla solidarietà.<br />
Tutto ciò è rivissuto con forte empatia e carica emozionale dai Racconti<br />
dell’invasione coordinati nella sorvegliata dinamica affabulatoria di Benito<br />
Buosi: la guerra, le sue vicende, i comunicati uffi ciali, sono sempre lì, turbano,<br />
ossessionano e talvolta modifi cano sostanzialmente la vita dei civili<br />
– come sappiamo da Ceschin –, ma Buosi ne registra la metabolizzazione,<br />
e così piccole faccende non sono meno curiose dei grandi eventi che st<strong>anno</strong><br />
sconvolgendo queste terre e le loro genti. È un intero mondo in continuo movimento,<br />
incapace di trovare uno stabile assestamento. Il campionario è assai<br />
variegato, come sono variegati l’estrazione sociale ed il grado di alfabetizzazione<br />
degli estensori di questi diari (sono poco meno di una quindicina quelli<br />
messi a frutto). Ma non v’è dubbio che il racconto di ciascuno si attesta su un<br />
limite ineludibile di verità storica che fa di questa eterogenea diaristica un<br />
documento tale che non può essere disconosciuto.<br />
E se comunque sul diario, sulla memoria si sovrappone pur sempre il fi ltro<br />
<strong>della</strong> formulazione individuale (scelta delle cose da dire o da tacere, enfasi,<br />
effi cacia ecc., formazione culturale, prospettiva religiosa ecc.), il documento<br />
amministrativo invece rappresenta quel limite di oggettività e di positività<br />
che ne qualifi ca il dato sic et simpliciter come storico fi no a prova di falso.<br />
Il dato è così privilegiato da Stefano Gambarotto che nel suo articolato<br />
contributo indaga i molteplici aspetti ‛materiali’ del rapporto civile-militare:<br />
dalle requisizioni alla forza-lavoro, in un persistente confl itto nel confl itto, o<br />
quanto meno una diffi cile convivenza: la guerra dell’acqua, la guerra <strong>della</strong><br />
legna, l’incetta dei bovini ecc. Aspetti noti sui quali Gambarotto fa il punto<br />
con dovizia di citazioni documentarie.<br />
Usciamo infi ne dall’emergenza bellica con i saggi di Vanzetto, Scattolin<br />
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e Tessari. La guerra è ormai alle spalle, ma non mancherà di condizionare<br />
gli orientamenti del Paese. Così il Grappa «baluardo d’Italia», luogo eletto<br />
– con la Madonnina inaugurata nel 1901 dal futuro Pio X – a «simbolo <strong>della</strong><br />
fede e del cattolicesimo veneto», e in predicato di promozione – a guerra<br />
fi nita - quale «simbolo del patriottismo e <strong>della</strong> nazione», fallisce, nel trapasso<br />
dal ‘biennio rosso’ al fascismo, l’obiettivo di «baluardo <strong>della</strong> pace».<br />
La vittoria si portava pur dietro troppe ferite nel tessuto sociale e politico, e<br />
a fascismo imperante prevarrà la retorica del ‘monumento ai caduti’, come<br />
quello bellissimo di Treviso, in cui la Weltanschauung dello scultore Arturo<br />
Stagliano sarà ben mascherata dalla esaltata interpretazione dell’ ‘eroe’ quale<br />
piacque ad Augusto Vanzo.<br />
Di ricordi, di segni ‘di guerra e di petà’ è costellato tutto il nostro<br />
territorio, come emerge dalla puntuale ricognizione di Roberto Tessari, che<br />
si muove con occhio esperto su tutte queste tracce e sulla loro valenza – oltre<br />
che militare – civile ed emozionale: dalla ‘linea degli ossari’ ai parchi di<br />
rimembranza, fi no al ricordo privato e all’ex voto, che vivifi ca la memoria e<br />
fa accapponare la pelle del turista che, sul far <strong>della</strong> sera, sosta, in religiosa<br />
concentrazione, ad ascoltare la tromba del ‘Silenzio’ (cioè del rispetto) che<br />
i caduti domandano dal sacrario di Asiago. Nudi nomi scolpiti nel libro di<br />
bronzo…<br />
Ma solo per un momento la commozione del Tessari può distoglierci dalla<br />
considerazione che ogni guerra è – inevitabilmente – anche profi tto. L’indagine<br />
de La Riscossa sullo scandalo <strong>della</strong> lana, sulla speculazione perpetrata<br />
localmente ai livelli più alti, ricostruita ora da Francesco Scattolin, ci rituffa<br />
per un verso nella commedia ‘all’italiana’ (l’uomo di mondo, la segretaria<br />
amante, il ladruncolo, l’impiegato, il cugino ecc. ecc.), per l’altro nel peculato<br />
e nel malaffare. 41 imputati, di cui 17 condannati a pene varie, mentre<br />
il vero protagonista, commendator Arcangelo Cirmeni, uscirà praticamente<br />
indenne, simulando una follia asseverata dal primario stesso del manicomio<br />
provinciale… Strano malessere di un pubblico funzionario destinato colla<br />
piaggeria a far carriera a fascismo dispiegato: sindaco di Vibo Valentia, poi<br />
vice prefetto e uomo d’ordine, prodigatosi come pubblicista con scritti di ossequio<br />
al regime. E strana vicenda invece di un uomo – Guido Bergamo – che<br />
fu eroe <strong>della</strong> Grande Guerra, medaglia d’oro al valor civile, deputato repubblicano,<br />
ma quasi subito zittito dal fascismo debordante e riemerso dopo l’ultimo<br />
confl itto, ma ormai consunto dalle radiazioni che lo portarono a morte<br />
nel 1953, dopo una vita – non lunga – spesa nella scienza d’Ippocrate.<br />
9<br />
Steno Zanandrea
1918: attraversamenti sul fi ume Piave.<br />
MCRR.
DA CAPORETTO AL PIAVE<br />
Enzo Raffaelli<br />
Alle origini di una sconfi tta<br />
Il maresciallo Hindenburg, in un suo libro autobiografi co, scrive che la decisione<br />
di agire contro l'Italia sull'Isonzo venne presa solo dopo l'esito dell'11ª<br />
battaglia, con la quale il nostro esercito era giunto «all'orlo estremo» <strong>della</strong><br />
difesa di Trieste e gli austro-ungarici manifestarono il loro timore nell'esito di<br />
un altro attacco. Scrive in proposito il generale Roberto Bencivenga 1 : «Purtroppo,<br />
era precisamente la sensazione di avere infl itto un così duro colpo<br />
all'Austria, il motivo per il quale il generale Cadorna poté formarsi il preconcetto<br />
che una offensiva imponente degli Imperi Centrali contro la nostra<br />
fronte non fosse da attendere sul fi nire dell'<strong>anno</strong> 1917». 2 Il Comando supremo<br />
riteneva che si fosse comunque riusciti ad insinuare nello stato maggiore<br />
imperiale il dubbio di non essere in grado di resistere ad una successiva offensiva.<br />
Per questi motivi, e in considerazione <strong>della</strong> stagione, una offensiva<br />
importante sull'Isonzo, Cadorna la riteneva improbabile. A riprova del pensiero<br />
del generalissimo c'è quella piccola frase inserita in una lettera inviata<br />
al comandante <strong>della</strong> 2ª armata, generale Capello, il 20 ottobre, pochi giorni<br />
prima di Caporetto. Scrive Cadorna: «V.E. tenga presente che se nel venturo<br />
<strong>anno</strong> si pronunciasse uno sforzo imponente degli Imperi centrali […]» Ciò<br />
non signifi ca che il Comando supremo escludesse del tutto la minaccia nemica,<br />
ma la considerava, al massimo, un'azione tattica locale. Con una direttiva<br />
del 18 settembre, a fronte di notizie dei servizi di informazione, 3 Cadorna<br />
decide comunque di rinunciare «alle progettate operazioni offensive» e di<br />
predisporre la difesa ad oltranza. I quei giorni il servizio informazioni <strong>della</strong> 1ª<br />
armata, quella del Trentino, avvisava Udine, sede del Comando supremo, che<br />
il nemico stava preparando una massiccia offensiva e non sul fronte trentino<br />
nonostante tutti i trucchi messi in opera, compresa la visita dell'imperatore<br />
Carlo su quel fronte. Erano giunte segnalazioni sullo spostamento di truppe<br />
dal fronte trentino a quello dell'Isonzo; l'arrivo di una divisione bavarese nel<br />
basso Trentino; la partenza <strong>della</strong> 12ª divisione tedesca dall'Alsazia per il fronte<br />
italiano e lo spostamento di una quindicina di divisioni austro-ungariche<br />
1 R. Bencivenga, La sorpresa strategica di Caporetto, appendice a: Id., Saggio critico sulla<br />
nostra guerra, Udine, 1997.<br />
2 Ibidem, pag.15.<br />
3 In una informativa del 14 settembre veniva scritto che la Germania e l'Austria avevano la<br />
loro frontiera verso la Svizzera. Secondo gli informatori tale fatto poteva indicare l'intenzione<br />
di nascondere dei movimenti di truppe fuori del normale.<br />
11
dal fronte orientale a quello italiano. Alla luce di tutto ciò, verso la fi ne di settembre,<br />
l'uffi cio situazione del Comando supremo – fi nalmente – cominciava<br />
a considerare che non si poteva escludere a priori la possibilità di un'offensiva<br />
nemica, riteneva però il fronte dell'Isonzo escluso da gravi pericoli mentre in<br />
Trentino potevano verifi carsi attacchi a carattere dimostrativo. L'ottimismo<br />
pervicace di Cadorna comincia a barcollare i primi giorni di ottobre quando le<br />
notizie di un progettato attacco nemico giungono copiose. Scrive l'uffi cio situazione:<br />
«[…] qualora giungessero sul medio Isonzo le forze segnalate […]<br />
si potrebbe concludere per probabile l'offensiva sul medio Isonzo allo scopo<br />
di riprendere in tutto o in parte l'altipiano <strong>della</strong> Bainsizza». L'aiuto tedesco<br />
era comunque giudicato «molto limitato». Il 9 ottobre, con un telegramma al<br />
Comando supremo, Capello,comandante <strong>della</strong> 2ª armata, avvisa che alcuni<br />
disertori h<strong>anno</strong> confermato le notizie – già note e conclamate – di «un'offensiva<br />
sul fronte dell'armata» ed era accertata la presenza di truppe germaniche. 4<br />
Le notizie giungono ormai senza soluzione di continuità: sono segnalati uffi -<br />
ciali osservatori d'artiglieria tedeschi nella conca di Plezzo, artiglierie e bombarde<br />
sul rovescio dello Sleme etc. C'è tutto per capire che l'offensiva sarebbe<br />
partita tra Plezzo e Tolmino, settore del fronte tenuto dai Corpi IV e XXVII<br />
dell'armata di Capello e notoriamente debole. Ma – scriverà Cadorna più tardi<br />
– «Mancavano tutti quegli indizi che potevano indiscutibilmente assicurare<br />
l'approssimarsi di una grande operazione». Il capo supremo riteneva gli «indizi»<br />
insuffi cienti perché i movimenti di truppe, di artiglierie non erano vicini al<br />
fronte ma nelle «retrovie lontane». 5 Il 20 il Comando <strong>della</strong> 2ª armata comunicava<br />
le notizie che un uffi ciale disertore aveva informato che i tedeschi avrebbero<br />
sferrato l'attacco nella piana di Tolmino con obiettivo il massiccio del<br />
Kolovrat. 6 Il giorno dopo si presentarono alle nostre linee del Vodil altri due<br />
uffi ciali disertori che confermarono tutto aggiungendo che il fronte d'attacco<br />
previsto spaziava da Tolmino al mare con inizio il 25. Il 22, una stazione radio<br />
sullo Sleme intercettò notizie circa la data dell'inizio dell'offensiva: il tiro di<br />
distruzione dei grossi calibri dell'artiglieria nemica sarebbe cominciato il 24<br />
4 Le informazioni provenivano da un allievo uffi ciale di nazionalità serba, di sentimenti<br />
anti-austriaci, catturato la sera del 9. Riferisce che a Bischofl ack vi sono numerosi comandi<br />
e truppe tedesche presenti sin dal 18 settembre che lavorano alla costruzione di linee ferrate<br />
normali e a scartamento ridotto (Decauville). Grandi quantitativi di uomini e treni carchi di<br />
materiali e munizioni erano presenti nelle stazioni <strong>della</strong> linea Assling-Grahovo. Si veda lo<br />
schizzo relativo alle linee ferroviarie citate per capire che le truppe e i materiali erano destinati<br />
verso la testa di ponte di Tolmino.<br />
5 Abbiamo appena visto lo sforzo che i tedeschi stavano compiendo per potenziare le linee<br />
ferroviarie verso Tolmino. Fatto questo non ci voleva molto al trasferimento al fronte.<br />
6 L'uffi ciale riferisce che l'offensiva doveva già essere in corso, ma rimandata al 26 a causa<br />
del maltempo.<br />
12
alle 2 di notte. Alla fi ne, al Comando supremo a Udine, ma anche a Cormons<br />
sede di comando del generale Capello, tutti si convinsero che dall'altra parte<br />
si faceva sul serio, molto sul serio. Si cercò allora di correre ai ripari, «ma la<br />
sorpresa strategica era riuscita» 1<br />
Il piano d'attacco nemico era stato abbozzato già dopo la 10ª battaglia e<br />
prevedeva un massiccio e vigoroso attacco dalla testa di ponte di Tolmino. Gli<br />
austriaci volevano fare tutto da soli senza l'aiuto dell'alleato germanico. L'imperatore<br />
Carlo aveva chiesto ai tedeschi la sostituzione di alcune divisioni<br />
austriache schierate sul fronte orientale con altrettante germaniche per rinforzare<br />
il fronte d'attacco sull'Isonzo. I tedeschi, pur concordando per l'offensiva,<br />
non accettarono la soluzione proposta: inviarono invece il generale Krafft<br />
von Dellmensingen a fare una gita (così la chiamò lui stesso) sull'Isonzo per<br />
verifi care la possibilità di un'offensiva congiunta e risolutiva. Il generale,<br />
esperto <strong>della</strong> guerra in montagna, 2 condusse a termine la sua missione tra il<br />
2 e il 6 settembre concludendo che l'offensiva su quell'arco di fronte aveva<br />
buone probabilità di successo. Hindenburg approvò il piano contro l'Italia superando<br />
qualche perplessità da parte di Ludendorff che preferiva attaccare in<br />
Moldavia. Fu deciso di costituire un'armata – la 14ª - composta da sette divisioni<br />
germaniche, selezionate tra le migliori per la guerra in terreno montano,<br />
con un corredo di artiglieria di tutto rilievo, e otto austro-ungariche anch'esse<br />
scelte tra le migliori. Al comando dell'unità fu designato il prussiano Otto von<br />
Below, imposto dai tedeschi agli alleati che invece avevano un mente di affi -<br />
dare il comando al generale Alfred Krauss; capo di Stato maggiore il generale<br />
Krafft von Dellmensingen. Il piano austriaco prevedeva un'azione dalla testa<br />
di ponte di Tolmino lungo lo Judrio sino a minacciare lo schieramento <strong>della</strong><br />
2ª armata italiana. La cosa non si presentava facile perché c'era il concreto<br />
pericolo di un contrattacco sul fi anco, qualora la rottura del fronte dalla parte<br />
di Plezzo non fosse completa. Pensavano di aggirare la conca di Plezzo dalla<br />
parte del monte Nero, scendendo a Ternova e superando l'Isonzo. Von Below<br />
proponeva invece un obiettivo più vasto, assumendo come direttrice d'attacco<br />
la linea montuosa a destra del Natisone. L'inconveniente del piano derivava<br />
dal fatto che, perno su Tolmino, la conversione che doveva compiere l'ala<br />
destra diveniva maggiore proprio quando il terreno diventava più montuoso<br />
e diffi cile. «Krafft – Scrive Piero Pieri – apportò ai progetti in discussione<br />
una modifi cazione geniale e per noi fatale: una mossa da Tolmino, lato nord,<br />
1 Bencivenga, op.cit. pag.32<br />
2 Nel 1915 il generale Krafft, uffi ciale d'artiglieria, era stato inviato sul fronte delle Dolomiti<br />
anche se la Germania non era ancora in guerra con l'Italia. Egli era considerato il maggior<br />
esperto dell'esercito tedesco per la guerra in montagna.<br />
13
isalente l'Isonzo in modo da giungere più facilmente a Caporetto e alla stretta<br />
di Saga, senza attraversare il fi ume, non solo, ma da infi lare senz'altro la<br />
valle del Natisone all'ampia stretta di Staro Selo. In tal modo i due attacchi a<br />
Tolmino e a Plezzo, nella prima concezione alquanto slegati, venivano strettamente<br />
coordinati con un unico obiettivo, e la nostra ala sinistra presa in una<br />
terribile morsa». 3<br />
E tra Plezzo e Tolmino si aprì una voragine<br />
Il corso dell'Isonzo era controllato dagli italiani dalla conca di Plezzo,<br />
dove il fi ume sbocca dalle montagne, fi no al mare con l'esclusione <strong>della</strong> testa<br />
di ponte trincerata di Tolmino che aveva resistito a tutti gli attacchi dell'agosto<br />
1917. «Tra Plezzo e Tolmino c'è un triangolo sbilenco, di cui due lati<br />
sono formati dall'Isonzo, che scorre prima per 8 chilometri da Plezzo verso<br />
sud-ovest fi no alla stretta di Saga (da cui si può arrivare al bacino del Tagliamento),<br />
poi piega verso sud-est verso Tolmino, passando per la cittadina di<br />
Caporetto (30 chilometri). L'altro lato del triangolo è l'alta catena nord-sud<br />
da Plezzo a Tolmino, con il monte Nero e il Merzli (circa 25 chilometri in<br />
linea d'aria)». 4 La linea del fronte seguiva la catena montuosa da Plezzo a<br />
Tolmino, poi superava l'Isonzo con l'altopiano <strong>della</strong> Bainsizza e il Carso. Sul<br />
primo tratto era schierato il IV corpo al comando del generale Alberto Cavaciocchi<br />
(56 battaglioni e 450 pezzi di artiglieria). A Tolmino, di fronte alla<br />
testa di ponte austriaca la 19ª divisione del XXVII corpo di Badoglio 5 . Alle<br />
spalle dei due corpi in prima linea il VII corpo comandato dal generale Luigi<br />
Bongiovanni. 6 Dietro questo corpo, 7 quasi più nulla fi no a Udine, sede del<br />
Comando supremo. Le riserve del Comando supremo erano dislocate verso<br />
Palmanova tutte orientate verso la Bainsizza così come la maggioranza<br />
delle forze italiane. In merito al nostro schieramento il generale Bencivenga<br />
scrive: «Alla sera del 23 ottobre, lo schieramento delle nostre forze tradiva<br />
la sorpresa strategia nella quale era caduto il nostro Comando supremo. Lo<br />
schieramento infatti, non rispondeva a nessun disegno da parte nostra, né difensivo<br />
né controffensivo. Basterebbe il semplice rilievo che la densità delle<br />
forze sulla fronte Giulia andava crescendo da Plezzo al mare, cioè in ragione<br />
inversa <strong>della</strong> forza naturale delle posizioni e del loro apprestamento difensivo<br />
3 Piero Pieri, L'Italia nella prima guerra mondiale, Torino 1965, pag.141.<br />
4 Isnenghi – Rochat, La Grande Guerra 1914 – 1918, Firenze 2000 pag. 374.<br />
5 Le altre 3 divisioni del XXVII erano sulla sinistra dell' Isonzo.<br />
6 Il VII corpo, non ancora <strong>org</strong>anicamente ben defi nito, al 24 ottobre era composto da una<br />
trentina di smilzi battaglioni senza artiglieria.<br />
7 Le scarse e disomogenee unità che presidiavano le retrovie non avevano apprestamenti<br />
difensivi, erano praticamente accampate «perché il loro compito era di alimentare il combattimento<br />
sulla linea del fronte»(Rochat) e non predisposti alla difesa.<br />
14
e nella ragguardevole proporzione di 1 a 4, per escludere che rispondesse alle<br />
esigenze di difesa Plezzo – Tolmino 8 .<br />
Il fronte d'attacco scelto dall'armata Austro-Germanica presentava il tracciato<br />
di un saliente con il vertice al Monte Nero. Il vertice del saliente era forte<br />
mentre i lati vulnerabili: di fatto lo sfondamento di uno dei lati del saliente<br />
avrebbe provocato l'aggiramento del vertice. I tratti più deboli del saliente<br />
erano indicati dalla natura del terreno, a nord in corrispondenza <strong>della</strong> stretta di<br />
Saga e del passo di Za Kraju; da est la breccia poteva essere individuata dalla<br />
valle dell'Isonzo da Tolmino a Caporetto.<br />
Nella notte del 24 ha inizio la preparazione d'artiglieria, con granate a gas,<br />
che durerà quattro ore e un tiro di distruzione, con grossi calibri, breve – durerà<br />
solo due ore –, ma di una violenza e una precisione devastanti 9 . L'attacco<br />
nemico – scrive Piero Pieri:<br />
al Rombon era respinto sanguinosamente, in conca di Plezzo, grazie a potenti emissioni<br />
di gas, la prima linea era sfondata, e poscia anche la seconda, ma il nemico si fermava<br />
di fronte alla terza linea antistante alla stretta di Saga; nella zona fra Krasij e Vrsic, l'attacco<br />
era contenuto sulla linea di resistenza ad oltranza, e così pure al Monte Rosso, e di<br />
fronte al Mrzli era fermato dalla retrostante linea del Pleka. In complesso dunque la testa<br />
di ponte del Monte Nero aveva resistito tutta quanta. Ma in fondo valle e contro quasi<br />
tutte le posizioni davanti alla testa di ponte di Tolmino, dove l'attacco tedesco condotto<br />
da 4 grosse divisioni fu particolarmente violento, le difese degli esili reparti <strong>della</strong> 19ª divisione,<br />
non sostenuti dal tiro <strong>della</strong> nostra artiglieria, venivano su larghi tratti travolte: il<br />
IV corpo era preso alle spalle, e il VII corpo in parte avviluppato, in parte ridotto ad agire<br />
con contrattacchi slegati, tardivi di fronte a un nemico molto superiore di numero, e che<br />
8 L'affermazione del Bencivenga circa lo schieramento italiano giudicato non adatto alla<br />
controffensiva non trova conferma in diversi storici come Pieri, Caviglia, Rochat ecc. La<br />
stessa relazione uffi ciale italiana giudica lo schieramento italiano predisposto alla controffensiva,<br />
è per questo motivo che il grosso dell'armata di Capello, comprese le 3 divisioni del<br />
corpo di Badoglio gravitavano verso la Bainsizza.<br />
9 L'artiglieria germanica, contrariamente alla nostra, ma anche a quella austriaca, non<br />
faceva tiri di aggiustamento nei giorni precedenti l'attacco. Veniva sparata una sola granata<br />
fumogena sull'obiettivo prestabilito, gli osservatori valutavano il risultato e, a tavolino, si<br />
correggevano i dati di tiro. Prima dell'inizio dei tiri i dati venivano ancora corretti tenendo<br />
conto, <strong>della</strong> velocità del vento, <strong>della</strong> vivacità delle polveri ecc. da ciò l'estrema precisione ed<br />
effi cacia dei tiri.<br />
Nella lunga esperienza <strong>della</strong> guerra italo-austriaca i fanti drizzavano gli orecchi quando i tiri<br />
di aggiustamento del nemico si facevano più frequenti, era il segno che presto ci sarebbe stato<br />
un attacco. Vittorio Emanuele, che aveva il suo quartiere generale a Udine, poco distante dal<br />
Comando supremo, girava da un posto all'altro del fronte, armato di binocolo e macchina<br />
fotografi ca, per valutare i tiri di aggiustamento dell'artiglieria: e telefonare le sue impressioni<br />
a Cadorna.<br />
15
applicava con grande abilità la tattica dell'infi ltrazione e dell'aggiramento, giungendo con<br />
mitragliatrici alle spalle dei nostri, provocando disordine e scoramento i truppe, stanche,<br />
nuove dei posti, non addestrate per nulla alla battaglia manovrata […] 10<br />
La 12ª divisione Slesiana risale il fondo valle dell'Isonzo di corsa, passa<br />
in mezzo alle linee del XXVII Corpo senza che nessuno se ne avveda e, in<br />
perfetto orario sulla tabella di marcia preventivata, alle tre del pomeriggio<br />
le avanguardie sono alle prime case di Caporetto. 11 All'inizio <strong>della</strong> battaglia<br />
Caporetto – posizione strategica del nostro schieramento – era difesa solo da<br />
due reggimenti a fronte dell'intera 34ª divisione che doveva esserci e invece<br />
non c'era. «Orbene – scrive Bencivenga – questi due reggimenti, 12 quando già<br />
il nemico era da mezz'ora a Selisce, cioè a circa 4 chilometri in linea d'aria<br />
da Caporetto, sono mandati: uno a Saga, l'altro a guarnire la posizione del<br />
Volnik, la quale faceva sistema con quella del Monte Nero a protezione <strong>della</strong><br />
conca <strong>della</strong> Drezenca». Qualcuno si accorse che a Caporetto non c'era rimasto<br />
nessuno e rimandò uno dei reggimenti indietro verso Selisce, lungo la sponda<br />
sinistra dell'Isonzo. Così, quando i tedeschi corrono verso Caporetto lungo la<br />
sponda destra del fi ume, non ci sono reparti per tentare di sbarrargli il passo<br />
e possono piombare sulle nostre posizioni di artiglieria schierata immediatamente<br />
a est di Idersko. Di fronte a Tolmino le cose non andarono meglio:<br />
dietro la 19ª del XXVII Corpo di Badoglio c'erano due brigate la Elba, del<br />
VII e la Puglie del XVII. Ognuno dei Comandi in questione dette ordini alle<br />
proprie unità senza coordinarsi con l'altro creando confusione e sovrapposizioni.<br />
Il VII Corpo poi, che nelle intenzioni del Comando supremo e <strong>della</strong> 2ª<br />
armata, avrebbe dovuto fungere da riserva tattica e tenere i collegamenti con<br />
i due corpi avanzati (VIII e XVII) mancò completamente tale compito per<br />
la lontananza di alcune unità e per uno schieramento errato. Ad aggravare la<br />
situazione sulla sinistra <strong>della</strong> 2ª armata si aggiunse l'incredibile decisione di<br />
abbandonare la stretta di Saga. Un primo ordine di abbandonate l'importante<br />
posizione fu dato intorno alle 16 dal comandante interinale dell'armata. «A<br />
quale criterio si ispirasse il generale Montuori, il quale per il comando che<br />
rivestiva doveva essere in grado di rendersi conto delle conseguente strategiche<br />
che sarebbero derivate da tale abbandono, non si riesce a comprendere.<br />
Per fortuna quest'ordine non arrivò a destinazione, ma più tardi, e cioè alle<br />
10 Pieri, op. cit. pag 156.<br />
11 Nel marasma e nella sorpresa generale, il generale Farisoglio, comandante di una delle<br />
divisioni del IV Corpo venne catturato, unitamente al suo capo di Stato maggiore nell'abitato<br />
di Caporetto mentre cercava di allontanarsi.<br />
12 Erano <strong>della</strong> brigata «Foggia» che era formata da tre reggimenti anziché da due come la<br />
generalità delle brigate di fanteria dell'esercito Italiano.<br />
16
18, fu il comandante <strong>della</strong> 50ª divisione che di sua iniziativa diede l'ordine per<br />
l'abbandono <strong>della</strong> stretta di Saga e per il ripiegamento sulla fronte M.Guarda,<br />
Valle Uccea, Privi Hum, M. Stol. 13 […] La sterra di Saga costituiva una delle<br />
porte più pericolose per noi […] la sua difesa doveva essere considerata<br />
alla stregua dei forti di sbarramento, i quali non possono essere abbandonati<br />
senza l'ordine esplicito del comando cui spetta la condotta delle operazioni».<br />
L'abbandono frettoloso, inspiegabile tatticamente, <strong>della</strong> stretta di Saga<br />
meravigliò lo stesso generale Krafft il quale osservò che per la difesa <strong>della</strong><br />
stretta, formata da una gola rocciosa larga quanto la strada, sarebbero bastati<br />
un pugno di uomini e una sola mitragliatrice. Lo stesso generale tedesco non<br />
fi niva mai di meravigliarsi, ad esempio non riuscì mai a comprendere perché<br />
gli italiani, alla vigilia dell'attacco, non avessero abbandonato le posizioni più<br />
avanzate e vulnerabili. 14 Il ritiro dalla stretta di Saga comportò la perdita di<br />
tutte le truppe del IV Corpo, che dopo la distruzione del ponte di Caporetto<br />
e di Serpenizza rimasero imbottigliate e senza via di fuga. Inoltre – come osserva<br />
Bencivenga – «aprì la porta al nemico per realizzare un grande successo<br />
in campo strategico». 15<br />
A Udine – sede del Comando di Cadorna - occorrono delle ore perché ci<br />
si renda conto <strong>della</strong> realtà che si stava delineando sul campo. Il colonnello<br />
Gatti - aggregato al comando supremo in qualità di storico - nella pagina del<br />
suo diario del 24 scrive che alle 18 (quando i tedeschi erano a Caporetto dalle<br />
15 e l'intero IV era perduto) Cadorna, uscendo dal suo uffi cio, lo chiama, «è<br />
tranquillo, sorridente» e tra l'altro gli dice: «[…] non sappiamo con sicurezza<br />
dove sono i nemici. Quindi non possiamo nemmeno inferire che cosa possano<br />
fare». Tuttavia – scrive Gatti – «è indiscutibile, che alle 18, il generale<br />
Cadorna ha il pensiero diviso fra queste due possibilità: che il nemico faccia<br />
un «bluff» davanti a Tolmino, e attacchi in un altro punto, per esempio nel<br />
Carso, o che il nemico faccia sul serio davanti a Tolmino. Non è ben convinto<br />
che si possa attaccare da Tolmino a Caporetto. «Ci sono tre catene in mano<br />
nostra, dice: come fa a sboccare, sotto il tiro delle nostre artiglierie? Per esempio<br />
pigliamo la conca di Tolmino: come fa ad andare contro la formidabile<br />
posizione nostra […] se le nostre artiglierie dominano le strade di Volzana e<br />
dell'Isonzo?». Il colonnello, tranquillizzato dal suo Capo che nulla di grave<br />
poteva avvenire in quel che restava del giorno fatidico, subito dopo cena, va<br />
a vedersi un fi lm, torna al Comando intorno alle 22, lo trova «tutto illuminato»<br />
e in gran fermento. Ci sono tutti, il vice di Cadorna generale Porro, i<br />
13 Il comandante <strong>della</strong> divisione era il generale Giovanni Arrighi.<br />
14 Krafft von Dellmensingen, Der Durchbruch am Isonzo, Berlino 1929 (ed. italiana: 1917.<br />
Lo sfondamento dell'Isonzo, a cura di Gianni Pieropan, Milano 1981).<br />
15 Bencivenga, op.cit. pag.82.<br />
17
vari colonnelli <strong>della</strong> segreteria in piena agitazione. Gatti si avvicina con una<br />
certa trepidazione a Porro e chiede come v<strong>anno</strong> le cose. Porro, in linea con il<br />
ferreo ottimismo del suo capo, risponde: «non benissimo». Poi gli snocciola<br />
i dati conosciuti <strong>della</strong> situazione. Altro che « non benissimo». Non ci sono<br />
notizie <strong>della</strong> 43ª e 50ª divisione del IV Corpo, la perdita del Monte Piatto,<br />
lo Jeza, il Globocak, forse 20.000 prigionieri, tutti i c<strong>anno</strong>ni perduti. Scrive<br />
Gatti, sbalordito dalle notizie: «Guardo in faccia tutti. Il nemico, approfi ttando<br />
<strong>della</strong> nebbia, ha fatto fare ad alcuni suoi reparti 22 chilometri, per monti<br />
diffi cilissimi. I nostri se li son visti arrivare alle spalle. Il IV Corpo non ha<br />
resistito neanche un minuto. Il XXVII è stato anch'esso superato subito alla<br />
sinistra. Anzi, il IV Corpo accusa il XXVII di aver permesso all'avversario<br />
di fi lare dai ponti di Tolmino, per cost one fi no a Luico e Idersko, in modo da<br />
essere sulla destra dell'Isonzo, e alle spalle dei nostri.[…] Il capo ha detto che<br />
ritirerebbe tutto sul Tagliamento. La cosa è mostruosa e inconcepibile». 16<br />
Dunque, già dalla sera del 24 i giochi sembravano fatti. Il Comando supremo<br />
ha mobilitato quasi tutte le riserve disponibili; il giorno dopo il Comando <strong>della</strong> 2ª<br />
armata getta tutte le truppe che erano rimaste in inutili tentativi. La situazione ormai<br />
compromessa e già defi nita, le sorti <strong>della</strong> battaglia decise. Cadorna, che aveva<br />
previsto già alla sera del 24 la necessità si ritirarsi sulla linea del Tagliamento,<br />
ordinava alle due armate 2ª e 3ª di predisporre per la rimessa in effi cienza di quella<br />
linea. Non si era in grado di tamponare la falla che si era creata per la rottura<br />
del fronte, né si poteva pensare che truppe battute, avvilite, distrutte, delle quali lo<br />
stesso Cadorna aveva espresso giudizi taglienti, potessero arginare il dilagare del<br />
nemico. I generale si convince <strong>della</strong> ineluttabilità <strong>della</strong> manovra in ritirata e ordina<br />
alla 3ª armata, poco coinvolta nei combattimenti e dunque integra, di trasferire<br />
subito sul Piave le artiglierie di grosso calibro meno mobili e quindi d'intralcio<br />
per il ripiegamento. Poco dopo aver preso tale decisione, che sembrava oggettivamente<br />
inevitabile, 17 cambia idea, 18 o meglio cerca conferme sentendo il sostituto<br />
16 A. Gatti, Caporetto, dal diario di guerra inedito, a cura di Alberto Monticone, Bologna<br />
1964. Il diario di Gatti è stato recentemente ripubblicato, sempre dalla casa editrice il Mulino<br />
di Bologna. Si noti come il Comando supremo, fi n dal primo giorno, attribuisca la responsabilità<br />
maggiore dell'accaduto al IV Corpo che «non ha resistito neanche un minuto», mentre<br />
al XXVII di Badoglio, solo le accuse riferite dal generale Cavaciocchi, comandante del IV,<br />
senza commento.<br />
17 Lo stesso Capello al mattino del 25, prima di lasciare il Comando per essere ricoverato<br />
all'ospedale di Padova, aveva consigliato a Cadorna, prima verbalmente poi per iscritto, di<br />
ritirarsi sul Tagliamento per sottrarsi «allo stretto contatto e alla pressione nemica sotto la<br />
protezione d'una strenua difesa di retroguardie». .<br />
18 Dal diario del colonnello Gatti traspare con chiarezza che l'ipotesi di una ritirata dietro<br />
il Tagliamento è vista, nella cerchia del comando supremo, come una immane tragedia.<br />
Dopo aver combattuto, con risultati alterni, undici battaglie sull'Isonzo costate centinaia di<br />
migliaia di uomini, aver conquistato il S.Michele, Gorizia, il Sabotino e la Baisizza e proprio<br />
18
di Capello generale Montuori, 19 il quale avalla senza riserve il pensiero del capo<br />
sulla possibilità di resistere con il solo abbandono dell'altopiano <strong>della</strong> Bainsizza.<br />
Dunque, è deciso: resistenza ad oltranza sulla linea Montemaggiore-Korada,<br />
«fi no all'ultimo uomo» – tuona il Generalissimo. Questo è il nuovo verbo: tutte le<br />
riserve disponibili sono gettate nella fornace. La riserva è per defi nizione un'aliquota<br />
di forza alla mano di un comandante da utilizzare per contrastare azioni<br />
di sorpresa da parte del nemico.»L'insieme di tali forze viene anche detto forze<br />
libere, poiché sono svincolate da precisi compiti». 20 Ma tali forze devono essere<br />
alla mano, ossia impiegabili immediatamente in caso di bisogno e tutte, non a<br />
spizzico come invece avvenne. Abbiamo già accennato al VII Corpo che era una<br />
riserva solo nella testa di Cadorna – ammesso che abbia mai pensato realmente<br />
nelle capacità d'intervento effi cace di quel corpo d'armata - che era ancora in fase<br />
di costituzione all'inizio <strong>della</strong> battaglia. A quel Corpo «mancava l'attributo essenziale<br />
d'una riserva, ossia la mobilità». 21 Le riserve <strong>della</strong> mastodontica 2ª armata,<br />
erano sottostimate nel caso di una battaglia difensiva 22 . Ma il problema era che<br />
le unità erano tutte orientate alla conca di Gorizia e alla Bainsizza e a protezione<br />
degli sbocchi a sud <strong>della</strong> testa di ponte di Tolmino, non alla sinistra dell'armata,<br />
già debole di per sé. Scrive il Pieri sulla dislocazione delle riserve:<br />
Dunque riserve d'armata non rispondenti né per forza né per dislocazione alle esigenze<br />
<strong>della</strong> difesa dal punto di vista tattico, e un comando d'armata troppo lontano e oberato,<br />
per poter avere l'esatta e tempestiva sensazione del loro impiego. Non meno, e forse più<br />
inadeguate le riserve del Comando supremo. Non già venti o ventidue divisioni, ma otto<br />
o nove, oltre una sulla fronte trentina (114 battaglioni in tutto). Non solo, ma le riserve<br />
erano dislocate in due nuclei, fra Cividale e Cormons l'uno, presso Palmanova l'altro, ossia<br />
troppo a sud e troppo vicino alle prime linee. Il che è quanto dire, non utili in campo<br />
strategico. Così che la disposizione delle riserve del Comando supremo non valeva per<br />
quando sembrava che con un altro sforzo saremmo arrivati a Lubjana, l'abbandono di tutto<br />
doveva suonare bestemmia. Cadorna, nel mutare le proprie decisioni e tentare la difesa ad<br />
oltranza, può essere stato condizionato psicologicamente dall'umore che percepiva tra i suoi<br />
collaboratori.<br />
Lo stesso giovane aspirante Acquaviva, - nel diario che segue – apprende la decisione del<br />
ripiegamento come qualcosa di inaudito, da stentare a credere.<br />
19 Montuori era il vice di Capello quando assunse il comando dell'armata ad interim. È<br />
singolare che Montuori accettasse e condividesse la retromarcia di Cadorna circa la ritirata al<br />
Tagliamento quando verosimilmente, poche ore prima, aveva condiviso con Capello l'ipotesi<br />
contraria.<br />
20 R. Busetto, Il Dizionario Militare, Bologna 2004.<br />
21 P. Pieri, La Prima Guerra Mondiale 1914 –1918, Problemi di Storia Militare, Roma,1987,<br />
pag. 261. (La prima edizione fu pubblicata a Torino nel 1947).<br />
22 Un quinto <strong>della</strong> forza anziché la metà. La sottostima delle riserve tenute alla mano dal<br />
comando dell'armata di Capello conferma l'ipotesi che non si prevedeva un attacco di quelle<br />
proporzione sull'ala sinistra.<br />
19
San Donà di Piave sconvolta dai c<strong>anno</strong>neggiamenti. Foto aerea dell'ottobre 1918. MCRR.
Ponte di Piave 1918. MCRR.
nulla a correggere la cattiva dislocazione di quelle <strong>della</strong> 2ª armata. Esse inoltre erano per<br />
lo più inquadrate in brigate, e non in divisioni e Corpi d'armata, ed eran formate […] dalle<br />
brigate logore, mandate nelle retrovie per ricostituirsi.<br />
Quando Cadorna ordinò la resistenza fi no all'ultimo uomo sulla linea Montemaggiore-Korada<br />
era ormai troppo tardi, la linea stava per essere aggirata.<br />
Alla sera del 26 le poche truppe appena giunte sgomberarono in fretta. 23 Fu<br />
solo nell'apprendere questa notizia che Cadorna decise la ritirata al Tagliamento.<br />
Tra un ordine, un contrordine, un ripensamento si sono perse 36 ore.<br />
Già nel pomeriggio del 27 le avanguardie nemiche erano giunte a Cividale<br />
scendendo per la strada principale del Pulfero. Nelle stesse ore il Comando<br />
supremo lascia Udine e si trasferisce direttamente a Treviso, non dietro il Tagliamento,<br />
come sarebbe stato logico per coordinare l'affl usso dell'esercito in<br />
ritirata. L'ordine di ripiegamento assegna i ponti <strong>della</strong> Delizia alla 3ª armata,<br />
ponti fi no allora a disposizione <strong>della</strong> 2ª. Tale decisione costringe le truppe che<br />
erano state più provate dai combattimenti ad una marcia obliqua nella pianura<br />
friulana con il pericolo di essere attaccati sul fi anco. Inoltre Montuori decide<br />
di usare i corpi <strong>della</strong> Bainsizza per proteggere il fi anco <strong>della</strong> 3ª in ritirata dal<br />
Carso. Decisione discutibile in quanto a questo scopo erano già schierati i<br />
reparti superstiti dell'VIII corpo per cui – scrive Pieri – «quattro corpi <strong>della</strong><br />
2ª armata venivano così trattenuti per garantire il defl usso di altrettanti Corpi<br />
formanti la 3ª armata. Insomma un fi ancheggiamento del fi ancheggiamento».<br />
Dopo un certo tempo Montuori si convince dell'errore e chiede al Comando<br />
supremo a Treviso di consentire il passaggio dei tre Corpi sui ponti di Codroipo,<br />
ma da Treviso viene il veto: «È di supremo interesse condurre in salvo<br />
almeno la 3ª Armata che si conserva salda ed effi ciente»! Nella confusione<br />
generale si inserisce l'episodio dei ponti di Codroipo difesi da un velo di truppe<br />
dei resti dell'VIII Corpo. Le avanguardie nemiche, già alla sera del 29 sono<br />
al Tagliamento. Il fi ume non è guadabile a causa <strong>della</strong> piena, allora scendono<br />
sulla sponda sinistra aggirando, con la solita tattica, la difesa dei ponti. Questa<br />
situazione costringe in fretta e furia a far brillare le mine già predisposte.<br />
Alle 13 del 30, quando con un gran boato saltano i ponti, interi Corpi sono<br />
ancora sulla sinistra del fi ume, il nemico cattura un gran numero di prigionieri<br />
e ingente bottino. A quel punto non resta che ritirarsi dietro il Piave. Tutti i<br />
ponti sul Piave furono fatti saltare. <strong>L'ultimo</strong> fu quello <strong>della</strong> Priula dove un<br />
battaglione <strong>della</strong> brigata Sassari lo percorse al grido: Siamo gli ultimi!<br />
23 Sulla caduta di Montemaggiore il Pieri registra il parere espresso dallo storico militare<br />
Viktor Schemfi l, allora comandante del battaglione di Kaiser-jäger che occupò la cima di<br />
Montemaggiore, il quale asserisce che il ritiro degli italiani fu troppo frettoloso quando la<br />
situazione non era ancora compromessa.<br />
22
In pratica l'effi cienza operativa del nostro esercito risultò quasi dimezzata.<br />
Il successo di von Below e la rottura del fronte dell'armata tra Plezzo e Tolmino<br />
non era, di per sé, un fatto irreparabile. L'attaccante ha il vantaggio di<br />
scegliere il punto e l'ora dell'attacco, di impiegare uomini e mezzi in misura<br />
tale da surclassare e sorprendere il difensore: se gli stati maggiori pianifi cano<br />
seriamente la probabilità del successo iniziale dell'attacco è molto probabile.<br />
Sta a chi si difende predisporre le misure per contenere i danni dell'attacco e<br />
porvi rimedio. Cosa che a Caporetto non avvenne.<br />
Il nuovo fronte<br />
A Refrontolo, proprio sopra il Piave, c'è una bella villa con il cancello<br />
d'ingresso maestoso, Villa Antonietta, o Villa Spada dal nome <strong>della</strong> famiglia<br />
che vi risiedeva. Fino al 1866 il proprietario <strong>della</strong> villa era un alto funzionario<br />
imperiale come si può desumere dalla raccolta di documenti conservati nella<br />
barchessa <strong>della</strong> villa stessa. Maria Spada, allora giovane donna, abitava la<br />
villa di Refrontolo e dal 9 novembre 1917 fu costretta a condividere la casa,<br />
divenuta sede di un comando, con i nemici. 24<br />
«[…] i primi ad arrivare furono due uffi ciali austriaci a cavallo, poco dopo<br />
mezzogiorno, entrarono nel giardino ed uno avvicinandosi alla porta mi chiese,<br />
con cortesia, parlando in francese, se avevo un uovo[…] Verr<strong>anno</strong> gli austriaci?<br />
gli chiesi. «Sarà molto peggio, perché verr<strong>anno</strong> i tedeschi.»». Dopo<br />
alcune ore infatti entrarono a Villa Antonietta una ventina di uffi ciali e 150<br />
soldati con cavalli, biciclette e moto, al comando del capitano Korpim <strong>della</strong><br />
Breslavia. L'uffi ciale – scrive Maria - «sarà famoso guerriero, ma non gentiluomo<br />
[…] Mi intimò di scacciarmi dal castello, se non alloggiavo tutti. Gli<br />
invasori h<strong>anno</strong> scassinato ogni cosa, saccheggiato, portato via il fonografo, il<br />
mandolino ecc. e sporcato tutto». Il giorno 11, domenica, giunge alla villa il<br />
comandante del Corpo d'armata, barone von Stein. Il generale, «accompagnato<br />
da principi e baroni» si comportò meglio del capitano e «tutti s'inchinarono<br />
a madama del castello».Martedì 20 novembre «Il comando supremo è<br />
sempre in Villa Antonietta. Personaggi amanti del mangiare bene e molto;<br />
gustato assaissimo il vino <strong>della</strong> Villa e specialmente le bottiglie.» Sono i giorni<br />
in cui gli invasori preparano l'assalto fi nale al fronte italiano. L'ottimismo,<br />
per non dire l'entusiasmo, di assestare all'Italia il colpo mortale viene percepito<br />
anche nel piccolo mondo del paese. Scrive Maria Spada: «Refrontolo<br />
sembra una capitale: automobili a migliaia, autocarri, cavalli, truppa e trup-<br />
24 I brani che seguono sono ripresi dalle Memorie di Maria Spada conservate dal fratello<br />
Gino e stampate nel 1992 in un opuscolo dal titolo Diario dell'invasione. Episodi di vita<br />
quotidiana in un quadro di avvenimenti storici.<br />
23
pa… sui cancelli sventola la bandiera bianca rossa nera. Grandi personaggi<br />
sono arrivati a Villa Antonietta: generalissimo von Below, vincitore <strong>della</strong> Rumenia,<br />
comandante 14ª armata bavarese e Krafft von Dellmensingen, capo<br />
dello Stato Maggiore». Padrone di casa sempre von Stein che si è insediato<br />
nella camera migliore <strong>della</strong> villa. L'arrivo del comandante dell'armata però<br />
scombussola tutto e Stein trasloca in altra camera meno importante. Il 24 novembre<br />
giunge una delegazione con gli ambasciatori di Spagna, Svezia e<br />
Norvegia in visita al fronte. Alla sera «gran pranzo con 40 coperti. Le pareti<br />
adorne di pino intrecciato col colore germanico». Non mancarono «mandolinisti<br />
e violinisti, appositamente fatti venire […] Ore 11 di notte. Profusione di<br />
champagne, brindisi, musica e… il rombo terrorizzante del c<strong>anno</strong>ne». Mentre<br />
a poca distanza i soldati, di entrambe le parti erano costretti a vivere (quando<br />
andava bene) in condizioni estreme, al freddo, nel fango delle trincee, Villa<br />
Antonietta era tutta una festa. Il 30 arriva anche l'arciduca Eugenio «preceduto<br />
da molti generali. Colazione riservata in salotto. Menu stampato su cartoline<br />
di Villa Antonietta. Impossibile averne una da serbare – lo stesso granduca<br />
la ripose gelosamente». Per l'occasione alle pareti del salotto erano stati messi<br />
quadri raffi guranti Venezia la cui conquista era giudicata imminente. Il 2<br />
dicembre, dopo 22 giorni, «il Comando Supremo è ancora qui. Tutti si trovano<br />
molto bene. Non credevano però di trovare tanta resistenza sul Piave. Oh<br />
se l'avessero invece trovata ai nostri confi ni! S'impadronirono di tanta, tanta<br />
roba di tutti i generi. Al dire dei germanici, non ne possedevano tanta in tutta<br />
la Germania quanta ne trovarono da Udine a qui.» 25 Maria Spada, pur senza<br />
possedere elementi concreti di giudizio, rileva, come tanti altri in quei giorni,<br />
la contraddizione tra la rotta di Caporetto e la disperata resistenza sul Piave,<br />
Grappa e altipiani. La constatazione, da parte dei tedeschi, che le cose erano<br />
cambiate dopo la veloce galoppata dall'Isonzo al Piave, ha per conseguenza il<br />
ritiro delle divisioni per inviarle sul fronte occidentale, dove i francesi attaccavano<br />
anche per ridurre la pressione nemica sul fronte italiano. Von Stein e<br />
il suo comando lasciano la villa il 10 non prima di un ultimo banchetto in<br />
onore di 30 uffi ciali austriaci, nuovi inquilini <strong>della</strong> dimora. Alla proprietaria<br />
di villa Antonietta era rimasta una camera, quella che era stata <strong>della</strong> madre,<br />
che condivideva con le due domestiche. Il 23 dicembre, messa nella chiesetta<br />
<strong>della</strong> villa. Alla cerimonia viene invitata, dall'aiutante del generale Bolzano, 26<br />
anche Maria Spada che <strong>anno</strong>ta: «Mi colpì profondamente l'atto di un capitano,<br />
dall'aspetto fi ero. S'inginocchiò a pié dell'altare e ricevette la S. Comunio-<br />
25 Si noti che l'ottimismo iniziale degli austro-germanici lascia il posto alla sorpresa nel<br />
trovarsi davanti truppe che sul nuovo ed improvvisato fronte resistono strenuamente.<br />
26 Il generale Bolzano troverà la morte sul Montello durante la Battaglia dei Solstizio,<br />
combattuta dal 15 al 23 giugno 1918.<br />
24
ne. Dietro a lui tutti i suoi soldati. Era il condottiero degli arditi comandante<br />
<strong>della</strong> compagnia d'assalto, Conte <strong>della</strong> Scala, polacco, imparentato con la famiglia<br />
imperiale germanica. « L'aiutante del generale Bolzano era un nobile<br />
di buone maniere, barone Rudolf Feilitzsch, che spesso conversava con la<br />
padrona di casa. Una delle cose che più angustiava Maria era la proibizione di<br />
scrivere «in Italia» per avere notizie dei suoi cari. L'uffi ciale, alla pressante<br />
richiesta di Maria di poter inviare una lettera, pur confermando il divieto, rispose:<br />
«Scriva Madama e mi consegni la lettera». Il 30 gennaio, scrive Maria,<br />
«Per la prima volta dopo l'invasione ho visitato la mia santa Mamma, benedetta.<br />
Ho trovato la cappellina tenuta in ordine dalla custode, il camposanto<br />
ricco di tombe di soldati germanici e austriaci. Pare impossibile, perfi no nella<br />
morte la Germania tiene l'Austria soggetta, sotto il suo comando: il soldato<br />
germanico viene messo nella cassa, l'austriaco viene sepolto senza cassa.» 27<br />
Il 1° febbraio, attraverso la Gazzetta del Veneto, giornale italiano stampato a<br />
Udine, Maria legge fi nalmente una bella notizia: «Maria Spada Refrontolo<br />
(Conegliano). I fratelli st<strong>anno</strong> bene». Il 14 febbraio la brigata di von Bolzano<br />
lascia villa Antonietta per trasferirsi «in una casa dei coloni del farmacista a<br />
Pieve di Soligo». La mobilia per la casa, appositamente ristrutturata «a spese<br />
<strong>della</strong> brigata», proviene da Refrontolo con tanto di «protocollo con timbro<br />
<strong>della</strong> brigata, la quale si obbliga a far riportare ogni oggetto qui in casa, alla<br />
conclusione <strong>della</strong> pace». Il 23 marzo si presentò alla signora un colonnello<br />
«che parlava in veneziano», voleva riportare indietro la mobilia fi nita a Pieve<br />
di Soligo. Ma «la cosa si faceva un po' complicata dato il contratto fatto. Ci<br />
spiegammo e se ne andò soddisfatto», chiosa la padrona di casa. La domenica<br />
di Pasqua cadeva il 31 marzo e Maria non si risparmiò le Messe. Assistette<br />
addirittura a tre, una dopo l'altra, celebrate dal parroco del paese e da due<br />
cappellani, uno ungherese e l'altro greco cattolico. Gli italiani avevano diradato<br />
l'intensità delle artiglierie, ma gli aerei continuavano a scaricare migliaia<br />
di volantini propagandistici. Visto che le c<strong>anno</strong>nate erano ormai rare il 13<br />
aprile i soldati occupanti mettono in scena una gran festa con vari giochi (tennis,<br />
albero <strong>della</strong> cuccagna, corse varie con premi), insomma non sembrava<br />
che ci fosse la guerra: presente il comandante <strong>della</strong> brigata ospite <strong>della</strong> villa.<br />
Lo stesso generale dal nome impronunciabile di Sypniewski, il due maggio,<br />
si presenta alla signora Maria «in alta tenuta, con le decorazioni al collo e il<br />
27 Nelle note di Maria Spada traspare un profondo astio verso i tedeschi mentre è più<br />
tollerante nei confronti degli austriaci. Eppure sono proprio le truppe d'assalto austriache<br />
al comando del polacco conte <strong>della</strong> Scala che devastano la sala da pranzo e rubano quadri<br />
e suppellettili. Per quanto riguarda la sepoltura dei soldati caduti non credo che i tedeschi<br />
abbiano imposto alcunché ai loro alleati, semplicemente le disposizioni erano diverse da un<br />
esercito all'altro.<br />
25
Venezia: la fl otta austriaca viene consegnata all'Italia dopo l'armistizio. MCRR.<br />
Artiglieria austriaca catturata in Trentino. MCRR.
Castelfranco Veneto: 17 marzo 1918. Soldati in inglesi. ISTRIT.<br />
Castelfranco Veneto: 17 marzo 1918. Soldati francesi consumano il rancio. ISTRIT.
petto fregiato di medaglie e si congedò». Per la villa si trattava però solo del<br />
cambio d'inquilini. Infatti la sera stessa arrivano i nuovi. Si trattava di una<br />
brigata mista composta da austriaci, bosniaci, ungheresi e turchi dal rassicurante<br />
nome di La feroce. Il colonnello che comanda quella brigata quasi internazionale<br />
si presenta come da etichetta pronunciando il suo nome: «colonnello<br />
Kirschhoffer», che come pronuncia faceva il paio con il generale appena<br />
partito. Appena arrivati gli ungheresi «fecero venire a Refrontolo il cinematografo<br />
a favore delle vedove e degli orfani di guerra». I fi lm proiettati erano<br />
tutti italiani e dunque comprensibili. Il 27 maggio Maria riceve una cartolina<br />
dal fratello Gino. La posta arriva da Udine, ma la cartolina era stata spedita da<br />
Roma il 12 dicembre dell'<strong>anno</strong> precedente. Il 9 giugno – scrive Maria Spada<br />
– «Di giorno in giorno si aspetta la grande offensiva. Quest'ultimo comando<br />
fi nisce di requisire ogni cosa, animali, biancheria ecc. considera i civili come<br />
nemici». Il 14 giugno i segnali di quella che sarà la battaglia decisiva per gli<br />
austro-ungarici sono numerosi: «carri, autocarri, truppa. È partito il comando<br />
ed è giunto un ospedaletto da campo, con sacerdote e infermiere». Il giorno<br />
dopo – <strong>anno</strong>ta Maria – «alle tre di notte mi sono svegliata di soprassalto. Tutto<br />
tremava per il bombardamento terribile». Ma, nella concitazione <strong>della</strong> battaglia,<br />
qualcuno bussa alla porta con vigore. La padrona ordina alla cameriera<br />
di aprire, di andare a vedere, la cameriera torna lestamente e dice: «un soldato<br />
armato di tutto punto, in via di raggiungere i suoi, porta una lettera che<br />
deve rimanere soltanto nelle sue mani». «Mi vesto sgomenta temendo che mi<br />
fosse intimato di lasciare la casa, recito un Ave Maria e leggo. Era del barone<br />
Felitzsch che mi avvertiva che a causa dell'ordine improvviso di partire gli era<br />
impossibile farmi avere la mobiglia che si trovava in Federa: la mandassi pure<br />
a prendere essendo a mia disposizione […] Non potei fare a meno di pensare<br />
che agire così in simili circostanze signifi cava fare la guerra da gentiluomini».<br />
«Sabato 15 giugno. Gli austro- ungarici iniziano le loro offensive sul<br />
Piave. Riescono a passare il fi ume. Comincia lo stuolo dei prigionieri italiani<br />
ricevuti dalla popolazione con improperi». Ma passano pochi giorni e le cose<br />
cambiano. Il 17 «Aereoplani italiani, inglesi e francesi rompono i ponti che<br />
gli austriaci gettano ininterrottamente sul Piave». Sabato 22 giugno: la battaglia<br />
è alla conclusione, il tentativo di sfondamento del fronte del Piave, del<br />
Grappa e degli Altipiani è stato fermato. Gli austriaci, questa guerra l'h<strong>anno</strong><br />
ormai persa! A Refrontolo era tornata la brigata del generale Bolzano «meno<br />
il povero generale perito sul Piave. Gli arditi italiani lo videro piombare nella<br />
trincea gridando «vittoria, vittoria!» Gli intimarono di arrendersi, ma non ne<br />
volle sapere e morì pugnalato. Anche il suo cameriere era morto. Gli portava<br />
fi no al di là del Piave il pranzo attraversando il fi ume su una barchetta. Il pas-<br />
28
saggio fu fatto bene per due giorni; il terzo giorno il cameriere partì triste dicendo<br />
che non sarebbe più ritornato. Quel giorno la barchetta fu colpita e si<br />
capovolse con il cameriere e il pranzo». Lunedì 24 giugno: «Gli italiani respingono<br />
gli austro-ungarici dal fronte del Piave. L'offensiva è fallita, comincia<br />
la ritirata: e truppe, truppe, truppe si susseguono passando per Refrontolo».<br />
Nella confusione che seguì la ritirata non mancarono nel piccolo paese<br />
devastazioni e saccheggi. Finalmente il 27 «venuto un nuovo comando e con<br />
esso la quiete». Giovedì 4 luglio 1918: «Povera villa Antonietta. Il giardino è<br />
ridotto a campo attendato: la casa quartiere è abitazione per un colonnello di<br />
brigata e molti uffi ciali, caserma per tutti i soldati: ne dormono in doppia fi la<br />
per terra e perfi no dentro gli armadi dove in tempi migliori tenevo la biancheria<br />
di famiglia».<br />
20 luglio 1918: «Festa di S. Margherita patrona di Refrontolo. Povera triste<br />
sagra con lo spettro <strong>della</strong> fame davanti. Da otto mesi tutti i comandi h<strong>anno</strong><br />
sempre requisito ogni cosa. Le piantagioni sono distrutte dal passaggio dei<br />
cavalli e dei soldati. Si vedono donne e ragazze con il sacco sulle spalle che<br />
camminano, camminano sfi dando bombe e granate, avanzano imperterrite<br />
fi no al Piave per raccogliere le spighe di frumento. Talvolta sono sorprese<br />
dalle sentinelle e allora dopo aver sfi dato la morte si buscano la prigione e il<br />
sequestro di ogni cosa. Povere creature arrischiano la vita per provvedere ai<br />
vecchi e ai bambini e purtroppo vecchi e bambini ne muoiono ogni giorno di<br />
fame». 28 Domenica 4 agosto: «Ero alla Messa delle 10 quando cominciarono<br />
le granate. Tutti rimasero in chiesa. Ne caddero 6 vicino alle ville Uberti, Corradini<br />
e Colles. Scoppiarono sul terreno senza arrecare danni. Non è giunto<br />
nessun comando. Sembra strano vedere la casa vuota di soldati. L'aiutante<br />
del generale Sypniewski di passaggio ha detto che il barone Felitzsch rimase<br />
gravemente ferito nell'offensiva, ma salvo». Il 5 altre c<strong>anno</strong>nate italiane sul<br />
paese: 12 granate, con qualche d<strong>anno</strong>, ma senza vittime. Quel giorno arriva in<br />
villa un comando austriaco. Il 22 raid aereo con lancio di «biglietti scritti in<br />
diverse lingue. Gli uffi ciali austriaci sono indignati vedendo come si cerchi di<br />
aizzare gli sloveni contro il governo austriaco». 29 Il giorno dopo si fa vedere<br />
anche un aereo francese che «volando bassissimo abbatté stamane su Pieve di<br />
Soligo un aeroplano austriaco. I due piloti uccisi, un uffi ciale aviatore con le<br />
28 L'esercito austro-ungarico, negli ultimi mesi di guerra, viveva una drammatica situazione<br />
logistica: mancava di tutto, persino dei viveri per il sostentamento dei soldati. Il territorio<br />
occupato era ormai stato saccheggiato, non c'era più niente da prendere. Maria Spada mette<br />
bene in evidenza la situazione per quanto riguarda la popolazione civile che muore letteralmente<br />
di fame e di stenti.<br />
29 La stessa cosa l'avevano fatta gli aerei austriaci nei confronti dei soldati italiani, specie<br />
nel 1916 -17. Dunque niente di nuovo.<br />
29
gambe spezzate». Il 30, sotto una temporale, in tarda serata, «giunse in Villa<br />
Antonietta il comando <strong>della</strong> 12ª divisione di cavalleria appiedata 30 comandata<br />
dal principe Max Eugenio Furstenberg, parente dell'imperatore d'Austria.<br />
Stamane alle 11 il capo di stato maggiore venne a presentarsi. Il casato è turco<br />
e si traduce Mano Nera. Parla italiano. È cognato del conte Nicolò Papadopoli<br />
avendo sposato la sorella <strong>della</strong> contessa Elena. La villa fu messa in ordine<br />
e sulla riva fu piantato il telegrafo Marconi». Il principe comandante <strong>della</strong><br />
divisione di cavalleria appiedata il 16 settembre parte per Vienna «per la riapertura<br />
<strong>della</strong> Camera dei Signori. Il principe ogni mattina scendeva a cavallo,<br />
in tenuta inappuntabile, fi no al Piave e tornava a mezzogiorno tutto coperto<br />
di fango». Il giorno 18 rifl essione <strong>della</strong> padrona di casa: «[…] H<strong>anno</strong> portato<br />
via le carrozze. Il landau lo h<strong>anno</strong> totalmente distrutto: acquistato 40 anni fa<br />
da mio padre, fatto mettere a nuovo dalla mamma vent'anni fa, chiuse il suo<br />
servizio nobilmente trasportando la famiglia di mio fratello Gino al di là del<br />
Piave il 31 ottobre dello scorso <strong>anno</strong>». Si avvicinano i giorni <strong>della</strong> battaglia<br />
fi nale. Il 26 settembre «aerei italiani gettano biglietti raccomandando ai civili<br />
di premunirsi contro il gas. Così per me e per i miei domestici ho fatto preparare<br />
dei sacchetti con cenere, che imbevuti d'acqua si applicano alle narici<br />
e alla bocca.» 31<br />
Giungono a Maria Spada, evidentemente mediante gli ospiti <strong>della</strong> villa,<br />
notizie che f<strong>anno</strong> presagire la fi ne dell'immane confl itto: il 1° ottobre, la Bulgaria,<br />
ormai stremata, ha chiesto l'armistizio. Il 6 «Gli imperi centrali chiedono<br />
la pace lasciando arbitro il presidente degli stati Uniti». E però «secondo i<br />
giornali», nota la Spada, «Wilson dichiara che per trattare la pace gli eserciti<br />
nemici devono ritirarsi nei loro confi ni». Il giorno 13 a Refrontolo, prima linea<br />
del fronte, la situazione è quasi idilliaca. Scrive Maria: «Clelia Uberti mi<br />
offre un piccolo ramoscello di ulivo quale annuncio di pace. Qualche uffi ciale<br />
lo ha pure sul berretto. Dicono che Vienna sia tutta imbandierata». Giovedì<br />
24 ottobre, giorno dell'inizio dell'offensiva italiana, una brevissima nota: «È<br />
desiderio di tutti gli uffi ciali e soldati di tornate alle loro case».<br />
Si sta combattendo l'ultima battaglia, quella che porterà uffi cialmente alla<br />
fi ne <strong>della</strong> guerra. L'esito era scontato: la poderosa armata imperiale e regia<br />
dell'impero si stava sfaldando. Nessuno aveva più voglia di combattere. Alcuni<br />
reggimenti ungheresi si erano ammutinati: gli uffi ciali e i soldati chie-<br />
30 <strong>L'ultimo</strong> <strong>anno</strong> di guerra l'esercito austro-ungarico aveva appiedata la quasi totalità delle<br />
unità di cavalleria per mancanza di cavalli e foraggio. I soldati di cavalleria vennero impiegati<br />
come fanti.<br />
31 Singolare il fatto che nella villa, con tutti i comandi che si erano avvicendati (anche in<br />
quei giorni ce n'era uno), nessuno abbia munito la padrona di casa e il personale <strong>della</strong> villa<br />
di maschere antigas.<br />
30
devano di rientrare in patria per difenderne i confi ni. Eppure l'<strong>org</strong>oglio di un<br />
esercito pieno di tradizioni, anche gloriose, non mancò all'ultimo appello rendendo<br />
vita dura a italiani, inglesi e francesi al passaggio del Piave, sul Grappa<br />
e sugli Altipiani. Ma dietro quel velo di uffi ciali e soldati che fi nivano la loro<br />
guerra con dignità e valore, meritando l'unanime rispetto, non c'era più niente<br />
e, una volta a Vittorio Veneto, linea di congiunzione delle due armate imperiali,<br />
rimaneva solo il vuoto. La situazione nella grande villa di Refrontolo è<br />
surreale. Il pomeriggio di sabato 26, dalle 16 alle 18, nel giardino <strong>della</strong> villa<br />
si esibisce la banda musicale militare quando «giunge improvvisamente a cavallo<br />
il generale Sypniewski e s'intrattiene per circa un'ora con il colonnello<br />
Serda. Questi mi chiese poi se avessi un luogo adatto per ripararmi nel caso ci<br />
fosse battaglia. «Speriamo che non ci sia battaglia». Ed egli mi rispose: «chi<br />
lo sa?»» E infatti battaglia vi fu ed ebbe inizio «alla mezzanotte tra il 26 e il<br />
27 ottobre […] Nella notte il bombardamento divenne straordinariamente intenso.<br />
Io e le mie donne ci alzammo e recitammo il rosario di 15 misteri. Alle<br />
6,30 partì la divisione con il colonnello Serda […] Gli austriaci si difendevano<br />
bene». 28 ottobre: «Stanotte non mi sono coricata. A centinaia le granate<br />
passano a poca distanza dalla villa. Il loro sibilo e lo scoppio sono impressionanti.<br />
Alcune cadono nella buca del castagneto vicino alla villa». Martedì 29<br />
ottobre: «Refrontolo è tra due fuochi. Pioggia di granate italiane; i c<strong>anno</strong>ni<br />
austriaci dal tempietto rispondono. Gli austriaci si ritirano onoratamente. Da<br />
due giorni i civili st<strong>anno</strong> nascosti nelle case. Oggi a mezzogiorno il sig. Aristide<br />
Serra, vecchio veterano, viene a dirmi commosso che gli italiani h<strong>anno</strong><br />
passato il Piave e che fra poche ore sar<strong>anno</strong> a Refrontolo. Sia ringraziato Dio!<br />
[…] Alle 7 di sera […] sento un leggero fruscio. Entrano due soldati austriaci<br />
disarmati, che più a gesti che a parole mi chiedono supplicanti un nascondiglio<br />
per darsi prigionieri; indico loro la cucina esterna. Rimango alzata tutta la<br />
notte per ricevere gli italiani». Mercoledì 30 è l'ultima <strong>anno</strong>tazione di Maria<br />
Spada: «Stamani sono passati gli arditi. Dopo 94 ore di granate continue sono<br />
salva. Una granata penetrando dalla fi nestra <strong>della</strong> rimessa aveva scavalcato 4<br />
cassette di granate austriache e si era fermata inesplosa; un'altra aveva attraversato<br />
la bigattiera entrando da una fi nestra e uscendo da un'altra, uccidendo<br />
due soldati e cadendo inesplosa in giardino; molte altre sono cadute nelle<br />
vicinanze; una austriaca di piccolo calibro esplodendo aveva scalfi to il muro<br />
<strong>della</strong> villa dal lato di levante; un'altra aveva colpito un grosso albero. Ore 2<br />
pomeridiane entrano in Villa Antonietta i bersaglieri con il generale Clerici<br />
comandante <strong>della</strong> 5ª brigata. Espongo alla fi nestra il tricolore italiano!»<br />
31
Donne impegnate nella costruzione di trincee. ISTRIT.
IL SISTEMA DIFENSIVO DEL VENETO E DEL FRIULI<br />
DURANTE LA PRIMA GUERRA MONDIALE<br />
Andrea Castagnotto<br />
Considerazioni generali<br />
Compiuta l'unifi cazione nazionale, nel 1870 fu nominato Ministro<br />
<strong>della</strong> Guerra del nuovo Regno d'Italia il generale Cesare Ricotti Magnani<br />
che intraprese in breve tempo una importante azione di rinnovamento dell'<br />
esercito. Tra le tante scelte adottate fu deciso di procedere allo sviluppo<br />
di una serie di fortifi cazioni ai confi ni del Regno e all'interno del territorio<br />
nazionale dove fosse necessario. Negli anni precedenti si era anche provveduto<br />
all'ampliamento delle piazzeforti di Pavia, Piacenza e Pizzoghetone e alle<br />
fortifi cazioni di Bologna che aveva assunto una importante funzione strategica<br />
dopo il trasferimento <strong>della</strong> capitale a Firenze e per il controllo dei collegamenti<br />
da nord a sud <strong>della</strong> penisola.<br />
Successivamente fu previsto:<br />
1. un ulteriore potenziamento delle fortezze di Piacenza e di Bologna con<br />
la costruzione dei relativi campi trincerati predisposti attorno alle città<br />
stesse;<br />
2. la costruzione a Cremona di una testa di ponte per assicurare un ulteriore<br />
passaggio sul fi ume Po;<br />
3. la costruzione di una nuova piazza d'armi a Guastalla e Reggio Emilia;<br />
4. la chiusura con opere di sbarramento delle strade che attraversavano<br />
l'Appennino;<br />
5. la costruzione delle ferrovie La Spezia-Genova e Sarzana-Parma;<br />
6. l' apertura di strade di arroccamento sull'Appennino per il collegamento<br />
dei nuovi forti costruiti.<br />
In questo periodo fu istituita una Commissione Permanente per la Difesa<br />
dello Stato con il compito di dare un assetto razionale alle strutture di difesa<br />
del nuovo Stato e che adeguò i risultati dei propri lavori alla mutata situazione<br />
politica venutasi a creare con l' annessione al Regno d'Italia del Veneto, di<br />
Roma e del Lazio. Pertanto oltre a quanto sopra riportato, si ipotizzò di fortifi<br />
care anche la linea del confi ne in montagna, con la costruzione di idonee<br />
strutture di difesa, chiamate forti, su tutte le strade che portavano e attraversa-<br />
33
vano il confi ne stesso. Fu anche ipotizzato di proteggere la linea dell'Isonzo,<br />
con la previsione di fortifi care le città di Sacile e di Motta di Livenza. Molte<br />
di queste proposte non vennero realizzate a causa <strong>della</strong> situazione economica<br />
di allora e del defi cit del bilancio statale sempre incombente. Anche la proposta<br />
di fortifi care la città di Roma, la capitale del Regno e sede <strong>della</strong> struttura<br />
centrale dello Stato, fu momentaneamente sospesa. A partire dal 1876 i progetti<br />
di difesa del territorio nazionale ripresero il loro iter procedimentale e si<br />
provvide inizialmente alla costruzione dei forti a difesa <strong>della</strong> città di Roma.<br />
Nel 1880 il Comitato di Stato Maggiore, iniziò ad elaborare un piano dettagliato<br />
delle località e delle opere interessate alla loro realizzazione. Per quanto<br />
riguarda il Nord Est del nostro Paese, furono ipotizzati degli sbarramenti<br />
sulle principali strade che portavano oltre la frontiera con opere permanenti<br />
in Cadore ed in Friuli. Si incominciò infatti a paventare il pericolo di un possibile<br />
confl itto con l' Austria (poi nostra alleata con la Germania all' interno<br />
<strong>della</strong> Triplice Alleanza) e quindi <strong>della</strong> necessità di proteggere i nostri confi ni<br />
con l' Austria stessa. Si propose anche la costruzione di alcuni forti a Mestre,<br />
sulla terraferma veneziana, di due teste di ponte a Ponte <strong>della</strong> Priula e a Ponte<br />
di Piave, il rafforzamento delle vecchie fortezze del cosiddetto «Quadrilatero»<br />
(Verona, Peschiera, Mantova e Legnago) e di alcune opere in montagna<br />
(verso il Trentino) e sul lato sinistro dell' Adige. Nel 1885 il nuovo Capo di<br />
stato Maggiore dell' Esercito generale Enrico Cosenz, prese seriamente in<br />
considerazione l'ipotesi di un confl itto con l' Austria provvedendo alla stesura<br />
di un nuovo studio circa l' offensiva e la difensiva dell' Esercito a Nord Est.<br />
Questo studio, articolato in più punti prevedeva:<br />
1.<br />
2.<br />
3.<br />
4.<br />
5.<br />
la costituzione di un Corpo d'Armata Speciale operante in Friuli con il<br />
compito di trattenere il più a lungo possibile il nemico, che era in questo<br />
caso l'Impero austro-ungarico;<br />
di effettuare lo schieramento principale delle forze di difesa italiane sul<br />
Piave;<br />
di costituire la principale linea difensiva che univa il Cadore, il Monte<br />
Cavallo, il Bosco del Cansiglio, i Colli di Vittorio Veneto e Conegliano, il<br />
Montello ed il Piave fi no al mare. Sul Piave era prevista la realizzazione<br />
di tre teste di ponte in località Ponte <strong>della</strong> Priula, Ponte di Piave e San<br />
Donà di Piave;<br />
la costruzione di fortifi cazioni nell'area dell' altopiano dei Sette Comuni<br />
(Asiago) e <strong>della</strong> Valsugana;<br />
l'avanzata in caso di guerra verso Vienna, attraverso il Trentino e Dobbiaco.<br />
34
Come evidenziato da numerosi studiosi in materia, il piano di Cosenz fi ssava<br />
alcuni criteri importanti per la guerra contro l' Austria che sar<strong>anno</strong> utilizzati<br />
anche successivamente per molti anni.<br />
I progetti dell'Austria<br />
Anche l'Austria, da parte sua, aveva provveduto a fortifi care fi n dagli inizi<br />
del 1800 alcune località del suo Impero ritenute essenziali ai fi ni <strong>della</strong> sicurezza<br />
del Lombardo-Veneto. Nel 1832 fu potenziata la difesa di Verona, che<br />
costituiva, come già detto, un angolo di una vasta area fortifi cata chiamata il<br />
«Quadrilatero» e posta a difesa del fi ume Mincio. Nel periodo 1835-1838 in<br />
Alto Adige vennero costruite le opera di difesa di Fortezza per il controllo<br />
del Brennero e <strong>della</strong> val Pusteria e successivamente le opere di sbarramento<br />
a difesa <strong>della</strong> valle dell'Inn. Successivamente venne anche potenziata la piazzaforte<br />
di Trento che era stata minacciata dai garibaldini nel 1866. A partire<br />
poi dal 1896 e negli anni successivi si realizzarono alcune opere moderne di<br />
fortifi cazione corazzate, situate negli Altopiani trentini di Vezzena, Lavarone<br />
e Folgaria. È da ricordare che alcuni di quei forti progettati non vennero mai<br />
realizzati per la presenza di contrasti e di diverse valutazioni sorti all'interno<br />
del Governo austriaco ed in particolare tra il Ministro degli Esteri (contrario<br />
alla loro realizzazione), il capo di Stato Maggiore dell' Esercito, alcuni elementi<br />
<strong>della</strong> Corte imperiale e, inizialmente, anche il principe ereditario. Allo<br />
scoppio del primo confl itto mondiale solo un terzo delle opere progettate in<br />
Trentino vennero realizzate. Inoltre non vennero realizzate le opere difensive<br />
del Pasubio, di Ala del Garda e il sistema difensivo di Trieste e di altre località<br />
montane.<br />
Le modifi che di Cadorna<br />
Per quanto riguarda il Piave, nel 1911 il generale Cadorna futuro Capo di<br />
Stato Maggiore Generale, e in quel periodo solo comandante di Corpo d'Armata,<br />
fece alcune importanti osservazioni al progetto originario del Cosenz.<br />
Tutte queste osservazioni furono successivamente utilizzate dal Cadorna nel<br />
1916, quando dopo l'offensiva austriaca del Trentino poi fallita (la Strafexpedition),<br />
fece iniziare i lavori di difesa <strong>della</strong> pianura veneta, la fortifi cazione<br />
del Grappa, del Montello, del Piave ed i primi lavori di predisposizione del<br />
Campo Trincerato di Treviso. Detti lavori furono completati in parte nel 1917<br />
e poi nel successivo <strong>anno</strong> di guerra. Nell'ispezionare questi lavori, alla fi ne<br />
del 1916, affermò infatti, come riportato in molte pubblicazioni relative a<br />
quel periodo: «Il Grappa deve riuscire imprendibile. Deve essere fortissimo<br />
da ogni parte, non soltanto verso occidente. Se dovesse avvenire qualche di-<br />
35
sgrazia all' Italia, io qui verrò a piantarmi … Laggiù l'Altopiano di Asiago<br />
e le Melette, qui il Grappa, a destra il Monte Tomba e il Monfenera, poi il<br />
Montello ed il Piave. In caso di disgrazia, ripeto, questa è la linea che occuperemo».<br />
Del progetto originario il Cadorna ritenne opportuno eliminare le<br />
tre teste di ponte previste oltre il Piave, ridimensionare le linee di difesa che<br />
secondo i progetti originari avrebbero dovuto far perno sul Cansiglio, spostandole<br />
sul Grappa e sul Montello. Rimase valida, potenziandola, l' idea di<br />
procedere alla difesa di Treviso e di altre città <strong>della</strong> pianura veneta. I concetti<br />
che ispirarono a livello teorico le decisioni di fortifi care la linea del Piave e la<br />
pianura trevigiana e veneta sono dettagliatamente elencate nel capitolo XIII<br />
del volume La guerra alla fronte italiana di Luigi Cadorna (Milano 1922),<br />
riportate integralmente nei documenti del volume V <strong>della</strong> Relazione Uffi ciale<br />
sulla partecipazione dell'Esercito Italiano alla grande guerra ed al quale si<br />
rinvia per una migliore e più dettagliata conoscenza dell' argomento.<br />
Le difese in montagna<br />
Per quanto riguarda la difesa del fronte montano tra il Veneto ed il Trentino<br />
e tra la Lombardia e il Trentino, si decise nel 1909 di fortifi care anche la linea<br />
che va dallo Stelvio al Monte Grappa, passando per l' Altopiano di Asiago e<br />
per terminare fi no al Cadore. Il progetto iniziale subì delle modifi che poiché<br />
i lavori di fortifi cazione del fronte montano risultarono molto più vasti di<br />
quelli preventivati. Nel 1914 quasi tutti i forti previsti erano stati costruiti, di<br />
molti si raggiunse la defi nitiva costruzione solo nell' imminenza <strong>della</strong> guerra.<br />
Il 6 dicembre 1914 tutte le opere costruite erano pronte per aprire il fuoco.<br />
Restavano incompiute quelle del Monte Toraro (che non verrà costruita), del<br />
Monte Campomolon (che entrerà in guerra non ultimata) e del Monte Ritte,<br />
che verrà collaudata solo il 14 agosto del 1915. L'obiettivo principale delle<br />
opere realizzate al confi ne era quello di trattenere un eventuale esercito invasore,<br />
permettere all' esercito una volta mobilitato di raggiungere la linea del<br />
confi ne e di funzionare da caposaldo per una successiva controffensiva.<br />
Il Campo Trincerato del Tagliamento<br />
Negli anni precedenti la prima guerra mondiale fu progettato e realizzato<br />
anche il sistema difensivo del Friuli, predisposto lungo il fi ume Tagliamento, da<br />
cui il nome «linea del Tagliamento» o «Campo Trincerato del Tagliamento».<br />
Tale progetto prendeva in considerazione l'ipotesi di un eventuale attacco<br />
austriaco dalla parte ad est del confi ne dello Stato (Carnia e Isonzo) ed anche<br />
in questo caso le fortifi cazioni progettate avevano il compito di ritardare<br />
il più possibile (con la presenza del Corpo d' Armata speciale) l' avanzata<br />
36
del nemico e permettere al grosso dell' esercito di raggiungere la zona di<br />
invasione, fi no alla successiva controffensiva. La linea del Tagliamento era<br />
divisa in tre settori:<br />
• l' Alto Tagliamento (a nord di Osoppo, lungo la valle di Ampezzo e il canale<br />
del Ferro);<br />
• il Medio Tagliamento (tra Udine, Tarcento, Osoppo e San Daniele);<br />
• il Basso Tagliamento (nella pianura Friulana).<br />
I lavori di allestimento del Campo Trincerato del Tagliamento furono interrotti<br />
con l'inizio <strong>della</strong> prima guerra mondiale e non furono mai totalmente ripresi. I<br />
forti furono disarmati e le batterie furono utilizzate, con altro materiale, sul<br />
fronte dell' Isonzo. Nei primi tre anni di guerra elementi del sistema difensivo<br />
furono utilizzati anche come depositi, caserme per le truppe ed altro. Nei giorni<br />
convulsi di Caporetto, furono fatti dei tentativi per un suo riattivamento, ma<br />
essi non portarono a risultati concreti. A questo proposito occorre ricordare<br />
i fatti <strong>della</strong> testa di ponte del Monte Ragogna sul Medio Tagliamento e del<br />
ponte di Pinzano con la eroica resistenza e distruzione <strong>della</strong> Brigata di Fanteria<br />
«Bologna», utilizzata per tentare di fermare in condizioni estreme l'invasione<br />
austro-tedesca. Parti <strong>della</strong> linea del Tagliamento furono poi utilizzati anche nella<br />
seconda guerra mondiale e durante la guerra fredda fi no agli anni immediatamente<br />
successivi alla caduta del muro di Berlino, come linea difensiva di arresto in<br />
caso di invasione da parte di Paesi del Patto di Varsavia.<br />
Il sistema difensivo <strong>della</strong> pianura veneta<br />
Il complesso difensivo presente nella pianura veneta alla data del giugno<br />
del 1918, appena prima <strong>della</strong> Battaglia del Solstizio e nel quale era anche<br />
inserito il Campo Trincerato di Treviso risultava costituito, nelle sue linee<br />
essenziali, da otto sistemi difensivi di diverse estensioni e con differenti localizzazioni<br />
e funzioni. Questi sistemi erano così denominati:<br />
• 1°, 2° e 3° sistema difensivo;<br />
• sistema difensivo del Musone;<br />
• sistema difensivo del Brenta;<br />
• sistema difensivo del Bacchiglione;<br />
• sistema difensivo Lessini-Adige-Po;<br />
• sistema difensivo Mincio-Po.<br />
Il 1° sistema difensivo correva ininterrottamente da Piz Umbrail, al confi ne<br />
37
italo-svizzero nel Gruppo del Bernina delle Alpi Retiche, al mare (o meglio<br />
dallo Stelvio al mare) seguendo sul terreno il tracciato dello schieramento<br />
più avanzato dell' Esercito. Il 2° sistema difensivo appoggiava la sua estremità<br />
sinistra alla sponda orientale del Lago di Garda e da qui seguiva quasi<br />
parallelamente, a distanza quasi mai superiore ai due chilometri, l'andamento<br />
<strong>della</strong> linea arretrata del 1° sistema difensivo fi no al mare. Il 3° sistema difensivo<br />
si appoggiava anch'esso sul Lago di Garda e si sviluppava lungo le<br />
pendici settentrionali dei Monti Lessini per poi proseguire a sud sulla linea<br />
Schio-Thiene-Marostica-Montebelluna. Dopo aver incrociato la linea ferroviaria<br />
proveniente dalla Valle del Piave, si spostava ad est congiungendosi<br />
con il Campo Trincerato di Treviso del quale faceva parte. Gli altri cinque<br />
sistemi difensivi (Musone, Brenta, Bacchiglione, Adige, Mincio) non seguivano<br />
la numerazione dei tre precedenti, ma traevano la loro denominazione<br />
dall' ostacolo fl uviale al quale ognuno si appoggiava «potenziandone il livello<br />
del valore impeditivo» (vedi la Relazione Uffi ciale indicata in bibliografi a).<br />
L'andamento delle linee difensive ubicate nel territorio trevigiano, più o meno<br />
parallele al corso del fi ume Piave e il loro fronte difensivo rivolto ad est, ne<br />
indicavano lo scopo che era quello di arginare e logorare fi no all' esaurimento,<br />
attraverso una serie di resistenze prolungate nel tempo e nello spazio, una<br />
eventuale offensiva austriaca che avesse assunto vaste proporzioni come nel<br />
caso <strong>della</strong> battaglia di Caporetto.<br />
Tra i cinque sistemi difensivi, quello del Bacchiglione era il più articolato<br />
perché interessava e si collegava, oltre a numerose località del Veneto, sopratutto<br />
le città di Vicenza e Padova difese dai rispettivi campi trincerati e le<br />
difese <strong>della</strong> laguna e <strong>della</strong> città di Venezia. Il sistema Mincio-Po era l'ultimo<br />
dei sistemi difensivi predisposti nella pianura veneta ed era considerato come<br />
l'ultima difesa da opporre agli austriaci nel caso che essi avessero superato<br />
tutte le altre linee difensive predisposte nella pianura e che fossero riusciti a<br />
penetrare ulteriormente nel territorio del Veneto. A completamento di quanto<br />
sopra riportato è interessante ricordare che era previsto nelle estreme circostanze<br />
anche l'allagamento del territorio compreso fra il corso terminale del<br />
Mincio e la laguna di Chioggia, lungo tutta la sponda nord dell'Adige, mediante<br />
opere di deviazione, apertura di varchi e tagli degli argini. Per la totale<br />
inondazione di questo vasto territorio, sarebbero occorsi circa venti giorni,<br />
ma già al decimo giorno dall'inizio dei lavori di allagamento, sarebbe stato<br />
raggiunto un notevole contrasto alla eventuale discesa degli austriaci.<br />
Ulteriori misure sarebbero inoltre state adottate per il controllo delle opere<br />
di deviazione e dei varchi prodotti e per mantenere emerse momentaneamente<br />
alcune strade utili per il passaggio delle nostre truppe.<br />
38
Il Campo Trincerato di Treviso<br />
Per quanto riguarda il Campo Trincerato di Treviso occorre rilevare innanzitutto<br />
la sua complessità dovuta alla posizione di sbarramento che la città e la<br />
provincia di Treviso assumono essendo esse collocate al centro dell'area posta<br />
a cavallo tra la pianura veneta e quella friulana e di un incrocio di importanti<br />
comunicazioni stradali e ferroviarie, tutte ubicate all'interno dell'area stessa.<br />
Si può inoltre osservare che fra i Campi Trincerati ubicati nella pianura veneta,<br />
quello di Treviso assume una importanza particolare sia perchè esso era il<br />
più immediatamente vicino alla linea del fronte (distanza massima di 15-20<br />
chilometri), sia perché di estensione superiore a quella degli altri Campi. Dal<br />
punto di vista <strong>della</strong> costruzione, esso era formato da una rete fi tta ed intricata<br />
di trincee, camminamenti, postazioni protette per artiglierie e armi automatiche,<br />
ricoveri ed ostacoli passivi che costituivano nel loro insieme un unico<br />
grande ostacolo nel quale sarebbe stato diffi cile entrarvi, ma altrettanto diffi -<br />
cile uscirvi se entrati. Inoltre esso era stato realizzato sfruttando al massimo<br />
la presenza di ostacoli naturali già presenti sul territorio, quali fi umi, canali,<br />
piccoli insediamenti di edifi ci, abitazioni, ecc. Schematizzando per quanto<br />
possibile, il Campo Trincerato di Treviso era costituito da una triplice linea<br />
difensiva predisposta in senso circolare attorno alla città e si appoggiava su<br />
due lati al fi ume Sile, mentre la più esterna delle linee aveva un raggio di nove<br />
chilometri. Mediante ulteriori linee di difesa, il Campo era poi collegato con<br />
gli altri sistemi difensivi presenti nelle vicinanze (Musone-Brenta-Bacchiglione)<br />
e con le linee di difesa parallele al fronte del Piave.<br />
Le funzioni alle quali il Campo Trincerato di Treviso doveva assolvere<br />
erano molteplici e tra queste ricordiamo quelle più importanti:<br />
• difendere la città di Treviso;<br />
• bloccare le due importanti direttrici di eventuale arrivo degli austriaci (strada<br />
Pontebbana da Conegliano e strada Callalta da Oderzo-Motta di Livenza);<br />
• permettere in caso di arretramento del fronte (come poi avvenne a fi ne ottobre<br />
del 1917 sull'Isonzo) ai reparti ed alle truppe in ritirata di trovarvi un<br />
valido punto di appoggio.<br />
Nel novembre del 1917 il Campo Trincerato di Treviso non aveva ancora<br />
raggiunto un elevato grado di preparazione, né di completezza. I primi lavori<br />
si concentrarono sulla parte più limitrofa al fronte, per poi proseguire in profondità<br />
nella parte restante <strong>della</strong> campagna trevigiana anche con raccordi trasversali<br />
tra le linee di difesa in base a previsioni di sfondamento del nemico.<br />
Si crearono di conseguenza dei compartimenti stagni che avrebbero dovuto<br />
39
Fortifi cazione austriaca colpita dal fuoco italiano. ISTRIT.<br />
Fortifi cazione austriaca colpita dal fuoco italiano. ISTRIT.
