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L'ultimo anno della - istrit.org

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Enzo Raffaelli, Andrea Castagnotto, Ernesto Brunetta,<br />

Daniele Ceschin, Stefano Gambarotto, Benito Buosi, Livio Vanzetto,<br />

Francesco Scattolin, Roberto Tessari<br />

L’ultimo <strong>anno</strong> <strong>della</strong><br />

a cura di<br />

Steno Zanandrea


La linea <strong>della</strong> memoria<br />

volume 12


1918: <strong>L'ultimo</strong> <strong>anno</strong> <strong>della</strong> Grande Guerra<br />

Il volume contiene gli atti del convegno: «La linea <strong>della</strong> memoria. La provincia<br />

di Treviso durante l’ultimo <strong>anno</strong> di guerra. Economia – politica – società.<br />

Venerdì 14 novembre 2008, ore 9.00 – 18.30, Palazzo <strong>della</strong> Provincia di<br />

Treviso – Sala Marton<br />

1 edizione 2011<br />

copyright © 2011<br />

ISTRIT<br />

Via Sant'Ambrogio in Fiera, 60<br />

31100 - TREVISO<br />

email: ist.ris<strong>org</strong>imento.tv@email.it<br />

email: istitutoris<strong>org</strong>imentotv@interfree.it<br />

Grafi ca, impaginazione, fotorestauro<br />

Stefano Gambarotto<br />

Le immagini fotografi che che illustrano il presente volume, ove non diversamente<br />

indicato, sono state tratte da: Servizi Fotografi ci dell'Esercito Italiano (SFEI);<br />

Archivio Istrit (ISTRIT); Museo del Ris<strong>org</strong>imento di Treviso (MRT); Museo del 55<br />

Reggimento Fanteria (M55F); Museo Centrale del Ris<strong>org</strong>imento (MCR). L'editore<br />

ha effettuato ogni possibile tentativo di individuare altri soggetti titolari di copyright<br />

ed è comunque a disposizione degli eventuali aventi diritto.<br />

ISBN 978-88-96032-15-2


1918<br />

<strong>L'ultimo</strong> <strong>anno</strong> <strong>della</strong><br />

a cura di<br />

Steno Zanandrea<br />

con scritti di<br />

Enzo Raffaelli - Andrea Castagnotto - Ernesto Brunetta<br />

Daniele Ceschin - Stefano Gambarotto - Benito Buosi<br />

Livio Vanzetto - Francesco Scattolin - Roberto Tessari<br />

Istituto per la Storia del Ris<strong>org</strong>imento Italiano<br />

- Comitato di Treviso -<br />

2011


1918. Sentinelle italiane e inglesi a Nervesa <strong>della</strong> Battaglia. ISTRIT<br />

25 giugno 1919. Il 113 Fanteria al «Castello di Nervesa». ISTRIT


GRANDE GUERRA: ULTIMO ATTO<br />

1° novembre 1917, giovedì. L’illustre abate Luigi Bailo, con vibrante richiamo<br />

ad anni critici <strong>della</strong> nostra storia moderna, lancia un appello pieno<br />

di amor patrio al sindaco avvocato Zaccaria Bricito. Deplorando infatti «con<br />

profondo disgusto» che nel «penoso momento attuale... signori <strong>della</strong> Giunta<br />

abbandonano il posto», scrive:<br />

Mi permetto di darle questo consiglio: come in casi simili nel 1797, nel<br />

1798, nel 1809, nel 1813, nel 1848, nel 1866 costituisca sotto la sua presidenza...<br />

un Comitato di ordine e direzione presso il Municipio stesso, composto<br />

di cittadini forti e coraggiosi, energici e saggi, i quali suppliscano ai bisogni<br />

del momento dolorosi ai quali possiamo andare incontro. S’intende di persone<br />

disposte a restare sul luogo fi no al momento che Ella giudicherà opportuno...<br />

Sono indicati e ne avrebbero il dovere di far parte di esso Comitato,<br />

primi di tutti coi signori assessori coraggiosi e devoti al dovere, che restano,<br />

tutti coloro che h<strong>anno</strong> fi rmato il manifesto a stampa, affi sso ed a mano del<br />

30 ottobre Concittadini. Restiamo tutti etc. etc. e altri che Sua Signoria saprà<br />

trovare, tra i quali, se crede di metter me pure, mi metta, e per quello che potrò<br />

fare, darò esempio co’ miei ottantadue anni di attività consigliare, e di energia<br />

effettiva.<br />

Pur richiamando alla memoria infatti i momenti dell’ultimo secolo (invero<br />

con qualche largheggio), che videro a Treviso bensì più o meno repentini cambi<br />

di regime, ma sempre attenuati o mediati da una costante presenza ‛civile’<br />

in grado di farvi fronte, l’<strong>anno</strong>so bibliotecario il due novembre è costretto a<br />

rivedere al ribasso un tale impeto di generosità, ed al sindaco, che vuole affrettare<br />

l’abbandono <strong>della</strong> città, replica di essere «deliberato di restare fi nché<br />

è possibile, e se è possibile partire ultimo cogli ultimi». Bando al titanismo,<br />

un sano realismo s’imponeva. Come un fulmine a ciel sereno, il disastro di<br />

Caporetto di una settimana prima, che costringerà le divisioni italiane ad<br />

abbandonare, precipitosamente, le postazioni sul Carso ed a ritirarsi sul Tagliamento<br />

prima di attestarsi, arretrando ulteriormente, sul Piave, getterà nel<br />

terrore un’intera popolazione destinata, coll’incalzare dell’esodo friulano, al<br />

rapido profugato, e determinerà il nostro pio protagonista, impossibilitato a<br />

mettere in salvo in poche ore tutto il patrimonio di memorie e opere d’arte<br />

pazientemente raccolte in quarant’anni, a maturare l’idea «di abbandonare<br />

con fi ducia alla protezione divina il tutto». Per fortuna dopo Caporetto, che<br />

portava la guerra «sin sull’uscio di casa» – come si disse – vennero la resistenza<br />

al Piave e poi la battaglia del Solstizio a ridare fi ducia ai trevigiani.<br />

5


Ma ci vollero mesi e intanto l’ordinaria amministrazione in tempo di crisi,<br />

colla civica giunta scappata a Pistoia (circostanza che Bailo ricorderà poi<br />

sempre con palese esecrazione nei suoi scritti epistolari), veniva rassegnata<br />

nelle mani di un commissario prefettizio, il ragioniere Agostino Battistel. Altro<br />

che 1797! Altro che 1848! La nuova guerra, combattuta su un fronte che<br />

facile ossimoro direbbe costantemente mutevole, con armi e tattiche nuove<br />

(movimenti fi ttizi e ritorni, ed il ristagno in trincea), con un'imponenza di cui<br />

i viventi di allora non ricordavano l'eguale, vedeva Treviso pienamente investita<br />

dall'urgenza militarista incurante delle ferite che tanto impatto recava<br />

alle popolazioni civili. Pianifi cato per tempo subito dopo l’Unità, il sistema<br />

difensivo che insiste sul confi ne italo-austriaco subisce ripensamenti ritardi<br />

e ritrosie – specie di tipo economico – che peraltro non possono trascurare<br />

la natura del terreno, pur ricco di difese naturali tali da interferire positivamente<br />

con apprestamenti razionali che investono ambiti naturali assai<br />

diversifi cati: non solo la montagna, con il perno sul Grappa ed il comprensorio<br />

asiaghese, ma altresì la pianura veneta coi campi trincerati di Treviso,<br />

Mestre ecc. nonché le difese di Venezia fi nalizzati a favorire ogni possibile<br />

movimento ed evacuazione, come informa in misura abbastanza dettagliata<br />

Andrea Castagnotto, nel secondo saggio di questo volume.<br />

Ma a raccontare l’ultimo atto di questa vicenda non si può non muovere il<br />

passo dalla tragedia di Caporetto; le ragioni <strong>della</strong> rotta sono effi cacemente,<br />

sia pure in sintesi, riferite, nel contributo dovuto alla penna di Enzo Raffaelli,<br />

e si riassumono – detto qui alla buona – nella ritardata Bewußtwerdung da<br />

parte del Comando supremo (leggi Cadorna), il cui Uffi cio Situazione riteneva<br />

ancora a fi ne settembre del ’17, secondo una prospettiva pur sempre<br />

presuntiva, di non dover escludere a priori la possibilità di una offensiva nemica,<br />

ma stimava assai improbabile uno sfondamento sul fronte dell’Isonzo.<br />

Il primo dei fi umi ungarettiani, il più immediato alla scarna scrittura di un<br />

fante che nel 1916 vi si accoccola «come un beduino» ad attingervi la parola<br />

essenziale, il fi ume due volte infausto alla memoria dei veneti, è lì ad attestare<br />

il naufragio di una strategia costata al nostro Paese, con le migliaia di vittime,<br />

un cambiamento di vertice ed un ripensamento delle strategie belliche.<br />

Sono essenzialmente tre gli attori che recitano l’ultimo atto dell’immane<br />

tragedia che fu la Grande Guerra. Qui, nelle retrovie del gran teatro <strong>della</strong><br />

guerra guerreggiata, nuovi protagonisti salgono sulla ribalta, a sostituire altri<br />

che invece si sono letteralmente volatilizzati: il ceto politico, per esempio,<br />

sembra essersi messo al riparo dietro le quinte, mentre il vero protagonista<br />

– il militare – si vede contendere la parte da un coro sempre più numeroso<br />

6


e più eloquente: i profughi, i fuggiaschi, i senza patria che nessuno vuole. È<br />

un attore dal molteplice registro vocale, e ci parla con le parole degli oscuri<br />

che non cercano gloria, in un linguaggio a volte approssimativo ma effi cace:<br />

vediamo nei diari come in un prisma dalle molte facce rifl essi gli effetti e gli<br />

aspetti più vari <strong>della</strong> guerra da cui fuggono, dove tutto subisce una amplifi -<br />

cazione che solo la eccezionalità degli eventi giustifi ca. E poi c’è il nemico<br />

invasore che desta risentimento ma anche speranza di riscatto.<br />

Ma torniamo per un momento al militare. Invece la voce dei gravi fautori<br />

<strong>della</strong> rotta isontina si fa ora muta e ci si interroga oggi (più che sulle responsabilità<br />

degli irresponsabili, che sono state sviscerate le mille volte ed h<strong>anno</strong><br />

fatto scrivere migliaia di pagine ai protagonisti stessi ed ai loro giudici di ora<br />

come di allora) sul malessere <strong>della</strong> milizia, sugli umori <strong>della</strong> truppa, sulle<br />

tecniche di persuasione e di coercizione poste in atto dalle gerarchie militari<br />

per dare effetto e sostanza a una scommessa di vittoria che aveva portato il<br />

nostro Paese da una opzione iniziale di neutralismo convinto a un repentino<br />

‛salto <strong>della</strong> quaglia’ maturato nello schieramento al fi anco dell’Intesa, italica<br />

vocazione a sostenere sempre le sorti del favorito del momento. Ernesto<br />

Brunetta non esita a riconoscere una rassegnazione di massa sulla quale<br />

avrà avuto buon gioco l’annullamento delle coscienze mutuato da padre Gemelli<br />

ed ampiamente praticato da Cadorna per avere a disposizione oltreché<br />

soldati-automi, indifferenziata ‛carne da macello’. Qualche dato statistico<br />

fornito dal Brunetta richiama alla memoria sì il malcontento ma anche il suo<br />

sfogo dis<strong>org</strong>anizzato e sterile, mentre l’esautoramento del ‛generalissimo’<br />

coincise con una fase di scelte politico-strategiche di tipo ‛anti-depressivo’<br />

che il subentrato Diaz assecondò.<br />

L’autentico protagonista di questo libro è però la gente comune, soprattutto<br />

le possibilità di reazione messe in moto da eventi tanto abnormi da confi -<br />

gurare una sorta di tsunami umano: ne espone le ragioni e le vicende, anche<br />

minute, Daniele Ceschin nel bel saggio Gli attori sociali nella provincia del<br />

Piave, articolato in capitoli che sono insieme una scansione cronologica e<br />

tematica. Lo studioso ci offre l’immagine dolente di un popolo in cammino,<br />

divelto dalle terre cui era abbarbicato da generazioni, che richiama movimenti<br />

di portata storica e che, se suscitano in noi postume emozioni, ben altre<br />

reazioni destarono sui contemporanei. Il paragone con movimenti analoghi<br />

che in queste settimane del 2011 spingono a centinaia tunisini e libici dalla<br />

sponda africana verso Lampedusa, porta per l’occidente, non può farci però<br />

dimenticare che allora era un movimento tutto interno, di italiani verso altri<br />

italiani. «Il 6 novembre Treviso si ritrova con le vie imbrattate di rifi uti, le<br />

7


strade ingombre di carri militari e di carretti dei profughi», ricorda Ceschin,<br />

mentre tre giorni dopo è già una città fantasma, presidiata quasi solo dai<br />

parroci urbani e da uno sparuto esercito di miserabili che non dispongono<br />

di alcun mezzo per andarsene. Come in un perfetto sistema idraulico, per<br />

un vaso che si vuota, uno si riempie. Segusino, Refrontolo, Cessalto... Villa<br />

Spada, a Refrontolo, diventa sede di comando nemico: la contessa Maria è<br />

presa in un tourbillon di cose che <strong>anno</strong>ta nel suo breve diario: la sera del 24<br />

novembre «gran pranzo con 40 coperti... profusione di champagne, brindisi,<br />

musica e... il rombo terrorizzante del c<strong>anno</strong>ne», come riporta Raffaelli. Con<br />

l’invasione, l’arretramento <strong>della</strong> linea difensiva sul Piave, e, con effetto domino,<br />

la seconda ondata di profughi, da Soligo, Sernaglia, Mosnigo, Cison,<br />

Segusino, Valdobbiadene, Tarzo ecc. ecc., e con l’inoltrarsi <strong>della</strong> stagione<br />

l’acuirsi <strong>della</strong> penuria di viveri e parallelamente il prevalere delle ostilità<br />

sulla solidarietà.<br />

Tutto ciò è rivissuto con forte empatia e carica emozionale dai Racconti<br />

dell’invasione coordinati nella sorvegliata dinamica affabulatoria di Benito<br />

Buosi: la guerra, le sue vicende, i comunicati uffi ciali, sono sempre lì, turbano,<br />

ossessionano e talvolta modifi cano sostanzialmente la vita dei civili<br />

– come sappiamo da Ceschin –, ma Buosi ne registra la metabolizzazione,<br />

e così piccole faccende non sono meno curiose dei grandi eventi che st<strong>anno</strong><br />

sconvolgendo queste terre e le loro genti. È un intero mondo in continuo movimento,<br />

incapace di trovare uno stabile assestamento. Il campionario è assai<br />

variegato, come sono variegati l’estrazione sociale ed il grado di alfabetizzazione<br />

degli estensori di questi diari (sono poco meno di una quindicina quelli<br />

messi a frutto). Ma non v’è dubbio che il racconto di ciascuno si attesta su un<br />

limite ineludibile di verità storica che fa di questa eterogenea diaristica un<br />

documento tale che non può essere disconosciuto.<br />

E se comunque sul diario, sulla memoria si sovrappone pur sempre il fi ltro<br />

<strong>della</strong> formulazione individuale (scelta delle cose da dire o da tacere, enfasi,<br />

effi cacia ecc., formazione culturale, prospettiva religiosa ecc.), il documento<br />

amministrativo invece rappresenta quel limite di oggettività e di positività<br />

che ne qualifi ca il dato sic et simpliciter come storico fi no a prova di falso.<br />

Il dato è così privilegiato da Stefano Gambarotto che nel suo articolato<br />

contributo indaga i molteplici aspetti ‛materiali’ del rapporto civile-militare:<br />

dalle requisizioni alla forza-lavoro, in un persistente confl itto nel confl itto, o<br />

quanto meno una diffi cile convivenza: la guerra dell’acqua, la guerra <strong>della</strong><br />

legna, l’incetta dei bovini ecc. Aspetti noti sui quali Gambarotto fa il punto<br />

con dovizia di citazioni documentarie.<br />

Usciamo infi ne dall’emergenza bellica con i saggi di Vanzetto, Scattolin<br />

8


e Tessari. La guerra è ormai alle spalle, ma non mancherà di condizionare<br />

gli orientamenti del Paese. Così il Grappa «baluardo d’Italia», luogo eletto<br />

– con la Madonnina inaugurata nel 1901 dal futuro Pio X – a «simbolo <strong>della</strong><br />

fede e del cattolicesimo veneto», e in predicato di promozione – a guerra<br />

fi nita - quale «simbolo del patriottismo e <strong>della</strong> nazione», fallisce, nel trapasso<br />

dal ‘biennio rosso’ al fascismo, l’obiettivo di «baluardo <strong>della</strong> pace».<br />

La vittoria si portava pur dietro troppe ferite nel tessuto sociale e politico, e<br />

a fascismo imperante prevarrà la retorica del ‘monumento ai caduti’, come<br />

quello bellissimo di Treviso, in cui la Weltanschauung dello scultore Arturo<br />

Stagliano sarà ben mascherata dalla esaltata interpretazione dell’ ‘eroe’ quale<br />

piacque ad Augusto Vanzo.<br />

Di ricordi, di segni ‘di guerra e di petà’ è costellato tutto il nostro<br />

territorio, come emerge dalla puntuale ricognizione di Roberto Tessari, che<br />

si muove con occhio esperto su tutte queste tracce e sulla loro valenza – oltre<br />

che militare – civile ed emozionale: dalla ‘linea degli ossari’ ai parchi di<br />

rimembranza, fi no al ricordo privato e all’ex voto, che vivifi ca la memoria e<br />

fa accapponare la pelle del turista che, sul far <strong>della</strong> sera, sosta, in religiosa<br />

concentrazione, ad ascoltare la tromba del ‘Silenzio’ (cioè del rispetto) che<br />

i caduti domandano dal sacrario di Asiago. Nudi nomi scolpiti nel libro di<br />

bronzo…<br />

Ma solo per un momento la commozione del Tessari può distoglierci dalla<br />

considerazione che ogni guerra è – inevitabilmente – anche profi tto. L’indagine<br />

de La Riscossa sullo scandalo <strong>della</strong> lana, sulla speculazione perpetrata<br />

localmente ai livelli più alti, ricostruita ora da Francesco Scattolin, ci rituffa<br />

per un verso nella commedia ‘all’italiana’ (l’uomo di mondo, la segretaria<br />

amante, il ladruncolo, l’impiegato, il cugino ecc. ecc.), per l’altro nel peculato<br />

e nel malaffare. 41 imputati, di cui 17 condannati a pene varie, mentre<br />

il vero protagonista, commendator Arcangelo Cirmeni, uscirà praticamente<br />

indenne, simulando una follia asseverata dal primario stesso del manicomio<br />

provinciale… Strano malessere di un pubblico funzionario destinato colla<br />

piaggeria a far carriera a fascismo dispiegato: sindaco di Vibo Valentia, poi<br />

vice prefetto e uomo d’ordine, prodigatosi come pubblicista con scritti di ossequio<br />

al regime. E strana vicenda invece di un uomo – Guido Bergamo – che<br />

fu eroe <strong>della</strong> Grande Guerra, medaglia d’oro al valor civile, deputato repubblicano,<br />

ma quasi subito zittito dal fascismo debordante e riemerso dopo l’ultimo<br />

confl itto, ma ormai consunto dalle radiazioni che lo portarono a morte<br />

nel 1953, dopo una vita – non lunga – spesa nella scienza d’Ippocrate.<br />

9<br />

Steno Zanandrea


1918: attraversamenti sul fi ume Piave.<br />

MCRR.


DA CAPORETTO AL PIAVE<br />

Enzo Raffaelli<br />

Alle origini di una sconfi tta<br />

Il maresciallo Hindenburg, in un suo libro autobiografi co, scrive che la decisione<br />

di agire contro l'Italia sull'Isonzo venne presa solo dopo l'esito dell'11ª<br />

battaglia, con la quale il nostro esercito era giunto «all'orlo estremo» <strong>della</strong><br />

difesa di Trieste e gli austro-ungarici manifestarono il loro timore nell'esito di<br />

un altro attacco. Scrive in proposito il generale Roberto Bencivenga 1 : «Purtroppo,<br />

era precisamente la sensazione di avere infl itto un così duro colpo<br />

all'Austria, il motivo per il quale il generale Cadorna poté formarsi il preconcetto<br />

che una offensiva imponente degli Imperi Centrali contro la nostra<br />

fronte non fosse da attendere sul fi nire dell'<strong>anno</strong> 1917». 2 Il Comando supremo<br />

riteneva che si fosse comunque riusciti ad insinuare nello stato maggiore<br />

imperiale il dubbio di non essere in grado di resistere ad una successiva offensiva.<br />

Per questi motivi, e in considerazione <strong>della</strong> stagione, una offensiva<br />

importante sull'Isonzo, Cadorna la riteneva improbabile. A riprova del pensiero<br />

del generalissimo c'è quella piccola frase inserita in una lettera inviata<br />

al comandante <strong>della</strong> 2ª armata, generale Capello, il 20 ottobre, pochi giorni<br />

prima di Caporetto. Scrive Cadorna: «V.E. tenga presente che se nel venturo<br />

<strong>anno</strong> si pronunciasse uno sforzo imponente degli Imperi centrali […]» Ciò<br />

non signifi ca che il Comando supremo escludesse del tutto la minaccia nemica,<br />

ma la considerava, al massimo, un'azione tattica locale. Con una direttiva<br />

del 18 settembre, a fronte di notizie dei servizi di informazione, 3 Cadorna<br />

decide comunque di rinunciare «alle progettate operazioni offensive» e di<br />

predisporre la difesa ad oltranza. I quei giorni il servizio informazioni <strong>della</strong> 1ª<br />

armata, quella del Trentino, avvisava Udine, sede del Comando supremo, che<br />

il nemico stava preparando una massiccia offensiva e non sul fronte trentino<br />

nonostante tutti i trucchi messi in opera, compresa la visita dell'imperatore<br />

Carlo su quel fronte. Erano giunte segnalazioni sullo spostamento di truppe<br />

dal fronte trentino a quello dell'Isonzo; l'arrivo di una divisione bavarese nel<br />

basso Trentino; la partenza <strong>della</strong> 12ª divisione tedesca dall'Alsazia per il fronte<br />

italiano e lo spostamento di una quindicina di divisioni austro-ungariche<br />

1 R. Bencivenga, La sorpresa strategica di Caporetto, appendice a: Id., Saggio critico sulla<br />

nostra guerra, Udine, 1997.<br />

2 Ibidem, pag.15.<br />

3 In una informativa del 14 settembre veniva scritto che la Germania e l'Austria avevano la<br />

loro frontiera verso la Svizzera. Secondo gli informatori tale fatto poteva indicare l'intenzione<br />

di nascondere dei movimenti di truppe fuori del normale.<br />

11


dal fronte orientale a quello italiano. Alla luce di tutto ciò, verso la fi ne di settembre,<br />

l'uffi cio situazione del Comando supremo – fi nalmente – cominciava<br />

a considerare che non si poteva escludere a priori la possibilità di un'offensiva<br />

nemica, riteneva però il fronte dell'Isonzo escluso da gravi pericoli mentre in<br />

Trentino potevano verifi carsi attacchi a carattere dimostrativo. L'ottimismo<br />

pervicace di Cadorna comincia a barcollare i primi giorni di ottobre quando le<br />

notizie di un progettato attacco nemico giungono copiose. Scrive l'uffi cio situazione:<br />

«[…] qualora giungessero sul medio Isonzo le forze segnalate […]<br />

si potrebbe concludere per probabile l'offensiva sul medio Isonzo allo scopo<br />

di riprendere in tutto o in parte l'altipiano <strong>della</strong> Bainsizza». L'aiuto tedesco<br />

era comunque giudicato «molto limitato». Il 9 ottobre, con un telegramma al<br />

Comando supremo, Capello,comandante <strong>della</strong> 2ª armata, avvisa che alcuni<br />

disertori h<strong>anno</strong> confermato le notizie – già note e conclamate – di «un'offensiva<br />

sul fronte dell'armata» ed era accertata la presenza di truppe germaniche. 4<br />

Le notizie giungono ormai senza soluzione di continuità: sono segnalati uffi -<br />

ciali osservatori d'artiglieria tedeschi nella conca di Plezzo, artiglierie e bombarde<br />

sul rovescio dello Sleme etc. C'è tutto per capire che l'offensiva sarebbe<br />

partita tra Plezzo e Tolmino, settore del fronte tenuto dai Corpi IV e XXVII<br />

dell'armata di Capello e notoriamente debole. Ma – scriverà Cadorna più tardi<br />

– «Mancavano tutti quegli indizi che potevano indiscutibilmente assicurare<br />

l'approssimarsi di una grande operazione». Il capo supremo riteneva gli «indizi»<br />

insuffi cienti perché i movimenti di truppe, di artiglierie non erano vicini al<br />

fronte ma nelle «retrovie lontane». 5 Il 20 il Comando <strong>della</strong> 2ª armata comunicava<br />

le notizie che un uffi ciale disertore aveva informato che i tedeschi avrebbero<br />

sferrato l'attacco nella piana di Tolmino con obiettivo il massiccio del<br />

Kolovrat. 6 Il giorno dopo si presentarono alle nostre linee del Vodil altri due<br />

uffi ciali disertori che confermarono tutto aggiungendo che il fronte d'attacco<br />

previsto spaziava da Tolmino al mare con inizio il 25. Il 22, una stazione radio<br />

sullo Sleme intercettò notizie circa la data dell'inizio dell'offensiva: il tiro di<br />

distruzione dei grossi calibri dell'artiglieria nemica sarebbe cominciato il 24<br />

4 Le informazioni provenivano da un allievo uffi ciale di nazionalità serba, di sentimenti<br />

anti-austriaci, catturato la sera del 9. Riferisce che a Bischofl ack vi sono numerosi comandi<br />

e truppe tedesche presenti sin dal 18 settembre che lavorano alla costruzione di linee ferrate<br />

normali e a scartamento ridotto (Decauville). Grandi quantitativi di uomini e treni carchi di<br />

materiali e munizioni erano presenti nelle stazioni <strong>della</strong> linea Assling-Grahovo. Si veda lo<br />

schizzo relativo alle linee ferroviarie citate per capire che le truppe e i materiali erano destinati<br />

verso la testa di ponte di Tolmino.<br />

5 Abbiamo appena visto lo sforzo che i tedeschi stavano compiendo per potenziare le linee<br />

ferroviarie verso Tolmino. Fatto questo non ci voleva molto al trasferimento al fronte.<br />

6 L'uffi ciale riferisce che l'offensiva doveva già essere in corso, ma rimandata al 26 a causa<br />

del maltempo.<br />

12


alle 2 di notte. Alla fi ne, al Comando supremo a Udine, ma anche a Cormons<br />

sede di comando del generale Capello, tutti si convinsero che dall'altra parte<br />

si faceva sul serio, molto sul serio. Si cercò allora di correre ai ripari, «ma la<br />

sorpresa strategica era riuscita» 1<br />

Il piano d'attacco nemico era stato abbozzato già dopo la 10ª battaglia e<br />

prevedeva un massiccio e vigoroso attacco dalla testa di ponte di Tolmino. Gli<br />

austriaci volevano fare tutto da soli senza l'aiuto dell'alleato germanico. L'imperatore<br />

Carlo aveva chiesto ai tedeschi la sostituzione di alcune divisioni<br />

austriache schierate sul fronte orientale con altrettante germaniche per rinforzare<br />

il fronte d'attacco sull'Isonzo. I tedeschi, pur concordando per l'offensiva,<br />

non accettarono la soluzione proposta: inviarono invece il generale Krafft<br />

von Dellmensingen a fare una gita (così la chiamò lui stesso) sull'Isonzo per<br />

verifi care la possibilità di un'offensiva congiunta e risolutiva. Il generale,<br />

esperto <strong>della</strong> guerra in montagna, 2 condusse a termine la sua missione tra il<br />

2 e il 6 settembre concludendo che l'offensiva su quell'arco di fronte aveva<br />

buone probabilità di successo. Hindenburg approvò il piano contro l'Italia superando<br />

qualche perplessità da parte di Ludendorff che preferiva attaccare in<br />

Moldavia. Fu deciso di costituire un'armata – la 14ª - composta da sette divisioni<br />

germaniche, selezionate tra le migliori per la guerra in terreno montano,<br />

con un corredo di artiglieria di tutto rilievo, e otto austro-ungariche anch'esse<br />

scelte tra le migliori. Al comando dell'unità fu designato il prussiano Otto von<br />

Below, imposto dai tedeschi agli alleati che invece avevano un mente di affi -<br />

dare il comando al generale Alfred Krauss; capo di Stato maggiore il generale<br />

Krafft von Dellmensingen. Il piano austriaco prevedeva un'azione dalla testa<br />

di ponte di Tolmino lungo lo Judrio sino a minacciare lo schieramento <strong>della</strong><br />

2ª armata italiana. La cosa non si presentava facile perché c'era il concreto<br />

pericolo di un contrattacco sul fi anco, qualora la rottura del fronte dalla parte<br />

di Plezzo non fosse completa. Pensavano di aggirare la conca di Plezzo dalla<br />

parte del monte Nero, scendendo a Ternova e superando l'Isonzo. Von Below<br />

proponeva invece un obiettivo più vasto, assumendo come direttrice d'attacco<br />

la linea montuosa a destra del Natisone. L'inconveniente del piano derivava<br />

dal fatto che, perno su Tolmino, la conversione che doveva compiere l'ala<br />

destra diveniva maggiore proprio quando il terreno diventava più montuoso<br />

e diffi cile. «Krafft – Scrive Piero Pieri – apportò ai progetti in discussione<br />

una modifi cazione geniale e per noi fatale: una mossa da Tolmino, lato nord,<br />

1 Bencivenga, op.cit. pag.32<br />

2 Nel 1915 il generale Krafft, uffi ciale d'artiglieria, era stato inviato sul fronte delle Dolomiti<br />

anche se la Germania non era ancora in guerra con l'Italia. Egli era considerato il maggior<br />

esperto dell'esercito tedesco per la guerra in montagna.<br />

13


isalente l'Isonzo in modo da giungere più facilmente a Caporetto e alla stretta<br />

di Saga, senza attraversare il fi ume, non solo, ma da infi lare senz'altro la<br />

valle del Natisone all'ampia stretta di Staro Selo. In tal modo i due attacchi a<br />

Tolmino e a Plezzo, nella prima concezione alquanto slegati, venivano strettamente<br />

coordinati con un unico obiettivo, e la nostra ala sinistra presa in una<br />

terribile morsa». 3<br />

E tra Plezzo e Tolmino si aprì una voragine<br />

Il corso dell'Isonzo era controllato dagli italiani dalla conca di Plezzo,<br />

dove il fi ume sbocca dalle montagne, fi no al mare con l'esclusione <strong>della</strong> testa<br />

di ponte trincerata di Tolmino che aveva resistito a tutti gli attacchi dell'agosto<br />

1917. «Tra Plezzo e Tolmino c'è un triangolo sbilenco, di cui due lati<br />

sono formati dall'Isonzo, che scorre prima per 8 chilometri da Plezzo verso<br />

sud-ovest fi no alla stretta di Saga (da cui si può arrivare al bacino del Tagliamento),<br />

poi piega verso sud-est verso Tolmino, passando per la cittadina di<br />

Caporetto (30 chilometri). L'altro lato del triangolo è l'alta catena nord-sud<br />

da Plezzo a Tolmino, con il monte Nero e il Merzli (circa 25 chilometri in<br />

linea d'aria)». 4 La linea del fronte seguiva la catena montuosa da Plezzo a<br />

Tolmino, poi superava l'Isonzo con l'altopiano <strong>della</strong> Bainsizza e il Carso. Sul<br />

primo tratto era schierato il IV corpo al comando del generale Alberto Cavaciocchi<br />

(56 battaglioni e 450 pezzi di artiglieria). A Tolmino, di fronte alla<br />

testa di ponte austriaca la 19ª divisione del XXVII corpo di Badoglio 5 . Alle<br />

spalle dei due corpi in prima linea il VII corpo comandato dal generale Luigi<br />

Bongiovanni. 6 Dietro questo corpo, 7 quasi più nulla fi no a Udine, sede del<br />

Comando supremo. Le riserve del Comando supremo erano dislocate verso<br />

Palmanova tutte orientate verso la Bainsizza così come la maggioranza<br />

delle forze italiane. In merito al nostro schieramento il generale Bencivenga<br />

scrive: «Alla sera del 23 ottobre, lo schieramento delle nostre forze tradiva<br />

la sorpresa strategia nella quale era caduto il nostro Comando supremo. Lo<br />

schieramento infatti, non rispondeva a nessun disegno da parte nostra, né difensivo<br />

né controffensivo. Basterebbe il semplice rilievo che la densità delle<br />

forze sulla fronte Giulia andava crescendo da Plezzo al mare, cioè in ragione<br />

inversa <strong>della</strong> forza naturale delle posizioni e del loro apprestamento difensivo<br />

3 Piero Pieri, L'Italia nella prima guerra mondiale, Torino 1965, pag.141.<br />

4 Isnenghi – Rochat, La Grande Guerra 1914 – 1918, Firenze 2000 pag. 374.<br />

5 Le altre 3 divisioni del XXVII erano sulla sinistra dell' Isonzo.<br />

6 Il VII corpo, non ancora <strong>org</strong>anicamente ben defi nito, al 24 ottobre era composto da una<br />

trentina di smilzi battaglioni senza artiglieria.<br />

7 Le scarse e disomogenee unità che presidiavano le retrovie non avevano apprestamenti<br />

difensivi, erano praticamente accampate «perché il loro compito era di alimentare il combattimento<br />

sulla linea del fronte»(Rochat) e non predisposti alla difesa.<br />

14


e nella ragguardevole proporzione di 1 a 4, per escludere che rispondesse alle<br />

esigenze di difesa Plezzo – Tolmino 8 .<br />

Il fronte d'attacco scelto dall'armata Austro-Germanica presentava il tracciato<br />

di un saliente con il vertice al Monte Nero. Il vertice del saliente era forte<br />

mentre i lati vulnerabili: di fatto lo sfondamento di uno dei lati del saliente<br />

avrebbe provocato l'aggiramento del vertice. I tratti più deboli del saliente<br />

erano indicati dalla natura del terreno, a nord in corrispondenza <strong>della</strong> stretta di<br />

Saga e del passo di Za Kraju; da est la breccia poteva essere individuata dalla<br />

valle dell'Isonzo da Tolmino a Caporetto.<br />

Nella notte del 24 ha inizio la preparazione d'artiglieria, con granate a gas,<br />

che durerà quattro ore e un tiro di distruzione, con grossi calibri, breve – durerà<br />

solo due ore –, ma di una violenza e una precisione devastanti 9 . L'attacco<br />

nemico – scrive Piero Pieri:<br />

al Rombon era respinto sanguinosamente, in conca di Plezzo, grazie a potenti emissioni<br />

di gas, la prima linea era sfondata, e poscia anche la seconda, ma il nemico si fermava<br />

di fronte alla terza linea antistante alla stretta di Saga; nella zona fra Krasij e Vrsic, l'attacco<br />

era contenuto sulla linea di resistenza ad oltranza, e così pure al Monte Rosso, e di<br />

fronte al Mrzli era fermato dalla retrostante linea del Pleka. In complesso dunque la testa<br />

di ponte del Monte Nero aveva resistito tutta quanta. Ma in fondo valle e contro quasi<br />

tutte le posizioni davanti alla testa di ponte di Tolmino, dove l'attacco tedesco condotto<br />

da 4 grosse divisioni fu particolarmente violento, le difese degli esili reparti <strong>della</strong> 19ª divisione,<br />

non sostenuti dal tiro <strong>della</strong> nostra artiglieria, venivano su larghi tratti travolte: il<br />

IV corpo era preso alle spalle, e il VII corpo in parte avviluppato, in parte ridotto ad agire<br />

con contrattacchi slegati, tardivi di fronte a un nemico molto superiore di numero, e che<br />

8 L'affermazione del Bencivenga circa lo schieramento italiano giudicato non adatto alla<br />

controffensiva non trova conferma in diversi storici come Pieri, Caviglia, Rochat ecc. La<br />

stessa relazione uffi ciale italiana giudica lo schieramento italiano predisposto alla controffensiva,<br />

è per questo motivo che il grosso dell'armata di Capello, comprese le 3 divisioni del<br />

corpo di Badoglio gravitavano verso la Bainsizza.<br />

9 L'artiglieria germanica, contrariamente alla nostra, ma anche a quella austriaca, non<br />

faceva tiri di aggiustamento nei giorni precedenti l'attacco. Veniva sparata una sola granata<br />

fumogena sull'obiettivo prestabilito, gli osservatori valutavano il risultato e, a tavolino, si<br />

correggevano i dati di tiro. Prima dell'inizio dei tiri i dati venivano ancora corretti tenendo<br />

conto, <strong>della</strong> velocità del vento, <strong>della</strong> vivacità delle polveri ecc. da ciò l'estrema precisione ed<br />

effi cacia dei tiri.<br />

Nella lunga esperienza <strong>della</strong> guerra italo-austriaca i fanti drizzavano gli orecchi quando i tiri<br />

di aggiustamento del nemico si facevano più frequenti, era il segno che presto ci sarebbe stato<br />

un attacco. Vittorio Emanuele, che aveva il suo quartiere generale a Udine, poco distante dal<br />

Comando supremo, girava da un posto all'altro del fronte, armato di binocolo e macchina<br />

fotografi ca, per valutare i tiri di aggiustamento dell'artiglieria: e telefonare le sue impressioni<br />

a Cadorna.<br />

15


applicava con grande abilità la tattica dell'infi ltrazione e dell'aggiramento, giungendo con<br />

mitragliatrici alle spalle dei nostri, provocando disordine e scoramento i truppe, stanche,<br />

nuove dei posti, non addestrate per nulla alla battaglia manovrata […] 10<br />

La 12ª divisione Slesiana risale il fondo valle dell'Isonzo di corsa, passa<br />

in mezzo alle linee del XXVII Corpo senza che nessuno se ne avveda e, in<br />

perfetto orario sulla tabella di marcia preventivata, alle tre del pomeriggio<br />

le avanguardie sono alle prime case di Caporetto. 11 All'inizio <strong>della</strong> battaglia<br />

Caporetto – posizione strategica del nostro schieramento – era difesa solo da<br />

due reggimenti a fronte dell'intera 34ª divisione che doveva esserci e invece<br />

non c'era. «Orbene – scrive Bencivenga – questi due reggimenti, 12 quando già<br />

il nemico era da mezz'ora a Selisce, cioè a circa 4 chilometri in linea d'aria<br />

da Caporetto, sono mandati: uno a Saga, l'altro a guarnire la posizione del<br />

Volnik, la quale faceva sistema con quella del Monte Nero a protezione <strong>della</strong><br />

conca <strong>della</strong> Drezenca». Qualcuno si accorse che a Caporetto non c'era rimasto<br />

nessuno e rimandò uno dei reggimenti indietro verso Selisce, lungo la sponda<br />

sinistra dell'Isonzo. Così, quando i tedeschi corrono verso Caporetto lungo la<br />

sponda destra del fi ume, non ci sono reparti per tentare di sbarrargli il passo<br />

e possono piombare sulle nostre posizioni di artiglieria schierata immediatamente<br />

a est di Idersko. Di fronte a Tolmino le cose non andarono meglio:<br />

dietro la 19ª del XXVII Corpo di Badoglio c'erano due brigate la Elba, del<br />

VII e la Puglie del XVII. Ognuno dei Comandi in questione dette ordini alle<br />

proprie unità senza coordinarsi con l'altro creando confusione e sovrapposizioni.<br />

Il VII Corpo poi, che nelle intenzioni del Comando supremo e <strong>della</strong> 2ª<br />

armata, avrebbe dovuto fungere da riserva tattica e tenere i collegamenti con<br />

i due corpi avanzati (VIII e XVII) mancò completamente tale compito per<br />

la lontananza di alcune unità e per uno schieramento errato. Ad aggravare la<br />

situazione sulla sinistra <strong>della</strong> 2ª armata si aggiunse l'incredibile decisione di<br />

abbandonare la stretta di Saga. Un primo ordine di abbandonate l'importante<br />

posizione fu dato intorno alle 16 dal comandante interinale dell'armata. «A<br />

quale criterio si ispirasse il generale Montuori, il quale per il comando che<br />

rivestiva doveva essere in grado di rendersi conto delle conseguente strategiche<br />

che sarebbero derivate da tale abbandono, non si riesce a comprendere.<br />

Per fortuna quest'ordine non arrivò a destinazione, ma più tardi, e cioè alle<br />

10 Pieri, op. cit. pag 156.<br />

11 Nel marasma e nella sorpresa generale, il generale Farisoglio, comandante di una delle<br />

divisioni del IV Corpo venne catturato, unitamente al suo capo di Stato maggiore nell'abitato<br />

di Caporetto mentre cercava di allontanarsi.<br />

12 Erano <strong>della</strong> brigata «Foggia» che era formata da tre reggimenti anziché da due come la<br />

generalità delle brigate di fanteria dell'esercito Italiano.<br />

16


18, fu il comandante <strong>della</strong> 50ª divisione che di sua iniziativa diede l'ordine per<br />

l'abbandono <strong>della</strong> stretta di Saga e per il ripiegamento sulla fronte M.Guarda,<br />

Valle Uccea, Privi Hum, M. Stol. 13 […] La sterra di Saga costituiva una delle<br />

porte più pericolose per noi […] la sua difesa doveva essere considerata<br />

alla stregua dei forti di sbarramento, i quali non possono essere abbandonati<br />

senza l'ordine esplicito del comando cui spetta la condotta delle operazioni».<br />

L'abbandono frettoloso, inspiegabile tatticamente, <strong>della</strong> stretta di Saga<br />

meravigliò lo stesso generale Krafft il quale osservò che per la difesa <strong>della</strong><br />

stretta, formata da una gola rocciosa larga quanto la strada, sarebbero bastati<br />

un pugno di uomini e una sola mitragliatrice. Lo stesso generale tedesco non<br />

fi niva mai di meravigliarsi, ad esempio non riuscì mai a comprendere perché<br />

gli italiani, alla vigilia dell'attacco, non avessero abbandonato le posizioni più<br />

avanzate e vulnerabili. 14 Il ritiro dalla stretta di Saga comportò la perdita di<br />

tutte le truppe del IV Corpo, che dopo la distruzione del ponte di Caporetto<br />

e di Serpenizza rimasero imbottigliate e senza via di fuga. Inoltre – come osserva<br />

Bencivenga – «aprì la porta al nemico per realizzare un grande successo<br />

in campo strategico». 15<br />

A Udine – sede del Comando di Cadorna - occorrono delle ore perché ci<br />

si renda conto <strong>della</strong> realtà che si stava delineando sul campo. Il colonnello<br />

Gatti - aggregato al comando supremo in qualità di storico - nella pagina del<br />

suo diario del 24 scrive che alle 18 (quando i tedeschi erano a Caporetto dalle<br />

15 e l'intero IV era perduto) Cadorna, uscendo dal suo uffi cio, lo chiama, «è<br />

tranquillo, sorridente» e tra l'altro gli dice: «[…] non sappiamo con sicurezza<br />

dove sono i nemici. Quindi non possiamo nemmeno inferire che cosa possano<br />

fare». Tuttavia – scrive Gatti – «è indiscutibile, che alle 18, il generale<br />

Cadorna ha il pensiero diviso fra queste due possibilità: che il nemico faccia<br />

un «bluff» davanti a Tolmino, e attacchi in un altro punto, per esempio nel<br />

Carso, o che il nemico faccia sul serio davanti a Tolmino. Non è ben convinto<br />

che si possa attaccare da Tolmino a Caporetto. «Ci sono tre catene in mano<br />

nostra, dice: come fa a sboccare, sotto il tiro delle nostre artiglierie? Per esempio<br />

pigliamo la conca di Tolmino: come fa ad andare contro la formidabile<br />

posizione nostra […] se le nostre artiglierie dominano le strade di Volzana e<br />

dell'Isonzo?». Il colonnello, tranquillizzato dal suo Capo che nulla di grave<br />

poteva avvenire in quel che restava del giorno fatidico, subito dopo cena, va<br />

a vedersi un fi lm, torna al Comando intorno alle 22, lo trova «tutto illuminato»<br />

e in gran fermento. Ci sono tutti, il vice di Cadorna generale Porro, i<br />

13 Il comandante <strong>della</strong> divisione era il generale Giovanni Arrighi.<br />

14 Krafft von Dellmensingen, Der Durchbruch am Isonzo, Berlino 1929 (ed. italiana: 1917.<br />

Lo sfondamento dell'Isonzo, a cura di Gianni Pieropan, Milano 1981).<br />

15 Bencivenga, op.cit. pag.82.<br />

17


vari colonnelli <strong>della</strong> segreteria in piena agitazione. Gatti si avvicina con una<br />

certa trepidazione a Porro e chiede come v<strong>anno</strong> le cose. Porro, in linea con il<br />

ferreo ottimismo del suo capo, risponde: «non benissimo». Poi gli snocciola<br />

i dati conosciuti <strong>della</strong> situazione. Altro che « non benissimo». Non ci sono<br />

notizie <strong>della</strong> 43ª e 50ª divisione del IV Corpo, la perdita del Monte Piatto,<br />

lo Jeza, il Globocak, forse 20.000 prigionieri, tutti i c<strong>anno</strong>ni perduti. Scrive<br />

Gatti, sbalordito dalle notizie: «Guardo in faccia tutti. Il nemico, approfi ttando<br />

<strong>della</strong> nebbia, ha fatto fare ad alcuni suoi reparti 22 chilometri, per monti<br />

diffi cilissimi. I nostri se li son visti arrivare alle spalle. Il IV Corpo non ha<br />

resistito neanche un minuto. Il XXVII è stato anch'esso superato subito alla<br />

sinistra. Anzi, il IV Corpo accusa il XXVII di aver permesso all'avversario<br />

di fi lare dai ponti di Tolmino, per cost one fi no a Luico e Idersko, in modo da<br />

essere sulla destra dell'Isonzo, e alle spalle dei nostri.[…] Il capo ha detto che<br />

ritirerebbe tutto sul Tagliamento. La cosa è mostruosa e inconcepibile». 16<br />

Dunque, già dalla sera del 24 i giochi sembravano fatti. Il Comando supremo<br />

ha mobilitato quasi tutte le riserve disponibili; il giorno dopo il Comando <strong>della</strong> 2ª<br />

armata getta tutte le truppe che erano rimaste in inutili tentativi. La situazione ormai<br />

compromessa e già defi nita, le sorti <strong>della</strong> battaglia decise. Cadorna, che aveva<br />

previsto già alla sera del 24 la necessità si ritirarsi sulla linea del Tagliamento,<br />

ordinava alle due armate 2ª e 3ª di predisporre per la rimessa in effi cienza di quella<br />

linea. Non si era in grado di tamponare la falla che si era creata per la rottura<br />

del fronte, né si poteva pensare che truppe battute, avvilite, distrutte, delle quali lo<br />

stesso Cadorna aveva espresso giudizi taglienti, potessero arginare il dilagare del<br />

nemico. I generale si convince <strong>della</strong> ineluttabilità <strong>della</strong> manovra in ritirata e ordina<br />

alla 3ª armata, poco coinvolta nei combattimenti e dunque integra, di trasferire<br />

subito sul Piave le artiglierie di grosso calibro meno mobili e quindi d'intralcio<br />

per il ripiegamento. Poco dopo aver preso tale decisione, che sembrava oggettivamente<br />

inevitabile, 17 cambia idea, 18 o meglio cerca conferme sentendo il sostituto<br />

16 A. Gatti, Caporetto, dal diario di guerra inedito, a cura di Alberto Monticone, Bologna<br />

1964. Il diario di Gatti è stato recentemente ripubblicato, sempre dalla casa editrice il Mulino<br />

di Bologna. Si noti come il Comando supremo, fi n dal primo giorno, attribuisca la responsabilità<br />

maggiore dell'accaduto al IV Corpo che «non ha resistito neanche un minuto», mentre<br />

al XXVII di Badoglio, solo le accuse riferite dal generale Cavaciocchi, comandante del IV,<br />

senza commento.<br />

17 Lo stesso Capello al mattino del 25, prima di lasciare il Comando per essere ricoverato<br />

all'ospedale di Padova, aveva consigliato a Cadorna, prima verbalmente poi per iscritto, di<br />

ritirarsi sul Tagliamento per sottrarsi «allo stretto contatto e alla pressione nemica sotto la<br />

protezione d'una strenua difesa di retroguardie». .<br />

18 Dal diario del colonnello Gatti traspare con chiarezza che l'ipotesi di una ritirata dietro<br />

il Tagliamento è vista, nella cerchia del comando supremo, come una immane tragedia.<br />

Dopo aver combattuto, con risultati alterni, undici battaglie sull'Isonzo costate centinaia di<br />

migliaia di uomini, aver conquistato il S.Michele, Gorizia, il Sabotino e la Baisizza e proprio<br />

18


di Capello generale Montuori, 19 il quale avalla senza riserve il pensiero del capo<br />

sulla possibilità di resistere con il solo abbandono dell'altopiano <strong>della</strong> Bainsizza.<br />

Dunque, è deciso: resistenza ad oltranza sulla linea Montemaggiore-Korada,<br />

«fi no all'ultimo uomo» – tuona il Generalissimo. Questo è il nuovo verbo: tutte le<br />

riserve disponibili sono gettate nella fornace. La riserva è per defi nizione un'aliquota<br />

di forza alla mano di un comandante da utilizzare per contrastare azioni<br />

di sorpresa da parte del nemico.»L'insieme di tali forze viene anche detto forze<br />

libere, poiché sono svincolate da precisi compiti». 20 Ma tali forze devono essere<br />

alla mano, ossia impiegabili immediatamente in caso di bisogno e tutte, non a<br />

spizzico come invece avvenne. Abbiamo già accennato al VII Corpo che era una<br />

riserva solo nella testa di Cadorna – ammesso che abbia mai pensato realmente<br />

nelle capacità d'intervento effi cace di quel corpo d'armata - che era ancora in fase<br />

di costituzione all'inizio <strong>della</strong> battaglia. A quel Corpo «mancava l'attributo essenziale<br />

d'una riserva, ossia la mobilità». 21 Le riserve <strong>della</strong> mastodontica 2ª armata,<br />

erano sottostimate nel caso di una battaglia difensiva 22 . Ma il problema era che<br />

le unità erano tutte orientate alla conca di Gorizia e alla Bainsizza e a protezione<br />

degli sbocchi a sud <strong>della</strong> testa di ponte di Tolmino, non alla sinistra dell'armata,<br />

già debole di per sé. Scrive il Pieri sulla dislocazione delle riserve:<br />

Dunque riserve d'armata non rispondenti né per forza né per dislocazione alle esigenze<br />

<strong>della</strong> difesa dal punto di vista tattico, e un comando d'armata troppo lontano e oberato,<br />

per poter avere l'esatta e tempestiva sensazione del loro impiego. Non meno, e forse più<br />

inadeguate le riserve del Comando supremo. Non già venti o ventidue divisioni, ma otto<br />

o nove, oltre una sulla fronte trentina (114 battaglioni in tutto). Non solo, ma le riserve<br />

erano dislocate in due nuclei, fra Cividale e Cormons l'uno, presso Palmanova l'altro, ossia<br />

troppo a sud e troppo vicino alle prime linee. Il che è quanto dire, non utili in campo<br />

strategico. Così che la disposizione delle riserve del Comando supremo non valeva per<br />

quando sembrava che con un altro sforzo saremmo arrivati a Lubjana, l'abbandono di tutto<br />

doveva suonare bestemmia. Cadorna, nel mutare le proprie decisioni e tentare la difesa ad<br />

oltranza, può essere stato condizionato psicologicamente dall'umore che percepiva tra i suoi<br />

collaboratori.<br />

Lo stesso giovane aspirante Acquaviva, - nel diario che segue – apprende la decisione del<br />

ripiegamento come qualcosa di inaudito, da stentare a credere.<br />

19 Montuori era il vice di Capello quando assunse il comando dell'armata ad interim. È<br />

singolare che Montuori accettasse e condividesse la retromarcia di Cadorna circa la ritirata al<br />

Tagliamento quando verosimilmente, poche ore prima, aveva condiviso con Capello l'ipotesi<br />

contraria.<br />

20 R. Busetto, Il Dizionario Militare, Bologna 2004.<br />

21 P. Pieri, La Prima Guerra Mondiale 1914 –1918, Problemi di Storia Militare, Roma,1987,<br />

pag. 261. (La prima edizione fu pubblicata a Torino nel 1947).<br />

22 Un quinto <strong>della</strong> forza anziché la metà. La sottostima delle riserve tenute alla mano dal<br />

comando dell'armata di Capello conferma l'ipotesi che non si prevedeva un attacco di quelle<br />

proporzione sull'ala sinistra.<br />

19


San Donà di Piave sconvolta dai c<strong>anno</strong>neggiamenti. Foto aerea dell'ottobre 1918. MCRR.


Ponte di Piave 1918. MCRR.


nulla a correggere la cattiva dislocazione di quelle <strong>della</strong> 2ª armata. Esse inoltre erano per<br />

lo più inquadrate in brigate, e non in divisioni e Corpi d'armata, ed eran formate […] dalle<br />

brigate logore, mandate nelle retrovie per ricostituirsi.<br />

Quando Cadorna ordinò la resistenza fi no all'ultimo uomo sulla linea Montemaggiore-Korada<br />

era ormai troppo tardi, la linea stava per essere aggirata.<br />

Alla sera del 26 le poche truppe appena giunte sgomberarono in fretta. 23 Fu<br />

solo nell'apprendere questa notizia che Cadorna decise la ritirata al Tagliamento.<br />

Tra un ordine, un contrordine, un ripensamento si sono perse 36 ore.<br />

Già nel pomeriggio del 27 le avanguardie nemiche erano giunte a Cividale<br />

scendendo per la strada principale del Pulfero. Nelle stesse ore il Comando<br />

supremo lascia Udine e si trasferisce direttamente a Treviso, non dietro il Tagliamento,<br />

come sarebbe stato logico per coordinare l'affl usso dell'esercito in<br />

ritirata. L'ordine di ripiegamento assegna i ponti <strong>della</strong> Delizia alla 3ª armata,<br />

ponti fi no allora a disposizione <strong>della</strong> 2ª. Tale decisione costringe le truppe che<br />

erano state più provate dai combattimenti ad una marcia obliqua nella pianura<br />

friulana con il pericolo di essere attaccati sul fi anco. Inoltre Montuori decide<br />

di usare i corpi <strong>della</strong> Bainsizza per proteggere il fi anco <strong>della</strong> 3ª in ritirata dal<br />

Carso. Decisione discutibile in quanto a questo scopo erano già schierati i<br />

reparti superstiti dell'VIII corpo per cui – scrive Pieri – «quattro corpi <strong>della</strong><br />

2ª armata venivano così trattenuti per garantire il defl usso di altrettanti Corpi<br />

formanti la 3ª armata. Insomma un fi ancheggiamento del fi ancheggiamento».<br />

Dopo un certo tempo Montuori si convince dell'errore e chiede al Comando<br />

supremo a Treviso di consentire il passaggio dei tre Corpi sui ponti di Codroipo,<br />

ma da Treviso viene il veto: «È di supremo interesse condurre in salvo<br />

almeno la 3ª Armata che si conserva salda ed effi ciente»! Nella confusione<br />

generale si inserisce l'episodio dei ponti di Codroipo difesi da un velo di truppe<br />

dei resti dell'VIII Corpo. Le avanguardie nemiche, già alla sera del 29 sono<br />

al Tagliamento. Il fi ume non è guadabile a causa <strong>della</strong> piena, allora scendono<br />

sulla sponda sinistra aggirando, con la solita tattica, la difesa dei ponti. Questa<br />

situazione costringe in fretta e furia a far brillare le mine già predisposte.<br />

Alle 13 del 30, quando con un gran boato saltano i ponti, interi Corpi sono<br />

ancora sulla sinistra del fi ume, il nemico cattura un gran numero di prigionieri<br />

e ingente bottino. A quel punto non resta che ritirarsi dietro il Piave. Tutti i<br />

ponti sul Piave furono fatti saltare. <strong>L'ultimo</strong> fu quello <strong>della</strong> Priula dove un<br />

battaglione <strong>della</strong> brigata Sassari lo percorse al grido: Siamo gli ultimi!<br />

23 Sulla caduta di Montemaggiore il Pieri registra il parere espresso dallo storico militare<br />

Viktor Schemfi l, allora comandante del battaglione di Kaiser-jäger che occupò la cima di<br />

Montemaggiore, il quale asserisce che il ritiro degli italiani fu troppo frettoloso quando la<br />

situazione non era ancora compromessa.<br />

22


In pratica l'effi cienza operativa del nostro esercito risultò quasi dimezzata.<br />

Il successo di von Below e la rottura del fronte dell'armata tra Plezzo e Tolmino<br />

non era, di per sé, un fatto irreparabile. L'attaccante ha il vantaggio di<br />

scegliere il punto e l'ora dell'attacco, di impiegare uomini e mezzi in misura<br />

tale da surclassare e sorprendere il difensore: se gli stati maggiori pianifi cano<br />

seriamente la probabilità del successo iniziale dell'attacco è molto probabile.<br />

Sta a chi si difende predisporre le misure per contenere i danni dell'attacco e<br />

porvi rimedio. Cosa che a Caporetto non avvenne.<br />

Il nuovo fronte<br />

A Refrontolo, proprio sopra il Piave, c'è una bella villa con il cancello<br />

d'ingresso maestoso, Villa Antonietta, o Villa Spada dal nome <strong>della</strong> famiglia<br />

che vi risiedeva. Fino al 1866 il proprietario <strong>della</strong> villa era un alto funzionario<br />

imperiale come si può desumere dalla raccolta di documenti conservati nella<br />

barchessa <strong>della</strong> villa stessa. Maria Spada, allora giovane donna, abitava la<br />

villa di Refrontolo e dal 9 novembre 1917 fu costretta a condividere la casa,<br />

divenuta sede di un comando, con i nemici. 24<br />

«[…] i primi ad arrivare furono due uffi ciali austriaci a cavallo, poco dopo<br />

mezzogiorno, entrarono nel giardino ed uno avvicinandosi alla porta mi chiese,<br />

con cortesia, parlando in francese, se avevo un uovo[…] Verr<strong>anno</strong> gli austriaci?<br />

gli chiesi. «Sarà molto peggio, perché verr<strong>anno</strong> i tedeschi.»». Dopo<br />

alcune ore infatti entrarono a Villa Antonietta una ventina di uffi ciali e 150<br />

soldati con cavalli, biciclette e moto, al comando del capitano Korpim <strong>della</strong><br />

Breslavia. L'uffi ciale – scrive Maria - «sarà famoso guerriero, ma non gentiluomo<br />

[…] Mi intimò di scacciarmi dal castello, se non alloggiavo tutti. Gli<br />

invasori h<strong>anno</strong> scassinato ogni cosa, saccheggiato, portato via il fonografo, il<br />

mandolino ecc. e sporcato tutto». Il giorno 11, domenica, giunge alla villa il<br />

comandante del Corpo d'armata, barone von Stein. Il generale, «accompagnato<br />

da principi e baroni» si comportò meglio del capitano e «tutti s'inchinarono<br />

a madama del castello».Martedì 20 novembre «Il comando supremo è<br />

sempre in Villa Antonietta. Personaggi amanti del mangiare bene e molto;<br />

gustato assaissimo il vino <strong>della</strong> Villa e specialmente le bottiglie.» Sono i giorni<br />

in cui gli invasori preparano l'assalto fi nale al fronte italiano. L'ottimismo,<br />

per non dire l'entusiasmo, di assestare all'Italia il colpo mortale viene percepito<br />

anche nel piccolo mondo del paese. Scrive Maria Spada: «Refrontolo<br />

sembra una capitale: automobili a migliaia, autocarri, cavalli, truppa e trup-<br />

24 I brani che seguono sono ripresi dalle Memorie di Maria Spada conservate dal fratello<br />

Gino e stampate nel 1992 in un opuscolo dal titolo Diario dell'invasione. Episodi di vita<br />

quotidiana in un quadro di avvenimenti storici.<br />

23


pa… sui cancelli sventola la bandiera bianca rossa nera. Grandi personaggi<br />

sono arrivati a Villa Antonietta: generalissimo von Below, vincitore <strong>della</strong> Rumenia,<br />

comandante 14ª armata bavarese e Krafft von Dellmensingen, capo<br />

dello Stato Maggiore». Padrone di casa sempre von Stein che si è insediato<br />

nella camera migliore <strong>della</strong> villa. L'arrivo del comandante dell'armata però<br />

scombussola tutto e Stein trasloca in altra camera meno importante. Il 24 novembre<br />

giunge una delegazione con gli ambasciatori di Spagna, Svezia e<br />

Norvegia in visita al fronte. Alla sera «gran pranzo con 40 coperti. Le pareti<br />

adorne di pino intrecciato col colore germanico». Non mancarono «mandolinisti<br />

e violinisti, appositamente fatti venire […] Ore 11 di notte. Profusione di<br />

champagne, brindisi, musica e… il rombo terrorizzante del c<strong>anno</strong>ne». Mentre<br />

a poca distanza i soldati, di entrambe le parti erano costretti a vivere (quando<br />

andava bene) in condizioni estreme, al freddo, nel fango delle trincee, Villa<br />

Antonietta era tutta una festa. Il 30 arriva anche l'arciduca Eugenio «preceduto<br />

da molti generali. Colazione riservata in salotto. Menu stampato su cartoline<br />

di Villa Antonietta. Impossibile averne una da serbare – lo stesso granduca<br />

la ripose gelosamente». Per l'occasione alle pareti del salotto erano stati messi<br />

quadri raffi guranti Venezia la cui conquista era giudicata imminente. Il 2<br />

dicembre, dopo 22 giorni, «il Comando Supremo è ancora qui. Tutti si trovano<br />

molto bene. Non credevano però di trovare tanta resistenza sul Piave. Oh<br />

se l'avessero invece trovata ai nostri confi ni! S'impadronirono di tanta, tanta<br />

roba di tutti i generi. Al dire dei germanici, non ne possedevano tanta in tutta<br />

la Germania quanta ne trovarono da Udine a qui.» 25 Maria Spada, pur senza<br />

possedere elementi concreti di giudizio, rileva, come tanti altri in quei giorni,<br />

la contraddizione tra la rotta di Caporetto e la disperata resistenza sul Piave,<br />

Grappa e altipiani. La constatazione, da parte dei tedeschi, che le cose erano<br />

cambiate dopo la veloce galoppata dall'Isonzo al Piave, ha per conseguenza il<br />

ritiro delle divisioni per inviarle sul fronte occidentale, dove i francesi attaccavano<br />

anche per ridurre la pressione nemica sul fronte italiano. Von Stein e<br />

il suo comando lasciano la villa il 10 non prima di un ultimo banchetto in<br />

onore di 30 uffi ciali austriaci, nuovi inquilini <strong>della</strong> dimora. Alla proprietaria<br />

di villa Antonietta era rimasta una camera, quella che era stata <strong>della</strong> madre,<br />

che condivideva con le due domestiche. Il 23 dicembre, messa nella chiesetta<br />

<strong>della</strong> villa. Alla cerimonia viene invitata, dall'aiutante del generale Bolzano, 26<br />

anche Maria Spada che <strong>anno</strong>ta: «Mi colpì profondamente l'atto di un capitano,<br />

dall'aspetto fi ero. S'inginocchiò a pié dell'altare e ricevette la S. Comunio-<br />

25 Si noti che l'ottimismo iniziale degli austro-germanici lascia il posto alla sorpresa nel<br />

trovarsi davanti truppe che sul nuovo ed improvvisato fronte resistono strenuamente.<br />

26 Il generale Bolzano troverà la morte sul Montello durante la Battaglia dei Solstizio,<br />

combattuta dal 15 al 23 giugno 1918.<br />

24


ne. Dietro a lui tutti i suoi soldati. Era il condottiero degli arditi comandante<br />

<strong>della</strong> compagnia d'assalto, Conte <strong>della</strong> Scala, polacco, imparentato con la famiglia<br />

imperiale germanica. « L'aiutante del generale Bolzano era un nobile<br />

di buone maniere, barone Rudolf Feilitzsch, che spesso conversava con la<br />

padrona di casa. Una delle cose che più angustiava Maria era la proibizione di<br />

scrivere «in Italia» per avere notizie dei suoi cari. L'uffi ciale, alla pressante<br />

richiesta di Maria di poter inviare una lettera, pur confermando il divieto, rispose:<br />

«Scriva Madama e mi consegni la lettera». Il 30 gennaio, scrive Maria,<br />

«Per la prima volta dopo l'invasione ho visitato la mia santa Mamma, benedetta.<br />

Ho trovato la cappellina tenuta in ordine dalla custode, il camposanto<br />

ricco di tombe di soldati germanici e austriaci. Pare impossibile, perfi no nella<br />

morte la Germania tiene l'Austria soggetta, sotto il suo comando: il soldato<br />

germanico viene messo nella cassa, l'austriaco viene sepolto senza cassa.» 27<br />

Il 1° febbraio, attraverso la Gazzetta del Veneto, giornale italiano stampato a<br />

Udine, Maria legge fi nalmente una bella notizia: «Maria Spada Refrontolo<br />

(Conegliano). I fratelli st<strong>anno</strong> bene». Il 14 febbraio la brigata di von Bolzano<br />

lascia villa Antonietta per trasferirsi «in una casa dei coloni del farmacista a<br />

Pieve di Soligo». La mobilia per la casa, appositamente ristrutturata «a spese<br />

<strong>della</strong> brigata», proviene da Refrontolo con tanto di «protocollo con timbro<br />

<strong>della</strong> brigata, la quale si obbliga a far riportare ogni oggetto qui in casa, alla<br />

conclusione <strong>della</strong> pace». Il 23 marzo si presentò alla signora un colonnello<br />

«che parlava in veneziano», voleva riportare indietro la mobilia fi nita a Pieve<br />

di Soligo. Ma «la cosa si faceva un po' complicata dato il contratto fatto. Ci<br />

spiegammo e se ne andò soddisfatto», chiosa la padrona di casa. La domenica<br />

di Pasqua cadeva il 31 marzo e Maria non si risparmiò le Messe. Assistette<br />

addirittura a tre, una dopo l'altra, celebrate dal parroco del paese e da due<br />

cappellani, uno ungherese e l'altro greco cattolico. Gli italiani avevano diradato<br />

l'intensità delle artiglierie, ma gli aerei continuavano a scaricare migliaia<br />

di volantini propagandistici. Visto che le c<strong>anno</strong>nate erano ormai rare il 13<br />

aprile i soldati occupanti mettono in scena una gran festa con vari giochi (tennis,<br />

albero <strong>della</strong> cuccagna, corse varie con premi), insomma non sembrava<br />

che ci fosse la guerra: presente il comandante <strong>della</strong> brigata ospite <strong>della</strong> villa.<br />

Lo stesso generale dal nome impronunciabile di Sypniewski, il due maggio,<br />

si presenta alla signora Maria «in alta tenuta, con le decorazioni al collo e il<br />

27 Nelle note di Maria Spada traspare un profondo astio verso i tedeschi mentre è più<br />

tollerante nei confronti degli austriaci. Eppure sono proprio le truppe d'assalto austriache<br />

al comando del polacco conte <strong>della</strong> Scala che devastano la sala da pranzo e rubano quadri<br />

e suppellettili. Per quanto riguarda la sepoltura dei soldati caduti non credo che i tedeschi<br />

abbiano imposto alcunché ai loro alleati, semplicemente le disposizioni erano diverse da un<br />

esercito all'altro.<br />

25


Venezia: la fl otta austriaca viene consegnata all'Italia dopo l'armistizio. MCRR.<br />

Artiglieria austriaca catturata in Trentino. MCRR.


Castelfranco Veneto: 17 marzo 1918. Soldati in inglesi. ISTRIT.<br />

Castelfranco Veneto: 17 marzo 1918. Soldati francesi consumano il rancio. ISTRIT.


petto fregiato di medaglie e si congedò». Per la villa si trattava però solo del<br />

cambio d'inquilini. Infatti la sera stessa arrivano i nuovi. Si trattava di una<br />

brigata mista composta da austriaci, bosniaci, ungheresi e turchi dal rassicurante<br />

nome di La feroce. Il colonnello che comanda quella brigata quasi internazionale<br />

si presenta come da etichetta pronunciando il suo nome: «colonnello<br />

Kirschhoffer», che come pronuncia faceva il paio con il generale appena<br />

partito. Appena arrivati gli ungheresi «fecero venire a Refrontolo il cinematografo<br />

a favore delle vedove e degli orfani di guerra». I fi lm proiettati erano<br />

tutti italiani e dunque comprensibili. Il 27 maggio Maria riceve una cartolina<br />

dal fratello Gino. La posta arriva da Udine, ma la cartolina era stata spedita da<br />

Roma il 12 dicembre dell'<strong>anno</strong> precedente. Il 9 giugno – scrive Maria Spada<br />

– «Di giorno in giorno si aspetta la grande offensiva. Quest'ultimo comando<br />

fi nisce di requisire ogni cosa, animali, biancheria ecc. considera i civili come<br />

nemici». Il 14 giugno i segnali di quella che sarà la battaglia decisiva per gli<br />

austro-ungarici sono numerosi: «carri, autocarri, truppa. È partito il comando<br />

ed è giunto un ospedaletto da campo, con sacerdote e infermiere». Il giorno<br />

dopo – <strong>anno</strong>ta Maria – «alle tre di notte mi sono svegliata di soprassalto. Tutto<br />

tremava per il bombardamento terribile». Ma, nella concitazione <strong>della</strong> battaglia,<br />

qualcuno bussa alla porta con vigore. La padrona ordina alla cameriera<br />

di aprire, di andare a vedere, la cameriera torna lestamente e dice: «un soldato<br />

armato di tutto punto, in via di raggiungere i suoi, porta una lettera che<br />

deve rimanere soltanto nelle sue mani». «Mi vesto sgomenta temendo che mi<br />

fosse intimato di lasciare la casa, recito un Ave Maria e leggo. Era del barone<br />

Felitzsch che mi avvertiva che a causa dell'ordine improvviso di partire gli era<br />

impossibile farmi avere la mobiglia che si trovava in Federa: la mandassi pure<br />

a prendere essendo a mia disposizione […] Non potei fare a meno di pensare<br />

che agire così in simili circostanze signifi cava fare la guerra da gentiluomini».<br />

«Sabato 15 giugno. Gli austro- ungarici iniziano le loro offensive sul<br />

Piave. Riescono a passare il fi ume. Comincia lo stuolo dei prigionieri italiani<br />

ricevuti dalla popolazione con improperi». Ma passano pochi giorni e le cose<br />

cambiano. Il 17 «Aereoplani italiani, inglesi e francesi rompono i ponti che<br />

gli austriaci gettano ininterrottamente sul Piave». Sabato 22 giugno: la battaglia<br />

è alla conclusione, il tentativo di sfondamento del fronte del Piave, del<br />

Grappa e degli Altipiani è stato fermato. Gli austriaci, questa guerra l'h<strong>anno</strong><br />

ormai persa! A Refrontolo era tornata la brigata del generale Bolzano «meno<br />

il povero generale perito sul Piave. Gli arditi italiani lo videro piombare nella<br />

trincea gridando «vittoria, vittoria!» Gli intimarono di arrendersi, ma non ne<br />

volle sapere e morì pugnalato. Anche il suo cameriere era morto. Gli portava<br />

fi no al di là del Piave il pranzo attraversando il fi ume su una barchetta. Il pas-<br />

28


saggio fu fatto bene per due giorni; il terzo giorno il cameriere partì triste dicendo<br />

che non sarebbe più ritornato. Quel giorno la barchetta fu colpita e si<br />

capovolse con il cameriere e il pranzo». Lunedì 24 giugno: «Gli italiani respingono<br />

gli austro-ungarici dal fronte del Piave. L'offensiva è fallita, comincia<br />

la ritirata: e truppe, truppe, truppe si susseguono passando per Refrontolo».<br />

Nella confusione che seguì la ritirata non mancarono nel piccolo paese<br />

devastazioni e saccheggi. Finalmente il 27 «venuto un nuovo comando e con<br />

esso la quiete». Giovedì 4 luglio 1918: «Povera villa Antonietta. Il giardino è<br />

ridotto a campo attendato: la casa quartiere è abitazione per un colonnello di<br />

brigata e molti uffi ciali, caserma per tutti i soldati: ne dormono in doppia fi la<br />

per terra e perfi no dentro gli armadi dove in tempi migliori tenevo la biancheria<br />

di famiglia».<br />

20 luglio 1918: «Festa di S. Margherita patrona di Refrontolo. Povera triste<br />

sagra con lo spettro <strong>della</strong> fame davanti. Da otto mesi tutti i comandi h<strong>anno</strong><br />

sempre requisito ogni cosa. Le piantagioni sono distrutte dal passaggio dei<br />

cavalli e dei soldati. Si vedono donne e ragazze con il sacco sulle spalle che<br />

camminano, camminano sfi dando bombe e granate, avanzano imperterrite<br />

fi no al Piave per raccogliere le spighe di frumento. Talvolta sono sorprese<br />

dalle sentinelle e allora dopo aver sfi dato la morte si buscano la prigione e il<br />

sequestro di ogni cosa. Povere creature arrischiano la vita per provvedere ai<br />

vecchi e ai bambini e purtroppo vecchi e bambini ne muoiono ogni giorno di<br />

fame». 28 Domenica 4 agosto: «Ero alla Messa delle 10 quando cominciarono<br />

le granate. Tutti rimasero in chiesa. Ne caddero 6 vicino alle ville Uberti, Corradini<br />

e Colles. Scoppiarono sul terreno senza arrecare danni. Non è giunto<br />

nessun comando. Sembra strano vedere la casa vuota di soldati. L'aiutante<br />

del generale Sypniewski di passaggio ha detto che il barone Felitzsch rimase<br />

gravemente ferito nell'offensiva, ma salvo». Il 5 altre c<strong>anno</strong>nate italiane sul<br />

paese: 12 granate, con qualche d<strong>anno</strong>, ma senza vittime. Quel giorno arriva in<br />

villa un comando austriaco. Il 22 raid aereo con lancio di «biglietti scritti in<br />

diverse lingue. Gli uffi ciali austriaci sono indignati vedendo come si cerchi di<br />

aizzare gli sloveni contro il governo austriaco». 29 Il giorno dopo si fa vedere<br />

anche un aereo francese che «volando bassissimo abbatté stamane su Pieve di<br />

Soligo un aeroplano austriaco. I due piloti uccisi, un uffi ciale aviatore con le<br />

28 L'esercito austro-ungarico, negli ultimi mesi di guerra, viveva una drammatica situazione<br />

logistica: mancava di tutto, persino dei viveri per il sostentamento dei soldati. Il territorio<br />

occupato era ormai stato saccheggiato, non c'era più niente da prendere. Maria Spada mette<br />

bene in evidenza la situazione per quanto riguarda la popolazione civile che muore letteralmente<br />

di fame e di stenti.<br />

29 La stessa cosa l'avevano fatta gli aerei austriaci nei confronti dei soldati italiani, specie<br />

nel 1916 -17. Dunque niente di nuovo.<br />

29


gambe spezzate». Il 30, sotto una temporale, in tarda serata, «giunse in Villa<br />

Antonietta il comando <strong>della</strong> 12ª divisione di cavalleria appiedata 30 comandata<br />

dal principe Max Eugenio Furstenberg, parente dell'imperatore d'Austria.<br />

Stamane alle 11 il capo di stato maggiore venne a presentarsi. Il casato è turco<br />

e si traduce Mano Nera. Parla italiano. È cognato del conte Nicolò Papadopoli<br />

avendo sposato la sorella <strong>della</strong> contessa Elena. La villa fu messa in ordine<br />

e sulla riva fu piantato il telegrafo Marconi». Il principe comandante <strong>della</strong><br />

divisione di cavalleria appiedata il 16 settembre parte per Vienna «per la riapertura<br />

<strong>della</strong> Camera dei Signori. Il principe ogni mattina scendeva a cavallo,<br />

in tenuta inappuntabile, fi no al Piave e tornava a mezzogiorno tutto coperto<br />

di fango». Il giorno 18 rifl essione <strong>della</strong> padrona di casa: «[…] H<strong>anno</strong> portato<br />

via le carrozze. Il landau lo h<strong>anno</strong> totalmente distrutto: acquistato 40 anni fa<br />

da mio padre, fatto mettere a nuovo dalla mamma vent'anni fa, chiuse il suo<br />

servizio nobilmente trasportando la famiglia di mio fratello Gino al di là del<br />

Piave il 31 ottobre dello scorso <strong>anno</strong>». Si avvicinano i giorni <strong>della</strong> battaglia<br />

fi nale. Il 26 settembre «aerei italiani gettano biglietti raccomandando ai civili<br />

di premunirsi contro il gas. Così per me e per i miei domestici ho fatto preparare<br />

dei sacchetti con cenere, che imbevuti d'acqua si applicano alle narici<br />

e alla bocca.» 31<br />

Giungono a Maria Spada, evidentemente mediante gli ospiti <strong>della</strong> villa,<br />

notizie che f<strong>anno</strong> presagire la fi ne dell'immane confl itto: il 1° ottobre, la Bulgaria,<br />

ormai stremata, ha chiesto l'armistizio. Il 6 «Gli imperi centrali chiedono<br />

la pace lasciando arbitro il presidente degli stati Uniti». E però «secondo i<br />

giornali», nota la Spada, «Wilson dichiara che per trattare la pace gli eserciti<br />

nemici devono ritirarsi nei loro confi ni». Il giorno 13 a Refrontolo, prima linea<br />

del fronte, la situazione è quasi idilliaca. Scrive Maria: «Clelia Uberti mi<br />

offre un piccolo ramoscello di ulivo quale annuncio di pace. Qualche uffi ciale<br />

lo ha pure sul berretto. Dicono che Vienna sia tutta imbandierata». Giovedì<br />

24 ottobre, giorno dell'inizio dell'offensiva italiana, una brevissima nota: «È<br />

desiderio di tutti gli uffi ciali e soldati di tornate alle loro case».<br />

Si sta combattendo l'ultima battaglia, quella che porterà uffi cialmente alla<br />

fi ne <strong>della</strong> guerra. L'esito era scontato: la poderosa armata imperiale e regia<br />

dell'impero si stava sfaldando. Nessuno aveva più voglia di combattere. Alcuni<br />

reggimenti ungheresi si erano ammutinati: gli uffi ciali e i soldati chie-<br />

30 <strong>L'ultimo</strong> <strong>anno</strong> di guerra l'esercito austro-ungarico aveva appiedata la quasi totalità delle<br />

unità di cavalleria per mancanza di cavalli e foraggio. I soldati di cavalleria vennero impiegati<br />

come fanti.<br />

31 Singolare il fatto che nella villa, con tutti i comandi che si erano avvicendati (anche in<br />

quei giorni ce n'era uno), nessuno abbia munito la padrona di casa e il personale <strong>della</strong> villa<br />

di maschere antigas.<br />

30


devano di rientrare in patria per difenderne i confi ni. Eppure l'<strong>org</strong>oglio di un<br />

esercito pieno di tradizioni, anche gloriose, non mancò all'ultimo appello rendendo<br />

vita dura a italiani, inglesi e francesi al passaggio del Piave, sul Grappa<br />

e sugli Altipiani. Ma dietro quel velo di uffi ciali e soldati che fi nivano la loro<br />

guerra con dignità e valore, meritando l'unanime rispetto, non c'era più niente<br />

e, una volta a Vittorio Veneto, linea di congiunzione delle due armate imperiali,<br />

rimaneva solo il vuoto. La situazione nella grande villa di Refrontolo è<br />

surreale. Il pomeriggio di sabato 26, dalle 16 alle 18, nel giardino <strong>della</strong> villa<br />

si esibisce la banda musicale militare quando «giunge improvvisamente a cavallo<br />

il generale Sypniewski e s'intrattiene per circa un'ora con il colonnello<br />

Serda. Questi mi chiese poi se avessi un luogo adatto per ripararmi nel caso ci<br />

fosse battaglia. «Speriamo che non ci sia battaglia». Ed egli mi rispose: «chi<br />

lo sa?»» E infatti battaglia vi fu ed ebbe inizio «alla mezzanotte tra il 26 e il<br />

27 ottobre […] Nella notte il bombardamento divenne straordinariamente intenso.<br />

Io e le mie donne ci alzammo e recitammo il rosario di 15 misteri. Alle<br />

6,30 partì la divisione con il colonnello Serda […] Gli austriaci si difendevano<br />

bene». 28 ottobre: «Stanotte non mi sono coricata. A centinaia le granate<br />

passano a poca distanza dalla villa. Il loro sibilo e lo scoppio sono impressionanti.<br />

Alcune cadono nella buca del castagneto vicino alla villa». Martedì 29<br />

ottobre: «Refrontolo è tra due fuochi. Pioggia di granate italiane; i c<strong>anno</strong>ni<br />

austriaci dal tempietto rispondono. Gli austriaci si ritirano onoratamente. Da<br />

due giorni i civili st<strong>anno</strong> nascosti nelle case. Oggi a mezzogiorno il sig. Aristide<br />

Serra, vecchio veterano, viene a dirmi commosso che gli italiani h<strong>anno</strong><br />

passato il Piave e che fra poche ore sar<strong>anno</strong> a Refrontolo. Sia ringraziato Dio!<br />

[…] Alle 7 di sera […] sento un leggero fruscio. Entrano due soldati austriaci<br />

disarmati, che più a gesti che a parole mi chiedono supplicanti un nascondiglio<br />

per darsi prigionieri; indico loro la cucina esterna. Rimango alzata tutta la<br />

notte per ricevere gli italiani». Mercoledì 30 è l'ultima <strong>anno</strong>tazione di Maria<br />

Spada: «Stamani sono passati gli arditi. Dopo 94 ore di granate continue sono<br />

salva. Una granata penetrando dalla fi nestra <strong>della</strong> rimessa aveva scavalcato 4<br />

cassette di granate austriache e si era fermata inesplosa; un'altra aveva attraversato<br />

la bigattiera entrando da una fi nestra e uscendo da un'altra, uccidendo<br />

due soldati e cadendo inesplosa in giardino; molte altre sono cadute nelle<br />

vicinanze; una austriaca di piccolo calibro esplodendo aveva scalfi to il muro<br />

<strong>della</strong> villa dal lato di levante; un'altra aveva colpito un grosso albero. Ore 2<br />

pomeridiane entrano in Villa Antonietta i bersaglieri con il generale Clerici<br />

comandante <strong>della</strong> 5ª brigata. Espongo alla fi nestra il tricolore italiano!»<br />

31


Donne impegnate nella costruzione di trincee. ISTRIT.