Treviso colpita dalle bombe austriache. ISTRIT
circoscrivere e contenere gli effetti di una eventuale rottura delle linee più<br />
avanzate del fronte. Gli avvenimenti conseguenti alla rotta di Caporetto ed i<br />
successivi fatti del giugno del 1918, confermarono pienamente la validità dei<br />
presupposti teorici che avevano determinato la costruzione del Campo Trincerato<br />
di Treviso. Esso infatti non fu interessato dalla limitata occupazione del<br />
territorio oltre il Piave da parte degli austriaci durante la cosiddetta «Battaglia<br />
del Solstizio», che furono fermati invece ai margini delle sue prime linee difensive.<br />
Nonostante questo, il generale Caviglia, lamentandosi con il duca d'<br />
Aosta, Comandante <strong>della</strong> Terza Armata, sostenne che tutto quel groviglio di<br />
trincee, camminamenti e reticolati (alludendo ai lavori del Campo Trincerato<br />
di Treviso, ma anche degli altri in costruzione nella pianura veneta) intralciava<br />
più il nostro esercito che quello nemico. È da rilevare, a questo proposito<br />
che il Campo Trincerato di Padova era costruito come quello di Treviso, a<br />
triplice linea di trinceramenti e che i lavori iniziarono immediatamente dopo<br />
la ritirata del nostro Esercito dopo i fatti di Caporetto. Da ultimo, è da rilevare<br />
che in caso di necessità l'occupazione materiale del Campo Trincerato di<br />
Treviso veniva affi data alle Armate posizionate sul Piave, in particolare alla<br />
Terza Armata, che difendevano la zona del Montello e del Basso Piave, con<br />
lo scopo di migliorare e sfruttare con la massima economia di forze l'<strong>org</strong>anizzazione<br />
difensiva già in essere sul territorio.<br />
Il Monte Grappa<br />
Nella predisposizione delle linee di difesa costruite nella pianura veneta,<br />
il punto di cerniera o di contatto tra il settore di montagna e quello di pianura<br />
era costituito dal Monte Grappa, ubicato in posizione ideale per costituire un<br />
valido ostacolo naturale alla eventuale avanzata degli austriaci e controllare<br />
nel medesimo tempo l'Altopiano di Asiago e, alle spalle, il fronte del Piave.<br />
Cadorna nel 1916 decise quindi di abbandonare tutte le progettate difese a<br />
sinistra del Piave e di realizzarle sulla riva destra del fi ume. In estrema sintesi<br />
i lavori di difesa realizzati sul Monte Grappa, che doveva fare sistema anche<br />
con l'Altopiano di Asiago, a partire dal 1916 e fi no al 1918 furono i seguenti:<br />
• costruzione di strade che potessero permettere l'affl usso costante di truppe e<br />
materiali dalla pianura veneta alla vetta del monte;<br />
• costruzione di impianti di teleferiche per i rifornimenti rapidi in montagna.<br />
Furono messi in funzione circa ottanta impianti per un totale di 150 chilometri<br />
di percorso;<br />
• predisposizione di grandi impianti di sollevamento di acqua con la realizzazione<br />
di reti di distribuzione in tubazioni e adeguati serbatoi di contenimento;<br />
42
• costruzione di impianti elettrici per la illuminazione in quota delle gallerie<br />
e delle opere in caverna;<br />
• predisposizione su tutto il monte di una fi tta rete di posti di sbarramento<br />
avanzati, di linee di reticolati e di capisaldi circondati da ulteriori linee di<br />
reticolati;<br />
• costruzione in vetta <strong>della</strong> galleria chiamata «Vittorio Emanuele III».<br />
Dall'interno <strong>della</strong> galleria si era in grado di colpire attraverso numerose<br />
diramazioni laterali tutte le posizioni austriache <strong>della</strong> zona. Essa venne realizzata<br />
tra il gennaio ed il giugno del 1918 da unità del genio militare e da<br />
600 lavoratori militarizzati che lavorarono ininterrottamente giorno e notte,<br />
senza tregua e con ogni mezzo a disposizione. All'interno delle diramazioni<br />
erano ubicate postazioni di artiglieria e di mitragliatrici, posti di osservazione,<br />
depositi di munizioni e di materiali vari, dormitori per 1500 persone, gruppi<br />
elettrogeni, serbatoi d'acqua, depositi di viveri e quant'altro necessario per<br />
sopravvivere anche in caso di attacco e di impossibilità di uscita dalla galleria.<br />
Tutte queste opere di difesa, defi nite «montane» erano poi integrate con altre<br />
simili defi nite «di pianura» che dovevano servire nel caso di sfondamento<br />
degli austriaci oltre le linee del Monte Grappa. Particolare attenzione e cura<br />
dovevano poi essere date al tratto più debole <strong>della</strong> linea difensiva del Monte<br />
Grappa formata dal costone del Monte Pallone, Monte Tomba e Monfenera<br />
che poteva essere aggirata dal Piave mettendo in diffi coltà l'intero sistema del<br />
Grappa stesso. Perdendo il Grappa si sarebbero perdute la linea del Piave, le<br />
città di Treviso e di Venezia e la linea del Bacchiglione e con esse gran parte<br />
del Veneto. Nel novembre del 1917 quando la cima fu occupata dalle truppe<br />
italiane per costituirvi i primi elementi di difesa, delle opere sopra indicate solo<br />
una minima parte era stata realizzata e molte di quelle programmate furono<br />
realizzate solo successivamente sotto l'incalzare del nemico e in condizioni di<br />
estremo disagio. Su questo punto si rilevano le dichiarazioni fatte dal generale<br />
Clemente Assum, comandante <strong>della</strong> Brigata di Fanteria «Trapani» che fu tra i<br />
primi a salire sul Monte Grappa dopo la ritirata di Caporetto, che contrastavano<br />
con quelle del generale Cadorna e di altri, che, al contrario, affermavano la<br />
completa fortifi cazione del massiccio fi n dal novembre del 1917.<br />
Il Montello<br />
Anche il Montello, situato lungo la riva destra del Piave a metà circa tra<br />
il Grappa ed il mare, secondo il generale Cadorna doveva essere adeguatamente<br />
fortifi cato, poiché esso avrebbe dovuto diventare (come dichiarato dal<br />
generale Cadorna) «l'appoggio maggiore e centrale delle linea difensiva». In<br />
43
questo senso fu deciso di predisporre su di esso e attorno ad esso le seguenti<br />
opere di difesa:<br />
1. una difesa ad oltranza prevista con un gruppo di fortifi cazioni costruite<br />
sulla quota più elevata;<br />
2. congiunzione con linee di trincea delle fortifi cazioni del Montello con il<br />
Campo Trincerato di Treviso;<br />
3. attivazione di due nuclei di artiglieria, uno a nord-ovest e l'altro a sud-est da<br />
convergere a oriente del Montello e se necessario sulla sua sommità;<br />
4. costruzione di una linea di difesa tra il Montello e Montebelluna sulla quale<br />
ripiegare in caso di sfondamento del fronte e ripartire per rioccupare la<br />
cima del colle anche con l'aiuto delle artiglierie di cui al punto precedente.<br />
Nelle vicinanze fu anche fortifi cata la estremità orientale dei Colli solani,<br />
presso Cornuda e Onigo, in collegamento con le fortifi cazioni del Montello,<br />
da un lato, e con quelle di Monfenera e del Monte Tomba alla estremità del<br />
Monte Grappa che porta al Piave di Pederobba.<br />
Le difese di Venezia<br />
A est dello schieramento difensivo situato trasversalmente nella pianura<br />
veneta ed in particolare in quella trevigiana lungo il corso del Piave, era presente<br />
la Regia Marina che operava nella zona di Cavazuccherina (ora Jesolo),<br />
alla foce <strong>della</strong> Piave Nuova, al Cavallino, in Laguna Nord e nella città di<br />
Venezia. I compiti assegnati erano quelli di tenere il fi anco destro <strong>della</strong> linea<br />
di difesa che terminava sul mare, muovendosi in un territorio del tutto particolare<br />
essendo di tipologia mista (fl uviale, di palude e lagunare), limitrofo<br />
alla foce del Piave ed al mare Adriatico. C'è da premettere a questo punto che<br />
la nostra Marina fi n dall'inizio <strong>della</strong> guerra di Caporetto, aveva inizialmente<br />
operato nella zona di Grado e di Monfalcone, a difesa di quel tratto di litorale,<br />
a protezione del fi anco destro <strong>della</strong> Terza Armata e per contenere eventuali<br />
attacchi <strong>della</strong> fl otta austriaca dal mare. In questo tratto del fronte essa aveva<br />
utilizzato artiglierie di vario calibro per il bombardamento di obiettivi navali<br />
e terrestri, pontoni armati facilmente trasportabili via acqua, motosiluranti ed<br />
altro naviglio leggero idoneo per quel tratto particolare di fronte. La Marina<br />
provvide anche a completare una rete di canali interni parallela alla costa,<br />
per il trasporto da Venezia al fronte di materiali e mezzi. Dopo la dodicesima<br />
battaglia dell'Isonzo e lo sfondamento del fronte a Caporetto, la Marina procedette<br />
allo sgombero ordinato da Monfalcone e Grado e ad <strong>org</strong>anizzare una<br />
linea sommaria di difesa, prima sul basso Tagliamento, poi sul fi ume Limene,<br />
44
utilizzando reparti di marinai e motoscafi armati. Ripiegati ulteriormente su<br />
Caorle e poi su Venezia, i marinai disponibili furono inquadrati come normali<br />
reparti di fanteria nel «Reggimento Marina» e gli artiglieri nel «Raggruppamento<br />
di Artiglieria». Entrambi i reparti costituirono la «Brigata Marina» che<br />
operò alla difesa del Basso Piave, di vaste zone <strong>della</strong> Laguna e <strong>della</strong> città di<br />
Venezia. A questi reparti fu unito anche personale già presente a Venezia ed<br />
altro proveniente da navi e basi <strong>della</strong> Marina dislocate nel territorio nazionale.<br />
Come batterie furono utilizzate anche quelle costiere di altre località del<br />
Paese, che data la gravità del momento potevano essere temporaneamente<br />
utilizzate per rafforzare le difese <strong>della</strong> città. Per la difesa di Venezia si realizzarono<br />
anche quattro linee di difesa trasversali alla Laguna nord di Venezia,<br />
con andamento ovest – est contro eventuali provenienze dalla zona delle<br />
bonifi che Questa difesa era completata da una ulteriore linea difensiva che<br />
copriva Venezia sul lato orientale partendo da San Erasmo fi no a Chioggia, attraverso<br />
il Lido, Malamocco, Alberoni, San Pietro in Volta e Pellestrina. Alla<br />
difesa <strong>della</strong> città di Venezia partecipò anche la fl otta navale insediata presso<br />
l'Arsenale, che aveva il compito di impedire eventuali attacchi dal mare da<br />
parte <strong>della</strong> fl otta avversaria. La Marina provvide anche ad allagare la vasta<br />
zona di pianura compresa fra la Piave Vecchia, il Sile e la Laguna che costituiva<br />
l'ultima ed estrema difesa prima di Venezia.<br />
Il Campo Trincerato di Mestre<br />
Sempre in merito alle difese di Venezia occorre ricordare anche la presenza<br />
del Campo Trincerato di Mestre e <strong>della</strong> sua evoluzione, con la descrizione di<br />
alcune premesse. L'esigenza di difendere la città di Venezia dalla terraferma<br />
si manifestò in maniera urgente all'epoca <strong>della</strong> prima occupazione austriaca<br />
del Veneto, subito dopo la caduta <strong>della</strong> Serenissima. Il progetto appena abbozzato<br />
di costruire un forte in località Marghera fu ripreso dai francesi ed i<br />
lavori di costruzione seguirono l'alternanza delle occupazioni francese ed austriaca<br />
del Veneto, fi no al passaggio all'Austria avvenuto nel 1814. L'Austria<br />
portò quindi a termine i lavori di costruzione del forte di Marghera poiché<br />
esso era vitale per garantire la difesa di Venezia anche alle spalle <strong>della</strong> città.<br />
Negli anni 1848-1849 il forte, occupato dagli insorti, fu utilizzato come base<br />
logistica per le truppe rivoluzionarie che combattevano in Veneto e in Friuli.<br />
Successivamente fu sottoposto ad assedio, pesantemente bombardato e quindi,<br />
dopo duri combattimenti, conquistato dagli austriaci previa evacuazione<br />
degli occupanti avvenuta su autorizzazione del Governo Provvisorio. Caduta<br />
Venezia e ritornati gli austriaci, il forte fu ricostruito e utilizzato all'interno<br />
<strong>della</strong> difesa <strong>della</strong> città e <strong>della</strong> laguna congiuntamente ad altre opere realizzate<br />
45
sul litorale e al Lido.A partire dal 1866 il forte passò sotto la giurisdizione<br />
militare italiana e negli anni seguenti diventò il centro di una nuovo e più importante<br />
sistema di difesa <strong>della</strong> città e delle zone contermini con lo scopo di<br />
proteggere, oltre la città stessa, anche l'Arsenale, il porto marittimo e soprattutto<br />
lo scalo di Mestre, essenziale per i collegamenti ferroviari tra il Veneto<br />
e il resto del Paese. Nel quadro delle iniziative tese a migliorare la difesa del<br />
Regno sopra riportate, si progettò di realizzare una rete di forti circostanti a<br />
quello preesistente di Marghera. È da ricordare che i forti progettati inizialmente<br />
erano sei, ma per le consuete diffi coltà economiche, quelli realizzati<br />
furono solo tre.<br />
Essi furono:<br />
• il forte Tron, a sud ovest di Marghera sulla strada per Padova, terminato nel<br />
1890;<br />
• il forte Carpenedo, sulla strada per Treviso, terminato nel 1890;<br />
• il forte Gazzera, sulla strada per Bassano e Trento, iniziato nel 1883.<br />
Questi forti erano costruiti a forma poligonale, circondati da un fossato e<br />
ubicati l'uno dall'altro e dal forte di Marghera ad una distanza variabile tra i<br />
3.500 metri e i 4.500 metri. All'inizio del novecento i forti furono ulteriormente<br />
adeguati ai nuovi progressi tecnologici delle artiglierie e di conseguenze<br />
fu necessario predisporre una nuova linea circolare di sette forti ubicata,<br />
in senso circolare, più lontana da quella precedente. Questi forti erano ubicati<br />
nelle zone di Tessera, Favero, Dese, Zelarino, Spinea e Oriago. Tutti i forti<br />
furono terminati entro il 1913 ed erano muniti ciascuno di circa 20 c<strong>anno</strong>ni<br />
di medio calibro e di postazioni per fucilieri e mitragliatrici. Sui forti erano<br />
ubicate delle «caponiere» (una specie di sp<strong>org</strong>enze protette ed armate) per<br />
proteggere il forte da ogni suo lato. Non mancavano i magazzini, le polveriere<br />
e quant'altro necessario per la sopravvivenza delle truppe presenti nel Campo<br />
Trincerato. Riassumendo, la struttura completa del Campo Trincerato di Mestre<br />
era formata da:<br />
• una linea esterna di robusti forti disposti a nord, a ovest e a sud di Mestre<br />
costruiti all' inizio del secolo scorso;<br />
• una seconda linea formata dai forti costruiti prima <strong>della</strong> fi ne dell'ottocento;<br />
• il forte di Marghera, che manteneva il suo ruolo di difesa del ponte ferroviario<br />
che portava a Venezia, <strong>della</strong> stazione ferroviaria di Mestre e <strong>della</strong><br />
stazione marittima di S. Giuliano.<br />
Allo scoppio <strong>della</strong> prima guerra mondiale nel 1915, il sistema difensivo di<br />
46
Mestre era completo ed in piena effi cienza. Tuttavia trasformatosi il confl itto<br />
in guerra di trincea, gli Alti Comandi dell'Esercito, nel settembre dello stesso<br />
<strong>anno</strong>, ordinarono lo smantellamento delle batterie di quel Campo Trincerato<br />
ed il loro utilizzo sul fronte dell' Isonzo. Dopo Caporetto, i forti di Mestre costituir<strong>anno</strong><br />
la nuova retrovia del fronte ed operer<strong>anno</strong> come base logistica da<br />
dove prelevare uomini, artiglierie e materiali da inviare sulle nuove linee di<br />
difesa, ormai consolidate, del Piave. Dopo la prima guerra mondiale le strutture<br />
persero di importanza strategica e furono utilizzate solo come caserme,<br />
magazzini e polveriere fi no all'abbandono totale a partire dagli anni ottanta<br />
del secolo scorso.<br />
La costruzione del sistema difensivo <strong>della</strong> pianura veneta<br />
Alcune <strong>anno</strong>tazioni infi ne sulle modalità e su coloro che realizzarono il<br />
grande sistema di opere di difesa costruito su tutta la pianura veneta. Con<br />
esclusione dei forti di cui abbiamo già parlato ed indicato le date di costruzione<br />
e che furono costruiti da imprese di costruzioni attraverso normali gare di<br />
appalto, tutte le opere relative alle difesa in pianura, sul Montello e sul Monte<br />
Grappa vennero realizzate a partire dal 1916 e terminarono di massima entro<br />
il giugno del 1918. Esse furono progettate dal Comando Supremo dell'Esercito<br />
che emanò a questo proposito numerose direttive tecniche da utilizzare<br />
come guida pratica per la esecuzione dei lavori sulle aree di competenza delle<br />
singole Armate, anche con gli adattamenti che le singole esigenze locali richiedevano.<br />
La <strong>org</strong>anizzazione dei lavori faceva capo al Comando Generale<br />
del Genio che utilizzava i Comandi del Genio delle singole Armate e dei Corpi<br />
d'Armata da essi dipendenti. Venne creata una speciale Direzione dei Lavori<br />
di Difesa presso il Comando Supremo per la esecuzione di parte dei lavori<br />
più impegnativi relativi al Montello, alle linee difensive del Piave e del Sile,<br />
al Campo Trincerato di Treviso e alla eventuale inondazione delle zone di<br />
bonifi ca. Per il coordinamento delle attività di difesa terrestre e costiera <strong>della</strong><br />
laguna di Venezia, si costituì inoltre una apposita Commissione mista Esercito-Marina<br />
presso il Comando <strong>della</strong> Terza Armata che aveva sede a Mogliano<br />
Veneto. Tutti i lavori, sulla scorta <strong>della</strong> documentazione fi nora acquisita, soprattutto<br />
in ambito locale e limitata al Trevigiano, furono eseguiti da gruppi<br />
di lavoratori civili militarizzati ed alle dirette dipendenze dei Comandi del<br />
Genio sopra indicati. Tali lavori di difesa, come si può chiaramente evincere<br />
dal testo <strong>della</strong> presente relazione, si possono considerare di dimensioni notevoli,<br />
sia per la loro estensione e caratteristiche, sia per il breve tempo utilizzato<br />
per la loro realizzazione, vista anche la scarsità di mezzi tecnici a disposizione.<br />
Nulla si sa allo stato attuale dei costi, che si ritengono notevoli, sop-<br />
47
portati per la predisposizione delle opere di difesa e per la loro rimozione ad<br />
attività bellica terminata. Non si conosce nemmeno il numero dei lavoratori<br />
utilizzati, stimato complessivamente in parecchie decine di migliaia. Per i<br />
lavori vennero utilizzati soprattutto persone disoccupate o sotto occupate, ex<br />
studenti, giovani in attesa di essere chiamati alle armi, di condizioni economiche<br />
precarie o ridotte, provenienti dai luoghi più disparati del Paese, dal centro<br />
e dal sud, ma anche dalla provincia di Treviso e da altre vicine, tutti spinti<br />
dalla necessità di integrare in qualche modo i rispettivi magri bilanci famigliari.<br />
Ivano Sartor nel suo libro La grande guerra nelle retrovie (Dosson<br />
1988), riporta infatti la notizia <strong>della</strong> morte per paralisi di un giovane di Pescara<br />
, di anni 23, celibe, bracciante, occupato per lo scavo delle trincee nella<br />
zona di Biancade di Roncade. Nei cantieri per il Campo Trincerato di Treviso<br />
arrivarono anche minorenni dai 15 ai 17 anni, persone anziane ultrasessantenni,<br />
piccoli pregiudicati, persone pericolose o senza una particolare qualifi ca<br />
professionale. Ognuno doveva provvedere a portare con sé gli indumenti da<br />
lavoro, diversi a seconda <strong>della</strong> stagione, la coperta e quanto necessario per la<br />
consumazione dei pasti. I lavoratori dovevano anche presentarsi ai cantieri<br />
con i propri «attrezzi da lavoro» che nel nostro caso erano il badile o il piccone<br />
e sobbarcarsi inoltre le spese di viaggio. I comandi militari garantivano<br />
solo il vitto, che era lo stesso dei soldati in trincea, e l'alloggio che veniva<br />
trovato in edifi ci di fortuna (baraccamenti, fi enili, casere di montagna, case<br />
coloniche, ville, ecc.) requisiti a seconda delle esigenze locali e comunque<br />
tutti ubicati nelle immediate vicinanze delle opere da realizzare. Le mansioni<br />
erano le seguenti: muratori, fabbri, scalpellini e boscaioli. I documenti previsti<br />
per l'arruolamento erano: il passaporto per l'interno, il certifi cato di buona<br />
condotta (che doveva essere rifi utato ai pregiudicati e ai sovversivi più pericolosi)<br />
e un certifi cato rilasciato dal sanitario comunale in carta libera, attestante<br />
che il lavoratore e la sua famiglia erano esenti da malattie infettive e<br />
diffusive e <strong>della</strong> avvenuta vaccinazione antivaiolosa. Allo scopo di evitare<br />
disordini o infi ltrazioni da parte di pregiudicati o persone escluse da precedenti<br />
arruolamenti, le squadre degli operai dovevano viaggiare scortate dai<br />
Carabinieri, fi no all'arrivo a destinazione. Il compenso pattuito partiva da poche<br />
decine di centesimi di lire per ora , a seconda <strong>della</strong> categoria professionale<br />
e dell'età, ma aumentava ulteriormente fi no a qualche lira a seconda <strong>della</strong><br />
durata del lavoro e delle condizioni di disagio e di pericolosità nelle quali esso<br />
si svolgeva, ad esempio in prossimità <strong>della</strong> prima linea o sotto il fuoco delle<br />
artiglierie. I lavoratori erano divisi in squadre di 30-50 elementi e i capi squadra<br />
erano scelti tra i migliori conoscitori dei luoghi o tra persone particolarmente<br />
esperte nei lavori da eseguire. Tutti i lavoratori, quasi sempre uniti in<br />
48
centurie, erano diretti o coordinati da uffi ciali del Genio Militare o da altri<br />
uffi ciali dell'Esercito. Un compito importante nel reclutamento dei lavoratori<br />
per la costruzione delle opere di difesa, era svolto dai Comuni, che oltre a rilasciare<br />
la documentazione richiesta e a provvedere alla compilazione degli<br />
elenchi dei partenti, svolgevano anche la funzione di informazione ai potenziali<br />
interessati e di divulgazione delle condizioni di arruolamento per i lavoratori<br />
stessi. Un'altra attività svolta dai Comuni era quella di ente intermediario<br />
tra le esigenze dei lavoratori e le istituzioni militari o civili preposti alla<br />
loro gestione che si esplicava essenzialmente in occasione di mancati pagamenti<br />
dei compensi stabiliti, rientri in famiglia per pericolosità dei luoghi di<br />
lavoro, per successivo accertamento <strong>della</strong> minor età dei lavoratori e per verifi<br />
ca dei requisiti necessari per l'arruolamento. Sempre in materia di costruzione<br />
del Campo Trincerato di Treviso, riportiamo alcuni degli inconvenienti che<br />
si verifi carono durante la sua realizzazione. Fin dai primi mesi del 1917 emerse<br />
subito il grave problema dei furti di materiali che venivano utilizzati per la<br />
costruzione del Campo Trincerato ed in particolare dei furti di legname. Nonostante<br />
le lettere del comando del Presidio Militare di Treviso che invitavano<br />
i Sindaci dei Comuni interessati a vigilare affi nché le opere costruite non<br />
venissero danneggiate e che ricordavano anche che i danni causati non erano<br />
perseguiti dalla normale legislazione civile, ma dal Codice Penale dell' Esercito,<br />
i furti non diminuirono. Della questione furono interessati anche i parroci<br />
invitati a fare ulteriore opera di persuasione verso i propri parrocchiani per<br />
farli desistere da tale errato comportamento. Non mancarono inoltre le polemiche<br />
sulla individuazione dei tracciati utilizzati per la costruzione delle trincee<br />
e delle altre opere di difesa che molto spesso tagliavano strade di accesso<br />
ai fondi, campi coltivati, canali di irrigazione ed altre strutture dedicate alle<br />
lavorazioni agricole. Ulteriori polemiche con relativi strascichi e contestazioni<br />
che interessavano anche le competenze dei Comuni, furono originate dalle<br />
requisizioni di edifi ci, terreni, carri ed animali utilizzati per i lavori di difesa<br />
e dei relativi indennizzi, come pure per il taglio non giustifi cato di alberi e di<br />
piante nelle campagne adiacenti ai lavori. Una ultima <strong>anno</strong>tazione relativa al<br />
parroco di Volpago del Montello che interessato a svolgere la propria missione<br />
anche in periodi diffi cili come quelli del tempo di guerra, aveva invitato gli<br />
operai adibiti alla costruzione del Campo Trincerato ad astenersi dal lavoro<br />
durante i giorni festivi. Ma la guerra prevede tempi, azioni e comportamenti<br />
non dei tempi normali e per questo motivo egli fu sottoposto a stretta sorveglianza<br />
da parte <strong>della</strong> locale stazione dei Carabinieri.<br />
49
Palloni aerostatici per la protezione di Venezia dagli attacchi aerei. ISTRIT
La basilica di San Marco con le protezioni anti-schegge.
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in Esercito e popolazioni nella grande guerra autunno 1917 (a cura di Paolo<br />
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giore dell'Esercito in Esercito e popolazioni nella grande guerra autunno<br />
1917 (a cura di Paolo Monticone e Paolo Scandaletti), Gaspari Editore, Udine<br />
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53
Cerimonia di consegna <strong>della</strong> medaglia alla brigata «Pisa». MCRR.<br />
Cerimonia di consegna <strong>della</strong> medaglia alla brigata «Pavia». MCRR.
IL MORALE DEI SOLDATI NELLA I GUERRA MONDIALE<br />
Ernesto Brunetta<br />
Un esercito di leva esprime psicologie, immaginari, culture del popolo dal<br />
quale viene. Ciò è un assioma che non ha bisogno di dimostrazioni, quali si<br />
imporrebbero se fossimo di fronte a un esercito di mestiere che è, per defi nizione,<br />
un corpo separato che si dà una sua tradizione e una sua mentalità. Il<br />
morale dell'esercito italiano nel corso <strong>della</strong> I guerra mondiale rifl ette dunque<br />
senza residui il morale dei cittadini.<br />
In qualsiasi paese e salvo casi particolarissimi,la gran parte dei cittadini è<br />
naturalmente inclinata alla pace perché lo spirito di sopravvivenza fa aggio su<br />
qualsiasi altra considerazione e dunque si preferisce vivere e non morire, specie<br />
se non è chiaro il motivo per il quale si dovrebbe farlo. In Italia, 50 anni di<br />
tentativi di instillare nei cittadini una religione civica incentrata sul culto del<br />
Re e <strong>della</strong> Patria, non avevano dato grandi risultati. O meglio, questi tentativi<br />
avevano sostanzialmente funzionato nei confronti <strong>della</strong> piccola b<strong>org</strong>hesia sia<br />
urbana sia rurale che era venuta a poco a poco convincendosi di essere essa<br />
l'erede del Ris<strong>org</strong>imento, concepito però (il Ris<strong>org</strong>imento) come una tappa di<br />
un processo alla cui conclusione ci sarebbe dovuto essere l'ingresso del Paese<br />
nel novero delle grandi potenze, se non addirittura la Terza Roma che riprendeva<br />
il suo cammino nel mondo. Era stata la letteratura in tutti i suoi diversi<br />
livelli ad agire in questo senso.<br />
Pesava intanto sulla nostra cultura la memoria di Roma e delle sue glorie,<br />
pesavano gli Alfi eri e il Foscolo, pesava una minore letteratura ottocentesca<br />
che aveva trasformato Barletta o Fornovo in epici scontri, segno di un «antico<br />
valor (che) negli italici cor / non è ancor spento», secondo la formula<br />
petrarchesca, pesavano il Carducci convertito alla monarchia, il Pascoli <strong>della</strong><br />
grande proletaria, il D'Annunzio intento ad armar la prora e a salpare verso<br />
il mondo. Pesavano le riviste fi orentine, il Papini del caldo bagno di sangue<br />
che avrebbe favorito la coltivazione delle verdure, la mal digerita conoscenza<br />
di Nietzsche, di Bergson, di Sorel, dell'irrazionalismo in generale al quale si<br />
aggiungeva una lettura di Darwin in chiave sociale come violenta selezione<br />
dei più forti a d<strong>anno</strong> dei più deboli. Pesavano infi ne il futurismo e l'idea marinettiana<br />
<strong>della</strong> guerra sola igiene del mondo. Con tutte le eccezioni del caso, è<br />
evidente che gli intellettuali nelle loro varie gradazioni, vale a dire dai grandi<br />
scrittori giù giù fi no ai maestri elementari e ai ragionieri, erano imbevuti – e ci<br />
sarebbe da meravigliarsi del contrario – di questa cultura. Costoro non erano<br />
cattolici, dunque, perché si percepivano come eredi <strong>della</strong> tradizione masso-<br />
55
nica e anticlericale del Ris<strong>org</strong>imento, non erano socialisti perché rifi utavano<br />
per consapevolezza di classe ogni egualitarismo, non erano liberali perché<br />
avevano letto Oriani e quindi osteggiavano la timida «Italietta» giolittiana.<br />
Chiusi in un limbo, aspettavano una guerra, non necessariamente quella contro<br />
l'Austria pur etichettata da secolare nemico, bensì una guerra qualsiasi che<br />
fosse lavacro, pulizia, sacrifi cio onde uscire migliori, una guerra che elevasse<br />
di rango il Paese del quale essi avrebbero contribuito da classe dirigente.<br />
A questo livello, dunque, il tentativo era riuscito; anzi, era andato oltre se<br />
dalla religione civica si era passati al nazionalismo e al colonialismo, mentre<br />
compariva sullo sfondo l'ombra dell'imperialismo. Non era però riuscito a<br />
livello di classi subalterne perché una letteratura minore quale poteva essere<br />
quella che aveva espresso «Cuore» o «Pinocchio» non aveva ottenuto i risultati<br />
che da essa ci si potevano attendere. Secondo inclinazioni personali,<br />
situazioni sociali, appartenenza di classe, geografi e e culture, le classi subalterne<br />
erano diventate socialiste o cattoliche o, senza appartenenze politiche,<br />
badavano ai fatti loro, tra i quali la guerra certamente non c'era.<br />
Bisogna però tenere conto di un fatto, cioè dell'abitudine alla sottomissione<br />
che il popolo aveva maturato in secoli di servaggio; motivo per il quale, particolarmente<br />
nelle campagne, la sottomissione era la nota dominante come se<br />
la società, così come era <strong>org</strong>anata, fosse tale per natura, e quindi così si doveva<br />
accettare. Qualche sprazzo di tumultuosa rivolta rurale non era che l'interfaccia<br />
di un'abitudine all'obbedire connaturata all'indole di quanti nascevano<br />
contadini nelle misere condizioni nelle quali i contadini vivevano. Per quanto<br />
veicolati dalla scuola dell'obbligo – si deve però tener conto dell'elevato tasso<br />
di evasione – e dal servizio militare, mi sembra evidente che questi messaggi,<br />
vale a dire la religione civica impostata sul binomio Re e Patria, non arrivavano<br />
o, se arrivavano, non erano percepiti nella loro sostanza.<br />
La premessa dunque ci induce a concludere che quando si aprì il dibattito<br />
tra neutralisti e interventisti nell'inverno 1914-'15, gli interventisti erano<br />
un'esigua minoranza a fronte di un'imponente maggioranza di neutralisti. Si<br />
può dire altrettanto, d'altronde, per la Camera dei Deputati ancora dominata<br />
dalla forte personalità del neutralista Giolitti e quindi a maggioranza inclinata<br />
piuttosto alla neutralità che all'intervento.<br />
Tutto ciò però è puramente teorico, dal momento che l'entrata in guerra<br />
non venne naturalmente sottoposta a referendum e lo statuto consentiva al<br />
Sovrano di dichiararla senza in sostanza doverla sottoporre al giudizio delle<br />
Camere, assai improbabile essendo che i deputati liberali, pur se neutralisti,<br />
avrebbero votato contro un patto (che fosse stato) fi rmato dal re. Più che il<br />
numero, contò la capacità di mobilitazione delle piazze e fu la prima volta<br />
56
che la piazza, tradizionalmente teatro dei riti <strong>della</strong> sinistra, diventò piazza di<br />
destra. Dalla parte dei neutralisti, la capacità di mobilitazione avrebbe dovuto<br />
essere la dote portata alla causa dai socialisti che però erano molto più divisi<br />
di quanto non si ami oggi affermare. La successiva formula Turatiana del «né<br />
aderire né sabotare», fi glia legittima del concetto di neutralità assoluta sul<br />
quale essi si erano attestati fi n da subito, era quanto di più vacuo si potesse<br />
immaginare e non era certo in grado di agitare le folle. Era infatti una posizione<br />
passiva e attesistica che, oltre tutto, si staccava da quanto si veniva facendo<br />
nel movimento socialista a livello internazionale. A quel livello, infatti, si<br />
stava assistendo a una sorta di divisione che per comodità denominerò come<br />
destra e sinistra, con quest'ultima che proclamò la necessità di trasformare la<br />
guerra dei b<strong>org</strong>hesi nella rivoluzione dei proletari e la prima che, al contrario,<br />
ritenne di legittimarsi entrando nelle coalizioni di governo chiamate a dirigere<br />
i Paesi belligeranti. In altre parole, «né aderire, né sabotare» signifi cava<br />
nulla e dunque consentiva ogni personale presa di posizione.<br />
La fazione interventistica si dimostrò invece in grado di mobilitare la piazza,<br />
certamente usando e abusando di una bolsa retorica, ma riuscendoci perché<br />
diede alla piccola b<strong>org</strong>hesia un ruolo che mai in passato essa aveva avuto,<br />
del quale riteneva di aver diritto e che prevedeva per il futuro, se è vero che<br />
il «radioso maggio» fu in qualche maniera un'anticipazione del fascismo. E<br />
Mussolini, che i fasci di combattimento era ancora lungi dal fondarli, su questa<br />
carta giocò il suo futuro politico. Non c'è insomma da parte neutralista<br />
niente che possa essere assimilato, per risonanza, al discorso che D'Annunzio<br />
pronunciò sulla scogliera di Quarto in occasione dell'anniversario <strong>della</strong> partenza<br />
dei Mille. In conclusione, da una parte c'era l'entusiasmo, di una minoranza,<br />
ma entusiasmo, dall'altra c'era rassegnazione, di una maggioranza, ma<br />
rassegnazione.<br />
L'esercito entrò in guerra nelle medesime condizioni: il Corpo Uffi ciali,<br />
qualsiasi fossero le convinzioni personali di ciascuno, perché la guerra era il<br />
suo mestiere, gli uffi ciali di complemento, che erano i fi gli <strong>della</strong> piccola b<strong>org</strong>hesia<br />
– si pensi solo alla raccolta di lettere curata dall'Omodeo, ma c'è anche<br />
una ricca memorialistica di quanti dalla prova uscirono vivi – con l'entusiasmo<br />
di chi spesso aveva dimostrato nelle piazze per l'intervento, la massa dei<br />
soldati con la rassegnazione di chi sa di dover affrontare una disgrazia tra le<br />
tante, inevitabili, che intervengono nel corso <strong>della</strong> vita dei poveri: capitavano<br />
la fame, la malattia, le disgrazie, toccava ora la guerra. Per la quale, poco o<br />
nulla c'era da fare, andava affrontata,sperando bene e confi dando soprattutto<br />
sul fatto che fosse breve e che, semmai, toccasse a un altro di dover morire.<br />
La grande speranza – che si rivelerà essere piuttosto la grande illusione – era<br />
57
infatti la convinzione, propria anche di parte cospicua <strong>della</strong> classe dirigente,<br />
che con l'intervento dell'Italia, il confl itto sarebbe stato breve, risolutivi da<br />
una grande battaglia campale nel corso <strong>della</strong> quale il nostro esercito avrebbe<br />
sconfi tto un nemico già impegnato in altri fronti.<br />
Come sempre accade, i generali avevano preparato la guerra precedente,<br />
quasi ignorassero per esempio la capacità difensiva di una mitragliatrice ben<br />
incavernata o non avessero fatto tesoro dell'esperienza maturata in quasi un<br />
<strong>anno</strong> di guerra in corso, e dunque si erano preparati per una guerra offensiva<br />
con grandi masse di uomini lanciate all'assalto secondo gli abituali moduli<br />
ottocenteschi. Il generale Luigi Cadorna, capo di stato maggiore del nostro<br />
esercito, in particolare aveva scritto un famoso libro sull'impiego delle fanterie,<br />
libro che era tutto un inno all'attacco frontale, a suo dire unico modo per<br />
condurre una guerra offensiva qual era nei suoi disegni. E il libro di Cadorna<br />
era libro di testo all'Accademia Militare, sicché l'idea dell'attacco frontale era<br />
nel bagaglio intellettuale degli uffi ciali a tutti i livelli <strong>della</strong> linea di comando.<br />
Sarebbe stata comunque una guerra sanguinosa perché chi attacca subisce<br />
comunque perdite maggiori di chi si difende, ma fu grave, essendo entrata<br />
l'Italia in guerra nel 1915, cioè ripeto quasi un <strong>anno</strong> dopo lo scoppio del confl<br />
itto, che non si fosse tenuto conto di quanto era avvenuto negli altri fronti,<br />
aggiustando il tiro a misura di quanto era successo sul fronte occidentale, più<br />
omogeneo al nostro del fronte orientale.<br />
La realtà perciò si rivelò peggiore di quanto si era pensato fosse, perché<br />
Cadorna attaccò sul Carso quale unica via per raggiungere la sella di Lubiana<br />
e puntare verso Vienna, senza considerare la morfologia del massiccio e<br />
il fatto che gli Austriaci, che sparavano dall'alto verso il basso, vi si erano<br />
incavernati e si difendevano protetti laddove gli Italiani andavano all'attacco<br />
mostrando il petto al nemico. Furono attacchi vani che si ripeterono per 11<br />
volte – le battaglie dell'Isonzo, la cui dodicesima fu Caporetto – il cui unico<br />
risultato fu la conquista di Gorizia nel 1916. Fu dunque guerra di posizione,<br />
cioè trincee e sangue.<br />
Forse oggi si fatica a rendersi conto del che cosa fosse una trincea, questo<br />
solco scavato sul terreno, una ruga protetta dai sacchi di sabbia tra i quali si<br />
aprivano le feritoie, con vista sui reticolati e la trincea nemica a metri, non<br />
a chilometri di distanza. Basti dire che le deiezioni umane rimanevano sul<br />
fondo <strong>della</strong> trincea e quindi i soldati non si muovevano propriamente sul fango,<br />
bensì su uno strato di melma putrida bagnata dalle piogge d'autunno ed<br />
essiccata dal sole dell'estate. Sul Carso poi il grande nemico era la sete perché<br />
il massiccio è arido, non vi si trovano s<strong>org</strong>enti e l'acqua doveva essere portata<br />
dalle retrovie, ma, per il fuoco di interdizione del nemico, a volte non arrivava<br />
58
proprio. La trincea era poi, per ovvii motivi, un ricettacolo di malattie che con<br />
buona probabilità si trasformavano in epidemie. Prescindendo dalla celebre<br />
«spagnola» che colpì nel 1918 con falce egualitaria militari e civili, fi n dal<br />
1915 l'esercito fu sottoposto al pericolo del tifo, delle febbri, delle polmoniti e<br />
di quant'altro potesse capitare all'<strong>org</strong>anismo collocato in siffatte condizioni.<br />
Naturalmente gli uomini in prima linea sfogavano la loro rabbia, quando<br />
non trascendesse in atti più gravi dei quali ci occuperemo più sotto, imprecando<br />
contro quanti essi ritenevano responsabili <strong>della</strong> loro situazione, dal Re al<br />
governo al generalissimo Cadorna e via via lungo le erte scale delle gerarchie<br />
militari fi no al tenentino comandante di plottone che era accusato per lo meno<br />
di essere stato interventista, com'era facile fosse se è vero l'assunto precedente.<br />
Questo però è normale; è più interessante invece la rabbia che montò contro<br />
tutti coloro che non combattevano in prima linea dagli addetti alla sanità<br />
agli addetti alla sussistenza fi no agli artiglieri, i cui c<strong>anno</strong>ni erano postati un<br />
po' più indietro e quel «un po' più indietro» era suffi ciente per farli ritenere<br />
imboscati. Il termine poi arretrava via via dalle linee e veniva affi bbiato a<br />
quanti la naja proprio non la facevano. Prima di tutto, quindi, quanti erano<br />
stati esentati dal servizio e non importa fossero magari «handicappati» o malati<br />
gravi: per il trincerista erano stati tutti esentati perché fi gli di papà o per<br />
opera di corruzione. Le imprecazioni continuavano poi contro i «pescecani»,<br />
nome di gergo che indicava quanti lucravano sulle forniture di guerra ed erano<br />
quindi direttamente interessati, sempre a dire dei soldati, al proseguimento<br />
<strong>della</strong> guerra medesima che si risolveva nello scambio ineguale e ingiusto tra<br />
i guadagni loro e la pelle degli altri. Si estendeva infi ne agli operai che per<br />
essere tali, e particolarmente gli specializzati, erano indispensabili in fabbrica<br />
se si voleva continuare e potenziare la produzione bellica. Giuridicamente<br />
costoro erano militarizzati, sottoposti quindi alla disciplina militare, nonché<br />
al timore di un invio al fronte in caso di negligenza, ma i fanti questo non lo<br />
sapevano e, se lo sapevano, interessava niente.<br />
E qui si entra in un nodo fondamentale del discorso: per il motivo appena<br />
esposto, la fanteria era costituita pressoché nella totalità da contadini e non<br />
poteva essere diversamente perché l'Italia del 1915 era ancora un paese agricolo<br />
e perché non erano richieste alcuna attitudine o competenza particolari per<br />
morire in prima linea. A cose fatte, si constatò che il 95 % delle perdite subite<br />
era dato dai fanti, cioè, pressoché meccanicamente, dai contadini. Io credo che<br />
qui ci sia uno dei motivi del fallimento del biennio rosso successivo alla guerra,<br />
dal momento che sia i contadini che gli operai protestarono e tumultuarono in<br />
quel periodo, senza però mai trovare l'unità che sarebbe stata l'unica garanzia<br />
di successo, anche perché la guerra aveva retoricamente acutizzato lo scontro<br />
59
città-campagna. Del quale invero si rese cosciente Gramsci quando scrisse il<br />
suo libro sulla questione meridionale, ma era tardi e il fascismo si era ormai<br />
saldamente insediato al potere anche contrapponendo il «ruralismo» alla<br />
«pretesa» di egemonia <strong>della</strong> classe operaia.<br />
Il resto naturalmente viene dopo: al momento c'è una massa di milioni di<br />
uomini, rassegnati sì, ma non certamente entusiasti, che devono essere sottoposti<br />
a una disciplina sostitutiva delle motivazioni che non c'erano e che, va<br />
detto preliminarmente, non si cercò assolutamente, in epoca cadorniana, di<br />
indorare nella convinzione che la materia fosse così brutta che nessuno scalpello<br />
di scultore sarebbe riuscito a mo<strong>della</strong>rla. Oggetto di indagine fu esattamente<br />
il contrario: Cadorna infatti si giovò <strong>della</strong> consulenza di padre Agostino<br />
Gemelli, medico e psicologo, futuro fondatore dell'università cattolica,<br />
convinto che l'unico fattore utile per convincere gli uomini ad andare a morire<br />
fosse l'annullamento delle coscienze, cioè un addestramento e una disciplina<br />
formale (?) da osservarsi fi no all'ossessione onde il soldato fosse trasformato<br />
in un automa, obbedisse agli ordini cioè con una specie di rifl esso condizionato<br />
che li assimilava ai cani di Pavlov. Se ciò non fosse stato suffi ciente, il<br />
cordone di Carabinieri collocato nel retrofronte indicava che, arretrando, ci<br />
si sarebbe trovati sotto le fucilerie esattamente come se si fosse andati avanti.<br />
Non c'erano dunque molte alternative alla rassegnazione, se non ricorrere ad<br />
amuleti, portafortuna, scaramanzia varia, preghiere alle Divinità che assumevano<br />
in quel contesto un aspetto superstizioso che non le distingueva sostanzialmente<br />
dalla recita di qualsiasi illusorio «monstre».<br />
Naturalmente ci fu chi tentò di uscire dalla guerra, di trovare cioè una<br />
qualche modalità che lo liberasse dall'incubo <strong>della</strong> trincea. La corruzione per<br />
essere esonerati non era naturalmente solo un'invenzione di quanti invece in<br />
trincea ci stavano, c'era invece ed era molto intrecciata ai meccanismi parentali<br />
e amicali nel senso che eventuali parentele e amicizie venivano sfruttate,<br />
se non per l'esonero, per essere tenuti lontano dal fronte. Giovanni Comisso<br />
che va a a fare il telegrafi sta, per esempio, vede sempre il fronte da una certa<br />
distanza e infatti il suo «Giorni di guerra», bello e utile per tanti altri versi,<br />
non spiega nulla, nel senso che non dà testimonianza, <strong>della</strong> realtà <strong>della</strong> guerra<br />
e <strong>della</strong> psicologia del soldato.<br />
La prima forma di fuga è logicamente la renitenza, cioè il rifi uto di presentarsi<br />
ai depositi dei reggimenti al momento <strong>della</strong> leva o del richiamo, dandosi<br />
alla latitanza e più esattamente al bosco e alla montagna nelle regioni nelle<br />
quali ciò era possibile. Il numero dei renitenti è diffi cilmente determinabile<br />
perché molti dei supposti tali erano in realtà emigrati o comunque irreperibili.<br />
Ciò detto, la cifra di 48.000 renitenti assunta con molte perplessità dagli<br />
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storici non è in sé una cifra particolarmente rilevante – conferma semmai la<br />
capacità nell'apparato repressivo dello stato – e comunque non si discosta, in<br />
relazione alla popolazione, dalle cifre che si riscontrano in altri Paesi belligeranti.<br />
Il numero più elevato dei tentativi di uscire dalla guerra si ebbe dunque<br />
non prima, bensì durante la guerra, utilizzando le autorità politiche e militari<br />
per contrastarli lo strumento del tribunale militare e confi dando nell'effi cacia<br />
e nella ferocia degli articoli del codice militare di guerra, sicché al tirar delle<br />
somme furono 400.000 le denunce presentate per fatti avvenuti nel periodo<br />
bellico del quale furono protagonisti militari o militarizzati; ciò signifi ca che<br />
il 15% dei mobilitati venne denunciato per mancanze, negligenze, omissioni<br />
del più vario genere. Nel numero rientrano anche i furti, i ritardi nel rientro<br />
dalle licenze, gli atti di una disubbidienza spicciola e momentanea per i quali<br />
spesso il ricorso alla denuncia era decisamente eccessivo e che quindi di per<br />
sé rappresentano poco, ma 128.527 furono i processi per diserzione, la via<br />
apparentemente più facile per uscire dalla guerra. Naturalmente, molte di queste<br />
denunce erano presentate nei confronti di militari che si erano presentati in<br />
ritardo ai reparti dopo le licenze ed ebbero quindi modesto seguito penale, ma<br />
il numero resta e costituisce comunque una cifra molto elevata e <strong>della</strong> quale<br />
sarebbe stolto non tener conto quando si parla del morale dei soldati durante<br />
la guerra. Iniqua e priva di ogni riscontro in altri Paesi belligeranti, fu però la<br />
decisione presa dal governo dopo Caporetto di interdire alla Croce Rossa l'invio<br />
di pacchi-viveri ai nostri prigionieri in Austria. Certamente non mancarono<br />
a Caporetto e nei giorni <strong>della</strong> rotta casi di soldati che si lasciarono catturare<br />
facilmente nella convinzione – sulla quale più sottolineeremo – che la guerra<br />
fosse fi nita o che comunque la prigionia fosse preferibile al pericolo di morire<br />
che un qualsiasi tipo di resistenza avrebbe comportato. Ci furono e in questi<br />
casi il darsi prigionieri equivaleva alla diserzione, ma la grande maggioranza<br />
dei prigionieri era, per così dire, di tipo normale, non poteva cioè essere loro<br />
imputata alcuna colpa, salvo non si volesse anticipare l'applicazione del metodo<br />
di Stalin nella II guerra, metodo per il quale ciascun prigionieri era colpevole<br />
perché la consegna era quella di morire sul posto, sicché i prigionieri<br />
liberati transitarono direttamente dalla Germania alla Siberia senza soluzione<br />
di continuità. La norma voluta dal governo Orlando si applicò naturalmente a<br />
tutti i «Caporettisti» internati e ciò ne determinava l'iniquità; diventava però<br />
immorale se si tiene conto, e ciò al governo italiano era noto, delle condizioni<br />
di vita, cioè <strong>della</strong> fame, esistenti in Austria e che si rifl ettevano sulle condizioni<br />
di vita dei prigionieri com'è naturale sia. Così, ci si avvicinò addirittura<br />
all'atto criminoso, considerando che la fame fu all'origine di una serie di epi-<br />
61
Distribuzione di doni alla brigata «Como». MCRR.<br />
Un posto di ristoro. MCRR.
Truppe a riposo. MCRR.
demie che aggravarono ulteriormente la vita dei nostri prigionieri.<br />
Notevoli – 10.000 circa, ma non mancarono i casi di suicidio – le condanne<br />
per autolesionismo, cioè <strong>della</strong> pratica di procurarsi delle ferite o delle<br />
malattie con spari attutiti da apposite fasciature onde evitare che i medici si<br />
acc<strong>org</strong>essero che il colpo era stato sparato a bruciapelo o con sostanze paravelenose<br />
(?) atte a procurare stati partologici.<br />
La forma estrema di rifi uto <strong>della</strong> disciplina era evidentemente l'ammutinamento,<br />
determinato dal rifi uto di tornare in linea da parte di truppe stazionate<br />
in quel momento nelle retrovie. Va detto preliminarmente che ammutinamenti<br />
avvennero in misura maggiore o minore, clamorosi o soffocati sul nascere, in<br />
tutti gli eserciti in campo, ma nell'esercito italiano essi ebbero una caratteristica<br />
che è necessario mettere subito in evidenza a ulteriore illustrazione del<br />
tipo di disciplina instaurato dalla gestione Cadorna. Era regola comune infatti<br />
che i turni in trincea e i turni di riposo nelle retrovie si alternassero secondo<br />
un calendario inteso a non deprimere eccessivamente il morale e la salute<br />
fi sica dei combattenti. Ciò però non sempre avvenne con puntualità e rispetto<br />
delle esigenze dei reparti. È ovvio che esistessero situazioni di emergenza<br />
nelle quali era impossibile rispettare le regole, ma, nel periodo Cadorna, si<br />
andò oltre l'emergenza o si trasformò anche il normale in emergenziale, sicché<br />
il mancato rispetto dei turni di riposo o dei tempi dei medesimi, divenne<br />
pressoché la regola con grave disagio dei soldati. Tale fu il caso <strong>della</strong> brigata<br />
Salerno nel 1916, tale fu il caso <strong>della</strong> brigata Catanzaro nel 1917. Infatti,<br />
l'ammutinamento di aliquote di queste brigate – tra l'altro la Catanzaro era<br />
reduce da un valoroso ciclo di combattimenti – venne dopo un ordine di ritorno<br />
anticipato in prima linea, prima del completamento del regolare turno di<br />
riposo. La risposta all'ammutinamento non era l'individuazione e la punizione<br />
dei colpevoli di aver fomentato l'ammutinamento medesimo, bensì il barbaro<br />
sistema <strong>della</strong> decimazione. La quale decimazione altro non era che una variante<br />
<strong>della</strong> rappresaglia per la quale veniva fucilato alla schiena un soldato su<br />
dieci, seguendo il criterio del puro caso.<br />
Altro motivo del malcontento dei soldati era la diffi coltà a ottenere licenze,<br />
sempre misurate con il bilancino del farmacista, di modesta estensione nel<br />
tempo, spesso disdette all'ultimo momento, e, per i fanti-contadini sul cui numero<br />
ci siamo già intrattenuti, pesava essenzialmente la scarsa disponibilità di<br />
licenze agricole in occasione dei momenti cruciali dell'annata agraria, quando<br />
cioè sarebbe stata necessaria la presenza di braccia giovani sul podere. Nel<br />
caso, ciò dipendeva da un'altra delle convinzioni proprie di Cadorna e cioè<br />
che la costruzione del soldato-automa potesse essere scalfi ta da un ritorno, sia<br />
pur temporaneo, alla vita civile e che, una volta rotta la costruzione, si potesse<br />
64
essere più facilmente prede dell'allettamento alla diserzione o comunque del<br />
ritardato ritorno ai reparti.<br />
Il concetto era presente fi n dall'inizio <strong>della</strong> guerra e rientrava nell'ambito<br />
<strong>della</strong> forma disciplinare che lo Stato Maggiore aveva fatto proprio, ma via via<br />
che la guerra si inoltrava ed erano evidenti le stragi e i lutti che essa comportava,<br />
maturò in Cadorna la convinzione che il basso morale e gli allettamenti<br />
sovversivi che egli riteneva fossero presenti nel Paese e per i quali non poche<br />
volte aveva protestato contro quella che egli riteneva fosse la debolezza dei<br />
giovani, potessero inquinare il morale dei soldati in licenza. Naturalmente,<br />
Cadorna era altrettanto convinto del basso morale dei soldati, ma, inquadrati,<br />
essi erano domati o quanto meno domabili dalla disciplina di ferro <strong>della</strong> quale<br />
si è detto, sciolti e spersi nel Paese erano di più diffi cile controllo. Assunto<br />
ciò come vero, diventava assolutamente ovvio che fosse necessario concedere<br />
il minor numero possibile di licenze, la richiesta delle quali quindi rientrò in<br />
ogni protesta che in una forma o nell'altra fosse avvenuta nell'esercito.<br />
Per il benessere del soldato nulla era previsto da Cadorna ed era logico che<br />
così fosse se si tiene presente la presupposizione teorica – il soldato automa<br />
– dalla quale si muoveva. Essa venne piuttosto lasciata all'iniziativa privata,<br />
cioè alle signore che nelle città cucivano indumenti di lana per lenire il freddo<br />
delle trincee, o all'iniziativa di qualche più avveduto cappellano militare. Fu<br />
così che don Giovanni Micuzzi diede vita nelle retrovie del fronte alle «Case<br />
del soldato», a spazi cioè ove i soldati in riposo avrebbero potuto trovare momenti<br />
di distrazione con recite, proiezioni di fi lm, viveri di conforto e carta e<br />
penna per scrivere a casa con maggiore agio di come ciò avvenisse in baracca.<br />
Di suo, lo Stato mise in circolazione molto alcool e istituì bordelli per militari.<br />
I superalcolici servivano «ad adiuvandum» di quanto la trasformazione<br />
in automi non avesse ottenuto e dunque la distribuzione di essi precedeva<br />
ogni attacco, così che un qualche grado di euforia alcolica spingesse i fanti<br />
fuori dalle trincee sotto il fuoco nemico. I bordelli invece erano regolamentati<br />
direttamente dalla burocrazia militare e se ne prevedeva l'istituzione nei<br />
paesi di retrovia onde maschilisticamente allietassero il riposo del guerriero<br />
attraverso ragazze arruolate nella rete dei bordelli civili. Per ragioni igieniche,<br />
era invece fortemente contrastato l'esercizio libero, cioè senza permessi<br />
e autorizzazioni, <strong>della</strong> «professione» che, proprio per esser tale, era affi data a<br />
collaudate professioniste.<br />
Il presupposto dal quale siamo partiti era che il servizio di leva o il richiamo<br />
alle armi – nel corso del confl itto si richiamarono tutte le classi dal 1878<br />
al 1900, anche se quest'ultima non ebbe il tempo di partecipare alla guerra<br />
– coinvolgono direttamente tutto il popolo. Non è quindi improprio, era d'al-<br />
65
tronde uno dei pensieri ricorrenti di Cadorna, timoroso com'era del crollo del<br />
fronte interno, esaminare quale fosse il morale del popolo nel corso del confl<br />
itto. Diciamo subito che il morale del popolo era basso se non altro perché la<br />
guerra, e dunque lo stillicidio delle perdite, continuava nel tempo e sembrava<br />
non aver fi ne. Era però un popolo di contadini e dunque le variazioni del morale,<br />
scosso anche dal fatto che non si registravano vittorie delle quali essere<br />
fi eri, dipendevano molto da ciò che in qualsiasi modo rientrasse nell'ambito<br />
dei loro interessi diretti. Lo Stato aveva in realtà provveduto a garantire un<br />
sussidio alle famiglie dei combattenti, ma l'esiguità delle somme – 60 centesimi<br />
al giorno, in sostanza suffi ciente per il pane e il latte e qualche volta per il<br />
baccalà, pesce allora dei poveri – innescò la miccia di non poche proteste che<br />
già nel 1916 erano trascese a volte in tumulti. Ancora nulla di preoccupante<br />
invero, fi nché le proteste si limitavano ad assembramenti davanti ai municipii<br />
dei paesi, ma via via esse aumentarono in quantità e in intensità. Intendo per<br />
intensità che l'originaria richiesta di aumento dei sussidi a poco a poco sbiadì<br />
per essere sostituita da altre e più pericolose parole d'ordine. Si chiese la pace<br />
innanzi tutto e questo non poteva non preoccupare il governo di un Paese<br />
impegnato nella prima guerra totale nella storia, si chiese il blocco dei fi tti<br />
agrari – che infatti venne concesso come misura straordinaria e temporanea –<br />
si cominciò a chiedere, ed era la richiesta più pesante e più grave, che la terra<br />
fosse data in proprietà ai co1ntadini, come premio per quanto essi stavano<br />
facendo in guerra. L'errore del governo, al quale sarebbe semmai spettato di<br />
presentare al Parlamento un eventuale provvedimento del genere, consistette<br />
nel rimanere assente e muto, lasciando però trapelare l'idea che alla fi ne<br />
qualcosa si sarebbe fatto in proposito. Non ci fu dunque alcuna disposizione<br />
o promessa di divisione delle terre, ma l'idea venne lasciata correre per le<br />
trincee come qualcosa di più di un'eventualità e convinse i fanti-contadini che<br />
ciò sarebbe avvenuto. Si creò quindi un gigantesco equivoco, fonte di tutte le<br />
posteriori iniziative di occupazione delle terre che si ebbero nel 1919-'20.<br />
L'<strong>anno</strong> di svolta fu il 1917 e non solo in Italia. La stanchezza s'era ovunque<br />
trasformata in prostrazione e la prostrazione aveva innescato un circuito<br />
del quale non era chiara la trasmissione dal popolo ai soldati o dai soldati al<br />
popolo. Gli ammutinamenti contro la strategia del generale Nivelle in Francia,<br />
sono forse gli episodi più clamorosi di questo disagio, ma va detto che,<br />
in quell'<strong>anno</strong>, anche le classi dirigenti si stavano rendendo conto di quanto<br />
profondo fosse il peso che gravava sulle masse popolari. Fu l'imperatore<br />
Carlo d'Austria, succeduto a Francesco Giuseppe morto l'<strong>anno</strong> precedente –<br />
l'Austria era notoriamente l'anello debole degli Imperi centrali – a prendere<br />
l'iniziativa e a servirsi del cugino Sisto di Borbone per un giro delle capitali<br />
66
europee onde verifi care le possibilità di una pace di compromesso. Non se ne<br />
fece nulla, ma il signifi cato del gesto rimase e non manca di importanza in<br />
sede storica. Ben più autorevole e soprattutto palese e quindi a conoscenza<br />
di tutti, fu l'allocuzione del pontefi ce Benedetto XV che conteneva la celebre<br />
defi nizione <strong>della</strong> guerra come «inutile strage», non a caso bollata come<br />
disfattista dai governi di tutti i Paesi belligeranti di confessione cattolica. In<br />
Italia, si levò però anche una voce laica: il deputato socialista Claudio Treves,<br />
intervenendo alle Camere, dichiarò «Non più un inverno in trincea», anche se<br />
non era chiaro che cosa avrebbero fatto lui medesimo e il suo partito nel caso<br />
si fosse trascorso un altro inverno in trincea, come poi di fatto accadde.<br />
Accanto ai tumulti agrari cui si è fatto cenno, maturò oltre e, più esattamente,<br />
favorito anche da queste dichiarazioni, i fatti di Torino dell'agosto,<br />
quando, in seguito a una crisi nel rifornimento di pane ai forni <strong>della</strong> città, il<br />
tumulto <strong>anno</strong>nario, inevitabile in siffatti frangenti, si trasformò in una specie<br />
di rivolta, nella quale, alla richiesta di pane, si associò la richiesta <strong>della</strong> pace,<br />
e per sedare la quale si dovette ricorrere ai reggimenti di cavalleria, tenuti<br />
di guarnigione nelle città proprio per il mantenimento dell'ordine pubblico,<br />
nonché alla brigata Sassari che, secondo il vecchio schema in uso in Italia fi n<br />
dall'Unità, essendo formata da fanti sardi, si riteneva, e così infatti fu nonostante<br />
gli appelli del sardo Gramsci, non avrebbe solidarizzato con gli insorti.<br />
Va poi ricordato che la rivolta era stata preceduta dalla visita a Torino di una<br />
delegazione di rivoluzionari russi – menscevichi peraltro e non bolscevichi<br />
– e quindi si capisce quali preoccupazioni di ordine interno e internazionale<br />
nutrisse il governo italiano in quel 1917.<br />
Che tutto ciò giocasse anche sul morale dei soldati al fronte, non c'è dubbio,<br />
dal momento che la medesima stanchezza presente nel popolo era presente<br />
anche nell'esercito, ma da questa constatazione muovere per affermare<br />
che il disastro di Caporetto sia stato dovuto a una sorta di sciopero militare<br />
attuato da combattenti consapevolmente orientati in questo senso, costituisce<br />
un indebito e ingiustifi cabile salto logico. Caporetto fu una sconfi tta militare<br />
come altre ce ne furono in tutti i fronti di guerra, né più né meno grave, dovuta<br />
essenzialmente all'applicazione da parte del maresciallo von Below e delle<br />
truppe tedesche inviate sul fronte italiano di una nuova tattica di infi ltrazione<br />
alla quale i nostri soldati non erano stati addestrati. Vi si aggiungono la pessima<br />
idea di Cadorna di non dislocare una riserva mobile in profondità, la sottovalutazione<br />
di Capello di quanto fosse decisivo passare da uno schieramento<br />
offensivo a uno difensivo da parte <strong>della</strong> sua II armata, l'errore di Badoglio di<br />
ritardare il tiro delle artiglierie alle sue dipendenze, ed è chiaro che la sconfi<br />
tta si può e si deve spiegare in termini puramente militari. Poi, ma solo poi,<br />
67
infl uirono ed ebbero il loro peso anche motivazioni riconducibili al morale<br />
dell'esercito e del Paese. Ebbe peso soprattutto la convinzione propria di molti<br />
soldati che quella sconfi tta segnasse la fi ne <strong>della</strong> guerra e si potesse quindi<br />
tornare a casa, convinzione a sua volta determinata dalla grande stanchezza<br />
che era comune, va ripetuto, a tutti gli eserciti e a tutti i popoli.<br />
Caporetto segnò al fi ne di una fase <strong>della</strong> guerra italiana e l'inizio di una fase<br />
nuova. Il vecchio Boselli venne sostituito a capo del governo dal più giovane<br />
Vittorio Emanuele Orlando, che, come ministro dell'Interno, aveva spiegato<br />
molta energia nella repressione dei moti di Torino; Cadorna venne, invero<br />
garbatamente, quasi convincendolo che si trattava di una promozione, mandato<br />
a Parigi come rappresentante italiano nel Consiglio Militare Interalleato,<br />
un <strong>org</strong>ano del tutto formale e privo di poteri, e sostituito da Armando Diaz.<br />
Il quale Diaz era tutt'altro che un grande stratega, ma era dotato di un buon<br />
senso tutto napoletano che gli faceva comprendere che, se si voleva (fosse voluto)<br />
continuare la guerra. e vincerla, era necessario per prima cosa migliorare<br />
le condizioni morali e il trattamento materiale dei combattenti. Diaz fu anche<br />
favorito da due fatti che v<strong>anno</strong> assunti come una specie di precondizioni, prima<br />
ancora cioè che egli cominciasse a operare nel suo nuovo ruolo.<br />
La prima era di carattere esclusivamente militare: a Caporetto era stata<br />
travolta la II Armata; le altre, dislocate su altri settori del fronte, si erano<br />
ritirate dietro la linea del Piave in buon ordine, mantenendo intatto il loro<br />
potenziale. D'altronde, con metodi che eufemisticamente potremmo defi nire<br />
spicci, su quella medesima linea il generale Andrea Graziani era riuscito in<br />
qualche modo a ricomporre in unità <strong>org</strong>aniche gli sbandati e i dispersi che<br />
riuscirono ad arrivare fi n lì. La seconda toccò invece più propriamente il morale<br />
dei cittadini dal momento che l'invasione del Friuli e di parte del Veneto<br />
agì come una frustata dalla quale era necessario difendersi anche perché,<br />
parte era realtà, parte era fantasia, si diffuse nell'immaginario collettivo l'idea<br />
dell'austriaco saccheggiatore, dell'austriaco stupratore, dell'austriaco barbaro,<br />
sulla quale idea ci si soffermava poi attraverso il racconto dei profughi che,<br />
a loro volta, qualcosa avevano visto e qualcosa dicevano di aver visto. In<br />
altre parole, ci fu una reazione popolare che, in questa occasione, diede vita<br />
a un patriottismo suffi cientemente diffuso. D'altro canto, il governo dispose,<br />
tramite il ministro delle fi nanze Francesco Saverio Nitti, l'accensione di una<br />
polizza sulla vita di ogni combattente, provvedimento che faceva pensare alle<br />
famiglie dei combattenti che fi nalmente il governo in qualche maniera si stava<br />
occupando <strong>della</strong> loro sorte.<br />
In tutto ciò Diaz non c'entrava, ma, una volta assunto il comando, egli fece<br />
la sua parte, cominciando con il capovolgere la strategia di Cadorna. Diaz<br />
68
attribuiva infatti la situazione dell'esercito al dispendio di vite umane causato<br />
dalla concezione «offensivistica» del suo predecessore e, una volta che<br />
l'esercito si fu arrestato sulla linea del Piave, decise di mantenerne a oltranza<br />
l'assetto difensivo, meno dispendioso di sangue, ove a oltranza s'intendeva<br />
fi nché non si fossero presentate occasioni più che favorevoli per una ripresa<br />
offensiva. Tanto è vero che nell'ottobre 1918 furono le insistenze degli alleati<br />
a spingerlo alla battaglia di Vittorio Veneto, e quindi sollecitazioni di carattere<br />
politico, dal momento che egli riteneva che l'offensiva fi nale si sarebbe dovuta<br />
sferrare nella primavera 1919, per la quale offensiva si sarebbe avvalso<br />
<strong>della</strong> classe 1900 che infatti non andò in linea a diciotto anni com'era capitato<br />
alle classi immediatamente precedenti.<br />
Queste furono grandi scelte; poi Diaz pensò a una serie di provvedimenti<br />
spiccioli ma altrettanto necessari per migliorare il mondo dei soldati. Gli aiuti<br />
americani che cominciavano ad affl uire massicci nel Paese, consentirono intanto<br />
di migliorare la qualità del rancio che era provvedimento di non poco<br />
conto per un esercito abituato alla monotonia <strong>della</strong> carne e brodo da sempre<br />
dominante, con il pane, nel pasto dei soldati. Vennero così meno alcuni motivi<br />
di malcontento legati alla distribuzione e al consumo del rancio medesimo<br />
che migliori linee di comunicazione consentivano pervenisse alle prime linee<br />
con puntualità.<br />
Lo schieramento difensivo che rendeva inutile il barbaro uso delle decimazioni<br />
– che era un dato oggettivo legato alla tattica diversa posta in essere dal<br />
Comando Supremo – fece sì che Diaz fosse ritenuto dai soldati colui che le<br />
decimazioni le aveva abolite mentre in realtà erano solo entrate in sonno, ma<br />
il fatto che colpì fu che non vi si ricorse più. Si fece strada inoltre l'idea che<br />
si dovesse e si potesse motivare i soldati, cioè rendendoli più consapevoli del<br />
motivo per il quale stavano combattendo, e questa idea contrassegnò positivamente<br />
la gestione Diaz.<br />
A tal fi ne si nominarono nei reparti gli uffi ciali P, precisamente con questo<br />
compito motivatorio. Se è vero quanto abbiamo affermato in premessa, non<br />
mancavano certamente uffi ciali entusiasti, molti mutilati e quindi persuasivi<br />
a vista, di questa mansione che ebbe, va sottolineato, una sua effi cacia anche<br />
se non misurabile in termini quantitativi.<br />
Altra importante iniziativa fu la diffusione dei giornali di trincea, naturalmente<br />
alcuni meglio riusciti, altri meno, ma, stante la presenza dei molti intellettuali<br />
interventisti ora sotto le armi, di norma ben confezionati – ricordo «La<br />
tradotta» – che avevano lo scopo di esaltare lo spirito di corpo delle unità alle<br />
quali ciascuno di essi faceva riferimento, nella convinzione che la guerra non<br />
si risolveva in duelli individuali, bensì procedeva per reparti <strong>org</strong>anici ai quali<br />
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Due soldati in un momento di tempo libero
andava instillata l'idea <strong>della</strong> collettività come modo più utile per affrontare il<br />
combattimento.<br />
Ultimo, ma non per ultimo, dei provvedimenti fu la costituzione del Corpo<br />
degli Arditi, che non era una novità – già nel 1916 il maggiore Baseggio<br />
aveva <strong>org</strong>anizzato tali reparti all'interno di unità di maggiori dimensioni – ma<br />
che nell'ultimo <strong>anno</strong> di guerra vennero tolti alle unità, e chiamati a dare vita a<br />
un corpo autonomo che diede vita a intere divisioni. Gli arditi erano volontari<br />
che venivano sottratti alla monotonia e ai pericoli <strong>della</strong> vita di trincea per<br />
essere utilizzati nelle azioni più pericolose ove l'obbedienza doveva essere<br />
quanto meno accompagnata da quella consapevolezza che conduce a un coraggio<br />
più vivo e più sentito. Mario Isnenghi insiste su questo punto e credo<br />
abbia perfettamente ragione, anche se la battaglia fi nale e la vittoria non si<br />
dovette certamente solo all'impiego <strong>della</strong> I divisione d'assalto nel forzamento<br />
del Piave verso Moriago.<br />
72
Scalata alla «cuccagna» durante un momento di riposo. MCRR.
Merlettaie al lavoro
GLI ATTORI SOCIALI NELLA PROVINCIA DEL PIAVE<br />
(1917-1918)<br />
Daniele Ceschin<br />
Senza la rotta di Caporetto, quella di Treviso non sarebbe diventata la<br />
«provincia <strong>della</strong> Vittoria» e il Piave il fi ume «sacro alla Patria». Di più, tanti<br />
piccoli paesi posti alla destra e alla sinistra del Piave non si sarebbero trasformati<br />
in una «terra di nessuno», non sarebbero stati sgomberati, distrutti<br />
e ricostruiti; altri non sarebbero stati teatro delle offensive e controffensive<br />
dell'ultimo <strong>anno</strong> di guerra che ne avrebbero modifi cato perfi no il nome. Ma<br />
le vicende militari – che v<strong>anno</strong> analizzate, studiate e ovviamente decostruite<br />
quando sconfi nano nella retorica patriottica coeva e successiva – non devono<br />
far passare in secondo piano gli attori sociali – in gran parte civili, ovvero la<br />
popolazione invasa, i profughi e gli internati – che tra il 1917 e il 1918 subiscono<br />
le conseguenze dirette dello spostamento del fronte dall'Isonzo e dal<br />
Carso, al Piave e al Grappa. Solitamente utilizzo la categoria di «attore sociale»<br />
in senso estensivo, riferendomi ad esempio anche ai soldati, ai prigionieri,<br />
ai disertori e così via, ma qui la userò in particolare rispetto alla popolazione<br />
civile, accennando ad alcuni aspetti e nodi tematici che interessano le due<br />
parti <strong>della</strong> provincia che si ritrovano separate dalla nuova linea del fronte.<br />
L'esodo<br />
La ritirata dell'esercito italiano dopo Caporetto comporta un impatto traumatico<br />
sulla popolazione civile posta di fronte ad una scelta in cui motivazioni<br />
individuali e collettive s'intersecano. Spesso i civili sono spettatori che<br />
assistono a scene del tutto inedite e che possono indurli a prendere una decisione<br />
in un senso piuttosto che in un altro. Ma poi, chi parte e chi rimane?<br />
E con quali mezzi? E con quali prospettive o speranze? A partire non sono<br />
solamente i b<strong>org</strong>hesi, le persone facoltose, i possidenti, ma anche gli artigiani,<br />
gli operai, i contadini e i mezzadri. Che poi l'esito positivo <strong>della</strong> fuga, il profugato<br />
oltre il Piave, venga raggiunto prevalentemente da coloro che abitano<br />
nei centri posti lungo le principali vie di comunicazione, che h<strong>anno</strong> potuto<br />
mettersi in marcia con un certo anticipo oppure affrontare il viaggio in treno<br />
piuttosto che a piedi, è un'altra questione. Se dunque il profugato come esito<br />
ha un carattere di classe, l'esodo come scelta ha un carattere di massa. Questo<br />
è uno dei nodi centrali dell'intera vicenda che interessa i civili del Friuli e del<br />
75
Veneto dopo Caporetto 1 . Poi, ovviamente, ci sono le scelte in controtendenza,<br />
il desiderio di rimanere comunque a difendere la proprietà o ad assistere delle<br />
persone care, ma anche la mancata percezione del pericolo.<br />
Innanzitutto, la fuga viene immaginata individualmente, discussa in famiglia,<br />
esclusa categoricamente, ma comunque quasi sempre preparata, anche<br />
da coloro che, fi no all'ultimo, sono intenzionati a rimanere. In molti casi è<br />
la mancanza di notizie dei propri famigliari a indurre la popolazione a restare<br />
piuttosto che a fuggire. Tra il partire e il restare, un grosso peso gioca<br />
quindi anche la casualità. Nel dubbio, si rimane, anche perché la separazione<br />
riguarderebbe, nella maggior parte dei casi persone anziane, malate o non<br />
autosuffi cienti. Il ritardare di poco la partenza o il ritornare indietro in cerca<br />
dei parenti che si sono attardati oppure dei bambini smarriti – una circostanza<br />
molto comune che provocava in qualche caso la disperazione delle madri che,<br />
disperate, risalgono a ritroso la colonna 2 – signifi ca perdere la possibilità di<br />
porsi in salvo e di attraversare i fi umi prima che i ponti vengano distrutti. Un<br />
grosso peso nella decisione è dovuta alla maggiore disponibilità di mezzi e di<br />
denaro per gli abitanti delle città, oltre che alla fortuna di trovarsi lungo la più<br />
importante direttrice stradale e ferroviaria, anche se non in tutti i casi questo<br />
costituisce un vantaggio. Si fugge o si è tentati a farlo innanzitutto per paura.<br />
Nei giorni immediatamente successivi a Caporetto, di fronte alla visione <strong>della</strong><br />
disfatta militare, «la fantasia è piena delle barbarie tedesche nel Belgio» 3 .<br />
Una presenza costante, questa <strong>della</strong> violenza, che è nota attraverso la propaganda<br />
di guerra e che alimenta timori fi no a quel momento sconosciuti. Anche<br />
le false notizie di quei giorni di guerra h<strong>anno</strong> una certa importanza nella scelta<br />
se partire oppure no 4 .<br />
In alcuni casi i sindaci consigliano che in previsione di un ordine di sgombero<br />
siano in via precauzionale allontanati le donne e i bambini. Le separazioni<br />
famigliari interessano in particolare gli anziani che intendevano comunque<br />
restare 5 e la ritrosia <strong>della</strong> popolazione a partire emerge molto chiaramente ed<br />
1 Daniele Ceschin, Gli esuli di Caporetto. I profughi in Italia durante la Grande Guerra,<br />
Laterza, Roma-Bari 2006.<br />
2 Attilio Baradel, Nei solchi dell'odio, Cassa di Risparmio <strong>della</strong> Marca Trevigiana, Treviso<br />
1988 [1925], pp. 30-31.<br />
3 Libro storico parrocchiale di Bressa redatto da don Francesco Lucis, riportato in Lucio<br />
Fabi, Giacomo Viola, «Una vera Babilonia...». 1914-1918. Grande guerra ed invasione austro-tedesca<br />
nei diari dei parroci friulani, Edizioni <strong>della</strong> Laguna, Monfalcone 1993, p. 94.<br />
4 Sul peso delle notizie e dei racconti, veri o tenuti per veri sull'immaginario collettivo, cfr.<br />
Marc Bloch, La guerra e le false notizie. Ricordi (1914-1915) e rifl essioni (1921), Donzelli,<br />
Roma 1994, pp. 79-108. Per il caso italiano, rimando a Giovanna Procacci, Dalla rassegnazione<br />
alla rivolta. Mentalità e comportamenti popolari nella grande guerra, Bulzoni, Roma<br />
1999, pp. 339-346.<br />
5 Amerigo Clocchiatti, Cammina frut, Vangelista, Milano 1972, p. 8.<br />
76
è attribuibile alla volontà di non abbandonare al nemico i propri averi. Anche<br />
nei paesi rivieraschi del Piave i civili non vogliono saperne di andarsene senza<br />
portare con sé beni, animali e raccolti, un atteggiamento comprensibile tra<br />
le classi rurali, convinte che il nemico non si fermi e che il suo sia solamente<br />
«un passaggio» 6 .<br />
La fuga delle classi dirigenti rappresenta senza dubbio uno degli aspetti<br />
più controversi dei giorni immediatamente successivi alla rotta. Fuga di<br />
sindaci, assessori e consiglieri comunali, ma anche di impiegati pubblici, di<br />
fi gure di riferimento come possono essere i maestri elementari e i medici condotti,<br />
oppure ancora i segretari comunali, il cui compito è quello di porre in<br />
salvo se stessi come rappresentanti legittimi del potere locale e, se possibile,<br />
le carte d'archivio, sulle quali tale potere è fondato. Il funzionario pubblico<br />
si sente il depositario di un potere che deve conservare e difendere di fronte<br />
all'invasione nemica; l'unico modo per farlo è quello di seguire l'esercito in<br />
ritirata. D'altra parte, se sono le autorità civili a dare «l'esempio <strong>della</strong> fuga»,<br />
la scelta di partire risulta in qualche modo indotta anche nella popolazione<br />
civile 7 . Va da sé, che la partenza precipitosa delle classi dirigenti e dei notabili<br />
viene immediatamente percepita da chi ha intenzione di rimanere – per scelta,<br />
necessità o impossibilità a scappare – come un segno distintivo di classe.<br />
Il nodo centrale è dato dal fatto che, interrotta la catena di comando, le<br />
amministrazioni locali nella maggior parte dei casi h<strong>anno</strong> ravvisato gli estremi<br />
non per sottrarsi alle proprie responsabilità, ma per decidere in proprio un<br />
comportamento da assumere rispetto alla loro carica e, se vogliamo, anche<br />
rispetto al loro ruolo morale. Un comportamento non previsto da alcun<br />
manuale del caso e che implica una scelta ben precisa. È meglio rimanere e<br />
difendere la popolazione rimasta che non vuole saperne di partire o che non<br />
può comunque muoversi, oppure abbandonare in fretta il proprio comune,<br />
salvare gli atti più importanti e seguire, accompagnare, aprire la strada ai propri<br />
concittadini profughi? Si trattava di una scelta non facile e irreversibile, che<br />
impegna i singoli amministratori, ma anche le loro famiglie, quindi centinaia<br />
di persone.<br />
Eppure, di fronte all'esodo delle autorità civili, quelle religiose, nella maggior<br />
parte dei casi, sono indotte a rimanere accanto alle loro comunità. L'autoinvestitura<br />
dei parroci si pone di fatto in linea di continuità con le forme di<br />
«supplenza cattolica» operanti fi n dall'inizio <strong>della</strong> guerra e che ora acquistano<br />
una legittimazione nuova e maggiormente vincolante. Questo fatto darà luo-<br />
6 Giovanni Dal Poz, L'invasione. Diario di un profugo, Tipografi a Cartoleria Luigi Guin,<br />
Noale 1937, p. 5.<br />
7 Cesco Tomaselli, Gli «ultimi» di Caporetto. Racconti del tempo dell'invasione, Paolo<br />
Gaspari Editore, Udine 1997 [1931], p. 69.<br />
77
go a molte polemiche durante l'ultimo <strong>anno</strong> di guerra, in particolare da parte<br />
<strong>della</strong> componente politica del profugato, che accuserà i parroci e i cappellani<br />
rimasti in territorio invaso di collaborare attivamente con le truppe occupanti<br />
e di essere, in una parola, degli austriacanti al servizio del nemico. In questo<br />
momento per molti parroci il problema <strong>della</strong> scelta, o solamente del dubbio<br />
tra il restare o il partire non si pone nemmeno. In assenza di direttive, i parroci<br />
si limitano ad osservare quanto prescrive loro il diritto canonico, ovvero<br />
l'obbligo di residenza anche nel caso in cui nella parrocchia rimangano poche<br />
persone. È quindi comprensibile lo stupore dei sacerdoti di fronte alla fuga<br />
degli amministratori comunali. Così padre Giovanni Simonato, economo spirituale<br />
di Colbertaldo:<br />
Veramente grave e diffi cile era ad un tempo la nostra condizione. Da una parte certi<br />
signori che avevano sempre gridato «Viva la guerra», insistendo presso i loro dipendenti<br />
sulla necessità e sul dovere che tutti avevano di cooperare con tutte le forze al nostro trionfo,<br />
assoggettandoci, se fosse d'uopo, anche a sacrifi ci i più gravosi per una causa tanto nobile,<br />
noi li avevamo veduti misteriosamente scomparire dai nostri paesi. Ove si erano rifugiati? È<br />
facile immaginarlo, oltre il Piave. Niente di male, anzi…, ma perché essi non si curarono di<br />
far presente anche ai dipendenti il pericolo grave che sovrastava? Perché anzi spargere e far<br />
spargere artifi ciosamente la voce che essi non ci avrebbero abbandonato, che sarebbero rimasti<br />
con noi fi no all'ultima ora? Perché cercare di persuadere il popolo che il miglior partito<br />
era rimanere al suo posto? 8<br />
Nel suo diario, il parroco di Farra di Soligo, don Desiderio Calderer, elenca<br />
impietosamente tutti i notabili che alla notizia <strong>della</strong> rotta militare h<strong>anno</strong><br />
passato il Piave senza dare notizia <strong>della</strong> loro partenza ai compaesani;<br />
s'interroga anche lui sulla fuga dei siori:<br />
Sono partite per Milano tutte le autorità e tra queste: il conte Carlo Brandolini, sindaco; il<br />
cav. Pietro Savoini, assessore; il dott. Ugo Cecconi, medico condotto; il sig. Giovan Battista<br />
Savoini, maestro; il sig. Rigamonti Oceano, esattore; i sigg. Umberto e Amedeo Vedovati,<br />
possidenti; il sig. Bortolomiol Giuseppe, direttore del forno; il sig. Domenico Narduzzo del<br />
fu Giuseppe; Maioli Riccardo, daziere, con la famiglia; Ferruccio Modenese, uffi ciale postale;<br />
il dott. Adriano Scudo, segretario comunale; Spagnol Ruggero, albergatore e presidente<br />
<strong>della</strong> Congregazione di Carità; il sig. Granata Enea, direttore <strong>della</strong> fi landa […] 9 .<br />
8 Giovanni Simonato, Una pagina di storia dell'invasione austro-germanica (10 novembre<br />
1917-30 ottobre 1918), Terra Ferma, Vicenza 2007, p. 18. Si tratta <strong>della</strong> ristampa anastatica<br />
<strong>della</strong> 2<br />
78<br />
a edizione (Longo & Zoppelli, Treviso 1922); la 1a era stata del 1920, la 5a del 1935.<br />
9 Diario di don Desiderio Calderer, citato in Gustavo Corni, L'<strong>anno</strong> dell'invasione 1917-<br />
1918, in Due villaggi <strong>della</strong> collina trevigiana. Vidor e Colbertaldo, IV, L'età contemporanea.