IL SISTEMA DIFENSIVO DEL VENETO E DEL FRIULI<br />

DURANTE LA PRIMA GUERRA MONDIALE<br />

Andrea Castagnotto<br />

Considerazioni generali<br />

Compiuta l'unifi cazione nazionale, nel 1870 fu nominato Ministro<br />

<strong>della</strong> Guerra del nuovo Regno d'Italia il generale Cesare Ricotti Magnani<br />

che intraprese in breve tempo una importante azione di rinnovamento dell'<br />

esercito. Tra le tante scelte adottate fu deciso di procedere allo sviluppo<br />

di una serie di fortifi cazioni ai confi ni del Regno e all'interno del territorio<br />

nazionale dove fosse necessario. Negli anni precedenti si era anche provveduto<br />

all'ampliamento delle piazzeforti di Pavia, Piacenza e Pizzoghetone e alle<br />

fortifi cazioni di Bologna che aveva assunto una importante funzione strategica<br />

dopo il trasferimento <strong>della</strong> capitale a Firenze e per il controllo dei collegamenti<br />

da nord a sud <strong>della</strong> penisola.<br />

Successivamente fu previsto:<br />

1. un ulteriore potenziamento delle fortezze di Piacenza e di Bologna con<br />

la costruzione dei relativi campi trincerati predisposti attorno alle città<br />

stesse;<br />

2. la costruzione a Cremona di una testa di ponte per assicurare un ulteriore<br />

passaggio sul fi ume Po;<br />

3. la costruzione di una nuova piazza d'armi a Guastalla e Reggio Emilia;<br />

4. la chiusura con opere di sbarramento delle strade che attraversavano<br />

l'Appennino;<br />

5. la costruzione delle ferrovie La Spezia-Genova e Sarzana-Parma;<br />

6. l' apertura di strade di arroccamento sull'Appennino per il collegamento<br />

dei nuovi forti costruiti.<br />

In questo periodo fu istituita una Commissione Permanente per la Difesa<br />

dello Stato con il compito di dare un assetto razionale alle strutture di difesa<br />

del nuovo Stato e che adeguò i risultati dei propri lavori alla mutata situazione<br />

politica venutasi a creare con l' annessione al Regno d'Italia del Veneto, di<br />

Roma e del Lazio. Pertanto oltre a quanto sopra riportato, si ipotizzò di fortifi<br />

care anche la linea del confi ne in montagna, con la costruzione di idonee<br />

strutture di difesa, chiamate forti, su tutte le strade che portavano e attraversa-<br />

33


vano il confi ne stesso. Fu anche ipotizzato di proteggere la linea dell'Isonzo,<br />

con la previsione di fortifi care le città di Sacile e di Motta di Livenza. Molte<br />

di queste proposte non vennero realizzate a causa <strong>della</strong> situazione economica<br />

di allora e del defi cit del bilancio statale sempre incombente. Anche la proposta<br />

di fortifi care la città di Roma, la capitale del Regno e sede <strong>della</strong> struttura<br />

centrale dello Stato, fu momentaneamente sospesa. A partire dal 1876 i progetti<br />

di difesa del territorio nazionale ripresero il loro iter procedimentale e si<br />

provvide inizialmente alla costruzione dei forti a difesa <strong>della</strong> città di Roma.<br />

Nel 1880 il Comitato di Stato Maggiore, iniziò ad elaborare un piano dettagliato<br />

delle località e delle opere interessate alla loro realizzazione. Per quanto<br />

riguarda il Nord Est del nostro Paese, furono ipotizzati degli sbarramenti<br />

sulle principali strade che portavano oltre la frontiera con opere permanenti<br />

in Cadore ed in Friuli. Si incominciò infatti a paventare il pericolo di un possibile<br />

confl itto con l' Austria (poi nostra alleata con la Germania all' interno<br />

<strong>della</strong> Triplice Alleanza) e quindi <strong>della</strong> necessità di proteggere i nostri confi ni<br />

con l' Austria stessa. Si propose anche la costruzione di alcuni forti a Mestre,<br />

sulla terraferma veneziana, di due teste di ponte a Ponte <strong>della</strong> Priula e a Ponte<br />

di Piave, il rafforzamento delle vecchie fortezze del cosiddetto «Quadrilatero»<br />

(Verona, Peschiera, Mantova e Legnago) e di alcune opere in montagna<br />

(verso il Trentino) e sul lato sinistro dell' Adige. Nel 1885 il nuovo Capo di<br />

stato Maggiore dell' Esercito generale Enrico Cosenz, prese seriamente in<br />

considerazione l'ipotesi di un confl itto con l' Austria provvedendo alla stesura<br />

di un nuovo studio circa l' offensiva e la difensiva dell' Esercito a Nord Est.<br />

Questo studio, articolato in più punti prevedeva:<br />

1.<br />

2.<br />

3.<br />

4.<br />

5.<br />

la costituzione di un Corpo d'Armata Speciale operante in Friuli con il<br />

compito di trattenere il più a lungo possibile il nemico, che era in questo<br />

caso l'Impero austro-ungarico;<br />

di effettuare lo schieramento principale delle forze di difesa italiane sul<br />

Piave;<br />

di costituire la principale linea difensiva che univa il Cadore, il Monte<br />

Cavallo, il Bosco del Cansiglio, i Colli di Vittorio Veneto e Conegliano, il<br />

Montello ed il Piave fi no al mare. Sul Piave era prevista la realizzazione<br />

di tre teste di ponte in località Ponte <strong>della</strong> Priula, Ponte di Piave e San<br />

Donà di Piave;<br />

la costruzione di fortifi cazioni nell'area dell' altopiano dei Sette Comuni<br />

(Asiago) e <strong>della</strong> Valsugana;<br />

l'avanzata in caso di guerra verso Vienna, attraverso il Trentino e Dobbiaco.<br />

34


Come evidenziato da numerosi studiosi in materia, il piano di Cosenz fi ssava<br />

alcuni criteri importanti per la guerra contro l' Austria che sar<strong>anno</strong> utilizzati<br />

anche successivamente per molti anni.<br />

I progetti dell'Austria<br />

Anche l'Austria, da parte sua, aveva provveduto a fortifi care fi n dagli inizi<br />

del 1800 alcune località del suo Impero ritenute essenziali ai fi ni <strong>della</strong> sicurezza<br />

del Lombardo-Veneto. Nel 1832 fu potenziata la difesa di Verona, che<br />

costituiva, come già detto, un angolo di una vasta area fortifi cata chiamata il<br />

«Quadrilatero» e posta a difesa del fi ume Mincio. Nel periodo 1835-1838 in<br />

Alto Adige vennero costruite le opera di difesa di Fortezza per il controllo<br />

del Brennero e <strong>della</strong> val Pusteria e successivamente le opere di sbarramento<br />

a difesa <strong>della</strong> valle dell'Inn. Successivamente venne anche potenziata la piazzaforte<br />

di Trento che era stata minacciata dai garibaldini nel 1866. A partire<br />

poi dal 1896 e negli anni successivi si realizzarono alcune opere moderne di<br />

fortifi cazione corazzate, situate negli Altopiani trentini di Vezzena, Lavarone<br />

e Folgaria. È da ricordare che alcuni di quei forti progettati non vennero mai<br />

realizzati per la presenza di contrasti e di diverse valutazioni sorti all'interno<br />

del Governo austriaco ed in particolare tra il Ministro degli Esteri (contrario<br />

alla loro realizzazione), il capo di Stato Maggiore dell' Esercito, alcuni elementi<br />

<strong>della</strong> Corte imperiale e, inizialmente, anche il principe ereditario. Allo<br />

scoppio del primo confl itto mondiale solo un terzo delle opere progettate in<br />

Trentino vennero realizzate. Inoltre non vennero realizzate le opere difensive<br />

del Pasubio, di Ala del Garda e il sistema difensivo di Trieste e di altre località<br />

montane.<br />

Le modifi che di Cadorna<br />

Per quanto riguarda il Piave, nel 1911 il generale Cadorna futuro Capo di<br />

Stato Maggiore Generale, e in quel periodo solo comandante di Corpo d'Armata,<br />

fece alcune importanti osservazioni al progetto originario del Cosenz.<br />

Tutte queste osservazioni furono successivamente utilizzate dal Cadorna nel<br />

1916, quando dopo l'offensiva austriaca del Trentino poi fallita (la Strafexpedition),<br />

fece iniziare i lavori di difesa <strong>della</strong> pianura veneta, la fortifi cazione<br />

del Grappa, del Montello, del Piave ed i primi lavori di predisposizione del<br />

Campo Trincerato di Treviso. Detti lavori furono completati in parte nel 1917<br />

e poi nel successivo <strong>anno</strong> di guerra. Nell'ispezionare questi lavori, alla fi ne<br />

del 1916, affermò infatti, come riportato in molte pubblicazioni relative a<br />

quel periodo: «Il Grappa deve riuscire imprendibile. Deve essere fortissimo<br />

da ogni parte, non soltanto verso occidente. Se dovesse avvenire qualche di-<br />

35


sgrazia all' Italia, io qui verrò a piantarmi … Laggiù l'Altopiano di Asiago<br />

e le Melette, qui il Grappa, a destra il Monte Tomba e il Monfenera, poi il<br />

Montello ed il Piave. In caso di disgrazia, ripeto, questa è la linea che occuperemo».<br />

Del progetto originario il Cadorna ritenne opportuno eliminare le<br />

tre teste di ponte previste oltre il Piave, ridimensionare le linee di difesa che<br />

secondo i progetti originari avrebbero dovuto far perno sul Cansiglio, spostandole<br />

sul Grappa e sul Montello. Rimase valida, potenziandola, l' idea di<br />

procedere alla difesa di Treviso e di altre città <strong>della</strong> pianura veneta. I concetti<br />

che ispirarono a livello teorico le decisioni di fortifi care la linea del Piave e la<br />

pianura trevigiana e veneta sono dettagliatamente elencate nel capitolo XIII<br />

del volume La guerra alla fronte italiana di Luigi Cadorna (Milano 1922),<br />

riportate integralmente nei documenti del volume V <strong>della</strong> Relazione Uffi ciale<br />

sulla partecipazione dell'Esercito Italiano alla grande guerra ed al quale si<br />

rinvia per una migliore e più dettagliata conoscenza dell' argomento.<br />

Le difese in montagna<br />

Per quanto riguarda la difesa del fronte montano tra il Veneto ed il Trentino<br />

e tra la Lombardia e il Trentino, si decise nel 1909 di fortifi care anche la linea<br />

che va dallo Stelvio al Monte Grappa, passando per l' Altopiano di Asiago e<br />

per terminare fi no al Cadore. Il progetto iniziale subì delle modifi che poiché<br />

i lavori di fortifi cazione del fronte montano risultarono molto più vasti di<br />

quelli preventivati. Nel 1914 quasi tutti i forti previsti erano stati costruiti, di<br />

molti si raggiunse la defi nitiva costruzione solo nell' imminenza <strong>della</strong> guerra.<br />

Il 6 dicembre 1914 tutte le opere costruite erano pronte per aprire il fuoco.<br />

Restavano incompiute quelle del Monte Toraro (che non verrà costruita), del<br />

Monte Campomolon (che entrerà in guerra non ultimata) e del Monte Ritte,<br />

che verrà collaudata solo il 14 agosto del 1915. L'obiettivo principale delle<br />

opere realizzate al confi ne era quello di trattenere un eventuale esercito invasore,<br />

permettere all' esercito una volta mobilitato di raggiungere la linea del<br />

confi ne e di funzionare da caposaldo per una successiva controffensiva.<br />

Il Campo Trincerato del Tagliamento<br />

Negli anni precedenti la prima guerra mondiale fu progettato e realizzato<br />

anche il sistema difensivo del Friuli, predisposto lungo il fi ume Tagliamento, da<br />

cui il nome «linea del Tagliamento» o «Campo Trincerato del Tagliamento».<br />

Tale progetto prendeva in considerazione l'ipotesi di un eventuale attacco<br />

austriaco dalla parte ad est del confi ne dello Stato (Carnia e Isonzo) ed anche<br />

in questo caso le fortifi cazioni progettate avevano il compito di ritardare<br />

il più possibile (con la presenza del Corpo d' Armata speciale) l' avanzata<br />

36


del nemico e permettere al grosso dell' esercito di raggiungere la zona di<br />

invasione, fi no alla successiva controffensiva. La linea del Tagliamento era<br />

divisa in tre settori:<br />

• l' Alto Tagliamento (a nord di Osoppo, lungo la valle di Ampezzo e il canale<br />

del Ferro);<br />

• il Medio Tagliamento (tra Udine, Tarcento, Osoppo e San Daniele);<br />

• il Basso Tagliamento (nella pianura Friulana).<br />

I lavori di allestimento del Campo Trincerato del Tagliamento furono interrotti<br />

con l'inizio <strong>della</strong> prima guerra mondiale e non furono mai totalmente ripresi. I<br />

forti furono disarmati e le batterie furono utilizzate, con altro materiale, sul<br />

fronte dell' Isonzo. Nei primi tre anni di guerra elementi del sistema difensivo<br />

furono utilizzati anche come depositi, caserme per le truppe ed altro. Nei giorni<br />

convulsi di Caporetto, furono fatti dei tentativi per un suo riattivamento, ma<br />

essi non portarono a risultati concreti. A questo proposito occorre ricordare<br />

i fatti <strong>della</strong> testa di ponte del Monte Ragogna sul Medio Tagliamento e del<br />

ponte di Pinzano con la eroica resistenza e distruzione <strong>della</strong> Brigata di Fanteria<br />

«Bologna», utilizzata per tentare di fermare in condizioni estreme l'invasione<br />

austro-tedesca. Parti <strong>della</strong> linea del Tagliamento furono poi utilizzati anche nella<br />

seconda guerra mondiale e durante la guerra fredda fi no agli anni immediatamente<br />

successivi alla caduta del muro di Berlino, come linea difensiva di arresto in<br />

caso di invasione da parte di Paesi del Patto di Varsavia.<br />

Il sistema difensivo <strong>della</strong> pianura veneta<br />

Il complesso difensivo presente nella pianura veneta alla data del giugno<br />

del 1918, appena prima <strong>della</strong> Battaglia del Solstizio e nel quale era anche<br />

inserito il Campo Trincerato di Treviso risultava costituito, nelle sue linee<br />

essenziali, da otto sistemi difensivi di diverse estensioni e con differenti localizzazioni<br />

e funzioni. Questi sistemi erano così denominati:<br />

• 1°, 2° e 3° sistema difensivo;<br />

• sistema difensivo del Musone;<br />

• sistema difensivo del Brenta;<br />

• sistema difensivo del Bacchiglione;<br />

• sistema difensivo Lessini-Adige-Po;<br />

• sistema difensivo Mincio-Po.<br />

Il 1° sistema difensivo correva ininterrottamente da Piz Umbrail, al confi ne<br />

37


italo-svizzero nel Gruppo del Bernina delle Alpi Retiche, al mare (o meglio<br />

dallo Stelvio al mare) seguendo sul terreno il tracciato dello schieramento<br />

più avanzato dell' Esercito. Il 2° sistema difensivo appoggiava la sua estremità<br />

sinistra alla sponda orientale del Lago di Garda e da qui seguiva quasi<br />

parallelamente, a distanza quasi mai superiore ai due chilometri, l'andamento<br />

<strong>della</strong> linea arretrata del 1° sistema difensivo fi no al mare. Il 3° sistema difensivo<br />

si appoggiava anch'esso sul Lago di Garda e si sviluppava lungo le<br />

pendici settentrionali dei Monti Lessini per poi proseguire a sud sulla linea<br />

Schio-Thiene-Marostica-Montebelluna. Dopo aver incrociato la linea ferroviaria<br />

proveniente dalla Valle del Piave, si spostava ad est congiungendosi<br />

con il Campo Trincerato di Treviso del quale faceva parte. Gli altri cinque<br />

sistemi difensivi (Musone, Brenta, Bacchiglione, Adige, Mincio) non seguivano<br />

la numerazione dei tre precedenti, ma traevano la loro denominazione<br />

dall' ostacolo fl uviale al quale ognuno si appoggiava «potenziandone il livello<br />

del valore impeditivo» (vedi la Relazione Uffi ciale indicata in bibliografi a).<br />

L'andamento delle linee difensive ubicate nel territorio trevigiano, più o meno<br />

parallele al corso del fi ume Piave e il loro fronte difensivo rivolto ad est, ne<br />

indicavano lo scopo che era quello di arginare e logorare fi no all' esaurimento,<br />

attraverso una serie di resistenze prolungate nel tempo e nello spazio, una<br />

eventuale offensiva austriaca che avesse assunto vaste proporzioni come nel<br />

caso <strong>della</strong> battaglia di Caporetto.<br />

Tra i cinque sistemi difensivi, quello del Bacchiglione era il più articolato<br />

perché interessava e si collegava, oltre a numerose località del Veneto, sopratutto<br />

le città di Vicenza e Padova difese dai rispettivi campi trincerati e le<br />

difese <strong>della</strong> laguna e <strong>della</strong> città di Venezia. Il sistema Mincio-Po era l'ultimo<br />

dei sistemi difensivi predisposti nella pianura veneta ed era considerato come<br />

l'ultima difesa da opporre agli austriaci nel caso che essi avessero superato<br />

tutte le altre linee difensive predisposte nella pianura e che fossero riusciti a<br />

penetrare ulteriormente nel territorio del Veneto. A completamento di quanto<br />

sopra riportato è interessante ricordare che era previsto nelle estreme circostanze<br />

anche l'allagamento del territorio compreso fra il corso terminale del<br />

Mincio e la laguna di Chioggia, lungo tutta la sponda nord dell'Adige, mediante<br />

opere di deviazione, apertura di varchi e tagli degli argini. Per la totale<br />

inondazione di questo vasto territorio, sarebbero occorsi circa venti giorni,<br />

ma già al decimo giorno dall'inizio dei lavori di allagamento, sarebbe stato<br />

raggiunto un notevole contrasto alla eventuale discesa degli austriaci.<br />

Ulteriori misure sarebbero inoltre state adottate per il controllo delle opere<br />

di deviazione e dei varchi prodotti e per mantenere emerse momentaneamente<br />

alcune strade utili per il passaggio delle nostre truppe.<br />

38


Il Campo Trincerato di Treviso<br />

Per quanto riguarda il Campo Trincerato di Treviso occorre rilevare innanzitutto<br />

la sua complessità dovuta alla posizione di sbarramento che la città e la<br />

provincia di Treviso assumono essendo esse collocate al centro dell'area posta<br />

a cavallo tra la pianura veneta e quella friulana e di un incrocio di importanti<br />

comunicazioni stradali e ferroviarie, tutte ubicate all'interno dell'area stessa.<br />

Si può inoltre osservare che fra i Campi Trincerati ubicati nella pianura veneta,<br />

quello di Treviso assume una importanza particolare sia perchè esso era il<br />

più immediatamente vicino alla linea del fronte (distanza massima di 15-20<br />

chilometri), sia perché di estensione superiore a quella degli altri Campi. Dal<br />

punto di vista <strong>della</strong> costruzione, esso era formato da una rete fi tta ed intricata<br />

di trincee, camminamenti, postazioni protette per artiglierie e armi automatiche,<br />

ricoveri ed ostacoli passivi che costituivano nel loro insieme un unico<br />

grande ostacolo nel quale sarebbe stato diffi cile entrarvi, ma altrettanto diffi -<br />

cile uscirvi se entrati. Inoltre esso era stato realizzato sfruttando al massimo<br />

la presenza di ostacoli naturali già presenti sul territorio, quali fi umi, canali,<br />

piccoli insediamenti di edifi ci, abitazioni, ecc. Schematizzando per quanto<br />

possibile, il Campo Trincerato di Treviso era costituito da una triplice linea<br />

difensiva predisposta in senso circolare attorno alla città e si appoggiava su<br />

due lati al fi ume Sile, mentre la più esterna delle linee aveva un raggio di nove<br />

chilometri. Mediante ulteriori linee di difesa, il Campo era poi collegato con<br />

gli altri sistemi difensivi presenti nelle vicinanze (Musone-Brenta-Bacchiglione)<br />

e con le linee di difesa parallele al fronte del Piave.<br />

Le funzioni alle quali il Campo Trincerato di Treviso doveva assolvere<br />

erano molteplici e tra queste ricordiamo quelle più importanti:<br />

• difendere la città di Treviso;<br />

• bloccare le due importanti direttrici di eventuale arrivo degli austriaci (strada<br />

Pontebbana da Conegliano e strada Callalta da Oderzo-Motta di Livenza);<br />

• permettere in caso di arretramento del fronte (come poi avvenne a fi ne ottobre<br />

del 1917 sull'Isonzo) ai reparti ed alle truppe in ritirata di trovarvi un<br />

valido punto di appoggio.<br />

Nel novembre del 1917 il Campo Trincerato di Treviso non aveva ancora<br />

raggiunto un elevato grado di preparazione, né di completezza. I primi lavori<br />

si concentrarono sulla parte più limitrofa al fronte, per poi proseguire in profondità<br />

nella parte restante <strong>della</strong> campagna trevigiana anche con raccordi trasversali<br />

tra le linee di difesa in base a previsioni di sfondamento del nemico.<br />

Si crearono di conseguenza dei compartimenti stagni che avrebbero dovuto<br />

39


Fortifi cazione austriaca colpita dal fuoco italiano. ISTRIT.<br />

Fortifi cazione austriaca colpita dal fuoco italiano. ISTRIT.


Treviso colpita dalle bombe austriache. ISTRIT


circoscrivere e contenere gli effetti di una eventuale rottura delle linee più<br />

avanzate del fronte. Gli avvenimenti conseguenti alla rotta di Caporetto ed i<br />

successivi fatti del giugno del 1918, confermarono pienamente la validità dei<br />

presupposti teorici che avevano determinato la costruzione del Campo Trincerato<br />

di Treviso. Esso infatti non fu interessato dalla limitata occupazione del<br />

territorio oltre il Piave da parte degli austriaci durante la cosiddetta «Battaglia<br />

del Solstizio», che furono fermati invece ai margini delle sue prime linee difensive.<br />

Nonostante questo, il generale Caviglia, lamentandosi con il duca d'<br />

Aosta, Comandante <strong>della</strong> Terza Armata, sostenne che tutto quel groviglio di<br />

trincee, camminamenti e reticolati (alludendo ai lavori del Campo Trincerato<br />

di Treviso, ma anche degli altri in costruzione nella pianura veneta) intralciava<br />

più il nostro esercito che quello nemico. È da rilevare, a questo proposito<br />

che il Campo Trincerato di Padova era costruito come quello di Treviso, a<br />

triplice linea di trinceramenti e che i lavori iniziarono immediatamente dopo<br />

la ritirata del nostro Esercito dopo i fatti di Caporetto. Da ultimo, è da rilevare<br />

che in caso di necessità l'occupazione materiale del Campo Trincerato di<br />

Treviso veniva affi data alle Armate posizionate sul Piave, in particolare alla<br />

Terza Armata, che difendevano la zona del Montello e del Basso Piave, con<br />

lo scopo di migliorare e sfruttare con la massima economia di forze l'<strong>org</strong>anizzazione<br />

difensiva già in essere sul territorio.<br />

Il Monte Grappa<br />

Nella predisposizione delle linee di difesa costruite nella pianura veneta,<br />

il punto di cerniera o di contatto tra il settore di montagna e quello di pianura<br />

era costituito dal Monte Grappa, ubicato in posizione ideale per costituire un<br />

valido ostacolo naturale alla eventuale avanzata degli austriaci e controllare<br />

nel medesimo tempo l'Altopiano di Asiago e, alle spalle, il fronte del Piave.<br />

Cadorna nel 1916 decise quindi di abbandonare tutte le progettate difese a<br />

sinistra del Piave e di realizzarle sulla riva destra del fi ume. In estrema sintesi<br />

i lavori di difesa realizzati sul Monte Grappa, che doveva fare sistema anche<br />

con l'Altopiano di Asiago, a partire dal 1916 e fi no al 1918 furono i seguenti:<br />

• costruzione di strade che potessero permettere l'affl usso costante di truppe e<br />

materiali dalla pianura veneta alla vetta del monte;<br />

• costruzione di impianti di teleferiche per i rifornimenti rapidi in montagna.<br />

Furono messi in funzione circa ottanta impianti per un totale di 150 chilometri<br />

di percorso;<br />

• predisposizione di grandi impianti di sollevamento di acqua con la realizzazione<br />

di reti di distribuzione in tubazioni e adeguati serbatoi di contenimento;<br />

42


• costruzione di impianti elettrici per la illuminazione in quota delle gallerie<br />

e delle opere in caverna;<br />

• predisposizione su tutto il monte di una fi tta rete di posti di sbarramento<br />

avanzati, di linee di reticolati e di capisaldi circondati da ulteriori linee di<br />

reticolati;<br />

• costruzione in vetta <strong>della</strong> galleria chiamata «Vittorio Emanuele III».<br />

Dall'interno <strong>della</strong> galleria si era in grado di colpire attraverso numerose<br />

diramazioni laterali tutte le posizioni austriache <strong>della</strong> zona. Essa venne realizzata<br />

tra il gennaio ed il giugno del 1918 da unità del genio militare e da<br />

600 lavoratori militarizzati che lavorarono ininterrottamente giorno e notte,<br />

senza tregua e con ogni mezzo a disposizione. All'interno delle diramazioni<br />

erano ubicate postazioni di artiglieria e di mitragliatrici, posti di osservazione,<br />

depositi di munizioni e di materiali vari, dormitori per 1500 persone, gruppi<br />

elettrogeni, serbatoi d'acqua, depositi di viveri e quant'altro necessario per<br />

sopravvivere anche in caso di attacco e di impossibilità di uscita dalla galleria.<br />

Tutte queste opere di difesa, defi nite «montane» erano poi integrate con altre<br />

simili defi nite «di pianura» che dovevano servire nel caso di sfondamento<br />

degli austriaci oltre le linee del Monte Grappa. Particolare attenzione e cura<br />

dovevano poi essere date al tratto più debole <strong>della</strong> linea difensiva del Monte<br />

Grappa formata dal costone del Monte Pallone, Monte Tomba e Monfenera<br />

che poteva essere aggirata dal Piave mettendo in diffi coltà l'intero sistema del<br />

Grappa stesso. Perdendo il Grappa si sarebbero perdute la linea del Piave, le<br />

città di Treviso e di Venezia e la linea del Bacchiglione e con esse gran parte<br />

del Veneto. Nel novembre del 1917 quando la cima fu occupata dalle truppe<br />

italiane per costituirvi i primi elementi di difesa, delle opere sopra indicate solo<br />

una minima parte era stata realizzata e molte di quelle programmate furono<br />

realizzate solo successivamente sotto l'incalzare del nemico e in condizioni di<br />

estremo disagio. Su questo punto si rilevano le dichiarazioni fatte dal generale<br />

Clemente Assum, comandante <strong>della</strong> Brigata di Fanteria «Trapani» che fu tra i<br />

primi a salire sul Monte Grappa dopo la ritirata di Caporetto, che contrastavano<br />

con quelle del generale Cadorna e di altri, che, al contrario, affermavano la<br />

completa fortifi cazione del massiccio fi n dal novembre del 1917.<br />

Il Montello<br />

Anche il Montello, situato lungo la riva destra del Piave a metà circa tra<br />

il Grappa ed il mare, secondo il generale Cadorna doveva essere adeguatamente<br />

fortifi cato, poiché esso avrebbe dovuto diventare (come dichiarato dal<br />

generale Cadorna) «l'appoggio maggiore e centrale delle linea difensiva». In<br />

43


questo senso fu deciso di predisporre su di esso e attorno ad esso le seguenti<br />

opere di difesa:<br />

1. una difesa ad oltranza prevista con un gruppo di fortifi cazioni costruite<br />

sulla quota più elevata;<br />

2. congiunzione con linee di trincea delle fortifi cazioni del Montello con il<br />

Campo Trincerato di Treviso;<br />

3. attivazione di due nuclei di artiglieria, uno a nord-ovest e l'altro a sud-est da<br />

convergere a oriente del Montello e se necessario sulla sua sommità;<br />

4. costruzione di una linea di difesa tra il Montello e Montebelluna sulla quale<br />

ripiegare in caso di sfondamento del fronte e ripartire per rioccupare la<br />

cima del colle anche con l'aiuto delle artiglierie di cui al punto precedente.<br />

Nelle vicinanze fu anche fortifi cata la estremità orientale dei Colli solani,<br />

presso Cornuda e Onigo, in collegamento con le fortifi cazioni del Montello,<br />

da un lato, e con quelle di Monfenera e del Monte Tomba alla estremità del<br />

Monte Grappa che porta al Piave di Pederobba.<br />

Le difese di Venezia<br />

A est dello schieramento difensivo situato trasversalmente nella pianura<br />

veneta ed in particolare in quella trevigiana lungo il corso del Piave, era presente<br />

la Regia Marina che operava nella zona di Cavazuccherina (ora Jesolo),<br />

alla foce <strong>della</strong> Piave Nuova, al Cavallino, in Laguna Nord e nella città di<br />

Venezia. I compiti assegnati erano quelli di tenere il fi anco destro <strong>della</strong> linea<br />

di difesa che terminava sul mare, muovendosi in un territorio del tutto particolare<br />

essendo di tipologia mista (fl uviale, di palude e lagunare), limitrofo<br />

alla foce del Piave ed al mare Adriatico. C'è da premettere a questo punto che<br />

la nostra Marina fi n dall'inizio <strong>della</strong> guerra di Caporetto, aveva inizialmente<br />

operato nella zona di Grado e di Monfalcone, a difesa di quel tratto di litorale,<br />

a protezione del fi anco destro <strong>della</strong> Terza Armata e per contenere eventuali<br />

attacchi <strong>della</strong> fl otta austriaca dal mare. In questo tratto del fronte essa aveva<br />

utilizzato artiglierie di vario calibro per il bombardamento di obiettivi navali<br />

e terrestri, pontoni armati facilmente trasportabili via acqua, motosiluranti ed<br />

altro naviglio leggero idoneo per quel tratto particolare di fronte. La Marina<br />

provvide anche a completare una rete di canali interni parallela alla costa,<br />

per il trasporto da Venezia al fronte di materiali e mezzi. Dopo la dodicesima<br />

battaglia dell'Isonzo e lo sfondamento del fronte a Caporetto, la Marina procedette<br />

allo sgombero ordinato da Monfalcone e Grado e ad <strong>org</strong>anizzare una<br />

linea sommaria di difesa, prima sul basso Tagliamento, poi sul fi ume Limene,<br />

44


utilizzando reparti di marinai e motoscafi armati. Ripiegati ulteriormente su<br />

Caorle e poi su Venezia, i marinai disponibili furono inquadrati come normali<br />

reparti di fanteria nel «Reggimento Marina» e gli artiglieri nel «Raggruppamento<br />

di Artiglieria». Entrambi i reparti costituirono la «Brigata Marina» che<br />

operò alla difesa del Basso Piave, di vaste zone <strong>della</strong> Laguna e <strong>della</strong> città di<br />

Venezia. A questi reparti fu unito anche personale già presente a Venezia ed<br />

altro proveniente da navi e basi <strong>della</strong> Marina dislocate nel territorio nazionale.<br />

Come batterie furono utilizzate anche quelle costiere di altre località del<br />

Paese, che data la gravità del momento potevano essere temporaneamente<br />

utilizzate per rafforzare le difese <strong>della</strong> città. Per la difesa di Venezia si realizzarono<br />

anche quattro linee di difesa trasversali alla Laguna nord di Venezia,<br />

con andamento ovest – est contro eventuali provenienze dalla zona delle<br />

bonifi che Questa difesa era completata da una ulteriore linea difensiva che<br />

copriva Venezia sul lato orientale partendo da San Erasmo fi no a Chioggia, attraverso<br />

il Lido, Malamocco, Alberoni, San Pietro in Volta e Pellestrina. Alla<br />

difesa <strong>della</strong> città di Venezia partecipò anche la fl otta navale insediata presso<br />

l'Arsenale, che aveva il compito di impedire eventuali attacchi dal mare da<br />

parte <strong>della</strong> fl otta avversaria. La Marina provvide anche ad allagare la vasta<br />

zona di pianura compresa fra la Piave Vecchia, il Sile e la Laguna che costituiva<br />

l'ultima ed estrema difesa prima di Venezia.<br />

Il Campo Trincerato di Mestre<br />

Sempre in merito alle difese di Venezia occorre ricordare anche la presenza<br />

del Campo Trincerato di Mestre e <strong>della</strong> sua evoluzione, con la descrizione di<br />

alcune premesse. L'esigenza di difendere la città di Venezia dalla terraferma<br />

si manifestò in maniera urgente all'epoca <strong>della</strong> prima occupazione austriaca<br />

del Veneto, subito dopo la caduta <strong>della</strong> Serenissima. Il progetto appena abbozzato<br />

di costruire un forte in località Marghera fu ripreso dai francesi ed i<br />

lavori di costruzione seguirono l'alternanza delle occupazioni francese ed austriaca<br />

del Veneto, fi no al passaggio all'Austria avvenuto nel 1814. L'Austria<br />

portò quindi a termine i lavori di costruzione del forte di Marghera poiché<br />

esso era vitale per garantire la difesa di Venezia anche alle spalle <strong>della</strong> città.<br />

Negli anni 1848-1849 il forte, occupato dagli insorti, fu utilizzato come base<br />

logistica per le truppe rivoluzionarie che combattevano in Veneto e in Friuli.<br />

Successivamente fu sottoposto ad assedio, pesantemente bombardato e quindi,<br />

dopo duri combattimenti, conquistato dagli austriaci previa evacuazione<br />

degli occupanti avvenuta su autorizzazione del Governo Provvisorio. Caduta<br />

Venezia e ritornati gli austriaci, il forte fu ricostruito e utilizzato all'interno<br />

<strong>della</strong> difesa <strong>della</strong> città e <strong>della</strong> laguna congiuntamente ad altre opere realizzate<br />

45


sul litorale e al Lido.A partire dal 1866 il forte passò sotto la giurisdizione<br />

militare italiana e negli anni seguenti diventò il centro di una nuovo e più importante<br />

sistema di difesa <strong>della</strong> città e delle zone contermini con lo scopo di<br />

proteggere, oltre la città stessa, anche l'Arsenale, il porto marittimo e soprattutto<br />

lo scalo di Mestre, essenziale per i collegamenti ferroviari tra il Veneto<br />

e il resto del Paese. Nel quadro delle iniziative tese a migliorare la difesa del<br />

Regno sopra riportate, si progettò di realizzare una rete di forti circostanti a<br />

quello preesistente di Marghera. È da ricordare che i forti progettati inizialmente<br />

erano sei, ma per le consuete diffi coltà economiche, quelli realizzati<br />

furono solo tre.<br />

Essi furono:<br />

• il forte Tron, a sud ovest di Marghera sulla strada per Padova, terminato nel<br />

1890;<br />

• il forte Carpenedo, sulla strada per Treviso, terminato nel 1890;<br />

• il forte Gazzera, sulla strada per Bassano e Trento, iniziato nel 1883.<br />

Questi forti erano costruiti a forma poligonale, circondati da un fossato e<br />

ubicati l'uno dall'altro e dal forte di Marghera ad una distanza variabile tra i<br />

3.500 metri e i 4.500 metri. All'inizio del novecento i forti furono ulteriormente<br />

adeguati ai nuovi progressi tecnologici delle artiglierie e di conseguenze<br />

fu necessario predisporre una nuova linea circolare di sette forti ubicata,<br />

in senso circolare, più lontana da quella precedente. Questi forti erano ubicati<br />

nelle zone di Tessera, Favero, Dese, Zelarino, Spinea e Oriago. Tutti i forti<br />

furono terminati entro il 1913 ed erano muniti ciascuno di circa 20 c<strong>anno</strong>ni<br />

di medio calibro e di postazioni per fucilieri e mitragliatrici. Sui forti erano<br />

ubicate delle «caponiere» (una specie di sp<strong>org</strong>enze protette ed armate) per<br />

proteggere il forte da ogni suo lato. Non mancavano i magazzini, le polveriere<br />

e quant'altro necessario per la sopravvivenza delle truppe presenti nel Campo<br />

Trincerato. Riassumendo, la struttura completa del Campo Trincerato di Mestre<br />

era formata da:<br />

• una linea esterna di robusti forti disposti a nord, a ovest e a sud di Mestre<br />

costruiti all' inizio del secolo scorso;<br />

• una seconda linea formata dai forti costruiti prima <strong>della</strong> fi ne dell'ottocento;<br />

• il forte di Marghera, che manteneva il suo ruolo di difesa del ponte ferroviario<br />

che portava a Venezia, <strong>della</strong> stazione ferroviaria di Mestre e <strong>della</strong><br />

stazione marittima di S. Giuliano.<br />

Allo scoppio <strong>della</strong> prima guerra mondiale nel 1915, il sistema difensivo di<br />

46


Mestre era completo ed in piena effi cienza. Tuttavia trasformatosi il confl itto<br />

in guerra di trincea, gli Alti Comandi dell'Esercito, nel settembre dello stesso<br />

<strong>anno</strong>, ordinarono lo smantellamento delle batterie di quel Campo Trincerato<br />

ed il loro utilizzo sul fronte dell' Isonzo. Dopo Caporetto, i forti di Mestre costituir<strong>anno</strong><br />

la nuova retrovia del fronte ed operer<strong>anno</strong> come base logistica da<br />

dove prelevare uomini, artiglierie e materiali da inviare sulle nuove linee di<br />

difesa, ormai consolidate, del Piave. Dopo la prima guerra mondiale le strutture<br />

persero di importanza strategica e furono utilizzate solo come caserme,<br />

magazzini e polveriere fi no all'abbandono totale a partire dagli anni ottanta<br />

del secolo scorso.<br />

La costruzione del sistema difensivo <strong>della</strong> pianura veneta<br />

Alcune <strong>anno</strong>tazioni infi ne sulle modalità e su coloro che realizzarono il<br />

grande sistema di opere di difesa costruito su tutta la pianura veneta. Con<br />

esclusione dei forti di cui abbiamo già parlato ed indicato le date di costruzione<br />

e che furono costruiti da imprese di costruzioni attraverso normali gare di<br />

appalto, tutte le opere relative alle difesa in pianura, sul Montello e sul Monte<br />

Grappa vennero realizzate a partire dal 1916 e terminarono di massima entro<br />

il giugno del 1918. Esse furono progettate dal Comando Supremo dell'Esercito<br />

che emanò a questo proposito numerose direttive tecniche da utilizzare<br />

come guida pratica per la esecuzione dei lavori sulle aree di competenza delle<br />

singole Armate, anche con gli adattamenti che le singole esigenze locali richiedevano.<br />

La <strong>org</strong>anizzazione dei lavori faceva capo al Comando Generale<br />

del Genio che utilizzava i Comandi del Genio delle singole Armate e dei Corpi<br />

d'Armata da essi dipendenti. Venne creata una speciale Direzione dei Lavori<br />

di Difesa presso il Comando Supremo per la esecuzione di parte dei lavori<br />

più impegnativi relativi al Montello, alle linee difensive del Piave e del Sile,<br />

al Campo Trincerato di Treviso e alla eventuale inondazione delle zone di<br />

bonifi ca. Per il coordinamento delle attività di difesa terrestre e costiera <strong>della</strong><br />

laguna di Venezia, si costituì inoltre una apposita Commissione mista Esercito-Marina<br />

presso il Comando <strong>della</strong> Terza Armata che aveva sede a Mogliano<br />

Veneto. Tutti i lavori, sulla scorta <strong>della</strong> documentazione fi nora acquisita, soprattutto<br />

in ambito locale e limitata al Trevigiano, furono eseguiti da gruppi<br />

di lavoratori civili militarizzati ed alle dirette dipendenze dei Comandi del<br />

Genio sopra indicati. Tali lavori di difesa, come si può chiaramente evincere<br />

dal testo <strong>della</strong> presente relazione, si possono considerare di dimensioni notevoli,<br />

sia per la loro estensione e caratteristiche, sia per il breve tempo utilizzato<br />

per la loro realizzazione, vista anche la scarsità di mezzi tecnici a disposizione.<br />

Nulla si sa allo stato attuale dei costi, che si ritengono notevoli, sop-<br />

47


portati per la predisposizione delle opere di difesa e per la loro rimozione ad<br />

attività bellica terminata. Non si conosce nemmeno il numero dei lavoratori<br />

utilizzati, stimato complessivamente in parecchie decine di migliaia. Per i<br />

lavori vennero utilizzati soprattutto persone disoccupate o sotto occupate, ex<br />

studenti, giovani in attesa di essere chiamati alle armi, di condizioni economiche<br />

precarie o ridotte, provenienti dai luoghi più disparati del Paese, dal centro<br />

e dal sud, ma anche dalla provincia di Treviso e da altre vicine, tutti spinti<br />

dalla necessità di integrare in qualche modo i rispettivi magri bilanci famigliari.<br />

Ivano Sartor nel suo libro La grande guerra nelle retrovie (Dosson<br />

1988), riporta infatti la notizia <strong>della</strong> morte per paralisi di un giovane di Pescara<br />

, di anni 23, celibe, bracciante, occupato per lo scavo delle trincee nella<br />

zona di Biancade di Roncade. Nei cantieri per il Campo Trincerato di Treviso<br />

arrivarono anche minorenni dai 15 ai 17 anni, persone anziane ultrasessantenni,<br />

piccoli pregiudicati, persone pericolose o senza una particolare qualifi ca<br />

professionale. Ognuno doveva provvedere a portare con sé gli indumenti da<br />

lavoro, diversi a seconda <strong>della</strong> stagione, la coperta e quanto necessario per la<br />

consumazione dei pasti. I lavoratori dovevano anche presentarsi ai cantieri<br />

con i propri «attrezzi da lavoro» che nel nostro caso erano il badile o il piccone<br />

e sobbarcarsi inoltre le spese di viaggio. I comandi militari garantivano<br />

solo il vitto, che era lo stesso dei soldati in trincea, e l'alloggio che veniva<br />

trovato in edifi ci di fortuna (baraccamenti, fi enili, casere di montagna, case<br />

coloniche, ville, ecc.) requisiti a seconda delle esigenze locali e comunque<br />

tutti ubicati nelle immediate vicinanze delle opere da realizzare. Le mansioni<br />

erano le seguenti: muratori, fabbri, scalpellini e boscaioli. I documenti previsti<br />

per l'arruolamento erano: il passaporto per l'interno, il certifi cato di buona<br />

condotta (che doveva essere rifi utato ai pregiudicati e ai sovversivi più pericolosi)<br />

e un certifi cato rilasciato dal sanitario comunale in carta libera, attestante<br />

che il lavoratore e la sua famiglia erano esenti da malattie infettive e<br />

diffusive e <strong>della</strong> avvenuta vaccinazione antivaiolosa. Allo scopo di evitare<br />

disordini o infi ltrazioni da parte di pregiudicati o persone escluse da precedenti<br />

arruolamenti, le squadre degli operai dovevano viaggiare scortate dai<br />

Carabinieri, fi no all'arrivo a destinazione. Il compenso pattuito partiva da poche<br />

decine di centesimi di lire per ora , a seconda <strong>della</strong> categoria professionale<br />

e dell'età, ma aumentava ulteriormente fi no a qualche lira a seconda <strong>della</strong><br />

durata del lavoro e delle condizioni di disagio e di pericolosità nelle quali esso<br />

si svolgeva, ad esempio in prossimità <strong>della</strong> prima linea o sotto il fuoco delle<br />

artiglierie. I lavoratori erano divisi in squadre di 30-50 elementi e i capi squadra<br />

erano scelti tra i migliori conoscitori dei luoghi o tra persone particolarmente<br />

esperte nei lavori da eseguire. Tutti i lavoratori, quasi sempre uniti in<br />

48


centurie, erano diretti o coordinati da uffi ciali del Genio Militare o da altri<br />

uffi ciali dell'Esercito. Un compito importante nel reclutamento dei lavoratori<br />

per la costruzione delle opere di difesa, era svolto dai Comuni, che oltre a rilasciare<br />

la documentazione richiesta e a provvedere alla compilazione degli<br />

elenchi dei partenti, svolgevano anche la funzione di informazione ai potenziali<br />

interessati e di divulgazione delle condizioni di arruolamento per i lavoratori<br />

stessi. Un'altra attività svolta dai Comuni era quella di ente intermediario<br />

tra le esigenze dei lavoratori e le istituzioni militari o civili preposti alla<br />

loro gestione che si esplicava essenzialmente in occasione di mancati pagamenti<br />

dei compensi stabiliti, rientri in famiglia per pericolosità dei luoghi di<br />

lavoro, per successivo accertamento <strong>della</strong> minor età dei lavoratori e per verifi<br />

ca dei requisiti necessari per l'arruolamento. Sempre in materia di costruzione<br />

del Campo Trincerato di Treviso, riportiamo alcuni degli inconvenienti che<br />

si verifi carono durante la sua realizzazione. Fin dai primi mesi del 1917 emerse<br />

subito il grave problema dei furti di materiali che venivano utilizzati per la<br />

costruzione del Campo Trincerato ed in particolare dei furti di legname. Nonostante<br />

le lettere del comando del Presidio Militare di Treviso che invitavano<br />

i Sindaci dei Comuni interessati a vigilare affi nché le opere costruite non<br />

venissero danneggiate e che ricordavano anche che i danni causati non erano<br />

perseguiti dalla normale legislazione civile, ma dal Codice Penale dell' Esercito,<br />

i furti non diminuirono. Della questione furono interessati anche i parroci<br />

invitati a fare ulteriore opera di persuasione verso i propri parrocchiani per<br />

farli desistere da tale errato comportamento. Non mancarono inoltre le polemiche<br />

sulla individuazione dei tracciati utilizzati per la costruzione delle trincee<br />

e delle altre opere di difesa che molto spesso tagliavano strade di accesso<br />

ai fondi, campi coltivati, canali di irrigazione ed altre strutture dedicate alle<br />

lavorazioni agricole. Ulteriori polemiche con relativi strascichi e contestazioni<br />

che interessavano anche le competenze dei Comuni, furono originate dalle<br />

requisizioni di edifi ci, terreni, carri ed animali utilizzati per i lavori di difesa<br />

e dei relativi indennizzi, come pure per il taglio non giustifi cato di alberi e di<br />

piante nelle campagne adiacenti ai lavori. Una ultima <strong>anno</strong>tazione relativa al<br />

parroco di Volpago del Montello che interessato a svolgere la propria missione<br />

anche in periodi diffi cili come quelli del tempo di guerra, aveva invitato gli<br />

operai adibiti alla costruzione del Campo Trincerato ad astenersi dal lavoro<br />

durante i giorni festivi. Ma la guerra prevede tempi, azioni e comportamenti<br />

non dei tempi normali e per questo motivo egli fu sottoposto a stretta sorveglianza<br />

da parte <strong>della</strong> locale stazione dei Carabinieri.<br />

49


Palloni aerostatici per la protezione di Venezia dagli attacchi aerei. ISTRIT


La basilica di San Marco con le protezioni anti-schegge.


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53


Cerimonia di consegna <strong>della</strong> medaglia alla brigata «Pisa». MCRR.<br />

Cerimonia di consegna <strong>della</strong> medaglia alla brigata «Pavia». MCRR.


IL MORALE DEI SOLDATI NELLA I GUERRA MONDIALE<br />

Ernesto Brunetta<br />

Un esercito di leva esprime psicologie, immaginari, culture del popolo dal<br />

quale viene. Ciò è un assioma che non ha bisogno di dimostrazioni, quali si<br />

imporrebbero se fossimo di fronte a un esercito di mestiere che è, per defi nizione,<br />

un corpo separato che si dà una sua tradizione e una sua mentalità. Il<br />

morale dell'esercito italiano nel corso <strong>della</strong> I guerra mondiale rifl ette dunque<br />

senza residui il morale dei cittadini.<br />

In qualsiasi paese e salvo casi particolarissimi,la gran parte dei cittadini è<br />

naturalmente inclinata alla pace perché lo spirito di sopravvivenza fa aggio su<br />

qualsiasi altra considerazione e dunque si preferisce vivere e non morire, specie<br />

se non è chiaro il motivo per il quale si dovrebbe farlo. In Italia, 50 anni di<br />

tentativi di instillare nei cittadini una religione civica incentrata sul culto del<br />

Re e <strong>della</strong> Patria, non avevano dato grandi risultati. O meglio, questi tentativi<br />

avevano sostanzialmente funzionato nei confronti <strong>della</strong> piccola b<strong>org</strong>hesia sia<br />

urbana sia rurale che era venuta a poco a poco convincendosi di essere essa<br />

l'erede del Ris<strong>org</strong>imento, concepito però (il Ris<strong>org</strong>imento) come una tappa di<br />

un processo alla cui conclusione ci sarebbe dovuto essere l'ingresso del Paese<br />

nel novero delle grandi potenze, se non addirittura la Terza Roma che riprendeva<br />

il suo cammino nel mondo. Era stata la letteratura in tutti i suoi diversi<br />

livelli ad agire in questo senso.<br />

Pesava intanto sulla nostra cultura la memoria di Roma e delle sue glorie,<br />

pesavano gli Alfi eri e il Foscolo, pesava una minore letteratura ottocentesca<br />

che aveva trasformato Barletta o Fornovo in epici scontri, segno di un «antico<br />

valor (che) negli italici cor / non è ancor spento», secondo la formula<br />

petrarchesca, pesavano il Carducci convertito alla monarchia, il Pascoli <strong>della</strong><br />

grande proletaria, il D'Annunzio intento ad armar la prora e a salpare verso<br />

il mondo. Pesavano le riviste fi orentine, il Papini del caldo bagno di sangue<br />

che avrebbe favorito la coltivazione delle verdure, la mal digerita conoscenza<br />

di Nietzsche, di Bergson, di Sorel, dell'irrazionalismo in generale al quale si<br />

aggiungeva una lettura di Darwin in chiave sociale come violenta selezione<br />

dei più forti a d<strong>anno</strong> dei più deboli. Pesavano infi ne il futurismo e l'idea marinettiana<br />

<strong>della</strong> guerra sola igiene del mondo. Con tutte le eccezioni del caso, è<br />

evidente che gli intellettuali nelle loro varie gradazioni, vale a dire dai grandi<br />

scrittori giù giù fi no ai maestri elementari e ai ragionieri, erano imbevuti – e ci<br />

sarebbe da meravigliarsi del contrario – di questa cultura. Costoro non erano<br />

cattolici, dunque, perché si percepivano come eredi <strong>della</strong> tradizione masso-<br />

55


nica e anticlericale del Ris<strong>org</strong>imento, non erano socialisti perché rifi utavano<br />

per consapevolezza di classe ogni egualitarismo, non erano liberali perché<br />

avevano letto Oriani e quindi osteggiavano la timida «Italietta» giolittiana.<br />

Chiusi in un limbo, aspettavano una guerra, non necessariamente quella contro<br />

l'Austria pur etichettata da secolare nemico, bensì una guerra qualsiasi che<br />

fosse lavacro, pulizia, sacrifi cio onde uscire migliori, una guerra che elevasse<br />

di rango il Paese del quale essi avrebbero contribuito da classe dirigente.<br />

A questo livello, dunque, il tentativo era riuscito; anzi, era andato oltre se<br />

dalla religione civica si era passati al nazionalismo e al colonialismo, mentre<br />

compariva sullo sfondo l'ombra dell'imperialismo. Non era però riuscito a<br />

livello di classi subalterne perché una letteratura minore quale poteva essere<br />

quella che aveva espresso «Cuore» o «Pinocchio» non aveva ottenuto i risultati<br />

che da essa ci si potevano attendere. Secondo inclinazioni personali,<br />

situazioni sociali, appartenenza di classe, geografi e e culture, le classi subalterne<br />

erano diventate socialiste o cattoliche o, senza appartenenze politiche,<br />

badavano ai fatti loro, tra i quali la guerra certamente non c'era.<br />

Bisogna però tenere conto di un fatto, cioè dell'abitudine alla sottomissione<br />

che il popolo aveva maturato in secoli di servaggio; motivo per il quale, particolarmente<br />

nelle campagne, la sottomissione era la nota dominante come se<br />

la società, così come era <strong>org</strong>anata, fosse tale per natura, e quindi così si doveva<br />

accettare. Qualche sprazzo di tumultuosa rivolta rurale non era che l'interfaccia<br />

di un'abitudine all'obbedire connaturata all'indole di quanti nascevano<br />

contadini nelle misere condizioni nelle quali i contadini vivevano. Per quanto<br />

veicolati dalla scuola dell'obbligo – si deve però tener conto dell'elevato tasso<br />

di evasione – e dal servizio militare, mi sembra evidente che questi messaggi,<br />

vale a dire la religione civica impostata sul binomio Re e Patria, non arrivavano<br />

o, se arrivavano, non erano percepiti nella loro sostanza.<br />

La premessa dunque ci induce a concludere che quando si aprì il dibattito<br />

tra neutralisti e interventisti nell'inverno 1914-'15, gli interventisti erano<br />

un'esigua minoranza a fronte di un'imponente maggioranza di neutralisti. Si<br />

può dire altrettanto, d'altronde, per la Camera dei Deputati ancora dominata<br />

dalla forte personalità del neutralista Giolitti e quindi a maggioranza inclinata<br />

piuttosto alla neutralità che all'intervento.<br />

Tutto ciò però è puramente teorico, dal momento che l'entrata in guerra<br />

non venne naturalmente sottoposta a referendum e lo statuto consentiva al<br />

Sovrano di dichiararla senza in sostanza doverla sottoporre al giudizio delle<br />

Camere, assai improbabile essendo che i deputati liberali, pur se neutralisti,<br />

avrebbero votato contro un patto (che fosse stato) fi rmato dal re. Più che il<br />

numero, contò la capacità di mobilitazione delle piazze e fu la prima volta<br />

56


che la piazza, tradizionalmente teatro dei riti <strong>della</strong> sinistra, diventò piazza di<br />

destra. Dalla parte dei neutralisti, la capacità di mobilitazione avrebbe dovuto<br />

essere la dote portata alla causa dai socialisti che però erano molto più divisi<br />

di quanto non si ami oggi affermare. La successiva formula Turatiana del «né<br />

aderire né sabotare», fi glia legittima del concetto di neutralità assoluta sul<br />

quale essi si erano attestati fi n da subito, era quanto di più vacuo si potesse<br />

immaginare e non era certo in grado di agitare le folle. Era infatti una posizione<br />

passiva e attesistica che, oltre tutto, si staccava da quanto si veniva facendo<br />

nel movimento socialista a livello internazionale. A quel livello, infatti, si<br />

stava assistendo a una sorta di divisione che per comodità denominerò come<br />

destra e sinistra, con quest'ultima che proclamò la necessità di trasformare la<br />

guerra dei b<strong>org</strong>hesi nella rivoluzione dei proletari e la prima che, al contrario,<br />

ritenne di legittimarsi entrando nelle coalizioni di governo chiamate a dirigere<br />

i Paesi belligeranti. In altre parole, «né aderire, né sabotare» signifi cava<br />

nulla e dunque consentiva ogni personale presa di posizione.<br />

La fazione interventistica si dimostrò invece in grado di mobilitare la piazza,<br />

certamente usando e abusando di una bolsa retorica, ma riuscendoci perché<br />

diede alla piccola b<strong>org</strong>hesia un ruolo che mai in passato essa aveva avuto,<br />

del quale riteneva di aver diritto e che prevedeva per il futuro, se è vero che<br />

il «radioso maggio» fu in qualche maniera un'anticipazione del fascismo. E<br />

Mussolini, che i fasci di combattimento era ancora lungi dal fondarli, su questa<br />

carta giocò il suo futuro politico. Non c'è insomma da parte neutralista<br />

niente che possa essere assimilato, per risonanza, al discorso che D'Annunzio<br />

pronunciò sulla scogliera di Quarto in occasione dell'anniversario <strong>della</strong> partenza<br />

dei Mille. In conclusione, da una parte c'era l'entusiasmo, di una minoranza,<br />

ma entusiasmo, dall'altra c'era rassegnazione, di una maggioranza, ma<br />

rassegnazione.<br />

L'esercito entrò in guerra nelle medesime condizioni: il Corpo Uffi ciali,<br />

qualsiasi fossero le convinzioni personali di ciascuno, perché la guerra era il<br />

suo mestiere, gli uffi ciali di complemento, che erano i fi gli <strong>della</strong> piccola b<strong>org</strong>hesia<br />

– si pensi solo alla raccolta di lettere curata dall'Omodeo, ma c'è anche<br />

una ricca memorialistica di quanti dalla prova uscirono vivi – con l'entusiasmo<br />

di chi spesso aveva dimostrato nelle piazze per l'intervento, la massa dei<br />

soldati con la rassegnazione di chi sa di dover affrontare una disgrazia tra le<br />

tante, inevitabili, che intervengono nel corso <strong>della</strong> vita dei poveri: capitavano<br />

la fame, la malattia, le disgrazie, toccava ora la guerra. Per la quale, poco o<br />

nulla c'era da fare, andava affrontata,sperando bene e confi dando soprattutto<br />

sul fatto che fosse breve e che, semmai, toccasse a un altro di dover morire.<br />

La grande speranza – che si rivelerà essere piuttosto la grande illusione – era<br />

57


infatti la convinzione, propria anche di parte cospicua <strong>della</strong> classe dirigente,<br />

che con l'intervento dell'Italia, il confl itto sarebbe stato breve, risolutivi da<br />

una grande battaglia campale nel corso <strong>della</strong> quale il nostro esercito avrebbe<br />

sconfi tto un nemico già impegnato in altri fronti.<br />

Come sempre accade, i generali avevano preparato la guerra precedente,<br />

quasi ignorassero per esempio la capacità difensiva di una mitragliatrice ben<br />

incavernata o non avessero fatto tesoro dell'esperienza maturata in quasi un<br />

<strong>anno</strong> di guerra in corso, e dunque si erano preparati per una guerra offensiva<br />

con grandi masse di uomini lanciate all'assalto secondo gli abituali moduli<br />

ottocenteschi. Il generale Luigi Cadorna, capo di stato maggiore del nostro<br />

esercito, in particolare aveva scritto un famoso libro sull'impiego delle fanterie,<br />

libro che era tutto un inno all'attacco frontale, a suo dire unico modo per<br />

condurre una guerra offensiva qual era nei suoi disegni. E il libro di Cadorna<br />

era libro di testo all'Accademia Militare, sicché l'idea dell'attacco frontale era<br />

nel bagaglio intellettuale degli uffi ciali a tutti i livelli <strong>della</strong> linea di comando.<br />

Sarebbe stata comunque una guerra sanguinosa perché chi attacca subisce<br />

comunque perdite maggiori di chi si difende, ma fu grave, essendo entrata<br />

l'Italia in guerra nel 1915, cioè ripeto quasi un <strong>anno</strong> dopo lo scoppio del confl<br />

itto, che non si fosse tenuto conto di quanto era avvenuto negli altri fronti,<br />

aggiustando il tiro a misura di quanto era successo sul fronte occidentale, più<br />

omogeneo al nostro del fronte orientale.<br />

La realtà perciò si rivelò peggiore di quanto si era pensato fosse, perché<br />

Cadorna attaccò sul Carso quale unica via per raggiungere la sella di Lubiana<br />

e puntare verso Vienna, senza considerare la morfologia del massiccio e<br />

il fatto che gli Austriaci, che sparavano dall'alto verso il basso, vi si erano<br />

incavernati e si difendevano protetti laddove gli Italiani andavano all'attacco<br />

mostrando il petto al nemico. Furono attacchi vani che si ripeterono per 11<br />

volte – le battaglie dell'Isonzo, la cui dodicesima fu Caporetto – il cui unico<br />

risultato fu la conquista di Gorizia nel 1916. Fu dunque guerra di posizione,<br />

cioè trincee e sangue.<br />

Forse oggi si fatica a rendersi conto del che cosa fosse una trincea, questo<br />

solco scavato sul terreno, una ruga protetta dai sacchi di sabbia tra i quali si<br />

aprivano le feritoie, con vista sui reticolati e la trincea nemica a metri, non<br />

a chilometri di distanza. Basti dire che le deiezioni umane rimanevano sul<br />

fondo <strong>della</strong> trincea e quindi i soldati non si muovevano propriamente sul fango,<br />

bensì su uno strato di melma putrida bagnata dalle piogge d'autunno ed<br />

essiccata dal sole dell'estate. Sul Carso poi il grande nemico era la sete perché<br />

il massiccio è arido, non vi si trovano s<strong>org</strong>enti e l'acqua doveva essere portata<br />

dalle retrovie, ma, per il fuoco di interdizione del nemico, a volte non arrivava<br />

58


proprio. La trincea era poi, per ovvii motivi, un ricettacolo di malattie che con<br />

buona probabilità si trasformavano in epidemie. Prescindendo dalla celebre<br />

«spagnola» che colpì nel 1918 con falce egualitaria militari e civili, fi n dal<br />

1915 l'esercito fu sottoposto al pericolo del tifo, delle febbri, delle polmoniti e<br />

di quant'altro potesse capitare all'<strong>org</strong>anismo collocato in siffatte condizioni.<br />

Naturalmente gli uomini in prima linea sfogavano la loro rabbia, quando<br />

non trascendesse in atti più gravi dei quali ci occuperemo più sotto, imprecando<br />

contro quanti essi ritenevano responsabili <strong>della</strong> loro situazione, dal Re al<br />

governo al generalissimo Cadorna e via via lungo le erte scale delle gerarchie<br />

militari fi no al tenentino comandante di plottone che era accusato per lo meno<br />

di essere stato interventista, com'era facile fosse se è vero l'assunto precedente.<br />

Questo però è normale; è più interessante invece la rabbia che montò contro<br />

tutti coloro che non combattevano in prima linea dagli addetti alla sanità<br />

agli addetti alla sussistenza fi no agli artiglieri, i cui c<strong>anno</strong>ni erano postati un<br />

po' più indietro e quel «un po' più indietro» era suffi ciente per farli ritenere<br />

imboscati. Il termine poi arretrava via via dalle linee e veniva affi bbiato a<br />

quanti la naja proprio non la facevano. Prima di tutto, quindi, quanti erano<br />

stati esentati dal servizio e non importa fossero magari «handicappati» o malati<br />

gravi: per il trincerista erano stati tutti esentati perché fi gli di papà o per<br />

opera di corruzione. Le imprecazioni continuavano poi contro i «pescecani»,<br />

nome di gergo che indicava quanti lucravano sulle forniture di guerra ed erano<br />

quindi direttamente interessati, sempre a dire dei soldati, al proseguimento<br />

<strong>della</strong> guerra medesima che si risolveva nello scambio ineguale e ingiusto tra<br />

i guadagni loro e la pelle degli altri. Si estendeva infi ne agli operai che per<br />

essere tali, e particolarmente gli specializzati, erano indispensabili in fabbrica<br />

se si voleva continuare e potenziare la produzione bellica. Giuridicamente<br />

costoro erano militarizzati, sottoposti quindi alla disciplina militare, nonché<br />

al timore di un invio al fronte in caso di negligenza, ma i fanti questo non lo<br />

sapevano e, se lo sapevano, interessava niente.<br />

E qui si entra in un nodo fondamentale del discorso: per il motivo appena<br />

esposto, la fanteria era costituita pressoché nella totalità da contadini e non<br />

poteva essere diversamente perché l'Italia del 1915 era ancora un paese agricolo<br />

e perché non erano richieste alcuna attitudine o competenza particolari per<br />

morire in prima linea. A cose fatte, si constatò che il 95 % delle perdite subite<br />

era dato dai fanti, cioè, pressoché meccanicamente, dai contadini. Io credo che<br />

qui ci sia uno dei motivi del fallimento del biennio rosso successivo alla guerra,<br />

dal momento che sia i contadini che gli operai protestarono e tumultuarono in<br />

quel periodo, senza però mai trovare l'unità che sarebbe stata l'unica garanzia<br />

di successo, anche perché la guerra aveva retoricamente acutizzato lo scontro<br />

59


città-campagna. Del quale invero si rese cosciente Gramsci quando scrisse il<br />

suo libro sulla questione meridionale, ma era tardi e il fascismo si era ormai<br />

saldamente insediato al potere anche contrapponendo il «ruralismo» alla<br />

«pretesa» di egemonia <strong>della</strong> classe operaia.<br />

Il resto naturalmente viene dopo: al momento c'è una massa di milioni di<br />

uomini, rassegnati sì, ma non certamente entusiasti, che devono essere sottoposti<br />

a una disciplina sostitutiva delle motivazioni che non c'erano e che, va<br />

detto preliminarmente, non si cercò assolutamente, in epoca cadorniana, di<br />

indorare nella convinzione che la materia fosse così brutta che nessuno scalpello<br />

di scultore sarebbe riuscito a mo<strong>della</strong>rla. Oggetto di indagine fu esattamente<br />

il contrario: Cadorna infatti si giovò <strong>della</strong> consulenza di padre Agostino<br />

Gemelli, medico e psicologo, futuro fondatore dell'università cattolica,<br />

convinto che l'unico fattore utile per convincere gli uomini ad andare a morire<br />

fosse l'annullamento delle coscienze, cioè un addestramento e una disciplina<br />

formale (?) da osservarsi fi no all'ossessione onde il soldato fosse trasformato<br />

in un automa, obbedisse agli ordini cioè con una specie di rifl esso condizionato<br />

che li assimilava ai cani di Pavlov. Se ciò non fosse stato suffi ciente, il<br />

cordone di Carabinieri collocato nel retrofronte indicava che, arretrando, ci<br />

si sarebbe trovati sotto le fucilerie esattamente come se si fosse andati avanti.<br />

Non c'erano dunque molte alternative alla rassegnazione, se non ricorrere ad<br />

amuleti, portafortuna, scaramanzia varia, preghiere alle Divinità che assumevano<br />

in quel contesto un aspetto superstizioso che non le distingueva sostanzialmente<br />

dalla recita di qualsiasi illusorio «monstre».<br />

Naturalmente ci fu chi tentò di uscire dalla guerra, di trovare cioè una<br />

qualche modalità che lo liberasse dall'incubo <strong>della</strong> trincea. La corruzione per<br />

essere esonerati non era naturalmente solo un'invenzione di quanti invece in<br />

trincea ci stavano, c'era invece ed era molto intrecciata ai meccanismi parentali<br />

e amicali nel senso che eventuali parentele e amicizie venivano sfruttate,<br />

se non per l'esonero, per essere tenuti lontano dal fronte. Giovanni Comisso<br />

che va a a fare il telegrafi sta, per esempio, vede sempre il fronte da una certa<br />

distanza e infatti il suo «Giorni di guerra», bello e utile per tanti altri versi,<br />

non spiega nulla, nel senso che non dà testimonianza, <strong>della</strong> realtà <strong>della</strong> guerra<br />

e <strong>della</strong> psicologia del soldato.<br />

La prima forma di fuga è logicamente la renitenza, cioè il rifi uto di presentarsi<br />

ai depositi dei reggimenti al momento <strong>della</strong> leva o del richiamo, dandosi<br />

alla latitanza e più esattamente al bosco e alla montagna nelle regioni nelle<br />

quali ciò era possibile. Il numero dei renitenti è diffi cilmente determinabile<br />

perché molti dei supposti tali erano in realtà emigrati o comunque irreperibili.<br />

Ciò detto, la cifra di 48.000 renitenti assunta con molte perplessità dagli<br />

60


storici non è in sé una cifra particolarmente rilevante – conferma semmai la<br />

capacità nell'apparato repressivo dello stato – e comunque non si discosta, in<br />

relazione alla popolazione, dalle cifre che si riscontrano in altri Paesi belligeranti.<br />

Il numero più elevato dei tentativi di uscire dalla guerra si ebbe dunque<br />

non prima, bensì durante la guerra, utilizzando le autorità politiche e militari<br />

per contrastarli lo strumento del tribunale militare e confi dando nell'effi cacia<br />

e nella ferocia degli articoli del codice militare di guerra, sicché al tirar delle<br />

somme furono 400.000 le denunce presentate per fatti avvenuti nel periodo<br />

bellico del quale furono protagonisti militari o militarizzati; ciò signifi ca che<br />

il 15% dei mobilitati venne denunciato per mancanze, negligenze, omissioni<br />

del più vario genere. Nel numero rientrano anche i furti, i ritardi nel rientro<br />

dalle licenze, gli atti di una disubbidienza spicciola e momentanea per i quali<br />

spesso il ricorso alla denuncia era decisamente eccessivo e che quindi di per<br />

sé rappresentano poco, ma 128.527 furono i processi per diserzione, la via<br />

apparentemente più facile per uscire dalla guerra. Naturalmente, molte di queste<br />

denunce erano presentate nei confronti di militari che si erano presentati in<br />

ritardo ai reparti dopo le licenze ed ebbero quindi modesto seguito penale, ma<br />

il numero resta e costituisce comunque una cifra molto elevata e <strong>della</strong> quale<br />

sarebbe stolto non tener conto quando si parla del morale dei soldati durante<br />

la guerra. Iniqua e priva di ogni riscontro in altri Paesi belligeranti, fu però la<br />

decisione presa dal governo dopo Caporetto di interdire alla Croce Rossa l'invio<br />

di pacchi-viveri ai nostri prigionieri in Austria. Certamente non mancarono<br />

a Caporetto e nei giorni <strong>della</strong> rotta casi di soldati che si lasciarono catturare<br />

facilmente nella convinzione – sulla quale più sottolineeremo – che la guerra<br />

fosse fi nita o che comunque la prigionia fosse preferibile al pericolo di morire<br />

che un qualsiasi tipo di resistenza avrebbe comportato. Ci furono e in questi<br />

casi il darsi prigionieri equivaleva alla diserzione, ma la grande maggioranza<br />

dei prigionieri era, per così dire, di tipo normale, non poteva cioè essere loro<br />

imputata alcuna colpa, salvo non si volesse anticipare l'applicazione del metodo<br />

di Stalin nella II guerra, metodo per il quale ciascun prigionieri era colpevole<br />

perché la consegna era quella di morire sul posto, sicché i prigionieri<br />

liberati transitarono direttamente dalla Germania alla Siberia senza soluzione<br />

di continuità. La norma voluta dal governo Orlando si applicò naturalmente a<br />

tutti i «Caporettisti» internati e ciò ne determinava l'iniquità; diventava però<br />

immorale se si tiene conto, e ciò al governo italiano era noto, delle condizioni<br />

di vita, cioè <strong>della</strong> fame, esistenti in Austria e che si rifl ettevano sulle condizioni<br />

di vita dei prigionieri com'è naturale sia. Così, ci si avvicinò addirittura<br />

all'atto criminoso, considerando che la fame fu all'origine di una serie di epi-<br />

61


Distribuzione di doni alla brigata «Como». MCRR.<br />

Un posto di ristoro. MCRR.


Truppe a riposo. MCRR.


demie che aggravarono ulteriormente la vita dei nostri prigionieri.<br />

Notevoli – 10.000 circa, ma non mancarono i casi di suicidio – le condanne<br />

per autolesionismo, cioè <strong>della</strong> pratica di procurarsi delle ferite o delle<br />

malattie con spari attutiti da apposite fasciature onde evitare che i medici si<br />

acc<strong>org</strong>essero che il colpo era stato sparato a bruciapelo o con sostanze paravelenose<br />

(?) atte a procurare stati partologici.<br />

La forma estrema di rifi uto <strong>della</strong> disciplina era evidentemente l'ammutinamento,<br />

determinato dal rifi uto di tornare in linea da parte di truppe stazionate<br />

in quel momento nelle retrovie. Va detto preliminarmente che ammutinamenti<br />

avvennero in misura maggiore o minore, clamorosi o soffocati sul nascere, in<br />

tutti gli eserciti in campo, ma nell'esercito italiano essi ebbero una caratteristica<br />

che è necessario mettere subito in evidenza a ulteriore illustrazione del<br />

tipo di disciplina instaurato dalla gestione Cadorna. Era regola comune infatti<br />

che i turni in trincea e i turni di riposo nelle retrovie si alternassero secondo<br />

un calendario inteso a non deprimere eccessivamente il morale e la salute<br />

fi sica dei combattenti. Ciò però non sempre avvenne con puntualità e rispetto<br />

delle esigenze dei reparti. È ovvio che esistessero situazioni di emergenza<br />

nelle quali era impossibile rispettare le regole, ma, nel periodo Cadorna, si<br />

andò oltre l'emergenza o si trasformò anche il normale in emergenziale, sicché<br />

il mancato rispetto dei turni di riposo o dei tempi dei medesimi, divenne<br />

pressoché la regola con grave disagio dei soldati. Tale fu il caso <strong>della</strong> brigata<br />

Salerno nel 1916, tale fu il caso <strong>della</strong> brigata Catanzaro nel 1917. Infatti,<br />

l'ammutinamento di aliquote di queste brigate – tra l'altro la Catanzaro era<br />

reduce da un valoroso ciclo di combattimenti – venne dopo un ordine di ritorno<br />

anticipato in prima linea, prima del completamento del regolare turno di<br />

riposo. La risposta all'ammutinamento non era l'individuazione e la punizione<br />

dei colpevoli di aver fomentato l'ammutinamento medesimo, bensì il barbaro<br />

sistema <strong>della</strong> decimazione. La quale decimazione altro non era che una variante<br />

<strong>della</strong> rappresaglia per la quale veniva fucilato alla schiena un soldato su<br />

dieci, seguendo il criterio del puro caso.<br />

Altro motivo del malcontento dei soldati era la diffi coltà a ottenere licenze,<br />

sempre misurate con il bilancino del farmacista, di modesta estensione nel<br />

tempo, spesso disdette all'ultimo momento, e, per i fanti-contadini sul cui numero<br />

ci siamo già intrattenuti, pesava essenzialmente la scarsa disponibilità di<br />

licenze agricole in occasione dei momenti cruciali dell'annata agraria, quando<br />

cioè sarebbe stata necessaria la presenza di braccia giovani sul podere. Nel<br />

caso, ciò dipendeva da un'altra delle convinzioni proprie di Cadorna e cioè<br />

che la costruzione del soldato-automa potesse essere scalfi ta da un ritorno, sia<br />

pur temporaneo, alla vita civile e che, una volta rotta la costruzione, si potesse<br />

64


essere più facilmente prede dell'allettamento alla diserzione o comunque del<br />

ritardato ritorno ai reparti.<br />

Il concetto era presente fi n dall'inizio <strong>della</strong> guerra e rientrava nell'ambito<br />

<strong>della</strong> forma disciplinare che lo Stato Maggiore aveva fatto proprio, ma via via<br />

che la guerra si inoltrava ed erano evidenti le stragi e i lutti che essa comportava,<br />

maturò in Cadorna la convinzione che il basso morale e gli allettamenti<br />

sovversivi che egli riteneva fossero presenti nel Paese e per i quali non poche<br />

volte aveva protestato contro quella che egli riteneva fosse la debolezza dei<br />

giovani, potessero inquinare il morale dei soldati in licenza. Naturalmente,<br />

Cadorna era altrettanto convinto del basso morale dei soldati, ma, inquadrati,<br />

essi erano domati o quanto meno domabili dalla disciplina di ferro <strong>della</strong> quale<br />

si è detto, sciolti e spersi nel Paese erano di più diffi cile controllo. Assunto<br />

ciò come vero, diventava assolutamente ovvio che fosse necessario concedere<br />

il minor numero possibile di licenze, la richiesta delle quali quindi rientrò in<br />

ogni protesta che in una forma o nell'altra fosse avvenuta nell'esercito.<br />

Per il benessere del soldato nulla era previsto da Cadorna ed era logico che<br />

così fosse se si tiene presente la presupposizione teorica – il soldato automa<br />

– dalla quale si muoveva. Essa venne piuttosto lasciata all'iniziativa privata,<br />

cioè alle signore che nelle città cucivano indumenti di lana per lenire il freddo<br />

delle trincee, o all'iniziativa di qualche più avveduto cappellano militare. Fu<br />

così che don Giovanni Micuzzi diede vita nelle retrovie del fronte alle «Case<br />

del soldato», a spazi cioè ove i soldati in riposo avrebbero potuto trovare momenti<br />

di distrazione con recite, proiezioni di fi lm, viveri di conforto e carta e<br />

penna per scrivere a casa con maggiore agio di come ciò avvenisse in baracca.<br />

Di suo, lo Stato mise in circolazione molto alcool e istituì bordelli per militari.<br />

I superalcolici servivano «ad adiuvandum» di quanto la trasformazione<br />

in automi non avesse ottenuto e dunque la distribuzione di essi precedeva<br />

ogni attacco, così che un qualche grado di euforia alcolica spingesse i fanti<br />

fuori dalle trincee sotto il fuoco nemico. I bordelli invece erano regolamentati<br />

direttamente dalla burocrazia militare e se ne prevedeva l'istituzione nei<br />

paesi di retrovia onde maschilisticamente allietassero il riposo del guerriero<br />

attraverso ragazze arruolate nella rete dei bordelli civili. Per ragioni igieniche,<br />

era invece fortemente contrastato l'esercizio libero, cioè senza permessi<br />

e autorizzazioni, <strong>della</strong> «professione» che, proprio per esser tale, era affi data a<br />

collaudate professioniste.<br />

Il presupposto dal quale siamo partiti era che il servizio di leva o il richiamo<br />

alle armi – nel corso del confl itto si richiamarono tutte le classi dal 1878<br />

al 1900, anche se quest'ultima non ebbe il tempo di partecipare alla guerra<br />

– coinvolgono direttamente tutto il popolo. Non è quindi improprio, era d'al-<br />

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tronde uno dei pensieri ricorrenti di Cadorna, timoroso com'era del crollo del<br />

fronte interno, esaminare quale fosse il morale del popolo nel corso del confl<br />

itto. Diciamo subito che il morale del popolo era basso se non altro perché la<br />

guerra, e dunque lo stillicidio delle perdite, continuava nel tempo e sembrava<br />

non aver fi ne. Era però un popolo di contadini e dunque le variazioni del morale,<br />

scosso anche dal fatto che non si registravano vittorie delle quali essere<br />

fi eri, dipendevano molto da ciò che in qualsiasi modo rientrasse nell'ambito<br />

dei loro interessi diretti. Lo Stato aveva in realtà provveduto a garantire un<br />

sussidio alle famiglie dei combattenti, ma l'esiguità delle somme – 60 centesimi<br />

al giorno, in sostanza suffi ciente per il pane e il latte e qualche volta per il<br />

baccalà, pesce allora dei poveri – innescò la miccia di non poche proteste che<br />

già nel 1916 erano trascese a volte in tumulti. Ancora nulla di preoccupante<br />

invero, fi nché le proteste si limitavano ad assembramenti davanti ai municipii<br />

dei paesi, ma via via esse aumentarono in quantità e in intensità. Intendo per<br />

intensità che l'originaria richiesta di aumento dei sussidi a poco a poco sbiadì<br />

per essere sostituita da altre e più pericolose parole d'ordine. Si chiese la pace<br />

innanzi tutto e questo non poteva non preoccupare il governo di un Paese<br />

impegnato nella prima guerra totale nella storia, si chiese il blocco dei fi tti<br />

agrari – che infatti venne concesso come misura straordinaria e temporanea –<br />

si cominciò a chiedere, ed era la richiesta più pesante e più grave, che la terra<br />

fosse data in proprietà ai co1ntadini, come premio per quanto essi stavano<br />

facendo in guerra. L'errore del governo, al quale sarebbe semmai spettato di<br />

presentare al Parlamento un eventuale provvedimento del genere, consistette<br />

nel rimanere assente e muto, lasciando però trapelare l'idea che alla fi ne<br />

qualcosa si sarebbe fatto in proposito. Non ci fu dunque alcuna disposizione<br />

o promessa di divisione delle terre, ma l'idea venne lasciata correre per le<br />

trincee come qualcosa di più di un'eventualità e convinse i fanti-contadini che<br />

ciò sarebbe avvenuto. Si creò quindi un gigantesco equivoco, fonte di tutte le<br />

posteriori iniziative di occupazione delle terre che si ebbero nel 1919-'20.<br />

L'<strong>anno</strong> di svolta fu il 1917 e non solo in Italia. La stanchezza s'era ovunque<br />

trasformata in prostrazione e la prostrazione aveva innescato un circuito<br />

del quale non era chiara la trasmissione dal popolo ai soldati o dai soldati al<br />

popolo. Gli ammutinamenti contro la strategia del generale Nivelle in Francia,<br />

sono forse gli episodi più clamorosi di questo disagio, ma va detto che,<br />

in quell'<strong>anno</strong>, anche le classi dirigenti si stavano rendendo conto di quanto<br />

profondo fosse il peso che gravava sulle masse popolari. Fu l'imperatore<br />

Carlo d'Austria, succeduto a Francesco Giuseppe morto l'<strong>anno</strong> precedente –<br />

l'Austria era notoriamente l'anello debole degli Imperi centrali – a prendere<br />

l'iniziativa e a servirsi del cugino Sisto di Borbone per un giro delle capitali<br />

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europee onde verifi care le possibilità di una pace di compromesso. Non se ne<br />

fece nulla, ma il signifi cato del gesto rimase e non manca di importanza in<br />

sede storica. Ben più autorevole e soprattutto palese e quindi a conoscenza<br />

di tutti, fu l'allocuzione del pontefi ce Benedetto XV che conteneva la celebre<br />

defi nizione <strong>della</strong> guerra come «inutile strage», non a caso bollata come<br />

disfattista dai governi di tutti i Paesi belligeranti di confessione cattolica. In<br />

Italia, si levò però anche una voce laica: il deputato socialista Claudio Treves,<br />

intervenendo alle Camere, dichiarò «Non più un inverno in trincea», anche se<br />

non era chiaro che cosa avrebbero fatto lui medesimo e il suo partito nel caso<br />

si fosse trascorso un altro inverno in trincea, come poi di fatto accadde.<br />

Accanto ai tumulti agrari cui si è fatto cenno, maturò oltre e, più esattamente,<br />

favorito anche da queste dichiarazioni, i fatti di Torino dell'agosto,<br />

quando, in seguito a una crisi nel rifornimento di pane ai forni <strong>della</strong> città, il<br />

tumulto <strong>anno</strong>nario, inevitabile in siffatti frangenti, si trasformò in una specie<br />

di rivolta, nella quale, alla richiesta di pane, si associò la richiesta <strong>della</strong> pace,<br />

e per sedare la quale si dovette ricorrere ai reggimenti di cavalleria, tenuti<br />

di guarnigione nelle città proprio per il mantenimento dell'ordine pubblico,<br />

nonché alla brigata Sassari che, secondo il vecchio schema in uso in Italia fi n<br />

dall'Unità, essendo formata da fanti sardi, si riteneva, e così infatti fu nonostante<br />

gli appelli del sardo Gramsci, non avrebbe solidarizzato con gli insorti.<br />

Va poi ricordato che la rivolta era stata preceduta dalla visita a Torino di una<br />

delegazione di rivoluzionari russi – menscevichi peraltro e non bolscevichi<br />

– e quindi si capisce quali preoccupazioni di ordine interno e internazionale<br />

nutrisse il governo italiano in quel 1917.<br />

Che tutto ciò giocasse anche sul morale dei soldati al fronte, non c'è dubbio,<br />

dal momento che la medesima stanchezza presente nel popolo era presente<br />

anche nell'esercito, ma da questa constatazione muovere per affermare<br />

che il disastro di Caporetto sia stato dovuto a una sorta di sciopero militare<br />

attuato da combattenti consapevolmente orientati in questo senso, costituisce<br />

un indebito e ingiustifi cabile salto logico. Caporetto fu una sconfi tta militare<br />

come altre ce ne furono in tutti i fronti di guerra, né più né meno grave, dovuta<br />

essenzialmente all'applicazione da parte del maresciallo von Below e delle<br />

truppe tedesche inviate sul fronte italiano di una nuova tattica di infi ltrazione<br />

alla quale i nostri soldati non erano stati addestrati. Vi si aggiungono la pessima<br />

idea di Cadorna di non dislocare una riserva mobile in profondità, la sottovalutazione<br />

di Capello di quanto fosse decisivo passare da uno schieramento<br />

offensivo a uno difensivo da parte <strong>della</strong> sua II armata, l'errore di Badoglio di<br />

ritardare il tiro delle artiglierie alle sue dipendenze, ed è chiaro che la sconfi<br />

tta si può e si deve spiegare in termini puramente militari. Poi, ma solo poi,<br />

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infl uirono ed ebbero il loro peso anche motivazioni riconducibili al morale<br />

dell'esercito e del Paese. Ebbe peso soprattutto la convinzione propria di molti<br />

soldati che quella sconfi tta segnasse la fi ne <strong>della</strong> guerra e si potesse quindi<br />

tornare a casa, convinzione a sua volta determinata dalla grande stanchezza<br />

che era comune, va ripetuto, a tutti gli eserciti e a tutti i popoli.<br />

Caporetto segnò al fi ne di una fase <strong>della</strong> guerra italiana e l'inizio di una fase<br />

nuova. Il vecchio Boselli venne sostituito a capo del governo dal più giovane<br />

Vittorio Emanuele Orlando, che, come ministro dell'Interno, aveva spiegato<br />

molta energia nella repressione dei moti di Torino; Cadorna venne, invero<br />

garbatamente, quasi convincendolo che si trattava di una promozione, mandato<br />

a Parigi come rappresentante italiano nel Consiglio Militare Interalleato,<br />

un <strong>org</strong>ano del tutto formale e privo di poteri, e sostituito da Armando Diaz.<br />

Il quale Diaz era tutt'altro che un grande stratega, ma era dotato di un buon<br />

senso tutto napoletano che gli faceva comprendere che, se si voleva (fosse voluto)<br />

continuare la guerra. e vincerla, era necessario per prima cosa migliorare<br />

le condizioni morali e il trattamento materiale dei combattenti. Diaz fu anche<br />

favorito da due fatti che v<strong>anno</strong> assunti come una specie di precondizioni, prima<br />

ancora cioè che egli cominciasse a operare nel suo nuovo ruolo.<br />

La prima era di carattere esclusivamente militare: a Caporetto era stata<br />

travolta la II Armata; le altre, dislocate su altri settori del fronte, si erano<br />

ritirate dietro la linea del Piave in buon ordine, mantenendo intatto il loro<br />

potenziale. D'altronde, con metodi che eufemisticamente potremmo defi nire<br />

spicci, su quella medesima linea il generale Andrea Graziani era riuscito in<br />

qualche modo a ricomporre in unità <strong>org</strong>aniche gli sbandati e i dispersi che<br />

riuscirono ad arrivare fi n lì. La seconda toccò invece più propriamente il morale<br />

dei cittadini dal momento che l'invasione del Friuli e di parte del Veneto<br />

agì come una frustata dalla quale era necessario difendersi anche perché,<br />

parte era realtà, parte era fantasia, si diffuse nell'immaginario collettivo l'idea<br />

dell'austriaco saccheggiatore, dell'austriaco stupratore, dell'austriaco barbaro,<br />

sulla quale idea ci si soffermava poi attraverso il racconto dei profughi che,<br />

a loro volta, qualcosa avevano visto e qualcosa dicevano di aver visto. In<br />

altre parole, ci fu una reazione popolare che, in questa occasione, diede vita<br />

a un patriottismo suffi cientemente diffuso. D'altro canto, il governo dispose,<br />

tramite il ministro delle fi nanze Francesco Saverio Nitti, l'accensione di una<br />

polizza sulla vita di ogni combattente, provvedimento che faceva pensare alle<br />

famiglie dei combattenti che fi nalmente il governo in qualche maniera si stava<br />

occupando <strong>della</strong> loro sorte.<br />

In tutto ciò Diaz non c'entrava, ma, una volta assunto il comando, egli fece<br />

la sua parte, cominciando con il capovolgere la strategia di Cadorna. Diaz<br />

68


attribuiva infatti la situazione dell'esercito al dispendio di vite umane causato<br />

dalla concezione «offensivistica» del suo predecessore e, una volta che<br />

l'esercito si fu arrestato sulla linea del Piave, decise di mantenerne a oltranza<br />

l'assetto difensivo, meno dispendioso di sangue, ove a oltranza s'intendeva<br />

fi nché non si fossero presentate occasioni più che favorevoli per una ripresa<br />

offensiva. Tanto è vero che nell'ottobre 1918 furono le insistenze degli alleati<br />

a spingerlo alla battaglia di Vittorio Veneto, e quindi sollecitazioni di carattere<br />

politico, dal momento che egli riteneva che l'offensiva fi nale si sarebbe dovuta<br />

sferrare nella primavera 1919, per la quale offensiva si sarebbe avvalso<br />

<strong>della</strong> classe 1900 che infatti non andò in linea a diciotto anni com'era capitato<br />

alle classi immediatamente precedenti.<br />

Queste furono grandi scelte; poi Diaz pensò a una serie di provvedimenti<br />

spiccioli ma altrettanto necessari per migliorare il mondo dei soldati. Gli aiuti<br />

americani che cominciavano ad affl uire massicci nel Paese, consentirono intanto<br />

di migliorare la qualità del rancio che era provvedimento di non poco<br />

conto per un esercito abituato alla monotonia <strong>della</strong> carne e brodo da sempre<br />

dominante, con il pane, nel pasto dei soldati. Vennero così meno alcuni motivi<br />

di malcontento legati alla distribuzione e al consumo del rancio medesimo<br />

che migliori linee di comunicazione consentivano pervenisse alle prime linee<br />

con puntualità.<br />

Lo schieramento difensivo che rendeva inutile il barbaro uso delle decimazioni<br />

– che era un dato oggettivo legato alla tattica diversa posta in essere dal<br />

Comando Supremo – fece sì che Diaz fosse ritenuto dai soldati colui che le<br />

decimazioni le aveva abolite mentre in realtà erano solo entrate in sonno, ma<br />

il fatto che colpì fu che non vi si ricorse più. Si fece strada inoltre l'idea che<br />

si dovesse e si potesse motivare i soldati, cioè rendendoli più consapevoli del<br />

motivo per il quale stavano combattendo, e questa idea contrassegnò positivamente<br />

la gestione Diaz.<br />

A tal fi ne si nominarono nei reparti gli uffi ciali P, precisamente con questo<br />

compito motivatorio. Se è vero quanto abbiamo affermato in premessa, non<br />

mancavano certamente uffi ciali entusiasti, molti mutilati e quindi persuasivi<br />

a vista, di questa mansione che ebbe, va sottolineato, una sua effi cacia anche<br />

se non misurabile in termini quantitativi.<br />

Altra importante iniziativa fu la diffusione dei giornali di trincea, naturalmente<br />

alcuni meglio riusciti, altri meno, ma, stante la presenza dei molti intellettuali<br />

interventisti ora sotto le armi, di norma ben confezionati – ricordo «La<br />

tradotta» – che avevano lo scopo di esaltare lo spirito di corpo delle unità alle<br />

quali ciascuno di essi faceva riferimento, nella convinzione che la guerra non<br />

si risolveva in duelli individuali, bensì procedeva per reparti <strong>org</strong>anici ai quali<br />

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Due soldati in un momento di tempo libero


andava instillata l'idea <strong>della</strong> collettività come modo più utile per affrontare il<br />

combattimento.<br />

Ultimo, ma non per ultimo, dei provvedimenti fu la costituzione del Corpo<br />

degli Arditi, che non era una novità – già nel 1916 il maggiore Baseggio<br />

aveva <strong>org</strong>anizzato tali reparti all'interno di unità di maggiori dimensioni – ma<br />

che nell'ultimo <strong>anno</strong> di guerra vennero tolti alle unità, e chiamati a dare vita a<br />

un corpo autonomo che diede vita a intere divisioni. Gli arditi erano volontari<br />

che venivano sottratti alla monotonia e ai pericoli <strong>della</strong> vita di trincea per<br />

essere utilizzati nelle azioni più pericolose ove l'obbedienza doveva essere<br />

quanto meno accompagnata da quella consapevolezza che conduce a un coraggio<br />

più vivo e più sentito. Mario Isnenghi insiste su questo punto e credo<br />

abbia perfettamente ragione, anche se la battaglia fi nale e la vittoria non si<br />

dovette certamente solo all'impiego <strong>della</strong> I divisione d'assalto nel forzamento<br />

del Piave verso Moriago.<br />

72


Scalata alla «cuccagna» durante un momento di riposo. MCRR.