In alcune delle sue pagine più belle, Ardengo Soffi ci descrive in questo modo<br />
il passaggio dei profughi, in gran parte friulani, attraverso i primi comuni oltre<br />
il Piave, sulla vecchia strada napoleonica, tra Spresiano e Villorba:<br />
C'incontriamo con turbe di profughi che han passato il Piave e s'irradiano per questa pianura.Chi<br />
ha potuto salvare una vacca, un asino, un porco se lo conduce in compagnia come un<br />
membro <strong>della</strong> famiglia; quasi tutti traggon con sé qualche cosa, una cesta, un carretto ricolmo<br />
d'ogni cosa un po', una gabbia, un sacco, un fi asco di vino, un fagottello di biancheria. Carri<br />
di fi eno vengono innanzi, su cui troneggiano in confuso, spose, vecchi, mobilia, e bambini<br />
che ridono o dormono avvolti in coltroni e scialli. Per chilometri, il torrente umano sfi la vicino<br />
a noi. È tutto il Friuli e mezzo il Veneto ormai che arrivano e passano. Migliaia, decine di<br />
migliaia, centinaia di migliaia di visi emergono dal grigiume amorfo <strong>della</strong> interminabile fi la e<br />
si precisano nei nostri occhi. Visi fi orenti, visi emaciati, stanchi, giovanili, aggrondati, ridenti,<br />
irritati, appassionati, muti, oscuri, desolati; visi di pianto, di paura o d'indifferenza 10 .<br />
Parole e immagini comuni anche a buona parte <strong>della</strong> memorialistica e <strong>della</strong><br />
letteratura di guerra 11 . Del resto, così si presenta Ponte <strong>della</strong> Priula il 29 ottobre:<br />
Un'enorme confusione regnava negli uffi ci <strong>della</strong> scuola bombardieri ivi accampati, così<br />
pure negli alberghi e case, le strade erano ingombre di fuggiaschi dei paesi del Friuli ormai<br />
invaso, di carri carichi di masserizie tirati da cavalli, buoi, ed anche a mano, di uomini, donne,<br />
bambini, stanchi, disperati, spauriti che nella confusione avevano smarrito i famigliari, di<br />
soldati sbandati o fuggiti dagli ospedali, sfi niti, affamati, di camion carichi di uomini, materiali<br />
e soldati. Gli ultimi treni che passavano per la stazione erano affollati di profughi, molti<br />
dei quali, non trovando posto, erano saliti sopra il coperto dei vagoni 12 .<br />
Secoli XIX-XX, a cura di Danilo Gasparini, Comune di Vidor, Cornuda 1990, p. 535.<br />
10 Ardengo Soffi ci, La ritirata del Friuli. Note di un uffi ciale <strong>della</strong> seconda Armata, Vallecchi,<br />
Firenze 1930<br />
79<br />
3 (ed. orig. 1919), pp. 234-235.<br />
11 Angelo Manaresi, Ricordi di Guerra 1915-1918, a cura di Roberto Mezzacasa, Nordpress,<br />
Chiari (Bs) 2000, p. 97: «La immensa marea che traboccava di qua dal Piave in cerca di<br />
salvezza dava veramente l'impressione di un intero popolo in fuga di fronte all'invasore».<br />
Un'infermiera <strong>della</strong> Croce Rossa ricorda così gli abitanti dei comuni che nei primi giorni di<br />
novembre si ritrovano a ridosso delle linee del Piave e del Grappa: «Quel fermento di gente<br />
impaurita, sferzata da precipitosa fuga, incosciente del domani che la attendeva, rappresentava<br />
il terrore. […]. Giornate di novembre fredde, piovose aumentavano l'abbattimento del popolo<br />
veneto. Quella fuga verso l'ignoto di donne discinte, con bimbi seminudi piagnucolanti<br />
e stanchi; quei carretti con poche masserizie, trainati tutt'al più da una mucca non avezza al<br />
giogo, scortati da qualche vecchio curvo dagli anni e ancor più dai malanni, incuoteva una<br />
pietà senza pari. Indescrivibile baraonda quella fi umana di popolo dis<strong>org</strong>anizzata!». Ada Andreina<br />
Bianchi, Il mio soggiorno al fronte 1917-1918, in La Valcavàsia dal Novembre 1917<br />
alla ricostruzione, a cura di Silvio Reato, Tipolitografi a Battagin, S. Zenone degli Ezzelini<br />
(Tv) 1987, p. 29.<br />
12 Carlo Giardini, Dal taccuino delle mie memorie. Sulla sponda sinistra <strong>della</strong> Piave fra
Treviso diventa il primo e provvisorio luogo di ricovero per migliaia di<br />
fuggiaschi che cominciano ad affl uirvi la sera del 28 ottobre. Come <strong>anno</strong>ta<br />
Antonietta Giacomelli, i profughi arrivano con ogni mezzo, carri, automobili<br />
militari e «i treni passano pieni di grappoli umani» 13 . Famiglie intere, ma tra<br />
loro anche decine e decine di bambini soli che sono stati smarriti dai genitori<br />
e che vengono momentaneamente ricoverati presso la Casa degli Esposti 14 :<br />
Alla stazione di Treviso […] che miserando spettacolo di profughi friulani da dovere<br />
con diffi coltà trattenere le lacrime!… Uomini pochi, donne molte, fanciulli e bambini più<br />
ancora; stanchi, pallidi, smunti, smarriti: altri sonnecchiavano seduti sui loro fardelli, pochi<br />
parlavano, nessuno rideva. Non ebbi l'animo di rivolgere a nessuno una domanda, sì triste era<br />
lo spettacolo. Tanto è stata dolorosa l'impressione riportata, che dissi tra me e me: piuttosto<br />
morire sotto le macerie <strong>della</strong> propria casa, che esporsi a tanta tribolazione 15 .<br />
Intanto, su iniziativa di padre Agostino Gemelli, padre Giovanni Semeria<br />
e don Giovanni Minozzi, il 30 ottobre si decide di dare vita ad un Comitato –<br />
animato dalla stessa Giacomelli, dai fratelli Luigi e Giuseppe Corazzin e da<br />
don Costa dell'Opera Bonomelli – per l'assistenza ai profughi di passaggio che<br />
continuano ad aumentare, al punto che «la città è riboccante di profughi» 16 .<br />
A questi cominciano ad unirsi numerosi trevigiani presi dal panico alla vista<br />
gli invasori. Fatti storici <strong>anno</strong> 1917-1918, Associazione Valdo Futura, Valdobbiadene (Tv)<br />
1997, pp. 3-5. La confusione indescrivibile sulla riva destra del Piave, nei pressi di quella<br />
che, al di là delle decisioni militari, è ormai da tutti percepita come la nuova linea del fronte,<br />
come pure le condizioni dei profughi all'interno dei convogli ferroviari, ci vengono restituite<br />
da un numero impressionante di fonti; si veda almeno la testimonianza del tenente Nicola<br />
Tonini, riportata in Massimiliano Pavan, Profughi ovunque dai lontani monti. Da ļa Grapa<br />
fi n dó in Secilia, Canova, Treviso 1987, p. 32: «I treni rigurgitavano di profughi: i vagoni erano<br />
tramutati in accampamenti zingareschi: sacchi, valige, coperte, involti, cestoni; e vecchi<br />
e bambini, donne d'ogni età e condizione, pigiati insieme in confusa promiscuità; un vociare<br />
senza tregua, un tramestio continuo, un gridìo incessante; povera umanità spaventata, vissuta<br />
fi no allora nella pace ordinata delle case che aveva dovuto abbandonare da un'ora all'altra e<br />
se ne andava verso non si sa dove».<br />
13 Antonietta Giacomelli, Vigilie (1914-1918), Bemporad, Firenze 1918, p. 176.<br />
14 Giovanni Minozzi, Ricordi di guerra, vol. II, Tipografi a Orfanotrofi o Maschile, Amatrice<br />
1956-1959, p. 16: «Si presentavano i casi più aggrovigliati e penosi: fi gli senza genitori, spose<br />
senza mariti, vecchi sciancati, malati cascanti, signore e signori senza nulla, scalzi quasi<br />
tutti e mezzo nudi».<br />
15 Lodovico Ciganotto, L'Invasione Austro-Ungarica a Motta di Livenza e nei Dintorni.<br />
Diario. 2 Novembre 1917-4 Novembre 1918, Tipografi a Carlo Pezzutti, Motta di Livenza<br />
1922, p. 9-10.<br />
16 Lettera del vescovo di Treviso Andrea Giacinto Longhin a papa Benedetto XV, 31 ottobre<br />
1917, pubblicata in I vescovi veneti e la Santa Sede nella guerra 1915-1918, vol. II, a cura di<br />
Antonio Scottà, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1991, p. 270.<br />
80
degli sfollati e dei soldati sbandati, in particolare coloro che h<strong>anno</strong> la possibilità<br />
di spostarsi e che rivestono cariche pubbliche, gli stessi che poche ore<br />
prima avevano fi rmato un manifesto che invitava la popolazione alla calma e<br />
alla fi ducia e soprattutto a non abbandonare la città 17 . Il 6 novembre Treviso<br />
si ritrova con le vie imbrattate di rifi uti, le strade ingombre di carri militari e<br />
di carretti dei profughi, i negozi quasi tutti chiusi; alla stazione la ressa continua<br />
a causa delle persone che cercano di partire e delle spedizioni di pacchi,<br />
bauli, materassi, sacconi 18 ; secondo Tito Garzoni, quello dei profughi che<br />
vagano per la città era uno «spettacolo impressionante» 19 . L'8 novembre diventa<br />
impossibile l'inoltro dei profughi attraverso la ferrovia, sia per le necessità<br />
militari, sia per l'eccessivo ingombro dovuto ai profughi trevigiani <strong>della</strong><br />
destra Piave e si rende quindi necessario intensifi care le partenze attraverso i<br />
barconi sul Sile 20 ; è ancora la Giacomelli, molto attiva a Treviso in quei giorni<br />
nell'assistere i fuggiaschi di passaggio, a descrivere le colonne interminabili<br />
che sostano lungo le rive del fi ume fi no al porto di S. Ambrogio di Fiera 21 . Il<br />
9 novembre la città – la stessa nella quale fi no a qualche giorno prima si potevano<br />
ancora trovare luoghi dove la guerra era estranea o almeno vissuta come<br />
fosse un lontano altrove 22 – si presenta praticamente deserta, quasi tutti i b<strong>org</strong>hesi<br />
sono fuggiti; tra loro tutti gli amministratori e persino il personale delle<br />
cucine economiche 23 . Al loro posto sono rimasti solo il prefetto, il vescovo, i<br />
17 Giacomelli, Vigilie cit., p. 182.<br />
18 Ivi, pp. 186-187.<br />
19 Tito Garzoni, Diario Trevigiano. Dal novembre 1917 al novembre 1918, Tipografi a Libreria<br />
Emiliana, Venezia 1936, p. 29.<br />
20 I profughi giunti a Treviso con mezzi diversi da quelli ferroviari vengono concentrati<br />
presso il quartiere popolare di Fiera e da lì, attraverso dei burchi che possono trasportare al<br />
massimo 200 persone, raggiungono Chioggia. Il 5 novembre presso il porto di Sant'Ambrogio<br />
di Fiera vengono messi a disposizione 8 burchi per 1.600 persone, il giorno successivo<br />
10 burchi per 2.000 persone e quello dopo ancora, 12 burchi per 2.400 persone; non possono<br />
comunque essere trasportati più di 2800 profughi al giorno, perché non sarebbe poi possibile<br />
operare il successivo sgombero da Chioggia attraverso la ferrovia; Archivio di Stato di Treviso<br />
(AST), Gabinetto di prefettura, b. 24, Intendenza Generale dell'Esercito - Direzione dei<br />
Trasporti a prefetto di Treviso, 3 novembre 1917.<br />
21 Giacomelli, Vigilie cit., pp. 191-192.<br />
22 Livio Fantina, Le trincee dell'immaginario. Spettacoli e spettatori nella grande guerra,<br />
Cierre, Verona 1998.<br />
23 L'idea <strong>della</strong> fuga delle classi dirigenti e del loro «tradimento» trova dei riscontri, per la<br />
verità abbastanza deboli, anche nella canzone popolare; si veda L'undici novembre del '17 in<br />
Canti del Grappa. Il canto popolare nella tradizione orale <strong>della</strong> pedemontana del Grappa, a<br />
cura di Gabriele Vardanega, Danilo Zanetti Editore, Caerano S. Marco (Tv) 1999, p. 238: «E<br />
l'undici novembre / del'ano diciasete / si vedevano i b<strong>org</strong>hesi / scapar via; Veder ste signorine<br />
/ con le sotane strete / facevano i passi corti /ma più in freta; Veder le nostre mame / coi lor<br />
cari bambini / corevano spaventate / spaventate dalla paura / perché tiravan giusto / giù in<br />
pianura; Veder le nostre case / che andavano giù per tera / alora ci siamo acorti / di questa<br />
81
Profughi in fuga. MCRR.<br />
Distribuzione del rancio ai profughi. MCRR.
Bambini che giocano al soldato sotto lo sguardo di un uffi ciale a cavallo. MCRR.<br />
Donne alla fontana. MCRR.
parroci urbani, pochi negozianti e qualche centinaio di poveri, oltre ai malati<br />
intrasportabili ricoverati ancora presso l'Ospedale 24 . L'arrivo dei profughi da<br />
oltre il Piave è cessato e i pochi treni che giungono da Mestre sono vuoti o<br />
carichi solo di truppe. Nella vicina Roncade il 20 novembre affl uiscono 4.900<br />
profughi provenienti da Zenson, S. Biagio di Callalta, Fossalta di Piave e Musile;<br />
nel loro caso si tratta di una breve sosta in attesa di prendere la via per<br />
altre regioni d'Italia. Dieci giorni dopo il centro urbano versa in condizioni<br />
desolanti:<br />
Facemmo un giro per la città. Era la vista più curiosa al mondo vedere un città grossa di<br />
circa ottantamila abitanti interamente abbandonata dai civili ma piena di soldati; non c'erano<br />
negozi aperti, nessun ristorante, nessun caffè. Lontano dal centro <strong>della</strong> città dalla stazione a<br />
porta Mazzini e la Piazza dei Signori, dove c'era la prefettura o il municipio, le strade erano<br />
completamente vuote con tutte le porte e le fi nestre inchiodate e sbarrate. Le autorità militari<br />
avevano fatto il meglio, perché molti dei trevigiani fuggiti avevano lasciato dietro ogni cosa<br />
e le case erano state svaligiate, molte cose prese, mobili e fi nestre rotti 25 .<br />
L'invasione<br />
In poche ore vengono occupati dall'esercito tedesco e da quello austroungarico<br />
tutti i 46 comuni <strong>della</strong> provincia di Treviso posti sulla riva sinistra<br />
del Piave 26 . Il vescovo di Ceneda, mons. Eugenio Beccegato, rimasto in sede<br />
come la maggior parte del suo clero, registra così la situazione d'incertezza di<br />
quelle prime settimane:<br />
Fin dai primi giorni del passato novembre furono sospesi tutti i mezzi di trasporto e di comunicazione,<br />
cosicché da un mese noi siamo all'oscuro di tutto ciò che succede nel mondo. Il<br />
guera; Veder ste signorine / con le sotane strete / che andavano gridando / con la forsa del<br />
municipio / voliamo la bandiera / del'armistizio».<br />
24 Archivio centrale dello Stato (ACS), Copialettere, prefetto di Treviso a Vittorio Emanuele<br />
Orlando, 9 novembre 1917.<br />
25 Lucrezia Camera, Porta Mazzini. <strong>L'ultimo</strong> <strong>anno</strong> <strong>della</strong> Grande Guerra a Treviso nel diario<br />
di un'infermiera volontaria italo-americana, Istresco, Treviso 2010, p. 16.<br />
26 Si tratta dei comuni di Cappella Maggiore, Cessalto, Chiarano, Cimadolmo, Cison di<br />
Valmarino, Codognè, Colle Umberto, Conegliano, Cordignano, Farra di Soligo, Follina, Fontanelle,<br />
Fregona, Gaiarine, Godega di Sant'Urbano, G<strong>org</strong>o al Monticano, Mansuè, Mareno<br />
di Piave, Meduna di Livenza, Miane, Moriago, Motta di Livenza, Oderzo, Ormelle, Orsago,<br />
Pieve di Soligo, Ponte di Piave, Portobuffolè, Refrontolo, Revine Lago, Salgareda, S. Fior, S.<br />
Pietro di Feletto, S. Polo di Piave, S. Vendemiano, Santa Lucia di Piave, Sarmede, Segusino,<br />
Sernaglia, Susegana, Tarzo, Valdobbiadene, Vazzola, Vidor, Vittorio Veneto, Zenson di Piave.<br />
Per le molte tematiche relative ai comuni invasi e occupati, rimando a Daniele Ceschin,<br />
Sernaglia nell'<strong>anno</strong> <strong>della</strong> fame. Storia e memoria <strong>della</strong> Grande Guerra, Edizioni DBS, Seren<br />
del Grappa 2008.<br />
84
giorno 8, alle ore 10, entrarono in Vittorio le prime truppe austriache, seguirono le tedesche,<br />
poi le austriache, poi le tedesche nuovamente, e tuttora continua il passaggio. Precedettero i<br />
saccheggi diurni e notturni delle truppe sbandate, poi le requisizioni di tutto! Lo spettacolo è<br />
desolante! In pochi giorni, da uno Stato economico fl oridissimo, che aveva del favoloso, per<br />
la straordinaria abbondanza del raccolto, queste popolazioni sono passate nella più desolante<br />
miseria e lo spettro <strong>della</strong> fame è alle porte di migliaia e migliaia di famiglie dell'intera diocesi<br />
[…]. I benestanti sono quasi tutti passati alla destra del Piave, lasciando in balia del saccheggio<br />
le loro case e le loro robe 27 .<br />
L'impatto con la popolazione <strong>della</strong> provincia di Treviso nei giorni in cui gli<br />
italiani si assestano sulla linea del Piave rende bene l'idea dello spaesamento.<br />
Così a Vittorio il 9 novembre:<br />
Ne abbiamo già di tutte le razze, che momenti terribili sono questi per noi. Pure nell'altra<br />
casa h<strong>anno</strong> voluto rovistare da pertutto e h<strong>anno</strong> preso d'ogni sorta d'oggetti, chi può parlare?<br />
portassero via anche la casa noi dobbiamo fare silenzio, non vi sono Comandi di sorta, sono<br />
questi come evasi dalle carceri. Questa sera abbiamo dovuto apparecchiare i letti per loro,<br />
mi faceva rabbrividire al pensiero di vedere nei nostri stessi letti, quegli stessi che abbiamo<br />
sempre odiato. Siamo circondati da tutta questa gente barbara che prospettiva abbiamo, è<br />
come un sogno, ma assai triste 28 .<br />
Lo stesso giorno arrivano a Refrontolo le prime avanguardie austriache; ce<br />
ne dà conto Maria Spada nel suo diario dell'<strong>anno</strong> dell'invasione:<br />
I primi ad arrivare furono due uffi ciali austriaci a cavallo, poco dopo mezzogiorno; entrarono<br />
nel giardino ed uno avvicinandosi alla porta mi chiese, con cortesia, parlando in francese,<br />
se avevo un uovo. Glielo feci portare, ma non lo bevve; vidi che porse l'uovo all'altro.<br />
«Verr<strong>anno</strong> gli Austriaci?» gli chiesi. «Sarà molto peggio, perché verr<strong>anno</strong> i Tedeschi» 29 .<br />
Paure confermate dal contegno dei soldati giunti sul fronte a ridosso del<br />
Grappa, in questo caso a Segusino: «I primi arrivati furono i germanici, esseri<br />
superbi, crudeli, devastatori, facevano ogni sorta di male, si diedero subito<br />
con pazza gioia al saccheggio di guerra, compiuto in un modo sì scandaloso e<br />
crudele, che credo i demoni dell'inferno, non avrebbero fatto di più» 30 .<br />
27 Lettera del vescovo Eugenio Beccegato sulla situazione <strong>della</strong> diocesi di Ceneda, 1° dicembre<br />
1917, pubblicata in I vescovi veneti cit., p. 429.<br />
28 Bianca Brustolon, Vittorio '17-'18. Un diario, a cura di Aldo Toffoli, De Bastiani, Vittorio<br />
Veneto 1989, pp. 18-19.<br />
29 Maria Spada, Diario dell'invasione, Tipse, Vittorio Veneto 1999 [1934], p. 5.<br />
30 Clelia Jäger Verri, Anno dell'invasione nemica a Segusino dal 10 novembre 1917 al 30<br />
ottobre 1918, in Un popolo in esilio. Segusino 1917-1918, a cura di Lucio Puttin, Centro<br />
85
Dopo Caporetto il timore <strong>della</strong> «barbarie» del nemico rimanda al peso,<br />
certamente non trascurabile, <strong>della</strong> pubblicistica e <strong>della</strong> letteratura di guerra<br />
intorno al tema <strong>della</strong> violenza esercitata dalle truppe tedesche in Belgio e in<br />
alcuni dipartimenti <strong>della</strong> Francia durante i primi mesi del confl itto. Nella memoria<br />
dell'invasione e nelle relazioni dell'immediato dopoguerra sono molto<br />
frequenti i riferimenti alla maggiore violenza dei tedeschi rispetto alle varie<br />
etnie dell'esercito austro-ungarico:<br />
Le truppe che si dimostrarono più civili, furono le czeche, le polacche, le austriache. Gli<br />
ungheresi si dimostrarono – salve onorevoli eccezioni – degni fi gli di Attila; i croati, i bosniaci,<br />
veri zingari. Trovai in certi uffi ciali, specialmente ungheresi, un gran desiderio d'imparare<br />
la lingua italiana, e stima per la nostra coltura 31 .<br />
Comunque i comportamenti non sempre sono lineari, come dimostra la<br />
testimonianza di Attilio Baradel sulle truppe acquartierate a Cessalto, che<br />
cerca di misurare l'umanità dei singoli di fronte alla realtà <strong>della</strong> guerra:<br />
Vidi dei soldati […] difendere le famiglie dalle prepotenze di qualche loro camerata esaltato.<br />
Ne vidi altri aiutare, spontaneamente, e con visibile amore, i vecchi contadini e le donne<br />
o gli artigiani nei loro umili lavori o soccorrerli con slancio nelle loro diffi coltà, ogni volta<br />
che lo potevano fare e portando in aiuto anche qualche piccolo arnese da lavoro. M'accadde<br />
di vederne, varie volte […] difendere famiglie assalite da gruppi d'altri soldati focosi e<br />
malintenzionati; li vidi esporsi al pericolo, durante i bombardamenti, offrendo alle donne, ai<br />
bambini e in genere ai civili, i loro nei ricoveri costruiti per il proprio riparo. Li vidi dividere<br />
il loro misero rancio con le famiglie più indigenti, togliere qualche cosa dalle loro poverissime<br />
gavette per darla a qualche bambino che li guardava mentre mangiavano 32 .<br />
«Son prussiani e tanto basta! Ricordai i lanzichenecchi descritti dal<br />
Manzoni» 33 , sottolinea Angelina Casagrande di Conegliano, mentre Giuseppe<br />
Schiratti, di Pieve di Soligo, enfatizza le differenze tra tedeschi e austriaci:<br />
La differenza fra i soldati dell'uno e dell'altro impero saltava agli occhi. I primi [i tede-<br />
stampa <strong>della</strong> Cassa di Risparmio <strong>della</strong> Marca Trevigiana, Treviso 1983, p. 33.<br />
31 ACS, Ministero <strong>della</strong> Guerra, Reale Commissione d'inchiesta sulle violazioni del diritto<br />
delle genti commesse dal nemico (Commissione d'inchiesta), b. 5, fasc. 67, s/fasc. 6, relazione<br />
di don Luigi De Nardi alla Reale Commissione d'inchiesta sulle violazioni del diritto delle<br />
genti commesse dal nemico, 27 gennaio 1919.<br />
32 Baradel, Nei solchi dell'odio cit., pp. 71-72.<br />
33 Angelina Casagrande, Sotto il tallone tedesco. Note personali d'una spettatrice dell'invasione<br />
straniera. 9 novembre 1917-29 ottobre 1918, Stabilimento Grafi co U. Bortoli, Venezia<br />
1920, p. 8.<br />
86
schi] ben nutriti, ben vestiti arroganti, senza pietà né rispetto alcuno; gli altri [gli austriaci]<br />
sporchi, laceri, smagriti dalle privazioni, stanchi e disgustati <strong>della</strong> guerra interminabile. Una<br />
parte delle truppe che prese stanza nei dintorni <strong>della</strong> Pieve non era di religione cristiana, ma<br />
perfi no i bosniaci maomettani si comportavano più umanamente dei Germanici. Lasciavano<br />
in pace le ragazze, si mostravano rispettosi con i vecchi. Sarebbero stati anche pietosi, se non<br />
li avesse costretti il bisogno; il loro rancio era talmente ridotto che, per saziarsi, frugavano<br />
dappertutto, racimolando il poco che i loro alleati avevano lasciato indietro 34 .<br />
Nei comuni abbandonati dalle autorità si formano comitati spontanei e<br />
provvisori, inizialmente riconosciuti dai comandi nemici, per la salvaguardia<br />
di coloro che erano rimasti e la tutela dei beni dei profughi. In seguito viene<br />
ripristinata una forma di ordinamento municipale secondo la legge italiana,<br />
con la nomina da parte dei comandi di distretto dei consigli comunali. In<br />
alcuni paesi vengono nominate delle vere rappresentanze, in altri solo il sindaco<br />
e gli assessori; tra questi sono scelti in prevalenza i maestri e i sacerdoti<br />
che devono fare i conti, con la violenza del nemico – in particolare contro le<br />
donne – e con la fame.<br />
I profughi del Piave<br />
Una delle conseguenze immediate dell'occupazione austro-tedesca è lo<br />
sgombero dei comuni che – dal Feltrino al Basso Piave – sono venuti a trovarsi<br />
sulla nuova linea del fronte per una fascia variabile dai due ai quattro<br />
chilometri. Si tratta fi n da subito di un'operazione complessa, condizionata<br />
dalla disponibilità degli abitanti di spostarsi all'interno <strong>della</strong> zona invasa e<br />
aggravata dalle diffi coltà logistiche dei comuni ospitanti. Ha così inizio una<br />
seconda ondata di profughi, questa volta verso l'interno, diretta verso quelle<br />
zone, la parte occidentale <strong>della</strong> provincia di Treviso e il Friuli, che costituiscono<br />
le retrovie dell'esercito di occupazione. Se il profugato nelle zone<br />
invase raggiunge dimensioni non paragonabili a quello oltre il Piave, risulta<br />
diffi cile quantifi care in termini numerici la portata di questo nuovo esodo,<br />
poiché si tratta di gruppi di centinaia di persone che, almeno nei primi mesi<br />
del 1918, si spostano continuamente di comune in comune, lasciando poche<br />
tracce del loro passaggio, se non nei diari dei parroci friulani, secondo i quali<br />
i profughi del Piave sono i più bisognosi tra i civili 35 . Se i dati possono quindi<br />
essere solamente indicativi per i comuni sgombrati, tuttavia all'interno <strong>della</strong><br />
34 Giuseppe Schiratti, Un <strong>anno</strong> d'invasione nemica. Pieve di Soligo 1917-1918, Industrie<br />
Grafi che, Pieve di Soligo 1958, p. 14.<br />
35 Si veda, ad esempio, quanto <strong>anno</strong>ta don Pietro Foramitti, parroco di Moruzzo, nel suo libro<br />
storico parrocchiale redatto durante il periodo dell'occupazione e riportato in Fabi, Viola,<br />
«Una vera Babilonia...» cit., p. 52.<br />
87
zona occupata possiamo quantifi care una presenza di circa 55.000 profughi,<br />
il 6,2% <strong>della</strong> popolazione rimasta.<br />
I profughi del Quartier del Piave, evacuati in gran parte nel dicembre 1917,<br />
dopo aver sostato a Soligo – «passano a frotte, a piedi, su carri, su carriole,<br />
donne, vecchi, bambini, tutti istupiditi, inebetiti, accasciati: sembrano invocare<br />
la morte» 36 – risalgono la vallata verso i comuni del Vittoriese:<br />
Soligo brulicava di profughi. Le vie, le piazze, le case erano letteralmente gremite di<br />
gente. La commissione addetta per procurare loro l'alloggio, era occupatissima e imbrogliatissima<br />
a mantenere un cert'ordine, almeno relativo. Chi arrivava e chi partiva. A ciascuna<br />
famiglia veniva assegnata una stanza, e se questa era abbastanza spaziosa, doveansi collocare<br />
più famiglie 37 .<br />
La popolazione di Mosnigo era destinata a Tarzo. Verso le ore 5 ant. del 14 Dicembre i<br />
carri cominciarono a schierarsi lungo la strada con poca roba, con pochissimi viveri e con la<br />
popolazione divenuta stupida ed insensata, e fu una fortuna, perché così non poté comprendere<br />
la gravità tutta, il peso grande dello sgombero con le sue conseguenze. Ci vollero sei<br />
ore per giungere a Solighetto, tratto di strada che si fa comodamente in due ore a piedi. Quivi<br />
giunti dovemmo fermarci parte nei campi e parte nel piazzale <strong>della</strong> Chiesa. Cercai a Solighetto<br />
e poi a Soligo dai Comandi di avere un carro, prima promesso, per ritornare a Mosnigo a<br />
prendere qualche oggetto fra i migliori in Chiesa ed i registri parrocchiali e mi fu negato 38 .<br />
A Sernaglia l'ordine di sgombero arriva il 10 dicembre e i suoi profughi,<br />
assieme a quelli di Mosnigo e di Guia, passano per Follina e lungo la valle<br />
del Soligo durante tutto il mese di dicembre, anche il giorno di Natale: «Sono<br />
povere popolazioni costrette a fuggire le loro case colpite da raffi che di<br />
c<strong>anno</strong>nate, avendo magari lasciato sotto alle macerie dei congiunti. Povera<br />
gente che attraverso il fango, in mezzo a colonne interminabili di nemici,<br />
alla ventura, fuggendo alla morte violenta, [v<strong>anno</strong>] incontro alla morte lenta<br />
d'inedia» 39 .<br />
A Cison di Valmarino, in una casa rimasta sfi tta, si trasferisce il parroco di<br />
Sernaglia, don Bacchetti, accompagnato da Maria De Goudron che conosce<br />
il tedesco e funge da interprete. Qui lo raggiungono una cinquantina di sernagliesi.<br />
Tarzo diventa uno dei paesi più importanti per il ricovero dei profughi.<br />
36 Giovanni Pasin, Soligo e la sua storia, Libreria Emiliana Editrice, Venezia 1928, p. 89.<br />
37 Simonato, Una pagina di storia dell'invasione austro-germanica cit., pp. 110-111.<br />
38 Relazione del parroco di Mosnigo, don Angelo Frare, in La Piana Eroica. Nel V Anniversario<br />
<strong>della</strong> Battaglia <strong>della</strong> Sernaglia XXVI-XXIX Ottobre MCMXVIII, Longo & Zoppelli,<br />
Treviso 1923, p. 27.<br />
39 Cronaca giornaliera di guerra del Rev. Gioachino M. Rossetto, pubblicata in La Grande<br />
Guerra nella Val Mareno, a cura di Damiano Cesca, De Bastiani, Vittorio Veneto 2004, p. 44.<br />
88
Il parroco locale sottolinea come gli abitanti di Moriago, Mosnigo, Sernaglia<br />
e Fontigo arrivino intorno alla metà di dicembre «sfi niti ed intirizziti»:<br />
È naturale che l'arrivo di questi ospiti non poteva tornare gradito ai nostri già assillati dalla<br />
fame. Dove metterli? Come alloggiarli? Come sostenerli? E se si fossero per necessità dati<br />
al brutto sistema di arrangiarsi? I parroci delle rispettive comunità stabilirono d'accordo un<br />
modus vivendi che, se non risolveva del tutto il problema, consentiva almeno di tirare avanti<br />
in attesa di tempi migliori. Don Frare, oltre ai suoi di Mosnigo, assumeva la cura <strong>anno</strong>naria e<br />
protettiva dei 3.000 profughi provenienti da una decina di parrocchie da Quero a Falzè 40 .<br />
A Revine Lago ne vengono concentrati provvisoriamente circa 5.000 provenienti<br />
da Segusino, Valdobbiadene, S. Pietro di Barbozza, Vidor e Moriago,<br />
con evidenti diffi coltà nella distribuzione dei viveri e nell'assegnazione degli<br />
alloggi, motivi che sono alla base delle proteste dei residenti che lamentano<br />
danneggiamenti ai loro boschi e vigneti. Molti di questi sfollati nelle prime<br />
settimane del 1918 si trasferiscono in altre località ancora più lontane dal<br />
fronte come Fregona, Colle Umberto e in comuni friulani oltre il Livenza e il<br />
Tagliamento.<br />
Nella maggior parte dei casi gli sfollati dalla linea del Piave v<strong>anno</strong> ad<br />
occupare le case abbandonate dai profughi friulani. Sono costretti a vivere di<br />
espedienti, confi dando nella pubblica carità e nella solidarietà <strong>della</strong> popolazione,<br />
poiché le autorità militari e civili, nella maggior parte dei casi, non si<br />
interessano a loro, al punto che non possono contare sul vitto gratuito e l'unico<br />
genere loro dispensato è il sale. Nel comune di S. Michele al Tagliamento,<br />
i circa 3.000 profughi del Piave fi niscono per aggravare una situazione già<br />
critica poiché sono giunti senza provviste e mezzi di sostentamento. Con le<br />
requisizioni di grano e bestiame, ha inizio per questi «nuovi pezzenti creati<br />
dalla guerra» il periodo <strong>della</strong> fame e lo spettacolo di profughi che chiedono la<br />
carità diventa sempre più frequente 41 . A S. Daniele i civili del Piave sono tra i<br />
più denutriti e macilenti, f<strong>anno</strong> pena alla vista e si spostano di paese in paese,<br />
a piccoli gruppi, chiedendo l'elemosina 42 :<br />
Durante la stagione estiva, giunsero a Carpacco 69 profughi del Piave. […] Qualche famiglia<br />
se ne tornò via, appena qui giunti gli Italiani. Altre si fermarono fi no a Febbraio 1919.<br />
40 Citato in Innocente Azzalini, Gi<strong>org</strong>io Visentin, Da Mosnigo a Tarzo nell'<strong>anno</strong> dell'invasione<br />
1917-1918. Diario di don Angelo Frare, De Bastiani, Vittorio Veneto 2002, p. 11.<br />
41 Costante Chimenton, S. Michele di Piave e la sua nuova chiesa, Tipografi a Editrice Trevigiana,<br />
Treviso 1929, p. 175.<br />
42 [Paolo Sclabi], Memoria friulana. Un <strong>anno</strong> di schiavitù sotto i barbari durante la confl agrazione<br />
europea (1914-1918), Tipo Lit. Giuseppe Tabacco, S. Daniele del Friuli 1924, pp. 37-38.<br />
89
Corvée di donne che trasportano ghiaia. MCRR.
Vennero soccorse dalla carità pubblica. Si fece per loro una colletta di granoturco. Ecco i<br />
cognomi delle famiglie: Giardini, Camilli, Bressan, Lorenzoni, Gobbato, Corradini, Brunelli,<br />
De Boni. La famiglia De Boni era da Falzè di Piave. Invece quella del Brunelli era da Col S.<br />
Martino. Quasi tutti erano di Sernaglia, o di Miane. Soltanto i Giardini erano da Valdob[b]<br />
iadene. Gente generalmente religiosa. I Giardini e i Camilli venivano quotidianamente alla<br />
Comunione. Erano queste due famiglie benestanti, istruite, educate 43 .<br />
A Gemona, dove sono rimasti 7.500 abitanti, tra la fi ne di gennaio e l'inizio di<br />
febbraio arrivano 1.936 profughi del Piave, in prevalenza donne e bambini,<br />
che portano con loro solo poche masserizie 44 . L'amministrazione comunale<br />
si è opposta all'invio di un numero così alto di profughi a cui avrebbe dovuto<br />
provvedere, ma per un po' di tempo è possibile fornire loro un po' di granoturco<br />
razionato. I comandi militari, inoltre, cominciano a creare discordia tra la<br />
popolazione locale e i profughi e tra questi e le autorità comunali. Il periodo più<br />
diffi cile inizia ad aprile, quando viene sospesa la distribuzione di granoturco<br />
alla popolazione bisognosa; molti profughi, in particolare donne ed anziani,<br />
si nutrono ormai di soli erbaggi; solamente per qualche settimana possono<br />
usufruire <strong>della</strong> «broda» <strong>della</strong> cucina economica, ma neanche loro vengono<br />
risparmiati dalle requisizioni. Nella vicina Venzone la situazione alimentare<br />
dei profughi del Piave appare migliore 45 . In generale, però, ogni famiglia<br />
viene colpita da lutti e la morte di bambini in tenera età è superiore rispetto al<br />
resto <strong>della</strong> popolazione. Se, causa la denutrizione, la mortalità tra i profughi<br />
raggiunge il 6%, tra i bambini tale indice arriva al 15%.<br />
Dopo ste prime desgrazhie i todeschi i ne à fat partir da Fontigo e i ne à mandà su par<br />
Corbanese, Tarzh e dopo a Prarturlon, 'ntel Furlan. Coi bò se era partidi tute e dó le fameje,<br />
quela de me barba e quela nostra de tre fradèi, dó sorelle e me mare. Me pare a l'era al fronte in<br />
Francia. Su par Tarzh sen stadi 'na quindesina de dì, ingrumadi su par le case piene de profughi,<br />
che i vegnea dó qua del Piave, dopo par ordine del comando sen partidi par Praturlon. Là i ne à<br />
més su 'na casa granda de contadin e se patìa la fan: mi che vee zhinque ani 'ndée a carità e porte<br />
a casa ogni tant 'na s-ciantinèa de farineta e co quela se fea 'na polentina. Da la dó me nono al<br />
vea tentà pì òlte 'ndar su a Fontigo, ma l'ultima òlta che l'à proà no l'è pì tornà in drio, i l'à trovà<br />
mòrt da fan, drio a un fòs. Nol gh'in podèa pì sta via de casa 46 .<br />
43 Don Giuseppe Sant, parroco di Carpacco, in Fabi, Viola, «Una vera Babilonia...» cit., p. 239.<br />
44 Relazioni <strong>della</strong> Reale Commissione d'inchiesta sulle violazioni del diritto delle genti<br />
commesse dal nemico, VI, Documenti raccolti nelle provincie invase, Bestetti & Tumminelli,<br />
Milano-Roma 1922, pp. 548-550.<br />
45 Testimonianza di Pasqua Mariotto (Raccolta 1988, parte inedita).<br />
46 Testimonianza di Ermenegildo Mariotto, riportata in Innocente Azzalini, Gi<strong>org</strong>io Visentin,<br />
Piave. Le ferite <strong>della</strong> Grande Guerra. Novembre 1917 - Ottobre 1918, De Bastiani, Vittorio<br />
Veneto 2004, p. 299.<br />
92
I profughi del Piave trovano dunque ricovero in paesi dove i comportamenti<br />
individuali e collettivi non sono più codifi cati, dove le ragioni <strong>della</strong><br />
sopravvivenza prevalgono su quelle <strong>della</strong> solidarietà 47 . Ospiti poco graditi<br />
dalle amministrazioni locali che spesso giungono a chiederne l'allontanamento<br />
e addirittura l'internamento in Austria nelle cosiddette «città di legno»,<br />
potenziali concorrenti agli occhi <strong>della</strong> popolazione civile, questi profughi<br />
vivono la condizione di veri e propri marginali:<br />
La popolazione del Friuli, così gentile nei primi mesi, si stancò, in tante località <strong>della</strong><br />
presenza dei profughi. Dopo la battaglia del giugno li tollerò quali concorrenti nel consumare<br />
le poche provvigioni rimaste; dopo l'armistizio trattò i profughi quali ospiti poco graditi, che<br />
volentieri si sarebbero veduti allontanare. L'atmosfera non era più pacifi ca come quando<br />
il nemico calpestava il suolo <strong>della</strong> patria. Era necessario mutare ambiente: diventò questa<br />
la persuasione di tutti, quando, sull'aria di una canzone popolare, si cominciò a ripetere, in<br />
qualche paese, il ritornello: «Via i tedescat e via i profugat!» 48 .<br />
Ma non è migliore la situazione nel Vittoriese. Nel diario di Caterina Arrigoni,<br />
profuga di Valdobbiadene, gli accenni alle condizioni del profugato sono<br />
molto rari, ma a tratti emerge quello che è uno stato d'animo a lungo represso<br />
per la velata ostilità <strong>della</strong> popolazione locale: «Dopo la prima esplosione di<br />
pietà, i profughi sono venuti a noia, a disprezzo, a ribrezzo quasi. E questa<br />
parola, invece di essere sinonimo di inenarrabile angoscia, ha preso quasi un<br />
signifi cato d'infamia» 49 . Altri profughi di Valdobbiadene ospitati a Cappella<br />
Maggiore si lamentano perché il parroco locale, don Beniamino Tonon, nella<br />
distribuzione dei generi alimentari favorisce i suoi fedeli. Sorte analoga tocca<br />
a quelli di Segusino che devono vincere la diffi denza <strong>della</strong> popolazione:<br />
A Fregona inospitale ed egoista i miei profughi furono imposti dal Comando, che in qualche<br />
famiglia dovette usare anche le minaccie perché fosse concesso loro un giaciglio strettissimo<br />
e senza fi eno, od una stalla immonda ed umida. Fu detto anche che non conveniva<br />
seppellire i profughi nel cimitero, e che si provvedessero un campo 50 .<br />
47 Testimonianza di Angelina Soldan (Raccolta 1988, parte inedita).<br />
48 Chimenton, S. Michele di Piave, cit., p. 243. In controtendenza la testimonianza di Angelo<br />
Rasera (Raccolta 1988, parte inedita).<br />
49 Cara Pierina. Dal diario di Caterina Arrigoni, a cura di Giancarlo Follador e Gi<strong>org</strong>io<br />
Iori, Graphic Group, Feltre 1994, p. 129.<br />
50 Relazione dei fatti avvenuti durante l'invasione compilata dal vicario parrocchiale di<br />
Segusino don Antonio Riva, in Un popolo in esilio cit., p. 63. Il grosso <strong>della</strong> popolazione di<br />
Segusino abbandona il paese il 1° dicembre 1917 diretta verso il Vittoriese, mentre altre 500<br />
persone partono due settimane dopo per raggiungere la Carnia. Il primo gruppo di profughi è<br />
guidato dal sindaco Beniamino Verri, dalla moglie Clelia Jäger e dall'unico sacerdote rimasto<br />
93
A Fregona, che ospita complessivamente oltre 1300 profughi, in gran parte<br />
provenienti da Segusino, ma anche da Alano di Piave, Vas, Valdobbiadene,<br />
Vidor 51 , la mortalità è altissima, pari al 10%. La maggior parte dei profughi<br />
di San Pietro di Barbozza trascorre l'<strong>anno</strong> dell'invasione tra il Vittoriese e il<br />
Friuli, a Spilimbergo, S. Daniele e Gemona 52 . Comune anche qui è l'ostilità<br />
<strong>della</strong> popolazione locale che li percepisce come degli intrusi solo alla ricerca<br />
di cibo. Lo stesso accade a Tarzo:<br />
Dovevo difendere i profughi dal nemico e dagli abitanti; mi trovavo spesso tra l'incudine<br />
ed il martello. Ben lo si comprende che il profugo non portava vantaggi, ma solo danni, ma<br />
è ben vero che in generale eravamo poco compatiti benché io mi possa chiamare fortunato:<br />
ebbi dei veri amici e per primo il parroco, troppo oggi dimenticato, e gli abitanti avevano<br />
qualche riguardo verso i profughi perché capivano che io ero alle loro difese e terminavano<br />
col dire che con me era inutile parlare perché sostenevo a spada tratta i profughi: e chi doveva<br />
sostenerli e difenderli? Il male grande era che Tarzo era troppo vicino al fronte, era centro<br />
di divisioni in riposo o di passaggio, sprovvisto di tutto. Fin da principio dovetti sostenere il<br />
peso di molte famiglie che non avevano neppure una palanca per pagare la fattura e la legna<br />
pel pane […] 53 .<br />
È evidente che i parroci continuano ad assolvere un ruolo centrale per<br />
le comunità rimaste in territorio invaso anche quando queste sono costrette<br />
a spostarsi. I sacerdoti diventano degli interlocutori privilegiati, dei punti<br />
di riferimento non solo dal punto di vista religioso e morale. Sono loro a<br />
mediare con i comandi occupanti, a intervenire per denunciare le tristi<br />
condizioni materiali dei civili, a tenere i contatti con i parrocchiani dispersi<br />
in varie località del Friuli attraverso la «Gazzetta del Veneto», il quotidiano<br />
fatto stampare a Udine dalle autorità austro-ungariche. Sono compiti facilitati<br />
dalla conoscenza del latino – poche persone parlano il tedesco – che permette<br />
ai parroci di comunicare direttamente con i cappellani militari.<br />
La fame<br />
Fin dai primi giorni dell'occupazione, una delle maggiori preoccupazioni<br />
<strong>della</strong> popolazione è quella di nascondere le derrate alimentari – ad esempio il<br />
in parrocchia, don Antonio Riva: una parte viene concentrata a Tarzo, mentre circa 1100 sfollati<br />
proseguono verso Fregona dove rimarr<strong>anno</strong> fi no alla conclusione <strong>della</strong> guerra.<br />
51 Oscar De Zorzi, L'<strong>anno</strong> d'invasione a Fregona (8 novembre 1917 - 29 ottobre 1918, in «Il<br />
Flaminio», maggio 1990, n. 5, pp. 63-85;<br />
52 In proposito si vedano le testimonianze raccolte da Gi<strong>org</strong>io Iori, 1917: guerra, invasione,<br />
profugato, in San Pietro di Barbozza attraverso sette secoli di storia, II, a cura di Giancarlo<br />
Follador, Pro Loco San Pietro di Barbozza, Feltre 1996, pp. 258-263.<br />
53 Relazione del parroco di Mosnigo, don Angelo Frare, in La Piana Eroica cit., p. 27.<br />
94
granoturco viene occultato nelle condotte fumarie dei camini 54 – e di sottrarle<br />
alle requisizioni, rese odiose dal fatto che sui buoni non vengono <strong>anno</strong>tate<br />
le quantità esatte; in molti casi si tratta di carta straccia. Lo sperpero delle<br />
risorse operato dai tedeschi nelle prime settimane di occupazione, cozza con<br />
la situazione alimentare che con il trascorrere dei mesi diventa insostenibile:<br />
[…] il grano fu dato in parte ai cavalli, in parte distrutto e in parte spedito all'interno; a noi<br />
sacerdoti imploranti pietà per le popolazioni affamate, veniva risposto: «È la guerra. Non è<br />
necessario che la popolazione civile viva, è meglio che muoiano cento civili piuttosto che un<br />
cavallo!»; il comandante di Farra di Soligo a una donna che chiedeva un po' di pane per i fi gli<br />
affamati rispondeva: «A voi, italiani, basta che lasciamo gli occhi per piangere»; che ancora<br />
al Natale del 1917, donne e vecchi si rubavano i radicchi per i campi; innumerevoli furono le<br />
vittime <strong>della</strong> fame a Pieve di Soligo, a Farra, Rolle, Miane, Combai, Revine, Tarzo, Vittorio<br />
Veneto e Fregona; le genti del Piave e del Cadore, in modo particolare, sembravano piuttosto<br />
larve ambulanti che fi gure umane 55 .<br />
Con il trascorrere dei giorni la vita si faceva sempre più diffi coltosa: a causa <strong>della</strong> mancanza<br />
di cibo, cresceva la fame. Non si trovava niente da acquistare; tutto era stato razziato<br />
dagli Austriaci; bisognava andare alla ricerca di qualcosa che era rimasto nascosto in qualche<br />
casa o di erbe e frutti. Perciò, di giorno in giorno, i nostri corpi diventavano sempre più magri.<br />
A tal proposito è doveroso ricordare che in quel periodo a Cison morirono per fame oltre<br />
700 persone, delle quali 50 circa erano di Sernaglia. La lotta, quindi, per la sopravvivenza era<br />
tremenda vi erano alcuni che per sfamarsi andavano a caccia di «pantegane», qualche altro<br />
raccoglieva i fagioli interi mal digeriti dai soldati austriaci e li mangiava direttamente. Altri,<br />
come mio padre, scaricavano dai camion e dai carri i sacchi di farina degli Austriaci per poter<br />
raccogliere dal cassone qualche «branca» di farina mista a polvere. Questa, messa a cuocere<br />
nell'acqua, dava origine ad una specie di «pinza», che, rapprendendosi, diventava dura come<br />
un sasso; ma, non essendoci altro, veniva mangiata con avidità. Una volta mio padre sottrasse<br />
delle «tripàde» dal macello, però, scoperto, venne inseguito da due soldati armati; allora si<br />
diede alla fuga attraverso i campi, ma, accortosi di avere gli inseguitori alle spalle, si fermò<br />
e, voltatosi, gettò loro le bu<strong>della</strong> in faccia, in questo modo riuscì a proseguire la fuga, senza<br />
essere raggiunto, verso i boschi delle Fratte, dove si nascose, salvandosi miracolosamente da<br />
una sicura morte 56 .<br />
54 Testimonianza di Cesira De Mari (Raccolta 1988, parte inedita).<br />
55 ACS, Commissione d'inchiesta, b. 3, fasc. 48, relazione dell'economo spirituale di Pieve<br />
di Soligo, don Carlo De Nardi, alla Reale Commissione d'inchiesta sulle violazioni del diritto<br />
delle genti commesse dal nemico, 9 gennaio 1919.<br />
56 Giuseppe Marchi, Memoria, pubblicata in La Grande Guerra nella Val Mareno cit., pp.<br />
146-147.<br />
95
Anche i profughi del Piave alloggiati a Cison devono poi trasferirsi in<br />
Friuli. Coloro che rimangono sono obbligati a lavorare nei campi oppure impiegati<br />
nella sistemazione delle strade:<br />
Con amarezza ricordo che ogni giorno le truppe austriache rastrellavano 10-15 bambini<br />
da portare sulla strada che da Cison conduce a Mura; ci consegnavano una mazza molto<br />
pesante e ci obbligavano a spaccare pietre per sei-dieci ore, al fi ne di ottenere ghiaia per<br />
risistemare la strada continuamente dissestata dal passaggio di truppe ed armamenti diretti<br />
al fronte sul Piave. La sera ci davano come paga un mestolo di minestrone di crauti andati a<br />
male, che le truppe si rifi utavano di mangiare 57 .<br />
Per i profughi del Piave la fame è un pensiero costante e la ricerca di cibo<br />
per sopravvivere una pratica quotidiana. Così per Maria Fedato, sfollata da<br />
Falzè:<br />
A Sarmede eravamo in una famiglia grande che ci ha trattato abbastanza bene, solo che<br />
non c'era da mangiare. Per questo andavamo «a carità», anche mio papà e mia mamma. In<br />
certe famiglie dove non potevano vedere i profughi ci davano s<strong>org</strong>o, tanti invece ci davano<br />
magari una fetta di polenta. Quello che soprattutto mi ricordo è che si andava tanto in giro<br />
per trovare da mangiare.<br />
La famiglia che ci ospitava, qualcosa, anche latte quando c'era, ce ne dava, ma il ricordo<br />
principale è che andavo sempre in giro, in cerca di mangiare 58 .<br />
Per i bambini profughi, essere costretti a chiedere la carità è una cosa tremenda;<br />
spesso sono gli unici che riescono a portare a casa un po' di farina, del<br />
pane o degli ortaggi riuscendo ad impietosire la popolazione locale o qualche<br />
soldato 59 . Altri praticano il furto campestre; comune è la sottrazione di patate<br />
crude nei campi.<br />
Io mi ero abituato a camminare «a quattro gambe», guardando sempre per terra, sperando<br />
di trovare qualcosa da mangiare; andavamo nei prati sotto il Castello ad esplorare le piante di<br />
fi co; tiravamo giù anche i frutti piccoli verdi, li portavamo a casa e li cucinavamo; mangiavamo<br />
anche erba. Una volta io e la mia povera mamma, dopo essere rimasti senza mangiare da<br />
alcuni giorni, andammo nelle Fratte a «Bas a Cison» a cercare qualche castagna per calmare<br />
i dolori <strong>della</strong> fame: ne trovammo pochissime; c'erano anche molti altri disperati come noi<br />
che ne cercavano. Ci imbattemmo in un gruppo di «tedeschi» che ci condussero in un posto<br />
ove ve n'erano molte e ci ordinarono di raccoglierle. Lavorammo tutto il giorno ad aprire i<br />
57 Ivi, p. 148.<br />
58 Testimonianza di Maria Fedato, riportata in Pavan, <strong>L'ultimo</strong> <strong>anno</strong> <strong>della</strong> prima guerra cit., p. 25.<br />
59 Testimonianza di Angelina Soldan (Raccolta 1988, parte inedita).<br />
96
icci spinosi con le mani nude; nonostante le ferite alle mani, tuttavia eravamo contenti di<br />
quel piccolo tesoro; però a sera, quando facemmo cenno di andarcene, i soldati ci fermarono<br />
e ci presero impietosamente tutte le castagne; mia madre allora scoppiò in lacrime per la<br />
disperazione 60 .<br />
Nella previsione di un altro inverno di guerra, viene proibita la raccolta<br />
di patate e di cereali non ancora maturi. In seguito tale divieto è esteso per<br />
tutelare la vendemmia che si preannuncia molto scarsa per quantità e pessima<br />
per qualità. Un problema per le autorità è il furto campestre, sia da parte dei<br />
soldati – che spesso distruggono il raccolto senza motivo e con grave d<strong>anno</strong><br />
per il loro stesso esercito – che da parte <strong>della</strong> popolazione. Per combatterlo<br />
si rende necessaria la nomina da parte dei comuni di guardie campestri<br />
(feldhüter) che devono vigilare i raccolti e consegnare i trasgressori alla<br />
vicina gendarmeria. Spesso quest'opera di sorveglianza può essere svolta<br />
o integrata anche dai proprietari dei fondi che però, analogamente alle<br />
guardie, non possono essere armati, ma dotati solo di bastone.<br />
A Follina, il parroco padre Anacleto Milani ottiene dal comando tedesco<br />
di disporre di una dozzina di mucche – che restano ai legittimi proprietari<br />
– per assicurare il latte ai bambini sotto i tre anni, ai malati e agli anziani<br />
del paese 61 . Ma le requisizioni del bestiame avvengono fi n dal dicembre<br />
del 1917: il consumo settimanale di carne viene fi ssato a 250 grammi. Alla<br />
popolazione anche il vino viene somministrato in via eccezionale, solo per<br />
ragioni sanitarie, e la sua vendita nelle osterie, nelle trattorie e negli esercizi<br />
pubblici è proibita. A febbraio manca la farina e la situazione peggiora nei<br />
mesi successivi:<br />
Son più di 20 giorni che non si distribuisce un briciolo di farina, e non si sa come la<br />
popolazione riesca a star zitta. Giriamo dappertutto cercando di carpire qualche cosa ai<br />
soldati ma si è costretti a privarsi di tutto. Non esiste più l'acquisto con denaro, nessuno sa<br />
che farne del denaro, specie poi <strong>della</strong> nuova carta moneta messa in circolazione; è tornato in<br />
uso il baratto 62 .<br />
60 Marchi, Memoria cit., p. 148.<br />
61 Cronaca giornaliera di guerra del Rev. Gioachino M. Rossetto cit., pp. 33-34. Per i profughi<br />
del Piave è fondamentale poter trattenere qualche mucca per il fabbisogno quotidiano;<br />
così nella testimonianza di Secondo Fregolent (Raccolta 1988, parte inedita), che ricorda<br />
come la sua famiglia fosse partita da Falzè con due mucche, poi conservate fi no quasi al<br />
termine dell'occupazione.<br />
62 Antonietta Calcinoni, Diario di guerra (6 novembre 1917 - 31 ottobre 1918), in Enrico<br />
Dall'Anese, Paolo Martorel, Gli anni <strong>della</strong> Grande Guerra nel Quartier del Piave, Nuova<br />
Stampa 3, Pieve di Soligo 1988, p. 59.<br />
97
Ancora il parroco di Follina, nelle vesti anche di sindaco, sente l'esigenza<br />
di rivolgere un appello al comando austriaco:<br />
Le mortalità si succedono in proporzione spaventosa e non sono più i soliti lattanti che<br />
privati già del latte, senza aver alcun surrogato, che muoiono di inedia, non sono più i soliti<br />
vecchi che affranti dal dolore e dalle privazioni, cessano di vivere: sono gli uomini maturi,<br />
sono le giovani ventenni che da due mesi e più non cibandosi che di erba (bestiarum more)<br />
h<strong>anno</strong> esaurito la resistenza fi sica e muoiono, muoiono 63 .<br />
I più coraggiosi – sarebbe il caso di dire le più coraggiose, trattandosi in<br />
prevalenza di donne 64 – riescono a raggiungere il Veneto orientale e a procurarsi<br />
qualcosa da mangiare, ma il viaggio presenta molte insidie:<br />
Veder con questo pessimo tempo (e strade spaventose), donne, fanciulle, ragazzetti, perfi n<br />
da Longarone e altri paesi di montagna, che si recano quasi fi n a Caorle, a piedi poveri per<br />
aquistare del grano per non morire di fame, e dopo tante fatiche e patimenti disaggi, h<strong>anno</strong> il<br />
cuore questi maledetti di prenderglielo e di più metterli in prigione per giorni e giorni! Non<br />
è questa una barbarità? Inumani barbari invasori! Anche giorni fa gliela presero la farina ad<br />
una donna vicino la Meduna e questa disperata s'annegò nella Meduna stessa 65 .<br />
In tutti i comuni invasi la mortalità a causa <strong>della</strong> fame raggiunge cifre<br />
altissime, che aumentano ancora di più tra i profughi del Piave. Si registrano<br />
complessivamente 150 morti a S. Pietro di Feletto, 99 a Susegana, 427 a<br />
Tarzo (in gran parte sfollati provenienti da altri paesi), addirittura 484 a Valdobbiadene.<br />
Nel Quartier del Piave i morti sono complessivamente 933, di<br />
cui 817 per fame e 116 per cause belliche (bombardamenti). I morti per fame<br />
sono 182 a Pieve di Soligo, 173 a Sernaglia, 161 a Moriago, 127 a Refrontolo,<br />
117 a Vidor e 61 a Farra (dove si registra però il numero più alto di morti per<br />
cause belliche, 36). Questi numeri testimoniano le condizioni materiali <strong>della</strong><br />
popolazione nell'ultimo <strong>anno</strong> di guerra.<br />
La questione alimentare è strettamente legata al lavoro che i civili sono<br />
costretti a compiere per le truppe di occupazione. In generale, per i lavori<br />
militari in zona di guerra viene ampiamente utilizzata la manodopera femminile<br />
e minorile, mentre quella maschile viene in parte deportata all'interno<br />
63 Cronaca giornaliera di guerra del Rev. Gioachino M. Rossetto cit., p. 108.<br />
64 Testimonianza di Secondo Fregolent (Raccolta 1988, parte inedita), che ricorda un episodio<br />
relativo a sua madre Maria Bernardi, costretta a barattare le poche cose di valore che<br />
possiede, tra cui le lenzuola, per ottenere del cibo. Si veda anche la testimonianza di Giovanni<br />
Bertazzon (Raccolta 1988).<br />
65 Brustolon, Vittorio '17-'18 cit., p. 116.<br />
98
dell'Impero. Il lavoro dei bambini non è ovviamente retribuito:<br />
Avevo circa nove anni ed assieme a mio fratello Luigi andavo a lavorare su una strada fatta<br />
costruire dagli austriaci; dovevamo rompere sassi per la massicciata, in cambio ci davano da<br />
mangiare, solo a mezzogiorno: una ciotola di zuppa con crauti e una pagnottina da dividere<br />
in quattro 66 .<br />
Nelle province occupate le scuole rimangono chiuse dal novembre 1917<br />
all'aprile 1918. In seguito viene ordinata la riapertura delle elementari<br />
reclutando i maestri rimasti, ma utilizzando per l'insegnamento soprattutto il<br />
clero. In realtà si tratta di una forma velata di controllo <strong>della</strong> popolazione e<br />
di sfruttamento del lavoro dei bambini. Viene vietato l'uso dei quaderni sulla<br />
cui copertina è riprodotta la cartina dell'Italia con i confi ni naturali fi no al<br />
Brennero e al Carnaro; a Feltre il comando distrettuale fa strappare dai testi<br />
scolastici le pagine sulle guerre d'indipendenza. Si ritiene inoltre opportuno<br />
dare ai maestri elementari delle direttive in materia scolastica, per insegnare<br />
ai bambini il rispetto nei confronti dell'autorità germanica, per evitare ogni<br />
forma di discussione politica o militare, e per dare l'idea che le sorti <strong>della</strong><br />
guerra sono ormai segnate in favore degli eserciti occupanti.<br />
Le misure di controllo da parte delle autorità militari sono dirette ad accertare<br />
che fra i civili non si nascondano sbandati o disertori dell'esercito italiano,<br />
registrati dalle autorità del luogo come loro amministrati e opportunamente<br />
provvisti di falsi documenti d'identità. Numerosi soldati infatti, ospitati e<br />
nascosti inizialmente presso le famiglie, vengono poi denunciati come fi gli,<br />
parenti, dipendenti o coloni; la loro presenza è comunque tollerata per l'utilità<br />
nei lavori bellici ed agricoli. Le autorità militari impediscono che vi siano<br />
rapporti fra i prigionieri italiani e la popolazione locale. Uno dei modi che<br />
spesso le autorità militari austro-ungariche utilizzano per verifi care lo spirito<br />
pubblico, è quello di ripristinare il servizio postale invitando la popolazione<br />
civile a scrivere ai parenti residenti tanto nei territori invasi, quanto nelle<br />
altre province italiane. Una volta raccolte, le lettere vengono aperte, lette<br />
attentamente e quindi distrutte.<br />
Le case signorili dei notabili vengono saccheggiate. È il caso del palazzo<br />
dei conti Brandolini a Cison di Valmarino dal quale sono asportate le opere<br />
d'arte, gli atti dell'archivio e la biblioteca, e di quello dei Lucheschi a Colle<br />
Umberto che viene incendiato a più riprese. Ma è la sottrazione delle campane<br />
a diventare una scena abituale nei paesi invasi; molte v<strong>anno</strong> in frantumi nel<br />
momento stesso in cui vengono calate dai campanili. La requisizione delle<br />
66 Testimonianza di Secondo Fregolent (Raccolta 1988).<br />
99
campane delle chiese incrina il rapporto tra la popolazione e gli occupanti.<br />
Antonietta Calcinoni, maestra elementare a Follina nell'<strong>anno</strong> dell'invasione<br />
ce lo documenta nel suo diario 67 :<br />
Tutti gli occhi <strong>della</strong> popolazione sono rivolti verso il campanile dopo il barbaro sta spogliando<br />
il paese <strong>della</strong> sua dote. Le campane rappresentano un simbolo sacro, è il vincolo di<br />
unione fra gli abitanti di un paese. È il bronzo che dà il segno degli avvenimenti lieti e tristi<br />
<strong>della</strong> nostra vita, e ogni individuo affezionato oggi non può vedere operata l'opera vandalica<br />
senza provarne una forte stretta al cuore. S'odono delle poverissime donne del popolo dire<br />
che sacrifi cherebbero volentieri anche l'ultima camicia, anche l'anello di sposa, purché fossero<br />
lasciate le campane. Non si calano con le corde le nostre campane, ma si f<strong>anno</strong> precipitare<br />
e nel cadere sopra i sassi si spezzano! Il bronzo ha uno squillo lungo, lamentevole, sembra il<br />
grido acuto che muore in un lamento lungo di un ferito a morte 68 .<br />
Stupri di guerra<br />
I crimini compiuti dagli eserciti tedesco e austro-ungarico nei territori<br />
italiani occupati dopo Caporetto costituiscono un caso di studi. Innanzitutto<br />
si collocano cronologicamente nell'ultimo <strong>anno</strong> di guerra, in una fase in<br />
cui gli atti di crudeltà avvenuti sugli altri fronti sono cosa risaputa da tempo<br />
attraverso la propaganda e, in qualche modo, sono stati quasi «esorcizzati»<br />
e ritenuti impossibili in caso d'invasione. In secondo luogo la violenza del<br />
nemico segue delle dinamiche strettamente legate al modo inatteso con cui<br />
avviene la rottura del fronte nell'ottobre 1917, all'atteggiamento delle truppe<br />
che sferrano l'offensiva e che per prime vengono a contatto con i civili<br />
del Friuli e del Veneto, alla necessità di arrivare nei mesi successivi ad una<br />
sorta di modus vivendi con la popolazione. Inoltre, il fatto che la conclusione<br />
dell'occupazione coinciderà con la fi ne <strong>della</strong> guerra – e di una guerra vittoriosa<br />
– costituisce paradossalmente un problema ulteriore per la raccolta delle<br />
testimonianze di persone che o desiderano dimenticare la terribile parentesi<br />
dell'invasione oppure, quando al contrario vogliono raccontarla, si trovano a<br />
farlo in un contesto politico e sociale completamente stravolto. È chiaro che<br />
ciò che sopravvive di quell'<strong>anno</strong> decisivo per i civili occupati, risente di reticenze<br />
individuali e resistenze collettive, che infl uiscono non poco anche sulle<br />
politiche <strong>della</strong> memoria <strong>della</strong> Grande Guerra.<br />
Alle testimonianze raccolte nell'immediato dopoguerra viene data una partizione<br />
cronologica che, già da sola, fornisce anche una prima chiave di lettura<br />
degli eventi: «Dei primi giorni dell'invasione si parla come dei giorni del<br />
67 Calcinoni, Diario di guerra cit., pp. 32-76.<br />
68 Ivi, p. 58.<br />
100
terrore; i lunghi mesi che seguirono sono chiamati il periodo delle violenze sistematiche<br />
e legalizzate; i giorni <strong>della</strong> ritirata dell'esercito nemico […], sono<br />
chiamati i giorni delle ultime vendette» 69 . In effetti, il maggior numero di<br />
delitti contro la persona si registra nelle primissime settimane di occupazione,<br />
in particolare fi no alla metà di novembre del 1917, ed è provocato soprattutto<br />
dalle truppe tedesche che, a differenza di quelle austro-ungariche, non h<strong>anno</strong><br />
alcun interesse ad amministrare i territori invasi e a normalizzare i rapporti<br />
tra esercito e civili. Si tenga poi conto del fatto che numerose violenze avvengono<br />
nella primissima fase di avanzata dei reparti, con le truppe ancora<br />
in movimento, e quindi tali delitti diffi cilmente possono essere perseguiti per<br />
l'impossibilità d'individuare i veri responsabili. Un bando bilingue emanato<br />
già il 28 ottobre 1917 dal Comando supremo tedesco, stabilisce la condanna<br />
a morte dei civili che aiutano i militari italiani oppure recano d<strong>anno</strong> alle<br />
truppe germaniche e a quelle loro alleate. Viene di fatto applicato il codice<br />
penale militare, con l'obbligo per i militari italiani di consegnarsi entro ventiquattro<br />
ore dall'affi ssione del proclama per ricevere un trattamento conforme<br />
alla legislazione sui prigionieri di guerra; in caso contrario è prevista la fucilazione,<br />
misura estesa anche ai civili che fossero stati trovati in possesso di<br />
armi 70 . Tale Bekanntmachung, nella sostanza, viene periodicamente reiterata<br />
nei mesi successivi.<br />
È proprio in quei primissimi giorni che la violenza dispiegata dai militari<br />
raggiunge livelli inauditi, con ferimenti, omicidi e stupri che si contarono a<br />
centinaia. Con la giustifi cazione di ricercare prigionieri italiani, molti soldati<br />
entrano nelle case e minacciano i civili con le armi. Durante questa fase non<br />
siamo di fronte ad episodi provocati o anche solamente indotti da un ordine o<br />
da un piano prestabilito; più semplicemente sono le dinamiche dell'avanzata<br />
militare e la rapidità con cui avviene, che creano le condizioni per compiere<br />
tali atti. Siamo, quindi, al di fuori di uno schema preordinato o premeditato,<br />
anche perché non vi sono i presupposti per lanciare una campagna di violenza<br />
sui civili di vaste proporzioni. Certo, la documentazione sembra dimostrarci<br />
esattamente il contrario, ad esempio osservando la dimensione <strong>della</strong> violenza<br />
sulle donne e quella in generale sui civili occupati, che raggiunge un livello<br />
davvero impressionante, sia in termini quantitativi, sia dal punto di vista <strong>della</strong><br />
ferocia nei confronti delle vittime 71 . Le testimonianze raccolte dalla Commis-<br />
69 Relazioni <strong>della</strong> Reale Commissione d'inchiesta sulle violazioni del diritto delle genti<br />
commesse dal nemico, IV, L'occupazione delle provincie invase, Bestetti & Tumminelli,<br />
Milano-Roma 1922, p. 132.<br />
70 Relazioni <strong>della</strong> Reale Commissione d'inchiesta sulle violazioni del diritto delle genti<br />
commesse dal nemico, V, Legislazione e amministrazione del nemico nelle terre invase (documenti),<br />
t. I, Bestetti & Tumminelli, Milano-Roma 1922, pp. 159-161.<br />
71 Si pensi al numero elevatissimo dei civili uccisi dai soldati o morti in seguito alla violen-<br />
101
sione d'inchiesta concordano nell'attribuire ai tedeschi il maggior numero di<br />
atti compiuti contro i civili e anche nella memoria locale il generale clima di<br />
violenza dei primi giorni dell'occupazione viene quasi sempre ricondotto alla<br />
«barbarie» delle truppe germaniche.<br />
Dopo la prima ondata di violenze ed in seguito al passaggio del potere militare<br />
dal Comando germanico a quello austro-ungarico, gli atti di crudeltà nei<br />
confronti <strong>della</strong> popolazione diminuiscono considerevolmente. Da parte delle<br />
autorità occupanti c'è infatti la preoccupazione che il contegno in particolare<br />
degli uffi ciali possa incrinare la fi ducia dei civili e dunque i comandanti di<br />
tappa in qualche caso vengono invitati ad intervenire con rigore e severità<br />
verso gli autori di violenze di qualsiasi tipo. Un'Istruzione sul contegno delle<br />
truppe e dei comandi nel territorio italiano invaso, emanata dal Comando<br />
<strong>della</strong> 1 a Armata dell'Isonzo ancora nei primi giorni dell'occupazione in previsione<br />
anche di un ulteriore spostamento <strong>della</strong> linea del fronte oltre il Piave,<br />
stabilisce che entrando nei paesi debbano essere convocate le persone più<br />
autorevoli e consegnati loro i manifesti contenenti le istruzioni per la popolazione.<br />
Secondo le autorità austriache è necessaria una propaganda illuminata.<br />
Fino a quel momento, per l'incompetenza degli uffi ciali e delle truppe si sono<br />
eseguite requisizioni con sistemi arbitrari, ma questo non deve ripetersi. Solamente<br />
nei confronti dei civili sorpresi a compiere atti di sabotaggio, spionaggio<br />
e propaganda sovversiva si dovrebbe operare con severità e con il ricorso<br />
a rappresaglie come l'imposizione di contributi o la cattura di ostaggi 72 . Un<br />
vademecum per le truppe <strong>della</strong> 5 a Armata austro-ungarica stabilisce però che<br />
lo stato di guerra giustifi ca il «diritto di difesa per necessità di guerra» e detta<br />
quali devono essere i comportamenti:<br />
Risparmiare la popolazione bene intenzionata e quella pacifi ca nel territorio nemico; usare<br />
severità verso la popolazione infi da ed ostile. I contadini per lo più sono pacifi ci anche<br />
in Italia: perciò risparmiarli. Gl'intellettuali, gli operai, i professionisti ecc. per lo più ostili<br />
in Italia siano ricacciati dalle truppe più che sia possibile contemporaneamente al nemico.<br />
Gli elementi specialmente pericolosi, anche del territorio proprio, son elencati nel libro nero<br />
posseduto dagli alti comandi. Ricercare attivamente tali elementi, e consegnarli, una volta<br />
presi 73 .<br />
za militare durante l'occupazione – vengono accertate 553 vittime per atti di crudeltà – oppure<br />
alle persone morte per cause collegate direttamente o indirettamente alla guerra che sono<br />
complessivamente 24.597, di cui 12.649 per insuffi cienza di cure sanitarie, 9.797 per fame,<br />
961 durante l'esodo dei profughi dopo Caporetto; Relazioni <strong>della</strong> Reale Commissione d'inchiesta<br />
sulle violazioni del diritto delle genti commesse dal nemico, IV, cit., pp. 181-185.<br />
72 Relazioni <strong>della</strong> Reale Commissione d'inchiesta sulle violazioni del diritto delle genti<br />
commesse dal nemico, V, Legislazione e amministrazione cit., pp. 333-337.<br />
73 Ivi, p. 340.<br />
102
Il Comando supremo austriaco fi ssa in seguito diversi divieti che riguardano<br />
la popolazione circa quegli atti che possono essere interpretati come<br />
mezzi d'intesa con l'esercito italiano: abbandonare la località senza lo speciale<br />
permesso rilasciato da un comando militare, suonare le campane, accendere<br />
fuochi e stendere biancheria all'aperto, salire su tetti e campanili, chiamare<br />
a voce alta e cantare, andare o fermarsi all'aperto in gruppi di più di due<br />
persone, danneggiare strade, ponti, ferrovie, telegrafi , telefoni, contaminare<br />
fontane e corsi d'acqua, nascondere o distruggere viveri, ospitare soldati<br />
italiani e persone estranee; corrispondere per iscritto in qualsiasi modo con<br />
altri civili 74 . Per chi nasconde in casa militari italiani, minaccia con le armi le<br />
truppe occupanti o viene sorpreso a compiere atti di sabotaggio o di saccheggio,<br />
è prevista la fucilazione. Numerosi sono gli attentati e i danni compiuti<br />
dai civili nei confronti delle linee ferroviarie che mettono in comunicazione i<br />
centri delle retrovie con il fronte; non a caso, chi viene sorpreso senza autorizzazione<br />
nelle vicinanze <strong>della</strong> ferrovia è passibile di arresto.<br />
Le violenze contro i civili continuano a lungo, se ancora il 20 agosto 1918<br />
il Comando dell'11 a Armata biasima in una circolare riservata «un contegno<br />
brutale e provocante verso i b<strong>org</strong>hesi indifesi» da parte degli uffi ciali austriaci<br />
75 ; dopo numerose proteste e denunce, i comandanti di tappa vengono quindi<br />
invitati ad agire con rigore e severità per punire ogni eccesso, in quanto non<br />
si può spingere la popolazione all'esasperazione.<br />
Particolarmente duro è il trattamento riservato ai prigionieri di guerra trattenuti<br />
in numerose località delle retrovie o <strong>della</strong> zona di operazioni e adibiti a<br />
compiti di manovalanza militare spesso molti pericolosi. Nei loro confronti<br />
non si abbattono solamente la fame, gli stenti e le malattie che colpiscono anche<br />
il resto <strong>della</strong> popolazione, ma anche le pene corporali infl itte dalle truppe.<br />
Molti di loro vengono infatti percossi, torturati e puniti tramite il «palo»:<br />
I prigionieri italiani che si trovavano a Cordignano venivano trattati barbaramente e sottoposti<br />
a fatiche gravissime con ferrea disciplina (come quella del palo) che gli legavano i<br />
piedi e le mani al di dietro la schiena e quindi li sospendevano dal suolo, lasciandogli solo la<br />
punta dei piedi per terra, tenendoli due ore, e fi no a quando non diventavano paonazzi o che<br />
andavano in isvenimento per dolori alle braccia e alla vita. Quando li scioglievano per farli<br />
riprendere dallo svenimento gli gettavano un secchio d'acqua addosso 76 .<br />
74 Ivi, pp. 162-164.<br />
75 Ivi, p. 341.<br />
76 ACS, Commissione d'inchiesta, b. 7, relazione <strong>della</strong> Legione territoriale dei Carabinieri<br />
Reali di Verona, Allegato 1 relativo al Comune di Cordignano, 3 febbraio 1919.<br />
103
Quello nei confronti dei prigionieri è un atteggiamento volutamente punitivo<br />
per il loro status di combattenti, ma sarà durante la ritirata dell'esercito<br />
austro-ungarico, anche dopo l'annuncio dell'armistizio, che la violenza si abbatte<br />
particolarmente su di loro.<br />
Per quanto riguarda le tipologie è necessario distinguere tra gli atti compiuti<br />
in conseguenza delle rapine e, più in generale, delle requisizioni nei<br />
confronti <strong>della</strong> popolazione, dagli episodi di violenza intenzionale e gratuita.<br />
Nella prima categoria rientrano tutta una serie di delitti connessi a qualsiasi<br />
regime di occupazione militare, durante il quale reati come ferimenti e omicidi<br />
costituiscono il prolungamento di altri atti. Quasi ovunque le violenze<br />
sono la risposta o la spropositata reazione a forme di resistenza contro quei<br />
soldati che entravano nelle abitazioni per compiere furti e saccheggi oppure<br />
per operare quelle requisizioni che da un certo momento in poi vengono di<br />
fatto legalizzate. Opporsi fi sicamente a tali soprusi oppure anche solo protestare<br />
contro un atteggiamento considerato iniquo, è suffi ciente per scatenare<br />
una rappresaglia sui civili inermi. A questi episodi se ne affi ancano altri che<br />
rimandano a forme di violenza gratuita che sfuggono, come tipologia, a qualsiasi<br />
tentativo di classifi cazione.<br />
La serialità degli episodi potrebbe far pensare ad una precisa strategia dei<br />
comandi oppure alla volontà di esercitare la violenza solamente per rafforzare<br />
le gerarchie che necessariamente sono venute a crearsi tra occupanti e<br />
occupati. A parte i casi citati, però, le autorità militari non impartiscono disposizioni<br />
se non compatibili con le esigenze belliche. Piuttosto, risulta più<br />
plausibile la motivazione che rimanda ad una specifi cità dell'<strong>org</strong>anizzazione<br />
interna degli eserciti, tanto durante il primo periodo dell'occupazione, che nei<br />
mesi successivi, nonostante le esigenze militari impongano un atteggiamento<br />
diverso. Le tipologie illustrate non esauriscono certamente l'ampia gamma di<br />
episodi registrati nell'ultimo <strong>anno</strong> <strong>della</strong> Grande Guerra nei territori occupati,<br />
ma possono fornire un quadro sui meccanismi <strong>della</strong> violenza contro i civili.<br />
La cornice in cui s'inseriscono tali episodi è quella di un sistematico sfruttamento<br />
di un territorio che deve fornire tutte le risorse necessarie per le truppe.<br />
Decisamente atipiche sono invece le modalità degli stupri di guerra.<br />
[…] ogni mattina avevo in casa mia 10, 20, 30 donne a riferirmi di essere state soggette a<br />
spaventi ed a paure ed oltraggi durante la notte; fucili, revolver, bastoni, coltelli appuntati<br />
ed io allora correre ogni giorno dal Comando per protestare. La notte era più tremenda del<br />
giorno: la poco gradita visita delle soldatesche con le relative rapine avveniva di notte in<br />
generale. Le dirò che le donne coi bambini erano fuggite alle Rive sopra Col S. Martino<br />
per evitare il tiro delle granate, ma quando i germanici perdettero la speranza di passare il<br />
104
Piave, si dispersero per le rive ed avvennero violenze innominabili, allora io diedi ordine alle<br />
famiglie di far ritorno tutti in casa e morire piuttosto sotto le granate 77 .<br />
Le testimonianze e la documentazione raccolte dalla Reale Commissione<br />
d'inchiesta sulle violazioni del diritto delle genti commesse dal nemico,<br />
costituiscono indubbiamente una delle fonti più importanti – se non la più<br />
importante – per ricostruire la dimensione <strong>della</strong> violenza esercitata da parte<br />
delle truppe austro-germaniche nei confronti <strong>della</strong> popolazione civile. È però<br />
necessario premettere che questa Commissione d'inchiesta viene istituita nel<br />
novembre 1918 con il chiaro intento di stabilire l'ammontare dei danni arrecati<br />
dalle truppe durante l'<strong>anno</strong> d'invasione e, in quanto tali, le violenze sulle<br />
persone – omicidi, ferimenti, stupri, deportazioni – sono derubricate a puro<br />
fatto statistico, dando per assodato che comunque gli atti compiuti contro il<br />
diritto delle genti e a dispetto delle convenzioni internazionali, siano da attribuire<br />
semplicemente alla brutalità del nemico.<br />
La violenza nei confronti delle donne, i tentativi di stupro e gli stupri realmente<br />
consumati, insomma tutti quelli che la Commissione d'inchiesta qualifi<br />
ca genericamente ed in maniera semplicistica e fuorviante come «delitti<br />
contro l'onore femminile», sono un elemento quasi sempre presente nelle relazioni<br />
delle autorità civili e religiose, chiamate ad accertare «se nelle terre<br />
invase la soldatesca nemica si sia abbandonata a violenze contro le persone<br />
con uccisioni e ferimenti di cittadini inermi e con stupri di ragazze e di donne<br />
maritate, specifi cando i fatti e le singole responsabilità» 78 .<br />
Il lavoro <strong>della</strong> Commissione, comunque, anche per l'estrema delicatezza<br />
dell'argomento, non porta ad un elenco completo degli stupri commessi, ma<br />
si limita alla raccolta di numerose testimonianze – alcune delle quali molto<br />
signifi cative – e alla suddivisione delle violenze in diverse categorie: gli stupri<br />
accompagnati da omicidio o ferimento, quelli compiuti con la minaccia<br />
delle armi, le violenze compiute nei confronti di donne anziane, bambine ed<br />
inferme, i semplici atti di depravazione da parte delle truppe d'occupazione.<br />
77 Relazione del parroco di Mosnigo, don Angelo Frare, in La Piana Eroica cit., p. 26. Si<br />
veda anche ACS, Commissione d'inchiesta, b. 3, fasc. 48, relazione di don Angelo Frare alla<br />
Reale Commissione d'inchiesta sulle violazioni del diritto delle genti commesse dal nemico,<br />
21 gennaio 1919: «Posso garantire di violenze fatte a giovani ed a donne maritate da parte<br />
<strong>della</strong> soldatesca germanica nel primo mese d'invasione».<br />
78 Antonio Gibelli, Guerra e violenze sessuali: il caso veneto e friulano, in La memoria<br />
<strong>della</strong> grande guerra nelle Dolomiti, Paolo Gaspari Editore, Udine 2001, pp. 195-206; Daniele<br />
Ceschin, «L'estremo oltraggio»: la violenza alle donne in Friuli e in Veneto durante<br />
l'occupazione austro-germanica (1917-1918), in La violenza contro la popolazione civile<br />
nella Grande guerra. Deportati, profughi, internati, a cura di Bruna Bianchi, Unicopli, Milano<br />
2006, pp. 165-184.<br />
105
Sull'uscio di casa con una bimba. MCRR.
Profughi in piazza. MCRR.<br />
Tra le rovine di Padova dopo un bombardamento. MCRR.
Al di là delle diffi coltà oggettive nella raccolta delle testimonianze – amministrazioni<br />
sfollate dopo Caporetto, problemi burocratici, ritorno dei mariti<br />
dal fronte – le lacune del lavoro <strong>della</strong> Commissione sono sostanzialmente<br />
imputabili al fatto che la maggior parte delle donne vittime di violenza non<br />
denuncerà l'atto subìto, sia per pudore personale, sia per mantenere al riparo<br />
da pettegolezzi la propria famiglia o la propria comunità. Su quest'atteggiamento<br />
di reticenza pesa senza dubbio anche il fatto che gli interrogatori vengono<br />
compiuti esclusivamente da uomini, in gran parte uffi ciali e sottuffi ciali,<br />
e dunque molte donne che inizialmente h<strong>anno</strong> trovato la forza di raccontare ai<br />
famigliari e a persone di fi ducia la violenza subìta, in un secondo momento si<br />
rifi utano di deporre davanti ai commissari e di formalizzare una denuncia, che<br />
non solo non avrà avuto alcun seguito, ma che per le vittime si tradurrebbe<br />
in una nuova sofferenza. È da notare come, sia questa prospettiva di genere,<br />
sia la consapevolezza che il racconto <strong>della</strong> violenza possa essere causa per la<br />
donna di altro dolore, non vengono quasi mai considerate come giustifi cazioni<br />
di questa reticenza. Infatti, sindaci, commissari prefettizi e parroci nelle<br />
loro relazioni f<strong>anno</strong> riferimento quasi sempre ad un codice morale che rifl ette<br />
i valori e le priorità <strong>della</strong> comunità locale. Quindi, secondo quest'ottica, il pudore<br />
porta all'omertà e le donne violentate tacciono l'offesa subita, soprattutto<br />
perché, dopo essere stata vissuta come un oltraggio, tale offesa viene percepita<br />
come un'»onta» da cancellare o comunque da nascondere in ogni modo.<br />
È signifi cativo il caso di Sernaglia, dove «vennero stuprate ragazze ed anche<br />
donne maritate, ma non è possibile precisare fatti e responsabilità poiché i<br />
danneggiati o per pudore o per naturale riservatezza non parlano» 79 . Ne deriva<br />
che le stesse autorità locali, si limitano a riferire che sono a conoscenza<br />
di stupri e di tentativi di stupro avvenuti nel loro comune, ma non corredano<br />
la denuncia con altri elementi celandosi dietro la ritrosia delle vittime. Alcuni<br />
parroci, oltre a minimizzare la portata degli stupri commessi, registrano<br />
«la violenza <strong>della</strong> subdola seduzione che purtroppo conseguì i suoi pessimi<br />
intenti ingannando le incaute col miraggio di un buon trattamento, nel vitto<br />
negli alimenti: in queste opere di demoralizzazione si distinsero li soldati, e<br />
specialmente gli Uffi ciali e sotto Uffi ciali Ungheresi» 80 . Altri ancora si limitano<br />
a denunciare che i soldati si sono abbandonati a violenze, ma h<strong>anno</strong> anche<br />
79 ACS, Commissione d'inchiesta, b. 3, fasc. 48, relazione di Francesco Pillonetto alla<br />
Reale Commissione d'inchiesta sulle violazioni del diritto delle genti commesse dal nemico,<br />
10 luglio 1919.<br />
80 ACS, Commissione d'inchiesta, b. 3, fasc. 43, relazione di don Gio.Batta Cesa alla Reale<br />
Commissione d'inchiesta sulle violazioni del diritto delle genti commesse dal nemico, 12<br />
gennaio 1919.<br />
108
abusato «<strong>della</strong> debolezza di alcune donne maritate» 81 . In questo senso, anche<br />
le donne rimaste incinte in seguito a stupro, vengono quasi ritenute colpevoli<br />
<strong>della</strong> violenza subita.<br />
Tentativi di stupro ne furono tanti, specialmente nei primi giorni dell'invasione, da parte<br />
delle truppe germaniche e bosniache. Durante l'<strong>anno</strong> si ripeterono, specialmente verso povere<br />
donne costrette dalla fame a portarsi presso certi comandi per offrire biancheria e gioielli allo<br />
scopo di avere un pezzo di pane od un po' di farina. Era allora che brutali uffi ciali conducevano<br />
le malcapitate in stanze chiuse col pretesto di contrattare, e poi con la forza volevano<br />
costringerle ad azioni turpi. Ad eterno obbrobrio del perfi do e brutale nemico, per l'onore delle<br />
nostre imperterrite donne, siamo lieti di affermare che, salvo qualche rara eccezione, tutte<br />
con grida ed urli, saltando anche dalle fi nestre, adoperando unghie e denti, seppero sottrarsi<br />
agli artigli dei turpi assalitori 82 .<br />
Le violenze sulle donne compiute nella zona invasa sfuggono a qualsiasi<br />
tentativo di quantifi cazione. Da un esame attento di tutta la documentazione,<br />
gli stupri denunciati alla Commissione risultano essere 165, per i quali siamo<br />
a conoscenza delle generalità <strong>della</strong> vittima e delle circostanze in cui è avvenuta<br />
la violenza; a questi sono da aggiungere altri 570 casi di cui la Commissione<br />
reca notizia senza fornire però ulteriori indicazioni. L'osservazione è<br />
banale, ma i casi di stupro sono molto più numerosi di quelli denunciati alle<br />
autorità e alla Commissione d'inchiesta e non è raro il caso in cui una donna<br />
subisce più di uno stupro in tempi diversi; dunque questi dati v<strong>anno</strong> abbondantemente<br />
corretti per difetto. È indiscutibile che il maggior numero dei casi<br />
di violenza si registri durante la prima fase dell'invasione, e in particolare<br />
nella prima metà di novembre del '17, quando i reparti degli eserciti tedesco e<br />
austro-ungarico sono ancora impegnati nell'azione di sfondamento delle linee<br />
italiane e di riposizionamento dopo l'arresto al Piave.<br />
Le testimonianze raccolte dalla Commissione d'inchiesta concordano<br />
nell'attribuire ai tedeschi il maggior numero di stupri e anche nella memoria<br />
locale il generale clima di violenza dei primi giorni dell'occupazione viene<br />
quasi sempre ricondotto, come detto, alla «barbarie» delle truppe germaniche.<br />
Ciononostante, numerosi episodi di stupro vengono commessi anche dalle<br />
truppe inquadrate nell'esercito austro-ungarico e, condannato a parole, ogni<br />
81 ACS, Commissione d'inchiesta, b. 4, fasc. 59, relazione di don Vittorio Maura alla Reale<br />
Commissione d'inchiesta sulle violazioni del diritto delle genti commesse dal nemico, 15<br />
gennaio 1919.<br />
82 ACS, Commissione d'inchiesta, b. 3, fasc. 49, relazione di don Apollonio Piazza alla<br />
Reale Commissione d'inchiesta sulle violazioni del diritto delle genti commesse dal nemico,<br />
18 dicembre 1918.<br />
109
atto di violenza continua a rimanere impunito. Gli stupri sono più frequenti<br />
in campagna che in città, ed anche nelle aree rurali le abitazioni prese di mira<br />
risultano quelle più isolate. La violenza sulle donne è favorita dal fatto che gli<br />
abitanti sono costretti a tenere aperta la porta di casa. Anche per questo motivo<br />
la sede municipale diventa spesso il luogo di rifugio per le donne spaventate<br />
dalla brutalità delle truppe occupanti e dalla possibilità che sia usata violenza<br />
nei loro confronti. Le uniche zone franche rimangono la chiesa e l'abitazione<br />
del parroco, dove numerose donne si rifugiano soprattutto durante le prime<br />
settimane dell'occupazione; ma non mancano casi di violenza compiuti anche<br />
all'interno delle canoniche. Vittime di un numero rilevante di stupri sono le<br />
cosiddette profughe del Piave. Si tratta di donne che appartengono alla parte<br />
più debole <strong>della</strong> popolazione e particolarmente martoriate dalla fame e dalle<br />
malattie. Numerose violenze vengono commesse anche nei confronti di<br />
donne che dai paesi di montagna si recano a piedi verso la pianura friulana<br />
per acquistare generi alimentari e che essendo spesso da sole, risultano più<br />
facilmente esposte. Vittime di soprusi, di tentativi di violenza e di stupri sono<br />
anche le donne ricoverate negli ospedali.<br />
Comunemente però i soldati e gli uffi ciali tentano le violenze nelle case,<br />
dopo esservi penetrati colla forza, e cercano di riuscire nel loro intento minacciando<br />
le vittime con le armi; in altri casi i soldati si presentano con la scusa<br />
di cercare gli uomini abili al lavoro oppure per requisire generi alimentari.<br />
In ogni caso la violenza è sempre premeditata ed esercitata da gruppi più o<br />
meno numerosi di soldati, in media da 4 o 5 persone, ma alcune testimonianze<br />
riportano la presenza di addirittura 15 o 20 militari che servono ovviamente<br />
per controllare meglio i famigliari delle vittime e impedire ogni forma di resistenza<br />
83 .<br />
Nella maggior parte dei casi la violenza avviene in presenza di altre persone,<br />
i genitori, qualche volta il marito, quasi sempre i fi gli, ma spesso anche<br />
persone estranee che si trovano nella casa <strong>della</strong> vittima per caso o perché,<br />
per vincere il timore di soprusi o di altre forme di violenza fi sica, durante<br />
l'<strong>anno</strong> dell'occupazione è usuale che due o tre famiglie vicine si riuniscano in<br />
uno stesso luogo, anche se ciò era formalmente proibito dai comandi militari<br />
locali 84 . La fuga di quelle che nelle relazioni viene icasticamente defi nita la<br />
«vittima predestinata» – fuga tentata solamente dalle ragazze più giovani e,<br />
aspetto da sottolineare, dalle donne che non h<strong>anno</strong> fi gli 85 – nella maggior par-<br />
83 ACS, Commissione d'inchiesta, b. 4, fasc. 52, testimonianza di L.M.<br />
84 ACS, Commissione d'inchiesta, b. 1, fasc. 5, testimonianza di E.B.<br />
85 ACS, Commissione d'inchiesta, b. 3, fasc. 49, relazione di don Antonio Fiaretto alla<br />
Reale Commissione d'inchiesta sulle violazioni del diritto delle genti commesse dal nemico,<br />
23 dicembre 1918.<br />
110
te dei casi provoca la reazione dei soldati contro coloro che sono rimasti in<br />
casa, che si traduce nell'esplosione di colpi di rivoltella in aria e contro i muri<br />
come intimidazione, nella minaccia di uccidere un famigliare, ma talvolta<br />
nell'abuso verso altre donne che non sono riuscite a fuggire, anche anziane o<br />
inferme 1 . Quando il tentativo di violenza non riesce, le reazioni più frequenti<br />
sono l'incendio <strong>della</strong> casa oppure la sottrazione di generi alimentari e animali<br />
domestici 2 .<br />
In generale, anche la violenza alle donne non è da attribuirsi ad un piano<br />
preordinato da parte dei Comandi degli eserciti d'occupazione, né alla volontà<br />
di utilizzare quella che è stata defi nita «l'arma sessuale» come strumento<br />
di guerra in un quadro che rimanda ad una questione di superiorità razziale,<br />
come pure la propaganda italiana dell'ultimo <strong>anno</strong> di guerra cerca di dimostrare,<br />
associando semplicisticamente lo stupro alla barbarie di cui il nemico,<br />
per sua natura, è portatore. Comunque, nel caso specifi co degli stupri, il loro<br />
numero elevato è da attribuire in primo luogo alla scarsa effi cacia <strong>della</strong> giustizia<br />
militare dei Comandi di occupazione ed alla sostanziale impunità di cui<br />
possono godere soldati e uffi ciali che si rendono colpevoli di questo come di<br />
altri tipi di reato. Da un diario sottratto ad un soldato catturato durante l'offensiva<br />
del giugno 1918, si evince infatti che molti stupri vengono compiuti<br />
nell'assoluta certezza di riuscire impuniti, soprattutto quando del gruppo f<strong>anno</strong><br />
parte anche uffi ciali o sottuffi ciali.<br />
Un elemento da tenere in considerazione è quello <strong>della</strong> tipologia <strong>della</strong> violenza<br />
sessuale, che ha tutte le caratteristiche <strong>della</strong> serialità ma che, allo stesso<br />
tempo, è da considerarsi episodica. Vale a dire che gli stupri commessi sono<br />
numerosi, ma i singoli casi non risultano collegati fra loro. La violenza è seriale<br />
e continua, ma isolata, assomiglia maggiormente ad una violenza privata<br />
che ad una violenza sistematica di tipo militare. Nel quadro generale dell'occupazione<br />
lo stupro venne considerato dalle autorità militari un reato minore,<br />
percepito sì come un crimine terribile, ma sostanzialmente paragonabile ad<br />
altri delitti contro la persona, soprattutto se non è seguito dall'uccisione <strong>della</strong><br />
vittima – ma si registrano ben 53 episodi di omicidio seguiti alla violenza –<br />
o di qualche suo famigliare. In sostanza, il trauma subìto dalla donna, tanto<br />
1 ACS, Commissione d'inchiesta, b. 2, verbale d'interrogatorio di Vladimiro Dogan, 16<br />
gennaio 1919.<br />
2 ACS, Commissione d'inchiesta, b. 1, fasc. 3, s/fasc. 3.1, testimonianza di A.C.: «Premetto<br />
che atti di violenza e tentativi di violenza carnale ne furono commessi specie nel primo<br />
periodo dell'occupazione dai germanici. Molte ragazze dovettero di notte per sfuggire i<br />
soldati, gettarsi dalle fi nestre e nascondersi nei campi. Io stessa attesto che nella notte del 1°<br />
Dicembre 1917 in presenza <strong>della</strong> famiglia (mamma sorelle e zia) fui schiaffeggiata e minacciata<br />
di morte col fucile per essermi sottratta a certe loro insistenze. Si vendicarono poi col<br />
portarci via un asino, un carro, del vino e grano».<br />
111
fi sico che psicologico, non viene tenuto in alcun conto.<br />
Nell'immediato dopoguerra, nei territori già occupati la tutela <strong>della</strong> cosiddetta<br />
moralità pubblica, <strong>della</strong> pace e dell'ordine delle famiglie, vengono considerate<br />
una necessità sociale. Poiché i bambini nati da violenza, per la loro pseudolegittimità,<br />
non possono essere accolti nei brefotrofi , è naturale che il fenomeno<br />
dei cosiddetti «fi gli <strong>della</strong> guerra», che di per sé costituisce un problema non<br />
solo per le donne che h<strong>anno</strong> subìto violenza, deve essere risolto in maniera<br />
rapida fornendo assistenza alle gestanti e ai loro fi gli.<br />
Per iniziativa di don Celso Costantini, nel dicembre 1918 viene fondato a Portogruaro<br />
un istituto denominato «Ospizio dei fi gli <strong>della</strong> guerra» con lo scopo<br />
di accogliere i bambini delle terre liberate – ma successivamente anche delle<br />
terre redente – concepiti durante l'<strong>anno</strong> dell'occupazione; ma nello statuto, per<br />
ovvie ragioni di carattere sociale, si specifi ca che sarà stata data la preferenza<br />
ai bambini «nati durante la guerra nelle terre liberate» 3 . Si tratta di quelli che<br />
in maniera ambigua vengono classifi cati come «incolpevoli fi gli <strong>della</strong> colpa,<br />
che non avevano diritto di nascere ma avevano diritto di vivere» 4 . Una delle<br />
priorità è infatti quella di evitare che i bambini siano a loro volta vittime di<br />
violenza all'interno <strong>della</strong> famiglia o addirittura uccisi dalla madre o dal marito,<br />
come qualche misteriosa scomparsa – è il caso di Cison – può far supporre:<br />
«Qualche ragazza e 6 o 7 coniugate stuprate da soldati Germanici, Austriaci,<br />
Ungheresi anche con violenza. In due rimase e si vede il frutto; nelle altre o<br />
esiste solo il dubbio e sospetto, ovv. fu fatto sparire. (Come?...)» 5 .<br />
Un tema, questo dell'infanticidio, largamente rimosso e che lascia pochissimi<br />
indizi, se non nelle fonti giudiziarie che, in questo senso, forniscono<br />
degli elementi molto precisi, anche se non aiutano a chiarire fi no in fondo il<br />
confi ne tra la morte naturale e quella provocata accidentalmente o volontariamente.<br />
L'aborto e la soppressione fi sica del bambino appena nato con il successivo<br />
occultamento del corpo, rimangono delle opzioni entrambe terribili,<br />
3 L'Ospizio dei fi gli <strong>della</strong> guerra sarà eretto ad ente morale con R.d. 10 agosto 1919, n.<br />
1508, assumendo la denominazione di «Istituto S. Filippo Neri per la prima infanzia». Fino<br />
ad allora l'Ospizio viene sostenuto con l'assistenza del Segretariato generale per gli affari<br />
civili del Comando supremo, del Ministero per le terre liberate, delle Amministrazioni provinciali<br />
e <strong>della</strong> carità pubblica. L'Istituto di Portogruaro, poi trasferito a Castions di Zoppola,<br />
accoglierà complessivamente 353 «fi gli <strong>della</strong> guerra»; Celso Costantini, Foglie secche. Esperienze<br />
e memorie di un vecchio prete, Tipografi a Artistica, Roma 1948, pp. 327-333; Andrea<br />
Falcomer, Gli «orfani dei vivi». Madri e fi gli <strong>della</strong> guerra e <strong>della</strong> violenza nell attività<br />
dell Istituto San Filippo Neri (1918-1947), in «DEP. Deportate, esuli, profughe. Rivista<br />
telematica di studi sulla memoria femminile», 2009, n. 10, pp. 76-93.<br />
4 Opera d'assistenza per i fi gli <strong>della</strong> guerra, Tipografi a Libreria Emiliana, Venezia 1921, p. 7.<br />
5 ACS, Commissione d'inchiesta, b. 3, fasc. 49, relazione di don Carlo Tomio alla Reale<br />
Commissione d'inchiesta sulle violazioni del diritto delle genti commesse dal nemico, 11<br />
marzo 1919.<br />
112
soprattutto per il contesto in cui possono maturare – la paura <strong>della</strong> puerpera<br />
di fronte al giudizio <strong>della</strong> comunità o <strong>della</strong> famiglia, il ritorno del marito dal<br />
fronte – e che aggiungono comunque violenza alla violenza. In defi nitiva,<br />
gli stupri, con tutto ciò che ne consegue in termini di trauma per le vittime<br />
e di rapporti interpersonali all'interno delle famiglie interessate, rimangono<br />
degli episodi consegnati alla dimensione privata <strong>della</strong> guerra ai civili, quella<br />
dimensione che, come tale, nell'immediato dopoguerra non avrà alcuna forma<br />
di riconoscimento e di comprensione.<br />
Treviso resistente<br />
Per dirla con Jay Winter, durante la guerra gli spazi urbani vengono «nazionalizzati»,<br />
ovvero perdono progressivamente le loro caratteristiche locali<br />
assumendo i tratti militari, economici, culturali del confl itto che svolge, in<br />
questo senso, una funzione omologante. Anche le città venete sono percorse<br />
all'improvviso da migliaia di persone provenienti dal resto d'Italia: soldati,<br />
certo, ma anche tutto quel sottobosco composto di personale dei servizi logistici,<br />
operai militarizzati, medici e crocerossine, cappellani e giornalisti che<br />
arrivano per vedere sostenere, curare, raccontare la guerra «da vicino». Si<br />
modifi cano i luoghi <strong>della</strong> sociabilità urbana per la presenza di caserme, ospedali<br />
militari, case del soldato, postriboli, magazzini. Le città, tanto i centri<br />
storici che i quartieri periferici, «lavorano» esclusivamente in funzione dello<br />
sforzo bellico. Da questo punto di vista Treviso è immersa nel confl itto fi n<br />
dal maggio del '15, poiché rientra come il resto del Veneto nella cosiddetta<br />
«zona di guerra», quella porzione d'Italia in cui le autorità militari h<strong>anno</strong> la<br />
preminenza su quelle civili 6 ; inoltre, ha vissuto la paura di essere occupata<br />
già nel maggio-giugno del '16, quando l'offensiva austro-ungarica si era abbattuta<br />
sull'Altopiano di Asiago e migliaia di profughi si erano riversati nella<br />
pianura veneta.<br />
Come abbiamo visto, dopo la rotta militare Treviso è tappa obbligata per<br />
migliaia di soldati sbandati e di civili in fuga dal Carso e dal Friuli. Dentro le<br />
mura di una città «riboccante di profughi», funziona il Comitato per la preparazione<br />
civile che assiste spezzoni di famiglie, «fi gli senza genitori, spose<br />
senza mariti, vecchi sciancati, malati cascanti, signore e signori senza nulla,<br />
scalzi quasi tutti e mezzo nudi». Altri fuggiaschi vengono condotti a Fiera per<br />
essere imbarcati verso Chioggia e, qualche giorno dopo, il famigerato gene-<br />
6 La cosiddetta «zona di guerra» nel 1915 comprendeva le province di Udine, Belluno,<br />
Treviso, Venezia, Padova, Vicenza, Verona, Ferrara, Mantova, Brescia, Sondrio, oltre alle<br />
isole e ad alcuni comuni del litorale Adriatico dove vennero create delle piazze marittime.<br />
Nel corso del 1917, e in particolare dopo Caporetto, tale zona venne estesa a quasi tutta l'Italia<br />
settentrionale.<br />
113
ale Andrea Graziani reprime il disordine tra le truppe con esecuzioni sommarie<br />
7 . I luoghi delle «cartoline illustrate» <strong>della</strong> Treviso b<strong>org</strong>hese, dopo la concitazione<br />
dei primi giorni di novembre, diventano improvvisamente deserti e<br />
muti: anche migliaia di trevigiani se ne sono andati, a cominciare da coloro<br />
che rivestono cariche pubbliche, gli stessi che h<strong>anno</strong> invitato la popolazione<br />
alla calma e a non abbandonare la città. Rimangono al loro posto solamente il<br />
«vescovo del Montello», Andrea Giacinto Longhin, e l'umanità di marginali<br />
che emerge dal suggestivo affresco che ci ha fornito Livio Fantina: questuanti<br />
e vagabondi, ladri e prostitute, ma anche la Treviso popolare dei quartieri fuori<br />
dalle mura, che non può certo lucrare sulla guerra che qui si vede, si sente,<br />
si tocca 8 . Nel giugno del '18, prima di diventare il capoluogo <strong>della</strong> «provincia<br />
<strong>della</strong> vittoria», la città vive un ultimo sussulto, con le sue vie percorse dai<br />
feriti nella battaglia del Solstizio e con il rischio di venire travolta dall'ultima<br />
offensiva dell'Austria-Ungheria.<br />
Tornando alle vicende immediatamente successive a Caporetto, a Treviso i<br />
funzionari rientrano in sede in seguito ad una circolare del Comando supremo<br />
del 15 novembre, ma gli uffi ci funzionano molto irregolarmente, in particolare<br />
i servizi di stato civile ed anagrafi co. Le diffi coltà quotidiane con la città semideserta,<br />
i molti negozi chiusi, le necessità di carattere militare, impongono<br />
anche a queste categorie di impiegati una serie di restrizioni al loro normale<br />
tenore di vita. Lo stesso accade a Padova, Vicenza e Venezia dove i funzionari<br />
civili chiedono ripetutamente al Governo di essere tutelati e in qualche modo<br />
indennizzati in conseguenza dei maggiori disagi derivanti dal loro obbligo di<br />
residenza. Nei mesi successivi il Ministero dell'Interno si mantiene sempre<br />
contrario ad uno sgombero prudenziale, come del resto il Comando supremo,<br />
che lo considerava del tutto inutile in quanto la popolazione che potrebbe<br />
permetterselo e che non ha particolari obblighi di residenza parte già quotidianamente<br />
in modo spontaneo e alla spicciolata, oppure si allontanerebbe<br />
solo se costretta da un pericolo imminente: «Neppure gli abitanti dei territori<br />
già invasi i quali si sono rifugiati nei territori immediatamente retrostanti, si<br />
lasciano indurre ad abbandonare la nuova residenza provvisoria e ne preferiscono<br />
i disagi e i pericoli al trasferimento nell'interno del paese, pur di rimanere<br />
meno lontani dai loro Comuni d'origine» 9 .<br />
Sfollati, sgomberati, profughi<br />
7 Marco Pluviano, Irene Guerrini, Le fucilazioni sommarie nella Prima guerra mondiale,<br />
Paolo Gaspari Editore, Udine 2004, pp. 185-192.<br />
8 Livio Fantina, Grande Guerra a Treviso: l'ultimo <strong>anno</strong>, in Venezia, Treviso e Padova<br />
nella Grande Guerra, Istresco, Treviso 2008, pp. 59-141.<br />
9 ACS, Guerra europea, b. 74 bis, fasc. 19.2bis.11, Armando Diaz a Vittorio Emanuele<br />
Orlando, 5 aprile 1918.<br />
114
Fin dalla metà di novembre del 1917 le autorità militari ordinano l'immediata<br />
evacuazione dei comuni ancora non occupati, in particolare di Pederobba,<br />
Cavaso, Possagno, Monfumo, Cornuda, Crocetta Trevigiana, Arcade,<br />
Nervesa, Spresiano, Maserada e Zenson di Piave, quasi tutti paesi rivieraschi<br />
del Piave; oltre a questi, all'inizio devono essere sgomberati anche altri comuni<br />
del distretto di Asolo, cioè Castelcucco, Paderno, Crespano Veneto, Borso,<br />
Fonte, S. Zenone degli Ezzelini, ma il prefetto convince i comandi militari a<br />
concedere il permesso di rimanere, a loro rischio e pericolo, alle persone che<br />
lo desiderano 10 . Comincia dunque un secondo esodo, questa volta forzato,<br />
ma non dissimile nelle forme da quello <strong>della</strong> zona già invasa 11 . Sui profughi<br />
<strong>della</strong> riva destra del Piave, la lettura di Gaetano Pietra, anche se un po' troppo<br />
schematica, è sostanzialmente corretta:<br />
Da prima si allontanarono i paurosi e più che altro le classi elevate. La classe dei contadini<br />
non si allontanò: fu invitata ad allontanarsi verso la fi ne di novembre per lasciare alloggio<br />
alle nostre truppe, ma si ritirò di pochi chilometri verso Treviso, avendo trovato ospitalità<br />
presso altre famiglie di contadini. La classe operaia invece si allontanò quasi in massa e fu<br />
inviata con treni speciali in varie località interne dell'Italia 12 .<br />
Nella maggior parte dei casi i profughi partono scaglionati utilizzando la<br />
ferrovia, ma non mancano coloro che si allontanano con mezzi propri, sperando<br />
di trovare un temporaneo ricovero nelle zone considerate fuori pericolo<br />
13 . Un problema che investe anche i parroci ai quali, per quanto riguarda la<br />
10 Le incursioni aeree dei mesi successivi rendono giustifi cabile il provvedimento di parziale<br />
sgombero anche per Treviso, Montebelluna e Castelfranco. Tra l'aprile e il maggio del<br />
1918 vengono sgomberati i comuni di Asolo, Castelcucco, e ancora Monfumo, ma devono<br />
abbandonare le loro case anche alcune famiglie di Povegliano, Merlengo, Arcade, Selva di<br />
Volpago. Dopo l'offensiva del giugno viene disposto l'arretramento <strong>della</strong> popolazione di Volpago,<br />
Caerano S. Marco, Povegliano, Villorba, Ponzano, Breda, S. Biagio, Carbonera, Monastier<br />
e Roncade; ASTv, Gabinetto di prefettura, b. 29, fasc. «Comuni sgombrati», Prefetto<br />
di Treviso a Commissario Generale dell'Emigrazione, 26 agosto 1918.<br />
11 Sui civili sgomberati dall'Asolano e dal Montebellunese, cfr. Benito Buosi, Dietro le<br />
linee del Grappa e del Montello, in Il Veneto e Treviso tra Settecento e Novecento. XVII Ciclo<br />
di conferenze, Comune di Treviso, Treviso 2001, pp. 47-68 (ora anche in Storie <strong>della</strong> Grande<br />
Guerra, a cura di Stefano Gambarotto, Istrit, Treviso 2009, pp. 5-62).<br />
12 Gaetano Pietra, Gli esodi in Italia durante la guerra mondiale (1915-1918), Tipografi a<br />
Failli, Roma 1938, p. 21.<br />
13 Si veda, ad esempio, la testimonianza di Attilia Barbon Pedrina, profuga di Spresiano,<br />
riportata in Giuliano Simionato, Spresiano. Profi lo storico di un comune, Marini, Villorba<br />
1990, p. 501: «[…] mio padre scavò una buca dietro la casa e vi seppellì assieme alla macchina<br />
da cucire la dote che mia sorella stava preparando, perché aveva espresso il desiderio di<br />
farsi suora. Salimmo […] su di un carro coperto dove avevano trovato posto coperte, qualche<br />
indumento e alcune stoviglie. Dietro al carro trainato dai nostri due buoi era legata la mucca<br />
115
diocesi di Treviso, il vescovo Longhin ha ordinato di rimanere entro i limiti<br />
<strong>della</strong> parrocchia o comunque <strong>della</strong> diocesi, diversamente invece da quanto<br />
viene disposto dai vescovi di Padova e di Vicenza 14 . Per la presenza <strong>della</strong><br />
stazione ferroviaria, Montebelluna diventa un luogo di passaggio obbligato,<br />
sia per i profughi provenienti dal Cadore e dalla Val Brenta che devono seguire<br />
la linea Montebelluna-Castelfranco-Vicenza-Verona, sia per quelli del<br />
medio Tagliamento che vengono inoltrati sulla linea Susegana-Montebelluna-Castelfranco-Padova;<br />
quelli del basso Tagliamento invece passano per la<br />
linea Motta-Treviso-Mestre-Padova e quelli <strong>della</strong> provincia di Treviso vengono<br />
imbarcati a Sant'Ambrogio di Fiera, scendono il Sile e poi arrivano fi no<br />
a Chioggia.<br />
A partire dal 10 novembre 1917, a Montebelluna vengono sgombrate le<br />
località Montello, Pederiva, la parte superiore di Biadene e quella orientale<br />
di Rive e Mercato Vecchio, compresa anche la parte superiore di Caonada,<br />
le località di Pieve e di Guarda 15 . Dei circa 138.000 profughi <strong>della</strong> provincia<br />
di Treviso quelli del distretto di Montebelluna ammontano a 26.775,<br />
circa il 53% <strong>della</strong> popolazione dei comuni interessati 16 ; solo il distretto di<br />
Treviso, in termini numerici, conterà più profughi. Di questi, circa 5.000<br />
rimangono in provincia di Treviso durante tutto il 1918, in gran parte nella<br />
Castellana; altri 1.300 vengono ricoverati nel Padovano. Per tutti gli altri<br />
si prospetta un trasferimento molto più lungo in altre province d'Italia. Al<br />
di fuori del Veneto, se si esclude la provincia di Milano che ospiterà quasi<br />
2.000 profughi, le due province in cui vengono inviate il numero maggiore<br />
di persone del distretto di Montebelluna sono Campobasso e Catania<br />
dove trover<strong>anno</strong> ricovero quasi 1.000 profughi. Poi, nell'ordine, seguono le<br />
province di Alessandria, Bari, Torino, Genova, Palermo, Teramo, Bergamo,<br />
Pavia, Firenze. Nell'aprile del 1918 nella metà <strong>della</strong> provincia di Treviso<br />
non invasa sarebbero stati ricoverati circa 40.000 profughi; nell'agosto<br />
che ci fornì il latte durante tutto il lungo viaggio». In questa maniera arrivano fi no a Firenze<br />
e poi trovano fi nalmente un ricovero in provincia di Siena.<br />
14 Lettera del vescovo di Treviso Andrea Giacinto Longhin al card. Pietro Gasparri, 18<br />
novembre 1917, pubblicata in I vescovi veneti cit., pp. 273-274.<br />
15 Nel diario del cappellano <strong>della</strong> parrocchia di Montebelluna i tratti <strong>della</strong> «Caporetto interna»<br />
sono del tutto evidenti; si veda Antonio Dal Colle, Diario di guerra durante l'Offensiva<br />
sul Piave, a cura di Paolo Asolan e Gianna Galzignato, Grafi che Antiga, Cornuda 1997,<br />
pp. 32-33: «Le famiglie di S. Gaetano ne sono piene, in qualche famiglia ci sono 20, 30 e più<br />
profughi. Anche gli eroi di Montebelluna che in 8 giorni doveano portarsi a casa Trieste in<br />
saccoccia se ne sono andati in fretta. Forse si sar<strong>anno</strong> fermati a Napoli, oppure sono ancora<br />
a gambe levate. I palazzi di Pieve chiusi, chiusi i negozi, le botteghe. I soldati non trovano<br />
più da mangiare».<br />
16 Ministero per le Terre Liberate, Censimento dei profughi di guerra, Tipografi a del Ministero<br />
dell'Interno, Roma 1919, p. 222.<br />
116
successivo sarebbero scesi a quasi 25.000, 19.000 dei quali ricoverati nel<br />
distretto di Castelfranco. Il loro peso su questi comuni è comunque enorme,<br />
basti pensare ai problemi <strong>anno</strong>nari, al contingentamento dei generi alimentari,<br />
al fatto che molti paesi vedono quasi raddoppiata la popolazione dopo<br />
l'arrivo dei profughi, con evidenti problemi di ordine pubblico, ma anche di<br />
gestione dell'emergenza alimentare e sanitaria. Un esodo in massa delle popolazioni<br />
rurali, dovuto ad un eventuale sgombero totale dei comuni lungo<br />
la riva destra del Piave, risulterebbe deleterio anche per le colture agricole.<br />
Sarebbe più auspicabile, invece, spostare di nuovo i profughi ospitati nella<br />
metà <strong>della</strong> provincia non invasa, in modo da rendere possibile, in caso di<br />
necessità, l'esodo completo dai comuni lungo il Piave 17 . Ma esistono anche<br />
altre ragioni legate allo stato d'animo di questi profughi e al loro rapporto<br />
con la popolazione locale. Ad esempio, quelli di Pederobba, circa un migliaio,<br />
sono concentrati a Bessica e costituiscono «una pericolosa riunione<br />
di gente malcontenta, bisognosa, avvilita moralmente e materialmente» 18 .<br />
Protestano perché sono stati costretti ad abbandonare nel loro comune le<br />
provviste e il bestiame e per le condizioni in cui versano, essendo alloggiati<br />
in stalle e in edifi ci al pianterreno; a ciò si aggiunge anche il risentimento<br />
nei confronti delle truppe italiane che h<strong>anno</strong> operato spogliazioni nel comune<br />
sgombrato. Portavoce delle lamentele nei confronti del governo e delle<br />
autorità militari è il parroco che esercita un forte ascendente nei confronti<br />
dei suoi parrocchiani, diversamente dagli amministratori, invisi agli stessi<br />
profughi perché colpevoli di non occuparsi dei loro bisogni. Il possibile<br />
trasferimento di queste persone – a lungo rinviato perché desiderano essere<br />
inviate in località rurali dove possono trovare facilmente un impiego essendo<br />
in gran parte agricoltori 19 – sarebbe gradito anche dalla popolazione di<br />
Bessica:<br />
La popolazione indigena di Bessica non è però molto favorevole alla permanenza in quella<br />
b<strong>org</strong>ata dei profughi, e sarebbe più lieta di avere truppe; ma forse vi è in questo desiderio<br />
un sentimento egoistico e di guadagno. E' fuor di luogo però che la presenza dei profughi<br />
in quella località, ove tengono un contegno ed un linguaggio di malcontento permanente, e<br />
serpeggia tra di loro un vivo fermento contro il Governo e le Autorità tutte, infl uisce molto<br />
sinistramente sulle nostre truppe, che indirettamente subiscono una morale depressione 20 .<br />
17 ACS, Comando Supremo, Segretariato generale per gli affari civili (Sgac), b. 785, prefetto<br />
di Treviso a presidente del Consiglio, 24 aprile 1918.<br />
18 Ivi, Comando <strong>della</strong> 4<br />
117<br />
a Armata a Segretariato generale per gli affari civili, 28 gennaio<br />
1918.<br />
19 ACS, Copialettere, prefetto di Treviso a ministero dell'Interno, 28 maggio 1918.<br />
20 ACS, Sgac, b. 785, Commissario di P.S. a Comando supremo - Servizio informazioni<br />
<strong>della</strong> 4a Armata, 23 gennaio 1918.
Una situazione analoga interessa i circa 1.600 profughi di Possagno sgombrati<br />
tra il 13 e il 16 novembre, ricoverati provvisoriamente presso le famiglie<br />
contadine di Ca' Rainati, una frazione di S. Zenone degli Ezzelini, e poi<br />
inviati nel giugno successivo nelle province di Palermo e di Trapani; il loro<br />
trasferimento in Sicilia verrà motivato con la necessità di liberare i locali dei<br />
fabbricati rurali per permettere la coltivazione dei bachi da seta, ma in realtà<br />
nella decisione avr<strong>anno</strong> un peso anche le esigenze dei reparti <strong>della</strong> 4 a Armata<br />
dislocati nella pedemontana del Grappa 21 .<br />
Dunque nel Montebellunese e nella Castellana trovano temporaneo ricovero<br />
molti profughi provenienti dai comuni che sono venuti a trovarsi a ridosso<br />
<strong>della</strong> linea del fronte, in particolare dalla pedemontana del Grappa, dall'Asolano<br />
e dalla stessa zona del Montello, in particolare Arcade, Nervesa, Giavera,<br />
Volpago, Crocetta, Cornuda e Pederobba. In tutti questi casi si tratta di un<br />
arretramento temporaneo anche nel tentativo di limitare gli effetti di uno sradicamento<br />
<strong>della</strong> popolazione dai quei paesi. Questa situazione comporta però<br />
la tendenza a ritornare periodicamente nei comuni di residenza per cercare di<br />
mettere in salvo i propri beni abbandonati durante lo sgombero improvviso;<br />
un problema di ordine pubblico che giustifi ca un ulteriore allontanamento dei<br />
profughi, anche in vista di una possibile offensiva nemica che potrebbe riversare<br />
nelle retrovie del fronte italiano una nuova ondata di fuggiaschi, come<br />
temono tanto il Comando supremo che quello <strong>della</strong> 65 a Divisione francese<br />
che operava in quella zona 22 .<br />
Nel frattempo anche in molti dei comuni limitrofi a Treviso – soprattutto a<br />
Monastier, S. Biagio di Callalta, Roncade e Casier – si sono raccolti numerosi<br />
profughi provenienti in gran parte dai paesi <strong>della</strong> destra del Piave, ospitati<br />
in maniera provvisoria presso abitazioni private, stalle e fi enili. Le diffi coltà<br />
logistiche, aggravate in questo caso dalle esigenze militari, impongo che<br />
almeno una parte di questi profughi – in tutto erano 7.624 – sia entro breve<br />
tempo trasferita all'interno del Regno, dove peraltro quasi nessuno vuole<br />
andare per le continue voci che arrivano circa i problemi alimentari. Per<br />
alcune settimane, comunque, questi profughi continuano a rimanere a ridosso<br />
<strong>della</strong> prima linea, a stretto contatto con i reparti militari, e molti di loro – in<br />
21 Massimiliano Pavan, Profughi ovunque dai lontani monti... Da la Grapa fi n dó in Secilia,<br />
Canova, Treviso 1987, pp. 36-81.<br />
22 ACS, Copialettere, prefetto di Treviso a ministero dell'Interno, 21 dicembre 1917. Nel<br />
dicembre del '17, soltanto nel comune di Asolo sono alloggiati provvisoriamente circa 800<br />
profughi, in gran parte provenienti da Cavaso, Cornuda e Onigo; Archivio storico <strong>della</strong> Curia<br />
vescovile di Treviso (ASCVT), Fondo Chimenton, b. 50, fasc. «Asolo», don Angelo Brugnoli<br />
al vescovo di Treviso Andrea Giacinto Longhin, 28 dicembre 1917.<br />
118
particolare numerose donne – vengono impiegati nei cantieri istituiti per la<br />
lavorazione dei materiali da trincea.<br />
Ma il 27 dicembre il Comando del XIII Corpo d'Armata ordina che tutto<br />
il territorio di sua competenza posto alla sinistra del Sile sia sgombrato dai<br />
circa 6.000 profughi che vi rimangono. Tra il 5 e il 12 gennaio vengono<br />
inoltrate verso l'interno, nonostante la loro riluttanza, 2.800 persone; e per<br />
costringere gli altri a partire, le autorità militari cessano la distribuzione dei<br />
viveri 23 . Dal 9 gennaio al 21 marzo sar<strong>anno</strong> allontanate dai paesi a ridosso<br />
<strong>della</strong> zona d'operazioni circa 1.700 persone, in gran parte provenienti da<br />
Musile, Monastier, Arcade, Spresiano e Falzè di Trevignano. Dal 21 marzo<br />
al 29 maggio è la volta di altre 5.545 persone, in gran parte già sfollate dai<br />
comuni rivieraschi del Piave e che erano provvisoriamente residenti nella<br />
pedemontana del Grappa e nella Castellana. Nonostante interessi persone già<br />
profughe, questo trasferimento – dettato anche da necessità di ordine sanitario<br />
in quanto molti di questi profughi dimorano da mesi in stalle e fi enili in<br />
condizioni che potrebbero facilitare la diffusione di malattie infettive – viene<br />
accettato di buon grado. Tra questi, vi sono anche 895 profughi dei comuni<br />
di Fonte, Paderno, Fietta, Crespano, Borso, S. Zenone degli Ezzelini, Pove,<br />
Romano, Mussolente e Bassano partiti da Cassola in due scaglioni, il 24 e 26<br />
aprile. Il loro sarà un viaggio molto lungo. Dopo lo smistamento avvenuto a<br />
Castellammare di Stabia, 325 vengono inviati in provincia di Lecce, quasi la<br />
metà a Gallipoli, gli altri suddivisi tra i comuni di Scorrano, Tricase, Galatone,<br />
Squinzano, Casarano, Nardò 24 ; l'altro contingente viene invece indirizzato a<br />
Celano (L'Aquila), dove i profughi sar<strong>anno</strong> bene accolti dalla popolazione<br />
ed alloggiati in abitazioni già predisposte da tempo 25 . Se infatti coloro che<br />
sono stati destinati nel Salento vengono «condotti come pecore randage»,<br />
quelli ospitati a Celano «ebbero per ciascuna famiglia casa propria in legno,<br />
arnesi da cucina e materasso e due lenzuola per ciascuno; L. 1.25 od 1.50<br />
giornaliere di sussidio e facilitazioni per impiegarsi», sebbene sia «nominale<br />
più che effettivo l'<strong>org</strong>anico per il collocamento dei profughi» 26 . Altre 9.418<br />
persone sar<strong>anno</strong> allontanate dal 3 al 24 giugno, anche se la prefettura ne aveva<br />
previsto lo sgombero di 21.221 27 . Oltre ai profughi dei comuni rivieraschi<br />
23 AST, Gabinetto di prefettura, b. 29, fasc. «Comuni sgombrati», relazione del Commissario<br />
prefettizio per la zona del XIII Corpo d'Armata, [febbraio 1918].<br />
24 ASCVT, Fondo Chimenton, b. 50, fasc. «Asolo», don Angelo Brugnoli al vescovo di<br />
Treviso Andrea Giacinto Longhin, 24 maggio 1918.<br />
25 ACS, Copialettere, sottoprefetto di Avezzano a ministero dell'Interno, 29 aprile 1918.<br />
26 Diario di padre Giovanni D'Ambrosi, citato in Pavan, Profughi ovunque dai lontani<br />
monti cit., p. 76.<br />
27 ACS, Guerra europea, b. 74 bis, fasc. 19.2bis.11, «Relazione sui criteri seguiti negli<br />
sgombri di popolazione dopo il ripiegamento fi no alla battaglia del Piave», 18 luglio 1918. Al<br />
119
del Piave e <strong>della</strong> zona del Montello, questa misura interesserà anche quelli di<br />
Possagno partiti il 3 e 6 giugno in due scaglioni di 800 ciascuno; destinati a<br />
Palermo dove sarebbero dovuti rimanere uniti, verr<strong>anno</strong> tuttavia suddivisi tra<br />
vari comuni anche <strong>della</strong> provincia di Trapani, come Castellammare del Golfo,<br />
Alcamo, Calatafi mi, Salemi e Ninfa 28 .<br />
Disfattisti e internati<br />
Nella Destra Piave la situazione sociale, a cominciare da Treviso città, è<br />
dunque ben diversa dalla zona invasa, nonostante una parte dei comuni siano<br />
sgomberati e di fatto diventati zona di operazioni, mentre altri risultano essere<br />
immediata retrovia e caratterizzati dalla problematica convivenza tra militari<br />
e civili che sono in gran parte sfollati. Uno degli aspetti ancora poco tematizzati<br />
è quello <strong>della</strong> repressione del disfattismo che avviene o attraverso la misura<br />
dell'internamento oppure attraverso l'applicazione del cosiddetto decreto<br />
Sacchi, approvato nell'ottobre del 1917 (4 ottobre 1917, n. 1561) sull'onda<br />
dei fatti di Torino dell'agosto precedente. Gli internamenti si concentrano in<br />
particolare in tre momenti: i primi mesi di guerra, l'estate del 1917 all'altezza<br />
dei fatti di Torino e le settimane successive a Caporetto. Durante la prima fase<br />
gli internamenti costituiscono quasi sempre un provvedimento preventivo, un<br />
provvedimento di pubblica sicurezza basato sulla potenziale capacità di una<br />
persona di arrecare d<strong>anno</strong> alle operazioni militari e all'interno di tutta la zona<br />
di guerra. Il provvedimento viene preso dal Comando supremo, non ci sono<br />
né istruttorie né processi, quindi nemmeno revisioni. Le categorie di soggetti<br />
colpiti dalla misura dell'internamento sono sostanzialmente tre: gli abitanti<br />
delle zone occupate 29 ; i residenti in zona di guerra che possono nuocere alla<br />
sicurezza militare; le persone al di fuori <strong>della</strong> zona di guerra nei cui confronti<br />
non è possibile intervenire per via giudiziaria e in questo caso il provvedimento<br />
veniva deciso dalle autorità di Pubblica sicurezza. In queste categorie<br />
provvedimento di sgombero sono interessati i comuni di Casale sul Sile, Roncade, Monastier,<br />
S. Biagio di Callalta, Breda di Piave, Carbonera, Maserada, Villorba, Povegliano Volpago,<br />
Montebelluna, Caerano S. Marco, Maser e Loria.<br />
28 Pavan, Profughi ovunque dai lontani monti cit., p. 97.<br />
29 Si veda Camillo Medeot, Storie di preti isontini internati nel 1915, Quaderni di Iniziativa<br />
Isontina, Gorizia 1969; maggiormente articolata la sintesi di Sara Milocco e Gi<strong>org</strong>io<br />
Milocco, «Fratelli d'Italia». Gli internamenti degli italiani nelle «terre liberate» durante la<br />
grande guerra, Paolo Gaspari Editore, Udine 2002, che rappresenta uno studio approfondito<br />
sugli internati provenienti dal distretto di Cervignano. Ma si vedano anche Giovanna Procacci,<br />
L'internamento di civili in Italia durante la prima guerra mondiale. Normativa e confl itti<br />
di competenza, in «DEP. Deportate, esuli, profughe. Rivista telematica di studi sulla memoria<br />
femminile», 2006, n. 5-6, pp. 33-66; Matteo Ermacora, Le donne internate in Italia durante<br />
la Grande Guerra. Esperienze, scritture e memorie, in «DEP. Deportate, esuli, profughe.<br />
Rivista telematica di studi sulla memoria femminile», 2007, n. 7, pp. 1-32.<br />
120
possiamo individuare diverse tipologie come socialisti, anarchici, clericali,<br />
che rimandano però ad altri soggetti: amministratori locali, segretari comunali,<br />
sindacalisti, segretari di partiti contrari alla guerra, parroci; e, ancora, pacifi<br />
sti, antimilitaristi, renitenti, disertori, spie vere o presunte, austriacanti 30 .<br />
In questo quadro non sono secondarie nemmeno altre categorie sociali che<br />
s'intrecciano con quelle ricordate e che vengono considerate potenzialmente<br />
pericolose: operai militarizzati, contrabbandieri, prostitute, mendicanti e<br />
marginali.<br />
Dopo Caporetto la misura dell'internamento viene proposta e adottata nei<br />
confronti di numerosi sacerdoti del Veneto che ora si trovano a ridosso <strong>della</strong><br />
nuova linea del fronte e che sono accusati di deprimere lo spirito pubblico<br />
durante le prediche domenicali, seminando il panico con notizie allarmanti,<br />
chiedendo la pace ed esaltando i soldati austro-ungarici. Il loro contatto<br />
con le popolazioni rurali, sulle quali ha presa solo la parola del prete, spesso<br />
costituisce un motivo per procedere con gli internamenti. Tra i sacerdoti del<br />
Trevigiano proposti per l'internamento è da segnalare don Carlo Noè, vicario<br />
a S. Elena di Lughignano, che ha posto in rilievo, esagerandoli, i danni <strong>della</strong><br />
ritirata, riuscendo così a creare nell'animo <strong>della</strong> popolazione «un pericoloso<br />
desiderio di pace a qualunque costo». Nel novembre 1917, dopo la messa,<br />
avrebbe poi trattenuto solo le madri e le mogli dei soldati «esortandole a far<br />
comprendere ai rispettivi fi gli e mariti che la guerra ormai doveva fi nire».<br />
Non vi sono prove di questo episodio, ma viene ugualmente richiesto l'internamento<br />
«per troncare la sua opera nefasta» 31 . Denunce simili sono a carico<br />
dei parroci di Cendon e Casier, responsabili di aver depresso il sentimento<br />
patrio <strong>della</strong> popolazione e di aver diffuso notizie allarmanti. Chi viene invece<br />
allontanato è il parroco di Paese, don Attilio Andreatti, internato a Firenze nel<br />
gennaio del 1918 per aver invocato la pace e aver imprudentemente affermato<br />
quanto valorosi siano i tedeschi e che se gli italiani avessero ascoltato il papa<br />
non sarebbe avvenuta la rotta di Caporetto 32 .<br />
L'alto numero di segnalazioni e di proposte d'internamento e le misure poi<br />
30 Sugli aspetti repressivi nei confronti degli oppositori <strong>della</strong> guerra, rimandiamo a Giovanna<br />
Procacci, Dalla rassegnazione alla rivolta. Mentalità e comportamenti popolari nella<br />
grande guerra, Bulzoni, Roma 1999; Ead., La società come una caserma. La svolta repressiva<br />
nell'Italia <strong>della</strong> Grande Guerra, in «Contemporanea», VIII (2005), n. 3, pp. 423-445;<br />
Ead., Osservazioni sulla continuità <strong>della</strong> legislazione sull'ordine pubblico tra fi ne Ottocento,<br />
prima guerra mondiale e fascismo, in Militarizzazione e nazionalizzazione nella storia d'Italia,<br />
a cura di Piero Del Negro, Nicola Labanca, Alessandra Staderini, Unicopli, Milano 2005,<br />
pp. 83-96.<br />
31 ACS, Sgac, b. 345, fasc. «Carlo Noè», Comando CCRR del Comando del XIII Corpo<br />
d'Armata, 26 novembre 1917.<br />
32 ACS, Sgac, b. 342, fasc. «Attilio Andreatti».<br />
121
effettivamente adottate dopo Caporetto, inducono però in seguito le autorità<br />
militari a procedere con una certa prudenza. Nei primi mesi del '18 l'allontanamento<br />
di parroci ha assunto infatti proporzioni allarmanti, al punto che<br />
i vescovi di Treviso e di Padova chiedono a Diaz di intervenire. In effetti,<br />
nell'aprile il capo dell'esercito inviterà i comandi alla cautela per le ripercussioni<br />
che l'allontanamento dei sacerdoti potrebbero avere sullo spirito pubblico<br />
delle popolazioni locali. Si precisa che l'internamento è una «misura di<br />
polizia militare» e che prima di prenderla è necessario compiere delle verifi -<br />
che, tranne nel caso in cui si confi gurano dei reati. Le informazioni raccolte<br />
devono essere controllate interrogando le autorità locali, quelle di pubblica<br />
sicurezza e i vescovi dei sacerdoti sospettati. Si confi da anche nella gerarchia<br />
ecclesiastica e nei suoi richiami: i trasferimenti imposti dal vescovo potrebbero<br />
essere infatti meno sgraditi e più utili perché non provocano pericolose<br />
reazioni e agitazioni; gli internamenti, al contrario, rischiano di produrre l'effetto<br />
opposto a quello voluto 33 .<br />
La svolta imposta con il decreto Sacchi è evidente, in quanto si va a colpire<br />
«chiunque con qualsiasi mezzo commette o istiga a commettere un fatto che<br />
può deprimere lo spirito pubblico o altrimenti diminuire la resistenza del paese<br />
o recar pregiudizio agli interessi connessi con la guerra e con la situazione<br />
interna od internazionale dello Stato». Nel 1918 su 56 processi celebrati<br />
dal Tribunale di Treviso ben 35 riguardano reati commessi in violazione di<br />
tale decreto. In generale le pene comminate sono minime (pochi giorni di<br />
reclusione e ammende pecuniarie), ma è necessario sottolineare quanto poco<br />
basti per essere condannati, quasi sempre una frase fuori posto pronunciata in<br />
presenza di un uffi ciale, oppure di un cittadino pronto a trasformarsi in uno<br />
zelante delatore.<br />
Così nel gennaio 1918 il medico condotto di Trevignano, Leonida Carraro,<br />
viene condannato ad un mese di reclusione e ad un'ammenda di 100 lire per<br />
aver espresso «la convinzione che presto il Paese sarebbe stato invaso dai<br />
nemici che forse arriverebbero fi no al Po; che egli aveva sempre avuto il<br />
timore che le cose andassero a fi nire così; che egli era sempre stato neutralista<br />
e che non si sarebbe aspettato una vittoria italiana ma che però non credeva che<br />
l'invasione avvenisse così e che i nostri soldati si fossero così vigliaccamente<br />
ritirati […]» 34 . Un'ostessa di Treviso, Anna Gobbato, viene condannata a<br />
33 ACS, Sgac, b. 742, Armando Diaz ai Comandi delle Armate e ai Comandi dei Corpi<br />
d'Armata, 25 aprile 1918.<br />
34 Questa e le prossime citazioni sono tratte dalle sentenze rinvenute presso il Tribunale<br />
di Treviso da Paola Bruttocao, che qui ringrazio per avermene fatto avere copia. Una ricerca<br />
su questo aspetto del controllo politico sui civili sarebbe auspicabile anche in chiave di una<br />
storia sociale <strong>della</strong> popolazione in guerra.<br />
122
sei giorni di reclusione e ad un'ammenda di 15 lire per aver detto: «Vada a<br />
remengo il Governo e chi lo protegge. Se venissero i tedeschi si starebbe<br />
meglio». Il parroco di Volpago, don Luigi Panizzolo, viene processato<br />
ma poi assolto per aver istigato gli operai militarizzati a non lavorare nei<br />
giorni festivi. Un muratore e un contadino di Roncade vengono condannati<br />
rispettivamente a tre e a due mesi di reclusione per aver detto: «I signori h<strong>anno</strong><br />
portato via la borsa e la pelle, ed h<strong>anno</strong> lasciato qui la terra. Faremo i conti un<br />
giorno con loro ed io sarò il primo ad andar contro di loro». E ancora: «Dopo<br />
questa guerra dobbiamo fare la guerra civile». Tre contadini di Zero Branco<br />
vengono condannati ad un mese di reclusione per aver intonato una canzone<br />
disfattista e lo stesso avviene nei confronti di due contadini di Altivole. È<br />
evidente che con il decreto Sacchi siamo di fronte a un tornante decisivo che<br />
si fonda sull'indeterminatezza del reato, che lascia mano libera alle autorità di<br />
pubblica sicurezza e che aggrava, grazie alla sinergia tra la giustizia militare<br />
e quella ordinaria, la posizione dei soggetti accusati di antipatriottismo e di<br />
disfattismo.<br />
123
Il sottoportico dei Buranelli a Treviso. ISTRIT.
1915-1917. FRA CIVILI E MILITARI<br />
IN UNA PROVINCIA LACERATA DALLA GUERRA<br />
Stefano Gambarotto<br />
Lo stato di guerra<br />
Con lo scoppio delle ostilità Treviso è stata dichiarata zona di guerra. La<br />
provincia diviene pertanto soggetta a tutte le limitazioni che tale stato comporta,<br />
ivi comprese quelle sulla circolazione. Lo spirito delle norme che la<br />
disciplinano è quello di non pregiudicare la libertà di movimento delle popolazioni<br />
fi nché non sia «indispensabile a tutelare la sicurezza militare e ad<br />
eliminare tutto ciò che costituisce ingombro, senza dubbio d<strong>anno</strong>so ai servizi<br />
e ai movimenti delle truppe». Esse si f<strong>anno</strong> più restrittive man mano che ci<br />
si avvicina alla zona di combattimento. Le esigenze di sicurezza obbligano<br />
comunque i cittadini che si spostano da un paese all'altro ad essere sempre<br />
identifi cabili. A questo fi ne, qualora ne siano richiesti, essi possono esibire<br />
una tipologia molto ampia di documenti d'identità, <strong>della</strong> quale f<strong>anno</strong> parte<br />
«passaporti per l'interno, libretti ferroviari, tessere postali di riconoscimento,<br />
permessi di porto d'armi ecc.» Meno permissive sono invece le disposizioni<br />
relative ai mezzi di trasporto. È proibito servirsi dell'automobile o <strong>della</strong> motocicletta,<br />
considerati mezzi veloci, il cui uso è riservato ai militari. Può essere<br />
consentito ai civili previa autorizzazione, concessa solo «per gravi ed eccezionali<br />
interessi». Alle persone sospette è così impedito di muoversi rapidamente.<br />
Viaggiare con mezzi tradizionali, come il treno, il cavallo, la bicicletta<br />
oppure spostarsi a piedi, è invece consentito a tutti. Nel frattempo, una disposizione<br />
del comando supremo ha proibito le telefonate interurbane nelle zone<br />
di guerra. Le linee telefoniche interurbane Treviso-Venezia, Treviso-Padova,<br />
Treviso-Montebelluna, Montebelluna-Valdobbiadene, Montebelluna-Feltre e<br />
Montebelluna-Asolo sono riservate all'uso militare. Si tratta soltanto di alcuni<br />
esempi pescati a caso fra quel complesso e disarticolato insieme di divieti<br />
e costrizioni calati dall'alto che saldandosi con l'occupazione del territorio<br />
realizzata da soldati e lavoratori militarizzati, interviene a modifi care l'intero<br />
assetto del vivere sociale, producendo radicali cambi di abitudini e mentalità.<br />
Sono le inevitabili conseguenze <strong>della</strong> guerra in corso che divengono anche<br />
fonti di insofferenza. Nel comune sentire allora, i più ovvi terminali del risentimento<br />
popolare diventano i militari, lo stato e le élite dominanti, ovvero<br />
l'insieme delle forze che h<strong>anno</strong> strappato gli uomini alle famiglie, imposto la<br />
guerra e i suoi sacrifi ci e che ora st<strong>anno</strong> traendo da essa vantaggi personali<br />
senza accollarsene i rischi.<br />
125
Requisizioni e razionamenti<br />
Requisizioni e razionamenti sono un altro aspetto <strong>della</strong> vita quotidiana del<br />
periodo bellico. Fra il 1915 e il 1917 entrano in vigore una serie di provvedimenti<br />
destinati al controllo <strong>della</strong> produzione e dell'impiego di beni ritenuti<br />
importanti per gli sforzi militari del Paese. Sostanze come i grassi animali<br />
divengono all'improvviso importantissime perché dalla loro lavorazione si<br />
ottiene la glicerina, ingrediente fondamentale nella produzione di molti degli<br />
esplosivi allora conosciuti. Un decreto del 1916 dispone la «requisizione del<br />
grasso bovino ed ovino fresco colato (sego)». A Padova si insedia la «Sottocommissione<br />
Militare Requisizione Grassi», competente anche per le zone di<br />
Treviso e Belluno. I macellai e i colatori del territorio vengono precettati e<br />
obbligati «a denunciare al locale comando di stazione dei RR carabinieri la<br />
quantità – di grasso – da essi prodotta». Il commercio privato di tale sostanza<br />
viene proibito. Alle amministrazioni locali spetta l'obbligo di trasmettere<br />
ogni mese agli uffi ci padovani la «statistica dei capi di bestiame macellati in<br />
comune».<br />
Razionamento pelli bovine ed equine<br />
Nel dicembre del 1916, un altro decreto dà il via al «Censimento delle pelli<br />
bovine ed equine». Il passo successivo è la requisizione delle lane. Il provvedimento<br />
che la impone viene adottato ad aprile del 1917. Se per i grassi è<br />
competente Padova, la «Commissione requisizione Lane» si insedia invece a<br />
Verona. Per la provincia di Treviso i centri di raccolta inizialmente individuati<br />
sono tre: Verona, Vicenza e Legnano. Ben presto però, gli uffi ci veronesi<br />
<strong>della</strong> commissione nominer<strong>anno</strong> «raccoglitore principale il signor Vittorio<br />
Fano» la cui ditta è ubicata all'interno delle mura cittadine in «via S. Francesco<br />
10».<br />
Convivere con i militari<br />
Convivere con i militari insomma è tutt'altro che semplice. Fin da prima<br />
dello scoppio delle ostilità era previsto che ampi lavori difensivi dovessero<br />
essere realizzati nel territorio <strong>della</strong> Marca. Piste di atterraggio ed estesi<br />
sistemi di trincee avrebbero dovuto mutare l'aspetto del paesaggio rurale<br />
trevigiano. La costruzione di queste strutture produrrà un notevole impatto<br />
sulla vita delle popolazioni residenti poiché, com'è facilmente immaginabile,<br />
le necessità di natura militare che guidano la mano dei loro progettisti, ben<br />
diffi cilmente possono accordarsi con quelle sociali ed economiche dei civili.<br />
Quando al chiuso di un comando si tracciano linee sulle carte topografi che,<br />
è impossibile immaginare che esse si trasformer<strong>anno</strong> in altrettanti solchi sul<br />
126
terreno, destinati a deviare strade, ad interrompere canali irrigui e strade e<br />
ad impedire l'accesso alle coltivazioni. La trasformazione fi sica del paesaggio<br />
rurale che si realizzò con l'avvio dei cantieri per lo scavo di trincee e la<br />
costruzione di postazioni in cemento armato, infl isse al territorio profonde<br />
ferite che ostacolarono il movimento <strong>della</strong> popolazione lungo le strade, resero<br />
problematica la coltivazione di campi, alterarono il regime delle acque e<br />
richiesero l'abbattimento in gran quantità di piante e alberi da frutto. Ciò suscitò<br />
notevole malcontento soprattutto fra i contadini. Fino al momento in cui<br />
la rotta di Caporetto non sposta il fronte alle porte <strong>della</strong> città, la popolazione<br />
delle campagne non sembra cogliere in pieno la reale utilità del gigantesco<br />
sistema di fortifi cazioni che con le sue braccia ha contribuito a costruire. I<br />
cantieri del campo trincerato h<strong>anno</strong> rappresentato per tutti una buona occasione<br />
d'impiego. Per alcuni invece, quegli stessi cantieri si sono trasformati<br />
in un'allettante e inesauribile scorta di materiali da rubare durante la notte. Il<br />
problema ha raggiunto una tale gravità che il 22 marzo del 1917, il Comando<br />
del Presidio Militare di Treviso si rivolge ai sindaci di tutti i comuni interessati<br />
dai lavori avvertendo che chi sarà sorpreso a rubare nei cantieri verrà<br />
giudicato dalla giustizia militare e non da quella civile, poiché ha arrecato<br />
danni ad opere destinate alla difesa nazionale. I lavori per la realizzazione del<br />
«Campo trincerato di Treviso» iniziano nel 1916. Quello che i militari progettano<br />
di costruire è un esteso e fi tto sistema di trincee che dovrà circondare<br />
la città, sviluppandosi attraverso il territorio dei comuni di Quinto, Paese, Villorba,<br />
Ponzano Veneto, Breda di Piave, Carbonera, Melma (l'odierna Silea) e<br />
San Biagio di Callalta. L'opera dovrà poi collegarsi con le altre difese <strong>della</strong><br />
pianura veneta.<br />
Cantieri militari: la forza lavoro<br />
La partenza dei cantieri militari ridurrà signifi cativamente i bisogni dei disoccupati<br />
trevigiani che non sono ancora sotto le armi. Se nel 1915 i senza lavoro<br />
bussavano inferociti alle porte dei municipi in cerca di un'occupazione,<br />
a metà del 1916 sembra quasi impossibile trovare braccia da impiegare. La<br />
ricerca di operai civili da avviare ai lavori militari diviene addirittura ossessiva,<br />
con periodiche circolari inviate dalla prefettura ai sindaci del territorio.<br />
Attraverso di esse si fa leva sui sentimenti patriottici degli amministratori,<br />
spronandoli a svolgere attività di propaganda e reclutamento tra i propri cittadini.<br />
Durante l'inverno del 1917, si chiederà ai sindaci di concentrare le<br />
proprie attenzioni sugli sfollati. Nel «…reclutamento operai b<strong>org</strong>hesi – scrive<br />
la prefettura in un telegramma del 28 dicembre – siano esortati attivamente<br />
profughi guerra a voler reclutarsi «. Ai primi cittadini viene anche ricordato,<br />
127
affi nché la loro opera di convincimento sia più effi cace, che «…occorre far<br />
presente a detti profughi che oltre a corresponsione paghe loro lavoro verrà<br />
mantenuto sino a disposizione contraria sussidio spettante alla famiglia». I<br />
lavoratori che sceglievano di mettersi al servizio dell'esercito erano costituiti<br />
soprattutto da persone riformate alla prima visita di leva, poi i minorenni, di<br />
età compresa fra i quindici e i diciassette anni, ammessi al lavoro purché autorizzati<br />
dal padre e accompagnati da un parente e adulti fi no a sessant'anni,<br />
non più soggetti ad obblighi militari. Una delle destinazioni è il massiccio del<br />
Grappa.<br />
Requisizioni di case e terreni<br />
Una massa di persone che deve essere alloggiata e rifocillata tanto a Castagnole<br />
quanto in tutti i paesi di ognuno degli otto comuni dove si aprono<br />
i cantieri. Il problema dell'alloggiamento dei lavoratori militarizzati e <strong>della</strong><br />
truppa è sinonimo di requisizioni, con buona pace dei molti cittadini che si<br />
vedono costretti a cedere, loro malgrado, immobili e terreni per gli accampamenti.<br />
Il Genio militare apre in città un uffi cio per la gestione di tutte le<br />
pratiche relative. La sede è collocata poco fuori da porta San Tommaso (allora<br />
porta Mazzini), nell'allora Villa Sullan. Un passaggio <strong>della</strong> lettera del<br />
18 luglio del 1917, con la quale si invitano i cittadini a presentarsi per avere<br />
liquidate le proprie spettanze, è interessante perché lascia intravedere quale<br />
fosse il clima, tutt'altro che cordiale e collaborativo, dei rapporti fra militari e<br />
civili. Vi si legge infatti che se gli interessati non si presenter<strong>anno</strong> a riscuotere<br />
il dovuto entro i termini stabiliti, «la […] liquidazione dovrà rimandarsi ad<br />
epoca molto lontana, non potendo questo uffi cio subordinare a tali pratiche<br />
amministrative altre più importanti attribuzioni alle quali deve attendere».<br />
L'edifi cio o il terreno può rimanere occupato a tempo indeterminato e per<br />
alcuni cittadini fu effettivamente diffi cile rientrare in possesso <strong>della</strong> propria<br />
dimora anche anni dopo la fi ne <strong>della</strong> guerra.<br />
Requisizioni di carri e cavalli<br />
Naturalmente l'esercito non requisisce solo immobili e terreni. Quando i<br />
militari requisivano carri e cavalli, all'interessato non rimaneva in mano altro<br />
che un foglio di carta quale unico titolo del suo credito. Ciò dava spesso<br />
adito ad accese controversie che obbligavano i sindaci ad intervenire presso<br />
i diversi comandi per tutelare i loro amministrati. Accadeva a volte che il potere<br />
di requisizione degenerasse in vero e proprio abuso, accendendo ancora<br />
di più gli animi. Eloquente a tale proposito è una lettera trasmessa dal sindaco<br />
di Paese, Perotto, all'Uffi cio provinciale del Genio Militare di Treviso.<br />
128
«Con sommo rincrescimento – si legge – quest'amministrazione deve rendere<br />
noto alla S.V. illustrissima che vi furono e vi sono continui reclami sul conto<br />
dell'assistente dall'Olio per i suoi modi inurbani e prepotenti nel requisire<br />
carri, cavalli e carrozze privati, questi ultimi per fare i propri comodi e interessi.<br />
Ringraziando anticipatamente perché sia posto fi ne una buona volta a<br />
tali soprusi per evitare che i buoni e patriottici cittadini rimangano disgustati<br />
ed inaspriti. Prima di addivenire ad una determinazione, pregasi di rivolgersi<br />
a chi di dovere». Di fronte ai soprusi, non si può che ricorrere al Municipio.<br />
Laddove il sindaco era stato sostituito da un commissario prefettizio, non<br />
legato al territorio e quindi meno sensibile alle lamentele <strong>della</strong> popolazione,<br />
le possibilità di poter far valere i propri diritti si riducevano in modo consistente.<br />
Materiali da costruzioni: la ghiaia<br />
Con lo scoppio delle confl itto, la città di Treviso si ritrova ad essere il<br />
maggiore nodo ferroviario militare <strong>della</strong> guerra. Attraverso il capoluogo <strong>della</strong><br />
Marca passano le più importanti linee che conducono al fronte: la Mestre-<br />
Treviso-Pordenone-Casarsa-Udine e la Treviso-Motta di Livenza-San Vito al<br />
Tagliamento. Nel solo periodo 23 maggio – fi ne giugno 1915, vi transitano<br />
ben 7000 convogli diretti alle zone di combattimento. Treni che trasportano<br />
un'intera generazione di giovani soldati. Intanto però, le strutture ferroviarie<br />
cittadine sono divenute insuffi cienti. Per i lavori di ampliamento servono materiali<br />
da costruzione che devono esser reperiti in siti suffi cientemente prossimi<br />
al cantiere. Così, il 2 marzo 1917, Il Comando <strong>della</strong> Divisione Territoriale<br />
Militare di Padova, autorizza l'occupazione per due anni di terreni ubicati nel<br />
paese di Postioma «per i lavori di impianto di un binario» che dovrà collegare<br />
la stazione locale, situata sulla linea Montebelluna-Treviso, ad una cava<br />
destinata al «…riscavo di ghiaia occorrente per l'ampliamento <strong>della</strong> stazione<br />
di Treviso Porta Cavour (Santi Quaranta)». Una nuova occasione di lavoro<br />
per i pochi disoccupati ancora rimasti, prodotta dall'economia artifi ciale di<br />
guerra. Il binario che porta alla cava corre sopra ai terreni <strong>della</strong> parrocchia,<br />
di due privati e dell'Ospedale civile. La cava di Postioma peraltro, non sarà<br />
la sola nel territorio di Paese, da cui verrà prelevata ghiaia per uso militare e<br />
tanto la posa dei binari quanto l'attività estrattiva sar<strong>anno</strong> punteggiati da uno<br />
stillicidio di incidenti.<br />
La guerra dell'acqua<br />
Altra fondamentale risorsa per un territorio che vive di agricoltura è l'acqua.<br />
La gestione dell'acqua derivata dal Piave è consorziata e i contadini del-<br />
129
le singole frazioni di ogni comune interessato possono prelevarla dai canali<br />
di irrigazione rispettando turni fi ssati dai municipi in accordo con apposite<br />
commissioni di cittadini, presenti in ogni paese. La guerra in corso somma<br />
alle ordinarie esigenze dell'agricoltura quelle preponderanti <strong>della</strong> macchina<br />
militare, facendo perdere al delicato meccanismo gestionale di un bene tanto<br />
prezioso, il suo precario equilibrio. Già nel 1916, i comuni che f<strong>anno</strong> parte del<br />
consorzio «Brentella» debbono fare i conti con questa situazione. A giugno,<br />
il prezioso liquido viene improvvisamente a mancare nei canali irrigui. La<br />
distribuzione procede a singhiozzo per poi interrompersi del tutto. Con la fi la<br />
dei propri amministrati che premono alle porte dei comuni, i sindaci chiedono<br />
di sapere che cosa sta accadendo e quanto tempo sarà necessario perché le<br />
situazione torni alla normalità. La presidenza del Brentella comunica che per<br />
esigenze belliche, al consorzio manca ben la metà del personale normalmente<br />
addetto alla manutenzione delle opere irrigue. La presidenza non ha altra<br />
soluzione che chiedere all'esercito l'esonero temporaneo dal servizio militare<br />
degli operai necessari. Un <strong>anno</strong> più tardi il problema è destinato a ripresentarsi<br />
in modo ancora più grave. Nel 1917 infatti, non solo manca la mano d'opera<br />
necessaria ai lavori lungo la rete dei canali, perché gli operai sono sotto le<br />
armi, ma entrano in campo anche le necessità dell'esercito che, impegnato<br />
nelle opere di fortifi cazione <strong>della</strong> pianura, ha bisogno di grandi quantità d'acqua.<br />
Il solo modo per procurarla è quello di ridurre l'irrigazione dei campi. Da<br />
una nota che scrive in giugno il sindaco di Paese Michele Perotto si apprende<br />
infatti che «Per lavori urgenti del genio militare è indispensabile che l'acqua<br />
corra tutta per il canale principale per la durata di almeno sei ore continuative<br />
al mattino, togliendo tre ore all'orario [di prelievo per irrigazione n.d.r.]<br />
di Porcellengo e tre all'orario di Sovernigo. Pregasi di attenersi strettamente<br />
a quest'ordine altrimenti sarò costretto di sospendere l'irrigazione mediante i<br />
RR. CC.». L'acqua serve inoltre ad alimentare gli accampamenti delle truppe<br />
acquartierate intorno alla città. Per questo motivo l'Uffi cio idrico <strong>della</strong> IV<br />
Armata, intima al sindaco «di voler disporre un servizio di vigilanza […] acciocché<br />
nessuno senza ordine di questo uffi cio, apra o chiuda, le diramazioni<br />
del canale principale verso località che non accantonino truppe nazionali od<br />
alleate. Prego inoltre di voler disporre che gli abitanti delle vicinanze del canale<br />
non ritardino [in alcun modo] il corso dell'acqua». Dopo i furti di legname<br />
ai cantieri del campo trincerato, comincia così la guerra dell'acqua, che<br />
vede da un parte i militari chiedere la problematica sorveglianza di chilometri<br />
di canali e dall'altra la popolazione inferocita che cerca ogni possibile sotterfugio<br />
per procurarsi ciò di cui abbisogna. La crisi dell'acqua nel 1917 dunque,<br />
non giunge inattesa. Già in maggio infatti, sulla scorta di quanto accaduto<br />
130
l'<strong>anno</strong> precedente, la presidenza del Brentella ha messo sull'avviso i comuni<br />
consorziati, avvertendo che a metà giugno, vi sarebbe stata «una quantità<br />
d'acqua insuffi ciente». Ciò si deve al fatto che sono «state asportate tutte le<br />
roste ultimamente costruite per alimentare i canali di derivazione». È necessario<br />
quindi fabbricarne di nuove e procedere allo scavo di ulteriori canali. A<br />
questo punto però, ecco ripresentarsi lo stesso problema già emerso nell'estate<br />
del 1916: «per l'avvenuto richiamo sotto le armi di gran parte dei Brentellieri,<br />
si renderà impossibile la costruzione delle roste e con i soli escavi si<br />
potrà tutt'al più portare la Brentella ad un metro di altezza al ponte canale di<br />
Onigo», cioè ben sessanta centimetri al di sotto <strong>della</strong> normale portata estiva.<br />
Il consorzio fa quindi sapere che la realizzazione delle nuove derivazioni sarà<br />
tutt'altro che agevole. «…Anche agli escavi, - recita la circolare trasmessa ai<br />
sindaci - data la mancanza quasi assoluta di mano d'opera e l'impossibilità di<br />
trovare in Pederobba e dintorni un conveniente numero di operai, sarà diffi -<br />
cile provvedere e ad ogni modo, non potr<strong>anno</strong> venire eseguiti con la necessaria<br />
sollecitudine». Rispetto a quanto accaduto nel 1916, quest'<strong>anno</strong> c'è infatti<br />
una spiacevole novità. L'esercito ha rifi utato la proroga dell'esonero concesso<br />
al personale del Brentella addetto alla manutenzione delle opere irrigue. Il<br />
consorzio Brentella ha presentato ricorso contro la decisione dei militari, ma<br />
nel frattempo non può far altro che chiedere ai comuni che ne f<strong>anno</strong> parte, di<br />
attivarsi per reperire i 150 operai necessari. Ma nessuno è in grado di trovare<br />
gli uomini richiesti.<br />
La guerra <strong>della</strong> legna<br />
Ghiaia e acqua non sono però i soli materiali necessari ai cantieri militari.<br />
Il legname è un'altra fondamentale risorsa necessaria alla realizzazione di fortifi<br />
cazioni e baracche. Durante i mesi invernali poi, il suo consumo aumenta,<br />
poiché la legna viene impiegata anche come combustibile. Sul fi nire del 1917,<br />
dopo che il disastro di Caporetto ha trasformato le campagne in un gigantesco<br />
accampamento, ai civili il taglio di ogni pianta è stato proibito. Nonostante<br />
ciò, nel trevigiano la disponibilità di tale materiale si sta facendo ovviamente<br />
scarsa tanto che le autorità militari, per far fronte alla bisogna, iniziano<br />
l'abbattimento del bosco <strong>della</strong> «Mesola» nel delta del Po, stabilendo che una<br />
notevole parte del legname prodotto nel Polesine dovrà essere impiegata proprio<br />
a Treviso e nei comuni <strong>della</strong> provincia. Non si tratta di forniture gratuite;<br />
le amministrazioni che vorr<strong>anno</strong> avvalersene, dovr<strong>anno</strong> pagarle attingendo ai<br />
loro asfi ttici bilanci. L'impiego <strong>della</strong> poca legna ancora disponibile sul territorio<br />
dà quindi il via a nuove accese controversie perché i militari, nonostante<br />
i massicci abbattimenti iniziati a ottobre nel Polesine, si sono ben guardati<br />
131
Un carro di profughi. MCRR.