Merlettaie al lavoro


GLI ATTORI SOCIALI NELLA PROVINCIA DEL PIAVE<br />

(1917-1918)<br />

Daniele Ceschin<br />

Senza la rotta di Caporetto, quella di Treviso non sarebbe diventata la<br />

«provincia <strong>della</strong> Vittoria» e il Piave il fi ume «sacro alla Patria». Di più, tanti<br />

piccoli paesi posti alla destra e alla sinistra del Piave non si sarebbero trasformati<br />

in una «terra di nessuno», non sarebbero stati sgomberati, distrutti<br />

e ricostruiti; altri non sarebbero stati teatro delle offensive e controffensive<br />

dell'ultimo <strong>anno</strong> di guerra che ne avrebbero modifi cato perfi no il nome. Ma<br />

le vicende militari – che v<strong>anno</strong> analizzate, studiate e ovviamente decostruite<br />

quando sconfi nano nella retorica patriottica coeva e successiva – non devono<br />

far passare in secondo piano gli attori sociali – in gran parte civili, ovvero la<br />

popolazione invasa, i profughi e gli internati – che tra il 1917 e il 1918 subiscono<br />

le conseguenze dirette dello spostamento del fronte dall'Isonzo e dal<br />

Carso, al Piave e al Grappa. Solitamente utilizzo la categoria di «attore sociale»<br />

in senso estensivo, riferendomi ad esempio anche ai soldati, ai prigionieri,<br />

ai disertori e così via, ma qui la userò in particolare rispetto alla popolazione<br />

civile, accennando ad alcuni aspetti e nodi tematici che interessano le due<br />

parti <strong>della</strong> provincia che si ritrovano separate dalla nuova linea del fronte.<br />

L'esodo<br />

La ritirata dell'esercito italiano dopo Caporetto comporta un impatto traumatico<br />

sulla popolazione civile posta di fronte ad una scelta in cui motivazioni<br />

individuali e collettive s'intersecano. Spesso i civili sono spettatori che<br />

assistono a scene del tutto inedite e che possono indurli a prendere una decisione<br />

in un senso piuttosto che in un altro. Ma poi, chi parte e chi rimane?<br />

E con quali mezzi? E con quali prospettive o speranze? A partire non sono<br />

solamente i b<strong>org</strong>hesi, le persone facoltose, i possidenti, ma anche gli artigiani,<br />

gli operai, i contadini e i mezzadri. Che poi l'esito positivo <strong>della</strong> fuga, il profugato<br />

oltre il Piave, venga raggiunto prevalentemente da coloro che abitano<br />

nei centri posti lungo le principali vie di comunicazione, che h<strong>anno</strong> potuto<br />

mettersi in marcia con un certo anticipo oppure affrontare il viaggio in treno<br />

piuttosto che a piedi, è un'altra questione. Se dunque il profugato come esito<br />

ha un carattere di classe, l'esodo come scelta ha un carattere di massa. Questo<br />

è uno dei nodi centrali dell'intera vicenda che interessa i civili del Friuli e del<br />

75


Veneto dopo Caporetto 1 . Poi, ovviamente, ci sono le scelte in controtendenza,<br />

il desiderio di rimanere comunque a difendere la proprietà o ad assistere delle<br />

persone care, ma anche la mancata percezione del pericolo.<br />

Innanzitutto, la fuga viene immaginata individualmente, discussa in famiglia,<br />

esclusa categoricamente, ma comunque quasi sempre preparata, anche<br />

da coloro che, fi no all'ultimo, sono intenzionati a rimanere. In molti casi è<br />

la mancanza di notizie dei propri famigliari a indurre la popolazione a restare<br />

piuttosto che a fuggire. Tra il partire e il restare, un grosso peso gioca<br />

quindi anche la casualità. Nel dubbio, si rimane, anche perché la separazione<br />

riguarderebbe, nella maggior parte dei casi persone anziane, malate o non<br />

autosuffi cienti. Il ritardare di poco la partenza o il ritornare indietro in cerca<br />

dei parenti che si sono attardati oppure dei bambini smarriti – una circostanza<br />

molto comune che provocava in qualche caso la disperazione delle madri che,<br />

disperate, risalgono a ritroso la colonna 2 – signifi ca perdere la possibilità di<br />

porsi in salvo e di attraversare i fi umi prima che i ponti vengano distrutti. Un<br />

grosso peso nella decisione è dovuta alla maggiore disponibilità di mezzi e di<br />

denaro per gli abitanti delle città, oltre che alla fortuna di trovarsi lungo la più<br />

importante direttrice stradale e ferroviaria, anche se non in tutti i casi questo<br />

costituisce un vantaggio. Si fugge o si è tentati a farlo innanzitutto per paura.<br />

Nei giorni immediatamente successivi a Caporetto, di fronte alla visione <strong>della</strong><br />

disfatta militare, «la fantasia è piena delle barbarie tedesche nel Belgio» 3 .<br />

Una presenza costante, questa <strong>della</strong> violenza, che è nota attraverso la propaganda<br />

di guerra e che alimenta timori fi no a quel momento sconosciuti. Anche<br />

le false notizie di quei giorni di guerra h<strong>anno</strong> una certa importanza nella scelta<br />

se partire oppure no 4 .<br />

In alcuni casi i sindaci consigliano che in previsione di un ordine di sgombero<br />

siano in via precauzionale allontanati le donne e i bambini. Le separazioni<br />

famigliari interessano in particolare gli anziani che intendevano comunque<br />

restare 5 e la ritrosia <strong>della</strong> popolazione a partire emerge molto chiaramente ed<br />

1 Daniele Ceschin, Gli esuli di Caporetto. I profughi in Italia durante la Grande Guerra,<br />

Laterza, Roma-Bari 2006.<br />

2 Attilio Baradel, Nei solchi dell'odio, Cassa di Risparmio <strong>della</strong> Marca Trevigiana, Treviso<br />

1988 [1925], pp. 30-31.<br />

3 Libro storico parrocchiale di Bressa redatto da don Francesco Lucis, riportato in Lucio<br />

Fabi, Giacomo Viola, «Una vera Babilonia...». 1914-1918. Grande guerra ed invasione austro-tedesca<br />

nei diari dei parroci friulani, Edizioni <strong>della</strong> Laguna, Monfalcone 1993, p. 94.<br />

4 Sul peso delle notizie e dei racconti, veri o tenuti per veri sull'immaginario collettivo, cfr.<br />

Marc Bloch, La guerra e le false notizie. Ricordi (1914-1915) e rifl essioni (1921), Donzelli,<br />

Roma 1994, pp. 79-108. Per il caso italiano, rimando a Giovanna Procacci, Dalla rassegnazione<br />

alla rivolta. Mentalità e comportamenti popolari nella grande guerra, Bulzoni, Roma<br />

1999, pp. 339-346.<br />

5 Amerigo Clocchiatti, Cammina frut, Vangelista, Milano 1972, p. 8.<br />

76


è attribuibile alla volontà di non abbandonare al nemico i propri averi. Anche<br />

nei paesi rivieraschi del Piave i civili non vogliono saperne di andarsene senza<br />

portare con sé beni, animali e raccolti, un atteggiamento comprensibile tra<br />

le classi rurali, convinte che il nemico non si fermi e che il suo sia solamente<br />

«un passaggio» 6 .<br />

La fuga delle classi dirigenti rappresenta senza dubbio uno degli aspetti<br />

più controversi dei giorni immediatamente successivi alla rotta. Fuga di<br />

sindaci, assessori e consiglieri comunali, ma anche di impiegati pubblici, di<br />

fi gure di riferimento come possono essere i maestri elementari e i medici condotti,<br />

oppure ancora i segretari comunali, il cui compito è quello di porre in<br />

salvo se stessi come rappresentanti legittimi del potere locale e, se possibile,<br />

le carte d'archivio, sulle quali tale potere è fondato. Il funzionario pubblico<br />

si sente il depositario di un potere che deve conservare e difendere di fronte<br />

all'invasione nemica; l'unico modo per farlo è quello di seguire l'esercito in<br />

ritirata. D'altra parte, se sono le autorità civili a dare «l'esempio <strong>della</strong> fuga»,<br />

la scelta di partire risulta in qualche modo indotta anche nella popolazione<br />

civile 7 . Va da sé, che la partenza precipitosa delle classi dirigenti e dei notabili<br />

viene immediatamente percepita da chi ha intenzione di rimanere – per scelta,<br />

necessità o impossibilità a scappare – come un segno distintivo di classe.<br />

Il nodo centrale è dato dal fatto che, interrotta la catena di comando, le<br />

amministrazioni locali nella maggior parte dei casi h<strong>anno</strong> ravvisato gli estremi<br />

non per sottrarsi alle proprie responsabilità, ma per decidere in proprio un<br />

comportamento da assumere rispetto alla loro carica e, se vogliamo, anche<br />

rispetto al loro ruolo morale. Un comportamento non previsto da alcun<br />

manuale del caso e che implica una scelta ben precisa. È meglio rimanere e<br />

difendere la popolazione rimasta che non vuole saperne di partire o che non<br />

può comunque muoversi, oppure abbandonare in fretta il proprio comune,<br />

salvare gli atti più importanti e seguire, accompagnare, aprire la strada ai propri<br />

concittadini profughi? Si trattava di una scelta non facile e irreversibile, che<br />

impegna i singoli amministratori, ma anche le loro famiglie, quindi centinaia<br />

di persone.<br />

Eppure, di fronte all'esodo delle autorità civili, quelle religiose, nella maggior<br />

parte dei casi, sono indotte a rimanere accanto alle loro comunità. L'autoinvestitura<br />

dei parroci si pone di fatto in linea di continuità con le forme di<br />

«supplenza cattolica» operanti fi n dall'inizio <strong>della</strong> guerra e che ora acquistano<br />

una legittimazione nuova e maggiormente vincolante. Questo fatto darà luo-<br />

6 Giovanni Dal Poz, L'invasione. Diario di un profugo, Tipografi a Cartoleria Luigi Guin,<br />

Noale 1937, p. 5.<br />

7 Cesco Tomaselli, Gli «ultimi» di Caporetto. Racconti del tempo dell'invasione, Paolo<br />

Gaspari Editore, Udine 1997 [1931], p. 69.<br />

77


go a molte polemiche durante l'ultimo <strong>anno</strong> di guerra, in particolare da parte<br />

<strong>della</strong> componente politica del profugato, che accuserà i parroci e i cappellani<br />

rimasti in territorio invaso di collaborare attivamente con le truppe occupanti<br />

e di essere, in una parola, degli austriacanti al servizio del nemico. In questo<br />

momento per molti parroci il problema <strong>della</strong> scelta, o solamente del dubbio<br />

tra il restare o il partire non si pone nemmeno. In assenza di direttive, i parroci<br />

si limitano ad osservare quanto prescrive loro il diritto canonico, ovvero<br />

l'obbligo di residenza anche nel caso in cui nella parrocchia rimangano poche<br />

persone. È quindi comprensibile lo stupore dei sacerdoti di fronte alla fuga<br />

degli amministratori comunali. Così padre Giovanni Simonato, economo spirituale<br />

di Colbertaldo:<br />

Veramente grave e diffi cile era ad un tempo la nostra condizione. Da una parte certi<br />

signori che avevano sempre gridato «Viva la guerra», insistendo presso i loro dipendenti<br />

sulla necessità e sul dovere che tutti avevano di cooperare con tutte le forze al nostro trionfo,<br />

assoggettandoci, se fosse d'uopo, anche a sacrifi ci i più gravosi per una causa tanto nobile,<br />

noi li avevamo veduti misteriosamente scomparire dai nostri paesi. Ove si erano rifugiati? È<br />

facile immaginarlo, oltre il Piave. Niente di male, anzi…, ma perché essi non si curarono di<br />

far presente anche ai dipendenti il pericolo grave che sovrastava? Perché anzi spargere e far<br />

spargere artifi ciosamente la voce che essi non ci avrebbero abbandonato, che sarebbero rimasti<br />

con noi fi no all'ultima ora? Perché cercare di persuadere il popolo che il miglior partito<br />

era rimanere al suo posto? 8<br />

Nel suo diario, il parroco di Farra di Soligo, don Desiderio Calderer, elenca<br />

impietosamente tutti i notabili che alla notizia <strong>della</strong> rotta militare h<strong>anno</strong><br />

passato il Piave senza dare notizia <strong>della</strong> loro partenza ai compaesani;<br />

s'interroga anche lui sulla fuga dei siori:<br />

Sono partite per Milano tutte le autorità e tra queste: il conte Carlo Brandolini, sindaco; il<br />

cav. Pietro Savoini, assessore; il dott. Ugo Cecconi, medico condotto; il sig. Giovan Battista<br />

Savoini, maestro; il sig. Rigamonti Oceano, esattore; i sigg. Umberto e Amedeo Vedovati,<br />

possidenti; il sig. Bortolomiol Giuseppe, direttore del forno; il sig. Domenico Narduzzo del<br />

fu Giuseppe; Maioli Riccardo, daziere, con la famiglia; Ferruccio Modenese, uffi ciale postale;<br />

il dott. Adriano Scudo, segretario comunale; Spagnol Ruggero, albergatore e presidente<br />

<strong>della</strong> Congregazione di Carità; il sig. Granata Enea, direttore <strong>della</strong> fi landa […] 9 .<br />

8 Giovanni Simonato, Una pagina di storia dell'invasione austro-germanica (10 novembre<br />

1917-30 ottobre 1918), Terra Ferma, Vicenza 2007, p. 18. Si tratta <strong>della</strong> ristampa anastatica<br />

<strong>della</strong> 2<br />

78<br />

a edizione (Longo & Zoppelli, Treviso 1922); la 1a era stata del 1920, la 5a del 1935.<br />

9 Diario di don Desiderio Calderer, citato in Gustavo Corni, L'<strong>anno</strong> dell'invasione 1917-<br />

1918, in Due villaggi <strong>della</strong> collina trevigiana. Vidor e Colbertaldo, IV, L'età contemporanea.


In alcune delle sue pagine più belle, Ardengo Soffi ci descrive in questo modo<br />

il passaggio dei profughi, in gran parte friulani, attraverso i primi comuni oltre<br />

il Piave, sulla vecchia strada napoleonica, tra Spresiano e Villorba:<br />

C'incontriamo con turbe di profughi che han passato il Piave e s'irradiano per questa pianura.Chi<br />

ha potuto salvare una vacca, un asino, un porco se lo conduce in compagnia come un<br />

membro <strong>della</strong> famiglia; quasi tutti traggon con sé qualche cosa, una cesta, un carretto ricolmo<br />

d'ogni cosa un po', una gabbia, un sacco, un fi asco di vino, un fagottello di biancheria. Carri<br />

di fi eno vengono innanzi, su cui troneggiano in confuso, spose, vecchi, mobilia, e bambini<br />

che ridono o dormono avvolti in coltroni e scialli. Per chilometri, il torrente umano sfi la vicino<br />

a noi. È tutto il Friuli e mezzo il Veneto ormai che arrivano e passano. Migliaia, decine di<br />

migliaia, centinaia di migliaia di visi emergono dal grigiume amorfo <strong>della</strong> interminabile fi la e<br />

si precisano nei nostri occhi. Visi fi orenti, visi emaciati, stanchi, giovanili, aggrondati, ridenti,<br />

irritati, appassionati, muti, oscuri, desolati; visi di pianto, di paura o d'indifferenza 10 .<br />

Parole e immagini comuni anche a buona parte <strong>della</strong> memorialistica e <strong>della</strong><br />

letteratura di guerra 11 . Del resto, così si presenta Ponte <strong>della</strong> Priula il 29 ottobre:<br />

Un'enorme confusione regnava negli uffi ci <strong>della</strong> scuola bombardieri ivi accampati, così<br />

pure negli alberghi e case, le strade erano ingombre di fuggiaschi dei paesi del Friuli ormai<br />

invaso, di carri carichi di masserizie tirati da cavalli, buoi, ed anche a mano, di uomini, donne,<br />

bambini, stanchi, disperati, spauriti che nella confusione avevano smarrito i famigliari, di<br />

soldati sbandati o fuggiti dagli ospedali, sfi niti, affamati, di camion carichi di uomini, materiali<br />

e soldati. Gli ultimi treni che passavano per la stazione erano affollati di profughi, molti<br />

dei quali, non trovando posto, erano saliti sopra il coperto dei vagoni 12 .<br />

Secoli XIX-XX, a cura di Danilo Gasparini, Comune di Vidor, Cornuda 1990, p. 535.<br />

10 Ardengo Soffi ci, La ritirata del Friuli. Note di un uffi ciale <strong>della</strong> seconda Armata, Vallecchi,<br />

Firenze 1930<br />

79<br />

3 (ed. orig. 1919), pp. 234-235.<br />

11 Angelo Manaresi, Ricordi di Guerra 1915-1918, a cura di Roberto Mezzacasa, Nordpress,<br />

Chiari (Bs) 2000, p. 97: «La immensa marea che traboccava di qua dal Piave in cerca di<br />

salvezza dava veramente l'impressione di un intero popolo in fuga di fronte all'invasore».<br />

Un'infermiera <strong>della</strong> Croce Rossa ricorda così gli abitanti dei comuni che nei primi giorni di<br />

novembre si ritrovano a ridosso delle linee del Piave e del Grappa: «Quel fermento di gente<br />

impaurita, sferzata da precipitosa fuga, incosciente del domani che la attendeva, rappresentava<br />

il terrore. […]. Giornate di novembre fredde, piovose aumentavano l'abbattimento del popolo<br />

veneto. Quella fuga verso l'ignoto di donne discinte, con bimbi seminudi piagnucolanti<br />

e stanchi; quei carretti con poche masserizie, trainati tutt'al più da una mucca non avezza al<br />

giogo, scortati da qualche vecchio curvo dagli anni e ancor più dai malanni, incuoteva una<br />

pietà senza pari. Indescrivibile baraonda quella fi umana di popolo dis<strong>org</strong>anizzata!». Ada Andreina<br />

Bianchi, Il mio soggiorno al fronte 1917-1918, in La Valcavàsia dal Novembre 1917<br />

alla ricostruzione, a cura di Silvio Reato, Tipolitografi a Battagin, S. Zenone degli Ezzelini<br />

(Tv) 1987, p. 29.<br />

12 Carlo Giardini, Dal taccuino delle mie memorie. Sulla sponda sinistra <strong>della</strong> Piave fra


Treviso diventa il primo e provvisorio luogo di ricovero per migliaia di<br />

fuggiaschi che cominciano ad affl uirvi la sera del 28 ottobre. Come <strong>anno</strong>ta<br />

Antonietta Giacomelli, i profughi arrivano con ogni mezzo, carri, automobili<br />

militari e «i treni passano pieni di grappoli umani» 13 . Famiglie intere, ma tra<br />

loro anche decine e decine di bambini soli che sono stati smarriti dai genitori<br />

e che vengono momentaneamente ricoverati presso la Casa degli Esposti 14 :<br />

Alla stazione di Treviso […] che miserando spettacolo di profughi friulani da dovere<br />

con diffi coltà trattenere le lacrime!… Uomini pochi, donne molte, fanciulli e bambini più<br />

ancora; stanchi, pallidi, smunti, smarriti: altri sonnecchiavano seduti sui loro fardelli, pochi<br />

parlavano, nessuno rideva. Non ebbi l'animo di rivolgere a nessuno una domanda, sì triste era<br />

lo spettacolo. Tanto è stata dolorosa l'impressione riportata, che dissi tra me e me: piuttosto<br />

morire sotto le macerie <strong>della</strong> propria casa, che esporsi a tanta tribolazione 15 .<br />

Intanto, su iniziativa di padre Agostino Gemelli, padre Giovanni Semeria<br />

e don Giovanni Minozzi, il 30 ottobre si decide di dare vita ad un Comitato –<br />

animato dalla stessa Giacomelli, dai fratelli Luigi e Giuseppe Corazzin e da<br />

don Costa dell'Opera Bonomelli – per l'assistenza ai profughi di passaggio che<br />

continuano ad aumentare, al punto che «la città è riboccante di profughi» 16 .<br />

A questi cominciano ad unirsi numerosi trevigiani presi dal panico alla vista<br />

gli invasori. Fatti storici <strong>anno</strong> 1917-1918, Associazione Valdo Futura, Valdobbiadene (Tv)<br />

1997, pp. 3-5. La confusione indescrivibile sulla riva destra del Piave, nei pressi di quella<br />

che, al di là delle decisioni militari, è ormai da tutti percepita come la nuova linea del fronte,<br />

come pure le condizioni dei profughi all'interno dei convogli ferroviari, ci vengono restituite<br />

da un numero impressionante di fonti; si veda almeno la testimonianza del tenente Nicola<br />

Tonini, riportata in Massimiliano Pavan, Profughi ovunque dai lontani monti. Da ļa Grapa<br />

fi n dó in Secilia, Canova, Treviso 1987, p. 32: «I treni rigurgitavano di profughi: i vagoni erano<br />

tramutati in accampamenti zingareschi: sacchi, valige, coperte, involti, cestoni; e vecchi<br />

e bambini, donne d'ogni età e condizione, pigiati insieme in confusa promiscuità; un vociare<br />

senza tregua, un tramestio continuo, un gridìo incessante; povera umanità spaventata, vissuta<br />

fi no allora nella pace ordinata delle case che aveva dovuto abbandonare da un'ora all'altra e<br />

se ne andava verso non si sa dove».<br />

13 Antonietta Giacomelli, Vigilie (1914-1918), Bemporad, Firenze 1918, p. 176.<br />

14 Giovanni Minozzi, Ricordi di guerra, vol. II, Tipografi a Orfanotrofi o Maschile, Amatrice<br />

1956-1959, p. 16: «Si presentavano i casi più aggrovigliati e penosi: fi gli senza genitori, spose<br />

senza mariti, vecchi sciancati, malati cascanti, signore e signori senza nulla, scalzi quasi<br />

tutti e mezzo nudi».<br />

15 Lodovico Ciganotto, L'Invasione Austro-Ungarica a Motta di Livenza e nei Dintorni.<br />

Diario. 2 Novembre 1917-4 Novembre 1918, Tipografi a Carlo Pezzutti, Motta di Livenza<br />

1922, p. 9-10.<br />

16 Lettera del vescovo di Treviso Andrea Giacinto Longhin a papa Benedetto XV, 31 ottobre<br />

1917, pubblicata in I vescovi veneti e la Santa Sede nella guerra 1915-1918, vol. II, a cura di<br />

Antonio Scottà, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1991, p. 270.<br />

80


degli sfollati e dei soldati sbandati, in particolare coloro che h<strong>anno</strong> la possibilità<br />

di spostarsi e che rivestono cariche pubbliche, gli stessi che poche ore<br />

prima avevano fi rmato un manifesto che invitava la popolazione alla calma e<br />

alla fi ducia e soprattutto a non abbandonare la città 17 . Il 6 novembre Treviso<br />

si ritrova con le vie imbrattate di rifi uti, le strade ingombre di carri militari e<br />

di carretti dei profughi, i negozi quasi tutti chiusi; alla stazione la ressa continua<br />

a causa delle persone che cercano di partire e delle spedizioni di pacchi,<br />

bauli, materassi, sacconi 18 ; secondo Tito Garzoni, quello dei profughi che<br />

vagano per la città era uno «spettacolo impressionante» 19 . L'8 novembre diventa<br />

impossibile l'inoltro dei profughi attraverso la ferrovia, sia per le necessità<br />

militari, sia per l'eccessivo ingombro dovuto ai profughi trevigiani <strong>della</strong><br />

destra Piave e si rende quindi necessario intensifi care le partenze attraverso i<br />

barconi sul Sile 20 ; è ancora la Giacomelli, molto attiva a Treviso in quei giorni<br />

nell'assistere i fuggiaschi di passaggio, a descrivere le colonne interminabili<br />

che sostano lungo le rive del fi ume fi no al porto di S. Ambrogio di Fiera 21 . Il<br />

9 novembre la città – la stessa nella quale fi no a qualche giorno prima si potevano<br />

ancora trovare luoghi dove la guerra era estranea o almeno vissuta come<br />

fosse un lontano altrove 22 – si presenta praticamente deserta, quasi tutti i b<strong>org</strong>hesi<br />

sono fuggiti; tra loro tutti gli amministratori e persino il personale delle<br />

cucine economiche 23 . Al loro posto sono rimasti solo il prefetto, il vescovo, i<br />

17 Giacomelli, Vigilie cit., p. 182.<br />

18 Ivi, pp. 186-187.<br />

19 Tito Garzoni, Diario Trevigiano. Dal novembre 1917 al novembre 1918, Tipografi a Libreria<br />

Emiliana, Venezia 1936, p. 29.<br />

20 I profughi giunti a Treviso con mezzi diversi da quelli ferroviari vengono concentrati<br />

presso il quartiere popolare di Fiera e da lì, attraverso dei burchi che possono trasportare al<br />

massimo 200 persone, raggiungono Chioggia. Il 5 novembre presso il porto di Sant'Ambrogio<br />

di Fiera vengono messi a disposizione 8 burchi per 1.600 persone, il giorno successivo<br />

10 burchi per 2.000 persone e quello dopo ancora, 12 burchi per 2.400 persone; non possono<br />

comunque essere trasportati più di 2800 profughi al giorno, perché non sarebbe poi possibile<br />

operare il successivo sgombero da Chioggia attraverso la ferrovia; Archivio di Stato di Treviso<br />

(AST), Gabinetto di prefettura, b. 24, Intendenza Generale dell'Esercito - Direzione dei<br />

Trasporti a prefetto di Treviso, 3 novembre 1917.<br />

21 Giacomelli, Vigilie cit., pp. 191-192.<br />

22 Livio Fantina, Le trincee dell'immaginario. Spettacoli e spettatori nella grande guerra,<br />

Cierre, Verona 1998.<br />

23 L'idea <strong>della</strong> fuga delle classi dirigenti e del loro «tradimento» trova dei riscontri, per la<br />

verità abbastanza deboli, anche nella canzone popolare; si veda L'undici novembre del '17 in<br />

Canti del Grappa. Il canto popolare nella tradizione orale <strong>della</strong> pedemontana del Grappa, a<br />

cura di Gabriele Vardanega, Danilo Zanetti Editore, Caerano S. Marco (Tv) 1999, p. 238: «E<br />

l'undici novembre / del'ano diciasete / si vedevano i b<strong>org</strong>hesi / scapar via; Veder ste signorine<br />

/ con le sotane strete / facevano i passi corti /ma più in freta; Veder le nostre mame / coi lor<br />

cari bambini / corevano spaventate / spaventate dalla paura / perché tiravan giusto / giù in<br />

pianura; Veder le nostre case / che andavano giù per tera / alora ci siamo acorti / di questa<br />

81


Profughi in fuga. MCRR.<br />

Distribuzione del rancio ai profughi. MCRR.


Bambini che giocano al soldato sotto lo sguardo di un uffi ciale a cavallo. MCRR.<br />

Donne alla fontana. MCRR.


parroci urbani, pochi negozianti e qualche centinaio di poveri, oltre ai malati<br />

intrasportabili ricoverati ancora presso l'Ospedale 24 . L'arrivo dei profughi da<br />

oltre il Piave è cessato e i pochi treni che giungono da Mestre sono vuoti o<br />

carichi solo di truppe. Nella vicina Roncade il 20 novembre affl uiscono 4.900<br />

profughi provenienti da Zenson, S. Biagio di Callalta, Fossalta di Piave e Musile;<br />

nel loro caso si tratta di una breve sosta in attesa di prendere la via per<br />

altre regioni d'Italia. Dieci giorni dopo il centro urbano versa in condizioni<br />

desolanti:<br />

Facemmo un giro per la città. Era la vista più curiosa al mondo vedere un città grossa di<br />

circa ottantamila abitanti interamente abbandonata dai civili ma piena di soldati; non c'erano<br />

negozi aperti, nessun ristorante, nessun caffè. Lontano dal centro <strong>della</strong> città dalla stazione a<br />

porta Mazzini e la Piazza dei Signori, dove c'era la prefettura o il municipio, le strade erano<br />

completamente vuote con tutte le porte e le fi nestre inchiodate e sbarrate. Le autorità militari<br />

avevano fatto il meglio, perché molti dei trevigiani fuggiti avevano lasciato dietro ogni cosa<br />

e le case erano state svaligiate, molte cose prese, mobili e fi nestre rotti 25 .<br />

L'invasione<br />

In poche ore vengono occupati dall'esercito tedesco e da quello austroungarico<br />

tutti i 46 comuni <strong>della</strong> provincia di Treviso posti sulla riva sinistra<br />

del Piave 26 . Il vescovo di Ceneda, mons. Eugenio Beccegato, rimasto in sede<br />

come la maggior parte del suo clero, registra così la situazione d'incertezza di<br />

quelle prime settimane:<br />

Fin dai primi giorni del passato novembre furono sospesi tutti i mezzi di trasporto e di comunicazione,<br />

cosicché da un mese noi siamo all'oscuro di tutto ciò che succede nel mondo. Il<br />

guera; Veder ste signorine / con le sotane strete / che andavano gridando / con la forsa del<br />

municipio / voliamo la bandiera / del'armistizio».<br />

24 Archivio centrale dello Stato (ACS), Copialettere, prefetto di Treviso a Vittorio Emanuele<br />

Orlando, 9 novembre 1917.<br />

25 Lucrezia Camera, Porta Mazzini. <strong>L'ultimo</strong> <strong>anno</strong> <strong>della</strong> Grande Guerra a Treviso nel diario<br />

di un'infermiera volontaria italo-americana, Istresco, Treviso 2010, p. 16.<br />

26 Si tratta dei comuni di Cappella Maggiore, Cessalto, Chiarano, Cimadolmo, Cison di<br />

Valmarino, Codognè, Colle Umberto, Conegliano, Cordignano, Farra di Soligo, Follina, Fontanelle,<br />

Fregona, Gaiarine, Godega di Sant'Urbano, G<strong>org</strong>o al Monticano, Mansuè, Mareno<br />

di Piave, Meduna di Livenza, Miane, Moriago, Motta di Livenza, Oderzo, Ormelle, Orsago,<br />

Pieve di Soligo, Ponte di Piave, Portobuffolè, Refrontolo, Revine Lago, Salgareda, S. Fior, S.<br />

Pietro di Feletto, S. Polo di Piave, S. Vendemiano, Santa Lucia di Piave, Sarmede, Segusino,<br />

Sernaglia, Susegana, Tarzo, Valdobbiadene, Vazzola, Vidor, Vittorio Veneto, Zenson di Piave.<br />

Per le molte tematiche relative ai comuni invasi e occupati, rimando a Daniele Ceschin,<br />

Sernaglia nell'<strong>anno</strong> <strong>della</strong> fame. Storia e memoria <strong>della</strong> Grande Guerra, Edizioni DBS, Seren<br />

del Grappa 2008.<br />

84


giorno 8, alle ore 10, entrarono in Vittorio le prime truppe austriache, seguirono le tedesche,<br />

poi le austriache, poi le tedesche nuovamente, e tuttora continua il passaggio. Precedettero i<br />

saccheggi diurni e notturni delle truppe sbandate, poi le requisizioni di tutto! Lo spettacolo è<br />

desolante! In pochi giorni, da uno Stato economico fl oridissimo, che aveva del favoloso, per<br />

la straordinaria abbondanza del raccolto, queste popolazioni sono passate nella più desolante<br />

miseria e lo spettro <strong>della</strong> fame è alle porte di migliaia e migliaia di famiglie dell'intera diocesi<br />

[…]. I benestanti sono quasi tutti passati alla destra del Piave, lasciando in balia del saccheggio<br />

le loro case e le loro robe 27 .<br />

L'impatto con la popolazione <strong>della</strong> provincia di Treviso nei giorni in cui gli<br />

italiani si assestano sulla linea del Piave rende bene l'idea dello spaesamento.<br />

Così a Vittorio il 9 novembre:<br />

Ne abbiamo già di tutte le razze, che momenti terribili sono questi per noi. Pure nell'altra<br />

casa h<strong>anno</strong> voluto rovistare da pertutto e h<strong>anno</strong> preso d'ogni sorta d'oggetti, chi può parlare?<br />

portassero via anche la casa noi dobbiamo fare silenzio, non vi sono Comandi di sorta, sono<br />

questi come evasi dalle carceri. Questa sera abbiamo dovuto apparecchiare i letti per loro,<br />

mi faceva rabbrividire al pensiero di vedere nei nostri stessi letti, quegli stessi che abbiamo<br />

sempre odiato. Siamo circondati da tutta questa gente barbara che prospettiva abbiamo, è<br />

come un sogno, ma assai triste 28 .<br />

Lo stesso giorno arrivano a Refrontolo le prime avanguardie austriache; ce<br />

ne dà conto Maria Spada nel suo diario dell'<strong>anno</strong> dell'invasione:<br />

I primi ad arrivare furono due uffi ciali austriaci a cavallo, poco dopo mezzogiorno; entrarono<br />

nel giardino ed uno avvicinandosi alla porta mi chiese, con cortesia, parlando in francese,<br />

se avevo un uovo. Glielo feci portare, ma non lo bevve; vidi che porse l'uovo all'altro.<br />

«Verr<strong>anno</strong> gli Austriaci?» gli chiesi. «Sarà molto peggio, perché verr<strong>anno</strong> i Tedeschi» 29 .<br />

Paure confermate dal contegno dei soldati giunti sul fronte a ridosso del<br />

Grappa, in questo caso a Segusino: «I primi arrivati furono i germanici, esseri<br />

superbi, crudeli, devastatori, facevano ogni sorta di male, si diedero subito<br />

con pazza gioia al saccheggio di guerra, compiuto in un modo sì scandaloso e<br />

crudele, che credo i demoni dell'inferno, non avrebbero fatto di più» 30 .<br />

27 Lettera del vescovo Eugenio Beccegato sulla situazione <strong>della</strong> diocesi di Ceneda, 1° dicembre<br />

1917, pubblicata in I vescovi veneti cit., p. 429.<br />

28 Bianca Brustolon, Vittorio '17-'18. Un diario, a cura di Aldo Toffoli, De Bastiani, Vittorio<br />

Veneto 1989, pp. 18-19.<br />

29 Maria Spada, Diario dell'invasione, Tipse, Vittorio Veneto 1999 [1934], p. 5.<br />

30 Clelia Jäger Verri, Anno dell'invasione nemica a Segusino dal 10 novembre 1917 al 30<br />

ottobre 1918, in Un popolo in esilio. Segusino 1917-1918, a cura di Lucio Puttin, Centro<br />

85


Dopo Caporetto il timore <strong>della</strong> «barbarie» del nemico rimanda al peso,<br />

certamente non trascurabile, <strong>della</strong> pubblicistica e <strong>della</strong> letteratura di guerra<br />

intorno al tema <strong>della</strong> violenza esercitata dalle truppe tedesche in Belgio e in<br />

alcuni dipartimenti <strong>della</strong> Francia durante i primi mesi del confl itto. Nella memoria<br />

dell'invasione e nelle relazioni dell'immediato dopoguerra sono molto<br />

frequenti i riferimenti alla maggiore violenza dei tedeschi rispetto alle varie<br />

etnie dell'esercito austro-ungarico:<br />

Le truppe che si dimostrarono più civili, furono le czeche, le polacche, le austriache. Gli<br />

ungheresi si dimostrarono – salve onorevoli eccezioni – degni fi gli di Attila; i croati, i bosniaci,<br />

veri zingari. Trovai in certi uffi ciali, specialmente ungheresi, un gran desiderio d'imparare<br />

la lingua italiana, e stima per la nostra coltura 31 .<br />

Comunque i comportamenti non sempre sono lineari, come dimostra la<br />

testimonianza di Attilio Baradel sulle truppe acquartierate a Cessalto, che<br />

cerca di misurare l'umanità dei singoli di fronte alla realtà <strong>della</strong> guerra:<br />

Vidi dei soldati […] difendere le famiglie dalle prepotenze di qualche loro camerata esaltato.<br />

Ne vidi altri aiutare, spontaneamente, e con visibile amore, i vecchi contadini e le donne<br />

o gli artigiani nei loro umili lavori o soccorrerli con slancio nelle loro diffi coltà, ogni volta<br />

che lo potevano fare e portando in aiuto anche qualche piccolo arnese da lavoro. M'accadde<br />

di vederne, varie volte […] difendere famiglie assalite da gruppi d'altri soldati focosi e<br />

malintenzionati; li vidi esporsi al pericolo, durante i bombardamenti, offrendo alle donne, ai<br />

bambini e in genere ai civili, i loro nei ricoveri costruiti per il proprio riparo. Li vidi dividere<br />

il loro misero rancio con le famiglie più indigenti, togliere qualche cosa dalle loro poverissime<br />

gavette per darla a qualche bambino che li guardava mentre mangiavano 32 .<br />

«Son prussiani e tanto basta! Ricordai i lanzichenecchi descritti dal<br />

Manzoni» 33 , sottolinea Angelina Casagrande di Conegliano, mentre Giuseppe<br />

Schiratti, di Pieve di Soligo, enfatizza le differenze tra tedeschi e austriaci:<br />

La differenza fra i soldati dell'uno e dell'altro impero saltava agli occhi. I primi [i tede-<br />

stampa <strong>della</strong> Cassa di Risparmio <strong>della</strong> Marca Trevigiana, Treviso 1983, p. 33.<br />

31 ACS, Ministero <strong>della</strong> Guerra, Reale Commissione d'inchiesta sulle violazioni del diritto<br />

delle genti commesse dal nemico (Commissione d'inchiesta), b. 5, fasc. 67, s/fasc. 6, relazione<br />

di don Luigi De Nardi alla Reale Commissione d'inchiesta sulle violazioni del diritto delle<br />

genti commesse dal nemico, 27 gennaio 1919.<br />

32 Baradel, Nei solchi dell'odio cit., pp. 71-72.<br />

33 Angelina Casagrande, Sotto il tallone tedesco. Note personali d'una spettatrice dell'invasione<br />

straniera. 9 novembre 1917-29 ottobre 1918, Stabilimento Grafi co U. Bortoli, Venezia<br />

1920, p. 8.<br />

86


schi] ben nutriti, ben vestiti arroganti, senza pietà né rispetto alcuno; gli altri [gli austriaci]<br />

sporchi, laceri, smagriti dalle privazioni, stanchi e disgustati <strong>della</strong> guerra interminabile. Una<br />

parte delle truppe che prese stanza nei dintorni <strong>della</strong> Pieve non era di religione cristiana, ma<br />

perfi no i bosniaci maomettani si comportavano più umanamente dei Germanici. Lasciavano<br />

in pace le ragazze, si mostravano rispettosi con i vecchi. Sarebbero stati anche pietosi, se non<br />

li avesse costretti il bisogno; il loro rancio era talmente ridotto che, per saziarsi, frugavano<br />

dappertutto, racimolando il poco che i loro alleati avevano lasciato indietro 34 .<br />

Nei comuni abbandonati dalle autorità si formano comitati spontanei e<br />

provvisori, inizialmente riconosciuti dai comandi nemici, per la salvaguardia<br />

di coloro che erano rimasti e la tutela dei beni dei profughi. In seguito viene<br />

ripristinata una forma di ordinamento municipale secondo la legge italiana,<br />

con la nomina da parte dei comandi di distretto dei consigli comunali. In<br />

alcuni paesi vengono nominate delle vere rappresentanze, in altri solo il sindaco<br />

e gli assessori; tra questi sono scelti in prevalenza i maestri e i sacerdoti<br />

che devono fare i conti, con la violenza del nemico – in particolare contro le<br />

donne – e con la fame.<br />

I profughi del Piave<br />

Una delle conseguenze immediate dell'occupazione austro-tedesca è lo<br />

sgombero dei comuni che – dal Feltrino al Basso Piave – sono venuti a trovarsi<br />

sulla nuova linea del fronte per una fascia variabile dai due ai quattro<br />

chilometri. Si tratta fi n da subito di un'operazione complessa, condizionata<br />

dalla disponibilità degli abitanti di spostarsi all'interno <strong>della</strong> zona invasa e<br />

aggravata dalle diffi coltà logistiche dei comuni ospitanti. Ha così inizio una<br />

seconda ondata di profughi, questa volta verso l'interno, diretta verso quelle<br />

zone, la parte occidentale <strong>della</strong> provincia di Treviso e il Friuli, che costituiscono<br />

le retrovie dell'esercito di occupazione. Se il profugato nelle zone<br />

invase raggiunge dimensioni non paragonabili a quello oltre il Piave, risulta<br />

diffi cile quantifi care in termini numerici la portata di questo nuovo esodo,<br />

poiché si tratta di gruppi di centinaia di persone che, almeno nei primi mesi<br />

del 1918, si spostano continuamente di comune in comune, lasciando poche<br />

tracce del loro passaggio, se non nei diari dei parroci friulani, secondo i quali<br />

i profughi del Piave sono i più bisognosi tra i civili 35 . Se i dati possono quindi<br />

essere solamente indicativi per i comuni sgombrati, tuttavia all'interno <strong>della</strong><br />

34 Giuseppe Schiratti, Un <strong>anno</strong> d'invasione nemica. Pieve di Soligo 1917-1918, Industrie<br />

Grafi che, Pieve di Soligo 1958, p. 14.<br />

35 Si veda, ad esempio, quanto <strong>anno</strong>ta don Pietro Foramitti, parroco di Moruzzo, nel suo libro<br />

storico parrocchiale redatto durante il periodo dell'occupazione e riportato in Fabi, Viola,<br />

«Una vera Babilonia...» cit., p. 52.<br />

87


zona occupata possiamo quantifi care una presenza di circa 55.000 profughi,<br />

il 6,2% <strong>della</strong> popolazione rimasta.<br />

I profughi del Quartier del Piave, evacuati in gran parte nel dicembre 1917,<br />

dopo aver sostato a Soligo – «passano a frotte, a piedi, su carri, su carriole,<br />

donne, vecchi, bambini, tutti istupiditi, inebetiti, accasciati: sembrano invocare<br />

la morte» 36 – risalgono la vallata verso i comuni del Vittoriese:<br />

Soligo brulicava di profughi. Le vie, le piazze, le case erano letteralmente gremite di<br />

gente. La commissione addetta per procurare loro l'alloggio, era occupatissima e imbrogliatissima<br />

a mantenere un cert'ordine, almeno relativo. Chi arrivava e chi partiva. A ciascuna<br />

famiglia veniva assegnata una stanza, e se questa era abbastanza spaziosa, doveansi collocare<br />

più famiglie 37 .<br />

La popolazione di Mosnigo era destinata a Tarzo. Verso le ore 5 ant. del 14 Dicembre i<br />

carri cominciarono a schierarsi lungo la strada con poca roba, con pochissimi viveri e con la<br />

popolazione divenuta stupida ed insensata, e fu una fortuna, perché così non poté comprendere<br />

la gravità tutta, il peso grande dello sgombero con le sue conseguenze. Ci vollero sei<br />

ore per giungere a Solighetto, tratto di strada che si fa comodamente in due ore a piedi. Quivi<br />

giunti dovemmo fermarci parte nei campi e parte nel piazzale <strong>della</strong> Chiesa. Cercai a Solighetto<br />

e poi a Soligo dai Comandi di avere un carro, prima promesso, per ritornare a Mosnigo a<br />

prendere qualche oggetto fra i migliori in Chiesa ed i registri parrocchiali e mi fu negato 38 .<br />

A Sernaglia l'ordine di sgombero arriva il 10 dicembre e i suoi profughi,<br />

assieme a quelli di Mosnigo e di Guia, passano per Follina e lungo la valle<br />

del Soligo durante tutto il mese di dicembre, anche il giorno di Natale: «Sono<br />

povere popolazioni costrette a fuggire le loro case colpite da raffi che di<br />

c<strong>anno</strong>nate, avendo magari lasciato sotto alle macerie dei congiunti. Povera<br />

gente che attraverso il fango, in mezzo a colonne interminabili di nemici,<br />

alla ventura, fuggendo alla morte violenta, [v<strong>anno</strong>] incontro alla morte lenta<br />

d'inedia» 39 .<br />

A Cison di Valmarino, in una casa rimasta sfi tta, si trasferisce il parroco di<br />

Sernaglia, don Bacchetti, accompagnato da Maria De Goudron che conosce<br />

il tedesco e funge da interprete. Qui lo raggiungono una cinquantina di sernagliesi.<br />

Tarzo diventa uno dei paesi più importanti per il ricovero dei profughi.<br />

36 Giovanni Pasin, Soligo e la sua storia, Libreria Emiliana Editrice, Venezia 1928, p. 89.<br />

37 Simonato, Una pagina di storia dell'invasione austro-germanica cit., pp. 110-111.<br />

38 Relazione del parroco di Mosnigo, don Angelo Frare, in La Piana Eroica. Nel V Anniversario<br />

<strong>della</strong> Battaglia <strong>della</strong> Sernaglia XXVI-XXIX Ottobre MCMXVIII, Longo & Zoppelli,<br />

Treviso 1923, p. 27.<br />

39 Cronaca giornaliera di guerra del Rev. Gioachino M. Rossetto, pubblicata in La Grande<br />

Guerra nella Val Mareno, a cura di Damiano Cesca, De Bastiani, Vittorio Veneto 2004, p. 44.<br />

88


Il parroco locale sottolinea come gli abitanti di Moriago, Mosnigo, Sernaglia<br />

e Fontigo arrivino intorno alla metà di dicembre «sfi niti ed intirizziti»:<br />

È naturale che l'arrivo di questi ospiti non poteva tornare gradito ai nostri già assillati dalla<br />

fame. Dove metterli? Come alloggiarli? Come sostenerli? E se si fossero per necessità dati<br />

al brutto sistema di arrangiarsi? I parroci delle rispettive comunità stabilirono d'accordo un<br />

modus vivendi che, se non risolveva del tutto il problema, consentiva almeno di tirare avanti<br />

in attesa di tempi migliori. Don Frare, oltre ai suoi di Mosnigo, assumeva la cura <strong>anno</strong>naria e<br />

protettiva dei 3.000 profughi provenienti da una decina di parrocchie da Quero a Falzè 40 .<br />

A Revine Lago ne vengono concentrati provvisoriamente circa 5.000 provenienti<br />

da Segusino, Valdobbiadene, S. Pietro di Barbozza, Vidor e Moriago,<br />

con evidenti diffi coltà nella distribuzione dei viveri e nell'assegnazione degli<br />

alloggi, motivi che sono alla base delle proteste dei residenti che lamentano<br />

danneggiamenti ai loro boschi e vigneti. Molti di questi sfollati nelle prime<br />

settimane del 1918 si trasferiscono in altre località ancora più lontane dal<br />

fronte come Fregona, Colle Umberto e in comuni friulani oltre il Livenza e il<br />

Tagliamento.<br />

Nella maggior parte dei casi gli sfollati dalla linea del Piave v<strong>anno</strong> ad<br />

occupare le case abbandonate dai profughi friulani. Sono costretti a vivere di<br />

espedienti, confi dando nella pubblica carità e nella solidarietà <strong>della</strong> popolazione,<br />

poiché le autorità militari e civili, nella maggior parte dei casi, non si<br />

interessano a loro, al punto che non possono contare sul vitto gratuito e l'unico<br />

genere loro dispensato è il sale. Nel comune di S. Michele al Tagliamento,<br />

i circa 3.000 profughi del Piave fi niscono per aggravare una situazione già<br />

critica poiché sono giunti senza provviste e mezzi di sostentamento. Con le<br />

requisizioni di grano e bestiame, ha inizio per questi «nuovi pezzenti creati<br />

dalla guerra» il periodo <strong>della</strong> fame e lo spettacolo di profughi che chiedono la<br />

carità diventa sempre più frequente 41 . A S. Daniele i civili del Piave sono tra i<br />

più denutriti e macilenti, f<strong>anno</strong> pena alla vista e si spostano di paese in paese,<br />

a piccoli gruppi, chiedendo l'elemosina 42 :<br />

Durante la stagione estiva, giunsero a Carpacco 69 profughi del Piave. […] Qualche famiglia<br />

se ne tornò via, appena qui giunti gli Italiani. Altre si fermarono fi no a Febbraio 1919.<br />

40 Citato in Innocente Azzalini, Gi<strong>org</strong>io Visentin, Da Mosnigo a Tarzo nell'<strong>anno</strong> dell'invasione<br />

1917-1918. Diario di don Angelo Frare, De Bastiani, Vittorio Veneto 2002, p. 11.<br />

41 Costante Chimenton, S. Michele di Piave e la sua nuova chiesa, Tipografi a Editrice Trevigiana,<br />

Treviso 1929, p. 175.<br />

42 [Paolo Sclabi], Memoria friulana. Un <strong>anno</strong> di schiavitù sotto i barbari durante la confl agrazione<br />

europea (1914-1918), Tipo Lit. Giuseppe Tabacco, S. Daniele del Friuli 1924, pp. 37-38.<br />

89


Corvée di donne che trasportano ghiaia. MCRR.


Vennero soccorse dalla carità pubblica. Si fece per loro una colletta di granoturco. Ecco i<br />

cognomi delle famiglie: Giardini, Camilli, Bressan, Lorenzoni, Gobbato, Corradini, Brunelli,<br />

De Boni. La famiglia De Boni era da Falzè di Piave. Invece quella del Brunelli era da Col S.<br />

Martino. Quasi tutti erano di Sernaglia, o di Miane. Soltanto i Giardini erano da Valdob[b]<br />

iadene. Gente generalmente religiosa. I Giardini e i Camilli venivano quotidianamente alla<br />

Comunione. Erano queste due famiglie benestanti, istruite, educate 43 .<br />

A Gemona, dove sono rimasti 7.500 abitanti, tra la fi ne di gennaio e l'inizio di<br />

febbraio arrivano 1.936 profughi del Piave, in prevalenza donne e bambini,<br />

che portano con loro solo poche masserizie 44 . L'amministrazione comunale<br />

si è opposta all'invio di un numero così alto di profughi a cui avrebbe dovuto<br />

provvedere, ma per un po' di tempo è possibile fornire loro un po' di granoturco<br />

razionato. I comandi militari, inoltre, cominciano a creare discordia tra la<br />

popolazione locale e i profughi e tra questi e le autorità comunali. Il periodo più<br />

diffi cile inizia ad aprile, quando viene sospesa la distribuzione di granoturco<br />

alla popolazione bisognosa; molti profughi, in particolare donne ed anziani,<br />

si nutrono ormai di soli erbaggi; solamente per qualche settimana possono<br />

usufruire <strong>della</strong> «broda» <strong>della</strong> cucina economica, ma neanche loro vengono<br />

risparmiati dalle requisizioni. Nella vicina Venzone la situazione alimentare<br />

dei profughi del Piave appare migliore 45 . In generale, però, ogni famiglia<br />

viene colpita da lutti e la morte di bambini in tenera età è superiore rispetto al<br />

resto <strong>della</strong> popolazione. Se, causa la denutrizione, la mortalità tra i profughi<br />

raggiunge il 6%, tra i bambini tale indice arriva al 15%.<br />

Dopo ste prime desgrazhie i todeschi i ne à fat partir da Fontigo e i ne à mandà su par<br />

Corbanese, Tarzh e dopo a Prarturlon, 'ntel Furlan. Coi bò se era partidi tute e dó le fameje,<br />

quela de me barba e quela nostra de tre fradèi, dó sorelle e me mare. Me pare a l'era al fronte in<br />

Francia. Su par Tarzh sen stadi 'na quindesina de dì, ingrumadi su par le case piene de profughi,<br />

che i vegnea dó qua del Piave, dopo par ordine del comando sen partidi par Praturlon. Là i ne à<br />

més su 'na casa granda de contadin e se patìa la fan: mi che vee zhinque ani 'ndée a carità e porte<br />

a casa ogni tant 'na s-ciantinèa de farineta e co quela se fea 'na polentina. Da la dó me nono al<br />

vea tentà pì òlte 'ndar su a Fontigo, ma l'ultima òlta che l'à proà no l'è pì tornà in drio, i l'à trovà<br />

mòrt da fan, drio a un fòs. Nol gh'in podèa pì sta via de casa 46 .<br />

43 Don Giuseppe Sant, parroco di Carpacco, in Fabi, Viola, «Una vera Babilonia...» cit., p. 239.<br />

44 Relazioni <strong>della</strong> Reale Commissione d'inchiesta sulle violazioni del diritto delle genti<br />

commesse dal nemico, VI, Documenti raccolti nelle provincie invase, Bestetti & Tumminelli,<br />

Milano-Roma 1922, pp. 548-550.<br />

45 Testimonianza di Pasqua Mariotto (Raccolta 1988, parte inedita).<br />

46 Testimonianza di Ermenegildo Mariotto, riportata in Innocente Azzalini, Gi<strong>org</strong>io Visentin,<br />

Piave. Le ferite <strong>della</strong> Grande Guerra. Novembre 1917 - Ottobre 1918, De Bastiani, Vittorio<br />

Veneto 2004, p. 299.<br />

92


I profughi del Piave trovano dunque ricovero in paesi dove i comportamenti<br />

individuali e collettivi non sono più codifi cati, dove le ragioni <strong>della</strong><br />

sopravvivenza prevalgono su quelle <strong>della</strong> solidarietà 47 . Ospiti poco graditi<br />

dalle amministrazioni locali che spesso giungono a chiederne l'allontanamento<br />

e addirittura l'internamento in Austria nelle cosiddette «città di legno»,<br />

potenziali concorrenti agli occhi <strong>della</strong> popolazione civile, questi profughi<br />

vivono la condizione di veri e propri marginali:<br />

La popolazione del Friuli, così gentile nei primi mesi, si stancò, in tante località <strong>della</strong><br />

presenza dei profughi. Dopo la battaglia del giugno li tollerò quali concorrenti nel consumare<br />

le poche provvigioni rimaste; dopo l'armistizio trattò i profughi quali ospiti poco graditi, che<br />

volentieri si sarebbero veduti allontanare. L'atmosfera non era più pacifi ca come quando<br />

il nemico calpestava il suolo <strong>della</strong> patria. Era necessario mutare ambiente: diventò questa<br />

la persuasione di tutti, quando, sull'aria di una canzone popolare, si cominciò a ripetere, in<br />

qualche paese, il ritornello: «Via i tedescat e via i profugat!» 48 .<br />

Ma non è migliore la situazione nel Vittoriese. Nel diario di Caterina Arrigoni,<br />

profuga di Valdobbiadene, gli accenni alle condizioni del profugato sono<br />

molto rari, ma a tratti emerge quello che è uno stato d'animo a lungo represso<br />

per la velata ostilità <strong>della</strong> popolazione locale: «Dopo la prima esplosione di<br />

pietà, i profughi sono venuti a noia, a disprezzo, a ribrezzo quasi. E questa<br />

parola, invece di essere sinonimo di inenarrabile angoscia, ha preso quasi un<br />

signifi cato d'infamia» 49 . Altri profughi di Valdobbiadene ospitati a Cappella<br />

Maggiore si lamentano perché il parroco locale, don Beniamino Tonon, nella<br />

distribuzione dei generi alimentari favorisce i suoi fedeli. Sorte analoga tocca<br />

a quelli di Segusino che devono vincere la diffi denza <strong>della</strong> popolazione:<br />

A Fregona inospitale ed egoista i miei profughi furono imposti dal Comando, che in qualche<br />

famiglia dovette usare anche le minaccie perché fosse concesso loro un giaciglio strettissimo<br />

e senza fi eno, od una stalla immonda ed umida. Fu detto anche che non conveniva<br />

seppellire i profughi nel cimitero, e che si provvedessero un campo 50 .<br />

47 Testimonianza di Angelina Soldan (Raccolta 1988, parte inedita).<br />

48 Chimenton, S. Michele di Piave, cit., p. 243. In controtendenza la testimonianza di Angelo<br />

Rasera (Raccolta 1988, parte inedita).<br />

49 Cara Pierina. Dal diario di Caterina Arrigoni, a cura di Giancarlo Follador e Gi<strong>org</strong>io<br />

Iori, Graphic Group, Feltre 1994, p. 129.<br />

50 Relazione dei fatti avvenuti durante l'invasione compilata dal vicario parrocchiale di<br />

Segusino don Antonio Riva, in Un popolo in esilio cit., p. 63. Il grosso <strong>della</strong> popolazione di<br />

Segusino abbandona il paese il 1° dicembre 1917 diretta verso il Vittoriese, mentre altre 500<br />

persone partono due settimane dopo per raggiungere la Carnia. Il primo gruppo di profughi è<br />

guidato dal sindaco Beniamino Verri, dalla moglie Clelia Jäger e dall'unico sacerdote rimasto<br />

93


A Fregona, che ospita complessivamente oltre 1300 profughi, in gran parte<br />

provenienti da Segusino, ma anche da Alano di Piave, Vas, Valdobbiadene,<br />

Vidor 51 , la mortalità è altissima, pari al 10%. La maggior parte dei profughi<br />

di San Pietro di Barbozza trascorre l'<strong>anno</strong> dell'invasione tra il Vittoriese e il<br />

Friuli, a Spilimbergo, S. Daniele e Gemona 52 . Comune anche qui è l'ostilità<br />

<strong>della</strong> popolazione locale che li percepisce come degli intrusi solo alla ricerca<br />

di cibo. Lo stesso accade a Tarzo:<br />

Dovevo difendere i profughi dal nemico e dagli abitanti; mi trovavo spesso tra l'incudine<br />

ed il martello. Ben lo si comprende che il profugo non portava vantaggi, ma solo danni, ma<br />

è ben vero che in generale eravamo poco compatiti benché io mi possa chiamare fortunato:<br />

ebbi dei veri amici e per primo il parroco, troppo oggi dimenticato, e gli abitanti avevano<br />

qualche riguardo verso i profughi perché capivano che io ero alle loro difese e terminavano<br />

col dire che con me era inutile parlare perché sostenevo a spada tratta i profughi: e chi doveva<br />

sostenerli e difenderli? Il male grande era che Tarzo era troppo vicino al fronte, era centro<br />

di divisioni in riposo o di passaggio, sprovvisto di tutto. Fin da principio dovetti sostenere il<br />

peso di molte famiglie che non avevano neppure una palanca per pagare la fattura e la legna<br />

pel pane […] 53 .<br />

È evidente che i parroci continuano ad assolvere un ruolo centrale per<br />

le comunità rimaste in territorio invaso anche quando queste sono costrette<br />

a spostarsi. I sacerdoti diventano degli interlocutori privilegiati, dei punti<br />

di riferimento non solo dal punto di vista religioso e morale. Sono loro a<br />

mediare con i comandi occupanti, a intervenire per denunciare le tristi<br />

condizioni materiali dei civili, a tenere i contatti con i parrocchiani dispersi<br />

in varie località del Friuli attraverso la «Gazzetta del Veneto», il quotidiano<br />

fatto stampare a Udine dalle autorità austro-ungariche. Sono compiti facilitati<br />

dalla conoscenza del latino – poche persone parlano il tedesco – che permette<br />

ai parroci di comunicare direttamente con i cappellani militari.<br />

La fame<br />

Fin dai primi giorni dell'occupazione, una delle maggiori preoccupazioni<br />

<strong>della</strong> popolazione è quella di nascondere le derrate alimentari – ad esempio il<br />

in parrocchia, don Antonio Riva: una parte viene concentrata a Tarzo, mentre circa 1100 sfollati<br />

proseguono verso Fregona dove rimarr<strong>anno</strong> fi no alla conclusione <strong>della</strong> guerra.<br />

51 Oscar De Zorzi, L'<strong>anno</strong> d'invasione a Fregona (8 novembre 1917 - 29 ottobre 1918, in «Il<br />

Flaminio», maggio 1990, n. 5, pp. 63-85;<br />

52 In proposito si vedano le testimonianze raccolte da Gi<strong>org</strong>io Iori, 1917: guerra, invasione,<br />

profugato, in San Pietro di Barbozza attraverso sette secoli di storia, II, a cura di Giancarlo<br />

Follador, Pro Loco San Pietro di Barbozza, Feltre 1996, pp. 258-263.<br />

53 Relazione del parroco di Mosnigo, don Angelo Frare, in La Piana Eroica cit., p. 27.<br />

94


granoturco viene occultato nelle condotte fumarie dei camini 54 – e di sottrarle<br />

alle requisizioni, rese odiose dal fatto che sui buoni non vengono <strong>anno</strong>tate<br />

le quantità esatte; in molti casi si tratta di carta straccia. Lo sperpero delle<br />

risorse operato dai tedeschi nelle prime settimane di occupazione, cozza con<br />

la situazione alimentare che con il trascorrere dei mesi diventa insostenibile:<br />

[…] il grano fu dato in parte ai cavalli, in parte distrutto e in parte spedito all'interno; a noi<br />

sacerdoti imploranti pietà per le popolazioni affamate, veniva risposto: «È la guerra. Non è<br />

necessario che la popolazione civile viva, è meglio che muoiano cento civili piuttosto che un<br />

cavallo!»; il comandante di Farra di Soligo a una donna che chiedeva un po' di pane per i fi gli<br />

affamati rispondeva: «A voi, italiani, basta che lasciamo gli occhi per piangere»; che ancora<br />

al Natale del 1917, donne e vecchi si rubavano i radicchi per i campi; innumerevoli furono le<br />

vittime <strong>della</strong> fame a Pieve di Soligo, a Farra, Rolle, Miane, Combai, Revine, Tarzo, Vittorio<br />

Veneto e Fregona; le genti del Piave e del Cadore, in modo particolare, sembravano piuttosto<br />

larve ambulanti che fi gure umane 55 .<br />

Con il trascorrere dei giorni la vita si faceva sempre più diffi coltosa: a causa <strong>della</strong> mancanza<br />

di cibo, cresceva la fame. Non si trovava niente da acquistare; tutto era stato razziato<br />

dagli Austriaci; bisognava andare alla ricerca di qualcosa che era rimasto nascosto in qualche<br />

casa o di erbe e frutti. Perciò, di giorno in giorno, i nostri corpi diventavano sempre più magri.<br />

A tal proposito è doveroso ricordare che in quel periodo a Cison morirono per fame oltre<br />

700 persone, delle quali 50 circa erano di Sernaglia. La lotta, quindi, per la sopravvivenza era<br />

tremenda vi erano alcuni che per sfamarsi andavano a caccia di «pantegane», qualche altro<br />

raccoglieva i fagioli interi mal digeriti dai soldati austriaci e li mangiava direttamente. Altri,<br />

come mio padre, scaricavano dai camion e dai carri i sacchi di farina degli Austriaci per poter<br />

raccogliere dal cassone qualche «branca» di farina mista a polvere. Questa, messa a cuocere<br />

nell'acqua, dava origine ad una specie di «pinza», che, rapprendendosi, diventava dura come<br />

un sasso; ma, non essendoci altro, veniva mangiata con avidità. Una volta mio padre sottrasse<br />

delle «tripàde» dal macello, però, scoperto, venne inseguito da due soldati armati; allora si<br />

diede alla fuga attraverso i campi, ma, accortosi di avere gli inseguitori alle spalle, si fermò<br />

e, voltatosi, gettò loro le bu<strong>della</strong> in faccia, in questo modo riuscì a proseguire la fuga, senza<br />

essere raggiunto, verso i boschi delle Fratte, dove si nascose, salvandosi miracolosamente da<br />

una sicura morte 56 .<br />

54 Testimonianza di Cesira De Mari (Raccolta 1988, parte inedita).<br />

55 ACS, Commissione d'inchiesta, b. 3, fasc. 48, relazione dell'economo spirituale di Pieve<br />

di Soligo, don Carlo De Nardi, alla Reale Commissione d'inchiesta sulle violazioni del diritto<br />

delle genti commesse dal nemico, 9 gennaio 1919.<br />

56 Giuseppe Marchi, Memoria, pubblicata in La Grande Guerra nella Val Mareno cit., pp.<br />

146-147.<br />

95


Anche i profughi del Piave alloggiati a Cison devono poi trasferirsi in<br />

Friuli. Coloro che rimangono sono obbligati a lavorare nei campi oppure impiegati<br />

nella sistemazione delle strade:<br />

Con amarezza ricordo che ogni giorno le truppe austriache rastrellavano 10-15 bambini<br />

da portare sulla strada che da Cison conduce a Mura; ci consegnavano una mazza molto<br />

pesante e ci obbligavano a spaccare pietre per sei-dieci ore, al fi ne di ottenere ghiaia per<br />

risistemare la strada continuamente dissestata dal passaggio di truppe ed armamenti diretti<br />

al fronte sul Piave. La sera ci davano come paga un mestolo di minestrone di crauti andati a<br />

male, che le truppe si rifi utavano di mangiare 57 .<br />

Per i profughi del Piave la fame è un pensiero costante e la ricerca di cibo<br />

per sopravvivere una pratica quotidiana. Così per Maria Fedato, sfollata da<br />

Falzè:<br />

A Sarmede eravamo in una famiglia grande che ci ha trattato abbastanza bene, solo che<br />

non c'era da mangiare. Per questo andavamo «a carità», anche mio papà e mia mamma. In<br />

certe famiglie dove non potevano vedere i profughi ci davano s<strong>org</strong>o, tanti invece ci davano<br />

magari una fetta di polenta. Quello che soprattutto mi ricordo è che si andava tanto in giro<br />

per trovare da mangiare.<br />

La famiglia che ci ospitava, qualcosa, anche latte quando c'era, ce ne dava, ma il ricordo<br />

principale è che andavo sempre in giro, in cerca di mangiare 58 .<br />

Per i bambini profughi, essere costretti a chiedere la carità è una cosa tremenda;<br />

spesso sono gli unici che riescono a portare a casa un po' di farina, del<br />

pane o degli ortaggi riuscendo ad impietosire la popolazione locale o qualche<br />

soldato 59 . Altri praticano il furto campestre; comune è la sottrazione di patate<br />

crude nei campi.<br />

Io mi ero abituato a camminare «a quattro gambe», guardando sempre per terra, sperando<br />

di trovare qualcosa da mangiare; andavamo nei prati sotto il Castello ad esplorare le piante di<br />

fi co; tiravamo giù anche i frutti piccoli verdi, li portavamo a casa e li cucinavamo; mangiavamo<br />

anche erba. Una volta io e la mia povera mamma, dopo essere rimasti senza mangiare da<br />

alcuni giorni, andammo nelle Fratte a «Bas a Cison» a cercare qualche castagna per calmare<br />

i dolori <strong>della</strong> fame: ne trovammo pochissime; c'erano anche molti altri disperati come noi<br />

che ne cercavano. Ci imbattemmo in un gruppo di «tedeschi» che ci condussero in un posto<br />

ove ve n'erano molte e ci ordinarono di raccoglierle. Lavorammo tutto il giorno ad aprire i<br />

57 Ivi, p. 148.<br />

58 Testimonianza di Maria Fedato, riportata in Pavan, <strong>L'ultimo</strong> <strong>anno</strong> <strong>della</strong> prima guerra cit., p. 25.<br />

59 Testimonianza di Angelina Soldan (Raccolta 1988, parte inedita).<br />

96


icci spinosi con le mani nude; nonostante le ferite alle mani, tuttavia eravamo contenti di<br />

quel piccolo tesoro; però a sera, quando facemmo cenno di andarcene, i soldati ci fermarono<br />

e ci presero impietosamente tutte le castagne; mia madre allora scoppiò in lacrime per la<br />

disperazione 60 .<br />

Nella previsione di un altro inverno di guerra, viene proibita la raccolta<br />

di patate e di cereali non ancora maturi. In seguito tale divieto è esteso per<br />

tutelare la vendemmia che si preannuncia molto scarsa per quantità e pessima<br />

per qualità. Un problema per le autorità è il furto campestre, sia da parte dei<br />

soldati – che spesso distruggono il raccolto senza motivo e con grave d<strong>anno</strong><br />

per il loro stesso esercito – che da parte <strong>della</strong> popolazione. Per combatterlo<br />

si rende necessaria la nomina da parte dei comuni di guardie campestri<br />

(feldhüter) che devono vigilare i raccolti e consegnare i trasgressori alla<br />

vicina gendarmeria. Spesso quest'opera di sorveglianza può essere svolta<br />

o integrata anche dai proprietari dei fondi che però, analogamente alle<br />

guardie, non possono essere armati, ma dotati solo di bastone.<br />

A Follina, il parroco padre Anacleto Milani ottiene dal comando tedesco<br />

di disporre di una dozzina di mucche – che restano ai legittimi proprietari<br />

– per assicurare il latte ai bambini sotto i tre anni, ai malati e agli anziani<br />

del paese 61 . Ma le requisizioni del bestiame avvengono fi n dal dicembre<br />

del 1917: il consumo settimanale di carne viene fi ssato a 250 grammi. Alla<br />

popolazione anche il vino viene somministrato in via eccezionale, solo per<br />

ragioni sanitarie, e la sua vendita nelle osterie, nelle trattorie e negli esercizi<br />

pubblici è proibita. A febbraio manca la farina e la situazione peggiora nei<br />

mesi successivi:<br />

Son più di 20 giorni che non si distribuisce un briciolo di farina, e non si sa come la<br />

popolazione riesca a star zitta. Giriamo dappertutto cercando di carpire qualche cosa ai<br />

soldati ma si è costretti a privarsi di tutto. Non esiste più l'acquisto con denaro, nessuno sa<br />

che farne del denaro, specie poi <strong>della</strong> nuova carta moneta messa in circolazione; è tornato in<br />

uso il baratto 62 .<br />

60 Marchi, Memoria cit., p. 148.<br />

61 Cronaca giornaliera di guerra del Rev. Gioachino M. Rossetto cit., pp. 33-34. Per i profughi<br />

del Piave è fondamentale poter trattenere qualche mucca per il fabbisogno quotidiano;<br />

così nella testimonianza di Secondo Fregolent (Raccolta 1988, parte inedita), che ricorda<br />

come la sua famiglia fosse partita da Falzè con due mucche, poi conservate fi no quasi al<br />

termine dell'occupazione.<br />

62 Antonietta Calcinoni, Diario di guerra (6 novembre 1917 - 31 ottobre 1918), in Enrico<br />

Dall'Anese, Paolo Martorel, Gli anni <strong>della</strong> Grande Guerra nel Quartier del Piave, Nuova<br />

Stampa 3, Pieve di Soligo 1988, p. 59.<br />

97


Ancora il parroco di Follina, nelle vesti anche di sindaco, sente l'esigenza<br />

di rivolgere un appello al comando austriaco:<br />

Le mortalità si succedono in proporzione spaventosa e non sono più i soliti lattanti che<br />

privati già del latte, senza aver alcun surrogato, che muoiono di inedia, non sono più i soliti<br />

vecchi che affranti dal dolore e dalle privazioni, cessano di vivere: sono gli uomini maturi,<br />

sono le giovani ventenni che da due mesi e più non cibandosi che di erba (bestiarum more)<br />

h<strong>anno</strong> esaurito la resistenza fi sica e muoiono, muoiono 63 .<br />

I più coraggiosi – sarebbe il caso di dire le più coraggiose, trattandosi in<br />

prevalenza di donne 64 – riescono a raggiungere il Veneto orientale e a procurarsi<br />

qualcosa da mangiare, ma il viaggio presenta molte insidie:<br />

Veder con questo pessimo tempo (e strade spaventose), donne, fanciulle, ragazzetti, perfi n<br />

da Longarone e altri paesi di montagna, che si recano quasi fi n a Caorle, a piedi poveri per<br />

aquistare del grano per non morire di fame, e dopo tante fatiche e patimenti disaggi, h<strong>anno</strong> il<br />

cuore questi maledetti di prenderglielo e di più metterli in prigione per giorni e giorni! Non<br />

è questa una barbarità? Inumani barbari invasori! Anche giorni fa gliela presero la farina ad<br />

una donna vicino la Meduna e questa disperata s'annegò nella Meduna stessa 65 .<br />

In tutti i comuni invasi la mortalità a causa <strong>della</strong> fame raggiunge cifre<br />

altissime, che aumentano ancora di più tra i profughi del Piave. Si registrano<br />

complessivamente 150 morti a S. Pietro di Feletto, 99 a Susegana, 427 a<br />

Tarzo (in gran parte sfollati provenienti da altri paesi), addirittura 484 a Valdobbiadene.<br />

Nel Quartier del Piave i morti sono complessivamente 933, di<br />

cui 817 per fame e 116 per cause belliche (bombardamenti). I morti per fame<br />

sono 182 a Pieve di Soligo, 173 a Sernaglia, 161 a Moriago, 127 a Refrontolo,<br />

117 a Vidor e 61 a Farra (dove si registra però il numero più alto di morti per<br />

cause belliche, 36). Questi numeri testimoniano le condizioni materiali <strong>della</strong><br />

popolazione nell'ultimo <strong>anno</strong> di guerra.<br />

La questione alimentare è strettamente legata al lavoro che i civili sono<br />

costretti a compiere per le truppe di occupazione. In generale, per i lavori<br />

militari in zona di guerra viene ampiamente utilizzata la manodopera femminile<br />

e minorile, mentre quella maschile viene in parte deportata all'interno<br />

63 Cronaca giornaliera di guerra del Rev. Gioachino M. Rossetto cit., p. 108.<br />

64 Testimonianza di Secondo Fregolent (Raccolta 1988, parte inedita), che ricorda un episodio<br />

relativo a sua madre Maria Bernardi, costretta a barattare le poche cose di valore che<br />

possiede, tra cui le lenzuola, per ottenere del cibo. Si veda anche la testimonianza di Giovanni<br />

Bertazzon (Raccolta 1988).<br />

65 Brustolon, Vittorio '17-'18 cit., p. 116.<br />

98


dell'Impero. Il lavoro dei bambini non è ovviamente retribuito:<br />

Avevo circa nove anni ed assieme a mio fratello Luigi andavo a lavorare su una strada fatta<br />

costruire dagli austriaci; dovevamo rompere sassi per la massicciata, in cambio ci davano da<br />

mangiare, solo a mezzogiorno: una ciotola di zuppa con crauti e una pagnottina da dividere<br />

in quattro 66 .<br />

Nelle province occupate le scuole rimangono chiuse dal novembre 1917<br />

all'aprile 1918. In seguito viene ordinata la riapertura delle elementari<br />

reclutando i maestri rimasti, ma utilizzando per l'insegnamento soprattutto il<br />

clero. In realtà si tratta di una forma velata di controllo <strong>della</strong> popolazione e<br />

di sfruttamento del lavoro dei bambini. Viene vietato l'uso dei quaderni sulla<br />

cui copertina è riprodotta la cartina dell'Italia con i confi ni naturali fi no al<br />

Brennero e al Carnaro; a Feltre il comando distrettuale fa strappare dai testi<br />

scolastici le pagine sulle guerre d'indipendenza. Si ritiene inoltre opportuno<br />

dare ai maestri elementari delle direttive in materia scolastica, per insegnare<br />

ai bambini il rispetto nei confronti dell'autorità germanica, per evitare ogni<br />

forma di discussione politica o militare, e per dare l'idea che le sorti <strong>della</strong><br />

guerra sono ormai segnate in favore degli eserciti occupanti.<br />

Le misure di controllo da parte delle autorità militari sono dirette ad accertare<br />

che fra i civili non si nascondano sbandati o disertori dell'esercito italiano,<br />

registrati dalle autorità del luogo come loro amministrati e opportunamente<br />

provvisti di falsi documenti d'identità. Numerosi soldati infatti, ospitati e<br />

nascosti inizialmente presso le famiglie, vengono poi denunciati come fi gli,<br />

parenti, dipendenti o coloni; la loro presenza è comunque tollerata per l'utilità<br />

nei lavori bellici ed agricoli. Le autorità militari impediscono che vi siano<br />

rapporti fra i prigionieri italiani e la popolazione locale. Uno dei modi che<br />

spesso le autorità militari austro-ungariche utilizzano per verifi care lo spirito<br />

pubblico, è quello di ripristinare il servizio postale invitando la popolazione<br />

civile a scrivere ai parenti residenti tanto nei territori invasi, quanto nelle<br />

altre province italiane. Una volta raccolte, le lettere vengono aperte, lette<br />

attentamente e quindi distrutte.<br />

Le case signorili dei notabili vengono saccheggiate. È il caso del palazzo<br />

dei conti Brandolini a Cison di Valmarino dal quale sono asportate le opere<br />

d'arte, gli atti dell'archivio e la biblioteca, e di quello dei Lucheschi a Colle<br />

Umberto che viene incendiato a più riprese. Ma è la sottrazione delle campane<br />

a diventare una scena abituale nei paesi invasi; molte v<strong>anno</strong> in frantumi nel<br />

momento stesso in cui vengono calate dai campanili. La requisizione delle<br />

66 Testimonianza di Secondo Fregolent (Raccolta 1988).<br />

99


campane delle chiese incrina il rapporto tra la popolazione e gli occupanti.<br />

Antonietta Calcinoni, maestra elementare a Follina nell'<strong>anno</strong> dell'invasione<br />

ce lo documenta nel suo diario 67 :<br />

Tutti gli occhi <strong>della</strong> popolazione sono rivolti verso il campanile dopo il barbaro sta spogliando<br />

il paese <strong>della</strong> sua dote. Le campane rappresentano un simbolo sacro, è il vincolo di<br />

unione fra gli abitanti di un paese. È il bronzo che dà il segno degli avvenimenti lieti e tristi<br />

<strong>della</strong> nostra vita, e ogni individuo affezionato oggi non può vedere operata l'opera vandalica<br />

senza provarne una forte stretta al cuore. S'odono delle poverissime donne del popolo dire<br />

che sacrifi cherebbero volentieri anche l'ultima camicia, anche l'anello di sposa, purché fossero<br />

lasciate le campane. Non si calano con le corde le nostre campane, ma si f<strong>anno</strong> precipitare<br />

e nel cadere sopra i sassi si spezzano! Il bronzo ha uno squillo lungo, lamentevole, sembra il<br />

grido acuto che muore in un lamento lungo di un ferito a morte 68 .<br />

Stupri di guerra<br />

I crimini compiuti dagli eserciti tedesco e austro-ungarico nei territori<br />

italiani occupati dopo Caporetto costituiscono un caso di studi. Innanzitutto<br />

si collocano cronologicamente nell'ultimo <strong>anno</strong> di guerra, in una fase in<br />

cui gli atti di crudeltà avvenuti sugli altri fronti sono cosa risaputa da tempo<br />

attraverso la propaganda e, in qualche modo, sono stati quasi «esorcizzati»<br />

e ritenuti impossibili in caso d'invasione. In secondo luogo la violenza del<br />

nemico segue delle dinamiche strettamente legate al modo inatteso con cui<br />

avviene la rottura del fronte nell'ottobre 1917, all'atteggiamento delle truppe<br />

che sferrano l'offensiva e che per prime vengono a contatto con i civili<br />

del Friuli e del Veneto, alla necessità di arrivare nei mesi successivi ad una<br />

sorta di modus vivendi con la popolazione. Inoltre, il fatto che la conclusione<br />

dell'occupazione coinciderà con la fi ne <strong>della</strong> guerra – e di una guerra vittoriosa<br />

– costituisce paradossalmente un problema ulteriore per la raccolta delle<br />

testimonianze di persone che o desiderano dimenticare la terribile parentesi<br />

dell'invasione oppure, quando al contrario vogliono raccontarla, si trovano a<br />

farlo in un contesto politico e sociale completamente stravolto. È chiaro che<br />

ciò che sopravvive di quell'<strong>anno</strong> decisivo per i civili occupati, risente di reticenze<br />

individuali e resistenze collettive, che infl uiscono non poco anche sulle<br />

politiche <strong>della</strong> memoria <strong>della</strong> Grande Guerra.<br />

Alle testimonianze raccolte nell'immediato dopoguerra viene data una partizione<br />

cronologica che, già da sola, fornisce anche una prima chiave di lettura<br />

degli eventi: «Dei primi giorni dell'invasione si parla come dei giorni del<br />

67 Calcinoni, Diario di guerra cit., pp. 32-76.<br />

68 Ivi, p. 58.<br />

100


terrore; i lunghi mesi che seguirono sono chiamati il periodo delle violenze sistematiche<br />

e legalizzate; i giorni <strong>della</strong> ritirata dell'esercito nemico […], sono<br />

chiamati i giorni delle ultime vendette» 69 . In effetti, il maggior numero di<br />

delitti contro la persona si registra nelle primissime settimane di occupazione,<br />

in particolare fi no alla metà di novembre del 1917, ed è provocato soprattutto<br />

dalle truppe tedesche che, a differenza di quelle austro-ungariche, non h<strong>anno</strong><br />

alcun interesse ad amministrare i territori invasi e a normalizzare i rapporti<br />

tra esercito e civili. Si tenga poi conto del fatto che numerose violenze avvengono<br />

nella primissima fase di avanzata dei reparti, con le truppe ancora<br />

in movimento, e quindi tali delitti diffi cilmente possono essere perseguiti per<br />

l'impossibilità d'individuare i veri responsabili. Un bando bilingue emanato<br />

già il 28 ottobre 1917 dal Comando supremo tedesco, stabilisce la condanna<br />

a morte dei civili che aiutano i militari italiani oppure recano d<strong>anno</strong> alle<br />

truppe germaniche e a quelle loro alleate. Viene di fatto applicato il codice<br />

penale militare, con l'obbligo per i militari italiani di consegnarsi entro ventiquattro<br />

ore dall'affi ssione del proclama per ricevere un trattamento conforme<br />

alla legislazione sui prigionieri di guerra; in caso contrario è prevista la fucilazione,<br />

misura estesa anche ai civili che fossero stati trovati in possesso di<br />

armi 70 . Tale Bekanntmachung, nella sostanza, viene periodicamente reiterata<br />

nei mesi successivi.<br />

È proprio in quei primissimi giorni che la violenza dispiegata dai militari<br />

raggiunge livelli inauditi, con ferimenti, omicidi e stupri che si contarono a<br />

centinaia. Con la giustifi cazione di ricercare prigionieri italiani, molti soldati<br />

entrano nelle case e minacciano i civili con le armi. Durante questa fase non<br />

siamo di fronte ad episodi provocati o anche solamente indotti da un ordine o<br />

da un piano prestabilito; più semplicemente sono le dinamiche dell'avanzata<br />

militare e la rapidità con cui avviene, che creano le condizioni per compiere<br />

tali atti. Siamo, quindi, al di fuori di uno schema preordinato o premeditato,<br />

anche perché non vi sono i presupposti per lanciare una campagna di violenza<br />

sui civili di vaste proporzioni. Certo, la documentazione sembra dimostrarci<br />

esattamente il contrario, ad esempio osservando la dimensione <strong>della</strong> violenza<br />

sulle donne e quella in generale sui civili occupati, che raggiunge un livello<br />

davvero impressionante, sia in termini quantitativi, sia dal punto di vista <strong>della</strong><br />

ferocia nei confronti delle vittime 71 . Le testimonianze raccolte dalla Commis-<br />

69 Relazioni <strong>della</strong> Reale Commissione d'inchiesta sulle violazioni del diritto delle genti<br />

commesse dal nemico, IV, L'occupazione delle provincie invase, Bestetti & Tumminelli,<br />

Milano-Roma 1922, p. 132.<br />

70 Relazioni <strong>della</strong> Reale Commissione d'inchiesta sulle violazioni del diritto delle genti<br />

commesse dal nemico, V, Legislazione e amministrazione del nemico nelle terre invase (documenti),<br />

t. I, Bestetti & Tumminelli, Milano-Roma 1922, pp. 159-161.<br />

71 Si pensi al numero elevatissimo dei civili uccisi dai soldati o morti in seguito alla violen-<br />

101


sione d'inchiesta concordano nell'attribuire ai tedeschi il maggior numero di<br />

atti compiuti contro i civili e anche nella memoria locale il generale clima di<br />

violenza dei primi giorni dell'occupazione viene quasi sempre ricondotto alla<br />

«barbarie» delle truppe germaniche.<br />

Dopo la prima ondata di violenze ed in seguito al passaggio del potere militare<br />

dal Comando germanico a quello austro-ungarico, gli atti di crudeltà nei<br />

confronti <strong>della</strong> popolazione diminuiscono considerevolmente. Da parte delle<br />

autorità occupanti c'è infatti la preoccupazione che il contegno in particolare<br />

degli uffi ciali possa incrinare la fi ducia dei civili e dunque i comandanti di<br />

tappa in qualche caso vengono invitati ad intervenire con rigore e severità<br />

verso gli autori di violenze di qualsiasi tipo. Un'Istruzione sul contegno delle<br />

truppe e dei comandi nel territorio italiano invaso, emanata dal Comando<br />

<strong>della</strong> 1 a Armata dell'Isonzo ancora nei primi giorni dell'occupazione in previsione<br />

anche di un ulteriore spostamento <strong>della</strong> linea del fronte oltre il Piave,<br />

stabilisce che entrando nei paesi debbano essere convocate le persone più<br />

autorevoli e consegnati loro i manifesti contenenti le istruzioni per la popolazione.<br />

Secondo le autorità austriache è necessaria una propaganda illuminata.<br />

Fino a quel momento, per l'incompetenza degli uffi ciali e delle truppe si sono<br />

eseguite requisizioni con sistemi arbitrari, ma questo non deve ripetersi. Solamente<br />

nei confronti dei civili sorpresi a compiere atti di sabotaggio, spionaggio<br />

e propaganda sovversiva si dovrebbe operare con severità e con il ricorso<br />

a rappresaglie come l'imposizione di contributi o la cattura di ostaggi 72 . Un<br />

vademecum per le truppe <strong>della</strong> 5 a Armata austro-ungarica stabilisce però che<br />

lo stato di guerra giustifi ca il «diritto di difesa per necessità di guerra» e detta<br />

quali devono essere i comportamenti:<br />

Risparmiare la popolazione bene intenzionata e quella pacifi ca nel territorio nemico; usare<br />

severità verso la popolazione infi da ed ostile. I contadini per lo più sono pacifi ci anche<br />

in Italia: perciò risparmiarli. Gl'intellettuali, gli operai, i professionisti ecc. per lo più ostili<br />

in Italia siano ricacciati dalle truppe più che sia possibile contemporaneamente al nemico.<br />

Gli elementi specialmente pericolosi, anche del territorio proprio, son elencati nel libro nero<br />

posseduto dagli alti comandi. Ricercare attivamente tali elementi, e consegnarli, una volta<br />

presi 73 .<br />

za militare durante l'occupazione – vengono accertate 553 vittime per atti di crudeltà – oppure<br />

alle persone morte per cause collegate direttamente o indirettamente alla guerra che sono<br />

complessivamente 24.597, di cui 12.649 per insuffi cienza di cure sanitarie, 9.797 per fame,<br />

961 durante l'esodo dei profughi dopo Caporetto; Relazioni <strong>della</strong> Reale Commissione d'inchiesta<br />

sulle violazioni del diritto delle genti commesse dal nemico, IV, cit., pp. 181-185.<br />

72 Relazioni <strong>della</strong> Reale Commissione d'inchiesta sulle violazioni del diritto delle genti<br />

commesse dal nemico, V, Legislazione e amministrazione cit., pp. 333-337.<br />

73 Ivi, p. 340.<br />

102


Il Comando supremo austriaco fi ssa in seguito diversi divieti che riguardano<br />

la popolazione circa quegli atti che possono essere interpretati come<br />

mezzi d'intesa con l'esercito italiano: abbandonare la località senza lo speciale<br />

permesso rilasciato da un comando militare, suonare le campane, accendere<br />

fuochi e stendere biancheria all'aperto, salire su tetti e campanili, chiamare<br />

a voce alta e cantare, andare o fermarsi all'aperto in gruppi di più di due<br />

persone, danneggiare strade, ponti, ferrovie, telegrafi , telefoni, contaminare<br />

fontane e corsi d'acqua, nascondere o distruggere viveri, ospitare soldati<br />

italiani e persone estranee; corrispondere per iscritto in qualsiasi modo con<br />

altri civili 74 . Per chi nasconde in casa militari italiani, minaccia con le armi le<br />

truppe occupanti o viene sorpreso a compiere atti di sabotaggio o di saccheggio,<br />

è prevista la fucilazione. Numerosi sono gli attentati e i danni compiuti<br />

dai civili nei confronti delle linee ferroviarie che mettono in comunicazione i<br />

centri delle retrovie con il fronte; non a caso, chi viene sorpreso senza autorizzazione<br />

nelle vicinanze <strong>della</strong> ferrovia è passibile di arresto.<br />

Le violenze contro i civili continuano a lungo, se ancora il 20 agosto 1918<br />

il Comando dell'11 a Armata biasima in una circolare riservata «un contegno<br />

brutale e provocante verso i b<strong>org</strong>hesi indifesi» da parte degli uffi ciali austriaci<br />

75 ; dopo numerose proteste e denunce, i comandanti di tappa vengono quindi<br />

invitati ad agire con rigore e severità per punire ogni eccesso, in quanto non<br />

si può spingere la popolazione all'esasperazione.<br />

Particolarmente duro è il trattamento riservato ai prigionieri di guerra trattenuti<br />

in numerose località delle retrovie o <strong>della</strong> zona di operazioni e adibiti a<br />

compiti di manovalanza militare spesso molti pericolosi. Nei loro confronti<br />

non si abbattono solamente la fame, gli stenti e le malattie che colpiscono anche<br />

il resto <strong>della</strong> popolazione, ma anche le pene corporali infl itte dalle truppe.<br />

Molti di loro vengono infatti percossi, torturati e puniti tramite il «palo»:<br />

I prigionieri italiani che si trovavano a Cordignano venivano trattati barbaramente e sottoposti<br />

a fatiche gravissime con ferrea disciplina (come quella del palo) che gli legavano i<br />

piedi e le mani al di dietro la schiena e quindi li sospendevano dal suolo, lasciandogli solo la<br />

punta dei piedi per terra, tenendoli due ore, e fi no a quando non diventavano paonazzi o che<br />

andavano in isvenimento per dolori alle braccia e alla vita. Quando li scioglievano per farli<br />

riprendere dallo svenimento gli gettavano un secchio d'acqua addosso 76 .<br />

74 Ivi, pp. 162-164.<br />

75 Ivi, p. 341.<br />

76 ACS, Commissione d'inchiesta, b. 7, relazione <strong>della</strong> Legione territoriale dei Carabinieri<br />

Reali di Verona, Allegato 1 relativo al Comune di Cordignano, 3 febbraio 1919.<br />

103


Quello nei confronti dei prigionieri è un atteggiamento volutamente punitivo<br />

per il loro status di combattenti, ma sarà durante la ritirata dell'esercito<br />

austro-ungarico, anche dopo l'annuncio dell'armistizio, che la violenza si abbatte<br />

particolarmente su di loro.<br />

Per quanto riguarda le tipologie è necessario distinguere tra gli atti compiuti<br />

in conseguenza delle rapine e, più in generale, delle requisizioni nei<br />

confronti <strong>della</strong> popolazione, dagli episodi di violenza intenzionale e gratuita.<br />

Nella prima categoria rientrano tutta una serie di delitti connessi a qualsiasi<br />

regime di occupazione militare, durante il quale reati come ferimenti e omicidi<br />

costituiscono il prolungamento di altri atti. Quasi ovunque le violenze<br />

sono la risposta o la spropositata reazione a forme di resistenza contro quei<br />

soldati che entravano nelle abitazioni per compiere furti e saccheggi oppure<br />

per operare quelle requisizioni che da un certo momento in poi vengono di<br />

fatto legalizzate. Opporsi fi sicamente a tali soprusi oppure anche solo protestare<br />

contro un atteggiamento considerato iniquo, è suffi ciente per scatenare<br />

una rappresaglia sui civili inermi. A questi episodi se ne affi ancano altri che<br />

rimandano a forme di violenza gratuita che sfuggono, come tipologia, a qualsiasi<br />

tentativo di classifi cazione.<br />

La serialità degli episodi potrebbe far pensare ad una precisa strategia dei<br />

comandi oppure alla volontà di esercitare la violenza solamente per rafforzare<br />

le gerarchie che necessariamente sono venute a crearsi tra occupanti e<br />

occupati. A parte i casi citati, però, le autorità militari non impartiscono disposizioni<br />

se non compatibili con le esigenze belliche. Piuttosto, risulta più<br />

plausibile la motivazione che rimanda ad una specifi cità dell'<strong>org</strong>anizzazione<br />

interna degli eserciti, tanto durante il primo periodo dell'occupazione, che nei<br />

mesi successivi, nonostante le esigenze militari impongano un atteggiamento<br />

diverso. Le tipologie illustrate non esauriscono certamente l'ampia gamma di<br />

episodi registrati nell'ultimo <strong>anno</strong> <strong>della</strong> Grande Guerra nei territori occupati,<br />

ma possono fornire un quadro sui meccanismi <strong>della</strong> violenza contro i civili.<br />

La cornice in cui s'inseriscono tali episodi è quella di un sistematico sfruttamento<br />

di un territorio che deve fornire tutte le risorse necessarie per le truppe.<br />

Decisamente atipiche sono invece le modalità degli stupri di guerra.<br />

[…] ogni mattina avevo in casa mia 10, 20, 30 donne a riferirmi di essere state soggette a<br />

spaventi ed a paure ed oltraggi durante la notte; fucili, revolver, bastoni, coltelli appuntati<br />

ed io allora correre ogni giorno dal Comando per protestare. La notte era più tremenda del<br />

giorno: la poco gradita visita delle soldatesche con le relative rapine avveniva di notte in<br />

generale. Le dirò che le donne coi bambini erano fuggite alle Rive sopra Col S. Martino<br />

per evitare il tiro delle granate, ma quando i germanici perdettero la speranza di passare il<br />

104


Piave, si dispersero per le rive ed avvennero violenze innominabili, allora io diedi ordine alle<br />

famiglie di far ritorno tutti in casa e morire piuttosto sotto le granate 77 .<br />

Le testimonianze e la documentazione raccolte dalla Reale Commissione<br />

d'inchiesta sulle violazioni del diritto delle genti commesse dal nemico,<br />

costituiscono indubbiamente una delle fonti più importanti – se non la più<br />

importante – per ricostruire la dimensione <strong>della</strong> violenza esercitata da parte<br />

delle truppe austro-germaniche nei confronti <strong>della</strong> popolazione civile. È però<br />

necessario premettere che questa Commissione d'inchiesta viene istituita nel<br />

novembre 1918 con il chiaro intento di stabilire l'ammontare dei danni arrecati<br />

dalle truppe durante l'<strong>anno</strong> d'invasione e, in quanto tali, le violenze sulle<br />

persone – omicidi, ferimenti, stupri, deportazioni – sono derubricate a puro<br />

fatto statistico, dando per assodato che comunque gli atti compiuti contro il<br />

diritto delle genti e a dispetto delle convenzioni internazionali, siano da attribuire<br />

semplicemente alla brutalità del nemico.<br />

La violenza nei confronti delle donne, i tentativi di stupro e gli stupri realmente<br />

consumati, insomma tutti quelli che la Commissione d'inchiesta qualifi<br />

ca genericamente ed in maniera semplicistica e fuorviante come «delitti<br />

contro l'onore femminile», sono un elemento quasi sempre presente nelle relazioni<br />

delle autorità civili e religiose, chiamate ad accertare «se nelle terre<br />

invase la soldatesca nemica si sia abbandonata a violenze contro le persone<br />

con uccisioni e ferimenti di cittadini inermi e con stupri di ragazze e di donne<br />

maritate, specifi cando i fatti e le singole responsabilità» 78 .<br />

Il lavoro <strong>della</strong> Commissione, comunque, anche per l'estrema delicatezza<br />

dell'argomento, non porta ad un elenco completo degli stupri commessi, ma<br />

si limita alla raccolta di numerose testimonianze – alcune delle quali molto<br />

signifi cative – e alla suddivisione delle violenze in diverse categorie: gli stupri<br />

accompagnati da omicidio o ferimento, quelli compiuti con la minaccia<br />

delle armi, le violenze compiute nei confronti di donne anziane, bambine ed<br />

inferme, i semplici atti di depravazione da parte delle truppe d'occupazione.<br />

77 Relazione del parroco di Mosnigo, don Angelo Frare, in La Piana Eroica cit., p. 26. Si<br />

veda anche ACS, Commissione d'inchiesta, b. 3, fasc. 48, relazione di don Angelo Frare alla<br />

Reale Commissione d'inchiesta sulle violazioni del diritto delle genti commesse dal nemico,<br />

21 gennaio 1919: «Posso garantire di violenze fatte a giovani ed a donne maritate da parte<br />

<strong>della</strong> soldatesca germanica nel primo mese d'invasione».<br />

78 Antonio Gibelli, Guerra e violenze sessuali: il caso veneto e friulano, in La memoria<br />

<strong>della</strong> grande guerra nelle Dolomiti, Paolo Gaspari Editore, Udine 2001, pp. 195-206; Daniele<br />

Ceschin, «L'estremo oltraggio»: la violenza alle donne in Friuli e in Veneto durante<br />

l'occupazione austro-germanica (1917-1918), in La violenza contro la popolazione civile<br />

nella Grande guerra. Deportati, profughi, internati, a cura di Bruna Bianchi, Unicopli, Milano<br />

2006, pp. 165-184.<br />

105


Sull'uscio di casa con una bimba. MCRR.