dall'interrompere le requisizioni ai danni dei privati. Ancora a fi ne dicembre<br />
del '17 ad esempio, alcune tonnellate di legname vengono prelevate da terreni<br />
privati nel paese di Castagnole. Presso la proprietà di Antonio Severino, i soldati<br />
recidono 62 piante di acacia del peso medio di 25 chili l'una per un totale<br />
di circa un tonnellata e mezza di legna. Le proteste del nuovo sindaco di Paese<br />
Quaglia, assediato dalle lamentele dei cittadini, sono l'inevitabile conseguenza<br />
di una situazione diffi cile da gestire. Il 26 dicembre, egli scrive al comando<br />
militare che, acquartierato a Castagnole, ha dato luogo ai tagli, una lettera dai<br />
toni accesi. «Non sarà cosa nuova a cotesto on.le comando la conoscenza dei<br />
danni arrecati alle proprietà di questi comunisti da soldati sia di passaggio<br />
sia in permanenza. Tali sono rilevantissimi, specie nei legnami, pei quali oltre<br />
che provvedere per i bisogni <strong>della</strong> difesa nazionale, si fa un vero vandalismo. E<br />
mentre per le popolazioni b<strong>org</strong>hesi un avviso del generale Graziani proibisce<br />
il taglio <strong>della</strong> legna di qualunque specie, per i soldati è permesso qualunque<br />
taglio, anche capriccioso, è cosa veramente deplorevole perché da una parte<br />
si spreca e dall'altra si patisce, riducendo la popolazione al punto di non<br />
poter farsi da mangiare per mancanza di legna. È un fatto questo veramente<br />
deplorevole, che si estende anche sulla paglia e sul granoturco cinquantino».<br />
Da quanto si legge, pare di capire che in quei mesi si fossero verifi cati episodi<br />
di requisizioni condotte in modo arbitrario e senza rilasciare agli interessati<br />
la documentazione prescritta per il risarcimento. «Prego perciò cotesto on.le<br />
comando – conclude Quaglia – a voler proibire assolutamente i vandalismi e<br />
provocare dei sopralluoghi, con preavviso, per rilevare i danni sofferti dalla<br />
popolazione, rilasciando ai danneggiati almeno un buono dal quale risulti le<br />
materie requisite ed il valore giusto e reale delle stesse. Confi do nella solerzia<br />
attiva e vigilante di cotesto on.le comando affi nché voglia essere d'appoggio<br />
alle popolazioni e tutelare in modo che le requisizioni vengono eseguite nelle<br />
forme volute dalle disposizioni regolamentari non arbitrarie». Alla lettera di<br />
Quaglia, il comando militare di Castagnole risponde negando ogni cosa. Il<br />
sindaco viene accusato di esagerazione e di scorrettezza e di avere lanciato<br />
accuse false, senza prima approfondire la realtà dei fatti, prestando attenzione<br />
alle parole di «persone le quali tentano di sfruttare le condizioni attuali per<br />
trarne illeciti lucri». Al sindaco viene ricordato che «la legna occorrente per<br />
gli usi miliari di preleva a Treviso» e che se qualche abuso si è verifi cato o<br />
si verifi cherà, i cittadini sono obbligati ad «impedire: il taglio di piante, per<br />
fare legna, il prelevamento di foraggio, e di paglia senza un buono rilasciato<br />
dal Comando dal quale i militari di truppa appartengono». Al comune,<br />
anzi, viene intimato di rendere noto tale obbligo ai propri amministrati «con<br />
i mezzi reputati più acconci». I rapporti tra l'apparato militare di guerra e<br />
134
la società civile, che prima erano complessi ed affrontati con reciproca ma<br />
rispettosa sopportazione, ora si sono fatti improvvisamente molto tesi. Nel<br />
frattempo è infatti intervenuto l'infausto episodio di Caporetto che ha portato<br />
il confl itto e le esigenze feroci del campo di battaglia, sull'uscio di casa dei<br />
trevigiani. Le diffi coltà nel mantenere l'ordine e la dis<strong>org</strong>anizzazione seguita<br />
alla ritirata, con i soldati che scorrazzano senza controllo per le campagne,<br />
furono certamente all'origine di molti episodi oscuri. Le accuse del sindaco<br />
Quaglia possono forse essere esagerate nella forma ma certamente non sono<br />
infondate nella sostanza. Fuori luogo al contrario - nel caso di specie - appare<br />
la negazione di ogni responsabilità da parte dei militari, che si spinge fi no al<br />
punto di lasciar intendere che la colpa dei presunti abusi ricadrebbe sugli stessi<br />
abitanti del paese, che nulla avrebbero fatto per opporsi ad essi… In realtà,<br />
quello tra militari e civili è divenuto ormai un rapporto altamente problematico<br />
all'interno del quale, i primi sono visti dai secondi come un corpo estraneo<br />
che – simile ad un parassita – si è insediato nel territorio, piantando ovunque<br />
i propri gangli e succhiandone le energie vitali. Questo tipo di percezione è<br />
ingigantita nel sentire comune, dalle richieste tra virgolette «inquietanti» che<br />
i militari inviano a ciò che resta <strong>della</strong> pubblica amministrazione. In quel dicembre<br />
1917, mentre è in pieno corso lo scontro sul legname e sul foraggio,<br />
lo stesso comando di Castagnole torna a rivolgersi al municipio per conoscere<br />
«con tutta urgenza» una serie di informazioni sulla località che lo ospita. I<br />
militari vogliono sapere, per scopi che è facile immaginare, le «quantità di:<br />
vino, grano, paglia, foraggio, bestiame, bestiame da macello, cavalli, muli,<br />
asini, carri a due ed a quattro ruote, legna, pozzi, granoturco, disponibili<br />
ora in paese, compresi i generi occorrenti per la popolazione civile…». Dalla<br />
risposta del comune si apprende così che a Castagnole vi sarebbero 885<br />
abitanti. Mancherebbero invece del tutto il bestiame, il grano, la paglia, e i<br />
foraggi…<br />
Il razionamento del cibo<br />
Di un vero e proprio tentativo di razionamento generalizzato delle risorse<br />
alimentari, attuato e pianifi cato a livello centrale, non si può parlare fi no al<br />
marzo del 1917. È a quell'epoca infatti che il Commissariato Generale per i<br />
Consumi emana le prime direttive sull'argomento. A Treviso, il prefetto Bardesono<br />
decide di introdurre il razionamento del grano e delle farine derivate, che<br />
diviene obbligatorio il 20 settembre 1917. La nuova misura coglie però impreparati<br />
molti amministratori locali e ciò obbliga l'alto funzionario, su pressione<br />
dei sindaci che lamentano «la mancanza di alcuni elementi di preparazione» a<br />
sospendere l'effi cacia del provvedimento fi no al successivo 19 novembre.<br />
135
I foraggi<br />
Nell'aprile del 1917, la Commissione per l'incetta di bovini e foraggi del<br />
presidio militare di Treviso ordina la precettazione del foraggio verde. Il raccolto<br />
di fi eno <strong>della</strong> precedente stagione è stato scarso e poiché le risorse su<br />
cui l'amministrazione militare può fare affi damento sono molto ridotte, viene<br />
disposto che a partire dal «I° maggio siano alimentati i quadrupedi territoriali<br />
con foraggio verde, sia [che si tratti di] erbe primaverili, (trifoglio rosso<br />
ecc.) che di erbe mediche appena falciate. Il provvedimento è <strong>della</strong> massima<br />
urgenza…». La commissione chiede ai comuni di collaborare all'individuazione<br />
di appezzamenti di trifoglio o di erba medica di dimensioni tali da non<br />
arrecare d<strong>anno</strong> ai contadini che ne h<strong>anno</strong> bisogno per alimentare il bestiame.<br />
Si intendono infatti requisire solo pochi ettari di foraggio in ogni comune.<br />
La commissione per l'incetta di bovini e foraggi<br />
L'11 marzo 1917 la Commissione per l'incetta di bovini e foraggi è a Paese,<br />
infatti, per procedere alla requisizione dei bovini. Dalle stalle di 44 famiglie<br />
locali vengono prelevati 46 capi di bestiame: 39 vacche, 4 buoi e 3 vitelli, per<br />
un quantitativo totale di carne, accertato dalla commissione, pari a 182 quintali.<br />
Una statistica compilata dal municipio, sempre su richiesta dei militari,<br />
aveva accertato che a gennaio - a Paese e nelle sue frazioni - vi era un totale<br />
di 341 bovini. Il numero totale dei capi di bestiame saliva a 370, includendo<br />
in esso anche ovini e suini.<br />
Il risentimento popolare<br />
Nel comune sentire, lo Stato e le sue classi dirigenti h<strong>anno</strong> deciso la partecipazione<br />
ad una guerra che ora la gente del trevigiano ritiene di essere stata<br />
lasciata a combattere da sola, mentre chi può ne trae vantaggi. La partenza<br />
dei contadini per il fronte, la latitanza di molti proprietari fondiari, pronti a<br />
darsi alla fuga, e l'occupazione delle campagne da parte dei militari h<strong>anno</strong><br />
squilibrato il secolare rapporto che legava queste popolazioni alla terra. Tutto<br />
ciò, unito alle asprezze <strong>della</strong> vita quotidiana, ha prodotto un clima di profonda<br />
sfi ducia nei confronti di ogni funzione pubblica, generando il risentimento dei<br />
contadini – come aveva scritto il prefetto Vitelli – «contro i signori ed i possidenti<br />
ed ogni altra personalità infl uente». È forse per cercare di dimostrate il<br />
contrario che, nell'ottobre del 1917, viene trasmessa ai sindaci una circolare,<br />
a fi rma del prefetto, con la quale egli chiede di conoscere se nei loro comuni<br />
siano morti in battaglia o siano rimasti feriti soldati «appartenenti a classi abbienti<br />
o dirigenti». Anche la b<strong>org</strong>hesia ha bisogno dei suoi eroi per dimostrare<br />
che non sta disertando la lotta. Mancano pochi giorni al disastro di Caporetto<br />
136
e nel momento in cui la circolare arriverà a destinazione, molti dei rappresentanti<br />
<strong>della</strong> b<strong>org</strong>hesia locale avr<strong>anno</strong> già abbandonato la provincia.<br />
La chiesa<br />
Del tutto diverso è invece l'atteggiamento nei confronti <strong>della</strong> Chiesa, anche<br />
prima che le pubbliche amministrazioni <strong>della</strong> provincia si sgretolino sotto<br />
la pressione degli eventi di Caporetto. Le funzioni dello Stato, disciplinate da<br />
leggi e regolamenti, si esplicano entro limiti oltre i quali nessun funzionario<br />
può spingersi. Il diritto a una pensione o a un sussidio si ha solo in presenza di<br />
ben defi niti requisiti in mancanza dei quali esso non sussiste. Non c'è spazio<br />
per le mezze misure e il pietismo e a nulla vale invocare la drammaticità di<br />
questo o quel caso. Lo Stato insomma è un meccanismo con limiti materiali e<br />
normativi che, una volta raggiunti, lasciano il cittadino bisognoso in balia di<br />
se stesso. Inoltre, poiché lo Stato è percepito come una macchina che si alimenta<br />
con le risorse <strong>della</strong> collettività, esso deve fare ciò per cui esiste, senza<br />
che nessuna particolare gratitudine gli sia dovuta. La Chiesa invece vive per<br />
occuparsi di questioni spirituali e apparentemente non sarebbe tenuta a farsi<br />
carico dei problemi materiali del popolo. Proprio in questo sta la sua forza.<br />
Le frequenti incursioni che, durante il periodo bellico, essa compie in affari<br />
di natura temporale, fi no quasi a sostituirsi alla pubblica amministrazione, le<br />
f<strong>anno</strong> acquisire un credito enorme che potrà spendere tanto in città quanto<br />
nelle campagne <strong>della</strong> provincia. La sua porta è sempre aperta per chiunque<br />
e ognuno ha diritto a una parola di conforto. Nell'aiuto che presta, essa pare<br />
in grado di superare i limiti umani, di risorse e di legge che frenano l'azione<br />
dello Stato. Ma soprattutto, la Chiesa offre ciò che ha da dare senza nulla<br />
pretendere in cambio. Non ci sono tasse da sborsare o servizi da prestare.<br />
Nell'assistere le famiglie dei trevigiani al fronte non va dunque dimenticata<br />
l'attività dell'Uffi cio Cattolico del Lavoro che si sviluppa in parallelo a quella<br />
delle pubbliche amministrazioni, fi n quasi a sostituirla. Il Comune e l'Uffi cio<br />
Cattolico del Lavoro fi niscono coll'essere visti come soggetti che operano su<br />
un piano di parità e portatori di funzioni intercambiabili. Ciò è testimoniato<br />
ad esempio dal fatto che spesso i popolani, quando chiedono un sussidio o<br />
una pensione si rivolgono a queste due in contemporanea, presentando le medesime<br />
istanze e credendo probabilmente che questo aumenti le chances che<br />
la propria pratica vada a buon fi ne.<br />
Il comune<br />
Gli uffi ci comunali – come abbiamo visto – sono spesso l'unica istanza a<br />
cui un cittadino può appellarsi contro i soprusi dei militari, ma sono anche la<br />
137
prima risorsa sul territorio cui chiedere aiuti, informazioni e l'avvio di molte<br />
pratiche. Anche dopo Caporetto, pur se a mezzo servizio e magari commissariati,<br />
essi continuano a funzionare. È attraverso gli uffi ci dei comuni che chi<br />
aspira ad un posto nei cantieri militari dove passare per ottenere il lavoro ed è<br />
sempre a questi che ci si deve rivolgere per avere tutela in caso di controversia<br />
nel pagamento di quanto dovuto da parte dell'esercito. Il passaggio in comune<br />
è necessario anche a chi voglia ottenere il sussidio in denaro che spetta alle famiglie<br />
dei richiamati. Tale sussidio infatti non viene concesso a chiunque ma<br />
solo a chi dimostri condizioni di bisogno estreme, mediante certifi cazioni che<br />
solo la pubblica amministrazione locale può rilasciare. Il municipio è inoltre<br />
l'autorità territoriale cui viene trasmessa la comunicazione del decesso di un<br />
militare e alla quale spetta di informare i parenti. Spesso, in tale compito, il<br />
sindaco si avvale però dell'aiuto dei sacerdoti del territorio. Non è infrequente<br />
infatti, trovare sulle comunicazioni di morte in arrivo dall'esercito, note manoscritte<br />
con cui il primo cittadino segnala di aver partecipato <strong>della</strong> dolorosa<br />
notizia il prete del paese presso il quale il soldato defunto abitava. Il comune<br />
è spesso anche la sola fonte di informazioni sulla sorte di militari e civili di<br />
cui si sono perse le tracce. È però nei rapporti tendenti ad ottenere particolari<br />
concessioni dall'esercito, che l'apporto dell'amministrazione comunale diventa<br />
fondamentale. Licenze, esoneri, pensioni, sussidi e avvicinamenti a casa,<br />
rientrano ormai fra le pratiche di routine che il sindaco si trova a dover gestire<br />
quasi quotidianamente. A lui i parenti si rivolgono perché contatti i diversi<br />
comandi miliari di appartenenza dei propri congiunti, sollecitando la concessione<br />
di permessi che consentano loro di rientrare a casa. È la richiesta più<br />
comune, quasi sempre motivata con la necessità di dover sbrigare importanti<br />
affari personali, legati a successioni ereditarie, malattia o morte di membri<br />
del gruppo familiare e compravendite di terreni. Legato al lavoro <strong>della</strong> terra<br />
è anche lo spinoso problema delle licenze agricole che, con l'inasprirsi del<br />
confl itto verr<strong>anno</strong> concesse con sempre minore generosità. Se la vede infatti<br />
negare Abramo N., che nel marzo del 1917 si rivolge al sindaco Quaglia<br />
proclamandosi «inabile alle fatiche di guerra» e sottolineando come «le attuali<br />
condizioni <strong>della</strong> famiglia reclamano la mia presenza per poter meglio<br />
provvedere alla produzione dei campi». La norma è però molto restrittiva e<br />
concede tali permessi solo a chi non abbia alcun parente di età compresa fra i<br />
16 e i 65 anni che possa coltivare la terra in questione. Purtroppo per Abramo<br />
N., la legge considera «famiglia colonica non solo i parenti diretti ma; tutti<br />
quelli che lavorano insieme gli stessi fondi. Nella casa vostra invece – gli<br />
scrive il sindaco Quaglia al momento di respingere la sua domanda – esistono<br />
uomini validi tra i 16 e i 65 anni che lavorano gli stessi poderi». Altra istanza<br />
138
frequentemente presentata era quella tesa ad ottenere il cosiddetto avvicinamento<br />
ad un reparto più prossimo alla casa natia, che avrebbe consentito di<br />
allontanarsi da ogni rischio. Riteneva di avervi diritto anche Domenico M. di<br />
Postioma che, dopo quindici mesi trascorsi al fronte e «passati in zona doperazione»,<br />
chiede al sindaco di poter usufruire dei benefi ci previsti – da una<br />
circolare del Ministero <strong>della</strong> Guerra – che sembra accordare ai padri di quattro<br />
fi gli il trasferimento ad una località vicina al paese di origine. Per averlo egli<br />
invoca le condizioni «non troppo fl oride, anzi miserrime <strong>della</strong> famiglia» ed il<br />
fatto che «altri militari suoi compagni <strong>anno</strong> potuto ottenere diessere mandati<br />
coladimanda al proprio distretto». Come apprenderà a sue spese, Domenico<br />
M. non ha diritto a tale benefi cio. Egli è infatti nato nel 1880 mentre l'avvicinamento<br />
è riservato solo ai padri di quattro fi gli appartenenti alle classi 1876,<br />
1877 e 1878, oppure ai padri di 4 fi gli «riconosciuti permanentemente inabili<br />
alle fatiche di guerra». «Dunque, - gli scrive il sindaco Perotto - voi che<br />
siete <strong>della</strong> classe 1880, non avete diritto al suddetto trasferimento, a meno<br />
che non siate riconosciuto permanentemente inabile alle fatiche di guerra».<br />
Particolarmente ambito era infi ne l'esonero dal servizio di prima linea che<br />
un'altra circolare del Ministero <strong>della</strong> Guerra accordava a chi avesse avuto, per<br />
esempio, due fratelli morti in guerra. È la condizione in cui si trova Giovanni<br />
Z., il terzo di cinque fi gli, due dei quali già caduti in battaglia, Cesare, il 23<br />
maggio 1917, col 59 fanteria e Pietro, il 4 settembre 1917, col 213 fanteria.<br />
Anche la sua domanda viene però respinta. Giovanni Z. si è infatti sposato<br />
e, secondo una più stretta interpretazione <strong>della</strong> norma, costituisce ormai una<br />
famiglia a sé.<br />
139
Donne al lavoro per realizzare trincee. MCRR.<br />
Donne al lavoro per realizzare trincee. MCRR.
Donne al lavoro per realizzare trincee. MCRR.<br />
Donne al lavoro per realizzare trincee. MCRR.
Arditi. MCRR
RACCONTI DELL'INVASIONE 1917-1918 1<br />
Benito Buosi<br />
Erano nove anni che gli Achei assediavano Troia:<br />
spesso avevano bisogno di viveri o animali o donne,<br />
e allora lasciavano l'assedio e andavano a procurarsi<br />
quel che volevano saccheggiando le città vicine.<br />
143<br />
Alessandro Baricco, Omero, Iliade.<br />
«Arrivederci, signori, tra cinque giorni o a primavera»<br />
Nei giorni <strong>della</strong> rotta ci sarà stato qualcuno ansioso di leggere per sapere<br />
cosa stava succedendo? E disposto a crederci sul serio? Dalle parti di Udine<br />
no, di sicuro. Bastava guardarsi attorno per capire. Ma di qua del Livenza,<br />
1 H<strong>anno</strong> dato voce al titolo soprattutto le donne e gli uomini che h<strong>anno</strong> scritto i diari elencati in appendice. Tra le<br />
memorie sull'invasione nel trevigiano, questi tredici testi sono stati preferiti ad altri perché presentano una sincronia<br />
tra eventi e narrazione che dona loro una più affi dabile genuinità. Questa simultaneità che si ripete ogni giorno,<br />
questo scrivere in diretta (o quasi) li h<strong>anno</strong> protetti dagli aggiustamenti o dalle manipolazioni che i ricordi subiscono<br />
inevitabilmente nel tempo, per innocente fi siologia o per convenienza. I diari postumi h<strong>anno</strong> patito invece<br />
l'esposizione al 'dopo'. Non h<strong>anno</strong> potuto sottrarsi all'epica che accompagna ogni guerra vittoriosa e portano i segni<br />
di giudizi maturati nel clima infuocato del dopoguerra e delle successive svolte politiche e istituzionali. Queste scritture<br />
private invece, compilate senza forzature trionfalistiche e soprattutto senza mire editoriali, h<strong>anno</strong> fatto cogliere<br />
meglio la verità del momento, la verità delle opinioni prima ancora che la verità degli avvenimenti. I tredici testimoni<br />
oculari sono stati interrogati in primo luogo sulla disposizione mentale con cui h<strong>anno</strong> vissuto gli eventi nella<br />
loro prossimità. Per questo il sincronismo delle loro 'deposizioni' ha meritato l'ascolto più attento. In fondo, sui fatti<br />
nudi e crudi, le notizie non sono mai mancate, anche se non h<strong>anno</strong> avuto un'ampia circolazione. Basti considerare<br />
quella corposa fonte uffi ciale costituita dagli atti <strong>della</strong> Commissione d'Inchiesta Mortara, nominata con insolita (e<br />
interessata) sollecitudine dal governo Orlando fi n dalla settimana seguente la fi rma dell'armistizio (D.L.15 novembre<br />
1918, n.1711); atti prontamente pubblicati l'<strong>anno</strong> dopo, in sei volumi. Con giusta enfasi, una studiosa <strong>della</strong> Shoa<br />
come Annette Wieviorka annuncia ora, per quella tragedia europea, l'avvento di una 'era del testimone' (è il titolo di<br />
un suo libro di qualche <strong>anno</strong> fa). Si dovrebbe poterlo dire ancora anche per la Grande Guerra, che fi n troppo a lungo<br />
ha parlato solo con la voce delle armi. È vero che l'impresa pionieristica di Rovereto ha già più di vent'anni, ma la<br />
cura di raccogliere fonti popolari dovrebbe continuare senza sosta, per continuar a dare spazio alla soggettività delle<br />
esperienze di uomini e donne, almeno fi nché la s<strong>org</strong>ente non darà segni di esaurimento. Mentre i testimoni sopravvissuti<br />
ai lager h<strong>anno</strong> l'ansiosa ambizione di dare in extremis un contributo personale alla storia <strong>della</strong> tragedia ebraica,<br />
i nostri tredici testimoni, ormai scomparsi, non avevano pretese del genere quando scrivevano appartati nella loro<br />
insidiata intimità. Siamo noi posteri che usiamo le loro <strong>anno</strong>tazioni per scrutarne gli umori, le reazioni, le opinioni<br />
e i pregiudizi còlti in un momento di svolta drammatica <strong>della</strong> guerra, quando la doppia sciagura sofferta dai civili,<br />
tra sconfi tta e invasione, ha scompaginato abitudini e affetti, attese e convinzioni. Non traggano in dubbio certe date<br />
di pubblicazione, alcune anche molto lontane dal tempo <strong>della</strong> guerra, con titoli quasi sempre editoriali. Ciò semmai<br />
dimostra l'inesausta attenzione con cui ricercatori ed editori locali corrispondono, con i toni <strong>della</strong> storia sociale,<br />
all'interesse popolare che la Grande Guerra continua a riscuotere nei paesi dei territori invasi. Il ristretto numero dei<br />
diari non può dar loro alcun valore di campione rappresentativo. Non c'era d'altronde intenzione di costruirne uno<br />
su queste basi. Semmai, se si considera che operai e contadini (cioè la stragrande maggioranza <strong>della</strong> popolazione di<br />
allora) non usavano affi dare alla penna i propri affanni, si potrà almeno concludere che i diari considerati sono un<br />
prodotto tipologicamente signifi cativo degli ambienti sociali che h<strong>anno</strong> confi denza con la scrittura: donne di buona<br />
famiglia, insegnanti, possidenti, uomini di chiesa. La selezione effettuata rispetta casualmente la copertura geografi<br />
ca delle terre invase, anche se con squilibrata distribuzione. Gli autori dei diari vivono e scrivono dislocati in punti<br />
di osservazione diversi e lontani tra loro sul territorio <strong>della</strong> Sinistra Piave: due nell'opitergino, quattro a Conegliano<br />
e dintorni, due a Vittorio, tre sulle colline del pedemonte, due in transito forzato tra Valdobbiadene e il vittoriese.<br />
(Per non intralciare troppo la lettura, le citazioni dai tredici diari portano tra parentesi solo il nome dell'autore e il<br />
numero di pagina).
fi nché non cominciarono ad arrivare i primi profughi, chi aveva pratica di<br />
lettura sperava di trovare sui giornali quelle buone notizie che potessero<br />
confortarlo a restare.<br />
E il Gazzettino cercava in qualche modo di compierla questa missione di<br />
dare fi ducia. Per provare a rincuorare i suoi lettori doveva però abbondare con<br />
le notizie che venivano da lontano. I tedeschi «le pigliano di santa ragione in<br />
Francia e in Belgio: come potr<strong>anno</strong> durare a lungo?». Gli americani st<strong>anno</strong><br />
preparandosi a scendere in campo. Lo sforzo austro-ungarico di questi giorni<br />
non potrà salvare «dalla fi nale rovina gli imperi barbarici». 2<br />
Venerdì 2 novembre, Giorno dei Morti, Cadorna ha annunciato il<br />
ripiegamento sul Tagliamento ma il giornale assicura prontamente che da qui<br />
«si preparerà la rivincita».<br />
Nell'atroce dubbio che neppure al Tagliamento si riesca a tenere, i Brustolon<br />
h<strong>anno</strong> deciso di partire. Da sabato sera, dopo aver sotterrato la biancheria,<br />
h<strong>anno</strong> pronte le valigie. Purtroppo Pietro, il vecchio padre ammalato, è<br />
tormentato dalla febbre e non riesce a lasciare il letto.<br />
Il camion non può perdere l'ultimo appuntamento al ponte <strong>della</strong> Priula e<br />
martedì 6 novembre parte caricando solo gli Albrizzio, lasciando i Brustolon<br />
angosciati nella loro casa, a Vittorio (non ancora Veneto). La casa si trova a<br />
pochi passi dall'Aquila Nera, 3 l'albergo di fronte a piazza Salsa che la famiglia<br />
aveva gestito e abitato fi no a pochi anni prima, e che ora si chiama Stella<br />
d'oro.<br />
Da venerdì 2, la trentenne fi glia Bianca comincia a tenere un diario, per<br />
corrispondere idealmente con fratello, sorella e nipoti, già partiti da qualche<br />
giorno. Le servirà da pro-memoria per poter raccontare meglio, quando si<br />
ritrover<strong>anno</strong> in famiglia, sani e salvi. «Queste mie memorie le tengo sempre<br />
come corazza al petto; dove potrei nasconderle per essere certa che nessuno<br />
me le rapisca?». (Brustolon, 122). È fi duciosa che a Natale sarà tutto fi nito.<br />
La festa <strong>della</strong> Natività le porta nuovi simboli salvifi ci, come giorno di duplice<br />
liberazione. Non andrà così. E scrivere ogni giorno diventerà a volte un peso<br />
insostenibile.<br />
2 In questo delicato periodo, il giornale veneziano rinuncia alle notizie fresche che può inviare il suo corrispondente<br />
dal fronte E.M.Baroni e preferisce attingere commenti dai più autorevoli quotidiani nazionali. Le notizie dalla<br />
prima linea le dà, in accorta sintesi, soltanto il bollettino uffi ciale del Comando Supremo, pubblicato ogni giorno in<br />
apertura di prima pagina. Grazie alla guerra Il Gazzettino, il più interventista tra i giornali veneti, aveva quintuplicato<br />
la sua normale tiratura di trentamila copie. M.DE MARCO, Il Gazzettino. Storia di un quotidiano, Venezia, Marsilio,<br />
1976, p.43.<br />
3 L'insegna, mutuata dalla tradizione alberghiera tedesca, è scesa lungo la secolare strada di Alemagna di cui Serravalle<br />
e Ceneda h<strong>anno</strong> sempre costituito una tappa di primaria importanza. Il nome torna curiosamente attuale proprio<br />
nei giorni che affl iggono i Brustolon. Il 1° novembre 1917 Otto von Below, generale in capo <strong>della</strong> XIV Armata,<br />
artefi ce dello sfondamento di Caporetto, viene insignito del titolo di Cavaliere dell'Ordine Supremo dell'Aquila Nera<br />
di Prussia.<br />
144
A Valdobbiadene, in casa del notaio Renato Arrigoni, c'è ancora qualche<br />
incertezza. La baraonda di quei giorni, con le strade intasate dai profughi<br />
friulani, non trattiene l'anziano notaio dalla decisione di recarsi direttamente<br />
a Treviso per avere notizie più precise dall'amico e compaesano comm.<br />
Giovanni Dalla Favera che, come presidente <strong>della</strong> Deputazione Provinciale,<br />
è una fonte sicura.<br />
Arrigoni passa quasi tutta la giornata di mercoledì 7 novembre tra code e<br />
ritardi, prima sul tram per Montebelluna e poi sul treno per Treviso. Infi ne<br />
riceve dall'amico rassicurazioni decisive: lui stesso ha lasciato la moglie a<br />
casa, a Valdobbiadene. La posizione del paese, così defi lata, è una garanzia di<br />
sicurezza. 1 L'autorevole presidente gli raccomanda di dare esempio di calma<br />
e compostezza. Gli affi da, anzi, un manifesto da affi ggere a Valdobbiadene. È<br />
un appello, che porta la sua fi rma, per esortare la cittadinanza alla tranquillità<br />
e alla fi ducia.<br />
Infatti, l'indomani, dopo la chiusura di banca, telegrafo e uffi cio postale,<br />
tocca al 56°Fanteria e ai Carabinieri lasciare il paese. Perfi no «i buoni<br />
affezionati domestici» preferiscono mettersi in salvo.<br />
Il commiato del capitano del 7° bersaglieri, alloggiato in casa Arrigoni, è<br />
abbastanza ottimista: «Arrivederci, signori, tra cinque giorni o a primavera».<br />
(Arrigoni, 21).<br />
Dal 31 ottobre, dopo che la cognata Pierina e le tre nipotine sono partite<br />
per Milano, Caterina Arrigoni tiene un diario, scritto sui fogli protocollo che<br />
il padre usa in uffi cio, rivolgendosi direttamente a Pierina, come anticipando<br />
quel racconto quotidiano che vorrebbe confi darle a quattr'occhi, quando si<br />
ritrover<strong>anno</strong> assieme. La sera papà Renato ribatte in bella sull'Underwood<br />
dello studio. 2 Nel '18, alla vigilia di Pasqua: «Ho riletto quest'oggi, una gran<br />
parte di questo eterno, monotono diario, Pierina mia. M'acc<strong>org</strong>o che esso non<br />
dà nemmeno a me, che l'ho vissuto e scritto, una pallida idea <strong>della</strong> realtà».<br />
Ma continuerà e non se ne pentirà. Mercoledì 30 ottobre: «Giunta a casa corro<br />
al nascondiglio dove tenni celato per tanti mesi questi manoscritti. Il primo<br />
volume, nascosto nel doppio fondo di un vaso da fi ori bellamente esposto in<br />
mezzo a tanti altri, ha sofferto per le infi ltrazioni d'acqua; è però leggibile.<br />
1 Non è chiaro il senso di questa rassicurazione, se è vero che il Piave dovrà essere sul serio l'estrema linea di<br />
resistenza. Chi vive in collina potrebbe essere risparmiato solo in una immaginaria rievocazione di quelle antiche invasioni<br />
di passaggio, che scorrevano in pianura lungo la storica via Ongaresca, che porta dritta al passo di Lovadina.<br />
Tant'è che la moglie di Dalla Favera (che ha già perso un fi glio al fronte), sorpresa a Valdobbiadene dall'arrivo degli<br />
invasori, rimarrà separata dal marito fi no alla fi ne <strong>della</strong> guerra.<br />
2 La famiglia Arrigoni si ricorda per varie ascendenze illustri. Il nonno omonimo era stato, in anni napoleonici, direttore<br />
del «Monitor di Treviso» (unico giornale del dipartimento del Tagliamento), intraprendendo anche una buona<br />
carriera nella pubblica amministrazione, continuata in epoca austriaca, quando viene insignito <strong>della</strong> Corona di Ferro.<br />
Sembra che il prozio Arrigo sia stato autore <strong>della</strong> prima traduzione italiana del codice napoleonico. R.BINOTTO, Personaggi<br />
illustri <strong>della</strong> Marca Trevigiana, Treviso, Fondazione Cassamarca, 1996, p. 23.<br />
145
Invece i quadernetti <strong>della</strong> seconda parte, nascosti nel tetto di un cap<strong>anno</strong><br />
verde, sono in condizioni perfettissime». (Arrigoni, 120, 221).<br />
Anche Giambattista Pivetta abita a Valdobbiadene, a pochi passi dagli<br />
Arrigoni. Agiato possidente terriero, presidente <strong>della</strong> Congregazione di Carità<br />
e giudice conciliatore, con i suoi 56 anni si trova appena entro i limiti d'età<br />
richiesti dall'ultimo appello di Cadorna che convoca tutti gli uomini validi a<br />
Susegana per martedì 6, non si capisce bene a quale scopo.<br />
La confusione è tale che la mobilitazione riesce solo in parte. I primi arrivati<br />
vengono fatti andare oltre Piave, gli altri, forse la maggioranza, tornano a<br />
casa. A casa torna anche Pivetta, non si sa se più sollevato per l'esonero o più<br />
deluso per la frustrazione dello zelo con il quale era partito a piedi, alle tre di<br />
notte, per non mancare alla chiamata.<br />
Possiamo conoscere le successive traversie di questa famiglia grazie<br />
alla disciplinata costanza <strong>della</strong> fi glia Maria Egizia. Ha nove anni, dovrebbe<br />
frequentare la quarta elementare, ma le scuole sono chiuse e la madre<br />
saggiamente la terrà in esercizio facendole scrivere il racconto <strong>della</strong> loro<br />
vita raminga. Quanto ci sarà <strong>della</strong> piccola, nella genuinità delle sue precoci<br />
emozioni, e quanto del 'dettato' dell'apprensiva mamma Filomena?<br />
«Voci diverse, orribili, demoralizzanti in Città, che vengono i bulgari, i<br />
turchi, uccidono, violano ragazze, infi lzano bambini ecc. ecc.». Invece, al<br />
primo contatto con gli invasori, a Vittorio si sentono sollevati da un incubo.<br />
«8 novembre: giovedì. […] Ore 11 i tedeschi entrano in Vittorio!!! […] Gli<br />
invasori sono Ungheresi, czechi in grandissimo numero; sono anche begli<br />
uomini, bei giovanotti, cortesi, che ci salutano e sorridono. Io scambio qualche<br />
parola in tedesco con qualcheduno – Osservo che molti sono addirittura<br />
ragazzi, visi proprio infantili». (Di Ceva, 16-17). A Valdobbiadene:<br />
Il giorno 10 novembre 1917 alle ore dieci, dalla strada di San Pietro di Barbozza, cominciarono ad<br />
arrivare a Valdobbiadene le prime avanguardie tedesche.[…] Dapprima li guardavamo passare mezzi<br />
nascosti, dietro le persiane, ma poi facendoci più arditi fi nimmo coll'andare sull'uscio di casa per vederli<br />
meglio. Qualcuno di loro ci guardava e salutava, e mi ricordo che un tale ridendo, mandò un bacio sulla<br />
punta delle dita all'Adelia (la nostra ragazza di servizio). (Pivetta, 2).<br />
Nella stessa mattinata:<br />
Vedo un gruppetto che tenta di aprire la farmacia. Lo raggiungo. Sono due medici austriaci che<br />
vogliono disinfettanti, oggetti di medicazione, iniezioni di canfora e di morfi na. H<strong>anno</strong> modi cortesi<br />
ed accettano la limitata quantità di medicinali che offro loro, dichiarando che il resto m'occorre per<br />
146
la popolazione. […] Mi chiede se sono contenta. Faccio un segno di desolata rassegnazione ed egli<br />
tristemente esclama: Madame c'est la guerre! Quindi stende un buono degli oggetti ricevuti, constatando<br />
con un indefi nibile sorriso ironico la partenza dei medici, dei farmacisti e degli uomini validi, che<br />
h<strong>anno</strong> lasciato indietro le donne. Egli servirà la popolazione ammalata, se è necessario anche di notte.<br />
(Arrigoni, 21-22).<br />
L'8 novembre a Motta è andata diversamente. L'abbattimento dei ponti sul<br />
Livenza e sul Monticano e la distruzione dei magazzini alimentari («Duemila<br />
quintali di frumento del Governo –offerto dapprima a chi lo volesse – furono<br />
gettati nella Livenza») h<strong>anno</strong> scatenato la rabbia degli invasori affamati «in<br />
maggioranza slavi». «Ad alcuni uffi ciali feci garbatamente lagnanza che i<br />
loro soldati si lasciano andare alla rapina e alla violenza. «Est bellum!» mi<br />
rispose un primo tenente che si qualifi cò per professore di latino a Vienna».<br />
(Ciganotto, 15, 19).<br />
Il giorno dopo, 9 novembre, viene occupata Conegliano e i 'tedeschi'<br />
v<strong>anno</strong> subito a caccia di cibo. «Un soldato boemo assicura che al momento<br />
<strong>della</strong> breccia di Tolmino, le loro truppe erano agli estremi di viveri». (Della<br />
Barba, 54). Prendono fuoco – non si capisce perché – i due alberghi <strong>della</strong><br />
città, il Leon d'Oro e il Posta. Le fi amme del Posta investono anche la vicina<br />
canonica di S.Rocco.<br />
«I primi ad entrare a Colbertaldo furono i germanici, anzi, dirò meglio, la<br />
feccia dei germanici, giacché si seppe positivamente che quelle compagnie<br />
d'assalto e <strong>della</strong> morte, erano state formate quasi esclusivamente con degli<br />
elementi <strong>della</strong> peggior specie, ladri, assassini, gente da galera, capaci di<br />
qualsiasi misfatto». 3<br />
Ma anche a Vittorio e a Valdobbiadene le prime buone impressioni,<br />
travisamenti <strong>della</strong> speranza, svaniscono presto, cancellate dal comportamento<br />
delle truppe che, a differenza delle prime dirette al Piave, si fermano per<br />
acquartierarsi in paese.<br />
L'inaspettata impresa di attraversare il Friuli in due settimane incontrando<br />
scarsa resistenza e raggiungendo posizioni tanto avanzate e fuori programma,<br />
ha acceso negli increduli conquistatori un'euforia e una baldanza senza misura.<br />
Poi, questo repentino spostamento del fronte di cento chilometri ha messo in<br />
diffi coltà i collegamenti, su un terreno reso disagevole dalle piogge continue<br />
e su una rete viaria intasata da mezzi militari e civili in fuga.<br />
La balda sicurezza di avere Venezia e Milano a portata di mano sfrena ogni<br />
3 Così G. SIMONATO, Una pagina di storia dell'invasione Austro-Germanica, Vittorio, Longo e Zoppelli, 1920. Il<br />
settimanale Il Gazzettino Illustrato ne ripubblicò il testo in 12 puntate, dal 16 maggio al 28 agosto 1921, con il titolo<br />
Gli orrori dell'invasione tedesca narrati dal rev. Giovanni Simonato dei padri Camilliani, già parroco di Colbertaldo,<br />
testimonio oculare. Il brano citato è tratto dal n. 3 del 30 maggio-6 giugno 1921.<br />
147
licenza. Aie, stie, porcili, stalle e cantine diventano i nuovi e più immediati<br />
obiettivi strategici delle truppe di Below e di Boroevic. Insomma, come<br />
sempre, gli eserciti di occupazione provvedono senza scrupoli a vettovagliarsi<br />
in loco.<br />
Del resto, dopo la rotta, è toccato anche ai nostri di farlo, durante il tragitto<br />
di «ripiegamento». Stato di necessità e «allegria di naufragi». Sfuggiti alle<br />
tremende sofferenze <strong>della</strong> trincea e ai massacri degli assalti allo scoperto, i<br />
vinti scoprono l'enorme sollievo di perdere la guerra per vincere la pace. 4<br />
Così, anche la loro improvvisa e inaspettata liberazione dalle regole <strong>della</strong><br />
disciplina si nutre a spese dei civili. I quali si trovano ad abitare come in<br />
un'altra terra di nessuno, una zona franca esente dalle regole che governano la<br />
vita in caserma e al fronte.<br />
La licenza poi si può travestire di alibi pertinenti: «prendiamo noi prima<br />
che prendano i nemici che st<strong>anno</strong> per arrivare». Un astuto atto di sabotaggio<br />
a d<strong>anno</strong> dell'invasore che incalza più che una vigliacca offesa ai beni inermi<br />
dei friulani in fuga.<br />
Guarda con occhio indulgente e comprensivo il capitano Attilio Frescura,<br />
mentre si trova a Tarcento il 28 ottobre:<br />
I soldati, inzuppati d'acqua, affamati scorati abbrutiti girano per le case da cui la gente scappa, e<br />
saccheggiano. Ne passano alcuni trascinando un maialetto che strilla, o una vacca muggente, o una<br />
capra stupida e ostinata, o carichi di salami inverosimili, o di formaggi con dei sigari che escono dalle<br />
tasche gonfi e <strong>della</strong> più strana preda. Qualcuno ha un ombrello, qualche altro ha indossato un pastrano<br />
da b<strong>org</strong>hese, sull'abito bagnato. Uno, buffi ssimo, s'è messo un cappello duro e, sopra il suo bravo<br />
numero, come i coscritti. E canta, ubriaco:<br />
Cadorna può cantar l'addio mia bella addio<br />
la pace separata la voglio fare io!<br />
bim, bum, bon<br />
al rombo del c<strong>anno</strong>n!» . 5<br />
Duri altri commenti di uffi ciali sorpresi ad assistere a questi atti di teppismo<br />
dei loro soldati. Ma alla fi ne, si può anche chiudere un occhio. Valentino Coda,<br />
4 Di recente è venuto un riconoscimento inatteso alle ragioni che possono spiegare Caporetto, per quanto fossero<br />
provate le nostre truppe dopo 29 mesi di guerra. Merita citarlo per la fonte da cui proviene, data la scarsa considerazione<br />
solitamente dimostrata da parte inglese verso l'impegno italiano nel confl itto. «La media di un'offensiva ogni<br />
tre mesi, tra il maggio 1915 e l'agosto del 1917, fu più alta di quella richiesta agli eserciti britannico e francese sul<br />
fronte occidentale, e le conseguenze furono più logoranti; il fuoco di artiglieria sul terreno roccioso, causò il 70%<br />
di perdite in più per ogni colpo sparato su terreno più facile <strong>della</strong> Francia o del Belgio». J.KEEGAN, La prima guerra<br />
mondiale, Roma, Carocci, 2000, p. 390.<br />
5 A. FRESCURA, Diario di un imboscato, Milano, Mursia, 1999, p.264.<br />
148
uffi ciale di brigata <strong>della</strong> II Armata., in ritirata tra Palmanova e Codroipo il 30<br />
ottobre:<br />
Gruppi di soldati dispersi si d<strong>anno</strong> al saccheggio; vuotano gli zaini e i tascapani per impinzarsi di<br />
sigarette, di scatole di carne, di biancheria, di tutto quello che stuzzica la loro avidità semicosciente. In<br />
questi uomini curvi sino a ieri sotto il giogo <strong>della</strong> disciplina, docili, fedeli, pronti al sacrifi cio, il bruto<br />
comincia a svegliarsi; e le nostre intimazioni non basterebbero a far cessare l'invereconda cuccagna se<br />
non fossero suffragate da una scarica di nervate sulle spalle dei riottosi. Ingrossi piuttosto il bottino degli<br />
austriaci! Noi non possiamo vedere i nostri soldati abbassarsi al livello di predoni. Come è vero che tutte<br />
le cose umane sono relative! Pochi chilometri più oltre ci fermiamo per raccogliere dei sacchi di caffè<br />
sventrati che versano nel fango il loro prezioso contenuto. La tentazione è troppo forte, e facciamo una<br />
eccezione alla regola; ne facciamo una seconda in favore di una bella macchina da scrivere, che il mio<br />
dattilografo scopre con un grido di gioia in un fosso. Preso l'aire, a tutti verrebbe la fregola di prendere,<br />
ma lo spazio a bordo essendo limitato, risolviamo di imbarcare solamente un centinaio di scatole di<br />
carne conservata, che aiuter<strong>anno</strong> a risolvere per qualche giorno l'arduo problema <strong>della</strong> mensa. 6<br />
E per liberarsi di una refurtiva troppo ingombrante, si può anche improvvisare<br />
un piccolo commercio volante per monetizzare in fretta. «Un gruppo di tre o<br />
quattro soldati m'offerse in vendita una forma di formaggio». 7<br />
A Motta, giunti ormai a pochi chilometri dal Piave, «I nostri man mano<br />
che passano e sgombrano, caricano su autocarri e asportano quanto più<br />
possono e quanto di meglio trovano nelle botteghe e nei magazzini dei grandi<br />
commercianti fuggiti e nelle case private abbandonate. Ciò che è loro inutile o<br />
che non possono portar seco, lo gettano sulle strade invitando il popolo rimasto<br />
ad approfi ttarne, «ché domani, dicono, verr<strong>anno</strong> i tedeschi e si porter<strong>anno</strong> via<br />
tutto»». (Ciganotto, 15).<br />
Il caos fa perdere la testa a tutti, tutti impegnati in una gara frenetica di<br />
accaparramento insensato. Rimpinzarsi è un atto euforizzante. Quando si<br />
stappa un'effervescenza dimenticata, gli effetti diventano irrefrenabili.<br />
Si noti la serena naturalezza con cui viene ricordato un esproprio<br />
«amico».<br />
Nei pressi di Conegliano, riprendiamo lo stradone, e prima di sera, facciamo tappa alle prime case<br />
<strong>della</strong> cittadina. Quasi tutte le case e le varie villette sono abbandonate. Con altri colleghi, prendiamo<br />
possesso d'una grande villa, circondata da un vasto parco. Tutto è in ordine, e a noi, non resta che<br />
prendere possesso dei morbidi letti; il Colonnello alloggia in una stanzetta che, dalla toilette, doveva<br />
6 V. CODA, Dalla Bainsizza al Piave all'indomani di Caporetto, Milano, Sonzogno, 1919, pp.74-75.<br />
7 A. BARADEL, Nei solchi dell'odio, Treviso, Cassamarca, 1988, p.13. L'autore è di Cessalto e l'episodio ricordato<br />
risale a quando era diciassettenne ricevitore daziario a F<strong>org</strong>aria, paese che si trova presso il ponte di Cornino, dove<br />
un reparto bosniaco attraversò per primo il Tagliamento, nella notte tra il 2 e il 3 novembre 1917.<br />
149
La piazza di Valdobbiadene. ISTRIT.
Comando improvvisato sotto un ponte. ISTRIT.
essere quella d'una fi glia del proprietario. In un grande garage, vi è un'auto Fiat, e due carrozze; l'auto<br />
non ha benzina, altrimenti l'avremmo portata con noi. Nello scantinato vi sono numerose bottiglie di<br />
vino,e vari quintali di mele, che al mattino distribuiamo ai soldati. Non ci par vero d'aver dormito in un<br />
letto. Ci allontaniamo al mattino, col cruccio di lasciare tanta bella roba agli austriaci .<br />
Chi scrive è un bresciano, aspirante uffi ciale, <strong>della</strong> mitica classe 1899. Non<br />
ha dalla sua neppure le ragioni dell'umano risarcimento di chi è appena uscito<br />
dalle trincee. Non ha ancora avuto il tempo di sparare un colpo. 8<br />
Dopo che i nostri in ritirata sono passati oltre il Piave, tocca ai civili fare<br />
altrettanto prima che arrivi il nemico. In quelle poche ore sospese nell'ansia,<br />
tra l'ultimo passaggio dei nostri e l'arrivo dei conquistatori, si scatena un<br />
frettoloso e silenzioso attivismo furtivo dei 'b<strong>org</strong>hesi', come vengono chiamati<br />
dai diaristi i concittadini che approfi ttano <strong>della</strong> pausa per far man bassa nelle<br />
case abbandonate da chi si è messo in salvo oltre Piave.<br />
È un movimento che si svolge di giorno e di notte, soprattutto in città.<br />
Vittorio, mercoledì 7 novembre: «Cominciò il saccheggio per parte dei<br />
b<strong>org</strong>hesi, poveri negozi, meglio sarebbe stato che i proprietari non fossero<br />
allontanati da qui; la notte la f<strong>anno</strong> giorno poiché è continuamente passaggio,<br />
e per noi è un continuo tremolio credendo siano già i nemici». (Brustolon,<br />
17). Non lontano, lo stesso giorno, «Io discendo ore 6.30 dal Castello e vedo<br />
donne, fanciulle con carrette, cesti colmi d'ogni ben-di-dio; di notte h<strong>anno</strong><br />
sfondato negozio Bosetto ecc…, quindi il saccheggio è generale. Infamie<br />
senza nome! A Serravalle si è fatto ancora di peggio». «Ho visto uscire dal<br />
palazzo Luccheschi di Serravalle donne e fanciulli con mobili rubati!!». (Di<br />
Ceva, 16, 71). «In via Re Umberto scorsi una gran folla vociante di fronte al<br />
negozio Borsetto. Non sapendo cosa stesse succedendo mi avvicinai e notai<br />
con stupore che le porte del negozio erano state abbattute, e che la gente<br />
usciva con le braccia cariche di bottiglie e di dolciumi. Per la gran ressa, le<br />
bottiglie cadevano spesso di mano a coloro che se n'erano impossessati, e si<br />
rompevano sul selciato». 9 Idem a Conegliano, sempre il 7 novembre.<br />
8 E.A.ROSA, Un <strong>anno</strong> con l'Armata del Grappa, Brescia, Tip.Apollonio, 1982, pp.36-37. Lo stato di guerra normalizza<br />
la prepotenza anche nell'Italia libera. Numerosi casi di appropriazioni indebite da parte di soldati italiani<br />
e inglesi (oggetto anche di proteste scritte da parte delle vittime) si trovano segnalati, per esempio, nel diario di<br />
A. DAL COLLE, cappellano a Montebelluna, Diario di Guerra durante l'Offensiva sul Piave, a cura di P.ASOLAN e<br />
G.GALZIGNATO, Cornuda, Antiga, 1997. Sul punto anche B. BUOSI, Dietro le linee del Grappa e del Montello, in<br />
AA.VV., Il fronte <strong>della</strong> Marca Trevigiana, Treviso, Istrit e Provincia di Treviso, 2008, pp.97-100. Invece, scendendo<br />
lungo il Piave, troviamo, dalle parti di Fagarè, un Adolfo Omodeo occupato a rimettere in sesto una postazione d'artiglieria.<br />
Scriveva alla moglie il 17 novembre '17: «Buona gente i veneti, a differenza dei friulani. Anche in questi<br />
momenti diffi cili serbano una serenità meravigliosa e una grande cordialità verso i soldati, che pure non sono troppo<br />
riguardosi, e si considerano un po' padroni del territorio. Dell'ospitalità di questa povera gente serberò sempre un<br />
ricordo commosso». A. OMODEO, Lettere 1910-1946, Torino, Einaudi, 1963, p.236. E anche secondo Mario Isnenghi<br />
questi episodi non avrebbero lasciato tracce sgradevoli nella memoria collettiva.<br />
9 I. TOMASIN, L'<strong>anno</strong> di Vittorio Veneto. 1917-1918, Citta<strong>della</strong>, Rebellato, 1966, p.24. Sulla prima pagina del manoscritto<br />
si legge: «Isidoro Tomasin barbiere. Un <strong>anno</strong> di vita sotto il dominio austro-germanico. La prima versione<br />
152
Comincia il saccheggio in città, ove affl uiscono, a frotte, contadini dai dintorni, specie donne. La<br />
popolazione cittadina, in gran parte, emula l'azione delle campagne. Il movimento si protrae fi n nella<br />
notte. Non c'è più ombra di agenti che sorveglino e tutelino. Siamo in piena anarchia. […] C'è per l'aria<br />
un movimento morboso, che fa sparire ogni ombra di pudore. […] Si vedono donne, ferme davanti a<br />
qualche negozio, che stimolano i passanti, anche soldati, ad abbatterne le porte. […] Nella pazza fretta<br />
del compito, si veggono per le strade, dispersi, oggetti di salmeria ed altro, come pezzi di lardo, di<br />
formaggio, ecc. Si vedono portar via tessuti di ogni specie, qualche materasso, coperte di lana, ed altri<br />
oggetti molti. […] Don Sebastiano Dall'Anese, si affanna a spogliare le donne di tutto quanto st<strong>anno</strong><br />
portando via. (Della Barba, 4-5).<br />
A Valdobbiadene, anche dopo l'arrivo degli invasori:<br />
Continua il saccheggio delle case private e dei negozi, non solo di commestibili ma di tutti i generi.<br />
È un saccheggio <strong>org</strong>anizzato metodicamente e non lascia intatta casa alcuna. Con dolorosa sorpresa<br />
constatiamo che osa prendervi parte anche qualche b<strong>org</strong>hese. Molti però lo f<strong>anno</strong> per venire in aiuto al<br />
negoziante, e li vediamo far la spola tra la casa del proprietario e la bottega. Ma parecchi, purtroppo, si<br />
dirigono ai b<strong>org</strong>hi coi grembiuli o con ceste cariche di merce. (Arrigoni, 25).<br />
Non solo cose di cui ci si può sfamare, ma anche oggetti che possono far<br />
sempre comodo. Una rapacità pronta a cogliere al volo l'occasione buona,<br />
che nella plateale esecuzione prende anche l'aspetto di una sfi da impunibile,<br />
di un accanimento rancoroso, di una voglia di vendetta contro chi ha potuto<br />
mettersi in salvo, contro chi magari inneggiò alla guerra e poi ha tagliato la<br />
corda quando la guerra è entrata in casa. «Avvilimento generale, esasperazioni<br />
ed ansie. Dappertutto si corre all'impazzata chiedendo notizie, e salutando gli<br />
ultimi partenti, contro i quali, da taluni, si insolentisce gridando loro, con aria<br />
di sarcasmo: V<strong>anno</strong> alla conquista di Trieste…». (Della Barba, 4).<br />
Una guerra fuori posto<br />
Nel corso del 1917, le alterne fortune <strong>della</strong> guerra sui vari fronti europei<br />
erano andate affl osciando l'ottimismo delle previsioni che circolavano<br />
inizialmente sulla possibilità di una imminente conclusione del confl itto.<br />
Le perdite umane avevano raggiunto cifre impressionanti da ambo le parti<br />
e il logoramento morale oltre che materiale delle forze in campo poteva<br />
giustifi care la speranza di una conclusione per esaurimento. Ragioni d'ordine<br />
logistico facevano propendere per un esito favorevole all'Intesa, in relazione<br />
al blocco navale che danneggiava il fl usso di rifornimenti anche alimentari<br />
alle popolazioni delle potenze austro-tedesche e soprattutto in seguito alla<br />
di questa storia la scrissi nell'<strong>anno</strong> 1921».<br />
153
decisione presa dagli Stati Uniti di entrare in guerra. 10<br />
Ma dopo i contrastanti risultati ottenuti tra Asiago e Isonzo in maggiogiugno,<br />
anche la stampa più entusiasta aveva moderato i toni. E tuttavia ciò<br />
che gli autori dei nostri diari non supponevano minimamente era proprio<br />
l'eventualità di uno sfondamento delle linee di confi ne e di un'invasione che<br />
dilaga fi no al Piave.<br />
La sorpresa ha più a che fare con questa inammissibile eventualità che con<br />
la difettosa <strong>org</strong>anizzazione delle notizie in quei giorni a cavallo tra ottobre e<br />
novembre. Le reticenze dei comandi militari e le comprensibili indecisioni<br />
delle spaurite amministrazioni comunali erano state sopraffatte dall'eloquente<br />
spettacolo dei nostri soldati in confusa ritirata, mescolati ai profughi friulani in<br />
disperata fuga. Questa verità esplicita aveva fatto rapidamente giustizia di ogni<br />
astuzia diplomatica, di ogni riserbo tattico e inoltre smontava la consolidata<br />
convinzione che la guerra, fossilizzata lungo l'Isonzo, fosse defi nitivamente<br />
confi nata a ridosso di quei territori imperial-regi sui quali prima o poi avrebbe<br />
dovuto senz'altro sventolare la bandiera italiana.<br />
La guerra di posizione, insomma, aveva potuto legittimare l'idea che per<br />
il confl itto a fuoco esistesse un luogo apposito, ben distinto e lontano dal<br />
mondo abitato dai civili, ai quali poteva sembrare già un carico suffi ciente<br />
aver dato alla leva i fi gli migliori e sottoscritto i prestiti nazionali a sostegno<br />
dell'impegno bellico. 11<br />
L'immobilismo <strong>della</strong> guerra di posizione aveva potuto almeno allontanare lo<br />
spettro <strong>della</strong> guerra totale, nelle forme con cui si era presentata prepotentemente<br />
nei primi mesi del confl itto, come una guerra del tutto diversa da quelle<br />
già note, ora combattuta per terra, per mare e perfi no per aria, con enorme<br />
10 Ancora priva di effetti pratici sul terreno, tuttavia. La dichiarazione di guerra alla Germania da parte degli USA<br />
porta la data del 6 aprile 1917, ma, a parte gli aiuti per mare (in un momento critico per la micidiale offensiva dei<br />
sommergibili tedeschi), le prime truppe americane sbarcarono in Francia tre mesi dopo. E la vera e propria entrata<br />
in azione si ebbe soltanto nella primavera del 1918.<br />
11 Nel febbraio 1917 era stato lanciato il 4°Prestito di Guerra, che da queste parti sembra non abbia avuto calorosa<br />
accoglienza, malgrado la Gazzetta del Contadino si industriasse a presentare l'adesione nei modi più suadenti.<br />
«Affermano il falso quei cattivi cittadini che, specialmente nelle campagne, v<strong>anno</strong> dicendo che il denaro dato al<br />
Governo serve a prolungare la guerra. No, no; il denaro è invece necessario a raggiungere più presto la vittoria. […]<br />
Ogni casa di campagna abbia, conservata in un quadro, la cartella del Prestito. Così accanto all'immagine sacra che<br />
attesta la vostra fede religiosa, accanto al ritratto del Re che fa prova <strong>della</strong> vostra italianità, si troverà la cartella del<br />
Prestito a dimostrare il vostro patriottismo, il vostro contributo a favore <strong>della</strong> pace vittoriosa». In: la Gazzetta del<br />
Contadino del 18 febbraio 1917. Andrà crescendo invece il tributo di vite umane al fronte. Alla fi ne del 1917 erano<br />
quasi tremila i soldati caduti appartenenti a famiglie trevigiane residenti nei 47 comuni <strong>della</strong> Sinistra Piave. A guerra<br />
conclusa risulter<strong>anno</strong> 4.387 (di cui 10% in prigionia): per il 31.9% provenienti dall'opitergino, per il 28.3% dal coneglianese,<br />
per il 25.1% dal vittoriese, per il 14.6% dal valdobbiadenese. Il totale corrisponde al 48.3% dei caduti<br />
<strong>della</strong> provincia di Treviso, i quali furono complessivamente 9.086. V<strong>anno</strong> poi aggiunti i 247 deceduti nel 1918 (di<br />
cui 116 <strong>della</strong> Sinistra Piave). Ho calcolato questi dati numerici sugli elenchi nominativi forniti da una fonte uffi ciale<br />
come l'Albo d'Oro: Ministero <strong>della</strong> Guerra, Militari caduti nella Guerra Nazionale 1915-1918, vol.XXVI, Roma,<br />
Vecchioni e Guadagno, 1964.<br />
154
impiego di masse combattenti, appoggiate da armamenti mai visti prima. 12<br />
Ma che, soprattutto, si svolgeva ora senza esclusione di colpi. Le popolazioni<br />
civili, pur disarmate e inermi e del tutto impreparate a sostenere queste prove<br />
sconosciute e inattese, vi erano coinvolte pienamente, non più come bersaglio<br />
incidentale, ma come fossero masse combattenti a fi anco dei soldati in armi.<br />
L'invasione del Belgio neutrale, i bombardamenti degli Zeppelin sulle città<br />
inglesi erano altrettante prove cruente di questa provocata partecipazione<br />
totale allo scontro bellico, senza distinzioni di ruoli tra persone in divisa e<br />
persone in b<strong>org</strong>hese. Nessuno poteva sottrarsi alla violenza dello scontro. 13<br />
Una guerra totale, per i mezzi impiegati e per gli attori in campo, attivi o<br />
passivi che fossero.<br />
L'Isonzo, segnando plasticamente la separazione tra il mondo <strong>della</strong> guerra<br />
e il mondo <strong>della</strong> società, aveva almeno tenuto a bada l'incubo di un tale<br />
coinvolgimento. Ma quando la guerra lascia le trincee, tutti sono in ballo,<br />
12 I diaristi non f<strong>anno</strong> mostra di acc<strong>org</strong>ersene. Anzi, si meravigliano che gli invasori usino ridicoli mezzi di fortuna.<br />
Come quando li vedono togliere gli ombrelli ai civili per ripararsi dalla pioggia o spingere carrozzini da bambini<br />
per portar via la roba. E nelle colonne in marcia: «In maggioranza carri poco dissimili da quelli degli zingari,<br />
autocarri con ruote di ferro pesantissimi e pochi in paragone di quelli di cui disponevano i nostri». (Ciganotto, 51).<br />
L'unica novità che li colpisce davvero è l'aereo, non per i contenuti tecnici del mezzo o per la novità del suo impiego<br />
offensivo quanto per l'ardimento dei piloti e la grandiosità <strong>della</strong> scena offerta dai duellanti in volo. La maestra di<br />
Campolongo, che vive in aperta campagna, può assistere con infantile allegria al volteggiar degli aerei che si dànno<br />
la caccia. Il Caproni «sembrava ancor più bello illuminato dai raggi del sol nascente, solcava il cielo impavido, con<br />
lentezza quasi sfi dando gli schrapnells che tutto l'attorniava. Era magnifi co!». (Casagrande, 16).<br />
13 Un precedente, lontano nel tempo e nello spazio, si può trovare nella Guerra civile americana, la quale però ha<br />
nella sua stessa specifi cità le ragioni del coinvolgimento totale. Viene da qui il primo esempio di abbattimento e fusione<br />
delle campane per ricavarne proiettili. Una pratica che ripetuta in Veneto, recherà profonda offesa al sentimento<br />
religioso dei nostri contadini. Un'esperienza diretta di coinvolgimento totale l'avevano già conosciuta gli abitanti<br />
di Treviso, colpiti dalla prima incursione aerea nella notte del 19 aprile 1916, con 10 morti e numerosi feriti. Furono<br />
31 le incursioni con oltre 1500 bombe sganciate sulla città, provocando complessivamente 48 vittime. La prassi<br />
<strong>della</strong> guerra totale fu teorizzata poi, a cose fatte, nel 1935, dal capo di stato maggiore tedesco Erich Ludendorff.<br />
Deprecando questo genere di coinvolgimenti, c'è chi, come Franco Cardini, ha 'nostalgia' per le guerre di antico regime,<br />
perché ancora prive di quella micidiale potenza di fuoco che gli sviluppi tecnici sapr<strong>anno</strong> in seguito approntare,<br />
con l'aggravante di procurare effetti fuori controllo. F. CARDINI, Quell' antica festa crudele. Guerra e cultura <strong>della</strong><br />
guerra dal Medioevo alla Rivoluzione francese, Milano, Mondadori, 1997, pp.441-443. Incalza Roger Caillois:<br />
«Non c'è più campo di battaglia ben defi nito. Era una zona circoscritta, paragonabile alla lizza, all'arena, al campo<br />
da gioco. Questo recinto destinato alla violenza almeno lasciava intorno a sé tutto un mondo governato da leggi più<br />
clementi». Ora invece «La battaglia diventa faccenda di massa […] Così viene colpito il più debole. […] Sempre più<br />
spesso la guerra viene condotta di notte e con il massacro reciproco di popolazioni disarmate, il cui lavoro permette<br />
l'approvvigionamento dei combattenti». R. CAILLOIS, L'uomo e il sacro, Milano, Bollati Boringhieri, 2001, p. 168.<br />
Sono solo cambiate le regole oppure armi sempre più potenti h<strong>anno</strong> preso la mano ad utenti senza scrupoli? Stracciato<br />
il galateo, l'antica nobiltà è stata traviata dalla moderna perversità meccanica dei mezzi oppure è l'estensione<br />
dei fi ni, l'ampliamento degli obiettivi a pretendere un potenziamento dei mezzi? Non più solo limitate rettifi che di<br />
confi ni, nuovi campi di colore sulle mappe del mondo ma veri e propri scontri di culture se non di civiltà. E più si<br />
caricano i confl itti di signifi cati universali, più vengono indottrinate le nazioni e messe in campo, schierate le società<br />
(perché con gli eserciti di massa prendano parte attiva allo scontro), più i cosiddetti civili si trovano esposti a subirne<br />
gli effetti. I confl itti allora non sono più regolamentati e concordati tra élites guerriere, come ricorda Cardini, ma<br />
lotte di popolo tra nazioni. La guerra totale diventa guerra civile. Non a caso il contemporaneo sviluppo delle teorie<br />
giuridiche sui diritti dei civili non ha sortito effetti pratici. La convenzione dell'Aja del 1907 non riuscì a sancire più<br />
che sanzioni pecuniarie e nel 1919, a Versailles, il trattato di pace si occupò signifi cativamente di crimini di guerra,<br />
non di crimini contro l'umanità. B. BIANCHI, I civili: vittime innocenti o bersagli legittimi?, in La violenza contro<br />
la popolazione civile nella Grande Guerra, a cura di B.BIANCHI, Milano, Unicopli, 2006, pp. 74-82. E. TRAVERSO, A<br />
ferro e fuoco. La guerra civile europea 1914-1945, Bologna, Il Mulino, 2007, pp. 77-79, 91-92.<br />
155
senza scampo. Con qualche paradossale conseguenza. Che, per esempio, il<br />
primo civile caduto a Valdobbiadene, Luigia Orsolina, sia stato colpito dalla<br />
scheggia di una granata dell'artiglieria italiana. (Pivetta, 4). E che la stessa<br />
sorte sia toccata di nuovo a una donna, Rosa Zanin, a Pieve di Soligo, per un<br />
colpo sparato dal Montello. 14 E qualche mese più tardi anche all'arciprete di<br />
Conegliano, mons. Sebastiano Dall'Anese, sorpreso nel sonno.<br />
Ora l'invasione traccia anche per i civili un nuovo fronte. Tutto diverso<br />
però da quello dei combattenti. La prima linea si materializza disponendosi<br />
lungo le sponde di un altro fi ume (e prelude – sbollite le prime scalmane<br />
austriache di arrivare subito al Po – a una nuova guerra di posizione). Per<br />
i civili invasi invece questo nuovo fronte diventa anche un tratto interiore.<br />
Sono costretti a mescolarsi al nemico, sorprenderlo a rovistare per casa,<br />
insopportabilmente invadente mentre viola l'intimità dei luoghi più cari e più<br />
intimi, mentre maneggia gli oggetti d'uso più personale.<br />
In questo primo contatto fi sico con i conquistatori il furto <strong>della</strong> biancheria<br />
e l'occupazione <strong>della</strong> camera da letto sono sofferti come una profanazione<br />
intollerabile.<br />
Chi vive in trincea non possiede questa ottica ravvicinata (e il problema<br />
<strong>della</strong> biancheria è rinviato). Per i combattenti in prima linea il nemico è un<br />
punto sul terreno da prendere a c<strong>anno</strong>nate, una sagoma in corsa da colpire<br />
mentre si inquadra nel mirino. La distanza dona un anonimato bilaterale,<br />
cancella ogni identità personale. Il bersaglio perde consistenza umana. 15<br />
Col nemico in casa invece l'ottica cambia letteralmente, il punto di vista dei<br />
civili è un altro. Ai civili capita spesso di parlare col nemico (è in particolare<br />
il caso di una polemica Bianca Brustolon), di intrattenere dei rapporti anche<br />
amichevoli, con gesti di compassionevole solidarietà (è il caso <strong>della</strong> famiglia<br />
Pivetta).<br />
14 In questo caso però, chi ricorda l'episodio a distanza di quarant'anni, non può trattenersi dal caricarlo di una pietà<br />
interessatamente motivata secondo senno del poi. La scheggia italiana ha colpito la vittima «senza dilaniare il fragile<br />
corpo adolescente […] la trovarono distesa, serena, come in un sonno infantile. […] Pochi giorni prima aveva chiesto<br />
al Signore questa morte piuttosto che essere violentata dai tedeschi». G. SCHIRATTI, Un <strong>anno</strong> d'invasione nemica.<br />
Pieve di Soligo 1917-1918, Pieve di Soligo, Industrie Grafi che, 1958, p. 13.<br />
15 Perfi no al fronte sparare può diventare un gesto diffi cile, se il bersaglio si anima di umanità. Lo ammette Emilio<br />
Lussu, quando gli capita l'occasione di poter ammazzare comodamente un giovanissimo uffi ciale austriaco, sorpreso<br />
in un momento di rilassato riposo. «Bastava che premessi il grilletto: egli sarebbe stramazzato al suolo. Questa<br />
certezza che la sua vita dipendesse dalla mia volontà, mi rese esitante. Avevo di fronte un uomo. Un uomo! Un<br />
uomo! […] Tirare così, a pochi passi, su un uomo…come su un cinghiale!». E. LUSSU, Un <strong>anno</strong> sull'altipiano,Torino,<br />
Einaudi, 1964, p. 137. Le distanze ravvicinate, inoltre, favoriscono complicità e incontri. Durante il tacito armistizio<br />
di una Pasqua sul Merzli, due «nemici» si riconoscono per aver lavorato assieme in una fabbrica in Boemia, e si<br />
corrono incautamente incontro per un abbraccio amico sulla terra di nessuno. C. SALSA, Trincee, Milano, Mursia, pp.<br />
158-159. Dove le trincee opposte sono separate da pochi metri, i loro abitanti riescono ad allacciare contatti pacifi ci,<br />
scambiandosi qualche parola e perfi no qualche piccolo dono. Se dalla parte degli austriaci scarseggia il cibo, agli<br />
italiani mancano le sigarette. Ne nasce un baratto fraterno, che rinvia la durezza dello scontro. L. FABI, Gente di<br />
trincea. La grande guerra sul Carso e sull'Isonzo, Milano, Mursia, 1994, pp. 195-200.<br />
156
Alla sorpresa per l'inaspettata invasione segue la scoperta che il nemico<br />
è affamato e anche straccione. Non ci sono soltanto prepotenza e violenza.<br />
L'incuria di sé, il sudiciume, la totale mancanza d'igiene, l'ostentata e spregiativa<br />
esibizione dei propri bisogni corporali sono altrettante manifestazioni<br />
che sconcertano, urtano con una idea più elegante <strong>della</strong> guerra, come se la<br />
promiscuità <strong>della</strong> trincea potesse essere compatibile con la pulizia e il decoro,<br />
o nella bislacca idea che le trincee nemiche siano diverse (e peggiori) da<br />
quelle italiane.<br />
«I bosniaci h<strong>anno</strong> fatto gran cambio di biancheria sostituendo la propria<br />
con quella lasciata in deposito dal 56° fanteria, ammucchiando quella sudicia<br />
sotto le fi nestre <strong>della</strong> nostra cucina. Pensa, Pierina, ho innondato i davanzali<br />
di petrolio». (Arrigoni, 30). È quest'aria di trincea che entra in città che fa<br />
ribrezzo, che segna il confi ne, che scava un solco tra la guerra e la società.<br />
Che è poi un altro modo di esprimere il proprio rifi uto a farsi coinvolgere nel<br />
confl itto come attori primari ancorché vittime. Bianca Brustolon scrive che<br />
prima dell'invasione in casa «regnava l'allegria, e la pace». (Brustolon, 25).<br />
Dopo lo sconcerto del primo impatto, ci si chiede come sia potuto accadere<br />
tutto ciò, come un nemico tanto mal messo sia potuto arrivare al Piave quando<br />
ci si aspettava di arrivare noi a Vienna. Un nemico così poco rispettabile, così<br />
vulnerabile nella sua precipitosa necessità di soddisfare bisogni primari in tutta<br />
fretta. «Alle 11 i primi che avanzano sono tutti Bosniaci dalle faccie smunte e<br />
macilenti, maledetti!». «Pur oggi arrivarono molti Bosniaci, stanchi affamati,<br />
tutte le età, vecchi che f<strong>anno</strong> pietà». «Questa truppa non so comprendere<br />
come possa andare al fronte che non sono capaci di reggersi in piedi, quando<br />
passano di quà sono tanto macilenti, esausti sembrerebbero diretti a riposo».<br />
(Brustolon, 17-18, 29, 121). «Poco dopo ecco gli austriaci in lunga schiera,<br />
magri, stracchi, sfi niti, male equipaggiati e intenti a masticare pomi, noci,<br />
castagne». 16 «Affamati, scalcinati, depressi, come li vediamo accattar per le<br />
case, quale spirito bellico possono avere!». (Arrigoni, 90). «Non ho ancora<br />
visto un soldato Austriaco con un pezzo di pane, non ho ancora visto passare<br />
un solo carro <strong>della</strong> sussistenza». «Per un bel po' i malati e i feriti in questa<br />
nostra chiesa giacquero sulle pietre sopra un braccio di fi eno, pressoché<br />
ignudi. Arrivato quest'esercito, nudo sudicio, smunto da una prolungata fame,<br />
pieno di livore, in una regione ricchissima e abbondante di ogni ben di Dio si<br />
abbandonò al delitto, alla violenza e alla predoneria». (Ciganotto, 26, 70). A<br />
gennaio «I germanici ridotti nell'impossibilità di devastare nuove terre lasciano<br />
il fronte, vengono gli affamati, pezzenti, rozzi austriaci». (Casagrande, 11). 17<br />
16 Così mons. Camillo Fassetta, canonico e storico, insegnante al Seminario di Ceneda. C. FASSETTA, L'invasione<br />
Tedesca e La Battaglia di Vittorio, Vittorio, Longo e Zoppelli, 1923, p.12.<br />
17 A Pieve di Soligo la grande casa contadina dei Todesco, in b<strong>org</strong>o Stolfi , presso il guado del fi ume, viene tutta<br />
157
Cresce il dubbio che l'impresa possa essere proprio tutta merito di<br />
un esercito così mal ridotto. D'altronde non è possibile valutare l'effetto<br />
provocato nell'opinione pubblica (quella parte <strong>della</strong> popolazione che legge e<br />
si informa e quella che ne è toccata di rimbalzo) dal famoso bollettino n.887<br />
sulla «mancata resistenza». È il primo bollettino che Cadorna, il 28 ottobre, il<br />
giorno dopo la partenza da Udine, ha dettato a Treviso da palazzo Revedin, in<br />
B<strong>org</strong>o Cavour, dove ha stabilito la nuova sede del Comando.<br />
Il Gazzettino, il più diffuso quotidiano locale, non l'ha pubblicato se non<br />
il giorno dopo, nella seconda versione che ha smorzato un po' i toni. Solo la<br />
Gazzetta Trevisana, uscendo in edizione straordinaria nel pomeriggio del 28<br />
ottobre, si è sottratta all'edulcorazione degli emendamenti governativi. Ma<br />
per la modesta tiratura di questo giornale, con una diffusione probabilmente<br />
limitata ai centri maggiori, lo scoop non avrà forse avuto una grande risonanza<br />
tra i pochi lettori <strong>della</strong> provincia. 18<br />
I diari non f<strong>anno</strong> cenno al bollettino ma lo spettacolo di qualche episodio di<br />
diserzione non aiuta. A Valdobbiadene, il 5 novembre: «I carabinieri, baionette<br />
in canna, inquadrano gruppi di soldati sbandati, senza berretto, senza zaino,<br />
disarmati. Ad ogni tram li accompagnano al Comando di Treviso» (Arrigoni,<br />
16).<br />
Una precipitosa ritirata del nostro esercito – che per valore aveva meritatamente riscosso<br />
l'ammirazione del mondo intero – annullava in pochi giorni la guerra di due anni, e dava la patria in<br />
braccio alla desolazione, abbandonando questi fi orenti e ricchi paesi in preda al nemico. La defezione,<br />
dicono, di reparti <strong>della</strong> seconda Armata! È stata la causa di tanto disastro: ritirata, che per il modo, per<br />
la precipitosità, per le perdite in uomini e in materiale, non ha riscontro, credo, nella storia del mondo.<br />
Tutto considerato, tutto calcolato e ponderato: Digitus Dei est hic. (Ciganotto, 10).<br />
E, poi, le voci più varie corrono in fretta. «Un soldato istriano dice del<br />
tradimento di Tolmino. Uffi ciali nemici, vestiti di uniforme italiana, e parlanti<br />
perfettamente la nostra lingua, si sarebbero infi ltrati nelle nostre fi le, mettendo<br />
in scompiglio il campo, già predisposto indisciplinato». (Della Barba, 7-8).<br />
Prende piede il dubbio peggiore su Caporetto.<br />
occupata dagli invasori. «Gli uomini erano quasi tutti vecchi, sporchi, con le barbe lunghe, indossavano abiti rotti,<br />
fumavano la pipa e tra loro parlavano piano piano; qualcuno passando, mi accarezzava la testa e mi diceva sorridendo<br />
«kinder», ma la mamma non voleva che accadesse e quando se ne acc<strong>org</strong>eva mi portava subito in casa».<br />
Dai ricordi di Elisabetta Todesco, raccolti da Giuliano Bottani, direttore del Museo Storico <strong>della</strong> Grande Guerra di<br />
Maserada sul Piave.<br />
18 L'andamento <strong>della</strong> guerra ebbe ripercussioni gravi sulla vita <strong>della</strong> stampa locale, sia in termini di autonomia di<br />
giudizio che in termini materiali con la riduzione <strong>della</strong> foliazione. A maggior ragione, a cavallo di ottobre-novembre,<br />
l'invasione pregiudicò la regolarità <strong>della</strong> diffusione dei giornali in provincia. Con il numero dell'1 novembre 1917<br />
la Gazzetta Trevisana sospese le pubblicazioni (riprese nel 1919). Eppure, fi dandoci <strong>della</strong> testimonianza di Caterina<br />
Arrigoni, il 5 novembre a Valdobbiadene i giornali arrivavano ancora. Nello stesso giorno in cui gli Austriaci occupavano<br />
Cortina e attraversavano il Tagliamento a Codroipo e a Latisana.<br />
158
Quanto ci narra il signor Brunoro fi nisce di atterrirci e disorientarci in questo caos di notizie che<br />
corrono sulla nostra disfatta. Un suo colono, giunto qui dall'altipiano <strong>della</strong> Bainsizza, narra che il proprio<br />
sergente, un socialista, il 17 ottobre gli disse: Sta' allegro, fra otto giorni saremo tutti in Italia, a casa.-<br />
Come! Che dici mai? – Tu ricordati le mie parole e vedrai! Ma allora non i gas asfi ssianti insostenibili,<br />
bensì un tradimento preparato da lunga mano ha causato il disastro? (Arrigoni, 17)<br />
Col tempo il dubbio diventa convinzione. Bianca Brustolon <strong>anno</strong>ta il 25<br />
febbraio 1918:<br />
Oggi dissi a uno di Vienna: sa lei perché sono venuti in Italia loro? Lui pronto; perchè forza nostre<br />
armi: stia tranquillo le dissi io; che se h<strong>anno</strong> veduto paesi italiani lo fu perché ci h<strong>anno</strong> tradito ; altrimenti<br />
mai mai voi avreste calpestato terra Italiana.<br />
E il 2 aprile:<br />
Se i traditori avessero sapute le conseguenze d'un'invasione, che avessero fatto egualmente questo?<br />
[…] Alcuni prigionieri italiani mi dissero che Cadorna è stato il traditore, sarà vero questo? Veramente<br />
il bollettino del 6 era fi rmato Generale Diaz. (Brustolon, 86, 104, 160).<br />
D'altra parte le prime impressioni su Caporetto sono mediate dai racconti<br />
dei soldati in ritirata e le versioni che si accavallano sono così poco concordi<br />
da non deporre affatto a favore di sentimenti patriottici. «Qui il 29 cominciano<br />
a giungere militari, soli, a capannelli, randagi, sbandati, inconsci; anzi<br />
qualcuno osa vantarsi: «per merito nostro sar<strong>anno</strong> i capi costretti alla pace»,<br />
infelice!». 19<br />
Per il parroco di Salgareda, don Pietro Sartor, alla convinzione che a<br />
Caporetto siano stati dei traditori ad aprire la strada al nemico, si aggiunge<br />
la prova del teorema tutto cattolico che alla origine prima ci sia la camorra,<br />
che si annida nelle fi le <strong>della</strong> Massoneria, il nemico assoluto <strong>della</strong> Chiesa. La<br />
truppa sarebbe dunque esente da colpe, preferendo il parroco collocare in alto<br />
le responsabilità del disastro. 20<br />
I dubbi sulla lealtà e sullo spirito combattivo dei nostri soldati tornano<br />
più brucianti nel giro di qualche settimana. La battaglia d'arresto sul Piave<br />
ha avuto costi altissimi, soprattutto alle pendici orientali del Grappa, dove si<br />
era concentrato lo sforzo nemico. La nostra resistenza ha avuto successo ma<br />
è costata molti prigionieri, che gli invasori f<strong>anno</strong> sfi lare più volte per le strade<br />
di Vittorio per moltiplicare la misura del bottino, demoralizzare le vittime e<br />
19 FASSETTA, L'invasione Tedesca, cit., p.7.<br />
20 R. TOFFOLI, «Piovan» di una chiesa distrutta. Memorie di guerra di don Pietro Sartor, 1917-1918. A cura<br />
dell'Amministrazione Comunale di Salgareda. Salgareda, Marpress, 2007, p.111. Ma, seguendo una voce che corre<br />
tra i parrocchiani, si sente un'altra musica: «Sborai de Taliani, boni da gnent! I va in guera, sti sfondrai, e no i xe boni<br />
de respinger i Todeschi! Cesare Borin el me gavea dito che in novembre nol sarìa pi sta sul Carso». p.88.<br />
159
aumentare lo sconforto nella gente che assiste allo spettacolo. Sconforto <strong>della</strong><br />
pietà ma anche <strong>della</strong> delusione e del dubbio.<br />
Sono andata a trovare i miei amati zii, con questa combinazione ho veduto tanti prigionieri nostri,<br />
sfi niti, macilenti. Dissero che furono fatti prigionieri sul Grappa il giorno 15 [dicembre], se vero<br />
questo f<strong>anno</strong> compassione, caso contrario pagher<strong>anno</strong> il loro capriccio a caro prezzo […]. Prigionieri<br />
nostri soliti li f<strong>anno</strong> girare per tutte le vie, li f<strong>anno</strong> stancare per poi poveri s'ammalino, quanti e quanti<br />
se preferito darsi prigionieri ora sar<strong>anno</strong> pentiti, ma troppo tardi.[…] Prima i nostri prigionieri mi<br />
faccevano compassione ora mi sono venuti odiosi poiché diversi h<strong>anno</strong> il coraggio di dire che h<strong>anno</strong><br />
oltrepassato il Piave questi; e che vadino pur avanti; questi non h<strong>anno</strong> amor patrio, né amore alla<br />
famiglia parlando in tale modo mi ripugnano, più ancora confermano d'aversi dato loro prigionieri.<br />
(Brustolon, 49-51, 52).<br />
Nel maggio molti prigionieri italiani vengono inopinatamente trasferiti<br />
da Toblach a Vittorio. «Anche Pia narra del raccapriccio destato dai poveri<br />
prigionieri scesi da Toblac, i quali muoiono di fame e se possono si gettano<br />
avidamente sulle ossa scarnate e mezze putrefatte abbandonate in qualche<br />
fosso, sui rifi uti degli immondezzai e dei secchiai. Al loro avvilimento fi sico<br />
si eguaglia quello morale, tanto più che qualche donna, ormai esasperata dalla<br />
fame, rinfaccia loro il tradimento». (Arrigoni, 144).<br />
Qualche settimana dopo, nei giorni dell'infelice inizio <strong>della</strong> battaglia del<br />
Solstizio, la scena si ripete a Refrontolo. «Comincia lo stuolo dei prigionieri<br />
italiani ricevuti dalla popolazione con improperi» (Spada, 91). «So che<br />
son passate colonne intere di prigionieri italiani. Vengono dal Montello<br />
inneggiando alla prigionia. Chiedono vino, domandano alberghi per ristorarsi.<br />
Disgraziati!». (Casagrande, 14). Circolano subito voci di un nuovo cedimento<br />
delle truppe italiane. «Tutto questo ha prodotto nel popolo una costernazione<br />
nell'intero senso <strong>della</strong> parola: ma insieme ha provocato degli scatti di ira e<br />
di sdegno vivacissimi contro i nostri soldati, che, secondo lui o tradiscono o<br />
sono vili. – «Sono sette mesi che noi sopportiamo sofferenze e maltrattamenti<br />
incredibili: ed essi in sette mesi non sono stati capaci di preparare una buona<br />
difesa». (Ciganotto, 157-158). 21<br />
21 Reazioni comprensibili queste, nel clima di sfi ducia esasperato dalla durezza <strong>della</strong> vita quotidiana che fa crescere<br />
l'ansia per l'attesa <strong>della</strong> liberazione. Invece un proposito ben più calcolato ispirava il comportamento governativo,<br />
altrettanto sospettoso verso il contegno dei nostri prigionieri. Centellinare gli aiuti nei campi di concentramento era<br />
una forma di punizione a distanza e poteva essere un modo effi cace di ottenere indirettamente al fronte un effetto<br />
deterrente contro possibili tentazioni di diserzione. Questo atteggiamento si inasprì dopo Caporetto, quando altri<br />
300mila prigionieri andarono ad affollare i campi di concentramento austriaci e tedeschi. Si è calcolato che 100mila<br />
ne siano morti di stenti, anche a seguito <strong>della</strong> crisi <strong>anno</strong>naria dell'Impero, che non poteva non aggravare il già precario<br />
regime alimentare dei prigionieri. A differenza degli alleati dell'Intesa, l'Italia si distinse per una sostanziale<br />
indifferenza verso la sorte dei propri prigionieri, grazie alla perfetta sintonia tra le vedute punitive del Comando<br />
Supremo e l' intransigente ostilità manifestata dal ministro degli Esteri Sidney Sonnino. G. PROCACCI, Soldati e pri-<br />
160
E il nemico non manca di speculare su questa sfi ducia. «Un Uffi ciale dei<br />
mitraglieri mi disse: «Quando nostri soldati andare all'assalto cridano: 'via le<br />
armi' e soldati Italiani alzare subito le mani»». (Rossetto, 58).<br />
I diari rifl ettono questo miscuglio di sentimenti popolari contraddittori.<br />
C'è fi ducia e sfi ducia assieme sulla capacità del nostro esercito di ripassare il<br />
Piave. Come tutte le convinzioni che si muovono sull'onda delle emozioni,<br />
speranza e rassegnazione si alternano. C'è allo stesso tempo voglia di pace e<br />
voglia di guerra.<br />
Per un verso è un fatto che la dura resistenza al Piave ha impedito che<br />
l'invasione dilagasse fi no agli ambiziosi traguardi del Po e oltre. La ritrovata<br />
tempra combattiva dell'esercito italiano ridà sicurezza contro le mortifi cazioni<br />
<strong>della</strong> spavalderia con cui, durante i primi giorni, gli invasori schernivano i<br />
civili annunciando l'imminente occupazione di Treviso, di Venezia, di Milano,<br />
di Roma infi ne, per liberare il papa prigioniero. Aiutano la speranza anche le<br />
strampalate novità raccontate dagli invasori. «I tedeschi h<strong>anno</strong> narrato che i<br />
nostri alleati dal Montello, con un sistema di specchi, vedono tutto ciò che<br />
f<strong>anno</strong> gli austriaci. Non basta! Una nuova macchina raccoglie tutti i loro<br />
discorsi». (Arrigoni, 108).<br />
E dunque dà conforto che gli invasori siano costretti a segnare il passo, a<br />
rinfoderare la loro baldanza. Ma c'è anche un risvolto di pene che si prolungano<br />
con il peso dell'occupazione. È una contraddizione insostenibile se non viene<br />
subito il contrattacco dei nostri, se continua a tardare il giorno <strong>della</strong> riscossa e<br />
<strong>della</strong> liberazione. Senza questa rimonta si precipita nella solita attesa indotta<br />
dalla guerra di posizione, che ora si è semplicemente spostata da un fi ume ad<br />
un altro. Ma l'Isonzo doveva essere un preludio di vittoria, mentre il Piave ora<br />
è il suo contrario, poiché segna il confi ne che contiene e chiude il territorio<br />
dominato dall'invasore.<br />
Se potevano esserci stati segni di cedimento alla stanchezza, un logoramento<br />
<strong>della</strong> fi ducia per una guerra che doveva essere lampo e invece da oltre due<br />
anni miete vittime ovunque senza risultati conclusivi, ora, al contrario, la<br />
guerra è necessario continuarla senza sosta poiché è diventata vitale guerra<br />
di liberazione. Lo è per i civili invasi, lo è anche per i fi gli al fronte, che ora<br />
h<strong>anno</strong> un movente in più per combatterla sul serio, sapendo le loro famiglie<br />
in mano al nemico, senza notizie sulle condizioni in cui si trovano. In questo<br />
ripiegamento individualistico svaniscono le prospettive espansionistiche<br />
o semplicemente irredentistiche che avevano scaldato le piazze trevigiane<br />
nel «maggio radioso». Lo stato di occupati cambia tutto nelle attese e nelle<br />
prospettive. La pace è un bene supremo. Ma non adesso, col nemico in casa.<br />
gionieri italiani nella Grande guerra, Milano, Bollati Boringhieri, 2000, pp. 177-182, 209-239.<br />
161
Piccoli profughi veneti accolti a Roma dalla Croce Rossa. ISTRIT.
Mentre al di là del nuovo fronte, sulla Destra Piave, gli argomenti pacifi sti<br />
possono ancora aver corso e il cappellano di Montebelluna può continuar<br />
a tuonare contro la guerra e chi l'ha voluta, 22 i preti dei territori invasi<br />
accantonano il messaggio di papa Benedetto XV contro «l'inutile strage». 23<br />
Mai quanto in occasioni come queste sentimenti pacifi sti sarebbero apparsi<br />
stonati, fuori luogo, rischiando la reazione di sentimenti anticlericali.<br />
La condizione d'invaso è una condizione di solitudine, quanto più sono<br />
affollati, caoticamente intasati paesi e contrade. Le crescenti privazioni<br />
materiali non logorano più delle sofferenze morali, che tengono la gente in<br />
stato d'angoscia permanente. «Ogni giorno passa meno sento il desiderio di<br />
scrivere, sono esausta. Mi sforzo contro volontà per avere un altro momento<br />
un diario di questi angosciosi giorni». «Lo scrivere è venuto noioso, pesante,<br />
poiché non si realizano mai i miei sogni, i miei desideri». «Vorrei scrivere<br />
a lungo specialmente dell'impressione che subisco ogni giorno col vedere<br />
nuove distruzioni, non ho voglia di farlo, poiché questa và completamente<br />
mancandomi; volentieri tralascerei di scrivere le memorie dolorose, è mamma<br />
che me lo impone di continuare». (Brustolon, 131, 155, 162).<br />
Mancano notizie dei famigliari lontani, mancano notizie sicure<br />
sull'andamento <strong>della</strong> guerra, mancano regole di una ordinata vita sociale.<br />
Oltre allo spavento dei primi giorni dell'invasione l'angoscia provocata dalla<br />
pressione psicologica degli invasori quando irridono sulla facilità con cui<br />
h<strong>anno</strong> avuto la vittoria e quando scherniscono i civili impauriti chiedendo<br />
loro notizie sulle strade che portano ai nuovi più ambiziosi traguardi. Tutto<br />
ciò non fa che aumentare il disorientamento e il panico.<br />
«Due giorni fa uno di questi ci disse: tre giorni Marco Plas otto giorni Rome<br />
Pape; con questo voleva dire che in tre giorni sar<strong>anno</strong> in Piazza S. Marco, in<br />
otto a Roma dal Papa». (Brustolon, 26). Un uffi ciale austriaco «calcola che il<br />
Piave sarà passato in quarantott'ore, poiché ormai l'esercito italiano non è più<br />
ri<strong>org</strong>anizzabile. Forse al Po ci sarà una certa resistenza: non più di quindici<br />
giorni. Poi sarà affare di pochi dì giungere a Roma. Chiede quanti chilometri<br />
dista da qui. – Circa settecento – rispondo – dicendo la prima cifra che mi<br />
viene in bocca». (Arrigoni, 22).<br />
22 DAL COLLE, Diario di Guerra, cit., pp. 59, 81, 107.<br />
23 Solo padre Lodovico Ciganotto si permette un rabbuffo, tra il polemico e l'ironico, rivolto a Sonnino. «Quando<br />
il nostro Ministro degli Esteri proclamava in Parlamento! (in risposta! Alla Nota diplomatica del S. Padre) l'inviolabilità<br />
«delle nostre frontiere, segnava l'ora e il momento –ironia delle cose – in cui il nemico, sfondate le nostre linee,<br />
varcava baldanzoso i vecchi confi ni <strong>della</strong> patria: Digitus Dei est hic, tanto evidente quanto vero è il fatto doloroso!».<br />
(Ciganotto, pp. 10-11). E altrettanto fa, per rapido inciso, mons. Emilio Di Ceva: «Italia, Italia! Che non volesti<br />
ascoltare la voce del Vicario di Cristo «tal giudicio incomincia per te !»». (Di Ceva, p. 24).<br />
164
È opinione comune tra gli invasori che breve sarà la loro sosta qui a Motta, e che si recher<strong>anno</strong><br />
ben presto a svernare a Venezia, a Padova, e…più in là. È ridicolo, ma insieme umiliante molto sentirsi<br />
chiedere da tanti idioti quanto disti ancora…Roma, dove si propongono d'andare, a seconda dell'umore,<br />
altri a fucilare il Re, altri ad impiccare il Papa.»Inebriate, per non dire pazze di una strepitosa, sì, ma<br />
facile vittoria, dopo una breve sosta sulla Piave, si ripromettevano di raggiungere Venezia (Venezia!<br />
Alta e bassa forza impazzivano al solo nome), poi una passeggiata militare al Po, e là o la pace separata,<br />
o a…Roma. Tante volte ci sentimmo chiedere ingenuamente: Quanto disti Roma da qui? Pare strano,<br />
pare pazzesco, pure è questa la verità. (Ciganotto, 28, 71).<br />
A Follina invece (dove il XV Corpo d'Armata austriaco si è insediato nella<br />
casa nativa di Jacopo Bernardi): «Altri, sempre soldati, sono convinti di dover<br />
andare a Roma, perché gli Italiani h<strong>anno</strong> ammazzato il Papa ed essi devono<br />
vendicare il grave delitto». (Rossetto, 50).<br />
In mancanza di notizie attendibili non resta che osservare il movimento<br />
delle truppe. Se ne arrivano di fresche dalla parte del Friuli vuol dire che il<br />
nemico ta preparando un'offensiva e c'è pericolo che riesca a passare il Piave.<br />
Se tornano dal Piave truppe malconce e immusonite segno che l'attacco è<br />
fallito e allora bisogna prepararsi ad altre requisizioni e altri soprusi che<br />
servir<strong>anno</strong> a sfamare gli sconfi tti e a rinfrancarne il morale.<br />
Tra dicembre e gennaio sgomenta tutti la notizia che gli Austriaci,<br />
fi accati dall'andamento <strong>della</strong> guerra, dalle divisioni in seno alla coalizione<br />
e soprattutto dalla carestia interna che provoca reazioni popolari anche a<br />
Vienna, starebbero trattando per una pace separata che metta presto fi ne alla<br />
guerra. Una conclusione che congelerebbe però i confi ni allo stato attuale,<br />
cioè al Piave, lasciando quindi agli invasori i territori occupati. 24<br />
24 Nel corso del 1917 si erano effettivamente svolti segreti contatti diplomatici promossi da Carlo I d'Asburgo per<br />
cercar di convincere inglesi e francesi ad una pace separata, ma senza successo. Il tentativo era stato inutilmente<br />
ripreso in dicembre su iniziativa inglese. Comunque i timori di una annessione austriaca del Veneto erano infondati<br />
poiché tale ipotesi non rientrava nel quadro delle trattative, per quanto potesse essere verosimile la ratifi ca di una<br />
situazione di fatto. Caporetto aveva apparentemente rafforzato l'Austria, pur a prezzo di una ribadita subalternità<br />
all'alleato tedesco, ma era la situazione interna del paese che stava rapidamente precipitando, in contrasto coi successi<br />
militari. A metà gennaio 1918 una riduzione del 15% nella razione dei cereali destinati alla popolazione civile<br />
aveva provocato uno sciopero degli operai <strong>della</strong> Daimler, che si era esteso poi a Vienna e a Budapest, andando oltre<br />
gli aspetti <strong>anno</strong>nari e assumendo risvolti anche politici, pericolosi per la stessa stabilità del governo. L. VALIANI, La<br />
dissoluzione dell'Austria-Ungheria, Milano, Il Saggiatore, 1966, pp. 360-365 e P. FIALA, 1918. Il Piave, Milano,<br />
Mursia, 1987, pp.28-31, 35-37. Gran parte dei mezzi di trasporto ferroviari disponibili erano stati impegnati per le<br />
nuove necessità di rifornimento alle truppe sul fronte del Piave e del Grappa, provocando per alcuni mesi una forte<br />
riduzione degli approvvigionamenti alimentari alla popolazione civile in patria. H. HEISS, «La morte dell'Aquila<br />
bicipite». Aspetti politici, militari e sociali dell'ultimo <strong>anno</strong> di guerra in Austria, in Al di qua e al di là del Piave.<br />
<strong>L'ultimo</strong> <strong>anno</strong> <strong>della</strong> Grande Guerra, a cura di G. BERTI – P. DEL NEGRO, Milano, Angeli, 2001, p. 125. Secondo Paolo<br />
Macry, ad aggravare la situazione molto contribuì l'ineffi cienza dovuta sia all'ipertrofi a burocratica che affl isse l'<strong>org</strong>anizzazione<br />
logistica sia a una eccessiva e contraddittoria produzione normativa. Dai diari si ha conferma di ciò anche<br />
per gli atti dell'amministrazione nei territori occupati. P. MACRY, Gli ultimi giorni. Stati che crollano nell'Europa<br />
del Novecento, Bologna, Il Mulino, 2009, pp. 103-111. Ma non si tratta solo di defi cienze riscontrate nella parte più<br />
debole dell'Impero. Secondo fonti uffi ciali, più di mezzo milione di civili sarebbero morti in Germania durante gli<br />
ultimi due anni di guerra a causa del blocco economico dell'Intesa. La violenza contro la popolazione cit., p. 458.<br />
165
Tra le molte notizie, fi glie <strong>della</strong> speranza, che circolano liberamente senza<br />
possibilità di verifi ca c'è però anche questa.<br />
Alle Basse, come qui, come nel Cadore, come oltre il Tagliamento, corre insistentemente la voce<br />
popolare che, se prima di sei mesi dalla loro venuta, gli austriaci non riuscir<strong>anno</strong> a passare il Piave, si<br />
ritirer<strong>anno</strong> pacifi camente. Quindi tutti si rallegrano. Ormai è questione di tre sole settimane. Come sarà<br />
nata questa strana credenza, articolo di fede per il popolo? Anzi, molti non si peritano di sostenere che<br />
questo è uno dei patti del tradimento conchiuso a Caporetto. (Arrigoni, 131).<br />
Nell'oppressione quotidiana di una occupazione che era stata inizialmente<br />
ritenuta un incidente presto risanabile (una reiterazione delle promesse del<br />
1915 di una rapida vittoria), e che invece si prolunga oltre ogni previsione,<br />
non mancano gli umani sbandamenti. Il disorientamento e l'infi acchimento del<br />
morale debilitano la saldezza dei nervi e delle convinzioni. A Vittorio: «Vedo<br />
il prof. Giusti che va elemosinando polenta da De Mori; ha la casa invasa;<br />
è disposto a cedere Trento e Trieste, purché la si fi nisca. È tutto dire!». (Di<br />
Ceva, 50). «Purtroppo è antipatriottico il dirlo, ma eravamo giunti a desiderare<br />
che gli Austriaci se ne andassero al di là del Piave per essere allontanati dalla<br />
guerra!» (Pivetta, 4). A Conegliano: «In luoghi di campagna ci si diverte.<br />
Si balla allegramente. Il suonatore d'armonica, intascato il denaro, ripiglia il<br />
ballo, e grida: «viva l'Austria»». «Qualche donna, che raccoglie merce gettata<br />
da soldati, grida «viva i germanici»». «Notizie certe recano che i tedeschi<br />
non possono passare il Piave. C'è chi piange al pensare che quei barbari non<br />
possono andare avanti, tanto per liberarseli dai piedi». (Della Barba, 7, 9, 10).<br />
A Godega S. Urbano: «Non ne possiamo più, mi ripetevano gli abitanti, siamo<br />
ammalati, non ci sono medicamenti, non lenzuola, non animali, è meglio che<br />
passino il Piave, l'Italia non si cura di noi». 25<br />
Le voci che corrono circa un tunnel che i tedeschi starebbero costruendo<br />
sotto il fi ume f<strong>anno</strong> crescere le apprensioni. Così come l'imponente e insolito<br />
ammassamento di uomini e mezzi a cui si assiste ai primi di giugno, preludio<br />
alla battaglia del Solstizio, che dovrebbe essere l'ultima e disperata carta in<br />
mano alle potenze centrali per vincere la partita sul fronte italiano.<br />
A tu per tu con il nemico<br />
L'ottica ravvicinata, che costringe a guardare il nemico in faccia, fa scoprire<br />
ai civili una varietà di fi sionomie che aumenta lo sconcerto dell'invasione,<br />
l'imbarazzo e il peso dell'estranea presenza. Anzi, l'estraneità si fa anche più<br />
25 Sac. P. MICHIELI, I miei 356 giorni di prigionia, in Diari dell'invasione. Godega, Bibano, Pianzano, a cura di I.<br />
AZZALINI E G. VISENTIN. Vittorio V., De Bastiani, 2002, p. 68.<br />
166
forte per queste connotazioni fi siche, così diverse da quelle che sono famigliari<br />
in paese.<br />
Allora nel giudizio s'impone l'uso delle categorie del Bello e del Brutto, che<br />
si combinano poi d'istinto con quelle sensorialmente contigue del Buono e del<br />
Cattivo, associando tra loro affi nità positive e negative. Così la disumanità dei<br />
comportamenti ha a che fare con la «disumanità» dell'aspetto. L'insofferenza<br />
soggettiva verso l'invasore si misura anche secondo questi criteri di sensibilità<br />
estetica. E nella graduazione è di grande aiuto la composizione multinazionale<br />
e multietnica dell'esercito austro-ungarico.<br />
L'avvicendamento al fronte di formazioni diverse, che lasciano ai rincalzi<br />
gli accantonamenti in paese per recarsi sulla linea del fuoco, permette di<br />
ampliare la conoscenza fi siognomica del nemico, per cui la cronaca quotidiana<br />
dei diari può anche stabilire una graduatoria di «merito» tra i diversi autori<br />
delle violenze e dei soprusi, dividendoli tra i rispettivi paesi di provenienza,<br />
vera o supposta che sia, ai quali vengono assegnati a occhio, non essendo<br />
così facile il riconoscimento di berretti, divise e mostrine. Ne scaturisce per<br />
comparazione una classifi ca caratteriologica dalla quale risulterebbe che i<br />
tedeschi sono peggiori degli austriaci, gli ungheresi sono peggiori dei boemi,<br />
che i turchi e i bosniaci sono forse i peggiori di tutti. E gli 'czechi' i migliori.<br />
«Tutti questi tedeschi sono così brutti, che l'eccezione fa meraviglia. E se<br />
ne vedi uno di discreto, se non è bosniaco, parla triestino». (Arrigoni, 201).<br />
«Faccie orrende e non meno orribili favelle».»Tutti, soldati e uffi ciali, sono<br />
unanimi nel dire che gli ungheresi sono «bestie crudeli». Sarà vero: ma io<br />
sono d'avviso che, fatte poche eccezioni specialmente per i boemi, sono tutti<br />
eguali». «Civiltà austro-teutonica, dirà qualcuno. Non so: Ripeterò ancora una<br />
volta che vi h<strong>anno</strong> molti e molti punti di contatto tra l'Austria e la Turchia»<br />
(Ciganotto, 22, 83, 214). «I Cechi-Slovacchi e gli Ungheresi lottano tra loro. I<br />
Boemi con i Cechi sono tutti con noi. I Bosniaci si battono per chi li paga; gli<br />
Slavi tentano un doppio giuoco per salvare il poi». (Dal Cin, 90).<br />
«Si dice male, ma molto male degli ungheresi, mentre si dice molto bene<br />
dei boemi che simpatizzano vivamente con l'Italia per la comunanza delle<br />
aspirazioni». «Passano, passano: sono i fi gli <strong>della</strong> Croazia, <strong>della</strong> Boemia, <strong>della</strong><br />
Carinzia, alcuni vecchi, curvi, occhio spento, inebetito con barba, ti guardano<br />
anche e salutano i feroci bosniaci ceffi da briganti, ammazzano con il revolver<br />
i temporali». (Di Ceva, 216, 277).<br />
Continua il passaggio interminabile di stirpi diverse, di varie nazionalità: agili istriani, robusti<br />
trentini, carnioli, boemi, moravi, slovacchi di larghe spalle, dalmati bruni, fl osci transilvani, croati goffi<br />
e poi col beretto a fez, brutti, sucidi, dall'aspetto selvaggio bosniaci, erzegovini. Cavalli stecchiti, di<br />
167
cui si contano tutte le costole, si trascinano a stento; qualcuno d'essi cade per via, due rantoli e muore.<br />
Carretti trainati a tiro due, forniti d'archetti, di sopra una tela stirata ed entravi un graduato; poco<br />
bagaglio, pochissime vettovaglie; alcune mucche, che mugghiano per fame, languono d'inedia. 26<br />
Questi zingari h<strong>anno</strong> il vero tipo che si attribuisce alla loro razza: occhi a mandorla vellutati, ciglia<br />
e capelli color ebano lunghi, lucenti e folti, denti bianchissimi. In complesso sono brutti assai. Possiamo<br />
proprio dire d'esserci trovati a contatto, peggio, in casa, con le razze più disparate e meno omogenee<br />
ai nostri sentimenti: bosniaci, germanici, magiari, zigani. Però, fra tutti, i peggiori, i meno civili, sono<br />
sempre quelli <strong>della</strong> Kultur. […] Quanto ai cavallereschi ungheresi del Ris<strong>org</strong>imento, lasciamoli ai poeti.<br />
Questi sono falsi come gli austriaci e spavaldi come i germanici, cioè h<strong>anno</strong> i vizi dei due, senza le<br />
qualità.[…] Triestini, romeni e boemi cercano di affratellarsi alla popolazione, ma evidentemente sono<br />
i più spiati, i più malvisti ed i più conculcati dai diversi commilitoni. Spiccatissimo l'odio fra ungheresi<br />
e boemi. Quando parlano con noi, i triestini non mancano di rinfacciarci Caporetto. (Arrigoni, 72, 136,<br />
145).<br />
Questi nuovi padroni, Austro-Ungarici, composti di più cinquine di nazioni non h<strong>anno</strong> quella serietà<br />
che si riteneva: sono dediti al mangiare come i Tedeschi: e più di questi spasimanti nel suonare, cantare,<br />
ballare, donnaggiuoli, per il che lascer<strong>anno</strong> rampolli di tutte le razze. Sono lazzeroni nel vestire: la<br />
camicia arriva alla metà <strong>della</strong> vita, f<strong>anno</strong> schiffo anche nel lavarsi: chi vede gli oggetti di cucina, non<br />
ha certo stomaco mangiare dei loro cibi. Essi biasimano la cucina italiana, e questo è un giudizio falso:<br />
<strong>della</strong> loro cucina dico che non è conforme ai buoni gustai o a persone civili. (Possamai, 160-162).<br />
Agli 'ospiti' vengono affi bbiati in dialetto nomignoli allusivi, come much<br />
a Miane o patatuc a Follina. La stranezza delle fogge, l'impronta marcata<br />
dei lineamenti, la brutalità dei modi rinverdiscono le impressioni riportate ai<br />
tempi delle letture scolastiche sulle scorrerie dei barbari selvaggi che h<strong>anno</strong><br />
abbattuto l'impero romano e sulle bande mercenarie che ne h<strong>anno</strong> ripetuto poi<br />
le prodezze. Affi ora un sedimento culturale rappreso da lunga data, che vede<br />
a Oriente la fonte delle secolari minacce per la civiltà europea e nei turchimusulmani<br />
la personifi cazione particolarmente crudele di tale minaccia alla<br />
Cristianità. 27 «Ricordai i lanzichenecchi descritti dal Manzoni». (Casagrande,<br />
8). «Sono stanca, oppressa, qui non v'è un fi ne, si spera un po' si dispera poi;<br />
mai pentita d'essere rimasta fra i barbari, così almeno potrò io pure parlarne<br />
dei discendenti d'Attila». (Brustolon, 36). «Attila passava e distruggeva, questi<br />
si fermano e consumano tutto quello che possono». (Carpenè, 192).<br />
I religiosi, meglio provvisti di manuali di consultazione, v<strong>anno</strong> a rileggersi<br />
26 FASSETTA, L'Invasione Tedesca, cit., p. 13.<br />
27 Nella iconografi a dello scontro di civiltà con cui si continua a contrapporre Occidente e Islam, si è ora rivalutata<br />
e mitizzata la fi gura del padre cappuccino Marco d'Aviano, presente nel 1683 sulle mura di Vienna assediata dai<br />
turchi. Il suo nome è andato così diffondendosi nell'odonomastica locale.<br />
168
la storia delle invasioni barbariche, traendone certifi cazioni sicure sulla<br />
continuità secolare che h<strong>anno</strong> certi popoli ad invadere, saccheggiare, stuprare,<br />
secondo attitudine propria <strong>della</strong> loro natura.<br />
Leggo il libro IV del «De Bello gallico» dove Cesare descrive i costumi dei Germanici per i quali<br />
latrocinio nullam habet infamiam. […] Mons. Cima atterrito ricorda il sacco di Roma: ricorsi storici!<br />
[…] Si ripete quanto narrò la storia sulla guerra di Carlo VIII in Italia, chiamata guerra del gesso,<br />
perché con il gesso segnava le abitazioni destinate per loro: così a Ceneda!. (Di Ceva, pp.35, 40, 45).<br />
Ho letto la storia delle invasioni dei barbari in Italia (terra classica per questo riguardo): ma era<br />
pallida l'idea che mi facevo delle devastazioni e dei delitti che commettevano. Solo ora posso formarmi<br />
un'idea approssimativamente vera, paragonando ciò che commette impunito l'esercito d'una nazione<br />
civile, con quanto deve aver compiuto un esercito barbaresco, di tanti secoli fa, ma <strong>della</strong> stessa razza.<br />
(Ciganotto, 34).<br />
Ma potrebbe anche esserci un disegno superiore che governa tutto questo.<br />
«Attila disse di essere il fl agellum Dei per punire i delitti del mondo civile<br />
di allora: in questo senso anche questi remoti ma legittimi suoi discendenti<br />
possono aver ragione». «La Divina Provvidenza ha permesso che sin da tempi<br />
remoti i barbari invadessero l'Europa e vi stanziassero a punizione, correzione<br />
e rinsavimento di quei popoli civili che dicendosi savi diventarono pazzi. Ora<br />
questi stessi popoli non temono più Iddio: Temano almeno la forza bruta dei<br />
loro confi nanti». (Ciganotto, 72, 129).<br />
Gli uomini di chiesa declinano poi sveltamente le diversità nazionali in<br />
chiave religiosa: i luterani, i protestanti sono per defi nizione persone violente.<br />
«Dall'incrocio diavolo e scimmia nacque il tedesco». (Di Ceva, 175). Tra gli<br />
invasori che parlano tedesco si vorrebbe tener fuori, distinguere se non proprio<br />
salvare, quelli di fede cattolica. «Col cambiamento dalla Germania all'Austria<br />
il parroco di Refrontolo Don Carlo Ceschin ha chiesto e ottenuto di riprendere<br />
le funzioni religiose». (Spada, 14). Anche se poi, con stupito disappunto,<br />
tocca riconoscere che alla prova dei fatti differenze sostanziali non ce ne<br />
sono. 28 Sgomento per atti di vandalismo contro oggetti di culto: «L'infamia<br />
sacrilega fu consumata da soldati dell'Imperial Regio Esercito <strong>della</strong> nazione<br />
di S. Maestà Apostolica!!». (Di Ceva, 186). «Questo era l'esercito <strong>della</strong><br />
«Sacra Maestà Cattolicissima» Carlo, Imperatore d'Austria e d'Ungheria!». 29<br />
«Avr<strong>anno</strong> le maledizioni di tutti l'Austria e il suo Imperatore! Cosa importa la<br />
28 Invece, la 'Reale Commissione d'inchiesta sulle violazioni del diritto delle genti commesse dal nemico', presieduta<br />
dal giurista Ludovico Mortara, sulla base delle testimonianze raccolte, imputava le maggiori responsabilità alle<br />
truppe tedesche.<br />
29 TOFFOLI, «Piovan» di una chiesa, cit., p. 140. Nel 2004 papa Giovanni Paolo II fi rmerà il decreto di beatifi cazione<br />
di Carlo I d'Asburgo.<br />
169
sua religione? Se viene fatto tutto in suo nome!». (Carpenè, 218).<br />
Saltano poi subito all'occhio dei nostri scrittori le rivalità che esistono tra<br />
le varie nazionalità e soprattutto la spaccatura netta tra tedeschi ed austriaci.<br />
L'ostilità dei primi verso i secondi si manifesta di continuo, ad ogni contatto,<br />
prontamente ricambiata ma sempre soccombente.<br />
«Mentre i gendarmi aspettavano lo zio, nacque tra loro il solito diverbio.<br />
Essi dicevano: Germanici ladri, rubato tutto, austriaci no, italiani buoni oh!<br />
buoni. Germanici mangiare, bere, austriaci tanta fame. E noi dobbiamo<br />
convenire che c'è molto di vero in quello che dicono». (Arrigoni, 75). «Austria<br />
e Germania non si guardano in faccia […] Ladra e prepotente la Germania<br />
e affamata l'Austria! […] I germanici mangiano tutto il giorno del buono e<br />
del meglio; gli austriaci quasi tutti pane fatto di solo s<strong>org</strong>oturco. L'Austria è<br />
la schiava <strong>della</strong> prepotenza germanica. (Carpenè, 173, 182, 192). «Soldati<br />
germanici, piuttosto che cedere il passo ad austriaci, nelle cantine levano i tappi<br />
dalle botti, disperdono il vino […] Continuano le risse fra truppe austriache e<br />
germaniche. Si ebbero tre morti e cinque feriti». (Della Barba, 7, 11). «In tutte<br />
le case si mettono soldati, però dove ci sono austriaci non vogliono prendere<br />
alloggio i germanici e viceversa. […] I Germanici disprezzano ed odiano gli<br />
Austriaci più degli italiani stessi. Affermano che quando essi si ritirer<strong>anno</strong> da<br />
questo settore per andare a combattere in Francia gli italiani riconquister<strong>anno</strong><br />
presto la loro terra». (Rossetto, 30, 44). «Giungono i germanici, ben pasciuti,<br />
oltracotanti, dispettosi; si credono i soli vincitori. Gli austriaci sono per loro<br />
una nullità; peggio ancora, un bagaglio, un imbarazzo. Li ritengono di nessuna<br />
mente direttiva, zoppicanti in perizia e privi di bellico valore, solo carne da<br />
macello». 30 «Pare impossibile, perfi no nella morte la Germania tiene l'Austria<br />
soggetta, sotto il suo comando: il soldato germanico viene messo nella cassa<br />
– l'austriaco viene sepolto senza cassa». (Spada, 90).<br />
Anche dal fronte arrivano voci che confermano questa rottura. «Si parla<br />
che molti Austriaci vollevano darsi prigionieri, e che i Germanici le abbiano<br />
fatto fuoco; si odiano accanitamente».(Brustolon, 64). «Un uffi ciale triestino<br />
ha narrato ad un nostro amico che giorni fa, a Feltre, fu distrutta un'intera<br />
divisione austriaca. Questa aveva chiesto di ritirarsi, ma i germanici ne<br />
l'impedirono. In seguito a questo sterminio gli altri austriaci si ribellarono e<br />
si batterono contro i germanici, con molti morti d'ambo i lati. Notizie orribili,<br />
ma che ci f<strong>anno</strong> tanto piacere». (Arrigoni, 91).<br />
La notizia rimbalza anche in Seminario. «Si conferma la voce che sotto<br />
il monte Tomba un reggimento austriaco obbligato dai germanici a resistere<br />
e a combattere venne decimato dai nostri; allora gli austriaci superstiti si<br />
30 FASSETTA, L'Invasione Tedesca cit., p. 18.<br />
170
ivoltarono contro i germanici e spararono su di loro! I cari alleati!!». «Un<br />
disertore italiano fucilato e fi nito con la baionetta a Fregona dai germanici!<br />
Gli austriaci per farla ai germanici fecero all'infelice imponenti funerali a<br />
Fregona». (Di Ceva, 100). «Le truppe germaniche h<strong>anno</strong> sofferto perdite<br />
grandissime, specie nell'alto fronte, da loro stessi confessate. Qualche uffi ciale<br />
austriaco si frega le mani». (Della Barba, 13).<br />
La propaganda aerea italiana sfrutta subito queste crepe, cercando di<br />
allargarle. In aprile «Da aeroplani italiani cartelli con caricature germanici<br />
ed austriaci: quelli grassi, lucidi, questi magri, allampanati, con la scritta:<br />
«Austriaci! Il germano vi tradisce!». (Di Ceva, 152).<br />
La giornata è discreta. Mentre siamo all'aperto, vediamo un foglietto volteggiare in aria.<br />
Attraversiamo di corsa i viottoli fra i campi. L'abbiamo in mano. È una caricatura. Rappresenta un<br />
germanico ben pasciuto, che spinge a forza, in avanti, un austriaco macilento e sotto il motto: Soldati<br />
austro-ungarici, il militarismo prussiano è la vostra rovina. Più tardi ce ne portano un'altra, nella<br />
quale il proletario italiano, spingendo una enorme palla, stende la mano al proletario austriaco caduto,<br />
dicendogli: Non te, fratello, voglio schiacciare, non te ma il militarismo germanico che dietro a te si<br />
nasconde. (Arrigoni, 125).<br />
Le speranze alimentano le illusioni più fantasiose sulle conseguenze possibili<br />
di questi contrasti. «Si va dicendo che divisioni germaniche marciano su Udine<br />
per impedire che gli austriaci facciano alleanza con l'Intesa contro la Germania!<br />
Gli austriaci con noi!...Sembra una fi aba!...». (Di Ceva, 158-159).<br />
L'ostilità tedesca verso l'alleato è autentica e marca con forza la posizione<br />
subalterna in cui si trovano le truppe austriache sul fronte italiano. La<br />
Germania è accorsa di malavoglia a sostenere l'Austria debilitata. L'offensiva<br />
vittoriosa di Caporetto è frutto dell'impegno tedesco. 31 Ma c'è anche dell'altro,<br />
che viene da lontano, che circola nello spirito dell'uffi cialità, nella sua cultura<br />
militare e cetuale dove è sempre presente lo spirito egemonico dei prussiani,<br />
la storica rivalità tra Hohenzollern e Asburgo. Come nella truppa, oltre alla<br />
spinta che viene dall'alto, scatta la superiorità istintiva, affi orano i pregiudizi<br />
caratteriali che quelli del Nord h<strong>anno</strong> verso i meridionali. Ogni popolo ha i<br />
suoi: inferiori, fi acchi, inaffi dabili.<br />
«Due Germanici venuti qui da noi oggi, ci dissero che loro venuti in Italia,<br />
perché Austria niente forza, e una volta noi ritornare Francia, Austria niente<br />
31 Questi contrasti tra tedeschi ed austriaci non sono solo risse occasionali tra gente brilla e manesca. Il diario<br />
di Otto von Below presenta numerose prove del dissenso profondo esistente tra comandi tedeschi e comandi austriaci<br />
circa la conduzione <strong>della</strong> guerra sul fronte italiano. Vi si leggono ripetuti giudizi di incompetenza e perfi no<br />
di vigliaccheria nei riguardi degli alleati austriaci. Del resto, la direzione delle operazioni in Veneto resta sempre<br />
saldamente in mano tedesca. F. FADINI, Caporetto dalla parte del vincitore, Firenze, Vallecchi, 1974, pp. 405-407,<br />
413-414, 421.<br />
171
uona tenere fronte Piave, così ritornare Italiani». (Brustolon, 30). Gli stessi<br />
concetti a Follina. «I Germanici disprezzano ed odiano gli Austriaci più degli<br />
italiani stessi. Affermano che quando essi si ritirer<strong>anno</strong> da questo settore per<br />
andare a combattere in Francia, gli italiani riconquister<strong>anno</strong> presto la loro<br />
terra». (Rossetto, 44).<br />
D'altra parte è tutto l'impero che vacilla e la sua multinazionalità non ha<br />
più cemento che basti a tenerlo saldo e unito. 32<br />
Le ripercussioni che provoca tutto ciò negli animi dei civili sono delle più<br />
diverse. E i diari, che non sono prodotti di sistemazioni coerenti e compatte,<br />
ne dànno, nella freschezza <strong>della</strong> compilazione, testimonianze continue e<br />
contraddittorie.<br />
Ebbene, la somatizzazione del confl itto, quest'<strong>anno</strong> passato nel corpo a corpo<br />
col nemico tra maledizioni e speranze, violenze e illusioni con qualche spunto<br />
di vicendevole compassione, distinguendo impressionisticamente tra malvagi<br />
e pietosi, tra gentilezza e brutalità, ha un po' rimaneggiato le sublimi idealità<br />
del «maggio radioso». Soprattutto durante i primi mesi dell'occupazione, le<br />
gerarchie di giudizio stabilite secondo il grado di bontà dei rapporti avuti<br />
con l'uno o l'altro degli invasori di turno, h<strong>anno</strong> scombussolato le geometrie<br />
politiche sulle quali si era retto l'intervento. Inclinando ora lo scontro bellico<br />
verso la personalizzazione dei singoli casi umani, ne vengono spoliticizzate<br />
le motivazioni uffi ciali, scaricato il peso ideologico. Subentra un più ambiguo<br />
complesso di sentimenti che segna un certo distacco tra la pratica <strong>della</strong> vita<br />
quotidiana e le parole dell'alta politica. «È ben triste e doloroso che per il<br />
capriccio di pochi uomini di governo, due popoli che potrebbero amarsi e<br />
vivere in perfetto accordo di vicinanza, vengano spinti l'uno contro l'altro<br />
per uccidersi a vicenda, nei modi più barbari e senza quasi capire il perché».<br />
(Pivetta, 22). Così la penna obbediente di Maria Egizia trascrive la protesta di<br />
mamma Filomena, moglie di un interventista. 33<br />
Un colonnello ungherese «in tutti i diversi paesi in cui fu, capì che gli<br />
italiani non vogliono e non vollero la guerra. Io gliel'ho confermato; si<br />
mostrò compiacentissimo». Salvo invocare al Solstizio «Italiani, liberateci<br />
da quest'incubo, perché siamo stanchissimi e quasi esauriti». (Carpenè, 205,<br />
220). Non è sempre stato così, lungo tutto l'arco dell'<strong>anno</strong> dell'invasione. Il<br />
32 Secondo Istvan Bibó ciò sarebbe la conseguenza <strong>della</strong> rinuncia degli Asburgo a promuovere l'unità tedesca,<br />
obiettivo fatto proprio invece dai prussiani. Preferendo ripiegare su una acrobatica e innaturale aggregazione italodanubian-balcanica,<br />
l'Austria avrebbe deciso la propria inevitabile sorte. I. BIBÓ, Isteria tedesca, paura francese,<br />
insicurezza italiana, Bologna, Il Mulino, 1997, pp. 77-79.<br />
33 È solo uno dei casi, così frequenti, di ripensamenti tardivi? Secondo Eric Leed «la ferita esentava automaticamente<br />
la vittima da qualsiasi obbligazione morale, diventando una fonte di innocenza, un mezzo tramite il quale<br />
molti si sentivano sollevati da qualsiasi responsabilità circa gli stessi eventi che avevano causato la loro sofferenza».<br />
E.J. LEED, La legge <strong>della</strong> violenza e il linguaggio <strong>della</strong> guerra, in La Grande Guerra. Esperienza, memoria, immagini,<br />
a cura di D. LEONI – C. ZADRA, Bologna, Il Mulino, 1986, pp. 21-22.<br />
172
protrarsi dell'occupazione e l'inasprirsi delle condizioni di sopravvivenza per<br />
gli uni e gli altri h<strong>anno</strong> esasperato l'ostilità delle contrapposizioni e riacceso<br />
un certo spirito patriottico, nella forma però <strong>della</strong> guerra di liberazione. Del<br />
Veneto stavolta, non già di Trento e Trieste. Non più una rivendicazione di<br />
territori, ora più che mai lontani , ma un ritorno <strong>della</strong> propria terra in seno alla<br />
patria, come approdo alla libertà dalla miseria. «Vorrei rimanere in letargo<br />
fi no alla venuta dei nostri Italiani». «Com'è lunga l'attesa per chi aspetta la<br />
liberazione, e sollevarsi da queste pesanti catene». (Brustolon, 44, 171).<br />
È una successione di scontri e di (relative) simpatie, di patriottismo<br />
ritrattato o deluso, che storpia il quadro politico in cui la guerra era stata<br />
concepita e che alla guerra aveva conferito quel signifi cato strategico che<br />
nel '15 aveva infi ammato le piazze, se non proprio le campagne. La guerra<br />
era stata dichiarata solo all'Austria perché l'entusiasmante missione mirava<br />
a piantare il tricolore su quelle terre che fi no all'ultimo sforzo diplomatico<br />
l'Austria si era rifi utata di cedere. Allora si trattava di saldare fi nalmente un<br />
conto rimasto in sospeso fi n dal 1866, quando l'unità nazionale aveva dovuto<br />
arrestarsi ad un confi ne ritenuto iniquo oltre che insuffi ciente a garantire la<br />
sicurezza del Paese. È sulla base di argomenti di questo genere che il prefetto<br />
Vitelli aveva potuto assicurare il governo sulle convinzioni interventiste dei<br />
trevigiani. 34<br />
Malgrado queste premesse chiare, intelligibili e anche puntellate da<br />
precedenti storici precisi (che non avevano tuttavia impedito all'Italia di far<br />
parte <strong>della</strong> Triplice per più di trent'anni, in un legame di alleanza proprio<br />
con Germania e Austria che aveva costretto spesso il governo a scoraggiare<br />
le aspirazioni irredentistiche anche con l'impiego delle forze di pubblica<br />
sicurezza nelle manifestazioni di piazza), ora le 'simpatie' popolari parteggiano<br />
istintivamente per i più deboli, v<strong>anno</strong> agli Austriaci piuttosto che ai Tedeschi,<br />
v<strong>anno</strong> a chi aveva occupato il Veneto per cinquant'anni piuttosto che alla<br />
Germania, la quale invece del Veneto aveva propiziato l'annessione all'Italia.<br />
Eppure l'Italia è in guerra con la Germania da appena quattordici mesi,<br />
soltanto dall'agosto 1916, indottavi dalle insistenti pressioni degli alleati più<br />
che per una libera scelta (e ciò non mancherà di pesare, dopo la pace, al<br />
tavolo delle spartizioni). Facile gioco h<strong>anno</strong> dunque gli uffi ciali tedeschi,<br />
in un futile palleggiamento di responsabilità che i civili non sono certo in<br />
grado di reggere, quando rinfacciano alla gente, a proprio sgravio, questo atto<br />
unilateralmente ostile dell'Italia, di cui gli italiani devono dunque portare il<br />
34 Secondo il prefetto di Treviso «queste popolazioni, pur senza soverchio entusiasmo, sono favorevoli ad una<br />
guerra contro l'Austria […] come una crisi necessaria ed inevitabile per il raggiungimento delle alte fi nalità patriottiche,<br />
particolarmente care a questa regione dove è sempre vivo l'amaro ricordo <strong>della</strong> dominazione austriaca».<br />
Dalla relazione del 24 maggio 1915, pubblicata in B. VIGEZZI, Da Giolitti a Salandra, Firenze, Vallecchi, 1969, pp.<br />
358-359.<br />
173
peso. «Con ira, con compiacenza feroce, con cachinno crudele mi son sentito<br />
ripetere: Ben vi sta: la guerra l'avete voluta voi: noi vogliamo la pace!...».<br />
(Ciganotto, 23). 35<br />
Strategie di sopravvivenza<br />
L'ingorda frenesia con cui gli invasori riescono a saziare all'istante una<br />
fame arretrata, dura giusto il tempo di acc<strong>org</strong>ersi che il Piave è un osso duro<br />
e che l'imprevista resistenza italiana sta allontanando il programma di altre e<br />
più abbondanti dispense da saccheggiare al di là del fi ume. Un miraggio che<br />
era stato alimentato dagli stessi alti comandi, sull'onda <strong>della</strong> facile conquista<br />
del Friuli, anche per rendere appetitosi ai subalterni i nuovi e più avanzati<br />
obiettivi militari. 36<br />
«Al loro arrivo, uomini e bestie, erano macilenti e sfi niti dalla fame.<br />
Trovandosi d'un tratto gettati in questo che essi dissero «il paradiso<br />
dell'abbondanza», si diedero sfrenatamente alla crapula, facendo di tutto<br />
uno sciupio insensato». (Ciganotto, 88). 37 Lo scialo durato un paio di mesi,<br />
35 Ai contadini di Salgareda che non vogliono abbandonare il paese, il loro parroco spiega: «Sentite! Li abbiamo<br />
traditi alleandoci con i loro nemici poi sono Tedeschi, gente dura, e mio nonno mi narrava spesso quanti maltrattamenti<br />
avevano usato a lui. Siamo nemici di guerra e allora come volete che ci trattino bene?». TOFFOLI, «Piovàn»<br />
di una chiesa cit., p. 94. Nella lunga e movimentata vigilia di guerra, la battagliera stampa nazionalista era andata<br />
affi ancando alle rivendicazioni irredentiste, tipiche <strong>della</strong> tradizione democratica, una dura polemica contro la Germania,<br />
accusata di voler subdolamente impadronirsi dell'Italia usando i canali fi nanziari degli istituti di credito<br />
controllati da personaggi tedeschi. L'aggressività di questa campagna aveva contagiato anche la stampa locale. Nella<br />
primavera del 1915 il quotidiano La Provincia di Treviso non esitava a bollare i neutralisti come traditori <strong>della</strong> patria,<br />
prendendo a bersaglio preferito il deputato di Montebelluna Pietro Bertolini, più volte ministro di punta nei governi<br />
Giolitti. Bertolini era accusato (infondatamente) di trescare con esponenti diplomatici tedeschi per evitare l'entrata<br />
in guerra dell'Italia. In maggio Bertolini era sfuggito a un tentativo di linciaggio su di un tram romano. Diffi cile che<br />
i nostri diaristi, tutti buoni lettori, siano rimasti indifferenti a questa campagna tedescofoba se perfi no gli amici più<br />
vicini a Bertolini ne erano rimasti negativamente impressionati. Per completare il quadro occorre dire che la stampa<br />
diocesana, sia di Treviso che di Vittorio, aveva sostenuto posizioni, diciamo così, giolittiane, ripiegando poi, dopo il<br />
24 maggio, su una linea di disciplina patriottica. Come lo stesso Bertolini, d'altronde.<br />
36 L'offensiva di giugno sarà considerata risolutiva anche per i vantaggi <strong>anno</strong>nari che il successo avrebbe procurato.<br />
La fi ducia nell'esito positivo veniva trasmessa alle truppe nel modo più direttamente comprensibile. «Alcuni dei<br />
miei uomini avevano bisogno di scarpe, perciò mi rivolsi al tenente. Egli però mi disse: «Aspetti solo due giorni, poi<br />
saremo a Treviso, lì ci sar<strong>anno</strong> scarpe a suffi cienza». G.BIEDERMANN, Il Veneto invaso. Ricordi di guerra di un artigliere<br />
austriaco, Treviso, Istresco, 2008, p.148. Pochi giorni dopo la battaglia del Solstizio: «Continua ad arrivare<br />
truppa che chiede quanto dista Treviso. Quando li informiamo che Treviso si trova venti chilometri dopo il Piave, i<br />
poveretti rispondono: -Ma noi passato il Piave! Buono Piave! Non riuscivamo a spiegarci tale insistente risposta che<br />
ci sembrava incomprensibile. Ma b<strong>org</strong>hesi venuti dal Tagliamento ci assicurano che, nelle vicinanze di detto fi ume,<br />
numerose tabelle ostentano dei grandi: Piave. Poveri soldati, come vengono ingannati!». (Arrigoni, 170).<br />
37 La fertilità delle campagne venete e l'abbondanza dei raccolti sono un topos di vecchia data, che ora l'<strong>org</strong>oglio<br />
enfatizza per l'occasione rinfacciandolo alla fame degli invasori. In realtà la mietitura del 1917 fu la più magra degli<br />
ultimi anni. E ciò malgrado le insistenti esortazioni ai contadini da parte delle autorità e delle associazioni agricole<br />
a fare largo uso delle semine marzoline, per poter recuperare le semine mancate nel piovoso autunno 1916. La politica<br />
degli ammassi obbligatori e del contingentamento dei consumi, condotta con particolare attenzione proprio nel<br />
corso del 1917, non dovrebbe aver lasciato, in libera disponibilità delle famiglie, molto più dello stretto necessario<br />
(sotterfugi a parte). E poi, per la consistenza di càneve e granèr bisognerebbe distinguere, per esempio, tra le provviste<br />
che può aver accumulato una grande azienda padronale di pianura e quelle di un piccolo coltivatore di collina.<br />
Piuttosto, il 'tempismo' di Caporetto potrebbe aver sottratto al drenaggio dei controlli gli ultimi prodotti dell'<strong>anno</strong>,<br />
cioè polenta e vino.<br />
174
con la spensieratezza di chi è solo di passaggio, prima che l'offensiva venga<br />
uffi cialmente sospesa (e i tedeschi tornino a occuparsi del fronte francese), si<br />
rovescia allora in un pesante contrappasso per l'imprevidente invasore.<br />
Episodi estremi non mancano, in un senso e nell'altro, e i diari li riferiscono<br />
rappresentando, tra sdegno e stupore, l'assillo quotidiano del cibo, per uomini<br />
e animali. «A S. Andrea un porcello e 7 pitte mangiati in 3 persone». (Di<br />
Ceva, 35). «Il parroco di Ogliano racconta: - Ieri sera due soldati, accasermati<br />
vicino alla canonica, si sono mangiati un maiale rispettabile. Questi stessi<br />
soldati dichiarano di aver mangiato in Lavonia sterco di cavallo bollito».<br />
«Mangiavano ore ed ore di seguito, a crepapelle, esigendo vino a tutto andare.<br />
Qui sono ancora incapaci di comprendere come costoro potessero ingozzare<br />
una quantità così formidabile di carne, cotta nelle caldaie di grasso, senza<br />
restar colpiti da un accidente». (Arrigoni, 64, 116). A Susegana una scena<br />
bruegeliana: «Al pianoterra delle grandi cantine del conte Collalto, giacciono,<br />
affogati nel vino, parecchi soldati germanici». A Conegliano, il giorno di<br />
Natale: «I germanici si mostrano divoratori classici. In mezzo ai fumi del vino,<br />
in soli quattro, si mangiano un maiale di oltre un quintale in 24 ore». (Della<br />
Barba, 11, 13). Invece gli Arrigoni passano la vigilia di Natale cenando a base<br />
di «fagioli con lasagne non condite, una scatola di tonno di marca italiana<br />
dimenticata dai germanici e susine cotte», che è comunque un gran bel pranzo<br />
a confronto di quelli che li aspettano. «La carne di ciuco è un po' duretta e<br />
fi losa, ma in umido ricorda vagamente il vitello tonné. Il grasso è buono, con<br />
un certo odorino di pesce. Si mantiene giallo e limpido, né si rapprende come<br />
il sego. Quanto ai gatti, la grande maggioranza ha già fi nito onoratamente, uso<br />
lepre, ma senza salmì». «Oggi una giovinetta di agiata condizione venne a<br />
pregare la zia di un po' di s<strong>org</strong>o rosso per farsi la polenta. Ormai cominciamo<br />
a disputarci un cibo adatto agli animali e foglie, credute immangiabili, sono<br />
ricercate avidamente». «Il rancio [dei prigionieri] è spesso a base di trifoglio!<br />
Ne abbiamo mangiato anche noi in primavera e, come le ortiche, non è né<br />
gustoso né nutriente». (Arrigoni, 73, 111, 140, 177). «Il giorno di Pasqua<br />
del 1918 ci fu menù d'eccezione: minestra di crauti marci e carne di cavallo<br />
rognoso con polenta di s<strong>org</strong>o. Tutte cose che ci procurarono uno spaventoso<br />
riscaldo intestinale». 38<br />
Le cronache dell'<strong>anno</strong> nuovo portano infatti episodi di famelica<br />
disperazione. A fi ne gennaio, a Motta: «Si presentarono in casa di mio padre<br />
due soldati chiedendo una fetta di polenta, in altri tempi tanto disprezzata e<br />
derisa insieme a quelli che la mangiano. Non ce n'era. Girarono lo sguardo,<br />
38 «Il giorno di Pasqua del 1918 ci fu menù d'eccezione: minestra di crauti marci e carne di cavallo rognoso con<br />
polenta di s<strong>org</strong>o. Tutte cose che ci procurarono uno spaventoso riscaldo intestinale». I. TOMASIN, L'<strong>anno</strong> di Vittorio<br />
cit., p. 28.<br />
175
e: – Dateci almeno quel gatto, dissero. Fecero compassione: – Pigliatevelo.<br />
Detto fatto: e se n'andarono contenti come una pasqua». (Ciganotto, 92). «La<br />
fame prende anche soldati e uffi ciali; h<strong>anno</strong> coraggio di mangiare i fi chi crudi<br />
e li alessano insieme con l'uva od altro». (Carpenè, 225). A Conegliano, in<br />
giugno: «Non si trovano più cani, né gatti. I germanici preferirono mangiare i<br />
cani». (Della Barba, 27), e gli austriaci non esitano a barattare un cavallo per<br />
un coniglio. «Anche oggi, il rancio dei soldati consisteva in mezza gamella<br />
di farina gialla cotta in molta acqua. Talora la farina è bianca. E alla sera the<br />
o caffè, se c'è. E la mezza pagnotta distribuita ogni due giorni viene divorata<br />
acida, nera, ripugnante». Alla vigilia <strong>della</strong> battaglia del Solstizio: «Negli<br />
ultimi giorni furono sequestrate le poche mucche ancora esistenti a Miane<br />
e dintorni. Sono state macellate sulla piazza, caricate sui camions e spedite<br />
al fronte, ove i soldati si rifi utavano di combattere, se prima non veniva dato<br />
loro da mangiare». (Arrigoni, 97, 111, 156).<br />
Con il ritorno <strong>della</strong> buona stagione ci si sfama direttamente sui campi.<br />
«Ogni mattina un centinaio di soldati col sacco in spalla percorrono tutte le<br />
campagne a raccogliere ortiche, prima quelle matte, ora quelle pungenti con<br />
i guanti. E poi h<strong>anno</strong> il coraggio di dire che nuotano nell'abbondanza! Una<br />
piccola fetta di pinza di s<strong>org</strong>o la pagano 2 corone, pur di mangiare qualche<br />
cosa». (Carpenè, 211-212). «Soldati piangono dalla fame e v<strong>anno</strong> per i campi<br />
a sradicare agli selvatici: ne ho visti!» (Di Ceva, 158). «Da tempo i militari<br />
si nutrono di zuppe a base vegetale, mettendo nella pentola le intere piante di<br />
fagiolini, i frutti di gelso ed altri erbaggi e mescolandovi dei susini in barile, in<br />
mancanza dei quali vi pongono dello zucchero». (Della Barba, 33). «Mentre<br />
scrivo, gli zigani, in una mastella da stalla, h<strong>anno</strong> cotto galline, carne, una<br />
testa di maiale con i denti e tutto st<strong>anno</strong> sbranando, senza pane né posate.<br />
Durante tutto il giorno masticano topinambur crudi e castagne d'ippocastano».<br />
«Appena il granoturco cominciò a segnare la p<strong>anno</strong>cchia, i soldati iniziarono<br />
a raccoglierlo. Ora poi è una frenesia. In ogni casa ne cuocciono grandi<br />
marmitte, bollendo insieme fagiolini, zucchini e quel po' di uva americana e<br />
clinton sfuggita alla peronospora». (Arrigoni, 76, 188). Il 29 ottobre, quando<br />
ormai le sorti <strong>della</strong> guerra st<strong>anno</strong> precipitando, un gruppo di soldati ungheresi<br />
in ritirata dal Piave si rifugia nel mulino Casagrande, presso Conegliano (tra<br />
Sarano e Campolongo, dove le acque del Crevada si mescolano con quelle<br />
del Monticano). «Tolsero dapprima la farina da tutte le fessure del molino poi<br />
scoparono il pavimento, infi ne si cibarono di crusca e di granoturco crudo, o<br />
abbrustolito nelle gavette. Non crederei se non avessi visto coi miei occhi! Gli<br />
uffi ciali rimasero digiuni». (Casagrande, 21).<br />
Se questi casi ci dicono delle estreme diffi coltà di approvvigionamento<br />
176
patite dalle truppe di occupazione durante il 1918, i diari portano una<br />
documentazione impressionante delle condizioni in cui a maggior ragione<br />
versavano le popolazioni civili. Neppure quando i numerosi interventi ad<br />
integrazione <strong>della</strong> rete viaria avevano rimesso in effi cienza le comunicazioni<br />
da est a ovest l'autorità militare poté provvedere a sfamare soldati e civili<br />
assieme. In un <strong>anno</strong> terribile, in cui, nella Sinistra Piave, la densità <strong>della</strong><br />
popolazione presente (tra civili, militari, profughi e prigionieri) si moltiplicò<br />
più volte, il progressivo declino delle risorse locali non venne mai compensato,<br />
se non in modo saltuario e in quantità insuffi cienti, da un ordinato affl usso<br />
di risorse proprie dalle retrovie dell'impero. È l'impossibilità di disporre<br />
di risorse aggiuntive che ha sancito il fallimento <strong>della</strong> pur improvvisata e<br />
incerta politica <strong>anno</strong>naria condotta nei territori occupati. 39 Il bluff dei buoni<br />
di risarcimento e <strong>della</strong> nuova moneta senza credito, l'obbligo dei conferimenti<br />
e le misure di razionamento disposti dopo le requisizioni spietate, l'utopia<br />
del mercato libero dove domanda ed offerta non si incontrano mai: tutte<br />
prove, teoricamente ordinatrici, fallite per questa impossibile quadratura del<br />
cerchio di cui le prime vittime furono i civili e soprattutto i profughi, costretti<br />
ad abbandonare i propri paesi in fretta e furia, portandosi dietro appena un<br />
qualche fagotto. È tra di loro che si conterà il maggior numero di decessi per<br />
gli stenti e le malattie. 40<br />
Le speranze che in primavera si concentrano sul nuovo raccolto vengono<br />
frustrate dall'urgenza dei bisogni, che urtano con i tempi pazienti <strong>della</strong> natura.<br />
39 Tra chi non si è perso d'animo e ha saputo destreggiarsi nella sciagura, emerge un giovane e combattivo prete<br />
cadorino, parroco di S. Giustina a Serravalle. Incalzando di continuo il Comando Militare, egli riuscì ad ottenere da<br />
ogni fornitura in arrivo una parte da destinare allo spaccio popolare aperto pochi giorni prima del Natale '17. Da 800<br />
«clienti» iniziali lo spaccio ne conterà fi no a 3mila, distribuendo carne e farina per tutto il periodo dell'occupazione.<br />
D.A. PIAZZA, Relazione sull'opera da me svolta a S. Giustina di Serravalle -Vittorio- durante il periodo d'occupazione<br />
nemica, Vittorio, Stab. Tip. Bigontina, 1919.<br />
40 Daniele Ceschin calcola che siano state 55mila le persone allontanate dalla zona del fronte e avviate ad est. D.<br />
CESCHIN, Sernaglia nell'<strong>anno</strong> <strong>della</strong> fame, Com. Sernaglia <strong>della</strong> Battaglia, DBS, 2008, p.32. Tale calcolo considera<br />
però l'intero territorio veneto occupato. Limitandoci alla popolazione dei comuni trevigiani disposti lungo la riva<br />
sinistra del Piave, secondo i calcoli, sempre difettosi, che f<strong>anno</strong> capo al V Censimento <strong>della</strong> popolazione (10 giugno<br />
1911), i residenti allontanati ammonterebbero a meno <strong>della</strong> metà: a 24.844 unità, secondo fasulla precisione. Gli<br />
stessi paesi avevano visto, un mese prima, un altro esodo in direzione opposta. Secondo l'unica fonte uffi ciale esistente<br />
sul movimento dei profughi verso l'Italia libera (che Ceschin vorrebbe più correttamente defi nire 'rifugiati'),<br />
44.857 persone si erano messe in salvo oltre il fi ume, cioè un abitante su cinque <strong>della</strong> Sinistra Piave trevigiana. Ma<br />
gli 11 comuni rivieraschi, i più vicini alla salvezza, avevano toccato le percentuali di esodo più elevate (46.7%),<br />
superando a Vidor, Sernaglia, Susegana, Ponte di Piave anche il 50-60% <strong>della</strong> popolazione. In MINISTERO PER<br />
LE TERRE LIBERATE, Censimento dei profughi di guerra. Ottobre 1918, Roma, 1919, pp. 221-222. Nei nove<br />
comuni rivieraschi sull'altra sponda, l'esodo, volontario o forzato, riguarderà i quattro quinti <strong>della</strong> popolazione. E un<br />
abitante su tre (93.520) nell'intera Destra Piave trevigiana. Anche se spinte ai decimali, queste sono cifre che possono<br />
dare solo un primo ordine di grandezza del fenomeno. Infatti, tra la data di rilevazione del censimento del 1911<br />
e il momento in cui ebbe inizio l'esodo dei profughi, intercorrono sei anni durante i quali la popolazione è cresciuta<br />
secondo movimento naturale. Inoltre un numero imprecisato di emigranti temporanei (rilevati nel 1911 in 27.842<br />
unità, di cui 15.419 nella Destra Piave e 12.423 nella Sinistra Piave) dovette rimpatriare nel 1914, allo scoppio <strong>della</strong><br />
guerra europea. E tra gli assenti, nel 1917, v<strong>anno</strong> calcolati gli uomini al fronte e i caduti (v. nota 13). Circa i decessi<br />
tra i profughi internati nelle retrovie trevigiane e friulane, alcune cifre impressionanti vengono fornite da Ceschin<br />
in ID, Sernaglia cit., pp. 42-43.<br />
177
Allora si raccoglie la frutta acerba, si taglia il frumento ancora verde, si rovina<br />
la stagione lasciando pascolare i cavalli ovunque, purché riescano a reggersi<br />
in piedi. Indispensabili mezzi di mobilità e di trasporto, i cavalli v<strong>anno</strong> nutriti<br />
non meno degli uomini, a qualunque costo. Neanche loro sfuggir<strong>anno</strong> tuttavia<br />
alla morìa per inedia, denutrizione, avidità suicida.<br />
«Le nostre colline sono divenute il pascolo, con questa rigida stagione<br />
h<strong>anno</strong> il coraggio di mandare tutte le bestie a provedersi, dico questo poiché<br />
nutrono i cavalli con la paglia, e quanti tutti i dì ne muoiono per le vie sfi niti<br />
affamati». (Brustolon, 90). «I cavalli ungheresi e austriaci muoiono di fame;<br />
mangiano canne, v<strong>anno</strong> al pascolo dappertutto, anche nei frumenti […] Quei<br />
poveri cavalli muoiono proprio di fame; i soldati d<strong>anno</strong> loro perfi no le canne<br />
gargane e tagliano le gaggie […] Pei nostri campi tutti i cavalli con la rogna<br />
e che cadono in terra dalla debolezza». (Carpenè, 196, 199, 206). «Stamane,<br />
in un campo qui vicino, morirono quattro cavalli per aver mangiato spagna<br />
bagnata. La padrona impulsivamente esclama: -Ma non vedete? Se fate<br />
così, vi morr<strong>anno</strong> tutti! -Vi spiace, mamma? Ridono i triestini di guardia-<br />
Ci credete così grulli? Ma non sapete che senza cavalli non si fa la guerra e<br />
che questo è un modo come un altro per farla fi nita? Senza aggiungere che,<br />
quando i cavalli sono morti, noi li mangiamo; ma se vivono loro, moriamo<br />
noi!». (Arrigoni, 137-140).<br />
Chi riesce a cavarsela meglio, malgrado tutto, sembra sia chi è rimasto a<br />
vivere sulla propria terra. «Di quella piccola, anzi esigua porzione di frumento<br />
che i produttori h<strong>anno</strong> potuto con rischi e pericoli sottrarre alla rapina, per<br />
usufruirne devono servirsi dei macinini da caffè o pestarla comunque in un<br />
bossolo di granata, e ciò con penose cautele: guai se si sapesse che qualcuno<br />
ha del frumento!». (Ciganotto, 194-195). E anche tra i cittadini rimasti sbarca<br />
in qualche modo il lunario chi è riuscito a salvare dalle razzìe del denaro<br />
contante, degli oggetti preziosi, che risulter<strong>anno</strong> utilissimi anche quando,<br />
mentre arriva l'estate, la penuria estrema rimette in corso il baratto. Ma nel<br />
circuito del mercato nero – sempre fi orente in queste occasioni – chi baratta<br />
spesso rivende, a caro prezzo. «Con il denaro nulla si trova, il Comando dice<br />
che noi non abbiamo bisogno perché tutti, o la maggior parte dei contadini<br />
portano generi in cambio alle mense; e a noi questi nulla d<strong>anno</strong> con il denaro;<br />
anche questo, aiuta alla nostra rovina». (Brustolon, 124). «Ieri, proprio per<br />
caso, papà seppe che il Comando distribuiva farina in cambio di oro. Vi<br />
corse difi lato, lietissimo di avere in tasca due marenghi e mezzo. Gli venne<br />
rilasciato un buono col quale poté ottenere 97 chili di farina mescolata però in<br />
forte proporzione a punte di torsolo macinate insieme». (Arrigoni, 168).<br />
Nell'accanito lavoro di spoliazione che non avrà tregua fi no alla conclusione<br />
178
del confl itto, non c'è però solo la caccia al cibo. Le case, abbandonate od<br />
occupate, vengono saccheggiate di tutto quanto possa avere un qualche valore<br />
d'uso, anche se non immediato. Biancheria, mobili, abbigliamento, posateria,<br />
oggetti d'arredamento. Materiale anche ingombrante, che ha bisogno di un<br />
minimo di <strong>org</strong>anizzazione collettiva per essere trasportato e inoltrato in patria.<br />
Ai diari sfugge, in un primo tempo, questo aspetto preordinato nella razzìa,<br />
attribuendo a un incomprensibile spirito vandalico di elementi facinorosi (che<br />
pure non mancano, naturalmente) l'accanimento a rovinare e ad asportare<br />
anche ciò che non serve alle immediate esigenze di sostentamento.<br />
I soldati abbrancano qualunque cosa che cada loro tra mani: libri, carte, specchi, oggettini di lusso,<br />
ninnoli, ecc., tutta roba a loro inutile, che poi gettano nei cortili, nelle strade, nei fossi». «Il sacco di<br />
Roma ha durato cinque giorni, ed è passato alla storia: il Sacco di Motta ha durato ben quaranta giorni,<br />
e questo era il tempo utile durante il quale tutti potevano dedicarvisi autorizzati. […] Alle truppe fu<br />
a preferenza data mano libera nella campagna e nei piccoli paesi, mentre l'uffi cialità e le Autorità<br />
riservavano per sé la città, i palazzi, le botteghe e i magazzini. Il bottino fatto da questa veniva poi altro<br />
diviso e distribuito alle truppe, altro inviato in Austria. (Ciganotto, 22, 66-67).<br />
«Ora v'è qui il Comando di Divisione: da noi chiamato Comando dei ladri<br />
poiché partono per tempo al mattino, con 8 e anche 10 carri e vi ritornano<br />
alla sera carichi d'ogni ben di Dio, tutto rubato e requisito: non ho veduto<br />
Germanico che levi da tasca una corona per pagare». (Brustolon, 26). «Le<br />
automobili vengono caricate di ogni cosa: mobili, cristallerie, perfi no gli abiti<br />
<strong>della</strong> sposa e dei bambini, la cassa dello scheletro su cui studiava il professor<br />
Tita, la vasca da bagno». (Arrigoni, 33). «Entrano nella mia abitazione (casa<br />
Buffonelli), soldati per portar via cordoni elettrici, lampadari, pomoli d'ottone,<br />
campanelli, ecc». (Della Barba, 40).<br />
Ci sono direttive che vengono dall'alto e da lontano che autorizzano e<br />
proteggono questo sistematico prelievo di materiale utile al funzionamento<br />
dell'industria nazionale. Per cui risulterà inutile e senza risultato qualunque<br />
protesta venga fatta ai comandi per ottenere soddisfazione. Infatti, non si<br />
tratta delle intemperanze isolate di qualche briccone scapestrato. «La Chiesa<br />
di S. Rocco è diventata il deposito generale di oggetti di rame e di altri metalli<br />
rapinati». «Nel palazzo Montalban Gritti st<strong>anno</strong> immagazzinando circa 150<br />
camions di tessuti in genere, rubati in città, e nei paesi contermini». «Partono<br />
incessantemente treni, con grandi quantità di animali bovini ed ovini, per la<br />
Germania». (Della Barba, 13-15).<br />
Non sfuggono alle depredazioni neppure famiglie altolocate, che per il<br />
pregio <strong>della</strong> loro dimora, per la collocazione sociale, per una certa simmetria<br />
179
di ceto con il corpo degli uffi ciali pur godono di una qualche deferenza da<br />
parte degli illustri ospiti che vivono in casa, con i quali si stabiliscono dei<br />
rapporti di formale ossequio.<br />
A Refrontolo, villa Antonietta, residenza dei nobili Spada, viene subito<br />
occupata, fi n dall'11 novembre, dal Comando del III Corpo d'Armata<br />
bavarese. Il generale barone Hermann von Stein vi prende alloggio per un<br />
mese, sistemandosi direttamente nella camera <strong>della</strong> padrona di casa, alla<br />
quale tocca traslocare nelle stanze <strong>della</strong> servitù. 41<br />
Riverita in tutte le occasioni in cui vi si tengono cene importanti, capita<br />
alla padrona di casa di scoprire, dopo la partenza degli ospiti, la sparizione<br />
di qualche oggetto di valore, una spada antica, un quadro. Malgrado la<br />
comprensione amichevole che le dimostrano gli uffi ciali dai quali va a<br />
lagnarsi, non riesce tuttavia a ricuperare il maltolto.<br />
È del 16 dicembre 1917 la stesura a Vienna di un accordo tra Germania e<br />
Austria-Ungheria per la ripartizione del bottino di guerra. L'accordo prevedeva<br />
una minuziosa caratura tra i due alleati secondo le merceologie del prelievo<br />
dai territori italiani invasi, in funzione delle diverse necessità dell'economia<br />
nelle rispettive patrie. Per esempio, mentre per i generi alimentari era prevista<br />
una sostanziale parità di trattamento tra le due parti (tranne che per il mais<br />
riconosciuto di spettanza austriaca in rapporto di 4 a 1 e per il vino esattamente<br />
il contrario), per i mezzi di trasporto come autocarri e vetture il rapporto di<br />
2 a 1 a favore <strong>della</strong> Germania ne sanciva la primazìa tecnica, industriale e<br />
produttiva. Riconoscimento confermato con la totale attribuzione ai tedeschi<br />
di metalli come piombo e zinco. 42 La Germania mantenne questi diritti di<br />
partecipazione allo sfruttamento economico del Veneto anche dopo il ritiro<br />
delle sue truppe dal fronte italiano, che avvenne gradualmente tra la fi ne di<br />
dicembre e la metà di febbraio, e in certe località anche in seguito.<br />
I diari dimostrano lo scarso rispetto degli accordi nella ripartizione dei<br />
generi alimentari, consumati avidamente in loco e all'istante dal primo<br />
fortunato arrivato. Mentre per i prodotti solidi chi scrive assiste a scene di<br />
contrasti violenti tra alleati per il possesso <strong>della</strong> refurtiva.<br />
41 Villa Antonietta è situata in posizione dominante sulle colline di Refrontolo, paese che si trova a metà strada<br />
tra la linea del fronte sul Piave e la sede del Comando <strong>della</strong> VI Armata a Vittorio. Punto strategico, si presta bene ad<br />
ospitare incontri ad alto livello. Il diario di Maria Spada (p.84) riferisce di un incontro di von Below con Stein e il<br />
capo di stato maggiore Konrad Kraft von Dellmensingen il 22 novembre 1917 e di nuovo il 30 novembre alla presenza<br />
dell'Arciduca Eugenio. Anche la casa di un altro dei nostri diaristi diventa sede di comando e può godere di onori<br />
simili. In casa Carpenè, sui colli di Scomigo, tra Vittorio e Conegliano, si tiene un banchetto in onore dell'Arciduca<br />
Giuseppe d'Asburgo, in visita il 30 gennaio 1918, e di nuovo il 7 aprile.<br />
42 C. HORVATH-MEYERHOFER, L'Amministrazione militare austro-ungarica nei territori italiani occupati dall'ottobre<br />
1917 al novembre 1918, Udine, 1985, pp. 12-20. Le requisizioni dei materiali oggetto dell'accordo erano tuttavia<br />
già in corso al momento <strong>della</strong> fi rma. Una prima notifi cazione alla popolazione porta la data del 3 dicembre 1917<br />
(Arrigoni, 56), ribadita poi il 14 marzo 1918 (Rossetto, 72).<br />
180
«Oggi vennero a portarci via due carri di fi eno; prima vennero i Germanici<br />
per caricare un carro e siamo ricorsi all'Austria. L'Austria fugò i Germanici<br />
e poi essa invece di un carro, ne caricò due. Alla sera tornano i germanici<br />
e non si può impedire nemmeno con le guardie austriache il carico di altro<br />
fi eno». (Carpenè, 184). «Ho sentito ieri da uffi ciali austriaci che alla frontiera<br />
furono fermati camions germanici con refurtiva italiana e che la roba invece<br />
fu spedita a Vienna». (Di Ceva, 66).<br />
I nostri scrittori sono tra i fortunati che, per censo o per condizione, riescono<br />
a superare meglio le diffi coltà <strong>della</strong> sopravvivenza fi sica.<br />
Bianca Brustolon vive tappata in casa, frastornata dai rumori continui<br />
del traffi co militare e da quelli delle diverse lingue che le tocca ascoltare<br />
dalla bocca degli indesiderati ospiti che occupano le stanze migliori. Bada<br />
ai genitori indisposti, esce di rado per visite devote e inorridisce a trovare<br />
i viali scassati dal passaggio incessante dei pesanti mezzi degli invasori e<br />
ancor più inorridisce a trovare marciapiedi divelti e muriccioli diroccati per<br />
ricuperare materiale da impiegare nel consolidamento del fondo stradale. Di<br />
rado fa menzione di strettezze alimentari. I Brustolon sono riusciti a mettere<br />
in salvo qualche somma, qualche oggetto prezioso, con cui sono in grado di<br />
fronteggiare le diffi coltà <strong>della</strong> sopravvivenza.<br />
Con il denaro nulla si può più avere , ora dobbiamo pensare di privarsi di biancheria vestiti ed altro<br />
pur d'arrivare alla meta, poiché sarebbe doloroso morire di fame quando s'aprossima il dì agognato <strong>della</strong><br />
liberazione. […] I speculatori ritirano oro e argento per grano turco; sono andata io pure con persona<br />
conoscente per fare aquisti, invece h<strong>anno</strong> già sospeso, v'è l'ordine d'andare dal Sindaco; esso incaricato<br />
di raccogliere in scritto la quantità di questo e poi loro farebbero conti. Noi non ci andremo poiché<br />
certo saressimo gabate. […] Sono andata con persona amica acquistare farina per argento; quante,<br />
quante umiliazioni. […] Siamo a settembre quando ver<strong>anno</strong> a liberarci? Pazienza ancora! Ma guai ci<br />
lasciassero ancor dei mesi, la fame, la fame, quante vittime farebbe. (Brustolon, 125, 149-150, 162,<br />
182).<br />
Valentino Carpenè, consigliere comunale, agiato possidente con vaste<br />
proprietà terriere sui colli di Scomigo, dopo aver messo in salvo oltre Piave la<br />
famiglia (moglie e cinque fi gli, riparati nel salernitano), preferisce rimanere a<br />
custodia del patrimonio, nell'illusione di poter meglio proteggerlo di persona.<br />
Il suo diario registra giorno per giorno lo stillicidio delle depredazioni, ma<br />
anche la tenace fi erezza con cui disputerà senza sosta il bottino agli invasori.<br />
Nello stesso giorno <strong>della</strong> fi ne del confl itto scriverà al fi glio maggiore: «Ci<br />
h<strong>anno</strong> portato via tutto quello che h<strong>anno</strong> potuto; se non fossero stati cacciati,<br />
dopo averci spogliato, ci avrebbero fatto morire di fame». (Carpenè, 169).<br />
181
Profughi in fuga dopo la rotta di Caporetto. MCRR.<br />
Profughi che sostano in un paese. MCRR.
Altre immagini relative alla triste condizione dei profughi. MCRR.