Profughi in piazza. MCRR.<br />

Tra le rovine di Padova dopo un bombardamento. MCRR.


Al di là delle diffi coltà oggettive nella raccolta delle testimonianze – amministrazioni<br />

sfollate dopo Caporetto, problemi burocratici, ritorno dei mariti<br />

dal fronte – le lacune del lavoro <strong>della</strong> Commissione sono sostanzialmente<br />

imputabili al fatto che la maggior parte delle donne vittime di violenza non<br />

denuncerà l'atto subìto, sia per pudore personale, sia per mantenere al riparo<br />

da pettegolezzi la propria famiglia o la propria comunità. Su quest'atteggiamento<br />

di reticenza pesa senza dubbio anche il fatto che gli interrogatori vengono<br />

compiuti esclusivamente da uomini, in gran parte uffi ciali e sottuffi ciali,<br />

e dunque molte donne che inizialmente h<strong>anno</strong> trovato la forza di raccontare ai<br />

famigliari e a persone di fi ducia la violenza subìta, in un secondo momento si<br />

rifi utano di deporre davanti ai commissari e di formalizzare una denuncia, che<br />

non solo non avrà avuto alcun seguito, ma che per le vittime si tradurrebbe<br />

in una nuova sofferenza. È da notare come, sia questa prospettiva di genere,<br />

sia la consapevolezza che il racconto <strong>della</strong> violenza possa essere causa per la<br />

donna di altro dolore, non vengono quasi mai considerate come giustifi cazioni<br />

di questa reticenza. Infatti, sindaci, commissari prefettizi e parroci nelle<br />

loro relazioni f<strong>anno</strong> riferimento quasi sempre ad un codice morale che rifl ette<br />

i valori e le priorità <strong>della</strong> comunità locale. Quindi, secondo quest'ottica, il pudore<br />

porta all'omertà e le donne violentate tacciono l'offesa subita, soprattutto<br />

perché, dopo essere stata vissuta come un oltraggio, tale offesa viene percepita<br />

come un'»onta» da cancellare o comunque da nascondere in ogni modo.<br />

È signifi cativo il caso di Sernaglia, dove «vennero stuprate ragazze ed anche<br />

donne maritate, ma non è possibile precisare fatti e responsabilità poiché i<br />

danneggiati o per pudore o per naturale riservatezza non parlano» 79 . Ne deriva<br />

che le stesse autorità locali, si limitano a riferire che sono a conoscenza<br />

di stupri e di tentativi di stupro avvenuti nel loro comune, ma non corredano<br />

la denuncia con altri elementi celandosi dietro la ritrosia delle vittime. Alcuni<br />

parroci, oltre a minimizzare la portata degli stupri commessi, registrano<br />

«la violenza <strong>della</strong> subdola seduzione che purtroppo conseguì i suoi pessimi<br />

intenti ingannando le incaute col miraggio di un buon trattamento, nel vitto<br />

negli alimenti: in queste opere di demoralizzazione si distinsero li soldati, e<br />

specialmente gli Uffi ciali e sotto Uffi ciali Ungheresi» 80 . Altri ancora si limitano<br />

a denunciare che i soldati si sono abbandonati a violenze, ma h<strong>anno</strong> anche<br />

79 ACS, Commissione d'inchiesta, b. 3, fasc. 48, relazione di Francesco Pillonetto alla<br />

Reale Commissione d'inchiesta sulle violazioni del diritto delle genti commesse dal nemico,<br />

10 luglio 1919.<br />

80 ACS, Commissione d'inchiesta, b. 3, fasc. 43, relazione di don Gio.Batta Cesa alla Reale<br />

Commissione d'inchiesta sulle violazioni del diritto delle genti commesse dal nemico, 12<br />

gennaio 1919.<br />

108


abusato «<strong>della</strong> debolezza di alcune donne maritate» 81 . In questo senso, anche<br />

le donne rimaste incinte in seguito a stupro, vengono quasi ritenute colpevoli<br />

<strong>della</strong> violenza subita.<br />

Tentativi di stupro ne furono tanti, specialmente nei primi giorni dell'invasione, da parte<br />

delle truppe germaniche e bosniache. Durante l'<strong>anno</strong> si ripeterono, specialmente verso povere<br />

donne costrette dalla fame a portarsi presso certi comandi per offrire biancheria e gioielli allo<br />

scopo di avere un pezzo di pane od un po' di farina. Era allora che brutali uffi ciali conducevano<br />

le malcapitate in stanze chiuse col pretesto di contrattare, e poi con la forza volevano<br />

costringerle ad azioni turpi. Ad eterno obbrobrio del perfi do e brutale nemico, per l'onore delle<br />

nostre imperterrite donne, siamo lieti di affermare che, salvo qualche rara eccezione, tutte<br />

con grida ed urli, saltando anche dalle fi nestre, adoperando unghie e denti, seppero sottrarsi<br />

agli artigli dei turpi assalitori 82 .<br />

Le violenze sulle donne compiute nella zona invasa sfuggono a qualsiasi<br />

tentativo di quantifi cazione. Da un esame attento di tutta la documentazione,<br />

gli stupri denunciati alla Commissione risultano essere 165, per i quali siamo<br />

a conoscenza delle generalità <strong>della</strong> vittima e delle circostanze in cui è avvenuta<br />

la violenza; a questi sono da aggiungere altri 570 casi di cui la Commissione<br />

reca notizia senza fornire però ulteriori indicazioni. L'osservazione è<br />

banale, ma i casi di stupro sono molto più numerosi di quelli denunciati alle<br />

autorità e alla Commissione d'inchiesta e non è raro il caso in cui una donna<br />

subisce più di uno stupro in tempi diversi; dunque questi dati v<strong>anno</strong> abbondantemente<br />

corretti per difetto. È indiscutibile che il maggior numero dei casi<br />

di violenza si registri durante la prima fase dell'invasione, e in particolare<br />

nella prima metà di novembre del '17, quando i reparti degli eserciti tedesco e<br />

austro-ungarico sono ancora impegnati nell'azione di sfondamento delle linee<br />

italiane e di riposizionamento dopo l'arresto al Piave.<br />

Le testimonianze raccolte dalla Commissione d'inchiesta concordano<br />

nell'attribuire ai tedeschi il maggior numero di stupri e anche nella memoria<br />

locale il generale clima di violenza dei primi giorni dell'occupazione viene<br />

quasi sempre ricondotto, come detto, alla «barbarie» delle truppe germaniche.<br />

Ciononostante, numerosi episodi di stupro vengono commessi anche dalle<br />

truppe inquadrate nell'esercito austro-ungarico e, condannato a parole, ogni<br />

81 ACS, Commissione d'inchiesta, b. 4, fasc. 59, relazione di don Vittorio Maura alla Reale<br />

Commissione d'inchiesta sulle violazioni del diritto delle genti commesse dal nemico, 15<br />

gennaio 1919.<br />

82 ACS, Commissione d'inchiesta, b. 3, fasc. 49, relazione di don Apollonio Piazza alla<br />

Reale Commissione d'inchiesta sulle violazioni del diritto delle genti commesse dal nemico,<br />

18 dicembre 1918.<br />

109


atto di violenza continua a rimanere impunito. Gli stupri sono più frequenti<br />

in campagna che in città, ed anche nelle aree rurali le abitazioni prese di mira<br />

risultano quelle più isolate. La violenza sulle donne è favorita dal fatto che gli<br />

abitanti sono costretti a tenere aperta la porta di casa. Anche per questo motivo<br />

la sede municipale diventa spesso il luogo di rifugio per le donne spaventate<br />

dalla brutalità delle truppe occupanti e dalla possibilità che sia usata violenza<br />

nei loro confronti. Le uniche zone franche rimangono la chiesa e l'abitazione<br />

del parroco, dove numerose donne si rifugiano soprattutto durante le prime<br />

settimane dell'occupazione; ma non mancano casi di violenza compiuti anche<br />

all'interno delle canoniche. Vittime di un numero rilevante di stupri sono le<br />

cosiddette profughe del Piave. Si tratta di donne che appartengono alla parte<br />

più debole <strong>della</strong> popolazione e particolarmente martoriate dalla fame e dalle<br />

malattie. Numerose violenze vengono commesse anche nei confronti di<br />

donne che dai paesi di montagna si recano a piedi verso la pianura friulana<br />

per acquistare generi alimentari e che essendo spesso da sole, risultano più<br />

facilmente esposte. Vittime di soprusi, di tentativi di violenza e di stupri sono<br />

anche le donne ricoverate negli ospedali.<br />

Comunemente però i soldati e gli uffi ciali tentano le violenze nelle case,<br />

dopo esservi penetrati colla forza, e cercano di riuscire nel loro intento minacciando<br />

le vittime con le armi; in altri casi i soldati si presentano con la scusa<br />

di cercare gli uomini abili al lavoro oppure per requisire generi alimentari.<br />

In ogni caso la violenza è sempre premeditata ed esercitata da gruppi più o<br />

meno numerosi di soldati, in media da 4 o 5 persone, ma alcune testimonianze<br />

riportano la presenza di addirittura 15 o 20 militari che servono ovviamente<br />

per controllare meglio i famigliari delle vittime e impedire ogni forma di resistenza<br />

83 .<br />

Nella maggior parte dei casi la violenza avviene in presenza di altre persone,<br />

i genitori, qualche volta il marito, quasi sempre i fi gli, ma spesso anche<br />

persone estranee che si trovano nella casa <strong>della</strong> vittima per caso o perché,<br />

per vincere il timore di soprusi o di altre forme di violenza fi sica, durante<br />

l'<strong>anno</strong> dell'occupazione è usuale che due o tre famiglie vicine si riuniscano in<br />

uno stesso luogo, anche se ciò era formalmente proibito dai comandi militari<br />

locali 84 . La fuga di quelle che nelle relazioni viene icasticamente defi nita la<br />

«vittima predestinata» – fuga tentata solamente dalle ragazze più giovani e,<br />

aspetto da sottolineare, dalle donne che non h<strong>anno</strong> fi gli 85 – nella maggior par-<br />

83 ACS, Commissione d'inchiesta, b. 4, fasc. 52, testimonianza di L.M.<br />

84 ACS, Commissione d'inchiesta, b. 1, fasc. 5, testimonianza di E.B.<br />

85 ACS, Commissione d'inchiesta, b. 3, fasc. 49, relazione di don Antonio Fiaretto alla<br />

Reale Commissione d'inchiesta sulle violazioni del diritto delle genti commesse dal nemico,<br />

23 dicembre 1918.<br />

110


te dei casi provoca la reazione dei soldati contro coloro che sono rimasti in<br />

casa, che si traduce nell'esplosione di colpi di rivoltella in aria e contro i muri<br />

come intimidazione, nella minaccia di uccidere un famigliare, ma talvolta<br />

nell'abuso verso altre donne che non sono riuscite a fuggire, anche anziane o<br />

inferme 1 . Quando il tentativo di violenza non riesce, le reazioni più frequenti<br />

sono l'incendio <strong>della</strong> casa oppure la sottrazione di generi alimentari e animali<br />

domestici 2 .<br />

In generale, anche la violenza alle donne non è da attribuirsi ad un piano<br />

preordinato da parte dei Comandi degli eserciti d'occupazione, né alla volontà<br />

di utilizzare quella che è stata defi nita «l'arma sessuale» come strumento<br />

di guerra in un quadro che rimanda ad una questione di superiorità razziale,<br />

come pure la propaganda italiana dell'ultimo <strong>anno</strong> di guerra cerca di dimostrare,<br />

associando semplicisticamente lo stupro alla barbarie di cui il nemico,<br />

per sua natura, è portatore. Comunque, nel caso specifi co degli stupri, il loro<br />

numero elevato è da attribuire in primo luogo alla scarsa effi cacia <strong>della</strong> giustizia<br />

militare dei Comandi di occupazione ed alla sostanziale impunità di cui<br />

possono godere soldati e uffi ciali che si rendono colpevoli di questo come di<br />

altri tipi di reato. Da un diario sottratto ad un soldato catturato durante l'offensiva<br />

del giugno 1918, si evince infatti che molti stupri vengono compiuti<br />

nell'assoluta certezza di riuscire impuniti, soprattutto quando del gruppo f<strong>anno</strong><br />

parte anche uffi ciali o sottuffi ciali.<br />

Un elemento da tenere in considerazione è quello <strong>della</strong> tipologia <strong>della</strong> violenza<br />

sessuale, che ha tutte le caratteristiche <strong>della</strong> serialità ma che, allo stesso<br />

tempo, è da considerarsi episodica. Vale a dire che gli stupri commessi sono<br />

numerosi, ma i singoli casi non risultano collegati fra loro. La violenza è seriale<br />

e continua, ma isolata, assomiglia maggiormente ad una violenza privata<br />

che ad una violenza sistematica di tipo militare. Nel quadro generale dell'occupazione<br />

lo stupro venne considerato dalle autorità militari un reato minore,<br />

percepito sì come un crimine terribile, ma sostanzialmente paragonabile ad<br />

altri delitti contro la persona, soprattutto se non è seguito dall'uccisione <strong>della</strong><br />

vittima – ma si registrano ben 53 episodi di omicidio seguiti alla violenza –<br />

o di qualche suo famigliare. In sostanza, il trauma subìto dalla donna, tanto<br />

1 ACS, Commissione d'inchiesta, b. 2, verbale d'interrogatorio di Vladimiro Dogan, 16<br />

gennaio 1919.<br />

2 ACS, Commissione d'inchiesta, b. 1, fasc. 3, s/fasc. 3.1, testimonianza di A.C.: «Premetto<br />

che atti di violenza e tentativi di violenza carnale ne furono commessi specie nel primo<br />

periodo dell'occupazione dai germanici. Molte ragazze dovettero di notte per sfuggire i<br />

soldati, gettarsi dalle fi nestre e nascondersi nei campi. Io stessa attesto che nella notte del 1°<br />

Dicembre 1917 in presenza <strong>della</strong> famiglia (mamma sorelle e zia) fui schiaffeggiata e minacciata<br />

di morte col fucile per essermi sottratta a certe loro insistenze. Si vendicarono poi col<br />

portarci via un asino, un carro, del vino e grano».<br />

111


fi sico che psicologico, non viene tenuto in alcun conto.<br />

Nell'immediato dopoguerra, nei territori già occupati la tutela <strong>della</strong> cosiddetta<br />

moralità pubblica, <strong>della</strong> pace e dell'ordine delle famiglie, vengono considerate<br />

una necessità sociale. Poiché i bambini nati da violenza, per la loro pseudolegittimità,<br />

non possono essere accolti nei brefotrofi , è naturale che il fenomeno<br />

dei cosiddetti «fi gli <strong>della</strong> guerra», che di per sé costituisce un problema non<br />

solo per le donne che h<strong>anno</strong> subìto violenza, deve essere risolto in maniera<br />

rapida fornendo assistenza alle gestanti e ai loro fi gli.<br />

Per iniziativa di don Celso Costantini, nel dicembre 1918 viene fondato a Portogruaro<br />

un istituto denominato «Ospizio dei fi gli <strong>della</strong> guerra» con lo scopo<br />

di accogliere i bambini delle terre liberate – ma successivamente anche delle<br />

terre redente – concepiti durante l'<strong>anno</strong> dell'occupazione; ma nello statuto, per<br />

ovvie ragioni di carattere sociale, si specifi ca che sarà stata data la preferenza<br />

ai bambini «nati durante la guerra nelle terre liberate» 3 . Si tratta di quelli che<br />

in maniera ambigua vengono classifi cati come «incolpevoli fi gli <strong>della</strong> colpa,<br />

che non avevano diritto di nascere ma avevano diritto di vivere» 4 . Una delle<br />

priorità è infatti quella di evitare che i bambini siano a loro volta vittime di<br />

violenza all'interno <strong>della</strong> famiglia o addirittura uccisi dalla madre o dal marito,<br />

come qualche misteriosa scomparsa – è il caso di Cison – può far supporre:<br />

«Qualche ragazza e 6 o 7 coniugate stuprate da soldati Germanici, Austriaci,<br />

Ungheresi anche con violenza. In due rimase e si vede il frutto; nelle altre o<br />

esiste solo il dubbio e sospetto, ovv. fu fatto sparire. (Come?...)» 5 .<br />

Un tema, questo dell'infanticidio, largamente rimosso e che lascia pochissimi<br />

indizi, se non nelle fonti giudiziarie che, in questo senso, forniscono<br />

degli elementi molto precisi, anche se non aiutano a chiarire fi no in fondo il<br />

confi ne tra la morte naturale e quella provocata accidentalmente o volontariamente.<br />

L'aborto e la soppressione fi sica del bambino appena nato con il successivo<br />

occultamento del corpo, rimangono delle opzioni entrambe terribili,<br />

3 L'Ospizio dei fi gli <strong>della</strong> guerra sarà eretto ad ente morale con R.d. 10 agosto 1919, n.<br />

1508, assumendo la denominazione di «Istituto S. Filippo Neri per la prima infanzia». Fino<br />

ad allora l'Ospizio viene sostenuto con l'assistenza del Segretariato generale per gli affari<br />

civili del Comando supremo, del Ministero per le terre liberate, delle Amministrazioni provinciali<br />

e <strong>della</strong> carità pubblica. L'Istituto di Portogruaro, poi trasferito a Castions di Zoppola,<br />

accoglierà complessivamente 353 «fi gli <strong>della</strong> guerra»; Celso Costantini, Foglie secche. Esperienze<br />

e memorie di un vecchio prete, Tipografi a Artistica, Roma 1948, pp. 327-333; Andrea<br />

Falcomer, Gli «orfani dei vivi». Madri e fi gli <strong>della</strong> guerra e <strong>della</strong> violenza nell attività<br />

dell Istituto San Filippo Neri (1918-1947), in «DEP. Deportate, esuli, profughe. Rivista<br />

telematica di studi sulla memoria femminile», 2009, n. 10, pp. 76-93.<br />

4 Opera d'assistenza per i fi gli <strong>della</strong> guerra, Tipografi a Libreria Emiliana, Venezia 1921, p. 7.<br />

5 ACS, Commissione d'inchiesta, b. 3, fasc. 49, relazione di don Carlo Tomio alla Reale<br />

Commissione d'inchiesta sulle violazioni del diritto delle genti commesse dal nemico, 11<br />

marzo 1919.<br />

112


soprattutto per il contesto in cui possono maturare – la paura <strong>della</strong> puerpera<br />

di fronte al giudizio <strong>della</strong> comunità o <strong>della</strong> famiglia, il ritorno del marito dal<br />

fronte – e che aggiungono comunque violenza alla violenza. In defi nitiva,<br />

gli stupri, con tutto ciò che ne consegue in termini di trauma per le vittime<br />

e di rapporti interpersonali all'interno delle famiglie interessate, rimangono<br />

degli episodi consegnati alla dimensione privata <strong>della</strong> guerra ai civili, quella<br />

dimensione che, come tale, nell'immediato dopoguerra non avrà alcuna forma<br />

di riconoscimento e di comprensione.<br />

Treviso resistente<br />

Per dirla con Jay Winter, durante la guerra gli spazi urbani vengono «nazionalizzati»,<br />

ovvero perdono progressivamente le loro caratteristiche locali<br />

assumendo i tratti militari, economici, culturali del confl itto che svolge, in<br />

questo senso, una funzione omologante. Anche le città venete sono percorse<br />

all'improvviso da migliaia di persone provenienti dal resto d'Italia: soldati,<br />

certo, ma anche tutto quel sottobosco composto di personale dei servizi logistici,<br />

operai militarizzati, medici e crocerossine, cappellani e giornalisti che<br />

arrivano per vedere sostenere, curare, raccontare la guerra «da vicino». Si<br />

modifi cano i luoghi <strong>della</strong> sociabilità urbana per la presenza di caserme, ospedali<br />

militari, case del soldato, postriboli, magazzini. Le città, tanto i centri<br />

storici che i quartieri periferici, «lavorano» esclusivamente in funzione dello<br />

sforzo bellico. Da questo punto di vista Treviso è immersa nel confl itto fi n<br />

dal maggio del '15, poiché rientra come il resto del Veneto nella cosiddetta<br />

«zona di guerra», quella porzione d'Italia in cui le autorità militari h<strong>anno</strong> la<br />

preminenza su quelle civili 6 ; inoltre, ha vissuto la paura di essere occupata<br />

già nel maggio-giugno del '16, quando l'offensiva austro-ungarica si era abbattuta<br />

sull'Altopiano di Asiago e migliaia di profughi si erano riversati nella<br />

pianura veneta.<br />

Come abbiamo visto, dopo la rotta militare Treviso è tappa obbligata per<br />

migliaia di soldati sbandati e di civili in fuga dal Carso e dal Friuli. Dentro le<br />

mura di una città «riboccante di profughi», funziona il Comitato per la preparazione<br />

civile che assiste spezzoni di famiglie, «fi gli senza genitori, spose<br />

senza mariti, vecchi sciancati, malati cascanti, signore e signori senza nulla,<br />

scalzi quasi tutti e mezzo nudi». Altri fuggiaschi vengono condotti a Fiera per<br />

essere imbarcati verso Chioggia e, qualche giorno dopo, il famigerato gene-<br />

6 La cosiddetta «zona di guerra» nel 1915 comprendeva le province di Udine, Belluno,<br />

Treviso, Venezia, Padova, Vicenza, Verona, Ferrara, Mantova, Brescia, Sondrio, oltre alle<br />

isole e ad alcuni comuni del litorale Adriatico dove vennero create delle piazze marittime.<br />

Nel corso del 1917, e in particolare dopo Caporetto, tale zona venne estesa a quasi tutta l'Italia<br />

settentrionale.<br />

113


ale Andrea Graziani reprime il disordine tra le truppe con esecuzioni sommarie<br />

7 . I luoghi delle «cartoline illustrate» <strong>della</strong> Treviso b<strong>org</strong>hese, dopo la concitazione<br />

dei primi giorni di novembre, diventano improvvisamente deserti e<br />

muti: anche migliaia di trevigiani se ne sono andati, a cominciare da coloro<br />

che rivestono cariche pubbliche, gli stessi che h<strong>anno</strong> invitato la popolazione<br />

alla calma e a non abbandonare la città. Rimangono al loro posto solamente il<br />

«vescovo del Montello», Andrea Giacinto Longhin, e l'umanità di marginali<br />

che emerge dal suggestivo affresco che ci ha fornito Livio Fantina: questuanti<br />

e vagabondi, ladri e prostitute, ma anche la Treviso popolare dei quartieri fuori<br />

dalle mura, che non può certo lucrare sulla guerra che qui si vede, si sente,<br />

si tocca 8 . Nel giugno del '18, prima di diventare il capoluogo <strong>della</strong> «provincia<br />

<strong>della</strong> vittoria», la città vive un ultimo sussulto, con le sue vie percorse dai<br />

feriti nella battaglia del Solstizio e con il rischio di venire travolta dall'ultima<br />

offensiva dell'Austria-Ungheria.<br />

Tornando alle vicende immediatamente successive a Caporetto, a Treviso i<br />

funzionari rientrano in sede in seguito ad una circolare del Comando supremo<br />

del 15 novembre, ma gli uffi ci funzionano molto irregolarmente, in particolare<br />

i servizi di stato civile ed anagrafi co. Le diffi coltà quotidiane con la città semideserta,<br />

i molti negozi chiusi, le necessità di carattere militare, impongono<br />

anche a queste categorie di impiegati una serie di restrizioni al loro normale<br />

tenore di vita. Lo stesso accade a Padova, Vicenza e Venezia dove i funzionari<br />

civili chiedono ripetutamente al Governo di essere tutelati e in qualche modo<br />

indennizzati in conseguenza dei maggiori disagi derivanti dal loro obbligo di<br />

residenza. Nei mesi successivi il Ministero dell'Interno si mantiene sempre<br />

contrario ad uno sgombero prudenziale, come del resto il Comando supremo,<br />

che lo considerava del tutto inutile in quanto la popolazione che potrebbe<br />

permetterselo e che non ha particolari obblighi di residenza parte già quotidianamente<br />

in modo spontaneo e alla spicciolata, oppure si allontanerebbe<br />

solo se costretta da un pericolo imminente: «Neppure gli abitanti dei territori<br />

già invasi i quali si sono rifugiati nei territori immediatamente retrostanti, si<br />

lasciano indurre ad abbandonare la nuova residenza provvisoria e ne preferiscono<br />

i disagi e i pericoli al trasferimento nell'interno del paese, pur di rimanere<br />

meno lontani dai loro Comuni d'origine» 9 .<br />

Sfollati, sgomberati, profughi<br />

7 Marco Pluviano, Irene Guerrini, Le fucilazioni sommarie nella Prima guerra mondiale,<br />

Paolo Gaspari Editore, Udine 2004, pp. 185-192.<br />

8 Livio Fantina, Grande Guerra a Treviso: l'ultimo <strong>anno</strong>, in Venezia, Treviso e Padova<br />

nella Grande Guerra, Istresco, Treviso 2008, pp. 59-141.<br />

9 ACS, Guerra europea, b. 74 bis, fasc. 19.2bis.11, Armando Diaz a Vittorio Emanuele<br />

Orlando, 5 aprile 1918.<br />

114


Fin dalla metà di novembre del 1917 le autorità militari ordinano l'immediata<br />

evacuazione dei comuni ancora non occupati, in particolare di Pederobba,<br />

Cavaso, Possagno, Monfumo, Cornuda, Crocetta Trevigiana, Arcade,<br />

Nervesa, Spresiano, Maserada e Zenson di Piave, quasi tutti paesi rivieraschi<br />

del Piave; oltre a questi, all'inizio devono essere sgomberati anche altri comuni<br />

del distretto di Asolo, cioè Castelcucco, Paderno, Crespano Veneto, Borso,<br />

Fonte, S. Zenone degli Ezzelini, ma il prefetto convince i comandi militari a<br />

concedere il permesso di rimanere, a loro rischio e pericolo, alle persone che<br />

lo desiderano 10 . Comincia dunque un secondo esodo, questa volta forzato,<br />

ma non dissimile nelle forme da quello <strong>della</strong> zona già invasa 11 . Sui profughi<br />

<strong>della</strong> riva destra del Piave, la lettura di Gaetano Pietra, anche se un po' troppo<br />

schematica, è sostanzialmente corretta:<br />

Da prima si allontanarono i paurosi e più che altro le classi elevate. La classe dei contadini<br />

non si allontanò: fu invitata ad allontanarsi verso la fi ne di novembre per lasciare alloggio<br />

alle nostre truppe, ma si ritirò di pochi chilometri verso Treviso, avendo trovato ospitalità<br />

presso altre famiglie di contadini. La classe operaia invece si allontanò quasi in massa e fu<br />

inviata con treni speciali in varie località interne dell'Italia 12 .<br />

Nella maggior parte dei casi i profughi partono scaglionati utilizzando la<br />

ferrovia, ma non mancano coloro che si allontanano con mezzi propri, sperando<br />

di trovare un temporaneo ricovero nelle zone considerate fuori pericolo<br />

13 . Un problema che investe anche i parroci ai quali, per quanto riguarda la<br />

10 Le incursioni aeree dei mesi successivi rendono giustifi cabile il provvedimento di parziale<br />

sgombero anche per Treviso, Montebelluna e Castelfranco. Tra l'aprile e il maggio del<br />

1918 vengono sgomberati i comuni di Asolo, Castelcucco, e ancora Monfumo, ma devono<br />

abbandonare le loro case anche alcune famiglie di Povegliano, Merlengo, Arcade, Selva di<br />

Volpago. Dopo l'offensiva del giugno viene disposto l'arretramento <strong>della</strong> popolazione di Volpago,<br />

Caerano S. Marco, Povegliano, Villorba, Ponzano, Breda, S. Biagio, Carbonera, Monastier<br />

e Roncade; ASTv, Gabinetto di prefettura, b. 29, fasc. «Comuni sgombrati», Prefetto<br />

di Treviso a Commissario Generale dell'Emigrazione, 26 agosto 1918.<br />

11 Sui civili sgomberati dall'Asolano e dal Montebellunese, cfr. Benito Buosi, Dietro le<br />

linee del Grappa e del Montello, in Il Veneto e Treviso tra Settecento e Novecento. XVII Ciclo<br />

di conferenze, Comune di Treviso, Treviso 2001, pp. 47-68 (ora anche in Storie <strong>della</strong> Grande<br />

Guerra, a cura di Stefano Gambarotto, Istrit, Treviso 2009, pp. 5-62).<br />

12 Gaetano Pietra, Gli esodi in Italia durante la guerra mondiale (1915-1918), Tipografi a<br />

Failli, Roma 1938, p. 21.<br />

13 Si veda, ad esempio, la testimonianza di Attilia Barbon Pedrina, profuga di Spresiano,<br />

riportata in Giuliano Simionato, Spresiano. Profi lo storico di un comune, Marini, Villorba<br />

1990, p. 501: «[…] mio padre scavò una buca dietro la casa e vi seppellì assieme alla macchina<br />

da cucire la dote che mia sorella stava preparando, perché aveva espresso il desiderio di<br />

farsi suora. Salimmo […] su di un carro coperto dove avevano trovato posto coperte, qualche<br />

indumento e alcune stoviglie. Dietro al carro trainato dai nostri due buoi era legata la mucca<br />

115


diocesi di Treviso, il vescovo Longhin ha ordinato di rimanere entro i limiti<br />

<strong>della</strong> parrocchia o comunque <strong>della</strong> diocesi, diversamente invece da quanto<br />

viene disposto dai vescovi di Padova e di Vicenza 14 . Per la presenza <strong>della</strong><br />

stazione ferroviaria, Montebelluna diventa un luogo di passaggio obbligato,<br />

sia per i profughi provenienti dal Cadore e dalla Val Brenta che devono seguire<br />

la linea Montebelluna-Castelfranco-Vicenza-Verona, sia per quelli del<br />

medio Tagliamento che vengono inoltrati sulla linea Susegana-Montebelluna-Castelfranco-Padova;<br />

quelli del basso Tagliamento invece passano per la<br />

linea Motta-Treviso-Mestre-Padova e quelli <strong>della</strong> provincia di Treviso vengono<br />

imbarcati a Sant'Ambrogio di Fiera, scendono il Sile e poi arrivano fi no<br />

a Chioggia.<br />

A partire dal 10 novembre 1917, a Montebelluna vengono sgombrate le<br />

località Montello, Pederiva, la parte superiore di Biadene e quella orientale<br />

di Rive e Mercato Vecchio, compresa anche la parte superiore di Caonada,<br />

le località di Pieve e di Guarda 15 . Dei circa 138.000 profughi <strong>della</strong> provincia<br />

di Treviso quelli del distretto di Montebelluna ammontano a 26.775,<br />

circa il 53% <strong>della</strong> popolazione dei comuni interessati 16 ; solo il distretto di<br />

Treviso, in termini numerici, conterà più profughi. Di questi, circa 5.000<br />

rimangono in provincia di Treviso durante tutto il 1918, in gran parte nella<br />

Castellana; altri 1.300 vengono ricoverati nel Padovano. Per tutti gli altri<br />

si prospetta un trasferimento molto più lungo in altre province d'Italia. Al<br />

di fuori del Veneto, se si esclude la provincia di Milano che ospiterà quasi<br />

2.000 profughi, le due province in cui vengono inviate il numero maggiore<br />

di persone del distretto di Montebelluna sono Campobasso e Catania<br />

dove trover<strong>anno</strong> ricovero quasi 1.000 profughi. Poi, nell'ordine, seguono le<br />

province di Alessandria, Bari, Torino, Genova, Palermo, Teramo, Bergamo,<br />

Pavia, Firenze. Nell'aprile del 1918 nella metà <strong>della</strong> provincia di Treviso<br />

non invasa sarebbero stati ricoverati circa 40.000 profughi; nell'agosto<br />

che ci fornì il latte durante tutto il lungo viaggio». In questa maniera arrivano fi no a Firenze<br />

e poi trovano fi nalmente un ricovero in provincia di Siena.<br />

14 Lettera del vescovo di Treviso Andrea Giacinto Longhin al card. Pietro Gasparri, 18<br />

novembre 1917, pubblicata in I vescovi veneti cit., pp. 273-274.<br />

15 Nel diario del cappellano <strong>della</strong> parrocchia di Montebelluna i tratti <strong>della</strong> «Caporetto interna»<br />

sono del tutto evidenti; si veda Antonio Dal Colle, Diario di guerra durante l'Offensiva<br />

sul Piave, a cura di Paolo Asolan e Gianna Galzignato, Grafi che Antiga, Cornuda 1997,<br />

pp. 32-33: «Le famiglie di S. Gaetano ne sono piene, in qualche famiglia ci sono 20, 30 e più<br />

profughi. Anche gli eroi di Montebelluna che in 8 giorni doveano portarsi a casa Trieste in<br />

saccoccia se ne sono andati in fretta. Forse si sar<strong>anno</strong> fermati a Napoli, oppure sono ancora<br />

a gambe levate. I palazzi di Pieve chiusi, chiusi i negozi, le botteghe. I soldati non trovano<br />

più da mangiare».<br />

16 Ministero per le Terre Liberate, Censimento dei profughi di guerra, Tipografi a del Ministero<br />

dell'Interno, Roma 1919, p. 222.<br />

116


successivo sarebbero scesi a quasi 25.000, 19.000 dei quali ricoverati nel<br />

distretto di Castelfranco. Il loro peso su questi comuni è comunque enorme,<br />

basti pensare ai problemi <strong>anno</strong>nari, al contingentamento dei generi alimentari,<br />

al fatto che molti paesi vedono quasi raddoppiata la popolazione dopo<br />

l'arrivo dei profughi, con evidenti problemi di ordine pubblico, ma anche di<br />

gestione dell'emergenza alimentare e sanitaria. Un esodo in massa delle popolazioni<br />

rurali, dovuto ad un eventuale sgombero totale dei comuni lungo<br />

la riva destra del Piave, risulterebbe deleterio anche per le colture agricole.<br />

Sarebbe più auspicabile, invece, spostare di nuovo i profughi ospitati nella<br />

metà <strong>della</strong> provincia non invasa, in modo da rendere possibile, in caso di<br />

necessità, l'esodo completo dai comuni lungo il Piave 17 . Ma esistono anche<br />

altre ragioni legate allo stato d'animo di questi profughi e al loro rapporto<br />

con la popolazione locale. Ad esempio, quelli di Pederobba, circa un migliaio,<br />

sono concentrati a Bessica e costituiscono «una pericolosa riunione<br />

di gente malcontenta, bisognosa, avvilita moralmente e materialmente» 18 .<br />

Protestano perché sono stati costretti ad abbandonare nel loro comune le<br />

provviste e il bestiame e per le condizioni in cui versano, essendo alloggiati<br />

in stalle e in edifi ci al pianterreno; a ciò si aggiunge anche il risentimento<br />

nei confronti delle truppe italiane che h<strong>anno</strong> operato spogliazioni nel comune<br />

sgombrato. Portavoce delle lamentele nei confronti del governo e delle<br />

autorità militari è il parroco che esercita un forte ascendente nei confronti<br />

dei suoi parrocchiani, diversamente dagli amministratori, invisi agli stessi<br />

profughi perché colpevoli di non occuparsi dei loro bisogni. Il possibile<br />

trasferimento di queste persone – a lungo rinviato perché desiderano essere<br />

inviate in località rurali dove possono trovare facilmente un impiego essendo<br />

in gran parte agricoltori 19 – sarebbe gradito anche dalla popolazione di<br />

Bessica:<br />

La popolazione indigena di Bessica non è però molto favorevole alla permanenza in quella<br />

b<strong>org</strong>ata dei profughi, e sarebbe più lieta di avere truppe; ma forse vi è in questo desiderio<br />

un sentimento egoistico e di guadagno. E' fuor di luogo però che la presenza dei profughi<br />

in quella località, ove tengono un contegno ed un linguaggio di malcontento permanente, e<br />

serpeggia tra di loro un vivo fermento contro il Governo e le Autorità tutte, infl uisce molto<br />

sinistramente sulle nostre truppe, che indirettamente subiscono una morale depressione 20 .<br />

17 ACS, Comando Supremo, Segretariato generale per gli affari civili (Sgac), b. 785, prefetto<br />

di Treviso a presidente del Consiglio, 24 aprile 1918.<br />

18 Ivi, Comando <strong>della</strong> 4<br />

117<br />

a Armata a Segretariato generale per gli affari civili, 28 gennaio<br />

1918.<br />

19 ACS, Copialettere, prefetto di Treviso a ministero dell'Interno, 28 maggio 1918.<br />

20 ACS, Sgac, b. 785, Commissario di P.S. a Comando supremo - Servizio informazioni<br />

<strong>della</strong> 4a Armata, 23 gennaio 1918.


Una situazione analoga interessa i circa 1.600 profughi di Possagno sgombrati<br />

tra il 13 e il 16 novembre, ricoverati provvisoriamente presso le famiglie<br />

contadine di Ca' Rainati, una frazione di S. Zenone degli Ezzelini, e poi<br />

inviati nel giugno successivo nelle province di Palermo e di Trapani; il loro<br />

trasferimento in Sicilia verrà motivato con la necessità di liberare i locali dei<br />

fabbricati rurali per permettere la coltivazione dei bachi da seta, ma in realtà<br />

nella decisione avr<strong>anno</strong> un peso anche le esigenze dei reparti <strong>della</strong> 4 a Armata<br />

dislocati nella pedemontana del Grappa 21 .<br />

Dunque nel Montebellunese e nella Castellana trovano temporaneo ricovero<br />

molti profughi provenienti dai comuni che sono venuti a trovarsi a ridosso<br />

<strong>della</strong> linea del fronte, in particolare dalla pedemontana del Grappa, dall'Asolano<br />

e dalla stessa zona del Montello, in particolare Arcade, Nervesa, Giavera,<br />

Volpago, Crocetta, Cornuda e Pederobba. In tutti questi casi si tratta di un<br />

arretramento temporaneo anche nel tentativo di limitare gli effetti di uno sradicamento<br />

<strong>della</strong> popolazione dai quei paesi. Questa situazione comporta però<br />

la tendenza a ritornare periodicamente nei comuni di residenza per cercare di<br />

mettere in salvo i propri beni abbandonati durante lo sgombero improvviso;<br />

un problema di ordine pubblico che giustifi ca un ulteriore allontanamento dei<br />

profughi, anche in vista di una possibile offensiva nemica che potrebbe riversare<br />

nelle retrovie del fronte italiano una nuova ondata di fuggiaschi, come<br />

temono tanto il Comando supremo che quello <strong>della</strong> 65 a Divisione francese<br />

che operava in quella zona 22 .<br />

Nel frattempo anche in molti dei comuni limitrofi a Treviso – soprattutto a<br />

Monastier, S. Biagio di Callalta, Roncade e Casier – si sono raccolti numerosi<br />

profughi provenienti in gran parte dai paesi <strong>della</strong> destra del Piave, ospitati<br />

in maniera provvisoria presso abitazioni private, stalle e fi enili. Le diffi coltà<br />

logistiche, aggravate in questo caso dalle esigenze militari, impongo che<br />

almeno una parte di questi profughi – in tutto erano 7.624 – sia entro breve<br />

tempo trasferita all'interno del Regno, dove peraltro quasi nessuno vuole<br />

andare per le continue voci che arrivano circa i problemi alimentari. Per<br />

alcune settimane, comunque, questi profughi continuano a rimanere a ridosso<br />

<strong>della</strong> prima linea, a stretto contatto con i reparti militari, e molti di loro – in<br />

21 Massimiliano Pavan, Profughi ovunque dai lontani monti... Da la Grapa fi n dó in Secilia,<br />

Canova, Treviso 1987, pp. 36-81.<br />

22 ACS, Copialettere, prefetto di Treviso a ministero dell'Interno, 21 dicembre 1917. Nel<br />

dicembre del '17, soltanto nel comune di Asolo sono alloggiati provvisoriamente circa 800<br />

profughi, in gran parte provenienti da Cavaso, Cornuda e Onigo; Archivio storico <strong>della</strong> Curia<br />

vescovile di Treviso (ASCVT), Fondo Chimenton, b. 50, fasc. «Asolo», don Angelo Brugnoli<br />

al vescovo di Treviso Andrea Giacinto Longhin, 28 dicembre 1917.<br />

118


particolare numerose donne – vengono impiegati nei cantieri istituiti per la<br />

lavorazione dei materiali da trincea.<br />

Ma il 27 dicembre il Comando del XIII Corpo d'Armata ordina che tutto<br />

il territorio di sua competenza posto alla sinistra del Sile sia sgombrato dai<br />

circa 6.000 profughi che vi rimangono. Tra il 5 e il 12 gennaio vengono<br />

inoltrate verso l'interno, nonostante la loro riluttanza, 2.800 persone; e per<br />

costringere gli altri a partire, le autorità militari cessano la distribuzione dei<br />

viveri 23 . Dal 9 gennaio al 21 marzo sar<strong>anno</strong> allontanate dai paesi a ridosso<br />

<strong>della</strong> zona d'operazioni circa 1.700 persone, in gran parte provenienti da<br />

Musile, Monastier, Arcade, Spresiano e Falzè di Trevignano. Dal 21 marzo<br />

al 29 maggio è la volta di altre 5.545 persone, in gran parte già sfollate dai<br />

comuni rivieraschi del Piave e che erano provvisoriamente residenti nella<br />

pedemontana del Grappa e nella Castellana. Nonostante interessi persone già<br />

profughe, questo trasferimento – dettato anche da necessità di ordine sanitario<br />

in quanto molti di questi profughi dimorano da mesi in stalle e fi enili in<br />

condizioni che potrebbero facilitare la diffusione di malattie infettive – viene<br />

accettato di buon grado. Tra questi, vi sono anche 895 profughi dei comuni<br />

di Fonte, Paderno, Fietta, Crespano, Borso, S. Zenone degli Ezzelini, Pove,<br />

Romano, Mussolente e Bassano partiti da Cassola in due scaglioni, il 24 e 26<br />

aprile. Il loro sarà un viaggio molto lungo. Dopo lo smistamento avvenuto a<br />

Castellammare di Stabia, 325 vengono inviati in provincia di Lecce, quasi la<br />

metà a Gallipoli, gli altri suddivisi tra i comuni di Scorrano, Tricase, Galatone,<br />

Squinzano, Casarano, Nardò 24 ; l'altro contingente viene invece indirizzato a<br />

Celano (L'Aquila), dove i profughi sar<strong>anno</strong> bene accolti dalla popolazione<br />

ed alloggiati in abitazioni già predisposte da tempo 25 . Se infatti coloro che<br />

sono stati destinati nel Salento vengono «condotti come pecore randage»,<br />

quelli ospitati a Celano «ebbero per ciascuna famiglia casa propria in legno,<br />

arnesi da cucina e materasso e due lenzuola per ciascuno; L. 1.25 od 1.50<br />

giornaliere di sussidio e facilitazioni per impiegarsi», sebbene sia «nominale<br />

più che effettivo l'<strong>org</strong>anico per il collocamento dei profughi» 26 . Altre 9.418<br />

persone sar<strong>anno</strong> allontanate dal 3 al 24 giugno, anche se la prefettura ne aveva<br />

previsto lo sgombero di 21.221 27 . Oltre ai profughi dei comuni rivieraschi<br />

23 AST, Gabinetto di prefettura, b. 29, fasc. «Comuni sgombrati», relazione del Commissario<br />

prefettizio per la zona del XIII Corpo d'Armata, [febbraio 1918].<br />

24 ASCVT, Fondo Chimenton, b. 50, fasc. «Asolo», don Angelo Brugnoli al vescovo di<br />

Treviso Andrea Giacinto Longhin, 24 maggio 1918.<br />

25 ACS, Copialettere, sottoprefetto di Avezzano a ministero dell'Interno, 29 aprile 1918.<br />

26 Diario di padre Giovanni D'Ambrosi, citato in Pavan, Profughi ovunque dai lontani<br />

monti cit., p. 76.<br />

27 ACS, Guerra europea, b. 74 bis, fasc. 19.2bis.11, «Relazione sui criteri seguiti negli<br />

sgombri di popolazione dopo il ripiegamento fi no alla battaglia del Piave», 18 luglio 1918. Al<br />

119


del Piave e <strong>della</strong> zona del Montello, questa misura interesserà anche quelli di<br />

Possagno partiti il 3 e 6 giugno in due scaglioni di 800 ciascuno; destinati a<br />

Palermo dove sarebbero dovuti rimanere uniti, verr<strong>anno</strong> tuttavia suddivisi tra<br />

vari comuni anche <strong>della</strong> provincia di Trapani, come Castellammare del Golfo,<br />

Alcamo, Calatafi mi, Salemi e Ninfa 28 .<br />

Disfattisti e internati<br />

Nella Destra Piave la situazione sociale, a cominciare da Treviso città, è<br />

dunque ben diversa dalla zona invasa, nonostante una parte dei comuni siano<br />

sgomberati e di fatto diventati zona di operazioni, mentre altri risultano essere<br />

immediata retrovia e caratterizzati dalla problematica convivenza tra militari<br />

e civili che sono in gran parte sfollati. Uno degli aspetti ancora poco tematizzati<br />

è quello <strong>della</strong> repressione del disfattismo che avviene o attraverso la misura<br />

dell'internamento oppure attraverso l'applicazione del cosiddetto decreto<br />

Sacchi, approvato nell'ottobre del 1917 (4 ottobre 1917, n. 1561) sull'onda<br />

dei fatti di Torino dell'agosto precedente. Gli internamenti si concentrano in<br />

particolare in tre momenti: i primi mesi di guerra, l'estate del 1917 all'altezza<br />

dei fatti di Torino e le settimane successive a Caporetto. Durante la prima fase<br />

gli internamenti costituiscono quasi sempre un provvedimento preventivo, un<br />

provvedimento di pubblica sicurezza basato sulla potenziale capacità di una<br />

persona di arrecare d<strong>anno</strong> alle operazioni militari e all'interno di tutta la zona<br />

di guerra. Il provvedimento viene preso dal Comando supremo, non ci sono<br />

né istruttorie né processi, quindi nemmeno revisioni. Le categorie di soggetti<br />

colpiti dalla misura dell'internamento sono sostanzialmente tre: gli abitanti<br />

delle zone occupate 29 ; i residenti in zona di guerra che possono nuocere alla<br />

sicurezza militare; le persone al di fuori <strong>della</strong> zona di guerra nei cui confronti<br />

non è possibile intervenire per via giudiziaria e in questo caso il provvedimento<br />

veniva deciso dalle autorità di Pubblica sicurezza. In queste categorie<br />

provvedimento di sgombero sono interessati i comuni di Casale sul Sile, Roncade, Monastier,<br />

S. Biagio di Callalta, Breda di Piave, Carbonera, Maserada, Villorba, Povegliano Volpago,<br />

Montebelluna, Caerano S. Marco, Maser e Loria.<br />

28 Pavan, Profughi ovunque dai lontani monti cit., p. 97.<br />

29 Si veda Camillo Medeot, Storie di preti isontini internati nel 1915, Quaderni di Iniziativa<br />

Isontina, Gorizia 1969; maggiormente articolata la sintesi di Sara Milocco e Gi<strong>org</strong>io<br />

Milocco, «Fratelli d'Italia». Gli internamenti degli italiani nelle «terre liberate» durante la<br />

grande guerra, Paolo Gaspari Editore, Udine 2002, che rappresenta uno studio approfondito<br />

sugli internati provenienti dal distretto di Cervignano. Ma si vedano anche Giovanna Procacci,<br />

L'internamento di civili in Italia durante la prima guerra mondiale. Normativa e confl itti<br />

di competenza, in «DEP. Deportate, esuli, profughe. Rivista telematica di studi sulla memoria<br />

femminile», 2006, n. 5-6, pp. 33-66; Matteo Ermacora, Le donne internate in Italia durante<br />

la Grande Guerra. Esperienze, scritture e memorie, in «DEP. Deportate, esuli, profughe.<br />

Rivista telematica di studi sulla memoria femminile», 2007, n. 7, pp. 1-32.<br />

120


possiamo individuare diverse tipologie come socialisti, anarchici, clericali,<br />

che rimandano però ad altri soggetti: amministratori locali, segretari comunali,<br />

sindacalisti, segretari di partiti contrari alla guerra, parroci; e, ancora, pacifi<br />

sti, antimilitaristi, renitenti, disertori, spie vere o presunte, austriacanti 30 .<br />

In questo quadro non sono secondarie nemmeno altre categorie sociali che<br />

s'intrecciano con quelle ricordate e che vengono considerate potenzialmente<br />

pericolose: operai militarizzati, contrabbandieri, prostitute, mendicanti e<br />

marginali.<br />

Dopo Caporetto la misura dell'internamento viene proposta e adottata nei<br />

confronti di numerosi sacerdoti del Veneto che ora si trovano a ridosso <strong>della</strong><br />

nuova linea del fronte e che sono accusati di deprimere lo spirito pubblico<br />

durante le prediche domenicali, seminando il panico con notizie allarmanti,<br />

chiedendo la pace ed esaltando i soldati austro-ungarici. Il loro contatto<br />

con le popolazioni rurali, sulle quali ha presa solo la parola del prete, spesso<br />

costituisce un motivo per procedere con gli internamenti. Tra i sacerdoti del<br />

Trevigiano proposti per l'internamento è da segnalare don Carlo Noè, vicario<br />

a S. Elena di Lughignano, che ha posto in rilievo, esagerandoli, i danni <strong>della</strong><br />

ritirata, riuscendo così a creare nell'animo <strong>della</strong> popolazione «un pericoloso<br />

desiderio di pace a qualunque costo». Nel novembre 1917, dopo la messa,<br />

avrebbe poi trattenuto solo le madri e le mogli dei soldati «esortandole a far<br />

comprendere ai rispettivi fi gli e mariti che la guerra ormai doveva fi nire».<br />

Non vi sono prove di questo episodio, ma viene ugualmente richiesto l'internamento<br />

«per troncare la sua opera nefasta» 31 . Denunce simili sono a carico<br />

dei parroci di Cendon e Casier, responsabili di aver depresso il sentimento<br />

patrio <strong>della</strong> popolazione e di aver diffuso notizie allarmanti. Chi viene invece<br />

allontanato è il parroco di Paese, don Attilio Andreatti, internato a Firenze nel<br />

gennaio del 1918 per aver invocato la pace e aver imprudentemente affermato<br />

quanto valorosi siano i tedeschi e che se gli italiani avessero ascoltato il papa<br />

non sarebbe avvenuta la rotta di Caporetto 32 .<br />

L'alto numero di segnalazioni e di proposte d'internamento e le misure poi<br />

30 Sugli aspetti repressivi nei confronti degli oppositori <strong>della</strong> guerra, rimandiamo a Giovanna<br />

Procacci, Dalla rassegnazione alla rivolta. Mentalità e comportamenti popolari nella<br />

grande guerra, Bulzoni, Roma 1999; Ead., La società come una caserma. La svolta repressiva<br />

nell'Italia <strong>della</strong> Grande Guerra, in «Contemporanea», VIII (2005), n. 3, pp. 423-445;<br />

Ead., Osservazioni sulla continuità <strong>della</strong> legislazione sull'ordine pubblico tra fi ne Ottocento,<br />

prima guerra mondiale e fascismo, in Militarizzazione e nazionalizzazione nella storia d'Italia,<br />

a cura di Piero Del Negro, Nicola Labanca, Alessandra Staderini, Unicopli, Milano 2005,<br />

pp. 83-96.<br />

31 ACS, Sgac, b. 345, fasc. «Carlo Noè», Comando CCRR del Comando del XIII Corpo<br />

d'Armata, 26 novembre 1917.<br />

32 ACS, Sgac, b. 342, fasc. «Attilio Andreatti».<br />

121


effettivamente adottate dopo Caporetto, inducono però in seguito le autorità<br />

militari a procedere con una certa prudenza. Nei primi mesi del '18 l'allontanamento<br />

di parroci ha assunto infatti proporzioni allarmanti, al punto che<br />

i vescovi di Treviso e di Padova chiedono a Diaz di intervenire. In effetti,<br />

nell'aprile il capo dell'esercito inviterà i comandi alla cautela per le ripercussioni<br />

che l'allontanamento dei sacerdoti potrebbero avere sullo spirito pubblico<br />

delle popolazioni locali. Si precisa che l'internamento è una «misura di<br />

polizia militare» e che prima di prenderla è necessario compiere delle verifi -<br />

che, tranne nel caso in cui si confi gurano dei reati. Le informazioni raccolte<br />

devono essere controllate interrogando le autorità locali, quelle di pubblica<br />

sicurezza e i vescovi dei sacerdoti sospettati. Si confi da anche nella gerarchia<br />

ecclesiastica e nei suoi richiami: i trasferimenti imposti dal vescovo potrebbero<br />

essere infatti meno sgraditi e più utili perché non provocano pericolose<br />

reazioni e agitazioni; gli internamenti, al contrario, rischiano di produrre l'effetto<br />

opposto a quello voluto 33 .<br />

La svolta imposta con il decreto Sacchi è evidente, in quanto si va a colpire<br />

«chiunque con qualsiasi mezzo commette o istiga a commettere un fatto che<br />

può deprimere lo spirito pubblico o altrimenti diminuire la resistenza del paese<br />

o recar pregiudizio agli interessi connessi con la guerra e con la situazione<br />

interna od internazionale dello Stato». Nel 1918 su 56 processi celebrati<br />

dal Tribunale di Treviso ben 35 riguardano reati commessi in violazione di<br />

tale decreto. In generale le pene comminate sono minime (pochi giorni di<br />

reclusione e ammende pecuniarie), ma è necessario sottolineare quanto poco<br />

basti per essere condannati, quasi sempre una frase fuori posto pronunciata in<br />

presenza di un uffi ciale, oppure di un cittadino pronto a trasformarsi in uno<br />

zelante delatore.<br />

Così nel gennaio 1918 il medico condotto di Trevignano, Leonida Carraro,<br />

viene condannato ad un mese di reclusione e ad un'ammenda di 100 lire per<br />

aver espresso «la convinzione che presto il Paese sarebbe stato invaso dai<br />

nemici che forse arriverebbero fi no al Po; che egli aveva sempre avuto il<br />

timore che le cose andassero a fi nire così; che egli era sempre stato neutralista<br />

e che non si sarebbe aspettato una vittoria italiana ma che però non credeva che<br />

l'invasione avvenisse così e che i nostri soldati si fossero così vigliaccamente<br />

ritirati […]» 34 . Un'ostessa di Treviso, Anna Gobbato, viene condannata a<br />

33 ACS, Sgac, b. 742, Armando Diaz ai Comandi delle Armate e ai Comandi dei Corpi<br />

d'Armata, 25 aprile 1918.<br />

34 Questa e le prossime citazioni sono tratte dalle sentenze rinvenute presso il Tribunale<br />

di Treviso da Paola Bruttocao, che qui ringrazio per avermene fatto avere copia. Una ricerca<br />

su questo aspetto del controllo politico sui civili sarebbe auspicabile anche in chiave di una<br />

storia sociale <strong>della</strong> popolazione in guerra.<br />

122


sei giorni di reclusione e ad un'ammenda di 15 lire per aver detto: «Vada a<br />

remengo il Governo e chi lo protegge. Se venissero i tedeschi si starebbe<br />

meglio». Il parroco di Volpago, don Luigi Panizzolo, viene processato<br />

ma poi assolto per aver istigato gli operai militarizzati a non lavorare nei<br />

giorni festivi. Un muratore e un contadino di Roncade vengono condannati<br />

rispettivamente a tre e a due mesi di reclusione per aver detto: «I signori h<strong>anno</strong><br />

portato via la borsa e la pelle, ed h<strong>anno</strong> lasciato qui la terra. Faremo i conti un<br />

giorno con loro ed io sarò il primo ad andar contro di loro». E ancora: «Dopo<br />

questa guerra dobbiamo fare la guerra civile». Tre contadini di Zero Branco<br />

vengono condannati ad un mese di reclusione per aver intonato una canzone<br />

disfattista e lo stesso avviene nei confronti di due contadini di Altivole. È<br />

evidente che con il decreto Sacchi siamo di fronte a un tornante decisivo che<br />

si fonda sull'indeterminatezza del reato, che lascia mano libera alle autorità di<br />

pubblica sicurezza e che aggrava, grazie alla sinergia tra la giustizia militare<br />

e quella ordinaria, la posizione dei soggetti accusati di antipatriottismo e di<br />

disfattismo.<br />

123


Il sottoportico dei Buranelli a Treviso. ISTRIT.


1915-1917. FRA CIVILI E MILITARI<br />

IN UNA PROVINCIA LACERATA DALLA GUERRA<br />

Stefano Gambarotto<br />

Lo stato di guerra<br />

Con lo scoppio delle ostilità Treviso è stata dichiarata zona di guerra. La<br />

provincia diviene pertanto soggetta a tutte le limitazioni che tale stato comporta,<br />

ivi comprese quelle sulla circolazione. Lo spirito delle norme che la<br />

disciplinano è quello di non pregiudicare la libertà di movimento delle popolazioni<br />

fi nché non sia «indispensabile a tutelare la sicurezza militare e ad<br />

eliminare tutto ciò che costituisce ingombro, senza dubbio d<strong>anno</strong>so ai servizi<br />

e ai movimenti delle truppe». Esse si f<strong>anno</strong> più restrittive man mano che ci<br />

si avvicina alla zona di combattimento. Le esigenze di sicurezza obbligano<br />

comunque i cittadini che si spostano da un paese all'altro ad essere sempre<br />

identifi cabili. A questo fi ne, qualora ne siano richiesti, essi possono esibire<br />

una tipologia molto ampia di documenti d'identità, <strong>della</strong> quale f<strong>anno</strong> parte<br />

«passaporti per l'interno, libretti ferroviari, tessere postali di riconoscimento,<br />

permessi di porto d'armi ecc.» Meno permissive sono invece le disposizioni<br />

relative ai mezzi di trasporto. È proibito servirsi dell'automobile o <strong>della</strong> motocicletta,<br />

considerati mezzi veloci, il cui uso è riservato ai militari. Può essere<br />

consentito ai civili previa autorizzazione, concessa solo «per gravi ed eccezionali<br />

interessi». Alle persone sospette è così impedito di muoversi rapidamente.<br />

Viaggiare con mezzi tradizionali, come il treno, il cavallo, la bicicletta<br />

oppure spostarsi a piedi, è invece consentito a tutti. Nel frattempo, una disposizione<br />

del comando supremo ha proibito le telefonate interurbane nelle zone<br />

di guerra. Le linee telefoniche interurbane Treviso-Venezia, Treviso-Padova,<br />

Treviso-Montebelluna, Montebelluna-Valdobbiadene, Montebelluna-Feltre e<br />

Montebelluna-Asolo sono riservate all'uso militare. Si tratta soltanto di alcuni<br />

esempi pescati a caso fra quel complesso e disarticolato insieme di divieti<br />

e costrizioni calati dall'alto che saldandosi con l'occupazione del territorio<br />

realizzata da soldati e lavoratori militarizzati, interviene a modifi care l'intero<br />

assetto del vivere sociale, producendo radicali cambi di abitudini e mentalità.<br />

Sono le inevitabili conseguenze <strong>della</strong> guerra in corso che divengono anche<br />

fonti di insofferenza. Nel comune sentire allora, i più ovvi terminali del risentimento<br />

popolare diventano i militari, lo stato e le élite dominanti, ovvero<br />

l'insieme delle forze che h<strong>anno</strong> strappato gli uomini alle famiglie, imposto la<br />

guerra e i suoi sacrifi ci e che ora st<strong>anno</strong> traendo da essa vantaggi personali<br />

senza accollarsene i rischi.<br />

125


Requisizioni e razionamenti<br />

Requisizioni e razionamenti sono un altro aspetto <strong>della</strong> vita quotidiana del<br />

periodo bellico. Fra il 1915 e il 1917 entrano in vigore una serie di provvedimenti<br />

destinati al controllo <strong>della</strong> produzione e dell'impiego di beni ritenuti<br />

importanti per gli sforzi militari del Paese. Sostanze come i grassi animali<br />

divengono all'improvviso importantissime perché dalla loro lavorazione si<br />

ottiene la glicerina, ingrediente fondamentale nella produzione di molti degli<br />

esplosivi allora conosciuti. Un decreto del 1916 dispone la «requisizione del<br />

grasso bovino ed ovino fresco colato (sego)». A Padova si insedia la «Sottocommissione<br />

Militare Requisizione Grassi», competente anche per le zone di<br />

Treviso e Belluno. I macellai e i colatori del territorio vengono precettati e<br />

obbligati «a denunciare al locale comando di stazione dei RR carabinieri la<br />

quantità – di grasso – da essi prodotta». Il commercio privato di tale sostanza<br />

viene proibito. Alle amministrazioni locali spetta l'obbligo di trasmettere<br />

ogni mese agli uffi ci padovani la «statistica dei capi di bestiame macellati in<br />

comune».<br />

Razionamento pelli bovine ed equine<br />

Nel dicembre del 1916, un altro decreto dà il via al «Censimento delle pelli<br />

bovine ed equine». Il passo successivo è la requisizione delle lane. Il provvedimento<br />

che la impone viene adottato ad aprile del 1917. Se per i grassi è<br />

competente Padova, la «Commissione requisizione Lane» si insedia invece a<br />

Verona. Per la provincia di Treviso i centri di raccolta inizialmente individuati<br />

sono tre: Verona, Vicenza e Legnano. Ben presto però, gli uffi ci veronesi<br />

<strong>della</strong> commissione nominer<strong>anno</strong> «raccoglitore principale il signor Vittorio<br />

Fano» la cui ditta è ubicata all'interno delle mura cittadine in «via S. Francesco<br />

10».<br />

Convivere con i militari<br />

Convivere con i militari insomma è tutt'altro che semplice. Fin da prima<br />

dello scoppio delle ostilità era previsto che ampi lavori difensivi dovessero<br />

essere realizzati nel territorio <strong>della</strong> Marca. Piste di atterraggio ed estesi<br />

sistemi di trincee avrebbero dovuto mutare l'aspetto del paesaggio rurale<br />

trevigiano. La costruzione di queste strutture produrrà un notevole impatto<br />

sulla vita delle popolazioni residenti poiché, com'è facilmente immaginabile,<br />

le necessità di natura militare che guidano la mano dei loro progettisti, ben<br />

diffi cilmente possono accordarsi con quelle sociali ed economiche dei civili.<br />

Quando al chiuso di un comando si tracciano linee sulle carte topografi che,<br />

è impossibile immaginare che esse si trasformer<strong>anno</strong> in altrettanti solchi sul<br />

126


terreno, destinati a deviare strade, ad interrompere canali irrigui e strade e<br />

ad impedire l'accesso alle coltivazioni. La trasformazione fi sica del paesaggio<br />

rurale che si realizzò con l'avvio dei cantieri per lo scavo di trincee e la<br />

costruzione di postazioni in cemento armato, infl isse al territorio profonde<br />

ferite che ostacolarono il movimento <strong>della</strong> popolazione lungo le strade, resero<br />

problematica la coltivazione di campi, alterarono il regime delle acque e<br />

richiesero l'abbattimento in gran quantità di piante e alberi da frutto. Ciò suscitò<br />

notevole malcontento soprattutto fra i contadini. Fino al momento in cui<br />

la rotta di Caporetto non sposta il fronte alle porte <strong>della</strong> città, la popolazione<br />

delle campagne non sembra cogliere in pieno la reale utilità del gigantesco<br />

sistema di fortifi cazioni che con le sue braccia ha contribuito a costruire. I<br />

cantieri del campo trincerato h<strong>anno</strong> rappresentato per tutti una buona occasione<br />

d'impiego. Per alcuni invece, quegli stessi cantieri si sono trasformati<br />

in un'allettante e inesauribile scorta di materiali da rubare durante la notte. Il<br />

problema ha raggiunto una tale gravità che il 22 marzo del 1917, il Comando<br />

del Presidio Militare di Treviso si rivolge ai sindaci di tutti i comuni interessati<br />

dai lavori avvertendo che chi sarà sorpreso a rubare nei cantieri verrà<br />

giudicato dalla giustizia militare e non da quella civile, poiché ha arrecato<br />

danni ad opere destinate alla difesa nazionale. I lavori per la realizzazione del<br />

«Campo trincerato di Treviso» iniziano nel 1916. Quello che i militari progettano<br />

di costruire è un esteso e fi tto sistema di trincee che dovrà circondare<br />

la città, sviluppandosi attraverso il territorio dei comuni di Quinto, Paese, Villorba,<br />

Ponzano Veneto, Breda di Piave, Carbonera, Melma (l'odierna Silea) e<br />

San Biagio di Callalta. L'opera dovrà poi collegarsi con le altre difese <strong>della</strong><br />

pianura veneta.<br />

Cantieri militari: la forza lavoro<br />

La partenza dei cantieri militari ridurrà signifi cativamente i bisogni dei disoccupati<br />

trevigiani che non sono ancora sotto le armi. Se nel 1915 i senza lavoro<br />

bussavano inferociti alle porte dei municipi in cerca di un'occupazione,<br />

a metà del 1916 sembra quasi impossibile trovare braccia da impiegare. La<br />

ricerca di operai civili da avviare ai lavori militari diviene addirittura ossessiva,<br />

con periodiche circolari inviate dalla prefettura ai sindaci del territorio.<br />

Attraverso di esse si fa leva sui sentimenti patriottici degli amministratori,<br />

spronandoli a svolgere attività di propaganda e reclutamento tra i propri cittadini.<br />

Durante l'inverno del 1917, si chiederà ai sindaci di concentrare le<br />

proprie attenzioni sugli sfollati. Nel «…reclutamento operai b<strong>org</strong>hesi – scrive<br />

la prefettura in un telegramma del 28 dicembre – siano esortati attivamente<br />

profughi guerra a voler reclutarsi «. Ai primi cittadini viene anche ricordato,<br />

127


affi nché la loro opera di convincimento sia più effi cace, che «…occorre far<br />

presente a detti profughi che oltre a corresponsione paghe loro lavoro verrà<br />

mantenuto sino a disposizione contraria sussidio spettante alla famiglia». I<br />

lavoratori che sceglievano di mettersi al servizio dell'esercito erano costituiti<br />

soprattutto da persone riformate alla prima visita di leva, poi i minorenni, di<br />

età compresa fra i quindici e i diciassette anni, ammessi al lavoro purché autorizzati<br />

dal padre e accompagnati da un parente e adulti fi no a sessant'anni,<br />

non più soggetti ad obblighi militari. Una delle destinazioni è il massiccio del<br />

Grappa.<br />

Requisizioni di case e terreni<br />

Una massa di persone che deve essere alloggiata e rifocillata tanto a Castagnole<br />

quanto in tutti i paesi di ognuno degli otto comuni dove si aprono<br />

i cantieri. Il problema dell'alloggiamento dei lavoratori militarizzati e <strong>della</strong><br />

truppa è sinonimo di requisizioni, con buona pace dei molti cittadini che si<br />

vedono costretti a cedere, loro malgrado, immobili e terreni per gli accampamenti.<br />

Il Genio militare apre in città un uffi cio per la gestione di tutte le<br />

pratiche relative. La sede è collocata poco fuori da porta San Tommaso (allora<br />

porta Mazzini), nell'allora Villa Sullan. Un passaggio <strong>della</strong> lettera del<br />

18 luglio del 1917, con la quale si invitano i cittadini a presentarsi per avere<br />

liquidate le proprie spettanze, è interessante perché lascia intravedere quale<br />

fosse il clima, tutt'altro che cordiale e collaborativo, dei rapporti fra militari e<br />

civili. Vi si legge infatti che se gli interessati non si presenter<strong>anno</strong> a riscuotere<br />

il dovuto entro i termini stabiliti, «la […] liquidazione dovrà rimandarsi ad<br />

epoca molto lontana, non potendo questo uffi cio subordinare a tali pratiche<br />

amministrative altre più importanti attribuzioni alle quali deve attendere».<br />

L'edifi cio o il terreno può rimanere occupato a tempo indeterminato e per<br />

alcuni cittadini fu effettivamente diffi cile rientrare in possesso <strong>della</strong> propria<br />

dimora anche anni dopo la fi ne <strong>della</strong> guerra.<br />

Requisizioni di carri e cavalli<br />

Naturalmente l'esercito non requisisce solo immobili e terreni. Quando i<br />

militari requisivano carri e cavalli, all'interessato non rimaneva in mano altro<br />

che un foglio di carta quale unico titolo del suo credito. Ciò dava spesso<br />

adito ad accese controversie che obbligavano i sindaci ad intervenire presso<br />

i diversi comandi per tutelare i loro amministrati. Accadeva a volte che il potere<br />

di requisizione degenerasse in vero e proprio abuso, accendendo ancora<br />

di più gli animi. Eloquente a tale proposito è una lettera trasmessa dal sindaco<br />

di Paese, Perotto, all'Uffi cio provinciale del Genio Militare di Treviso.<br />

128


«Con sommo rincrescimento – si legge – quest'amministrazione deve rendere<br />

noto alla S.V. illustrissima che vi furono e vi sono continui reclami sul conto<br />

dell'assistente dall'Olio per i suoi modi inurbani e prepotenti nel requisire<br />

carri, cavalli e carrozze privati, questi ultimi per fare i propri comodi e interessi.<br />

Ringraziando anticipatamente perché sia posto fi ne una buona volta a<br />

tali soprusi per evitare che i buoni e patriottici cittadini rimangano disgustati<br />

ed inaspriti. Prima di addivenire ad una determinazione, pregasi di rivolgersi<br />

a chi di dovere». Di fronte ai soprusi, non si può che ricorrere al Municipio.<br />

Laddove il sindaco era stato sostituito da un commissario prefettizio, non<br />

legato al territorio e quindi meno sensibile alle lamentele <strong>della</strong> popolazione,<br />

le possibilità di poter far valere i propri diritti si riducevano in modo consistente.<br />

Materiali da costruzioni: la ghiaia<br />

Con lo scoppio delle confl itto, la città di Treviso si ritrova ad essere il<br />

maggiore nodo ferroviario militare <strong>della</strong> guerra. Attraverso il capoluogo <strong>della</strong><br />

Marca passano le più importanti linee che conducono al fronte: la Mestre-<br />

Treviso-Pordenone-Casarsa-Udine e la Treviso-Motta di Livenza-San Vito al<br />

Tagliamento. Nel solo periodo 23 maggio – fi ne giugno 1915, vi transitano<br />

ben 7000 convogli diretti alle zone di combattimento. Treni che trasportano<br />

un'intera generazione di giovani soldati. Intanto però, le strutture ferroviarie<br />

cittadine sono divenute insuffi cienti. Per i lavori di ampliamento servono materiali<br />

da costruzione che devono esser reperiti in siti suffi cientemente prossimi<br />

al cantiere. Così, il 2 marzo 1917, Il Comando <strong>della</strong> Divisione Territoriale<br />

Militare di Padova, autorizza l'occupazione per due anni di terreni ubicati nel<br />

paese di Postioma «per i lavori di impianto di un binario» che dovrà collegare<br />

la stazione locale, situata sulla linea Montebelluna-Treviso, ad una cava<br />

destinata al «…riscavo di ghiaia occorrente per l'ampliamento <strong>della</strong> stazione<br />

di Treviso Porta Cavour (Santi Quaranta)». Una nuova occasione di lavoro<br />

per i pochi disoccupati ancora rimasti, prodotta dall'economia artifi ciale di<br />

guerra. Il binario che porta alla cava corre sopra ai terreni <strong>della</strong> parrocchia,<br />

di due privati e dell'Ospedale civile. La cava di Postioma peraltro, non sarà<br />

la sola nel territorio di Paese, da cui verrà prelevata ghiaia per uso militare e<br />

tanto la posa dei binari quanto l'attività estrattiva sar<strong>anno</strong> punteggiati da uno<br />

stillicidio di incidenti.<br />

La guerra dell'acqua<br />

Altra fondamentale risorsa per un territorio che vive di agricoltura è l'acqua.<br />

La gestione dell'acqua derivata dal Piave è consorziata e i contadini del-<br />

129


le singole frazioni di ogni comune interessato possono prelevarla dai canali<br />

di irrigazione rispettando turni fi ssati dai municipi in accordo con apposite<br />

commissioni di cittadini, presenti in ogni paese. La guerra in corso somma<br />

alle ordinarie esigenze dell'agricoltura quelle preponderanti <strong>della</strong> macchina<br />

militare, facendo perdere al delicato meccanismo gestionale di un bene tanto<br />

prezioso, il suo precario equilibrio. Già nel 1916, i comuni che f<strong>anno</strong> parte del<br />

consorzio «Brentella» debbono fare i conti con questa situazione. A giugno,<br />

il prezioso liquido viene improvvisamente a mancare nei canali irrigui. La<br />

distribuzione procede a singhiozzo per poi interrompersi del tutto. Con la fi la<br />

dei propri amministrati che premono alle porte dei comuni, i sindaci chiedono<br />

di sapere che cosa sta accadendo e quanto tempo sarà necessario perché le<br />

situazione torni alla normalità. La presidenza del Brentella comunica che per<br />

esigenze belliche, al consorzio manca ben la metà del personale normalmente<br />

addetto alla manutenzione delle opere irrigue. La presidenza non ha altra<br />

soluzione che chiedere all'esercito l'esonero temporaneo dal servizio militare<br />

degli operai necessari. Un <strong>anno</strong> più tardi il problema è destinato a ripresentarsi<br />

in modo ancora più grave. Nel 1917 infatti, non solo manca la mano d'opera<br />

necessaria ai lavori lungo la rete dei canali, perché gli operai sono sotto le<br />

armi, ma entrano in campo anche le necessità dell'esercito che, impegnato<br />

nelle opere di fortifi cazione <strong>della</strong> pianura, ha bisogno di grandi quantità d'acqua.<br />

Il solo modo per procurarla è quello di ridurre l'irrigazione dei campi. Da<br />

una nota che scrive in giugno il sindaco di Paese Michele Perotto si apprende<br />

infatti che «Per lavori urgenti del genio militare è indispensabile che l'acqua<br />

corra tutta per il canale principale per la durata di almeno sei ore continuative<br />

al mattino, togliendo tre ore all'orario [di prelievo per irrigazione n.d.r.]<br />

di Porcellengo e tre all'orario di Sovernigo. Pregasi di attenersi strettamente<br />

a quest'ordine altrimenti sarò costretto di sospendere l'irrigazione mediante i<br />

RR. CC.». L'acqua serve inoltre ad alimentare gli accampamenti delle truppe<br />

acquartierate intorno alla città. Per questo motivo l'Uffi cio idrico <strong>della</strong> IV<br />

Armata, intima al sindaco «di voler disporre un servizio di vigilanza […] acciocché<br />

nessuno senza ordine di questo uffi cio, apra o chiuda, le diramazioni<br />

del canale principale verso località che non accantonino truppe nazionali od<br />

alleate. Prego inoltre di voler disporre che gli abitanti delle vicinanze del canale<br />

non ritardino [in alcun modo] il corso dell'acqua». Dopo i furti di legname<br />

ai cantieri del campo trincerato, comincia così la guerra dell'acqua, che<br />

vede da un parte i militari chiedere la problematica sorveglianza di chilometri<br />

di canali e dall'altra la popolazione inferocita che cerca ogni possibile sotterfugio<br />

per procurarsi ciò di cui abbisogna. La crisi dell'acqua nel 1917 dunque,<br />

non giunge inattesa. Già in maggio infatti, sulla scorta di quanto accaduto<br />

130


l'<strong>anno</strong> precedente, la presidenza del Brentella ha messo sull'avviso i comuni<br />

consorziati, avvertendo che a metà giugno, vi sarebbe stata «una quantità<br />

d'acqua insuffi ciente». Ciò si deve al fatto che sono «state asportate tutte le<br />

roste ultimamente costruite per alimentare i canali di derivazione». È necessario<br />

quindi fabbricarne di nuove e procedere allo scavo di ulteriori canali. A<br />

questo punto però, ecco ripresentarsi lo stesso problema già emerso nell'estate<br />

del 1916: «per l'avvenuto richiamo sotto le armi di gran parte dei Brentellieri,<br />

si renderà impossibile la costruzione delle roste e con i soli escavi si<br />

potrà tutt'al più portare la Brentella ad un metro di altezza al ponte canale di<br />

Onigo», cioè ben sessanta centimetri al di sotto <strong>della</strong> normale portata estiva.<br />

Il consorzio fa quindi sapere che la realizzazione delle nuove derivazioni sarà<br />

tutt'altro che agevole. «…Anche agli escavi, - recita la circolare trasmessa ai<br />

sindaci - data la mancanza quasi assoluta di mano d'opera e l'impossibilità di<br />

trovare in Pederobba e dintorni un conveniente numero di operai, sarà diffi -<br />

cile provvedere e ad ogni modo, non potr<strong>anno</strong> venire eseguiti con la necessaria<br />

sollecitudine». Rispetto a quanto accaduto nel 1916, quest'<strong>anno</strong> c'è infatti<br />

una spiacevole novità. L'esercito ha rifi utato la proroga dell'esonero concesso<br />

al personale del Brentella addetto alla manutenzione delle opere irrigue. Il<br />

consorzio Brentella ha presentato ricorso contro la decisione dei militari, ma<br />

nel frattempo non può far altro che chiedere ai comuni che ne f<strong>anno</strong> parte, di<br />

attivarsi per reperire i 150 operai necessari. Ma nessuno è in grado di trovare<br />

gli uomini richiesti.<br />

La guerra <strong>della</strong> legna<br />

Ghiaia e acqua non sono però i soli materiali necessari ai cantieri militari.<br />

Il legname è un'altra fondamentale risorsa necessaria alla realizzazione di fortifi<br />

cazioni e baracche. Durante i mesi invernali poi, il suo consumo aumenta,<br />

poiché la legna viene impiegata anche come combustibile. Sul fi nire del 1917,<br />

dopo che il disastro di Caporetto ha trasformato le campagne in un gigantesco<br />

accampamento, ai civili il taglio di ogni pianta è stato proibito. Nonostante<br />

ciò, nel trevigiano la disponibilità di tale materiale si sta facendo ovviamente<br />

scarsa tanto che le autorità militari, per far fronte alla bisogna, iniziano<br />

l'abbattimento del bosco <strong>della</strong> «Mesola» nel delta del Po, stabilendo che una<br />

notevole parte del legname prodotto nel Polesine dovrà essere impiegata proprio<br />

a Treviso e nei comuni <strong>della</strong> provincia. Non si tratta di forniture gratuite;<br />

le amministrazioni che vorr<strong>anno</strong> avvalersene, dovr<strong>anno</strong> pagarle attingendo ai<br />

loro asfi ttici bilanci. L'impiego <strong>della</strong> poca legna ancora disponibile sul territorio<br />

dà quindi il via a nuove accese controversie perché i militari, nonostante<br />

i massicci abbattimenti iniziati a ottobre nel Polesine, si sono ben guardati<br />

131


Un carro di profughi. MCRR.


dall'interrompere le requisizioni ai danni dei privati. Ancora a fi ne dicembre<br />

del '17 ad esempio, alcune tonnellate di legname vengono prelevate da terreni<br />

privati nel paese di Castagnole. Presso la proprietà di Antonio Severino, i soldati<br />

recidono 62 piante di acacia del peso medio di 25 chili l'una per un totale<br />

di circa un tonnellata e mezza di legna. Le proteste del nuovo sindaco di Paese<br />

Quaglia, assediato dalle lamentele dei cittadini, sono l'inevitabile conseguenza<br />

di una situazione diffi cile da gestire. Il 26 dicembre, egli scrive al comando<br />

militare che, acquartierato a Castagnole, ha dato luogo ai tagli, una lettera dai<br />

toni accesi. «Non sarà cosa nuova a cotesto on.le comando la conoscenza dei<br />

danni arrecati alle proprietà di questi comunisti da soldati sia di passaggio<br />

sia in permanenza. Tali sono rilevantissimi, specie nei legnami, pei quali oltre<br />

che provvedere per i bisogni <strong>della</strong> difesa nazionale, si fa un vero vandalismo. E<br />

mentre per le popolazioni b<strong>org</strong>hesi un avviso del generale Graziani proibisce<br />

il taglio <strong>della</strong> legna di qualunque specie, per i soldati è permesso qualunque<br />

taglio, anche capriccioso, è cosa veramente deplorevole perché da una parte<br />

si spreca e dall'altra si patisce, riducendo la popolazione al punto di non<br />

poter farsi da mangiare per mancanza di legna. È un fatto questo veramente<br />

deplorevole, che si estende anche sulla paglia e sul granoturco cinquantino».<br />

Da quanto si legge, pare di capire che in quei mesi si fossero verifi cati episodi<br />

di requisizioni condotte in modo arbitrario e senza rilasciare agli interessati<br />

la documentazione prescritta per il risarcimento. «Prego perciò cotesto on.le<br />

comando – conclude Quaglia – a voler proibire assolutamente i vandalismi e<br />

provocare dei sopralluoghi, con preavviso, per rilevare i danni sofferti dalla<br />

popolazione, rilasciando ai danneggiati almeno un buono dal quale risulti le<br />

materie requisite ed il valore giusto e reale delle stesse. Confi do nella solerzia<br />

attiva e vigilante di cotesto on.le comando affi nché voglia essere d'appoggio<br />

alle popolazioni e tutelare in modo che le requisizioni vengono eseguite nelle<br />

forme volute dalle disposizioni regolamentari non arbitrarie». Alla lettera di<br />

Quaglia, il comando militare di Castagnole risponde negando ogni cosa. Il<br />

sindaco viene accusato di esagerazione e di scorrettezza e di avere lanciato<br />

accuse false, senza prima approfondire la realtà dei fatti, prestando attenzione<br />

alle parole di «persone le quali tentano di sfruttare le condizioni attuali per<br />

trarne illeciti lucri». Al sindaco viene ricordato che «la legna occorrente per<br />

gli usi miliari di preleva a Treviso» e che se qualche abuso si è verifi cato o<br />

si verifi cherà, i cittadini sono obbligati ad «impedire: il taglio di piante, per<br />

fare legna, il prelevamento di foraggio, e di paglia senza un buono rilasciato<br />

dal Comando dal quale i militari di truppa appartengono». Al comune,<br />

anzi, viene intimato di rendere noto tale obbligo ai propri amministrati «con<br />

i mezzi reputati più acconci». I rapporti tra l'apparato militare di guerra e<br />

134


la società civile, che prima erano complessi ed affrontati con reciproca ma<br />

rispettosa sopportazione, ora si sono fatti improvvisamente molto tesi. Nel<br />

frattempo è infatti intervenuto l'infausto episodio di Caporetto che ha portato<br />

il confl itto e le esigenze feroci del campo di battaglia, sull'uscio di casa dei<br />

trevigiani. Le diffi coltà nel mantenere l'ordine e la dis<strong>org</strong>anizzazione seguita<br />

alla ritirata, con i soldati che scorrazzano senza controllo per le campagne,<br />

furono certamente all'origine di molti episodi oscuri. Le accuse del sindaco<br />

Quaglia possono forse essere esagerate nella forma ma certamente non sono<br />

infondate nella sostanza. Fuori luogo al contrario - nel caso di specie - appare<br />

la negazione di ogni responsabilità da parte dei militari, che si spinge fi no al<br />

punto di lasciar intendere che la colpa dei presunti abusi ricadrebbe sugli stessi<br />

abitanti del paese, che nulla avrebbero fatto per opporsi ad essi… In realtà,<br />

quello tra militari e civili è divenuto ormai un rapporto altamente problematico<br />

all'interno del quale, i primi sono visti dai secondi come un corpo estraneo<br />

che – simile ad un parassita – si è insediato nel territorio, piantando ovunque<br />

i propri gangli e succhiandone le energie vitali. Questo tipo di percezione è<br />

ingigantita nel sentire comune, dalle richieste tra virgolette «inquietanti» che<br />

i militari inviano a ciò che resta <strong>della</strong> pubblica amministrazione. In quel dicembre<br />

1917, mentre è in pieno corso lo scontro sul legname e sul foraggio,<br />

lo stesso comando di Castagnole torna a rivolgersi al municipio per conoscere<br />

«con tutta urgenza» una serie di informazioni sulla località che lo ospita. I<br />

militari vogliono sapere, per scopi che è facile immaginare, le «quantità di:<br />

vino, grano, paglia, foraggio, bestiame, bestiame da macello, cavalli, muli,<br />

asini, carri a due ed a quattro ruote, legna, pozzi, granoturco, disponibili<br />

ora in paese, compresi i generi occorrenti per la popolazione civile…». Dalla<br />

risposta del comune si apprende così che a Castagnole vi sarebbero 885<br />

abitanti. Mancherebbero invece del tutto il bestiame, il grano, la paglia, e i<br />

foraggi…<br />

Il razionamento del cibo<br />

Di un vero e proprio tentativo di razionamento generalizzato delle risorse<br />

alimentari, attuato e pianifi cato a livello centrale, non si può parlare fi no al<br />

marzo del 1917. È a quell'epoca infatti che il Commissariato Generale per i<br />

Consumi emana le prime direttive sull'argomento. A Treviso, il prefetto Bardesono<br />

decide di introdurre il razionamento del grano e delle farine derivate, che<br />

diviene obbligatorio il 20 settembre 1917. La nuova misura coglie però impreparati<br />

molti amministratori locali e ciò obbliga l'alto funzionario, su pressione<br />

dei sindaci che lamentano «la mancanza di alcuni elementi di preparazione» a<br />

sospendere l'effi cacia del provvedimento fi no al successivo 19 novembre.<br />

135


I foraggi<br />

Nell'aprile del 1917, la Commissione per l'incetta di bovini e foraggi del<br />

presidio militare di Treviso ordina la precettazione del foraggio verde. Il raccolto<br />

di fi eno <strong>della</strong> precedente stagione è stato scarso e poiché le risorse su<br />

cui l'amministrazione militare può fare affi damento sono molto ridotte, viene<br />

disposto che a partire dal «I° maggio siano alimentati i quadrupedi territoriali<br />

con foraggio verde, sia [che si tratti di] erbe primaverili, (trifoglio rosso<br />

ecc.) che di erbe mediche appena falciate. Il provvedimento è <strong>della</strong> massima<br />

urgenza…». La commissione chiede ai comuni di collaborare all'individuazione<br />

di appezzamenti di trifoglio o di erba medica di dimensioni tali da non<br />

arrecare d<strong>anno</strong> ai contadini che ne h<strong>anno</strong> bisogno per alimentare il bestiame.<br />

Si intendono infatti requisire solo pochi ettari di foraggio in ogni comune.<br />

La commissione per l'incetta di bovini e foraggi<br />

L'11 marzo 1917 la Commissione per l'incetta di bovini e foraggi è a Paese,<br />

infatti, per procedere alla requisizione dei bovini. Dalle stalle di 44 famiglie<br />

locali vengono prelevati 46 capi di bestiame: 39 vacche, 4 buoi e 3 vitelli, per<br />

un quantitativo totale di carne, accertato dalla commissione, pari a 182 quintali.<br />

Una statistica compilata dal municipio, sempre su richiesta dei militari,<br />

aveva accertato che a gennaio - a Paese e nelle sue frazioni - vi era un totale<br />

di 341 bovini. Il numero totale dei capi di bestiame saliva a 370, includendo<br />

in esso anche ovini e suini.<br />

Il risentimento popolare<br />

Nel comune sentire, lo Stato e le sue classi dirigenti h<strong>anno</strong> deciso la partecipazione<br />

ad una guerra che ora la gente del trevigiano ritiene di essere stata<br />

lasciata a combattere da sola, mentre chi può ne trae vantaggi. La partenza<br />

dei contadini per il fronte, la latitanza di molti proprietari fondiari, pronti a<br />

darsi alla fuga, e l'occupazione delle campagne da parte dei militari h<strong>anno</strong><br />

squilibrato il secolare rapporto che legava queste popolazioni alla terra. Tutto<br />

ciò, unito alle asprezze <strong>della</strong> vita quotidiana, ha prodotto un clima di profonda<br />

sfi ducia nei confronti di ogni funzione pubblica, generando il risentimento dei<br />

contadini – come aveva scritto il prefetto Vitelli – «contro i signori ed i possidenti<br />

ed ogni altra personalità infl uente». È forse per cercare di dimostrate il<br />

contrario che, nell'ottobre del 1917, viene trasmessa ai sindaci una circolare,<br />

a fi rma del prefetto, con la quale egli chiede di conoscere se nei loro comuni<br />

siano morti in battaglia o siano rimasti feriti soldati «appartenenti a classi abbienti<br />

o dirigenti». Anche la b<strong>org</strong>hesia ha bisogno dei suoi eroi per dimostrare<br />

che non sta disertando la lotta. Mancano pochi giorni al disastro di Caporetto<br />

136


e nel momento in cui la circolare arriverà a destinazione, molti dei rappresentanti<br />

<strong>della</strong> b<strong>org</strong>hesia locale avr<strong>anno</strong> già abbandonato la provincia.<br />

La chiesa<br />

Del tutto diverso è invece l'atteggiamento nei confronti <strong>della</strong> Chiesa, anche<br />

prima che le pubbliche amministrazioni <strong>della</strong> provincia si sgretolino sotto<br />

la pressione degli eventi di Caporetto. Le funzioni dello Stato, disciplinate da<br />

leggi e regolamenti, si esplicano entro limiti oltre i quali nessun funzionario<br />

può spingersi. Il diritto a una pensione o a un sussidio si ha solo in presenza di<br />

ben defi niti requisiti in mancanza dei quali esso non sussiste. Non c'è spazio<br />

per le mezze misure e il pietismo e a nulla vale invocare la drammaticità di<br />

questo o quel caso. Lo Stato insomma è un meccanismo con limiti materiali e<br />

normativi che, una volta raggiunti, lasciano il cittadino bisognoso in balia di<br />

se stesso. Inoltre, poiché lo Stato è percepito come una macchina che si alimenta<br />

con le risorse <strong>della</strong> collettività, esso deve fare ciò per cui esiste, senza<br />

che nessuna particolare gratitudine gli sia dovuta. La Chiesa invece vive per<br />

occuparsi di questioni spirituali e apparentemente non sarebbe tenuta a farsi<br />

carico dei problemi materiali del popolo. Proprio in questo sta la sua forza.<br />

Le frequenti incursioni che, durante il periodo bellico, essa compie in affari<br />

di natura temporale, fi no quasi a sostituirsi alla pubblica amministrazione, le<br />

f<strong>anno</strong> acquisire un credito enorme che potrà spendere tanto in città quanto<br />

nelle campagne <strong>della</strong> provincia. La sua porta è sempre aperta per chiunque<br />

e ognuno ha diritto a una parola di conforto. Nell'aiuto che presta, essa pare<br />

in grado di superare i limiti umani, di risorse e di legge che frenano l'azione<br />

dello Stato. Ma soprattutto, la Chiesa offre ciò che ha da dare senza nulla<br />

pretendere in cambio. Non ci sono tasse da sborsare o servizi da prestare.<br />

Nell'assistere le famiglie dei trevigiani al fronte non va dunque dimenticata<br />

l'attività dell'Uffi cio Cattolico del Lavoro che si sviluppa in parallelo a quella<br />

delle pubbliche amministrazioni, fi n quasi a sostituirla. Il Comune e l'Uffi cio<br />

Cattolico del Lavoro fi niscono coll'essere visti come soggetti che operano su<br />

un piano di parità e portatori di funzioni intercambiabili. Ciò è testimoniato<br />

ad esempio dal fatto che spesso i popolani, quando chiedono un sussidio o<br />

una pensione si rivolgono a queste due in contemporanea, presentando le medesime<br />

istanze e credendo probabilmente che questo aumenti le chances che<br />

la propria pratica vada a buon fi ne.<br />

Il comune<br />

Gli uffi ci comunali – come abbiamo visto – sono spesso l'unica istanza a<br />

cui un cittadino può appellarsi contro i soprusi dei militari, ma sono anche la<br />

137


prima risorsa sul territorio cui chiedere aiuti, informazioni e l'avvio di molte<br />

pratiche. Anche dopo Caporetto, pur se a mezzo servizio e magari commissariati,<br />

essi continuano a funzionare. È attraverso gli uffi ci dei comuni che chi<br />

aspira ad un posto nei cantieri militari dove passare per ottenere il lavoro ed è<br />

sempre a questi che ci si deve rivolgere per avere tutela in caso di controversia<br />

nel pagamento di quanto dovuto da parte dell'esercito. Il passaggio in comune<br />

è necessario anche a chi voglia ottenere il sussidio in denaro che spetta alle famiglie<br />

dei richiamati. Tale sussidio infatti non viene concesso a chiunque ma<br />

solo a chi dimostri condizioni di bisogno estreme, mediante certifi cazioni che<br />

solo la pubblica amministrazione locale può rilasciare. Il municipio è inoltre<br />

l'autorità territoriale cui viene trasmessa la comunicazione del decesso di un<br />

militare e alla quale spetta di informare i parenti. Spesso, in tale compito, il<br />

sindaco si avvale però dell'aiuto dei sacerdoti del territorio. Non è infrequente<br />

infatti, trovare sulle comunicazioni di morte in arrivo dall'esercito, note manoscritte<br />

con cui il primo cittadino segnala di aver partecipato <strong>della</strong> dolorosa<br />

notizia il prete del paese presso il quale il soldato defunto abitava. Il comune<br />

è spesso anche la sola fonte di informazioni sulla sorte di militari e civili di<br />

cui si sono perse le tracce. È però nei rapporti tendenti ad ottenere particolari<br />

concessioni dall'esercito, che l'apporto dell'amministrazione comunale diventa<br />

fondamentale. Licenze, esoneri, pensioni, sussidi e avvicinamenti a casa,<br />

rientrano ormai fra le pratiche di routine che il sindaco si trova a dover gestire<br />

quasi quotidianamente. A lui i parenti si rivolgono perché contatti i diversi<br />

comandi miliari di appartenenza dei propri congiunti, sollecitando la concessione<br />

di permessi che consentano loro di rientrare a casa. È la richiesta più<br />

comune, quasi sempre motivata con la necessità di dover sbrigare importanti<br />

affari personali, legati a successioni ereditarie, malattia o morte di membri<br />

del gruppo familiare e compravendite di terreni. Legato al lavoro <strong>della</strong> terra<br />

è anche lo spinoso problema delle licenze agricole che, con l'inasprirsi del<br />

confl itto verr<strong>anno</strong> concesse con sempre minore generosità. Se la vede infatti<br />

negare Abramo N., che nel marzo del 1917 si rivolge al sindaco Quaglia<br />

proclamandosi «inabile alle fatiche di guerra» e sottolineando come «le attuali<br />

condizioni <strong>della</strong> famiglia reclamano la mia presenza per poter meglio<br />

provvedere alla produzione dei campi». La norma è però molto restrittiva e<br />

concede tali permessi solo a chi non abbia alcun parente di età compresa fra i<br />

16 e i 65 anni che possa coltivare la terra in questione. Purtroppo per Abramo<br />

N., la legge considera «famiglia colonica non solo i parenti diretti ma; tutti<br />

quelli che lavorano insieme gli stessi fondi. Nella casa vostra invece – gli<br />

scrive il sindaco Quaglia al momento di respingere la sua domanda – esistono<br />

uomini validi tra i 16 e i 65 anni che lavorano gli stessi poderi». Altra istanza<br />

138


frequentemente presentata era quella tesa ad ottenere il cosiddetto avvicinamento<br />

ad un reparto più prossimo alla casa natia, che avrebbe consentito di<br />

allontanarsi da ogni rischio. Riteneva di avervi diritto anche Domenico M. di<br />

Postioma che, dopo quindici mesi trascorsi al fronte e «passati in zona doperazione»,<br />

chiede al sindaco di poter usufruire dei benefi ci previsti – da una<br />

circolare del Ministero <strong>della</strong> Guerra – che sembra accordare ai padri di quattro<br />

fi gli il trasferimento ad una località vicina al paese di origine. Per averlo egli<br />

invoca le condizioni «non troppo fl oride, anzi miserrime <strong>della</strong> famiglia» ed il<br />

fatto che «altri militari suoi compagni <strong>anno</strong> potuto ottenere diessere mandati<br />

coladimanda al proprio distretto». Come apprenderà a sue spese, Domenico<br />

M. non ha diritto a tale benefi cio. Egli è infatti nato nel 1880 mentre l'avvicinamento<br />

è riservato solo ai padri di quattro fi gli appartenenti alle classi 1876,<br />

1877 e 1878, oppure ai padri di 4 fi gli «riconosciuti permanentemente inabili<br />

alle fatiche di guerra». «Dunque, - gli scrive il sindaco Perotto - voi che<br />

siete <strong>della</strong> classe 1880, non avete diritto al suddetto trasferimento, a meno<br />

che non siate riconosciuto permanentemente inabile alle fatiche di guerra».<br />

Particolarmente ambito era infi ne l'esonero dal servizio di prima linea che<br />

un'altra circolare del Ministero <strong>della</strong> Guerra accordava a chi avesse avuto, per<br />

esempio, due fratelli morti in guerra. È la condizione in cui si trova Giovanni<br />

Z., il terzo di cinque fi gli, due dei quali già caduti in battaglia, Cesare, il 23<br />

maggio 1917, col 59 fanteria e Pietro, il 4 settembre 1917, col 213 fanteria.<br />

Anche la sua domanda viene però respinta. Giovanni Z. si è infatti sposato<br />

e, secondo una più stretta interpretazione <strong>della</strong> norma, costituisce ormai una<br />

famiglia a sé.<br />

139


Donne al lavoro per realizzare trincee. MCRR.<br />

Donne al lavoro per realizzare trincee. MCRR.


Donne al lavoro per realizzare trincee. MCRR.<br />

Donne al lavoro per realizzare trincee. MCRR.


Arditi. MCRR


RACCONTI DELL'INVASIONE 1917-1918 1<br />

Benito Buosi<br />

Erano nove anni che gli Achei assediavano Troia:<br />

spesso avevano bisogno di viveri o animali o donne,<br />

e allora lasciavano l'assedio e andavano a procurarsi<br />

quel che volevano saccheggiando le città vicine.<br />

143<br />

Alessandro Baricco, Omero, Iliade.<br />

«Arrivederci, signori, tra cinque giorni o a primavera»<br />

Nei giorni <strong>della</strong> rotta ci sarà stato qualcuno ansioso di leggere per sapere<br />

cosa stava succedendo? E disposto a crederci sul serio? Dalle parti di Udine<br />

no, di sicuro. Bastava guardarsi attorno per capire. Ma di qua del Livenza,<br />

1 H<strong>anno</strong> dato voce al titolo soprattutto le donne e gli uomini che h<strong>anno</strong> scritto i diari elencati in appendice. Tra le<br />

memorie sull'invasione nel trevigiano, questi tredici testi sono stati preferiti ad altri perché presentano una sincronia<br />

tra eventi e narrazione che dona loro una più affi dabile genuinità. Questa simultaneità che si ripete ogni giorno,<br />

questo scrivere in diretta (o quasi) li h<strong>anno</strong> protetti dagli aggiustamenti o dalle manipolazioni che i ricordi subiscono<br />

inevitabilmente nel tempo, per innocente fi siologia o per convenienza. I diari postumi h<strong>anno</strong> patito invece<br />

l'esposizione al 'dopo'. Non h<strong>anno</strong> potuto sottrarsi all'epica che accompagna ogni guerra vittoriosa e portano i segni<br />

di giudizi maturati nel clima infuocato del dopoguerra e delle successive svolte politiche e istituzionali. Queste scritture<br />

private invece, compilate senza forzature trionfalistiche e soprattutto senza mire editoriali, h<strong>anno</strong> fatto cogliere<br />

meglio la verità del momento, la verità delle opinioni prima ancora che la verità degli avvenimenti. I tredici testimoni<br />

oculari sono stati interrogati in primo luogo sulla disposizione mentale con cui h<strong>anno</strong> vissuto gli eventi nella<br />

loro prossimità. Per questo il sincronismo delle loro 'deposizioni' ha meritato l'ascolto più attento. In fondo, sui fatti<br />

nudi e crudi, le notizie non sono mai mancate, anche se non h<strong>anno</strong> avuto un'ampia circolazione. Basti considerare<br />

quella corposa fonte uffi ciale costituita dagli atti <strong>della</strong> Commissione d'Inchiesta Mortara, nominata con insolita (e<br />

interessata) sollecitudine dal governo Orlando fi n dalla settimana seguente la fi rma dell'armistizio (D.L.15 novembre<br />

1918, n.1711); atti prontamente pubblicati l'<strong>anno</strong> dopo, in sei volumi. Con giusta enfasi, una studiosa <strong>della</strong> Shoa<br />

come Annette Wieviorka annuncia ora, per quella tragedia europea, l'avvento di una 'era del testimone' (è il titolo di<br />

un suo libro di qualche <strong>anno</strong> fa). Si dovrebbe poterlo dire ancora anche per la Grande Guerra, che fi n troppo a lungo<br />

ha parlato solo con la voce delle armi. È vero che l'impresa pionieristica di Rovereto ha già più di vent'anni, ma la<br />

cura di raccogliere fonti popolari dovrebbe continuare senza sosta, per continuar a dare spazio alla soggettività delle<br />

esperienze di uomini e donne, almeno fi nché la s<strong>org</strong>ente non darà segni di esaurimento. Mentre i testimoni sopravvissuti<br />

ai lager h<strong>anno</strong> l'ansiosa ambizione di dare in extremis un contributo personale alla storia <strong>della</strong> tragedia ebraica,<br />

i nostri tredici testimoni, ormai scomparsi, non avevano pretese del genere quando scrivevano appartati nella loro<br />

insidiata intimità. Siamo noi posteri che usiamo le loro <strong>anno</strong>tazioni per scrutarne gli umori, le reazioni, le opinioni<br />

e i pregiudizi còlti in un momento di svolta drammatica <strong>della</strong> guerra, quando la doppia sciagura sofferta dai civili,<br />

tra sconfi tta e invasione, ha scompaginato abitudini e affetti, attese e convinzioni. Non traggano in dubbio certe date<br />

di pubblicazione, alcune anche molto lontane dal tempo <strong>della</strong> guerra, con titoli quasi sempre editoriali. Ciò semmai<br />

dimostra l'inesausta attenzione con cui ricercatori ed editori locali corrispondono, con i toni <strong>della</strong> storia sociale,<br />

all'interesse popolare che la Grande Guerra continua a riscuotere nei paesi dei territori invasi. Il ristretto numero dei<br />

diari non può dar loro alcun valore di campione rappresentativo. Non c'era d'altronde intenzione di costruirne uno<br />

su queste basi. Semmai, se si considera che operai e contadini (cioè la stragrande maggioranza <strong>della</strong> popolazione di<br />

allora) non usavano affi dare alla penna i propri affanni, si potrà almeno concludere che i diari considerati sono un<br />

prodotto tipologicamente signifi cativo degli ambienti sociali che h<strong>anno</strong> confi denza con la scrittura: donne di buona<br />

famiglia, insegnanti, possidenti, uomini di chiesa. La selezione effettuata rispetta casualmente la copertura geografi<br />

ca delle terre invase, anche se con squilibrata distribuzione. Gli autori dei diari vivono e scrivono dislocati in punti<br />

di osservazione diversi e lontani tra loro sul territorio <strong>della</strong> Sinistra Piave: due nell'opitergino, quattro a Conegliano<br />

e dintorni, due a Vittorio, tre sulle colline del pedemonte, due in transito forzato tra Valdobbiadene e il vittoriese.<br />

(Per non intralciare troppo la lettura, le citazioni dai tredici diari portano tra parentesi solo il nome dell'autore e il<br />

numero di pagina).


fi nché non cominciarono ad arrivare i primi profughi, chi aveva pratica di<br />

lettura sperava di trovare sui giornali quelle buone notizie che potessero<br />

confortarlo a restare.<br />

E il Gazzettino cercava in qualche modo di compierla questa missione di<br />

dare fi ducia. Per provare a rincuorare i suoi lettori doveva però abbondare con<br />

le notizie che venivano da lontano. I tedeschi «le pigliano di santa ragione in<br />

Francia e in Belgio: come potr<strong>anno</strong> durare a lungo?». Gli americani st<strong>anno</strong><br />

preparandosi a scendere in campo. Lo sforzo austro-ungarico di questi giorni<br />

non potrà salvare «dalla fi nale rovina gli imperi barbarici». 2<br />

Venerdì 2 novembre, Giorno dei Morti, Cadorna ha annunciato il<br />

ripiegamento sul Tagliamento ma il giornale assicura prontamente che da qui<br />

«si preparerà la rivincita».<br />

Nell'atroce dubbio che neppure al Tagliamento si riesca a tenere, i Brustolon<br />

h<strong>anno</strong> deciso di partire. Da sabato sera, dopo aver sotterrato la biancheria,<br />

h<strong>anno</strong> pronte le valigie. Purtroppo Pietro, il vecchio padre ammalato, è<br />

tormentato dalla febbre e non riesce a lasciare il letto.<br />

Il camion non può perdere l'ultimo appuntamento al ponte <strong>della</strong> Priula e<br />

martedì 6 novembre parte caricando solo gli Albrizzio, lasciando i Brustolon<br />

angosciati nella loro casa, a Vittorio (non ancora Veneto). La casa si trova a<br />

pochi passi dall'Aquila Nera, 3 l'albergo di fronte a piazza Salsa che la famiglia<br />

aveva gestito e abitato fi no a pochi anni prima, e che ora si chiama Stella<br />

d'oro.<br />

Da venerdì 2, la trentenne fi glia Bianca comincia a tenere un diario, per<br />

corrispondere idealmente con fratello, sorella e nipoti, già partiti da qualche<br />

giorno. Le servirà da pro-memoria per poter raccontare meglio, quando si<br />

ritrover<strong>anno</strong> in famiglia, sani e salvi. «Queste mie memorie le tengo sempre<br />

come corazza al petto; dove potrei nasconderle per essere certa che nessuno<br />

me le rapisca?». (Brustolon, 122). È fi duciosa che a Natale sarà tutto fi nito.<br />

La festa <strong>della</strong> Natività le porta nuovi simboli salvifi ci, come giorno di duplice<br />

liberazione. Non andrà così. E scrivere ogni giorno diventerà a volte un peso<br />

insostenibile.<br />

2 In questo delicato periodo, il giornale veneziano rinuncia alle notizie fresche che può inviare il suo corrispondente<br />

dal fronte E.M.Baroni e preferisce attingere commenti dai più autorevoli quotidiani nazionali. Le notizie dalla<br />

prima linea le dà, in accorta sintesi, soltanto il bollettino uffi ciale del Comando Supremo, pubblicato ogni giorno in<br />

apertura di prima pagina. Grazie alla guerra Il Gazzettino, il più interventista tra i giornali veneti, aveva quintuplicato<br />

la sua normale tiratura di trentamila copie. M.DE MARCO, Il Gazzettino. Storia di un quotidiano, Venezia, Marsilio,<br />

1976, p.43.<br />

3 L'insegna, mutuata dalla tradizione alberghiera tedesca, è scesa lungo la secolare strada di Alemagna di cui Serravalle<br />

e Ceneda h<strong>anno</strong> sempre costituito una tappa di primaria importanza. Il nome torna curiosamente attuale proprio<br />

nei giorni che affl iggono i Brustolon. Il 1° novembre 1917 Otto von Below, generale in capo <strong>della</strong> XIV Armata,<br />

artefi ce dello sfondamento di Caporetto, viene insignito del titolo di Cavaliere dell'Ordine Supremo dell'Aquila Nera<br />

di Prussia.<br />

144


A Valdobbiadene, in casa del notaio Renato Arrigoni, c'è ancora qualche<br />

incertezza. La baraonda di quei giorni, con le strade intasate dai profughi<br />

friulani, non trattiene l'anziano notaio dalla decisione di recarsi direttamente<br />

a Treviso per avere notizie più precise dall'amico e compaesano comm.<br />

Giovanni Dalla Favera che, come presidente <strong>della</strong> Deputazione Provinciale,<br />

è una fonte sicura.<br />

Arrigoni passa quasi tutta la giornata di mercoledì 7 novembre tra code e<br />

ritardi, prima sul tram per Montebelluna e poi sul treno per Treviso. Infi ne<br />

riceve dall'amico rassicurazioni decisive: lui stesso ha lasciato la moglie a<br />

casa, a Valdobbiadene. La posizione del paese, così defi lata, è una garanzia di<br />

sicurezza. 1 L'autorevole presidente gli raccomanda di dare esempio di calma<br />

e compostezza. Gli affi da, anzi, un manifesto da affi ggere a Valdobbiadene. È<br />

un appello, che porta la sua fi rma, per esortare la cittadinanza alla tranquillità<br />

e alla fi ducia.<br />

Infatti, l'indomani, dopo la chiusura di banca, telegrafo e uffi cio postale,<br />

tocca al 56°Fanteria e ai Carabinieri lasciare il paese. Perfi no «i buoni<br />

affezionati domestici» preferiscono mettersi in salvo.<br />

Il commiato del capitano del 7° bersaglieri, alloggiato in casa Arrigoni, è<br />

abbastanza ottimista: «Arrivederci, signori, tra cinque giorni o a primavera».<br />

(Arrigoni, 21).<br />

Dal 31 ottobre, dopo che la cognata Pierina e le tre nipotine sono partite<br />

per Milano, Caterina Arrigoni tiene un diario, scritto sui fogli protocollo che<br />

il padre usa in uffi cio, rivolgendosi direttamente a Pierina, come anticipando<br />

quel racconto quotidiano che vorrebbe confi darle a quattr'occhi, quando si<br />

ritrover<strong>anno</strong> assieme. La sera papà Renato ribatte in bella sull'Underwood<br />

dello studio. 2 Nel '18, alla vigilia di Pasqua: «Ho riletto quest'oggi, una gran<br />

parte di questo eterno, monotono diario, Pierina mia. M'acc<strong>org</strong>o che esso non<br />

dà nemmeno a me, che l'ho vissuto e scritto, una pallida idea <strong>della</strong> realtà».<br />

Ma continuerà e non se ne pentirà. Mercoledì 30 ottobre: «Giunta a casa corro<br />

al nascondiglio dove tenni celato per tanti mesi questi manoscritti. Il primo<br />

volume, nascosto nel doppio fondo di un vaso da fi ori bellamente esposto in<br />

mezzo a tanti altri, ha sofferto per le infi ltrazioni d'acqua; è però leggibile.<br />

1 Non è chiaro il senso di questa rassicurazione, se è vero che il Piave dovrà essere sul serio l'estrema linea di<br />

resistenza. Chi vive in collina potrebbe essere risparmiato solo in una immaginaria rievocazione di quelle antiche invasioni<br />

di passaggio, che scorrevano in pianura lungo la storica via Ongaresca, che porta dritta al passo di Lovadina.<br />

Tant'è che la moglie di Dalla Favera (che ha già perso un fi glio al fronte), sorpresa a Valdobbiadene dall'arrivo degli<br />

invasori, rimarrà separata dal marito fi no alla fi ne <strong>della</strong> guerra.<br />

2 La famiglia Arrigoni si ricorda per varie ascendenze illustri. Il nonno omonimo era stato, in anni napoleonici, direttore<br />

del «Monitor di Treviso» (unico giornale del dipartimento del Tagliamento), intraprendendo anche una buona<br />

carriera nella pubblica amministrazione, continuata in epoca austriaca, quando viene insignito <strong>della</strong> Corona di Ferro.<br />

Sembra che il prozio Arrigo sia stato autore <strong>della</strong> prima traduzione italiana del codice napoleonico. R.BINOTTO, Personaggi<br />

illustri <strong>della</strong> Marca Trevigiana, Treviso, Fondazione Cassamarca, 1996, p. 23.<br />

145


Invece i quadernetti <strong>della</strong> seconda parte, nascosti nel tetto di un cap<strong>anno</strong><br />

verde, sono in condizioni perfettissime». (Arrigoni, 120, 221).<br />

Anche Giambattista Pivetta abita a Valdobbiadene, a pochi passi dagli<br />

Arrigoni. Agiato possidente terriero, presidente <strong>della</strong> Congregazione di Carità<br />

e giudice conciliatore, con i suoi 56 anni si trova appena entro i limiti d'età<br />

richiesti dall'ultimo appello di Cadorna che convoca tutti gli uomini validi a<br />

Susegana per martedì 6, non si capisce bene a quale scopo.<br />

La confusione è tale che la mobilitazione riesce solo in parte. I primi arrivati<br />

vengono fatti andare oltre Piave, gli altri, forse la maggioranza, tornano a<br />

casa. A casa torna anche Pivetta, non si sa se più sollevato per l'esonero o più<br />

deluso per la frustrazione dello zelo con il quale era partito a piedi, alle tre di<br />

notte, per non mancare alla chiamata.<br />

Possiamo conoscere le successive traversie di questa famiglia grazie<br />

alla disciplinata costanza <strong>della</strong> fi glia Maria Egizia. Ha nove anni, dovrebbe<br />

frequentare la quarta elementare, ma le scuole sono chiuse e la madre<br />

saggiamente la terrà in esercizio facendole scrivere il racconto <strong>della</strong> loro<br />

vita raminga. Quanto ci sarà <strong>della</strong> piccola, nella genuinità delle sue precoci<br />

emozioni, e quanto del 'dettato' dell'apprensiva mamma Filomena?<br />

«Voci diverse, orribili, demoralizzanti in Città, che vengono i bulgari, i<br />

turchi, uccidono, violano ragazze, infi lzano bambini ecc. ecc.». Invece, al<br />

primo contatto con gli invasori, a Vittorio si sentono sollevati da un incubo.<br />

«8 novembre: giovedì. […] Ore 11 i tedeschi entrano in Vittorio!!! […] Gli<br />

invasori sono Ungheresi, czechi in grandissimo numero; sono anche begli<br />

uomini, bei giovanotti, cortesi, che ci salutano e sorridono. Io scambio qualche<br />

parola in tedesco con qualcheduno – Osservo che molti sono addirittura<br />

ragazzi, visi proprio infantili». (Di Ceva, 16-17). A Valdobbiadene:<br />

Il giorno 10 novembre 1917 alle ore dieci, dalla strada di San Pietro di Barbozza, cominciarono ad<br />

arrivare a Valdobbiadene le prime avanguardie tedesche.[…] Dapprima li guardavamo passare mezzi<br />

nascosti, dietro le persiane, ma poi facendoci più arditi fi nimmo coll'andare sull'uscio di casa per vederli<br />

meglio. Qualcuno di loro ci guardava e salutava, e mi ricordo che un tale ridendo, mandò un bacio sulla<br />

punta delle dita all'Adelia (la nostra ragazza di servizio). (Pivetta, 2).<br />

Nella stessa mattinata:<br />

Vedo un gruppetto che tenta di aprire la farmacia. Lo raggiungo. Sono due medici austriaci che<br />

vogliono disinfettanti, oggetti di medicazione, iniezioni di canfora e di morfi na. H<strong>anno</strong> modi cortesi<br />

ed accettano la limitata quantità di medicinali che offro loro, dichiarando che il resto m'occorre per<br />

146


la popolazione. […] Mi chiede se sono contenta. Faccio un segno di desolata rassegnazione ed egli<br />

tristemente esclama: Madame c'est la guerre! Quindi stende un buono degli oggetti ricevuti, constatando<br />

con un indefi nibile sorriso ironico la partenza dei medici, dei farmacisti e degli uomini validi, che<br />

h<strong>anno</strong> lasciato indietro le donne. Egli servirà la popolazione ammalata, se è necessario anche di notte.<br />

(Arrigoni, 21-22).<br />

L'8 novembre a Motta è andata diversamente. L'abbattimento dei ponti sul<br />

Livenza e sul Monticano e la distruzione dei magazzini alimentari («Duemila<br />

quintali di frumento del Governo –offerto dapprima a chi lo volesse – furono<br />

gettati nella Livenza») h<strong>anno</strong> scatenato la rabbia degli invasori affamati «in<br />

maggioranza slavi». «Ad alcuni uffi ciali feci garbatamente lagnanza che i<br />

loro soldati si lasciano andare alla rapina e alla violenza. «Est bellum!» mi<br />

rispose un primo tenente che si qualifi cò per professore di latino a Vienna».<br />

(Ciganotto, 15, 19).<br />

Il giorno dopo, 9 novembre, viene occupata Conegliano e i 'tedeschi'<br />

v<strong>anno</strong> subito a caccia di cibo. «Un soldato boemo assicura che al momento<br />

<strong>della</strong> breccia di Tolmino, le loro truppe erano agli estremi di viveri». (Della<br />

Barba, 54). Prendono fuoco – non si capisce perché – i due alberghi <strong>della</strong><br />

città, il Leon d'Oro e il Posta. Le fi amme del Posta investono anche la vicina<br />

canonica di S.Rocco.<br />

«I primi ad entrare a Colbertaldo furono i germanici, anzi, dirò meglio, la<br />

feccia dei germanici, giacché si seppe positivamente che quelle compagnie<br />

d'assalto e <strong>della</strong> morte, erano state formate quasi esclusivamente con degli<br />

elementi <strong>della</strong> peggior specie, ladri, assassini, gente da galera, capaci di<br />

qualsiasi misfatto». 3<br />

Ma anche a Vittorio e a Valdobbiadene le prime buone impressioni,<br />

travisamenti <strong>della</strong> speranza, svaniscono presto, cancellate dal comportamento<br />

delle truppe che, a differenza delle prime dirette al Piave, si fermano per<br />

acquartierarsi in paese.<br />

L'inaspettata impresa di attraversare il Friuli in due settimane incontrando<br />

scarsa resistenza e raggiungendo posizioni tanto avanzate e fuori programma,<br />

ha acceso negli increduli conquistatori un'euforia e una baldanza senza misura.<br />

Poi, questo repentino spostamento del fronte di cento chilometri ha messo in<br />

diffi coltà i collegamenti, su un terreno reso disagevole dalle piogge continue<br />

e su una rete viaria intasata da mezzi militari e civili in fuga.<br />

La balda sicurezza di avere Venezia e Milano a portata di mano sfrena ogni<br />

3 Così G. SIMONATO, Una pagina di storia dell'invasione Austro-Germanica, Vittorio, Longo e Zoppelli, 1920. Il<br />

settimanale Il Gazzettino Illustrato ne ripubblicò il testo in 12 puntate, dal 16 maggio al 28 agosto 1921, con il titolo<br />

Gli orrori dell'invasione tedesca narrati dal rev. Giovanni Simonato dei padri Camilliani, già parroco di Colbertaldo,<br />

testimonio oculare. Il brano citato è tratto dal n. 3 del 30 maggio-6 giugno 1921.<br />

147


licenza. Aie, stie, porcili, stalle e cantine diventano i nuovi e più immediati<br />

obiettivi strategici delle truppe di Below e di Boroevic. Insomma, come<br />

sempre, gli eserciti di occupazione provvedono senza scrupoli a vettovagliarsi<br />

in loco.<br />

Del resto, dopo la rotta, è toccato anche ai nostri di farlo, durante il tragitto<br />

di «ripiegamento». Stato di necessità e «allegria di naufragi». Sfuggiti alle<br />

tremende sofferenze <strong>della</strong> trincea e ai massacri degli assalti allo scoperto, i<br />

vinti scoprono l'enorme sollievo di perdere la guerra per vincere la pace. 4<br />

Così, anche la loro improvvisa e inaspettata liberazione dalle regole <strong>della</strong><br />

disciplina si nutre a spese dei civili. I quali si trovano ad abitare come in<br />

un'altra terra di nessuno, una zona franca esente dalle regole che governano la<br />

vita in caserma e al fronte.<br />

La licenza poi si può travestire di alibi pertinenti: «prendiamo noi prima<br />

che prendano i nemici che st<strong>anno</strong> per arrivare». Un astuto atto di sabotaggio<br />

a d<strong>anno</strong> dell'invasore che incalza più che una vigliacca offesa ai beni inermi<br />

dei friulani in fuga.<br />

Guarda con occhio indulgente e comprensivo il capitano Attilio Frescura,<br />

mentre si trova a Tarcento il 28 ottobre:<br />

I soldati, inzuppati d'acqua, affamati scorati abbrutiti girano per le case da cui la gente scappa, e<br />

saccheggiano. Ne passano alcuni trascinando un maialetto che strilla, o una vacca muggente, o una<br />

capra stupida e ostinata, o carichi di salami inverosimili, o di formaggi con dei sigari che escono dalle<br />

tasche gonfi e <strong>della</strong> più strana preda. Qualcuno ha un ombrello, qualche altro ha indossato un pastrano<br />

da b<strong>org</strong>hese, sull'abito bagnato. Uno, buffi ssimo, s'è messo un cappello duro e, sopra il suo bravo<br />

numero, come i coscritti. E canta, ubriaco:<br />

Cadorna può cantar l'addio mia bella addio<br />

la pace separata la voglio fare io!<br />

bim, bum, bon<br />

al rombo del c<strong>anno</strong>n!» . 5<br />

Duri altri commenti di uffi ciali sorpresi ad assistere a questi atti di teppismo<br />

dei loro soldati. Ma alla fi ne, si può anche chiudere un occhio. Valentino Coda,<br />

4 Di recente è venuto un riconoscimento inatteso alle ragioni che possono spiegare Caporetto, per quanto fossero<br />

provate le nostre truppe dopo 29 mesi di guerra. Merita citarlo per la fonte da cui proviene, data la scarsa considerazione<br />

solitamente dimostrata da parte inglese verso l'impegno italiano nel confl itto. «La media di un'offensiva ogni<br />

tre mesi, tra il maggio 1915 e l'agosto del 1917, fu più alta di quella richiesta agli eserciti britannico e francese sul<br />

fronte occidentale, e le conseguenze furono più logoranti; il fuoco di artiglieria sul terreno roccioso, causò il 70%<br />

di perdite in più per ogni colpo sparato su terreno più facile <strong>della</strong> Francia o del Belgio». J.KEEGAN, La prima guerra<br />

mondiale, Roma, Carocci, 2000, p. 390.<br />

5 A. FRESCURA, Diario di un imboscato, Milano, Mursia, 1999, p.264.<br />

148


uffi ciale di brigata <strong>della</strong> II Armata., in ritirata tra Palmanova e Codroipo il 30<br />

ottobre:<br />

Gruppi di soldati dispersi si d<strong>anno</strong> al saccheggio; vuotano gli zaini e i tascapani per impinzarsi di<br />

sigarette, di scatole di carne, di biancheria, di tutto quello che stuzzica la loro avidità semicosciente. In<br />

questi uomini curvi sino a ieri sotto il giogo <strong>della</strong> disciplina, docili, fedeli, pronti al sacrifi cio, il bruto<br />

comincia a svegliarsi; e le nostre intimazioni non basterebbero a far cessare l'invereconda cuccagna se<br />

non fossero suffragate da una scarica di nervate sulle spalle dei riottosi. Ingrossi piuttosto il bottino degli<br />

austriaci! Noi non possiamo vedere i nostri soldati abbassarsi al livello di predoni. Come è vero che tutte<br />

le cose umane sono relative! Pochi chilometri più oltre ci fermiamo per raccogliere dei sacchi di caffè<br />

sventrati che versano nel fango il loro prezioso contenuto. La tentazione è troppo forte, e facciamo una<br />

eccezione alla regola; ne facciamo una seconda in favore di una bella macchina da scrivere, che il mio<br />

dattilografo scopre con un grido di gioia in un fosso. Preso l'aire, a tutti verrebbe la fregola di prendere,<br />

ma lo spazio a bordo essendo limitato, risolviamo di imbarcare solamente un centinaio di scatole di<br />

carne conservata, che aiuter<strong>anno</strong> a risolvere per qualche giorno l'arduo problema <strong>della</strong> mensa. 6<br />

E per liberarsi di una refurtiva troppo ingombrante, si può anche improvvisare<br />

un piccolo commercio volante per monetizzare in fretta. «Un gruppo di tre o<br />

quattro soldati m'offerse in vendita una forma di formaggio». 7<br />

A Motta, giunti ormai a pochi chilometri dal Piave, «I nostri man mano<br />

che passano e sgombrano, caricano su autocarri e asportano quanto più<br />

possono e quanto di meglio trovano nelle botteghe e nei magazzini dei grandi<br />

commercianti fuggiti e nelle case private abbandonate. Ciò che è loro inutile o<br />

che non possono portar seco, lo gettano sulle strade invitando il popolo rimasto<br />

ad approfi ttarne, «ché domani, dicono, verr<strong>anno</strong> i tedeschi e si porter<strong>anno</strong> via<br />

tutto»». (Ciganotto, 15).<br />

Il caos fa perdere la testa a tutti, tutti impegnati in una gara frenetica di<br />

accaparramento insensato. Rimpinzarsi è un atto euforizzante. Quando si<br />

stappa un'effervescenza dimenticata, gli effetti diventano irrefrenabili.<br />

Si noti la serena naturalezza con cui viene ricordato un esproprio<br />

«amico».<br />

Nei pressi di Conegliano, riprendiamo lo stradone, e prima di sera, facciamo tappa alle prime case<br />

<strong>della</strong> cittadina. Quasi tutte le case e le varie villette sono abbandonate. Con altri colleghi, prendiamo<br />

possesso d'una grande villa, circondata da un vasto parco. Tutto è in ordine, e a noi, non resta che<br />

prendere possesso dei morbidi letti; il Colonnello alloggia in una stanzetta che, dalla toilette, doveva<br />

6 V. CODA, Dalla Bainsizza al Piave all'indomani di Caporetto, Milano, Sonzogno, 1919, pp.74-75.<br />

7 A. BARADEL, Nei solchi dell'odio, Treviso, Cassamarca, 1988, p.13. L'autore è di Cessalto e l'episodio ricordato<br />

risale a quando era diciassettenne ricevitore daziario a F<strong>org</strong>aria, paese che si trova presso il ponte di Cornino, dove<br />

un reparto bosniaco attraversò per primo il Tagliamento, nella notte tra il 2 e il 3 novembre 1917.<br />

149


La piazza di Valdobbiadene. ISTRIT.


Comando improvvisato sotto un ponte. ISTRIT.


essere quella d'una fi glia del proprietario. In un grande garage, vi è un'auto Fiat, e due carrozze; l'auto<br />

non ha benzina, altrimenti l'avremmo portata con noi. Nello scantinato vi sono numerose bottiglie di<br />

vino,e vari quintali di mele, che al mattino distribuiamo ai soldati. Non ci par vero d'aver dormito in un<br />

letto. Ci allontaniamo al mattino, col cruccio di lasciare tanta bella roba agli austriaci .<br />

Chi scrive è un bresciano, aspirante uffi ciale, <strong>della</strong> mitica classe 1899. Non<br />

ha dalla sua neppure le ragioni dell'umano risarcimento di chi è appena uscito<br />

dalle trincee. Non ha ancora avuto il tempo di sparare un colpo. 8<br />

Dopo che i nostri in ritirata sono passati oltre il Piave, tocca ai civili fare<br />

altrettanto prima che arrivi il nemico. In quelle poche ore sospese nell'ansia,<br />

tra l'ultimo passaggio dei nostri e l'arrivo dei conquistatori, si scatena un<br />

frettoloso e silenzioso attivismo furtivo dei 'b<strong>org</strong>hesi', come vengono chiamati<br />

dai diaristi i concittadini che approfi ttano <strong>della</strong> pausa per far man bassa nelle<br />

case abbandonate da chi si è messo in salvo oltre Piave.<br />

È un movimento che si svolge di giorno e di notte, soprattutto in città.<br />

Vittorio, mercoledì 7 novembre: «Cominciò il saccheggio per parte dei<br />

b<strong>org</strong>hesi, poveri negozi, meglio sarebbe stato che i proprietari non fossero<br />

allontanati da qui; la notte la f<strong>anno</strong> giorno poiché è continuamente passaggio,<br />

e per noi è un continuo tremolio credendo siano già i nemici». (Brustolon,<br />

17). Non lontano, lo stesso giorno, «Io discendo ore 6.30 dal Castello e vedo<br />

donne, fanciulle con carrette, cesti colmi d'ogni ben-di-dio; di notte h<strong>anno</strong><br />

sfondato negozio Bosetto ecc…, quindi il saccheggio è generale. Infamie<br />

senza nome! A Serravalle si è fatto ancora di peggio». «Ho visto uscire dal<br />

palazzo Luccheschi di Serravalle donne e fanciulli con mobili rubati!!». (Di<br />

Ceva, 16, 71). «In via Re Umberto scorsi una gran folla vociante di fronte al<br />

negozio Borsetto. Non sapendo cosa stesse succedendo mi avvicinai e notai<br />

con stupore che le porte del negozio erano state abbattute, e che la gente<br />

usciva con le braccia cariche di bottiglie e di dolciumi. Per la gran ressa, le<br />

bottiglie cadevano spesso di mano a coloro che se n'erano impossessati, e si<br />

rompevano sul selciato». 9 Idem a Conegliano, sempre il 7 novembre.<br />

8 E.A.ROSA, Un <strong>anno</strong> con l'Armata del Grappa, Brescia, Tip.Apollonio, 1982, pp.36-37. Lo stato di guerra normalizza<br />

la prepotenza anche nell'Italia libera. Numerosi casi di appropriazioni indebite da parte di soldati italiani<br />

e inglesi (oggetto anche di proteste scritte da parte delle vittime) si trovano segnalati, per esempio, nel diario di<br />

A. DAL COLLE, cappellano a Montebelluna, Diario di Guerra durante l'Offensiva sul Piave, a cura di P.ASOLAN e<br />

G.GALZIGNATO, Cornuda, Antiga, 1997. Sul punto anche B. BUOSI, Dietro le linee del Grappa e del Montello, in<br />

AA.VV., Il fronte <strong>della</strong> Marca Trevigiana, Treviso, Istrit e Provincia di Treviso, 2008, pp.97-100. Invece, scendendo<br />

lungo il Piave, troviamo, dalle parti di Fagarè, un Adolfo Omodeo occupato a rimettere in sesto una postazione d'artiglieria.<br />

Scriveva alla moglie il 17 novembre '17: «Buona gente i veneti, a differenza dei friulani. Anche in questi<br />

momenti diffi cili serbano una serenità meravigliosa e una grande cordialità verso i soldati, che pure non sono troppo<br />

riguardosi, e si considerano un po' padroni del territorio. Dell'ospitalità di questa povera gente serberò sempre un<br />

ricordo commosso». A. OMODEO, Lettere 1910-1946, Torino, Einaudi, 1963, p.236. E anche secondo Mario Isnenghi<br />

questi episodi non avrebbero lasciato tracce sgradevoli nella memoria collettiva.<br />

9 I. TOMASIN, L'<strong>anno</strong> di Vittorio Veneto. 1917-1918, Citta<strong>della</strong>, Rebellato, 1966, p.24. Sulla prima pagina del manoscritto<br />

si legge: «Isidoro Tomasin barbiere. Un <strong>anno</strong> di vita sotto il dominio austro-germanico. La prima versione<br />

152


Comincia il saccheggio in città, ove affl uiscono, a frotte, contadini dai dintorni, specie donne. La<br />

popolazione cittadina, in gran parte, emula l'azione delle campagne. Il movimento si protrae fi n nella<br />

notte. Non c'è più ombra di agenti che sorveglino e tutelino. Siamo in piena anarchia. […] C'è per l'aria<br />

un movimento morboso, che fa sparire ogni ombra di pudore. […] Si vedono donne, ferme davanti a<br />

qualche negozio, che stimolano i passanti, anche soldati, ad abbatterne le porte. […] Nella pazza fretta<br />

del compito, si veggono per le strade, dispersi, oggetti di salmeria ed altro, come pezzi di lardo, di<br />

formaggio, ecc. Si vedono portar via tessuti di ogni specie, qualche materasso, coperte di lana, ed altri<br />

oggetti molti. […] Don Sebastiano Dall'Anese, si affanna a spogliare le donne di tutto quanto st<strong>anno</strong><br />

portando via. (Della Barba, 4-5).<br />

A Valdobbiadene, anche dopo l'arrivo degli invasori:<br />

Continua il saccheggio delle case private e dei negozi, non solo di commestibili ma di tutti i generi.<br />

È un saccheggio <strong>org</strong>anizzato metodicamente e non lascia intatta casa alcuna. Con dolorosa sorpresa<br />

constatiamo che osa prendervi parte anche qualche b<strong>org</strong>hese. Molti però lo f<strong>anno</strong> per venire in aiuto al<br />

negoziante, e li vediamo far la spola tra la casa del proprietario e la bottega. Ma parecchi, purtroppo, si<br />

dirigono ai b<strong>org</strong>hi coi grembiuli o con ceste cariche di merce. (Arrigoni, 25).<br />

Non solo cose di cui ci si può sfamare, ma anche oggetti che possono far<br />

sempre comodo. Una rapacità pronta a cogliere al volo l'occasione buona,<br />

che nella plateale esecuzione prende anche l'aspetto di una sfi da impunibile,<br />

di un accanimento rancoroso, di una voglia di vendetta contro chi ha potuto<br />

mettersi in salvo, contro chi magari inneggiò alla guerra e poi ha tagliato la<br />

corda quando la guerra è entrata in casa. «Avvilimento generale, esasperazioni<br />

ed ansie. Dappertutto si corre all'impazzata chiedendo notizie, e salutando gli<br />

ultimi partenti, contro i quali, da taluni, si insolentisce gridando loro, con aria<br />

di sarcasmo: V<strong>anno</strong> alla conquista di Trieste…». (Della Barba, 4).<br />

Una guerra fuori posto<br />

Nel corso del 1917, le alterne fortune <strong>della</strong> guerra sui vari fronti europei<br />

erano andate affl osciando l'ottimismo delle previsioni che circolavano<br />

inizialmente sulla possibilità di una imminente conclusione del confl itto.<br />

Le perdite umane avevano raggiunto cifre impressionanti da ambo le parti<br />

e il logoramento morale oltre che materiale delle forze in campo poteva<br />

giustifi care la speranza di una conclusione per esaurimento. Ragioni d'ordine<br />

logistico facevano propendere per un esito favorevole all'Intesa, in relazione<br />

al blocco navale che danneggiava il fl usso di rifornimenti anche alimentari<br />

alle popolazioni delle potenze austro-tedesche e soprattutto in seguito alla<br />

di questa storia la scrissi nell'<strong>anno</strong> 1921».<br />

153


decisione presa dagli Stati Uniti di entrare in guerra. 10<br />

Ma dopo i contrastanti risultati ottenuti tra Asiago e Isonzo in maggiogiugno,<br />

anche la stampa più entusiasta aveva moderato i toni. E tuttavia ciò<br />

che gli autori dei nostri diari non supponevano minimamente era proprio<br />

l'eventualità di uno sfondamento delle linee di confi ne e di un'invasione che<br />

dilaga fi no al Piave.<br />

La sorpresa ha più a che fare con questa inammissibile eventualità che con<br />

la difettosa <strong>org</strong>anizzazione delle notizie in quei giorni a cavallo tra ottobre e<br />

novembre. Le reticenze dei comandi militari e le comprensibili indecisioni<br />

delle spaurite amministrazioni comunali erano state sopraffatte dall'eloquente<br />

spettacolo dei nostri soldati in confusa ritirata, mescolati ai profughi friulani in<br />

disperata fuga. Questa verità esplicita aveva fatto rapidamente giustizia di ogni<br />

astuzia diplomatica, di ogni riserbo tattico e inoltre smontava la consolidata<br />

convinzione che la guerra, fossilizzata lungo l'Isonzo, fosse defi nitivamente<br />

confi nata a ridosso di quei territori imperial-regi sui quali prima o poi avrebbe<br />

dovuto senz'altro sventolare la bandiera italiana.<br />

La guerra di posizione, insomma, aveva potuto legittimare l'idea che per<br />

il confl itto a fuoco esistesse un luogo apposito, ben distinto e lontano dal<br />

mondo abitato dai civili, ai quali poteva sembrare già un carico suffi ciente<br />

aver dato alla leva i fi gli migliori e sottoscritto i prestiti nazionali a sostegno<br />

dell'impegno bellico. 11<br />

L'immobilismo <strong>della</strong> guerra di posizione aveva potuto almeno allontanare lo<br />

spettro <strong>della</strong> guerra totale, nelle forme con cui si era presentata prepotentemente<br />

nei primi mesi del confl itto, come una guerra del tutto diversa da quelle<br />

già note, ora combattuta per terra, per mare e perfi no per aria, con enorme<br />

10 Ancora priva di effetti pratici sul terreno, tuttavia. La dichiarazione di guerra alla Germania da parte degli USA<br />

porta la data del 6 aprile 1917, ma, a parte gli aiuti per mare (in un momento critico per la micidiale offensiva dei<br />

sommergibili tedeschi), le prime truppe americane sbarcarono in Francia tre mesi dopo. E la vera e propria entrata<br />

in azione si ebbe soltanto nella primavera del 1918.<br />

11 Nel febbraio 1917 era stato lanciato il 4°Prestito di Guerra, che da queste parti sembra non abbia avuto calorosa<br />

accoglienza, malgrado la Gazzetta del Contadino si industriasse a presentare l'adesione nei modi più suadenti.<br />

«Affermano il falso quei cattivi cittadini che, specialmente nelle campagne, v<strong>anno</strong> dicendo che il denaro dato al<br />

Governo serve a prolungare la guerra. No, no; il denaro è invece necessario a raggiungere più presto la vittoria. […]<br />

Ogni casa di campagna abbia, conservata in un quadro, la cartella del Prestito. Così accanto all'immagine sacra che<br />

attesta la vostra fede religiosa, accanto al ritratto del Re che fa prova <strong>della</strong> vostra italianità, si troverà la cartella del<br />

Prestito a dimostrare il vostro patriottismo, il vostro contributo a favore <strong>della</strong> pace vittoriosa». In: la Gazzetta del<br />

Contadino del 18 febbraio 1917. Andrà crescendo invece il tributo di vite umane al fronte. Alla fi ne del 1917 erano<br />

quasi tremila i soldati caduti appartenenti a famiglie trevigiane residenti nei 47 comuni <strong>della</strong> Sinistra Piave. A guerra<br />

conclusa risulter<strong>anno</strong> 4.387 (di cui 10% in prigionia): per il 31.9% provenienti dall'opitergino, per il 28.3% dal coneglianese,<br />

per il 25.1% dal vittoriese, per il 14.6% dal valdobbiadenese. Il totale corrisponde al 48.3% dei caduti<br />

<strong>della</strong> provincia di Treviso, i quali furono complessivamente 9.086. V<strong>anno</strong> poi aggiunti i 247 deceduti nel 1918 (di<br />

cui 116 <strong>della</strong> Sinistra Piave). Ho calcolato questi dati numerici sugli elenchi nominativi forniti da una fonte uffi ciale<br />

come l'Albo d'Oro: Ministero <strong>della</strong> Guerra, Militari caduti nella Guerra Nazionale 1915-1918, vol.XXVI, Roma,<br />

Vecchioni e Guadagno, 1964.<br />

154


impiego di masse combattenti, appoggiate da armamenti mai visti prima. 12<br />

Ma che, soprattutto, si svolgeva ora senza esclusione di colpi. Le popolazioni<br />

civili, pur disarmate e inermi e del tutto impreparate a sostenere queste prove<br />

sconosciute e inattese, vi erano coinvolte pienamente, non più come bersaglio<br />

incidentale, ma come fossero masse combattenti a fi anco dei soldati in armi.<br />

L'invasione del Belgio neutrale, i bombardamenti degli Zeppelin sulle città<br />

inglesi erano altrettante prove cruente di questa provocata partecipazione<br />

totale allo scontro bellico, senza distinzioni di ruoli tra persone in divisa e<br />

persone in b<strong>org</strong>hese. Nessuno poteva sottrarsi alla violenza dello scontro. 13<br />

Una guerra totale, per i mezzi impiegati e per gli attori in campo, attivi o<br />

passivi che fossero.<br />

L'Isonzo, segnando plasticamente la separazione tra il mondo <strong>della</strong> guerra<br />

e il mondo <strong>della</strong> società, aveva almeno tenuto a bada l'incubo di un tale<br />

coinvolgimento. Ma quando la guerra lascia le trincee, tutti sono in ballo,<br />

12 I diaristi non f<strong>anno</strong> mostra di acc<strong>org</strong>ersene. Anzi, si meravigliano che gli invasori usino ridicoli mezzi di fortuna.<br />

Come quando li vedono togliere gli ombrelli ai civili per ripararsi dalla pioggia o spingere carrozzini da bambini<br />

per portar via la roba. E nelle colonne in marcia: «In maggioranza carri poco dissimili da quelli degli zingari,<br />

autocarri con ruote di ferro pesantissimi e pochi in paragone di quelli di cui disponevano i nostri». (Ciganotto, 51).<br />

L'unica novità che li colpisce davvero è l'aereo, non per i contenuti tecnici del mezzo o per la novità del suo impiego<br />

offensivo quanto per l'ardimento dei piloti e la grandiosità <strong>della</strong> scena offerta dai duellanti in volo. La maestra di<br />

Campolongo, che vive in aperta campagna, può assistere con infantile allegria al volteggiar degli aerei che si dànno<br />

la caccia. Il Caproni «sembrava ancor più bello illuminato dai raggi del sol nascente, solcava il cielo impavido, con<br />

lentezza quasi sfi dando gli schrapnells che tutto l'attorniava. Era magnifi co!». (Casagrande, 16).<br />

13 Un precedente, lontano nel tempo e nello spazio, si può trovare nella Guerra civile americana, la quale però ha<br />

nella sua stessa specifi cità le ragioni del coinvolgimento totale. Viene da qui il primo esempio di abbattimento e fusione<br />

delle campane per ricavarne proiettili. Una pratica che ripetuta in Veneto, recherà profonda offesa al sentimento<br />

religioso dei nostri contadini. Un'esperienza diretta di coinvolgimento totale l'avevano già conosciuta gli abitanti<br />

di Treviso, colpiti dalla prima incursione aerea nella notte del 19 aprile 1916, con 10 morti e numerosi feriti. Furono<br />

31 le incursioni con oltre 1500 bombe sganciate sulla città, provocando complessivamente 48 vittime. La prassi<br />

<strong>della</strong> guerra totale fu teorizzata poi, a cose fatte, nel 1935, dal capo di stato maggiore tedesco Erich Ludendorff.<br />

Deprecando questo genere di coinvolgimenti, c'è chi, come Franco Cardini, ha 'nostalgia' per le guerre di antico regime,<br />

perché ancora prive di quella micidiale potenza di fuoco che gli sviluppi tecnici sapr<strong>anno</strong> in seguito approntare,<br />

con l'aggravante di procurare effetti fuori controllo. F. CARDINI, Quell' antica festa crudele. Guerra e cultura <strong>della</strong><br />

guerra dal Medioevo alla Rivoluzione francese, Milano, Mondadori, 1997, pp.441-443. Incalza Roger Caillois:<br />

«Non c'è più campo di battaglia ben defi nito. Era una zona circoscritta, paragonabile alla lizza, all'arena, al campo<br />

da gioco. Questo recinto destinato alla violenza almeno lasciava intorno a sé tutto un mondo governato da leggi più<br />

clementi». Ora invece «La battaglia diventa faccenda di massa […] Così viene colpito il più debole. […] Sempre più<br />

spesso la guerra viene condotta di notte e con il massacro reciproco di popolazioni disarmate, il cui lavoro permette<br />

l'approvvigionamento dei combattenti». R. CAILLOIS, L'uomo e il sacro, Milano, Bollati Boringhieri, 2001, p. 168.<br />

Sono solo cambiate le regole oppure armi sempre più potenti h<strong>anno</strong> preso la mano ad utenti senza scrupoli? Stracciato<br />

il galateo, l'antica nobiltà è stata traviata dalla moderna perversità meccanica dei mezzi oppure è l'estensione<br />

dei fi ni, l'ampliamento degli obiettivi a pretendere un potenziamento dei mezzi? Non più solo limitate rettifi che di<br />

confi ni, nuovi campi di colore sulle mappe del mondo ma veri e propri scontri di culture se non di civiltà. E più si<br />

caricano i confl itti di signifi cati universali, più vengono indottrinate le nazioni e messe in campo, schierate le società<br />

(perché con gli eserciti di massa prendano parte attiva allo scontro), più i cosiddetti civili si trovano esposti a subirne<br />

gli effetti. I confl itti allora non sono più regolamentati e concordati tra élites guerriere, come ricorda Cardini, ma<br />

lotte di popolo tra nazioni. La guerra totale diventa guerra civile. Non a caso il contemporaneo sviluppo delle teorie<br />

giuridiche sui diritti dei civili non ha sortito effetti pratici. La convenzione dell'Aja del 1907 non riuscì a sancire più<br />

che sanzioni pecuniarie e nel 1919, a Versailles, il trattato di pace si occupò signifi cativamente di crimini di guerra,<br />

non di crimini contro l'umanità. B. BIANCHI, I civili: vittime innocenti o bersagli legittimi?, in La violenza contro<br />

la popolazione civile nella Grande Guerra, a cura di B.BIANCHI, Milano, Unicopli, 2006, pp. 74-82. E. TRAVERSO, A<br />

ferro e fuoco. La guerra civile europea 1914-1945, Bologna, Il Mulino, 2007, pp. 77-79, 91-92.<br />

155


senza scampo. Con qualche paradossale conseguenza. Che, per esempio, il<br />

primo civile caduto a Valdobbiadene, Luigia Orsolina, sia stato colpito dalla<br />

scheggia di una granata dell'artiglieria italiana. (Pivetta, 4). E che la stessa<br />

sorte sia toccata di nuovo a una donna, Rosa Zanin, a Pieve di Soligo, per un<br />

colpo sparato dal Montello. 14 E qualche mese più tardi anche all'arciprete di<br />

Conegliano, mons. Sebastiano Dall'Anese, sorpreso nel sonno.<br />

Ora l'invasione traccia anche per i civili un nuovo fronte. Tutto diverso<br />

però da quello dei combattenti. La prima linea si materializza disponendosi<br />

lungo le sponde di un altro fi ume (e prelude – sbollite le prime scalmane<br />

austriache di arrivare subito al Po – a una nuova guerra di posizione). Per<br />

i civili invasi invece questo nuovo fronte diventa anche un tratto interiore.<br />

Sono costretti a mescolarsi al nemico, sorprenderlo a rovistare per casa,<br />

insopportabilmente invadente mentre viola l'intimità dei luoghi più cari e più<br />

intimi, mentre maneggia gli oggetti d'uso più personale.<br />

In questo primo contatto fi sico con i conquistatori il furto <strong>della</strong> biancheria<br />

e l'occupazione <strong>della</strong> camera da letto sono sofferti come una profanazione<br />

intollerabile.<br />

Chi vive in trincea non possiede questa ottica ravvicinata (e il problema<br />

<strong>della</strong> biancheria è rinviato). Per i combattenti in prima linea il nemico è un<br />

punto sul terreno da prendere a c<strong>anno</strong>nate, una sagoma in corsa da colpire<br />

mentre si inquadra nel mirino. La distanza dona un anonimato bilaterale,<br />

cancella ogni identità personale. Il bersaglio perde consistenza umana. 15<br />

Col nemico in casa invece l'ottica cambia letteralmente, il punto di vista dei<br />

civili è un altro. Ai civili capita spesso di parlare col nemico (è in particolare<br />

il caso di una polemica Bianca Brustolon), di intrattenere dei rapporti anche<br />

amichevoli, con gesti di compassionevole solidarietà (è il caso <strong>della</strong> famiglia<br />

Pivetta).<br />

14 In questo caso però, chi ricorda l'episodio a distanza di quarant'anni, non può trattenersi dal caricarlo di una pietà<br />

interessatamente motivata secondo senno del poi. La scheggia italiana ha colpito la vittima «senza dilaniare il fragile<br />

corpo adolescente […] la trovarono distesa, serena, come in un sonno infantile. […] Pochi giorni prima aveva chiesto<br />

al Signore questa morte piuttosto che essere violentata dai tedeschi». G. SCHIRATTI, Un <strong>anno</strong> d'invasione nemica.<br />

Pieve di Soligo 1917-1918, Pieve di Soligo, Industrie Grafi che, 1958, p. 13.<br />

15 Perfi no al fronte sparare può diventare un gesto diffi cile, se il bersaglio si anima di umanità. Lo ammette Emilio<br />

Lussu, quando gli capita l'occasione di poter ammazzare comodamente un giovanissimo uffi ciale austriaco, sorpreso<br />

in un momento di rilassato riposo. «Bastava che premessi il grilletto: egli sarebbe stramazzato al suolo. Questa<br />

certezza che la sua vita dipendesse dalla mia volontà, mi rese esitante. Avevo di fronte un uomo. Un uomo! Un<br />

uomo! […] Tirare così, a pochi passi, su un uomo…come su un cinghiale!». E. LUSSU, Un <strong>anno</strong> sull'altipiano,Torino,<br />

Einaudi, 1964, p. 137. Le distanze ravvicinate, inoltre, favoriscono complicità e incontri. Durante il tacito armistizio<br />

di una Pasqua sul Merzli, due «nemici» si riconoscono per aver lavorato assieme in una fabbrica in Boemia, e si<br />

corrono incautamente incontro per un abbraccio amico sulla terra di nessuno. C. SALSA, Trincee, Milano, Mursia, pp.<br />

158-159. Dove le trincee opposte sono separate da pochi metri, i loro abitanti riescono ad allacciare contatti pacifi ci,<br />

scambiandosi qualche parola e perfi no qualche piccolo dono. Se dalla parte degli austriaci scarseggia il cibo, agli<br />

italiani mancano le sigarette. Ne nasce un baratto fraterno, che rinvia la durezza dello scontro. L. FABI, Gente di<br />

trincea. La grande guerra sul Carso e sull'Isonzo, Milano, Mursia, 1994, pp. 195-200.<br />

156


Alla sorpresa per l'inaspettata invasione segue la scoperta che il nemico<br />

è affamato e anche straccione. Non ci sono soltanto prepotenza e violenza.<br />

L'incuria di sé, il sudiciume, la totale mancanza d'igiene, l'ostentata e spregiativa<br />

esibizione dei propri bisogni corporali sono altrettante manifestazioni<br />

che sconcertano, urtano con una idea più elegante <strong>della</strong> guerra, come se la<br />

promiscuità <strong>della</strong> trincea potesse essere compatibile con la pulizia e il decoro,<br />

o nella bislacca idea che le trincee nemiche siano diverse (e peggiori) da<br />

quelle italiane.<br />

«I bosniaci h<strong>anno</strong> fatto gran cambio di biancheria sostituendo la propria<br />

con quella lasciata in deposito dal 56° fanteria, ammucchiando quella sudicia<br />

sotto le fi nestre <strong>della</strong> nostra cucina. Pensa, Pierina, ho innondato i davanzali<br />

di petrolio». (Arrigoni, 30). È quest'aria di trincea che entra in città che fa<br />

ribrezzo, che segna il confi ne, che scava un solco tra la guerra e la società.<br />

Che è poi un altro modo di esprimere il proprio rifi uto a farsi coinvolgere nel<br />

confl itto come attori primari ancorché vittime. Bianca Brustolon scrive che<br />

prima dell'invasione in casa «regnava l'allegria, e la pace». (Brustolon, 25).<br />

Dopo lo sconcerto del primo impatto, ci si chiede come sia potuto accadere<br />

tutto ciò, come un nemico tanto mal messo sia potuto arrivare al Piave quando<br />

ci si aspettava di arrivare noi a Vienna. Un nemico così poco rispettabile, così<br />

vulnerabile nella sua precipitosa necessità di soddisfare bisogni primari in tutta<br />

fretta. «Alle 11 i primi che avanzano sono tutti Bosniaci dalle faccie smunte e<br />

macilenti, maledetti!». «Pur oggi arrivarono molti Bosniaci, stanchi affamati,<br />

tutte le età, vecchi che f<strong>anno</strong> pietà». «Questa truppa non so comprendere<br />

come possa andare al fronte che non sono capaci di reggersi in piedi, quando<br />

passano di quà sono tanto macilenti, esausti sembrerebbero diretti a riposo».<br />

(Brustolon, 17-18, 29, 121). «Poco dopo ecco gli austriaci in lunga schiera,<br />

magri, stracchi, sfi niti, male equipaggiati e intenti a masticare pomi, noci,<br />

castagne». 16 «Affamati, scalcinati, depressi, come li vediamo accattar per le<br />

case, quale spirito bellico possono avere!». (Arrigoni, 90). «Non ho ancora<br />

visto un soldato Austriaco con un pezzo di pane, non ho ancora visto passare<br />

un solo carro <strong>della</strong> sussistenza». «Per un bel po' i malati e i feriti in questa<br />

nostra chiesa giacquero sulle pietre sopra un braccio di fi eno, pressoché<br />

ignudi. Arrivato quest'esercito, nudo sudicio, smunto da una prolungata fame,<br />

pieno di livore, in una regione ricchissima e abbondante di ogni ben di Dio si<br />

abbandonò al delitto, alla violenza e alla predoneria». (Ciganotto, 26, 70). A<br />

gennaio «I germanici ridotti nell'impossibilità di devastare nuove terre lasciano<br />

il fronte, vengono gli affamati, pezzenti, rozzi austriaci». (Casagrande, 11). 17<br />

16 Così mons. Camillo Fassetta, canonico e storico, insegnante al Seminario di Ceneda. C. FASSETTA, L'invasione<br />

Tedesca e La Battaglia di Vittorio, Vittorio, Longo e Zoppelli, 1923, p.12.<br />

17 A Pieve di Soligo la grande casa contadina dei Todesco, in b<strong>org</strong>o Stolfi , presso il guado del fi ume, viene tutta<br />

157


Cresce il dubbio che l'impresa possa essere proprio tutta merito di<br />

un esercito così mal ridotto. D'altronde non è possibile valutare l'effetto<br />

provocato nell'opinione pubblica (quella parte <strong>della</strong> popolazione che legge e<br />

si informa e quella che ne è toccata di rimbalzo) dal famoso bollettino n.887<br />

sulla «mancata resistenza». È il primo bollettino che Cadorna, il 28 ottobre, il<br />

giorno dopo la partenza da Udine, ha dettato a Treviso da palazzo Revedin, in<br />

B<strong>org</strong>o Cavour, dove ha stabilito la nuova sede del Comando.<br />

Il Gazzettino, il più diffuso quotidiano locale, non l'ha pubblicato se non<br />

il giorno dopo, nella seconda versione che ha smorzato un po' i toni. Solo la<br />

Gazzetta Trevisana, uscendo in edizione straordinaria nel pomeriggio del 28<br />

ottobre, si è sottratta all'edulcorazione degli emendamenti governativi. Ma<br />

per la modesta tiratura di questo giornale, con una diffusione probabilmente<br />

limitata ai centri maggiori, lo scoop non avrà forse avuto una grande risonanza<br />

tra i pochi lettori <strong>della</strong> provincia. 18<br />

I diari non f<strong>anno</strong> cenno al bollettino ma lo spettacolo di qualche episodio di<br />

diserzione non aiuta. A Valdobbiadene, il 5 novembre: «I carabinieri, baionette<br />

in canna, inquadrano gruppi di soldati sbandati, senza berretto, senza zaino,<br />

disarmati. Ad ogni tram li accompagnano al Comando di Treviso» (Arrigoni,<br />

16).<br />

Una precipitosa ritirata del nostro esercito – che per valore aveva meritatamente riscosso<br />

l'ammirazione del mondo intero – annullava in pochi giorni la guerra di due anni, e dava la patria in<br />

braccio alla desolazione, abbandonando questi fi orenti e ricchi paesi in preda al nemico. La defezione,<br />

dicono, di reparti <strong>della</strong> seconda Armata! È stata la causa di tanto disastro: ritirata, che per il modo, per<br />

la precipitosità, per le perdite in uomini e in materiale, non ha riscontro, credo, nella storia del mondo.<br />

Tutto considerato, tutto calcolato e ponderato: Digitus Dei est hic. (Ciganotto, 10).<br />

E, poi, le voci più varie corrono in fretta. «Un soldato istriano dice del<br />

tradimento di Tolmino. Uffi ciali nemici, vestiti di uniforme italiana, e parlanti<br />

perfettamente la nostra lingua, si sarebbero infi ltrati nelle nostre fi le, mettendo<br />

in scompiglio il campo, già predisposto indisciplinato». (Della Barba, 7-8).<br />

Prende piede il dubbio peggiore su Caporetto.<br />

occupata dagli invasori. «Gli uomini erano quasi tutti vecchi, sporchi, con le barbe lunghe, indossavano abiti rotti,<br />

fumavano la pipa e tra loro parlavano piano piano; qualcuno passando, mi accarezzava la testa e mi diceva sorridendo<br />

«kinder», ma la mamma non voleva che accadesse e quando se ne acc<strong>org</strong>eva mi portava subito in casa».<br />

Dai ricordi di Elisabetta Todesco, raccolti da Giuliano Bottani, direttore del Museo Storico <strong>della</strong> Grande Guerra di<br />

Maserada sul Piave.<br />

18 L'andamento <strong>della</strong> guerra ebbe ripercussioni gravi sulla vita <strong>della</strong> stampa locale, sia in termini di autonomia di<br />

giudizio che in termini materiali con la riduzione <strong>della</strong> foliazione. A maggior ragione, a cavallo di ottobre-novembre,<br />

l'invasione pregiudicò la regolarità <strong>della</strong> diffusione dei giornali in provincia. Con il numero dell'1 novembre 1917<br />

la Gazzetta Trevisana sospese le pubblicazioni (riprese nel 1919). Eppure, fi dandoci <strong>della</strong> testimonianza di Caterina<br />

Arrigoni, il 5 novembre a Valdobbiadene i giornali arrivavano ancora. Nello stesso giorno in cui gli Austriaci occupavano<br />

Cortina e attraversavano il Tagliamento a Codroipo e a Latisana.<br />

158


Quanto ci narra il signor Brunoro fi nisce di atterrirci e disorientarci in questo caos di notizie che<br />

corrono sulla nostra disfatta. Un suo colono, giunto qui dall'altipiano <strong>della</strong> Bainsizza, narra che il proprio<br />

sergente, un socialista, il 17 ottobre gli disse: Sta' allegro, fra otto giorni saremo tutti in Italia, a casa.-<br />

Come! Che dici mai? – Tu ricordati le mie parole e vedrai! Ma allora non i gas asfi ssianti insostenibili,<br />

bensì un tradimento preparato da lunga mano ha causato il disastro? (Arrigoni, 17)<br />

Col tempo il dubbio diventa convinzione. Bianca Brustolon <strong>anno</strong>ta il 25<br />

febbraio 1918:<br />

Oggi dissi a uno di Vienna: sa lei perché sono venuti in Italia loro? Lui pronto; perchè forza nostre<br />

armi: stia tranquillo le dissi io; che se h<strong>anno</strong> veduto paesi italiani lo fu perché ci h<strong>anno</strong> tradito ; altrimenti<br />

mai mai voi avreste calpestato terra Italiana.<br />

E il 2 aprile:<br />

Se i traditori avessero sapute le conseguenze d'un'invasione, che avessero fatto egualmente questo?<br />

[…] Alcuni prigionieri italiani mi dissero che Cadorna è stato il traditore, sarà vero questo? Veramente<br />

il bollettino del 6 era fi rmato Generale Diaz. (Brustolon, 86, 104, 160).<br />

D'altra parte le prime impressioni su Caporetto sono mediate dai racconti<br />

dei soldati in ritirata e le versioni che si accavallano sono così poco concordi<br />

da non deporre affatto a favore di sentimenti patriottici. «Qui il 29 cominciano<br />

a giungere militari, soli, a capannelli, randagi, sbandati, inconsci; anzi<br />

qualcuno osa vantarsi: «per merito nostro sar<strong>anno</strong> i capi costretti alla pace»,<br />

infelice!». 19<br />

Per il parroco di Salgareda, don Pietro Sartor, alla convinzione che a<br />

Caporetto siano stati dei traditori ad aprire la strada al nemico, si aggiunge<br />

la prova del teorema tutto cattolico che alla origine prima ci sia la camorra,<br />

che si annida nelle fi le <strong>della</strong> Massoneria, il nemico assoluto <strong>della</strong> Chiesa. La<br />

truppa sarebbe dunque esente da colpe, preferendo il parroco collocare in alto<br />

le responsabilità del disastro. 20<br />

I dubbi sulla lealtà e sullo spirito combattivo dei nostri soldati tornano<br />

più brucianti nel giro di qualche settimana. La battaglia d'arresto sul Piave<br />

ha avuto costi altissimi, soprattutto alle pendici orientali del Grappa, dove si<br />

era concentrato lo sforzo nemico. La nostra resistenza ha avuto successo ma<br />

è costata molti prigionieri, che gli invasori f<strong>anno</strong> sfi lare più volte per le strade<br />

di Vittorio per moltiplicare la misura del bottino, demoralizzare le vittime e<br />

19 FASSETTA, L'invasione Tedesca, cit., p.7.<br />

20 R. TOFFOLI, «Piovan» di una chiesa distrutta. Memorie di guerra di don Pietro Sartor, 1917-1918. A cura<br />

dell'Amministrazione Comunale di Salgareda. Salgareda, Marpress, 2007, p.111. Ma, seguendo una voce che corre<br />

tra i parrocchiani, si sente un'altra musica: «Sborai de Taliani, boni da gnent! I va in guera, sti sfondrai, e no i xe boni<br />

de respinger i Todeschi! Cesare Borin el me gavea dito che in novembre nol sarìa pi sta sul Carso». p.88.<br />

159


aumentare lo sconforto nella gente che assiste allo spettacolo. Sconforto <strong>della</strong><br />

pietà ma anche <strong>della</strong> delusione e del dubbio.<br />

Sono andata a trovare i miei amati zii, con questa combinazione ho veduto tanti prigionieri nostri,<br />

sfi niti, macilenti. Dissero che furono fatti prigionieri sul Grappa il giorno 15 [dicembre], se vero<br />

questo f<strong>anno</strong> compassione, caso contrario pagher<strong>anno</strong> il loro capriccio a caro prezzo […]. Prigionieri<br />

nostri soliti li f<strong>anno</strong> girare per tutte le vie, li f<strong>anno</strong> stancare per poi poveri s'ammalino, quanti e quanti<br />

se preferito darsi prigionieri ora sar<strong>anno</strong> pentiti, ma troppo tardi.[…] Prima i nostri prigionieri mi<br />

faccevano compassione ora mi sono venuti odiosi poiché diversi h<strong>anno</strong> il coraggio di dire che h<strong>anno</strong><br />

oltrepassato il Piave questi; e che vadino pur avanti; questi non h<strong>anno</strong> amor patrio, né amore alla<br />

famiglia parlando in tale modo mi ripugnano, più ancora confermano d'aversi dato loro prigionieri.<br />

(Brustolon, 49-51, 52).<br />

Nel maggio molti prigionieri italiani vengono inopinatamente trasferiti<br />

da Toblach a Vittorio. «Anche Pia narra del raccapriccio destato dai poveri<br />

prigionieri scesi da Toblac, i quali muoiono di fame e se possono si gettano<br />

avidamente sulle ossa scarnate e mezze putrefatte abbandonate in qualche<br />

fosso, sui rifi uti degli immondezzai e dei secchiai. Al loro avvilimento fi sico<br />

si eguaglia quello morale, tanto più che qualche donna, ormai esasperata dalla<br />

fame, rinfaccia loro il tradimento». (Arrigoni, 144).<br />

Qualche settimana dopo, nei giorni dell'infelice inizio <strong>della</strong> battaglia del<br />

Solstizio, la scena si ripete a Refrontolo. «Comincia lo stuolo dei prigionieri<br />

italiani ricevuti dalla popolazione con improperi» (Spada, 91). «So che<br />

son passate colonne intere di prigionieri italiani. Vengono dal Montello<br />

inneggiando alla prigionia. Chiedono vino, domandano alberghi per ristorarsi.<br />

Disgraziati!». (Casagrande, 14). Circolano subito voci di un nuovo cedimento<br />

delle truppe italiane. «Tutto questo ha prodotto nel popolo una costernazione<br />

nell'intero senso <strong>della</strong> parola: ma insieme ha provocato degli scatti di ira e<br />

di sdegno vivacissimi contro i nostri soldati, che, secondo lui o tradiscono o<br />

sono vili. – «Sono sette mesi che noi sopportiamo sofferenze e maltrattamenti<br />

incredibili: ed essi in sette mesi non sono stati capaci di preparare una buona<br />

difesa». (Ciganotto, 157-158). 21<br />

21 Reazioni comprensibili queste, nel clima di sfi ducia esasperato dalla durezza <strong>della</strong> vita quotidiana che fa crescere<br />

l'ansia per l'attesa <strong>della</strong> liberazione. Invece un proposito ben più calcolato ispirava il comportamento governativo,<br />

altrettanto sospettoso verso il contegno dei nostri prigionieri. Centellinare gli aiuti nei campi di concentramento era<br />

una forma di punizione a distanza e poteva essere un modo effi cace di ottenere indirettamente al fronte un effetto<br />

deterrente contro possibili tentazioni di diserzione. Questo atteggiamento si inasprì dopo Caporetto, quando altri<br />

300mila prigionieri andarono ad affollare i campi di concentramento austriaci e tedeschi. Si è calcolato che 100mila<br />

ne siano morti di stenti, anche a seguito <strong>della</strong> crisi <strong>anno</strong>naria dell'Impero, che non poteva non aggravare il già precario<br />

regime alimentare dei prigionieri. A differenza degli alleati dell'Intesa, l'Italia si distinse per una sostanziale<br />

indifferenza verso la sorte dei propri prigionieri, grazie alla perfetta sintonia tra le vedute punitive del Comando<br />

Supremo e l' intransigente ostilità manifestata dal ministro degli Esteri Sidney Sonnino. G. PROCACCI, Soldati e pri-<br />

160


E il nemico non manca di speculare su questa sfi ducia. «Un Uffi ciale dei<br />

mitraglieri mi disse: «Quando nostri soldati andare all'assalto cridano: 'via le<br />

armi' e soldati Italiani alzare subito le mani»». (Rossetto, 58).<br />

I diari rifl ettono questo miscuglio di sentimenti popolari contraddittori.<br />

C'è fi ducia e sfi ducia assieme sulla capacità del nostro esercito di ripassare il<br />

Piave. Come tutte le convinzioni che si muovono sull'onda delle emozioni,<br />

speranza e rassegnazione si alternano. C'è allo stesso tempo voglia di pace e<br />

voglia di guerra.<br />

Per un verso è un fatto che la dura resistenza al Piave ha impedito che<br />

l'invasione dilagasse fi no agli ambiziosi traguardi del Po e oltre. La ritrovata<br />

tempra combattiva dell'esercito italiano ridà sicurezza contro le mortifi cazioni<br />

<strong>della</strong> spavalderia con cui, durante i primi giorni, gli invasori schernivano i<br />

civili annunciando l'imminente occupazione di Treviso, di Venezia, di Milano,<br />

di Roma infi ne, per liberare il papa prigioniero. Aiutano la speranza anche le<br />

strampalate novità raccontate dagli invasori. «I tedeschi h<strong>anno</strong> narrato che i<br />

nostri alleati dal Montello, con un sistema di specchi, vedono tutto ciò che<br />

f<strong>anno</strong> gli austriaci. Non basta! Una nuova macchina raccoglie tutti i loro<br />

discorsi». (Arrigoni, 108).<br />

E dunque dà conforto che gli invasori siano costretti a segnare il passo, a<br />

rinfoderare la loro baldanza. Ma c'è anche un risvolto di pene che si prolungano<br />

con il peso dell'occupazione. È una contraddizione insostenibile se non viene<br />

subito il contrattacco dei nostri, se continua a tardare il giorno <strong>della</strong> riscossa e<br />

<strong>della</strong> liberazione. Senza questa rimonta si precipita nella solita attesa indotta<br />

dalla guerra di posizione, che ora si è semplicemente spostata da un fi ume ad<br />

un altro. Ma l'Isonzo doveva essere un preludio di vittoria, mentre il Piave ora<br />

è il suo contrario, poiché segna il confi ne che contiene e chiude il territorio<br />

dominato dall'invasore.<br />

Se potevano esserci stati segni di cedimento alla stanchezza, un logoramento<br />

<strong>della</strong> fi ducia per una guerra che doveva essere lampo e invece da oltre due<br />

anni miete vittime ovunque senza risultati conclusivi, ora, al contrario, la<br />

guerra è necessario continuarla senza sosta poiché è diventata vitale guerra<br />

di liberazione. Lo è per i civili invasi, lo è anche per i fi gli al fronte, che ora<br />

h<strong>anno</strong> un movente in più per combatterla sul serio, sapendo le loro famiglie<br />

in mano al nemico, senza notizie sulle condizioni in cui si trovano. In questo<br />

ripiegamento individualistico svaniscono le prospettive espansionistiche<br />

o semplicemente irredentistiche che avevano scaldato le piazze trevigiane<br />

nel «maggio radioso». Lo stato di occupati cambia tutto nelle attese e nelle<br />

prospettive. La pace è un bene supremo. Ma non adesso, col nemico in casa.<br />

gionieri italiani nella Grande guerra, Milano, Bollati Boringhieri, 2000, pp. 177-182, 209-239.<br />

161


Piccoli profughi veneti accolti a Roma dalla Croce Rossa. ISTRIT.