Eugenio Della Barba ha i fi gli al fronte. È rimasto a casa con la moglie<br />
«allo scopo di sorvegliare e possibilmente salvare alcunché del ben di Dio,<br />
contenuto in quattro case in città e in sei campagne site in Collalbrigo, Ramera,<br />
Monticella e Cimetta». A partire dal 1° marzo – data in cui il Comando austriaco<br />
gli impone di sostituire mons. Sebastiano Dall'Anese nell'incarico di reggere<br />
l'amministrazione comunale – il suo diario è soprattutto una registrazione<br />
degli spiacevoli impegni da cui è assorbito nella nuova e sgradita funzione<br />
di pseudo-sindaco, privo di mezzi e di risorse per poter fronteggiare il rapido<br />
decadimento <strong>della</strong> vita cittadina, cui tocca assistere impotente, prendendo<br />
nota delle cose peggiori. 43<br />
Non si lamenta delle proprie condizioni materiali, malgrado il ruolo<br />
pubblico non sia servito ad assicurargli un trattamento di riguardo. Alla<br />
data del 18 maggio scrive: «Il peso del mio corpo è scemato di oltre 29<br />
chilogrammi e soffro di vertigini». Si lamenta piuttosto <strong>della</strong> «solitudine del<br />
potere»: beccato dalle donne del popolo, osteggiato dai coloni, coartato dalle<br />
autorità militari, tradito dai colleghi del municipio. Ma chiude il diario fi ero<br />
dello zelo con cui ha portato a termine l'incarico, presentando soddisfatto una<br />
contabilità in ordine e in attivo, in sottintesa polemica con la prima breve<br />
gestione Dall'Anese.<br />
Non si lamentano neppure i religiosi. Mons. Emilio Di Ceva insegna lettere<br />
al Seminario di Ceneda e dà anche qualche mal pagata lezione privata. Le due<br />
corone che prende all'ora servirebbero appena ad acquistare un litro di latte.<br />
Fortunatamente non si trova nella necessità di provvedere da sé al proprio<br />
sostentamento. La cucina <strong>della</strong> Curia e quella dell'ospedale militare tedesco,<br />
che in Seminario ha preso il posto di quello italiano che vi si era stabilito<br />
dall'agosto 1915, funzionano a dovere. «I soldati in cucina ci d<strong>anno</strong> la carne:<br />
sono buoni e pieni di attenzione». (Di Ceva, 35 ). Egli si trova poi al centro<br />
di una fi tta rete di visite e contatti da tutta la diocesi. Scritto in una spezzata<br />
tessitura stenografi ca, il suo diario ce ne dà una vivace rappresentazione,<br />
brulicante di personaggi, di episodi, un brusìo di notizie le più disparate<br />
43 La desolazione del centro urbano di Conegliano è ben documentata da alcune immagini scattate dal servizio<br />
fotografi co austriaco: strade deserte, case abbandonate. «Conegliano è un piccolo Belgio», scrive ad un amico in Seminario<br />
il parroco di S. Martino don Vincenzo Botteon, l'apprezzato studioso del Cima. Della Barba riporta, alla data<br />
del 16 dicembre 1917, i risultati di un censimento <strong>della</strong> popolazione disposto dal Comando militare austriaco. Dalle<br />
cifre esposte, divise per frazione, risulta che il centro urbano si è spopolato di almeno due terzi rispetto al censimento<br />
dei presenti nel 1911: 2393 abitanti su 7433. Il che signifi ca che l'87% dei profughi coneglianesi risiedevano in città.<br />
Questo può spiegare il vuoto documentato dalle immagini e anche l'accanimento vandalico contro gli edifi ci disabitati.<br />
Senza dimenticare che la città è stata a lungo bersaglio dell'artiglieria italiana. A Ceneda e Serravalle invece, il<br />
profugato segna cifre minori. Secondo il censimento ministeriale citato, h<strong>anno</strong> lasciato Vittorio 3487 abitanti (15,9<br />
% <strong>della</strong> popolazione residente nel 1911), mentre a Conegliano se ne contano un migliaio in più: 4395 abitanti, pari<br />
al 33.8% <strong>della</strong> popolazione residente nel 1911. Inoltre alla Commissione d'inchiesta sui danni di guerra subiti dalle<br />
abitazioni civili, istituita nel 1919, a Conegliano risultarono 35 gli edifi ci demoliti mentre a Ceneda non ne risultò<br />
alcuno. Ma danneggiati rispettivamente 900 edifi ci a Conegliano e 2029 a Ceneda (più 762 a Serravalle).<br />
184
sulla guerra e sulle violenze che circolano di bocca in bocca, incontrollate<br />
e incontrollabili. («In tèmp de guèra ghe n'é pi bae che tèra», affermava un<br />
proverbio locale che sarebbe piaciuto a Marc Bloch).<br />
Ne possiamo anche trarre ripetute testimonianze su quanto possa aiutare<br />
la deferente solidarietà prestata da suore e preti. «Le suore di Pieve di Soligo<br />
portarono viveri, grano, molto pollame ecc…per più mesi». «Viene a pranzo<br />
don Giuseppe Tommasella di Fontanelle e porta biava, un cappone e la<br />
lingua di un manzo». «Viene il chierico Piovesana da Codognè e ci porta<br />
70 uova». (Di Ceva, 127, 128, 170). Una condizione privilegiata che non<br />
manca di provocare qualche risentimento tra la gente. «Il popolino, le donne<br />
specialmente, contro i preti del Seminario perché h<strong>anno</strong> di tutto». (Di Ceva,<br />
217).<br />
Sono altri, piuttosto, i bisogni che gli riesce più diffi cile soddisfare. Mons.<br />
Di Ceva è un accanito fumatore ma si vede che può contare su una rete di<br />
buoni amici.<br />
Compro 4 pacchetti di tabacco turco fi nissimo biondo-oro da Checco Caramel a 3 corone. […]<br />
Altre 15 corone per 100 sigarette da Toni Fabris. […] Vado dalla Rizza [è la padrona dell'Osteria <strong>della</strong><br />
Provvidenza, provvidenziale base di appoggio]: tre pacchetti tabacco turco biondo oro per L.10. […]<br />
Un pacchetto trinciato turco 10 lire venete (8 corone austriache). Altri tre pacchetti da Dino Schiavazzo<br />
per 10 corone. Finalmente![…] Il Vescovo, per mezzo di don Domenico, ha avuto venti pacchi di<br />
tabacco a 18 centesimi il pacco (i soldati poi vogliono 4 corone). Il colonnello disse a don Domenico:<br />
Al Vescovo non si deve negare nulla! Mi sono io pure raccomandato…. (Di Ceva, 72, 111, 207, 224).<br />
Anche il francescano padre Lodovico Ciganotto può evitare la pena di<br />
doversi dare alla caccia del vitto quotidiano. Dal 23 novembre, al refettorio<br />
<strong>della</strong> Basilica <strong>della</strong> Madonna dei Miracoli, a Motta, viene associata la cucina<br />
dell'ospedale militare.<br />
Da oggi gli uffi ciali dell'ospedale (808) stabiliscono la loro mensa in convento, e precisamente nel<br />
nostro refettorio. In compenso vogliono che si faccia mensa comune, dietro una certa somministrazione<br />
di alcuni generi da parte nostra. Capo cucina è una donna di Lubiana che parla discretamente l'italiano.<br />
Ritengo che dalla fondazione del convento questa sia la prima volta che una donna fa la cucina per i<br />
Religiosi. (Ciganotto, 39).<br />
Anche i Pivetta e gli Arrigoni, le due famiglie di Valdobbiadene costrette ad<br />
allontanarsi dalla linea del fronte e lasciare beni e paese seguendo la colonna<br />
dei nuovi profughi che ora v<strong>anno</strong> verso est, senza indicazioni precise, lungo<br />
la pedemontana che porta a Vittorio.<br />
185
A quelli di Valdobbiadene era toccato sgomberare il 4 e 5 dicembre, a<br />
Segusino già l'1 e ai paesi del medio Piave qualche giorno prima. Sfumata<br />
l'occasione di passare il fi ume di slancio, gli invasori stavano attrezzandosi<br />
per una nuova guerra di posizione, anche se non proprio in trincea secondo<br />
stile carsico. C'è dunque bisogno di campo libero per i movimenti di truppe<br />
e di mezzi.<br />
L'ordine di sgombero faceva intendere che fosse cosa di pochi giorni. I<br />
nuovi profughi avevano dovuto abbandonare tutto in fretta e furia, portandosi<br />
dietro solo qualche misero fagotto. Con il vantaggio per l'invasore di intasare<br />
meno le strade con carri e masserizie e di lasciar libere le case al saccheggio<br />
più comodo.<br />
Renato Arrigoni, ostinatamente preoccupato di non abbandonare l'archivio<br />
dei suoi rogiti, riesce ad ottenere la disponibilità di un camion, sul quale carica<br />
le tre casse di documenti e le due fi glie. La famiglia lascia l'antico palazzotto<br />
in piazza Maggiore, di fronte al municipio, con la mira di farsi ospitare a<br />
Vittorio dai parenti Lucheschi (il notaio è vedovo recente di una Lucheschi).<br />
Ma a Serravalle trovano il palazzo occupato dal comando di tappa e dagli<br />
uffi ci che rilasciano i nuovi documenti di riconoscimento e vengono a sapere<br />
che la villa che la nobile famiglia abita a Colle Umberto è stata incendiata. 44<br />
Gli tocca ripiegare presso altri parenti, i Pampanini (Giovanni ha sposato<br />
la sorella del notaio di Valdobbiadene), che abitano in una villa sui colli di<br />
Confi n, sopra Cozzuolo. 45 La casa ha tre grandi piani e già ospita una famiglia<br />
di profughi ed ospiterà presto anche un gruppo di 15 soldati tedeschi.<br />
Il giro d'orizzonte delle osservazioni di Caterina Arrigoni scorre sulla<br />
corona delle colline del vittoriese. Per rivedere i compaesani si impegna in<br />
lunghe trasferte a piedi, a Cappella, a Pieve, a Tarzo, a Colle Umberto, bene<br />
accolta ovunque da quei profughi che trova assai male in quartiere.<br />
Il suo è tra i diari il più ricco di notizie e di rifl essioni. E mette in evidenza<br />
quanto sia stata diversa l'esperienza del profugato considerando la condizione<br />
dei contadini, meno provvisti di contanti, che h<strong>anno</strong> dovuto lasciare tutto in<br />
paese e sono ridotti a vivere di espedienti.<br />
Arrigoni non ha fatto in tempo a ritirare tutti i suoi depositi prima che la banca<br />
chiudesse i battenti. Ha potuto avere un prestito da don Francesco, il cappellano<br />
di Valdobbiadene, e con i contanti al mercato nero non h<strong>anno</strong> conosciuto davvero<br />
la fame (ma il notaio confessa di aver perso 25 chili di peso).<br />
44 I Lucheschi si erano rifugiati in Romagna, a Cesena, dove il nobile Giacomo avrà recapito anche come commissario<br />
prefettizio di Colle Umberto, mentre il sindaco, magg. Tarlazzi, era stato internato a Linz.<br />
45 È curioso che casa Pampanini, prima <strong>della</strong> guerra, fosse stata invece meta prediletta per le baldorie di una<br />
famosa compagnia di buontemponi, chiamata appunto 'cozzolesca'. Se ne leggono le gesta in M. ULLIANA, Vecchio<br />
tinello, Vittorio V., De Bastiani, 2001, pp. 61-62.<br />
186
«I contadini, minacciati negli animali che rimangono loro, preferiscono<br />
macellarli nascostamente e venderne la carne, dopo essersi assicurati il vitto<br />
per qualche tempo. Alcuni sono venuti ad offrirci grossi pezzi, a prezzi<br />
ragionevoli. Approfi ttando dell'insperata fortuna, ne saliamo ed affumichiamo<br />
parecchi chili». Ai primi di gennaio Caterina <strong>anno</strong>ta:<br />
Nelle ultime settimane abbiamo avuto l'insperato rinforzo di un chilo di sego che una volta<br />
gettavamo, ma oggi, sapientemente manipolato dalla zia, serve da burro margarinato. Il pane poi! Pensa<br />
che in tutto il mese abbiamo avuto due volte un pezzo di pagnotta militare. […] Ormai molti vivono<br />
quasi esclusivamente di s<strong>org</strong>o rosso con cui f<strong>anno</strong> una specie di pinza. Ne ho assaggiata una anch'io,<br />
cotta come la polenta. È dolciastra, ma meno disgustosa <strong>della</strong> polenta di granoturco di cui crusca e punte<br />
di torsoli macinati compongono la massima parte. Ne ho parlato con lo zio Tita che mi ha sconsigliato<br />
di usare il s<strong>org</strong>orosso, perché è di diffi cilissima digestione. Aggiunse: Ti sarai accorta da te, passando<br />
per certe vie, come le feci umane sono insanguinate. Qui si usava per l'alimentazione dei maiali, ma con<br />
l'attenzione che fosse a giorni alterni. (Arrigoni, 69, 84, 174).<br />
Più agitato il trasloco dei Pivetta. La signora Filomena detesta i cambiamenti.<br />
Per lei è una pena insopportabile dover abbandonare la casa dove la famiglia<br />
ha potuto godere per tre settimane <strong>della</strong> protezione di un simpatico uffi ciale<br />
bosniaco.<br />
Per la fretta <strong>della</strong> partenza, Giambattitsta non ha potuto andare a Saccol<br />
dai suoi coloni per chiudere i conti dell'annata e procurarsi del contante. Ha<br />
dovuto accontentarsi anche lui di un prestito di don Francesco.<br />
Grazie alle premure di un polizaio amico, i Pivetta riescono a salire su di<br />
un camion per il viaggio verso Follina, Revine («paesello ch'io non avevo mai<br />
sentito nominare») e infi ne a Tarzo, dove si stabilir<strong>anno</strong> fi no alla fi ne <strong>della</strong><br />
guerra. «Il viaggio fu buono, ma quanto triste! Incominciammo ben presto<br />
a raggiungere per via frotte di compaesani che portavano la loro roba sulle<br />
spalle, o trascinandola su di un carretto a mano. Alcuni che ci ravvisavano,<br />
ci salutavano sorridendo ma altri, mossi dall'invidia perché eravamo in<br />
macchina, ci gridavano dietro delle invettive». (Pivetta, 12).<br />
Il profugato dei Pivetta come ce lo racconta la piccola Maria Egizia, è<br />
un'esperienza eccezionale, del tutto fuori del comune. La disponibilità di<br />
contante di cui gode la famiglia (al prestito del cappellano se ne è aggiunto<br />
più tardi un altro ottenuto dal fratello del notaio Arrigoni, medico a Colle<br />
Umberto) aiuta a trovare ovunque una buona accoglienza. «Il babbo ha potuto<br />
fi nalmente scambiare i sette metri di tela bianca con dieci chili di farina gialla<br />
e cinque di fagioli, un valore complessivo di circa cento lire mentre la tela, al<br />
momento dell'acquisto non è costata nemmeno otto. Ma ora i prezzi sono alle<br />
187
stelle, non c'è più regola in nulla». (Pivetta, 41). Giambattista parla bene il<br />
tedesco e ciò gli favorisce conoscenze ed appoggi presso i comandi militari,<br />
procurandogli, negli ultimi mesi dell'occupazione, anche un impiego da<br />
interprete presso gli uffi ci di Corbanese e di Tarzo.<br />
Quando la penuria si farà sentire di più e verr<strong>anno</strong> a mancare le distribuzioni<br />
amiche <strong>della</strong> cucina militare (avendo i Pivetta rifi utato un trasferimento in<br />
Friuli), al padre toccherà fare lunghi giri a piedi, nell'udinese e nelle basse,<br />
per procurare del cibo.<br />
Allora, per quanto l'impresa fosse poco adatta a lui, per la lunghezza dei percorsi e la mancanza di<br />
mezzi di trasporto, pensò di associarsi a qualcuno per andare in cerca di grano, ma non gli fu possibile<br />
trovare nessuno disposto ad andare con lui, tutti si rifi utavano forse temendo che la presenza di un<br />
«signore» facesse rialzare i prezzi. In maggio: «Egli ed i suoi compagni si sono spinti fi no a Pasiano<br />
Schiavonesco ed h<strong>anno</strong> avuto la fortuna di trovare il grano che cercavano in quantità suffi ciente; con sei<br />
monetine d'oro il babbo ha potuto avere 80 chili di farina bianca, un sacchetto di 5 Kg.di piselli secchi<br />
e una trentina di chili di farina gialla. Diversi chili di bianca ha dovuto cederli però ai suoi compagni di<br />
viaggio, meno fortunati di lui. (Pivetta, 24, 41).<br />
La vicenda dei Pivetta avrà un tragico epilogo. La piccola scrittrice morirà<br />
di spagnola pochi giorni dopo la liberazione, seguita dalla madre nel giro di<br />
pochi mesi. La sorella di Maria Egizia, Fanny, che ha curato la pubblicazione<br />
del diario, ricorda che il padre «non ha potuto mai perdonarsi, fi nché è vissuto,<br />
di non essere partito in tempo, come tanti altri, al di là del Piave, verso la<br />
salvezza». (Pivetta, 64).<br />
Paesaggio con rovine<br />
I primi piani sui misfatti degli invasori e sulle sofferenze degli invasi<br />
occupano quasi tutte le pagine dei diari, in particolare di quelli indirizzati<br />
all'ambiente dei parenti, scritti come pro-memoria a sostegno del racconto<br />
che gli autori si sono proposti di ripetere a voce, dopo la guerra, quando si<br />
sar<strong>anno</strong> ricomposte le famiglie divise da Caporetto.<br />
Essi sono lo specchio di un paesaggio fi sico e umano che nel giro di pochi<br />
mesi si è profondamente dissestato: caduta l'autorità pubblica riconosciuta,<br />
disarmate le gerarchie sociali, allentati i vincoli del controllo sociale, installata<br />
un'autorità straniera e in divisa – incomprensibile nella lingua e nelle intenzioni<br />
– menomata la possidenza agraria, bistrattate le colture, imposta in casa<br />
un'affollata convivenza con truppe d'occupazione che si dànno il cambio nelle<br />
prepotenze e nelle violenze, e con l'intrusione di intere famiglie di profughi,<br />
trevigiani sì ma ugualmente sconosciuti ed estranei, con cui dover spartire le<br />
188
già magre risorse disponibili. E tutto ciò nel caos che governa le immediate<br />
retrovie del fronte, con il trambusto continuo di uomini e di mezzi e con gli<br />
effetti mortali del 'fuoco amico'.<br />
Dopo il terremoto demografi co che ha colpito tutti i paesi, privandoli<br />
prima delle forze più giovani destinate al fronte e poi delle molte famiglie<br />
che h<strong>anno</strong> potuto fuggire oltre Piave, si sono aggiunti questi altri fattori<br />
di disgregazione che h<strong>anno</strong> disperso riferimenti identitari, stravolto la<br />
fi sionomia delle comunità, sbiadito le fattezze <strong>della</strong> patria. 46 Caduti<br />
l'esercito e le istituzioni di governo, si è anche inceppato quel plebiscito<br />
quotidiano che per Ernest Renan è la prova vivente <strong>della</strong> nazione. Se nelle<br />
mire un po' sadiche delle classi dirigenti la guerra doveva essere anche<br />
l'occasione propizia per cementare una coscienza nazionale (coronando<br />
l'ambizione semi-secolare di far crescere con l'Unità lo stato e la nazione),<br />
pochi mesi d'invasione avevano scosso la tenuta di tale programma. Non<br />
è un caso che, tra i nostri diaristi, solo le due insegnanti, tenendo fede alla<br />
loro missione educativa, esprimano richiami ideali di questo tipo. 47 Mentre<br />
il ruolo carismatico dei parroci si svolge su un piano diverso, a protezione<br />
delle anime e dei corpi, non a salvaguardia dell'unità nazionale.<br />
Viene anzi dai religiosi la voce più critica verso le cause prime, verso<br />
l'ipocrisia dei ceti preminenti e la debolezza delle autorità civili che non<br />
h<strong>anno</strong> mantenuto il loro posto. Sono deplorazioni magari anche interessate,<br />
che valgono ad esaltare il ruolo svolto dalla Chiesa nei territori occupati,<br />
ma che colpiscono nel segno e che legittimamente pronunciano coloro che<br />
l'occupazione l'h<strong>anno</strong> sofferta fi no in fondo, presi di mira più di ogni altro,<br />
sia nei sospetti che nelle strumentalizzazioni, da parte dei comandi militari<br />
austriaci e tedeschi (e, nei territori liberi, da parte dei comandi italiani).<br />
Veramente grave e diffi cile era ad un tempo la nostra posizione. Da una parte certi signori che<br />
avevano sempre gridato «Viva la guerra», insistendo presso i loro dipendenti sulla necessità e sul<br />
dovere che tutti avevano di cooperare con tutte le forze al nostro trionfo, assoggettandosi, se fosse<br />
d'uopo, anche a sacrifi ci i più gravosi per una causa tanto nobile; noi li avevamo veduti misteriosamente<br />
scomparire dai nostri paesi. Ove si erano rifugiati? È facile immaginarlo, oltre il Piave. Niente di<br />
male, anzi…ma perché essi non si curarono di far presente anche ai dipendenti il pericolo grave che<br />
sovrastava? Perché anzi spargere e far spargere artifi ciosamente la voce che essi non ci avrebbero<br />
46 Sbiadite proprio in quei lineamenti primigeni tratteggiati da Silvio Lanaro (al riparo da usi imperialistici). ««Patria»<br />
[…] è il luogo fi sico dove l'ambiente e il paesaggio – costruiti o modifi cati dalla vita activa delle generazioni<br />
– svolgono una funzione primaria di protezione e rassicurazione esistenziale, e dove una cultura non semplicemente<br />
verbale produce affi nità, consonanze, parentele ideali e morali». S. LANARO, Patria. Circumnavigazione di un'idea<br />
controversa,Venezia, Marsilio, 1996, p.15.<br />
47 Invece Caterina Arrigoni ha uno scatto di <strong>org</strong>oglio 'nazionale' quando lo sente umiliato dagli austriaci perché<br />
f<strong>anno</strong> gran uso del telegrafo. «Qual pena vedere una scoperta così genialmente italiana al servizio dei nostri nemici».<br />
(Arrigoni, 84). Grandezza <strong>della</strong> patria, anche senza ricuperare un ettaro dalle terre «irredente».<br />
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abbandonato, che sarebbero rimasti con noi fi no all'ultima ora? Perché cercare di persuadere il popolo<br />
che miglior partito era rimanere al suo posto? 48<br />
Il Regio Commissario consegna al Vescovo magazzino Comunale: patate, grano, legna per i poveri<br />
e poi fugge con B. Rossi; delle autorità comunali non resta che l'ing. Trojer il quale invita e prega il<br />
vescovo ad accettare presidenza Opere pie, ospedali, ecc…[…] Incontro la maestra De Faveri, la quale<br />
mi dice che il Regio Commissario di Vittorio aveva in saccoccia l'ordine uffi ciale di far sgomberare<br />
Vittorio, ma che non si è sentito in caso di assumersi la tremenda responsabilità (forse avrà secretamente<br />
avvertito i Signori di Vittorio, autorità ecc…, altrimenti – mi domando io – come si spiega l'unanimità<br />
quasi contemporanea <strong>della</strong> fuga delle autorità, dei Signori di Vittorio?). (Di Ceva, 15, 66-67).<br />
I dubbi sull'effi cienza del nostro esercito, il prolungarsi dell'occupazione,<br />
la lontananza dei propri cari, il logoramento del corpo e <strong>della</strong> mente incrinano<br />
anche i sentimenti patriottici.<br />
In un primo tempo a Renato Arrigoni «ripugna come una vigliaccheria<br />
abbandonare il suo paese in un momento così critico in cui tutti i rimasti<br />
appuntano gli sguardi su di lui». Vorrebbe mettere in salvo le fi glie e<br />
rimanere a Valdobbiadene. «Ma, naturalmente, noi rifi utiamo di separarci<br />
da lui. Del resto la partenza ci ripugna per le stesse ragioni». Cinque mesi<br />
dopo però la fermezza cede alla lusinga di poter riparare nell'Italia libera,<br />
attraverso la Svizzera, grazie ai buoni uffi ci <strong>della</strong> Croce Rossa e del Vaticano.<br />
Valdobbiadene, Cozzuolo, Colle Umberto non sono più 'patria'?<br />
Qualcuno non sa perdonare all'autorità civile di non aver provveduto in tempo al nostro sgombero,<br />
anzi d'aver fatto appello al nostro patriottismo per ridurci a rimanere tranquilli. E pensare che sarebbe<br />
bastata una parola, perché noi avessimo potuto metterci in salvo. Perché h<strong>anno</strong> sgomberato i paesi<br />
lontani dalla linea del fuoco e non noi, sotto il Grappa? […] Papà era rimasto per aiutare i paesani,<br />
per tutelare le sue carte e quel po' di roba. La prima ragione cessa d' aver valore dal momento che tutti<br />
i nostri sono dispersi. Per la seconda ha un'idea e spera di poter combinare bene. Per la terza…non<br />
abbiamo più che un doloroso sorriso. (Arrigoni, 20, 88, 118).<br />
Dietro i primi piani scattati sui fatti (di cui abbiamo approfi ttato anche<br />
noi), i diaristi avvertono con preoccupazione certe dissonanze nello sfondo<br />
del racconto primario, sc<strong>org</strong>ono le crepe che si sono improvvisamente aperte<br />
nella compattezza <strong>della</strong> compagine sociale.<br />
Se ne dà valutazioni di tono morale. Ci si sorprende come di una mancata<br />
solidarietà collettiva di fronte a una sciagura comune, che avrebbe dovuto<br />
semmai rinsaldare i legami popolari, cementarli nell'unità di fronte al nemico.<br />
48 SIMONATO, Gli orrori dell'invasione cit., in Il Gazzettino Illustrato, n.1 del 16 maggio 1921.<br />
190
Neppure si immagina che la guerra persa, mettendo in fuga i padroni, possa<br />
apparire come insperata occasione di giustizia, liberazione dai vecchi rapporti<br />
di forza. Quando il sociale prende il sopravvento sul politico, l'individuo sulla<br />
nazione. Il saccheggio compiuto dai compaesani nelle case abbandonate da<br />
chi è riuscito a mettersi in salvo (cosa che si ripeterà alla fi ne <strong>della</strong> guerra,<br />
nelle poche ore sospese tra la partenza degli ultimi invasori e l'arrivo dei<br />
primi italiani) non viene neppure inteso come reato comune. Sarebbe stato<br />
meglio, commenta pacatamente Bianca Brustolon, che i proprietari non se ne<br />
fossero andati. Il tutto viene ricondotto a eccessi individuali, isolate perdite di<br />
senno, non già a spie di un malessere antico.<br />
Il ripiegamento sul proprio particolare, la difesa degli interessi di casa<br />
prendono il sopravvento quando la tragedia è troppo grande e si dispera che<br />
sia possibile porvi rimedio. 49<br />
Lo aveva già notato il prefetto di Treviso Vitelli quando, qualche mese<br />
prima di Caporetto, commentando al governo lo stato dello spirito pubblico<br />
segnalava:<br />
Una latente e, direi quasi silenziosa agitazione <strong>della</strong> campagna che non sembra sia da ritenersi del<br />
tutto tranquillante. Un primo sintomo di tale stato di cose apparve in conseguenza del concorso quasi<br />
negativo dato dalla campagna al quarto prestito nazionale, al quale, nonostante l'opera di propaganda<br />
e l'esempio delle persone più infl uenti e facoltose, i piccoli proprietari ed affi ttuali resistettero<br />
assolutamente, astenendosi dal partecipare alle sottoscrizioni, non tanto perché non fossero convinti<br />
del buon impiego dei loro risparmi, quanto perché fermi nel credere, per una elementare concezione,<br />
che il concorso al prestito delle classi superiori non fosse diretto che ad assicurare la continuazione<br />
<strong>della</strong> guerra. […] E per le stesse ragioni vedono ora con poca simpatia le offerte di oro allo Stato,<br />
non potendo allontanarsi dalla credenza più accessibile alla loro mentalità, che cioè le classi dirigenti,<br />
interessate come sono, tutto facciano perché la guerra continui. 50<br />
Le progressive crescenti misure di restrizione dei consumi, che si erano<br />
succedute nel corso del 1917 con l'adozione dei calmieri e degli ammassi<br />
49 Nei giorni in cui infuria la battaglia del Solstizio, una contadina di Piavon scrive: «I pensieri grandi gli ano<br />
tutti, ma specialmente chi a una casa e materiali da conservare, sono ancor più grandi, perche granate si fermano da<br />
vanti, e passano di dietro di più cadono a destra e sinistra, siche se avesce solo la vita da salvare avrei abbastanza;<br />
ma questo non basta e mi troverei molto dispiacente d'essere rimasta qui solo per salvare qualche cosa e non per<br />
altro fi guratevi il mio essere quanto sofrirei di non poter conservare la nostra roba.». (Cunegonda Bozzetto Roman,<br />
pp. 59-60). «Non siamo scappati da Sarmede. Mio papà voleva partire e ha detto «Gènia – diceva a mia madre – è<br />
meglio che prendiamo su (avevamo due bestie) un carretto con le stanghe, attacchiamo una bestia, carichiamo su due<br />
materassi e così andiamo via tutta la famiglia. Eh – ha detto mia madre – lasciare qua la casa, la roba!». Così non<br />
ha voluto partire…ma abbiamo passato, quando mi penso, per carità!». Ricordo di Clotilde Masutti, in C. PAVAN, In<br />
fuga dai tedeschi. L'invasione del 1917 nel racconto dei testimoni, Treviso, 2004, pp. 41-42.<br />
50 Relazione del prefetto Nunzio Vitelli al Ministro dell'Interno V.E. Orlando in data 24 maggio 1917. La citazione<br />
è dal testo rinvenuto e pubblicato da G. NETTO, in ID, 1917-1977, dall'Isonzo al Piave, da Treviso a Pistoia, Comune<br />
di Treviso, 1977, pp. 42-43.<br />
191
obbligatori, avevano rafforzato l'avversione alla guerra. Una caduta <strong>della</strong><br />
tensione patriottica, una stanchezza per la guerra che si manifesterà anche<br />
dopo Caporetto, nel fatalismo, nella rassegnata remissività con cui vengono<br />
accolti gli invasori, che annuncia già una disposizione all'adattamento, nella<br />
nota capacità di arrangiarsi anche nelle situazioni diffi cili che h<strong>anno</strong> fatto<br />
dei veneti gli emigranti più effi cienti. Se c'è rivolta ora, è per difendere il<br />
proprio.<br />
«Apprendo che taluni contadini accolgono i primi soldati col cappello in<br />
mano, facendone gli onori di casa». (Della Barba, 6). «Mi sono recato spesso<br />
in paese: è uno smarrimento, è la confusione delle menti: per farsene un'idea,<br />
nessuno, dirò così, conosce più nessuno. Un po' più di calma si conserva<br />
dalla popolazione rurale, forse perché pensa di aver meno da perdere che<br />
i ricchi». (Ciganotto, 12). «Ed ecco sull'imbrunire che arrivano le prime<br />
pattuglie d'avanguardia germaniche…Una sfi lata ordinata che fi schietta<br />
l'inno <strong>della</strong> Nazione. Una sfi lata che passa come andare a una parata. E sul<br />
buio alcune donne ignoranti del popolo che sventolano il fazzoletto! Io fremo<br />
d'indignazione». (Calcinoni, 34).<br />
Me lo ricordo come fosse adesso, quando sono arrivati i tedeschi. I primi arrivati in paese erano<br />
quelli grandi, polacchi mi sembra. Noi eravamo sulle fi nestre lungo la strada e, mentre i soldati<br />
venivano avanti, le donne lasciavano cadere frutti e fi ori, sembrava che stesse per arrivare chissà chi. Ai<br />
primi arrivati abbiamo fatto come un benvenuto, perché poverini mi par di vederli, con questo zaino, a<br />
piedi…e allora il paese ha pensato di accoglierli bene. 51<br />
«Cittadini a gara nel trattare i nuovi inquilini». (Di Ceva, 18). «Molti<br />
cittadini avevano steso alle fi nestre delle case lenzuola e coperte, in segno di<br />
sottomissione». 52<br />
Se l'occupazione non segna certo la fi ne <strong>della</strong> guerra, sembra però abbattere<br />
l'ordine costituito, imporre un sistema a suo modo egualitario, che accorcia le<br />
distanze, che fa pagare i danni <strong>della</strong> guerra a tutti, senza preferenze gerarchiche.<br />
Spezzata dall'invasione l'unità <strong>della</strong> nazione, emergono le divisioni sociali.<br />
Caduti i vincoli d'autorità, l'occupazione straniera si rovescia illusoriamente<br />
in una utopica conquista di libertà, prescrivendo le regole note, i tradizionali<br />
51 Ricordo di Regina Tittonel da Campea (Miane), in PAVAN, In fuga dai tedeschi cit., p. 54. Rimarca Giovanna<br />
Procacci «le innumerevoli espressioni di soddisfazione per la sconfi tta italiana, testimoniate da prefetti, militari<br />
e privati cittadini dopo la disfatta. Nel Veronese, nel Mantovano e nel Padovano –scriveva Diaz ad Orlando – i<br />
contadini «affermano che non desiderano altro che l'occupazione austriaca, perché così la guerra sarebbe fi nita e<br />
perché 's<strong>anno</strong>' che gli austriaci trattano bene le popolazioni, specialmente i contadini, cosicché eventualmente si<br />
vendicherebbero solo sui signori, che <strong>della</strong> guerra sono gli unici responsabili»». G. PROCACCI, Dalla rassegnazione<br />
alla rivolta. Mentalità e comportamenti popolari nella grande guerra, Roma, Bulzoni, 1999, p. 132.<br />
52 TOMASIN, L'<strong>anno</strong> di Vittorio cit., p.13.<br />
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codici di comportamento. E libera rivendicazioni insoddisfatte, offre occasioni<br />
di rivincita. In un'aria da «libera uscita», che assomiglia a quella di Caporetto,<br />
si inserisce una piccola, incruenta guerra civile, che si esprime in esplicite<br />
manifestazioni di rancore verso i ricchi. Emblematico il caso di Eugenio Della<br />
Barba, che si trova d'un tratto ad impersonare insieme proprietà terriera e<br />
autorità pubblica quando, nominato sindaco di Conegliano, nel nuovo duplice<br />
ruolo fa da bersaglio unifi cato di proteste di ogni tipo.<br />
Redarguisco giovinastri colti nel demolire pavimenti e scale, e ne ricevo contumelie e minacce da<br />
coloro che dovrebbero esercitare verso i fi gli una azione correttiva. C'è odio addirittura per tutto ciò che<br />
costituisce autorità […] In calce ad avvisi al pubblico, emessi dal Sindaco, compaiono, scritti a lapis<br />
copiativo, dei motti, come i seguenti, coll'aggiunta di qualche sconcia vignetta: «Morte al sindaco»<br />
«Alla gogna il sindaco». […] Il peso del mio corpo è scemato di oltre 29 chilogrammi e soffro di<br />
vertigini. Qualche donna del popolo, vedendomi, esclama, con altre «Guarda come è ancora grasso il<br />
nostro sindaco!». […] Certo Sanson di Collalbrigo, e donne parecchie imprecano contro il Sindaco, che<br />
non provvede a p<strong>org</strong>ere cibi alla popolazione! (Della Barba, 20, 23, 24, 27).<br />
Al misconoscimento dell'autorità, che sottende allo scherno, si accompagna<br />
il rancore sociale.<br />
Molti contadini si mostrano irritati perché i padroni sono partiti, senza avere fatto loro i conti. […] Il<br />
mio colono, che mi rifi utò qualunque aiuto, l'ho pregato di voler abitare e sorvegliare la casa. […] Vengo<br />
informato che la mia casa sta spogliandosi completamente, col concorso di gente del contado. […] Un<br />
contadino di Costa, trovandomi con mia moglie, mi grida in faccia: Cossa fatu qua, in campagna. Va<br />
a casa toa. Viva l'Austria, abbasso l'Italian…quel fi ol de un can. […] I nostri contadini son matti. C'è<br />
chi giustifi ca la brutalità delle orde barbare occupanti, coll'affermare che gli italiani h<strong>anno</strong> commesso<br />
identici peccati. H<strong>anno</strong> i signori pagato denaro per fare la guerra. L'Italia ha tolto i benefi ci ai preti, ai<br />
vescovi e perfi no al Papa (!). (Della Barba, 13, 8, 10, 9).<br />
«Alcuni padroni scrivono d'oltre Piave ai domestici e affi ttuali perché diano<br />
aria alle camere, ai palazzi, alle case. Altro che aria! Se ne acc<strong>org</strong>er<strong>anno</strong> al<br />
loro ritorno». (Di Ceva, 236).<br />
Oltre ai rancori vecchi e nuovi c'è l'illusione, la speranza che questa libertà<br />
sia per sempre e dia diritto anche a una forma di usucapione. «Fra taluni<br />
contadini si sta pensando alla divisione delle terre, calcolando sul permanente<br />
allontanamento dei padroni». (Della Barba, 34). «Oggi papà disse ad una<br />
contadina: -Di chi è questa bella fattoria? –Era dei Giuriati. – Come era?<br />
L'h<strong>anno</strong> venduta? –No, no. –Sono morti allora? –No, ma h<strong>anno</strong> passato il Piave<br />
e così h<strong>anno</strong> perso il diritto alle case, ai campi, alla loro roba». (Arrigoni, 98).<br />
193
«Il comandante conferma essere vero che contadini del luogo s'informano se<br />
proprio la proprietà dei campi dovrà passare a loro, anche se qualche padrone<br />
è rimasto qui». (Della Barba, 36).<br />
Sfi lacciato il tessuto connettivo <strong>della</strong> comunità, una popolazione debilitata<br />
dalle molte assenze di vivi e di morti, fatta di vecchi, donne e bambini e<br />
caricata dall'intrusione delle più numerose presenze forestiere, si acuisce<br />
l'impulso a ritrarsi nelle soluzioni individuali, a protezione degli egoismi<br />
famigliari. Ne f<strong>anno</strong> le spese anche i profughi.<br />
-Come ti chiami?- Chiedo a una bimbetta cinquenne. –Mi vergogno a dirlo –mormora confusa- ho<br />
un nome brutto, brutto. –E via, coraggio, di chi sei? – Son dei profughi – confessa in un sussurro, tutta<br />
vergognosa. Il male che mi ha fatto questa parola, in bocca a quell'esserino! Perché (vedi Pierina) non è<br />
una parola gettata a caso, priva di senso. È la realtà. Dopo la prima esplosione di pietà, i profughi sono<br />
venuti a noia, a disprezzo, a ribrezzo quasi. (Arrigoni, 129).<br />
Quando gli Arrigoni, padre e fi glia, arrivano a piedi a Cappella Maggiore,<br />
dove si è concentrata la maggior parte dei profughi di Valdobbiadene, trovano<br />
che<br />
La popolazione si mostra piuttosto ostile verso i nostri poveretti, tanto più che la difterite fa strage<br />
in mezzo ai nostri bambini. […] I cappellesi rinfacciano ai nostri la mancanza di pulizia. Ma i profughi<br />
vivono nelle case abbandonate dai bosniaci, dormono in quindici e più per cameretta, sdraiati per terra<br />
e fortunati quelli che h<strong>anno</strong> portato con sé delle coperte. […] L'accusa assurda per eccellenza, fatta ai<br />
nostri, è di far crescere i prezzi, poiché pagano. La colpa non è dei paesani di sfruttare tanta miseria.<br />
No! La colpa è di essere vittime. (Arrigoni, 87).<br />
«I profughi sono malvisti dovunque, pare che ci facciano una colpa di<br />
aver abbandonato il paese, quasicché non fosse stato un ordine al quale<br />
era giocoforza ubbidire! Oh se si mettessero un po' nei nostri panni,<br />
comprenderebbero quanto siamo disgraziati e certamente ci dimostrerebbero<br />
più comprensione! E se un altro momento dovessero loro pure andare via,<br />
profughi come noi?». (Pivetta, 26). 53<br />
A Fregona, dove si sono fermati un migliaio di profughi da Segusino. «A<br />
Fregona inospitale ed egoista i miei profughi furono imposti dal Comando,<br />
che in qualche famiglia dovette usare anche le minaccie perché fosse concesso<br />
loro un giaciglio strettissimo e senza fi eno, od una stalla immonda ed umida.<br />
53 Anche nella Destra Piave c'è insofferenza verso i nuovi arrivati. I termini che da queste parti vengono usati<br />
per defi nire i profughi non sar<strong>anno</strong> proprio tutti storpiati per ignoranza lessicale. «Profughi-Profàni-Pròfani-Profùmi-Profui-Pròcani-Scròffoli-Pròfori-Pròtuli-Pèrfori-Scroccoi.<br />
Una povera vecchia profuga si presentò alla suora<br />
dell'Osp. E disse: Signora, sono una povera scroffa, mi faccia carità». In DAL COLLE, Diario di Guerra, cit., p. 134.<br />
194
Fu detto anche che non conveniva seppellire i profughi nel cimitero, e che si<br />
provvedessero un campo». 54<br />
Se si volta le spalle ai compaesani, si guarda come a un vero e proprio<br />
tradimento qualsiasi contatto che non sia ostile all'invasore. L'egoismo<br />
individualistico alimenta comportamenti equivoci. Impossibile dimostrare<br />
quanto si tratti di autentica simpatia politica piuttosto che di meschini<br />
opportunismi. Certi episodi sembrerebbero rientrare nella casistica dei<br />
rancori personali, di chi, spalleggiando l'invasore, ritiene di poter ottenere più<br />
facilmente consumare la propria vendetta.<br />
Un condannato per assassinio giù a San Giacomo, uscito di pena dopo 15 anni, adesso fa la spia<br />
denunciando ai tedeschi le case dei saccheggiatori. L'austriacante Colussi di San Giacomo gavazza<br />
nell'abbondanza, persino una vacca per il latte di sua famiglia; a lui si attribuiscono le responsabilità<br />
delle requisizioni a San Giacomo, vendetta, come per esempio da F. Nardari, perquisizioni in canonica<br />
e dalle Benedettine. (Di Ceva, 83, 203).<br />
Sono abituali le vendette fra b<strong>org</strong>hesi e contadini. Un tale manda in casa<br />
d'altri i soldati a rubare, o a scoprire roba nascosta. Si assiste a qualche scena<br />
fra donne, accusantesi a vicenda di essere colpevoli di requisizioni, facendo i<br />
nomi delle case. (Della Barba, 19).<br />
Le nostre guardie Municipali h<strong>anno</strong> avuto il coraggio di condurre qui graduati Austriaci e pure<br />
Gendarmi per scegliere la mobilia che le andava più bene. Sono venuti espressamente da noi soli; prima<br />
h<strong>anno</strong> voluto entrare nella nostra casa di là, e per il primo la guardia nostra italiana andò nella camera di<br />
mamma levò le coperte per vedere se v'erano materassi di lana […] la stessa guardia mi costrinse aprire<br />
il salotto, io non volleva, e lui mi disse: lenguazza vorala dir che sti mobili i e soi? In quel momento lo<br />
avrei ucciso tanto ero agitatissima. […] L'infami traditori f<strong>anno</strong> più male a noi quelli stessi del paese<br />
che quasi i nemici […] Ver<strong>anno</strong> i fratelli in breve, verrà la giustizia ci rivendicher<strong>anno</strong>. (Brustolon,<br />
66-68). 55<br />
Se il rapporto col nemico è talmente ravvicinato da farsi perfi no intimo,<br />
scatta la censura morale, con l'aggravante del tradimento. «Le civette cenedesi<br />
scandalose trescano con lo straniero; si avvicinano ad essi per accendere<br />
una sigaretta, parlare, sorrisi, moine, saluti ed… appuntamenti!». (Di Ceva,<br />
93). «Ma intanto qualche «sottanina» sembra ormai familiarizzarsi coi baldi<br />
conquistatori». (Della Barba, 8). I parroci sono i più suscettibili verso questi<br />
54 Archivio di Stato di Treviso, Prefettura, Gabinetto, b.29. Anche in Un popolo in esilio, Segusino 1917-1918, a<br />
cura di L. PUTTIN, Treviso, Cassa di Risparmio <strong>della</strong> Marca Trivigiana,1983, p. 63.<br />
55 Il caso riferito dimostra l'effi cacia dell'appoggio collaborazionista. I Brustolon si erano premurati di custodire la<br />
mobilia degli Albrizzio, la famiglia con cui avrebbero dovuto partire. Soltanto malevoli conoscenze locali potevano<br />
aver suggerito una simile perquisizione a colpo sicuro.<br />
195
comportamenti, e a qualcuno tocca anche pagare le conseguenze del proprio<br />
zelo.<br />
Siamo al ventotto gennaio 1918 e le cose v<strong>anno</strong> di male in peggio. La domenica precedente , il<br />
parroco di Cavalier di G<strong>org</strong>o al Monticano don Luigi Cappello, vedendo in parrocchia, certi disordini<br />
e gravi pericoli d'immoralità, predicando alla messa ultima, ebbe a dire: «È indegno, oltre che contro<br />
la fede e il buon costume, che voi ragazze abbiate a ballare con chi domani ha il dovere e che, quindi,<br />
può uccidervi il padre, il fratello, il fi danzato!» Parole franche, severe, un po' imprudenti, se si vuole,<br />
dati i tempi. Fatto sta che le solite «fraschette», le più cinciallegre, forse per accattivarsi la simpatia dei<br />
militari e avere così agevolazioni, riferiscono, con molte frange, le parole «esecrande» (!) del parroco<br />
agli uffi ciali austriaci, sospettosi di tutto.<br />
Il parroco viene arrestato e internato in Friuli, a Palazzolo dello Stella.<br />
Sull'atrio [del Comando Militare Austriaco di Chiarano] sc<strong>org</strong>o, sedute su due poltroncine,<br />
due svergognate di Cavalier, le quali, tutte sorrisetti e ciccì e coccò, f<strong>anno</strong> le svenevoli con due tre<br />
uffi cialetti. Dò loro un'occhiataccia molto, ma molto diversa da quella che Cristo, attraversando il<br />
cortile del palazzo dei sommi sacerdoti Anna e Caifa, rivolse a Pietro. Le avrei sbranate. […] Ci sono,<br />
in quella famiglia, quattro belle giovinette, una delle quali attira le simpatie del Colonnello, che le offre<br />
spesso un caffè con latte e biscottini. Per uscire di casa e andare alle sacre funzioni, in chiesa, tutti<br />
h<strong>anno</strong> bisogno di permesso, ma costei può girare a suo piacimento senza alcun permesso. Il Piave…<br />
mormora e come! Le lingue sacrileghe che non mancano mai, mi dicono di cotte e di crude sul conto<br />
di quella tizia, senza però farsi scoprire perché quella bella frescona riferisce tutto al suo spasimante e<br />
allora sono guai. 56<br />
È un terreno scivoloso, questo. L'ombrosa ipersensibilità di chi ha cura<br />
d'anime forse non aiuta a discernere quanto nella condotta delle giovani<br />
parrocchiane sia incosciente leggerezza o semplici scambi di curiosità tra<br />
coetanei (visto che i giovani paesani sono tutti al fronte). Certo che le foto<br />
di gruppo, scattate in quieti angoli campestri, generalmente non mostrano<br />
«musi lunghi» da costrizione. Comunque, un'ipotesi fuori discussione è la<br />
sincerità dei sentimenti. Relazioni stabili, poi, sono doppiamente scandalose<br />
e ripugnanti alla morale comune. L'occhio severo non si ferma alle ragazze<br />
di paese, a quelle che si conoscono di persona e sulle quali è più facile la<br />
reprimenda se la loro condotta non è più che irreprensibile. La stessa durezza<br />
del giudizio morale si applica a quelle che f<strong>anno</strong> il mestiere, alle donne che<br />
vengono da fuori, seguendo abitualmente il movimento delle truppe.<br />
Per quanto si dica che si tratta del più antico mestiere del mondo, a quanto<br />
56 TOFFOLI, «Piovan» di una chiesa cit., pp. 199, 193, 300.<br />
196
pare non smette mai di sorprendere quando capita di vederlo all'opera.<br />
Neppure quando, come durante un'invasione, l'enorme domanda di sesso (per<br />
poter dimenticare la vicinanza <strong>della</strong> trincea e la lontananza da casa) non può<br />
che comportare l'allestimento, spontaneo o programmato, di un'assistenza<br />
che sia proporzionata alle dimensioni del nuovo mercato. 57 «Incontro Pierino<br />
Balliana con un sacchetto sotto il mantello per raccogliere un po' di grano da<br />
macinare; egli mi dice che vicino a casa sua si è aperta una casa di tolleranza:<br />
due donne cenedesi e una forestiera!». (Di Ceva, 47).<br />
In primavera arrivano a Vittorio rinforzi dalla patria lontana. Sono le<br />
kellerine, impiegate e attendenti tutto fare. Riservate alla cura degli uffi ciali,<br />
non entrano in concorrenza con le prestatrici libere. «Quante «Kellerine» in<br />
città piovute dall'Austria!». (Di Ceva, 151). «L'Austria cioè questo comando<br />
ha qui occupate come impiegate, e servizi varii circa 700 delle loro Sig.ne<br />
Austriache così h<strong>anno</strong> potuto tutte indossare vestiti e biancheria italiana<br />
poiché i loro propri sono di carta». (Brustolon, 174). «Le requisizioni di<br />
biancheria, specialmente femminile, h<strong>anno</strong> ripreso con nuova intensità per<br />
opera degli austriaci. Sfi do io! Con tutte quelle donne che vennero a deliziar<br />
Vittorio! Queste, ormai, passano ostentando spudoratamente vesti, cappelli e<br />
pellicce delle nostre signore». (Arrigoni, 96).<br />
Non sembra comunque che ci siano soltanto delle professioniste, soltanto<br />
amore a pagamento. Ma lo sdegno colpisce anche le civettuole.<br />
Musica in piazza per la vittoria sul Piave. Un Uffi ciale che parla italiano va invitando le signorine<br />
ad uscire facendo loro credere che sono obbligate ad andare; qualche minchiona ci crede. Poche si sono<br />
fatte vedere e sono oggetto dello scherno e del disprezzo <strong>della</strong> popolazione e di quelle altre che giurarono<br />
di non muoversi neanche se i gendarmi le andassero a pigliare. Pazienza vedere una signorina la cui<br />
madre è tedesca ed ha quindi nelle vene un sangue che non potrà mai ardere di quella passione ardente<br />
che mi strugge il cuore per la mia adorata terra, ma delle altre vere italiane…oh che vergogna![…] In<br />
57 Lo stesso vale nell'Italia libera. Mentre l'attenzione prestata ai rapporti tra soldati e prostitute da parte dei<br />
comandi militari punta a scongiurare o almeno a limitare i danni che potrebbero venirne alla salute e all'effi cienza<br />
dei combattenti, la preoccupazione dei religiosi è vòlta ai più ampi effetti morali provocati dalla diffusione del malcostume<br />
anche nei più piccoli paesi. Si pensa al contagio delle anime prima ancora che a quello dei corpi. Quindi<br />
da un lato i comandi militari cercano di dare un'<strong>org</strong>anizzazione di controllo alla prostituzione, combattendo quella<br />
clandestina, che è la più pericolosa, mentre i religiosi non f<strong>anno</strong> differenze, anzi, cercano di arginare, anche con<br />
successo, l'apertura di case di tolleranza per l'esercito. I vescovi veneti lo f<strong>anno</strong> uffi cialmente, rivolgendo un appello<br />
in questo senso, nell'estate del '18, al presidente del Consiglio Orlando. I risultati tuttavia sono controversi. A. Giacinto<br />
Longhin, il vescovo di Treviso, si rammarica con il collega di Vicenza. «Sono amareggiato al sommo, perché<br />
in questi giorni, oltre a nuove vessazioni contro i poveri preti, mi si impiantano qua e là case di tolleranza in paesi<br />
di campagna. Ero ricorso a S:A. il duca d'Aosta per impedire quella che si voleva aprire qui vicino a Lancenigo e<br />
vi riuscii, ma ecco una fi oritura di questi velenosi funghi quasi a vendetta di quel primo tentativo non riuscito». I<br />
vescovi veneti e la Santa Sede nella guerra 1915-1918, a cura di A. SCOTTÀ, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura,<br />
1991, vol. 2, p. 292. Anche i politici talvolta dànno una mano ai parroci. Il prevosto di Montebelluna è grato all'on.<br />
Bertolini per il suo effi cace intervento: «Grazie al suo validissimo patrocinio la «cosa» prese un'altra piega ed il<br />
pericolo sembra scongiurato». Archivio Bertolini, Montebelluna.<br />
197
paese c'è un gran numero di Uffi ciali eleganti ed azzimati nella loro uniforme stretta e corta; cercano il<br />
piacere, ma solo qualche sciocca si vede passeggiare con loro. E di queste senza carattere e senza amore<br />
per i nostri, non merita spendere il tempo per occuparsene. (Calcinoni, 38, 44).<br />
Un velo di compassione invece quando si tratta di uno scambio per la<br />
sopravvivenza, cui tocca sottostare.<br />
Ci sono cinque casinò. L'abitudine dei bagni di sole è già cominciata e gli uffi ciali non si peritano di<br />
mostrarsi in costume adamitico. E peggio, le loro tedesche non bastano a distrarli. Le povere villanelle<br />
adolescenti, che scendono dal Cadore a cambiare burro e formaggio contro farina, molte volte ottengono<br />
lo scambio a prezzo dell'onore.[…] Grandi programmi annunciano a Vittorio una settimana di feste in<br />
onore di Carlo, con teatro, cinematografo, musica. L'entrata è di cinque corone per gli uffi ciali, una<br />
per la truppa, una e mezza per i b<strong>org</strong>hesi. Se poi, oltre alle tedeschine, altre quattro poco di buono<br />
v'interverr<strong>anno</strong>, ci sarà certo pronta la fotografi a a coglierle, onde dimostrare come il pubblico italiano,<br />
in liete riunioni, manifesti la propria soddisfazione per l'attuale, felice stato di cose. Purtroppo, ci sono<br />
delle ragazze, rare, che non s<strong>anno</strong> difendersi dagli omaggi dell'uffi cialità, con la scusa che h<strong>anno</strong> paura<br />
del peggio o <strong>della</strong> fame. – Ma torner<strong>anno</strong> gli italiani – dicono le amiche – e vi segneremo noi, a dito,<br />
ai nostri. (Arrigoni, 141, 125).<br />
Anche l'amore vero fa scandalo in paese. La sincerità dei sentimenti non<br />
basta. È il dubbio che insidia la felicità di Maria, diciottenne infermiera<br />
all'ospedale militare di Combai. Maria si confi da con la sorella:<br />
Ogi è il primo giorno <strong>della</strong> primavera e il mio cuore pulsa e batte d'amore. Le violete che aprono<br />
sula nefe mi fano teneresa e sospirar d'amor. Temo d'eserme invaghita del mio tenentino. Quando lo<br />
vedo il mio cuore sospira starei ore e ore con lui e quando fi nisco il mio turno non vedo lora di tornare<br />
e tante volte mi fermo ancora e lui mi tiene dai suoi soldati e dagli ofi ziali suoi amici. Temo d'eser tuta<br />
per lui, non ho che ochi per quel mio adorato tenentino prodigo sempre a salvar le vite umane e chino<br />
sui corpi sempre l'intiero giorno ed io con lui. À 33 ani mi ha deto ieri e non ha nemeno la fi danzata.<br />
Che possa isperar? Che sia un tormento? Che sia legittimo sperar d'amore per un nemico? Cosa poso<br />
fare sorella mia? 58<br />
58 PAGOS, La strada de la fan e la Prima Guerra Mondiale, Pieve di Soligo, Dieci, 2007, p. 61.<br />
198
I diari (bibliografi a)<br />
• Caterina Arrigoni, Cara Pierina, a cura di Giancarlo Follador e Gi<strong>org</strong>io<br />
Iori. Valdobbiadene, Banca Popolare «C.Piva», 1994, in 4°, pp. 235.<br />
• Cunegonda Bozzetto-Roman, Diario <strong>della</strong> paura e <strong>della</strong> fame nell'<strong>anno</strong><br />
di occupazione 1917-1918, a cura di Mario Bernardi. Oderzo, Libreria<br />
Ed.Opitergina, 2007, in 8°, pp. 75.<br />
• Bianca Brustolon, Vittorio '17 -'18. Un diario, a cura di Aldo Toffoli. Vittorio<br />
V., De Bastiani, 1989, in16°, pp. 223.<br />
• Antonietta Calcinoni, Diario di guerra: 6 novembre 1917- 31 ottobre 1918, in<br />
Enrico Dall'Anese e Paolo Martorel, Gli anni <strong>della</strong> Grande Guerra nel Quartier<br />
del Piave, Pieve di Soligo, Nuova Stampa 3, 1988, in 8°, pp. 32-76.<br />
• Valentino Carpenè, Le dolorose note dell'invasione, in Conegliano.Un <strong>anno</strong><br />
di dominazione straniera, a cura di Innocente.Azzalini e Gi<strong>org</strong>ioVisentin.<br />
Vittorio V., De Bastiani, 2007, in 8°, pp. 169-232.<br />
• Angelina Casagrande, Sotto il tallone tedesco. Note personali d'una<br />
spettatrice dell'invasione straniera. 9 novembre 1917 – 29 ottobre 1918.<br />
Con prefazione di Adolfo Vital. Venezia, Stab.Graf.Bortoli,1920, in16°,<br />
pp.24. (parzialmente ristampato in Conegliano. Un <strong>anno</strong> di dominazione<br />
straniera, a cura di I.Azzalini e G.Visentin. Vittorio V., De Bastiani, 2007,<br />
in 8°, pp. 235-254).<br />
• Lodovico Ciganotto, L'invasione Austro-Ungarica a Motta di Livenza e nei<br />
dintorni, Motta di L., Tip.C.Pezzutti, 1922, in 8°, pp. 242.<br />
• Enrico Dall'Anese-Paolo Martorel, Notizie di vita quotidiana tratte dal<br />
diario <strong>della</strong> signora Maria Spada Scarpis, in Gli anni <strong>della</strong> Grande Guerra<br />
nel Quartier del Piave, Pieve di Soligo, Nuova Stampa 3, 1988, in 8°, pp.82-<br />
95. (ora, con tagli e modifi che, anche Maria Spada, Diario dell'invasione,<br />
Vittorio V., Tipse, 2007, in 16°, pp. 35.<br />
• Eugenio Della Barba, Vita vera. Conegliano Veneto. Un <strong>anno</strong> di dominazione<br />
straniera. 9 novembre 1917 - 31 ottobre 1918. Milano, Arti Grafi che di<br />
Conegliano,1919, in 8°, pp.48. (ristampato in Conegliano. Un <strong>anno</strong> di<br />
dominazione straniera, a cura di I.Azzalini e G.Visentin. Vittorio V., De<br />
Bastiani, 2007, in 8°, pp. 49-127)<br />
• Emilio Di Ceva, Diario di guerra 1917-18. L'<strong>anno</strong> dell'invasione nemica<br />
nel vittoriese, a cura di mons.Basilio Sartori.Vittorio V., Ed.Sinistra Piave<br />
Servizi,1992, in 8°, pp. 302.<br />
• Maria Egizia Pivetta, Un <strong>anno</strong> nei paesi invasi. Diario di una bimba, a cura<br />
di Fanny Pivetta Pilato, Bigolino Tip.Arte Stampa, 1970, in 8°, pp. 63<br />
• Gottardo Possamai, L'invasione a Pianzano, in Diari dell'invasione.<br />
199
Godega, Bibano, Pianzano, a cura di I.Azzalini e G.Visentin. Vittorio V.,<br />
De Bastiani, 2002, in 8°, pp. 129-166.<br />
• Gioachino M.Rossetto, Cronaca giornaliera di guerra. Follina 1917-1918,<br />
in La Grande Guerra nella Val Mareno, a cura di Damiano Cesca. Vittorio<br />
V., De Bastiani, 2004, in 8°, pp. 21-142.<br />
200
Profughi che abbandonano le proprie case. ISTRIT.
Sui roccioni del Grappa. MCRR
UNA MEMORIA NAZIONALPOPOLARE PER IL MONTE<br />
GRAPPA «BALUARDO D'ITALIA» (1918-1921)<br />
Livio Vanzetto<br />
Premessa<br />
Mi sono occupato più volte <strong>della</strong> costruzione <strong>della</strong> memoria sul Grappa.<br />
Lo farò anche in questa occasione, cercando di approfondire l'analisi di un<br />
periodo interessante e poco indagato – l'immediato dopoguerra dal 1918 al<br />
1921 – durante il quale attorno al Grappa, già «baluardo <strong>della</strong> Patria» in armi,<br />
si cercò di radicare una memoria <strong>della</strong> Grande Guerra che, in quanto condivisa<br />
sia dalle classi dirigenti laiche che dalle masse popolari cattoliche, potesse<br />
funzionare da «baluardo <strong>della</strong> pace»: un tentativo originale di superamento<br />
di storiche divisioni che, in quel particolare contesto, avrebbe potuto in teoria<br />
risultare vincente e prezioso per la democrazia ma il cui fallimento contribuì<br />
invece a facilitare la vittoria del fascismo; il quale, negli anni trenta, fi nì per<br />
imporre anche a Cima Grappa la propria visione univoca e autoritaria del<br />
recente passato.<br />
Il tema di studio così individuato richiede qualche informazione preliminare<br />
su alcuni aspetti <strong>della</strong> storia del Grappa abbastanza noti e dei quali mi sono<br />
già occupato in precedenti pubblicazioni 59 , ma che mi sembra ugualmente<br />
necessario riproporre qui in sintesi.<br />
Nel 1899, in vista del Giubileo, il Grappa fu scelto dai vescovi veneti quale<br />
Monte Sacro regionale. Sulla sua cima venne eretto un sacello sormontato<br />
dalla famosa Madonnina, inaugurata e benedetta il 4 agosto 1901 dal cardinale<br />
Sarto, il futuro Pio X: un'iniziativa di successo che conferì al Grappa un ruolo<br />
di prima grandezza, a livello simbolico, per i cattolici veneti. Da allora in poi,<br />
ogni <strong>anno</strong> ai primi di agosto, venne <strong>org</strong>anizzato un grandioso pellegrinaggio<br />
di fedeli che salivano a piedi dai paesi <strong>della</strong> Pedemontana fi no alla cima del<br />
monte in onore <strong>della</strong> Madonnina; ogni <strong>anno</strong>, tranne che nel 1918, quando il<br />
Grappa assunse il ruolo, per le note vicende belliche, di luogo simbolico <strong>della</strong><br />
resistenza nazionale.<br />
Dunque, il Grappa, luogo simbolo <strong>della</strong> fede e del cattolicesimo veneto,<br />
diventa nel 1918 anche il luogo simbolo del patriottismo e <strong>della</strong> nazione.<br />
Religione e patria erano rimaste a lungo separate e confl ittuali nella storia<br />
59 Rinvio a queste mie pubblicazioni anche per una più dettagliata indicazione delle fonti utilizzate per la presente<br />
relazione: Monte Grappa in I luoghi <strong>della</strong> memoria. Simboli e miti dell'Italia unita, a cura di Mario Isnenghi, Laterza,<br />
Bari 1996; Guida storica ai monumenti di Cima Grappa, Istresco, Treviso 2001; Cima Grappa, luogo conteso<br />
dalle memorie (con Amerigo Manesso), Istresco, Treviso 2001.<br />
203
dell'Italia postunitaria. Volle ricordarlo, proprio a Cima Grappa, il vescovo di<br />
Treviso mons. Mantiero nel 1938, quando, nel suo discorso per il Ventennale<br />
<strong>della</strong> vittoria, accennò al fatto che gran parte <strong>della</strong> classe dirigente liberale<br />
aveva sorriso «scettica e beffarda quando il futuro Pio X portò quassù la<br />
Madonnina, perchè allora l'Italia religiosamente e politicamente attraversava<br />
uno dei momenti più oscuri e minacciosi». 60<br />
Il confl itto Stato-Chiesa, già in parte risolto con il patto Gentiloni (1913),<br />
fu quasi del tutto superato, di fatto, grazie alla collaborazione instauratasi<br />
nel corso <strong>della</strong> Grande Guerra, come è stato detto anche in una relazione<br />
presentata a questo convegno.<br />
Proprio il Grappa, anzi, costituisce il luogo privilegiato, a livello simbolico<br />
oltrechè fattuale, del processo di riavvicinamento e di sintesi tra sentimenti<br />
religiosi e patriottici; e ciò anche grazie al concorso casuale di due circostanze<br />
favorevoli: il «ferimento» <strong>della</strong> Madonnina e la nomina a comandante <strong>della</strong><br />
IV Armata di un grande creatore di miti come il generale Gaetano Giardino,<br />
per intenderci il regista occulto, assieme a Vittorio Emanuele Orlando,<br />
dell'operazione «Canzone del Grappa». 61<br />
La Madonna, abbattuta e danneggiata da una granata austriaca il 14<br />
gennaio 1918, fu raccolta e portata nel duomo di Crespano dove divenne<br />
subito oggetto di devozione per i tanti soldati presenti in zona oltre che per<br />
le genti <strong>della</strong> Pedemontana. Giardino colse subito l'importanza strategica di<br />
questo moto spontaneo di devozione popolare tanto da fare <strong>della</strong> Madonnina<br />
– come lui stesso scrisse – «il maggior presidio morale al valore, alla serenità,<br />
al sacrifi cio dei combattenti». 62 «Simbolo e s<strong>org</strong>ente di nuove speranze e<br />
di indomito coraggio per i soldati e le popolazioni, usbergo ai nostri eroici<br />
difensori, baluardo d'Italia», così la defi niva una tempestiva pubblicazione<br />
ecclesiastica del maggio 1918. 63 Non a caso il generale Giardino – uno che<br />
evidentemente non si sarebbe mai domandato di quante divisioni potesse<br />
disporre il Papa – era solito fare affermazioni di questo tipo: «La guerra non si<br />
fa solamente e neppure prevalentemente con le macchine, siano pure possenti.<br />
E quella visione <strong>della</strong> Madonnina del Grappa valeva molte batterie». 64 E così il<br />
Comandante fi nì per arruolare anche la Madonnina nella sua IV Armata, tanto<br />
da farne imprimere l'immagine sulle cartoline postali distribuite ai soldati e<br />
sulla stessa medaglia commemorativa dell'Armata.<br />
Dopo la guerra, però, l'unità di intenti tra religione e patria, tra masse<br />
60 Archivio Diocesano di Treviso, fondo Archivi dei vescovi, vescovo Mantiero, B.9 «Prediche, discorsi, conferenze»,<br />
discorso dattiloscritto datato «4 agosto Monte Grappa 1938».<br />
61 Livio Vanzetto, Guida...cit., pp. 88-91.<br />
62 Ibidem, p. 44.<br />
63 La Madonnina del Grappa. Ricordi lieti e tristi, Tip. Seminario, Padova 1918.<br />
64 La frase venne ricordata da mons. Mantiero nel discorso citato alla nota 2.<br />
204
popolari e classi dirigenti, raggiunta anche grazie all'azione consapevole di<br />
Giardino, si incrinò pericolosamente nel corso del «biennio rosso» ( o, se si<br />
preferisce, «bianco», almeno nel Veneto centrale). Proprio in quei momenti<br />
critici, il Grappa assunse il ruolo di luogo privilegiato per un interessante<br />
tentativo di riappacifi cazione nazionale: da «baluardo bellico» a «baluardo<br />
<strong>della</strong> pace». E forse – come vedremo - il sentimento patriottico, grazie alla<br />
religione, avrebbe ancora potuto, nel 1921, mettere radici nella coscienza<br />
popolare se avesse trovato un terreno fertile, una base materiale adatta<br />
sulla quale impiantarsi e crescere. Trovò invece solo la vuota ritualità delle<br />
celebrazioni uffi ciali nella quale il fascismo – e la stessa Chiesa -. fi nirono per<br />
imbalsamarlo.<br />
L'uso politico <strong>della</strong> grande guerra durante il «biennio rosso»<br />
Tra 1919 e 1920, la memoria <strong>della</strong> guerra appena conclusa appare<br />
ancora estremamente fl uida e confl ittuale; divisa in almeno tre diverse<br />
rappresentazioni: quella socialista, quella cattolica e quella nazionalfascista.<br />
I socialisti, coerentemente con la loro scelta neutralista del 1915, ricordano<br />
il confl itto come la «guerra di lor signori», una scelta imposta dalla b<strong>org</strong>hesia<br />
nel proprio interesse e contro la volontà dei lavoratori. In quest'ottica, la<br />
responsabilità <strong>della</strong> morte in battaglia di tanti proletari viene attribuita non<br />
tanto al nemico quanto alle classi dirigenti interventiste, indegne perciò di<br />
rimanere al potere.<br />
Una visione negativa <strong>della</strong> guerra serpeggia anche nell'immaginario di<br />
molti ex combattenti cattolici di estrazione popolare, i fanti-contadini. Non<br />
a caso, alcune lapidi comparse nei primi anni postbellici nei sagrati delle<br />
chiese del Trevigiano citano l' «inutile strage» di Benedetto XV e parlano<br />
di «guerra barbara» e di «orrendo massacro». 1 Si tratta di una reazione<br />
istintiva, spontanea, non alimentata dalla gerarchia ecclesiastica e che ben<br />
presto viene riassorbita dalla dirigenza del movimento cattolico e del PPI che<br />
mira invece ad una valorizzazione dei sacrifi ci compiuti dalle classi popolari<br />
in termini di maggiore giustizia sociale e di riconquista cristiana <strong>della</strong> società:<br />
i fanti-contadini h<strong>anno</strong> combattuto e sofferto, molti sono caduti; e tutto questo<br />
conferisce loro il diritto di pretendere riforme economiche, sociali e morali<br />
che garantiscano migliori condizioni di vita.<br />
Si tratta, a ben guardare, di un ragionamento molto simile, a parte la<br />
variante anticlericale, a quello implicito nella linea d'azione postbellica dei<br />
repubblicani sociali dell'interventista Guido Bergamo, particolarmente forti<br />
1 Per la lapide di Pederobba (TV), si veda Emilio Spagnolo, Cronaca ecclesiastica durante l'episcopato di A.G.<br />
Longhin, Bertato, Abbazia Pisani 1986, pp. 41-43; si veda anche, nella piazza del paese, il monumento ai caduti di<br />
Piombino Dese (provincia di PD, diocesi di Treviso).<br />
205
in provincia di Treviso, soprattutto nel Montebellunese. 2<br />
Nazionalisti e fascisti, invece, seguono un altro ragionamento, propongono<br />
un diverso uso pubblico <strong>della</strong> guerra: tutte le classi sociali h<strong>anno</strong> contribuito<br />
allo sforzo bellico e tutte h<strong>anno</strong> quindi diritto a un riconoscimento e a un<br />
risarcimento. Dovrà perciò essere la Patria-Nazione – quel corpo mistico nel<br />
quale si riconoscono e si dissolvono i singoli individui – a trarre vantaggio<br />
dalla vittoria. L'Italia, la «grande proletaria» tra le nazioni, ha il diritto di<br />
assumere nel mondo quel ruolo-guida che le compete dopo la Grande Guerra:<br />
una linea di pensiero e d'azione che porterà fatalmente alla costruzione del<br />
mito <strong>della</strong> «vittoria mutilata», alla ricerca di un «posto al sole» e infi ne al<br />
secondo confl itto mondiale combattuto contro gli ingrati ex alleati.<br />
Queste, in estrema sintesi, le memorie divise e confl ittuali che contribuiscono<br />
ad alimentare lo scontro sociale, le manifestazioni di piazza, le lotte delle<br />
leghe bianche e rosse contro i proprietari terrieri nell'immediato dopoguerra.<br />
Nel clima infuocato di quei mesi non c'è spazio per celebrazioni popolari<br />
<strong>della</strong> guerra, per tributi pubblici di onore ai combattenti e all'esercito; non<br />
c'è spazio nemmeno per riti unitari di commemorazione dei caduti: ciascuna<br />
parte sceglie modalità diverse per ricordare e celebrare i propri morti. Tutto<br />
questo si verifi ca puntualmente anche in provincia di Treviso, che pure era<br />
stato il teatro principale dei combattimenti nell'ultimo <strong>anno</strong> di guerra.<br />
Il comune capoluogo, ancora amministrato dai liberalmoderati eletti nel<br />
1914, decide, ad esempio, di non celebrare il 4 novembre 1919 3 per paura di<br />
disordini e contestazioni, in linea con le indicazioni pervenute dal governo<br />
centrale di Roma. E anche a Vittorio Veneto ci si limita a una cerimonia<br />
commemorativa per pochi, <strong>org</strong>anizzata nello spazio protetto del Teatro Sociale<br />
di Ceneda, invece che in piazza. 4 In effetti, il clima è teso.<br />
Il Lavoratore, il settimanale dei socialisti trevigiani, nell'editoriale del<br />
primo numero uscito dopo la sospensione bellica il 4 ottobre 1919 aveva<br />
scritto: «Con l'assassinio di milioni e milioni di creature umane, le b<strong>org</strong>hesie<br />
di tutti i paesi tentarono di arrestare la marcia irresistibile dei lavoratori<br />
verso la redenzione». 5 Qualche settimana dopo, così proseguiva il giornale:<br />
«[I 15.000 caduti in guerra trevigiani] furono tratti da questa provincia a<br />
morire per la patria matrigna»; 6 «ma i reduci delle trincee, come seppero<br />
[...] difendere la patria di lor signori, sapr<strong>anno</strong> contro la patria di lor signori<br />
difendere i propri diritti». 7<br />
2 Si veda il mio L'anomalia laica, Cierre, Verona 1993.<br />
3 «La Gazzetta Trevisana», n.264, 4 novembre 1919.<br />
4 «La Gazzetta Trevisana», n.259, 30 ottobre 1919.<br />
5 «Il Lavoratore», n.1, 4 ottobre 1919.<br />
6 «Il Lavoratore», n.4, 25 ottobre 1919.<br />
7 «Il Lavoratore», n.1, 3 gennaio 1920.<br />
206
Non si intravvedevano vie d'uscita democratiche da questa situazione di<br />
scontro frontale. Il laboratorio del Grappa dimostrerà invece, tra 1920 e 1921,<br />
che qualche possibilità esisteva; quello che mancava, probabilmente, era la<br />
volontà di perseguirla fi no in fondo.<br />
Il laboratorio politico del monte Grappa<br />
La novità e l'importanza strategica <strong>della</strong> collaborazione tra Religione e<br />
Patria, tra Chiesa e Stato instauratasi sul Grappa, auspice Giardino, negli ultimi<br />
mesi di guerra fu immediatamente colta dalla gerarchia ecclesiastica veneta.<br />
Appare signifi cativo, ad esempio, il fatto che il vescovo di Padova Pellizzo<br />
salisse sulla cima del «baluardo <strong>della</strong> Patria» l'11 novembre 1918, appena una<br />
settimana dopo la fi ne delle ostilità, per celebrare un rito di ringraziamento per<br />
la vittoria e in onore dei caduti. 8<br />
Le vecchie classi dirigenti liberali invece, ancora condizionate dai postumi<br />
culturali del confl itto Stato-Chiesa, non intuirono subito l'importanza dei<br />
cambiamenti intervenuti. E così, solo all'ultimo momento i sindaci prebellici<br />
dei comuni <strong>della</strong> Pedemontana affi ancarono l'iniziativa autonoma dei parroci<br />
di Crespano e Borso che, già ai primi di luglio del 1919, avevano dato impulso<br />
all'annuale pellegrinaggio del 4 agosto facendo pubblicare un manifesto<br />
– titolato Avviso Sacro - che costituiva già un buon esempio di equilibrata<br />
interrelazione del codice linguistico-simbolico religioso con quello patriottico:<br />
«la festa deve assumere il duplice carattere e di solenne manifestazione di<br />
gratitudine alla Gran Madre del Redentore […] e di pubblico attestato di<br />
riconoscenza alle valorose truppe <strong>della</strong> IV Armata». 9<br />
Il tardivo manifesto dei sindaci, invece, invitava le popolazioni cattoliche<br />
del Pedemonte a essere presenti per «accrescere importanza e signifi cato<br />
alla cerimonia che sarà di riconoscenza e insieme di fede negli immancabili<br />
destini <strong>della</strong> Patria»; lasciando con ciò chiaramente trasparire l'intento di<br />
usare strumentalmente la religione a fi ni patriottici. Colpisce in maniera<br />
negativa anche il fatto che il manifesto laico fosse prosaicamente fi rmato<br />
dal «Comitato pro interessi dei Comuni del Grappa», tempestivamente<br />
costituitosi nell'intento, nemmeno troppo velato, di sfruttare il nascente<br />
mito del Monte Sacro alla Patria per ricavarne benefi ci economici; 10 non a<br />
caso, era stato proprio questo Comitato ad avviare, nel febbraio 1919, le<br />
pratiche per aggiungere l'appellativo «del Grappa» al nome dei comuni di<br />
Crespano, Paderno e Borso, battendo sul tempo la stessa Bassano. Dopo la<br />
8 L.Vanzetto, Monte Grappa...cit., p. 368.<br />
9 Questo manifesto e quello citato nelle righe successive sono conservati in originale nell'Archivio del Comune di<br />
Crespano del Grappa; sono stati riprodotti integralmente in L.Vanzetto, A.Manesso, Cima Grappa luogo...cit., p. 93.<br />
10 Si vedano, in proposito, anche le osservazioni di Paolo Pozzato, E Bassano andò alla guerra...1915-1918,<br />
Attilio Fraccaro editore, Bassano del Grappa 2010, pp. 347-351.<br />
207
modesta cerimonia di inizio agosto, nessun'altra celebrazione signifi cativa fu<br />
<strong>org</strong>anizzata a Cima Grappa per tutto il 1919; e ciò in linea con la tendenza<br />
generale rilevabile nel resto del Paese. Nella primavera del 1920, però, la classe<br />
dirigente liberale bassanese promosse un'iniziativa in controtendenza: l'avvio<br />
di un ambizioso tentativo laico di costruzione di una memoria patriottica del<br />
Grappa di stampo nazionalpopolare. La vicenda merita di essere analizzata nei<br />
dettagli. 11 Il 21 aprile 1920, un'assemblea di notabili bassanesi procedette alla<br />
nomina di un Comitato ristretto incaricato di <strong>org</strong>anizzare una grandiosa festa<br />
patriottica al ponte di San Lorenzo, sulla Strada Cadorna, nella ricorrenza del<br />
15 giugno 1920, secondo anniversario dell'offensiva austriaca del 1918 la cui<br />
penetrazione in profondità era stata fermata appunto al ponte di San Lorenzo.<br />
Ottenuta l'adesione di importanti autorità tra cui il generale Giardino, il<br />
Comitato inviò una delegazione a Roma per invitare uffi cialmente il governo<br />
alla celebrazione. Si trattava – come sottolinearono gli <strong>org</strong>anizzatori – <strong>della</strong><br />
prima cerimonia patriottica uffi ciale indirizzata al grande pubblico promossa<br />
in Italia dopo la fi ne <strong>della</strong> guerra. Con grande disappunto dei bassanesi, però, il<br />
ministro degli interni Nitti rifi utò di far intervenire all'evento un rappresentante<br />
del governo, consigliò un rinvio e, di fatto, boicottò l'iniziativa; lo stesso re<br />
Vittorio Emanuele III, pur manifestando apprezzamento, fece sapere che non<br />
avrebbe potuto essere presente. Insuffi cienti erano anche le risorse economiche<br />
a disposizione del Comitato, visto che ben pochi «Enti e comuni risposero alle<br />
richieste di fi nanziamento» 12 e che il generale De Bono, comandante militare<br />
territorialmente competente, rifi utò di concedere gli autocarri richiesti per salire<br />
a Cima Grappa, proponendo una curiosa alternativa: «allo scopo di agevolare<br />
in qualche modo i passeggeri che si recher<strong>anno</strong> sul Grappa, potrei mettere a<br />
disposizione del Comitato un centinaio di muli a basto. Prego comunicarmi<br />
al riguardo una risposta in modo che i quadrupedi possano per tempo essere<br />
fatti affl uire a Bassano». 13 Ovviamente non se ne fece nulla; la manifestazione<br />
fu rinviata dapprima al 25 luglio e infi ne a domenica 1 agosto, guarda caso<br />
giusto in concomitanza con l'annuale pellegrinaggio religioso al Sacello di Pio<br />
X. Quel giorno a ponte San Lorenzo venne inaugurata la «colonna romana»<br />
donata dalla capitale; erano presenti, oltre al generale Giardino e ad un gruppo<br />
di notabili <strong>della</strong> zona, solo i militari comandati e una sparuta rappresentanza<br />
di escursionisti bassanesi.<br />
Numerose altre comitive popolari che provenivano a piedi dai paesi<br />
<strong>della</strong> pedemontana ignorarono ponte San Lorenzo e salirono direttamente a<br />
11 Tutte le principali informazioni su questa iniziativa sono tratte dal volumetto, uscito quasi clandestinamente nel<br />
1927, di A. Marzarotto, La colonna romana sul Grappa. Ricordi storici, Tipografi a Silvestrini, Bassano 1927.<br />
12 Ibidem, p.13.<br />
13 Ivi.<br />
208
Cima Grappa, dove si ritrovarono almeno 5.000 persone e dove fi nirono per<br />
convergere, dopo lo scoprimento <strong>della</strong> colonna, anche le autorità bassanesi.<br />
Il fallimento <strong>della</strong> cerimonia laica apparve chiaro a tutti. Lo riconobbe,<br />
qualche <strong>anno</strong> dopo (nel 1926), lo stesso generale Giardino nel discorso<br />
pronunciato a Cima Grappa per l'inaugurazione di una prima parte dell'Ossario:<br />
«Innalzammo a Ponte San Lorenzo la colonna venuta da Roma […]; salimmo<br />
da Bassano tra l'indifferenza dei più, tra il sorriso dei sovversivi. Eravamo in<br />
pochi, ma non dubitammo mai e ripetemmo sicuri: non prevarr<strong>anno</strong>». 14<br />
Il clima ostile è ben rappresentato anche dai giornali dell'epoca. Perfi no la<br />
moderata Provincia di Vicenza aveva contribuito al boicottaggio dell'iniziativa<br />
bassanese. 15 Ma ben più espliciti e duri erano stati gli attacchi del settimanale<br />
socialista El Visentin: «È incominciata la gazzarra patriottica per la festa del<br />
Grappa. Alti gallonati di ogni risma parteciper<strong>anno</strong> a questa <strong>org</strong>ia militarista,<br />
osannando ancora una volta al valor militare e alla guerra che, chiamata da<br />
prima guerra di Liberazione, divenne poi la più grande infamia <strong>della</strong> storia […]<br />
Lavoratori di Bassano! Facciamo sentire pure in questa occasione la nostra<br />
avversione all'indegna reclame patriottico-militarista che si sta inscenando<br />
lassù tra quei monti che sono la tomba di migliaia di vite». 16 Nonostante<br />
l'esito modesto, il tentativo laico di creare una memoria patriottica popolare<br />
ancorata al Grappa ottenne una certa risonanza anche a livello nazionale,<br />
tanto che Mussolini lo esaltò quale primo esempio, assieme all'Ortigara,<br />
«dell'inizio <strong>della</strong> riscossa [in Italia] del sentimento patriottico». 17 Tuttavia,<br />
nessuno poteva illudersi: era chiaro che la folla raccoltasi a Cima Grappa in<br />
quella prima domenica di agosto del 1920 era accorsa per motivi religiosi più<br />
che patriottici. A livello nazionale, lo sforzo, sia pure tardivo, di creare una<br />
memoria condivisa attorno alla Vittoria e all'esercito prese un certo vigore con<br />
il ritorno al potere di Giolitti, tanto che il 4 novembre 1920 si tenne a Roma<br />
la prima vera cerimonia uffi ciale di omaggio all'esercito, con una imponente<br />
sfi lata in piazza Venezia. 18 Nel Veneto, fu soprattutto sul Grappa che, nel<br />
corso del 1921, prese consistenza un tentativo originale e promettente di uso<br />
pubblico <strong>della</strong> grande guerra a fi ni di integrazione nazionale. Le elite locali,<br />
coadiuvate da una parte <strong>della</strong> classe dirigente nazionale, si impegnarono a<br />
fondo per trasformare il Sacro Monte nel luogo ideale di fondazione di un'<br />
Italia nuova, nella quale potessero fi nalmente riconoscersi anche quei ceti<br />
14 Ibidem, p.60.<br />
15 «La Provincia di Vicenza», 28 luglio 1920.<br />
16 «El Visentin», 24 luglio 1920; si veda anche il numero successivo del 31 luglio.<br />
17 Ibidem, p.13; si veda anche Scritti e discorsi di Benito Mussolini, III, La Rivoluzione fascista, Hoepli, Milano<br />
1934, p. 108, discorso di Trieste del 20 settembre 1920.<br />
18 Marco Mondini, Dopo la grande guerra, Comitato per la storia di Bassano, Bassano del Grappa 2004, pp.<br />
100-103.<br />
209
sociali, in particolare i contadini cattolici veneti, che storicamente erano rimasti<br />
estranei all'idea di patria. Il climax fu raggiunto il 4 agosto 1921. In quella<br />
giornata memorabile, la statua <strong>della</strong> Madonnina patrona dei combattenti, già<br />
ferita e profuga, fu riportata al suo posto in Cima Grappa. Si trattò di una<br />
grandiosa cerimonia di riappacifi cazione nazionale, religiosa e patriottica<br />
insieme; studiata nei minimi particolari sul piano <strong>org</strong>anizzativo, fu preceduta<br />
da una settimana preparatoria di pellegrinaggi, prediche e riti <strong>org</strong>anizzati dalla<br />
chiesa locale per le popolazioni rurali dei paesi pedemontani. 19 La necessità di<br />
un' unità di intenti tra Fede e Nazione, soprattutto per affrontare il futuro, fu<br />
sottolineata da tutti gli oratori intervenuti, in particolare dal vescovo di campo<br />
mons. Bartolomasi, dal generale Giardino, da Vittorio Emanuele Orlando e<br />
soprattutto dal vescovo di Padova mons. Pellizzo che dichiarò: «[Oggi] la<br />
Fede di Cristo ha mirabilmente uniti e fusi due potenti amori: Religione e<br />
Patria». 20 Quel giorno a Cima Grappa erano presenti oltre 30.000 persone,<br />
una folla composta in buona parte da contadini. Erano saliti alle prime luci<br />
dell'alba dai paesi dell'alta pianura per onorare la Madonnina e per ricordare<br />
i caduti. Indubbiamente però i contadini bianchi erano stati attratti anche<br />
dalla presenza del loro leader più amato e prestigioso: Giuseppe Corazzin,<br />
fondatore e guida indiscussa delle leghe del Trevigiano, reduce e mutilato<br />
di guerra insignito di medaglia d'argento, fratello di un caduto in guerra,<br />
nonché promotore e presidente di quell'Unione Reduci cattolici che all'epoca,<br />
nella Marca trevigiana, contava molti più iscritti <strong>della</strong> stessa Associazione<br />
Nazionale Combattenti. 21 Nel corso del suo intervento, Corazzin auspicò la<br />
riconciliazione nazionale e la cessazione degli scontri fratricidi, in nome di<br />
quella solidarietà e unità d'intenti disvelata nell'ultimo <strong>anno</strong> di guerra dalla<br />
dedizione e dall'eroismo di tanti soldati-contadini. 22 L' obiettivo indicato<br />
da Corazzin avrebbe forse potuto essere raggiunto se i sacrifi ci del popolo<br />
delle campagne avessero trovato riconoscimento e risarcimento grazie a una<br />
politica di maggiore giustizia sociale. Al di là dei riti e <strong>della</strong> retorica uffi ciali,<br />
le riforme sociali avrebbero creato una solida base per trasformare il Grappa<br />
nel luogo simbolico di un'unità e di un'identità nazionali fatte proprie anche dai<br />
ceti più umili. Rovinò tutto il fascismo, alleato degli agrari contro le conquiste<br />
politiche, sindacali ed economiche dei contadini veneti, risospinti a colpi di<br />
manganello nel limbo di un mondo separato, subalterno, fortemente carente<br />
di senso dello Stato.<br />
19 Ricordo <strong>della</strong> festa religiosa e patriottica per la solenne ricollocazione <strong>della</strong> Madonna sul Grappa, 4 agosto<br />
1921, Tip. Seminario, Padova 1922, p. 41 e p. 43.<br />
20 Ibidem, p. 92.<br />
21 Uffi cio Provinciale Opera Nazionale Combattenti, Relazione (sull'opera svolta nel biennio 1920-1921),Treviso<br />
1922, pp. 6-7.<br />
22 Ricordo <strong>della</strong> festa...cit., pp. 70-71.<br />
210
Vedetta sul Grappa. MCRR.<br />
Rincalzi in arrivo a Cima Grappa. MCRR.
Un operaio al lavoro. ISTRIT.