Mentre al di là del nuovo fronte, sulla Destra Piave, gli argomenti pacifi sti<br />

possono ancora aver corso e il cappellano di Montebelluna può continuar<br />

a tuonare contro la guerra e chi l'ha voluta, 22 i preti dei territori invasi<br />

accantonano il messaggio di papa Benedetto XV contro «l'inutile strage». 23<br />

Mai quanto in occasioni come queste sentimenti pacifi sti sarebbero apparsi<br />

stonati, fuori luogo, rischiando la reazione di sentimenti anticlericali.<br />

La condizione d'invaso è una condizione di solitudine, quanto più sono<br />

affollati, caoticamente intasati paesi e contrade. Le crescenti privazioni<br />

materiali non logorano più delle sofferenze morali, che tengono la gente in<br />

stato d'angoscia permanente. «Ogni giorno passa meno sento il desiderio di<br />

scrivere, sono esausta. Mi sforzo contro volontà per avere un altro momento<br />

un diario di questi angosciosi giorni». «Lo scrivere è venuto noioso, pesante,<br />

poiché non si realizano mai i miei sogni, i miei desideri». «Vorrei scrivere<br />

a lungo specialmente dell'impressione che subisco ogni giorno col vedere<br />

nuove distruzioni, non ho voglia di farlo, poiché questa và completamente<br />

mancandomi; volentieri tralascerei di scrivere le memorie dolorose, è mamma<br />

che me lo impone di continuare». (Brustolon, 131, 155, 162).<br />

Mancano notizie dei famigliari lontani, mancano notizie sicure<br />

sull'andamento <strong>della</strong> guerra, mancano regole di una ordinata vita sociale.<br />

Oltre allo spavento dei primi giorni dell'invasione l'angoscia provocata dalla<br />

pressione psicologica degli invasori quando irridono sulla facilità con cui<br />

h<strong>anno</strong> avuto la vittoria e quando scherniscono i civili impauriti chiedendo<br />

loro notizie sulle strade che portano ai nuovi più ambiziosi traguardi. Tutto<br />

ciò non fa che aumentare il disorientamento e il panico.<br />

«Due giorni fa uno di questi ci disse: tre giorni Marco Plas otto giorni Rome<br />

Pape; con questo voleva dire che in tre giorni sar<strong>anno</strong> in Piazza S. Marco, in<br />

otto a Roma dal Papa». (Brustolon, 26). Un uffi ciale austriaco «calcola che il<br />

Piave sarà passato in quarantott'ore, poiché ormai l'esercito italiano non è più<br />

ri<strong>org</strong>anizzabile. Forse al Po ci sarà una certa resistenza: non più di quindici<br />

giorni. Poi sarà affare di pochi dì giungere a Roma. Chiede quanti chilometri<br />

dista da qui. – Circa settecento – rispondo – dicendo la prima cifra che mi<br />

viene in bocca». (Arrigoni, 22).<br />

22 DAL COLLE, Diario di Guerra, cit., pp. 59, 81, 107.<br />

23 Solo padre Lodovico Ciganotto si permette un rabbuffo, tra il polemico e l'ironico, rivolto a Sonnino. «Quando<br />

il nostro Ministro degli Esteri proclamava in Parlamento! (in risposta! Alla Nota diplomatica del S. Padre) l'inviolabilità<br />

«delle nostre frontiere, segnava l'ora e il momento –ironia delle cose – in cui il nemico, sfondate le nostre linee,<br />

varcava baldanzoso i vecchi confi ni <strong>della</strong> patria: Digitus Dei est hic, tanto evidente quanto vero è il fatto doloroso!».<br />

(Ciganotto, pp. 10-11). E altrettanto fa, per rapido inciso, mons. Emilio Di Ceva: «Italia, Italia! Che non volesti<br />

ascoltare la voce del Vicario di Cristo «tal giudicio incomincia per te !»». (Di Ceva, p. 24).<br />

164


È opinione comune tra gli invasori che breve sarà la loro sosta qui a Motta, e che si recher<strong>anno</strong><br />

ben presto a svernare a Venezia, a Padova, e…più in là. È ridicolo, ma insieme umiliante molto sentirsi<br />

chiedere da tanti idioti quanto disti ancora…Roma, dove si propongono d'andare, a seconda dell'umore,<br />

altri a fucilare il Re, altri ad impiccare il Papa.»Inebriate, per non dire pazze di una strepitosa, sì, ma<br />

facile vittoria, dopo una breve sosta sulla Piave, si ripromettevano di raggiungere Venezia (Venezia!<br />

Alta e bassa forza impazzivano al solo nome), poi una passeggiata militare al Po, e là o la pace separata,<br />

o a…Roma. Tante volte ci sentimmo chiedere ingenuamente: Quanto disti Roma da qui? Pare strano,<br />

pare pazzesco, pure è questa la verità. (Ciganotto, 28, 71).<br />

A Follina invece (dove il XV Corpo d'Armata austriaco si è insediato nella<br />

casa nativa di Jacopo Bernardi): «Altri, sempre soldati, sono convinti di dover<br />

andare a Roma, perché gli Italiani h<strong>anno</strong> ammazzato il Papa ed essi devono<br />

vendicare il grave delitto». (Rossetto, 50).<br />

In mancanza di notizie attendibili non resta che osservare il movimento<br />

delle truppe. Se ne arrivano di fresche dalla parte del Friuli vuol dire che il<br />

nemico ta preparando un'offensiva e c'è pericolo che riesca a passare il Piave.<br />

Se tornano dal Piave truppe malconce e immusonite segno che l'attacco è<br />

fallito e allora bisogna prepararsi ad altre requisizioni e altri soprusi che<br />

servir<strong>anno</strong> a sfamare gli sconfi tti e a rinfrancarne il morale.<br />

Tra dicembre e gennaio sgomenta tutti la notizia che gli Austriaci,<br />

fi accati dall'andamento <strong>della</strong> guerra, dalle divisioni in seno alla coalizione<br />

e soprattutto dalla carestia interna che provoca reazioni popolari anche a<br />

Vienna, starebbero trattando per una pace separata che metta presto fi ne alla<br />

guerra. Una conclusione che congelerebbe però i confi ni allo stato attuale,<br />

cioè al Piave, lasciando quindi agli invasori i territori occupati. 24<br />

24 Nel corso del 1917 si erano effettivamente svolti segreti contatti diplomatici promossi da Carlo I d'Asburgo per<br />

cercar di convincere inglesi e francesi ad una pace separata, ma senza successo. Il tentativo era stato inutilmente<br />

ripreso in dicembre su iniziativa inglese. Comunque i timori di una annessione austriaca del Veneto erano infondati<br />

poiché tale ipotesi non rientrava nel quadro delle trattative, per quanto potesse essere verosimile la ratifi ca di una<br />

situazione di fatto. Caporetto aveva apparentemente rafforzato l'Austria, pur a prezzo di una ribadita subalternità<br />

all'alleato tedesco, ma era la situazione interna del paese che stava rapidamente precipitando, in contrasto coi successi<br />

militari. A metà gennaio 1918 una riduzione del 15% nella razione dei cereali destinati alla popolazione civile<br />

aveva provocato uno sciopero degli operai <strong>della</strong> Daimler, che si era esteso poi a Vienna e a Budapest, andando oltre<br />

gli aspetti <strong>anno</strong>nari e assumendo risvolti anche politici, pericolosi per la stessa stabilità del governo. L. VALIANI, La<br />

dissoluzione dell'Austria-Ungheria, Milano, Il Saggiatore, 1966, pp. 360-365 e P. FIALA, 1918. Il Piave, Milano,<br />

Mursia, 1987, pp.28-31, 35-37. Gran parte dei mezzi di trasporto ferroviari disponibili erano stati impegnati per le<br />

nuove necessità di rifornimento alle truppe sul fronte del Piave e del Grappa, provocando per alcuni mesi una forte<br />

riduzione degli approvvigionamenti alimentari alla popolazione civile in patria. H. HEISS, «La morte dell'Aquila<br />

bicipite». Aspetti politici, militari e sociali dell'ultimo <strong>anno</strong> di guerra in Austria, in Al di qua e al di là del Piave.<br />

<strong>L'ultimo</strong> <strong>anno</strong> <strong>della</strong> Grande Guerra, a cura di G. BERTI – P. DEL NEGRO, Milano, Angeli, 2001, p. 125. Secondo Paolo<br />

Macry, ad aggravare la situazione molto contribuì l'ineffi cienza dovuta sia all'ipertrofi a burocratica che affl isse l'<strong>org</strong>anizzazione<br />

logistica sia a una eccessiva e contraddittoria produzione normativa. Dai diari si ha conferma di ciò anche<br />

per gli atti dell'amministrazione nei territori occupati. P. MACRY, Gli ultimi giorni. Stati che crollano nell'Europa<br />

del Novecento, Bologna, Il Mulino, 2009, pp. 103-111. Ma non si tratta solo di defi cienze riscontrate nella parte più<br />

debole dell'Impero. Secondo fonti uffi ciali, più di mezzo milione di civili sarebbero morti in Germania durante gli<br />

ultimi due anni di guerra a causa del blocco economico dell'Intesa. La violenza contro la popolazione cit., p. 458.<br />

165


Tra le molte notizie, fi glie <strong>della</strong> speranza, che circolano liberamente senza<br />

possibilità di verifi ca c'è però anche questa.<br />

Alle Basse, come qui, come nel Cadore, come oltre il Tagliamento, corre insistentemente la voce<br />

popolare che, se prima di sei mesi dalla loro venuta, gli austriaci non riuscir<strong>anno</strong> a passare il Piave, si<br />

ritirer<strong>anno</strong> pacifi camente. Quindi tutti si rallegrano. Ormai è questione di tre sole settimane. Come sarà<br />

nata questa strana credenza, articolo di fede per il popolo? Anzi, molti non si peritano di sostenere che<br />

questo è uno dei patti del tradimento conchiuso a Caporetto. (Arrigoni, 131).<br />

Nell'oppressione quotidiana di una occupazione che era stata inizialmente<br />

ritenuta un incidente presto risanabile (una reiterazione delle promesse del<br />

1915 di una rapida vittoria), e che invece si prolunga oltre ogni previsione,<br />

non mancano gli umani sbandamenti. Il disorientamento e l'infi acchimento del<br />

morale debilitano la saldezza dei nervi e delle convinzioni. A Vittorio: «Vedo<br />

il prof. Giusti che va elemosinando polenta da De Mori; ha la casa invasa;<br />

è disposto a cedere Trento e Trieste, purché la si fi nisca. È tutto dire!». (Di<br />

Ceva, 50). «Purtroppo è antipatriottico il dirlo, ma eravamo giunti a desiderare<br />

che gli Austriaci se ne andassero al di là del Piave per essere allontanati dalla<br />

guerra!» (Pivetta, 4). A Conegliano: «In luoghi di campagna ci si diverte.<br />

Si balla allegramente. Il suonatore d'armonica, intascato il denaro, ripiglia il<br />

ballo, e grida: «viva l'Austria»». «Qualche donna, che raccoglie merce gettata<br />

da soldati, grida «viva i germanici»». «Notizie certe recano che i tedeschi<br />

non possono passare il Piave. C'è chi piange al pensare che quei barbari non<br />

possono andare avanti, tanto per liberarseli dai piedi». (Della Barba, 7, 9, 10).<br />

A Godega S. Urbano: «Non ne possiamo più, mi ripetevano gli abitanti, siamo<br />

ammalati, non ci sono medicamenti, non lenzuola, non animali, è meglio che<br />

passino il Piave, l'Italia non si cura di noi». 25<br />

Le voci che corrono circa un tunnel che i tedeschi starebbero costruendo<br />

sotto il fi ume f<strong>anno</strong> crescere le apprensioni. Così come l'imponente e insolito<br />

ammassamento di uomini e mezzi a cui si assiste ai primi di giugno, preludio<br />

alla battaglia del Solstizio, che dovrebbe essere l'ultima e disperata carta in<br />

mano alle potenze centrali per vincere la partita sul fronte italiano.<br />

A tu per tu con il nemico<br />

L'ottica ravvicinata, che costringe a guardare il nemico in faccia, fa scoprire<br />

ai civili una varietà di fi sionomie che aumenta lo sconcerto dell'invasione,<br />

l'imbarazzo e il peso dell'estranea presenza. Anzi, l'estraneità si fa anche più<br />

25 Sac. P. MICHIELI, I miei 356 giorni di prigionia, in Diari dell'invasione. Godega, Bibano, Pianzano, a cura di I.<br />

AZZALINI E G. VISENTIN. Vittorio V., De Bastiani, 2002, p. 68.<br />

166


forte per queste connotazioni fi siche, così diverse da quelle che sono famigliari<br />

in paese.<br />

Allora nel giudizio s'impone l'uso delle categorie del Bello e del Brutto, che<br />

si combinano poi d'istinto con quelle sensorialmente contigue del Buono e del<br />

Cattivo, associando tra loro affi nità positive e negative. Così la disumanità dei<br />

comportamenti ha a che fare con la «disumanità» dell'aspetto. L'insofferenza<br />

soggettiva verso l'invasore si misura anche secondo questi criteri di sensibilità<br />

estetica. E nella graduazione è di grande aiuto la composizione multinazionale<br />

e multietnica dell'esercito austro-ungarico.<br />

L'avvicendamento al fronte di formazioni diverse, che lasciano ai rincalzi<br />

gli accantonamenti in paese per recarsi sulla linea del fuoco, permette di<br />

ampliare la conoscenza fi siognomica del nemico, per cui la cronaca quotidiana<br />

dei diari può anche stabilire una graduatoria di «merito» tra i diversi autori<br />

delle violenze e dei soprusi, dividendoli tra i rispettivi paesi di provenienza,<br />

vera o supposta che sia, ai quali vengono assegnati a occhio, non essendo<br />

così facile il riconoscimento di berretti, divise e mostrine. Ne scaturisce per<br />

comparazione una classifi ca caratteriologica dalla quale risulterebbe che i<br />

tedeschi sono peggiori degli austriaci, gli ungheresi sono peggiori dei boemi,<br />

che i turchi e i bosniaci sono forse i peggiori di tutti. E gli 'czechi' i migliori.<br />

«Tutti questi tedeschi sono così brutti, che l'eccezione fa meraviglia. E se<br />

ne vedi uno di discreto, se non è bosniaco, parla triestino». (Arrigoni, 201).<br />

«Faccie orrende e non meno orribili favelle».»Tutti, soldati e uffi ciali, sono<br />

unanimi nel dire che gli ungheresi sono «bestie crudeli». Sarà vero: ma io<br />

sono d'avviso che, fatte poche eccezioni specialmente per i boemi, sono tutti<br />

eguali». «Civiltà austro-teutonica, dirà qualcuno. Non so: Ripeterò ancora una<br />

volta che vi h<strong>anno</strong> molti e molti punti di contatto tra l'Austria e la Turchia»<br />

(Ciganotto, 22, 83, 214). «I Cechi-Slovacchi e gli Ungheresi lottano tra loro. I<br />

Boemi con i Cechi sono tutti con noi. I Bosniaci si battono per chi li paga; gli<br />

Slavi tentano un doppio giuoco per salvare il poi». (Dal Cin, 90).<br />

«Si dice male, ma molto male degli ungheresi, mentre si dice molto bene<br />

dei boemi che simpatizzano vivamente con l'Italia per la comunanza delle<br />

aspirazioni». «Passano, passano: sono i fi gli <strong>della</strong> Croazia, <strong>della</strong> Boemia, <strong>della</strong><br />

Carinzia, alcuni vecchi, curvi, occhio spento, inebetito con barba, ti guardano<br />

anche e salutano i feroci bosniaci ceffi da briganti, ammazzano con il revolver<br />

i temporali». (Di Ceva, 216, 277).<br />

Continua il passaggio interminabile di stirpi diverse, di varie nazionalità: agili istriani, robusti<br />

trentini, carnioli, boemi, moravi, slovacchi di larghe spalle, dalmati bruni, fl osci transilvani, croati goffi<br />

e poi col beretto a fez, brutti, sucidi, dall'aspetto selvaggio bosniaci, erzegovini. Cavalli stecchiti, di<br />

167


cui si contano tutte le costole, si trascinano a stento; qualcuno d'essi cade per via, due rantoli e muore.<br />

Carretti trainati a tiro due, forniti d'archetti, di sopra una tela stirata ed entravi un graduato; poco<br />

bagaglio, pochissime vettovaglie; alcune mucche, che mugghiano per fame, languono d'inedia. 26<br />

Questi zingari h<strong>anno</strong> il vero tipo che si attribuisce alla loro razza: occhi a mandorla vellutati, ciglia<br />

e capelli color ebano lunghi, lucenti e folti, denti bianchissimi. In complesso sono brutti assai. Possiamo<br />

proprio dire d'esserci trovati a contatto, peggio, in casa, con le razze più disparate e meno omogenee<br />

ai nostri sentimenti: bosniaci, germanici, magiari, zigani. Però, fra tutti, i peggiori, i meno civili, sono<br />

sempre quelli <strong>della</strong> Kultur. […] Quanto ai cavallereschi ungheresi del Ris<strong>org</strong>imento, lasciamoli ai poeti.<br />

Questi sono falsi come gli austriaci e spavaldi come i germanici, cioè h<strong>anno</strong> i vizi dei due, senza le<br />

qualità.[…] Triestini, romeni e boemi cercano di affratellarsi alla popolazione, ma evidentemente sono<br />

i più spiati, i più malvisti ed i più conculcati dai diversi commilitoni. Spiccatissimo l'odio fra ungheresi<br />

e boemi. Quando parlano con noi, i triestini non mancano di rinfacciarci Caporetto. (Arrigoni, 72, 136,<br />

145).<br />

Questi nuovi padroni, Austro-Ungarici, composti di più cinquine di nazioni non h<strong>anno</strong> quella serietà<br />

che si riteneva: sono dediti al mangiare come i Tedeschi: e più di questi spasimanti nel suonare, cantare,<br />

ballare, donnaggiuoli, per il che lascer<strong>anno</strong> rampolli di tutte le razze. Sono lazzeroni nel vestire: la<br />

camicia arriva alla metà <strong>della</strong> vita, f<strong>anno</strong> schiffo anche nel lavarsi: chi vede gli oggetti di cucina, non<br />

ha certo stomaco mangiare dei loro cibi. Essi biasimano la cucina italiana, e questo è un giudizio falso:<br />

<strong>della</strong> loro cucina dico che non è conforme ai buoni gustai o a persone civili. (Possamai, 160-162).<br />

Agli 'ospiti' vengono affi bbiati in dialetto nomignoli allusivi, come much<br />

a Miane o patatuc a Follina. La stranezza delle fogge, l'impronta marcata<br />

dei lineamenti, la brutalità dei modi rinverdiscono le impressioni riportate ai<br />

tempi delle letture scolastiche sulle scorrerie dei barbari selvaggi che h<strong>anno</strong><br />

abbattuto l'impero romano e sulle bande mercenarie che ne h<strong>anno</strong> ripetuto poi<br />

le prodezze. Affi ora un sedimento culturale rappreso da lunga data, che vede<br />

a Oriente la fonte delle secolari minacce per la civiltà europea e nei turchimusulmani<br />

la personifi cazione particolarmente crudele di tale minaccia alla<br />

Cristianità. 27 «Ricordai i lanzichenecchi descritti dal Manzoni». (Casagrande,<br />

8). «Sono stanca, oppressa, qui non v'è un fi ne, si spera un po' si dispera poi;<br />

mai pentita d'essere rimasta fra i barbari, così almeno potrò io pure parlarne<br />

dei discendenti d'Attila». (Brustolon, 36). «Attila passava e distruggeva, questi<br />

si fermano e consumano tutto quello che possono». (Carpenè, 192).<br />

I religiosi, meglio provvisti di manuali di consultazione, v<strong>anno</strong> a rileggersi<br />

26 FASSETTA, L'Invasione Tedesca, cit., p. 13.<br />

27 Nella iconografi a dello scontro di civiltà con cui si continua a contrapporre Occidente e Islam, si è ora rivalutata<br />

e mitizzata la fi gura del padre cappuccino Marco d'Aviano, presente nel 1683 sulle mura di Vienna assediata dai<br />

turchi. Il suo nome è andato così diffondendosi nell'odonomastica locale.<br />

168


la storia delle invasioni barbariche, traendone certifi cazioni sicure sulla<br />

continuità secolare che h<strong>anno</strong> certi popoli ad invadere, saccheggiare, stuprare,<br />

secondo attitudine propria <strong>della</strong> loro natura.<br />

Leggo il libro IV del «De Bello gallico» dove Cesare descrive i costumi dei Germanici per i quali<br />

latrocinio nullam habet infamiam. […] Mons. Cima atterrito ricorda il sacco di Roma: ricorsi storici!<br />

[…] Si ripete quanto narrò la storia sulla guerra di Carlo VIII in Italia, chiamata guerra del gesso,<br />

perché con il gesso segnava le abitazioni destinate per loro: così a Ceneda!. (Di Ceva, pp.35, 40, 45).<br />

Ho letto la storia delle invasioni dei barbari in Italia (terra classica per questo riguardo): ma era<br />

pallida l'idea che mi facevo delle devastazioni e dei delitti che commettevano. Solo ora posso formarmi<br />

un'idea approssimativamente vera, paragonando ciò che commette impunito l'esercito d'una nazione<br />

civile, con quanto deve aver compiuto un esercito barbaresco, di tanti secoli fa, ma <strong>della</strong> stessa razza.<br />

(Ciganotto, 34).<br />

Ma potrebbe anche esserci un disegno superiore che governa tutto questo.<br />

«Attila disse di essere il fl agellum Dei per punire i delitti del mondo civile<br />

di allora: in questo senso anche questi remoti ma legittimi suoi discendenti<br />

possono aver ragione». «La Divina Provvidenza ha permesso che sin da tempi<br />

remoti i barbari invadessero l'Europa e vi stanziassero a punizione, correzione<br />

e rinsavimento di quei popoli civili che dicendosi savi diventarono pazzi. Ora<br />

questi stessi popoli non temono più Iddio: Temano almeno la forza bruta dei<br />

loro confi nanti». (Ciganotto, 72, 129).<br />

Gli uomini di chiesa declinano poi sveltamente le diversità nazionali in<br />

chiave religiosa: i luterani, i protestanti sono per defi nizione persone violente.<br />

«Dall'incrocio diavolo e scimmia nacque il tedesco». (Di Ceva, 175). Tra gli<br />

invasori che parlano tedesco si vorrebbe tener fuori, distinguere se non proprio<br />

salvare, quelli di fede cattolica. «Col cambiamento dalla Germania all'Austria<br />

il parroco di Refrontolo Don Carlo Ceschin ha chiesto e ottenuto di riprendere<br />

le funzioni religiose». (Spada, 14). Anche se poi, con stupito disappunto,<br />

tocca riconoscere che alla prova dei fatti differenze sostanziali non ce ne<br />

sono. 28 Sgomento per atti di vandalismo contro oggetti di culto: «L'infamia<br />

sacrilega fu consumata da soldati dell'Imperial Regio Esercito <strong>della</strong> nazione<br />

di S. Maestà Apostolica!!». (Di Ceva, 186). «Questo era l'esercito <strong>della</strong><br />

«Sacra Maestà Cattolicissima» Carlo, Imperatore d'Austria e d'Ungheria!». 29<br />

«Avr<strong>anno</strong> le maledizioni di tutti l'Austria e il suo Imperatore! Cosa importa la<br />

28 Invece, la 'Reale Commissione d'inchiesta sulle violazioni del diritto delle genti commesse dal nemico', presieduta<br />

dal giurista Ludovico Mortara, sulla base delle testimonianze raccolte, imputava le maggiori responsabilità alle<br />

truppe tedesche.<br />

29 TOFFOLI, «Piovan» di una chiesa, cit., p. 140. Nel 2004 papa Giovanni Paolo II fi rmerà il decreto di beatifi cazione<br />

di Carlo I d'Asburgo.<br />

169


sua religione? Se viene fatto tutto in suo nome!». (Carpenè, 218).<br />

Saltano poi subito all'occhio dei nostri scrittori le rivalità che esistono tra<br />

le varie nazionalità e soprattutto la spaccatura netta tra tedeschi ed austriaci.<br />

L'ostilità dei primi verso i secondi si manifesta di continuo, ad ogni contatto,<br />

prontamente ricambiata ma sempre soccombente.<br />

«Mentre i gendarmi aspettavano lo zio, nacque tra loro il solito diverbio.<br />

Essi dicevano: Germanici ladri, rubato tutto, austriaci no, italiani buoni oh!<br />

buoni. Germanici mangiare, bere, austriaci tanta fame. E noi dobbiamo<br />

convenire che c'è molto di vero in quello che dicono». (Arrigoni, 75). «Austria<br />

e Germania non si guardano in faccia […] Ladra e prepotente la Germania<br />

e affamata l'Austria! […] I germanici mangiano tutto il giorno del buono e<br />

del meglio; gli austriaci quasi tutti pane fatto di solo s<strong>org</strong>oturco. L'Austria è<br />

la schiava <strong>della</strong> prepotenza germanica. (Carpenè, 173, 182, 192). «Soldati<br />

germanici, piuttosto che cedere il passo ad austriaci, nelle cantine levano i tappi<br />

dalle botti, disperdono il vino […] Continuano le risse fra truppe austriache e<br />

germaniche. Si ebbero tre morti e cinque feriti». (Della Barba, 7, 11). «In tutte<br />

le case si mettono soldati, però dove ci sono austriaci non vogliono prendere<br />

alloggio i germanici e viceversa. […] I Germanici disprezzano ed odiano gli<br />

Austriaci più degli italiani stessi. Affermano che quando essi si ritirer<strong>anno</strong> da<br />

questo settore per andare a combattere in Francia gli italiani riconquister<strong>anno</strong><br />

presto la loro terra». (Rossetto, 30, 44). «Giungono i germanici, ben pasciuti,<br />

oltracotanti, dispettosi; si credono i soli vincitori. Gli austriaci sono per loro<br />

una nullità; peggio ancora, un bagaglio, un imbarazzo. Li ritengono di nessuna<br />

mente direttiva, zoppicanti in perizia e privi di bellico valore, solo carne da<br />

macello». 30 «Pare impossibile, perfi no nella morte la Germania tiene l'Austria<br />

soggetta, sotto il suo comando: il soldato germanico viene messo nella cassa<br />

– l'austriaco viene sepolto senza cassa». (Spada, 90).<br />

Anche dal fronte arrivano voci che confermano questa rottura. «Si parla<br />

che molti Austriaci vollevano darsi prigionieri, e che i Germanici le abbiano<br />

fatto fuoco; si odiano accanitamente».(Brustolon, 64). «Un uffi ciale triestino<br />

ha narrato ad un nostro amico che giorni fa, a Feltre, fu distrutta un'intera<br />

divisione austriaca. Questa aveva chiesto di ritirarsi, ma i germanici ne<br />

l'impedirono. In seguito a questo sterminio gli altri austriaci si ribellarono e<br />

si batterono contro i germanici, con molti morti d'ambo i lati. Notizie orribili,<br />

ma che ci f<strong>anno</strong> tanto piacere». (Arrigoni, 91).<br />

La notizia rimbalza anche in Seminario. «Si conferma la voce che sotto<br />

il monte Tomba un reggimento austriaco obbligato dai germanici a resistere<br />

e a combattere venne decimato dai nostri; allora gli austriaci superstiti si<br />

30 FASSETTA, L'Invasione Tedesca cit., p. 18.<br />

170


ivoltarono contro i germanici e spararono su di loro! I cari alleati!!». «Un<br />

disertore italiano fucilato e fi nito con la baionetta a Fregona dai germanici!<br />

Gli austriaci per farla ai germanici fecero all'infelice imponenti funerali a<br />

Fregona». (Di Ceva, 100). «Le truppe germaniche h<strong>anno</strong> sofferto perdite<br />

grandissime, specie nell'alto fronte, da loro stessi confessate. Qualche uffi ciale<br />

austriaco si frega le mani». (Della Barba, 13).<br />

La propaganda aerea italiana sfrutta subito queste crepe, cercando di<br />

allargarle. In aprile «Da aeroplani italiani cartelli con caricature germanici<br />

ed austriaci: quelli grassi, lucidi, questi magri, allampanati, con la scritta:<br />

«Austriaci! Il germano vi tradisce!». (Di Ceva, 152).<br />

La giornata è discreta. Mentre siamo all'aperto, vediamo un foglietto volteggiare in aria.<br />

Attraversiamo di corsa i viottoli fra i campi. L'abbiamo in mano. È una caricatura. Rappresenta un<br />

germanico ben pasciuto, che spinge a forza, in avanti, un austriaco macilento e sotto il motto: Soldati<br />

austro-ungarici, il militarismo prussiano è la vostra rovina. Più tardi ce ne portano un'altra, nella<br />

quale il proletario italiano, spingendo una enorme palla, stende la mano al proletario austriaco caduto,<br />

dicendogli: Non te, fratello, voglio schiacciare, non te ma il militarismo germanico che dietro a te si<br />

nasconde. (Arrigoni, 125).<br />

Le speranze alimentano le illusioni più fantasiose sulle conseguenze possibili<br />

di questi contrasti. «Si va dicendo che divisioni germaniche marciano su Udine<br />

per impedire che gli austriaci facciano alleanza con l'Intesa contro la Germania!<br />

Gli austriaci con noi!...Sembra una fi aba!...». (Di Ceva, 158-159).<br />

L'ostilità tedesca verso l'alleato è autentica e marca con forza la posizione<br />

subalterna in cui si trovano le truppe austriache sul fronte italiano. La<br />

Germania è accorsa di malavoglia a sostenere l'Austria debilitata. L'offensiva<br />

vittoriosa di Caporetto è frutto dell'impegno tedesco. 31 Ma c'è anche dell'altro,<br />

che viene da lontano, che circola nello spirito dell'uffi cialità, nella sua cultura<br />

militare e cetuale dove è sempre presente lo spirito egemonico dei prussiani,<br />

la storica rivalità tra Hohenzollern e Asburgo. Come nella truppa, oltre alla<br />

spinta che viene dall'alto, scatta la superiorità istintiva, affi orano i pregiudizi<br />

caratteriali che quelli del Nord h<strong>anno</strong> verso i meridionali. Ogni popolo ha i<br />

suoi: inferiori, fi acchi, inaffi dabili.<br />

«Due Germanici venuti qui da noi oggi, ci dissero che loro venuti in Italia,<br />

perché Austria niente forza, e una volta noi ritornare Francia, Austria niente<br />

31 Questi contrasti tra tedeschi ed austriaci non sono solo risse occasionali tra gente brilla e manesca. Il diario<br />

di Otto von Below presenta numerose prove del dissenso profondo esistente tra comandi tedeschi e comandi austriaci<br />

circa la conduzione <strong>della</strong> guerra sul fronte italiano. Vi si leggono ripetuti giudizi di incompetenza e perfi no<br />

di vigliaccheria nei riguardi degli alleati austriaci. Del resto, la direzione delle operazioni in Veneto resta sempre<br />

saldamente in mano tedesca. F. FADINI, Caporetto dalla parte del vincitore, Firenze, Vallecchi, 1974, pp. 405-407,<br />

413-414, 421.<br />

171


uona tenere fronte Piave, così ritornare Italiani». (Brustolon, 30). Gli stessi<br />

concetti a Follina. «I Germanici disprezzano ed odiano gli Austriaci più degli<br />

italiani stessi. Affermano che quando essi si ritirer<strong>anno</strong> da questo settore per<br />

andare a combattere in Francia, gli italiani riconquister<strong>anno</strong> presto la loro<br />

terra». (Rossetto, 44).<br />

D'altra parte è tutto l'impero che vacilla e la sua multinazionalità non ha<br />

più cemento che basti a tenerlo saldo e unito. 32<br />

Le ripercussioni che provoca tutto ciò negli animi dei civili sono delle più<br />

diverse. E i diari, che non sono prodotti di sistemazioni coerenti e compatte,<br />

ne dànno, nella freschezza <strong>della</strong> compilazione, testimonianze continue e<br />

contraddittorie.<br />

Ebbene, la somatizzazione del confl itto, quest'<strong>anno</strong> passato nel corpo a corpo<br />

col nemico tra maledizioni e speranze, violenze e illusioni con qualche spunto<br />

di vicendevole compassione, distinguendo impressionisticamente tra malvagi<br />

e pietosi, tra gentilezza e brutalità, ha un po' rimaneggiato le sublimi idealità<br />

del «maggio radioso». Soprattutto durante i primi mesi dell'occupazione, le<br />

gerarchie di giudizio stabilite secondo il grado di bontà dei rapporti avuti<br />

con l'uno o l'altro degli invasori di turno, h<strong>anno</strong> scombussolato le geometrie<br />

politiche sulle quali si era retto l'intervento. Inclinando ora lo scontro bellico<br />

verso la personalizzazione dei singoli casi umani, ne vengono spoliticizzate<br />

le motivazioni uffi ciali, scaricato il peso ideologico. Subentra un più ambiguo<br />

complesso di sentimenti che segna un certo distacco tra la pratica <strong>della</strong> vita<br />

quotidiana e le parole dell'alta politica. «È ben triste e doloroso che per il<br />

capriccio di pochi uomini di governo, due popoli che potrebbero amarsi e<br />

vivere in perfetto accordo di vicinanza, vengano spinti l'uno contro l'altro<br />

per uccidersi a vicenda, nei modi più barbari e senza quasi capire il perché».<br />

(Pivetta, 22). Così la penna obbediente di Maria Egizia trascrive la protesta di<br />

mamma Filomena, moglie di un interventista. 33<br />

Un colonnello ungherese «in tutti i diversi paesi in cui fu, capì che gli<br />

italiani non vogliono e non vollero la guerra. Io gliel'ho confermato; si<br />

mostrò compiacentissimo». Salvo invocare al Solstizio «Italiani, liberateci<br />

da quest'incubo, perché siamo stanchissimi e quasi esauriti». (Carpenè, 205,<br />

220). Non è sempre stato così, lungo tutto l'arco dell'<strong>anno</strong> dell'invasione. Il<br />

32 Secondo Istvan Bibó ciò sarebbe la conseguenza <strong>della</strong> rinuncia degli Asburgo a promuovere l'unità tedesca,<br />

obiettivo fatto proprio invece dai prussiani. Preferendo ripiegare su una acrobatica e innaturale aggregazione italodanubian-balcanica,<br />

l'Austria avrebbe deciso la propria inevitabile sorte. I. BIBÓ, Isteria tedesca, paura francese,<br />

insicurezza italiana, Bologna, Il Mulino, 1997, pp. 77-79.<br />

33 È solo uno dei casi, così frequenti, di ripensamenti tardivi? Secondo Eric Leed «la ferita esentava automaticamente<br />

la vittima da qualsiasi obbligazione morale, diventando una fonte di innocenza, un mezzo tramite il quale<br />

molti si sentivano sollevati da qualsiasi responsabilità circa gli stessi eventi che avevano causato la loro sofferenza».<br />

E.J. LEED, La legge <strong>della</strong> violenza e il linguaggio <strong>della</strong> guerra, in La Grande Guerra. Esperienza, memoria, immagini,<br />

a cura di D. LEONI – C. ZADRA, Bologna, Il Mulino, 1986, pp. 21-22.<br />

172


protrarsi dell'occupazione e l'inasprirsi delle condizioni di sopravvivenza per<br />

gli uni e gli altri h<strong>anno</strong> esasperato l'ostilità delle contrapposizioni e riacceso<br />

un certo spirito patriottico, nella forma però <strong>della</strong> guerra di liberazione. Del<br />

Veneto stavolta, non già di Trento e Trieste. Non più una rivendicazione di<br />

territori, ora più che mai lontani , ma un ritorno <strong>della</strong> propria terra in seno alla<br />

patria, come approdo alla libertà dalla miseria. «Vorrei rimanere in letargo<br />

fi no alla venuta dei nostri Italiani». «Com'è lunga l'attesa per chi aspetta la<br />

liberazione, e sollevarsi da queste pesanti catene». (Brustolon, 44, 171).<br />

È una successione di scontri e di (relative) simpatie, di patriottismo<br />

ritrattato o deluso, che storpia il quadro politico in cui la guerra era stata<br />

concepita e che alla guerra aveva conferito quel signifi cato strategico che<br />

nel '15 aveva infi ammato le piazze, se non proprio le campagne. La guerra<br />

era stata dichiarata solo all'Austria perché l'entusiasmante missione mirava<br />

a piantare il tricolore su quelle terre che fi no all'ultimo sforzo diplomatico<br />

l'Austria si era rifi utata di cedere. Allora si trattava di saldare fi nalmente un<br />

conto rimasto in sospeso fi n dal 1866, quando l'unità nazionale aveva dovuto<br />

arrestarsi ad un confi ne ritenuto iniquo oltre che insuffi ciente a garantire la<br />

sicurezza del Paese. È sulla base di argomenti di questo genere che il prefetto<br />

Vitelli aveva potuto assicurare il governo sulle convinzioni interventiste dei<br />

trevigiani. 34<br />

Malgrado queste premesse chiare, intelligibili e anche puntellate da<br />

precedenti storici precisi (che non avevano tuttavia impedito all'Italia di far<br />

parte <strong>della</strong> Triplice per più di trent'anni, in un legame di alleanza proprio<br />

con Germania e Austria che aveva costretto spesso il governo a scoraggiare<br />

le aspirazioni irredentistiche anche con l'impiego delle forze di pubblica<br />

sicurezza nelle manifestazioni di piazza), ora le 'simpatie' popolari parteggiano<br />

istintivamente per i più deboli, v<strong>anno</strong> agli Austriaci piuttosto che ai Tedeschi,<br />

v<strong>anno</strong> a chi aveva occupato il Veneto per cinquant'anni piuttosto che alla<br />

Germania, la quale invece del Veneto aveva propiziato l'annessione all'Italia.<br />

Eppure l'Italia è in guerra con la Germania da appena quattordici mesi,<br />

soltanto dall'agosto 1916, indottavi dalle insistenti pressioni degli alleati più<br />

che per una libera scelta (e ciò non mancherà di pesare, dopo la pace, al<br />

tavolo delle spartizioni). Facile gioco h<strong>anno</strong> dunque gli uffi ciali tedeschi,<br />

in un futile palleggiamento di responsabilità che i civili non sono certo in<br />

grado di reggere, quando rinfacciano alla gente, a proprio sgravio, questo atto<br />

unilateralmente ostile dell'Italia, di cui gli italiani devono dunque portare il<br />

34 Secondo il prefetto di Treviso «queste popolazioni, pur senza soverchio entusiasmo, sono favorevoli ad una<br />

guerra contro l'Austria […] come una crisi necessaria ed inevitabile per il raggiungimento delle alte fi nalità patriottiche,<br />

particolarmente care a questa regione dove è sempre vivo l'amaro ricordo <strong>della</strong> dominazione austriaca».<br />

Dalla relazione del 24 maggio 1915, pubblicata in B. VIGEZZI, Da Giolitti a Salandra, Firenze, Vallecchi, 1969, pp.<br />

358-359.<br />

173


peso. «Con ira, con compiacenza feroce, con cachinno crudele mi son sentito<br />

ripetere: Ben vi sta: la guerra l'avete voluta voi: noi vogliamo la pace!...».<br />

(Ciganotto, 23). 35<br />

Strategie di sopravvivenza<br />

L'ingorda frenesia con cui gli invasori riescono a saziare all'istante una<br />

fame arretrata, dura giusto il tempo di acc<strong>org</strong>ersi che il Piave è un osso duro<br />

e che l'imprevista resistenza italiana sta allontanando il programma di altre e<br />

più abbondanti dispense da saccheggiare al di là del fi ume. Un miraggio che<br />

era stato alimentato dagli stessi alti comandi, sull'onda <strong>della</strong> facile conquista<br />

del Friuli, anche per rendere appetitosi ai subalterni i nuovi e più avanzati<br />

obiettivi militari. 36<br />

«Al loro arrivo, uomini e bestie, erano macilenti e sfi niti dalla fame.<br />

Trovandosi d'un tratto gettati in questo che essi dissero «il paradiso<br />

dell'abbondanza», si diedero sfrenatamente alla crapula, facendo di tutto<br />

uno sciupio insensato». (Ciganotto, 88). 37 Lo scialo durato un paio di mesi,<br />

35 Ai contadini di Salgareda che non vogliono abbandonare il paese, il loro parroco spiega: «Sentite! Li abbiamo<br />

traditi alleandoci con i loro nemici poi sono Tedeschi, gente dura, e mio nonno mi narrava spesso quanti maltrattamenti<br />

avevano usato a lui. Siamo nemici di guerra e allora come volete che ci trattino bene?». TOFFOLI, «Piovàn»<br />

di una chiesa cit., p. 94. Nella lunga e movimentata vigilia di guerra, la battagliera stampa nazionalista era andata<br />

affi ancando alle rivendicazioni irredentiste, tipiche <strong>della</strong> tradizione democratica, una dura polemica contro la Germania,<br />

accusata di voler subdolamente impadronirsi dell'Italia usando i canali fi nanziari degli istituti di credito<br />

controllati da personaggi tedeschi. L'aggressività di questa campagna aveva contagiato anche la stampa locale. Nella<br />

primavera del 1915 il quotidiano La Provincia di Treviso non esitava a bollare i neutralisti come traditori <strong>della</strong> patria,<br />

prendendo a bersaglio preferito il deputato di Montebelluna Pietro Bertolini, più volte ministro di punta nei governi<br />

Giolitti. Bertolini era accusato (infondatamente) di trescare con esponenti diplomatici tedeschi per evitare l'entrata<br />

in guerra dell'Italia. In maggio Bertolini era sfuggito a un tentativo di linciaggio su di un tram romano. Diffi cile che<br />

i nostri diaristi, tutti buoni lettori, siano rimasti indifferenti a questa campagna tedescofoba se perfi no gli amici più<br />

vicini a Bertolini ne erano rimasti negativamente impressionati. Per completare il quadro occorre dire che la stampa<br />

diocesana, sia di Treviso che di Vittorio, aveva sostenuto posizioni, diciamo così, giolittiane, ripiegando poi, dopo il<br />

24 maggio, su una linea di disciplina patriottica. Come lo stesso Bertolini, d'altronde.<br />

36 L'offensiva di giugno sarà considerata risolutiva anche per i vantaggi <strong>anno</strong>nari che il successo avrebbe procurato.<br />

La fi ducia nell'esito positivo veniva trasmessa alle truppe nel modo più direttamente comprensibile. «Alcuni dei<br />

miei uomini avevano bisogno di scarpe, perciò mi rivolsi al tenente. Egli però mi disse: «Aspetti solo due giorni, poi<br />

saremo a Treviso, lì ci sar<strong>anno</strong> scarpe a suffi cienza». G.BIEDERMANN, Il Veneto invaso. Ricordi di guerra di un artigliere<br />

austriaco, Treviso, Istresco, 2008, p.148. Pochi giorni dopo la battaglia del Solstizio: «Continua ad arrivare<br />

truppa che chiede quanto dista Treviso. Quando li informiamo che Treviso si trova venti chilometri dopo il Piave, i<br />

poveretti rispondono: -Ma noi passato il Piave! Buono Piave! Non riuscivamo a spiegarci tale insistente risposta che<br />

ci sembrava incomprensibile. Ma b<strong>org</strong>hesi venuti dal Tagliamento ci assicurano che, nelle vicinanze di detto fi ume,<br />

numerose tabelle ostentano dei grandi: Piave. Poveri soldati, come vengono ingannati!». (Arrigoni, 170).<br />

37 La fertilità delle campagne venete e l'abbondanza dei raccolti sono un topos di vecchia data, che ora l'<strong>org</strong>oglio<br />

enfatizza per l'occasione rinfacciandolo alla fame degli invasori. In realtà la mietitura del 1917 fu la più magra degli<br />

ultimi anni. E ciò malgrado le insistenti esortazioni ai contadini da parte delle autorità e delle associazioni agricole<br />

a fare largo uso delle semine marzoline, per poter recuperare le semine mancate nel piovoso autunno 1916. La politica<br />

degli ammassi obbligatori e del contingentamento dei consumi, condotta con particolare attenzione proprio nel<br />

corso del 1917, non dovrebbe aver lasciato, in libera disponibilità delle famiglie, molto più dello stretto necessario<br />

(sotterfugi a parte). E poi, per la consistenza di càneve e granèr bisognerebbe distinguere, per esempio, tra le provviste<br />

che può aver accumulato una grande azienda padronale di pianura e quelle di un piccolo coltivatore di collina.<br />

Piuttosto, il 'tempismo' di Caporetto potrebbe aver sottratto al drenaggio dei controlli gli ultimi prodotti dell'<strong>anno</strong>,<br />

cioè polenta e vino.<br />

174


con la spensieratezza di chi è solo di passaggio, prima che l'offensiva venga<br />

uffi cialmente sospesa (e i tedeschi tornino a occuparsi del fronte francese), si<br />

rovescia allora in un pesante contrappasso per l'imprevidente invasore.<br />

Episodi estremi non mancano, in un senso e nell'altro, e i diari li riferiscono<br />

rappresentando, tra sdegno e stupore, l'assillo quotidiano del cibo, per uomini<br />

e animali. «A S. Andrea un porcello e 7 pitte mangiati in 3 persone». (Di<br />

Ceva, 35). «Il parroco di Ogliano racconta: - Ieri sera due soldati, accasermati<br />

vicino alla canonica, si sono mangiati un maiale rispettabile. Questi stessi<br />

soldati dichiarano di aver mangiato in Lavonia sterco di cavallo bollito».<br />

«Mangiavano ore ed ore di seguito, a crepapelle, esigendo vino a tutto andare.<br />

Qui sono ancora incapaci di comprendere come costoro potessero ingozzare<br />

una quantità così formidabile di carne, cotta nelle caldaie di grasso, senza<br />

restar colpiti da un accidente». (Arrigoni, 64, 116). A Susegana una scena<br />

bruegeliana: «Al pianoterra delle grandi cantine del conte Collalto, giacciono,<br />

affogati nel vino, parecchi soldati germanici». A Conegliano, il giorno di<br />

Natale: «I germanici si mostrano divoratori classici. In mezzo ai fumi del vino,<br />

in soli quattro, si mangiano un maiale di oltre un quintale in 24 ore». (Della<br />

Barba, 11, 13). Invece gli Arrigoni passano la vigilia di Natale cenando a base<br />

di «fagioli con lasagne non condite, una scatola di tonno di marca italiana<br />

dimenticata dai germanici e susine cotte», che è comunque un gran bel pranzo<br />

a confronto di quelli che li aspettano. «La carne di ciuco è un po' duretta e<br />

fi losa, ma in umido ricorda vagamente il vitello tonné. Il grasso è buono, con<br />

un certo odorino di pesce. Si mantiene giallo e limpido, né si rapprende come<br />

il sego. Quanto ai gatti, la grande maggioranza ha già fi nito onoratamente, uso<br />

lepre, ma senza salmì». «Oggi una giovinetta di agiata condizione venne a<br />

pregare la zia di un po' di s<strong>org</strong>o rosso per farsi la polenta. Ormai cominciamo<br />

a disputarci un cibo adatto agli animali e foglie, credute immangiabili, sono<br />

ricercate avidamente». «Il rancio [dei prigionieri] è spesso a base di trifoglio!<br />

Ne abbiamo mangiato anche noi in primavera e, come le ortiche, non è né<br />

gustoso né nutriente». (Arrigoni, 73, 111, 140, 177). «Il giorno di Pasqua<br />

del 1918 ci fu menù d'eccezione: minestra di crauti marci e carne di cavallo<br />

rognoso con polenta di s<strong>org</strong>o. Tutte cose che ci procurarono uno spaventoso<br />

riscaldo intestinale». 38<br />

Le cronache dell'<strong>anno</strong> nuovo portano infatti episodi di famelica<br />

disperazione. A fi ne gennaio, a Motta: «Si presentarono in casa di mio padre<br />

due soldati chiedendo una fetta di polenta, in altri tempi tanto disprezzata e<br />

derisa insieme a quelli che la mangiano. Non ce n'era. Girarono lo sguardo,<br />

38 «Il giorno di Pasqua del 1918 ci fu menù d'eccezione: minestra di crauti marci e carne di cavallo rognoso con<br />

polenta di s<strong>org</strong>o. Tutte cose che ci procurarono uno spaventoso riscaldo intestinale». I. TOMASIN, L'<strong>anno</strong> di Vittorio<br />

cit., p. 28.<br />

175


e: – Dateci almeno quel gatto, dissero. Fecero compassione: – Pigliatevelo.<br />

Detto fatto: e se n'andarono contenti come una pasqua». (Ciganotto, 92). «La<br />

fame prende anche soldati e uffi ciali; h<strong>anno</strong> coraggio di mangiare i fi chi crudi<br />

e li alessano insieme con l'uva od altro». (Carpenè, 225). A Conegliano, in<br />

giugno: «Non si trovano più cani, né gatti. I germanici preferirono mangiare i<br />

cani». (Della Barba, 27), e gli austriaci non esitano a barattare un cavallo per<br />

un coniglio. «Anche oggi, il rancio dei soldati consisteva in mezza gamella<br />

di farina gialla cotta in molta acqua. Talora la farina è bianca. E alla sera the<br />

o caffè, se c'è. E la mezza pagnotta distribuita ogni due giorni viene divorata<br />

acida, nera, ripugnante». Alla vigilia <strong>della</strong> battaglia del Solstizio: «Negli<br />

ultimi giorni furono sequestrate le poche mucche ancora esistenti a Miane<br />

e dintorni. Sono state macellate sulla piazza, caricate sui camions e spedite<br />

al fronte, ove i soldati si rifi utavano di combattere, se prima non veniva dato<br />

loro da mangiare». (Arrigoni, 97, 111, 156).<br />

Con il ritorno <strong>della</strong> buona stagione ci si sfama direttamente sui campi.<br />

«Ogni mattina un centinaio di soldati col sacco in spalla percorrono tutte le<br />

campagne a raccogliere ortiche, prima quelle matte, ora quelle pungenti con<br />

i guanti. E poi h<strong>anno</strong> il coraggio di dire che nuotano nell'abbondanza! Una<br />

piccola fetta di pinza di s<strong>org</strong>o la pagano 2 corone, pur di mangiare qualche<br />

cosa». (Carpenè, 211-212). «Soldati piangono dalla fame e v<strong>anno</strong> per i campi<br />

a sradicare agli selvatici: ne ho visti!» (Di Ceva, 158). «Da tempo i militari<br />

si nutrono di zuppe a base vegetale, mettendo nella pentola le intere piante di<br />

fagiolini, i frutti di gelso ed altri erbaggi e mescolandovi dei susini in barile, in<br />

mancanza dei quali vi pongono dello zucchero». (Della Barba, 33). «Mentre<br />

scrivo, gli zigani, in una mastella da stalla, h<strong>anno</strong> cotto galline, carne, una<br />

testa di maiale con i denti e tutto st<strong>anno</strong> sbranando, senza pane né posate.<br />

Durante tutto il giorno masticano topinambur crudi e castagne d'ippocastano».<br />

«Appena il granoturco cominciò a segnare la p<strong>anno</strong>cchia, i soldati iniziarono<br />

a raccoglierlo. Ora poi è una frenesia. In ogni casa ne cuocciono grandi<br />

marmitte, bollendo insieme fagiolini, zucchini e quel po' di uva americana e<br />

clinton sfuggita alla peronospora». (Arrigoni, 76, 188). Il 29 ottobre, quando<br />

ormai le sorti <strong>della</strong> guerra st<strong>anno</strong> precipitando, un gruppo di soldati ungheresi<br />

in ritirata dal Piave si rifugia nel mulino Casagrande, presso Conegliano (tra<br />

Sarano e Campolongo, dove le acque del Crevada si mescolano con quelle<br />

del Monticano). «Tolsero dapprima la farina da tutte le fessure del molino poi<br />

scoparono il pavimento, infi ne si cibarono di crusca e di granoturco crudo, o<br />

abbrustolito nelle gavette. Non crederei se non avessi visto coi miei occhi! Gli<br />

uffi ciali rimasero digiuni». (Casagrande, 21).<br />

Se questi casi ci dicono delle estreme diffi coltà di approvvigionamento<br />

176


patite dalle truppe di occupazione durante il 1918, i diari portano una<br />

documentazione impressionante delle condizioni in cui a maggior ragione<br />

versavano le popolazioni civili. Neppure quando i numerosi interventi ad<br />

integrazione <strong>della</strong> rete viaria avevano rimesso in effi cienza le comunicazioni<br />

da est a ovest l'autorità militare poté provvedere a sfamare soldati e civili<br />

assieme. In un <strong>anno</strong> terribile, in cui, nella Sinistra Piave, la densità <strong>della</strong><br />

popolazione presente (tra civili, militari, profughi e prigionieri) si moltiplicò<br />

più volte, il progressivo declino delle risorse locali non venne mai compensato,<br />

se non in modo saltuario e in quantità insuffi cienti, da un ordinato affl usso<br />

di risorse proprie dalle retrovie dell'impero. È l'impossibilità di disporre<br />

di risorse aggiuntive che ha sancito il fallimento <strong>della</strong> pur improvvisata e<br />

incerta politica <strong>anno</strong>naria condotta nei territori occupati. 39 Il bluff dei buoni<br />

di risarcimento e <strong>della</strong> nuova moneta senza credito, l'obbligo dei conferimenti<br />

e le misure di razionamento disposti dopo le requisizioni spietate, l'utopia<br />

del mercato libero dove domanda ed offerta non si incontrano mai: tutte<br />

prove, teoricamente ordinatrici, fallite per questa impossibile quadratura del<br />

cerchio di cui le prime vittime furono i civili e soprattutto i profughi, costretti<br />

ad abbandonare i propri paesi in fretta e furia, portandosi dietro appena un<br />

qualche fagotto. È tra di loro che si conterà il maggior numero di decessi per<br />

gli stenti e le malattie. 40<br />

Le speranze che in primavera si concentrano sul nuovo raccolto vengono<br />

frustrate dall'urgenza dei bisogni, che urtano con i tempi pazienti <strong>della</strong> natura.<br />

39 Tra chi non si è perso d'animo e ha saputo destreggiarsi nella sciagura, emerge un giovane e combattivo prete<br />

cadorino, parroco di S. Giustina a Serravalle. Incalzando di continuo il Comando Militare, egli riuscì ad ottenere da<br />

ogni fornitura in arrivo una parte da destinare allo spaccio popolare aperto pochi giorni prima del Natale '17. Da 800<br />

«clienti» iniziali lo spaccio ne conterà fi no a 3mila, distribuendo carne e farina per tutto il periodo dell'occupazione.<br />

D.A. PIAZZA, Relazione sull'opera da me svolta a S. Giustina di Serravalle -Vittorio- durante il periodo d'occupazione<br />

nemica, Vittorio, Stab. Tip. Bigontina, 1919.<br />

40 Daniele Ceschin calcola che siano state 55mila le persone allontanate dalla zona del fronte e avviate ad est. D.<br />

CESCHIN, Sernaglia nell'<strong>anno</strong> <strong>della</strong> fame, Com. Sernaglia <strong>della</strong> Battaglia, DBS, 2008, p.32. Tale calcolo considera<br />

però l'intero territorio veneto occupato. Limitandoci alla popolazione dei comuni trevigiani disposti lungo la riva<br />

sinistra del Piave, secondo i calcoli, sempre difettosi, che f<strong>anno</strong> capo al V Censimento <strong>della</strong> popolazione (10 giugno<br />

1911), i residenti allontanati ammonterebbero a meno <strong>della</strong> metà: a 24.844 unità, secondo fasulla precisione. Gli<br />

stessi paesi avevano visto, un mese prima, un altro esodo in direzione opposta. Secondo l'unica fonte uffi ciale esistente<br />

sul movimento dei profughi verso l'Italia libera (che Ceschin vorrebbe più correttamente defi nire 'rifugiati'),<br />

44.857 persone si erano messe in salvo oltre il fi ume, cioè un abitante su cinque <strong>della</strong> Sinistra Piave trevigiana. Ma<br />

gli 11 comuni rivieraschi, i più vicini alla salvezza, avevano toccato le percentuali di esodo più elevate (46.7%),<br />

superando a Vidor, Sernaglia, Susegana, Ponte di Piave anche il 50-60% <strong>della</strong> popolazione. In MINISTERO PER<br />

LE TERRE LIBERATE, Censimento dei profughi di guerra. Ottobre 1918, Roma, 1919, pp. 221-222. Nei nove<br />

comuni rivieraschi sull'altra sponda, l'esodo, volontario o forzato, riguarderà i quattro quinti <strong>della</strong> popolazione. E un<br />

abitante su tre (93.520) nell'intera Destra Piave trevigiana. Anche se spinte ai decimali, queste sono cifre che possono<br />

dare solo un primo ordine di grandezza del fenomeno. Infatti, tra la data di rilevazione del censimento del 1911<br />

e il momento in cui ebbe inizio l'esodo dei profughi, intercorrono sei anni durante i quali la popolazione è cresciuta<br />

secondo movimento naturale. Inoltre un numero imprecisato di emigranti temporanei (rilevati nel 1911 in 27.842<br />

unità, di cui 15.419 nella Destra Piave e 12.423 nella Sinistra Piave) dovette rimpatriare nel 1914, allo scoppio <strong>della</strong><br />

guerra europea. E tra gli assenti, nel 1917, v<strong>anno</strong> calcolati gli uomini al fronte e i caduti (v. nota 13). Circa i decessi<br />

tra i profughi internati nelle retrovie trevigiane e friulane, alcune cifre impressionanti vengono fornite da Ceschin<br />

in ID, Sernaglia cit., pp. 42-43.<br />

177


Allora si raccoglie la frutta acerba, si taglia il frumento ancora verde, si rovina<br />

la stagione lasciando pascolare i cavalli ovunque, purché riescano a reggersi<br />

in piedi. Indispensabili mezzi di mobilità e di trasporto, i cavalli v<strong>anno</strong> nutriti<br />

non meno degli uomini, a qualunque costo. Neanche loro sfuggir<strong>anno</strong> tuttavia<br />

alla morìa per inedia, denutrizione, avidità suicida.<br />

«Le nostre colline sono divenute il pascolo, con questa rigida stagione<br />

h<strong>anno</strong> il coraggio di mandare tutte le bestie a provedersi, dico questo poiché<br />

nutrono i cavalli con la paglia, e quanti tutti i dì ne muoiono per le vie sfi niti<br />

affamati». (Brustolon, 90). «I cavalli ungheresi e austriaci muoiono di fame;<br />

mangiano canne, v<strong>anno</strong> al pascolo dappertutto, anche nei frumenti […] Quei<br />

poveri cavalli muoiono proprio di fame; i soldati d<strong>anno</strong> loro perfi no le canne<br />

gargane e tagliano le gaggie […] Pei nostri campi tutti i cavalli con la rogna<br />

e che cadono in terra dalla debolezza». (Carpenè, 196, 199, 206). «Stamane,<br />

in un campo qui vicino, morirono quattro cavalli per aver mangiato spagna<br />

bagnata. La padrona impulsivamente esclama: -Ma non vedete? Se fate<br />

così, vi morr<strong>anno</strong> tutti! -Vi spiace, mamma? Ridono i triestini di guardia-<br />

Ci credete così grulli? Ma non sapete che senza cavalli non si fa la guerra e<br />

che questo è un modo come un altro per farla fi nita? Senza aggiungere che,<br />

quando i cavalli sono morti, noi li mangiamo; ma se vivono loro, moriamo<br />

noi!». (Arrigoni, 137-140).<br />

Chi riesce a cavarsela meglio, malgrado tutto, sembra sia chi è rimasto a<br />

vivere sulla propria terra. «Di quella piccola, anzi esigua porzione di frumento<br />

che i produttori h<strong>anno</strong> potuto con rischi e pericoli sottrarre alla rapina, per<br />

usufruirne devono servirsi dei macinini da caffè o pestarla comunque in un<br />

bossolo di granata, e ciò con penose cautele: guai se si sapesse che qualcuno<br />

ha del frumento!». (Ciganotto, 194-195). E anche tra i cittadini rimasti sbarca<br />

in qualche modo il lunario chi è riuscito a salvare dalle razzìe del denaro<br />

contante, degli oggetti preziosi, che risulter<strong>anno</strong> utilissimi anche quando,<br />

mentre arriva l'estate, la penuria estrema rimette in corso il baratto. Ma nel<br />

circuito del mercato nero – sempre fi orente in queste occasioni – chi baratta<br />

spesso rivende, a caro prezzo. «Con il denaro nulla si trova, il Comando dice<br />

che noi non abbiamo bisogno perché tutti, o la maggior parte dei contadini<br />

portano generi in cambio alle mense; e a noi questi nulla d<strong>anno</strong> con il denaro;<br />

anche questo, aiuta alla nostra rovina». (Brustolon, 124). «Ieri, proprio per<br />

caso, papà seppe che il Comando distribuiva farina in cambio di oro. Vi<br />

corse difi lato, lietissimo di avere in tasca due marenghi e mezzo. Gli venne<br />

rilasciato un buono col quale poté ottenere 97 chili di farina mescolata però in<br />

forte proporzione a punte di torsolo macinate insieme». (Arrigoni, 168).<br />

Nell'accanito lavoro di spoliazione che non avrà tregua fi no alla conclusione<br />

178


del confl itto, non c'è però solo la caccia al cibo. Le case, abbandonate od<br />

occupate, vengono saccheggiate di tutto quanto possa avere un qualche valore<br />

d'uso, anche se non immediato. Biancheria, mobili, abbigliamento, posateria,<br />

oggetti d'arredamento. Materiale anche ingombrante, che ha bisogno di un<br />

minimo di <strong>org</strong>anizzazione collettiva per essere trasportato e inoltrato in patria.<br />

Ai diari sfugge, in un primo tempo, questo aspetto preordinato nella razzìa,<br />

attribuendo a un incomprensibile spirito vandalico di elementi facinorosi (che<br />

pure non mancano, naturalmente) l'accanimento a rovinare e ad asportare<br />

anche ciò che non serve alle immediate esigenze di sostentamento.<br />

I soldati abbrancano qualunque cosa che cada loro tra mani: libri, carte, specchi, oggettini di lusso,<br />

ninnoli, ecc., tutta roba a loro inutile, che poi gettano nei cortili, nelle strade, nei fossi». «Il sacco di<br />

Roma ha durato cinque giorni, ed è passato alla storia: il Sacco di Motta ha durato ben quaranta giorni,<br />

e questo era il tempo utile durante il quale tutti potevano dedicarvisi autorizzati. […] Alle truppe fu<br />

a preferenza data mano libera nella campagna e nei piccoli paesi, mentre l'uffi cialità e le Autorità<br />

riservavano per sé la città, i palazzi, le botteghe e i magazzini. Il bottino fatto da questa veniva poi altro<br />

diviso e distribuito alle truppe, altro inviato in Austria. (Ciganotto, 22, 66-67).<br />

«Ora v'è qui il Comando di Divisione: da noi chiamato Comando dei ladri<br />

poiché partono per tempo al mattino, con 8 e anche 10 carri e vi ritornano<br />

alla sera carichi d'ogni ben di Dio, tutto rubato e requisito: non ho veduto<br />

Germanico che levi da tasca una corona per pagare». (Brustolon, 26). «Le<br />

automobili vengono caricate di ogni cosa: mobili, cristallerie, perfi no gli abiti<br />

<strong>della</strong> sposa e dei bambini, la cassa dello scheletro su cui studiava il professor<br />

Tita, la vasca da bagno». (Arrigoni, 33). «Entrano nella mia abitazione (casa<br />

Buffonelli), soldati per portar via cordoni elettrici, lampadari, pomoli d'ottone,<br />

campanelli, ecc». (Della Barba, 40).<br />

Ci sono direttive che vengono dall'alto e da lontano che autorizzano e<br />

proteggono questo sistematico prelievo di materiale utile al funzionamento<br />

dell'industria nazionale. Per cui risulterà inutile e senza risultato qualunque<br />

protesta venga fatta ai comandi per ottenere soddisfazione. Infatti, non si<br />

tratta delle intemperanze isolate di qualche briccone scapestrato. «La Chiesa<br />

di S. Rocco è diventata il deposito generale di oggetti di rame e di altri metalli<br />

rapinati». «Nel palazzo Montalban Gritti st<strong>anno</strong> immagazzinando circa 150<br />

camions di tessuti in genere, rubati in città, e nei paesi contermini». «Partono<br />

incessantemente treni, con grandi quantità di animali bovini ed ovini, per la<br />

Germania». (Della Barba, 13-15).<br />

Non sfuggono alle depredazioni neppure famiglie altolocate, che per il<br />

pregio <strong>della</strong> loro dimora, per la collocazione sociale, per una certa simmetria<br />

179


di ceto con il corpo degli uffi ciali pur godono di una qualche deferenza da<br />

parte degli illustri ospiti che vivono in casa, con i quali si stabiliscono dei<br />

rapporti di formale ossequio.<br />

A Refrontolo, villa Antonietta, residenza dei nobili Spada, viene subito<br />

occupata, fi n dall'11 novembre, dal Comando del III Corpo d'Armata<br />

bavarese. Il generale barone Hermann von Stein vi prende alloggio per un<br />

mese, sistemandosi direttamente nella camera <strong>della</strong> padrona di casa, alla<br />

quale tocca traslocare nelle stanze <strong>della</strong> servitù. 41<br />

Riverita in tutte le occasioni in cui vi si tengono cene importanti, capita<br />

alla padrona di casa di scoprire, dopo la partenza degli ospiti, la sparizione<br />

di qualche oggetto di valore, una spada antica, un quadro. Malgrado la<br />

comprensione amichevole che le dimostrano gli uffi ciali dai quali va a<br />

lagnarsi, non riesce tuttavia a ricuperare il maltolto.<br />

È del 16 dicembre 1917 la stesura a Vienna di un accordo tra Germania e<br />

Austria-Ungheria per la ripartizione del bottino di guerra. L'accordo prevedeva<br />

una minuziosa caratura tra i due alleati secondo le merceologie del prelievo<br />

dai territori italiani invasi, in funzione delle diverse necessità dell'economia<br />

nelle rispettive patrie. Per esempio, mentre per i generi alimentari era prevista<br />

una sostanziale parità di trattamento tra le due parti (tranne che per il mais<br />

riconosciuto di spettanza austriaca in rapporto di 4 a 1 e per il vino esattamente<br />

il contrario), per i mezzi di trasporto come autocarri e vetture il rapporto di<br />

2 a 1 a favore <strong>della</strong> Germania ne sanciva la primazìa tecnica, industriale e<br />

produttiva. Riconoscimento confermato con la totale attribuzione ai tedeschi<br />

di metalli come piombo e zinco. 42 La Germania mantenne questi diritti di<br />

partecipazione allo sfruttamento economico del Veneto anche dopo il ritiro<br />

delle sue truppe dal fronte italiano, che avvenne gradualmente tra la fi ne di<br />

dicembre e la metà di febbraio, e in certe località anche in seguito.<br />

I diari dimostrano lo scarso rispetto degli accordi nella ripartizione dei<br />

generi alimentari, consumati avidamente in loco e all'istante dal primo<br />

fortunato arrivato. Mentre per i prodotti solidi chi scrive assiste a scene di<br />

contrasti violenti tra alleati per il possesso <strong>della</strong> refurtiva.<br />

41 Villa Antonietta è situata in posizione dominante sulle colline di Refrontolo, paese che si trova a metà strada<br />

tra la linea del fronte sul Piave e la sede del Comando <strong>della</strong> VI Armata a Vittorio. Punto strategico, si presta bene ad<br />

ospitare incontri ad alto livello. Il diario di Maria Spada (p.84) riferisce di un incontro di von Below con Stein e il<br />

capo di stato maggiore Konrad Kraft von Dellmensingen il 22 novembre 1917 e di nuovo il 30 novembre alla presenza<br />

dell'Arciduca Eugenio. Anche la casa di un altro dei nostri diaristi diventa sede di comando e può godere di onori<br />

simili. In casa Carpenè, sui colli di Scomigo, tra Vittorio e Conegliano, si tiene un banchetto in onore dell'Arciduca<br />

Giuseppe d'Asburgo, in visita il 30 gennaio 1918, e di nuovo il 7 aprile.<br />

42 C. HORVATH-MEYERHOFER, L'Amministrazione militare austro-ungarica nei territori italiani occupati dall'ottobre<br />

1917 al novembre 1918, Udine, 1985, pp. 12-20. Le requisizioni dei materiali oggetto dell'accordo erano tuttavia<br />

già in corso al momento <strong>della</strong> fi rma. Una prima notifi cazione alla popolazione porta la data del 3 dicembre 1917<br />

(Arrigoni, 56), ribadita poi il 14 marzo 1918 (Rossetto, 72).<br />

180


«Oggi vennero a portarci via due carri di fi eno; prima vennero i Germanici<br />

per caricare un carro e siamo ricorsi all'Austria. L'Austria fugò i Germanici<br />

e poi essa invece di un carro, ne caricò due. Alla sera tornano i germanici<br />

e non si può impedire nemmeno con le guardie austriache il carico di altro<br />

fi eno». (Carpenè, 184). «Ho sentito ieri da uffi ciali austriaci che alla frontiera<br />

furono fermati camions germanici con refurtiva italiana e che la roba invece<br />

fu spedita a Vienna». (Di Ceva, 66).<br />

I nostri scrittori sono tra i fortunati che, per censo o per condizione, riescono<br />

a superare meglio le diffi coltà <strong>della</strong> sopravvivenza fi sica.<br />

Bianca Brustolon vive tappata in casa, frastornata dai rumori continui<br />

del traffi co militare e da quelli delle diverse lingue che le tocca ascoltare<br />

dalla bocca degli indesiderati ospiti che occupano le stanze migliori. Bada<br />

ai genitori indisposti, esce di rado per visite devote e inorridisce a trovare<br />

i viali scassati dal passaggio incessante dei pesanti mezzi degli invasori e<br />

ancor più inorridisce a trovare marciapiedi divelti e muriccioli diroccati per<br />

ricuperare materiale da impiegare nel consolidamento del fondo stradale. Di<br />

rado fa menzione di strettezze alimentari. I Brustolon sono riusciti a mettere<br />

in salvo qualche somma, qualche oggetto prezioso, con cui sono in grado di<br />

fronteggiare le diffi coltà <strong>della</strong> sopravvivenza.<br />

Con il denaro nulla si può più avere , ora dobbiamo pensare di privarsi di biancheria vestiti ed altro<br />

pur d'arrivare alla meta, poiché sarebbe doloroso morire di fame quando s'aprossima il dì agognato <strong>della</strong><br />

liberazione. […] I speculatori ritirano oro e argento per grano turco; sono andata io pure con persona<br />

conoscente per fare aquisti, invece h<strong>anno</strong> già sospeso, v'è l'ordine d'andare dal Sindaco; esso incaricato<br />

di raccogliere in scritto la quantità di questo e poi loro farebbero conti. Noi non ci andremo poiché<br />

certo saressimo gabate. […] Sono andata con persona amica acquistare farina per argento; quante,<br />

quante umiliazioni. […] Siamo a settembre quando ver<strong>anno</strong> a liberarci? Pazienza ancora! Ma guai ci<br />

lasciassero ancor dei mesi, la fame, la fame, quante vittime farebbe. (Brustolon, 125, 149-150, 162,<br />

182).<br />

Valentino Carpenè, consigliere comunale, agiato possidente con vaste<br />

proprietà terriere sui colli di Scomigo, dopo aver messo in salvo oltre Piave la<br />

famiglia (moglie e cinque fi gli, riparati nel salernitano), preferisce rimanere a<br />

custodia del patrimonio, nell'illusione di poter meglio proteggerlo di persona.<br />

Il suo diario registra giorno per giorno lo stillicidio delle depredazioni, ma<br />

anche la tenace fi erezza con cui disputerà senza sosta il bottino agli invasori.<br />

Nello stesso giorno <strong>della</strong> fi ne del confl itto scriverà al fi glio maggiore: «Ci<br />

h<strong>anno</strong> portato via tutto quello che h<strong>anno</strong> potuto; se non fossero stati cacciati,<br />

dopo averci spogliato, ci avrebbero fatto morire di fame». (Carpenè, 169).<br />

181


Profughi in fuga dopo la rotta di Caporetto. MCRR.<br />

Profughi che sostano in un paese. MCRR.


Altre immagini relative alla triste condizione dei profughi. MCRR.


Eugenio Della Barba ha i fi gli al fronte. È rimasto a casa con la moglie<br />

«allo scopo di sorvegliare e possibilmente salvare alcunché del ben di Dio,<br />

contenuto in quattro case in città e in sei campagne site in Collalbrigo, Ramera,<br />

Monticella e Cimetta». A partire dal 1° marzo – data in cui il Comando austriaco<br />

gli impone di sostituire mons. Sebastiano Dall'Anese nell'incarico di reggere<br />

l'amministrazione comunale – il suo diario è soprattutto una registrazione<br />

degli spiacevoli impegni da cui è assorbito nella nuova e sgradita funzione<br />

di pseudo-sindaco, privo di mezzi e di risorse per poter fronteggiare il rapido<br />

decadimento <strong>della</strong> vita cittadina, cui tocca assistere impotente, prendendo<br />

nota delle cose peggiori. 43<br />

Non si lamenta delle proprie condizioni materiali, malgrado il ruolo<br />

pubblico non sia servito ad assicurargli un trattamento di riguardo. Alla<br />

data del 18 maggio scrive: «Il peso del mio corpo è scemato di oltre 29<br />

chilogrammi e soffro di vertigini». Si lamenta piuttosto <strong>della</strong> «solitudine del<br />

potere»: beccato dalle donne del popolo, osteggiato dai coloni, coartato dalle<br />

autorità militari, tradito dai colleghi del municipio. Ma chiude il diario fi ero<br />

dello zelo con cui ha portato a termine l'incarico, presentando soddisfatto una<br />

contabilità in ordine e in attivo, in sottintesa polemica con la prima breve<br />

gestione Dall'Anese.<br />

Non si lamentano neppure i religiosi. Mons. Emilio Di Ceva insegna lettere<br />

al Seminario di Ceneda e dà anche qualche mal pagata lezione privata. Le due<br />

corone che prende all'ora servirebbero appena ad acquistare un litro di latte.<br />

Fortunatamente non si trova nella necessità di provvedere da sé al proprio<br />

sostentamento. La cucina <strong>della</strong> Curia e quella dell'ospedale militare tedesco,<br />

che in Seminario ha preso il posto di quello italiano che vi si era stabilito<br />

dall'agosto 1915, funzionano a dovere. «I soldati in cucina ci d<strong>anno</strong> la carne:<br />

sono buoni e pieni di attenzione». (Di Ceva, 35 ). Egli si trova poi al centro<br />

di una fi tta rete di visite e contatti da tutta la diocesi. Scritto in una spezzata<br />

tessitura stenografi ca, il suo diario ce ne dà una vivace rappresentazione,<br />

brulicante di personaggi, di episodi, un brusìo di notizie le più disparate<br />

43 La desolazione del centro urbano di Conegliano è ben documentata da alcune immagini scattate dal servizio<br />

fotografi co austriaco: strade deserte, case abbandonate. «Conegliano è un piccolo Belgio», scrive ad un amico in Seminario<br />

il parroco di S. Martino don Vincenzo Botteon, l'apprezzato studioso del Cima. Della Barba riporta, alla data<br />

del 16 dicembre 1917, i risultati di un censimento <strong>della</strong> popolazione disposto dal Comando militare austriaco. Dalle<br />

cifre esposte, divise per frazione, risulta che il centro urbano si è spopolato di almeno due terzi rispetto al censimento<br />

dei presenti nel 1911: 2393 abitanti su 7433. Il che signifi ca che l'87% dei profughi coneglianesi risiedevano in città.<br />

Questo può spiegare il vuoto documentato dalle immagini e anche l'accanimento vandalico contro gli edifi ci disabitati.<br />

Senza dimenticare che la città è stata a lungo bersaglio dell'artiglieria italiana. A Ceneda e Serravalle invece, il<br />

profugato segna cifre minori. Secondo il censimento ministeriale citato, h<strong>anno</strong> lasciato Vittorio 3487 abitanti (15,9<br />

% <strong>della</strong> popolazione residente nel 1911), mentre a Conegliano se ne contano un migliaio in più: 4395 abitanti, pari<br />

al 33.8% <strong>della</strong> popolazione residente nel 1911. Inoltre alla Commissione d'inchiesta sui danni di guerra subiti dalle<br />

abitazioni civili, istituita nel 1919, a Conegliano risultarono 35 gli edifi ci demoliti mentre a Ceneda non ne risultò<br />

alcuno. Ma danneggiati rispettivamente 900 edifi ci a Conegliano e 2029 a Ceneda (più 762 a Serravalle).<br />

184


sulla guerra e sulle violenze che circolano di bocca in bocca, incontrollate<br />

e incontrollabili. («In tèmp de guèra ghe n'é pi bae che tèra», affermava un<br />

proverbio locale che sarebbe piaciuto a Marc Bloch).<br />

Ne possiamo anche trarre ripetute testimonianze su quanto possa aiutare<br />

la deferente solidarietà prestata da suore e preti. «Le suore di Pieve di Soligo<br />

portarono viveri, grano, molto pollame ecc…per più mesi». «Viene a pranzo<br />

don Giuseppe Tommasella di Fontanelle e porta biava, un cappone e la<br />

lingua di un manzo». «Viene il chierico Piovesana da Codognè e ci porta<br />

70 uova». (Di Ceva, 127, 128, 170). Una condizione privilegiata che non<br />

manca di provocare qualche risentimento tra la gente. «Il popolino, le donne<br />

specialmente, contro i preti del Seminario perché h<strong>anno</strong> di tutto». (Di Ceva,<br />

217).<br />

Sono altri, piuttosto, i bisogni che gli riesce più diffi cile soddisfare. Mons.<br />

Di Ceva è un accanito fumatore ma si vede che può contare su una rete di<br />

buoni amici.<br />

Compro 4 pacchetti di tabacco turco fi nissimo biondo-oro da Checco Caramel a 3 corone. […]<br />

Altre 15 corone per 100 sigarette da Toni Fabris. […] Vado dalla Rizza [è la padrona dell'Osteria <strong>della</strong><br />

Provvidenza, provvidenziale base di appoggio]: tre pacchetti tabacco turco biondo oro per L.10. […]<br />

Un pacchetto trinciato turco 10 lire venete (8 corone austriache). Altri tre pacchetti da Dino Schiavazzo<br />

per 10 corone. Finalmente![…] Il Vescovo, per mezzo di don Domenico, ha avuto venti pacchi di<br />

tabacco a 18 centesimi il pacco (i soldati poi vogliono 4 corone). Il colonnello disse a don Domenico:<br />

Al Vescovo non si deve negare nulla! Mi sono io pure raccomandato…. (Di Ceva, 72, 111, 207, 224).<br />

Anche il francescano padre Lodovico Ciganotto può evitare la pena di<br />

doversi dare alla caccia del vitto quotidiano. Dal 23 novembre, al refettorio<br />

<strong>della</strong> Basilica <strong>della</strong> Madonna dei Miracoli, a Motta, viene associata la cucina<br />

dell'ospedale militare.<br />

Da oggi gli uffi ciali dell'ospedale (808) stabiliscono la loro mensa in convento, e precisamente nel<br />

nostro refettorio. In compenso vogliono che si faccia mensa comune, dietro una certa somministrazione<br />

di alcuni generi da parte nostra. Capo cucina è una donna di Lubiana che parla discretamente l'italiano.<br />

Ritengo che dalla fondazione del convento questa sia la prima volta che una donna fa la cucina per i<br />

Religiosi. (Ciganotto, 39).<br />

Anche i Pivetta e gli Arrigoni, le due famiglie di Valdobbiadene costrette ad<br />

allontanarsi dalla linea del fronte e lasciare beni e paese seguendo la colonna<br />

dei nuovi profughi che ora v<strong>anno</strong> verso est, senza indicazioni precise, lungo<br />

la pedemontana che porta a Vittorio.<br />

185


A quelli di Valdobbiadene era toccato sgomberare il 4 e 5 dicembre, a<br />

Segusino già l'1 e ai paesi del medio Piave qualche giorno prima. Sfumata<br />

l'occasione di passare il fi ume di slancio, gli invasori stavano attrezzandosi<br />

per una nuova guerra di posizione, anche se non proprio in trincea secondo<br />

stile carsico. C'è dunque bisogno di campo libero per i movimenti di truppe<br />

e di mezzi.<br />

L'ordine di sgombero faceva intendere che fosse cosa di pochi giorni. I<br />

nuovi profughi avevano dovuto abbandonare tutto in fretta e furia, portandosi<br />

dietro solo qualche misero fagotto. Con il vantaggio per l'invasore di intasare<br />

meno le strade con carri e masserizie e di lasciar libere le case al saccheggio<br />

più comodo.<br />

Renato Arrigoni, ostinatamente preoccupato di non abbandonare l'archivio<br />

dei suoi rogiti, riesce ad ottenere la disponibilità di un camion, sul quale carica<br />

le tre casse di documenti e le due fi glie. La famiglia lascia l'antico palazzotto<br />

in piazza Maggiore, di fronte al municipio, con la mira di farsi ospitare a<br />

Vittorio dai parenti Lucheschi (il notaio è vedovo recente di una Lucheschi).<br />

Ma a Serravalle trovano il palazzo occupato dal comando di tappa e dagli<br />

uffi ci che rilasciano i nuovi documenti di riconoscimento e vengono a sapere<br />

che la villa che la nobile famiglia abita a Colle Umberto è stata incendiata. 44<br />

Gli tocca ripiegare presso altri parenti, i Pampanini (Giovanni ha sposato<br />

la sorella del notaio di Valdobbiadene), che abitano in una villa sui colli di<br />

Confi n, sopra Cozzuolo. 45 La casa ha tre grandi piani e già ospita una famiglia<br />

di profughi ed ospiterà presto anche un gruppo di 15 soldati tedeschi.<br />

Il giro d'orizzonte delle osservazioni di Caterina Arrigoni scorre sulla<br />

corona delle colline del vittoriese. Per rivedere i compaesani si impegna in<br />

lunghe trasferte a piedi, a Cappella, a Pieve, a Tarzo, a Colle Umberto, bene<br />

accolta ovunque da quei profughi che trova assai male in quartiere.<br />

Il suo è tra i diari il più ricco di notizie e di rifl essioni. E mette in evidenza<br />

quanto sia stata diversa l'esperienza del profugato considerando la condizione<br />

dei contadini, meno provvisti di contanti, che h<strong>anno</strong> dovuto lasciare tutto in<br />

paese e sono ridotti a vivere di espedienti.<br />

Arrigoni non ha fatto in tempo a ritirare tutti i suoi depositi prima che la banca<br />

chiudesse i battenti. Ha potuto avere un prestito da don Francesco, il cappellano<br />

di Valdobbiadene, e con i contanti al mercato nero non h<strong>anno</strong> conosciuto davvero<br />

la fame (ma il notaio confessa di aver perso 25 chili di peso).<br />

44 I Lucheschi si erano rifugiati in Romagna, a Cesena, dove il nobile Giacomo avrà recapito anche come commissario<br />

prefettizio di Colle Umberto, mentre il sindaco, magg. Tarlazzi, era stato internato a Linz.<br />

45 È curioso che casa Pampanini, prima <strong>della</strong> guerra, fosse stata invece meta prediletta per le baldorie di una<br />

famosa compagnia di buontemponi, chiamata appunto 'cozzolesca'. Se ne leggono le gesta in M. ULLIANA, Vecchio<br />

tinello, Vittorio V., De Bastiani, 2001, pp. 61-62.<br />

186


«I contadini, minacciati negli animali che rimangono loro, preferiscono<br />

macellarli nascostamente e venderne la carne, dopo essersi assicurati il vitto<br />

per qualche tempo. Alcuni sono venuti ad offrirci grossi pezzi, a prezzi<br />

ragionevoli. Approfi ttando dell'insperata fortuna, ne saliamo ed affumichiamo<br />

parecchi chili». Ai primi di gennaio Caterina <strong>anno</strong>ta:<br />

Nelle ultime settimane abbiamo avuto l'insperato rinforzo di un chilo di sego che una volta<br />

gettavamo, ma oggi, sapientemente manipolato dalla zia, serve da burro margarinato. Il pane poi! Pensa<br />

che in tutto il mese abbiamo avuto due volte un pezzo di pagnotta militare. […] Ormai molti vivono<br />

quasi esclusivamente di s<strong>org</strong>o rosso con cui f<strong>anno</strong> una specie di pinza. Ne ho assaggiata una anch'io,<br />

cotta come la polenta. È dolciastra, ma meno disgustosa <strong>della</strong> polenta di granoturco di cui crusca e punte<br />

di torsoli macinati compongono la massima parte. Ne ho parlato con lo zio Tita che mi ha sconsigliato<br />

di usare il s<strong>org</strong>orosso, perché è di diffi cilissima digestione. Aggiunse: Ti sarai accorta da te, passando<br />

per certe vie, come le feci umane sono insanguinate. Qui si usava per l'alimentazione dei maiali, ma con<br />

l'attenzione che fosse a giorni alterni. (Arrigoni, 69, 84, 174).<br />

Più agitato il trasloco dei Pivetta. La signora Filomena detesta i cambiamenti.<br />

Per lei è una pena insopportabile dover abbandonare la casa dove la famiglia<br />

ha potuto godere per tre settimane <strong>della</strong> protezione di un simpatico uffi ciale<br />

bosniaco.<br />

Per la fretta <strong>della</strong> partenza, Giambattitsta non ha potuto andare a Saccol<br />

dai suoi coloni per chiudere i conti dell'annata e procurarsi del contante. Ha<br />

dovuto accontentarsi anche lui di un prestito di don Francesco.<br />

Grazie alle premure di un polizaio amico, i Pivetta riescono a salire su di<br />

un camion per il viaggio verso Follina, Revine («paesello ch'io non avevo mai<br />

sentito nominare») e infi ne a Tarzo, dove si stabilir<strong>anno</strong> fi no alla fi ne <strong>della</strong><br />

guerra. «Il viaggio fu buono, ma quanto triste! Incominciammo ben presto<br />

a raggiungere per via frotte di compaesani che portavano la loro roba sulle<br />

spalle, o trascinandola su di un carretto a mano. Alcuni che ci ravvisavano,<br />

ci salutavano sorridendo ma altri, mossi dall'invidia perché eravamo in<br />

macchina, ci gridavano dietro delle invettive». (Pivetta, 12).<br />

Il profugato dei Pivetta come ce lo racconta la piccola Maria Egizia, è<br />

un'esperienza eccezionale, del tutto fuori del comune. La disponibilità di<br />

contante di cui gode la famiglia (al prestito del cappellano se ne è aggiunto<br />

più tardi un altro ottenuto dal fratello del notaio Arrigoni, medico a Colle<br />

Umberto) aiuta a trovare ovunque una buona accoglienza. «Il babbo ha potuto<br />

fi nalmente scambiare i sette metri di tela bianca con dieci chili di farina gialla<br />

e cinque di fagioli, un valore complessivo di circa cento lire mentre la tela, al<br />

momento dell'acquisto non è costata nemmeno otto. Ma ora i prezzi sono alle<br />

187


stelle, non c'è più regola in nulla». (Pivetta, 41). Giambattista parla bene il<br />

tedesco e ciò gli favorisce conoscenze ed appoggi presso i comandi militari,<br />

procurandogli, negli ultimi mesi dell'occupazione, anche un impiego da<br />

interprete presso gli uffi ci di Corbanese e di Tarzo.<br />

Quando la penuria si farà sentire di più e verr<strong>anno</strong> a mancare le distribuzioni<br />

amiche <strong>della</strong> cucina militare (avendo i Pivetta rifi utato un trasferimento in<br />

Friuli), al padre toccherà fare lunghi giri a piedi, nell'udinese e nelle basse,<br />

per procurare del cibo.<br />

Allora, per quanto l'impresa fosse poco adatta a lui, per la lunghezza dei percorsi e la mancanza di<br />

mezzi di trasporto, pensò di associarsi a qualcuno per andare in cerca di grano, ma non gli fu possibile<br />

trovare nessuno disposto ad andare con lui, tutti si rifi utavano forse temendo che la presenza di un<br />

«signore» facesse rialzare i prezzi. In maggio: «Egli ed i suoi compagni si sono spinti fi no a Pasiano<br />

Schiavonesco ed h<strong>anno</strong> avuto la fortuna di trovare il grano che cercavano in quantità suffi ciente; con sei<br />

monetine d'oro il babbo ha potuto avere 80 chili di farina bianca, un sacchetto di 5 Kg.di piselli secchi<br />

e una trentina di chili di farina gialla. Diversi chili di bianca ha dovuto cederli però ai suoi compagni di<br />

viaggio, meno fortunati di lui. (Pivetta, 24, 41).<br />

La vicenda dei Pivetta avrà un tragico epilogo. La piccola scrittrice morirà<br />

di spagnola pochi giorni dopo la liberazione, seguita dalla madre nel giro di<br />

pochi mesi. La sorella di Maria Egizia, Fanny, che ha curato la pubblicazione<br />

del diario, ricorda che il padre «non ha potuto mai perdonarsi, fi nché è vissuto,<br />

di non essere partito in tempo, come tanti altri, al di là del Piave, verso la<br />

salvezza». (Pivetta, 64).<br />

Paesaggio con rovine<br />

I primi piani sui misfatti degli invasori e sulle sofferenze degli invasi<br />

occupano quasi tutte le pagine dei diari, in particolare di quelli indirizzati<br />

all'ambiente dei parenti, scritti come pro-memoria a sostegno del racconto<br />

che gli autori si sono proposti di ripetere a voce, dopo la guerra, quando si<br />

sar<strong>anno</strong> ricomposte le famiglie divise da Caporetto.<br />

Essi sono lo specchio di un paesaggio fi sico e umano che nel giro di pochi<br />

mesi si è profondamente dissestato: caduta l'autorità pubblica riconosciuta,<br />

disarmate le gerarchie sociali, allentati i vincoli del controllo sociale, installata<br />

un'autorità straniera e in divisa – incomprensibile nella lingua e nelle intenzioni<br />

– menomata la possidenza agraria, bistrattate le colture, imposta in casa<br />

un'affollata convivenza con truppe d'occupazione che si dànno il cambio nelle<br />

prepotenze e nelle violenze, e con l'intrusione di intere famiglie di profughi,<br />

trevigiani sì ma ugualmente sconosciuti ed estranei, con cui dover spartire le<br />

188


già magre risorse disponibili. E tutto ciò nel caos che governa le immediate<br />

retrovie del fronte, con il trambusto continuo di uomini e di mezzi e con gli<br />

effetti mortali del 'fuoco amico'.<br />

Dopo il terremoto demografi co che ha colpito tutti i paesi, privandoli<br />

prima delle forze più giovani destinate al fronte e poi delle molte famiglie<br />

che h<strong>anno</strong> potuto fuggire oltre Piave, si sono aggiunti questi altri fattori<br />

di disgregazione che h<strong>anno</strong> disperso riferimenti identitari, stravolto la<br />

fi sionomia delle comunità, sbiadito le fattezze <strong>della</strong> patria. 46 Caduti<br />

l'esercito e le istituzioni di governo, si è anche inceppato quel plebiscito<br />

quotidiano che per Ernest Renan è la prova vivente <strong>della</strong> nazione. Se nelle<br />

mire un po' sadiche delle classi dirigenti la guerra doveva essere anche<br />

l'occasione propizia per cementare una coscienza nazionale (coronando<br />

l'ambizione semi-secolare di far crescere con l'Unità lo stato e la nazione),<br />

pochi mesi d'invasione avevano scosso la tenuta di tale programma. Non<br />

è un caso che, tra i nostri diaristi, solo le due insegnanti, tenendo fede alla<br />

loro missione educativa, esprimano richiami ideali di questo tipo. 47 Mentre<br />

il ruolo carismatico dei parroci si svolge su un piano diverso, a protezione<br />

delle anime e dei corpi, non a salvaguardia dell'unità nazionale.<br />

Viene anzi dai religiosi la voce più critica verso le cause prime, verso<br />

l'ipocrisia dei ceti preminenti e la debolezza delle autorità civili che non<br />

h<strong>anno</strong> mantenuto il loro posto. Sono deplorazioni magari anche interessate,<br />

che valgono ad esaltare il ruolo svolto dalla Chiesa nei territori occupati,<br />

ma che colpiscono nel segno e che legittimamente pronunciano coloro che<br />

l'occupazione l'h<strong>anno</strong> sofferta fi no in fondo, presi di mira più di ogni altro,<br />

sia nei sospetti che nelle strumentalizzazioni, da parte dei comandi militari<br />

austriaci e tedeschi (e, nei territori liberi, da parte dei comandi italiani).<br />

Veramente grave e diffi cile era ad un tempo la nostra posizione. Da una parte certi signori che<br />

avevano sempre gridato «Viva la guerra», insistendo presso i loro dipendenti sulla necessità e sul<br />

dovere che tutti avevano di cooperare con tutte le forze al nostro trionfo, assoggettandosi, se fosse<br />

d'uopo, anche a sacrifi ci i più gravosi per una causa tanto nobile; noi li avevamo veduti misteriosamente<br />

scomparire dai nostri paesi. Ove si erano rifugiati? È facile immaginarlo, oltre il Piave. Niente di<br />

male, anzi…ma perché essi non si curarono di far presente anche ai dipendenti il pericolo grave che<br />

sovrastava? Perché anzi spargere e far spargere artifi ciosamente la voce che essi non ci avrebbero<br />

46 Sbiadite proprio in quei lineamenti primigeni tratteggiati da Silvio Lanaro (al riparo da usi imperialistici). ««Patria»<br />

[…] è il luogo fi sico dove l'ambiente e il paesaggio – costruiti o modifi cati dalla vita activa delle generazioni<br />

– svolgono una funzione primaria di protezione e rassicurazione esistenziale, e dove una cultura non semplicemente<br />

verbale produce affi nità, consonanze, parentele ideali e morali». S. LANARO, Patria. Circumnavigazione di un'idea<br />

controversa,Venezia, Marsilio, 1996, p.15.<br />

47 Invece Caterina Arrigoni ha uno scatto di <strong>org</strong>oglio 'nazionale' quando lo sente umiliato dagli austriaci perché<br />

f<strong>anno</strong> gran uso del telegrafo. «Qual pena vedere una scoperta così genialmente italiana al servizio dei nostri nemici».<br />

(Arrigoni, 84). Grandezza <strong>della</strong> patria, anche senza ricuperare un ettaro dalle terre «irredente».<br />

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abbandonato, che sarebbero rimasti con noi fi no all'ultima ora? Perché cercare di persuadere il popolo<br />

che miglior partito era rimanere al suo posto? 48<br />

Il Regio Commissario consegna al Vescovo magazzino Comunale: patate, grano, legna per i poveri<br />

e poi fugge con B. Rossi; delle autorità comunali non resta che l'ing. Trojer il quale invita e prega il<br />

vescovo ad accettare presidenza Opere pie, ospedali, ecc…[…] Incontro la maestra De Faveri, la quale<br />

mi dice che il Regio Commissario di Vittorio aveva in saccoccia l'ordine uffi ciale di far sgomberare<br />

Vittorio, ma che non si è sentito in caso di assumersi la tremenda responsabilità (forse avrà secretamente<br />

avvertito i Signori di Vittorio, autorità ecc…, altrimenti – mi domando io – come si spiega l'unanimità<br />

quasi contemporanea <strong>della</strong> fuga delle autorità, dei Signori di Vittorio?). (Di Ceva, 15, 66-67).<br />

I dubbi sull'effi cienza del nostro esercito, il prolungarsi dell'occupazione,<br />

la lontananza dei propri cari, il logoramento del corpo e <strong>della</strong> mente incrinano<br />

anche i sentimenti patriottici.<br />

In un primo tempo a Renato Arrigoni «ripugna come una vigliaccheria<br />

abbandonare il suo paese in un momento così critico in cui tutti i rimasti<br />

appuntano gli sguardi su di lui». Vorrebbe mettere in salvo le fi glie e<br />

rimanere a Valdobbiadene. «Ma, naturalmente, noi rifi utiamo di separarci<br />

da lui. Del resto la partenza ci ripugna per le stesse ragioni». Cinque mesi<br />

dopo però la fermezza cede alla lusinga di poter riparare nell'Italia libera,<br />

attraverso la Svizzera, grazie ai buoni uffi ci <strong>della</strong> Croce Rossa e del Vaticano.<br />

Valdobbiadene, Cozzuolo, Colle Umberto non sono più 'patria'?<br />

Qualcuno non sa perdonare all'autorità civile di non aver provveduto in tempo al nostro sgombero,<br />

anzi d'aver fatto appello al nostro patriottismo per ridurci a rimanere tranquilli. E pensare che sarebbe<br />

bastata una parola, perché noi avessimo potuto metterci in salvo. Perché h<strong>anno</strong> sgomberato i paesi<br />

lontani dalla linea del fuoco e non noi, sotto il Grappa? […] Papà era rimasto per aiutare i paesani,<br />

per tutelare le sue carte e quel po' di roba. La prima ragione cessa d' aver valore dal momento che tutti<br />

i nostri sono dispersi. Per la seconda ha un'idea e spera di poter combinare bene. Per la terza…non<br />

abbiamo più che un doloroso sorriso. (Arrigoni, 20, 88, 118).<br />

Dietro i primi piani scattati sui fatti (di cui abbiamo approfi ttato anche<br />

noi), i diaristi avvertono con preoccupazione certe dissonanze nello sfondo<br />

del racconto primario, sc<strong>org</strong>ono le crepe che si sono improvvisamente aperte<br />

nella compattezza <strong>della</strong> compagine sociale.<br />

Se ne dà valutazioni di tono morale. Ci si sorprende come di una mancata<br />

solidarietà collettiva di fronte a una sciagura comune, che avrebbe dovuto<br />

semmai rinsaldare i legami popolari, cementarli nell'unità di fronte al nemico.<br />

48 SIMONATO, Gli orrori dell'invasione cit., in Il Gazzettino Illustrato, n.1 del 16 maggio 1921.<br />

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Neppure si immagina che la guerra persa, mettendo in fuga i padroni, possa<br />

apparire come insperata occasione di giustizia, liberazione dai vecchi rapporti<br />

di forza. Quando il sociale prende il sopravvento sul politico, l'individuo sulla<br />

nazione. Il saccheggio compiuto dai compaesani nelle case abbandonate da<br />

chi è riuscito a mettersi in salvo (cosa che si ripeterà alla fi ne <strong>della</strong> guerra,<br />

nelle poche ore sospese tra la partenza degli ultimi invasori e l'arrivo dei<br />

primi italiani) non viene neppure inteso come reato comune. Sarebbe stato<br />

meglio, commenta pacatamente Bianca Brustolon, che i proprietari non se ne<br />

fossero andati. Il tutto viene ricondotto a eccessi individuali, isolate perdite di<br />

senno, non già a spie di un malessere antico.<br />

Il ripiegamento sul proprio particolare, la difesa degli interessi di casa<br />

prendono il sopravvento quando la tragedia è troppo grande e si dispera che<br />

sia possibile porvi rimedio. 49<br />

Lo aveva già notato il prefetto di Treviso Vitelli quando, qualche mese<br />

prima di Caporetto, commentando al governo lo stato dello spirito pubblico<br />

segnalava:<br />

Una latente e, direi quasi silenziosa agitazione <strong>della</strong> campagna che non sembra sia da ritenersi del<br />

tutto tranquillante. Un primo sintomo di tale stato di cose apparve in conseguenza del concorso quasi<br />

negativo dato dalla campagna al quarto prestito nazionale, al quale, nonostante l'opera di propaganda<br />

e l'esempio delle persone più infl uenti e facoltose, i piccoli proprietari ed affi ttuali resistettero<br />

assolutamente, astenendosi dal partecipare alle sottoscrizioni, non tanto perché non fossero convinti<br />

del buon impiego dei loro risparmi, quanto perché fermi nel credere, per una elementare concezione,<br />

che il concorso al prestito delle classi superiori non fosse diretto che ad assicurare la continuazione<br />

<strong>della</strong> guerra. […] E per le stesse ragioni vedono ora con poca simpatia le offerte di oro allo Stato,<br />

non potendo allontanarsi dalla credenza più accessibile alla loro mentalità, che cioè le classi dirigenti,<br />

interessate come sono, tutto facciano perché la guerra continui. 50<br />

Le progressive crescenti misure di restrizione dei consumi, che si erano<br />

succedute nel corso del 1917 con l'adozione dei calmieri e degli ammassi<br />

49 Nei giorni in cui infuria la battaglia del Solstizio, una contadina di Piavon scrive: «I pensieri grandi gli ano<br />

tutti, ma specialmente chi a una casa e materiali da conservare, sono ancor più grandi, perche granate si fermano da<br />

vanti, e passano di dietro di più cadono a destra e sinistra, siche se avesce solo la vita da salvare avrei abbastanza;<br />

ma questo non basta e mi troverei molto dispiacente d'essere rimasta qui solo per salvare qualche cosa e non per<br />

altro fi guratevi il mio essere quanto sofrirei di non poter conservare la nostra roba.». (Cunegonda Bozzetto Roman,<br />

pp. 59-60). «Non siamo scappati da Sarmede. Mio papà voleva partire e ha detto «Gènia – diceva a mia madre – è<br />

meglio che prendiamo su (avevamo due bestie) un carretto con le stanghe, attacchiamo una bestia, carichiamo su due<br />

materassi e così andiamo via tutta la famiglia. Eh – ha detto mia madre – lasciare qua la casa, la roba!». Così non<br />

ha voluto partire…ma abbiamo passato, quando mi penso, per carità!». Ricordo di Clotilde Masutti, in C. PAVAN, In<br />

fuga dai tedeschi. L'invasione del 1917 nel racconto dei testimoni, Treviso, 2004, pp. 41-42.<br />

50 Relazione del prefetto Nunzio Vitelli al Ministro dell'Interno V.E. Orlando in data 24 maggio 1917. La citazione<br />

è dal testo rinvenuto e pubblicato da G. NETTO, in ID, 1917-1977, dall'Isonzo al Piave, da Treviso a Pistoia, Comune<br />

di Treviso, 1977, pp. 42-43.<br />

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obbligatori, avevano rafforzato l'avversione alla guerra. Una caduta <strong>della</strong><br />

tensione patriottica, una stanchezza per la guerra che si manifesterà anche<br />

dopo Caporetto, nel fatalismo, nella rassegnata remissività con cui vengono<br />

accolti gli invasori, che annuncia già una disposizione all'adattamento, nella<br />

nota capacità di arrangiarsi anche nelle situazioni diffi cili che h<strong>anno</strong> fatto<br />

dei veneti gli emigranti più effi cienti. Se c'è rivolta ora, è per difendere il<br />

proprio.<br />

«Apprendo che taluni contadini accolgono i primi soldati col cappello in<br />

mano, facendone gli onori di casa». (Della Barba, 6). «Mi sono recato spesso<br />

in paese: è uno smarrimento, è la confusione delle menti: per farsene un'idea,<br />

nessuno, dirò così, conosce più nessuno. Un po' più di calma si conserva<br />

dalla popolazione rurale, forse perché pensa di aver meno da perdere che<br />

i ricchi». (Ciganotto, 12). «Ed ecco sull'imbrunire che arrivano le prime<br />

pattuglie d'avanguardia germaniche…Una sfi lata ordinata che fi schietta<br />

l'inno <strong>della</strong> Nazione. Una sfi lata che passa come andare a una parata. E sul<br />

buio alcune donne ignoranti del popolo che sventolano il fazzoletto! Io fremo<br />

d'indignazione». (Calcinoni, 34).<br />

Me lo ricordo come fosse adesso, quando sono arrivati i tedeschi. I primi arrivati in paese erano<br />

quelli grandi, polacchi mi sembra. Noi eravamo sulle fi nestre lungo la strada e, mentre i soldati<br />

venivano avanti, le donne lasciavano cadere frutti e fi ori, sembrava che stesse per arrivare chissà chi. Ai<br />

primi arrivati abbiamo fatto come un benvenuto, perché poverini mi par di vederli, con questo zaino, a<br />

piedi…e allora il paese ha pensato di accoglierli bene. 51<br />

«Cittadini a gara nel trattare i nuovi inquilini». (Di Ceva, 18). «Molti<br />

cittadini avevano steso alle fi nestre delle case lenzuola e coperte, in segno di<br />

sottomissione». 52<br />

Se l'occupazione non segna certo la fi ne <strong>della</strong> guerra, sembra però abbattere<br />

l'ordine costituito, imporre un sistema a suo modo egualitario, che accorcia le<br />

distanze, che fa pagare i danni <strong>della</strong> guerra a tutti, senza preferenze gerarchiche.<br />

Spezzata dall'invasione l'unità <strong>della</strong> nazione, emergono le divisioni sociali.<br />

Caduti i vincoli d'autorità, l'occupazione straniera si rovescia illusoriamente<br />

in una utopica conquista di libertà, prescrivendo le regole note, i tradizionali<br />

51 Ricordo di Regina Tittonel da Campea (Miane), in PAVAN, In fuga dai tedeschi cit., p. 54. Rimarca Giovanna<br />

Procacci «le innumerevoli espressioni di soddisfazione per la sconfi tta italiana, testimoniate da prefetti, militari<br />

e privati cittadini dopo la disfatta. Nel Veronese, nel Mantovano e nel Padovano –scriveva Diaz ad Orlando – i<br />

contadini «affermano che non desiderano altro che l'occupazione austriaca, perché così la guerra sarebbe fi nita e<br />

perché 's<strong>anno</strong>' che gli austriaci trattano bene le popolazioni, specialmente i contadini, cosicché eventualmente si<br />

vendicherebbero solo sui signori, che <strong>della</strong> guerra sono gli unici responsabili»». G. PROCACCI, Dalla rassegnazione<br />

alla rivolta. Mentalità e comportamenti popolari nella grande guerra, Roma, Bulzoni, 1999, p. 132.<br />

52 TOMASIN, L'<strong>anno</strong> di Vittorio cit., p.13.<br />

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codici di comportamento. E libera rivendicazioni insoddisfatte, offre occasioni<br />

di rivincita. In un'aria da «libera uscita», che assomiglia a quella di Caporetto,<br />

si inserisce una piccola, incruenta guerra civile, che si esprime in esplicite<br />

manifestazioni di rancore verso i ricchi. Emblematico il caso di Eugenio Della<br />

Barba, che si trova d'un tratto ad impersonare insieme proprietà terriera e<br />

autorità pubblica quando, nominato sindaco di Conegliano, nel nuovo duplice<br />

ruolo fa da bersaglio unifi cato di proteste di ogni tipo.<br />

Redarguisco giovinastri colti nel demolire pavimenti e scale, e ne ricevo contumelie e minacce da<br />

coloro che dovrebbero esercitare verso i fi gli una azione correttiva. C'è odio addirittura per tutto ciò che<br />

costituisce autorità […] In calce ad avvisi al pubblico, emessi dal Sindaco, compaiono, scritti a lapis<br />

copiativo, dei motti, come i seguenti, coll'aggiunta di qualche sconcia vignetta: «Morte al sindaco»<br />

«Alla gogna il sindaco». […] Il peso del mio corpo è scemato di oltre 29 chilogrammi e soffro di<br />

vertigini. Qualche donna del popolo, vedendomi, esclama, con altre «Guarda come è ancora grasso il<br />

nostro sindaco!». […] Certo Sanson di Collalbrigo, e donne parecchie imprecano contro il Sindaco, che<br />

non provvede a p<strong>org</strong>ere cibi alla popolazione! (Della Barba, 20, 23, 24, 27).<br />

Al misconoscimento dell'autorità, che sottende allo scherno, si accompagna<br />

il rancore sociale.<br />

Molti contadini si mostrano irritati perché i padroni sono partiti, senza avere fatto loro i conti. […] Il<br />

mio colono, che mi rifi utò qualunque aiuto, l'ho pregato di voler abitare e sorvegliare la casa. […] Vengo<br />

informato che la mia casa sta spogliandosi completamente, col concorso di gente del contado. […] Un<br />

contadino di Costa, trovandomi con mia moglie, mi grida in faccia: Cossa fatu qua, in campagna. Va<br />

a casa toa. Viva l'Austria, abbasso l'Italian…quel fi ol de un can. […] I nostri contadini son matti. C'è<br />

chi giustifi ca la brutalità delle orde barbare occupanti, coll'affermare che gli italiani h<strong>anno</strong> commesso<br />

identici peccati. H<strong>anno</strong> i signori pagato denaro per fare la guerra. L'Italia ha tolto i benefi ci ai preti, ai<br />

vescovi e perfi no al Papa (!). (Della Barba, 13, 8, 10, 9).<br />

«Alcuni padroni scrivono d'oltre Piave ai domestici e affi ttuali perché diano<br />

aria alle camere, ai palazzi, alle case. Altro che aria! Se ne acc<strong>org</strong>er<strong>anno</strong> al<br />

loro ritorno». (Di Ceva, 236).<br />

Oltre ai rancori vecchi e nuovi c'è l'illusione, la speranza che questa libertà<br />

sia per sempre e dia diritto anche a una forma di usucapione. «Fra taluni<br />

contadini si sta pensando alla divisione delle terre, calcolando sul permanente<br />

allontanamento dei padroni». (Della Barba, 34). «Oggi papà disse ad una<br />

contadina: -Di chi è questa bella fattoria? –Era dei Giuriati. – Come era?<br />

L'h<strong>anno</strong> venduta? –No, no. –Sono morti allora? –No, ma h<strong>anno</strong> passato il Piave<br />

e così h<strong>anno</strong> perso il diritto alle case, ai campi, alla loro roba». (Arrigoni, 98).<br />

193


«Il comandante conferma essere vero che contadini del luogo s'informano se<br />

proprio la proprietà dei campi dovrà passare a loro, anche se qualche padrone<br />

è rimasto qui». (Della Barba, 36).<br />

Sfi lacciato il tessuto connettivo <strong>della</strong> comunità, una popolazione debilitata<br />

dalle molte assenze di vivi e di morti, fatta di vecchi, donne e bambini e<br />

caricata dall'intrusione delle più numerose presenze forestiere, si acuisce<br />

l'impulso a ritrarsi nelle soluzioni individuali, a protezione degli egoismi<br />

famigliari. Ne f<strong>anno</strong> le spese anche i profughi.<br />

-Come ti chiami?- Chiedo a una bimbetta cinquenne. –Mi vergogno a dirlo –mormora confusa- ho<br />

un nome brutto, brutto. –E via, coraggio, di chi sei? – Son dei profughi – confessa in un sussurro, tutta<br />

vergognosa. Il male che mi ha fatto questa parola, in bocca a quell'esserino! Perché (vedi Pierina) non è<br />

una parola gettata a caso, priva di senso. È la realtà. Dopo la prima esplosione di pietà, i profughi sono<br />

venuti a noia, a disprezzo, a ribrezzo quasi. (Arrigoni, 129).<br />

Quando gli Arrigoni, padre e fi glia, arrivano a piedi a Cappella Maggiore,<br />

dove si è concentrata la maggior parte dei profughi di Valdobbiadene, trovano<br />

che<br />

La popolazione si mostra piuttosto ostile verso i nostri poveretti, tanto più che la difterite fa strage<br />

in mezzo ai nostri bambini. […] I cappellesi rinfacciano ai nostri la mancanza di pulizia. Ma i profughi<br />

vivono nelle case abbandonate dai bosniaci, dormono in quindici e più per cameretta, sdraiati per terra<br />

e fortunati quelli che h<strong>anno</strong> portato con sé delle coperte. […] L'accusa assurda per eccellenza, fatta ai<br />

nostri, è di far crescere i prezzi, poiché pagano. La colpa non è dei paesani di sfruttare tanta miseria.<br />

No! La colpa è di essere vittime. (Arrigoni, 87).<br />

«I profughi sono malvisti dovunque, pare che ci facciano una colpa di<br />

aver abbandonato il paese, quasicché non fosse stato un ordine al quale<br />

era giocoforza ubbidire! Oh se si mettessero un po' nei nostri panni,<br />

comprenderebbero quanto siamo disgraziati e certamente ci dimostrerebbero<br />

più comprensione! E se un altro momento dovessero loro pure andare via,<br />

profughi come noi?». (Pivetta, 26). 53<br />

A Fregona, dove si sono fermati un migliaio di profughi da Segusino. «A<br />

Fregona inospitale ed egoista i miei profughi furono imposti dal Comando,<br />

che in qualche famiglia dovette usare anche le minaccie perché fosse concesso<br />

loro un giaciglio strettissimo e senza fi eno, od una stalla immonda ed umida.<br />

53 Anche nella Destra Piave c'è insofferenza verso i nuovi arrivati. I termini che da queste parti vengono usati<br />

per defi nire i profughi non sar<strong>anno</strong> proprio tutti storpiati per ignoranza lessicale. «Profughi-Profàni-Pròfani-Profùmi-Profui-Pròcani-Scròffoli-Pròfori-Pròtuli-Pèrfori-Scroccoi.<br />

Una povera vecchia profuga si presentò alla suora<br />

dell'Osp. E disse: Signora, sono una povera scroffa, mi faccia carità». In DAL COLLE, Diario di Guerra, cit., p. 134.<br />

194


Fu detto anche che non conveniva seppellire i profughi nel cimitero, e che si<br />

provvedessero un campo». 54<br />

Se si volta le spalle ai compaesani, si guarda come a un vero e proprio<br />

tradimento qualsiasi contatto che non sia ostile all'invasore. L'egoismo<br />

individualistico alimenta comportamenti equivoci. Impossibile dimostrare<br />

quanto si tratti di autentica simpatia politica piuttosto che di meschini<br />

opportunismi. Certi episodi sembrerebbero rientrare nella casistica dei<br />

rancori personali, di chi, spalleggiando l'invasore, ritiene di poter ottenere più<br />

facilmente consumare la propria vendetta.<br />

Un condannato per assassinio giù a San Giacomo, uscito di pena dopo 15 anni, adesso fa la spia<br />

denunciando ai tedeschi le case dei saccheggiatori. L'austriacante Colussi di San Giacomo gavazza<br />

nell'abbondanza, persino una vacca per il latte di sua famiglia; a lui si attribuiscono le responsabilità<br />

delle requisizioni a San Giacomo, vendetta, come per esempio da F. Nardari, perquisizioni in canonica<br />

e dalle Benedettine. (Di Ceva, 83, 203).<br />

Sono abituali le vendette fra b<strong>org</strong>hesi e contadini. Un tale manda in casa<br />

d'altri i soldati a rubare, o a scoprire roba nascosta. Si assiste a qualche scena<br />

fra donne, accusantesi a vicenda di essere colpevoli di requisizioni, facendo i<br />

nomi delle case. (Della Barba, 19).<br />

Le nostre guardie Municipali h<strong>anno</strong> avuto il coraggio di condurre qui graduati Austriaci e pure<br />

Gendarmi per scegliere la mobilia che le andava più bene. Sono venuti espressamente da noi soli; prima<br />

h<strong>anno</strong> voluto entrare nella nostra casa di là, e per il primo la guardia nostra italiana andò nella camera di<br />

mamma levò le coperte per vedere se v'erano materassi di lana […] la stessa guardia mi costrinse aprire<br />

il salotto, io non volleva, e lui mi disse: lenguazza vorala dir che sti mobili i e soi? In quel momento lo<br />

avrei ucciso tanto ero agitatissima. […] L'infami traditori f<strong>anno</strong> più male a noi quelli stessi del paese<br />

che quasi i nemici […] Ver<strong>anno</strong> i fratelli in breve, verrà la giustizia ci rivendicher<strong>anno</strong>. (Brustolon,<br />

66-68). 55<br />

Se il rapporto col nemico è talmente ravvicinato da farsi perfi no intimo,<br />

scatta la censura morale, con l'aggravante del tradimento. «Le civette cenedesi<br />

scandalose trescano con lo straniero; si avvicinano ad essi per accendere<br />

una sigaretta, parlare, sorrisi, moine, saluti ed… appuntamenti!». (Di Ceva,<br />

93). «Ma intanto qualche «sottanina» sembra ormai familiarizzarsi coi baldi<br />

conquistatori». (Della Barba, 8). I parroci sono i più suscettibili verso questi<br />

54 Archivio di Stato di Treviso, Prefettura, Gabinetto, b.29. Anche in Un popolo in esilio, Segusino 1917-1918, a<br />

cura di L. PUTTIN, Treviso, Cassa di Risparmio <strong>della</strong> Marca Trivigiana,1983, p. 63.<br />

55 Il caso riferito dimostra l'effi cacia dell'appoggio collaborazionista. I Brustolon si erano premurati di custodire la<br />

mobilia degli Albrizzio, la famiglia con cui avrebbero dovuto partire. Soltanto malevoli conoscenze locali potevano<br />

aver suggerito una simile perquisizione a colpo sicuro.<br />

195


comportamenti, e a qualcuno tocca anche pagare le conseguenze del proprio<br />

zelo.<br />

Siamo al ventotto gennaio 1918 e le cose v<strong>anno</strong> di male in peggio. La domenica precedente , il<br />

parroco di Cavalier di G<strong>org</strong>o al Monticano don Luigi Cappello, vedendo in parrocchia, certi disordini<br />

e gravi pericoli d'immoralità, predicando alla messa ultima, ebbe a dire: «È indegno, oltre che contro<br />

la fede e il buon costume, che voi ragazze abbiate a ballare con chi domani ha il dovere e che, quindi,<br />

può uccidervi il padre, il fratello, il fi danzato!» Parole franche, severe, un po' imprudenti, se si vuole,<br />

dati i tempi. Fatto sta che le solite «fraschette», le più cinciallegre, forse per accattivarsi la simpatia dei<br />

militari e avere così agevolazioni, riferiscono, con molte frange, le parole «esecrande» (!) del parroco<br />

agli uffi ciali austriaci, sospettosi di tutto.<br />

Il parroco viene arrestato e internato in Friuli, a Palazzolo dello Stella.<br />

Sull'atrio [del Comando Militare Austriaco di Chiarano] sc<strong>org</strong>o, sedute su due poltroncine,<br />

due svergognate di Cavalier, le quali, tutte sorrisetti e ciccì e coccò, f<strong>anno</strong> le svenevoli con due tre<br />

uffi cialetti. Dò loro un'occhiataccia molto, ma molto diversa da quella che Cristo, attraversando il<br />

cortile del palazzo dei sommi sacerdoti Anna e Caifa, rivolse a Pietro. Le avrei sbranate. […] Ci sono,<br />

in quella famiglia, quattro belle giovinette, una delle quali attira le simpatie del Colonnello, che le offre<br />

spesso un caffè con latte e biscottini. Per uscire di casa e andare alle sacre funzioni, in chiesa, tutti<br />

h<strong>anno</strong> bisogno di permesso, ma costei può girare a suo piacimento senza alcun permesso. Il Piave…<br />

mormora e come! Le lingue sacrileghe che non mancano mai, mi dicono di cotte e di crude sul conto<br />

di quella tizia, senza però farsi scoprire perché quella bella frescona riferisce tutto al suo spasimante e<br />

allora sono guai. 56<br />

È un terreno scivoloso, questo. L'ombrosa ipersensibilità di chi ha cura<br />

d'anime forse non aiuta a discernere quanto nella condotta delle giovani<br />

parrocchiane sia incosciente leggerezza o semplici scambi di curiosità tra<br />

coetanei (visto che i giovani paesani sono tutti al fronte). Certo che le foto<br />

di gruppo, scattate in quieti angoli campestri, generalmente non mostrano<br />

«musi lunghi» da costrizione. Comunque, un'ipotesi fuori discussione è la<br />

sincerità dei sentimenti. Relazioni stabili, poi, sono doppiamente scandalose<br />

e ripugnanti alla morale comune. L'occhio severo non si ferma alle ragazze<br />

di paese, a quelle che si conoscono di persona e sulle quali è più facile la<br />

reprimenda se la loro condotta non è più che irreprensibile. La stessa durezza<br />

del giudizio morale si applica a quelle che f<strong>anno</strong> il mestiere, alle donne che<br />

vengono da fuori, seguendo abitualmente il movimento delle truppe.<br />

Per quanto si dica che si tratta del più antico mestiere del mondo, a quanto<br />

56 TOFFOLI, «Piovan» di una chiesa cit., pp. 199, 193, 300.<br />

196


pare non smette mai di sorprendere quando capita di vederlo all'opera.<br />

Neppure quando, come durante un'invasione, l'enorme domanda di sesso (per<br />

poter dimenticare la vicinanza <strong>della</strong> trincea e la lontananza da casa) non può<br />

che comportare l'allestimento, spontaneo o programmato, di un'assistenza<br />

che sia proporzionata alle dimensioni del nuovo mercato. 57 «Incontro Pierino<br />

Balliana con un sacchetto sotto il mantello per raccogliere un po' di grano da<br />

macinare; egli mi dice che vicino a casa sua si è aperta una casa di tolleranza:<br />

due donne cenedesi e una forestiera!». (Di Ceva, 47).<br />

In primavera arrivano a Vittorio rinforzi dalla patria lontana. Sono le<br />

kellerine, impiegate e attendenti tutto fare. Riservate alla cura degli uffi ciali,<br />

non entrano in concorrenza con le prestatrici libere. «Quante «Kellerine» in<br />

città piovute dall'Austria!». (Di Ceva, 151). «L'Austria cioè questo comando<br />

ha qui occupate come impiegate, e servizi varii circa 700 delle loro Sig.ne<br />

Austriache così h<strong>anno</strong> potuto tutte indossare vestiti e biancheria italiana<br />

poiché i loro propri sono di carta». (Brustolon, 174). «Le requisizioni di<br />

biancheria, specialmente femminile, h<strong>anno</strong> ripreso con nuova intensità per<br />

opera degli austriaci. Sfi do io! Con tutte quelle donne che vennero a deliziar<br />

Vittorio! Queste, ormai, passano ostentando spudoratamente vesti, cappelli e<br />

pellicce delle nostre signore». (Arrigoni, 96).<br />

Non sembra comunque che ci siano soltanto delle professioniste, soltanto<br />

amore a pagamento. Ma lo sdegno colpisce anche le civettuole.<br />

Musica in piazza per la vittoria sul Piave. Un Uffi ciale che parla italiano va invitando le signorine<br />

ad uscire facendo loro credere che sono obbligate ad andare; qualche minchiona ci crede. Poche si sono<br />

fatte vedere e sono oggetto dello scherno e del disprezzo <strong>della</strong> popolazione e di quelle altre che giurarono<br />

di non muoversi neanche se i gendarmi le andassero a pigliare. Pazienza vedere una signorina la cui<br />

madre è tedesca ed ha quindi nelle vene un sangue che non potrà mai ardere di quella passione ardente<br />

che mi strugge il cuore per la mia adorata terra, ma delle altre vere italiane…oh che vergogna![…] In<br />

57 Lo stesso vale nell'Italia libera. Mentre l'attenzione prestata ai rapporti tra soldati e prostitute da parte dei<br />

comandi militari punta a scongiurare o almeno a limitare i danni che potrebbero venirne alla salute e all'effi cienza<br />

dei combattenti, la preoccupazione dei religiosi è vòlta ai più ampi effetti morali provocati dalla diffusione del malcostume<br />

anche nei più piccoli paesi. Si pensa al contagio delle anime prima ancora che a quello dei corpi. Quindi<br />

da un lato i comandi militari cercano di dare un'<strong>org</strong>anizzazione di controllo alla prostituzione, combattendo quella<br />

clandestina, che è la più pericolosa, mentre i religiosi non f<strong>anno</strong> differenze, anzi, cercano di arginare, anche con<br />

successo, l'apertura di case di tolleranza per l'esercito. I vescovi veneti lo f<strong>anno</strong> uffi cialmente, rivolgendo un appello<br />

in questo senso, nell'estate del '18, al presidente del Consiglio Orlando. I risultati tuttavia sono controversi. A. Giacinto<br />

Longhin, il vescovo di Treviso, si rammarica con il collega di Vicenza. «Sono amareggiato al sommo, perché<br />

in questi giorni, oltre a nuove vessazioni contro i poveri preti, mi si impiantano qua e là case di tolleranza in paesi<br />

di campagna. Ero ricorso a S:A. il duca d'Aosta per impedire quella che si voleva aprire qui vicino a Lancenigo e<br />

vi riuscii, ma ecco una fi oritura di questi velenosi funghi quasi a vendetta di quel primo tentativo non riuscito». I<br />

vescovi veneti e la Santa Sede nella guerra 1915-1918, a cura di A. SCOTTÀ, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura,<br />

1991, vol. 2, p. 292. Anche i politici talvolta dànno una mano ai parroci. Il prevosto di Montebelluna è grato all'on.<br />

Bertolini per il suo effi cace intervento: «Grazie al suo validissimo patrocinio la «cosa» prese un'altra piega ed il<br />

pericolo sembra scongiurato». Archivio Bertolini, Montebelluna.<br />

197


paese c'è un gran numero di Uffi ciali eleganti ed azzimati nella loro uniforme stretta e corta; cercano il<br />

piacere, ma solo qualche sciocca si vede passeggiare con loro. E di queste senza carattere e senza amore<br />

per i nostri, non merita spendere il tempo per occuparsene. (Calcinoni, 38, 44).<br />

Un velo di compassione invece quando si tratta di uno scambio per la<br />

sopravvivenza, cui tocca sottostare.<br />

Ci sono cinque casinò. L'abitudine dei bagni di sole è già cominciata e gli uffi ciali non si peritano di<br />

mostrarsi in costume adamitico. E peggio, le loro tedesche non bastano a distrarli. Le povere villanelle<br />

adolescenti, che scendono dal Cadore a cambiare burro e formaggio contro farina, molte volte ottengono<br />

lo scambio a prezzo dell'onore.[…] Grandi programmi annunciano a Vittorio una settimana di feste in<br />

onore di Carlo, con teatro, cinematografo, musica. L'entrata è di cinque corone per gli uffi ciali, una<br />

per la truppa, una e mezza per i b<strong>org</strong>hesi. Se poi, oltre alle tedeschine, altre quattro poco di buono<br />

v'interverr<strong>anno</strong>, ci sarà certo pronta la fotografi a a coglierle, onde dimostrare come il pubblico italiano,<br />

in liete riunioni, manifesti la propria soddisfazione per l'attuale, felice stato di cose. Purtroppo, ci sono<br />

delle ragazze, rare, che non s<strong>anno</strong> difendersi dagli omaggi dell'uffi cialità, con la scusa che h<strong>anno</strong> paura<br />

del peggio o <strong>della</strong> fame. – Ma torner<strong>anno</strong> gli italiani – dicono le amiche – e vi segneremo noi, a dito,<br />

ai nostri. (Arrigoni, 141, 125).<br />

Anche l'amore vero fa scandalo in paese. La sincerità dei sentimenti non<br />

basta. È il dubbio che insidia la felicità di Maria, diciottenne infermiera<br />

all'ospedale militare di Combai. Maria si confi da con la sorella:<br />

Ogi è il primo giorno <strong>della</strong> primavera e il mio cuore pulsa e batte d'amore. Le violete che aprono<br />

sula nefe mi fano teneresa e sospirar d'amor. Temo d'eserme invaghita del mio tenentino. Quando lo<br />

vedo il mio cuore sospira starei ore e ore con lui e quando fi nisco il mio turno non vedo lora di tornare<br />

e tante volte mi fermo ancora e lui mi tiene dai suoi soldati e dagli ofi ziali suoi amici. Temo d'eser tuta<br />

per lui, non ho che ochi per quel mio adorato tenentino prodigo sempre a salvar le vite umane e chino<br />

sui corpi sempre l'intiero giorno ed io con lui. À 33 ani mi ha deto ieri e non ha nemeno la fi danzata.<br />

Che possa isperar? Che sia un tormento? Che sia legittimo sperar d'amore per un nemico? Cosa poso<br />

fare sorella mia? 58<br />

58 PAGOS, La strada de la fan e la Prima Guerra Mondiale, Pieve di Soligo, Dieci, 2007, p. 61.<br />

198


I diari (bibliografi a)<br />

• Caterina Arrigoni, Cara Pierina, a cura di Giancarlo Follador e Gi<strong>org</strong>io<br />

Iori. Valdobbiadene, Banca Popolare «C.Piva», 1994, in 4°, pp. 235.<br />

• Cunegonda Bozzetto-Roman, Diario <strong>della</strong> paura e <strong>della</strong> fame nell'<strong>anno</strong><br />

di occupazione 1917-1918, a cura di Mario Bernardi. Oderzo, Libreria<br />

Ed.Opitergina, 2007, in 8°, pp. 75.<br />

• Bianca Brustolon, Vittorio '17 -'18. Un diario, a cura di Aldo Toffoli. Vittorio<br />

V., De Bastiani, 1989, in16°, pp. 223.<br />

• Antonietta Calcinoni, Diario di guerra: 6 novembre 1917- 31 ottobre 1918, in<br />

Enrico Dall'Anese e Paolo Martorel, Gli anni <strong>della</strong> Grande Guerra nel Quartier<br />

del Piave, Pieve di Soligo, Nuova Stampa 3, 1988, in 8°, pp. 32-76.<br />

• Valentino Carpenè, Le dolorose note dell'invasione, in Conegliano.Un <strong>anno</strong><br />

di dominazione straniera, a cura di Innocente.Azzalini e Gi<strong>org</strong>ioVisentin.<br />

Vittorio V., De Bastiani, 2007, in 8°, pp. 169-232.<br />

• Angelina Casagrande, Sotto il tallone tedesco. Note personali d'una<br />

spettatrice dell'invasione straniera. 9 novembre 1917 – 29 ottobre 1918.<br />

Con prefazione di Adolfo Vital. Venezia, Stab.Graf.Bortoli,1920, in16°,<br />

pp.24. (parzialmente ristampato in Conegliano. Un <strong>anno</strong> di dominazione<br />

straniera, a cura di I.Azzalini e G.Visentin. Vittorio V., De Bastiani, 2007,<br />

in 8°, pp. 235-254).<br />

• Lodovico Ciganotto, L'invasione Austro-Ungarica a Motta di Livenza e nei<br />

dintorni, Motta di L., Tip.C.Pezzutti, 1922, in 8°, pp. 242.<br />

• Enrico Dall'Anese-Paolo Martorel, Notizie di vita quotidiana tratte dal<br />

diario <strong>della</strong> signora Maria Spada Scarpis, in Gli anni <strong>della</strong> Grande Guerra<br />

nel Quartier del Piave, Pieve di Soligo, Nuova Stampa 3, 1988, in 8°, pp.82-<br />

95. (ora, con tagli e modifi che, anche Maria Spada, Diario dell'invasione,<br />

Vittorio V., Tipse, 2007, in 16°, pp. 35.<br />

• Eugenio Della Barba, Vita vera. Conegliano Veneto. Un <strong>anno</strong> di dominazione<br />

straniera. 9 novembre 1917 - 31 ottobre 1918. Milano, Arti Grafi che di<br />

Conegliano,1919, in 8°, pp.48. (ristampato in Conegliano. Un <strong>anno</strong> di<br />

dominazione straniera, a cura di I.Azzalini e G.Visentin. Vittorio V., De<br />

Bastiani, 2007, in 8°, pp. 49-127)<br />

• Emilio Di Ceva, Diario di guerra 1917-18. L'<strong>anno</strong> dell'invasione nemica<br />

nel vittoriese, a cura di mons.Basilio Sartori.Vittorio V., Ed.Sinistra Piave<br />

Servizi,1992, in 8°, pp. 302.<br />

• Maria Egizia Pivetta, Un <strong>anno</strong> nei paesi invasi. Diario di una bimba, a cura<br />

di Fanny Pivetta Pilato, Bigolino Tip.Arte Stampa, 1970, in 8°, pp. 63<br />

• Gottardo Possamai, L'invasione a Pianzano, in Diari dell'invasione.<br />

199


Godega, Bibano, Pianzano, a cura di I.Azzalini e G.Visentin. Vittorio V.,<br />

De Bastiani, 2002, in 8°, pp. 129-166.<br />

• Gioachino M.Rossetto, Cronaca giornaliera di guerra. Follina 1917-1918,<br />

in La Grande Guerra nella Val Mareno, a cura di Damiano Cesca. Vittorio<br />

V., De Bastiani, 2004, in 8°, pp. 21-142.<br />

200


Profughi che abbandonano le proprie case. ISTRIT.


Sui roccioni del Grappa. MCRR


UNA MEMORIA NAZIONALPOPOLARE PER IL MONTE<br />

GRAPPA «BALUARDO D'ITALIA» (1918-1921)<br />

Livio Vanzetto<br />

Premessa<br />

Mi sono occupato più volte <strong>della</strong> costruzione <strong>della</strong> memoria sul Grappa.<br />

Lo farò anche in questa occasione, cercando di approfondire l'analisi di un<br />

periodo interessante e poco indagato – l'immediato dopoguerra dal 1918 al<br />

1921 – durante il quale attorno al Grappa, già «baluardo <strong>della</strong> Patria» in armi,<br />

si cercò di radicare una memoria <strong>della</strong> Grande Guerra che, in quanto condivisa<br />

sia dalle classi dirigenti laiche che dalle masse popolari cattoliche, potesse<br />

funzionare da «baluardo <strong>della</strong> pace»: un tentativo originale di superamento<br />

di storiche divisioni che, in quel particolare contesto, avrebbe potuto in teoria<br />

risultare vincente e prezioso per la democrazia ma il cui fallimento contribuì<br />

invece a facilitare la vittoria del fascismo; il quale, negli anni trenta, fi nì per<br />

imporre anche a Cima Grappa la propria visione univoca e autoritaria del<br />

recente passato.<br />

Il tema di studio così individuato richiede qualche informazione preliminare<br />

su alcuni aspetti <strong>della</strong> storia del Grappa abbastanza noti e dei quali mi sono<br />

già occupato in precedenti pubblicazioni 59 , ma che mi sembra ugualmente<br />

necessario riproporre qui in sintesi.<br />

Nel 1899, in vista del Giubileo, il Grappa fu scelto dai vescovi veneti quale<br />

Monte Sacro regionale. Sulla sua cima venne eretto un sacello sormontato<br />

dalla famosa Madonnina, inaugurata e benedetta il 4 agosto 1901 dal cardinale<br />

Sarto, il futuro Pio X: un'iniziativa di successo che conferì al Grappa un ruolo<br />

di prima grandezza, a livello simbolico, per i cattolici veneti. Da allora in poi,<br />

ogni <strong>anno</strong> ai primi di agosto, venne <strong>org</strong>anizzato un grandioso pellegrinaggio<br />

di fedeli che salivano a piedi dai paesi <strong>della</strong> Pedemontana fi no alla cima del<br />

monte in onore <strong>della</strong> Madonnina; ogni <strong>anno</strong>, tranne che nel 1918, quando il<br />

Grappa assunse il ruolo, per le note vicende belliche, di luogo simbolico <strong>della</strong><br />

resistenza nazionale.<br />

Dunque, il Grappa, luogo simbolo <strong>della</strong> fede e del cattolicesimo veneto,<br />

diventa nel 1918 anche il luogo simbolo del patriottismo e <strong>della</strong> nazione.<br />

Religione e patria erano rimaste a lungo separate e confl ittuali nella storia<br />

59 Rinvio a queste mie pubblicazioni anche per una più dettagliata indicazione delle fonti utilizzate per la presente<br />

relazione: Monte Grappa in I luoghi <strong>della</strong> memoria. Simboli e miti dell'Italia unita, a cura di Mario Isnenghi, Laterza,<br />

Bari 1996; Guida storica ai monumenti di Cima Grappa, Istresco, Treviso 2001; Cima Grappa, luogo conteso<br />

dalle memorie (con Amerigo Manesso), Istresco, Treviso 2001.<br />

203


dell'Italia postunitaria. Volle ricordarlo, proprio a Cima Grappa, il vescovo di<br />

Treviso mons. Mantiero nel 1938, quando, nel suo discorso per il Ventennale<br />

<strong>della</strong> vittoria, accennò al fatto che gran parte <strong>della</strong> classe dirigente liberale<br />

aveva sorriso «scettica e beffarda quando il futuro Pio X portò quassù la<br />

Madonnina, perchè allora l'Italia religiosamente e politicamente attraversava<br />

uno dei momenti più oscuri e minacciosi». 60<br />

Il confl itto Stato-Chiesa, già in parte risolto con il patto Gentiloni (1913),<br />

fu quasi del tutto superato, di fatto, grazie alla collaborazione instauratasi<br />

nel corso <strong>della</strong> Grande Guerra, come è stato detto anche in una relazione<br />

presentata a questo convegno.<br />

Proprio il Grappa, anzi, costituisce il luogo privilegiato, a livello simbolico<br />

oltrechè fattuale, del processo di riavvicinamento e di sintesi tra sentimenti<br />

religiosi e patriottici; e ciò anche grazie al concorso casuale di due circostanze<br />

favorevoli: il «ferimento» <strong>della</strong> Madonnina e la nomina a comandante <strong>della</strong><br />

IV Armata di un grande creatore di miti come il generale Gaetano Giardino,<br />

per intenderci il regista occulto, assieme a Vittorio Emanuele Orlando,<br />

dell'operazione «Canzone del Grappa». 61<br />

La Madonna, abbattuta e danneggiata da una granata austriaca il 14<br />

gennaio 1918, fu raccolta e portata nel duomo di Crespano dove divenne<br />

subito oggetto di devozione per i tanti soldati presenti in zona oltre che per<br />

le genti <strong>della</strong> Pedemontana. Giardino colse subito l'importanza strategica di<br />

questo moto spontaneo di devozione popolare tanto da fare <strong>della</strong> Madonnina<br />

– come lui stesso scrisse – «il maggior presidio morale al valore, alla serenità,<br />

al sacrifi cio dei combattenti». 62 «Simbolo e s<strong>org</strong>ente di nuove speranze e<br />

di indomito coraggio per i soldati e le popolazioni, usbergo ai nostri eroici<br />

difensori, baluardo d'Italia», così la defi niva una tempestiva pubblicazione<br />

ecclesiastica del maggio 1918. 63 Non a caso il generale Giardino – uno che<br />

evidentemente non si sarebbe mai domandato di quante divisioni potesse<br />

disporre il Papa – era solito fare affermazioni di questo tipo: «La guerra non si<br />

fa solamente e neppure prevalentemente con le macchine, siano pure possenti.<br />

E quella visione <strong>della</strong> Madonnina del Grappa valeva molte batterie». 64 E così il<br />

Comandante fi nì per arruolare anche la Madonnina nella sua IV Armata, tanto<br />

da farne imprimere l'immagine sulle cartoline postali distribuite ai soldati e<br />

sulla stessa medaglia commemorativa dell'Armata.<br />

Dopo la guerra, però, l'unità di intenti tra religione e patria, tra masse<br />

60 Archivio Diocesano di Treviso, fondo Archivi dei vescovi, vescovo Mantiero, B.9 «Prediche, discorsi, conferenze»,<br />

discorso dattiloscritto datato «4 agosto Monte Grappa 1938».<br />

61 Livio Vanzetto, Guida...cit., pp. 88-91.<br />

62 Ibidem, p. 44.<br />

63 La Madonnina del Grappa. Ricordi lieti e tristi, Tip. Seminario, Padova 1918.<br />

64 La frase venne ricordata da mons. Mantiero nel discorso citato alla nota 2.<br />

204


popolari e classi dirigenti, raggiunta anche grazie all'azione consapevole di<br />

Giardino, si incrinò pericolosamente nel corso del «biennio rosso» ( o, se si<br />

preferisce, «bianco», almeno nel Veneto centrale). Proprio in quei momenti<br />

critici, il Grappa assunse il ruolo di luogo privilegiato per un interessante<br />

tentativo di riappacifi cazione nazionale: da «baluardo bellico» a «baluardo<br />

<strong>della</strong> pace». E forse – come vedremo - il sentimento patriottico, grazie alla<br />

religione, avrebbe ancora potuto, nel 1921, mettere radici nella coscienza<br />

popolare se avesse trovato un terreno fertile, una base materiale adatta<br />

sulla quale impiantarsi e crescere. Trovò invece solo la vuota ritualità delle<br />

celebrazioni uffi ciali nella quale il fascismo – e la stessa Chiesa -. fi nirono per<br />

imbalsamarlo.<br />

L'uso politico <strong>della</strong> grande guerra durante il «biennio rosso»<br />

Tra 1919 e 1920, la memoria <strong>della</strong> guerra appena conclusa appare<br />

ancora estremamente fl uida e confl ittuale; divisa in almeno tre diverse<br />

rappresentazioni: quella socialista, quella cattolica e quella nazionalfascista.<br />

I socialisti, coerentemente con la loro scelta neutralista del 1915, ricordano<br />

il confl itto come la «guerra di lor signori», una scelta imposta dalla b<strong>org</strong>hesia<br />

nel proprio interesse e contro la volontà dei lavoratori. In quest'ottica, la<br />

responsabilità <strong>della</strong> morte in battaglia di tanti proletari viene attribuita non<br />

tanto al nemico quanto alle classi dirigenti interventiste, indegne perciò di<br />

rimanere al potere.<br />

Una visione negativa <strong>della</strong> guerra serpeggia anche nell'immaginario di<br />

molti ex combattenti cattolici di estrazione popolare, i fanti-contadini. Non<br />

a caso, alcune lapidi comparse nei primi anni postbellici nei sagrati delle<br />

chiese del Trevigiano citano l' «inutile strage» di Benedetto XV e parlano<br />

di «guerra barbara» e di «orrendo massacro». 1 Si tratta di una reazione<br />

istintiva, spontanea, non alimentata dalla gerarchia ecclesiastica e che ben<br />

presto viene riassorbita dalla dirigenza del movimento cattolico e del PPI che<br />

mira invece ad una valorizzazione dei sacrifi ci compiuti dalle classi popolari<br />

in termini di maggiore giustizia sociale e di riconquista cristiana <strong>della</strong> società:<br />

i fanti-contadini h<strong>anno</strong> combattuto e sofferto, molti sono caduti; e tutto questo<br />

conferisce loro il diritto di pretendere riforme economiche, sociali e morali<br />

che garantiscano migliori condizioni di vita.<br />

Si tratta, a ben guardare, di un ragionamento molto simile, a parte la<br />

variante anticlericale, a quello implicito nella linea d'azione postbellica dei<br />

repubblicani sociali dell'interventista Guido Bergamo, particolarmente forti<br />

1 Per la lapide di Pederobba (TV), si veda Emilio Spagnolo, Cronaca ecclesiastica durante l'episcopato di A.G.<br />

Longhin, Bertato, Abbazia Pisani 1986, pp. 41-43; si veda anche, nella piazza del paese, il monumento ai caduti di<br />

Piombino Dese (provincia di PD, diocesi di Treviso).<br />

205


in provincia di Treviso, soprattutto nel Montebellunese. 2<br />

Nazionalisti e fascisti, invece, seguono un altro ragionamento, propongono<br />

un diverso uso pubblico <strong>della</strong> guerra: tutte le classi sociali h<strong>anno</strong> contribuito<br />

allo sforzo bellico e tutte h<strong>anno</strong> quindi diritto a un riconoscimento e a un<br />

risarcimento. Dovrà perciò essere la Patria-Nazione – quel corpo mistico nel<br />

quale si riconoscono e si dissolvono i singoli individui – a trarre vantaggio<br />

dalla vittoria. L'Italia, la «grande proletaria» tra le nazioni, ha il diritto di<br />

assumere nel mondo quel ruolo-guida che le compete dopo la Grande Guerra:<br />

una linea di pensiero e d'azione che porterà fatalmente alla costruzione del<br />

mito <strong>della</strong> «vittoria mutilata», alla ricerca di un «posto al sole» e infi ne al<br />

secondo confl itto mondiale combattuto contro gli ingrati ex alleati.<br />

Queste, in estrema sintesi, le memorie divise e confl ittuali che contribuiscono<br />

ad alimentare lo scontro sociale, le manifestazioni di piazza, le lotte delle<br />

leghe bianche e rosse contro i proprietari terrieri nell'immediato dopoguerra.<br />

Nel clima infuocato di quei mesi non c'è spazio per celebrazioni popolari<br />

<strong>della</strong> guerra, per tributi pubblici di onore ai combattenti e all'esercito; non<br />

c'è spazio nemmeno per riti unitari di commemorazione dei caduti: ciascuna<br />

parte sceglie modalità diverse per ricordare e celebrare i propri morti. Tutto<br />

questo si verifi ca puntualmente anche in provincia di Treviso, che pure era<br />

stato il teatro principale dei combattimenti nell'ultimo <strong>anno</strong> di guerra.<br />

Il comune capoluogo, ancora amministrato dai liberalmoderati eletti nel<br />

1914, decide, ad esempio, di non celebrare il 4 novembre 1919 3 per paura di<br />

disordini e contestazioni, in linea con le indicazioni pervenute dal governo<br />

centrale di Roma. E anche a Vittorio Veneto ci si limita a una cerimonia<br />

commemorativa per pochi, <strong>org</strong>anizzata nello spazio protetto del Teatro Sociale<br />

di Ceneda, invece che in piazza. 4 In effetti, il clima è teso.<br />

Il Lavoratore, il settimanale dei socialisti trevigiani, nell'editoriale del<br />

primo numero uscito dopo la sospensione bellica il 4 ottobre 1919 aveva<br />

scritto: «Con l'assassinio di milioni e milioni di creature umane, le b<strong>org</strong>hesie<br />

di tutti i paesi tentarono di arrestare la marcia irresistibile dei lavoratori<br />

verso la redenzione». 5 Qualche settimana dopo, così proseguiva il giornale:<br />

«[I 15.000 caduti in guerra trevigiani] furono tratti da questa provincia a<br />

morire per la patria matrigna»; 6 «ma i reduci delle trincee, come seppero<br />

[...] difendere la patria di lor signori, sapr<strong>anno</strong> contro la patria di lor signori<br />

difendere i propri diritti». 7<br />

2 Si veda il mio L'anomalia laica, Cierre, Verona 1993.<br />

3 «La Gazzetta Trevisana», n.264, 4 novembre 1919.<br />

4 «La Gazzetta Trevisana», n.259, 30 ottobre 1919.<br />

5 «Il Lavoratore», n.1, 4 ottobre 1919.<br />

6 «Il Lavoratore», n.4, 25 ottobre 1919.<br />

7 «Il Lavoratore», n.1, 3 gennaio 1920.<br />

206


Non si intravvedevano vie d'uscita democratiche da questa situazione di<br />

scontro frontale. Il laboratorio del Grappa dimostrerà invece, tra 1920 e 1921,<br />

che qualche possibilità esisteva; quello che mancava, probabilmente, era la<br />

volontà di perseguirla fi no in fondo.<br />

Il laboratorio politico del monte Grappa<br />

La novità e l'importanza strategica <strong>della</strong> collaborazione tra Religione e<br />

Patria, tra Chiesa e Stato instauratasi sul Grappa, auspice Giardino, negli ultimi<br />

mesi di guerra fu immediatamente colta dalla gerarchia ecclesiastica veneta.<br />

Appare signifi cativo, ad esempio, il fatto che il vescovo di Padova Pellizzo<br />

salisse sulla cima del «baluardo <strong>della</strong> Patria» l'11 novembre 1918, appena una<br />

settimana dopo la fi ne delle ostilità, per celebrare un rito di ringraziamento per<br />

la vittoria e in onore dei caduti. 8<br />

Le vecchie classi dirigenti liberali invece, ancora condizionate dai postumi<br />

culturali del confl itto Stato-Chiesa, non intuirono subito l'importanza dei<br />

cambiamenti intervenuti. E così, solo all'ultimo momento i sindaci prebellici<br />

dei comuni <strong>della</strong> Pedemontana affi ancarono l'iniziativa autonoma dei parroci<br />

di Crespano e Borso che, già ai primi di luglio del 1919, avevano dato impulso<br />

all'annuale pellegrinaggio del 4 agosto facendo pubblicare un manifesto<br />

– titolato Avviso Sacro - che costituiva già un buon esempio di equilibrata<br />

interrelazione del codice linguistico-simbolico religioso con quello patriottico:<br />

«la festa deve assumere il duplice carattere e di solenne manifestazione di<br />

gratitudine alla Gran Madre del Redentore […] e di pubblico attestato di<br />

riconoscenza alle valorose truppe <strong>della</strong> IV Armata». 9<br />

Il tardivo manifesto dei sindaci, invece, invitava le popolazioni cattoliche<br />

del Pedemonte a essere presenti per «accrescere importanza e signifi cato<br />

alla cerimonia che sarà di riconoscenza e insieme di fede negli immancabili<br />

destini <strong>della</strong> Patria»; lasciando con ciò chiaramente trasparire l'intento di<br />

usare strumentalmente la religione a fi ni patriottici. Colpisce in maniera<br />

negativa anche il fatto che il manifesto laico fosse prosaicamente fi rmato<br />

dal «Comitato pro interessi dei Comuni del Grappa», tempestivamente<br />

costituitosi nell'intento, nemmeno troppo velato, di sfruttare il nascente<br />

mito del Monte Sacro alla Patria per ricavarne benefi ci economici; 10 non a<br />

caso, era stato proprio questo Comitato ad avviare, nel febbraio 1919, le<br />

pratiche per aggiungere l'appellativo «del Grappa» al nome dei comuni di<br />

Crespano, Paderno e Borso, battendo sul tempo la stessa Bassano. Dopo la<br />

8 L.Vanzetto, Monte Grappa...cit., p. 368.<br />

9 Questo manifesto e quello citato nelle righe successive sono conservati in originale nell'Archivio del Comune di<br />

Crespano del Grappa; sono stati riprodotti integralmente in L.Vanzetto, A.Manesso, Cima Grappa luogo...cit., p. 93.<br />

10 Si vedano, in proposito, anche le osservazioni di Paolo Pozzato, E Bassano andò alla guerra...1915-1918,<br />

Attilio Fraccaro editore, Bassano del Grappa 2010, pp. 347-351.<br />

207


modesta cerimonia di inizio agosto, nessun'altra celebrazione signifi cativa fu<br />

<strong>org</strong>anizzata a Cima Grappa per tutto il 1919; e ciò in linea con la tendenza<br />

generale rilevabile nel resto del Paese. Nella primavera del 1920, però, la classe<br />

dirigente liberale bassanese promosse un'iniziativa in controtendenza: l'avvio<br />

di un ambizioso tentativo laico di costruzione di una memoria patriottica del<br />

Grappa di stampo nazionalpopolare. La vicenda merita di essere analizzata nei<br />

dettagli. 11 Il 21 aprile 1920, un'assemblea di notabili bassanesi procedette alla<br />

nomina di un Comitato ristretto incaricato di <strong>org</strong>anizzare una grandiosa festa<br />

patriottica al ponte di San Lorenzo, sulla Strada Cadorna, nella ricorrenza del<br />

15 giugno 1920, secondo anniversario dell'offensiva austriaca del 1918 la cui<br />

penetrazione in profondità era stata fermata appunto al ponte di San Lorenzo.<br />

Ottenuta l'adesione di importanti autorità tra cui il generale Giardino, il<br />

Comitato inviò una delegazione a Roma per invitare uffi cialmente il governo<br />

alla celebrazione. Si trattava – come sottolinearono gli <strong>org</strong>anizzatori – <strong>della</strong><br />

prima cerimonia patriottica uffi ciale indirizzata al grande pubblico promossa<br />

in Italia dopo la fi ne <strong>della</strong> guerra. Con grande disappunto dei bassanesi, però, il<br />

ministro degli interni Nitti rifi utò di far intervenire all'evento un rappresentante<br />

del governo, consigliò un rinvio e, di fatto, boicottò l'iniziativa; lo stesso re<br />

Vittorio Emanuele III, pur manifestando apprezzamento, fece sapere che non<br />

avrebbe potuto essere presente. Insuffi cienti erano anche le risorse economiche<br />

a disposizione del Comitato, visto che ben pochi «Enti e comuni risposero alle<br />

richieste di fi nanziamento» 12 e che il generale De Bono, comandante militare<br />

territorialmente competente, rifi utò di concedere gli autocarri richiesti per salire<br />

a Cima Grappa, proponendo una curiosa alternativa: «allo scopo di agevolare<br />

in qualche modo i passeggeri che si recher<strong>anno</strong> sul Grappa, potrei mettere a<br />

disposizione del Comitato un centinaio di muli a basto. Prego comunicarmi<br />

al riguardo una risposta in modo che i quadrupedi possano per tempo essere<br />

fatti affl uire a Bassano». 13 Ovviamente non se ne fece nulla; la manifestazione<br />

fu rinviata dapprima al 25 luglio e infi ne a domenica 1 agosto, guarda caso<br />

giusto in concomitanza con l'annuale pellegrinaggio religioso al Sacello di Pio<br />

X. Quel giorno a ponte San Lorenzo venne inaugurata la «colonna romana»<br />

donata dalla capitale; erano presenti, oltre al generale Giardino e ad un gruppo<br />

di notabili <strong>della</strong> zona, solo i militari comandati e una sparuta rappresentanza<br />

di escursionisti bassanesi.<br />

Numerose altre comitive popolari che provenivano a piedi dai paesi<br />

<strong>della</strong> pedemontana ignorarono ponte San Lorenzo e salirono direttamente a<br />

11 Tutte le principali informazioni su questa iniziativa sono tratte dal volumetto, uscito quasi clandestinamente nel<br />

1927, di A. Marzarotto, La colonna romana sul Grappa. Ricordi storici, Tipografi a Silvestrini, Bassano 1927.<br />

12 Ibidem, p.13.<br />

13 Ivi.<br />

208


Cima Grappa, dove si ritrovarono almeno 5.000 persone e dove fi nirono per<br />

convergere, dopo lo scoprimento <strong>della</strong> colonna, anche le autorità bassanesi.<br />

Il fallimento <strong>della</strong> cerimonia laica apparve chiaro a tutti. Lo riconobbe,<br />

qualche <strong>anno</strong> dopo (nel 1926), lo stesso generale Giardino nel discorso<br />

pronunciato a Cima Grappa per l'inaugurazione di una prima parte dell'Ossario:<br />

«Innalzammo a Ponte San Lorenzo la colonna venuta da Roma […]; salimmo<br />

da Bassano tra l'indifferenza dei più, tra il sorriso dei sovversivi. Eravamo in<br />

pochi, ma non dubitammo mai e ripetemmo sicuri: non prevarr<strong>anno</strong>». 14<br />

Il clima ostile è ben rappresentato anche dai giornali dell'epoca. Perfi no la<br />

moderata Provincia di Vicenza aveva contribuito al boicottaggio dell'iniziativa<br />

bassanese. 15 Ma ben più espliciti e duri erano stati gli attacchi del settimanale<br />

socialista El Visentin: «È incominciata la gazzarra patriottica per la festa del<br />

Grappa. Alti gallonati di ogni risma parteciper<strong>anno</strong> a questa <strong>org</strong>ia militarista,<br />

osannando ancora una volta al valor militare e alla guerra che, chiamata da<br />

prima guerra di Liberazione, divenne poi la più grande infamia <strong>della</strong> storia […]<br />

Lavoratori di Bassano! Facciamo sentire pure in questa occasione la nostra<br />

avversione all'indegna reclame patriottico-militarista che si sta inscenando<br />

lassù tra quei monti che sono la tomba di migliaia di vite». 16 Nonostante<br />

l'esito modesto, il tentativo laico di creare una memoria patriottica popolare<br />

ancorata al Grappa ottenne una certa risonanza anche a livello nazionale,<br />

tanto che Mussolini lo esaltò quale primo esempio, assieme all'Ortigara,<br />

«dell'inizio <strong>della</strong> riscossa [in Italia] del sentimento patriottico». 17 Tuttavia,<br />

nessuno poteva illudersi: era chiaro che la folla raccoltasi a Cima Grappa in<br />

quella prima domenica di agosto del 1920 era accorsa per motivi religiosi più<br />

che patriottici. A livello nazionale, lo sforzo, sia pure tardivo, di creare una<br />

memoria condivisa attorno alla Vittoria e all'esercito prese un certo vigore con<br />

il ritorno al potere di Giolitti, tanto che il 4 novembre 1920 si tenne a Roma<br />

la prima vera cerimonia uffi ciale di omaggio all'esercito, con una imponente<br />

sfi lata in piazza Venezia. 18 Nel Veneto, fu soprattutto sul Grappa che, nel<br />

corso del 1921, prese consistenza un tentativo originale e promettente di uso<br />

pubblico <strong>della</strong> grande guerra a fi ni di integrazione nazionale. Le elite locali,<br />

coadiuvate da una parte <strong>della</strong> classe dirigente nazionale, si impegnarono a<br />

fondo per trasformare il Sacro Monte nel luogo ideale di fondazione di un'<br />

Italia nuova, nella quale potessero fi nalmente riconoscersi anche quei ceti<br />

14 Ibidem, p.60.<br />

15 «La Provincia di Vicenza», 28 luglio 1920.<br />

16 «El Visentin», 24 luglio 1920; si veda anche il numero successivo del 31 luglio.<br />

17 Ibidem, p.13; si veda anche Scritti e discorsi di Benito Mussolini, III, La Rivoluzione fascista, Hoepli, Milano<br />

1934, p. 108, discorso di Trieste del 20 settembre 1920.<br />

18 Marco Mondini, Dopo la grande guerra, Comitato per la storia di Bassano, Bassano del Grappa 2004, pp.<br />

100-103.<br />

209


sociali, in particolare i contadini cattolici veneti, che storicamente erano rimasti<br />

estranei all'idea di patria. Il climax fu raggiunto il 4 agosto 1921. In quella<br />

giornata memorabile, la statua <strong>della</strong> Madonnina patrona dei combattenti, già<br />

ferita e profuga, fu riportata al suo posto in Cima Grappa. Si trattò di una<br />

grandiosa cerimonia di riappacifi cazione nazionale, religiosa e patriottica<br />

insieme; studiata nei minimi particolari sul piano <strong>org</strong>anizzativo, fu preceduta<br />

da una settimana preparatoria di pellegrinaggi, prediche e riti <strong>org</strong>anizzati dalla<br />

chiesa locale per le popolazioni rurali dei paesi pedemontani. 19 La necessità di<br />

un' unità di intenti tra Fede e Nazione, soprattutto per affrontare il futuro, fu<br />

sottolineata da tutti gli oratori intervenuti, in particolare dal vescovo di campo<br />

mons. Bartolomasi, dal generale Giardino, da Vittorio Emanuele Orlando e<br />

soprattutto dal vescovo di Padova mons. Pellizzo che dichiarò: «[Oggi] la<br />

Fede di Cristo ha mirabilmente uniti e fusi due potenti amori: Religione e<br />

Patria». 20 Quel giorno a Cima Grappa erano presenti oltre 30.000 persone,<br />

una folla composta in buona parte da contadini. Erano saliti alle prime luci<br />

dell'alba dai paesi dell'alta pianura per onorare la Madonnina e per ricordare<br />

i caduti. Indubbiamente però i contadini bianchi erano stati attratti anche<br />

dalla presenza del loro leader più amato e prestigioso: Giuseppe Corazzin,<br />

fondatore e guida indiscussa delle leghe del Trevigiano, reduce e mutilato<br />

di guerra insignito di medaglia d'argento, fratello di un caduto in guerra,<br />

nonché promotore e presidente di quell'Unione Reduci cattolici che all'epoca,<br />

nella Marca trevigiana, contava molti più iscritti <strong>della</strong> stessa Associazione<br />

Nazionale Combattenti. 21 Nel corso del suo intervento, Corazzin auspicò la<br />

riconciliazione nazionale e la cessazione degli scontri fratricidi, in nome di<br />

quella solidarietà e unità d'intenti disvelata nell'ultimo <strong>anno</strong> di guerra dalla<br />

dedizione e dall'eroismo di tanti soldati-contadini. 22 L' obiettivo indicato<br />

da Corazzin avrebbe forse potuto essere raggiunto se i sacrifi ci del popolo<br />

delle campagne avessero trovato riconoscimento e risarcimento grazie a una<br />

politica di maggiore giustizia sociale. Al di là dei riti e <strong>della</strong> retorica uffi ciali,<br />

le riforme sociali avrebbero creato una solida base per trasformare il Grappa<br />

nel luogo simbolico di un'unità e di un'identità nazionali fatte proprie anche dai<br />

ceti più umili. Rovinò tutto il fascismo, alleato degli agrari contro le conquiste<br />

politiche, sindacali ed economiche dei contadini veneti, risospinti a colpi di<br />

manganello nel limbo di un mondo separato, subalterno, fortemente carente<br />

di senso dello Stato.<br />

19 Ricordo <strong>della</strong> festa religiosa e patriottica per la solenne ricollocazione <strong>della</strong> Madonna sul Grappa, 4 agosto<br />

1921, Tip. Seminario, Padova 1922, p. 41 e p. 43.<br />

20 Ibidem, p. 92.<br />

21 Uffi cio Provinciale Opera Nazionale Combattenti, Relazione (sull'opera svolta nel biennio 1920-1921),Treviso<br />

1922, pp. 6-7.<br />

22 Ricordo <strong>della</strong> festa...cit., pp. 70-71.<br />

210


Vedetta sul Grappa. MCRR.<br />

Rincalzi in arrivo a Cima Grappa. MCRR.


Un operaio al lavoro. ISTRIT.