LO SCANDALO DELLA RICOSTRUZIONE.<br />
GUIDO BERGAMO E LA RISCOSSA<br />
Francesco Scattolin<br />
La «Grande Guerra» oltre un immane sacrifi cio umano fu un costo economico<br />
eccezionale; per l'Italia una spesa di 148 miliardi di lire, «somma doppia<br />
a quella delle spese complessive dello Stato fra il 1861 (data dell'unifi cazione<br />
nazionale) e il 1913». 23 A questa spesa va aggiunto l'onere <strong>della</strong> ricostruzione<br />
ambientale, edilizia, oltre naturalmente l'onere relativo all'assistenza in generale<br />
(pensioni ai superstiti, assistenza, risarcimento ai profughi). La provincia<br />
di Treviso, avendo sopportato la tragedia del fronte sul Piave per tutto un intero<br />
<strong>anno</strong> (ottobre 1917 – ottobre 1918), ebbe un particolare carico di lutti e di<br />
rovine. Paesi come Zenson, Nervesa, Spresiano, Pederobba, Crocetta e Cavaso<br />
furono completamente distrutti. In Treviso città di 2.200 case d'abitazione,<br />
alla fi ne del confl itto, ne rimanevano agibili solo 340. 24 Dei 250.000 profughi<br />
friulani e veneti dopo la rotta di Caporetto, oltre 44.000 provenivano dalla<br />
provincia di Treviso. A questi profughi si devono aggiungere altri del Veneto<br />
non invaso, profughi per decisione volontaria o per ordinanze di sgombero<br />
dettate da necessità militari. Complessivamente si raggiunge la cifra di oltre<br />
600.000 civili, profughi da 322 comuni invasi o sgomberati. 25<br />
Il governo Orlando aveva dovuto istituire un Alto Commissariato per i<br />
profughi, presieduto da Luigi Luzzatti. Il Commissariato diviene, subito dopo<br />
la conclusione <strong>della</strong> guerra, Ministero per le Terre Liberate, inizialmente affi<br />
dato all'on. Cesare Nava, popolare (gennaio 1919), essendo presidente del<br />
Consiglio Francesco Nitti.<br />
Il 19 dicembre 1919 il ministro delle Terre Liberate Cesare Nava, in un<br />
discorso alla Camera dei deputati, circa i danni provocati dalla guerra da poco<br />
conclusa, riferisce che in una zona di 10.000 kmq si ebbe la completa distruzione<br />
di edifi ci, strade, ponti. Per la ricostruzione era stato formato un<br />
comitato governativo con rappresentanti del Ministero dell'Interno, del Tesoro,<br />
dei Lavori Pubblici e <strong>della</strong> Guerra, comitato del quale facevano parte 85<br />
ingegneri, 67 geometri, oltre a 195 assistenti sociali, per una spesa iniziale<br />
di 96 milioni di lire. Contratti erano già avviati con 173 cooperative per la<br />
ricostruzione. Quest'ultimo dato venne duramente contestato dagli onorevoli<br />
23 D. Mack-Smith, Storia d'Italia dal 1861 al 1958, Laterza ed., Bari 1962, p. 487.<br />
24 S. Gambarotto – E. Raffaelli, In fuga da Caporetto, Istrit, Treviso 2007, p. 156.<br />
25 D. Ceschin, Le lettere dei profughi di Caporetto ne Il fronte <strong>della</strong> Marca Trevigiana,<br />
Istrit, Treviso 2008, pp. 131-132. M. Altarui, Treviso combattente, Cassa di Risparmio <strong>della</strong><br />
Marca Trivigiana 1978, pp. 72-76.<br />
213
socialisti Tonello e Ciriani («Falso, cooperative di padroni!»). Per l'assistenza<br />
diretta ai profughi erano già stati erogati, a detta sempre del ministro Nava,<br />
103 milioni, oltre a indumenti, letterecci, arnesi per l'agricoltura. 26 Subentrato<br />
alla presidenza del Consiglio Giovanni Giolitti (quinto e ultimo ministero dello<br />
stesso) sino all'aprile del '21, il dicastero per le Terre Liberate passa all'on.<br />
Raineri. Nell'aprile del '21 si svolgono le elezioni politiche generali. Lo scandalo<br />
che verrà detto «<strong>della</strong> lana» scoppia nell'aprile 1920 sotto la presidenza<br />
Nitti e cioè immediatamente prima dell'ultima presidenza Giolitti (giugno<br />
1920 – luglio 1921). Con Giolitti ministro per le Terre Liberate è l'on. Raineri.<br />
Il Ministero aveva <strong>org</strong>anizzato a Conegliano, a Trento, a Cornuda (Treviso) e<br />
a S. Donà di Piave dei centri di raccolta di suppellettili, di vestiti, di lana grezza<br />
da distribuire ai profughi vittime dei saccheggi e delle distruzioni operate.<br />
Un ispettorato generale per coordinare questi centri era stato istituito a Castelfranco<br />
Veneto, in provincia di Treviso. A Roma, in via Flavia, sempre il Ministero<br />
delle Terre Liberate aveva predisposto un grande magazzino centrale<br />
per rifornire periodicamente il magazzino di Castelfranco il quale funzionava<br />
da centro direzionale per le terre venete. Lo scandalo prende l'avvio da un<br />
articolo «I nodi al pettine» comparso sul settimanale repubblicano di Treviso<br />
La Riscossa, 27 in un numero dell'aprile 1920. In questo articolo si denunciano<br />
funzionari del Ministero per le Terre Liberate, funzionari che avevano operato<br />
illegali vendite di capi di vestiario, di biancheria, di lana destinati ai profughi<br />
indigenti, e sottratti ai centri di raccolta del Ministero. Gli onorevoli Guido<br />
Bergamo e Cosattini, repubblicani, presentano una interrogazione parlamentare<br />
richiedendo una commissione parlamentare d'inchiesta. Una denuncia<br />
era stata presentata all'autorità giudiziaria. La Riscossa del 29 maggio 1920<br />
riporta l'interrogazione parlamentare. Oltre alla commissione d'inchiesta parlamentare<br />
i deputati repubblicani chiedono l'arresto di due prefetti (Treviso e<br />
Venezia), del sottosegretario Velluti e di due alti funzionari del Ministero per<br />
le Terre Liberate, Arcangelo Cirmeni responsabile del Centro di Castelfranco<br />
e Giovanni Moro responsabile del Centro di Conegliano. 28 I parlamentari del<br />
partito popolare (cattolico) si schierano a difesa del ministro Nava, deputato<br />
popolare e titolare del Ministero,mentre si parla di una sottrazione di merce<br />
dai magazzini governativi per un valore di oltre 100 milioni di lire. Che<br />
le denunce dei deputati repubblicani e del settimanale La Riscossa abbiano<br />
26 Archivio di Stato di Treviso (d'ora in poi: AST), Prefettura, Archivio di Gabinetto, b. 14.<br />
27 La Riscossa, settimanale fondato dal repubblicano Guido Bergamo a Treviso nel 1914,<br />
sospeso per l'entrata in guerra nel '15 dell'Italia e la partenza dei fratelli Bergamo per il fronte,<br />
riprende le pubblicazioni all'inizio del 1920. Ved. L. Vanzetto, L'anomalia laica, Cierre 1994,<br />
pp. 29-30.<br />
28 I. Bizzi, Lotte nella Marca, Ed. Vangelista, Milano 1974, p. 67.<br />
214
sollevato un grande dibattito e un vasto allarme anche nell'opinione pubblica<br />
è testimoniato in particolare dai telegrammi allarmati che Nitti, ancora presidente<br />
del Consiglio, invia al prefetto di Treviso alla fi ne del maggio 1920 per<br />
conoscere subito i risultati delle prime indagini giudiziarie. 1<br />
Il ministro Raineri, subentrato a Nava nel giugno 1920 (ministero Giolitti)<br />
aveva nello stesso mese ordinato la sospensione di qualsiasi operazione dai<br />
magazzini di Castelfranco 2 e il prefetto di Treviso aveva espresso in un comunicato<br />
al governo la preoccupazione per la campagna de La Riscossa. 3 Lo<br />
scandalo coinvolge funzionari e commercianti anche al di fori <strong>della</strong> provincia<br />
di Treviso. Un rapporto dei carabinieri <strong>della</strong> compagnia di Mestre, agli<br />
atti nell'archivio <strong>della</strong> prefettura trevigiana, 4 informa: un notevole deposito<br />
di coperte di lana (per quintali 148) è stato rinvenuto a Mestre in via Carducci,<br />
in un «maneggio» affi ttato da tale Alberto Pellizzaro. Da Villa Rinaldi in<br />
Castelfranco risulta che il 10 aprile sono state spedite a Milano, da Ferrari<br />
Mario e Edmondo Basanesi, balle di lana per oltre 3.000 kg e dagli stessi altre<br />
balle nei giorni 11-12 aprile. Il rapporto dei carabinieri asserisce ancora che<br />
il delegato governativo del Ministero Terre Liberate di Conegliano, Giovanni<br />
Moro, ha venduto circa 200 quintali di lana, prelevati dall'Ispettorato di<br />
Castelfranco, al commerciante veneziano Sinigaglia, con l'autorizzazione del<br />
magazziniere Acoleo, di Castelfranco. La Riscossa in defi nitiva non aveva<br />
fatto altro che render pubbliche le ruberie già note ai regi carabinieri. Insieme<br />
alle prime mosse dell'apparato statale iniziano anche le pressioni nei confronti<br />
dell'ambiente repubblicano.<br />
La Riscossa del 15.5.1920 in seconda pagina scrive di un ingegner Sciaraffa<br />
del Ministero Terre Liberate che, in una stanza dell'Uffi cio tecnico in<br />
B<strong>org</strong>o Cavour a Treviso, ai repubblicani ing. Arcani e Carlo Mojoli, mutilato<br />
di guerra e profugo, aveva fatto «offerte ripetute di favori da parte del comm.<br />
Cirmeni purché la Riscossa avesse risparmiato la signorina Gobessi alla quale<br />
il comm. Cirmeni era molto attaccato».<br />
Il 29.5.1920 la Riscossa riporta i nominativi <strong>della</strong> Commissione d'inchiesta<br />
varata a Roma: si tratta di 16 funzionari statali, del Ministero dell'Interno, dei<br />
Lavori pubblici, delle Ferrovie, del Tesoro, delle Terre Liberate, <strong>della</strong> Polizia<br />
di Stato e di un professore d'Istituto tecnico. 5<br />
1 AST, Prefettura, Archivio di Gabinetto, b. 44.<br />
2 AST, Prefettura, Archivio di Gabinetto, b. 44.<br />
3 AST, Prefettura, Archivio di Gabinetto, protocollo n. 644.<br />
4 AST, Prefettura, Archivio di Gabinetto, n. 391/3 del 22.4.1920.<br />
5 La Riscossa 29.5.1920, p. 1:<br />
- Sbrocca dr. Aurelio – Vice direttore gen. Ministero dell'Interno – Roma<br />
- Padula dr. Riccardo – Consigliere di Prefettura – Roma<br />
- Zanon Antonio – Ispettore Ministero dell'Interno<br />
215
A pag. 2 sempre <strong>della</strong> Riscossa del 29.5.1920 si riporta l'interrogazione<br />
parlamentare dell'on. Bergamo riguardante le donazioni del Cirmeni a funzionari<br />
e impiegati (letti, materassi, coperte, tovaglie ecc.). Si chiede inoltre<br />
se Cirmeni è stato corretto nella vendita e nella distribuzione <strong>della</strong> lana del<br />
magazzino di Castelfranco; se l'8 aprile il cav. Moro (incaricato a Conegliano<br />
del Ministero Terre Liberate) abbia spedito al magazzino Pellizzaro di Mestre<br />
e assegnato a certo Luigi Vianelli qui tali 26 di balle di lana; se il ministro<br />
non ritiene opportune perquisizioni a Venezia – Abbazia <strong>della</strong> Misericordia in<br />
casa <strong>della</strong> signora Moro , sorella del cav. Moro, fi duciario del comm. Cirmeni,<br />
e in casa di una amante del cav. Moro e di un fotografo, Vianelli, in campo<br />
S. Bartolomio.<br />
La risposta all'interrogazione dell'on. Bergamo affi data al sottosegretario<br />
Dello Sbarba è quanto mai generica:sarà fatta ampia e rigorosa inchiesta subito<br />
e una denuncia alla magistratura per Cirmeni, Pironti e il cav. Moro.<br />
La Riscossa del 5 giugno riporta la notizia che la Federazione repubblicana<br />
di Treviso intende costituirsi parte civile.<br />
Sopraggiungono in giugno le dimissioni del governo Nitti e la Riscossa che<br />
denuncia come svaniti i milioni promessi al Veneto disastrato dalla guerra,<br />
riporta ben cinque nuove interrogazioni parlamentari dell'on. Bergamo sulle<br />
elezioni in Trentino (da poco annesso all'Italia), su un ponte dell'Adige non<br />
ricostruito, sulla spesa per la ricostruzione di un paese trentino (Brentonico),<br />
sui consorzi di recupero dei materiali bellici.<br />
Il tema del recupero dei rottami e del materiale bellico disperso apre un altro<br />
fronte di malversazioni che coinvolge anche le alte sfere militari. Dai numeri<br />
<strong>della</strong> Riscossa di ottobre 1920 apprendiamo che un generale del Genio<br />
militare, Maglietta, è arrestato per la vendita a privati di materiali dismessi,<br />
vendita effettuata da uffi ciali del Genio. Lo stesso generale Badoglio è incri-<br />
- Fiori prof. comm. Annibale – professore Istituto tecnico – Roma<br />
- Crispo Antonio – direttore capo Ministero Lavori Pubblici<br />
- Righi avv. Erminio – avventizio Ministero Terre Liberate<br />
- Volpe Prignano comm. Ernesto – capo sezione Ministero del Tesoro<br />
- Archetti Luigi – servizio ragioneria, segretario Ferrovie dello Stato<br />
- Crispo Milazzo Eugenio – magazziniere Ministero Terre Liberate<br />
- Rossi Dino – vice segretario Pubblica Sicurezza – Roma<br />
- Scarpa Antonio – segretario di I° Ferrovie dello Stato – Frascati<br />
- Chinigò Francesco – segretario principale Ferrovie dello Stato – Servizio ragioneria<br />
- Berardi Vincenzo – segretario Ferrovie dello Stato – Roma<br />
- Lo Cascio avv. Bernardo – ragioneria Ministero Terre Liberate<br />
- Cacciari Jolanda – dattilografa Ministero Terre Liberate<br />
- Monarchia Pietro – magazziniere Ministero Terre Liberate.<br />
I primi undici inquirenti fi gurer<strong>anno</strong> poi tra gli imputati.<br />
216
minato per certi appalti a ditte private incaricate <strong>della</strong> distruzione di quintali<br />
di razzi e polveri esplosive. E intanto la polemica monta sul costo dei lavori<br />
di ricostruzione del Veneto.<br />
Sul decreto di abolizione del prezzo politico del pane cade il 12 giugno<br />
1920 il governo Nitti e nei giorni seguenti si forma il quinto governo Giolitti<br />
nel quale l'on. Raineri, cattolico, è il nuovo ministro per le Terre Liberate.<br />
Quest'ultimo governo Giolitti durerà appena un <strong>anno</strong>, sino all'aprile 1921,<br />
quando si terr<strong>anno</strong> le nuove elezioni politiche e successivamente sarà nominato<br />
il governo Bonomi.<br />
La campagna contro le ruberie <strong>della</strong> burocrazia statale e dei vari uomini<br />
d'affari è condotta praticamente solo dai repubblicani, dal momento che i popolari<br />
sono appunto titolari del Ministero Terre Liberate e i socialisti temono<br />
la concorrenza repubblicana soprattutto nella zona del Piave.<br />
La procura del Re comunque si attiva e scattano i primi arresti: il cav. Arcangelo<br />
Cirmeni (anni 44) , ispettore del Ministero dell'Interno, direttore dei<br />
magazzini di Castelfranco, è arrestato il 14 maggio 1920 insieme all'amante,<br />
segretaria e cassiera presso gli stessi magazzini, la maestra Anna Gobessi<br />
(anni 27) da Udine. Arrestati sono anche Luigi Acoleo (anni 21), magazziniere<br />
a Castelfranco, poi posto in libertà provvisoria, e Matteo Pironti, ispettore<br />
del Ministero Terre Liberate, distaccato a Castelfranco. Il Pironti uscirà presto<br />
di scena per suicidio, 6 nel giugno 1921.<br />
La Riscossa del 3 luglio 1920 riporta un nuovo discorso dell'on. Bergamo<br />
alla Camera, contro i Consorzi di recupero dei rottami bellici e contro la cricca<br />
formatasi attorno al commendator Cirmeni. Ci sono in quei giorni manifestazioni<br />
politiche di protesta a Treviso per il carovita e per gli scandali denunciati.<br />
A sostituire il Cirmeni alla direzione dei magazzini di Castelfranco sarà<br />
chiamato il 30 settembre il capitano dei cavalleggeri di Saluzzo, Ansaloni.<br />
Il 21 agosto 1920 la Riscossa annuncia che il giudice istruttore Agosti ha<br />
rinviato a giudizio 42 imputati, tra cui 18 alti funzionari ministeriali, con l'accusa<br />
di peculato e ricettazione. Gli imputati sono in realtà 42, per il suicidio<br />
di Pironti. 7<br />
6 Riscossa 21.8.1920, p. 2.<br />
7 Riscossa 21.8.1920. Imputati a giudizio:<br />
- Cirmeni comm. Arcangelo – ispettore Ministero Terre Liberate – Castelfranco<br />
- Gobessi Anna – segretaria comm. Cirmeni – Castelfranco<br />
- Pironti Matteo – ispettore Ministero Terre Liberate – Castelfranco<br />
- Acoleo Luigi – magazziniere Min. Terre Liberate – Castelfranco<br />
- Castagna avv. Giancarlo – delegato di Cornuda – Minist. Terre Liberate<br />
- Franceschetti Alfredo – capostazione Castelfranco<br />
- Sivilotti Antonio – commerciante Castelfranco<br />
- Nardei Modesto – commerciante Montebelluna<br />
217
Il collegio di difesa dei profughi derubati s'era già costituito (Riscossa 5<br />
giugno 1920) ed era così composto: avv. Silvio Armellini di Conegliano, avv.<br />
Gianpaolo Fontebasso di Treviso, avv. Renzo Ascoli di Venezia, avv. Mario<br />
Bergamo di Bologna (fratello dell'on. Guido), avv. Antonio Bondi di Forlì e<br />
avv. Giovanni Ronzani di Vicenza.<br />
Gli avv. Bergamo e Ronzani sono repubblicani e tra repubblicani e socialisti<br />
s<strong>org</strong>e una polemica perché l'avv. Boscolo di Treviso, socialista, accetta<br />
invece la difesa del principale imputato, il Cirmeni.<br />
- Sonetti Giuseppe – ragioniere impiegato Minist. Terre Liberate<br />
- Tozzoli Alfonso – impiegato a Castelfranco Minist. Terre Liberate<br />
- Sbrocca comm. Aurelio – funzionario Minist. Terre Liberate (dir. gen. serv. Amm.ivi)<br />
- Padula cav. Riccardo – consigliere Prefettura – Roma, distaccato al Minist. Terre Liberate<br />
- Archetti cav. Luigi – funzionario Ministero Terre Liberate<br />
- Fiori comm. Annibale – professore Istituto tecmico Roma<br />
- Crispo Milazzo cav. Eugenio Antonio – magazziniere Ministero Terre Liberate<br />
- Lo Cascio cav. Fedinando – impiegato del Ministero Terre Liberate<br />
- Moro cav. Giovanni – delegato di Conegliano Minist. Terre Liberate<br />
- Molin Giuseppe – impegato a Conegliano Minist. Terre Liberate<br />
- Vianelli Luigi – cugino cav. Moro, Conegliano, Ministero Terre Liberate<br />
- Sinigaglia Giuseppe – commerciante – Venezia<br />
- Berretta Bortolo – commerciante – Venezia<br />
- Bassanesi Alfredo – negoziante – Milano<br />
- Bastianello Giuseppe – negoziante – Venezia<br />
- Lanfrè Attilio – vice commissario prefettizio – S. Donà di P.<br />
- Donadelli Domenico – tenente aviatore – S. Donà di P.<br />
- Greco Vincenzo – commerciante – Brescia<br />
- Munari Mario – commerciante – Venezia<br />
- Murer Eugenio – commerciante – S. Donà di P.<br />
- Berti cav. Giuseppe – ispettore Ministero Terre Liberate – Trento<br />
- Secchi Silvio – sarto – Conegliano<br />
- Scagliarini Callisto – delegato Minist. Terre Liberate – S. Donà di P.<br />
- Rossi Nove Raffaele – negoziante<br />
- Gobessi Carlo – fratello di Gobessi Anna – impiegato, Castelfranco V.<br />
- Volpe Prignano comm. Ernesto – del Minist. Terre Liberate<br />
- Rossi cav. Dino – funzionario Ministero Terre Liberate<br />
- Righi cav. Erminio – del Ministero Terre Liberate<br />
- Filipponi Ernesto – del Ministero Terre Liberate<br />
- Ferrari Mario – commerciante – Milano<br />
- Scarpa cav. Antonio – direzione generale Ferrovie dello Stato<br />
- Zanon comm. Antonio – ispettore Ministero Interno<br />
- Germani Carlo – commerciante – S. Donà di P.<br />
- Bassanesi Edmondo – commerciante – Milano<br />
- Crispo comm. Antonio – capo divisione Minist. Lavori Pubblici, dirigente Min. Terre Liberate<br />
(capo di gabinetto)<br />
218
Il d<strong>anno</strong> per la merce rubata e venduta è valutato (Riscossa del 7.8.1920)<br />
in 10 milioni per quanto concerne la lana, i letterecci, i casalinghi.<br />
Il giornale azzarda anche l'utile personale ottenuto dal gruppetto di Castelfranco<br />
(il direttore Cirmeni, la segretaria Gobessi, il capostazione Franceschetti)<br />
e rincara i sospetti su altre speculazioni per acquisti e vendite di<br />
rottami metallici, di residuati bellici. Oltre alle polemiche sull'avvocato Boscolo<br />
altre polemiche corrono per la città di Treviso tanto che sotto le fi nestre<br />
del carcere mandamentale (allora contiguo a piazza Duomo) si raccolgono in<br />
alcune sere gruppi di cittadini con urla e schiamazzi contro gli imputati imprigionati.<br />
Si parla di rei che dovrebbero espiare e di salvataggi preparati per<br />
i colpevoli (Riscossa 9 ottobre 1920).<br />
Il 15 maggio 1921 si tengono le elezioni politiche generali. Elezioni molto<br />
importanti sotto il profi lo storico perché Giolitti nel blocco nazional-costituzionale<br />
permette l'elezione alla Camera, per la prima volta, di trentacinque<br />
fascisti tra i quali Benito Mussolini. Sul totale di 534 seggi 122 sono attribuiti<br />
ai socialisti, 15 ai comunisti da poco costituitisi in partito (gennaio 1921) –<br />
insieme nella precedente legislatura erano 156 –, 107 ai popolari cattolici (in<br />
precedenza erano 100), 7 ai repubblicani, 8 alle minoranze etniche, 275 al<br />
blocco nazionale comprendente anche i 35 fascisti. 8<br />
La Riscossa nei numeri di febbraio-novembre 1921 dà spazio alle vicende<br />
dello scandalo <strong>della</strong> lana. L'istruttoria del processo è iniziata in aprile. Nel<br />
giornale prosegue inoltre la denuncia dei mancati risarcimenti ai veneti per i<br />
danni bellici, la denuncia per la grave disoccupazione, per le irregolarità relative<br />
alle forniture allo Stato e alla bonifi ca dei territori devastati dalla guerra.<br />
Si v<strong>anno</strong> precisando le responsabilità degli accusati del processo per lo<br />
scandalo <strong>della</strong> lana. L'imputato principale è il cav. Arcangelo Cirmeni, a. 44,<br />
ispettore del Ministero dell'Interno, distaccato a Castelfranco come ispettore<br />
per il Ministero per le Terre Liberate, arrestato il 14 maggio 1920 insieme alla<br />
segretaria-cassiera Anna Gobessi di anni 27. Imputati importanti sono Luigi<br />
Acoleo di anni 21, magazziniere dell'Ispettorato Terre Liberate sempre a Castelfranco<br />
e il negoziante Antonio Sivilotti di a. 49 da Castelfranco, entrambi<br />
in libertà provvisoria. Il d<strong>anno</strong> accertato ammonta per quanto riguarda il Cirmeni<br />
a 100.000 lire e così per Acoleo e Sivilotti; 54.000 lire per la Gobessi<br />
alla quale si imputa inoltre di aver percepito lo stipendio di maestra mentre<br />
svolgeva le funzioni, retribuite, di segretaria-cassiera presso l'Ispettorato di<br />
Castelfranco.<br />
Oggetto del peculato non è soltanto la lana grezza stipata nei magazzini di<br />
8 L. Salvatorelli—G. Mira, Storia d'Italia nel periodo fascista, ed. Mondadori, 1970, vol.<br />
I, p. 190.<br />
219
Castelfranco, ma lo sono anche indumenti, scarpe, biancheria, mobili per casa,<br />
suppellettili domestiche di proprietà dello Stato od offerte spontaneamente da<br />
privati per le popolazioni danneggiate dalla guerra, per i tanti profughi.<br />
Dalla Riscossa del 23 aprile 1921 apprendiamo: l'ispettore del Ministero<br />
Terre Liberate Arcangelo Cirmeni con il collega Matteo Pironti (poi suicida)<br />
e il magazziniere Luigi Acoleo sono accusati di aver trasferito 25 quintali di<br />
lana da materassi al proprio domicilio, parte a mezzo carri, parte per ferrovia<br />
in accordo col capostazione di Castelfranco Alfredo Franceschetti, rifornendo<br />
inoltre il commerciante Antonio Sivilotti. Allo stesso capostazione Franceschetti<br />
era stata venduta una parte cospicua <strong>della</strong> lana (20 quintali). Carlo<br />
Gobessi è accusato di ricettazione continuata per la lana da materassi (18<br />
quintali) sottratta ai magazzini da parte <strong>della</strong> sorella Anna, dagli ispettori ministeriali<br />
Cirmeni e Pironti, dal magazziniere Luigi Acoleo. Con questi ultimi<br />
è imputato anche un impiegato del Ministero delle Finanze, il ragionier Giuseppe<br />
Sonetti da Castelfranco, il quale ha venduto servizi da tè in porcellana,<br />
abiti regalati dal soccorso americano, macchinette tritacarne (sic!).<br />
Alfonso Tozzoli impiegato all'Ispettorato Terre Liberate di Castelfranco,<br />
d'accordo con Cirmeni, Pironti e Acoleo, aveva sottratto dai magazzini scarpe,<br />
cappotti, pelli, persino servizi in porcellana; Aurelio Sbrocca, Riccardo<br />
Padula, Luigi Archetti, Eugenio Crispo, Ferdinando Lo Cascio e il professore<br />
di istituto tecnico romano Annibale Fiori, in accordo con gli ispettori ministeriali<br />
e il magazziniere di Castelfranco, avevano sottratto vestiario, letterecci,<br />
scarpe, servizi in porcellana, una bicicletta per un d<strong>anno</strong> valutato di oltre<br />
15.000 lire.<br />
Altri addetti al Ministero Terre Liberate, distaccati nel Veneto, avevano<br />
sollecitato gli ispettori Cirmeni e Pironti per ottenere, sempre dai magazzinieri<br />
di Castelfranco, lenzuola, coperte, asciugamani, biancheria da inviare<br />
ai propri domicili in Roma. Si tratta di Antonio Crispo, di Ernesto Volpe Prignano,<br />
di Dino Rossi, di Erminio Righi, di Ernesto Filipponi tutti dipendenti,<br />
funzionari del Ministero Terre Liberate.<br />
Lo scandalo delle ruberie si complica per ulteriori avvenimenti.<br />
Nel numero <strong>della</strong> Riscossa del 4 giugno 1921 apprendiamo del suicidio<br />
dell'ispettore Pironti, ma la notizia messa in rilievo è per Cirmeni: «Cirmeni<br />
è pazzo? Cirmeni dunque si salverà?» Sì, afferma un intervento addirittura di<br />
Giolitti in favore dell'ispettore Cirmeni.<br />
L'11 giugno 1921 la Riscossa in seconda pagine scrive: «È venuto da noi<br />
il signor dottore dei matti Zanon Dal Bo direttore dell'Ospedale psichiatrico<br />
a protestare perché domandammo se fosse vero che il Cirmeni, ispettore generale<br />
del Ministero Terre Liberate, il ladro emerito... è stato veduto in gita<br />
220
di piacere a Venezia. Il sig. dottore dei matti che ha dichiarato il Cirmeni<br />
pericoloso a sé e agli altri doveva, invece di protestare, rispondere. E non ha<br />
risposto».<br />
Il clima politico dei mesi aprile-luglio del '21 è quanto mai torbido. Il fascismo<br />
sta scatenando spedizioni squadristiche un po' ovunque, a Viterbo, a<br />
Sarzana, a Carrara, a Venezia e il 13-14 luglio si ha a Treviso l'assalto alle sedi<br />
repubblicane di via Manin, alla sede del Piave giornale cattolico, al quartiere<br />
operaio <strong>della</strong> Fiera. Intanto a Roma la Commissione parlamentare d'inchiesta<br />
per lo scandalo <strong>della</strong> lanadomanda inutilmente l'arresto dei due prefetti per la<br />
gestione dei sussidi ai veneti e denuncia un ex sottosegretario di Stato (Velluti)<br />
per appropriazione di beni destinati ai profughi. 9<br />
In questo clima procede a Treviso l'istruttoria del processo per la lana con<br />
l'assenza del principale imputato, il Cirmeni, ricoverato all'ospedale psichiatrico.<br />
10 La Riscossa denuncia i privilegi di alcuni detenuti, specialmente <strong>della</strong><br />
Gobessi divenuta una 'dama di compagnia' <strong>della</strong> moglie del direttore delle<br />
carceri. 11 Negli interrogatori i commercianti imputati «cadono dalla luna»,<br />
tutti avevano pensato «ad un traffi co lecito e permesso... anche quando guadagnavano<br />
il 100%, … anche quando ritiravano quietanze fi ttizie o facevano<br />
pagamenti ad personam o dichiaravano di operare per conto terzi». 12<br />
Il clima in tribunale (il processo inizia nell'agosto '21), secondo i resoconti<br />
<strong>della</strong> Riscossa, è confuso e rissoso e si insinua che alcuni avvocati difensori<br />
veneti abbiano avuto interesse nel commercio <strong>della</strong> lana. In questo ambiente<br />
surriscaldato due fascisti padovani sono processati a Treviso e condannati a<br />
un mese di reclusione per possesso di armi. L'avvocato difensore dei due è<br />
il romano Mancusi, difensore anche del Cirmeni. È in questi giorni (13-14<br />
luglio) che avviene la nota spedizione fascista contro Treviso e la Riscossa<br />
è costretta ad uscire in edizione ridotta nei giorni 16-17 luglio, riportando<br />
la consueta 'cagnara' del corpo di difesa degli imputati contro i commissari<br />
d'inchiesta. Un momento importante del processo si vive il 19 agosto con la<br />
deposizione dell'ex ministro Cesare Nava il quale assicura che i collaboratori<br />
del Ministero per le Terre Liberate «erano perle di galantuomini» e che<br />
Cirmeni e soci «erano autorizzati a vendere tutto, lana compresa... poiché i<br />
profughi ne avevano avuto esageratamente...». Ma nessun decreto permetteva<br />
la vednita del materiale... «S.E. Nava complice necessario delle malefatte<br />
<strong>della</strong> sua gestione deve darci querela. Non è lecito lasciar truffare i veneti e<br />
poi insultarli». 13<br />
9 La Riscossa, 16 giugno 1921, p. 2.<br />
10 La Riscossa, 25.6.1921, p. 2.<br />
11 La Riscossa, 2.7.1921, p. 3.<br />
12 La Riscossa, 2.7.1921, p. 3.<br />
13 La Riscossa, 20.8.1921, p. 2.<br />
221
Contro le dichiarazioni di Nava esce una lettera di Cirmeni risalente al 14<br />
febbraio 1920, diretta al Ministero per le Terre Liberate, lettera nella quale si<br />
rilevava che «i magazzini scarseggiano di lana» 14 e che si dovevano respingere<br />
molte richieste come quelle di alcune insegnanti che scrivono invece a La<br />
Riscossa il 27 agosto proprio per denunciare la mancata concessione di lana<br />
e di un letto qualsiasi.<br />
Si avviano intanto losche manovre, tentativi di correzione: un certo ingegner<br />
Sciaraffi n del Ministero Terre Liberate avvicina l'ing. Arcani e il rag.<br />
Moioli, dirigenti repubblicani, con proposte dal parte del Cirmeni, proposte<br />
naturalmente respinte, ma che la Riscossa non esplicita. 15 Offerta vantaggiosa<br />
di quintali di bronzo è avanzata, sempre dall'ing. Sciaraffi n a nome di Cirmeni,<br />
alla fonderia di Rino Ronfi ni, altro noto dirigente repubblicano.<br />
Una fase importante del processo è rappresentata dalla requisitoria dell'ing.<br />
Ignazio Lodato che rappresenta l'avvocatura erariale. 16 La merce nei magazzini<br />
di Castelfranco era destinata solo ai profughi e agli abitanti danneggiati<br />
dalla guerra. Nessun diritto in proposito era riservato agli impiegati ministeriali<br />
di Roma, neppure in rapporto ai magazzini romani situati sulla via<br />
Flavia. Era stato stabilito per la lana un massimo di 15 kg a persona ed era<br />
stato proibito ogni commercio. La lana doveva esser ceduta ai profughi ad un<br />
prezzo politico.<br />
L'avvocato dello Stato accenna agli interventi de La Riscossa del 10 e<br />
17 aprile 1920, elogia la Commissione d'inchiesta, afferma che la Gobessi,<br />
segretaria-cassiera e fi danzata del Cirmeni, ha sottratto 2.400 kg di lana di<br />
cui 1.800 sono stati spediti al fratello Carlo. Acoleo Luigi, il magazziniere di<br />
Castelfranco, insieme al locale commerciante Antonio Sivilotti, ha sottratto<br />
2.500 kg di lana venduti poi in parte allo stesso Sivilotti, in parte a Modesto<br />
Nardei commerciante di Montebelluna.<br />
L'avv. Giancarlo Castagna è accusato di complicità in peculato con Acoleo<br />
e con Pironti, l'ispettore ministeriale poi suicida.<br />
Ad Alfredo Franceschetti, capostazione di Castelfranco, si imputano 2.000<br />
kg di lana sottratti in combutta col cav. Pironti (doveva essere lana... destinata<br />
ai ferrovieri profughi!).<br />
Al cav. Riccardo Padula, capo divisione presso il Ministero Terre Liberate,<br />
si imputano prelievi dolosi sia dai magazzini di Castelfranco che dai magazzini<br />
romani di via Flavia.<br />
A Raffaele Rossi Nove negoziante di Belluno si imputa, per il prelievo di<br />
crine, il reato di truffa poiché tale prelievo era stato fatto a nome e per conto<br />
14 La Riscossa, 3.9.1921, p. 2.<br />
15 La Riscossa, 3.9.1921, p. 2.<br />
16 La Riscossa, 10.9.1921, p. 2.<br />
222
del Consorzio granario di Belluno.<br />
A Giancarlo Castagna, avvocato, si imputa la sottrazione di 7.000 kg di<br />
lana, sottrazione eseguita a nome e per conto dei comuni <strong>della</strong> zona pedemontana<br />
di cui il Castagna si diceva rappresentante. Il segretario comunale di<br />
Miane (Treviso) dichiara che la lana non è mai arrivata.<br />
Al cav. Giovanni Moro, delegato del Ministero Terre Liberate a Conegliano,<br />
unitamente al cugino Luigi Vianelli, al sottoposto impiegato del Ministero<br />
Giuseppe Molin, al magazziniere Luigi Acoleo, al ragionier Giuseppe Sonetti<br />
del Ministero delle Finanze e ai commercianti veneziani Giuseppe Sinigaglia<br />
e Bortolo Berretta, si imputa la sottrazione di ben 39.000 kg di lana e di<br />
10.000 coperte, poi venduti alla ditta Bassanesi di Milano.<br />
Correi con il cav. Moro sono indicati Silvio Secchi, sarto di Conegliano, e<br />
Giuseppe Bastianello, veneziano, che acquistarono dal Moro oltre 15.000 kg<br />
di lana.<br />
Da una successiva udienza apprendiamo che Callisto Scagliarini, delegato<br />
del Ministerro Terre Liberate a S. Donà di Piave, ha venduto ai profughi<br />
18.000 kg di lana e 1.200 lenzuola ad un prezzo superiore a quanto stabilito<br />
dal Ministero. L'affare per Scagliarini consisteva nell'acquistare la lana a lire<br />
5 il kg e rivenderla a lire 11. In questa transazione commerciale aiutano lo<br />
Scagliarini Carlo Germani e Erugenio Murer, commercianti di S. Donà.<br />
Attilio Lanfrè già vice commissario prefettizio al comune di S. Donà di<br />
Piave, e Domenico Donadelli pure di S. Donà, ex tenente aviatore, richiedono<br />
lana a nome di profughi che non ne avevano fatto richiesta e la rivendono, per<br />
un totale di 3.600 kg, ad un tal Vincenzo Greco di Brescia, che a sua volta è<br />
imputato di ricettazione.<br />
Il cav. Cesare Berti, ispettore trentino del Ministero Terre Liberate, ha sottratto<br />
9.000 kg di lana e, in combutta con Moro delegato del Ministero a Conegliano,<br />
un vagone di letterecci. L'ispettore trentino, in accordo con Luigi<br />
Vianelli (cugino del delegato ministeriale Luigi Moro) spedisce da Trento a<br />
Conegliano 10.000 coperte poi smistate a Mestre a Monza tramite Umberto<br />
Fortis agente <strong>della</strong> ditta Rino Cesana di Venezia.<br />
Il commerciante milanese Mario Ferrari, insieme al delegato ministeriale<br />
cav. Giovanni Mro, acquista da Callisto Scagliarini delegato ministeriale a S.<br />
Donà, 5.800 kg di lana.<br />
Il giro commerciale si rivela turbinoso e complesso, la ruberia imponente,<br />
oltre 100.000 kg di lana.<br />
Commenta Antonio Pellegrini su La Riscossa: «Non tutti i commendatori<br />
sono ladri ma tutti i grandi ladri sono commendatori». 17 Gli imputati si difen-<br />
17 La Riscossa, 17.9.1921, p. 2. Dei 43 imputati cinque si fregiano del titolo di commenda-<br />
223
dono prevalentemente sostenendo la propria buona fede nella convinzione che<br />
si fosse trattato di normali transazioni commerciali o assicurando l'intenzione<br />
di trasferire ai comuni disastrati i vari lotti di merce. L'ispettore ministeriale<br />
a Trento, cav. Giuseppe Berti, si difende affermando che l'intenzione propria<br />
era di aiutare, coi proventi <strong>della</strong> lana, i legionari fi umani di D'Annunzio!<br />
Il processo a Treviso, iniziato nell'agosto '21, è seguito anche dal Gazzettino<br />
di Venezia che ogni giorno ha un'ampia pagina di cronaca trevigiana.<br />
Riportiamo da La Riscossa le richieste avanzate dal pubblico ministero<br />
cav. Zanni: 18<br />
• Pironti Matteo – ispettore Ministero Terre Liberate – azione penale estinta<br />
per decesso (suicidio);<br />
•<br />
•<br />
•<br />
Fiori Annibale, Lo Cascio Ferdinando, Crispo Antonio, Volpe Prignano<br />
Ernesto, Rossi Dino, Righi Erminio, Filipponi Ernesto, Scarpa Antonio da<br />
assolvere perché i fatti loro attribuiti non costituiscono reato;<br />
Sonetti Giuseppe, Tozzoli Alfonso, Archetti Luigi, Crispo Milazzo Euge-<br />
nio, Zanon Antonio, Rossi Nove Raffaele da assolvere per insuffi cienza di<br />
prove;<br />
Acoleo Luigi e Molin Giuseppe da assolvere per insuffi cienza di prove solo<br />
in rapporto al reato di correità in peculato.<br />
Totale: 15 imputati da assolvere , 2 da assolvere parzialmente ma da condannare<br />
per peculato. Per altri 27 imputati il pubblico ministero avanza le<br />
richieste di pena:<br />
• Gobessi Anna (segretaria centro di Castelfranco): reclusione 3 anni e 6 mesi<br />
– multa lire 1.400 – interdizione perpetua dai pubblici uffi ci;<br />
• Acoleo Luigi (magazziniere): reclusione 4 anni e 10 mesi – multa lire 5.833<br />
– interdizione perpetua;<br />
• Sivilotti comm. Antonio (commerciante di Castelfranco): reclusione 2 anni<br />
e 11 mesi – multa lire 1.600 – interdizione 2 anni;<br />
• Castagna Giancarlo (avvocato Ministero Terre Liberate – Cornuda – latitante):<br />
reclusione 3 anni e 11 mesi – multa lire 2.500 – interdizione perpetua;<br />
• Nardei Modesto (commerciante – Montebelluna): reclusione 1 <strong>anno</strong> e 2<br />
mesi – multa lire 800 – interdizione 1 <strong>anno</strong>;<br />
• Franceschetti Alfredo (capostazione di Castelfranco): reclusione 11 mesi e<br />
20 giorni – multa lire 291 – interdizione 1 <strong>anno</strong>;<br />
• Gobessi Carlo (Castelfranco – fratello di Anna Gobessi): reclusione 3 anni<br />
e 6 mesi – multa lire 900 – interdizione perpetua;<br />
• Sbrocca comm. Aurelio (funzionario Ministero Terre Liberate): reclusione<br />
tore, sette del titolo di cavaliere.<br />
18 La Riscossa, 17.9.1921, p. 2.<br />
224
11 mesi e 20 giorni – multa lire 291 – interdizione 1 <strong>anno</strong>;<br />
• Padula cav. Riccardo (consigliere di prefettura – Roma): reclusione 11 mesi<br />
e 20 giorni – multa lire 291 – interdizione 1 <strong>anno</strong>;<br />
• Moro Giovanni (delegato Ministero Terre Liberate – Conegliano): reclusione<br />
8 anni e 2 mesi – multa lire 9.000 – interdizione perpetua;<br />
• Molin Giuseppe (impiegato di Conegliano – Ministero Terre Liberate): reclusione<br />
3 anni e 6 mesi – multa lire 1.400 – interdizione perpetua;<br />
• Vianelli Luigi (cugino di Moro) : reclusione 4 anni e 8 mesi – multa lire<br />
3000 – interdizione perpetua;<br />
• Sinigaglia Giuseppe e Berretta Bortolo (commercianti di Venezia): reclusione<br />
4 anni e 8 mesi - multa lire 6.000 – interdizione perpetua;<br />
• Ferrari Mario (commerciante di Milano): reclusione 2 anni e 4 mesi – multa<br />
lire 3.000 – interdizione 3 anni;<br />
• Bassanesi Alfredo (commerciante di Milano): reclusione 2 anni e 11 mesi –<br />
multa lire 2.916 – interdizione 3 anni;<br />
• Bassanesi Eduardo (commerciante di Milano): reclusione 2 anni e 6 mesi –<br />
multa lire 4.000 – interdizione 3 anni;<br />
• Bastianello Giuseppe (commerciante di Venezia) : reclusione 1 <strong>anno</strong> e 7<br />
mesi – multa lire 1.500;<br />
• Scagliarini Callisto (funzionario Ministero Terre Liberate – delegato Conegliano):<br />
reclusione 6 anni – multa lire 6.000 – interdizione perpetua;<br />
• Lanfrè Attilio (vice commissario prefettizio S. Donà di P.): reclusione 1<br />
<strong>anno</strong> e 6 mesi – multa lire 700;<br />
• Donadelli Domenico (aviatore S. Donà): reclusione 2 anni e 14 mesi – multa<br />
lire 1.400;<br />
• Greco vincenzo (commerciante di Brescia): reclusione 1 <strong>anno</strong> e 3 mesi –<br />
multa lire 700;<br />
• Munari Mario (commerciante di Venezia): reclusione 4 anni e 8 mesi – multa<br />
lire 3.000;<br />
• Murer Eugenio (commerciante S. Donà di P.): reclusione 2 anni – multa lire<br />
1.500;<br />
• Germani Carlo (commerciante S. Donà di P.): reclusione 1 <strong>anno</strong> e 6 mesi –<br />
multa lire 700;<br />
• Berti Giuseppe (ispettore Ministero Terre Liberate – Trento): reclusione 2<br />
anni e 11 mesi – multa lire 1500;<br />
• ecchi Silvio (sarto di Conegliano): reclusione 1 <strong>anno</strong> e 4 mesi – multa lire<br />
800.<br />
225
Il Gazzettino del 14 settembre dà conto dell'inizio delle arringhe difensive,<br />
riportandole diligentemente con le reazioni del pubblico e dei colleghi avvocati.<br />
Il cronista sottolinea ripetutamente i consensi che l'arringa difensiva<br />
ottiene nel pubblico presente e tra i colleghi avvocati <strong>della</strong> difesa.<br />
«Tre ore di eloquenza (quantunque l'avv. Petagna... fosse sofferente)». 19<br />
«Poderosa arringa (avv. Pagani Cesa); vivamente complimentato dai numerosi<br />
colleghi <strong>della</strong> difesa», 20 «Valoroso difensore», «unanimi manifestazioni<br />
di simpatia» per l'avv. Pietro Cigala difensore del commerciante Bortolo<br />
Berretta. 21<br />
«La folla dei cittadini con attenzione profonda, con senso di deferente devozione<br />
ha seguito la magnifi ca orazione <strong>della</strong> quale solo il prof. Marciano<br />
(difensore del milanese commerciante Bassanesi) ha il segreto e in cui la<br />
stringente energia dell'argomento e il valore decisivo dell'esposizione giuridica<br />
sono accoppiate a quella sovrana dignità di eloquio che dà maggior effetto<br />
di persuasione e di commozione». 22 Altro che D'annunzio! Il tema ricorrente<br />
<strong>della</strong> difesa è la buona fede dei commercianti di lana (difesa di Berretta, Bastianello,<br />
Munari).<br />
Oltre a mettere in rilievo l'importanza amministrativa dei vari importanti<br />
burocrati e le eventuali benemerenze che h<strong>anno</strong> giustifi cato i titoli di cavaliere<br />
o commendatore, si esibiscono lettere di encomio del ministro Nava (imputato<br />
Archetti), vicende personali di sacrifi cio, di studio, di lavoro (Archetti,<br />
Gobessi) ovvero la modestia dell'imputato quale mero esecutore d'ordini<br />
(Acoleo magazziniere).<br />
Naturalmente il patriottismo spunta in ogni angolo. Sono i giorni nei quali<br />
transita per le ferrovie del Veneto e dell'Italia il feretro del Milite Ignoto diretto<br />
al Vittoriano di Roma. E patriottismo si spende per la difesa di Berti ispettore<br />
trentino del Ministero e volontario di guerra. Ma l'avv. Bellelli, difensore<br />
di Berti, aggiunge anche la non procedibilità penale per il proprio assistito<br />
in quanto Berti, trentino, all'epoca dei commerci illeciti di lana sarebbe stato<br />
ancora formalmente cittadino austriaco! 23 Cosa avrebbero detto i patrioti<br />
Battisti e Filzi?<br />
Il patriottismo nei confronti dei profughi di Caporetto serve anche per la<br />
difesa del cav. Scarpa Antonio, segretario <strong>della</strong> direzione generale delle ferrovie<br />
e uffi cialmente profugo in quanto presente, a suo tempo, nella zona d'invasione.<br />
E profugo, quindi in diritto di avere la lana, viene indicato dall'avv.<br />
19 Gazzettino, 14 ottobre 1921, p. 4.<br />
20 Gazzettino, 5 ottobre 1921, p. 4.<br />
21 Gazzettino, 2 ottobre 1921, p. 4.<br />
22 Gazzettino, 30 ottobre 1921, p. 4.<br />
23 Gazzettino, 30 settembre 1921, p. 4.<br />
226
Boscolo il comm. Antonio Zanon la cui famiglia era fuggita da Belluno in<br />
seguito all'invasione austriaca. 24 Quando poi la colpa è diffi cilmente contestabile<br />
in sogetti per i quali è impossibile la qualifi ca di profugo o di commerciante<br />
in buona fede, si ricorre all'inattendibilità delle dichiarazioni rese a<br />
suo tempo da quel comm. Cirmeni, principale responsabile del magazzino di<br />
Castelfranco, alto burocrate del Ministero e ora giudicato pazzo.<br />
Sulla pazzia del Cirmeni si arrocca l'avv. Cleanto Boscolo di Treviso difendendo<br />
il cav. Riccardo Padula consigliere di prefettura a Roma, imputato<br />
di sottrazione di lana sia dai magazzini di Castelfranco che dai magazzini di<br />
via Flavia a Roma. 25<br />
Il Cirmeni è ripudiato da tutti. Il 30 ottobre l'arringa difensiva dell'avv.<br />
Mancusi per il comm. Aurelio Sbrocca, alto funzionario del Ministero Terre<br />
Liberate, si basa sugli aspri rapporti tra Sbrocca e Cirmeni. Il Gazzettino virgoletta<br />
in proposito la perorazione fi nale dell'avv. Mancusi, esempio di monumentale<br />
retorica: 26 «Voi assolvendo porrete un tardivo riparo ad uno strazio<br />
senza nome, ad un inaudito martirio che colpì con la tragicità del fato greco<br />
un funzionario di gran nome che aveva dato tanto contributo al ris<strong>org</strong>imento<br />
di queste terre benedette dal Cielo, sorriso <strong>della</strong> natura, fatte ubertose dalla<br />
volontà dei suoi fi gli. Sia la vostra parola, o giudici, legittima integrazione e<br />
sacra tutela <strong>della</strong> dignità dell'uomo che ha lasciato brandelli di carne sui roveti<br />
laceranti del calvario patito col sorriso del martire... affermi in cospetto<br />
di tutti la specchiata onestà travolta per un momento dalla ragione politica del<br />
funzionario incorrotto, del cittadino probo e del padre esemplare la cui vita è<br />
stata santifi cata dal dovere e dal dolore».<br />
Il Gazzettino continua a seguire le orazioni difensive con sperticati elogi:<br />
si tratta di «sovrana dignità di eloquio», di «valore decisivo dell'esposizione<br />
giuridica»; la folla astante segue le orazioni con «deferente devozione». E<br />
meno male che «l'aridità delle cause... non consente esercitazioni oratorie...»<br />
Si arriva al punto di affermare che il passaggio in ferrovia <strong>della</strong> salma del<br />
Milite Ignoto diretta, in quei giorni, al Vittoriano... darebbe, ad una eventuale<br />
24 Gazzettino, 24 settembre 1921, p. 4.<br />
25 La Riscossa, 11 giugno 1921, p. 2. – Sulla pazzia del Cirmeni indicato come pericoloso<br />
a sé e agli altri la stessa Riscossa riporta parte di un articolo del prof. Pellicani comparso allora<br />
su La Voce sanitaria, <strong>org</strong>ano <strong>della</strong> Federazione italiana medici psichiatrici: «Nell'opera<br />
manca anche uno qualsiasi di quei violenti stati emotivi con le rispettive attenuanti di imputabilità<br />
di cui agli art. 49-50-51 C.P. trattandosi di reati che, ovviamente, non involgono alcuna<br />
minorante passionale – sono lunghi reati compiuti anche per mesi, per anni, freddi logici ben<br />
predisposti e ben condotti da individui che nei meandri sociali h<strong>anno</strong> saputo conquistare dei<br />
posti avanzati».<br />
26 Gazzettino, 30 ottobre 1921, p. 4.<br />
227
condanna degli imputati, il signifi cato di una «ingiusta vendetta». 27 Il patriottismo,<br />
come dicono gli inglesi, è sempre l'ultimo rifugio delle canaglie.<br />
La sentenza del tribunale di Treviso viene pronunciata alle ore 16 del 12<br />
novembre 1921.<br />
il principale imputato, il comm. Cirmeni, responsabile del centro di Castelfranco,<br />
non fi gura né tra i condannati né tra gli assolti, essendo stato estraneo<br />
al processo per asserita infermità mentale.<br />
Dei 41 imputati 20 sono assolti perché il fatto non costituisce reato e 4<br />
per insuffi cienza di prove relativamente alla correità in peculato. Diciassette<br />
subiscono le seguenti condanne per peculato:<br />
• Gobessi Anna: 1 <strong>anno</strong> e 2 mesi di reclusione – multa lire 1.000 – interdizione<br />
dai pubblici uffi ci per 5 mesi;<br />
• Acoleo Luigi: 4 anni, 5 mesi e 10 giorni di reclusione – interdizione perpetua;<br />
• Sivilotti Antonio: 1 <strong>anno</strong> e 2 mesi – 700 lire di multa – interdizione per 6<br />
mesi;<br />
• Castagna Giancarlo: 3 anni e 9 mesi – 1.000 lire di multa – interdizione<br />
perpetua;<br />
• Moro Giovanni: 28 7 anni di reclusione – 7.000 lire di multa – interdizione<br />
perpetua;<br />
• Molin Giuseppe: 3 anni di reclusione – 1.400 lire di multa – interdizione<br />
perpetua;<br />
• Vianelli Luigi: 3 anni e 5 mesi di reclusione – 1.100 lire di multa – interdizione<br />
perpetua;<br />
• Sinigaglia Giuseppe: 2 nni e 9 mesi di reclusione – lire 1.400 di multa – interdizione<br />
perpetua;<br />
• Berretta Bortolo: 2 anni e 2 mesi di reclusione – lire 350 di multa – interdizione<br />
perpetua;<br />
• Ferrari Mario, Bassanesi Alfredo, Bassanesi Edmondo: multa di lire 1.000<br />
per incauto acquisto continuato;<br />
• Bastianello Giuseppe: multa di lire 700;<br />
• Murer Eugenio: multa di lire 500 per incauto acquisto continuato;<br />
• Scagliarini Callisto: 4 anni e 1 mese di reclusione – multa di lire 3.500 –<br />
interdizione perpetua;<br />
• Donadelli Domenico: 1 <strong>anno</strong> e 3 mesi di reclusione – lire 1.600 di multa;<br />
• Munari Mario: 1 <strong>anno</strong> e 9 mesi di reclusione – lire 1.100 di multa – interdizione<br />
perpetua.<br />
27 Gazzettino, 30 ottobre 1921, p. 4.<br />
28 La Riscossa, 8 aprile 1922, p. 4: Il cav. Moro a Vienna sotto il falso nome di Nino Ramharter.<br />
228
Per tutti i condannati c'è il pagamento delle spese processuali e la rifusione<br />
in solido per i reati comuni. In contumacia sono condannati: Moro Giovanni,<br />
Castagna Giancarlo, Molin Giuseppe, Vianelli Luigi, mentre è assolto,<br />
sempre in contumacia il cav. Berti Cesare. Scarcerati perché assolti Sonetti<br />
Giuseppe (impiegato del Ministero Terre Liberate) e Lanfrè Attilio (commissario<br />
prefettizio di S. Donà di P.); Berretta Bortolo e Gobessi Anna per aver<br />
scontata la pena. Ma pare che la maestra Gobessi avesse passato tutto il tempo<br />
<strong>della</strong> detenzione prima del processo presso il reparto dozzinanti dell'Ospedale<br />
civile di Treviso e non in carcere.<br />
Le vicende del processo ai ladri di lana, che per tutta l'estate del '21 avevano<br />
tenuto in ebollizione stampa ed opinione pubblica trevigiane, sembrano<br />
perdere interesse man mano che ci si avvia alla sua conclusione (12 novembre<br />
1921). La polemica politica è quasi totalmente sostenuta dai repubblicani, dal<br />
momento che i socialisti sono da sempre, nel trevigiano, in concorrenza coi<br />
repubblicani a h<strong>anno</strong> l'avv. Cleanto Boscolo, dirigente socialista, quale avvocato<br />
difensore del principale imputato, il Cirmeni.<br />
La stessa Riscossa è distratta da altri scandali, quelli del recupero dei materiali<br />
bellici e dei metalli pregiati nelle campagne trevigiane devastate dalla<br />
guerra.<br />
E sempre la Riscossa ha un desolato commento già nel numero del 10<br />
settembre 1921 a fi rma di Antonio Pellegrini: «Sono i topolini di campagna<br />
quelli caduti nella trappola: i sorci di città, i maggiori e i più veri ladri girano<br />
ancora ossequiati e indisturbati le strade d'Italia. Qualcuno continua magari a<br />
coprire delle cariche di fi ducia nell'amministrazione del Paese... Questa è purtroppo<br />
l'Italia d'oggi: dei Savoia, <strong>della</strong> burocrazia e <strong>della</strong> plutocrazia... Non<br />
tutti i commendatori sono ladri, ma tutti i grandi ladri sono commendatori».<br />
229
Il sacrario militare italiano di Cima Grappa. Archivio Tessari.<br />
Il cimitero militare austro-ungarico di Citta<strong>della</strong>. Archivio Tessari.
SEGNI DI GUERRA E DI PIETA'. NOVANT'ANNI<br />
DI LUTTO E MEMORIA DELLA GRANDE GUERRA<br />
Roberto Tessari<br />
In prevalenza il mio intervento prenderà in considerazione il territorio <strong>della</strong><br />
Marca Trevigiana, però ci sar<strong>anno</strong> alcuni emblematici riferimenti a segni e<br />
siti rilevati nelle vicine provincie di Belluno e Vicenza.<br />
Per siti intendiamo tutti quei segni <strong>della</strong> guerra – sopravissuti alle ingiurie<br />
del tempo e degli uomini – che sono ricondotti a determinati luoghi nel territorio.<br />
1) Un censimento in crescita<br />
Di giorno in giorno aumenta il numero dei siti relativi alla Grande Guerra<br />
che vengono censiti. Nel 2002 nella ricerca titolata: La valorizzazione dei<br />
giacimenti culturali legati ai luoghi <strong>della</strong> Prima Guerra Mondiale nelle Province<br />
di Bl, Tv, e Vi, classifi cai per gruppi tematici, oltre 1500 siti di cui circa<br />
350 nella sola provincia di Treviso. Già nel 2005 consegnando un'ulteriore<br />
ricerca nell'ambito del Piano Territoriale Turistico, questi 350 siti sono diventati<br />
più di 500, e continuano a crescere. Ad esempio, la quarantina di siti<br />
inizialmente censiti sul Montello, sono diventati oltre 110 nella mappa Il<br />
Montello: luoghi ed itinerari <strong>della</strong> Grande Guerra. 29 Un altro esempio: un<br />
appassionato ricercatore, attraverso una metodica e costante ricerca, in questi<br />
ultimi cinque anni ha rinvenuto e censito oltre 150 fra epigrafi , graffi ti e fregi<br />
che ancora oggi sussistono nel massiccio del Grappa. Questi e tanti altri siti<br />
raccontano ancora oggi – a novant'anni di distanza – il turbine <strong>della</strong> guerra<br />
che per un solo <strong>anno</strong> spazza il nostro territorio, ma è suffi ciente perché la linea<br />
degli ossari, come la chiama il poeta Andrea Zanzotto, passi anche da noi<br />
con una traccia indelebile.<br />
Nella terra si frantumano e disperdono corpi provenienti da tanti paesi; la<br />
Marca Trevigiana diventa un crogiuolo in cui la guerra fonde lingue e culture.<br />
Nel solo ex cimitero di guerra austro ungarico di Follina c'erano Caduti di 12<br />
differenti nazionalità. 30 La nostra terra è grembo per tante giovani vite, da<br />
tutta Europa: un'Unione Europa che ante litteram viene fatta dai morti.<br />
Con un solo <strong>anno</strong> di guerra la Marca Trevigiana, comprese le aree<br />
immediatamente fi nitime, conquista purtroppo – per numero e internazionalità<br />
29 Mappa elaborata per la Guida del Montello nella Grande Guerra, di Tessari R. e altri<br />
(2008 -2009), pubblicata in 3 volumi da Gaspari editore di Udine.<br />
30 Il cimitero austro ungarico di Follina di R. Tessari, CSC ed. 2005<br />
231
Pederobba. Il sacrario militare francese. Archivio Tessari.<br />
Quero. L'ossario germanico. Archivio Tessari.
Fagarè <strong>della</strong> Battaglia. Ieri e Oggi. Archivio Tessari.
di cimiteri e sacrari – il primato fra tutti i territori italiani dove si è combattuto<br />
nella Grande Guerra, come si evince dalla seguente tabella.<br />
Sacrari e Cimiteri Località<br />
n° 5 Sacrari Italiani Cima Grappa, Nervesa, Fagarè, S.<br />
Lucia, Feltre<br />
n° 3 Sacrari Austro-ungarici Cima Grappa, Citta<strong>della</strong>, Feltre<br />
n° 1 Sacrario Tedesco Quero<br />
n° 1 Sacrario Francese Pederobba<br />
n° 2 Cimiteri Inglesi Giavera, Tezze<br />
n°50 Cimiteri Austro-ungarici Dismessi<br />
n°10 Cimiteri Italiani Dismessi<br />
La linea degli ossari ricalca la linea dei combattimenti, luoghi di scontri<br />
cruenti: Grappa, Salaroli, Valderoa, Tomba, Nervesa <strong>della</strong> Battaglia, Moriago<br />
<strong>della</strong> Battaglia, Sernaglia <strong>della</strong> Battaglia, l'Isola dei Morti, le Grave di Papadopoli,<br />
il Molino <strong>della</strong> Sega, Fagarè <strong>della</strong> Battaglia … Sono i cosiddetti<br />
campi dell'onore, dove la lotta fu più cruenta e aspra, segnata da innumerevoli<br />
atti di valore, per lo più sconosciuti, ma ben testimoniati dalle 59 medaglie<br />
d'oro assegnate in un solo <strong>anno</strong> di guerra nella Marca Trevigiana. A 90 anni<br />
di distanza l'occhio attento coglie ancora le ferite del territorio lasciate dalla<br />
guerra: resti di trincee, gallerie, bunkers, caposaldi. E poi la miriade di crateri<br />
che trasformarono in superfi cie lunare prati e pascoli. È quasi incredibile la<br />
quantità di proietti che fu impiegata. Un solo esempio: il comune di Alano 31<br />
negli anni '20 si vide costretto – a causa delle lamentele di contadini e malgari<br />
– a richiamare uffi cialmente l'impresa che aveva l'appalto per la bonifi ca del<br />
territorio dagli ordigni inesplosi. Era necessario fare più attenzione, far brillare<br />
gli ordigni in giorni prestabiliti, lontano da potenziali presenze di persone<br />
e animali [...il brillamento di un ordigno aveva provocato l'uccisione di 10<br />
pecore, spesso altri brillamenti avevano grandemente spaventato contadini<br />
e malgari, fatto esplodere vetri, danneggiato fabbricati...] l'impresa doveva<br />
dare preavvisi più consistenti, più sonori <strong>della</strong> trombetta e del grido «la brusa»,<br />
ma soprattutto trasportare gli ordigni in luoghi isolati. L'impresa rispose<br />
che già faceva tutto il possibile, aveva avuto già dieci feriti fra i propri operai,<br />
il non fare i brillamenti in loco non solo era molto pericoloso, ma soprattutto<br />
31 In: Alano: la memoria e l'immagine di una comunità, vol 3° a cura di G. Follador.<br />
234
era quasi impossibile, vista la quantità d'ordigni inesplosi: nella sola zona<br />
Salaroli – Valderoa ve ne erano diecimila quintali. Sono numeri così grandi<br />
da sembrare inattendibili, ma non c'è nessuno zero di troppo 1 . La «normalizzazione»<br />
succeduta alla guerra portò – soprattutto per motivi economici – a<br />
una progressiva cancellazione delle tracce belliche, in particolare quelle che<br />
maggiormente ostacolavano la ripresa delle attività produttive: ecco quindi<br />
la bonifi ca dei campi da buche di granate, trincee e residuati, la demolizione<br />
di bunkers e gallerie, la riconversione di fabbricati. Fu cancellata inoltre la<br />
maggior parte dei segni <strong>della</strong> presenza nemica, cosa comprensibile in quanto<br />
testimonianza <strong>della</strong> vergogna dell'occupazione. Per la parte italiana – a parte<br />
i segni sopravvissuti perché appartati e poco visibili o di troppo diffi cile<br />
eliminazione come i bunkers vicino ad abitazioni e strade traffi cate – furono<br />
salvati, a volte anche rimo<strong>della</strong>ndoli, quelli che erano funzionali a una lettura<br />
didascalica e/o celebrativa degli eventi: Galleria Vittorio Emanuele a cima<br />
Grappa, alcune case-caposaldo sul Montello, e bunker trasformati in cantina<br />
o sacello, pareti intonacate con scritte ottative a Fagarè <strong>della</strong> Battaglia. Alcuni<br />
siti vengono recuperati trovando signifi cato e valorizzazione proprio per il<br />
loro particolare legame con eventi <strong>della</strong> Grande Guerra: è il caso dell'Osteria<br />
al Cippo degli Arditi; altri – seppur inventati per esigenze fi lmiche come<br />
l'ospedaletto ARC a Campagnole di Sopra nel Montello – assurgono a luogo<br />
e momento emblematico del racconto <strong>della</strong> guerra.<br />
2) Cippi, fregi, lapidi.<br />
Nel territorio ci sono ancora anche altri segni minori rispetto ai manufatti<br />
bellici, ma non per questo meno importanti e proprio in questi ultimi anni<br />
oggetto di crescente interesse. 2 Sono cippi, fregi, lapidi. A torto considerata<br />
un'arte minore, la scrittura su cippi, fregi e lapidi non solo rappresenta tempi<br />
e culture diverse: dall'uso o meno del latino, dal fraseggiare retorico e ridondante:<br />
«colui che è morto per la patria/vissuto è assai» o dall'amara autoironia<br />
«cantina Hedrich – costruita con molta fatica e per necessità causa<br />
la grande paura <strong>della</strong> eroica morte» (così per una galleria in val Grama, ad<br />
ovest dell'abitato di Laghi, Vicenza). Sempre in tema di nascondersi sottoterra<br />
c'è una scritta a Treschè Conca che alcuni ritengono ispirata da Carlo Emilio<br />
1 Basti pensare che nella battaglia per Gorizia (4 - 16 agosto del '16) nei 35 Km. dal Sabotino<br />
al mare gli italiani spararono 41.153 colpi al giorno e nell'undicesima battaglia dell'Isonzo<br />
(18 - 24 agosto '17) su un fronte di 16 km e mezzo le artiglierie spararono una media di<br />
168.988 colpi al giorno. E c'erano i proietti delle bombarde da 400 mm che pesavano 285 kg.<br />
(di cui 115 di esplosivo) e i proietti più pesanti (obici da 420 mm.) arrivavano a 1.000 kg.<br />
2 Vedasi il convegno tenutosi a Cortina nel luglio 2008 Dalle rovine al parco divertimenti?<br />
Conservazione e restauro del paesaggio <strong>della</strong> Grande Guerra: metodologia, fi nalità,<br />
competenze.<br />
235
Vallonara (VI). Anche un barattolo di vernice può conservare la storia. Archivio Tessari.
Ra Stua (Cortina): lapide a ricordo di soldati bosniaci travolti da una valanga. Archivio Tessari.<br />
Monte Valderoa: fregi del 5° Alpini. Archivio Tessari.
Gadda, che nel giugno 1916 comandava una Sezione mitragliatrici in questi<br />
luoghi: «non per viltà sotterra mi nascondo / ma per serbarmi all'ora del<br />
cimento». 3 Un'altra iscrizione curiosa è quella di monte Cornone, sopra Valstagna,<br />
dove un ignoto geniere è riuscito a trasformare in sberleffo anche l'incombente<br />
presenza delle granate. Incontriamo anche la pietà di commilitoni e<br />
sottoposti, ma anche del nemico che, ammirato dal valore dimostrato, dà onorevole<br />
sepoltura al capitano Stefanino Curti, M.O.V.M. e sul legno <strong>della</strong> croce<br />
scrive: Hier ruht ein tapferer italiener (Qui giace un valoroso italiano).<br />
Incontriamo poi segni insoliti che testimoniano una situazione particolare<br />
come la propria conversione. Ma le epigrafi di gran lunga più numerose sono<br />
quelle a testimonianza <strong>della</strong> presenza propria e dei commilitoni, magari con<br />
l'urgenza anche di affermare IO C'ERO. E così tanti soldati diventano writers<br />
ante litteram.<br />
3) Tracce di carta.<br />
V'è poi – per noi posteri – una narrazione <strong>della</strong> guerra che non è segnata<br />
sulla terra o scalpellata sulla pietra, ma è tracciata nella carta dei manifesti,<br />
delle cartoline, dei Giornali di Trincea. In particolare, i Giornali di Trincea<br />
ora li possiamo leggere non solo come racconto di storie ed occasione di<br />
svago, ma anche analizzarli nella loro funzione di arma di propaganda e di<br />
condizionamento del comportamento dei soldati. Citerò 2 casi.<br />
Il primo riguarda Hemingway. Hemingway fu ferito nella notte dell'8<br />
luglio1918 al Buso del Burato nei pressi di Fossalta. Era una notte in cui gli<br />
austriaci erano nervosi e non risparmiavano le granate a shrapnels. L'arrivo<br />
dell'Americano che distribuiva cioccolata e sigarette deve aver provocato<br />
un assembramento sospetto a cui gli austriaci risposero prontamente. È<br />
stata fatta anche l'ipotesi che Hemingway, affascinato dal paginone del<br />
disegnatore Rubino Spettacoli Pirotecnici sul Piave (in La Tradotta del 6<br />
giugno 1918), abbia pensato di emulare il fantaccino che nel disegno fa il<br />
pediluvio sul Piave. Impressionante è anche la coincidenza fra la postazione<br />
per mitragliatrice riportata nel disegno e la foto del posto dove fu ferito, fatta<br />
da Hemingway al suo ritorno a Fossalta nel 1922. 4 Un particolare curioso<br />
è rappresentato nel disegno di Rubino da un ranocchio in frac che dirige un<br />
3 Gadda effettivamente fu presente in zona. L'imputazione a Gadda mi pare, però, poco<br />
accettabile, visto che la data riportata è «Giugno 1918», epoca in cui Gadda era già da mesi<br />
in prigionia, dopo esser stato catturato il 25 ottobre 1917 mentre cercava fortunosamente di<br />
passare in destra Isonzo a Caporetto.<br />
4 Il viaggio darà luogo al racconto «Visita di un reduce al vecchio fronte».<br />
238
concerto di rane canterine. Con ogni probabilità è una garbata presa in giro<br />
del maestro Toscanini che salito sul monte Santo appena espugnato (24 agosto<br />
1917), imbattutosi per caso – almeno così dicono le cronache del tempo – in<br />
una banda reggimentale, realizzò un concerto di inni patriottici tra l'infuriare<br />
del bombardamento. Fu un concerto che gli fece guadagnare la Medaglia<br />
d'Argento al Valore.<br />
Il secondo caso riguarda il Cap. Eligio Porcu. Sulla presa 9 del Montello,<br />
presso Casa Cavalli, all'ombra di due piante, una di olmo ed una di noce,<br />
una stele in pietra ricorda il luogo dove, il 16 giugno 1918, si tolse la vita la<br />
M.O.V.M. Cap. Eligio Porcu del 45° fanteria. Era il secondo giorno di lotta,<br />
il giovane capitano sardo – già decorato di medaglia d'argento per il valore<br />
dimostrato sul monte Valderoa nel dicembre 1917 – ha portato più volte<br />
all'assalto la sua compagnia ed ora resiste strenuamente alle schiere nemiche<br />
soverchianti. Ferito alla gamba ed accerchiato, preferisce togliersi la vita<br />
piuttosto che cadere prigioniero.<br />
C'è un «mandante morale» di questo suicidio; ed è un giornale di trincea:<br />
San Marco, il giornale dell'VIII Corpo d'Armata, proprio il Corpo che presidia<br />
il tratto del Montello in cui ora combatte da due giorni il Cap. Porcu. Il<br />
giornale San Marco è un «bel» giornale di guerra; bella carta, disegni raffi -<br />
nati ed eleganti; ma è anche cattivo e torvo, non allegro e spassoso come La<br />
Tradotta. In trincea sta ancora circolando il nr. 1 del 24 maggio. In seconda<br />
pagina v'è la lettera Il sogno <strong>della</strong> mamma. Agghiacciante!<br />
4) Dedicazioni votive e coinvolgimento simboli religiosi<br />
Fin dai primi anni di guerra la religiosità popolare porta ad iniziative devozionali<br />
tendenti a impetrare la protezione <strong>della</strong> Madonna e/o dei Santi per<br />
se stessi o per i parenti e i compaesani al fronte.<br />
Ecco, dunque, le medagliette individuali, che testimoniano consacrazioni<br />
personali, vedasi la medaglietta trovata sui resti di un caduto austro ungarico<br />
a Follina: REGINA SACRI SCAPULARIS, ORA PRO NOBIS<br />
Sul retro l'effi gie del Sacro Cuore di Gesù.<br />
Va ricordato che durante la grande Guerra la devozione al Sacro Cuore si<br />
intensifi cò moltissimo, con la distribuzione di milioni di immagini in cui il<br />
Sacro Cuore veniva a simboleggiare il sacrifi cio dei caduti.<br />
Vi è poi la dedicazione di luoghi devozionali o la realizzazione di ex voto<br />
per grazia ricevuta.<br />
Un esempio di dedicazione di cappella è rappresentato da una grotta dedicata<br />
alla Madonna in località Mina, tra Colfosco e il fi ume.<br />
Fu approntata nel 1916 con lo scopo di invocare dalla Vergine la protezio-<br />
239
Col Marcon (Vidor): la croce in ferro che oggi sostituisce quella in legno messa dai<br />
tedeschi per onorare il capitano Stefanino Curti. Archivio Tessari.
Erinnerung: Val di Landro: a ricordo di una batteria di mortai da 30,5. Archivio Tessari.<br />
Fregio inglese sul monte Zovetto (Vi). Archivio Tessari.
«Spettacoli Pirotecnici». ''La Tradotta'', giornale di trincea <strong>della</strong> 3ª Armata. Archivio Tessari.
Il «San Marco». Giornale dell'8° Corpo d'Armata. Archivio Tessari.
ne per i soldati del paese che combattono sulle montagne e sul Carso.<br />
Ironia <strong>della</strong> sorte: gli austriaci, arrivati al Piave, tolgono la Madonna e in<br />
questa grotta e nelle grotte vicine, piazzano una batteria da campagna i cui<br />
obici sparano e subito vengono nascosti in grotta, al riparo dalla artiglieria<br />
italiana. Questa batteria svolgerà nella battaglia fi nale un ruolo fondamentale<br />
nell'impedire agli italiani di forzare il Piave all'altezza di Nervesa.<br />
Per quanto riguarda gli ex voto, ricordiamo in particolare i quadri per grazia<br />
ricevuta di due superstiti dell'affondamento del piroscafo Principe Umberto:<br />
quello di Francesco Frezza da Vidor e quello di Giulio Muraro da Mogliano<br />
Veneto, che fu esposto alla mostra dell'ISTRIT a Cà da Noal (2008).<br />
Nella chiesa di Santa Maria di Lago, c'è un quadro con 7 soldati, che veniva<br />
interpretato – pure dal poeta Andrea Zanzotto, nipote del pittore – come<br />
una sorta di pre-voto.<br />
In realtà, da alcuni particolari siamo arrivati alla quasi certezza che quei<br />
soldati sono – anche in virtù delle mostrine bianco azzurre – soldati del 55°<br />
fanteria, Brigata Marche. E il quadro dovrebbe raffi gurare 7 militari dell'8 a<br />
Compagnia travolti da una valanga a Cima Cady, e tutti salvatisi.<br />
Circa il coinvolgimento dei simboli religiosi, esso inizia già durante la<br />
guerra. Il generale Giardino celebra la Madonnina del Grappa come la Prima<br />
Mutilata d'Italia, dopo che nell'inverno del 1918, un proiettile austriaco<br />
colpì la statua, facendola cadere dal basamento e mutilandola. Un'altra statua<br />
<strong>della</strong> Madonna, quella di Caorera vicino a Vas, venne requisita dagli austriaci<br />
in quanto – essendo di bronzo – sarebbe servita per fare c<strong>anno</strong>ni. Ma lungo<br />
la strada per Belluno, si spezzò un'asse delle ruote e si ruppe il polso sinistro<br />
<strong>della</strong> statua. Intimoriti dall'evento, i requisitori la lasciarono sul posto,<br />
dove fu ritrovata alla fi ne <strong>della</strong> guerra dai soldati italiani. Anche Mosnigo, nel<br />
Quartier del Piave, ebbe la statua dell'Addolorata con 14 ferite, diventando<br />
così partecipe e testimone – come ebbe a scrivere il settimanale diocesano –<br />
dei dolori e delle pene sopportati dagli abitanti del paese, profughi a Tarzo. A<br />
Posina c'è il «Cristo con le stellette». Di lui così scrisse un reduce nell'immediato<br />
dopoguerra:<br />
«non so se Posina abbia un monumento ai Caduti; ma il monumento vero e proprio<br />
è sull'imbocco <strong>della</strong> strada che porta sul monte Majo. Il Crocefi sso, che malgrado i<br />
tormenti <strong>della</strong> guerra, è rimasto là a benedire chi andava e chi tornava. Un soldato, viste<br />
le ferite riportate dal Crocefi sso, lo volle onorare uguagliandolo ai fanti valorosi: attaccò<br />
sul costato del Redentore il nastrino di guerra. Così io lo vidi nel 1917.»<br />
244
Poi ci sono il Cristo mutilato di Arsiero e quello di Laghi, e Santi di edicole<br />
votive, come il Sant'Antonio di Fossalta di Piave – il Capitel de la Orsola – le<br />
cui medagliette e statuine andavano a ruba fra i soldati; una di queste statuette<br />
portafortuna verrà citata anche da Hemingway in Addio alle armi.<br />
Nell'immediato dopoguerra si accentua il coinvolgimento dei simboli religiosi:<br />
di Cristo, <strong>della</strong> Madonna, dei Santi vengono sottolineate mutilazioni<br />
e ferite. In questa maniera viene veicolato un messaggio ben preciso: se sono<br />
stati mutilati anche loro, sarà più facile ri-accogliere in seno alle famiglie e<br />
nella società civile la marea di mutilati e invalidi prodotti dalla guerra.<br />
5) Elaborazione del lutto.<br />
È l'ora anche di elaborare il lutto. Nel saggio Lutto e Melanconia, Freud<br />
afferma che «[...] il lutto non melanconico riconosce la realtà <strong>della</strong> perdita e<br />
alla fi ne si distacca dallo scomparso. Il Melanconico no, a meno che non intervenga<br />
qualche elemento di mediazione che aiuti ad identifi care la perdita<br />
e a fi ssarne i limiti».<br />
Apporre una lapide sul luogo dove un fi glio, un fratello è caduto, visitare i<br />
cimiteri di guerra, leggere i nomi dei caduti, toccare i nomi incisi e le sculture,<br />
servono per evitare la melanconia distruttiva, per passare attraverso il lutto,<br />
per staccarsi dai morti e ricominciare a vivere. Il rito è uno strumento che<br />
serve tanto a scordare quanto a ricordare, e i Monumenti ai Caduti, con la loro<br />
rappresentazione materiale dei nomi di coloro che abbiamo perduto, sono lì<br />
per aiutare nell'arte necessaria del dimenticare. Questo rito di passaggio trova<br />
espressione in tante «forme linguistiche» legate al tempo, alla cultura e al<br />
cambiamento nel regime politico. È impossibile – in questo momento – fare<br />
un'analisi con esempi delle tante forme linguistiche. Riporto solo due casi:<br />
un'iscrizione che il prof. Giacomel attribuisce ad Ungaretti, fi ssata all'ingresso<br />
<strong>della</strong> galleria del Castelletto, 5 e il confronto fra due scultori: Giovanni<br />
Possamai di Solighetto e Antonio Morera. Il Possamai è uno che la guerra<br />
l'ha fatta davvero, anche se antimilitarista. Le sue opere sono per lo più realizzate<br />
nell'immediato dopoguerra, negli stessi luoghi e negli stessi tempi in<br />
cui squadre di militari <strong>della</strong> Polizia Mortuaria recuperano – dentro le trincee<br />
sconvolte, sotto le macerie dei paesi, fra sassi e sabbia del fi ume – corpi macerati<br />
dal sole e scarniti dall'acqua e dal vento. Queste inquietudini e questo<br />
pathos si impossessano del Possamai scultore e lui reagisce immortalando i<br />
suoi eroi nello spasmo dell'attacco, nervosi e febbrili, scattanti e tormentati:<br />
ogni muscolo, ogni grammo di carne funzionale al g<strong>org</strong>o vorace <strong>della</strong> guerra.<br />
Il particolare del monumento alle Forze Armate del Morera, inaugurato<br />
5 Vedasi: Arrivederci.Aufwiedersehen Cortina di P. Giacomel, Regole d'Ampezzo 1997.<br />
245
Ex voto del superstite Giulio Muraro scampato al siluramento <strong>della</strong> «Principe Umberto»<br />
«Regina Scapularis»: Follina, cimitero austro-ungarico, fronte e retro di<br />
medaglietta devozionale trovata sui resti di un Caduto. Archivio Tessari.
La Madonnina del Grappa.
a Conegliano l'8 novembre 1925, alla presenza del gen. Diaz e del re, è ben<br />
diverso: l'esperienza <strong>della</strong> guerra si è ormai sedimentata; il regime inizia ad<br />
alimentare, in vista di nuove grandi imprese, il Mito <strong>della</strong> Grande Guerra e<br />
del Sacrifi cio. L'artista avverte il vento di tempi nuovi annunciati da Taddeini,<br />
estetologo del Regime Fascista:<br />
la morte eroicizzata dall'arte non verrà più rappresentata come una caduta, ma come un<br />
dovere di successione. L'arte può compiere miracoli. I morti non sono più morti.<br />
Così nasce l'eroe: ben piantato, muscoli da palestra, corpo da antico romano,<br />
pronto a ricostruire l'impero.<br />
Altra forma per celebrare i Caduti sono i viali e parchi <strong>della</strong> rimembranza.<br />
Analogamente a quanto veniva fatto nelle altre nazioni europee per l'elaborazione<br />
del lutto, oltre al recupero delle salme nei cimiteri militari e alla<br />
costruzione di Monumenti ai Caduti, anche in Italia maturò l'idea di onorare<br />
i caduti legandoli al mito <strong>della</strong> natura, <strong>della</strong> pianta sempre verde e rifi orente,<br />
<strong>della</strong> selva simbolo <strong>della</strong> forza primordiale. Dario Lupi, sottosegretario alla<br />
Pubblica Istruzione nel primo governo Mussolini, lanciò l'idea dei viali e parchi<br />
<strong>della</strong> Rimembranza. 6 Dopo un <strong>anno</strong> i comitati costituiti nelle scuole erano<br />
più di mille e i viali e parchi realizzati oltre 5.000. A volte non erano viali<br />
e parchi realizzati appositamente, ma adattamenti di realtà preesistenti con<br />
l'apposizione del nome di un caduto per ogni pianta.<br />
6) cimiteri e sacrari<br />
Più ci si allontana dalla fi ne <strong>della</strong> guerra più si modifi ca il lutto e il modo,<br />
dunque, di ricordare i Caduti. Pian piano i 3.000 cimiteri di guerra vengono<br />
sostituiti dalla maestosità dei Sacrari. Nel Sacrario/Ossario devono arrivare<br />
solo le ossa, scarnifi cate da qualsiasi rimasuglio di pelle e di carne. È una nuova,<br />
seconda sepoltura in cui, simbolicamente, si privano i Caduti dei propri<br />
connotati. Nel Sacrario – a differenza per esempio dei cimiteri militari inglesi<br />
– non ci possono essere più delle persone, volti, gente comune: ognuno con<br />
il proprio percorso di diffi coltà, entusiasmi, paure, cadute e riscatti eroici. La<br />
triste e tremenda realtà <strong>della</strong> guerra viene trasfi gurata in fornace di purifi cazione<br />
in cui una impressionante litania di nomi senza volto e senza storia,<br />
diventa una macchina possente ed eroica: la razza italica che rinnova l'impero<br />
di Roma ed entra nei cieli eterni <strong>della</strong> gloria. I monumenti ai caduti, da opere<br />
sobrie e coinvolgenti che raccontano eventi ed eroismi concreti, diventano,<br />
6 Dario Lupi, Parchi e viali <strong>della</strong> rimembranza 1923, Bemporad ed.<br />
248
con il progredire del regime, monumenti sempre più trionfali, celebrativi di<br />
un'idea astratta di eroe e di virtù <strong>della</strong> razza italica. Si arriva così a una forma<br />
linguistica che realizza quanto detto da Mussolini: «un popolo che deifi ca i<br />
suoi Caduti è un popolo che non può essere battuto».<br />
Un concetto questo ben diverso da quello attuato con semplicità e con la<br />
saggezza del motto ONORARE I MORTI PENSANDO AI VIVI che negli anni<br />
successivi alla Grande Guerra ispirò tante Amministrazioni Locali a realizzare<br />
Scuole ed Asili come il Miglior Monumento che i Caduti potessero avere.<br />
Un cenno, infi ne, alle lapidi che furono fatte sparire, soprattutto dopo l'8<br />
settembre 1943, in quanto troppo offensive per i tedeschi.<br />
Sul lato sud <strong>della</strong> stazione di Nervesa una targa voluta dalla 97 a Compagnia<br />
del 44° Genio Zappatori aveva ripreso a piè pari la scritta in calce ad una<br />
cartolina: 7<br />
combattere tu devi o soldato d'Italia. Per non subir lo sprezzo <strong>della</strong> tua donna violata, per<br />
non veder nella tua casa crescere il bastardo, fi glio <strong>della</strong> tua donna e del tedesco.<br />
A Pianzano, fi nita la guerra, il parroco Possamai fece affi ggere una lapide<br />
all'ingresso <strong>della</strong> chiesa, che oltre a dare del Barbari ai Germanici e Barbarini<br />
agli austro ungarici, fra l'altro ricordava:<br />
[...] QUALI DISCENDENTI DI ATTILA<br />
BORIOSI DISSERO<br />
ITALIANI FARETE LE UNGHIE LUNGHE!<br />
PER PANE MANGERETE SASSI!<br />
IN SACILE GIA' CE NE SONO MACINATI<br />
E POI NON VI CHIAMEREMO<br />
CRUDELI – FEROCI – INFAMI?<br />
Sono tutte lapidi che scompaiono con la 2 a guerra mondiale, in particolare<br />
quella di Pianzano prima viene nascosta dalle suore e poi se ne perdono per<br />
sempre le tracce. Una lapide, con un tenore simile, fu nascosta nel sottoscala<br />
di un campanile e solo un <strong>anno</strong> fa è stata riportata alla luce e apposta – sul lato<br />
meno visibile – del Monumento ai Caduti.<br />
7 cartolina di G. Mazzoni, commissionata dalla 3<br />
249<br />
a Armata
Santa Maria di Lago: ex voto di alcuni soldati del 55° fanteria sfuggiti a una valanga.
I «Caimani del Piave». Scultura di Giovanni Possamai. Archivio Tessari.<br />
«La difesa del fi ume». Scultura di Giovanni Possamai. Archivio Tessari.
7) Un'esperienza conclusa.<br />
Con lo sfumarsi nella nebbia del tempo degli eventi bellici e dei relativi<br />
odi, diventano sempre più frequenti gli episodi di incontro fra ex nemici con,<br />
in particolare, la celebrazione di riconciliazioni e restituzioni. Con il distacco<br />
temporale, dovuto al progressivo crescere degli anni dalla fi ne <strong>della</strong> guerra,<br />
si verifi cano interessanti casi di resituzione: è il caso del piedino di Gesù<br />
Bambino riportato al Sacello di Cima grappa, o del Candelabro da Budapest<br />
di cui racconta il poeta Andrea Zanzotto in un articolo sul Corriere <strong>della</strong><br />
Sera del 9 settembre 1988. La restituzione dei simboli diventa emblema <strong>della</strong><br />
cristallizzazione, cioè dell'elaborazione in 'esperienza conclusa' delle vicende<br />
di guerra. Questa esperienza conclusa <strong>della</strong> guerra si evidenzia anche in primo<br />
luogo nella proliferazione di Musei e Collezioni: 4 anni fa nella Marca o<br />
poco più in là dei confi ni provinciali (cioè a Bassano, Alano e Vas) contai 21<br />
realtà, fra musei e collezioni, che almeno in parte facevano riferimento alla<br />
Grande Guerra. Oggi ne andrebbero aggiunti altri 6. In secondo luogo sono<br />
nate e si st<strong>anno</strong> sviluppando realtà di tipo nuovo come i Musei all'Aperto, le<br />
Trincee Didattiche, i Sentieri Storici e <strong>della</strong> Pace. Queste nuove modalità di<br />
rivisitare e raccontare la guerra sono molto interessanti in quanto propongono<br />
un percorso alternativo al monumento tradizionale inteso come Memoriale e<br />
Luogo di celebrazione del 'rito' come si può riscontrare anche nelle recenti,<br />
grosse ed impegnative realizzazioni di: il Monumento al Soldato d'Italia 8 a<br />
Pederobba e il Monumento/Cripta 9 a Follina. Musei all'Aperto, Trincee Didattiche,<br />
Sentieri Storici e <strong>della</strong> Pace v<strong>anno</strong> oltre la liturgia <strong>della</strong> celebrazione,<br />
sono forte stimolo a meditare e a far memoria; impegnano a ripercorrere<br />
e coltivare i luoghi <strong>della</strong> memoria. Attraverso i luoghi <strong>della</strong> memoria acquisiamo<br />
una coscienza maggiore sulla realtà <strong>della</strong> guerra: guardiamo al passato<br />
per promuovere da esso azioni verso il futuro, trasmettendo al futuro i valori<br />
acquisiti.<br />
8 Opera di G. Aricò (1988).<br />
9 Opera dell'architetto Paolo Portoghesi (2008).<br />
252
Il sacrario di Fagarè <strong>della</strong> Battaglia. Archivio Tessari.<br />
Il sacrario del Montello. Archivio Tessari.
Lagazuoi, oggi (a sinistra) ed allora. Archivio Tessari.<br />
Crocetta del Montello: museo <strong>della</strong> Grande Guerra e del ‘900. Archivio Tessari.
INDICE<br />
Enzo Raffaelli<br />
Da Caporetto al Piave .................................................................................11<br />
Andrea Castagnotto<br />
Il sistema difensivo del Veneto e del Friuli durante la<br />
prima guerra mondiale ............................................................................. 33<br />
Ernesto Brunetta<br />
Il morale dei soldati nella prima guerra mondiale .................................... 55<br />
Daniele Ceschin<br />
Gli attori sociali nella provincia del Piave ............................................... 75<br />
Stefano Gambarotto<br />
1915-1917. Fra civili e militari in una provincia lacerata dalla guerra.............. 125<br />
BenitoBuosi<br />
Racconti dell'invasione 1917-1918 .......................................................... 143<br />
Livio Vanzetto<br />
Una memoria nazionalpopolare per il Monte Grappa<br />
«baluardo d'Italia» (1918-1921)............................................................... 203<br />
Francesco Scattolin<br />
Lo scandalo <strong>della</strong> ricostruzione. Guido Bergamo e «La Riscossa».......... 214<br />
Roberto Tessari<br />
Segni di guerra e di pietà. novant'anni di lutto e<br />
memoria <strong>della</strong> grande guerra ....................................................... 231
maggio 2011<br />
stampato da<br />
Marca Print<br />
tel.0422 470055 - fax 0422 479579<br />
www.marcaprint.it - info@marcaprint.it<br />
per conto di<br />
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Via Sant'Ambrogio di Fiera 60<br />
31100 TREVISO<br />
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email:istitutoris<strong>org</strong>imentotv@interfree.it<br />
ISBN 978-88-96032-15-2
Il 1918 è stato l’ultimo, cruciale, <strong>anno</strong> <strong>della</strong> Grande Guerra. Dopo la disastrosa rotta<br />
di Caporetto, il teatro del confl itto cambia in modo repentino. In poche ore si sposta<br />
dalle desolate pietraie del Carso alle campagne del Veneto. La linea del Piave diviene<br />
l’ultimo baluardo contro un avversario che, due anni prima, ci eravamo illusi di<br />
ridurre all’impotenza in pochi giorni. Un intero mondo viene investito da questo<br />
cataclisma e la sua quotidianità sconvolta è costretta a cercare nuovi equlibri. Il Veneto<br />
diventa terra di profughi e di persone in fuga, luogo nel quale si combatte e si<br />
costruiscono difese munitissime, là dove prima erano campi e opifi ci. Le città e i paesi<br />
sono «invasi» dai militari che impogono le loro esigenze e con i quali, una popolazione<br />
impreparata si deve confrontare giorno per giorno. Tutto diventa funzionale alle<br />
esigenze <strong>della</strong> guerra mentre si combattono battaglie epiche, destinate a diventare<br />
altrettanti, fondamentali, capitoli <strong>della</strong> nostra storia nazionale. Poi, a guerra fi nita, la<br />
ricostruzione di quanto è andato perduto con i suoi tristemente «abituali» scandali.<br />
Da ultima matura l'esigenza di conservare il ricordo di ciò che è accaduto, una memoria<br />
che tante tracce di sè ha lasciato nei nostri territori.<br />
Da vendersi esclusivamente in abbinamento a uno dei seguenti quotidiani:<br />
La Tribuna di Treviso<br />
(Dir. Resp. Alessandro Moser - Reg. Trib. di TV n. 407 del 30/01/1978)<br />
Il Mattino di Padova<br />
(Dir. Resp. Omar Monestier - Reg. Trib. PD n. 568 del 11/11/1977)<br />
La Nuova Venezia e Mestre<br />
(Dir. Resp. Antonello Francica - Reg. Trib. di VE n. 1398 del 20/09/2001)<br />
Supplemento al numero odierno € 7,90 + il prezzo del quotidiano