LO SCANDALO DELLA RICOSTRUZIONE.<br />

GUIDO BERGAMO E LA RISCOSSA<br />

Francesco Scattolin<br />

La «Grande Guerra» oltre un immane sacrifi cio umano fu un costo economico<br />

eccezionale; per l'Italia una spesa di 148 miliardi di lire, «somma doppia<br />

a quella delle spese complessive dello Stato fra il 1861 (data dell'unifi cazione<br />

nazionale) e il 1913». 23 A questa spesa va aggiunto l'onere <strong>della</strong> ricostruzione<br />

ambientale, edilizia, oltre naturalmente l'onere relativo all'assistenza in generale<br />

(pensioni ai superstiti, assistenza, risarcimento ai profughi). La provincia<br />

di Treviso, avendo sopportato la tragedia del fronte sul Piave per tutto un intero<br />

<strong>anno</strong> (ottobre 1917 – ottobre 1918), ebbe un particolare carico di lutti e di<br />

rovine. Paesi come Zenson, Nervesa, Spresiano, Pederobba, Crocetta e Cavaso<br />

furono completamente distrutti. In Treviso città di 2.200 case d'abitazione,<br />

alla fi ne del confl itto, ne rimanevano agibili solo 340. 24 Dei 250.000 profughi<br />

friulani e veneti dopo la rotta di Caporetto, oltre 44.000 provenivano dalla<br />

provincia di Treviso. A questi profughi si devono aggiungere altri del Veneto<br />

non invaso, profughi per decisione volontaria o per ordinanze di sgombero<br />

dettate da necessità militari. Complessivamente si raggiunge la cifra di oltre<br />

600.000 civili, profughi da 322 comuni invasi o sgomberati. 25<br />

Il governo Orlando aveva dovuto istituire un Alto Commissariato per i<br />

profughi, presieduto da Luigi Luzzatti. Il Commissariato diviene, subito dopo<br />

la conclusione <strong>della</strong> guerra, Ministero per le Terre Liberate, inizialmente affi<br />

dato all'on. Cesare Nava, popolare (gennaio 1919), essendo presidente del<br />

Consiglio Francesco Nitti.<br />

Il 19 dicembre 1919 il ministro delle Terre Liberate Cesare Nava, in un<br />

discorso alla Camera dei deputati, circa i danni provocati dalla guerra da poco<br />

conclusa, riferisce che in una zona di 10.000 kmq si ebbe la completa distruzione<br />

di edifi ci, strade, ponti. Per la ricostruzione era stato formato un<br />

comitato governativo con rappresentanti del Ministero dell'Interno, del Tesoro,<br />

dei Lavori Pubblici e <strong>della</strong> Guerra, comitato del quale facevano parte 85<br />

ingegneri, 67 geometri, oltre a 195 assistenti sociali, per una spesa iniziale<br />

di 96 milioni di lire. Contratti erano già avviati con 173 cooperative per la<br />

ricostruzione. Quest'ultimo dato venne duramente contestato dagli onorevoli<br />

23 D. Mack-Smith, Storia d'Italia dal 1861 al 1958, Laterza ed., Bari 1962, p. 487.<br />

24 S. Gambarotto – E. Raffaelli, In fuga da Caporetto, Istrit, Treviso 2007, p. 156.<br />

25 D. Ceschin, Le lettere dei profughi di Caporetto ne Il fronte <strong>della</strong> Marca Trevigiana,<br />

Istrit, Treviso 2008, pp. 131-132. M. Altarui, Treviso combattente, Cassa di Risparmio <strong>della</strong><br />

Marca Trivigiana 1978, pp. 72-76.<br />

213


socialisti Tonello e Ciriani («Falso, cooperative di padroni!»). Per l'assistenza<br />

diretta ai profughi erano già stati erogati, a detta sempre del ministro Nava,<br />

103 milioni, oltre a indumenti, letterecci, arnesi per l'agricoltura. 26 Subentrato<br />

alla presidenza del Consiglio Giovanni Giolitti (quinto e ultimo ministero dello<br />

stesso) sino all'aprile del '21, il dicastero per le Terre Liberate passa all'on.<br />

Raineri. Nell'aprile del '21 si svolgono le elezioni politiche generali. Lo scandalo<br />

che verrà detto «<strong>della</strong> lana» scoppia nell'aprile 1920 sotto la presidenza<br />

Nitti e cioè immediatamente prima dell'ultima presidenza Giolitti (giugno<br />

1920 – luglio 1921). Con Giolitti ministro per le Terre Liberate è l'on. Raineri.<br />

Il Ministero aveva <strong>org</strong>anizzato a Conegliano, a Trento, a Cornuda (Treviso) e<br />

a S. Donà di Piave dei centri di raccolta di suppellettili, di vestiti, di lana grezza<br />

da distribuire ai profughi vittime dei saccheggi e delle distruzioni operate.<br />

Un ispettorato generale per coordinare questi centri era stato istituito a Castelfranco<br />

Veneto, in provincia di Treviso. A Roma, in via Flavia, sempre il Ministero<br />

delle Terre Liberate aveva predisposto un grande magazzino centrale<br />

per rifornire periodicamente il magazzino di Castelfranco il quale funzionava<br />

da centro direzionale per le terre venete. Lo scandalo prende l'avvio da un<br />

articolo «I nodi al pettine» comparso sul settimanale repubblicano di Treviso<br />

La Riscossa, 27 in un numero dell'aprile 1920. In questo articolo si denunciano<br />

funzionari del Ministero per le Terre Liberate, funzionari che avevano operato<br />

illegali vendite di capi di vestiario, di biancheria, di lana destinati ai profughi<br />

indigenti, e sottratti ai centri di raccolta del Ministero. Gli onorevoli Guido<br />

Bergamo e Cosattini, repubblicani, presentano una interrogazione parlamentare<br />

richiedendo una commissione parlamentare d'inchiesta. Una denuncia<br />

era stata presentata all'autorità giudiziaria. La Riscossa del 29 maggio 1920<br />

riporta l'interrogazione parlamentare. Oltre alla commissione d'inchiesta parlamentare<br />

i deputati repubblicani chiedono l'arresto di due prefetti (Treviso e<br />

Venezia), del sottosegretario Velluti e di due alti funzionari del Ministero per<br />

le Terre Liberate, Arcangelo Cirmeni responsabile del Centro di Castelfranco<br />

e Giovanni Moro responsabile del Centro di Conegliano. 28 I parlamentari del<br />

partito popolare (cattolico) si schierano a difesa del ministro Nava, deputato<br />

popolare e titolare del Ministero,mentre si parla di una sottrazione di merce<br />

dai magazzini governativi per un valore di oltre 100 milioni di lire. Che<br />

le denunce dei deputati repubblicani e del settimanale La Riscossa abbiano<br />

26 Archivio di Stato di Treviso (d'ora in poi: AST), Prefettura, Archivio di Gabinetto, b. 14.<br />

27 La Riscossa, settimanale fondato dal repubblicano Guido Bergamo a Treviso nel 1914,<br />

sospeso per l'entrata in guerra nel '15 dell'Italia e la partenza dei fratelli Bergamo per il fronte,<br />

riprende le pubblicazioni all'inizio del 1920. Ved. L. Vanzetto, L'anomalia laica, Cierre 1994,<br />

pp. 29-30.<br />

28 I. Bizzi, Lotte nella Marca, Ed. Vangelista, Milano 1974, p. 67.<br />

214


sollevato un grande dibattito e un vasto allarme anche nell'opinione pubblica<br />

è testimoniato in particolare dai telegrammi allarmati che Nitti, ancora presidente<br />

del Consiglio, invia al prefetto di Treviso alla fi ne del maggio 1920 per<br />

conoscere subito i risultati delle prime indagini giudiziarie. 1<br />

Il ministro Raineri, subentrato a Nava nel giugno 1920 (ministero Giolitti)<br />

aveva nello stesso mese ordinato la sospensione di qualsiasi operazione dai<br />

magazzini di Castelfranco 2 e il prefetto di Treviso aveva espresso in un comunicato<br />

al governo la preoccupazione per la campagna de La Riscossa. 3 Lo<br />

scandalo coinvolge funzionari e commercianti anche al di fori <strong>della</strong> provincia<br />

di Treviso. Un rapporto dei carabinieri <strong>della</strong> compagnia di Mestre, agli<br />

atti nell'archivio <strong>della</strong> prefettura trevigiana, 4 informa: un notevole deposito<br />

di coperte di lana (per quintali 148) è stato rinvenuto a Mestre in via Carducci,<br />

in un «maneggio» affi ttato da tale Alberto Pellizzaro. Da Villa Rinaldi in<br />

Castelfranco risulta che il 10 aprile sono state spedite a Milano, da Ferrari<br />

Mario e Edmondo Basanesi, balle di lana per oltre 3.000 kg e dagli stessi altre<br />

balle nei giorni 11-12 aprile. Il rapporto dei carabinieri asserisce ancora che<br />

il delegato governativo del Ministero Terre Liberate di Conegliano, Giovanni<br />

Moro, ha venduto circa 200 quintali di lana, prelevati dall'Ispettorato di<br />

Castelfranco, al commerciante veneziano Sinigaglia, con l'autorizzazione del<br />

magazziniere Acoleo, di Castelfranco. La Riscossa in defi nitiva non aveva<br />

fatto altro che render pubbliche le ruberie già note ai regi carabinieri. Insieme<br />

alle prime mosse dell'apparato statale iniziano anche le pressioni nei confronti<br />

dell'ambiente repubblicano.<br />

La Riscossa del 15.5.1920 in seconda pagina scrive di un ingegner Sciaraffa<br />

del Ministero Terre Liberate che, in una stanza dell'Uffi cio tecnico in<br />

B<strong>org</strong>o Cavour a Treviso, ai repubblicani ing. Arcani e Carlo Mojoli, mutilato<br />

di guerra e profugo, aveva fatto «offerte ripetute di favori da parte del comm.<br />

Cirmeni purché la Riscossa avesse risparmiato la signorina Gobessi alla quale<br />

il comm. Cirmeni era molto attaccato».<br />

Il 29.5.1920 la Riscossa riporta i nominativi <strong>della</strong> Commissione d'inchiesta<br />

varata a Roma: si tratta di 16 funzionari statali, del Ministero dell'Interno, dei<br />

Lavori pubblici, delle Ferrovie, del Tesoro, delle Terre Liberate, <strong>della</strong> Polizia<br />

di Stato e di un professore d'Istituto tecnico. 5<br />

1 AST, Prefettura, Archivio di Gabinetto, b. 44.<br />

2 AST, Prefettura, Archivio di Gabinetto, b. 44.<br />

3 AST, Prefettura, Archivio di Gabinetto, protocollo n. 644.<br />

4 AST, Prefettura, Archivio di Gabinetto, n. 391/3 del 22.4.1920.<br />

5 La Riscossa 29.5.1920, p. 1:<br />

- Sbrocca dr. Aurelio – Vice direttore gen. Ministero dell'Interno – Roma<br />

- Padula dr. Riccardo – Consigliere di Prefettura – Roma<br />

- Zanon Antonio – Ispettore Ministero dell'Interno<br />

215


A pag. 2 sempre <strong>della</strong> Riscossa del 29.5.1920 si riporta l'interrogazione<br />

parlamentare dell'on. Bergamo riguardante le donazioni del Cirmeni a funzionari<br />

e impiegati (letti, materassi, coperte, tovaglie ecc.). Si chiede inoltre<br />

se Cirmeni è stato corretto nella vendita e nella distribuzione <strong>della</strong> lana del<br />

magazzino di Castelfranco; se l'8 aprile il cav. Moro (incaricato a Conegliano<br />

del Ministero Terre Liberate) abbia spedito al magazzino Pellizzaro di Mestre<br />

e assegnato a certo Luigi Vianelli qui tali 26 di balle di lana; se il ministro<br />

non ritiene opportune perquisizioni a Venezia – Abbazia <strong>della</strong> Misericordia in<br />

casa <strong>della</strong> signora Moro , sorella del cav. Moro, fi duciario del comm. Cirmeni,<br />

e in casa di una amante del cav. Moro e di un fotografo, Vianelli, in campo<br />

S. Bartolomio.<br />

La risposta all'interrogazione dell'on. Bergamo affi data al sottosegretario<br />

Dello Sbarba è quanto mai generica:sarà fatta ampia e rigorosa inchiesta subito<br />

e una denuncia alla magistratura per Cirmeni, Pironti e il cav. Moro.<br />

La Riscossa del 5 giugno riporta la notizia che la Federazione repubblicana<br />

di Treviso intende costituirsi parte civile.<br />

Sopraggiungono in giugno le dimissioni del governo Nitti e la Riscossa che<br />

denuncia come svaniti i milioni promessi al Veneto disastrato dalla guerra,<br />

riporta ben cinque nuove interrogazioni parlamentari dell'on. Bergamo sulle<br />

elezioni in Trentino (da poco annesso all'Italia), su un ponte dell'Adige non<br />

ricostruito, sulla spesa per la ricostruzione di un paese trentino (Brentonico),<br />

sui consorzi di recupero dei materiali bellici.<br />

Il tema del recupero dei rottami e del materiale bellico disperso apre un altro<br />

fronte di malversazioni che coinvolge anche le alte sfere militari. Dai numeri<br />

<strong>della</strong> Riscossa di ottobre 1920 apprendiamo che un generale del Genio<br />

militare, Maglietta, è arrestato per la vendita a privati di materiali dismessi,<br />

vendita effettuata da uffi ciali del Genio. Lo stesso generale Badoglio è incri-<br />

- Fiori prof. comm. Annibale – professore Istituto tecnico – Roma<br />

- Crispo Antonio – direttore capo Ministero Lavori Pubblici<br />

- Righi avv. Erminio – avventizio Ministero Terre Liberate<br />

- Volpe Prignano comm. Ernesto – capo sezione Ministero del Tesoro<br />

- Archetti Luigi – servizio ragioneria, segretario Ferrovie dello Stato<br />

- Crispo Milazzo Eugenio – magazziniere Ministero Terre Liberate<br />

- Rossi Dino – vice segretario Pubblica Sicurezza – Roma<br />

- Scarpa Antonio – segretario di I° Ferrovie dello Stato – Frascati<br />

- Chinigò Francesco – segretario principale Ferrovie dello Stato – Servizio ragioneria<br />

- Berardi Vincenzo – segretario Ferrovie dello Stato – Roma<br />

- Lo Cascio avv. Bernardo – ragioneria Ministero Terre Liberate<br />

- Cacciari Jolanda – dattilografa Ministero Terre Liberate<br />

- Monarchia Pietro – magazziniere Ministero Terre Liberate.<br />

I primi undici inquirenti fi gurer<strong>anno</strong> poi tra gli imputati.<br />

216


minato per certi appalti a ditte private incaricate <strong>della</strong> distruzione di quintali<br />

di razzi e polveri esplosive. E intanto la polemica monta sul costo dei lavori<br />

di ricostruzione del Veneto.<br />

Sul decreto di abolizione del prezzo politico del pane cade il 12 giugno<br />

1920 il governo Nitti e nei giorni seguenti si forma il quinto governo Giolitti<br />

nel quale l'on. Raineri, cattolico, è il nuovo ministro per le Terre Liberate.<br />

Quest'ultimo governo Giolitti durerà appena un <strong>anno</strong>, sino all'aprile 1921,<br />

quando si terr<strong>anno</strong> le nuove elezioni politiche e successivamente sarà nominato<br />

il governo Bonomi.<br />

La campagna contro le ruberie <strong>della</strong> burocrazia statale e dei vari uomini<br />

d'affari è condotta praticamente solo dai repubblicani, dal momento che i popolari<br />

sono appunto titolari del Ministero Terre Liberate e i socialisti temono<br />

la concorrenza repubblicana soprattutto nella zona del Piave.<br />

La procura del Re comunque si attiva e scattano i primi arresti: il cav. Arcangelo<br />

Cirmeni (anni 44) , ispettore del Ministero dell'Interno, direttore dei<br />

magazzini di Castelfranco, è arrestato il 14 maggio 1920 insieme all'amante,<br />

segretaria e cassiera presso gli stessi magazzini, la maestra Anna Gobessi<br />

(anni 27) da Udine. Arrestati sono anche Luigi Acoleo (anni 21), magazziniere<br />

a Castelfranco, poi posto in libertà provvisoria, e Matteo Pironti, ispettore<br />

del Ministero Terre Liberate, distaccato a Castelfranco. Il Pironti uscirà presto<br />

di scena per suicidio, 6 nel giugno 1921.<br />

La Riscossa del 3 luglio 1920 riporta un nuovo discorso dell'on. Bergamo<br />

alla Camera, contro i Consorzi di recupero dei rottami bellici e contro la cricca<br />

formatasi attorno al commendator Cirmeni. Ci sono in quei giorni manifestazioni<br />

politiche di protesta a Treviso per il carovita e per gli scandali denunciati.<br />

A sostituire il Cirmeni alla direzione dei magazzini di Castelfranco sarà<br />

chiamato il 30 settembre il capitano dei cavalleggeri di Saluzzo, Ansaloni.<br />

Il 21 agosto 1920 la Riscossa annuncia che il giudice istruttore Agosti ha<br />

rinviato a giudizio 42 imputati, tra cui 18 alti funzionari ministeriali, con l'accusa<br />

di peculato e ricettazione. Gli imputati sono in realtà 42, per il suicidio<br />

di Pironti. 7<br />

6 Riscossa 21.8.1920, p. 2.<br />

7 Riscossa 21.8.1920. Imputati a giudizio:<br />

- Cirmeni comm. Arcangelo – ispettore Ministero Terre Liberate – Castelfranco<br />

- Gobessi Anna – segretaria comm. Cirmeni – Castelfranco<br />

- Pironti Matteo – ispettore Ministero Terre Liberate – Castelfranco<br />

- Acoleo Luigi – magazziniere Min. Terre Liberate – Castelfranco<br />

- Castagna avv. Giancarlo – delegato di Cornuda – Minist. Terre Liberate<br />

- Franceschetti Alfredo – capostazione Castelfranco<br />

- Sivilotti Antonio – commerciante Castelfranco<br />

- Nardei Modesto – commerciante Montebelluna<br />

217


Il collegio di difesa dei profughi derubati s'era già costituito (Riscossa 5<br />

giugno 1920) ed era così composto: avv. Silvio Armellini di Conegliano, avv.<br />

Gianpaolo Fontebasso di Treviso, avv. Renzo Ascoli di Venezia, avv. Mario<br />

Bergamo di Bologna (fratello dell'on. Guido), avv. Antonio Bondi di Forlì e<br />

avv. Giovanni Ronzani di Vicenza.<br />

Gli avv. Bergamo e Ronzani sono repubblicani e tra repubblicani e socialisti<br />

s<strong>org</strong>e una polemica perché l'avv. Boscolo di Treviso, socialista, accetta<br />

invece la difesa del principale imputato, il Cirmeni.<br />

- Sonetti Giuseppe – ragioniere impiegato Minist. Terre Liberate<br />

- Tozzoli Alfonso – impiegato a Castelfranco Minist. Terre Liberate<br />

- Sbrocca comm. Aurelio – funzionario Minist. Terre Liberate (dir. gen. serv. Amm.ivi)<br />

- Padula cav. Riccardo – consigliere Prefettura – Roma, distaccato al Minist. Terre Liberate<br />

- Archetti cav. Luigi – funzionario Ministero Terre Liberate<br />

- Fiori comm. Annibale – professore Istituto tecmico Roma<br />

- Crispo Milazzo cav. Eugenio Antonio – magazziniere Ministero Terre Liberate<br />

- Lo Cascio cav. Fedinando – impiegato del Ministero Terre Liberate<br />

- Moro cav. Giovanni – delegato di Conegliano Minist. Terre Liberate<br />

- Molin Giuseppe – impegato a Conegliano Minist. Terre Liberate<br />

- Vianelli Luigi – cugino cav. Moro, Conegliano, Ministero Terre Liberate<br />

- Sinigaglia Giuseppe – commerciante – Venezia<br />

- Berretta Bortolo – commerciante – Venezia<br />

- Bassanesi Alfredo – negoziante – Milano<br />

- Bastianello Giuseppe – negoziante – Venezia<br />

- Lanfrè Attilio – vice commissario prefettizio – S. Donà di P.<br />

- Donadelli Domenico – tenente aviatore – S. Donà di P.<br />

- Greco Vincenzo – commerciante – Brescia<br />

- Munari Mario – commerciante – Venezia<br />

- Murer Eugenio – commerciante – S. Donà di P.<br />

- Berti cav. Giuseppe – ispettore Ministero Terre Liberate – Trento<br />

- Secchi Silvio – sarto – Conegliano<br />

- Scagliarini Callisto – delegato Minist. Terre Liberate – S. Donà di P.<br />

- Rossi Nove Raffaele – negoziante<br />

- Gobessi Carlo – fratello di Gobessi Anna – impiegato, Castelfranco V.<br />

- Volpe Prignano comm. Ernesto – del Minist. Terre Liberate<br />

- Rossi cav. Dino – funzionario Ministero Terre Liberate<br />

- Righi cav. Erminio – del Ministero Terre Liberate<br />

- Filipponi Ernesto – del Ministero Terre Liberate<br />

- Ferrari Mario – commerciante – Milano<br />

- Scarpa cav. Antonio – direzione generale Ferrovie dello Stato<br />

- Zanon comm. Antonio – ispettore Ministero Interno<br />

- Germani Carlo – commerciante – S. Donà di P.<br />

- Bassanesi Edmondo – commerciante – Milano<br />

- Crispo comm. Antonio – capo divisione Minist. Lavori Pubblici, dirigente Min. Terre Liberate<br />

(capo di gabinetto)<br />

218


Il d<strong>anno</strong> per la merce rubata e venduta è valutato (Riscossa del 7.8.1920)<br />

in 10 milioni per quanto concerne la lana, i letterecci, i casalinghi.<br />

Il giornale azzarda anche l'utile personale ottenuto dal gruppetto di Castelfranco<br />

(il direttore Cirmeni, la segretaria Gobessi, il capostazione Franceschetti)<br />

e rincara i sospetti su altre speculazioni per acquisti e vendite di<br />

rottami metallici, di residuati bellici. Oltre alle polemiche sull'avvocato Boscolo<br />

altre polemiche corrono per la città di Treviso tanto che sotto le fi nestre<br />

del carcere mandamentale (allora contiguo a piazza Duomo) si raccolgono in<br />

alcune sere gruppi di cittadini con urla e schiamazzi contro gli imputati imprigionati.<br />

Si parla di rei che dovrebbero espiare e di salvataggi preparati per<br />

i colpevoli (Riscossa 9 ottobre 1920).<br />

Il 15 maggio 1921 si tengono le elezioni politiche generali. Elezioni molto<br />

importanti sotto il profi lo storico perché Giolitti nel blocco nazional-costituzionale<br />

permette l'elezione alla Camera, per la prima volta, di trentacinque<br />

fascisti tra i quali Benito Mussolini. Sul totale di 534 seggi 122 sono attribuiti<br />

ai socialisti, 15 ai comunisti da poco costituitisi in partito (gennaio 1921) –<br />

insieme nella precedente legislatura erano 156 –, 107 ai popolari cattolici (in<br />

precedenza erano 100), 7 ai repubblicani, 8 alle minoranze etniche, 275 al<br />

blocco nazionale comprendente anche i 35 fascisti. 8<br />

La Riscossa nei numeri di febbraio-novembre 1921 dà spazio alle vicende<br />

dello scandalo <strong>della</strong> lana. L'istruttoria del processo è iniziata in aprile. Nel<br />

giornale prosegue inoltre la denuncia dei mancati risarcimenti ai veneti per i<br />

danni bellici, la denuncia per la grave disoccupazione, per le irregolarità relative<br />

alle forniture allo Stato e alla bonifi ca dei territori devastati dalla guerra.<br />

Si v<strong>anno</strong> precisando le responsabilità degli accusati del processo per lo<br />

scandalo <strong>della</strong> lana. L'imputato principale è il cav. Arcangelo Cirmeni, a. 44,<br />

ispettore del Ministero dell'Interno, distaccato a Castelfranco come ispettore<br />

per il Ministero per le Terre Liberate, arrestato il 14 maggio 1920 insieme alla<br />

segretaria-cassiera Anna Gobessi di anni 27. Imputati importanti sono Luigi<br />

Acoleo di anni 21, magazziniere dell'Ispettorato Terre Liberate sempre a Castelfranco<br />

e il negoziante Antonio Sivilotti di a. 49 da Castelfranco, entrambi<br />

in libertà provvisoria. Il d<strong>anno</strong> accertato ammonta per quanto riguarda il Cirmeni<br />

a 100.000 lire e così per Acoleo e Sivilotti; 54.000 lire per la Gobessi<br />

alla quale si imputa inoltre di aver percepito lo stipendio di maestra mentre<br />

svolgeva le funzioni, retribuite, di segretaria-cassiera presso l'Ispettorato di<br />

Castelfranco.<br />

Oggetto del peculato non è soltanto la lana grezza stipata nei magazzini di<br />

8 L. Salvatorelli—G. Mira, Storia d'Italia nel periodo fascista, ed. Mondadori, 1970, vol.<br />

I, p. 190.<br />

219


Castelfranco, ma lo sono anche indumenti, scarpe, biancheria, mobili per casa,<br />

suppellettili domestiche di proprietà dello Stato od offerte spontaneamente da<br />

privati per le popolazioni danneggiate dalla guerra, per i tanti profughi.<br />

Dalla Riscossa del 23 aprile 1921 apprendiamo: l'ispettore del Ministero<br />

Terre Liberate Arcangelo Cirmeni con il collega Matteo Pironti (poi suicida)<br />

e il magazziniere Luigi Acoleo sono accusati di aver trasferito 25 quintali di<br />

lana da materassi al proprio domicilio, parte a mezzo carri, parte per ferrovia<br />

in accordo col capostazione di Castelfranco Alfredo Franceschetti, rifornendo<br />

inoltre il commerciante Antonio Sivilotti. Allo stesso capostazione Franceschetti<br />

era stata venduta una parte cospicua <strong>della</strong> lana (20 quintali). Carlo<br />

Gobessi è accusato di ricettazione continuata per la lana da materassi (18<br />

quintali) sottratta ai magazzini da parte <strong>della</strong> sorella Anna, dagli ispettori ministeriali<br />

Cirmeni e Pironti, dal magazziniere Luigi Acoleo. Con questi ultimi<br />

è imputato anche un impiegato del Ministero delle Finanze, il ragionier Giuseppe<br />

Sonetti da Castelfranco, il quale ha venduto servizi da tè in porcellana,<br />

abiti regalati dal soccorso americano, macchinette tritacarne (sic!).<br />

Alfonso Tozzoli impiegato all'Ispettorato Terre Liberate di Castelfranco,<br />

d'accordo con Cirmeni, Pironti e Acoleo, aveva sottratto dai magazzini scarpe,<br />

cappotti, pelli, persino servizi in porcellana; Aurelio Sbrocca, Riccardo<br />

Padula, Luigi Archetti, Eugenio Crispo, Ferdinando Lo Cascio e il professore<br />

di istituto tecnico romano Annibale Fiori, in accordo con gli ispettori ministeriali<br />

e il magazziniere di Castelfranco, avevano sottratto vestiario, letterecci,<br />

scarpe, servizi in porcellana, una bicicletta per un d<strong>anno</strong> valutato di oltre<br />

15.000 lire.<br />

Altri addetti al Ministero Terre Liberate, distaccati nel Veneto, avevano<br />

sollecitato gli ispettori Cirmeni e Pironti per ottenere, sempre dai magazzinieri<br />

di Castelfranco, lenzuola, coperte, asciugamani, biancheria da inviare<br />

ai propri domicili in Roma. Si tratta di Antonio Crispo, di Ernesto Volpe Prignano,<br />

di Dino Rossi, di Erminio Righi, di Ernesto Filipponi tutti dipendenti,<br />

funzionari del Ministero Terre Liberate.<br />

Lo scandalo delle ruberie si complica per ulteriori avvenimenti.<br />

Nel numero <strong>della</strong> Riscossa del 4 giugno 1921 apprendiamo del suicidio<br />

dell'ispettore Pironti, ma la notizia messa in rilievo è per Cirmeni: «Cirmeni<br />

è pazzo? Cirmeni dunque si salverà?» Sì, afferma un intervento addirittura di<br />

Giolitti in favore dell'ispettore Cirmeni.<br />

L'11 giugno 1921 la Riscossa in seconda pagine scrive: «È venuto da noi<br />

il signor dottore dei matti Zanon Dal Bo direttore dell'Ospedale psichiatrico<br />

a protestare perché domandammo se fosse vero che il Cirmeni, ispettore generale<br />

del Ministero Terre Liberate, il ladro emerito... è stato veduto in gita<br />

220


di piacere a Venezia. Il sig. dottore dei matti che ha dichiarato il Cirmeni<br />

pericoloso a sé e agli altri doveva, invece di protestare, rispondere. E non ha<br />

risposto».<br />

Il clima politico dei mesi aprile-luglio del '21 è quanto mai torbido. Il fascismo<br />

sta scatenando spedizioni squadristiche un po' ovunque, a Viterbo, a<br />

Sarzana, a Carrara, a Venezia e il 13-14 luglio si ha a Treviso l'assalto alle sedi<br />

repubblicane di via Manin, alla sede del Piave giornale cattolico, al quartiere<br />

operaio <strong>della</strong> Fiera. Intanto a Roma la Commissione parlamentare d'inchiesta<br />

per lo scandalo <strong>della</strong> lanadomanda inutilmente l'arresto dei due prefetti per la<br />

gestione dei sussidi ai veneti e denuncia un ex sottosegretario di Stato (Velluti)<br />

per appropriazione di beni destinati ai profughi. 9<br />

In questo clima procede a Treviso l'istruttoria del processo per la lana con<br />

l'assenza del principale imputato, il Cirmeni, ricoverato all'ospedale psichiatrico.<br />

10 La Riscossa denuncia i privilegi di alcuni detenuti, specialmente <strong>della</strong><br />

Gobessi divenuta una 'dama di compagnia' <strong>della</strong> moglie del direttore delle<br />

carceri. 11 Negli interrogatori i commercianti imputati «cadono dalla luna»,<br />

tutti avevano pensato «ad un traffi co lecito e permesso... anche quando guadagnavano<br />

il 100%, … anche quando ritiravano quietanze fi ttizie o facevano<br />

pagamenti ad personam o dichiaravano di operare per conto terzi». 12<br />

Il clima in tribunale (il processo inizia nell'agosto '21), secondo i resoconti<br />

<strong>della</strong> Riscossa, è confuso e rissoso e si insinua che alcuni avvocati difensori<br />

veneti abbiano avuto interesse nel commercio <strong>della</strong> lana. In questo ambiente<br />

surriscaldato due fascisti padovani sono processati a Treviso e condannati a<br />

un mese di reclusione per possesso di armi. L'avvocato difensore dei due è<br />

il romano Mancusi, difensore anche del Cirmeni. È in questi giorni (13-14<br />

luglio) che avviene la nota spedizione fascista contro Treviso e la Riscossa<br />

è costretta ad uscire in edizione ridotta nei giorni 16-17 luglio, riportando<br />

la consueta 'cagnara' del corpo di difesa degli imputati contro i commissari<br />

d'inchiesta. Un momento importante del processo si vive il 19 agosto con la<br />

deposizione dell'ex ministro Cesare Nava il quale assicura che i collaboratori<br />

del Ministero per le Terre Liberate «erano perle di galantuomini» e che<br />

Cirmeni e soci «erano autorizzati a vendere tutto, lana compresa... poiché i<br />

profughi ne avevano avuto esageratamente...». Ma nessun decreto permetteva<br />

la vednita del materiale... «S.E. Nava complice necessario delle malefatte<br />

<strong>della</strong> sua gestione deve darci querela. Non è lecito lasciar truffare i veneti e<br />

poi insultarli». 13<br />

9 La Riscossa, 16 giugno 1921, p. 2.<br />

10 La Riscossa, 25.6.1921, p. 2.<br />

11 La Riscossa, 2.7.1921, p. 3.<br />

12 La Riscossa, 2.7.1921, p. 3.<br />

13 La Riscossa, 20.8.1921, p. 2.<br />

221


Contro le dichiarazioni di Nava esce una lettera di Cirmeni risalente al 14<br />

febbraio 1920, diretta al Ministero per le Terre Liberate, lettera nella quale si<br />

rilevava che «i magazzini scarseggiano di lana» 14 e che si dovevano respingere<br />

molte richieste come quelle di alcune insegnanti che scrivono invece a La<br />

Riscossa il 27 agosto proprio per denunciare la mancata concessione di lana<br />

e di un letto qualsiasi.<br />

Si avviano intanto losche manovre, tentativi di correzione: un certo ingegner<br />

Sciaraffi n del Ministero Terre Liberate avvicina l'ing. Arcani e il rag.<br />

Moioli, dirigenti repubblicani, con proposte dal parte del Cirmeni, proposte<br />

naturalmente respinte, ma che la Riscossa non esplicita. 15 Offerta vantaggiosa<br />

di quintali di bronzo è avanzata, sempre dall'ing. Sciaraffi n a nome di Cirmeni,<br />

alla fonderia di Rino Ronfi ni, altro noto dirigente repubblicano.<br />

Una fase importante del processo è rappresentata dalla requisitoria dell'ing.<br />

Ignazio Lodato che rappresenta l'avvocatura erariale. 16 La merce nei magazzini<br />

di Castelfranco era destinata solo ai profughi e agli abitanti danneggiati<br />

dalla guerra. Nessun diritto in proposito era riservato agli impiegati ministeriali<br />

di Roma, neppure in rapporto ai magazzini romani situati sulla via<br />

Flavia. Era stato stabilito per la lana un massimo di 15 kg a persona ed era<br />

stato proibito ogni commercio. La lana doveva esser ceduta ai profughi ad un<br />

prezzo politico.<br />

L'avvocato dello Stato accenna agli interventi de La Riscossa del 10 e<br />

17 aprile 1920, elogia la Commissione d'inchiesta, afferma che la Gobessi,<br />

segretaria-cassiera e fi danzata del Cirmeni, ha sottratto 2.400 kg di lana di<br />

cui 1.800 sono stati spediti al fratello Carlo. Acoleo Luigi, il magazziniere di<br />

Castelfranco, insieme al locale commerciante Antonio Sivilotti, ha sottratto<br />

2.500 kg di lana venduti poi in parte allo stesso Sivilotti, in parte a Modesto<br />

Nardei commerciante di Montebelluna.<br />

L'avv. Giancarlo Castagna è accusato di complicità in peculato con Acoleo<br />

e con Pironti, l'ispettore ministeriale poi suicida.<br />

Ad Alfredo Franceschetti, capostazione di Castelfranco, si imputano 2.000<br />

kg di lana sottratti in combutta col cav. Pironti (doveva essere lana... destinata<br />

ai ferrovieri profughi!).<br />

Al cav. Riccardo Padula, capo divisione presso il Ministero Terre Liberate,<br />

si imputano prelievi dolosi sia dai magazzini di Castelfranco che dai magazzini<br />

romani di via Flavia.<br />

A Raffaele Rossi Nove negoziante di Belluno si imputa, per il prelievo di<br />

crine, il reato di truffa poiché tale prelievo era stato fatto a nome e per conto<br />

14 La Riscossa, 3.9.1921, p. 2.<br />

15 La Riscossa, 3.9.1921, p. 2.<br />

16 La Riscossa, 10.9.1921, p. 2.<br />

222


del Consorzio granario di Belluno.<br />

A Giancarlo Castagna, avvocato, si imputa la sottrazione di 7.000 kg di<br />

lana, sottrazione eseguita a nome e per conto dei comuni <strong>della</strong> zona pedemontana<br />

di cui il Castagna si diceva rappresentante. Il segretario comunale di<br />

Miane (Treviso) dichiara che la lana non è mai arrivata.<br />

Al cav. Giovanni Moro, delegato del Ministero Terre Liberate a Conegliano,<br />

unitamente al cugino Luigi Vianelli, al sottoposto impiegato del Ministero<br />

Giuseppe Molin, al magazziniere Luigi Acoleo, al ragionier Giuseppe Sonetti<br />

del Ministero delle Finanze e ai commercianti veneziani Giuseppe Sinigaglia<br />

e Bortolo Berretta, si imputa la sottrazione di ben 39.000 kg di lana e di<br />

10.000 coperte, poi venduti alla ditta Bassanesi di Milano.<br />

Correi con il cav. Moro sono indicati Silvio Secchi, sarto di Conegliano, e<br />

Giuseppe Bastianello, veneziano, che acquistarono dal Moro oltre 15.000 kg<br />

di lana.<br />

Da una successiva udienza apprendiamo che Callisto Scagliarini, delegato<br />

del Ministerro Terre Liberate a S. Donà di Piave, ha venduto ai profughi<br />

18.000 kg di lana e 1.200 lenzuola ad un prezzo superiore a quanto stabilito<br />

dal Ministero. L'affare per Scagliarini consisteva nell'acquistare la lana a lire<br />

5 il kg e rivenderla a lire 11. In questa transazione commerciale aiutano lo<br />

Scagliarini Carlo Germani e Erugenio Murer, commercianti di S. Donà.<br />

Attilio Lanfrè già vice commissario prefettizio al comune di S. Donà di<br />

Piave, e Domenico Donadelli pure di S. Donà, ex tenente aviatore, richiedono<br />

lana a nome di profughi che non ne avevano fatto richiesta e la rivendono, per<br />

un totale di 3.600 kg, ad un tal Vincenzo Greco di Brescia, che a sua volta è<br />

imputato di ricettazione.<br />

Il cav. Cesare Berti, ispettore trentino del Ministero Terre Liberate, ha sottratto<br />

9.000 kg di lana e, in combutta con Moro delegato del Ministero a Conegliano,<br />

un vagone di letterecci. L'ispettore trentino, in accordo con Luigi<br />

Vianelli (cugino del delegato ministeriale Luigi Moro) spedisce da Trento a<br />

Conegliano 10.000 coperte poi smistate a Mestre a Monza tramite Umberto<br />

Fortis agente <strong>della</strong> ditta Rino Cesana di Venezia.<br />

Il commerciante milanese Mario Ferrari, insieme al delegato ministeriale<br />

cav. Giovanni Mro, acquista da Callisto Scagliarini delegato ministeriale a S.<br />

Donà, 5.800 kg di lana.<br />

Il giro commerciale si rivela turbinoso e complesso, la ruberia imponente,<br />

oltre 100.000 kg di lana.<br />

Commenta Antonio Pellegrini su La Riscossa: «Non tutti i commendatori<br />

sono ladri ma tutti i grandi ladri sono commendatori». 17 Gli imputati si difen-<br />

17 La Riscossa, 17.9.1921, p. 2. Dei 43 imputati cinque si fregiano del titolo di commenda-<br />

223


dono prevalentemente sostenendo la propria buona fede nella convinzione che<br />

si fosse trattato di normali transazioni commerciali o assicurando l'intenzione<br />

di trasferire ai comuni disastrati i vari lotti di merce. L'ispettore ministeriale<br />

a Trento, cav. Giuseppe Berti, si difende affermando che l'intenzione propria<br />

era di aiutare, coi proventi <strong>della</strong> lana, i legionari fi umani di D'Annunzio!<br />

Il processo a Treviso, iniziato nell'agosto '21, è seguito anche dal Gazzettino<br />

di Venezia che ogni giorno ha un'ampia pagina di cronaca trevigiana.<br />

Riportiamo da La Riscossa le richieste avanzate dal pubblico ministero<br />

cav. Zanni: 18<br />

• Pironti Matteo – ispettore Ministero Terre Liberate – azione penale estinta<br />

per decesso (suicidio);<br />

•<br />

•<br />

•<br />

Fiori Annibale, Lo Cascio Ferdinando, Crispo Antonio, Volpe Prignano<br />

Ernesto, Rossi Dino, Righi Erminio, Filipponi Ernesto, Scarpa Antonio da<br />

assolvere perché i fatti loro attribuiti non costituiscono reato;<br />

Sonetti Giuseppe, Tozzoli Alfonso, Archetti Luigi, Crispo Milazzo Euge-<br />

nio, Zanon Antonio, Rossi Nove Raffaele da assolvere per insuffi cienza di<br />

prove;<br />

Acoleo Luigi e Molin Giuseppe da assolvere per insuffi cienza di prove solo<br />

in rapporto al reato di correità in peculato.<br />

Totale: 15 imputati da assolvere , 2 da assolvere parzialmente ma da condannare<br />

per peculato. Per altri 27 imputati il pubblico ministero avanza le<br />

richieste di pena:<br />

• Gobessi Anna (segretaria centro di Castelfranco): reclusione 3 anni e 6 mesi<br />

– multa lire 1.400 – interdizione perpetua dai pubblici uffi ci;<br />

• Acoleo Luigi (magazziniere): reclusione 4 anni e 10 mesi – multa lire 5.833<br />

– interdizione perpetua;<br />

• Sivilotti comm. Antonio (commerciante di Castelfranco): reclusione 2 anni<br />

e 11 mesi – multa lire 1.600 – interdizione 2 anni;<br />

• Castagna Giancarlo (avvocato Ministero Terre Liberate – Cornuda – latitante):<br />

reclusione 3 anni e 11 mesi – multa lire 2.500 – interdizione perpetua;<br />

• Nardei Modesto (commerciante – Montebelluna): reclusione 1 <strong>anno</strong> e 2<br />

mesi – multa lire 800 – interdizione 1 <strong>anno</strong>;<br />

• Franceschetti Alfredo (capostazione di Castelfranco): reclusione 11 mesi e<br />

20 giorni – multa lire 291 – interdizione 1 <strong>anno</strong>;<br />

• Gobessi Carlo (Castelfranco – fratello di Anna Gobessi): reclusione 3 anni<br />

e 6 mesi – multa lire 900 – interdizione perpetua;<br />

• Sbrocca comm. Aurelio (funzionario Ministero Terre Liberate): reclusione<br />

tore, sette del titolo di cavaliere.<br />

18 La Riscossa, 17.9.1921, p. 2.<br />

224


11 mesi e 20 giorni – multa lire 291 – interdizione 1 <strong>anno</strong>;<br />

• Padula cav. Riccardo (consigliere di prefettura – Roma): reclusione 11 mesi<br />

e 20 giorni – multa lire 291 – interdizione 1 <strong>anno</strong>;<br />

• Moro Giovanni (delegato Ministero Terre Liberate – Conegliano): reclusione<br />

8 anni e 2 mesi – multa lire 9.000 – interdizione perpetua;<br />

• Molin Giuseppe (impiegato di Conegliano – Ministero Terre Liberate): reclusione<br />

3 anni e 6 mesi – multa lire 1.400 – interdizione perpetua;<br />

• Vianelli Luigi (cugino di Moro) : reclusione 4 anni e 8 mesi – multa lire<br />

3000 – interdizione perpetua;<br />

• Sinigaglia Giuseppe e Berretta Bortolo (commercianti di Venezia): reclusione<br />

4 anni e 8 mesi - multa lire 6.000 – interdizione perpetua;<br />

• Ferrari Mario (commerciante di Milano): reclusione 2 anni e 4 mesi – multa<br />

lire 3.000 – interdizione 3 anni;<br />

• Bassanesi Alfredo (commerciante di Milano): reclusione 2 anni e 11 mesi –<br />

multa lire 2.916 – interdizione 3 anni;<br />

• Bassanesi Eduardo (commerciante di Milano): reclusione 2 anni e 6 mesi –<br />

multa lire 4.000 – interdizione 3 anni;<br />

• Bastianello Giuseppe (commerciante di Venezia) : reclusione 1 <strong>anno</strong> e 7<br />

mesi – multa lire 1.500;<br />

• Scagliarini Callisto (funzionario Ministero Terre Liberate – delegato Conegliano):<br />

reclusione 6 anni – multa lire 6.000 – interdizione perpetua;<br />

• Lanfrè Attilio (vice commissario prefettizio S. Donà di P.): reclusione 1<br />

<strong>anno</strong> e 6 mesi – multa lire 700;<br />

• Donadelli Domenico (aviatore S. Donà): reclusione 2 anni e 14 mesi – multa<br />

lire 1.400;<br />

• Greco vincenzo (commerciante di Brescia): reclusione 1 <strong>anno</strong> e 3 mesi –<br />

multa lire 700;<br />

• Munari Mario (commerciante di Venezia): reclusione 4 anni e 8 mesi – multa<br />

lire 3.000;<br />

• Murer Eugenio (commerciante S. Donà di P.): reclusione 2 anni – multa lire<br />

1.500;<br />

• Germani Carlo (commerciante S. Donà di P.): reclusione 1 <strong>anno</strong> e 6 mesi –<br />

multa lire 700;<br />

• Berti Giuseppe (ispettore Ministero Terre Liberate – Trento): reclusione 2<br />

anni e 11 mesi – multa lire 1500;<br />

• ecchi Silvio (sarto di Conegliano): reclusione 1 <strong>anno</strong> e 4 mesi – multa lire<br />

800.<br />

225


Il Gazzettino del 14 settembre dà conto dell'inizio delle arringhe difensive,<br />

riportandole diligentemente con le reazioni del pubblico e dei colleghi avvocati.<br />

Il cronista sottolinea ripetutamente i consensi che l'arringa difensiva<br />

ottiene nel pubblico presente e tra i colleghi avvocati <strong>della</strong> difesa.<br />

«Tre ore di eloquenza (quantunque l'avv. Petagna... fosse sofferente)». 19<br />

«Poderosa arringa (avv. Pagani Cesa); vivamente complimentato dai numerosi<br />

colleghi <strong>della</strong> difesa», 20 «Valoroso difensore», «unanimi manifestazioni<br />

di simpatia» per l'avv. Pietro Cigala difensore del commerciante Bortolo<br />

Berretta. 21<br />

«La folla dei cittadini con attenzione profonda, con senso di deferente devozione<br />

ha seguito la magnifi ca orazione <strong>della</strong> quale solo il prof. Marciano<br />

(difensore del milanese commerciante Bassanesi) ha il segreto e in cui la<br />

stringente energia dell'argomento e il valore decisivo dell'esposizione giuridica<br />

sono accoppiate a quella sovrana dignità di eloquio che dà maggior effetto<br />

di persuasione e di commozione». 22 Altro che D'annunzio! Il tema ricorrente<br />

<strong>della</strong> difesa è la buona fede dei commercianti di lana (difesa di Berretta, Bastianello,<br />

Munari).<br />

Oltre a mettere in rilievo l'importanza amministrativa dei vari importanti<br />

burocrati e le eventuali benemerenze che h<strong>anno</strong> giustifi cato i titoli di cavaliere<br />

o commendatore, si esibiscono lettere di encomio del ministro Nava (imputato<br />

Archetti), vicende personali di sacrifi cio, di studio, di lavoro (Archetti,<br />

Gobessi) ovvero la modestia dell'imputato quale mero esecutore d'ordini<br />

(Acoleo magazziniere).<br />

Naturalmente il patriottismo spunta in ogni angolo. Sono i giorni nei quali<br />

transita per le ferrovie del Veneto e dell'Italia il feretro del Milite Ignoto diretto<br />

al Vittoriano di Roma. E patriottismo si spende per la difesa di Berti ispettore<br />

trentino del Ministero e volontario di guerra. Ma l'avv. Bellelli, difensore<br />

di Berti, aggiunge anche la non procedibilità penale per il proprio assistito<br />

in quanto Berti, trentino, all'epoca dei commerci illeciti di lana sarebbe stato<br />

ancora formalmente cittadino austriaco! 23 Cosa avrebbero detto i patrioti<br />

Battisti e Filzi?<br />

Il patriottismo nei confronti dei profughi di Caporetto serve anche per la<br />

difesa del cav. Scarpa Antonio, segretario <strong>della</strong> direzione generale delle ferrovie<br />

e uffi cialmente profugo in quanto presente, a suo tempo, nella zona d'invasione.<br />

E profugo, quindi in diritto di avere la lana, viene indicato dall'avv.<br />

19 Gazzettino, 14 ottobre 1921, p. 4.<br />

20 Gazzettino, 5 ottobre 1921, p. 4.<br />

21 Gazzettino, 2 ottobre 1921, p. 4.<br />

22 Gazzettino, 30 ottobre 1921, p. 4.<br />

23 Gazzettino, 30 settembre 1921, p. 4.<br />

226


Boscolo il comm. Antonio Zanon la cui famiglia era fuggita da Belluno in<br />

seguito all'invasione austriaca. 24 Quando poi la colpa è diffi cilmente contestabile<br />

in sogetti per i quali è impossibile la qualifi ca di profugo o di commerciante<br />

in buona fede, si ricorre all'inattendibilità delle dichiarazioni rese a<br />

suo tempo da quel comm. Cirmeni, principale responsabile del magazzino di<br />

Castelfranco, alto burocrate del Ministero e ora giudicato pazzo.<br />

Sulla pazzia del Cirmeni si arrocca l'avv. Cleanto Boscolo di Treviso difendendo<br />

il cav. Riccardo Padula consigliere di prefettura a Roma, imputato<br />

di sottrazione di lana sia dai magazzini di Castelfranco che dai magazzini di<br />

via Flavia a Roma. 25<br />

Il Cirmeni è ripudiato da tutti. Il 30 ottobre l'arringa difensiva dell'avv.<br />

Mancusi per il comm. Aurelio Sbrocca, alto funzionario del Ministero Terre<br />

Liberate, si basa sugli aspri rapporti tra Sbrocca e Cirmeni. Il Gazzettino virgoletta<br />

in proposito la perorazione fi nale dell'avv. Mancusi, esempio di monumentale<br />

retorica: 26 «Voi assolvendo porrete un tardivo riparo ad uno strazio<br />

senza nome, ad un inaudito martirio che colpì con la tragicità del fato greco<br />

un funzionario di gran nome che aveva dato tanto contributo al ris<strong>org</strong>imento<br />

di queste terre benedette dal Cielo, sorriso <strong>della</strong> natura, fatte ubertose dalla<br />

volontà dei suoi fi gli. Sia la vostra parola, o giudici, legittima integrazione e<br />

sacra tutela <strong>della</strong> dignità dell'uomo che ha lasciato brandelli di carne sui roveti<br />

laceranti del calvario patito col sorriso del martire... affermi in cospetto<br />

di tutti la specchiata onestà travolta per un momento dalla ragione politica del<br />

funzionario incorrotto, del cittadino probo e del padre esemplare la cui vita è<br />

stata santifi cata dal dovere e dal dolore».<br />

Il Gazzettino continua a seguire le orazioni difensive con sperticati elogi:<br />

si tratta di «sovrana dignità di eloquio», di «valore decisivo dell'esposizione<br />

giuridica»; la folla astante segue le orazioni con «deferente devozione». E<br />

meno male che «l'aridità delle cause... non consente esercitazioni oratorie...»<br />

Si arriva al punto di affermare che il passaggio in ferrovia <strong>della</strong> salma del<br />

Milite Ignoto diretta, in quei giorni, al Vittoriano... darebbe, ad una eventuale<br />

24 Gazzettino, 24 settembre 1921, p. 4.<br />

25 La Riscossa, 11 giugno 1921, p. 2. – Sulla pazzia del Cirmeni indicato come pericoloso<br />

a sé e agli altri la stessa Riscossa riporta parte di un articolo del prof. Pellicani comparso allora<br />

su La Voce sanitaria, <strong>org</strong>ano <strong>della</strong> Federazione italiana medici psichiatrici: «Nell'opera<br />

manca anche uno qualsiasi di quei violenti stati emotivi con le rispettive attenuanti di imputabilità<br />

di cui agli art. 49-50-51 C.P. trattandosi di reati che, ovviamente, non involgono alcuna<br />

minorante passionale – sono lunghi reati compiuti anche per mesi, per anni, freddi logici ben<br />

predisposti e ben condotti da individui che nei meandri sociali h<strong>anno</strong> saputo conquistare dei<br />

posti avanzati».<br />

26 Gazzettino, 30 ottobre 1921, p. 4.<br />

227


condanna degli imputati, il signifi cato di una «ingiusta vendetta». 27 Il patriottismo,<br />

come dicono gli inglesi, è sempre l'ultimo rifugio delle canaglie.<br />

La sentenza del tribunale di Treviso viene pronunciata alle ore 16 del 12<br />

novembre 1921.<br />

il principale imputato, il comm. Cirmeni, responsabile del centro di Castelfranco,<br />

non fi gura né tra i condannati né tra gli assolti, essendo stato estraneo<br />

al processo per asserita infermità mentale.<br />

Dei 41 imputati 20 sono assolti perché il fatto non costituisce reato e 4<br />

per insuffi cienza di prove relativamente alla correità in peculato. Diciassette<br />

subiscono le seguenti condanne per peculato:<br />

• Gobessi Anna: 1 <strong>anno</strong> e 2 mesi di reclusione – multa lire 1.000 – interdizione<br />

dai pubblici uffi ci per 5 mesi;<br />

• Acoleo Luigi: 4 anni, 5 mesi e 10 giorni di reclusione – interdizione perpetua;<br />

• Sivilotti Antonio: 1 <strong>anno</strong> e 2 mesi – 700 lire di multa – interdizione per 6<br />

mesi;<br />

• Castagna Giancarlo: 3 anni e 9 mesi – 1.000 lire di multa – interdizione<br />

perpetua;<br />

• Moro Giovanni: 28 7 anni di reclusione – 7.000 lire di multa – interdizione<br />

perpetua;<br />

• Molin Giuseppe: 3 anni di reclusione – 1.400 lire di multa – interdizione<br />

perpetua;<br />

• Vianelli Luigi: 3 anni e 5 mesi di reclusione – 1.100 lire di multa – interdizione<br />

perpetua;<br />

• Sinigaglia Giuseppe: 2 nni e 9 mesi di reclusione – lire 1.400 di multa – interdizione<br />

perpetua;<br />

• Berretta Bortolo: 2 anni e 2 mesi di reclusione – lire 350 di multa – interdizione<br />

perpetua;<br />

• Ferrari Mario, Bassanesi Alfredo, Bassanesi Edmondo: multa di lire 1.000<br />

per incauto acquisto continuato;<br />

• Bastianello Giuseppe: multa di lire 700;<br />

• Murer Eugenio: multa di lire 500 per incauto acquisto continuato;<br />

• Scagliarini Callisto: 4 anni e 1 mese di reclusione – multa di lire 3.500 –<br />

interdizione perpetua;<br />

• Donadelli Domenico: 1 <strong>anno</strong> e 3 mesi di reclusione – lire 1.600 di multa;<br />

• Munari Mario: 1 <strong>anno</strong> e 9 mesi di reclusione – lire 1.100 di multa – interdizione<br />

perpetua.<br />

27 Gazzettino, 30 ottobre 1921, p. 4.<br />

28 La Riscossa, 8 aprile 1922, p. 4: Il cav. Moro a Vienna sotto il falso nome di Nino Ramharter.<br />

228


Per tutti i condannati c'è il pagamento delle spese processuali e la rifusione<br />

in solido per i reati comuni. In contumacia sono condannati: Moro Giovanni,<br />

Castagna Giancarlo, Molin Giuseppe, Vianelli Luigi, mentre è assolto,<br />

sempre in contumacia il cav. Berti Cesare. Scarcerati perché assolti Sonetti<br />

Giuseppe (impiegato del Ministero Terre Liberate) e Lanfrè Attilio (commissario<br />

prefettizio di S. Donà di P.); Berretta Bortolo e Gobessi Anna per aver<br />

scontata la pena. Ma pare che la maestra Gobessi avesse passato tutto il tempo<br />

<strong>della</strong> detenzione prima del processo presso il reparto dozzinanti dell'Ospedale<br />

civile di Treviso e non in carcere.<br />

Le vicende del processo ai ladri di lana, che per tutta l'estate del '21 avevano<br />

tenuto in ebollizione stampa ed opinione pubblica trevigiane, sembrano<br />

perdere interesse man mano che ci si avvia alla sua conclusione (12 novembre<br />

1921). La polemica politica è quasi totalmente sostenuta dai repubblicani, dal<br />

momento che i socialisti sono da sempre, nel trevigiano, in concorrenza coi<br />

repubblicani a h<strong>anno</strong> l'avv. Cleanto Boscolo, dirigente socialista, quale avvocato<br />

difensore del principale imputato, il Cirmeni.<br />

La stessa Riscossa è distratta da altri scandali, quelli del recupero dei materiali<br />

bellici e dei metalli pregiati nelle campagne trevigiane devastate dalla<br />

guerra.<br />

E sempre la Riscossa ha un desolato commento già nel numero del 10<br />

settembre 1921 a fi rma di Antonio Pellegrini: «Sono i topolini di campagna<br />

quelli caduti nella trappola: i sorci di città, i maggiori e i più veri ladri girano<br />

ancora ossequiati e indisturbati le strade d'Italia. Qualcuno continua magari a<br />

coprire delle cariche di fi ducia nell'amministrazione del Paese... Questa è purtroppo<br />

l'Italia d'oggi: dei Savoia, <strong>della</strong> burocrazia e <strong>della</strong> plutocrazia... Non<br />

tutti i commendatori sono ladri, ma tutti i grandi ladri sono commendatori».<br />

229


Il sacrario militare italiano di Cima Grappa. Archivio Tessari.<br />

Il cimitero militare austro-ungarico di Citta<strong>della</strong>. Archivio Tessari.


SEGNI DI GUERRA E DI PIETA'. NOVANT'ANNI<br />

DI LUTTO E MEMORIA DELLA GRANDE GUERRA<br />

Roberto Tessari<br />

In prevalenza il mio intervento prenderà in considerazione il territorio <strong>della</strong><br />

Marca Trevigiana, però ci sar<strong>anno</strong> alcuni emblematici riferimenti a segni e<br />

siti rilevati nelle vicine provincie di Belluno e Vicenza.<br />

Per siti intendiamo tutti quei segni <strong>della</strong> guerra – sopravissuti alle ingiurie<br />

del tempo e degli uomini – che sono ricondotti a determinati luoghi nel territorio.<br />

1) Un censimento in crescita<br />

Di giorno in giorno aumenta il numero dei siti relativi alla Grande Guerra<br />

che vengono censiti. Nel 2002 nella ricerca titolata: La valorizzazione dei<br />

giacimenti culturali legati ai luoghi <strong>della</strong> Prima Guerra Mondiale nelle Province<br />

di Bl, Tv, e Vi, classifi cai per gruppi tematici, oltre 1500 siti di cui circa<br />

350 nella sola provincia di Treviso. Già nel 2005 consegnando un'ulteriore<br />

ricerca nell'ambito del Piano Territoriale Turistico, questi 350 siti sono diventati<br />

più di 500, e continuano a crescere. Ad esempio, la quarantina di siti<br />

inizialmente censiti sul Montello, sono diventati oltre 110 nella mappa Il<br />

Montello: luoghi ed itinerari <strong>della</strong> Grande Guerra. 29 Un altro esempio: un<br />

appassionato ricercatore, attraverso una metodica e costante ricerca, in questi<br />

ultimi cinque anni ha rinvenuto e censito oltre 150 fra epigrafi , graffi ti e fregi<br />

che ancora oggi sussistono nel massiccio del Grappa. Questi e tanti altri siti<br />

raccontano ancora oggi – a novant'anni di distanza – il turbine <strong>della</strong> guerra<br />

che per un solo <strong>anno</strong> spazza il nostro territorio, ma è suffi ciente perché la linea<br />

degli ossari, come la chiama il poeta Andrea Zanzotto, passi anche da noi<br />

con una traccia indelebile.<br />

Nella terra si frantumano e disperdono corpi provenienti da tanti paesi; la<br />

Marca Trevigiana diventa un crogiuolo in cui la guerra fonde lingue e culture.<br />

Nel solo ex cimitero di guerra austro ungarico di Follina c'erano Caduti di 12<br />

differenti nazionalità. 30 La nostra terra è grembo per tante giovani vite, da<br />

tutta Europa: un'Unione Europa che ante litteram viene fatta dai morti.<br />

Con un solo <strong>anno</strong> di guerra la Marca Trevigiana, comprese le aree<br />

immediatamente fi nitime, conquista purtroppo – per numero e internazionalità<br />

29 Mappa elaborata per la Guida del Montello nella Grande Guerra, di Tessari R. e altri<br />

(2008 -2009), pubblicata in 3 volumi da Gaspari editore di Udine.<br />

30 Il cimitero austro ungarico di Follina di R. Tessari, CSC ed. 2005<br />

231


Pederobba. Il sacrario militare francese. Archivio Tessari.<br />

Quero. L'ossario germanico. Archivio Tessari.


Fagarè <strong>della</strong> Battaglia. Ieri e Oggi. Archivio Tessari.


di cimiteri e sacrari – il primato fra tutti i territori italiani dove si è combattuto<br />

nella Grande Guerra, come si evince dalla seguente tabella.<br />

Sacrari e Cimiteri Località<br />

n° 5 Sacrari Italiani Cima Grappa, Nervesa, Fagarè, S.<br />

Lucia, Feltre<br />

n° 3 Sacrari Austro-ungarici Cima Grappa, Citta<strong>della</strong>, Feltre<br />

n° 1 Sacrario Tedesco Quero<br />

n° 1 Sacrario Francese Pederobba<br />

n° 2 Cimiteri Inglesi Giavera, Tezze<br />

n°50 Cimiteri Austro-ungarici Dismessi<br />

n°10 Cimiteri Italiani Dismessi<br />

La linea degli ossari ricalca la linea dei combattimenti, luoghi di scontri<br />

cruenti: Grappa, Salaroli, Valderoa, Tomba, Nervesa <strong>della</strong> Battaglia, Moriago<br />

<strong>della</strong> Battaglia, Sernaglia <strong>della</strong> Battaglia, l'Isola dei Morti, le Grave di Papadopoli,<br />

il Molino <strong>della</strong> Sega, Fagarè <strong>della</strong> Battaglia … Sono i cosiddetti<br />

campi dell'onore, dove la lotta fu più cruenta e aspra, segnata da innumerevoli<br />

atti di valore, per lo più sconosciuti, ma ben testimoniati dalle 59 medaglie<br />

d'oro assegnate in un solo <strong>anno</strong> di guerra nella Marca Trevigiana. A 90 anni<br />

di distanza l'occhio attento coglie ancora le ferite del territorio lasciate dalla<br />

guerra: resti di trincee, gallerie, bunkers, caposaldi. E poi la miriade di crateri<br />

che trasformarono in superfi cie lunare prati e pascoli. È quasi incredibile la<br />

quantità di proietti che fu impiegata. Un solo esempio: il comune di Alano 31<br />

negli anni '20 si vide costretto – a causa delle lamentele di contadini e malgari<br />

– a richiamare uffi cialmente l'impresa che aveva l'appalto per la bonifi ca del<br />

territorio dagli ordigni inesplosi. Era necessario fare più attenzione, far brillare<br />

gli ordigni in giorni prestabiliti, lontano da potenziali presenze di persone<br />

e animali [...il brillamento di un ordigno aveva provocato l'uccisione di 10<br />

pecore, spesso altri brillamenti avevano grandemente spaventato contadini<br />

e malgari, fatto esplodere vetri, danneggiato fabbricati...] l'impresa doveva<br />

dare preavvisi più consistenti, più sonori <strong>della</strong> trombetta e del grido «la brusa»,<br />

ma soprattutto trasportare gli ordigni in luoghi isolati. L'impresa rispose<br />

che già faceva tutto il possibile, aveva avuto già dieci feriti fra i propri operai,<br />

il non fare i brillamenti in loco non solo era molto pericoloso, ma soprattutto<br />

31 In: Alano: la memoria e l'immagine di una comunità, vol 3° a cura di G. Follador.<br />

234


era quasi impossibile, vista la quantità d'ordigni inesplosi: nella sola zona<br />

Salaroli – Valderoa ve ne erano diecimila quintali. Sono numeri così grandi<br />

da sembrare inattendibili, ma non c'è nessuno zero di troppo 1 . La «normalizzazione»<br />

succeduta alla guerra portò – soprattutto per motivi economici – a<br />

una progressiva cancellazione delle tracce belliche, in particolare quelle che<br />

maggiormente ostacolavano la ripresa delle attività produttive: ecco quindi<br />

la bonifi ca dei campi da buche di granate, trincee e residuati, la demolizione<br />

di bunkers e gallerie, la riconversione di fabbricati. Fu cancellata inoltre la<br />

maggior parte dei segni <strong>della</strong> presenza nemica, cosa comprensibile in quanto<br />

testimonianza <strong>della</strong> vergogna dell'occupazione. Per la parte italiana – a parte<br />

i segni sopravvissuti perché appartati e poco visibili o di troppo diffi cile<br />

eliminazione come i bunkers vicino ad abitazioni e strade traffi cate – furono<br />

salvati, a volte anche rimo<strong>della</strong>ndoli, quelli che erano funzionali a una lettura<br />

didascalica e/o celebrativa degli eventi: Galleria Vittorio Emanuele a cima<br />

Grappa, alcune case-caposaldo sul Montello, e bunker trasformati in cantina<br />

o sacello, pareti intonacate con scritte ottative a Fagarè <strong>della</strong> Battaglia. Alcuni<br />

siti vengono recuperati trovando signifi cato e valorizzazione proprio per il<br />

loro particolare legame con eventi <strong>della</strong> Grande Guerra: è il caso dell'Osteria<br />

al Cippo degli Arditi; altri – seppur inventati per esigenze fi lmiche come<br />

l'ospedaletto ARC a Campagnole di Sopra nel Montello – assurgono a luogo<br />

e momento emblematico del racconto <strong>della</strong> guerra.<br />

2) Cippi, fregi, lapidi.<br />

Nel territorio ci sono ancora anche altri segni minori rispetto ai manufatti<br />

bellici, ma non per questo meno importanti e proprio in questi ultimi anni<br />

oggetto di crescente interesse. 2 Sono cippi, fregi, lapidi. A torto considerata<br />

un'arte minore, la scrittura su cippi, fregi e lapidi non solo rappresenta tempi<br />

e culture diverse: dall'uso o meno del latino, dal fraseggiare retorico e ridondante:<br />

«colui che è morto per la patria/vissuto è assai» o dall'amara autoironia<br />

«cantina Hedrich – costruita con molta fatica e per necessità causa<br />

la grande paura <strong>della</strong> eroica morte» (così per una galleria in val Grama, ad<br />

ovest dell'abitato di Laghi, Vicenza). Sempre in tema di nascondersi sottoterra<br />

c'è una scritta a Treschè Conca che alcuni ritengono ispirata da Carlo Emilio<br />

1 Basti pensare che nella battaglia per Gorizia (4 - 16 agosto del '16) nei 35 Km. dal Sabotino<br />

al mare gli italiani spararono 41.153 colpi al giorno e nell'undicesima battaglia dell'Isonzo<br />

(18 - 24 agosto '17) su un fronte di 16 km e mezzo le artiglierie spararono una media di<br />

168.988 colpi al giorno. E c'erano i proietti delle bombarde da 400 mm che pesavano 285 kg.<br />

(di cui 115 di esplosivo) e i proietti più pesanti (obici da 420 mm.) arrivavano a 1.000 kg.<br />

2 Vedasi il convegno tenutosi a Cortina nel luglio 2008 Dalle rovine al parco divertimenti?<br />

Conservazione e restauro del paesaggio <strong>della</strong> Grande Guerra: metodologia, fi nalità,<br />

competenze.<br />

235


Vallonara (VI). Anche un barattolo di vernice può conservare la storia. Archivio Tessari.


Ra Stua (Cortina): lapide a ricordo di soldati bosniaci travolti da una valanga. Archivio Tessari.<br />

Monte Valderoa: fregi del 5° Alpini. Archivio Tessari.


Gadda, che nel giugno 1916 comandava una Sezione mitragliatrici in questi<br />

luoghi: «non per viltà sotterra mi nascondo / ma per serbarmi all'ora del<br />

cimento». 3 Un'altra iscrizione curiosa è quella di monte Cornone, sopra Valstagna,<br />

dove un ignoto geniere è riuscito a trasformare in sberleffo anche l'incombente<br />

presenza delle granate. Incontriamo anche la pietà di commilitoni e<br />

sottoposti, ma anche del nemico che, ammirato dal valore dimostrato, dà onorevole<br />

sepoltura al capitano Stefanino Curti, M.O.V.M. e sul legno <strong>della</strong> croce<br />

scrive: Hier ruht ein tapferer italiener (Qui giace un valoroso italiano).<br />

Incontriamo poi segni insoliti che testimoniano una situazione particolare<br />

come la propria conversione. Ma le epigrafi di gran lunga più numerose sono<br />

quelle a testimonianza <strong>della</strong> presenza propria e dei commilitoni, magari con<br />

l'urgenza anche di affermare IO C'ERO. E così tanti soldati diventano writers<br />

ante litteram.<br />

3) Tracce di carta.<br />

V'è poi – per noi posteri – una narrazione <strong>della</strong> guerra che non è segnata<br />

sulla terra o scalpellata sulla pietra, ma è tracciata nella carta dei manifesti,<br />

delle cartoline, dei Giornali di Trincea. In particolare, i Giornali di Trincea<br />

ora li possiamo leggere non solo come racconto di storie ed occasione di<br />

svago, ma anche analizzarli nella loro funzione di arma di propaganda e di<br />

condizionamento del comportamento dei soldati. Citerò 2 casi.<br />

Il primo riguarda Hemingway. Hemingway fu ferito nella notte dell'8<br />

luglio1918 al Buso del Burato nei pressi di Fossalta. Era una notte in cui gli<br />

austriaci erano nervosi e non risparmiavano le granate a shrapnels. L'arrivo<br />

dell'Americano che distribuiva cioccolata e sigarette deve aver provocato<br />

un assembramento sospetto a cui gli austriaci risposero prontamente. È<br />

stata fatta anche l'ipotesi che Hemingway, affascinato dal paginone del<br />

disegnatore Rubino Spettacoli Pirotecnici sul Piave (in La Tradotta del 6<br />

giugno 1918), abbia pensato di emulare il fantaccino che nel disegno fa il<br />

pediluvio sul Piave. Impressionante è anche la coincidenza fra la postazione<br />

per mitragliatrice riportata nel disegno e la foto del posto dove fu ferito, fatta<br />

da Hemingway al suo ritorno a Fossalta nel 1922. 4 Un particolare curioso<br />

è rappresentato nel disegno di Rubino da un ranocchio in frac che dirige un<br />

3 Gadda effettivamente fu presente in zona. L'imputazione a Gadda mi pare, però, poco<br />

accettabile, visto che la data riportata è «Giugno 1918», epoca in cui Gadda era già da mesi<br />

in prigionia, dopo esser stato catturato il 25 ottobre 1917 mentre cercava fortunosamente di<br />

passare in destra Isonzo a Caporetto.<br />

4 Il viaggio darà luogo al racconto «Visita di un reduce al vecchio fronte».<br />

238


concerto di rane canterine. Con ogni probabilità è una garbata presa in giro<br />

del maestro Toscanini che salito sul monte Santo appena espugnato (24 agosto<br />

1917), imbattutosi per caso – almeno così dicono le cronache del tempo – in<br />

una banda reggimentale, realizzò un concerto di inni patriottici tra l'infuriare<br />

del bombardamento. Fu un concerto che gli fece guadagnare la Medaglia<br />

d'Argento al Valore.<br />

Il secondo caso riguarda il Cap. Eligio Porcu. Sulla presa 9 del Montello,<br />

presso Casa Cavalli, all'ombra di due piante, una di olmo ed una di noce,<br />

una stele in pietra ricorda il luogo dove, il 16 giugno 1918, si tolse la vita la<br />

M.O.V.M. Cap. Eligio Porcu del 45° fanteria. Era il secondo giorno di lotta,<br />

il giovane capitano sardo – già decorato di medaglia d'argento per il valore<br />

dimostrato sul monte Valderoa nel dicembre 1917 – ha portato più volte<br />

all'assalto la sua compagnia ed ora resiste strenuamente alle schiere nemiche<br />

soverchianti. Ferito alla gamba ed accerchiato, preferisce togliersi la vita<br />

piuttosto che cadere prigioniero.<br />

C'è un «mandante morale» di questo suicidio; ed è un giornale di trincea:<br />

San Marco, il giornale dell'VIII Corpo d'Armata, proprio il Corpo che presidia<br />

il tratto del Montello in cui ora combatte da due giorni il Cap. Porcu. Il<br />

giornale San Marco è un «bel» giornale di guerra; bella carta, disegni raffi -<br />

nati ed eleganti; ma è anche cattivo e torvo, non allegro e spassoso come La<br />

Tradotta. In trincea sta ancora circolando il nr. 1 del 24 maggio. In seconda<br />

pagina v'è la lettera Il sogno <strong>della</strong> mamma. Agghiacciante!<br />

4) Dedicazioni votive e coinvolgimento simboli religiosi<br />

Fin dai primi anni di guerra la religiosità popolare porta ad iniziative devozionali<br />

tendenti a impetrare la protezione <strong>della</strong> Madonna e/o dei Santi per<br />

se stessi o per i parenti e i compaesani al fronte.<br />

Ecco, dunque, le medagliette individuali, che testimoniano consacrazioni<br />

personali, vedasi la medaglietta trovata sui resti di un caduto austro ungarico<br />

a Follina: REGINA SACRI SCAPULARIS, ORA PRO NOBIS<br />

Sul retro l'effi gie del Sacro Cuore di Gesù.<br />

Va ricordato che durante la grande Guerra la devozione al Sacro Cuore si<br />

intensifi cò moltissimo, con la distribuzione di milioni di immagini in cui il<br />

Sacro Cuore veniva a simboleggiare il sacrifi cio dei caduti.<br />

Vi è poi la dedicazione di luoghi devozionali o la realizzazione di ex voto<br />

per grazia ricevuta.<br />

Un esempio di dedicazione di cappella è rappresentato da una grotta dedicata<br />

alla Madonna in località Mina, tra Colfosco e il fi ume.<br />

Fu approntata nel 1916 con lo scopo di invocare dalla Vergine la protezio-<br />

239


Col Marcon (Vidor): la croce in ferro che oggi sostituisce quella in legno messa dai<br />

tedeschi per onorare il capitano Stefanino Curti. Archivio Tessari.


Erinnerung: Val di Landro: a ricordo di una batteria di mortai da 30,5. Archivio Tessari.<br />

Fregio inglese sul monte Zovetto (Vi). Archivio Tessari.


«Spettacoli Pirotecnici». ''La Tradotta'', giornale di trincea <strong>della</strong> 3ª Armata. Archivio Tessari.


Il «San Marco». Giornale dell'8° Corpo d'Armata. Archivio Tessari.


ne per i soldati del paese che combattono sulle montagne e sul Carso.<br />

Ironia <strong>della</strong> sorte: gli austriaci, arrivati al Piave, tolgono la Madonna e in<br />

questa grotta e nelle grotte vicine, piazzano una batteria da campagna i cui<br />

obici sparano e subito vengono nascosti in grotta, al riparo dalla artiglieria<br />

italiana. Questa batteria svolgerà nella battaglia fi nale un ruolo fondamentale<br />

nell'impedire agli italiani di forzare il Piave all'altezza di Nervesa.<br />

Per quanto riguarda gli ex voto, ricordiamo in particolare i quadri per grazia<br />

ricevuta di due superstiti dell'affondamento del piroscafo Principe Umberto:<br />

quello di Francesco Frezza da Vidor e quello di Giulio Muraro da Mogliano<br />

Veneto, che fu esposto alla mostra dell'ISTRIT a Cà da Noal (2008).<br />

Nella chiesa di Santa Maria di Lago, c'è un quadro con 7 soldati, che veniva<br />

interpretato – pure dal poeta Andrea Zanzotto, nipote del pittore – come<br />

una sorta di pre-voto.<br />

In realtà, da alcuni particolari siamo arrivati alla quasi certezza che quei<br />

soldati sono – anche in virtù delle mostrine bianco azzurre – soldati del 55°<br />

fanteria, Brigata Marche. E il quadro dovrebbe raffi gurare 7 militari dell'8 a<br />

Compagnia travolti da una valanga a Cima Cady, e tutti salvatisi.<br />

Circa il coinvolgimento dei simboli religiosi, esso inizia già durante la<br />

guerra. Il generale Giardino celebra la Madonnina del Grappa come la Prima<br />

Mutilata d'Italia, dopo che nell'inverno del 1918, un proiettile austriaco<br />

colpì la statua, facendola cadere dal basamento e mutilandola. Un'altra statua<br />

<strong>della</strong> Madonna, quella di Caorera vicino a Vas, venne requisita dagli austriaci<br />

in quanto – essendo di bronzo – sarebbe servita per fare c<strong>anno</strong>ni. Ma lungo<br />

la strada per Belluno, si spezzò un'asse delle ruote e si ruppe il polso sinistro<br />

<strong>della</strong> statua. Intimoriti dall'evento, i requisitori la lasciarono sul posto,<br />

dove fu ritrovata alla fi ne <strong>della</strong> guerra dai soldati italiani. Anche Mosnigo, nel<br />

Quartier del Piave, ebbe la statua dell'Addolorata con 14 ferite, diventando<br />

così partecipe e testimone – come ebbe a scrivere il settimanale diocesano –<br />

dei dolori e delle pene sopportati dagli abitanti del paese, profughi a Tarzo. A<br />

Posina c'è il «Cristo con le stellette». Di lui così scrisse un reduce nell'immediato<br />

dopoguerra:<br />

«non so se Posina abbia un monumento ai Caduti; ma il monumento vero e proprio<br />

è sull'imbocco <strong>della</strong> strada che porta sul monte Majo. Il Crocefi sso, che malgrado i<br />

tormenti <strong>della</strong> guerra, è rimasto là a benedire chi andava e chi tornava. Un soldato, viste<br />

le ferite riportate dal Crocefi sso, lo volle onorare uguagliandolo ai fanti valorosi: attaccò<br />

sul costato del Redentore il nastrino di guerra. Così io lo vidi nel 1917.»<br />

244


Poi ci sono il Cristo mutilato di Arsiero e quello di Laghi, e Santi di edicole<br />

votive, come il Sant'Antonio di Fossalta di Piave – il Capitel de la Orsola – le<br />

cui medagliette e statuine andavano a ruba fra i soldati; una di queste statuette<br />

portafortuna verrà citata anche da Hemingway in Addio alle armi.<br />

Nell'immediato dopoguerra si accentua il coinvolgimento dei simboli religiosi:<br />

di Cristo, <strong>della</strong> Madonna, dei Santi vengono sottolineate mutilazioni<br />

e ferite. In questa maniera viene veicolato un messaggio ben preciso: se sono<br />

stati mutilati anche loro, sarà più facile ri-accogliere in seno alle famiglie e<br />

nella società civile la marea di mutilati e invalidi prodotti dalla guerra.<br />

5) Elaborazione del lutto.<br />

È l'ora anche di elaborare il lutto. Nel saggio Lutto e Melanconia, Freud<br />

afferma che «[...] il lutto non melanconico riconosce la realtà <strong>della</strong> perdita e<br />

alla fi ne si distacca dallo scomparso. Il Melanconico no, a meno che non intervenga<br />

qualche elemento di mediazione che aiuti ad identifi care la perdita<br />

e a fi ssarne i limiti».<br />

Apporre una lapide sul luogo dove un fi glio, un fratello è caduto, visitare i<br />

cimiteri di guerra, leggere i nomi dei caduti, toccare i nomi incisi e le sculture,<br />

servono per evitare la melanconia distruttiva, per passare attraverso il lutto,<br />

per staccarsi dai morti e ricominciare a vivere. Il rito è uno strumento che<br />

serve tanto a scordare quanto a ricordare, e i Monumenti ai Caduti, con la loro<br />

rappresentazione materiale dei nomi di coloro che abbiamo perduto, sono lì<br />

per aiutare nell'arte necessaria del dimenticare. Questo rito di passaggio trova<br />

espressione in tante «forme linguistiche» legate al tempo, alla cultura e al<br />

cambiamento nel regime politico. È impossibile – in questo momento – fare<br />

un'analisi con esempi delle tante forme linguistiche. Riporto solo due casi:<br />

un'iscrizione che il prof. Giacomel attribuisce ad Ungaretti, fi ssata all'ingresso<br />

<strong>della</strong> galleria del Castelletto, 5 e il confronto fra due scultori: Giovanni<br />

Possamai di Solighetto e Antonio Morera. Il Possamai è uno che la guerra<br />

l'ha fatta davvero, anche se antimilitarista. Le sue opere sono per lo più realizzate<br />

nell'immediato dopoguerra, negli stessi luoghi e negli stessi tempi in<br />

cui squadre di militari <strong>della</strong> Polizia Mortuaria recuperano – dentro le trincee<br />

sconvolte, sotto le macerie dei paesi, fra sassi e sabbia del fi ume – corpi macerati<br />

dal sole e scarniti dall'acqua e dal vento. Queste inquietudini e questo<br />

pathos si impossessano del Possamai scultore e lui reagisce immortalando i<br />

suoi eroi nello spasmo dell'attacco, nervosi e febbrili, scattanti e tormentati:<br />

ogni muscolo, ogni grammo di carne funzionale al g<strong>org</strong>o vorace <strong>della</strong> guerra.<br />

Il particolare del monumento alle Forze Armate del Morera, inaugurato<br />

5 Vedasi: Arrivederci.Aufwiedersehen Cortina di P. Giacomel, Regole d'Ampezzo 1997.<br />

245


Ex voto del superstite Giulio Muraro scampato al siluramento <strong>della</strong> «Principe Umberto»<br />

«Regina Scapularis»: Follina, cimitero austro-ungarico, fronte e retro di<br />

medaglietta devozionale trovata sui resti di un Caduto. Archivio Tessari.


La Madonnina del Grappa.


a Conegliano l'8 novembre 1925, alla presenza del gen. Diaz e del re, è ben<br />

diverso: l'esperienza <strong>della</strong> guerra si è ormai sedimentata; il regime inizia ad<br />

alimentare, in vista di nuove grandi imprese, il Mito <strong>della</strong> Grande Guerra e<br />

del Sacrifi cio. L'artista avverte il vento di tempi nuovi annunciati da Taddeini,<br />

estetologo del Regime Fascista:<br />

la morte eroicizzata dall'arte non verrà più rappresentata come una caduta, ma come un<br />

dovere di successione. L'arte può compiere miracoli. I morti non sono più morti.<br />

Così nasce l'eroe: ben piantato, muscoli da palestra, corpo da antico romano,<br />

pronto a ricostruire l'impero.<br />

Altra forma per celebrare i Caduti sono i viali e parchi <strong>della</strong> rimembranza.<br />

Analogamente a quanto veniva fatto nelle altre nazioni europee per l'elaborazione<br />

del lutto, oltre al recupero delle salme nei cimiteri militari e alla<br />

costruzione di Monumenti ai Caduti, anche in Italia maturò l'idea di onorare<br />

i caduti legandoli al mito <strong>della</strong> natura, <strong>della</strong> pianta sempre verde e rifi orente,<br />

<strong>della</strong> selva simbolo <strong>della</strong> forza primordiale. Dario Lupi, sottosegretario alla<br />

Pubblica Istruzione nel primo governo Mussolini, lanciò l'idea dei viali e parchi<br />

<strong>della</strong> Rimembranza. 6 Dopo un <strong>anno</strong> i comitati costituiti nelle scuole erano<br />

più di mille e i viali e parchi realizzati oltre 5.000. A volte non erano viali<br />

e parchi realizzati appositamente, ma adattamenti di realtà preesistenti con<br />

l'apposizione del nome di un caduto per ogni pianta.<br />

6) cimiteri e sacrari<br />

Più ci si allontana dalla fi ne <strong>della</strong> guerra più si modifi ca il lutto e il modo,<br />

dunque, di ricordare i Caduti. Pian piano i 3.000 cimiteri di guerra vengono<br />

sostituiti dalla maestosità dei Sacrari. Nel Sacrario/Ossario devono arrivare<br />

solo le ossa, scarnifi cate da qualsiasi rimasuglio di pelle e di carne. È una nuova,<br />

seconda sepoltura in cui, simbolicamente, si privano i Caduti dei propri<br />

connotati. Nel Sacrario – a differenza per esempio dei cimiteri militari inglesi<br />

– non ci possono essere più delle persone, volti, gente comune: ognuno con<br />

il proprio percorso di diffi coltà, entusiasmi, paure, cadute e riscatti eroici. La<br />

triste e tremenda realtà <strong>della</strong> guerra viene trasfi gurata in fornace di purifi cazione<br />

in cui una impressionante litania di nomi senza volto e senza storia,<br />

diventa una macchina possente ed eroica: la razza italica che rinnova l'impero<br />

di Roma ed entra nei cieli eterni <strong>della</strong> gloria. I monumenti ai caduti, da opere<br />

sobrie e coinvolgenti che raccontano eventi ed eroismi concreti, diventano,<br />

6 Dario Lupi, Parchi e viali <strong>della</strong> rimembranza 1923, Bemporad ed.<br />

248


con il progredire del regime, monumenti sempre più trionfali, celebrativi di<br />

un'idea astratta di eroe e di virtù <strong>della</strong> razza italica. Si arriva così a una forma<br />

linguistica che realizza quanto detto da Mussolini: «un popolo che deifi ca i<br />

suoi Caduti è un popolo che non può essere battuto».<br />

Un concetto questo ben diverso da quello attuato con semplicità e con la<br />

saggezza del motto ONORARE I MORTI PENSANDO AI VIVI che negli anni<br />

successivi alla Grande Guerra ispirò tante Amministrazioni Locali a realizzare<br />

Scuole ed Asili come il Miglior Monumento che i Caduti potessero avere.<br />

Un cenno, infi ne, alle lapidi che furono fatte sparire, soprattutto dopo l'8<br />

settembre 1943, in quanto troppo offensive per i tedeschi.<br />

Sul lato sud <strong>della</strong> stazione di Nervesa una targa voluta dalla 97 a Compagnia<br />

del 44° Genio Zappatori aveva ripreso a piè pari la scritta in calce ad una<br />

cartolina: 7<br />

combattere tu devi o soldato d'Italia. Per non subir lo sprezzo <strong>della</strong> tua donna violata, per<br />

non veder nella tua casa crescere il bastardo, fi glio <strong>della</strong> tua donna e del tedesco.<br />

A Pianzano, fi nita la guerra, il parroco Possamai fece affi ggere una lapide<br />

all'ingresso <strong>della</strong> chiesa, che oltre a dare del Barbari ai Germanici e Barbarini<br />

agli austro ungarici, fra l'altro ricordava:<br />

[...] QUALI DISCENDENTI DI ATTILA<br />

BORIOSI DISSERO<br />

ITALIANI FARETE LE UNGHIE LUNGHE!<br />

PER PANE MANGERETE SASSI!<br />

IN SACILE GIA' CE NE SONO MACINATI<br />

E POI NON VI CHIAMEREMO<br />

CRUDELI – FEROCI – INFAMI?<br />

Sono tutte lapidi che scompaiono con la 2 a guerra mondiale, in particolare<br />

quella di Pianzano prima viene nascosta dalle suore e poi se ne perdono per<br />

sempre le tracce. Una lapide, con un tenore simile, fu nascosta nel sottoscala<br />

di un campanile e solo un <strong>anno</strong> fa è stata riportata alla luce e apposta – sul lato<br />

meno visibile – del Monumento ai Caduti.<br />

7 cartolina di G. Mazzoni, commissionata dalla 3<br />

249<br />

a Armata


Santa Maria di Lago: ex voto di alcuni soldati del 55° fanteria sfuggiti a una valanga.


I «Caimani del Piave». Scultura di Giovanni Possamai. Archivio Tessari.<br />

«La difesa del fi ume». Scultura di Giovanni Possamai. Archivio Tessari.


7) Un'esperienza conclusa.<br />

Con lo sfumarsi nella nebbia del tempo degli eventi bellici e dei relativi<br />

odi, diventano sempre più frequenti gli episodi di incontro fra ex nemici con,<br />

in particolare, la celebrazione di riconciliazioni e restituzioni. Con il distacco<br />

temporale, dovuto al progressivo crescere degli anni dalla fi ne <strong>della</strong> guerra,<br />

si verifi cano interessanti casi di resituzione: è il caso del piedino di Gesù<br />

Bambino riportato al Sacello di Cima grappa, o del Candelabro da Budapest<br />

di cui racconta il poeta Andrea Zanzotto in un articolo sul Corriere <strong>della</strong><br />

Sera del 9 settembre 1988. La restituzione dei simboli diventa emblema <strong>della</strong><br />

cristallizzazione, cioè dell'elaborazione in 'esperienza conclusa' delle vicende<br />

di guerra. Questa esperienza conclusa <strong>della</strong> guerra si evidenzia anche in primo<br />

luogo nella proliferazione di Musei e Collezioni: 4 anni fa nella Marca o<br />

poco più in là dei confi ni provinciali (cioè a Bassano, Alano e Vas) contai 21<br />

realtà, fra musei e collezioni, che almeno in parte facevano riferimento alla<br />

Grande Guerra. Oggi ne andrebbero aggiunti altri 6. In secondo luogo sono<br />

nate e si st<strong>anno</strong> sviluppando realtà di tipo nuovo come i Musei all'Aperto, le<br />

Trincee Didattiche, i Sentieri Storici e <strong>della</strong> Pace. Queste nuove modalità di<br />

rivisitare e raccontare la guerra sono molto interessanti in quanto propongono<br />

un percorso alternativo al monumento tradizionale inteso come Memoriale e<br />

Luogo di celebrazione del 'rito' come si può riscontrare anche nelle recenti,<br />

grosse ed impegnative realizzazioni di: il Monumento al Soldato d'Italia 8 a<br />

Pederobba e il Monumento/Cripta 9 a Follina. Musei all'Aperto, Trincee Didattiche,<br />

Sentieri Storici e <strong>della</strong> Pace v<strong>anno</strong> oltre la liturgia <strong>della</strong> celebrazione,<br />

sono forte stimolo a meditare e a far memoria; impegnano a ripercorrere<br />

e coltivare i luoghi <strong>della</strong> memoria. Attraverso i luoghi <strong>della</strong> memoria acquisiamo<br />

una coscienza maggiore sulla realtà <strong>della</strong> guerra: guardiamo al passato<br />

per promuovere da esso azioni verso il futuro, trasmettendo al futuro i valori<br />

acquisiti.<br />

8 Opera di G. Aricò (1988).<br />

9 Opera dell'architetto Paolo Portoghesi (2008).<br />

252


Il sacrario di Fagarè <strong>della</strong> Battaglia. Archivio Tessari.<br />

Il sacrario del Montello. Archivio Tessari.


Lagazuoi, oggi (a sinistra) ed allora. Archivio Tessari.<br />

Crocetta del Montello: museo <strong>della</strong> Grande Guerra e del ‘900. Archivio Tessari.


INDICE<br />

Enzo Raffaelli<br />

Da Caporetto al Piave .................................................................................11<br />

Andrea Castagnotto<br />

Il sistema difensivo del Veneto e del Friuli durante la<br />

prima guerra mondiale ............................................................................. 33<br />

Ernesto Brunetta<br />

Il morale dei soldati nella prima guerra mondiale .................................... 55<br />

Daniele Ceschin<br />

Gli attori sociali nella provincia del Piave ............................................... 75<br />

Stefano Gambarotto<br />

1915-1917. Fra civili e militari in una provincia lacerata dalla guerra.............. 125<br />

BenitoBuosi<br />

Racconti dell'invasione 1917-1918 .......................................................... 143<br />

Livio Vanzetto<br />

Una memoria nazionalpopolare per il Monte Grappa<br />

«baluardo d'Italia» (1918-1921)............................................................... 203<br />

Francesco Scattolin<br />

Lo scandalo <strong>della</strong> ricostruzione. Guido Bergamo e «La Riscossa».......... 214<br />

Roberto Tessari<br />

Segni di guerra e di pietà. novant'anni di lutto e<br />

memoria <strong>della</strong> grande guerra ....................................................... 231


maggio 2011<br />

stampato da<br />

Marca Print<br />

tel.0422 470055 - fax 0422 479579<br />

www.marcaprint.it - info@marcaprint.it<br />

per conto di<br />

ISTRIT<br />

Via Sant'Ambrogio di Fiera 60<br />

31100 TREVISO<br />

email: ist.ris<strong>org</strong>imento.tv@email.it<br />

email:istitutoris<strong>org</strong>imentotv@interfree.it<br />

ISBN 978-88-96032-15-2


Il 1918 è stato l’ultimo, cruciale, <strong>anno</strong> <strong>della</strong> Grande Guerra. Dopo la disastrosa rotta<br />

di Caporetto, il teatro del confl itto cambia in modo repentino. In poche ore si sposta<br />

dalle desolate pietraie del Carso alle campagne del Veneto. La linea del Piave diviene<br />

l’ultimo baluardo contro un avversario che, due anni prima, ci eravamo illusi di<br />

ridurre all’impotenza in pochi giorni. Un intero mondo viene investito da questo<br />

cataclisma e la sua quotidianità sconvolta è costretta a cercare nuovi equlibri. Il Veneto<br />

diventa terra di profughi e di persone in fuga, luogo nel quale si combatte e si<br />

costruiscono difese munitissime, là dove prima erano campi e opifi ci. Le città e i paesi<br />

sono «invasi» dai militari che impogono le loro esigenze e con i quali, una popolazione<br />

impreparata si deve confrontare giorno per giorno. Tutto diventa funzionale alle<br />

esigenze <strong>della</strong> guerra mentre si combattono battaglie epiche, destinate a diventare<br />

altrettanti, fondamentali, capitoli <strong>della</strong> nostra storia nazionale. Poi, a guerra fi nita, la<br />

ricostruzione di quanto è andato perduto con i suoi tristemente «abituali» scandali.<br />

Da ultima matura l'esigenza di conservare il ricordo di ciò che è accaduto, una memoria<br />

che tante tracce di sè ha lasciato nei nostri territori.<br />

Da vendersi esclusivamente in abbinamento a uno dei seguenti quotidiani:<br />

La Tribuna di Treviso<br />

(Dir. Resp. Alessandro Moser - Reg. Trib. di TV n. 407 del 30/01/1978)<br />

Il Mattino di Padova<br />

(Dir. Resp. Omar Monestier - Reg. Trib. PD n. 568 del 11/11/1977)<br />

La Nuova Venezia e Mestre<br />

(Dir. Resp. Antonello Francica - Reg. Trib. di VE n. 1398 del 20/09/2001)<br />

Supplemento al numero odierno € 7,90 + il prezzo del quotidiano

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